Ordine nero, guerriglia rossa. La violenza politica nell'Italia degli anni Sessanta e Settanta (1966-1975) 8806194496, 9788806194499 [PDF]

Guido Panvini ricostruisce il processo di militarizzazione della lotta politica in Italia innescato dalla violenza diffu

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Ordine nero, guerriglia rossa. La violenza politica nell'Italia degli anni Sessanta e Settanta (1966-1975)
 8806194496, 9788806194499 [PDF]

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© 2009 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino L a casa editrice, esperite le pratiche per acquisire tutti i diritti relativi al corredo iconografico della presente opera, rimane a disposizione di quanti avessero comunque a vantare ragioni in proposito.

www.einaudi.it

ISBN 978-88-06-19449-9

Guido Panvini

Ordine nero, guerriglia rossa La violenza politica nell’Italia degli anni Sessanta e Settanta (1966-1975)

Giulio Einaudi editore

Indice

p. XI XII

Ringraziamenti Elenco delle abbreviazioni

O rdine nero, guerriglia rossa 3

IO IO 14 17

21

25 3° 37 40 46

46 48 51 55 61 64

72 76 76 78 82 85 88

97

Introduzione I.

Estremismo e violenza politica 1. La morte di Paolo Rossi 2. L ’inizio della spirale 3. Presagi 4. La dimensione internazionale della violenza 5. I riti di colpevolizzazione del nemico 6. Lo scontro fra estrema destra ed estrema sinistra nell’anno degli studenti 7. L ’assedio alla Repubblica 8. Contaminazioni

II. Fasi, modalità e protagonisti dello scontro 1. Il Movimento sociale e il recupero del ribellismo giovanile neofascista 2. La politica della memoria 3. Il nesso tra paura e violenza 4. La piazza di destra 5. Gli allarmi per il colpo di stato 6. La mobilitazione del Partito comunista 7. La morte di Annarumma

in. 12 dicembre 1969 1. Come dopo il bombardamento 2. Le prime risposte della politica e della società civile 3. La morte di Pinelli e l ’arresto di Valpreda 4. Le spinte centrifughe 5. Le reazioni della sinistra extraparlamentare 6. L ’estrema destra di fronte alla strage

Indice

Vili

p. 107

IV.

115 120 I2Ó

131 134 139 139 144 151 154

V.

VI.

199

208 210 v ii.

234 241 248

251 251 258 265 268

273 283 287 288

293

v iii.

Le aggressioni ai singoli Crisi e frammentazione dell’estrema destra La teoria degli opposti estremismi Insurrezione La morte del commissario Calabresi I neofascisti all’attacco dello Stato

Geopolitica dello scontro 1. 2. 3. 4. 5.

220 227

Percezione e deformazione della realtà Controinformazione e violenza politica nell’estrema sinistra “ Basi rosse” e “ covi neri” La violenza nelle scuole Lo scontro nelle università Schedare il nemico

La preparazione alla guerra civile 1. 2. 3. 4. 5. 6.

l8 l 184 192

215

La militarizzazione della lotta politica 1. 2. 3. 4. 5. 6.

164 167 l8 l

Le politiche della violenza 1. L ’impiego della violenza nella campagna elettorale per le elezioni regionali 2. Tra urne e rivolte 3. L ’ipotesi del golpe e della guerra civile: i discorsi pubblici e i preparativi dei neofascisti 4. La mobilitazione antifascista del Partito comunista 5. La gogna proletaria 6. La nascita dell’antifascismo militante

107

Torino Milano Roma Napoli e Palermo Lo scontro nelle province

Primavere di sangue 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.

L ’antifascismo militante come componente della nascita della lotta armata I manuali di guerriglia Le notti dei fuochi Disordine nero Le stragi del 1974 Apogeo e crisi dell’antifascismo militante L ’antifascismo democratico e la difesa delle istituzioni repubblicane La primavera di sangue del 1975

Ìndice dei nomi

Elenco delle tavole fuori testo*

1 . La maggioranza silenziosa. Verniciamo di rosso il nostro comunista, in «Candi­ do», III (8 gennaio 1970), n. 2, copertina. 2. Cosi in piazza, in «La Sinistra», III (r6 marzo 1968), n. 10, copertina. 3. Le canaglie non prevarranno, in « L ’Assalto», I (25 maggio 1969), n. 7, co­ pertina. 1 4. Sequenza fotografica tratta da Rapporto sulla violenza fascista, Napoleone, Roma 1972, p. 213. 5. La violenza si batte con la democrazia. Vota d c , manifesto elettorale, 1972. 6. Fotografia dall’articolo Trento-.rifacciamo il 3 0 luglio, in «Lotta continua», III (29 gennaio 19 71), n. 2. 7. Fotografia dall’articolo L ’intoccabile canaglia sovversiva, in «Candido», VI (7 giugno 1973), n. 23. 8. Fotografia dall’articolo Roma, sabato 6 febbraio. Dopo Catanzaro gogna a un fascista, in «Lotta continua», III (17 febbraio 19 71), n. 3. 9. Schedare il nemico, volantino del 19 7 1, in Centro di documentazione dei partiti politici nelle Marche in età contemporanea. 10. Illustrazione dall’articolo Un cocktail di industriali, nobili, delinquenti comu­ ni, da «Avanguardia operaia», III (7 dicembre 1973). ir . Il proletariato deve dirigere tutto, da «Re Nudo», II (aprile 1971), n. 4. 12. Brigate Rosse, comunicati 1 , 2 , 3 , 4 , 5 , 6 , ivi. 13 . La strage nera. A Brescia oggi come a Milano anni fa, in «L’Espresso», X X (2 giugno 1974), n. 22, copertina, disegno di Bruno Caruso. 14. Dall’inserto fotografico Le due Italie, in «Il Borghese», X X V III (9 gennaio r977), n. 2. 15. Lotta Continua (a cura di), Inchiesta sul neofascismo nelle Marche, suppl. al n. 88 del quotidiano «Lotta continua», Jesi 1975, copertina.

* Tutte le immagini presenti nel testo sono conservate presso il Centro di documen­ tazione dei partiti politici nelle Marche in età contemporanea, Macerata.

x

Elenco delle tavole fuori testo

16. Violenza rossa a R om a, a cura della federazione romana del copertina.

m s i-d n ,

1975,

17. Pacificazione democratica:gli italiani si salutano, foto da «Il Borghese», X X III (18 febbraio 1973), n. 7.

Ringraziam enti

Desidero ringraziare Marco Gervasoni, Angelo Ventrone e Vittorio Vidotto per gli stimoli, i suggerimenti e il costante confronto sui temi affrontati in questo volume. Ringrazio, inoltre, tutti gli amici e i colleghi per la partecipazione e l’af­ fetto con cui hanno seguito il mio lavoro. La responsabilità di quanto scritto è, ovviamente, soltanto la mia.

Elenco delle abbreviazioni

a c g il

Archivio della Confederazione generale italiana del lavoro

a c s , m i, g a b

Archivio centrale dello Stato, ministero deU’Interno, Gabinetto

A C S, P S , G

1944-86

Archivio centrale dello Stato, ministero deU’Interno, Dipartimen­ to di Pubblica sicurezza

ACTS

Archivio della Commissione parlamentare d’inchiesta sul terro­ rismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi

Archivio della Fondazione Ugo Spirito F. Pettinato Fondo Concetto Pettinato F. m s i Fondo Movimento sociale italiano F. Cassiano Fondo Mario Cassiano

AFU S

Archivio dell’istituto Gramsci di Roma F. Cazzaniga Fondo Mariano Cazzaniga

agr

ap

Atti parlamentari, Camera dei Deputati (seguito dalla data di seduta)

A PC

Archivio del Partito comunista italiano

cm

Atti della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani, sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro e sul terrori­ smo in Italia

cp pm

Centro di documentazione dei Partiti politici nelle Marche in età contemporanea

cts

Atti della Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsa­ bili delle stragi

Istituto romano per la storia d’Italia dal fascismo alla Resistenza Memorie di Carta F. Cesaretti Fondo Ferruccio Cesaretti F. c o g i d a s Fondo Centro operativo tra genitori per l’iniziativa democratica e antifascista nella scuola F. Crainz Fondo Guido Crainz

ir s ifa r

xni

Elenco delle abbreviazioni

F. Maggia

Fondo Giovanni Maggia

F. Mordenti Fondo Raul Mordenti F. Palazzi Fondo Paolo Palazzi F. Pasquini Fondo Massimo Pasquini F. Socrate

Fondo Francesca Socrate

Sentenza Addis Tribunale di Roma, ordinanza di rinvio a giudizio del dr. Roberto Napolitano per Addis Mauro e altri, 12 marzo 1984 Sentenza Azzi

Tribunale di Milano, sentenza/ordinanza del giudice Guido Salvini contro Az­ zi Nico e altri, marzo t995 Sentenza Maggi Corte d’assise di Milano, giudice est. Ilio Mannucci Pacini contro Maggi Carlo Maria + 4, 30 giugno 2001 Sentenza Rognoni

Tribunale di Milano, sentenza / ordinanza del giudice Guido Salvini nei confronti di Rognoni Giancarlo e altri, 3 febbraio 1998 Sentenza Valpreda

Corte d’assise di Catanzaro, giudice est. Vittorio Antonini contro Valpreda Pietro e altri, 23 febbraio 1979

Introduzione

Nel recente dibattito pubblico, gli anni Sessanta e più marca­ tamente gli anni Settanta sono spesso definiti come «guerra civi­ le». La terza, addirittura, dopo quella combattuta tra socialisti e fascisti nel 1919-22 e la lotta fratricida tra partigiani e repubbli­ chini nel 1943-45. Tale definizione, evidentemente, risente di un uso pubblico della storia piegato a interessi di parte, se non com­ merciali. L ’utilizzo della categoria «guerra civile», in riferimento alla conflittualità politica e sociale degli anni Sessanta e Settanta, ha, tuttavia, radici lontane e il suo ripresentarsi nella pubblicisti­ ca e nella memorialistica non può essere eluso con il semplice di­ niego della sua fondatezza. Il termine «guerra civile» era già in uso alla vigilia della con­ testazione studentesca del 1968, per rappresentare le tensioni che stavano attraversando l ’Italia e, quasi simultaneamente, le società sviluppate in tutto il mondo. Con 1’ “ autunno caldo” del 1969 e l’inizio della strategia della tensione, i diversi protagonisti pub­ blici - i partiti, gli organi di stampa, perfino i movimenti - utiliz­ zarono, in termini retorici, la categoria di «guerra civile» per de­ scrivere la crisi che stava vivendo il Paese. Questa fu posta in idea­ le continuità con i teatri di radicale contrapposizione politica e ideologica, quali erano stati, nel panorama europeo della prima metà del x x secolo, la Repubblica di Weimar in Germania e l ’Ita­ lia liberale, all’indomani del primo conflitto mondiale. Agli inizi degli anni Settanta, la guerra civile divenne il programma dei set­ tori più oltranzisti dell’estremismo di destra e di sinistra. Quan­ do questo si tradusse nei progetti eversivi del terrorismo nero e rosso, di riflesso, la categoria di «guerra civile» divenne la chiave interpretativa maggiormente diffusa nei mass-media per raccon-

4

Introduzione

tare e interpretare il conflitto politico e sociale in corso, letto in termini sostanzialmente militari1. Conclusasi la stagione degli anni di piombo, il richiamo alla guerra civile tornò a essere impiegato nelle storie di vita racconta­ te dagli ex terroristi, per giustificare il salto verso la violenza ar­ mata e legittimare il ricorso a una “ soluzione politica” degli anni Settanta, attraverso la richiesta di amnistia per i detenuti colpe­ voli dei reati di sangue commessi in passato2. Nel tempo, la cate­ goria di «guerra civile» è stata riproposta, in chiave ideologica, co­ me tentativo d’interpretazione complessiva della storia unitaria’ . L ’impiego di questa definizione, tuttavia, ha semplificato la com­ plessità insita nelle divisioni politiche, identitarie e culturali (che paradossalmente si volevano evidenziare), nella ricerca di un uni­ co filo conduttore che tenesse insieme la frastagliata vicenda re­ pubblicana4. Solo di recente la storiografia e la politologia hanno affrontato la liceità o meno dell’utilizzo della categoria di «guer­ ra civile», in riferimento alla storia d’ Italia repubblicana, eviden­ ziandone limiti e problematiche5. Tali riflessioni s’inseriscono al­ l’interno di un più articolato ripensamento della storia della Re­ pubblica, riletta alla luce dei recenti sviluppi del quadro politico6. La prospettiva di lunga durata rischia, però, di annacquare la specificità dell’Italia degli anni Sessanta e Settanta, facendo trascu­ rare il peso delle nuove culture e l’apporto delle nuove generazioni, protagoniste di quella stagione. Per questo motivo, anche l’impiego di categorie quali la «guerra civile fredda» e la «guerra civile a bas­ 1 Si vedano, ad esempio, G. c a t a l a n o e M. s c i a l o j a , Guerra civile, in « L ’Espresso», X X I (9 marzo 1 9 7 5 ) , n. 1 0 ; e g . f l e s c a , Prima che scoppi la guerra civile, ivi (2 7 aprile 1 9 7 5 ) , n. 1 7 . 2 Sulla strumentalizzazione presente nelle storie di vita raccontate dagli ex terroristi cfr. le considerazioni di R. c a t a n z a r o , Il sentito e il vissuto. La violenza nel racconto dei pro­ tagonisti, in id . (a cura di), La politica della violenza, il Mulino, Bologna 1 9 9 0 , pp. 2 4 0 sgg. ’ Tale tentativo è stato compiuto sia a destra che a sinistra. Cfr. v. i l a r i , Guerra civi­ le, Ideazione Editrice, Roma 2 0 0 1 («Quaderni della Fondazione Ideazione», 1 ) ; e P. p e r s i c h e t t i e o . s c a l z o n e , Il nemico inconfessabile. Sovversione sociale, lotta armata e stato d ’e­ mergenza dagli anni Settanta ad oggi, Odradek, Roma 1 9 9 9 . 4 Come, ad esempio, lo studio di c. b e r m a n i , Il nemico intemo. Guerra civile e lotte di classe in Italia (1946-1976), Odradek, Roma 2 0 0 3 . ’ M. l a z a r , L ’Italia sulfilo del rasoio, Rizzoli, Milano 2 0 0 9 . Per una critica a quest’im­ postazione cfr. s. l u p o , Partito e antipartito. Una storia politica della Prima Repubblica (19461979), Donzelli, Roma 2 0 0 4 , pp. 3 - 2 3 . 6 Cfr. A. v e n t r o n e (a cura di), L'ossessione del nemico. Memorie divise nella storia del­ la Repubblica, Donzelli, Roma 2 0 0 6 ; e m . l . s a l v a d o r i , Italia divisa. La coscienza tormen­ tata di una nazione, Donzelli, Roma 2 0 0 7 .

Introduzione

5

sa intensità», mutuate dalla filosofia politica e dalla teoria delle re­ lazioni internazionali e utilizzate, in particolar modo, fuori dall’am­ bito scientifico, rischiano di essere riduttive e fuorviami7. Occorre, dunque, «distinguere la guerra civile dal cumulo di tutte le altre manifestazioni di violenza interna»8. Vi è il rischio, altrimenti, di forzare la realtà storica. Come ha scritto recentemen­ te Silvia Giralucci, figlia di Graziano, militante del Movimento so­ ciale, ucciso dalle Brigate Rosse, a Padova, il 17 giugno 1974: «io non credo che ci fosse una guerra civile in atto, semplicemente per­ ché la quasi totalità dei morti che ci sono stati negli anni di piom­ bo non erano armati»’ . Gli anni Settanta, infatti, furono un perio­ do di straordinario progresso sociale e civile, una stagione dell’Ita­ lia repubblicana, come ha scritto recentemente Giovanni Moro, che «vedeva anche albe [...] e non solo tramonti»10. E forse giun­ to il momento, allora, di una lettura che restituisca la complessità di quel decennio, luci e ombre assieme. E pur vero che negli stessi anni si registrarono, su vasta scala, ampi e diversificati fenomeni di violenza politica. Stragi contro ci­ vili, tentativi di colpo di stato, progetti insurrezionali, scontri di piazza e di strada, aggressioni organizzate, pianificazioni di aggua­ ti, financo linciaggi e diverse tipologie di persecuzione individua­ le e collettiva. Com’è stato possibile, allora, che forme estreme di violenza, che si riteneva fossero conseguenza di regimi dittatoria­ li e totalitari, fossero ricomparse in società democratiche come quella italiana? Com’è stato possibile il dispiegamento di cosi tan­ ta violenza in un Paese che pur stava raggiungendo traguardi, mai raggiunti prima, nell’economia, nella cultura, nella scienza e nel mondo del lavoro?11. A queste domande si è tentato di rispondere attraverso la par­ ticolare prospettiva dello scontro fra neofascismo e sinistra extra­ parlamentare. Nella pubblicistica non esiste una ricostruzione spe­ 7 Si veda il libro-intervista di G. f a s a n e l l a a G. p e l l e g r in o , La guerra civile, Rizzoli, Milano 2005. * G. r a n z a t o , Un evento antico e un nuovo oggetto di riflessione, in i d . (a cura di), Guer­ refratricide. Le guerre civili in età contemporanea, Bollati Boringhieri, Torino 1994, p. xxxiv. ’ Non era una guerra civile. Dialogo con Sìlvia Giralucci, in A. c o n c i , p . g r ig o l l i e N. m o s n a (a cura di), Sedie vuote. G li anni di piombo: dalla parte delle vittime. Il Margine, Tren­ to 2008, p. 99. 10 G. m o r o , Anni Settanta, Einaudi, Torino 2007, p. 6. 11 Cfr. le considerazioni di M. g o t o r , a cura di, in A. m o r o , Lettere dalla prigionia, E i­ naudi, Torino 2008, pp. xvi-xvn.

6

Introduzione

cifica di questo tema, sebbene la violenza fra gruppi di estrema de­ stra e di estrema sinistra ricorra come dato costante negli scritti biografici, nelle inchieste giornalistiche e in tutta la vasta lettera­ tura sugli anni di piombo. Ancora più rari sono i riferimenti a que­ sta forma di violenza nella storiografia italiana, che in generale si è occupata poco della violenza politica negli anni Sessanta e Set­ tanta12. Fra i tentativi di trattazione scientifica vanno segnalati gli studi provenienti dalle scienze sociali, con le ricerche di Donatel­ la Della Porta, Raimondo Catanzaro e Sidney Tarrowu. L ’ipotesi che questo lavoro sviluppa è che la violenza diffusa tra la destra e la sinistra estreme non solo ha prodotto il clima all’in­ terno del quale è maturato il terrorismo, ma ha creato le condizio­ ni stesse della sua nascita, attraverso una progressiva militarizza­ zione della lotta politica, volta all’eliminazione dell’avversario. Si è tentato, quindi, di ricostruire la storia di tale scontro, studiando­ ne le ragioni, le dinamiche e le finalità, dando peso ai protagonisti e alle loro scelte, ricostruendo le rappresentazioni, i discorsi e le pratiche della violenza da questi adottati14. Anche per rispondere ad alcuni interrogativi: come la dinamica dello scontro abbia in­ fluenzato le rispettive strategie della violenza, quanto peso abbia avuto la reciproca paura, come la percezione del nemico abbia de­ terminato i repertori d ’azione di volta in volta scelti, e come que­ sti si siano contaminati vicendevolmente. La tensione fra neofascismo ed estrema sinistra è già rintraccia­ bile a metà degli anni Sessanta, quando si profila all’orizzonte la crisi del centro-sinistra. Cosa potrebbe succedere, se cade il gover­ no retto da democristiani e socialisti ? La via di un governo di cen­ tro-destra non è praticabile, visti i precedenti del luglio i960, né tanto meno - è possibile immaginare un coinvolgimento dei comu­ nisti. L ’angosciosa questione sorge in un contesto internazionale se­ gnato dal susseguirsi di rivoluzioni e guerre che incrinano l’ordine mondiale stabilito dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica. Il radi­

11 Un primo bilancio è stato tracciato da B. a r m a n i , Italia anni Settanta. Movimenti, vi lenza politica e rappresentazione storiografica, in «Storica», X I (2005), n. 32, pp. 41-82. 15 Tarrow, in particolar modo, ha sottolineato l’importanza dello scontro fra neofascisti ed estrema sinistra per la nascita del fenomeno terroristico in Democracy and Disorder. Protest and Politics in Italy 1965-1975, Oxford University Press, New York X989, p. 308. 14 Per le diverse metodologie di ricerca cfr. e . Go n z á l e z c a l l e j a , La violencia en política. Perspectivas teóricas sobre el empleo deliberado de la fuerza en los conflictos de poder, Consejo Superior de Investigaciones Científicas, Madrid 2002.

Introduzione

7

calismo di destra e la nascente sinistra extraparlamentare si sento­ no parte di un più vasto conflitto, che coinvolge tutto lo scacchie­ re internazionale. La tensione si acuisce con lo scoppio della prote­ sta studentesca ed esplode dopo le elezioni politiche del 19 maggio 1968. Estrema destra e sinistra extraparlamentare percepiscono la crisi del centro-sinistra come crisi di sistema, e intervengono per radicalizzarla. La violenza diventa, quindi, una scelta, uno strumen­ to di cui si dotano i neofascisti e l’estrema sinistra per esasperare il clima di tensione, messa in pratica prima della strage di piazza Fon­ tana del 12 dicembre 1969. I neofascisti vedono nella sinistra extraparlamentare un’emanazione del Partito comunista, mentre l’estrema sinistra considera i neofascisti l’elemento di un vasto pia­ no presente all’interno della Democrazia cristiana e dello Stato per attuare una svolta autoritaria nel Paese. La violenza si acuisce tra la primavera e l’autunno del 1969, si radicalizza in seguito alle bombe di dicembre e acquista le forme più drammatiche durante le elezioni regionali del giugno 1970. Neofascisti e sinistra extraparlamentare funestano la campagna elettorale, nella quale intervengono, per la prima volta, anche grup­ pi terroristici neri e rossi, determinati a condizionare il voto. I di­ sordini si ripetono in occasione delle elezioni amministrative e re­ gionali del giugno 19 7 1 e durante le elezioni politiche del maggio 1972. Il bilancio è grave: decine di comizi si trasformano in veri e propri momenti di guerriglia, mentre si registrano, da una parte e dall’altra, le prime vittime dello scontro. Le voci circa l’imminenza di un colpo di stato, le notizie sul ten­ tato golpe Borghese del dicembre 1970, i discorsi pubblici dei neo­ fascisti sulla necessità di un intervento dei militari, assieme all’acuirsi della conflittualità sociale e alla degenerazione violenta del­ le manifestazioni di piazza, portano i gruppi extraparlamentari di sinistra e i neofascisti ad adottare repertori d’azione sempre più ra­ dicali. A ll’aumento della tensione politica corrisponde una specia­ lizzazione della violenza, che viene sistematicamente organizzata. L ’ipotesi di un accordo tra la Democrazia cristiana e il Partito co­ munista provoca nel neofascismo e nella sinistra extraparlamenta­ re un effetto di spiazzamento. Di fronte a questo scenario, l’estre­ mismo politico entra in crisi, con un’ulteriore radicalizzazione del­ la violenza. L ’assassinio del commissario Luigi Calabresi, il 17 maggio 1972, e la strage di Peteano, il successivo 3 1 maggio, a ope-

8

Introduzione

ra di una cellula terroristica neofascista, segnano il momento più drammatico di questa fase. I gruppi extraparlamentari di sinistra si spaccano sull’eventua­ lità dell’imminente scontro armato contro lo Stato, ma una parte della base è irrimediabilmente sedotta da questa prospettiva e si av­ vicina ai gruppi terroristi, con i quali ha condiviso la lotta violenta contro i neofascisti. Allo stesso modo, i gruppi della destra radica­ le rimproverano al Movimento sociale, fino a quel momento il loro più importante punto di riferimento, di non aver saputo rompere con il sistema democratico. Il colpo di stato in Cile del settembre 1973 rimette in circolazione l’ipotesi di un intervento dei militari. I neofascisti guardano al Cile come a un modello, mentre la sinistra extraparlamentare, specularmente, ne ricava la lezione che la lotta legalitaria è destinata alla sconfitta, giudicando errata la proposta del compromesso storico tra le forze d’ispirazione cattolica e quel­ le di matrice socialista, avanzata dal segretario del Partito comuni­ sta Enrico Berlinguer. Le stragi del 1974 si abbattono su una na­ zione divisa, reduce dalla prova estenuante del referendum abroga­ tivo della legge sul divorzio. Contrariamente alle previsioni, però, la democrazia italiana ha basi più solide di quanto non ritengano i suoi oppositori. Con tale realtà comincia a fare i conti anche il ter­ rorismo rosso, il cui improvviso aumento del volume di fuoco ha il preciso scopo di innescare un progressivo processo di sfaldamento del tessuto sociale e civile del Paese. La concessione del diritto di voto ai diciottenni, agli inizi del 1975, è prova della vitalità della Repubblica. L ’immissione di una massa di giovani nella vita politica evidenzia, allo stesso tempo, le tante contraddizioni ancora presenti. Una spirale di violenza, con vittime e protagonisti i giovani, precede e accompagna le elezioni regionali, provinciali e comunali del 1975, che vedono il Partito co­ munista avanzare in tutto il Paese. Lo sgretolarsi dei principali grup­ pi della sinistra extraparlamentare, la nascita di nuovi soggetti po­ litici e sociali, il distacco, ormai incolmabile, tra il Movimento so­ ciale e la sua base giovanile, la presenza, soprattutto, di una nuova generazione, che vive in un contesto nazionale e internazionale profondamente mutato rispetto a pochi anni prima, conferiscono allo scontro fra neofascismo ed estrema sinistra altre logiche, altre dinamiche. La narrazione finisce qui, quando si affacciano nuove

Introduzione

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identità e la fenomenologia della violenza diventa molto più com­ plessa del solo scontro fra estremismi. Wolfgang Sofsky ha scritto che la violenza «presenta spesso mol­ teplici aspetti contemporaneamente, anzi, acquisisce la sua dinami­ ca proprio attraverso il reciproco completamento e incremento di questi aspetti. Un unico fatto può essere al tempo stesso razionale ed emozionale»15. In questo lavoro, ho tentato di tener presenti i diversi piani che la violenza tra neofascisti e sinistra extraparlamen­ tare ha chiamato in causa, esaminandone le molteplici espressioni, anche da una prospettiva non esclusivamente storiografica16. Proprio perché si tratta di storia, di una pagina chiusa del no­ stro recente passato, la comprensione di quel periodo è anche nel­ la polifonia delle voci dei diversi soggetti che ne sono stati prota­ gonisti, a noi restituite dai documenti impiegati in questo lavoro. Il lettore non troverà una storia completa della violenza politica nell’Italia degli anni Sessanta e Settanta, né tanto meno la storia esaustiva del neofascismo e della sinistra extraparlamentare, la cui complessità si staglia ben oltre la dimensione della violenza. Ho scelto un punto di vista per cominciare a cercare le radici del ter­ rorismo italiano, una delle pagine più controverse della vicenda re­ pubblicana. Spero che alla fine della storia qui narrata, siano più le domande che le risposte a stimolare la riflessione dei lettori.

s o f s k y , Saggio sulla violenza, Einaudi, Torino 1998, p. 39. “ Sull’interazione con l’antropologia vedi il recente contributo di R. b e n e d u c e , Etno­ grafie della violenza, in Violenza, numero monografico della rivista «Antropologia», V ili (2008), nn. 9-10, pp. 5-47.

15 w .

Capitolo primo Estrem ism o e violenza politica (1966-69)

1. La morte di Paolo Rossi. Come proclamava nel gennaio del 1966 un manifesto dei gio­ vani dell’Unione democratica per la nuova repubblica: Poche centinaia di parassiti annidati nelle segreterie dei vecchi partiti stanno ipotecando il nostro avvenire [...] La loro politica significa per la no­ stra generazione: milioni di lavoratori costretti a cercarsi il pane all’estero mentre le nostre industrie sono soggette a un processo di progressiva colo­ nizzazione da parte del capitale straniero; la scuola, dagli istituti professio­ nali all’università, priva di attrezzature moderne per formare una classe di tecnici capace di portare l’Italia al livello tecnologico europeo; il crollo del costume pubblico e privato che sta minando la serietà e l’onestà negli uffici dello Stato e nelle professioni.

Per risollevare le sorti del Paese era necessario, diceva: [...] spezzare gli argini di questo sistema che tenta ancora di tenerci artifi­ ciosamente divisi sulla base di rancori che non ci riguardano, di ideologie su­ perate e ridotto a puro motivo di speculazione elettoralistica [...] Poniamo una alternativa di generazione a questo sistema ricreando l’unità operante degli italiani su obiettivi di una politica concreta e moderna. Avanti con le nuove generazioni contro i ciarpami dell’Ottocento, contro la corruzione, contro i nemici della libertà1.

L ’Unione democratica per la nuova repubblica era un movi­ mento presidenzialista, fondato nel 1964 da Randolfo Pacciardi2. Al suo interno erano confluiti molti neofascisti scontenti del Mo­ vimento sociale italiano, accanto a giovani e vecchi antifascisti, co­ me Raffaele Cadorna, durante la guerra di Liberazione a capo del 1 II manifesto è riprodotto in 1966: impegno giovanile fuori dal sistema per l'Italia del popolo, in «La Folla», III (16 gennaio 1966), n. 3. 2 Sui movimenti presidenzialisti in Italia vedi R. C h i a r i n i , La fortuna elei gollismo in Italia. L ’attacco alla Repubblica dei partiti, in «Storia contemporanea», X X III (giugno 1992), n. 3, pp. 385-424.

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Corpo volontari della libertà3. Alcuni estremisti di destra prove­ nivano dalle file di Avanguardia nazionale, un’organizzazione ol­ tranzista, scioltasi nel 1965 in seguito a numerosi provvedimenti giudiziari4. In chiave anticomunista si era avvicinato all’Unione democratica anche Gino Bibbi, figura storica dell’anarchismo ita­ liano, legato a Pacciardi fin dai tempi della guerra di Spagna, do­ ve avevano combattuto assieme, conoscendo da vicino il terrore staliniano’ . Non era la prima volta che nella storia repubblicana si intrecciavano appartenenze politiche cosi differenti, con la com­ parsa di movimenti politici e culturali che avevano promosso il superamento delle divisioni portate dalla guerra civile in nome del­ la lotta al comuniSmo, ma la proposta di creare un’« alternativa di generazione» alla «partitocrazia moribonda» introduceva un ele­ mento di rottura più profondo e, assieme, più generalizzato, che travalicava la tradizionale distinzione destra/sinistra6. In linea con questo messaggio Primula goliardica, la sezione uni­ versitaria dell’Unione democratica, partecipò alle elezioni per il rin­ novo dell’organismo rappresentativo degli studenti dell’università di Roma, tenutesi nell’aprile del 1966. Il vecchio associazionismo studentesco era entrato in crisi di fronte all’avvento dell’università di massa, avendo dimostrato di non essere più in grado di rappre­ sentare una realtà in continua crescita7. Una tornata elettorale di routine divenne, cosi, un test di non poca importanza: chi avesse saputo raccogliere il malcontento degli studenti, nell’ateneo con la più numerosa popolazione universitaria d’ Italia, avrebbe ipoteca­ to un capitale politico rilevante. A fine aprile l’atmosfera all’uni­ versità di Roma divenne elettrica, anche perché le votazioni si te­ nevano a cavallo dell’anniversario della festa della Liberazione. L ’anno precedente, il 1965, in occasione del ventennale della Re­ sistenza, vi erano stati gravi episodi di intemperanza politica, quan­ do i neofascisti di Avanguardia nazionale avevano impedito a Fer’ Cuore di Battaglia . Pacciardi racconta a Loteta, Nuove Edizioni del Gallo, Roma 1990, pp. 103-4. 4 acts , Ever. Destra, 1. 15 , X II, pp. 189-94. ’ Dizionario biografico degli anarchici italiani, b f s edizioni, Pisa 2003, p. 182. 4 Emblematico, ad esempio, il caso del movimento Pace e libertà fondato nel 19 5 1 da Edgardo Sogno, ex comandante partigiano e medaglia d’oro della Resistenza, cui aderiro­ no molti ex fascisti in nome della lotta al comuniSmo. 7 Sulla crisi dell’associazionismo studentesco cfr. la raccolta di saggi curata da G. q u a g l i a r i e l l o , La politica dei giovani in Italia, 1945-1968, l u i s s University Press, Roma 2005.

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ruccio Parri di tenere un seminario sull’antifascismo organizzato dall’istituto di storia moderna, e si erano verificati diversi pestag­ gi. La stessa celebrazione della Resistenza non era stata autorizza­ ta dal rettore Ugo Papi8. Le elezioni universitarie del 1966 si cari­ carono cosi di un ulteriore elemento di tensione. La situazione pre­ cipitò il 27 aprile, quando si sparse la voce che erano in corso brogli elettorali. Sulle scalinate della facoltà di Lettere si formò un nugo­ lo di studenti per contestare la validità del voto: scoppiò una rissa, provocata dai giovani di Primula goliardica e dagli studenti di estre­ ma destra, nel corso della quale fu colpito Paolo Rossi, studente so­ cialista di 19 anni, che, appoggiatosi a un muretto, si senti male precipitando a terra. Sarebbe morto poi nella notte, dopo una lun­ ga agonia9. La notizia della morte destò viva impressione in tutto il Paese. Paolo Rossi èra la prima vittima riconducibile alle violenze tra av­ versari politici dalla fine degli anni Quaranta. Le relazioni dei pre­ fetti registrarono un’opinione pubblica assai inquieta, quasi che la morte del giovane socialista avesse ravvivato vecchie lacerazioni. Non di rado emersero insofferenza e risentimento nei confronti dei partiti di sinistra, accusati di aver strumentalizzato la morte dello studente, nonostante fosse stato un giovane socialista a essere vit­ tima della violenza. Ad Arezzo, ad esempio, «la parte benpensante della popolazione», annotò il prefetto, «si è vieppiù convinta della necessità di una continua lotta ideologica contro la menzogna e gli artificiosi sistemi comunisti»10. Diversa la reazione dei giovani, che percepirono, invece, la morte di Paolo Rossi come un fatto inedito e di estrema gravità. A Roma, infatti, gli studenti e una parte dei professori - caso eccezionale - occuparono assieme le facoltà, poi sgomberate nella notte dalla polizia, fatta intervenire dal rettore Ugo Papi. L ’occupazione era una forma radicale di rivendicazione studentesca, più volte utilizzata in passato, ma raramente si erano registrate azioni di protesta di quest’intensità, in una mobilitazio­ ne avvenuta spontaneamente, al di fuori dei circuiti ufficiali dei par­ 8 Episodi analoghi si erano già verificati nel 1952, quando alla Sapienza di Roma era stato aggredito Umberto Colosso, voce degli antifascisti esuli, che durante la guerra tra­ smetteva da Radio Londra. Altre violenze si sarebbero verificate, ai danni di Altiero Spi­ nelli ed Ernesto Rossi, dieci anni dopo, il 26 maggio 1962. 9 L . j a n n u z z i , Le cinque giornate dell'Università, in « L ’Espresso», X II (8 maggio 1966), n. 19. 10 A C S, M I, G AB, 1964-66, b. 368, fase. 16995/6.

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titi e delle rappresentanze studentesche. Fu 1’« occupazione dei 30 e dei 1 10 e lode», come scrisse il quotidiano romano «Paese Sera»11. La decisione delle autorità accademiche di ricorrere alla poli­ zia fu inconsueta e carica di conseguenze: la legge lo consentiva, ma era antica prassi rispettare l’autonomia degli atenei anche in occasione di episodi gravi. In breve tempo, però, gli studenti e una parte dei professori si radunarono nuovamente nella città univer­ sitaria in un comizio cui partecipò Ferruccio Parri - salutato al gri­ do di «Resistenza! Resistenza! ». Ripresero, poi, le occupazioni, che continuarono per alcuni giorni. La rabbia si accompagnò alla frustrazione: «li hai conosciuti anche tu» - recitava uno striscio­ ne esposto nell’università - «Paolo, devi essere l’ultimo»12. La morte di Paolo Rossi si inscrive in un passaggio delicato del­ la storia repubblicana. Da qualche mese, con un governo guidato da Aldo Moro, era stata riconfermata la formula del centro-sinistra organico, tuttavia in deficit di consenso popolare. Nel Pae­ se si preparavano le celebrazioni per il ventennale del referendum del 2 giugno 1946, che in quel frangente rivestivano un significa­ to particolare, in quanto momento di bilancio sui primi vent’anni di vita repubblicana. Non a caso, furono poi funestate dalle mani­ festazioni dei monarchici e dei neofascisti. Paolo Rossi, figlio di partigiani, scout cattolico e militante socialista, sembrava incarna­ re le qualità e le virtù del nuovo corso democratico prefigurato dai teorici del centro-sinistra, di cui divenne simbolo e martire: «avreb­ be compiuto vent’anni insieme alla Repubblica» scrisse Carlo Scaringi sull’«Avanti! »u. L ’indignazione degli studenti portò alla cri­ si le associazioni universitarie di estrema destra, come il f u a n (il Fronte universitario azione nazionale), che pagò il prezzo più alto della mobilitazione antifascista. Ma l’ondata di agitazioni studen­ tesche investi tutte le organizzazioni giovanili di partito, compre­ se quelle di sinistra14. Prevalse chi in quel momento, come la Pri­ mula goliardica di Pacciardi, nonostante le responsabilità per gli eventi che avevano portato alla morte Paolo Rossi, riuscì a inter­

11 È stata ioccupazione dei }o e dei n o e lode, in «Paese Sera», 4 maggio 1966. 12 L. p a o l i c c h i , Deve essere l'ultimo, in «l’Avanti! », 29 aprile 1966. 11 c . s c a r in g i , Era un socialista, un giovane di oggi, iv i, 29 a p rile 1966. 14 Proprio a ridosso della morte di Paolo Rossi chiuse le pubblicazioni «La città futu­ ra», l’organo della Federazione giovanile comunista italiana. Cfr. A. o c c h e t t o , L'ultimo numero della città futura, in «La città futura», III (giugno 1966), n. 17.

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cettare il malumore giovanile o chi, come gli studenti protagonisti delle occupazioni, aveva sperimentato nuove forme di partecipa­ zione politica, al di fuori dei partiti e dell’associazionismo tra­ dizionale. I funerali di Paolo Rossi, cui partecipò l ’intero arco dei part ti costituzionali, furono un’imponente cerimonia civile volta a ri­ badire l’unità delle forze antifasciste e a sancire quella tra le vec­ chie e le nuove generazioni. La bara, avvolta da un drappo nero sul quale poggiava un mazzo di garofani rossi, fu trasportata attra­ verso i viali della città universitaria, affollati da centinaia di per­ sone che in silenzio salutavano con il pugno chiuso. Seguivano le delegazioni dei partiti, dei sindacati e delle associazioni partigiane, in quella che fu una delle ultime occasioni d’incontro fra la po­ litica istituzionale e i giovani, ormai prossimi alla rivolta15.

2. L ’inizio della spirale. Presto si scatenò una ridda di recriminazioni sulla catena di re­ sponsabilità che avevano portato alla morte Paolo Rossi, complici anche le imminenti elezioni amministrative del 12 giugno 1966 che vedevano la città di Roma, guidata, fra l’altro, da una giunta di cen­ tro-sinistra, teatro principale dello scontro politico14. Le polemiche si trasformarono in una querelle sui risultati ottenuti dai socialisti al governo. Gli attacchi più duri vennero dal Partito comunista, ma non mancarono affondi pesanti anche dalla stampa, come quando Eugenio Scalfari, sull’«Espresso», parlò di Paolo Rossi come di un «crisantemo sul letamaio»17. Ai socialisti veniva sostanzialmente rin­ facciato di non aver debellato il neofascismo, né di aver compiuto progressi nel processo di democratizzazione delle forze dell’ordine, anche se, dopo le giornate del luglio i960, e contestualmente alla na­ scita del primo governo di centro-sinistra, si erano susseguite diver­ se iniziative per la messa al bando del Movimento sociale e delle al­ tre organizzazioni neofasciste, risoltesi, però, in un nulla di fatto18.

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15 Presenti tutti i partiti antifascisti, in «l’Unità», 30 aprile 1966. “ M . t e d e s c h i , Elezioni col morto, in «Il Borghese», X V II (5 maggio 1966), n. 18; e t r i v e l l i , I l voto della capitale, in «Rinascita», X X III (21 maggio 1966), n. 2 1. 17 E. s c a l f a r i , Un crisantemo sul letamaio, in « L ’Espresso», X II (8 maggio 1 9 6 6 ) , n. 1 9 . '* Una rassegna dei disegni di legge per la messa al bando dei movimenti neofascisti è

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In realtà, i governi di centro-sinistra erano riusciti, pur tra mol­ te contraddizioni, a incidere sulla gestione dell’ordine pubblico. Dal 27 ottobre 1962, quando, a Milano, durante una manifestazio­ ne in favore di Cuba, la polizia aveva sparato uccidendo lo studen­ te comunista Giovanni Ardizzone, fino al 2 dicembre del 1968, con la morte di due braccianti ad Avola, causata dall’intervento arma­ to delle forze dell’ordine, non si erano registrate vittime19. Un ri­ sultato non eccellente, ma che aveva rappresentato un momento di discontinuità nella gestione dell’ordine pubblico, se commisurato alla moria di manifestanti e di lavoratori degli anni Cinquanta e dei primi anni Sessanta. Le violenze perpetrate dall’estrema destra e la presenza di un partito che si richiamava apertamente al fascismo costituivano, invece, un problema del tutto diverso, e difficilmen­ te risolvibile per via giudiziaria. I governi di centro-sinistra si rive­ larono, cosi, inefficaci nel reprimere adeguatamente i movimenti più violenti e nel neutralizzare le protezioni di cui essi godevano in settori della forza pubblica. Questa contraddizione venne notata da Pietro Nenni, che appuntò sul suo diario come la morte di Pao­ lo Rossi avesse fatto emergere il «vero problema», quello, cioè, «delle complicità» che incontrava il neofascismo, e che Nenni stes­ so indicava nel rettore Ugo Papi e nel commissariato di polizia in­ caricato della sicurezza dell’ateneo di Roma20. L ’ordine pubblico costituiva un nodo inestricabile a causa della struttura stessa del sistema politico italiano, condizionato dalle lo­ giche della guerra fredda e dalla presenza, in alcune componenti degli apparati di sicurezza, di personale formatosi sotto il regime fascista e ostile alle regole del gioco democratico21. Sicché le rela­ zioni tra le forze dell’ordine e l’opposizione di sinistra erano decli­ nate all’insegna della reciproca sfiducia e delegittimazione. Cosi, i tentativi dei governi di centro-sinistra di migliorare la gestione del­ l’ordine pubblico ebbero l’effetto paradossale di far risaltare ancocontenuta in p. s e c c h i a , Lotta antifascista e giovani generazioni, La Pietra, Milano 1973, pp. 61-63. ” D. d e l l a p o r t a e H. r e i t e r , Polizia e protesta. L ’ordine pubblico dalla Liberazione ai «no-global», il Mulino, Bologna 2003, pp. 145-97. ™ p. n e n n i , G li anni del centro-sinistra. Diari 1957-1966, Sugar Edizioni, Milano 1982, p. 625. 11 f . d e f e l i c e , Doppia lealtà e doppio Stato, in «Studi storici», X X X (1989), n. 3, pp. 506-7; e c . p a v o n e , Alle origini della Repubblica. Scritti sul fascismo, antifascismo e conti­ nuità dello Stato, Bollati Boringhieri, Torino 1995, pp. 160-84.

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ra di più il deficit di legittimazione dell’autorità statale. A seconda di chi si colpiva, vi era chi intravedeva il risorgere del fascismo e chi l’ennesimo cedimento al ricatto dei comunisti. Questa dina­ mica risultò chiara nei giorni che seguirono la morte di Paolo Ros­ si. Dapprima venne sostituito il questore addetto alla sicurezza del­ l’università di Roma. Poi, dopo le reiterate proteste, si dimise il ret­ tore Papi, senza passare, tuttavia, attraverso il voto del Senato ac­ cademico, che ne avrebbe riconosciuto l’effettiva responsabilità per i disordini che si erano verificati nell’ateneo. Infine, la morte di Paolo Rossi fu archiviata come accidentale, causata da un malo­ re. Per forza di cose tutti si ritennero in qualche modo scontenti e vittime di un’ingiustizia: i neofascisti, convinti ormai che i sociali­ sti al governo altro non fossero che il cavallo di Troia del p c i ; l ’o­ pinione pubblica moderata, spaventata dalla reazione di piazza che aveva portato alla cacciata di Papi; e quella democratica, che si sen­ tiva umiliata per l’ennesimo atto d’iniquità che aveva segnato la vita civile del Paese22. Gli studenti di destra e di sinistra, inoltre, si accusarono reciprocamente di aver creato nelle università un clima di intimidazione, gli uni e gli altri convinti che lo Stato avesse co­ perto le violenze della controparte23. In quei giorni l’estrema destra e la stampa conservatrice, con in prima fila il «Tempo» di Roma, diedero vita a una vera e propria “battaglia di carta” , volta a mo­ strare le precarie condizioni di salute di Paolo Rossi all’origine del malore che lo avrebbe portato alla morte, cui segui una mole di smentite e d’inchieste, soprattutto da parte degli studenti, in un’an­ ticipazione di quella che sarebbe divenuta la “controinformazione militante” degli anni Settanta24. La mancata individuazione dei responsabili della morte di Pao­ lo Rossi diede l ’impressione, infine, che le istituzioni fossero de­ boli e che fosse possibile ricorrere alla violenza senza troppe con­ seguenze dal punto di vista penale. Fu nei comportamenti assun-

22 Dettagliate cronache degli eventi che seguirono la morte di Paolo Rossi comparve- j ro su diverse riviste: vedi, ad esempio, G. f e r r e t t i e G. p a l a , II problema d e li Università, ■ in «La rivista trimestrale», V (marzo-giugno 1966), nn. 17-18 , pp. 155-58. 21 Fronte universitario di azione nazionale, Verità per un collega morto. Libro bianco del f u a n sulla settimana rossa dell'Università, s.d.; e Prima documentazione sull’attività dei grup­ pi illegali operanti nell'università di Roma, 1 5 maggio 1 9 6 6 , in i r s i f a r , f. Mordenti, b . 3 , fase. 5. 24 Morte accidentale e nessuna percossa. Il referto ufficiale, in «Il Secolo d’Italia», 3 0 apr le 1 9 6 6 ; e Sulla salute di Paolo, in u n u r i , Ricordiamo Paolo Rossi, 2 8 aprile 1 9 6 7 .

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ti delle forze politiche che si percepirono le conseguenze più insi­ diose di queste antinomie. Sia l’estrema destra che, in maniera più larvata, il Partito comunista tesero a sostituirsi alla forza pubbli­ ca, giudicando inefficace la sua capacità di garantire l’ordine. I neofascisti, guidati dai deputati del m s i Giulio Caradonna e R af­ faele Delfino, tentarono un assalto alle facoltà occupate con l’in­ tento di sgomberarle, perché si riteneva che lo Stato fosse ormai «a pezzi» e toccava, quindi, «ad altri uomini il dovere di impedi­ re che tutto finisca sotto l’usbergo della falce e martello»25. Signi­ ficativamente Mario Tedeschi scrisse sul «Borghese» che l ’assal­ to dei missini non era stato un atto di «violenza, ma legittima di­ fesa» delle istituzioni26. Il p c i , a sua volta, stese un cordone di sicurezza attorno alla città universitaria di Roma, mentre la stam­ pa comunista incitò i giovani «a fronteggiare i fascisti», invitan­ do all’autodifesa gli studenti asserragliati nelle facoltà occupate27. Questi ultimi, se si mostrarono pacifici quando vennero sgombe­ rati dalla polizia, altrettanto non lo furono nello scontro con gli avversari: alla notizia di un’incursione di attivisti di destra nella facoltà di Giurisprudenza, come ci restituisce una testimonianza raccolta da «Rinascita», gli studenti si precipitarono «armati di bastoni e di scope» per respingerli28.

3. Presagi. Ciò che affiorò in seguito alla morte di Paolo Rossi fu il crescen­ te peso che, in aree marginali - a latere dei partiti - si era comin­ ciato ad attribuire alla violenza. Questo processo fu evidente dap­ prima nei movimenti giovanili di estrema destra e negli ambienti militari più insofferenti nei confronti del centro-sinistra, maggior­ mente sensibili alla battaglia anticomunista. Settori delle Forze A r­ mate e la destra radicale avevano già avuto modo di incontrarsi du­ rante il convegno organizzato, nel maggio del 1965, dall’istituto 25 Lo Stato in pezzi, in «Il Secolo d’Italia», 5 maggio 1966. 26 M . t e d e s c h i , Elezioni col morto, in «Il Borghese», X V II (5 maggio 1966), n. 18; e R. t r i v e l l i , I l voto della capitale, in «Rinascita», X X III (21 maggio 1966), n. 21. 27 g . p a j e t t a , Il segno della bestialità, iv i (30 a p rile 1966), n. 18. 28 L'occupazione di Lettere. Silvana Mazzocchi, Facoltà di Lettere, anno ni. Dal taccuino di una studentessa, ivi (7 maggio 1966), n. 19.

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Alberto Pollio di studi militari sul tema della “ guerra rivoluziona­ ria” , una locuzione che sintetizzava la nuova strategia sovversiva su scala internazionale attribuita al comuniSmo. I militari inco­ minciarono a esporsi pubblicamente con appelli sulla stampa, che invocavano «estremi rimedi a mali estremi»2’ . Proprio nel 1966 Pi­ no Rauti, leader di Ordine Nuovo, e Guido Giannettini, collabo­ ratore del «Secolo d ’Italia» e agente del Servizio informazioni del­ la Difesa ( s id ) , pubblicarono, sotto pseudonimo, Le mani rosse sul­ le forze armate, un libello che denunciava la capillare penetrazione nelle caserme di tutta Italia dei comunisti, ormai prossimi all’insur­ rezione30. Nelle riviste militari comparvero articoli elogiativi dei “corsi di ardimento” pensati per « fronteggiare esigenze particola­ ri»11. Ad agosto i Nuclei di difesa dello Stato, un’organizzazione clandestina composta da militari e ordinovisti, inviarono centinaia di manifestini a ufficiali delle Forze Armate e della polizia, esor­ tandoli all’azione32. Per l’estrema destra la parola d’ordine diven­ ne «Indonesia, Indonesia», in riferimento al massacro dei comuni­ sti indonesiani voluto da Suharto nel 1965. Più visibile a destra, il processo di attribuzione di peso politico alla violenza cominciò ad avere consistenza anche nei movimenti e nei gruppi che stavano nascendo alla sinistra del p c i . Il riesplode­ re della conflittualità nelle fabbriche, in particolar modo dopo la rivolta di piazza Statuto a Torino del 7 luglio 1962, aveva spinto alcuni intellettuali orbitanti attorno al p c i e al p s i a ritenere che l’u­ tilizzo della «violenza organizzata» stesse per aprire - come scris­ se Mario Tronti in quello che divenne uno dei manifesti program­ matici dell’operaismo - , una «nuova epoca di lotta di classe»33. La galassia marxista-leninista, ispirata dalla rivoluzione culturale cine” Gen. p. f o r m e n t o n i , Non assistiamo passivamente alla disintegrazione dello Stato, in «La Folla», III (27 febbraio 1966), n. 9. w Per la genesi del libello Le mani rosse sulle forze armate cfr. ACTS, Ever. Destra, 1. 15 , X II, p. 148; e ivi, 1. 30, X III, p. 48. Lo pseudonimo usato fu quello di “ Flavio Mes­ sala” . Alla stesura partecipò anche Edgardo Beltrametti, uno degli animatori del convegno dell’istituto Pollio sul tema della guerra rivoluzionaria. Per un profilo biografico di Guido Giannettini cfr. m . f r a n z i n e l l i , La sottile lìnea nera. Neofascismo e servizi segreti da Piazza Fontana a Piazza della Loggia, Rizzoli, Milano 2008, p. 4 15 ; e l’inchiesta della giornalista M. p a c e , vicina a Giannettini, Piazza Fontana.L'inchiesta parla Giannettini, Armando Curcio Editore, Roma 2008, pp. 23-27. " Ten. col. e . r e b e c c h i , Guerriglia e controguerriglia, in «Rivista Militare», C XI (gen­ naio 1966), n. 1. ” ACTS, Ever. Destra, 1 . 1 5 , X III, pp. 8 7-9 7. ” M . t r o n t i , Lenin in Inghilterra, in «Classe Operaia», I (1964), n. 1.

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se, pose l’impiego della violenza al centro della propria teoria e stra­ tegia politica, in contrapposizione al Partito comunista giudicato, ormai, irrimediabilmente compromesso con la democrazia parla­ mentare. Il 14 ottobre 1966 - stesso mese e giorno di fondazione del Partito comunista italiano - nasceva a Livorno il Partito comu­ nista d ’Italia (marxista-leninista): un ritorno alle origini che non ri­ mase solo sul piano simbolico, ma che ebbe conseguenze anche sul piano organizzativo. In concomitanza con l’articolarsi dei movi­ menti marxisti-leninisti, al di là delle distinzioni che caratterizza­ vano ogni singolo gruppo, si registrarono le prime forme di “ clandestinizzazione” di alcuni gruppi di militanti, sul modello cospira­ tivo adottato dai comunisti sotto il fascismo54. La Federazione marxista-leninista d ’Italia, in questa prospettiva e in previsione del­ le future lotte, promosse l’incontro con gli ex partigiani per la «ri­ presa d ’idee, di impegni organizzativi, di scuola destinata ai giova­ ni»55. Fu attivata, inoltre, la «vigilanza rivoluzionaria», espres­ sione con la quale si indicava l’adozione di particolari misure di si­ curezza36. Vi era in queste decisioni una componente di fanatismo, ma non tutto era frutto di fissazione. Nel gennaio del 1966, proprio a Livorno, la polizia fermò alcuni attivisti di Avanguardia nazio­ nale intenti ad affiggere manifesti che attaccavano duramente il p c i e incitavano alla rivoluzione. L ’operazione, conosciuta nelle cronache giudiziarie con il nome «manifesti cinesi», fu ripetuta nel 1968 a Roma e a Mestre da Ordine Nuovo, per gettare discre­ dito sulla sinistra extraparlamentare37. 1 timori dei gruppetti marxi­ sti-leninisti, dunque, non erano del tutto infondati, anche perché l’iniziativa dell’estrema destra trovò qualche complicità nelle for­ ze dell’ordine. C ’è da chiedersi, tuttavia, vista la crescente estre­ mizzazione ideologica, quali fossero i reali margini di provocazio­ ne. Molti erano stati i segnali di radicalizzazione della violenza in circostanze di scontro aperto: a Genova e a Trieste, ad esempio, “ f . o t t a v ia n o , La rivoluzione nel labirinto. Sinistra e sinistrismo dal 1965 agli anni Ot­ tanta, Rubbettino, Soveria Mannelli 1993, parte I, Critica al revisionismo e nuova sinistra, p. 144. ” Propositi di programma politico della Federazione dei gruppi marxisti-leninisti d ’Italia, in «Rivoluzione proletaria», I (settembre 1966), n. 1. “ Contro le prevaricazioni poliziesche la vigilanza rivoluzionaria, in «Gioventù Rivolu­ zionaria», I (giugno-luglio 1965), n. 2. ” Testimonianza di Martino Siciliano, in Sentenza Rognoni, cap. xxiv, p. 172.

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durante le manifestazioni di protesta per la chiusura di alcuni sta­ bilimenti, scoppiarono gravi incidenti, durante i quali fecero la comparsa i gruppi marxisti-leninisti con barricate e utilizzo di bot­ tiglie molotov, e di li a qualche mese nacque il «Soccorso rosso» per i militanti arrestati nel corso degli scontri di piazza58. E bene notare che queste iniziative, cosi come quelle dei neo­ fascisti, furono prese in via preventiva nel clima di aspra conflit­ tualità sociale che stava montando nel Paese, pur in un quadro istituzionale di sostanziale legalità e di rispetto dei diritti civili. La violenza, infatti, cominciò a essere organizzata dai gruppi di estre­ ma destra e di estrema sinistra in previsione dello scontro con il si­ stema democratico. A muoversi furono piccole minoranze, inizial­ mente troppo marginali per incidere sul quadro politico, ma porta­ trici di un messaggio radicale, basato sulla violenza quale mezzo più efficace e più rapido per modificare i rapporti di potere. Un messaggio che si propagò con grande rapidità, riscrivendo allean­ ze, infrangendo tradizioni, ed esercitando una notevole capacità d’attrazione nei confronti della base dei partiti, primi fra tutti il Movimento sociale e il Partito comunista59. La comparsa di Primu­ la goliardica nell’ateneo romano ne era stata una dimostrazione, i A ll’estrema sinistra, la ripresa delle correnti rivoluzionarie signi- i fico la temporanea sospensione della battaglia antifascista seguita alla morte di Paolo Rossi e la rottura dei vecchi equilibri. « L ’anti- ¡ fascismo non rappresenta più la discriminante», si poteva leggere su «Mondo Nuovo», l’organo del Partito socialista di unità prole­ taria che da poco si era scisso dal p s i , e in quel frangente cassa di risonanza della nascente sinistra extraparlamentare, che conclude­ va: «molti di coloro che sono stati accanto a noi in questi giorni e ai quali noi siamo stati vicini possono rivelarsi nemici o infidi com­ pagni di strada»40.

Con gli operai di Genova e Trieste, in «Gioventù Marxista-Leninista», I (novembre 1966), n. 4. ” I ra p p o rti d e lle q u e s tu r e , ad e s e m p io , stim a v a n o a 1 2 0 0 0 i s im p a tiz z a n ti d e i g ru p ­ p i m a rx is ti-le n in is ti a ll’ in te rn o d e l PCI; a c s , m i , g a b , 1 9 6 6 - 6 7 , b . 3 , fa s e . 1 6 1 / P / 4 6 .

40 Si chiude nel teppismo il capitolo neofascista, in «Mondo Nuovo», V ili (8 maggio n. 1 9 .

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4. La dimensione intemazionale della violenza. Nel 1967 l ’intensificazione del conflitto in Vietnam, la guerra arabo-israeliana dei Sei giorni e il diffondersi dei movimenti guer­ riglieri in America Latina spinsero i gruppi di estrema sinistra e i movimenti studenteschi a riformulare il tema della lotta contro l’imperialismo statunitense, cosi come era stato tradizionalmente impostato dal movimento operaio e dal Partito comunista41. Ven­ ne dato molto spazio alla violenza, esaltata come possibile accele­ ratore dei processi economici e sociali. La questione non era cer­ to nuova (anzi, aveva attraversato la storia del marxismo), ma il suo ripresentarsi costituì una svolta, perchè 1’ “ equilibrio del ter­ rore” imposto dagli armamenti nucleari degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica aveva in passato spinto l’estrema sinistra a ritene­ re che la rivoluzione in Europa non fosse possibile per il rischio di una disastrosa reazione a catena a livello internazionale. Con il proliferare di guerre e crisi che dalla seconda metà degli anni Cin­ quanta avevano coinvolto l’Asia, l ’Africa, il Medio Oriente e l’A ­ merica Latina, questa convinzione venne invece meno. In particolar modo, la soluzione della crisi missilistica di Cuba nell’otto­ bre del 1962 aveva dimostrato come l’antagonismo tra i due bloc­ chi non dovesse risolversi necessariamente in un conflitto nuclea­ re. Cosi, nella seconda metà degli anni Sessanta, l ’esplodere della contestazione studentesca in Europa e in Nordamerica si accom­ pagnò al convincimento che la rivoluzione fosse realizzabile anche nel cuore dell’Occidente. Si consolidò l’idea, filtrata attraverso la traduzione dei testi della rivoluzione algerina e cubana e della guer­ riglia vietnamita, che la superiorità schiacciante delle superpoten­ ze, in termini di tecnologia e capacità militari, non fosse un deter­ rente sufficiente per arginare i movimenti rivoluzionari. Questi avrebbero dovuto coordinarsi, dando vita a un nuovo internazio­ nalismo proletario, cosi da incrinare la coesistenza pacifica tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, e nel contempo promuovere un’u­ nica strategia insurrezionale su scala globale: «creare uno, due, molti Vietnam», come aveva scritto Ernesto “ Che” Guevara nel

41 Su questo cfr. A. g u is o , La colomba e la spada: lotta per la pace e antiamericanismo nella politica del Partito comunista italiano, Rubbettino, Soveria Mannelli 2006.

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suo testamento politico. La fiducia nella rivoluzione nacque dal ri­ tenersi parte integrante di un movimento mondiale42. «Se ti giri, se volti l ’angolo e guardi bene», si leggeva in un manifestino distribuito il 14 ottobre 1967 dalla federazione del p s i u p di Man­ tova, «500 milioni di indiani, 250 milioni di latino-americani e molti milioni di neri ti aspettano al varco»43. Scrisse Adriano Sofri sul «Potere operaio» di Pisa: Ciò che avviene e ciò che avverrà nel Sud Est dell’Asia ci riguarda tutti in prima persona perché il loro nemico è il nostro nemico, perché la loro schia­ vitù macchiata di sangue è la nostra schiavitù travestita di democrazia e di progresso44.

Il colpo di stato in Grecia del 21 aprile 1967 e le rivelazioni del­ la stampa sui progetti golpisti del generale Giovanni De Lorenzo furono interpretati, infine, come la conferma del carattere globale dello scontro in atto e dello spostarsi del suo baricentro in Europa. L ’estrema destra condivise una visione speculare e opposta de­ gli scenari internazionali. Si leggeva, ad esempio, su «Noi Euro­ pa», l’organo dell’Ordine Nuovo: «Due milioni di europei sono sta­ ti espropriati, espulsi, accompagnati via a calci in tutto il Medio Oriente e nel nord Africa negli ultimi quindici anni, in Siria, in Ma­ rocco, in Tunisia, in Libia e in Egitto e nessuno ha detto niente»45. Negli ambienti neofascisti erano filtrate le teorie polemologiche sul­ la “guerra rivoluzionaria” , formulate dagli ambienti militari fran­ cesi e statunitensi. Dopo i traumi seguiti alle guerre d ’Indocina e d ’Algeria, le Forze Armate occidentali avviarono una riflessione sulle ragioni della sconfitta di eserciti tecnologicamente evoluti a opera di movimenti guerriglieri prevalentemente contadini e male armati46. La superiorità dei guerriglieri Viet Minh e di quelli alge­ rini venne attribuita all’evoluzione della strategia bolscevica di con­ quista del potere47. La “guerra rivoluzionaria” veniva descritta co­

42 M . r e ve l l i , Movimenti sociali e spazio politico, in Storia d e li Italia repubblicana, E naudi, Torino 1995, voi. II, La trasformazione d e li Italia: sviluppo e squilibri, tomo il, Isti­ tuzioni, movimenti, culture, p. 388. 4> ACS, M I, GAB, 1 9 6 7 - 7 0 , b . 4 9 , fa se . IIO 2 O -19 .

44 II Vietnam e noi, in «Il Potere Operaio», I (7 giugno 1967), n. 2. 45 Israele: vittoria senza ali. Quando la guerra è sacrosanta, in «Noi Europa», II (20 lu­ glio 1967), n. 50. 46 g . c h a l ia n d , Strategie politique et militaire de la guerre révolutionnaire, in i d . (a cura di), Les guerres irrégulières. xx-xxisiècles, Gallimard, Paris 2008, pp. 17-64. 41 e . d e b o c c a r d , Lineamenti ed interpretazione storica della guerra rivoluzionaria, in L guerra rivoluzionaria. Atti del primo convegno promosso ed organizzato dall’istituto Alberto

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me una guerra scatenata dal comuniSmo internazionale contro l’Occidente: un conflitto che non conosceva limiti e che poteva pren­ dere qualsiasi forma, mimetizzandosi in ogni tipo di lotta, anche pacifica e non violenta. Scrisse nel 1963 Clemente Graziani, uno dei leader di Ordine Nuovo: Occorre cioè capire che l’obbiettivo essenziale della lotta non è più costi­ tuito dal possesso del territorio o dal controllo del campo di battaglia, ma dal­ la conquista delle masse".

Era necessario, quindi, adottare gli stessi metodi attribuiti agli avversari, innescando, in tempo di pace, un conflitto totale, dove il confine tra guerra regolare e irregolare, tra militari e civili anda­ va annullato. Concludeva Graziani, riferendosi alle stragi dei civi­ li algerini perpetrate dall’oAS, un’organizzazione militare segreta oltranzista che si oppose alla decisione del governo francese di con­ cedere l’indipendenza all’Algeria: Questo concetto implica la possibilità di uccidere, vecchi, donne, bam­ bini. Queste forme d’intimidazione terroristica sono, oggi, non solo ritenu­ te valide, ma, a volte, assolutamente necessarie per il conseguimento di un determinato obiettivo".

Non tutto il radicalismo di destra sposò una linea cosi oltranzi­ sta, ma l’analisi della situazione internazionale era condivisa da lar­ ghi settori del neofascismo. L ’avanzata su scala globale del nemico comunista imponeva, infatti, il “ serrate le file” di tutto l’Occidente. Tale constatazione comportò significative inversioni di tenden­ za e l’emergere di una complessa articolazione di orientamenti e po­ sizioni ideologiche. La molteplicità di indirizzi politici e culturali era sempre stata una caratteristica del neofascismo fin dal secondo dopoguerra, soprattutto in rapporto all’atteggiamento da tenere nei confronti degli Stati Uniti50. Nella seconda metà degli anni Sessan­ ta l’aggravarsi della situazione internazionale introdusse, però, ulteriori elementi di diversificazione. Dopo Vescalation del conflit­ to in Vietnam, ad esempio, Ordine Nuovo, il movimento di estre­ ma destra più ostile alla politica estera statunitense, avrebbe indi­ cato nei marines americani i «nuovi centurioni» della lotta al comuPollio di studi storici e militari svoltosi a Roma nei giorni 3, 4, e 5 maggio 1965 presso iH o ­ tel Parco dei Principi, Giovanni Volpe Editore, Roma 1965, p. 2 1. " La guerra rivoluzionaria, in «Quaderni di Ordine Nuovo», I (aprile 1963), n. 1, p. 8. 49 Ivi, p. 15. 50 G. p a r l a t o , Fascisti senza Mussolini. Le origini del neofascismo in Italia, 1943-1948, il Mulino, Bologna 2006, pp. 76-116.

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nismo. Qualche anno più tardi Adriano Romualdi, uno degli intel­ lettuali di punta dell’area ordinovista, scrisse, addirittura, dell’«antiamericanismo» come «malattia infantile del movimento naziona­ le europeo»51. Non mancarono, tuttavia, posizioni di segno oppo­ sto, come quella dell’«Orologio», un periodico eretico, erede della tradizione critica del fascismo di sinistra, schieratosi dalla parte dei vietcong, o come quella di Avanguardia nazionale, sostenitrice del­ la guerriglia algerina quando in Francia era a capo del governo il so­ cialista Guy Mollet52. La guerra dei Sei giorni e il diffondersi di mo­ vimenti guerriglieri in Medio Oriente (sostenuti dall’estrema sini­ stra) portarono gran parte della destra estrema a sposare la causa d ’Israele, nonostante il permanere nel neofascismo di una tensio­ ne antisemita di fondo53. Scrisse Giano Accame sul «Borghese» nel giugno del 1967: La guerra d’Israele è stata al tempo stesso una guerra modernissima e una guerra santa [...] La chiave del suo spettacoloso successo è tutta qui: nella po­ sitiva fusione d’antico e moderno che ha permesso di utilizzare tecniche ag­ giornatissime senza perdere in cambio la forza che viene dalla tradizione” .

Sia nella stampa di estrema sinistra sia in quella di estrema de­ stra si diffuse dunque la tendenza a leggere i conflitti internazio­ nali come i segni di un’imminente deflagrazione planetaria. In particolar modo le tensioni che attraversavano le società occidentali furono interpretate come i prodromi della crisi irreversibile di tut­ ti i sistemi democratici. La conflittualità politica e sociale venne progressivamente descritta impiegando la metafora della “ guerra interna” o della “ guerra civile” , figure che ricorrevano spesso an­ che nella stampa non estremista55. Le tensioni razziali negli Stati Uniti, i disordini nei ghetti neri di Los Angeles e di Detroit, l ’uc­ cisione di Malcolm X nel 1967 e l’assassinio di Martin Luther King

51 A. r o m u a l d i , L ’Occidente e i limiti d e li occidentalismo, in «Ordine Nuovo», I (ma gio-giugno 1970), n. 2. ” Su quest’ultimo aspetto cfr. l’audizione di Stefano Delle Chiaie in c t s , X X III, n. 64, voi. II, tomo 11, 16 luglio 1997, p. 467. ” A. M . Di n o l a , Antisemitismo in Italia, 1962/1972, Vallecchi, Firenze 1973; e G. s. r o s s i , La destra e gli ebrei. Una storia italiana, Rubbettino, Soveria Mannelli 2003. 54 G. ACCAME, Guerra santa e vittoria maledetta, in «Il Borghese», X V III (2 2 giugno 1967), n. 25. ” Si vedano, ad esempio, gli articoli di i>. P. P a s o l i n i , La guerra civile, in «Paese Se­ ra», 18 novembre 1966; e di G. p r e z z o l i n i , La guerra civile in America è vecchia di duecen­ to anni, in «Il Borghese», X V III (io agosto 1967), n. 32, entrambi dedicati alle rivolte nei ghetti neri americani.

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nell’aprile del 1968, con la serie di rivolte urbane che ne consegui­ rono e l’impiego dell’esercito per reprimerle, furono letti come l’i­ nizio di un conflitto intestino che avrebbe sconvolto l’America, diffondendosi, poi, in tutto l’Occidente. Fu soprattutto l’estrema destra a leggere negli avvenimenti americani non solo una perico­ losa spinta degenerativa, ma anche i segni di realizzazione della “ guerra rivoluzionaria” , che era riuscita a colpire persino nel cuo­ re dell’impero avversario. Di qui l ’urgenza di riproporre in Italia i repertori d’azione adottati dai movimenti segregazionisti, come l’American Independent Party di George Corley Wallace, e dalle leghe di cittadini bianchi che nelle città teatro degli scontri raz­ ziali si erano armati dando vita a gruppi di autodifesa e di contro­ mobilitazione56.

5. I riti di colpevolizzazione del nemico. Di fronte all’evocazione di questi scenari, il movimento antim­ perialista italiano - complice anche il brutale comportamento del­ le forze dell’ordine in occasione delle manifestazioni di piazza fu attraversato da contrasti e lacerazioni circa la capacità delle azio­ ni non violente di influenzare l’andamento delle guerre e di risol­ vere i conflitti presenti nella società. Questo passaggio fu segnato da una più accentuata critica nei confronti della democrazia e dal rilancio dell’ipotesi rivoluzionaria, in un processo contraddistinto dal rapido esaurirsi dell’ideologia pacifista e della pratica della non violenza, e dall’emergere di un discorso pubblico, opera di gruppi di estrema sinistra, sulla legittimità del ricorso all’impiego della forza e financo della lotta armata. Un travaglio, questo, condivi­ so dal resto dei movimenti pacifisti europei e nordamericani, tra i quali cominciò a farsi largo la dottrina della rivoluzione armata e della guerriglia rivoluzionaria contro l’imperialismo57. In Italia le manifestazioni pacifiste assunsero una fisionomia particolare, a causa della presenza massiccia del Partito comuni­ sta. In coincidenza con l ’offensiva statunitense contro la zona smi­ Wallace forse una sorpresa, in «Noi Europa», III (luglio 1968), n. 3. Bringing thè War Home. The Weather Underground, thè Red Army Faction and Revolutionary Violence in thè Sixties and Seventies, University of California Press, Ca­ lifornia 2004, pp. 113-50. 56 M.

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varo n ,

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litarizzata del Vietnam del Nord, del colpo di stato in Grecia e delle rivolte nei ghetti neri delle metropoli americane, il PCI diede vita a un’imponente mobilitazione contro la politica estera u s a e la presenza delle basi n a t o sul territorio nazionale - la più impor­ tante occasione di impegno collettivo e di “ socializzazione” alla politica per le nuove generazioni assieme a quella della rivolta stu­ dentesca. Le manifestazioni videro partecipare migliaia di perso­ ne, e non di rado sfociarono in momenti di forte tensione, anche simbolica, come quando a Roma, a fine maggio del 1967, una gran­ de folla, con le bandiere rosse e nordvietnamite, circondò l’amba­ sciata americana, a sua volta protetta da centinaia di poliziotti in tenuta antisommossa58. I gruppetti marxisti-leninisti e quelli operaisti s’inserirono nel la mobilitazione del Partito comunista, spesso trovando nella base di quest’ultimo un terreno favorevole per far filtrare parole d’ordi­ ne che inneggiavano alla radicalizzazione della lotta contro l’impe­ rialismo statunitense. Nei giornali di estrema sinistra si diffuse una vera e propria “ estetica della violenza” : sulle copertine delle riviste, le icone tradizionali del movimento comunista furono affiancate, sempre più spesso, dai mitra e dalle armi dei guerriglieri che opera­ vano in America Latina, Asia e Medio Oriente, assieme alle imma­ gini dei soldati americani feriti, uccisi o messi in fuga dai vietcong. Ma il discorso sulla violenza fu alimentato anche attraverso testi, come quelli di Vò Nguyen Giap sulla guerra di popolo in Vietnam, o di Ernesto “ Che” Guevara, sulla tecnica della guerriglia, pubbli­ cati in riviste non appartenenti all’area extraparlamentare, come «Rinascita», «Mondo Nuovo» o i «Quaderni Socialisti» del p s iu p 5’ . In un crescendo di radicalizzazione ideologica, il dibattito attorno all’interpretazione del leninismo, intrapreso dalla sinistra extrapar­ lamentare in polemica con il p c i - dibattito particolarmente acceso nel 1967, per la ricorrenza del cinquantesimo anniversario della Ri­ voluzione d’ottobre - fini con il divenire un’apologia della guerra civile rivoluzionaria, in nome dell’ortodossia leninista e dell’ideo­ logia terzomondista, come fine ultimo della rivoluzione mondiale in corso. Cosi, già nel 1967 il Partito comunista dovette interveni-

18 Un ingente schieramento di polizia fronteggia migliaia di dimostranti che circondano l'am basciata u s a , in «l’Unità», 20 maggio 1967. ” Si veda, ad esempio, v. n g u y e n g i a p , Guerra di popolo. I punti deboli di un nemico potente, in «Quaderni Socialisti», II (30 marzo 1966), n. 1.

