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A mia madre, Francesca
INDICE Prefazione di Dawson Church . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 Prefazione: Risvegliarsi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8 Introduzione: L’importanza della mente . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22 Parte Prima: Informazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31 Capitolo 1: È possibile? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 Capitolo 2: Cenni storici sul placebo . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 Capitolo 3: L’effetto placebo nel cervello . . . . . . . . . . . . . . . 82 Capitolo 4: L’effetto placebo nel corpo . . . . . . . . . . . . . . . . 112 Capitolo 5: Come i pensieri cambiano il cervello e il corpo 138 Capitolo 6: Suggestionabilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 156 Capitolo 7: Atteggiamenti, convinzioni e percezioni . . . . . 189 Capitolo 8: La mente quantistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 215 Capitolo 9: Tre storie di trasformazione personale . . . . . . . 233 Capitolo 10: Dalla conoscenza alla trasformazione: la prova che il placebo sei tu . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 265 Parte Seconda: Trasformazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 295 Capitolo 11: Preparati alla meditazione . . . . . . . . . . . . . . . 296 Capitolo 12: La meditazione per cambiare credenze e percezioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 311 Conclusione: Diventare soprannaturali . . . . . . . . . . . . Postfazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ringraziamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L’autore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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P R E FA Z I O N E di Dawson Church Come la maggior parte dei suoi fan, attendo le riflessioni provocatorie di Joe Dispenza con piacere e impazienza. Combinando valide prove scientifiche con intuizioni stimolanti, Joe allarga gli orizzonti del possibile estendendo i confini di ciò che conosciamo. Prende la scienza più seriamente della maggior parte degli scienziati e, in questo libro affascinante, porta alla loro logica conclusione le più recenti scoperte nel campo dell’epigenetica, della plasticità neurale e della psiconeuroimmunologia. Si tratta di una conclusione straordinaria: ogni essere umano plasma il proprio cervello e il proprio corpo attraverso i pensieri che formula, le emozioni che prova, le intenzioni che ha e gli stati trascendentali che sperimenta. Placebo Effect ti invita a sfruttare questo concetto per creare un nuovo corpo e una nuova vita. Non si tratta di un’impresa sovrannaturale. Joe chiarisce tutti i nessi della catena di causalità che parte da un pensiero e si conclude con un fatto biologico, come l’aumento del numero di cellule staminali o di molecole proteiche immunizzanti nel flusso sanguigno. Il libro inizia con il racconto dell’incidente che gli provocò la frattura di sei vertebre. All’improvviso, in extremis, dovette mettere in pratica la sua teoria: il corpo possiede un’intelligenza innata, dotata di un miracoloso potere di guarigione. La sua disciplina nel visualizzare il processo di ricostruzione della colonna vertebrale è di per sé un esempio di determinazione capace di ispirare tutti noi. Siamo tutti colpiti da storie di remissione spontanea e guarigioni “miracolose”, ma quello che Joe ci mostra in questo libro è che ognuno di noi può sperimentare questi miracoli di guarigione. Il rinnovamento è insito nella natura del corpo umano, mentre la degenerazione e la malattia sono l’eccezione, non la norma.
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Dopo aver capito come si rinnova il nostro corpo, possiamo iniziare a sfruttare in modo intenzionale questi processi fisiologici, governando gli ormoni che le cellule sintetizzano, le proteine che costruiscono, i neurotrasmettitori che producono e i percorsi neurali attraverso i quali inviano segnali. Anziché avere un’anatomia statica, il nostro corpo è in perenne fermento e trasformazione, attimo dopo attimo. I nostri cervelli sono molto attivi: creano e distruggono un’infinità di connessioni neurali al secondo. Joe ci insegna che possiamo guidare questo processo attraverso l’intenzione, assumendo il ruolo attivo del conducente del veicolo, anziché quello passivo del passeggero. La scoperta che il numero di connessioni in un fascio neurale può raddoppiare, se sottoposto a ripetuta stimolazione, ha rivoluzionato la biologia negli anni Novanta, tanto che il suo scopritore, il neuropsichiatra Eric Kandel, ha vinto il premio Nobel. In seguito, Kandel ha scoperto che, se non vengono usate, le connessioni neurali cominciano a ridursi in appena tre settimane. In questo modo, possiamo rimodellare il cervello tramite i segnali che veicoliamo attraverso la rete neurale. Nello stesso decennio in cui Kandel e altri misuravano la neuroplasticità, altri scienziati scoprirono che tra i nostri geni, solo pochi sono statici. La maggior parte (le stime variano dal 75 all’85 per cento) viene disattivata e attivata da segnali provenienti dall’ambiente, compreso quello costituito dai pensieri, dalle convinzioni e dalle emozioni che coltiviamo nel cervello. Una particolare classe di questi geni, i geni primari rapidi (IEG), impiega solo tre secondi per raggiungere il picco dell’espressione. Gli IEG spesso sono geni regolatori, che controllano l’espressione di centinaia di altri geni e di migliaia di altre proteine in punti remoti del corpo. Questo tipo di cambiamento rapido e pervasivo offre una spiegazione plausibile ad alcune delle guarigioni radicali riportate in queste pagine. Joe è uno dei pochi scrittori scientifici a cogliere appieno il ruolo delle emozioni nel processo di trasformazione. Le emozioni negative possono provocare alti livelli di ormoni dello stress, come il cortisolo e l’adrenalina, causando una vera e propria dipendenza. Sia gli ormoni dello stress sia quelli del benessere, come il DHEA (dei5
droepiandrosterone) e l’ossitocina, hanno dei valori di riferimento, il che spiega come mai ci sentiamo a disagio quando formuliamo pensieri o convinzioni che spingono il nostro equilibrio ormonale al di fuori della zona di comfort. Questo concetto è l’ultima frontiera della comprensione scientifica delle dipendenze e delle voglie. Cambiando stato d’animo, possiamo modificare la realtà esterna. Joe spiega benissimo la catena di eventi innescata da intenzioni che hanno origine nel lobo frontale del cervello e che poi si trasformano in messaggeri chimici, chiamati neuropeptidi, che inviano segnali in tutto il corpo, attivando e disattivando gli interruttori genetici. Alcune di queste sostanze chimiche, come l’ossitocina, “l’ormone delle coccole” che viene stimolato con il tatto, sono associate a sentimenti di amore e fiducia. Con la pratica, puoi imparare a modificare rapidamente i valori limite di riferimento degli ormoni dello stress e di quelli della guarigione. Di primo acchito, l’idea che possiamo guarire noi stessi semplicemente traducendo i pensieri in emozioni può sembrare incredibile. Nemmeno Joe si aspettava i risultati che ha riscontrato nei partecipanti ai suoi seminari, quando queste idee venivano applicate alla perfezione: remissione spontanea di tumori, pazienti costretti su una sedia a rotelle che ricominciavano a camminare ed emicranie che scomparivano. Con la gioia sincera e l’apertura mentale di un bambino che sperimenta un nuovo gioco, Joe ha cominciato a spingersi oltre, chiedendosi quanto sarebbe stata rapida la guarigione radicale se la gente avesse applicato l’effetto placebo del corpo con assoluta convinzione. Perciò, il titolo Placebo Effect riflette il fatto che sono i tuoi pensieri, le tue emozioni e le tue convinzioni a generare catene di eventi fisiologici all’interno del tuo corpo. Alcuni passaggi del libro potrebbero indisporti, ma continua a leggere. Se provi disagio è solo perché il tuo vecchio io si oppone all’inevitabile cambiamento trasformativo e i valori ormonali di riferimento vengono smossi. Joe ci assicura che la sensazione di disagio è spesso l’effetto biologico del dissolvimento del vecchio io. La maggior parte di noi non ha il tempo o la voglia di studiare questi processi biologici complessi. Ed è proprio in questo caso che il libro diventa indispensabile: Joe scava in profondità nella 6
scienza che sta dietro a questi cambiamenti per presentarli in modo comprensibile e facile da assimilare. Ci illustra i retroscena con spiegazioni semplici ed eleganti. Utilizzando analogie e casistiche, dimostra esattamente come possiamo applicare queste scoperte alla vita quotidiana, e illustra i clamorosi miglioramenti di salute che sperimenta chi li prende sul serio. Una nuova generazione di ricercatori ha coniato un termine per la pratica delineata da Joe: neuroplasticità autodiretta. L’idea alla base del termine è che siamo noi a guidare la formazione di nuovi percorsi neurali e la distruzione di quelli vecchi attraverso la qualità delle esperienze che viviamo. Credo che la neuroplasticità autodiretta diventerà uno dei concetti più potenti nella trasformazione personale e nella neurobiologia della prossima generazione, e questo libro è un precursore di tale movimento. Nella Parte II di questo libro, i principi metafisici si concretizzano negli esercizi di meditazione. Puoi svolgerli da solo, sperimentando personalmente l’ampliamento delle possibilità a tua disposizione quando agisci da placebo per te stesso. L’obiettivo è cambiare a livello biologico le tue convinzioni e percezioni riguardo alla vita, affinché tu giunga ad amare un nuovo futuro e a renderlo materialmente e concretamente esistente. Perciò comincia questo viaggio affascinante che amplierà gli orizzonti delle tue possibilità e ti incoraggerà a scegliere un livello di guarigione molto più elevato. Non hai nulla da perdere se ti lanci con entusiasmo nel processo e ti sbarazzi dei pensieri, dei sentimenti e dei valori biologici che finora ti hanno limitato. Se credi nella capacità di realizzare il tuo massimo potenziale e di agire in modo ispirato, diventerai il placebo che crea un futuro felice e sano per te e per il nostro Pianeta. Dawson Church. Autore di Medicina epigenetica. Felicità e salute attraverso la trasformazione consapevole del DNA.
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P R E FA Z I O N E Risvegliarsi Nulla di ciò che è successo era nei miei progetti. In un certo senso, è stato il lavoro che svolgo attualmente in qualità di relatore, autore e ricercatore a venirmi a cercare. Alcuni di noi hanno bisogno di un campanello d’allarme per svegliarsi. Io l’ho sentito suonare nel 1986. In una bella giornata di aprile nel sud della California, ho avuto il privilegio di essere investito da un SUV durante una gara di triathlon a Palm Springs. Quel momento ha cambiato la mia vita e mi ha fatto intraprendere questo viaggio. Avevo ventitré anni all’epoca, svolgevo da poco l’attività di chiropratico a La Jolla, in California, e mi ero allenato per mesi per quel triathlon. Avevo concluso il segmento di nuoto ed ero impegnato in quello del ciclismo quando è successo l’incidente. Stavo per arrivare a una curva difficile, dove sapevo che ci saremmo immessi nel traffico. Un agente di polizia, con la schiena rivolta alle vetture in avvicinamento, mi fece cenno di girare a destra e di seguire il percorso. Dato che ero molto affaticato e concentrato sulla gara, non gli staccai mai gli occhi di dosso. Mentre superavo due ciclisti in prossimità di quella curva, un Bronco rosso a trazione integrale che sfiorava i novanta chilometri orari urtò la mia bicicletta da dietro. Fui catapultato in aria e atterrai bruscamente sulla schiena. A causa della velocità del veicolo e dei riflessi lenti della donna anziana che lo guidava, il SUV continuò ad avanzare verso di me, ed ebbi un incontro ravvicinato col paraurti. Mi ci aggrappai, per evitare di essere travolto e per impedire al mio corpo di finire incastrato tra la lamiera e l’asfalto. Così fui trascinato lungo la strada per un po’ prima che la conducente si rendesse conto di cosa stava accadendo. Quando finalmente capì e frenò di colpo, iniziai a ruzzolare senza controllo per una ventina di metri. Ricordo ancora il rumore delle biciclette che mi sfrecciavano accanto insieme alle urla atterrite e alle imprecazioni dei ciclisti che mi superavano, incerti se fermarsi per prestare aiuto o proseguire 8
la gara. Mentre giacevo a terra, l’unica cosa che riuscii a fare fu arrendermi. Poco dopo scoprii di avere sei vertebre rotte: avevo fratture da compressione all’ottava, nona, decima, undicesima e dodicesima vertebra dorsale e alla prima lombare (in pratica dalle scapole alle reni). Le vertebre sono impilate nella spina dorsale una sopra l’altra come singoli blocchi e le mie, quando sono atterrato con quella violenza, sono collassate e si sono compresse per l’impatto. L’ottava vertebra dorsale, il segmento più alto tra quelli fratturati, era collassata per oltre il 60 per cento, e l’arco circolare che conteneva e proteggeva il midollo spinale era rotto in più pezzi che, ricomposti, assomigliavano a un brezel. Quando una vertebra si schiaccia o si rompe, i frammenti di osso si disperdono. Nel mio caso, molti frammenti si erano addossati alla spina dorsale. Non era certo un bel quadro. Come nel peggior incubo, la mattina seguente mi svegliai con numerosi sintomi neurologici: dolore diffuso, vari gradi di intorpidimento, formicolio e perdita parziale della sensibilità alle gambe, oltre a una preoccupante difficoltà nel controllare i movimenti. Fui sottoposto a esami del sangue, radiografie, TAC e risonanze magnetiche. Al termine di tutti gli accertamenti, il chirurgo ortopedico mi mostrò i risultati e mi comunicò la triste notizia: al fine di contenere i frammenti ossei che si trovavano nel midollo spinale, era necessario un intervento chirurgico per impiantare una barra di Harrington. Avrebbero rimosso le parti posteriori delle vertebre da due/tre segmenti sopra e sotto le fratture, e poi avrebbero avvitato e fissato due aste di acciaio inossidabile lunghe una trentina di centimetri su entrambi i lati della colonna vertebrale. Dopodiché, avrebbero prelevato alcuni frammenti ossei dall’anca e li avrebbero applicati alle aste. L’intervento era invasivo, ma mi avrebbe permesso di tornare a camminare. Malgrado ciò, sapevo che in ogni caso avrei sofferto di una qualche forma di disabilità, e avrei dovuto sopportare il dolore cronico per il resto della mia vita. Inutile dire che questa prospettiva non mi piaceva per niente. Eppure se avessi deciso di non sottopormi all’intervento, la paralisi sembrava certa. Il miglior neurologo nella zona di Palm Springs, che concordava con il parere del primo chirurgo, mi disse che in 9
tutti gli Stati Uniti nessun altro paziente nelle mie condizioni aveva mai rifiutato l’intervento. L’impatto dell’incidente aveva compresso l’ottava vertebra dorsale (D8), conferendole un aspetto cuneiforme che avrebbe impedito alla spina dorsale di reggere il peso del corpo: se mi fossi alzato in piedi, la colonna vertebrale sarebbe collassata, spingendo i frammenti ossei nel midollo spinale e causando la paralisi immediata dal petto in giù. Anche questa prospettiva era tutt’altro che entusiasmante. Venni trasferito in un ospedale di La Jolla, più vicino a casa mia, dove sentii altri due pareri, compreso quello del migliore chirurgo ortopedico del sud della California. Naturalmente, entrambi i medici concordavano sulla necessità di applicare la barra di Harrington. La prognosi era unanime: fare l’intervento chirurgico o rimanere paralizzato, condannato a non camminare mai più. Se fossi stato il medico che consigliava l’intervento, avrei detto la stessa cosa: era la soluzione più sicura. Ma non era la decisione giusta per me. Forse in quel momento della mia vita ero solo giovane e audace, ma andai contro i consigli del medico e le raccomandazioni degli esperti. Credo che esista un’intelligenza, una consapevolezza invisibile, all’interno di ognuno di noi che ci dona la vita sostenendoci, preservandoci, proteggendoci e guarendoci in ogni momento. Essa crea quasi cento trilioni di cellule specializzate (a partire da due cellule soltanto), fa battere il cuore centinaia di migliaia di volte al giorno e, tra molte altre incredibili funzioni, organizza tantissime reazioni chimiche al secondo in ogni singola cellula. All’epoca, pensai che se questa intelligenza era reale e manifestava le sue abilità sorprendenti in maniera così deliberata, consapevole e amorevole, forse avrei potuto distogliere la mia attenzione dal mondo esterno e rivolgerla dentro di me, per connettermi con essa. Ma se a livello intellettuale avevo capito che il corpo spesso è capace di autoguarirsi, ora dovevo mettere in pratica quei concetti filosofici per portare la mia teoria al livello successivo e svilupparla ulteriormente per vivere una vera esperienza di guarigione. Siccome non potevo andare da nessuna parte, e non facevo altro che stare sdraiato a pancia in giù, presi due decisioni. In primo luogo, 10
ogni giorno avrei concentrato tutta la mia attenzione cosciente su questa intelligenza interiore, le avrei dato un piano, un modello, una visione generale, le avrei impartito ordini ben precisi, e poi avrei affidato la mia guarigione a questa mente superiore dotata di un potere illimitato, permettendole di guarirmi. In secondo luogo, non avrei consentito a pensieri indesiderati di insinuarsi nella mia consapevolezza. Sembra facile, vero? UNA DECISIONE RADICALE Contro il consiglio della mia équipe medica, lasciai l’ospedale con un’ambulanza che mi portò a casa di due cari amici, dove restai per i successivi tre mesi. In quel periodo mi concentrai soltanto sulla mia guarigione. Avevo una missione da compiere. Decisi che avrei cominciato ogni giornata dedicandomi alla ricostruzione della mia spina dorsale, vertebra dopo vertebra e, se quella consapevolezza interiore avesse prestato attenzione ai miei sforzi, le avrei mostrato ciò che desideravo. Sapevo che era necessaria la mia presenza assoluta… dovevo cioè stare nel presente; senza rimpiangere il passato o preoccuparmi del futuro, senza lasciarmi ossessionare dalle circostanze esterne della mia vita o concentrarmi sul dolore o sui sintomi che accusavo. Proprio come succede in qualsiasi relazione: ci rendiamo conto se l’altro è presente o meno, giusto? Poiché coscienza significa consapevolezza, consapevolezza significa prestare attenzione e prestare attenzione significa essere presenti e all’erta, questa coscienza interiore avrebbe notato quando ero presente e quando non lo ero. Avevo intenzione di essere del tutto presente quando interagivo con quell’intelligenza; la mia presenza avrebbe dovuto corrispondere alla sua presenza, la mia volontà avrebbe dovuto corrispondere alla sua volontà e la mia mente avrebbe dovuto corrispondere alla sua mente. Così, per due ore, due volte al giorno, entravo dentro di me e cominciavo a creare un’immagine del risultato che volevo ottenere: una spina dorsale completamente guarita. Ovviamente, mi resi subito conto di quanto fossi inconsapevole e non focalizzato. È buffo. In quel momento capii che di fronte a un trauma o a un momento 11
critico, sprechiamo troppa attenzione ed energia a pensare a ciò che non vogliamo anziché a ciò che vogliamo. In quelle prime settimane, anch’io avevo avuto questa tendenza, ogni singolo istante. Mentre ero nel bel mezzo delle mie meditazioni, impegnato a creare la vita che volevo con una spina dorsale completamente guarita, mi accorgevo all’improvviso che a livello inconscio stavo pensando a quello che mi avevano detto i medici un paio di settimane prima: che probabilmente non avrei mai più camminato. Un attimo prima ero immerso nella ricostruzione mentale della mia colonna vertebrale, e quello dopo ero in preda all’ansia perché non sapevo se mettere in vendita o meno il mio studio di chiropratico. Per darti un’idea, mentre provavo mentalmente a ricominciare a camminare poco per volta, mi sorprendevo a immaginare come sarebbe stato il resto della mia vita bloccato su una sedia a rotelle. Ogni volta che mi deconcentravo e la mente vagava su pensieri non pertinenti, ricominciavo da capo e ricreavo di nuovo l’intera sequenza di immagini mentali. Era un processo noioso, frustrante e, in tutta franchezza, una delle cose più difficili che avessi mai fatto. Ma sapevo che l’immagine finale che volevo mostrare al mio osservatore interiore doveva essere chiara, non inquinata e priva di interruzioni. Affinché questa intelligenza realizzasse ciò che speravo fosse capace di fare (e io ne ero certo), dovevo rimanere cosciente dall’inizio alla fine, senza mai perdere consapevolezza. Finalmente, dopo sei settimane di lotta con me stesso e di sforzi per essere presente a questa coscienza, riuscii a completare il processo di ricostruzione interiore senza dovermi fermare e ricominciare da capo. Ricordo il giorno in cui lo feci per la prima volta: fu come colpire una pallina da tennis nel punto giusto. C’era qualcosa di esatto in tutto ciò. Aveva fatto centro. Io avevo fatto centro. E mi sentii completo, soddisfatto e integro. Per la prima volta, ero veramente rilassato e presente: nella mente e nel corpo. Nessun chiacchiericcio, nessuna analisi, nessun pensiero, nessuna ossessione, nessuno sforzo attraversava la mente; qualcosa andò via, lasciando il posto a una sorta di pace e di silenzio. Era come se non mi importasse più nulla di tutte le questioni di cui avrei dovuto preoccuparmi riguardo al passato e al futuro. 12
Questa consapevolezza consolidò il mio intento: da allora, creare la visione di ciò che volevo, e cioè ricostruire le mie vertebre, divenne ogni giorno più facile. Soprattutto, iniziai a notare alcuni cambiamenti fisiologici piuttosto significativi. Fu in quel momento che cominciai a mettere in relazione quello che stavo facendo dentro di me per realizzare il cambiamento desiderato, e quello che avveniva fuori, nel mio corpo. Non appena mi accorsi di questa correlazione, iniziai a prestare più attenzione alle mie azioni, mettendoci sempre più convinzione. Di conseguenza, presi a impegnarmi con gioia e ispirazione, non più con penosi sforzi e scarsa convinzione. Tutto a un tratto, riuscivo a portare a termine in breve tempo quello che prima richiedeva una sessione di due o tre ore. Avevo parecchio tempo a disposizione, perciò iniziai a immaginare come sarebbe stato ammirare ancora un tramonto in riva al mare o pranzare con gli amici seduto al tavolo di un ristorante, e decisi che non avrei mai più dato per scontato queste cose. In particolare, immaginavo di fare la doccia e di sentire l’acqua scivolare sul mio viso e sul mio corpo, di stare seduto dritto sul wc o di fare una passeggiata sulla spiaggia di San Diego, con il vento tra i capelli. Tutte queste cose, che non avevo mai apprezzato fino in fondo prima dell’incidente, ora erano importanti; mi presi il tempo per abbracciarle emotivamente, fino ad avere la sensazione che fossero reali. All’epoca, non sapevo ancora cosa stessi facendo, ma ora lo so: stavo cominciando a pensare a tutte le potenzialità future che esistevano nel campo quantico, per poi abbracciarle una a una a livello emotivo. Mentre sceglievo di sposare questo futuro intenzionale e provavo una forte emozione al pensiero di come sarebbe stato viverlo, nel momento presente il mio corpo cominciava a credere di essere davvero all’interno di quell’esperienza futura. Man mano che la mia capacità di osservare il destino che desideravo si affinava sempre più, le mie cellule cominciavano a riorganizzarsi. Iniziai ad attivare nuovi geni in modi diversi, e il mio corpo cominciò davvero a evidenziare rapidi miglioramenti. Stavo imparando uno dei principi fondamentali della fisica quantistica: mente e materia non sono elementi separati; i nostri pensieri e sentimenti, consapevoli o meno, sono il tracciato che guida 13
il nostro destino. All’interno della mente umana e di quella del campo quantico dalle infinite potenzialità, risiede la capacità di manifestare qualsiasi futuro possibile attraverso la perseveranza, la convinzione e la concentrazione. Entrambe queste menti devono lavorare insieme per generare una realtà futura che potenzialmente esiste già. Mi resi conto che in questo modo siamo tutti creatori divini, indipendentemente dall’etnia, dal sesso, dalla cultura, dalla posizione sociale, dall’istruzione, dalle credenze religiose e anche dagli errori che abbiamo commesso in passato. Per la prima volta nella mia vita, mi sono sentito in estasi. Presi altre decisioni importanti per la mia guarigione. Elaborai uno stile di vita (descritto in dettaglio in Evolvi il tuo cervello) che prevedeva una certa alimentazione, visite da amici che praticavano la guarigione energetica e un complesso programma di riabilitazione. Ma in quel periodo nulla era più importante per me che entrare in contatto con quell’intelligenza interiore e servirmene per guarire il corpo. Nove settimane e mezzo dopo l’incidente, mi sono alzato, ho ripreso a camminare e sono tornato alla mia vita, senza ingessature o interventi chirurgici. Dopo dieci settimane, ho ricominciato a ricevere i pazienti e, dopo dodici settimane, ho ripreso ad allenarmi e a sollevare pesi, pur continuando la riabilitazione. Ora, a quasi trent’anni dall’incidente, posso dire in tutta onestà che non ho quasi mai sofferto di mal di schiena da allora. LA RICERCA INIZIA SUL SERIO Ma l’avventura non era ancora finita. Non c’era da stupirsi se non riuscivo a tornare alla mia vita di prima nei panni del mio vecchio io. Ero molto cambiato. Ero entrato in contatto con una realtà che nessuno di mia conoscenza era in grado di capire davvero. Non riuscivo più a rapportarmi con molti dei miei amici, e di certo non potevo tornare alla vita di sempre. Le cose che prima erano importanti, ora non contavano più, e cominciai a pormi grossi interrogativi come: “Chi sono?”, “Qual è il significato della mia vita?”, “Cosa ci faccio qui?”, “Qual è il mio scopo?” e “Cos’è o chi è Dio?”. Poco tempo dopo, lasciai San Diego e mi trasferii sulla costa nord-occidentale del Pacifico, dove finii per aprire una clinica 14
chiropratica nei pressi di Olympia, Washington. Ma per un certo periodo, mi ritirai dal mondo e studiai la spiritualità. Con il passare del tempo, sviluppai un forte interesse per le remissioni spontanee, che si verificano quando le persone guariscono da gravi malattie in fase terminale o da patologie croniche senza ricorrere alla medicina tradizionale, cioè alla chirurgia o ai farmaci. In quelle lunghe notti insonni e solitarie durante la convalescenza, avevo stretto un patto con quella coscienza interiore: se mai fossi tornato a camminare, avrei dedicato il resto della mia vita ad analizzare e indagare la connessione tra corpo e mente, soffermandomi sull’idea che la mente prevale sulla materia. E questo è più o meno quello che continuo a fare da trent’anni a questa parte. Ho soggiornato in diversi paesi e ho incontrato persone malate che si erano curate sia in modo convenzionale sia non convenzionale senza ottenere alcun miglioramento, o addirittura riportando un aggravamento delle condizioni, ma che poi all’improvviso sono guarite. Le ho intervistate per scoprire cosa avessero in comune le loro esperienze, con l’intento di capire e documentare il motivo del loro miglioramento, spinto dal desiderio di coniugare la scienza con la spiritualità. Ho scoperto così che in tutte queste guarigioni miracolose la mente ha giocato un ruolo molto importante. Una simile scoperta ha solleticato lo scienziato che è in me, facendomi diventare ancora più curioso. Ho ricominciato a frequentare corsi universitari e a studiare le ultime novità nel campo della neuroscienza, finché non mi sono specializzato in scansioni cerebrali, neuroplasticità, epigenetica e psiconeuroimmunologia. Ora sapevo cosa avevano fatto queste persone per guarire ed ero diventato un esperto di scienza della trasformazione mentale (o almeno credevo di esserlo), perciò pensavo di poter riprodurre questo meccanismo, sia in persone malate sia in soggetti sani desiderosi di realizzare cambiamenti positivi non solo nel campo della salute, ma anche nelle relazioni, nel lavoro, nella famiglia e nella vita in generale. Con quattordici scienziati e ricercatori ho partecipato al documentario Bleep: ma che bip... sappiamo veramente?, che ha fatto molto scalpore. Il documentario invitava lo spettatore a mettere in di15
scussione la natura della realtà e a vedere se il modo di osservarla si materializzava nella realtà o, per essere più precisi, diventava realtà. Tutto il mondo parlava del documentario e dei concetti in esso proposti. Sulla scia di questo fenomeno, nel 2007 pubblicai il mio primo libro Evolvi il tuo cervello: come uscire dal vecchio programma. Quando il libro cominciò a diffondersi, la gente spesso mi chiedeva: “Come si fa? Come si fa a cambiare e a creare la vita che vogliamo?”. Ben presto, è diventata la domanda più frequente che la gente mi rivolgeva. Così, creai un mio staff personale e iniziai a tenere workshop in tutti gli Stati Uniti e all’estero insegnando come funziona il cervello e come è possibile riprogrammare i pensieri attraverso principi neurofisiologici. All’inizio, durante i seminari mi limitavo per lo più a condividere le informazioni. Ma la gente mi chiedeva di più, perciò aggiunsi delle meditazioni per creare sinergie e assimilare nel profondo le informazioni acquisite. Inoltre, offrii ai partecipanti metodi pratici per apportare cambiamenti a livello mentale e fisico e, di conseguenza, nella loro vita. Dopo aver seguito i miei seminari introduttivi in diverse parti del mondo, la gente iniziò a chiedermi: “Qual è il prossimo passo?”. Allora, cominciai a proporre seminari di livello superiore. Così pensai di aver concluso il mio lavoro, di aver trasmesso tutto ciò che potevo, ma la gente continuava a chiedere di più, perciò seguitai a studiare, perfezionando le presentazioni e le meditazioni. Una volta preso il via, arrivarono i primi risultati; la gente riusciva a eliminare alcune abitudini autodistruttive e a condurre una vita più felice. Anche se fino a quel momento io e i miei colleghi avevamo osservato solo lievi cambiamenti (niente di veramente significativo), le persone apprezzavano le informazioni ricevute e proseguivano volentieri la pratica a casa. Perciò, continuai ad andare dove mi invitavano. Pensavo che quando avessero smesso di farlo, avrei capito che il mio lavoro era giunto al termine. Circa un anno e mezzo dopo il primo seminario, io e il mio team cominciammo a ricevere numerose e-mail da partecipanti che avevano riscontrato cambiamenti positivi svolgendo le meditazioni con regolarità. Nella loro vita si era manifestata un’ondata di 16
cambiamenti che li riempiva di gioia. I riscontri ricevuti nel corso dell’anno successivo colpirono molto sia me sia i miei collaboratori. I partecipanti ai seminari riferivano non solo cambiamenti soggettivi nel loro stato di salute fisico, ma anche miglioramenti oggettivi emersi dagli esami medici. In alcuni casi, i valori tornavano addirittura normali! Queste persone erano in grado di riprodurre esattamente i cambiamenti fisici, mentali ed emotivi che avevo studiato, osservato e descritto in Evolvi il tuo cervello. Fu incredibilmente eccitante assistere a tutto questo: sapevo che ciò che è replicabile tende a diventare una legge scientifica. Le numerose e-mail che ci venivano inviate cominciavano tutte con la stessa formula: “Non ci crederai mai…”. Quei cambiamenti erano qualcosa di più che una semplice coincidenza. Poco dopo, in quello stesso anno, durante due eventi organizzati a Seattle, cominciarono ad accadere cose incredibili. In occasione del primo, una donna affetta da sclerosi multipla (SM), che era arrivata con un deambulatore, iniziò a camminare senza aiuto prima della fine dell’evento. Al secondo, un’altra, che soffriva di sclerosi multipla da dieci anni, si mise a ballare in mezzo alla sala, dichiarando che la paralisi e il torpore al piede sinistro erano completamente spariti. (Parlerò in modo più approfondito della storia di una di queste donne, e di quelle di altre persone come loro, nei prossimi capitoli). A grande richiesta, nel 2010 condussi un seminario ancora più progressive in Colorado, e la gente cominciò a notare miglioramenti proprio lì, all’evento. I partecipanti si alzavano, prendevano il microfono e raccontavano storie entusiasmanti. In quel periodo, inoltre, fui invitato a tenere conferenze per imprenditori sulla biologia del cambiamento, sulla neuroscienza della leadership e su come trasformare gli individui per modificare una cultura. Dopo un discorso programmatico, alcuni dirigenti mi chiesero di adattare le idee a un modello di trasformazione aziendale. Così misi a punto un corso di otto ore personalizzabile per aziende e organizzazioni; il successo fu tale da dare vita al programma aziendale “30 Days to Genius” [Trenta giorni per diventare un genio]. Mi sono ritrovato a lavorare con clienti come Sony Entertainment Network, Gallo Family Vineyards, la società di teleco17
municazioni WOW! (in origine denominata Wide Open West) e molte altre aziende, fino ad arrivare a offrire un servizio di coaching privato destinato ai vertici aziendali. Le richieste di programmi aziendali sono diventate talmente numerose che ho creato uno staff di coaching dedicato; al momento, dispongo di più di trenta formatori attivi, tra cui ex CEO, consulenti aziendali, psicoterapeuti, avvocati, medici, ingegneri e professionisti con un dottorato di ricerca che viaggiano in tutto il mondo per insegnare questo modello di trasformazione a numerose aziende. (Ora abbiamo intenzione di certificare formatori indipendenti che potranno utilizzare il modello di cambiamento con la propria clientela.) Nemmeno nei miei sogni più sfrenati avrei mai potuto immaginare questo tipo di futuro per me. Nel 2012 è uscito il mio secondo libro, Cambia l’abitudine di essere te stesso: la fisica quantistica nella vita quotidiana (My Life), un manuale pratico di istruzioni che integra e completa Evolvi il tuo cervello. Il libro non solo approfondisce i concetti della neuroscienza del cambiamento e dell’epigenetica, ma contiene anche un programma di quattro settimane con indicazioni dettagliate per l’attuazione di questi cambiamenti, sulla base dei seminari che ho tenuto in quel periodo. Successivamente ho organizzato un seminario ancora più avanzato in Colorado; qui abbiamo assistito a sette remissioni spontanee da varie patologie. Una donna che si nutriva solo di lattuga a causa di gravi allergie alimentari è guarita proprio in quel weekend. Altre persone sono guarite da intolleranza al glutine, celiachia, problemi alla tiroide, dolore cronico e altre condizioni. All’improvviso, ho cominciato a notare cambiamenti molto significativi nello stato di salute e nella vita delle persone che si allontanavano dalla loro realtà contingente per crearne una nuova. Tutto ciò avveniva proprio sotto i miei occhi. DALL’INFORMAZIONE ALLA TRASFORMAZIONE L’evento del 2012 in Colorado rappresentò un punto di svolta nella mia carriera: finalmente, vedevo che le persone venivano aiutate 18
non solo a cambiare la loro percezione del benessere, ma manifestavano nuovi geni in modi nuovi proprio lì, durante le meditazioni, in tempo reale, con riscontri tangibili. Se una persona che soffriva da anni di una patologia come il lupus iniziava a stare bene dopo un’ora di meditazione, significava che qualcosa di importante doveva essere accaduto nella sua mente e nel suo corpo. Volevo capire come misurare questi cambiamenti nel momento stesso in cui avvenivano, durante i seminari, per vedere esattamente cosa stava succedendo. Così, all’inizio del 2013, organizzai un nuovo tipo di evento che ha portato rapidamente i nostri seminari a un livello ulteriore. Per questo evento, tenuto in Arizona, chiesi a un gruppo di ricercatori, tra cui neuroscienziati, tecnici e fisici quantistici dotati di strumenti specializzati, di affiancarmi per un seminario di quattro giorni che prevedeva la presenza di più di duecento partecipanti. Gli esperti usarono i loro strumenti per misurare il campo elettromagnetico all’interno della sala per vedere se l’energia si modificava con il procedere del seminario. Misurarono anche il campo energetico intorno ai corpi dei partecipanti e i centri energetici di ogni persona (i chakra) per vedere se subivano qualche influenza. Per realizzare queste misurazioni, si avvalsero di una strumentazione molto sofisticata e svolsero analisi come l’elettroencefalografia (EEG), per valutare l’attività elettrica del cervello, l’elettroencefalografia quantitativa (QEEG), per valutare al computer i dati EEG, la variabilità della frequenza cardiaca (HRV), per documentare la variazione in un intervallo di tempo tra i battiti cardiaci e la coerenza cardiaca (una misurazione del ritmo cardiaco che riflette la stretta relazione tra cuore e cervello) e la visualizzazione a scarica di gas (GDV) per misurare i cambiamenti nei campi bioenergetici. Esaminammo l’attività cerebrale di molti partecipanti sia prima sia dopo l’evento per vedere cosa succedeva nel loro cervello; inoltre, scegliemmo a caso alcune persone da monitorare durante l’evento per misurare in tempo reale eventuali cambiamenti negli schemi cerebrali durante le tre sessioni di meditazione che conducevo ogni giorno. Fu un evento grandioso. Una persona affetta da morbo di 19
Parkinson smise di avere tremori. Un’altra guarì da un trauma cranico. Soggetti che avevano un tumore al cervello o in altre parti del corpo, ne constatarono la scomparsa. Molti individui colpiti da dolori artritici provarono sollievo per la prima volta dopo anni. Questi sono solo alcuni dei cambiamenti avvenuti. Durante questo evento incredibile, riuscimmo a cogliere mutamenti oggettivi in un ambito scientifico di misurazione e a documentare i cambiamenti di salute soggettivi riportati dai partecipanti. Non credo sia un’esagerazione dire che quanto osservammo e registrammo ha fatto storia. Più avanti nel libro, ti mostrerò cosa sei capace di fare, raccontandoti alcune di queste storie; storie di gente comune che ha fatto cose straordinarie. Nell’organizzare quel seminario, sono partito da questa idea: volevo offrire alle persone informazioni scientifiche e poi dare loro le istruzioni necessarie per applicarle al fine di raggiungere livelli elevati di trasformazione personale. La scienza è, dopo tutto, il linguaggio contemporaneo del misticismo. Mi sono accorto che non appena inizi a parlare nella lingua della religione o della cultura, non appena inizi a citare la tradizione, dividi il pubblico. La scienza invece unisce e demistifica i contenuti mistici. Volevo avere la possibilità di insegnare alle persone il modello scientifico della trasformazione (introducendo un po’ di fisica quantistica per aiutarle a capire la scienza delle possibilità), combinato con le ultime scoperte nel campo delle neuroscienze, della neuroendocrinologia, dell’epigenetica e della psiconeuroimmunologia. Se fossi riuscito a dare loro le informazioni giuste e l’opportunità di applicarle, allora quelle persone avrebbero sperimentato una trasformazione. Farlo in un contesto che permetteva di misurare la trasformazione nel momento stesso in cui avveniva mi avrebbe consentito di avere informazioni aggiuntive per spiegare ai partecipanti ciò che stavano sperimentando. E grazie a quella conoscenza, avrebbero potuto compiere un’altra trasformazione e così via, mano a mano che colmavano il divario tra ciò che pensano di essere e ciò che realmente sono (creatori divini), semplificando così il processo. Ho definito questo concetto “informazioni per la trasformazione” ed è la mia nuova passione. 20
Attualmente offro un corso intensivo online di sette ore e tengo personalmente nove o dieci seminari progressive della durata di tre giorni in tutto il mondo, più uno o due workshop avanzati di cinque giorni, dove partecipano gli esperti di cui ho parlato per misurare con le loro apparecchiature i cambiamenti cerebrali, le variazioni della funzionalità cardiaca, i mutamenti nell’espressione genetica e nel flusso energetico in tempo reale. I risultati sono a dir poco sorprendenti e costituiscono l’argomento di questo libro.
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INTRODUZIONE L’importanza della mente Gli incredibili risultati che ho osservato nei miei seminari avanzati e i dati scientifici emersi mi hanno portato a soffermarmi sul concetto di placebo: quel fenomeno che si verifica quando una persona prende una pillola di zucchero o le viene somministrata un’iniezione di soluzione salina e sta subito meglio grazie alla fiducia riposta nel rimedio esterno. Ho cominciato a chiedermi: “Che cosa succederebbe se le persone iniziassero ad avere fiducia in se stesse invece che in qualcosa di esterno? E se credessero di poter cambiare qualcosa dentro di loro mettendosi nello stesso stato mentale di chi prende un placebo? Non è forse questo che fanno i partecipanti ai nostri seminari per guarire? C’è davvero bisogno di una pillola o di un’iniezione per cambiare lo stato mentale? Possiamo insegnare come raggiungere lo stesso risultato, mostrando come funziona realmente il placebo?”. Dopo tutto, il predicatore che maneggia i serpenti e beve stricnina senza riportare conseguenze ha certamente modificato il suo stato mentale, giusto? (Ne parlerò più a fondo nel Capitolo 1.) Quindi, se iniziamo a rilevare ciò che avviene nel cervello e a esaminare tutte queste informazioni, possiamo anche insegnare alle persone come farlo da sole, senza dipendere da un elemento esterno, senza un placebo? Possiamo spiegare che sono esse stesse il placebo? In altre parole, possiamo convincerle che invece di accordare la propria fiducia a qualcosa di noto, come una pillola di zucchero o un’iniezione di salina, possono riporla nell’ignoto, trasformandolo in qualcosa di conosciuto? L’intento del libro è proprio questo: permetterti di capire che hai tutti i meccanismi biologici e neurologici per raggiungere esattamente questo risultato. Il mio obiettivo è demistificare questi concetti attraverso le nuove spiegazioni scientifiche, affinché 22
sempre più persone possano cambiare il proprio stato interiore e creare cambiamenti positivi nella salute e nel mondo esterno. Se ti sembra troppo bello per essere vero, sappi che, come ho già detto, nell’ultima parte del libro troverai alcune ricerche elaborate nei nostri seminari che ti mostreranno come tutto questo sia possibile. DI COSA NON PARLA QUESTO LIBRO Vorrei spiegare brevemente di cosa non parla questo libro, per fugare fin dall’inizio eventuali dubbi. Innanzitutto, non faremo considerazioni etiche sull’utilizzo del placebo nei trattamenti medici. Si discute molto su quanto sia corretto dal punto di vista morale curare con una sostanza inerte un paziente che non rientra in una sperimentazione clinica. Chiedersi se il fine giustifica tali mezzi è una questione che meriterebbe di essere discussa in un dibattito più ampio sull’uso del placebo, ma è del tutto estranea al messaggio che questo libro intende veicolare. Placebo Effect ti spiega come metterti al posto di guida per creare il cambiamento che desideri, senza interrogarsi se sia giusto o sbagliato che altre persone facciano altrettanto ricorrendo a un espediente. Questo libro non parla neanche di negazione. Nessuno dei metodi descritti si propone di negare le eventuali patologie da cui sei afflitto. Al contrario, il tema centrale del libro è la trasformazione delle malattie e delle patologie. A me interessa misurare i cambiamenti che le persone rilevano quando passano dalla malattia alla salute. Placebo Effect non ha intenzione di spingerti a rifiutare la realtà, ma ti mostra ciò che è possibile quando entri in una nuova realtà. Un riscontro attendibile, ottenuto attraverso le analisi mediche, ti confermerà l’efficacia di quello che stai facendo. Quando vedrai gli effetti che hai creato, potrai spostare l’attenzione sul percorso che hai fatto per arrivare a quel punto, e ripeterlo. E se quello che stai facendo non funziona, è il caso di cambiarlo fino a ottenere ciò che desideri. Questo significa combinare scienza e spiritualità. La negazione, d’altra parte, si ha quando non consideri la realtà di ciò che accade dentro e intorno a te. 23
Questo libro non intende neppure mettere in discussione l’efficacia delle varie modalità di guarigione. Ne esistono diverse, e funzionano quasi tutte abbastanza bene. Tutte hanno un effetto benefico, per certi versi misurabile, almeno in alcune persone, ma non voglio condurre una disamina completa di questi metodi nel libro. Il mio intento è farti conoscere la tecnica che più di tutte ha catturato la mia attenzione: la guarigione attraverso il pensiero. Perciò continua pure a utilizzare i metodi di guarigione efficaci nel tuo caso, come farmaci, chirurgia, agopuntura, chiropratica, biofeedback, massaggio terapeutico, integratori alimentari, yoga, riflessologia, medicina energetica, terapia del suono e così via. Placebo Effect non esclude nulla, a eccezione delle limitazioni che ti imponi tu stesso. QUAL È IL CONTENUTO DEL LIBRO? Placebo Effect si divide in due parti. La Prima Parte fornisce le conoscenze specifiche e i dati di riferimento necessari per capire cos’è l’effetto placebo e come funziona nel corpo e nel cervello; inoltre spiega come creare lo stesso tipo di cambiamenti miracolosi nel tuo cervello e nel tuo corpo in piena autonomia, attraverso il pensiero. Il Capitolo 1 racconta alcune storie fenomenali che dimostrano quanto sia potente la mente umana. Si parla di come i pensieri abbiano guarito alcune persone e fatto ammalare altre (talvolta accelerandone persino la morte). Leggerai di un uomo che morì dopo aver saputo di avere il cancro, anche se l’autopsia rivelò che la diagnosi era errata, di una donna che da anni soffriva di depressione e che mostrò un netto miglioramento durante la sperimentazione di un farmaco antidepressivo, nonostante facesse parte del gruppo trattato con placebo, e di alcuni reduci di guerra zoppicanti a causa dell’osteoartrite che furono miracolosamente guariti in seguito a un finto intervento chirurgico al ginocchio. Leggerai inoltre storie sorprendenti di maledizioni vudù e maneggiatori di serpenti. Il mio obiettivo, attraverso questi racconti all’apparenza incredibili, è mostrarti la portata di ciò che la mente umana è in grado di fare da sola, senza alcun aiuto da parte della medicina moderna. Spero che alla fine ti chiederai: “Come è possibile tutto questo?”. 24
Il Capitolo 2 presenta una breve storia del placebo, basandosi sui resoconti delle scoperte scientifiche a partire dal 1770 (quando un medico viennese usò i magneti per indurre quelle che pensava fossero convulsioni terapeutiche) fino ai giorni nostri, in cui i neuroscienziati hanno risolto – e continuano a farlo - misteri affascinanti sul complesso funzionamento della mente. Farai la conoscenza di un medico che ha sviluppato tecniche di ipnotismo dopo essere arrivato in ritardo a un appuntamento e aver scoperto che il paziente in attesa era stato ipnotizzato dalla fiamma di una lampada, incontrerai un chirurgo della Seconda Guerra Mondiale che, rimasto senza morfina, usò con successo iniezioni di soluzione salina come analgesico sui soldati feriti, leggerai dei primi ricercatori giapponesi di psiconeuroimmunologia che hanno scambiato foglie di edera velenosa con foglie innocue e hanno scoperto che il gruppo di controllo reagiva più al racconto dell’esperienza che stavano vivendo rispetto a ciò che effettivamente stava capitando loro. Leggerai inoltre di Norman Cousins che ha riacquistato la salute attraverso le risate, e di Herbert Benson, ricercatore di Harvard, che è riuscito a ridurre i fattori di rischio delle malattie cardiovascolari in pazienti cardiopatici dopo aver scoperto il funzionamento della Meditazione Trascendentale. Leggerai anche di come il neuroscienziato italiano Fabrizio Benedetti, trattando pazienti che assumevano dei farmaci con determinati effetti, ha somministrato loro un placebo e ha notato che il cervello continuava a segnalare ininterrottamente la produzione delle stesse sostanze neurochimiche prodotte dal farmaco. Inoltre, troverai il resoconto di uno studio recente, dalla portata straordinaria: esso mostra come alcuni pazienti affetti da sindrome dell’intestino irritabile (IBS) abbiano riportato un netto miglioramento dei sintomi assumendo un placebo, pur sapendo perfettamente che quello somministrato era un placebo e non un farmaco attivo. Il Capitolo 3 esamina ciò che accade nel cervello dal punto di vista fisiologico quando è in corso l’effetto placebo. Scoprirai che, in un certo senso, il placebo funziona perché accetti o prendi in considerazione l’idea che puoi star bene, sostituendola a quella che invece dice che sarai sempre malato. Questo significa passare da una 25
mentalità in cui presagisci un futuro simile al passato noto a una mentalità in cui prevedi e ti aspetti un nuovo risultato potenziale. Se condividerai questa idea, significa che avrai esaminato il tuo modo di pensare e capito cos’è la mente, e come i suoi meccanismi influenzino il corpo. Come vedrai, finché formuli gli stessi pensieri, farai sempre le stesse scelte, che causeranno gli stessi comportamenti e provocheranno le medesime esperienze, suscitando in te emozioni sempre identiche, che a loro volta alimenteranno gli stessi pensieri: in questo modo, a livello neurochimico tutto rimarrà invariato, e tu continuerai a ricordare a te stesso chi pensi di essere. Ma stai pur certo che non sei programmato per rimanere immutato per tutta la vita. Ti spiegherò il concetto di neuroplasticità e ti svelerò ciò che sappiamo sulla capacità del cervello di cambiare nel corso della vita, creando nuove vie neurali e nuove connessioni. Il Capitolo 4 parla dell’effetto placebo nell’organismo e spiega il passaggio successivo della risposta fisiologica. Inizia raccontando la storia di un gruppo di anziani che, durante un ritiro di una settimana organizzato dai ricercatori di Harvard, furono invitati a fingere di essere più giovani di vent’anni. Prima della fine della settimana, questi uomini ottennero numerosi cambiamenti fisiologici misurabili: invertirono la marcia del tempo sul loro corpo e io ti svelerò il segreto del loro successo. Per illustrare il fenomeno, il capitolo spiega cosa sono i geni e come ricevono i segnali dall’organismo. Imparerai che l’epigenetica, una scienza entusiasmante e relativamente recente, ha demolito la vecchia idea secondo la quale nei geni è scritto il tuo destino, e ci ha insegnato che la mente, in realtà, può indurre nuovi geni a comportarsi in modi nuovi. Scoprirai che il corpo dispone di meccanismi elaborati per attivare alcuni geni e disattivarne altri, il che significa che non sei condannato a esprimere tutti i geni ereditati, ma puoi imparare a modificare i collegamenti neurali per selezionare nuovi geni e creare cambiamenti fisici reali. Vedrai inoltre come il corpo può ricorrere alle cellule staminali (la materia fisica che sta dietro molti miracoli prodotti dall’effetto placebo) per creare nuove cellule sane nelle aree danneggiate. 26
Il Capitolo 5 sintetizza i due precedenti e spiega in che modo i pensieri riescano a cambiare il cervello e il corpo. Esso si apre con la domanda: “Se il contesto in cui vivi cambia e tu istruisci nuovi geni in altri modi, è possibile dare segnali al nuovo gene prima che sia l’ambiente a cambiare?”. Ti spiegherò come è possibile utilizzare una tecnica chiamata “prova mentale” per associare un’intenzione chiara a un’emozione intensa (per dare al corpo un assaggio dell’esperienza futura) e vivere così nel momento presente ciò che deve ancora accadere. La chiave sta nel rendere i pensieri più reali dell’ambiente esterno, perché a quel punto il cervello non saprà più distinguere le due cose e cambierà per adeguarsi al pensiero, come se l’evento fosse già avvenuto. Se riesci a farlo con successo un numero sufficiente di volte, trasformerai il corpo e comincerai ad attivare nuovi geni in altri modi, producendo cambiamenti epigenetici, proprio come se l’evento immaginato fosse reale. Poi, entrerai in quella nuova realtà e diventerai tu stesso il placebo. Il capitolo non solo descrive la scienza che sta dietro questo fenomeno, ma include anche storie di molti personaggi pubblici, attivi in diversi ambiti, che hanno usato questa tecnica per trasformare i loro sogni più sfrenati in realtà, anche se all’epoca non ne erano pienamente consapevoli. Il Capitolo 6, dedicato al concetto di suggestionabilità, inizia con una storia tanto affascinante quanto inquietante: si parla di un team di ricercatori che avviò un esperimento per verificare se una persona normale, rispettosa della legge e mentalmente sana, ma molto suggestionabile con l’ipnosi, potesse essere programmata per fare qualcosa che di norma avrebbe considerato inconcepibile: sparare a un estraneo con l’intento di uccidere. Vedrai che le persone hanno diversi gradi di suggestionabilità; più tu sei suggestionabile, più riesci ad accedere al tuo subconscio. Questa è la chiave per comprendere l’effetto placebo: la mente cosciente rappresenta solo il 5 per cento di quello che siamo. Il restante 95 per cento è un insieme di stati subconsci programmati in cui il corpo assolve la funzione di mente. Imparerai che devi andare oltre la mente analitica ed entrare nel sistema operativo dei tuoi program27
mi subconsci, se vuoi che i nuovi pensieri che formuli diano esiti nuovi e positivi: devi cambiare il tuo destino genetico e imparare che la meditazione è uno strumento potente per raggiungere questo obiettivo. Il capitolo si chiude con una breve discussione sugli stati mentali associati alle onde cerebrali e quali possono aumentare la tua suggestionabilità. Il Capitolo 7 spiega come gli atteggiamenti, le convinzioni e le percezioni possono modificare il tuo stato mentale e plasmare la tua personalità (ossia la tua realtà personale); inoltre ti indica il modo per cambiarli al fine di creare una nuova realtà. Leggerai del potere esercitato dalle convinzioni inconsce e avrai la possibilità di identificarne alcune che sono nascoste dentro di te senza che tu ne sia consapevole. Scoprirai inoltre che l’ambiente e i tuoi ricordi associativi hanno il potere di sabotare la tua capacità di cambiare le convinzioni. Ti spiegherò nel dettaglio che, se desideri cambiare le tue convinzioni e percezioni, devi combinare un’intenzione chiara con un’emozione intensa che induca il corpo a credere che il futuro potenziale da te selezionato nel campo quantico sia già accaduto. L’emozione intensa è fondamentale, perché solo quando la scelta comporta un’ampiezza di frequenza energetica maggiore rispetto a quella dei programmi installati nel cervello e delle dipendenze emotive del corpo, puoi modificare i circuiti cerebrali e l’espressione genetica del corpo stesso, oltre a riadattare l’organismo a una mente nuova (cancellando ogni traccia dei vecchi circuiti neurali). Nel Capitolo 8, ti introdurrò all’universo quantico, il mondo imprevedibile della materia e dell’energia di cui sono composti gli atomi e le molecole di tutto ciò che esiste. Si è scoperto che l’universo è riconducibile più all’energia (simile a uno spazio vuoto) che alla materia solida. Il modello quantico, secondo il quale tutte le possibilità esistono nel momento presente, è la chiave per usare l’effetto placebo per guarire, in quanto ti autorizza a scegliere un nuovo futuro per te stesso e a vederlo diventare realtà. Capirai quindi che è davvero possibile attraversare il fiume del cambiamento e rendere noto l’ignoto. 28
Nel Capitolo 9, conoscerai la storia di tre partecipanti ai miei seminari che hanno raggiunto risultati sorprendenti utilizzando queste tecniche per migliorare la loro salute. Incontrerai Laurie, a cui è stata diagnostica una rara malattia degenerativa - incurabile secondo i medici - all’età di diciannove anni. Nel corso di alcuni decenni, Laurie subì dodici importanti fratture alle ossa della gamba e dell’anca sinistra, che la costrinsero a usare le stampelle per muoversi. Oggi, invece, cammina normalmente, senza nemmeno bisogno di un bastone. Le radiografie non mostrano tracce di fratture ossee. Poi, ti presenterò Candace, a cui fu diagnosticata la tiroidite di Hashimoto (una patologia grave con numerose complicazioni) in un periodo della sua vita caratterizzato da risentimento e rabbia. Il suo medico le disse che avrebbe dovuto assumere farmaci per sempre, ma lei riuscì a cambiare il corso della malattia, dimostrando che il medico si sbagliava. Oggi, Candace è follemente innamorata della sua nuova vita e non prende alcun farmaco per la tiroide, che dagli esami del sangue risulta funzionare normalmente. Infine, conoscerai Joann (la donna citata nella Prefazione), madre di cinque figli, donna d’affari e imprenditrice di successo che molti consideravano una superdonna, prima che crollasse all’improvviso e le fosse diagnosticata una forma avanzata di sclerosi multipla. Le sue condizioni precipitarono rapidamente, fino a farle perdere l’uso delle gambe. Quando arrivò ai miei seminari, ottenne solo piccoli cambiamenti, finché un giorno, proprio lei che non muoveva le gambe da anni, si mise a camminare per la stanza, senza alcun aiuto, dopo solo un’ora di meditazione! Il Capitolo 10 riporta altre storie straordinarie che vedono come protagonisti i partecipanti ai miei seminari e le analisi cerebrali che li riguardano. Incontrerai Michelle, che è guarita completamente dal morbo di Parkinson, e John, un tetraplegico che dopo una meditazione si è alzato dalla sedia a rotelle. Leggerai di Kathy (amministratore delegato con uno stile di vita intenso) che ha imparato a vivere il momento presente e di Bonnie, guarita dai fibromi e dalle forti emorragie mestruali. Infine, incontrerai Genevieve, che attraverso la meditazione raggiunse uno stato di beatitudine talmente 29
profondo da farla piangere di gioia, e Maria, la cui esperienza si può definire solo come un orgasmo cerebrale. Ti mostrerò i dati raccolti dal mio team di scienziati che si è occupato di studiare il cervello di queste persone, affinché anche tu possa vedere i cambiamenti che abbiamo osservato in tempo reale durante i seminari. Questi dati dimostrano soprattutto che non bisogna essere monaci, suore, studiosi, scienziati o leader spirituali per compiere simili gesta. Non hai bisogno di un dottorato di ricerca o di una laurea in medicina. Le storie raccontate in questo libro appartengono a persone normali, proprio come te. Dopo aver letto questo capitolo, capirai che non hanno fatto nulla di magico né di miracoloso; hanno soltanto acquisito e applicato competenze che si possono trasmettere e che anche tu puoi utilizzare per realizzare cambiamenti simili ai loro. La Parte Seconda del testo è interamente dedicata alla meditazione. Il Capitolo 11 delinea pochi semplici passaggi per prepararsi alla meditazione ed esamina alcune tecniche specifiche utili. Il Capitolo 12 offre istruzioni per applicare passo passo le tecniche di meditazione che insegno nei seminari; sono le stesse che i partecipanti hanno adottato per produrre i risultati straordinari di cui leggerai. Sono felice di sottolineare che, anche se non abbiamo ancora tutte le risposte sull’utilizzo del potere del placebo, tantissime persone stanno applicando adesso queste idee per realizzare cambiamenti straordinari nella loro vita; quel tipo di cambiamenti che molti considerano impossibili. Le tecniche che condivido non si limitano a farti riacquistare la salute fisica: possono essere utilizzate per migliorare qualunque aspetto della tua vita. La mia speranza è che questo libro ti spinga a provarle e a realizzare cambiamenti apparentemente impossibili.
Nota dell’autore: le storie di guarigione dei partecipanti ai miei seminari sono vere, mentre i loro nomi e alcuni dettagli identificativi sono stati cambiati per tutelare la loro privacy. 30
Parte Prima INFORMAZIONI
CAPITOLO 1 È POSSIBILE? Sam Londe, un commerciante di scarpe in pensione che viveva alla periferia di St. Louis nei primi anni Settanta, cominciò ad avere problemi di deglutizione.1 Alla fine, si fece visitare da un medico e scoprì di avere un cancro all’esofago con metastasi. All’epoca, il cancro esofageo metastatico era considerato incurabile: nessuno era mai sopravvissuto. Si trattava di una condanna a morte, e il medico gli diede la notizia con la dovuta mestizia. Per consentirgli di vivere il più a lungo possibile, il medico consigliò di asportare chirurgicamente il tessuto canceroso dall’esofago e dallo stomaco, dove il cancro si era diffuso. Fidandosi del suo parere, Londe accettò di sottoporsi all’intervento. L’operazione ebbe il successo sperato, ma ben presto la situazione peggiorò. Un’ecografia al fegato rivelò che il cancro si era esteso in tutto il lobo sinistro del tessuto epatico. Il medico gli disse che purtroppo, nel migliore dei casi, gli restavano solo pochi mesi di vita. Così, Londe e la sua seconda moglie, entrambi sulla settantina, decisero di trasferirsi a Nashville, a quasi cinquecento chilometri di distanza, dove viveva la famiglia di lei. Subito dopo l’arrivo nel Tennessee, Londe venne ricoverato in ospedale e assegnato all’internista Clifton Meador. La prima volta che il dottor Meador entrò nella stanza di Londe, vide un uomo esile con la barba lunga, rannicchiato sotto una montagna di coperte, che sembrava quasi morto. Londe era burbero e taciturno, e le infermiere spiegarono che era così da quando era stato ricoverato, qualche giorno prima. Aveva alti livelli di glucosio a causa del diabete, ma per il resto le analisi del sangue rivelavano valori normali, tranne per i livelli leggermente alti degli enzimi epatici, come era prevedibile in un paziente affetto da cancro al fegato. Un esame medico più appro1. C. K. Meador, “Hex Death: Voodoo Magic or Persuasion?” Southern Medical Journal, vol. 85, n. 3: pp. 244–247 (1992). 32
fondito mostrò che non c’erano altri problemi, una vera fortuna considerando le condizioni disperate del paziente. Pur con una certa riluttanza, Londe seguì le disposizioni del nuovo medico e si sottopose alla fisioterapia e a una dieta liquida ricostituente, ricevendo molte cure e attenzioni dalle infermiere. Dopo qualche giorno, riacquistò le forze e la sua scontrosità cominciò a placarsi. Londe iniziò a parlare con il dottor Meador della sua vita. Era già stato sposato in passato con quella che era la sua vera anima gemella. Non erano mai riusciti ad avere figli, ma avevano comunque vissuto una bella vita. Dato che amavano andare in barca, una volta in pensione, avevano acquistato una casa nei pressi di un grande lago artificiale. Poi, una sera, la diga di terra crollò e un muro d’acqua mandò in frantumi la loro casa, spazzandola via. Londe sopravvisse per miracolo aggrappandosi a qualche rottame, ma il corpo della moglie non fu mai ritrovato. “Ho perso tutto ciò che amavo” raccontò Londe al dottor Meador. “Quella notte il mio cuore e la mia anima andarono persi nell’inondazione.” Sei mesi dopo la morte della prima moglie, mentre era ancora in lutto e profondamente depresso, gli venne diagnosticato il cancro all’esofago e subì l’intervento. Fu allora che incontrò e sposò la sua seconda moglie, una donna gentile che sapeva della sua malattia terminale e che aveva accettato di prendersi cura di lui fino alla fine dei suoi giorni. Pochi mesi dopo il matrimonio, si erano trasferiti a Nashville, e il resto della storia il dottor Meador la conosceva già. Non appena Londe concluse il racconto, il medico, stupito da quello che aveva appena sentito, chiese compassionevole: “Cosa vuole che faccia per lei?”. Il moribondo ci pensò un attimo. “Vorrei vivere fino a Natale per stare con mia moglie e la sua famiglia. Sono stati buoni con me” rispose finalmente. “Mi aiuti solo ad arrivare a Natale. È tutto ciò che voglio.” Il dottor Meador gli assicurò che avrebbe fatto del suo meglio. Poco prima di essere dimesso a fine ottobre, le condizioni di Londe erano davvero migliorate rispetto a quando era arrivato. Il dottor 33
Meador fu sorpreso e compiaciuto dei suoi progressi. Il medico continuò a visitarlo una volta al mese e, ogni volta, Londe aveva un ottimo aspetto. Ma esattamente una settimana dopo Natale (il giorno di Capodanno), la moglie lo riportò in ospedale. Con grande sorpresa, il dottor Meador notò che Londe sembrava in fin di vita. In verità, riscontrò soltanto una leggera febbre e una piccola macchia da polmonite emersa dalle radiografie al torace, anche se l’uomo non mostrava difficoltà respiratorie. Gli esami del sangue sembravano a posto, e le colture richieste dal medico, per verificare la presenza di altre malattie, risultarono negative. Il dottor Meador prescrisse antibiotici e sottopose il paziente a ossigenoterapia, sperando per il meglio, ma ventiquattro ore dopo Sam Londe era morto. Probabilmente questa vicenda ti sembrerà la tipica storia di una morte sfortunata per una grave malattia dopo la diagnosi di cancro, giusto? Be’, non trarre conclusioni affrettate. L’autopsia del corpo disposta dall’ospedale rivelò una cosa strana. Il fegato dell’uomo non era pieno di metastasi, ma evidenziava solo un piccolo nodulo tumorale nel lobo sinistro, mentre una macchia altrettanto piccola era presente sul polmone. La verità è che nessuno dei due tumori era abbastanza grande da ucciderlo. L’area intorno all’esofago era del tutto sana. La scansione epatica effettuata presso l’ospedale di St. Louis aveva dato un falso risultato positivo. Sam Londe non è morto né di cancro esofageo né di cancro al fegato. E non è morto nemmeno per la lieve forma di polmonite contratta dopo il rientro in ospedale. È morto semplicemente perché tutti nell’ambiente circostante pensavano che fosse in fin di vita. Il suo medico a St. Louis pensava che stesse per morire, e anche il dottor Meador, a Nashville. La moglie e la famiglia di lei pensavano la stessa cosa. E, soprattutto, Londe era sicuro di essere prossimo alla morte. È possibile che l’uomo sia deceduto soltanto a causa di questo pensiero? È possibile che il pensiero sia tanto potente? E se è così, si è trattato di un caso isolato?
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SI PUÒ ASSUMERE UNA DOSE ECCESSIVA DI PLACEBO? Fred Mason (nome fittizio), uno studente universitario di ventisette anni, entrò in depressione quando la sua ragazza lo lasciò.2 Vide un annuncio in cui si reclutavano volontari per sperimentare un nuovo farmaco antidepressivo e decise di partecipare. Aveva già sofferto di depressione quattro anni prima, e all’epoca il suo medico gli aveva prescritto l’amitriptilina (Elavil), un antidepressivo che fu costretto a interrompere perché gli provocava eccessiva sonnolenza e intorpidimento. Pensava che quel farmaco fosse troppo forte per lui e sperava che la nuova medicina avesse meno effetti collaterali. Dopo un mese di terapia sperimentale, decise di chiamare la sua ex fidanzata. I due litigarono al telefono e, dopo aver riattaccato, Mason afferrò d’impulso il flacone del trial e ingoiò tutte le ventinove pillole, tentando il suicidio. Se ne pentì subito. Si mise a correre su è giù per le scale del condominio dove abitava, chiedendo disperatamente aiuto, ma poi crollò a terra. Una vicina sentì le urla e lo trovò riverso sul pavimento. Contorcendosi, Mason le disse di aver commesso un terribile errore, di aver preso tutte quelle pillole ma che in realtà non voleva morire. La supplicò di portarlo in ospedale e lei acconsentì. Quando Mason arrivò al pronto soccorso, era pallido e sudato. La pressione sanguigna era 80/40, e le pulsazione erano centoquaranta al minuto. Respirava affannosamente e continuava a ripetere: “Non voglio morire.” Quando i medici lo visitarono, non trovarono nulla di grave se non pressione bassa, battito cardiaco accelerato e respiro affannoso. Ciononostante, Mason sembrava letargico e i suoi discorsi erano confusi. L’equipe medica gli mise una flebo di soluzione salina, prelevò campioni di sangue e urine e gli chiese quale farmaco avesse preso. Mason non riusciva a ricordarne il nome.
2. R. R. Reeves, M. E. Ladner, R. H. Hart, et al., “Nocebo Effects with Antidepressant Clinical Drug Trial Placebos”, General Hospital Psychiatry, vol. 29, n. 3: pp. 275–277 (2007); C. K. Meador, True Medical Detective Stories (North Charleston, SC: CreateSpace, 2012). 35
Disse ai medici che si trattava di un farmaco antidepressivo sperimentale e che lui faceva parte del gruppo su cui lo stavano testando. Poi, consegnò il flacone vuoto, che riportava in etichetta le informazioni sullo studio clinico, ma non il nome del farmaco. Non rimaneva altro da fare che attendere i risultati di laboratorio, monitorare i parametri vitali per assicurarsi che il paziente non peggiorasse e sperare che l’ospedale riuscisse a contattare i ricercatori che stavano conducendo il trial. Quattro ore più tardi, quando già i risultati delle analisi avevano evidenziato valori normali, arrivò un medico che aveva preso parte allo studio clinico sul farmaco. Il ricercatore lesse il codice sull’etichetta del flacone di pillole vuoto, controllò tra i documenti del trial clinico e annunciò che Mason stava in realtà assumendo un placebo e che le pillole ingerite non contenevano alcuna sostanza attiva. Come per miracolo, nel giro di pochi minuti la pressione sanguigna e il battito cardiaco di Mason tornarono normali. Anche l’eccessiva sonnolenza sparì. Mason era stato vittima del nocebo: una sostanza innocua che, a causa delle forti aspettative, provoca effetti nocivi. È davvero possibile che Mason avesse manifestato determinati sintomi soltanto perché era ciò che si aspettava di provare ingoiando una dose massiccia di antidepressivi? È possibile che la sua mente, come nel caso di Sam Londe, avesse preso il controllo del corpo, guidata dalle aspettative di quello che sembrava lo scenario futuro più probabile, al punto da renderlo reale? Può essere successo davvero, anche se ciò significa che la sua mente ha assunto il controllo di funzioni che normalmente non avvengono in modo conscio? E se è vero che i pensieri possono farci ammalare, allora possiamo anche utilizzarli per stare bene? LA DEPRESSIONE CRONICA SPARISCE PER MAGIA Janis Schonfeld, un’interior designer di quarantasei anni residente in California, soffriva di depressione fin dall’adolescenza. Non aveva mai chiesto aiuto finché, nel 1997, non vide un annuncio su un giornale: l’UCLA Neuropsychiatric Institute, l’Istituto neuropsichiatrico che fa capo all’Università della California, cercava 36
volontari per testare un nuovo antidepressivo chiamato venlafaxina (Effexor). La donna, la cui depressione era giunta a livelli tali da spingerla più volte a pensare al suicidio nonostante avesse un marito e dei figli, colse al volo l’occasione di partecipare alla sperimentazione. Quando arrivò all’istituto la prima volta, un tecnico la collegò per circa tre quarti d’ora a un elettroencefalogramma per monitorare e registrare l’attività delle sue onde cerebrali; dopodiché la donna uscì con una boccetta di pillole rilasciata dalla farmacia dell’ospedale. Le avevano spiegato che il gruppo dei cinquantuno volontari era stato diviso in due sottogruppi: uno avrebbe preso il farmaco, mentre l’altro avrebbe ricevuto il placebo, ma né lei né i medici che conducevano lo studio sapevano a quale dei due sottogruppi era stata assegnata. Nessuno lo avrebbe saputo fino al termine della sperimentazione. Ma all’epoca la cosa non aveva importanza per lei. Era entusiasta e sperava che finalmente, dopo anni di lotta contro la depressione clinica, una malattia che le causava improvvise crisi di pianto senza motivi apparenti, avrebbe ricevuto l’aiuto che le serviva. Schonfeld accettò di tornare ogni settimana per tutta la durata dello studio (otto settimane). Ogni volta, rispondeva a domande su come si sentiva e spesso veniva sottoposta a EEG. Non molto tempo dopo aver iniziato a prendere le pillole, iniziò a sentirsi molto meglio per la prima volta nella sua vita. Purtroppo avvertiva anche nausea, ma sapeva che era un buon segno, in quanto la nausea era uno degli effetti collaterali più comuni del farmaco in fase di sperimentazione. Visto che la depressione si era attenuata ed erano comparsi gli effetti collaterali del farmaco, si convinse che stava assumendo il principio attivo. Alla luce dei cambiamenti osservati, anche l’infermiera con cui parlava a ogni rientro settimanale ne era certa. Finalmente, al termine delle otto settimane di trial, uno dei ricercatori rivelò la scioccante verità: Schonfeld, che era ormai libera da tendenze suicide e si sentiva una persona nuova dopo l’assunzione delle pillole, aveva fatto parte del gruppo placebo. La donna rimase attonita, certa che il dottore avesse commesso un errore. 37
Non poteva credere che, dopo anni di depressione soffocante, si sentisse meglio solo prendendo un flacone di pillole di zucchero. E poi aveva manifestato gli effetti collaterali! Dovevano aver fatto confusione. Chiese al medico di controllare di nuovo. Lui sorrise bonariamente, assicurandole che il flacone che aveva portato a casa, il flacone che le aveva restituito la vita, in realtà non conteneva altro che pillole placebo. Mentre se ne stava lì seduta sotto shock, il medico le spiegò che il fatto di non aver assunto un farmaco vero e proprio non significava che la depressione e i miglioramenti fossero il frutto della sua immaginazione; significava soltanto che qualunque cosa l’avesse fatta stare meglio non c’entrava nulla con l’Effexor. E non fu l’unica a ottenere questi miglioramenti: i risultati dello studio mostrarono che il 38 per cento delle persone inserite nel gruppo placebo stava meglio, rispetto al 52 per cento di quelle che avevano assunto l’Effexor. Ma quando giunsero gli altri dati, furono i ricercatori a rimanere sorpresi: i pazienti migliorati grazie ai placebo, come Schonfeld, non avevano soltanto immaginato di stare meglio, bensì avevano di fatto modificato gli schemi delle loro onde cerebrali. Infatti, i risultati degli EEG registrati in tempo reale nel corso dello studio evidenziavano un netto incremento dell’attività nella corteccia prefrontale, che nei pazienti depressi di norma è molto bassa.3 L’effetto placebo non aveva modificato solo la mente di Schonfeld, aveva apportato cambiamenti reali anche a livello biologico. In altre parole, la trasformazione non era avvenuta solo nella sua mente, ma anche nel cervello. Non solo Schonfeld si sentiva bene: stava anche bene. Al termine dello studio, la donna aveva letteralmente modificato il suo cervello, senza prendere alcun farmaco o fare qualcosa di particolare. La mente aveva cambiato il corpo. A distanza di dodici anni, Schonfeld avvertiva ancora gli effetti di quel miglioramento.
3. A. F. Leuchter, I. A. Cook, E. A. Witte, et al., “Changes in Brain Function of Depressed Subjects During Treatment with Placebo”, American Journal of Psychiatry, vol. 159, n. 1: pp. 122–129 (2002). 38
Com’è possibile che una pillola di zucchero possa curare i sintomi di una depressione profondamente radicata e provocare effetti collaterali autentici come la nausea? E cosa significa il fatto che la stessa sostanza inerte è capace di modificare il modo di attivazione delle onde cerebrali e di aumentare l’attività del cervello nella parte che più risente della depressione? La mente soggettiva può creare davvero questo genere di cambiamenti fisiologici e misurabili? Quali fattori agiscono nella mente e nel corpo per consentire a un placebo di imitare alla perfezione un farmaco attivo? È possibile ottenere lo stesso sensazionale effetto curativo non solo nelle malattie croniche mentali, ma anche nelle patologie mortali, come il cancro? UNA CURA “MIRACOLOSA”: ORA LA VEDI, ORA NON LA VEDI Nel 1957, Bruno Klopfer, psicologo dell’UCLA, pubblicò un articolo su una rivista destinata alla comunità scientifica, in cui raccontava la storia di un uomo che chiamò “Sig. Wright”, affetto da un linfoma, un cancro delle ghiandole linfatiche, in uno stadio avanzato.4 L’uomo aveva sviluppato tumori enormi, alcuni grandi come un’arancia, al collo, all’inguine, alle ascelle, e la malattia non rispondeva ad alcuna terapia convenzionale. Era a letto da settimane, “febbricitante, con difficoltà respiratorie e incapace di muoversi”. Il suo medico, Philip West, aveva perso le speranze, ma Wright non si dava per vinto. Quando scoprì che l’ospedale dove era ricoverato (a Long Beach, California) era uno dei dieci ospedali e centri di ricerca del Paese che stava testando il Krebiozen, un farmaco estratto dal sangue di cavallo, fu subito preso dall’entusiasmo. Per giorni, tormentò il dottor West, fino a quando il medico non accettò di somministrargli il nuovo rimedio, anche se Wright non poteva partecipare ufficialmente alla sperimentazione, a cui erano ammessi solo pazienti con un’aspettativa di vita di almeno tre mesi. Il venerdì, gli fu somministrata un’iniezione di Krebiozen, e il lunedì successivo era già in piedi, passeggiava per l’ospedale e rideva e scherzava con le infermiere, comportandosi come un uomo nuovo. 4. B. Klopfer, “Psychological Variables in Human Cancer”, Journal of Protective Techniques, vol. 21, n. 4: pp. 331–340 (1957). 39
Il dottor West riferì che le formazioni tumorali “si erano sciolte come neve al sole”. Tre giorni dopo, le dimensioni si erano ridotte della metà. Dopo una decina di giorni, Wright fu mandato a casa: era guarito. Sembrava un miracolo. Ma due mesi dopo, i media riferirono che in base ai dieci trial condotti sul farmaco, il Krebiozen si era rivelato un fallimento. Dopo aver letto la notizia, Wright si convinse che il farmaco fosse inutile. Ebbe subito una ricaduta e ben presto anche i tumori si riformarono. Il dottor West sospettava che l’iniziale risposta positiva di Wright fosse dovuta all’effetto placebo e, sapendo che si trattava di un paziente terminale, pensò di non aver nulla da perdere, ma tutto da guadagnare, nel mettere alla prova la sua teoria. Il medico disse a Wright di non credere ai giornali e gli spiegò che la ricaduta era dovuta al fatto che il Krebiozen somministratogli faceva parte di un lotto difettoso. Disse che stavano per consegnare in ospedale una versione del farmaco “nuova, perfezionata e doppiamente efficace”, così la definì il dottor West, e Wright avrebbe potuto averla non appena fosse arrivata. In attesa della terapia, Wright era euforico e, pochi giorni dopo, ricevette l’iniezione. Ma questa volta, la siringa utilizzata dal dottor West non conteneva alcun farmaco, né sperimentale né di altro tipo. C’era solo acqua distillata. Anche in questo caso, i tumori di Wright sparirono magicamente. Felice, l’uomo tornò a casa, mantenendosi in buona salute per altri due mesi, senza recidive. Ma poi la American Medical Association annunciò che il Krebiozen era del tutto inefficace. La classe medica era stata beffata. Il “farmaco miracoloso” si era rivelato una bufala: nient’altro che olio minerale contenente un semplice aminoacido. Alla fine, i produttori furono denunciati. Dopo aver appreso la notizia, Wright, non credendo più nella possibilità di star bene, ebbe una ricaduta definitiva. Tornò in ospedale senza speranze e due giorni dopo morì. È possibile che Wright abbia cambiato in qualche modo il suo stato mentale, non una volta ma due, adottando nel giro di pochi giorni quello di un uomo non affetto dal cancro? Può essere che il suo cor40
po abbia risposto automaticamente a un nuovo modo di pensare? È possibile che poi sia tornato di nuovo allo stato mentale di un uomo malato di cancro dopo aver sentito che il farmaco era stato dichiarato inutile e inefficace? Può essere che il suo corpo abbia ricreato le stesse reazioni chimiche di prima, ritornando alla condizione di malattia che già conosceva? Si può raggiungere questo nuovo stato biochimico non solo prendendo una pillola o facendo un’iniezione, ma anche subendo qualcosa di più invasivo, come un intervento chirurgico? L’INTERVENTO CHIRURGICO AL GINOCCHIO CHE NON AVVENNE MAI Nel 1996, il chirurgo ortopedico Bruce Moseley, all’epoca membro del Baylor College of Medicine e uno dei maggiori esperti in ortopedia sportiva di Houston, pubblicò uno studio sperimentale condotto su dieci volontari, tutti uomini, che avevano prestato servizio nelle forze armate e soffrivano di osteoartrite al ginocchio.5 Per la gravità delle loro condizioni, molti di questi uomini zoppicavano vistosamente, camminavano con un bastone o necessitavano di assistenza per spostarsi. Lo studio mirava a esaminare la chirurgia artroscopica, un tipo di intervento molto diffuso che prevedeva di anestetizzare il paziente, praticare una piccola incisione nella zona da trattare e inserire uno strumento a fibre ottiche chiamato artroscopio, che il chirurgo utilizzava per analizzare con attenzione l’articolazione del paziente. Durante l’intervento, il medico raschiava e risciacquava l’articolazione rimuovendo eventuali frammenti di cartilagine degenerata che si riteneva fossero la causa dell’infiammazione e del dolore. All’epoca, circa settecentocinquantamila pazienti all’anno si sottoponevano a questo tipo di intervento. 5. J. B. Moseley, Jr., N. P. Wray, D. Kuykendall, et al., “Arthroscopic Treatment of Osteoarthritis of the Knee: A Prospective, Randomized, Placebo-Controlled Trial. Results of a Pilot Study”, American Journal of Sports Medicine, vol. 24, n. 1: pp. 28–34 (1996). 41
Lo studio del dottor Moseley prevedeva che due uomini su dieci avrebbero subito l’intervento chirurgico tradizionale, denominato “sbrigliamento” (dove il chirurgo raschia via filamenti di cartilagine dall’articolazione del ginocchio); tre di loro sarebbero stati sottoposti a una procedura chiamata “lavaggio” (dove acqua altamente pressurizzata viene iniettata nell’articolazione del ginocchio, risciacquando e rimuovendo il tessuto artritico degenerato); e cinque avrebbero subito un intervento chirurgico simulato, in cui il dottor Moseley avrebbe abilmente inciso la pelle con un bisturi per poi ricucirla senza effettuare alcuna procedura medica. Per questi cinque uomini, non ci sarebbe stata nessuna artroscopia, nessun raschiamento dell’articolazione, nessuna rimozione di frammenti ossei e nessun lavaggio, ma solo un’incisione e dei punti di sutura. La fase iniziale era identica per tutte e dieci le procedure: il paziente veniva portato in sala operatoria e sottoposto ad anestesia generale, mentre il dottor Moseley si sterilizzava le mani. Una volta entrato in sala operatoria, il chirurgo trovava una busta chiusa all’interno della quale c’era scritto a quale gruppo era stato assegnato in modo casuale il paziente sul tavolo. Il dottor Moseley non conosceva il contenuto della busta prima di aprirla. Dopo l’intervento chirurgico, tutti i pazienti che partecipavano alla ricerca riferirono un aumento della mobilità e una diminuzione del dolore. Anche gli uomini che erano stati sottoposti all’intervento chirurgico “simulato” erano migliorati proprio come chi aveva subito lo sbrigliamento o il lavaggio. Non ci fu alcuna differenza nei risultati; neppure sei mesi dopo. E sei anni più tardi, due degli uomini che avevano fatto l’intervento placebo dichiararono in un’intervista che camminavano normalmente, senza dolore, e che avevano riacquistato gran parte della mobilità.6 Raccontarono che a sei anni di distanza, riuscivano a svolgere tutte le attività quotidiane che erano state loro precluse prima dell’intervento chirurgico. Avevano la sensazione di aver ricominciato a vivere. 6. Discovery Health Channel, Discovery Networks Europe, Discovery Channel University, et al., Placebo: Mind Over Medicine? Diretto da J. Harrison, trasmesso nel 2002 (Princeton, NJ: Films for the Humanities & Sciences, 2004), DVD. 42
Affascinato dai risultati, il dottor Moseley pubblicò nel 2002 gli esiti di un’altra ricerca che coinvolgeva centottanta pazienti seguiti per due anni dopo gli interventi chirurgici a cui si erano sottoposti.7 Anche in questo caso, i pazienti dei tre gruppi riportarono miglioramenti e cominciarono a camminare senza dolore e senza zoppicare subito dopo l’intervento. Ma ancora una volta, i pazienti che avevano subito effettivamente l’intervento chirurgico non migliorarono più di quelli sottoposti all’operazione placebo; e questo dato fu confermato anche nei due anni successivi. È possibile che questi soggetti siano migliorati solo perché avevano avuto fiducia nelle capacità del chirurgo, nell’ospedale e persino nella scintillante e modernissima sala operatoria? Avevano immaginato una nuova vita con un ginocchio del tutto guarito e si erano arresi a questo possibile esito, andandogli letteralmente incontro? E se il dottor Moseley non fosse stato altro che un moderno stregone in camice bianco? È possibile raggiungere lo stesso livello di guarigione quando la patologia è molto più grave, come nel caso di un intervento al cuore? L’INTERVENTO CHIRURGICO AL CUORE CHE NON C’È MAI STATO Alla fine degli anni Cinquanta, due gruppi di ricercatori condussero alcuni studi per confrontare gli effetti dell’intervento chirurgico standard in caso di angina pectoris e del placebo.8 Questo accade7. J. B. Moseley, Jr., K. O’Malley, N. J. Petersen, et al., “A Controlled Trial of Arthroscopic Surgery for Osteoarthritis of the Knee,””, New England Journal of Medicine, vol. 347, no. 2: pp. 81–88 (2002); risultati simili furono osservati anche nel seguente studio indipendente: A. Kirkley, T. B. Birmingham, R. B. Litchfield, et al., “A Randomized Trial of Arthroscopic Surgery for Osteoarthritis of the Knee,””, New England Journal of Medicine, vol. 359, no. 11: pp. 1097–1107 (2008). 8. L. A. Cobb, G. I. Thomas, D. H. Dillard, et al., “An Evaluation of InternalMammary-Artery Ligation by a Double-Blind Technic”, New England Journal of Medicine, vol. 260, n. 22: pp. 1115–1118 (1959); E. G. Diamond, C. F. Kittle, and J. E. Crockett, “Comparison of Internal Mammary Artery Ligation and Sham Operation for Angina Pectoris”, American Journal of Cardiology, vol. 5, n. 4: pp. 483–486 (1960). 43
va molto tempo prima che entrasse in uso il bypass aortocoronarico, a oggi l’intervento chirurgico più diffuso. All’epoca, invece, la maggior parte dei pazienti cardiopatici veniva sottoposta a una procedura nota come “legatura dell’arteria mammaria interna”, che consisteva nello scoprire le arterie danneggiate e nell’isolarle. Alla base c’era l’idea che, bloccando il flusso sanguigno, il corpo sarebbe stato costretto a produrre nuovi canali vascolari, aumentando l’apporto di sangue al cuore. L’intervento dava ottimi risultati per la maggior parte dei pazienti operati, ma i medici non avevano prove concrete dell’effettiva creazione di nuovi vasi sanguigni; per questo motivo furono condotti i due studi. Le due équipe di ricercatori, una a Kansas City e l’altra a Seattle, seguirono la stessa procedura e divisero i soggetti in due gruppi di studio. Il primo venne sottoposto alla tradizionale legatura dell’arteria mammaria interna e il secondo a un finto intervento; i chirurghi praticavano sul petto dei pazienti le stesse piccole incisioni eseguite nell’intervento tradizionale, ma poi si limitavano a ricucire, senza fare altro. Con grande sorpresa, i risultati di entrambi gli studi furono simili: il 67 per cento dei pazienti realmente operati sentiva meno dolore e aveva bisogno di assumere meno farmaci, mentre l’83 per cento di quelli sottoposti all’intervento simulato riportava gli stessi miglioramenti. L’intervento placebo aveva funzionato addirittura meglio di quello vero! È possibile che i pazienti sottoposti al finto intervento fossero talmente convinti di guarire da riuscire a guarire davvero solo aspettandosi un esito favorevole? E se questo fosse possibile, che cosa ci rivela sugli effetti che i nostri pensieri quotidiani, positivi o negativi che siano, possono avere sul corpo e sulla salute? L’ATTEGGIAMENTO È TUTTO Oggi esistono molte ricerche che dimostrano come l’atteggiamento influenzi realmente la nostra salute, compresa la durata della vita. Per esempio, la Mayo Clinic nel 2002 pubblicò una ricerca condotta su quattrocentoquarantasette persone per più di trent’anni, 44
da cui è emerso che gli ottimisti erano più sani sia dal punto di vista fisico che mentale.9 Letteralmente, ottimista significa “chi si aspetta il meglio” e sta a indicare le persone che concentrano la loro attenzione sul migliore scenario futuro. In particolare, gli ottimisti avevano meno problemi a svolgere le attività quotidiane grazie alla loro salute fisica o allo stato emotivo, provavano meno dolore, si sentivano più attivi, si dedicavamo con maggior facilità alle attività sociali ed erano quasi sempre più felici, calmi e sereni. Lo studio nasceva sulla scia di un’altra ricerca della Mayo Clinic che aveva seguito ottocento persone per più di trent’anni, dimostrando come gli ottimisti vivono più a lungo dei pessimisti.10 I ricercatori di Yale seguirono seicentosessanta persone, dai cinquant’anni in su, per un massimo di ventitré anni, scoprendo che i soggetti con un atteggiamento positivo riguardo all’invecchiamento vivevano ben oltre sette anni più a lungo rispetto ai soggetti che avevano un approccio più negativo all’argomento.11 L’atteggiamento influiva sulla longevità più della pressione sanguigna, dei livelli di colesterolo, del fumo, del peso e dell’esercizio fisico. Altri studi esaminarono nello specifico la correlazione tra la salute del cuore e l’atteggiamento. Più o meno nello stesso periodo, una ricerca della Duke University svolta su ottocentosessantasei pazienti cardiopatici rivelò che chi prova abitualmente emozioni più positive ha il 20 per cento di probabilità in più di essere vivo undici anni dopo, rispetto a chi prova abitualmente emozioni più negative.12 Ancora più sorprendenti sono i risultati di uno studio con9. T. Maruta, R. C. Colligan, M. Malinchoc, et al., “Optimism-Pessimism Assessed in the 1960s and Self-Reported Health Status 30 Years Later”, Mayo Clinic Proceedings, vol. 77, n. 8: pp. 748–753 (2002). 10. T. Maruta, R. C. Colligan, M. Malinchoc, et al., “Optimists vs. Pessimists: Survival Rate Among Medical Patients over a 30-Year Period”, Mayo Clinic Proceedings, vol. 75, n. 2: pp. 140–143 (2000). 11. B. R. Levy, M. D. Slade, S. R. Kunkel, et al., “Longevity Increased by Positive Self-Perceptions of Aging”, Journal of Personality and Social Psychology, vol. 83, n. 2: pp. 261–270 (2002). 12. I. C. Siegler, P. T. Costa, B. H. Brummett, et al., “Patterns of Change in Hostility from College to Midlife in the UNC Alumni Heart Study Predict High-Risk Status”, Psychosomatic Medicine, vol. 65, n. 5: pp. 738–745 (2003). 45
dotto su duecentocinquantacinque studenti del Medical College della Georgia, seguiti per venticinque anni: trai soggetti più ostili, l’incidenza di patologie coronariche era cinque volte più elevata.13 Uno studio della Johns Hopkins University, presentato durante le Sessioni Scientifiche dell’American Heart Association del 2001, ha dimostrato inoltre che un atteggiamento positivo può offrire la più forte forma di protezione contro le malattie cardiache in adulti a rischio a causa della storia familiare.14 Questo studio suggerisce che avere l’atteggiamento giusto può dare risultati identici o superiori a quelli prodotti da una dieta salutare, da una adeguata attività fisica e dal mantenimento del peso forma. Com’è possibile che il nostro atteggiamento mentale quotidiano (se in generale siamo più allegri e amorevoli o più ostili e negativi) contribuisca a determinare la durata della nostra vita? Possiamo cambiare il nostro modo di pensare attuale? Se è così, possiamo ignorare i condizionamenti che le esperienze passate esercitano sulla nostra mente? Aspettarsi che qualcosa di negativo si ripeta può effettivamente concorrere a causarlo? NAUSEATI PRIMA DELL’INIEZIONE Secondo il National Cancer Institute, una condizione chiamata “nausea anticipatoria” colpisce circa il 29 per cento dei pazienti sottoposti a chemioterapia quando vengono esposti a odori e luoghi che ricordano loro i trattamenti chemioterapici.15 Circa l’11 per cento sta talmente male prima del trattamento da vomitare. Alcuni pazienti affetti da cancro cominciano ad avvertire nausea in mac13. J. C. Barefoot, W. G. Dahlstrom, and R. B. Williams, Jr., “Hostility, CHD Incidence, and Total Mortality: A 25-Year Follow-Up Study of 255 Physicians”, Psychosomatic Medicine, vol. 45, n. 1: 59–63 (1983). 14. D. M. Becker, L. R. Yanek, T. F. Moy, et al., “General Well-Being Is Strongly Protective Against Future Coronary Heart Disease Events in an Apparently Healthy High-Risk Population”, Abstract #103966, presentato durante le Sessioni Scientifiche dell’American Heart Association, Anaheim, CA, (12 novembre 2001). 15. National Cancer Institute, “Anticipatory Nausea and Vomiting (Emesis)” (2013), www.cancer.gov/cancertopics/pdq/supportivecare/nausea/HealthProfessional/page4#Reference4.2. 46
china mentre si recano alla seduta di chemio, prima ancora di mettere piede in ospedale; altri vomitano mentre sono in sala d’attesa. Uno studio del 2001 condotto presso il Cancer Center dell’Università di Rochester e pubblicato sul Journal of Pain e Symptom Management [Rivista per la gestione del dolore e dei sintomi] concluse che aspettarsi la nausea era il più forte fattore predittivo del fatto che i pazienti ne avrebbero effettivamente sofferto.16 I dati dei ricercatori mostrarono che il 40 per cento dei pazienti chemioterapici che pensava di soffrire di nausea (perché i medici avevano detto che probabilmente ciò sarebbe accaduto dopo il trattamento) ne fu colpito prima che la terapia fosse somministrata. Un altro 13 per cento che si dichiarava incerto su cosa aspettarsi, manifestò segni di nausea. Invece, tra i pazienti che non se l’aspettavano, nessuno si sentì male. Come può essere che alcune persone siano così convinte di stare male a causa dei farmaci chemioterapici da avvertire il malessere prima ancora di ricevere il trattamento? È possibile che i loro pensieri siano talmente potenti da far insorgere la nausea? E se questo è vero per il 40 per cento dei pazienti chemioterapici, è altrettanto vero che queste persone potrebbero star ben cambiando i pensieri e le aspettative sulla loro salute e sulla realtà quotidiana? Un singolo pensiero accettato da una persona può farla stare meglio? LE DIFFICOLTÀ DIGESTIVE SCOMPAIONO Non molto tempo fa, mentre stavo per scendere da un aereo a Austin, incontrai una donna che portava con sé un libro che attirò la mia attenzione. Eravamo in piedi in attesa di sbarcare e vidi il libro spuntare dalla sua borsa; il titolo menzionava la parola fede. Ci sorridemmo a vicenda e le chiesi quale fosse l’argomento.
