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Zitiervorschau

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HUBERTUS R • DROBNER ISTITUTO PATRISTICO AUGUSTINIANUM \

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PIEMME Religione



HUBERTUSR.DROBNER Istituto Patristico "Augustinianum"

PATROLOGIA Presentazione di Angelo Di Berardino

PI EMME

Titoto originale: Lehrbuch der Patrologie © Verlag Herder, Freiburg-Basel-Wien 1994 Traduzione dal tedesco di Paolo Stefano Neri e Francesco Sirleto

Copertina: Studio Aernme

I Edizìone 1998 © 1998 · EDIZIONI PIEMME Spa. 15033 Casale Monferrato (AL) - Via del Carmine, 5 Te!. 0142/)}61 - Telefax 0142/74223

Stampa: arti grafiche TSG s.r.l., via Mazzini, 4 · Te!. 0141/598516 ·Fax 0141/594702 - 14100 ASTI

PRESENTAZIONE

Que~to bel volume porta un titolo tradizionale: Patrologia. Quindi il lettore, non quello comune, subito capisce quale sia il suo contenuto; un altro titolo (per es. Letteratura cristiana antica) sarebbe stato di più facile comprensione, ma avrebbe espresso un approccio diverso da quello scelto dall'autore: diverso sia per la trattazione che per i destinatari. L'autore intende attirare l'attenzione più che agli altri aspetti letterari e al valore estetico degli scritti dei Padri, soprattutto al loro pensiero teologico, in quanto essi sono testimoni della nascita e dello sviluppo della riflessione cristiana sulla rivelazione e sul modo di viverla nel mondo. I destinatari sono precipuamente quelle persone che nella loro formazione culturale e religiosa considerano indispensabile una tale conoscenza. Manuali di tal genere hanno bisogno di un continuo aggiornamento e revisione per il progresso degli studi ma anche per le varie accentuazioni nell'ambito della ricerca e della sensibilità accademica. Le pubblicazioni che possono soddisfare tale scopo sono molto numerose e talune anche ben fatte; tuttavia alcune sono troppo vaste, altre sono utili per una prima informazione. Personalmente considero l'opera di Drobner molto adatta agli studenti delle facoltà teologiche; essa fornisce loro un quadro sufficientemente ampio e preciso per una corretta e ben informata conoscenza degli antichi scrittori cristiani. Al fruitore inoltre vengono offerti tutti quei consigli e strumenti utili per le sue eventuali esigenze di approfondimento e di interessi specifici. Benvenuta la traduzione italiana, che è frutto di una reale revisione ed ampliamento da parte dell'autore, che l'ha seguita con affetto e dedizione. Angelo Di Berardino

PREFAZIONE

La presente «Patrologia>> vuole essere sia una prima introduzione alla letteratura cristiana antica per gli studenti e per chiunque se ne interessi (anche se privo di una preparazione specifica), sia una prima opera di riferimento per gli specialisti. Essa parte dalla defmizione di tennini come «Patrologia», «Padri della Chiesa» e «Letteratura cristiana antica>> e conduce poi il lettore, passo per passo, con uno stile chiaro, attraverso la. storia della letteratura cristiana dei primi sette-otto secoli. Presenta una scelta degli autori e delle opere principali inseriti nel loro contesto storico, politico, sociale, letterario, culturale ed ecclesiastico, perché oggi la Patrologia non è più soltanto «Vita, opere e dottrina dei Padri della Chiesa», ma prende in considerazione tutti i contenuti della letteratura cristiana antica nonché tutti i fenomeni del mondo antico in cui essa è inserita. La divisione del libro segue generalmente la ~ronologia. L'ordine cronologico viene però completato da capitoli, introduzioni e digressioni tematiche e diacroniche che offrono una visione integrale della letteratura, della storia e della teologia, come per es.: «La formazione del canone biblico», «Il greco e il latino cristiano», «Il Dialogo e la Lettera nell'antichità e nel cristianesimo», «Ortodossia ed eresia nella chiesa antica», «Aspetti fondamentali della storia del IV secolo», > che fa parte della renana «Friedrich WilhelmsUniversitiit». Indispensabile opera di consultazione, i cui articoli, ampliati nel corso degli anni, hanno acquistato valore enciclopedico. Articoli supplementari vengono pubblicati nel «Jahrbuch fiir Antike und Christentum», raccolti poi in volumi. Cfr. il Reallexikon fiir Antike und Christentum wid das F. J. Dolger-lnstitut in Bonn. Berichte, Erwiigungen, Richtlinien vorgelegt von Theodor Klauser, St '1970.

3. Dizionari complessivi sulla vita e il pensiero della Chiesa Biographisch-Bibliographisches Kirchenlexikon (BBKL), (bearb. und) hrsg. von F. W. Bautz und T. Bautz, Hamm 1975 ss. Dizionario delle persone cristiane senza distinzioni confessionali, il cui diverso valore dipende dall'ampiezza e qualità dei rispettivi articoli, forniti di bibliografia ampia e talvolta esaustiva. Redatto in un primo momento dal solo Friedrich Wilhelm Bautz, dopo la sua morte vi collaborano molti autori, e tra questi illustri specialisti.

Dictionnaire d'histoire et de géographie ecclésiastiques (DHGE), P 1912 ss . .Grande dizionario di storia della Chiesa, comprende anche la Chiesa antica e la patrologia e, soprattutto negli ultimi volumi, offre importanti articoli ed indicazioni bibliografiche.

Dictionnaire de spiritualité, ascétique et mystique, doctrine et histoire (DSp), P

1937 ss.

. •'

Dizionario degli aspetti più importanti della spiritualità cristiana giunto ormai a conclusione, offre oltre a ciò essenziali informazioni storiche ed una bibliografia anche per la chiesa antica e per i Padri, soprattutto nei volumi più recenti.

Theologisch.e Realenzyklopiidie (TRE). In Gemeinschaft mit zahlreichen Fachkollegen hrsg. von G. Krause e G. Miiller, B - NY 1977 ss. Opera specialistica di ambito protestante, prodotta da collaboratori specialisti internazionali. Articoli fondamentali, enciclopediçi, con bibliografia particolareggiata. Per il periodo patristico sono riportate differenti interpretazioni confessionali solo quando è necessario, soprattutto nella scelta dei lemmi. L'indicazione delle abbreviazioni, raccolte da Siegfried M. Schwertner (2 1994 = IATG•), costituisce sempre più uno standard internazionale a cui è bene far riferimento.

4. Enciclopedia generale del!' antichità classica Paulys Realencyclopadie der classischen Altertumswissenscha/t (PRE). Neue Bearbeitung, begonnen von G. Wissowa, fortgefùhrt von W. Kroll und K. MitBIBLIOGRAFIA GENERALE

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telhaus .. Unter Mitwirkung zahlreicher Fachgenossen hrsg. van K. Ziegler, St -

Mn 1894-1978.

- J.P. MURPHY, Jndex to the Supplements and Suppl. Volumes of Pauly-Wissowa's R.E. 2, Chicago 21980. - Register der Nachtriige und Supplemente von H. Gartner und A. Wiinsch, Mn 1980. Monumentale opera di base per tutti i settori del mondo e della letteratura classica, fu iniziata nel 1894 e integrata da 15 volumi supplementari. Conosciuta come «il grande Paul}'>> o RE, nel nuovo elenco delle abbreviazioni (cfr. Schwermer) è indicata come PRE. Gli articoli offrono spesso un ammodernamento monografico· dell'argomento, quando dopo diversi anni dalla prima apparizione.possono essere integrati alla luce di nuove scoperte. Alla fine delle aggiunte e dei supplementi ci sono i due indici suindicati.

C. Patrologie e storie della letteratura

B. ALTANER I A. STUIBER, Patrologie. Leben, Schri/ten und Lehre der Kircbenvater, F - Ba - V 61978 e ss. Paperback 1993. = Précis de Patrologie, adapté par H. Chirat, P - Toumai 1961. =Patrologia, trad. por E. Cuevas y U. Dominguez-Del Val, M 5 1962. =Patrologia, Casale 7 1977. = Patrology, transi. H. C. Graef, NY 1961. Opera indispensabile. Descrive brevemente tutti gli autori e le opere del periodo patristico, con abbondante bibliografia. Il suo pregio principale consiste nei dati storici e letterari così come nel messaggio dogmatico dei Padri. Il testo è stato rivisto fino alla settima edizione del 1966, nell'ottava del 1978 sono state aggiunte 128 fitte pagine di integrazioni bibliografiche. Da allora viene stampato senza modifiche.

O.

BARDENHEWER,

Geschichte der altkirchlichen Literatur, 5 voli., F 2 1923-32.

Al suo tempo la patrologia più completa e approfondita. Offre l'analisi migliore dello stato delle ricerche e a tutt'oggi, spesso, un'ottima descrizione delle singole opere.

H.-G.

BECK,

Kirche und theologische Literatur im byzantinischen Reicb =

HAW X II/2/2 (1959). Manuale fondamentale per la letteratura cristiana bizantina dal VI sec. alla fine dell'impero bizantino del 1453. E dal momento che per la comprensione della letteratura di questo tempo è importante conoscere anche le strutture ecclesiastiche che sono intimamente connesse con quelle statali, anch'esse vengono descritte: la Chiesa imperiale e la sua organizzazione, la liturgia e l'agiografia, la.teologia.

G. Bosro I E. DAL Covo10 I M. MARITANO, Introduzione ai· Padri della chiesa,

5 voli., T 1990-1996. Edizione rinnovata dell'opera in due volumi. Iniziazione ai Padri di Guido Bosio (T 2 1%3-4)..

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BIBLIOGRAFIA GENERALE

Offre, accanto all'introduzione alla vita, alle opere e all'insegnamento dei Padri della Chiesa, anche testi scelti in traduzione italiana.

W. VON CHRIST I W. SCHMID I O. STAHLIN, Geschichte der griechischen Literatur, 3 voli. =HAW VII (6 1912-24). Manuale filologico organizzato come semplice storia letteraria, a differenza delle >: ThGI 81 (1991) 190-201. - fu., Lo studio dei Padri della Chiesa oggi: Sal. 53 (1991) 1-148, 219-72. - E. DAL CovoLO I A.M. TRIACCA (ed.), Lo studio dei Padri della Chiesa oggi= BSRel 96 (1991). - E. DAL CovoLO, I Padn· della Chiesa maestri di formazione sacerdotale: Sal. 55 (1993) 133~46. INTRODUZIONE

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PARTE PRIMA

LA LETTERATURA APOSTOLICA E SUBAPOSTOLICA

Introduzione

GLI INIZI DELLA LETTERATURA CRISTIANA

l.

TRADIZIONE ORALE E FORME PRELETTERARIE

Tra la morte e la risurrezione di Gesù, intorno all'anno 30, e lanascita della prima letteratura cristiana, trascorrono venti anni. Gesù aveva annunciato la sua dottrina soltanto orahnente, e anche le comunità cristiane originarie non avvertivano ancora il bisogno di fissare tutto per iscritto: erano infatti ancora vivi i testimoni oculari, coloro che avevano personalmente conosciuto e ascoltato Gesù, a garantire l'autenticità del suo Vangelo. Inoltre si aspettava il promesso ritorno del Messia e la definitiva edificazione del regno di Dio nel corso della loro stessa vita (attesa «ravvicinata»). In questo tempo si svilupparono, allo stesso modo che presso tutti i popoli nella loro fase di tradizione orale mediante storie, miti e proverbi, le cosiddette forme preletterarie, che noi conosciamo nella misura in cui furono accolte nella letteratura successiva. Queste si accrebbero sul terreno dei quattro ambiti di vita più importanti delle primitive comunità giudeocristiane ed etnicocristiane, le cui culture ed usanze si fusero insieme: a) Nel quotidiano come esortazioni ed insegnamenti per una vita cristiana (parenesi); tra questi vanno ricordati i celebri cataloghi di virtù e vizi (Gal 5, 19-23), le «tavole» di morale domestica (Col 3, 184, 2) e la dottrina delle due vie di derivazione ebraica, così come si trovano nella Lettera di Barnaba (cfr. cap. l.III.B.) e nella Didaché (cfr. cap. 2.II.B.), che pongono i cristiani davanti alla decisione di procedere sulla strada del bene o su quella del male, della luce o delle tenebre. La parenesi scritta ha le sue radici e i suoi paralleli nella tra INTRODUZIONE - GLI INIZI DELLA LETTERATIJRA CRISTIANA

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dizione sapienziale popolare dell'ebraismo così come nella filosofia ellenistica popolare e serve essenzialmente come ricordo e ripetizione di quella orale. b) Nella liturgia come preghiere, canti e acclamazioni come p. es. «Amen, Alleluia, Osanna», Padre nostro (Mt 6, 9-13), Magnificat (Le 1, 46-55) e Benedictus (Le 1, 68-79).

e) Nella catechesi per il consolidamento della fede all'interno della comunità e per la preparazione dottrinale dei neofiti, ih particolare per la recezione del battesimo, come}'· es. le prime forme abbreviate del Credo (At 8, 37) e la formula battesimale di Mt 28, 19.

d) Nella predicazione missionaria come formule kerigmatiche che. riassumono laptedicazione stessa (1 Ts l, 9 s) o delimitano il monoteismo cristiano ih forma polemica e proclamatoria nei confronti del politeismo (eiç-Acdamazioni, 1 Cor 8, 6). L: PH. VIELHAUER, Geschichte der urchristlichen Literatur. Einleitung in das Neue Testament, dieApokryphen und dieApostolischen Vai'er, B-NY 1975, 9-57.

e) Uno specifico genere letterario è costituito dalla tradizione orale delle «parole» e «opere» di Gesù, che generalmente ma non nella loro totalità hanno trovato posto nella elaborazione dei quattro Vangeli ca-· nonici. Vi sono i cosiddetti «Agrafa» (aygmpoç = non scritto), parole del Signore che non sono state conservate nei quattro Vangeli canonici ma in altre fonti, molto spesso più tarde: nei restanti scritti del Nuovo Testamento (p. es. At 20, 35: «ricordatevi delle parole del Signore Gesù che ha detto: C'è più gioia nel dare che nel ricevere»), negli apocrifi neotestamentari, negli scritti dei Padri della Chiesa e perfino in opere islamiche. Particolarmente importanti sono, a tale proposito, i papiri ritrovati dal 1897 al 1928 ih Ossirinco (200 km a sud del Cairo) e il Vangelo gnostico di Tommaso scoperto nel 1945 a Nag Hammadi, che presenta una raccolta di 114 «detti del Signore» (cfr. cap. 1.I.C.). Molti «agrafa» sono nati come racconti immagihari, liberi e tendenziosi, di gruppi e sette, a sostegno delle loro dottrine; altri, invece, come rielaborazioni e modifiche dei Vangeli canonici. Rimane però un ristretto numero di opere che possono essere ritenute autentiche e poste accanto ai Vangeli canonici. Di fatto non comunicano niente di nuovo o di diverso dal contenuto dei Vangeli canonici, ma confermano i documenti autentici del messaggio di Gesù.

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I. LA LETTERATURA APOSTOUCA E SUBAPOSTOLICA

Dagli «agrafa» risulta particolarmente chiaro ciò che del resto è vero per l'intera tradizione orale· del cristianesimo: questa non termina con il sorgere della letteratura cristiana ma prosegue in parallelo con essa, cosicchè si deve sempre tener conto del suo influsso sugli scritti e sulla teologia dei Padri. B:]. H. CHARLESWORTH, The New Testament Apocrypha and Pseudepigrapha: a guide to publications, with excursuses on apocalypses == ATLA.BS 17 (1987) 138-55.

E: A. REscH ==TU 514 (1889); 30/4 (1906). - M. AsfN Y PALAcros: PO 1313 (1916) 327-431; 19/4 (1926) 529-624. - E. KLosTERMANN =KIT 8 (31929); 11 ( 2 1911). - A. DE SANTOS 0IBRO == BAC 148 (11975) 108-22. Tr: M. ERBETTA (ed.), Gli apocrifi del Nuovo Testamento III, CM 1975, 83-96.

- L. MoRALDI (ed.), Apocrifi del Nuovo Testamento I, T 1971, 459-74 =I, CM 1994, 529-45.

L: Art. di diz.: O. HoFius: TRE 2 (1978) 103-10. - M. G. MARA: DPAC I 104. Studi (z"n parte con antologie):]. H. RoPES, Die Spriiche Jesu, die in den kanonischen Evangelien nicht iiberliefert sind. Bine kritische Bearbeìtung des von D. Al/red Resch gesammelten Materials = TU 14/2 (1896). - ]. ]EREMIAS (unter Mitw. von O. Hofius), Unhekannte Jesusworte == BFChTh 4512 (11963). - F. BovoN I H. KOESTER, Genèse de l'écriture chrétienne, Tu 1991. - J. K. ELLIOTT, Non-Canonica! Sayings of Jesus in Patristic Works and in the New Testament Manuscript Tradition: R. GRYSON (ed.), Philologia sacra (FS H. ]. Prede I W. Thiele) == VL 24/2 (1993) 343-54.

Il. I GENERI LETTERARI DELLA LETIERATURA APOSTOLICA Il più antico brano letterario che abbiamo è la prima lettera ai Tessalonicesi dell'apostolo Paolo, composta nell'anno 51o52 in Corinto. Seguono le altre.lettere paoline autentiche ai Galati, ai Corinzi, ai Filippesi, a Filemone e ai Romani. Da queste si riconosce bene come nasèe la letteratura cristiana: non con l'intenzione di comporre un'opera letteraria, bensì per necessità pratiche. La crescente diffusione del cristianesimo rese sempre più difficile il rapporto personale che quindi si dovette sostituire con la forma della lettera scritta. In un primo momento quindi la lettera non appartiene affatto alla letteratura. Solo in seguito sarà considerata e conservata come documento letterario. INTRODUZIONE ··GLI INIZI DELLA LETTERATURA CRISTIANA

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Questo non significa che queste lettere, secondo la loro forma, debbano essere per forza non-letterarie. La cultura greca e romana, da ben prima che sorgesse il cristianesimo, aveva sviluppato una cultura del1'«epistolografia» con precise indicazioni stilistiche che venivano osservate dal dotto corrispondente, prescindendo ovviamente dalle consuete formule relative all'intestazione e ai saluti (è:f.r. secondo excursus). Le lettere abitualmente si differenziano tra quelle indirizzate ad una sin~ gola persona e quelle destinate ad un'intera comunità e perciò pubbliche. A volte l'autore sa già oppure suppone che la sua lettera sarà considerata e conservata . quale documento letterario, e di conseguenza tende ad usare uno stile elevato. Queste differenze possono essere constatate anche nelle primissime lettere cristiane, molte delle quali sono indirizzate ad intere comunità, vengono rese pubbliche durante il servizio divino ed inviate successivamente ad altre comunità; pertanto il loro messaggio cristiano ha un carattere universale ed insieme istruttivo-parenetico. All'incirca vent'anni dopo, intorno all'anno 70, nacque il secondo genere della letteratura cristiana, il vangelo, da un ulteriore bisogno di comunicazione, quello cioè di preservare per la posterità l'autentico messaggio di Cristo. Quaranta anni dopo la morte e la risurrezione di Cristo, i cristiani si vedevano delusi nell' «attesa ravvicinata» di un imminente ritorno del Messia. Uno alla volta morivano i testimoni oculari, e sempre più spesso i singoli gruppi si richiamavano a divergenti tradizioni orali. Da ciò nacque la necessità della fissazione scritt.a del vero «evangelo», alla quale si sottoposero diversi autori in diversi luoghi e sulla base di differenti premesse. Così fu composto per primo, intorno ali' anno 70' in una comunità ellenistica, il Vangelo di Marco, intorno all'anno 80 il Vangelo di Luca, tra il 90 e il 95 in una comunità giudeocristiana il Vangelo di Matteo, e intorno all'anno 100 il Vangelo di Giovanni. Essi informano sulla vita e sulla dottrina di Gesù, dalla nascita alla prima apparizione pubblica fino alla sua risurrezione, tuttavia non sulla base di un interesse cronologico e storicizzante, bensì a partire·dalla fede, dalla riflessione teologica e dall'esperienza delle comunità, con il fine di nna professione di fede teologica e catechetica. Marco vuole ad esempio spiegare il segreto del Messia e comincia perciò con I' annuncio della sua venuta da parte di Giovanni il Battista e con il battesimo dello stesso Gesù. Matteo, al contrario, vuole cfunostrare come l'Antico Testamento si inveri nel Nuovo, sottolinea la ~

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I. LA LETI'ERATURA APOSTOLICA E SUBAPOSTOilCA

maestà di Gesù e comincia perciò con la sua discendenza dai Patriarchi. Ciascun Vangelo presenta una propria scelta del materiale, un proprio modo di narrare e di rappresentare, rielaborando precedenti filoni tradizionali. L'intenzione di Luca si rivela chiaramente nel fatto che il suo Vangelo fu composto come primo libro di un'opera in due volumi, alla quale appartiene come parte fondamentale una storia degli Apostoli (gli Atti} che produsse un nuovo, terzo genere letterario del Nuovo Testamento. Come egli stesso dichiara nel proemio del suo Vangelo (1, 1-4), vuole offrire una relazione precisa e dettagliata della storia della salvezza, cominciata con l'annunciazione del Messia e con la sua ascesa al cielo, e proseguita con la diffusione del messaggio salvifico per tutta la terra grazie ali'opera degli Apostoli. Come quarto genere della letteratura apostolica sorsero infine le «apocalissi» (la prima fu l'Apocalisse di Giovanni verso la fine del I sec.), rivelazioni profetiche intorno alla fine del mondo, che valgono come ammonimento ma anche come incoraggiamento ad affrontare le persecuzioni e i dolori di questa epoca che precede la fine del mondo. Esse seguono, nel contenuto e nello stile, i modelli letterari che si svilupparono nella ricca apocalittica durante il tardo giudaismo.

INTRODUZIONE. GLI INIZI DELLA LETTERATURA CRISTIANA

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Capitolo Primo

GLI APOCRIFI BIBLICI

L: L. LELOIR, Utilité ou inutilité de l'étude des apocryphes: RTL 19 (1988) 38-70.

- E. }UNOD, La littérature apocryphe chrétienne constitue-t-elle un objet d'études?: REA 93 (1991) 397-414. - J.-D. KAEsru I D. MARGUERAT (ed.), Il mistero degli apocripfi. Introduzione a una letteratura da scoprire, M 1996 [f Ginevra 1995].

INTRODUZIONE:

LA FORMAZIONE DEL CANONE BIBLICO

A. Il Nuovo Testamento

Anche se i 27 scritti che compongono l'attuale canone (xavcbv ==metro, misurà, criterio). fan parte delle opere letterarie cristiane più antiche, furono necessari alcuni secoli per la sua formazione, giacché nei primi cinque secoli fu redatto un numero considerevole di opere classificabili secondo i quattro generi letterari sopra descritti, e fin dall'inizio tutte con l'intenzione originaria di apportare un contributo alla fis~ sazione scritta dell'autentica dottrina di Cristo. Come primo criterio decisivo dell'autenticità si impose l'«apostolicità» degli scritti. Pertanto, quando non era stato un Apostolo o un discepolo degli Apostoli a scrivere una determinata opera, la si attribuiva ad uno di questi; ciò non con l'intenzione di operare una falsificazione o un inganno, bensì per porla sotto l'autorità apostolica e dimostrare con questo l'esistenza in essa di una verità di fede nascosta. Naturalmente non tutti gli scritti presentavano la stessa qualità ed attendibilità, cosicché le singole comunità, con differenziazioni locali, accoglievano solo una parte di essi nella pubblica predicazione liturgica, riconoscendoli di conseguenza 1. GLI APOCRIFI BIBLICI

61

come Sacra Scrittura. Così intorno alla metà del II sec. si formò un primo consenso intorno alla tradizione che,· in tal modo, si configurò come un criterio decisivo nella fissazione del canone neotestamentario. Nel corso del II sec., infatti, delle correnti eterodosse all'interno della Chiesa, e in primo luogo lo gnosticismo, cominciarono a produrre e a venerare W.G.

KOMMEL, Einleitung in das Neue Testament,

Hei ll1973, 400. 1. GLI APOCRIFI BIBLICI

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2. L'autore riceve il messaggio sotto forma di visione estatica o onirica, nel corso della quale viene portato nel mondo celeste per conoscere e descrivere l'aldilà (dr. Ap 1, 10 s). Il culmine di questo viaggio celeste si raggiunge con la visione della sala del trono, nell'incontro con Dio stesso, incontro che legittima il veggente. La descrizione della rivelazione sceglie abitualmente la forma della prima persona singolare. 3. Le visioni avvengono sotto forma di immagini e rappresentano allegorie che vengono svelate al veggente con l'aiuto di un mediatore (angelus interpres), di Dio stesso o di Cristo. ,. 4. Le Apocalissi sistematizzano l'insieme confuso dei fenomeni osservati, specialmente attraverso numeri, per mostrare così la loro comprensione dell'ordine divino. 5. Poiché le Apocalissi non hanno un fine esoterico ma pratico e riferito al presente, e cioè il rafforzamento e la guida del credente nelle difficoltà proprie degli ultimi tempi, esse comprendono, quali parti essenziali, la parenesi e l'omiletica che possono configurarsi come preghiera e lamentazione, ma anche come lode, ringraziamento ed inno.

Quattro grandi opposizioni contrassegnano il mondo immaginario delle Apocalissi: il dualismo tra i due Eoni (mondo presente e mondo futuro), universalismo e individualismo, pessimismo e speranza nell'aldilà, determinismo e attesa di un futuro immanente. La storia del mondo e le sue epoche si svolgono secondo il grande e immodificabile piano salvifico di Dio, dalla creazione fino alla sua fine. L'Eone del mondo è maligno, dominato da Satana e degenera di generazione in generazione fino alle catastrofi politiche e cosmiche degli ultimi tempi. Grazie alla sua obbedienza ai precetti divini il singolo si salverà, indipendentemente da un'esigenza e da un'aspettativa nazionale di salvezza. Il vecchio mondo del peccato, dell'idolatria e del dominio dell'uomo deve scomparire, prima che abbia inizio il regno di Dio; tuttavia al fedele, già in questa vita, Dio promette la partecipazione al nuovo mondo subordinatamente all'osservanza dei suoi comandamenti. Nell'attesa della salvezza, che si verificherà nel prossimo Eone, il credente è sostenuto dalla speranza e dalla certezza del premio per la sua perseveranza e per la sua fede, e dalla certezza della punizione per i senza Dio: i segni dei tempi dimostrano la vicinanza della fine del mondo preannunciata da Dio, senza che possa tuttavia 90

I. LA LETTERATURA APOSTOLICA E SlJBAPOSTOUCA

essere indicata la sua data precisa. Il presente, pertanto, è il tempo della conversione e della preparazione all'Eone che viene. In questo contesto sorgono, a partire dal II sec., Apocalissi cristiane e rielaborazioni cristiane di Apocalissi giudaiche, tra le quali il Testamento di Abramo, l'Apocalisse di Esdra e il Libro di Enoc (in slavo). Sul piano del contenuto ovviamente le visioni giudaiche dell'aldilà vengono riformulate o sostituite dall'escatologia cristiana primitiva. I temi principali delle Apocalissi del II sec. sono: la spiegazione del ritardo della parusia che, conformemente al piano escatologico divino, ancora non si è potuta realizzare, la fine del mondo e l'aldilà. A partire dal IV sec. (stranamente non ci sono state tramandate apocalissi del III sec.) l'interesse si allarga alla descrizione del cielo e dell'inferno, al rinvigorimento della morale e della fede ortodossa dei cristiani, interesse che a volte si trasforma in una curiosa ansia di conoscenza di dettagli intorno al giudizio finale e alla fine del mondo, e ciò a causa del fatto che l'escatologia della Chiesa era già stata posta su binari ben stabiliti. In ogni caso gli apocalittici cristiani non avevano la libertà di quelli giudei che potevano elaborare spontaneamente un materiale per loro generalmente del tutto nuovo. Tra le più importanti apocalissi cristiane troviamo: l'Apocalisse di Pietro, l'Ascensione di Isai·a, l'Apocalisse di Paolo e quella di Tommaso. A Nag Hammadi venne alla luce anche una serie di apocalissi gnostiche, delle quali però non è ancora stata fatta un'adeguata valutazione. Cfr. anche le note all'Introduzione A.

E: C. TISCHENDORF, Apocalypses Apocryphae, L 1866. - M.R. JAMES, Apocrypha anecdota = TaS II/ 3 (1893). - A. BòHLIG IP. LABIB, Koptisch-gnostische Apokalypsen aus Codex V von Nag Hammadi im Koptischen Museum :zu Alt-Kat'ro: WZ{H) Sonderband (1963) [T/Tr.ted].

L: Art. di diz.: A. 0EPKE: ThWNT 3 (1938) 565-97. - J. LEBRAM I K. Mu1I A. STROBEL I K.-H. ScHwARTE: TRE 3 (1978) 192-275. - E. RoMERo PosE: DPAC I 270-2.

LER

&ccolte: K. KoCH I J. M. ScHMIDT (ed.), /ipokalyptik = WdF 365 (1982). - D. (ed.), Apocalypticism in the Mediterranean World and tbe Near East, Tub 1983. - C. KAPPLER e a. (ed.), Apocalypses et voyages dans l'au-delà, P 1987. HELLHOLM

Studi: W. SCHMITHALS, Die Apokalypttk. Einfahrung und Deutung, Go 1973. BEAGLEY, The «Sitz im Leben» o/ the Apocalypse wzth Partù:ular Re/erence

A.J.

1.

GLI APOCRIFI BIBLICI

91

to the Role o/ the Church's Enemies = BZNW 50 (1987). - CH. ROWLAND, Apocalyptic Literature. D.A. CARSON (ed.), It Is Written: Scripture Citing Scripture (FS B. Lindars), C 1988, 170-89. - A. YARBRO COLLINS, Early Christian Apocalyptic Literature. ANRW II 25.6 (1988) 4665-4711. - RE. STURM, Defining the Word «Apocalyptic»: A Problem in Biblica! Critiàsm: J. MARcus I M.L. SoARDS (ed.), Apocalyptic and the New Testament (FS J. L. Martyn) == JSNT.S 24 (1989) 17-48. - W. ZAGER, Begri/f und Wertung der Apokalyptik in der neutestamentlichen Forschung, Bern 1989.

B. Il Pasto;e di Erma Il più apprezzato tra gli scritti extra-canonici dei primi secoli del cristianesimo fu il Pastore di Erma, che in molti luoghi godette di un prestigio perfino canonico. Autore di questa apocalisse, che in ampia misura fu redatta in un lungo lasso di tempo a Roma tra il 130 e il 1404, fu uno schiavo liberato e commerciante al dettaglio di nome Erma. Il nome «Pastore» deriva a questo scritto dal secondo dei personaggi rivelatori che appaiono in esso. L'opera si suddivide in cinque visioni (visiones), dodici comandamenti (mandata) e dieci similitudini (similitudines), da cui prendono titolo le diverse parti dell'opera stessa. La prima e la quarta visione, così come la parte che va dalla quinta visione alla settima similitudine, sono libri autonomi e indipendenti l'uno dall'altro ma scritti dallo stesso autore 5 che, nel riunire il materiale, ha aggiunto anche le similitudini IX e X. La visione V costituisce l'introduzione ai libri seguenti. Le visioni cominciano con il racconto della vendita a Roma di Erma come schiavo di una certa Rode e della sua successiva liberazione. Un giorno egli vede la sua prima padrona che fa il bagno nel Tevere e l' aiuta ad uscire dal fiume. Quando si accorge della sua bellezza, si augura in cuor suo di prendere in moglie un giorno una donna simile a lei. Alcuni giorni più tardi, sulla strada per Cuma, sede della Sibilla a nord di Napoli, viene rapito dallo Spirito e condotto in una regione sconosciuta. Lì gli appare la sua ex padrona sotto forma di immagine celeste; ella gli spiega che, anche se solo nel pensiero, il suo desiderio non è stato altro che un peccaminoso adulterio. Appare poi una vecchia ve4 5

92

Le datazioni proposte vanno dalla fine del I fino alla fine del II secolo. Giet e N aucin ipotizzano tre diversi autori. I. LA LETIERATURA APOSTOLICA E SUBAPOSTOLICA

stita di luce, che egli crede sia la Sibilla, ma che più tardi apprende essere l'incarnazione simbolica della Chiesa. Essa richiama Erma e l'intera sua famiglia alla penitenza. La seconda visione si svolge un anno più tardi nello stesso luogo. La vecchia consegna ad Erma un libretto, una (Altaner I Stuiber 8 1978, 43). Tradizionalmente con l'espressione > è costituito dal fatto che, alla fine dell'apologia, lo stesso autore promette di trattare in futuro l'argomento della risurrezione dei morti, ed inoltre riel codice Atethas viene menzionata la res seguita dall'indicazione >, Lov - P 1992 ss. - C.A. EVANS I R.L. WEBB I R.A. WIEBE, Nag Hammadi Texts and the Bible. A Synopsis and Index = NTTS 18 (1993).

In-

L: Art. di diz.: G. FILORAMO: DPAC II 2329-32. - H.-M. ScHENKE: TRE 23 (1994) 731-6. &ccolta: ].D. TURNER I A. McGurRE (ed.), The Nag Hammadi Library After Fifty Years = NHMS 44 (1997). Studi: W.C. VAN UNNIK, Evangelien aus dem Nilsand. Mit einem Beitrag «Echte Jesusworte?» von J.B. Bauer und mit einem Nachwort «Die Edition der koptischgnostischen Schri/ten von Nag-Hammadi» von W.C. Tzll, Ffm 1960. - C. COLPE, Heidnische, judische und christliche Ùberlieferung in den Schri/ten aus Nag Hammadi I-X: JAC.15 (1972) 5-18; 16 (1973) 106-26; 17 (1974) 109-25; 18 (1975) 144-65; 19 (1976) 120-38; 20 (1977) 149-70; 21(1978)125-46; 22 (1979) 98-122; 23 (1980) 108-27; 25 (1982) 65-101. - M. KRAusE, Die Texte von Nag Hammadi: B. .ALAND e a. (ed.), Nag Hammadz; Gnosticism and Early Christt'anity, Peabody/ MA 1986. - C.M. TucKETT, Nag Hammadi and the Gospel Tradition. Synoptic Tradztion in the Nag Hammadi Library, Edinburgh 1986. - C. SCHOLTEN, Martyrium und Sophiamythos im Gnostizismus nach den Texten von Nag Hammadi = JAC.E 14 (1987). - A. KHOSROYEV, Die Bibliothek von Nag Hammadi. Einzge Probleme des Christentums in Àgypten wiihrend der ersten Jahrhunderte, Altenberge 1995. - M. FRANZMANN, Jesus in the Nag Hammadi Writings, Edinburgh 1996. · A. BòHLIG, Die Bedeutung der Funde von Medinet Madi und Nag Ham3. IA

LETTERATURA

GRECA

167

madi/ur die Er/orschung des Gnostizismus: A. B6HLIG I CH. MARKSClllES, Gnosis und Manichiiismus. Forschungen und Studien zu Texten von Valentin und Mani sowie zu den Bihlzòtheken von Nag Hammadi und Medinet Madi = BZNW 72 (1994) 113-242.