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re per condannare una «visione demiurgica della lotta armata, che in sé, per il suo semplice esistere fisiologicamente, anche solo a ope­ ra di ristrettissime avanguardie, agirebbe da elemento dirompente di situazioni difficili e complesse che il movimento politico sareb­ be impotente a fronteggiare»60. Presto le manifestazioni antimperialiste videro i primi scontri di piazza fra gli extraparlamentari e i servizi d ’ordine del P C I, all’interno del quale divenne sempre più marcata la preoccupazione per la fronda che stava montando alla sua sinistra. I gruppi di estrema sinistra, tuttavia, potevano conta­ re sull’ambiguità dei messaggi contenuti nella stessa propaganda dei comunisti. «Hanno assassinato Che Guevara. Si levino altre mani. Per impugnare le sue armi», recitava, ad esempio, un volantino di­ stribuito a Udine, il 17 ottobre del 1967, dalla locale federazione del Partito comunista, in seguito alla notizia della morte di Ernesto “Che” Guevara per mano dell’esercito boliviano61. Qualche giorno dopo, il 30 ottobre, a Milano, la Federazione giovanile comunista ( f g c i ) organizzò un corteo che parti da Sesto San Giovanni e si diresse a piazzale Loreto, dov’era in programma un comizio contro la politica estera degli Stati Uniti. Alla testa del corteo i giovani trasportarono, quasi a voler inscenare una proces­ sione, un fantoccio rappresentante un guerrigliero sudamericano crocifisso, che recava al collo un cartello con su scritto «L. B. John­ son»62. L ’esposizione di un «corpo amico», pur sotto forma di un manichino, richiamava la dimensione mitologica e religiosa del sa­ crificio e alludeva alla simbologia salvifica del martirio63. Il cartel­ lo sul collo del fantoccio trasportato dai giovani della f g c i , con il nome di Lyndon B. Johnson, fautore dell’escalation militare nel Vietnam del Nord - e del sostegno ai regimi militari del Perù, San­ to Domingo e Bolivia - , testimoniava però una duplice valenza di significato, perché evocava il nemico assoluto, catalizzatore del ma­ le e del sangue versato da vendicare64. La scelta di piazzale Loreto come luogo conclusivo della manifestazione indetta dalla f g c i mi­ lanese ricopriva, infatti, un profondo significato simbolico. Piaz“ r . l e d d a , Lotta armata e guerriglia, in «l’Unità» (ediz. speciale), 5 giugno “

a c s , m i, g a b,

19 6 7 .

1 9 6 7 - 7 0 , b . 4 9 , fa se . 1 1 0 2 0 - 1 9 .

“ Ivi, b . 5 2 , fa se . 1 1 0 2 0 - 8 1 - 4 8 . “ G. d e l u n a , Il corpo del nemico ucciso. Violenza e morte nella guerra contemporanea, Einaudi, Torino 2006, p. 43. 64 r . Gir a r d , La violenza e il sacro, Adelphi, Milano 2 0 0 8 , p. 3 1.

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zale Loreto era stato teatro, durante la guerra, della fucilazione e dell’esposizione di quindici antifascisti trucidati dai repubblichini il io agosto 1944, e della vendetta popolare contro i corpi di Mus­ solini, di Claretta Petacci e degli altri gerarchi fascisti all’indoma­ ni della Liberazione65. La sfilata in un luogo cosi denso di signifi­ cati - un crocevia di memorie opposte, quella del martirio degli an­ tifascisti e, al contempo, dello scempio dei cadaveri fascisti sembrava voler proporre una comunione di destini tra i vecchi e i nuovi rivoluzionari, cosi come tra i vecchi e i nuovi oppressori. Mol­ te manifestazioni che seguirono la morte di Ernesto “ Che” Guevara, non a caso, terminarono con cerimonie celebrate nei luoghi della memoria della Resistenza, con la deposizione di fiori e comi­ zi di fronte alle lapidi o ai cippi commemorativi dei partigiani caduti66. Nel volgere di pochissimo tempo, nelle manifestazioni antimperialiste cominciarono a diffondersi comportamenti che mimavano o riproducevano atti violenti, come il rogo della bandiera statuniten­ se o sudvietnamita e di fantocci con addosso le divise dei marines, o il lancio di sacchetti di vernice rossa contro gli edifici delle rappre­ sentanze diplomatiche e commerciali americane, a simboleggiare il sangue versato dai popoli soggetti all’imperialismo67. Si trattava di veri e propri «riti di colpevolizzazione del nemico», volti a sancire la «rottura tra tempo di pace e tempo di guerra»68. Queste azioni gio­ carono un ruolo fondamentale nella socializzazione della violenza, anche perché, lungi dal rivestire un valore puramente simbolico, i ri­ ti di colpevolizzazione avevano un significato intimidatorio: ciò che si colpiva non era il valore materiale delle cose, ma quello affettivo, intimo dell’avversario69. La comparsa sui muri delle scuole, delle uni­ versità e delle fabbriche di slogan violenti - «Guerra no, guerriglia si», «Vietnam vince perché spara», «Il Vietnam è in fabbrica» - e il loro ripetersi in maniera ritmata durante i cortei costituirono anch’essi la manifestazione di un’ostilità ritualizzata70.

65 s. l u z z a t t o , I l corpo del duce, Einaudi, Torino 1998, p p . 60-64. “ a c s , M i, g a b , 1967-70, b. 49, fase. 11020-35. " Ivi, b. 52, fase. 11020-81-48. 68 F. f o r n a r i , Psicoanalisi della guerra, Feltrinelli, Milano 1970, p . 42. M w . s o f s k y , Il paradiso delle crudeltà, Einaudi, Torino 2001, p . 106. 70 E. p. T h o m p s o n , Rough music: lo charivari inglese, in id ., Società patrizia, cultura pl bea. Otto saggi di antropologia storica sull’Inghilterra del Settecento, Einaudi, Torino 19 81, pp. 137-44.

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Il passaggio alla violenza fu breve. Dai sit-in non violenti si ar rivò agli assalti all’ambasciata americana e alla ricerca dello scon­ tro deliberato con la polizia, con la comparsa, nelle manifestazio­ ni, di piccoli gruppi capaci di attaccare le forze dell’ordine con la tecnica del “ mordi e fuggi” 71. I settori più estremi del movimento antimperialista cominciarono a proporre il salto di qualità verso forme di lotta che sancissero una rottura radicale con i repertori pacifici adottati fino a quel momento. «Quaderni Piacentini», ad esempio, pubblicò stralci del pamphlet del rivoluzionario anarcobolscevico Victor Serge, I l problema d e li illegalità. Semplici consì­ gli ai militanti, un piccolo manuale che insegnava le regole della clandestinità, e che sarà preso a modello dalla sinistra extraparla­ mentare nei primi anni Settanta” . In un testo della IV Internazio­ nale trockijsta si raccomandava, addirittura, la «clandestinizzazione di massa», in previsione dell’ondata repressiva che si pensava stesse per abbattersi su scala mondiale71. Si trattava di idee soste­ nute da esigue minoranze, è vero, di provocazioni intellettuali che avevano scarso seguito in quel momento, ma la circolazione di un discorso pubblico sulla violenza travalicò i confini ristretti dei grup­ pi extraparlamentari o delle sette marxiste-leniniste per allargarsi ai movimenti studenteschi. «Sempre più [si] avverte l’esigenza di colpire in modo diretto ed efficace l ’imperialismo e tutto ciò che lo rappresenta», era scritto su un articolo pubblicato da «La Sini­ stra», una rivista di area, che, dopo aver salutato come segni del nuovo internazionalismo proletario una serie di attentati dimostra­ tivi contro le ambasciate boliviana e greca a Bonn e contro quella venezuelana presso la Santa Sede, proseguiva: «la violenza che gli yankee scatenano in ogni parte del mondo [...] minaccia di ritor­ cersi contro di essi come un boomerang»74. 71 ACS, M I, GAB,

1 9 6 7 - 7 0 , b. 53, fase. I IO 2 O -8 1-6 9 . 11 In «Quaderni Piacentini», VII (febbraio 1968), n. 33. ” j. po sa d a s , I problemi della clandestinità in questa fase del corso mondiale della rivolu­ zione socialista. L ’imperialismo è il clandestino perché è assediato dalla rivoluzione socialista mondiale, Edizioni Rivista Marxista Europea, 1967, in a p c , mf. 0544, p. 2132. 74 Ambasciate e bombe, in «La Sinistra», II (novembre-dicembre 1967), nn. n - 1 2 .

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6. Lo scontro fra estrema destra ed estrema sinistra nell’anno de­ gli studenti. Agli inizi del 1968 l’aria nel Paese era già tesa, complici il cli­ ma d ’intolleranza creatosi attorno alla contestazione studentesca e la sterzata repressiva del governo nei confronti delle occupazio­ ni universitarie, cui si era assistito nell’ultimo scorcio del 1967, dopo lo sgombero di Palazzo Campana a Torino. V i erano poten­ zialmente tutte le premesse per uno scontro frontale tra i movi­ menti studenteschi, la nascente sinistra extraparlamentare e i neo­ fascisti, che erano stati quasi scalzati fuori dall’università all’ini­ zio della contestazione. Sbaglierebbe, però, chi volesse vedere lo scontro fra la destra e la sinistra estreme come una conseguenza logica, quasi ineluttabile, degli eventi. Bisogna “ sciogliere” , infat­ ti, l ’anno 1968, ripercorrendone le diverse scansioni, per accor­ gersi che lo scontro non era affatto scontato, o almeno non lo era nelle forme e nelle proporzioni che lo avrebbero caratterizzato ne­ gli anni seguenti75. Innanzitutto, alcuni contenuti della protesta - la critica alla de­ mocrazia, il protagonismo generazionale, la contrapposizione ai par­ titi - esercitarono una forte attrazione nei confronti dei giovani neofascisti, un gran numero dei quali passò nel movimento studen­ tesco e da qui nelle file della sinistra extraparlamentare. Aspetto, questo, che non è ancora emerso in tutta la sua importanza, e che certo non può essere spiegato solamente con l’infiltrazione - che pure vi fu - di elementi in contatto con i servizi segreti per far de­ viare il corso della protesta76. Chi rimase a destra elaborò una pro­ pria forma di contestazione, contrapponendosi al Movimento so­ ciale di Michelini, che in un primo momento assunse una posizio­ ne d ’intransigente condanna nei confronti della protesta univer­ sitaria77. In più di un’occasione, gli studenti di destra occuparono le università assieme a quelli di sinistra. I neofascisti rivendicaro­

75 Sulla storia del 1968 italiano cfr. m . f l o r e s e a . d e B e r n a r d i , Il Sessantotto, il M lino, Bologna 2002; e m . t o l o m e l u , Il Sessantotto. Una breve storia, Carocci, Roma 2008. 7i M . T a r c h i , L ’eredità delfascismo e la demonizzazione deliavversario, in v e n t r o n e cura di), L ’ossessione del nemico cit., p. 127. 77 La più aggiornata ricostruzione è di A . g a s p a r e t t i , La destra e il '68. La parteci zione degli studenti di destra alla contestazione universitaria. La reazione conservatrice e missi­ na, Settimo Sigillo Edizioni, Roma 2006.

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no, inoltre, un primato sui temi del movimento studentesco, a lo­ ro dire anticipati dalle riflessioni dei pensatori della destra radica­ le europea e italiana, come Robert Brasillach, René Guénon e Julius Evola, quest’ultimo considerato il “ Marcuse” della contesta­ zione di destra78. La ventata di protesta che investi nel 1968 il mon­ do giovanile neofascista sembrò, soprattutto, congelare il discorso sulla “ guerra rivoluzionaria” , la lente attraverso la quale erano sta­ ti letti tutti i fenomeni rivoluzionari e di contestazione in Italia e all’estero79. Fino al marzo del 1968, salvo qualche rissa per la contesa degli spazi pubblici e per la difesa del diritto di parola nelle assemblee universitarie, non si erano registrati significativi episodi di violen­ za fra studenti di destra e di sinistra, nonostante il clima di gran­ de tensione che si era instaurato dopo la morte di Paolo Rossi. Agli inizi di febbraio, anzi, quando a Roma gli studenti del movimento occuparono alcune facoltà, i gruppi giovanili di estrema destra so­ lidarizzarono con i propri colleghi dando vita a iniziative analoghe. Dopo lo sgombero operato dalla polizia, il 29 febbraio, vi fu nel centro cittadino una manifestazione di protesta del movimento, cui parteciparono i giovani neofascisti, che si trasformò in una giorna­ ta di guerriglia, in cui per la prima volta le forze dell’ordine furo­ no messe in difficoltà dagli studenti80. Gli scontri anticiparono di un giorno la “ Battaglia di Valle Giulia” del i ° marzo, nella quale, ancora una volta, furono presenti le diverse sigle del neofascismo giovanile. A Valle Giulia gli studenti del movimento, grazie anche all’apporto degli stessi neofascisti, prevalsero sulla polizia, che pu­ re si era schierata con i reparti antisommossa e con le jeep, alcune delle quali incendiate nel corso degli scontri81. Dopo quest’episodio - che suscitò molta impressione nel Pae­ se e che precorse, anche in Europa, la degenerazione violenta del­ le manifestazioni studentesche (in Francia, ad esempio, i primi

78 Quest’impostazione è stata giudicata criticamente nel saggio di F. Ge r m in a r io , Evo la davanti al '68, in «Annali dell’istituto Gramsci Emilia-Romagna», II (1998-99), nn. 23, pp. 9 9-112. ” Due rivoluzioni sono in marcia, in «Noi Europa», III (luglio 1968), n. 3. 80 Quest’episodio è stato per la prima volta raccontato da v. v id o t t o , Roma contem­ poranea, Laterza, Roma-Bari 2001, pp. 306-7. 81 L ’apporto dell’estrema destra alla “ Battaglia di Valle Giulia” è ricordato in diverse pubblicazioni dell’area neofascista. Pili recentemente, l’episodio è stato ricostruito nel ro­ manzo di A. p e n n a c c h i , I l fasciocomunista. Vita scriteriata di Accio Benassi, Mondadori, M i­ lano 1993.

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scontri pesanti fra polizia e studenti si registrarono solamente a fi­ ne marzo) - vi fu un’improvvisa accelerazione degli eventi. Ina­ spettatamente il Partito comunista, in passato tiepido nei confron­ ti della mobilitazione universitaria, si schierò dalla parte degli stu­ denti (contrariamente a quanto fatto da alcuni intellettuali vicini al partito, come Pier Paolo Pasolini), chiedendo l’ allontanamento incondizionato della polizia dalle università, proprio quando gli studenti avevano abbandonato i repertori pacifici per passare a quelli violenti82. Nei giorni successivi il p o i instaurò con il movi­ mento un rapporto complesso, non sempre dialogante, ma che co­ stituì comunque un unicum a livello europeo, se si pensa, ad esem­ pio, alle chiusure, nello stesso periodo, dei comunisti francesi nei confronti della contestazione. Il Movimento sociale, invece, accusò gli studenti di essere d «commandos di guerriglieri», addestrati dai comunisti per gettare la città di Roma nel caos, non avendo avuto contezza, però, del fatto che molti giovani presenti negli scontri erano di destra85. La situazione per il m s i divenne all’improvviso insostenibile, perché la dirigenza del partito si era resa conto di non poter far affida­ mento sulle proprie strutture giovanili e perché, al di là della reto­ rica, l’appoggio dei comunisti agli studenti in piena campagna elet­ torale per le elezioni politiche di maggio fece temere ai missini che il PCI volesse servirsi della piazza per influenzare il voto. In que­ sto contesto maturò la decisione del Movimento sociale di dare vi­ ta a una serie di azioni contro il movimento studentesco, per riba­ dire la funzione del partito come strenuo difensore dell’ordine pub­ blico e per riordinare le file delle proprie organizzazioni giovanili e, là dove fosse possibile, anche i gruppi della destra extraparla­ mentare. Il primo assalto alle facoltà occupate si verificò l’ i i mar­ zo del 1968 all’università di Milano, quando i missini attaccarono gli studenti dando vita a un feroce corpo a corpo84. Cinque giorni dopo, il 16, a Roma, avvenne la spedizione più corposa, guidata da Giulio Caradonna e da Giorgio Almirante che, alla testa dei Vo­ lontari nazionali, il servizio d’ordine del m s i , tentarono l’assalto alla facoltà di Lettere, occupata. La presenza di Almirante, lo sto­ 821 comunisti sono con gli studenti in lotta, in «l’Unità», 2 marzo 1968. 8>Il piano di Botteghe Oscure per gettare nel marasma la Capitale, in «Il Secolo d’Italia», 2 marzo 1968. 84 Battaglia a li università, in «Corriere della Sera», 12 marzo 1968.

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rico antagonista di Michelini, alla testa del corteo voleva indicare che la decisione di attaccare gli studenti era stata presa unitaria­ mente da tutta la dirigenza missina. L ’azione si rivelò un fallimen­ to, con gli assedianti finiti con l’essere assediati. Gli studenti, aiu­ tati dai lavoratori fatti affluire dal p c i dal vicino quartiere San Lo­ renzo, da sempre storica roccaforte antifascista, contrattaccarono assaltando i neofascisti, che si erano rinchiusi a Legge e che, a lo­ ro volta, si difesero lanciando panche e altri oggetti contundenti dalle finestre, ferendo gravemente Oreste Scalzone, studente e tra i leader del movimento romano85. La contrapposizione tra i neofascisti e il movimento studente­ sco rivelò, in questa fase, il suo tratto più peculiare, quello cioè di essere uno scontro sostanzialmente asimmetrico. Mentre i neofa­ scisti, numericamente esigui, primeggiavano negli scontri di stra­ da, il movimento studentesco poteva contare su una più spiccata organizzazione della violenza di piazza e su un bacino di militanti maggiore, se non altro per la circostanza che i partiti di sinistra con­ vergevano sul medesimo terreno della lotta antifascista. Nella con­ flittualità con l’estrema destra, l’impiego della violenza da parte dei gruppi extraparlamentari e dei movimenti studenteschi svelò poi la sua dinamica più complessa: la violenza era utilizzata, si, in chia­ ve difensiva, ma la difesa non puntava meramente al mantenimen­ to dello status quo, quanto a una reazione tesa a capovolgere il rap­ porto di forze. I confini tra violenza difensiva e violenza offensi­ va, divennero, quindi, estremamente labili86. Nel giro di soli tre numeri, ad esempio, usciti in meno di quindici giorni, il settimana­ le «La Sinistra» (nuova serie) passò dall’illustrazione delle tecniche della non violenza alla diffusione di quelle dell’«autodifesa violen­ ta», pubblicando le istruzioni dettagliate, comprensive di descri­ zioni tecniche, su come fabbricare correttamente le molotov («con­ tro la violenza, violenza», divenne lo slogan della rivista)87. La tensione s’innalzò nuovamente, l ’ n aprile 1968, in occa­ sione del tentato assassinio del leader della contestazione tedesca Rudi Dutschke da parte di un neonazista, influenzato dalla stam­ 85 c . GREGORETTi, I lanzichenecchi di Caradonna, in « L ’Espresso», X IV (24 marzo 1968), n. 12. “ Per questo concetto vedi w. so fsk y , Saggio mila violenza, Einaudi, Torino 1998, p. irg . 87 Gli articoli portavano il significativo titolo Cosi in piazza, e furono pubblicati nei numeri 8, 9 e 10, rispettivamente il 2, 9 e 16 marzo 1968.

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pa conservatrice, e in particolar modo dal quotidiano «Bild-Zeitung» dell’editore Axel Springer, che aveva condotto una campa­ gna denigratoria - ai limiti del linciaggio - contro il movimento studentesco. Dopo che a Monaco e su tutto il territorio della G er­ mania dell’Ovest erano scoppiati gravi incidenti (la “ Pasqua di san­ gue” , con due morti tra gli studenti e ventisette città in stato d ’as­ sedio, i disordini più gravi dai tempi della Repubblica di Weimar), a Roma e a Milano si verificarono violenti scontri nel corso delle manifestazioni di protesta, con danneggiamenti alle sedi cultura­ li, commerciali e diplomatiche della Repubblica federale tedesca88. Se si esclude la furiosa reazione di piazza, la strategia del movi- j mento tedesco e quella del movimento italiano differirono, però, su un punto non secondario: nonostante la connotazione anti­ fascista e i frequenti episodi di scontro con l’estrema destra, il mo­ vimento tedesco non scelse la via della contrapposizione frontale con i neonazisti. Rudi Dutschke, sopravvissuto all’agguato, per­ donò il suo feritore e lo fece difendere, addirittura, dai legali del movimento89. E anche vero che nel resto delle democrazie europee le proporzioni dei movimenti di estrema destra erano minori e che questi dovettero misurarsi con un’autorità pubblica molto più se­ vera, che non esitò a mettere fuori legge i gruppi violenti. In Ita­ lia il neofascismo non incappò mai in questo rischio, nonostan­ te la presenza di leggi specifiche (come la legge Sceiba), se non do­ po le stragi dei primi anni Settanta. Soprattutto il m s i rese impos­ sibile ai movimenti studenteschi sottrarsi al confronto violento. Le spedizioni contro le università occupate non segnarono la fine della contestazione di destra, su cui la memorialistica degli ex neo­ fascisti ha costruito, poi, il mito del ’68 come «occasione perdu­ ta», ma portarono a una netta separazione fra gli studenti di de­ stra e di sinistra. Nelle università si creò un clima pesante, in par­ ticolar modo per la contesa degli spazi pubblici, e per la direzione e gli indirizzi da imprimere alla contestazione studentesca. Il fe­ nomeno non fu solo italiano, ma ebbe un’estensione europea: a Pa­ rigi come a Monaco, dovunque fosse presente un forte movimen­ 89 A C S,

M I, GAB, 1967-70, b . 49, f a s e . IO 2O -32. 85 Sulle differenze tra il movimento degli studenti in Italia e nella Germania occiden tale vedi M . t o l o m e l l i , II movimento operaio visto dagli studenti. Italia e Germania a con­ fronto, in « ’900», numero monografico, 1968-1969: dagli eventi alla storia, I (luglio-dicembre 1998), n. 1, pp. 33-55.

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to studentesco vi era una controparte di estrema destra che si sca­ gliava contro gli studenti, ma che rivendicava, al contempo, un’al­ ternativa alla società contemporanea” . Tra le cause dello scoppio della rivolta studentesca del Maggio francese, ad esempio, vi fu lo scontro fra gli studenti del movimento e il gruppo neofascista Oc­ cident, che innescò la celebre “ Notte delle barricate” , a Nanterre e nel quartiere Latino91. Fu proprio il Maggio francese, con il dilagare della protesta dal­ le università alle fabbriche, a segnare il primo distacco dei giova­ ni di estrema destra dalla contestazione del 1968. Il movimento stu­ dentesco e la sinistra extraparlamentare guardarono a ciò che stava succedendo in Francia come a un modello92. I settori più radicali, anarchici e maoisti in particolar modo, spinti dagli eventi francesi, credettero che bruciando i tempi si potesse imprimere alla contestazione una spinta radicale che la trasformasse in moto rivoluzio­ nario. Si passò rapidamente dall’«autodifesa violenta» alla violen­ za puramente offensiva, non solo negli scontri di piazza, ma anche con azioni condotte da piccoli gruppi clandestini. A Milano e a Na­ poli, ad esempio, furono compiuti attentati incendiari contro le con­ cessionarie della Citroën, in solidarietà con gli operai in lotta in Francia, e contro le autovetture di militari appartenenti alla n a t o ” . L ’episodio più grave avvenne a Milano il 7 giugno 1968 con la “ Bat­ taglia di via Solferino” , quando gli studenti del movimento attac­ carono la sede del «Corriere della Sera», accusato di aver crimina­ lizzato la protesta, cosi come avevano fatto gli studenti tedeschi con l’editore Springer94. Tutta l’estrema destra - non solo il Movimen­ to sociale, ma anche i gruppi extraparlamentari - fece un passo in­ dietro, spaventata da quanto stava succedendo fuori e dentro l ’Ita­ lia, dove la protesta si era sparsa a macchia d’olio nelle scuole supe­ riori, all’interno delle quali si apri un ulteriore terreno di scontro 90p. m il z a , Europa estrema. Il radicalismo di destra dal 1945 a oggi, Carocci, Roma 2 005, pp. 1 1 5 - 3 8 .

91 Per una cronologia degli avvenimenti cfr. p. a r t i è r e s e m . z a n c a r i n i - f o u r n e l , 6 8 . Une histoire collective, 1962-1982, Editions La découverte, Paris 2008, pp. 791-92. 92 Vedi, ad esempio, Lotte sociali in Europa e prospettiva rivoluzionaria, in «Il Potere Operaio», II (11 giugno 1968), n. 13. Nella stessa prospettiva 11maggio francese apre una fase nuova della rivoluzione in Europa, in «Bandiera rossa», X IX ( i ° giugno 1968), n. 1 1 . Per una comparazione, anche per gli anni successivi, cfr. I. s o m m ie r , La violence politique et son deuil: i après '68 en France et en Italie, Presses universitaires de Rennes, Rennes 1998. 93 ACS, M I, GAB, 1967-70, b. 49, fase. 11020/81/69. 94 c . r i s e , La battaglia di via Solferino, in « L ’Espresso», X IV (16 giugno 1968), n. 24.

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violento fra studenti di destra e di sinistra. Ciò che stava accaden­ do in Francia esercitò, anche in questo caso, una fortissima influen­ za. Le minacce di scioglimento dell’Assemblea nazionale da parte del generale De Gaulle, la contromobilitazione gollista e le violen­ te manifestazioni operaie tra fine maggio e inizio giugno furono interpretate dall’estrema destra e dall’estrema sinistra come i pro­ dromi di un’imminente guerra civile, che si poteva estendere al re­ sto delle democrazie europee. Le elezioni di fine giugno, con il trionfo dell’Union pour la défense de la République, chiarirono, in realtà, quale fosse stata la via d ’uscita dalla crisi scelta da De Gaulle: fu la vittoria delle «ur­ ne contro le barricate», come intitolò la propria copertina un au­ torevole settimanale francese” . Tant’è che in Francia non solo la conflittualità sociale e la protesta studentesca rientrarono progres­ sivamente, ma alle forze dell’ordine fu data mano libera nella re­ pressione dei gruppi estremisti più violenti, la maggior parte dei quali fu messa fuori legge nel giro di pochi mesi. Ben altri scenari si stavano delineando in Italia, dove il centro-sinistra non trovò la forza per garantire stabilità al Paese96. Il ripetersi delle crisi di go­ verno, e il progressivo ridimensionamento del ruolo dei socialisti, fecero sentire le loro conseguenze sulla gestione dell’ordine pub­ blico, con la ripresa degli interventi duri in piazza da parte delle forze dell’ordine, poi degenerati nel già menzionato eccidio di Avo­ la del 2 dicembre 1968 e nei “ fatti” della Bussola del successivo 3 1 dicembre’7. Il movimento studentesco, deluso dall’esito del Maggio franc se, criticato anche dal p c i per la sua deriva estremista, isolato nel­ la società, entrò in crisi e, dopo il convegno nazionale che si tenne a Venezia ai primi di settembre, fu progressivamente assorbito dai gruppi extraparlamentari di sinistra, ormai orientati a intercetta­ re la mobilitazione operaia. In seguito all’esperienza di scontro che si era prodotta fra l ’autunno e l’inverno del 1968, ma anche per il

” Les umes contre les barricades, in «Le Nouvel Observateur», V (26 giugno-2 luglio 1968), n. 189. * Per una comparazione vedi a . g ig l io b ia n c o e m . s a l v a t i , II maggio francese e l'a tunno caldo italiano: la risposta di due borghesie, il Mulino, Bologna 1980. ” Il 3 1 dicembre 1968, la contestazione organizzata dal Potere Operaio di Pisa, nella notte di Capodanno, davanti al locale La Bussola di Marina di Pietrasanta, degenerò in scontri con le forze dell’ordine, che aprirono il fuoco ferendo alle spalle uno studente che fuggiva.

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rinnovato brutale comportamento della polizia in occasione delle manifestazioni di piazza, la violenza acquistò sempre più peso nel bagaglio ideologico e culturale della sinistra extraparlamentare. La violenza - secondo Mauro Rostagno e Renato Curcio, i leader del movimento studentesco di Trento - doveva assumere la funzione di «innesco detonatore. Cioè un’esaltazione dei momenti di con­ flitto [...] gli scontri di barricate, gli scontri di piazza, possono al­ lora veramente esercitare una funzione di detonatore dentro le lot­ te sociali e aprire dentro le pieghe del tessuto sociale degli squarci veri e propri»98. Alle soglie del 1969, con la conflittualità che era montata nelle fabbriche del Centro e del Nord d’Italia, questa teo­ ria trovò un vasto terreno d’applicazione.

7. L ’assedio alla Repubblica. Mario Tedeschi scrisse sul «Borghese» che il 1969 sarebbe sta­ to « l’anno dell’assedio». Secondo il giornalista, dopo la vittoria del generale De Gaulle in Francia, con la “ grande coalizione” nel­ la Repubblica federale tedesca, che aveva varato una legislazione d’emergenza per far fronte alle agitazioni studentesche, e con i re­ gimi spagnolo, portoghese, greco e turco, bastioni dell’anticomu­ nismo nell’Europa meridionale, l ’Italia era divenuta «il bubbone che rischia di contagiare tutto il sistema», che la nuova ammini­ strazione statunitense di Richard Nixon avrebbe provveduto a estirpare99. Il verbo “ assediare” deriva dal latino obsidére, che si­ gnifica sia assediare, sia, nella sua accezione passiva, essere osses­ sionati, afflitti da un’idea fissa e costante. Nel 1969 l ’ostilità dei neofascisti nei confronti del governo di centro-sinistra divenne una vera e propria ossessione, nel significato più letterale del termine, come spinta, cioè, a voler abbattere un sistema odiato, giudicato prossimo alla fine. In un manifesto affisso a Chieti nell’aprile del 1969, ad esempio, dall’associazione Italia nuova, che si definiva un «movimento etico-politico per il rinnovamento nazionale», e che si prefiggeva la costituzione di «comitati di salute pubblica», si leggeva: Proposta di un foglio di lavoro, a cura di alcuni compagni del Movimento studente­ sco di Trento, Trento, 17 dicembre 1968, in i r s i f a r , f. Crainz, b. 2, fase, io , pp. 23-24. ” M . t e d e s c h i , Vanno dell’assedio, in «Il Borghese», X X (2 gennaio 1 9 6 9 ) , n. 1 .

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Capitolo primo [...] dietro una facciata di prosperità tutte le strutture della nostra società stanno crollando paurosamente. Quali le cause ? Evidentemente: la degene­ razione partitocratica e la sfacciata corruzione, il dilagante malcostume e le illegali manifestazioni di intimidazione e di violenza, che, divenuti sistema nel sistema, sfidano ormai impunemente l’autorità dello Stato e il cittadino indifeso. La partitocrazia è di fatto una «dittatura corale», che contempla nelle sue equivoche partiture tutte le ideologie, tutte le alleanze, tutte le op­ posizioni; è la confisca del potere politico e civile da parte delle oligarchie partitiche100.

L ’antipartitismo, la denuncia della degenerazione morale e del­ l’individualismo borghese, erano stati, a partire dalla fine del xix secolo, i temi tradizionali della polemica del radicalismo di destra nei confronti della democrazia liberale, della modernità e di «tut­ ta una civiltà fondata sulla fede nel progresso»101. Un filone di pen­ siero che aveva attraversato la storia italiana del Novecento, dal magma dell’interventismo italiano nella prima guerra mondiale fi­ no al fascismo dei primordi, a quello del regime, alla Repubblica sociale e al neofascismo, che univa queste esperienze lontane nel tempo in una «comunità e continuità di riferimento ideale»102. In questo senso, il centro-sinistra rappresentò per i neofascisti una sfi­ da, poiché vissuta come il più importante confronto tra la moder­ nizzazione del Ventennio e il programma di riforme avanzato dal­ le forze progressiste del Paese. Fu in gioco la stessa identità dei neo­ fascisti, la cui ragion d ’essere si fondò sulla convinzione che il modello politico, culturale e sociale del fascismo fosse stato miglio­ re di quello democratico103. L ’ atteggiamento del neofascismo nei confronti del centro-sinistra fu perciò ambivalente: lo si riconobbe il governo più innovatore della storia repubblicana, ma si giudicò che proprio la sua crisi mostrasse definitivamente l’inadeguatezza della Repubblica, il cui modello di sviluppo politico, economico e sociale si era rivelato un fallimento. Quindi la crisi che si stava spa­

100 Appello agli italiani. Italia Nuova. Movimento etico-politico per il rinnovamento na­ zionale. Comitati di salute pubblica, in a c s , M i, g a b , 1967-70, b. 2 4 , fase. 3 4 8 / P / 1 5 . 101 z. s t e r n h e l l , La destra rivoluzionaria. Le origini francesi del fascismo, 18 85-1914 , Corbaccio, Milano 1997, p. 14. 102 M. r e v e l l i , La R S ie il neofascismo italiano, in p. p. p o g g io (a cura di), in «Annali della Fondazione Luigi Micheletti», n. 2 , La Repubblica Sociale Italiana, 1945-1945, Bre­ scia 1986, p . 419. Su questi temi cfr. A. v e n t r o n e , La seduzione totalitaria. Guerra, moder­ nità, violenza politica (19 14 -19 18 ), Donzelli, Roma 2 0 0 3 . 105 Proprio nel 1967 Almirante curò un volume, I due Ventenni, incentrato sul parag ne dei risultati ottenuti dal fascismo e dalla Repubblica: cfr. id . (a cura di), I due Venten­ ni, c e n , Roma 1967.

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lancando riapri il discorso sulla possibilità di superare la democra­ zia stessa, non tanto restaurando le forme di governo passate, giac­ ché il fascismo era ritenuto comunemente dall’estrema destra un sistema politico storicamente determinato e dunque non ripropo­ nibile, ma guardando a ciò che si stava sperimentando altrove, co­ me nella Grecia dei colonnelli, ritenuta il laboratorio di una nuova forma di governo, tecnocratica e apartitica, in grado di disciplinare la complessità della società contemporanea104. Anche la sinistra extraparlamentare mise al centro delle sue ri­ flessioni la crisi del centro-sinistra. Nonostante le diverse sfumatu­ re ideologiche, i gruppi della “ nuova sinistra” concordavano nel ri­ tenerlo una grave minaccia, poiché artefice di un progetto di mo­ dernizzazione volto a controllare il conflitto sociale e a integrare la classe operaia nel sistema capitalistico10’ . Le riforme, considerate un inganno perpetrato a danno degli operai e dei lavoratori, furono ac­ cusate di celare un disegno autoritario di sfruttamento del proleta­ riato. Democrazia e dittatura vennero poste, da questo punto di vi­ sta, sullo stesso piano, quasi come due facce del medesimo sistema di oppressione. In un volantino del movimento studentesco di Pi­ sa ci si interrogava, addirittura, su quali fossero le reali differenze tra il centro-sinistra italiano e la dittatura dei colonnelli in Grecia: [...] là ci sono i campi di concentramento, ma anche nelle nostre prigioni ci sono operai, studenti e contadini, e ogni fabbrica, ogni quartiere è per mol­ ti di noi un campo di concentramento [...] Noi come la Grecia viviamo in un regime di dittatura: la dittatura dei padroni; che la esercitano con i colonnel­ li o con la democrazia non cambia molto. In Grecia opprimono le masse con l’esercito, in Italia cercano di tenerci buoni con le false riforme e quando non bastano con la polizia106.

Le masse lavoratrici dovevano temere, quindi, il «tentativo riformista» di rilanciare un nuovo governo di centro-sinistra, ma­ gari con il sostegno del Partito comunista, che avrebbe riprodotto il modello di sfruttamento e di oppressione che si riteneva avesse regolato la vita del Paese fino a quel momento107. Per l’estrema si­ 104 P. b u s c a r o l i , Il governo greco non ha bisogno di nessuno, in «Il Borghese», X V III (25 maggio 1967), n. 21. 105 D. b r e s c h i , Sognando la rivoluzione. La sinistra italiana e le origini del '68, Mauro Pa­ gliai Editore, Livorno 2008, p. 125. 106 Ogni padrone è un colonnello!, volantino del Movimento studentesco di Pavia, 21 marzo 1969, in ir s if a r , f. Crainz, b. 3, fase. n . 107 L'alternativa rivoluzionaria, in «Quindici», III (agosto 1969), n. 18.

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nistra, dunque, il pericolo più grande derivava dalla prospettiva di un accordo tra il governo di centro-sinistra, l’industria, il p c i e i sin­ dacati per sopire la conflittualità sociale e completare il program­ ma delle riforme. Obiettivo della sinistra extraparlamentare diven­ ne il sabotaggio di questo progetto. La violenza - come voleva la «teoria dell’innesco detonatore» - avrebbe accelerato la crisi del centro-sinistra, raffigurato anche dall’estrema sinistra come una cit­ tadella assediata sull’orlo del collasso, caduta la quale si sarebbe aperta la strada per la rivoluzione.

8. Contaminazioni.

Estrema destra ed estrema sinistra concordarono, dunque, nel ritenere il 1969 un anno decisivo. Ma non fu solo questa conver­ genza a creare punti di contatto tra i neofascisti e la sinistra extra­ parlamentare. Essi, infatti, insieme alla convinzione di assistere a una crisi irreversibile del sistema politico, economico e sociale con­ divisero la comune ricerca di radicali soluzioni di uscita. Circostan­ za, questa, che non può essere archiviata come una semplice coincidentia oppositorum. In particolar modo, ad accomunare i gruppi neofascisti e la sinistra extraparlamentare, fu l’«estremismo», cioè la tendenza a concepire la propria identità politica come radical­ mente alternativa e irriducibilmente antagonista alla democrazia parlamentare, assieme al rifiuto della gradualità, del negoziato e del compromesso che la caratterizzano108. «Ciò comporta che ideo­ logie opposte» - ha scritto Norberto Bobbio - «possono trovare punti di convergenza e di accordo nelle loro frange estreme, pur restando ben distinte rispetto ai programmi e ai fini ultimi da cui dipende la loro collocazione»109. Cosi accadde nel corso della cam­ pagna elettorale per la consultazione del 19 maggio 1968. In pros- \ simità delle elezioni, i gruppi neofascisti più radicali, come Ordi- i ne Nuovo, il Fronte nazionale e la Costituente nazional-rivoluzio- ; 108 «I liberali mi facevano più ribrezzo della vista di un serpente», scrisse Malcolm nella sua autobiografia, divenuta un libro di culto di quegli anni. Cfr. Autobiografia di Mal- ’ colm X, Einaudi, Torino 1967, p. 317 . IM N. b o b b io , Destra e sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica, Donzelli, Roma 1994, p. 26.

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naria, invitarono la popolazione a votare scheda bianca110. Si spe­ rava che un’astensione di massa avrebbe fatto crollare il siste­ ma dei partiti, aprendo la strada a una nuova forma di governo. Un’identica decisione fu presa dai movimenti marxisti-leninisti e da quelli operaisti, che miravano a delegittimare il sistema demo­ cratico e, nel contempo, a evitare una confluenza dei voti verso il p c i, ritenuto il più pericoloso avversario, per le sue mire egemoni­ che e normalizzatrici delle istanze rivoluzionarie degli studenti e degli operai111. Per tutto il corso del 1968 e persino nel 1969, quando la con­ trapposizione tra i neofascisti e l’estrema sinistra sarebbe dive­ nuta più netta, proliferarono, a destra, i gruppi e le correnti intel­ lettuali che proponevano una sintesi tra il pensiero rivoluzionario di sinistra e il radicalismo di destra come prospettiva di superamen­ to dell’anticomunismo e dell’antifascismo. I casi più noti furono quelli del filosofo Armando Plebe, che nel 1968 abbandonò il marxi­ smo e si avvicinò al Movimento sociale, di Franco Freda, che a fi­ ne del 1969 pubblicò La disintegrazione del sistema - testo in cui l’impianto filosofico evoliano era unito al marxismo - , dei nazimaoisti di Lotta di popolo e di Jean Thiriat, intellettuale belga ed ex collaborazionista che negli anni Sessanta si avvicinò al maoi­ smo113. La sezione italiana della sua organizzazione giovanile, la Jeune Europe, frequentata, agli inizi della propria formazione politi­ ca, anche da Renato Curcio, il futuro leader delle Brigate Rosse, partecipò a manifestazioni propagandistiche antiamericane e anti­ sovietiche con alcune sezioni del Partito comunista d’Italia marxista-leninistalu. «Ciò che vogliamo costruire ci divide», si legge­ va in un volantino distribuito dal gruppo alle federazioni giovanili del p s iu p , del p c i e delle a c l i di Parma, «ma ciò che vogliamo di­ 110 Vota scheda bianca!, in «Noi Europa», III (maggio 19 6 8 ) , n. 2 . Vedi anche Acs, m i, g ab , 1 9 6 7 - 7 0 , b. 2 4 , fase. 3 4 8 / p / n ; e b. 2 5 , fase. 3 5 3 / P / 5 2 . 111 Si veda, ad esempio, Non votare per i nemici di classe, in «Lavoro politico», II (mar­ zo-aprile 1968), nn. 5-6; e Viva la lotta rivoluzionaria, in «Il Potere Operaio», II ( 1 1 mag­ gio 1968), n. 12. 112 Questo fenomeno provocò un diffuso interesse nella stampa. Cfr., ad esempio, P. g u z z a n ti, L o studente di destra e il fascino del maoismo. Psicanalisi della ribellione giovanile, in «l’Avanti! », 7 gennaio 1969. 113 Per entrambi gli episodi cfr. M. b a t t a r a (a cura di), Da Jeune Europe alle Brigate Rosse: antiamericanismo e logica dell'impegno rivoluzionario, Edizioni Barbarossa, Milano 1992, pp. 24-25, e 42. Renato Curcio non ha mai smentito il risultato di quest’inchiesta, ma ha sempre fatto risalire il suo impegno politico al Movimento studentesco di Trento.

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struggere ci unisce»114. G li appelli si trasformarono, ben presto, in proposte di collaborazione. Già a partire dalla fine degli anni Ses­ santa si registrarono i primi tentativi da parte di alcuni esponenti dell’eversione di destra di stabilire un rapporto con la contropar­ te di sinistra115. Nelle cronache giudiziarie è noto il caso dell’edito­ re Giovanni Ventura e dei suoi contatti con l’ala più radicale della galassia marxista-leninista, cosi come Giangiacomo Feltrinelli risultò avere saltuari rapporti con esponenti dell’eversione neofa­ scista116. Nell’estrema sinistra, tuttavia, non vi fu mai alcuna teo­ rizzazione, né formulazione esplicita, di un’alleanza degli estremi­ smi contro il sistema democratico. Semmai, in nome della lotta al capitalismo, l’antifascismo venne considerato un momento secon­ dario della battaglia rivoluzionaria117. Ma non è sul terreno delle convergenze operative, o su quello delle supposte alleanze, che vanno ricercati i segni della contami­ nazione, o meglio, della circolazione di idee, programmi e obietti­ vi che accomunavano l’estremismo di destra a quello di sinistra118. Nel denunciare i diversi aspetti della crisi italiana, sia i neofascisti sia la sinistra extraparlamentare parlarono, in realtà, di qualcosa di più profondo, riconducibile all’essenza stessa della società con­ temporanea. Al centro delle loro riflessioni erano le conseguenze portate dall’avvento della società dei consumi, ritenuta responsa­ bile, grazie all’illimitata possibilità di produrre beni e merci, di aver creato un mondo reificato, in cui alla volontà umana si era sosti- ; tuita la pianificazione tecnologica, e dove la felicità, per gli uomi­ ni, si era ridotta al mero soddisfacimento di bisogni indotti. L ’a­ gire dell’uomo si diluiva, cosi, in un orizzonte senza tempo e in un fare senza senso. La «società opulenta» diveniva il solo mondo pos- ; sibile119, il «nuovo Moloch» cui si stava sacrificando il genere urna114 a c s ,

p s , g , 1944-86, b . 3 1 1 , f a s e . G5/42/2. 115 L ’approccio di esponenti di Avanguardia nazionale nei confronti dei giovani di Reg­ gio Emilia del “ gruppo dell’appartamento” , l’aggregazione di giovani che di li a poco costitui uno dei nuclei storici delle Brigate Rosse, viene ricostruito in g . f a s a n e l l a e A. f r a n c e s c h i n i , Che cosa sono le b r . Le radici, la storia, il presente, Rizzoli, Milano 2004, pp. 4344 116 A . g i a n n u u , Bombe a inchiostro, Rizzoli, Milano 2007, pp. 134-35. 1,7 M . t r o n t i , Estremismo e riformismo, in «Contropiano», I (1968), n. 1. Giuseppe C. Marino parla di una vera e propria «koiné rivoluzionaria» nei primi mesi della contestazione studentesca del 1968. Cfr. i d ., Biografia del Sessantotto. Utopie, conquiste, sbandamenti, Bompiani, Milano 2004, pp. 248-62. 119 j. k . g a l b r a i t h , La società opulenta, Bollati Boringhieri, Torino 1972, pp. 32-33.

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no120. Una «nuova tirannia», come avevano denunciato i filosofi della Scuola di Francoforte, che si era «dotata di strumenti mai visti»121. L ’Unione Sovietica e gli Stati Uniti erano collocati, da questo punto di vista, sia dai neofascisti che dall’estrema sinistra, sullo stesso piano122. In ambedue i sistemi prevalevano «l’esaltazio­ ne delle conquiste del benessere, delle ricchezze materiali, l’imbor­ ghesimento e l’affossamento di tutto ciò che rende l’uomo libero, cosciente della sua missione nella vita»121. Bisognava praticare, al­ lora, una violenza che facesse emergere la sostanza repressiva na­ scosta nello stesso meccanismo regolatore della società del benes­ sere, una violenza non attribuibile, e quindi «oggettiva»124. La vio­ lenza, come scrisse Hannah Arendt, diveniva cosi il mezzo con cui «strappare la maschera dall’ipocrisia del nemico», che in questo modo diveniva visibile125. Nel 1969, in un articolo del periodico neofascista « L ’Orologio», significativamente intitolato La masche­ ra e il volto, la violenza che caratterizzava la contestazione gio­ vanile venne attribuita al «rifiuto del carattere squallidamente ano­ nimo che ha il potere nel nostro tempo, mentre gli uomini hanno il diritto di conoscere il volto di chi ne porta le responsabilità»126. Nell’estremismo di destra l ’uso della violenza e la sua legittima­ zione si avvicinarono, in questo senso, alle teorizzazioni presenti nell’estrema sinistra127. Vi era la condivisa necessità d ’individuare i colpevoli, di cercare nella realtà il volto del nemico, il responsa­ bile su cui far ricadere la colpa della crisi in corso. «Quello che dob­ biamo cominciare a tenere presente», era scritto su «Avanguardia operaia», t_1 è che anche il capoccia, anche il ruffiano, anche il dirigente, sono uomi­ ni come noi. Quando sono in fabbrica si fanno grossi approfittando della for­ 120 E. f r o m m , Anatomia della distruttività umana, Mondadori, Milano 121 F. p o l l o c k , Automazione, Einaudi, Torino 1956, p . 288.

19 8 3 , p. 4 3 7 .

122 Per il radicalismo di destra, nella prospettiva di lunga durata, cfr. R. g o b b i , Fasci­ smo e complessità. Per una critica della storiografia antifascista, il Saggiatore, Milano 1998, pp. 10 9 -11; sulla sinistra extraparlamentare cfr. p. o r t o l e v a , Saggio sui movimenti del 1968 in Europa e in America, Editori Riuniti, Roma 1988, p. 105. 121 Continuare, in «Unione Nazionale Combattenti della r s i », Federazione provincia­ le di Torino, 14 gennaio 1968, in a f u s , f. m s i , b. 43. 124 s. z iz e k , La violenza invisibile, Rizzoli, Milano 2007, p. 18. 121 H. a r e n d t , Sulla violenza, Guanda, Parma 2 0 0 1 , p . 7 0 . 126 La maschera e il volto, in « L ’Orologio», VI (novembre-dicembre 1969), nn. 19-20. 127 a . v e n t r o n e , L ’assalto al cielo. Le radici della violenza politica, in g . d e r o sa e g . m o n in a , L ’Italia repubblicana nella crisi degli anni Settanta. Sistema politico ed istituzioni, Rubbettino, Soveria Mannelli 2003, voi. IV, p . 182.

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Capitolo primo za del padrone, ma quando escono ridiventano degli individui isolati. Sono persone fisiche che soffrono in caso di percosse, sono persone che provereb­ bero vivo dispiacere scoprendo all’improvviso la loro auto distrutta; sono per­ sone che hanno una casa [...] E importante individuare il nemico, persona­ lizzarlo, dargli nome e cognome128.

La violenza divenne, cosi, il mezzo attraverso il quale ridare senso a una vita svuotata dall’«ottundimento psichico indotto dal­ la pace» e dall’atono benessere12’ . Si leggeva in un articolo pubbli­ cato sull’« Orologio»; Scegliere la violenza significa riproporre i temi della società civile in for­ ma nuova: non più accettazione acritica di determinati contenuti, recepiti passivamente secondo il costume della democrazia borghese, ma partecipa­ zione personale alla costruzione della città, vissuta in termini di impegno, di testimonianza, di sacrificio1’0.

Cosa spinse, allora, neofascisti e sinistra extraparlamentare a scontrarsi, sebbene condividessero le stesse problematiche e rite­ nessero il sistema capitalistico-borghese il principale nemico? Le elezioni del 19 maggio 1968 aprirono una lunga crisi politica, ben­ ché il positivo risultato della Democrazia cristiana e il crollo dei socialisti avessero indicato una svolta moderata nella vita politica del Paese. Sul momento, tuttavia, non fu affatto chiaro se dalla cri­ si si sarebbe usciti abbandonando l’esperienza dei governi di centro-sinistra, in favore di una soluzione centrista o di centro-destra, o invece attraverso un’ulteriore apertura a sinistra, con l’avvicina­ mento del p c i all’area di governo. Nei neofascisti il timore per l ’ac­ crescimento del potere dei comunisti prese definitivamente il so­ pravvento sulla necessità di assecondare le istanze antisistema espresse dalla contestazione studentesca, anche perché si riteneva che la mobilitazione del movimento operaio, che si stava profilan­ do all’orizzonte, avrebbe necessariamente comportato una modi­ fica degli equilibri politici in favore del PCI: prospettiva, questa, che andava evitata a ogni costo e con qualsiasi mezzo. Julius Evola, l’intellettuale con più ascendente sui movimenti giovanili neo­ 128 L ’anno dei contratti mentre inizia la crisi del regime, in «Avanguardia operaia», n. u., maggio 1969. 129 j. Hil l m a n , Un terribile amore per la guerra, Adelphi, Milano 2004, p. 53. Un’ana­ loga considerazione viene fatta da N. e l ia s , I tedeschi. Lotte di potere ed evoluzione dei co­ stumi nei secoli x ix e x x , il Mulino, Bologna 19 9 1, p. 2 31. 1,0 Apologia della violenza, in « L ’Orologio», VI (aprile-maggio 1969), nn. n - 12 .

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fascisti, che pure, in passato, si era espresso con accenti positivi nei confronti della contestazione studentesca, invitò i giovani di destra, con una serie di articoli pubblicati sul «Borghese», ad ab­ bandonare la contestazione, e indicò come legittima la sola violen­ za volta a ribadire il «concetto dello Stato e della sua autorità»151. In coincidenza con l ’instabilità governativa, tra il giugno e il di­ cembre del 1968 - con il varo del governo “ balneare” di Giovan­ ni Leone e la formazione del primo gabinetto guidato dal democri­ stiano Rumor - vi fu un vero e proprio “ riposizionamento” del mondo giovanile neofascista, testimoniato dagli stessi documenti delle questure e delle prefetture, che descrivono l’attività di pro­ vocazione svolta dai gruppi extraparlamentari di destra, con atten­ tati e atti di violenza fatti attribuire al movimento studentesco e all’estrema sinistra1’2. «Dieci milioni di italiani votano PCI e il p s i u p . Altri quattro e mezzo votano per i socialisti. Questa è la realtà di un paese “ sinistrizzato” in strati sempre più larghi», era scritto su un documento di Ordine Nuovo, che prendeva atto del nuovo scenario delineatosi all’indomani del voto del 19 maggio, e che concludeva accusando i comunisti di essersi impossessati dei temi della contestazione generazionale attraverso le tecniche oc­ culte della guerra rivoluzionaria: [...] esistono una massiccia organizzazione, un apparato burocratico sempre attivo, centri di condizionamento psicologici, ben ramificate articolazioni culturali. Si lavora su tutti i piani e a tutti i livelli, da quello sindacale vec­ chio stile al campo editoriale, cinematografico, della radio, della t v , della stampa parallela, delle associazioni settoriali e di categoria. In realtà il comu­ niSmo in questo secondo dopoguerra, pur tirando abilmente le fila, occulte e palesi, di tutte le solidarietà antifasciste e resitenzialiste quando gli fa como­ do, si è attestato sulla linea indovinatissima della protesta'” .

m j . e v o l a , Violenza e autorità, in «Il Borghese», X X (12 settembre 1969), n. 37. Si vedano, inoltre, i seguenti interventi sempre pubblicati dal «Borghese»: L ’infatuazione maoista (18 luglio 1968) ; Quelli della contestazione totale (5 settembre 1968) ; e II M SI (7 no­ vembre 1968). 1,2 a c s , P , g a b , 1944-86, b . 3 1 1 , fa s e . G/5/12,5; e b . 378, fa s e . G/10/28,5. 133 Rivoluzione? Ecco come. Contro la guerra sovversiva e le nuove tecniche comuniste, in «Noi Europa», III (luglio 1968), n. 3.

Capitolo secondo Fasi, m odalità e protagonisti dello scontro

i . I l Movimento sociale e il recupero del ribellismo giovanile neo­ fascista. I giovani avranno una funzione di punta. Sosterranno le nostre stesse te­ si, ma con linguaggio, con animo, con stile tali da porli decisamente all’avan­ guardia. Dovranno essere, a tutti i livelli e a tutti i campi, i contestatori del­ la contestazione: la gioventù del si, cioè del sacrificio, dell’ardimento, della ricostruzione morale e materiale dello Stato1.

Con queste parole Giorgio Almirante, in un’intervista rilascia­ ta all’«Assalto», poco prima di essere eletto segretario del Movi­ mento sociale, tracciò la strategia del partito, indicando come pri­ mo obiettivo il recupero delle istanze di protesta dei giovani neofa­ scisti e dei gruppi appartenenti alla destra extraparlamentare. L ’« Assalto» era un periodico oltranzista, fondato nel 1969 da Con­ cetto Pettinato, l’ex direttore della «Stampa» durante la Repub­ blica sociale. La rivista divenne la tribuna dell’estremismo nero più viscerale - la doppia esse di «Assalto» era stilizzata con il simbo­ lo delle ss naziste - , raccogliendo le diverse anime del neofascismo, dalle correnti interne al m s i inclini a un’opzione politica più radica­ le, come quelle capeggiate da Pino Romualdi e Giulio Caradonna, agli ambienti militari sostenitori del colpo di stato, fino all’oltran­ zismo neofascista più violento, come nel caso di Carlo Maria Mag­ gi, coinvolto nelle indagini per la strage di piazza Fontana2. 1 Almirante ci ha detto, in « L ’Assalto», I (13 giugno 1969), n. 14. 2 Carlo Maria Maggi è stato indagato per la strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969 e per la strage alla questura di Milano del 17 maggio 1973. Da quest’ultima accusa è stato assolto con la sentenza della Corte d’assise d’appello di Milano del 22 febbraio 2005. Il 3 maggio dello stesso anno, una nuova sentenza della Corte di cassazione lo assolve per gli attentati del 12 dicembre. E attualmente indagato per la strage di Brescia del 28 mag­ gio 1974. Cfr. l’appendice curata da Nicola Biondo a c. l u c a r e l l i , Piazza Fontana, Einau­ di, Torino 2007, pp. 96 e 107.

Fasi, modalità e protagonisti dello scontro

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L ’obiettivo dichiarato da Almirante non fu agevole da ottene­ re, per la frammentazione e le divisioni presenti nel mondo neofa­ scista3. Il suicidio dello studente cecoslovacco Jan Palach, che il 19 gennaio del 1969 si diede fuoco a Praga per protestare contro l’oc­ cupazione militare sovietica, forni alla dirigenza missina la prima occasione di recupero di consensi alla sua destra. La morte di Palach assunse una forte valenza simbolica: di fronte al dilagare di un potere totalitario, non rimaneva che il gesto estremo. L ’inter­ pretazione data dal m s i al suicidio rafforzò l’idea della politica co­ me lotta assoluta e sottolineò l ’urgenza dell’azione per arrestare l’a­ vanzata del comuniSmo nel mondo, un complesso di richiami e sug­ gestioni che esercitò forte attrazione sui giovani di estrema destra4. Il Movimento sociale s’impegnò in una mobilitazione frenetica, or­ ganizzando manifestazioni e cortei in numerose città italiane, il cui esito, non di rado, sfociò in incidenti con le forze dell’ordine e con gli avversari politici, e in assalti contro le sezioni dei partiti e del­ le associazioni di sinistra o le sedi delle rappresentanze politiche e commerciali sovietiche e dei Paesi socialisti5. I tentativi del m s i di recuperare nelle università i gruppi della destra extraparlamentare trovarono una prima realizzazione già nel gennaio del 1969, quan­ do, a Roma, i lavori dell’esecutivo nazionale del f u a n sancirono in via definitiva la lotta al movimento studentesco e la formazione di centri di coordinamento e di intervento per collegare sul piano or­ ganizzativo le sedi universitarie, nel tentativo di unire le attività dei diversi gruppi anticomunisti6. Unica voce dissidente sembrò es­ sere quella dell’«Orologio», che criticò la politica di Almirante, giu­ dicando errata la ricerca di uno spazio a destra della Democrazia cristiana, che avrebbe rischiato di favorire, in realtà, il manteni­ mento dello status quo, e di portare i neofascisti a svolgere «il ruo­ lo dei poliziotti di complemento a sostegno di un ordine incapace

’ Per tutto il corso del 1968, ad esempio, si registrarono ripetuti tentativi di partitini e movimenti neofascisti di creare un soggetto unitario che contrastasse la politica modera­ ta del Movimento sociale. Sforzi in questa direzione erano stati compiuti da Ordine Nuo­ vo, dal Fronte nazionale di Junio Valerio Borghese e da altre formazioni minori, a c s , PS, G, 1944-86, b. 3 1 1 , fase. G 5/12/19. , I martiri di Praga invocano l ’ Europa, in «Il Secolo d’Italia», 23 gennaio 1969. ’ a c s , m i , g a b , 1967-70, b. 48, fase. 11020/16/69. Notizie dettagliate sono riportate nelle cronache del «Secolo d’Italia» nel periodo compreso tra il gennaio e l’agosto del 1969. 6 La vera alternativa contro la sovversione e le vecchie strutture universitarie. Conclusi i la­ vori dell'esecutivo nazionale del f u a n , in «Il Secolo d’Italia», 14 gennaio 1969.

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di difendersi»7. Il disegno del m s i di appropriazione e orientamen­ to della protesta dei giovani neofascisti parve, tuttavia, compier­ si con successo, quando il partito ebbe a patrocinare, addirittura, la Costituente giovanile europea, raggruppamento che avrebbe do­ vuto coordinare l’azione dei diversi movimenti giovanili neofasci­ sti in Europa8. Nel volgere di brevissimo tempo, le varie organiz­ zazioni studentesche di estrema destra risposero all’appello lancia­ to dalla nuova segreteria di Alm irante9. Cessarono le spinte centrifughe che avevano attraversato il mondo neofascista, e il M o­ vimento sociale divenne il punto di riferimento più importante per l’estremismo nero, dotandosi, in questo modo, di una non trascu­ rabile massa d ’urto da impiegare negli scontri di piazza.

2. La politica della memoria. Fin dalla sua nascita, il Movimento sociale aveva attinto alla propria memoria storica per la preparazione politica e ideologica dei militanti più giovani, la cui formazione era saldamente impre­ gnata del mito dei martiri della rivoluzione fascista e dei caduti del­ la Repubblica sociale, trasmesso attraverso un’articolata politica di anniversari e commemorazioni10. N el 1969 la necessità di recupe­ rare i giovani di estrema destra, in previsione di un aggravarsi del­ la crisi politica e sociale che avrebbe caratterizzato la vita del Pae­ se, portò il Movimento sociale a un’intensificazione di queste pra­ tiche. D ’altro canto, il m s i si trovò a gestire una leva di militanti giovanissimi, la prima nel secondo dopoguerra che non aveva avu­ to una conoscenza diretta né del fascismo, né degli avvenimenti bellici. Per tutto il corso dell’anno, le organizzazioni giovanili del partito e l’Unione nazionale combattenti della R S i diedero vita a molte iniziative11. Si tentò di tracciare, in questo modo, la presen­ 7 L. l u c c i c h i a r i s s i , il ricatto dell’ordine costituito, in « L ’Orologio», VI (30 gennaio 1969), nn. 1-2. 8 Ovunque ci si batte per l’Europa si difende anche iOccidente, in «Il Secolo d’Italia», 13 novembre 1969. ’ Vedi le inchieste nel mondo giovanile dell’estrema destra pubblicate suU’«Assalto», I (13-27 aprile 1969), nn. 1-3. 10 F. Ge r m i n a r i o , L ’altra memoria. L ’estrema destra, Salò e la Resistenza, Bollati Boringhieri, Torino 1999. 11 a f u s , f. Pettinato, b. 15 , f. 80.

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za di un’identità “ altra” , con l’occupazione di uno spazio, sia in senso fisico sia commemorativo, tradizionalmente appannaggio de­ gli antifascisti. Le lapidi, i cippi commemorativi e i monumenti al­ la Resistenza furono oggetto di gesti vandalici, cosi come vi fu una recrudescenza di episodi violenti a danno delle sedi delle associa­ zioni partigiane12. Se l’estrema sinistra stava riscoprendo il mito della “ Resisten­ za tradita” , a destra, soprattutto tra le nuove generazioni, riprese forza il culto della vendetta della sconfitta subita nella guerra civi­ le. Cosi, nella memorialistica degli ex appartenenti ai gruppi terro­ ristici di sinistra, si è costruita l ’immagine (che giustifica la scelta della violenza fatta in passato) delle armi tramandate da parte dei vecchi partigiani per portare a termine la rivoluzione interrotta an­ ni prima: essa trova il suo apice narrativo nel celebre episodio, rac­ contato dal brigatista rosso Alberto Franceschini, della pistola te­ desca, bottino di guerra, donatagli da un ex partigiano. In modo analogo, nelle biografie dei terroristi neri si riscontrano episodi si­ mili, come quando, ad esempio, Pierluigi Concutelli, uno dei capi del Movimento Politico Ordine Nuovo (m p o n ), ricorda come nel­ l’ambiente neofascista le armi passassero «di mano, di generazione in generazione, quasi sistematicamente»13. Comune, quindi, fu la ricerca, da parte dei primi gruppi terroristici di destra e di sinistra, delle armi sotterrate durante la guerra dai partigiani e dai fascisti, in previsione di una ripresa dello scontro. Per il Movimento sociale fu allora agevole far leva su questo im­ maginario collettivo, per portare a termine il disegno di recupero della base giovanile neofascista. Nel 1969 una significativa data di commemorazione offri al m s i il pretesto di utilizzare ancora di più il passato come strumento per realizzare questa strategia. Quell’an­ no, il 23 marzo, ricorreva il cinquantenario della nascita dei Fasci di combattimento. A differenza del Partito comunista, che nel 1967 ingaggiò con l’estrema sinistra, in occasione del cinquantenario del­ la Rivoluzione d ’ottobre, un acceso dibattito sull’interpretazione del leninismo, il Movimento sociale non solo assecondò le riletture

12 Vedi, ad esempio, le cronache dellVUnità» e dell’«Avanti! », che riportano decin di episodi - aggressioni o gesti vandalici - contro uomini e simboli della Resistenza, in particolar modo con l’avvicinarsi della ricorrenza del 25 aprile. ” a . f r a n c e s c h in i , p. v. b u f f a e f . G iusT O L isi, Mara, Renato e io. Storia dei fondatori delle b r , Mondadori, Milano 2002, p . 4; e P. c o n c u t e l l i , Io, l ’uomo nero. Una vita tra po­ litica, violenza e galera, Marsilio, Venezia 2008.

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più radicali di quegli eventi fatte dai gruppi della destra extrapar­ lamentare e dalla base giovanile, ma si fece esso stesso promoto­ re d ’iniziative che si richiamavano esplicitamente al mito dello squa­ drismo14. Il costante rimando, nella stampa di estrema destra, alla crisi politica e sociale dell’Italia del primo dopoguerra, posta in idea­ le continuità con la crisi del centro-sinistra, servi per legittimare il ricorso alla violenza come unico mezzo per riportare ordine nel Pae­ se - cosi come era già successo in passato - , e trasmettere alla base giovanile i repertori d ’azione impiegati dagli squadristi nei primi anni Venti15. Secondo Giulio Caradonna, era necessario ripetersi e «richiamare i reprobi agli immortali principi della patria anche dan­ do di piglio a quel santo manganello che nei periodi di smarrimen­ to è l’unico argomento valido per rischiarare gli ottenebrati cervel­ li dei bruti da troppo tempo abituati a ragionare col ventre se non con il sedere»16. In occasione dell’anniversario della fondazione dei Fasci di combattimento, la federazione dell’Urbe del Movimento sociale organizzò un incontro fra Gino Calza Bini, fondatore del primo fascio romano e squadrista, «la vecchia guardia dello squa­ drismo di ogni epoca», con la «nuova guardia», impersonificata dai giovani del m s i 17. L ’incontro sfociò nel primo raduno della «giova­ ne e vecchia guardia» del 22 marzo 1969. Alla manifestazione parteciparono i reduci della r s i , i membri della direzione del M ovi­ mento sociale, i Volontari nazionali e alcuni componenti dell’otta­ va squadra che il 22 ottobre 19 22 aveva marciato su Roma, la stes­ sa in cui aveva militato il segretario del M S I, Michelini1*. In questa fase, preparatoria dello scontro, la violenza dell’e­ strema destra tese a manifestarsi a un livello prettamente simbo­ lico. I riti “ comunitari” servirono, infatti, ad ammonire gli avver­ sari che non vi sarebbero più state la frattura e l’impreparazione dei neofascisti, come nella contestazione universitaria del 1968, e che, nell’immediato futuro, le minacce avrebbero potuto tramu­ tarsi in realtà. 14 Fra i tantissimi articoli pubblicati cfr., ad esempio, Le canaglie non prevarranno. 1919/1969: cinquantenario di un anno ammonitore, in «L’Assalto», I (25 maggio 1969), n. 7. 15 Sulla trasmissione dei repertori d’azione cfr. v. r u g g ie r o , La violenza politica, Laterza, Roma-Bari 2006, p. 93. “ g . c a r a d o n n a , La tigre di carta, in « L ’Assalto», I (18 maggio 1969), n . 6. 17 Vita di Federazione, in «Il Secolo d’ Italia», 9 marzo 1969. “ Vibrante partecipazione di giovani al 1 Raduno Vecchia e giovane Guardia, ivi, 23 mar­ zo 1969. Cfr. anche a c s , m i , g a b , 1967-70, b. 100, fase. 12010/69.

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3. Il nesso tra paura e violenza. Cosi avvenne agli inizi del 1969, quando si registrò la prima grande ondata di agitazioni nelle fabbriche del Centro e del Nord d’Italia, dopo le diffuse avvisaglie che vi erano state tra il 1966 e il 1968. La mobilitazione operaia contribuì a innalzare la tensione e a far apparire sempre più fragili gli equilibri politici, soprattutto in una parte dei ceti medi, spaventata per le conseguenze economi­ che della crisi. I neofascisti cercarono di incoraggiare questo tipo di ansia diffusa, promuovendo una campagna d ’informazione vol­ ta a presentare il Paese sull’orlo di un precipizio. Si generò un cir­ colo vizioso: la verosimiglianza con cui venne rappresentato il con­ flitto sociale, descritto come un’ondata rivoluzionaria, determinò il modo in cui fu percepito, producendo un diffuso allarmismo. L ’e­ strema destra attuò uno scambio tra «realtà e metafora della realtà» uguale e contrario a quello vissuto dalla sinistra extraparlamenta­ re19. La mobilitazione operaia venne vista come primo passo per un’insurrezione che avrebbe portato alla crisi il sistema politico e spalancato le porte ai comunisti. In questo senso, per riprendere una suggestione di Georges Lefebvre, « l’idea del reale apparve più importante della realtà stessa»20. E difficile stabilire un confine net­ to tra la strumentalizzazione della paura e la paura stessa: i neofa­ scisti giocarono su tale ambiguità per legittimare la propria strate­ gia politica. La drammaticità dei toni con cui fu rappresentata la conflittualità sociale rifletteva un timore presente nell’estrema de­ stra, ma anche il bisogno di accreditarsi come interlocutore poli­ tico di una nuova possibile maggioranza e di presentarsi agli italia­ ni come gli unici strenui difensori dell’ordine pubblico. I neofasci­ sti, inoltre, imputarono al Partito comunista la volontà di utilizza­ re la piazza per influenzare la maggioranza, cosi come si riteneva esso avesse fatto in passato21. In particolar modo, il Movimento so­ ciale lanciò ai gruppi extraparlamentari l’accusa - analogamente a quanto fatto con gli studenti nel 1968 allo scoppio della contesta­ zione universitaria - di essere servizi d ’ordine “ irregolari” , di cui 19 v. v id o t t o , La nuova società, in g . s a b b a t u c c i e i d . (a cura di), Storia d’Italia, Laterza, Roma-Bari 1999, voi. VI, L ’Italia contemporanea. Dal 196} ad oggi, p. 71. 20 G. l e f e b v r e , La grande paura del 1789, Einaudi, Torino 1973, p. 7 1. !1 La politica del tritolo, in «Il Secolo d’Italia», 2 aprile 1969.

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si serviva il p c i per preparare il terreno per l ’ora x. Queste accuse erano in parte pretestuose, è vero, ma nell’estrema destra pesava la memoria della capacità dei comunisti di gestire gli scontri di piaz­ za, come avvenuto in occasione dell’attentato a Togliatti nel 1948 o nelle giornate del luglio i9 6 0 22. Ampie fasce della popolazione - non dimentichiamolo - guar­ davano con preoccupazione alla crisi che stava attanagliando il Pae­ se. Da altra prospettiva, i grandi mutamenti sociali in corso tra il 1968 e il 1969 furono vissuti da una parte dell’opinione pubblica come una grave minaccia, che metteva in discussione i ruoli, i co­ stumi e le gerarchie della società. Le manifestazioni degli studenti e del movimento operaio furono spesso caratterizzate da un illega­ lismo diffuso, non di rado sfociato in gravi episodi di violenza: da­ gli incidenti con le forze dell’ordine, agli attacchi alle proprietà, al­ le sedi dei partiti e dei quotidiani moderati, fino agli attentati com­ piuti dai gruppi estremisti contro le chiese, gli edifici pubblici e quelli che venivano considerati i simboli del potere. Il numero di poliziotti e carabinieri feriti nel corso delle manifestazioni sali notevolmente: 1680 nel 1968 e 1442 nel 1969, secondo i dati forniti dal ministero dell’interno23, cifre che si erano moltiplicate rispetto a quelle riscontrate in anni precedenti24. Attorno alle forze dell’or­ dine crebbe, cosi, una solidarietà rabbiosa che chiedeva vendet­ ta del caos e del disordine che pervadevano il Paese, espressa attraverso volantinaggi, petizioni e raccolte di fondi in favore dei feriti delle forze dell’ordine durante gli scontri di piazza25. L ’estrema destra cercò di intercettare questo risentimento, sof­ fiando sul fuoco attraverso una campagna di stampa incentrata sul­ l’accusa che dietro la conflittualità sociale si celasse, in realtà, la trama di un complotto capillare ordito dai comunisti per impadro­ nirsi del potere, cosi come aveva insegnato la dottrina della guer­ ra rivoluzionaria. G li scioperi nelle fabbriche, le agitazioni nei luo­ ghi di lavoro e nelle campagne vennero presentati come azioni di

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22 Su questo argomento vedi P. c o o k e , Luglio '6o\ Tambroni e la repressione fallita, T ti, Milano 2001. 25 a c s , m i , g a b , 1967-70, b. 40, ministero dell’interno, Direzione generale della Pub- 1 blica sicurezza, Ufficio statistico, Incidenti accaduti in manifestazioni politiche e sindacali 9

dall’ 1.1.19 6 8 a l ) i .12.1969. 24 Nel 1964, infatti, furono 369 gli agenti delle forze dell’ordine a essere feriti; 281 ] nel 1965, 768 nel 1966 e 452 nel 1967. 25 Ivi, b. 76, fase. 11070/93/7.

Fasi, modalità e protagonisti dello scontro

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sabotaggio e di guerriglia organizzate dal p c i su mandato dell’Unione Sovietica. La stampa di destra presentò i teatri di scontro sociale alla stregua di fronti bellici. Le notizie degli scioperi, del­ le agitazioni sindacali e delle manifestazioni furono snocciolate con il ritmo frenetico e ossessivo dei bollettini che in guerra aggiorna­ no sulla situazione del fronte: A Vibo Valentia una caserma della polizia è stata devastata da una bom­ ba, a Milano quattro ore di battaglia tra teppisti rossi e polizia; a Bologna le canaglie hanno invaso la stazione e bloccato i binari; a Firenze scontri e ten­ tativi di assaltare il giornale «La Nazione» infrangendone le vetrate; a M o­ dena stazione invasa, blocco dei binari, rovesciamento dei carrelli ferrovia­ ri, un treno bloccato; a Palermo scontri con la polizia e lancio di manifesti­ ni insultanti le forze dell’ordine; a Roma una bomba contro un auto della polizia; altra bomba a Trento contro la sede d e ll’iNPS; a Foligno è stato ap­ piccato il fuoco alla sede del giornale del Vescovado26.

Questi bollettini, ampiamente diffusi nella stampa di estrema destra, diedero l’impressione di assistere a un’offensiva pianifica­ ta dai propri nemici. Una simile percezione fu condivisa da larghe fasce del ceto medio. «Il Tempo», ad esempio, parlò di un «terro­ rismo sindacale» che si era proposto di «colpire il sistema indu­ striale nei suoi gangli più delicati»27. L ’estrema destra criminalizzò la conflittualità sociale, che venne rappresentata come una «guer­ ra civile atomizzata» di cui ogni più piccolo segno di tensione era considerata espressione28. E ra giunto il momento, allora, secondo « L ’Assalto», di utilizzare le «m itragliatrici [...] per difendere il Paese dai delinquenti»29. L ’accusa che il Partito comunista stesse lavorando a un complot­ to era formulata, a volte, sulla base di interpretazioni di notizie rac­ colte tramite canali oscuri. A marzo «Il Borghese» usci con uno scoop che informava i lettori sull’adozione da parte del p c i di pro­ cedure interne per la distruzione di documenti riservati e per par­ ticolari misure di vigilanza delle proprie strutture. Effettivamente, questa notizia sembra essere suffragata dalla documentazione con­

26 Quanti sono?, in « L ’Assalto», I (20 aprile 1969), n. 2; si veda anche Violenze sinda cali, in «Il Tempo», 19 ottobre 1969. 21 Strategia del terrore, ivi, 24 ottobre 1969. 28 Riprendo questa definizione da H. M . e n z e n s b e r g e r , Prospettive sulla guerra civile, Einaudi, Torino 1993, p. 33. 29 Usare le mitragliatrici, Esercito e polizia per difendere il Paese dai delinquenti, Popolo italiano svegliati!, in « L ’Assalto», I (13 aprile 1969), n. 1.

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Capitolo secondo

servata negli archivi del Partito comunista. Il 2 1 marzo 1969 la di­ rezione del p c i emanò una circolare, chiedendo di adottare alcune precauzioni30. Secondo l’articolo del «Borghese», questa circolare era la riprova che le strutture del PCI fossero a un passo dall’entra­ re in clandestinità. Allo stesso tempo, si informavano i lettori a pro­ posito del presunto ordine (questa volta non documentato) impar­ tito dalla direzione comunista ai propri militanti sui comporta­ menti da tenere negli scontri di piazza: [...] agli attivisti [•••] è stato suggerito di picchiare legnate sulle mani degli agenti: fra mille e più feriti che ha avuto la polizia l’anno scorso durante i servizi di ordine pubblico, moltissimi presentavano fratture alle mani. Uo­ mini cosi colpiti, oltre ad avere bisogno di una lunga convalescenza, molto spesso non possono più essere usati in piazza’1.