16. J. T. Hickok, J. A. Roscoe, and G. R. Morrow, “The Role of Patients’ Expectations in the Development of Anticipatory Nausea Related to Chemotherapy for Cancer”, Journal of Pain and Symptom Management, vol. 22, n. 4: pp. 843–850 (2001). 47
“Cristianesimo e fede” rispose lei. “Perché me lo chiede?”. Le spiegai che stavo scrivendo un nuovo libro sull’effetto placebo e che il tema centrale era la fede. “Allora le racconto una storia” disse. Mi confidò che anni prima le avevano diagnosticato intolleranza al glutine, celiachia, colite e moltissime altre malattie; inoltre soffriva di dolore cronico. Si era documentata su questi disturbi e aveva consultato diversi medici, che le avevano consigliato di evitare determinati alimenti, prescrivendole alcuni farmaci. La donna aveva seguito le indicazioni ricevute, ma continuò ad accusare dolori in tutto il corpo. Inoltre, non riusciva a dormire, aveva eruzioni cutanee, gravi disturbi digestivi e soffriva di tutta una serie di altri sintomi sgradevoli. Poi, anni dopo, si fece visitare da un nuovo medico, che le prescrisse alcuni esami del sangue. Quando le analisi furono pronte, i risultati erano tutti negativi. “Quando ho scoperto di essere del tutto normale e che non c’era nulla che non andasse in me, ho pensato: “Sto bene”, e tutti i miei sintomi sono scomparsi. Mi sono sentita subito in forma e riuscivo a mangiare tutto quello che volevo” mi disse con un gesto teatrale. Poi, sorridendo aggiunse: “Cosa ne pensa?”. Se è vero che apprendere nuove informazioni che conducono a una svolta radicale in ciò che crediamo di noi stessi può indurre la scomparsa dei sintomi, quali sono le dinamiche interne al nostro corpo che rendono possibile questo fenomeno? Qual è l’esatta relazione tra mente e corpo? È possibile che queste nuove convinzioni siano in grado di cambiare il cervello e la chimica del corpo, riprogrammando fisicamente il circuito neurologico relativo a ciò che pensiamo di essere e modificando la nostra espressione genetica? Potremmo di fatto diventare persone diverse? IL PARKINSON E IL PLACEBO Il morbo di Parkinson è un disturbo neurologico caratterizzato dalla progressiva degenerazione delle cellule nervose nella porzione del mesencefalo chiamata “nuclei della base”, preposta al controllo dei movimenti del corpo. Il cervello di chi è affetto da questa straziante 48
malattia non produce abbastanza dopamina, il neurotrasmettitore necessario ai nuclei della base per un corretto funzionamento. I primi sintomi del morbo di Parkinson, che al momento è considerato incurabile, comprendono difficoltà motorie come rigidità muscolare, tremori e disturbi del linguaggio e dell’andatura, che sfuggono al controllo volontario. In uno studio, un gruppo di ricercatori dell’Università della British Columbia a Vancouver comunicò a un gruppo di pazienti affetti dal morbo di Parkinson che avrebbero ricevuto un farmaco in grado di migliorare in modo significativo i sintomi della malattia.17 In realtà, i soggetti ricevettero un placebo: nient’altro che un’iniezione di soluzione salina. Eppure, anche senza l’ausilio di un farmaco, il controllo motorio migliorò nella metà dei pazienti dopo l’iniezione. I ricercatori analizzarono il cervello dei soggetti inseriti nel trial per capire meglio cosa fosse successo, e scoprirono che chi aveva risposto positivamente al placebo stava producendo dopamina in quantità superiori del 200 per cento rispetto a prima dell’iniezione. Per ottenere lo stesso effetto con un farmaco, bisognerebbe somministrare una dose intera di anfetamina, un farmaco che eleva il tono dell’umore e aumenta la produzione di dopamina. Sembrava che il semplice fatto di aspettarsi un miglioramento avesse permesso ai pazienti malati di Parkinson di attingere a un potere in precedenza inutilizzato, in grado di innescare la produzione di dopamina: proprio ciò che serviva al corpo per stare meglio. Se questo è vero, qual è il processo attraverso il quale il pensiero da solo può produrre dopamina nel cervello? È possibile che questo nuovo stato interiore, provocato dalla combinazione di un’intenzione chiara e di uno stato emotivo intensificato, ci renda davvero invincibili in determinate situazioni, attivando la nostra riserva interiore di “farmaci” e ignorando le circostanze genetiche della malattia che un tempo consideravamo fuori da un controllo consapevole? 17. R. de la Fuente-Fernández, T. J. Ruth, V. Sossi, et al., “Expectation and Dopamine Release: Mechanism of the Placebo Effect in Parkinson’s Disease”, Science, vol. 293, n. 5532: pp. 1164–1166 (2001). 49
I SERPENTI MORTALI E LA STRICNINA In alcune zone degli Appalachi sopravvive un rituale religioso centenario noto come “manipolazione dei serpenti” o pratica del “prendere in mano i serpenti”.18 La Virginia Occidentale è l’unico stato dove il rito è ancora legale, ma questo non ferma i fedeli degli altri Stati, dove la polizia tende a chiudere un occhio sulla pratica. In queste piccole e modeste chiese, quando le congregazioni si riuniscono per la funzione religiosa, il predicatore fa il suo ingresso portando con sé una o più cassette di legno a forma di valigetta, chiuse a chiave e dotate di sportelli a battente di plastica trasparente con fori di areazione. Le appoggia con attenzione sul palco vicino al pulpito davanti a tutte le persone riunite nel santuario o nell’auditorio. Poco dopo, parte la musica, un mix energetico di melodie country-western e bluegrass [Ndr: Branca della country music, in cui sono confluite tradizioni musicali irlandesi, scozzesi e inglesi], con testi profondamente religiosi sulla salvezza e sull’amore di Gesù. I musicisti suonano dal vivo infervorandosi su tastiere, chitarre elettriche e persino batterie che farebbero invidia a qualsiasi band di adolescenti, mentre i fedeli scuotono tamburelli quando si sentono ispirati a farlo. Mentre l’energia sale, il predicatore a volte accende una fiamma in un recipiente in cima al pulpito e tiene la mano sul fuoco, lasciando che le fiamme gli sfiorino il palmo aperto, prima di prendere il contenitore e passare lentamente il fuoco sugli avambracci scoperti. Si sta solo “riscaldando”. Subito dopo, i fedeli iniziano a ondeggiare e a stringersi le mani, a emettere strani suoni e a saltare su e giù, danzando al ritmo della musica per celebrare il loro salvatore. Sono sopraffatti dallo spirito, che per loro equivale a “essere consacrati”. È allora che il predicatore apre di colpo una delle scatole chiuse, infila dentro una mano e tira fuori un serpente velenoso (solitamente si tratta di un serpente a sonagli, di un mocassino acquatico o di un testa di rame). Anche lui balla e si accalora mentre tiene il serpente vivo, stringendolo a 18. C. R. Hall, “The Law, the Lord, and the Snake Handlers: Why a Knox County Congregation Defies the State, the Devil, and Death”, Louisville Courier Journal (21 agosto 1988); vedi anche http://www.wku.edu/ agriculture/ thelaw.pdf. 50
metà del corpo e avvicinando la gola e la testa a quella minacciosa dell’animale. Di solito lo solleva in aria, tenendolo sospeso per un po’ e poi lo riavvicina a sé, continuando a danzare, mentre il serpente attorciglia la parte inferiore del suo corpo intorno al braccio del predicatore e contorce in aria la parte superiore come più gli piace. L’uomo, allora, può prendere un secondo o anche un terzo serpente dalle altre cassette di legno, mentre i fedeli, uomini e donne insieme, possono unirsi a lui nel maneggiare i serpenti mano a mano che sentono la consacrazione scendere su di loro. In alcune funzioni, il predicatore può addirittura ingerire del veleno, come la stricnina, da un normale bicchiere, senza subire alcun effetto nocivo. A volte i maneggiatori di serpenti vengono morsi, ma considerate le migliaia di funzioni in cui fedeli infervorati hanno infilato le mani in quelle cassette di legno con ante battenti senza un attimo di esitazione o paura, si può dire che non capiti spesso. E anche quando succede, non sempre i malcapitati muoiono, anche se non si precipitano subito in ospedale, preferendo restare lì con gli altri fedeli riuniti in preghiera intorno a loro. Come mai queste persone non vengono morse più spesso? E perché sono così rari i casi di decesso quando ciò avviene? Come riescono a entrare in uno stato mentale in cui non hanno paura di queste creature velenose, il cui morso è notoriamente letale, e come può questo stato mentale proteggerle? Poi ci sono gli esempi di forza estrema, nota come “forza isterica”, in situazioni di emergenza. Nell’aprile del 2013, per esempio, a Lebanon, in Oregon, due ragazzine, Hannah Smith di sedici anni e sua sorella Haylee di quattordici, sollevarono un trattore di circa 1.300 chili per liberare il padre, Jeff Smith, rimasto intrappolato sotto le sue ruote.19 E che dire di coloro che camminano sui carboni ardenti (indigeni che praticano rituali sacri e occidentali che studiano queste pratiche)? O addirittura dei fachiri o dei danzatori
19. K. Dolak, “Teen Daughters Lift 3,000-Pound Tractor Off Dad”, ABC News (10 aprile 2013), http://abcnews.go.com/blogs/headlines/2013/04/teendaughters-lift-3000-pound-tractor-off-dad . 51
giavanesi che entrano in trance e sentono l’impulso di mangiare il vetro (un disturbo noto come ialofagia)? Com’è possibile compiere tali prodezze, apparentemente sovrumane? Hanno qualcosa di fondamentale in comune? Può essere che al culmine della loro fede incrollabile, queste persone cambino in qualche modo i loro corpi diventando così immuni all’ambiente circostante? Ed è possibile che la stessa fede granitica che infonde tanta forza in chi maneggia i serpenti e cammina sui carboni ardenti agisca anche in senso inverso, inducendoci a farci del male (e anche a morire) senza essere consapevoli di ciò che stiamo facendo? LA VITTORIA SUL VUDÙ Nel 1938, un uomo di sessant’anni residente in una zona rurale del Tennessee si ammalò sempre più nel giro di quattro mesi, prima che la moglie lo portasse all’ospedale con quindici posti letto alla periferia della città.20 Vance Vanders (nome fittizio) aveva perso più di venti chili e sembrava ormai in punto di morte. Il medico, Drayton Doherty, sospettava che Vanders fosse malato di tubercolosi, o forse di cancro, ma i risultati di esami e radiografie erano negativi. La visita del dottor Doherty non rilevò nulla che potesse causare quei disturbi. L’uomo si rifiutava di mangiare, perciò gli fu applicato un sondino nasogastrico, ma vomitava cocciutamente tutto ciò che veniva inserito nel sondino. Continuò ad aggravarsi e a ripetere con convinzione di essere prossimo alla morte, finendo per riuscire a malapena a parlare. La fine sembrava vicina, anche se il dottor Doherty non aveva ancora capito cosa affliggesse l’uomo. La moglie di Vanders, affranta, chiese di parlare con il dottor Doherty in privato e, facendogli giurare di mantenere il segreto, gli rivelò che il problema del marito era “un rito vudù”. A quanto pareva, Vanders, che viveva in una comunità dove il vudù era una pratica comune, aveva avuto una discussione con un sacerdote vudù. Era stato convocato al cimitero a tarda notte, e il sacerdote gli aveva gettato il malocchio agitandogli una boccetta di liquido maleodorante di fronte al viso. Gli aveva detto che presto sarebbe 20. Vedi nota 1. 52
morto e che nessuno avrebbe potuto salvarlo. Tutto qui. Vanders si convinse di avere i giorni contati e iniziò a credere in una nuova e triste realtà. Mortificato, l’uomo tornò a casa e si rifiutò di mangiare. Alla fine, la moglie lo portò in ospedale. Dopo aver sentito tutta la storia, il dottor Doherty escogitò un piano poco ortodosso per trattare il paziente. Al mattino, convocò i familiari di Vanders al suo capezzale e rivelò di sapere con certezza come curare il malato. La famiglia ascoltò attentamente la storia architettata dal dottor Doherty. Egli disse che la notte precedente si era recato al cimitero, dove con un inganno aveva convinto il sacerdote vudù a incontrarsi con lui per parlargli del rito praticato su Vanders. Non era stato facile, spiegò il medico. Come si aspettava, il sacerdote non aveva voluto collaborare, ma alla fine, quando Doherty lo aveva bloccato contro un albero stringendogli il collo tra le mani, aveva ceduto. Il sacerdote – continuò il dottore – gli disse di aver strofinato alcune uova di lucertola sulla pelle di Vanders, e che le uova avevano raggiunto lo stomaco dell’uomo, dove si erano schiuse. Quasi tutte le lucertole erano morte, ma una molto grossa era sopravvissuta e stava divorando il corpo di Vanders dall’interno. Il medico annunciò che avrebbe dovuto asportare la lucertola per farlo guarire. Al termine del racconto, chiamò l’infermiera, che diligentemente portò una grossa siringa piena di quella che il dottor Doherty definì una potente medicina. In realtà, la siringa era stata riempita con un farmaco che induceva il vomito. Il medico controllò con attenzione la siringa per assicurarsi che fosse stata preparata correttamente e poi, con fare cerimonioso, iniettò il liquido nel corpo del paziente spaventato. Con aria solenne, lasciò la stanza, senza dire altro alla famiglia sbalordita. Non ci volle molto prima che il paziente cominciasse ad avere i primi conati di vomito. L’infermiera gli procurò un catino e Vanders diede di stomaco, lamentandosi e contorcendosi per un po’ di tempo. A un certo punto, quando ritenne che il paziente avesse quasi finito di liberarsi, il dottor Doherty tornò nella stanza mostrando un atteggiamento sicuro. Avvicinandosi al letto, infilò la 53
mano nella sua valigetta da medico nera ed estrasse una lucertola verde, nascondendola nel palmo della mano senza farsi notare. Poi, non appena Vanders ricominciò a vomitare, fece scivolare il rettile nel catino. “Guardi, Vance!” gridò subito con tutta la teatralità di cui era capace. “Guardi cosa è uscito dal suo corpo. Ora è guarito. La maledizione vudù è stata annullata!”. La stanza era in fermento. Alcuni familiari caddero a terra, gemendo. Vanders fece un balzo all’indietro allontanandosi dal catino, in stato confusionale e con gli occhi spalancati. Pochi minuti dopo, cadde in un sonno profondo che durò più di dodici ore. Quando finalmente si svegliò, l’uomo era molto affamato e mangiò così avidamente che il medico ebbe paura gli scoppiasse lo stomaco. Nel giro di una settimana, il paziente riacquistò il peso e la forza di un tempo. Lasciò l’ospedale perfettamente sano e visse almeno altri dieci anni. È possibile che un uomo si debiliti e muoia soltanto perché pensa di aver ricevuto una maledizione? Lo stregone contemporaneo, munito di stetoscopio e ricettario, può essere per noi altrettanto convincente del sacerdote vudù nel caso di Vanders? E se è vero che una persona può decidere di morire, allora è altrettanto vero che un malato terminale può decidere di vivere? Un individuo può cambiare in modo permanente il suo stato interiore (abbandonando la sua identità di malato di cancro, di vittima dell’artrite, di cardiopatico o di affetto dal Parkinson) entrando in un corpo sano con la stessa facilità con cui si spoglia di un abito per indossarne un altro? Nei prossimi capitoli, esploreremo le diverse possibilità esistenti e la loro applicabilità nel tuo caso.
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CAPITOLO 2 CENNI STORICI SUL PLACEBO Come dice il proverbio, “a mali estremi, estremi rimedi”. Mentre prestava servizio nella Seconda guerra mondiale, Henry Beecher, chirurgo americano laureato ad Harvard, rimase a corto di morfina. Verso la fine del conflitto, la morfina scarseggiava negli ospedali da campo militari, perciò questa situazione non era insolita. All’epoca, Beecher si apprestava a operare un soldato gravemente ferito. Temeva che senza un antidolorifico, il paziente sarebbe stato vittima di un fatale shock cardiocircolatorio. Ciò che avvenne in seguito lo sbalordì. Senza battere ciglio, un’infermiera riempì una siringa con soluzione salina e praticò l’iniezione al soldato, come se gli stesse somministrando della morfina. Il soldato si calmò subito. Reagì come se avesse ricevuto davvero il farmaco, sebbene non gli avessero iniettato altro che una spruzzatina di acqua salata. Beecher procedette con l’operazione, incidendo la carne del soldato, facendo le riparazioni necessarie e ricucendolo, il tutto senza anestesia. Il soldato avvertì poco dolore e non andò in shock. “Com’è possibile” si domandò Beecher, “che l’acqua salata possa sostituire la morfina?”. Dopo quel successo clamoroso, ogni volta che l’ospedale da campo esauriva la morfina, Beecher faceva la stessa cosa: iniettava soluzione salina, come se si trattasse di morfina. L’esperienza lo convinse del potere del placebo e dopo la guerra, quando tornò negli Stati Uniti, cominciò a studiare il fenomeno. Nel 1955, Beecher passò alla storia per aver scritto una relazione clinica di quindici studi pubblicati dal Journal of the American Medical Association [Rivista dell’Associazione Medica Americana] in cui non solo parlava dell’enorme importanza del placebo, ma invocava anche un nuovo modello di ricerca medica che assegnasse casualmente ai pazienti i trattamenti con farmaci attivi o con placebo (quelli che oggi definiamo studi randomizzati e 55
controllati), in modo che il potente effetto placebo non falsasse i risultati.21 L’idea che possiamo modificare la realtà fisica con il pensiero, le convinzioni e le aspettative (a prescindere da quanto ne siamo consapevoli) di certo non è nata in quell’ospedale da campo durante la Seconda guerra mondiale. La Bibbia è piena di storie di guarigioni miracolose e, anche in tempi recenti, le persone si riversano periodicamente in luoghi come Lourdes, nel sud della Francia, dove nel 1858 una giovane contadina di quattordici anni di nome Bernadette ebbe una visione della Vergine Maria. Giunte sul posto, esse abbandonano stampelle, tutori e sedie a rotelle come prova della loro guarigione. Miracoli simili sono stati segnalati anche a Fatima, in Portogallo, dove nel 1917 tre pastorelli assistettero all’apparizione della Vergine Maria, che a trent’anni da quell’evento venne raffigurata in una statua itinerante, realizzata sulla base della descrizione fornita dalla maggiore dei tre pastorelli, diventata suora nel frattempo, e fu benedetta da Papa Pio XII, prima di essere inviata in giro per il mondo. La guarigione grazie alla fede non è certo esclusiva della tradizione cristiana. Il guru indiano Sathya Sai Baba, considerato dai suoi seguaci come un avatar (manifestazione di una divinità), era famoso per la sua capacità di materializzare una cenere sacra chiamata “vibhuti” nel palmo della sua mano. Si riteneva che questa sottile cenere grigia avesse il potere di guarire molte malattie fisiche, mentali e spirituali, se ingerita o applicata sulla pelle come una pomata. Si dice che anche i lama tibetani siano dotati di poteri taumaturgici: il loro alito, soffiato sui malati, viene usato per guarirli. Persino i sovrani francesi e inglesi regnanti tra il IV e il IX secolo usavano l’imposizione delle mani per curare i loro sudditi. Carlo II d’Inghilterra era famoso per la sua particolare abilità in questa pratica, che eseguì circa centomila volte. Qual è il fattore alla base di questi eventi definiti miracolosi, a prescindere dal fatto che lo strumento di guarigione sia la fede in una 21. H. K. Beecher, “The Powerful Placebo”, Rivista dell’Associazione Medica Americana, vol. 159, n. 17: pp. 1602–1606 (1955). 56
divinità o la credenza nei poteri straordinari di una persona, di un oggetto o perfino di un luogo considerato sacro? Qual è il processo mediante il quale la fede e la credenza possono determinare effetti così profondi? È possibile che il significato attribuito a un rituale (sia esso recitare il rosario, strofinare un pizzico di cenere sacra sulla pelle o prendere un nuovo farmaco miracoloso prescritto da un medico di fiducia) giochi un certo ruolo nel fenomeno del placebo? Che cosa succede quando lo stato mentale di chi riceve queste terapie viene influenzato o alterato dalle condizioni dell’ambiente esterno (da una persona, da un luogo o da una cosa al momento opportuno) tanto da suscitare cambiamenti fisici reali? DAL MAGNETISMO ALL’IPNOTISMO Intorno al 1770, il medico viennese Franz Anton Mesmer diventò famoso sviluppando e dimostrando quello che all’epoca fu considerato un modello medico di guarigione miracolosa. Approfondendo un’idea di sir Isaac Newton sull’effetto della gravitazione terrestre sul corpo umano, Mesmer si convinse che l’organismo contenesse un fluido invisibile che poteva essere manipolato per guarire le persone, utilizzando una forza che lui definiva “magnetismo animale”. La sua tecnica consisteva nel chiedere ai pazienti di guardarlo intensamente negli occhi prima di passare dei magneti sui loro corpi, direzionando e bilanciando questo fluido magnetico. In seguito, egli scoprì che era sufficiente muovere le mani (senza usare magneti) per produrre lo stesso effetto. Non appena la seduta iniziava, i pazienti cominciavano a tremare, ad avere spasmi muscolari e poi convulsioni considerate terapeutiche. Mesmer continuava a bilanciare il fluido finché il paziente non si calmava. Utilizzò questa tecnica per guarire diverse malattie, dalle patologie più gravi come la paralisi e i disturbi convulsivi a problemi di minore entità, come i dolori mestruali e le emorroidi. In quello che divenne il suo caso più celebre, Mesmer guarì parzialmente la giovane Maria Theresia von Paradis, pianista concertista affetta da “cecità isterica”, una malattia psicosomatica che l’affliggeva dall’età di tre anni. Mentre Mesmer si occupava del 57
caso, la ragazza rimase a casa dell’uomo per settimane e, con il suo aiuto, riuscì a percepire il movimento e persino a distinguere i colori. Ma i genitori di Maria Theresia non erano molto felici dei suoi progressi, perché rischiavano di perdere il sussidio, se la figlia fosse guarita. Inoltre, non appena la giovane riacquistò la vista, le sue esecuzioni al pianoforte peggiorarono, perché ora riusciva a vedere le dita che si muovevano sulla tastiera. Cominciarono a circolare indiscrezioni, mai confermate, di una relazione sconveniente tra Mesmer e la pianista. I genitori della ragazza la allontanarono con la forza dalla casa dell’uomo, lei perse di nuovo la vista e la reputazione di Mesmer fu compromessa. Armand Marie Jacques de Chastenet, un aristocratico francese conosciuto come il marchese di Puységur, seguì le orme di Mesmer e portò le sue idee al livello successivo. Puységur induceva un profondo stato da lui definito “sonnambulismo magnetico” (simile al nottambulismo), in cui i soggetti avevano accesso ai pensieri più profondi e scoprivano intuizioni sulla loro salute e su quella degli altri. In questo stato, essi erano estremamente suggestionabili e seguivano le istruzioni date, anche se non ricordavano nulla dell’accaduto una volta usciti dalla trance. Mentre Mesmer riteneva che il potere fosse esercitato dal terapeuta sul soggetto, Puységur credeva invece che fosse il pensiero del paziente (guidato dal terapeuta) a esercitare il potere sul corpo; questo fu probabilmente uno dei primi tentativi terapeutici di esplorare il rapporto tra mente e corpo. Nell’Ottocento, il chirurgo scozzese James Braid sviluppò ulteriormente l’idea del mesmerismo, dando origine a un concetto da lui definito “neuroipnosi” (quello che oggi conosciamo come ipnosi). Braid si interessò a quest’idea quando un giorno, arrivato in ritardo a un appuntamento, scoprì che il paziente che lo aspettava stava fissando la fiamma tremolante di una lampada a olio in preda a un’intensa fascinazione. Braid osservò che il paziente aveva mantenuto uno stato di estrema suggestionabilità finché la sua attenzione era rimasta bloccata in questo modo, “affaticando” così alcune parti del cervello. 58
Dopo molti esperimenti, Braid imparò a indurre i pazienti a concentrarsi su una sola idea, mentre fissavano un oggetto, e a entrare così in una specie di trance che, a suo avviso, si poteva usare per curare i loro disturbi, come l’artrite reumatoide cronica, i deficit sensoriali, nonché diverse complicazioni delle lesioni spinali e degli ictus. Il suo libro Neurypnology [Neuroipnologia] racconta nel dettaglio molti dei suoi successi, tra cui la guarigione di una donna di trentatré anni paralizzata alle gambe e di una di cinquantaquattro affetta da una malattia cutanea e da forti mal di testa. Jean Martin Charcot, noto neurologo francese, intervenne sul lavoro di Braid, sostenendo che la capacità di entrare in un tale stato di trance era possibile solo in soggetti affetti da isterismo, una malattia neurologica che lui riteneva ereditaria e irreversibile. Utilizzò l’ipnosi non per guarire i pazienti, ma per studiare i loro sintomi. Infine, un rivale di Charcot, un medico di nome Hippolyte Bernheim dell’Università di Nancy, affermò che la suggestionabilità tanto importante per l’ipnosi non era limitata agli isterici, ma era una condizione naturale di tutti gli esseri umani. Bernheim inculcava delle idee nei suoi pazienti, dicendo loro che al risveglio dallo stato di trance si sarebbero sentiti meglio e che i loro sintomi sarebbero scomparsi; usò quindi il potere della suggestione come strumento terapeutico. Il lavoro di Bernheim proseguì nei primi anni del Novecento. Sebbene questi primi esploratori della suggestionabilità avessero tecniche e obiettivi diversi tra loro, riuscirono ad aiutare centinaia di persone a guarire da un’ampia gamma di problemi fisici e mentali, inducendole a pensare in modo diverso alle loro malattie e a come queste si esprimevano a livello fisico. Durante i due conflitti mondiali, i medici militari, e in particolare lo psichiatra dell’esercito Benjamin Simon, utilizzarono il concetto di suggestionabilità ipnotica (che approfondirò in seguito) per aiutare i soldati sopravvissuti a superare un trauma inizialmente etichettato come “shock da granata”, ma che oggi prende il nome di disturbo post traumatico da stress. Questi reduci avevano vissuto esperienze belliche talmente orribili che molti di loro avevano spento le emozioni come forma di autopreservazione, oppure avevano sviluppato 59
un’amnesia relativa agli eventi raccapriccianti di cui erano stati protagonisti o, peggio ancora, continuavano a rivivere quelle esperienze in flashback improvvisi: tutte condizioni che possono causare una malattia fisica indotta dallo stress. Simon e i suoi colleghi trovarono l’ipnosi di grande utilità per aiutare i reduci ad affrontare e a superare i traumi, affinché non riaffiorassero sotto forma di ansia e disturbi fisici (come nausea, ipertensione e altre malattie cardiovascolari, e persino deficit del sistema immunitario). Come i terapeuti del secolo precedente, i medici dell’esercito che ricorsero all’ipnosi aiutarono i pazienti a modificare i propri modelli di pensiero, al fine di guarire e recuperare la salute mentale e fisica. Queste tecniche riscossero un tale successo che anche i medici civili mostrarono interesse per l’uso della suggestionabilità; tuttavia molti di loro non inducevano uno stato di trance nei pazienti, ma somministravano all’occorrenza pillole di zucchero e altri placebo, spiegando che questi “farmaci” li avrebbero guariti. I pazienti spesso stavano davvero meglio, rispondendo alla suggestione come i soldati feriti di Beecher, convinti di ricevere iniezioni di morfina. Dopo il pionieristico articolo scritto da Beecher nel 1955 per auspicare studi randomizzati e controllati con placebo per testare i farmaci, il placebo divenne una parte importante della ricerca medica. La tesi di Beecher fu ben accolta. Inizialmente, i ricercatori si aspettavano che il gruppo di controllo (quello che assumeva il placebo) rimanesse neutro, cosicché confrontato con quello sottoposto a terapia attiva avrebbe mostrato il buon funzionamento del farmaco. Ma in moltissimi studi i pazienti del gruppo di controllo mostrarono dei miglioramenti spesso dovuti all’aspettativa e alla convinzione di ricevere un farmaco o una cura che li avrebbe aiutati. Il placebo in sé poteva essere inerte, ma il suo effetto non lo era, e queste convinzioni e aspettative dimostravano quanto fosse potente! Quindi, se i dati avevano davvero un significato, questo effetto doveva essere chiarito in qualche modo. A tale scopo, accogliendo l’appello di Beecher, i ricercatori fecero sì che lo studio in doppio cieco randomizzato diventasse la norma, assegnando casualmente i soggetti al gruppo attivo o a quello placebo, e assicurandosi che né i pazienti né i ricercatori sapessero chi 60
stava assumendo il farmaco e chi stava prendendo il placebo. In questo modo, l’effetto placebo sarebbe stato ugualmente attivo in ciascun gruppo, escludendo la possibilità che i ricercatori trattassero diversamente i soggetti a seconda del gruppo di appartenenza. Oggi, a volte, gli studi sono addirittura in triplo cieco: non sono soltanto i partecipanti e i ricercatori che conducono la ricerca a non sapere chi prende cosa fino alla fine della sperimentazione, ma non ne sono al corrente neppure gli esperti di statistica che analizzano i dati, fino a quando il loro lavoro non si è concluso. L’EFFETTO NOCEBO Naturalmente, c’è sempre il rovescio della medaglia. Mentre la suggestionabilità conquistava l’interesse del mondo scientifico per la sua capacità di guarire, risultò altrettanto chiaro che lo stesso fenomeno poteva essere utilizzato anche per nuocere. Pratiche come il malocchio e le maledizioni vudù mostravano il lato negativo della suggestionabilità. Negli anni Quaranta, il fisiologo di Harvard Walter Bradford Cannon (che nel 1932 aveva coniato l’espressione “lotta o fuggi”) studiò la reazione estrema al nocebo, un fenomeno che definì “morte vudù”.22 Cannon esaminò una serie di aneddoti riguardanti persone che credevano fermamente nel potere di stregoni o sacerdoti vudù, che si erano ammalate ed erano morte all’improvviso (nonostante l’assenza di lesioni apparenti, di tracce di veleno o di infezione) dopo essere state vittime del malocchio o di una maledizione. La sua ricerca gettò le basi per gran parte delle attuali conoscenze sui processi fisiologici che permettono alle emozioni (in particolare alla paura) di generare una malattia. “La fede della vittima nel potere fatale della maledizione era solo un ingrediente del minestrone psicologico che ne provocava il decesso” dichiarò Cannon. Un altro fattore era la conseguente emarginazione sociale e l’esclusione dalla propria famiglia. Queste persone diventavano presto morti che camminano. 22. W. B. Cannon, “Voodoo Death”, American Anthropologist, vol. 44, n. 2: pp. 169–181 (1942). 61
Gli effetti nocivi provocati da fonti innocue non sono circoscritti al vudù, naturalmente. Negli anni Sessanta, gli scienziati coniarono il termine nocebo (termine latino che significa “nuocerò”, in contrapposizione a placebo, “piacerò”), riferendosi a una sostanza inerte che provoca un effetto dannoso solo perché qualcuno crede o si aspetta che gli farà del male.23 L’effetto nocebo può comparire negli studi farmacologici quando i soggetti che assumono il placebo si aspettano di subire gli effetti collaterali della sostanza testata, oppure quando vengono espressamente avvertiti dei potenziali effetti indesiderati e li manifestano, perché associano il farmaco alle sue possibili conseguenze negative, nonostante non lo stiano assumendo. Per ovvie ragioni etiche, sono poche le ricerche concepite appositamente per studiare questo fenomeno, ma ne esistono alcune. Un esempio famoso è uno studio del 1962 condotto in Giappone su un gruppo di bambini affetti da una forte allergia all’edera velenosa.24 I ricercatori strofinarono una foglia di edera velenosa sull’avambraccio di ogni bambino, ma dissero loro che si trattava di una pianta innocua. Come verifica, sfregarono sull’altro avambraccio una foglia innocua, affermando che si trattava di edera velenosa. Tutti i bambini svilupparono un’eruzione cutanea sul braccio strofinato con la foglia innocua che pensavano fosse velenosa. E undici dei tredici bambini non manifestarono alcuna eruzione cutanea dove il veleno li aveva effettivamente toccati. Fu una scoperta sorprendente: com’era possibile che bambini altamente allergici all’edera velenosa non avessero manifestato un’eruzione cutanea quando erano stati esposti alla pianta? E come mai 23. Il termine placebo fu usato per la prima volta nella parte del Salmo 116 che apre i vespri dei Morti nella religione cattolica. Nel Medioevo, la famiglia del defunto spesso assoldava delle persone per piangere e cantare questi versi e, dato che il loro lutto finto era a volte esagerato, la parola placebo venne a significare “adulatore” o “leccapiedi”. All’inizio del IX secolo, i medici cominciarono a somministrare ricostituenti, pillole e altri trattamenti inerti per calmare i pazienti che non potevano aiutare o che cercavano cure per malattie immaginarie; questi medici presero in prestito il termine placebo, dandogli il suo significato attuale. 24. Y. Ikemi and S. Nakagawa, “A Psychosomatic Study of Contagious Dermatitis”, Kyoshu Journal of Medical Science, vol. 13: pp. 335–350 (1962). 62
l’avevano sviluppata a causa di una foglia del tutto innocua? Il nuovo pensiero che la foglia non era nociva aveva sostituito il ricordo e la convinzione di essere allergici, rendendo innocua l’edera velenosa. Nella seconda parte dell’esperimento, fu vero il contrario: una foglia innocua divenne tossica solo a causa del pensiero che lo fosse. In entrambi i casi, era come se il corpo di ogni bambino avesse risposto all’istante a un nuovo modo di pensare. In questo caso, potremmo dire che i bambini sono stati liberati in qualche modo dall’aspettativa futura di una reazione fisica alla foglia tossica, basata sulle loro esperienze passate di soggetti allergici. In effetti, per qualche ragione, hanno trasceso una successione di eventi prevedibile. Ciò indica anche che hanno preso il controllo delle condizioni del loro ambiente (la foglia di edera velenosa). Infine, i bambini sono riusciti ad alterare e a controllare la loro fisiologia semplicemente cambiando un pensiero. Questa prova strabiliante che il pensiero (sotto forma di aspettativa) può avere sul corpo un effetto maggiore rispetto all’ambiente fisico “reale” ha contribuito a inaugurare una nuova era di studi scientifici denominata “psiconeuroimmunologia”: l’effetto dei pensieri e delle emozioni sul sistema immunitario; un aspetto importante della connessione tra mente e corpo. Negli anni Sessanta un altro importante studio sull’effetto nocebo esaminò un gruppo di persone affette da asma.25 I ricercatori consegnarono a quaranta pazienti asmatici inalatori contenenti soltanto vapore acqueo, dichiarando però che all’interno c’era un allergene o una sostanza irritante; diciannove di loro (il 48 per cento) manifestarono sintomi asmatici, come l’ostruzione delle vie aeree, e dodici soggetti (il 30 per cento) furono colpiti da attacchi d’asma conclamati. Poi, i ricercatori diedero loro altri inalatori, affermando che contenevano un farmaco che avrebbe alleviato i sintomi e, in tutti i casi, le vie respiratorie si aprirono, nonostante anche stavolta si trattasse solo di vapore acqueo. 25. T. Luparello, H. A. Lyons, E. R. Bleecker, et al., “Influences of Suggestion on Airway Reactivity in Asthmatic Subjects”, Psychosomatic Medicine, vol. 30, n. 6: pp. 819–829 (1968). 63
In entrambe le situazioni (provocare i sintomi dell’asma e poi ribaltarli radicalmente), i pazienti risposero alla sola suggestione, cioè alla convinzione inculcata nelle loro menti dai ricercatori, che corrispondeva esattamente alle loro aspettative. Il pensiero di aver inalato qualcosa di nocivo li fece stare male, mentre l’idea di aver assunto un farmaco li guarì; questi pensieri ebbero la meglio sul loro ambiente e sulla realtà, anzi ne crearono una nuova di zecca. Che cosa possiamo dedurre a proposito delle nostre convinzioni e dei pensieri che formuliamo ogni giorno? Siamo più suscettibili a contrarre l’influenza perché per tutto l’inverno, ovunque guardiamo, leggiamo articoli sull’argomento e avvisi sulla disponibilità del vaccino antinfluenzale, senza il quale ci ammaleremo? È possibile che sia sufficiente vedere qualcuno con sintomi di tipo influenzale per ammalarci a causa di un modo di pensare simile a quello dei bambini dello studio sull’edera velenosa, che reagirono a una foglia innocua con un’eruzione cutanea, o degli asmatici, che ebbero un’importante reazione bronchiale dopo aver inalato del semplice vapore acqueo? Siamo più soggetti a soffrire di artrite, rigidità articolare, scarsa memoria, carenza energetica e calo del desiderio sessuale con l’avanzare dell’età solo perché questa è la versione della verità con cui ci bombardano gli annunci pubblicitari, i programmi televisivi e le notizie riportate dai media? Quali altre profezie autoavveranti creiamo nella nostra mente senza nemmeno accorgercene? E quali “verità inevitabili” possiamo invertire con successo semplicemente formulando nuovi pensieri e scegliendo nuove convinzioni? I PRIMI GRANDI PROGRESSI Uno studio rivoluzionario condotto alla fine degli anni Settanta mostrò per la prima volta che un placebo può innescare il rilascio di endorfine (antidolorifici naturali prodotti dal corpo), proprio come fanno alcune sostanze chimiche. In questa ricerca, Jon Levine, docente dell’Università della California a San Francisco, somministrò placebo, anziché farmaci antidolorifici, a quaranta pazienti di odontoiatria, dopo l’estrazione dei denti del giudi64
zio.26 La maggior parte dei pazienti riferì un sollievo dal dolore, poiché era ciò che si aspettavano accadesse dopo la somministrazione del farmaco. Ma poi i ricercatori diedero ai soggetti un antidoto alla morfina chiamato naloxone, che blocca chimicamente sia i recettori della morfina sia quelli delle endorfine (morfina endogena) nel cervello. Dopo la somministrazione, il dolore ritornò! Ciò dimostrava che assumendo i placebo, i pazienti creavano autonomamente le loro endorfine gli antidolorifici naturali. Fu una pietra miliare della ricerca sul placebo, perché significava che il sollievo avvertito dai soggetti dello studio non era solo nella loro testa; era nelle loro menti e nei loro corpi: nel loro modo d’essere. Se il corpo umano diventa la farmacia di se stesso, producendo antidolorifici, allora non potrebbe attingere al mix infinito di sostanze chimiche e composti terapeutici che ha dentro di sé e dispensare all’occorrenza altri medicinali naturali, che agiscano come quelli prescritti dal medico, o forse anche meglio? Un altro studio condotto negli anni Settanta, questa volta dallo psicologo Robert Ader, dell’Università di Rochester, ha aggiunto un nuovo affascinante elemento alla discussione sul placebo: il condizionamento, un concetto reso famoso dal fisiologo russo Ivan Pavlov. Il condizionamento dipende dall’associazione di una cosa a un’altra; Pavlov la notò osservando i suoi cani che associavano il suono del campanello al cibo, dopo che lo psicologo aveva preso l’abitudine di suonarlo ogni giorno prima di dar loro da mangiare. Con il tempo, i cani furono condizionati a produrre saliva ogni volta che sentivano un campanello, come anticipazione del pasto. Per effetto di questo tipo di condizionamento, il loro corpo imparò a fornire una risposta fisiologica a un nuovo stimolo ambientale (in questo caso, il campanello), anche in assenza dello stimolo originario che di norma suscita quel tipo di reazione (il cibo).
26. J. D. Levine, N. C. Gordon, and H. L. Fields, “The Mechanism of Placebo Analgesia”, Lancet, vol. 2, no. 8091: pp. 654–657 (1978); J. D. Levine, N. C. Gordon, R. T. Jones, et al., “The Narcotic Antagonist Naloxone Enhances Clinical Pain”, Nature, vol. 272, no. 5656: pp. 826–827 (1978). 65
Di conseguenza potremmo dire che, in una risposta condizionata, un programma subconscio installato nel corpo (ne parlerò meglio nei prossimi capitoli) prevale apparentemente sulla mente conscia e prende il comando. In questo modo, il corpo è in realtà condizionato a diventare la mente perché il pensiero cosciente non esercita più un controllo completo. Nel caso di Pavlov, i cani furono esposti più volte all’odore, alla vista e al sapore del cibo, dopodiché l’uomo prese a suonare il campanello. Con il tempo, il suono del campanello bastò a indurre i cani a modificare automaticamente il loro stato fisiologico e chimico senza pensarci consapevolmente. Il loro sistema nervoso autonomo (il sistema subconscio che opera al di sotto della consapevolezza cosciente) aveva preso il controllo. Quindi, il condizionamento genera cambiamenti subconsci all’interno del corpo, facendo associare il ricordo di eventi passati all’aspettativa di effetti futuri (quella che chiamiamo “memoria associativa”), fino a quando i risultati attesi o previsti non si verificano automaticamente. Quanto più è forte il condizionamento, tanto più è debole il controllo consapevole che esercitiamo su questi processi, e tanto più diventa automatica la programmazione subconscia. Ader cercò di capire quanto tempo potessero durare queste risposte condizionate. Somministrò a topi di laboratorio acqua dolcificata con saccarina, in cui aveva diluito un farmaco chiamato ciclofosfamide, che provoca mal di stomaco. Dopo aver condizionato i topi ad associare il gusto dolce dell’acqua al mal di pancia, si aspettava che presto avrebbero rifiutato di bere l’acqua adulterata. Il suo intento era vedere per quanto tempo avrebbero continuato a rifiutare l’acqua, misurando così la durata della risposta condizionata. Ma ciò che Ader non sapeva era che il ciclofosfamide è anche un soppressore del sistema immunitario, perciò fu sorpreso quando i topi cominciarono a morire di infezioni batteriche e virali. Cambiando la direzione della ricerca, continuò a dare ai topi acqua con saccarina (alimentandoli con un contagocce), ma senza ciclofosfamide. Anche se non ricevevano più il farmaco immunosoppressore, i topi continuavano a morire di infezioni, mentre il gruppo di controllo che per tutto il tempo aveva ricevuto solo acqua zuc66
cherata continuava a star bene. Collaborando con l’immunologo Nicholas Cohen, dell’Università di Rochester, Ader scoprì che una volta che i topi erano stati condizionati ad associare il sapore dell’acqua zuccherata all’effetto del farmaco immunosoppressore, su di loro l’acqua dolcificata produceva lo stesso effetto fisiologico del farmaco, segnalando al sistema nervoso di sopprimere il sistema immunitario.27 Come Sam Londe, la cui storia è raccontata nel Capitolo 1, i topi di Ader morirono solo a causa del pensiero. I ricercatori cominciavano a rendersi conto che la mente è in grado di attivare il corpo a livello subconscio in molti modi potenti che non avrebbero mai immaginato. L’OCCIDENTE INCONTRA L’ORIENTE In quegli anni, la pratica orientale della Meditazione Trascendentale, insegnata dal guru indiano Maharishi Mahesh Yogi, aveva preso piede negli Stati Uniti, resa popolare da molti entusiasti tra le celebrità (a partire dai Beatles negli anni Sessanta). L’obiettivo di questa tecnica, che consiste nel calmare la mente ripetendo un mantra nel corso di una sessione di venti minuti di meditazione per due volte al giorno, è l’illuminazione spirituale. Ma la pratica attirò l’attenzione del cardiologo di Harvard Herbert Benson, interessato a capire se essa potesse contribuire a ridurre lo stress e i fattori di rischio per le malattie cardiache. Demistificando il processo, Benson sviluppò una tecnica simile, che definì “risposta rilassante”, descritta nell’omonimo libro del 1975.28 Scoprì che bastava cambiare i modelli di pensiero per disattivare la risposta allo stress, abbassando così la pressione sanguigna, normalizzando la frequenza cardiaca e raggiungendo stati di profondo relax. Per quanto la meditazione porti a mantenere un atteggiamento neutrale, in altri ambiti si cominciò a prestare attenzione ai benefici che era possibile ottenere coltivando un atteggiamento più positivo 27. R. Ader and N. Cohen, “Behaviorally Conditioned Immunosuppression”, Psychosomatic Medicine, vol. 37, no. 4: pp. 333–340 (1975). 28. H. Benson, M. Z. Klipper, La risposta rilassante. Rizzoli, 1977. 67
e alimentando emozioni positive. Le basi furono poste nel 1952, quando Norman Vincent Peale pubblicò il libro Come vivere in modo positivo, rendendo popolare l’idea che i pensieri che facciamo possano avere un effetto reale, sia positivo sia negativo, sulla nostra vita.29 Questa teoria ha suscitato l’attenzione della comunità medica, quando nel 1976 il politologo e direttore editoriale Norman Cousins pubblicò un articolo sul New England Journal of Medicine che raccontava come avesse usato le risate per invertire il decorso di una malattia potenzialmente fatale.30 Scrisse al riguardo anche nel suo best seller La volontà di guarire: anatomia di una malattia, pubblicato pochi anni dopo.31 Il medico di Cousins gli aveva diagnosticato una malattia degenerativa chiamata spondilite anchilosante (una forma di artrite che provoca la disgregazione del collagene, la proteina fibrosa che tiene insieme le cellule dell’organismo), e gli aveva dato solo una probabilità di guarigione su cinquecento. Cousins soffriva di dolori atroci e faceva così tanta fatica a muoversi che a stento riusciva a girarsi nel letto. Sotto la pelle erano comparsi noduli granulosi finché, al culmine della malattia, l’uomo rimase con la mandibola quasi bloccata. Convinto che un persistente stato emotivo negativo avesse contribuito alla sua condizione, concluse che un atteggiamento più positivo avrebbe potuto rimediare al danno. Pur continuando a consultare il suo medico, Cousins iniziò un regime a base di dosi massicce di vitamina C e di film dei Fratelli Marx (oltre ad altri film umoristici e spettacoli comici). Scoprì che dieci minuti di sane risate si traducevano in due ore di sonno libero da dolori e alla fine si ristabilì completamente. Molto semplicemente Cousins riacquistò la salute ridendo.
29. N. V. Peale, Come acquistare fiducia e avere successo. Bompiani, 2000. 30. N. Cousins, “Anatomy of an Illness (as Perceived by the Patient)”, New England Journal of Medicine, vol. 295, n. 26: pp. 1458–1463 (1976). 31. N. Cousins, La volontà di guarire: anatomia di una malattia. A. Armando, 1982. 68
Come? All’epoca gli scienziati non avevano modo di comprendere o spiegare una guarigione miracolosa come questa, ma oggi la ricerca ci dice che è possibile che nel suo caso abbiano agito processi epigenetici. Modificando il proprio atteggiamento, Cousins modificò la chimica del corpo, che a sua volta influenzò lo stato interno, consentendogli di programmare nuovi geni in altri modi; non fece altro che sottoesprimere (o disattivare) i geni causa della sua malattia, e sovraesprimere (o attivare) i geni responsabili della guarigione. (Nei prossimi capitoli spiegherò più nel dettaglio il concetto di attivazione e disattivazione dei geni.) Molti anni più tardi, una ricerca di Keiko Hayashi, dell’Università di Tsukuba in Giappone, confermò questa teoria.32 Nel suo studio, alcuni pazienti diabetici guardarono per un’ora un programma comico e sovraespressero un totale di trentanove geni, quattordici dei quali erano collegati all’attività delle cellule killer naturali. Sebbene nessuno di questi geni fosse direttamente coinvolto nella regolazione del glucosio nel sangue, i pazienti mostrarono livelli di glucosio più bassi rispetto a quelli riscontrati dopo aver partecipato a una conferenza medica sul diabete. I ricercatori ipotizzarono che le risate avessero influenzato molti geni coinvolti nella risposta immunitaria, che a sua volta aveva contribuito a migliorare il controllo glicemico. Lo stato emotivo positivo, innescato dai cervelli dei pazienti, aveva provocato variazioni genetiche, che avevano attivato le cellule killer naturali e, in qualche modo, migliorato la loro risposta al glucosio, oltre a molti altri effetti benefici. A proposito del placebo, nel lontano 1979, Cousins disse: “Il processo non funziona perché c’è qualcosa di magico nelle pastiglie, ma perché il corpo umano è il migliore farmacista di se stesso e le prescrizioni più efficaci l’organismo se le scrive da sé”.33
32. T. Hayashi, S. Tsujii, T. Iburi, et al., “Laughter Up-Regulates the Genes Related to NK Cell Activity in Diabetes”, Biomedical Research (Tokyo, Japan), vol. 28, n. 6: pp. 281–285 (2007). 33. N. Cousins, La volontà di guarire: anatomia di una malattia. A. Armando, 1982. 69
Ispirato dall’esperienza di Cousins, mentre la medicina alternativa e quella psicosomatica erano in fermento, Bernie Siegel, chirurgo dell’Università di Yale, iniziò a capire il motivo per cui alcuni pazienti oncologici sopravvivevano pur avendo scarsi margini di recupero, mentre altri con prospettive migliori morivano. Nella sua indagine, Siegel scoprì che i superstiti avevano uno spirito grintoso e combattivo e concluse che non esistevano malattie incurabili, ma solo pazienti incurabili. Nei suoi scritti, Siegel parlava della speranza come di un potente fattore di guarigione e dell’amore incondizionato, con la riserva naturale di elisir che fornisce, come del più efficace stimolante per il sistema immunitario.34 I PLACEBO SUPERANO L’EFFICACIA DEGLI ANTIDEPRESSIVI L’abbondanza di nuovi antidepressivi apparsi intorno alla fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta accese una polemica che contribuì a far crescere l’attenzione nei confronti del potere del placebo. Nel 1998, svolgendo una meta-analisi degli studi pubblicati sugli antidepressivi, lo psicologo Irving Kirsch, che allora lavorava all’Università del Connecticut, fu sorpreso di scoprire che in diciannove studi clinici randomizzati in doppio cieco condotti su più di duemilatrecento pazienti, la maggior parte dei miglioramenti non era riconducibile ai farmaci, ma al placebo.35 Kirsch si avvalse del Freedom of Information Act [Ndr: La legge sulla libertà di informazione] per ottenere l’accesso ai dati degli studi clinici non pubblicati dalle aziende farmaceutiche, che per legge dovevano essere comunicati alla Food and Drug Administration. Kirsch e i suoi colleghi condussero una seconda analisi incrociata, studiando trentacinque sperimentazioni effettuate su quattro dei sei farmaci antidepressivi più diffusi e approvati tra il 1987 e il 1999.36 34. B. S. Siegel, Amore, medicina e miracoli. Sperling & Kupfer, 1999. 35. I. Kirsch and G. Sapirstein, “Listening to Prozac but Hearing Placebo: A Meta-analysis of Antidepressant Medication”, Prevention and Treatment, vol. 1, n. 2: article 00002a (1998). 36. I. Kirsch, B. J. Deacon, T. B. Huedo-Medina, et al., “Initial Severity and Antidepressant Benefits: A Meta-analysis of Data Submitted to the Food and Drug Administration”, PLOS Medicine, vol. 5, n. 2: p. e45 (2008). 70
Esaminando i dati provenienti da più di cinquemila pazienti, i ricercatori scoprirono ancora una volta che i placebo erano efficaci quanto i popolari farmaci antidepressivi Prozac, Effexor, Serzone e Paxil nell’81 per cento dei casi. Negli altri casi, quando il farmaco si era rivelato più efficace, il vantaggio fu talmente lieve da non essere statisticamente significativo. Solo nei pazienti gravemente depressi, i farmaci prescritti si rivelarono nettamente migliori del placebo. Naturalmente, lo studio di Kirsch suscitò un putiferio, anche se molti ricercatori sembravano intenzionati a occultare ogni cosa. Se gran parte del clamore dipendeva dal fatto che questi farmaci non erano migliori del placebo, nel contempo i pazienti sottoposti alla sperimentazione guarivano davvero grazie agli antidepressivi. I farmaci funzionavano. Ma anche i pazienti trattati con placebo stavano meglio. Invece di considerare il lavoro di Kirsch come la prova dell’insuccesso degli antidepressivi, alcuni ricercatori decisero di vedere il bicchiere mezzo pieno e citarono i dati come prova del successo dei placebo. In fin dei conti, gli studi furono una dimostrazione sensazionale del fatto che pensare di guarire dalla depressione può curare davvero questo disturbo al pari di un farmaco. I partecipanti allo studio, che erano guariti con i placebo, avevano prodotto i propri antidepressivi naturali, proprio come i pazienti di Levine negli anni Settanta produssero antidolorifici naturali in seguito all’estrazione dei denti del giudizio. Kirsch portò alla luce ulteriori prove che il nostro corpo è dotato di un’intelligenza innata in grado di mettere a sua disposizione un vasto assortimento chimico di composti curativi naturali. È interessante notare che la percentuale di persone che mostra miglioramenti durante l’assunzione di placebo nelle sperimentazioni sulla depressione è cresciuta nel tempo, così come la risposta al farmaco attivo; alcuni ricercatori suggeriscono che ciò sia dovuto al fatto che il pubblico ha maggiori aspettative nei confronti dei farmaci antidepressivi, il che rende i placebo più efficaci in questi studi ciechi.37 37. B. T. Walsh, S. N. Seidman, R. Sysko, et al., “Placebo Response in Studies of Major Depression: Variable, Substantial, and Growing”, Journal of the American Medical Association, vol. 287, no. 14: pp. 1840–1847 (2002). 71
LA NEUROBIOLOGIA DEL PLACEBO Era solo questione di tempo prima che gli scienziati iniziassero a utilizzare sofisticate scansioni cerebrali per analizzare a fondo ciò che accade a livello neurochimico quando viene somministrato un placebo. Ne è un esempio lo studio del 2001 sui malati di Parkinson che riacquistarono la capacità motoria dopo aver ricevuto un’iniezione di soluzione salina che credevano fosse un farmaco (descritto nel Capitolo 1).38 Pochi anni dopo, il ricercatore italiano Fabrizio Benedetti, un pioniere nella ricerca sul placebo, condusse uno studio analogo sul morbo di Parkinson e, per la prima volta, riuscì a mostrare l’effetto di un placebo sui singoli neuroni.39 I suoi studi esplorarono non solo la neurobiologia dell’aspettativa, come con i malati di Parkinson, ma anche la neurobiologia del condizionamento classico (quello che Ader aveva intravisto anni prima con i suoi topi da laboratorio). Durante un esperimento, Benedetti somministrò ai soggetti dello studio il farmaco Sumatriptan per stimolare l’ormone della crescita e inibire la secrezione di cortisolo, e poi, all’insaputa dei pazienti, lo sostituì con un placebo. Le scansioni cerebrali dei pazienti mostrarono che il placebo attivava nel cervello le stesse aree che si illuminavano con la somministrazione del Sumatriptan; questa era la prova che il cervello stava producendo la stessa sostanza (in questo caso, l’ormone della crescita) da solo.40 Il fenomeno fu riscontrato anche in altre combinazioni farmacoplacebo; le sostanze chimiche prodotte dal cervello ricalcavano quelle che i soggetti avevano inizialmente ricevuto attraverso i farmaci somministrati per trattare disturbi del sistema immunitario,
38. R. de la Fuente-Fernández, T. J. Ruth, V. Sossi, et al., “Expectation and Dopamine Release: Mechanism of the Placebo Effect in Parkinson’s Disease”, Science, vol. 293, no. 5532: pp. 1164–1166 (2001). 39. F. Benedetti, L. Colloca, E. Torre, et al., “Placebo-Responsive Parkinson Patients Show Decreased Activity in Single Neurons of the Subthalamic Nucleus”, Nature Neuroscience, vol. 7, n. 6: 587–588 (2004). 40. F. Benedetti, A. Pollo, L. Lopiano, et al., “Conscious Expectation and Unconscious Conditioning in Analgesic, Motor, and Hormonal Placebo/ Nocebo Responses”, Journal of Neuroscience, vol. 23, n. 10: pp. 4315–4323 (2003). 72
problemi motori e depressione.41 Benedetti arrivò a dimostrare che i placebo causavano gli stessi effetti collaterali dei farmaci. Per esempio, in uno studio sul placebo associato ai narcotici, i soggetti che avevano assunto il placebo manifestavano gli stessi effetti collaterali del farmaco, cioè respirazione lenta e poco profonda.42 A dire il vero, il nostro corpo è in grado di creare una vasta gamma di sostanze chimiche capaci di guarirci, proteggerci dal dolore, aiutarci a dormire profondamente, migliorare il sistema immunitario, farci provare piacere e, addirittura, incoraggiare l’innamoramento. Segui il mio ragionamento: se a un certo punto della nostra vita abbiamo prodotto sostanze chimiche specifiche in seguito all’espressione di un certo gene, ma poi abbiamo smesso a causa dello stress o di qualche malattia che lo ha spento, forse possiamo riattivarlo, perché il nostro corpo sa già come farlo grazie alle esperienze precedenti. (Tieniti informato sulle ricerche che possono dimostrarlo.) Vediamo come avviene questo processo. Le ricerche neurologiche dimostrano una cosa davvero straordinaria: se una persona continua a prendere la medesima sostanza, il suo cervello attiva sempre i medesimi circuiti nello stesso modo, memorizzando l’effetto di ciò che assume. L’individuo può farsi condizionare dall’effetto di una particolare pillola o iniezione associandola a un cambiamento interno familiare, frutto di esperienze passate. A causa di questo tipo di condizionamento, quando prende un placebo, si attivano gli stessi circuiti preconfigurati che vengono innescati con l’assunzione del farmaco. Una memoria associativa induce un programma subconscio a stabilire una connessione tra la pillola o l’iniezione e il cambiamento ormonale nel corpo. Dopodiché, il programma segnala automaticamente all’organismo di produrre le sostanze chimiche contenute nel farmaco. Non è sorprendente?
41. F. Benedetti, H. S. Mayberg, T. D. Wager, et al., “Neurobiological Mechanisms of the Placebo Effect”, Journal of Neuroscience, vol. 25, n. 45: pp. 10390–10402 (2005). 42. F. Benedetti, M. Amanzio, S. Baldi, et al., “Inducing Placebo Respiratory Depressant Responses in Humans via Opioid Receptors”, European Journal of Neuroscience, vol. 11, n. 2: pp. 625–631 (1999). 73
La ricerca di Benedetti chiarisce molto bene un altro aspetto: i diversi tipi di trattamento placebo sono più o meno efficaci a seconda degli scopi. Per esempio, nello studio sul Sumatriptan, dire ai pazienti che il placebo avrebbe funzionato non ha influito sulla produzione dell’ormone della crescita. Se usiamo il placebo per determinare risposte fisiologiche inconsce attraverso la memoria associativa (per esempio per secernere ormoni o modificare il funzionamento del sistema immunitario), il condizionamento dà ottimi risultati, mentre bastano un suggerimento o l’aspettativa a renderlo efficace, se lo utilizziamo per modificare reazioni più consapevoli (come alleviare il dolore o attenuare la depressione). Quindi, come sottolineò Benedetti, non esiste una sola risposta al placebo, ma diverse. IL DOMINIO DELLA MENTE SULLA MATERIA È NELLE TUE MANI Una svolta incredibile nella ricerca sul placebo si verificò grazie a uno studio pilota condotto nel 2010 da Ted Kaptchuk dell’Università di Harvard, specializzato in medicina orientale, per dimostrare che i placebo funzionavano anche quando le persone erano consapevoli di assumerlo.43 Nello studio, Kaptchuk e i suoi colleghi somministrarono un placebo a quaranta pazienti affetti da sindrome dell’intestino irritabile. Ciascun paziente ricevette un flacone recante l’inequivocabile dicitura “pillole placebo”, e fu spiegato loro che il flacone conteneva “pillole placebo simili a caramelle realizzate con una sostanza inerte che, secondo quanto dimostrato dagli studi clinici, produceva un miglioramento significativo dei sintomi della sindrome da cui erano affetti, attraverso processi di autoguarigione.” Un secondo gruppo di quaranta pazienti con lo stesso problema, a cui non veniva somministrata alcuna pillola, servì da gruppo di controllo.
43. T. J. Kaptchuk, E. Friedlander, J. M. Kelley, et al., “Placebos Without Deception: A Randomized Controlled Trial in Irritable Bowel Syndrome”, PLOS ONE, vol. 5, n. 12: p. e15591 (2010). 74
Dopo tre settimane, il gruppo che stava assumendo il placebo riportò un’attenuazione dei sintomi nel doppio dei casi rispetto al gruppo non trattato; una differenza che secondo Kaptchuk era paragonabile all’effetto dei migliori farmaci per quella condizione. Questi pazienti non erano stati indotti con l’inganno ad autoguarirsi. Sapevano perfettamente di non assumere alcun farmaco; tuttavia, dopo aver appreso che i placebo potevano alleviare i sintomi, hanno creduto in un esito positivo indipendentemente dalla causa e il loro corpo è stato influenzato a produrre quel risultato. Intanto, nelle attuali ricerche sul rapporto tra corpo e mente, si sta sviluppando un filone parallelo di studi che esamina l’effetto dell’atteggiamento, delle percezioni e delle credenze, dimostrando che anche risultati in apparenza concreti, come i benefici fisici dell’attività motoria, possono essere influenzati dalle convinzioni. Ne è un perfetto esempio uno studio del 2007 realizzato ad Harvard dalle psicologhe Alia Crum ed Ellen Langer su ottantaquattro cameriere d’albergo.44 All’inizio dello studio, nessuna delle cameriere sapeva che le attività di routine svolte nell’ambito del loro lavoro superava la quantità ottimale di attività fisica quotidiana (trenta minuti) raccomandata dal Surgeon General [Ndr: Portavoce per la salute pubblica nel governo federale degli Stati Uniti]. In realtà, il 67 per cento delle donne riferì ai ricercatori di non svolgere un’attività fisica regolare, e il 37 per cento dichiarò di non praticarla affatto. Dopo questa valutazione iniziale, Crum e Langer suddivisero le cameriere in due gruppi. Illustrarono al primo gruppo la correlazione tra la loro attività e il numero di calorie bruciate, aggiungendo che, svolgendo il lavoro di cameriere, facevano attività fisica in quantità più che sufficiente. Queste informazioni non vennero divulgate alle donne appartenenti al secondo gruppo, che lavoravano in alberghi diversi dal primo, e che quindi non avrebbero potuto apprenderle parlando con le altre cameriere.
44. A. J. Crum and E. J. Langer, “Mind-Set Matters: Exercise and the Placebo Effect”, Psychological Science, vol. 18, no. 2: pp. 165–171 (2007). 75
Un mese dopo, le ricercatrici scoprirono che il primo gruppo aveva perso in media un chilo, la percentuale di grasso corporeo si era ridotta e la pressione sistolica si era abbassata mediamente di dieci punti, sebbene nessuna delle cameriere avesse svolto alcuna attività fisica supplementare al di fuori del lavoro, né avesse cambiato abitudini alimentari. Le donne dell’altro gruppo, pur svolgendo lo stesso lavoro del primo, non subirono alcun cambiamento. I risultati richiamano quelli di uno studio analogo condotto in Quebec, dove un gruppo di quarantotto giovani partecipò a un programma di attività aerobica di dieci settimane, frequentando tre sessioni di allenamento di novanta minuti a settimana.45 I ragazzi furono divisi in due gruppi. Gli istruttori comunicarono ai soggetti del primo gruppo (quello sperimentale) che lo studio era stato appositamente ideato per migliorare sia la loro capacità aerobica sia il loro benessere psicologico. Agli altri, invece, che costituivano il gruppo di controllo, furono menzionati solo i benefici fisici dell’attività motoria. Al termine delle dieci settimane, i ricercatori scoprirono che tutti i soggetti avevano incrementato la capacità aerobica, ma solo quelli del gruppo sperimentale avevano riferito un significativo aumento dell’autostima (un parametro del benessere). Questi studi dimostrano che la consapevolezza può esercitare di per sé un effetto fisico importante sul corpo e sulla salute. Ciò che apprendiamo, il linguaggio che usiamo per descrivere le nostre esperienze e il significato attribuito alle spiegazioni che ci vengono offerte sono tutti fattori che influiscono sulla nostra intenzione; quando agiamo con maggior intenzione, otteniamo risultati migliori. Insomma, più cose impari sul “cosa” e sul “perché”, più il “come” diventa semplice ed efficace. (Mi auguro che il libro faccia altrettanto con te: più conoscenze avrai su cosa stai facendo e perché, migliori saranno i risultati che otterrai.)
45. R. Desharnais, J. Jobin, C. Côté, et al., “Aerobic Exercise and the Placebo Effect: A Controlled Study”, Psychosomatic Medicine, vol. 55, n. 2: pp. 149– 154 (1993). 76
Attribuiamo un significato anche a fattori più irrilevanti, come il colore della medicina che prendiamo e la quantità di pillole che ingeriamo, come dimostra uno studio datato ma diventato un classico, condotto all’Università di Cincinnati. In questo studio, i ricercatori somministrarono a cinquantasette studenti di medicina una o due capsule rosa o blu. Erano tutte inerti, ma agli studenti fu comunicato che quelle rosa erano eccitanti e quelle blu calmanti.46 I ricercatori riportarono quanto segue: “Due capsule produssero cambiamenti più evidenti di una, e le capsule blu furono associate a effetti calmanti maggiori rispetto alle capsule rosa.” Infatti, gli studenti stimarono che le pillole blu erano due volte e mezzo più efficaci come calmanti di quelle rosa, anche se erano tutte placebo. Ricerche più recenti dimostrano che le convinzioni e le percezioni possono influenzare anche i punteggi delle prestazioni mentali nei test standardizzati. In uno studio condotto nel 2006 in Canada, a duecentoventi studentesse vennero presentati rapporti di ricerca fasulli che attribuivano agli uomini un vantaggio del 5 per cento sulle donne nelle prestazioni matematiche.47 Le ragazze furono divise in due gruppi: un gruppo aveva letto che il vantaggio era dovuto a fattori genetici scoperti di recente; l’altro che il vantaggio risultava dal modo in cui gli insegnanti seguivano degli stereotipi nel modo di trattare le bambine e i bambini nella scuola elementare. Poi, i due gruppi ricevettero un test di matematica. Le studentesse che avevano letto del vantaggio genetico degli uomini ottennero un punteggio inferiore rispetto alle ragazze dell’altro gruppo, che avevano appreso che la superiorità maschile era dovuta agli stereotipi. In altre parole, quando le donne furono indotte a pensare che il loro svantaggio fosse inevitabile, si sono comportate come se si trovassero davvero in una condizione di inferiorità. Un effetto simile è stato documentato negli studenti afroamericani, che hanno storicamente ottenuto risultati inferiori rispetto ai bian46. B. Blackwell, S. S. Bloomfield, and C. R. Buncher, “Demonstration to Medical Students of Placebo Responses and Non-drug Factors”, Lancet, vol. 299, n. 7763: pp. 1279–1282 (1972). 47. I. Dar-Nimrod and S. J. Heine, “Exposure to Scientific Theories Affects Women’s Math Performance”, Science, vol. 314, n. 5798: p. 435 (2006). 77
chi nei test lessicali, di lettura e di matematica, anche quando la provenienza socio-economica non rientrava tra le variabili considerate. Infatti, mediamente gli studenti neri ottengono punteggi inferiori del 70/80 per cento rispetto agli studenti bianchi loro coetanei nella maggior parte dei test standardizzati.48 Claude Steele, docente di psicologia sociale presso l’Università di Stanford, spiega che la causa sta nella cosiddetta “minaccia dello stereotipo”. La sua ricerca dimostra che gli studenti appartenenti a gruppi bollati con uno stereotipo negativo realizzano prestazioni peggiori quando pensano che i loro punteggi verranno valutati alla luce di quello stereotipo, rispetto a quando non sentono tale pressione.49 Nello studio di riferimento di Steele, condotto insieme al dottor Joshua Aronson, i ricercatori sottoposero gli studenti del secondo anno di Stanford a una serie di test di ragionamento verbale. Alcuni studenti ricevettero istruzioni che attivarono lo stereotipo secondo cui i neri ottengono punteggi inferiori rispetto ai bianchi: fu detto loro che il test che stavano per svolgere mirava a misurare le loro capacità cognitive, mentre agli altri l’esame fu descritto come uno strumento di ricerca poco rilevante. Nel gruppo in cui era stato innescato lo stereotipo, i neri ottennero punteggi inferiori rispetto ai bianchi che avevano preso voti simili ai loro in precedenza. Quando invece lo stereotipo non era attivo, le prestazioni dei neri e dei bianchi con voti pregressi simili furono equivalenti, dimostrando la notevole rilevanza dell’innesco, o priming. Il priming si verifica quando una persona, un luogo o una cosa nel nostro ambiente (per esempio, durante un test) fa scattare tutta una serie di associazioni che sono presenti nel nostro cervello (nel caso specifico, si è indotti a pensare che chi valuta il test pensa che gli studenti neri ottengano punteggi inferiori rispetto ai bianchi), portandoci ad agire in determinati modi (non prendere voti alti), senza essere consapevoli di ciò che facciamo. Si parla di priming 48. C. Jencks and M. Phillips, eds., The Black-White Test Score Gap. Brookings Institution Press, 1998. 49. C. M. Steele and J. Aronson, “Stereotype Threat and the Intellectual Test Performance of African Americans”, Journal of Personality and Social Psychology, vol. 69, n. 5: pp. 797–811 (1995). 78
perché il processo è simile all’adescamento di una pompa. L’acqua deve essere già presente nel sistema di pompaggio affinché venga convogliata all’esterno. Nell’esempio che abbiamo visto, l’idea o la convinzione che dagli studenti neri ci si aspetta un punteggio inferiore rispetto ai bianchi è come l’acqua già presente nel sistema: è lì da sempre. Quando fai qualcosa per stimolare il sistema (azioni la leva della pompa o svolgi il test), scateni i pensieri, le emozioni e i comportamenti correlati, producendo esattamente ciò che si ritiene debba uscire dall’impianto: acqua, nel caso di una pompa; punteggi più bassi, nel caso di un test. Riflettiamoci sopra un attimo: la maggior parte dei comportamenti automatici che il priming suscita è il frutto di una programmazione inconscia o subconscia che, per lo più, avviene dietro le quinte della nostra consapevolezza. Ciò significa che siamo indotti a comportarci in maniera inconscia di continuo, senza nemmeno rendercene conto? Steele replicò questo effetto anche con altri gruppi stereotipati. Sottopose a un test di matematica un gruppo costituito da uomini bianchi e asiatici brillanti in matematica; i bianchi a cui fu detto che gli asiatici erano più bravi non ottennero gli stessi buoni risultati dei bianchi del gruppo di controllo, che non erano stati avvisati di questo. Esperimenti condotti su studentesse abilissime in matematica mostrarono risultati simili. Ancora una volta, gli studenti prendevano voti più bassi quando si aspettavano inconsciamente di ottenere punteggi inferiori. La ricerca di Steele nasconde un significato molto profondo: quello che siamo condizionati a credere di noi stessi, e quello che ci aspettiamo che gli altri pensino di noi, influenza le nostre prestazioni, compreso il successo da noi raggiunto. Accade lo stesso con il placebo: quando prendiamo una pillola, siamo condizionati ad aspettarci delle conseguenze, le stesse che pensiamo si attenda chi ci sta intorno (medici compresi). Ciò influenza le reazioni del nostro corpo alla pillola. È possibile che molti farmaci o persino gli interventi chirurgici risultino più efficaci perché siamo indotti, educati e condizionati a credere nei loro effetti, ma se invece non fosse per l’effetto placebo, essi non sarebbero altrettanto validi, o addirittura non lo sarebbero affatto? 79
PUOI ESSERE IL TUO PLACEBO? Due recenti studi dell’Università di Toledo fanno luce su come la mente sia in grado di per sé di determinare ciò che percepiamo e sperimentiamo.50 Per ogni studio, i ricercatori hanno suddiviso un gruppo di volontari sani in due categorie (ottimisti e pessimisti), a seconda delle risposte date a un questionario diagnostico. Nel primo studio, hanno somministrato ai soggetti un placebo, dicendo che si trattava di un farmaco che li avrebbe fatti stare male. I pessimisti hanno avuto una reazione negativa più forte alla pillola rispetto agli ottimisti. Anche nel secondo studio, i ricercatori hanno somministrato un placebo, spiegando ai soggetti interessati che li avrebbe aiutati a dormire meglio. Gli ottimisti hanno riferito di aver riposato molto meglio dei pessimisti. Gli ottimisti sono stati dunque più propensi a rispondere in modo positivo al suggerimento che qualcosa li avrebbe fatti stare meglio, perché indotti a sperare nel miglior scenario potenziale. I pessimisti invece sono stati più propensi a reagire in modo negativo al suggerimento che qualcosa li avrebbe fatti stare peggio, perché consapevolmente o inconsapevolmente si aspettavano il peggior risultato possibile. È come se gli ottimisti avessero creato le sostanze chimiche specifiche per dormire meglio, mentre i pessimisti avessero creato una riserva di sostanze che li ha fatti stare male. In altre parole, a parità di ambiente, chi ha un atteggiamento mentale positivo tende a creare situazioni positive, mentre chi ha una mentalità negativa tende a creare circostanze negative. Questo è il miracolo della nostra personale ingegneria biologica, dotata di libero arbitrio. Anche se non sappiamo con esattezza quante guarigioni siano dovute all’effetto placebo (l’articolo di Beecher del 1955 citato in precedenza sosteneva che la percentuale fosse del 35 per cento, ma la 50. A. L. Geers, S. G. Helfer, K. Kosbab, et al., “Reconsidering the Role of Personality in Placebo Effects: Dispositional Optimism, Situational Expectations, and the Placebo Response”, Journal of Psychosomatic Research, vol. 58, n. 2: pp. 121–127 (2005); A. L. Geers, K. Kosbab, S. G. Helfer, et al., “Further Evidence for Individual Differences in Placebo Responding: An Interactionist Perspective”, Journal of Psychosomatic Research, vol. 62, n. 5: pp. 563–570 (2007). 80
ricerca moderna dimostra che può variare dal 10 al 100 per cento51), il numero globale è senza dubbio molto significativo. Detto questo, dobbiamo chiederci quale sia la percentuale di malattie e patologie ascrivibile agli effetti dei pensieri negativi nel nocebo. Le ultime ricerche scientifiche in ambito psicologico stimano che circa il 70 per cento dei nostri pensieri sono negativi e ridondanti: ciò significa che il numero di malattie create inconsciamente potrebbe essere davvero impressionante, molto più alto di quanto pensiamo.52 Questa idea ha un significato molto profondo, se consideriamo che effettivamente numerosi problemi di salute mentali, fisici ed emotivi sembrino nascere dal nulla. Anche se può sembrare incredibile che la mente sia tanto potente, negli ultimi decenni la ricerca ha rivelato alcune verità lampanti: ciò che pensi si manifesta e, quando si tratta di salute, questo fenomeno è dovuto al vasto assortimento di farmaci presenti nel corpo, che si allineano ai tuoi pensieri in maniera precisa e automatica. Questo dispensario miracoloso attiva le molecole curative naturali che già esistono all’interno del corpo, offrendo svariati composti destinati a suscitare effetti diversi in un numero illimitato di circostanze. Ovviamente, tutto questo porta a chiedersi: come ci riusciamo? I capitoli seguenti spiegano come ciò avvenga a livello biologico e come questa capacità innata possa essere applicata in maniera consapevole e intenzionale per creare la salute (e la vita) che vogliamo.