Le scoperte di Nag Hammadi hanno portato alla luce opere gnostiche cristiane e non cristiane che, con tutta probabilità, risentono cli influenze reciproche: scritti gnostici pagani vennero cristianizzati e successivamente ripaganizzati. In ogni caso questi scritti non consentono deduzioni relative ai gradi cli sviluppo della gnosi prima del II sec. Le sue origini rimangono pertanto avvolté' nell'oscurità, e si può soltanto affermare che in essa venne continuato quello sforzo, tipico del mondo ellenistico precristiano, cli approfondire le proprie conoscenze. Tutti i tentativi di spiegazione, che hanno preso le mosse dalla religione e dalla filosofia greca, dal giudaismo, da fonti persiane, dal Nuovo Testamento, ecc., quali quelli sostenuti in particolare dalla scuola formatasi intorno a R. Reitzenstein e W. Bousset e dedita alla storia delle religioni, o da R. Bultmann e dalla sua scuola, non possono essere ritenuti esaurienti. Rimane sostanzialmente dubbia l'esistenza cli una gnosi precristiana, cosicché si deve convenìre con l'orientamento della scuola inglese e con i più recenti lavori cli C. Colpe, in cui si afferma la nascita del movimento gnostico non anteriormente al I sec., e perciò parallelamente e in concorrenza al cristianesimo. Certamente, se si guarda ai sofisticati sistemi gnostici del II sec., si possono scoprire molteplici elementi particolari provenienti da diverse fonti, ad es. dalla filosofia platonica, dalla mitologia, dal giudaismo, e dalle religioni orientali; finora non è stata tuttavia raggiunta alcuna convincente prova che, già precedentemente, questi singoli elementi possedessero un significato gnostico, o che siano stati integrati solo più tardi nello gnosticismo. Perciò oggi la ricerca distingue, sul piano terminologico, tra la gnosi come teoria della conoscenza e lo gnosticismo come dottrina che redime, perché quest'ultimo presuppone un intero sistema gnostico, non solo singoli elementi o miti. Questo gnosticismo, nei limiti in cui oggi lo si può affermare, si presenta già nel II sec. pienamente sviluppato in una molteplicità di sistemi sia cristiani che non cristiani, ognuno con una sua terminologia. La convinzione, tramandata dai Padri della Chiesa, che Simon Mago sia stato il primo gnostico, è priva di qualsiasi fondamento. Lo gnosticismo raggiunse la sua piena fioritura in due sistemi del II sec. molto differenti tra loro, quelli di Basilide e di Valentino. 168

II. LA LETTERATURA DELL'EPOCA DELLE PERSECUZIONI

B: A. AoAl'v!, Neuere Uteratur zum Problem der Gnosis: GGA 215 (1963) 2246. - G. GIUROVICH, Bibliografia sullo gnosticismo: ScC 1970, Suppl. l, 39;'54'". K. RuDOLF, Gnosis und Gnostizismus. Ein Forschungsbericht: ThR34 (1969) 12175, 181-231, 358-61; 36 (1971) 1-61, 89 bis 124; 37 (1972) 289-360; 38 (1974) 125. - D.M. ScHOLER, Bibliographia Gnostica, Supplementum: NT 13 (1971) ss. R. VAN DEN BROECK, The Present State of Gnostic Studies: VigChr 37 (1983) 4171. - G. FrLORAMO, Il risveglio della gnosi ovvero diventar dio, R - Bari 1990. - K. RuDOLPH, Die Gnosis: Texte und Ubersetzungen: ThR 55 (1990) 113-52. E: W. V6LKER, Quellen zur Geschichte der chrzstlichen Gnosis = SQS NS 5 (1932). - C. ScHMIDT (ed.), Koptisch-gnostische Schri/ten, I: Die Pistis Sophia, die bezden Bucher des Jeu, unbekanntes altgnostisches Werk = GCS 45 ('l962 bearb. W. Till). - G. QursPEL, Ptolémée, Lettre à Flora= SC 24 ('1966) [T/Tr.f/Coml F. SAGNARD, Clément d'Alexandrie, Extraits de Théodote = se 23 (1970) [Tffr.f/ Com). - M. SIMONETTI, Testi gnostici in lingua greca e latina, Mi 1993 [T/Tr.it/ Com). Tr: L.

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Gnosis und spatantiker Geist I-Il/1

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169

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b) Basilide

Conosciamo appena la persona e la vita di Basilide. Clemente di Alessandria afferma [Stromateis VII 106, 6] che egli fu attivo in Alessandria sotto gli imperatori Adriano e Antonino Pio (117-161) ed altre fonti lo confermano. Le altre notizie rimangono incerte. La sua opera consisteva di un commento evangelico in 24 libri, nonché di salmi o odi; non è chiaro quale dei Vangeli sia stato oggetto del commento. Origene osserva [Homilia 1 in Lucam] che Basilide fu autore di un suo proprio vangelo. Anche sulle dottrine di Basilide risulta difficile delineare un quadro univoco, poiché diversi autori cristiani le riportano in modi del tutto differenti, con la conseguenza che non è agevole decidere se si tratti di vari frammenti dello stesso sistema, oppure di schemi contrastanti. 170

Il. LA LETIERATURA DELL'EPOCA DELLE PERSECUZIONI

Clemente, ritenuto generalmente attendibile, critica Basilide per la sua dottrina secondo cui il dolore dell'uomo dipende sempre e comunque da una sua colpa [Stromateis IV 81-83]. Anche se egli non si è reso effettivamente colpevole, rimanè tuttavia la sua predisposizione al peccato: bambini ritenuti innocenti che di fatto provano dolore, i martiri e perfino Cristo stesso che soffrono a causa cli questa predisposizione alla colpa. Il martirio purifica tuttavia dal peccato, anzi addirittura dalla predisposizione al peccato, cosicché esso va considerato come un beneficio divino, concesso soltanto a pochi eletti. Si discute invece molto sulla attendibilità dell'esposizione di Ippolito [Refutatio VII 20-27]. Secondo lui Basilide sostenne una complicata dottrina dell'emanazione. All'inizio vi sarebbe stato il nulla, lo stesso Dio sarebbe stato un «non-ente», che, ai fini della creazione del mondo, avrebbe dapprima creato un universo contenente tutto .in sé. Da questo si sarebbero sviluppate tre emanazioni ordinate gerarchicamente, via via sempre meno simili, nell'essenza, a Dio, bramose di un dal ritorno al puro Dio. Mentre ciò (il ritorno al Padre) sarebbe riuscito alla prima e alla seconda emanazione, la terza sarebbe dovuta passare attraverso una purificazione. Dalla massa del seme sarebbe sorto il «grande Arconte», che avrebbe creato il mondo, e subito dopo un secondo Arconte, del quale avrebbero parlato i profeti dell'AT e che corrisponderebbe al Dio vetero-testamentario da Adamo fino a Mosé. Per la liberazione della terza emanazione sarebbe giunto infine nel mondo il Vangelo, che ha illuminato il figlio 9,el primo Arconte, Gesù, circa l'esistenza di Dio Padre. Grazie a Gesù, la terza emanazione sarà redenta e l'intera creazione ricondotta al Padre (à:rtoxmaoi;aoLç). Altre fonti parlano degli angeli come creatori di 365 cieli, e riferiscono che Cristo non sarebbe morto sulla croce perché sostituito da Simone di Cirene. Sebbene le lacunose e discrepanti notizie tramandate non ci consentano di delineare bene i contorni del sistema basiliano, questo, nella sua epoca, produsse una tale fioritura dello gnosticismo, che minacciò cli soppiantare la dottrina cristiana ortodossa. Cfr. anche le note a 1.

E: VbLKER 38-57. L: Art. di diz.: J.H. WASZINK: RAC 1 (1950) 1217-24. - E. 5 (1980) 296-301. - A. MONACI CASTAGNO: DPAC I 487-9.

MDHLENBERG:

3. LA LETTERATURA GRECA

TRE

171

Studi: P. HENDRIX, De Alexandrijnsche Haeresiarch Basilides. Een Bijdrage tot de Geschiedenis der Gnosis, Amsterdam 1926. - G. QUISPEL, L'homme gnostzque (La doctrine de Basilide): ErJb 16 (1948) 89-139 [= Gnostic Man. The Doctrine o/ Basilides: Gnostic Studies I= UNHAII 34/1 (1974) 103-33 ] . - W. FoERSTER, Das System des Basilides: NTS 9 (1962/63) 233-55. - W.-D. HAUSCHILD, Christologie und Humanismus bei dem «Gnostiker» Basilides: ZNW 68 (1977) 67-92. - R.M. GRANT, Place de Basilide dans la théologie chrétienne ancienne: REAug 25 (1979) 201-16. - D. VIGNE, Enquéte sur Basilide: A. DuPLEIX (ed.), Recherches et tradition (FS H. Crouzel) =ThH 88 (1992) 285-313. - W.A. LOHR, Basilz'des und seine Schule. Bine Studie zur Theologie- und Kirchengeschichte des zweiten Jahrhunderts = WUNT 83 (1996). ,.

e) Valentino .

Il secondo grande gnostico di questo periodo, di cui pure non possediamo notizie dettagliate - maggiori comunque che su Basilide -, fu Valentino. Proveniva dall'Egitto e giunse a Roma intorno al 140, così come ci informano Ireneo [Adversus haereses III 4, 3] ed Eusebio [Historià ecclesiastica IV 11, l]. Qui egli abbandonò lortodossia e fondò una sua scuola. Dopo il 155 sì recò in Oriente, forse a Cipro. Ritornato a Roma, morì subito dopo il 160. Delle sue opere sono conservati solo pochi frammenti, essenzialmente in Clemente d'Alessandria. Egli compose prediche, salmi e lettere. Ippolito [Re/utatio VI 37, 7] ha tramandato uno dei suoi inni. Tra gli scritti ritrovati in Nag Hammadi nessuno gli può essere direttamente attribuito. Siamo ben informati invece, grazie alle citazioni degli avversari della gnosi, sulle dottrine valentiniane, nella versione esposta e tramandata dai suoi discepoli; ma ultimamente sono stati avanzati dei dubbi sul fatto che possa trattarsi o meno dell'originale sistema di Valentino. Le sue linee portanti, comunque, sono le seguenti: il «pleroma» divino (nÀ.f)gwµa =la pienezza) è formato da 30 coppie di eoni (aì.ci:rv =il tempo) interdipendenti. Le prime quattro coppie sono le più importanti e formano l'ogdoade originaria (6yooét.ç =gli otto esseri), dalla quale derivano tutti gli altri eoni. Il peccato ha spezzato questa unità delle coppie (atJtuyl.a =il paio), costringendo l'uomo spirituale a cercare la riunificazione con il suo partner celeste. Il peccato viene commesso dall'ultimo eone, quello della sofia (oocpta =la sapienza), a causa della sua smisurata brama di conoscere l'eterno e inconoscibile Dio Padre, e ciò produce la degradazione dell'elemento divino nel mondo. Contemporaneamente il redentore celeste dà inizio all'opera di salvezza della 172

Il LA LETTERATURA DELL'EPOCA DELLE PERSECUZIONI

parte divina, portandola infine alla riunificazione con il pleroma. L'umanità si divide in tre gruppi: pneumatici (da nveuµa = spirito), psichici (da 'llJvx~ = anima) e ilici (da UÀ.TJ =materia). I primi vengono completamente salvati e riuniti al pleroma, i secondi solo in parte, i terzi vanno in rovina. Cfr. anche le note a 1.

E: V6LKER57-141. L: Art. di diz.: C. GrANorro: DPAC II 3542-4. Studi: W. FOERSTER, Von Valentin zu Herakleon. Untersuchungen uber die Quellen und die Entwicklung der valentinianischen Gnosis = BZNW 7 (1928}. F.-M. SAGNARD, Lagnose valentinienne et le témoignage de saint Irénée = EPhM 36 (1947). -A. ORBE, Estudios Valentinùmos, 5 voli.= AnGr 65, 83, 99, 100, U3, 158 (1955-66}. - M. S1MONETTI, lJIYXH e lJIYXIKOJ: nella gnosi valentiniana: RSLR 2 (1966) 1-47. - G.C. STEAD, The Valentinian Myth of Sophia: JThS NS 20 (1969) 75-104. - M.J. EDWARDS, Gnostics and Valentinians in the Church Fathers: JThS NS 40 (1989) 26-47. M.R. DESJARDINS, Sin in Valentinianism, Atlanta/GA 1990. - CH. MARKscHIES, «Valentinus Gnosticus»? Untersuchungen zur valentinischen Gnosz"s mit einem Kommentar zu den Fragmenten Valentins = WUNT 65 (1992). - H. STRUTWOLF, Gnosis als System. Zur Rezeption der valentinianischen Gnosis bei Origenes = FKDG 56 (1993). - J. HoLZHAUSEN, Der «Mythos vom Menschen» im hellenistischen Àgypten. Eine Studie zum «Poimandres» (=CHI), zu Valentin und dem gnostischen Mythos = Theoph. 33 (1994). - G. QursPEL, The origina! doctrine o/ Valentinus the Gnostic: VigChr 50 (1996) 327-52.

La Chiesa ortodossa reagì in due modi a questa dottrina gnostica dell'autoredenzione mediante la conoscenza, riservata solo a pochi elet· ti. Dal punto di vista organizzativo dovette allontanarne i seguaci, poiché la loro teologia metteva in ·pericolo i fondamenti della fede cristiana: il Dio dell'AT Creatore del mondo e Padre di Gesù Cristo, la redenzione dell'uomo attraverso il sacrificio di Cristo e la chiamata di tutti alla salvezza. L'acceso dibattito con lo gnosticismo smascherò la falsità di questa dottrina e sviluppò d'altra parte; positivamente, una >. Neue Untersuchungen uber die Anfange der Primatslehre::::: BZNW 11 (1930). - B. PoscHMANN, «Ecclesia Principalis». Ein kritischer Beitrag zur Frage des Primats bei Cyprian, Br 1933. O. PERLER, Zur Datierung der beiden Fassungen des vierten Kapi'tels «De Unitate Eccleszae»: RQ 44 (1936) 1-44. - O. PERLER, De catholicae ecclesiae Unitate capp. 4-5. Die urspriinglichen Texte, ihre Uberlieferung, ihre Datierung: RQ 44 (1936) 151-68,. - M. BÉVENOT, St. Cyprian's De Unitate chap. 4 in the Light of the Manuscripts::::: AnGr 11 (1937) [:=Lo 1938]. - L. CAMPEAU, Le texte de la Primauté dans le «De Catholicae Ecclesiae Unitale» de S. Cyprien: ScEc 19 (1967) 81-110, 255-75. - H. MONTGOMERY, Subordination or Collegiality? St. Cyprian and the Roman See: S.-T. TEODORSSON (ed.), Greek and Latin Studies in Memory o/ Caius Fabricius::::: SGLG 54 (1990) 41-54. - A. AnoLPH, Die Theologie der Einheit der Kirche bei Cyprian =EHS.T 460 (1993).

C. Le lettere Dopo la raccolta delle lettere paoline e di quelle ignaziane che, per

il momento in cui nascono, per le motivazioni e per la tematica, appartenevano all'epoca neotestamentaria e riflettevano la particolare situazione della prima attività missionaria o di un viaggio la cui meta era la morte, l'epistolario di Cipriano raggruppa la ricca corrispondenza prodotta nell'esercizio dell'attività pastorale di un dotto vescovo; in questo corpus si possono trovare infatti scritti occasionali, lettere di contenuto pastorale o teologico legate all'attualità, lettere personali e scritti sinodali, e inoltre brani di lettere dirette a Cipriano. Una tale raccolta, formatasi a partire dal IV sec., conserva l'impressione immediata della 4. GLI INIZI DELLA LETTERATURA LATINA

245

persona dello scrivente, delle vicende del suo tempo e della sua teologia e rappresenta perciò una delle più valide fonti della patrologia. Delle 81 lettere che compongono l'epistolario ciprianeo, 59 sono sue personali (1-3, 5-7, 9-20, 25-29, 32-35, 37-41, 43-48, 51, 52, 54-56, 5863, 65, 66, 68, 69, 71, 73, 74, 76, 80, 81), sei sono lettere sinodali ma redatte da lui (4, 57, 64, 67, 70, 72), e 16 sono a lui indirizzate (8, 2124, .30, 31, 36, 42, 49, 50, 53, 75, 77-79). Tutte sono riferibili al tempo del suo episcopato; è pertanto possibile ordinarle sia cronologicamente che contenutisticamente (cfr. Duquenne):

1. Lettere scritte da Cipriano, d'al suo rifugio fuori Cartagine, durante la persecuzione di Decio: a) alla sua comunità in Cartagine (5-7, 10-19); b) corrispondenza con Roma durante il periodo di sede vacante nell'Urbe (8, 9, 20-22, 27, 28, 30, 31, 35-37); e) corrispondenza con la sua comunità dopo la fine della persecuzione sul problema delle lettere di pace dei con/essores e dello scisma ad opera di Felicissimo (41-43). 2. Lettere sul ristabilimento della disciplina ecclesiastica in Cartagine e sullo scisma di Novaziano: a) sull'elezione di Cornelio a vescovo di Roma e sullo scisma di Novaziano (44-55); b) sulla riammissione dei penitenti e su vari temi particolari, scritte durante il regno dell'imperatore Trebonio Gallo (56-61, 64-66); e) dirette alla Gallia e allaSpagna, scritte al tempo dell'episcopato di Stefano a Roma (67, 68). 3. Lettere sulla controversia battesimale (69-75).

4. Lettere scritte durante la persecuzione di Valeriano (76-81). 5. Lettere di datazione incerta, su questioni disciplinari (1-4), una lettera di accompagnamento al riscatto di 100.000 sesterzi, pagato per liberare prigionieri cristiani nelle mani di berberi della Numidia (62). La lettera n. 63, molto studiata, merita speciale attenzione come testo di riferimento per la teologia e prassi eucaristica della Chiesa. Non respinge semplicemente la prassi degli acquariani che per l'eucaristia usavano solamente acqua invece di vino mescolato con ac246

Il. LA LETIERATURA DELL'EPOCA DELLE PERSECUZIONI

qua, ma inserisce questo problema nel contesto globale del significato dell'eucaristia per la Chiesa. Essa realizza la presenza mistica del sacrificio di Cristo nella Chiesa, offerto dal sacerdote come rappresentante di Cristo, ed è il sacramento dell'unità. Il forte accento posto sulla osservanza stretta e sulla trasmissione autentica della tradizione fondata da Cristo stesso, già prefigurata nell'Antico Testamento dai patriarchi e profeti, nonché testimoniata univocamente nel Nuovo Testamento dagli Evangelisti ed Apostoli, pone questa lettera - forse anche cronologicamente - nel contesto dell'opera De unitate ecclesi·ae di Cipriano. Vi è da aggiungere che numerose altre lettere di Cipriano sono andate perdute, come è possibile dedurre da varie indicazioni contenute nel suo Corpus. Forma e stile delle lettere si inseriscono nella storia della letteratura epistolare antica, sia cristiana che non cristiana. Tr: G. SrROLLl, Siena 1969. - N.

MAluNANGELI,

Alba 1979.

L: A. VON HARNACK, Uber verlorene Briefe und Aktenstucke, die sich aus der cyprianischen Briefsammlung ermitteln lassen =TU 23/2 (1902). · J. SCHR.IJNEN I CH. MoHRMANN, Studien zur Syntax der Brie/e des hl. Cyprian, 2 voli. = LCP 5-6 (1936-7). - L. DuQUENNE, Chronologie des lettres de S. Cyprien. Le dossier de la persécution de Dèce = SHG 54 (1972). - H. GOLzow, Cyprian und Novatian. Der Brie/wechsel zwischen den Gemeinden in Rom und Karthago zur Zeit der Verfolgung des Kaisers Decius = BHTh 48 (1975). - R. SEAGRAVES, «Pascentes cum disciplina». A Lexical Study o/ the Clergy in the Cyprianic Correspondence =Par. 37 (1993 ). - P. SINISCALCO, La lettera 63 di Cipriano sull'eucaristia. Osservazioni sul1.a cronologia, sulla simbolologia e sui contenuti: Storia e interpretazione degli antichi testi eucaristici, Genova 1995, 69~82.

Secondo excursus: La lettera nelP antichità e nel cristianesimo 1.

La corrispondenza ordinaria

La forma originaria della lettera come «colloquio a metà» (Demetrio, De elocutione 223) o «discorso tra assenti» (Ambrogio, epistula 66, 1) - vale a dire uno scritto effimero d'occasione avente l'esclusivo scopo di sostituire l'espressione orale, resasi impossibile a causa della lontananza tra gli interlocutori - non appartiene alla letteratura. Esemplari di lettere, risalenti ai tempi più antichi, si sono conservati, 4. GLI INIZI DELLA LETIERATIJRA LATINA

247

spesso casualmente, in papiri egiziani, e sono ritenuti di grande valore dal punto di vista storico-culturale; esse diventano poi oggetto della letteratura quando, messe a confronto con il modello ~: CP 83 (1988) 20-38. - M.J. HoLLERICH, Myth and history in Eusebius' «De vita Constantini»: «Vit. Const.» 1.12 in Its Contemporary Setting: HThR 82 (1989) 421-45. - T.G. ELLIOIT, Eusebian Frauds in the «Vita Constantini>>: Phoenix 44 (1990) 162-71. - St. G. HALL, Eusebian and other Sources «in Vita Constantini I»: H.CH. BRENNECKE I E.L. GRAsMùCK I CH. MARKscHIES (ed.), Logos (FS L. Abramowski) == BZNW 67 (1993) 239-63. Teologia della storia: H. EGER, Kaiser und Kirche in der Geschichtstheologie Eusebs von Ciisarea: ZNW 38 (1939) 97 -115. - R. FARJNA, L'impero e l'imperatore cristiano in Eusebio di Cesarea. La prima teologia politica del Cristianesimo == BThS.F 2 (1966). - J.-M. SANSTERRE, Eusèbe de Césarée et la naissance de la théorie «césaro-papiste»: Byz. 42 (1972) 131-95, 532-94. - K.M. GIRARDET, Das christliche Priestertum Kostantins d. Gr. Ein Aspekt der Hemcheridee des Eusebius von Caesarea: Chiron 10 (1980) 569-92 .. T.D. BARNES, Constantine and Eusebius, e 1981.. T.D. BARNES, Panegyric, history and hagiography in Eusebius' «Li/e o/ Constantine»: R WJlllAMS (ed.), The Making o/ Orthodoxy (FS H. Chadwick), C 1989, 94123. - M.J. HoLLERICH, Religion and Politics in the Writings o/ Eusebius: Reassessing the First «Court Theologian»; ChH 59 (1990) 309-25.

B. Opere bibliche ed esegetiche

Del corpus esegetico di Eusebio occorre mettere in evidenza soprattutto i due commentari ai Salmi e al libro di Isaia, nonché l'Onomasticon. Il valore del Commento ai Salmi, una delle ultime opere di Eusebio risalente agli anni 327 /28, lo si può valutare dal fatto 322

III. LA LETTERATIJRA DELLA CHIESA IMPERIALE

che tanto Ilario di Poitiers, quanto Eusebio di Vercelli, lo ritennero così importante da tradurlo in latino. Esso non si è conservato integralmente, ne rimangono comunque parti molto estese (tutta la parte dal salmo 51 al 95, e frammenti del resto); potrebbe essere forse ricostruito nella sua interezza grazie alle Catene, nelle quali sono contenuti molti estratti dell'opera originaria. La stessa cosa vale per il Commento

ad Isaia. L'Onomasticon è un elenco alfabetico dei nomi di località bibliche . con delucidazioni di carattere sia geografico che storico; esso rappresenta finora la fonte storica più importante per lo studio della Terra Santa. Anche l'Onomasticon godette di popolarità così vasta che Girolamo, nel tradurlo in latino, lo corredò di correzioni e di integrazioni. Considerato che Eusebio lo compose su sollecitazione del vescovo Paolino di Tiro, la data della sua redazione deve essere posta prima della morte di quest'ultimo, avvenuta nel 331. Soltanto il IV libro del1'opera si è però conservato; gli altri tre, in base alle informazioni contenute nella praefatio, contenevano: il primo, una traduzione greca dei termini etnologici della Bibbia ebraica; il secondo, una topografia del1' antica Giudea e dei territori abitati dalle 12 tribù; il terzo, una carta di Gerusalemme e del quartiere del Tempio corredate da spiegazioni. L'esegesi di Eusebio prende generalmente le mosse dal significato storico della Scrittura. La sua interpretazione allegorica o tipologica, nel momento in cui sostituisce quella storica, è giustificata dal fatto che tanto i Salmi che le profezie si esprimono su due livelli: innanzitutto rivolgendosi ai contemporanei dell'autore, e in secondo luogo ai futuri lettori. Eusebio critica pertanto l'arbitraria separazione tra l'interpretazione spirituale del testo ({tewgta) e il suo significato storico. E: Commentarii in Isaiam: J. KLoSTERMANN

= GCS Eus 3/1

ZIEGLER

= GCS Eus 9 (1975). - Onomasticon: E.

(1904).

L: Onomastikon: E. KLOSTERMANN, Eusebius' Schrift llEPI TQN TOIIIKQN ONOMATQN TQN EN TH eEJA I'PAaÀ.ELCX» (banchetto) e che viene citato in quasi tutte le fonti che trattano del pensiero di Ario. Riguardo alle testimonianze bibliche su Gesù, Ario approfondì la sua posizione affermando che, pur creato, il Figlio di Dio assume nondimeno un posto del tutto peculiare ed eminente tra tutte le creature. Egli sarebbe stato creato prima di ogni tempo e ogni cosa sarebbe stata creata per mezzo di Lui; Egli ha la priorità su ogni altra creatura (Pr 8, 22-31) ed è chiamato anche «Dio, Logos, Sophia e Dynamis», non per natura ma per grazia. Poiché Dio.avrebbe previsto che Cristo, nonostante la sua natura mutevole (tQam6ç), avrebbe sempre fatto coincidere la libertà della sua volontà (cx'ÒtE!;oumoç) con la volontà di Dio, gli avrebbe concesso, fin dall'inizio, quella gloria (Ml;a.) che l'uomo può acquisire, in vita, solo mediante la virtù (&Qetij). Questa concezione quindi innalza, in misura notevolissima, il Figlio su tutte le altre creature, ma non riesce a gettare un ponte sul profondo e assoluto abisso che pone il Padre da una parte e; dall'altra, il Figlio e tutte le altre creature. Il Figlio, secondo il modello di Aria, è sì Dio, ma non «vero Dio» (àÀ.TJ0Lvòç 8a6ç), perché egli non partecipa della natura divina (o'Ùata/un6ammç) e perciò è subordinato quanto a rango, autorità e gloria. Ne risulta che anche i concetti di «Òµoouowç» e di «coeterno» vanno respinti, in quanto il primo, con la divisione dell' ousia, suscita immagini di tipo materialistico, il secondo presuppone due esseri entrambi ingenerati. Il Figlio invece, secondo Aria, è e rimane «estraneo e in tutto dissimile, nella sostanza e nella qualità, dal Padre» (àÙ6i:QLOç µèv xaì. av6µ0Loç; 'ìtaLÙ mivtcx i:fjç 'tOU :rca.tQÒç oùolaç · xaì. U>L6tT]toç). Hans Georg Opitz pose l'inizio della controversia nell'anno 318, individuandone una prima fase dal 318 al 322. A causa delle sue innova328

!Il. LA LE'ITERATURA DELLA CHIESA IMPERIALE

zioni in campo dogmatico, i meliziani accusarono Aria presso il vescovo, e in conseguenza di ciò egli polemizzò contro la dottrina della «coeternità» del Logos col Padre, sostenuta dal vescovo. In quel tempo compose la sua opera principale, Thaleia, di cui ci sono pervenuti solo alcuni frammenti, una lettera ad Alessandro (intorno al 320), sottoscritta da parecchi presbiteri e diaconi e, alla fine del 327 insieme ad Euzoio, diacono alessandrino e futuro collaboratore per lunghi anni, uno scritto indirizzato all'imperatore Costantino come prova della sua ortodossia. Il vescovo Alessandro reagì dapprima in maniera molto moderata, con un'enciclica e con una lettera indirizzata ad Alessandro di Tessalonica o di Bisanzio, e all'imperatore Costantino la polemica apparve inizialmente come un confronto tra opinioni differenti interno alla Chiesa, paragonabile ad un alterco tra filosofi, qui.ridi non necessariamente pericoloso per l'unità della Chiesa, unità che per lo Stato era certamente importante. Nel momento in cui la popolarità di Ario cominciò a crescere e a diffondersi per tutto l'Egitto, guadagnandogli un ampio consenso, un sinodo riunito in Alessandria nel 32.3 lo scomunicò. Con quest'atto, tuttavia, la controversia non era affatto risolta; pertanto l'imperatore Costantino, dopo che ebbe riunificato il potere nelle sue mani, nel settembre del 324 inviò il vescovo Ossia di Cordova in missione di pace ad Alessandria. Quando questi, alla fine dello stesso anno, ritornò, passando per Antiochia, alla reggia imperiale di Nicomedia, il suo tentativo di mediazione poteva dirsi nei fatti fallito; egli aveva però riconosciuto l'importanza fondamentale della controversia, che andava ben al di là dei confini di Alessandria, come poté rendersi conto, durante il viaggio di ritorno, esaminando la confusa situazione creatasi nella sede vacante di Antiochia. Sotto la sua presidenza, un sinodo locale antiocheno regolò la questione della nuova occupazione della sede episcopale, prendendo contemporaneamente posizione nei confronti della teologia di Ario che fu condannato insieme a tre dei suoi sostenitori, tra i quali Eusebio di Cesarea, rimettendo comunque la conferma di questa decisione ad un ulteriore sinodo, più esteso. Il sinodo che si syolse l'anno successivo, dapprima convocato ad Ancira e poi tenutosi a Nicea, formulò una professione· di fede ecumenica, inserendovi il termine «oµoouowç» («consostanziale», cfr. III.A). La politica, già sopra illustrata, seguita dall'imperatore Costantino per risolvere il problema (Introduzione parte 3.I.A), modificò più 5. LA PRIMA FASE DELL'ARIANESIMO

.329

volte il destino successivo di Ario. Nel 328 Costantino lo richiamò dal suo esilio in lliiria, impegnandosi energicamente presso il successore di Alessandro per una sua riammissione che, tuttavia, venne sdegnosamente negata da Atanasio, nuovo vescovo di Alessandria. Nel 333 Costantino emanò un editto contro Ario in cui si condannavano al rogo i suoi scritti e si ordinava la damnatio memoriae. Ma un altro sinodo, tenutosi a Gerusalemme nel 335 sotto la direzione di Eusebio di Cesarea e di Eusebio di Nicomedia, si espresse per la riammissione di Ario; ma egli morì nel 336, poco prima di essere riammesso nella comunione. La definitiva sc6nfitta dell'arianesimo portò con sé la quasi totale scomparsa delle sue opere, tanto che ben poco di esse si è conservato. B: A.M. RITTER, «Arius redivivus?» Ein ]ahrzwol/t Arianismusforschung: ThR 55 (1990) 153-87. - A.M. RrrrER, Arius in der neueren Forschung: R PERI!'.: (ed.), Homo imago et amicus Dei (FS 1Golub),R1991, 423-39. E: E. SrnwARTZ, Die Dokumente des arianischen Streits bis 325: Die Quellen uber den melitianischen Streit: NGWG.PH 1905/3, 257-99 [=In., Gesammelte Schriften m (1959) 117-68]. - E. SCHWARTZ, Das antiochenische Synodal-Schreiben von 325: NGWG.PH 1908/3, 305-74 [= partim dello stesso, Gesammelte Scbriften III (1959) 169-87]. - Urkunden zur Geschichte des arianischen Streites = H.G. OPITZ, Athanasius, Werke 3/1, B 1934 ss. Tr: E. BELLINI, Alessandro e Aria. Un esempio di con/lù:to tra fede e ideologia. Documenti della prima controversia ariana, Milano 1974 [Tr.it/Com]. L: Art. di diz.e di man.: A.M. RITIER: TRE 3 (1978} 692-719. - M. SIMONETTI: DPAC I 337-45. - A.M. RrrrER: GK 1 (1984) 215-23. Studi generali: M. SIMONETI1, Studi sull'arianesimo = VSen NS 5 (1965). - E. BouLARAND, L'hérésie d'Arius et la «foi» de Nicée, 2 voli., P 1972-3. - M. S™oNEm, La crisi ariana nel IV secolo = SEAug 11 (1975). - RC. GREGG (ed.), Arianism, Històrical and Theological Reassessments = PatMS 11 (1985). - J.T. LIENHÀRD, The «Arzan» Controversy: Some Categories Reconsidered: TS 48 (1987) 415-37. - R Wrr..LIAMS, Arius, Heresy and Tradition, Lo 1987. - R.P.C. HANsoN, The Search /or the Christian Doctrine o/ God. The Arian Controversy 318-381, Edinburgh 1988. - A. MARTIN, Le fil D'Arzus: 325-335: RHE 84 (1989} 297-333. - A. MARTIN, Les relations entre Arzus et Melitios dans la tradition Alexandrine. Une histoire polémique: JThS NS 40 (1989) 401-13. - CH. KANNENGIESSER, Alexander and Arius ofAlexandria: The fast Ante-Nicene Theologians: Comp. 35 (1990) 93-105. Cronologia deglz" inizi· H.-G. OF1rz, Die Zeitfolge des arianischen Streùes von den Anfiingen bis zum Jahre 328: ZNW 33 (1934) 131-59. - W. TELFER, When did 330

III. LA LETTERATIJRA DELLA CTilESA IMPERIALE

the Arian Controversy begin?: JThS 47 (1946) 129-42. - W. SCHNEEMELCHER, Zur Chronologie des arianischen Streites: ThLZ 79 (1954) 393-400. - T.E. PoLLARD, The Origins of Arianism: JThs NS 9 (1958) 103-11. - M. SrMONETTI, Le origini dell'arianesimo: RSLR 7 (1971) 317-30. - U. LoosE, Zur Chronologie des arianischen Streites: ZKG 101 (1990) 88-92. Filosofia: L.W. BARNARD, What was Arius' Philosophy?: ThZ 28 (1972) 11017. - F. RrCKEN, Zur Rezeptzon der platonischen Ontologie bei Eusebios von Kaisareta, Arezos und Athanasios: ThPh 53 (1978) 321-52. - RD. WILLIAMS, The Logù: o/ Arianism: JThS NS 34 (1983) 56-81. Sinodo del 324125: L. ABRAMOWSKI, Die Synode von Antiochien 324125 und ihr Symbol: ZKG 86 (1975) 356-66. Thalia: CH. KANNENGIESSER, Où et quand Arius composa-t-il la GRANFIELD I J.A. ]UNGMANN (ed.), Kyriakon I (FS J. Quasten), Ms

«Thalie»?: P. 1970, 346-51. - G.C. STEAD, The «Thalia» o/ Arius and the Testimony o/Athanasius: JThS NS 29 (1978) 20-52. - K. METZLER, Ein Beitrag :zur Rekonstruktzon der «Thalia» des Arius: K. METZLER I F.]. SrMON, «Ariana· et Athanasiana». Studien :zur Uberlieferung und zu philologischen Problemen der Werke des Athanasius von Alexandrien, Opladen 1991, 11-45. - A. PARDINI, Citazioni letterali della @a).eia in Atanasio, Ar. 1, 5-5: Orph. 12 (1991) 411-28. -TH. B6HM, Die «Thalia» des Arius: Ein Bei. trag zur fruehchristlichen Hymnologie: VigChr 46 (1992) 334-55. Teologia: A. TULIER, Le sense du terme oµoovawç dans le vocabulaire théologique d'Arius et de l'Eco/e d'Antioche: StPatr 3 = TU 78 (1961) 421-30. E.P. MEIJERING, HN llOTE OTE OYK HN O Y/01:. A Discusst'on on Time and Eternity: VigChr 28 (1974) 161-8. - R. LORENZ, «Arius judaizans?» Untersuchungen zur dogmengeschichtlichen Einordnung des Arius = FKDG 31 (1980). - R.C. GREGGI D.E. GRoH, Early Arianism - A View of Salvation, Lo 1981. TH. BoHM, Die Christologie des Arius. Dogmengeschichtliche Uberlegungen unter besonderer Beriicksichtigung der Hellenisierungsfrage, St. Ottilien 1991. Preistoria: G. BARDY, Recherches sur St. Lucien d'Antioche et son école = ETH (1936). - L.W. BARNARD, The Antecedents o/ Arius: VigChr 24 (1979) 172-88. H.C. BRENNECKE I E.L. GRAsMùCK I CH. M.ARKscHIES (ed.), Logos (FS L. Abramowsk.i) = BZNW 67 (1993) 170-92.