Questi timori sono ben visibili nell’interpretazione che diede l’estrema destra della rivolta di Battipaglia, centro agricolo in pro­ vincia di Salerno, scoppiata nell’aprile del 1969 in seguito alla chiu­ sura di uno zuccherificio e di un tabacchificio. Secondo tale lettu­ ra, né la disperazione popolare, né l’impiego di armi da fuoco da parte delle forze dell’ordine - che pure causarono due vittime tra i manifestanti - avevano scatenato la sommossa, bensì l’operato di commandos comunisti ben addestrati alla guerriglia, nonostante il fatto che, anche in questo caso, molti neofascisti avessero preso par­ te alla rivolta32. Nel susseguente dibattito parlamentare, Giovanni De Lorenzo, l’ex generale dei carabinieri, già inquisito per il «Pia­ no Solo», da poco divenuto deputato del Movimento sociale, parlò di Battipaglia come di una «battaglia sperimentale», dov’erano sta­ te applicate le tecniche di guerriglia collaudate dai comunisti in Asia, in Medio Oriente e in America Latina33. Scrisse 1’« Assalto»: «A Battipaglia dobbiamo purtroppo riconoscere con pieno successo, il p c i ha messo in atto una “ prova insurrezionale” che certamente ri­ peterà nei prossimi giorni nelle altre città italiane»34. MLa circolare invitava a distruggere il materiale archivistico non necessario, a un uso discreto degli apparecchi telefonici per paura di controlli, e a una maggiore attenzione per i documenti lasciati incustoditi nelle sedi del partito, a p c , Circolari, mf. 0305, p. 1443.

" La Repubblica spalle al muro. La prova della responsabilità del p c i all'origine della guer­ riglia: da un mese l ’apparato comunista è tornato alle regole della clandestinità, in «Il Borghe­ se», X X (23 gennaio 1969), n. 4. ” v. c a m p a g n a , La rivolta di Battipaglia, Edizioni ” a p , 28 aprile 1969, p. 7728.

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Padova 1988.

* Battipaglia-, prova generale della rivoluzione comunista, in «L'Assalto», I (aprile 1969), n. 2.

Fasi, modalità e protagonisti dello scontro

55

4. La piazza di destra. In proporzione all’aggravarsi della conflittualità sociale, già sul finire del 1968, per impulso dei vari partitini e movimenti di estre­ ma destra, proliferarono gruppi che si erano proposti di affiancare le forze dell’ordine negli scontri di piazza, come le Guardie nazio­ nali, la Gioventù italiana anticomunista e la Forza autonoma gio­ vanile, tutte denominazioni che ricalcavano quelle utilizzate dalle formazioni fasciste clandestine nel secondo dopoguerra” . Fenome­ ni simili si erano registrati nel corso degli anni Sessanta in diversi Paesi: negli Stati Uniti, con la costituzione di leghe armate per fron­ teggiare le rivolte dei ghetti neri, in Giappone, durante la contestazione universitaria del 1968, in cui i movimenti nazionalisti or­ ganizzarono squadre per intervenire a fianco delle forze dell’ordi­ ne, e in Francia, con la comparsa di gruppi di estrema destra che attaccarono gli operai e gli studenti nel corso delle manifestazioni. Anche il Movimento sociale cominciò a prepararsi meticolosa­ mente allo scontro di piazza, disciplinando i propri servizi d ’ordi­ ne, che in passato si erano dimostrati inadeguati ai loro compiti e alla mercé delle correnti del partito. Con specifiche disposizioni, le organizzazioni giovanili del m s i furono incaricate, inoltre, di predisporre misure ritorsive ogni qualvolta un gruppo o un m ovi­ mento di estrema destra fosse stato attaccato dagli avversari poli­ tici16. Allo stesso tempo, il Movimento sociale lanciò una campa­ gna di stampa per invitare i cittadini all’« autodifesa»” . La stra­ tegia comunicativa del partito, propagata attraverso la stampa, la radio e la televisione, si basò sull’argomentazione che il governo di centro-sinistra non fosse più in grado di difendere lo Stato e che, di conseguenza, fosse dovere di tutti i cittadini organizzarsi per salvare le istituzioni dalla rovina58. Si specificò, inoltre, che solamente l’esecutivo sarebbe stato ritenuto colpevole dell’even­ tuale repressione delle azioni del Movimento sociale e dei gruppi ” a c s , p s , g , 1944-86, b. 3 1 1 , fase. G 5/12/19 e b. 343, fase. G5/42/45; e a c s , m i , g a b , 1967-70, b. 24, fase. 348P/6, 1 1 e 15; e b. 25, fase. 840P/2. H Acs, m i , g a b , 1967-70, b. 19, fase. 195P/100/1. ” F. k u f f o d i C a l a b r i a , Autodifesa stato di necessità, in «Il Secolo d’Italia», 9 gennaio 1969. ” Il M SI respinge la violenza comunista. Il vice-segretario nazionale del partito on. Ernesto De Marzio a Tribuna Politica, ivi, 18 aprile 1969.

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Capitolo secondo

a esso vicino - e non le forze dell’ordine - , invitate a solidarizza­ re con i manifestanti di destra. Il m s i puntò cosi a delegittimare il governo di centro-sinistra, tentando di esautorarlo da una delle sue più importanti funzioni, quella di garantire l ’ordine pubblico. La distinzione tra governo e Stato, se era plausibile da un punto di vista teorico, non funzionò tuttavia nella pratica. Il dispiega­ mento di piccole formazioni decise a scontrarsi con le sinistre nel­ le piazze, in aiuto delle forze dell’ordine, fini con il mettere in di­ scussione il monopolio statale della violenza, alimentando perico­ lose spinte centrifughe. Queste si manifestarono in occasione della visita di Richard N ixon in Italia, il 27 e il 28 febbraio 1969. Il Par­ tito comunista organizzò a Roma una grande manifestazione di protesta, cui si aggiunsero le dimostrazioni del movimento studen­ tesco e della sinistra extraparlamentare. Il Movimento sociale pre­ parò una contromobilitazione, con cortei, presidi e volantinaggi di fronte alle caserme della polizia e delle Forze Arm ate” . Venne­ ro formate, poi, piccole squadre d ’assalto, che si scontrarono con i manifestanti del p c i e che assediarono le facoltà occupate, in una città presidiata dalle forze deH’ordine40. Il bilancio fu grave: uno studente, Domenico Congedo, nel tentativo di ripararsi da un at­ tacco dei neofascisti alla facoltà di Magistero occupata, cadde da un cornicione attraverso cui stava scappando, morendo sul colpo41. G li incidenti durante la visita di N ixon lasciarono intravedere l ’ambiguità del ricorso alla violenza da parte dei neofascisti. In presenza della polizia, essi promossero attacchi ai cortei organiz­ zati dal p c i e assalti alle università occupate, confermando i timo­ ri dei loro avversari di una complicità con il ministero dell’inter­ no, salvo poi scontrarsi, il giorno dopo, con poliziotti e carabinie­ ri, nel tentativo di una spedizione contro la sede centrale del p c i in via delle Botteghe Oscure a Roma42. ” Grave provocazione governativa. Vietata la manifestazione del fu a n , ivi, 27 febbraio 1969; Appello alle Forze Armate della Federazione romana del msi, ivi, 18 febbraio 1969; e Acs, m i , g a b , 1967-70, b . 39, Incidenti verificatisi durante manifestazioni a carattere politico e sindacale, 24 marzo 1969. 40 Negli scontri si distinsero particolarmente il Gruppo giovanile romano e il Centro iniziative antimarxiste, due piccole formazioni orbitanti intorno al m s i ; vedi anche la cro­ naca 1 giovani d el m si impegnati in duri scontri con i comunisti, in «Il Secolo d’Italia», 28 febbraio 1969. 41F . s o c r a t e , Una morte dimenticata e la fine del Sessantotto, in «Dimensioni e proble­ mi della ricerca storica», I (2007), pp. ^ 7-90. 42 La polizia aggredisce gli studenti anticomunisti, in «Il Secolo d’Italia», 2 marzo 1969.

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La riuscita della contromobilitazione incoraggiò il M ovim en­ to sociale a indire una serie di manifestazioni volte a sfidare le si­ nistre sul terreno della mobilitazione di piazza. Un raduno di mas­ sa promosso dal m s i avrebbe dovuto tenersi a Roma il 3 maggio, a ridosso della ricorrenza della festa del lavoro. A ll’appello rispo­ se la maggior parte dell’associazionismo di destra: dai gruppi gio­ vanili, alle associazioni reducistiche della Grande Guerra, dai vo­ lontari fascisti nella guerra di Spagna ai reduci della Repubblica sociale, a numerosi esponenti delle Forze Armate e dei rappresen­ tanti della giunta militare greca41. La manifestazione vide parteci­ pare poche migliaia di persone, ma suscitò, ugualmente, grande impressione, anche per la rappresentazione scenica dell’antagoni­ smo di estrema destra, ben descritto in una cronaca del «C orrie­ re della Sera»44: [...] delle molte bandiere italiane sventolate dai convenuti, ce ne sono parec­ chie che ostentano stemma sabaudi mescolati ai fregi della repubblica di Salò [...] C i sono squadre con baschi neri, altre con berretti mimetici e con fez, m olti indossano bracciali di vario colore sulla camicia nera, e numerosi sono i fazzoletti da collo tricolori o neri. M onotoni e petulanti, si levano di tanto in tanto rulli di tamburi alternati a invocazioni al duce. I berretti m ilitari di congedati ed ex com battenti spiccano sotto la selva di striscioni « Il m arxi­ smo è nel sistema, morte al sistem a», « Q u i il comuniSmo segnerà il passo»4’ .

Sospinto dal successo di queste manifestazioni, Mario Tedeschi, il direttore del «Borghese», tenne un comizio in un cinema di R o ­ ma, per invitare i cittadini alla costituzione dei Gruppi di azione nazionale46. Tali formazioni sarebbero dovute intervenire a fianco delle forze dell’ordine, quand’esse si fossero trovate in difficoltà, e avrebbero dovuto adempiere a una serie di altri compiti, come oc­ cupare le sale cinematografiche con programmazione di film giu­ dicati immorali, impedire gli scioperi e occupare le chiese governa­ te da parroci progressisti. Secondo Tedeschi, addirittura, si dove­ va arrivare al punto di «sabotare, sul posto di lavoro, i comunisti, 4’ Il comuniSmo non passerà. Oggi alle ore 18 grande manifestazione del m s i in P. dell'Esedra, ivi, 3 maggio 1969. 44 Vedi anche

a c s, m i, g a b,

45 G.

Contro primo maggio a Roma. Organizzato dai seguaci del Movimento so­

z in c o n e ,

1967-70, b. 100, fase. 121010/69.

ciale, in «Corriere della Sera», 4 maggio 1969. 4‘ a c s , m i , g a b , 1967-70, b . 19, fase. 195 P/98; e a c s , PS, G, 1944-86, b . 328, fase. G5/35/87. Un’analoga iniziativa era stata promossa nel 1968, ma con nessuna realizzazio­ ne pratica.

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Capitolo secondo

rovinandoli in tutti i modi», e «individuare i ricchi borghesi com­ plici [...] denigrandoli con scritte sulle mura delle loro abitazioni o con diffusione di volantini»47. Sempre per iniziativa del «Borghe­ se», nacque il “ Soccorso tricolore” , per i giovani e i militanti che negli scontri con gli avversari politici e le forze dell’ordine avesse­ ro avuto bisogno di un supporto legale48. Queste iniziative non seguirono, bensì precedettero l’autunno caldo, e s’intensificarono nel momento di più alta tensione interna dei due maggiori partiti della coalizione di governo, con la Democrazia cristiana e il Partito socialista impegnati in difficili congressi, per decidere in ordine al proseguimento dell’esperienza del centro-sinistra. Di fronte al delinearsi di questi scenari, il Movimento sociale optò per una mobilitazione basata sullo scontro frontale con le sinistre. L ’obiettivo era quello di fomentare il disordine per rafforzare la richiesta di fine anticipata della legislatura, in favore di elezioni che avrebbero dovuto segnare la conclusione del governo di centrosinistra. In questo disegno la violenza giocava un ruolo fondamen­ tale. La dirigenza missina decise di dar vita a una «piazza di destra», da contrapporre alla «piazza rossa». Almirante era consapevole della sproporzione delle forze in campo: i neofascisti, infatti, non avrebbero potuto competere da soli con la mobilitazione delle sinistre. L ’impiego della violenza non puntava all’applicazione efficiente di una forza reale, quanto al dispiegamento di una forza potenziale4’ . Venne formulata una strategia della violenza basata sulla dissuasio­ ne: minacciando lo scontro frontale, in realtà si rafforzava una posizione di negoziato. In questo modo, il ricorso alla violenza si adat­ tava a una situazione fluttuante, che apriva a diversi scenari - dalla radicalizzazione del conflitto sociale alla possibilità di nuove elezioni - consentendo, allo stesso tempo, di accumulare una risorsa spendibile in un’ipotetica situazione di crisi irreversibile nel Paese50. Con 47 a c s , p s , G, 1944-86, b . 328, fase. G5/35/87. Analoghe iniziative erano segnalate a Grosseto: a c s , m i , g a b , 1967-70, b . 19, fase. 195 P/98. 48 Nasce il Soccorso Tricolore, in «Il Borghese», X X (17 luglio 1969), n. 29; e IlSoccorso Tricolore, ivi (agosto 1969), n. 3 1. Già nel settembre del 1968 gli ambienti vicino al «Borghese» avevano attivato dei Gruppi attivisti di movimento dell’opinione pubblica, con lo scopo di costituire un fondo denominato “ Soccorso tricolore” per la difesa legale dei giovani di destra coinvolti negli scontri di piazza, a c s , p s , g , 1944-86, b. 328, fase. G5/35/87. 49 T. c . Sc h e l l i n g , La strategia del conflitto, Bruno Mondadori, Milano 2 0 0 6 , p. 5 . 50Sull’utilizzo della violenza in una fase fluttuante di crisi si veda R. s c h n u r , Rivoluzione e guerra civile, Giuffrè, Milano 1986, p. 138.

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la mobilitazione di una piazza di destra il Movimento sociale, inol­ tre, consolidò la sua posizione di riferimento dell’area neofascista e, tra i ceti medi spaventati dalla crisi, riuscì a raccogliere consensi che andavano al di là del proprio tradizionale bacino elettorale. La centralità della violenza, nella strategia del Movimento so­ ciale, divenne un programma politico esplicito, con l’assunzione di precise responsabilità pubbliche sul suo utilizzo. La proposta di dar vita a una piazza di destra fu presentata in occasione dei lavori del comitato centrale del partito, nel settembre del 1969. «A ogni azio­ ne di piazza comunista - ammonirono i dirigenti missini - corri­ sponderà una contro-azione promossa dal m s i » 51. Essendo ritenu­ ta ogni manifestazione di conflittualità sociale una manovra del Partito comunista, i confini del concetto di «contro-intervento» si dilatarono à dismisura. Ne consegui una più marcata organizza­ zione della violenza. Nel settembre del 1969, il terzo corso di ag­ giornamento promosso dal m s i per i giovani quadri del partito, te­ nutosi sulla montagna del Terminillo, evocativa dei passati fasti sportivi del regime, vide intense giornate di attività fisica, con le­ zioni sulle arti marziali orientali e seminari sulla genesi e le tecni­ che del colpo di stato” . Il monitoraggio del ministero dell’interno sui gruppi dell’estrema destra fornisce la misura dei tentativi dei neofascisti di dar vita a una forza da opporre nelle piazze alla mo­ bilitazione delle sinistre. Furono raccolte molte informative, cata­ logate significativamente sotto la dicitura “ squadre d ’azione del m s i ” , definizione che si richiamava esplicitamente ai repertori d ’a­ zione utilizzati dai fascisti nel primo dopoguerra. Il Movimento so­ ciale ricopri, infatti, un ruolo sempre più importante nella rete di gruppi d ’intervento che si stava costruendo nel Paese” . Emergono, cosi, le diverse proporzioni e le differenti forme che nel 1969 assunsero le contrapposte mobilitazioni dei neofascisti e della sinistra extraparlamentare. Q uest’ultima, come vedremo, te" Messaggio agli Italiani. Relazione del segretario nazionale del Movimento sociale italia­ no Giorgio Almirante al Comitato Centrale del Partito, Roma, 27-28 settembre 1969, p. 27. ” A l Terminillo il terzo corso di aggiornamento politico per dirigenti giovanili del m s i e della Giovane Italia, in «Il Secolo d’Italia», 4 settembre 1969. ” L ’invito all’autorganizzazione trovò adesioni in molti partiti e movimenti di estre­ ma destra. Tra il settembre e l’ottobre del 1969, ad esempio, si svolsero a Lucca riunioni tra alcuni reduci della r s i , già appartenenti alla Milizia volontaria per la sicurezza nazio­ nale, e il Fronte nazionale per la costituzione di «gruppi di azione». Analoghe iniziative furono prese a Genova, a Firenze e a Nuoro, a c s , m i , g a b , 1967-70, b. 1 1 , fase. 195 P/98 e b. 19, 195 P/98.

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Capitolo secondo

se a esprimersi negli scenari di conflittualità sociale, come scioperi, i cortei interni alle fabbriche, e le agitazioni sindacali. La mobilita­ zione dell’estrema destra si manifestò, invece, con una fenomeno­ logia più complessa, caratterizzata da uno stillicidio di azioni, con­ dotte da singoli individui o da bande, in cui la violenza di piazza e di strada s’intrecciò con i piani di destabilizzazione dei gruppi ol­ tranzisti. Piani che trovarono una loro prima realizzazione tra la primavera e l ’estate del 1969, con gli attentati del 25 aprile alla Sta­ zione centrale e alla Fiera di Milano, e con le bombe fatte scoppia­ re, nella notte fra F8 e il 9 agosto, su otto treni in diverse località del Nord, del Centro e del Sud d ’Italia. A livello di violenza diffu­ sa, tuttavia, non è raro che fossero gli stessi militanti del Movimen­ to sociale e delle sue organizzazioni giovanili a essere protagonisti degli episodi più efferati, come quando, nel febbraio del 1969, un militante della Giovane Italia perse una mano, mentre cercava di far esplodere una bomba davanti a una sede del p c i 54. Più radicali, almeno in questa fase, i repertori d ’azione impiegati dai neofasci­ sti, che erano soliti utilizzare negli scontri di strada le armi bian­ che, e non di rado quelle da fuoco” . Il Movimento sociale tentò d ’incanalare questi diversi fermen­ ti, con l’obiettivo di contrastare la «strategia dell’attenzione» di Aldo Moro nei confronti del Partito comunista, trovando una sim­ metria d ’azione con i gruppi più estremi. Scrisse Almirante a fine ottobre del 1969: Siamo nel caos [...] giunti a questo punto, i casi sono due: o la suprema Ma­ gistratura della Repubblica interviene per costringere subito la cosiddetta mag­ gioranza di centro-sinistra a una aperta verifica o è fatale che la crisi si trasfe­ risca dal Governo, dai partiti, dal Parlamento al Paese, cioè anche alla piazza” .

Proprio Moro divenne per i neofascisti l’impersonificazione del disastro, della rottura della «diga democristiana», che andava so­ stituita con un argine ben più solido. I gruppi terroristici declina­ rono quest’ostilità in maniera radicale, arrivando, addirittura, a mi­ nacciare di morte lo statista democristiano, se avesse proseguito sul­ 54 Vergognose speculazioni comuniste dopo il ferimento del giovane Cipriani, in « Il Seco­ lo d’Italia», 7 febbraio 1969. ” Nel gennaio del 1969, ad esempio, a Livorno, da una sezione del Moyimento socia­ le vennero sparati dei colpi di pistola contro un’auto di attivisti comunisti. E la stessa cro­ naca del «Secolo d’Italia» a riferire l’ accaduto. Cfr. Igiovani del m s i di Livorno respingono "aggressione comunista, ivi, 12 gennaio 1969. “ G. a l m i r a n t e , Nel caos, ivi, 23 ottobre 1969.

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la strada del dialogo con il p c i. « Signor ministro degli Esteri on. A l­ do M oro», era scritto in un biglietto fatto pervenire al presidente della Democrazia cristiana dalle Squadre d ’azione Mussolini ( s a m ) : [...] abbiamo tollerato fin troppo questo sistema di merda creato da voi de­ mocristiani con la compartecipazione di quegli altri lecchini del p s i . Per voi non basta più né l’olio di ricino, né il manganello. Se le supposte non baste­ ranno a liberare l’Italia dalla vostra merdosa presenza, ricorreremo al piom­ bo del quale disponiamo in quantità. N ell’eventualità che neanche le pallot­ tole possano avere l ’effetto desiderato, ricorreremo a mezzi più grossi [...] Cominciate a tremare perché l’Italia sta vivendo un momento storico! Il mo­ mento della riscossa è vicino. Tutti gli italiani sono pronti alla lotta” .

5. G li allarmi per il colpo di stato. N el gennaio del 1969, lo storico Giorgio Spini scrisse sul set­ timanale socialista « L ’Opinione»: Ieri un colpo di stato militare in Brasile; l’altro ieri in Perù; diciotto me­ si fa in Grecia. Tutti lavoretti di poche ore, sbrigati prima ancora che il pae­ se si riavesse dalla sorpresa. I militari hanno imparato l’arte di far fuori un paese con la stessa sveltezza con cui si tira il collo a una gallina. A chi toc­ cherà essere fatto fuori la prossima volta?58.

Tra il i9 60 e il 1969 si registrarono nel mondo 57 colpi di sta­ to, nella maggior parte dei casi in Asia, in Africa e in Sudamerica. Dopo il golpe dei colonnelli in Grecia nel 19 67, le rivelazioni sul caso « s i f a r » dello stesso anno - in relazione al quale una commis­ sione parlamentare d ’inchiesta indagava nel 1969 - e l’inasprirsi della crisi del centro-sinistra, si diffuse in Italia, tra i partiti e i mo­ vimenti di sinistra - e in particolar modo nel Partito comunista - , la paura per l’imminenza di un colpo di stato. Per tutto il corso del 1969, l’«Unità», «Rinascita» e altre testate di area comunista pub­ blicarono spesso allarmi sull’eventualità di un imminente putsch del­ le Forze Armate con il sostegno attivo dell’estrema destra. Il timo­ re di un colpo di stato fu un elemento importante nel determinare un diffuso clima di tensione. E difficile tracciare, anche in questo caso, una linea di demarcazione netta fra la paura reale e la sua stru­ mentalizzazione. Si creò a sinistra un processo analogo a quello ri” cm ,

doc. xxm, n.

5,

voi. CVIII, 1996, pp. 660-61.

n G. sp in i, Il fascismo senza volto, in «L’Opinione», n.u., gennaio 1969.

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Capitolo secondo

scontrato nell’estrema destra, con la grande differenza che l’utiliz­ zo della paura, in questo caso, non ebbe fini eversivi. La verosimi­ glianza delle notizie sulla prossimità di un colpo di stato produsse ansia e paura reali, ma allo stesso tempo divenne lo strumento tra­ mite il quale il Partito comunista puntava a rafforzare la propria strategia di dialogo con il governo di centro-sinistra. Il PC I, insisten­ do sulla prossimità di un golpe, tentò, infatti, di accreditarsi come l ’esclusivo garante dell’ordine costituzionale, e il solo argine con­ tro i rischi d ’involuzione autoritaria per il Paese. G li allarmi sull’imminenza del colpo di stato si concentrarono prevalentemente dal marzo all’agosto del 1969, accompagnando la breve vita del primo governo Rumor, varato il 13 dicembre 1968 e conclusosi il 5 luglio, in seguito alla scissione socialista. Le prime notizie furono lanciate a marzo dall’«Unità». Si informarono i let­ tori di come i carabinieri avessero diramato una serie di disposizio­ ni, che prevedevano la schedatura dei militanti e dei simpatizzanti di sinistra, il controllo dei quartieri operai delle città del Centronord e particolari misure di difesa delle caserme; si dava conto, inol­ tre, di spostamenti di reparti dell’esercito nelle più grandi città ita­ liane” . L ’articolo ricevette una secca smentita da parte del «Popo­ lo» e dell’« Avanti! », ma il quotidiano comunista insistette, denun­ ciando, nei giorni successivi, l’esistenza di un nuovo piano eversi­ vo, con - questa volta - protagonisti i neofascisti, foraggiati dal mi­ nistero dell’interno60. Questi allarmi non rimasero solo sulla carta. Il 2 1 marzo la direzione del p c i inviò una circolare, che invitava tut­ te le sezioni di lavoro del comitato centrale ad adottare particolari misure di vigilanza (la stessa pubblicata, in quei giorni, dal «B or­ ghese»). L ’ipotesi del golpe, inoltre, fu a più riprese oggetto di di­ battito nelle riunioni della direzione del p c i61. G li attentati del 25 aprile alla Fiera e alla Stazione centrale di Milano furono all’origi­ ne di una nuova sequenza di allarmi62. A giugno l’«Unità» ne lan-

” Cosa c’è dietro l ’operazione “ordine pubblico". Ancora il clima del ’64?, in «l’Unità», 16 marzo 1969. 60 II colpo di Stato del brigadiere, in «Il Popolo», 17 marzo 1969; e Seccamente sment te le denunce dell'Vnità, in «l’Avanti! », 19 marzo 1969. Per le smentite da parte comuni­ sta cfr. c. d e s i m o n e , Chi si serve dei fascisti?. Gli attentati missini e i problemi dell'ordine pubblico, in «l’Unità», 18 marzo 1969; e A. t o r t o r e l l a , Dove nascono certe velleità, in «Rinascita», X X V I (21 marzo 1969), n. 12. “ Situazione politica, 24 marzo 1969, in a p c , Direzione, voi. II, verbale n. 6, pp. 5-6 sgg.; e Riunione della Direzione, 7-8 maggio 1969, ivi, voi. Ili, p. 12 1 . “ Ivi, Circolari organismi di Direzione, mf. 0305, p. 1455.

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ciò uno nuovo, per l’imminenza di un colpo di stato, fornendo, in un lungo articolo, dettagliate informazioni riguardanti un «piano T » predisposto dalla sezione A ffari Riservati del ministero dell’in ­ terno, pronto a scattare in caso di emergenza63. Durante la crisi po­ litica innescata dalla scissione socialista e dalla caduta del governo Rumor, a luglio, si registrò una seconda catena di allerte, nuova­ mente ripetute dopo gli attentati ai treni nella notte fra l’8 e il 9 agosto64. Lo stato di tensione che attanagliò la sinistra è ben descrit­ to, inoltre, in un libro pubblicato da Giangiacomo Feltrinelli su un tentativo golpista avvenuto nell’estate del 196965. Anche nel di­ scorso pubblico si determinò una vera e propria “ psicosi” : in quei mesi, ad esempio, usci nelle sale cinematografiche Colpo di Stato di Luciano Salce, un ironico film di fantapolitica che narrava la pre­ sa del potere da parte dei comunisti e la conseguente fuga dei ric­ chi dal Paese. Afferm ò sarcasticamente un corrispondente france­ se intervistato dal settimanale «Panorama»: «In Italia ogni volta che c’è un imbottigliamento del traffico, ogni volta che più di tren­ ta persone aspettano insieme l’autobus, c ’è qualcuno che dice, an­ zi che sussurra: ecco il putsch»“ . D i fronte a tale sequenza di allarmi, la reazione della sinistra extraparlamentare fu minima, se paragonata a quella del Partito comunista nello stesso periodo. I timori dei gruppi di estrema si­ nistra circa la possibilità di un colpo di stato si concentrarono pre­ valentemente nel 19 6 7, dopo il golpe dei colonnelli in Grecia, in special modo tra le correnti rivoluzionarie legate all’editore Feltri­ nelli, i marxisti-leninisti e i circoli studenteschi dell’emigrazione greca67. Sono scarsi, invece, i riferimenti nella stampa e nei docu­ menti dei gruppi operaisti, che si mostrarono scettici sulla proba­ bilità di un golpe68. Nel 1969, nel momento di più alta tensione,

63 Piano T per reprimere i movimenti popolari. Si sviluppano nel Paese le manovre per as­ sicurare iordine pubblico, in «l'Unità», 5 giugno 1 9 6 9 . 64 Vigilanza ed unità delle masse. Comunicato della federazione romana del PCI, ivi, 1 1 lu­ glio 1969; e Vigilanza e mobilitazione per nuove conquiste sociali, ivi, 21 luglio 1969. 11 G. F e l t r i n e l l i , Estate 1 9 6 9 . La minaccia incombente di una svolta radicale e autorit ria a destra dì un colpo di stato a li italiana, Feltrinelli, Milano 1 9 6 9 . “ Un colpo di Stato fatto di telefonate, in «Panorama», VII (24 luglio 1 9 6 9 ) , n. 1 7 9 . " Per la reazione della Federazione marxista-leninista d’Italia vedi Comunicato, in «Ri­ voluzione proletaria», II (aprile-maggio 1967), nn. 4-5; e Morte al fascismo Usa! Il proleta­ riato greco vincerà!, ivi. A proposito della propaganda politica dell’emigrazione greca in Ita­ lia si veda la rivista «Amee», Fronte di lotta dei Greci (antimperialista antifascista), bol­ lettino di informazioni. “ Editoriale, in «Il Potere Operaio», I (2 6 ottobre 1 9 6 7 ) , n. 6.

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l ’estrema sinistra ritenne comunque che la minaccia maggiore pro­ venisse da un accordo tra le forze governative, il Partito comuni­ sta, i sindacati e gli industriali per porre fine alle agitazioni nelle fabbriche e rilanciare il centro-sinistra. I continui allarmi sull’im­ minenza di una svolta autoritaria e l’appello all’unità di tutte le forze antifasciste lanciato dal PCI vennero bollati come il tentati­ vo di scoraggiare la classe operaia dai suoi propositi rivoluziona­ ri69. Nella sinistra extraparlamentare, la paura del colpo di stato cominciò ad avere un peso consistente quando furono pubblicati e diffusi i primi lavori di controinformazione sugli attentati neo­ fascisti del 12 dicembre 1969, e in seguito alla rivelazione delle notizie riguardanti il tentato golpe di Junio Valerio Borghese nel marzo del 19 7 1 . Prima di quel momento aveva prevalso un diffu­ so scetticismo, e la convinzione che la risposta popolare avrebbe facilmente neutralizzato un eventuale colpo di mano dei milita­ ri70. «Esiste il pericolo di una repressione massiccia a breve termi­ ne? Esiste [...] il pericolo che venga tentato un colpo di Stato al­ la greca?»: cosi era scritto, ad esempio, in un articolo pubblicato dal periodico trockijsta «Bandiera Rossa» il 15 marzo 1969, negli stessi giorni in cui l ’«U nità» lanciava l’allarme per l’imminenza di un putsch. Il pezzo proseguiva: «per parte nostra non crediamo che la situazione permetta la variante più negativa di una repressione generalizzata e ancor meno crediamo che l’Italia sia alla vigilia di un colpo di Stato»71.

6. La mobilitazione del Partito comunista. Un ulteriore contributo all’innalzamento della tensione venne dal Partito comunista. La sua serrata polemica nei confronti del governo di centro-sinistra sulla mancata realizzazione delle “ rifor­ me di struttura” durante la campagna per le elezioni del 19 mag­ gio 1968 aveva, si, portato a un incremento di voti del partito, ma alla lunga si rivelò essere un fattore di destabilizzazione, renden­

69 Un fascismo di tipo nuovo, in «Viva l’Avanguardia proletaria», n.u., giugno 1969. 70 Questa, ad esempio, era la linea del Partito comunista rivoluzionario, membro del­ la IV Internazionale, espressa in alcuni documenti indirizzati ai maggiori partiti di sinistra. Ape, Partiti e movimenti, mf. 0307, pp. 2824-44; 2855-60. 71 Compiti urgenti per i rivoluzionari, in «Bandiera Rossa», X X (15 marzo 1969), n. 3.

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do opachi e incerti gli scenari futuri del quadro politico. L ’inva­ sione sovietica della Cecoslovacchia indebolì la posizione del par­ tito, che dovette affrontare, non solo la fronda interna («dallo sta­ linismo si esce a sinistra», come scrisse polemicamente il «m ani­ festo»)72, ma anche i ferm enti della propria base, sempre più insofferente nei confronti della dirigenza. I mesi tra la fine del 1968 e il x i i Congresso del partito, nel febbraio del 1969, furono segnati da contraddizioni e fratture. La dirigenza comunista non si trovò unanime sul comportamento da adottare nei confronti del­ la contestazione universitaria. E nota la polemica tra G iorgio Amendola, sostenitore di una chiusura agli studenti, e Pietro Ingrao, che propugnava invece una linea di dialogo con i movimen­ ti” . Il drastico calo d ’iscritti della Federazione giovanile comuni­ sta, e la seduzione esercitata su quest’ultima dai gruppi extrapar­ lamentari, resero urgente sciogliere il nodo delle relazioni da tenere con l ’estrema sinistra74, tanto più che nel partito l’area oltranzista guidata da Pietro Secchia aveva ripreso consistenza75. Il p c i scelse la strada più insidiosa, tentando il dialogo con il mo­ vimento studentesco, alla ripresa delle agitazioni universitarie in oc­ casione dei progetti di riforma avanzati dal ministro della Pubblica Istruzione Fiorentino Sullo nel gennaio del 196976. La decisione cad­ de in un momento poco propizio, per il rinnovato attivismo dei grup­ pi neofascisti dopo la morte di Jan Palach e per la contemporanea mossa del Movimento sociale di puntare sull’università per recupe­ rare il terreno e i consensi perduti. I movimenti studenteschi, inol­ tre, avevano accentuato la loro deriva estremista, avvicinandosi al­ le posizioni rivoluzionarie della sinistra extraparlamentare. Il Par­ tito comunista si trovò a svolgere, suo malgrado, un ruolo attivo

™ Editoriale, in «il manifesto», 1 (giugno 1969), n. 1. ” G. a m e n d o l a , Necessità della lotta su duefronti, in «Rinascita», X X V (7 giugno 1968), n. 23; e p. in g r a o , Una diagnosi sulla crisi delle istituzioni, in Masse e potere, Editori Riuni­ ti, Roma 1977, pp. 259-85. 7< f g c i , Atti del Convegno degli studenti Universitari Comunisti, Firenze, Palagio di Par­ te Guelfa, 17-18 -19 marzo 1968, suppl. a «Nuova Generazione», X III (6 luglio 1968); e

Movimento operaio e movimento studentesco, Relazioni di Achille Occhetto e Gianfranco Borghini, Ariccia 29-30 novembre - i ° dicembre 1968, suppl. a ivi (15 dicembre 1968). ” F. d u b l a , Secchia, il pcie il '68, Datanews, Roma 1998, p p . 37-45. 76 Nota per la Direzione. Attuali compiti del Partito a proposito del Movimento studente sco, in a p c , Direzione, voi. IV, p. 2. Vedi anche gli articoli pubblicati da G. b o r g h in i , L ’al­ ternativa studentesca alla Controriforma Sullo e Crisi e ripresa del movimento studentesco, in «Rinascita», X X V I (24 gennaio 1969), n. 4; e ivi (28 febbraio 1969), n. 9.

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nella diffusione della violenza, in particolar modo negli scontri di strada e di piazza con i neofascisti, dopo che si era verificata, nei primi mesi del 19 6 9 , una recrudescenza di attentati alle sezioni del partito e di attacchi ai suoi iscritti o simpatizzanti. Lungi dal ri­ manere sulla difensiva, i militanti comunisti furono protagonisti, non di rado, di aggressioni contro gli avversari, come quando, il 7 gennaio 1969, venne attaccato e disperso un corteo composto dai giovani del p l i e del m s i che sfilava sotto la sede dell’«Unità» a F i­ renze, per protestare contro l’occupazione sovietica della Cecoslo­ vacchia” . Fu nel confronto con l’estrema destra per contendersi gli atenei che il Partito comunista mostrò maggiormente la sua aggres­ sività. A fine gennaio, a Napoli, all’università Federico II, scoppiò una serie d ’incidenti tra gli studenti del movimento e il gruppo neo­ fascista Università Europea, una formazione vicina al periodico « L ’Orologio». La situazione si aggravò quando intervennero in gran numero i militanti del p o i (cui si aggiunsero quelli del p s iu p e della c g i l ) . Per bilanciare il rapporto di forze, il Movimento sociale e la Giovane Italia assaltarono a loro volta l’ateneo, e si sfiorò la trage­ dia, dopo il divampare di un esteso incendio causato dalle bottiglie molotov e dalle pistole lanciarazzi impiegate dai neofascisti78. Po­ chi giorni dopo si sarebbero aperti i lavori del xn Congresso del Par­ tito comunista, e i fatti di Napoli suscitarono molta impressione nel­ l’opinione pubblica moderata, dove non poche voci espressero dub­ bi sull’affidabilità democratica del p c i 7’ . Il Partito comunista mostrò il fianco a queste critiche, anche perché si fece sostenitore di una politica dell’ordine pubblico non sempre intelligibile agli occhi dei suoi detrattori. Dopo l’eccidio di Avola, chiese il disarmo delle forze dell’ordine in occasione delle manifestazioni pubbliche, proposta più volte avanzata in passato,

77 Provocazione contro l ’ Unità stroncata a Firenze, in «l’Unità», 5 gennaio 1969. 78 Nei giorni successivi la tensione non accennò a diminuire. Si verificarono nuovi in­ cidenti nei dintorni deU’università, mentre la manifestazione antifascista indetta dal Par­ tito comunista si concluse con un tentato assalto alla sede della federazione napoletana del m s i e con scontri con la polizia. Tre ore di violenza a Napoli per lo scontro tra studenti estre­ misti, in «Corriere della Sera», 26 gennaio 1969; Qualcosa si muove, in « L ’Orologio», VI (gennaio 1969), nn. 3-4; e Devastata a Napoli ¡ ’ Università da squadracce di teppisti fascisti, in «l’Unità», 26 gennaio 1969. 7’ Con un durissimo editoriale, ad esempio, il quotidiano democristiano «Il Popolo» attaccò il PCI accusandolo «di arrivare alla “ nuova sinistra” non già intorno a una linea po­ litica, ma intorno alle emozioni e all’ingigantimento dei pericoli da destra». Collusioni ir­ responsabili, in «Il Popolo», 27 gennaio 1969.

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e che aveva trovato consensi anche in settori della Democrazia cri­ stiana80. Visto il progressivo degenerare degli scontri di piazza e la marea montante delle agitazioni sociali, c’è da chiedersi, tuttavia, se questa posizione cosi radicale - abbandonata peraltro negli anni a venire - avrebbe mai potuto realizzarsi, anche in rapporto all’al­ leanza dell’Italia con gli Stati Uniti e con gli altri membri della n a ­ t o , che mai avrebbero tollerato il disarmo delle forze dell’ordine. Tant’è che, in quel frangente, la proposta del PCI suscitò un vespaio, con l’estrema destra impegnata in prima fila a denunciare il perico­ lo che l’ordine pubblico stesse per essere affidato a una «polizia ope­ raia» eterodiretta dai comunisti81. Il suggerimento di disarmare le forze dell’ordine in occasione delle manifestazioni mal si concilia­ va, inoltre, con la mobilitazione di piazza del Partito comunista, che spesso utilizzava i cortei come strumento di pressione nei con­ fronti del governo e dei propri avversari, come durante la visita di Nixon a Roma, a fine febbraio del 1969, quando il presidente ame­ ricano trovò ad accoglierlo una città in stato di sommossa82. L ’or­ ganizzazione della violenza di piazza, anche quale conseguenza di lunga durata dell’ambigua gestione dell’ordine pubblico, era tutta­ via un deterrente che i comunisti costruirono nel tempo, dopo l’al­ tissimo numero di propri militanti e di lavoratori uccisi dalle forze dell’ordine nel corso di manifestazioni e durante gli scioperi, nel­ l’immediato dopoguerra, e negli anni della polizia scelbiana. Le contraddizioni insite alla mobilitazione di piazza del Partito comunista non sono che il riflesso di come i comunisti - e non so­ lo - percepissero la crisi del Paese in quei mesi. G li equilibri poli­ tici apparivano allora molto più fragili e fluttuanti di quanto oggi ci si possa rendere conto. Nel marzo del 1969 la direzione del p c i è quasi unanime nel denunciare i pericoli di una svolta autoritaria8’ . Per fronteggiare questo rischio, vennero rafforzati i “ servizi di vi­ gilanza” , una struttura semiclandestina, attiva fin dal secondo do­ poguerra, che adempiva a diverse funzioni, dalla difesa dei dirigen­ ti e delle sedi, alla predisposizione di una rete logistica che aiutas­ 80 Documento sulle lotte, discusso nella riunione della Direzione del 14 -15 gennaio 1969, Direzione, v o i. IV, p. 5 . 81 La polizia operaia ha sostituito le forze dell'ordine, in «Il Secolo d ’Italia», 2 6 settem­ bre 1 9 6 9 ; e La polizia operaia in azione a Roma, ivi, 2 9 ottobre 1 9 6 9 . 82 L . r i z z i , Molotov in facoltà, in «Panorama», VII ( 1 2 marzo 1 9 6 9 ) , n. 1 5 2 . 8> a p c , Riunione di Direzione del24 marzo 1969, p p . 1 - 2 4 . in a p c ,

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se i quadri del partito a fuggire o a nascondersi in caso di colpo di stato84. A questo si aggiunse un’intensa campagna di stampa per de­ nunciare le connivenze dei gruppi dell’estrema destra con il mini­ stèro dell’interno85. Dopo la rivolta di Battipaglia del 9 aprile del 1969, i timori del Partito comunista per una possibile degenerazio­ ne della crisi politica e sociale s’intensificarono, anche perché le se­ di del partito su tutto il territorio nazionale furono oggetto di at­ t e s a t i e assalti. Fu creata un’apposita commissione di studio, incaricata di monitorare l’attività dei movimenti di estrema destra, che si avvalse del lavoro informativo dei “ servizi di vigilanza” , de­ dicato alla raccolta di notizie sulla rete di associazioni e gruppi d ’inteivento che i neofascisti stavano costituendo nel Paese86. La ri­ volta di Battipaglia rappresentò per il Partito comunista anche l’oc­ casione per affrontare il problema del comportamento tenuto dai grappi di estrema sinistra nelle manifestazioni di piazza, che il p c i a v e v a sempre più difficoltà a controllare87. Alla stessa commissione d ’inchiesta sull’estrema destra, fu quindi delegato il compito di svol­ gere un monitoraggio complessivo dei gruppi extraparlamentari di sinistra88. In realtà, questo lavoro era stato avviato fin dalla secon­ da metà degli anni Sessanta, in coincidenza della proliferazione dei movimenti marxisti-leninisti85. Il p c i era preoccupato per il crescen­ te peso attribuito alla violenza dalla costellazione dell’estremismo. Già sul finire del 1968, ad esempio, erano giunte alla direzione del

84 La storiografia non ha ancora formulato una sintesi che medi tra le posizioni che haino sottolineato gli aspetti prettamente militari di tali apparati e quelle che, al contra­ rio, ne hanno privilegiato la dimensione difensiva, nella previsione di minacce autoritarie. Cf'. v. zaslavsky, L ’apparato paramilitare comunista nell’Italia del dopoguerra C44-'55), Reazione per la Commissione Stragi del Parlamento italiano, in «Nuova storia contempora­ nei». V (gennaio-febbraio 200 1), n. 1; il libro di G. d o n n o , La Gladio rossa del pc.i (194519Ì7), Rubbettino, Soveria Mannelli 2 0 0 1; e la testimonianza di u. PECCinou, Tra miste­ ri ¿verità, Storia di una democrazia, Baldini & Castoldi, Milano 19 85, pp. 6 5-71. 85 Fascisti e poliziotti in corteo per la città, in «l’Unità», 25 gennaio 1969; e Squadrismo ¿i memo, in «Paese Sera», 28 febbraio 1969. 86 Verbale della riunione sui gruppi cosiddetti di sinistra e su quelli reazionari, 10 aprile 19Ì9, ore 16, in a p c , mf. 0307, p. 2931. 8’ Nota del compagno Alinovi sui fatti di Battipaglia, Roma, 22 aprile 1969, ivi, Note a Sefreteria, mf. 0305, p. 1 1 2 1 . 88 Un analogo compito fu affidato alla f g c i : 14 aprile 1969, Schema di studio fg c i sui grippi estremisti universitari, ivi, Altri gruppi, mf. 0307, p. 2942. 85 Costituiscono tracce di questo monitoraggio Nota sull’attività dei gruppi antipartito e coiddetti di sinistra negli ultimi sette mesi, ivi, Partiti politici, Gruppi di sinistra extrapar­ lamentare, mf. 0 551, p. 2167; Partito Comunista Italiano. Federazione Livornese, ivi, mf. 0515, p. 2318 ; Gruppi sinistra extraparlamentare, maggio 1967, ivi, mf. 0544, p. 2217 ; e N(ta di Galleni per Cossutta, Roma, 9 gennaio 1967, ivi, p. 113 2 .

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partito notizie riservate sulla costituzione, in ambienti extraparla­ mentari, di “ gruppi di difesa proletari” , che si erano proposti di ef­ fettuare «azioni di rappresaglia anche con il ricorso alle armi contro i reparti che si saranno resi responsabili delle violenze e, in particolare, nei confronti dei graduati, ufficiali, funzionari che avranno diretto le singole operazioni»90. Nel 1969, la raccolta siste­ matica di queste informazioni permise di delineare un quadro d’insieme delle maggiori città e province italiane, da cui emergeva non solo la spiccata organizzazione della violenza di piazza da par­ te della sinistra extraparlamentare, ma anche la diffusione di non meglio precisati gruppi armati” . Il Partito comunista si trovò, cosi, in una situazione difficile, at­ taccato sia dall’estrema sinistra - con la quale divennero sempre più frequenti gli scontri - , sia dall’estrema destra. Fra aprile e giugno i neofascisti, contestualmente alla mobilitazione di piazza promossa dal Movimento sociale, si resero responsabili, infatti, di aggressio­ ni mirate contro i dirigenti del partito, alcuni dei quali feriti grave­ mente92. In questa situazione emergenziale, affrontata dalla dire­ zione del partito in dibattiti - in cui si erano fatte più fitte le di­ scussioni sulla natura e la proporzione dell’offensiva di destra - , si decise di dare una risposta “ attiva” ai neofascisti93. Venne intensi­ ficato il lavoro informativo, grazie anche all’infiltrazione di “ osser­ vatori” nelle riunioni e nelle assemblee pubbliche dei gruppi e dei movimenti di estrema destra94. Agli inizi di maggio il Partito comu­ nista formò, poi, uno specifico gruppo di lavoro per le «questioni dell’antifascismo»95. Era giunto il momento, come scrisse Enrico 90 Ivi, Provocazioni, Riservala, 21 ottobre 1968, mf. 0 551, p. 2252. 91 Ivi, Altri gruppi, Verbale seconda riunione dei gruppi (959/us), 23 aprile 1969, mf. °3°7> P- 2948. Vedi anche Partito Comunista italiano. Comitato Regionale Pugliese, Bari, 10 maggio 1969, ivi, Provocazioni, mf. 307, p. 2985. 92 Dirigente comunista accoltellato da fascisti a Catania, in «l’Unità», 27 aprile 1969. 9’ a p c , Direzione, verbale n. 10, 7-8 maggio 1969, pp. 6 1- 12 1. A Torino incendiata una sede del PCI, tre accoltellati dai fascisti a Perugia. Nuovi gravi episodi di violenza squadrista, in «l’Unità», 23 maggio 1969; e Squadraccia fascista devasta una sezione del p c i, in «Paese Se­ ra», 28 maggio 1969. 94Brevi note sulla manifestazione di una «Nuova Repubblica» al cinema Barberini, in a p c , Provocazioni, 1 1 maggio 1969, mf. 0308, p. 46; ivi, Nota di Lapicirella circa comizio Tede­ schi a Roma, Partiti politici, Provocazioni, mf. 0308, p. 0042; e ivi, Informazioni da Mila­ no su attività associazioni paramilitari, Partiti politici, Provocazioni, 25 novembre 1969, mf. 0308, pp. 63-65. ” Formazione gruppo lavoro per questioni antifascismo, in a p c , Circolari organismi dire­ zione, 2 maggio 1969, mf. 0305, p. 1456. Commissioni di studio erano state istituite an­ che negli anni precedenti. Vedi Gruppo di lavoro antifascista. Nota per ¡ ’Ufficio di Segrete-

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Berlinguer, di «isolare e ricacciare indietro la controffensiva di de­ stra»96. A tutte le federazioni del partito fu dato l’ordine di attrez­ zarsi con la «necessaria vigilanza», e di preparare una «risposta di massa» alle violenze dei neofascisti97. Il p c i si organizzò, cosi, non solo per rispondere ai loro attacchi, ma anche per impedirne le ma­ nifestazioni pubbliche98. La tensione esplose a Roma, a fine giugno, quando un ex comandante partigiano, Lino Zocchi, fu aggredito e ferito da un gruppo di estremisti di destra99. L ’agguato spinse l’Associazione nazionale partigiani d ’Italia (a n p i ) a un’estesa mobilita­ zione: lo scontro con l’estrema destra si arricchiva dunque di un ul­ teriore elemento di radicalizzazione. Il 28 e il 29 giugno si tenne a Padova il convegno nazionale dell’ a n p i , negli stessi giorni in cui il Movimento sociale eleggeva Almirante alla sua segreteria100. Il con­ gresso segnò una nuova stagione d ’impegno dell’Associazione, con l’intervento attivo degli ex partigiani nell’impegno antifascista. Era scritto nel documento conclusivo del convegno: «Il Paese attende una ventata nuova di pulizia»101. Tracce della mobilitazione del Partito comunista sono conser­ vate nelle informative delle questure e delle prefetture. L ’attività del partito era strettamente monitorata, per il timore che esso stes- ! se lavorando alla formazione di un apparato clandestino, tant’è che le iniziative del p c i furono classificate in particolari fascicoli rubricati nella categoria Sabotaggio/Terrorismo/Insurrezioni. Il 3 giugno 1969, ad esempio, un’informativa della prefettura di M a­ tera avvisava il ministero dellTnterno di una riunione svoltasi in città tra i dirigenti, i funzionari e alcuni parlamentari del p c i , in cui era stata decisa la costituzione di «squadre d ’azione», com­ poste da giovani, con il compito di difendere le proprie sedi dagli ria, ivi, Sezioni di lavoro, 17 maggio 1966, mf. 0 531, p. 1332 ; e ivi, Gruppo per le attiviti antifasciste, mf. 0540, p. 2184. 96 E. B e r l i n g u e r , Isolare e battere la destra, in «l’Unità», 1 1 maggio 1969. 97 Iniziative contro provocazioni fasciste, in APC, Circolari organismi direzione, 3 giugno 1969, mf. 0305, p. 1470. 98 A migliaia nelle strade di Centocelle respingono la provocazione fascista, in «l’Unità», 25 maggio 1969. 99 Vile assalto fascista alla sezione Monteverde. Con la connivenza della polizia, ivi, 26 maggio 1969. 100 m . p a s s i, Il Paese darà una dura risposta per spezzare la reazione fascista. Padova, mo­ nito deli an pi al suo convegno nazionale, ivi, 30 giugno 1969. 101 La Resistenza sia ancora una volta forza di rinnovamento del Paese. Appello del Comi­ tato Nazionale deli a n p i a nome del Convegno nazionale di Padova, in a p c , Organizzazioni

di massa e altre, mf. 0308, p. 0310.

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attacchi dei neofascisti. U n’altra informativa segnalava la decisio­ ne assunta d a l p c i e d a ll’ANPi di formare «brigate», rette d a ex co­ mandanti partigiani, incaricate di assicurare il servizio d ’ordine durante le manifestazioni. Si dava notizia, inoltre, che le «briga­ te» erano state concepite come primo nucleo attorno al quale or­ ganizzare la resistenza, di fronte a un eventuale colpo di stato da parte dei militari102. E difficile stabilire la reale consistenza di que­ sti preparativi, in assenza di una documentazione integrale. A lcu­ ne di tali iniziative vennero prese all’interno del Partito comuni­ sta, ma senza l ’assenso della direzione, come quando, nel settem­ bre del 1969, a Novara, circolò un documento, tra le sezioni del p c i e di altri partiti di sinistra (presubilmente redatto da militan­ ti vicini a Pietro Secchia, secondo la conclusione alla quale poi per­ venne la stessa indagine interna svolta dal partito), in cui veniva­ no elencate le misure da adottare in caso di colpo di stato. Tali mi­ sure prevedevano lo sciopero generale, l ’attuazione di m anifesta­ zioni di massa, il sabotaggio dell’apparato industriale e l’occu­ pazione delle stazioni radio e televisive103. Per la dirigenza comunista divenne sempre più complicato te­ nere sotto controllo i fermenti che stavano montando dentro e fuo­ ri del partito. La situazione sfuggi di mano al p c i a fine ottobre del 1969: all’università di Pisa scoppiarono alcuni incidenti tra gli studenti greci esuli e la Lega nazionale, un’organizzazione di estre­ ma destra vicina al regime dei colonnelli104. Com ’era successo in tan­ te altre occasioni, la tensione esplose quando intervennero i mi­ litanti del Partito comunista e quelli del Movimento sociale. Dopo l’ennesimo tafferuglio, durante il quale alcuni studenti greci ven­ nero feriti, una manifestazione spontanea - cui si unirono anche le autorità cittadine - si diresse sotto la sede della locale federazione del m s i , dove si verificarono gravi incidenti, protrattisi tutta la not­ te, tra i manifestanti e le forze dell’ordine schierate a difesa della sede stessa. L ’indomani, un’altra manifestazione antifascista, cui parteciparono anche i gruppi della sinistra extraparlamentare, de­ generò nuovamente in scontri. Negli incidenti perse la vita, colpi­

102A C S, M I, GAB, 1967-70, b . 3, fa s e . l6 l/P /l. 101 Ape, Federazione di Novara, mf. 0307, p. 3045; e ivi, Sulla lettera aperta di un grup­ po di militanti della classe operaia di Novara, 22 settembre 1969, mf. 0307, p. 3052. 104 Ivi, I comunisti sui fatti di Pisa. Relazione presentata dal compagno Giuseppe De Feli­ ce alla riunione congiunta del C.F. e della C.F.C., Pisa, 3 novembre 1969, b. 68, f. 90.

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to a morte da un candelotto sparato ad altezza d ’uomo dalla poli­ zia, Cesare Pardini, un ragazzo che, spaventato, aveva deciso di tor­ nare a casa105.1 fatti di Pisa suscitarono grande impressione nel Par­ tito comunista, in particolar modo per il comportamento della po­ lizia, che fu accusata di aver condotto un’aggressione premeditata e coordinata con l’estrema destra106. La preoccupazione più grande, tuttavia, venne espressa nei confronti della piazza, dove ormai l’i­ niziativa violenta e organizzata dei gruppi extraparlamentari ave­ va preso il sopravvento. Un durissimo comunicato dell’ufficio po­ litico del PCI condannò infatti le «posizioni settarie e avventuristi­ che», e le «forme di azione che portano a cadere nella provocatoria trappola padronale e reazionaria»107.

7. La morte di Annarumma. Il comunicato del Partito comunista rappresentò una signifi­ cativa inversione di tendenza, se si pensa all’appoggio che aveva da­ to ai movimenti di protesta in particolari momenti di tensione, co­ me in occasione della battaglia di Valle Giulia del i ° marzo 1968. D ’altro canto, alla fine del 1969, la fisionomia della contestazione era ormai mutata radicalmente. Accanto alla galassia marxista-leni­ nista, emergevano nuovi gruppi, come Potere Operaio e Lotta Con­ tinua - della cui omonima rivista il primo numero era uscito pro­ prio a ridosso della morte di Cesare Pardini108 - , che avevano incen­ trato la loro attività nelle fabbriche del Centro e del Nord d ’Italia e nelle grandi metropoli, spesso mostrando un viscerale antagoni­ smo nei confronti del Partito comunista e dei sindacati. La tensione raggiunse il culmine il 19 novembre del 1969, da­ ta dello sciopero generale per la casa. Le manifestazioni registra­ rono in tutta Italia un’altissima partecipazione, ma videro anche frequenti episodi di violenza di cui, sovente, furono protagonisti La coda dei Colonnelli, in «l’Avanti! », 29 ottobre 1969; e Nuovi gravi scontri a Pi­ sa, Morto un giovane studente colpito dalla polizia con una bomba lacrimogena, in «l’Unità», 28 ottobre 1969. 106 c . d e SIMONE, Chi manovra le provocazioni squadriste? Il m s i strumento contro le lot­ te unitarie in atto nel paese, ivi, 29 ottobre 1969. 107 Rispondere con l’unità alle provocazioni padronali e reazionarie. Comunicato deli Uf­ ficio politico del PCI, ivi, 29 ottobre 1969. 108 Pisa:non è che l’inizio, in «Lotta continua», I ( i° novembre 1969), n. 1.

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e attori gli stessi manifestanti. A Milano il corteo sindacale dege­ nerò in aspri incidenti con le forze deH’ordine, intervenute pesan­ temente contro tutto il corteo, dopo che lo spezzone dei gruppi marxisti-leninisti aveva provocato alcuni disordini. Negli scontri perse la vita Antonio Annarumma, giovanissimo agente di polizia, figlio di braccianti agricoli. Il Paese piombò in un’atmosfera plum­ bea e cupa, densa di timori, suscitati anche da un fermissimo co­ municato emesso dal presidente della Repubblica Saragat, che esor­ tava gli italiani a «isolare e mettere in condizione di non nuocere i delinquenti, il cui scopo è la distruzione della vita»109. II funerale dell’agente ucciso fu l’occasione d ’intense tensioni. I riti funebri che si svolsero nelle diverse città italiane videro spes­ so piccoli cortei che terminarono con la deposizione di fiori davan­ ti ai monumenti ai caduti delle due guerre mondiali. A M onte­ forte Irpino, in provincia di Avellino, il paese natale di Annarum­ ma, si svolsero le celebrazioni ufficiali. Il corteo funebre, con in te­ sta la banda militare delle truppe corazzate di Caserta, si snodò per tutto il centro cittadino attraverso il viale principale, con ai lati due ali di folla, mentre le finestre e i balconi dei palazzi furono imban­ dierati con i tricolori abbrunati. Due Italie si stavano affrontando sul piano simbolico e rituale110. A Milano una folla numerosa inter­ venne alle esequie. Il Movimento sociale partecipò ai funerali dan­ do vita a vari episodi d ’intolleranza politica, che talvolta sconfina­ rono in veri e propri tentativi di linciaggio di alcuni appartenenti al movimento studentesco (tra cui M ario Capanna, salvato a sten­ to dai poliziotti in borghese), che avevano deciso di partecipare ai funerali dell’agente ucciso per dissociarsi dagli scontri dei giorni precedenti111. La morte di Annarumma determinò una spaccatura profonda nella società, e alimentò in maniera dirompente clamorosi gesti d ’insubordinazione tra le forze dell’ordine. Nella caserma di poli­ zia di piazza Sant’Ambrogio, a Milano, gli ufficiali trattennero a fatica gli agenti che avevano deciso di recarsi alle università occu109 u. in d r io , La presidenza Saragat. Cronaca politica di un settennio, 1965-1971, Mon­ dadori, Milano 1972, p. 193. 110 Su questo tema cfr. A. v e n t r o n e , I colori della contrapposizione politica e la rappre­ sentazione del nemico, in s . p iv a t o e M . r i d o l f i (a cura di), I colori della politica. Passioni, emozioni e rappresentazioni nell’età contemporanea, in «Quaderni del Centro Sanmarinese di Studi Storici», X VI (2008), n. 27, pp. 99-118. III a c s , m i , g a b , 1967-70, b. 83, fase. 1 1 1 2 2 .

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paté per compiere una spedizione punitiva. Un simile tentativo si registrò anche in una caserma della Pubblica sicurezza di Roma112. In quei giorni arrivarono, inoltre, al ministero deU’Interno lette­ re anonime in cui si esprimeva rancore e odio nei confronti della sinistra: «stretti intorno alla Bandiera del corpo, abbrunata dal su­ blime olocausto della giovane vita di Antonio Annarumma ferma­ mente giuriamo: o prestigio e autorità alle forze dell’ordine o armi contro i responsabili del cedimento al comuniSmo», scrisse­ ro alcuni ufficiali e sottufficiali della polizia il 2 1 novembre 19 6 9 113. La reazione della sinistra extraparlamentare fu altrettanto radi­ cale e orientata a esasperare lo scontro. «I soli assassini sono i pa­ droni», scrisse, ad esempio, «Potere operaio», riprendendo una vec­ chia polemica accesa da Pier Paolo Pasolini dopo gli scontri di Val­ le Giulia, e riproposta da Mario Capanna in occasione della serata inaugurale alla Scala di M ilano114. Ancora più duro il commento di «Lotta continua»: t_] in uno scontro tra proletari e polizia, la ragione non sta dalla parte di chi se la prende, di chi ha il morto; la ragione sta sempre dalla parte degli operai. G li operai lottano per la loro emancipazione, contro lo sfruttamento, l ’op­ pressione del dominio e della violenza quotidiana che caratterizza il regime dei padroni. I proletari che si arruolano nella polizia lo fanno per sfuggire al­ la disoccupazione e alla miseria atavica del loro paese: sono quasi tutti meri­ dionali e veneti. Eppure tutto ciò non basta a spingerli alla ribellione. Il po­ liziotto rimane il più immediato, il primo nemico che l’operaio, lo studente, il bracciante incontrano, ogni volta che la lotta di classe si radicalizza“ ’ .

Sul momento, tuttavia, furono i neofascisti che riuscirono a sfruttare l’emozione suscitata dalla morte di Annarumma, caval­ cando lo sdegno popolare. Il Movimento sociale cercò allora di rea­ lizzare quella mobilitazione di piazza, più volte annunciata nel cor­ so del 1969. Dopo tante delusioni [...] dopo tanto smarrimento, dopo tanto senso di solitudine e di soffocante isolamento, dopo tanti giorni di crescente paura cul­ minati nella Milano deserta e sbarrata dello sciopero generale di mercoledì 19 novembre, tutti noi che abbiamo vissuto quelle ore indimenticabili ci siamo

Nota di Galletti circa Ps. (2688/us), 21

n o v e m b re 1969, m f. 0305, p. 1222. 1967-70, b. 83, fase. I I 122/5. 114 M. c a p a n n a , I soli assassini sono i padroni, in «Potere operaio», I (27 novembre - 3 dicembre 1969), n. 10. 115 Se il nemico ci attacca è un bene, non un male, in «Lotta continua», I (29 novembre 1969), n. 2. 112

apc,

1,5 ACS,

MI,

GAB,

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accorti di non essere né soli né isolati. C i siamo accorti di essere in tanti. Al punto di potere riempire le strade e piazze come «loro» e più di «loro»,

scrisse trionfante Giorgio Pisano sul «Candido»116. Il tentativo di promuovere una «piazza di destra», tuttavia, fu nuovamente fru­ strato dalla manifestazione dei metalmeccanici, che si svolse a R o ­ ma il 28 novembre del 1969 e che vide le tute blu invadere paci­ ficamente le strade della capitale. Commentando con amarezza il successo della mobilitazione operaia, Pisano scrisse di una «mag­ gioranza silenziosa» che doveva lavorare nell’ombra, preparandosi a un’imminente contromossa. Si trattò di uno slittamento seman­ tico: si passò dalla chiamata della «piazza di destra» all’invocazio­ ne di una «maggioranza silenziosa». Era il riconoscimento implici­ to della difficoltà di mobilitare la destra sullo stesso terreno della sinistra, ma anche l’invito a una radicalizzazione delle forme del conflitto, che dovevano andare oltre i luoghi tradizionali dello scon­ tro - come la piazza - , per irradiarsi a tutta la società117.

Coraggio siamo in tanti, in «Candido», II (4 dicembre 1969), n. 49. La maggioranza silenziosa, ivi (11 dicembre 1969), n. 50.

116

c a n d id o ,

1,7

i d .,

C ap ito lo terzo 1 2 d icem b re 19 6 9

1 . Come dopo il bombardamento. Due settimane dopo la manifestazione dei metalmeccanici a Roma, il 12 dicembre del 1969, una bomba esplodeva aH’interno della Banca nazionale dell’Agricoltura, in piazza Fontana, a M ila­ no. Un altro ordigno fu ritrovato inesploso nei locali della Banca Commerciale italiana, mentre nella capitale, quasi contemporanea­ mente, scoppiarono nel centro della città tre bombe ad alto poten­ ziale: una nella sede della Banca nazionale del Lavoro e due all’A l­ tare della patria. N ell’attentato di Milano persero la vita comples­ sivamente diciassette persone, ottantasei furono i feriti1. Nello stillicidio di attentati che avevano scandito il 1969, ri­ conducibili alle differenti matrici dell’estremismo politico, si assi­ stette a una progressiva escalation, da aprile, a opera di cellule ter­ roristiche neofasciste milanesi e venete. Vicine a Ordine Nuovo, esse erano supportate da alcune cordate interne all 'intelligence ita­ liana e statunitense, con le quali condividevano l’obiettivo di crea­ re un clima di tensione per arrestare l’avanzata del movimento operaio e del Partito comunista, e impedire lo slittamento degli equi­ libri politici nazionali verso sinistra2. Ben ventidue attentati di grosso calibro avevano preceduto, cosi, la strage di piazza Fonta­ na, tutti condotti contro i centri vitali che di norma regolano la v i­ ta in una società, quali i tribunali, le università e il sistema dei tra­

1 «Come dopo il bombardamento» è un’espressione riportata in un’intervista fatt caldo a un testimone della strage: cfr. A. d e f a l c o e M . m a r i a n i , A 200 metri dalla strage la gente passeggiava tranquillamente, in «Il Giorno», 13 dicembre 1969. Negli attentati di Ro­ ma vi furono solamente pochi feriti, ma molti danni materiali, a c s , m i , g a b , 1967-70, b. 30, fase. 11001/48/2. Per una descrizione dei danni causati dagli attentati di Roma cfr. Po­

teva essere un’altra strage. Le tre esplosioni al Milite Ignoto e alla Banca del Lavoro: solo per un caso sedici feriti non gravi, in «l’Unità», 13 dicembre 1969. ! Sentenza Maggi, pp. 6 1 1 sgg.

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sporti3. La strage, dunque, non avvenne all’improvviso, ma suggel­ lò un periodo intriso di paure e inquietudini4. Si potrebbe affer­ mare - se non si incorresse nel rischio di dare per scontata la con­ catenazione causale di eventi nel passato - che vi fosse una gene­ rale attesa per un evento terribile. Tale aspettativa si deduce in parte dal diffuso catastrofismo riscontrabile nell’opinione pubbli­ ca e nella stampa, ogni qualvolta scoppiava un ordigno o si regi­ strava un falso allarme-bomba. A Roma, ad esempio, pochi giorni dopo la morte di Antonio Annarumma, si percepì una vera e pro­ pria “ psicosi da attentato” , a seguito di una serie di ordigni esplo­ si contro alcuni edifici e monumenti alla Resistenza, e il ritrova­ mento di un’ingente quantità di materiale esplosivo sotto un pon­ te della città5. Le bombe di dicembre moltiplicarono, così, la ten­ sione che si era accumulata nei mesi precedenti, a sua volta cassa di risonanza degli attentati. A questo si aggiunse lo choc provoca­ to dalle fotografie pubblicate nei quotidiani e dalle immagini dei servizi televisivi, che mostravano uno scenario del tutto simile a un teatro di guerra6. «Un odore strano riempie l’aria», scrisse C a­ milla Cederna, descrivendo la sala della Banca nazionale dell’Agricoltura squarciata dalla bomba, «odor di guerra, dice chi l’ha fat­ ta, di sangue caldo e di polvere da sparo, di carne bruciata e di zolfo»7. A una simile metafora era ricorso Aldo Moro: «siamo in guerra», disse ai familiari al telefono, appena informato della no­ tizia della strage, da Parigi, dove era impegnato per i lavori del Consiglio d ’Europa che avrebbe dovuto sanzionare la Grecia dei colonnelli per la violazione dei diritti umani8. Un tale paragone non era poi così fuorviante: l’attentato alla Banca nazionale dell’A gri­ coltura fu, infatti, l ’atto terroristico più grave condotto contro ’ Sentenza Valpreda, parte V, cap. 1, pp. 4 03-11. 4L ’Italia fabbrica della paura, com’era stata intitolata un’inchiesta di c. g r e g o r e t t i , pubblicata nel n. 29 dell’«Espresso», del 20 luglio 1969. ’ Sette kg rinvenuti Sull’Olimpica, in «Paese Sera», 26 novembre 1969. ‘ Sull’impatto emotivo suscitato dalle immagini di violenza cfr. s . s o n t a g , Davanti al dolore degli altri, Mondadori, Milano 2003, pp. 62 sgg. 7 c. c e d e r n a , Una bomba contro il popolo, in « L ’Espresso», X V (21 dicembre 1969), n. 5 1. Il ricorso alla metafora della guerra è diffusa in moltissime testimonianze. Fra le tan­ te segnalo M . z o p p e l l i , Ero cappellano so riconoscere l'odor di miccia, in «Il Giorno», 13 dicembre 1969; vedi anche la testimonianza di Giovanni Pesce, il fondatore dei g a p du­ rante la guerra di Liberazione, aduso, per la sua esperienza di vita, a scenari drammatici, dopo un sopralluogo alla Banca nazionale dell’Agricoltura, in i d ., Il giorno della bomba, Ga­ briele Mazzotta editore, Milano 1983, p. 129. 8 a . m o r o , Un uomo cosi, Rizzoli, Milano 2003, p. 60.

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civili in tempo di pace nel secondo dopoguerra in Europa, più gra­ ve, persino, di analoghi episodi avvenuti in contesti di forte con­ trapposizione politica, etnica o religiosa, come PIrlanda del Nord, Cipro o i territori baschi9.

2. Le prime risposte della politica e della società civile. Nell’immediato, gli attentati del 12 dicembre provocarono un generale sbandamento, sia tra le forze politiche sia nella società ci­ vile. Le bombe erano scoppiate al culmine di un grave conflitto sociale, sorto attorno al rinnovo del contratto dei metalmeccanici, e contestualmente all’acuirsi della crisi politica che si era aperta con la scissione socialista del luglio 1969 e la nascita del governo di tran­ sizione guidato dal democristiano Mariano Rumor10. A l centro del­ lo scontro continuava a essere la prosecuzione, o meno, dell’espe­ rienza del centro-sinistra, con i socialdemocratici, i liberali e una parte della Democrazia cristiana sostenitori di un ritorno alle urne (e con essi il m s i , sebbene con finalità diverse), nella prospettiva di dar vita a un governo centrista con una forte leadership, sul model­ lo gollista, trionfatore in Francia nelle elezioni del giugno 1968. Il presidente della Repubblica Saragat incoraggiò questa linea, ma lo scioglimento delle Camere poteva essere effettuato solamente con il consenso della maggioranza delle forze parlamentari. L ’opposi­ zione a tale progetto di Aldo Moro e di una parte consistente del­ la d c si aggiunse a quella del p c i , del p s i e del p s i u p : i quattro partiti, insieme, avrebbero avuto la maggioranza dei voti in Parla­ mento, rendendo impossibile l’ipotesi di elezioni anticipate. Il qua­ dro politico s’impantanò, cosi, in un guado, dal quale sembrava non esserci via d ’uscita. G li attentati del 12 dicembre, dunque, colpirono il Paese in un particolare momento d ’instabilità politica e di forte tensione so­ ciale. G li scenari che ne potevano derivare erano molteplici: dalle violente manifestazioni di piazza, allo scioglimento delle Camere da parte della presidenza della Repubblica - poiché la strage di M i­ 9 Per una casistica cfr. L. b o n a n a t e , Terrorismo intemazionale, Giunti, Firenze 1994, pp. 66-102. 10 Per una panoramica d’insieme sulle lotte operaie cfr. p. g in s b o r g , Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi. Società e politica. 1943-1988, Einaudi, Torino 1989, pp. 4 19-21.

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lano, per la sua gravità, poteva modificare l’equilibrio degli schie­ ramenti politici che si stavano fronteggiando - , alla proclamazione dello stato d ’emergenza, e financo all’intervento diretto dei mili­ tari, dopo tutte le voci sull’imminenza di un colpo di stato susse­ guitesi nel corso del 19 6 9 “ . La plausibilità di questi scenari spiega, in parte, la convulsa rea­ zione delle forze politiche e dell’opinione pubblica alla notizia degli attentati. Particolarmente contrastante fu la risposta delle istituzio­ ni, segno, evidentemente, di un conflitto tra le alte cariche dello Sta­ to12. Il presidente del Consiglio Rumor si rivolse alla nazione, dal te­ legiornale della sera del 12 dicembre, invitando i cittadini a rico­ noscersi «nella legge», senza la quale la comunità avrebbe smarrito «se stessa». Di segno diverso il comunicato di Saragat - simile, per l’asprezza dei toni, a quello emesso a seguito della morte di Anto­ nio Annarumma - , che esortò la popolazione a mobilitarsi per «as­ secondare l ’opera della giustizia e delle forze dell’ordine demo­ cratico nella difesa della vita contro la violenza omicida»13. In qua­ si tutti gli organi d ’informazione furono presenti contrasti analoghi, quando non si affiancarono, addirittura, nella stessa testata, linee in palese contraddizione. In un primo momento, prevalse, comun­ que, la prudenza. Ben presto, però, filtrarono le prime notizie u ffi­ ciali sulle indagini negli ambienti anarchici e di estrema sinistra. Le voci garantiste si affievolirono e la versione degli organi inquiren­ ti - poi dimostratasi una menzogna - fu assecondata dai più im­ portanti quotidiani, tra cui si distinse il «Corriere della Sera». Uno dei suoi collaboratori, che seguiva l’evolversi delle indagini, G io r­ gio Zicari, era in realtà un informatore del s id , complice dei depistaggi che accompagnarono l’iter investigativo sugli attentati14. 11 p. c r a v e r i , La Repubblica dal 19 5 8 al 19 9 2 , in g . g a l a s s o (a cura di), Storia d’Ita­ lia, u t e t , Torino 1996, voi. X X IV , pp. 461-63; e f . c a l v i e f . l a u r e n t , Piazza Fontana. La verità su una strage, Mondadori, Milano 1997, pp. 124-26.

12 Alcune inchieste giornalistiche hanno sostenuto che la tensione tra le alte cariche dello Stato - e specificamente tra il Quirinale e la presidenza del Consiglio - era scoppia­ ta sull’opportunità o meno di deliberare lo stato d’emergenza nel Paese. Cfr. F. e G. b e l l i ­ n i , Il segreto della Repubblica. La verità politica sulla strage di Piazza Fontana, Selene, Mila­ no 2005, pp. 9 1 - m . l> Entrambe le citazioni sono in P. c u c c h i a r e l u , Piazza Fontana. Chi è Stato?, suppl. all’«Unità», 2005, pp. 109 e 115 . 14 Difendere la libertà, in «Corriere della Sera», 13 dicembre 1969. Nella richiesta de rispetto della legge si distinsero in particolar modo Giorgio Bocca, allora inviato de «Il Giorno» e Carlo Casalegno, il giornalista della «Stampa» ucciso dalle Brigate Rosse a To­ rino nel 1977. Sull’attività informativa di Zicari cfr. Sentenza Azzi, parte III, pp. 130-78.