51. D. R. Hamilton, How Your Mind Can Heal Your Body. Hay House, 2010, p. 19. 52. D. Goleman, B. H. Lipton, C. Pert, et al., Measuring the Immeasurable: The Scientific Case for Spirituality. Sounds True, 2008, p. 196; B. H. Lipton e S. Bhaerman, Evoluzione spontanea: scopri il nostro futuro positivo e il percorso per ottenerlo. Macro edizioni, 2010. 81
CAPITOLO 3 L’ E F F E T T O P L A C E B O NEL CER VELLO Se hai letto il mio libro Cambia l’abitudine di essere te stesso (My Life), scoprirai che questo capitolo passa in rassegna molti degli argomenti lì trattati. Se pensi di avere già una buona conoscenza di queste informazioni, puoi saltarlo o sfogliarlo velocemente per rispolverare quei concetti in base alle tue esigenze. Nel dubbio, ti consiglio di leggerlo, perché una conoscenza approfondita di ciò che viene illustrato in questa parte è indispensabile per comprendere a fondo i capitoli successivi. Come dimostrano le storie esposte nei capitoli precedenti, quando cambiamo stato d’animo, il corpo risponde a un nuovo modo di pensare. Perciò per cambiare modo d’essere, dobbiamo innanzitutto modificare i nostri pensieri. Avendo un proencefalo dalle dimensioni enormi, noi esseri umani abbiamo il privilegio di poter rendere il pensiero reale più di qualsiasi altra cosa; ed è così che agisce il placebo. Per capire come si svolge il processo, è fondamentale esaminare e rivedere tre elementi fondamentali: il condizionamento, l’aspettativa e il significato. Come vedrai, questi tre concetti cooperano nell’orchestrare la risposta al placebo. Ho spiegato il condizionamento, il primo elemento, commentando le scoperte di Pavlov nel capitolo precedente. Per riassumere, il condizionamento si verifica quando associamo un ricordo passato (per esempio, prendere un’aspirina) a un cambiamento fisiologico (liberarsi del mal di testa), perché lo abbiamo fatto molte altre volte. Pensala in questi termini: se ti accorgi di avere mal di testa, in sostanza ti rendi conto che nel tuo ambiente interno sta avvenendo un cambiamento fisiologico (avverti dolore). Il passo successivo consiste nel cercare qualcosa nel tuo mondo esterno (in questo caso, l’aspirina) che crei un trasformazione nel tuo ambiente interno. Potremmo dire che è il tuo stato interno (provare 82
dolore) a spingerti a ricordare le scelte che hai fatto in passato, le azioni che hai compiuto o le esperienze che hai vissuto nella tua realtà esterna per cambiare la sensazione provata (prendere un’aspirina e ricevere sollievo). Così lo stimolo, o spunto, proveniente dall’ambiente esterno, denominato aspirina, crea un’esperienza specifica. Quando questa esperienza produce una risposta fisiologica o ricompensa, modifica il tuo ambiente interno. Nel momento in cui noti il cambiamento, presti attenzione a ciò che lo ha provocato nel tuo ambiente esterno. L’evento specifico (quando un fattore esterno cambia qualcosa dentro di te) prende il nome di “ricordo associativo”. Se continuiamo a ripetere il processo più e più volte, per associazione, lo stimolo esterno può rafforzarsi al punto che, sostituendo il farmaco con una pillola di zucchero simile all’aspirina, otteniamo una reazione interna automatica (riduzione del dolore causato dal mal di testa). Questo è uno dei modi in cui funziona il placebo. Le figure 3.1A, 3.1B e 3.1C illustrano il processo di condizionamento. L’aspettativa, il secondo elemento, entra in gioco quando abbiamo ragione di prevedere un risultato diverso. Se per esempio accusiamo dolore cronico provocato da artrite e il medico ci prescrive un nuovo farmaco, spiegandoci con entusiasmo che dovrebbe alleviare il dolore, accettiamo il suo suggerimento e ci aspettiamo che, assumendolo, accadrà qualcosa di diverso (non accuseremo più dolore). In questo modo il medico influenza il nostro grado di suggestionabilità. Dopo essere diventati più suggestionabili, associamo un fattore esterno (il nuovo farmaco) alla selezione di una possibilità diversa (essere liberi dal dolore). Nella nostra mente, scegliamo un futuro potenziale diverso, sperando, prevedendo e aspettandoci di ottenere quel risultato differente. Se a livello emotivo accettiamo e abbracciamo il nuovo risultato selezionato, e l’intensità dell’emozione che proviamo è abbastanza forte, il cervello e il corpo non faranno differenza tra l’aver immaginato di essere passati a un nuovo stato d’essere, caratterizzato dall’assenza di dolore, e l’evento reale che ha provocato quel passaggio. Per il cervello e il corpo, essi sono la stessa cosa. 83
CONDIZIONAMENTO
Figura 3.1 Nella figura 3.1A, uno stimolo produce un cambiamento fisiologico denominato risposta o ricompensa. La figura 3.1B mostra che, associando uno stimolo a uno stimolo condizionato un numero sufficiente di volte, si genera ancora una risposta. La figura 3.1C mostra che rimuovendo lo stimolo e sostituendolo con uno stimolo condizionato (come un placebo) si può ottenere la stessa risposta fisiologica.
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Di conseguenza, il cervello attiva gli stessi circuiti neurali che innescherebbe se il nostro stato fosse cambiato (ovvero se il farmaco avesse alleviato il dolore), rilasciando le stesse sostanze chimiche nel corpo. Quello che ci aspettiamo (non provare più dolore) di fatto accade, perché il cervello e il corpo creano la perfetta combinazione di farmaci per modificare la nostra condizione interna. Entriamo in un nuovo stato d’essere, ossia mente e corpo agiscono come un tutt’uno. Siamo dotati di questo immenso potere. Assegnare al placebo un significato, il terzo elemento, contribuisce a renderlo efficace, perché quando infondiamo nuovo senso a un’azione, la sosteniamo con l’intenzione. In altre parole, quando impariamo e comprendiamo qualcosa di nuovo, lo affrontiamo con un’energia più consapevole e intenzionale. Così, per esempio, nello studio esposto nel capitolo precedente, quando le cameriere d’albergo scoprirono quanta attività fisica facevano ogni giorno con il loro lavoro, e furono messe a conoscenza dei suoi benefici, attribuirono più significato a quelle azioni. Si resero conto che non stavano solo passando l’aspirapolvere, strofinando e pulendo con lo straccio, bensì stavano facendo lavorare i muscoli, aumentavano la loro forza e bruciavano calorie. Una volta che quelle azioni ebbero acquisito maggior significato, ovvero dopo che i ricercatori spiegarono loro i vantaggi fisici dell’attività fisica, le cameriere lavorarono non solo con l’intento di eseguire le loro mansioni, ma anche con lo scopo di fare movimento e migliorare la salute. Ed è proprio quello che è successo. I membri del gruppo di controllo non avevano assegnato il medesimo significato ai loro compiti, perché non sapevano che quello che stavano facendo era utile alla loro salute, e quindi non avevano ottenuto gli stessi benefici, pur svolgendo esattamente le medesime azioni. Il placebo agisce in modo identico. Più ritieni che una particolare sostanza, procedura o intervento chirurgico funzionerà perché sei stato informato dei suoi benefici, maggiori saranno le probabilità di star meglio e che la tua salute migliori. In altre parole, se attribuisci più significato a una possibile esperienza legata a una persona, a un luogo o a una cosa nell’ambiente esterno al fine di cambiare quello interno, è molto più probabile che tu riesca a modificare 85
intenzionalmente il tuo stato interno con il solo pensiero. Inoltre, più accetti un nuovo risultato correlato alla tua salute (perché sei stato informato dei possibili benefici di ciò che stai facendo), più il modello che stai creando nella mente sarà chiaro, più riuscirai quindi a indurre il cervello e il corpo a replicarlo fedelmente. In parole povere, più credi nella causa, migliore sarà l’effetto. IL PLACEBO: ANATOMIA DI UN PENSIERO Se l’effetto placebo è una funzione del potere che esercita il pensiero sulla fisiologia (potremmo chiamarlo “dominio della mente sulla materia”), allora forse dovremmo esaminare i pensieri e il modo in cui interagiscono con il cervello e con il corpo. Cominciamo con quelli quotidiani. Siamo creature abitudinarie. Formuliamo qualcosa come sessantamila/settantamila pensieri al giorno53, per il 90 per cento identici a quelli del giorno precedente. Ogni giorno, ci alziamo dalla stessa parte del letto, ripetiamo le solite abitudini in bagno, ci pettiniamo i capelli nel modo consueto, ci sediamo sulla stessa sedia e facciamo la solita colazione tenendo la tazza sempre nella stessa mano, percorriamo lo stesso itinerario per raggiungere il consueto posto di lavoro e facciamo le solite cose che ormai sappiamo fare bene rapportandoci sempre con le stesse persone (che ogni volta premono sugli stessi tasti emotivi). Infine ci affrettiamo a casa così possiamo cenare velocemente e guardare i nostri programmi TV preferiti, per poi correre a lavarci i denti, ripetendo la stessa routine serale e precipitandoci a letto alla solita ora per ripetere tutto daccapo il giorno seguente. Se le mie parole lasciano intendere che viviamo gran parte della nostra vita con il pilota automatico, sappi che le cose stanno proprio così. Formulare gli stessi pensieri ci porta a compiere le stesse scelte. Compiere le stesse scelte ci porta a tenere gli stessi comportamenti. 53. A. Vickers, People v. the State of Illusion, diretto da S. Cervine (Phoenix, AZ: Exalt Films, 2012), film; vedi anche Laboratory of Neuro Imaging, University of California, Los Angeles, http://www.loni.usc.edu/about_loni/education/brain_trivia.php. 86
Tenere gli stessi comportamenti ci porta a creare le stesse esperienze. Creare le stesse esperienze ci porta a produrre le stesse emozioni. E quelle stesse emozioni determinano gli stessi pensieri. Dai un’occhiata alla Figura 3.2 e segui la sequenza sul come gli stessi pensieri creino sempre la stessa realtà.
Figura 3.2. Come creiamo la stessa realtà con il solo pensiero.
Il risultato di questo processo conscio o inconscio è che il tuo stato fisiologico rimane invariato. Il cervello e il corpo non cambiano in alcun modo, perché formuli gli stessi pensieri, svolgi le medesime azioni e vivi secondo emozioni sempre uguali, anche se segretamente speri che la tua vita cambi. Crei la stessa attività cerebrale che attiva i soliti circuiti cerebrali e riproduce la stessa chimica nel cervello, che a sua volta influisce in modo identico sulla chimica del corpo, la quale segnala i medesimi geni con le consuete modalità. E la stessa espressione genica crea le stesse proteine, i mattoni delle 87
cellule, che mantengono il corpo inalterato (andrò nello specifico delle proteine in seguito). E poiché l’espressione delle proteine è l’espressione della vita o della salute, la tua vita e la tua salute rimangono inalterate. Ora analizza la tua esistenza per un attimo. Cosa significa tutto questo per te? Se oggi formuli gli stessi pensieri di ieri, è più che probabile che farai scelte identiche. Le scelte di oggi porteranno agli stessi comportamenti domani. I comportamenti abituali di domani produrranno le stesse esperienze nel tuo futuro. Gli eventi nella tua realtà futura creeranno emozioni sempre uguali e prevedibili. E di conseguenza, proverai le stesse sensazioni ogni giorno. Il tuo ieri diventa il tuo domani e, di fatto, il passato è il tuo futuro. Se concordi con me fino a questo punto, allora potremmo dire che la sensazione familiare che ho appena descritto sei “tu”: la tua identità o la tua personalità. È il tuo modo d’essere. È rassicurante, non richiede sforzo ed è automatico. È il “tu” noto che, in tutta franchezza, vive nel passato. Se porti avanti questo processo ridondante ogni giorno (perché ti svegli la mattina e prevedi e ricordi la sensazione di “essere te” ogni giorno), con l’andare del tempo quel modo d’essere conosciuto non può che provocare gli stessi pensieri che ti indurranno a ricadere nel medesimo ciclo automatico di scelte, comportamenti ed esperienze per arrivare di nuovo a quella sensazione familiare che identifichi con “te”, lasciando invariata la tua personalità. Se questa è la tua personalità, allora la tua personalità crea la tua realtà personale. È molto semplice. La tua personalità è il risultato del tuo modo di pensare, agire e sentire. Perciò, la tua personalità presente, che sta leggendo questa pagina, ha creato l’attuale realtà personale che è la tua vita: questo significa che se desideri creare una nuova realtà personale (una nuova vita), devi cominciare a esaminare i pensieri che formuli e cambiarli. Devi prendere coscienza dei comportamenti inconsci che hai deciso di manifestare e che hanno determinato le stesse esperienze, e poi devi fare scelte, azioni ed esperienze nuove. La figura 3.3 mostra come la personalità influenzi la tua realtà personale. 88
LA TUA PERSONALITÀ CREA LA TUA REALTÀ PERSONALE
Figura 3.3. La tua personalità è il risultato del tuo modo di pensare, agire e sentire. È il tuo modo d’essere. Perciò pensieri, azioni e sensazioni sempre uguali ti rendono schiavo della stessa realtà personale del passato. Quando invece con la tua personalità abbracci nuovi pensieri, azioni e sensazioni, crei inevitabilmente una nuova realtà personale nel tuo futuro.
Devi osservare e prestare attenzione a quelle emozioni che hai memorizzato e che guidano la tua vita ogni giorno, e capire se basare la tua esistenza su di esse equivale ad amarti. La maggior parte delle persone cerca di creare una nuova realtà personale mantenendo la vecchia personalità, ma questo metodo non funziona. Per cambiare la tua vita, devi diventare letteralmente un’altra persona. Aggiornati su dati scientifici comprovati a sostegno di questo processo. Guarda la Figura 3.4 e segui la sequenza. Se comprendi questo modello, allora converrai con me che nuovi pensieri dovrebbero portare a nuove scelte. Nuove scelte dovrebbero portare a nuovi comportamenti. Nuovi comportamenti dovrebbero portare a nuove esperienze. Nuove esperienze dovrebbero creare nuove emozioni che, insieme a nuove sensazioni, dovrebbero spingerti a pensare in modo diverso. Questo processo prende il nome di “evoluzione”. La tua realtà personale e la tua biologia (i circuiti cerebrali, la chimica interna, l’espressione genetica e, infine, la salute) dovrebbero cambiare grazie a questa nuova personalità, questo nuovo modo d’essere. Il tutto a partire da un pensiero. 89
Figura 3.4. Come creiamo una nuova realtà con il solo pensiero.
UNA RAPIDA OCCHIATA AL FUNZIONAMENTO DEL CERVELLO Fino a questo punto, ho menzionato termini come circuiti cerebrali, reti neurali, chimica cerebrale ed espressione genetica senza dare molte spiegazioni sul loro significato. Perciò, nella parte restante del capitolo, vorrei illustrare alcune semplici nozioni scientifiche su come il cervello e il corpo collaborino per costruire un modello completo che possa farti comprendere come diventare il tuo placebo. Il cervello è composto per almeno il 75 per cento di acqua, ha la consistenza di un uovo alla coque ed è costituito da circa cento miliardi di cellule nervose, chiamate neuroni, che sono perfettamente disposte e sospese in questo ambiente acquoso. Ogni cellula 90
nervosa assomiglia a una quercia senza foglie, ma elastica, con rami sinuosi e radici che si connettono e disconnettono ad altre cellule nervose. Il numero di connessioni di ciascuna cellula nervosa varia da mille a più di centomila, a seconda del posto che occupa all’interno del cervello. Per esempio, nella neocorteccia (la parte pensante del cervello) avvengono da diecimila a quarantamila connessioni per neurone. Eravamo abituati a pensare al cervello come a un computer ma, pur essendoci delle somiglianze, ora sappiamo che c’è dell’altro. Ogni neurone è un biocomputer a sé stante, con più di sessanta megabyte di RAM. È in grado di elaborare enormi quantità di dati (fino a centinaia di migliaia di funzioni al secondo). Mano a mano che impariamo cose nuove e facciamo esperienze diverse, i neuroni creano nuove connessioni, scambiandosi a vicenda informazioni elettrochimiche. Questi collegamenti vengono denominati “connessioni sinaptiche”, perché il luogo in cui avviene lo scambio di informazioni tra cellule (lo spazio tra il ramo di un neurone e la radice di un altro) si chiama “sinapsi”. Se imparare significa creare nuove connessioni sinaptiche, ricordare equivale a mantenerle attive. In effetti, la memoria è una relazione o connessione di lunga durata tra cellule nervose. La creazione di queste connessioni e i cambiamenti che subiscono nel tempo alterano la struttura fisica del cervello. Mentre il cervello realizza questi cambiamenti, i pensieri producono una miscela di varie sostanze chimiche chiamate neurotrasmettitori (serotonina, dopamina e acetilcolina sono alcuni esempi che probabilmente già conosci). Quando formuliamo dei pensieri, i neurotrasmettitori sul ramo di un neurone attraversano lo spazio sinaptico per raggiungere la radice di un altro neurone. Una volta che questo spazio è stato attraversato, il neurone si attiva per effetto di una scarica elettrica di informazioni. Se formuliamo sempre gli stessi pensieri, il neurone continua ad attivarsi nello stesso modo, rafforzando la relazione tra le due cellule, affinché possano trasmettere il segnale con più facilità alla prossima attivazione. Il cervello fornisce prove concrete che qualcosa non è stato solo appreso, ma anche ricordato. Questo 91
processo di rafforzamento selettivo prende il nome di “potenziamento sinaptico”. Quando giungle di neuroni si attivano all’unisono per sostenere un nuovo pensiero, all’interno della cellula nervosa si crea una nuova sostanza chimica (una proteina) che si fa strada verso il centro, o nucleo, della cellula ed entra nel DNA. Qui attiva diversi geni. Poiché il lavoro dei geni consiste nel produrre proteine che mantengano sia la struttura sia la funzionalità del corpo, la cellula nervosa forma rapidamente una nuova proteina per creare nuovi rami tra le cellule nervose. Di conseguenza, quando ripetiamo un pensiero o un’esperienza un numero sufficiente di volte, le cellule cerebrali non solo rafforzano le connessioni tra di loro (influendo sulle funzioni fisiologiche), ma creano anche un maggior numero di connessioni totali (influendo sulla struttura fisica del corpo). A livello microscopico il cervello appare arricchito. Quindi, appena formuli un nuovo pensiero, realizzi un cambiamento a livello neurologico, chimico e genetico. In effetti, puoi creare migliaia di nuove connessioni nel giro di pochi secondi grazie a nuove conoscenze, modi di pensare diversi ed esperienze mai vissute prima. Questo significa che basta il pensiero per attivare personalmente nuovi geni all’istante. Per farlo, è sufficiente cambiare mentalità; è il dominio della mente sulla materia. Il premio Nobel Eric Kandel ha dimostrato che quando si formano nuovi ricordi, il numero di connessioni sinaptiche nei neuroni sensoriali stimolati raddoppia, arrivando a duemilaseicento. Tuttavia, a meno che l’esperienza di apprendimento iniziale non si ripeta più e più volte, il numero di nuove connessioni ritorna al numero originario (milletrecento) nel giro di sole tre settimane. Perciò, se ripetiamo ciò che impariamo un numero sufficiente di volte, rafforziamo gruppi di neuroni che ci aiuteranno a ricordare quell’informazione la volta successiva. Se non lo facciamo, le connessioni sinaptiche scompariranno in fretta e il ricordo verrà cancellato. È per questo che è importante aggiornare, riesaminare e ricordare continuamente nuovi pensieri, scelte, comportamenti, abitudini, credenze ed esperienze, se vogliamo che si consolidino 92
nel cervello.54 La figura 3.5 ti aiuterà a familiarizzare con i neuroni e le reti neurali. RETE NEURALE
Figura 3.5. Questa è una semplice rappresentazione grafica dei neuroni in una rete neurale. Lo spazio piccolissimo tra i rami dei singoli neuroni che ne agevola la comunicazione prende il nome di “spazio sinaptico” (o fessura intersinaptica). Circa centomila neuroni con più di un miliardo di interconnessioni occupano lo spazio di un granello di sabbia.
Per avere un’idea di quanto sia davvero vasto questo sistema, immagina una cellula nervosa collegata ad altre quarantamila cellule dello stesso tipo. Poniamo che essa elabori centomila bit di informazioni al secondo, condividendole con altri neuroni, che a loro volta ne elaborano altrettanti. Questa rete, formata da gruppi di neuroni che lavorano insieme, prende il nome di “rete neurale”. Le reti neurali formano comunità di connessioni sinaptiche, che possiamo anche definire neurocircuiti. 54. L. R. Squire ed E. R. Kandel, Come funziona la memoria: meccanismi molecolari e cognitivi. Zanichelli, 2010; vedi anche D. Church, The Genie in Your Genes: Epigenetic Medicine and the New Biology of Intention. Elite Books, 2007, p. 94. 93
Così come avvengono cambiamenti fisici nelle cellule nervose che compongono la materia grigia del cervello, anche l’hardware fisico del cervello cambia, adattandosi alle informazioni che riceve dall’ambiente. Lo stesso avviene per i neuroni che sono selezionati e indotti a organizzarsi in queste immense reti capaci di elaborare centinaia di milioni di bit di dati. Con il tempo, ogni volta che si attivano le reti (propagazioni di attività elettrica che convergono e divergono simili a un tremendo temporale in un cielo denso di nuvole), il cervello continua a usare gli stessi sistemi hardware (le reti fisiche neurali), ma crea anche un software (il programma di una rete neurale automatica). È così che i programmi vengono installati nel cervello. L’hardware crea il software, e il sistema software viene incorporato nell’hardware; ogni volta che utilizziamo il software, rafforziamo l’hardware. Se formuli sempre gli stessi pensieri e provi le medesime sensazioni perché non impari né fai nulla di nuovo, il cervello attiva i neuroni e le reti neurali secondo sequenze, schemi e combinazioni sempre identici, trasformandoli in programmi automatici che usi inconsapevolmente ogni giorno. Hai una rete neurale automatica per parlare una lingua, per raderti il viso o truccarti, per scrivere al computer, per giudicare i colleghi di lavoro e così via, perché hai svolto quelle azioni così tante volte che praticamente sono diventate inconsce. Non devi più pensarci consapevolmente e non richiedono alcuno sforzo. Hai rinforzato quei circuiti così tante volte da averli fissati. Le connessioni tra i neuroni diventano più strette, si formano circuiti aggiuntivi e i rami si espandono diventando fisicamente più robusti (proprio come se stessi rafforzando e consolidando un ponte, costruendo nuove strade o allargando una superstrada per accogliere più traffico). Uno dei principi fondamentali della neuroscienza afferma: “Le cellule nervose che si attivano insieme si programmano insieme.”55 Attivando il cervello più e più volte nello stesso modo, riproduci lo 55. Nota anche come regola di Hebb o legge di Hebb; vedi D. O. Hebb, L’organizzazione del comportamento. F. Angeli, 1975. 94
stesso livello mentale. Secondo la neuroscienza, la mente è cervello in azione o al lavoro. Quindi, possiamo dire che se ricordi a te stesso chi pensi di essere ogni giorno riproducendo la stessa disposizione mentale, induci il cervello ad accendersi nello stesso modo e attivi le medesime reti neurali per anni e anni. Intorno ai trent’anni, il cervello si è organizzato in una configurazione predefinita di programmi automatici, secondo uno schema fisso che corrisponde alla tua identità. Immaginala come una scatola all’interno del cervello. Ovviamente, non c’è nessuna scatola nella tua testa, ma è un’immagine efficace per spiegare il concetto: dire che i tuoi pensieri sono all’interno della scatola significa che hai configurato fisicamente il cervello secondo un modello limitato, come illustrato nella Figura 3.6. Riproducendo di continuo lo stesso livello mentale, il gruppo di circuiti innescati e attivati più spesso in senso neurologico predetermina chi sei, come risultato spontaneo della tua volontà. NEURORIGIDITÀ
Figura 3.6. Se pensieri, scelte, comportamenti, esperienze e stati emotivi rimangono inalterati per anni (e gli stessi pensieri corrispondono sempre alle stesse sensazioni, rafforzando questo ciclo infinito), allora il tuo cervello assume una configurazione predefinita. Questo avviene perché riproduci la stessa disposizione mentale ogni giorno, inducendo il cervello ad attivarsi secondo schemi sempre identici. Nel tempo, ciò rafforza biologicamente un insieme specifico e limitato di reti neurali, predisponendo fisicamente il cervello a creare lo stesso livello mentale; questo significa “pensare nella scatola”. L’insieme di questi circuiti configurati prende il nome di identità.
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NEUROPLASTICITÀ Il nostro obiettivo, quindi, è pensare fuori dalla scatola, ovvero in modo non convenzionale, per attivare il cervello in modi nuovi, come illustrato nella Figura 3.7. Ecco cosa significa avere una mente aperta: ogni volta che fai lavorare il cervello in modo diverso, cambi letteralmente mente. NEUROPLASTICITÀ
Figura 3.7. Quando impari cose nuove e cominci a pensare in modo diverso, accendi il cervello secondo sequenze, schemi e combinazioni insoliti, il che significa attivare una vasta gamma di reti neurali secondo nuove modalità. E ogni volta che fai lavorare il cervello in modo diverso, cambi la mente. Quando inizi a “pensare fuori dalla scatola”, nuovi pensieri portano a nuove scelte, a nuovi comportamenti, a nuove esperienze e a nuove emozioni, e anche la tua identità inizia a cambiare.
Le ricerche dimostrano che il cervello cresce e cambia mano a mano che lo usiamo grazie alla neuroplasticità: la capacità di adattarsi e cambiare quando apprendiamo nuove informazioni. Per esempio, quanto più a lungo i matematici studiano matematica, tanto più numerosi sono i rami neurali nella zona del cervello preposta al calcolo.56 E dopo anni di esibizioni sinfoniche e orchestrali, i musicisti 56. K. Aydin, A. Ucar, K. K. Oguz, et al., “Increased Gray Matter Density in the Parietal Cortex of Mathematicians: A Voxel-Based Morphometry Study”, American Journal of Neuroradiology, vol. 28, n. 10: pp. 1859–1864 (2007). 96
professionisti espandono la parte del cervello associata al linguaggio e alle abilità musicali.57 I termini scientifici ufficiali per spiegare il funzionamento della neuroplasticità sono “pruning” (potatura) e “sprouting” (gemmazione), intesi nella loro accezione letterale: sbarazzarsi di un certo numero di connessioni, modelli e circuiti neurali e crearne di nuovi. In un cervello ben funzionante, questo processo avviene nel giro di pochi secondi. I ricercatori dell’Università della California di Berkeley hanno dimostrato il fenomeno in uno studio condotto su topi di laboratorio. Hanno scoperto che i topi che vivono in un ambiente arricchito (condividendo la gabbia con fratelli e figli, e con la possibilità di accedere a vari giocattoli) hanno cervelli più grandi e con un maggior numero di neuroni e connessioni rispetto ai topi che vivono in ambienti meno stimolanti.58 Ancora una volta, quando impariamo cose nuove e facciamo nuove esperienze, cambiamo letteralmente il nostro cervello. Liberarsi dalle catene della programmazione predefinita e dai condizionamenti che non ci fanno cambiare richiede uno sforzo notevole. Occorre anche una buona dose di conoscenza, perché quando apprendi informazioni essenziali su di te o sulla tua vita, realizzi uno schema del tutto nuovo nel ricamo tridimensionale della tua materia grigia. Ora disponi di più materie prime per far funzionare il cervello in modi nuovi e diversi. Cominci a pensare e a percepire la realtà in un altro modo, perché inizi a vedere la vita attraverso il filtro di una mente nuova.
57. V. Sluming, T. Barrick, M. Howard, et al., “Voxel-Based Morphometry Reveals Increased Gray Matter Density in Broca’s Area in Male Symphony Orchestra Musicians”, NeuroImage, vol. 17, n. 3: pp. 1613–1622 (2002). 58. M. R. Rosenzweig and E. L. Bennett, “Psychobiology of Plasticity: Effects of Training and Experience on Brain and Behavior”, Behavioural Brain Research, vol. 78, n. 1: pp. 57–65 (1996); E. L. Bennett, M. C. Diamond, D. Krech, et al., “Chemical and Anatomical Plasticity Brain”, Science, vol. 146, no. 3644: pp. 610–619 (1964). 97
ATTRAVERSARE IL FIUME DEL CAMBIAMENTO A questo punto, capisci che per cambiare devi prendere coscienza del tuo sé inconscio che, ora lo sai, è solo un insieme di programmi preconfigurati. La parte più complicata del cambiamento consiste nell’evitare di ripetere le stesse scelte che abbiamo fatto il giorno prima. La difficoltà sta nel fatto che ci sentiamo a disagio quando smettiamo di formulare gli stessi pensieri che ci portano a scelte identiche, a comportamenti automatici, a vivere i medesimi eventi e a riaffermare le emozioni tipiche della nostra identità. Questo nuovo stato d’essere è sconosciuto, ignoto. Non ci appare “normale”. Non ci sentiamo più noi, perché non lo siamo più. E dato che tutto sembra incerto, non riusciamo più a prevedere la sensazione del sé familiare e come si rispecchia nella nostra vita. Per quanto spiacevole possa essere all’inizio, è in quel momento che sappiamo di essere entrati nel fiume del cambiamento, nell’ignoto. Non appena smettiamo di essere il nostro vecchio io, dobbiamo oltrepassare lo spazio che ci separa dal nuovo io, come risulta chiaramente dalla Figura 3.8. In altre parole, assumere una nuova personalità non è una questione di pochi istanti. Ci vuole tempo. Di solito, quando una persona attraversa il fiume del cambiamento, ovvero quello spazio vuoto che separa il vecchio io dal nuovo, si sente talmente a disagio che decide di tornare subito indietro. Inconsciamente pensa: “Non lo trovo giusto, sono a disagio, non mi sento bene.” Nel momento in cui accetta questo pensiero o autosuggestione (si lascia suggestionare dai suoi stessi pensieri), torna a fare le solite vecchie scelte, che innescano una sequenza di comportamenti abituali. Essi, a loro volta, determinano le stesse esperienze, che automaticamente suscitano le medesime emozioni e sensazioni. Dopodiché, la persona dirà tra sé: “Lo trovo giusto.” Ma in realtà intende “familiare”. Quando comprendiamo che attraversare il fiume del cambiamento e provare quella sensazione di disagio corrispondono alla morte biologica, neurologica, chimica e persino genetica del vecchio io, 98
possiamo controllare il cambiamento e volgere lo sguardo verso la riva opposta. Dobbiamo accettare il fatto che il cambiamento è la denaturazione del circuito innescato da anni di pensieri inconsci sempre identici. Se comprendiamo che quel disagio è il risultato dello smantellamento di vecchi atteggiamenti, convinzioni e percezioni impressi nella nostra architettura cerebrale, possiamo tenere duro. I desideri che contrastiamo nel bel mezzo del cambiamento sono vere e proprie crisi di astinenza da dipendenze chimico-emozionali del corpo: se ne diventiamo consapevoli, possiamo superarle. Se capiamo che abitudini e comportamenti subconsci lasciano il posto a modificazioni biologiche che cambiano il nostro corpo a livello cellulare, possiamo continuare e andare avanti. E se teniamo presente che stiamo modificando i geni che ci sono stati donati da questa vita e da imprecisate generazioni passate, possiamo rimanere concentrati, decisi ad andare fino in fondo. ATTRAVERSARE IL FIUME DEL CAMBIAMENTO
Figura 3.8. Per attraversare il fiume del cambiamento devi abbandonare il sé familiare e prevedibile di sempre (collegato a pensieri, scelte, comportamenti e sensazioni che si ripetono immutate) ed entrare nel vuoto o nell’ignoto. Lo spazio che divide il vecchio io da quello nuovo corrisponde alla morte biologica della vecchia personalità. Se il vecchio io è destinato a morire, devi crearne uno nuovo con pensieri, scelte, comportamenti ed emozioni che non hai mai sperimentato prima. Entrando in questo fiume, ti avvii verso uno nuovo io, sconosciuto e imprevedibile. L’ignoto è l’unico luogo in cui puoi creare; non puoi farlo attraverso ciò che già conosci.
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Questa esperienza viene spesso definita notte oscura dell’anima. È la fenice che si dà fuoco riducendosi in cenere. Il vecchio io deve morire affinché possa rinascere un nuovo io. È normale sentirsi a disagio! Ma è giusto che sia così, perché l’ignoto è il posto perfetto per creare; è il luogo delle possibilità. Cosa potrebbe esserci di meglio? Molti di noi sono stati condizionati a fuggire dall’ignoto, ma ora dobbiamo imparare a sentirci a nostro agio, anziché temerlo. Se mi dicessi che non ti piace stare in quel vuoto perché ti senti disorientato e non sai quello che ti aspetta visto che non sei più in grado di prevedere il futuro, ti direi che è grandioso, perché il modo migliore per prevedere il futuro è crearlo, ma non a partire da ciò che è noto, bensì dall’ignoto. Con la nascita del nuovo io, cambiamo anche a livello biologico attraverso la gemmazione di nuove connessioni neurali, che vengono sigillate dalla scelta consapevole di pensare e agire in modo nuovo ogni giorno. Per rinforzarle, dobbiamo ripetere le stesse esperienze fino a farle diventare un’abitudine. In tal modo, acquisiamo familiarità con i nuovi stati chimici prodotti dalle emozioni collegate a un numero sufficiente di esperienze. Grazie ai segnali ricevuti, nuovi geni rendono possibile il rinnovamento del nostro modo d’essere attraverso la produzione di nuove proteine. E se, come abbiamo visto, l’espressione delle proteine è l’espressione dell’esistenza, che a sua volta corrisponde alla salute del corpo, allora ne deriverà un nuovo livello di benessere e di vita strutturale e funzionale. Si svilupperanno una mente nuova e un corpo rinnovato. Ora, quando un nuovo giorno spunta dopo la lunga notte di oscurità e la fenice risorge dalle sue ceneri, significa che abbiamo inventato un nuovo io, la cui espressione fisica e biologica implica diventare qualcun altro. È una vera e propria metamorfosi. SUPERARE L’AMBIENTE ESTERNO Visto sotto un’altra ottica, il cervello è organizzato per riflettere tutto ciò che sai e che hai sperimentato nella vita. Ogni volta che hai interagito con il mondo esterno, quegli eventi ti hanno plasmato 100
e modellato facendoti diventare chi sei oggi. Le complesse reti di neuroni che si sono attivate e collegate tra loro da quando vivi sulla Terra hanno creato miliardi e miliardi di connessioni, perché hai imparato e hai accumulato ricordi. Dato che ogni punto di incontro tra un neurone e un altro prende il nome di “memoria”, il cervello è una registrazione vivente del passato. Le innumerevoli esperienze vissute in momenti e luoghi diversi nell’ambiente esterno di riferimento si sono impresse nei recessi della tua materia grigia. Quindi, per natura, la maggior parte di noi pensa al passato, perché usa lo stesso hardware e software della memoria storica. E se viviamo la stessa vita ogni giorno facendo le stesse cose alla solita ora, vedendo le medesime persone negli stessi luoghi, creando esperienze identiche a quelle di ieri, allora il mondo esteriore influenzerà quello interiore, rendendoci schiavi di questo meccanismo. L’ambiente in cui viviamo controlla il nostro modo di pensare, agire e sentire. Siamo vittime delle realtà personali, che creano la nostra personalità in un processo ormai inconscio. Ciò porta a riaffermare gli stessi pensieri e sensazioni, creando un connubio tra il nostro mondo esteriore e quello interiore, che si fondono e diventano la stessa cosa; così noi restiamo identici. Se l’ambiente in cui viviamo regola ciò che pensiamo e proviamo ogni giorno, per cambiare bisognerà che qualcosa riguardo a noi o alla nostra vita trascenda le circostanze attuali del nostro ambiente. PENSARE E SENTIRE, SENTIRE E PENSARE Così come i pensieri sono il linguaggio del cervello, le sensazioni sono il linguaggio del corpo. Il tuo modo di pensare e di sentire crea uno stato d’essere, frutto della collaborazione tra mente e corpo. Perciò, il tuo attuale stato d’essere è espressione di un autentico collegamento mente-corpo. Ogni volta che formuli un pensiero, oltre a creare dei neurotrasmettitori, il cervello produce anche un’altra sostanza chimica: una piccola proteina chiamata neuropeptide che invia un messaggio al corpo, il quale reagisce esprimendo una sensazione. Il cervello, allora, genera un altro pensiero in linea con quella sensazione, pro101
ducendo ulteriori messaggi chimici che inducono a pensare in base a ciò che si prova. Così, il pensiero crea la sensazione e viceversa. Si tratta di un ciclo (che, per la maggior parte delle persone, può andare avanti per anni). E dato che il cervello agisce in base alle sensazioni del corpo generando pensieri che produrranno le stesse emozioni, è evidente che i pensieri ridondanti configurano il cervello secondo uno schema fisso di neurocircuiti. Ma cosa succede nell’organismo? Dato che le sensazioni sono il modus operandi del corpo, le emozioni che provi di continuo sulla base dei pensieri automatici condizionano il corpo a memorizzare sensazioni corrispondenti alla configurazione inconscia della mente e del cervello. Ciò significa che la mente conscia non ha alcun potere. Il corpo è stato inconsciamente programmato e condizionato, in modo molto concreto, a diventare la mente. Alla fine, se questo circolo di pensieri e sensazioni e poi di sensazioni e pensieri si ripete abbastanza a lungo, il corpo memorizza le emozioni che il cervello gli ha segnalato di provare. Consolidandosi e radicandosi, questo circolo crea un modo d’essere familiare, basato su vecchie informazioni che continuano a riproporsi. Quelle emozioni, mere registrazioni chimiche delle esperienze passate, guidano i pensieri e si ripresentano più volte. Finché questo processo continua, viviamo nel passato. Non c’è da stupirsi se cambiare il futuro ci riesce così difficile! Se i neuroni si attivano in modo identico, innescano il rilascio degli stessi neurotrasmettitori chimici e neuropeptidi nel cervello e nel corpo. Queste sostanze chimiche iniziano ad abituare il corpo a ricordare quelle emozioni, riproducendo la stessa alterazione fisica. Le cellule e i tessuti ricevono questi specifici segnali chimici in siti recettoriali ben precisi, che funzionano come punti di attracco per i messaggeri chimici. Lì i messaggeri si incastrano perfettamente, come nei giochi per bambini in cui certe forme, come un cerchio, un triangolo o un quadrato, si inseriscono nelle apposite cavità. Pensa ai messaggeri chimici, vere e proprie molecole di emozioni, come a trasportatori di codici a barre che permettono ai recettori 102
cellulari di leggere la loro energia elettromagnetica. Quando si crea l’incastro perfetto, il sito recettoriale si prepara. Il messaggero si aggancia, la cellula riceve le informazioni chimiche e poi crea o altera una proteina, che attiva il DNA della cellula all’interno del nucleo. Il DNA si apre e si snoda, poi viene letto il gene relativo a quel messaggio extracellulare e la cellula sintetizza una nuova proteina dal suo DNA (per esempio, un particolare ormone) e la rilascia nel corpo. In questo modo, il corpo viene istruito dalla mente. Se per anni alla cellula giungono gli stessi segnali provenienti dal medesimo livello mentale (a causa di pensieri, azioni e sensazioni identici ripetuti ogni giorno), allora è ovvio che verranno attivati gli stessi geni nel modo consueto, perché il corpo riceve gli stessi dati dall’ambiente. Non ci sono nuovi pensieri da innescare, nuove scelte da compiere, nuovi comportamenti da tenere, nuove esperienze da vivere, nuove sensazioni da provare. Quando gli stessi geni vengono ripetutamente attivati dalle medesime informazioni provenienti dal cervello, iniziano a deteriorarsi, proprio come avviene per gli ingranaggi di una macchina. Il corpo produce proteine attraverso strutture più deboli e funzioni minori. Ci ammaliamo e invecchiamo. Con il tempo, possono verificarsi due scenari. L’intelligenza della membrana cellulare, che riceve costantemente le stesse informazioni, può adattarsi alle esigenze e alle richieste del corpo modificando i suoi siti recettoriali al fine di ospitare una quantità maggiore di queste sostanze chimiche. In pratica, crea più punti di attracco per soddisfare la domanda, proprio come i supermercati aprono casse supplementari quando le file diventano troppo lunghe. Se gli affari vanno bene (se quelle stesse sostanze chimiche continuano ad arrivare), bisogna assumere altri impiegati e tenere aperte più casse. In questo caso, il corpo coincide con la mente ed è diventato mente esso stesso. Nel secondo scenario, la cellula viene talmente sopraffatta dai continui bombardamenti di sensazioni ed emozioni istante dopo istante da non poter consentire a tutti i messaggeri chimici di agganciarsi. Poiché le stesse sostanze chimiche restano in attesa davanti alle porte della stazione di ancoraggio giorno dopo giorno, la cellula 103
si abitua alla loro presenza. Così, solo quando il cervello produce emozioni molto più intense, la cellula è disposta ad aprire le sue porte e ad attivarsi. (Più avanti, troverai maggiori informazioni sull’importanza delle emozioni, una variabile fondamentale dell’equazione placebo). Nel primo scenario, quando la cellula crea nuovi siti recettoriali, il corpo prova il desiderio di quelle sostanze chimiche specifiche se il cervello non ne produce abbastanza e, di conseguenza, le sensazioni determinano i pensieri: il corpo controlla la mente. È questo ciò che intendo quando dico che il corpo memorizza l’emozione. Esso è stato condizionato a livello biologico e alterato in modo da diventare un riflesso della mente. Nel secondo scenario, non appena la cellula viene travolta dal bombardamento e i recettori diventano insensibili, il corpo richiede uno stimolo chimico maggiore per attivare la cellula, proprio come accade a un tossicodipendente. In altre parole, affinché il corpo venga stimolato e risolva il problema, è necessario che tu sia più arrabbiato, preoccupato, in colpa o confuso dell’ultima volta. Quindi, può darsi che tu senta il bisogno di innescare un piccolo dramma urlando contro il tuo cane senza motivo, solo per dare al corpo la sua sostanza preferita. O magari non puoi fare a meno di dire quanto disprezzi tua suocera, aumentando così la disponibilità di sostanze chimiche capaci di attivare la cellula. Oppure ti lasci ossessionare dall’idea di un esito terribile al solo scopo di ricevere una scarica di adrenalina. Quando questi bisogni chimici emotivi non vengono più soddisfatti, il corpo invia segnali al cervello affinché produca ancora quelle sostanze: il corpo controlla la mente, ricalcando i tratti di una dipendenza. Ora, quando userò il termine dipendenza emotiva, saprai a cosa mi riferisco. Se le sensazioni diventano strumenti per pensare, e se non riusciamo a trascendere le nostre emozioni con il pensiero, siamo nel programma. Pensiamo quello che proviamo e proviamo quello che pensiamo. Le esperienze che viviamo sono una fusione di pensieri e sensazioni che si confondono a tal punto da diventare pensazioni e sensieri. Intrappolati in questo circolo, il corpo e la mente inconscia credono di vivere nella stessa esperienza passata ventiquattro ore 104
al giorno, sette giorni alla settimana, trecentosessantacinque giorni all’anno. La mente e il corpo sono un tutt’uno, allineati a un destino predeterminato dai nostri programmi inconsci. Per cambiare, bisogna superare il corpo e i suoi ricordi emozionali, le sue dipendenze e le sue assuefazioni inconsce; il che significa non lasciarsi più definire dal corpo diventato mente. La ripetizione del ciclo pensare e sentire e poi sentire e pensare è il processo di condizionamento del corpo che la mente cosciente mette in atto. Quando il corpo diventa la mente, si parla di “abitudine”. Intorno ai trentacinque anni d’età, il 95 per cento della tua identità è costituito da un insieme di comportamenti, competenze, reazioni emotive, convinzioni, percezioni e atteggiamenti memorizzati che funziona come un programma informatico subconscio e automatico. Perciò il 95 per cento della tua identità è un modo d’essere subconscio o addirittura inconscio. Ciò significa che la tua mente conscia rappresenta solo il 5 per cento e lavora contro il 95 per cento di ciò che hai memorizzato a livello subconscio. Puoi pensare positivo quanto vuoi, ma quel 5 per cento cosciente avrà la sensazione di nuotare controcorrente rispetto al restante 95 per cento costituito dalla chimica inconscia del corpo, che ricorda e memorizza tutte le negatività che hai assorbito negli ultimi trentacinque anni. Questo significa che mente e corpo lavorano in opposizione. Non c’è da stupirsi se non arrivi molto lontano quando cerchi di contrastare la corrente! Ho intitolato il mio ultimo libro Cambia l’abitudine di essere te stesso, proprio perché la principale abitudine che dobbiamo modificare è questa: pensare, sentire e comportarci sempre nello stesso modo, rafforzando i programmi inconsci che riflettono la nostra personalità e la nostra realtà personale. Finché viviamo nel passato, non possiamo creare un nuovo futuro. È praticamente impossibile. CHE COSA TI SERVE PER ESSERE IL TUO PLACEBO Ecco un esempio che ci aiuterà a tirare le fila del discorso. Scelgo volutamente un evento negativo, perché circostanze del genere 105
tendono a limitarci, mentre quelle più fortunate, incoraggianti ed esaltanti di solito ci aiutano a creare un futuro migliore. Chiarirò tra poco questo processo. Supponiamo che in passato, parlando in pubblico, tu abbia vissuto un’esperienza terribile che ti ha segnato emotivamente. (Sentiti libero di sostituirla con qualunque evento ti abbia lasciato cicatrici profonde.) A causa di quell’esperienza, ora hai paura di alzarti e prendere la parola davanti a un gruppo di persone. Ti senti insicuro, ansioso e a disagio. Se solo pensi di trovarti di fronte a venti persone in una sala riunioni, la gola ti si chiude, le mani iniziano a sudare, il cuore batte all’impazzata, viso e collo diventano paonazzi, lo stomaco ti si contorce e il cervello si blocca. Tutte queste reazioni sono innescate dal sistema nervoso autonomo, che agisce a livello subconscio (al di sotto del controllo cosciente). Autonomo equivale a dire automatico: è la parte del sistema nervoso che regola la digestione, la produzione di ormoni, la circolazione sanguigna, la temperatura corporea e così via, senza alcun controllo cosciente da parte tua. Non puoi decidere di cambiare la frequenza cardiaca, ridurre l’irrorazione sanguigna degli arti per abbassarne la temperatura, far arrossire viso e collo, alterare le secrezioni metaboliche degli enzimi digestivi o bloccare l’attivazione di milioni di cellule nervose a comando. Per quanto tu possa provare a modificare in modo consapevole una qualsiasi di queste funzioni, probabilmente ti accorgerai di non riuscirci. Di conseguenza, se il corpo opera questi cambiamenti fisiologici autonomi, è perché hai associato il pensiero futuro di tenere un discorso di fronte a un pubblico al ricordo emotivo della disastrosa esperienza passata. E quando quel pensiero, quell’idea o quella possibilità futura vengono associati all’ansia, al senso di fallimento e di imbarazzo provati in passato, con il tempo la mente condizionerà il corpo a rispondere automaticamente a quella sensazione. È così che entriamo di continuo in modi d’essere familiari: i pensieri e le sensazioni diventano un tutt’uno con il passato, perché non riusciamo a trascendere con il pensiero le nostre emozioni. 106
Ora, diamo uno sguardo più da vicino a quello che succede nel cervello. L’evento specifico che, a livello neurologico, si è impresso come un ricordo del passato (ricorda: l’esperienza arricchisce i circuiti cerebrali) s’imprime nel cervello, proprio come un’impronta. Perciò, puoi ripercorrere i tuoi passi e rievocare l’esperienza negativa, ricordandola sotto forma di pensiero. Perché sia possibile richiamarla a comando, l’esperienza deve avere una carica emotiva abbastanza intensa. In questo modo, puoi rievocare emotivamente tutte le sensazioni legate al tentativo fallimentare di essere un bravo oratore, perché è come se quell’esperienza ti avesse alterato chimicamente. Voglio sottolineare che le sensazioni e le emozioni sono i prodotti finali delle esperienze passate. Quando sei coinvolto in una situazione, i sensi catturano l’evento e poi trasmettono tutte quelle informazioni vitali al cervello attraverso cinque diversi percorsi sensoriali. Non appena questi nuovi dati raggiungono il cervello, milioni di cellule nervose si organizzano in nuove reti per riflettere l’evento esterno appena successo. Nel momento in cui tali circuiti prendono forma, il cervello produce una sostanza chimica per indurre il corpo a modificare la sua fisiologia. Tale sostanza chimica prende il nome di sensazione o emozione. Quindi, se conserviamo memoria degli eventi passati, è perché possiamo ricordare le sensazioni che abbiamo provato. Quando il tuo discorso in pubblico è andato male, tutte le informazioni che i cinque sensi stavano raccogliendo nell’ambiente esterno hanno modificato le sensazioni nel tuo ambiente interno. Le informazioni che i sensi stavano elaborando (i volti tra il pubblico, l’ampiezza della sala, le luci accese sopra di te, l’eco del microfono e il silenzio assordante dopo il tuo primo tentativo di fare una battuta, l’improvviso aumento di temperatura in sala nel momento in cui hai cominciato a parlare, l’odore della tua vecchia acqua di colonia che evaporava insieme al sudore) hanno cambiato il tuo modo d’essere interno. E nel momento in cui hai collegato questo particolare evento che si è verificato nel mondo esteriore dei sensi (la causa) ai cambiamenti in corso nel tuo mondo interiore, fatti di pensieri e sensazioni (l’effetto), hai creato 107
un ricordo. Hai associato una causa a un effetto, dando inizio al processo di condizionamento. Dopo la tortura autoinflitta di quel giorno, che per fortuna si è conclusa senza lanci di ortaggi e frutta marcia verso di te, sei tornato a casa. Lungo il tragitto, hai continuato a rievocare l’evento. E in diversa misura, ogni volta che hai ricordato l’esperienza, riproducendo cioè lo stesso livello mentale di quel momento, hai innescato gli stessi cambiamenti chimici nel cervello e nel corpo. In un certo senso, hai riaffermato più volte il passato, portando avanti il processo di condizionamento. Dato che il corpo agisce come la mente inconscia, quando hai ricordato l’episodio, non ha fatto distinzione tra l’evento reale che aveva creato quello stato emotivo e le emozioni originate solo dal pensiero. Il corpo ha creduto di rivivere la stessa esperienza più volte, anche se in realtà eri da solo, comodamente seduto in macchina, e ha risposto fisiologicamente come se stessi davvero rivivendo l’esperienza nel presente. Attivando i circuiti cerebrali derivanti dai pensieri legati a quell’evento, hai dato sostegno fisico alle connessioni sinaptiche e hai stabilito legami ancora più duraturi all’interno di queste reti, creando una memoria a lungo termine. Arrivato a casa, hai raccontato ciò che ti è capitato al partner, agli amici e forse anche a tua madre. Nel descrivere il trauma nei dettagli più penosi, hai alimentato uno stato di estrema agitazione. Rivivendo le emozioni di quella brutta avventura, dal punto di vista chimico hai allineato il corpo all’evento di quel giorno, abituandolo, a livello subconscio, inconscio e automatico a essere fisiologicamente la tua storia personale. Nei giorni seguenti sei stato di malumore. Gli altri non potevano fare a meno di notarlo, e ogni volta che qualcuno ti chiedeva: “Cosa c’è che non va?”, non potevi resistere. Approfittavi della domanda per cedere alla scarica chimica indotta dal passato. Lo stato d’animo provocato da questa esperienza è diventato una lunga reazione emotiva durata giorni. Quando le settimane trascorse a provare le stesse emozioni ogni volta che ricordavi l’evento si sono trasformate in mesi, e poi in anni, quella reazione emotiva è diven108
tata persistente tanto che, ormai, è diventata parte non solo del tuo temperamento, del tuo carattere e della tua natura, ma anche della tua personalità. È quello che sei. Se qualcuno ti chiede di nuovo di parlare in pubblico, automaticamente rabbrividisci, indietreggi e diventi ansioso. L’ambiente esterno controlla quello interno e non riesci ad andare oltre. Mentre prevedi che il tuo futuro (tenere un discorso in pubblico) susciterà in te sensazioni simili a quelle del passato (un tormento insostenibile), come per magia, il tuo corpo, agendo come se fosse la mente, reagisce automaticamente e inconsciamente. Per quanti tentativi tu possa fare, è come se la mente cosciente non riuscisse a controllarlo. Nel giro di pochi secondi, si manifestano milioni di risposte condizionate provenienti dal cervello e dalla riserva farmaceutica del corpo: sudorazione abbondante, secchezza della bocca, ginocchia deboli, nausea, vertigini, mancanza di respiro, stanchezza incontrollabile; tutto a causa di un unico pensiero che cambia la tua fisiologia. Mi ricorda tanto l’effetto placebo! Se potessi, declineresti l’invito a tenere il discorso, dicendo cose del tipo: “Non sono capace”, “Sono insicuro di fronte alla gente”, “Sono un pessimo presentatore” o “Ho troppo paura di parlare davanti a così tante persone.” Quando dici: “Io sono…” (completa la frase come preferisci), dichiari che la mente e il corpo sono allineati rispetto a un certo futuro, o che i tuoi pensieri e le tue sensazioni sono tutt’uno con il tuo destino. Stai rafforzando uno stato d’essere memorizzato. Se per caso ti chiedessero perché hai deciso di farti definire dal tuo passato, così come dalle tue limitazioni autoimposte, sono certo che racconteresti una storia che ricalca i ricordi e le emozioni vissute, ribadendo a te stesso di essere in quel modo. Probabilmente ci ricameresti anche un po’ sopra. Da un punto di vista biologico, riveli in realtà di essere stato alterato fisicamente, chimicamente ed emotivamente da quell’evento diversi anni fa, e di non essere cambiato molto da allora. Hai scelto di farti definire dai tuoi limiti. In questo esempio, si potrebbe dire che sei schiavo del corpo (perché ora è diventato la mente), sei bloccato dalle condizioni del 109
tuo ambiente (perché l’esperienza legata a persone e cose in un determinato luogo e tempo continua a influenzare il tuo modo di pensare, agire e sentire) e ti perdi nel tempo (perché vivendo nel passato e anticipando il futuro, la mente e il corpo non sono mai nel momento presente). Perciò, per cambiare il tuo modo d’essere attuale, dovresti essere superiore a questi tre elementi: corpo, ambiente e tempo. Se ora rileggi l’inizio del capitolo, dove si dice che il placebo è determinato da tre elementi (condizionamento, aspettative e significato), puoi comprendere il motivo per cui sei tu il tuo placebo. Perché? Perché tutti e tre gli elementi entrano in gioco nell’esempio precedente. In primo luogo, come un talentuoso addestratore di animali, hai condizionato il corpo a entrare in un modo d’essere subconscio in cui diventa tutt’uno con la mente (pensieri e sensazioni si fondono). Il corpo è stato programmato a essere automaticamente, biologicamente e fisiologicamente la mente, solo con il pensiero. E ogni volta che ricevi uno stimolo dall’ambiente esterno (come l’invito a parlare in pubblico) condizioni il corpo, proprio come aveva fatto Pavlov con i suoi cani, a rispondere inconsciamente e automaticamente al ricordo dell’esperienza passata. Dato che la maggior parte degli studi sul placebo mostra che un solo pensiero può attivare il sistema nervoso autonomo del corpo e produrre cambiamenti fisiologici rilevanti, possiamo dire che è sufficiente associare un’idea a un’emozione per controllare il proprio mondo interiore. Tutti i sistemi autonomi subconsci vengono rinforzati a livello neurochimico dalle sensazioni familiari e dalle percezioni fisiche legate alla paura, e la nostra biologia riflette alla perfezione questo meccanismo. In secondo luogo, se ti aspetti che il futuro assomigli al passato, allora non solo pensi a ciò che è già accaduto, ma selezioni anche un futuro già noto basato solo sul passato, e accogli emotivamente questo evento tanto che il tuo corpo (in veste di mente inconscia) crede di vivere in quel futuro già nel momento presente. Concentri tutta l’attenzione su una realtà nota e prevedibile, che ti porta 110
a limitare nuove scelte, nuovi comportamenti, nuove esperienze e nuove emozioni. Aggrappandoti fisiologicamente al passato, prevedi inconsciamente il futuro. Infine, se attribuisci un certo significato o un’intenzione consapevole a un’azione, il risultato si amplifica. Sono le cose che ripeti quotidianamente a te stesso (nella fattispecie, che non sei un buon oratore e che parlare in pubblico suscita in te una reazione di panico) che hanno significato per te. Diventi sensibile alle tue autosuggestioni. E se le tue conoscenze attuali si basano su conclusioni tratte da esperienze passate, senza informazioni aggiuntive, continuerai a produrre conseguenze che rispecchiano la tua disposizione mentale. Cambia significato e intenzione e, proprio come le cameriere d’albergo dello studio descritto nel capitolo precedente, otterrai risultati diversi. Quindi, sia che tu stia cercando di attuare un cambiamento positivo per creare un nuovo modo d’essere o che abbia inserito il pilota automatico, rimanendo bloccato nel tuo vecchio stato d’essere, la verità è che sei sempre tu il tuo placebo.
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CAPITOLO 4 L’ E F F E T T O P L A C E B O N E L C O R P O Nel 1981, in una fresca giornata di settembre, otto uomini tra i settanta e gli ottant’anni salirono su un paio di furgoni e si diressero al monastero di Peterborough, nel New Hampshire, due ore a nord di Boston. Dovevano partecipare a un ritiro di cinque giorni in cui gli era stato chiesto di fingere sulla loro età, dichiarando almeno ventidue anni in meno. Il ritiro era organizzato da una squadra di ricercatori capeggiata da Ellen Langer, psicologa di Harvard, che la settimana successiva avrebbe portato un altro gruppo di otto anziani nello stesso posto. Agli uomini del secondo gruppo – il gruppo di controllo – avrebbe chiesto di rievocare ricordi risalenti a ventidue anni prima, senza però chiedere loro di fingere di avere un’età inferiore. Quando gli uomini del primo gruppo arrivarono al monastero, si trovarono circondati da vari tipi di stimoli ambientali che li aiutarono a rivivere il periodo in cui erano più giovani. Sfogliarono vecchi numeri di Life e del Saturday Evening Post, guardarono film e programmi televisivi che andavano per la maggiore nel 1959, ascoltarono Perry Como e Nat King Cole alla radio. Parlarono anche di eventi “attuali”, come Fidel Castro che prende il potere a Cuba, la visita negli Stati Uniti del premier russo Nikita Krusciov e persino le prodezze della star del baseball Mickey Mantle e del grande pugile Floyd Patterson. Tutti questi elementi erano stati astutamente pianificati per aiutare i soggetti a immaginare di essere davvero di ventidue anni più giovani. Dopo i cinque giorni di ritiro, i ricercatori effettuarono parecchi rilevamenti e confrontarono i dati con quelli emersi dalle analisi effettuate prima della sperimentazione. I corpi degli uomini di entrambi i gruppi erano fisiologicamente più giovani, sia sul piano strutturale, sia su quello funzionale, ma i soggetti del primo gruppo (che avevano finto di essere più giovani) presentavano migliora112
menti più significativi di quelli del gruppo di controllo, che aveva solo rievocato i ricordi.59 I ricercatori riscontrarono cambiamenti nell’altezza, nel peso e nell’andatura. Gli uomini erano più alti grazie alla postura più eretta, le articolazioni erano più flessibili e le dita si erano allungate perché l’artrite era diminuita. La vista e l’udito erano migliorati. La presa era più salda. La memoria si era affinata e avevano ottenuto punteggi più alti nei test cognitivi (il primo gruppo aveva migliorato i punteggi del 63 per cento, rispetto al 44 per cento del secondo). In cinque giorni, quegli uomini erano letteralmente ringiovaniti, proprio davanti agli occhi dei ricercatori. Langer riferì: “Alla fine dello studio, giocavo a calcio – con un tocco leggero, ma comunque a calcio – con quegli uomini, alcuni dei quali avevano smesso di usare il bastone.”60 Com’è accaduto? È evidente che quegli uomini sono riusciti ad accendere i circuiti cerebrali in grado di riportare alla mente la loro identità di ventidue anni prima, e la chimica del corpo magicamente ha risposto. Non si sono limitati a sentirsi più giovani, ma lo sono diventati, come dimostrano le scrupolose misurazioni effettuate. Il cambiamento non si è verificato solo nella mente, bensì nel corpo. Ma che cosa è accaduto a livello fisico per produrre una trasformazione così stupefacente? A quale fattore possiamo attribuire tutti quei cambiamenti misurabili nella struttura fisica e nella funzionalità? La responsabilità è da attribuire ai geni, che non sono così immutabili come si pensa. Quindi soffermiamoci ad analizzare cosa sono i geni e come agiscono. DEMISTIFICARE IL DNA Immagina una scala o una cerniera che si avvolge a spirale e avrai un’idea abbastanza verosimile dell’acido desossiribonucleico (me59. E. J. Langer, La mente consapevole. Corbaccio editore., Milano, 2008; E. J. Langer, In senso antiorario. Corbaccio editore, 2010. 60. C. Feinberg, “The Mindfulness Chronicles: On the ‘Psychology of Possibility’”, Harvard Magazine (settembre-ottobre 2010), http://harvardmagazine. com/2010/09/the-mindfulness-chronicles. 113
glio noto come DNA). Il DNA, che è immagazzinato nel nucleo di ogni cellula vivente del nostro corpo, contiene le informazioni grezze, o le istruzioni, che ci rendono quelli che siamo (anche se, come scopriremo presto, queste istruzioni non costituiscono un rigido modello che le nostre cellule dovranno seguire per tutta la vita). Ogni metà della cerniera del DNA contiene acidi nucleici corrispondenti che, insieme, vengono chiamati coppie di base e sono circa tre miliardi per cellula. I gruppi di lunghe sequenze di questi acidi nucleici vengono chiamati geni. I geni sono piccole strutture peculiari. Se dovessi estrarre il DNA dal nucleo di una cellula del tuo corpo ed estenderlo da un capo all’altro, sarebbe lungo circa un metro e ottanta. Se prendessi tutto il DNA contenuto nel tuo corpo e lo estendessi da un capo all’altro, arriverebbe fino al Sole e tornerebbe indietro centocinquanta volte.61 Ma se prendessi tutto il DNA dei quasi sette miliardi di individui che vivono sul Pianeta e lo accartocciassi, occuperebbe uno spazio piccolo quanto un granello di riso. Il nostro DNA usa le istruzioni impresse all’interno delle sue singole sequenze per produrre proteine. Proteina deriva dal greco proteion, che significa “di primaria importanza”. Le proteine sono le materie prime che il corpo utilizza per costruire non solo strutture tridimensionali coerenti (la nostra anatomia), ma anche per svolgere le complesse funzioni e interazioni che formano la nostra fisiologia. Il corpo, di fatto, è una macchina che produce proteine. Le cellule dei muscoli producono actina e miosina, quelle della pelle producono collagene ed elastina, le cellule immunitarie producono anticorpi, quelle della tiroide producono tirosina, alcune cellule dell’occhio producono cheratina, le cellule del midollo osseo producono emoglobina e quelle pancreatiche producono enzimi come la proteasi, la lipasi e l’amilasi. Tutti gli elementi prodotti da queste cellule sono proteine. Esse hanno la funzione di controllare il nostro sistema immunitario, digerire il cibo, guarire le ferite, catalizzare le reazioni chimiche, sup61. J. Medina, The Genetic Inferno: Inside the Seven Deadly Sins. Cambridge University Press, 2000, p.4. 114
portare l’integrità strutturale del nostro corpo, fornire molecole sofisticate per la comunicazione tra cellule e fare molto altro ancora. In sintesi, le proteine sono l’espressione della vita (e della salute del nostro corpo). Osserva la Figura 4.1 e vedrai una rappresentazione molto semplificata dei geni. LA CELLULA
Figura 4.1. Questa è una rappresentazione molto semplificata di una cellula e del DNA contenuto all’interno del suo nucleo. Il materiale genetico, quando si estende in singoli filamenti, somiglia a una cerniera o a una scala attorcigliata chiamata elica del DNA. I pioli della scala sono gli acidi nucleici accoppiati, che fungono da codici per la produzione di proteine. Una particolare estensione e sequenza del filamento di DNA si chiama gene e si esprime quando produce una proteina. Le cellule del corpo producono diverse proteine che servono sia per la struttura, sia per la funzionalità dell’organismo.
Nei sessant’anni trascorsi da quando i ricercatori James Watson e Francis Crick scoprirono la doppia elica del DNA, ha continuato 115
a prevalere quello che Watson, in un numero di Nature62 uscito nel 1970, definì il “dogma centrale”, ovvero che i geni di un individuo determinano tutto. Quando spuntavano delle prove contraddittorie, i ricercatori tendevano a liquidarle come mere anomalie all’interno di un sistema complesso.63 Oggi, a distanza di quarant’anni, la teoria del determinismo genetico è ancora dominante nella mentalità della gente comune. Molte persone condividono l’idea errata che il nostro destino genetico sia predeterminato e che, se abbiamo ereditato i geni di certe forme tumorali, di malattie cardiache, del diabete o di altre patologie, non possiamo farci nulla, così come non possiamo cambiare il colore dei nostri occhi o la forma del naso (se non ricorrendo alle lenti a contatto colorate e alla chirurgia plastica). Le notizie riportate dai media rafforzano questa convinzione suggerendo di continuo che certi geni causano una determinata patologia o malattia. Ci hanno programmato a credere che siamo vittime della nostra biologia; pensiamo che i geni esercitino un potere assoluto sulla salute, sul benessere e sulla personalità e che siano addirittura loro a governare le vicende umane, determinando le nostre relazioni interpersonali e plasmando il futuro. Ma davvero siamo quel che siamo e facciamo quel che facciamo perché siamo nati così? Questa concezione è il segnale di come il determinismo genetico sia profondamente radicato nella nostra cultura; inoltre essa prevede che esistano geni per la schizofrenia, per l’omosessualità, per la leadership e così via. Sono tutte convinzioni datate, che si fondano su vecchie teorie. Innanzitutto, non esiste un gene per la dislessia né uno per i disturbi dell’attenzione o per l’alcolismo: non tutte le condizioni di salute o le variazioni fisiche sono associate a un gene. E in tutto il Pianeta, le persone affette da una malattia genetica – come il diabete di tipo 1, la sindrome di Down o l’anemia falciforme – sono meno del 5 62. F. Crick, “Central Dogma of Molecular Biology”, Nature, vol. 227, n. 5258: pp. 561–563 (1970). 63. M. Ho, “Death of the Central Dogma”, comunicato stampa dell’Institute of Science in Society (9 marzo 2004), http://www.i-sis.org.uk/DCD.php. 116
per cento. Il restante 95 per cento, se sviluppa delle malattie, si ammala a causa del proprio stile di vita e dei propri comportamenti.64 Viceversa, non tutti coloro che nascono con i geni associati a una patologia (per esempio il morbo di Alzheimer o il cancro al seno) finiscono per svilupparla. I nostri geni non sono come delle uova che prima o poi si schiuderanno. Non funzionano così. Bisogna chiedersi, invece, se un gene che portiamo è già stato espresso e cosa stiamo facendo per segnalargli di accendersi o spegnersi. Una svolta fondamentale si è verificata quando gli scienziati sono riusciti a mappare il genoma. Nel 1990, all’inizio del progetto, i ricercatori si aspettavano di scoprire che abbiamo centoquarantamila geni diversi. Avevano pensato a quel numero perché i geni producono proteine e sovrintendono alla loro produzione, e il corpo umano produce centomila proteine diverse, oltre a quarantamila proteine regolatrici che servono a produrne altre. Gli scienziati che hanno mappato il genoma umano si aspettavano di trovare un gene per ogni proteina, ma alla fine del progetto, nel 2003, sono rimasti sbalorditi poiché hanno scoperto che in realtà il corpo umano ha solo 23.688 geni. Nella prospettiva del dogma centrale di Watson, quel numero non è sufficiente a creare i nostri corpi complessi e a farli funzionare, né tantomeno a mantenere l’efficienza del cervello. E allora, se non sono contenute nei geni, da dove arrivano tutte le informazioni richieste per creare così tante proteine e perpetuare la vita?
64. S. C. Segerstrom, G. E. Miller, “Psychological Stress and the Human Immune System: A Meta-analytic Study of 30 Years of Inquiry”, Psychological Bulletin, vol. 130, n. 4: pp. 601–630 (2004); M. S. Kopp, J. Réthelyi, “Where Psychology Meets Physiology: Chronic Stress and Premature Mortality—The Central-Eastern European Health Paradox”, Brain Research Bulletin, vol. 62, n. 5: pp. 351–367 (2004); B. S. McEwen, T. Seeman, “Protective and Damaging Effects of Mediators of Stress. Elaborating and Testing the Concepts of Allostasis and Allostatic Load”, Annals of the New York Academy of Sciences, vol. 896: pp. 30–47 (1999). 117
IL GENIO DEI TUOI GENI La risposta a questa domanda ha fatto nascere una nuova teoria: i geni devono lavorare insieme in una cooperazione sistemica in modo tale che, all’interno della cellula, molti vengano espressi (accesi) o soppressi (spenti) allo stesso tempo; è la combinazione dei geni che vengono accesi in un dato momento a produrre tutte le diverse proteine da cui dipende la vita. Immagina una fila di luci intermittenti sull’albero di Natale: alcune si accendono e altre si spengono. O pensa al panorama di una città di sera, con le luci delle case accese o spente con il passare delle ore. Tutto questo non accade in modo casuale, ovviamente. L’intero genoma o filamento del DNA sa bene quello che sta facendo ogni parte e opera in una modalità interconnessa che segue una sua precisa coreografia. Ogni atomo, molecola, cellula, tessuto e apparato del corpo funziona a un livello di coerenza energetica che equivale al modo d’essere intenzionale o non intenzionale (conscio o inconscio) della personalità individuale.65 Perciò è chiaro come i geni possano essere attivati (accesi) o disattivati (spenti) dall’ambiente esterno alla cellula, che in alcuni casi è l’ambiente interno al corpo (il modo d’essere emotivo, biologico, neurologico, mentale, energetico e persino spirituale), mentre in altri è l’ambiente esterno al corpo (traumi, temperatura, altitudine, tossine, batteri, virus, cibo, alcol e così via). I geni, infatti, sono classificati in base al tipo di stimolo che li accende e li spegne. Per esempio, i geni che dipendono dall’esperienza o dall’attività si accendono quando viviamo esperienze insolite, apprendiamo nuove informazioni e guariamo. Questi geni producono sintesi proteiche e messaggeri chimici che istruiscono le cellule staminali a trasformarsi nel tipo di cellula che in quel momento serve a guarire. Tra poco parleremo meglio delle cellule staminali e del loro ruolo nei processi di guarigione. I geni che dipendono dal comportamento si accendono in periodi di agitazione emotiva, in presenza di stress o anche quando suben65. J. L. Oschman, “Trauma Energetics”, Journal of Bodywork and Movement Therapies, vol. 10, n. 1: pp. 21–34 (2006). 118
trano diversi livelli di consapevolezza (per esempio sognando). Forniscono un collegamento tra i pensieri e il corpo, ovvero formano la connessione tra corpo e mente. Questi geni ci permettono di comprendere come possiamo influenzare la nostra salute adottando stati mentali e corporei che promuovano il benessere, la resilienza fisica e la guarigione. Gli scienziati ora ritengono possibile che la nostra espressione genica fluttui addirittura di secondo in secondo. Le ricerche rivelano che i pensieri, le emozioni e le attività – cioè le scelte, i comportamenti e le esperienze – hanno profondi effetti curativi e rigeneranti sul corpo, come dimostra lo studio condotto sugli uomini in ritiro nel monastero. Perciò i tuoi geni subiscono l’influenza delle tue interazioni con la famiglia, gli amici e i colleghi, delle tue pratiche spirituali, delle tue abitudini sessuali, dell’attività fisica che svolgi e del tipo di detergenti che utilizzi. Le ricerche più recenti mostrano che il 90 per cento dei nostri geni si attiva cooperando con i segnali provenienti dall’ambiente.66 E se è l’esperienza ad attivare un buon numero di geni, ciò significa che la nostra natura è influenzata dalla nostra educazione. Allora perché non imbrigliare il potere di queste idee e fare tutto il possibile per migliorare la nostra salute e limitare al minimo la dipendenza dalle prescrizioni mediche? Come scrive il dottor Ernest Rossi in The Psychobiology of Gene Expression [La psicobiologia dell’espressione genica], “i nostri stati mentali soggettivi, i nostri comportamenti motivati dalla coscienza e la nostra percezione del libero arbitrio possono modulare l’espressione genica per ottimizzare la salute”67 Secondo le teorie scientifiche più recenti, gli individui possono alterare i loro geni nell’arco di una singola generazione. Se il processo di evoluzione genetica può durare migliaia di anni, un singolo gene può modificare con successo la sua espressione in pochi minuti, grazie all’acquisizione
66. K. Richardson, Che cos’è l’intelligenza. Einaudi, 1999, cit. in. E. L. Rossi, The Psychobiology of Gene Expression: Neuroscience and Neurogenesis in Hypnosis and the Healing Arts . W. W. Norton and Company, 2002, p. 50. 67. E. L. Rossi, The Psychobiology of Gene Expression: Neuroscience and Neurogenesis in Hypnosis and the Healing Arts. W. W. Norton and Company, 2002, p. 9. 119
di un nuovo comportamento o di una nuova esperienza, per poi essere trasmesso alla generazione successiva. È utile immaginare i nostri geni non come tavolette di pietra sulle quali è stato inciso solennemente il nostro destino, ma come magazzini che contengono enormi quantità di informazioni codificate, o come immense biblioteche piene di possibilità per l’espressione delle proteine. Ma quando vogliamo utilizzare quelle informazioni, non possiamo ordinarle con la stessa semplicità con cui un’azienda ordina una merce dal magazzino. È come se non sapessimo cosa contiene il nostro deposito né come accedervi, perciò finiamo per utilizzare solo una piccola percentuale di ciò che è veramente disponibile. Infatti esprimiamo solo l’1,5 per cento del nostro DNA, mentre il restante 98,5 per cento giace dormiente nel corpo. Gli scienziati lo chiamano “DNA di scarto”, ma non è materiale inutile: gli studiosi non sanno ancora come viene utilizzato, ma hanno appurato che almeno in parte esso sia responsabile della produzione di proteine regolatrici. “In realtà, i geni contribuiscono alle nostre caratteristiche, ma non le determinano” scrive il dottor Dawson Church in Medicina epigenetica. “Gli strumenti della mente conscia – comprese le convinzioni, le preghiere, i pensieri, le intenzioni e la fede – hanno una correlazione molto più forte con la salute, la longevità e la felicità di quanta ne abbiano i geni.”68 Il fatto è che, così come il nostro corpo è molto più di un sacco di carne e ossa, i nostri geni sono molto più che semplici informazioni depositate. LA BIOLOGIA DELL’ESPRESSIONE GENICA Ora esaminiamo il modo in cui vengono attivati i geni. (I fattori responsabili dell’attivazione sono molteplici, ma ai fini della nostra discussione sul rapporto corpo e mente, ci limiteremo a delineare i tratti essenziali.)
68. D. Church, Medicina epigenetica. Felicità e salute attraverso la trasformazione consapevole del DNA. Edizioni mediterranee, 2008. 120
Quando un messaggero chimico (per esempio un neuropeptide) che proviene dall’esterno della cellula arriva nel punto d’attracco e attraversa la membrana cellulare, si fa strada verso il nucleo, dove incontra il DNA. Il messaggero chimico modifica o crea una nuova proteina; poi il segnale che ha trasportato si traduce in un’informazione all’interno della cellula. Dopodiché, l’informazione entra nel nucleo della cellula attraverso una piccola finestra e, a seconda del contenuto del messaggio relativo alla proteina, cerca un cromosoma specifico (un frammento delle spire del DNA che contiene molti geni), proprio come si cerca un certo libro tra gli scaffali di una biblioteca. Ogni filamento è rivestito di un involucro proteico che agisce da filtro tra l’informazione contenuta nel filamento e il resto dell’ambiente intracellulare. Affinché il codice del DNA venga selezionato, l’involucro deve essere rimosso o disfatto, proprio come il libro scelto tra gli scaffali della biblioteca deve essere aperto per poterlo leggere. Il codice genetico del DNA contiene informazioni che attendono di essere lette e attivate per creare una particolare proteina. È un deposito potenziale di informazioni codificate che necessitano solo di essere aperte. Puoi immaginare il DNA come un serbatoio di ingredienti potenziali che attendono istruzioni per costruire le proteine, che regolano e sostentano ogni aspetto della vita. Quando la proteina seleziona il cromosoma, lo schiude rimuovendo l’involucro esterno che ricopre il DNA. A quel punto, un’altra proteina regola e predispone un’intera sequenza di geni all’interno del cromosoma (immaginala come un capitolo di un libro) affinché sia letta per intero, dall’inizio alla fine. Quando il gene è esposto e l’involucro proteico rimosso e letto, la proteina regolatrice produce un altro acido nucleico, chiamato acido ribonucleico (RNA). Ora il gene è espresso o attivato. L’RNA esce dal nucleo della cellula per assemblarsi in una nuova proteina in base al codice che trasporta. La proteina creata dal gene ora può costruire, assemblare, interagire, ripristinare, mantenere e influenzare molti aspetti diversi della vita, sia all’interno che all’esterno della cellula. La Figura 4.2 ti offre una visione generale del processo. 121
SEGNALE EPIGENETICO
Figura 4.2A. La Figura 4.2A mostra il segnale epigenetico mentre entra nel sito recettoriale della cellula. Quando il messaggero chimico interagisce con la membrana cellulare, viene inviato un altro segnale, sotto forma di una nuova proteina, al nucleo della cellula affinché selezioni una sequenza di geni. Il gene ha già un rivestimento proteico che lo protegge dall’ambiente esterno e che va rimosso per essere letto.
SELEZIONE GENICA
Figura 4.2B. La Figura 4.2B mostra come viene aperto l’involucro proteico che avvolge la sequenza genica del DNA, in modo che un’altra proteina, chiamata proteina regolatrice, possa schiudere e leggere il gene in un punto specifico.
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LETTURA DEL GENE
Figura 4.2C. La Figura 4.2C mostra come la proteina regolatrice crea un’altra molecola, chiamata RNA, che organizza la traduzione e la trascrizione del materiale geneticamente codificato in una proteina.
PRODUZIONE DELLA PROTEINA
Figura 4.2D. La Figura 4.2D mostra come avviene la produzione della proteina. L’RNA assembla una nuova proteina a partire da singoli ammassi proteici chiamati aminoacidi.