III. IL

CONCILIO DI NICEA

(325)

Quando l'imperatore Costantino, dopo aver riunito nelle sue mani tutto il potere (324), convocò il primo concilio «ecumenico» della storia della Chiesa, dapprima ad Ancira e poi· nella città di Nicea (più 5. LA PRIMA FASE DELL'ARIANESWO

331

vicina alla sua residenza di Nicomedia), lo fece essenzialmente per porre termine alla controversia ariana. Questo concilio, per la prima volta, fu chiamato «ecumenico», non solo perché l'intera Chiesa decideva, in maniera vincolante, su di un problema di carattere generale, ma anche perché, in questa riunione, tutta la Chiesa era rappresentata. L'imperatore Costantino stesso lo aprì solennemente nella sala principale del suo palazzo il 20 maggio del 325, esercitando un influsso non certo irrilevante sulle sue discussioni e sulle sue deliberazioni. Questa funzione di guida svolta dall'imperatore si spiega in relazione alla sua concezione del potere come garante e responsabile dell'unità della Chiesa e dello Stato, così come essa era stata teorizzata da Eusebio di Cesarea soprattutto nella Vita Constantini, e come del resto fu compresa anche dai suoi successori. Secondo una tarda tradizione, furono precisamente .318 vescovi - ai quali fu attribuito per la prima volta il titolo di «santi padri» (dr. Introduzione II) - a prendere parte ai lavori del concilio di Nicea. Anche se questa indicazione può essere ritenuta abbastanza vicina all'effettivo numero dei partecipanti (da un minimo di 200 ad un massimo di 300 vescovi), essa possiede tuttavia un valore simbolico, in quanto rinvia ai 318 servi di Abramo (Gn 14, 14) o all'uso greco di indicare con la lettera cotòç 0eòv ài..ri0ivòv èx 0EOu àì..116ivoii, YEVV']0ÉvtCl O"Òit JtOlTJ0ÉvtCl, òµooumov ti{> :natQi., f>r où -cà itavta tyéve-co, -.;a tE èv -c@ ..otwtòv -còv uLòv 'to\l eeoù, 'tOÙç àva0eµmlteL ~ 11.a6oì..iK"Ìl xaì àxolJ'toÀtxij èxxì..11o[a.

7

Crediamo in un solo Dio', Padre onnipotente, creatore di tutte le cose visibili e invisibili. E in un solo Signore, Gesù Cristo, figlio di Dio, generato unigenito dal Padre, cioè dalla sostanza del Padre, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato, consostanziale al Padre, mediante il quale tutto e stato fatto, sia ciò che è in cielo, sia ciò che è in terra; per noi uomini e per la nostra salvezza egli è disceso dal cielo, si è incarnato, si è fatto uomo, ha sofferto ed è risorto il terzo giorno, è salito nei cieli e verrà per giudicare i vivi e i morti. Crediamo nello Spirito Santo. Ma quelli che dicono: «vi fu un tempo in cui egli non esisteva», «prima di essere generato non era», «è stato creato dal nulla», o quelli che dicono che sia di un'altra sostanza o di un'altra essenza [o che, il Figlio di Dio, è creato o trasformabile o mutevole], questi la Chiesa cattolica e apostolica condanna.

Le traduzioni dei testi conciliari si appoggiano a COD. 5. LA PRIMA FASE DELL'ARIANESIMO

335

La professione di fede si suddivide in tre parti la cui terza parte però, quella relativa allo Spirito Santo, è costituita da un breve accenno: «e allo Spirito Santo». Questo breve accenno si ritrova, così com'è, già nella formula battesimale; bisogna inoltre ricordare che, fino a quel momento, la teologia dello Spirito non era stata né problematizzata né tantomeno sviluppata. Aitri Symbola si compongono persino di due parti soltanto (Padre/Figlio) o sono puramente cristologici, la qual cosa ben dimostra l'originario scopo della teologia e della professione: la redenzione ad opera di Gesù Cristo. Solo successivamente lo sguardo si allargherà, in maniera conseguente ma secondo un certo ordine, sul Padre, come creatore del mondo e come colui che ha inviato il proprio Figlio sulla terra, e infine sullo Spirito. Proprio per questo, la parte cristologica assume, in ogni professione di fede, il posto più importante, provocando, in tal modo, le controversie. Pochi dubbi, infatti, possono derivare dalle asserzioni intorno a D_io Padre: a Lui compete in ogni caso, e in maniera peculiare, il nome di Dio; Egli è il Padre, l'onnipotente, il creatore di tutte le cose, e da ciò seguono logicamente tutti gli altri attributi della divinità. Nella parte cristologica del Simbolo niceno, il termine «Oµooucnoç» (consostanziale) è diventato quasi un grido di battaglia, una parola d'ordine; esso rappresenta il nucleo della professione antiariana, poiché pone il Figlio chiaramente ed inequivocabilmente a livello della divinità, e perché porta con sé ogni altra precisazione aggiunta dal concilio. Di conseguenza possono essere chiaramente differenziati quei termini - fino ad allora usati quali sinonimi - come yew1']0ctç (generato) e yev1']0elç (creato), mettendo in relazione il primo ali' eterno procedere del Figlio dalla o'ÒoLa (non dalla volontà) del Padre, e usando il secondo per designare semplicemente l'essere di ogni creatura (rtot1']0elç). Pertanto Cristo non è Dio soltanto in senso derivato (dal Padre), ma «Dio vero da Dio vero». El' anatema conclusivo, che completa il credo, è rivolto a tutti coloro che, sulla base degli inaccettabili ragionamenti teologici ariani, affermano che il Figlio sia creatura, sebbene in una posizione eminente (l'abitudine di concludere una deliberazione dottrinale cli un concilio con I' anatema rivolto agli avversari è stata abbandonata solo con il Concilio Vaticano II). Poiché, in entrambi i casi, si trattava innanzitutto di_salvaguardare e d'interpretare in modo giusto il kerygma biblico, i termini non biblici venivano guardati con diffidenza ed usati con molta cautela. Con la 336

III. LA LETTERATURA DELLA CHIESA IMPERIALE

soluzione filosofi.ca della questione relativa alla divinità del Figlio secondo la sostanza (oùofo) del Padre, il concilio aveva suscitato infatti due problemi, intorno ai quali doveva prendere le mosse la controversia sull'accoglienza del Simbolo: 1) L'eventuale identificazione dell'oùofo con vn60'tacnç, a causa della non ancora chiarita delimitazione dei due termini, nascondeva in sé una possibile interpretazione sabelliana del Simbolo, con la conseguenza di una insufficiente differenziazione delle persone divine. Ad una chiara distinzione tra le tre persone si arriverà soltanto con il concilio di Costantinopoli (381), attraverso la formula «µLa cpuoLç - 'tQELç tJn:OOLUOELç». 2) La questione, logicamente derivante dalla precedente, relativa al rapporto tra divinità e umanità nel Figlio di Dio incarnato, rapporto che nel Simbolo, nonostante l'aggiunta della parola «Èvav8Qro:rt~­ aav-ca», viene descritto - in senso tradizionalmente biblico - come «OaQxw8ÉVLa>> (Cv 1, 14) (schema Logos-Sarx), provocando l'aperta negazione dell'anima di Gesù ad opera di Apolinario di Laodicea, e del titolo di ewtoxoç da parte di Nestorio. Una soluzione definitiva di questo problema, nel senso di uno schema Logos-Anthropos, fu trovata soltanto con il Concilio di Calcedonia (451), nella formula «èv JtQoowrcov - Mo cpuonç». Cfr. anche le note a III. E: ACO 2/1 (1933) [323] [g]; 2/3 (1935) [394] [l]. - G.L. DoSSETTI, Il simbolo di Nicea e di Costantinopoli. Edizione critica= TRSR 2 (1967) [T.gl/Com]. L: Art. di diz.: W.-D.

HAUSCHILD:

TRE 24 (1994) 444-56.

Studi: H. LIETZMANN, Symbolstudien XIII: ZNW 24 (1925) 193-202 [= Kleine Schriften III= TU 74 (1962) 248-60] . - H.J. CARPENTER, «Symbolum» as a Title o/ the Creed:JThS 43 (1942) 1-11. - W. RoRDORF, La con/ession defoi et son «Sitz im Leben» dans l'église ancienne: NT 9 (1967) 225-38. - D.L. HoLLAND, The Creeds o/Nicea and Constantinople Reexamined: ChH 38 (1969) 248-61. - J.N.D. KELLY, Altchristliche Glaubensbekenntnisse. Geschichte und Theologie, Go 1972 (ingl O 3 1972). - J.N.D. KELLY, The Nicene Creed: A Turning Point: SJTh 36 (1983) 29-39. -A.M. RrITER: TRE 13 (1984) 399-412. -A. DE HALLEUX, La réception du symbole cecuménique, de Nt'cée à Chalcédoine: EThL 61 (1985) 1-47. - J. ULRICH, Die Anfange der abendliindischen Rezeption des Nizà'nums = PTS 39 (1994). - R. STAATS, Das Glaubensbekenntms von Nizaa-Konstantinopel. Hi"storische und theologùche Grundlagen, Da 1996. 5. LA PRIMA FASE DELL'ARIANESIMO

337

B. Il decreto sulla Pasqua Da Policarpo di Smirne alla controversia pasquale tra il vescovo di · Roma, Vittore, ed Ireneo di Lione, la questione relativa alla unificazione della data della Pasqua non era stata ancora ufficialmente risolta. Secondo l'uso alessandrino e romano, veniva a cadere nella prima domenica dopo il primo plenilunio di primavera; o secondo la tradizione giudaica, il 14 del mese di Nisan o la domenica successiva, come voleva la tradizione giovannea seguita dai cristiani dell'Asia Minore. Il concilio di Nicea riso],se definitivamente questa questione con un decreto che vincolava tutte le Chiese a conformarsi alla tradizione romana. In pratica non c'era distinzione tra decreti e canoni, sia dal punto di vista formale che per la loro funzione. Entrambi potevano regolamentare questioni di fede o disciplinari. Il concilio di Nicea, considerato il· particolare significato della cosa, sembra abbia voluto estrapolare il decreto sulla celebrazione della Pasqua dai «venti canoni». Tuttavia il decreto si distingue, nella forma a noi trasmessa, dai canoni, in quanto presenta le circostanze storiche del concilio, il problema e le varie discussioni, non limitandosi a registrare semplici deliberazioni, come fanno invece i canoni. Cfr. anche le note a III.

E: J.-B. PITRA, Juris ecclesiastici Graecorum historia et monumenta I, R 1864, 427-40 [Canoni, Decreto sulla Pasqua gl]. - V.N. BENE~VI~, Ioannis Scholastici synagoga L titulorum ceteraque eiusdem opera iuridica, tomus I= ABAW.PH 14 (1937) 156. L: ]. SCHMID, Die Osterfest/rage auf dem ersten allgemeinen Konzil von Niciia = ThSLG 13 (1905). - F. DAUNOY, La question pascale au concile de Nicée. EOr 24 (1925) 424-44. - G. LARENTZAKis, Das Oster/estdatum nach dem I. Okumenischen Kon-

zil von Nzkai.a (325). Die Rolle von Alexandrien und Rom: ZK1b 101 (1979) 67-78.

C. I canoni I venti canoni del-concilio trattano, in una sequenza non sistematica, questioni riguardanti le strutture ecclesiastiche (4-7, 15, 16), la dignità del clero (1-3, 9, 10, 17), la pubblica penitenza (11-14), la riammissione di scismatici ed eretici (8, 19), i precetti liturgici (18, 20). Per 338

III. LA LETIERATURA DELLA CHIESA IMPERIALE

fare degli esempi, il canone 3 prescrive ai derid di avere in casa soltanto la madre, la sorella, la zia oppure una donna assolutamente insospettabile; il canone 4 prescrive che l'ordinazione episcopale sia amministrata da almeno tre vescovi; il canone 18 proibisce ai diaconi di impartire la comunione ai sacerdoti - prescrizioni che ancora oggi non hanno essenzialmente perduto la loro validità. I canoni 8 e 19 dispongono le condizioni in base alle quali i meliziani e i paoliniani (discepoli di Paolo di Samosata) possono e debbono essere riammessi nella comunione della Chiesa. Tutti i sinodi e i concili, sia prima che dopo Nicea, emanarono analoghi canoni di carattere disciplinare, oltre ovviamente a deliberazioni relative alla fede, per regolamentare comuni questioni diocesane. Cfr. anche le note a III., A. e B.

E: P.-P. }OANNOU, Les canons des Conciles ilicuméniques (IIe-IXe s.) = FCCO DUI, 1 (1962) 23-41.

L: W. BRrGlIT, The Canons o/ the First Four Genera! Council o/ Nicaea, Constantinople, Ephesus and Chalcedon, with notes, O 2 1892. - P. L'HurLLIF.R, The Church o/ the Ancient Councils. The Disciplinary Work o/ the First Four Ecumenica! Councils, Crestwood/NY 1996, 17-100.

D. La lettera sinodale

Concludendo, dobbiamo ricordare che il concilio di Nicea, per informazione delle Chiese sorelle e come segno di comunione ecclesiastica, ha inviato un gran numero di lettere sinodali, delle quali tuttavia è giunta fino a noi soltanto quella indirizzata alla Chiesa d' Alessandria e d'Egitto. Essa comincia, come al solito, con le indicazioni del mittente, del destinatario e con un saluto: «I vescovi riuniti a Nicea, per il grande e santo concilio, alla grande e, per grazia di Dio, santa Chiesa di Alessandria e ai carissimi fratelli d'Egitto, di Libia e della Pentapoli, salute nel Signore». Segue successivamente la descrizione del motivo, dei lavori e delle conclusioni del concilio a riguardo di Ario, dello scisma meliziano e del decreto sulla Pasqua. I canoni non vengono elencati, ma se ne accenna nel seguente passaggio: «Se qualche altra decisione è stata presa in presenza del nostro carissi.'llo confratello Alessandro, egli stesso vi riferirà in quanto ha avuto 5. LA PRIMA FASE DELL'ARIANESIMO

339

una parte considerevole in tali deliberazioni». La lettera si conclude, conformemente alle regole, con la richiesta di preghiere e con le lodi alla Trinità come saluto conclusivo. Cfr. anche le note a III.

E: Urkunde 23 zur Geschichte des arianischen Streites = H.G. 0PITZ, Athanasius, Werke 3/1, B 1934-41, 47-51.

IV.

ATANASIO

Il 17 aprile del 328 morì il patriarca Alessandro di Alessandria, non senza aver prima designato sul letto di morte, quale suo successore, il suo diacono Atanasio che lo aveva accompagnato al concilio di Nicea, facendosi qui notare per il suo fermo atteggiamento antiariano. In quel momento lo scisma meliziano non aveva ancora trovato una composizione. Alessandro, infatti, non aveva applicato le regole, stabilite dal concilio di Nicea, per la riammissione dei meliziani, cosicché vi era una sia pur stretta maggioranza di vescovi dell'Egitto che non riconosceva la sua preminenza come metropolita. C'era pertanto il pericolo che, attraverso un voto legale, venisse eletto vescovo qualcuno appartenente al partito contrario ad Alessandro; per scongiurare ciò, alcuni dei vescovi fedeli ad Alessandro, in tutta fretta, elessero Atanasio come nuovo patriarca, e lo consacrarono 1'8 giugno del 328. Più tardi divenne motivo di rimprovero, da parte degli avversari nei confronti di Atanasio, il fatto che non fossero state applicate tutte le procedure prescritte dal canone 4 del concilio di Nicea (i vescovi che lo elessero, per paura di un risultato diverso, non richiesero l'obbligatorio consenso scritto degli assenti che avevano diritto al voto). Ma poiché l'imperatore Costantino, al quale Atanasio aveva immediatamente annunciato la sua elezione, espresse il suo consenso con una lettera di felicitazioni indirizzata alla comunità di Alessandria, la maggioranza dei vescovi egiziani si trovò pronta al riconoscimento del nuovo vescovo. Per molto tempo si è dato credito alla tradizione secondo la quale Atanasio, al momento della sua consacrazione a vescovo, avesse compiuto i 33 anni, e che quindi fosse nato nel 295. Martin (ThH 27, 42, nota 34) e Kannengiesser (TS 46, 524 s.) ultimamente, basandosi su un elenco, sostengono che Atanasio, al momento della sua consacrazione, 340

Ili. LA LETTERATURA DELLA CHIESA IMPERIALE

non aveva ancora raggiunta la necessaria e canonica età di 30 anni8 • Pertanto, secondo questa opinione, dovrebbe essere nato non prima del 300 ca. Sulla sua estrazione sodale, infanzia e giovinezza conosciamo ben poco di sicuro. Si ritiene che fosse alessandrino e di famiglia non cristiana. Rufino riferisce, nella sua Storia ecclesiastica [X 15], che Alessandro avrebbe conosciuto Atanasio ancora bambino sulla spiaggia, e che questi avrebbe attirato la sua attenzione giocando al «battesimo» con i suoi compagni, nel ruolo di vescovo. Allora Alessandro lo avrebbe interrogato, constatando che quel bambino conosceva esattamente i riti battesimali e concludendo sulla perfetta validità del battesimo impartito. Se si deve o no classificare questo racconto tra le leggende pie, dipende molto da quale data di nascita di Atanasio si accetti. Poiché Alessandro divenne vescovo solo nel 313, il «bambino» Atanasio avrebbe avuto o 13 o addirittura 18 anni. Una maggiore verosimiglianza può invece pretendere la Storia dei patriarchi di Alessandria, opera conservatasi dell'arabo Severo ibn alMuqaffa [PO V4, 407 s.J. Atanasio, secondo il racconto di Severo, sarebbe stato il figlio di una ricca e nobile vedova alessandrina, la quale avrebbe cercato di spingere il figlio, divenuto adulto, al matrimonio, al fine di subentrare nella proprietà dei beni del padre. Non avendo il figlio dimostrato alcuna inclinazione per il matrimonio, ella gli avrebbe continuamente fatto trovare, nottetempo nella sua camera da letto, ragazze avvenenti, per rendergli appetibile il matrimonio e la vita civile. Ma Atanasio, una volta sveglio, avrebbe sempre cacciato le ragazze. Disperata, la madre si sarebbe rivolta ad un mago molto noto in città, il quale, dopo aver parlato con Atanasio, avrebbe informato la madre dell'inutilità dei suoi sforzi, essendosi il figlio ormai votato al cristianesimo, nell'ambito del quale sarebbe senz'altro diventato un uomo illustre. La madre, per non perdere il figlio, si sarebbe recata insieme a lui dal vescovo Alessandro, dal quale avrebbero entrambi ricevuto il battesimo. Dopo la morte della madre, Alessandro avrebbe accolto Atanasio come un figlio, dandogli Wl'istruzione, più tardi consacrandolo a diacono e facendone il suo segretario. Atanasio stesso conferma in una certa misura queste notizie, essendo stato àvayvwm'J']ç (lettore) e segretario di Alessandro e, dal 318/19, anche diacono. Anche le sue marcate tendenze ascetico-monastiche, 8 S1MONETI1,

Crisi ariana 11: «poco più (o meno) che trentenne». 5. LA PRIMA FASE DELL'ARIANESIMO

341

nonché le sue strette relazioni con il monachesimo egiziano, sembrano risalire ai suoi anni giovanili. Subito dopo la sua ordinazione a vescovo, negli anni 330-334, Atanasio intraprese una serie di viaggi pastorali attraverso la sua diocesi, per allargare il suo consenso nel clero e soprattutto per integrare il monachesimo nella comunità ecclesiale. Quest'ultima cosa gli riuscì così bene che egli, in tarda età, e forse per primo, consacrò a vescovi dei monaci, incontrando nei conventi sostegno e rifugio. Ma si oppose con fermezza a tutti i tentativi dell'imperatore Costantino di riconciliare Ario con la Chiesa. I meliziani che gli avevano opposto un anti-vescovo, si collegarono in seguito con il partito ariano intorno ad Eusebio di Nicomedia, cercando di far deporre Atanasio attraverso un processo penale. I due tentativi di farlo condannare, il primo per lesa maestà (33112), il secondo per omicidio (332/3), si conclusero con dei fallimenti, anche perché, nel secondo caso, ad Atanasio riuscì di rintracciare il presunto assassinato, il vescovo Arsenio, nel suo nascondiglio presso i meliziani. In seguito, i suoi avversari si impegnarono ad organizzare un tribunale episcopale a Cesarea di Palestina (334), che Atanasio semplicemente ignorò. Poco dopo, un sinodo convocato a Tiro dall'imperatore (335), al quale egli si presentò ma per ripartire anzitempo per Costantinopoli, lo depose. L'imperatore Costantino rifiutò il suo appello, inviandolo in esilio (il 7 novembre del 335) a Treviri, probabilmente perché fu accusato dagli «eusebiani» di voler usare, come mezzo di pressione, le forniture di grano egizio indispensabili per la vita nella capitale; il vero motivo era invece costituito dalla sua opposizione ai piani imperiali per una riconciliazione con Ario. A Treviri Atanasio allacciò buone relazioni con il vescovo Massimino e, più tardi, con il suo successore Paolino, i quali, insieme a lui, diventarono in occidente gli esponenti più rappresentativi della fede nicena. Dopo la morte di Costantino (22 maggio 337), il suo successore in qualità di Cesare residente a Treviri, il primogenito Costantino II, decretò per motivi politici un'amnistia, permettendo così ad Atanasio di ritornare in Oriente. Dopo che il fratello Costanzo II ebbe approvato la sua decisione, Atanasio poté trasferirsi nuovamente ad Alessandria dove giunse il 23 novembre del 337. Un sinodo svoltosi nel 338 lo riabilitò anche ecclesialmente, abrogando la condanna emanata dal sinodo di Tiro. Il partito avversario, tuttavia, non riconobbe questa riabilitazione, provocò tumulti nella città, protestò poi presso l'imperatore, 342

III. LA LETTERATURA DELLA CHIESA IMPERIALE

nel tentativo cli isolare Atanasio da Roma, ed elesse infine all'inizio del 339 come ami-vescovo Gregorio cli Cappadocia. Il 18 marzo del 339 Atanasio fu cacciato e costretto a recarsi a Roma, dove si trovava già Marcello di Ancira. Quando il vescovo Giulio di Roma invitò ad un sinodo es ponenti del partito eusebiano, si vide opporre un rifiuto e l' accusa di essersi arrogato una sorta di preminenza giurisdizionale. Il sinodo, tenutosi a Roma nel 341, si espresse per il riconoscimento sia di Atanasio che di Marcello. Solo cinque anni più tardi l'imperatore Costante riusci ad ottenere il ritorno dei vescovi esiliati, cosicché Atanasio, dopo un esilio durato sette anni, poté rientrare ad Alessandria il 21 ottobre 346, accolto trionfahnente. Gli anni seguenti appaiono come un più tranquillo periodo di attività pastorale e letteraria, senza che però fossero risolti i problemi fondamentali, tanto che questi, a partire dal 353, esplosero nuovamente. L'imperatore Costanzo, rimasto solo a gestire il potere, pretese la sottoscrizione, con un editto emanato da Arles (353), di una lettera dei vescovi orientali risalente all'anno 347 /48, nella quale Fatino, Atanasio e Marcello di Ancira venivano descritti nell'insieme come eretici. I sinodi di Arles (353) e Milano (355), a seguito di ciò, condannarono nuovamente Atanasio. I pochi che non apposero la loro firma dovettero andarsene in esilio, e tra questi vi erano Paolino di Treviri e Liberio di Roma. Atanasio, a sua volta, sfuggì con fatica, 1'8 febbraio del 356, all'occupazione della Chiesa di Teona da parte delle truppe imperiali, trovando rifugio nei conventi dei monaci, i quali, fin dall'inizio del suo patriarcato, grazie alla sua sollecitudine nei loro confronti, gli erano strettamente legati. La morte dell'imperatore Costanzo, il 3 novembre del 361, e il fallimento del nuovo anti-vescovo Giorgio, già cacciato il 2 ottobre del 358 e assassinato il 24 dicembre del 361, permisero ad Atanasio di ritornare nella sua sede episcopale il 21 febbraio del 362, tanto più che il nuovo imperatore, Giuliano l'Apostata, dimostrava completo disinteresse verso il cristianesimo. Immediatamante dopo il suo ritorno, Atanasio convocò un sinodo che si occupò dello scisma meleziano di Antiochia, preparando il terreno decisivo, con il suo Tomus ad Antiochenos, alla teologia della Trinità e alla cristologia. Troviamo infatti esposta, per la prima volta, la teoria delle tre ipostasi in Dio, oltre alla condanna della dottrina secondo la quale lo Spirito Santo sarebbe creato e separato dalla oùola di Cristo. Il ~inodo prese in esame anche, e per la 5. LA PRIMA FASE DELL'ARIANESIMO

343

prima volta, il problema costituito dall'interpretazione cristologica dei concetti niceni dell' «incarnazione» (oaQxwoLç) e dell' «umanizzazione» (hav0QWlt'YJOLç) del Figlio di Dio. L'imperatore Giuliano reagì ai successi conseguiti da Atanasio, che apparentemente provocavano anche delle agitazioni nella città, con la sua attività, espellendolo, ma le parole da questi pronunciate al momento di lasciare la città (il 24 ottobre 362): «Non vi preoccupate, figli miei, è una nuvoletta che passa via velocemente», dovevano ben presto divenire realtà. Giuliano, infatti, cadde combattendo in battaglia contro i persiani il 26 giugno del 363. A questa cacciata, decretata da Giuliano, si collega il celebre aneddoto, secondo il quale Atanasio sarebbe fuggito con una barca lungo il Nilo, avendo pericolosamente alle calcagna i suoi persecutori. All'improvviso egli avrebbe fatto voltare la barca, andando loro incontro con audacia. Al momento dell'incontro tra le due barche, gli ignari soldati gli avrebbero chiesto se per caso non avesse visto Atanasio; egli allora avrebbe risposto con verità ma ambiguamente, dicendo che non solo l'aveva visto, ma che egli non era neanche lontano: se si fossero affrettati, l'avrebbero senz'altro raggiunto. Il governo successivo dell'imperatore Gioviano, come anche l'ultima cacciata di Atanasio, rimasero episodi circoscritti. Gioviano confermò Atanasio quale legittimo vescovo di Alessandria; ma nello stesso tempo in cui Atanasio fece ritorno ad Alessandria, Gioviano morì, il 17 febbraio del 364. Il suo successore Valente, un ariano di tendenza omeusiana, dispose, è vero, nuovamente l'esilio dei vescovi (niceni) reintegrati da Gioviano, tanto che Atanasio, sotto la minaccia dei soldati imperiali, dovette lasciare Alessandria il 5 ottobre del 365; ma, con un editto del 1° febbraio 366 l'imperatore lo reintegrò ancora una volta. I restanti sette anni di vita di Atanasio furono anni tranquilli, impegnati dai contatti avviati con Roma e (sin dal 371) con Basilio di Cesarea che da lui doveva assumere in eredità la guida del partito niceno. Tuttavia gli sforzi fatti da quest'ultimo per reintegrare nella comunione ecclesiale Atanasio e Melezio di Antiochia, non ebbero alcun successo: Atanasio morì, settantottenne, il 2 maggio del 373. Pochi Padri della Chiesa hanno goduto, come Atanasio, di una così lunga popolarità e considerazione. La Chiesa occidentale lo venera, dal 1568, insieme con Basilio il Grande, Gregorio di Nazianzo e Giovanni Crisostomo, come uno dei «quattro grandi dottori della Chiesa dell'Oriente» (cfr. Introduzione Il). L'ecclesiologia diJohann Adam Moh-

344

III. LA LETTERATURA DELLA CHIESA IMPERIALE

ler, che ha esercitato il suo influsso fino ai giorni nostri, fu fortemente improntata dalle sue ricerche su Atanasio (1827). Ernst Bloch valutò la dottrina della oµoouoi.a come «il topos più rivoluzionario» di un esponente di una religione: «Gli ariani avevano affermato la semplice somiglianza con Dio ... al contrario proprio un'ortodossia - condannando la dottrina di Ario al concilio di Nicea e canonizzando la dottrina di Atanasio della omousia con il Padre - ha approvato il topos più rivoluzionario mai esposto da uh religioso, anzi da una parusia>> (Athez'smus im Christentum [1968] 230 s.). B: CH. 1995.

BUTIERWECK,

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Opere L'insieme degli scritti di Atanasio, trasmessi fino a noi anche in copto, siriaco e altre lingue, riflette totalmente la sua attività pastorale e le controversie nelle quali fu impegnato; ma non è stato ancora chiarito se egli possedeva anche una padronanza del copto. Tra le lettere pa· 5. LA PRIMA FASE DEIJ..'ARIANESIMO

345

squali la n. 39 dell'anno 367 ottenne la celebrità perché in essa, per la prima volta, viene elencato il canone neotestamentario definitivo. Il carattere della duplice opera apologetica Contra gentes e De incarnatione dipende dalla sua data di composizione, a tutt'oggi discussa. Montfaucon e, recentemente, Meijering, van Winden e Barnes (Constantine and Eusebius 206), basandosi sull'assenza di qualsiasi riferimento all'arianesimo, la giudicano un'opera giovanile, scritta prima dello scoppio della controversia ariana, nello stile dell'apologetica tradizionale. Tillemont, Schwartz, Schneemelcher, Kannengiesser e Tetz, al contrario, la situano al tempo dell'esilio di Treviri (335-337) come frutto della rielaborazione di appunti precedenti. In questo caso, lopera sarebbe una prudente autodifesa sotto la copertura della forma apologetica, considerato che in quel momento Atanasio non poteva rischiare di attaccare apertamente i suoi avversari. In tempi ancora più recenti, si moltiplicano le voci per una datazione dell'opera all'inizio del patriarcàto: Stead è per il .328, Petterson per il periodo 328-3.35, per il 333 Kehrhahn:. La proposta di Nordberg che situa l'opera al tempo del regno di Giuliano (361-363), può probabilmente essere esclusa. Le Orationes contra Arianos risalgono al tempo del suo esilio romano (340/41) e si occupano estesamente, sotto la forte influenza della teologia marcelliana, del dibattuto passo biblico Pr 8, 22 «Il Signore mi ha creato all'inizio della sua attività, prima di ogni sua opera, fin d'allora». La Historia Arianorum si rivolge ai monaci, contro i provvedimenti costrittivi dell'imperatore Costanzo (357 /58) "definito «Colui che apre la strada all'Anticristo». Le lettere, indirizzate ai vescovi e agli imperatori, ruotano tutte intorno alla propria giustificazione e all'esposizione delle accuse nei confronti dei suoi avversari. Lo scritto De decretis Nicaenae synodi (.350/51) rappresenta una delle fonti più importanti per la storia del concilio, i cui Atti non sono stati conservati. Il suo capolavoro Vita Antonii, sul monachesimo egiziano, sarà illustrato più avanti, in collegamento con la letteratura monastica (cap. 8.lll). Cfr. anche le note a IV.

E: Opera omnia·: PG 25-28. - H.-G. 0PITZ, Athanasius, Werke Il/1-IIVl, B 1934-41 [De decretis Nicaenae synodi, De sententia Dionysii, Apologia de fuga sua, Apologia secunda, Epistula encyclica, De morte Arù; Epistula ad monachor, Risto-

346

III. LA LETIERATURA DELLA CHIESA IMPERIALE

ria Arianorum, De synodìs, Atti]. - R.W. THOMSON, Athanasiana Syriaca, 3 voli.= CSCO 257-258, 272-273, 324-325 (1965-72) [T/fr.ingl/Com]. -Apologiae:]. M. SzYMUSIAK = SC56 bis (1987) [T/Tr.f/Com]. - Contra gentes: L. LEONE, Na 1963 [T/Tr.itl - P. TH. CAMELOT =se 18 bis (1977) (T/Tr.f/Coml - Contra gentes, De incarnatione: R.W. THOMSON = OECT (1971} [T/Tr.ingl!Com]. -De incarnatione: CH. °KANNENGIESSER = se 199 (1973) [T/Tr.f/Com]. - Epistulae festales: L.-TH. LEFORT = eSCO 150-151 (1955) [T.cop/Tr.f]. - R.-G. eoQUIN I E. LucCHESI, Un complément au corps copte des Lettres Festales d'Athanase (Paris, B.N., Copte 176*) (Pl. III): OLoP 13 (1982) 137-42. - R.-G. CoQUIN, Les Lettres Festa/es d'Athanase (CPG 2102). Un nouveau complément: le manuscrit !FAO, Copte 25 (Planche X): OLoP 15 (1984) 133-58. - R. LoRENz = BZNW 49 {1986) [ep. X T.cop/Tr.ted/Com]. - Expositiones in Psalmos: G.M. VIAN, Testi inediti dal Commento ai Salmi di Atanasio= SEAug 14 (1978). - Historia acephala, indice siriaco delle epistule festa/i: A. MARTIN I M. ALBERT =Se 317 (1985) [T!Tr.f/ComJ. Tr: A. AURELI I G. BRUNNER, Mi 1912, 581-621 [Lettere festa/i 2, 5, 7, 11). - E. SALA, Siena 1937 [Contra Arianos]. - Incarnazione del Verbo: B. BoRGHINI, Alba 1972, 35-129. - E. BELLINI= CTePa 2 (1976). - E. BELLINI, Su Cristo: il grande dibattito nel quarto secolo, Mi 1978, 487-94 [Tomus ad Antiochenos Tr.it]. - Lettere a Serapione: L. ÙMMARRONE, Padova 1983. - E. CATTANEO= CTePa 55 (1986). - E.P. MEIJERING, Amsterdam 1996 [Contra Arzanos III 1-25 Tr.ted/Com]. S: G. MùLLER, Lexicon Athanaszanum, B 1952. L: Generale: L.TH. LEFORT, St. Athanase écrivain copte: Muséon 46 (1933) 1-33. - H.-G. 0PITZ, Untersuchungen zur Oberlieferung der Schrzften des Athanasios = AKG 23 (1935). - CH. STEAD, Athanasius' Earliest Written Work: JThS NS 39 (1988) 76-91. - K METZLER I F. SIMON, «Ariana et Athanasiana». Studien zur Oberlieferung und zu philologischen Problemen der Werke des Athanasius von Alexandrien = ARWA W 83 (1991). - ].D. EmEST, Athanasius o/Alexandria: The Scope o/ Scripture in Polemica! and Pastora! Context: VigChr 47 (1993) 341-62. Opere: CH. °KANNENGIESSER, L'énigme de la lettre «Au philosophe Maxime» d'Athanase d'Alexandrie: AAEXANLJPINA. Hellénisme,judai'sme et chrirtzanisme à Alexandrie (FS C. Mondésert), P 1987, 261-76. Apologia Secunda: L.W. BARNARD, Studies in Athanasius' oltre Basilio, rafforzando tramite una più precisa terminologia non sol~- tanto l'inserimento dello Spirito all'interno della Trinità, ma preparando :. anche il terreno per il completamento pneumatologico del Symbolum . Nicaenum, sancito, di lì a poco, dal concilio di Costantinopoli (.3-81).

Tr: A. AURELI I G.

BRUNNER,

La-voce dei SS. Padri II, Mi 1913, 305-639 [orr

" cui in futuro avrebbe avuto validità in tutto l'impero soltanto la pro;,, fessione nicena, seguita dall'appello, del 27 febbraio del 380, rivolto a }· tutto l'impero, a riconoscersi nel cristianesimo di impronta nicena e, '.'./:

6. LA SECONDA FASE DELL'AIUANESIMO E L'APOLINARISMO

393

infine, con la sostituzione del patriarca ariano di Costantinopoli, Demofilo, con Gregorio di Nazianzo subito dopo l'ingresso di questo in città il 24 novembre del 380, la vittoria della fides Nicaena, dopo oltre 50 anni di lotte per la sua recezione, poteva dirsi completa. Mancava ancora tuttavia la sua sanzione ecclesiastica poiché, secondo la concezione cristiana primitiva, non poteva essere né un imperatore da solo, né un vescovo o anche un patriarca, sebbene dotato di pieni poteri, a stabilire norme di fede aventi validità per l'intera Chiesa, ma soltanto un concilio, possibilmente universale o «ecumenico». Questo principio vale anche per il concilio di Costantinopoli del 381, sebbene i suoi partecipanti fossero vescovi esclusivamente della Chiesa orientale e, di conseguenza, non si autodenominasse come «ecumenico», qualità che invece si riconobbe, per la prima volta, il concilio di Calcedonia del 451. Per questo erano stati svolti, a partire dal concilio di Nicea del 325, e in modo abbastanza sconcertante, così tanti sinodi e in varie località. Ma ora, 55 anni dopo il concilio di Nicea, non si trattava più della semplice conferma del Symbolum Nicaenum; grande era stato infatti lo sviluppo sia sul piano teologico che su quello della politica ecclesiastica. Si trattava di affrontare l'arianesimo nella sua nuova forma dell' eunomianismo, di porre termine allo scisma meleziano di Antiochia e di chiarire i problemi teologici - affacciatisi successivamente al concilio di Nicea - collegati alla dottrina della Trinità e, per la prima volta, alla cristologia: la questione relativa alla divinità dello Spirito (posta dai macedoniani/pneumatomachi) e quella sul tipo di coesistenza delle due nature in Cristo (posta dall' apolinarismo). Per tutto ciò l'imperatore Teodosio, subito dopo il suo ingresso a Costantinopoli, alla fine del 380 o all'inizio del 381, convocò un sinodo che si svolse nel periodo tra maggio e luglio nella capitale. Vi presero parte 150 vescovi, tra i quali Melezio di .Antiochia in qualità di presidente, Gregorio di Nazianzo, Gregorio di Nissa e suo fratello Pietro di Sebaste, Cirillo di Gerusalemme e Diodoro di Tarso. Cfr. anche le note al Concilio di Nicea cap. 5.III.