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Settori del mondo cattolico, dei partiti di governo, della stam­ pa moderata e conservatrice suscitarono un pesante clima da “ cac­ cia alle streghe” , indicando la causa scatenante degli attentati nel generale fermento di contestazione dell’ordine sociale e politico nella «coltura dei bacilli nullisti, nichilisti, anarcoidi e violenti», come scrisse 1’« Osservatore Romano», la vigilia dei funerali delle vittime perite nell’attentato di M ilano15. Le perquisizioni a tappe­ to delle forze dell’ordine contribuirono anch’esse a determinare un’atmosfera plumbea, carica di tensioni. Il capo della polizia, A n­ gelo Vicari, escluse dalle indagini le sedi dei partiti rappresentati in Parlamento: nei primi giorni furono perquisite, complessivamen­ te, 367 tra sezioni di movimenti e di partiti extraparlamentari di destra e sinistra, e abitazioni di singoli militanti16. Le indagini col­ pirono maggiormente l ’estrema sinistra, con addirittura 3 10 per­ quisizioni, contro le 57 condotte nei confronti di «elementi di de­ stra». C ’è da dire, tuttavia, che il numero delle sedi dei gruppi neo­ fascisti era numericamente inferiore rispetto a quelle di estrema sinistra, e che le investigazioni degli organi inquirenti spesso ven­ nero orientate contro i movimenti oltranzisti, di ogni colore, resi­ si responsabili di atti di violenza nei mesi precedenti17. Questo clima emergenziale influenzò la reazione dei partiti di sinistra. Comunisti e socialisti indicarono da subito la natura neo­ fascista degli attentati, e la presenza di un piano destabilizzatore, a opera di «centrali di provocazione» interne ed esterne alle isti­ tuzioni. Ciò avvenne mediante discorsi pubblici in Parlamento, che chiamavano in causa Almirante e il M ovimento sociale, e pre­ se di posizione ufficiali delle rispettive direzioni dei partiti, cui si aggiunsero quella del p s i u p , dell’ANPi e dei sindacati18. In particolar modo il Partito comunista diede vita a un’imponente mobilita­ zione, promuovendo la «vigilanza di massa» e iniziative unitarie sul territorio con gli altri partiti antifascisti, comprese le federa-

ls R. M .,

Vìncere Untale, in « L ’Osservatore Romano», 14 dicembre 1969.

1967-70, b. 30, f. 11001/48/2. 17 Si vedano, ad esempio, le indagini svolte a Roma. Vedi ivi. 18 a p , 13 dicembre 1969, pp. 13906-22; Respingere con fermezza i colpi della destra, in «[’Avanti! », 13 dicembre 1969; Il comunicato della direzione del PCI, in «l’Unità», 13 d i­ cembre 1969; Comunicato della Direzione del p siu p , 1 2 dicembre 1969, in a p c , Partiti po­ litici, mf. 0307, p. 2806; a n p i, La forza democratica del Paese liquidi i piani dell’avventuri­ smo provocatorio delle destre nostalgiche, 15 dicembre 1969; e a p c , Organizzazioni di mas­ sa e altre, mf. 0308, p. 0335. 16 a c s ,

m i, gab,

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/.ioni della Democrazia cristiana15. N ei giorni successivi i comuni­ sti ribadirono con tenacia che la responsabilità degli attentati era da attribuirsi all’estrema destra20. Tale ostinazione era in parte suf­ fragata dalle notizie che aveva raccolto il p c i nei mesi precedenti la strage, attraverso i propri servizi di vigilanza, circa iniziative clamorose che sarebbero dovute accadere tra il 14 e il 15 dicem­ bre, gli stessi giorni, cioè, in cui il Movimento sociale aveva con­ vocato a Roma una manifestazione nazionale21. Anche in conseguenza di queste notizie, la mobilitazione capil­ lare dei partiti di sinistra, di settori significativi della Democrazia cristiana e dei sindacati si giocò su un piano simbolico, con una li­ turgia volta a ribadire la difesa delle istituzioni repubblicane e dei valori della Resistenza22. Centinaia di manifestazioni, cortei, assem­ blee pubbliche dei lavoratori e delle amministrazioni locali, in tut­ to il territorio nazionale, anticiparono la grande partecipazione po­ polare ai funerali delle vittime della strage, che si tennero a Milano il 15 dicembre 196923. Alle esequie presenziarono più di centomila persone: moltissime le tute blu24. Fu una straordinaria dimostrazio­ ne della coscienza democratica del Paese, direttamente proporzio­ nale alla gravità degli attentati - la seconda in pochi giorni, dopo la manifestazione dei metalmeccanici a fine novembre, che aveva se­ gnato la fine della “ piazza di destra” 25. Come scrisse Indro Monta­ nelli, qualche settimana dopo, commentando i funerali di Milano, « l’episodio di piazza Fontana ha fatto scattare qualcosa nella co­ scienza degli italiani; o per meglio dire ha chiamato in causa la loro coscienza, come nessun altro avvenimento fin qui era riuscito a fa­ re»26. Una simile prova di maturità si ripropose in occasione delle stragi neofasciste del 19 74, e del sequestro di Aldo Moro - con l’uc­ 19 Ricostruire l ’unità della Resistenza, in «l’Unità», 13 dicembre 1969. 20 La tesi del “ silenzio” del PCI è sostenuta in alcuni studi. Cfr., ad esempio, A. g ia n n u l i , pc i e stragi: la politica d el silenzio, in «Libertaria», I (1999), n. 1, pp. 5 1 sgg. 21 a p c , Partiti politici, Provocazioni, 21 novembre 1969, mf. 0308, p. 62. 22 L'Italia della Resistenza andrà avanti. In tutto il Paese i lavoratori e le forze democrati­

che rispondono con i Unità e una ferma vigilanza alle provocazioni fasciste e alle manovre rea­ zionarie, in «l’Unità», 14 dicembre 1969. 23 ACS, M I, GAB, 1967-70, fase. 11001/48/2, 3. 24 Ivi, fase. 11001/48/2, 1. 25 G. c a t a l a n o , La Repubblica è più forte. È in corso un tentativo neofascista di sovverti­ re la democrazia in Italia. Chi lo ha promosso, come si sviluppa, perché fallirà, in « L ’Espres­ so», X V (21 dicembre 1969), n. 5 1. 261. m o n t a n e l l i , Qualcosa di nuovo, in «Corriere della Sera», 6 gennaio 1970.

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cisione della sua scorta —il 16 marzo del 19 78 per mano delle B ri­ gate Rosse27. La partecipazione popolare ai funerali delle vittime della strage di piazza Fontana fu, tuttavia, un’occasione mancata: lo sdegno dei cittadini e il loro stringersi attorno alle istituzioni re­ pubblicane non trovarono un’adeguata espressione politica. In bre­ ve tempo, infatti, questo sussulto democratico venne umiliato dal­ le macchinazioni che inquinarono le indagini degli organi inquiren­ ti - e dalla battaglia politica che su di esse si giocò - , e dalle scelte dei diversi movimenti estremisti, sia di destra sia di sinistra, che ri­ sposero con la violenza alla crisi apertasi in seguito alla strage.

3. La morte di Pinelli e l ’arresto di Valpreda. La notte del 15 dicembre 1969, lo stesso giorno in cui si erano svolti i funerali delle vittime di piazza Fontana, Giuseppe Pinelli, un ferroviere anarchico fermato per gli attentati dei giorni prece­ denti, precipitò da una finestra del palazzo della questura di M i­ lano. Erano presenti quattro sottoufficiali di Pubblica sicurezza e un tenente dei carabinieri, ma non Luigi Calabresi, il commissa­ rio deU’U fficio politico che condusse gli interrogatori, e che sareb­ be stato subito additato dalla sinistra extraparlamentare - e da una parte consistente dell’opinione pubblica - come il responsabile del­ la morte di Pinelli28. Comunicata quasi immediatamente, durante una conferenza stampa, dal questore Marcello Guida (direttore, durante la guerra, del confino politico presso il carcere fascista di Ventotene), la morte di Pinelli venne presentata come suicidio se­ guito all’ammissione del suo coinvolgimento nell’ attentato alla Banca nazionale deH’Agricoltura29. La notizia venne rilanciata il 16 dicembre dal telegiornale30. Poche ore dopo, al t g della sera, un 27 Cfr. i passi dell’intervista allo storico Pietro Scoppola nell’articolo di L. f a b ia n i , L 'an­ tipolitica e il caso Moro. Nacque allora la grande sfiducia, in «La Repubblica», 8 ottobre 2007. 28 Acs, m i , g a b , 1967-70, b. 30, fase. 1 1001/48/2. Giuseppe Pinelli, fermato la sera stes­ sa del 12 dicembre, era illegalmente trattenuto nei locali della questura di Milano, essendo scaduti i termini di detenzione. Questa è anche la conclusione a cui è arrivato Adriano Sofri, poi processato e condannato per l’assassinio di Luigi Calabresi, avvenuto il 17 maggio 1972, presumibilmente per mano di un gruppo di fuoco vicino a Lotta Continua. Sulla circostanza della morte di Pinelli vedi A. s o f r i , La notte che Pinelli, Sellerio, Palermo 2009, p. 85. 25 c. c e d e r n a , Pinelli. Una finestra sulla strage, Feltrinelli, Milano 19 7 1, p. 52. ,0 II testo dell’annuncio della morte di Pinelli è riprodotto in s. z a v o l i , La notte della Repubblica, Mondadori, Milano 2001, p. 5 1.

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lungo servizio annunciò l’arresto - avvenuto il giorno prima - di Pietro Valpreda, militante del circolo anarchico X X II marzo, qua­ le responsabile della strage di Milano. In brevissimo tempo, la grande partecipazione popolare ai fu­ nerali delle vittime di piazza Fontana passò in secondo piano, sur­ classata dal clamore mediático suscitato dal “ suicidio” di Pinelli e dall’arresto di Valpreda. La strage del 12 dicembre si configura­ va, cosi, come « l’episodio di una nuova strategia della tensione che calcola i suoi effetti a partire dal coinvolgimento dei media»11. Il movimento anarchico venne criminalizzato dalla stampa mo­ derata e conservatrice, e fu presentato come una setta di sangui­ nari che aveva segnato la vita del Paese, come quando il «C orrie­ re della Sera», ad esempio, pose in continuità la strage di Milano con l’attentato anarchico al teatro Diana, avvenuto nella stessa città nel 1 9 2 1 ” . Nei giorni seguenti si dipanò, inoltre, una com­ plicatissima e intricata vicenda investigativa e giudiziaria (desti­ nata a durare decenni). La pista anarchica, individuata aprioristi­ camente già la sera del 12 dicembre con un telegramma del pre­ fetto di Milano Libero Mazza alla presidenza del Consiglio, inco­ minciò a mostrare presto diverse crepe, sia per la debolezza del­ l’impianto accusatorio, sia per la circostanza che i componenti del| la X X I I marzo risultarono poi essere più confidenti e infiltrati della polizia che militanti anarchici veri e propri, in quello che fu un depistaggio a tutti gli effetti (solcato, in maniera drammatica, dall’alto numero di vittime fra i testimoni coinvolti nelle indagi­ ni)” . Nel giro di pochi giorni, alla pista anarchica si affiancarono altre inchieste, che scandagliarono gli ambienti di estrema destra.

J1 M . d o n d i , Piccolo prologo sul metodo e sui contributi (passando da piazza Fontana), in (a cura di), I neri e i rossi. Terrorismo, violenza e informazione negli anni Settanta, Edizio­ ni Controluce, Nardo 2008, p. 16. ” E. PASSANISI, Anche i vecchi anarchici del diana setacciati nei covi degli estremisti, in «Corriere della Sera», 15 dicembre 1969; all’inchiesta del «Corriere» rispose «l’Unità», che paragonò la regia degli attentati alle macchinazioni emerse in seguito al rogo del Reichstag, che consolidò l’ascesa al potere di Hitler nel 1933: Milano 1921-Berlino 1933, dietro id .

gli attentati il fascismo. Quel che insegna la storia, perché la storia del primo dopoguerra non si ripeta mai più, in «l’Unità», 21 dicembre 1969. ” L ’impianto accusatorio a carico di Pietro Valpreda, basato essenzialmente sulla de­ posizione del tassista Cornelio Rolandi, che asserì, poi ritrattando, di aver trasportato Vaipreda, il giorno della strage di Milano, nei pressi della Banca nazionale dell’Agricoltura, si sgretolò nell’aprile del 1972 dopo una sentenza della Corte costituzionale che non consi­ derò attendibile la testimonianza di Rolandi. Cfr. g i a n n u l i , bombe a inchiostro cit., pp. 103-8.

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Su impulso del ministro della D ifesa, il democristiano Luigi Gui, il servizio segreto militare individuò tracce consistenti dell’ atti­ vità di ambienti eversivi neofascisti, nella realizzazione degli at­ tentati34. A fine dicembre del 1969, inoltre, la procura della Re­ pubblica di Treviso apri un fascicolo a carico di esponenti di estre­ ma destra padovani, tra cui Franco Freda e Giovanni Ventura, su cui già da qualche tempo la polizia stava indagando, in relazione ad altri attentati35. Tale quadro d ’insieme non era intellegibile al­ la maggioranza degli italiani. C ’è da dire, però, che tra notizie fil­ trate nei giornali - e rilanciate dai media - , e il rapido avvicen­ darsi delle diverse inchieste giudiziarie, molti elementi circa la rea­ le natura degli attentatori e la loro compromissione con settori dei servizi di sicurezza, erano in parte intuibili già allora36. Ne scaturì, quindi, non tanto l’immagine di una macchina cospirativa, ben oliata ed efficiente, quanto, piuttosto, la vulnerabilità del sistema politico e istituzionale, entro il quale erano affiorati agli occhi del­ l ’opinione pubblica inquietanti simulacri di «poteri occulti sot­ tratti a ogni controllo»37. Nei giorni che seguirono la notizia della morte di Giuseppe Pi­ nelli e dell’arresto di Pietro Valpreda, il fronte contrario allo scio­ glimento delle Camere - in sintesi, l’asse Moro-pci-psi-psiup - non sbandò, anzi, ribadì il rifiuto all’ipotesi di elezioni anticipate. Restava aperta, piuttosto, come problema politico, la questione del­ la matrice della strage. Nei lavori della direzione del Partito comu­ nista, il 19 dicembre 1969, la prima dopo gli attentati di Milano e Roma, emersero dubbi sull’identità degli attentatori (Tortorella parlò di «gruppi di varia natura»), al punto che la pista anarchica fu ritenuta attendibile38. N ei giorni successivi, le principali testate comuniste e socialiste pubblicarono inchieste sulle possibili com­ mistioni tra gli ambienti dell’estrema destra e quelli anarchici, da

” La cui attività fu segnalata anche al ministro degli Esteri Aldo Moro; vedi f r a n z i La sottile linea nera cit., p. 58. ” Sentenza Valpreda, parte II, cap. I, pp. 127-37. 16 I primi sospetti sui componenti la X X II marzo furono avanzati da molti organi stampa nei giorni e nelle settimane successive la strage. Cfr., ad esempio, Andò dai colon­ nelli ad Atene il fondatore del 22 marzo, in «l’Unità», 19 dicembre 1969; e Tutte le strade portano a destra, in «Mondo Nuovo», X II (4 gennaio 1970), n. 1. ” p. s c o p p o l a , La Repubblica dei partiti. Evoluzione e crisi di un sistema politico, 19451996, il Mulino, Bologna 1997, pp. 384-85. 58 a p c , Riunione di Direzione del 19 dicembre 1969, verbale n. 26, pp. 2-20. n e l l i,

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cui si discostò Ferruccio Parri, con un’accesa polemica pubblicata dal suo settimanale, «l'Astrolabio»” . Nel giro di poche settimane, tuttavia, i dubbi e le perplessità furono fugati, e socialisti e comu­ nisti parteciparono attivamente alla campagna di controinforma­ zione sugli attentati e la morte di Pinelli. La firma del contratto dei metalmeccanici il 2 1 dicembre, le di­ missioni del governo Rumor il 7 febbraio del 19 7 0 e il nuovo in­ carico, affidatogli il 29 dello stesso mese dal capo dello Stato, con la formazione di un quadripartito d c - p s i - p s u - p r i , dopo la decisio­ ne assunta dalla direzione nazionale della Democrazia cristiana di opporsi alla fine anticipata della legislatura, fecero rientrare la cri­ si politica che gli attentati del 12 dicembre avevano esasperato40. Rimaneva, certo, la contrapposizione del Partito comunista e dei sindacati al nuovo governo di centro-sinistra, sia per le misure prese in campo economico, sia per la sterzata repressiva che si sta­ va abbattendo, indiscriminatamente, sui movimenti studenteschi e sui gruppi della sinistra extraparlamentare, ma gli scenari peg­ giori erano stati scongiurati41.

4. Le spinte centrifughe. La crisi che si era aperta con le bombe di dicembre, dunque, rientrò dal punto di vista politico, ma impresse una traccia inde­ lebile nella società, introducendo «modificazioni profonde negli orizzonti culturali» degli italiani42. L ’ormai usuale spettacolarizza­ zione delle immagini di violenza e di guerra trasmesse dai mass­ media può forse indurci a sottovalutare la portata della strage di piazza Fontana, il suo impatto nella coscienza del Paese, soprat” In un documento venuto a nostra conoscenza in questi giorni, in «l’Unità», 22 dicem­ bre 1969; Come la destra diviene sinistra. Anche a Milano esistono certi gruppi, in «l’Avan­ ti! », 23 dicembre 1969; e F. p a r r i , Anarchia e terrorismo, in «l’Astrolabio», V ili (18 gen­ naio 1970), n. 3. 40 La forza della democrazia è nella lotta delle masse. Contro le provocazioni reazionarie e i tentativi di spostare a destra l ’asse politico del paese. Intervista con Enrico Berlinguer, in « R i­ nascita», X X V I (19 dicembre 1969), n. 50. 41 Tre proposte dei comunisti. La Direzione del PCI: contrapporre una forte iniziativa de­ mocratica alla campagna repressiva e alle manovre politiche di carattere conservatore, in «l’U­ nità», 1 1 gennaio 1970. 42 G. c r a i n z , Il Paese mancato. Dal miracolo economico agli anni Ottanta, Donzelli, Ro­ ma 2003, p. 369.

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tutto in relazione a ciò che essa comportò nell’immediato e al se­ gno che lasciò negli anni a venire. E questo, nonostante la sovrab­ bondanza di testimonianze e ricostruzioni di quell’evento oggi a nostra disposizione41. D i fronte a una violenza estrema - ha scrit­ to Enzo Traverso (riferendosi alla Shoah) - , vi è infatti il rischio che si determini un «baratro» tra «la sua posizione centrale nel nostro paesaggio mentale e la nostra capacità di attribuirvi un sen­ so», anche in virtù di un canone narrativo, ormai codificato, che ha relegato gli attentati del 12 dicembre nell’ambito della lettera­ tura del mistero e del complotto44. La strage di piazza Fontana fu innanzitutto una terribile regres­ sione alle forme di combattimento della guerra totale, di cui ripro­ duceva la “ tecnicizzazione” della morte e la spersonalizzazione del nemico. La strage sembra possedere la stessa carica di distruttività descritta da Freud in riferimento alla guerra del x x secolo: «abbat­ te quanto trova sulla sua strada con una rabbia cieca e come se do­ po di essa non dovesse esservi avvenire e pace tra gli uomini»45. La sera stessa del 12 dicembre, a Milano, davanti alla Banca naziona­ le deU’Agricoltura, alcuni cittadini, accorsi a piazza Fontana per commentare l’accaduto, si azzuffarono, mentre nel resto del Paese si verificarono disordini, e diverse sezioni dei partiti di sinistra fu­ rono prese d ’assalto46. Questi scoppi d ’ira e d ’isteria - che avven­ nero in molte località, alimentati anche dai numerosissimi allarmi bomba che si registrarono nelle ore e nei giorni successivi agli atten­ tati - furono indotti dalla circostanza che la strage fu anonima, espressione di una «guerra invisibile e senza bandiere» che, negan­ do «la conoscenza dei suoi schieramenti e delle sue coordinate», la­ sciava dietro di sé, dopo l’orrore, il disorientamento47. Certo, la rea­

41 Sulla spettacolarizzazione della violenza nei mass-media cfr. A. s c u r a t i , Guerra. Nar­ razioni e culture nella tradizione occidentale, Donzelli, Roma 2003, pp. 225 sgg. 44 E. t r a v e r s o , La violenza nazista. Una genealogia, il Mulino, Bologna 2002, p. 10. Sulla letteratura del mistero vedi R. i >o l e s e (a cura di), Il complotto. Teoria, pratica, inven­ zione, Almanacco Guanda, Parma 2007. 45 s. f r e u d , Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte (1915), ora in id . e A. ein s t e i n , Riflessioni a due sulle sorti del mondo, a cura di E. b a l d u c c i , Bollati Boringhieri, To­ rino 1989, p. 34. 46 ACS, M I, GAB, 1967-70, b. 30, fase. HOO l/48/2. 47 G. b o a t t i , Piazza Fontana. 12 dicembre 1 969 : il giorno dell'innocenza perduta, Einau­ di, Torino 1999, p. 18. Per gli allarmi bomba, che si verificarono in particolar modo a Ro­ ma e a Milano, cfr. Continua il terrorismo telefonico, in «Il Tempo», 14 dicembre 1969; e Un marchio inconfondibile, in «Paese Sera», 13 dicembre 1969.

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zione popolare, innescata dalla mobilitazione dei partiti antifascisti e dei sindacati, come abbiamo visto, consenti di riassorbire il duro colpo che si era inflitto alla democrazia italiana. U n’altrettanto pron­ ta e compatta reazione delle istituzioni e del mondo politico, assie­ me all’individuazione dei mandanti e degli esecutori degli atti ter­ roristici, avrebbe permesso, probabilmente, di superare il trauma subito. Una risposta di questo genere, invece, mancò, e le conse­ guenze negli anni a venire furono molto gravi, poiché s’insinuaro­ no nel futuro «ricordi insopportabili», che divisero le memorie e perpetuarono la sensazione d ’incertezza su chi, oltre agli esecutori materiali della strage, ne portasse realmente la responsabilità48. G li attentati minarono, cosi, la credibilità delle istituzioni, pro­ vocando un distacco tra queste e la società civile. Le macchinazio­ ni che segnarono le indagini degli organi inquirenti sui responsa­ bili degli attentati (cui si aggiunse l’episodio - gravissimo - della morte di Pinelli), e la presenza di settori dei servizi segreti e delle forze dell’ordine compromessi con gli attentatori e sfuggiti al con­ trollo istituzionale, posero il drammatico interrogativo se e co­ me fosse lecito il ricorso alla violenza, se lo Stato, come sembrò, non fosse stato «più in grado di esercitarne con sicurezza il mono­ polio»4’ . Un monopolio, fra l’altro, messo ripetutamente in discus­ sione dalla destra e dalla sinistra estreme già a partire dalla metà degli anni Sessanta. Tanto che, nei giorni e nei mesi successivi al­ la strage di Milano, incominciò a prendere le mosse un complesso e articolato dibattito - che avrebbe accompagnato la vita pubbli­ ca italiana per tutto il corso degli anni Settanta - sulla legittimità 0 meno del ricorso alla violenza e alla repressione, da parte di uno Stato di cui si poneva in dubbio la lealtà verso la comunità politi­ ca e civile di cui - in teoria - era espressione50. Su scala molto più ridotta, si verificò uno scollamento tra i cittadini e lo Stato, tale da richiamare alla mente gli effetti disgreganti, fatte le debite pro­

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Cosi M.

k a ld o r

in riferimento all’uso politico del terrore, in Le nuove guerre. La vio

lenza organizzata nell'età globale, Carocci, Roma 1999, p. 116 . ” Cosi lo storico Claudio Pavone in riferimento al terrorismo negli anni Settanta in ID.,

rino

Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Bollati Boringhieri, To­ 1 9 9 8 , p . XVIII.

” Marica Tolomelli, in riferimento agli anni Settanta, ha scritto di una «crisi del pa­ radigma di governabilità». Cfr. in., Terrorismo e società. Il pubblico dibattito in Italia e in Germania negli anni Settanta, il Mulino, Bologna 2 0 0 6 , p. 1 2 . Nel dibattito intervenne an­ c h e n . b o b b io , La violenza di Stato, in «Resistenza», X X IV (gennaio 1 9 7 0 ) , n. 1 .

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porzioni, provocati dal collasso delle istituzioni dopo l’8 settem­ bre del 19 4 3. Il carattere anonimo della strage, infine, contribuì a far ripiom bare, temporaneamente, gli italiani nella condizione di guerra hobbesiano dei «tutti contro tutti», in cui «nulla può essere ingiusto»51: «tutto rischia di diventare lecito», scrisse il «Corriere della Sera» dopo gli attentati, cogliendo uno stato d ’animo diffuso52. Il frutto più velenoso della strage sarebbe stato, infatti, quello di far cade­ re le «soglie inibitorie e il senso del limite» in una parte minori­ taria del Paese, persuasa della mancanza di credibilità delle istitu­ zioni e della loro compromissione con i fatti di M ilano55. G li atten­ tati misero a nudo, come ha osservato Norberto Bobbio, « l’enor­ me sproporzione tra il mezzo e il fine» che si erano proposti gli strateghi del terrore54. Per quei segmenti della società italiana che da tempo avevano teorizzato il ricorso alla violenza, persino quel­ la armata, come strumento della lotta politica, divenne legittimo, allora, tradurre in realtà quanto fino a quel momento si era sola­ mente predicato e in minima parte manifestato, poiché era stata varcata la soglia inibitoria costituita dalla proibizione etica e socia­ le di uccidere civili inermi, operante, a livello teorico, anche in tem­ po di guerra55.

5. Le reazioni della sinistra extraparlamentare. Nella memoria degli ex militanti della sinistra extraparlamen­ tare, la strage di piazza Fontana è spesso ricordata come il «giorno dell’innocenza perduta». In un’intervista, negli anni Settanta, Lui­ gi Manconi, dirigente e responsabile del servizio d ’ordine di Lotta Continua, racconta che:

” T. h o b b e s , Leviatano, a cura di T. m a g r i , Editori Riuniti, Roma 2002, p. 75. ” Ora grave, in «Corriere della Sera», 14 dicembre 1969. ” Cosi p. P. p o r t in a r o , descrivendo la violenza radicale in La violenza, in i d . (a cura di), I concetti del male, Einaudi, Torino 2002, p. 356. 54n . b o b b io , La violenza oscura, in id ., L ’utopia capovolta, Editrice La Stampa, Tori­ no 1995, p. 81. 55 Sulla caduta delle soglie inibitorie che portano alla disumanizzazione del nemico cfr. f r o m m , Anatomia della distruttività umana cit., pp. 434-37; e v. n a h o u m -g r a p p e , L'uso po­ litico della crudeltà: l ’epurazione etnica in ex Jugoslavia, in F. h é r i t i e r (a cura di), Sulla vio­ lenza, Meltemi, Roma 1997, pp. 237-49.

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[...] il 12 dicembre segnò per noi la perdita dell’innocenza, perché avevamo si creduto che quella fosse lotta di classe, scontro aspro, violento, ma ritene­ vamo anche che la battaglia di piazza stesse dentro un sistema di regole del gioco, una sorta di cerimoniale bellico accettato dentro un sistema di regole accettato da entrambi i contendenti” .

Ancora più incisiva, la testimonianza di Adriano Sofri: La strage di piazza Fontana aveva comunicato a noi, soprattutto alla gran maggioranza dei militanti giovani, fervidi e puri, poche e terribili notizie: che si era disposti a distruggere la vita delle persone inermi e senza bandie­ ra; che [...] era vero per conseguenza che la cura di quei morti innocenti, la giustizia per loro e la difesa delle altre vittime minacciate dalla ferocia rea­ zionaria, ricadevano direttamente su di noi. Il dolore di una strage sangui­ nosa cadeva sulle nostre spalle raddoppiato dal peso di una nuova ed enor­ me responsabilità. Finito il gioco, la gioia, la lealtà: era iniziata l’età adulta nell’orrore e nella determinazione” .

Il tema della lacerazione esistenziale, effetto di una violenza ina­ spettata, ricorre in moltissime storie di vita58. In una trasposizione letteraria dei ricordi di un militante della sinistra extraparlamenta­ re, ad esempio, si rammenta: «io sto li, a piangere nel freddo e nel grigio di piazza Fontana, e penso: cazzo, adesso ci faranno un cu­ lo cosi, io non sono ancora al liceo e già questi bastardi stanno tra­ sformando la festa in una tragedia»5’ . Conseguentemente, la scel­ ta della violenza viene restituita come una risposta istintiva al trau­ ma rappresentato dagli attentati di dicembre: dice Marco Revelli, tra i fondatori di Lotta Continua, «di fronte a uno Stato che met­ teva le bombe in una banca, in astratto qualsiasi risposta poteva es­ sere commisurata e dunque lecita»60. G li fa eco Francesco “ Pan­ ello” Pardi, ex militante di Potere Operaio: «ci sentimmo giusti­ ficati a scendere sul terreno della violenza perché furono gli altri i primi a farlo»61. La strage di piazza Fontana avrebbe rappresenta­ to, addirittura, uno spartiacque, tale da indurre «un’intera genera” Testimonianza raccolta nell’inchiesta di A. c a z z u l l o , I ragazzi che volevano fare la rivoluzione, 1968-1978 : storia di Lotta continua, Mondadori, Milano 1998, p. 90. ” A. s o f r i , Memoria, Sellerio, Palermo 1990, p. 114 . ” Si veda, ad esempio, il lavoro d ’indagine svolto da r . c a t a n z a r o e L. m a n c o n i , Sto­ rie di Lotta armata, il Mulino, Bologna 1995. 5, J . F o e s . p a r in i, ’68: c’era una volta la rivoluzione. I dieci anni che sconvolsero il mon­ do, Feltrinelli, Milano 1997, p. 45. “ Testimonianza raccolta in c a z z u l l o , I ragazzi che volevanofare la rivoluzione cit., p. 91. 61 Testimonianza raccolta in A. g r a n d i , Insurrezione armata, Rizzoli, Milano 2005, p. 283.

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zione a ipotizzare la scelta delle armi»“ . Il nesso tra la nascita del­ la lotta armata e gli attentati del 12 dicembre sembra inscindibile, in particolar modo, nella memoria degli ex appartenenti ai gruppi terroristici di sinistra. «Con la strage il clima improvvisamente cam­ biò», ricorda, ad esempio, Renato Curcio63. Enrico Fenzi, capo sto­ rico delle Brigate Rosse, ha scritto come «la data ufficiale d’inizio della lotta armata sia il 12 dicembre 1969 [...] da quel giorno, da quel momento in cui quello è diventato l’orizzonte ultimo dello scon­ tro, ognuno ha fatto in piena responsabilità le sue scelte»64. Secon­ do Mario M oretti, anch’egli leader di primo piano delle b r , [...] qualcosa, lo Stato, qualcuno che non è soltanto la controparte in azien­ da, ti mette nell’angolo. Non hai più da scontrarti solo con il padrone o con le istituzioni, partiti e sindacati, c’è dell’altro, c’è lo Stato. L ’autonomia de­ gli operai, la spontaneità non bastano più. Le Brigate Rosse in fabbrica na­ scono cosi65.

Se ci si addentra nella selva di storie di vita e racconti autobio­ grafici, che si sono raccolti attorno all’ “ evento piazza Fontana” , ci si accorge, tuttavia, di una complessità non percepibile al primo sguardo, e della presenza di una ben più articolata gamma di testi­ monianze. Nelle fabbriche torinesi, ad esempio, alcuni operai sa­ lutarono con favore le bombe: [...] era gente spoliticizzata, arrabbiata con il sistema e con il governo, che vedeva la bomba come una rottura, un fatto destabilizzante e quindi positi­ vo. Io replicai: “ siete pazzi. Per noi è un disastro” . Per mesi abbiamo conti­ nuato a dire agli operai che quella bomba era di destra e noi volevamo altro, eravamo altro,

ricorda Guido Viale, leader del movimento studentesco torinese e tra i fondatori di Lotta Continua66. Non tutti, inoltre, concorda­ vano sull’importanza da attribuire alla strage. Oreste Scalzone, di­ rigente di Potere Operaio, precisa che [...] Piazza Fontana ci sembrò un fatto grave e tragico, ma un fatto di crona­ ca nera. Noi non avevamo mai creduto, a differenza di altre formazioni e del“ p. b a r b i e r i e p. c u c c h i a r e l l i , La strage con i capelli bianchi. La sentenza per piazza Fontana, Editori Riuniti, Roma 2003, p. 15. ‘5r . c u r c i o , A viso scoperto, Mondadori, Milano 1993, p. 49. 64 E. f e n z i , Armi e bagagli. Un diario delle Brigate Rosse, Costa & Nolan, Milano 2007, p. 203.

45M. m o r e t t i , Brigate Rosse. Una storia italiana, Baldini & Castoldi, Milano 2002, p. 20. “ Testimonianza raccolta in c a z z u l l o , I ragazzi che volevanofare la rivoluzione cit., p. 91.

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lo stesso Feltrinelli, alla teoria del complotto e del colpo di Stato. Pensavamo che la guerra di classe era cosi, dove si spara senza lacrime per le rose67.

Bisogna, dunque, considerare la “ strumentalizzazione” insita nelle testimonianze degli ex appartenenti ai movimenti extraparla­ mentari e ai gruppi armati di sinistra, specialmente riguardo alla le­ gittimazione della scelta della violenza fatta in passato e, ancora di più, di quella delle armi68. Un confronto fra le testimonianze e le fonti ci mostra una realtà molto più complessa, che ci induce a ri­ leggere con criticità la vulgata della strage di piazza Fontana come «giorno dell’innocenza perduta». Le notizie degli attentati e della morte dell’anarchico Pinelli de­ starono preoccupazione nel movimento studentesco e nei gruppi della sinistra extraparlamentare6’ . V i era la paura - in parte giusti­ ficata dalle perquisizioni che avevano colpito l’estrema sinistra che le bombe di dicembre fossero il pretesto per attuare una repres­ sione indiscriminata. A questo si aggiungeva il timore che gli atten­ tatori potessero provenire effettivamente dalle file della sinistra ri­ voluzionaria, che fossero “ cani sciolti” , che si erano prestati a una provocazione70. Giangiacomo Feltrinelli, in un’intervista rilasciata a distanza di breve tempo dagli eventi terroristici - la prima dichia­ razione pubblica seguita alla sua latitanza, iniziata il 6 dicembre, in seguito al suo coinvolgimento nelle indagini sugli attentati del 25 aprile 1969 (da cui fu poi scagionato) - scrisse persino di una congiura, che si era servita di «giovani più o meno anarchici» [...] infiltrati pesantemente da agenti provocatori e fascisti, di giovani che amano con facilità di parlare di bombe, che di tanto in tanto possono anche far esplodere, dimostrativamente, qualche bomba carta che fa più rumore che danni. Di giovani che forse violano qualche disposizione legislativa e quindi prestano facilmente il fianco per essere indiziati di atti criminosi co­ me gli attentati di Milano e di Roma71.

‘ 7 A . g r a n d i , La generazione degli anni perduti. Storie di Potere Operaio, Einaudi, Tori­ no 2003, p. 112 . “ c a t a n z a r o , Il sentito e il vissuto. La violenza nel racconto dei protagonisti, in i d . (a c u ­ ra d i), La politica della violenza c it . , p. 240. u Ultimissima ora, in «Servire il popolo», II ( 1 3 dicembre 1 9 6 9 ) , n. 2 7 ; e m . c a p r a r a , La macchina repressiva, in «il manifesto», II (gennaio 1 9 7 0 ) , n. 1 . 70 E lo stesso Adriano Sofri a ricordare i dubbi che attraversarono la sinistra extrapar­ lamentare in i d ., La notte che Pinelli cit., p. 5 1. Tracce di queste perplessità sono riscon­ trabili in Infame attentato a Milano, in «Servire il popolo», II (13 dicembre 1969), n. 27; e IRSIFAR, f. Pasquini, b. 2, fase. 5. 71 Intervista con Giangiacomo Feltrinelli, in «Compagni», I (aprile 1970), n. 1.

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Le indagini degli organi inquirenti portarono alla luce un sotto­ bosco in cui erano confluiti i diversi terminali dell’estremismo po­ litico: una zona d ’ombra, poco conosciuta persino dai gruppi più oltranzisti, formatasi dai rivolgimenti portati dalla contestazione studentesca del 1968. L ’area antagonista più interessata da questo processo di erosione fu quella anarchica72. Le diverse correnti del­ l’anarchismo italiano si divisero di fronte alla mobilitazione stu­ dentesca e operaia: una frattura che affiorò in particolar modo a li­ vello generazionale, dopo le tesi presentate, sul finire del 1968, da uno dei leader del Maggio francese, Daniel Cohn-Bendit, al con­ vegno internazionale di Carrara, promosso nello stesso anno dalle organizzazioni comuniste anarchiche italiane, sulla possibilità di condurre una rivoluzione in Europa, nel cuore dell’Occidente7i. Elemento non secondario di spaccatura fu la questione della vio­ lenza. Fin dai primi anni Sessanta, alcuni gruppi anarchici si era­ no resi responsabili di attentati (spesso simbolici) contro il regime franchista in Spagna, colpendo le sedi di rappresentanza del gover­ no spagnolo in Italia e nel resto d ’Europa. Si era arrivati, addirit­ tura, al sequestro, nel 19 6 2, del viceconsole spagnolo presso la Santa Sede, e al rapimento, nel 1966, dell’addetto ecclesiastico al­ l ’ambasciata spagnola. U n’analoga fiammata rivoluzionaria si regi­ strò in occasione del colpo di stato in Grecia nel 19 67. Fu però con lo scoppio della contestazione studentesca e la campagna antimpe­ rialista che si assistette a una recrudescenza di attentati, e alla pro­ liferazione di gruppuscoli che criticavano la linea ufficiale delle cor­ renti anarchiche organizzate, come il circolo Ponte della Ghisolfa di Milano, dove militava Giuseppe Pinelli, che in più di un caso aveva pubblicamente manifestato il proprio dissenso nei confron­ ti dei gruppetti violenti. Tra questi, vi era il X X II marzo di Pietro Valpreda, che aveva un piccolo deposito di armi, fu responsabile di attentati e firmò alcuni documenti («Gli Iconoclasti» e il foglio «Terra e libertà», quest’ultimo pubblicato in occasione dell’anni­ versario della strage al teatro Diana, nel 19 2 1) che si rifacevano al-

111 primi contrasti sorsero in occasione del Congresso nazionale della f a i (Federazio ne anarchica italiana) che si tenne ad Ancona nel novembre del 1967: a c s , M i, g a b , 19671970, b. 2 i, fase. “ Ancona". ” A. a r u f f o , Breve storia degli anarchici, 1870-1970, Datanews, Roma 2 0 0 4 , pp. 19 7 2 0 2 . Vedi anche la collezione di documenti riprodotti in u. f e d e l i e G. s a c c h e t t i (a cura di), Congressi e convegni della Federazione Anarchica Italiana. Atti e documenti (1944-1995), Centro Studi Libertari Camillo Di Sciullo, Pescara 2 0 0 3 , pp. 2 1 3 - 3 8 .

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le correnti anarchiche più radicali di fine Ottocento, quelle che ave­ vano predicato la violenza indiscriminata contro la classe dominan­ te. A cavallo tra il 1968 e il 1969, dunque, frange minoritarie e marginali dell’anarchismo italiano ripresero la vecchia polemica che aveva contrapposto le correnti organizzate a quelle individualiste, sostenitrici della «propaganda del gesto», della «rappresaglia» e della «vendetta» sociale74. Simili linee teoriche rimasero sulla car­ ta, e nulla ebbero a che fare con la realizzazione degli attentati del 12 dicembre 1969, ma sono indicative, comunque, della presenza, ai margini dell’estremismo politico, di aree in fermento (anche nel­ la galassia neofascista, come vedremo), non facilmente assimila­ bili nelle categorie tradizionali della politica75. Una zona ambi­ gua, su cui si sarebbero addensati, negli anni successivi, dubbi e perplessità, che contribuirono - saltuariamente - a riproporre la te­ si della matrice anarchica della strage di Milano: ipotesi, questa, presa in considerazione persino dalle Brigate Rosse, artefici, tra il 1970 e il 19 74 , di una propria indagine, per appurare la responsa­ bilità di qualche frangia anarchica in quegli attentati76. Le torbide circostanze della morte di Pinelli, tuttavia, spinsero l’estrema sinistra a rivendicare con forza la sua innocenza, e a strin­ gere legami molto stretti con i gruppi anarchici, per denunciare il clima repressivo che si era abbattuto sui movimenti, con una fitta rete di iniziative, che trovarono vari interlocutori nei partiti di si­ nistra, fra gli intellettuali e l’opinione pubblica democratica77. La «battaglia di verità» condotta dall’estrema sinistra (che rimase, co­ munque, un pur importante tassello di una più vasta mobilitazio­ ne), non deve essere scambiata, però, per una presa di posizione in difesa delle istituzioni repubblicane e delle libertà costituzionali. G li attentati di dicembre, infatti, alimentarono l’antagonismo del­ la maggior parte dei gruppi della sinistra extraparlamentare nei con­ fronti del sistema democratico, a tal punto che gli appelli per l’u-

74P. ADAMO, Pensiero & dinamite. Gli anarchici e la violenza, m & b Publishing, Milano 2004, pp. 7-92. 75 Sull’estraneità del gruppo anarchico di cui era esponente Giuseppe Pinelli alla pra­ tica degli attentati e sui contrasti all’interno dell’anarchismo italiano, la posizione oltran­ zista di Valpreda e la sua strumentalizzazione da parte degli organi inquirenti cfr. L. l a n z a , Bombe e segreti. Piazza Fontana-, una strage senza colpevoli, Elèuthera, Milano 2005, pp. 68-95. 76c t s , X X III, v o i. I, tomo h , Roma 1966, pp. 313-410 . 77a c s , m i, g a b , 1967-70, b. 30, fase. 11001/48/2.

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nità delle forze antifasciste, lanciati dai partiti, furono spesso re­ spinti. In un volantino distribuito a Genova, il 16 dicembre 1969, dal collettivo Operai e studenti, ad esempio, si leggeva: [...] sappiamo bene che cosa sia questa democrazia, sappiamo bene che cosa abbia dato questa repubblica democratica fondata sul sangue dei lavoratori: 91 proletari uccisi (dal 1947 a oggi), 674 proletari feriti, 44 325 operai uccisi in fabbrica dal ’5 1 al ’66), uno ogni mezz’ora di lavoro. 15 677 070 operai infortunati sul lavoro78.

In un altro volantino diffuso da Lotta Continua, a Firenze, a ridosso della strage di Milano, si ribadiva che: [...] gli atti terroristici servono a convincere gli sfruttati che questo ordine democratico è il migliore che si possa avere e che vada preservato, facendo loro dimenticare che è proprio questo ordine democratico a esercitare la sua violenza su di loro giorno per giorno nelle fabbriche, nella scuola, nei quar­ tieri e nelle baracche in cui vivono79.

Nella sinistra extraparlamentare prevalsero due atteggiamenti: da un lato, si condannava la strage come una manovra reazionaria, volta a intimidire il movimento studentesco e quello operaio, dal­ l’altro si precisava che gli attentati, organizzati dai neofascisti e dalle forze più retrive dello Stato, facevano comunque il gioco dei settori più avanzati della borghesia e dei partiti riformisti - Parti­ to comunista incluso - , che potevano spendere, cosi, la carta della paura per far rientrare nella norma la conflittualità sociale e rilan­ ciare il governo di centro-sinistra. In un volantino del Movimento studentesco del 14 dicembre 1969, infatti, era scritto che [...] dietro gli assassini di Milano non ci sono solo i fascisti veri e propri, ma ci sono soprattutto, da un lato le forze borghesi più arretrate e parassite [...] dall’altro l ’ala avanzata e riformista della borghesia che vuole rinsaldare at­ torno alle istituzioni “ repubblicane e democratiche” del patto costituziona­ le la propria unità di potere nell’oppressione e nello sfruttamento1"1.

Per il Centro di controinformazione di Roma l’obiettivo della strage non era «la “ soluzione greca” , oggettivamente impossibile in un paese come il nostro [...] ma la repubblica presidenziale, il

7* I soli assassini sono i padroni! , volantino del collettivo Operai / Studenti del 16 di­ cembre 1969, ivi, b. 2 1, fase. 295/P. 79 No alle bombe dei padroni! , volantino distribuito da Lotta Continua il 17 dicembre 1969, ivi. *“ Volantino del 14 dicembre 1969, in i r s i f a r , f. Palazzi, b. 1, fase. 3.

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colpo di “ stato legale” che attraverso l ’utilizzazione dell’art. 13 8 della Costituzione [■..] ricomponga il “ blocco d ’ordine” », sostenu­ to, si precisava, «dagli Agnelli e dal P C I» 81. Sempre in un ciclosti­ lato di Lotta Continua, si accusavano i padroni di aver « messo in piedi una strage, hanno ucciso un ferroviere che non c’entrava nien­ te, si sono inventati un “ mostro” », per poi indicare, però, il vero nemico da combattere: «i falsi amici del popolo, i riformisti e i re­ visionisti, insieme con le forze cosiddette sane della borghesia»82. Nel corso di una riunione della dirigenza di Lotta Continua, il 13 dicembre 1969, Adriano Sofri, pur riconoscendo la natura «fasci­ sta» degli attentati, ritenne, comunque, che la strage fosse lo «stru­ mento padronale» contro le lotte operaie, e che l’idea del colpo di stato e della svolta a destra dovevano reputarsi impossibili. Era ne­ cessario, altresì, sciogliere il problema urgente dell’organizzazione della violenza, da considerarsi, cioè, non come momento difensivo e di mera risposta alla «violenza borghese»: Noi dobbiamo stare attenti a non assumere un atteggiamento difensivo (noi non c ’entriamo, se c ’è violenza operaia è risposta alla violenza borghe­ se, ecc.). In realtà questo è controrivoluzionario perché: a) esiste la violenza proletaria; b) è un atteggiamento tattico [...] Va ribadita la legittimità della violenza proletaria [...] porre il problema dell’autodifesa delle masse proleta­ rie (dentro le fabbriche e fuori) [...] G li operai a livello di massa si rendono conto dell’urgenza di risolvere certi problemi. Armare il proletariato. Parla­ re di queste cose non deve voler dire dedicare il dibattito politico esclusivo su queste cose, considerate come a sé. Cioè occorre discutere di queste cose, in relazione alle lotte contrattuali"’ .

Secondo Sofri, dunque, la violenza doveva essere una scelta che andava compiuta indipendentemente dall’azione avversaria, non in maniera autoreferenziale, ma in costante appoggio alla con­ flittualità che stava divampando fuori e dentro le fabbriche. A metà gennaio del 19 70 , Lotta Continua mise a punto la sua linea politica: contrastare il disegno riformistico dell’ingresso del PCI nel governo - appoggiato, a suo avviso, dalla grande industria per nor­ malizzare il ciclo produttivo - , e concentrare gli sforzi per form a­ re un’organizzazione politica autonoma degli operai84. Fu ribadi­ 81 Compagni e operai, studenti e cittadini!, 16 dicembre 1969, ivi, f . Pasquini, b. 2, f. 6. 821padroni si difendono, volantino di Lotta Continua, 19 dicembre 1969, ivi, f. Crainz, b. 3, f. n . 8) Verbale della riunione del 13 dicembre 1969, ivi, f. Maggia, b. 3/115 . 84 È il momento di fare i conti, in « Lotta continua», II (gennaio 1970), n. 1 .

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to ostinatamente che il vero problema non veniva né dallo Stato, né dall’estrema destra: [...] una cosa è stata chiara: che la parte egemone della borghesia [...] ha avu­ to sempre in mano l’iniziativa [...] La nuova maggioranza, l’accordo di pote­ re tra il movimento operaio e i rappresentanti avanzati della borghesia viene preparato proprio da queste contraddizioni85.

Continuava «Lotta continua»: [...] a poche settimane di distanza l’atmosfera si è decisamente distesa [...] le minacce di rotture clamorose tra i rappresentanti della borghesia sono sfuma­ te o si sono ridotte a piccole beghe di potere [...] La campagna repressiva lan­ ciata dalle destre ha ceduto il posto alla campagna antirepressiva amministra­ ta dalle sinistre, P C I e sindacati in testa [...] A i fascisti si sta rimettendo la mu­ seruola, alle masse si promettono amnistie e indulti86.

La paura del colpo di stato e dell’instaurazione di un regime au­ toritario, spesso utilizzati nella memorialistica come giustificativi della violenza, sembrano, dunque, essere assenti, almeno in questa fase, nelle teorizzazioni di uno dei più importanti gruppi della sini­ stra extraparlamentare. Rimaneva, piuttosto, la prospettiva della contrapposizione - anche militare - allo Stato democratico che, do­ po essersi tolto la maschera, aveva ormai mostrato la sua autentica natura repressiva87. Tanto che, nelle prime settimane successive al­ la strage, secondo le informazioni raccolte dalle questure e dalle pre­ fetture, Lotta Continua scartò l’ipotesi dello scontro frontale con l ’estrema destra, poiché giudicò erronea un’ottica che rischiava di distogliere l’attenzione della sinistra rivoluzionaria dal vero luo­ go del conflitto sociale: la fabbrica88. Non tutta la sinistra extraparlamentare sposò una linea cosi ra­ dicale e volta allo scontro con le istituzioni democratiche. I trockijsti della IV Internazionale, ad esempio, e l’Unione dei comunisti italiani marxisti-leninisti lanciarono, subito dopo gli attentati, un appello alle direzioni dei partiti di sinistra e dei sindacati, per un’a­ zione antifascista unitaria contro i disegni della destra eversiva89.

85 Come tenere viva la paura, ivi (31 gennaio 1970), n. 2. 86 Bombe, governo e pace sociale, ivi (14 febbraio 1970), n. 4. 81 Organizzazione di fabbrica e organizzazione generale, ivi (31 gennaio 1970), n. 2. 88a c s , m i, g a b , 1967-70, b . 2 1, fa se . 295/P. 85 Vedi, ad esempio, la risoluzione del Bureau politico del Partito comunista rivoluz nario (trockijsta), sezione italiana della IV Internazionale, del 1 3 dicembre 1 9 6 9 , in a p c , Partiti e movimenti, mf. 0 3 0 7 , p. 2 9 0 3 ; ivi, p. 3 x 3 6 ; e Partire dalle grandi conquiste del '69

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La scelta fatta da Lotta Continua, dunque, fu deliberatamente vol­ ta a una rottura con il sistema democratico e a contrastare la «le­ galità» stessa dello Stato, puntando, cosi, a una vera e propria de­ legittimazione e svuotamento deH’autorità pubblica90. Su posizio­ ni più radicali erano soltanto le formazioni che da tempo avevano abbracciato la lotta armata. Contrariam ente da quanto ci è tra­ smesso dalla memorialistica, anche in questo caso le più importan­ ti organizzazioni terroristiche di sinistra, come i Gruppi armati partigiani di Giangiacomo Feltrinelli, le Brigate Rosse e il gruppo X X II ottobre, erano già attive, sebbene non si fossero ancora re­ se responsabili di fatti di sangue91. Su scala minore, già sul finire del 1968 e agli inizi del 1969, si erano susseguiti, all’interno del­ la sinistra extraparlamentare, diversi progetti per la costituzione di «gruppi di fuoco», ricalcati sul modello dei movimenti guerri­ glieri sudamericani e della guerriglia castrista. Proprio quando, nel novembre del 1969, Ordine Nuovo decideva di rientrare nel m s i, e una frangia di dissidenti dava vita al m p o n - uno dei principali gruppi della storia dell’eversione nera - , il Collettivo politico me­ tropolitano, poco tempo dopo, nella riunione dell’ albergo Stella Maris di Chiavari, poneva le basi teoriche e organizzative della lot­ ta armata: la guerriglia rossa stava prendendo piede.

6. L ’estrema destra di fronte alla strage. Se gli attentati del 12 dicembre 1969 sono rimasti impressi nel­ la memoria della sinistra extraparlamentare come un evento fon­ dante, lo stesso non si può dire per l’estrema destra. Nei ricordi dei neofascisti vi è un salto temporale tra il 1968, vissuto come la gran­ de occasione mancata, e gli anni Settanta, come il tempo della vio­ lenza e del lutto. Piazza Fontana viene rievocata come il giorno che troncò ogni illusione d ’intesa generazionale che era sembrata pos­ sibile nei mesi della contestazione studentesca. Secondo la testimo­ nianza di Giuseppe Ollearis, allora dirigente della Giovane Italia, per avanzare nella lotta per un governo di sinistra, in «Lotta operaia», IX (6 gennaio 1970), n. 269. 90 Sul legame fra la delegittimazione dell’autorità statale e la diffusione della violenza politica cfr. H. L. n i e b u r g , La violenza politica, Guida Editori, Napoli 1974, pp. 84-85. 51G. g a l l i , Storia del Partito Armato, 1968-1982, Rizzoli, Milano 1986, pp. 5-20.

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ad esempio, appena appresa la notizia dell’attentato, un gruppo di studenti di destra si recò alla Statale di Milano per sondare il clima: [...] quelli del Movimento Studentesco presenti all’università gridarono ver­ so di noi che eravamo degli assassini. L ’incontro fini male: a botte. Da quel momento i rossi accusarono i neri della strage e cosi fecero i neri nei confron­ ti dei rossi. Eravamo caduti nella trappola” .

Nel rapporto della memoria dell’estrema destra con la strage di piazza Fontana, ha agito una dinamica complessa. Quando le in­ dagini della magistratura si concentrarono sugli ambienti neofasci­ sti, mostrando la permeabilità dei confini di questo frastagliato uni­ verso, scattò una solidarietà istintiva, in un ambiente che si era sempre sentito sotto assedio da un sistema che avversava. Un si­ mile atteggiamento fu alla base della sindrome di persecuzione che costituì un retroterra comune a tutti i partiti, movimenti e gruppi di estrema destra, e che portò il neofascismo, nel suo complesso, a negare ogni possibile coinvolgimento nell’attentato di piazza Fon­ tana e nelle altre stragi che scandirono i primi anni Settanta, attri­ buiti all’estrema sinistra, con la copertura di settori delle istituzio­ ni, dei partiti di governo e del p c i ” . Le testimonianze dei neofasci­ sti attorno all’ “ evento piazza Fontana” sono, dunque, molto più rare” . In realtà, gli attentati del 12 dicembre 1969 rappresentarono anche per il neofascismo uno snodo fondamentale. La strategia di destabilizzazione che portò a compiere la strage di Milano coin­ volse una rete limitata di gruppi terroristici, che bisogna tenere di­ stinti, dunque, dal resto dell’estrema destra, ignara dei piani ever-

b a l d o n i e s. p r o v v is io n a t o , A che punto è la notte?, Vallecchi, Firenze 2003, p. 38. ” Cfr., ad esempio, f . s e r v e l l o , Il complotto, B&C, Roma 1976, pp. 30-52; a . m a n t i c a e v. f r a g a l à , La strage dì piazza Fontana. Storia dei depistaggi: cosi si è nascosta la ve­ rità, in c t s , doc. xxm, n. 64, voi. I, tomo vi, 6 settembre 2000, pp. 105-43; f . c ic c h it t o e f . g ir o n d a , La disinformazione in Commissione stragi, Il grande inganno, Bietti, Milano 2002; e s. F r a n c ia , Radici storiche e ragioni della strategia della tensione, Edizioni Barbaros­ sa, Milano 1996. L ’assenza di una riflessione storica a destra su quegli anni è stata sottolineata da a . b a l d o n i , negli anni Settanta dirigente del f u a n Caravella, in i d ., Il crollo dei

” A.

miti, Utopie, ideologie, estremismi, Dalla fine del miracolo economico alla crisi della Prima Repubblica, Settimo Sigillo Edizioni, Roma 1996, pp. 307-10. E sintomatico come nel vo­ lume Fascisti immaginari, curato dai giornalisti Luciano Lanna e Filippo Rossi, il pili recen­ te lavoro d’inchiesta sulle autorappresentazioni e l’immaginario della cultura della destra radicale, i riferimenti alla strage di piazza Fontana e agli anni della strategia della tensio­ ne siano quasi inesistenti. Vedi Fascisti immaginari, Vallecchi, Firenze 2003. MSi vedano le considerazioni di N. r a o , Il sangue e la celtica, Sperling & Kupfer, Mi­ lano 2008, pp. 158-64.

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sivi che si stavano realizzando. D ’altronde, riesce difficile imma­ ginare che un partito come il Movimento sociale, marginale nel si­ stema politico, ma che poteva contare su un consenso elettorale non esiguo, specialmente nelle regioni centrali e meridionali, fos­ se tutto compromesso, dai vertici alla base, nella strategia della tensione. Vero è che i confini, all’interno di questo mondo, tra i movimenti, i partiti e i circoli sovversivi erano molto labili, e che la struttura del M ovimento sociale era meno organizzata e arti­ colata di altri partiti (come quella comunista o democristiana). Mancò, quindi, un controllo efficiente, anche perché i gruppi gio­ vanili del Movimento sociale, fino al 1 9 7 1 , furono, per statuto, organizzazioni collaterali e formalmente indipendenti, cui poteva­ no accedere anche i non iscritti al m s i . La dirigenza missina avreb­ be avuto, cosi, la possibilità di porsi al riparo dalla legge ogni qual­ volta le sue associazioni giovanili fossero state coinvolte in fatti di violenza (cosa che succedeva spesso), ma con il tempo i fenome­ ni degenerativi divennero sempre meno arginabili. A i margini del Movimento sociale, durante la segreteria di M i­ chelini, si era formata una vasta zona d ’ombra, in cui erano fer­ mentate le tendenze estremistiche più disparate. Tra le correnti più oltranziste vi era quella capeggiata da Franco Freda, giovane avvocato padovano e intellettuale neonazista, a capo di una picco­ la casa editrice, le edizioni Ares. N ell’agosto del 1969, Freda par­ tecipò a un’assemblea del Fronte europeo rivoluzionario, a Regensberg, nella Germania occidentale, in cui illustrò la propria teoria di distruzione del sistema borghese e dello Stato, sua espressione. L ’intervento divenne poi un libro, La disintegrazione del sistema, conosciuto, come abbiamo notato, soprattutto per la teorizzazio­ ne dell’alleanza degli estremismi rosso e nero contro il capitalismo e la democrazia borghese, e per il riconoscimento attribuito all’im­ portanza della rivoluzione culturale cinese e di alcuni elementi del marxismo, ma che, a ben vedere, sembra essere debitore più nei confronti delle correnti radicali dell’anarchismo, che di una rilet­ tura dei testi marxiani. Per Freda, l’obiettivo ultimo della lotta ri­ voluzionaria era [...] l’eversione di tutto ciò che oggi esiste come sistema politico. Occorre, infatti, propiziare e accelerare i tempi di questa distruzione, esasperare l ’o­ pera di rottura del presente equilibrio e dell’attuale fase di assestamento po­ litico [...] il male rappresentato dalla società borghese è inguaribile [...] nes­

ioo

Capitolo terzo suna terapia è possibile [...] nemmeno un’operazione chirurgica riesce ormai efficace [...] occorre accelerare l’emorragia e sotterrare il cadavere” .

Freda, con l’editore Giovanni Ventura, traduttore delle opere di M ax Stirner, l’antesignano deU’ anarco-individualismo, teorizzò la presenza di una «seconda linea», cioè la parallela azione violen­ ta dei neri e dei rossi volta al rovesciamento delle istituzioni bor­ ghesi’6. È difficile stabilire una linea di demarcazione netta tra una reale strategia rivoluzionaria e la messa in scena di una provoca­ zione. Freda e Ventura, infatti, risultarono essere collaboratori di Guido Giannettini. Non è da scartare l ’ipotesi, dunque, che tra i gruppi neofascisti più radicali e i settori dei servizi segreti coinvol­ ti negli attentati vi fosse, oltre a una convergenza operativa, an­ che un’affinità ideologica, data la continuità di uomini e idee con il fascismo e, più specificamente, con l ’esperienza della Repubbli­ ca sociale italiana, presente nel mondo militare. Più complesso, invece, il problema di capire quanto fosse dif­ fusa nell’estrema destra l’«ideologia stragista». La strage, prima di essere una tecnica di morte, prima di essere uno strumento di guerra, fu innanzitutto un fenomeno culturale. Il ricorso indiscri­ minato alla violenza contro i civili fu formulato dai teorici della «guerra irregolare» nelle scuole militari statunitensi e francesi du­ rante la guerra d ’Algeria e quelle nel Sudest asiatico. Nello speci­ fico, le premesse teoriche e operative degli attentati del 1 2 dicem­ bre sono da ricercare nella documentazione prodotta dall’AGiNTER Presse, un’ agenzia segreta, legata a Ordine Nuovo, operante in Portogallo e guidata dai reduci dell’oAS, li rifugiati e coperti dalla dittatura salazarista. La pratica dell’attentato, tuttavia, era negli anni Sessanta e agli inizi degli anni Settanta un repertorio troppo diffuso tra le file dei neofascisti per poter essere ricondotto all’ap­ plicazione di una tecnica di combattimento importata dall’estero. Il 1969 fu scandito da uno stillicidio di attentati compiuti con­ tro le sezioni dei partiti di sinistra e delle associazioni partigiane, dalle bombe contro le università e le scuole occupate, e contro le sedi delle forze dell’ordine e quelle delle istituzioni. Il Movimen­ to sociale giocò un ruolo non secondario nel supportare e legitti­ mare quest’ondata di violenza, coprendo gli attentatori e ascrivenLa disintegrazione del sistema, Edizioni di Ar, Padova 96 Sentenza Valpreda, parte V, capp. xxxvii-vm, p. 4.

” F. G. f r e d a ,

2000, p. 34.

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do al Partito comunista e alla sinistra extraparlamentare gli epi­ sodi più gravi. Fu una vera e propria strategia di dissimulazione, non solo a livello comunicativo, ma anche attraverso la realizza­ zione di piccoli atti terroristici, su scala diffusa, fatti attribuire agli avversari, come quando a Palermo, nell’agosto del 1969, alcuni mi­ litanti della Giovane Italia furono arrestati perché responsabili di una serie di attentati dinamitardi rivendicati, poi, con sigle ricon­ ducibili agli ambienti anarchici e dell’estrema sinistra97. Il fenomeno era abbastanza nuovo98: in passato erano stati gl anarchici e i sindacalisti rivoluzionari a utilizzare in maniera siste­ matica l’esplosivo come strumento della lotta politica. Il ricorso al­ la bomba, ad esempio, non compariva nella mitologia e nella tradi­ zione dei repertori d ’intervento utilizzati dai fascisti alla loro na­ scita. Fu nel secondo dopoguerra che nell’estrema destra si d if­ fusero tali pratiche, in particolar modo a opera delle formazioni clandestine, a loro volta influenzate dai gruppi sionisti oltranzi­ sti, come l ’Irgun Zwai, responsabile dell’attentato all’ambasciata britannica a Roma nel 19 4899. Le fonti d ’ispirazione furono molte­ plici. Negli anni Cinquanta i neofascisti emularono i militari delI ’ o a s - i famigerati commandos Delta - nella tecnica delle bombe, da essi impiegata in Francia negli scontri di strada contro i comu­ nisti. Altro punto di riferimento furono i terroristi altoatesini con la «notte dei fuochi», espressione, mutuata dal linguaggio della guerriglia castrista, per indicare l’attacco simultaneo ai militari e alle sedi istituzionali italiane. M a fu anche l’ampia circolazione dei manualetti di guerriglia, pubblicati negli anni Sessanta in Italia dal­ le case editrici di estrema sinistra, a veicolare, specialmente fra i giovani di destra, la pratica dell’attentato, quale prassi dell’azione rivoluzionaria e del conflitto urbano100. La bomba si configurò pre­ sto come la tecnica di combattimento simbolica più diffusa tra le

” A c s , p s , g a b , 1944-86, b . 3 2 8 , fase. G5/35/87. Nell’ottobre del 1969, ad esempio, «Il Secolo d’Italia» iniziò una campagna di stampa contro il commissario Boris Juliano del­ la Pubblica sicurezza di Padova, che aveva iniziato indagini che avevano portato all’indi­ viduazione della responsabilità di alcuni neofascisti per una serie di attentati compiuti nel Veneto. Cfr. Smascherato il falso di Padova, in «Il Secolo d’Italia», 24 ottobre 1969. 98 II fenomeno era rilevato dalla stampa già dagli attentati del 12 dicembre. Cfr. c. d e r n a , La bomba tricolore, in « L ’Espresso», X V (11 maggio 1969), n. 15. ” p a r l a t o , Fascisti senza Mussolini cit., p. 254.

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Ordine Nuovo. Verità e menzogne. Risposta alla Commissione Stragi, Set

timo Sigillo Edizioni, Roma 2007, p. 8.

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minoranze estremiste, impegnate in una lotta contro nemici mol­ to più grandi. Nei primi anni Settanta la pratica dell’attentato, im­ piegata alla fine del decennio precedente da gruppetti minoritari all’interno del movimento studentesco (analogamente a quanto suc­ cesso in Francia e in Germania), divenne un repertorio d ’azione della sinistra extraparlamentare e dei gruppi armati, pur senza fi­ nalità stragiste. Il materiale esplosivo divenne, cosi, il manifesto di una guerra, all’inizio simbolica, sostanzialmente asimmetrica: 1’« ar­ ma dei deboli», dei marginali e degli esclusi, come i neofascisti si rappresentavano101. Senza tale quadro d’insieme, è difficile comprendere la genea­ logia culturale delle stragi. Il detonatore che nell’estrema destra per­ mise di compiere il salto di qualità dalla teorizzazione alla loro mes­ sa in pratica, oltre alle dinamiche psicologiche, che di norma carat­ terizzano gruppi fanatici e chiusi al mondo esterno (indottrinati, fra l ’altro, dalle teorie elitarie del filosofo Julius Evola), fu l’antico­ munismo viscerale che possedette tutta l’estrema destra a cavallo tra il 1968 e il 1969. Anticomunismo che venne declinato da talu­ ne formazioni in toni apocalittici, e tali da giustificare l’adozione di ogni mezzo per arrestarne l’avanzata in Italia e nel mondo. Un graduale «slittamento verso il massacro», di cui rimase traccia nei dibattiti pubblici presenti nel mondo neofascista, circa la possibi­ lità di ricorrere a mezzi eccezionali per far fronte a una situazione d’emergenza102. Ipotesi che spesso incontrò una diffusa opposizio­ ne, come quando, ad esempio, nel 1969, un vecchio reduce repub­ blichino inorridì all’ipotesi, avanzata da alcuni militanti di Ordine Nuovo, di ricorrere alla strage di innocenti da far ricadere, poi, su­ gli avversari103. Si possono ravvisare tre posizioni nell’oltranzismo di destra, tuttavia non nettamente distinguibili, perché, anzi, a vol­ te complementari104. La prima si rifaceva alle teorizzazioni di Cle­ mente Graziani e di altri esponenti ordinovisti, e vedeva nel ricor­ so alla violenza indiscriminata l’estrema soluzione per arrestare la

101 M . d a v i s , Breve storia d e li autobomba. Dal 1920 a li Iraq di oggi. Un secolo di esplo sioni, Einaudi, Torino 2007, p. 16. 101 j. s é m e l in , Purificare e distruggere. Usi politici dei massacri e dei genocidi, Einaudi

Torino 2007, p. 293. I0’ Sentenza Rognoni, cap. vra, p. 79. 104 Vedi il fondamentale testo di F. f e r r a r e s i , Minacce alla democrazia. La Destra radi­ cale e la strategia della tensione in Italia nel dopoguerra, Feltrinelli, M ilano 2005.

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presa del potere da parte dei comunisti; la seconda, riconducibile agli ambienti militari e neofascisti dell’oltranzismo atlantico, con­ siderava l’impiego delle bombe uno strumento di tensione per su­ scitare l’intervento delle Forze Armate e modificare l’assetto isti­ tuzionale e politico del Paese; la terza, d’ispirazione frediana, indi­ viduava nello stragismo il mezzo per far crollare lo Stato e creare le condizioni per instaurare un ordine nuovo. Sul finire degli anni Ses­ santa, dunque, la strategia delle bombe, lungi dall’essere un segre­ to politico-militare gelosamente custodito, fu argomento pubbli­ co, tanto da spingere, all'indomani delle bombe del 12 dicembre, 1’«Occidentale», periodico conservatore vicino all’ala moderata del Movimento sociale, a polemizzare contro gli «anarchici di destra», sostenitori dell’«ordine nero» che doveva sorgere dopo il crollo del­ lo Stato e del sistema politico, sconquassati dagli attentati e dalla reazione a catena che essi dovevano scatenare105. Rimaneva, infine, il problema del rientro nel Movimento socia­ le della maggioranza dei quadri di Ordine Nuovo, avvenuto il 16 novembre 1969, meno di un mese prima della strage di piazza Fon­ tana106. Ai dirigenti ordinovisti furono dati tre incarichi nella dire­ zione nazionale e quattordici nel comitato centrale: un peso rile­ vante, per una formazione cosi esigua. I dissidenti contrari al rein­ serimento, capeggiati da Clemente Graziani, fondarono il M o­ vimento politico Ordine Nuovo, protagonista nella stagione del ter­ rorismo nero dei primi anni Settanta. A ben vedere, però, i moti­ vi di dissenso furono di natura tattica, più che ideologica: la stra­ tegia d ’ingresso nel m s i era ritenuta possibile, grazie anche alla svolta impressa da Almirante, a condizione che i dirigenti ordino­ visti cooptati nell’esecutivo del partito avessero potuto concorda­ re preventivamente con il resto della direzione le linee politiche che sarebbero poi state portate avanti all’interno del m s i 107. La deriva estremista imboccata dal Movimento sociale alla vi­ gilia degli attentati spiega in parte la traiettoria adottata dal parti­ to, volta a capitalizzare al massimo lo choc indotto dalla strage, ma v. v e r g a r o , Anarchici di (e da destra), in «Occidentale», I (dicembre 1969), n. 10; ed E. m o n t a n a r i , Ordine nero e civiltà occidentale, ivi, II (gennaio 1970), n. n . 106 Ordine Nuovo entra nel M SI, in «Il Secolo d ’Italia», 16 novembre 1969. 107 Lettera aperta ai dirigenti e militanti di Ordine Nuovo (dicembre 1969), in s. f o r t e (a cura di), Clemente Graziani: la vita, le idee, Settimo Sigillo Edizioni, Roma 199 7, pp. 2 7 1278.

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non prova una sua compromissione, come si potrebbe sbrigativa­ mente insinuare. Il m s i ritenne che le bombe di dicembre fossero da attribuire a una strategia di destabilizzazione orchestrata dall’Unione Sovietica per espandere in Europa la sua egemonia, rite­ nuta ogni giorno sempre più a rischio dopo i fatti di Praga dell’a­ gosto 1968, l’incremento della flotta da guerra sovietica nel Mediterraneo e il colpo di stato in Libia, che aveva condotto al potere un’élite politico-militare considerata filorussa108. La stampa di de­ stra lanciò l’ipotesi di una regia “ occulta” degli attentati, dietro la quale si sarebbero nascosti il Partito comunista e settori del gover­ no di centro-sinistra: un complotto teso a portare il p c i al potere, con la conseguente uscita dell’Italia dalla n a t o e il suo ingresso nel­ l’orbita d’influenza sovietica. Quest’accusa fu strumentale, è vero, a un disegno di delegittimazione del Partito comunista, ma riflet­ teva anche un timore radicato e diffuso tra la base dei movimenti e dei partiti di estrema destra. Cosi facendo, però, si alimentarono nuovamente pericolose spinte centrifughe, che si aggiunsero a quel­ le che si erano manifestate lungo tutto il corso del 1969. Fu un pas­ saggio speculare e opposto a quello vissuto dalla sinistra extrapar­ lamentare: si pose il problema della scelta della violenza di fronte a uno scenario che sembrava inesorabilmente destinato a degene­ rare. Con uno Stato o un governo accusati di essere ostaggio dei co­ munisti e compromessi con la strage, chi avrebbe garantito la sicu­ rezza della comunità nazionale ? A ll’indomani delle bombe di dicembre, infatti, l’esecutivo del Movimento sociale indicò il Partito comunista come il mandante del­ la strage e il governo di centro-sinistra come suo complice109. Il m s i e la stampa di estrema destra accusarono nuovamente il p c i di esse­ re coinvolto negli attentati di Milano e di Roma, anche dopo la no­ tizia della morte di Giuseppe Pinelli e l’arresto di Pietro Valpreda110. 108 C fr., ad esempio, Un ponte verso le basi sovietiche, Ecco l ’Italia voluta da socialisti e comunisti, in «Il Secolo d ’ Itaiia», 27 febbraio 1969; e Minaccia l ’Italia la flotta sovietica di­ slocata nel Mediterraneo, ivi, 28 febbraio 1969. 109 II governo stronchi la sovversione o si dimetta. Riunito i Esecutivo del M SI, ivi, 12 di­ cembre 1969. 110 Sono comunisti gli assassini, ivi, 13 dicembre 1969; e Pena di morte per i responsabili di strage, ivi. Si vedano, ad esempio, gli articoli pubblicati sulla stampa di destra nei gior­ ni successivi agli attentati: Arrestato un comunista per la strage di Milano, ivi, 17 dicembre 1969; Cronaca degli attentati terroristici e della collusione tra p c i e anarchici all’agosto i960, in «Candido», III (29 gennaio 1970), n. 5; e M . t e d e s c h i , Il neo-anarchismo agli ordini del PCI, in «Il Borghese», X X I (4 gennaio 1970), n. 1.

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Con gli attacchi diretti al Partito comunista, il Movimento sociale puntò a radicalizzare la crisi“ 1 e il 14 dicembre indisse una grande manifestazione da tenersi a Roma, per «combattere sulla trincea più avanzata»112. I partecipanti dovevano dirigersi verso il quartiere dell’EUR, partendo da più raduni sparsi nei quartieri periferici, su colonne di auto messe a disposizione dal partito113. Gli ordinovisti si prepararono alla manifestazione, con braccialetti identificativi e cartelli con l’ascia bipenne, il simbolo del vecchio movimento, nel­ l’intenzione di far degenerare l’evento in una giornata di guerriglia urbana tale da costringere il governo a proclamare lo stato d’emer­ genza114. La notizia della manifestazione e le direttive agli iscritti del m s i comparvero sul «Secolo d’Italia» il 12 dicembre, dopo ripetuti annunci nei giorni precedenti115. Quando scoppiarono le bombe a Milano e a Roma, i partiti di sinistra e i gruppi extraparlamentari credettero che la mobilitazione della piazza di destra fosse prope­ deutica al golpe, e dopo reiterate proteste la manifestazione fu rin­ viata di qualche giorno. Sfumata l’ennesima possibilità di una mobilitazione di piazza, al Movimento sociale rimaneva la prospettiva di sfruttare il clima di tensione che si era instaurato nel Paese per prepararsi al pros­ simo appuntamento elettorale, che avrebbe confermato l’efficacia o meno della linea impressa al partito dal suo nuovo segretario, Giorgio Almirante. Insistere sulla strategia della violenza e sul ca­ rattere fratricida degli attentati parve, cosi, la via più praticabile per perpetuare la paura, su cui investire tutte le energie per rilan­ ciare sul piano nazionale il partito: A ccettiam o la sfida. N oi non siamo - come è noto - vincolati da d i­ rettiva del tipo di quelle che il m inistro prudente e restivo im partisce al­ le forze di polizia e abbiamo sempre contestati il principio cattolico di porgere l ’ altra guancia. Sia ben chiaro che a ogni provocazione corri­ sponderà una azione im m ediata e che alla violenza risponderem o con la

111 N. t r i p o d i , Icomplici , in «Il Secolo d ’ Italia», 13 dicembre 1969. 112 Appuntamento con la Nazione, ivi, 12 dicembre 1969. 115 Concentramenti di zona, ivi. 114 Deposizioni di Vincenzo Vinciguerra e Martino Siciliano in data 13 febbraio 199 2, 16 giugno 1992 e 10 settembre 19 9 7, in Sentenza Rognoni. 115 La manifestazione doveva essere la conclusione di una serie di comizi che il M SI ten­ ne in diverse località dell’ Italia in seguito alla morte di Antonio Annarumma. V i furono comizi a Reggio Calabria, Milano e in varie località delle Marche e dell’Em ilia Romagna. C fr. Il M SI mobilita la nazione contro la sovversione rossa, in « Il Secolo d ’ Italia», 2 dicem­ bre 1969; e Incontro con la Nazione, ivi, 7 dicembre 1969.