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Come un architetto trae da un progetto tutte le informazioni necessarie per costruire una struttura, così il corpo ricava dai cromosomi del DNA tutte le informazioni necessarie per creare molecole complesse che ci mantengono in vita e garantiscono la nostra funzionalità. Ma prima di leggere il progetto, l’architetto deve estrarlo dal tubo e srotolarlo. Fino a quel momento, è solo un’informazione latente che attende di essere letta. Lo stesso vale per la cellula: il gene è inerte fino a quando non viene rimosso l’involucro proteico e la cellula decide di leggere la sequenza genica. Fino a qualche tempo fa gli scienziati credevano che al corpo servissero solo le informazioni (il progetto) per cominciare a costruire, perciò molti di loro si concentravano su quelle. Prestavano scarsa attenzione al fatto che tutta la catena di eventi comincia con un segnale proveniente dall’esterno della cellula che, di fatto, è responsabile della scelta dei geni selezionati dalla cellula all’interno della sua biblioteca. Quel segnale, come sappiamo, include i pensieri, le scelte, i comportamenti, le esperienze e le emozioni. Perciò è chiaro che se puoi cambiare questi elementi, puoi anche determinare la tua espressione genica. L’EPIGENETICA: IN CHE MODO NOI COMUNI MORTALI POSSIAMO AGIRE COME DEI Se i geni non predeterminano il nostro destino, e se davvero contengono un’enorme biblioteca di possibilità che aspettano soltanto di essere prelevate dagli scaffali e lette, cosa ci permette di accedere a quelle potenzialità, che potrebbero esercitare un grande effetto sulla nostra salute e sul nostro benessere? Di sicuro sono riusciti ad accedervi gli anziani sottoposti alla sperimentazione nel monastero, ma come hanno fatto? La risposta è data da un nuovo campo di studi chiamato epigenetica. Epigenetica significa letteralmente “sopra il gene”. Il termine si riferisce al controllo esercitato sui geni non da ciò che accade all’interno del DNA, bensì dai messaggi provenienti dall’esterno della cellula; in altre parole, dall’ambiente. Questi segnali inducono un metile (o gruppo metilico, composto da un atomo di carbonio legato a tre atomi di idrogeno) ad attaccarsi a un gene in un punto 124
specifico, e questo processo (chiamato metilazione del DNA) è uno dei processi principali che accendono o spengono un gene. (Anche altri due processi, la modificazione covalente degli istoni e l’RNA non codificante producono lo stesso effetto, ma ai fini della nostra discussione non è necessario analizzarli nel dettaglio.) L’epigenetica ci insegna che in realtà non siamo condannati dai nostri geni e che un cambiamento nella coscienza può produrre alterazioni fisiche nel corpo, sia a livello strutturale, sia funzionale. Possiamo modificare il nostro destino genetico, accendere i geni che vogliamo e spegnere quelli che non vogliamo, intervenendo sui vari fattori ambientali che li programmano. Alcuni di quei segnali arrivano dall’interno del corpo, come le emozioni e i pensieri, mentre altri derivano dalla risposta del corpo all’ambiente esterno, come il tasso di inquinamento o la luce del sole. L’epigenetica studia tutti i segnali esterni che dicono alla cellula cosa fare e quando, osservando sia le fonti che attivano, o accendono, l’espressione genica (regolazione verso l’alto), sia quelle che la sopprimono, o spengono (regolazione verso il basso), oltre alle dinamiche energetiche che regolano il processo della funzionalità cellulare istante per istante. L’epigenetica suggerisce che, anche se il nostro codice genetico resta immutato, in un unico gene sono possibili migliaia di combinazioni, sequenze e variazioni sistematiche (proprio come sono possibili migliaia di combinazioni, sequenze e schemi di reti neurali nel cervello). Considerando l’intero genoma umano, le possibili variazioni epigenetiche sono talmente numerose – milioni e milioni – da far girare la testa solo a pensarci. Lo Human Epigenome Project [Progetto per l’epigenoma umano] avviato nel 2003 quando volgeva al termine lo Human Genome Project [Progetto per il genoma umano], è attualmente in corso in Europa69 e alcuni ricercatori hanno dichiarato che, quando sarà ultimato, “farà sembrare lo Human Genome Project un gioco da ragazzi”70 Tornando all’esempio della progetta69. Si veda http://www.epigenome.org. 70. J. Cloud, “Why Your DNA Isn’t Your Destiny”, Time Magazine (6 gennaio 2010), http://content.time.com/time/magazine/article/0,9171,1952313,00. 125
zione di un edificio, noi possiamo cambiare il colore della facciata, il tipo di materiali usati, le dimensioni della costruzione e persino il posizionamento della struttura – creando un numero quasi infinito di variazioni – senza mai modificare il progetto iniziale. Un ottimo esempio di epigenetica all’opera riguarda due gemelli identici che hanno esattamente lo stesso DNA. Se accogliamo l’idea del determinismo genetico, secondo la quale tutte le malattie sono genetiche, allora i gemelli identici dovrebbero avere la stessa espressione genica. Ma i gemelli non sempre manifestano la stessa malattia nello stesso modo, e a volte uno dei due presenta una malattia genetica che l’altro non svilupperà mai. I gemelli possono avere geni identici ma esiti diversi. Uno studio condotto in Spagna lo illustra perfettamente. I ricercatori del Laboratorio di epigenetica del cancro al CNIO (Centro nazionale per gli studi oncologici) di Madrid hanno analizzato quaranta coppie di gemelli identici di età compresa tra i tre e i settantaquattro anni. Hanno scoperto che i gemelli più giovani che avevano stili di vita simili e avevano passato più anni insieme mostravano anche modelli epigenetici simili, mentre i gemelli più anziani, in particolare quelli che avevano stili di vita diversi e avevano passato meno anni insieme, avevano anche modelli epigenetici diversi.71 I ricercatori hanno scoperto che i geni espressi diversamente in una coppia di gemelli cinquantenni erano il quadruplo dei geni espressi diversamente in una coppia di gemelli di tre anni. I gemelli erano nati con un DNA identico, ma quelli che conducevano stili di vita differenti (e vite diverse) con l’andare del tempo erano arrivati a esprimere i loro geni in modo molto diverso. Per ricorrere a una similitudine, i gemelli più anziani erano come copie esatte dello stesso modello di computer. Sui computer erano stati installati gli stessi programmi di partenza ma, con l’andare del tempo, ciascuno dei due aveva scaricato programmi aggiuntivi molto html#ixzz2eN2VCb1W. 71. M. F. Fraga, E. Ballestar, M. F. Paz, et al., “Epigenetic Differences Arise During the Lifetime of Monozygotic Twins”, Proceedings of the National Academy of Sciences USA, vol. 102, n. 30: pp. 10604–10609 (2005). 126
diversi. Il computer (il DNA) rimane lo stesso, ma le sue funzioni e il modo in cui viene usato possono variare in misura sostanziale a seconda dei programmi che una persona ha scaricato (le variazioni epigenetiche). Così, quando formuliamo pensieri e proviamo emozioni, il nostro corpo risponde con una formula complessa di variazioni e alterazioni biologiche, e ogni esperienza preme i pulsanti di vere e proprie modificazioni geniche all’interno delle nostre cellule. Questi cambiamenti possono verificarsi a una velocità notevole. In soli tre mesi, trentuno uomini con un basso rischio di cancro alla prostata sono riusciti a regolare verso l’alto quarantotto geni (per lo più legati alla soppressione del tumore) e a regolare verso il basso 4.532 geni (per lo più legati alla progressione del tumore) seguendo un regime intensivo basato su una particolare alimentazione e stile di vita.72 Nel corso della sperimentazione, condotta dal dottor Dean Ornish alla University of California di San Francisco, gli uomini hanno ridotto il peso, l’obesità addominale, la pressione sanguigna e il profilo lipidico. Ornish ha notato: “Non si tratta solo di riduzione dei fattori di rischio o di prevenzione di eventi spiacevoli. Questi cambiamenti possono verificarsi così in fretta che non bisogna aspettare anni per vederne i benefici.”73 Ancora più impressionante è la quantità di cambiamenti epigenetici riscontrati nell’arco di sei mesi in uno studio condotto in Svezia su ventitré persone in leggero sovrappeso, uomini sani che, da una vita relativamente sedentaria, sono passati a svolgere esercizi di spinning e aerobica non più di due volte alla settimana. I ricercatori dell’Università di Lund scoprirono che i soggetti avevano operato alterazioni epigenetiche su settemila geni: quasi il 30 per cento di tutti i geni del genoma umano!74 72. D. Ornish, M. J. Magbanua, G. Weidner, et al., “Changes in Prostate Gene Expression in Men Undergoing an Intensive Nutrition and Lifestyle Intervention”, Proceedings of the National Academy of Sciences, vol. 105, n. 24: pp. 8369–8374 (2008). 73. L. Stein, “Can Lifestyle Changes Bring out the Best in Genes”, Scientific American (17 giugno 2008), http://www.scientificamerican.com/article. cfm?id=can-lifestyle-changes-bring-out-the-best-in-genes. 74. T. Rönn, P. Volkov, C. Davegårdh, et al., “A Six Months Exercise Interven127
Queste variazioni genetiche possono addirittura essere trasmesse a figli e nipoti.75 Il primo ricercatore che è riuscito a dimostrarlo è stato il dottor Michael Skinner, allora direttore del Center for Reproductive Biology [Centro di biologia riproduttiva] della Washington State University. Nel 2005, Skinner condusse una ricerca esponendo ai pesticidi un gruppo di tope gravide.76 I figli maschi delle madri esposte riportarono tassi di infertilità molto più alti e una produzione di sperma inferiore, con alterazioni epigenetiche in due geni. Queste stesse alterazioni erano presenti anche nel 90 per cento circa dei maschi di ognuna delle quattro generazioni successive, anche se nessun topo di queste generazioni era mai stato esposto ai pesticidi. Le esperienze vissute nel nostro ambiente esterno, però, sono solo uno dei fattori in gioco. Come abbiamo visto, anche il significato che assegniamo a quelle esperienze implica una serie di reazioni fisiche, mentali, emotive e chimiche che attivano i geni. Il modo in cui percepiamo e interpretiamo i dati recepiti dai nostri sensi, che siano reali o meno, e il significato che attribuiamo a quelle informazioni producono rilevanti cambiamenti biologici a livello genetico. Così, i nostri geni interagiscono e intrattengono rapporti complessi con la nostra coscienza consapevole. Potremmo dire che il significato influisce continuamente sulle strutture neurali che influenzano la nostra essenza a livello microscopico, la quale a sua volta influenza la nostra identità a livello macroscopico. Lo studio dell’epigenetica ci porta anche a chiederci: “Che cosa accade se nell’ambiente esterno non cambia nulla? Che cosa accade se facciamo sempre le stesse cose con le stesse persone esattamente alla stessa ora tutti i giorni, vivendo così le medesime esperienze, tion Influences the Genome-Wide DNA Methylation Pattern in Human Adipose Tissue”, PLOS Genetics, vol. 9, n. 6: p. e1003572 (2013). 75. D. Chow, “Why Your DNA May Not Be Your Destiny”, LiveScience (4 giugno 2013), http://www.livescience.com/37135-dna-epigenetics-diseaseresearch.html; si veda anche la nota 12. 76. M. D. Anway, A. S. Cupp, M. Uzumcu, et al., “Epigenetic Transgenerational Actions of Endocrine Disruptors and Male Fertility”, Science, vol. 308, n. 5727: pp. 1466–1469 (2005). 128
che generano le solite emozioni, che istruiscono gli stessi geni in modo identico?”. Potremmo dire che, finché guardi la vita attraverso le lenti del passato e reagisci alle circostanze con la stessa architettura neurale e con il medesimo modo di pensare, ti proietti verso un destino genetico molto specifico e predeterminato. Inoltre, le tue convinzioni su te stesso e sulla tua vita, e le scelte che compi di conseguenza, continuano a inviare messaggi sempre identici agli stessi geni. Solo quando la cellula si accende in un modo nuovo, con un’informazione diversa, può creare migliaia di variazioni nello stesso gene per riscrivere una nuova espressione di proteine, attivando il processo in grado di cambiare il corpo. Forse non sei in grado di controllare tutti gli elementi del mondo esterno, ma puoi gestire molti aspetti di quello interno. Le convinzioni, le percezioni e il modo in cui interagisci con l’ambiente esterno influiscono su quello interno, che è pur sempre l’ambiente esterno della cellula. Ciò significa che tu – non la biologia preprogrammata – hai in mano le chiavi del tuo destino genetico. Si tratta solo di trovare quella che entra nella serratura giusta per sprigionare il tuo potenziale. E allora perché non considerare i geni per quello che realmente sono? Fornitori di possibilità, risorse di potenzialità illimitate, un sistema codificato di comandi personali; in verità, non sono altro che strumenti di trasformazione, che letteralmente significa “cambiamento di forma”. LO STRESS CI COSTRINGE A VIVERE IN MODALITÀ DI SOPRAVVIVENZA Lo stress è una delle maggiori cause di cambiamento epigenetico, perché allontana il tuo corpo dal suo equilibrio. Ne esistono tre forme: lo stress fisico (trauma), lo stress chimico (tossine) e lo stress emotivo (paura, preoccupazione, senso di sopraffazione e così via). Ogni tipo di stress può innescare più di millequattrocento reazioni chimiche e produrre più di trenta ormoni e neurotrasmettitori. Quando si scatena la valanga di ormoni dello stress, la mente influenza il corpo attraverso il sistema nervoso autonomo e tu sperimenti la più intensa connessione tra corpo e mente. 129
Ironia della sorte, all’origine la condizione serviva per favorire l’adattamento. Tutti gli organismi in natura, inclusi gli esseri umani, sono programmati per gestire momenti di stress a breve termine in modo da avere le risorse per affrontare situazioni di emergenza. Quando avverti una minaccia nel tuo ambiente esterno, il sistema nervoso simpatico (un sottosistema del sistema nervoso autonomo) innesca la reazione di lotta o fuga, così il battito cardiaco accelera, la pressione sanguigna aumenta, i muscoli si contraggono e si sprigiona una raffica di adrenalina e cortisolo in tutto il corpo per prepararti a fuggire o ad affrontare il nemico in uno scontro diretto. Se vieni inseguito da un branco di lupi affamati o da una squadra di guerrieri violenti, e tu riesci a correre più veloce di loro, il tuo corpo tornerà all’omeostasi (la sua normale condizione di equilibrio) dopo che ti sarai messo in salvo. È questo il modo in cui il nostro organismo è congegnato per operare quando viviamo in modalità di sopravvivenza. Il corpo si allontana dal suo equilibrio, ma solo per brevi periodi, finché il pericolo è passato. Almeno così era nel progetto originario. La stessa cosa accade nel mondo moderno, anche se il contesto di solito è leggermente diverso. Se qualcuno ti taglia la strada quando guidi in tangenziale, magari ti spaventi per un attimo ma, appena ti accorgi che sei incolume e la paura di fare un incidente è passata, il tuo corpo torna alla normalità, a meno che quella non sia solo una delle innumerevoli situazioni stressanti che ti sono capitate in quella giornata. Se sei come la maggioranza delle persone, una sfilza di situazioni snervanti innesca continuamente dentro di te la reazione di lotta o fuga, tenendoti lontano dalla tua omeostasi per gran parte del tempo. Forse nell’arco della giornata l’automobile che ti taglia la strada è l’unica situazione che davvero mette in pericolo la tua vita, ma guidare nel traffico per andare al lavoro, l’impellenza di una relazione importante da preparare, il litigio con tua moglie o con tuo marito, l’estratto conto della carta di credito che hai trovato nella casella della posta, l’hard disk del computer che si è rotto e il nuovo capello bianco che hai notato guardandoti allo specchio 130
continuano a far circolare nel tuo corpo ormoni dello stress per la maggior parte del tempo. Combinate al ricordo di esperienze stressanti che hai vissuto in passato e all’aspettativa di quelle che vivrai in futuro, tutte queste fonti di nervosismo a breve termine si fondono in uno stress a lungo termine. Benvenuto nella versione contemporanea del vivere in modalità di sopravvivenza. Nella modalità di lotta o fuga, l’energia che sostiene la vita si mobilita affinché il corpo possa scappare o combattere. Ma quando non c’è un ritorno all’omeostasi (perché continui a percepire una minaccia), l’energia vitale si perde nel sistema. Se l’energia viene incanalata altrove, il tuo ambiente interno ne ha a disposizione di meno per far crescere e riparare le cellule, per progetti di costruzione cellulare a lungo termine e per i processi di guarigione. Le cellule si chiudono, non comunicano più tra loro e diventano “egoiste”. Non c’è tempo per occuparsi di manutenzione ordinaria (tanto meno per fare migliorie); è il momento di difendersi. Ogni cellula bada solo a se stessa, perciò la comunità collettiva delle cellule che lavorano insieme si frantuma. Il sistema immunitario e quello endocrino (tra gli altri) si indeboliscono: i geni delle loro cellule, infatti, sono compromessi, quando i segnali contenenti le informazioni che provengono dall’esterno si spengono. È come vivere in un paese in cui il 98 per cento delle risorse è destinato alla difesa e non resta nulla per le scuole, le biblioteche, la manutenzione stradale, i sistemi di comunicazione, la produzione del cibo e così via. Le strade si riempiono di buche che nessuno ripara. Le scuole soffrono per i tagli ai finanziamenti, perciò gli studenti finiscono per imparare di meno. I programmi di assistenza sociale rivolti ai poveri e agli anziani vengono sospesi. E non c’è abbastanza cibo per nutrire la popolazione. Allora non c’è da meravigliarsi se lo stress a lungo termine è stato collegato all’ansia, alla depressione, ai problemi digestivi, alla perdita di memoria, all’insonnia, all’ipertensione, alle malattie cardiache, agli ictus, al cancro, all’ulcera, all’artrite reumatoide, alle sindromi influenzali, all’accelerazione dei processi di invecchiamento, 131
alle allergie, al dolore fisico, alla stanchezza cronica, all’infertilità, all’impotenza, all’asma, agli squilibri ormonali, alle eruzioni cutanee, alla caduta dei capelli, agli spasmi muscolari e al diabete, per nominare solo alcuni tra i disturbi più diffusi (tutti, tra l’altro, derivanti da cambiamenti epigenetici). Nessun organismo in natura è progettato per sopportare gli effetti dello stress a lungo termine. Molti studi offrono prove lampanti di come le istruzioni epigenetiche per la guarigione si chiudano nelle situazioni di emergenza. Per esempio, i ricercatori dell’Ohio State University Medical Center hanno scoperto che più di centosettanta geni (molti dei quali producono proteine per facilitare il giusto tipo di guarigione da una ferita) sono compromessi dallo stress, tanto che cento di essi si chiudono completamente. I ricercatori hanno riscontrato che le ferite dei pazienti stressati hanno impiegato il 40 per cento in più del tempo per guarire e che “lo stress ha deviato l’equilibrio genomico in favore dei geni che codificavano proteine responsabili dell’arresto del ciclo cellulare, della morte e dell’infiammazione delle cellule”77 In un altro studio, condotto sui geni di cento cittadini di Detroit, sono stati isolati ventitré individui che soffrivano di stress postraumatico78. Questi soggetti hanno manifestato variazioni epigenetiche sei/sette volte superiori a quelle degli altri, molte delle quali implicavano compromissioni del sistema immunitario. I ricercatori dell’AIDS Institute dell’Università della California, hanno scoperto non solo che l’HIV si diffondeva più facilmente nei pazienti più stressati ma anche che, quanto più alti erano i livelli di stress del paziente, tanto più debole era la sua risposta ai farmaci antiretrovirali. I farmaci erano quattro volte più efficaci nei pazienti relativamente calmi, rispetto a quelli che, in base alla pressione sanguigna, al tasso di sudorazione e al battito cardiaco a riposo,
77. S. Roy, S. Khanna, P. E. Yeh, et al., “Wound Site Neutrophil Transcriptome in Response to Psychological Stress in Young Men”, Gene Expression, vol. 12, n. 4–6: pp. 273–287 (2005). 78. M. Uddin, A. E. Aiello, D. E. Wildman, et al., “Epigenetic and Immune Function Profiles Associated with Posttraumatic Stress Disorder”, Proceedings of the National Academy of Sciences, vol. 107, n. 20: pp. 9470–9475 (2010). 132
risultavano più stressati.79 Sulla base di queste scoperte, i ricercatori hanno concluso che il sistema nervoso ha un effetto diretto sulla replicazione virale. Anche se in origine la reazione di lotta o fuga era altamente adattiva (perché favoriva la sopravvivenza dei primi essere umani), ora è chiaro che, quanto più a lungo il sistema di sopravvivenza resta attivato, tanto più a lungo il corpo sottrae le risorse che servono a creare condizioni di salute ottimali. Alla fine, quindi, il sistema diventa disadattivo. L’EREDITÀ DELLE EMOZIONI NEGATIVE Mentre continuiamo a produrre gli ormoni dello stress, generiamo una moltitudine di emozioni negative che creano dipendenza, tra cui rabbia, ostilità, aggressività, competizione, odio, frustrazione, paura, ansia, gelosia, insicurezza, senso di colpa, vergogna, tristezza, depressione, disperazione e senso di impotenza, per nominarne solo alcune. Quando ci focalizziamo su pensieri collegati a ricordi spiacevoli oppure a terribili scenari futuri, escludendo tutto il resto, impediamo al corpo di ripristinare la sua omeostasi. Siamo capaci di innescare la risposta dello stress solo con il pensiero. Se l’accendiamo e non riusciamo più a spegnerla, finiamo per sviluppare qualche tipo di malattia – che può essere un raffreddore o un cancro – perché i geni continuano a regolarsi verso il basso con un effetto domino, fino al compimento del nostro destino genetico. Per esempio, se riusciamo a prefigurare uno scenario futuro, possibile e noto, e poi ci focalizziamo su quel pensiero escludendo tutto il resto anche solo per un istante, il corpo inizia a cambiare a livello fisiologico per prepararsi a quell’evento. Nel presente, il corpo sta già vivendo in quel futuro noto. Come conseguenza di questo fenomeno, il processo di condizionamento comincia ad attivare il sistema nervoso autonomo, che crea in modo automatico le sostanze 79. S. W. Cole, B. D. Naliboff, M. E. Kemeny, et al., “Impaired Response to HAART in HIV-Infected Individuals with High Autonomic Nervous System Activity”, Proceedings of the National Academy of Sciences, vol. 98, n. 22: pp. 12695–12700 (2001). 133
chimiche dello stress corrispondenti. È così che la connessione tra corpo e mente opera a nostro svantaggio. Quando questo accade, i tre elementi dell’effetto placebo sono in perfetta simmetria. Per prima cosa, iniziamo a condizionare il corpo a scatenare una raffica di adrenalina per ricaricarci di energia. Se riusciamo ad associare una persona, una cosa o un’esperienza vissuta in un particolare momento e luogo della nostra realtà esterna a quella raffica di sostanze chimiche dentro di noi, cominciamo a condizionare il corpo ad attivare quella risposta già solo pensando allo stimolo ricevuto. Con l’andar del tempo, riusciremo a condizionare il corpo a ricordarsi di quello stato emotivo al solo pensiero che si verifichi una situazione potenziale con una persona o cosa in qualche momento e luogo. Se ci aspettiamo un esito futuro in base all’esperienza del passato, allora l’aspettativa dell’evento, quando la accogliamo emotivamente, altera la fisiologia del corpo. E se assegniamo un significato ai comportamenti e alle esperienze, la nostra intenzione consapevole andrà a sostegno del risultato, così il corpo cambierà o meno in base a ciò che pensiamo di sapere su noi stessi e sulla nostra realtà. A prescindere da quanto sei convinto che lo stress della tua vita sia giustificato o legittimo, gli effetti che esso produce sul corpo non sono mai vantaggiosi o benefici per la salute. Il tuo corpo crede di essere inseguito da un leone, di stare in bilico su un dirupo o di dover lottare contro un gruppo di cannibali inferociti. Ecco alcuni esempi di studi scientifici che hanno dimostrato gli effetti dello stress sul corpo. I ricercatori dell’Ohio State University College of Medicine hanno misurato quanto incide lo stress sulla velocità di guarigione delle ferite lievi, eloquente indicatore dell’attivazione genica, e hanno confermato che le emozioni legate allo stress scatenano risposte ormonali e geniche.80 A un gruppo composto da quarantadue coppie sposate sono state praticate piccole bolle da suzione e poi, per tre 80. J. Kiecolt-Glaser, T. J. Loving, J. R. Stowell, et al., “Hostile Marital Interactions, Proinflammatory Cytokine Production, and Wound Healing”, Archives of General Psychiatry, vol. 62, n. 12: pp. 1377–1384 (2005). 134
settimane, sono stati monitorati i livelli delle tre proteine comunemente espresse nella guarigione delle ferite. Gli studiosi hanno chiesto alle coppie di intrattenere una conversazione neutrale per avere una linea di riferimento e poi di parlare di un argomento che in precedenza aveva scatenato una lite coniugale. I ricercatori hanno scoperto che, dopo aver parlato del litigio, i livelli di proteine legate alla guarigione risultavano leggermente soppressi (i geni quindi erano regolati verso il basso). La soppressione era più sensibile – intorno al 40 per cento – nelle coppie in cui la discussione era sfociata in un conflitto significativo, inasprito da commenti sarcastici, critiche e schiaffi morali. Le ricerche documentano anche l’effetto inverso: ridurre lo stress con emozioni positive innesca cambiamenti epigenetici che migliorano la salute. Due studi fondamentali, condotti dai ricercatori del Benson-Henry Institute for Mind Body Medicine, che fa capo al Massachusetts General Hospital di Boston, hanno osservato gli effetti prodotti sull’espressione genica dalla meditazione, che notoriamente induce stati di calma o addirittura di beatitudine. Nel primo studio, condotto nel 2008, venti volontari hanno ricevuto una formazione su varie pratiche mente-corpo (tra cui diversi tipi di meditazione, yoga e preghiere ripetitive) che portano al rilassamento, ossia a uno stato fisiologico di profondo riposo (discusso nel Capitolo 2).81 I ricercatori hanno anche seguito diciannove soggetti che da tempo praticavano queste tecniche su base quotidiana. Alla fine del periodo di studio, i novizi mostravano un cambiamento in 1.561 geni (874 regolati verso l’alto per favorire la salute e 678 regolati verso il basso per ridurre lo stress); inoltre avevano ridotto la pressione sanguigna e la velocità del battito cardiaco e della respirazione. I praticanti esperti, invece, avevano espresso 2.209 nuovi geni. Molti dei mutamenti genetici implicavano il miglioramento della risposta del corpo allo stress psicologico cronicizzato.
81. J. A. Dusek, H. H. Otu, A. L. Wohlhueter, et al., “Genomic CounterStress Changes Induced by the Relaxation Response”, PLOS ONE, vol. 3, n. 7: p. e2576 (2008). 135
Il secondo studio, condotto nel 2013, ha dimostrato che sollecitare la risposta di rilassamento aveva prodotto cambiamenti significativi nell’espressione genica già dopo una sessione di meditazione sia tra i principianti, sia tra i praticanti esperti (anche se questi ultimi ne avevano tratto benefici maggiori).82 I geni che si erano regolati verso l’alto comprendevano quelli coinvolti nelle funzioni del sistema immunitario, nel metabolismo energetico e nella secrezione di insulina, mentre i geni che si erano regolati verso il basso comprendevano quelli legati alle infiammazioni e allo stress. Studi come questi sottolineano con quanta rapidità possiamo cambiare i nostri geni. È per questo che l’effetto placebo può produrre modificazioni fisiche nell’arco di pochi istanti. Nei seminari che tengo in giro per il mondo, io e i miei colleghi abbiamo assistito a cambiamenti significativi e immediati nella salute dei partecipanti già dopo una sola sessione di meditazione: hanno attivato nuovi geni in altri modi solo con il pensiero. Quando viviamo in modalità di sopravvivenza, con la reazione allo stress sempre attivata, possiamo focalizzarci solo su tre cose: il nostro corpo fisico (Sto bene?), l’ambiente (Dove posso essere al sicuro?) e il tempo (Per quanto tempo ancora questa minaccia graverà su di me?). Concentrarci sempre su questi tre aspetti ci rende meno spirituali, meno consapevoli e meno attenti, perché ci induce a essere assorbiti dai noi stessi e focalizzati sul nostro corpo, sulle cose materiali (cosa possediamo, come viviamo, quanto denaro abbiamo e così via) e su tutti i problemi che sperimentiamo nell’ambiente esterno. Questa condizione ci porta a essere ossessionati dal tempo – a prepararci al peggior scenario possibile in base a esperienze traumatiche che abbiamo vissuto in passato – perché il tempo non è mai abbastanza e sembra che tutto ne richieda troppo. Perciò potremmo dire che gli ormoni dello stress, non solo inducono le cellule del corpo a diventare egoiste e ad assicurare la mera sopravvivenza, ma spingono anche noi a essere più individualisti 82. M. K. Bhasin, J. A. Dusek, B. H. Chang, et al., “Relaxation Response Induces Temporal Transcriptome Changes in Energy Metabolism, Insulin Secretion, and Inflammatory Pathways”, PLOS ONE, vol. 8, n. 5: p. e62817 (2013). 136
e materialisti, in quanto definiamo la realtà solo con i nostri sensi. Finiamo per sentirci staccati da ogni nuova possibilità, perché quando non usciamo mai dallo stato di emergenza cronica, quella mentalità da “prima io” che pervade tutti i nostri pensieri si rafforza e si perpetua, portandoci a diventare più egocentrici e centrati su noi stessi. In ultima analisi, il nostro io si definisce come un corpo che vive in un determinato ambiente e in un dato momento. Come hai appena appreso e come comprenderai meglio tra poco, la verità è che in una certa misura tu puoi controllare la tua ingegneria genetica attraverso i pensieri, le scelte, i comportamenti e le emozioni. Come Dorothy nel Mago di Oz, che, senza saperlo, aveva già dentro di sé il potere di cui era in cerca, anche tu sei dotato di un potere che forse non sapevi di possedere: si tratta delle chiavi che possono liberarti dalle catene che ti tengono legato alle limitazioni della tua espressione genetica.
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CAPITOLO 5 COME I PENSIERI CAMBIANO IL CER VELLO E IL CORPO Ora puoi comprendere che sei tu l’ingegnere epigenetico delle tue cellule attraverso i pensieri che formuli, le emozioni che provi, le esperienze che vivi, siano essi portatori di gioia o di stress. Sei tu che controlli il tuo destino. E questa verità solleva un’altra domanda: se il tuo ambiente cambia e quindi tu programmi nuovi geni in altri modi, è possibile programmare il gene prima che l’ambiente cambi, basandosi sulle proprie percezioni e convinzioni? Di solito, sensazioni ed emozioni sono i prodotti finali delle esperienze, ma è lecito chiedersi se sia possibile associare un’intenzione chiara a un’emozione, in modo da offrire al corpo un assaggio dell’esperienza futura prima che l’evento si verifichi. Quando ti focalizzi davvero sull’intenzione di raggiungere un risultato futuro, durante il processo puoi rendere il tuo pensiero interno più reale dell’ambiente esterno, perché il cervello non è in grado di distinguere le due cose. Allora il tuo corpo, agendo da mente inconscia, comincerà a sperimentare il nuovo evento futuro nel momento presente. Istruirai nuovi geni in altri modi, affinché si preparino all’esperienza futura che hai immaginato. Se continui a praticare mentalmente questa nuova serie di scelte, comportamenti ed esperienze un numero sufficiente di volte, riproducendo sempre lo stesso livello mentale, allora il tuo cervello comincerà a modificarsi fisicamente e a installare nuovi circuiti neurologici per predisporsi a pensare con quel nuovo livello mentale, come se l’esperienza si fosse già verificata. Produrrai variazioni epigenetiche che determineranno cambiamenti strutturali e funzionali nel corpo solo con il pensiero, come accade alle persone che reagiscono a un placebo. Allora, il cervello e il corpo non vivranno più nel passato immutabile, ma nel nuovo futuro che hai creato nella mente. 138
È possibile attuare questo processo con la prova mentale. Questa tecnica consiste nel chiudere gli occhi e immaginare più volte di svolgere un’azione, rivedendo mentalmente il futuro che desideri e tenendo sempre ben presente chi non vuoi più essere (il vecchio io) e chi invece vuoi essere. Il processo richiede di pensare alle azioni future pianificando mentalmente le tue scelte e focalizzando la mente su una nuova esperienza. Analizziamo nel dettaglio questo procedimento in modo da comprendere con esattezza cosa accade in una prova mentale e come funziona. Facendo le prove mentali di un certo futuro o sognando di conseguire un nuovo risultato, lo immagini di continuo fino a quando non ti diventa familiare. Quanta più conoscenza ed esperienza accumuli sulla nuova realtà che desideri, tante più risorse hai a disposizione per creare un modello migliore di ciò che hai immaginato, e tanto più intense sono le tue intenzioni e aspettative (come nel caso delle cameriere d’albergo). Ti “ricordi” di come sarà la tua vita e di come ti sentirai dopo aver ottenuto ciò che desideri. Ciò significa infondere intenzionalità alla propria attenzione. Poi associ i pensieri e le intenzioni a uno stato emotivo intenso, come la gioia o la gratitudine. (Tra poco parleremo più a fondo dell’intensità degli stati emotivi). Quando accogli questa nuova emozione con grande entusiasmo, immergi il corpo nella neurochimica che si scatenerebbe se quell’evento futuro si stesse già verificando. Potremmo dire che gli stai dando un assaggio dell’esperienza futura. Il cervello e il corpo non conoscono la differenza tra vivere un’esperienza reale e pensarla soltanto: a livello neurochimico, è la stessa cosa per loro. Perciò iniziano a credere di vivere davvero una nuova esperienza nel presente. Continuando a focalizzarti su questo evento futuro senza lasciarti distrarre da nessun altro pensiero, nell’arco di pochi istanti abbassi il volume dei circuiti neurali connessi al vecchio io, che cominciano a spegnere i vecchi geni, e inneschi e attivi nuovi circuiti neurali, che inviano i segnali giusti per attivare nuovi geni in altri modi. Grazie alla neuroplasticità di cui abbiamo già parlato, i circuiti del cervello iniziano a riorganizzarsi per riflettere l’evento che stai provando mentalmente. Mentre continui ad associare i tuoi nuovi 139
pensieri e le immagini mentali a quella intensa emozione positiva, la mente e il corpo lavorano all’unisono e tu entri in un nuovo modo d’essere. A questo punto, il cervello e il corpo non sono più un archivio del tuo passato, ma una mappa per il futuro, un futuro che hai creato tu stesso nella mente. I pensieri sono diventati la tua esperienza e tu sei diventato il tuo placebo. STORIE DI PROVE MENTALI BEN RIUSCITE Forse qualche tempo fa avrai sentito la storia di quel maggiore dell’esercito che era stato rinchiuso in un campo di concentramento in Vietnam e, per mantenersi sano di mente, ogni giorno immaginava di giocare a golf; poi, quando fu liberato e tornò finalmente a casa, giocò una partita perfetta. O forse avrai sentito del sovietico Anatolij Ščaranskij, noto come Natan Sharansky, un attivista dei diritti umani che negli anni Settanta trascorse nove anni in carcere in Unione Sovietica, accusato ingiustamente di essere una spia al servizio degli Stati Uniti. Sharansky, che durante la prigionia restò quattrocento giorni in un’angusta cella d’isolamento, buia e gelida, giocava mentalmente a scacchi contro se stesso tutti i giorni, tenendo sempre a mente le coordinate della scacchiera e la posizione di ogni pezzo. Questa pratica gli permise di preservare molte delle sue mappe neurali (che normalmente richiedono una stimolazione esterna per restare intatte). Dopo la liberazione emigrò in Israele e diventò ministro del governo. Nel 1996, quando il campione di scacchi Garri Kasparov andò in Israele per giocare una partita simultanea contro venticinque israeliani, Sharansky riuscì a batterlo.83 Aaron Rodgers, lanciatore dei Green Bay Packers, immagina dei movimenti che poi esegue con precisione sul campo. Ha portato i Packers alla vittoria nel Super Bowl del 2011, in un incontro a eliminazione diretta durante il quale i Packers, che erano sesti in 83. S. Schmemann, “End Games End in a Huff”, New York Times (20 ottobre 1996), http://www.nytimes.com/1996/10/20/weekinreview/end-games-end-ina-huff.html. 140
graduatoria, hanno vinto quarantotto a ventuno contro gli Atlanta Falcons, teste di serie. Rodgers ha completato trentuno lanci su trentasei (l’86,1 per cento), la quinta percentuale migliore di completamento di tutti i tempi nelle gare poststagionali. “A scuola, al sesto anno, un insegnante ci aveva spiegato l’importanza della visualizzazione”, raccontò Rodgers a un cronista sportivo di USA Today.84 “Quando sono in riunione, sto guardando un film o sono a letto prima di addormentarmi, visualizzo sempre quelle giocate. Molte delle tattiche che ho messo in pratica nelle partite le avevo pensate prima. Mentre stavo sdraiato sul divano, visualizzavo di farle.” Nella stessa partita, Rodgers riuscì anche a liberarsi da tre potenziali placcaggi, dichiarando in seguito a proposito di quelle giocate: “Le avevo visualizzate quasi tutte prima di farle.” Molti altri atleti professionisti hanno utilizzato la prova mentale con risultati sbalorditivi, dal golfista Tiger Woods alle stelle della pallacanestro Michael Jordan, Larry Bird e Jerry West, al lanciatore di baseball Roy Halladay. Nel suo libro Il mio golf, il campione Jack Nicklaus ha scritto: Non faccio mai un tiro senza averne in testa un’immagine molto nitida e precisa, neanche quando mi alleno. È come un film a colori. Prima ‘visualizzo’ dove voglio che vada a finire la palla, che con il suo biancore si staglia sul verde brillante dell’erba. Poi la scena cambia rapidamente e io ‘vedo’ la palla che va a finire proprio lì: il percorso che compie, la sua traiettoria e la sua forma, persino il modo in cui atterra. In seguito, c’è una sorta di dissolvenza e nella scena successiva ci sono io che trasformo quelle immagini in realtà. Solo alla fine di questo breve e privato spettacolo hollywoodiano, scelgo la mazza e mi avvicino alla palla.85
Come possiamo constatare da questi esempi (e ce ne sono moltissimi altri dello stesso tenore), numerose testimonianze dimostrano 84. J. Corbett, “Aaron Rodgers Is a Superstar QB out to Join Super Bowl Club”, USA Today (20 gennaio 2011), http://usatoday30.usatoday.com/sports/ football/nfl/packers/2011-01-19-aaron-rodgers-cover_N.htm. 85. J. Nicklaus, Il mio golf. Sperling e Kupfer, Milano, 1984. 141
che la prova mentale è efficace per acquisire un’abilità fisica senza fare pratica. Non resisto alla tentazione di aggiungere un altro esempio, che questa volta riguarda Jim Carrey e la storia straordinaria di quello che fece verso la fine degli anni Ottanta quando, appena arrivato a Los Angeles, faticava a trovare un ingaggio come attore. Su un foglio di carta, scrisse un’affermazione lunga un paragrafo sull’incontrare le persone giuste, trovare gli ingaggi giusti, lavorare nel film giusto con il giusto cast, avere successo, dare un contributo importante e fare la differenza nel mondo. Tutte le sere andava a Mulholland Drive, sulle Hollywood Hills, si appoggiava allo schienale della sua decappottabile e guardava il cielo. Ripeteva quelle frasi tra sé, mandandole a memoria, immaginando che quello che descrivevano stesse accadendo davvero. E non si allontanava da quel luogo in cui poteva osservare il panorama di Hollywood fino a quando non sentiva di essere già la persona che stava immaginando, fino a quando la sensazione non diventava reale. Un giorno si intestò un assegno del valore di dieci milioni di dollari, scrivendo come causale “Lavori di recitazione”, e datandolo “Giorno del Ringraziamento 1995”. Lo conservò nel portafoglio per anni. Finalmente, nel 1994, recitò in tre film che lo resero una stella del cinema. Il primo fu Ace Ventura - L’acchiappanimali, che uscì a febbraio, seguito da The Mask. Da zero a mito. E per il ruolo nel terzo film, Scemo e più scemo, uscito a dicembre, Carrey ricevette un assegno di diecimila dollari esatti. Riuscì a creare esattamente quello che aveva visualizzato per se stesso. Ciò che accomuna queste persone è che hanno eliminato l’ambiente esterno, travalicato il proprio corpo e trasceso il tempo tanto da riuscire a compiere notevoli cambiamenti neurologici dentro di sé. Quando si sono presentate al mondo, sono state in grado di indurre la mente e il corpo a lavorare insieme creando, nella realtà, esattamente quello che avevano concepito nel regno mentale. Tutto questo è avvalorato da studi scientifici. Tanto per cominciare, molti esperimenti sulle prove mentali dimostrano che quando ti 142
concentri su una parte del corpo, i tuoi pensieri stimolano l’area del cervello che la governa86 e, se continui a farlo, in quell’area interverranno mutamenti fisici. È normale che questo accada: se continui a indirizzare la tua consapevolezza nello stesso luogo, accendi e attivi le stesse reti neurali. Di conseguenza, costruisci mappe cerebrali più forti in quell’area. In uno studio condotto ad Harvard, soggetti che non avevano mai suonato il pianoforte svolsero mentalmente un semplice esercizio a cinque dita, due ore al giorno per cinque giorni; alla fine, senza aver mosso un dito, manifestarono gli stessi cambiamenti cerebrali riscontrati nei soggetti che avevano svolto fisicamente l’esercizio.87 La regione del cervello che controlla i movimenti delle dita si era notevolmente potenziata e aveva subito delle trasformazioni come se l’esperienza immaginata si fosse verificata davvero. Avevano installato un hardware neurologico (i circuiti) e dei software (i programmi), creando nuove mappe cerebrali solo con il pensiero. In un altro studio condotto su trenta persone per un periodo di dodici settimane, alcuni soggetti svolsero regolarmente esercizi con il mignolo, mentre altri si limitarono a immaginare di fare la stessa cosa. Alla fine della sperimentazione, mentre il gruppo che si era realmente esercitato aveva aumentato la forza del dito del 53 per cento, il gruppo che aveva solo immaginato di farlo aveva aumentato la forza del 35 per cento.88 Il loro corpo era cambiato come se avessero davvero vissuto più volte l’esperienza fisica nella realtà 86. H. H. Ehrsson, S. Geyer, E. Naito, “Imagery of Voluntary Movement of Fingers, Toes, and Tongue Activates Corresponding Body-Part-Specific Motor Representations”, Journal of Neurophysiology, vol. 90, n. 5: pp. 3304–3316 (2003). 87. A. Pascual-Leone, D. Nguyet, L. G. Cohen, et al., “Modulation of Muscle Responses Evoked by Transcranial Magnetic Stimulation During the Acquisition of New Fine Motor Skills”, Journal of Neurophysiology, vol. 74, n. 3: pp. 1037–1045 (1995). 88. V. K. Ranganathan, V. Siemionow, J. Z. Liu, et al., “From Mental Power to Muscle Power: Gaining Strength by Using the Mind”, Neuropsychologia, vol. 42, n. 7: pp. 944–956 (2004); G. Yue and K. J. Cole, “Strength Increases from the Motor Program: Comparison of Training with Maximal Voluntary and Imagined Muscle Contractions”, Journal of Neurophysiology, vol. 67, n. 5: pp. 1114–1123 (1992). 143
esterna, mentre ciò era avvenuto solo a livello mentale. La mente ha cambiato il corpo. In un esperimento analogo, dieci volontari dovettero immaginare di flettere un bicipite con tutta la forza che avevano, cinque volte a settimana. I ricercatori registrarono l’attività elettrica del cervello durante le sessioni e misurarono la loro forza muscolare ogni due settimane. Alla fine, i soggetti che avevano solo immaginato di flettere il muscolo avevano aumentato la forza del bicipite del 13,5 per cento in poche settimane, e mantennero questo livello per tre mesi dopo la fine della sperimentazione.89 Il loro corpo aveva risposto a un nuovo modo di pensare. L’ultimo esempio riguarda uno studio francese basato sul confronto tra soggetti che avevano sollevato manubri di pesi diversi e quelli che avevano solo immaginato di farlo. Chi aveva visualizzato di sollevare i carichi più pesanti aveva attivato i propri muscoli più di chi aveva immaginato di sollevare pesi più leggeri.90 In tutti e tre questi studi sulla prova mentale, i soggetti riuscirono a incrementare in modo misurabile la loro forza corporea usando solo il pensiero. Forse ti starai chiedendo se esistono studi che mostrano cosa accade quando eseguiamo l’intera sequenza, ossia quando non solo immaginiamo cosa vogliamo creare, ma vi associamo anche una forte emozione positiva. In effetti esistono e li conoscerai tra poco. ISTRUIRE NUOVI GENI NEL CORPO CON UNA MENTE NUOVA Per comprendere meglio perché le prove mentali sono così efficaci, dobbiamo soffermarci per un attimo sull’anatomia del cervello e poi fornire qualche nozione di neurochimica. Cominciamo dal lobo frontale, situato proprio dietro la fronte, che è il nostro centro creativo. Si tratta della parte del cervello predisposta all’apprendi89. P. Cohen, “Mental Gymnastics Increase Bicep Strength”, New Scientist, vol. 172, n. 2318: p. 17 (2001), http://www.newscientist.com/article/dn1591mental-gymnastics-increase-bicep-strength.html#.Ui03PLzk_Vk. 90. A. Guillot, F. Lebon, D. Rouffet, et al., “Muscular Responses During Motor Imagery as a Function of Muscle Contraction Types”, International Journal of Psychophysiology, vol. 66, n. 1: pp. 18–27 (2007). 144
mento di nuove cose: sogna altre possibilità, prende decisioni consapevoli, stabilisce le nostre intenzioni e così via. Si potrebbe dire che è il nostro amministratore delegato e, più precisamente, ci permette di osservare chi siamo e di valutare ciò che stiamo facendo e come ci sentiamo. È la sede della nostra coscienza. Svolge un ruolo importante perché, quando diventiamo più consapevoli dei nostri pensieri, possiamo guidarli meglio. Quando pratichi la prova mentale e ti concentri davvero sul risultato che desideri ottenere, il lobo frontale è il tuo alleato, perché abbassa il volume del mondo esterno in modo che tu non sia distratto dalle informazioni provenienti dai cinque sensi. Le scansioni cerebrali mostrano che in uno stato di forte concentrazione, come durante una prova mentale, la percezione del tempo e dello spazio si attenua.91 Questo accade perché il lobo frontale abbassa gli input dei centri sensoriali (che ti permettono di sentire il corpo nello spazio), dei centri motori (responsabili del movimento fisico), dei centri associativi (dove risiedono i pensieri sulla tua identità) e dei circuiti del lobo parietale (dove elabori la cognizione del tempo). Dal momento che sei in grado di trascendere l’ambiente, il tuo corpo e persino il tempo, sei anche in grado di rendere i pensieri che formuli più reali di qualunque altra cosa. Nel momento in cui immagini un futuro diverso per te, pensi a nuove possibilità e cominci a porti domande specifiche (per esempio: Come sarebbe vivere senza questo dolore o questa limitazione?) il tuo lobo frontale scatta sull’attenti. In pochi secondi, crea l’intenzione di stare bene (così hai ben chiaro cosa vuoi creare e cosa non vuoi più provare) e un’immagine mentale dell’essere sano, così puoi vedere come sarà. In qualità di amministratore delegato, il lobo frontale è in contatto con tutte le altre parti del cervello. Quindi comincia a selezionare reti di neuroni per creare un nuovo stato mentale che risponda a 91. I. Robertson, Il cervello plastico. Come l’esperienza modella la nostra mente. Rizzoli, 1999; S. Begley, “God and the Brain: How We’re Wired for Spirituality”, Newsweek (7 maggio 2001), pp. 51–57; A. Newburg, E. D’Aquili, V. Rause, Why God Won’t Go Away: Brain Science and the Biology of Belief. Ballantine Books, 2001. 145
quella domanda. Si può dire che diventa un direttore d’orchestra: riduce al silenzio tutti i vecchi impianti (utilizzando la funzione della neuroplasticità chiamata pruning) e seleziona diverse reti neurali in varie parti del cervello. Poi le collega per creare un nuovo livello mentale che rifletta ciò che stai immaginando. È il lobo frontale che cambia la tua mente: ovvero fa funzionare il cervello utilizzando sequenze, schemi e combinazioni diversi. Quando riesce a selezionare diverse reti di neuroni e le accende per creare un nuovo livello mentale, nel tuo occhio della mente, o lobo frontale, appare un’immagine o rappresentazione interna. Ora aggiungiamo qualche nozione di neurochimica. Se il lobo frontale riesce a orchestrare un numero sufficiente di reti neurali affinché si accendano all’unisono mentre ti focalizzi su un’intenzione chiara, arriverà un momento in cui nella tua mente il pensiero diventa l’esperienza: ciò avviene quando la realtà interna è più forte di quella esterna. Quando il pensiero diventa l’esperienza, cominci a sentire l’emozione che proveresti se l’evento fosse reale (ricorda: le emozioni sono configurazioni chimiche delle esperienze). Il cervello produce un messaggero chimico particolare, un neuropeptide, e lo invia alle cellule del corpo. Il neuropeptide cerca i giusti siti recettoriali o punti d’attracco su varie cellule, così potrà inviare il suo messaggio ai centri ormonali e, infine, al DNA; a questo punto le cellule riceveranno il messaggio che segnala che l’evento si è verificato. Quando il DNA di una cellula riceve questa informazione dal neuropeptide, risponde accendendo (o regolando verso l’alto) alcuni geni e spegnendone (o regolando verso il basso) altri, per supportare il tuo nuovo modo d’essere. Pensa alla regolazione verso l’alto e verso il basso come al processo con cui le luci si riscaldano e si fanno più intense o si raffreddano e si affievoliscono. Quando un gene viene acceso, si attiva per creare una proteina. E possiamo riscontrarne gli effetti nei cambiamenti misurabili che si verificano nel corpo a livello fisico. Osserva la Figura 5.1A e la Figura 5.1B. Ti aiuteranno a seguire l’intera sequenza del cambiamento fisico innescato dal solo pensiero. 146
CAMBIARE IL CORPO CON IL SOLO PENSIERO
Figura 5.1A
GUARIRE IL CORPO CON IL SOLO PENSIERO
Figura 5.1B. Nella figura 5.1A, il diagramma dimostra come i pensieri inneschino una cascata di semplici meccanismi e reazioni chimiche in una causalità discendente che cambia il corpo. Per deduzione, se nuovi pensieri possono creare una nuova mente attivando nuove reti neurali, rilasciando neuropeptidi e ormoni più sani (che istruiscono le cellule in modi nuovi e, a livello epigenetico, attivano nuovi geni per produrre nuove proteine), e se l’espressione delle proteine è l’espressione della vita, che equivale alla salute del corpo, allora, come illustra la Figura 5.1B, i pensieri possono guarire il corpo.
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LE CELLULE STAMINALI: IL NOSTRO POTENTE BACINO DI POTENZIALITÀ Il passaggio successivo che dobbiamo comprendere in questo puzzle è costituito dalle cellule staminali. Queste ultime sono responsabili almeno in parte del processo che rende possibile ciò che appare impossibile. Ufficialmente si tratta di cellule biologiche indifferenziate che poi si specializzano. Sono potenzialità allo stato puro. Quando questi elementi neutri vengono attivati, si trasformano in qualunque tipo di cellula di cui il corpo ha bisogno (cellule dei muscoli, delle ossa, della pelle, del sistema immunitario e anche cellule nervose), per sostituire quelle lesionate o danneggiate nei tessuti, negli organi e negli apparati dell’organismo. Puoi immaginarle come un piatto di pasta prima che venga versato il condimento; come un mucchio di argilla sul tornio del ceramista che attende di essere trasformato in un piatto, in una ciotola, in un vaso o in una tazza; o magari un rotolo di nastro adesivo telato color argento, che un giorno potrà essere usato per riparare un tubo che perde e il giorno dopo potrà essere abilmente modellato per trasformarlo in un abito da sera. Ecco un esempio di come funzionano le cellule staminali. Quando ti ferisci un dito, il corpo ha bisogno di riparare la lesione. Il trauma fisico locale invia dall’esterno un segnale ai geni, che si accendono e producono la proteina appropriata, la quale istruisce le cellule staminali affinché si trasformino in cellule della pelle che funzionino in modo sano. Il segnale del trauma è l’informazione che serve alla cellula staminale per differenziarsi e diventare una cellula epidermica. Nel nostro corpo sono costantemente in atto milioni di processi come questo. Processi di guarigione attribuibili a questo tipo di espressione genica sono stati documentati nel fegato, nei muscoli, nella pelle, nell’intestino, ma anche nel cervello e nel cuore.92 Negli studi sulla guarigione delle ferite, è emerso che, quando il soggetto è in uno stato emotivo fortemente negativo come la rabbia, le cellule staminali non ricevono il messaggio con chiarezza. Se c’è un’interferenza nel segnale, come avviene nelle comunicazioni 92. Rossi, The Psychobiology of Gene Expression. 148
radio a causa dei disturbi atmosferici, la cellula potenziale non riceve il giusto stimolo per trasformarsi in una cellula utile. Come hai appreso leggendo la parte sulla reazione allo stress e sul vivere in modalità di sopravvivenza, la guarigione è più lunga perché gran parte dell’energia del corpo è impegnata a gestire la rabbia e i suoi effetti chimici. Non c’è tempo per occuparsi della creazione, della crescita e dello sviluppo: è il momento dell’emergenza. Perciò, quando l’effetto placebo è in atto e riesci a creare il giusto livello mentale con un’intenzione più chiara, associata a un’emozione edificante ed elevata, la cellula del DNA può essere raggiunta dal segnale adeguato. Il messaggio influenza non solo la produzione di proteine utili affinché migliorino la struttura e la funzionalità del corpo, ma anche la creazione di cellule nuove e benefiche, nate dalle staminali latenti che aspettano solo di essere attivate dal segnale giusto. Puoi immaginare queste cellule staminali come le carte del Monopoli che indicano “esci gratis di prigione”, perché quando vengono pescate o attivate sostituiscono le cellule nelle aree lesionate del corpo, permettendo una completa rigenerazione. Infatti, le cellule staminali sono tra i fattori che spiegano come si verifica il processo di guarigione in almeno la metà dei casi in cui una finta operazione chirurgica, per l’artrite al ginocchio o per un bypass coronarico, innesca l’effetto placebo (come descritto nel Capitolo 1). COME INTENZIONE ED EMOZIONE INTENSA CAMBIANO LA NOSTRA BIOLOGIA Abbiamo già accennato alle emozioni e al ruolo vitale che svolgono nella guarigione del corpo, ma ora dobbiamo approfondire l’argomento. Associare una reazione emotiva intensa a pensieri nuovi su cui ci concentriamo nella prova mentale è come inserire il turbo ai nostri sforzi, perché le emozioni aiutano a compiere cambiamenti epigenetici in modo più rapido. La componente emotiva non è indispensabile; dopotutto, i soggetti che hanno rafforzato i loro muscoli solo immaginando di sollevare dei pesi non hanno avuto bisogno di entrare in uno stato di beatitudine per modificare i propri geni. Però si sono ispirati usando l’immaginazione, pensando: “Più 149
forte! Più forte! Più forte!” a ogni sollevamento mentale. L’emozione è stata il catalizzatore energetico che ha potenziato il processo.93 Mantenere un’emozione così elevata ci permette di ottenere risultati migliori molto più in fretta, gli stessi risultati eccezionali che si riscontrano con la reazione al placebo. Ricordi lo studio sull’effetto della risata spiegato nel Capitolo 2? I ricercatori giapponesi hanno scoperto che guardare un programma comico per un’ora regola verso l’alto trentanove geni, quattordici dei quali, in quel caso specifico, erano collegati all’attività delle cellule natural killer (predatori naturali delle cellule dannose) nel sistema immunitario. Altri studi hanno dimostrato un aumento del numero di anticorpi nei soggetti che avevano guardato un film comico.94 Una ricerca condotta alla University of North Carolina di Chapel Hill ha dimostrato che l’intensificarsi di emozioni positive produce un aumento del tono vagale, parametro con cui si misura il livello di salute del nervo vago, che svolge un ruolo fondamentale nel regolare il sistema nervoso autonomo e nell’omeostasi.95 In uno studio giapponese, si è visto che quando i topi neonati venivano solleticati per cinque minuti al giorno, cinque giorni di fila, stimolando così emozioni positive, il loro cervello generava nuovi neuroni.96 In ognuno di questi casi, forti emozioni positive hanno aiutato i soggetti a innescare veri e propri cambiamenti fisici che hanno 93. Yue, Cole, Il cervello infinito. Ponte alle Grazie, 2007. 94. K. M. Dillon, B. Minchoff, and K. H. Baker, “Positive Emotional States and Enhancement of the Immune System”, International Journal of Psychiatry in Medicine, vol. 15, n. 1: pp. 13–18 (1985–1986); S. Perera, E. Sabin, P. Nelson, et al., “Increases in Salivary Lysozyme and IgA Concentrations and Secretory Rates Independent of Salivary Flow Rates Following Viewing of Humorous Videotape”, International Journal of Behavioral Medicine, vol. 5, n. 2: pp. 118–128 (1998). 95. B. E. Kok, K. A. Coffey, M. A. Cohn, et al., “How Positive Emotions Build Physical Health: Perceived Positive Social Connections Account for the Upward Spiral Between Positive Emotions and Vagal Tone”, Psychological Science, vol. 24, n. 7: pp. 1123–1132 (2013). 96. T. Yamamuro, K. Senzaki, S. Iwamoto, et al., “Neurogenesis in the Dentate Gyrus of the Rat Hippocampus Enhanced by Tickling Stimulation with Positive Emotion”, Neuroscience Research, vol. 68, n. 4: pp. 285–289 (2010). 150
migliorato la loro salute. Le emozioni positive fanno prosperare il corpo e il cervello. Ora analizziamo lo schema di molti studi sul placebo: quando qualcuno comincia a nutrire l’intenzione chiara di un nuovo futuro (la volontà di vivere senza dolore o malattia) e la associa a un’emozione intensa (entusiasmo, speranza e aspettativa di vivere davvero senza dolore o malattia), il corpo non vive più nel passato. Sta già vivendo in quel nuovo futuro, perché, come abbiamo visto, il corpo non conosce la differenza tra un’emozione creata da un’esperienza reale e una suscitata solo dal pensiero. Perciò, quello stato emotivo intenso, in reazione al nuovo pensiero, è un elemento vitale del processo, perché è una nuova informazione che arriva dall’esterno della cellula; e per il corpo, l’esperienza dell’ambiente esterno e quella dell’ambiente interno si equivalgono. Ricordi il signor Wright che abbiamo incontrato nel Capitolo 1? Era entusiasta di prendere il nuovo potente farmaco di cui aveva sentito parlare e immaginava che l’avrebbe aiutato a guarire. Era così eccitato che ha insistito affinché il medico gli permettesse di prenderlo. Quando ha cominciato ad assumerlo, non sapeva che fosse inerte. E siccome il suo cervello non conosceva la differenza tra l’immagine mentale della guarigione dotata di una forte carica emotiva e la guarigione effettiva, il corpo ha reagito come se quello che il signor Wright aveva immaginato fosse già accaduto. La mente e il corpo hanno lavorato in sinergia per istruire nuovi geni in altri modi. È stato questo processo, e non il “nuovo farmaco potente”, a far regredire il tumore e a ripristinare la salute, creando un nuovo modo d’essere. Quando il signor Wright ha saputo che le sperimentazioni avevano dimostrato l’inefficacia del farmaco, è tornato alle sue vecchie convinzioni ed emozioni, cioè al suo vecchio programma, e non c’è da meravigliarsi se il tumore si sia riformato. Il suo modo d’essere è cambiato ancora. Quando i medici gli hanno detto che poteva prendere una versione potenziata del farmaco, Wright si è entusiasmato di nuovo. Ha cominciato a credere davvero che questa nuova versione potesse funzionare, perché l’aveva già fatto in precedenza (o almeno così pensava). 151
Ovviamente, quando ha accolto ancora una volta l’intenzione di guarire e ha iniziato a pensare a quella possibilità, il suo cervello ha cominciato a innescare e ad attivare altre connessioni neurali, creando una mente nuova. Questo stato emotivo, caratterizzato da entusiasmo e speranza, ha generato nel corpo le sostanze chimiche a sostegno di nuovi pensieri. Il suo corpo non conosceva la differenza tra i pensieri e le emozioni relativi al guarire e all’essere guarito davvero. Ancora una volta corpo e cervello hanno reagito come se ciò che lui aveva immaginato fosse già accaduto, e i tumori sono scomparsi di nuovo. Dopo aver letto che questo “farmaco miracoloso” in realtà era una bufala, Wright è tornato definitivamente alle vecchie convinzioni ed emozioni; così è tornata anche la sua vecchia personalità, con i suoi tumori. La verità è che non c’è stato nessun farmaco miracoloso: era lui il miracolo. E non c’è stato nessun placebo: era lui il placebo. Perciò dobbiamo sforzarci non solo di evitare le emozioni negative, come la paura e la rabbia, ma anche di coltivare profonde emozioni positive, come la gratitudine, la gioia, l’esaltazione, l’entusiasmo, la fascinazione, lo stupore, l’ispirazione, la meraviglia, la fiducia, la riconoscenza, la gentilezza, la compassione e la consapevolezza del nostro potere, per ottenere ogni beneficio possibile quando ottimizziamo la nostra salute. Le ricerche dimostrano che quando attingiamo a emozioni positive, come la gentilezza e l’empatia, che peraltro sono dentro di noi fin dalla nascita, tendiamo a rilasciare un particolare neuropeptide (chiamato ossitocina), che spegne naturalmente i recettori nell’amigdala, la parte del cervello che genera ansia e paura.97 Quando eliminiamo queste due emozioni, ci sentiamo infinitamente più fiduciosi, propensi al perdono e aperti all’amore. Passiamo dall’egoismo all’altruismo. E quando incarniamo questo nuovo modo d’essere, i nostri neurocircuiti spalancano le porte a infinite possibilità 97. T. Baumgartner, M. Heinrichs, A. Vonlanthen, et al., “Oxytocin Shapes the Neural Circuitry of Trust and Trust Adaptation in Humans”, Neuron, vol. 58, n. 4: pp. 639–650 (2008). 152
che prima non avremmo nemmeno immaginato, perché ora non spendiamo più tutta la nostra energia per cercare di sopravvivere. Gli scienziati stanno scoprendo aree del corpo – come l’intestino, il sistema immunitario, il fegato, il cuore e molti altri organi – che contengono siti recettoriali per l’ossitocina. Questi organi sono molto reattivi agli effetti curativi di questo neuropeptide, collegato allo sviluppo di nuovi vasi sanguigni nel cuore,98 alla stimolazione delle funzioni immunitarie,99 all’aumento della motilità intestinale100 e alla normalizzazione dei livelli di glucosio nel sangue.101 Torniamo per un attimo alla prova mentale. Ricorderai che il lobo frontale è il nostro alleato quando ne svolgiamo una. Questo accade perché ci aiuta a staccarci dal corpo, dall’ambiente e dal tempo: i tre elementi su cui è focalizzato chi vive in modalità di sopravvivenza. Esso ci aiuta a trascendere noi stessi e a entrare in uno stato di pura coscienza in cui siamo privi di ego. In questo nuovo stato, quando visualizziamo ciò che desideriamo, il nostro cuore è più aperto e le emozioni positive possono scorrere attraverso di noi, in modo tale che il circolo del sentire ciò che pensiamo e pensare ciò che sentiamo finalmente opera in nostro favore. L’assetto egoista che avevamo assunto quando vivevamo nella modalità “lotta o fuggi” non esiste più, perché l’energia che prima era incanalata per soddisfare i bisogni legati alla sopravvivenza ora 98. M. G. Cattaneo, G. Lucci, L. M. Vicentini, “Oxytocin Stimulates in Vitro Angiogenesis via a Pyk-2/Src-Dependent Mechanism”, Experimental Cell Research, vol. 315, n. 18: pp. 3210–3219 (2009). 99. A. Szeto, D. A. Nation, A. J. Mendez, et al., “Oxytocin Attenuates NADPH-Dependent Superoxide Activity and IL-6 Secretion in Macrophages and Vascular Cells”, American Journal of Physiology: Endocrinology and Metabolism, vol. 295, n. 6: pp. E1495–501 (2008). 100. H. J. Monstein, N. Grahn, M. Truedsson, et al., “Oxytocin and Oxytocin-Receptor mRNA Expression in the Human Gastrointestinal Tract: A Polymerase Chain Reaction Study”, Regulatory Peptides, vol. 119, n. (1–2): pp. 39–44 (2004). 101. J. Borg, O. Melander, L. Johansson, et al., “Gastroparesis Is Associated with Oxytocin Deficiency, Oesophageal Dysmotility with HyperCCKemia, and Autonomic Neuropathy with Hypergastrinemia”, BMC Gastroenterology, vol. 9: p. 17 (2009). 153
è stata liberata e possiamo disporne per creare. È come se qualcuno ci pagasse l’affitto o una rata del mutuo per un mese e noi avessimo denaro extra da utilizzare a piacimento. Ora possiamo comprendere perché, se manteniamo chiara l’intenzione di un nuovo futuro, se l’associamo a uno stato emotivo elevato e se ripetiamo il processo in continuazione fino a creare un nuovo stato mentale e un nuovo modo d’essere, questi pensieri ci sembreranno più reali della visione limitata della realtà che avevamo prima. Finalmente siamo liberi. E quando accogliamo davvero quell’emozione, possiamo innamorarci più facilmente della possibilità che stiamo immaginando. Il direttore d’orchestra (il lobo frontale) si sente come un bambino in una pasticceria: con entusiasmo e gioia, vede ogni tipo di connessione neurale possibile per formare nuove reti di neuroni. E mentre ci fa staccare dal vecchio modo d’essere, accendendo i circuiti di quello nuovo, la nostra neurochimica comincia a inviare messaggi diversi alle cellule, che ora sono pronte ad attuare cambiamenti epigenetici per istruire nuovi geni in modi nuovi e benefici. Inoltre, dal momento che abbiamo usato emozioni intense per convincere il nostro corpo che tutto questo è già accaduto, riusciamo a istruire il gene prima dell’ambiente. Non dobbiamo più aspettare il cambiamento e sperare in esso: il cambiamento siamo noi. TORNIAMO AL MONASTERO Torniamo alla ricerca esposta all’inizio di questo capitolo, dove alcuni anziani hanno finto di essere più giovani e sono ringiovaniti davvero nel fisico. Ora abbiamo risposto alla domanda “Ma come hanno fatto?” e abbiamo risolto il mistero. Quando sono arrivati al monastero, si sono allontanati dalla loro solita vita. Intorno a sé non avevano elementi che vincolavano la percezione della loro identità all’ambiente esterno. Hanno cominciato il ritiro mantenendo un’intenzione molto chiara: fingere di essere più giovani (usando la prova sia fisica, sia mentale, perché entrambe cambiano il cervello e il corpo) e rendere la simulazione il più reale possibile. Guardando film, leggendo riviste e ascoltando programmi radiofonici 154
e televisivi che erano in voga quando avevano ventidue anni di meno, senza interferenze del mondo contemporaneo, sono riusciti a liberarsi della loro realtà di settantenni e ottantenni. Hanno cominciato a vivere davvero come se fossero più giovani. Sperimentando pensieri ed emozioni nuove legate all’età che fingevano di avere, il loro cervello ha iniziato ad attivare sequenze, schemi e combinazioni neurali nuove, alcune delle quali non venivano attivate da ventidue anni. Oltre alla loro immaginazione entusiasta, tutto ciò che li circondava era uno stimolo gioioso a vivere l’esperienza come se fosse reale: perciò il loro cervello non colse nessuna differenza tra essere più giovani di ventidue anni e fingere di esserlo. Nell’arco di pochi giorni, questi uomini sono riusciti ad attivare proprio quei cambiamenti genetici che riflettevano l’identità che avevano assunto. In questo processo, il loro corpo ha prodotto neuropeptidi adeguati alle nuove emozioni, che sono stati inviati alle cellule del corpo per consegnare nuovi messaggi. Una volta entrati nelle cellule giuste, hanno avuto accesso al DNA racchiuso nel nucleo. A quel punto sono state create nuove proteine, che hanno cercato geni conformi all’informazione che stavano trasportando. Quando li hanno trovati, hanno tolto l’involucro del DNA, hanno acceso il gene che era lì ad attenderle e hanno innescato cambiamenti epigenetici, che a loro volta hanno innescato la produzione di nuove proteine che somigliavano a quelle di uomini ventidue anni più giovani. Se il corpo di questi uomini non avesse avuto i componenti necessari per attuare i cambiamenti epigenetici richiesti, l’epigenoma avrebbe utilizzato le cellule staminali per produrre ciò che serviva. Man mano che questi uomini attuavano cambiamenti epigenetici e attivavano nuovi geni, innescavano miglioramenti fisici a profusione tanto che, quando sono usciti dai cancelli del monastero con il busto eretto e il passo leggero, non erano più gli stessi uomini che una settimana prima avevano varcato quella soglia trascinando i piedi. E se il processo ha funzionato per queste persone, ti assicuro che può funzionare anche per te. Tu quale realtà scegli di vivere e chi fingi di essere (o di non essere)? Può essere così semplice? 155
CAPITOLO 6 S U G G E S T I O N A B I L I TÀ Il trentaseienne Ivan Santiago era in paziente attesa in una via di New York, insieme a un gruppo di paparazzi ammassati dietro a un cordone di velluto vicino alla porta di servizio di un albergo a quattro stelle del Lower East Side. Stavano aspettando un dignitario straniero che di lì a poco sarebbe uscito dall’edificio per salire su una delle due limousine nere che lo attendevano accostate al marciapiede. Ma Santiago non brandiva una macchina fotografica. Con una mano frugò all’interno del suo zaino rosso nuovo fiammante ed estrasse una pistola dotata di silenziatore. Santiago, guardia carceraria della Pennsylvania con un fisico imponente e una testa così pelata da far invidia a Vin Diesel, ne sapeva qualcosa di armi mortali. Non aveva mai dovuto sparare quand’era in servizio, ma quel giorno era pronto a farlo. Pochi istanti prima, Santiago stava tornando a casa senza pensare minimamente alle pistole, agli zaini, ai dignitari stranieri o all’omicidio. Ma adesso era lì, con il dito sul grilletto, le sopracciglia aggrottate e l’espressione truce, e nel giro di pochi secondi sarebbe diventato un assassino. La porta dell’albergo si aprì e il suo bersaglio uscì vestito di tutto punto, con una camicia candida e inamidata, occhiali da sole e ventiquattrore di pelle. L’uomo aveva fatto solo due o tre passi in direzione della limousine, quando Santiago sparò tre colpi. L’uomo cadde a terra esanime e una macchia rossa si allargò sulla camicia. Qualche secondo dopo, un uomo di nome Tom Silver apparve dal nulla, posò una mano sulla spalla di Santiago e l’altra sulla sua fronte e disse: “Adesso conterò fino a cinque e dirò ‘pienamente ristorato’. Apri gli occhi e svegliati. Uno, due, tre, quattro, cinque! Pienamente ristorato!”. Santiago era stato ipnotizzato e indotto a sparare a uno sconosciuto (in realtà uno stuntman) usando un’arma che si scoprì essere 156
un’innocua pistola a salve, in un esperimento condotto da alcuni scienziati che volevano verificare l’impensabile: usando l’ipnosi, è possibile programmare una brava persona rispettosa della legge a diventare un assassino a sangue freddo?102 Nascosti nella limousine, gli occhi puntati sulla scena, c’erano i ricercatori che lavoravano con Silver: Cynthia Meyersburg, borsista di ricerca ad Harvard specializzata in psicopatologia sperimentale, Mark Stokes, neuroscienziato a Oxford che studiava le vie neurali nei processi decisionali e Jeffery Kieliszewski, psicologo forense della Human Resource Associates di Grand Rapids, in Michigan, che aveva lavorato in carceri di massima sicurezza e ospedali psichiatrici giudiziari. Il giorno prima, i ricercatori avevano cominciato il lavoro con un gruppo di centottantacinque volontari. Silver (un ipnoterapista clinico ed esperto di ipnosi forense che aveva aiutato il Dipartimento della Difesa di Taiwan a sventare un traffico internazionale di armi da 2,4 miliardi di dollari) esaminò tutti i soggetti per determinare quanto fossero suggestionabili con l’ipnosi. Solo una piccola percentuale della popolazione, compresa tra il 5 e il 10 per cento, è considerata molto ricettiva all’ipnosi. Nel gruppo sperimentale, i sedici che risultarono idonei furono sottoposti a una valutazione psicologica per scartare chi rischiava di subire un danno permanente a seguito dell’esperimento. Undici persone passarono alla fase successiva, che mirava a determinare se, sotto ipnosi, avrebbero ricusato norme sociali profondamente radicate: questo test serviva per individuare i soggetti più suggestionabili. Divisi in gruppi più piccoli, i candidati furono portati a pranzo in un ristorante abbastanza affollato ma, a loro insaputa, gli fu indotta una suggestione postipnotica: sedendosi, sentirono la sedia rovente, tanto che per il caldo cominciarono a spogliarsi nel bel mezzo del ristorante. In varia misura, tutti i partecipanti si comportarono secondo le istruzioni, ma i ricercatori eliminarono i sette soggetti che sembrava stessero giocando o che non erano risultati sufficien102. Discovery Channel, “Brainwashed”, stagione 2, episodio 4 della serie Curiosity, trasmesso il 28 ottobre 2012. 157
temente suggestionabili da seguire per intero le indicazioni. Gli altri si spogliarono fino a rimanere in mutande in pochi secondi; pensavano davvero che le sedie fossero incandescenti. I quattro che passarono al livello successivo furono invitati a fare un test in cui nessuno poteva fingere. Dovevano entrare in una profonda vasca metallica piena d’acqua a 1,6 gradi, temperatura prossima al congelamento. Uno alla volta, i soggetti furono collegati ad apparecchiature che monitoravano ritmo cardiaco, velocità del respiro e pulsazioni, mentre una speciale telecamera termografica monitorava la temperatura corporea e quella dell’acqua. Dopo averli ipnotizzati, Silver disse che non avrebbero sentito alcun disagio per l’acqua fredda; anzi, avrebbero avuto la sensazione di entrare in un piacevole bagno caldo. L’anestesista Sekhar Upadhyayula supervisionò l’esperimento alla presenza di personale medico pronto a intervenire in caso di emergenza. La prova avrebbe decretato la riuscita o il fallimento della sperimentazione. Di solito, quando una persona si immerge in un’acqua così fredda, boccheggia a causa di un riflesso involontario quando l’acqua arriva all’altezza dei capezzoli. Il ritmo cardiaco e la velocità della respirazione si impennano e l’individuo inizia a tremare e a battere i denti. È il sistema nervoso autonomo che prende il sopravvento nel tentativo di mantenere l’equilibrio interno; si tratta di un processo che sfugge al controllo della mente conscia. Anche se la persona si trovasse in un profondo stato di ipnosi, in queste circostanze estreme la quantità di sensazioni inviate al cervello sarebbe troppo schiacciante per poter mantenere lo stato ipnotico. Se alcuni di questi soggetti avessero passato il test, di sicuro si sarebbe trattato di persone altamente suggestionabili. Tre soggetti erano in un profondo stato di ipnosi, ma non tanto da resistere al freddo estremo senza perdere l’omeostasi. Nessuno dei tre riuscì a restare in acqua per più di diciotto secondi. Ma il quarto soggetto, Santiago, rimase in acqua per due minuti prima che il dottor Upadhyayula sospendesse l’esperimento. Il ritmo cardiaco di Santiago era veloce prima dell’esperimento, ma quando entrò in acqua si calmò subito. Il suo elettrocardiogramma 158
non riportò fibrillazioni né anomalie nella frequenza respiratoria. Santiago stava nell’acqua ghiacciata come se fosse immerso in un bagno caldo; infatti era proprio questo che credeva di fare. Non ebbe mai un fremito, né il suo corpo andò in ipotermia, perciò i ricercatori trovarono in lui il soggetto che stavano cercando. Dal momento che Santiago si era rivelato un soggetto altamente suggestionabile sotto ipnosi, tanto che il suo corpo aveva superato un ambiente estremo per tutto quel tempo e la sua mente era riuscita a controllare le funzioni automatiche, era pronto per il test finale. Le verifiche sul suo passato dimostrarono che Santiago era una brava persona. Era un lavoratore affidabile, un figlio devoto e uno zio affettuoso. Di certo non era il tipo d’uomo che avrebbe mai accettato di uccidere qualcuno a sangue freddo. Silver sarebbe riuscito a trasformare un uomo del genere in un assassino? Affinché questa fase dell’esperimento fosse valida, Santiago doveva restare all’oscuro di tutto; non doveva fare alcun collegamento tra i test a cui aveva partecipato e la scena davanti all’albergo, che si trovava vicino al luogo in cui si svolgeva la ricerca. In base al piano, i produttori televisivi che dovevano filmare gli esperimenti gli dissero che era stato selezionato per continuare il programma, ma volevano che tornasse l’indomani per un breve colloquio finale. Prima di andare via, gli fu detto che non l’avrebbero più ipnotizzato. Santiago tornò il giorno dopo. Mentre chiacchierava con una produttrice, la squadra si mise all’opera per allestire la scena all’aperto. Lo stuntman indossò sacche di sangue finto, la pistola a salve (che aveva lo scoppio e il rinculo di una vera arma da fuoco) fu inserita in uno zaino rosso e depositata sul sedile di una motocicletta parcheggiata fuori dall’edificio. Un cordone di velluto fu posizionato fuori dall’entrata di servizio dell’albergo, che era proprio lì accanto, e finti paparazzi presero posto con le loro telecamere e macchine fotografiche. Due limousine furono parcheggiate in strada con l’aria di essere pronte a partire con a bordo il “dignitario straniero” e il suo entourage. 159
Al piano di sopra, Santiago rispose felicemente alle domande della sua “intervista finale” fin quando la produttrice non si assentò per qualche istante, scusandosi e dicendo che sarebbe tornata subito. Poco dopo entrò Silver, che disse di volerlo salutare. Mentre gli stringeva la mano, diede un piccolo strattone al braccio di Santiago, condizionato a rispondere a questo stimolo, per farlo cadere immediatamente in uno stato di trance ipnotica. Santiago zoppicò fino al divano. Silver gli disse che di sotto c’era “un tizio cattivo”, aggiungendo: “Deve essere eliminato. Dobbiamo sbarazzarci di lui e sarai tu a farlo.” Spiegò a Santiago che doveva prendere lo zaino rosso, camminare fino al cordone di velluto e restare lì ad attendere il dignitario che sarebbe uscito dall’albergo con una ventiquattrore. Gli ordinò: “Non appena esce dalla porta, tu gli punti la pistola al petto e spari: Bang! Bang! Bang! Bang! Bang! Appena l’avrai fatto, dimenticherai nella maniera più totale e assoluta che sia mai accaduto.” Infine, Silver impiantò uno stimolo acustico e uno fisico che avrebbero fatto entrare Santiago in uno stato ipnotico, nel quale avrebbe seguito la suggestione postipnotica che Silver gli aveva dato: gli disse che, fuori dall’edificio, avrebbe riconosciuto uno dei produttori. Quell’uomo gli avrebbe stretto la mano dicendo: “Ivan, hai fatto un lavoro spettacolare.” Silver chiese a Santiago di annuire se intendeva fare quel che gli era stato chiesto e Santiago obbedì. Poi lo fece uscire dallo stato di trance e si comportò come se davvero si stessero solo salutando. Quando Silver uscì, la produttrice tornò nella stanza e ringraziò Santiago, dicendogli che il colloquio era terminato e che era libero di andare. Poco dopo, Santiago lasciò l’edificio pensando di tornare a casa. Una volta fuori, uno dei produttori gli andò incontro, gli strinse la mano e disse: “Ivan, hai fatto un lavoro spettacolare.” Ecco lo stimolo scatenante. Subito dopo, Santiago si guardò intorno, vide la motocicletta, la raggiunse, prese con calma lo zaino rosso appoggiato sul sedile. Avvistò il cordone di velluto e i paparazzi e, mentre andava in quella direzione, aprì adagio la cerniera dello zaino. Dopo qualche istante, un uomo con la ventiquattrore uscì 160
dalla porta. Senza esitazioni, Santiago estrasse la pistola dallo zaino, mirò al petto di quell’uomo e sparò diversi colpi. Le sacche di sangue finto sotto la camicia del “dignitario” si lacerarono e la vittima cadde a terra. Silver apparve quasi subito sulla scena e chiese a Santiago di chiudere gli occhi. Lo stuntman si allontanò in tutta fretta mentre Silver fece uscire Santiago dallo stato di trance. A quel punto, lo psicologo Jeffery Kieliszewski si avvicinò e chiese a Santiago di entrare nell’edificio insieme agli altri per un debriefing [Ndt: Colloquio psicologico a seguito di un evento potenzialmente traumatico]. Lì, i ricercatori spiegarono a uno stupefatto Santiago che cos’era accaduto e gli chiesero se avesse qualche ricordo di ciò che aveva fatto o di quanto era successo fuori dall’edificio. Santiago rispose di no, fino a quando Silver non lo suggestionò a ricordarsene. PROGRAMMARE IL SUBCONSCIO Nei primi capitoli hai letto di molte persone che hanno accettato uno scenario immaginato e, come per magia, il loro corpo ha reagito alla visione che avevano in mente: persone che soffrivano da anni dei tremori involontari del morbo di Parkinson sono riuscite a far salire i loro livelli di dopamina solo con il pensiero, vedendo sparire misteriosamente la paralisi spastica; una donna affetta da depressione cronica che, con l’andar del tempo, ha cambiato il suo cervello e ha trasformato il suo stato emotivo debilitante in gioia e benessere; soggetti asmatici che hanno sperimentato una crisi respiratoria inalando del semplice vapore acqueo, ma poi hanno lenito la costrizione bronchiale con lo stesso metodo; infine uomini con forti dolori al ginocchio e mobilità limitata che sono migliorati dopo un finto intervento chirurgico e hanno mantenuto i progressi per anni. In tutti questi casi e in molti altri, si può dire che ogni soggetto ha accettato e creduto alla suggestione di una salute migliore, arrendendosi all’esito senza ulteriori approfondimenti. Una volta che questi individui hanno accettato una potenziale guarigione, si sono allineati con una possibile realtà futura e in questo processo hanno cambiato la mente e il cervello. Credendo in quell’esito, hanno ac161
colto emotivamente l’idea di una salute migliore e di conseguenza il loro corpo, agendo da mente inconscia, ha cominciato a vivere in quella realtà futura già nel presente. Hanno condizionato il corpo a rispondere a una mente nuova, così hanno cominciato a istruire nuovi geni in altri modi e a esprimere nuove proteine per una salute migliore; dunque sono entrati in un modo d’essere diverso. Arrendendosi a un nuovo possibile scenario, non si sono interrogati su come o quando si sarebbe manifestato; hanno semplicemente creduto in un modo d’essere migliore e hanno mantenuto quel nuovo stato mentale e corporeo per un periodo prolungato. È quel modo d’essere prolungato che ha attivato i geni giusti e li ha programmati per restare accesi. Sia che abbiano preso pillole di zucchero per settimane o mesi, sia che abbiano ricevuto un’unica iniezione salina o un intervento chirurgico finto, questi individui hanno affermato la loro accettazione, la loro convinzione e la loro resa per tutta la durata della sperimentazione a cui hanno preso parte. La pillola che prendevano tutti i giorni per alleviare il dolore o la depressione era un costante promemoria del condizionamento, dell’aspettativa e dell’assegnazione di un significato alla loro attività intenzionale, che andava costantemente a rafforzare il processo interiore. Se si recavano in ospedale ogni settimana per incontrare il medico e riferire i loro miglioramenti, la scelta d’interagire con un particolare ambiente pieno di dottori, infermieri, attrezzature mediche e sale d’attesa scatenava una serie di reazioni sensoriali e, attraverso la memoria associativa, i soggetti richiamavano alla mente un nuovo futuro possibile. Per via delle esperienze passate, erano condizionati a credere che il posto chiamato “ospedale” fosse il luogo in cui le persone vanno per guarire. Cominciarono ad aspettarsi cambiamenti futuri e per questo infusero una forte intenzionalità a tutto il processo di guarigione. Vista l’importanza di questi fattori, ognuno di essi concorse a rendere i pazienti che assumevano il placebo più suggestionabili agli esiti che sperimentavano. E ora sveliamo ciò che è ovvio: nessun meccanismo fisico, chimico o terapeutico ha provocato questi cambiamenti. Nessuna di queste persone si è sottoposta a un vero intervento chirurgico, ha preso 162
farmaci contenenti principi attivi o ha ricevuto una terapia capace di influire significativamente sulla salute. È stato il potere della mente a condizionare la fisiologia del loro corpo tanto da farle guarire. Non è azzardato affermare che la vera trasformazione si sia verificata indipendentemente dalla loro consapevolezza. Essa potrebbe aver avviato il processo, ma il lavoro vero e proprio si è svolto a livello subconscio, perciò i soggetti sono rimasti totalmente inconsapevoli di come sia accaduto. Lo stesso vale per Ivan Santiago. Il potere della sua mente sotto ipnosi ha influenzato a tal punto la sua fisiologia che, anche quando era immerso in una vasca d’acqua gelida, non ha avuto neanche un fremito. Il responsabile di questa impresa non è stata la sua mente conscia, ma il potere del suo subconscio, alterato da una mera suggestione. Se lui non avesse accettato questa suggestione, l’esito sarebbe stato molto diverso. Invece lo ha fatto senza pensare a come riuscirci: nella sua mente, infatti, non era immerso in una vasca d’acqua gelida, bensì in un piacevole bagno caldo. Come nell’ipnosi, l’effetto placebo è creato dalla coscienza che in qualche modo interagisce con il sistema nervoso autonomo. Il conscio si fonde con il subconscio. Quando i pazienti assumono il placebo, accettano un pensiero come se fosse realtà e credono e confidano emotivamente nel risultato finale. L’esito è che cominciano a stare meglio. Tutto il cambiamento biologico è dato da una cascata di eventi fisiologici che si svolgono in modo automatico, senza che la mente conscia sia coinvolta. I soggetti riescono a entrare nel sistema operativo in cui queste funzioni si svolgono già su base quotidiana e, quando lo fanno, è come se piantassero un seme in un terreno fertile. Il sistema assume il comando al posto loro. Nessuno deve fare nulla. Il processo accade da sé. Nessuno di questi soggetti avrebbe potuto intervenire coscientemente per aumentare i livelli di dopamina del 200 per cento e controllare i tremori, produrre nuovi neurotrasmettitori per combattere la depressione, istruire le cellule staminali a trasformarsi in globuli bianchi per predisporre una risposta immunitaria o riparare la car163
tilagine del ginocchio per ridurre il dolore, così come Santiago non avrebbe potuto evitare coscientemente di avere un fremito quando si è immerso in quella vasca. Chiunque cerchi di compiere queste imprese di certo non ci riuscirebbe. Dovrebbe ricorrere all’aiuto di una mente che sa già come avviare tutti questi processi. Per riuscirci, dovrebbe attivare il sistema nervoso autonomo, la mente subconscia, e poi assegnargli il compito di produrre nuove cellule e proteine salutari. ACCETTAZIONE, CONVINZIONE E RESA Nelle pagine di questo libro ho parlato di suggestionabilità come se essere suggestionabili fosse qualcosa che tutti noi possiamo fare volontariamente a comando. Come hai letto all’inizio del capitolo, in realtà non è così facile. Ammettiamolo. Alcuni di noi – di certo Ivan Santiago – sono più suggestionabili di altri. E anche i soggetti più suggestionabili rispondono meglio ad alcune suggestioni che ad altre. Per esempio, nell’esperimento sull’ipnosi, alcuni soggetti non hanno avuto problemi a spogliarsi in pubblico quando hanno ricevuto quella suggestione postipnotica, ma non sono riusciti ad accettare a livello subconscio l’idea che una vasca d’acqua gelida fosse un piacevole bagno caldo. Hanno reagito diversamente, anche se le suggestioni postipnotiche (compresa quella data a Santiago di sparare allo sconosciuto) di solito sono più difficili da impiantare rispetto a quelle che alterano temporaneamente lo stato di una persona durante la trance ipnotica. Come l’ipnosi, anche la reazione al placebo non funziona per chiunque. I pazienti placebo che sono riusciti ad attuare cambiamenti positivi durati anni (come gli uomini sottoposti al finto intervento al ginocchio) hanno reagito proprio come i soggetti sottoposti a ipnosi a cui erano state date suggestioni postipnotiche. Per alcuni, suggestioni di questo tipo funzionano magnificamente. In altri casi non succede granché. Per esempio, molte persone, quando stanno male o soffrono di una malattia, non accettano l’idea che un farmaco, una procedura, una 164
terapia o un’iniezione possano aiutarle, figuriamoci un placebo. Perché no? Perché crederci richiederebbe nuovi pensieri che trascendono la loro condizione e che alimentano nuove sensazioni, le quali a loro volta rafforzerebbero quei pensieri, fino a generare un altro modo d’essere. Ma se le sensazioni conosciute sono diventate lo strumento di un pensiero familiare, e l’individuo non riesce ad andare oltre quell’abitudine, allora rimarrà nello stesso stato mentale e corporeo e tutto resterà identico. Tuttavia, se le persone che non ammettono l’idea che un farmaco o una procedura possa farle stare meglio riuscissero a raggiungere un nuovo livello di accettazione e convinzione, per poi arrendersi a quel risultato senza agitarsi, preoccuparsi né fare continue analisi, potrebbero ottenere ricompense ancora più grandi da questo processo. La suggestionabilità è proprio questo: trasformare un pensiero in un’esperienza virtuale e far sì che il nostro corpo risponda in un modo nuovo e coerente con quell’esperienza. La suggestionabilità combina tre elementi: accettazione, convinzione, resa. Quanto più accettiamo quello che stiamo facendo per cambiare il nostro stato interiore, ce ne convinciamo e ci arrendiamo a esso, tanto migliori saranno i risultati che possiamo ottenere. Analogamente, quando Santiago era sotto ipnosi e il suo subconscio aveva assunto il controllo, riuscì ad accettare senza riserve quanto gli disse Silver sul “tizio cattivo” da eliminare: Santiago si convinse che quella fosse la verità e riuscì ad arrendersi a essa tanto da eseguire le istruzioni che aveva ricevuto, senza analizzare o riflettere criticamente su quanto stava per compiere. Non si è tormentato e non ha chiesto dimostrazioni. Non ci ha pensato due volte. L’ha fatto e basta. AGGIUNGERE L’EMOZIONE Quando ci si prospetta l’idea di una salute migliore e possiamo associare questa speranza o pensiero - che qualcosa fuori di noi stia per cambiare ciò che è dentro di noi – a un’anticipazione emotiva dell’esperienza, diventiamo suggestionabili al risultato finale imma-
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ginato. Forniamo il condizionamento, l’aspettativa e l’assegnazione di significato a tutto il sistema di erogazione. Ma la componente emotiva è la chiave di questa esperienza: la suggestionabilità non è solo un processo intellettuale. Molte persone riescono a pensare razionalmente di stare meglio, ma se non riescono ad accogliere emotivamente il risultato, non possono accedere al sistema nervoso autonomo (come ha fatto Santiago con l’ipnosi), che è fondamentale in quanto sede dei programmi subconsci che assumono il comando (come abbiamo visto nel Capitolo 3). Infatti, nell’ambito della psicologia, è comunemente accettato il fatto che una persona che sperimenta emozioni intense tende a essere più ricettiva alle idee e quindi più suggestionabile. Il sistema nervoso autonomo è controllato dal cervello limbico, chiamato anche “cervello emotivo” o “chimico”. Il cervello limbico, illustrato nella Figura 6.1, è responsabile delle funzioni subconscie, come l’assetto chimico e l’omeostasi, per mantenere il naturale equilibrio fisiologico del corpo. È il tuo centro emotivo. Quando sperimenti sensazioni diverse, attivi questa parte del cervello che crea le molecole chimiche corrispondenti alle emozioni. E siccome il cervello emotivo sta sotto la soglia della coscienza e sfugge al suo controllo, nel momento in cui senti l’emozione, attivi il sistema nervoso autonomo. Così, se l’effetto placebo ti chiede di accogliere un’emozione intensa prima che si verifichi la reale esperienza di guarigione, allora amplificando la tua risposta emotiva (e uscendo dal tuo normale stato di inerzia), attivi il tuo subconscio. Concederti di sentire le emozioni è un modo per entrare nel sistema operativo e programmare un cambiamento, istruendo il sistema nervoso autonomo affinché crei l’assetto chimico corrispondente al miglioramento, come se stessi già meglio. E il corpo riceve una miscela di quei naturali elisir alchemici prodotti dal cervello e dalla mente. Grazie alle emozioni, il corpo diventa la mente.