E: MANSI III 521-600 [gl). - COD 20-35 [T.gl/Tr.itJ. L: Art. di diz.: CH. KANNENGIESSER: DPAC I 813-6. -A. RlTIER: TRE 19 (1990) 518-24. Raccolte: IThQ 48 (1981) 157-267. - La signification e l'actualité du Ile concile cecumenique pour le monde chrétien d'aujourd'hui, Chambéry- Ginevra 1982. - TH. PrFFL-PERèEVIè I A. STIRNEMANN (ed.), Das gemeinsame Credo, I - V 1983. - J. SAMNA MARTINs (ed.), Credo in Spiritum Sanctum, 2 voll., Città del Vaticano 1983.

394

III. LA LETTERATURA DELLA CHIESA IMPERIALE

Studi: C.J. HEFELE I H. LECLERCQ, Histoire des conciles d'après les documents origineaux II/1, P 1908, 1-48. - E. SrnwARTZ, Das «Nicaenum» und «Constantinopolitanum» auf der Synode van Chalkedon: ZNW 25 (1926) 38-88. - I. 0RTIZ DE URBINA, Nicée et Constantinople = HCO 1 (1963) 137-242 [ted Mz 1964]. A.M. RrTTER, Das Konzil van Konstantinopel und sein Symbol. Studien zur Geschichte und Theologie des II. Okumenirchen Konzils = FKDG 15 (1965). - L. PERRONE: G. ALBERIGO (ed.), Storia dei concili ecumenici, Brescia 1990, 57-70.

A. Il Symbolum Accanto alla professione di fede «apostoÌica», ciò che collega ancora oggi tutte le Chiese cristiane è il credo cosiddetto «niceno-costantinopolitano», così denominato quasi fosse un risultato della conferma e del completamento che il concilio di Costantinopoli del 381 aveva operato nei confronti del Simbolo approvato a Nicea nel 325. Probabilmente le · cose non si sono svolte in questo modo, anche se la situazione delle fonti si dimostra finora confusa: gli atti del Concilio sono andati perduti, il Symbolum, nella sua forma ufficiale, viene trasmesso per la prima volta negli atti del concilio di Calcedonia del 451, sebbene sembra che fosse già conosciuto da Epifanio di Costanza (Salamina), stando alla testimo.• nianza del suo Ancoratus del 374. Le ricerche di Bernd Manuel Weischer hanno tuttavia dimostrato, alcuni anni fa, che si tratta di una tarda ..•. interpolazione del testo; oggi l'opinione più diffusa e accettata afferma ·• che nel concilio di Costantinopoli non fu deliberato alcun Simbolo ufficiale, ma che fu tuttavia proposto e formulato il testo giunto fino a noi attraverso la mediazione del concilio di Calcedonia9 • Il confronto tra le due formulazioni, del Simbolo niceno e di quello ·•·. costantinopolitano, evidenzia la presenza di poche differenze nei due · primi articoli di fede, quelli riguardanti il Padre e il Figlio, consistenti .···in pratica in correzioni ed eliminazioni di non più necessarie chiarifi. cazioni e precisazioni complementari. In tre passaggi, però, la professione di fede in Cristo viene chiaramente estesa: relativamente al ruolo dello Spirito Santo e di Maria nell'incarnazione, sulla realtà e storicità della passione e morte di Cristo e, infine, per quanto concerne la sua funzione escatologica di Signore e Giudice. Tutta la parte pneumato. 9 Non è di questo parere !:n:ouç

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396

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III. LA LETTERATI!RA DELLA CHIESA IMPERIALE

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Cfr. anche le note a III.

E: ACO 2/1 (1933) [324] [g]; 2/3 (1935) [395] [l]. - G.L. DossErn, Il simbolo di Nicea e di Costantinopoli. Edizione critica= TRSR 2 (1967) [T.gl/Com]. L: Art. di diz.: W.-D. HAuSCHILD: TRE 24 (1994) 444-56. Studi: B.M. WEISCHER, Die urspriingliche nikrinische Form des ersten Glaubenssymbols im Ankyrotos des Epiphanios van Salamis. Ein Beitrag zur Diskussion um die Entstehung des konstantinopolitanischen Glaubenssymbols im Lichte neuester dthiopistischer Forschungen: ThPh 53 (1978) 407-14. - A. DE HALLEUX, La profession de l'Esprit-Saint dans le symbole de Constantinople: RTL 10 (1979) 5-39. - B. SCHULTZE, Die Pneumatologie des Symbols von Konstantinopel als abschliessende Formulierung der griechischen Theologie (381-1981): OCP 47 (1981) 5-54. - TH. F. ToRRANCF., The Incarnatzon. Ecumenica! Studies in the Nicene-Constantinopolitan Creed A. D. 381, Edinburgh 1981. - GOTR 27 (1982) 359-453. - W.-D. HAusCHILD, Das trinitarische Dogma von 381 als Ergebnt's verbt'ndlicher Konsensusbildung: K. LEHMANN I W. PANNENBERG (ed.), Glaubensbekenntnis und Kfrchengemeinschaft. Das Model! van Konstantinopel (381), F - Go 1982, 13-48. -A. 6. LA SECONDA FASE DELL'ARIANESIMO E L'APOLINARISMO

397

KOLB, Das «Symbolum Nicaeno-Constantinopolitanum». Zwei neue Zeugnisse: ZPE 79 (1989) 253-60. - R. STAATS, Die romische Tradition im Symbol van 381 (NC) und seine Entstehung auf der Synode von Antiochen 379: VigChr 44 (1990) 209-21. - W. ScHNEEMELCHER, Die Entstehung des Glaubensbekenntnisses von Konstantinopel (381): In., Reden und Aufsiitze. Bettriige zur Kirchengeschichte und zum okumenischen Gespriich, Tub 1991, 150-67. - L. ABRAMOWSKI, Was hat das Nicaeno-Constantinopolitanum (C) mit dem Konzil von Konstantinopel zu tun?: ThPh 67 (1992) 481-513. - A.M. RITIER, Noch einmal: «Was hatdas Nicaeno-Constantinopolitanum (C) mit dem Konzil von Konstantinopel zu tun?: ThPh 68 (1993) 553-60. - R. STAATS, Das Glaubensbekenntnis von Niziia-Konstantinopel. Historische und theologische Grundlagen, Da 1996. - V. DRECOLL, Wie niza,. nisch ist das Nicaeno-Constantinopolitanum? Zur Diskuman der Herkun/t von NC durch Staats, Abramowski, Hauschild und Ritter: ZKG 107 (1996) 1-18.

B. Il Tomus e i Canones Se il concilio non ha ufficialmente approvato il Simbolo che da esso prende il nome, ha tuttavia esposto, in documenti ufficiali, la sua professione di fede, ha condannato le dottrine ereticali del tempo ed ha regolato le questioni disciplinari ali' ordine del giorno, e precisamente nelle forme di una dichiarazione (Tomus) e di quattro canoni. Il Tomus è andat~ perduto, ma può essere comunque ricostruito sulla base del primo canone e della lettera sinodale del sinodo di Costantinopoli del .382. I padri conciliari ribadivano, in esso, l'immutata validità della fi"des Nicaena, l'unità della oùoLa di Padre, Figlio e Spirito, rifiutando l'identificazione sabelliana in un'unica ipostasi, e condannavano particolarmente: «eunomiani o anomei, ariani o eu· dossiani, semiariani o pneumatomachi, sabelliani, sostenitori di Marcello e di Potino e apolinaristi». Gli altri tre canoni hanno avuto, sebbene non intenzionalmente, ampie ripercussioni sul piano della storia ecclesiastica. Il terzo canone, infatti, assegnava alla sede episcopale di Costantinopoli, in quanto «nuova Roma», il secondo posto nella scala del primato, dopo il vescovo di Roma, ponendo con questo i più antichi patriarcati di Alessandria e Antiochia al terzo e al quarto posto. I canoni secondo e quarto si rivolgevano contro le ingerenze amministrative di vescovi in altre province ecclesiastiche; il più recente e clamoroso esempio di ingerenza era rappresentato dall'arbitraria consacrazione, ad opera di vescovi egiziani, del cinico Massimo a vescovo di Costantinopoli (380), consa398

Il!. LA LETTERATURA DELLA CHIESA IMPERIALE

crazione che il canone quarto dichiarava invalida. Il canone secondo stabiliva, di conseguenza, che il vescovo di Alessandria avesse la giurisdizione esclusivamente per l'Egitto, e che i vescovi dell'Oriente aves" sero la competenza esclusivamente per le diocesi dell'Oriente (nel senso della suddivisione amministrativa operata dalla riforma statale di Diocleziano). Queste deliberazioni, a lungo termine, ebbero come conseguenza che, da una parte, Alessandria cercava di affermarsi neì confronti dì Costantinopoli, scrutando con occhi di Argo lo svolgersi degli avvenimenti ecclesiastici nella capitale al fine, eventualmente, di intervenire in funzione correttiva (vedi i casi di Giovanni Crisostomo, Nestorio ed Eutiche). La limitazione d~gli ambiti di competenza dei vescovi nei confini delle circoscrizioni territoriali dello Stato, insieme al conseguente e ancora più forte incardinamento delle strutture ecclesiastiche in quelle statali, fece d'altra parte sviluppare in Oriente una coscienza di sé che impediva di accettare il crescente (almeno a partire dàlla metà del V sec.) primato giurisdizionale del vescovo di Roma sulle diocesi orientali, ponendo le basi per una futura e definitiva scissione della Chiesa, avvenuta alcuni secoli più tardi. Cfr. anche le note a III.

E: TEODORETO,Hzstoria ecclesiastica 5, 9 (GCS 29, 289-94) [Tomus]. - ACO 2/1 (1933) [324] [g]; 2/3 (1935) [395] [l]. - DH 151 [canone 1 T.gl/Tr.ted]. - P. P. JANNOU, Les Canons des Conci/es CEcumeniques (IIe-IXe s.) = FCCO IX/I, 1 (1962) 42-54. - P. L'HuILLIER, The Church o/ the Ancient Councils. The Disciplinary Work o/ the First Four Ecumenica! Councils, Crestwood/NY 1996, 101-42.

6. LA SECONDA FASE DELL'ARIANESIMO E L'APOLINARISMO

399

Capitolo Settimo

PASTORI, ESEGETI ED ASCETI

I.

CIRILLO DI GERUSALEMME

Il vescovo Cirillo di Gerusalemme fu uno dei partecipanti, nel 381, al concilio di Costantinopoli; non faceva parte del numero di coloro che orientarono autorevolmente gli sviluppi teologici, ma del gruppo di quei vescovi locali che furono coinvolti nelle lotte e che si videro costretti a schierarsi per l'una o l'altra delle varie correnti teologiche e politico-ecclesiastiche. Cirillo, dunque, si schierò dapprima a favore degli omeusiani, poi accettò l'orientamento omousiano. L'«eusebiano» Acacio di Cesarea, in qualità di metropolita in carica, lo consacrò nel 348 vescovo di Gerusalemme; al sinodo di Seleucia del 359, egli sostenne la maggioranza omeusiana. Al concilio di Costantinopoli ritrattò la sua precedente posizione definita ormai decisamente «macedoniana» (cfr. introduzione parte 3.III.C), ottenendo dal concilio la conferma ufficiale della legittimità della sua ordinazione a vescovo. Questo mutamento di posizioni non deve però essere addebitato ad un ribaltamento delle sue concezioni teologiche, poiché anche Ilario di Poitiers, il sinodo di Parigi del 360/61 e altri, consideravano teologicamente conciliabili le posizioni omeusiana e omousiana. Pochi anni dopo la sua ordinazione episcopale (dalla sua biografia sappiamo soltanto che era stato sacerdote a Gerusalemme), Cirillò entrò in contrasto con Acacio, non per problemi dottrinali ma disciplinari, perché aveva cercato di rendere la sua diocesi di Gerusalemme indipendente da Cesarea. Acacio, per tutta risposta, lo accusò 400

III. LA LETTERATURA DELLA CHIESA IMPERIALE

di alienazione indebita di beni della Chiesa -la stessa accusa fu rivolta più tardi a Gregorio di Nissa - e lo citò in giudizio a Cesarea. Poiché Cirillo per due anni ignorò la citazione, Aca:cio nel 358 lo depose dalla carica. Ma quando, da parte sua, il sinodo di Seleucia del 359 depose Acacio, avendo egli proposto la nuova formula «omea» (per la quale, il Figlio sarebbe «simile al Padre secondo le Scritture», dr. Introduzione parte 3.III.D), Cirillo -il quale al sinodo si era espresso a favore della maggioranza omeusiana - poté tornare a Gerusalemme. Disgraziatamente l'imperatore Costanzo aderì alla teologia di Acacio, costringendo il doppio sinodo di Rimini/Seleucia ad approvare a Nike la formula omea, facendola confermart; l'anno successivo da un sinodo convocato a Costantinopoli (360). Cirillo dovette pertanto prendere di nuovo la via dell'esilio, ma solo per breve tempo, perché il nuovo imperatore Giuliano nel 361, a causa del suo disinteresse per le questioni ecclesiastiche, fece tornare nuovamente alle loro sedi i vescovi esiliati. Ma il regno di Giuliano durò pochi anni; il suo successore, Valente (364-378), continuò la politica filo-omea di Costanzo rimettendo in vigore le condanne all'esilio comminate da questi, e così Cirillo, questa volta per ben quindici anni, fu costretto ad abbandonare Gerusalemme per la terza volta. Dopo la morte di Valente e la definitiva vittoria del partito niceno, al quale ora Cirillo aderiva, egli poté risiedçre a Gerusalemme finalmente indisturbato, fino alla sua morte avvenuta il 18 marzo 387; di quest'ultimo periodo non sappiamo altro se non della sua partecipazione al concilio di Costantinopoli (381). E: Opera omnia: PG 33,331-1178. - W.C. REISCHL/J. RUPP, 2voll.,Mn184860 = Hi 1967.

L: Art. di dzt..: E.J.

YARNOLD:

TRE 8 (1981) 261-6. - M.

SIMoNErn:

DPAC I

696 s.

Studi: J. MADER, Der Heilzge Cyrzllus, Bischof von ]erusalem, in seinem Leben und seinen Schriften, Eins 1891. - J. LEBON, La position de saint Cyrille de ]érusalem dans les luttes provoquées par l'arianisme: RHE 20 (1924) 181-210, 357-86. I. BERTEN, Cyrille de ]érusalem, Eusèbe d'Emèse et la théologie semi-arienne: RSPhTh 52 (1968) 38-75. - A. BONATO, La dottrina trinitaria di Cirillo di Gerusalemme= SEAug 18 (1983). - R.C. GREGG, Cyril of]erusalem and the Anans: Io., Arianism. Historical and TheologicalReassessments =PatMS 11 (1985) 85-109. P.W.L. W ALKER, Holy City, Holy Places? Christian Attitudes to Jerusalem and the Holy Land in the Fourth Century, O 1990. 7. PASTORI, ESEGETI ED ASCETI

401

Le catechesi

L'importanza di Cirillo per la patrologia non dipende tanto dagli scritti dogmatici ma, come già si è. detto, dalle catechesi che teneva durante il tempo di Pasqua a favore dei catecumeni e dei neofiti. Queste conferenze furono trascritte e raggiunsero una grande notorietà, sia per la loro qualità teologica, spirituale e stilistica, sia perché offrono una visione straordinariamente completa e dettagliata della prassi liturgica e dell'iniziazione alla fede di quel tempo. In complesso ci sono state trasmesse 24 catechesi che possono essere così suddivise: a) la prima, detta procatechesi, introduce l'aspirante (oJtL~6µevoç) alla preparazione prossima al battesimo; b) 18 sono catechesi da tenere in quaresima per i catecumeni e e) 5 sono catechesi }. Die humanisierende Wirkung des Christentums nach fohannes Chrysostomus = MBTh 51 (1984). - JH.W.G. LIEBESCHUETZ, Barbarians and Bishops. Army, Church, and State in the Age of Arcadius and Chrysostom, O 1990. Teologia: P. STOCKMEIER, Theologie und Kult des Kreuzes bei fohannes Chrysostomus. Ein Beitrag zum Verstii~dnis des Kreuzes im 4. fahrhundert = TThSt 18 (1966). - A.M. RrTTER, Charisma im Verstiindnis des fohannes Chrysostomos und seiner Zeit. Ez'n Beitrag zur Erforschung der griechisch-orz'entalischen Ekklesiologie in der Friihzeit der Reichskirche ,= FKDG 25 (1972). - F.-X. DRUET, Langage, images et visages de la mort chez fean Chrysostome, Namur 1990.

444

III. LA LETIERATURA DELLA CHIESA IMPERlALE

A. De sacerdotio L'opera di Giovanni di gran lunga più conosciuta, citata da Girolamo già nel 393 [De vir. ill. 129], è il suo saggio sul sacerdozio, ispirato dalla. Oratio II di Gregorio di Nazianzo. Lo storico della Chiesa Sozomeno [Hz~ storia ecclesiastica 6, 3] ne fa risalire la composizione agli anni di diaconato di Giovanni (381-386), altri al precedente periodo monastico, gli ultimi editori (Nairn, Malingrey) invece la situano negli anni dal 388 al 390. Il trattato si suddivide in sei libri e, dal punto di vista formale, si presenta come un dialogo tra l'autore e un certo Basilio, del quale sfuggono l'identità e la storicità. Il motivo per la composizione dell'opera è rappresentato, secondo il I libro, dalla decisione, presa in passato dai due amici Giovanni e Basilio, di fare della loro vita un percorso comune. Il dialogo ha inizio quando Basilio - dopo aver accettato l'elezione episcopale perché convinto che anche Giovanni l'avesse accettata - si accorge con amarezza che Giovanni, timoroso dell'alta dignità e responsabilità della carica, aveva invece rifiutato. Alle lamentele di Basilio per l'inganno subito, Giovanni è costretto a rispondere per giustificare il proprio atteggiamento. Il II libro tratta perciò direttamente dopo una prima parte in cui si afferma che la vocazione è una straordinaria prova dell'amore di Cristo - delle difficoltà e dei pericoli legati ai doveri del sacerdote e del vescovo. I libri dal III al VI offrono - sebbene con il fine dichiarato di dimostrare la non adeguatezza di Giovanni ad assumere la carica e di giustificare quindi il suo rifiuto - un quadro grandioso dei compiti e delle funzioni del sacerdote, e anche del modo migliore di metterli in pratica: protezione delle fanciulle e delle vedove, esercizio della giustizia, annuncio della Parola di Dio, difesa della fede; responsabilità per gli altri e per i loro errori. Mentre il monaco, infatti, deve preoccuparsi soltanto della propria salvezza, il sacerdote, essendo responsabile per l'intera sua comunità, necessita, in una misura senz'altro maggiore, di dottrina, di zelo, di forza e di virtù, e proprio per questo le punizioni per i suoi errori sono più severe. Cfr. anche le note a VI.

E: s. Co10MB0 =CPS 1 (1936) [T!fr.irJ. - A.-M. MALrNGREY =se 212 (1980) [T/Tr.f/ComJ. Tr: E. NEGRIN, Vicenza 1931. - R. TONNI, Alba 1942. - L. BARSOTELLI, Fi 1963. - G. FALBO, Mi 1978. - A. QuACQUAfil:LLI = CTePa 24 (1980). 7. PASTORI, ESEGETI ED ASCETI

445

S: A.-M. MALINGREY, Indz'ces Chrysostomici II= AlOm A 31/2 (1989). L: W.A. MAAT, A Rhetorical Study of St. fohn Chrysostom's «De sacerdotio» = PatSt 71 (1944). - H. DORRIES, Erneuerung des kirchlichen Amts im vierten Jahrhundert. Die Schrzft «De sacerdott'o» des Johannes Chrysostomus und zhre Vorlage, die «Oratio de fuga sua» des Gregor von Nazianz: B. MoELLER I G. RuHBACH (ed.), Bleibendes im Wandel der Kirchengeschichte. Kirchenhistorische Studien, Tub 1973, 1-46. - P.G. ALVES DE SousA, El sacerdocio ministerial en los libros «De sacerdotio» de San Juan Crisostomo, Pm 1975. - A. HoussIAu I J.-P. MoNDET, Le sacerdoce du Christ et de ses serviteurs selon les Pères de l'Église, Lov 1990. - A. MONACI CASTAGNO, Paideia classica ed esercizio pastorale nel IV secolo: RSLR 26 (1990) 429-59. - R. STAATS, ChrysostOmtf.S uber die Rhetorik des Apostels Paulus. Makariani"sche Kontexte zu «De sacerdotio IV, 5-6»: VigChr 46 (1992) 225-40. M. LoCHBRUNNER, Uber das Priestertum. Historische und systematische Untersuchung zum Priesterbild des Johannes Chrysostomus = Hereditas 5 (1993).

B. Le Omelie sulle statue Alla fine di febbraio, quindi poco prima dell'inizio della quaresima del 387, l'imperatore Teodosio impose una nuova tassa che andò a colpire la popolazione di Antiochia in maniera tale che scoppiarono tumulti e si fecero dimostrazioni in tutta la città, mentre nel foro vennero abbattute le statue dell'imperatore e della sua famiglia; in questo modo vennero a configurarsi due delitti, ambedue punibili con la morte: quello di insurrezione e quello di lesa maestà. Il prefetto della città, Tisameno, intervenne pesantemente: ordinò numerosi arresti, istruì processi, fece eseguire sentenze di morte, così che l'intera città cominciò a temere che l'imperatore volesse punirla distruggendola completamente. In questa situazione di insicurezza e di attesa angosciosa, il patriarca Flaviano partì personalmente per Costantinopoli per ottenere la grazia dall'imperatore, e Giovanni, durante la quaresima, tenne 22 omelie dette, a motivo dell'occasione particolare, «sulle statue» e che costituiscono il vertice della sua arte oratoria. Egli, in queste sue orazioni, pone di fronte ai suoi ascoltatoti, e nelle tinte più vive, gli avvenimenti contemporanei di Antiochia come conseguenza immediata della loro colpa; nello stesso tempo riesce, in modo inimitabile, a distribuire consolazione e speranza, attingendo dalla fede e dall'attesa della Pasqua imminente. Perché, a prescindere dal tipo di punizione che l'imperatore potrà porre in atto, per la salvezza eterna sono necessarie la conversione del cuore e una condotta di vita irreprensibile, per

446

!II. LA LETTERATURA DELLA CHIESA IMPERIALE

la quale Giovanni offre, nelle prediche, tutta una serie di indicazioni e di percorsi. L'ultima omelia, tenuta nel giorno di Pasqua (25 aprile), poté concludere in un giubilo indescrivibile le 22 «omelie sulle statue»: infatti Flaviano era ritornato da Costantinopoli portando con sé il perdono imperiale alla città. Bernard de Montfaucon, nella sua edizione (1718-38), estrapolò la ventunesima omelia e la pubblicò a parte in quanto la ritenne una catechesi battesimale. Anche Migne, nella sua ristampa, applicò lo stesso criterio, così che, da allora, furono contate soltanto 21 omelie sulle statue. Tuttavia, nel 1909, Athanasios Papadopoulos-Kerameus propose per la prima volta il reinserimento della ventunesima omelia al suo posto originario; la stessa cosa viene proposta e sostenuta con altri argomenti, in questi ultimi anni, dagli editori delle catechesi battesimali. Cfr. anche le note a VI.

E: PG 49, 15-222, 231-40. Tr: C.

CONTI GUGLIA,

R 1958.

L: M.A. BURNs, Saint John Chrysostom's Homilies on the Statues: A Study of Their Rhetorical Quaùties and Form = PatSt 22 (1930). - M. SOFFRAY, Recherches sur la syntaxe de saint Jean Chrysostome d'après les «Homélies sur les statues», P 1939. D.G. HuNTER, Preaching and Propaganda in Fourth Century Antioch: John Chrysostom's «Homzlies on the Statues»: !D. (ed.), Preaching in the Patristic Age (FS W. J. Burghardt), NY - Mahwah/NJ 1989, 119-38. - F. VAN DE PAVERD, St. fohn Chrysostom, tbe Homilies on the Statues. An lntroduction =OCA 239 (1991}.

C. Le Catechesi battesimali Come già detto in relazione a Teodoro di Mopsuestia, ad Antiochia erano i sacerdoti, e non il vescovo come era abitudine altrove, a preparare le catechesi battesimali. Anche le 11 catechesi conosciute di Giovanni, per la maggior parte scoperte soltanto in questo secolo (dal 1909 al 1957), risalgono al suo periodo antiocheno. Esse formano: una serie di tre catechesi (secondo Piédagnel!Doutreleau) o di quattro (secondo Papadopoulos-Kerameus e Kaczynski) relative all'anno 388; un'altra serie di otto catechesi (secondo Wenger) o di sette (secondo Kaczynski) relative ad uno degli anni tra il 389 e il 397. La diversità nelle classificazioni deriva dal fatto che una delle omelie, nei manoscritti, è con7. PASTORI, ESEGETI ED ASCETI

447

tenuta in entrambe le serie, ma soltanto la coappartenenza delle prime tre omelie alla prima serie risulta accertata senz'ombra di dubbio. Le quattro catechesi della prima serie furono tenute da Giovanni 30 giorni e 20 giorni prima di Pasqua, il mercoledì della settimana santa esclusivamente per gli aspiranti al battesimo e, nella notte di Pasqua, per l'intera comunità e per i neofiti; le sette catechesi della seconda serie all'inizio e verso la fine del periodo della quaresima, nella notte di Pasqua e, solo quattro, durante la settimana santa. Reiner Kaczynski aggiunge, nella sua edizione del 1992, anche la ventunesima omelia sulle statue - tenuta da Giovanni il- mercoledì della settimana santa (21 aprile) del 387 e diretta perciò anche agli aspiranti al battesimo - classificandola come «catechesi 1». Rimane da vedere se sia possibile una simile disposizione, perché proprio il suo reinserimento nelle omelie delle statue contrasta con la presunzione di un ruolo particolare di questa catechesi e anche perché, secondo questo criterio, molte altre omelie, pronunciate da Giovanni nella quaresima e nel tempo di Pasqua, dovrebbero essere catalogate come catechesi battesimali. Nella catechesi di preparazione al battesimo (si ricordi il co·stume molto diffuso nel IV sec. di rinviare la celebrazione del battesimo) Giovanni esprime la sua gioia, per il fatto che gli aspiranti abbiano deciso di non ricevere il battesimo sul letto di morte. Egli definisce il battesimo come rinascita, illuminazione, morte e risurrezione con Cristo, come matrimonio spirituale e come fondamentale remissione di tutti i peccati. In verità è possibile una seconda penitenza, ma va concessa con prudenza e si spera che non sia mai necessaria. Prima e dopo·, il battesimo serve a superare la lotta col maligno, attraverso disciplina e 'misura, in particolare nel consumo dell'alcool. Più volte Giovanni mette in guardia dai giuramenti, il che ci fa capire come questo fosse un problema abbastanza diffuso nella comunità e nell'intera città. Egli chiarisce inoltre il senso della data della celebrazione del battesimo in coincidenza della notte pasquale, il significato dei riti battesimali (esorcismi, unzioni, lavacro, veste bianca) e del Simbolo battesimale, sottolineando soprattutto la dottrina ortodossa della Trinità e di Cristo, contro le errate interpretazioni degli ariani e dei sabelliani. Dopo il battesimo è la volta del senso dell'eucaristia e delle esortazioni a conservare la grazia battesimale; ma già nella catechesi II/5 pronunciata durante la settimana di Pasqua, Giovanni si deve lamentare per il fatto che i neofiti, insieme a molti altri membri 448

III. LA LETIERATIJRA DELLA CHIESA IMPERlALE

della comunità, invece di partecipare alle funzioni sacre, preferiscono le corse dei cavalli e gli spettacoli teatrali. Le catechesi IV6 e 11/7 presentano infine i martiri ed Abramo come esempi luminosi di fede e mezzi per sostenere la vita cristiana.

efr. anche le note al terzo excursus e a VI. E: A. WENGER =Se 50 ('1970) [T/Tr.f/eom]. - A. PIÉDAGNEL IL. LEAU =se 366 (1990).

DouTRE-

Tr: B. BRIGATI1, Alba 1975. - A. eERESA-GASTALDO = eTePa 31 (1982).

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VII.

RUFINO DI CONCORDIA (AQUILEIA)

Mentre Epifanio di Costanza (Salamina), Giovanni Crisostomo e Girolamo, tra le varie attività che svolsero tra la fine del IV e l'inizio del V sec., parteciparono in diverso modo alla controversia su Origene e sulla sua teologia, per Tirannia Rufino essa è invece il motivo principale della sua presenza all'interno della letteratura patristica, considerato che la maggior parte della vasta opera origeniana si è conservata grazie alla traduzione che ne fece proprio Rufino. Nato intorno al 345 a Concordia, ad occidente della metropoli norditaliana di Aquileia, tra il 358 e il 368 ricevette a Roma, insieme con Girolamo, la consueta, buona formazione grammaticale e retorica, il che ci induce a ritenere che la sua famiglia fosse facoltosa e appartenesse ad un ceto elevato. Ritornato ad Aquileia, entrò in una comunità monastica, ricevendo il battesimo non ancora trentenne (verso il 371/72). Poco dopo si recò in Egitto, nella culla stessa del monachesi7. PASTORI. ESEGETI ED ASCETI

449

mo, dove rimase per otto anni (373-380); qui visitò i monasteri del deserto, incontrò ad Alessandria l'asceta Melania la Maggiore, ascoltò tra gli altri soprattutto Didimo il Cieco ed imparò la teologia origeniana. Nel 381 fondò, sul Monte degli Ulivi presso Gerusalemme, un monastero maschile vicino al monastero femminile edificato alcuni anni prima (tra il 374 e il 378) 6 da Melania, trascorrendovi sedici anni a stretto contatto con i vescovi che si succedettero a Gerusalemme; il vescovo Giovanni lo consacrò sacerdote tra il 390 e il 394. Allo scoppio della controversia origeniana, egli si schierò nell'anno 393 dalla parte di Origene, guadagnandosi l'ostilità di Epifanio e del suo vecchio amico Girolamo che dal 386 viveva a Betlemme. Sebbene si riconciliassero pubblicamente nella Pasqua del 397, furono di nuovo separati poco tempo dopo, a causa della medesima controversia. Rufino ritornò infatti a Roma nel 397 e tradusse, dopo la regola di Basilio, l'Apologia per Origene di Panfilo ed Eusebio in latino, con una propria professio /idei del tutto ortodossa, a mo' di prefazione e con il trattato De adulteratione librorum Origems, a mo' di introduzione. Vi sosteneva lopinione che Origene fosse stato un dottore della Chiesa ortodosso e che i passi controversi, contenuti nelle sue opere, fossero il risultato di successive interpolazioni e falsificazioni. Così egli tradusse in latino, l'anno seguente (398), il De principiis di Origene, limandone in senso ortodosso i passi incriminati e dichiarando di porsi, in tal modo, nella scia delle traduzioni delle opere origeniane condotte da Girolamo. Costui però, credendo che Rufino avesse voluto attribuirgli un atteggiamento implicitamente pro-origeniano, se la prese a male e, nel 399, inviò a Roma la sua versione latina dell'opera di Origene, letterale e corretta, come egli stesso dichiara .in una lettera di accompagnamento molto polemica [epistula 84]. Rufino che, nel frattempo, risiedeva ad Aquileia, si difese con ima Apologia al vescovo Anastasio di Roma (f.ine dell'anno 400), alla quale, nella primavera del 401, seguì l'Apologia contro Girolamo in due libri. Alla dura risposta di Girolamo, contenuta nell'Apologia adversus libros Ru/ini (40112), costui preferì non replicare più. Gli anni successivi, fino alla sua morte 7 furono dedicati da Rufino a diversi lavori di traduzione, riguardanti soprattutto altre opere di Ori6 Cfr. N. MoJNE, Mélaine l'Ancienne: DSp 10 (1980) 958. 7 Lo studio di C.P. HM!MOND BAMMEL (JThS NS 28 [1977] 372-429) dimostra che le date degli ultimi dieci anni della vita di Rufino non sono ben sicure.

450

III. LA LEnERATIJRA DELLA CHIESA IMPERIALE

gene (omelie su Giosué [400], Giudici .e Salmi 36-.38 [400 o 401], Genesi, Esodo e Levitico [40.3-404], i commenti alla Lettera ai Romani [405-406], sul Cantico dei Cantici e sui Numeri [410]) e la Storia ecclesiastica di Eusebio, che egli, oltre a tradurre, ampliò fino alla fine del regno di Teodosio il Grande (395). Il giudizio.critico di Rufino appare poco perspicace, poiché egli tradusse anche il Dialogo sulla fede ortodossa di Adamanzio attribuendolo ad Origene (398/99 o 400), le sentenze del pitagorico Sesto come fossero un'opera del papa Sisto II (prima del 401), e le lettere pseudo-clementine dandone la paternità a.papa Clemente (406 o 407). Prima dell'invasione dei Goti in Italia, Rufino fuggì prima a Roma (varie testimonianze lo segnalano in questa città a partire dal 406; Hammond Bammel ritiene più probabile la sua presenza a Roma dal 403) e successivamente in un monastero nei pressi di Terracina, dove, durante la quaresima del 408, compose la sua opera più importante De benedictionibus patriarcharum. Dopo il sacco di Roma del 410, si recò in Sicilia, a Messina, dove morì tra l'ottobre del 411 e la primavera del 412~ Con la sua attività di traduttore Rufino non perseguì un mero fine filologico coincidente con la riproduzione fedele del testo nel passaggio da una lingua all'altra; volle piuttosto trasmettere ai suoi contemporanei la migliore eredità culturale e teologica del mondo greco che riteneva necessario conoscere per comprendere e risolvere i problemi presenti, eredità che, a causa delle sempre più fievoli cognizioni linguistiche, veniva recepita sempre meno. Ciò vale in particolare per quanto concerne le traduzioni delle opere origeniane, dove egli stesso anzi ammette e giustifica le modifiche apportate al testo. Ora, se si considera che le traduzioni parallele di Girolamo sono andate perdute - e pertanto non possono essere giudicate più corrette rispetto a quelle di Rufino - e se si considera che, a causa delle controversie sull'origenismo e delle conseguenti traversie della storia della trasmissione, molte opere origeniane sono andate ugualmente perdute nell'originale, si deve allora concludere che Rufino è diventato il più importante testimone - pur con tutte le riserve - di Origene e della sua teologia. Cfr. anche le note a VIII.

B: H.R. DRoBNER: BBKL 8 (1994) 959-72.

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PASTORI, ESEGETI ED ASCETI

451

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VIII.