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Capitolo terzo violenza [...] N on si facciano illusioni: la strage di M ilano deve essere pagata da tutti i reali e potenziali responsabili. Vogliam o le teste delle belve umane come presupposto di vera giustizia, Fronte U nitario A zio­ ne N azionale, 14 dicem bre 19 6 9 1“ .

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Capitolo quarto Le politiche della violenza

i. L ’impiego della violenza nella campagna elettorale per le

elezioni regionali. Gli attentati del 1 2 dicembre non furono il detonatore delle vio­ lenze che si registrarono per tutto il corso del 1970. Principale cau­ sa di esse, invece, fu la durissima campagna elettorale che accom­ pagnò la nascita delle Regioni, una delle riforme più dibattute e contrastate dei governi di centro-sinistra1. In passato, il Movimen­ to sociale si era espresso contro l’istituzione regionale, temendo l’indebolimento dello Stato e la proliferazione di particolarismi2. Quando non fu più possibile opporsi, la dirigenza missina optò per una mobilitazione capillare. La posta in gioco, infatti, era troppo alta per rinunciarvi: per la prima volta si eleggeva un numero con­ siderevole di consiglieri regionali, un’occasione unica per un parti­ to come il m s i , in forte crisi di rappresentanza e di consensi1. La preoccupazione più grande, tuttavia, era costituita dalla possibilità che il Partito comunista potesse rafforzarsi ulteriormente, rispet­ to alle consultazioni del 1968, con il sicuro risultato in Emilia Ro­ magna, Umbria e Toscana. In questo modo, i comunisti avrebbe­ ro avuto anche l’opportunità di controllare una fascia strategica di regioni, nel caso in cui fosse scoppiata una grave crisi naziona­ le, tale da poter sfociare in conflitto aperto4. Le elezioni furono presentate dal Movimento sociale come un

' Il m s i : unico e vero interprete del rinnovamento della Società. Il documento politico ap­ provato dal Comitato Centrale, in « Il Secolo d ’Italia», 17 febbraio 1970. 1 Secoli di generosi sfoni unitari annullati dalla follia regionalista, ivi, 3 febbraio 1970 ’ p. l . hai.l i ni e M. RiDOLFi (a cura di), Storia delle campagne elettorali in Italia, Bruno

Mondadori, Milano 2003. 4 Su questo specifico problema si era già espresso Almirante nel settembre del 1969 cfr. Messaggio agli Italiani. Relazione del segretario nazionale del Movimento sociale italiano Giorgio Almirante al Comitato Centrale del Partito, Roma, 27-28 settembre 1969, p. 15 .

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Capitolo quarto

«broglio», organizzato dalla maggioranza e dal Partito comunista per proseguire l’esperienza dei governi di centro-sinistra e favorire l’ingresso dei comunisti nell’esecutivo5. Il clima si inasprì ulterior­ mente quando i missini accusarono il Partito socialista di esercita­ re pressioni sul ministero dell’interno per restringere gli spazi d’a­ gibilità politica al partito6. Il Movimento sociale temeva, in realtà, di non essere all’altezza dell’appuntamento elettorale e puntò, co­ sì, a innalzare la tensione per estendere la propria capacità di con­ trattazione nei confronti degli altri partiti, e per dissimulare l’as­ senza di programmi convincenti con cui intercettare il consenso de­ gli elettori7. Alla vigilia delle elezioni, il m s i minacciò l’intervento delle strut­ ture giovanili per contrastare le manifestazioni e i comizi avversa­ ri, attraverso discorsi pubblici e documenti ufficiali votati dagli or­ ganismi del partito8. L ’utilizzo della violenza tornò a essere un ele­ mento fondamentale della mobilitazione missina, così come lo era stato nel 1969, con la differenza, però, che nella campagna per le elezioni regionali, il suo impiego risultò accresciuto9. Il clima poli­ tico, già esasperato dagli attentati del 12 dicembre, divenne, in que­ sto modo, rovente. La campagna elettorale del m s i si caratterizzò per l’altissimo numero di comizi programmati per tutta l’Italia, tan­ to nelle città, quanto nelle province e nei piccoli centri10. Ben pre­ sto la propaganda si concentrò nelle città «rosse», aree del Paese tradizionalmente appannaggio dei partiti di sinistra, e luoghi dove più vivo era il ricordo della guerra di Liberazione. Fu il tentativo di sfidare la sinistra non solo sul suo stesso campo, la piazza, ma anche nel suo territorio, per appropriarsene11. La strategia del Mo­ 5 L 'illegittimità della convocazione delle elezioni del 7 giugno motivata nel ricorso del Mo­ vimento sociale al Consiglio di Stato, in «Il Secolo d ’Italia», 8 maggio 1970. 6 p. r o m u a l d i , Repressione a destra, ivi, 13 marzo 1970. 7 D. c . r a p o p o r t e L. w e in b e r g , Elections and Violence, in ID. (a cura di), The Democratic Experience and Politicai Violence, Frank Cass, London-Portland 2 0 0 1, pp. 17-35. 8Riaffermato dalla gioventù nazionale l ’impegno per la battaglia anticomunista, in « Il Se­ colo d ’ Italia», 3 marzo 1970; Il m s i unito nella volontà e nell' azione per garantire i valori del­ la Nazione e dello Stato, ivi, 4 aprile 1970; e Noi siamo l'idea corporativa, siamo l'alternati­ va al sistema, ivi, 7 aprile 1970. ’ Sul nesso tra la violenza dei gruppi di estrema destra e le imminenti elezioni cfr. l’in­ chiesta di M. f i n i , Operazione elettorale il neosquadrismo del m s i, in «Panorama», V i li (4 giugno 1970), n. 2 16 . 10 Vedi le relazioni prefettizie in a c s , M i, g a b , 1967-70, b. 39. 11 Cosi facendo, i neofascisti ricalcarono la vecchia strategia delle Squadre d ’ azione di Mussolini. Cfr. E. g e n t i l e , Il culto del littorio. La sacralizzazione della politica nell’Italia fa­ scista, Laterza, Roma-Bari 1998, p. 48.

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vimento sociale venne costruita su un’ambiguità di fondo: i comi­ zi del partito erano legalmente autorizzati, ma la loro ubicazione fu deliberatamente provocatoria, in modo da suscitare la reazione dei partiti antifascisti. Poteva, cosi, essere invocato l ’interven­ to delle forze dell’ordine, e gli avversari divenivano suscettibili di essere accusati di non rispettare le norme che tutelano la liber­ tà d’espressione e di riunione. In realtà, le manifestazioni pubbli­ che del m s i furono precedute da una serie d’incidenti provocati ap­ posta per esacerbare gli animi. Le sezioni del p c i , del p s i e del p s i u p , le Camere del lavoro e le sedi sindacali furono assalite in maniera sistematica, in una riedizione, su scala minore, della «guerra dei vessilli» che aveva caratterizzato lo squadrismo degli anni Venti, quando i fascisti concludevano le spedizioni con la cattura di og­ getti dal forte contenuto simbolico per gli avversari, come le ban­ diere, i quadri, i manifesti12. A Deiva Marina, paesino in provin­ cia di La Spezia, ad esempio, un gruppo di neofascisti attaccò e danneggiò la sede locale del p s i , intitolata a Giacomo Matteotti, trafugando la bandiera della sezione13. Queste azioni si configura­ vano come veri e propri «riti della conquista», volti a estirpare la presenza dei nemici sia sul piano simbolico sia su quello della me­ moria14. I socialisti furono tra i più colpiti dalle violenze neofasci­ ste, in particolar modo nelle regioni del Centro-sud, dove il Movi­ mento sociale aveva più chances di intercettare il disagio popolare, e dov’era stato più vistoso il calo di consensi del p s i nelle preceden­ ti elezioni. Si arrivò, addirittura, ad assalire la sede della direzione nazionale del Partito socialista, nel centro storico di Roma, dopo un comizio tenuto da Pino Romualdi in piazza del Popolo15. La risposta dei partiti di sinistra non tardò a venire, anche per­ ché socialisti e comunisti profusero un particolare impegno nella campagna elettorale, data l ’importanza del momento politico: un risultato positivo, nella loro visione, avrebbe garantito il deterren­ te più efficace contro le minacce d’involuzione autoritaria che era­ no balenate nell’ultimo scorcio del 196916. Per questo motivo, lo 12 M . r i d o l f i , La contrapposizione amico/nemico nella celebrazione delle festività nazio­ nali, in v e n t r o n e (a cura di), L ’ossessione del nemico cit., p. 49. 1J Nuova aggressionefascista alla sede del p si. Un indignato telegramma di Pertini, in « l’A-

vanti! », 18 aprile 1970. 14 M . f i n c a r d i , I riti della conquista, in «Contributi», X I (1987), nn. 2 1-2 2 , pp. 1-12 7 . 15 Rintuzzato un tentativo fascista di assalire la sede della direzione del partito, in « l’Avanti! », 8 maggio 1970. 16 G. a r f è , 2 giugno 1946-7giugno 1970. Repubblica-Regioni, ivi, 2 giugno 1970.

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sforzo attivistico del m s i fu interpretato come il tentativo di man­ tenere alta la tensione suscitata dalla strage di Milano17. La con­ vinzione che polizia e carabinieri attaccassero le manifestazioni antifasciste, dopo che queste erano entrate in contatto con i comi­ zi missini, diede, inoltre, l ’idea che i neofascisti stessero svolgen­ do un ruolo di provocazione, all’interno di una più articolata stra­ tegia eversiva perseguita dal «partito della crisi e dell’avventura», come veniva indicato l ’insieme delle forze - interne ed esterne al sistema politico - impegnate nel capovolgimento degli equilibri del Paese18. A tutto questo si aggiungeva la decisione dell’estrema sinistra d’impedire ai neofascisti l’agibilità politica. I gruppi extraparlamen­ tari si presentarono divisi all’appuntamento elettorale: al centro del­ le polemiche era la questione se partecipare o meno al voto, e se que­ sto fosse da considerarsi un cedimento alla «democrazia borghese» o, invece, componente della strategia rivoluzionaria. L ’Unione dei comunisti marxisti leninisti, ad esempio, invitò a votare per il p c i , ma il resto dell’area maoista decise di optare per l’astensione1’ . Pre­ valsero, infatti, le voci di condanna delle elezioni, come quella di Potere Operaio, che invitò a mobilitarsi contro lo «stato riforma­ tore»20. La prospettiva d’intervento della sinistra extraparlamenta­ re continuò a essere l’opposizione senza sosta al centro-sinistra, al­ l’ipotesi di allargamento del governo al p c i , e a quella d’integrazio­ ne della classe operaia nel sistema capitalistico. Scrisse «Lotta con­ tinua», alla vigilia della campagna elettorale: [...] una più avanzata democrazia non vuol dire altro che una maggior corresponsabilizzazione del movimento operaio ufficiale - dai sindacati al pci/psiup - nel­ la repressione dell’autonomia operaia [...] mai come oggi, di fronte al rafforza­ mento dell’autonomia proletaria, l’identità tra democrazia borghese e repressio­ ne autoritaria è stata chiara21.

17 A. g is m o n d i, 6 luglio : i ultima carta del partito della paura, in « l’Astrolabio», V i l i (7 giugno 1970), n. 23. 18 M . F e r r a r a , La tensione che vogliono, in « l’Unità», 20 aprile 19 7 0 ; e G. a r f È , Con­ tro tutte le provocazioni, in « l’Avanti! », 21 aprile 1970. 19 A che cosa servono le elezioni? A che cosa servono le regioni?, volantino del Comita­ to comunista marxista-leninista di Roma, del Centro Mao Tse-Tung di Firenze e del Cen­ tro comunista marxista-leninista di Torino, s.d., in a g r , f. Cazzaniga, fase. 14. Per la po­ sizione della sinistra extraparlamentare nei confronti delle elezioni regionali vedi o t t a v i a n o , La rivoluzione nel labirinto cit., voi. II, pp. 400 sgg. 20 Lotta contro lo stato delle riforme, in «Potere operaio», II (16-23 maggi° 1970), n. 22. 21 Governi e lotta di classe, in «Lotta continua», II (24 marzo 1970), n. 8.

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Di conseguenza, le elezioni venivano considerate l’espressione di un sistema «illegale», basato sullo sfruttamento delle «masse pro­ letarie», che bisognava sabotare22. Occorreva, allora, scendere sul terreno della violenza, quale «espressione dei bisogni concreti del­ le masse» e, al contempo, momento di una «propaganda ideologi­ ca costante». Il proletariato avrebbe, cosi, gradualmente accettato la «necessità della lotta armata contro l’oppressione borghese», an­ che se questa prospettiva era giudicata non imminente e, comun­ que, tale da dover essere rimandata a un indeterminato futuro23. Certo, i neofascisti non costituivano ancora l’obiettivo principale, ma la campagna elettorale rappresentò comunque l’occasione per attivare momenti di scontro in tutto il Paese. A tale scopo, secon­ do il parere conclusivo di «Lotta continua», era indispensabile ab­ bandonare i «metodi borghesi di difesa contro la repressione», e dar vita a un organismo che rispondesse alle aggressioni degli av­ versari e della polizia «anche sul piano militare»24. Fu nel corso di questa campagna elettorale che i gruppi della sinistra extraparlamentare e i movimenti studenteschi organizza­ rono su larga scala i primi servizi d ’ordine, comparsi sporadica­ mente negli anni precedenti. Essi venivano disposti a quadrato in testa, ai lati e alla coda dei cortei, che non di rado seguivano a bre­ ve distanza le manifestazioni dei partiti di sinistra e dei sindaca­ ti25. I componenti indossavano caschi da motociclista, bandane, fazzoletti, occhialetti da piscina per proteggersi dai gas dei lacri­ mogeni, e abiti idonei al combattimento di strada (giacche corte e scarpe adatte alla corsa). Le chiavi inglesi - che richiamavano la simbologia della violenza operaia - , i manici di piccone e gli “ stalin” , corti bastoni da cui pendevano fazzoletti per farli sembrare delle bandiere, i sassi divelti dal selciato delle strade, erano le ar­ mi di difesa e di offesa26. I servizi d’ordine erano soliti battezzare la propria formazione con nomi che si rifacevano alla mitologia partigiana e a quella rivoluzionaria, come i Katanga dell’univer­ sità Statale di Milano, denominazione ispirata al gruppo di ex mer12 Legalità borghese e violenza rivoluzionaria, ivi ( 1 8 aprile 1970), n. 10. I «Diritti democratici», ivi. 14 Ivi. ” Vedi le relazioni prefettizie in a c s , m i, g a b , 1967-70, b. 53. “ F. d e n t i c e , Lo studente è uscito fuori dal bunker, in « L ’Espresso», X V I (26 aprile 1970), n. 17.

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cenari delle guerre coloniali che durante il Maggio francese si era schierato dalla parte degli studenti. Quantunque ancora su un ter­ reno di scontro di piazza, l’estrema sinistra riuscì tuttavia, in breve tempo, a mettere in piedi una possente macchina organiz­ zativa, diversa, nelle forme e nei repertori, dalle tradizionali espres­ sioni della mobilitazione di piazza dei partiti di sinistra, del movi­ mento operaio, e persino degli studenti del 196827. Quest’improvvisa sterzata ideologica e organizzativa, fu, peral­ tro, il parziale riflesso della prima grande sconfitta subita dall’estre­ ma sinistra dopo i fasti dell’autunno caldo. Proprio nelle fabbriche l’influenza dei piccoli gruppi aveva iniziato rapidamente a declina­ re, dopo l’accordo sul contratto dei metalmeccanici, a fine dicem­ bre del 1969, e con l’adozione dello statuto dei lavoratori nel mag­ gio del 1970, espressione del rinnovato slancio riformatore del go­ verno di centro-sinistra28. I sindacati riguadagnarono il terreno perduto ponendosi all’avanguardia delle lotte di fabbrica, privando, così, la sinistra extraparlamentare del suo più importante punto di riferimento. Pur mantenendo una presenza costante fra gli operai, i gruppi furono per tale via costretti a individuare nuovi settori d’in­ tervento nella società. L ’antifascismo cominciava a delinearsi come il terreno più adatto per proseguire una politica rivoluzionaria. La tensione raggiunse il culmine in aprile, a Genova, dov’era in programma un comizio di Almirante. Una radiotrasmittente pira­ ta si intromise durante la trasmissione di un programma televisivo, invitando la popolazione a bloccare la manifestazione del m s i : era­ no i g a p , guidati dall’editore Feltrinelli29. Pochi giorni dopo, si ve­ rificò una serie di attentati dinamitardi contro i tralicci dell’alta tensione in Lombardia, a opera del Movimento di azione rivoluzio­ naria (m a r ), gruppo terrorista composto da neofascisti ed ex parti­ giani anticomunisti’0. Le elezioni regionali del giugno 1970 diven­

27 Sulla conflittualità di piazza, nella prospettiva di lunga durata, cfr. M . is n e n g iii, L 'I ­ talia in piazza. I luoghi della vita pubblica dal 1848 ai giorni nostri, Mondadori, Milano 1994. Per una comparazione con il caso francese, cfr. D. t a r t a k o w s k y , Les Manifestations de rue en France (1918-1968), Presses Universitaires de Lyon, Lyon 1 9 9 6 . Per l’ Italia repubblica­ na, cfr. M. g r is p ig n i, Figli della stessa rabbia. Lo scontro di piazza nell’Italia repubblicana, in «Zapruder», I (maggio-agosto 2003), n. 1 , pp. 50-70. 28 g . a r f è , La Costituzione entra in fabbrica, in « l’Avanti! », 1 5 maggio 1 9 7 0 . 29 Emittente «fantasma» si rifa viva a Genova, in « l’Unità», 20 aprile 1970. ” 1. p a o l u c c i , Arrestato un gruppo di dinamitardi fascisti: preparava una «settimana di fuo­ co» nel Nord, ivi, 24 aprile 1970. Vedi anche a c s , M I, g a b , 1967-70, b. 19 , fase. 195/P/98.

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nero, cosi, le prime di quel decennio a registrare la presenza di for­ mazioni terroristiche di destra e di sinistra determinate a condizio­ nare il voto. Sull’Italia, secondo l’analisi condotta da Feltrinelli, mai come prima incombeva la minaccia di un colpo di stato, anco­ ra di più che nel 1968-69. La situazione ricordava quella del 19 2 1, quando, secondo l’editore, a un movimento operaio egemone nel Paese e schierato su posizioni rivoluzionarie non corrispose un’a­ deguata classe politica. Si trattava di formare «avanguardie del pro­ letariato», in grado di misurarsi con l’attacco della «destra impe­ rialista», di cui era stata prima manifestazione l’offensiva dei neo­ fascisti nella campagna per il voto regionale” . Con una lettera a Pietro Nenni, pubblicata da «Voce Comunista», rivista di estrema sinistra a lui vicina, Feltrinelli delineò un quadro a tinte fosche: Partito socialista e riformismo avevano fallito nel loro compito di modernizzare e democratizzare la società italiana. Non rimaneva altra strada se non lo scontro frontale tra 1’«esercito rosso» e 1’«eser­ cito nero», i cui «ufficiali» si erano rivelati, durante l ’autunno caldo, più preparati e meglio organizzati di quelli «rossi», che ades­ so dovevano riorganizzarsi, in vista del «contrattacco» e della «bat­ taglia decisiva»” . 11 messaggio dei g a p esasperò la tensione, poiché il Partito co­ munista, I ’ a n p i e i sindacati, nei giorni precedenti, avevano invita­ to i cittadini genovesi a manifestare contro il comizio del m s i . Il 18 aprile giunsero in piazza centinaia di dimostranti, cui si unirono i gruppi della sinistra extraparlamentare, che si scontrarono con i ser­ vizi d ’ordine del Movimento sociale. Nei tafferugli, venne ferito gravemente alla testa da un oggetto contundente Ugo Venturini, militante del m s i , morto qualche giorno dopo” . Le giornate di G e­ nova furono uno choc per i missini, quasi che quella città, dal lu­ glio i960, fosse divenuta la riprova dell’eterna ghettizzazione e marginalizzazione del partito’4. Ugo Venturini divenne il martire, il «caduto per l’idea», la prima vittima della violenza politica do-

” Intervista con Giangiacomo Feltrinelli, in «Compagni», I (aprile 1970), n. 1. 12 G. F e l t r i n e l l i , Lettera a Pietro Nenni-, e id ., Strategia e tattica delle lotte dell’autun­ no 1969, in «Voce Comunista», I (luglio 1970), n. 2. 15 Una puntuale descrizione delle dinamiche che portarono alla morte di Ugo Ventu­ rini è contenuta nell’inchiesta giornalistica di L. t e l e s e , Cuori Neri. Dal rogo di Primavalle alla morte di Ramelli, 2 1 delitti dimenticati degli anni dì piombo, Sperling & Kupfer, M i­ lano 2006, pp. 2-25. )4 N. t r i p o d i , Cinismo contro martìrio, in « Il Secolo d ’ Italia», 5 maggio 1970.

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po la strage di piazza Fontana, e come tale fu osannato dai neofa­ scisti, mentre la sua morte veniva ignorata dalla maggior parte del­ le forze politiche” . Alla liturgia commemorativa per i caduti della rivoluzione fascista e della Repubblica sociale, si aggiunse il culto dei martiri vittime della violenza dell’estrema sinistra36. I funerali si tennero il 6 maggio a Genova e costituirono un momento cele­ brativo fondante, destinato a ripetersi per tutto il corso degli anni Settanta. Le esequie furono preparate con particolare cura, anche perché si sarebbero svolte pochi giorni dopo il 28 aprile, data in cui, annualmente, l’estrema destra era solita commemorare l’anniversa­ rio della morte di Benito Mussolini37. La sala mortuaria venne alle­ stita nella sede della federazione genovese del Movimento sociale, e da li la salma fu trasportata in corteo fino al tempio della Conso­ lazione, una delle chiese più importanti della città ligure. Il rito fu­ nebre, cui parteciparono i maggiori dirigenti del partito, fu celebra­ to da un ex cappellano militare della r s i , di fronte a centinaia di militanti giovanissimi, schierati in due lati, in posa militare, con il braccio destro teso nel saluto romano38. Queste liturgie avevano la funzione di raffigurare la lotta politica come lotta fratricida, e i fu­ nerali dei caduti divennero, cosi, un evento celebrativo sostanzia­ le, per ribadire il carattere assoluto dello scontro in atto. Il lutto, infatti, non fermò la campagna elettorale del m s i . A Livorno, Al­ mirante rischiò un vero e proprio linciaggio, quando la sua macchi­ na venne bloccata in una via laterale e fu attaccata da alcuni mani­ festanti39. Si registrarono, poi, gravi incidenti a Firenze, Mestre, Milano, Bolzano, Reggio Calabria, Catania, Roma e Torino40.1 ser­ vizi d’ordine che presero parte agli scontri furono battezzati, signi­ ficativamente, con il nome di Ugo Venturini41. ” Caduto per l ’idea, ivi, 3 maggio 1970. “ Mobilitati i giovani del m s i per respingere le aggressioni rosse, ivi, 5 maggio 1970. ” 28 aprile: in lui ricordiamo tutti i caduti della r s i , ivi, 28 aprile 1970. “ Nel nome dell’operaio Venturini per la libertà e la Nazione col m s i, ivi, 6 maggio 1970. ” Gravi incidenti a Livorno durante il comizio di Almirante, ivi, 19 maggio 1970. 40 Violenti scontri a Firenze nel corso del comizio di Tripodi, ivi, 20 maggio 1970; Cam­ pagna elettorale all'insegna della violenza, ivi, 3 giugno 1970; Tafferugli a Mestre per un co­ mizio del m s i, in «Corriere della Sera», 4 maggio 1970; Tafferugli a Roma tra polizia e mis­ sini, ivi, 8 maggio 1970; Tafferugli a un comizio di Almirante a Livorno, ivi, 16 maggio 1970; Violenti scontri a Milano tra neofascisti e polizia, ivi, 25 maggio 1970; e Tafferugli ai comizi del m s i, ivi, 2 giugno 1970. 41 I Volontari Nazionali nel nome di Ugo Venturini, in «Il Secolo d ’Italia», 3 maggio 1970.

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Nonostante le aspettative pessimistiche, le elezioni regionali vi­ dero il Movimento sociale invertire la tendenza al declino che si era manifestata nelle politiche del 1968. L ’attivismo di piazza conqui­ stò la fiducia di una parte della popolazione, che guardava con in­ quietudine alla conflittualità sociale, e che non riteneva più la De­ mocrazia cristiana un argine valido contro l’avanzata delle sinistre. La fede nel positivo risultato elettorale spinse il m s i a proporsi co­ me il polo di un’alleanza politica trasversale a tutte le forze anti­ comuniste42. A metà aprile rientrò nel partito Sinistra nazionale, una formazione che operava prevalentemente in Lombardia, ma il disegno di Almirante prevedeva un allargamento della zona d ’in! fluenza del m s i ben al di là dei ristretti confini dell’arcipelago neofascista. Il quarto «corso di aggiornamento» per i giovani del Movimento sociale, che si tenne a settembre a Cascia, in provincia di Perugia, sanzionò il definitivo riconoscimento della violenza co­ me risorsa strategica fondamentale per la mobilitazione del parti­ to43. A novembre, il ix Congresso nazionale del Movimento socia­ le propose la costituzione di un Fronte anticomunista articolato, i sul quale edificare l’impalcatura di una maggioranza alternativa al centro-sinistra44. Era necessario, allora, «preparare i giovani allo scontro frontale»4’ . Secondo le parole di Almirante, riconfermato all’unanimità segretario del partito, 1’«estremismo di destra sareb­ be diventato un centro di equilibrio» del Paese44.

2. Tra urne e rivolte. Il 1970 si concluse con molte manifestazioni di piazza degene­ rate in episodi di guerriglia. L ’estrema sinistra ricorse all’impiego massiccio delle bottiglie molotov, utilizzate in chiave prettamente offensiva, come durante le dimostrazioni contro la politica estera statunitense. La molotov divenne il simbolo del nesso tra le guer­

42 II M SI realizzerà il fronte anticomunista, ivi, 27 luglio 1970. 4Ì Nell'impegno dei giovani la vera forza del m s i, ivi, 13 settembre 1970.

44A ll’insegna della coerenza e dell’unità il i x Congresso Nazionale del m s i, ivi, 20 novem­ bre 1970. 41 Dall'unità del m s i a li unione degli italiani, ivi, 2 1 novembre 1970. 46 Almirante confermato a li unanimità segretario nazionale del m s i, ivi, 24 novembre 1970.

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re rivoluzionarie combattute nel Terzo Mondo e le lotte nel cuore delle grandi metropoli europee, e il mezzo con cui veicolare il mes­ saggio che la «lotta armata» era «il passaggio obbligato per il socia­ lismo in qualsiasi Paese», come scrisse «Lotta continua»47. Cosi, le manifestazioni di protesta a Roma, per i lavori del Consiglio atlan­ tico, nel maggio del 1970, e durante la seconda visita, pochi mesi dopo, del presidente statunitense Richard Nixon - accolto, anche questa volta, da una città in stato di sommossa - , furono occasio­ ne di violentissimi scontri. Nei giorni precedenti l’arrivo di Nixon, venne incendiata una decina di automobili appartenenti a militari americani, a dimostrare che, già nel 1970, operavano piccoli grup­ pi clandestini, impegnati in atti di terrorismo per affiancare la vio­ lenza di piazza della sinistra extraparlamentare48. Negli incidenti, inoltre, i manifestanti furono in grado di assalire e sopraffare ma­ nipoli di poliziotti e carabinieri rimasti isolati49. Si arrivò allo scon­ tro fisico ravvicinato, quando a Milano, il 12 dicembre 1970, nel primo anniversario della strage di piazza Fontana, una manifesta­ zione indetta dagli anarchici fu prima vietata e poi dispersa dalla polizia. La contemporanea manifestazione del m s i fu invece auto­ rizzata, e i missini non furono bloccati quando attaccarono la Sta­ tale. Gli anarchici si rifugiarono nelle facoltà occupate dagli stu­ denti del movimento: di fronte all’università, i poliziotti spararo­ no ad altezza d’uomo una salva di lacrimogeni che colpirono un giovane, Saverio Saltarelli, uccidendolo. L ’episodio destò grande impressione, perché un altro studente cadeva vittima della violen­ za indiscriminata della polizia, in circostanze simili a quelle in cui era stato ucciso Cesare Pardini, per la cui morte, proprio nel 1970, l’inchiesta giudiziaria non trovò alcun responsabile50. Alla notizia della morte di Saltarelli, i servizi d’ordine contrattaccarono, ingag­ giando un corpo a corpo con i reparti della Celere: per la prima vol­ ta gli studenti, grazie anche all’equipaggiamento dei servizi d ’ordi­ ne, furono in grado di misurarsi fisicamente con la polizia, in uno

47 Imperialismo e lotta di classe, in «Lotta continua», II (14 maggio 1970), n. 12. 48 Vedi le relazioni di questure e prefetture in a c s , M I, g a b , 1967-70, b. 39. 49 Tafferugli a Roma: 482 fermi, in «Corriere della Sera», 29 settembre 1970. 10 La grave sentenza al processo di Pisa, in « l’Unità», 5 febbraio 1970. Per un’evocazio­ ne letteraria della morte di Saverio Saltarelli vedi 1. s c a n n e r , Sognando i l 2001, in p. s t a c c io l i (a cura di), In ordine pubblico, 10 scrittori per 10 storie, suppl. all’«Unità», «il mani­ festo», «Liberazione» e «C arta», aprile 2003, pp. 16-24.

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scontro ravvicinato, file serrate contro file serrate, e non più, quin­ di, con la tecnica del “ mordi e fuggi” , che aveva caratterizzato le modalità d’azione dei movimenti studenteschi e dell’estrema sini­ stra fino a quel momento. Agli inizi del 19 7 1, tutto faceva presagire che la dinamica del­ la violenza si sarebbe espressa secondo un rigido schema: scontri di piazza tra manifestanti e polizia, e scontri fra avversari che avreb­ bero innescato, a loro volta, l’intervento delle forze dell’ordine. In realtà, la serie di rivolte urbane, scoppiate tra il 1970 e il 19 7 1, in alcune città del Centro-sud, per assegnare il capoluogo della Regio­ ne (conteso in Abruzzo tra Pescara e l’Aquila, e in Calabria tra Ca­ tanzaro e Reggio), evidenziò una dinamica della violenza ben più complessa, in parte affiorata durante la contestazione studentesca del 1968, e questo soprattutto nel corso della rivolta di Reggio Ca­ labria, l’episodio d ’insorgenza più grave e duraturo della storia re­ pubblicana51. I neofascisti e la sinistra extraparlamentare, per ra­ gioni diverse, vi presero parte. Il Movimento sociale e la destra estrema (Ordine Nuovo, Avanguardia nazionale e il Fronte nazio­ nale) sposarono la causa degli insorti, sia per cavalcare lo sconten­ to della popolazione, sia per un’affinità elettiva con i temi della protesta, incentrata sul risentimento contro il governo e le disfun­ zioni imputate al sistema dei partiti52. Il confine tra un’adesione reale alle istanze dei rivoltosi e il suo utilizzo, soprattutto da par­ te dei gruppi extraparlamentari, per esasperare la tensione, fu molto sottile (Reggio come «primo passo della rivolta nazionale», recitava un volantino del Movimento politico Ordine Nuovo)53. La guerriglia urbana, cui parteciparono i “boia chi molla” del deputa­ to missino “ Ciccio” Franco, s’intrecciò con il terrorismo bombarolo. Vi fu un’impressionante recrudescenza di attentati, spesso con l’impiego del tritolo. L ’episodio più grave fu il deragliamento, pro­ vocato da elementi vicini ad Avanguardia nazionale, del treno «La Freccia del Sud», in un tratto ferroviario vicino a Gioia Tauro, che causò la morte di sei persone54. L ’estrema sinistra, invece, vide nel­ 51 Su questo tema lo studio più aggiornato e documentato è quello di L. a m b r o s i , La rivolta di Reggio. Storia di territori, violenza e populismo nel 1970, Rubbettino, Soveria M an­ nelli 2009.

52N. t r i p o d i , Il rancore del popolo, in «Il Secolo d ’Italia», 17 luglio 1970. ” Reggio la nostra rivolta, volantino del m p o n del 28 gennaio 1 9 7 1 , in a c s , m 19 7 1-7 5 . A A . G G ., 4 4 2/1253. 54E . c i c o n t e , Processo alla ’ndrangheta, Laterza, Roma-Bari 1996, pp. 88-95.

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la rivolta di Reggio Calabria la manifestazione di un moto rivolu­ zionario che il Partito comunista e i sindacati non avevano com­ preso, lasciando la piazza alla destra” . Fu in particolar modo Lot­ ta Continua, con la parola d’ordine «a Torino come a Reggio», a “ calare” nella città calabrese per partecipare attivamente agli scon­ tri. Un comizio di Pietro Ingrao, tenutosi in un momento di tregua della guerriglia, il io agosto 1970, fu, cosi, travolto dai fischi dei giovani neofascisti e dei militanti di estrema sinistra, che contesta­ vano, chi con il pugno chiuso, chi con il saluto romano, il leader comunista56. Non si trattava, tuttavia, né di una convergenza operativa, né della temuta alleanza degli estremismi contro il sistema democra­ tico. La connotazione ideologica della rivolta di Reggio fu margi­ nale, poiché le radici della protesta affondavano nel disagio loca­ le57. La compresenza dei neofascisti e dell’estrema sinistra metteva in rilievo, piuttosto, lo scarso peso, in determinati contesti nazio­ nali, dell’anticomunismo e dell’antifascismo, come ideologie pro­ pulsive la mobilitazione politica e sociale. Vi fu, insieme, la trasver­ salità di alcuni temi, che interessavano tanto l’estremismo di de­ stra quanto quello di sinistra. Fra questi, l’opposizione al p c i , ac­ cusato, sia dai neofascisti che dalla sinistra extraparlamentare, di essersi «integrato nel sistema». Alla parola d ’ordine coniata dai marxisti-leninisti di « sostenere ciò che lo stato borghese combatte e combattere ciò che lo stato borghese appoggia», corrispose lo slo­ gan “ anti-pci” di Avanguardia nazionale «il comuniSmo si combat­ te opponendosi al sistema borghese e il sistema borghese si com­ batte opponendosi al comuniSmo»58. Durante la rivolta dell’Aquila, in cui nuovamente i neofascisti e la sinistra extraparlamentare s’inserirono per egemonizzare la protesta, il Partito comunista fu al centro di violentissimi attac­ chi, perché ritenuto responsabile di non aver difeso gli interessi

” Reggio e il movimento ufficiale delle sinistre, in Fronte unito anticapitalista, cicl. dei gruppi rivoluzionari di Reggio Calabria, Vibo Valentia, Lametia Terme, Castrovillari e Co­ senza, ottobre 19 7 0 , in CPPM, £. Sbriccoli, miscellanea “ Estrema Sinistra". K Reggio Calabria: il capoluogo, la Madonna 0 qualcos’altro?, in «Lotta continua», II, (2 settembre 1970), n. 15 . ” l . a m b r o s i , «Boia chi molla» siempre! La rivolta di Reggio Calabria nella memoria di un protagonista comune, in «Zapruder», V I (maggio-agosto 2008), n. 16. 5S Cosi un ciclostilato dell’Unione marxista-leninista italiana dell’ aprile del 1969, in a c s , P S , G, 1944-86, b. 3 2 3 , fase. G 5/33/25; e cfr. un manifesto di Avanguardia naziona­ le affisso a Roma il 23 febbraio 1 9 7 1 , ivi, b. 289, fase. G 5/5/33.

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della città” . I comunisti non compresero, sostanzialmente, le ra­ gioni del dissenso, scambiando la guerriglia dei rivoltosi con l’e­ spressione di una nuova forma di squadrismo, componente che pu­ re vi fu, ma rimase, comunque, marginale60. Il 27 febbraio del 19 7 1 la sede della federazione provinciale comunista fu assediata da estremisti di destra: la polizia tardò a intervenire, i servizi di vigi­ lanza del p c i furono costretti a capitolare, e la sede venne incen­ diata, assieme a tre abitazioni di militanti comunisti61. Si giunse, cosi, alle elezioni amministrative e regionali del 19 7 1, in un mo­ mento difficilissimo per l’ordine pubblico. La sinistra extrapar­ lamentare scese nuovamente sul terreno della violenza, tentando d’impedire i comizi del Movimento sociale, mentre i neofascisti si abbandonarono ad aggressioni e attacchi rivolti contro i propri av­ versari. «La rivoluzione col mitra o con la scheda?», ci si interro­ gava su «Lotta continua», qualche tempo prima, in occasione del­ la vittoria elettorale in Cile di Salvador Allende62. Ancor prima del colpo di stato di Pinochet, nel 19 73, la risposta a tale domanda fu nel ribadire la legittimità della sola lotta rivoluzionaria quale mez­ zo per conquistare il potere da parte del proletariato. «Quello che ci interessa», scrisse «Potere operaio», che condivideva nella so­ stanza il giudizio di Lotta Continua sulle elezioni cilene, « è il discorso sulla militarizzazione del movimento, sul livello di vio­ lenza a cui è arrivato lo scontro di classe in Italia»63. La sponta­ neità doveva lasciare il posto all’organizzazione, e il proletariato seguire le direttive delle avanguardie. Si era esaurito il tempo dei “ movimenti” , iniziava quello dei partiti rivoluzionari.

” La rivolta d e li Aquila, in «Lotta continua», III (18 marzo 19 7 1), n. 5; e Barricate e scontri, in «Il Secolo d’ Italia», 2 marzo 1 9 7 1. 60 G. f l e s c a , L ’Aquila: non era rabbia in camicia nera, in « l’ Astrolabio», IX (7 marzo 19 7 1), n. 6; Bande fasciste all'Aquila assaltano e saccheggiano le sedi dei partiti democratici, in « l’Unità», 28 febbraio 1 9 7 1 ; e Una città in balia delle squadre fasciste, in «Mondo Nuo­ vo», 7 marzo 1 9 7 1. 61 Relazione della Commissione incaricata dal Comitato regionale abruzzese del PCI di ri­ ferire sui fatti accaduti a li Aquila il 27 febbraio 19 7 1, a p c , Regioni-Province, mf. 0 16 0 , p. 1430.

63 La rivoluzione col mitra o con la scheda? Torres e Allende. America Latina: la soluzio ne capitalista che piace al revisionismo, in «Lotta continua», II (30 ottobre 1970), n. 19 . “ La rivoluzione non è un pranzo di gala: organizzazione e violenza, in «Potere operaio», III (17 aprile - i ° maggio 19 7 1), nn. 38-39.

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3. L ’ipotesi del golpe e della guerra civile: i discorsi pubblici e i

preparativi dei neofascisti. Di fronte all’aggravarsi della conflittualità di piazza, al progres­ sivo deterioramento dell’ordine pubblico e al susseguirsi delle crisi politiche, una parte dell’opinione pubblica moderata incominciò a reclamare un intervento risolutivo per ristabilire l’ordine nel Pae­ se. Nacquero, per iniziativa del m s i , di settori della D C , del p r i e del p s d i , movimenti d ’opinione, come la Maggioranza silenziosa, o as­ sociazioni più marcatamente orientate a destra, come gli Amici del­ le Forze Armate, che addirittura espressero pubblicamente l’appog­ gio nei confronti del colpo di stato in Turchia del marzo 19 7 1, tra­ mite il quale era ascesa al potere una giunta composta da militari («Ankara-Atene, adesso Roma viene», divenne lo slogan di quelle manifestazioni). Questo fenomeno, in realtà, si era già palesato ne­ gli ultimi mesi del 1969, e sarebbe continuato per tutto il 1970, quand’erano apparsi appelli e articoli, nella stampa conservatrice e di estrema destra, che invocavano «responsabilità politiche per le Forze Armate»64. Persino un periodico moderato come «Epoca», alla vigilia della strage di piazza Fontana, aveva invocato la soluzio­ ne di forza, sul modello di quanto accaduto in Francia nel maggio del 1958, durante la crisi algerina, quando i militari occuparono Al­ geri e la Corsica, instaurando un Comitato di salute pubblica, e im­ posero all’Assemblea nazionale l’elezione di De Gaulle, insieme al­ la modifica della carta costituzionale65. A questi appelli risposero le associazioni d’arma e singoli esponenti delle Forze Armate, in particolar modo durante le tensioni dell’autunno caldo, e in seguito al­ le bombe del 12 dicembre 1969, continuando ad attivarsi anche ne­ gli anni successivi, sia attraverso la stampa sia con la mobilitazione dei circoli che riunivano gli ufficiali in congedo66. L ’iniziativa più clamorosa fu il convegno promosso, dal 24 al 26 giugno 19 7 1, dal­ l’istituto di studi storici e militari Nicola Marselli sul tema «Guer­ 64E .

m a r tin i,

Responsabilità politiche per le Forze Armate, in « Il Secolo d ’Italia», i °

maggio 1970.

65p . z u l l i n o , Che cosa può accadere in Italia, in «Epoca», X X (14 dicembre 1969), n. 10 0 3. “ Gen. G. a l o i a , La crisi dello Stato, in « Il Tempo», 7 novembre 1969. Come l ’ u N U -j ci, l’Unione Nazionale U fficiali in Congedo d ’Italia e la f a n u s , la Federazione Associazio­ ni Nazionali Ufficiali e Sottoufficiali Provenienti Servizio Attivo.

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ra non ortodossa e difesa», che, sulla falsariga del convegno orga­ nizzato dall’istituto Pollio del 1965, vide partecipare esponenti del­ le Forze Armate, dell’oltranzismo atlantico e dell’estremismo di de­ stra67. Il Movimento sociale cercò di intercettare queste inquietu­ dini, impegnandosi in un intenso lavoro di propaganda tra le Forze Armate, con volantinaggi e comizi di fronte alle caserme e al mini­ stero della Difesa, e divenne il principale punto di riferimento per quella parte dell’opinione pubblica - anche moderata - che si sta­ va orientando su posizioni politiche oltranziste68. La richiesta di un intervento dei militari comprendeva in sé la possibilità di un’aperta repressione delle sinistre e dei sindacati, e il rischio dello scoppio di una guerra civile. Nonostante queste dram­ matiche implicazioni, l’opzione del golpe parve un’ipotesi credibi­ le, e venne sostenuta da diversi settori del neofascismo, ma non da tutti. Fin dal colpo di stato in Grecia del 1967, si era sviluppato, in­ fatti, un complesso dibattito non solo sull’opportunità o meno del putsch, ma anche sulle sue modalità69. 1 neofascisti si divisero sul pro­ blema se considerare il colpo di stato la mera esecuzione di un pia­ no preciso e fulmineo che neutralizzasse gli avversari, sul modello della Blitzkrieg, o un fatto politico che implicasse l’adesione e il coin­ volgimento di una parte non trascurabile della società. Si ripropose il dilemma proposto da Curzio Malaparte nel celebre pamphlet Tec­ nica del colpo di Stato - divenuto punto di riferimento per il dibat­ tito culturale che agitava l’estrema destra (e non solo) in quegli an­ ni -, sulle modalità della Rivoluzione bolscevica e della presa del po­ tere da parte del fascismo: se cioè, queste dovessero essere ritenute opera di élite specializzate o conseguenze di più articolati processi sociali70. Vi fu, poi, soprattutto tra i gruppi extraparlamentari, chi vide nel golpe la possibilità d’innescare una rivoluzione nazionale attraverso la partecipazione «alla lotta armata» di «équipe di uffi­ ciali», che avrebbero costituito i «quadri politico-militari» del nuo­ vo ordine, come era scritto in un documento dell’associazione Gio­ vane Europa del 196871. Altri settori della destra radicale, tuttavia, 67A C T S , X I II ,

Ever. Destra, 4/5. “ Vedi le relazioni prefettizie in a c s , m i , g a b , 196 7-70, b . 60; e b . 100 , fase. 12 10 10 /6 9 . 69G. A C C A M E , Atene, pulitura a secco, in « Il Borghese», X V III (4 maggio 1967), n. 18. 70 Altro testo di riferimento fu lo studio del polemologo statunitense E . N. l u t t w a k , Tecnica del colpo di Stato, Longanesi, Milano 1968. 71a c s , M i, g a b , 1967-70, b . 24, fase. 348P/6.

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consideravano l’ipotesi del colpo di stato - giudicato impossibile sen­ za l’aiuto degli Stati Uniti - un «atto d’inconcepibile sudditanza verso uno dei due blocchi»72. Nonostante queste differenze, l’invocazione della guerra civile come soluzione per far uscire l’Italia dalla crisi e salvarla dal comu­ niSmo, già comparsa in passato, affiorò nuovamente e con più fre­ quenza dopo la strage di piazza Fontana, a riprova del perverti­ mento delle relazioni politiche che quel fatto introdusse nella vita pubblica del Paese, dapprima con i volantini dei gruppi minori e, poi, con i discorsi pubblici del Movimento sociale” . Nella ma­ nifestazione nazionale del m si del 22 dicembre 1969 a Roma, la prima a cui furono invitati rappresentanti del Fronte nazionale di Junio Valerio Borghese, Almirante aveva parlato esplicitamente di «guerra civile», invitando i giovani all’azione: [...] in forma ufficiale, la guerra civile in Italia c’è già e c’è da parecchio tem­ po, e in questi ultimi giorni ha subito una spaventosa recrudescenza. Se la guerra civile, infatti, è la lotta cruenta tra i cittadini di uno stesso Paese, in Italia la lotta cruenta non è mai cessata e le cifre, ahimè, parlano chiaro. Ora siamo alla fase terroristica della guerra civile; e che le responsabilità siano dell’estrema sinistra non vi è alcun dubbio” .

Il discorso di Almirante rappresentò una rottura con altre posi­ zioni emerse nel partito, come quella di Pino Romualdi, che s’era espresso a più riprese contro il colpo di stato, per il rischio del «ba­ gno di sangue» che questo avrebbe inevitabilmente comportato” . I discorsi sulla guerra civile proseguirono per tutto il corso del 1970, anche attraverso comizi pubblici, in cui erano esaltati i «battaglio­ ni d ’assalto» e i «corsi di ardimento», contro la «guerra rivolu­ zionaria» scatenata dal comuniSmo76. Almirante parlò della possi­ bilità di una «soluzione di forza» intervenendo per la prima volta alla trasmissione della r a i - t v «Tribuna Politica», il 25 maggio 1970,

11 La rivoluzione continua, in «Azimut», I (febbraio 1969), n. 1. 71 Vedi, ad esempio, il volantino Italiani! distribuito da Ordine Nuovo il x 3 dicembre ; 196 9 , a c g i l , Miscellanea. 74G. a l m i r a n t e , Questa Italia ci interessa, in « Il Secolo d ’Italia», 23 dicembre 1969. ” p. r o m u a l d i , Editoriale, in « L ’ Italiano», X I (ottobre 1969), n. 5; e i d ., Responsabi-, lità, in «Il Secolo d ’ Italia», x ° novembre 1969. G ià nel 1962 Romualdi aveva espresso le sue perplessità riguardo al colpo di stato nel pamphlet L'ora di Catilina, Edizioni t e r , Ro­ ma 1962. 76 La "Rivoluzione Nazionale” dei colonnelli valida risposta alla “guerra sovversiva", a f u s , f. m s i , b . 3.

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poco prima del voto per le elezioni regionali, già in precedenza pre­ sentate come la manifestazione di una «guerra civile»77. Vi fu poi chi alla guerra civile si stava preparando per davvero. Fin dal 1969, in coincidenza con i picchi più alti di tensione poli­ tica e sociale, gruppi di neofascisti avevano cominciato a esercitar­ si in campi paramilitari in zone montuose del Paese per apprende­ re le tecniche del combattimento corpo a corpo, della fabbricazio­ ne di esplosivi, dell’utilizzo di armi da fuoco e delle radiotra­ smittenti. Questi campi d’addestramento, come quelli organizzati dal gruppo Europa e civiltà, erano spesso mimetizzati in campi per 10 sport o di preparazione al soccorso civile78. In certi momenti, fu­ rono gli stessi neofascisti a diffondere la notizia di esercitazioni che si tenevano segretamente in montagna, o nelle campagne, per in­ gigantire l’importanza di formazioni dallo scarso peso politico79. In altri casi, invece, l ’addestramento nei campi paramilitari divenne una tappa fondamentale al fine di preparare i gruppi neofascisti protagonisti della stagione delle stragi. Cosi avvenne per le cellule terroristiche venete, friulane e milanesi vicine a Ordine Nuovo, che ricevettero una vera e propria formazione per la guerra civile, grazie anche al supporto di ex militari della Repubblica sociale e della X m a s e, persino, di ufficiali dell’esercito e della n a t o vicini a Gladio, inclini a valutare positivamente l ’eventuale apporto di gruppi neofascisti armati, in caso d ’invasione delle truppe del pat­ to di Varsavia80. Accanto alla preparazione dei campi d ’addestra­ mento, vi fu, poi, il lavoro di “ accumulo” di armi, sia per il com­ battimento di strada sia per la guerra vera e propria. Tra il 1969 e 11 19 7 1 le forze dell’ordine trovarono spesso vere e proprie “ santa­ barbare” , nelle sezioni del Movimento sociale, della Giovane Ita­ lia, del f u a n e in quelle dei gruppi della destra extraparlamentare (in particolare di Ordine Nuovo e Avanguardia nazionale): baio­ nette, pugnali, diversi tipi di armi da taglio, fionde, biglie di me­ tallo, catene, caschi, manganelli, ma anche fucili da caccia, pisto­

77 G. a l m i r a n t e , Campagna elettorale o guerra civile?, in « Il Secolo d ’Italia», 2 3 april 1970; e Tribuna elettorale, 2 5 maggio 1970, opuscolo a cura del Movimento sociale italia­ no, in a f u s , f. M SI, b . 1 . Nino Tripodi scrisse addirittura di una guerra «italo-italiana» che si era combattuta in quei giorni, in La guerra italo-italiana, in «Il Secolo d ’ Italia», 30 giu­ gno 1970 71a c s , p s , g , 1944-86, b . 343, f a s e . G 5/42/41. ” A C S, M I, g a b , 1967-70, b . 24, fa s e . 348P/6. " Sentenza Rognoni, pp. 287 sgg.; e Sentenza Maggi, pp. 240 sgg.

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le, mitra, munizioni di vario tipo, razzi segnalatori, materiale esplo­ sivo, micce, detonatori e radio ricetrasmittenti81. Vi erano, poi, i depositi di armi degli ex repubblichini, che nel secondo dopoguer­ ra non erano stati consegnati alle forze di polizia, contenenti armi pesanti, come fucili mitragliatori ancora in funzione, e mine anti­ carro da cui estrarre l’esplosivo per gli attentati“ . Gli appelli pubblici all’intervento dei militari, e i preparativi dei neofascisti scoperti dalle forze dell’ordine sembrano essere in con­ trasto, anche in questo caso, con «uno degli elementi fondamenta­ li che la teoria politica ha creduto di potere individuare come pe­ culiarità del colpo di stato, ossia la segretezza»85. Nel 1970, infat­ ti, il colpo di stato venne pili volte annunciato dagli stessi prota­ gonisti che presero parte ai tentativi di golpe. Si costituirono alme­ no due reti cospirative, una facente capo agli ambienti oltranzisti di centro, con il raggruppamento Italia unita e i Comitati di resi­ stenza democratica di Edgardo Sogno (che sarebbero entrati in azio­ ne, però, soltanto qualche anno dopo), e l’altra che faceva riferi­ mento al Fronte nazionale di Junio Valerio Borghese, ad ambienti della destra extraparlamentare e istituzionale e a ufficiali delle For­ ze Armate. Fin dagli inizi dell’anno, nella rivista «Azione Nazio­ nale», organo della delegazione regionale Piemonte-Valle d’Aosta del Fronte nazionale di Borghese, comparvero appelli per la costi­ tuzione di un raggruppamento di tutte le forze anticomuniste, che portasse a superare le fratture indotte dalla guerra civile e compren­ desse anche la presenza dei militari84. Si temeva che i sindacati, con una vasta agitazione e la proclamazione di uno sciopero generale, potessero innescare una crisi di governo che riproponesse la que­ stione dell’ingresso del p c i nella maggioranza85. Scenario, questo, che effettivamente si delineò nell’agosto del 1970, con le dimissio­ ni di Rumor in seguito alla mobilitazione dei sindacati e all’indi­ zione dello sciopero generale. Il Fronte nazionale ritenne che il ri­ corso alle elezioni anticipate non costituisse un deterrente in gra­ 81 a c s , PS, G, 1944-86, bb. 288-89; e Direzione generale della Pubblica sicurezza, U f­ ficio statistica, Dati relativi all’ordine pubblico e alla criminalità, anno 1 9 7 1 , in a c s , m i, g a b ,

I97I-75. b. 54“ Sentenza Rognoni, p p . 9 1 - 1 0 3 e 1 5 2 ; e Sentenza Maggi, p p . 1 5 1 - 6 4 e 2 4 0 . ” G. a l b a n e s e , La marcia su Roma, Laterza, Roma-Bari 2 0 0 6 , p . 6 3 . M p. c a p p e l l o , Ritrovarsi e L ’appello di Borghese, in «Azione Nazionale», I (febbraio 1 9 7 0 ) , n.u. “ B. b o r l a n d i , Impossibilità di governare l ’Italia, iv i (a p rile 1 9 7 0 ) , n. o.

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do di arginare le sinistre. Si rendeva necessaria, allora, «una rea­ zione violenta, risolutrice e riformatrice», un «colpo di Stato tipo Grecia»86. Due giorni dopo, giunse al Partito comunista la notizia, riferita a un dirigente del p c i da Giorgio Zicari, sull’imminenza di un’azione di forza, in prossimità dell’anniversario della Liberazio­ ne. Essa sarebbe stata condotta da «sette-ottomila disperati», tra cui gli uomini di Borghese, che avevano intenzione di occupare mi­ litarmente una non meglio precisata città italiana, per poi lanciare un appello per la guerra civile, in modo da obbligare il presidente della Repubblica a proclamare lo stato d’emergenza87. Il 9 dicem­ bre 1970, infine, Giampaolo Pansa pubblicò sulla «Stampa» un’in­ tervista a Borghese - in realtà un estratto della registrazione di un colloquio avvenuto tra il 4 e il 5 dicembre - in cui il “ principe ne­ ro” accennava alla preparazione di un «centro di potere», che sta­ va per sostituirsi allo Stato democratico88. Queste notizie anticiparono il compimento dell’operazione «Torà Torà», dal nome in codice utilizzato dai giapponesi nell’at­ tacco a sorpresa contro gli Stati Uniti a Pearl Harbour, avvenuto proprio 29 anni prima, nella notte fra il 7 e l’8 dicembre del 19 4 18’ . Al tentativo di putsch parteciparono il Fronte nazionale, gruppi di militanti di Ordine Nuovo e di Avanguardia nazionale, uomini del­ le associazioni d ’arma, alcuni reparti dell’esercito e raggruppamen­ ti universitari neofascisti. Non abbiamo una documentazione in grado di farci comprendere se il Movimento sociale giocò un ruo­ lo attivo nel tentativo golpista. Tra le associazioni universitarie coinvolte vi fu, però, il Fronte Delta, un gruppo creato da Almirante nell’università di Roma per raccordare il lavoro delle diver­ se formazioni universitarie di estrema destra, tradizionalmente molto divise e in violento contrasto fra loro**. Il piano degli insor­ ti prevedeva la presa del Quirinale e la cattura del presidente del­ la Repubblica, la neutralizzazione dei militari e degli esponenti delle forze dell’ordine fedeli alla Costituzione, l’occupazione del­ Orientamenti e considerazioni, ivi. Partiti politici. Attività e raggruppamenti e associazioni di destra, 18 aprile 1970, mf. 070, p. 879. 88 G. p a n s a , Deliri del principe nero. Che cosa fa l ’estrema destra italiana, in «La Stam­ pa», 9 dicembre 1970. 89 M . d o n d i , Giornalisti e stampa di fronte al golpe Borghese, in i d . (a cura di), I neri e i rossi cit., p. 169. 90 ACS, M I, GAB, 1967-70, b. IOO, fase. 12010/69 . 86 L. c i v i t e l l i , 87

apc,

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le sedi della r a i - t v e del ministero dell’interno, la deportazione dei quadri dei partiti di sinistra e delle organizzazioni sindacali, e l’occupazione militare nelle città e nelle zone del Paese con un for­ te insediamento delle sinistre. Per quanto ci è dato di sapere, quasi nessuno degli obiettivi che si erano prefissi i golpisti fu raggiunto, anche perché la macchina cospirativa venne smobilitata da un contrordine giunto nella not­ te’ 1. Quello che preme sottolineare, tuttavia, è l’adesione dei piani golpisti al discorso pubblico sul colpo di stato, che prese piede tra il 1969 e il 1970. Emerse una vera e propria ossessione nei confron­ ti della guerra civile del 1943-45. I neofascisti fantasticarono sul­ l ’occupazione della dorsale appenninica, della valle padana, dei quartieri operai delle città appartenenti al triangolo industriale, del controllo dei valichi alpini: gli stessi scenari, cioè, dove si era com­ battuta la guerra di Liberazione. Aspetto, questo, che venne alla luce con un ritardo di oltre tre mesi, quando l’opinione pubblica giunse parzialmente a conoscenza del golpe Borghese, con uno scoop pubblicato dal quotidiano romano «Paese Sera» il 13 marzo 19 7 1. La stampa fu allora invasa da “rivelazioni” e da presunti do­ cumenti di piani golpisti, forniti da fantomatici cospiratori, sul­ la cui attendibilità vi è più che un ragionevole dubbio. E tuttavia, si tratta di materiale che rivela l’esistenza della diffusa paura, tra gli ambienti di estrema destra, che si stessero verificando gli sce­ nari peggiori, tali da legittimare il ricorso a misure eccezionali, an­ che a costo di far precipitare il Paese nel baratro di uno scontro fra­ tricida92.

4. La mobilitazione antifascista del Partito comunista. Il Partito comunista, incalzato dai continui attentati alle pro­ prie sedi, dalle aggressioni ai propri militanti e dagli scontri di piaz­ za che si verificarono durante la campagna elettorale del 1970, de­ cise di scendere sul terreno della mobilitazione antifascista, anche 9 1J . g r e e n e e A. m a s s ig n a n i, i l principe nero. Junio Valerio Borghese e la X m a s , Mon­ dadori, Milano 2007, pp. 233-42. " Si veda, ad esempio, l’inchiesta Operazione Antartide. Come potrebbe essere un reali­ stico piano per la presa del potere? Lo spiega questo dettagliato documento, in « L ’ Espresso», X V II (28 marzo 19 7 1), n. 13 .

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facendo ricorso all’impiego della forza organizzata. L ’ipotesi di for­ mare «comitati giovanili di difesa antifascista», che avrebbero do­ vuto collaborare con le organizzazioni partigiane, fu discussa, nel gennaio del 19 70 , in un’assemblea a cui parteciparono esponenti dell’ANPi e dei servizi di vigilanza del p c i 9J. Di nuovo circolarono voci sull’imminenza di un colpo di stato - a settembre, il blocco delle linee telefoniche avvenuto nella sede della direzione naziona­ le del partito fece temere il peggio - , e furono adottate particolari misure di sicurezza negli uffici del comitato centrale94.

A spingere i comunisti a rilanciare la battaglia antifascista, non furono solamente la paura del golpe e la necessità di opporre un deterrente alle violenze degli avversari. Nel 19 7 0 , infatti, si cele­ brò il venticinquesimo anniversario della Liberazione, e la diri­ genza comunista vide in quell’evento l’occasione per intercettare il fermento delle nuove generazioni95. Vi fu il tentativo di dare al­ l’antifascismo una dimensione diversa, a suo modo «militante», capace di mobilitare i giovani sulla falsariga di ciò che era avve­ nuto nel luglio del i960. Il p c i indisse, cosi, una grande manife­ stazione per il 10 maggio 19 70 a Genova - qualche giorno prima teatro del funerale del militante missino Ugo Venturini - , nella quale un posto di rilievo venne riservato alla f g c i 94. I giovani co­ munisti organizzarono un’imponente scenografia, incentrata sul­ la continuità della lotta partigiana con quella antimperialista97. G li animi s’infiammarono poco tempo dopo, quando un giovane esu­ le greco, Costantino Georgakis, si suicidò, sempre nella città ligu­ re, dandosi fuoco in piazza Matteotti, per protestare contro il re­ gime dei colonnelli, cosi come aveva fatto Jan Palach in Cecoslo­ vacchia per protestare contro l’occupazione sovietica98. Il dissenso contro le dittature in Grecia e in Spagna divenne, cosi, un fatto­ re decisivo di mobilitazione, in particolar modo dopo che il regi” APC, ANPI, 2 8 / 1 , 5 0 9 .

** Ivi, Vigilanza, mf. 069, pp. 37 7; 385; 394 e 4 2 1. A. c o s s u t t a , La nostra responsabi­ lità, in « l’Unità», 26 maggio 1970. 951giovani e la Resistenza. Tavola rotonda con Luigi Longo, in «Rinascita», X X V II (24 aprile 1970), n. 17 . 96 Vedi le informative di Questure e Prefetture in a c s , m i , g a b , 1967-70, b . 6 1. ” I giovani e la Resistenza, Documento d e li esecutivo nazionale della f g c i , maggio 1 9 7 0 ; Manifestazione nazionale della f g c i e del PCI per il 2 ; anniversario della Liberazione, in « B ol­ lettino d ’ informazione», Genova, 1 0 maggio 1 9 7 0 ; e a p c , Gruppo di lavoro antifascista, mf. 0 6 9 , p. 2 7 1 . 98 Si dà alle fiamme e muore, in « l’Unità», 20 settembre 1970.

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me franchista decise di condannare a morte alcuni oppositori ba­ schi” . | In un primo momento, per evitare che le manifestazioni dege­ nerassero, in seguito all’intervento brutale delle forze dell’ordine e alla dura risposta della sinistra extraparlamentare, la mobilitazio­ ne del p c i si svolse in nome della difesa del «prestigio delle istitu­ zioni e dello Stato democratico»100. Il partito tentò di accreditare, ancora una volta, la sua immagine di difensore della Repubblica, forte anche dell’anniversario della sua nascita, di cui, il 21 gennaio 19 7 1, ricorreva il cinquantenario, che divenne l’occasione per ce­ lebrare l’apporto dei comunisti allo sviluppo e al consolidamento della democrazia italiana101. In una riunione della direzione del par­ tito, agli inizi del 19 7 1, Longo si spinse ad affermare che i comu­ nisti avrebbero dovuto «pretendere dallo Stato la difesa attiva del­ la legalità repubblicana»102. L ’accoltellamento, da parte di alcuni neofascisti, del segretario della Camera del lavoro di Lecco, l ’assal­ to - a cui presero parte un centinaio di militanti missini - alla se­ de della u i l di Milano, e un analogo episodio avvenuto a Palermo contro la federazione del p c i , senza che in relazione a nessuno di questi episodi fosse intervenuta la polizia, scatenarono un duro con­ fronto aU’interno della direzione del p c i 103. F u Terracini a denun­ ciare il «grave errore» di aver continuato [...] nella tattica di rispondere all'indomani di ogni azione squadrista con una manifestazione [...] Se non si arriva a una giornata di battaglia dando l’indi­ cazione di mettere a posto, luogo per luogo, i fascisti e le loro sedi [...] non si conclude nulla. Questo tipo di reazione [...] non possiamo farlo noi come p c i . Ma deve essere una proposta che formuliamo, alla quale altri aderisca­ no, per poi passare all’azione'04.

L ’allusione al coinvolgimento della sinistra extraparlamentare fu esplicito. La proposta, tuttavia, incontrò il fermo antagonismo di Longo e Berlinguer, che riproposero la via della mobilitazione pacifica e della pressione sugli organi istituzionali per reprimere i La vendetta fascista di Burgos, ivi, 3 dicembre 1970. Stroncare le centrali provocatorie, ivi, 1 4 dicembre 1 9 7 0 . 101 2 1 gennaio 19 2 1- 2 1 gennaio 1 9 7 1 . Appello del p c i ai compagni, ai lavoratori, ivi, 2 1

99 L.

r iv e l a ,

100 E. B e r l i n g u e r ,

gennaio 19 7 1. 102 A r e , Verbali di direzione, 8 gennaio 1 9 7 1 , p. 9 7 8 . 10’ Milano: ferma risposta ai teppisti fascisti; e Dura reazione a Palermo contro nuove ag­ gressioni fasciste, in « l’Unità», 24 gennaio 1 9 7 1. 104 a p c , Verbali di direzione, 2 7 gennaio 1 9 7 1 , p. 1 2 0 7 .

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1 29

fenomeni eversivi, ribadita con la richiesta ufficiale, avanzata al ministero dellTnterno, di scioglimento delle formazioni neofasci­ ste resesi responsabili di atti violenti105.

Ma con la morte di Giuseppe Malacaria, un operaio socialista, ucciso, il 4 febbraio 1970, a Catanzaro, da una bomba a mano lan­ ciata da una sede del m s i contro un corteo antifascista, la situazio­ ne cambiò drasticamente106. Il P C I promosse un’inchiesta su sca­ la nazionale, per accertare la consistenza dei gruppi di estrema de­ stra. Le notizie raccolte confermarono la presenza di campi paramilitari e il traffico d’armi, la formazione di nuclei anti-sciopero, e diffusi legami dei neofascisti Con ufficiali dell’esercito e della Pub­ blica sicurezza nel Friuli Venezia-Giulia, nel Veneto, in Liguria, in Emilia Romagna, Umbria, Puglia e Campania107. La goccia che fece traboccare il vaso, spingendo la direzione del p c i a un ripen­ samento riguardo alla linea della pressione nei confronti delle isti­ tuzioni fu la rivolta dell’Aquila, quando la locale federazione del p c i venne incendiata. I lavori del direttivo, il i ° marzo 19 7 1, af­ frontarono esplicitamente il problema dell’autodifesa. «Le sedi non si difendono dall’interno», sancì duramente Colombi, «non abbia­ mo delle armi? Non spariamo su chi ci vuole bruciare la casa?». Longo rispose proponendo, addirittura, la costituzione di un’«or­ ganizzazione scientifico-militare, enucleata in unità piccole che pos­ sono muoversi rapidamente e agire»108. In sostanza, però, il com­ portamento del Partito comunista, nella conflittualità diffusa con l’estrema destra, non varcò mai la soglia della violenza armata, né furono costituiti gruppi specializzati negli scontri, come invece fe­ ce la sinistra extraparlamentare. In passato, era successo che i mi­ litanti del p c i , per difendersi dagli attacchi avversari, fossero ri­ corsi all’utilizzo di armi da fuoco105. I servizi di vigilanza, inoltre, possedevano armi, ma la loro detenzione era regolare e denuncia­

105 Sciogliere le squadre fasciste. Perseguire i mandanti. Un appello della Direzione del PC in « l’Unità», 28 gennaio 19 7 1. 104 Operaio ucciso a Catanzaro da bombe fasciste, ivi, 5 febbraio 19 7 1 . 107 a p c , Provocazioni, Nota su viaggio informativo per problemi lotta antifascismo, 22 feb­ braio 1 9 7 1 , mf. 0 1 6 1 , pp. 1476 sgg. 108 Ivi, Verbali di direzione, 1* marzo 1 9 7 1 , pp. 1 1 0 8 - 1 1 . Successe durante la rivolta di Reggio Calabria e in occasione di un assalto a una se­ de del PCI a Napoli nel settembre del 1970. Per quest’ultimo episodio cfr. Gravemente fe ­ rito un giovane del m s i , in «Il Secolo d ’Italia», 9 settembre 1970; e Aggressione fascista re­ spinta alla Ignis, in « l’Unità», 8 settembre 1970.

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ta alle forze dell’ordine. Vi era, poi, la questione dei depositi di ar­ mi degli ex partigiani, non consegnati dopo la Liberazione, nei con­ fronti dei quali il P C I aveva adottato un atteggiamento molto pru­ denziale, per evitare il rischio che questi finissero nelle mani dei gruppi oltranzisti, o che costituissero il pretesto per reprimere in maniera indiscriminata tutto il partito110. Le istruzioni per la di­ fesa della sede centrale del Partito comunista a Roma, in caso di assalto o di golpe - emanate da Cossutta attraverso una circolare del 4 marzo 19 7 1 - , prevedevano, inoltre, solo in minima parte l’impiego di armi da fuoco. Fu, infatti, deciso di mantenere un pro­ filo basso, incrementando i componenti dei servizi di vigilanza, istituendo un sistema di collegamenti con le sezioni comuniste e le fabbriche romane, ammassando una scorta di bastoni e mazze e collocando nei piani alti del palazzo delle Botteghe Oscure un idrante, mattoni, una sirena elettrica e telefoni da campo, per con­ sentire di mantenere i membri del comitato centrale sempre in con­ tatto con gli altri dirigenti del partito111. Le notizie sul tentativo golpista di Junio Valerio Borghese con­ sigliavano prudenza, per evitare una degenerazione della crisi che attanagliava il Paese. Berlinguer e Cossutta ricevettero informazio­ ni riservate (alcune delle quali provenienti dal m s i , a riprova dell’enigmaticità del comportamento tenuto da questo partito) su as­ sembramenti di neofascisti avvenuti nei mesi precedenti a Roma e in altre località d ’Italia112. Il p c i , infatti, nonostante i duri attacchi sulla stampa, si attestò su una linea morbida, evitando di esercita­ re una forte pressione sul governo11’ . Nei mesi successivi, la mobi­ litazione del Partito comunista si articolò essenzialmente su tre di­ rettive: le manifestazioni pubbliche per denunciare le violenze del­ l’estrema destra, la costituzione di Comitati unitari antifascisti (ai quali non di rado parteciparono anche le sedi della Democrazia cri­ stiana), con il coinvolgimento delle istituzioni locali nel promuove­ re iniziative volte a difendere la legalità e, soprattutto, il lavoro informativo, pianificato e gestito capillarmente da Ugo Pecchioli114.

110 a p c , Provocazioni, Nota su viaggio informativo per problemi lotta antifascismo, M dena, 8 febbraio 1 9 7 1 , mf. 0 1 6 1 , p. 1476. 1,1 Ivi, Sezioni di lavoro, Vigilanza, mf. 0 16 0 , p. 0208. 112 Ivi, Direzione, 17 marzo 1 9 7 1 , pp. 117 5 -7 9 . n> I l Paese esige che si colpisca a fondo, in « l’Unità», 19 gennaio 1 9 7 1 . 114 u. p e c c h io l i , Come sviluppare la lotta antifascista, ivi, 2 5 fe b b r a io 1 9 7 1 .

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La mobilitazione antifascista non escludeva, però, l’antagonismo “ militante” ai neofascisti, che divenne, anzi, il terreno principale d’incontro fra la base comunista e quella dei gruppi extraparlamen­ tari, sebbene fosse da tempo divenuta insanabile la contrapposizio­ ne tra il p c i e la nuova sinistra115.

5. La gogna proletaria. Le continue violenze portarono a un clima di esasperata tensio­ ne. Il 30 luglio 1970, davanti a uno stabilimento della Ignis, alla periferia di Trento, alcuni sindacalisti della c i s n a l vennero alle ma­ ni con degli operai. Poco dopo, giunsero sul luogo alcuni attivisti del m s i . Ne nacque una rissa, al termine della quale tre giovani la­ voratori rimasero gravemente feriti da colpi di arma da taglio. I re­ sponsabili dell’accaduto furono catturati dagli operai, che forma­ rono un lunghissimo corteo e costrinsero i missini a camminare per chilometri fino al centro cittadino, con un cartello al collo che recitava «Siamo fascisti, oggi abbiamo accoltellato 3 operai Ignis, questa è la nostra politica prò operai»116. Fu il primo caso di «go­ gna proletaria» al di fuori delle fabbriche, dopo che episodi simili, dall’inizio dell’autunno caldo del 1969, si erano verificati negli sta­ bilimenti, ai danni dei capireparto o degli impiegati. L ’organizzazione della gogna di Trento fu spontanea: circostan­ za rilevata da molti quotidiani, anche di tendenza opposta117. Nelle settimane precedenti, si erano verificati alcuni scontri fra gli stu­ denti del movimento e militanti di Avanguardia nazionale, ma la gogna rappresentò un fatto inedito e di estrema gravità118. La gogna, infatti, era un’azione dalla fortissima carica simbolica, quasi carne­ valesca, e dalle antichissime radici119: richiamava alla memoria le vio­ 115 E. t a v i a n i , PCI, estremismo di sinistra e terrorismo, in d e r o s a e m o n in a (a cura di), L ’Italia repubblicana nella crisi degli anni Settanta cit., p. 2 6 1. 116 Decisa risposta operaia ad una aggressionefascista, in « l’Unità», 3 1 luglio 1970; e Gra­ vi scontri a Trento tra missini ed operai, in «Corriere della Sera», 3 1 luglio 1970. 117 Tre operai a Trento pugnalati dai fascisti, in «Il Popolo», 3 1 luglio 1970; Tre operai accoltellati dai fascisti, in « l’Avanti! », 3 1 luglio 19 7 0 ; e Selvaggi atti di violenza a Trento con­ tro esponenti del m s i e della c i s n a l , in « Il Secolo d ’Italia», 3 1 luglio 1970. Per una cronaca delle violenze che si registrarono a Trento nel corso dell’anno ve­ di A che servono i fascisti? I fatti di Trento, in «Lotta continua», II (18 aprile 1970), n. 10 . 119 Th o m p s o n , c it ., pp. 137-44.

Rough music: lo charivari inglese,

in

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Società patrizia, cultura plebea

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lenze inflitte, nel primo dopoguerra, ai socialisti a opera degli squa­ dristi, ma anche il trattamento subito dai soldati della r s i dopo il 25 aprile del 1945120. «Lotta continua» raccontò i fatti di Trento, esaltandone l’importanza e la valenza politica, accompagnando la cronaca con due immagini della guerra partigiana che mostravano la fucilazione di alcuni militi repubblichini, e intitolando l’articolo: 1945-1970, il popolo ricomincia a farsi giustizia da sé121. Speculare fu la lettura degli eventi di Trento data dall’estrema destra: ritornò lo spettro delle violenze subite dai fascisti nei giorni della Liberazio­ ne, e il gesto fu interpretato come il segnale inequivocabile dell’im­ minenza di una seconda guerra civile122. «La violenza ha straordinari effetti mimetici», ha scritto René Girard123. La gogna proletaria venne presa a modello e replicata, dentro e fuori le fabbriche, e le cronache ne furono raccontate con puntualità da «Lotta continua»124. Nell’ottobre del 1970, ad esem­ pio, in un piccolo stabilimento di Reggio Emilia, un corteo di ope­ rai sequestrò il direttore del personale. Secondo «Lotta continua», il dirigente fu condotto a forza per i reparti, «coperto di insulti [e] beffeggiato». Episodi analoghi avvennero a Rimini: un professore di un istituto tecnico, che si era opposto a un’occupazione, fu pre­ so dagli studenti e trascinato con un cappio al collo per tutta la scuola. Pochi giorni dopo, sempre nella città romagnola, alcune operaie che si erano rifiutate di scioperare furono portate fuori dal­ la fabbrica e condotte a forza in un quartiere adiacente allo stabi­ limento, per essere esposte a insulti e minacce125. Particolarmente cruenta fu la pratica della gogna all’interno delle scuole e delle uni­ versità: in un istituto di Genova, ad esempio, un giovane neofa­ scista fu costretto a percorrere i corridoi con un cartello al collo, con su scritto «sono un fascista e metto le bombe», i pantaloni ca­ lati e la scritta sulle natiche «W il Duce! »126. A Udine, in seguito 120 Su questo tema si veda M . d o n d i , La lunga Liberazione, Giustizia e violenza nel do­ poguerra italiano, Editori Riuniti, Roma 1999, pp. 125-30 . 121 In «Lotta continua», II (2 settembre 1970), n. 15 . 122 G. p is a n o , La canaglia rossa è pronta per la guerra civile, in «Candido», III (4 settem­ bre 1970), n. 36; e P. b u s c a r o l i , Uno Stato è morto a Trento, in « Il Borghese», X X I (9 ago­ sto 1970), n. 32. m g i r a r d , La violenza e il sacro cit., p. 52. 114 Trento: rifacciamo i l 30 luglio, in «Lotta continua», III (29 gennaio 19 7 1), n. 2. 125 Sequestriamo i padroni. Dal Trentino bianco a li Emilia rossa si estende l ’uso della go­ gna popolare, ivi, II ( i ° ottobre 1970), n. 17 . 124 Nelle fabbriche, nelle scuole, nelle città: siamo noi proletari a mettere fuori legge i fa­ scisti, ivi, III (17 febbraio 19 7 1), n. 3.