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MOVIMENTO DELLA COSCIENZA
Figura 6.1. Quando provi un’emozione, riesci a superare la neocorteccia – la sede della coscienza – e ad attivare il sistema nervoso autonomo. Perciò, quando travalichi la mente pensante, entri in una parte del cervello in cui vengono regolati, mantenuti e realizzati i processi relativi alla salute.
Come abbiamo visto, non tutte le emozioni producono lo stesso effetto. Quelle che proviamo quando siamo in modalità di sopravvivenza turbano l’equilibrio del cervello e del corpo e regolano verso il basso (o spengono) i geni necessari per una salute ottimale. La paura, la superficialità, la rabbia, l’ostilità, l’impazienza, il pessimismo, la competizione e il timore non istruiscono i geni necessari al miglioramento della salute. Fanno proprio il contrario. Attivano la reazione di lotta o fuga nel sistema nervoso e preparano il corpo all’emergenza. In questo modo, l’energia vitale utile alla guarigione viene dispersa. La stessa situazione si verifica quando provi a far accadere qualcosa. In quel momento, entri in conflitto con qualcosa perché ti sforzi di cambiarlo. Combatti perché tenti di forzare un risultato, anche se non ti accorgi di farlo. Anche questo turba il tuo equilibrio,
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proprio come le emozioni legate alla sopravvivenza, e quanto più diventi frustrato e impaziente, tanto più ti allontani dal tuo equilibrio. Ricordi quando Yoda, ne L’Impero colpisce ancora, dice a Luke Skywalker che non si tratta di provare, ma solo di fare (o non fare)? Lo stesso vale per la reazione al placebo: non si tratta di provare, ma solo di lasciar accadere. Tutte quelle emozioni stressanti e negative sono così familiari e si legano a così tanti eventi conosciuti che, quando ci focalizziamo su di loro, tengono legato il corpo alle stesse condizioni del passato, che in questo caso sono cattive condizioni di salute. Non arrivano nuove informazioni che possano programmare i tuoi geni in altri modi. Il passato rafforza il futuro. D’altro canto, emozioni come la gratitudine e la riconoscenza aprono il cuore e innalzano l’energia del corpo per dirigerla verso un posto nuovo, lontano dai centri ormonali inferiori. La gratitudine è una delle emozioni più potenti nell’aumentare il livello di suggestionabilità. Insegna emotivamente al tuo corpo che l’evento per cui sei grato è già accaduto, perché di solito esprimiamo riconoscenza dopo che si è verificata una situazione auspicabile. Se accendi l’emozione della gratitudine prima dell’evento effettivo, il tuo corpo (agendo da mente inconscia) comincia a credere che la circostanza futura è già accaduta, o sta accadendo nel presente. Perciò la gratitudine è lo stato ricettivo più avanzato. Osserva la Figura 6.2 per comprendere la differenza tra l’espressione delle emozioni legate alla sopravvivenza e l’espressione di quelle più elevate. Se riesci a coltivare l’emozione della riconoscenza o della gratitudine e ad associarla a un’intenzione chiara, cominci a incarnare emotivamente l’evento auspicato. Cambi il cervello e il corpo. Nello specifico, istruisci chimicamente il tuo corpo affinché sappia ciò che la mente sa a livello teorico. Potremmo dire che nel presente stai già vivendo un nuovo futuro. Non usi più sensazioni primitive e familiari che ti tengono ancorato al passato, ma emozioni elevate che ti proiettano verso un nuovo futuro.
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EMOZIONI ELEVATE VS. EMOZIONI LIMITATE
Figura 6.2. Le emozioni legate alla sopravvivenza derivano soprattutto dagli ormoni dello stress, che tendono ad alimentare stati mentali e fisici egoisti e limitati. Quando accogli emozioni più elevate e creative, innalzi la tua energia e la dirigi verso centri ormonali diversi, il cuore comincia ad aprirsi e tu ti senti più altruista. È a questo punto che il corpo inizia a rispondere a una mente nuova.
I DUE VOLTI DELLA MENTE ANALITICA Torniamo all’idea cui accennavamo poco fa, ovvero che ciascuno di noi ha un diverso livello di ricettività a una suggestione: esiste quindi un ampio spettro di suggestionabilità. Ognuno di noi ha un proprio livello di sensibilità nei confronti di pensieri, suggestioni e comandi provenienti dalla realtà interna o esterna, che dipende da molte variabili. Il tuo livello di suggestionabilità è inversamente proporzionale al pensiero analitico (come illustra la Figura 6.3): quanto più è presente la mente analitica (quanto più tendi ad analizzare), tanto meno lo è la tua suggestionabilità; e viceversa. 169
MENTE ANALITICA E SUGGESTIONABILITÀ
Figura 6.3. Rapporto inversamente proporzionale tra mente analitica e suggestionabilità.
La mente analitica (o mente critica) è la parte della mente che usi a livello conscio e di cui sei consapevole. È una funzione della neocorteccia, la parte pensante del cervello in cui ha sede la coscienza consapevole; si tratta della parte che riflette, osserva, ricorda le cose e risolve i problemi. Analizza, confronta, giudica, ripensa, esamina, mette in discussione, distingue, vaglia, ragiona, razionalizza e pensa. Prende le nozioni apprese dalle esperienze passate e le applica a evenienze future o a qualcosa che non ha ancora vissuto. Per esempio, nell’esperimento sull’ipnosi esposto all’inizio di questo capitolo, sette degli undici soggetti a cui era stata data la suggestione ipnotica di togliersi i vestiti in pubblico al ristorante non hanno eseguito il comando. La loro mente analitica li ha “riportati alla ragione”. Nel momento in cui hanno cominciato ad analizzare la situazione – È giusto farlo? Davvero dovrei? Che impressione darò? Chi mi vedrà? Cosa penserà il mio fidanzato? – la suggestione non si è rivelata sufficientemente potente e i soggetti sono tornati al loro familiare modo d’essere. Quelli che si sono spogliati subito, fino a restare in mutande, invece, hanno agito senza mettere in discussione quanto stavano facendo. Si sono rivelati meno analitici (e quindi più suggestionabili) degli altri. Dato che la neocorteccia è divisa in due metà chiamate emisferi, è naturale che per la maggior parte del tempo analizziamo e pensiamo in termini dualistici: buono o cattivo, giusto o sbagliato, positivo o negativo, maschio o femmina, eterosessuale o omosessuale, destra o 170
sinistra, passato o futuro, logica o emozione, vecchio o nuovo, testa o cuore… Credo che ti sia fatto un’idea. E se viviamo in condizioni di stress, le sostanze chimiche che pompiamo nel nostro organismo tendono ad accelerare ancor di più il processo analitico. Diventiamo più razionali per prevedere esiti futuri al fine di proteggerci dal peggiore scenario potenziale, basandoci sulle esperienze passate. Non c’è nulla di sbagliato nella mente analitica. Essa ci offre un grande servizio nell’arco della nostra vita cosciente e vigile. Ci rende umani. Il suo compito è creare significati e coerenza tra il nostro ambiente esterno (le esperienze combinate di persone e cose in momenti e luoghi diversi) e quello interno (i pensieri e le emozioni). La mente analitica funziona meglio quando siamo calmi, rilassati e focalizzati. È in queste condizioni che lavora per noi. Esamina simultaneamente molti aspetti della vita e ci fornisce risposte piene di significato. Ci aiuta a scegliere tra una miriade di opzioni per farci prendere decisioni, imparare nuove cose, valutare se dobbiamo credere in qualcosa, giudicare le situazioni sociali in base alla nostra etica, individuare con chiarezza il nostro scopo nella vita, distinguere ciò che è morale da ciò che non lo è e vagliare importanti dati sensoriali. Essendo un’estensione dell’ego, la mente analitica ci protegge per permetterci di affrontare il nostro ambiente esterno e sopravvivere al meglio. Infatti, uno dei compiti principali dell’ego è proteggerci. Essa valuta le situazioni che si verificano nell’ambiente esterno e analizza il contesto in base agli esiti più vantaggiosi che può offrire. Si prende cura dell’io e cerca anche di preservare il corpo. Ti avvisa quando c’è un potenziale pericolo e ti incita a reagire a quella circostanza. Per esempio, se cammini per la strada e vedi delle auto che viaggiano troppo vicino al lato del marciapiede su cui ti trovi, sarai indotto a spostarti più verso l’interno per proteggerti: è il tuo ego a darti questa indicazione. Ma quando l’ego non ha più il suo equilibrio a causa dell’aumento degli ormoni dello stress, la mente analitica può entrare in uno stato di accelerazione e stimolazione eccessiva. In questi casi non lavora più per noi, ma contro di noi. Diventiamo troppo analitici. E 171
l’ego diventa troppo egoista in quanto vuole assicurarsi che i nostri bisogni abbiano la priorità, perché questo è il suo compito. Pensa e sente come se dovesse controllare tutto per proteggere la nostra identità. Cerca di esercitare il proprio potere sugli eventuali risultati, predice quello che gli serve per creare una situazione di massima sicurezza, resta aggrappato a ciò che gli è familiare e si rifiuta di lasciar andare, perciò trattiene i rancori, sente dolore e soffre, oppure non riesce a uscire dal suo vittimismo. Eviterà sempre ogni condizione sconosciuta e la considererà potenzialmente pericolosa, perché per l’ego non bisogna mai fidarsi dell’ignoto. L’ego farà di tutto per rafforzare il proprio potere con l’impeto di emozioni che generano dipendenza. Sa quel che vuole e si darà da fare per conquistarlo, sgomitando per mettersi in prima fila. Nella sua funzione protettiva può essere scaltro, manipolatore, competitivo e falso. Così, quanto più la situazione è stressante, tanto più la mente analitica è indotta ad analizzare la tua vita all’interno del quadro emotivo che sperimenti in quel dato momento. Quando questo accade, la tua coscienza si allontana ancor di più dal sistema operativo della mente subconscia, dove si possono attuare i veri cambiamenti. Analizzi la tua esistenza sulla base del passato emotivo, anche se la risposta ai tuoi problemi non è dentro quelle emozioni, che ti stanno inducendo a pensare sempre più intensamente all’interno di uno stato chimico limitato e familiare. Stai “pensando nella scatola”. Poi, a causa del circolo di cui abbiamo già discusso, quei pensieri ricreano le stesse emozioni e così allontanano ancora di più il cervello e il corpo dal loro assetto. Solo superando quell’emozione stressante e vedendo la tua vita da uno stato mentale diverso, riuscirai a trovare le risposte. Lo scoprirai tra poco. Quando la mente analitica incrementa la sua attività, diventi meno suggestionabile ai nuovi risultati. Perché? Perché un’emergenza impellente non è il momento giusto per essere mentalmente aperti, considerare nuove possibilità e accettare scenari potenziali. Non è il momento giusto per credere in nuove idee, per lasciarsi andare 172
e arrendersi a esse. Non è il momento giusto per fidarsi; è il momento di proteggere l’io valutando l’ignoto in base ai parametri di ciò che è già noto, al fine di determinare la massima probabilità di sopravvivenza. È il momento di fuggire da ciò che non si conosce. Perciò è comprensibile che, quando la mente analitica è alimentata dagli ormoni dello stress, pensi in modo più ristretto, sei meno incline a credere e a fidarti delle novità e sei meno suggestionabile a confidare nella forza del pensiero o ad accogliere un’idea ignota per conoscerla. In ultima analisi, puoi usare la mente analitica o l’ego in modo che lavorino per te o contro di te. IL FUNZIONAMENTO INTERNO DELLA MENTE Immagina la mente analitica come una parte distinta della coscienza (o mente conscia) che la separa dal subconscio (o mente subconscia). Siccome il placebo funziona solo quando la mente analitica è ridotta al silenzio e la coscienza può interagire con il subconscio (questo infatti è il territorio in cui si attuano i veri cambiamenti), la reazione al placebo è possibile solo quando riesci a trascendere il tuo io e a eclissare la coscienza con il sistema nervoso autonomo. Osserva la Figura 6.4, che offre una rappresentazione semplificata della mente. Il cerchio raffigura la mente intera. La coscienza rappresenta solo il 5 per cento. Essa è la sede della logica e del ragionamento, ma anche delle nostre capacità creative. Questi aspetti generano il nostro libero arbitrio. Il restante 95 per cento della mente è il subconscio, sede del sistema operativo in cui tutte le nostre capacità automatiche, le abitudini, le reazioni emotive, i comportamenti innati, le reazioni condizionate, i ricordi associativi, i pensieri usuali e le emozioni consuete determinano i nostri atteggiamenti, le convinzioni e le percezioni. La mente conscia è il luogo in cui depositiamo i nostri ricordi espliciti o dichiarativi. I ricordi dichiarativi sono quelli che possiamo esporre, sono le conoscenze che abbiamo appreso (denominate ricordi semantici) e le esperienze che abbiamo vissuto in questa vita (ricordi episodici). Poniamo che tu sia una donna cresciuta in Tennessee; da piccola andavi a cavallo finché non sei caduta rompendoti un braccio; quando avevi dieci anni il tuo animale domestico 173
era una tarantola, che è scappata dalla gabbia perciò tu e la tua famiglia avete dovuto dormire in albergo per due giorni, a quattordici anni hai vinto la gara nazionale di ortografia e ora non sbagli mai a scrivere una parola, hai studiato economia e commercio in un’università del Nebraska, ora vivi ad Atlanta per stare vicina a tua sorella (che lavora per una grande azienda) e stai seguendo un master in finanza online. I ricordi dichiarativi sono il tuo io autobiografico. LA MENTE
Figura 6.4. Questa è una rappresentazione della coscienza, della mente analitica e del subconscio.
Gli altri sono i ricordi impliciti o non dichiarativi, chiamati anche ricordi procedurali, che subentrano quando hai svolto un’azione così tante volte che ormai non sei nemmeno cosciente di come la fai. L’hai ripetuta talmente spesso che ora il tuo corpo la conosce quanto il tuo cervello. Pensa ad azioni come andare in bicicletta, schiacciare il pedale della frizione, allacciarti le scarpe, digitare un numero di telefono o un PIN su una tastiera, ma anche leggere o 174
parlare. Sono i programmi automatici di cui abbiamo già discusso. Potremmo dire che non hai più bisogno di pensare consciamente alla capacità o all’abitudine che hai acquisito e di analizzarla perché ora è diventata subconscia. Questo è il sistema operativo programmato, illustrato nella Figura 6.5. Quando hai acquisito la capacità di fare qualcosa al punto tale che si è configurata nella tua mente e ha condizionato emotivamente il corpo, allora quest’ultimo sa come svolgerla, così come lo sa la tua mente conscia. Hai memorizzato un assetto neurochimico interno che è diventato innato. Il motivo è semplice: l’esperienza ripetuta alimenta le reti neurali del cervello e conclude il processo di memorizzazione allenando emotivamente il corpo. Se, attraverso l’esperienza, l’evento si materializza a livello neurochimico per un numero di volte sufficiente, puoi attivare il tuo corpo e il programma automatico corrispondente solo accedendo a una sensazione o a un pensiero familiare subconscio, dopodiché entri in un particolare modo d’essere che esegue quel comportamento automatico. SISTEMI DELLA MEMORIA
Figura 6.5. I sistemi della memoria si dividono in due categorie: ricordi dichiarativi (espliciti) e ricordi non dichiarativi (impliciti).
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Siccome i ricordi impliciti si formano con le emozioni legate all’esperienza, due possibili scenari spiegano come si svolge questo processo: (1) un singolo evento ad alta carica emotiva può essere immediatamente vidimato e immagazzinato nel subconscio (per esempio un ricordo d’infanzia: ti trovavi in un supermercato e ti sei allontanato da tua madre). (2) Le emozioni ridondanti che derivano dal ripetersi dell’esperienza vengono depositate nello stesso posto. Dal momento che i ricordi impliciti fanno parte del sistema subconscio della memoria e sono immagazzinati in quest’area per via di un’esperienza ripetuta o di un evento ad alta carica emotiva, quando lasci affiorare un’emozione o una sensazione, apri una porta che ti fa accedere al subconscio. I pensieri sono il linguaggio del cervello e le emozioni sono il linguaggio del corpo, perciò nel momento in cui senti un’emozione, attivi il tuo corpo-mente (perché il tuo corpo è diventato la tua mente subconscia). Così facendo, entri nel tuo sistema operativo. Puoi pensarla in questi termini: quando ti senti in un certo modo familiare, a livello subconscio accedi a una serie di pensieri che derivano da quella particolare sensazione. Su base quotidiana, ti autosuggestioni con pensieri che si associano al modo in cui ti senti. Sono pensieri che accetti, in cui credi e ai quali ti arrendi come se fossero veri. Perciò, sei più suggestionabile solo ai pensieri che combaciano esattamente con quella sensazione. Di conseguenza, quei pensieri che formuli inconsciamente sono gli unici che accetti, in cui credi e ai quali ti arrendi in continuazione. Viceversa, potremmo dire che sei molto meno suggestionabile ai pensieri che non si associano alle emozioni che hai memorizzato. Ogni nuovo pensiero che riflette una possibilità ignota non ti sembra giusto. Il tuo dialogo interiore sfugge ogni istante alla tua coscienza e stimola il sistema nervoso autonomo e il flusso di processi biologici, rafforzando le sensazioni programmate della persona che pensi di essere. Ricorda lo studio esposto nel Capitolo 2, in cui i ricercatori hanno scoperto che gli ottimisti reagivano in modo più favorevole alle suggestioni positive, mentre i pessimisti rispondevano in modo più intenso alle suggestioni negative. 176
Alla luce di ciò, se dovessi cambiare il modo in cui ti senti, potresti diventare più suggestionabile a un nuovo flusso di pensieri? Certo che sì! Provando un’emozione elevata e permettendole di alimentare un nuovo ordine di pensieri, puoi aumentare il tuo livello di suggestionabilità alle emozioni che hai sentito e ai pensieri che poi hai formulato. Entri in un nuovo modo d’essere e i tuoi pensieri diventano autosuggestioni associate a quella sensazione. Quando senti delle emozioni, attivi naturalmente la memoria implicita e il sistema nervoso autonomo. Puoi semplicemente lasciare che il sistema nervoso faccia quello che sa fare meglio: ripristinare l’equilibrio, la salute e l’ordine. Non è forse ciò che hanno fatto i soggetti degli studi sul placebo che abbiamo esaminato? Non sono forse riusciti a coltivare emozioni elevate come la speranza, l’ispirazione o la gioia di star bene? E quando hanno contemplato una nuova possibilità senza analizzarla, il loro livello di suggestionabilità non è stato forse influenzato da quelle emozioni? Quando hanno provato queste emozioni, non sono forse entrati nel loro sistema operativo per riprogrammare il sistema nervoso autonomo – solo con il pensiero – con nuovi comandi e autosuggestioni associate a esse? APRIRE LA PORTA DEL SUBCONSCIO I diversi gradi di suggestionabilità possono essere illustrati visivamente attraverso differenti spessori della mente analitica. Quanto più spessa è la barriera tra conscio e subconscio, tanto più è difficile entrare nel sistema operativo. Osserva le Figure 6.6 e 6.7, che rappresentano due diverse tipologie di mente. Nella Figura 6.6 c’è un velo molto sottile tra conscio e subconscio, perciò la mente è aperta alla suggestione (come nel caso di Ivan Santiago, di cui abbiamo parlato all’inizio di questo capitolo). Questo tipo di persona tende per natura ad accettare, a credere e ad arrendersi a un risultato, perché non analizza o non razionalizza in misura eccessiva. È più incline ad accettare l’idea che un pensiero sia un’esperienza potenziale e ad accoglierlo emotivamente tanto 177
che il pacchetto si imprime nel suo sistema nervoso autonomo, pronto a essere eseguito per trasformarsi in realtà. Non passa troppo tempo a cercare di interpretare i fatti della vita e non riflette troppo a fondo sulle cose. Se hai mai visto una seduta di ipnosi collettiva su un palcoscenico, di solito i soggetti in prima fila rientrano in questa categoria. Ora confronta questa immagine con la Figura 6.7. Osservando lo spessore della mente analitica che separa conscio e subconscio, puoi facilmente dedurre che questa persona è meno incline ad accogliere suggestioni così come le vengono offerte, senza che la mente razionale intervenga per valutarle, elaborarle, pianificarle e rivederle. Soggetti di questo tipo sono estremamente critici e vogliono analizzare ogni cosa prima di arrendersi e fidarsi. PIÙ SUGGESTIONABILE
Figura 6.6. Una mente meno analitica (rappresentata da un linea più sottile nell’illustrazione) è più suggestionabile.
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Alcuni di noi hanno una mente analitica più sviluppata, anche se non vivono con gli ormoni dello stress sempre in circolo. Magari è perché da giovani hanno studiato diverse materie all’università o hanno vissuto con genitori che hanno rafforzato i meccanismi del pensiero razionale, o è solo parte della loro natura. In ogni caso, anche se hai una mente analitica molto sviluppata puoi imparare a travalicarla. Io ci sono riuscito, quindi c’è speranza. MENO SUGGESTIONABILE
Figura 6.7. Una mente analitica più sviluppata (rappresentata da una linea più spessa nell’illustrazione) è meno suggestionabile.
Come ho già detto, nessuna di queste condizioni è più vantaggiosa dell’altra. Penso che l’ideale sia un sano equilibrio tra le due. Chi è troppo analitico è meno incline a fidarsi e a immergersi nella vita. Chi è troppo suggestionabile può rivelarsi eccessivamente ingenuo e poco pragmatico. Il punto è che, se analizzi di continuo la tua vita, giudicandoti e facendoti ossessionare da ogni aspetto della tua realtà, allora non entrerai mai nel sistema operativo in cui si trovano quei vecchi programmi e non potrai mai riconfigurarli. Solo quando una persona accetta, crede e si arrende a una suggestione, si 179
apre la porta tra conscio e subconscio. Quell’informazione invia segnali al sistema nervoso autonomo, che subito assume il comando. Ora osserva la Figura 6.8. La freccia rappresenta il movimento della consapevolezza a partire dalla mente conscia fino al livello del subconscio, dove la suggestione è impressa biologicamente nel sistema di programmazione. ONDE CEREBRALI OLTREPASSARE LA MENTE ANALITICA
Figura 6.8. La figura rappresenta la relazione tra gli stati di onde cerebrali e il movimento della consapevolezza dal conscio al subconscio, che oltrepassa la mente analitica durante la pratica della meditazione.
Anche altri fattori possono ridurre al silenzio la mente analitica e aprire la porta del subconscio per aumentare il livello di suggestionabilità di una persona. Per esempio, la stanchezza fisica o mentale ci rende più sensibili. Alcuni studi hanno dimostrato che un’esposizione limitata a stimoli sociali, fisici e ambientali in uno stato di deprivazione sensoriale può causare un aumento della suscettibilità. Anche la fame estrema, lo shock emotivo e i traumi possono indebolire le nostre facoltà analitiche, rendendoci più suggestionabili. 180
DEMISTIFICARE LA MEDITAZIONE Come l’ipnosi, la meditazione è un altro modo per oltrepassare la mente critica ed entrare nel sistema di programmazione del subconscio. Lo scopo è quello di portare la consapevolezza oltre la mente analitica, distogliendo la propria attenzione dal mondo esterno, dal corpo e dal tempo, e focalizzandosi sul mondo interiore dei pensieri e delle emozioni. Il termine meditazione è oggetto di molti preconcetti. La maggior parte della gente immagina un guru barbuto che siede in cima a una montagna, immune agli elementi, perfettamente immobile; oppure un monaco con una veste modesta, il viso illuminato da un grande sorriso misterioso; o una bellissima donna dalla pelle levigata che appare sulla copertina di una rivista, con raffinati abiti da yoga, serena e libera dalla schiavitù di tutte le impellenze della vita quotidiana. Vedendo queste immagini, molti di noi potrebbero credere che la disciplina richiesta dalla meditazione sia inattuabile, fuori dalla loro portata e al di là delle loro capacità. Alcuni potrebbero credere che questa pratica spirituale non sia conforme alla loro fede religiosa. E altri sono semplicemente disorientati dall’infinita varietà di meditazioni esistenti e non riescono a decidere da dove cominciare. Ma “questa cosa” non deve essere così difficile o disorientante. Ai fini della nostra dissertazione, diciamo solo che lo scopo della meditazione è portare la consapevolezza oltre la mente analitica per raggiungere livelli di coscienza più profondi. Nella meditazione non ci spostiamo solo dalla mente conscia al subconscio, ma anche dall’egoismo all’assenza di ego, dall’essere qualcuno all’essere nessuno, dall’avere un corpo all’essere incorporei, dall’essere materialisti all’essere immateriali, dall’essere in un luogo all’essere in nessun luogo, dall’essere nel tempo all’essere fuori dal tempo, dal credere che il mondo esterno sia la realtà e dal definirlo con i sensi al credere che la realtà sia il nostro mondo interiore e, quando ci arriviamo, entriamo in una condizione “asensoriale”: il mondo del pensiero oltre i sensi. La meditazione ci porta dalla sopravvivenza alla creazione, dalla separazione alla connessione, 181
dallo squilibrio all’equilibrio, dalla modalità di emergenza a quella di crescita e riparazione, dalle emozioni limitanti della paura, della rabbia e della tristezza a quelle espansive della gioia, della libertà e dell’amore. In sostanza, dal restare aggrappati a ciò che è noto passiamo ad accogliere l’ignoto. Ragioniamoci su per un attimo. Se la neocorteccia è la sede della consapevolezza conscia ed è lì che formuli i pensieri, usi il ragionamento analitico, eserciti l’intelletto e metti in atto i processi razionali, allora per meditare dovrai portare la tua coscienza al di là (o fuori) della neocorteccia. La tua coscienza dovrà spostarsi dal cervello pensante a quello limbico e alle regioni subconscie. In altre parole, per placare la neocorteccia e tutta l’attività neurale che svolge ogni giorno, devi smettere di pensare in modo analitico e annullare, almeno temporaneamente, le facoltà della ragione, della logica, dell’intelletto, delle previsioni, delle valutazioni e della razionalità. È questo che si intende con “ridurre la mente al silenzio”. (Se ne hai bisogno, osserva ancora la Figura 6.1.) Secondo il modello neuroscientifico che ho delineato nei capitoli precedenti, ridurre la mente al silenzio significa dichiarare un “cessate il fuoco” a tutte le reti neurali automatiche del cervello pensante, che di solito attivi regolarmente. Devi smettere di ricordarti chi pensi di essere e di riprodurre in continuazione lo stesso livello mentale. So che sembra un compito colossale e troppo impegnativo, ma in realtà esistono modi pratici e scientificamente provati per compiere questa impresa e trasformarla in una capacità acquisita. Nei seminari che tengo in varie parti del mondo, molte persone comuni che non avevano mai meditato prima ci sono riuscite molto bene, dopo aver imparato come farlo. Apprenderai questi metodi nei capitoli seguenti, ma prima aumentiamo il livello della tua intenzione così, quando saprai come fare, otterrai risultati maggiori (come abbiamo visto parlando dei soggetti che hanno svolto gli esercizi aerobici e che, sentendosi dire che con i loro sforzi avrebbero migliorato il loro benessere, hanno potuto assegnare un significato a quello che stavano facendo e hanno ottenuto risultati migliori). 182
PERCHÉ LA MEDITAZIONE PUÒ ESSERE COSÌ IMPEGNATIVA La neocorteccia analitica usa i cinque sensi per determinare la realtà. Si preoccupa di concentrare tutta la consapevolezza sul corpo, sull’ambiente e sul tempo. Al minimo accenno di stress, l’attenzione si focalizza ancor di più su questi tre elementi e li amplifica. Quando scatta il sistema d’emergenza della reazione lotta o fuga e l’adrenalina entra in circolo, sei tutto concentrato su come preservare il tuo corpo, trovare vie di fuga nell’ambiente e capire quanto tempo ci vorrà per metterti in salvo, come avviene agli animali selvatici quando avvertono un pericolo. Ti focalizzi troppo sui problemi, ti ossessioni per il tuo aspetto, indugi sul tuo dolore, pensi di avere poco tempo per fare le cose che devi sbrigare e ti affretti a portarle a termine. Ti suona familiare? Dal momento che, quando vivi in modalità di sopravvivenza, sei iperconcentrato sul mondo esterno e sui tuoi problemi in relazione a esso, è facile pensare che ciò che vedi e provi sia tutto quello che c’è. Senza il mondo esterno, non sei nessuno, nessun corpo, nessuna cosa in nessun luogo. È un concetto spaventoso per un ego che cerca di controllare la realtà riaffermando costantemente la propria identità! Potrebbe essere tutto più facile se ti ricordassi che, quando vivi in modalità di sopravvivenza, quello che percepisci è solo la punta dell’iceberg, una gamma limitata della varietà di ingredienti che compongono il tuo mondo esterno. Ti identifichi con le varianti e le combinazioni del tuo ambiente esterno che riflettono chi pensi di essere, ma questo non significa che non ci sia dell’altro. Infatti, ogni volta che apprendi qualcosa di nuovo, il tuo modo di vedere il mondo cambia. In realtà, il mondo è sempre lo stesso, ma è cambiato il tuo modo di percepirlo (Ne parleremo meglio nel prossimo capitolo.) Per il momento è sufficiente ricordare che il tuo obiettivo è attuare un cambiamento e, se non sei riuscito a farlo usando le risorse del mondo esterno, è chiaro che dovrai cercare le risposte oltre i limiti di ciò che vedi, senti e sperimenti. Dovrai attingere ad altre fonti che non hai ancora identificato, cioè all’ignoto. Perciò, in questo 183
senso, l’ignoto è un tuo alleato, non un nemico. È il luogo in cui si trovano le risposte. Un altro motivo per cui è difficile deviare la nostra attenzione dalle condizioni del mondo esterno e rivolgerla al nostro mondo interno è che molte persone hanno sviluppato una vera e propria dipendenza dagli ormoni dello stress, dalla scarica di sostanze chimiche rilasciate in seguito alle reazioni consce o inconsce. Questa dipendenza rafforza la convinzione che il mondo esterno sia più reale di quello interno. E la nostra fisiologia è condizionata a supportare questa teoria, perché esistono minacce, problemi e preoccupazioni reali che necessitano della nostra attenzione. Così diventiamo dipendenti dall’ambiente esterno attuale, e con l’ausilio della memoria associativa usiamo i problemi e le circostanze della vita per riaffermare quella dipendenza emotiva al fine di ricordarci la nostra presunta identità. Detto in altri termini, gli ormoni dello stress che si scatenano quando viviamo in modalità di sopravvivenza danno al nostro corpo una forte dose di energia e acutizzano i nostri sensi, che ci collegano alla realtà esterna. Perciò è naturale che, se siamo continuamente sotto stress, siamo inclini a definire la realtà con i sensi. Diventiamo materialisti. Quando proviamo a entrare dentro di noi e a collegarci al mondo “asensoriale” e immateriale, dobbiamo fare un grosso sforzo per interrompere le abitudini condizionate e la dipendenza dalla scarica chimica proveniente dalla realtà esterna. Allora in che modo potremmo credere che il pensiero sia più potente della realtà fisica tridimensionale? Se questo è il nostro modo di vedere le cose, diventa difficile attuare un cambiamento con il solo pensiero, perché siamo asserviti al corpo e all’ambiente. Un antidoto a questa condizione può essere rileggere le storie raccontate nel Capitolo 1 e quelle sui miei seminari che troverai nei Capitoli 9 e 10. Rafforzare le nuove informazioni che dimostrano come qualcosa che crediamo impossibile sia effettivamente possibile aiuta a ricordarci che c’è una realtà molto più grande di quella che percepiamo con i sensi. Che lo ammettiamo o no, noi siamo il placebo. 184
ESPLORARE LE ONDE CEREBRALI Se la meditazione implica l’accesso al sistema nervoso autonomo e dunque ci permette di diventare più suggestionabili e di superare le difficoltà di cui abbiamo appena parlato, allora dobbiamo sapere come arrivarci. La risposta è con un’onda cerebrale. Lo stato cerebrale in cui ci troviamo in un dato momento incide fortemente su quanto siamo suggestionabili in quella precisa circostanza. Quando impari cosa sono questi stati e sai riconoscerli, puoi allenarti a passare da uno stato all’altro, salendo e scendendo per i diversi livelli delle onde cerebrali. Di certo è una cosa che richiede pratica, ma è possibile. Esploriamo questi stati diversi per saperne di più. Quando i neuroni si attivano insieme, si scambiando elementi carichi che poi producono campi elettromagnetici, misurabili con una scansione cerebrale (come l’elettroencefalogramma o EEG). Gli esseri umani hanno diverse frequenze d’onda misurabili e, quanto più le onde cerebrali sono lente, tanto più entriamo in profondità nel mondo interno del subconscio. Dalle più lente alle più veloci, le onde che determinano gli stati cerebrali sono le delta (riscontrabili in un sonno profondo e rigenerante o in uno stato totalmente inconscio), le theta (in uno stato intermedio tra il sonno profondo e la veglia), le alfa (nello stato creativo e fantasioso), le beta (nel pensiero cosciente) e le gamma (negli stati elevati di consapevolezza). Beta è il nostro normale stato di veglia. Quando siamo in beta, il cervello pensante, o neocorteccia, elabora tutti i dati sensoriali in arrivo e crea significati che mettono in relazione il mondo interno con quello esterno. Questo non è lo stato migliore per la meditazione, perché il mondo esterno appare più reale di quello interno. Tre livelli di frequenze compongono lo spettro delle onde beta: beta a bassa frequenza (rilassatezza, attenzione interessata, come quando leggiamo un libro), beta a media frequenza (attenzione focalizzata su uno stimolo continuo, esterno al corpo, come quando si studia o si ricorda) e beta ad alta frequenza (attenzione molto focalizzata in modalità di emergenza, quando vengono prodotti gli ormoni dello stress). Quanto più alte sono le frequenze delle 185
onde beta, tanto più ci allontaniamo dalla possibilità di accedere al sistema operativo. Per la maggior parte del tempo, oscilliamo tra lo stato beta e quello alfa. Alfa è lo stato della rilassatezza in cui prestiamo minore attenzione al mondo esterno e iniziamo a rivolgerci al nostro mondo interiore. Quando siamo in alfa, ci troviamo in un leggero stato di meditazione; possiamo chiamarlo anche immaginazione e sogno a occhi aperti. In questo stato il nostro mondo interno è più reale di quello esterno perché è l’ambito a cui è rivolta la nostra attenzione. Quando passiamo dall’alta frequenza delle onde beta alla frequenza più lenta dello stato alfa, nel quale possiamo prestare attenzione, concentrarci e focalizzarci in modo più rilassato, attiviamo il lobo frontale. Come abbiamo già visto nelle pagine precedenti, il lobo frontale abbassa il volume dei circuiti cerebrali che elaborano il tempo e lo spazio. Qui non siamo più in modalità di sopravvivenza. Siamo in uno stato più creativo che ci rende più suggestionabili rispetto allo stato beta. È più difficile imparare a scendere ancora più in basso e a entrare nello stato theta, che è una sorta di stato intermedio tra il sonno e la veglia (spesso viene descritto come una condizione in cui “la mente è sveglia, il corpo dorme”). È questo lo stato a cui miriamo nella meditazione, perché corrisponde allo schema di onde cerebrali in cui siamo più suggestionabili. In theta possiamo accedere al subconscio, perché la mente analitica non è in funzione: siamo per lo più nel nostro mondo interno. Immagina lo stato theta come la chiave che apre il regno del tuo subconscio. Osserva ancora la Figura 6.8, che mostra gli stati delle onde cerebrali e il modo in cui si collegano alla mente conscia e subconscia. Poi osserva la Figura 6.9, che illustra le diverse frequenze delle onde cerebrali. Questa breve analisi delle onde cerebrali ti sarà ancora più utile quando affronterai la pratica della meditazione negli ultimi capitoli del libro. Non ti aspettare di riuscire a entrare a comando nello stato theta; sicuramente conoscere i vari stati cerebrali e l’effetto che esercitano su quello che cerchi di fare ti aiuterà. 186
ONDE CEREBRALI
Figura 6.9. Questa illustrazione mostra i diversi stati delle onde cerebrali (nell’intervallo di un secondo). È incluso anche lo stato delle onde gamma, perché rappresenta un livello di superconsapevolezza che riflette uno stato di consapevolezza elevato.
ANATOMIA DI UN “ASSASSINIO” Ora torniamo alla storia di Ivan Santiago e agli altri soggetti sottoposti a ipnosi di cui abbiamo parlato all’inizio di questo capitolo. Ovviamente per queste persone è più facile oltrepassare la mente analitica di quanto lo sia per la maggior parte della gente. Sembra che abbiano una plasticità neurale ed emotiva che permette loro di rendere il mondo interno più reale di quello esterno. Nel normale 187
stato di veglia, probabilmente trascorrono più tempo in alfa che in beta, perciò hanno meno ormoni dello stress in circolo che possono compromettere la loro omeostasi. I loro stati altamente suggestionabili permettono alla mente conscia di controllare meglio le funzioni autonome del subconscio. Però non sono tutte uguali: questo studio ha dimostrato livelli diversi di suggestionabilità. I sedici soggetti che hanno passato il test iniziale erano certamente sensibili alla suggestione, ma non quanto quelli che hanno superato la prova successiva togliendosi i vestiti in pubblico dopo una suggestione postipnotica, contravvenendo a norme sociali profondamente radicate. I quattro che hanno passato questo test erano certamente molto suggestionabili e sono riusciti a trascendere il loro ambiente sociale. Ma quando si è trattato di immergersi nell’acqua gelida, tre di loro non sono riusciti ad andare oltre e a trascendere l’ambiente fisico. Solo Santiago, che ha continuato ad andare oltre l’ambiente fisico in condizioni estreme, per un periodo prolungato, esercitando un dominio sul suo corpo, ha dimostrato il massimo livello di suggestionabilità. È stato capace non solo di resistere all’acqua gelida, ma anche di trascendere il suo ambiente morale, seguendo la suggestione postipnotica di sparare al “dignitario straniero”, nonostante la sua personalità conscia non fosse certo quella di un assassino a sangue freddo. Per l’effetto placebo, serve un grado di suggestionabilità altrettanto alto per trascendere il corpo e l’ambiente per un periodo prolungato; ovvero, per accettare, credere e arrendersi all’idea che il mondo interno sia più reale di quello esterno. Nei capitoli seguenti imparerai che puoi cambiare le tue convinzioni e diventare più suggestionabile; inoltre diventerai capace di usare quello stato per programmare il tuo subconscio. Non ti ritroverai certo a sparare a uno stuntman con una pistola a salve, ma potrai sconfiggere problemi di salute, traumi emotivi e altre questioni personali.
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CAPITOLO 7 AT T E G G I A M E N T I , C O N V I N Z I O N I E PERCEZIONI Un ragazzino indonesiano di dodici anni con lo sguardo vacuo apre la bocca per accettare volontariamente schegge di vetri rotti che gli vengono date dalla folla riunita in un parco di Giacarta, in occasione della tradizionale danza giavanese in cui i danzatori entrano in trance, la “kuda lumping” o “jaran kepang”. Il ragazzo mastica il vetro e lo ingoia, come se fosse una manciata di popcorn o di biscotti, e non mostra alcun segno di malessere. Essendo un danzatore di terza generazione, ingerisce schegge di vetro in esibizioni come questa da quando aveva nove anni. Lui e gli altri diciannove membri della sua compagnia di danza, prima di ogni esibizione, recitano una formula propiziatoria, invocando gli spiriti dei morti affinché entrino in uno di loro per tutta la durata della danza, proteggendolo dal dolore103. Per certi aspetti, questo ragazzo e i suoi compagni non sono diversi dai manipolatori di serpenti di cui abbiamo parlato nel Capitolo 1, predicatori che vengono unti dallo spirito e danzano con entusiasmo intorno al pulpito con serpenti velenosi attorcigliati alle braccia e sulle spalle. Li avvicinano pericolosamente al loro viso tanto da sembrare immuni al veleno. Questi danzatori sono simili anche ai membri della tribù Sawau, sull’isola di Beqa, nelle Fiji, che per ore camminano impassibili tra pietre roventi ricoperte di tronchi infuocati e carboni ardenti: una capacità che si dice sia stata donata da un dio a un loro antenato, il quale l’ha trasmessa alla tribù. Il ragazzo che mangia il vetro, il predicatore che manipola i serpenti e gli uomini delle Fiji che camminano sul fuoco non si fermano neanche per un istante a pensare: “Siamo proprio sicuri che ce la 103. A. Mardiyati, “Kuda Lumping: A Spirited, Glass-Eating Javanese Game of Horse”, Jakarta Globe (16 marzo 2010), http://www.thejakartaglobe.com/ archive/kuda-lumping-a-spirited-glass-eating-javanese-game-of-horse.
farò questa volta?”. Non c’è ombra di scetticismo dentro di loro. La decisione di masticare il vetro, di maneggiare serpenti velenosi o di camminare su pietre arroventate trascende il corpo, l’ambiente e il tempo, e altera la biologia di queste persone, per consentire loro di fare ciò che sembra impossibile. La certezza granitica di essere protetti dai loro dei non lascia spazio ai tentennamenti. L’effetto placebo agisce in modo simile, poiché una convinzione molto forte è parte integrante dell’equazione. Ma questo elemento (la convinzione) non è stato ancora esaminato a fondo perché finora, nella ricerca sulla connessione mente-corpo, la maggior parte degli studi scientifici si è limitata a misurare gli effetti del placebo, invece di indagarne la causa. Che il cambiamento dello stato interno di un soggetto sia il prodotto di una guarigione per fede, di un condizionamento, del rilascio di emozioni represse, della fiducia nei simboli o di una specifica pratica spirituale, dobbiamo chiederci: che cosa è accaduto per creare alterazioni così profonde nel corpo? E se scoprissimo di cosa si tratta, potremmo coltivarlo? DA DOVE VENGONO LE NOSTRE CONVINZIONI Le nostre convinzioni non sono sempre consce come tendiamo a credere. A volte accettiamo un’idea a livello superficiale, ma nel profondo non crediamo sia possibile: la nostra accettazione allora è solo un processo intellettuale. Fare appello all’effetto placebo richiede di mutare davvero le convinzioni su noi stessi e su cosa è possibile per il nostro corpo e la nostra salute, perciò dobbiamo comprendere cosa sono le convinzioni e da dove vengono. Supponiamo che una persona vada dal medico con alcuni sintomi e le venga diagnosticata una certa malattia in base ai dati oggettivi riscontrati. Il medico comunica al paziente una diagnosi, una prognosi e diverse possibilità di trattamento in base alla media dei risultati già ottenuti. Nel momento in cui il paziente si sente dire dal medico “diabete”, “cancro” o “sindrome da stanchezza cronica”, sorgono in lui pensieri, immagini ed emozioni fondati sulla sua esperienza passata. Per esempio, può essere che il paziente abbia già avuto quella malattia, che abbia visto un programma in televisione in cui si diceva che qualcuno era morto a causa di quella patologia, 190
o che abbia letto delle informazioni navigando su internet che lo hanno spaventato, generando in lui il timore di quella diagnosi. Quando il paziente consulta il medico e sente un’opinione professionale, accetta automaticamente la malattia, dunque crede a quello che gli ha detto il dottore e si affida alla terapia e ai possibili risultati; tutto questo senza una vera analisi. Il paziente è suggestionabile (e suscettibile) a quello che dice il medico. Se una persona accoglie l’emozione della paura, della preoccupazione e dell’ansia insieme alla tristezza, i soli pensieri possibili (o autosuggestioni) sono quelli che combaciano con il modo in cui si sente. Il paziente può provare a formulare pensieri positivi sulla possibilità di sconfiggere la malattia, ma il suo corpo continua a sentirsi male perché gli è stato somministrato il placebo sbagliato, che ha generato il modo d’essere sbagliato, istruendo gli stessi geni e dimostrandosi incapace di vedere o percepire nuove possibilità. Il paziente è alla mercé delle proprie convinzioni (e di quelle del medico) riguardo alla diagnosi. E allora, le persone di cui leggerai nei prossimi capitoli, che sono guarite da sole usando l’effetto placebo, cos’hanno fatto di diverso? Innanzitutto non hanno accettato la diagnosi, la prognosi o la terapia come sentenze definitive. Né hanno creduto all’esito più probabile o al destino futuro che i dottori avevano delineato con tutta la loro autorevolezza. Infine non si sono arrese alla diagnosi, alla prognosi o alla terapia consigliata. Siccome hanno avuto un altro atteggiamento rispetto alle persone che hanno accettato, creduto e si sono arrese, si sono trovate in un diverso modo d’essere. Questi individui non si sono dimostrati suggestionabili dalle opinioni e dalle indicazioni dei medici perché non sentivano timore, né vittimismo, né tristezza. Erano ottimisti ed entusiasti, e queste emozioni hanno alimentato un nuovo ordine di pensieri che ha permesso loro di scorgere altre possibilità. Nutrendo idee e convinzioni diverse su cosa poteva accadere, non hanno condizionato i loro corpi al peggiore scenario possibile, non si aspettavano lo stesso esito prevedibile capitato ad altri nelle loro condizioni, e non hanno assegnato a quella diagnosi lo stesso significato che le avevano 191
dato altre persone affette dalla stessa malattia. Hanno attribuito un significato diverso al loro futuro, perciò hanno coltivato un’intenzione diversa. Hanno compreso i concetti di epigenetica e di neuroplasticità e quindi, invece di vedersi passivamente come vittime di una malattia, hanno usato quella conoscenza per diventare proattivi, motivati da quanto avevano imparato nei miei seminari ed eventi. Di conseguenza, queste persone hanno ottenuto risultati diversi e migliori di altre che hanno ricevuto la stessa diagnosi, proprio come le cameriere d’albergo hanno notato miglioramenti dopo aver acquisito maggiori informazioni dai ricercatori. Ora pensa a una persona comune che riceve una diagnosi e subito annuncia: “Sconfiggerò questa malattia.” Molti potrebbero non accettare la malattia e l’esito previsto dal medico, ma la differenza è che la maggior parte delle persone non cambia davvero le proprie convinzioni riguardo al non essere malati. Cambiare una convinzione implica modificare un programma inconscio, perché una convinzione, come presto imparerai, è un modo d’essere subconscio. Le persone che usano solo la mente conscia per cambiare non escono mai dallo stato d’inerzia per riprogrammare i loro geni, perché non sanno come fare. Ed è qui che si interrompe la guarigione. Non riescono ad arrendersi alla possibilità, perché non sono capaci di diventare suggestionabili a qualcosa di diverso rispetto alla diagnosi del medico. È possibile che, quando i pazienti non rispondono alla terapia, o quando le loro condizioni di salute restano immutate, vivano ogni giorno nello stesso stato emotivo, accettando, credendo e arrendendosi al modello medico senza analizzarlo troppo, basandosi sulla coscienza sociale di milioni di altre persone che hanno fatto esattamente la stessa cosa? La diagnosi di un medico diventa la versione moderna di un sortilegio vudù? Ora esaminiamo più a fondo la convinzione, facendo un piccolo passo indietro. Quando colleghi insieme una serie di pensieri ed emozioni tanto da farla diventare abituale o automatica, nasce un atteggiamento. Come pensi e senti crea un modo d’essere, perciò gli 192
atteggiamenti sono modi d’essere in versione abbreviata. Possono oscillare a seconda dei momenti, in base a come diversifichi pensieri e sensazioni. Un particolare atteggiamento può durare minuti, ore, giorni o anche una settimana o due. Per esempio, se hai una serie di pensieri positivi allineati a emozioni positive, puoi dire: “Oggi ho un atteggiamento positivo.” Se invece hai una serie di pensieri negativi collegati a emozioni negative, allora puoi dire: “Oggi ho un atteggiamento negativo.” Quando adotti più volte lo stesso atteggiamento, esso diventa automatico. Se ripeti o mantieni certi atteggiamenti abbastanza a lungo e li colleghi tra loro, crei una convinzione, cioè un modo d’essere esteso. Le convinzioni sono pensieri ed emozioni (atteggiamenti) che continui a pensare e a sentire finché non si installano nel tuo cervello e condizionano emotivamente il tuo corpo. Si può dire che sei diventato dipendente da quelle convinzioni: è per questo che è così difficile cambiarle e avverti un disagio istintivo quando vengono messe in discussione. Siccome le esperienze sono incise a livello neurologico nel tuo cervello (ti inducono a pensare) e a livello chimico nel corpo sotto forma di emozioni (ti spingono a sentire), le tue convinzioni si basano per lo più su ricordi passati. Perciò, riesaminando e analizzando continuamente i tuoi ricordi, ritorni sugli stessi pensieri, che si attivano e si innescano in un programma inconscio automatico. Se poi coltivi le stesse emozioni fondate su esperienze passate e continui a sentirti come quando si è verificato l’evento originario, condizioni il tuo corpo a essere la mente subconscia di quella sensazione: il tuo corpo vivrà inconsciamente nel passato. Se, con l’andar del tempo, la ridondanza dei pensieri e delle emozioni condiziona il tuo corpo a essere la mente, programmata in modo subconscio, allora le convinzioni diventano modi d’essere subconsci e inconsci che derivano dal passato. Le convinzioni sono più persistenti degli atteggiamenti; possono durare mesi o anni. A causa della loro durata maggiore, si radicano più a fondo nei tuoi programmi. 193
Un esempio pertinente è un aneddoto che risale alla mia infanzia e che è impresso nella mia memoria. Sono cresciuto in una famiglia italiana e, quando ero al quarto anno delle elementari, ci trasferimmo in un’altra città, in un quartiere in cui vivevano italiani ed ebrei. Il mio primo giorno di scuola, l’insegnante mi fece sedere in un gruppo di sei banchi insieme a tre bambine ebree. Fu allora che quelle bambine mi diedero la notizia che Gesù non era italiano. Fu uno dei giorni più memorabili della mia vita. Quando tornai a casa nel pomeriggio, mia mamma continuava a chiedere com’era andato il mio primo giorno di scuola, ma io non rispondevo. Dopo averla ignorata più volte, mi afferrò per un braccio, insistendo perché le dicessi qual era il problema. “Credevo che Gesù fosse italiano!” sbottai rabbioso. “Che cosa stai dicendo?” replicò. “Gesù è ebreo!”. “Ebreo?” ribattei. “Com’è possibile? Sembra italiano in tutte quelle immagini, o no? La nonna gli parla sempre in italiano. E come la mettiamo con l’Impero romano? Roma non è forse in Italia?”. Dunque, la mia convinzione – che Gesù fosse italiano – era basata sulle mie esperienze passate, e ciò che pensavo e sentivo riguardo a Gesù era diventato il mio modo d’essere automatico. Superare quest’idea fu un’impresa ardua, perché non è facile cambiare le convinzioni profondamente radicate. È superfluo aggiungere che ci sono riuscito. Ora procediamo con la nostra analisi. Un gruppo di convinzioni correlate tra loro forma una percezione. Quindi la tua percezione della realtà è un modo d’essere basato su convinzioni, atteggiamenti, pensieri ed emozioni persistenti. E siccome le tue convinzioni diventano modi d’essere subconsci e anche inconsci (non sai nemmeno perché credi certe cose, o non sei consapevole delle tue convinzioni finché non vengono messe alla prova), le tue percezioni – il modo soggettivo in cui vedi le cose – diventano una visione della realtà subconscia e inconscia fondata sul passato. Alcuni esperimenti scientifici, infatti, hanno dimostrato che non vediamo la realtà com’è veramente. La riempiamo con i ricordi del 194
passato, ovvero con il residuo neurochimico di quei ricordi presente nel nostro cervello.104 Quando le percezioni sono implicite o non dichiarative (come abbiamo visto nel capitolo precedente), diventano automatiche o subconscie: così, adattiamo la realtà in base alla nostra soggettività. Per esempio, tu sai che quell’automobile è tua perché l’hai guidata molte volte. Con la tua auto hai la stessa esperienza tutti i giorni, perché non cambia granché. Nei suoi confronti hai costantemente gli stessi pensieri e sensazioni. Il tuo atteggiamento verso la tua auto ha creato una convinzione a riguardo, che ha formato una particolare percezione: per esempio che è una buona auto, perché non ti dà quasi mai dei problemi. E anche se la accetti automaticamente, di fatto si tratta di una percezione soggettiva, perché qualcun altro potrebbe avere un’auto dello stesso modello che però gli dà problemi in continuazione e perciò lo induce ad avere diverse convinzioni e percezioni basate sulla sua esperienza personale. Infatti, la maggior parte delle persone non presta attenzione a molti aspetti della propria auto a meno che non ci sia qualcosa che non va. Immagini che funzionerà come ha fatto il giorno prima; naturalmente ti aspetti che la tua esperienza futura nel guidare l’auto sia simile a quella passata, a quella di ieri e dell’altro ieri: è questa la tua percezione. Ma quando l’auto funziona male, devi prestarle più attenzione (per esempio ascoltare più attentamente il suono del motore) e diventare consapevole della tua percezione inconscia dell’auto. 104. Due studi, in particolare, lo dimostrano in modo convincente. Nel primo, i soggetti indossavano occhiali speciali per cui, quando guardavano a sinistra tutto appariva blu, e quando guardavano a destra tutto appariva giallo. Dopo un certo periodo, non vedevano più il blu e il giallo. Il mondo appariva come era sempre apparso, perché i soggetti non lo guardavano più con gli occhi bensì con il cervello, che riempiva la realtà in base ai loro ricordi; si veda I. Kohler, The Formation and Transformation of the Perceptual World. New York, International Universities Press, 1964. Nel secondo studio, i soggetti depressi a cui venivano mostrate due diverse immagini – una di una festa, l’altra di un funerale – in rapida sequenza, ricordavano la scena del funerale più spesso di quanto le probabilità avrebbero permesso, rivelando la tendenza a percepire l’ambiente in un modo che rafforza il nostro stato d’animo; si veda A. T. Beck, Principi di terapia cognitiva. Un approccio nuovo alla cura dei disturbi affettivi. Astrolabio, 1984. 195
Quando qualcosa nel suo funzionamento cambia, hai una percezione dell’auto alterata. Lo stesso vale per il rapporto con il coniuge e i colleghi, con la cultura e l’etnia, persino con il tuo corpo e il tuo dolore. In effetti, è questo il modo in cui funziona la maggior parte delle percezioni riguardo alla realtà. Se vuoi cambiare una percezione implicita o subconscia, devi diventare più cosciente e meno incosciente. In verità devi aumentare il tuo livello di attenzione riguardo a tutti gli aspetti di te stesso e della tua vita che ormai trascuri da tempo. Meglio ancora, devi svegliarti, cambiare il tuo livello di consapevolezza e diventare cosciente di ciò di cui sei incosciente. Raramente si tratta di una cosa facile, perché se sperimenti di continuo la stessa realtà, allora il modo in cui pensi e senti riguardo al tuo mondo attuale si traduce nei consueti atteggiamenti, che ispirano le stesse convinzioni, che diventano le stesse percezioni (come puoi vedere nella Figura 7.1). Quando la tua percezione diventa così radicata e automatica che non presti più attenzione a com’è veramente la realtà (perché ti aspetti che tutto sia uguale a sempre), inconsciamente accetti e concordi con quella realtà, proprio come molte persone inconsciamente accettano e concordano con la diagnosi formulata in base al modello medico. Perciò, l’unico modo per cambiare le tue convinzioni e percezioni al fine di creare una reazione al placebo è alterare il tuo modo d’essere. Devi vedere le tue vecchie convinzioni limitate per quello che sono (residui del passato) ed essere pronto a lasciarle andare in modo da accogliere nuove convinzioni su te stesso, che ti aiuteranno a creare un nuovo futuro. CAMBIARE LE TUE CONVINZIONI Allora chiediti: quali sono le convinzioni e percezioni riguardo a te stesso e alla tua vita che hai accettato inconsciamente e che dovresti cambiare per creare un nuovo modo d’essere? È una domanda su cui bisogna riflettere perché, come ho detto, in molti casi non siamo nemmeno consapevoli di coltivare certe convinzioni. 196
COME SI FORMANO LE CONVINZIONI E LE PERCEZIONI
Figura 7.1. I tuoi pensieri e le tue emozioni derivano dai ricordi passati. Se pensi e senti in un certo modo, cominci a creare un atteggiamento, cioè un ciclo di pensieri ed emozioni a breve termine sperimentato di continuo. Gli atteggiamenti sono modi d’essere in versione abbreviata. Se colleghi una serie di atteggiamenti, crei una convinzione. Le convinzioni sono modi d’essere più prolungati e tendono a diventare subconsci. Quando sommi diverse convinzioni, crei una percezione. Le tue percezioni incidono sulle scelte che compi, sui comportamenti che metti in atto, sulle relazioni che scegli e sulle varie realtà che crei.
Spesso accettiamo imbeccate che provengono dal nostro ambiente e che ci spingono ad accogliere certe convinzioni, che possono essere vere o no. In ogni caso, nel momento in cui le accettiamo, esse non incidono solo sulle nostre prestazioni ma anche sulle nostre scelte. Nel Capitolo 2 abbiamo parlato di uno studio su alcune studentesse che, prima di fare un test di matematica, avevano letto false relazioni scientifiche sul fatto che gli uomini erano più bravi in quella materia. Chi aveva letto che il vantaggio era dovuto a questioni genetiche ottenne un punteggio inferiore rispetto a chi aveva scoperto che il vantaggio era dovuto agli stereotipi. Anche se entrambe le relazioni scientifiche erano false – gli uomini non sono più bravi 197
delle donne in matematica – chi aveva appreso di avere uno svantaggio genetico ha creduto a quanto aveva letto, ottenendo così un voto più basso. La stessa cosa è accaduta agli studenti bianchi a cui era stato detto che gli asiatici ottengono sempre punteggi migliori nel tipo di test che avrebbero dovuto sostenere. In entrambi i casi, quando gli allievi sono stati spinti a credere inconsciamente che avrebbero ottenuto risultati scadenti, è andata davvero così, anche se l’imbeccata che avevano ricevuto era del tutto falsa. Tenendo a mente questo concetto, leggi l’elenco delle convinzioni limitanti più comuni e cerca di capire se ce ne sono alcune che stai covando dentro di te senza esserne pienamente consapevole: Non sono bravo in matematica. Sono timido. Sono irritabile. Non sono né brillante né creativo. Somiglio ai miei genitori. Gli uomini non dovrebbero piangere o mostrarsi vulnerabili. Non riesco a trovare un compagno. Le donne sono inferiori agli uomini. La mia etnia o cultura è superiore alle altre. La vita va presa sul serio. La vita è difficile e a nessuno importa. Non combinerò mai nulla di buono. Devo lavorare sodo per farcela nella vita. Non mi succede mai nulla di buono. Non sono una persona fortunata. Le cose non vanno mai come vorrei. Non ho mai abbastanza tempo. Qualcun altro ha la responsabilità di rendermi felice. Quando avrò questa cosa in particolare, sarò felice. È difficile cambiare la realtà. La realtà è un processo lineare. I germi mi fanno ammalare. Ingrasso facilmente. Ho bisogno di otto ore di sonno. Il mio dolore è normale e non passerà mai. Il mio orologio biologico sta ticchettando. La bellezza deve rispettare certi canoni. Divertirsi è da persone superficiali. Dio è fuori di me. Sono una persona cattiva, quindi Dio non mi ama…
Potrei continuare all’infinito, ma credo che ti sia fatto un’idea. Dal momento che convinzioni e percezioni si fondano su esperienze vissute, se tra queste ce ne sono alcune che albergano dentro di te, derivano dal tuo passato. Ma allora sono vere o te le sei inven198
tate? Anche se fossero state vere a un certo punto della tua vita, non significa che lo siano ancora adesso. Ovviamente non consideriamo mai la questione in quest’ottica, perché siamo dipendenti dalle nostre convinzioni e dalle emozioni del nostro passato. Le riteniamo delle verità, e non idee che possiamo cambiare. Se nutriamo forti convinzioni riguardo a qualcosa, la prova del contrario potrebbe stare proprio lì davanti a noi, ma non la vedremmo comunque, perché quello che percepiamo è completamente diverso. Abbiamo condizionato noi stessi a credere a cose di ogni genere che non sono necessariamente vere, e molte di esse stanno avendo un impatto negativo sulla nostra salute e sulla nostra felicità. Certe convinzioni culturali sono un valido esempio. Ricordi la storia del sortilegio vudù esposta nel Capitolo 1? Il paziente era convinto di avere i giorni contati perché il sacerdote vudù gli aveva praticato un maleficio. La maledizione ha funzionato solo perché lui (come altri appartenenti alla sua stessa cultura) credeva che il vudù fosse reale; non è stato il vudù a gettare su di lui il maleficio, bensì la convinzione con cui ha creduto alla sua validità. Altre convinzioni culturali possono causare una morte prematura. I ricercatori della University of California di San Diego hanno studiato i dati di mortalità di almeno trentamila cinesi americani e hanno scoperto che chi aveva una malattia associata a un anno di nascita che l’astrologia e la medicina cinese considerano sventurato, è morto fino a cinque anni prima del previsto105. L’effetto era più forte nei soggetti maggiormente attaccati alle tradizioni e alle convinzioni cinesi, e i dati si mantenevano costanti per quasi tutte le principali cause di mortalità prese in esame. Per esempio, i cinesi americani nati in anni associati alla predisposizione a malattie come i noduli e il cancro morivano di tumore linfatico quattro anni prima rispetto ai nati in altri anni o agli americani non cinesi affetti dalla stessa malattia.
105. D. P. Phillips, T. E. Ruth, L. M. Wagner, “Psychology and Survival”, Lancet, vol. 342, n. 8880: pp. 1142–1145 (1993). 199
Come dimostrano questi esempi, siamo suggestionabili solo a ciò che consciamente o inconsciamente crediamo vero. Un eschimese che non crede nell’astrologia cinese non è suggestionabile all’idea di essere predisposto a una certa malattia perché è nato nell’anno della tigre o nell’anno del dragone, non più di quanto un cristiano sia suggestionabile all’idea che un maleficio lanciato da un sacerdote vudù possa ucciderlo. Ma quando chiunque accetta, crede e si arrende a un esito senza pensarci o analizzarlo consciamente, allora diventa suggestionabile a quella particolare realtà. In molte persone, questa convinzione si impianta nel sistema subconscio, ed è questo che genera la malattia. Allora lascia che ti ponga un’altra domanda: quante sono le tue convinzioni personali che si fondano su esperienze culturali e che potrebbero non essere vere? Cambiare le proprie convinzioni può essere difficile, ma non impossibile. Pensa a cosa accadrebbe se riuscissi a metterle in discussione. Invece di pensare e sentire: Non ho mai abbastanza tempo per fare tutto, cosa accadrebbe se pensassi e sentissi: Vivo in una condizione atemporale e riesco a fare tutto? Cosa accadrebbe se invece di credere: L’universo cospira contro di me, credessi L’universo è mio amico e opera in mio favore? Che convinzione stupenda! Come penseresti, come vivresti e come cammineresti per la strada se credessi che l’universo opera in tuo favore? Come pensi che cambierebbe la tua vita? Quando vuoi cambiare una convinzione, devi prima cominciare a credere che è possibile, poi modificare il tuo livello di energia con l’emozione elevata di cui hai letto nelle pagine precedenti, e infine permettere alla tua biologia di riorganizzarsi. Non è necessario pensare a come o a quando accadrà quella riorganizzazione biologica; chiederselo significa mettere in funzione la mente analitica, che ti riporta in uno stato di onde beta e ti rende meno suggestionabile. Devi solo prendere una decisione irrevocabile. E quando l’ampiezza o l’energia di quella decisione diventa più grande dei programmi installati nel cervello e delle dipendenze emotive del corpo, allora riesci a trascendere il passato, il corpo risponde a una mente nuova e tu puoi attuare un vero cambiamento. 200
Sai già come farlo. Pensa a un momento del tuo passato in cui hai deciso di cambiare qualcosa di te o della tua vita. Se ricordi bene, a un certo punto probabilmente ti sei detto: Non importa come starò! [corpo] Non importa cosa accadrà nella mia vita! [ambiente] E non m’interessa quanto tempo ci vorrà! [tempo] Io voglio farlo! All’improvviso hai avuto un fremito, perché ti sei spostato in un diverso modo d’essere. Nell’istante in cui hai sentito quell’energia, hai inviato al tuo corpo una nuova informazione. Ti sentivi ispirato e sei uscito dal tuo familiare stato di inerzia. È per questo che, solo con il pensiero, il tuo corpo ha smesso di vivere in un passato sempre uguale e ha cominciato a vivere in un nuovo futuro. In realtà, il tuo corpo ha smesso di essere la mente: tu eri la mente. Tu stavi cambiando una convinzione. L’EFFETTO DELLA PERCEZIONE Come le convinzioni, le nostre percezioni di esperienze passate – positive o negative – incidono direttamente sul nostro modo d’essere subconscio e sulla nostra salute. Nel 1984 la dottoressa Gretchen van Boemel, allora direttrice associata del reparto di elettropsicologia clinica al Doheny Eye Institute [Ndt: Istituto di oftalmologia] di Los Angeles, scoprì un esempio lampante di questo influsso quando notò una strana tendenza tra le donne cambogiane che si rivolgevano al Doheny. Le donne, tutte tra i quaranta e i sessant’anni e residenti nella vicina Long Beach (nella zona chiamata Little Phnom Penh, perché vi abitano circa cinquantamila cambogiani) avevano gravi problemi alla vista, compresa la cecità, con un’incidenza tanto alta da essere del tutto sproporzionata. A livello fisico, gli occhi di quelle donne erano perfettamente sani. La dottoressa van Boemel fece delle scansioni cerebrali alle pazienti per valutare il funzionamento del loro apparato visivo e confrontò i dati con le difficoltà oculistiche che riferivano. Scoprì che tutte le donne avevano un’acuità visiva perfettamente normale, spesso di 20/20 o 20/40, anche se, quando cercavano di leggere un tabellone oculistico, risultavano ipovedenti. Alcune di quelle donne non percepivano la luce e non riuscivano nemmeno a scorgere le ombre, anche se fisicamente i loro occhi erano sani. 201
Quando la dottoressa van Boemel collaborò con la dottoressa Patricia Rozée della California State University di Long Beach per studiare i casi di queste donne, scoprì che le pazienti con la vista peggiore erano quelle che avevano vissuto più tempo sotto i Khmer Rossi o nei campi profughi sotto la dittatura comunista di Pol Pot.106 Il genocidio perpetrato dai Khmer Rossi causò la morte di almeno un milione e mezzo di cambogiani tra il 1975 e il 1979. In quel periodo quasi tutte le donne prese in esame, il 90 per cento, avevano perso dei familiari (alcune addirittura dieci) e molte di loro, il 70 per cento, erano state costrette ad assistere alla brutale uccisione dei loro cari. “Queste donne hanno visto cose che la loro mente non ha potuto accettare”, riferì Rozée al Los Angeles Times.107 La loro mente si è chiusa e loro si sono rifiutate di vedere ancora, di assistere ad altre uccisioni, torture, violenze e morti per malnutrizione.” Una donna era stata costretta a guardare mentre suo marito e i suoi quattro figli venivano uccisi, e subito dopo perse la vista. Un’altra donna aveva dovuto guardare mentre suo fratello e i quattro figli di lui venivano picchiati a morte da un Khmer rosso, e aveva visto anche il suo nipotino di tre mesi che veniva sbattuto contro un albero fino a essere ucciso. Subito dopo cominciò a perdere la vista.108 Inoltre quelle donne avevano subito percosse, privazione di cibo, umiliazioni indicibili, abusi sessuali e torture, ed erano state costrette ai lavori forzati per venti ore al giorno. Documentando un totale di centocinquanta casi di cecità psicosomatica tra le donne cambogiane di Long Beach – il gruppo più 106. P. D. Rozée, G. van Boemel, “The Psychological Effects of War Trauma and Abuse on Older Cambodian Refugee Women”, Women and Therapy, vol. 8, n. 4: pp. 23–50 (1989); G. B. van Boemel, P. D. Rozée, “Treatment for Psychosomatic Blindness Among Cambodian Refugee Women”, Women and Therapy, vol. 13, n. 3: pp. 239–266 (1992). 107. L. Siegel, “Cambodians’ Vision Loss Linked to War Trauma”, Los Angeles Times (October 15, 1989), http://articles.latimes.com/1989-10-15/news/mn232_1_vision-loss. 108. A. Kondo, “Blinding Horrors: Cambodian Women’s Vision Loss Linked to Sights of Slaughter”, Los Angeles Times (4 giugno 1989), http://articles.latimes.com/1989-06-04/news/hl-2445_1_pol-pot-khmer-rouge-blindness. 202
consistente al mondo di vittime di questo tipo – nel 1986 van Boemel e Rozée presentarono la loro ricerca al convegno annuale della American Psychological Association a Washington. Gli ascoltatori rimasero inchiodati alle sedie. Le donne di questo studio erano diventate cieche o ipovedenti non per una malattia agli occhi o per qualche disfunzione fisica, ma perché l’impatto emotivo degli eventi che avevano vissuto era stato tale da farle “piangere fino a non vedere più”.109 L’intensità emotiva che derivava dall’essere state costrette a guardare l’insopportabile, le aveva indotte a non voler più vedere. Gli eventi avevano indotto in loro cambiamenti fisiologici – non negli occhi, ma molto probabilmente nel cervello – alterando per sempre la loro percezione della realtà. E siccome continuavano a rivivere mentalmente quelle scene traumatizzanti, la vista non migliorava. Questo è certamente un esempio estremo, ma le nostre esperienze traumatiche probabilmente hanno effetti simili su di noi. Se hai problemi alla vista, quali cose potresti aver scelto di non vedere a causa di esperienze dolorose o spaventose che hai vissuto in passato? Allo stesso modo, se hai problemi di udito, quali cose della tua vita potresti aver scelto di non ascoltare? La Figura 7.2 spiega come accade questo fenomeno. La linea del grafico riflette una misurazione relativa del modo d’essere di una persona, che parte da un livello più o meno normale prima che si verifichi l’evento. Quando la linea si impenna, indica una forte reazione emotiva alla circostanza, come quella delle donne testimoni delle atrocità commesse dai Khmer Rossi. Quell’esperienza orribile si è impressa a livello neurologico nel loro cervello e ha trasformato la chimica del loro corpo, oltre ad alterare il loro modo d’essere (pensieri, emozioni, atteggiamenti, convinzioni e percezioni). Nello specifico, le donne non volevano più guardare il mondo perciò, attraverso una riconfigurazione neurologica e una nuova serie di segnalazioni chimiche, il loro corpo ha obbedito.
109. P. Cooke, “They Cried until They Could Not See”, New York Times Magazine, vol. 140: pp. 24–25, 45–48 (23 giugno 1991). 203
COME UN’ESPERIENZA PUÒ CAMBIARTI A LIVELLO FISIOLOGICO
Figura 7.2. Un’esperienza dotata di una forte carica emotiva nella nostra realtà esterna resta impressa nei circuiti cerebrali e nel corpo. Di conseguenza, il cervello e il corpo vivono nel passato e l’evento altera il nostro modo d’essere, insieme alla percezione della realtà. La nostra personalità non è più la stessa.