GIROLAMO

L'altro grande traduttore dell~ Chiesa latina, soprattutto il più significativo, fu compagno di studi e più tardi avversario di Rufino nella controversia origeniana. Entrambi fecero un percorso di vita simile, anzi per alcuni anni comune. Nonostante Girolamo parli, nelle sue opere, di sé in misura maggiore che molti altri, rimangono tuttavia in452

1II. LA LETTERATURA DELLA CHIESA IMPERIALE

certe molte date relative alla sua biografia. Sulle questioni della datazione dobbiamo perciò mettere sempre a confronto almeno gli studiosi più recenti che, su questo argomento, hanno espresso varie posizioni: Jean Gribomont (Quasten III [1978] 203-33 e DPAC II [1983] 1583-8), Pierre Nautin (TRE 15 [1986] 304-15) e Harald Hagendahl I Jan Hendrik Waszink (RAC 15 [1991] 117-39). Nato nel 347 o nel 348 a Stridone presso Emona (oggi Ljubljana in Slovenia, mentre la localizzazione di Stridone ci è del tutto ignota), al pari di Rufino in una facoltosa famiglia cristiana di ricchi proprietari terrieri, nel 360 Girolamo partì alla volta di Roma per studiare grammatica e retorica; ebbe Rufino come compagno di studi e il celebre grammatico Elio Donato come maestro. Acquisì, durante la sua formazione scolastica, non solo una conoscenza accurata dei classici della letteratura latina, ma anche uria straordinaria competenza nella lingua latina, e tanto l'una quanto l'altra impronteranno la sua personalità e i suoi scritti per tutta la vita, anche se, più tardi, egli affermerà di trovare inconciliabili «dceronianesimo» e cristianesimo. Un aneddoto, che egli stesso racconta, getta una luce signìficatica sul suo stile di vita in quel tempo in cui non era ancora battezzato: «Mentre io, fanciullo, risiedevo a Roma e venivo educato allo studio delle arti liberali, avevo cura di visitare la domenica, insieme ad altri coetanei che avevano i medesimi propositi, le tombe degli Apostoli e dei martiri e, spesso, di scendere nelle cripte 8 che, nelle profondità della terra e sulle pareti di destra e di sinistra ai lati dei visitatori, erano servite come sepolture dei loro corpi>> [Commentarii in Ezechielem XII 50, 5/13, 243-254]. Insieme a Rufino frequentò le comunità monastiche di Roma e si entusiasmò per quel tipo di vita. Mentre però Rufino, subito dopo il suo ritorno ad Aquileia, mise immediatamente in pratica il proposito maturato, Girolamo, dopo il battesimo ricevuto a Roma nel 367/68, sembra che abbia cercato di fare carriera nell'amministrazione statale a Treviri, allora residenza imperiale delle Gallie. Agostino racconta nelle sue Con/essiones [VIII 6, 15] di due funzionari imperiali a Treviri che, durante una passeggiata, capitarono in una capanna di monaci e s'imbatterono nella Vita del monaco egiziano Antonio (scritta da Atanasio subito dopo la morte di Antonio, nel 35516 o nel 357/8, e tradotta in latino da Evagrio di Antiochia prima del 3 75) e, presi da improvviso B Le

«cripte» nel!' antichità indicavano, come si vede nd testo qui citato, le gallerie delle catacombe. 7. PASTOR!, ESEGETI ED ASCETI

453

entusiasmo per la vita monastica, si dimisero dai loro incarichi a corte. Anche se non si è d'accordo con Pietre Courcelle che identifica i due funzionari con Girolamo e con Bonoso 9, si può affermare, in ogni caso, che la scena descrive bene l'atmosfera nella quale maturò ben presto (intorno al 370) la decisione di Girolamo di abbandonare la carriera mondana, al fine di condurre una vita ascetica, dedita agli studi, nella sua patria Aquileia in comunione col suo amico Rufino - atmosfera paragonabile a quella che si creerà poco più tardi, intorno ad Agostino, a Cassiciaco e a T agaste. La comunità di Aquileia si sciolse, e tanto Rufino che Girolamo si recarono presso le scaturigini orientali del monachesimo: Rufino (nel 373) in Egitto, Girolamo (nel 3 71?), passando per Costantinopoli, ad Antiochia, dove fu accolto da Evagrio, il futuro vescovo dell'antica comunità nicena della città. Trascorse un certo periodo, come eremita, nel deserto della Siria orientale, detto della Calcide 10 e ritornò poi ad Antiochia. In questo periodo antiocheno, che dura fino al 379/80, furono poste le basi che orientarono il resto della vita di Girolamo. Egli acquisì una buona conoscenza tanto del greco che dell'ebraico; gettando così le fondamenta della sua futura attività di traduttore. Cominciò a leggere intensamente la Bibbia che col suo stile rozzo parecchi anni prima lo aveva atterrito (la stessa cosa successe ad Agostino); ascoltò quindi (nel 377?) i discorsi esegetici di Apolinario di Laodicea, che doveva poi prendere a base del suo futuro lavoro e della sua interpretazione del testo biblico. La sua conversione, a partire dal suo entusiasmo per la letteratura classica fino allo studio della Sacra Scrittura, si completò mediante una profonda crisi esistenziale, da lui stesso descritta attraverso il celebre sogno. Egli avrebbe sognato di stare davanti al tribunale di Dio e di ascoltare.la sentenza: «Tu sei un ciceroniano, non un cristiano; dov'è il tuo tesoro, lì è anche il tuo cuore (Mt 6, 21)» [ep 22, 30]. Ciononostante, i classici, come la ricerca ha dimostrato, hanno continuato ad esercitare il loro influsso per tutta la sua vita, anche se in posizione subalterna rispetto al cristianesimo. Girolamo studiò, nella biblioteca lasciata da Eustazio, gli scritti di Origene, l'opera del quale egli doveva tradurre in latìno. Entrò a far Recherchcs sur les Confessions de saint Augustin, P 1950, 181-7. Nautin mette in dubbio la storicità della lettera .di Girolamo in cui si fa menzione di tale periodo, limitandosi ad ammettere un soggiorno ai margini del deserto a Maronia, cinquanta chilometri a est di Antiochia, negli anni 378/79. 9

10

454

IlL LA LETTERATURA DELLA CHIESA IMPERIALE

parte, come il suo ospite Evagrio, dell'antica comunità nicena, facendosi consacrare sacerdote da Paolino, ma a condizione di non essere costretto ad abbandonare la vita monastica; cominciò quindi la sua attività di scrittore. Sicuramente fu in questo periodo che compose la prima leggenda monastica della letteratura cristiana, la Vita dell' eremita egiziano Paolo, e probabilmente anche (secondo Nautin) le prime traduzioni di Origene (le omelie su Isaia, Geremia ed Ezechiele). Gli altri ricercatori pongono però questi primi lavori di traduzione nel seguente periodo di Costantinopoli, mettendoli in relazione con le sollecitazioni ricevute da Gregorio di Nazianzo. Nel 379 o 380 partì per Costantinopoli insieme al vescovo Paolino, il quale voleva ottenere, da parte del nuovo imperatore di credo niceno, Teodosio, il proprio riconoscimento come legittimo vescovo di Antiochia. In verità questa iniziativa fu un fallimento, poiché l'imperatore ed il concilio (381) riconobbero Melezio; Girolamo ebbe modo però di stringere contatti con il patriarca di Costantinopoli, Gregorio di Nazianzo, e con altri due Cappadoci: Gregorio di Nissa e Anfilochio di !conio, e incominciò o proseguì la sua attività di traduttore. Comunque sia, fu proprio a Costantinopoli che nacque la traduzione della Cronaca di Eusebio, nonché la sua prosecuzione fino all'anno 378, la quale doveva poi esercitare così grande influenza per tutto il Medioevo. Dopo la rinuncia di Gregorio di Nazianzo alla sede episcopale di Costantinopoli, Paolino e Girolamo ritornarono ad Antiochia, senza aver ottenuto il premio per i loro sforzi: il riconoscimento della vecchia comunità nicena. Nella primavera del 382 partirono per Roma con Epifanio di Costanza (Salamina); Girolamo si assunse il compito della guida. Un sinodo romano, svoltosi nel 3 82 e al quale partecipò anche Ambrogio di Milano, riconobbe sì Paolino come unico vescovo legittimo di Antiochia, ma questa deliberazione non ebbe alcun effetto in Oriente. Epifanio e Girolamo furono ospiti delle vedove Paola (madre della giovane Eustachio) e Marcella, le quali - come già la madre dei grandi cappadoci Basilio e Gregorio Nisseno - avevano trasformato le loro case in monasteri; Girolamo ebbe così modo di riallacciare i contatti, già avviati al tempo dei suoi studi, con gli ambienti ascetici romani e di continuare a coltivare le sue personali inclinazioni. Le sue ospiti infatti erano nobili, facoltose e dotte: Marcella imparò perfino l'ebraico, pur di poter leggere la Bibbia nell'originale. Quando Paolino ed Epifanio ritornarono in Oriente nell'estate del 383, Girolamo rimase 7. PASTORI, ESEGETI ED ASCETI

455

perciò a Roma dove, come narra egli stesso [ep 123, 9], divenne segretario del vescovo Damaso. Nautin mette in dubbio la correttezza di questa informazione; in ogni caso esiste una Vita del XII sec. secondo la quale Girolamo, a causa di questa attività, sarebbe stato nominato cardinale, e la successiva iconografia lo rappresentò spesso in tale veste. Dopo la morte del suo benefattore e protettore Damaso, avvenuta 1'11 dicembre del 384, si aprirono le speranze di Girolamo sulla sua successione [ep 45, 3]. Venne invece eletto vescovo Siricio, poiché Girolamo nel suo zelo ascetico si era fatto molti nemici nella città, stig· matizzando duramente gli abusi e'cclesiastici e morali. «Girolamo era per natura un satirico nato; egli, anche nel suo secolo litigioso, non ha eguali, tanto nell'ironia, nella penetrante osservazione·e nell'abilità letteraria, quanto nella mordacità e nella malignità» (Harald Hagendahl: Gn. 40 [1968] 582). In questa occasione emersero per la prima volta le peculiari caratteristiche di Girolamo che, più tardi, nelle controversie· con Rufino, Agostino ed altri, divennero ancora più evidenti: gli attacchi da lui rivolti erano duri, ma egli stesso era emotivo e facilmente attaccabile. Si creò a Roma, intorno a lui, un clima così ostile che dovette abbandonare la città; venne perfino sospettato di avere rapporti non proprio «ascetici» con le donne del suo circolo biblico. Nell'agosto del 385 si imbarcò ad Ostia per Gerusalemme; Paola e sua figlia Eustachio lo seguirono con altre compagnç, incontrandolo a Reggio Calabria. Da lì proseguirono, attraverso Cipro ed Antiochia, per Gerusalemme, dove arrivarono verso la fine del 385, per ripartire subito dopo per l'Egitto; qui visitarono varie comunità monastiche ed entrarono in contatto col grande conoscitore di Origene, Didimo di Ales· sandria. Nella primavera del 386 ritornarono in Palestina, fermandosi definitivamente a Betlemme e fondando un monastero maschile e tre monasteri femminili. Gli anni seguenti, potendo Girolamo fare ampio uso della biblioteca origeniana ed eusebiana di Cesarea di Palestina, furono dedicati ad un'intensa attività letteraria. Nacquero le traduzioni della Bibbia, i commenti alle lettere paoline a Filemone, ai Galati, agli Efesini, a Tito, i commenti ai libri biblici Qoèlet, Michea, Sofonia, Naum, Abacuc, Aggeo, Giona e Abdia, le traduzioni del De spiritu sancto di Didimo, delle omelie di Origene sul V angelo di Luca e il suo catalogo di scrit· tori De vt"ris illustribus. Nel settembre del 393, dopo la festa della consacrazione di una chiesa in Gerusalemme, Girolamo intervenne nella

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ITI. LA LETIERATURA DELLA CHIESA IMPERIALE

polemica - sulla teologia di Origene - che opponeva Epifanio di Costanza e Giovanni. di Gerusalemme. Si schierò al fianco di Epifanio, con il quale da anni era in confidenza, mentre il suo amico Rufino si schierò al fianco di Giovanni. In tal modo non cominciò soltanto una polemica con Rufino destinata a durare per anni, ma Girolamo si trovò anche coinvolto in una difficile situazione, dal punto di vista ecclesiale. Suo fratello Paoliniano, infatti, senza il permesso di Giovanni, sotto la cui giurisdizione era anche il monastero di Betlemme, si fece consacrare diacono da Epifanio, e, per tale motivo, Giovanni scomunicò il monastero. Girolamo si difese scrivendo Contra Ioannem Hierosolymitanum e cercando protezione presso Teofilo di Alessandria. In occasione della Pasqua del 397, dopo ripetuti tentativi, ci fu infine la riconciliazione tra Giovanni e Girolamo, e tra quest'ultimo e Rufino. Non è affatto sicuro che la posizione di Girolamo intorno ad Origene si fosse sostanzialmente mutata, a causa della polarizzazione della controversia origeniana. Egli giudicava e traduceva le opere di Origene prima e continuò a farlo anche dopo. Il fatto che nella controversia egli si sia schierato dalla parte di Epifanio, lo si potrebbe imputare, all'inizio, esclusivamente a motivi di carattere personale, così come la polemica con Rufino non prese l'avvio dalla differente valutazione della teologia di Origene, ma dal giudizio sulla correttezza della traduzione rufiniana del De principiis, e a questa polemica ne seguirono altre a partire dal 397 (cfr. VII). Anche le relazioni di Girolamo con altri grandi vescovi del tempo furono segnate da tensioni. Avendo Ambrogio fatto uso, per il suo scritto De spiritu sancta, dell'omonimo scritto di Didimo e avendo attinto, per il suo commento a Luca, alle omelie di Origene, Girolamo tradusse entrambe le opere in latino al fine di denunciare i plagi operati da Ambrogio. Non è comunque certo se il vero motivo di un simile comportamento fosse rappresentato dal rigore filologico di Girolamo; o dalla sua volontà di vendicarsi del mancato sostegno di Ambrogio, a lui e a Paolino, al sinodo di Roma del 382; anche il carteggio con Agostino, tra il 400 e il 404, prese l'avvio con difficoltà e, nella controversia su Origene tra Teofilo e Giovanni Crisostomo, egli tradusse in latino, per conto di Teofilo, le sue lettere (cfr. più avanti C). Gli anni 403-405 costituiscono una cesura nella vita di Girolamo, durante la quale egli non scrisse alcunché,_ a causa della lunga malattia e poi della morte di Paola, il 26 gennaio del 404. Dal 406 egli riprese i 7. PASTOR1, ESEGETI ED ASCETI

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commenti ai libri della Bibbia: Zaccaria, Malachia, Osea, Gioele e Amos (406), Daniele (407), Isaia (408/9), Ezechiele (411-14 o 412-15) e Geremia (dal 415). Anche in questo lasso di tempo vi fu un'ulteriore pausa creativa in conseguenza del saccheggio di Roma operato dai Goti di Alarico e del susseguente flusso di profughi, tra l'altro anche verso la Palestina. Nell'inverno 415/16, vide la luce il Dialogus contra Pelagianos, contra coloro, cioè, che avevano trovato rifugio presso Giovanni di Gerusalemme. Girolamo morì il 30 settembre del 419 o del 420. La Chiesa occidentale lo venera, dal 1295, come uli.o dei «quattro grandi dottori della Chiesa dell'Occidente», insieme con Ambrogio, Agostino e Gregorio Magno. L'iconografia lo ha spesso rappresentato come «Girolamo nella grotta>> e con un leone ai piedi (celeberrima è l'incisione di Albrecht Diirer); molto più spesso lo ha rappresentato all'interno del suo studio di monaco: la leggenda del leone, al quale egli avrebbe estratto una spina dalla zampa e che per riconoscenza non lo avrebbe più abbandonato, la si ritrova per la prima volta in una Vita del IX sec. Si tratta di una leggenda itinerante che, più tardi, venne attribuita p. es. anche al duca di Sassonia e Baviera, Enrico detto il «Leone».(1142-80). Non può essere attribuito a Girolamo il celebre Martyrologium Hieronymianum, un importante elenco universale dei martiri e dei santi per ogni giorno dell'anno, compilato nell'Italia settentrionale (nei dintorni di Aquileia?) tra il 431eil450, utilizzando tre martirologi precedenti. B: P. A.NnN: CChr.SL 72 (1959) IX-LII. - M. Tilly: BBKL 2 (1990) 818-21. E: Opera omnia: PL 22-30. - PLS 2, 18-328. -Adversus Pelagianos: C. MoRE= CChr.SL 80 (1990). - Cronaca: R HELM = GCS 24 (1913). - Contra Ru/inum: P. LARDET:::: CChr.SL 79 (1982). - P. LARDET =se 303 (1983) [T/Tr.f/ Com]. - Homiliae: G. MoRIN = CChr.SL 78 (1958). - In Danielem: F. GLORIE:::: CChr.SL 75 A (1964). - In Ezechielem: F. GLORIE= CChr.SL 75 (1964 ). - In Hieremiam: S. RErTER = CSEL 59 (1913). - S. RErTER = CChr.SL 74 (1960). - In Ionam: Y.-M. DuvAL = SC 323 (1985) [T/Tr.f/Com]. - In Isaiam: M. ADRIAEN = CChr.SL 73-73 A (1963). - R. GRYSON I P.-A. DEPROOST I]. COULIE I E. CROUSSE = VL 23 (1993) [I-IV]. - In Matthaeum: D. HURSt I M. ADRIAEN = CChr.SL 77 (1969). - É. BONNARD = SC 242 + 259 (1977-9) [T/Tr.f/Com]. - In Prophetas minores: M. ADRIAEN = CChr.SL 76-76 A (1969-70). - Salterio: H. DE SAINTEMARIE = CBLa 11 (1954). - Quaestiones in Genesim, Hebraica nomina, In Psalmos, In Ecclesiasten: P. DE LAGARDE I G. MORIN I M. ADRIAEN = CChr.SL 72 (1959). - Vita Hilarionis/Epitaphium sanctae Paulae: CH. MoHRMANN I A.A.R. SCHINI

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III. LA LETTERATIJRA DELLA CHIESA IMPERIALE

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GRIBOMONT:

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460

III. LA LETTERATURA DELLA CHIESA IMPERIALE

A. Le traduzioni bibliche

La traduzione della Bibbia in latino detta Vulgata(= universalmente diffusa) - che solo nel 1979, su incarico del concilio Vaticano Il, fu oggetto di revisione diventando Neo-Vulgata - è sostanzialmente opera di Girolamo. Non è certo che egli fosse stato incaricato ufficialmente da papa Damaso sappiamo però con sicurezza che Girolamo cominciò a lavorarci durante la sua permanenza a Roma (382-385) e che si rivolse nella prefazione allo stesso papa Damaso. Fino ad allora esistevano, nelle diverse Chiese locali, differenti Bibbie latine, raccolte e pubblicate, in tempi recenti, dal Vetus-Latina-Institut (cfr. cap. 4.I). Girolamo cominciò con la revisione del testo latino dei Vangeli, confrontandolo con l'originale greco. Dell'AT egli portò a termine due traduzioni: la prima, sulla base dell'Esapla origeniana (dr. 3.V.C.1), che comprendeva però soltanto i libri dei Salmi, Giobbe, Proverbi, Cantico dei Cantici, Qoèlet e le Cronache (fu pubblicata dopo il 385 a Betlemme), la seconda, completa, secondo quanto egli stesso afferma, sulla base del testo originale ebraico (apparsa tra il 393 e il 404/5). A tale riguardo sembra tuttavia che Girolamo non disponesse delle necessarie cognizioni di ebraico; si può supporre che, pertanto, anche per questa seconda versione, abbia utilizzato l'Esapla, la quale conteneva sia il testo originale ebraico che la traduzione greca. Cfr. anche le note a cap. 4. I.

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B. De viris illustribus Per celebrare gli eccellenti frutti letterari dello spirito del suo popolo, il biografo romano Svetonio (morto dopo il 70 ca.) aveva pubblicato, accanto alle sue famose biografie dei Cesari, anche una raccolta di biografie di eminenti autori dal titolo De viris illustribus. Con la dichiarata intenzione di fornire una versione cristiana dell'opera di Svetonio, di celebrare la fecondità del cristianesimo anche in campo létterario e, infine, per confutare l'accusa che soltanto gli incolti si volgevano alla religione cristiana, anche Girolamo compilò, nel 393, e dandogli lo stesso titolo, un catalogo di 135 autori cristiani, a cominciare da Paolo per finire con se stesso. A tal fine Girolamo non studiò tutti gli autori e tutte le opere, ma attinse a piene mani dalla Bibbia e dalla Storia ecclesiastica di Eusebio le notizie e gli elenchi delle opere. Il libro può essere considerato un archetipo manuale di patrologia, e ha trovato parecchi prosecutori: Gennadio di Marsiglia (467 ca., con aggiunte posteriori) 11, Isidoro di Siviglia (615-618), che si preoccupò di completare l'opera di Girolamo soprattutto con i Padri africani e spagnoli, e Ildefonso di Toledo (t 667), la cui opera suscita più interesse dal punto di vista della storia locale. Sette dei 14 vescovi esclusivamente spagnoli da lui aggiunti, infatti, erano stati suoi predecessori sulla sede episcopale di Toledo, e soltanto otto di essi erano stati attivi come scrittori. E: E.C. RrcHARDSON =TU 14/la (1896). - G. CERESA-GASTALDO =

Tr: E.

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L: ST. VON SYCHOWSKI, Hieronymus als Litterarhistoriker. Bine Quellenkritische Untersuchung der Schrift des h. Hieronymus «De viris illustribus» ~ KGS 11 S. PRicoco, Gennadio di Marsiglia; DPAC II 1450: « ... respinto oggi come spurio, ... esso appare tuttavia credibile per essere stato composto in ambiente e in età vicini a Gennadio». Ma CH. PIETRI (TRE 12 [1984] 376) conferma di nuovo l'opinione tradizionale:«... sicuramente identificato nella tradizione

manoscritta».

462

III. LA LETIERATURA DELLA CHIESA IMPERIALE

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C. Le lettere

L'epistolario di Girolamo comprende complessivamente 154 lettere e rappresenta una fonte inestimabile per la conoscenza della sua personalità, delle sue relazioni e attività, nonché della storia del tempo. 34 lettere non sono scritte da lui, ma sono o a lui indirizzate, o da lui tradotte o finite nel suo Corpus per altri e ignoti motivi; tali lettere sono contraddistinte con i seguenti numeri: 19, 35, 46, 51, 56, 67, 80, 83, 87, 89-96, 98, 100, 101, 104, 110, 111, 113, 116, 131, 132, 135-137, 144, 148-150, e i loro autori sono: - papa Anastasio (95), - Agostino (56 = Aug ep 28, 67 = Aug ep 40, 101 = Aug ep 67, 104 = Aug ep 71, 110 = Aug ep 73, 111 =Aug ep 74: a Presidio, 116 == Aug ep 82, 131 = Aug ep 166, 132 = Aug ep 167, 144 = Aug ep 202 A: a Ottato), - papa Damaso (19, 35), - Dionigi di Lidda (94: a Teofilo di Alessandria, tradotta da Girolamo), - Epifanio di Costanza (Salamina) (51: a Giovanni di Gerusalemme, tradotta da Girolamo; 91), - papa Innocenzo (135: ad Aurelio di Cartagine, 136, 137: a Giovanni di Gerusalemme), - Pammachio e Oceano (83), - Paola ed Eustachio (46: a Marcella), - Rufino (80), 7. PASTORI, ESEGETI ED ASCETI

463

- Sinodo di Gerusalemme (93: a Teofilo di Alessandria, tradotta da Girolamo), - Teofilo di Alessandria (87, 89, 90: ad Epifanio di Costanza, 92 tradotta da Girolamo, 96: 16' lettera pasquale, tradotta da Gerolamo; 98: 17' lettera pasquale, tradotta da Girolamo; 100: 21 ·lettera pasquale, tradotta da Girolamo; 113: frammento del Liber enormis, tradotto da Girolamo). La lettera 148 appartiene a Pelagio, la 149 ad autore ignoto (Pseudo-Colombano); la lettera 150, di Procopio di Gaza, è indirizzata ad un Girolamo, ma non è il nostro:"' Rimangono così 120 lettere autentiche, uscite dalla penna di Girolamo. Nel 1981 se ne aggiunsero altre due scoperte daJohannes Divjak fra le 29 nuove lettere di Agostino: la n. 27* e la n. 19'~ indirizzata a lui. Altri epistolari comprendono inoltre le prefazioni alle traduzioni, trasmesse e pubblicate insieme con queste. L'autenticità delle lettere che si presume provenienti dal deserto della Calcide (epp 5-14), attribuite precedentemente all'anno 374, viene respinta da P. Nautin con la motivazione di «alcuni momenti di difficoltà» che «fanno ipotizzare che egli le abbia scritte solo dopo il 3 87, al fine di dimostrare ai suoi detrattori che egli veramente aveva vissuto tra i monaci» (TRE 15, 304). La corrispondenza con Agostino, trasmessa anche nell'epistolario agostiniano, ebbe un inizio burrascoso. Nel 394/95 Agostino, non ancora consacrato vescovo, si rivolse epistolarmente per la prima volta a Girolamo (ep 56 = Aug ep 28) per fargli conoscere osservazioni e proposte alla sua traduzione della Bibbia. Girolamo avrebbe dovuto, sostanzialmente, indicare i passi della traduzione latina che si discostavano dalla Septuaginta. La lettera l'avrebbe dovuta consegnare un confratello di Agostino in occasione di un suo pellegrinaggio in Terra Santa; ma ciò non avvenne, a causa della mancata partenza di questi. Benché Girolamo non avesse mai ricevuto questa lettera, Agostino ne lasciò una copia a Rufino, che a questo punto era già entrato in contrasto con Girolamo a causa della controversia origeniana cominciata un anno prima {3 93); questo fatto suscitò l'irritazione di Girolamo. Di conseguenza, quando Agostino nel 400 scrisse un'altra lettera a Girolamo (ep 67 = Aug ep 40), quest'ultimo non lo degnò di una risposta. Agostino si scusò e, in tal modo, anche se con difficoltà e con lunghi intervalli di tempo, poté iniziare una corrispondenza - avente essen464

III. LA LETTERATIJRA DELLA CHIESA IMPERIALE

zialmente ad oggetto questioni relative alla Bibbia e alla teologia - che si compone delle seguenti lettere: ep 102 = Aug ep 68 (a. 402), ep 103 = Aug ep 39 (a. 397? o 403?), ep 105 = Aug ep 73 (a. 403/404), ep 112 = Aug ep 75 (a. 403/404), ep 115 = Aug ep 81 (a. 405?), ep 134 = Aug ep 172 (a. 416), ep 141 = Aug ep 195 (a. 418), ep 142 = Aug ep 123 (a. 410), ep 143 = Aug ep 202 (a. 419). La lettera 57, dal titolo De optimo genere interpretandi, dell'anno 3 95 o 396, nonostante sia stata originata da motivi occasionali, costituisce un· piccolo trattato sui principi sui quali si basava l'attività di traduzione di Girolamo; egli, in questa lettera, si difende dall'accusa di aver tradotto in maniera scorretta e tendenziosa (a tutto svantaggio del destinatario della missiva) una lettera, nella. quale Epifanio di Costanza (Salamina), scrivendo al vescovo Giovanni di Gerusalemme, lo rimproverava per il suo origenismo. Dopo aver chiarito che quella traduzione era stata fatta soltanto per una privata cortesia e non era destinata alla pubblicazi.one, alla quale sarebbe arrivata soltanto attraverso il furto e la truffa, Girolamo mette in evidenza quello che, a suo avviso, sarebbe il principio da lui seguito: una traduzione deve rendere con precisione il senso di un testo, non deve quindi, in maniera servile, riprodurlo parola per parola. Il carteggio col patriarca Teofilo di Antiochia - avviato nel 401, durante. la seconda fase della controversia origeniana - e che ha per oggetto i «fratelli lunghi>> e Giovanni Crisostomo, ha conservato, nella traduzione latina di Girolamo, preziosi documenti relativi a questa controversia che, altrimenti, sarebbero andati perduti. . Inoltre, sono degne di nota le lettere 14, 58 e 122 sulla vita da monaco, la 22 e la 130 sulla verginità, la 46 e la 79 sulle vedove, la 52 sul sacerdozio; infine è da ricordare l'importante carteggio con papa Damaso (15, 16, 18-21, 35, 36). E: I. HILBERG I M. l>

(Jerome, Epist. 22, 25, 1): VigChr46 (1992) 141-50. - B. FEICHTINGER, Der Traum des Hieronymus - ein Psychogramm: VigChr 45 (1991) 54-77 [ep. 22, 30]. - N. AnKIN, Jerome as Centoist. Epist. XXII, 38, 7): RSLR 28 (1992) 461-71. - N. AnKIN, «Taceo de meis similibus» (Jerome, Epist. LIII, 7): VetChr 29 (1992) 261-

8. - G.J.M. BARTELINK, Hieronymus, Liber de optimo genere interpretandi (Epistula 57). Ein Kommentar = Mn.S 61 (1980). -J.H.D. ScouRFIELD, Consoling Heliodorus. A Commentary on Jerome, Letter 60, O 1993 [T/Tr.ingl/Com]. - R. HENNINGS, R.abbinisches und Antijudisches bei Hieronymus Ep 121, 10: J. VAN OORT I U. WrCKERT (ed.), Chri'stliche Exegese zwischen Nicaea und Chalcedon, Kampen 1992, 49-71.

466

IIL LA LETTERATURA DELLA CHIESA IMPERIALE

Capitolo Ottavo

LETTERATURA MONASTICA E AGIOGRAFICA

Nella vita di molti Padri della Chiesa del IV sec. - da Atanasio ai Cappadoci, da Epifanio di Costanza a Diodoro di Tarso, da Rufino di Concordia a Girolamo - il monachesimo svolse un ruolo molto importante, sia dal punto di vista teologico, sia sul piano della storia ecclesiastica. Il monachesimo cristiano sorse nella seconda metà del III sec. in Egitto, come anacoretismo (avaxwQei:v =andare in alto, salire cioè dalla popolosa valle del Nilo fin nel deserto circostante). Nell'obbedienza più rigorosa al Vangelo, i monaci si privavano di tutti i loro beni, abbandonavano il contatto con gli altri uomini e andavano a vivere da soli per amore di Cristo (µ6vaxoç = colui che vive da solo [per Cristo]). Il fenomeno si verificò dapprima in quelle regioni, come le zone desertiche dell'Egitto e poco dopo nella Siria (già sedi di culture e stili di vita autoctoni, prima della ellenizzazione che non fu mai totale) che ne favorirono la nascita e lo sviluppo a causa delle adatte condizioni topografiche e climatiche e dei rapporti sociali. Ben presto si svilupparono nel deserto anche delle comunità monastiche che diedero l'avvio al monachesimo di tipo cenobitico (x.otvòç f3Loç =vita in comune), nuovamente dapprima in Egitto. Infine un monachesimo di tipo comunitario cominciò a svilupparsi, nella seconda metà del IV sec., anche nelle città civilizzate sia pure in case nettamente separate dall'ambiente circostante e chiuse ad ogni influenza proveniente dall'esterno (clausura/ claustrum = luogo chiuso e separato, da cui l'italiano chiostro). Alla lunga queste comunità cenobitiche sentirono il bisogno di darsi una regola che offrisse norme per la vita comune; le Regole, quindi, costituiscono il primo genere di letteratura monastica, al quale subentrò più tardi il genere dello scritto spirituale per l'edificazione dei monaci. 8. LETTERATURA MONASTICA E AGIOGRAFICA

467

La letteratura agiografica comparve anch'essa nel IV sec.; comprende anche i racconti che fiorirono intorno ai pellegrinaggi ed è legata strettamente al monachesimo. Fino ad allora nella Chiesa erano stati venerati come santi esclusivamente i martiri, le cui testimonianze venivano tramandate dagli Atti dei martiri, dalle Vite e dalle omelie pronunciate nelle loro feste. Con i monaci si aggiunse un secondo gruppo di modelli cristiani; in pellegrinaggio li si andava a visitare - quasi fossero «santi viventi»-, (così come si andava in pellegrinaggio ai luoghi santi in Palestina e alle tombe dei santi: quelle più frequentate erano le tombe degli Apostoli e dei martiri,.a Roma)-, e di essi si redigevano e diffondevano le Vite. Questa letteratura si trasformò ben presto in una vera e propria agiografia che venne ad assorbire le biografie degli altri Padri e santi della Chiesa, caratterizzandosi - soprattutto in quei casi in cui non si avevano notizie sicure - per la «miscela» di dati certi e documentati con pie leggende e racconti miracolosi. Gli «itinerari» (iter= via) servivano da guida di viaggio per coloro che volevano personalmente affrontare un pellegrinaggio e, come resoconto di viaggio e racconto edificante, erano utili a coloro che non potevano affrontare una simile impresa. Ambedue i generi letterari, quello monastico e quello agiografico, conobbero, fin dalla loro nascita intorno alla metà del IV sec., una fioritura che non ebbe termine con la fine dell'epoca patristica ma proseguì fino all'età moderna, dopo aver vissuto il suo apogeo in età ·medioevale. L: Art. di diz:]. GRIBOMONT IP. MIQUEL I J. DUBOIS: DSp 10 (1980) 1536-71. -J. GRIBOMONT: DPAC II 2280-4. - F. VON LILIENFELD: TRE 23 (1993) 150-93. Introduzioni e studi generali: B. LoHSE, Askese und Monchtum in der Antike und in der alten Kirche = RKAM 1 (1969). - G.M. CoLOMBAs, El monacato primitivo. Hombres, hechos, costumbres, instt"tuciones, 2 voli.= BAC (1974-5). - K.S. FRANK (ed.), Askese und Monchtum in der Alten Kirche = WdF 309 (1975). - K.S. FRANK, Grundzuge der Geschichte des christlichen Monchtums, Da 1979. - F. PruNz, Askese und Kultur. Vor- undfruhbenediktinisches Monchtum an der Wiege Europas, Mn 1980. - M. AUGÉ, Lineamenti di storia dell'antico Monachesùno, R 1981. -J.-M. GARRIGUES I J. LEGREZ, Moines dans l'assemblée des fidèles à l' époque des Pères !Ve-VIIIe st"ècle =ThH 87 (1990). - A. DE VOGÙÉ, Histoire littéraire du mouvement monastique dans l'antiquité. Première partie: Le monachisme latin, 4 voli., P 1991-7. OriginZ:. K.1-IEussr, Der Ursprung des Monchtums, Tub 1936 = Aalen 1981. - R Die Anfcinge des abendliindischen Monchtums im 4. Jahrhundert: ZKG 77

LoRENZ,

468

III. LA LETTERATURA DELLA CHIESA IMPERIALE

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Egitto: D.J. CHITTY, The Deserta City. An Introduction to the History o/Egyptian and Palestinian Monasticism under the Christian Empire, O 1966. - L. RE:GNAULT, La vie quotzdienne des Pères du désert en Égypte au IVe siècle, P 1990. G. Gouw, The Desert Fathers on Monastic Community, O 1993. - S. ELM (v. Oriente) Siria: A. VòòBUS, History o/ Ascetism in the Syrian Orient. A Contributi>; III (= C) contiene 43 omelie, delle quali 28 si differenziano palesemente dalla II raccolta, e otto si trovano anche nella I raccolta; 488

Ul. LA LEITERATIJRA DELLA CHIESA IMPERIALE

IV (= W) comprendente 26 Logoi, contenuti tutti anche nella I raccolta. Riguardo al genere letterario, si può affermare che tali scritti sono costituiti da un trattato («la lunga lettera»), due lettere, 20 erotapokriseis (esposizioni dottrinali secondo la forma di «domanda e risposta»), 50 omelie e 30 Logia. Nonostante molte analogie nei particolari, nella sostanza la teologia e la spiritualità di Simeone/Macario si differenzia sostanzialmente da quella di Evagrio Pontico per la sua impronta messaliana. Egli parte dal presupposto - in ciò d'accordo con la teologia ortodossa- che tutti i peccati dell'uomo trovano la loro radice nel peccato originale. Contrariamente però alla teologia tradizionale della Chiesa, egli riconosce nel battesimo non la purificazione da questa colpa originaria ma soltanto l'inizio della lotta spirituale contro il male, nella quale occorre conquistarsi sempre di più la grazia dello Spirito, la sola in grado di rinnovare l'immagine di Dio nell'uomo. La virtù massima, la più elevata di tutte e dalla quale tutte le altre dipendono, è pertanto, per Simeone/Macario, la preghiera, anzi l'ideale sarebbe la preghiera incessante, senza soste. Ciò significa, però, che la redenzione non dipende principalmente dal sacrificio di Cristo e dalla partecipazione a questo sacrificio nel sacramento del battesimo, ma dal successo del combattimento della preghiera e dalla grazia dello Spirito che l'uomo conquista con i propri sforzi. Presvpposto della preghiera efficace è l'~oux.ta e da essa Satana cerca di tenerci lontani con i cattivi pensieri, contro i quali perciò vale la pena di combattere. La forma concreta della battaglia è la vita monastico-cenobitica, nella povertà e nella castità; essa ci assicura la libertà dai legami terreni, necessaria per unire I' anima a Dio, oltre ad essere la dimostrazione del disprezzo di ciò che è effimero. La vita di preghiera non isola il singolo dalla comunità ma gli impone il compito della 6LaxovLa, della vita al servizio dell'altro, ed è questo ciò che rende gli asceti esperti maestri di vita spirituale e pratica. Cfr. anche le note all'Introduzione. E: M. KMOSKO =PS 3 (1926) [Liber graduum]. - G.L. MARluOT, Macarii Anecdota, Seven Unpublished Homilies o/ Macarius = HThS 5 (1918 = 1969). - W. ]AEGER, Two Rediscovered Works o/ Ancient Chrt'stian Literature: Gregory o/ Nyssa and Macarius, Lei 1954 = 1965 [I l]. - E. KLOSTERMANN I H. BERTHOLD = TU 72 (1961) [III]. - H. DòRRIES I E. KLosTERMANN I M. KRoEGER = PTS 4 (1964) 8. LETIERATIJRA MONASTICA E AGIOGRAFICA

489

esco

m

[IIJ. - R. DRAGuET: 289 (1968) 2-8, 14-19, 3, 19 T.sirJ; 293 (1968) 1-5, 9-12 [Tr.fJ. - H. BERTHOLD GSC 2 voll. (197J) [l 2-64]. - V. DESPREZ 275 (1980) [III T!Tr.f/Com]. - W. STROTHMANN, 2 voli. = GOF.S 21 (1981) [T.sir/ Tr.ted]. -W. STROTHMANN, Schriften des Makarios/Symeon unter dem Namen des Ephraem = GOF.S 22 (1981) [g]. - R STAATS, MAKARios!SYMEON, Epistula ma-

=

=se

gna. Et'ne messalianische Monchsregel und ihre Umschrift in Gregors von Nyssa «De instituto christiano» = AAWG.PH III/1.34 (1984). Tr: F. MOSCATELLI, Bresseo di Teolo 1988 [Discorsi e dialoghi spirituali/1]. M.B. ARTIOLI, T 1989 [La grande lettera]. - L. CREMASCHI, Magnano 1995 [Omelie spirituali (Collezione Il)]. ,. L: Art.di diz.: V. DESPREZ I M. CANÉVET: DSp 10 (1980) 20-43. - J. GRIBOMONT: DPAC II 2055 s. - 0. Resse: TRE 21 (1991) 730-5. Raccolte: w. STROTHMANN (ed.), Makarios-Symposion uber das Bo.re. Vortrlige der Finnisch-deutschen Theologentagung in Goslar 1980 = GOF.S 24 (1983). Trasmissione del testo: H. DòRRIES, Symeon von Mesopotamien. Die Uberlieferung der messalianischen «Makarios»-Scbri/ten =TU 55/1 (1941). - E. KLosTERMANN, Symeon und Macariu.r. Bemerkungen zur Textgestalt zweier divergierender Uberlieferungen = APAW.PH 1943111. - RA. KLosTERMANN, Die slavische Uberlieferung der Makariusschriften = GVSH.H 4/3 (1950). - W. STROTHMANN, Text-kritiscbe Anmerkungen zu den Geistlicben Homilien des Makarios!Symeon = GOF.S 23 (1981). Studi: G. Qu1SPEL, Makarius, da.r Thomasevangelium und das Lied von der Perle NT.S 15 (1967). - EA-DAVIDS, Das Bzld vom Neuen Menscben. Ein Beitrag zum Verstandnis des «Corpus Macarianum» = SPS 2 (1968). - R. STAATS, Gregor von Nyssa und die Messalianer. Die Frage der Prioritiit zweier altkirchlicher Schriften = PTS 8 (1968). -A.J.M. DAVIDS, Der grof!,e Brief des Makarios. Analyse einer griecbiscben Kontroversschrift: TH. MICHELS (ed.), Heuresis (FS A. Rohracher), Sa 1969, 78-90. - H. DòRRIES, Die Theologie des Makarios/Symeon = AAWG.PH IIl/103 (1978). - TH. lHNKEN, Zum 13. K.apitel des Gro/Sen Brie/es des Makarios/Symeon. Bine Anmerkung: ZKG 97 (1986) 79-84. - V. DESPREZ, Le baptéme chez le PseudoMacaite: EO 5 (1988) 121-55. - C. STEWART, «Working the Earth ofthe Heart». The Messalian Controversy in History, Texts, and Language toAD 431 = OTM (1991).