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all’aggressione di un ex partigiano da parte di alcuni neofascisti, un attivista della Giovane Italia fu prelevato da militanti di Lotta Continua in un liceo e obbligato a girare per le vie della città con un cartello, su cui era scritto «sono un fascista, ho picchiato un vecchio partigiano»127. Un episodio simile avvenne nell’ateneo ro­ mano nel febbraio del 19 7 1, dopo la morte di Malacaria: un sim­ patizzante del M S I fu riconosciuto da un servizio d’ordine del mo­ vimento studentesco e costretto a camminare tra due ali di studen­ ti che lo spintonavano e insultavano128. Di questa particolare forma di violenza sono rimaste rare tracce nella memoria collettiva di que­ gli anni, tranne un breve spezzone del film Palombella Rossa del regista Nanni Moretti, in cui viene mostrato un caso di gogna su­ bito da uno studente di destra in un liceo romano. Eppure, la gogna rivesti un ruolo fondamentale nel processo di brutalizzazione della lotta politica avvenuto in quegli anni. Le for­ ze politiche si divisero sull’interpretazione dei fatti di Trento. Nel­ la stampa moderata prevalse la condanna degli operai, mentre l’ag­ gressione a mano armata da parte dei neofascisti passò quasi sotto silenzio129. Ma vi fu chi, anche tra l’opinione pubblica democrati­ ca, guardò alla gogna come un «esempio» da «imitare su larga sca­ la»1’0. Divamparono, poi, le polemiche sull’ordine pubblico. L ’at­ tacco degli estremisti di destra e la gogna messa in scena dagli ope­ rai rivelarono il deficit di legittimità dell’autorità statale, incapace, da un lato, di prevenire le violenze e, dall’altro, d ’intervenire di fronte a episodi di giustizia sommaria1’ 1. Di questo stato d’incer­ tezza approfittarono i neofascisti, che cercarono di vendicarsi del­ l’umiliazione subita. Trento fu teatro di una serie di gravi attenta­ ti alla linea ferroviaria, rivendicati dal m a r 152. Avanguardia nazio127 La gogna proletaria, ivi, II (12 novembre 1970), n. 20. 128 Tentato linciaggio a li Università di Roma, in «Il Secolo d ’ Italia», 7 febbraio 1 9 7 1 ; e Gogna per un fascista, in «Lotta continua», III (18 marzo 19 7 1), n. 3. 129 E. p a s s a n i s i , Ferma condanna della violenza dopo i fatti di Trento, in «Corriere del­ la Sera», 1 0 agosto 19 7 0 ; e cfr. la risposta dei socialisti in Come si difende la democrazia, in «l’A van ti!», 2 agosto 1970. lJ0 P ., Un esempio per i fascisti, in « l’Astrolabio», V i l i (9 agosto 1 9 7 0 ) , n. 3 2 . 1.1 II questore di Trento fu poi costretto alle dimissioni perché accusato di non aver fat­ to intervenire le forze dell’ordine a tutela dei missini trascinati nel corteo degli operai della Ignis. Alla gogna i fascisti, a riposo il questore, in «Panorama», V III (13 agosto 1970), n. 226. 1.2 Attentato alla linea del Brennero. Due cariche di dinamite esplodono alla periferia di Trento, in «Corriere della Sera», 1 1 settembre 19 7 0 ; Attentati a tre cinema di Trento, ivi, 5 ottobre 1970; Trento: un attentato in municipio, ivi, 16 ottobre 1970; e I comunisti a Tren­ to volevano la strage, in « Il Secolo d ’ Italia», 6 ottobre 1970.

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naie, dopo che una sua manifestazione, indetta a Trento, fu vieta­ ta, giunse al punto di rivolgere alla questura la minaccia che si sa­ rebbe sostituita alle forze dell’ordine, se fossero state autorizzate manifestazioni pubbliche antifasciste113. A questo si aggiunse il com­ portamento del Movimento sociale, che si fece promotore di azio­ ni di rappresaglia contro gli operai e i gruppi extraparlamentari, fa­ cendo affluire a Trento militanti specializzati nelle aggressioni134. L ’episodio più grave si verificò il 19 gennaio 19 7 1, quando nel pa­ lazzo di giustizia, dov’era in corso un processo ai danni di alcuni esponenti di Lotta Continua, fu rinvenuta un’ingente quantità di materiale esplosivo, tale da provocare una strage di grandi pro­ porzioni. Le forze dell’ordine accusarono Lotta Continua del po­ tenziale attentato, ma fu proprio il gruppo, con uno scoop pubbli­ cato il 7 dicembre 19 72, a dimostrare la responsabilità dei neo­ fascisti, nel tentativo di organizzare la strage, e la loro compromis­ sione con elementi della polizia e dei carabinieri1” . La città di Trento divenne, cosi, il teatro dove s’intrecciarono diverse forme di violenza: dall’aggressione squadrista degli estre­ misti di destra, alla reazione di “ massa” degli operai, fino alla pre­ senza organizzata dei gruppi terroristici, anche di sinistra. «A t­ tenzione, attenzione, qui Radio g a p numero 2», cosi una voce s’in­ serì nelle trasmissioni di una radio locale di Trento, il 16 settembre 1970, proseguendo: [...] la giusta lotta della Ignis sarà affiancata da tutto il proletariato; vedre­ mo allora quanto i padroni potranno contare sui loro servi [...] Vedremo co­ sa saprà fare tutta questa gente di fronte alle masse che si alzano in piedi in una grande lotta popolare1’6.

6. La nascita dell’antifascismo militante. Gli scontri durante i comizi del m s i e i fatti di Trento spinsero Lotta Continua a persuadersi che l’antifascismo fosse il terreno più adatto per rilanciare la lotta rivoluzionaria. Questo passaggio fu a c s , p s , g , 1944-86, b. 289, fase. G 5/5/33. 1.4 Meritata lezione ai provocatori rossi, in « Il Secolo d ’Italia», 17 novembre 1970. 1.5 g ia n n u l i , Bombe ad inchiostro cit., pp. 223-26. 1.6 II testo dei g a p fu riportato integralmente da «Lotta continua». C fr. La radio del popolo tappa la bocca ai padroni, ivi, II (17 settembre 1970), n. 16.

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graduale, anche perché permaneva la convinzione che fossero la fabbrica e il conflitto antimperialista a rappresentare i luoghi prin­ cipali dello scontro137. Tanto che altre realtà della sinistra extrapar­ lamentare, come Potere Operaio, in un primo momento guardaro­ no con scetticismo all’esaltazione dell’antifascismo promossa da Lotta Continua138. La scelta di dar vita a un «antifascismo militan­ te» subì un’improvvisa accelerazione quando incominciarono a es­ sere pubblicate le prime inchieste sugli attentati del 12 dicembre 1969, che mostravano le prove del coinvolgimento neofascista nel­ la strage di Milano139. Il 12 novembre 1970, sulle colonne del set­ timanale, comparve un manifesto programmatico dell’antifascismo militante, intitolato significativamente Liquidare ifascisti, chi li man­

da, li paga, li protegge. Basta coll’opportunismo, pacifismo, legalitarismo. Seguì una lettera indirizzata ai partigiani, nella quale si speci­ ficavano i compiti della nuova lotta antifascista: Non si tratta di fare dell’«antifascismo» o di rievocare e commemorare un qualcosa del passato. Non si tratta di denunciare quanto di fascista è ri­ masto nelle strutture, nelle istituzioni, nei gruppi del potere capitalista, fi­ nanziario, militare, giudiziario, governativo e clericale [...] Si tratta invece di ben altro. Senza passato, senza patria, senza niente se non la loro vita e la voglia di viverla liberi dall’oppressione e dallo sfruttamento [...] E un popo­ lo intero che impara a scrivere la sua storia, confrontandola - con durezza con quella dei loro padri e madri, con l’esperienza di massa dell’antifascismo, della resistenza armata, della lotta illegale e clandestina. A i partigiani noi di­ ciamo: c ’è oggi la possibilità concreta di un antifascismo militante, di una presenza militare contro lo squadrismo, che rifiuti l’imbalsamazione di quei valori per cui 25 anni fa si è sparato e si è ucciso140.

Lotta Continua, dunque, propose un’interpretazione della bat­ taglia antifascista contrapposta a quella del p c i , in cui veniva indi­ cata la violenza, anche armata, come metodo principale della lotta all’estrema destra. Venne esaltata {’esemplarità dell’azione, con un riferimento esplicito alle organizzazioni clandestine del secondo

1,7 Cosi la linea indicata nei lavori del convegno nazionale di Lotta Continua che tennero a Torino il 25 e il 26 luglio 1970. C fr. Lotta Continua, Convegno nazionale. Chi ha paura dì chi?, ivi (luglio 1970), n. 14 . Questa strategia fu ribadita nell’ottobre del 1970. Cfr. La lotta proletaria oggi, ivi ( i ° ottobre 1970), n. 17 . 1,1 Strategia rivoluzionaria degli obiettivi. Per costruire il partito della rivoluzione comun sta, in «Potere operaio», II (giugno-luglio 1970), n. 27. 159 Oplà, ecco i fascisti. Le indagini sulla strage di Milano, in «Lotta continua», II ( 1 1 marzo 1970), n. 7. 140 Lettera ai partigiani, ivi (12 novembre 1970), n. 20.

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dopoguerra, come la Volante Rossa, impegnate nel contrastare i fa­ scisti141. Fu un passaggio fondamentale: le azioni esemplari serviva­ no a suscitare il potenziale rivoluzionario nella collettività, invitan­ dola a ribellarsi, anche se l ’utilizzo della violenza doveva essere co­ munque momento di una mobilitazione più vasta, e mai iniziativa di singole «avanguardie»142. L ’antifascismo militante trovò una sua legittimazione anche nel recuperare la memoria del biennio rosso del 1919-20. L ’accento fu posto sull’occupazione delle fabbriche del settembre 1920 - di cui proprio nel 1970 ricorreva il cinquantenario - , e sulla manca­ ta reazione militare allo squadrismo dei primi anni Venti. «Lotta continua» ricordò ai propri lettori, in occasione dell’ormai prossi­ mo anniversario della marcia su Roma, che [...] nel 19 19 i fascisti di Mussolini erano una piccola forza; nessuno gli dava cre­ dito. In 3 anni hanno spazzato via tutta l’organizzazione del movimento operaio e hanno portato le masse alla fame, alla miseria, alla guerra. Lo stato li aveva pro­ tetti per tutto il corso della loro carriera; le masse proletarie e i partiti di sinistra non avevano saputo, o voluto, armarsi per spazzarli via. Non dobbiamo ripete­ re gli errori di 50 anni fa, ma portare tutti i fascisti a piazzale Loreto14’ .

L ’esperienza del biennio 1919-20 venne esaltata, perché ave­ va insegnato che era la forza militare a decidere la risoluzione dei conflitti, e non la conquista legalitaria del potere: un errore com­ messo in passato, e che i rivoluzionari, cinquant’anni dopo, non dovevano più ripetere144. «Lotta continua» si poneva l ’interroga­ tivo, ripercorrendo la storia degli Arditi del popolo, se non sareb­ be stato possibile sconfiggere il fascismo nel 1922, tramite la co­ stituzione di un esercito rivoluzionario145. Realizzare un’organiz-

1 1 c. b e r m a n i, Il dopoguerra e la volante rossa, in «Storia in Lombardia», X V II (1998 nn. 2-3. 142 La violenza e il terrorismo. La strategia della tensione e la necessità dell'autodifesa ri­ voluzionaria, l ’azione di massa e l ’azione dei g a p (gruppi di azione partigiana), in «Lotta c o n ­ tinua», II (12 novembre 1970), n. 20. l4> Fascisti: bombe e schede elettorali, ivi, IV (15 gennaio 1972), n. 1. 144 19 19 . Dai moti per il carovita, all’occupazione delle terre, alle elezioni. La vittoria in

Parlamento e la sconfitta nelle piazze, dopo la più forte ondata rivoluzionaria del 1920. È sem­ pre e solo la forza delle armi che decide, 25 aprile 19 7 2 . Sulla lunga durata dei repertori di violenza si veda G. c r a i n z , I l conflitto e la memoria, in Guerra civile e triangolo della morte, in «Meridiana», V I (1992), n. 13 . 145 19 2 1-19 2 2 . Era possibile sconfiggere il fascismo? G li Arditi del Popolo. A l proletaria­ to occorre Usuo esercito, in «Lotta continua», 25 aprile 19 7 2 . Sulla storia degli Arditi del popolo cfr. E. f r a n c e s c a n g e l i , Arditi del popolo. Argo Secondari e la prima organizzazione antifascista, Odradek, Roma 2000.

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zazione armata di massa era, allora, un compito che non poteva più essere eluso146. Dopo la morte di Mariano Lupo, giovane ope­ raio ucciso dai neofascisti a Parma il 26 agosto 1972, «Lotta con­ tinua», divenuto da pochi mesi quotidiano, aggiunse nella pri­ ma pagina di ogni numero del giornale, l’iconografia degli Arditi del popolo sulle barricate dell’oltretorrente di Parma147. Vennero pubblicati i discorsi di Guido Picelli, il comandante della resisten­ za antifascista che impedì alle squadre di Italo Balbo di conquista­ re la città emiliana148. Per far fronte alla rinata esigenza di contrastare quella che ve­ niva considerata un’offensiva squadrista, gli ex combattenti della Resistenza, insieme ai giovani extraparlamentari, furono invitati a formare un movimento capace di sconfiggere militarmente i neo­ fascisti. Per «Lotta continua», infatti, i partigiani erano «quegli uomini che per la loro esperienza, per i loro collegamenti, per il lo­ ro passato, possono evocare una risposta alla reazione che non sia soltanto simbolica ma militante e armata»149. Questi appelli incon­ trarono un parziale riscontro, perché intercettavano un clima di fermento, una predisposizione d ’animo favorevole a imprimere al­ la lotta antifascista una dimensione “ attiva” . D ’altro canto, come ha scritto Claudio Pavone, [...] molti ex partigiani ancora in circolazione, osservano con attenzione la contestazione dei giovani e non sono in pochi, soprattutto in alcune regioni d’Italia ove l’immaginario resistenziale era ancora vivido ad ammiccare, a la­ sciare intendere che l ’ora x può sempre arrivare e in tal caso loro non sareb­ bero mancati all’appuntamento150.

Questo non significò l’esistenza di un’osmosi tra l’antifascismo militante proposto da Lotta Continua e la domanda di una rinno­ vata lotta antifascista, proveniente dalla base dei partiti di sinistra e dei gruppi partigiani. L ’inasprirsi della tensione politica, tutta­ via, portò i confini tra le diverse mobilitazioni antifasciste ad as­ 146 19 19 -19 20 , Programma generale e organizzazione armata sono la condizione della vit­ toriaproletaria, in «Lotta continua», 30 aprile 19 7 2 . 147 Con la copertura di Andreotti, su mandato di Almirante, i fascisti ammazzano vigliacca­ mente. La risposta spetta ai militanti antifascisti e ai proletari, ivi, II (27 agosto 1970), n. 14. 148 Parma. La forza degli arditi del popolo, della resistenza, del luglio ’60 è tornata nelle piazze, nell'oltretorrente, ivi, 3 settembre 19 7 2 . 149 Compagni partigiani tornate al vostro posto, 23 aprile 19 7 2 . 150 c . p a v o n e , Alle origini della Repubblica. Scritti su fascismo, antifascismo e continuità dello Stato, Bollati Boringhieri, Torino 199 5, p. 164.

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Capitolo quarto

sottigliarsi sempre di più. Il 23 marzo 19 7 1, ad esempio, a Pisa, si svolsero due manifestazioni, una organizzata dal PCI e l’altra dal­ la sinistra extraparlamentare, contro lo svolgimento di un comizio del Movimento sociale. Il Partito comunista predispose un impo­ nente servizio d ’ordine per dividere i cortei, ma i dimostranti che s’incontravano si salutarono da una parte all’altra con il pugno chiuso e intonando congiuntamente Bandiera Rossa151. Il richiamo alla lotta antifascista del 1920-22 e alla Resistenz del 1943-45 giocò, cosi, un ruolo sempre più importante nell’attirare consensi al di fuori dell’area extraparlamentare. Il 18 aprile 1972, a d esempio, la sezione d e l l ’ANPi di Pietrasanta, in provincia di Massa Carrara, fece pubblicare su «Lotta continua» un manife­ sto affisso nei giorni precedenti in città. In esso si affermava che ai fascisti doveva essere tolto il diritto di parola «perché per 20 a n ­ ni hanno oppresso le masse popolari del paese con lo squadrismo più feroce che ha calpestato ogni forma di progresso»1” . A un co­ mizio di Lotta Continua prese parte anche Nuto Revelli, una d e l­ le figure più prestigiose dell’antifascismo, invitato a parlare, do­ po l ’omicidio di Mariano Lupo e l’assassinio, il 7 maggio 1972, di Franco Serantini, un giovane anarchico arrestato durante una ma­ nifestazione antifascista e poi picchiato a morte dagli agenti di cu­ stodia in carcere. «Contiamo gli uomini, amici partigiani, contia­ moci», concluse il suo discorso Revelli, «e senza sbagliare il con­ to. Organizziamoci amici partigiani. E se il fascismo vorrà un altro 25 aprile ci troverà pronti»155. 1,1 II 2} marzo a Pisa processo ai fascisti, in «Lotta continua», I II (2 aprile 19 7 1), n. 6. 152 Manifesto dell'a s p i di Pietrasanta, ivi, 18 aprile 1972. m L ’appello di Nuto Revelli, ivi, 1 1 luglio 1972.

Capitolo quinto La militarizzazione della lotta politica

i . Percezione e deformazione della realtà. Nel dicembre del 1970, lo storico Renzo De Felice, all’interno di un confronto promosso dall’«Espresso» sul tema del possibile ritorno del fascismo in Italia, scriveva: N ella situazione italiana d ’oggi un fascismo come quello che andò al pote­ re nel 19 2 2 è a mio avviso irripetibile [...] In una situazione diversa, caratte­ rizzata da una grave crisi economica, non è però da escludere affatto che un movimento totalitario di tipo fascista possa far breccia e persino tentare la sca­ lata al potere [...] si può cercare di cogliere alcuni probabili m otivi ideologici di questo ipotetico movimento di tipo fascista rifacendosi ad alcuni capisaldi del confuso bagaglio propagandistico di alcuni degli attuali groupuscules d ’e­ strema destra e, in particolare, al loro “ europeismo” , al loro culto della “ euro­ peità” , intesa come qualche cosa che sarebbe al tempo stesso una sorta di cor­ po mistico-taumaturgico e una “ terza forza” morale tra la società civile e po­ litica americana e sovietica. E allora sarebbe facile per un partito totalitario di tipo fascista il processo di identificazione, pronto a garantire l ’eguaglianza tra il risorgimento d ’ Europa e il ripristino della funzione del ceto medio1.

Dopo i disordini in occasione del voto regionale del 1970, cam­ biò nell’opinione pubblica democratica e di sinistra l’immagine del­ la violenza dei neofascisti. Non pili avvertita come un'fenomeno, per quanto letale, sporadico, marginale e reprimibile attraverso un deciso intervento della forza pubblica, essa venne allora rappresen­ tata come un tassello della politica del Movimento sociale, della de­ stra extraparlamentare e dei settori più conservatori della Democra­ zia cristiana e del mondo economico per instaurare in Italia un regi­ me di tipo autoritario. Era scritto, ad esempio, su «Mondo Nuovo», Quello che emerge con molta chiarezza [...] è soprattutto il carattere or­ ganizzato e preordinato delle azioni squadristiche, che non sono affidate al-

1 R . d e f e l i c e , Sperano solo nel grande Crack, in Come nel ’22?, in « L ’Espresso», X V I (20 dicembre 1970), n. 5 1 . Al dibattito partecipò anche Leo Valiani.

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Capitolo quinto la in vettiva o alla intem peranza di singoli gerarchetti o di qualche gruppo di picchiatori, ma vengono pianificate nel quadro di un vero e proprio disegno strategico2.

Il trasferimento delle inchieste giudiziarie per gli attentati del 1 2 dicembre 1969 sulla pista nera, la rivolta di Reggio Calabria del­ l’estate del 1970 e quella dell’Aquila del febbraio del 19 7 1, le ma­ nifestazioni della Maggioranza silenziosa e le rivelazioni sul tenta­ to golpe Borghese del successivo marzo, contribuirono a ingiganti­ re la portata della mobilitazione dell’estrema destra e il modo di percepirla. Di fronte a eventi cosi complessi e diversi - che si sus­ seguirono in poco più di un anno -, s’intrecciarono, infatti, analisi e interpretazioni molto contraddittorie sulla natura e sugli scopi del neofascismo. Con il successo del m s i nelle elezioni regionali e am­ ministrative del giugno 19 7 1, e in base al ruolo rivestito dal parti­ to nell’eleggere il presidente della Repubblica Giovanni Leone a fi­ ne anno, si temette, addirittura, che l’estrema destra fosse in pro­ cinto di partecipare a una nuova maggioranza per governare il Paese1. «Alcune analogie tra il 19 7 1 e il 19 2 1 esistono», era scritto in un’allarmata inchiesta sulla violenza neofascista pubblicata dall’«Espresso»4. Vi era il diffuso timore che si stesse assistendo a una nuova offensiva su scala nazionale, cosi come era successo cin­ quantanni prima, con le Squadre d’azione di Mussolini5. «I fascisti agiscono su uno scacchiere largo, talvolta simultaneamente. Attac­ cano a Trento, a Verona, a Trieste. Si riorganizzano e innescano una nuova provocazione a Reggio Calabria», denunciò «l’Unità»6. La ri­ volta nella città calabrese fu vista come l’incipit di una riedizione del­

2 Strategìa della tensione, in «M ondo Nuovo», 3 1 gennaio 1 9 7 1. 5 Un altro dibattito sul possibile ritorno del fascismo in Italia fu ospitato sulle colon­ ne del «Mondo Nuovo». C fr. Fascismo: la storia non può ripetersi. Analisi delle cause socia­ li della svolta a destra con un intervento di Vittorio Foa del 27 giugno 19 7 1 e le repliche di Gaetano Arfè ed Enzo Santarelli pubblicate il 4 luglio 19 7 1 . Per una critica di questa im­ postazione cfr. l’ intervista di Ignazio Silone fatta da Alberto Sensini sul «Corriere della Sera» del 21 marzo 1 9 7 1 (Silone: non siamo nel '22). 4 II pugno fermo della Repubblica. Per liquidare al più presto l ’assalto fascista, in « L ’E ­ spresso», X V II (14 febbraio 1 9 7 x), n. 7. L ’articolo fu all’origine di un nuovo dibattito sul­ le possibilità del ritorno del fascismo in Italia. C fr. gli interventi pubblicati nello stesso nu­ mero di L . v a l i a n i , Molto dipende dai ceti medi; u . l a m a l f a , Un po ’ di colpa l ’abbiamo an­ che noi; e di p . s e c c h i a , Una riforma subito. ’ C fr. M . F e r r a r a , L ’ondata di ritomo, in «Rinascita», X X V II (9 gennaio 1970), n. 2. 6 Da Trento a Reggio Calabria, in « l’Unità», 22 gennaio 1 9 7 1.

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lo squadrismo («avremo città che capitolano una per una», ammoni Giancarlo Pajetta, in una burrascosa assemblea della direzione na­ zionale del p c i ) 7. Scrisse Giorgio Amendola su «Rinascita»: [ ...] è evidente che il fascismo sta, questa volta, cercando nel M ezzogiorno la base di partenza di un’offensiva generale diretta contro lo Stato repubbli­ cano e volta ad arrestare l ’avanzata dem ocratica dei lavoratori. N el 19 20 la base d i partenza del movimento fascista si trovò nella Valle Padana [...] Q ue­ sta volta l ’ attacco parte dal Sud8.

A rafforzare quest’ottica, contribuì la pubblicazione di una se­ rie di libri e di inchieste - già comparse in passato, ma adesso ri­ presentate con sistematicità - , che riportavano le cronologie degli attacchi subiti dalle sedi e dagli appartenenti ai partiti e ai movi­ menti di sinistra9. In questo lavoro di denuncia fu particolarmente attivo il Partito comunista, attraverso la diffusione capillare dei Co­ mitati unitari antifascisti, sorti, come già abbiamo avuto modo di vedere, tra il 1970 e il 1 9 7 1 10. Tali denunce venivano integrate con le notizie raccolte dallo spoglio delle cronache dei quotidiani, dalla consultazione dei dati provenienti dai processi (grazie al sup­ porto, ad esempio, del raggruppamento di Magistratura democra­ tica), e con le informazioni fornite dai circoli dell’ANPi, dai sinda­ cati e dagli altri partiti di sinistra“ . La pubblicazione di questi li­ bri e inchieste prosegui per tutto il corso degli anni Settanta, trovando una vasta eco nell’opinione pubblica, in particolar modo a ridosso delle stragi neofasciste o in seguito a efferati episodi di violenza12. Nel 1972 il settimanale «Rinascita» promosse, addirit­ tura, un’«inchiesta di massa», al fine di individuare, come scrisse 7a p c , 8 G.

Direzione, Verbale della riunione del 1 marzo 1 9 7 1 , p. 110 4 . Fascismo e Mezzogiorno, in «Rinascita», X X V III ( 1 2 febbraio 1 9 7 1 ) ,

a m en d o la,

n. 7.

’ Tredici mesi di neosquadrismo fascista, in « l’Unità», 7 febbraio 1 9 7 1. 10 Comitati antifascisti contro le aggressioni, ivi, 19 gennaio 1 9 7 1 ; a . t o r t o r e l l a , Spez­ zare l ’omertà, ivi, 7 febbraio 1 9 7 1 ; e Libro nero sulle violenzefasciste a Roma. 1 gennaio 197018 marzo 19 7 1, Roma 1 9 7 1. 11 Neofascismo e giustizia (Torino 1969-1974), in «Magistratura democratica», II (di­ cembre 1974), n. 6, numero speciale. 12 E il caso del Libro bianco sulle violenze fasciste, 1969-1974, a cura del Comitato uni­ tario antifascista della Balduina, un quartiere di Roma, presentato al festival dell’Unità del­ la capitale il 3 ottobre 1974. L ’iniziativa segui l’ aggressione da parte di alcuni neofascisti, il 27 settembre 1974, a un negoziante della zona, Bartolo Mozzarella, e a sua moglie, Giusep­ pina Conti, che aborti a causa delle percosse ricevute: cfr. I teppisti neri picchiavano con spie­ tata determinazione la donna che ha abortito per le botte dei fascisti, in «Il Messaggero», 2 ot­ tobre 1974; e Forti manifestazioni antifasciste alla Mole Adriana, in « l’Unità», 3 ottobre 1974.

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Capitolo quinto

Ugo Pecchioli, i «fili della trama, le compiacenti solidarietà e le pro­ tezioni - del neofascismo - in ogni città e quartiere, nelle fabbri­ che, nelle scuole e negli enti pubblici», non diversamente da come sarebbe avvenuto, qualche anno più tardi, nei confronti del terro­ rismo rosso13. Significativamente, anche i neofascisti, nello stesso periodo, die­ dero vita a iniziative analoghe, con la pubblicazione di “dossier” sulla violenza dei rossi14. Il 24 novembre 19 7 1, ad esempio, la fe­ derazione milanese del Movimento sociale, in risposta ai libri di de­ nuncia curati dal P C I, pubblicò un’inchiesta sulle violenze “ rosse” che si erano registrate in Lombardia tra il 1969 e il 1 9 7 1 15. Un’ini­ ziativa simile venne assunta dalla federazione di Palermo nel gennaio del 1972, in concomitanza con un’inchiesta stampata da «Rinascita» in quei giorni16. Nel 1972, infine, la direzione nazio­ nale del Movimento sociale chiese alle proprie federazioni di stila­ re circostanziati rapporti, in ordine agli incidenti con gli avversari politici e agli attentati subiti dalle sedi del partito nei tre anni pre­ cedenti. I dossier sulle violenze dei “rossi” presentavano marcate analogie con quelli curati dal Partito nazionale fascista nel 19191922, per denunciare la responsabilità dei socialisti nella lotta fra­ tricida che stava insanguinando il Paese17. Allo stesso modo, le in­ chieste curate dal M S I mostravano che la violenza era «soltanto di sinistra», e pertanto il ricorso dei militanti alla forza era giustifica­ to, poiché utilizzato a fine meramente difensivo18. Di fronte all’ “ at­ 13 u. p e c c h i o l i , Basta con lo squadrismo, in «Rinascita», X X I X (4 febbraio 1972), n. 5; e Facciamo insieme una inchiesta sulla violenza fascista, ivi (14 gennaio 1972), n. 2. Da questo lavoro informativo nacquero inchieste che furono poi pubblicate a puntate nel set­ timanale «Rinascita», e in un secondo momento riedite come libri. Ne costituiscono esem­ pi: Dossier sul neofascismo, La documentazione a Bologna sulle attività segrete 0 palesi delle nuove Brigate nere, Editori Riuniti, Roma 19 7 2 ; Rapporto sulla violenza fascista a Catania, a cura della Federazione provinciale del p c i di Catania, Roma 19 7 2 ; Consulta permanen­ te antifascista, Libro nero sulla violenza fascista a Napoli: 1969-1973; Calendario nero, 19691972; e Giorno per giorno bombe, attentati, processi, teppismo, violenza fascista a Trieste, a cura della Federazione autonoma triestina del p c i . Gran parte dei risultati dell’inchiesta furono poi raccolti nel dossier Rapporto sulla violenza fascista, a cura della redazione di « Ri­ nascita», Napoleone, Roma 19 7 2 . 14 Libro bianco sulla violenza di sinistra, in «Il Secolo d ’ Italia», 26 febbraio 1 9 7 1. 15 Libro bianco sulle violenze rosse, in a f u s , f. m s i , b. 20. “ La violenza rossa in Sicilia, in «Il Secolo d ’Italia», 16 gennaio 19 7 2 . Segui un’analo­ ga iniziativa della federazione di Parma nello stesso mese. 17 Partito nazionale fascista, Per non dimenticare, Barbarie e bestialità dei rossi negli anni del dopo-guerra, Roma 1 9 2 4 , in c p p m . Vedi anche a l b a n e s e , La marcia su Roma cit., p. 29 . 18 Violenza rossa a Roma, documentazione a cura del m s i -d n , Roma 19 7 5 .

La militarizzazione della lotta politica

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tacco” dei comunisti diveniva lecito, allora, «colpire il nemico [...] distruggendone le basi operative, i centri logistici, i supporti poli­ tici e organizzativi che gli consentono tanta tracotanza»1’ . Sebbene le inchieste promosse dal P C I avessero essenzialmente uno scopo di denuncia “cautelare” , anche a sinistra si affermò una visione simile, che fu, al contempo, di impulso e di legittimazione della violenza, destinata poi ad avere un ruolo non secondario nella genesi dei repertori d’azione della sinistra extraparlamentare. La lot­ ta politica, infatti, fu da questa rappresentata, non diversamente da quanto aveva fatto l’estrema destra durante l’autunno caldo del 1969, come la strenua difesa dall’assalto di un nemico preponderan­ te, sull’orlo di conquistare il Paese20. La dottrina dell’antifascismo militante subì, cosi, un’ulteriore radicalizzazione. Si affermò l’idea che tra la violenza diffusa dell’estrema destra e il terrorismo neofa­ scista vi fosse un rapporto organico e, dunque, entrambi non ven­ nero più considerati mero «strumento padronale» per reprimere le lotte nelle fabbriche e nella società, ma furono direttamente identi­ ficati con lo Stato21. Scrisse «Lotta continua»: [...] la rete di connivenze che legano lo squadrismo alle istituzioni, dai som­ mi vertici dello Stato alla polizia, alla m agistratura, alla pubblica am m inistra­ zione, all’esercito, a tutto l’ apparato clientelare [...] è im pressionante anche per chi non si è mai fatto illusioni sulla natura dello Stato borghese” .

L ’attribuire ai neofascisti una strategia di conquista del pote­ re portò, gradualmente, a una modifica della loro rappresentazio­ ne in tutta l’estrema sinistra. Un volantino del Movimento stu­ dentesco romano del maggio 19 7 1 ci mostra la misura del cambia­ mento in corso: [ ...] chiunque oggi creda che i fascisti siano solo una pattuglia isolata [...] chiunque ritenga che le canaglie fasciste non siano altro che uno spauracchio e un d iversivo [...] non comprende nulla del momento dello scontro di clas­ se [ ...] non riuscendo a individuare nel fascismo un nemico reale, parte in te­ grante e punta di diam ante dello schieramento borghese” .

19 Una fitta rete rossa, in «Il Secolo d ’Italia», 25 aprile 1972. 20 Proprio nel 1970 « Il Borghese» pubblicò il Libro bianco sulla guerriglia sindacale. 21 La lotta proletaria oggi, in «Lotta continua», II ( i ° ottobre 1970), n. 17 ; e Le squa­ dre fasciste davanti alle fabbriche, ivi (15 ottobre 1970), n. 18. 22 D alla lotta antifascista alla lotta per il comunismo, ivi, III (17 febbraio 19 7 1), n. 3. 23 Per l ’unità delle masse popolari, volantino del Movimento studentesco romano, 29 maggio 1 9 7 1 , A c s , P S , G, 1944-86, b . 378, fase. G /10/28.5.

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Capitolo quinto

Il definitivo mutamento nella percezione del neofascismo da par te della sinistra extraparlamentare avvenne tra l’inverno e l’estate del 19 7 1, quando emersero le notizie sul tentato golpe Borghese, e si registrò l’impennata di voti a favore del Movimento sociale nelle elezioni amministrative di giugno. In un primo momento, i maggio- 1 ri gruppi della sinistra extraparlamentare (Potere Operaio, Lotta Con­ tinua, Avanguardia operaia e il Movimento studentesco della Stata- j le di Milano) si mostrarono scettici nei confronti delle rivelazioni sui j piani golpisti24. Lotta Continua lanciò la campagna contro il «fan- ] fascismo», termine con il quale si indicava la svolta presidenzialista 1 che sarebbe seguita all’elezione di Amintore Fanfani alla presidenza 1 della Repubblica25. In pochissimo tempo, tuttavia, prevalse il timo- 1 re di un colpo di stato cui avrebbero partecipato le organizzazioni paramilitari di estrema destra, grazie, anche, alla ripetizione martel- 1 lante di questo allarme, nella stampa democratica e di sinistra. La rei- I terazione incessante delle notizie fu tale da far compiere un vero e ] proprio salto di qualità alla concezione del neofascismo da parte del- ] la sinistra extraparlamentare. Alla fine, fu proprio «Lotta continua» 1 a vedere nell’estrema destra la manifestazione di un blocco sociale 1 unito attorno a un progetto autoritario, giudicando ormai impratica- 1 bile e superato l’accordo tra i partiti riformisti, in ordine alla prò- I spettiva di normalizzare la conflittualità sociale nel Paese26.

2. Controinformazione e violenza politica nell’estrema sinistra, j Le conseguenze di tale cambiamento si fecero sentire sul piano dell’organizzazione della violenza. Nella conflittualità diffusa con l’estrema destra, si verificò una conversione di essa in chiave prettamente offensiva, in parte provocata dalle prime pubblicazioni delle inchieste sugli attentati del 12 dicembre 1969, che inaugurarono la fase della “ controinformazione” 27. Con questo termine, crea­

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24 Blocco d ’ordine, nuovo blocco d'ordine, in «Potere operaio», III (17 ap rile-i° maggio 19 7 1), nn. 38-39; e II fascismo oggi, in «Movimento Studentesco», I (aprile 19 7 1), n. 2. 25 L . b o b b i o , Lotta continua. Storia di una organizzazione rivoluzionaria, Savelli, Roma 1979 , P- 9 i26 Violenza borghese e violenza rivoluzionaria, in «Lotta continua», III (2 aprile 19 7 1), n. 6. 27 G. d e p a o l o e A. g i a n n u l i , La strage di Stato. Vent’anni dopo, Edizioni Associate, Roma 1989 ; g i a n n u l i , Bombe ad inchiostro cit.; e m . v e n e z i a n i , Controinformazione:

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to in ambito militare, s’intende il lavoro svolto dall’estrema sini­ stra in contrasto all’informazione ufficiale delle istituzioni, dei par­ titi e dei principali organi di stampa28. Le prime inchieste “ indipen­ denti” comparvero durante la rivolta studentesca del 1968 e l’au­ tunno caldo del 1969, per denunciare gli arresti e la repressione degli studenti e degli operai in lotta. Dopo la strage di piazza Fon­ tana e la morte di Giuseppe Pinelli, i circoli anarchici, i gruppi del­ la sinistra extraparlamentare e una rete di giornalisti democratici iniziarono a collaborare per accertare la reale responsabilità della strage di Milano, e diedero luogo, il 23 dicembre 1969, al Comita­ to per la libertà di stampa e per la lotta contro la repressione29. Nel giugno del 1970 fu pubblicato il libro La Strage di Stato, opera di controinformazione sugli attentati del 12 dicembre 1969, divenu­ to un caso editoriale, con migliaia di copie vendute, e più volte ri­ stampato nel corso degli anni Settanta30. L ’introduzione al volume fu firmata da Lelio Basso, Aldo Natoli, Alessandro Natta e Ferruc­ cio Parri. Nel 19 7 1 nacque, infine, il comitato Strage di stato, nel quale confluirono i gruppi di lavoro sulla controinformazione ap­ partenenti a Lotta Continua e Potere Operaio, il gruppo Gramsci di Milano, il manifesto e il collettivo Lenin di Torino31. La “ controinformazione” non si occupò solamente di appurare chi fossero gli esecutori e i mandanti delle stragi. Molte indagini della sinistra extraparlamentare riguardarono le violenze dei neo­ fascisti, e il ruolo da loro svolto nella realizzazione degli attentati (Oplà, ecco i fascisti, intitolò ironicamente un articolo «Lotta con­ tinua», nel marzo del 1970)32. Tali inchieste si avvalsero di un’e­ stesa rete informativa, e poterono giovarsi della grande quantità di notizie raccolte dai partiti di sinistra, dai sindacati e dalle associa­ zioni partigiane. In tutti i quotidiani, poiché le norme di legge alstampa alternativa e giornalismo d ’inchiesta dagli anni Sessanta ad oggi, Castelvecchi, Roma 2006. 2g v. c a s t r o n o v o e n . t r a n f a g l i a (a cura di), Storia della stampa italiana, Laterza, Roma-Bari 1976 , voi. V , La stampa italiana del neocapitalismo', e P . v i o l i , I giornali dell’estre­ ma sinistra, Garzanti, Milano 19 7 7 . 29p . m u r i a l d i , La stampa italiana del dopoguerra, 19 4 }-19 72, Laterza, Roma-Bari 1974, pp. 542-43. 30 La strage di Stato, Controinchiesta, La nuova sinistra-Samonà e Savelli, Roma 1970, pp. n o e 1 1 7 . 31 A. g i a n n u l i , in II Sessantotto. La stagione dei movimenti, 1960-1979, a cura della re­ dazione di «M ateriali per una nuova sinistra», Edizioni Associate, Roma 1988, p. 166. 32 Oplà, ecco i fascisti. Le indagini sulla strage di Milano, in «Lotta continua» cit.

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Capitolo quinto

lora vigenti non prevedevano nessun tipo di riservatezza per i da­ ti attinenti alla privacy, era possibile reperire, senza alcuna diffi­ coltà, informazioni sulla vita privata e le abitudini dei cittadini33. 1 Nelle testate di sinistra, la diffusione di queste notizie riservate era spesso finalizzata alla denuncia dei responsabili delle violenze, per renderli identificabili alle forze dell’ordine34. Non sempre, tutta­ via, la pubblicazione di queste notizie ebbe tale scopo. Specialmen­ te nella stampa comunista prevalse, in determinati momenti di ten­ sione, un utilizzo “ politico” di questi dati, imposto dall’esigenza di denunciare ai propri militanti la presenza dei nemici da combatte­ re. A ll’indomani della strage di piazza Fontana, ad esempio, « l’Unità» pubblicò una lista con i nominativi di alcuni studenti greci presenti negli atenei italiani, ritenuti informatori dei servizi segre­ ti del regime dei colonnelli3’ . Da questo punto di vista, i lavori curati dalla sinistra extrapar­ lamentare furono del tutto simili a quelli pubblicati dai partiti di sinistra: erano presenti, in entrambi i casi, immagini, nominativi, descrizione di tratti somatici, indirizzi di abitazioni e luoghi di ri­ trovo dei militanti di destra. Nelle testate dei gruppi extraparla­ mentari iniziarono a comparire lunghe cronologie, che elencavano le violenze compiute dai neofascisti: queste apparivano in succes­ sione, dando l’idea non solo di un 'escalation, ma anche della simul­ taneità degli attacchi. Le notizie erano raccolte in dossier, pubbli­ cati a mezzo stampa, spesso nella forma di libretti o di volantini, che denunciavano il ripetersi delle azioni squadriste. Le informa­ zioni venivano poi riproposte su manifesti e su tazebao apposti sui muri delle fabbriche, delle scuole o delle università, con lo stesso scopo36. Cambiava, invece, la finalità delle notizie raccolte.

” Dopo un’incursione di estremisti di destra in una sezione del PCI del quartiere Nomentano a Roma, ad esempio, « l’Unità» pubblicò i nominativi e gli indirizzi delle abitazio­ ni dei responsabili delle violenze. Cfr. Aggressionefascista al Nomentano, ivi, 17 gennaio 19 7 1. 54 Dopo un’aggressione di un gruppo di neofascisti a danno di alcuni operai nella cit­ tadina di Magenta, 1’« Unità» pubblicò le targhe delle automobili su cui erano scappati gli estremisti di destra. Cfr. Grave provocazione squadrista subito respinta dagli operai, ivi, 3 1 gennaio 1970. ” s. s o g l i a , Questi i fascisti greci negli atenei italiani, ivi, 13 dicembre 1969. “ Nel gennaio del 19 7 0 il Comitato unitario delle forze rivoluzionarie, a cui aderiva­ no le sezioni di Lotta Continua, Potere Operaio e dei diversi movimenti marxisti-leninisti della città di Roma, fabbricò un grande tazebao esposto nella facoltà di Giurisprudenza do­ ve si elencavano tutte le violenze dei neofascisti registratesi sul territorio nazionale duran­ te gli ultimi mesi del 1969: a c s , p s , G, 1944-86, b. 3 t 3 , fase. G .5/12/56.

l ’ o s s e s s i o n e d e l n e m i c o c o m u n is t a

La maggioranza silenziosa. Verniciamo di rosso ilnostro comunista, «C an dido», 8 gennaio 19 7 0

Il «C an d id o », settim anale di estrem a destra, invitò più volte i lettori, nel corso degli ann Settanta, a denunciare la presenza dei m ilitanti e dei sim patizzanti di sinistra nei luoghi d lavoro e nella società.

1 poti Or. i : K n.

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LA SINISTRA

Anno III — Numero 10

N U O V A SERIE SETTIMANALE

16 marzo 1968 — . L. 100

Verso l’organizzazione politica degli studenti N ell'ultim a settim ana la lo tU universiU ri* « en­ tra i* . dopo I durissim i (con tri di Roma. In un» fase di • riflessione .. Ciò che non è un eufemismo per in ­ dicare un riflusso del movimento, perché questo *i è allargata (soprattutto in direzione degli studenti me­ d i). si è consolidato, raccogliendo m igliaia di studenti non più solo in m anifestazioni di piazza ma In dibat­ titi di elaborazione e di preciso confronto e Impostarione politico strategie», si è approfondito. In d ivi­ duando nella m agistratura e nella stam pa due a ltri aspetti di fondo del potere borghese Le grandi dim ostrazioni di Torino e di Roma da vanti alle carceri e »1 palazzo di giustizi», con la ri­ chiesta di liberazione degli studenti e di cessazione del clim a di arbitrio inquisitorio con cu i si tenta di intim idire i partecipanti »Ile lotte, le Significative proteste e rotture di vetrine della Slampa, rappreseli taro un nuovo gTadlno della escalation di cui aveva­ mo parlato nel nostro precedente numero, una ancora più precisa e anicolata Individuazione degli strum enti dell'autoritarism o nel momento della giustificazione Ideologica e della repressione giudiziaria Ancora più Indicativo, per la m aturazione e l’ap­ profondimento del m ovimento. 6 11 rapporto che «i è venuto a stabilirò con alcuni gruppi di classe ope­ rala. tn particolare con g li edili di alcuni del mag­ giori cantieri rom ani e con g li operai di Torino (uno del quali è stato anche arrestato durante un corteo), in significativa coincidenza con la ripresa di lotta per le pensioni La stessa partecipazione studentesca ai pic­ ch etti e al comizi per lo sciopero del 7 m ano ne é stata q ualificata In term ini diversi da quelli solid aristici del recente passato. Anche l'allargam ento ag li studenti medi che ha comportato In nuove aree e In strati giovanili più larghi, anche dal punto'di visU della composizione di classe, una vivace ripresa di occupazioni e di m anife­ stazioni di strada, nonché nuove dim ostrazioni dell’autoritarism o burocratico e poliziesco segna un nuovo passo avanti. In una m isura che francam ente era d if­ ficile prevedere anche dopo g li ultim i avvenim enti M entre apparentemente si placava la fase più acuta di lotta nelle università e alcuni edifici venivano sgom­ berati. 1» lotta si « riaccesa in a ltri settori, su una base sempre più estesa e con radici vieppiù profonde II contraccolpo a livello parlam entare si è subito visto con II naufragio del progetti di legge-stralcio e del loro sostenitori riform isti di tu tti I tipi. Quanto alle autorità accadem iche, per quel tanto che loro resta di autonomia e di voce In capitolo dopo la loro delega globale a celerini e procuratori della Repubblica. Il caos t grande ed * affare loro sbrigar­ sene. Abbiamo casualm ente ascollato a lla radio un breve e disperato dialogo fra due lum inari della cu l­ tu ra progressiva, Calogero e Romeo I I prim o propo­ neva di • riassorbire > la giusta spinta studentesca con assemblee ebdomadarie (Il mercoledì alle ore 18 ncll'A u la I della Facoltà di Lettere - proponeva esemplificatoriam entc per Rom a) consultive sotto la pre­ sidenza di un professore; 11secondo denunciava fau to ­ ri tariam o di piccoli gruppi di studenti che volevano fare la rivoluzione Imponendo»! alla m aggioranza t i­ m ida e disorganizzata e proponeva di tutelare la « de­ mocrazia • con una opportuna fermezza delle autorità Accademiche (D 'Avack) e • dello Stato • (celere e CC.) M entre andiamo in m acchina ferve la prepara­ zione per 11 convegno nazionale del 15 m ano, che si presenta come un primo momento di organizzazione di strutture nazionali del movimento studentesco, questo risultato * già di grande rilievo e apre la via ag li sviluppi che cl auguriam o e di cui In parte 11 SD8 rappresenta un suggestivo modello

19 6 8 :

Micci* (cordoncino

11AUTODIFESA

3Il VIOLENTA

l ’o r g a n iz z a z io n e d e l l a v io l e n z a n e l l ’ e s t r e m a s in is t r a

Cosi in piazza, « L a Sin istra», 1 6 marzo 19 6 8 .

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D ANNUNZIO

1919 - 1 9 6 9 1 CIMQUAHTEMARIO D I UM ARMO A M M O N ITO R E

LE CANAGLIE NON PREVARRANNO

La resa lifomunisno Si riaccendono f t speranze intorno ai ricordi di famiglia

19 19 - 19 6 9 :

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Effetti

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u n a n n o a m m o n it o r e

Le canaglie non prevarranno, « L ’Assalto», 25 maggio 19 6 9 . Il mito dello squadrismo del pri­ mo dopoguerra giocò un ruolo fondamentale nel determinare i repertori d ’azione dei neofa­ scisti nei primi anni Settanta.

SI BATTE CON LA DEMOCRAZIA

VOTA DC^p

4. NEO-SQUADRISMO Sequenza fotografica tratta dal libro-inchiesta Rapporto sulla violenza fascista, N apoleone, Rom a 19 7 2 . 5. g l i o p p o s t i e s t r e m i s m i s e c o n d o l a d e m o c r a z i a c r i s t i a n a

La violenza si batte con la democrazia. Vota d c , m anifesto elettorale, 19 7 2 .

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6. IL NEMICO ALLA GOGNA Fo tografia tratta dall’ articolo Trento : rifacciamo i l } o luglio, « L o tta continua», 29 gennaio 1 9 7 1 . Il 30 luglio 19 7 0 , gli operai della Ignis di T rento, dopo aver subito u n ’aggressione da parte dei neofascisti, li catturano e li portano in corteo fino al centro della città. Il gesto (come ci mostra l’immagine accanto) fu ripetuto più volte dalla sinistra extraparlamentare nei diversi contesti del conflitto con l ’estrem a destra. 7. L e minacce prim a delle aggressioni. G li agguati tra neofascisti e m ilitanti di estrem a sinistra erano spesso preceduti da avvertim enti. Fotografia tratta dall’articolo L ’ intoccabile canaglia sovversiva, «C an d id o », 7 giugno 19 7 3 . 8. Fotografia tratta dall’articolo Roma, sabato 6 febbraio. Dopo Catanzaro gogna ad un fascista, « L o tta continua», 1 7 febbraio r 9 7 i .

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ABITA IH v i a c e s a r :; « , A N ° 6 , a lto I bi e Il sangue e la celtica cit., Sperling & Kupfer, Milano 2008, pp. 219-33. 62 II ruolo di piazza San Babila nel neofascismo milanese è ricostruito nel romanzo di A. p r e i s e r (pseudonimo di Alessandro Danieletti), Avene selvatiche, Marsilio, Venezia 2004. " F. B a r t o l i n i , Rivali d ’Italia. Roma e Milano dal Settecento a oggi, Laterza, Roma-Bari 2006, pp. 215-43. M p a r l a t o , Fascisti senza Mussolini c i t ., p p . 4 1 1 - 1 7 .

230

Capitolo settimo

gatori della salma di Mussolini -, a capo, nei primi anni Settanta, di una sparuta formazione, Sinistra nazionale, che entrava e usci­ va dal m s i, pur rivelandosi in grado di esercitare una notevole in­ fluenza culturale su tutta l’area neofascista. «Destra reazionaria e sinistra marxista non offrono che un’alternativa: quella brutale, quanto antisociale, del permanente scontro classista», era scritto, ad esempio, in un manifesto di Sinistra nazionale del 19 7 1, che pro­ poneva, quale alternativa al conflitto di classe, «la Cogestione del­ le imprese, la partecipazione agli utili da parte dei lavoratori, l’au­ togoverno delle categorie produttrici a qualsiasi livello»65. Il neofascismo milanese, dunque, non si ridusse a fenomeno d pura risposta antioperaia, com’era successo a Torino. Proprio Mi­ lano divenne una delle città del Settentrione d ’Italia in cui, nei primi anni Settanta, era più visibile la rimonta elettorale del Mo­ vimento sociale, con il 10 ,3 % dei suffragi complessivamente rac­ colti nel 1972. Un risultato solo in parte spiegabile come reazione dei ceti medi alla conflittualità sociale, sebbene il rapporto con la borghesia cittadina fosse centrale. Milano, infatti, fu una delle po­ che realtà in Italia a conoscere una presenza di piazza congiunta dell’estrema destra e dei settori conservatori della società civile, con la mobilitazione della Maggioranza silenziosa e dei Comitati unitari anticomunisti66. Nonostante la sinistra extraparlamentare milanese avesse mo­ strato la sua aggressività specialmente in coincidenza della protesta operaia, fu l’estrema destra a innescare la catena di scontri destina­ ti a segnare la città. La strategia d’attacco neofascista si delineò a cavallo tra la morte di Antonio Annarumma e la strage di piazza Fontana. Essa si tradusse in una sistematica offensiva contro le se­ zioni dei partiti di sinistra, le sedi sindacali, le Camere del lavoro, le scuole e le università occupate67. Tra il 1967 e il 1969 si registra­ rono in città ben trenta attentati di grosso calibro, la maggior par­ te dei quali durante l’autunno caldo del 196968. Fortissimo fu il le-

s! Il manifesto di Sinistra nazionale è conservato in apc , Regioni e province, Lombar­ dia, 19 7 1, mf. 0160, p. 0602. “ La piattaforma del Comitato unitario anticomunista milanese è riassunta in un ma­ nifestino del 17 aprile 19 7 1, conservato ivi, p. 0606. 67 Per una cronologia cfr. Nota su provocazioni fasciste e movimenti di destra a Milano ivi, mf. 0308, p. 0051. “ Ivi.

Geopolitica dello scontro

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game con la memoria della guerra di Liberazione del 1943-45 e del­ lo squadrismo del 1919-20. Il 12 aprile 1970, ad esempio, dopo un comizio tenuto da Almirante, decine di militanti del Movimento sociale assalirono e devastarono la sede del quotidiano «Il Giorno» in corso Vittorio Emanuele, emulando le gesta di nazionalisti, fu­ turisti e Arditi che settantun anni prima, il 15 aprile 19 19 , aveva­ no distrutto la sede dell’«Avanti! »69. Tra il 1970 e il 19 7 1, la vio­ lenza dei neofascisti si concentrò prevalentemente negli atenei, nel­ le scuole e nei quartieri operai, in questi ultimi con la duplice prospettiva di contrastare l’estrema sinistra, e sostenere l’attività sindacale della c i s n a l 70. I partiti antifascisti, compresa la locale fe­ derazione della Democrazia cristiana, cercarono di opporsi alle vio­ lenze avversarie costituendo comitati unitari a difesa dell’ordine repubblicano, ma il loro tentativo fu quasi del tutto vano, poiché non trovò un’adeguata risposta istituzionale, alla richiesta di reprimere i gruppi neofascisti macchiatisi di violenze71.

Fu il clima di criminalizzazione della protesta operaia e studen­ tesca, sorto dopo gli attentati del 12 dicembre 1969, a favorire l’of­ fensiva dell’estrema destra in città. I neofascisti milanesi - e in particolare la federazione cittadina del Movimento sociale - appro­ fittarono della nuova situazione per stendere un velo di silenzio sul­ l’attentato alla Banca nazionale dell’Agricoltura, attraverso com­ memorazioni e liturgie, inscenate nella ricorrenza dell’anniversario della strage, con lo scopo di annacquare il ricordo delle vittime de­ gli attentati nel mare magnum della memoria dei lutti nazionali. Il 14 dicembre 1970, ad esempio, il m s i programmò la commemora­ zione delle vittime giuliano-dalmate dell’esodo del 1945-47, con una corona di fiori da apporre in piazza Fontana72. Due giorni prima, in occasione del primo anniversario della stra­ ge, organizzato dalla sinistra extraparlamentare e dagli anarchici, ” Violenze fasciste a Milano dopo un comizio di Almirante, in «l’Unità», 13 aprile 1969. 70 Nel 1970 le virulente violenze dei gruppi di estrema destra occuparono, spesso, le cronache dei principali quotidiani nazionali. C fr., ad esempio, Incidenti al centro di Milano provocati da estremisti di destra, in «Corriere della Sera», 2 febbraio 1970; e Violenti scon­ tri a Milano tra neofascisti e polizia, ivi, 25 maggio 1970. 71 Per la mobilitazione antifascista del Consiglio comunale di Milano e per la costitu­ zione del Comitato permanente per la difesa dell’ordine repubblicano vedi a p c , Regioni e province, Lombardia, 19 7 1, mf. 0160, pp. 0 612-21. Cfr. anche Milano si batte a difesa del­ l ’ordine repubblicano, in «l’Unità», 26 gennaio 19 71. 72 II Governo giustifica la violenza rossa voluta dal PCI per la svolta a sinistra, in « Il Seco­ lo d’Italia», 15 dicembre 1970.

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era stato ucciso lo studente Saverio Saltarelli, colpito da un cande­ lotto lacrimogeno sparato dalla polizia. Se per i neofascisti milane­ si, dunque, gli attentati del 12 dicembre costituirono un episodio da occultare, per la sinistra radicale la strage di Milano divenne un evento fondante. Basti pensare all’apporto dato dall’estrema sini­ stra milanese alla controinchiesta sulla morte di Giuseppe Pinelli, avvertita, in una parte non trascurabile della città, come una dolo­ rosa ferita da sanare. E fu a Milano che la controinformazione mo­ strò, contestualmente, il suo lato degenerativo, con la campagna persecutoria ai danni di Luigi Calabresi, che proprio in città avreb­ be trovato la morte, il 17 maggio 1972. In quegli anni, Milano di­ venne una delle realtà più sanguinarie del Paese. Tra il 19 7 1 e il 1973 si registrarono ben dieci vittime, fra scontri di piazza e atten­ tati terroristici (la maggior parte dei quali di marca neofascista), che si aggiunsero al già gravissimo bilancio della strage di piazza Fon­ tana, costata 17 morti e 86 feriti” . Le violenze perpetrate dai gruppi di estrema destra innescaro­ no la reazione della sinistra oltranzista, che rispose duramente, por­ tando lo scontro a un livello militare. Le scuole furono uno dei prin­ cipali veicoli della violenza. I licei classici Giuseppe Parini - nel 1966 protagonista della scandalo della «Zanzara» - Giovanni Berchet, Alessandro Manzoni, Giosuè Carducci, il liceo scientifico Ein­ stein, gli istituti tecnici Gino Zappa, Ettore Molinari e Giacomo Feltrinelli, I ’ i t i s della città operaia di Sesto San Giovanni, furono teatro di ripetute violenze, tra studenti di destra e di sinistra. Que­ sti ultimi, numericamente superiori, presto prevalsero, emarginan­ do brutalmente i loro antagonisti. Nelle scuole superiori milanesi s’instaurò un clima pesantissimo, di cui fecero le spese soprattutto i giovani di destra. Si arrivò, in non pochi casi, alla vessazione gior” Il 7 gennaio 19 7 1, perdeva la vita Gianfranco Carminati, un operaio iscritto al PCI, per le ustioni riportate nel tentativo di spegnere un incendio scoppiato, in un capannone della Pirelli, in seguito a un attentato del m a r . L ’ i i marzo 1972, perse la vita Giuseppe Tavecchio, un pensionato, ucciso da un candelotto, che si trovava nelle vicinanze degli scon­ tri fra sinistra extraparlamentare e polizia. Pochi giorni dopo, il 15 marzo, alla periferia di Milano, perdeva la vita Giangiacomo Feltrinelli. Il 17 maggio, cadde vittima di un agguato il commissario Luigi Calabresi. Il 23 gennaio 1973 fu ferito mortalmente, nel corso di una manifestazione, con un colpo di pistola sparatogli alla schiena, lo studente Roberto France­ schi, che mori il successivo 30 marzo. Il 12 aprile l’agente di polizia Antonio Marino, du­ rante una manifestazione dell’estrema destra, venne ucciso da una bomba a mano lanciata dagli estremisti di destra. Il 17 maggio, infine, nell’anniversario della morte di Luigi Cala­ bresi, un attentato rivolto contro il ministro degli Interni Mariano Rumor provocò 4 vitti­ me: Gabriella Bortolon, Giuseppe Panzin, Felice Bertolazzi e Federico Massarin.

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naliera e al linciaggio, come accadde a Sergio Ramelli, militante del Fronte della Gioventù, ferito a colpi di spranga da un commando di Avanguardia operaia - a epilogo della persecuzione subita per anni nella sua scuola, l’istituto tecnico Molinari - , e morto, dopo una lunga agonia, il 29 aprile 1975. La violenza nelle scuole fu, in­ fine, anche per la città di Milano, una delle più significative e dram­ matiche esperienze di formazione politica, per la giovanissima le­ va di militanti terroristi che avrebbe operato in città nella seconda metà degli anni Settanta. La violenza subita - e arrecata - nella contrapposizione con l’estrema destra, ad esempio, emerge come una delle esperienze che segnò la vita di W alter Alasia, giovane militante delle Brigate Rosse, morto in un conflitto a fuoco con la polizia il 15 dicembre 197674. Fu il clima di radicale contrasto ideologico, a favorire la nasci­ ta del terrorismo rosso in città. La memoria della guerra civile del 1943-45 giocò un ruolo importante, nella genesi delle prime for­ mazioni armate. Nel secondo dopoguerra Milano fu la culla del neo­ fascismo clandestino, è vero, ma divenne, allo stesso tempo, la città del Nord Italia dove si diffusero maggiormente le organizzazioni segrete, come la Volante rossa, costituite da partigiani, decisi a ven­ dicarsi dei fascisti75. Alla fine degli anni Sessanta, l’immaginario resistenziale - che a Milano, per via della grande presenza operaia, era inestricabilmente intrecciato al mito della rivoluzione" sociale incompiuta - esercitò una forte influenza sulla sinistra extraparla­ mentare, specialmente in quei gruppi che si staccarono da essa, dando vita alle prime cellule armate76. A Milano nacque, nel set­ tembre del 1969, il Collettivo politico metropolitano, nucleo fon­ dante delle Brigate Rosse. Le b r cominciarono a essere attive in città tra il marzo e l ’agosto del 1970, con un comizio nel quartie­ re di Lorenteggio e un volantinaggio alla s i t - Siemens. Negli ulti­

74 G. m a n z in i, Indagine su un brigatista rosso : Walter Alasia, in «l’Unitàw/Einaudi, suppl. al n. 1 2 dell’«Unità», 2 1 marzo 1 9 9 4 , pp. 5 4 -6 2 . Nello scontro a fuoco persero la vita il maresciallo Sergio Bazzega e il vicequestore Vittorio Padovani. La colonna milanese del­ le Brigate Rosse prese il nome di Alasia. 75 l . g a n a p in i, Una città, la guerra (Milano 19 39 -19 51), Franco Angeli, Milano 1988, pp. 189-254; e c. b e r m a n i, Storia e mito della Volante rossa, Edizioni Internazionali, Mila­ no 1996. 76 Sulla cultura operaia milanese negli anni Sessanta cfr. L. g a n a p in i, Cultura operaia e composizione di classe. Risultati della storiografia e ipotesi di ricerca (1945-1970), in M . ANt o n i o l i , m . b e r g a m a s c h i e iD., Milano operaia d a ll800 a oggi, CARIPLO-Laterza, B a ri 1 9 9 3 , voi. II, pp. 3 2 1 - 5 4 .

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mi mesi del 1970, e per tutto il 19 7 1, le Brigate Rosse operarono quasi esclusivamente a Milano, dapprima con una serie di azioni intimidatorie contro alcuni dirigenti industriali, e poi con attacchi, condotti nelle zone operaie, contro le sedi e i militanti della c i s n a l e del Movimento sociale77. Nel settembre del 1970, fecero la loro comparsa anche i g a p di Feltrinelli, con una serie di manovre di sa­ botaggio ai danni di alcuni cantieri edili, dopo che in essi si erano verificati alcuni incidenti mortali sul lavoro78. La prossimità dei quartieri operai agli stabilimenti - in alcuni casi, una vicinanza che sconfinava nella compenetrazione, come al Giambellino e a Quarto Oggiaro - portò l’antifascismo militante a intrecciarsi con le lotte di fabbrica, con la conseguente traslazione, sul piano del conflitto sociale, di repertori d’intervento ispirati a criteri militari, estranei alle modalità di lotta del movimento ope­ raio e della sinistra storica7’ . Circostanza, questa, che aiuta a com­ prendere - in parte - l’esasperato militarismo dei gruppi armati di sinistra operanti in città, e il volume di fuoco da questi dispiegato nella seconda metà degli anni Settanta.

3. Roma. A ll’indomani dell’uccisione di Paolo Rossi, nell’aprile del 1966, il quotidiano «La Stampa» aveva scritto che Roma era divenuta la «città più fascista d ’Italia»80. Poco tempo dopo, in un’inchiesta dell’«Astrolabio» sulla morte dello studente, si leggeva che la vio­ lenza dei gruppi neofascisti era l’espressione fisiologica della «pe­ renne insoddisfazione qualunquistica dei ceti piccolo-borghesi e im­ piegatizi che ne formano la principale componente sociale»81. Per­ sino nella stampa di estrema sinistra, l’occupazione delle facoltà fu ” Cosi Mario Moretti descrivendo il clima politico di Milano: «Le Brigate Rosse so­ no state fino al '72-'-]} un fatto esclusivamente milanese e non potevano che nascere qui», in i d ., Brigate Rosse. Una storia italiana. Intervista di Carla Mosca e Rossana Rossanda, Bal­ dini & Castoldi, Milano 2002, p. 2 1. Cfr. A. s a c c o m a n , Sentieri rossi nella metropoli. Per una storia delle Brigate Rosse a Milano, c u e m , Milano 2007, pp. 27-39. 78 La mappa perduta, a cura di R. c u r c i o , Sensibili alle Foglie, Roma 1994, p. 33. 7’ Una trasposizione letteraria della militarizzazione dello scontro tra neofascisti e si­ nistra extraparlamentare nel quartiere periferico di Casoretto è raccontata da M. p h il o p a t , La bancla Bellini, Shake edizioni, Milano 1997. 80 In «La Stampa», 28 aprile 1966. 81 G. l o t e t a , Le pin-up della violenza, in «FAstrolabio», IV (8 maggio 1966), n. 19.

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vista come il capovolgimento di un «mito», quello, cioè, «della città apatica [...] dove i contrasti appaiono sopiti da una propensione al fatalismo orientale»82. Emerse, in quei giorni, un atavico pregiudi­ zio antropologico, persino nella stampa di sinistra, che sembrava ignorare il contributo della piazza romana ai moti antifascisti del luglio i960. La centralità della classe operaia e della città industria­ le, nelle riflessioni teoriche della sinistra, sia in quella storica sia nella componente nata nel turbinio della contestazione studente­ sca e operaia, non permisero di cogliere i grandi mutamenti poli­ tici, sociali e culturali che avevano investito la capitale negli anni Cinquanta e Sessanta85. Pur tra mille contraddizioni, Roma si stava trasformando in me­ tropoli84. Il fallimento del piano regolatore cittadino, lo sviluppo edilizio incontrollato, il permanere delle borgate, l’abusivismo con­ vivevano con processi di razionalizzazione del territorio, con la na­ scita dei piani di zona e dell’edilizia sovvenzionata. Dal 19 6 1 al 19 7 1 la popolazione urbana crebbe del 27% , avvicinandosi ai tre milioni di abitanti. Lo sviluppo economico, contestualmente alla crescita del Paese, fu impetuoso, con il pieno compimento della con­ versione industriale e dei processi di burocratizzazione dei settori pubblico e privato85. Roma, inoltre, fu una delle città, in Italia, do­ ve maggiormente crebbe il settore terziario, con un notevole pro­ gresso delle attività commerciali e di servizio. I ceti medi divennero i protagonisti di questi cambiamenti86. La loro risposta alle grandi trasformazioni in atto si collocò a metà tra la compartecipazione e un’accentuata conflittualità, sfociata, spes­ so, in un confronto politico e ideologico esasperato, aggravato dalla presenza di appartenenze politiche mai conciliate87. La particolare struttura radiale della città impresse all’antagonismo romano, inol­ tre, una propria specifica complessità. Lo sviluppo edilizio, e il co-



f l e s c a , Le greppie d'oro d eli Università, in «Nuova Sinistra», I (maggio 1966), n. 1. Sulla costruzione del pregiudizio antropologico contro Roma, in particolar modo nel mondo intellettuale, cfr. le considerazioni di v id o t t o , Roma contemporanea cit., pp. 3x9-25. 84 A. M. s e r o n d e b a b o n a u x , Roma. Dalla città alla metropoli, Editori Riuniti, Roma 1983. 81 p. g in s b o r g , L'Italia del tempo presente. Famiglia, società civile, Stato. 1980-1996, E i naudi, Torino 1998, pp. 96-106. 86 A. s c h i z z e r o t t o (a cura di), Classi sociali e società contemporanea, Franco Angeli, Milano 1998. 87 v i d o t t o , La nuova società, in g . s a b b a t u c c i e id ., Storia d'Italia cit., voi. VI, pp. 47-48.

G.

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stante spostamento della popolazione nell’area urbana, fece manca­ re la rigida divisione sociale che caratterizzava le città settentriona­ li. Quartieri alti e bassi, borgate e zone residenziali si intrecciavano. Ne scaturì una diffusa ed endemica conflittualità politica e sociale, con una forte connotazione ideologica, non riconducibile, però, a uno scontro di classe. La piazza di Roma si distinse per il peso e la durata del movimento studentesco, e per l’asprezza delle lotte per la casa, e nelle borgate88. Il 12 dicembre 1969, Roma fu colpita, assie­ me a Milano, dalle bombe neofasciste. Gli atti terroristici erano stati anticipati, nei mesi precedenti, da una serie lunghissima di at­ tentati contro le sedi istituzionali, le sezioni dei partiti, dei sindaca­ ti e delle associazioni antifasciste89. Ciò che marcò la conflittualità romana, tuttavia, fu la contrapposizione fra i partiti di sinistra, i gruppi extraparlamentari e i partiti e movimenti neofascisti. Tale forma di violenza risaliva al secondo dopoguerra, e avrebbe giocato un ruolo importante, nell’attivare il conflitto di memorie che accom­ pagnò lo scontro fra le due ali estreme, negli anni successivi90. Fu al­ l’inizio degli anni Settanta, però, che questo si radicalizzò, assumen­ do fisionomie e modalità peculiari rispetto al resto del Paese. A Roma, il neofascismo rifletteva l’eterogeneità e la comples­ sità degli indirizzi ideologici e culturali espressi dal regime fascista e dalla Repubblica sociale. Per il fascismo, Roma rappresentò un «valore storico e politico assoluto»91. La sua perdita fu, per il radi­ calismo di destra, un trauma mai superato92. I gruppi clandestini proliferarono nel secondo dopoguerra, e Roma divenne, di fatto, la capitale del neofascismo. Negli anni della Repubblica, la federazio­ ne dell’Urbe acquistò un peso rilevante, nella struttura orga­ nizzativa del Movimento sociale95. Il legame con il passato fu de“ M . g r i s p i g n i , Generazione, politica e violenza. Il Sessantotto a Roma, in «Italia con­ temporanea», X LI (giugno 1989), n. 175, pp. 97-107; e B. b o n o m o , Le lotte per la casa al­ la Magliana negli anni Settanta, in « Dimensioni e problemi della ricerca storica», V ili (2005), n. 1, pp. 176-80. 89 Per una sintesi cfr. Nota Galleni su attentati e violenze fasciste in tutta Italia, a p c , Par­ titi politici, Provocazioni, 28 aprile 1969 cit. 90 Una reminiscenza di questa conflittualità è presente nel romanzo di p. p. Pa s o l i n i , Una vita violenta, Garzanti, Roma 1972, pp. 55-56. 511 b a r t o l i n i , Rivali d ’Italia cit., p. 2 13. Vedi anche A. g ia r d i n a , Ritorno al futuro-, la romanità fascista, in id . e A. v a u c h e z , Il mito di Roma. Da Carlo Magno a Mussolini, Later­ za, Roma-Bari 2000. 52 p a r l a t o , Fascisti senza Mussolini cit., pp. 95-105. ” Tale ruolo venne riconosciuto nel 1969. Cfr. Vita di Federazione. Costituito il Comi­ tato di Azione Nazionale, in «Il Secolo d’Italia», 1 1 marzo 1969. Forte fu l’influenza del-

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terminante, nel definire l’identità dei neofascisti romani. Le cele­ brazioni della marcia su Roma del 28 ottobre 1922 e l’anniversario della fucilazione di Benito Mussolini, il 28 aprile 1945, furono al centro del sistema commemorativo dell’estrema destra romana, con pellegrinaggi alla cappella dei martiri fascisti, custodita al cimitero del Verano, e con messe in suffragio dei caduti della r s i . Negli an­ ni Cinquanta e Sessanta il neofascismo cittadino, soprattutto nella sua frangia extraparlamentare, si contraddistinse per il virulento squadrismo, spesso a danno dei quartieri operai e proletari, come accadde in occasione della celebre spedizione alla Garbatella del 28 gennaio 1950, raccontata da Giulio Salierno nella sua biografia, e rimasta, nell'immaginario dell’estrema destra, romana e non, un evento fondante94. La violenza neofascista prosegui durante tutti gli anni Sessanta, spesso prendendo la forma di clamorosi gesti sim­ bolici95. A Roma, infatti, erano le sedi nazionali dei sindacati, dei partiti di sinistra e delle ambasciate dei paesi socialisti, tra cui quel­ la dell’uRSS, che venne, più di una volta, colpita da attentati, cosi come la sede nazionale del Partito comunista, in via delle Botteghe Oscure, anch’essa oggetto di continui attacchi96. Le sezioni del Movimento sociale divennero i punti d’interse­ zione tra le diverse correnti che animavano il neofascismo romano. Nelle sedi missine s’incontravano i socializzatori della r s i , gli evoliani, gli ordinovisti vicini a Rauti, gli atlantisti e gli strenui oppo­ sitori alla politica filo-americana del m s i, i mussoliniani e i catto­ lici tradizionalisti. Le diverse sfumature ideologiche, a volte, rispec­ chiavano la differente collocazione sociale d ’origine. Nei quartieri Trieste-Salario, Parioli, Nomentano, e u r , Balduina, Monteverde, il neofascismo rifletteva gli orientamenti socio-culturali di una par­ te della classe media residente in tali aree. Cosi, come a Milano il neofascismo è legato allo stereotipo del “ sanbabilino” , anche l’e­ ia Federazione romana del p n f. Cfr. A. s t a d e r i n i , ha federazione romana del p n f : uno stru­ mento al servizio del totalitarismo, in E. g e n t i l e (a cura di), Modernità totalitaria. Il fascismo italiano, Laterza, Roma-Bari 2008. 94 G. s a l i e r n o , Autobiografia di un picchiatore fascista, Einaudi, Torino 1976, p. 13. ” Il 10 gennaio del 1964, ad esempio, fu gravemente danneggiata da una bomba la se­ de nazionale della C G iL in corso d’Italia. Rilasciati i fermati per i attentato alla c g i l , in «Mo­ mento Sera», 1 1 gennaio 1964; e Rilasciati i giovani fermati per l ’attentato, in «Il Giornale d ’Italia», 1 1 gennaio 1964. 96 Si veda, ad esempio, la stessa documentazione raccolta dal PCI. Cfr. a p c , Provocazio­ ni, Attentato sede PCI del 24 gennaio 1967, mf. 0544, p. 2441. Per una cronologia delle vio­ lenze negli anni successivi cfr. Libro nero sulle violenze fasciste a Roma, i ° gennaio 1970 18 marzo 19 7 1, a cura della Federazione comunista romana, Roma 19 71.