Anche se la linea del grafico alla fine scende e si stabilizza, il punto in cui finisce è diverso da quello di partenza: ciò indica che la persona rimane alterata da quella esperienza a livello chimico e neurologico. Per le donne cambogiane questa alterazione ha avuto una tale portata da farle vivere davvero nel passato, perché sono rimaste segnate dall’impronta emotiva e chimica derivante da quell’esperienza. Non sono più state le stesse; l’evento ha cambiato il loro modo d’essere. IL POTERE DELL’AMBIENTE Cambiare le convinzioni e le percezioni una volta sola non è sufficiente. Devi continuare a rafforzare il cambiamento. Per capire come si fa, torniamo per un istante ai pazienti affetti dal Parkinson che hanno migliorato le loro capacità motorie dopo aver ricevuto un’iniezione salina che pensavano fosse un potente farmaco. 204
Come ricorderai, appena hanno cominciato a stare meglio, il loro sistema nervoso autonomo ha iniziato a sostenere questo nuovo stato producendo dopamina, non perché lo desiderassero, ma perché sono diventati soggetti capaci di farlo. Purtroppo, però, il risultato non è così persistente per chiunque. In alcuni individui, infatti, l’effetto placebo dura solo per un periodo limitato e presto essi tornano a essere com’erano prima. In questo caso, quando i pazienti affetti dal Parkinson sono tornati a casa, hanno ripreso le vecchie abitudini: hanno visto i coniugi o altre persone prendersi cura di loro, hanno dormito nello stesso letto, hanno mangiato il solito cibo, si sono seduti nelle loro stanze e magari hanno giocato a scacchi con gli amici di sempre che si lamentavano dei loro acciacchi. Il contatto con l’ambiente a cui erano abituati li ha riportati alla loro vecchia personalità e al loro vecchio modo d’essere. Le condizioni della vita familiare hanno ricordato loro chi erano prima, perciò si sono infilati di nuovo in quella vecchia identità e le difficoltà motorie si sono ripresentate.110 La stessa cosa accade ai tossicodipendenti che non assumono droghe per anni. Se tornano nell’ambiente in cui si drogavano, anche senza prendere alcuna sostanza stupefacente, cominciano ad accendere nelle loro cellule gli stessi siti recettoriali che erano attivati dalle droghe quando ne facevano uso; a sua volta, questo crea cambiamenti fisiologici, come se stessero ancora assumendo droghe, aggravando le crisi di astinenza.111 La mente conscia non ha alcun controllo su questo processo. È un fenomeno automatico. Esaminiamo più a fondo questo concetto. Hai imparato che il processo di condizionamento crea forti ricordi associativi e che i ricordi associativi stimolano funzioni fisiologiche automatiche attivando il sistema nervoso autonomo. Pensa ai cani di Pavlov. Quando sono stati spinti ad associare il suono del campanello 110. R. de la Fuente-Fernández, T. J. Ruth, V. Sossi, et al., “Expectation and Dopamine Release: Mechanism of the Placebo Effect in Parkinson’s Disease”, Science, vol. 293, n. 5532: pp. 1164–1166 (2001). 111. S. Siegel and B. M. C. Ramos, “Applying Laboratory Research: Drug Anticipation and the Treatment of Drug Addiction”, Experimental and Clinical Psychopharmacology, vol. 10, n. 3: pp. 162–183 (2002). 205
all’arrivo del cibo, il loro organismo è cambiato a livello fisiologico, senza un sostanziale controllo da parte della mente conscia. È stato lo stimolo ambientale a cambiare a livello fisiologico lo stato interno dei cani in modo automatico, autonomo e subconscio, mediante la memoria associativa. Essi hanno cominciato a salivare e ad attivare i succhi gastrici perché si aspettavano una ricompensa. La mente conscia dei cani non avrebbe potuto fare tutto questo. È stato lo stimolo ambientale a creare il ricordo associativo in base a quella reazione condizionata. Ora torniamo ai pazienti affetti dal Parkinson e ai tossicodipendenti. Potremmo dire che, nell’istante in cui uno di questi individui è tornato al suo ambiente familiare, la fisiologia del suo corpo è tornata al vecchio modo d’essere, senza che la mente conscia potesse esercitare alcun controllo di sorta. Infatti, il vecchio modo d’essere, che aveva pensato e sentito allo stesso modo per anni, ha condizionato il corpo a diventare la mente. Ovvero, il corpo è la mente che reagisce all’ambiente. È per questo che il cambiamento è così difficile per tutti i soggetti che si trovano in questa situazione. Quanto più forte è la dipendenza dall’emozione, tanto più forte è la reazione condizionata allo stimolo ambientale. Per esempio, poniamo che tu sia dipendente dal caffè e voglia smettere di assumerlo. Immagina di venire a casa mia e di trovarmi intento a prepararne uno: senti il suono della macchinetta per l’espresso, annusi l’aroma della miscela e infine mi vedi mentre lo sorseggio. Ecco cosa accadrebbe in quel caso: nel momento in cui i tuoi sensi captano gli stimoli ambientali, il tuo corpo, agendo da mente, reagisce in modo automatico e subconscio senza interventi da parte della coscienza, perché lo hai condizionato ad agire così. Il tuo corpo-mente allora brama la sua ricompensa fisiologica, muovendo guerra alla mente conscia e cercando di convincerti a berne un sorso o due. Ma se avessi interrotto davvero la dipendenza dal caffè e io me ne preparassi una tazza davanti a te, potresti anche berlo, perché non avresti la reazione fisiologica che avevi prima. Non saresti più condizionato (il tuo corpo non sarebbe più la mente) e la memoria associativa del tuo ambiente non avrebbe più lo stesso effetto su di te. 206
Lo stesso vale per le dipendenze dalle emozioni. Per esempio, se hai memorizzato il senso di colpa in seguito a esperienze passate, e inconsciamente vivi in quel modo ogni giorno nel presente, usi qualcosa o qualcuno in qualche luogo del tuo ambiente esterno per riaffermare la tua dipendenza dal senso di colpa, come fa la maggior parte delle persone. Puoi provare quanto vuoi a superarlo a livello coscio, ma nel momento in cui vedrai tua madre (verso la quale ti senti in colpa) nella casa in cui sei cresciuto, il tuo corpo tornerà automaticamente, chimicamente e fisiologicamente allo stesso stato di colpa del passato, senza che la tua mente conscia possa intervenire. In quel momento il tuo corpo, che è stato programmato a livello subconscio a essere la mente e a provare quell’emozione, sta vivendo nel passato. Perciò, quando sei con tua madre, sentirti in colpa ti viene più naturale che sentirti in qualunque altro modo. Come nella dipendenza dalle droghe, una reazione condizionata ha alterato il tuo stato interno mediante associazioni con la realtà esterna passata-presente. Se interrompi la dipendenza dal senso di colpa cambiando la programmazione subconscia, puoi liberarti della tua realtà passata-presente anche esponendoti alle stesse condizioni ambientali. I ricercatori della Victoria University di Wellington in Nuova Zelanda hanno esaminato gli effetti dell’ambiente osservando centoquarantotto studenti invitati a partecipare a uno studio per il quale era stata creata un’atmosfera da bar.112 I ricercatori dissero a metà degli studenti che avrebbero ricevuto acqua tonica e vodka, e agli altri che avrebbero bevuto solo acqua tonica. In realtà i baristi non versarono neanche una goccia di vodka nei bicchieri: tutti ricevettero solo acqua tonica. L’atmosfera da bar creata dai ricercatori sembrava molto realistica, tanto che avevano sigillato di nuovo le bottiglie di vodka dopo averle riempite solo con acqua tonica. Per un effetto ancora più credibile, i baristi sfregarono sull’orlo dei bicchieri delle fette di lime imbevute di vodka prima di procedere a mescolare e versare le bevande come se stessero servendo dei veri cocktail. 112. S. L. Assefi and M. Garry, “Absolut Memory Distortions: Alcohol Placebos Influence the Misinformation Effect”, Psychological Science, vol. 14, n. 1: pp. 77–80 (2003). 207
I soggetti diventarono brilli e si comportarono da ubriachi, ma alcuni mostrarono addirittura segni fisici di intossicazione. Non erano ubriachi perché avevano bevuto alcolici, ma perché l’ambiente – la memoria associativa – aveva indotto il loro cervello e il loro corpo a reagire in un modo familiare. Quando i ricercatori rivelarono la verità agli studenti, molti di loro furono sorpresi e ribadirono di essersi sentiti davvero brilli durante l’esperimento. Avevano creduto di bere alcolici e quella convinzione si era tradotta in processi neurochimici che avevano alterato il loro modo d’essere. In altre parole, la convinzione era riuscita da sola a innescare un cambiamento biochimico equivalente all’ubriachezza. Questo è accaduto perché gli studenti avevano condizionato più volte se stessi ad associare l’alcol a un cambiamento del loro stato chimico interno. Aspettandosi o anticipando il futuro cambiamento fisico per via di ricordi associativi legati all’assunzione di alcolici, erano stati indotti dall’ambiente a cambiare a livello fisiologico, com’era accaduto ai cani di Pavlov. Ovviamente c’è anche il rovescio della medaglia. L’ambiente può indurre una guarigione. In un ospedale della Pennsylvania, tra i pazienti in convalescenza dopo un intervento chirurgico, quelli sistemati in una camera con vista su una fila di alberi e su un paesaggio naturale hanno avuto bisogno di antidolorifici meno forti e sono stati dimessi sette, otto o nove giorni prima dei pazienti sistemati in una stanza da cui si vedeva solo un muro di mattoni anneriti.113 Il nostro stato mentale, creato dall’ambiente, può contribuire alla guarigione del cervello e del corpo. Allora hai davvero bisogno di una pillola di zucchero, di un’iniezione salina, di un finto intervento o di una finestra panoramica – qualcosa, qualcuno o un luogo del tuo ambiente esterno – per accedere a un nuovo modo d’essere? O puoi farlo tu stesso cambiando il tuo modo di pensare e di sentire? Puoi credere in una nuova possibilità per la tua salute, senza ricorrere a stimoli esterni, e tra113. R. S. Ulrich, “View Through a Window May Influence Recovery from Surgery”, Science, vol. 224, n. 4647: pp. 420–421 (1984). 208
sformare il pensiero che formuli in una nuova esperienza emotiva in grado di cambiare il tuo corpo e trascendere i condizionamenti del tuo ambiente esterno? Se vuoi farlo, le spiegazioni che hai appena letto ti suggeriscono di cambiare il tuo stato interiore ogni giorno, prima di alzarti e di fronteggiare lo stesso vecchio ambiente, in modo che non ti riporti al tuo precedente modo d’essere, com’è capitato ai pazienti affetti dal Parkinson. Ricordi Janis Schonfeld, la donna incontrata nel Capitolo 1, che ha attuato cambiamenti nel suo cervello perché pensava di aver assunto un antidepressivo? Uno dei motivi per cui il placebo ha funzionato così bene nel suo caso è che quella pillola inefficace presa tutti i giorni era un promemoria quotidiano che la incoraggiava a cambiare il suo modo d’essere: perché Janis associava la pillola a pensieri ed emozioni positivi sulla guarigione, come fa l’80 per cento delle persone che prendono antidepressivi placebo. Se tu riuscissi ad accedere a un nuovo modo d’essere attraverso la meditazione, associando un’intenzione chiara allo stato emotivo elevato di cui abbiamo parlato nelle pagine precedenti, e ogni giorno ti alzassi pieno di brio e di entusiasmo per quello che stai creando, alla fine cominceresti a uscire dal tuo stato di inerzia. Entreresti in un altro modo d’essere, con nuovi atteggiamenti, convinzioni e percezioni, smettendo di reagire alle stesse cose nella medesima maniera, perché ora il tuo ambiente non eserciterebbe più alcun controllo sul tuo modo di pensare e di sentire. Allora compiresti nuove scelte, assumeresti nuovi comportamenti e vivresti nuove esperienze ed emozioni. E così manifesteresti una personalità nuova e diversa, che non ha più dolori artritici o difficoltà motorie causate dal Parkinson o infertilità o qualunque condizione tu voglia cambiare. Voglio soffermarmi un istante per chiarire che, com’è ovvio, non tutte le malattie e i disturbi hanno origine nella nostra mente. Alcuni bambini nascono con malattie e malformazioni genetiche che di certo non sono state scatenate da loro pensieri, emozioni, atteggiamenti e convinzioni. Poi ci sono i traumi e gli incidenti, che di fatto accadono. Anche l’esposizione a tossine ambientali può avere effetti devastanti sul corpo umano. Non intendo dire che, quando capitano queste cose, in qualche modo ce le siamo procurate da 209
soli, nonostante sia vero che se il fisico è indebolito dagli ormoni dello stress, il sistema immunitario si inceppa ed è più facile ammalarsi. Ciò che voglio dire è che, qualunque sia l’origine della nostra malattia, abbiamo sempre la possibilità di cambiare la nostra condizione. CAMBIARE L’ENERGIA Ora possiamo comprendere che, se vogliamo cambiare le nostre convinzioni e creare un effetto placebo per migliorare la salute e la vita, dobbiamo fare l’esatto opposto di quello che le donne cambogiane hanno fatto automaticamente. Mantenendo un’intenzione chiara e salda ed elevando la nostra energia emotiva, dobbiamo creare nella mente e nel corpo una nuova esperienza interna che sia più grande di quella esterna vissuta in passato. In altre parole, quando decidiamo di creare una nuova convinzione, l’ampiezza o energia di quella scelta deve essere sufficientemente elevata da superare i programmi predefiniti e i condizionamenti emotivi del corpo. Per capire cosa accade quando attuiamo questo processo, osserva la Figura 7.3 nella pagina seguente. In questa nuova esperienza, l’energia della scelta è più grande di quella del trauma associato all’esperienza passata (come abbiamo visto nella Figura 7.2) ed è per questo che il picco in questo grafico è più alto di quello raffigurato nel grafico precedente. Di conseguenza, gli effetti di questa nuova esperienza soppiantano il residuo della programmazione neurale e del condizionamento emotivo derivante da quella passata. Di fatto questo processo, attuato nel modo giusto, riconfigura il nostro cervello e cambia la nostra biologia; la nuova esperienza riorganizzerà la vecchia programmazione e, così facendo, rimuoverà il retaggio neurologico dell’esperienza passata. Pensa a un’onda più grande che arriva a infrangersi in un punto più avanzato della spiaggia, cancellando ogni traccia sulla sabbia lasciata dalle conchiglie, dalle alghe, dalla schiuma marina o dai disegni. Le forti esperienze emotive creano ricordi a lungo termine. Allo stesso modo questa nuova esperienza interna crea ricordi a lungo termine che sostituiscono quelli del passato, perciò la nostra scelta diventa un’esperienza che non dimenticheremo mai. Non ci saranno 210
più tracce del passato nel cervello e nel corpo e il nuovo segnale riscriverà il programma neurologico, alterando l’organismo a livello genetico. LA SCELTA DIVENTA UN’ESPERIENZA
Figura 7.3. Per cambiare una percezione o una convinzione su te stesso e sulla tua vita, devi prendere una decisione con un’intenzione tanto chiara da far sì che la scelta abbia un’ampiezza di energia maggiore dei programmi installati nel cervello e delle dipendenze emotive impresse nel corpo. Il corpo così risponde a una mente nuova. La scelta creerà una nuova esperienza interiore più grande di quella passata, che riscriverà i circuiti cerebrali e invierà nuovi segnali al corpo per generare emozioni diverse. Quando la scelta diventa un’esperienza indimenticabile, anche tu cambi, perché avrai creato un ricordo a lungo termine. A livello biologico, il passato non esiste più. Potremmo dire che il tuo corpo, in quel momento presente, sarà già in un nuovo futuro.
Ora osserva di nuovo la Figura 7.3 e nota come l’andamento della linea continua a scendere (mentre nella Figura 7.2, la curva era discendente ma si manteneva più in alto del punto di partenza). Questo andamento mostra che non ci sono più tracce residue dell’esperienza passata, scomparsa ormai dal tuo nuovo modo d’essere. 211
Oltre a riorganizzare i tuoi neurocircuiti, questo nuovo segnale comincia anche a riscrivere il condizionamento del corpo rompendo l’attaccamento emotivo al passato. Nell’istante in cui questo accade, il corpo vive pienamente nel presente e smette di essere prigioniero del passato. Questa energia elevata si sente all’interno del corpo e si traduce in una nuova emozione (modo diverso per dire “energia in movimento”, e-mozione), che può essere la sensazione di essere invincibili, coraggiosi, forti, empatici, ispirati o altro. Ed è proprio l’energia, non la chimica, a cambiare la nostra biologia, i neurocircuiti e l’espressione genica che ci caratterizza. Un processo simile si verifica nelle persone che camminano sui carboni ardenti, che masticano il vetro e che maneggiano i serpenti. Sono determinate a entrare in un diverso stato mentale e corporeo. E quando mantengono ferma l’intenzione di fare questo passaggio, l’energia della decisione crea nel cervello e nel corpo dei cambiamenti interni che le rendono immuni alle condizioni ambientali per un periodo prolungato. L’energia le protegge a tal punto che, in quel momento, trascende la loro biologia. Per di più, la nostra neurochimica non è l’unica a reagire agli stati energetici elevati. I siti recettoriali che si trovano all’esterno delle cellule sono molto più sensibili all’energia e alla frequenza che ai segnali chimici di origine fisica, come i neuropeptidi, che accedono al DNA delle nostre cellule.114 Le ricerche rivelano che quelle forze invisibili del nostro spettro elettromagnetico influenzano ogni aspetto della biologia cellulare e della regolazione genica.115 I recet114. C. W. F. McClare, “Resonance in Bioenergetics”, Annals of the New York Academy of Sciences, vol. 227: 74–97 (1974). 115. B. H. Lipton, La biologia delle credenze. Macro edizioni, 2006; A. R. Liboff, “Toward an Electromagnetic Paradigm for Biology and Medicine”, Journal of Alternative and Complementary Medicine, vol. 10, n. 1: pp. 41–47 (2004); R. Goodman, M. Blank, “Insights into Electromagnetic Interaction Mechanisms”, Journal of Cellular Physiology, vol. 192, n. 1: pp. 16–22 (2002); L. B. Sivitz, “Cells Proliferate in Magnetic Fields”, Science News, vol. 158, n. 13: pp. 196–197 (2000); M. Jin, M. Blank, R. Goodman, “ERK1/2 Phosphorylation, Induced by Electromagnetic Fields, Diminishes During Neoplastic Transformation”, Journal of Cellular Biochemistry, vol. 78, n. 3: pp. 371–379 (2000); C. F. Blackman, S. G. Benane, D. E. House, “Evidence 212
tori delle cellule sono tarati sulla frequenza dei segnali energetici in arrivo. Le energie dello spettro elettromagnetico comprendono le microonde, le onde radio, i raggi X, le onde a bassissima frequenza, le onde armoniche, i raggi ultravioletti e anche gli infrarossi. Alcune frequenze dell’energia elettromagnetica possono influenzare il comportamento di DNA, RNA e della sintesi proteica, alterano la forma e la funzionalità delle proteine, controllano la regolazione e l’espressione genica, stimolano lo sviluppo delle cellule nervose e possono influenzare la divisione e la differenziazione cellulare, oltre a istruire specifiche cellule a organizzarsi in tessuti e organi. Tutte queste attività influenzate dall’energia fanno parte dell’espressione della vita. Se le cose stanno così, ci deve essere una ragione. Ricordi che il 98,5 per cento del nostro DNA viene definito “di scarto” dagli scienziati perché sembra non avere un’utilità pratica? Di sicuro Madre Natura non ha inserito tutte quelle informazioni codificate nelle nostre cellule, in attesa di essere lette, senza darci la capacità di creare un segnale che le schiuda; dopotutto, la natura non spreca nulla. È possibile che siano proprio la tua energia e la tua consapevolezza a creare il giusto tipo di segnale esterno alle cellule che consente di attingere a quel vasto serbatoio di “ingredienti” potenziali? E se fosse vero, cambiando la tua energia con il processo spiegato nelle pagine precedenti, potresti accedere alla capacità di guarire autenticamente il tuo corpo? Quando cambi la tua energia, modifichi il tuo modo d’essere. Dopodiché, il processo di riscrittura nel cervello e le nuove emozioni chimiche nel corpo scatenano cambiamenti epigenetici fino a farti diventare letteralmente una persona nuova. for Direct Effect of Magnetic Fields on Neurite Outgrowth”, FASEB Journal, vol. 7, n. 9: pp. 801–806 (1993); A. D. Rosen, “Magnetic Field Influence on Acetylcholine Release at the Neuromuscular Junction”, American Journal of Physiology, vol. 262, n. 6, pt. 1: pp. C1418–C1422 (1992); M. Blank, “Na,KAPTase Function in Alternating Electrical Fields”, FASEB Journal, vol. 6, n. 7: pp. 2434–2438 (1992); T. Y. Tsong, “Deciphering the Language of Cells”, Trends in Biochemical Sciences, vol. 14, n. 3: pp. 89–92 (1989); G. P. A. YenPatton, W. F. Patton, D. M. Beer, et al., “Endothelial Cell Response to Pulsed Electromagnetic Fields: Stimulation of Growth Rate and Angiogenesis in Vitro”, Journal of Cellular Physiology, vol. 134, n. 1: pp. 37–46 (1988). 213
La persona che eri ormai è storia; una parte di lei è svanita insieme ai vecchi neurocircuiti, alle dipendenze chimico-emotive e all’espressione genica che ha nutrito il tuo vecchio modo d’essere.
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CAPITOLO 8 LA MENTE QUANTISTICA La realtà può essere letteralmente un bersaglio mobile. Siamo abituati a considerarla certa e stabile ma, come scoprirai leggendo questo capitolo, il modo in cui ci hanno insegnato a vederla non corrisponde al vero. E se vuoi imparare a essere il tuo placebo usando la mente per influenzare la materia, è fondamentale che tu comprenda la vera natura della realtà, come essa può trasformarsi e quali sono i legami tra la mente e la materia: se non sai come avvengono queste modifiche e perché, non puoi impartire ai risultati una direzione che assecondi le tue intenzioni. Prima di tuffarci nell’universo quantistico, cerchiamo di capire da dove vengono le nostre idee sulla realtà e dove ci hanno portato finora. A partire da Cartesio e da sir Isaac Newton, per secoli lo studio dell’universo si è diviso in due categorie: materia e mente. Lo studio della materia (il mondo materiale) è stato dichiarato dominio della scienza perché, per la maggior parte, le leggi che governano il mondo esterno e oggettivo si potevano calcolare e quindi prevedere. Ma il regno interno della mente era considerato troppo imprevedibile e complesso, quindi è stato affidato alla religione. Con l’andar del tempo, la mente e la materia sono diventate entità separate ed è nato un dualismo. La fisica newtoniana (detta anche fisica classica) si occupa dei meccanismi che determinano il comportamento degli oggetti nello spazio e nel tempo, comprese le loro reciproche interazioni nel mondo fisico materiale. Grazie alle leggi di Newton, possiamo misurare e prevedere la traiettoria dei pianeti intorno al Sole, l’accelerazione di una mela che cade da un albero, la durata del viaggio da Seattle a New York in aereo. La fisica newtoniana si occupa di tutto ciò che è prevedibile. Considera l’universo come se fosse un’enorme macchina o un immenso cronometro. Ma la fisica classica ha dei limiti quando si tratta di studiare l’energia, le azioni del mondo immateriale oltre lo spazio e il tempo e il comportamento degli 215
atomi (i mattoncini di cui si compone ogni cosa nell’universo fisico). Questo regno appartiene invece alla fisica quantistica. E si è scoperto che questo microscopico mondo subatomico fatto di elettroni e protoni non si comporta come il mondo più grande che ci è familiare, quello dei pianeti, delle mele e degli aeroplani. Quando i fisici quantistici hanno cominciato a osservare aspetti sempre più piccoli dell’atomo, come la composizione del nucleo, man mano che l’osservazione si faceva sempre più ravvicinata, l’atomo diventava sempre meno chiaro e distinto, fino a scomparire completamente. A quanto dicono, sembra che l’atomo sia composto per il 99,9 per cento da uno spazio vuoto.116 Ma in verità quello spazio non è vuoto. È pieno di energia. Più precisamente, è composto da una vasta gamma di frequenze energetiche che formano una sorta di campo di informazioni invisibile e interconnesso. Perciò ogni atomo è composto per il 99,9 per cento da informazioni o energia; ciò significa che il nostro universo noto e ogni cosa in esso contenuta – non importa quanto possa apparire solida– è fatta per lo più di energia e informazioni. E questo è un fatto scientifico. Gli atomi contengono una piccola quantità di materia, ma quando i fisici quantistici hanno cercato di studiarla hanno scoperto una cosa strana: nel mondo quantistico, la materia subatomica non si comporta affatto come quella che conosciamo. Invece di rispettare le leggi della fisica newtoniana, essa sembra in qualche modo caotica e imprevedibile, assolutamente noncurante dei limiti spaziotemporali. Infatti, al livello subatomico dei quanti, la materia è un fenomeno momentaneo. È qui adesso, poi scompare. Esiste solo come tendenza, come probabilità o possibilità. Nel quanto, non vi sono cose fisiche assolute. Questa non è stata l’unica scoperta sorprendente riguardo all’universo quantistico. Gli scienziati si sono accorti che, quando osservavano particelle di materia subatomica, potevano influire sul loro comportamento o modificarlo. Il motivo per cui queste particelle vanno e vengono (e lo fanno in continuazione) è che tutte esistono 116. N. Bohr, “On the Constitution of Atoms and Molecules”, Philosophical Magazine, vol. 26, n. 151: pp. 1–25 (1913). 216
simultaneamente in un’infinita gamma di possibilità o probabilità nell’infinito e invisibile campo quantistico di energia. Solo quando un osservatore concentra la sua attenzione su un punto qualunque di un elettrone, lo vede apparire realmente lì dove sta guardando. Se distoglie lo sguardo, la materia subatomica scompare di nuovo nell’energia. Così, in base a questo “effetto dell’osservatore”, la materia fisica non può esistere né manifestarsi fino a quando non la osserviamo e la notiamo. Se non le prestiamo più attenzione svanisce, tornando da dove è venuta. È in costante trasformazione e oscilla sempre tra il manifestarsi in materia e lo svanire di nuovo in energia (circa 7,8 volte al secondo, in realtà). E siccome la mente umana (in qualità di osservatore) è intimamente connessa al comportamento della materia e al suo manifestarsi, si può dire che il dominio della mente sulla materia sia una realtà quantistica. Formulato diversamente, il concetto è questo: nel mondo microscopico dei quanti, la mente soggettiva esercita un effetto sulla realtà oggettiva. La tua mente può diventare materia; ovvero, puoi trasformarla in materia. Come sappiamo, la materia subatomica compone tutto ciò che vediamo, tocchiamo e sperimentiamo nel nostro macromondo: ciò significa che in un certo senso anche noi appariamo e scompariamo di continuo. Se le particelle subatomiche esistono simultaneamente in un numero infinito di luoghi possibili, in qualche modo noi facciamo altrettanto. E così come queste particelle passano dall’esistere ovunque simultaneamente (onda o energia) a esistere precisamente nel luogo in cui l’osservatore le cerca, nel momento in cui presta loro attenzione (particella o materia), anche noi siamo potenzialmente capaci di collassare nell’esistenza fisica in un numero infinito di realtà potenziali. In altre parole, l’evento futuro che vorresti sperimentare nella tua vita esiste già come possibilità in qualche luogo del campo quantistico – oltre lo spazio e il tempo – e attende solo che tu lo osservi. Se la tua mente (con i tuoi pensieri e le tue emozioni) può influire su dove e quando un elettrone appare dal nulla, allora, a livello teorico, dovresti riuscire a influenzare l’apparizione di ogni possibilità che riesci a immaginare. 217
Da una prospettiva quantistica, se ti osservi in un nuovo futuro particolare, diverso dal tuo passato, e ti aspetti che quella realtà si verifichi accogliendone emotivamente l’esito, per un momento stai già vivendo in quella futura realtà e stai condizionando il tuo corpo a credere di essere lì nel presente. Così il modello quantistico, secondo il quale tutte le possibilità esistono simultaneamente, ci consente di scegliere un nuovo futuro e di osservarlo nella realtà. Siccome l’intero universo è composto da atomi che per il 99 per cento sono fatti di pura energia o possibilità, vuol dire che là fuori esistono innumerevoli potenzialità che forse ci stiamo perdendo. Tuttavia, ciò significa anche che tu crei in modo predefinito. Se tu, in qualità di osservatore quantistico, guardi la tua vita con lo stesso livello mentale ogni giorno, secondo questo modello induci le infinite possibilità a collassare sempre negli stessi schemi di informazioni. Quegli schemi, che sei solito chiamare “vita”, non cambiano mai, perciò non ti permettono di determinare un cambiamento. Quindi la prova mentale di cui ho parlato nelle pagine precedenti non è un vago sogno a occhi aperti o la semplice espressione di un desiderio. È a tutti gli effetti un metodo per materializzare intenzionalmente la realtà che desideri, compresa una vita senza dolore o malattie. Focalizzandoti di più su quello che vuoi e di meno su quello che non vuoi, fai materializzare nell’esistenza tutto ciò che desideri e al contempo fai “svanire” ciò che non vuoi smettendo di prestargli attenzione. Il punto verso il quale rivolgi l’attenzione è quello su cui si dirige la tua energia. Quando fissi l’attenzione, la consapevolezza o la mente sulla possibilità, vi riversi anche l’energia. Di conseguenza, con la tua attenzione o con l’atto stesso di osservare, influenzi la materia. Quindi l’effetto placebo non è fantasia: è una realtà quantistica. L’ENERGIA A LIVELLO QUANTISTICO Tutti gli atomi nel mondo elementare emettono energie elettromagnetiche. Per esempio, un atomo può emanare invisibili campi energetici a diverse frequenze, che includono i raggi X, gamma, ultravioletti e infrarossi, oltre a raggi luminosi visibili. E come le onde radio, pur essendo invisibili, essi trasportano una frequen218
za con specifiche informazioni codificate (che sia pari a 98.6 o 107.5 Hertz), allo stesso modo ogni particolare frequenza trasporta informazioni specifiche e distinte, come mostra la Figura 8.1. Per esempio, i raggi X trasportano informazioni molto diverse da quelle degli infrarossi, perché viaggiano a frequenze diverse. Tutti questi campi sono schemi di energia che emanano informazioni a livello atomico. FREQUENZA – ENERGIA – INFORMAZIONE
Figura 8.1. Questo grafico mostra due frequenze che trasportano diverse informazioni e perciò hanno caratteristiche differenti. I raggi X si comportano in modo diverso dalle onde radio e perciò hanno differenti caratteristiche intrinseche.
Pensa all’atomo come a un vibrante campo di energia o a piccoli vortici che ruotano in continuazione. Per comprendere meglio come funziona, possiamo paragonarlo a un ventilatore. Proprio come un ventilatore circolare quando è acceso crea del vento (un vortice d’aria), così ogni atomo, vorticando, irradia un campo di energia. E come un ventilatore può ruotare a diverse velocità e creare un vento più forte o più debole, così gli atomi possono vibrare a diverse frequenze e creare campi energetici più forti o più deboli. 219
Quanto più veloce è la vibrazione dell’atomo, tanto maggiore è l’energia e la frequenza emesse. Quanto più lenta è la vibrazione o il vortice, tanto minore è l’energia creata. Se le pale di un ventilatore ruotano più lentamente, si genera meno vento (o energia) ed è più facile vederle come oggetti materiali nella realtà fisica. Viceversa, se le pale ruotano più rapidamente, si genera più energia ed è meno facile vederle fisicamente; sembrano immateriali. Il punto in cui possono apparire (come le particelle subatomiche che i fisici quantistici cercavano di osservare ma che continuavano a mostrarsi e a svanire) dipende dalla tua osservazione, cioè da come e dove le cerchi. Lo stesso vale per gli atomi. Analizziamo più a fondo questo concetto. Nella fisica quantistica, la materia è definita come particella solida, mentre il campo di energia immateriale che trasporta le informazioni si può definire onda. Quando studiamo le proprietà fisiche dell’atomo, come per esempio la massa, gli atomi sembrano materia solida. Più lenta è la sua frequenza, più a lungo l’atomo rimane nella realtà fisica e più appare come una particella visibile, come materia solida. Il motivo per cui la materia fisica ci appare solida, anche se è composta per lo più da energia, è che tutti gli atomi vibrano alla stessa velocità con cui vibriamo noi. Ma gli atomi esprimono anche molte proprietà tipiche dell’energia o delle onde (compresa la luce, la lunghezza d’onda e la frequenza). Quanto più veloce è la loro vibrazione e quanta più energia generano, tanto minore è il tempo che essi trascorrono nella realtà fisica; appaiono e scompaiono troppo rapidamente per essere visibili al nostro occhio, perché vibrano a una velocità maggiore della nostra. Ma anche se non possiamo vedere l’energia in sé, a volte possiamo coglierne la conseguenza fisica, perché il campo di forza degli atomi genera proprietà tangibili, come nel caso dei raggi infrarossi che producono calore. Se confronti la Figura 8.2A con la Figura 8.2B, puoi notare che le frequenze più lente trascorrono più tempo nel mondo materiale e quindi ci appaiono come materia.
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CAMPO QUANTISTICO IMMATERIALE NON FISICO OLTRE LO SPAZIO E IL TEMPO
Figura 8.2 Quando l’energia vibra più lentamente, le particelle appaiono nella realtà fisica per periodi più prolungati, e dunque appaiono come materia solida. La Figura 8.2A mostra come si manifesta la materia con una frequenza più lenta e una lunghezza d’onda maggiore. La Figura 8.2B raffigura particelle che trascorrono meno tempo nella realtà fisica, perciò sono energia più che materia. Questo accade perché hanno lunghezze d’onda più brevi, frequenze più veloci e vibrazioni più rapide.
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Dunque l’universo fisico può sembrare composto solo da materia solida, ma in verità condivide un campo di informazioni (il campo quantistico) che unifica la materia e l’energia così strettamente che è impossibile considerarle come entità separate. È per questo motivo che tutte le particelle sono connesse in un campo di informazioni immateriale e invisibile oltre lo spazio e il tempo, composto da coscienza (pensiero) ed energia (frequenza, la velocità con cui vibrano le cose). A Ogni atomo ha il suo specifico campo o configurazione energetica che condivide quando si unisce ad altri atomi per formare le molecole. Gli atomi assemblati collettivamente irradiano profili energetici combinati tra loro. Tutto ciò che è materiale nell’universo ha una specifica e particolare configurazione energetica perché è composto da atomi, compresi io e te. Noi emettiamo informazioni sotto forma di energia elettromagnetica, in base al nostro modo d’essere.
Perciò, quando cambi la tua energia per modificare una percezione o una convinzione su te stesso o sulla tua vita, di fatto aumenti la frequenza degli atomi e delle molecole nel tuo corpo fisico e amplifichi il tuo campo energetico (come mostra la Figura 8.3). Aumenti la velocità di rotazione dei ventilatori atomici che compongono il tuo corpo. Quando accogli uno stato emotivo elevato e creativo – B come l’ispirazione, la consapevolezza del tuo potere, la gratitudine o la sensazione di essere invincibile – induci gli atomi a roteare più rapidamente, come le pale di un ventilatore, e a emanare un’energia più forte intorno al tuo corpo, che va a influenzare la materia fisica. Quindi, le particelle che compongono il tuo corpo rispondono ora a un’energia maggiore. Stai diventando più energia che materia. Sei più onda che particella. Usando la tua consapevolezza, puoi creare più energia in modo che la materia sia in grado di elevarsi a una frequenza nuova e il tuo corpo risponda a una nuova mente.
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EMOZIONI DI SOPRAVVIVENZA VS EMOZIONI CREATIVE
Figura 8.3. Quando cambi la tua energia, elevi la materia al livello di una mente nuova e il tuo corpo vibra a una frequenza maggiore. Diventi più energia e meno materia, più onda e meno particella. Più elevata è l’emozione o più alto è lo stato creativo della mente, più energia hai a disposizione per riscrivere i programmi del corpo. Il tuo corpo risponde a una mente nuova.
RICEVERE IL GIUSTO SEGNALE ENERGETICO Allora come si fa a elevare la materia al livello di una mente nuova? Pensa al predicatore che entra in uno stato di estasi religiosa e beve stricnina senza riportare conseguenze a livello fisico. Come riesce a sopportare quella sostanza chimica che in condizioni normali avvelenerebbe chiunque? È il suo livello di energia a trascendere gli effetti della materia. Ha mantenuto un’intenzione così ferma che la sua decisione ha un’ampiezza energetica capace di trascendere le
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leggi ambientali, gli effetti sul corpo e il tempo lineare. In quel momento, lui è più energia che materia e la sua nuova energia riscrive i circuiti cerebrali, la chimica corporea e l’espressione genica. In quella circostanza, lui non è l’identità legata al suo ambiente familiare, non è il corpo fisico e non vive nel tempo lineare. La sua coscienza e la sua energia elevate sono epifenomeni della materia. In altre parole, sono l’informazione e la frequenza che hanno plasmato il progetto della materia. E quando dimostriamo un livello elevato di consapevolezza e di energia, influenziamo la materia, che invece è generata da un più basso livello di frequenza e informazioni. È possibile che in questo processo i siti recettoriali delle cellule del predicatore non siano stati aperti per ricevere la stricnina; le porte sono rimaste chiuse al veleno, perciò esse sono esenti dai suoi effetti. Animato dallo spirito – ovvero dall’energia –il predicatore ha regolato verso l’alto le cellule per l’immunità e verso il basso quelle per il veleno. La stessa cosa accade a chi cammina sui carboni ardenti: cambiando il proprio modo d’essere, i siti recettoriali delle cellule non sono più aperti all’effetto del calore. Ed è la stessa dinamica che ha permesso alle due ragazzine di sollevare un trattore da 1.360 chili per liberare il padre, come hai letto nel Capitolo 1. Quando hanno visto il padre intrappolato e destinato alla morte, il loro stato energetico elevato ha spento i recettori delle cellule che in condizioni normali avrebbero comunicato al corpo che il trattore era troppo pesante, e ha acceso i recettori delle cellule muscolari per permettere loro di sollevare un peso enorme: così, quando ci hanno provato, i loro muscoli hanno risposto allo stimolo e sono riuscite a liberare il papà. Non è stata la materia (il corpo) a muovere la materia (il trattore); è stata l’energia a influenzare la materia. Di certo saprai che il tuo corpo è composto da un ampio assortimento di atomi e molecole, che formano gli elementi chimici. Questi, a loro volta, si organizzano in cellule, le quali formano tessuti che poi si organizzano per diventare gli organi che costituiscono i vari apparati del tuo corpo. Per esempio, una cellula muscolare è composta da diversi elementi chimici (proteine, ioni, citochine, ormoni della crescita), creati da tre differenti interazioni molecolari, che a loro
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volta derivano da vari legami tra atomi; questi atomi condividono un invisibile campo di informazioni per formare le molecole. Anche gli elementi chimici che compongono le cellule condividono un campo di informazioni, che orchestra le migliaia di funzioni cellulari in ogni dato secondo. Gli scienziati stanno cominciando a credere che esista un campo di informazioni responsabile di miriadi di funzioni cellulari oltre i confini della materia. Come fanno certi elementi chimici e alcune molecole cellulari a sapere cosa fare e a interagire con tanta precisione? C’è un campo energetico intorno alla cellula che è la somma dell’energia degli atomi, delle molecole e degli elementi chimici che operano insieme in equilibrio, ed è quel campo energetico che fa nascere la materia. Per esempio, le cellule muscolari di cui parlavo prima possono organizzarsi ulteriormente e specializzarsi diventando “tessuti muscolari”. Poniamo che il particolare tipo di tessuto muscolare sia il “muscolo cardiaco”, che forma un organo chiamato “cuore”. I tessuti, composti da cellule, condividono un campo di informazioni che permette al cuore di funzionare in modo coerente. Il cuore fa parte dell’apparato cardiocircolatorio. Condividendo questo campo di informazioni, esso organizza la materia affinché funzioni in modo armonico e olistico. Così, il campo che si è creato e che fa nascere la materia è ciò che controlla la materia. Più è grande il campo, più è veloce la vibrazione degli atomi o, se vogliamo, la rotazione delle pale del ventilatore subatomico. Il modello newtoniano della biologia si basa su eventi lineari in cui le reazioni chimiche si svolgono in una sequenza di passaggi. In verità la biologia non funziona così; non è possibile spiegare alcunché, neanche un fenomeno semplice come la guarigione di un taglio, senza comprendere i movimenti interconnessi e coerenti delle informazioni di cui abbiamo appena parlato. Le cellule si scambiano le informazioni in modo non lineare. L’universo e tutti i sistemi biologici che contiene condividono un’integrazione di campi energetici indipendenti e intrecciati, che a loro volta si scambiano informazioni oltre lo spazio e il tempo.
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Le ricerche confermano che molte interazioni tra cellule si svolgono a una velocità superiore a quella della luce;117 e siccome il limite della nostra realtà fisica è la velocità della luce, ciò significa che le cellule devono comunicare tramite il campo quantistico. Le interazioni tra atomi e molecole formano una intercomunicazione che unifica il mondo fisico materiale e i campi energetici che compongono il tutto. Nei quanti, le caratteristiche lineari e prevedibili del mondo newtoniano non esistono. Gli elementi interagiscono in modo olistico e cooperativo. Perciò, secondo il modello quantistico della realtà, potremmo dire che ogni malattia è un abbassamento della frequenza. Pensa agli ormoni dello stress. Quando il tuo sistema nervoso è governato dalla reazione di lotta o fuga, gli elementi chimici della sopravvivenza ti inducono a essere più materia che energia. Definisci la realtà con i sensi, abusi dell’energia vitale che circonda le cellule immobilizzandola per un’emergenza, e tutta la tua attenzione è rivolta al mondo esterno, all’ambiente, al corpo e al tempo. Se tieni accesa la risposta allo stress per periodi prolungati, gli effetti a lungo termine continuano a rallentare la frequenza del corpo, che così diventa più particella che onda. Ciò significa che gli atomi, le molecole e gli elementi chimici avranno a disposizione meno coscienza, meno energia e meno informazioni da condividere. Il risultato è che diventi materia che cerca invano di cambiare altra materia; sei un corpo che cerca di cambiare un corpo, senza successo. Tutti i singoli ventilatori subatomici che compongono il tuo corpo cominciano a ruotare più lentamente e assumono ritmi sfasati tra loro. Questo crea un’incoerenza tra gli atomi e le molecole e indebolisce il segnale di comunicazione, tanto che il corpo comincia a dissestarsi. Quanto più il tuo corpo è materia invece che energia, tanto più sei in balìa della seconda legge della termodinamica – la legge dell’entropia – secondo la quale gli elementi materiali dell’universo tendono a muoversi verso il disordine e il caos. 117. F. A. Popp, “Biophotons and Their Regulatory Role in Cells”, Frontier Perspectives, vol. 7, n. 2: pp. 13–22 (1998). 226
Pensa a cosa accadrebbe se in un’enorme stanza ci fossero centinaia di ventilatori che funzionano insieme e girano in armonia, emanando un lieve ronzio all’unisono. Quel ronzio sarebbe musica per le tue orecchie, in quanto ritmico e costante. È quel che accade nel corpo quando i segnali tra gli atomi, le molecole e le cellule sono forti e coerenti. Ora immagina come sarebbe diverso se non ci fosse sufficiente corrente elettrica (energia) per alimentare tutti i ventilatori: essi girerebbero a velocità o a frequenze diverse. La stanza sarebbe invasa da una cacofonia di clangori, sussulti, interruzioni e partenze. È quel che accade nel corpo quando i segnali tra gli atomi, le molecole e le cellule sono più deboli e incoerenti. Quando cambi la tua energia perché hai preso una decisione con intenzione salda, aumenti la frequenza della tua struttura atomica e crei una configurazione elettromagnetica più coerente (come mostra la Figura 8.4). Ora influisci sulla materia fisica del tuo corpo. Aumentando l’energia, aumenti l’elettricità che affluisce ai tuoi ventilatori atomici. La frequenza elevata comincia a trascinare e a organizzare le cellule del corpo per farle diventare meno particella (materia) e più onda (energia). Detto in un altro modo, tutta la tua materia ha più energia, o più informazioni. Per capire cos’è la coerenza, pensa al ritmo o all’ordine, e per comprendere l’incoerenza pensa alla mancanza di ritmo, di ordine o di sincronia.
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Figura 8.4. In una prospettiva quantistica, una frequenza più elevata e coerente si chiama salute, e una frequenza più lenta e incoerente si chiama malattia. Ogni malattia è un abbassamento della frequenza ed è l’espressione di informazioni incoerenti.
Immagina un centinaio di percussionisti che non hanno ritmo e tutti insieme picchiano sui tamburi nello stesso momento. È un esempio di incoerenza. Ora immagina un gruppo composto da cinque percussionisti di professione che si uniscono a percussionisti improvvisati, si dispongono in diverse zone tra la folla e iniziano a suonare andando a ritmo. Con il passare del tempo, i cinque percussionisti trascineranno gli altri cento condividendo un ritmo, un ordine e una sincronia perfetti. È esattamente quel che accade quando il corpo risponde a una mente nuova, quando hai un brivido dietro la nuca perché ti senti più energia che materia. In quel momento, stai elevando la materia al livello di una mente nuova. Stai portando la malattia, che esiste come calo di frequenza, a una frequenza più elevata. Allo stesso tempo, stai anche inducendo le informazioni incoerenti che esistono tra atomi e molecole, tra elementi chimici e cellule, tra tessuti e organi e apparati del corpo a funzionare in base a un campo di informazioni più organizzato. 228
È come sentire delle interferenze alla radio e poi sintonizzarsi su un segnale più chiaro: all’improvviso il disturbo svanisce e tu riesci a sentire la musica. Il tuo cervello e il tuo sistema nervoso fanno la stessa cosa sintonizzandosi su frequenze più alte e coerenti. Quando questo accade, non sei più soggetto alla legge dell’entropia. Sperimenti l’entropia inversa, e la configurazione coerente del campo energetico che circonda il tuo corpo ti rende immune alle leggi della realtà fisica. Ora tutti i ventilatori atomici girano a una frequenza più rapida e coerente, e le molecole fisiche, gli elementi chimici e le cellule che compongono il tuo corpo ricevono nuove informazioni: l’energia esercita un effetto positivo sul corpo. Le Figure 8.5A, 8.5B e 8.5C illustrano come la frequenza più alta e coerente dell’energia trascina quella più lenta e incoerente della materia, elevandola al livello di una mente nuova. Più organizzata e coerente è la tua energia, più trascini la materia a una frequenza organizzata; più veloce è quella frequenza, più chiaro e profondo è il segnale elettromagnetico che le cellule ricevono. (Nel capitolo precedente, hai imparato che le cellule sono cento volte più sensibili ai segnali elettromagnetici – l’energia – che ai segnali chimici, e che sono i segnali elettromagnetici che cambiano l’espressione del DNA.) Viceversa, meno coerente e sincronizzata è la tua energia, più difficile sarà per le cellule comunicare tra loro. Tra pochissimo scoprirai quali sono i principi scientifici con cui puoi creare uno stato di coerenza.
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Figura 8.5. Quando un’energia più elevata e coerente interagisce con una più lenta e incoerente, comincia a trascinare la materia in uno stato più organizzato.
OLTRE LA SOGLIA DEL QUANTO Il campo quantico è un campo invisibile di informazioni, è una frequenza che sta oltre lo spazio e il tempo da cui derivano tutte le cose materiali ed è composto da coscienza ed energia, perciò tutti gli elementi fisici dell’universo sono unificati al suo interno e con230
nessi a questo campo. E siccome la materia è composta da atomi, interconnessi oltre lo spazio e il tempo, allora io e te, insieme a tutto l’universo, siamo collegati da questo campo di intelligenza – personale e universale, dentro e intorno a noi – che dispensa vita, informazioni, energia e coscienza a tutte le cose. Puoi definirla come preferisci, ma questa è l’intelligenza universale che ti sta dando la vita proprio in questo istante. È lei che organizza e orchestra all’interno del tuo sistema nervoso autonomo migliaia di note nell’armoniosa sinfonia del tuo assetto fisiologico. Questa intelligenza fa battere il tuo cuore più di centounomila volte al giorno, permettendogli di pompare fino a otto litri di sangue al minuto, e percorrendo più di novantamila chilometri in ventiquattr’ore. Nel tempo in cui finirai di leggere questa frase, il tuo corpo avrà prodotto venticinque trilioni di cellule. E ognuno dei settanta trilioni di cellule che compongono il tuo corpo esegue da centomila a sei trilioni di funzioni al secondo. Oggi inali due milioni di litri di ossigeno e, ogni volta che inspiri, viene distribuito in tutte le cellule del tuo corpo nell’arco di pochi secondi. Tieni sotto controllo tutto questo a livello conscio? O forse qualcosa che ha una mente molto più grande della tua, e una volontà molto più grande della tua, lo fa per te? Questo è amore! Infatti, quell’intelligenza ti ama così tanto da darti la vita. È la stessa mente universale che anima ogni aspetto dell’universo materiale. Questo invisibile campo di intelligenza esiste oltre lo spazio e il tempo, ed è da lì che vengono tutte le cose materiali. Questa intelligenza fa nascere le supernova nelle galassie lontane e fa fiorire le rose a Versailles. Fa ruotare i pianeti intorno al Sole e fa alzare e calare le maree a Malibù. Siccome esiste in tutti luoghi e in tutti i tempi, ed è dentro di te ma anche intorno a te, deve essere sia personale, sia universale. Dunque c’è una coscienza soggettiva e volitiva (la consapevolezza individuale) chiamata “tu” e c’è una coscienza oggettiva (la consapevolezza universale) responsabile di ogni forma di vita. Se chiudessi gli occhi e distogliessi l’attenzione dal tuo corpo e da tutte le persone, le cose e gli eventi che si manifestano in momen231
ti e luoghi diversi del tuo ambiente esterno, lasciando andare il tempo per un momento, in qualità di osservatore quantistico, rimuoveresti la tua energia dalla vita che conosci e investiresti la tua consapevolezza nel campo ignoto delle possibilità. Se mantieni la consapevolezza sulla vita che conosci, continui a investire lì la tua energia, perché il punto in cui dirigi l’attenzione è quello in cui riversi la tua energia. Ma se investissi l’energia nel campo ignoto delle possibilità (un pensiero con potenziale quantico), attireresti verso di te una nuova esperienza. Quando entri in uno stato meditativo, la tua coscienza soggettiva e volitiva si fonde con la coscienza oggettiva e universale e tu pianti un seme nel regno delle possibilità. Il sistema nervoso autonomo, che determina da sé la sua organizzazione, è la tua connessione con quell’intelligenza innata che governa per te tutte le funzioni automatiche. Di certo il responsabile delle funzioni a cui ho accennato prima non è la neocorteccia pensante. La cabina di regia che a livello subconscio dirige quei processi si trova sotto la neocorteccia, nei centri inferiori del cervello. Quest’intelligenza amorevole è l’entità con cui ti fondi durante la meditazione, quando spegni l’ego e diventi pura coscienza: non più un corpo nell’ambiente o nel tempo lineare bensì nessun corpo, nessuna cosa, in nessun luogo e in nessun tempo. È così che diventi semplicemente una coscienza in un campo infinito di possibilità. Sei nell’ignoto. Ed è dall’ignoto che si crea ogni cosa. Sei nel campo quantico. Io e te abbiamo tutto l’equipaggiamento biologico che ci serve per compiere l’impresa di diventare pura coscienza.
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CAPITOLO 9 TRE STORIE DI TRASFORMAZIONE PERSONALE In questo capitolo conoscerai alcune persone che hanno indirizzato l’energia della loro coscienza verso il mondo immateriale oltre i sensi, e hanno ripetutamente accolto una possibilità fino a materializzarla nella loro vita. LA STORIA DI LAURIE Quando aveva diciannove anni, a Laurie fu diagnosticata una rara malattia degenerativa delle ossa, chiamata displasia fibrosa poliostica. Con questa patologia debilitante, il corpo sostituisce l’osso vero e proprio con un tessuto fibroso più scadente, e l’impalcatura proteica che supporta lo scheletro diventa sottile e irregolare. Il processo di crescita atipico associato a questa sindrome induce le ossa a gonfiarsi, indebolirsi e fratturarsi. La displasia fibrosa può manifestarsi in qualunque parte dello scheletro; nel caso di Laurie interessava la parte destra del suo corpo: il femore, l’incavo dell’anca, la tibia e alcune ossa del piede. I medici le dissero che la malattia era incurabile. La displasia fibrosa è una malattia genetica che di solito non si manifesta fino all’adolescenza. Nel caso in questione, prima che ne affiorassero i sintomi, Laurie aveva passato un anno intero zoppicando dolorante per il campus dell’università con quella che si rivelò essere una frattura al femore. Quando apprese di avere un osso fratturato rimase scioccata, perché non aveva subito alcun trauma. Aveva notato di avere un piede anatomicamente più grande dell’altro, ma a parte questo non aveva riscontrato nulla che non andasse. Aveva avuto un’adolescenza piuttosto dinamica, si era dedicata ad attività come la corsa, la danza e il tennis. All’epoca in cui aveva cominciato a zoppicare, si allenava addirittura per le gare di culturismo. 233
Dopo la diagnosi, la vita di Laurie cambiò in modo repentino. Il suo chirurgo ortopedico le disse che era fragile ed estremamente vulnerabile. Le raccomandò di camminare solo con le stampelle in attesa dell’intervento chirurgico: prima un trapianto osseo, seguito dall’inserimento di un chiodo femorale di Russell-Taylor nella diafisi. Dopo aver appreso la notizia, Laurie e sua madre piansero per un’ora alla caffetteria dell’ospedale. Era come vivere in un incubo: la vita di Laurie, così come l’aveva conosciuta, all’improvviso sembrava finita. La percezione delle sue limitazioni – reali e immaginarie – cominciò a dominare la sua esistenza. Per evitare altre fratture, seguì scrupolosamente le raccomandazioni del medico e usò le stampelle. Dovette interrompere lo stage che aveva appena iniziato nella sezione marketing di una grande azienda di Manhattan e cominciò a riempire le sue giornate di appuntamenti medici. Suo padre insistette affinché vedesse il maggior numero possibile di ortopedici, perciò sua madre, sempre in lacrime, nelle settimane seguenti la accompagnò da uno studio medico all’altro. Ogni volta che vedeva un nuovo dottore, Laurie sperava di sentire un parere diverso, ma riceveva costantemente la stessa brutta notizia. In pochi mesi, dieci medici espressero un parere unanime sul suo caso. Ma l’ultimo specialista che consultò aveva un’opinione diversa: disse che l’intervento raccomandato dagli altri dottori non l’avrebbe aiutata, perché inserire il chiodo avrebbe rinforzato l’osso malato solo nel punto più debole, causando nuove fratture in aree quasi altrettanto vulnerabili sopra e sotto il chiodo. Consigliò a Laurie di continuare a usare le stampelle o una sedia a rotelle, o di restare seduta per il resto della sua vita. Da quel momento, temendo di fratturarsi un osso, la ragazza rimase immobile per la maggior parte del tempo. Si sentiva inerme, piccola e fragile, piena di ansia e autocommiserazione. Tornò all’università un mese dopo, ma restò per lo più rinchiusa in un appartamento che condivideva con altre cinque ragazze. Coltivò così la strabiliante capacità di dissimulare una depressione clinica che andava aggravandosi sempre più. 234
La paura del padre Per quanto poteva ricordare, suo padre era sempre stato un uomo violento. Anche quando i figli erano cresciuti, ogni membro della famiglia doveva essere pronto alla furia dei suoi pugni, che scattavano fulminei nei momenti più inaspettati. Tutti erano in costante stato di allerta, chiedendosi quando la sua collera sarebbe esplosa di nuovo. Anche se Laurie all’epoca non lo sapeva, la condotta di suo padre era intrinsecamente legata alla sua malattia. I neonati trascorrono la maggior parte del tempo nello stato cerebrale di onde delta. Nei primi dodici anni di vita, i bambini passano poco a poco a uno stato theta e poi a uno alfa, infine entrano nello stato beta in cui rimangono per gran parte della vita adulta. Come hai letto nelle pagine precedenti, il theta e l’alfa sono stati cerebrali molto suggestionabili. I bambini non hanno ancora una mente analitica che vaglia o interpreta ciò che accade, perciò ogni informazione che assorbono dalle esperienze si codifica direttamente nel loro subconscio. A causa dell’alto livello di suggestionabilità, nel momento in cui si sentono emotivamente alterati da un’esperienza, prestano attenzione a qualunque cosa o persona l’abbia causata, così sono condizionati a formare dei ricordi associativi collegando quella causa all’emozione vissuta. Se si tratta di un genitore, con l’andare del tempo i bambini si attaccano a quella figura familiare e pensano che le emozioni legate a quell’esperienza siano normali, perché non hanno la capacità di analizzare la situazione. Per questo motivo, le esperienze della prima infanzia diventano modi d’essere subconsci. Anche se Laurie non lo sapeva quando le diagnosticarono la malattia, gli eventi ad alta carica emotiva che aveva sperimentato crescendo con suo padre si erano impressi nel sistema della memoria implicita, al di là della sua mente conscia, e avevano programmato la sua biologia. La reazione alla rabbia di suo padre – la sensazione di essere debole, inerme, vulnerabile, stressata e intimorita ogni giorno – era entrata a far parte del suo sistema nervoso autonomo, così il corpo aveva memorizzato chimicamente queste emozioni e l’ambiente aveva attivato i geni associati alla malattia. Si trattava di una reazione automatica, perciò Laurie non era capace di mo235
dificarla, finché restava intrappolata nel suo corpo emotivo. Poteva solo analizzare il suo modo d’essere e riconoscere che era identico alle sensazioni del suo passato, ma le risposte di cui aveva bisogno si trovavano oltre quelle emozioni. Appena ricevette la diagnosi di displasia fibrosa, sua madre annunciò all’intera famiglia che Laurie era stata ufficialmente dichiarata “fragile” dalla medicina moderna; quindi era al sicuro dalla violenza fisica del padre. Continuò a subire gli abusi verbali ed emotivi del genitore (per altri quindici anni, finché lui non morì) ma, per una strana ironia, la malattia la preservò dalla violenza fisica. Consolidare la propria identità nella malattia Il perverso senso di sicurezza che Laurie aveva creato diventò per lei uno strumento di sopravvivenza. Cominciò a beneficiare di uno speciale trattamento, di cui aveva quasi sempre bisogno. Trovava posto a sedere sull’autobus o in metropolitana anche se il mezzo era molto affollato, restava seduta su una panchina mentre i suoi amici facevano la fila per assistere a un evento, si vedeva assegnare un tavolo al ristorante saltando la coda. Laurie scoprì così che la malattia cominciava a operare in suo favore. Cominciò a fare affidamento sulla sua condizione per ottenere quello che voleva. Ora riusciva a cavarsela meglio in un mondo che, prima d’allora, non aveva mai percepito come un luogo sicuro. Il vantaggio emotivo di manipolare la realtà per ottenere quello che voleva diventò molto conveniente, tanto che Laurie riceveva molto più di quanto avesse bisogno per evitare gli sforzi e prevenire lesioni al corpo. In breve tempo, la malattia diventò la sua identità. Più tardi, Laurie sviluppò una ribellione adolescenziale contro la vita che, pensava, le avevano imposto i medici, i suoi genitori e il destino. A sei mesi dalla diagnosi, entrò in una fase di risoluta negazione della malattia. Decise di diventare la prima culturista “zoppa” della storia e riprese quello sport con una dedizione totale. Con una sorta di cieca ossessione, gettandosi a capofitto nell’impresa e alimentando un atteggiamento positivo solo con la mente conscia, Laurie trovò modi creativi per scaricare il peso sul corpo evitando la torsione degli arti. 236
Pensava che, combattendo quel dolore, avrebbe migliorato le condizioni di salute, ma i suoi sforzi le si ritorsero contro, perché stava male per la maggior parte del tempo e il dolore peggiorò. Come talvolta accade ai pazienti affetti da displasia fibrosa poliostica, Laurie sviluppò anche la scoliosi e aveva sempre mal di schiena. Poco più che ventenne, cominciò a soffrire di artrite alla colonna vertebrale e in altri punti del corpo. Dopo la laurea, nonostante gli spostamenti dalla sua nuova casa al lavoro, diventò molto sedentaria e si sentiva ancora più tagliata fuori dalla vita. La paura, l’ansia e la depressione non la abbandonavano mai. Invidiava la maggior parte delle persone che conosceva e cominciò a perdere amicizie e relazioni sentimentali perché viveva come un’anziana, più che come una giovane donna. Non ancora trentenne, camminava sempre con un bastone, anche quando non doveva curare una delle dodici fratture importanti che aveva subito fino a quel momento. Come se non bastasse, sviluppò anche pericolose microfratture. Le sue ossa erano così fragili che sotto le microlesioni apparivano grandi lesioni da stress che si collegavano ad altre aree dell’osso rotto per formare fratture ancora più grandi visibili ai raggi X. All’età di trent’anni Laurie aveva problemi alla schiena più gravi di quelli di suo padre, ormai settantaduenne, ed era invecchiata prima del tempo. Restava a letto per giorni e perse così tante settimane di lavoro che alla fine fu costretta a lasciare il posto. Sospese il master, perché la scuola che l’aveva accettata non aveva un ascensore funzionante. Dovette dimenticarsi le feste, i musei, lo shopping, i viaggi, i concerti e altre attività che le avrebbero imposto di camminare o stare in piedi a lungo. Era intrappolata nel circolo vizioso di pensieri ed emozioni consolidate: internamente pensava di essere limitata e fragile, ed esternamente il suo corpo manifestava limitazioni e fragilità. Più si sentiva debole e vulnerabile, più lo diventava davvero: continuava a subire fratture che rafforzavano la convinzione di essere fragile, riaffermavano la sua identità e convalidavano il suo modo d’essere. 237
Cambiò alimentazione e assunse diverse vitamine e integratori, oltre ai farmaci per rafforzare le ossa, ma nulla sembrava fermare le fratture. Poteva rompersi un osso anche solo salendo dei gradini o scendendo da un marciapiede. Era come vivere in un incubo, sempre in attesa del prossimo episodio. Per una strana ironia, quando non usava le stampelle o non zoppicava, Laurie sembrava perfettamente normale. Molte persone pensavano che usasse il bastone come una sorta di accessorio eccentrico e non credevano che avesse davvero una patologia debilitante; perciò, ricevere lo speciale trattamento di cui aveva bisogno le risultava difficile e a volte frustrante. Lo sforzo per convincere gli altri della sua malattia rafforzava ancora di più la sua identità di persona malata, portava l’attenzione sul suo handicap e ancorava la sua convinzione riguardo allo status di disabile. Mentre il resto del mondo sembrava darsi un gran da fare per nascondere la propria vulnerabilità e le proprie debolezze, Laurie continuava a proclamare le sue. Investiva tantissima energia nello sforzo di controllare il più possibile il suo ambiente. Prestava molta attenzione a tutto quello che mangiava e beveva, misurava tutto ciò che consumava. Ogni passeggiata nel quartiere era calcolata. Stabiliva addirittura quanto peso avrebbe dovuto portare tornando dal supermercato: cinque chili, che era anche il limite del peso corporeo che avrebbe potuto accumulare per evitare che le ossa peggiorassero. Era sfibrante, ma era tutto ciò che sapeva fare. La sua gamma di opzioni si restringeva sempre più man mano che lei, nel tentativo di limitare i rischi di fratture, riduceva la gamma delle attività che poteva svolgere. Il restringimento del suo stile di vita si rifletteva anche sulla mente. Le paure aumentavano, la depressione si aggravava; alla fine provò a ricominciare a lavorare, ma non riuscì a tenere l’impiego. La stessa donna che un tempo faceva corsa, danza e culturismo ora si limitava a fare yoga e, prima di compiere quarant’anni, persino quello divenne troppo per lei. Per diverso tempo l’unica forma di esercizio fisico che si concesse furono sessioni di respirazione vigo238
rosa mentre stava seduta su una sedia (anche se, poco dopo i quarant’anni, il medico le permise finalmente di praticare il nuoto). Per curarsi aveva provato a rivolgersi a terapeuti, medici olistici, esperti di guarigione energetica, musicoterapisti, omeopati, cercando le soluzioni all’esterno di se stessa. A volte, dopo le sedute di guarigione energetica, le sembrava di stare meglio, quindi andava dritta dall’ortopedico a chiedere nuove radiografie, ma poi restava delusa vedendo che gli esiti restavano invariati. Pensava: “Forse potrò solo peggiorare.” Ogni mattina si svegliava oppressa, sopraffatta dal terrore, convinta di non poter affrontare ciò che il mondo aveva in serbo per lei. Laurie impara che cosa è possibile Io e Laurie ci siamo conosciuti nel 2009, dopo che aveva visto Bleep. Ma che… bip… sappiamo veramente?! ed era stata conquistata dall’idea che una persona potesse crearsi una vita completamente nuova. La incontrai per caso, mentre cenavo prima di un seminario che avrei tenuto in un centro congressi vicino a New York. Parlammo dei miei corsi sul cambiamento personale e lei s’iscrisse subito a quello che avrei tenuto in agosto. Quando arrivò al corso – il primo che seguiva – Laurie mi sentì dire che era possibile trasformare il nostro cervello, i pensieri, il corpo, lo stato emotivo e l’espressione genica. Nel seminario parlai del cambiamento fisico, ma le convinzioni di Laurie sulla sua malattia e sul suo corpo erano tenaci, e le emozioni che provava affondavano le proprie radici in profondità nel passato. Non aveva alcuna intenzione di guarire il corpo, soprattutto perché non credeva che fosse possibile. Era venuta perché voleva solo sentirsi meglio dentro di sé. Laurie cominciò ad applicare meglio che poté i principi che le insegnai, anche se non riusciva a sentirsi diversa solo per averlo scelto. La prima cosa che fece dopo il weekend in cui frequentò il seminario, fu smettere di parlare agli altri della sua diagnosi. Anche se non riusciva a controllare le sue emozioni, aveva capito che poteva controllare quello che diceva ad alta voce. Perciò, a meno che 239
non dovesse chiedere una sedia a una festa o spiegare a un pretendente perché non poteva fare una passeggiata con lui, smise di parlare della sua malattia. Scelse di focalizzarsi sulla meta che desiderava per il futuro: un io interiore più felice, una profonda connessione con qualche ignota fonte divina, uno splendido lavoro in cui sarebbe stata bravissima e relazioni sane e solide con amici e parenti. Si concentrò sull’intenzione di cambiare alcuni semplici comportamenti. Stava attenta alle parole e ai pensieri che formulava, ricordandosi di non riprodurre gli stessi vecchi schemi distruttivi. Continuava a praticare la meditazione e a seguire i miei corsi. Per dare un significato a quel che faceva, rileggeva gli appunti dei corsi e si teneva in contatto con molti altri allievi. Con l’andar del tempo, per una piccola ma non trascurabile percentuale della giornata, si sentiva meglio, più alta, più capace e più forte. Ogni giorno pronunciava venti volte la parola “cambiamento”, quando notava che la sua mente tendeva a scivolare verso il passato. Anche se i pensieri negativi si insinuavano un centinaio di volte al giorno, poco alla volta creò nuovi pensieri, li mise per iscritto e provò a crederci fermamente. Laurie si impegnò a fondo, ma impiegò quasi due anni prima di sentire che quei nuovi pensieri le appartenevano davvero. Nell’attesa, invece di cedere alla frustrazione, ricordava a se stessa che c’era voluto molto tempo per creare la malattia con il suo stato emotivo, perciò ci sarebbe voluto altrettanto per smantellarla. Inoltre si ripeteva che doveva affrontare la morte biologica, neurologica, chimica e genica del suo vecchio io prima che potesse emergere quello nuovo. Le circostanze dell’ambiente esterno peggiorarono prima di migliorare. La sua casa fu devastata da un’inondazione, e nel palazzo in cui era andata a vivere altre situazioni le crearono nuovi problemi di salute. Laurie mi disse che, quando si sedeva per la meditazione e per fare le prove della sua vita ideale, aveva la sensazione di raccontarsi una bugia; subito dopo, aprendo gli occhi sulle circostanze attuali, le sembrava di ricevere uno schiaffo in pieno viso. La incoraggiai a smettere di definire la realtà con i cinque sensi e di insistere nell’attraversare il fiume del cambiamento. 240
Laurie continuò ad arrivare zoppicando ai seminari, a volte scontrosa, a volte riconoscente, e proseguì il lavoro. Formò anche un gruppo di allievi della sua zona per meditare insieme. Nella vita aveva ben poche situazioni piacevoli, quindi pensò: “Al diavolo! Posso almeno stare un’ora al giorno dietro le mie palpebre, dove la realtà sembra diversa, dove ho un corpo libero dal dolore, una casa tranquilla e sicura, un rapporto appagante e amorevole con il mondo esterno, con gli amici e con la mia famiglia.” All’inizio del 2012, in uno dei seminari progressive, Laurie fece importanti progressivi con la meditazione. Fu scossa fin nel midollo, in senso letterale e figurato. Fisicamente, fu attraversata da una perturbazione, seguita da un rilascio. Il suo corpo si agitò convulso, il viso si contorse e le braccia volarono verso l’alto mentre lei cercava di restare attaccata alla sedia. Emotivamente, fu una gioia inesplicabile. Laurie pianse, rise e dalla sua bocca uscirono suoni che non sapeva spiegare. La paura e il bisogno di controllo a cui si era aggrappata per non cadere a pezzi si stavano finalmente allentando. Per la prima volta, sentiva una presenza divina e sapeva di non essere più sola. Laurie mi disse: “Ho sentito qualcosa, qualcuno, una presenza divina; questa coscienza non ignorava la mia esistenza e non era disinteressata al mio benessere, come invece pensavo. Mi stava prestando attenzione. Comprenderlo è stato per me un cambiamento travolgente.” Gli sforzi per controllare i propri movimenti fisici e la vita in generale cominciarono finalmente ad attenuarsi, e l’energia che aveva usato per mantenere il controllo di tutto iniziò a liberarsi. All’evento successivo, notai che Laurie camminava senza bastone e senza zoppicare. Invece di essere scontrosa, accigliata e contratta per il dolore, era felice, sorridente e compiaciuta. Stava trasformando la paura in coraggio, la frustrazione in pazienza, il dolore in gioia e la debolezza in forza. Stava cominciando a cambiare, dentro e fuori. Man mano che avanzava verso un nuovo futuro, il suo corpo, ormai libero dalla dipendenza da quelle emozioni limitanti, viveva sempre meno nel passato. 241
Nella primavera del 2012, durante una visita di controllo, l’ortopedico le disse che la frattura che aveva al femore dall’età di diciannove anni (una frattura visibile in tutte le centinaia di radiografie che aveva fatto fino a quel momento) era sparita per circa due terzi. Non sapeva offrirle una spiegazione, ma le consigliò di fare dieci minuti di cyclette in palestra, due volte alla settimana. Quel messaggio fu musica per le orecchie di Laurie, che cominciò subito. Progressi e battute d’arresto Il lavoro di Laurie per attraversare il fiume del cambiamento ora cominciava a dare i suoi frutti. Finalmente ricevette i primi riscontri che testimoniavano qualche progresso fisico. Ogni giorno, quando andava oltre il corpo, l’ambiente e il tempo, Laurie superava anche la personalità legata alla sua realtà esterna presente e passata, le dipendenze e le abitudini del suo corpo, il futuro prevedibile che si era sempre aspettata basandosi sui ricordi del passato. Si sforzava di soppiantare la mente analitica, di cambiare le frequenze cerebrali e di entrare in uno stato più suggestionabile, di trovare il momento presente e avventurarsi nel sistema di programmazione che nelle fasi precedenti della sua vita l’aveva alterata a livello emotivo. Grazie a questo intenso lavoro, finalmente stava cambiando. Laurie cominciò a credere che la sua mente stava davvero guarendo il corpo con il solo pensiero. La frattura legata al vecchio io si stava rimarginando, perché lei stava diventando un’altra persona. Non attivava più gli stessi circuiti cerebrali che erano legati alla sua vecchia personalità, perché non pensava e non agiva più in quel modo. Aveva smesso di condizionare il suo corpo a rispondere alla mente che tendeva a rivivere il passato con le stesse emozioni. Ora stava “dimenticando” di essere il suo vecchio io e stava ricordando di avere una nuova identità, ovvero innescava e attivava nuovi pensieri e azioni nel cervello, cambiando la mente e insegnando emotivamente al corpo quali sarebbero state le emozioni del suo io futuro. Durante la meditazione quotidiana, Laurie istruiva nuovi geni in altri modi semplicemente cambiando il suo modo d’essere. Quei geni creavano nuove proteine che guarivano quelle responsabili delle fratture collegate alla sua malattia. In base a quello che aveva 242
imparato ai seminari, capì che le sue cellule ossee dovevano ricevere il giusto segnale dalla mente per spegnere il gene della displasia fibrosa e accendere quello della produzione di una normale matrice ossea. Laurie spiegò: “Sapevo che nel corso degli anni quelle fratture si erano manifestate per l’espressione proteica malata nelle mie cellule ossee, perché provavo emozioni di sopravvivenza, paura, vittimismo, dolore; mi sentivo debole. Ma ero abbastanza potente da manifestare alla perfezione la debolezza nel mio corpo. Avevo programmato i geni a restare accesi, perché a livello subconscio avevo memorizzato quelle emozioni nel mio corpo. E il mio corpo, agendo da mente, viveva sempre nel passato. Così, siccome le ossa sono fatte di collagene – che è una proteina – ho pensato che se volevo che le mie cellule ossee lo producessero, dovevo entrare nel mio sistema nervoso autonomo, superare la mente analitica, accedere al subconscio, riprogrammare il mio corpo con nuove informazioni e permettergli di ricevere nuovi ordini ogni giorno. Quando ho ricevuto la buona notizia, mi sono sentita a metà del mio percorso per attraversare il fiume del cambiamento.”
Laurie proseguì le sue meditazioni e continuò a frequentare i miei seminari. Aveva ancora momenti di dolore fisico, ma la frequenza, l’intensità e la durata diminuirono in modo considerevole. Cambiò tutto quello che poté. Cambiò palestra giusto per avere intorno un ambiente diverso. Metteva il deodorante prima sull’ascella destra, invece che sulla sinistra. Incrociando le braccia, tutte le volte che se ne ricordava metteva il sinistro sopra il destro, invece del contrario, che le veniva più naturale. A casa si sedeva su una sedia diversa ogni volta. Dormiva sull’altro lato del letto (anche se per salire e scendere doveva fare il giro e andare al capo opposto della stanza). Riferì: “Per quanto possa sembrare ridicolo, intendevo solo dare al mio corpo il maggior numero possibile di segnali nuovi e diversi e, siccome trasferirsi in una grande casa negli Hamptons non era realistico, dovevo farlo con queste piccole cose.” 243
Metteva dei foglietti ovunque nel suo ambiente per ricordare a se stessa di rimanere consapevole e per sollecitare pensieri ed emozioni riguardo al suo futuro. Scrisse: “Sono grata”, “Eleva lo spirito!” e “Ama” su pezzetti di nastro adesivo che poi attaccava dietro le porte di casa. Sul cruscotto dell’auto un appunto diceva: “I tuoi pensieri hanno un potere incredibile. Sceglili con saggezza.” Le affermazioni incoraggianti non erano una novità per lei, ma prima d’allora non aveva mai avuto la capacità di crederci, perché non sapeva come cambiare le sue convinzioni. Verso la fine di gennaio del 2013, a una nuova visita di controllo, l’ortopedico le disse per la prima volta in ventotto anni che le lastre non mostravano segni di fratture: nessuna traccia. Le ossa apparivano integre e illese. Laurie mi scrisse: “Non riesco a esprimere a parole la gioia che questo mi ha portato. Ora mi sento più potente e sollevata. So di essere più che a metà del percorso per attraversare il fiume del cambiamento.” Le sue cellule ossee erano programmate per creare nuove proteine salutari. Il suo sistema nervoso autonomo stava ripristinando l’equilibrio nel corpo a livello fisico, chimico ed emotivo. Era il sistema nervoso autonomo a portare avanti la guarigione mediante un’intelligenza superiore, e lei sapeva che poteva fidarsi e arrendersi ancora di più. Il suo corpo stava rispondendo a una mente nuova. Il mese successivo all’ultima visita dall’ortopedico, Laurie prese un aereo e venne in Arizona a uno dei miei seminari avanzati. Un’ora dopo il suo arrivo, ricevette una telefonata dall’assistente del medico, che le disse che erano arrivati i risultati delle analisi del sangue e delle urine e indicavano che la malattia era ancora molto attiva. Per la prima volta dopo anni, il medico le consigliò di riprendere la terapia a base di bifosfonati via endovena. Laurie era disperata. Dalle radiografie aveva avuto l’impressione di essere sana, ma le analisi di laboratorio indicavano tutt’altro. In pochi secondi perse la giusta prospettiva e fu certa di aver fallito. Quando mi comunicò la notizia, la rassicurai dicendole che il suo corpo stava ancora vivendo nel passato e aveva solo bisogno di più 244
tempo per adeguarsi alla nuova mente. Le suggerii di continuare a svolgere il lavoro per qualche mese e di rifare le analisi delle urine. Ispirata da alcuni partecipanti che erano riusciti a cambiare la loro salute, Laurie tornò a casa e riprese le meditazioni con grande impegno, sentendo in modo più vivido e intenso la vita che poteva avere. Smise di immaginare soltanto la guarigione delle ossa e cominciò a visualizzare se stessa come una persona sana in ogni senso: vitale, radiosa, forte, giovane, dotata di buona salute ed energia. Fece prove mentali accogliendo emotivamente tutto ciò che desiderava, compreso un corpo capace di funzionare e di camminare. Disse a se stessa che la vecchia signora che era stata dai diciannove ai quarantasette anni apparteneva al passato. Mente nuova, nuovo corpo Nei mesi seguenti, Laurie cominciò a sentirsi più felice, gioiosa libera e sana. Iniziò a pensare al suo futuro con maggiore lucidità. Di rado sentiva dolore nel corpo e ormai camminava senza supporto. Aveva una certa apprensione all’idea di rifare le analisi, per le quali aveva fissato l’appuntamento nel maggio 2013, così lo spostò a giugno. Poi parlò della sua ansia e della sua esitazione con uno studente esperto dei seminari, che le chiese di pensare a qualcosa di positivo da associare all’idea di entrare in ospedale per le analisi. A quel punto, Laurie realizzò che aveva molte risorse emotive vivificanti e positive a cui attingere. Iniziò a recitare un lungo elenco di cose, compresa la pulizia dell’ospedale, la sollecitudine del personale, il fatto che fosse un luogo piacevole in cui farsi curare. Era proprio il cambiamento di messa a fuoco di cui aveva bisogno. Il giorno dell’appuntamento, mentre guidava per raggiungere l’ospedale, Laurie ringraziò per il sole, per il fatto che il traffico fosse scorrevole, per la sua automobile, per le gambe che riuscivano a schiacciare i pedali, per la sua vista perfetta, per il parcheggio che trovò facilmente e così via. Come mi raccontò in seguito: “Sono entrata, ho dato il mio nominativo, ho chiuso gli occhi e ho meditato nella sala d’attesa finché non è arrivato il mio turno. Ho urinato nel contenitore, l’ho consegnato all’infermiera e sono usci245
ta, ringraziando per il semplice fatto di camminare. E ho lasciato andare la preoccupazione per i risultati, completamente. Dentro di me stavo bene, a prescindere dagli esiti. Sono riuscita a dimenticarmene del tutto, perché non mi aspettavo nulla. Mi sentivo felice; ero riconoscente come non mai. Ho smesso di analizzare tutto e mi sono semplicemente fidata.” Una volta le avevo detto che, nel momento in cui cominciava ad analizzare come e quando sarebbe guarita, ritornava al suo vecchio io: quello nuovo non avrebbe mai pensato con quell’insicurezza di fondo. Laurie continuò: “E così, senza motivo, ero grata per il presente prima ancora dell’esperienza effettiva. Non stavo aspettando che i risultati mi rendessero felice o riconoscente. Non avevo più bisogno di un fattore esterno per essere contenta. Ero già appagata e felice perché qualcosa dentro di me era più soddisfatto e completo.” All’esterno non aveva “grandi parametri” con cui misurare il successo, la soddisfazione e la sicurezza: non aveva un reddito, una casa, un compagno, un’attività lavorativa, un figlio, nemmeno un impegno nel volontariato di cui andare particolarmente fiera. Ma aveva l’amore dei suoi amici e di quei membri della sua famiglia con cui era riuscita a intessere un rapporto autentico. E provava rinnovato amore per se stessa. Comprese che non aveva mai avuto amor proprio fino a quel momento: solo egocentrismo. Mi spiegò in seguito che non avrebbe mai potuto comprendere questa distinzione con lo stato mentale ristretto che aveva prima. Si sentiva completamente paga di sé e della propria vita. Disse: “Per la prima volta da quando avevo cominciato questo viaggio, non mi interessava nulla delle analisi. Stavo bene con me stessa.” Due settimane dopo, arrivarono gli esiti. L’assistente del medico disse a Laurie: “I risultati sono perfettamente nella norma. I valori ora sono a quaranta. Sono scesi rispetto al livello anomalo e troppo alto di sessantotto che avevi solo cinque mesi fa.” Laurie aveva attraversato il fiume ed era approdata ai lidi di una nuova vita. Nel suo corpo non c’era più traccia del passato. Era libera, rinata. 246
In seguito mi spiegò: “Improvvisamente ho capito che la mia identità di ‘paziente’ e di ‘persona malata’ era diventata più forte di ogni altro ruolo nella mia vita. Avevo finto di essere quella persona e d’un tratto sapevo che non lo ero. Tutta la mia energia e la mia attenzione erano state consumate dall’essere una paziente, invece che una donna, una compagna, una figlia, un’impiegata o anche solo una persona felice e appagata. Ora sapevo di non avere avuto altra energia disponibile per essere qualcun altro, fino a quando non ho distolto l’attenzione dalla mia vecchia personalità e dal vecchio io, riversandola in un io nuovo. Sono grata per essere chi sono adesso invece di quella vecchia me!”.
Laurie adesso non prova né rimpianto né rancore e non sente la mancanza del suo passato. Come dice lei stessa: “Non voglio né giudicare o serbare rancore, né sentirmi triste per il mio passato, perché questi sentimenti mi priverebbero del senso di appagamento che provo. È come se la mia condizione passata sia stata una benedizione, perché mi ha permesso di superare i miei limiti e ora sono innamorata della persona che sono diventata. Sono in pace. Sono davvero cambiata a livello biologico e cellulare. Sono la prova che la mente può guarire il corpo e, credimi, nessuno è più sbalordito di me.” LA STORIA DI CANDACE La relazione di Candace, che durava da un anno appena, non stava funzionando. Dopo i primi mesi insieme, lei e il suo fidanzato si erano arenati in una situazione fatta di continui litigi, accuse pretestuose, cronica mancanza di fiducia e tendenza a incolparsi a vicenda. Entrambi si sentivano gelosi e insicuri, quindi, nel migliore dei casi, la loro comunicazione era frustrante. Erano ossessionati da aspettative disattese che l’altro non aveva alcuna speranza di soddisfare. Presa da una furia che non aveva mai conosciuto prima, Candace si trovava a sbraitare in litigi violenti in cui perdeva la testa. Dopo questi scontri si sentiva ancora più svilita, più vittima e più insicura. Erano comportamenti nuovi per lei: non era mai stata 247
una persona rabbiosa, frustrata o squilibrata, e non era mai andata fuori di testa nei ventotto anni della sua vita. Pur sapendo, a livello istintivo, che restare in quella situazione non le faceva bene, Candace non riusciva a rifuggire dall’attaccamento emotivo che la legava a questa relazione malata. Alla fine la dipendenza verso quelle emozioni stressanti diventò la sua nuova identità. La realtà soggettiva stava creando la sua nuova personalità. L’ambiente esterno controllava il modo in cui pensava, agiva e sentiva. Era diventata una vittima intrappolata nella sua stessa vita. Inondata dalla forte energia delle emozioni tipiche dello stato di sopravvivenza, Candace cominciò a comportarsi come se avesse una dipendenza: aveva bisogno di quella raffica emotiva di sensazioni e credeva che là fuori ci fosse qualcosa che la induceva a pensare e a comportarsi in una certa maniera. Non riusciva a pensare o ad agire in modi che riuscissero a trascendere le sue emozioni. Imprigionata in questo stato emotivo, ricreava sempre gli stessi pensieri, comportamenti, scelte ed esperienze. Candace usava il suo compagno e tutte le circostanze dell’ambiente esterno per riaffermare la sua presunta identità. Aveva bisogno di provare la rabbia, la frustrazione, l’insicurezza, lo svilimento, la paura e il vittimismo associati a quella relazione. Anche se tutto questo non andava a vantaggio della sua vita ideale, lei aveva troppa paura del cambiamento per rimediare. Diventò schiava di quelle emozioni, perché riaffermavano la sua identità, in base alla quale lei preferiva sentire di continuo sensazioni malsane e familiari piuttosto che staccarsene per accogliere un futuro sconosciuto, passando dal noto all’ignoto. Cominciò a credere di essere le sue emozioni e di conseguenza memorizzò una personalità basata sul passato che aveva creato lei stessa. La situazione aveva iniziato a degenerare e circa tre mesi dopo Candace non riuscì più a sostenere fisicamente lo stress di quello stato emotivo così esasperato, e cominciò a perdere grandi ciocche di capelli; in poche settimane, ne aveva persi quasi un terzo. Aveva forti emicranie, stanchezza cronica, problemi gastrointestinali, difficoltà di concentrazione, insonnia, accumulo di peso, dolore persistente 248
e una miriade di altri sintomi debilitanti, che in silenzio la stavano distruggendo. Essendo una donna intuitiva, Candace sentì che questa malattia era autoinflitta e che era un prodotto dei suoi problemi emotivi. Il solo pensare alla relazione che viveva le faceva perdere l’equilibrio, in preparazione a un altro conflitto. Candace accendeva gli ormoni dello stress e il sistema nervoso autonomo con il solo pensiero. E quando le veniva in mente il suo compagno, o parlava della sua relazione lamentandosene con amici e parenti, condizionava il corpo a rispondere a quelle emozioni. Era l’ultimo stadio della connessione corpo-mente e, siccome non riusciva a spegnere la reazione allo stress, alla fine cominciò a regolare i geni verso il basso. I suoi pensieri la stavano facendo ammalare, letteralmente. Sei mesi dopo l’inizio della relazione, Candace era ancora in questo stato disfunzionale e i suoi livelli di stress erano alle stelle. Pur essendo ormai sicura che i sintomi fisici fossero un segnale d’allarme, a livello subconscio continuava a scegliere la stessa realtà, che adesso era il suo normale modo d’essere. Tempestando il corpo di emozioni negative legate alla sopravvivenza, Candace segnalava i geni sbagliati nei modi sbagliati. Sentiva che stava morendo lentamente dall’interno e sapeva di dover riprendere il controllo della propria vita, ma non aveva idea di come fare. Non riusciva a trovare il coraggio di uscire dalla relazione, perciò vi rimase per oltre un anno, vivendo tutto il tempo in un’abituale palude di rabbia e rancore. Che queste emozioni fossero giustificate o meno, Candace era consapevole del fatto che fosse il suo corpo a pagarne il prezzo. Candace paga le conseguenze Nel novembre 2010, finalmente Candace consultò un medico che le diagnosticò il morbo di Hashimoto (chiamato anche tiroidite di Hashimoto o tiroidite cronica linfocitaria), una patologia autoimmune in cui il sistema immunitario attacca le ghiandole della tiroide. La malattia è caratterizzata da ipotiroidismo (tiroide poco attiva) con occasionali accessi di ipertiroidismo (tiroide troppo attiva). I sintomi comprendono aumento del peso, depressione, comporta249
mento maniacale, ipersensibilità al caldo e al freddo, torpore, stanchezza cronica, attacchi di panico, anomalie del battito cardiaco, colesterolo alto, ipoglicemia, costipazione, emicranie, debolezza muscolare, rigidità alle articolazioni, crampi, perdita di memoria, problemi alla vista, infertilità e perdita di capelli. Candace aveva molti di questi sintomi. Durante la visita, l’endocrinologo le disse che si trattava di una malattia genetica e che non poteva fare nulla per curarla. Avrebbe avuto la tiroidite di Hashimoto per il resto della sua vita e avrebbe dovuto prendere dei farmaci a tempo indeterminato, perché i valori dei suoi anticorpi non sarebbero mai cambiati. Anche se Candace scoprì di non avere casi di questa malattia nella sua storia familiare, sembrava condannata. Avere una diagnosi concreta le diede il dono inatteso della consapevolezza. Evidentemente aveva avuto bisogno di una sveglia, e la diagnosi aveva svolto quella funzione. Il dissesto fisico l’aveva indotta a riflettere sul suo passato e ad aprire gli occhi su chi era veramente. Intuì di aver creato una malattia autoimmune che lentamente la stava distruggendo a livello fisico, emotivo e mentale. Viveva in perenne modalità di emergenza. Tutta l’energia del suo corpo era investita per proteggerla dall’ambiente esterno: non ne restava neanche un po’ per il suo ambiente interno. Il sistema immunitario non poteva reggere oltre. Nonostante l’istintiva paura del cambiamento e dell’ignoto, cinque mesi dopo Candace decise finalmente di chiudere la relazione. Comprese senza ombra di dubbio che quel rapporto era dannoso e non le faceva bene. Si chiese: “Cos’è peggio: restare in questa situazione disfunzionale e sprofondare sempre più nel baratro, o scegliere la libertà e la possibilità? Questa è la mia occasione per crearmi una vita nuova, diversa.” Per Candace le avversità diventarono l’inizio dell’evoluzione personale, dell’introspezione e dell’espansione. Si vide sul ciglio di una scogliera, pronta a tuffarsi nell’ignoto. La decisione di lanciarsi e cambiare diventò un’esperienza appassionante. Così si lanciò in una dimensione in cui vedeva infinite potenzialità e possibilità, at250
tratta dal desiderio di smettere di farsi del male e di riscrivere il suo codice biologico. Fu un momento di svolta nella sua vita. Aveva letto i miei due libri precedenti ed era venuta a uno dei miei seminari, perciò sapeva che se avesse accolto la diagnosi e le emozioni che essa suscitava in lei – paura, preoccupazione, ansia, tristezza – si sarebbe autosuggestionata e avrebbe creduto solo ai pensieri che corrispondevano a quelle sensazioni. Poteva provare a pensare in positivo, ma il suo corpo stava male, quindi avrebbe subito conseguenze reali. Compiere quella scelta sarebbe stato il placebo errato, il modo d’essere sbagliato. Scelse di non accettare la malattia. Rifiutò la diagnosi del medico, ricordandosi che la mente capace di provocare la malattia è la stessa che crea il benessere. Sapeva di dover cambiare le sue convinzioni sulla patologia che la comunità medica le aveva attribuito. Scelse di non essere suggestionabile dai consigli e dalle opinioni del medico perché non provava più paura, né tristezza, né vittimismo. Infatti era ottimista ed entusiasta e queste emozioni alimentarono un nuovo ordine di pensieri che le permise di vedere una nuova possibilità. Non volle accettare la diagnosi, la prognosi e la terapia; non volle credere all’esito più probabile o al destino futuro più plausibile; non volle arrendersi alla diagnosi o al piano terapeutico. Non volle né condizionare il corpo al peggiore scenario possibile, né aspettarsi lo stesso esito prevedibile accettato dagli altri, né assegnare il medesimo significato che altri davano a quello stato fisico. Ormai aveva un atteggiamento diverso, quindi era entrata in un nuovo modo d’essere. Candace si dà da fare Pur non accettando la malattia, Candace doveva ancora lavorare parecchio. Sapeva che, per cambiare le proprie convinzioni in merito, doveva compiere una scelta dotata di un’energia che superasse i programmi installati nel suo cervello e le dipendenze emotive, affinché il corpo rispondesse a una mente nuova. Solo allora avrebbe potuto sperimentare il cambiamento energetico necessario per riscrivere i suoi programmi subconsci e cancellare 251
il passato a livello neurologico e genetico. Ed è proprio quello che cominciò ad accadere. Mi aveva già sentito dire tutto questo e possedeva già una conoscenza teorica della materia, ma non aveva ancora messo in pratica quelle informazioni nella sua esperienza personale. Nel primo seminario che frequentò dopo la diagnosi, sembrava esausta e continuava ad addormentarsi sulla sedia. Sapevo che per lei era faticoso. A quello successivo era più vigile e interessata, perché aveva cominciato da poco più di un mese a prendere i farmaci per regolare lo squilibrio chimico. Si lasciò ispirare dalle storie che raccontai quel fine settimana. Quando sentì che anche altri non volevano essere vittime delle circostanze del mondo esterno e che potevano verificarsi guarigioni straordinarie, decise di sperimentare la cosa in prima persona. Così si imbarcò per il suo viaggio. Avendo cognizioni di epigenetica e neuroplasticità grazie ai miei seminari, sapeva di non essere più vittima della malattia, e usò la conoscenza per diventare proattiva. Assegnò un diverso significato al futuro e cominciò a condizionare emotivamente il suo corpo affinché rispondesse a una mente nuova. Lavorava per vivere nel momento presente, che comprese di aver sempre perduto. Voleva essere sana e felice, perciò si impegnò a fondo per riconquistare la sua vita. Eppure all’inizio fece molta fatica ed era frustrata quando non riusciva a stare seduta per periodi prolungati. Il suo corpo era stato addestrato a essere la mente dell’insoddisfazione, della rabbia, dell’impazienza e del vittimismo, quindi era comprensibile che si ribellasse. Come se fosse alle prese con un animale selvatico, Candace dovette riportare il proprio corpo al momento presente. Ogni volta che intraprendeva quel processo, ricondizionava il corpo a una mente nuova e si liberava sempre più dalle catene della sua dipendenza emotiva. Ogni giorno, durante la meditazione, lavorava per trascendere il corpo, l’ambiente e il tempo. Rifiutava di concludere la sessione con la stessa personalità con cui l’aveva cominciata, perché la vecchia Candace era piena di rabbia, frustrata e troppo dipendente 252
dalle circostanze esterne a livello chimico. Non voleva più essere quella persona. Ascoltava le meditazioni, emulava un nuovo modo d’essere e non si fermava fino a quando non si sentiva innamorata della vita, entrando in un autentico stato di gratitudine slegato dalle contingenze. Stava applicando nella pratica quotidiana le conoscenze che aveva appreso ai miei seminari e dai CD che ascoltava ogni giorno, dai libri e dagli appunti dei corsi. Installava informazioni sconosciute nel cervello per prepararsi a una nuova esperienza di guarigione. Sempre più spesso scopriva che poteva astenersi dall’attivazione di vecchie connessioni neurali legate alla rabbia, alla delusione, al rancore, all’arroganza e alla sfiducia, e poteva cominciare ad attivarne di nuove legate all’amore, alla gioia, all’empatia e alla gentilezza. Così facendo, capì che stava potando le vecchie convinzioni facendone germogliare di nuove. E quanto più spesso compiva quello sforzo dimostrando coraggio a livello mentale, tanto più riusciva a trasformarsi. Con l’andar del tempo, sviluppò un’incredibile gratitudine per la vita: comprese che dove esiste armonia non può esistere incoerenza. Così si disse: “Non sono la vecchia Candace e non riaffermerò mai più quell’esistenza.” Perseverò per mesi e mesi. Se scopriva che qualcosa la trascinava verso il minimo comune denominatore – la rabbia o l’insoddisfazione per le circostanze del mondo esterno, oppure un senso di malessere o infelicità – riusciva a compiere rapidamente un cambiamento consapevole. Trasformando rapidamente il suo modo d’essere, riusciva ad abbreviare i periodi in cui quelle emozioni prendevano il sopravvento, così diventò sempre meno umorale, meno volubile e meno simile alla sua vecchia personalità. In certi giorni stava così male che non voleva alzarsi dal letto, ma lo faceva comunque e meditava. Si ripeteva che, tutte le volte che riusciva a mutare quelle emozioni inferiori in altre più elevate, si allontanava biologicamente dal suo passato predisponendo il cervello e il corpo a un nuovo futuro. Cominciò ad accorgersi che valeva la pena di fare tutto quel lavoro interiore, e presto diventò un piacere, più che uno sforzo. 253
Grazie alla sua perseveranza, Candace notò che avvenivano grandi cambiamenti in poco tempo e cominciò a sentirsi meglio. Iniziò a comunicare in modo diverso con gli altri quando smise di guardare il mondo attraverso le lenti della paura e della frustrazione, scegliendo invece quelle dell’empatia, dell’amore e della gratitudine. La sua energia aumentò e lei riuscì a pensare con maggior lucidità. Candace si accorse che, di fronte agli eventi della vita, non reagiva più allo stesso modo perché le vecchie emozioni basate sulla paura non erano più nel suo corpo. Stava superando i propri riflessi condizionati perché ora capiva che le persone e le situazioni che prima la sconvolgevano esistevano solo in relazione a come si sentiva lei. Stava diventando libera. Il processo di cambiamento implicava la presa di coscienza dei pensieri inconsci che sfuggivano alla sua consapevolezza durante il giorno. Nelle meditazioni decise che quei pensieri non sarebbero più passati inosservati. In nessuna circostanza si sarebbe concessa di tornare alle vecchie abitudini e ai soliti comportamenti legati al vecchio io, e il corpo cominciò a liberare energia. In altre parole, si stava trasformando da particella in onda, rilasciando le emozioni immagazzinate nel corpo sotto forma di energia. Il suo corpo non viveva più nel passato. Potendo disporre di questa nuova energia, Candace cominciò a scorgere il panorama di un nuovo futuro. Si chiese: “Come voglio comportarmi? Come voglio sentirmi? Come voglio pensare?”. Alzandosi ogni giorno per mesi in uno stato di gratitudine, segnalò al suo corpo che il futuro era già arrivato, istruendo nuovi geni in altri modi e riportando il corpo all’omeostasi. Al capo opposto della rabbia, trovò l’empatia. All’estremità opposta dell’insoddisfazione, scoprì la pazienza e la gratitudine. E dall’altro lato del vittimismo, scoprì una creatrice che voleva dar vita alla gioia e al benessere. Era la stessa intensa energia che aveva investito dalla parte opposta, ma ora era riuscita a liberarla trasformandosi da particella in onda, passando dalla modalità di sopravvivenza a quella di creazione.