=

C. Giovanni- Cassiano Il terzo grande scrittore monastico del IV sec. è Giovanni Cassiano, la cui origine e biografia - così come possiamo desumerle dalle sue stesse opere - assomigliano in parte a quelle di Rufino e di Girolamo, in parte a quelle di Epifanio di Costanza. Egli è la dimostrazione di quan-_ 490

III. LA LETTERATURA DELLA CHIESA IMPERIALE

to profonde siano state l'influenza e l'impronta dello spirito del monachesimo orientale su quello occidentale. Nato nel 360 circa in Dobrugia (Gennadio, De viris t"llustribus 61: natione Scytica) da una facoltosa famiglia cristiana, ricevette un'accurata formazione classica; padroneggiava infatti, in egual misura, sia il latino che il greco. Ancora puer [lnstitu#ones prol. 4], dunque intorno al 378-80, entrò insieme al suo amico Germano in un monastero di Betlemme, nei pressi della chiesa della Natività. Qualche tempo dopo - Cassiano si definisce adhuc adulescentior [Conlationes 14, 99] - fecero ambedue un viaggio in Egitto per conoscere il monachesimo locale, stabilendosi, dopo la visita della Tebaide, nel deserto di Sceti; in quel tempo Evagrio Pontico era il capo spirituale del monachesimo egiziano. All'inizio delle controversie origeniane, nel 399 circa2 si trasferirono a Costantinopoli, dove Giovanni Crisostomo consacrò diacono il riluttante Cassiano, incaricandolo della custodia del tesoro della cattedrale. Dopo la caduta di Giovanni (404), fu inviato insieme a Germano a Roma come latore di una lettera a papa Innocenzo; vi si fermò parecchi anni, stringendo amicizia con l'arcidiacono e futuro papa Leone. A Roma ricevette anche l'ordinazione sacerdotale, ma gli morì l'amico Germano. L'ultima parte della sua vita la trascorse nella Gallia meridionale, a Massilia (Marsiglia), dove Cassiano fondò due monasteri, quello maschile di san Vittore e quello femminile di san Salvatore. Visse fino al 432. Durante la sua permanenza a Massilia, Cassiano compose tre opere: le Institutiones, le Conlationes e il De incarnatione Domini contra Nestorium lilm' VII; quest'ultima opera deve essere stata composta prima della condanna di Nestorio, patriarca di Costantinopoli, dunque prima dell'estate del 431, considerato che Nestorio viene ancora qualificato con l'appellativo di vescovo. Essa rimase l'unico tentativo di confutazione della cristologia nestoriana apparso in Occidente. Il primo libro si rivolge anche contro il monaco gallo Leporio (da Massilia?), qualificato più volte come «pre-nestoriano», nonostante fosse statoriconosciuto, già prima del 430, nuovamente ortodosso, in conseguenza del suo scritto Libellus emendationis sive satisfactioniS, composto sotto la guida di Agostino. Nonostante l'ortodossia di Cassiano sia fuori di2 Di diversa opinione è F. BORDONAU: DPAC I 614-6: «I violenti scontri religiosi seguiti alla lettera di Teofilo, vescovo di Alessandria (ca. 390), contro gli antropomorfiti, lo costrinsero a lasciare per sempre l'Egitto». 8. LETTERATURA MONASTICA E AGIOGRAFICA

491

scussione, il suo nome comparve. nella lista degli autori condannati dalla Chiesa romana nel Decretum Gelasianum (inizio del VI sec.); il motivo è da ricercarsi nella sua presa di posizione antiagostiniana nella controversia scoppiata a Massilia intorno alla grazia e al libero arbitrio dell'uomo, controversia provocata dalle opere di Agostino dirette ai monaci della città nordafricana di Adrumeto, il De gratia et libero arbitri·o ed il De correptione et gratia (427) (cfr. cap. 9.I.C.2.cc). Cfr. anche le note all'Introduzione.

E: M.

PETSCHENIG =

Tr: L.

DATTRINO

CSEL 17 (18813? [Institutiones, De incarnatione].

= CTePa 94

(1991) [L'incarnazione del Signore].

L: Art. di diz. e di man.: A. HAMMAN: Patrologia III 486-96. - O. TRE 7 (1981) 650-7. - F. BORDONALI: DPAC I 614-6. Raccolta: A.

DE VOGùÉ,

De saint Pach8me à fean Cassien

CHADWICK:

= StAns 120 (1996)

271-522.

Studi generali: L. CRISTIANI, fean Cassien. La spiritualité du Désert, 2 voll., Abbaye Saint-Wandrille 1946 = 2 1991. - J.-C. GuY, fean Cassien. Vie et doctrine spirituelle, p 1961. "O. CHADWICK, fohn Cassian, e '1968. Dottrina della grazia: A. HocH, Lehre des ]ohannes Cassianus von Natur und Gnade. Ein Beitrtig zur Geschichte des Gnadenstreits im 5. fahrhundert, F 1895. D. J. MAcQUEEN, fohn Cassian on Grace and Free Will. Wzth Particular Reference to «Institutio» XIII and «Collatio» XII: RechTh 44 (1977) 5-28. Tradizione monastica: S. MARsILr, Giovanni Cassiano ed Evagrio Pontico. Dot. trina sulla carità e la contemplazione= StAns 5 (1936). - A. KEMMER, Charisma maximum. Untersuchung zu Casszans Vollkommenheitslehre und sez.ner Stellung zum Messalianismus, Lov 1938. - H.0. WEBER, Die Stellung des fohannes Cassianus zur aufterpachomianischen Monchstradition. Et'ne Quellenuntersuchung = BGAM 24 (1961). - P. CHRISTOPHE, Cassien et Césaire, prédicateurs de la morale monastique, Gembloux - P 1969. - C. LEONARDI, Alle origini della cristianità medievale: Giovanni Cassiano e Salviano di Marsiglia: StMed 18/2 (1977) 491608. - PH. ROUSSEAU, Ascetics, Authority, and the Church in the Age o/]erome and Cassian, O 1978. Spiritualità I Teologia: V. CODINA, El aspecto cristologico en la espiritualzdad de fuan Casiano = OCA 175 (1966). - J. BEAUDRY, L'humilité selon fean Cassien, Montréal 1967. - C. TIBILETTI, Giovanni Cassiano. Formazione e dottrina: Aug. 17 (1977) 355-80. - C. FoLSOM, Anger, Dejection and Acedza in the Writings oflohn Cassian: ABenR 35 (1984) 219-48. - V. MEsSANA, Povertà e lavoro nella paideia ascetica di Giovanni Cassiano, Caltanissetta 1985. - M. ZANANIRI, La controverse 492

HL LA LEITERATIJRA DELLA CHIESA IMPERIALE

sur la prédestination au Ve siècle. Augustin, Cassien et la tradition: P. RANSON (ed.), Saint Augustin, P 1988, 248-61. - L. GIORDANO, «Morbus acediae». Da Giovanni Cassiano e Gregorio Magno alla elaborazione medievale: VetChr 26. (1989) 221-45. - G. SUMMA, Geistliche Unterscheidung bei]ohannes Cassian, Wii 1992 .. M.-A. VANNIER, Jean Cassien a-t-il fait muvre de théologien dans le «De Incarnatione Domini>>?: RevSR 66 (1992) 119-31.

1. Le Institutiones L'opera che nelle edizioni moderne è intitolata Institutiones, fu composta da Cassiano su sollecitazione di Castoro, vescovo di Apt in Provenza (tra il 419 e il 426). Nei manoscritti non è indicato alcun titolo per questo scritto che si suddivide in due parti (trasmesse anche separatamente), ambedue introdotte da un discorso-dedica indirizzata al vescovo Castoro>. I libri I-IV si occupano: dell'abito monastico (I), della preghiera notturna secondo il rito egiziano (II), del canto dei salmi durante il giorno, secondo il modello palestinese e mesopotamico (III) e, infine, delle istituzioni della vita monastica (IV). I libri V-XII trattano, sulla scia çli Evagrio Pontico, degli otto vizi capitali: gola (V), lussuria (VI), avarizia (VII), ira (VIII), malinconia (IX), indifferenza (X), vanità (XI), superbia (XII). Cfr. anche le note a C. E: J.-C. Guv = SC 109 (1965) [T/Tr.fJ. Tr: L.

DATIRINO,

Bresseo di Teolo 1989.

2. Le Conlationes Le 24 Conlationes, il cui numero si ricollega ai ventiquattro vegliardi dell'Apocalisse, rappresentano il complemento e il coronamento delle Institutiones; furono scritte nel corso del soggiorno di Cassiano in Egitto e, dal punto di vista formale, si rifanno ad un modello già noto attraverso le Regole di Basilio e i successivi Apophthegmata PaJ CHADWICK (TRE 7, 650) lo suddivide in tre parti: «a. 3 libri sull'abbigliamento dei monaci, sulla preghiera e sul canto dei salmi; b. un libro di Regole monastiche o lnstituta; c. 8 libri sui vi.i capitali e sul loro superamento».

8. LETTERATURA MONASTICA E AGlOGRAFICA

493

Cassiano o il suo allievo Germano pongono domande ai Padri del deserto intorno ai consueti problemi morali e pratici dei monaci, ottenendo risposte adeguate da quei loro maestri spirituali. Le 24 Conlationes si articolano in tre gruppi, ciascuno dei quali vide la luce nel corso di vari anni: I-X (425126), XI-XVII (427) e XVIII-XXIV (428/ 29); esse circolarono in parte separate, in parte riunite insiemé e rappresentano, in ogni caso, una guida alla perfetta vita monastica, unitaria sul piano del contenuto e completa. I loro temi principali sono: il fine della vita monastica (I), la carne e lo spirito (IV), gli otto vizi capitali (V), la lotta spirituale (VII-VIII), la preghiera (IX-X), la perfezione (XI), la castità (XII), i carismi e i miracoli (XV), la libertà interiore CXXI) e le tentazioni della carne (XXII). La Conlatio XIII De protectione Dei ha acquisito un valore particolare dal punto di vista della storia della teologia, poiché ivi Cassiano sostenne, contro l'opinìone di Agostino, una dottrina della grazia di tipo «semipelagiano» (così denominata a partire dal XVI sec.): la fede è dovuta all'iniziativa dell'uomo; la grazia divina coopera, incondizionatamente, con la libera volontà umana, in vista della salvezza.

trum:

Cfr. anche le n.ote a C.

E: M.

PETSCHENIG

= CSEL 13

(1886). - E. Pichery

= SC 42, 54, 64 (1955-9)

[T/Tr.fJ. Tr: O. LARI, 3 voli., Alba 1965.

3. La teologia spirituale Conformemente alla propria scelta di vita e alla sua esplicita intenzione, Cassiano trasporta il monachesimo orientale, soprattutto quello egiziano nella forma da lui appresa in quel paese, nella Chiesa occidentale, non come sistema chiuso di pensiero ma come frutto di sue personali esperienze di vita. L'autentico ideale monastico è, per Cassiano, la vita dell'anacoreta, la scientia spiritualis che, nella completa negazione di tutto ciò che è terreno, coincide soltanto con la preghiera. Il cenobitismo, inteso quale sci'entia activa, rappresenta solo la prima tappa su questo cammino verso la perfezione, e si configura come lotta contro le passiones e contro gli otto vizi capitali fino al raggiungimento delle virtù e della tranquillità (tranquillitas = ~O'Uxla, ana0Eta). La continua 494

III. LA LETTERATURA DELLA CHIESA fMPERIALE

meditazione della Sacra Scrittura e la sempre più profonda penetrazione nel suo ~ignificato approda, con l'aiuto dello Spirito Santo, alla preghiera e infine alla preghiera senza interruzione, chiamata da Cassiano «preghiera del fuoco», che si identifica con la contemplazione della stessa presenza di Dio, fuoco d'amore.

JIJ.

VITE E STORIE DI SANTI

Durante i primi tre secoli della sua storia la Chiesa venerò, come santi, esclusivamente i martiri. La letteratura agiografica di quell' epoca si esprime perciò in Atti di martiri e passiones di martiri, nonché nelle omelie pronunciate in occasione delle loro commemorazioni liturgiche. Già nel II e nel III sec. si prepararono tuttavia, sul piano teologico, le innovazioni agiografiche del IV sec.: il concetto di martirio fu esteso infatti a due altre forme di «passione» (interpretate come esperienze di cristianesimo esemplare): quella dei con/essores, che avevano sofferto nella persecuzione per il nome di Cristo ma senza arrivare alla morte [cfr. Eusebio, Historza ecclesiastica V 2 s.], e quella degli asceti, i quali si davano quotidianamente la morte nella volontà di imitare Cristo fino in fondo [dr. Clemente d'Alessandria, Stromatez's IV 3 s.]. Di conseguenza le prime vite di santi raccontano di asceti, sia donne che uomini; esse sono: la Vita Antonii di Atanasio (subito dopo il 355/6), le Vite di Paolo di Tebe (378n9), di Malco e di Ilario (dopo il 386), scritte da Girolamo, la Vita Macrinae di Gregorio di Nissa (dopo il 381), la Historia monachorum (394195), la Historia Lausiaca di Palladio (419/20), la Vita Melaniae iunioris di Geronzio (intorno al 440), la Historia religiosa di Teodoreto di Ciro (444 ca.), gliApophthegmata Patrum/Verba seniorum (VNI sec.). Non molto tempo dopo cominciò, con Martino di Tours, la venerazione anche di santi vescovi e la presentazione della loro vita; ciò in conseguenza sia del loro essere anche asceti, sia per lantico prestigio 8. LETTERATURA MONASTICA E AGIOGRAFICA

495

che i vescovi martiri avevano trasmesso ora ai loro successori, anche se non martiri; abbiamo, in questo campo, esempi quali: la Vita Gregorii Thaumaturgi di Gregorio di Nissa (prima del 394), la Vita Martini di Sulpicio Severo (397 oppure poco prima), il Dialogus de vita sancti Ioannis Chrysostomi di Palladio (408), la Vita Ambrosii di Paolino (422), la Vita Augustini di Possidio (tra il 432 e il 4.39). Anche se il genere cristiano delle Vite deve molto ai suoi modelli pagani relativi all'antico culto degli' eroi, esso tuttavia assunse una propria fisionomia con contenuti specificamente cristiani. Un elemento ricorrente in tutte le Vite è rappresentato dalla narrazione dei miracoli che doveva sfociare poi nelle successive «leggende dei santi», una vera e propria caccia al miracolo, senza preoccupazione alcuna per la storicità delle vicende narrate. La Chiesa latina del Medioevo mise insieme, in una raccolta intitolata Vitae Patrum, i testi che considerava come le più importanti testimonianze del monachesimo primitivo cristiano: la Vita Antonù, la Historia monachorum in Aegypto, i Verba seniorum {una raccolta di detti simile agli Apophthegmata Patrum), la Hz"storia Lausiaca di Palladio e alcuni altri brani; questi testi, insieme alle Regole monastiche, servirono come modello e metro della vita monastica. E: Acta Sanctorum (ActaSS), ANTWERPEN. - CH. MoHRMANN (ed.), Vite dei Santi, 4 voli., Verona 1974-5 [T/Tr.i/Com]. - F. HALKIN, Hagiographica inedita decem = CChr.SG 21 (1989). Tr: T. ORLANDI I A. CAMPAGNANO = CTePa 41 (1984) [Vite di monaci coptz] . . G. BuNGE I A. DE VOGÙÉ, Quatre ermites égyptiens d'après des /ragments coptes de l'Histoire Lausiaque (Pambo, Macaire d'Égypte, Macaire d'Alexandrie, Évagre), Bégrolles-en-Mauges 1994.

Sussidi: Bibliotheca Hagiographica Graeca (BHG), Bru. - Bibliotheca Hagiographica Latina (BHL), Bru. - Bibliotheca Hagiographica Orientalis (BHO), Bru. - A. EHRHARD, Uberlie/erung und Bestand der hagiographischen und homiletischen Literatur der griechischen Kirche von den Anfan,gen bis zum Ende des 16. ]ahrhunderts, 3 voli. =TU 50-52 (1937-52). - L. PERRIA, I manoscritti citati da Albert Ehrhard. Indice a:· A. Ehrhard, Ùberlieferung ... , R 1979. L: Art.di diz.: V. SAXER, Agiografia: DPAC I 80-3. - D.H. FARMER, Hagiographie I. Alte Kirche: TRE 14 (1985) 360-4. - TH. BAUMEISTER I M. VAN UYTFANGHE,

496

III. LA LETTERATURA DELLA CHIESA IMPERIALE

Hezligenverehrung I-II (Hagiographie): RAC 14 (1988) 96-183. - A. SOLIGNAC, «Verba Seniorum»: DSp 16 (1993) 383-92. ·A. SoLIGNAC, «Vitae Patrum»: DSp 16 (1993) 1029-35.

Dizionari: Bibliotheca Sanctorum (BSS), R. - Lexikon der Christlichen Ikonographie (LCI), F. Manuali: .R.

AGRAIN,

L'hagiographie: ses sources, ses méthodes, son histoire, P

1953. - H. DELEHAYE, Les légendes hagiographiques == SHG 18 a (4 1955). - R. GRÉGOIRE, Manuale di agiologia. Introduzione alla letteratura agiografica, Fabriano 1987.

Rivista: Analecta Bollandiana (AnBoll). Raccolte: Subsidia Hagiographica (SHG), BRU. - P. FRANCHI DE' CAVALIERI== StT 3, 6, 8, 9, 19, 22, 24, 27, 33, 49, 65 (1900-35). - Hagiographie, cultures et sociétés, IVe-XIIe siècles, P 1981. - L'agiografia latina nei secoli IV-VII: Aug. 24 (1984) 7-345. - A. Hrr.HORST, De heiligenverering in de eerste eeuwen van het christendom, N 1988. - A. CERESA-GASTALDO (ed.), Biografia e agiografia nella letteratura cristiana antica e medievale, Trento 1990. Studi: F. LANZONI, Genesi, svolgimento e tramonto delle leggende storiche. Studio critico== StT 43 (1925). - H. DELEHAYE, Sanctus. Essai sur le culte des saints dans l'antiquité = SHG 17 (1927). - H. DELEHAYE, Cinq leçons sur la méthode hagiographique = SHG 21 (1934). - L. BIELER, 8EI02 ANHP. Das Bild des «gottlichen Menschen» in Spiitantike und Fmhchristentum, 2 voli., W 1935-6 =Da 1976. - B. DE GAIFFIER, Études critiques d'hagiographie et d'iconologie = SHG 43 (1967). - P. BROWN, The Cult o/ the Saints. Its Rise and Function in Latin Christianz'ty, Chicago - Lo 1981. - P. Cox, Biography in Late Antiquity. A Quest /or the Holy Man, Berkeley· Los Angeles - Lo 1983. - E. MOHLENBERG, Les débuts de la biographie chrétienne: RThPh 122 (1990) 517-29. - L. MIRRI, La vita ascetica femminile in San Girolamo, R 1992. - M. VAN UYTFANGHE, L'hagiographie: un «genre» chrétien ou antique tardi/?: AnBoll 111 (1993) 135-88. La Vita Antonii Per tutto ciò la prima Vita della storia della letteratura cristiana riguarda un anacoreta: il grande Padre del monachesimo egiziano Antonio, morto più che centenario nel 355/6. Fu scritta dal grande Atanasio di Alessandria immediatamente dopo la morte di Antonio, cioè intorno al 357158, mentre si trovava presso i monaci egiziani che, durante il suo terzo esilio (356-362), gli avevano offerto rifugio e sostegno. L'intenzione di Atanasio non era tanto quella di raccontare, breve distanza di tempo dalla scomparsa, la biografia del grand'uomo, quanto quella di delineare un ideale di vita e un modello esemplare.

a

8. LETTERATURA MONASTICA E AGIOGRAFICA

497

Lo scopo fu in effetti conseguito; poiché la Vita Antonii si diffuse rapidamente in tutto il mondo cristiano - come testimonia non ultimo lo stesso Agostino nelle sue Con/essiones [VIII 6, 15] - diventando l' archetipo di tutte le Vite successive. Di questa Vita conosciamo ben 165 manoscritti greci, la traduzione latina di Evagrio di Antiochia (pubblicata prima del 375), e poi altre copte, siriache, assire e georgiane. Nel 1980 René Draguet, pubblicando la sua edizione del testo siriaco, basandosi sulle difformità riscontrate nelle diverse edizioni nelle varie lingue, espresse l'opinione che la Vita Antonii fosse stata composta originariamente in lingua copta da un discepolo diretto di Antonio; solo successivamente sarebbe stata tradotta in greco, non da Atanasio, ma da un ignoto copto grecizzato; la versione siriaca sarebbe stata composta sulla base del testo originale. Timothy Barnes si è dichiarato d' accordo con questa tesi (1986), mentre si sono dichiarati contrari: Ch. Kannengiesser (1985) senza giustificare i motivi del suo disaccordo, M. Tetz (1982) e Andrew Louth (1988) per le concordanze già primariscontrate tra la Vita e altre opere autentiche di Atanasio, Luise Abramowski (1988) e Rudolf Lorenz (1989) per motivi attinenti alla storia della trasmissione del testo. Adalbert de Vogiié (Histoire littéraire du mouvement monastique I 17 nota 1 [1991]) e G. M. J. Bartelink (SC 400 [1994] 32-5) condividono il giudizio espresso dalla Abramowski. La Vita comincia con un prologo che riporta una lettera di risposta alla richiesta di ragguagli più precisi sulle origini del monachesimo e di istruzioni utili alla loro vita, fatta da monaci non egiziani. T aie prologo finora era ritenuto una mera finzione letteraria ma, dì recente, Martin T etz ha sostenuto la tesi di una sua probabile storicità. Ad esso segue la storia della vita di Antonio che si articola in 94 paragrafi: si incomincia dalla sua nobile origine e, attraverso la sua giovinezza si giunge alla vocazione e alla prima esperienza monastica nella casa paterna e, in seguito, nei dintorni della città, sotto la guida e l'esempio di un anziano monaco. La vita di Antonio è poi un progressivo percorso verso la più completa solitudine: fino all'età di 35 anni egli vive in un cimitero, durante i successiVi 20 anni tra le rovine di una fortezza nei pressi di Pispir, infine ai piedi di una montagna, dalla quale egli può vedere il monte Sinai e dove rimane per il resto della sua esistenza. I cambiamenti di dimora vengono accompagnati, di volta in volta, da assalti particolarmente violenti da parte dei demoni [8, 12 s., 51 s.] che si vedono cacciati dalle loro dimore abituali. Prima sono stati costretti a 498

III. LA LETIERATURA DELLA CHIESA IMPERIALE

ritirarsi dalle città - così ·si lamenta lo stesso Satana di fronte ad Antonio [41] -, a causa della diffusione del cristianesimo; ora vengono allontanati dagli anacoreti dal loro ultimo rifugio, il deserto. La lotta contro i demoni svolge un ruolo essenziale nella vita anacoretica - con essa il monaco ripercorre le vicende dei martiri -: dagli attacchi demoniaci, che si manifestano con i cattivi pensieri [23] o con i rumori dell'inferno [39], l'asceta può difendersi con la preghiera, il segno di croce e l'invocazione del nome di Cristo. Al livello più alto, la vita monastica consegue il dono del discernimento degli spiriti: anch'essi rappresentano possibili travestimenti attraverso i quali si manifestano i demoni. Molti discepoli seguirono Antonio nel deserto per ascoltarne l'insegnamento. Per rendere più vivo questo insegnamento, Atanasio, seguendo modelli profani, adopera un artificio letterario: inserisce tre dialoghi: nei capitoli 16-43 il > [ciu. I prol] e la cui redazione si articolò in fasi diverse per un periodo complessivo di 14 anni (41.3-426): nel 413 furono scritti i libri I-III; nel 415 il IV e il V; fino al 417 i libri VI- X; fino al 418 i libri XI-XIV; tra il 418 e il 426 i libri XV-XXII. Struttura e contenuto furono descritti in modo esemplare dallo stesso Agostino nelle Retractationes [Il 43]: «I primi cinque libri confutano coloro secondo i quali l'umana prosperità esigerebbe come condizione necessaria il culto dei molti dèi venerati dai pagani, mentre sarebbe la proibizione di tale culto a provocare l'insorgere e il moltiplicarsi di tanti mali. I successivi cinque libri sono rivolti contro coloro secondo i quali nella vita dei mortali questi mali non sono mai mancati in passato e non mancheranno mai in futuro e, ora grandi ora piccoli, variano a seconda del tempo, del luogo e delle persone. Ritengono però che il culto di molti dèi, con i sacrifici che comporta, sia utile ai fini della vita che verrà dopo la morte. I primi dieci libri, dunque, contengono la confutazione di queste due inconsistenti dottrine contrarie alla religione cristiana. Per evitare però l'accusa di criticare le teorie altrui senza esporre le nostre, abbiamo deputato a questo la seconda parte di quest'opera, che comprende dodici libri ... Di questi dodici libri i primi quattro trattano la nascita delle due città, quella di Dio e quella di questo mondo, i quattro successivi della loro evoluzione e del loro sviluppo, gli altri quattro, che sono anche gli ultimi, dei dovuti fini di ciascuna di esse». L'opera costituisce, pertanto, da una parte un'apologia su~divisa in due sezioni, dall'altra una esposizione della teologia cristiana della storia. 548

IIl. LA LETTERATURA DELLA CHIESA IMPERIALE

A coloro che ritengono che il culto degli dèi sia necessario per la salvezza di Roma 0-V), Agostino risponde con due argomenti decisivi: 1) Proprio sotto gli dèi Roma è decaduta sul piano dei costumi morali ed è stata messa in pericolo dall'esterno. 2) Non gli dèi, ma soltanto il Dio dei cristiani può essere ritenuto responsabile della grandezza di Roma. L'utilità del culto degli dèi per quanto concerne la vita eterna (VI-X) viene destituita di validità, da parte di Agostino, mediante un esame critico delle filosofie che sostengono tale dottrina. La seconda parte non è altro che il progetto di una storia cristiana della salvezza, storia segnata dalla contrapposizione fra due regni: quello terreno e quello eterno. Questa frattura trova la propria origine nel peccato originale, vale a dire il peccato di superbia commesso dagli angeli per amor proprio, dal quale sarebbe poi derivato, per seduzione, quello dell'uomo. Da qui comincia il suo percorso la città terrena, dominata dal male, percorso che si sviluppa attraverso tutta la storia dell'umanità fino all'incarnazione del Figlio di Dio, il quale indica la via - l'amore nei confronti di Dio - per uscire dalla àvitas terrena e per entrare in quella divina. Dall'incarnazione in poi, le due città coesistono insieme nel mondo fino al giudizio finale, in seguito al quale esse saranno per sempre separate, nell'eternità della dannazione e in quella della beatitudine. Cfr. anche le note aJl'Introduzione.

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E Enchiridion e De doctrina christiana Entrambi questi piccoli scritti dell'ultimo Agostino hanno conseguito grande popolarità e considerazio.µe e, tenuto conto del fatto che in essi è sintetizzata in forma elementare l'intera e matura teologia agostiniana, sono tuttora di grandissima utilità. L'Enchiridion, > ma, come egli sostenne, per ragioni di carattere cristologico. La cristologia antiochena, infatti, distingueva in maniera precisa la natura divina e la natura umana di Cristo, nonché i rispettivi attributi delle due nature. Dio, infatti, non è generato, mentre lo è l'uomo Gesù; ne risulta che a· Maria po10. LE CONTROVERSIE TEOLOGICHE DEL V SECOLO

573

trebbe soltanto competere il titolo di «Madre di Gesù». Ma poiché Nestorio non negava in alcun modo l'intima unità delle due nature, presenti in modo perfetto nell'Uomo-Dio - e per questo motivo condannava anche il titolo giustapposto di «Madre dell'Uomo» (av8gomoi:6xoç) -, egli propose, come mediazione, l'uso del titolo «0toi:6xoç» (colei che ha accolto Dio) oppure di «XQLOi:oi:oxoç» (Madre di Cristo), per distinguere chiaramente i diversi attributi delle due nature e per sottolineare che l'Uomo Gesù, nato da Maria, era unito a Dio. I tentativi di Nestorio, di elabora're una definizione precisa e teologicamente corretta dei titoli da _attribuire alla Vergine, fallirono di fronte alla grande popolarità del titolo 8Eo'toxoç. Nella capitale scoppiarono perfino dei tumulti che ebbero grande risonanza anchein altre grandi metropoli, soprattutto ad Alessandria, dove dal 412 era patriarca Cirillo. Sulla vita di quest'ultimo, prima che fosse ordinato vescovo, ben poco si conosce. Nacque tra il 370 e il 380 ad Alessandria, nipote del futuro patriarca Teofilo (385-412), accompagnò lo zio a quel «sinodo della Quercia» (403) che depose Giovanni Crisostomo, succedendogli poi il 17 ottobre del 412 sulla sede episcopale di Alessandria. «Ne ereditò non soltanto la potenza e le ambizioni ma anche l'energia, la capacità politica, la durezza verso gli avversari, la mancanza di scrupoli» (M. Simonetti: DPAC I 691). Il suo settario atteggiamento nei confronti dei pagani, degli Ebrei e degli eretici, provocò ad Alessandria il diffondersi di un clima di fanatismo che sfociò in persecuzioni contro i seguaci di Novaziano e contro gli Ebrei e, nel 415, nell'assassinio della filosofa Ipazia. Si è cercato di ridurre al livello della politica ecclesiastica il motivo che spinse Cirillo a muovere i suoi attacchi contro Nestorio. Egli, in altre parole, avrebbe colto l'occasione - dopo aver già preso parte, insieme allo zio e predecessore Teofilo, alla cacciata in esilio di Giovanni Crisostomo - per rafforzare nuovamente l'autorità di Alessandria, dopo che questa, in seguito al concilio di Costantinopoli del 381, era scesa al terzo posto nella classifica dei patriarcati più importanti, dopo Roma e la stessa Costantinopoli. Che questo costituisse uno dei motivi per agire, non lo si può dubitare, ma se non ci fosse stata una chiara ragione di ordine dogmatico egli non avrebbe potuto in alcun modo agire contro il patriarca di Costantinopoli. Da ciò si potrebbe concludere che Cirillo abbia strumentalizzato la questione teologica per i suoi 574

IV. LA LEITERATURA DI TRANSIZIONE DALLA TARDA ANTICHITÀ AL PRIMO MEDIOEVO

scopi di politica ecclesiastica. Anche se non è possibile sapere con certezza quale dei due motivi sia stato prevalente e abbia pertanto costituito la causa scatenante dello scontro, non si può comunque negare a Cirillo di avere avuto solide e serie convinzioni teologiche e religiose. Egli si era formato, nell'ambiente alessandrino, in una tradizione cristologica diversa da quella antiochena, una tradizione che metteva molto più in risalto l'unità delle due nature in Cristo, tanto da spingersi, dopo il concilio di Calcedonia del 451, a separarsi dalla Chiesa cattolica, rivelando così il suo carattere «monofisita». Cirillo aprì la campagna anti-nestoriana con uno scritto indirizzato ai monaci d'Egitto (ep. 1), i quali - fin dai tempi di Atanasio - rappresentavano una componente essenziale della Chiesa egiziana, e con la lettera pasquale del 429. Nello stesso anno si rivolse direttamente a Nestorio (ep. 2) chiedendogli informazioni sulla sua cristologia; Nestorio rispose esponendo le sue opinioni in maniera precisa e prudente; l'anno successivo Cirillo replicò con una lettera (ep. 4) nella quale, illustrando diffusamente la propria cristologia, invitava l'avversario ad accettare il titolo di 'fi'Eoi:6xoç attribuito alla Vergine. A questo punto le due fazioni si rivolsero a Roma, primo patriarcato dell'impero, chiedendo ambedue sostegno alle rispettive posizioni. Dopo un sinodo della Chiesa romana che si tenne nell'agosto del 430, papa Celestino si schierò dalla parte di Cirillo, il quale fu autorizzato a rivolgersi a Nestorio, anche a nome del papa, per esortarlo a ritrattare entro dieci giorni; in caso contrario Cirillo avrebbe dovuto provvedere a deporlo. Cirillo però, dopo aver presieduto un sinodo della Chiesa alessandrina, inviò il decreto papale a Nestorio soltanto nel novembre del 430, unitamente ad una lettera (ep. 17) e a 12 «anatemi>>, nei quali la cristologia alessandrina veniva presentata in maniera talmente radicale da renderla inaccettabile ad un qualsiasi antiocheno. In essi, infatti, non si esigeva soltanto il riconoscimento, per Maria, del titolo di 8wi:6x.oç [1], ma anche la definizione dell'unità delle due nature di Cristo x.a8'un:6mamv [2] e come !!vwaLç rpreter o/ the Old Testament = AnBib 2 (1952). - WJ BURGHARDT, The Image o/ God in Man According to Cyril ofAlexandria = SCA 14 (1957). - H.M. DIEPEN, Aux origt'nes de l'anthropologie de Saint Cyrilled'Alexandrie, Bruge 1957. -A. DuPRÉLA TOUR, La «doxa» du Christ dans les ceuvres exégétiques de saint Cyrzlle d'Alexandrie: RSR 48 {1960) 521-43; 49 (1961) 68-94. - RL. Wn..KEN, Judaism and the Early Christian Mind. A Study of Cyril of Alexandria's Exegesis and Theology, New Haven - Lo 1971. - E. GEBREMEDHIN, Li/eGiving Blessing. An Inquiry into the Eucharistic Doctrine of Cyril of Alexandria =