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strema destra romana, nell’immaginario collettivo, viene ricondot­ ta all’immagine dei tre neofascisti, Andrea Ghira, Giovanni G ui­ do e Angelo Izzo, provenienti dalla media e alta borghesia roma­ na, responsabili di rapine e stupri, e autori del massacro del Circeo, avvenuto il 29 settembre 1975, quando furono seviziate e violen­ tate due ragazze d ’estrazione popolare: Maria Rosaria Lopez, mor­ ta per le torture subite, e Donatella Colasanti, che sopravvisse, e riuscì a denunciare i suoi carnefici’7. Nel neofascismo romano vi fu con certezza una componente clas­ sista, sadica e violenta, di cui Ghira, Guido e Izzo non erano l’uni­ ca espressione, al punto che i tre godettero di un’ampia impunità, anche all’interno del loro ambiente politico. Sarebbe fuorviante, tuttavia, ridurre l’estrema destra alle sue manifestazioni più dete­ riori. Non si capirebbe, altrimenti, l’insediamento del Movimento sociale e di altri gruppi neofascisti nei quartieri popolari della città. A Montesacro, a Talenti, al Tufello, a Torpignattara, alla Garbatella, a San Lorenzo, a Primavalle, all’Appio Latino, al Prenestino, al Tuscolano, negli stessi quartieri, cioè, dov’era più forte la pre­ senza dei partiti di sinistra, si registrava l’intensa attività del M o­ vimento sociale, sul territorio con una o più sezioni. Persino le or­ ganizzazioni extraparlamentari, come Avanguardia nazionale, O r­ dine Nuovo, l’Orologio, il Centro nuova Europa, Lotta di popolo ebbero importanti addentellati nelle periferie della città. L ’insedia­ mento territoriale si tradusse in un notevole consenso elettorale: nel 1972, il m s i conquistò, a Roma, il 17,4 % dei voti. Lungi dall’essere la città «più fascista d’Italia», Roma divenne tuttavia, alla fine degli anni Sessanta, una delle realtà più conflittua­ li del Paese, dove i movimenti studenteschi, prima, e i gruppi della sinistra extraparlamentare, poi, trovarono un ampio consenso, sia nei ceti medi sia in quelli popolari. La memoria della lotta ai nazifa­ scisti giocò un ruolo non secondario, nella mobilitazione collettiva di quegli anni, che a Roma si distinse per la sua accentuata sfuma­ tura antifascista, pagata anche con il sangue, con le ravvicinate morti di Paolo Rossi e Domenico Congedo98. Il carattere popolare e

” Su questo episodio e sulla mai completa individuazione dei responsabili cfr. l’inchie­ sta di f . s c ia r e l l i , Tre bravi ragazzi. Gli assassini del Circeo, i retroscena di un ’inchiesta lun­ ga trent'anni, Rizzoli, Milano 2006. 98 A. p o r t e l l i , Memoria e dimenticanza : dalla Liberazione ad oggi, in i r s i f a r , Roma t fascismo e Liberazione, L ’Annale i r s i f a r , Franco Angeli, Milano 2004, pp. 19-33.

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antagonista di una parte consistente della Resistenza romana - il gruppo Bandiera rossa, di orientamento trockijsta, fu uno dei più numerosi operanti in città - influì non poco, nel determinare il ra­ dicalismo della sinistra extraparlamentare romana” . Vi confluirono anche la memoria e le tradizioni del massimalismo socialista, del ra­ dicalismo repubblicano, dell’anarchismo, della resistenza popolare contro le squadre d’azione, al loro ingresso a Roma, il 22 ottobre 1922100. Una memoria trasmessa, specialmente dagli operai tipogra­ fi e dagli edili, che rappresentarono, per la sinistra radicale romana, quanto la classe operaia significò per l’estrema sinistra milanese e to­ rinese101. Tale tradizione permeava anche le sezioni del Partito co­ munista, particolarmente quelle collocate nei quartieri popolari. Non di rado, i gruppi extraparlamentari trovarono nelle sedi del PCI un punto d’aggregazione, se non, addirittura, l’ humus umano e cultu­ rale favorevole a un loro sviluppo. La federazione romana del p c i , da parte sua, pur molto attiva in città, viveva, alla fine degli anni Sessanta, una profonda crisi, organizzativa e d’indirizzi politici102: essa emerse, in particolar modo, quando fu radiato dal partito il grup­ po del « manifesto »I0\ In un primo momento, furono i vari movimenti marxisti-leni­ nisti a insediarsi strutturalmente nelle periferie e nelle borgate del­ la città, approfittando anche della crisi della locale federazione comunista104. I gruppi maoisti erano attivi nelle lotte per la casa, e per migliorare le difficili condizioni abitative nelle borgate, ma l’im” s.

Bandiera rossa nella Resistenza romana, Odradek, Roma 2005; e w. d e La borgata ribelle. Il rastrellamento nazista del Quadraro e la resistenza popolare a Ro­ ma, Odradek, Roma 2004. 100 «Non ci sarà un’altra marcia su Roma, il fascismo non passerà! », recitava, ad esem­ pio, un volantino distribuito, il 4 febbraio 19 7 1, dal Comitato antimperialista antifascista, un piccolo collettivo della sinistra extraparlamentare operante nel quartiere operaio di San Lorenzo: cfr. a c s , PS, G, 1944-86, b. 314 , fase. G .5/12 /110 . 101 T. l o m b a r d o , Cultura del lavoro e organizzazione produttiva: i tipografi romani dal 1944 al 1970, in d . s c a c c h i , g . s i r c a n a , l . p ic c io n i e i d ., Operai e tipografi a Roma (18701970), Franco Angeli, Milano 1984, pp. 399-545. 102 Sulla crisi della federazione romana del PCI cfr. il carteggio tra Aldo Natoli e Luigi Longo del maggio 1969, in A re , Ufficio di segreteria, mf. 0305, pp. 0671-74. Cfr. anche l’opuscolo I problemi di Roma e l ’apporto del xn Congresso, a cura della Federazione comu­ nista romana, documento per la conferenza di Federazione (proposte per la riunione del c d ), 1969. La crisi della federazione romana del PCI preoccupò anche il ministero dell’Interno. Cfr. a c s , m i , g a b , 1967-70, b. 2. 10, Tale decisione incontrò una diffusa opposizione nelle sezioni del PCI. a p c , Regioni e province, Roma, mf. 0307, pp. 1078-87 e 1327-43. 104 Nota sull’attività dei gruppi antipartito e cosiddetti di sinistra negli ultimi sette mesi, i Partiti e movimenti, 1968, mf. 0 551, p. 2167.

c e s a r is ,

c o r v is ie r i,

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pegno civile era in loro funzionale a una strategia rivoluzionaria in­ centrata sulla progressiva conquista delle periferie, anche attraver­ so l ’impiego della violenza105. A questo si aggiungeva, nei primi mesi del 1970, l ’apertura di diverse sezioni da parte di Potere Ope­ raio e di Lotta Continua. Dopo il fallimento della radicalizzazionc delle lotte operaie nelle fabbriche del Nord, i gruppi extraparla­ mentari puntarono a trasformare Roma nella «capitale della cri­ si»106. Il proletariato urbano divenne il principale referente di Po­ tere Operaio e Lotta Continua, convinti che da esso si sarebbe potuti ripartire per rilanciare una politica rivoluzionaria nel Paese. Nei quartieri di Roma, nei cantieri edili, nelle fabbriche della cit­ tà - la f a t m e , la Ignis, la s t e f e r , l’Apollon, l’Autovox - si sareb­ be dovuto costruire il comunismo, attraverso le lotte per la casa, contro i padroni e i neofascisti107. L ’intrecciarsi di sezioni dei partiti e gruppi di estrema destra con quelle dei partiti di sinistra e dei movimenti extraparlamenta­ ri originò un’endemica conflittualità, «a macchia di leopardo». Con­ fini invisibili spuntarono nei - e tra - i quartieri, con la comparsa di zone invalicabili e di aree proibite ai militanti dell’una o dell’al­ tra parte. Fu Roma la città in cui lo scontro fra neofascisti e sini­ stra extraparlamentare assunse più marcatamente logiche e dinami­ che di tipo militare. L ’epicentro della tensione fu, agli inizi, l’uni­ versità. Di qui le violenze si trasmisero alle scuole superiori, centrali e periferiche. I licei classici Mamiani, Virgilio, Giulio Cesare, Tas­ so, Orazio e Augusto, i licei scientifici Paolo Sarpi, Castelnuovo, Francesco d ’Assisi, Archimede, l’istituto tecnico industriale G ali­ lei, l’istituto tecnico commerciale Botticelli, l ’istituto tecnico G e­ novesi e molti altri, divennero sedi di scontro e di conflitto. L ’im­ portanza delle scuole, per il diffondersi della violenza, risiedeva nel fatto che le sedi scolastiche erano spesso i luoghi dove s’interseca­ vano i confini tra i diversi quartieri, e dove gli studenti, di opposta fede politica e di differente estrazione sociale, si mescolavano. Tra i gruppi di sinistra extraparlamentare più presenti vi furono Pote­ re Operaio e Lotta Continua. Q uest’ultimo gruppo aveva predispo­ sto in una sede nel quartiere di San Lorenzo due auto equipaggia­ 105 Note di Sacco su attività a Roma e provincia dei cosiddetti maoisti e marxisti leninisti, i ° dicembre 1969, ivi, Partiti politici, Provocazioni, mf. 0308, p. 0067. 106 Cosi in un articolo pubblicato in «Lotta continua», III (2 aprile 19 7 x), n. 6. 107 Nei quartieri per il comunismo, ivi (23 aprile 19 71), n. 7.

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te e un gruppetto di militanti del servizio d’ordine, pronti a inter­ venire, se chiamati in aiuto degli studenti108. Ma anche l’estrema destra, soprattutto il Fronte della Gioventù, godeva di un’estesa presenza e dell’aiuto esterno dei militanti adulti. Le scuole romane divennero cosi una polveriera, dove il quoti­ diano esercizio della violenza portò alle conseguenze più gravi. Nella seconda metà degli anni Settanta, molti studenti morirono, in scontri tra formazioni armate di destra e di sinistra. Camionet­ te della polizia e agenti in borghese presidiavano gli ingressi degli istituti scolastici, mentre i gruppi terroristici rossi e neri, come le Brigate Rosse o i Nuclei armati rivoluzionari, vi reclutavano nuo­ ve e giovanissime leve nella loro guerra contro lo Stato.

4. Napoli e Palermo. A Napoli, l’emergere della contestazione studentesca del 1968 s’intrecciò con quella operaia e con la conflittualità sociale, conse­ guenza dell’abusivismo, degli scempi urbanistici e della speculazio­ ne edilizia, eredità della giunta Lauro, che si era sciolta dieci anni prima, nel 1958. La presenza del movimento studentesco napole­ tano ridisegnò il rapporto centro-periferia109. Dalle aule universita­ rie, la protesta dilagò dapprima nei licei e negli istituti superiori, poi nei quartieri popolari e operai (San Lorenzo, Bagnoli, Merca­ to, Poggioreale, ecc.), e, seguendo le rotte degli studenti fuorisede, si diffuse nei paesi del circondario e nelle altre città campane110. Il nuovo rione San Giuseppe Carità e le aree collinari di Drizzagno, Vomero-Arenella, Capodimonte e Posillipo, divennero il simbolo del degrado urbano. Il crollo di alcuni edifici del centro storico, nel­ l’autunno del 1969, rese urgente la questione abitativa, innescan­ do agitazioni e lotte sociali che contribuirono in misura non se­ condaria alla nascita del movimento dei Disoccupati organizzati, protagonista della conflittualità sociale cittadina nella seconda metà 108 Secondo la testimonianza di Erri De Luca, responsabile del servizio d’ordine di Lot­ ta Continua a Roma, in c a z z u l l o , I ragazzi che volevano fare la rivoluzione cit., p. 190. 109 Per una storia del movimento studentesco napoletano cfr. F. b a r b a g a l l o , Il Sessan­ totto a Napoli. Lotte universitarie e potere accademico, in «Italia contemporanea», X LI (1989), n. 175, pp. 83-96. 110 c . p e l l e g r i n o , ’68 napoletano. Lotte studentesche e conflitti sociali tra conservatori­ smo e utopie, Angelica editore, Tissi (ss) 2008.

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degli anni Settanta111. Il problema della speculazione edilizia fu cen­ trale anche nel mobilitarsi della classe operaia napoletana, una realtà composita ed eterogenea, ma socialmente e politicamente rilevan­ te, per la presenza delle acciaierie dell’iLVA e dell’Italsider, e di nu­ merose fabbriche dislocate in Campania, come lo stabilimento Alfasud a Pomigliano d’Arco112. L ’incontro fra operai e studenti fu fecondo, almeno quanto lo era stato a Torino. La democrazia as­ sembleare, il miglioramento delle condizioni di lavoro, la battaglia contro le gabbie salariali, il problema dello sviluppo del Mezzogior­ no, divennero i temi attorno ai quali montò la mobilitazione ope­ raia e studentesca del 1968-69113. La crisi del movimento studen­ tesco napoletano favori la diffusione dei movimenti marxisti-leninisti114. Napoli divenne un vero e proprio laboratorio per la sinistra extraparlamentare, avendo alle spalle una lunga tradizione di grup­ pi “ eretici” , il più importante dei quali era stato quello che faceva capo ad Amadeo Bordiga, ancora attivo alla fine degli anni Sessan­ ta nella denuncia delle speculazioni edilizie e degli scempi urba­ nistici115. La sinistra radicale, inoltre, si caratterizzò a Napoli per il suo acceso antimperialismo, vista la presenza di numerose basi n a t o e della flotta da guerra americana, ormeggiata nei porti della città116. Nel novembre del 19 7 1, infine, Adriano Sofri e una parte della dirigenza di Lotta Continua si trasferirono in città per ri­ lanciare le lotte rivoluzionarie nel Meridione, dando vita al foglio «Mò che il tempo s’avvicina». L ’attivismo della sinistra extraparlamentare, le lotte della clas­ se operaia napoletana, la presenza in massa del p c i e del p s iu p - che in città aveva una delle sue più importanti federazioni - spinsero l’estrema destra a una massiccia e violenta contromobilitazione. A 111 p. b a s s o , Disoccupati e Stato. Il movimento dei disoccupati organizzati di Napoli (1975198 1), Franco Angeli, Milano 19 81. 112 Sulla composizione della classe operaia napoletana cfr. G. c h i a n e s e , Crisi sociale e cultura operaia nel Mezzogiorno. Dall’autunno caldo agli anni settanta, in «Italia contempo­ ranea», X LV (2003), n. 232. 115 i d ., Per una storia sociale del '68 a Napoli, in g . d e m a r t in o (a cura di), Il 1968. Un’i­ dea nuova di libertà, in «Nord e Sud», X LV (1998), nn. 6-7, pp. 138-50. 114 Verbale della riunione sui gruppi cosiddetti di sinistra e su quelli reazionari, 10 apri­ le 1969, Ape, Partiti e movimenti, mf. 0307, p. 2931. 115 L. g e r o s a , L ’ingegnere “fuori uso”. Vent’anni di battaglie urbanistiche di Amadeo Bor­ diga. Napoli 1946-1966, Fondazione Amadeo Bordiga Edizioni, Napoli 2006. 116 Le proteste non di rado degenerarono in scontri violenti con le forze dell’ordine, 0 in piccoli attentati dimostrativi contro le autovetture dei militari statunitensi. Cfr. a c s , m i, g a b , 1967-70, b. 52, fase. 11020/81/50.

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cavallo tra il 1968 e il 1969, furono le università Federico II e Orientale, i bersagli principali degli attacchi dei neofascisti. Il 29 gennaio 1969 alcuni gruppi di destra, dopo aver provocato gravi in­ cidenti all’università, tentarono di occupare i locali della federazio­ ne comunista napoletana, in un revival dell’assalto monarchico del 1 0 giugno 1946, quando erano rimasti sul terreno, tra assedianti e assediati, sette morti"7. Particolarmente cruenta fu la reazione del Movimento sociale, al diffondersi della protesta studentesca nelle scuole. I licei e gli istituti superiori protagonisti del movimento de­ gli studenti - l’Umberto I, il VI liceo scientifico, il Vico, l’istituto tecnico Leonardo da Vinci e molti altri - furono oggetto di conti­ nui attacchi da parte dei militanti del Movimento sociale. Nel 1969 Giulio Caradonna, uno degli esponenti più oltranzisti del partito, e leader dello squadrismo romano, si trasferì a Napoli, per dirige­ re la lotta contro gli studenti. L ’ i 1 novembre 1969, una bomba car­ ta fu lanciata nel mezzo di un corteo di studenti delle scuole medie superiori, provocando numerosi feriti118. Nei primi anni Settanta, l’azione dell’estrema destra si concentrò nel contrastare l’attivismo operaio nelle fabbriche, spesso sotto forma di aggressioni e aggua­ ti mirati contro i dirigenti sindacali protagonisti delle lotte119. Na­ poli conobbe, inoltre, se pure in misura ridotta rispetto ad altre città, la paura causata dagli attentati neofascisti. Si sfiorò la strage quando, il 12 dicembre 1972, durante un comizio antifascista in­ detto dai partiti di sinistra nel rione di Fuorigrotta per commemo­ rare le vittime della strage di piazza Fontana, esplose una bomba, che causò diversi feriti120. L ’oltranzismo dell’estrema destra napoletana è in parte spiega­ bile in virtù della proliferazione di gruppi - come il Movimento tra­ dizionale romano o il Movimento reazionario nazionale - , fuoriu­ sciti, tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta dal m s i. La crisi che attanagliava la federazione napoletana del partito

117 Devastata a Napoli l ’ Università da squadracce di teppisti fascisti, in « l’Unità », 25 gen­ naio 1969. 118 Bombe a mano contro il corteo degli studenti, in «l’Avanti! », 12 novembre 1969. L ’8 s e tte m b re d e l 1970, a d e se m p io , fu p u g n a la to il d e le g a to sin d a c a le d e lla f io m della fabbrica Ignis. Cfr. Aggressione fascista alla Ignis, in «l’Unità», 9 settembre 1970; e Napoli: due ore di sciopero per l'aggressione al sindacalista, in «Corriere della Sera», 9 set­ tembre 1970. 120 Manifestazioni unitarie antifasciste. Criminale attentato a un corteo popolare in un qua tiere di Napoli, in «l’Unità», 13 dicembre 1972.

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affondava le sue radici nei tempi della giunta Lauro, quando erano nati, in seno alla maggioranza, insanabili contrasti in merito alla po­ litica urbanistica. Nel tentativo di recuperare il credito perduto pres­ so la cittadinanza, questi movimenti si distinsero per l’accentuata critica al sistema dei partiti e all’economia capitalista, e per la pro­ posta di riforme sociali di stampo corporativistico, ispirate ai diciotto punti della Carta di Verona del 14 novembre 1943. «Urge la costituzione di uno Stato etico del lavoro», scrisse, ad esempio, nel suo manifesto programmatico, il Movimento tradizionale roma­ no121. Il Movimento reazionario nazionale si proponeva, invece, di [ ...] chiedere l ’ abolizione della Cam orra dei m ercati e im posizione del cal­ miere sui generi di prim a necessità per favorire e alleggerire il bilancio fam i­ liare che non riesce mai a quadrare della terza classe dei cittadini vale a dire dei meno abbienti e del sottoproletariato122.

L ’esigenza di contrastare la sinistra - a Napoli e nel resto della Campania - spinse i gruppi della destra extraparlamentare a strin­ gersi nuovamente attorno al m s i. La ritrovata unità premiò il par­ tito di Almirante, che a Napoli conobbe la più vistosa rimonta elet­ torale, con il 2 6 ,3 % dei voti ottenuti nelle politiche del 19 7 2 , più che raddoppiati rispetto alle consultazioni del 1968, quando il MSI aveva conquistato il 1 0 ,2 % dei consensi. Il bilancio delle ripetute violenze con l’estrema sinistra fu, tuttavia, molto grave. L ’intrec­ ciarsi delle sedi dei gruppi e dei partiti delle due ali estreme generò una diffusa conflittualità, specialmente nei quartieri popolari, ali­ mentata anche dalla topografia aggrovigliata di vicoli, strade e piaz­ ze. Sia i neofascisti che la sinistra extraparlamentare, inoltre, cer­ carono d’intercettare gli strati più marginali della popolazione. Sic­ ché, la violenza politica si mescolò con forme di conflittualità urbana d’altra natura, dov’era meno marcato il confine tra fenomeni contestativi di tipo sociale e altri di tipo criminale. E il milieu nel qua­ le maturò la morte di Vincenzo De Waure, militante del Movimen­ to studentesco, ferito a colpi di coltello, nel quartiere di Fuorigrotta, nella notte del 20 gennaio 19 7 2 , e poi dato alle fiamme da elementi malavitosi vicini all’estrema destra123. \

121 8 settembre, Movimento tradizionale romano, 20 ottobre 1968, in a f u s , f. Cassiano, b . 16. Per la ricostruzione della nascita di questo movimento cfr. a c s , PS, G, 1944-86, b . 343, fase. G5/42/47. 122 Manifesto del mrn - Doveri - Diritti - Ordine, 19 7 1, riprodotto in Rapporto sul­ la violenza fascista cit., p. 14 1. 121 Vincenzo De Waure è stato assassinato, in «Lotta continua», 1 1 febbraio 1972.

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La difficoltà di ottenere il consenso della classe operaia spinse la sinistra estrema, e in particolare Lotta Continua, a cercare un contatto con i soggetti sociali più emarginati della città, tra cui i carcerati e il sottoproletariato urbano. Dall’incontro nacque il rag­ gruppamento che, di li a poco, avrebbe dato vita ai Nuclei armati proletari, una delle principali formazioni terroristiche di sinistra dopo le Brigate Rosse. L ’esperienza di scontro con l’estrema destra giocò, anche in questo caso, un ruolo importante, nell’introdurre spunti di militarizzazione nel conflitto sociale, poi ripresi e fatti propri dai n a p che, tra il 1974 e il 1975, esordirono con attentati contro le carceri e contro sedi ed esponenti dei movimenti neofa­ scisti124. Se a Napoli lo scontro fra neofascisti e sinistra extraparlamen­ tare, con il loro coinvolgere gli strati marginali della popolazione, rappresentò, come abbiamo appena visto, una delle condizioni per la nascita dei Nuclei armati proletari, a Palermo la violenza tra i gruppi di estrema destra e i movimenti studenteschi formò la leva di giovani neofascisti che avrebbero militato nelle organizzazioni protagoniste della successiva fase del terrorismo nero. Come a Napoli, a Palermo il 1968 scoppiò in una città attraver­ sata da forti tensioni politiche e sociali125. Sede del Parlamento re­ gionale e dei principali organismi istituzionali della Sicilia, regione a statuto speciale, Palermo conobbe, negli anni Sessanta e Settan­ ta, un forte sviluppo del settore terziario. Per via dell’infiltrazione mafiosa (il «sacco di Palermo», come venne chiamata la speculazio­ ne dalla stampa di allora) l’edilizia, motore trainante dell’economia palermitana, si era rivelata meno controllabile, e maggiore fonte di degrado ambientale, che in altre città italiane. Il movimento studen­ tesco palermitano si caratterizzò, dunque, come promotore di de­ mocrazia e modernizzazione, colmando un vuoto d’iniziativa dei sindacati e dei partiti, grazie anche all’influenza del pensiero e del­ l’attività politica di Danilo Dolci126. Nei primi anni Settanta, parte 124 R. f e r r ig n o , Nuclei Armati Proletari. Protesta, carcere, lotta armata, La città del So­ le, Reggio Calabria 2008. 125 Sulla nascita del movimento studentesco a Palermo cfr. F. r ic c io e s. v a c c a r o , L ’in­ granaggio inceppato •il Sessantotto della Periferia, ILA palma, Palermo 1992. Per un confronto con il caso di Catania cfr. L. s e v e r in o e G. l ic c ia r d i , Il Sessantotto in periferia. Catania tra il movimento studentesco e la svolta a destra negli anni Settanta, Bonanno editore, Catania 2009. 126 II testo di Danilo Dolci che maggiormente influenzò il movimento studentesco pa­ lermitano fu Inchiesta a Palermo, Einaudi, Torino 1957.

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del movimento studentesco si avvicinò al «manifesto», impe­ gnandosi nella lotta contro la mafia127. Si sarebbe indotti a ritenere che a Palermo non esistessero par­ ticolari motivi d’attrito con l’estrema destra, data l’assenza del con­ flitto di memorie che aveva accompagnato la violenza tra giovani di destra e di sinistra nelle altre città italiane. Palermo, infatti, non aveva conosciuto le lacerazioni della guerra civile. In realtà, i mo­ tivi di contrasto non mancavano: il neofascismo siciliano aveva una lunga storia alle spalle. In Sicilia, si erano registrati diffusi tentati­ vi, da parte dei fascisti, di opporsi clandestinamente all’invasione anglo-americana128. Vi era stata, poi, la pagina nera del sostegno of­ ferto dalla X m a s e da altri ambienti neofascisti alla repressione an­ ticomunista, culminata nella strage di Portella della Ginestra del 1 maggio 19471” . Negli anni Cinquanta e Sessanta, il Movimento so­ ciale riuscì a ritagliarsi uno spazio di manovra politica, grazie an­ che alla specificità del caso siciliano. Nel 1958 comunisti, missini e una parte di democristiani conquistarono assieme la maggioranza nell’Assemblea regionale, con la formazione della giunta Milazzo. Furono, principalmente, due le città dove i neofascisti godevano di un certo consenso: Catania, come luogo di elaborazione culturale e ideologica, e Palermo, come centro di attività e mobilitazione po­ litica130. Le organizzazioni giovanili del m s i (la Giovane Italia nelle scuole e il f u a n nelle università), intercettarono, inoltre, il favore di molti studenti siciliani, grazie anche alla mobilitazione naziona­ lista per Trieste italiana131. Il favore degli studenti cominciò a incrinarsi nelle giornate d luglio i960, quando a Palermo e a Catania si registrarono tre vit­ time nel corso delle manifestazioni antifasciste. Fu con la morte di Paolo Rossi, che un nuovo sentimento antifascista cominciò a delinearsi tra le nuove generazioni, specialmente nei licei e negli istituti superiori palermitani. Allo scoppio della contestazione del 1968, l’estrema destra temette di perdere il consenso studentesco, 127 u. s a n t in o , Storia elei movimento antimafia, Editori Riuniti, Roma 2000, pp. 233-36. 128 p a r l a t o , Fascisti senza Mussolini cit., pp. 43-50; e il romanzo di p. b u t t a f u o c o , Le uova del drago, Mondadori, Milano 2005. 129 t r a n fa g l ia (a cura di), Come nasce la Repubblica cit.; e G. c a s a r r u b e a , Storia se­ greta della Sicilia. Dallo sbarco alleato a Portella della Ginestra, Bompiani, Milano 2005. IMNei primi anni Settanta, il rapporto s’invertì. Nel 1972, infatti, il m s i espugnò Ca­ tania, raccogliendo il 30,6% dei voti. 1,1 m si, Con il f u a n negli atenei per la riscossa meridionale, Cassino, s.d.

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già eroso negli anni precedenti, e a Palermo si ripetè il copione v i­ sto nelle altre città italiane. A cavallo tra il 1968 e il 1969, il M o­ vimento sociale promosse una vera e propria offensiva, volta a “ li­ berare” le facoltà e le scuole occupate - i licei Cannizzaro e Meli, l’istituto tecnico industriale - , mentre i gruppi più radicali colpi­ rono con attentati le sezioni dei partiti di sinistra, dei sindacati e la sede del quotidiano « L ’Ora»1” . Palermo conobbe, persino, uno strascico di attentati collegabili alla strategia della tensione, con la bomba fatta scoppiare, il 28 aprile del 1969, sulla tratta ferrovia­ ria Palermo-Trapani1” . I progetti di golpe orditi dai neofascisti pas­ sarono per la Sicilia. Un’indagine della polizia, ad esempio, portò alla luce, nell’ottobre del 1969, i poligoni di tiro utilizzati dai mi­ litanti del Movimento sociale per esercitarsi all’impiego di armi da guerra1” . Fra gli arrestati nella seconda metà degli anni Settanta, vi fu Pierluigi Concutelli, leader militare del Movimento politico Ordine Nuovo1” . Il traffico d’armi e i legami con la malavita or­ ganizzata coinvolsero settori non trascurabili del neofascismo si­ ciliano, e più specificamente palermitano, protagonisti dei piani eversivi volti a rovesciare le istituzioni repubblicane. Le indagini sui legami tra mafia e neofascismo costarono la vita a due giorna­ listi: Mauro De Mauro, cronista dell’«Ora», scomparso nel set­ tembre del 1970, e Giovanni Spampinato, ucciso il 27 ottobre

i9 7 2 1,‘-

Le continue violenze contro il movimento studentesco innesca­ rono spinte degenerative, all’interno del Movimento sociale e delle sue organizzazioni giovanili. Il clima s’inasprì nel 1972, a causa del­ la campagna antifascista lanciata dal Partito comunista al Sud per contrastare l’attivismo dell’estrema destra, galvanizzata dopo il suc­ cesso registrato nel corso della rivolta di Reggio Calabria1” . A Pa-

1,1 Per il caso di Catania cfr. l’inchiesta di G. m u g h in i , Catania : i quattro volti del nu vo fascismo, in «l’Astrolabio», V ili (7 giugno 1970), n. 23. Si veda ad esempio la bomba fatta esplodere il 25 aprile 1970, contro l’edificio che ospitava gli uffici dell’«Ora». Cfr. Grave attentato a l ’Ora, in «l’Unità», 25 aprile 1970. m Straccio con benzina contro sezione del P CI a Brescia, ivi, 28 aprile 1969. Nell’artico­ lo sono riportati i diversi episodi di violenza politica che si erano registrati in quei giorni. 1,41 missini si allenavano al poligono militare!, in «l’Unità», 28 ottobre 1969. 1.5 c . a r c u r i , Colpo di Stato, Rizzoli, Milano 2004, pp. 46-71 ; e M. g e n c o , C ’è una tra­ ma nera dietro ildelittò di Ragusa, in « L ’Ora», 3 novembre 1972. 1.6 d e s im o n e , Chi manovra le provocazioni squadriste? cit. 1.7 Ape, Sezioni di lavoro, 1972, mf. 052, p. 997.

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lermo, il coordinamento del Fronte della Gioventù passò nelle ma­ ni di Concutelli e Francesco Mangiameli, quest’ultimo legato al Fron­ te nazionale di Junio Valerio Borghese, e successivamente ai vertici dell’organizzazione oltranzista Terza posizione. Nel Movimento so­ ciale siciliano prese forma un “partito nel partito” , vicino all’oltran­ zismo dei gruppi della destra extraparlamentare. La Sicilia e Paler­ mo sarebbero diventati, infatti, un retroterra strategico, per il ter­ rorismo neofascista della seconda metà degli anni Settanta.

5. Lo scontro nelle province. Lo scontro fra neofascismo e sinistra extraparlamentare non si registrò solamente nelle grandi città, ma fu una forma di violenza che attraversò, in forma carsica, tutta l’Italia. Benché non siano di­ sponibili dati statistici che ci possano restituire un quadro d ’insie­ me, tuttavia è possibile, pur sommariamente, fare accenno alle cit­ tà, medie e piccole, e ai paesi dove emerse questa particolare dina­ mica di violenza politica. In città come Trieste, ad esempio, la conflittualità tra gruppi giovanili di destra e di sinistra estrema, nata in seguito alla contestazione del 1968, si uni alle tensioni di lunga durata presenti nel­ l’area urbana e in tutto il territorio friulano, risalenti al secondo dopoguerra e alla guerra fredda1’8. Li le cellule terroristiche neofa­ sciste, coinvolte nella strategia della tensione, ebbero modo di spe­ rimentare la tecnica degli assalti organizzati, e degli attentati con­ tro le sedi del partito comunista, gli edifici e i monumenti della minoranza slava. Padova fu un vero e proprio laboratorio dell’e­ stremismo politico, sia nero sia rosso. In città operarono gli intel­ lettuali che maggiormente influenzarono l’area extraparlamentare di entrambi gli schieramenti, come Franco Freda e Toni Negri139. Come a Trieste, le specificità delle culture estremiste nate nei rivolgimenti politici e sociali degli anni Sessanta s’intrecciarono con gli elementi di forte contrapposizione ideologica che caratterizza-

1,8 Sul clima creato dalla guerra fredda nella città di Trieste è utile la lettura del sag gio di s . m a r a n z a n a , Le armi per Trieste italiana, Edizioni Italo Svevo, Trieste 2003. 159 Cfr. l’inchiesta giornalistica di G. f a s a n e l l a e M . z o r n e t t a , Terrore a nordest, Riz­ zoli, Milano 2008. Un affresco della Padova “ nera” è contenuto nel romanzo di F. c a m o n , Occidente, Garzanti, Milano 19 7 3 .

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vano, dal secondo dopoguerra, il Nordest, terra di frontiera con il comuniSmo140. Persino nelP“ Emilia Rossa” , l ’antagonismo tra neofascisti e gruppi dell’estrema sinistra connotò il conflitto politico e sociale degli anni Sessanta e Settanta. Basti pensare alla mobilitazione an­ tifascista della città di Parma, ogni qualvolta era in programma un comizio del Movimento sociale141. Il sentimento antifascista, diffu­ so e condiviso ben oltre la cerchia dei movimenti extraparlamenta­ ri, fu profondamente intriso del mito di Guido Pacelli, e della re­ sistenza dei parmensi alle squadre d ’azione di Italo Balbo, la cui epopea fu raccontata dal poeta Nanni Balestrini, in un celebre ra­ diodramma trasmesso nel 19 7 3 142. In Emilia Romagna si registra­ rono, poi, le morti di Mariano Lupo, cui abbiamo fatto più vol­ te riferimento, e di Adriano Salvini, bracciante agricolo ucciso da un neofascista a Faenza, il 18 luglio 1973. Forlì, la cui piazza prin­ cipale è tuttora dedicata alla memoria dei fratelli Spazzoli, martiri antifascisti, fu, infine, teatro di continui scontri durante le com­ memorazioni della morte di Benito Mussolini, che vedevano afflui­ re centinaia di neofascisti al cimitero di Predappio, nel cui comu­ ne, a Dovia, era nato il Duce. Negli stessi anni, le Marche erano teatro di aspre tensioni. Secondo le informazioni in possesso dei servizi di vigilanza del p c i , i neofascisti si esercitavano sui monti Sibillini all’uso delle armi e allo scontro corpo a corpo143. A Mace­ rata e nei paesi del circondario - Treia, Cingoli, San Severino, San Ginesio, Sarnano - si costituirono gruppi che tentarono di procac­ ciarsi armi per fronteggiare i comunisti, se la crisi nazionale fosse degenerata in conflitto aperto144. A Camerino, nell’ottobre del 1972, fu imbastito uno dei più gravi tentativi di provocazione or­ ganizzati da frange dei servizi segreti ai danni di Lotta Continua, quando un deposito di armi, fatto ritrovare in un casolare nei pres­

140 Per gli elementi di lunga durata cfr. s. MORGAN, Rappresaglie dopo la Resistenza. L 'ec­ cidio di Schio tra guerra civile e guerra fredda, Bruno Mondadori, Milano 2 0 0 4 . 141 w . g a m b e t t a , “Almìrante non parlerà! Radici e caratteri dell’antifascismo militan­ te parmense, in Parma dentro la rivolta. Tradizione e radicalità nelle lotte sociali e politiche di una città dell’Emilia Rossa, 1968/1969, Punto Rosso, Milano 2 0 0 0 , pp. 2 7 7 - 3 3 0 . 142 N. b a l e s t r i n i , Parma 1922. Una resistenza antifascista, Deriveapprodi, Roma 2 0 0 2 . Vedi anche il romanzo di P. c a c u c c i , Oltretorrente, Feltrinelli, Milano 2 0 0 3 .

145 Nota all’u fficio di segreteria, Direzione p c i, Roma, 6 agosto 1 9 7 0 , in a p c , Par politici, Provocazioni, mf. 0 7 0 , p. 8 8 6 . 144 Nota sulla situazione di Macerata, aprile 1 9 7 1 , ivi, mf. 0 1 6 1 , p. 1 5 2 4 .

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si della città, fu fatto attribuire, in un primo momento, al gruppo145. Nelle Marche, infine, fu pubblicata da «Lotta continua» una del­ le più grandi inchieste sul neofascismo, all’interno della quale com­ parivano i nomi e i cognomi, gli indirizzi delle abitazioni, i nume­ ri telefonici, la descrizione dei tratti somatici, i luoghi di ritrovo di centinaia di militanti neofascisti, suddivisi città per città146. Lo scontro fra neofascismo e sinistra extraparlamentare si con­ fermò, in sintesi, come una delle forme di conflittualità politica più diffuse nel Paese. Il suo radicalizzarsi - e scivolare verso spirali di violenza arma­ ta - costituì, dunque, agli inizi del 1973, uno dei principali fattori genetici del terrorismo in Italia.

141 Per questo episodio cfr. g i a n n u u , Bombe a inchiostro cit., p p . 2 2 3 - 3 2 . 146 Lotta Continua (a cura di), Inchiesta sul neofascismo nelle Marche, suppl. al n. 88 de quotidiano «Lotta continua», Jesi 19 7 3 .

Capitolo ottavo Prim avere di sangue

i . L ’antifascismo militante come componente della nascita della

lotta armata. «La contraddizione principale che caratterizza la nostra epoca è [...] quella che oppone frontalmente la destra imperialistica e il proletariato rivoluzionario», affermava il primo numero di «Sini­ stra proletaria», rivista pubblicata nell’ottobre del 1970 dal grup­ po di militanti di estrema sinistra passati attraverso l’esperienza del Collettivo politico metropolitano e, adesso, fondatori delle Briga­ te Rosse1. Il testo proseguiva: [...] il capitale imperialistico sta progressivamente assumendosi direttamen­ te la gestione dei centri di potere in Italia [...] E all’interno di questa scelta che riacquistano spazio i gruppetti fascisti, il m s i , la c i s n a l , impegnati sia nella provocazione antioperaia sia nell’attacco «armato» alle avanguardie po­ litiche e di lotta espresse dal movimento in questi ultimi anni. I fascisti non sono più o non sono soltanto quindi, come pensano i gruppi di Lotta Conti­ nua, un tentativo di diversione della classe operaia dal suo compito principa­ le di attacco alla produzione, ma sono la pattuglia avanzata di ben altro eser­ cito: quello che sta formando la destra imperialista e che comprende magi­ stratura, polizia, partiti, organi supremi dello stato e forze repressive dirette nazionali e internazionali. Un esercito che oggi ha un compito ben preciso: dare un assetto strutturale e politico all’Italia che sia funzionale alla controrivoluzione armata sul piano mondiale.

Fin dalla loro nascita, le Brigate Rosse indicarono nel neofasci­ smo una componente fondamentale della «guerra di classe» scate­ nata dalla borghesia contro il proletariato2. Un documento del 19 7 1, significativamente rilasciato dall’organizzazione terroristica il 25 1 Destra imperialista e sinistra proletaria, in «Sinistra proletaria», I (settembre-ottobre 1970), nn. 1-2. 1 Sulla nascita delle Brigate Rosse lo studio p i ù aggiornato è quello di M . c l e m e n t Storia delle Brigate Rosse, Odradek, Roma 2007.

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Capitolo ottavo

aprile, a differenza degli altri prodotti in passato, incentrati sulla conflittualità all’interno delle fabbriche, era interamente dedicato al ruolo dei neofascisti. Era scritto nel comunicato brigatista: [...] attentati, bombe, azioni squadristiche, sparatorie contro i compagni. L ’aggressione fascista sta diventando guerra civile [...] sono i padroni che l ’hanno promossa, sono gli imperialisti che l’hanno voluta, è lo stato con la sua polizia e con la sua magistratura a sostenerla3.

A differenza della sinistra extraparlamentare, che nel medesi­ mo periodo accordava scarso peso alla minaccia costituita dall’e­ strema destra, le Brigate Rosse imputarono al neofascismo di esse­ re il braccio armato della guerra scatenata dai «capitalisti» e «da­ gli imperialisti», cui bisognava rispondere colpo su colpo. Per questo motivo, le Brigate Rosse organizzarono inchieste sull’estrema de­ stra diffondendo, poi, i risultati attraverso documenti e volantini, all’interno dei quali, analogamente a quanto avvenuto con le pra­ tiche della sinistra extraparlamentare, comparivano i nomi, gli in­ dirizzi, i numeri telefonici, le abitudini personali, il numero di tar­ ga delle autovetture private e altri “ dati sensibili” dei militanti neo­ fascisti. «Le carogne fasciste durante la notte seminano le loro bombe per Milano. Poche ore dopo inizia la nostra risposta», con­ cludeva il comunicato delle b r 4: Franco M [...] “ ducetto” del Gruppo Alfa. Abita in via Giovannino de G [•..] La cinquecento blu, con la quale era appena tornato a casa viene com­ pletamente distrutta da un incendio! In verità questo fascistello possiede una Porsche targata M I L 55 [...] color verde scuro, che in questi giorni tiene ge­ losamente custodita. E siccome i reati contro 0 popolo di cui questo squalli­ do individuo si è reso colpevole sono molti e gravi [...] con pazienza noi aspet­ tiamo che la tiri fuori! [...] Siamo solo ai primi passi del “ Processo popolare contro tutti i fascisti” e però intendiamo dare subito un avviso: per ora col­ piamo e continueremo a colpire “ cose” , ma quando passeremo alle loro di­ sgustose persone non sarà certo per “ massaggiargli i muscoli e le ossa” ! [...] Intorno a loro il cerchio si stringe e le Brigate Rosse oggi dicono: niente de­ ve restare impunito. Niente resterà impunito!

Non era la prima volta che le b r colpivano i neofascisti. Dopo alcune azioni intimidatorie, condotte a Milano, tra l’agosto del 1970 e il gennaio del 19 7 1, a danno di capireparto e dirigenti della srr-

cm ,

’ Brigate Rosse, Comunicato ». 2. Processo popolare a tutti i fascisti, 25 aprile 19 71, in vili legislatura, doc. xxm, n . 5, voi. CXXIV, Roma 1996, p. 496. 4 Ivi.

Primavere di sangue

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Siemens e della Pirelli, le Brigate Rosse presero di mira le sedi e le proprietà private di esponenti neofascisti. Il 13 dicembre 1970 fu compiuto un attentato incendiario, a Roma, contro l’abitazione di Junio Valerio Borghese5. L ’attentato fu il primo di una serie di at­ tacchi condotti, nei primi mesi del 19 7 1, da nuclei di militanti di estrema sinistra operanti nella capitale, siglati «Brigate Rosse» e ri­ conosciuti dal gruppo originario di Milano. Si registrarono diverse azioni, tra cui l’incendio della sezione Prenestino-Labicano del Mo­ vimento sociale, il 30 aprile del 19 7 1, rivendicato attraverso un ci­ clostilato6. In esso, si ribadiva il valore strategico della contrappo­ sizione all’estrema destra:

I fascisti, tutti i fascisti, esprimono a un qualche livello il potere armat dei padroni. La lotta contro tutti i fascisti è dunque una tappa necessaria del nostro cammino verso la liberazione di ogni forma di oppressione e di sfrut­ tamento [...] E questo esercito di soldati neri che scatenando terrorismo, squadrismo e violenza costituisce un ostacolo da abbattere se vogliamo pro­ seguire il nostro cammino verso il potere7.

L ’insistenza con la quale le Brigate Rosse sottolineavano, in que­ sta fase, l’importanza dello scontro con l’estrema destra sembra re­ legare in secondo piano il ruolo della fabbrica e della conflittualità sociale. Tale impressione è avvalorata dalla prima documentazione teorica brigatista e dal ritmo di operazioni condotte contro i neo­ fascisti. Il 1 aprile 19 7 1 era stato pubblicato il periodico «Nuova Resistenza» (il cui successivo e ultimo numero sarebbe uscito in maggio). La dizione “ Nuova Resistenza” era stata mutuata, tra il 1968 e il 1969, dall’uso che ne aveva fatto, in ambito extraparla­ mentare, la rivista francese d’ispirazione maoista «Cause du Peuple»8. L ’espressione fu poi ripresa, nel 1970, dalla Gauche Proletarienne, un altro movimento francese filo-maoista, per indicare l’imminente e definitivo scontro armato tra l’imperialismo e le for’ Ivi, voi. X II, allegato alla relazione, documenti, Mappa per regioni del fenomeno ter­

roristico : Lazio, p. 10 7 . 6 Nel febbraio del 1 9 7 1 , fu attaccata la sezione Quadraro-Cinecittà del Movimento sociale. A marzo fu incendiata una sede di Avanguardia nazionale, venne danneggiato un esercizio commerciale di un militante deU’organizzazione e fu distrutta l’autovettura di un sindacalista della c i s n a l . 7 «Brigate Rosse», n. 2, cicl., maggio 1 9 7 1 cit., in Soccorso Rosso, Brigate Rosse cit., p. 88. 8 Padroni è la guerra! Antologia della «Cause du Peuple» con gli interventi di Sartre e di Glucksmann, Feltrinelli, Milano 1 9 7 1 , pp. 123-64. Niente a che vedere, quindi, con il pe­ riodico «N uova Resistenza» dei giovani comunisti, pubblicato nei primi anni Sessanta.

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Capitolo ottavo

ze rivoluzionarie in tutto il mondo. La medesima - apocalittica visione caratterizzò la linea teorica di «Nuova Resistenza». Ne de­ rivarono, nei quartieri popolari di Roma e, soprattutto, in quelli operai di Milano, una serie di attacchi contro le sedi del m s i , e di­ versi incendi di automezzi privati dei militanti neofascisti, durati fino al luglio del 19 7 1. Il concentrarsi dell’attività brigatista nella periferia milanese, contigua all’hinterland delle piccole città ope­ raie, rifletteva la strategia di lotta che il gruppo stava sperimentan­ do. Tale strategia prevedeva l’insediamento nelle aree urbane in­ dustriali, spesso collocate all’estrema periferia delle città e per que­ sto vicine alle campagne, in quanto zone che costituivano, nell’im­ maginario brigatista, il terreno ideale per l’inizio della guerriglia. La presenza delle sedi dei partiti e dei movimenti di estrema destra nei comuni della Bassa padana e del Varesotto fu denunciata, quin­ di, come il tentativo da parte della «destra» di dar vita a un «vero e proprio accerchiamento della metropoli»’ . La metafora guerresca rifletteva l’analisi compiuta dalle Briga­ te Rosse sugli equilibri politici del Paese. Al centro della visione brigatista, non vi era più il centro-sinistra e il riformismo, ritenu­ ti entrambi superati, ma il neofascismo. Nella prima “ autointervi­ sta” del settembre del 19 7 1, modalità comunicativa mutuata dai guerriglieri Tupamaros per divulgare al popolo la linea rivoluzio­ naria, le b r scrissero della presenza di un [...] blocco d’ordine reazionario quale alternativa al centro-sinistra. Esso pro­ spera sotto le bandiere della destra nazionale e tende a riassicurarsi il con­ trollo della situazione economica e sociale e cioè la repressione di ogni for­ ma di lotta rivoluzionaria e anticapitalista10.

Alla vigilia delle consultazioni per l’elezione della presidenza della Repubblica, nel novembre del 19 7 1, le Brigate Rosse nuova­ mente tornarono a parlare di «neofascismo», definito «figlio e bec­ chino del centrismo e del centro-sinistra», concretizzatosi nell’«uso anti-operaio della crisi», nella «normalizzazione della cassa integra­ zione per migliaia di lavoratori» e nel «licenziamento di massa a scopo intimidatorio nei confronti dell’intera classe operaia»11. ’ Brigate Rosse, La situazione in provincia, 1 9 7 1 , in c m , vin legislatura, doc. x x m , n. 5, voi. CXXIV, Roma 1996, p. 505. 10 i d . , Autointervista, Milano, settembre 1 9 7 1 , opuscolo stampato, riprodotto in Le pa­ role scritte, Sensibili alle Foglie, Roma 1996, p. 36. 11 i d . , Un destino perfido, novembre 1 9 7 1 , riprodotto in v. t e s s a n d o r i , b r . Imputazio­ ne: banda armata, Baldini & Castoldi, Milano 19 7 7 , p. 382.

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Nei primi mesi del 1972, in coerenza con quanto scritto nei lo­ ro documenti, le Brigate Rosse attaccarono, a Milano, le sedi del Movimento sociale e le proprietà private degli iscritti al m s i e alla c i s n a l 12. Molti neofascisti colpiti furono accusati dalle b r di esse­ re militanti “ coperti” delle Squadre d ’azione Mussolini, responsa­ bili di ferimenti e attentati ai danni dei militanti di sinistra13. Il sal­ to verso la violenza contro le persone fu compiuto il 27 febbraio 1972. Quel giorno, le Brigate Rosse irruppero nell’abitazione di A l­ do Maina, vicesegretario provinciale del Movimento sociale in Pie­ monte e consigliere comunale di Torino, cui furono bruciati i mo­ bili con la benzina. L ’azione fu poi rivendicata con il comunicato Contro i fascisti guerra di classe1*. L ’incursione precedette di soli cin­ que giorni il sequestro del dirigente della siT-Siemens Idalgo Mac­ chiarmi, aggredito, il 3 marzo 1972 a Milano, da un commando bri­ gatista, trascinato in un furgone, e fotografato con una pistola alla tempia e un cartello al collo, con su scritto «Brigate Rosse. Mordi e fuggi. Niente resterà impunito. Colpirne uno per educarne cen­ to». Il gesto ricordava la “ gogna proletaria” di Trento del 30 luglio 1970, e la sua riproposizione, a opera della sinistra extraparlamen­ tare, negli anni successivi. Macchiarmi fu definito un « tipico neo­ fascista: un neofascista in camicia bianca, e cioè una camicia nera dei nostri giorni». L ’azione doveva servire come monito per «tut­ ti gli altri»: «Alla guerra rispondiamo con la guerra. Alla guerra su tutti i fronti con la guerra su tutti i fronti. Alla repressione armata con la guerriglia»15. Dieci giorni dopo, il 13 marzo, un commando delle Brigate Rosse fece irruzione nella sede del Movimento socia­ le di Cesano Boscone, comune limitrofo alla periferia di Milano, malmenando il segretario, che fu imbavagliato e fotografato. L ’a­ zione fu nuovamente rivendicata con un volantino recapitato alla sede del «Corriere della Sera», con l’intestazione Guerra ai fascisti. «Guerra ai fascisti» fu la parola d ’ordine con cui le Brigate Ros­ se intervennero nella campagna per le elezioni politiche del 7 mag­ gio 1972. In aprile, fu divulgato un nuovo documento teorico - «Il voto non paga, prendiamo il fucile! » - , la cui tesi principale era in­ 12 in

cm

Per una cronologia delle azioni cfr. Brigate Rosse, Comando di zona Lorentegg

, vili legislatura, doc. x x m , n. 5 , voi. C X X IV , Roma 1 9 9 6 , p. 5 0 6 .

11 C fr. il comunicato delle Brigate Rosse del 2 1 febbraio 1 9 7 2 , ivi, p. 5 0 8 . 14 Contro i fascisti. Guerra di classe! , Torino, 2 8 febbraio 1 9 7 2 , ivi. 15 II volantino è riprodotto in Soccorso Rosso, Brigate Rosse cit., p. 1 0 9 .

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centrata sull’imminente presa di potere da parte di un nuovo par­ tito neofascista, composto anche dai settori più conservatori della Democrazia cristiana. Scrissero le Brigate Rosse, [...] in questa prospettiva il disegno di una destra nazionale raccolta attorno a un progetto d ’ordine, costruito su misura delle attuali e future necessità produttive dei padroni [...] ha certamente un respiro più lungo di quel « cen­ tro-destra» di mediazione messo su per scopi elettorali dai leaders scudocro­ ciati“ .

Contro la realizzazione di questo progetto, le b r proponevano un’«opposizione armata»: La guerra contro il neofascismo è un momento della guerra rivoluziona­ ria di classe, è un passaggio obbligato del movimento di resistenza popolare nella sua lunga marcia per edificare un potere proletario e comunista. Come tutte le guerre essa va combattuta oltre che sul piano politico e ideologico anche e soprattutto sul piano militare [...] Unire la sinistra rivoluzionaria nel­ la lotta armata contro il neofascismo e contro lo stato che lo produce, è il compito dei militanti comunisti17.

Il 1972 si chiuse con un’ondata di attentati contro le sedi del e della c i s n a l , e con decine di incendi di vetture appartenen­ ti ai sindacalisti e ai militanti di estrema destra. Il continuativo esercizio della violenza contro i neofascisti permise di formare il nucleo di militanti che sarebbero divenuti «regolari», cioè clande­ stini, e distinti dalle «forze irregolari», ossia i militanti organici al gruppo ma operanti nella legalità. La formazione del governo di «centralità democratica», presieduto da Giulio Andreotti, il 26 giu­ gno 1972, modificò la strategia brigatista. Nella Seconda intervista a se stessi, pubblicata nel gennaio 1973, le Brigate Rosse scrissero che il concetto di «guerra al fascismo» era da intendersi sia come lotta armata contro le «camicie nere di Almirante», sia come lotta armata contro «le camicie bianche di Andreotti»18. Il nuovo indi­ rizzo teorico fu tradotto in pratica il 15 gennaio 1973, quando un commando brigatista penetrò nella sede dell’Unione cristiana im­ prenditori e dirigenti di azienda ( u c i d ) e, dopo averne incatenato il segretario, prelevò lo schedario con la lista degli iscritti. Le b r tornarono a colpire il 12 febbraio 1973. Bruno Labate, segretario m si

16 II voto non paga, prendiamo il fucile ! , aprile 19 7 2 , in t e s s a n d o r i , 17 Ibid., pp. 387-88. 18 Seconda intervista a se stessi, gennaio 19 7 3 , ibid., p. 394.

br

cit., p. 386.

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provinciale della ciSNAL-metalmeccanici alla f i a t Mirafiori di To­ rino, venne prima sequestrato per alcune ore, e poi incatenato a un palo, nei pressi del cancello di uno stabilimento, con al collo un car­ tello a firma «Brigate Rosse», mentre gli operai, indifferenti, si re­ cavano al lavoro. Dopo un nuovo sequestro lampo, il 28 giugno 1973, ai danni di un dirigente dell’Alfa Romeo, le Brigate Rosse, infine, catturarono, il io dicembre, Ettore Amerio, direttore del personale f i a t , tenendolo in ostaggio per sette giorni. Con il sequestro Amerio, iniziò la nuova strategia delle Brigate Rosse, basata sulla progressiva radicalizzazione della lotta armata, per preparare il proletariato all’attacco dello Stato. A segnare que­ sto passaggio fu l’antifascismo militante, interpretato dalle Brigate Rosse in chiave prettamente militare, e non soltanto di lotta nelle fabbriche - che pure vi fu, e rappresentò una componente impor­ tante nella nascita del brigatismo. È da notare che tutti i nascenti gruppi terroristici - come i Gruppi armati partigiani, il Gruppo X X II ottobre (piccola formazione marxista-leninista operante a G e­ nova), la Brigata proletaria Erminio Ferretto (gruppo veneto che prendeva il nome da un partigiano caduto durante la Resistenza), i Proletari armati in lotta di San Benedetto del Tronto - esordiro­ no, tra il 1970 e il 1973, con azioni riconducibili alla pratica del­ l’antifascismo militante. Sul terreno della lotta ai neofascisti, iniziò il processo di specia­ lizzazione e di organizzazione della violenza che avrebbe portato, di li a poco, i servizi d’ordine della sinistra extraparlamentare a rendersi autonomi e indipendenti dai vertici delle rispettive orga­ nizzazioni19. L ’antifascismo militante forni l’occasione per creare le prime strutture clandestine, in parte confluite, negli anni successi­ vi, nelle file dei gruppi terroristici di sinistra. Nel 19 7 1, ad esem­ pio, Potere Operaio diede vita a Lavoro illegale, una sezione segre­ ta che nel 1972 assunse il nome di f a r o (Fronte armato rivoluzio­ nario operaio). Nel marzo di quell’anno, il f a r o si rese responsabile di alcuni attentati a danno di esponenti del neofascismo e delle for­ ze dell’ordine, a Roma e nella città di Sulmona, in Abruzzo, poi ri­ vendicati con un comunicato su «Potere operaio»20. Non furono po-

15 Vedi, a questo proposito, L. m a n c o n i , I l nemico assoluto. Antifascismo e contropotere n la fase aurorale del terrorismo di sinistra, in Ca t a n z a r o (a cura di), La politica della violenza cit. 20 Dal Fronte Armato Rivoluzionario Operaio (f a r o ) , in «Potere operaio» (del luned I (13 marzo 1972), n. 13 .

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Capitolo ottavo

chi i casi, inoltre, in cui le più importanti testate di estrema si­ nistra, comprese quelle della “ controcultura” , come ad esempio, «Re Nudo», ospitarono i documenti prodotti dalle formazioni ar­ mate21. Nel periodo d ’incubazione del fenomeno terroristico, dun­ que, i confini tra gruppi extraparlamentari e formazioni armate di­ vennero labili e permeabili, soprattutto in riferimento all’organiz­ zazione della violenza. Tale permeabilità è in parte spiegabile con la circostanza che, a cavallo tra il 1972 e il 1973, i principali grup­ pi della sinistra extraparlamentare, Potere Operaio, Lotta Conti­ nua e Avanguardia operaia, discussero, come abbiamo avuto modo di vedere, l’ipotesi dell’insurrezione armata. Sebbene fossero pre­ senti profonde divergenze ideologiche fra i gruppi della sinistra ex­ traparlamentare e quelli armati, la documentazione oggi disponibi­ le mostra tuttavia come, di fronte a strategie e a scelte politiche di­ verse, corrispondesse, nella realtà, una somiglianza nella struttu­ razione e configurazione dei repertori d ’azione22.

2. I manuali di guerriglia. Il 14 marzo 1974, i carabinieri perquisirono un’autovettura ru­ bata, a Firenze, rinvenendo in sette esemplari, tre ciclostilati, ap­ partenenti ad Avanguardia operaia, intitolati rispettivamente: In­

dicazioni per misure di vigilanza ordinaria da applicare immediatamen­ te e in permanenza - norme e misure da adottare tassativamente in caso di azione clandestina totale, Note per la formazione di unità operati­ ve. Plotoni. Compiti del plotone e Note di orientamento per la cellula sulle misure per l’azione politica clandestina” . Si trattava di brevi vo­ lumi - compilati negli anni precedenti e aggiornati nel tempo -, comprendenti le norme di sicurezza che i militanti di Avanguardia operaia dovevano scrupolosamente seguire nella clandestinità, e un manuale di guerriglia urbana, con una parte dedicata alla pianifica­ zione degli scontri con i neofascisti. 21 C fr., ad esempio, Riceviamo e pubblichiamo: g a p -, e Riceviamo e pubblichiamo : Bri­ gate Rosse, in «Potere operaio», III (17 aprile 19 7 1), nn. 38-39. Vedi anche Brigate Rosse, comunicati 1, 2, 3 , 4, 5 , 6, in « R e Nudo», II (aprile 19 7 1), n. 4. 22 Sulla problematicità del rapporto fra movimenti, sinistra extraparlamentare e terro­ rismo, cfr. A. b r a v o , A colpi di cuore. Storie del Sessantotto, Laterza, Roma-Bari 2008, pp. 246-48.



acs, p s , g,

1944-86, b . 358 , f a s e . G .5/45/15.

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Le norme sulla clandestinità erano state scritte in previsione di due ipotesi: la messa fuori legge dei soli gruppi della sinistra extra­ parlamentare o il colpo di stato, con la conseguente repressione ge­ neralizzata dell’opposizione. Nel caso fossero state messe fuori leg­ ge le organizzazioni dell’estrema sinistra, i militanti di Avanguar­ dia operaia dovevano adempiere a compiti ben definiti: nascondere la propria militanza politica, innanzitutto, non tenere materiale pro­ pagandistico nella propria abitazione, usare il telefono - quello pub­ blico - solo in casi d’emergenza. Il militante, inoltre, veniva istrui­ to su come evitare i pedinamenti. In caso di colpo di stato, le nor­ me da seguire divenivano più rigide. Bisognava procurarsi abita­ zioni sicure, con vie di fuga, in quartieri anonimi, al di fuori del raggio di perlustrazione delle forze dell’ordine. Il militante doveva mimetizzarsi cercando di [...] assimilare tutte le caratteristiche dell’ambito prescelto, sia il modo di vestire che gli orari, non mostrarsi troppo diffidente ma nemmeno troppo aperto a rapporti con i coinquilini, questo soprattutto in quartieri piccolo/ medio borghesi che in una prima fase quanto meno saranno da preferirsi".

Si consigliava di mutare nome, prenderne uno da battaglia, in­ dossare nuovi abiti, truccarsi, se necessario. Il militante doveva evi­ tare, però, l’isolamento, tentando di mantenere i rapporti sia con i compagni dell’organizzazione rivoluzionaria, sia con la rete di paren­ ti e amici. Per non cadere in uno stato psicologico depressivo, si rac­ comandava ai militanti in clandestinità l’esercizio fisico e intellet­ tuale. Era indispensabile, inoltre, tenere in piedi un sistema di rela­ zioni con gli altri militanti, individuando luoghi d’incontro segreti e dando vita a un sistema di comunicazioni indirette, con particolari scritte sui muri, messaggi lasciati nelle cabine telefoniche e oggetti cui, precedentemente, si era attribuito un preciso significato. Qualora un militante, che condivideva un appartamento con al­ tri del gruppo, non avesse fatto ritorno nell’orario prestabilito, l’a­ bitazione andava evacuata nel giro di dodici ore. La paura della cat­ tura e delle possibili sevizie era particolarmente viva, tant’è che nel manualetto vi erano diversi passaggi dedicati alla modalità di resi­ stenza alle torture. M Ivi, Indicazioni per misure di vigilanza ordinaria da applicare immediatamente e in per­ manenza. Norme e misure da adottare tassativamente in caso di azione clandestina totale, pp. 4-6.

2Óo

Capitolo ottavo La preparazione alla tortura è di carattere ideologico; durante la tortura si sviluppa una contraddizione tra individualismo e scelte collettive, queste ultime devono prevalere, il partito è ogni militante, la lotta continua anche in carcere,

era scritto nel manualetto, che proseguiva: [...] il compagno non deve credere di essere sconfitto e di avere ormai ulti­ mato il suo ruolo, egli è un militante nelle condizioni di lavoro più difficili, ha il compito di difendere se stesso e l ’organizzazione, ha il dovere di con­ servarsi in vita (senza concedere nulla al nemico di classe) per continuare l’at­ tività politica in carcere e dopo la sua liberazione25.

Le Note per la formazione di unità operative. Plotoni. Compiti del plotone riguardavano, invece, le tattiche da adottare negli scontri di piazza con la polizia, in una situazione di sostanziale legalità. In esse, veniva presentata una casistica di possibili situazioni in cui i militanti rivoluzionari erano costretti a scontrarsi con le forze del­ l’ordine - dalle cariche a piedi, a quelle a cavallo, fino ai caroselli delle jeep - e le conseguenti «tecniche» con le quali rispondere, co­ me, ad esempio, il «cuneo», il «contenimento», « l’avvolgimento». I militanti, inoltre, erano chiamati a tenere in considerazione le dif­ ferenze di grado. Si raccomandava di evitare i morti fra la «truppa semplice», composta da proletari, mentre agli ufficiali doveva es­ sere riservato un trattamento «speciale»26. La sezione dedicata allo scontro con l’estrema destra assumeva caratteri più squisitamente militari. In questo caso, nessuna remo­ ra o dubbio dovevano attraversare i militanti rivoluzionari nell’esercitare la violenza. «Se ci scappa il morto», si poteva leggere nel­ l’introduzione del paragrafo, «non è poi cosi grave come se il mor­ to fesse il poliziotto»27. Niente doveva essere lasciato alla spontanea iniziativa: l’aggressione seguiva uno schema preciso. «Tendere sem­ pre ad aggirarli e a isolarli in piccoli gruppi per poi colpire meglio. Battere con estrema ferocia e cattiveria, anche questo non nasce dal nulla ma dall’esercizio continuo e dall’esercizio sempre più ef­ ficiente»28. Era necessario dar vita a una rete telefonica che colle­ gasse i militanti delle sedi con quelli attivi nelle scuole, nell’univer-

2! Ivi, p. II. 21 Ivi, Note per la formazione di unità operative. Plotoni. Compiti del plotone, pp. 1-3. 2' Ivi, p. 6. 21 Ivi.

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sità e nei luoghi di lavoro, per organizzare la difesa dagli attacchi esterni e prepararsi, allo stesso tempo, ad azioni di tipo offensivo. Il plotone si componeva di 3 2 elementi, armati di bulloni e chiavi inglesi. Erano vietate le armi bianche, perché appartenenti alla cul­ tura avversaria, e quelle da fuoco che, se trovate dalla polizia, avreb­ bero potuto mettere in pericolo l’intera organizzazione. Nel ploto­ ne erano presenti i medici, i fotografi per schedare i nemici, le staf­ fette - in motocicletta o in bici, gli addetti alle molotov. Il plotone, infine, doveva esercitarsi allo scontro, in palestre, simulando gli at­ tacchi alla polizia e agli avversari. Un particolare paragrafo era dedicato all’« attacco di un punto di ritrovo dei fascisti». Nel caso si trattasse di un bar, i plotoni do­ vevano circondarlo, bloccando le vie d’uscita. Una volta dentro: [...] non far scappare nessuno, potrebbero avvertire altra gente. Evitare che tutti vogliano picchiare ma essere molto ordinati nel colpire. Meglio se in questa azione si ha un indumento di riconoscimento (paltò blu, fazzoletto e sciarpa di un certo colore). Essere rapidi e decisi [...] La fuga è l’ultimo ele­ mento da non sottovalutare, si deve evitare di essere seguiti e studiare la via di fuga molto prima dell’azione, scappare girando gli angoli delle strade (pri­ ma a destra e poi a sinistra poi ancora a destra), e raggiungere rapidamente strade molto affollate. Per eventuali macchie di sangue meglio pulirsi subito in una casa vicina già predisposta. Poi levarsi presto il materiale di dosso stu­ diare un metodo che può essere quello di buttare la roba nei tombini e in un punto della città e cosi via” .

Alla luce di queste fonti, acquistano nuovo significato alcuni episodi di efferata violenza che si sarebbero registrati in anni suc­ cessivi, e le cui radici affondano, appunto, in questo cruciale perio­ do. Cosi, ad esempio, il 1 ottobre 1977, a Torino, durante la mani­ festazione di protesta contro l’uccisione per mano dei neofascisti, il giorno precedente, a Roma, del militante di Lotta Continua Wal­ ter Rossi, giovanissimi estremisti di sinistra avrebbero attaccato a colpi di molotov il bar Angelo Azzurro, ritenuto ritrovo dell’estre­ ma destra, provocando nel rogo la morte di un semplice avvento­ re, Roberto Crescenzio, arso vivo dalle fiamme. L ’attacco, qui co­ me in altri casi analoghi, pare aver corrisposto a tecniche simili a quelle descritte nel manualetto di Avanguardia operaia, piuttosto che a una dinamica di violenza spontanea e incontrollata.

” Ivi, p. IO.

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La circolazione di questi manuali fu una componente decisiva nel percorso di brutalizzazione della lotta politica che coinvolse l’e­ strema sinistra: un vero e proprio arretramento del processo di ci­ vilizzazione, che sarebbe emerso in maniera dirompente nella se­ conda metà degli anni Settanta30. L ’adozione, in democrazia, di mi­ sure di sicurezza tipiche delle cellule clandestine operanti sotto un regime autoritario - nei testi redatti da Avanguardia operaia com­ parivano numerosi riferimenti al libro del 1934 del rivoluzionario bolscevico Victor Serge Le problème de l’illegalité: sitnples conseils au militant - innestò spinte degenerative devastanti31. La presenza di una copiosa sezione dedicata agli scontri di piazza contro le for­ ze dell’ordine, e di strada contro gli avversari politici, contraddi­ ceva lo stesso impianto del manuale, incentrato sull’imminenza di un colpo di mano da parte dei militari. Difficilmente un regime au­ toritario avrebbe consentito l ’agibilità politica di strade e piazze. Il manuale di guerriglia di Avanguardia operaia, dunque, sembra essere piuttosto concepito per l’esercizio di un uso continuativo del­ la violenza, volto a disarticolare, progressivamente, le istituzioni democratiche e innescare un processo rivoluzionario. Il prevalere di una visione militarista portò a varcare un confi­ ne sottile, al di là del quale si stagliava l’orizzonte della sola guer­ ra civile, mentre decadeva la prospettiva del cambiamento attra­ verso le lotte sociali, anche radicali, fino a quel momento conside­ rate dalla sinistra extraparlamentare l’unica e autentica fonte di legittimazione politica. Il riferimento ai «plotoni», di per sé, un sal­ to semantico rispetto all’impiego del termine «servizi d’ordine», indicava che il processo di militarizzazione della lotta politica, ini­ ziato nei primi anni Settanta, si era ulteriormente acuito. Ha scrit­ to Erich Fromm, riferendosi alla violenza rivoluzionaria: E importante essere consapevoli del fatto che l’aggressione puramente difensiva può facilmente mescolarsi con la distruttività (non-difensiva) e col desiderio sadico di rovesciare la situazione controllando gli altri, invece di esserne controllati [...] Se e quando si verifica questo fenomeno, l ’aggressio­ ne rivoluzionaria ne risulta contaminata e tende a rinnovare le condizioni che cercava di abolire” .

Potere e civiltà. Il processo di civilizzazione, il Mulino, Bologna 19 8 3, voi. II. 31 Il testo fu tradotto in italiano nel 19 7 2 dalla casa editrice c l u e d con il titolo Vigi­ ,0 n . e l i a s ,

lanza rivoluzionaria : quello che ogni rivoluzionario deve sapere sulla repressione. 52f r o m m , Anatomia della distruttività umana cit., p. 254.

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Non conosciamo la quantità di militanti di estrema sinistra coin­ volti nell’organizzazione della violenza, né in che misura mentalità e prassi di tipo militare si diffusero tra la base dei maggiori gruppi della sinistra extraparlamentare. Questi attraversarono, tra il 1973 e il 1974, una crisi profonda e un processo di disgregazione inter­ na. Gli scenari internazionali e gli equilibri politici del Paese sta­ vano cambiando radicalmente, in un contesto mondiale di crisi eco­ nomica e sociale. Il colpo di stato in Cile che l’ u settembre 1973 aveva rovesciato il governo di Salvador Allende e instaurato una dit­ tatura militare, sembrò avvalorare le ipotesi peggiori. «Allende as­ sassinato. La sua ultima denuncia è contro chi oppone la forza alla ragione», intitolò drammaticamente «Lotta continua», che dalla morte di Allende traeva la seguente conclusione: «La sua sorte te­ stimonia tragicamente che la ragione contro la forza è vana. Unire, nella lotta proletaria, forza e ragione, diritto e violenza, questa è l’u­ nica strada»” . La proposta di Enrico Berlinguer di un «compromes­ so storico» tra i partiti popolari di matrice socialista e il partito cat­ tolico apriva, tuttavia, nuovi e inediti orizzonti. L ’estrema sinistra rimase sospesa tra una visione apocalittica della situazione italiana e la condanna della politica comunista, all’interno della quale, però, s’intuiva che gli spazi di agibilità politica e per il proseguimento del­ le lotte rivoluzionarie sarebbero rimasti comunque garantiti. L ’incertezza di strategie e di indirizzi teorici fece si che fra i grup­ pi extraparlamentari permanesse una mentalità cospirativa e milita­ re, testimoniata dai manuali di Avanguardia operaia. Non mancaro­ no gli stimoli dall’esterno, provenienti anche dalla sinistra storica in cui, carsicamente, la paura per l’imminenza di un colpo di stato ri­ maneva viva. Ne costituisce significativo esempio, la pubblicazione, nell’aprile del 1973, presso la casa editrice Napoleone, vicina al p c i , del Manuale per il sabotaggio, con prefazione di Ferruccio Parri. Il li­ bretto era la riproduzione di un manuale clandestino, scritto dai par­ tigiani e circolato a Roma nel 1943, sotto la veste di libretto degli orari dei treni, nel quale s’insegnavano le tecniche di sabotaggio nel­ l’industria, nelle linee ferroviarie e in ambiente urbano14. Preceden­ temente, Pietro Secchia aveva pubblicato una raccolta di docu-

” In «Lotta continua», 13 settembre 19 7 3. ” Manuale per il sabotaggio. La resistenza partigiana attiva contro i nazisti, Napoleone, Roma 19 7 3.

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menti sulla guerriglia in Italia, che descrivevano accuratamente la tecnica della guerra per bande55. Cosi cóme non era raro imbattersi, nella stampa di sinistra, nella riproduzione degli scritti di Emilio Lussu sulle tecniche e le teorie dell’insurrezione36. Nei primi anni Settanta, inoltre, per iniziativa di case editrici come la Savelli o la Feltrinelli (che nel 1968 aveva pubblicato gli scritti politici e milita­ ri di Che Guevara), si era sviluppato un piccolo mercato librario, con la diffusione dei principali testi di guerriglia, il più importante dei quali fu il Piccolo manuale di guerriglia urbana di Carlos Marighella, il rivoluzionario brasiliano, morto in uno scontro a fuoco con la polizia il 4 novembre 1969. Il caso più eclatante sarebbe stato, nel 1975, la pubblicazione, presso Savelli, del volume In caso di golpe, il cui sottotitolo recitava: Manuale teorico-pratico per il cittadino di re­ sistenza totale e di guerra di popolo, di guerriglia e di controguerriglia. Il libro, curato dal gruppo Stella Rossa - fronte rivoluzionario marxi­ sta-leninista, era una voluminosa guida, con tanto di cartine illustra­ tive, alle diverse tecniche di guerriglia e sabotaggio, che riportava, addirittura, le modalità di combattimento dei corpi speciali dell’e­ sercito statunitense37. Lungi dal rimanere solo un caso editoriale, questi manuali gio­ carono un ruolo non secondario nel determinare i repertori d’azio­ ne dei gruppi terroristici di sinistra. Il Piccolo manuale di guerriglia urbana di Marighella, ad esempio, influenzò il primo decalogo di comportamento scritto dalle Brigate Rosse per i propri militanti, intitolato Norme di sicurezza e stile dì lavoro (materiale di lavoro), ri­ salente ai primi mesi del 1973, che assomigliava, in tanti aspetti, ai manuali di Avanguardia operaia, soprattutto nelle sezioni dedica­ te alla lotta clandestina38. Rimaneva l ’importante differenza del ri­ fiuto, da parte di Avanguardia operaia, di ricorrere alle armi da fuo­ co, utilizzate dalle b r e da altri gruppi extraparlamentari, come Po­ tere Operaio. ” p . s e c c h i a , La guerriglia in Italia : documenti della resistenza militare italiana, Feltri­ nelli, Milano 1969. 36 Oggi raccolti in e . l u s s u , Teoria dell’insurrezione, prefazione di v. e v a n g e l i s t i , Gwynplaine edizioni, Roma 2008. 37 Stella Rossa, Fronte rivoluzionario marxista-leninista (a cura di), In caso di golpe. Ma­

nuale teorico-pratico per il cittadino di resistenza totale e di guerra di popolo, di guerriglia e con­ troguerriglia. Scritti di Clausewitz, Lenin, Mao-Tse-tung, il manuale del maggiore von Dach, te­ sti delle Special Forces americane, Savelli, Roma 1975. 38 II testo è riprodotto in t e s s a n d o r i , b r cit., pp. 395-400.