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Il dolce sapore del successo Quando Candace si sottopose a un controllo sette mesi dopo la diagnosi, il medico fu sbalordito dai cambiamenti riscontrati. Le sue analisi erano tornate a valori perfettamente normali. Nella prima serie di esami del febbraio 2011, l’ormone tireostimolante (THS) era a 3,61 (un valore alto) e gli anticorpi a 638 (il che indicava un forte squilibrio). Ma a settembre dello stesso anno, il TSH era sceso a un valore normale di 1,15 e gli anticorpi erano tornati a un sano 450, anche se Candace non prendeva più farmaci. Era stata l’artefice della sua guarigione in meno di un anno. Il medico voleva sapere cosa avesse fatto per ottenere quei risultati grandiosi. Sembrava quasi troppo bello per essere vero. Candace spiegò che aveva capito di aver creato la malattia, così aveva deciso di svolgere un esperimento su se stessa per smantellarla. Disse al medico che meditando ogni giorno e mantenendo uno stato emotivo elevato, con un processo epigenetico aveva istruito nuovi geni, invece di permettere alle emozioni negative di continuare a segnalare i vecchi geni. Spiegò che aveva lavorato con regolarità sulla persona che voleva diventare e aveva smesso di reagire a tutto ciò che esisteva nell’ambiente circostante come se fosse un animale in modalità di sopravvivenza: lottare, fuggire, scalciare o urlare. Tutto intorno a lei era rimasto sostanzialmente inalterato; solo che ora lei reagiva in un modo che esprimeva maggiore amore per se stessa. Il medico, che appariva stupefatto, le disse: “Vorrei che tutti i miei pazienti fossero come lei, Candace. È meraviglioso ascoltare la sua storia.” Candace non sa davvero come sia accaduta la sua guarigione. Non ne ha bisogno. Sa solo di essere diventata un’altra persona. Dopo qualche tempo ho cenato con lei. A quel punto non prendeva farmaci da mesi e non aveva più sintomi. La sua salute era perfetta, le erano ricresciuti i capelli e lei era molto contenta di sé. Mi disse più volte che era innamorata della sua vita presente. Ridendo le dissi: “Sei innamorata della tua vita e lei ti ricambia. È giusto che tu sia innamorata della tua vita: l’hai creata così com’è ogni giorno per mesi!”. 255
Candace mi spiegò che si era solo affidata a un infinito campo di potenzialità e sapeva che qualcos’altro l’aveva aiutata a guarire, qualcosa che la trascendeva. Tutto quello che aveva dovuto fare era superare se stessa ed entrare nel sistema nervoso autonomo per piantare i semi di una nuova vita. Era accaduto proprio questo, senza che lei sapesse come; e da quel momento si era sentita bene, come mai prima. Ora la sua vita è completamente diversa da quella che conduceva quando le avevano diagnosticato il morbo di Hashimoto. Con alcuni soci gestisce un programma di crescita personale che insegna l’autoaiuto e ha anche un impiego in un’azienda. Ha una relazione piena d’amore, nuovi amici e varie opportunità professionali. Una personalità diversa alla fine crea una nuova realtà personale. Un modo d’essere è una forza magnetica che attrae eventi corrispondenti; perciò quando Candace si è innamorata di se stessa, ha attirato verso di sé una relazione piena d’amore. Siccome si sentiva degna e provava rispetto per se stessa e per la sua vita, hanno cominciato a manifestarsi circostanze in cui aveva l’opportunità di dare un contributo, di essere rispettata e di fare una differenza nel mondo. E ovviamente, una volta entrata nella nuova personalità, la vecchia sembrava appartenere a un’altra era. Questa nuova fisiologia ha cominciato a spingerla verso livelli di gioia e ispirazione sempre più elevati; la malattia invece apparteneva alla vecchia personalità. Era diventata un’altra persona. Ciò non significa che avesse sviluppato una dipendenza dalla gioia; solo che non era più succube dell’infelicità. Quando cominciò a esprimere livelli più alti di felicità, scoprì che c’è sempre più gioia, più amore e più beatitudine da sperimentare, perché ogni esperienza crea una diversa miscela di emozioni. Iniziò a desiderare di trovarsi di fronte a delle prove nella sua vita, in modo da scoprire fino a che punto sarebbe riuscita a utilizzare queste conoscenze per la trasformazione. La lezione definitiva che Candace ha imparato è che la sua malattia e le sue sfide riguardavano solo lei, nessun altro. Nel suo vecchio modo d’essere, aveva creduto di essere la vittima di una 256
relazione e delle circostanze esterne, e riteneva che la vita le capitasse. Diventare consapevole di questo lavoro, assumersi la piena responsabilità per sé e per la sua esistenza - e comprendere che quello che era accaduto non aveva mai avuto niente a che fare con ciò che stava fuori - non solo l’hanno potenziata ma sono stati i più bei doni che potesse desiderare. LA STORIA DI JOANN Joann aveva vissuto la maggior parte della sua vita sulla corsia di sorpasso. Cinquantanove anni, madre di cinque figli, era una moglie devota, una donna d’affari di successo, un’imprenditrice che si destreggiava tra la vita domestica, le dinamiche familiari, i progressi nella carriera e negli affari. Il suo obiettivo era rimanere lucida, sana ed equilibrata, non poteva immaginare la sua vita in nessun altro modo se non con quell’intensità, quella moltitudine di impegni e quel ritmo accelerato; viveva al limite e dimostrava a chiunque che la sua mente era attiva e acuta. Si costringeva a fare sempre di più, mantenendo standard altissimi. Era una leader ammirata da molti e spesso era il punto di riferimento per chi aveva bisogno di un consiglio. I suoi pari la chiamavano “superwoman” e di fatto lo era, o almeno così credeva. Tutto questo finì di colpo nel gennaio 2008, quando Joann, uscendo dall’ascensore del suo palazzo, crollò a terra a circa quindici metri dalla porta di casa. Era stata una brutta caduta, quindi andò in una clinica per accertamenti e poi tornò a casa. In pochi istanti, tutto nel suo mondo era cambiato e lei si ritrovò a doversi aggrappare alla vita. Dopo otto mesi di analisi, i medici le diagnosticarono una sclerosi multipla secondaria progressiva, stadio avanzato della sclerosi multipla, una malattia cronica in cui il sistema immunitario attacca il sistema nervoso centrale. I sintomi variano molto a seconda dell’individuo, ma possono cominciare con torpore a un arto e progredire fino alla paralisi o alla cecità. Oltre ai problemi fisici, possono insorgere anche disturbi cognitivi e psichiatrici. I sintomi di Joann erano stati così vaghi e sporadici negli ultimi quattordici anni che lei li aveva liquidati come semplici effetti collaterali della vita frene257
tica che conduceva. Ma ora la sua condizione aveva un nome che suonava come una sentenza inappellabile. Piombò negli abissi della medicina occidentale, che la sfidava ponendola davanti alla salda convinzione che la sua fosse una malattia incurabile. Pochi anni prima della diagnosi, Joann aveva cessato l’attività di famiglia a Calgary e, cambiando non poco la sua vita, si era trasferita a Vancouver, sulla costa occidentale del Canada, cosa che la sua famiglia voleva fare da tempo. Dopo il trasferimento, Joann aveva dovuto affrontare una difficoltà dopo l’altra, mentre le finanze e le risorse si erodevano, mettendo la sua famiglia in una situazione precaria. La sua autostima, la fiducia in se stessa e la sua salute avevano avuto un tracollo. Quando Joann si scoprì incapace di essere più forte del suo ambiente, lo stato fisico e mentale cominciarono a declinare. In breve tempo la famiglia non ebbe più a disposizione risorse sufficienti per necessità basilari come il cibo e la casa. All’inizio del 2007, la donna che tutti consideravano una superwoman toccò il fondo ed entro la fine dell’anno fecero ritorno a Calgary. La sclerosi multipla è una sindrome infiammatoria in cui vengono danneggiati i rivestimenti isolanti delle cellule nervose nel cervello e nel midollo spinale, insieme alle fibre nervose. La patologia impedisce al sistema nervoso di comunicare e di inviare segnali a varie parti del corpo. Joann aveva sviluppato un tipo di sclerosi multipla progressivo: ciò significa che la malattia si aggrava con l’andar del tempo, causando problemi neurologici permanenti, soprattutto negli stadi più avanzati. I medici le dissero che non esisteva una cura. All’inizio Joann fu determinata a non lasciarsi limitare dalla sclerosi multipla. In breve tempo però imboccò una brutta china verso la disabilità fisica e il deficit cognitivo. Man mano che le sue condizioni peggioravano, Joann doveva dipendere dagli altri per le necessità basilari. A causa delle limitazioni sensoriali e motorie, cominciò a usare le stampelle, dei tutori e una sedia a rotelle. Alla fine per spostarsi fu costretta a ricorrere a uno scooter per disabili. Non c’era da sorprendersi che avesse avuto un crollo proprio nel momento in cui la sua esistenza cominciava a sgretolarsi. Il suo corpo le aveva fatto il favore che lei non aveva mai concesso a se 258
stessa: fermarsi e dire “Basta!”. Aveva preteso troppo da se stessa. Pur avendo avuto successo negli anni precedenti, nel profondo si sentiva una fallita per la maggior parte del tempo, perché non smetteva mai di giudicarsi e pensava sempre di poter fare meglio. Non era mai soddisfatta. Qualunque cosa facesse o conquistasse, non si sentiva mai abbastanza brava. Soprattutto, non voleva smettere di strafare perché altrimenti avrebbe dovuto occuparsi di quell’impellente sensazione di fallimento. Quindi si teneva occupata rivolgendo tutta l’attenzione al mondo esterno per non dover ascoltare il mondo interno dei pensieri e delle emozioni. Aveva passato la maggior parte dell’esistenza a supportare gli altri, incoraggiandoli e celebrando i loro successi, ma non aveva mai permesso a nessuno di vedere cosa non funzionava nella sua vita. Nascondeva a tutti il suo dolore. Continuava a dare ma non riceveva mai, perché non si concedeva di farlo; aveva passato il tempo privandosi della propria evoluzione personale perché non esprimeva mai se stessa. La conseguenza logica del suo tentativo di cambiare il mondo interno usando le circostanze dell’ambiente esterno fu il fallimento. Quando infine crollò, era così debole e sconfitta che aveva appena la forza di lottare per la sua vita. Tutto il tempo trascorso in modalità di emergenza, reagendo sempre alle condizioni dell’ambiente esterno, l’aveva privata della sua forza vitale, drenando l’energia dal suo mondo interno, che è il luogo della riparazione e della guarigione. Era svuotata. Joann cambia la sua mente L’unica cosa che sapeva con certezza era che la malattia che le stava crivellando il cervello e la spina dorsale, come rivelava la risonanza magnetica, non era apparsa dall’oggi al domani. Il suo corpo veniva corroso proprio nel nucleo vitale: il sistema nervoso centrale. Dopo tutti quegli anni trascorsi a ignorare i sintomi, era snervata perché aveva paura di guardare dentro di sé. Le sostanze chimiche tossiche hanno bussato con insistenza alle porte delle sue cellule e alla fine il gene della malattia è andato ad aprire e si è acceso. 259
Costretta a letto, Joann fissò il primo obiettivo per rallentare il progredire della sclerosi multipla nel corpo. Aveva letto il mio primo libro e sapeva che il cervello non conosce la differenza tra l’esperienza esterna reale e quella che lei stessa poteva rendere reale a livello interiore con il solo pensiero. Aveva imparato anche che quella pratica mentale poteva cambiare il cervello e il corpo. Cominciò a fare prove mentali facendo yoga e, dopo poche settimane di esercizio quotidiano, riuscì veramente a eseguire alcune posizioni, anche in piedi. Questi risultati la motivarono molto. Ogni giorno, Joann preparava il cervello e il corpo solo con il pensiero. Come i pianisti di cui hai letto nel Capitolo 5, che suonando il piano mentalmente hanno sviluppato gli stessi circuiti neurologici dei soggetti che svolgevano fisicamente gli esercizi di musica, Joann attivava i circuiti cerebrali come se si stesse già muovendo e come se camminasse davvero. Ricordi i soggetti dei vari studi sul sollevamento di pesi, che hanno aumentato la loro forza allenandosi solo con la mente? Proprio come loro, Joann sapeva di poter dare al proprio corpo l’impressione che l’esperienza della guarigione fosse già in atto, cambiando la mente. Poco dopo fu in grado di stare in piedi per brevi periodi e poi di camminare senza assistenza. Era malferma e per spostamenti più lunghi doveva ancora ricorrere allo scooter per disabili, ma almeno non era più relegata a letto, in uno stato di commiserazione. Aveva svoltato. Quando cominciò a meditare regolarmente riducendo al silenzio il chiacchiericcio mentale, diventò consapevole di quanto fosse triste e arrabbiata. La diga si era aperta. Joann si accorse di sentirsi debole, isolata, rifiutata e svilita per la maggior parte del tempo. Priva del suo equilibrio, sradicata e sconnessa, si sentiva come se avesse perso una parte vitale di sé. Notò che aveva negato la propria reale identità per compiacere gli altri e che non poteva guardarsi dentro senza sentirsi in colpa. Comprese che aveva sempre cercato di controllare quello che sembrava un caos vorticante intorno a sé, ma la cosa non aveva mai funzionato. A un livello più profondo, lo aveva sempre saputo ma aveva scelto di ignorarlo, facendo pressione su se stessa e fingendo che tutto andasse bene. 260
Nonostante fosse molto doloroso, Joann ora cercava di capire come aveva creato la malattia. Decise di diventare conscia di tutti i pensieri, le azioni e le emozioni inconsapevoli che la definivano come la personalità che aveva creato quella particolare realtà soggettiva. Sapeva che, valutando chi era stata, poteva cambiare quegli aspetti di sé. Più diventava conscia del suo io inconscio, e consapevole del suo modo d’essere, più acquisiva padronanza di tutto ciò che aveva nascosto per anni. All’inizio del 2010, Joann sentì che l’avanzamento della malattia aveva iniziato a rallentare. Il suo obiettivo allora fu di interromperlo completamente. A maggio, quando il neurologo le chiese quali fossero i suoi obiettivi riguardo alla malattia, fu congedata bruscamente. Ma invece di lasciarsi scoraggiare, Joann fu più determinata che mai. Joann porta la guarigione al livello successivo Durante il seminario di Vancouver, Joann non riusciva a camminare da sola. In quel weekend chiesi ai partecipanti di formulare un’intenzione chiara nella mente e di associarla a un’emozione positiva nel corpo. Lo scopo era di ricondizionare il corpo affinché rispondesse a una mente nuova, invece di continuare a condizionarlo con emozioni da sopravvivenza. Volevo che i partecipanti aprissero il loro cuore e insegnassero emotivamente al corpo come sarebbe stato il futuro. Era l’ingrediente mancante nella pratica mentale che Joann svolgeva quotidianamente. Riuscire ad accettare il pensiero di camminare con il solo ausilio del bastone per sei o sette metri la entusiasmò incredibilmente. Aggiunse così il secondo elemento dell’effetto placebo all’equazione: l’aspettativa sostenuta dall’emozione. Questa combinazione avrebbe portato Joann al livello successivo. Doveva convincere il corpo che l’evento futuro aveva già cominciato ad accadere nel presente. Il corpo, agendo da mente inconscia, doveva esserne convinto perché accadesse davvero. Se lei avesse accolto la gioia e la gratitudine di stare bene prima della guarigione effettiva, il suo corpo avrebbe avuto un assaggio del futuro nel presente. 261
Le consigliai di prestare attenzione ai suoi pensieri, perché erano stati quelli a farla ammalare. La incitai ad andare oltre la personalità connessa alla malattia, passaggio necessario per creare una nuova personalità e un’altra realtà personale. Ora poteva infondere significato e intenzione a quel che stava facendo. Due mesi dopo, Joann frequentò un seminario più avanzato a Seattle. Lo scooter si era rotto il giorno prima, così usava la sedia a rotelle motorizzata per spostarsi. All’inizio si sentì più vulnerabile per questo, ma poi notò che riusciva a muoversi con maggior facilità. I ricordi associativi legati all’esperienza positiva del seminario precedente, insieme all’aspettativa di star meglio grazie a quello attuale, avevano dato avvio al processo. Se il 29 per cento dei pazienti chemioterapici sperimenta la nausea da anticipazione prima del trattamento (come hai letto nel Capitolo 1), allora forse è possibile che un partecipante a un seminario provi benessere da anticipazione quando torna nello stesso contesto. Qualunque fosse il fattore scatenante, Joann intravide una nuova possibilità e, con entusiasmo, cominciò ancora una volta ad accogliere emotivamente il futuro nel presente. Durante l’ultima meditazione nel corso di quel seminario, le accadde una cosa magica. Sperimentò un enorme cambiamento interno e sentì qualcosa smuoversi nel profondo. Avvertì il suo corpo cambiare spontaneamente quando lei entrò nel suo sistema nervoso autonomo, impartendo le nuove istruzioni da seguire. Si sentiva sollevata, piena di gioia e libera. Dopo la meditazione, quando Joann si alzò dalla sedia era una persona diversa da quella che si era seduta: era in un nuovo modo d’essere. Attraversò la stanza camminando senza alcun sostegno, nemmeno con il bastone. Si fece strada con gli occhi sgranati, ridendo come una bambina. Riusciva a muovere e a sentire le gambe, che erano rimaste anestetizzate per anni. Era riuscita a togliersi di mezzo e la sensazione era incredibile! Con mia grande meraviglia, Joann aveva istruito nuovi geni in altri modi proprio durante la meditazione. Aveva cambiato la sua condizione in un’ora soltanto! Trascendendo la sua identità di malata, era diventata un’altra persona e aveva smesso di voler rallentare, fermare o invertire la sclerosi 262
multipla. Non doveva più dimostrare nulla a se stessa, alla sua famiglia, ai medici o a qualcun altro. Per la prima volta comprese e sperimentò che il vero viaggio riguarda la pienezza di sé, come sempre accade nelle guarigioni verificabili. Dimenticò di avere una malattia ufficiale e si dissociò da quella identità per un momento. La libertà che si generò in lei e l’ampiezza di quell’emozione elevata erano così forti da accendere un nuovo gene. Joann sapeva che la sclerosi multipla era una semplice etichetta, come “madre”, “moglie” o “capo”. Aveva cambiato quell’etichetta rinunciando al passato. Altri miracoli Tre giorni dopo, quando Joann tornò a casa, il miracolo continuò senza altri interventi da parte sua. Facendo yoga, che dopo il secondo seminario svolgeva fisicamente e non solo mentalmente, notò che riusciva a sollevare un piede da terra. Provò a sollevare anche l’altro e ci riuscì! Poi si accorse che poteva flettere il piede per la prima volta dopo anni. E riusciva a piegare le dita dei piedi, cosa che non faceva da molto tempo. Era sbalordita e stupefatta, e cominciò a piangere di gioia. In un istante capì che tutto era possibile, non per qualche terapia o procedura esterna, ma in virtù dei cambiamenti interni che aveva operato lei stessa. Joann sapeva di poter essere il suo placebo. In brevissimo tempo imparò di nuovo a camminare. Oggi, a distanza di due anni, cammina senza assistenza ed è più giocosa e piena di vita. Ora il suo corpo è più forte e lei riesce a fare molte cose di cui pensava non sarebbe mai più stata capace. Soprattutto si sente viva e colma di una gioia sconfinata. Si sente appagata e, siccome ora sa ricevere, continua a ricevere guarigione. Di recente mi ha confidato: “La mia vita è magica, piena di incredibili sinergie, abbondanza e doni inaspettati di ogni genere. Gorgoglia, spumeggia e luccica di un nuovo e più luminoso riflesso di me. È il mio nuovo io, il mio vero io che ho cercato di tenere nascosto e sotto controllo per la maggior parte della mia vita!”. Ora Joann vive per lo più in uno stato di gratitudine. Si concede sempre del tempo per ascoltare con consapevolezza pensieri ed 263
emozioni; coltiva ogni giorno il suo modo d’essere, prestando attenzione a ciò che dice a se stessa e a cosa pensa degli altri. Nelle meditazioni, si osserva e acquisisce familiarità con il proprio modo di agire. Di rado la sua mente conscia è attraversata da un pensiero che non vuole sperimentare. Il neurologo che la segue attualmente supporta le sue scelte ed è rimasto sbalordito da quel che ha visto. La sua dottoressa ha dovuto riconoscere il potere della mente, dopo che Joann le ha portato i referti e i risultati delle analisi da cui non si evinceva alcuna traccia di sclerosi multipla.
Laurie, Candace e Joann sono riuscite a determinare una drastica remissione senza l’ausilio di risorse esterne. Hanno cambiato la loro salute dall’interno, senza uso di farmaci, interventi chirurgici, terapie o altro, se non la loro mente. Sono diventate il loro placebo. Ora analizziamo con metodi scientifici il cervello di alcune persone che hanno partecipato ai miei seminari e sono state capaci di operare cambiamenti altrettanto drastici, così vedremo esattamente cosa è successo durante queste notevoli trasformazioni.
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CAPITOLO 10 DALLA CONOSCENZA ALLA TRASFORMAZIONE: L A P R O VA C H E I L P L A C E B O S E I T U Questo libro tratta di come puoi trasformare la tua mente in materia. Ora sai che il placebo funziona perché una persona accetta e accoglie un rimedio noto – una falsa pillola, un’iniezione o una procedura che sostituisce la sua controparte reale – e poi si arrende all’esito senza analizzare troppo come si verificherà. Potremmo dire che un individuo associa la sua esperienza futura con una particolare persona nota (poniamo un medico) o cosa nota (un farmaco o una procedura), in un momento e luogo specifico del suo ambiente esterno, a un cambiamento del suo ambiente interno. Così facendo altera il proprio modo d’essere. Dopo alcune esperienze coerenti, la persona si aspetta che il futuro sia esattamente uguale al passato. Quando questo collegamento entra in azione, il processo diventa molto efficace. È fondato su uno stimolo conosciuto che produce un’esperienza nota. La conclusione è questa: nel classico effetto placebo, la nostra fiducia è riposta in un elemento esterno a noi. Cediamo il potere al mondo materiale, dove i nostri sensi definiscono la realtà. Ma il placebo può funzionare grazie a un processo creativo che parte dal mondo immateriale dei pensieri e che trasforma quella possibilità ignota in una nuova realtà? Sarebbe un’applicazione più avveduta del modello quantistico. I tre partecipanti ai seminari di cui hai letto nel capitolo precedente hanno compiuto questa impresa. Hanno scelto di credere in se stessi più che in qualunque altra cosa. Sono cambiati dall’interno e sono entrati nel modo d’essere che contraddistingue chi assume un placebo; nessun fattore materiale ha determinato il fenomeno. È questo che fanno molti miei allievi per stare meglio. Quando apprendono il reale funzionamento del placebo, possono fare a meno 265
della pillola, dell’iniezione o della procedura, ottenendo gli stessi risultati. Grazie alle ricerche condotte in questi seminari e alle continue testimonianze che ho ricevuto da persone di tutto il mondo, posso affermare che tu sei il placebo. Le storie dei miei allievi dimostrano che è possibile investire la propria convinzione in un ambito ignoto, invece che noto e trasformare ciò che non si conosce in ciò che si conosce. Pensaci. L’idea di una guarigione verificabile esiste come realtà potenziale nel campo quantico finché non viene osservata e realizzata, dopodiché si materializza. Vive come possibilità in un infinito campo di informazioni che viene definito come un nulla fisico in cui però si combinano tutte le possibilità materiali. Perciò l’esperienza futura di una remissione spontanea dalla malattia esiste come potenzialità ignota situata oltre lo spazio e il tempo, fino a quando non viene sperimentata personalmente e resa nota in questo spazio e in questo tempo. Quando l’ignoto diventa un’esperienza nota con i tuoi sensi, sei sulla via dell’evoluzione. Quindi, se riesci a sperimentare più e più volte una guarigione nel mondo interno dei pensieri e delle emozioni, alla fine essa si manifesterà nella realtà. Se trasformi un pensiero in qualcosa di reale quanto l’esperienza nell’ambiente esterno, prima o poi non dovrebbe essercene traccia nel corpo e nel cervello? In altre parole, se provi mentalmente quel futuro ignoto con un’intenzione chiara e un’emozione elevata, e se lo fai ripetutamente, in base alle conoscenze che hai appreso dovresti avere autentici cambiamenti neuroplastici nel cervello e autentici cambiamenti epigenetici nel corpo. Se progredisci ogni giorno verso un nuovo modo d’essere, ricordandolo al tuo cervello e condizionando il tuo corpo a rispondere a quella mente, allora dovresti vedere gli stessi cambiamenti strutturali e funzionali che otterresti prendendo un placebo. La figura 10.1 ti mostra una semplice rappresentazione grafica del processo.
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DIVENTARE IL PLACEBO
Figura 10.1. I cambiamenti si innescano con un processo semplice che nella maggior parte dei casi parte da un elemento esterno che altera qualcosa dentro di noi. Se intraprendi il percorso inverso e cominci a cambiare il mondo interno dei tuoi pensieri e delle tue emozioni, puoi creare un miglioramento nel tuo benessere. Se continui a ripetere con costanza questo processo nella meditazione, con l’andar del tempo i cambiamenti epigenetici cominceranno a modificare la tua rappresentazione esterna e tu diventerai il tuo placebo.
Allora, invece di allineare la tua convinzione e la tua fede a qualcosa di noto, puoi dirigere la tua attenzione verso una possibilità ignota e, in base ai principi discussi in questo libro, rendere conosciuta una realtà che non lo è? Accogliendo emotivamente e con continuità l’esperienza nella tua mente, puoi passare dall’immateriale al materiale, dal pensiero alla realtà? Ormai dovresti aver capito che per guarire non hai bisogno di una finta pillola, di un santuario, di simboli antichi, di medici-stregoni (nelle varianti antiche e moderne), di finti interventi chirurgici o di luoghi sacri. Questo capitolo te ne dà la prova scientifica attraverso le esperienze dei nostri allievi, che sono riusciti a modificare la loro biologia con il solo pensiero. Il cambiamento non si è verificato soltanto nella mente, ma anche nel cervello. Le prove fornite in questo capitolo hanno lo scopo di ispirarti a sperimentare in prima persona il potere della meditazione. Spero 267
che, dopo aver letto la dimostrazione di ciò che è possibile fare, applicherai gli stessi principi alla tua trasformazione personale e ne trarrai beneficio in ogni ambito della vita. Dopo aver letto queste storie, arrivando alla Parte II del libro, avrai un’intenzione più salda per affrontare il tuo viaggio interiore, perché assegnerai più significato alle tue azioni, e quindi otterrai risultati migliori. DALLA CONOSCENZA ALL’ESPERIENZA Grazie al mio lavoro, ho imparato una cosa molto importante. Sono arrivato a comprendere che ognuno di noi crede nella propria grandezza. Dentro di sé, a un livello più o meno profondo, chiunque – che sia l’amministratore delegato di una multinazionale, un bidello, una madre single con tre figli o un carcerato – ha una innata fiducia in se stesso. Tutti crediamo nelle possibilità. Immaginiamo un futuro migliore della realtà in cui attualmente viviamo. Perciò ho pensato che, se avessi offerto a persone sincere le informazioni scientifiche essenziali e le istruzioni necessarie per metterle in pratica, loro avrebbero potuto sperimentare vari gradi di trasformazione personale. Dopotutto la scienza è il linguaggio contemporaneo del misticismo. Essa trascende la religione, la cultura e la tradizione. Demistifica i contenuti sacri e unisce una comunità. L’ho visto accadere molte volte in tutto il mondo nei miei seminari. Nei corsi avanzati dove io e i miei colleghi misuriamo i cambiamenti biologici ed energetici dei partecipanti, sia singolarmente, sia collettivamente, uso diversi principi delineati in questo libro (e molti altri) per insegnare il modello scientifico della trasformazione. Il modello continua a evolversi man mano che gli studenti migliorano le loro capacità. Aggiungo sempre nuovi elementi di fisica quantistica per aiutare le persone a comprendere il concetto di possibilità. Poi li associo alle ultime informazioni offerte dalla neuroscienza, dalla neuroendocrinologia, dall’epigenetica, dalla biologia cellulare, dalla scienza delle onde cerebrali, dalla psicologia energetica e dalla psiconeuroimmunologia. Con l’apprendimento di nuove informazioni, si manifestano nuove possibilità. 268
Quando i nostri allievi imparano e accolgono queste conoscenze, possono assegnare un significato più profondo alla meditazione e alle pratiche contemplative. Ma non basta che le comprendano a livello intellettuale o teorico. Devono saper ripetere quello che hanno imparato. Una volta che sono in grado di spiegare queste informazioni evolutive, il modello si attiva sempre più nel loro cervello e così possono installare la configurazione neurologica che sta alla base. Ripetendo più volte quello che hanno imparato, creano un programma configurato. Applicando questo nuovo sapere in modo corretto, essa diventerà il prodromo di una nuova esperienza. In altre parole, quando allineano la mente e il corpo, acquisiscono la saggezza derivante da un’esperienza nuova, accogliendo l’emozione che vi si associa. Ora cominciano a incarnare l’informazione, perché istruiscono il corpo a comprendere emotivamente quello che la mente ha imparato a livello teorico. A questo punto, cominciano a credere e a sapere che quella è la verità. Il mio auspicio è che, invece di farlo una volta sola, i miei studenti possano ripetere l’esperienza di continuo a loro piacimento, finché essa non diventa una nuova capacità, una nuova abitudine o un nuovo modo d’essere. Giunti a questo grado di costanza, siamo alle soglie di un nuovo paradigma scientifico, perché tutto ciò che è ripetibile è scienza. Quando arriviamo al livello di competenza in cui possiamo cambiare il nostro stato interno solo con il pensiero, e questo processo viene ripetutamente osservato, misurato e documentato, siamo alle soglie di una nuova legge scientifica. Allora, con questa nuova conoscenza sulla natura della realtà, possiamo dare il nostro apporto al modello scientifico comunemente accettato, così da offrire a più persone gli strumenti per sfruttare al meglio il proprio potere. Coltivo questa ambizione da anni. Mi do un gran da fare per insegnare ai miei allievi le dinamiche specifiche con cui le pratiche interiori cambiano il cervello e il corpo a livello biologico, affinché possano comprendere con precisione quel che stanno facendo. Quando nulla è lasciato alla congettura, al dogma o alla supposizione, siamo più suggestionabili da una possibilità quantistica. E per ottenere grandi risultati questo sforzo 269
è necessario. Ma le misurazioni non varrebbero granché senza le capacità dei miei allievi. Nei miei seminari gli studenti si ritirano dalla loro vita per tre o cinque giorni, perché questo li aiuta a non lasciarsi più definire dalla loro realtà personale presente-passata. Si esercitano a entrare in nuovi modi d’essere. Smettendo di riaffermare aspetti della loro vecchia personalità che non appartengono al futuro e fingendo di essere qualcun altro – o reinventando un’altra personalità – diventano il nuovo io che immaginano, così possono produrre cambiamenti epigenetici, proprio come è avvenuto agli anziani del Capitolo 4, che hanno finto di avere ventidue anni in meno. Il mio desiderio è che nelle meditazioni i partecipanti trascendano se stessi e le loro identità per diventare nessuno, nessun corpo, nessuna cosa, in nessun luogo e in nessun tempo: per essere insomma pura consapevolezza. Quando questo accade, vedo cambiare il loro corpo e il loro cervello, prima dell’ambiente in cui vivono (la vita che conoscono) così, quando ritornano alla loro esistenza dopo il seminario, non sono più vittime di condizionamenti inconsci che provengono dal mondo esterno. Questo è l’ambito in cui si verificano cose straordinarie e miracolose. Il mio obiettivo è dare ai miei studenti le giuste informazioni e offrire loro l’opportunità di personalizzare tutte le informazioni che apprendono, affinché possano produrre una loro trasformazione personale; perciò nel 2013 ho creato un nuovo tipo di evento. Ne ho parlato nel Prologo. In questo nuovo seminario (tenuto per la prima volta nel febbraio 2013 a Carefree, Arizona, e poi a luglio a Englewood, Colorado), ho voluto misurare la trasformazione in tempo reale, nel momento stesso in cui si verificava. La mia intenzione era di utilizzare questi dati come informazioni aggiuntive da dare ai partecipanti per spiegare la trasformazione che avevano appena sperimentato. E con quelle informazioni, potevano provare un’altra trasformazione, a sua volta misurabile, e così di seguito fino a colmare il divario tra conoscenza ed esperienza. Chiamo questi seminari “Dall’informazione alla trasformazione”. È questa la mia passione. 270
MISURARE IL CAMBIAMENTO Quando ho cominciato questo viaggio, ho conosciuto uno scienziato brillante e pieno di talento, il dottor Jeffrey Fannin, che mi ha aiutato a misurare quello che accadeva nel cervello dei miei studenti. Il dottor Fannin, fondatore e direttore del Center for Cognitive Enhancement [Centro per lo sviluppo cognitivo] di Glendale, Arizona, lavora nel campo della neuroscienza da più di quindici anni e ha una vasta esperienza nell’allenare il cervello per ottimizzarne le prestazioni. È specializzato nello studio di traumi alla testa, ictus, dolore cronico, deficit di attenzione (ADD), sindrome da deficit di attenzione e iperattività (ADHD), disturbi d’ansia, depressione ed elaborazione dei traumi, e si occupa anche di forme di training per migliorare le prestazioni, che includono la mappatura cerebrale per gli sportivi, lo sviluppo delle capacità di leadership attraverso il trascinamento delle onde cerebrali, il miglioramento delle funzioni cerebrali, il potenziamento della capacità mentale ed emotiva e la trasformazione personale. Nel corso degli anni ha condotto ricerche all’avanguardia usando lo strumento dell’elettroencefalogramma (EEG), che misura l’attività elettrica dei neuroni, per valutare con precisione quanto è equilibrata l’energia delle onde cerebrali di una persona, una misurazione che egli definisce stato di integrità cerebrale del soggetto. La sua ricerca si concentra sugli schemi subconsci delle convinzioni e sulla fusione tra prestazione cerebrale equilibrata e successo personale. Il dottor Fannin è anche membro di un gruppo di ricerca della Arizona State University che studia la neuroscienza e la leadership usando i dati raccolti dall’Accademia militare degli Stati Uniti, con sede a West Point. Questa ricerca gli ha permesso di sviluppare, insieme al gruppo di colleghi, un corso che non ha eguali, chiamato “La neuroscienza della leadership”. Ha anche lavorato per diversi anni alla facoltà della Walden University vicino a Phoenix, insegnando neuroscienza cognitiva in master e dottorati. Ho invitato il dottor Fannin e la sua squadra a entrambe le edizioni del mio nuovo seminario, dove abbiamo misurato specifiche caratteristiche cerebrali ed elementi come la coerenza e l’incoerenza 271
(l’ordine o il disordine delle onde cerebrali, di cui leggerai ancora nel prossimo capitolo), l’ampiezza (l’energia delle onde cerebrali), l’organizzazione fasica (il grado in cui le diverse parti del cervello lavorano insieme in armonia), il tempo relativo che una persona impiega a entrare in uno stato di meditazione profonda (quanto ci mette a mutare le onde cerebrali e a spostarsi in uno stato più suggestionabile), il rapporto theta/alfa (il grado in cui il cervello funziona in modo olistico e come comunicano tra loro i diversi comparti cerebrali da una regione all’altra: la parte anteriore con quella posteriore, e la parte sinistra con la destra), il rapporto delta/ theta (la capacità di regolare e controllare il rumore mentale e i pensieri intrusivi) e la sostenibilità (la capacità di mantenere nel tempo uno stato di meditazione costante). Abbiamo creato quattro postazioni dotate di macchinari per l’EEG al fine di monitorare i partecipanti prima e dopo il seminario, in modo da osservare come si erano modificati gli schemi delle onde cerebrali. Abbiamo esaminato più di cento persone durante entrambi gli eventi. Ho selezionato a caso quattro partecipanti per misurare i loro valori in tempo reale in ciascuna delle tre sessioni di meditazione che abbiamo svolto ogni giorno. Nel complesso, nei due seminari del 2013 abbiamo effettuato un totale di quattrocentodue EEG. È una procedura sicura e non invasiva che effettua misurazioni in venti punti all’esterno della testa. Questi dati hanno fornito una grande quantità di preziose informazioni sulle reali capacità del cervello. I dati sono stati convertiti in EEG quantitativi (QEEG), un’analisi statistica e matematica dell’attività registrata dall’EEG in forma di grafico che rappresenta una mappa cerebrale. Il grafico ha gradazioni di colore che indicano il rapporto tra l’attività registrata dall’EEG e la normale attività di riferimento. I vari schemi e colori raffigurati in base alle diverse frequenze hanno offerto ulteriori informazioni sull’influenza delle onde cerebrali su pensieri, sensazioni, emozioni e comportamenti di una persona. Per i principianti, i dati hanno dimostrato che il 91 per cento dei soggetti sottoposti a EEG presentava una funzionalità cerebrale di gran lunga migliore: alla fine delle meditazioni trasformative, la 272
maggioranza dei nostri studenti è passata a uno stato più coerente. Inoltre, più dell’82 per cento delle mappe cerebrali registrate in entrambi gli eventi mostra che i partecipanti agivano all’interno della normale gamma salutare di attività cerebrale. Ho imparato che quando il tuo cervello funziona bene, funzioni bene anche tu. Quando il tuo cervello è più coerente, lo sei anche tu. Quando il tuo cervello è più integro ed equilibrato, lo sei anche tu. Se sei in grado di regolare i pensieri negativi e intrusivi ogni giorno, sei meno negativo e intrusivo anche tu. Ed è proprio questo che abbiamo riscontrato nei nostri studenti. Il tempo medio nazionale per entrare in uno stato meditativo e mantenerlo è poco più di un minuto e mezzo. È il tempo che la maggior parte delle persone impiega per cambiare onde cerebrali ed entrare in uno stato di meditazione. In base ai quattrocentodue casi esaminati, il tempo medio dei nostri studenti per entrare in uno stato meditativo e mantenerlo è di soli cinquantanove secondi: meno di un minuto. Alcuni di essi sono riusciti a cambiare le onde cerebrali (e il loro modo d’essere) in quattro, cinque e nove secondi. Qui la competizione non c’entra, che anzi vanificherebbe il nostro scopo. Ma questi dati illustrano due punti fondamentali. Primo: oltrepassare la mente analitica delle onde beta ed entrare in uno stato più suggestionabile è una capacità che si acquisisce con la pratica. Secondo: gli studenti riescono con relativa facilità ad applicare i metodi che io e i miei colleghi insegniamo per bypassare il cervello pensante ed entrare nel sistema operativo del subconscio. È interessante sottolineare che le nostre ricerche mostrano modelli ricorrenti nel funzionamento olistico del cervello dei nostri allievi. Notiamo una significativa alternanza di schemi alfa/ theta (come comunicano tra loro i diversi comparti del cervello) nel lobo frontale di una persona in meditazione. Ciò significa che i due emisferi cerebrali comunicano in modo più equilibrato e unitario. Gli schemi dualistici del lobo frontale, che abbiamo osservato più volte, sembrano produrre l’esperienza di una più intensa gratitudine, che appare di continuo in forma ritmica e sinuosa. Questo dato suggerisce che, quando gli studenti sono in 273
un elevato stato di riconoscenza durante le prove mentali, la loro esperienza è così reale che credono che gli eventi stiano accadendo davvero in quel momento, o che siano già avvenuti. Sono grati perché è quella l’emozione che tutti noi sentiamo quando ciò che desideriamo diventa realtà. I meditatori esperti mostrano anche un aumento del rapporto tra le onde theta e quelle alfa a bassa frequenza, il che significa che possono restare in stati alterati per periodi abbastanza lunghi. Particolarmente significativo è l’incremento nella regolazione delle onde lente; gli studenti più esperti, quando sono in uno stato theta, hanno una coerenza (o un ordine) superiore alla norma tra l’attività nella parte frontale del cervello e quella delle regioni posteriori. Notiamo che la regione anteriore sinistra, associata alle emozioni positive, si attiva ripetutamente, il che rivela l’induzione di uno stato di beatitudine meditativo. In altre parole, quando questi studenti entrano in meditazione, producono onde cerebrali più coerenti che suggeriscono uno stato di rilassatezza più profonda e una maggiore consapevolezza. Inoltre, l’unificazione tra la parte anteriore e posteriore del cervello, e tra emisfero destro e sinistro, indica che si sentono più felici e più integri. HO UN’ILLUMINAZIONE Al primo dei due eventi, mentre osservavo un’allieva sottoposta alla mappatura cerebrale durante una seduta di meditazione, ho capito una cosa molto interessante. Analizzando il comportamento del cervello così come veniva rilevato dalla scansione in tempo reale, mi accorsi di quanto lei si stesse sforzando, e conseguentemente di come il suo cervello si stesse allontanando sempre più dal normale equilibrio e dagli stati meditativi più profondi delle onde alfa e theta. Mi resi conto che stava analizzando e giudicando se stessa e la sua vita con l’emozione di quel momento, evidenziata dalle onde più alte e incoerenti, associate a uno stato beta ad alta frequenza (che indicava alti livelli di stress, ansia, agitazione, senso di emergenza e squilibrio generale). 274
Capii che stava cercando inutilmente di usare il cervello per cambiare il cervello, e la cosa non poteva funzionare. Sapevo anche che stava usando l’ego per cambiare l’ego, e anche quello non andava bene. Usando un programma per cambiarne un altro, non faceva altro che consolidarlo, anziché sovrascriverlo. Mentre cercava di cambiare il subconscio, era ancora nella sua mente conscia, perciò si teneva lontana dal sistema operativo in cui risiedono i veri cambiamenti. Quando il rilevamento fu ultimato, mi avvicinai per parlare con lei, e dopo qualche minuto ammise di aver avuto delle difficoltà. In quel momento mi si è accesa una lampadina e ho capito cosa avrei dovuto aggiungere ai miei insegnamenti. La mia allieva doveva diventare più distaccata e trascendere il proprio corpo per cambiare il corpo, superare l’ego per cambiare l’ego, andare oltre il programma per cambiare il programma, trascendere la mente coscia per cambiare l’inconscio. Doveva diventare l’ignoto per creare l’ignoto. Doveva diventare un nuovo pensiero immateriale nel nulla immateriale per creare un’esperienza materiale. Doveva trascendere lo spazio e il tempo per cambiare lo spazio e il tempo. Doveva diventare pura consapevolezza, superare le associazioni con un’identità legata al suo ambiente noto (la casa, il lavoro, il marito, i figli, i problemi), trascendere il corpo (il viso, il genere, l’età, il peso, l’aspetto fisico) e andare oltre il tempo (l’abitudine prevedibile di vivere nel passato o nel futuro, perdendo sempre il momento presente). Doveva trascendere il suo io attuale per crearne uno nuovo. Bisognava che uscisse dalla sua solita modalità per permettere a qualcosa più grande di lei di prendere il sopravvento. Quando siamo materia che cerca di cambiare la materia, il processo non funziona. Quando siamo la particella che cerca di cambiare la particella, non accade nulla, perché vibriamo alla stessa velocità della materia, dunque non possiamo influenzarla in misura significativa. Solo quando siamo consapevolezza possiamo alterare il cervello, il corpo e la vita e con il tempo creare un nuovo futuro. È la consapevolezza a dare forma a tutte le cose e a usare il cervello e il corpo per produrre diversi livelli mentali, perciò quando arri275
vi nel luogo in cui sei pura consapevolezza, sei libero. Per questo motivo, ho cominciato a lasciare che gli studenti restassero in meditazione per periodi prolungati e che diventassero nessuno, nessun corpo, nessuna cosa, in nessun luogo e in nessun tempo fino a sentirsi a proprio agio nell’infinito campo delle possibilità. Volevo che la loro consapevolezza soggettiva si fondesse con quella oggettiva del campo per periodi prolungati. Dovevano trovare il punto migliore del presente e investire la loro energia in un vuoto (che in verità non è spazio vuoto, bensì è pieno di innumerevoli possibilità), fino a sentirsi a proprio agio nell’ignoto. Solo quando fossero stati veramente presenti in questo luogo potente oltre lo spazio e il tempo – da cui provengono tutte le cose materiali – avrebbero potuto cominciare a creare. È stato allora che hanno iniziato a verificarsi dei veri cambiamenti durante i seminari. UNA BREVE PANORAMICA SULLE SCANSIONI UTILIZZATE Vorrei descriverti brevemente due tipi di scansioni cerebrali cosicché tu possa vedere e comprendere i cambiamenti che tra poco ti mostrerò. Mettiamola nel modo più semplice. Il primo tipo di scansione che abbiamo utilizzato misura i gradi di attività tra le diverse aree cerebrali (vedi la Figura 10.2, che trovi nell’inserto a colori insieme alle altre illustrazioni di questo capitolo). Le scansioni mappano due tipi di attività. La iperattività (o iperregolazione) è raffigurata da linee rosse che connettono diverse aree del cervello. Immagina le linee telefoniche che collegano un posto all’altro per stabilire una comunicazione tra quelle zone. Un’eccessiva quantità di linee rosse che si manifestano contemporaneamente indica che all’interno del cervello è in corso un’attività eccessiva. L’ipoattività (mancanza di regolazione) è raffigurata da linee blu che indicano che tra le diverse aree celebrali la comunicazione è limitata. Lo spessore delle linee rappresenta la deviazione standard, ovvero quanta disregolazione (o regolazione anomala) esiste tra due luoghi collegati dalla linea. Per esempio, le linee rosse sottili indicano che il livello di attività tra quei due luoghi ha una deviazione standard (DS) di 1,96 al di sopra della norma. Le linee blu sottili 276
indicano che il livello di attività tra quei due luoghi ha una deviazione standard di 1,96 al di sotto della norma. La linea di medio spessore indica 2,58 DS al di sopra (rossa) o al di sotto (blu) della norma. E la linea spessa indica 3,09 DS al di sopra (rossa) o al di sotto (blu) della norma. Perciò, quando vedi molte linee rosse in una scansione, significa che nel cervello c’è eccessiva attività. Quando vedi molte linee blu, significa che c’è poca comunicazione tra le diverse aree del cervello e che quindi è ipoattivo. Pensala in questi termini: quanto più spessa è la linea rossa, tanto maggiore è il volume dei dati che il cervello sta elaborando; quanto più spessa è la linea azzurra, tanto minore è il volume dei dati che il cervello sta elaborando. Il secondo tipo di scansione che abbiamo utilizzato deriva dalle analisi QEEG e si chiama calcolo dei punti zeta. Il punto Z è una misura statistica che ci dice non solo se un punteggio è sopra o sotto la media, ma anche quanto è lontano dalla norma il risultato della misurazione. La scala di questo calcolo va da – 3 a + 3 DS. Il blu più scuro indica 3 o più DS sotto la norma, mentre l’azzurro va da 2,5 a 1 sotto la norma. Il verde-azzurro è tra 0 e 1 DS sotto la norma, mentre il verde è la norma assunta come linea di riferimento. Il verde chiaro registra l’area esterna alla norma, ma è considerato da 0 a 1 DS sopra la norma, mentre il giallo e l’arancione chiaro sono tra 1 e 2 DS sopra la norma, l’arancione più scuro è tra 2 e 2,5 DS sopra la norma e infine il rosso è 3 o più DS sopra la norma. (Vedi la Figura 10.3) Il calcolo del punto Z si definisce energia relativa e mostra informazioni sulla quantità di energia nel cervello a diverse frequenze. Siccome il verde, come abbiamo spiegato, indica la norma, più è presente nella scansione, più la persona si conforma a una normale attività delle onde cerebrali. Ogni cerchio colorato (che rappresenta la testa di una persona vista dall’alto) indica l’attività cerebrale a ciascuna frequenza d’onda. Il cerchio nella regione in alto a sinistra mostra le frequenze d’onda più basse (gli stati delta), mentre quelli successivi mostrano frequenze d’onda sempre più alte, muovendosi progressivamente fino agli stati beta (frequenza più alta) nella regione in basso a destra. L’attività in beta si può scomporre in diver277
se gamme di frequenza, come da 12 a 15 Hz, da 15 a 18 Hz, da 18 a 25 Hz e da 25 a 30 Hz. Perciò, la prevalenza relativa dei colori in ogni area mostra cosa sta accadendo in ogni stato d’onda. Per esempio, molto blu in uno stato delta a 1 ciclo al secondo suggerisce che c’è una scarsa attività nel range delle delta; se c’è molto rosso nel lobo frontale in alfa a 14 Hz significa che c’è un’elevata attività alfa in quell’area del cervello. Bisogna anche comprendere che queste misurazioni possono essere interpretate in modo diverso tenendo presente cosa sta facendo il soggetto quando è sottoposto a scansione. Per esempio, se le delta a 1 Hz fossero colorate di blu, vorrebbe dire che l’energia del cervello a quella frequenza è 3 DS sotto la norma. In senso clinico, si potrebbe interpretare come un’ipoattività anomala. Siccome nel caso specifico la scansione è effettuata durante la meditazione, in realtà suggerisce che le delta a 1 Hz hanno aperto la porta a una più forte connessione con la consapevolezza collettiva del campo energetico. In altre parole, quando l’energia della neocorteccia è smorzata, il sistema nervoso autonomo è più facilmente accessibile. Tra un attimo vedrai diversi esempi che ti renderanno tutto più chiaro. Nel frattempo, dai un’altra occhiata alla Figura 10.3. Essa offre un’illustrazione generale dei concetti che ho appena spiegato. COERENZA E INCOERENZA La scansione prima della meditazione rappresenta un cervello in cui c’è molto rumore. Esso sta funzionando a un alto livello di stimolazione (beta ad alta frequenza) ed è molto incoerente. Lo spessore della linea rossa mostra che questo cervello è 3 DS sopra la norma (perché più è spessa la linea rossa, più il cervello è iperattivo e su di giri). Osservando le linee rosse, si nota un eccesso di attività incoerente in tutto il cervello. La linea azzurra nella parte anteriore rappresenta una ipoattività (tra 2 e 3 DS sotto la norma) nei lobi frontali, che risultano chiusi o spenti e perciò non frenano l’iperattività nel resto del cervello. Questo è un cervello con problemi di attenzione; è così carico che non ha un leader che governa quella confusione. È come una TV 278
satellitare con cinquanta canali a volume altissimo, dove i canali cambiano ogni secondo. Tra un processo di pensiero e l’altro accadono molti spostamenti bruschi, perciò il cervello è troppo vigile, stimolato, sovraccarico di lavoro e iperregolato. Questo schema cerebrale è definito incoerente perché le diverse parti del cervello non cooperano tra loro. Invece, non c’è bisogno di aver studiato neuroscienze per notare la differenza tra la seconda scansione dopo la meditazione e la precedente. Qui non mancano quasi del tutto le linee rosse o blu, a dimostrazione che l’attività cerebrale è nella norma, con pochissima iperattività o pochissima ipoattività. La confusione si è placata e il cervello lavora in modo più olistico: è in equilibrio. Possiamo dire che questo schema cerebrale è più coerente. (Il residuo di attività in blu e rosso rappresenta un’attività sensoriale e motoria: probabilmente la persona ha contrazioni molto rapide o sta muovendo velocemente le palpebre come nello stato REM, tipico del sonno leggero.) Questo cambiamento si è verificato in un mio allievo dopo una sola meditazione. Ora analizziamo i casi di altri partecipanti. Per ognuno ti darò qualche notizia sulla situazione precedente, così potrai capire in quale modo d’essere si trovavano prima di iniziare il seminario; poi ti spiegherò cos’hanno mostrato le scansioni e infine ti descriverò il nuovo modo d’essere che ogni allievo ha creato. GUARIRE DAL PARKINSON SENZA UN PLACEBO E SENZA FARMACI Il vecchio io di Michelle. Michelle ha superato i sessant’anni e nel 2011, dopo aver notato un tremore involontario e progressivo al braccio, alla mano e al piede sinistri, le fu diagnosticato il morbo di Parkinson. Il medico curante le disse che forse aveva questa malattia già da dieci o quindici anni e che avrebbe dovuto convivere con i sintomi. Il suo obiettivo era limitarne il peggioramento con l’avanzare dell’età. Cominciò a prendere l’Azilect (rasagilina mesilato), un farmaco che ferma l’assorbimento della dopamina al livello dei siti recettoriali, rallentando la degenerazione del corpo. Questa terapia però non produsse grandi cambiamenti. 279
Michelle divenne mia allieva nel novembre 2012. Il mese di dicembre fu straordinario. La sua meditazione quotidiana le portò un senso di pace e di gioia, e i sintomi si ridussero in misura sostanziale. Michelle era certa che questo processo potesse aiutarla a superare il Parkinson. Continuò a svolgere splendide sessioni di meditazione fino ai primi di febbraio del 2013. Ma alla metà di febbraio sua madre fu ricoverata in terapia intensiva a Sarasota, Florida, così Michelle andò da lei. Il giorno in cui prese l’aereo per tornare in Arizona e frequentare il nostro seminario di febbraio, sua madre fu messa in una casa di riposo. Michelle atterrò a Phoenix solo un’ora e mezza prima di sottoporsi alla scansione cerebrale preliminare. Va da sé che era fisicamente ed emotivamente esausta al momento dell’esame, che infatti rilevò l’altissimo livello di stress che stava sperimentando. Alla fine del seminario, era in un modo d’essere più calmo e positivo, e i sintomi del Parkinson si notavano a stento. Dopo il corso tornò in Florida per stare accanto alla madre. Aveva sempre avuto un rapporto difficile con lei ma, grazie ai progressi ottenuti con il seminario, Michelle si sentiva abbastanza forte da offrirle supporto e amore, e ormai era totalmente libera da tutti i vecchi problemi che potevano aver interferito con l’amore che provava per sua madre. Tuttavia, tra la malattia della madre, che morì poco dopo, e l’ictus di sua sorella in Texas, Michelle fu costretta ad andare avanti e indietro dalla Florida al Texas per gestire le difficoltà familiari. Il suo programma quotidiano ne risentì e a giugno Michelle smise di meditare. La vita era andata in quel modo e lei aveva troppe responsabilità. Smettere di meditare significava smettere di prendere il placebo. Quando notò la ricomparsa dei sintomi, riprese la meditazione e fece notevoli progressi. Le scansioni di Michelle. Michelle abita vicino alla clinica del dottor Fannin in Arizona, perciò riuscimmo a registrare i suoi progressi per più di cinque mesi, facendo una serie di sei scansioni cerebrali periodiche. Vediamo l’evoluzione avvenuta in quel periodo. 280
Osserva l’immagine “prima della meditazione” della Figura 10.5. La scansione effettuata nel febbraio 2013, quando Michelle tornò dalla Florida stressata ed esausta per la malattia della madre, le spesse linee rosse indicano che il suo cervello è 3 DS sopra la norma in tutte le aree. Ci sono segni evidenti di iperattività, iperincoerenza e iperregolazione. In chi soffre di Parkinson è piuttosto comune. La carenza di neurotrasmettitori adeguati (nella fattispecie la dopamina) induce i neuroni ad adottare un sistema di comunicazione frammentario tra le aree cerebrali, e le reti neurali si attivano in modo incontrollato. La conseguenza è una stimolazione neurale di tipo spastico o iperattivo, che influisce sul cervello e sul corpo. Perciò le funzioni motorie involontarie interferiscono con i movimenti normali. Nell’immagine dopo la meditazione, che rappresenta il cervello di Michelle dopo quattro giorni di lavoro per cambiare il suo modo d’essere durante le meditazioni, lo stato è molto vicino alla norma, con pochissima iperattività, iperincoerenza e iperregolazione. Alla fine di quell’evento, non aveva più tremori e spasmi involontari né problemi motori, e la scansione cerebrale conferma questo cambiamento. Nei rilevamenti QEEG (vedi la Figura 10.6A, intitolata “prima della meditazione), si nota che il cervello di Michelle non mostra attività di onde alfa né beta. Il blu prevalente in quest’area indica un’attività cerebrale raffreddata. Nei casi di Parkinson, di solito significa una ridotta attività cognitiva, un apprendimento compromesso e un calo del coinvolgimento. Michelle non riesce a consolidare nuove informazioni. Non è in grado di creare un’immagine interna perché non produce onde alfa. Anche l’attività ridotta delle onde beta mostra che ha difficoltà a mantenere livelli di attenzione consapevole. Tutta l’energia del suo cervello è investita nella gestione di quell’iperincoerenza, perciò è come una lampadina che passa da 50 a 10 watt. Il volume dell’energia è al minimo. Se osservi l’immagine dopo la meditazione, essa mostra un cervello migliorato e riequilibrato. Tutte quelle aree verdi in buona parte delle sezioni indicate dalle frecce rappresentano un’attività cerebrale normale ed equilibrata. Il suo cervello ora può funzionare in alfa 281
e lei può entrare più facilmente nel mondo interiore, affrontare meglio lo stress e accedere al sistema operativo subconscio per influenzare le funzioni autonome. Anche l’attività in beta è rientrata nella norma (in verde), indicando che Michelle è più consapevole, attenta e partecipe. L’attività cerebrale equilibrata ha attenuato in misura sostanziale i problemi motori. Le aree rosse cerchiate in fondo allo stato beta ad alta gamma indicano ansia. È l’atteggiamento con cui Michelle sta lottando e su cui sta lavorando da una prospettiva interna. Tra l’altro, l’ansia è il fattore che ha amplificato i sintomi del Parkinson in passato. Quando si attenua, anche i sintomi del Parkinson diminuiscono. Per lei i tremori ora rappresentano il momento in cui è lontana dal suo equilibrio nella vita. Quando regola i suoi stati interni, produce cambiamenti nella realtà esterna. Tre mesi dopo, Michelle tornò di nuovo a fare la scansione dal dottor Fannin. La scansione del 9 maggio 2013, rappresentata nella Figura 10.6B, mostra ulteriori miglioramenti, che coincidono con quanto riferito da Michelle. Nonostante i vari fattori di stress della sua vita, sta ancora migliorando. Medita ogni giorno (è come se prendesse il suo placebo quotidiano), perciò cambia continuamente il suo corpo e il suo cervello, affinché possano trascendere le condizioni ambientali. Rispetto alla scansione precedente, questa mostra la diminuzione di un’altra deviazione standard nella parte inferiore del grafico. Puoi notare che la sua ansia sta migliorando e di conseguenza anche le sue condizioni di salute. Meno ansia significa meno tremori. Michelle mantiene e memorizza quel modo d’essere per un periodo prolungato, e il suo cervello attesta che sta cambiando. Se osservi la scansione del 3 giugno 2013 nella Figura 10.6C, noti una lieve regressione, anche se Michelle continua a stare meglio rispetto a quando ha cominciato. La scansione mostra cosa è successo quando ha smesso di meditare (quindi ha smesso di prendere il placebo): il suo cervello è regredito leggermente alla condizione nota. Lo onde cerebrali indicate dalla freccia in prossimità dell’area blu dei 13 Hz indicano che Michelle è ipoattiva nell’area sensoriale e motoria e perciò le è più difficile controllare i tremori involontari. 282
In questo schema d’onda, Michelle ha meno energia per controllare il suo corpo. Puoi anche vedere le aree rosse cerchiate nella parte inferiore che tornano allo stato beta ad alta gamma, legato all’ansia. Prima di effettuare la scansione del 27 giugno 2013 rappresentata nella Figura 10.6D, Michelle aveva ripreso a meditare dall’inizio del mese, e infatti è riscontrabile un miglioramento significativo. L’ansia generale è diminuita, come indica il rosso nell’ultima fila al livello dei 17-20 Hz. Ora confronta questa scansione con quella successiva effettuata il 13 luglio 2013 dopo il nostro seminario, osservando la Figura 10.6E. Il rosso è ulteriormente diminuito, e il blu che era apparso nella prima scansione di Febbraio in corrispondenza dello stato alfa (che indicava ipoattività) è completamente sparito. Michelle continua a migliorare e i suoi cambiamenti sono sempre più costanti. Il nuovo io di Michelle. Oggi Michelle non ha quasi nessun movimento involontario associato al Parkinson. Solo a volte, quando è stressata o molto stanca, si ripresentano piccoli spasmi, ma per la maggior parte del tempo la sua funzionalità è normale. Quando è equilibrata e gioiosa, grazie alle meditazioni che svolge ogni giorno, il suo cervello funziona al meglio, e lei fa altrettanto. Dalle nostre scansioni e da quanto riferisce, si evince che non si è semplicemente stabilizzata: continua a migliorare. Continua a meditare perché capisce che deve prendere il placebo ogni giorno. MODIFICARE UNA LESIONE TRAUMATICA AL CERVELLO E AL MIDOLLO SPINALE SOLO CON IL PENSIERO Il vecchio io di John. Nel novembre 2006, John si ruppe il collo, riportando fratture alla settima vertebra cervicale e alla prima vertebra toracica: era a bordo di un’auto che sfuggì al controllo del guidatore e iniziò a rotolare ad alta velocità. L’impatto gli causò anche un grave trauma cerebrale. I medici erano certi della prognosi. Sarebbe rimasto tetraplegico per il resto della sua vita. Non avrebbe più camminato e avrebbe avuto una funzionalità estremamente ridotta delle braccia e delle mani. Le vertebre erano dislocate al cento per cento, causando una lesione al midollo spinale. Due giorni dopo l’intervento chirurgico, il neurologo disse alla moglie 283
di John che in qualche modo il midollo spinale era “intatto”, ma quel tipo di infortunio poteva avere le stesse conseguenze di una lesione trasversale completa. Come avviene in tutti i casi del genere, bisognava solo attendere il decorso. Quando sei intrappolato in una realtà che ti costringe a vivere giorno per giorno in un reparto di terapia intensiva, e poi in un centro di riabilitazione, è molto difficile non lasciarsi prendere dal pensiero convenzionale. Quando John e i suoi familiari chiesero notizie sulle probabilità di guarigione, i medici dissero che, considerando la lesione e la mancanza di segnali che indicassero un ritorno alla normale funzionalità, a quel punto bisognava accettare l’inevitabile. John sarebbe rimasto disabile per tutta la vita. I suoi medici continuarono a battere il chiodo su questo messaggio, ritenuto necessario perché il paziente potesse “andare avanti”. Ma John e sua moglie non vollero accettarlo. Incontrai John nel 2009, quando era sulla sedia a rotelle, e conobbi anche sua moglie, la sua famiglia e una straordinaria fisioterapista che capiva i processi della neuroplasticità. Erano e sono tuttora alcune delle persone più energiche e ottimiste che abbia mai conosciuto, e tutti insieme abbiamo cominciato il nostro viaggio. Le scansioni di John. Osserva la scansione di John “prima della meditazione” nella Figura 10.7. La prima immagine mostra una vistosa ipoattività. È più di 3 DS sotto la norma. La misurazione della coerenza, con quelle linee blu così spesse, è all’opposto di quella effettuata su Michelle e sui sintomi legati al Parkinson, che mostrava linee spesse di colore rosso. Questa scansione rivela una ridotta capacità di funzionamento sinergico tra le diverse aree cerebrali. Il cervello qui è inattivo e non ha energia, quindi John ha una scarsa capacità di risposta prolungata a qualunque stimolo. Non può mantenere l’attenzione e la sua consapevolezza è limitata. A causa del grave trauma, il cervello è in uno stato di reattività estremamente limitata e mostra un alto grado di incoerenza. Ora osserva la scansione cerebrale effettuata dopo quattro giorni di meditazione. Nella prima immagine in alto a sinistra, in onde delta 1 Hz, John ha altre attività indicate in rosso. In questo caso è un 284
buon segno, perché in delta si riscontra più coerenza in entrambi gli emisferi. John comincia a mostrare un’elaborazione duale più equilibrata. Il trauma cerebrale di solito è più visibile in delta e in theta, pertanto l’iperattività in delta suggerisce che il suo cervello si sta risvegliando. Le altre zone cerebrali in alfa e beta mostrano un’attività più equilibrata e una migliore funzionalità cognitiva. Ciò dimostra che John ha ottenuto un maggior controllo sul corpo e sulla mente. Ora osserva la Figura 10.8. Il colore blu presente dalla metà della seconda fila a sinistra e che prosegue fino all’ultima fila mostra che John non segnala ancora onde alfa o beta. Questo colore blu distribuito in tutte le sezioni delle onde alfa e beta in entrambi gli emisferi suggerisce che è in stato vegetativo e opera con risorse limitate. Il blu indica una capacità cognitiva ridotta e una limitata capacità di controllare il corpo. La sua mente è assente. Dopo quattro giorni di meditazione, il 90 per cento del suo cervello è tornato alla normalità, come mostra il colore verde nella scansione di destra. Ha ancora un residuo di ipoattività nell’emisfero sinistro, come indicano le frecce, il che rivela qualche problema con le capacità verbali ed espressive, ma è comunque migliorato rispetto alla prima scansione. John continua a meditare e il suo cervello mostra più energia, più equilibrio e più coerenza. Ha recuperato la capacità di accedere alle vie neurali che prima erano latenti. Il suo cervello si è svegliato, si è ricordato il modo di funzionare e ora ha l’energia per lavorare meglio. Il nuovo io di John. Alla fine del seminario tenuto nel febbraio del 2013, John si è alzato in piedi. Ha riconquistato il controllo dell’intestino e della vescica. Oggi riesce a stare in piedi con una postura più normale e sostenuta. I movimenti sono più coordinati. La frequenza, l’intensità e la durata dei tremori spastici sono diminuite in misura considerevole. Si sottopone regolarmente a sedute di fisioterapia con la sua terapista, B. Jill Runnion, (direttrice del Synapse– Center for Neuro Re-Activation di Driggs, in Idaho), che studia il mio lavoro e ha le capacità e l’apertura mentale per incoraggiare John affinché impostare le giuste condizioni. I progressi sono tali 285
che nei piegamenti verticali John è passato da un angolo di dieci gradi a uno di quarantacinque. Ora riesce a sedersi e ad alzarsi in completa autonomia. Riesce anche a svolgere un particolare esercizio che implica di far leva sulle gambe e sui muscoli del busto per allontanare dal corpo la slitta da allenamento (usata per la riabilitazione), opponendo resistenza. John è passato dalla paralisi alla capacità di reggersi sulle sue gambe, ora è pienamente padrone di sé e comincia a muovere i primi passi. Pochi mesi dopo il seminario, lasciò a bocca aperta i medici grazie ai miglioramenti delle sue funzioni cognitive. I dottori non avevano mai riscontrato simili progressi in un paziente con lesioni al midollo spinale. È come se John si fosse svegliato, e le sue scansioni mostrano che ora riesce ad accedere più facilmente al cervello e al corpo. Tuttora presenta un maggiore controllo sulle aree dormienti del cervello e del corpo. La sua capacità di integrare e coordinare i movimenti è notevolmente migliorata, tanto che ora riesce a sedersi a tavola senza assistenza e a tenere i piedi ben piantati a terra. Anche le sue capacità manuali sono migliorate: riesce a tenere una penna in mano e a scrivere il suo nome, a usare uno smartphone per inviare messaggi di testo, ad afferrare il volante per guidare e a lavarsi i denti con un normale spazzolino. I progressi cognitivi dimostrano una maggiore fiducia in se stesso e una grande gioia interiore. Ha un grande senso dell’umorismo ed è più lucido che mai. Nell’estate del 2013, partecipò a un’escursione sul fiume restando eretto sul gommone senza assistenza per sei ore, e poi andò in campeggio dormendo in tenda. È riuscito a vivere nella natura selvaggia dell’Idaho per sei giorni e sei notti, lontano dal mondo esterno. Un anno prima non ce l’avrebbe fatta. Ogni volta che parlo con lui, mi dice sempre la stessa cosa: “Dottor Joe, non ho idea di cosa stia succedendo.” Io gli do sempre la stessa risposta: “Nel momento in cui sai cosa sta succedendo, tutto finisce. L’ignoto va oltre la nostra comprensione. Accettalo.” 286
Vorrei fare un’ultima osservazione sul caso di John. Tutti sanno che una lesione al midollo non guarisce con un tipico approccio convenzionale. Sono sicuro che nel suo caso non è la materia a cambiare la materia. Non sono le sostanze chimiche o le molecole a modificare il suo midollo lesionato. Da una prospettiva quantistica, per alterare le particelle della materia bisogna essere in una frequenza coerente di energia elevata, che trascini la materia verso una mente nuova. Bisogna mostrare un’energia elevata o uno stato d’onda che vibri a una frequenza più veloce di quella della materia, associandovi un’intenzione chiara. Perciò è l’energia, l’epifenomeno della materia, che sta riscrivendo il programma genetico e la guarigione del suo midollo spinale. SUPERARE LA MENTE ANALITICA E TROVARE LA GIOIA Il vecchio io di Kathy. Kathy è amministratrice delegata di una grande azienda, è giurista, moglie e madre devota. È stata educata a essere molto analitica e razionale. Usa il cervello ogni giorno per prevedere esiti e prepararsi a ogni possibile scenario in base alla sua esperienza. Prima di conoscere il mio lavoro, non aveva mai meditato. Ha acquisito subito consapevolezza di quanto fosse eccessiva la sua tendenza ad analizzare tutto nella vita. Aveva sempre in testa una lunga lista di cose da fare tutti i giorni e il suo cervello, per usare le sue stesse parole, non si spegneva mai. Con il senno di poi, ora confessa che non era mai nel momento presente. Le scansioni di Kathy: Osserva la scansione di Kathy “prima della meditazione” nella Figura 10.9. Le misurazioni dei rapporti delta/ beta rappresentano la sua capacità di mantenere la lucidità e la concentrazione per elaborare e gestire pensieri estranei e intrusivi. La prima freccia nella parte posteriore del cervello a destra, dove si trova l’area rossa più grande, mostra che Kathy continua a visualizzare immagini mentali. La seconda freccia, vicino all’area più piccola a sinistra, indica che dentro di sé Kathy “parla” di quelle immagini. Le visioni e il rumore costante del brusio mentale fanno andare il suo cervello in cortocircuito. Nella scansione effettuata “dopo la meditazione” al termine del seminario, si vede chiaramente che il cervello di Kathy è più bilan287
ciato, più integro, più normale. Il brusio mentale è sparito perché ora il cervello integra ed elabora le informazioni in modo più efficiente. È in uno stato di coerenza. Il cambiamento del suo stato cerebrale è accompagnato da un incremento di gioia, chiarezza e amore. Ora guardiamo le misurazioni della sua coerenza nella Figura 10.10. All’inizio del seminario, il cervello di Kathy era in beta ad alta frequenza, uno stato caratterizzato da eccessiva stimolazione e analisi, come se fosse in modalità di emergenza. Le spesse linee rosse in alfa e beta mostrano che è 3 DS sopra la norma. Il suo cervello è iperattivo, squilibrato e altamente incoerente, e lei fatica a controllare l’ansia. Ora osserva la scansione effettuata “dopo la meditazione” al termine dell’evento di febbraio. Ormai dovresti riconoscere un cervello più normale ed equilibrato, con meno onde beta ad alta frequenza e minore incoerenza. Kathy aveva ancora un po’ di lavoro da fare, così abbiamo avviato un esperimento dopo il seminario. Visto che vive vicino a Phoenix, si è recata presso la clinica del dottor Fannin, che le ha mostrato un cervello sano, equilibrato e normale in una scansione QEEG (in verde) e le ha indicato di focalizzare la sua attenzione su quell’immagine. Le ha suggerito di scegliere quell’esito potenziale per il futuro immediato, quando entrava in un diverso modo d’essere durante la meditazione quotidiana. Assegnando un significato maggiore al placebo, Kathy ha mantenuto un’intenzione più forte sui benefici dell’esito. L’esperimento ha funzionato. Se osservi la Figura 10.11, che mostra la scansione dell’8 aprile 2013 – circa sei settimane dopo – vedi un cervello normalizzato, senza traccia di ansia (in rosso). Guarda poi la Figura 10.12. Ti sei accorto dei progressi intercorsi tra le due scansioni? Le aree rosse rappresentano livelli d’ansia molto alti (beta ad alta frequenza) e un’eccessiva tendenza ad analizzare tutto. Le onde nelle frequenze più elevate (da 21 a 30 Hz) indicano iperattività: il suo cervello è affaticato. All’inizio di aprile, la scansione (rappresentata nella Figura 10.13) mostra un’attività cerebrale 288
equilibrata, coerente e molto più sincronizzata. Ora Kathy riferisce di sentirsi una persona diversa. Il nuovo io di Kathy. Kathy racconta di aver avuto numerosi cambiamenti positivi nella carriera, nella vita quotidiana e nelle relazioni. Medita ogni giorno e, quando pensa di non avere tempo, fa in modo di trovarlo. Capisce che l’atteggiamento che ha creato lo squilibrio mentale e cerebrale è legato al tempo e alle condizioni del suo ambiente esterno. Dice che le risposte alle sue domande arrivano più facilmente e con meno fatica. Ascolta più spesso il suo cuore e quando sta per entrare in stato di allerta, se ne accorge. Raramente resta intrappolata in quei cortocircuiti e nota che si sta comportando in modo più gentile e paziente. È più felice adesso e la sua felicità arriva da dentro. GUARIRE I FIBROMI CAMBIANDO L’ENERGIA Il vecchio io di Bonnie. Nel 2010, Bonnie cominciò ad avere forti dolori e perdite mestruali molto abbondanti durante il ciclo. Le diagnosticarono un’eccessiva produzione di estrogeni e le consigliarono di assumere ormoni bioidentici. A quarant’anni appena, le sembrava che per il suo disturbo quella soluzione fosse eccessiva. Si ricordò che sua madre le aveva detto di aver avuto gli stessi sintomi alla sua età. Aveva preso gli ormoni, dopodiché si era ammalata di cancro alla vescica ed era morta. Forse non c’era una connessione specifica tra la terapia ormonale e il tumore, ma ciò che aveva catturato l’attenzione di Bonnie era il fatto di aver sviluppato gli stessi sintomi di sua madre. Non voleva che l’esito fosse lo stesso. Il flusso mestruale cominciò a durare ancora più a lungo (a volte anche due settimane) e Bonnie diventò anemica e letargica; inoltre ingrassò di circa dieci chili. Durante il ciclo perdeva in media due litri di sangue al mese. Un’ecografia pelvica rivelò la presenza di fibromi. Fece numerose analisi del sangue e scoprì di essere in perimenopausa e di avere molto probabilmente una cisti ovarica. Lo specialista che le consigliò la terapia le disse che i fibromi non sarebbero guariti e che l’emorragia vaginale sarebbe continuata per il resto della vita. 289
Durante il seminario di luglio del 2013 a Englewood, in Colorado, scelsi a caso Bonnie per la mappatura cerebrale aggiuntiva. Era in forte imbarazzo. Era al secondo giorno del ciclo e come al solito doveva indossare un grosso assorbente per contenere la quantità di sangue che perdeva in quel periodo. Dopo diverse meditazioni, quando chiesi agli studenti di sdraiarsi, Bonnie temeva che il sangue colasse sul pavimento. Per i forti dolori che accompagnavano il ciclo, faticava persino a stare seduta. Ma era determinata a svolgere la pratica della meditazione ogni giorno per avere pace mentale. Durante la mappatura della prima meditazione, Bonnie ebbe un’esperienza che non esito a definire mistica. Sentì il suo cuore aprirsi ed espandersi. La testa si piegò all’indietro e il suo respiro cambiò. Visualizzò un flusso luminoso all’interno del suo corpo e sperimentò uno straordinario senso di pace. Sentì queste parole: “Sono amata, benedetta e non dimenticata”. Bonnie scoppiò in lacrime e la scansione mostrò che era in uno stato di beatitudine. Le scansioni di Bonnie. Osserva l’EEG di Bonnie nella Figura 10.14. Abbiamo avuto la fortuna di registrare tutta l’esperienza in tempo reale. Il primo grafico mostra una normale attività cerebrale. Tutto è equilibrato e quieto. Se guardi le tre scansioni della Figura 10.15, che registrano cosa è accaduto nelle diverse fasi della meditazione, puoi vedere un’ampiezza e un’elevazione di energia nei lobi frontali, a indicare che Bonnie sta elaborando molte informazioni ed emozioni. È in uno stato di coscienza espanso e sperimenta dei picchi a intervalli diversi. Gran parte della sua attività è in beta e ciò significa che è entrata nel suo subconscio. L’esperienza interiore è molto reale in quel momento. Bonnie è completamente focalizzata sul pensiero che diventa l’esperienza. Il quoziente emotivo è rappresentato dalla quantità di energia (ampiezza) che il suo cervello sta elaborando. Osserva la lunghezza verticale delle linee indicate dalle frecce. Quell’energia è molto coerente. Bonnie è in un elevato stato di consapevolezza. Ora osserva la Figura 10.16. La scansione QEEG effettuata in tempo reale ha una freccia che indica onde delta a 1 Hz ed evidenzia la connessione con il campo quantico (in blu). Bonnie ha anche 290
un’elevata energia in theta nel lobo frontale (in rosso) che combacia perfettamente con l’attività riscontrata con l’EEG. Osserva il cerchio rosso che mette in risalto i lobi frontali e la freccia che indica una veduta dall’alto subito sotto. L’immagine che vedi è un fotogramma del film che riprende l’attività cerebrale di Bonnie durante tutta la meditazione. Siccome una delle funzioni del lobo frontale è di rendere reali i pensieri, l’esperienza che sta vivendo in theta con gli occhi chiusi è molto concreta per lei. Potremmo dire che quell’esperienza interiore è come un sogno molto vivido e realistico. La freccia rossa in alfa a 12 Hz, che isola l’area rossa al centro del cervello, mostra il tentativo di Bonnie di dare senso all’esperienza interiore e di elaborare ciò che sta vedendo con l’occhio della mente. Il resto del suo cervello è sano e bilanciato (in verde). Il nuovo io di Bonnie. L’esperienza che ha vissuto quel giorno l’ha cambiata davvero. L’ampiezza di energia collegata all’esperienza interiore era maggiore di quella offerta da una qualunque situazione derivante dall’ambiente esterno, perciò ha potuto rimuovere biologicamente il passato. L’energia dei picchi sperimentati durante la meditazione ha sovrascritto i programmi installati nel cervello e il condizionamento emotivo del corpo; il suo corpo ha risposto all’istante a una mente nuova, a una nuova consapevolezza. Bonnie ha cambiato il proprio modo d’essere. In meno di ventiquattr’ore, l’emorragia vaginale è cessata. Non aveva più dolore e sapeva di essere guarita. Da allora, tutti i mesi ha un normale ciclo mestruale. Dopo il seminario non ha più avuto flussi sovrabbondanti e dolorosi. RAGGIUNGERE L’ESTASI Il vecchio io di Genevieve. Genevieve, artista e musicista, ha quarantacinque anni, vive a Holland e viaggia molto per lavoro. Nell’evento di febbraio, osservò la scansione in tempo reale che il dottor Fannin le aveva fatto durante la sua meditazione. Entrambi cominciammo a notare vistosi cambiamenti di energia nel corso del suo viaggio interiore. Sapevamo che stava per accadere qualcosa. Dopo pochi istanti, quando ci voltammo a guardare Genevieve, la vedemmo piangere di gioia. Era in estasi. Si trovava in uno stato 291
di totale beatitudine e il suo corpo rispondeva con prontezza. Non avevamo mai visto nulla del genere. Le scansioni di Genevieve. Se osservi la Figura 10.17 noti una scansione relativamente normale, effettuata prima della meditazione. Le aree verdi indicano una donna sana e appagata con un cervello equilibrato. Le aree blu indicano un’attività sensoriale e motoria attenuata in alfa a 13-14 Hz, probabilmente dovuta al jet-lag, perché quel giorno Genevieve era appena arrivata dall’Europa. Se osservi il suo cervello durante la meditazione, noti un miglioramento generale dell’equilibrio. Quel che accade dopo è a dir poco straordinario. Quando l’abbiamo vista raggiungere questo picco alla fine della meditazione, ci siamo resi conto, osservando la scansione, quanta energia era presente nel suo cervello. Ora osserva la Figura 10.18. L’attività segnata in rosso, che mostra grandi quantità di energia in tutte le frequenze delle onde cerebrali, indica che Genevieve è in uno stato profondamente modificato. Chi guardasse la scansione senza sapere che stava meditando potrebbe scorgervi livelli estremi di ansia o psicosi. Ma la diretta interessata riferì di aver sperimentato uno stato di pura estasi, perciò sappiamo che tutto quel rosso rappresenta la grande quantità di energia presente nel suo cervello. L’attività è 3 DS sopra la norma. È l’energia, in forma di emozione immagazzinata nel corpo che agisce da mente, che viene rilasciata e ritorna al cervello. La Figura 10.19 mostra la scansione EEG e convalida questa interpretazione. Le linee viola in prossimità della freccia denotano che questa parte del cervello sta elaborando una quantità di energia dieci volte superiore alla norma. L’area cerchiata in rosso ci dice che l’esperienza è così emotivamente profonda che si sta immagazzinando nella memoria a lungo termine. Allo stesso tempo, Genevieve sta tentando di comprendere verbalmente e dare senso a ciò che le sta accadendo in quel momento. Magari sta dicendo tra sé e sé: “Oh mio Dio! È straordinario! Mi sento così bene! Cos’è questa sensazione?”. La sua esperienza interiore è reale quanto qualunque evento esterno, e lei non si sta sforzando di farla accadere: le è semplicemente arrivata. Non sta visualizzando: sta sperimentando un momento di profondità. 292
È interessante sottolineare che quando facemmo una nuova scansione, a luglio in Colorado, Genevieve mostrava ancora gli stessi cambiamenti energetici. In entrambi gli eventi, quando le passammo il microfono, tutto ciò che riuscì a dire fu che era innamorata della vita a tal punto che il suo cuore era completamente aperto e lei si sentiva connessa con qualcosa di più grande. Si trovava in uno stato di grazia e stava talmente bene da voler restare nel momento presente. Se osservi la Figura 10.20, scoprirai che a luglio il suo cervello mostrava ancora gli stessi schemi ed effetti di febbraio. L’esperienza perdurava a distanza di mesi. La trasformazione personale l’aveva profondamente cambiata. Il nuovo io di Genevieve. Parlai con lei qualche mese dopo l’evento di luglio. Mi disse che non era più la stessa persona dell’inizio dell’anno. Ora la sua mente è più profonda e lei è più presente e creativa. Sente un amore sincero per tutte le cose e, soprattutto, prova un tale appagamento da avere l’impressione di non aver bisogno di nulla. Si sente completa e integra. LA BEATITUDINE: PORTARE LA MENTE FUORI DAL CORPO Il vecchio io di Maria. Maria è una persona molto efficiente, con una normale attività cerebrale. Nella prima meditazione della giornata, una sessione di quarantacinque minuti, sperimentò in pochi istanti un cambiamento significativo delle sue frequenze d’onda. Le scansioni di Maria. Osserva la figura 10.21 e nota la differenza tra le normali onde cerebrali di Maria e il suo stato di estasi. La osservai mentre entrava in uno stato acuto di elevata energia, e sembrava che stesse avendo un orgasmo cerebrale. La scansione mostra un cervello pienamente attivo che vive un’esperienza in cui la kundalini è interamente risvegliata (la kundalini è energia latente immagazzinata nel corpo che, quando viene sollecitata, porta a elevati stati di coscienza e di energia nel cervello). Se osservi la scansione, puoi vedere che tutte le aree cerebrali sperimentavano un fortissimo incremento di energia. Quando la kundalini si risveglia, può elevarsi dalla base della colonna vertebrale e raggiungere la sommità del cervello, dove produce una profonda esperienza mistica. Molti studenti dei mie seminari hanno questi orgasmi cerebrali. Nella scan293
sione di Maria, tutte le aree sono invase da questa energia e le onde mostrano un’ampiezza di tre/quattro volte superiore alla norma. Il suo cervello è coerente e sincronizzato. Se osservi le scansioni, vedi l’estasi che arriva a ondate, proprio come un orgasmo. Lei non fece nessuno sforzo per raggiungerlo. Semplicemente le arrivò. Tutto il suo cervello era coinvolto nell’evento interiore e, di conseguenza, Maria fu pervasa da un’energia profonda. Il nuovo io di Maria. Oggi Maria continua ad avere esperienze mistiche come questa. Ogni volta riferisce di sentirsi più rilassata, lucida, consapevole e appagata. Accoglie con gioia ogni momento ignoto. ADESSO TOCCA A TE Questi pochi esempi (tra i molti che abbiamo documentato) provano che è possibile insegnare l’effetto placebo. Ora che hai ricevuto tutte queste informazioni, hai letto queste storie e hai avuto la prova che ciò è possibile, tocca a te imparare il “metodo” per mettere in atto la tua trasformazione personale. I due capitoli seguenti delineano i passi che puoi compiere per cominciare il tuo processo di meditazione. Vorrei che applicassi tutto il sapere che hai appreso per raccogliere i frutti del tuo lavoro. Una volta che possiedi gli strumenti necessari, sei pronto per attraversare il fiume del cambiamento. Spero di vederti sulla riva opposta.