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586

IV. LA LETTERATURA DI TRANSIZIONE DALLA TARDA ANTICHITÀ AL PRJMO MEDIOEVO

IL

TEODORETO DI

Cmo

Mentre scoppiava la controversia tra cristologia alessandrina (rappresentata da Cirillo) e teologia antiochena (della quale Nestorio era uno dei principali esponenti), Teodoreto - dal 423 vescovo della città di Ciro, 100 km circa a nord-est di Antiochia - si rivelava come la vera controparte teologica di Cirillo e come il teologo destinato a sviluppare la cristologia antiochena fino al concilio di Calcedonia (451). Anch'egli purtroppo fu colpito dalla stessa condanna postuma toccata a Diodoro di Tarso e a Teodoro di Mopsuestia, insieme al quale fu condannato al II concilio di Costantinopoli del 553, in occasione della controversia dei Tre Capitoli, con la conseguenza che anche le sue operecome quelle di Diodoro e Teodoro- andarono perdute. L'origine e la carriera di T eodoreto ricordano le biografie di molti grandi Padri della Chiesa del tempo. Nato nel 393 ad Antiochia in una ricca famiglia cristiana, godette di una eccellente fortnazìone scolastica e crebbe, fin dall'infanzia, nel seno della Chiesa; esercitò dapprima l'ufficio di lettore, poi, dopo la morte dei genitori (416) e la vendita di tutti i suoi beni, si ritirò in un monastero presso Nikertai, nei pressi della siriaca Apamea (a 45 km ca. ad occidente di Gabala). Nel 423 fu eletto vescovo di Ciro e, in questa veste, per quarant'anni, fino alla sua morte avvenuta verso il 460 1 esplicò la sua attività di pastore, teologo, letterato e di guida ecclesiastica, politica e sociale. È uno dei teologi più fertili ed importanti della Chiesa greca, a motivo soprattutto delle sue opere di storiografia ecclesiastica, di esegesi e di dogmatica. Durante i suoi primi. anni da vescovo fu impegnato essenzialmente nella lotta contro i numerosi pagani ed eretici che risiedevano nella stessa Ciro. La maggior parte delle opere di questo periodo è andata purtroppo dispersa. Partecipò al concilio di Efeso come membro della delegazione di Giovanni di Antiochia e, con questi, respinse la condanna di Nestorio, attirandosi con ciò la con~a di quella fazione conciliare che si riconosceva nelle posizioni di Cirillo. Già prima del concilio, all'inizio del 431 e su sollecitazione di Giovanni, aveva composto una Impugnatio XII anathematismorum Cyrilti, la: quale, a causa della condanna postuma commmatagli dal concilio di Costantinopoli del 553, si trova conservata in allegato alla replica scritta da Cirillo I

Così attualmente Y. AzÉMA: Pallas 31 (1984) e DSp 15 0991) 418 s.; finora generalmente: 466. 10. LE CONTROVERSIE TEOLOGICHE DEL V SECOLO

587

Apologia XII anathematismorum contra Theodoretum. Allo stesso periodo risale la grande opera De theologia sanctae trinitatis et de oeconomia che, per lo stesso motivo, poté conservarsi solo perché trasmessa come opera di Cirillo di Alessandria - divisa in due parti con i titoli, rispettivamente, De sancta trinitate e De incarnatione -. Immediatamente dopo il Concilio di Efeso Teodoreto pubblicò un'altra opera - anch'essa perduta a parte pochi frammenti - contro la cristologia di Cirillo, il Pentalogus contra Cyrillum et concilium Ephesinum. Nel 433, pur avendo egli con ogni probabilità redatto la «formula d'unione», non volle tuttavia aderirvi perché pr.oprio in base ad essa era stata richiesta la condanna di Nestorio. Vi aderì solo nel 436, quando Giovanni di Antiochia e l'imperatore non pretesero più il riconoscimento formale della condanna di Nestorio. Quando però Cirillo nel 438 attaccò Diodoro di Tarso e Teodoro di Mopsuestia, egli rispose con una replica, conservataci soltanto in frammenti, dal titolo Pro Diodoro et Theodoro. Il decennio seguente Teodoreto lo trascorse indisturbato alla guida della sua diocesi fino a quando, con lo scoppio della controversia sul presbitero costantinopolitano Eutiche, si rinnovò il contrasto tra Alessandria e Costantinopoli, tra cristologia alessandrina ed antiochena, un contrasto che provocò la convocazione del concilio di Calcedonia del 451. Nel 447 Teodoreto compose la sua più importante opera dogmatica, I'Eram'stes, rivolta contro il monofisismo di Eutiche, suscitando la ·comprensibile approvazione di Alessandria; ma nel 449 il sinodo proeutichiano (il «latrocinio») di Efeso lo depose, costringendolo a ritirarsi nel suo antico monastero di Nikertai. Il concilio di Calcedonia (451) lo riabilitò nuovamente dopo che egli si era espresso ufficialmente per la condanna di Nestorio; la cristologia nestoriana, nel frattempo sostanzialmente immutata, era ormai lontana da quella sviluppata più in profondità da Leone Magno e da quella del concilio di Calcedonia, conforme, quest'ultima, alle esigenze della cristologia antiochena. Gli ultimi anni di vita di Teodoreto, fino al 460, furono dediti all'amministrazione della diocesi e ali' attività letteraria, senza che si verificassero eventi particolari. Egli morì in pace con la Chiesa e pertanto, per quanto concerne la condanna postuma pronunciata contro di lui dal II concilio di Costantinopoli dd 553 e che causò la perdita dolorosa di buona parte delle sue opere, vale lo stesso discorso fatto sopra a proposito di Diodoro di Tarso (cap. 7.IV). 588

JV. LA LETTERATURA DI TRANSIZIONE DALLA TARDA ANTICHITA AL PRIMO MEDIOEVO

Cfr. anche le note bibliografiche all'inizio del capitolo.

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589

Teodoreto inizia sempre la sua interpretazione con una precisa analisi della situazione del testo e, a tale proposito, mette a confronto le varie versioni greche della Settanta e quelle della siriaca Peshitta, chiarendo le questioni letterarie di fondo relative ali' autenticità, ali' autore, alla datazione, alla genesi delle opere, alle circostanze storiche, all'intenzione dell'autore, allo stile, al genere letterario, ecc. L'interpretazione s'ispira a principi chiari ma non segue uno schema univoco; il metodo viene adeguato di volta in volta ali' espressione e alle difficoltà che il testo presenta; non si può quindi applicare, per T eodoreto, la solita e semplicistica antitesi «antiocheno = letterale I alessandrino = allegorico». Per Teodoreto entrambi i Testamenti formano un'unità inscindibile e complementare - in misura senz'altro maggiore che per Diodoro di Tarso e Teodoro di Mopsuestia -, cosicché l' AT può essere compreso, tipologicamente, come anticipazione di Cristo. «Teodoreto cerca continuamente di mantenersi a metà tra l'arbitrio allegorico e il nudo senso letterale» (A. Viciano: ThGl 80 [1990] 279). Le lettere paoline sono interpretate soprattutto dal punto di vista cristologico e soteriologico. Cfr. anche le note a II.

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IV. LA LEITERATURA DI TRANSIZIONE DALLA TARDA ANTICHITÀ AL PRIMO MEDIOEVO

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B. L' Eranistes e la cristologia di Teodoreto Teodoreto fu il solo teologo di una certa importanza a partecipare da protagonista, offrendo. un contributo decisivo, all'intero sviluppo teologico avutosi nel periodo che va da Nestorio e il concilio di Efeso (431) fino ad Eutiche e il concilio di Calcedonia (451). I suoi scritti cristologici si concentrano pertanto intorno a questi due punti focali e sono: le opere contro Cirillo - già sopra menzionate nei cenni biografici - apparse dal 431 al 438/40 e trasmesseci con varie lacune a causa della loro condanna da parte del II concilio costantinopolitano del 55 3; il trattato contro il monofisismo di Eutiche dal titolo Eranz'stes seu Polymorphus (Il mendicante o il multiforme), composto nel 447, l' opera di Teodoreto più significativa e più matura. Esso si basa sul postulato, già formulato durante la controversia su Nestorio, che gli errori attuali non sono altro che riproposizioni di antiche eresie; il monofisismo sarebbe stato quindi raccattato, proprio come farebbe un mendicante, da dottrine, quali lo gnosticismo, l'arianesimo e l'apolinarismo, già affermatesi nella storia dell'eresia. Teodoreto dimostra ciò nei primi tre libri dell'Eranistes, scegliendo la forma letteraria del dialogo; un dialogo che si svolge tra un monofisita (nella figura di un mendicante) e un fedele ortodosso, intorno ai tre attributi essenziali di Cristo: [IJ l'immutabilità della sua natura divina (chgrnwr;), [II] l'autonomia delle due nature (acruyx;uwr;), e [III] la mancanza di passioni della sua natura divina (ànaei)r;). Il libro IV riassume i risultati del dialogo in 40 sillogismi. Il valore peculiare dell'Eranistes, al di là del fatto di essere l'espressione più matura della cristologia di Teodoreto, consiste nel 10. LE CONTROVERSIE TEOLOGIOiE DEL V SECOLO

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florilegio di citazioni - non meno di 298 da 88 fonti patristiche diverse - riportate nel testo a sostegno della cristologia antiochena e in contrapposizione all'analoga raccolta di Cirillo. Sembra che un simile florilegio esistesse già ai tempi del concilio di Efeso e che ivi doveva essere usato contro Cirillo. Tuttavia la cristologia di Teodoreto fu da lui sviluppata non soltanto in occasione delle due controversie, ma con continuità, come dimostrano del resto i suoi commenti biblici, le omelie, le 232 lettere conservateci e il quinto libro del suo Haereticarum fabularum Compendium, composto nel 453; per una conoscenza approfondita del suo pensiero cristologico bisogna consultare tutte queste opere. Conformemente ai principi di fondo della cristologia antiochena, Teodoreto sottolinea la perfezione, ma anche l'autonomia delle due nature in Cristo. Contro la formula di Cirillo EVWOLç xm;à cj>VOLV = xa8' un:6crtamv, accusata di apolinarismo, egli oppone il concetto di unione tramite l'assunzione (èv 'tlJ O'UÀ.À.fJ'ljJEL) della natura umana (fi À.lJip0ei:cm) da parte della natura divina (fi À.a~oiioa). A seguito dell'unione esiste un solo soggetto dell'agire (n:Q6awnov), cioè Cristo, le due nature conservano però ciascuna la propria peculiarità. La Parola di Dio non dt'venta uomo (Gv 1, 14), ma si riveste di lui; egli assume la/orma servi (Fil 2, 7). In questa prima versione della sua cristologia a Teodoreto non riesce di superare la dottrina dei «due Figli» rimproverata a Nestorio, perché anche la sua terminologia può essere falsamente intesa come una mera ed esteriore giustapposizione delle due nature. La causa risiede nel problema, ancora non risolto sul piano terminologico, dell'equivalenza di .:rtQ6ownov e ù.:rt6maoLç, accettata da Teodoreto per tutto quel tempo fino al termine del concilio di Calcedonia (451). In questo, come anche nell'attribuzione a Maria del titolo di Theotokos, egli si distingue sostanzialmente da Nestorio. Cfr. anche le note a IL e ad A.

E: G.H. Tr: G.

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DESANTIS

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592

IV. LA LETIERATIJRA DI TRANSIZIONE DALLA TARDA ANTIOillÀ AL PRIMO MEDIOEVO

C. La Storia ecclesiastica

La Storia della Chiesa di Eusebio che arrivava fino alla vittoria di Costantino su Licinio nell'anno 324, già prima di Teodoreto aveva trovato ben tre prosecuzioni: la traduzione di Rufino, che l'aveva completata con il racconto delle vicende fino al 395; la Storia ecclesiastica di Socrate dal 305 al 439; la Storia ecclesiastica di Sozomeno dal 324 al 425. Nel 449150 Teodoreto compose la sua continuazione in cinque libri, trattando il periodo che va dal 325 al 428, dunque fino all'inizio della controversia nestoriana, non fino al momento in cui scrive. «Per prudenza o per obiettività?» (Azéma: DSp 15, 426), forse per entrambi i motivi. Le numerose concordanze con le opere di Socrate e di Sozomeno si spiegano non tanto con la reciproca dipendenza, quanto piuttosto per l'uso delle medesime fonti documentarie. Il fine dell'opera è, come per Eusebio, teologico-storico, con in più uno sguardo particolare rivolto alla riproduzione storica delle eresie. La Storia ecclesiastica di Teodoreto mantiene così un fermo orientamento apologetico e antieretico, essenzialmente antiariano, nel quadro di una visione generale della storia della salvezza determinata escatologicamente dalla provvidenza divina. Nel perseguire questo ideale egli attribuisce purtroppo poca importanza alla precisione dei dati storici e alla ponderazione dei giudizi. L'opera tuttavia conserva il suo valore come testimonianza della contemporanea teologia della storia e per i numerosi documenti a cui fa riferimento e che ci sarebbero altrimenti ignoti. Cfr. anche le note a TI.

E: Historia ecclesùzstica: L. PARMENTlER I F. SCHEIDWEILER = GCS (2 1954). Historia religiosa: P. CANIVET /A. LEROY-MOLINGHEN = SC 234, 257 (1977-9) [T/Tr.f/Com]. Tr: G. GOTJARDI, Storia religiosa, Siena 1965. - Storia dei monaci di Siria: S. DI Padova 1986. - A. GALLICO= CTePa 119 (1995).

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593

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III.

LEONE MAGNO

Solo due papi nella storia della Chiesa hanno ottenuto, dalla posterità, il titolo onorifico di «Magno»: Leone (440-461) e Gregorio (590604); i due ebbero molto in comun~ almeno a giudicare da quel che sappiamo intorno alla loro vita e alle loro opere. Nobili e ricchi romani per origine e formazione, essi salvaguardarono e rafforzarono energicamente gli interessi della Chiesa in periodi di crollo e di rivolgimento dell'ordine politico e sociale nella parte occidentale dell'ex impero romano; assunsero essi stessi responsabilità politiche e sociali e mantennero in vita la grande eredità culturale romana. Tuttavia ciò che sappiamo sulla biografia di Leone è rappresentato da quel poco (considerata la sua grande riservatezza riguardo le vicende personali) che si riesce ad evincere dal suo epistolario di vescovo, nonché dal Liber Pontificalis e da annotazioni sparse di diversi autori. Nato probabilmente alla fine del IV sec. in una famiglia toscana trasferitasi a Roma all'inizio del V (potrebbe quindi essere nato nella stessa Roma), Leone abbracciò la carriera ecclesiastica ed è possibile che sia da identificarsi con l'accolito romano di cui parla Agostino nella lettera 191, 1 dell'anno 418. Quando Nestorio e Cirillo si rivolsero entrambi a Roma nel 430, egli, probabilmente in qualità di arcidiacono, rivestiva già una posizione molto influente nella curia vescovile; fu lui a sollecitare p·apa Celestino ad intervenire nella controversia e ad incaricare Giovanni Cassiano a redigere i suoi De incarnatione Domini contra Nestorium libri VII. In questo periodo sostenne con forza la lotta contro i manichei e gli ariani di Roma e, nel 431, intervenne presso Celestino a favore di Cirillo di Alessandria e contro Giovenale di Gerusalemme, il quale intendeva elevare la sùa sede vescovile al rango di patriarcato; potrebbe avere avuto inoltre un ruolo decisivo nell'atteggiamento antipelagiano dei suoi predecessori Innocenzo (402-417), Celestino (422-432) e Sisto III (432-440). Dopo la morte di quest'ultimo, lo raggiunse la notizia della sua elezione a vescovo di Roma, il 19 agosto del 440, mentre si trovava in missione 594

IV. LA LEITERATIJRA DI TRANSIZIONE DALLA TARDA ANTICHITÀ AL PRIMO MEDIOEVO

diplomatica nelle Gallie; ricevette la consacrazione a vescovo il 29 settembre dello stesso anno. Tre sono i settori in cui Leone lasciò un'eccezionale impronta durante il suo più che ventennale pontificato: 1) La teologia e la prassi basate sul primato giurisdizionale del papa che lo fecero diventare il primo papa nel significato modemo del termine; ciò gli meritò il titolo di «Magno» più di quello che si è conservato della sua opera. Sullo sfondo emerge l'antica idea imperiale della «Roma eterna» e il rango particolare, mai messo in dubbio, della sede episcopale della vecchia capitale dell'impero quale primo patriarcato. Ma poiché al tempo di Leone l'impero romano d'Occidente cominciava a dissolversi sotto la spinta delle invasioni di popoli barbarici, l'unica istituzione stabile che poteva assumersi le responsabilità sociali, assistenziali e culturali - fino a quel momento proprie dello Stato - era la Chiesa, naturalmente guidata da Roma, cioè dal vescovo della capitale. In questo modo l'idea della «città eterna» cominciò a trasferirsi sul cristianesimo, dando poi vita alla concezione del papato medievale come successore e rappresentante della concezione di un impero romano. L'elaborazione della teologia del primato - che egli espone autorevolemente nelle sue prediche e nelle lettere inviate per motivi occasionali d'ufficio ad Arles, a T essalonica e in Mauritania - si svolse in parallelo con lo sviluppo delle vicende politiche. Cristo, per Leone, è il fondatore e il vero pastore della Chiesa e, come tale, esercita il primato nella Chiesa in tutti i tempi. Cristo ha costruito questa sua Chiesa su Pietro, unito a Lui in maniera del tutto particolare; attraverso Pietro ha affidato il compito dell'evangelizzazione a tutti gli altri apostoli, e a lui ha trasmesso il ruolo di pastore e il compito di rafforzare i suoi fratelli nella fede (cfr. Mt 16, 13-19; Le 22, 32; Gv 21, 15-19). A questa speciale missione e potestà affidata a Pietro partecipano anche i suoi successori sulla stessa cattedra. In verità, comé a tutti gli apostoli così anche a tutti i vescovi spetta lo stesso onore (honor), ma non la stessa potestà (potestas); la gerarchia ecclesiastica secondo Leone forma una piramide al cui vertice è posto il vescovo di Roma. Nel contempo egli non nega alla Chiesa il suo carattere di communio sanctorum e communio sacramentorum, né alla comunità di sacerdoti e di vescovi di formare, nella sua struttura sinodale, una concordia sacerdotum. Ai patriarcati di Alessandria e di Antiochia spetta il posto 10. LE CONTROVERSIE TEOLOGICHE DEL V SECOLO

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d'onore a causa delle loro speciali relazioni con Roma; per questo motivo Leone non volle mai riconoscere il canone 28 del concilio di Calcedonia in cui si stabiliva la giurisdizione di Costantinopoli su Alessandria ed Antiochia. L'imperatore veniva così ad assommare nelle proprie mani due diverse autorità che potevano anche non confliggere tra loro, purché nelle loro funzioni fossero tenute chiaramente distinte: l'auctoritas sacerdotalis obbligava l'imperatore a farsi protettore della fede e della Chiesa, assegnandogli anche il diritto di convocare i concili e di ratificarne le deliberazioni; l'altra autorità,· cioè la potestas imperialis, aveva come limite il rispetto della libertà della Chiesa e la non ingerenza negli affari interni di essa; la potestas imperialis era anche tenuta a creare le condizioni esterne favorevoli al mantenimento della stabilità ed allo sviluppo della Chiesa - era questo un principio imprescindibile dell'esistenza e del benessere dell'impero stesso-. 2) Il ruolo decisivo, teologico e politico-ecclesiastico, svolto da Leone nella controversia cristologica sviluppatasi intorno alle tesi di Eutiche, controversia che provocò il concilio di Calcedonia del 451. La «formula d'unione» del 433 aveva sancito un raggiunto equilibrio di forze tra Alessandria e Costantinopoli, relativamente all'ultima ed ancora irrisolta questione cristologica. Dopo la morte dei vescovi Sisto III diRoma (440), Giovanni di Antiochia (442), Cirillo d'Alessandria (444) e Proclo di Costantinopoli (446), mutarono nuovamente i rapporti di forze, con la conseguenza quasi necessaria dell' esplodere di una nuova controversia: a Proclo, brillante teologo e diplomatico politico della Chiesa, subentrò sulla sede di Costantinopoli, la scialba personalità di Flaviano; ali' abilissimo Cirillo l'altrettanto zelante Dioscoro, dotato però di scarsa duttilità politica; a Giovanni il suo debole nipote Donna; ma a Sisto III subentrò l'uomo dotato della più forte capacità di guida del tempo: Leone. Nel 446 vi fu anche un rovesciamento nelle posizioni di potere all'interno della corte imperiale: il camerlengo Crisafio, un figlioccio del sacerdote Eutiche (archimandrita del grande monastero costantinopolitano di Giobbe, teologo filoalessandrino), assunse nelle sue mani il potere reale, estromettendo la sorella nubile dell'imperatore, Pulcheria Augusta - la quale aveva svolto un ruolo molto importante in occasione del sinodo di Costantinopoli del 431 e del credo dell'unione del 433 - costretta a ritirarsi in un monastero. 596

rv.

LA LETIERATURA DI TRANSIZIONE DALLA TARDA ANTICHITÀ AL PRIMO MEDIOEVO

L'8 novembre del 448, in occasione del sinodo endemico2 il vescovo Eusebio di Dorilaio attaccò Eutiche. Per l'intero mese di novembre si svolsero riunioni con ali' ordine del giorno varie proposte di soluzione e, in conclusione, i vescovi si trovarono d'accordo nel ritenere la formula d'unione del 433 conforme allafides Nicaena e alla seconda lettera di Cirillo a Nestorio; di conseguenza il sinodo condannò Eutiche per aver questi affermato che Cristo, prima dell'unione, era dotato di due nature, dopo l'unione soltanto di una (È:x Mo foewv ... JtQÒ ti'jç Évwoec.oç, µetà 6t 't~V evwmv µLav uoLv). Eutiche, l'imperatore Teodosio II e Flaviano si rivolsero allora tramite lettera a Leone, il quale rispose da Roma il 13 giugno del 449 con il celebre Tomus ad Flavianum (epistula 28), destinato a diventare successivamente un testo d'orientamento sulla questione. Per un chiarimento definitivo Teodosio II aveva già convocato un sinodo ad Efeso per il primo agosto, al quale Leone inviò dei legati. L'assemblea, apertasi 1'8 di agosto sotto la presidenza di Dioscoro, passò sotto silenzio il Tomus di Leone, riabilitò Eutiche tra le proteste dei legati romani che furono minacciati con le armi e depose Flaviano che morì sulla strada dell'esilio (449 o 450). Per queste cose Leone definì il sinodo come sinodo del latrocinium (brigantaggio) [ep. 95, 2: ACO II/IV 51] - con questo nome è passato anche alla storia - e non riconobbe le sue deliberazioni. Si rivolse quindi alla corte imperiale richiedendo la convocazione di Un nuovo concilio, ma senza successo. Solo la morte improvvisa e senza eredi dell'imperatore Teodosio, il 28 luglio del 450, cambiò radicalmente la situazione. La sorella Pulcheria ritornò dal monastero, si sposò (ma a condizione che il matrimonio non fosse consumato) con il senatore Marciano - eletto imperatore il 24 agosto del 450 - e influenzò, da quel momento e in modo determinante, la politica imperiale. TI nuovo imperatore, avendo già accettato il Tomus ad Flavianum, cominciò a pensare alla convocazione del concilio così come richiesto da Leone, ma questi, ritenendo che il problema - sia in relazione ali' oggetto della controversia che in relazione al prùnato del vescovo di Roma - si fosse ormai risolto secondo le proprie concezioni, si dimostrò non più .interessato alla cosa. Tuttavia, poiché l'imperatore, ancor prùna diconoscere il pensiero del papa, aveva già convocato il concilio, Leone non si oppose, ponendo però la condizione che fosse egli stesso, tramite i 2

:1:1'.Jvollo; ev611µoiioo. = assemblea dei vescovi presenti nella città. 10. LE CONTROVERSIE TEOLOGICHE DEL V SECOLO

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suoi legati, a presiederlo. Il concilio di Calcedonia divenne perciò il primo concilio ecumenico, nella storia della Chiesa, a svolgersi sotto la presidenza incontrastata del vescovo di Roma. L'assise conciliare ratificò la cristologia del Tomus Leonis, formulando sulla base di questo il suo Simbolo, anche se le controversie per la sua recezione insorsero immediatamente dopo la conclusione del concilio e tennero impegnato Leone fino alla sua morte (461). 3) Le sue due missioni per salvare la città di Roma: quando nel 452 il re degli Unni, Attila, penetrò in I~lia insieme alle sue orde, egli si mosse - insieme ad una delegazione imperiale - per incontrarlo a Mantova, dove lo convinse a risparmiare Roma. La cosa gli riuscì per la seconda volta con i Vandali di Genserico, nel 455, quando questi si trovavano già davanti alle porte di Roma: la città fu risparmiata dal fuoco e dalle stragi, ma non da un saccheggio durato quattordici giorni. Questi tre momenti fondamentali dell'azione di Leone rappresentano soltanto i vertici di una vastissima attività pastorale che non si limitò al solo ambito ecclesiastico, ma che fu costretta a supplire sempre più al vuoto culturale, sociale e politico dell'impero romano d'Occidente prossimo alla fine. Come gli studiosi mettono bene in evidenza, egli era animato in tutto ciò di cui si occupava, dalle virtù della moderatio e dell'humilitas. Per la sua educazione e per la sua cultura, nonché per la consapevolezza che solo Cristo è il Signore della Chiesa mentre il papa ne è soltanto il servo, egli perseguì una linea coerente di misura e di dialogo tanto sul piano teologico che su quello disciplinare e politico. Leone morì il 10 novembre del 461; Benedetto XIV lo proclamò Dottore della Chiesa il 15 ottobre del 1754. Cfr. anche le note bibliografiche all'inizio del capitolo. B: A. LAURAS, Études sur saint Léon le Grand: RSR 49 (1961) 481-99. E: Opera omma: PL 54-56. - PLS III 329-350. - Epistulae: W. GuNDLACH = MGH.Ep 3 (1892) 15-22. - 0. GuENTIIER = CSEL 35 (1895) 117-24. - ACO IV

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= CTePa

IV. LA LETTERATIJRA DI TRANSIZIONE DALLA TARDA ANTICHITÀ AL PRIMO MEDIOEVO

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LE CONTROVERSIE TEOLOGICHE DEL V SECOLO

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Il Tomus ad Flavianum e la cristologia di Leone

Il Tomus ad Flavianum, scritto nel 449, fu assunto quale fondamento teologico per la deliberazione cristologica del concilio di Calcedonia (451), ottenendo così un universale riconoscimento. Esso si compone di 205 versetti, raggruppabili (secondo Arens e a differenza di precedenti suddivisioni) in 5 paragrafi principali: I. 1-11: un'introduzione, comprendente una breve descrizione della situazione e un giudizio su Eutiche. Il 12-53: Esposizione (antidocetista) della teologia dell'incarnazione, con riferimenti agli ultimi testi di Eutiche. In particolare: -A. 12-29: Interpretazione della professione di fede apostolica: origine eterna del Figlio da Dio Padre, nascita nel tempo da Maria Vergine. - B. 30-42: Prova scritturistica. - C. Approfondimento di quanto sopra dichiarato, a confutazione di un problema sollevato da Eutiche.

III. 54-157: Compendio della dottrina duofisita sulla scorta di una serie di (auto)dtazioni raccolte appositamente per il Tomus. -A.-E. 54-151: Testi tratti dal Tractatus di Leone, da Gaudenzio di Brescia e da Agostino. - F. 152-157: Giudizio sulla dottrina di Eutiche. IV.158-187: Prosegue l'argomentazione esposta nella parte II. 600

IV. LA LETTERATIJRA DI TRANSIZIONE DALLA TARDA ANTICHITÀ AL PRIMO MEDIOEVO

-A.158-162: Passione e morte di Gesù come testimonianza della sua natura umana. - B.163-176: Il significato della morte di Gesù per la redenzione e per la. Chiesa. - C. 177-187: esame di una particolare proposizione di Eutiche. V. 188-205 Conclusione; determinazione del modo di procedere in futuro e presentazione della legazione incaricata.

Fondamentale per la cristologia leonina risulta il theologumenon - tratto dalla professione di fede - della doppia nascita di Cristo e, di conseguenza, della doppia consustanzialità, con Dio e con gli uomini: «idem vero sempiterni genitoris unigenz"tus natus est de Spirz"tu Sancto et Maria vz'rgine» (21: «Il medesimo, eterno figlio unigenito dell'eterno genitore, nacque dallo Spirito Santo e da Maria Vergine»). Per arrivare all'unità dell'Uomo-Dio, nell'incarnazione del Figlio di Dio dovette svolgersi un doppio movimento di approssimazione; Dio si alienò, l'uomo fu elevato ad una unità di persona: «Conservando, ciascuna delle due nature, la propria peculiarità ed unendosi entrambe in un'unica persona, la maestà accolse l'umiltà, la forza la debolezza, l'eternità la mortalità» (54-56: salva igitur proprietate utriusque natu,rae et in unam coeunte personam, suscepta est a maiestate humilitas, a· virtute infirmitas, ab aeternitate mortalitas). Si è dimostrato che Leone conosceva l'affermazione cristologica più importante di Agostino, il quale parla tanto di una persona Christi in utraque natura, quanto del reciproco avvicinamento delle due nature in un'unità; si può quindi ritenere che la cristologia di Leone, nell'essenziale, dipenda da Agostino. Le due nature rimangono immutate e distinte: «Egli, infatti, è vero Dio, ma anche vero uomo ... come infatti Dio non è mutato dal suo divenire misero, così l'uomo non viene assorbito dalla magnificenza» (91-93: qui enim verus est Deus, idem verus est homo ... sicut enim Deus non mutatur miseratione, #a homo non consumitur dignitate), ma è solo un soggetto (una persona) in Cristo ad agire in collegamento con le due nature (agit enim utraque forma cum alterius communione), e da ciò consegue necessariamente la communicatio idiomatum: «A causa di questa unità della persona in ciascuna delle due nature, 10. LE CONTROVEBSIE TEOLOGIOiE DEL V SECOLO

601

è possibile affermare: il Figlio dell'uomo è disceso dal cielo, ... e il Figlio di Dio è stato crocifisso e seppellito» (126-132: propter hanc ergo unitatem personae in utraque natura intellegendum, et filius hominis legitur descendisse de caelo []o 3, 13], ... et rursum filius Dei cruci/ixus dicitur ac sepultus). È noto ed è riconoscibile anche dalle Lettere, che Leone, per la loro composizione, si è servito della sua cancelleria; sorge quindi spontanea la domanda se anche per la redazione del Tomus ad Flavzanum egli abbia ricevuto il contributo di altri, in particolare cli Prospero di Aquitania, come riferisce Gennaclio cli Marsiglia [De viris illustribus 4 s.]. La ricerca più recente tende ad ammetterlo, senza tuttavia negare la paternità cli Leone relativamente al contenuto.

c.

E: ACO II/IVl (1932) 24-33. - SILVA-TAROUCA =TD.T 9 (1932); 15 (1934); 20 (1935}; 23 (1937). - DH 290-5 (T.l/Tr.ted). L: J. GAIDIOZ, Saint Prosper d'Aquitaine et le Tome à Flavien: RevSR 23 (1949} 270-301. - M.J. NICOLAS, La doctrine christologique de saint Léon le Grand: RThom (1951) 609-60. - U. DoMfNGUEZ-DEL VAL, S. Le6n Magno y el «Tomus ad Flavianum»: Helm. (1962) 193-233. - B. STUDER, «Consubstantialis Patri - Consubstantialis Matri». Une antithèse christologique chez Léon le Grand: REAug (1972) 87-115. - H. ARENS, Die christologùcheSprache Leos des Groflen. Analyse des «Tomus» an den Patriarchen Flavian = FThSt 122 (1982). - B. STUDER, «Una persona in Christo». Ein augustinisches Thema bei Leo dem Groflen: Aug. 25 (1985) 453-87.

IV.

IL CONCILIO DI CALCEDONIA

(451)

Il concilio cli· Calcedonia e il suo Simbolo sono generalmente ritenuti come la conclusione di un'intera epoca della Chiesa. Se partiamo da un punto di vista rigorosamente dogmatico, questa affermazione è pienamente giustificata in quanto la formula cristologica approvata a Calcedonia «una persona in duabus naturis», viene riconosciuta dalla Chiesa cattolica, a tutt'oggi, come sostanzialmente invariata e non bisognosa cli aggiunte. Ma in riferimento alla più vasta storia della teologia, il concilio di Calcedonia non ne rappresenta la conclusione ma il punto di riferimento più significativo e decisivo all'interno cli un periodo di tempo che, partendo dall'avvio della questione relativa alle due 602

IV. LA LETTERATURA DI TRANSIZlONE DALLA TARDA ANTICHITA AL PRIMO MEDIOEVO

nature di Cristo - scoppiata a partire dal 428 con la controversia su Nestorio -, e attraverso lo stesso concilio di Calcedonia e la controversa storia per la sua recezione, si estende fino al II concilio di Costantinopoli del 553 (con la controversia dei Tre Capitoli) e, infine, al dibattito sul monotelismo e al III concilio di Costantinopoli (Trullanum, 680-81). Costretto dall'attualità della questione cristologica - non ancora definitivamente chiarita - posta da Nestorio relativamente all'unità delle due nature in Cristo, nonché dalle conclusioni dei recenti sinodi di Costantinopoli (quello cosiddetto «endemico» del 448) e di Efeso (detto del «brigantaggio»), e sollecitato dal Tomus ad Flavianum di Leone, l'imperatore Marciano convocò un concilio a Nicea per il 1° settembre del 451. Leone avrebbe preferito che non si svolgesse alcun concilio, per timore dello scoppio di nuove controversie, o che almeno lo si rinviasse fino a quando non fosse stato possibile tenerlo in Italia - superato il pericolo immediato rappresentato dagli Unni -. Ma poiché egli non poteva mettere in dubbio l'esclusivo potere di convocazione da parte dell'imperatore, tentò di circoscrivere la discussione nei limiti costituiti dal problema dogmatico. Non avendo l'imperatore accolto la sollecitazione del papa, questi diede controvoglia il suo consenso, inviando una legazione composta dal presbitero romano Bonifacio e dai vescovi Pasqualino di Lilibeo (Marsala in Sicilia), Giuliano di Cos e Lucenzio di Ascoli. Il 1° settembre del 451 l'imperatore, a causa dell'invasione degli Unni, non poté essere presente a Nicea, e di conseguenza il concilio non poté iniziare i suoi lavori; così i 450 vescovi riuniti si dovettero trasferire il 22 settembre a Calcedonia (l'odierno quartiere di Kadikoy, nella parte asiatica della città), alle porte di Costantinopoli, dove, nonostante gli urgenti affari di Stato da sbrigare nella capitale, l'imperatore poté prendere parte alle sedute del concilio. Il concilio si svolse dall'8 fino al 31 ottobre, deliberando la riabilitazione di Flaviano, la deposizione di Dioscoro, la definizione del Simbolo nella quinta seduta del 22 ottobre, l'annullamento della deposizione decisa - dal sinodo del latrocinio di Efeso del 449- contro Teodoreto di Ciro e Iba di Edessa; nella settima seduta (o forse nella quindicesima) approvò 28 canoni disciplinari, il ventottesimo dei quali però, non essendo stato riconosciuto da Roma, non fu inserito nelle raccolte degli Atti conciliari. 10. LE CONTROVERSIE TEOLOGICHE DEL V SECOLO

603

Cfr. anche le note bibliografiche all'inizio del capitolo. L: Art. di dii.. : L.R WrCKHAM: TRE 7 (1981) 668-75. - M. SwoNErn: DPAC I 565-7.

Studi: C.H. HEFELE I H. LECLERCQ, Histoire des Conciles d'après !es documents orzginaux II/1-2, P 1908, 662-880. - A. GRILLMEIER /H. BACHT (ed.), Das Kon:dl von Chalkedon. Geschichte und Gegenwart, 3 voli., Wii 1951-4 = 5 1979. - R.V. SEI..LERS, The Council of Chalcedon, Lo 1953. - P.-TH. CAMELOT, Éphèse et Chalcédoine = HCO 2 (1962) 77-182 [ted Mz 1963). - P. STOCKMEIER, Das Konzil von Chalkedon. Probleme der Forschung: FZPhTh 29 (1982) 140-56. - G. MAY, Das Lehrverfahren gegen Eutyches im November des Jahres 448. Zur Vorgeschichte des Konzils von Chalkedon: AHC 21 (1989) 1-61. - L. FERRONE: G. ALBERIGO (ed.), Storia dei conczli ecumenici, Brescia 1990,71-107. -J. VAN OoRT I J. RoLDANUS (ed.), Chalkedon: Geschichte und Aktualitlit. Studien zur Rezeption der christologischen Forme! von Chalkedon, Lov 1997.

A. Il Symbolum La definizione dogmatica del concilio si articola in tre parti: 1) In una lunga prefazione si espone il motivo del concilio, ci si richiama alle tuttora valide professioni di fede del concilio di Nicea (325) e di quello di Costantinopoli (381), nonché alle lettere sinodali di Cirillo, mettendo in evidenza gli errori da cui ci si deve guardare: da una parte il rifiuto del titolo di «Theotokos» giustificato da una dottrina detta dei «due Figli» (Nesforio), dall'altra la mescolanza delle due nature di Cristo (Eutiche). Segue poi 2) la definizione cristologica vera e propria, la quale inizia con un espresso richiamo alla Tradizione dei Padri, nella quale vengono inseriti a pieno titolo - così come dimostrato dalle citazioni non dichiarate ma messe in evidenza dall'analisi del testo - la lettera sull'unione del 433, scritta da Giovanni di Antiochia a Cirillo (1-6], il Tomus Leonis [7-18, 20 s.], le lettere di Cirillo a Nestorio e di Flaviano a Leone [19, 21], e infine una lettera di Teodoreto di Ciro [22 s.]; diamo di seguito il testo della definizione nell'originale greco e, a fronte, nella traduzione italiana: 1. 'El'toµevoL toi.vuv totç b.yloi.ç JtatQ> de Grégoire de Tours: StPatr 7 =TU 92 (1966) 278-86. - M. CARRIAS, Études sur la formation de deux légendes hagiographiques à l' époque mérovingienne. Deux translations de saint Martin d' après Grégoire de Tours: RHEF 57 (1972) 5-18. - O. GIORDANO, Sociologia e patologia del miracolo in Gregorio di Tours: Helikon 18-19 (1978-9) 161-209. - R. VAN DAM, Saints and Their Miracles in Late Antique Gaul, Princeton/NJ 1993.

VII.

lsIDORO DI SIVIGLIA

Nonostante l'eccezionale valore per la Chiesa ispano-visigotica del suo tempo e la grande influenza esercitata dalle sue opere nel corso del Medioevo, sono ben pochi i dati della biografia di Isidoro che ci sono stati tramandati. Egli discendeva da una famiglia romana, probabilmente di lontane origini greche, insediatasi a Carthaginiensis (1' odierna Cartagena), nella Spagna sud-orientale, dove nacque intorno al 560. La sua famiglia si trasferì a Hispalis (l'odierna Siviglia), forse in seguito all'occupazione bizantina della città (552 o 555), effettuata nel corso delle campagne militari per la riunificazione dell'impero voluta dall'imperatore Giustiniano; a Siviglia Isidoro frequentò la locale scuola ve11. LA LETTERATURA DEIL'OCCIDENTE LATINO

663

scovile acquisendo un'istruzione onnicomprensiva che doveva poi riversare nella sua opera enciclopedica. Come molti suoi parenti, intraprese la carriera ecclesiastica, succedendo infine, tra il 599 e il 601, nella sede metropolitana di Siviglia, al fratello maggiore Leandro (colui che, a Costantinopoli, aveva stretto rapporti di amicizia con Gregorio Magno). Egli aveva già assistito alla conversione dei Visigoti dall'arianesimo al cattolicesimo (587/89), e nei 35 anni in cui svolse l'ufficio di vescovo metropolita poté vedere le lotte per l'unificazione nazionale della Spagna, la definitiva cacciata dei romani (621), promuovendo - dopo quasi due secoli di lottf! e di invasioni - con autorevolezza, come metropolita più anziano e presidente del IV concilio di Toledo (633 ), la riorganizzazione e l'unificazione della Chiesa cattolica nel regno visigotico. Morì nel 636, probabilmente il 4 di aprile; papa Innocenzo XIII, nel 1722, gli attribuì il titolo onorifico di «dottore della ·Chiesa>>. Isidoro lasciò un'opera enciclopedica, nella quale era raccolto l'intero sapere della sua epoca, che egli trasmise al Medioevo; scrisse una storia dei Goti, dei Vandali e degli Svevi, una cronaca che proseguiva le narrazioni storiche di Eusebio e di Girolamo, manuali esegetici, una serie di scritti naturalistici (De natura rerum, Differentiae, Synonyma), una lista di eresie dal titolo De haeresibus, basata su Agostino e Girolamo, un libro De ecclesiasticis of/iczi"s e, infine, una Regola monastica. La sua prosecuzione, sotto lo stesso titolo, De viris illustribus, delle opere storico-letterarie di Girolamo e di Gennadio di Marsiglia, assume, per la patrologia, un significato particolare. Egli integrò le opere dei suoi predecessori aggiungendo autori quasi tutti spagnoli, e il suo esempio fu seguito successivamente da Ildefonso di Toledo (morto nel 667) che vi inserì altre quattordici personalità spagnole, di cui ben sette vescovi di Toledo. B: B. ALTANER, Der Stand der Isidorforschung. Ein kritischer Bericht uber die· seit 1910 erschieneneLiteratur: «Miscellanea Isidoriana» 1-32. - J.N. HrLLGARTI-I, The Position of Isidorian Studies: A Critica! Review of the Literature Since 1935: Isidoriana 11-74. - A. SEGOVIA, Informe sobre Bibliografia Isidoriana (1936-1960): EE 36 (1961) 73-126. - W. HAuBRICHS, Zum Stand der Isidor/orschung: ZDP 94 (1974) 1-15. - J.N. I-lrLLGARTI-I, The Position of Isidorian Studies: A Critica! Review of the Literature Since 1975: StMed 24 (1983) 817-905. E: Opera omnia: PL 81-84. - PLS IV 1801-66. - Commonitiuncula ad sororem: A.E. ANSPACH = SEHL 4 (1935). - De di!ferentit's verborum: C. CoDONER

664

TV. LA LETTERATURA DI TRANSIZIONE DALLA TARDA ANTICHITÀ AL PRIMO MEDIOEVO

MERINO, P 1992. - De ecclesiasticis officiis: CH. M. LAWSON = CChr.SL 113 (1989). - De haeresibus: A.C. VEGA= SEHL 5 (1940). - De natura rerum: J. FONTAINE, Bordeaux 1960. - De ortu et obitu patrum: C. CHAPARRO G6MEZ, P 1985 [T/Tr.sp]. - De variis quaestionibus = SEHL 6-9 (1940). - De viris illustribus: C. CoDONER MERINO, Salamanca 1964 [T/Com]. - Epistulae: G.B. FORD, Amsterdam 2 1970. - E. ANSPACH, Taionis et lsidori nova /ragmenta et opera, M 1930, 23-183. - Historz·a Gothorum, Chronica: TH. MOMMSEN: MGH.AA 11/2 (1894) 241-506. - Historia Gothorum: C. RoDRfGUEZ ALONSO, Le6n 1975 [T/Tr.sp/Com].

L: Art. di dz"z.: J. FoNTAINE: DSp 7/2 (1971) 2104-16. -J. FONTAINE: DPAC II 1835-40. - R.J.H. CoLLINS: TRE 16 (1987) 310-5. - R. TENBERG: BBKL 2 (1990) 1374-9. - R. AuBERT: DHGE 26 fase. 150, 214-8. Raccolte: Miscellanea Isidoriana, R 1936. - M.C. DiAZ Y DfAZ (ed.), Isidoriana, Le6n 1961.

Studi generali": L. .ARAUJO COSTA, San Isidoro, arzobispo de Sevilla, M 1942. - I. QUILES, San Isidoro, Biografia, escritos, doctrinas, Buenos Aires 1945. - J. FONTÀINE, Isidore de Séville et la culture classique dans l'Espagne wisigothique, 3 voll., P 1959-83. - J. MADOZ, San Isidoro de Sevilla, sembianza de su personalidad literaria, Le6n 1960. - J. PEREZ DE URBEL, San Isidoro de Sevilla, Barcelona 1945 [ted Co 1962]. - H.-J. DIESNER, Isidor von Sevi"/la und seine Zeit - AzTh 52 (1973). - H.-J. DIESNER, Isidor von Sevi/la und das westgotische Spanien = ASAW.PH 67/3 (1977). - R. COLLINS, Early Medieval Spain 4001000, NY - Lo 1983. Monografie: G. v. DzrAIDWSKI, lsidor und Ilde/ons als Litterarhistoriker. Bine quellenkritische Untersuchung der Schriften «De viris illustribus» = KGS 412 (1898). - P. SÉJOURNÉ, Saint Isidore de Séville. Son r6le dans l'histoire du droit canom·que, P 1929. - J.R. GEISELMANN, Die Abendmahlslehre an der Wende der christlichen Spà"tantike zum Fruhmittelalter. Isidor von Sevilla und das Sakrament der Eucharistie, Mn 1933. - P.J. MuLLINS, The Spiritual Li/e According to Saint Isidore o/ Seville = SMRL 13 (1940). - G. MANc;INI, Osservazioni critiche sull'opera dz"Isidoro, Pisa 1955. - J. DE CHURRUCA, Las Instituciones de Gayo en San Isidoro de Sevilla, Bilbao 1975. - F.-J. LOZANO SEBASTIAN, San Isidoro de Sevilla, teologia del pecado y la conversi6n, Burgos 1976. - M. REYDELLET, La royauté dans la littérature latine de Sidoine Apollinaire à Isidore de Sévzlle = BEFAR 253 (1981) 505-97. - F.-J. LOZANO SEBASTIAN, San Isidoro y la filosofia cldsica, Le6n 1982. - G. GASPAROTTO, Isidoro e Lucrezio. Le fonti della meteorologia isidorùma, Verona 1983. - A. CARPIN, Il sacramento del!' ordine. Dalla teologia isidoriana alla teologia tomista, Bo 1985, 7-74. J. FONTAINE, Tradition et actualité chez Isidore de Sevi/le, Lo 1988. - A. CARPIN, L'eucaristia in Isidoro di Siviglia, Bo 1993. - P. CAZIER, Isidore de Séville et la naissance de l'Espagne catholique = ThH 96 (1994). ll. LA LETIERATURA

DELL'OCCIDENTE LATINO

665

Le Etymologiae e le Sententiae

Nella vasta opera di Isidoro emergono due scritti che, a causa del loro carattere enciclopedico, diventarono i manuali del sapere, sia profano che teologico, del Medioevo. Le Etymologiae mettono insieme, in una ventina di libri, tutte le nozioni e conoscenze linguistiche, storiche, culturali, naturalistiche, nonché teologiche della sua epoca, iniziando dal sapere scolastico relativo alle «sette arti liberali» (grammatica, retorica, dialettica, aritmetica, geometria, musica, astronomia), passando attraverso la medicina, la l~islazione, la cronologia, la storia, la Chiesa, la teologia, la politica, le lingue, lantropologia, le scienze naturali, la geografia, l'architettura, l'agricoltura, fino ad arrivare alla strategia militare, ai giochi, alla navigazione, all'arredamento e all'alimentazione. Solo il libro X contiene esclusivamente etimologie; ma se l'intera opera porta questo titolo, lo si deve alla convinzione di Isidoro, comune a quasi tutta lantichità, che la lingua e la sua analisi costituiscano la chiave per la comprensione della realtà. L'opera rimase incompiuta alla morte di Isidoro, ma il suo discepolo Braulio, vescovo di Saragozza (631-651) la portò a termine e la pubblicò intorno al 640. Le Sententiae rappresentano il complemento teologico delle Etymologiae, e costituiscono il primo importante documento della grande influenza che esercitò l'opera di Gregorio Magno Moralia in lob. Isidoro espone nelle Sententiae - che si articolano in tre parti: dogmatica, spiritualità e morale-, un'ampia dottrina etico-religiosa, atta a rafforzare il cristianesimo visigotico, ormai stabilmente penetrato nella struttura dello Stato. Cfr. anche le note a VII. E: Etymologiae: W.M. LINDSAY, 2 voll. = SCBO (1911). - P.K. MARSHALLI M. P 1981-4 [II, IX, XVIIIJ. - G. GASPAROTTo,Agricoltura dei Romani, Verona 1996 [XVII T/Tr.it/Com].

REYDELLET I]. ANDRÉ,

S: A.-1. MAGALWN-GARCfA, Concordantia in Isidori Hispalensis Etymologias = AlOm A 120, 1-4 (1995-6).

L: J. SoFER, Lateinisches und Romanisches aus den Etymologiae des Isidor, Go 1930. - A. BoRST, Das Bild der Geschz'chte in der Enzyklopàdie des Isidor von Sevilla: DA 22 (1966) 1-62. - B. REcAREDO GARCiA, Espiritualidad y «lecti'o divina» en las «Sentencias» de San Isidoro de Sevilla, Zamora 1980. - W. SCHWEIKARD, «Etymologia est origo vocabulorum». Zum Verstà"ndnis der Etymologiedefinition IsmoRs: Historiographia linguistica 12 (1985) 1-25. ·

666

IV. LA LETTERATURA DI TRANSJZIONE DALLA TARDA ANTICHITÀ AL PRIMO MEDIOEVO

Capitolo Dodicesimo

LA LETTERATURA DELL'ORIENTE GRECO

I. LE CATENE Le Catene rappresentano l'esempio più tipico del carattere prevalentemente retrospettivo e compilatorio che assume la letteratura greca nell'ultimo periodo della patristica: esse sono costituite da ininterrotti commenti di libri biblici, con la particolarità che non interpretano il testo biblico alla luce di una teologia originale e contemporanea ma si limitano a mettere insieme estratti di com.menti più antichi e già sperimentati. Spesso sembra che il compilatore abbia voluto consapevolmente giustapporre e confrontare commenti di impronta differente, tanto alessandrini che antiocheni. Capostipite di questa letteratura sembra essere stato Procopiù di Gaza (465 - t subito dopo il 530), il quale, per la prima volta, servendosi dei commenti di Origene, compilò «~ExÀoym E~'YJY'YJ'LL7Wl>> all'Ottateuco, ai Re, ai Proverbi, al Qoèlet (Ecclesiaste), al Cantico dei Cantici. Le Catene acquistarono una- così vasta popolarità da mettere in pericolo, in molti casi, la trasmissione delle opere complete originali. Ma proprio perché conservano ampie citazioni di scritti che altrimenti sarebbero andati dispersi, esse hanno una grande importanza per la ricerca moderna (a questo proposito, cfr. quanto si è detto sopra in relazione agli scritti di Melitone di Sardi, di Apolinario di Laodicea, di Diodoro di Tarso, di Teodoro di Mopsuestia, di Cirillo di Alessandria, di Teodoreto di Ciro). Il termine latino catena, tradizionalmente in uso in Occidente, venne adoperato per la prima volta nel 1321 in riferimento ad una silloge simile, di commenti ai Vangeli, compilata da Tommaso d'Aquino (catena aurea). Egli intitolò la sua opera Expositio continua, mentre i termini greci e latini ori12. LA LEITERATIJRA DELL'ORIENTE GRECO

667

ginali per designare questo tipo di opere letterarie sono: ÉxÀ.oym, auvaywylj, auìJ..oy~, excerpta e collectanea. A seconda della loro forma, si distinguono tre tipi di catene: 1) Le catene margz'nali rappresentano il tipo più diffuso e sono costituite da annotazioni stese o in mezzo o sul margine interno della pagina del testo biblico da interpretare, in caratteri spesso più grandi rispetto al testo; gli estratti dai commenti si trovano sui tre margini rimasti liberi (superiore, inferiore e laterale destro) della pagina. I brani vengono posti in corrispondenza al t,s:sto attraverso numeri o segni, e l'autore del brano viene indicato, solitamente ma non sempre, con caratteri evidenziati. Ovviamente è necessario un certo rigore critico nel1'accogliere.1' attribuzione del brano a questo o a quell'autore, essendo ogni attribuzione soggetta alla carenza di fonti, tipica della storia della trasmissione. 2) Le catene in colonne: il testo e il commento si trovano sulla pagina divisa in due colonne, ognuna delle quali occupa mezza pagina. 3) Le catene testuali; ogni pagina di testo biblico è seguita immediatamente da un'intera pagina di commento, alternativamente. Il metodo della riproduzione di un certo numero di passi scelti da vari commenti, distingue le catene dal genere degli scoli biblz"ci (chiarimenti, di diversa provenienza, sui passi biblici scritti ai margini del testo) e dai florilegi (che possono egualmente raccogliere fonti molto differenti, sebbene, con il successivo sviluppo delle catene, viene assorbito anche questo materiale). Già Procopio di Gaza, nel caso delle sue catene all'Ottateuco, aveva operato delle sintesi a livello dei brani originali dei commenti, aggiungendovi integrazioni proprie. Catene siriache, armene e copte, a partire dal VII sec., sono frutto in parte di traduzioni di commenti greci, in parte di compilazione di estratti da commenti scritti nelle rispettive lingue. Anche nei paesi di lingua latina videro la luce - ma in maniera sporadica - scoli ed Exposita a partire dal VI sec. Essi divennero popolari soltanto nell'epoca carolingia, trasformandosi successivamente nel genere delle «glosse», molto diffuso nel Medioevo. Ma poiché, al contrario delle catene greche, nel caso delle catene latine si sono conservati completamente, per altre vie, gli scritti patristici che fungono da fonti per le compilazioni, esse risultano utili soltanto per la storia della recezione e della diffusione dei rispettivi scritti patristici. Tuttavia esse acquistarono una grande 668

IV. LA LETTERATURA DI TRANSIZIONE DALLA TARDA ANTICHITÀ AL PRIMO MEDIOEVO

importanza nell'età della Riforma, quando vennero presentate come raccolte di testimonianze «autoritative» da usare contro l'interpretazione delle Sacre Scritture proposta dai riformatori: per lo stesso motivo vennero tradotte in latino anche Catene greche. Sebbene l'interesse principale della ricerca moderna nei confronti delle Catene sia costituito dalla possibilità, per loro tramite, di ricostruire il contenuto di opere altrimenti perdute, esse vengono anche studiate ed edite nella forma in cui sono giunte fino a noi come affidabili testimoni della tradizione testuale. E:J.A. FABRiaus, Bibliotheca Graeca VII, A 1715, 727-88. - J.A. FABRICIUS I G.CH. HARLES, Bibliotheca Graeca VIII, A 2 1802, 637-700. - J.A. CRAMER, Catenae Graecorum Patrum in Novum Testamentum, 8 voli., O 1838-44 = Hi 1967. Ottateuco: J. DECONINCK, Essai sur la chaine de l'Octateuque = BEHE.H 195 (1912). - R. DEVIIBESSE, Les anciens commentateurs grecs de l'Octateuque et des Rois StT 201 (1959). - F. PEm, Catenae Graecae in Genes:·m et in Exodum I-II = CChr.SG 2 e 15 (1977-86). - F. PETIT, La chaine sur la Genèse, 4 voli., Lov 1991-6.

=

Giobbe: V. E D.

HAGEDORN,

Die iilteren griechischen Katenen zum Buch Hiob

= PTS 40 e 48 (1994-7).

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Il.

PSEUDO-DIONIGI AREOPAGITA

«Alcuni aderirono a lui [se. Paolo] e divennero credenti, fra questi anche Dionigi, l'Areopagita ... » (At 17, 34). Con lo pseudonimo di questo Dionigi Areopagita, un autore tuttora ignoto compose quattro importanti e celebri opere, le quali, nonostante i dubbi espressi da Ipazio di Efeso (532) e da pochi altri, vennero attribuite al discepolo di Paolo menzionato negli Atti degli Apostoli; per questo motivo esse furono altamente apprezzate ed esercitarono - nella traduzione latina dell'abate Ilduino di Saint-Denis a Parigi (827-835; riveduta nel1'852 da Giovanni Scoto Eriugena) - una grande influenza nel corso di tutto il Medioevo. Una leggendaria Vita Dionysii, scritta dallo stesso abate, lo identificò persino con il santo patrono. di Parigi. Gli umanisti Lorenzo Valla (1457) ed Erasmo da Rotterdam (1504) riconobbero la pseudoepigraficità del Corpus Dionysiacum, dimostrando incontrovertibilmente la sua dipendenza dal neo-platonismo di Siriano (prima 670

N. LA LETIERATIJRA DI TRANSIZIONE DALLA TARDA ANTICIDTÀ AL PRIMO MEDIOEVO

metà del sec. V) e del suo discepolo Proclo (412-485). D'altra parte, citazioni dal Corpus le troviamo già in Severo di Antiochia (tra il 510 e il 518/28) ed è pertanto probabile che la sua apparizione debba essere fatta risalire al periodo tra la fme del V e l'inizio del VI sec. Vi si può notare inoltre chiaramente un rilevante influsso del Parmenide di Platone, nonché del platonismo cristiano di Gregorio di Nissa. Da sempre un gran numero di esperti ha avanzato ipotesi relative all'identità dello Pseudo-Dionigi, ma nessuna finora è risultata abbastanza convincente. Tutto ciò che è possibile inferire dagli scritti è che il loro autore fu senz'altro un cristiano siriano, che visse a lungo ad Atene, dove, come è noto, verso la fine del V· sec. si era formato un vero e proprio circolo di dotti provenienti dalla Siria. B: J.-M. HoRNus, Les recherches récentes sur le pseudo-Denys l'Aréopagite: RHPhR 35 (1955) 404-48. - K.F. DOHERTY, Toward a Bibliography o/ PseudoDionysius theAreopagite 1900-1955: MSM 33 (1956) 257-68. -J.-M. HoRNUS, Les recherches dionysiennes de 1955 à 1960: RHPhR 41 (1961) 22-81. - K.F. DoHERTY, Pseudo-Dionysius the Areopagite: 1955-1960: MSM 40 (1962) 55-9. · S. LILLA: Aug. 22 (1982) 568-77. L:Art. didiz..: R RoQUES/P. SHERWOOD/ A WENGER/ A. RAYEz/PH. CHEVALI H. WEISWEILER I G. DuMEIGE I A.-A. FRACHEBoun I S. DE Sr.-ANruONis I J. TURBESSI I M. DE GANDILLAC I A. AMPE I A. CoMBÈS I R MARCEL I J. KRYNEN I E. DE VIÈRGE DU CARME.LI P.-H. MrC!IEL I S.-P. MICHEL I O. DE VEGHEL: DSp 3 (1957) 244-429. - R. ROQUES: RAC 3 (1957) 1075-1121. - R. AUBERT: DHGE 14 (1960) 265-310. - G. O'DALY: TRE 8 (1981) 772-80. - S. LILLA: DPAC I 971-80. LIER

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Opere e teologia Il Corpus Dionysz'acum, di autore ignoto, comprende quattro trattati: 1) De divinis nominibus, 2) De mystica theologia, 3) De caelesti hierarchia, 4) De ecclesiastica hierarchia e dieci lettere teologiche. In esso sono contenuti dei riferimenti ad altre sette opere che, apparentemente, sarebbero state composte dallo stesso autore, ma, risultando esse del tutto sconosciute, vengono considerate dagli esperti come fittizie. È probabile che la loro funzione fosse quella di far apparire gli scritti pseudoepigrafici come facenti parte di un edificio teologico ben più vasto, allo scopo anche di far loro acquistare una maggiore autorità. 12. LA LETTERATURA DELL'ORIENTE GRECO

671

Tutti gli altri scritti che, invece, furono successivamente attribuiti a Dionigi l'Areopagita, non sono dello stesso autore del Corpus. Dalla teologia e dalla filosofia dello Pseudo-Dionigi, nel complesso degna di molto interesse, emergono specialmente due linee di pensiero, ciascuna delle quali si trova alla base· di due dei quattro trattati: A) L'assoluta trascendenza ed inconoscibilità di Dio che costringe la teologia e la spiritualità sulla strada della theologi'a negativa e di una mistica dell'oscurità [1-2]. Tutti i nomi che si possono attribuire alla divinità (e che, dallo Pseudo-Dioni~i, sono esaminati alla luce dell'AT, di Platone, del neo-platonismo e, soprattutto, dei Padri alessandrini e cappadoci): Bene, Luce, Bellezza, Amore, Essere, Vita, Sapienza, Verità, Potenza, Giustizia, Salvezza, Pace, non riescono ad esprimere alcunché intorno ali' essenza di Dio che rimane assolutamente inconoscibile. Tutti i nomi di Dio sono riferiti pertanto solo al suo agire, non al suo essere, che non può essere nominato. In maniera particolarmente approfondita viene discusso dallo Pseudo-Dionigi - in collegamento a Proclo - il problema del male, al quale non può essere attribuita alcuna esistenza, poiché soltanto Dio è; di conseguenza, il male può essere concepito solo come assenza di bene. Questa teologia dell'assoluta trascendenza di Dio conduce (seguendo, anche in questo, la teologia dei Padri alessandrini e cappadoci) ad una mistica dell'oscurità, invece che dell'illuminazione. L'uomo, se vuole unirsi a Dio, deve immergersi sempre più profondamente nell'inconoscibilità divina, rinunciando nel contempo a tutte le impressioni dei sensi, ad ogni esperienza e ad ogni pensiero. L'unione mistica con Dio si risolve pertanto nella completa ignoranza. B) L'ordinamento gerarchico ed unitario della creazione, nella quale Dio si trova al vertice sia della gerarchia celeste, sia (attraverso l'incarnazione del Figlio) di quella terrestre (la Chiesa) (3-4). La gerarchia (questo termine oggi così in voga fu coniato proprio dallo Pseudo-Dionigi) celeste si articola in tre triadi: 1. Serafini - Cherubini - Troni [cael. hier. 7], 2. Potenze - Dominazioni - Potestà [cael. hier. 8), 3. Principati - Arcangeli - Angeli [cael. hier. 9]. Esse proseguono poi nelle due triadi della gerarchia ecclesiastica: 1. Vescovi - Sacerdoti - Diaconi [ecci. hier. 5], 2. Monaci - comu.11ità - stati di purificazione [eccl. hier. 6]. 672

IV. LA LETIERATURA DI TRANSIZIONE DALLA TARDA ANTICHITA AL PRIMO MEDIOEVO

Il senso e lo scopo di questo ordinamento gerarchico dell'intero cosmo coincidono con l'ascesi e l'unione con Dio che vengono comunicati dall'alto verso il basso mediante la purificazione, l'illuminazione e l'iniziazione e, allo stesso modo, rendono possibile l'ascesi dal basso verso l'alto. L'influenza esercitata dal Corpus Di"onysiacum non può essere valutata fino in fondo. La lista dei teologi e dei mistici che ne subirono l'influsso d presenta una sfilza di grandi nomi della storia della Chiesa: Massimo il Confessore, Gregorio Magno, Giovanni Scoto Eriugena, Ugo e Riccardo di San Vittore, Pietro Abelardo, Guglielmo di SaintThierry, Isacco d'Étoile, Roberto Grossatesta, John Wyclif, Alberto Magno, Tommaso d'Aquino, Meister Eckhart, Giovanni Taulero, Niccolò Cusano e Giovanni della Croce. E: Opera omnia: R w. THOMSON =esco 488-489 (1987) [T.armen/Tr.inglJ. B.R. SucHLA /G. HEJL / A.M. RrrrER = PTS 33 e 36 (1990-1). - De caelesti hierarchia: R. ROQUES/ G. I·IEIL/ M. DE GANDIU.AC =se 58 (2 1970) [T/Tr.f/Com]. Tr: P. SCAZzoso /E BELLINI, Mi 1981 [Opera omnia]. - S. LILLA= CTePa 56 (1986) [Gerarchia celeste, Teologia mistica, Lettere]. S: A. VAN DERDAELE, Indices ps.-dionysiani =RTHP 3/3 (1941). - PH. CHEVALIndex complet de la langue grecque du Pseudo-Aréopagite: Dionysiaca II, P 1950, 1585-1660.

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III.

MASSIMO IL CONFESSORE

Notizie attendibili sulla biografia di Massimo si hanno soltanto a partire dal 626, in riferimento a quella controversia sul monotelismo e il monergetismo che lo vide intervenire in misura determinante e nella quale vi trovò la morte in quanto «confessore». Tutti gli altri dati sulla sua vita precedente li conosciamo attraverso una Vita, in greco e da lungo tempo ben nota, risalente al X sec. (dalla quale dipende anche un'altra Vita in georgiano), nonché da una Vita in siriaco, risalente al VII/VIII sec., edita nel 1973 da Sebastian Brock. Entrambe le fonti sembrano essere state composte a partire da contrapposti punti di vista e con intenzioni tendenziose: quella greca, per celebrare Massimo 674

IV. LA LETIERATURA DI TRANSIZIONE DALLA TARDA ANTICHITÀ AL PRIMO MEDIOEVO

come sostenitore dell'ortodossia duofisita, quella siriaca, per screditar-

lo in quanto avversario del monofisismo. Tuttavia sono entrambe considerate non prive di valore storico, anche se, per gli anni precedenti al 626, risulta difficile stabilire quale delle due sia la più attendibile o se, invece, sia possibile una loro integrazione•. Le fonti greche, però, mostrano una tendenza ad integrare i documenti storici mancanti mediante il ricorso all'agiografia corrente. Sono inoltre da menzionare due racconti greci sul martirio di Massimo, uno dei quali scritto dal suo discepolo, nonché compagno di sventure, l' apocrisario Anastasio. Massimo nacque nel580 circa, secondo le fonti greche in una nobile famiglia di Costantinopoli, secondo quelle siriache in Palestina, figlio di un mercante samaritano e di una schiava persiana; il suo nome originario pare fosse Moschione. Secondo la Vita greca, avrebbe presto intrapreso la carriera burocratica presso la corte imperiale, dove avrebbe raggiunto la posizione molto influente di segretario imperiale; nel 614 avrebbe però abbandonato tale carriera per diventare abate del monastero di Crisopoli, fuori dalle mura di Costantinopoli. Successivamente sarebbe stato anche a Cizico (sulla costa meridionale del mar di Marmara), per colloqui con il vescovo locale Giovanni, e qui avrebbe scritto la sua prima opera Ambigua (in effetti quest'opera vide la luce dopo il 626, in Africa) [versione greca]. Per la Vita siriaca, invece, egli avrebbe fatto, a dieci anni, il suo ingresso nel monastero di san Caritone a Gerusalemme, ricevendo il nome Massimo e intraprendendo lo studio di Origene. A seguito dell'invasione araba avrebbe abbandonato Gerusalemme nel 614 per rifugiai:si a Cizico, da dove avrebbe allacciato stretti contatti con la corte imperiale. Tra le due versioni rimangono quali elementi di contatto - elementi attendibili se confrontati con le altre notizie intorno alla vita di Massimo -, la condotta di vita monastica, i rapporti con la corte imperiale e il soggiorno a Cizko. Nell'anno 626, a causa delle minacce di invasione da parte di Persiani e di Arabi, Massimo si trasferì in Nordafrica passando per Cipro e Creta; qui, essendosi già impegnato in passato nella controversia sul monofisismo, si occupò del problema rappresentato dal monotelismo o monergetismo, dopo che; già in precedenza, aveva scritto al riguardo brevi trattati dogm-atici. Questa controversia va inserita nel quadro I· CERESA·GASTALOO (DPAC II 2169-72) è a favore della Vit4 siriaca. La traduzione tedesca di MURPHY/ SHERWOOD (pp. 188 s.) non ne tiene conto, Breukelaar la cita nella bibliografia senza però analizzarla.

12. LA LETIERATURA DELL'ORIENTE GRECO

675

della ricerca di una corretta comprensione e di un'adeguata concettualizzazione dell'unità delle due perfette nature di Cristo, ricerca che, partendo da Nestorio e dal concilio di Efeso (431), e passando attraverso i concili di Calcedonia (451) e di Costantinopoli II (553), approdò infine al concilio di Costantinopoli III (Trullanum, 680/81). Tra le due concezioni possibili ma divergenti- da una parte la cristologia antiochena che poneva l'accento sia sulla perfezione che sull' autoriomia delle due nature, dall'altra la cristologia alessandrina tendente a porre in rilievo la loro unità - era necessario trovare una soluzione intermedia, basata sul consenso, che tenes~e conto degli aspetti più validi di entrambe. Come succede di solito negli sviluppi di tali controversie, si cercò di avvicinare reciprocamente i differenti punti di vista, rielaborando le due concezioni e puntando infine ad una accettabile mediazione dottrinale. Ad Efeso si era imposta, con la ratifica del titolo di 8wt6xoç, la teologia alessandrina. Calcedonia aveva fatto sua la formula antiochena dell' «unica persona in due nature» in modo così determinato che la Chiesa egiziana ed altre Chiese «monofisite» non I' avevano potuta accogliere e si erano, pertanto, separate dalla Chiesa cattolica. Il Il concilio di Costantinopoli si era riavvicinato nuovamente e con forza alla teologia alessandrina mediante la condanna dei Tre Capitoli. Al tempo di Massimo, poiché era divenuta necessaria l'unità religiosa come condizione indispensabile per un rafforzamento interno che consentisse di fronteggiare la minaccia esterna delle invasioni da parte di Persiani e di Arabi, erano proseguiti i tentativi per un'intesa teologica e per la riunificazione con i monofisiti; si cercò pertanto di rendere giustizia alla teologia alessandrina, attenuando la formula delle due nature e introducendo il concetto di un'unica evégyna (potenza o capacità d'agire) e di un'unica 0tÀl]Otç (volontà) presenti in Cristo. Nel 626, l'anno in cui Massimo si recò in Africa, il patriarca Sergio di Costantinopoli (610-638) espose per la prima volta - in una lettera inviata a Ciro vescovo di Fasi - la sua teologia di un'unica energeia in Cristo; il frutto di questa nuova concezione fu, nel 633, il «patto di unione» con la Chiesa copta. La formula d'unione incontrò subito la vivace opposizione del monaco palestinese Sofronio, in quel momento impegnato nel viaggio di ritorno dal Nordafrica, dove aveva conosciuto Massimo, a Costantinopoli. Per prevenire ulteriori discussioni, il patriarca Sergio inviò nel 634 ali' ormai patriarca di Alessandria, Ciro, un decreto ('l(Jf)oç) con cui si proibiva di menzionare in alcun modo 676

IV. LA LETTERATURA DI TRANSIZIONE DALLA TARDA ANTICTIITA AL PRIMO MEDIOEVO

l'èvsgyeta di Cristo. La storia insegna, però, che non è possibile eliminare un problema irrisolto ordinando di ignorarlo. Nello stesso anno, infatti, Sofronio divenne vescovo di Gerusalemme. Un nuovo vescovo inviava agli altri patriarchi delle «lettere sinodali» - di solito al momento dell'assunzione della diocesi, ma anche durante l'incarico - contenenti la propria professione di fede. Sofronio colse l'occasione per ricusare espressamente, nella lettera al patriarca Sergio di Costantinopoli, la teologia dell'unica èvsgyeta in Cristo. Sergio, allora, riprendendo nuovamente il suo 'ljlfjoç nel 638, ne espose più ampiamente i contenuti in un documento (~x8wtç) che venne sottoscritto dall'imperatore Eraclio e che fu approvato dal sinodo «endemico». Quando nello stesso anno Sergio mòrì, gli succedette Pirro che, dopo la sua deposizione per motivi politici nel 641, si impegnò nella controversia quale avversario di Massilno. Costui, infatti, dall'Africa intratteneva stretti rapporti con le più alte cariche, politiche ed ecclesiastiche, dell'impero ed era considerato tra i più autorevoli teologi del tempo. Si giunse quindi ad una spettacolare disputa pubblica, svoltasi nel 645 a Cartagine, tra Massimo e Pirro; nel verbale, che ci è stato tramandato, è registrata la sconfitta di Pirro e la sua dichiarazione di voler abiurare ai propri errori davanti al papa. Massimo lo accompagnò a Roma, e qui rimase diventando uno dei più ascoltati teologi di papa Martino (649-653 ), sotto il pontificato del quale si svolsero i momenti più critici delle controversie. L'imperatore Costante II (641668) interdisse infatti, con un decreto sulla fede (i:im:oç n:egt JTLfftewç) che si richiai:nava espressamente allo 'ljlfj