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Seconda Parte TRASFORMAZIONE
CAPITOLO 11 P R E PA R A T I A L L A M E D I T A Z I O N E Adesso che hai letto e assimilato tutte le informazioni della Parte I, sei pronto per la trasformazione. In questo capitolo ti offrirò gli strumenti necessari per prepararti a meditare così, quando passerai al capitolo seguente, potrò accompagnarti nella sessione vera e propria. Tutti gli allievi di cui ho parlato in questo libro hanno modificato qualcosa di sé dopo aver fatto questo viaggio interiore e aver cambiato il loro modo d’essere. Quindi considera la pratica quotidiana della meditazione come un placebo da prendere tutti i giorni. Ma invece di mandar giù una pillola, entrerai dentro di te. Con l’andare del tempo, la meditazione ti farà lo stesso effetto della fiducia che riponi in un farmaco. SCEGLI UN MOMENTO Sono due i momenti della giornata più proficui per la meditazione: subito prima di andare a letto la sera e subito dopo il risveglio al mattino. Sono i più proficui perché, quando ti addormenti, attraversi naturalmente l’intero spettro delle frequenze d’onda, passando dallo stato beta quando sei vigile alle frequenze più lente dello stato alfa quando chiudi gli occhi, poi alle frequenze ancor più lente dello stato theta quando sei in dormiveglia fino allo stato delta quando entri in un sonno profondo. Quando ti svegli al mattino, ripercorri lo spettro in senso inverso, salendo dal delta al theta, poi all’alfa e infine al beta, quando sei pienamente vigile e cosciente. Così, se mediti mentre stai per addormentarti o appena sveglio, ti è più facile scivolare nelle onde alfa o theta; sei già pronto a entrare in uno stato modificato di coscienza, perché è la direzione verso la quale stai andando o da cui provieni. Possiamo dire che in questi due momenti la porta del tuo subconscio è già aperta. Personalmente preferisco meditare al mattino, ma entrambi i momenti sono validi. Scegli quello che funziona meglio per te e procedi con 296
costanza. Se riesci a farlo ogni giorno, la pratica diventerà una piacevole consuetudine a cui non vedrai l’ora di dedicarti. SCEGLI UN LUOGO La considerazione più importante, quando scegli il luogo in cui meditare, è ridurre al minimo le distrazioni. Siccome dovrai staccare la spina dal mondo fisico esterno, scegli un posto tranquillo in cui puoi stare da solo senza essere interrotto (da altre persone o da animali domestici), un luogo in cui tornare ogni giorno e da usare regolarmente come zona consacrata alla meditazione. Non ti consiglio di meditare a letto perché è un luogo che associ al sonno. (Per lo stesso motivo, ti consiglio di non sdraiarti e di non usare una poltrona reclinabile.) Scegli una sedia, una poltrona o un punto in cui sederti a terra in cui stare comodo per circa un’ora, che sia lontano da correnti d’aria e in cui la temperatura sia confortevole. Se preferisci meditare con la musica, scegline una dolce, rilassante, che faciliti la trance, che sia solo strumentale o salmodiata, senza testo. (Una musica di sottofondo aiuta a coprire i rumori quando l’ambiente non è completamente silenzioso.) Non mettere musica che evoca ricordi associati a eventi passati o che possa in qualche modo distrarti. Assicurati di aver spento il computer e il cellulare se sono nella stessa stanza. E cerca di evitare l’aroma del caffè o gli odori della cucina. Potresti anche usare una benda per gli occhi o dei tappi per le orecchie per favorire la privazione sensoriale: il tuo obiettivo nella preparazione è di eliminare il più possibile gli stimoli esterni. METTI IL CORPO A SUO AGIO Indossa abiti comodi e morbidi, togli l’orologio e ogni gioiello che possa distrarti. Togli anche gli occhiali, se li porti. Bevi un po’ d’acqua prima di sederti e tieni un bicchiere a portata di mano in caso di necessità. Vai in bagno prima di cominciare e risolvi tutti i bisogni del corpo in modo che non ti distraggano durante la meditazione. 297
Una volta seduto, in poltrona o a terra con le gambe incrociate, tieni la schiena in una postura eretta. Il corpo deve essere rilassato, ma è bene che la mente resti focalizzata, quindi non dovrai assopirti come se scivolassi nel sonno. Se la testa inizia a cascare durante la meditazione, è segno che stai entrando in uno stato d’onda più lento, dunque non preoccupartene troppo. Con la pratica, il tuo corpo si condizionerà e non si addormenterà. Quando cominci a meditare, chiudi gli occhi e fai qualche respiro profondo. In breve tempo dovresti passare da uno stato beta a uno alfa. Questo stato più riposante ma ancora lucido attiva il lobo frontale che, come sai, abbassa il volume nei circuiti cerebrali preposti all’elaborazione di tempo e spazio. Se le prime volte non ti è facile scivolare nello stato successivo, il theta, con la pratica riuscirai a rallentare le frequenze ancora di più. Il theta è lo stato d’onda in cui il corpo dorme ma la mente è vigile, ed è lo stato cerebrale in cui puoi cambiare più rapidamente i programmi automatici del corpo. LA DURATA DELLA MEDITAZIONE Di solito la sessione dura per un tempo che va da quarantacinque minuti a un’ora, ma prenditi tutto il tempo possibile per predisporre la mente prima di cominciare. Se devi terminare entro un’ora precisa, punta una sveglia dieci minuti prima del termine previsto, per avere l’opportunità di finire il processo senza interromperlo bruscamente. Non lasciare che l’orario ti distragga. Ricordati che allontanarsi da ogni stimolo sensoriale comprende anche la percezione del tempo; quindi se te ne preoccupi continuamente vieni meno allo scopo. Per ritagliarti qualche minuto in più per la meditazione, puoi svegliarti un po’ prima al mattino o andare a letto un po’ prima la sera. DOMINA LA TUA VOLONTÀ Voglio avvisarti di un ostacolo insidioso in cui inciampano molte persone che si avviano alla pratica della meditazione. Ogni volta che inizi a cambiare qualcosa nella tua vita, il corpo, agendo da 298
mente, segnala al cervello di riassumere il controllo. Subito dopo, può capitarti di sentire delle voci negative nella tua testa: Perché non cominci domani? Sei troppo uguale a tua madre! Qual è il tuo problema? Non cambierai mai. Questa cosa non sembra giusta. È il corpo che cerca di delegittimarti per riprendere ad agire da mente. È probabile che tu l’abbia condizionato a essere impaziente, frustrato, infelice, vittimista o pessimista, per fare solo qualche esempio. Quindi è così che vuole comportarsi a livello subconscio. Nel momento in cui reagisci a quella voce come se dicesse la verità, la tua coscienza si immerge di nuovo nel programma automatico, perciò ritorni a formulare gli stessi pensieri, a svolgere le medesime azioni e a lasciarti guidare dalle solite emozioni pur continuando ad aspettarti un cambiamento. Se usi le sensazioni e le emozioni come barometro della trasformazione, ti autoprecludi la possibilità che essa avvenga. Quando invece liberi il corpo dalle catene di queste emozioni, riesci a rilassarti nel presente (lo vedremo meglio in questo capitolo) e a liberare l’energia dal corpo, trasformandoti da particella in onda. Perciò l’energia diventerà disponibile per creare il tuo nuovo destino. Per arrivarci e insegnare al tuo corpo un nuovo modo d’essere, devi domarlo e fargli capire chi è che comanda. Nel mio ranch ho diciotto cavalli, e domare la volontà per restare focalizzato nella meditazione mi fa pensare a come mi sento quando ricomincio a cavalcare il mio stallone preferito dopo che non lo faccio da un po’ di tempo. Appena monto in sella, il cavallo non si cura affatto di me. Fiuta le giumente che stanno dall’altro lato della proprietà e volge lì tutta la sua attenzione. È come se mi dicesse: “Dove sei stato negli ultimi otto mesi? Io ho preso cattive abitudini quando eri via; le ragazze sono lì e a me non interessa quello che vuoi fare tu, perciò ti disarciono. Sono io il capo.” Diventa bizzoso, umorale, smanioso di controllo e cerca di mettermi al tappeto. Ma io sto bene attento e, quando la sua testa si volta verso le giumente, assumo io il comando. Così, nel momento in cui lo vedo sfuggire al mio controllo, afferro le redini e le tiro, poi resto in attesa. Poco dopo si ferma, lascia andare un forte sbuffo e, quando il potere è nelle mie mani, rico299
minciamo ad andare avanti. Seguo questa procedura finché non si arrende al mio comando. Questo tipo di conversione delicata ma decisa è esattamente l’approccio che devi usare con il tuo corpo quando ti siedi per meditare. Pensa a lui come all’animale che tu, mente consapevole, stai addestrando. Ogni volta che ti accorgi che la tua attenzione sta divagando, ma riesci a riportarla dove vuoi tu, condizioni il tuo corpo a una mente nuova. Hai il pieno dominio di te stesso e del tuo passato. Poniamo che ti svegli al mattino e hai una lista di persone da chiamare, di incombenze da smaltire, trentacinque messaggi e tre email a cui rispondere. Se la prima cosa che fai è pensare a tutte le cose che hai da fare, il tuo corpo è già nel futuro programmato. Quando ti siedi per meditare, la mente vorrà andare in quella direzione. E se tu glielo permetti, il cervello e il corpo saranno in quel futuro prevedibile perché anticipi l’esito in base alla stessa esperienza di ieri. Perciò, quando inizi a notare che la mente vuole andare in quella direzione, afferra le redini, doma il tuo corpo e riportalo al momento presente, proprio come faccio io quando cavalco il mio stallone. E nel momento successivo, se cominci a pensare che hai altro da fare, che devi lasciar perdere e riprendere le faccende che hai lasciato in sospeso ieri, riporta ancora la tua mente al momento presente. Se poi continua a divagare e la cosa ti provoca frustrazione, impazienza o preoccupazione, ricorda che qualunque emozione affiori fa solo parte del passato. Quando lo noti, ne sei consapevole: “Ah, il mio corpo vuole tornare nel passato. Bene. Rilassiamoci e torniamo nel presente.” Così come la tua mente vuole distrarti, può darsi che anche il tuo corpo voglia farlo. Può creare un senso di nausea, un dolore improvviso, un prurito in un punto della schiena, ma se accade ricorda che il corpo sta solo tentando di essere la mente. Se lo domini, riesci a trascenderlo. E se riesci a controllarlo con costanza durante la meditazione, quanto torni alla tua vita sei più presente, più consapevole: sei più cosciente e meno incosciente. 300
Prima o poi, come il mio stallone si arrende ed esegue i miei comandi senza lasciarsi distrarre dalle giumente o da qualsiasi altra cosa, anche il tuo corpo obbedirà alla tua mente durante ogni meditazione senza farsi dirottare da pensieri fuorvianti. E quando il cavallo e il cavaliere sono una cosa sola, quando la mente e il corpo operano in sinergia, la sensazione è impareggiabile: sei in un nuovo modo d’essere. Quest’esperienza ti dà un potere incredibile. ENTRA IN UNO STATO MODIFICATO DI COSCIENZA La meditazione in cui ti accompagnerò nel prossimo capitolo comincia con una tecnica che i buddisti chiamano messa a fuoco aperta. È molto utile per entrare nello stato modificato di coscienza che cerchi di raggiungere, perché nella nostra esistenza quotidiana, quando viviamo in modalità di sopravvivenza e siamo sommersi dagli ormoni dello stress, di norma la nostra messa a fuoco è molto ristretta. Poniamo tutta la nostra attenzione su cose, persone e problemi (focalizzandoci sulla particella o materia, non sull’onda o energia), e definiamo la realtà con i sensi. Possiamo definire questo tipo di attenzione messa a fuoco sull’oggetto.118 Rivolgendo tutta l’attenzione al mondo esterno, che in questo stato ci sembra più reale di quello interiore, il nostro cervello resta per lo più in uno stato beta ad alta frequenza, il più reattivo, instabile e volubile degli stati d’onda. Siccome siamo in allerta, non ci troviamo nelle condizioni di creare, sognare a occhi aperti, risolvere problemi, imparare nuove cose o guarire. Di certo non è uno stato propizio alla meditazione. L’attività del nostro cervello aumenta e, a causa della reazione di lotta o fuga, il battito cardiaco accelera, così come la respirazione. Il corpo non ha molte risorse da spendere per la crescita e la salute ottimale, perché è sempre sulla difensiva e cerca di proteggerci e di aiutarci a sopravvivere. In queste condizioni sfavorevoli, il cervello funziona a compartimenti stagni e invece di cooperare, alcune aree lavorano separatamente dalle altre, se non addirittura in opposizione: è come 118. L. Fehmi, J. Robbins, The Open-Focus Brain: Harnessing the Power of Attention to Heal Mind and Body. Trumpeter Books, 2007. 301
schiacciare il freno e l’acceleratore nello stesso momento. È un conflitto interno. Oltre a non avere un buon livello di comunicazione interna, il cervello non comunica più in modo efficace e ordinato nemmeno con il resto del corpo. Dal momento che il cervello e il sistema nervoso centrale controllano e coordinano tutti gli apparati del corpo (facendo in modo che il cuore batta, i polmoni respirino, il cibo venga digerito, gli scarti vengano eliminati, il metabolismo sia controllato, il sistema immunitario sia regolato, gli ormoni siano bilanciati e garantendo altre innumerevoli funzioni) siamo in uno stato di squilibrio. Il nostro cervello invia messaggi disordinati e segnali “disintegrati” al midollo spinale e al resto del corpo. Di conseguenza, gli apparati non ricevono messaggi chiari, ma incoerenti. Immagina il sistema immunitario che risponde: “Non so come fare per produrre un globulo bianco se devo basarmi su queste istruzioni.” E immagina l’apparato digerente che dice: “Non so se devo secernere acidi prima nello stomaco o prima nell’intestino tenue. Questi ordini sono contraddittori.” Allo stesso tempo, l’apparato cardiovascolare lamenta: “Non so capire se il cuore deve battere con ritmo regolare o irregolare, perché il segnale che ricevo ha un ritmo sfasato. C’è forse un leone dietro l’angolo?”. Questa condizione di squilibrio ci allontana dalla nostra omeostasi ed è facile comprendere che ci predispone alla malattia, generando aritmia o pressione alta (squilibrio nell’apparato cardiovascolare); disturbi digestivi e reflusso (squilibrio nell’apparato digerente) e una profusione di patologie come raffreddori, allergie, tumori, artriti reumatoidi (squilibrio nel sistema immunitario), per fare solo alcuni esempi. Questo stato, quando le onde cerebrali vanno in subbuglio e si riempiono di interferenze, è quello che nel capitolo precedente ho definito stato di incoerenza. Non c’è ritmo e non c’è ordine nelle nostre onde cerebrali e nemmeno nei messaggi che il cervello invia al corpo: è una totale cacofonia. 302
Con la tecnica della messa a fuoco aperta, chiudiamo gli occhi, togliamo la nostra attenzione dal mondo esterno e dalle sue trappole e apriamo la nostra messa a fuoco sullo spazio intorno a noi (sull’onda invece che sulla particella). La tecnica funziona perché quando sentiamo questo spazio, non prestiamo più attenzione a nulla che sia materiale e non pensiamo. Le nostre onde cerebrali si spostano sulle frequenze riposanti e creative dello stato alfa (e alla fine anche del theta). In questo stato, il nostro mondo interiore diventa più reale di quello esterno: siamo in una condizione molto più propizia per compiere i cambiamenti che desideriamo. Le ricerche dimostrano che quando usiamo nel modo corretto la tecnica della messa a fuoco aperta, il cervello diventa più organizzato e sincronizzato, e i suoi diversi comparti cooperano in modo più ordinato. Quando c’è sincronia, c’è unione. In questo livello di coerenza, il cervello può inviare segnali corretti al sistema nervoso e al resto del corpo, quindi tutto comincia a seguire il ritmo giusto e a lavorare in armonia. Invece della confusione cacofonica, ora il cervello e il corpo eseguono una splendida sinfonia. Il risultato è una sensazione di pienezza, integrità ed equilibrio. Io e i miei colleghi abbiamo notato questi cambiamenti significativi nel cervello della maggior parte degli studenti sottoposti a scansione durante i nostri seminari, quindi sappiamo per certo che la tecnica funziona. TROVARE IL PUNTO GIUSTO DEL MOMENTO PRESENTE Dopo averti condotto ad aprire la messa a fuoco, la meditazione ti farà esercitare a trovare il presente. Essere presente ti permette di accostarti alle possibilità quantistiche a cui non hai mai avuto accesso. Ricordi quando ho spiegato che nel campo quantico le particelle subatomiche esistono in un infinito assortimento di possibilità? Se questo è vero, l’universo quantico non può avere una sola linea del tempo. Ne deve avere un numero infinito che contiene simultaneamente tutte le possibilità impilate l’una sull’altra. Infatti ogni esperienza passata, presente e futura di ogni singola cosa, dal più piccolo microrganismo alla più avanzata civiltà dell’universo, esiste in questo campo illimitato di informa303
zioni che chiamiamo “campo quantico”. Ho detto che il mondo quantico non ha tempo, ma la verità è che ha tutto il tempo simultaneamente; non solo quello lineare, che è il modo in cui tendiamo a concepirlo. Come dice il modello quantistico della realtà, tutte le possibilità esistono nel momento presente. Ma se ti svegli ogni mattina e metti in atto la stessa sequenza di eventi (compi le medesime scelte, che ti portano ai soliti comportamenti, che creano le stesse esperienze, che producono reazioni emotive sempre uguali) allora non sei aperto a nessun’altra possibilità e non ti muoverai mai verso risultati nuovi. Osserva la Figura 11.1. Il cerchio rappresenta te nel momento presente su una particolare linea del tempo. La linea a sinistra raffigura il tuo passato, mentre la linea a destra il tuo futuro. Poniamo che ogni giorno ti alzi, vai in bagno, ti lavi i denti, porti fuori il cane, bevi il tè o il caffè, fai la colazione abituale, ti vesti nel solito modo, percorri lo stesso tragitto per andare al lavoro. Ognuno di questi eventi è rappresentato da un punto sulla linea del tempo del tuo futuro immediato. Poniamo che metti in atto più o meno la stessa sequenza ogni giorno da dieci anni. Il tuo corpo è già programmato per abitudine a essere nel futuro basandosi sul passato, perché quando cominci ad anticipare emotivamente ognuno di questi eventi sulla linea del tempo, esso crede in quella stessa prevedibile realtà (agendo da mente inconscia). Le stesse emozioni istruiscono gli stessi geni nel medesimo modo, perciò ora sei già in quel futuro prevedibile. Infatti, potresti anche prendere la linea del tempo del tuo passato e trasportarla nel futuro, perché in questo scenario passato e futuro coincidono. Sei come i pianisti che hanno installato i circuiti nel loro cervello e hanno cambiato il loro corpo solo pensando di suonare al pianoforte la stessa sequenza di note di quelli che invece si sono esercitati con le dita; prepari il cervello e condizioni il corpo allo stesso futuro perché ogni giorno provi mentalmente lo stesso scenario prevedibile utilizzando la mente di ieri. 304
IL PASSATO È IL FUTURO
Figura 11.1. Ogni punto sulla linea del tempo rappresenta gli stessi pensieri, comportamenti, scelte, esperienze ed emozioni dei giorni, delle settimane, dei mesi e persino degli anni passati. Perciò il passato diventa il futuro. Siccome un’abitudine è una serie ridondante e automatica di pensieri, azioni ed emozioni acquisiti con la ripetizione frequente, che si verifica quando il corpo diventa la mente, il corpo è già programmato a essere nello stesso futuro prevedibile basandosi sul modo d’essere del passato. Se memorizziamo le emozioni che ci tengono vincolati al passato, e lasciamo che guidino i nostri pensieri, allora il corpo vive letteralmente nel passato. Di rado siamo nel momento presente.
Non riusciamo mai a trovare il momento presente perché il cervello e il corpo vivono già in una realtà futura nota che si basa sul passato. Guarda tutti quei punti sulla tua linea del tempo che rappresentano le scelte, le abitudini, le azioni e le esperienze che creano le stesse emozioni per ricordarti qual è la tua identità. Non c’è spazio perché nella tua vita si manifesti qualcosa di nuovo o di ignoto, qualcosa di insolito o miracoloso: la sequenza di quei punti è troppo serrata. Se si inserisse la novità, sarebbe scomoda e disturberebbe la tua routine. Sarebbe sconvolgente se qualcosa di nuovo arrivasse nella vita di una persona che a livello inconscio anticipa il futuro basandosi sul passato! 305
Ti avviso fin d’ora che, se inserisci la tua meditazione nella linea del tempo come l’ennesimo evento della sequenza, rischi solo di aggiungere un altro punto alla lista delle cose da fare. E se hai questo approccio, non troverai il momento presente. Per ottenere il risultato che cerchi, guarire e attuare cambiamenti durevoli, devi essere appieno nel presente, senza pensare al prossimo evento prevedibile della tua linea del tempo. Questo è vero perché, il punto verso cui rivolgi l’attenzione è quello in cui investi la tua energia. Perciò, se presti anche solo la minima attenzione a cose, persone, luoghi o eventi dell’ambiente esterno, riaffermi quella realtà. E se sei abituato a essere ossessionato dal tempo – pensando al passato (che è noto) o al futuro che si basa sul tuo passato (e dunque è conosciuto anch’esso) – allora ti perdi il momento presente, quello in cui esiste ogni possibilità. Quando ti concentri sulla realtà conosciuta tu, come osservatore quantistico, puoi ottenere solo quella stessa realtà. Fai collassare tutte le possibilità del campo quantico negli stessi schemi di informazioni che caratterizzano la tua vita. Per accedere alle potenzialità illimitate che ti attendono nel campo quantico, devi dimenticarti la realtà conosciuta (il tuo corpo, il tuo volto, il tuo genere, la tua etnia, la tua professione e persino la cognizione di ciò che devi fare oggi) per restare un po’ nell’ignoto in cui sei nessun corpo, nessuna cosa, in nessun luogo e in nessun tempo. Devi diventare pura consapevolezza (mantenendo solo il pensiero di essere consapevole in un vuoto di potenzialità) affinché il tuo cervello possa ricalibrarsi. E quando il corpo vuole distrarti, ma continui a dominarlo e a ricondurlo al momento presente, allora la linea che va verso il futuro cessa di esistere, perché il corpo non vive più in quel destino prevedibile. Hai disconnesso o staccato i tuoi circuiti energetici da quel destino. Allo stesso modo, se il tuo corpo è condizionato e assuefatto a emozioni che hai memorizzato e che ti tengono legato al passato, ma riesci a riportarlo indietro e a placarlo ogni volta che ti senti arrabbiato o frustrato, finché non si arrende al momento presente, allora non esiste più neanche la linea che va verso il passato. Ti sei discon306
nesso anche da quella. E quando svaniscono le linee del passato e del futuro, svanisce anche il tuo destino genetico. In questo momento non c’è più un passato che guida il tuo futuro e non c’è più un futuro prevedibile basato sul passato. Sei solo ed esclusivamente nel presente, dove hai accesso a tutte le potenzialità e le possibilità. E più investi nell’ignoto staccandoti da quelle linee e soffermandoti in quelle possibilità, più energia liberi dal tuo corpo rendendola disponibile per creare qualcosa di nuovo. La Figura 11.2 dimostra che il passato e il futuro non ci sono più quando il cervello e il corpo sono totalmente nel presente. La realtà prevedibile della dimensione conosciuta non esiste più, perciò sei dentro il regno ignoto delle possibilità. IL PRESENTE CREA UN NUOVO FUTURO
Figura 11.2. Quando trovi il punto giusto del momento presente e ti dimentichi della tua solita personalità, accedi ad altre possibilità che esistono già nel campo quantico. Ciò accade perché non sei più attaccato allo stesso corpomente, all’identificazione con l’ambiente e alla prevedibile linea del tempo. Nel presente, il solito passato e il solito futuro non esistono più, e tu diventi pura consapevolezza, puro pensiero. È in questo momento che puoi cambiare il tuo corpo, cambi qualcosa del tuo ambiente, creando una nuova linea del tempo.
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La meditazione di cui parlo nel prossimo capitolo prevede un periodo in cui ti soffermi in questa potente dimensione ignota, nello spazio oscuro delle possibilità, e investi la tua energia nel vuoto delle potenzialità che esistono nel momento presente. Ricorda che, anche se sembra che non ci sia nulla, non si tratta di uno spazio vuoto e oscuro; è il campo quantico e pullula di energia e di possibilità. Quando io e i miei colleghi abbiamo esaminato gli allievi del seminario progressive che erano riusciti a diventare pura consapevolezza – un pensiero separato dalla realtà nota – abbiamo registrato progressi incredibili nella capacità di cambiare il loro cervello, il loro corpo e la loro vita. Se il placebo implica di cambiare il corpo soltanto con il pensiero, allora un passo molto importante è diventare un pensiero, solo quello. VEDERE SENZA USARE GLI OCCHI Ecco uno dei miei esempi preferiti di quel che può accadere quando ti focalizzi sull’ignoto durante la meditazione. Non molto tempo fa tenni un seminario a Sidney dove, durante una meditazione, chiesi ai partecipanti di essere nessun corpo, nessuna cosa, in nessun luogo e in nessun tempo, di diventare pura consapevolezza, soffermandosi nell’ignoto. Osservando questo gruppo, notai una donna, Sophia, seduta in terza fila, che meditava con gli occhi chiusi come tutti gli altri. All’improvviso, vidi cambiare la sua energia. Qualcosa mi suggerì di farle un cenno, così la salutai, e lei, ancora con gli occhi chiusi, rispose al saluto! Feci avvicinare due miei assistenti che erano in fondo alla sala. Quando arrivarono, salutai Sophia con la mano e lei rispose ancora, senza mai aprire gli occhi. “Che cosa sta succedendo?” mi sussurrarono gli assistenti. “Vede senza usare occhi” risposi. Come ho già spiegato, quando ti focalizzi sull’ignoto, lo ottieni. Una settimana dopo l’evento di Sydney, tenemmo un seminario progressive a Melbourne, al quale partecipò anche Sophia. 308
“Ehi, ti vedevo, e vedevo anche gli assistenti” mi disse, descrivendomi tutto ciò che era successo nella stanza durante la meditazione quando aveva gli occhi chiusi. Fu molto precisa. Dopo il seminario, decise di diventare una mia assistente e io la scelsi per questa sua abilità. Così qualche mese dopo venne a un mio corso di formazione. Alla fine di ogni giornata, chiedo sempre ai nuovi assistenti di chiudere gli occhi mentre riepilogo la lezione per trenta minuti, al fine di riattivare i nuovi circuiti nella loro memoria a lungo termine. Mentre facevo il riepilogo, Sophia, che aveva gli occhi chiusi, all’improvviso li aprì, scosse la testa, li richiuse, si voltò per guardarsi indietro, e poi mi fissò con un’espressione stupefatta. Lo fece più volte, ma le indicai di continuare la meditazione; ne avremmo parlato dopo. Non solo Sophia poteva vedere davanti a sé con gli occhi chiusi durante la meditazione, ma ora aveva una visuale di trecentosessanta gradi. Poteva vedere cosa le stava davanti, dietro e intorno nello stesso momento. Essendo abituata da una vita intera a vedere solo con gli occhi aperti, continuava ad aprirli per riflesso e a richiuderli nel tentativo di scorgere quello che aveva già visto. A quel seminario c’era anche il dottor Fannin, che effettuava le scansioni sul cervello di alcuni assistenti, affinché potessimo scegliere gli schemi d’onda da misurare sugli studenti nel corso del primo seminario avanzato in Arizona. Quando arrivò il turno di Sophia, non anticipai nulla sul suo conto. Il dottor Fannin le attaccò la macchina dell’EEG e ci sedemmo dietro di lei a circa due metri di distanza per osservare il monitor. D’un tratto la parte posteriore del cervello di Sophia, che è la sede della corteccia visiva, si illuminò sullo schermo. “Oh, guarda!” mi sussurrò il dottor Fannin. “Sta visualizzando!”. “No” dissi piano, scuotendo la testa. “Non sta visualizzando.” “Che cosa intendi?” mimò con le labbra. “Sta vedendo” scandii.
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“Che cosa intendi?” ripeté confuso. Così la salutai da dietro. E lei, senza voltarsi, sollevò una mano, la girò e rispose al mio saluto. Era una cosa incredibile, ma la prova stava proprio nella sua scansione cerebrale. Sophia vedeva senza usare gli occhi. La corteccia visiva stava elaborando informazioni come se vedesse; ma era il suo cervello a farlo, non gli occhi. Come ho detto, se ti focalizzi sull’ignoto, lo ottieni.
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CAPITOLO 12 L A M E D I TA Z I O N E P E R C A M B I A R E CREDENZE E PERCEZIONI In questo capitolo ti accompagnerò in una meditazione guidata, ideata per aiutarti a cambiare alcune percezioni e credenze su te stesso e sulla tua vita. Ti consiglio di meditare ascoltandone la registrazione, che ti aiuta a cambiare due credenze e due percezioni e dura circa un’ora, o la versione più breve, che ti aiuta a cambiare una credenza e una percezione e dura circa quarantacinque minuti. Entrambe sono acquistabili tramite il link http://www.mylife.it/ meditazionidispenza. La versione di un’ora si chiama Placebo Effect: Come cambiare due credenze e due percezioni e l’altra si chiama Placebo Effect: Come cambiare una credenza e una percezione. Oppure puoi registrare tu stesso il testo di una o entrambe le versioni. Ricorda che le credenze e le percezioni sono modi d’essere subconsci. Cominciano come pensieri ed emozioni che pensi e senti di continuo, finché non diventano abitudinarie e automatiche, tanto da formare un atteggiamento. Gli atteggiamenti si consolidano trasformandosi in convinzioni, che a loro volta si rafforzano diventando percezioni. Nel corso del tempo, questa ridondanza crea una visione del mondo e di te stesso che è in larga parte subconscia. Essa influisce sulle tue relazioni, sui tuoi comportamenti e su tutto ciò che fa parte della tua vita. Perciò, se vuoi cambiare una convinzione o percezione, devi prima modificare il tuo modo d’essere. Ciò significa modificare il tuo livello di energia, perché per influenzare la materia devi diventare più energia che materia, più onda che particella. Questo implica mettere insieme un’intenzione chiara e un’emozione elevata: sono questi due ingredienti necessari. Come hai letto, il processo prevede che si prenda una decisione con un livello di energia abbastanza alto, che permetta al tuo pensiero sulla nuova convinzione di diventare un’esperienza dotata di 311
una forte configurazione emotiva, la quale a sua volta, a qualche livello, ti modifica in quello stesso momento. È così che cambi la tua biologia, diventi il tuo placebo e trasformi la mente in materia. Tutti noi abbiamo avuto esperienze che hanno inciso in qualche misura sulla nostra biologia. Ricordi le donne cambogiane incontrate nel Capitolo 7, che hanno sviluppato problemi di vista per gli orrori che erano state costrette a vedere sotto i Khmer Rossi? È un esempio estremo, ovviamente, ma puoi usare lo stesso principio per attuare un cambiamento positivo. Perché il processo funzioni, la nuova esperienza deve trascendere quella passata. In altre parole, l’esperienza interiore che vivi quando mediti deve avere un’ampiezza maggiore – un’energia più grande – dell’esperienza passata che ha creato la convinzione e la percezione che vuoi cambiare. Il corpo deve rispondere a una mente nuova. Quindi devi metterci il cuore in quell’emozione elevata; devi avvertire un fremito. Devi sentirti elevato, ispirato, invincibile e potenziato. In questa meditazione ti darò l’opportunità di cambiare due percezioni e convinzioni su te stesso. Dunque, prima di cominciare devi decidere cosa vuoi cambiare. Puoi selezionare una delle più comuni convinzioni limitanti elencate nel Capitolo 7 oppure pensare a qualcos’altro come: Ho sempre questo dolore, La vita è troppo difficile, Le persone sono ostili, Il successo richiede duro lavoro o Non cambierò mai. Dopo aver scelto, prendi un foglio e traccia una linea verticale al centro. Sulla sinistra scrivi le due convinzioni e percezioni che vuoi cambiare, una sopra l’altra. Poi rifletti per un minuto: se non vuoi più credere e percepire queste cose, allora cos’è che vuoi credere e percepire su te stesso e sulla tua vita? E se davvero credessi e percepissi queste cose, come ti sentiresti? Scrivi le nuove convinzioni e percezioni che desideri sul lato destro del foglio. Questa meditazione si divide in tre parti: • La prima è l’introduzione, in cui usi la tecnica della messa a fuoco aperta spiegata nel capitolo precedente per entrare in uno stato più coerente di onde alfa o theta, in cui 312
sei più suggestionabile. Questo passaggio è fondamentale, perché l’unico momento in cui puoi davvero influire sulla tua salute e agire da placebo è quando il tuo livello di suggestionabilità è più elevato. • Nella seconda parte, troverai il momento presente e ti soffermerai nel vuoto quantico, dove esistono tutte le possibilità. • Nella terza parte cambierai le tue convinzioni e percezioni. Per accompagnarti nel processo mentre sei seduto in meditazione, ti darò alcune indicazioni all’inizio di ogni parte e poi, in corsivo, troverai il testo della meditazione. Se sei già esperto, sentiti libero di svolgere la meditazione per intero fin dalla prima volta. Se invece sei alle prime armi, puoi fare pratica con la prima parte tutti i giorni per una settimana, aggiungere la seconda la settimana seguente e svolgerle tutte e tre dalla terza settimana in poi. In qualsiasi caso, continua a esercitarti ogni giorno finché non si verifica un cambiamento nella tua vita. Se pratichi già la meditazione che ho delineato in Cambia l’abitudine di essere te stesso, ti faccio notare che quella proposta qui è del tutto diversa, anche se potrai scorgere alcune affinità nell’incipit (la fase introduttiva). Se puoi praticare solo una meditazione al giorno, ti consiglio di provare questa per un mese per trarne i massimi benefici. Poi deciderai quale preferisci o potrai alternarle. INTRODUZIONE: CREARE LA COERENZA CEREBRALE E RALLENTARE LE ONDE CON LA MESSA A FUOCO APERTA Quando entri nello stato meditativo con la messa a fuoco aperta, ti trasformi da particella a onda, passando dalla visuale ristretta con cui di solito osservi le persone, i luoghi e le cose del mondo esterno a una messa a fuoco più aperta, in cui ti concentri non su una cosa fisica, ma sullo spazio. Dopotutto, se un atomo è composto da energia per il 99,9 per cento, e noi siamo sempre focalizzati sulla particella, sarà il caso di prestare attenzione all’onda, perché la no313
stra consapevolezza e la nostra energia sono intimamente connesse: focalizzarsi sulla nostra energia è l’azione che serve ad amplificarla. Quando usi questa tecnica nel modo corretto, il cervello si ricalibra naturalmente, perché lasci andare la mente analitica, impegnata a pensare alla sua identità in beta ad alta gamma. Quell’identità – chi pensi di essere – è connessa all’ambiente esterno, alle tue abitudini e dipendenze emotive e al tempo. Nel momento in cui trascendi questi elementi, non sei altro che pura consapevolezza e, come hai letto nelle pagine precedenti, in questo stato i diversi comparti del cervello comunicano meglio; le onde diventano molto ordinate: cominciano a inviare segnali coerenti al resto del corpo, come è accaduto ai nostri allievi. Resta presente durante la meditazione; non cercare né di immaginare nulla né di visualizzare. Devi solo sentire e percepire. Se riesci a sentire dov’è la tua caviglia sinistra, dov’è il naso e dov’è lo spazio tra lo sterno e il petto, vuol dire che stai focalizzando la tua attenzione in quei punti. Potrebbe venirti in mente un’immagine di ciò che senti (poniamo il petto o il cuore), ma non devi sforzarti di evocarla; devi solo diventare consapevole dello spazio dentro di te e intorno al tuo corpo, nello spazio. Questa parte della meditazione dovrebbe durare tra i dieci e i quindici minuti.
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Meditazione: Prima parte Ora… riesci a portare la tua consapevolezza… nello spazio tra i tuoi occhi… nello spazio? E riesci a sentire… l’energia dello spazio… tra i tuoi occhi… nello spazio? Ora… riesci a diventare consapevole… dello spazio… tra le tue tempie… nello spazio? Riesci a percepire… il volume dello spazio… tra le tue tempie… nello spazio? Ora… riesci a diventare consapevole… dello spazio… che le tue narici… occupano nello spazio? Riesci a sentire… il volume dello spazio… che la parte interna… del tuo naso… occupa nello spazio? E ora… riesci a diventare consapevole… dello spazio… tra la tua lingua e il fondo della tua gola… nello spazio? Riesci a percepire… il volume dello spazio… che il fondo della tua gola occupa … nello spazio? Ora… riesci a sentire… l’energia dello spazio… intorno alle tue orecchie… nello spazio? Riesci a sentire… l’energia dello spazio… oltre le tue orecchie… nello spazio? Riesci a diventare consapevole … dello spazio… sotto il tuo mento… nello spazio? Riesci a percepire … il volume dello spazio… intorno al tuo collo… nello spazio? Ora… riesci a sentire…lo spazio… oltre il tuo torace… nello spazio? Riesci a sentire… l’energia dello spazio… intorno al tuo torace… nello spazio? E ora… riesci a diventare consapevole… del volume dello spazio… oltre le tue spalle… nello spazio? 315
Riesci a sentire… l’energia dello spazio… intorno alle tue spalle… nello spazio? Ora… riesci a diventare consapevole…dello spazio… dietro la tua schiena… nello spazio? E riesci a sentire… l’energia dello spazio… oltre la tua colonna vertebrale… nello spazio? Ora… riesci a fissare… la tua consapevolezza… nello spazio… tra le tue cosce… nello spazio? Riesci a sentire… l’energia dello spazio… che collega le tue ginocchia… nello spazio? E riesci a percepire… il volume dello spazio… intorno ai tuoi piedi… nello spazio? Riesci a sentire… l’energia dello spazio… oltre i tuoi piedi… nello spazio? Riesci a diventare consapevole… dello spazio… intorno a tutto il tuo corpo… nello spazio? Riesci a sentire… l’energia dello spazio… oltre il tuo corpo… nello spazio? E ora… riesci a diventare consapevole… dello spazio tra il tuo corpo e le pareti della stanza… nello spazio? Riesci a percepire… il volume dello spazio… che l’intera stanza occupa… nello spazio? Ora… riesci a diventare consapevole… dello spazio… che tutto lo spazio occupa… nello spazio? E riesci a sentire… lo spazio… che tutto lo spazio occupa… nello spazio?
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DIVENTARE POSSIBILITÀ: TROVARE IL MOMENTO PRESENTE E SOFFERMARSI NEL VUOTO Nella seconda parte della meditazione, trovi il punto giusto del momento presente in cui tutte le cose sono possibili. Per farlo, devi uscire dalla tua identità e disconnetterti dal corpo, dall’ambiente e dal tempo: attingi dall’ignoto solo se ti ci soffermi. E se non attivi più le stesse cellule nervose, riduci al silenzio i circuiti cerebrali che sono connessi con la tua vecchia identità. Come hai letto, questi circuiti hanno installato un programma da cui puoi disconnetterti, se li spegni. Significa smettere di istruire gli stessi geni negli stessi modi con le stesse emozioni. E allora, quando il tuo corpo entra in uno stato più equilibrato e armonico, trovi il punto giusto del momento presente, dove esistono tutte le possibilità. Se scopri che la tua mente devia i pensieri verso persone che conosci, problemi attuali, eventi passati o futuri, il tuo corpo, il tuo peso, il tuo dolore o anche il proseguimento della meditazione, accorgiti di quei pensieri e focalizza nuovamente la tua consapevolezza sull’oscurità o sul vuoto quantico delle possibilità. E poi, ancora una volta, arrenditi al nulla. Questa seconda parte della meditazione dovrebbe durare dai dieci ai quindici minuti circa. Meditazione: Seconda Parte Ora… è il momento di diventare nessuno… nessun corpo, nessuna cosa, in nessun luogo e in nessun tempo… di diventare pura consapevolezza… di diventare consapevolezza dell’infinito campo delle potenzialità… di investire la tua energia nell’ignoto… E più ti soffermi nell’ignoto, più attiri una nuova vita verso di te… Solo diventando un pensiero nell’oscurità dell’infinito… ed espandendo la tua attenzione… in nessuna cosa, in nessun corpo, in nessun tempo… Se tu, osservatore quantico… scopri che la tua mente ritorna nella dimensione conosciuta… concentrandosi su persone, cose o luoghi della tua solita realtà… sul tuo corpo, sulla tua identità, sulle tue emozioni, sul passato o sul futuro prevedibile… diven317
ta consapevole che stai osservando la dimensione conosciuta… lascia che la tua coscienza si arrenda e riportala al vuoto delle possibilità… e diventa nessuno… nessun corpo, nessuna cosa, in nessun luogo e in nessun tempo… Espanditi nel regno immateriale delle potenzialità quantiche… Più diventi consapevolezza nelle possibilità… più crei possibilità e opportunità nella tua vita… Resta nel presente. [Soffermati per dieci o quindici minuti] Cambiare le credenze e le percezioni su te stesso e sulla tua vita Nella sezione finale della meditazione, arriva il momento di portare a galla la prima convinzione o percezione che vuoi cambiare. Ti chiederò se vuoi continuare a credere e a percepire in quel modo. Se la tua risposta è no, sei invitato a prendere una decisione con intenzione ferma, affinché la frequenza energetica collegata alla tua scelta sia maggiore di quella dei programmi installati nel tuo cervello e delle dipendenze emotive del corpo. Il tuo corpo allora risponderà a una mente nuova, a una nuova consapevolezza. Poi ti chiederò: “Cosa vuoi credere o percepire su te stesso e sulla tua vita? E come ti sentiresti se lo facessi?”. Il tuo compito sarà di entrare in un nuovo modo d’essere. Dovrai cambiare la tua energia associando un’intenzione chiara a un’emozione elevata, per elevare la materia al livello di una mente nuova. Quando ti alzi, dovresti sentirti diverso rispetto a quando ti sei seduto. Se succede, significa che sei cambiato biologicamente. A quel punto, il passato non esiste più, perché l’esperienza con una frequenza vibrazionale maggiore ha sovrascritto il programma della vecchia. È per questo che compiere la scelta diventa un’esperienza indimenticabile, perché si deposita nella memoria a lungo termine. In questo modo rendi nota una possibilità ignota: ciò ti porta fuori dagli schemi dell’eterno passato e ti proietta in un presente che è già futuro, dove l’evento si è già verificato. Ricorda però che il tuo compito non è di prevedere come o quando acca318
drà, ma di entrare in un nuovo modo d’essere e vedere il futuro che stai creando. Poi sarai guidato a cambiare la seconda convinzione o percezione, e ripeterai lo stesso processo. Questa parte conclusiva durerà dai venti ai trenta minuti circa. Meditazione: Terza Parte Ora… qual è la prima convinzione o percezione su te stesso e sulla tua vita… che vuoi cambiare? Vuoi continuare a credere e a percepire in questo modo? Se non lo vuoi… voglio che tu prenda una decisione… con un’intenzione così ferma… che l’ampiezza di quella decisione apporterà un livello di energia maggiore di quello dei programmi installati nel tuo cervello e delle dipendenze emotive nel tuo corpo… e il tuo corpo risponderà a una mente nuova… Lascia che la scelta diventi un’esperienza indimenticabile… e lascia che l’esperienza produca un’emozione con un’energia così forte da riscrivere i programmi… e da cambiare la tua biologia… Esci dallo stato di inerzia e cambia la tua energia… così la tua biologia sarà modificata dalla tua energia… Ora lascia che il passato si arrenda e venga riportato nelle possibilità… e consenti all’infinito campo delle possibilità di decidere nel modo migliore per te… Arrenditi. Ora… cosa vorresti credere e percepire su te stesso e sulla tua vita… e come ti sentiresti se lo facessi? Coraggio… Adesso è il momento di entrare in un nuovo modo d’essere… e di lasciare che il tuo corpo risponda a una mente nuova… Cambia la tua energia associando un’intenzione chiara a un’emozione elevata… così la materia si eleverà al livello di una mente nuova… Lascia che la scelta apporti una frequenza energetica maggiore… superiore a qualunque esperienza del passato… e lascia che il tuo corpo sia modificato dalla tua consapevolezza, dalla tua 319
energia… Entra in un nuovo modo d’essere… e lasciati definire da questo momento… lascia che questo pensiero intenzionale diventi un’esperienza interiore così potente… da apportare un’energia emotiva elevata, che diventa un ricordo indimenticabile… e soppianta i ricordi del passato con una memoria nuova nel tuo cervello e nel tuo corpo… Coraggio… raccogli tutto il tuo potere… ispirati… fai che la tua scelta sia una decisione che non potrai mai più dimenticare... Ora… dai al tuo corpo un assaggio del futuro mostrandogli come si sentirà se crede in questa convinzione… e lascia che il tuo corpo risponda a una mente nuova… Come sarebbe la tua vita con quel nuovo modo d’essere?… Quali scelte compiresti?... Come ti comporteresti?... Quali sarebbero le tue esperienze future?... Come vivresti?... Che emozioni proveresti?... Come ameresti?... Lascia che le onde infinite delle possibilità confluiscano in un’esperienza nella tua vita. Ora riesci a insegnare emotivamente al tuo corpo cosa significa essere in questo nuovo futuro? … Coraggio… apri il tuo cuore e credi nella possibilità… Espanditi… innamorati del momento… e sperimenta quel futuro proprio adesso…. Ora lascia che la tua creazione si arrenda a una mente più grande, perché quello che sperimenti in questo regno della possibilità… se lo senti sinceramente… si manifesterà in un tempo futuro…dalle onde della possibilità alle particelle della realtà… dall’immateriale al materiale… dal pensiero all’energia… nella materia. Ora lascia che la tua nuova convinzione si arrenda a un campo di coscienza che sa già come organizzare l’esito nel modo perfetto per te… piantando un seme nella possibilità… Ora… qual era la seconda convinzione che volevi cambiare su te stesso e sulla tua vita? Ti serve continuare a credere e a percepire in questo modo? Se non ti serve, è il momento di prendere una decisione con un’intenzione così ferma… che la sua ampiezza apporterà un 320
livello di energia maggiore in grado di indurre il tuo corpo a rispondere a una mente nuova… e di rendere definitiva la scelta che compi… e la tua decisione diventerà un’esperienza indimenticabile… Esci dal tuo solito stato di inerzia e cambia la tua energia così che la materia si elevi al livello di una mente nuova… Avanti! Raccogli tutto il tuo potere… lascia che sia la tua energia a farti muovere… Lascia che l’energia di quella scelta… riscriva i programmi subconsci a livello neurologico nel tuo cervello e a livello emotivo e genetico nel tuo corpo… e fai in modo che quella scelta sia più grande del passato… Lascia che la tua energia cambi la tua biologia… Fatti ispirare… Ora… lascia che quella convinzione si arrenda a un’intelligenza più grande… semplicemente lasciati andare… e arrenditi…. al campo delle possibilità… affidando tutto all’energia… Ora… cosa vorresti credere e percepire su te stesso e sulla tua vita? … Come ti sentiresti se lo facessi? Coraggio… entra in questo nuovo modo d’essere …. e lascia che il tuo corpo si elevi al livello di una mente nuova… Lascia che l’energia di questa scelta riscriva i circuiti del tuo cervello… e i geni del tuo corpo… Lascia che il tuo corpo sia libero di accogliere un nuovo futuro… Devi sentire una nuova energia… per diventare una cosa più grande del tuo corpo, del tuo ambiente e del tempo… così avrai il dominio sul tuo corpo, sul tuo ambiente e sul tempo… Diventa un pensiero che influisce sulla materia… E se riuscissi a insegnare emotivamente al tuo corpo… cosa proveresti credendo in questo modo… sentendoti potenziato… animato dalla tua grandezza… coraggioso… invincibile… innamorato della vita… sentendoti illimitato… vivendo come se le tue preghiere fossero già state esaudite?... Avanti, dai al corpo, che agisce da mente inconscia, un assaggio del tuo futuro… istruendo nuovi geni in altri modi… La tua energia è l’epifenomeno della materia… cambia la tua energia e cambia il tuo corpo… Avanti, trasforma la tua mente in materia… 321
Come vivresti con questo modo d’essere… Se ci credessi, quali scelte potresti compiere?... Quali comportamenti potresti esprimere?... E quali esperienze riesci a osservare adesso con questo modo d’essere? … Come ti fa sentire essere guarito… essere libero… credere in te stesso e nella possibilità?… Lasciati andare… Benedici questo futuro con la tua energia… Ciò significa che sei connesso con un nuovo destino… perché il punto su cui focalizzi la tua attenzione è il punto verso cui indirizzi la tua energia… Investi nel tuo futuro… e lasciati definire dal futuro invece che dal passato… Apri il tuo cuore e lascia che il tuo corpo sia animato dalla tua esperienza interiore…. Ricorda che l’esperienza che vivi con sincerità nell’ignoto e che accogli emotivamente… alla fine rallenterà la propria frequenza energetica e si manifesterà come materia nelle tre dimensioni… Ora lasciati andare e arrenditi… lascia che tutto sia eseguito da un’intelligenza più grande in un modo perfetto per te… Ora… alza la mano sinistra e posala sul cuore… Benedici il tuo corpo, affinché possa elevarsi al livello di una mente nuova… benedici la tua vita… affinché sia l’estensione della tua mente… benedici il tuo futuro… che non sarà più il tuo passato… benedici il tuo passato… che si trasforma in saggezza… benedici le avversità della tua vita… che ti avvia alla grandezza… comprendi il significato nascosto dietro a ogni cosa… benedici la tua anima… che si sveglia da questo sogno… e benedici il divino che è in te… che si muove dentro di te… e tutt’intorno a te … che dà un senso alla tua vita… Infine… voglio che tu sia grato per questa nuova vita prima che si manifesti… così il tuo corpo, agendo da mente inconscia, comincerà fin d’ora a sperimentare quel nuovo futuro… Perché la firma emotiva della gratitudine indica che l’evento è già accaduto… Perché la gratitudine… è la condizione suprema del ricevere… E ora memorizza questa sensazione… riporta la tua consapevolezza in un nuovo corpo, in un nuovo ambiente, in una nuova linea del tempo… e quando sei pronto… apri gli occhi. 322
POSTFAZIONE D I V E N TA R E S O P R A N N AT U R A L I Alcuni critici potrebbero classificare questo mio lavoro come appartenente al genere della “guarigione per fede”. A questo punto della mia vita accetto volentieri questa accusa, perché che cos’è la fede se non il credere in un pensiero più che in qualunque altra cosa? Non è fede forse accettare un pensiero – indipendente dalle condizioni del nostro ambiente – e arrendersi a quell’esito al punto tale che viviamo come se le nostre preghiere fossero già esaudite? Sembra quasi una formula per il placebo. Siamo noi il placebo, da sempre. Forse non è tanto importante pregare rigorosamente tutti i giorni per vedere esauditi i nostri desideri, quanto alzarsi dalla meditazione come se fossero già stati ascoltati. Se riusciamo a farlo tutti i giorni, siamo a un livello mentale in cui viviamo veramente nell’ignoto e siamo pronti all’inaspettato. Ed è allora che il mistero bussa alla nostra porta. L’effetto placebo implica guarire solo con il pensiero. Tuttavia, il pensiero di per sé è un’emozione non manifestata. Quando lo accogliamo a livello emotivo, esso comincia a diventare reale. Un pensiero senza un’impronta emotiva è un vuoto di esperienza, perciò è latente, aspetta di essere reso noto dall’ignoto. Se trasformiamo un pensiero in esperienza e poi in saggezza, evolviamo come esseri umani. Quando ti guardi allo specchio, vedi il tuo riflesso e sai che quello che stai guardando è il tuo io fisico. Ma come si vedono il vero io, l’ego e l’anima? La tua vita è l’immagine riflessa della tua mente, della tua coscienza e di chi sei realmente. Non ci sono scuole di antica saggezza spirituale in cima alle vette himalayane che attendono di iniziarci al misticismo e alla santità. La vita stessa è la nostra iniziazione alla grandezza. Forse io e te dovremmo vederla come un’opportunità per espandere sempre di 323
più il nostro io al fine di superare i nostri limiti con livelli di consapevolezza più ampi. È così che vede le cose un pragmatico, non certo chi fa la vittima. Abbandonare le consuete modalità con cui siamo abituati a pensare alla vita e abbracciare nuovi paradigmi all’inizio sembrerà innaturale. In effetti richiede uno sforzo e questo può far sentire a disagio. Perché? Perché quando cambiamo, non ci sentiamo più noi stessi. La mia definizione di genio, allora, è chi riesce a essere a suo agio nel disagio. Quante volte nella storia abbiamo visto individui ammirevoli che hanno lottato contro convinzioni superate, vivendo fuori dalla loro comfort zone, considerati eretici e pazzi per poi rivelarsi dei geni, dei santi o dei maestri? Con l’andar del tempo, sono diventati esseri soprannaturali. Come possiamo riuscirci anche io e te? Dobbiamo cominciare a fare ciò che è innaturale, ovvero donare nel bel mezzo di una crisi, quando tutti patiscono privazioni e povertà; amare quando tutti sono rabbiosi e giudicanti; esprimere coraggio e pace quando tutti hanno paura; mostrare gentilezza quando gli altri si comportano in modo ostile e aggressivo; arrenderci alla possibilità quando tutti spingono per primeggiare, per controllare i risultati e competere con ferocia in una corsa interminabile per arrivare in cima; sorridere volutamente di fronte alle avversità e coltivare il senso di pienezza interiore di fronte alla diagnosi di una malattia. Sembra così innaturale fare questo tipo di scelte in simili condizioni, ma se ci riusciamo più volte, con il tempo trascendiamo la norma e diventiamo soprannaturali. Soprattutto, se tu diventi soprannaturale, concedi ad altri il permesso di fare altrettanto. I neuroni a specchio si attivano quando osserviamo qualcuno svolgere un’azione. I nostri neuroni rispecchiano quelli dell’altro, come se fossimo noi a svolgere quell’azione. Per esempio, quando guardi un ballerino professionista ballare la salsa, tu stesso la ballerai meglio di prima. Se guardi Serena Williams colpire una pallina da tennis, tu stesso lo farai meglio di prima. Se osservi qualcuno guidare una comunità con amore ed empatia, condurrai la tua vita con altrettanto amore ed empatia. E se osservi qualcuno autogua324
rirsi da una malattia cambiando i processi di pensiero, sarai più incline a fare altrettanto. Spero che, dopo aver letto questo libro, capirai che la convinzione definitiva è quella che riponi in te stesso e nel campo delle infinite possibilità; e quando fondi la fiducia in te stesso come coscienza soggettiva con la fiducia in una coscienza oggettiva, allora raggiungi un equilibrio tra l’intenzione e la resa. Ma è un equilibrio molto delicato. Se eccedi nell’intenzione (ovvero “ti sforzi”), rimani nella stessa modalità e hai una visuale ridotta. Se esageri nella resa, diventi troppo pigro, apatico e privo di ispirazione. Se però combini un’intenzione chiara a una fede incrollabile nella possibilità, allora entri nell’ignoto, ed è lì che il soprannaturale inizia a espandersi. Io e te diamo il meglio di noi quando siamo in questo modo d’essere. Quando questi due stati si uniscono, possiamo attingere a un pozzo più profondo. E quando l’appagamento, la pienezza di sé e l’amor proprio arrivano da dentro, perché ti sei avventurato oltre ciò che credevi possibile e oltre le limitazioni autoimposte, l’inaudito prende forma. Essere contento di te nel momento presente e coltivare un sogno per il futuro è un’ottima ricetta per la manifestazione. Quando ti senti così appagato non ti interessa più “se” le cose straordinarie si materializzeranno davanti ai tuoi occhi. Ho imparato che sentirsi completi è lo stato perfetto per la creazione. L’ho riscontrato più volte assistendo a vere guarigioni di persone in tutto il mondo. Si sentono così complete che non bramano più, non sentono più alcuna mancanza e non cercano più di forzare il risultato. Si lasciano andare e, con loro sorpresa, qualcosa di più grande risponde, e loro sorridono per la semplicità del processo. Questo libro e le mie ricerche sono l’inizio, e non la fine, del percorso. Di certo sarò il primo ad alzare la mano e a confessare che non so tutto. La mia gioia più grande, però, è contribuire in qualche modo alla crescita personale di un altro individuo. Ho visto la trasformazione su molti visi e posso dire che, indipendentemente dalla cultura, dall’etnia e dal genere, tutti abbiamo la stessa espressione quando ci liberiamo delle nostre convinzioni limitanti. 325
Esiste un principio che adoro nella biologia e che si chiama emersione. Hai mai visto un banco di pesci che nuotano tutti nella stessa direzione allo stesso tempo? O uno stormo di uccelli in volo che si muovono come un’unica coscienza, un’unica mente? Osservando questo fenomeno, potresti pensare che tutti seguano un leader che segna la via. Sembra che il movimento sincronizzato di centinaia o migliaia di singoli organismi che fanno la stessa cosa all’unisono sia un fenomeno che parte dall’alto e procede verso il basso. Ma in realtà non è così. Questo livello di unità è un fenomeno che parte dalla base. Di fatto il gruppo non ha un leader; sono tutti leader. Sono tutti parte della stessa coscienza collettiva quando fanno la medesima cosa allo stesso tempo. È come se il tutto fosse connesso in un campo di informazioni che sta oltre lo spazio e il tempo. Una comunità si presenta come un’unica mente. Ciascun individuo contribuisce alla formazione di un unico organismo. Questo è il potere dei numeri. Siamo stati programmati e condizionati dalla convinzione subconscia che se ci mettiamo in prima linea con troppa passione per cambiare il mondo, di sicuro saremo assassinati. Molti grandi leader che hanno cambiato il corso della storia con un messaggio profondo se la sono cercata alla fine. Che si parli di Martin Luther King, del Mahatma Gandhi, di John Lennon, di Giovanna d’Arco, di William Wallace, di Gesù di Nazareth o di Abramo Lincoln, esiste uno stigma inconscio che suggerisce che tutti i leader debbano sacrificare la vita per la verità. Ma forse siamo finalmente arrivati a un punto della storia in cui è importante vivere per quella verità, invece che morire per affermarla. Se centinaia, migliaia o magari milioni di esseri umani accolgono una nuova coscienza basata sulla possibilità e allineano le azioni alle loro intenzioni, vivendo secondo le grandi leggi universali dell’amore, della bontà e dell’empatia, emergerà una nuova consapevolezza e tutti sperimenteremo un’autentica unione. Allora forse i leader saranno troppi per poter essere eliminati. Perciò, se ti impegni ogni giorno a esprimere il tuo meglio e a superare gli stati egoistici della mente, che sono guidati dagli ormoni 326
dello stress – lo faccio io per primo – allora insieme cambieremo il mondo partendo da noi stessi. Se un numero sufficiente di noi si sforzasse di diventare più completo come essere umano, allora mentre le singole comunità in cui viviamo emergono nel mondo, riusciremmo a erodere la mentalità prevalente basata sulla paura, sulla competizione, sulla mancanza, sull’ostilità, sull’avidità e sull’inganno. Col tempo, il vecchio sarà completamente sostituito dal nuovo. Un punto che mi sta particolarmente a cuore è che ora viviamo in un mondo in cui la ricerca scientifica è intaccata da interessi egoistici ed è spesso influenzata dal profitto, perciò mi chiedo se ci dicano la verità su come stanno davvero le cose. Tocca a noi, allora, scoprire la verità. Immagina un mondo abitato da miliardi di persone che, come un banco di pesci, vivono come una mente sola; un mondo in cui ciascuno abbraccia pensieri elevati connessi a possibilità illimitate; questi pensieri permettono a tutti di fare scelte più ispirate, di esprimere comportamenti più altruistici e di creare esperienze più illuminanti. Le persone non avrebbero più bisogno di vivere secondo emozioni basate sulla modalità di sopravvivenza che ci sono così familiari, sentendosi più materia che energia, separati dalla possibilità. Vivrebbero invece emozioni più espansive, altruiste e profonde, sentendosi più energia che materia, connettendosi a qualcosa di più grande. Se potessimo fare tutto questo, allora emergerebbe un mondo diverso, e noi vivremmo secondo un nuovo credo basato sull’apertura del cuore. È questo che io vedo quando chiudo gli occhi per meditare. Dottor Joe Dispenza
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RINGRAZIAMENTI Dopo aver terminato la stesura del mio secondo libro, ero certo di aver chiuso con la scrittura. La quantità di impegno che richiede già il fatto di trovare il tempo per fare ricerche e scrivere, mentre gestisco una clinica per la salute integrata con un forte carico di lavoro, e mentre viaggio quasi tutti i fine settimana – per non parlare del tempo per la famiglia, le riunioni con i collaboratori o anche per mangiare e dormire – non mi lascia spazio per guardare fuori dalla finestra e osservare la natura, indugiando a lungo sul prossimo pensiero che dovrò formulare per iscritto. Ho imparato che portare un’idea immateriale nella realtà materiale richiede una forte dose di tenacia, determinazione, concentrazione, resistenza, energia, tempo, creatività e – soprattutto – supporto. Se ci sono riuscito, lo devo all’amore incondizionato, all’incoraggiamento, al supporto e alla cooperazione dei miei colleghi, dei miei collaboratori, dei miei amici e della mia famiglia. A loro va la mia eterna gratitudine. Vorrei ringraziare lo staff di Hay House per aver creduto ancora in me. Mi sento onorato e fortunato di far parte di una famiglia così splendida. Grazie a Reid Tracy, Stacey Smith, Shannon Littrell, Alex Freemon, Christy Salinas e al resto dello staff. Spero di aver ripagato in qualche modo ciascuno di voi. E ogni tanto un angelo arriva a portare benedizione nella nostra vita. Questi angeli di solito sono umili, altruisti, potenti e molto devoti. Ho avuto la fortuna di incontrarne uno mentre scrivevo questo libro. Katy Koontz, la mia carissima editor e ora amica, è l’incarnazione dell’eccellenza, della magia, della grazia e dell’umiltà. Katy, sono profondamente onorato di aver lavorato con te a questo progetto. Grazie per essere così infaticabile, saggia e sincera, e per dare così tanto. Sally Carr, ti sono grato per il tuo contributo al mio manoscritto. È stata una benedizione per me che tu, senza preavviso, abbia trovato il tempo di aiutarmi quando ne avevo bisogno. Sei stata 328
molto generosa. Vorrei anche ringraziare Paula Meyer, la mia assistente gestionale, che è diventata una vera guida e una voce della ragione nella mia vita. Grazie per tutto l’impegno profuso nella nostra causa. La tua luce è fulgida. Sono colpito dalla persona che sei diventata. Dana Reichel è la mia assistente personale e la coordinatrice della nostra clinica. Dana, apprezzo molto quanto sei diventata determinante nel coordinare lo staff e nell’assicurarti che tutti ricevano cure e amore. Non ho parole per dirti quanto apprezzo la tua intelligenza emotiva, la tua semplice saggezza, il tuo coraggio e la gioia che porti a molte persone, me compreso. Ti prego di continuare così. Grazie a Tina Greenbury. Non ho mai conosciuto una persona così organizzata, professionale, onesta e nobile. Grazie per continuare questo viaggio insieme a me. Penso che tu sia straordinaria. Mia cognata, Katina Dispenza, è stata fondamentale in molti modi creativi. Katina, sono molto fortunato a godere della tua partecipazione e della tua collaborazione. La cura per i dettagli che esprimi nel rappresentarmi agli occhi del mondo non passa mai inosservata. Sei stellare. E un ringraziamento speciale a Rhadell Hovda, Adam Boyce, Katie Horning, Elaina Clauson, Tobi Perkins, Bruce Armstrong, Amy Schefer, Kathy Lund, Keren Retter, al dottor Mark Bingel e al dottor Marvin Kunikiyo. Tutti voi avete contribuito in modi meravigliosi alla mia vita e vi sono grato. John Dispenza, mio fratello nonché migliore amico, sono sempre commosso dalla creatività della tua mente. Grazie per la copertina e la grafica ma soprattutto grazie per il tuo amore e la tua guida nel corso della mia vita. Il dottor Jeffrey Fannin, il nostro neuroscienziato quantistico, mi ha aiutato in modi infiniti a misurare il cambiamento. Jeffrey, grazie a te stiamo compiendo un’impresa storica. Ho una stima infinita per tutto ciò che hai fatto per me. Il dottor Dawson Church è un amico nobile e geniale appassionato di scienza e misticismo tanto quanto lo sono io. Dawson, sono 329
onorato dalle parole meravigliose che hai scritto nella Prefazione di questo libro. Spero di collaborare con te in futuro. Beth Wolfson è la coordinatrice dei miei formatori ed è una devota dirigente. Grazie Beth per aver creato con me il modello aziendale per la trasformazione e per essere così infinitamente appassionata nel credere in questo messaggio. Al resto dei miei formatori in tutto il mondo, che lavorano con tanta diligenza per diventare l’esempio vivente del cambiamento e della leadership per molte altre persone, voglio dire che sono ispirato dal vostro impegno in questo lavoro. Un ringraziamento speciale va a John Collinsworth e Jonathan Swartz, che hanno offerto la loro consulenza professionale e mi hanno aiutato a comprendere meglio i meccanismi dell’attività imprenditoriale. Ai miei figli, Jace, Gianna e Shen, che stanno diventando dei giovani adulti rispettabili, grazie per permettermi di essere così strano. E alla mia amata Roberta Brittingham: sei il mio placebo.
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L’A U T O R E www.drjoedispenza.it www.drjoedispenza.com Il dottor Joe Dispenza si è imposto all’attenzione del pubblico quando ha partecipato in qualità di scienziato al documentario Bleep. Ma che… bip… sappiamo veramente?!. Dall’uscita del film nel 2004, il suo lavoro si è ampliato, approfondito e diramato in molte direzioni cruciali, ciascuna delle quali riflette la sua passione nell’esplorare il modo in cui possiamo usare le ultime scoperte della neuroscienza e della fisica quantistica non solo per guarire da una malattia, ma anche per godere di una vita più felice e appagante. Il dottor Joe è animato dalla convinzione che ciascuno di noi ha in sé la potenzialità della grandezza e illimitate capacità. Come formatore e oratore, il dottor Joe è stato invitato a parlare in più di ventisei paesi in tutti i continenti e, adottando un linguaggio accessibile e un approccio incoraggiante ed empatico, ha insegnato a migliaia di persone come possono riscrivere il cervello e il corpo per attuare cambiamenti durevoli. Oltre a offrire una varietà di corsi online e lezioni a distanza, conduce di persona seminari progressive di tre giorni e seminari avanzati di cinque in giro per il mondo. Come ricercatore, il dottor Joe esplora i principi scientifici che spiegano le remissioni spontanee e la guarigione autoindotta di persone affette da malattie croniche o terminali. Di recente ha cominciato a collaborare con altri scienziati per indagare a fondo gli effetti della meditazione nei suoi seminari avanzati. Insieme ai suoi collaboratori effettua la mappatura cerebrale con elettroencefalogrammi (EEG) e l’analisi dei campi energetici individuali con la macchina per la visualizzazione a scarica di gas (GDV), oltre a misurare la coerenza cardiaca con monitor HeartMath e l’energia presente nell’ambiente del seminario prima, durante e dopo l’evento con un 331
sensore GDVSputnik. Progetta di inserire presto delle misurazioni epigenetiche nelle sue ricerche. Come autore, il dottor Joe ha scritto Cambia l’abitudine di essere te stesso e Diventa SuperNatural, che spiegano la neuroscienza del cambiamento e l’epigenetica. Si è laureato con lode in chiropratica dalla Life University. I suoi studi postuniversitari si sono rivolti alla neurologia, la neuroscienza, il funzionamento e la chimica del cervello, la biologia cellulare, la formazione della memoria, l’invecchiamento e la longevità. Quando non scrive e non insegna, il dottor Joe riceve i suoi pazienti presso la sua clinica chiropratica vicino a Olympia, Washington.
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IPERATTIVITÀ
IPOATTIVITÀ
Coerenza FFT dei punti zeta (Z-score)
Coerenza FFT dei punti zeta (Z-score)
-
Z-Score ≥ 1.98
+
-
Z-Score ≥ 2.58
+
-
Z-Score ≥ 3.09
Rilevamento delle deviazioni standard (DS) Rosso = AL DI SOPRA della norma Blu = AL DI SOTTO della norma
Figura 10.2
+
Calcolo del punto Z – FFT energia relativa
Il blu scuro indica il livello energetico più basso
L’azzurro chiaro indica un livello di energia inferiore
3 DS al di sotto della norma
1–2 DS al di sotto della norma
L’azzurro indica un livello energetico leggermente inferiore
Il verde-azzurro indica un livello energetico leggermente al di sotto della norma
2,5 DS al di sotto della norma
0–1 DS al di sotto della norma
Il rosso indica il livello energetico più alto
Il giallo e l’arancione indicano un livello superiore di energia
3 DS al di sopra della norma
1–2 DS al di sopra della norma Il verde chiaro indica un livello energetico leggermente al di sopra della norma
Il verde indica la norma
0–1 DS al di sopra della norma -3 -2 -1 0 1 2 3 Rilevamento delle deviazioni standard (DS) Blu = AL DI SOTTO della norma Verde = norma Rosso = AL DI SOPRA della norma Figura 10.3
CAMBIAMENTI DI COERENZA NELLA MEDITAZIONE PRIMA DELLA MEDITAZIONE
DOPO LA MEDITAZIONE
Coerenza FFT dei punti zeta (Z-score)
-
Z-Score ≥ 1.98
Coerenza FFT dei punti zeta (Z-score)
+
-
Z-Score ≥ 2.58
Figura 10.4
+
-
Z-Score ≥ 3.09
+
CAMBIAMENTI NEL MORBO DI PARKINSON DOPO LA MEDITAZIONE PRIMA DELLA MEDITAZIONE
DOPO LA MEDITAZIONE
Coerenza FFT dei punti zeta (Z-score)
-
Z-Score ≥ 1.98
Coerenza FFT dei punti zeta (Z-score)
+
-
Z-Score ≥ 2.58 Figura 10.5
+
-
Z-Score ≥ 3.09
+
CAMBIAMENTI NEL MORBO DI PARKINSON DOPO LA MEDITAZIONE 20 febbraio 2013 PRIMA DELLA MEDITAZIONE
DOPO LA MEDITAZIONE
Calcolo del punto Z – FFT energia relativa
Calcolo del punto Z – FFT energia relativa
-3 -2 -1 0
1 2 3
Figura 10.6A
9 maggio 2013
3 giugno 2013
Calcolo del punto Z – FFT energia relativa
Calcolo del punto Z – FFT energia relativa
-3 -2 -1 0 Figura 10.6B
1 2 3 Figura 10.6C
27 giugno 2013
13 luglio 2013
Calcolo del punto Z – FFT energia relativa
Calcolo del punto Z – FFT energia relativa
-3 -2 -1 0 Figura 10.6D
1 2 3 Figura 10.6E
CAMBIAMENTI NELLA LESIONE TRAUMATICA AL CERVELLO DOPO LA MEDITAZIONE PRIMA DELLA MEDITAZIONE
DOPO LA MEDITAZIONE
Coerenza FFT dei punti zeta (Z-score)
-
Z-Score ≥ 1.98
Coerenza FFT dei punti zeta (Z-score)
+
-
Z-Score ≥ 2.58 Figura 10.7
+
-
Z-Score ≥ 3.09
+
CAMBIAMENTI NELLA LESIONE TRAUMATICA AL CERVELLO DOPO LA MEDITAZIONE PRIMA DELLA MEDITAZIONE
DOPO LA MEDITAZIONE
Calcolo del punto Z – FFT energia relativa
Calcolo del punto Z – FFT energia relativa
-3 -2 -1 0
1 2 3
Figura 10.8
CAMBIAMENTI NEL RAPPORTO DELTA/THETA CON LA MEDITAZIONE PRIMA DELLA MEDITAZIONE Delta/Theta
DOPO LA MEDITAZIONE Pensieri intrusivi e brusio mentale durante la meditazione sono un problema. IL RAPPORTO BILANCIATO DELTA/THETA RIDUCE IL BRUSIO MENTALE
-3 -2 -1 0
Figura 10.9
1 2 3
Delta/Theta
20 febbraio 2013
23 febbraio 2013
Coerenza FFT dei punti zeta (Z-score)
Coerenza FFT dei punti zeta (Z-score)
-
Z-Score ≥ 1.98
+
-
Z-Score ≥ 2.58
Figura 10.10
+
-
Z-Score ≥ 3.09
+
8 aprile 2013 Coerenza FFT dei punti zeta (Z-score)
-
Z-Score ≥ 1.98
+
-
Z-Score ≥ 2.58
Figura 10.11
+
-
Z-Score ≥ 3.09
+
20 febbraio 2013
23 febbraio 2013
Calcolo del punto Z – FFT energia relativa
Calcolo del punto Z – FFT energia relativa
-3 -2 -1 0
1 2 3
Figura 10.12
8 aprile 2013 Calcolo del punto Z – FFT energia relativa
-3 -2 -1 0
1 2 3
Figura 10.13
SCANSIONE EEG NELLA NORMA
Figura 10.14
ATTIVITÀ ELEVATA NEL LOBO FRONTALE
Figura 10.15A
ATTIVITÀ ELEVATA NEL LOBO FRONTALE
Figura 10.15B
ATTIVITÀ ELEVATA NEL LOBO FRONTALE
Figura 10.15C
Calcolo del punto Z – FFT energia relativa
-3 -2 -1 0
1 2 3
Connessione con il campo quantico Connessione con il subconscio in stato theta, parallelamente a una elevata attività del lobo frontale
P3 – Si occupa dell’organizzazione delle informazioni P4 – Si occupa del processo di visualizzazione Pz – Si occupa dell’autoconsapevolezza Figura 10.16
RAGGIUNGERE L’ESTASI DURANTE LA MEDITAZIONE PRIMA DELLA MEDITAZIONE
DOPO LA MEDITAZIONE
Calcolo del punto Z – FFT energia relativa
Calcolo del punto Z – FFT energia relativa
-3 -2 -1 0
1 2 3
Figura 10.17
ESTASI TOTALE DURANTE LA MEDITAZIONE Calcolo del punto Z – FFT energia assoluta
Calcolo del punto Z – FFT energia assoluta
-3 -2 -1 0 Figura 10.18
1 2 3
AMPIEZZA DI BANDA 10 VOLTE SUPERIORE ALLA NORMA
T3 Lobo temporale sinistro: comprensione verbale, area di Wernicke (voce interiore, memoria a lungo termine) elaborazione episodica e dichiarativa, suddivisione degli eventi in sequenze, visualizzazione, memoria, in relazione all’amigdala (risposte emotive) e all’ippocampo (ricordi a lungo termine)
Figura 10.19
20 febbraio 2013 – Carefree, Arizona
11 luglio 2013 – Englewood, Colorado
Calcolo del punto Z – FFT energia relativa
Calcolo del punto Z – FFT energia relativa
Calcolo del punto Z – FFT energia assoluta
Calcolo del punto Z – FFT energia assoluta
Figura 10.20
ATTIVITÀ DELLE ONDE CEREBRALI NELLA NORMA
ESPERIENZA DI ESTASI – KUNDALINI
Figura 10.21
Copyright © 2014 by Joe Dispenza Published and distributed in the United States of America by Hay House Inc. Titolo originale: You are the placebo Traduzione: Ilaria Ortolina Immagine di copertina e illustrazioni interne: John Dispenza Grafici delle mappature cerebrali: dr. Jeffrey L. Fannin
© 2021 My Life My Life srl, Coriano (RN)
Tutti i diritti riservati. L’autore di questo libro non dispensa consigli medici né prescrive l’uso di alcuna tecnica come forma di trattamento per problemi fisici e medici senza il parere di un medico, direttamente o indirettamente. L’intento dell’autore è semplicemente quello di offrire informazioni di natura generale per aiutarvi nella vostra ricerca del benessere fisico, emotivo e spirituale. Nel caso in cui usaste le informazioni contenute in questo libro per voi stessi, che è un vostro diritto, l’autore e l’editore non si assumono alcuna responsabilità delle vostre azioni.