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Il modus operandi delle Brigate Rosse, dunque, codificò le pra­ tiche della violenza in uso nella sinistra radicale, portandole alle estreme conseguenze. L ’«inchiesta», la raccolta di notizie che di norma precedeva le operazioni delle Brigate Rosse, altro non era se non la riproposizione del lavoro informativo e di schedatura svol­ to dall’estrema sinistra” . Tale «inchiesta», infatti, prevedeva lo stu­ dio delle abitudini, dei comportamenti e del ruolo della vittima, svolto nel mondo politico, economico o sociale. Le azioni nelle fab­ briche, nei quartieri, o contro le forze dell’ordine ed esponenti del­ lo Stato, che si registrarono nella seconda metà degli anni Settan­ ta, furono perciò meticolosamente pianificate, con modalità simili a quelle impiegate dalla sinistra extraparlamentare nel quotidiano scontro con i neofascisti.

3. Le notti dei fuochi. Il processo di brutalizzazione della lotta politica emerse, in tut­ ta la sua drammaticità, nella lunga serie di attentati compiuti dal­ la sinistra extraparlamentare contro le sedi dei partiti e dei movi­ menti di estrema destra, e contro le proprietà e le abitazioni priva­ te dei neofascisti. Sul finire del 1972 e per tutto il corso del 1973, i quartieri periferici delle grandi città (Milano e Roma in special modo), furono teatro di una vera e propria offensiva, condotta a colpi di dinamite e altri esplosivi. Per la prima volta, comparvero sigle di rivendicazione, spesso fantomatiche, e impiegate solo in oc­ casione degli attentati, mentre altri gruppi, come Lotta Continua, preferivano non “ firmare” gli attentati, sicuri che questi venissero interpretati come la mano invisibile delle forze rivoluzionarie che colpivano i propri nemici. Si trattava di diverse forme di «propa­ ganda armata», una modalità d ’azione mutuata dalla guerriglia su­ damericana volta a far conoscere ai nemici la presenza delle forze rivoluzionarie. Ben presto, la «propaganda armata» prese l’inquietante forma della «notte dei fuochi», quando, simultaneamente e in più luo­ ghi della città, venivano colpite le sedi dei partiti avversari. La not” Comando generale dell’ arma dei Carabinieri, Attuale modus operandi delle b r , s.d., pp. 8 -10 .

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te del 27 ottobre 1972, ad esempio, furono oggetto di attentati, nel­ la città di Roma, sei sezioni del Movimento sociale, dislocate nei quartieri Flaminio, Montesacro, Talenti, Tufello, Marconi, Torpignattara, e due nei comuni di Ciampino e Grottaferrata40. Il deci­ mo Congresso del Movimento sociale, tenutosi a Roma, nei giorni 18-21 gennaio 1973, fu preceduto da una serie di attentati: fra il 13 e il 14 gennaio, due bombe devastarono le sedi missine, nei quartie­ ri romani di Monte Mario e Colle Oppio41. Il giorno dopo, a M ila­ no, in una sola notte, furono colpite una sede di Avanguardia na­ zionale, il bar Marotta, in piazza San Babila - tradizionale ritrovo dei militanti di estrema destra - , e la sede del m s i del comune di Limbiate, mentre un ordigno piazzato all’ingresso della sede della c i s n a l , nel comune di Bovisio Masciago, rimase inesploso. L ’azio­ ne venne rivendicata con la sigla «Iniziativa Squadre comuniste ri­ voluzionarie armate»42. In tale contesto maturarono le premesse per il rogo di Primavalle del 16 aprile del 1973. A ll’alba di quel giorno, un gruppo clande­ stino composto da militanti di Potere Operaio appiccò il fuoco alla casa di Mario Mattei, segretario della sezione missina del quartie­ re periferico di Primavalle, a Roma. N ell’incendio morirono i suoi giovanissimi figli, Virgilio di ventidue anni e Stefano di dieci45. L ’at­ tentato fu rivendicato con un cartello, lasciato nel cortile del palaz­ zo dato alle fiamme, con scritto «Brigata Tanas. Guerra di classe. Morte ai fascisti. La sede del m s i , Mattei e Schiavoncino colpiti dal­ la giustizia proletaria». Le indagini della magistratura puntarono immediatamente sugli ambienti di Potere Operaio. Furono inquisiti tre suoi militanti: Achil­ le Lollo, Manlio Grillo e Marino Clavo44. Nei mesi precedenti, la se­

40 a . b a l d o n i , Il crollo dei miti. Utopie, ideologie, estremismi. Dalla fine del "miracolo economico" alla crisi della Prima Repubblica, Settimo Sigillo Edizioni, Roma 1996, p. 2 1 1 . 41 Esplosione in una sede missina, in « l’Unità», 14 gennaio 19 7 3. 42 a c s , p s , g , 1944-86, b. 3 5 3 , G .5/42/202.

45 m o n ti,

Sulla vicenda esiste un’ ampia memorialistica. Fra i tanti titoli, cfr. G. m a t t e i e

La notte brucia ancora. Primavalle. I l rogo che ha distrutto la mia famiglia, Sperling

& Kupfer, Milano 2008. 44 Nel 1987, con la sentenza della Corte di cassazione di Roma, Achille Lollo, Manlio G rillo e Marino Clavo furono condannati per omicidio. I tre erano però, da tempo, lati­ tanti all’estero. Nel 2005 la pena è stata dichiarata estinta dalla Corte d ’appello di Roma per intervenuta prescrizione. In seguito ad alcune interviste rilasciate dagli imputati a quo­ tidiani e telegiornali nazionali, la Procura di Roma, avendo nuovi elementi a disposizione, ha riaperto il caso.

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zione del m s i di Primavalle era stata più volte oggetto di attentati45. Dalla fine degli anni Sessanta, il quartiere era teatro di un’endemi­ ca conflittualità fra militanti di sinistra e di destra. Primavalle era considerato un quartiere “rosso” , sia per l’altissimo numero di vo­ ti presi dai partiti di sinistra, sia per la presenza di numerose sedi dei movimenti extraparlamentari. In realtà, come spesso nelle periferie romane, Primavalle registrava una forte presenza dell’estrema de­ stra, anche fra gli strati proletari e sottoproletari, tanto più che nel quartiere erano stati smistati, nel secondo dopoguerra, parte dei pri­ gionieri fascisti tornati dai campi d ’internamento alleati. La dirigenza di Potere Operaio si schierò a difesa dei suoi mi­ litanti, sostenendo la loro innocenza, e la tesi secondo cui l’atten­ tato era da attribuirsi a una faida in corso tra le opposte fazioni pre­ senti nella sezione del m s i . In realtà, un’inchiesta interna a Potere Operaio, accertò, già il giorno dopo il rogo, la responsabilità di Lollo, Grillo e Clavo46. Ciononostante, il gruppo diede vita a una cam­ pagna di controinformazione, condotta sulla falsariga della batta­ glia di verità sulla strage di piazza Fontana. L ’operazione mediatica riuscì: attorno ai tre inquisiti nacque una grande mobilitazione. Una lettera di Riccardo Lombardi introdusse il libro, scritto un an­ no dopo dai militanti di Potere Operaio, in difesa degli inquisiti (due dei quali latitanti)47. Il successo del lavoro di disinformazione condotto da Potere Operaio è spiegabile con il pregiudizio, dif­ fuso in tutta l’estrema sinistra, della natura criminale del neofasci­ smo. Tant’è che già il 17 aprile «Lotta continua» informò i propri lettori del rogo, intitolando l’articolo La provocazione fascista oltre ogni limite: è arrivata al punto di assassinare i suoi figli! , e presentan­ do l’incendio come l ’estrema conseguenza della lotta intestina al Movimento sociale fra oltranzisti e moderati48. Tale lettura, nata in quei giorni, sarebbe stata puntualmente riproposta, per tutto il corso degli anni Settanta, ogni qualvolta un giovane di destra per­ se la vita per mano degli avversari.

41 I continui attacchi furono puntualmente denunciati dal «Secolo d ’Italia». Si ved Attentato a Primavalle, ivi, 22 gennaio 19 7 2 ; Bomba contro la sezione del m s i. Perita grave­ mente una donna, ivi, 12 marzo 19 7 2 ; e Criminale attentato comunista contro la sezione di Primavalle, ivi, 16 aprile 19 7 2 . 46 g r a n d i , La generazione degli anni perduti cit., pp. 293-95. 47 Una lettera di Riccardo Lombardi, in Primavalle: incendio a porte chiuse, Savelli, R o­ ma 1974 . P- 7 48 In «Lotta continua», 17 aprile 19 7 3.

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Il rogo di Primavalle rappresentò uno spartiacque all’interno del­ l’estrema sinistra. Si generò un pervertimento analogo, fatte le de­ bite proporzioni, a quello verificatosi nel neofascismo con la stra­ ge di piazza Fontana. Il fine giustificava qualsiasi mezzo, anche al costo della perdita di vite innocenti e alla fabbricazione di menzo­ gne per coprire le proprie responsabilità. Il rogo di Primavalle non fu un episodio casuale, né da addebitarsi unicamente all’iniziativa criminale di un gruppo isolato e sconosciuto al resto dei militanti di Potere Operaio, ma fu la conseguenza, piuttosto, della catena di attentati contro i neofascisti e dell’odio ideologico predicato per anni da tutta l’estrema sinistra49. Non a torto, è ritenuto, in alcune inchieste giornalistiche, l’anticipazione del terrorismo diffuso che sul finire del decennio avrebbe insanguinato il Paese50.

4. Disordine nero. Il 18 aprile 1973, a Roma, nel quartiere Trieste, un lungo cor­ teo funebre parti dalla sede della Federazione provinciale missina, in via Alessandria, dov’era stata allestita la camera mortuaria, pre­ sidiata da un picchetto d’onore costituito dai giovani del Fronte della Gioventù, e si diresse verso la chiesa dei Sette Santi fondato­ ri, poco distante. Una grande folla si ammassò nella chiesa di fron­ te alle bare di Virgilio e Stefano Mattei, avvolte nei tricolori. A messa finita, i feretri furono portati sul sagrato, dove Almirante pronunciò l’orazione funebre. Il Movimento sociale stava attraversando un periodo difficile. Quattro giorni prima del rogo di Primavalle, il 12 aprile 1973, nel corso di una manifestazione non autorizzata, indetta dal m s i a Mi­ lano, un agente di polizia, Antonio Marino, venne ucciso da una bom­ ba a mano lanciata da un giovane neofascista, Vittorio Loi, frequen­ tatore degli ambienti di piazza San Babila. La morte dell’agente di polizia per mano di un estremista di destra fece crollare la credibi­

49 Tale lettura emerge nelle storie di vita raccolte negli studi delle scienze sociali sulla violenza politica e il terrorismo nell’ Italia degli anni Settanta. Si veda, ad esempio, la te­ stimonianza raccolta in D. d e l l a p o r t a , II terrorismo di sinistra, il Mulino, Bologna 1990, pp. 10 9 -10 . 50 A. BALDONi e s . p r o v v i s i o n a t o , La notte più lunga della Repubblica. Sinistra e destra, ideologia, estremismi, lotta armata (1968-1989), Sesarcangeli, Roma 1989, pp. 10 2 -15 .

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lità dell’immagine del Movimento sociale quale strenuo difensore dell’ordine pubblico. Neanche una settimana prima, il 7 aprile 1973, Nico Azzi, militante del gruppo di estrema destra La Fenice, si ferì gravemente con un ordigno che cercava di piazzare in uno scompar­ timento del treno Torino-Roma, nel tentativo di provocare una stra­ ge da addebitare all’estrema sinistra (l’attentatore era stato visto gi­ rare per i vagoni con alcune copie di «Lotta continua» in tasca). A z­ zi, pur non militando nel Movimento sociale, era una figura di spicco del neofascismo milanese, e il suo arresto danneggiò l’immagine di tutta l’area. Il processo di degrado che stava erodendo la piazza mi­ lanese era già emerso il 10 marzo 1973, quando un gruppo di uomi­ ni vicini agli ambienti sanbabilini, ispirati, a quanto risulterebbe, da alcuni ufficiali dell’arma dei Carabinieri della divisione Pastrengo, sequestrarono e stuprarono l’attrice Franca Rame, compagna di Da­ rio Fo, assieme a lui impegnata nei collettivi della controinformazio­ ne che si erano battuti per la verità sulla morte di Giuseppe Pinelli51.

Così com’era avvenuto per l’estrema sinistra, questi episodi non furono accidentali, ma risultarono essere, piuttosto, frutto di una prassi consolidatasi nel tempo, e dell’imbarbarimento del clima po­ litico. Il Movimento sociale, soprattutto, si era reso responsabile di molti incidenti, scontrandosi più volte con le forze dell’ordine, spe­ cialmente dopo l’estromissione dei missini dal gioco politico, a se­ guito della formazione, nel giugno 1972, del governo AndreottiMalagodi. Da un lato l’incapacità della dirigenza missina di argina­ re le spinte violente nella base neofascista, che essa stessa aveva contribuito a istigare, dall’altro la rinnovata strategia d’attacco al­ la Democrazia cristiana, portarono il Movimento sociale a fomen­ tare una virulenta conflittualità. In un primo momento, il m s i e la stampa di estrema destra ten­ tarono di ribadire la propria vocazione legalitaria a difesa delle isti­ tuzioni. Giorgio Pisano, dalle colonne del «Candido», scrisse una lettera agli agenti di Pubblica sicurezza del terzo Celere di Milano. Scrisse Pisano: [...] il gesto criminale di un Caino [...] non può e non potrà mai porre in di­ scussione la solidarietà operante di quanti hanno sempre visto e vedono in S1 c t s , voi. I, tomo n, doc. xxm , n. 64, 26 aprile 2 0 0 1, pp. 2 0 9 -11. Sul tema si ve anche Sentenza Rognoni, cap. l x x i i i , Il sequestro e le violenze subite da Franca Rame, pp. 442-43; e l’intervista al generale Nicolò Bozzo, in L. f a z z o , E il generale gioì per lo stupro, in «La Repubblica», 1 1 febbraio 1998.

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Capitolo ottavo voi, nelle vostre divise grigioverdi, l’estremo baluardo di un ordine civile e sociale, che le forze eversive raccolte e organizzate sotto le rosse insegne marxiste cercano di travolgere per distruggere ogni residua libertà e trasfor­ marci tutti in disciplinati schiavi deU’imperialismo sovietico” .

In realtà, proprio Pisano aveva contribuito a delegittimare l’o­ perato delle forze dell’ordine, facendosi promotore, nel febbraio del 1973, di una campagna di stampa, per sostenere il diritto all’au­ todifesa di «ogni cittadino in divisa o in borghese», attraverso l ’u­ so delle armi da fuoco” . L ’argomentazione di Pisano era basata sul fatto che le bottiglie molotov e le chiavi inglesi usate dall’estrema sinistra erano da considerarsi armi da guerra, per difendersi dalle quali era lecito il ricorso a mezzi drastici. Cosi facendo, in realtà, Pisano metteva ulteriormente in discussione il monopolio statale della violenza, legittimando il ricorso alle armi da fuoco, che con sempre più frequenza venivano imbracciate dagli estremisti di destra, anche contro le forze dell’ordine. A i rinnovati proclami di solidarietà nei confronti della polizia e dei carabinieri, segui un’intensa campagna di stampa volta a dimo­ strare la colpevolezza dell’estrema sinistra - presentata come il brac­ cio armato del p c i - , sia per le morti dei fratelli Mattei sia per quel­ la dell’agente Marino, il cui omicidio fu attribuito a un fantomati­ co infiltrato nelle file dei giovani di destra54. Tale lettura, speculare a quella fatta dall’estrema sinistra per il rogo di Primavalle, era con­ traddetta dallo stesso comportamento del Movimento sociale, co­ stretto a deliberare una taglia di cinque milioni di lire per chi avesse contribuito a identificare i responsabili della morte del poli­ ziotto, in qualsiasi ambiente politico essi si fossero annidati. Uno sguardo più attento alla documentazione prodotta dall’e­ strema destra in quei giorni ci mostra, tuttavia, una realtà molto complessa. A ben vedere, i neofascisti cercarono di difendersi dal punto di vista legale, prendendo le distanze dagli ambienti del ra­ dicalismo di destra, ma allo stesso tempo ribadirono che la pater­ nità delle violenze era da attribuirsi al governo, in accordo con le opposizioni di sinistra per arginare l’avanzata della Destra nazio­ nale nel Paese. «La vera violenza», scrisse Paolo Pisano, è 12 G. p i s a n o , Lettera aperta agli uomini del “Terzo Celere", in «Candido», V I (26 aprile 1973 ). n. 17. ” ID ., Legittima difesa, iv i (8 f e b b r a i o 1973), n . 6 . ” La fazione vi ha ucciso. La patria vi piange, ivi (26 aprile 1973), n. 17 .

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[...] quella che ha finito con l’innescare le bombe e armare le mani dei crimi­ nali politici, è cominciata nel momento stesso in cui la classe politica domi­ nante posta di fronte alla realtà del proprio fallimento, concretizzatosi nel­ l’affermazione sempre crescente della Destra nazionale, si è assunta la re­ sponsabilità di ignorare le esigenze di nuovi equilibri politici chiesti dal popolo italiano e ha cercato di ricacciare indietro il Paese, riesumando, a fondamen­ to del vivere civile in Italia, il cosiddetto “ spirito della resistenza” ” .

Per la direzione nazionale del Movimento sociale, riunitasi nei giorni 28 e 29 aprile, l’«arco costituzionale» era ormai divenuto «formula di discriminazione e di guerra civile permanente»54. La dirigenza missina, convinta che un’eccessiva apertura a sinistra del governo avrebbe suscitato lo spostamento a destra dell’opinione pubblica, insistette nella proposta di dar vita a un polo alternativo alle forze politiche d’ispirazione marxista e di matrice cattolica. In nome di questo progetto, il Movimento sociale prese, per la prima volta e in maniera ufficiale, le distanze dalla destra extraparlamen­ tare, definita come una «destra eversiva, violenta, legata a certo extraparlamentarismo che meglio merita la qualifica di teppismo comune»57. Almirante, tuttavia, specificò meglio quale fosse la stra­ tegia del partito: Si avvicina l’ora della scelta, per i nostri avversari politici di vertice, per quegli avversari che in apparenza sono tutti uniti contro di noi e tutti concor­ di tra loro nel nome dell’antifascismo. O sceglieranno apertura a sinistra, tut­ ti quanti, e quindi socialismo, e quindi comunismo; e allora potrà ben darsi che noi entriamo in carcere, ma in galera finirà tutta quanta l’Italia, seguita a breve intervallo da tutto il resto dell’Europa ancora libera; o vi sarà tra loro chi apertura a sinistra non sceglierà, e allora il ruolo della Destra nazionale sarà determinante, piaccia o non piaccia, e tutti dovranno trarne le conseguen­ ze [...] Confidiamo [...] di poter diventare positivamente e civilmente deter­ minanti nella vicenda globale in cui si giocano i destini del popolo italiano” .

In questa prospettiva, la condanna della destra extraparlamen­ tare non andrebbe letta come una scomunica, ma come un richia­ mo all’ordine e alla disciplina, data l’urgenza di opporre un argine al dilagare della sinistra nella società. Tale scenario fu ribadito nel­ la riunione del comitato centrale del m s i del 23-24 giugno 1973. ” p. p i s a n o ,

Le origini del male, ivi.

54Complotto di regime contro la destra nazionale, in «Alternativa Nazionale», n.u. (mag­ gio 1973 )” Ivi. ’* Ivi.

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Secondo Almirante, che utilizzò argomenti formalmente non trop­ po dissimili da quelli dell’estrema sinistra, sul Paese incombeva il rischio di un accordo di governo tra comunisti e democristiani, so­ stenuto dagli industriali che, quale contropartita, richiedevano la normalizzazione dei rapporti sindacali e il rientro della conflittua­ lità nelle fabbriche” . L ’ossessione per l’incontro fra cattolici e comunisti spinse il Mo­ vimento sociale a rintracciare ovunque i segni di un fantomatico complotto ordito ai danni della Destra nazionale. Con questa chia­ ve di lettura, il m s i interpretò l’attentato alla questura di Milano del 17 maggio 1973. Quel giorno l’anarchico Gianfranco Bertoli, deciso a vendicare la morte di Giuseppe Pinelli, piazzò una bom­ ba nell’atrio della questura di via Fatebenefratelli, dove il ministro dell’interno Mariano Rumor aveva appena inaugurato una lapide commemorativa del commissario Luigi Calabresi. L ’ordigno defla­ grò, uccidendo quattro persone e ferendone altre dodici, quando Rumor era già ripartito60. Nei giorni successivi, i partiti di sinistra, i movimenti extraparlamentari e gli anarchici montarono contro Bertoli una campagna di stampa, accusandolo di essere un agente provocatore. Bertoli, infatti, risultò essere, si, un anarchico, ma con gravi problemi psichici e di dipendenza da alcool e droga, e con un passato torbido alle spalle, compreso un periodo di addestramento in un kibbutz israeliano, da cui, fra l’altro, era partito per compie­ re l ’attentato61. La magistratura accertò, inoltre, che Bertoli era in contatto con alcuni militanti di Ordine Nuovo, legati alle cellule terroristiche padovane. La lettura dell’attentato data dall’estrema destra fu opposta. Agli occhi dei neofascisti, Bertoli rappresentava la prova della responsa­ bilità degli anarchici nelle stragi, e delle coperture che essi godeva­ no nelle istituzioni e tra i partiti di sinistra. Forte dell’impatto su­ scitato dall’attentato alla questura, Almirante denunciò l’imminen” Il nuovo centro-sinistra nasce da un ’intesa tra d c e PCI. La relazione di Almirante al Co­ mitato Centrale del m s i-d n , ivi, I (luglio 19 7 3), n. 1. 60 GIANNULI, Bombe ad inchiostro c i t . , p p . 246-51. “ Nel 19 73 la Federazione anarchica italiana, i Gruppi di iniziativa anarchica, i Grup­ pi anarchici federati e il gruppo Néstor Machno di Venezia presero ufficialmente le distan­ ze da Bertoli, non riconoscendolo come militante anarchico e disconoscendo l’attentato. Per i comunicati cfr. f e d e l i e s a c c h e t t i (a cura di), Congressi e convegni della Federazione Anarchica Italiana cit., p. 279. La figura di Bertoli è stata successivamente riabilitata, in special modo dalla rivista «A-rivista anarchica». C fr. G. b e r t o l i , Attraversando l ’arcipela­ go, Edizioni Senzapatria, Sondrio 1986.

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te costituzione di un governo di «sinistra-centro», egemonizzato dai comunisti. La formazione del quarto governo Rumor, il 9 luglio 1973 (una riedizione del centro-sinistra, con la partecipazione del p s i ), fu giudicato un diversivo dei comunisti ai fini di preparare il terreno per il loro ingresso al governo. « C ’è da tremare, pensando alle nostre responsabilità», scrisse il segretario del m s i , ai primi di settembre del 1973, poco prima che Berlinguer formulasse la pro­ posta del compromesso storico. « C ’è da esserne orgogliosi, pensan­ do che ci accingiamo a diventare, piaccia o non piaccia ai nostri av­ versari, la pietre del paragone politico, del divenire nazionale, del­ la rinascita sociale»62. La strategia della destra, nella sua accezione più vasta, doveva tradursi in un’opposizione «senza tregua» all’in­ contro fra cattolici e comunisti. Un appello alle Forze Armate, e l’invito a percorrere la stessa strada intrapresa dai militari cileni, concludevano la relazione di Almirante ai segretari provinciali del Movimento sociale, nell’ottobre del 19 7 3 ". Tale linea fu ribadi­ ta nei lavori del comitato centrale del partito, che si tennero a Ro­ ma nei giorni 12 e 13 gennaio 1974. L ’asse p c i -d c andava spezza­ to, e l’Italia ricondotta nell’alveo delle fortezze anticomuniste Portogallo, Spagna e Grecia - , cui si aggiungeva l’America Latina, nelle parole di Almirante, «continente carico di avvenire [...] che si è liberato dal marxismo e possiede le energie e le ispirazioni ne­ cessarie per liberarsi anche da ogni ipoteca capitalistica, realizzan­ do un sistema di autonomia nella libertà»64.

5. Le stragi del 1974. Scrisse Filippo De Jorio nel 1974: Un partito come quello comunista [...] la cui dottrina è l ’apologia della violenza rivoluzionaria la cui prassi politica solo per fini tattici accentua l’a­ zione sul piano parlamentare e che si propone come alternativa di governo di un tessuto sociale tutt’altro che permeabile a suggestioni totalitarie, può trovare uno spazio politico e una prospettiva di potere soltanto in un quadro

62 g . a l m i r a n t e ,

Dal centro-sinistra al sinistra-centro, in «Alternativa Nazionale», I (set­

tembre 19 7 3), nn. 2-3.

u Senza tregua! La relazione d e li on. Giorgio Almirante ai Segretari provinciali del m s id n , ivi (ottobre 1973), n. 4.

64 La relazione di Almirante al Comitato Centrale d e lm s i- d n , ivi, II (dicembre 1973-gennaio 1974), n. 1.

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Capitolo ottavo strategico che comprenda situazioni conflittuali interne. È nella consapevo­ lezza di questa aberrante ipotesi che si deve collocare la riscoperta, da parte del PCI, della questione militare e il conseguente massiccio e coordinato at­ tacco alle Forze Arm ate".

Filippo De Jorio era un avvocato, con un trascorso nella Demo­ crazia cristiana. Implicato nell’organizzazione del golpe Borghese, nel 1974 divenne responsabile della rivista di studi militari «Poli­ tica & Strategia», in precedenza diretta da Edgardo Beltrametti, uno degli animatori, nel maggio del 1965, del convegno sulla guer­ ra rivoluzionaria, organizzato dall’istituto Alberto Pollio. De Jorio esordi alla direzione di «Politica & Strategia» con un «rapporto speciale» sull’«infiltrazione rossa nelle Forze Arm ate», con tanto di appendice dei documenti del Partito comunista e dei gruppi ex­ traparlamentari dedicati ai problemi nell’esercito. De Jorio denun­ ciò che il « depotenziamento morale e operativo delle istituzioni mi­ litari» era « l’ultimo obiettivo strategico del p c i per la conquista del potere»66. L ’articolo si concludeva con un fosco monito. La risposta delle nostre Forze Armate a questa azione sovversiva inter­ na è ferma e sobria [...] anche se è resa difficile dalla scarsa rispondenza sul piano operativo di una classe politica nella quale, in questi ultimi anni, si è venuta progressivamente aggravando la discrasia tra parole e fatti67.

Il numero speciale di «Politica & Strategia» segui il convegno organizzato, nel febbraio del 1974, dal Centro studi e iniziative per la riforma dello Stato, del Partito comunista, sul tema «L e istruzio­ ni militari e l’ordinamento costituzionale». La conferenza, intro­ dotta dalle relazioni dei dirigenti Arrigo Boldrini - il leggendario comandante Bulow - e Ugo Pecchioli, aveva affrontato i problemi legati ai rapporti con le Forze Armate, qualora il Partito comunista fosse stato chiamato a coprire responsabilità di governo68. Le inquietudini del mondo militare, carsicamente emerse nella seconda metà degli anni Sessanta, si manifestarono, in maniera di­ rompente, agli inizi del 1974, dopo il prolungato silenzio seguito al­ la strage di piazza Fontana e al tentato golpe Borghese69. La crisi " F. DE j o r i o , Politica e Strategia, in «Politica & Strategia», III (marzo-giugno 1974), nn. 6-7. “ Ivi. 67 Ivi, p. 6. Per il coinvolgimento di De Jorio nel “ golpe Borghese” , cfr. s. f l a m i g n i , Trame atlantiche .Storia della Loggia massonica segreta P2, Kaos Edizioni, Roma 2005, p. 45. 68 c. r i c c h i n i , Militari e costituzione, in « l’Unità», 23 febbraio 1974. 69c t s , voi. I, tomo in, doc. xxm , n. 64, 26 aprile 2 0 0 1, pp. 245-46.

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della presidenza Nixon negli Stati Uniti, impantanatasi nella pa­ lude vietnamita, quella monetaria e quella petrolifera - aggravate dal conflitto arabo-israeliano del 1973 - , la vittoria in Inghilterra dei laburisti, nella Germania occidentale dei liberali e della s p d , la formazione, in Francia, deU’Union de la Gauche guidata da M itter­ rand, l’inizio delle trattative, a Helsinki, tra sovietici, statunitensi e i Paesi membri della n a t o sulla sicurezza in Europa, e l’avanza­ mento delle prime ipotesi sulla reciproca limitazione degli armamen­ ti nucleari tra i blocchi, disegnarono, agli inizi del 1974, uno scena­ rio per molti aspetti inedito, e difficilmente intellegibile70. Le diverse cordate interne alle strutture àzìY intelligence italiana, civile e militare, entrarono in conflitto fra loro, divise sulla strate­ gia da perseguire71. A questo si aggiunsero le perplessità suscitate, nelle alte gerarchie militari, dal possibile incontro fra cattolici e co­ munisti. Tale ipotesi era visceralmente avversata da due schieramen­ ti, non rappresentativi della complessità di orientamenti presenti nel mondo militare, ma che esprimevano, tuttavia, un malumore diffu­ so. Entrambi questi schieramenti erano determinati a rovesciare le istituzioni repubblicane. Uno faceva capo agli ambienti militari più compromessi con il neofascismo, l’altro aveva come referente poli­ tico il mondo resistenziale anti-comunista - rappresentato prin­ cipalmente da Edgardo Sogno e da Randolfo Pacciardi - , e settori dei partiti di governo che auspicavano il ridimensionamento dei co­ munisti e l’instaurazione di una Repubblica presidenziale72. Il cambiamento degli indirizzi strategici della n a t o , interessata

a una distensione dei rapporti con I ’ u r s s , incrinò la rete di compli­ cità che aveva tenuto insieme settori del mondo militare, del neo­ fascismo e del mondo politico, nel condiviso obiettivo di ricaccia­ re l’avanzata dei comunisti nel Paese. Venuto meno questo collan­ te, iniziò un perverso gioco di recriminazioni reciproche, di stru­ mentalizzazioni e reiterati tentativi di proseguire, a oltranza, la cro­ ciata anticomunista. Il ministero della Difesa, retto da Giulio Andreotti, dopo la formazione, il 28 febbraio 1974, del quinto gover­

70 Per il caso francese cfr. M . g e r v a s o n i , François Mitterrand. Una biografia politica e intellettuale, Einaudi, Torino 2007, pp. 76-81. Per il quadro internazionale cfr. R. c r o c k a t t , Cinquantanni di guerra fredda, Salerno editrice, Roma 199 7, pp. 349-410. 71 G. DE l u t o s , Storia dei servizi segreti in Italia, Editori Riuniti, Roma 1984, pp. 119 -2 9 . ” Vedi l’ inchiesta di G. f l a m i n i , L'Italia dei colpi di Stato, Newton Compton Editori, Roma 2007, pp. 135-47.

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no Rumor, nato in seguito al ritiro del sostegno del Partito repub­ blicano per contrasti sorti all’interno della maggioranza, divenne l’arena principale della faida in corso. Andreotti si trovò, cosi, a ge­ stire una partita complessa, a volte mediando, a volte insabbiando (come nel caso delle indagini sul tentato putsch di Borghese), altre volte opponendosi agli esponenti delle gerarchie militari più com­ promessi nelle trame golpiste73.

Queste avevano già cominciato a delinearsi con nitidezza anche agli occhi dell’opinione pubblica. Nel gennaio del 1974, diverse in­ dagini giudiziarie portarono alla luce i rapporti tra neofascisti e mi­ litari. La magistratura scopri l ’attività segreta della Rosa dei Ven­ ti, una struttura militare composta da ufficiali, che sarebbe dovuta entrare in azione in caso di invasione sovietica dell’Italia, tentan­ do la difesa dei confini orientali. In questa prospettiva, la Rosa dei Venti reclutò personale civile, tra cui alcune organizzazioni terro­ ristiche, come il raggruppamento neofascista La Fenice, e il m a r di Carlo Fumagalli. Ben presto, la Rosa dei Venti indirizzò la sua at­ tività a impedire, attraverso mezzi illegali e assieme ad altre realtà eversive, la modifica degli equilibri politici del Paese verso sinistra. Nello stesso mese, la procura di Milano, nell’ambito dell’inchiesta sugli attentati del 12 dicembre 1969, spiccò un ordine di cattura nei confronti di Guido Giannettini, compromettendo ulteriormen­ te l’immagine delle Forze Armate74. Il 28 gennaio, l’«Unità» informò i propri lettori che in diverse caserme, nella notte tra il 24 e il 25 gennaio, era stato proclamato lo stato di allerta e si erano svolte esercitazioni. Il Partito comuni­ sta chiamò a rispondere il ministro della Difesa Taviani, prima che questi lasciasse il suo dicastero ad Andreotti, il quale smentì l’ac­ caduto. La notizia del golpe rientrò, ma nel Paese si diffuse ugual­ mente l’ansia per l’imminenza del colpo di stato, sulla falsariga di quanto accaduto nel 196975. Nei giorni successivi, la tensione rima­ se alta, anche per l’impressionante catena di attentati che si re­ gistrarono nel Paese. Diverse sigle riconducibili agli ambienti del radicalismo di destra rivendicarono attentati ad altissimo potenzia­ 75 Sulle tensioni all’interno del corpo militare cfr. v. i l a r i , Le forze armate tra politica

e potere, 1943-1976, Vallecchi, Firenze 1978. 74 Si veda l’inchiesta di r . p e s e n t i (a cura di), Le stragi del s id . I generali sotto accusa, Gabriele Mazzotta Editore, Milano 1974. 75 Una smentita, alcuni fatti e molti interrogativi, in « l’Unità», 28 gennaio 1974.

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le, capaci di provocare una strage. Il 21 aprile 1974, ad esempio, una bomba scoppiò sul tratto ferroviario della linea Bologna-Firenze, provocando ingenti danni, poco prima che passasse un treno76. L ’attentato fu riconosciuto con la sigla «Brigate Popolari - Ordine Nuovo». Il fatto era inedito. Se si escludono gli attentati simboli­ ci contro le sezioni dei partiti avversari, reclamati, ad esempio, con la sigla s a m , le bombe del 1974 furono le prime a essere riconosciu­ te come proprie dall’estrema destra. Difficile sapere chi si nascondesse dietro queste sigle. Cosi co­ me i settori più oltranzisti del mondo militare, anche i gruppi del­ la destra extraparlamentare erano stati spiazzati dai mutamenti av­ venuti nello scenario internazionale. A differenza del Movimento sociale, le formazioni della destra radicale nutrivano scarso ottimi­ smo per la situazione italiana. I loro timori erano stati confermati nell’ottobre del 1973, quando un’inchiesta della procura di Roma, avviata dal p m Vittorio Occorsio due anni prima, portò all’incrimi­ nazione dei vertici del Movimento politico Ordine Nuovo, con l’ac­ cusa di ricostruzione del partito fascista. In realtà, le indagini di Occorsio non erano rivolte ad accertare l’eventuale coinvolgimen­ to del m p o n nella strategia delle stragi, né interessarono il gruppo di ordinovisti rientrati nel Movimento sociale nel novembre del 1969. La conclusione dell’indagine, però, forni l’occasione al mini­ stero degli Interni, guidato in quei giorni da Taviani, di mettere fuori legge il gruppo di Clemente Graziani77. La decisione corri­ spondeva a un freddo calcolo politico, dettato dalla necessità di re­ cidere i legami che in passato si erano intrecciati tra i diversi am­ bienti anticomunisti. Tanto più che il 30 gennaio 1974 vennero spiccati, sempre dalla procura di Roma, centinaia di avvisi di rea­ to contro i dirigenti e i quadri di Avanguardia nazionale. Il 28 febbraio, i superstiti delle due organizzazioni s’incontraro no segretamente nella cittadina romagnola di Cattolica, fondando il gruppo Ordine nero, e decidendo di proseguire la pubblicazione del foglio «Anno Zero», i cui primi numeri erano già usciti alla fine del 1973. «Anno Zero», si leggeva su un editoriale del gennaio del 1974, [...] proietta nel tempo e rafforza e rende sempre più freddamente minaccio­ sa la voce di quanti prima di noi osarono lanciare la loro sfida contro il siste-

76 Attentato sulla Bologna-Firenze. I terroristi volevano la strage, ivi, 22 aprile 1974. 77 a c s , p s , g , 1944-86, fase. G 5/46/1.

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Capitolo ottavo ma borghese ed è, allo stesso tempo, testimonianza di una volontà di lotta e di una ribellione assolute alla dittatura democratica che ne è afflizione™.

Nei mesi successivi, alcuni attentati furono rivendicati con la si­ gla «Ordine nero», la maggior parte dei quali si registrarono nella città di Milano. Difficile, tuttavia, valutare la reale paternità delle bombe, vista l’assoluta clandestinità che caratterizzava il gruppo neofascista, e la circostanza che sul medesimo terreno di strategia del terrore potevano convergere gli ambienti militari decisi a pro­ seguire la crociata anticomunista e interessati a seminare il panico nel Paese. Com’era successo nel 1969, il continuo succedersi di attentati indicava, si, il dispiegarsi di una strategia eversiva, ma la simulta­ nea decisione, presa da tanti gruppi neofascisti, di scendere sul ter­ reno del terrorismo stava a indicare, tuttavia, la presenza di un fe­ nomeno politico-culturale. Il 28 marzo 1974, ad esempio, in un mercato di Varese, una bomba piazzata da estremisti di destra uc­ cise il fioraio Vittorio Brusa7’ . La dimensione quotidiana di scon­ tro fratricida con la sinistra extraparlamentare, l’ossessione per l’ac­ cordo tra comunisti e cattolici, la marginalizzazione dal sistema po­ litico, il distacco dal Movimento sociale, accusato di essersi compro­ messo con il “ regime democratico” , spinsero l’estrema destra a ri­ correre all’attentato come arma micidiale, per controbilanciare un rapporto di forze avvertito come schiacciante, e per innescare, al­ lo stesso tempo, una reazione a catena nella società, tale da spinge­ re i militari, considerati ultimo baluardo nella lotta contro il comu­ niSmo, a intervenire nella vita pubblica del Paese. Tale calcolo ri­ sultò essere sbagliato o, quanto meno, anacronistico, poiché due delle più importanti giunte militari al governo nell’ Europa me­ ridionale, quella greca e quella portoghese, stavano per essere tra­ volte e sostituite da regimi democratici. Il radicalismo di destra trovò, paradossalmente, nel terrorism di sinistra l’illusoria e ingannatrice conferma della giustezza della politica degli attentati. Il 18 aprile 1974, dopo mesi d’inattività, le Brigate Rosse sequestrarono, a Genova, il procuratore della Repub­

78 Chi siamo, in «Anno Zero», gennaio 19 74, in s . f o r t e (a cura di), Clemente Grazi ni. La vita, le idee, Settimo Sigillo Edizioni, Roma 199 7, p. 14 3. 79 1. p a o l u c c i , Bomba esplode in un mercato a Varese. Ucciso un fioraio e uccisa la mo­ glie, in « l’Unità», 29 marzo 1974.

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blica Mario Sossi, responsabile delle indagini sul gruppo X X II ottobre. Era la prima volta che i terroristi colpivano un rappresen­ tante dello Stato. La decisione di rapire Sossi avvenne in uno sno­ do delicato della vita pubblica nazionale. Da mesi, le forze politi­ che e la società civile si stavano confrontando in vista del referen­ dum abrogativo della legge sul divorzio, che si sarebbe dovuto svolgere a maggio. Le Brigate Rosse intervennero, cosi, approfit­ tando del clima di forte contrapposizione ideologica che stava vi­ vendo il Paese. La battaglia civile provocò una battuta d’arresto nel tortuoso dialogo tra comunisti e cattolici. La Democrazia cristia­ na, infatti, si ritrovò, con il Movimento sociale e con le gerarchie ecclesiastiche, a sostenere il fronte del si. In un ragionamento non troppo dissimile da quello delle Brigate Rosse, i neofascisti più intransigenti, dunque, videro nella polarizzazione dello scontro po­ litico il terreno migliore per esasperare gli animi, e precipitare il Paese in una crisi irreversibile. Fin dagli inizi del 1974, si registrarono, nella città di Brescia e nel circondario, molti attentati, riconducibili all’estrema destra, contro le sedi della Democrazia cristiana e del Partito comunista, dei sindacati e delle cooperative sociali80. Il neofascismo bresciano era mosso sia da un viscerale anticomunismo sia da una profonda avversione contro il mondo cattolico, che, a Brescia e in provincia, era fortemente impegnato nelle attività sociali. Gli attentati terro­ ristici s’intensificarono contestualmente alla comunicazione, il 13 maggio 1974, dell’esito negativo del referendum abrogativo della legge sul divorzio, bocciato dal voto popolare. Per i terroristi neo­ fascisti sfumava, cosi, l’ennesima possibilità di modificare gli equi­ libri politici del Paese a proprio vantaggio. Sei giorni dopo, a Brescia, il 19 maggio, un giovane neofascista, Silvio Ferrari, saltò in aria, a causa di un ordigno che stava tra­ sportando nel centro della città. Per protestare contro i ripetuti at­ tentati, il Comitato permanente antifascista cittadino, composto dai rappresentanti dei partiti dell’arco costituzionale, e le Federazioni provinciali della c g i l , della c i s l e della u i l , indissero per il 28 mag­ gio una manifestazione in piazza della Loggia. Essa rientrava nella

M Sulla composizione dell’estrema destra bresciana cfr. r . C h i a r i n i e p . c o r s i n i , Da Salò a piazza della Loggia. Blocco d ’ordine, neofascismo, radicalismo di destra a Brescia, 19451974, Franco Angeli, Milano 1983.

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strategia sindacale di mobilitare i lavoratori in difesa delle istitu­ zioni repubblicane, indebolite dagli attacchi provenienti dal terro­ rismo nero e rosso, e dai continui scandali che stavano travolgendo spezzoni dello Stato e del mondo politico81. La mattina del 28 maggio, si radunarono, in piazza della Loggia, migliaia di cittadini. Mentre il sindacalista Franco Castrezzati apri­ va il comizio, denunciando il ripetersi delle violenze degli estremi­ sti di destra, la loro impunità e le connivenze con il Movimento so­ ciale, una bomba esplose, uccidendo otto manifestanti82. Quasi con­ temporaneamente, una missiva recapitata alla redazione del «Gior­ nale di Brescia», a firma «Ordine nero - Gruppo Anno Zero Brixien g a u » , annunciava imminenti ritorsioni contro personalità pubbliche della città di Brescia. Nelle indagini giudiziarie, non è sta­ to accertato con chiarezza il legame tra il volantino firmato «Ordi­ ne nero» e gli attentatori, la cui identificazione fu resa difficile già il giorno stesso della strage. La questura di Brescia, infatti, prese la sconsiderata decisione di rimuovere, con un idrante, le macchie di sangue, e con esse i possibili indizi che avrebbero potuto portare a individuare i responsabili dell’attentato. Certo è che, per la prima volta dalle bombe del 12 dicembre 1969, la strage non colpiva alla cieca, ma veniva finalizzata contro un preciso obiettivo8’ . Poco più di due mesi dopo, il 4 agosto, una bomba incendiaria esplose in un vagone del treno Italicus, sulla linea Firenze-Bologna, all’uscita della galleria di San Benedetto di Val di Sambro, ucciden­ do dodici persone e ferendone cinquanta. Il giorno dopo, un volan­ tino a firma «Ordine nero - sezione Pierre Drieu La Rochelle - se­ zione Giancarlo Esposti», rivendicò l’attentato84. Il richiamo a Drieu La Rochelle, uno degli intellettuali più influenti nella cultu­ ra dell’estrema destra italiana ed europea, suicidatosi nel 1945 alla

81 Precedentemente, il 7 maggio 19 74, i sindacati avevano indetto uno sciopero gene­ rale a G enova, per protestare contro le Brigate Rosse. Cfr. I lavoratori genovesi si levano contro le infami provocazioni, in « l’Unità», 8 maggio 1974. " Una particolareggiata ricostruzione della strage di Brescia è contenuta in f r a n z i n e l l i , I.a sottile linea nera cit., pp. 284-325. 8> C fr. l’inchiesta a caldo di F. d e n t i c e , La strage nera, in « L ’ Espresso», X X (2 giugno 1974), n. 22. Due istruttorie si sono occupate della strage di Brescia, la prima conclusasi nel 1979 e la seconda nel 1989. In entrambe, gli esponenti di estrema destra coinvolti so­ no stati assolti in Cassazione. Un terzo filone d ’indagine è stato aperto nel 2005, presso la procura di Brescia, contro ex militanti neofascisti e uomini dei servizi segreti (su Carlo M a­ ria Maggi, cfr. nota n. 2 del cap. 11). Il procedimento penale è tuttora in corso. 84 id., La strategia della distruzione, ivi ( 1 1 agosto 1 9 7 4 ) , n. 3 2 .

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vigilia della Liberazione, e il riferimento a Giancarlo Esposti, mili­ tante neofascista ucciso dai carabinieri, il 30 maggio 1974, in uno scontro a fuoco a Pian di Rascino, in provincia di Rieti, dove con altri estremisti di destra aveva organizzato un campo di addestra­ mento, sembrarono indicare una matrice sostanzialmente di ven­ detta, e quasi nichilista, degli attentati. In un’intervista, pubblica­ ta nel dicembre dello stesso anno dall’«Espresso», Clemente G ra­ ziarli, dalla latitanza, smentì, tuttavia, il suo coinvolgimento e quello della sua organizzazione nel realizzare le stragi, ascrivendole ad «am­ bienti della destra conservatrice, massonica e patriottarda»85. Le successive indagini giudiziarie, pur non individuando i colpevoli, attribuirono la strage a settori dell’oltranzismo di destra, operanti in Toscana e guidati dal terrorista neofascista Mario Tuti86. La strage del treno Italìcus giungeva dopo un lungo periodo di tensioni tra l’esecutivo e le gerarchie delle Forze Armate, in spe­ cial modo con i vertici dei servizi segreti militari87. Il 12 giugno, in un’intervista al settimanale «Il Mondo», Andreotti ammise l’ap­ partenenza di Guido Giannettini al servizio segreto militare. In lu­ glio, inoltre, venne deposto il generale Vito Miceli, a capo del s i d , e, a seguire, altri dodici esponenti delle alte gerarchie militari. La strategia della tensione, come si era delineata tra il 1969 e il 1974, fu così definitivamente accantonata88. Contemporaneamente, nau­ fragò anche il progetto golpista di Edgardo Sogno, che sarebbe sta­ to reso noto, però, solamente due anni dopo, in seguito alle inchie­ ste del magistrato Luciano Violante89. Dopo la strage di Brescia, il Movimento sociale si ritrovò nel­ l ’occhio del ciclone. Almirante rigettò sull’estrema sinistra la respon­ sabilità degli attentati, ventilando l’ipotesi che questi potessero essere stati una «premeditata speculazione» per sabotare il proget­ to costitutivo di una Destra nazionale, alternativa al compromesso ” G. BULTRINI,

E il loro duce fa la spiegazione. Colloquio con Clemente Graziani, ivi ( 1 0

dicembre 1974), n. 48. 86 A. SPERANZONI e F.

m a g n o n i , Le stragi: i processi e la storia. Ipotesi per un’interpreta­ zione unitaria iella strategia della tensione, 1969-1974, Grafiche Biesse Editrice, Venezia

1999, pp. 63-64. Con la sentenza della Corte di cassazione del 4 aprile 19 9 1, Tuti e gli al­ tri imputati della strage furono assolti per il reato di strage. "? Di queste tensioni rimase ampia traccia nella pubblicistica di allora. Si veda M . s c ia l o j a , Due generali (del s id ) a rapporto, in « L ’Espresso», X X (9 giugno 1974), n. 23. “ Ibid. 85 Su questo progetto di colpo di stato vedi la stessa testimonianza di E. s o g n o con c a z z u l l o , Testamento di un anti-comunista. Dalla Resistenza al golpe bianco, Mondadori, Milano 2000, pp. 125-68.

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storico tra cattolici e comunisti90. Tale linea fu ribadita nei lavori del Consiglio nazionale del Movimento sociale, pubblicati dalla ri­ vista «Azione Nazionale» nel luglio del 197491. Nello stesso nume­ ro, comparve, però, un articolo di Carlo Amedeo Gamba che sem­ brava contraddire la linea di Almirante” . A ridosso della strage, Gamba scrisse che gli attentatori, riconducibili ad ambienti «par­ tigiani», avevano compiuto un atto di «resistenza», per quanto aber­ rante, cointro un governo considerato alla stregua di un regime, com’era sitato fatto dai gappisti durante la guerra di Liberazione. Gamba traeva le seguenti conclusioni: [...] se pure qualche ingenuo giovane sbandato, proveniente da posizioni del­ la destr¡a, fosse stato fatto da quei partigiani strumento della loro azione ever­ siva, anche a costui - alla luce della loro azione eversiva, anche a costui - al­ la luce dei principi affermati e ognora confermati dal Regime - non potreb­ be venir dal Regime stesso negato il diritto alla «resistenza» e quindi il diritto a esser considerato e trattato per quello che in realtà è: un partigiano che lot­ ta contro l’oppressione di questo governo [...] L ’antifascismo nazionale e in­ ternazionale non ha il diritto di sdegnarsi e di condannare con tanta enfasi coloro i quali a Brescia non hanno fatto nulla di diverso dagli attentatori di via Raspila, medaglie d’oro della resistenza, che con lo stesso ordigno massa­ crarono, insieme ai trentatre vecchi soldati tedeschi della territoriale, anche sette inermi e pacifici passanti italiani, tra cui due bambini, sui quali l’ipo­ crita e cinica retorica antifascista non ha mai versato una lacrima né deposto un fiore” .

Non era chiaro se Gamba, alludendo ad «ambienti partigiani», intendesse riferirsi al Movimento di azione rivoluzionaria dell’ex partigiano Carlo Fumagalli, in contatto con alcuni neofascisti suc­ cessivamente interessati dalle indagini giudiziarie. A ll’indomani dell’attentato sul treno Italicus, però, l’ipotesi che qualche estre­ mista di destra fosse coinvolto nella realizzazione della strage di Brescia, scomparve, dalle prese di posizione pubbliche dei dirigen­ ti missini. L ’attentato fu da loro in un primo momento attribuito all’estrema sinistra e, in una fase successiva, ai terroristi palestine* G.

a l m ir a n t e ,

I morti di occasione, in «Alternativa Nazionale», II (maggio 1974),

n. 5. " Credibilità, protesta e anticomunismo. La relazione di Almirante al Consiglio naziona­ le d e l m s i -d n , ivi (luglio-agosto 1974), n. 7. ” Carlo Amedeo Gam ba proveniva dall’esperienza della Repubblica sociale: tra i fon­ datori del Movimento sociale, ne era stato membro del comitato centrale e della direzione nazionale. ” c . A. GAMBA, Terrorismo partigiano, ivi.

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si94. In assenza di prove, il Movimento sociale continuò ad addebi­ tare la responsabilità degli attentati al Partito comunista, accusan­ dolo di voler innescare un golpe militare, sul modello di quello che aveva rovesciato la dittatura salazarista in Portogallo” . Il tentati­ vo naufragò, e mise in luce, solamente, la profonda spaccatura che si stava ormai verificando all’interno della dirigenza missina attor­ no alla segreteria di Almirante96.

6. Apogeo e crisi dell’antifascismo militante. Dopo che la televisione e le radio annunciarono la notizia della strage avvenuta a Brescia, centinaia di manifestazioni spontanee si verificarono in tutta Italia. La rabbia popolare esplose contro i neo­ fascisti, prima che fosse verificata l’effettiva responsabilità degli at­ tentati. Decine di sezioni del Movimento sociale e di altri gruppi di estrema destra furono prese d’assalto e distrutte. I disordini pro­ seguirono il 29 maggio, quando, in tutto il Paese, le confederazio­ ni sindacali e i partiti di sinistra indissero le manifestazioni, cui par­ teciparono centinaia di migliaia di cittadini97. Nuovamente si regi­ strarono episodi di violenza. A Roma, i manifestanti attaccarono le sedi missine in diversi quartieri della città, mentre l’abitazione di un militante neofascista fu danneggiata da un attentato incendia­ rio98. Analoghe manifestazioni di protesta si verificarono in occa­ sione della strage sul treno Italicus, quando ancora una volta la rab­ bia popolare si sfogò contro le sedi dei partiti di estrema destra” . Scrisse «Lotta continua», all’indomani della strage di Brescia: [...] niente si è fatto, se non ridicole frasi, per colpire la complicità tra gli as­ sassini fascisti, i loro mandanti nel potere economico, i loro manovratori nei M Riaffermare la lotta al comuniSmo. Appello della Segreteria politica del m s i -d n agli ita­ liani, ivi (settembre 1974), n . 9. Cfr. l . g u e r r i e r i , Le strategie di destabilizzazione viste dal­ l ’estrema destra, in d o n d i (a cura di), I neri e i rossi cit., pp. 99-125. ” Sul comportamento del M SI vedi l’inchiesta di G. c a t a l a n o , Tutto pronto per la guer­ ra civile, in « L ’Espresso», X X (18 agosto 1974), n. 33. “ Sulla crisi della segreteria di Almirante cfr. le interviste raccolte tra i dirigenti del m a l a s p i n a , Se Almirante perde il posto, ivi (16 giugno 1974), n. 24. ” Monito possente. Cambiare strada, stroncare l ’infame trama fascista, in « l’ Unità», 30 maggio 1974. ” Incidenti provocati da extraparlamentari di sinistra turbano la civile protesta contro la strage di Brescia, in «Corriere della Sera», 30 maggio 1974. ” Imponente risposta antifascista del Paese, in « l’Unità», 6 agosto 1974. MSI contenute nell’ inchiesta di T.

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Capitolo ottavo corpi dello Stato [...] Niente si è fatto per cacciare gli uomini che hanno di­ retto e dirigono la strategia della tensione nei corpi di polizia, nel s i d , nelle gerarchie militari e burocratiche100.

La sconfitta del fronte del “ no” al referendum sul divorzio, e la partecipazione di massa alle manifestazioni per commemorare le vittime della strage di Brescia, diedero, sul momento, nuova linfa all’antifascismo militante. In precedenza, il rischio di un’involuzio­ ne autoritaria aveva spinto settori del mondo culturale e politico ad avvicinarsi alla dimensione della lotta antifascista, promossa dal­ la sinistra extraparlamentare. Tale incontro era stato ufficializza­ to, nel giugno 19 73, in occasione del convegno, organizzato dal Partito di unità proletaria, sul tema «Per un nuovo antifascismo militante. L ’involuzione neoautoritaria oggi in Italia»101. Al conve­ gno presero parte settori dell’ANPi, delegazioni del p c i , del p s i , del­ le a c u , dei partiti extraparlamentari, ed esponenti dell’antifasci­ smo storico come Guido Quazza e Vittorio Foa. I partecipanti pro­ ponevano di rompere con l’antifascismo unitario e celebrativo, nel tentativo di rilanciare la lotta antifascista nella sua dimensione di «lotta di classe» e di opposizione ai progetti autoritari102. Il con­ fronto fra nuove e tradizionali generazioni dell’antifascismo smus­ sò i toni più intransigenti e militaristi contenuti nell’originaria versione dell’antifascismo militante, prodotta da Lotta Continua nel 1970. Tant’è che il gruppo, aH’indomani della strage di Brescia, tentò d’incanalare l’indignazione popolare nel sostegno alla propo­ sta di messa fuori legge del Movimento sociale e del resto dei grup­ pi neofascisti105. In realtà, le stragi del 1974 segnarono la crisi dell’antifascismo militante come strumento per la strategia di lotta della sinistra extraparlamentare. La prima presa di distanza venne dall’area dell ’Autonomia operaia, l’arcipelago di comitati e collettivi nati dallo scioglimento, rispettivamente, del gruppo Gram sci, nel gennaio 1973, e di Potere Operaio, dopo il convegno della Rosolina, nel giu­

100 Una bomba fascista ha massacrato donne, bambini, operai che manifestavano contro il terrorismo nero, in «Lotta continua», 29 maggio 1974. 101 II p d u p nacque alla fine del 19 7 2 dall’incontro fra l’ala sinistra del p s i u p , che, al suo scioglimento, aveva deciso di non rientrare nel p s i , e i gruppi del dissenso cattolico. 102 Antifascismo e lotta di classe, Savelli, Roma 19 74 («Quaderni di Unità Proletaria», n. 2). 10! Il polso del paese, in «Lotta continua», 30 maggio 1974.

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gno successivo104. «Feriti a morte dagli anni di lotta operaia, ridico­ lizzati il 12 maggio, i fascisti mostrano con le bombe una forza ap­ parente; in realtà si muovono come disperati, come sconfitti», scris­ se «Rosso», commentando la strage di Brescia105. «Rosso», una del­ le principali riviste teoriche dell’area dell’Autonomia, facente capo ai collettivi di Milano e Torino, criticò la posizione di Lotta Con­ tinua, sostenendo che il pericolo per la «sinistra di classe» prove­ nisse dall’accordo tra il Partito comunista, i sindacati e il padrona­ to per rilanciare il ciclo produttivo nelle fabbriche. Diversa la posi­ zione dei comitati autonomi operanti a Roma, che sottolinearono la positività della mobilitazione di massa antifascista, da radicalizzare in vista della rivolta proletaria. «Uccidere i fascisti non è rea­ to», era scritto in un volantino distribuito nel giugno del 1974, che proseguiva: «Compagni, lavoratori non bastano le manifestazioni grandiose di questi giorni. Non vogliamo più piangere i nostri mor­ ti»106. Nel suo complesso, l’area dell’Autonomia, però, prese le di­ stanze dall’antifascismo militante, cosi com’era stato espresso dal­ la sinistra extraparlamentare fino a quel momento. In quei giorni, si consumò un’ulteriore rottura. Il 16 giugno 1974, un commando delle Brigate Rosse fece irruzione in una sede del Movimento sociale di Padova. Due militanti missini presenti al momento dell’incursione, Giuseppe Mazzola e Graziano Giralucci, provarono a difendersi: feriti, sopraffatti e ammanettati, furo­ no uccisi con un colpo di pistola alla nuca. L ’estrema sinistra parlò di un «incidente sul lavoro» dei brigatisti, che originariamente vo­ levano compiere un gesto dimostrativo107. Nel documento rivendi­ cativo del duplice omicidio, le Brigate Rosse scrissero che «le for­ ze rivoluzionarie sono, da Brescia in poi, legittimate a rispondere alle barbarie fasciste con la giustizia armata del proletariato»108. Nel­ lo stesso documento, tuttavia, si accennava ai successivi indirizzi che avrebbero dovuto guidare il proletariato, all’interno dei quali 104 s. b ia n c h i e L. CAMINITI (a cura di), G li autonomi, Deriveapprodi, Roma 2008, voi. I li, Le storie, le lotte e le teorie. 10! Ifascisti, i coccodrilli democratici e la violenza rivoluzionaria, in «Rosso», II (giugno 1974), n. 1 1 . 106 Uccidere i fascisti non è reato, giugno 19 7 4 , in Autonomia operaia, a cura dei Com i­ tati autonomi operai, Savelli, Roma 1976 , p. 258. 107 Cfr. s. CASiLio, «Ilcielo è caduto sulla terra! ». Politica e violenza politica nell’estre­ ma sinistra in Italia (1974-1978), Edizioni Associate, Roma 2005, pp. 84-87. 108 Volantino del 18 giugno 19 7 4 , in Soccorso Rosso, Brigate Rosse cit., p. 253.

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Capitolo ottavo

la contrapposizione armata contro i neofascisti perdeva progressi­ vamente importanza: Non colpisce nel segno chi continua a lottare contro il fascismo veden­ dolo come forza politica autonoma che si può battere isolatamente senza coin­ volgere lo stato che lo produce. Non colpisce affatto chi non si muove con­ tro i fascisti con la scusa che sono «solo servi». Al progetto controrivoluzio­ nario che mira ad accerchiare e battere la classe operaia, dobbiamo opporre un’iniziativa rivoluzionaria armata che si organizzi a partire dalle fabbriche contro lo stato e i suoi bracci armati. Le sedi del M S I non sono più inviolabi­ li roccaforti nere! Nessun fascista può più considerarsi sicuro! Nessun cri­ mine fascista rimarrà impunito! Portare l’attacco al cuore dello stato! Lotta armata per il comunismo !

II documento, con l’indicazione di portare l’attacco al cuore del­ lo Stato, anticipò la scelta operata dalla direzione strategica delle Brigate Rosse nell’aprile del 1975. Significativamente, anche i Nu­ clei armati proletari presero le distanze dalla «tanto declamata pa­ rola d’ordine “ Fuorilegge il m s i ” » , che aveva «tradito la coscienza e gli interessi del proletariato deviandone lo scontro di classe»110. La sinistra extraparlamentare, secondo i n a p , era divenuta subal­ terna al Partito comunista, e a un «compromesso storico storica­ mente delinquenziale per le masse proletarie occupate e precarie»111. La crisi della sinistra extraparlamentare, che cominciò a delinear­ si con nettezza tra la fine del 1974 e gli inizi del 1975, innescata dal ripiegamento dei gruppi su se stessi e dall’assoluta inconsistenza dei programmi politici, fece si che tali posizioni divenissero predomi­ nanti nell’area della sinistra antagonista112. L ’antifascismo militan­ te rimase, cosi, un involucro vuoto, il cui spessore teorico perse con­ sistenza, divenendo prassi di violenza organizzata, sopravvissuta al­ lo stesso contesto - le stragi e i tentativi di colpo di stato - in cui era nato, e all’interno del quale pur risiedeva la sua motivazione.

,M Ivi. 110 Nuclei armati proletari, Autonomia operaia, Nucleo esterno movimento dei dete­ nuti, volantino, settembre 19 7 4 , in Le parole scritte cit., p. 230. III Ivi, p. 2 3 1. 112 Per la crisi dei gruppi della sinistra extraparlamentare, nella seconda metà degli an­ ni Settanta, cfr. p. R. f a n e s i (a cura di), Su di una mappa dei gruppi della sinistra extraparla­ mentare (1960-1977), in «Storia e problemi contemporanei», VI (aprile 1993), n. 1 1 , pp. 13 7 sgg.; e il saggio di A. b r a v o , Noi e la violenza. Trent'anni per pensarci, in «Genesis», III (2004), n. 1 , pp. 17-56.

Primavere di

stingile

7. L ’antifascismo democratico e la difesa delle istituzioni repub­

blicane. Nel giorno d ’insediamento del suo quarto governo, il 2 dicem­ bre 1974, Aldo Moro pronunciò un discorso, volto a ribadire, in nome dei valori della Resistenza, la difesa della Costituzione an­ tifascista e delle istituzioni repubblicane: E con profonda amarezza che si deve constatare come il fascismo rina­ sca dalle sue ceneri, dove lo avevano consumato la guerra esterna e la guer­ ra civile, pur dopo trent’anni di normale vita democratica e di profonde in­ novazioni sociali e politiche: pur in presenza di un fortissimo schieramento popolare, diviso sulla soluzione da dare ai molteplici problemi del paese, ma certo solidamente unito nell’opporre ancora una volta la più forte e vittorio­ sa resistenza a ogni tentativo di reintrodurre la logica assurda e disumana del­ la violenza e di riportare l’ Italia sotto il giogo fascista. Questo netto rifiuto [...] si colloca di fronte a fatti numerosi, gravissimi, legati da un filo neppu­ re troppo sottile e tali da turbare profondamente la coscienza democratica del nostro paese"’ .

L ’antifascismo era stato il principale terreno d ’incontro fra il Partito comunista e la Democrazia cristiana, fonte di legittimazio­ ne per la «strategia dell’attenzione» di Aldo Moro verso il p c i , che si sarebbe concretizzata nei governi di «solidarietà nazionale», alla fine degli anni Settanta114. Il discorso di Moro trovava parziale ri­ scontro e sostegno nell’imponente mobilitazione antifascista segui­ ta alle stragi di Brescia e del treno Italicus. Ma il rinnovato spirito antifascista, tra i ceti popolari, fu anche reazione alla sfida lanciata alle istituzioni repubblicane da parte del terrorismo rosso, concre­ tizzatasi dopo il sequestro del giudice Sossi, nell’aprile del 1974115. Dopo l’iniziale esplosione di rabbia, la mobilitazione popolare se­ guita alla strage di Brescia si trasformò in una dimostrazione della

1 0 a p , 2 d ic e m b re 1 9 7 4 , p. 1 8 1 1 4 . 114 Sul ruolo dell’ antifascismo nel dialogo tra PCI e DC - e per le ripercussioni sull’an­ tifascismo espresso dai movimenti di contestazione - cfr. A. r a p i n i , Antifascismo e cittadi­ nanza repubblicana. Giovani, identità e memorie nell’Italia repubblicana, Bononia University Press, Bologna 2 0 0 5 , pp. 1 9 5 - 9 9 . F. f o c a r d i , La guerra della memoria. La Resistenza nel dibattito politico italiano dal 1 9 4 5 a oggi, Laterza, Roma-Bari 2 0 0 5 , p. 5 2 . Vedi anche D. m e l e g a r i , Unità e conflitto. Immagini della resistenza nei manifesti politici, in i d . e 1. l a f a t a , La Resistenza contesa M e ­ moria e rappresentazione d e li antifascismo nei manifesti politici degli anni settanta, Edizioni

Punto Rosso, Parma 2 0 0 4 , pp. 4 7 -6 7 .

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Capitolo ottavo

maturità democratica del Paese, che colmò il vuoto politico e istitu­ zionale, dilatatosi ulteriormente a partire dagli attentati del 1 2 di­ cembre 1969. All’indomani della strage, il Consiglio regionale della Lombardia, riunitosi in seduta straordinaria, approvò all’unanimità una mozione ufficiale, nella quale si opponeva il rifiuto all’ipotesi di ricorrere a leggi speciali nell’attività di repressione dei gruppi terroristici116. Il giorno dei funerali delle vittime, il 30 maggio 1974, furono le confederazioni sindacali a occupare lo spazio commemo­ rativo, incarnando lo spirito unitario espresso dalla partecipazione popolare, che, al contrario, non trovò un punto di riferimento nelle istituzioni. La partecipazione del presidente della Repubblica Gio­ vanni Leone, scortato da agenti di polizia in borghese, e delle mas­ sime autorità dello Stato, si ridusse, infatti, a una presenza puramen­ te formale, contestata, fra l’altro, dagli stessi cittadini117. I progetti golpisti e autoritari dei neofascisti, e quelli di guerra civile del terrorismo di sinistra trovarono ben più solida barriera nel comune senso di cittadinanza repubblicana degli italiani, for­ matosi anche attraverso il ruolo d’insegnamento ai valori civili e di solidarietà sociale svolto dai partiti di massa e dai sindacati, uniti dal sentimento antifascista e dalla comune trascorsa resistenza al­ la dittatura118. La sottovalutazione della ormai consolidata stabilità del tessuto democratico nazionale spinse il terrorismo rosso e nero ad aumentare il proprio volume di fuoco, con la convinzione, in en­ trambi i casi, che l’utilizzo combinato di violenza e paura avrebbe, alla lunga, sfaldato le strette maglie della democrazia italiana.

8. La primavera di sangue del 1975. II 26 novembre 1975, Roma fu attraversata da un lungo corteo, che da porta San Paolo si diresse verso piazza San Giovanni. Si com­ memorava la morte di Pietro Bruno, giovanissimo militante di Lot­

114 B. b a r d in i e s. n o v e n t a , 28 maggio 1974. Strage di piazza della Loggia. Le risposte della società bresciana, Casa della Memoria, Brescia 2008, pp. 18 -2 1. 117 s. b o f f e l l i , c. m a s s e n t i n i e M . U g o l in i , Not sfileremo in silenzio. I lavoratori a di­ fesa della democrazia dopo la strage di piazza della Loggia, Ediesse, Roma 2007.

118 Sulla funzione pedagogica e civile dei partiti di massa cfr. la nuova introduzione al­ lo studio di A. v e n t r o n e , La cittadinanza repubblicana. Come cattolici e comunisti hanno co­ struito la democrazia italiana (1943-1948), il Mulino, Bologna 2008, pp. 1 2 - 13 .

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ta Continua, colpito alle spalle dai proiettili di pistola sparatigli dal­ la polizia, nel corso di una manifestazione di protesta per il ricono­ scimento da parte dell’Italia della Repubblica popolare dell’Angola119. Tra gli striscioni portati dai manifestanti, ne comparve uno con la scritta: «19 75. 1 1 ammazzati. Moro = Sceiba». In realtà, le morti che si registrarono nel 1975 furono molte di più. Tra mani­ festazioni di piazza, scontri fra avversari politici e azioni terroristiche, il bilancio delle vittime arrivò a contare ventitré persone ucci­ se e centinaia di feriti120. Il rinnovato sentimento antifascista che aveva coinvolto i partiti non si tradusse, però, in un’azione politi­ ca riformatrice di ampio respiro, capace di correggere le storture presenti da lunga data nella gestione dell’ordine pubblico. Anzi, l’approvazione, con ampia maggioranza, il 7 maggio 1975, di una nuova legge sull’ordine pubblico, su proposta del ministro della Giu­ stizia, il repubblicano Oronzo Reale, che autorizzava l’uso delle ar­ mi da fuoco da parte della polizia nel corso delle manifestazioni, indicava la difficoltà della classe politica di comprendere fino in fon­ do la portata dei problemi che affliggevano il Paese121. Nonostante le stragi dell’anno precedente e il proliferare delle formazioni ar­ mate, infatti, era ancora la piazza - come in passato - a essere av­ vertita come il principale problema per l’ordine pubblico. La campagna per le elezioni regionali del giugno 1975 iniziò an­ ticipatamente, il 3 marzo, quando alla Camera fu approvato, all’u­ nanimità, il provvedimento di legge che consentiva ai diciottenni di partecipare al voto. I partiti che avessero saputo intercettare il consenso delle nuove generazioni avrebbero ottenuto un incremen­ to non indifferente. La decisione, in sé positiva, perché riconosce­ va l’apporto delle nuove generazioni al progresso democratico del Paese, innescò, paradossalmente, una spirale di violenze, con pro­ tagonisti e vittime proprio i giovani. Delle ventitré morti del 1975, ben nove sono ascrivibili allo scontro fra giovani militanti di destra e di sinistra, cui bisogna aggiungerne altre quattro - di cui tre di

119 Sulla morte di Pietro Bruno cfr. M . c o c c ia e s. f o n t a n a (a cura di), G li occhi di P tro. Un ragazzo degli anni Settanta, Edizioni Aiegre, Roma 2006. 1!0 Le date del terrore. La genesi del terrorismo italiano e il microclima dell’eversione, dal 19 4 5 a l 200), Luca Sassela Editore, Roma 2003, pp. 146-58. 121 Sugli effetti della legge Reale nella gestione dell’ordine pubblico vedi Centro di i ziativa Luca Rossi (a cura di), Ricerca sui casi di uccisione e ferimento “da legge Reale”, in i d ., Libro bianco sulla legge Reale, Milano 1990, pp. 1 6 9 - 3 11.

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Capitolo ottavo

giovanissimi - causate dall’uso indiscriminato della forza da parte della polizia in occasione di manifestazioni pubbliche. L ’epicentro del terremoto fu Roma, quando il 28 febbraio, negli incidenti scoppiati tra i collettivi autonomi e i missini, in occasione dell’apertura del processo per il rogo di Primavalle, perse la vita, uc­ ciso da un colpo di pistola, Mikis Mantakas, un neofascista greco. Pochi giorni dopo, il 16 aprile, a Milano, Claudio Varalli, uno stu­ dente di diciotto anni, simpatizzante del Movimento studentesco, fu ucciso a colpi di arma da fuoco da un neofascista. Il giorno seguen­ te, una grande manifestazione di protesta degenerò in guerriglia. Un’autocolonna della polizia caricò i manifestanti, travolgendo Gian­ nino Zibecchi e uccidendolo. Nelle stesse ore giungeva la notizia del­ la morte di Tonino Miccichè, ucciso a Torino da un iscritto della c i s n a l . Le piazze di tutta Italia furono teatro di rabbiose manifesta­ zioni. Il 19 aprile, a Firenze, nel corso di un comizio dell’ANPi, du­ rante il quale erano scoppiati incidenti tra manifestanti e forze del­ l’ordine, la polizia apri il fuoco, colpendo a morte il ventottenne Rodolfo Boschi. «Ucciso dalla polizia un compagno del p c i a Firen­ ze», denunciò Lotta Continua. «E il quarto. Il partito della reazio­ ne sta costruendo la sua avventura. Sbarriamogli la strada, con lo sciopero generale, con la mobilitazione capillare e continua»122. Sulle morti della “ primavera rossa” del 1975 esiste una vasta letteratura e memorialistica121. G li anniversari delle vittime della violenza di quei giorni, sono, ancora oggi, occasione di celebrazio­ ni e commemorazioni, mentre su altri fatti di sangue si è steso il ve­ lo dell’oblio124. La riattivazione della memoria pubblica ha preval­ so sulla ricerca delle cause dello scoppio di quell’esplosione di vio­ lenza collettiva, e sulla comprensione delle logiche che la regolarono. Queste andrebbero piuttosto ricercate nella dimensione della lun­ ga durata. Uno sguardo attento, infatti, non può non cogliere nel 1975 il punto culminante del progressivo processo di militarizza­ 122 In «Lotta continua», 20-21 aprile 19 7 5 . I2’ Si vedano, ad esempio, la raccolta di racconti a cura di P. s t a c c i o l i , La rossa prima­ vera, suppl. all’«Unità» e a «Liberazione» del 25 aprile 2007 e il materiale documentario raccolto dal sito di conservazione della memoria dedicato a Claudio Varalli e Giannino Zibecchi: http://www.pernondimenticare.net/. Per la ricostruzione delle singole vicende ve­ di anche c. a r m a t i , Cuori rossi, Newton Compton Editori, Roma 2008, pp. 273-88. 12< Sul peso, nella memoria collettiva, delle vittime della primavera di sangue del 19 7 5 cfr. le considerazioni nell’introduzione di g . d e l u n a a f . b a r il l i e s. s in ig a g l ia (a cura di), La piuma e la montagna. Storie degli anni Settanta, M anifestolibri, Roma 2008.

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zione della lotta politica, avviatosi dieci anni prima, agli albori del­ la contestazione giovanile. Come in tutte le fasi di transizione, tuttavia, quando il vecchio e il nuovo s’incontrano, mescolandosi, il 1975 fu il crocevia di com plessi processi politici, economici e sociali. La vittoria del fronte del “ no” al referendum abrogativo della legge sul divorzio, e il suc­ cesso registrato dal Partito comunista nelle elezioni regionali, pro­ vinciali e comunali del 15 giugno 1975 indicavano che profondi mu­ tamenti culturali e antropologici erano intervenuti, negli ultimi die­ ci anni. Il contemporaneo manifestarsi del terrorismo rivelava, allo stesso tempo, l’ambivalenza del momento politico che stava attra­ versando il Paese. L ’Italia divenne il palcoscenico dove si confron­ tavano i diversi progetti per la guida dei processi di modernizzazio­ ne, l’antagonismo sociale dei soggetti esclusi da tali processi e la strategia eversiva del terrorismo. Da questo punto di vista, l’Italia fu un vero e proprio laboratorio di risposte politiche, sociali e cul­ turali, ai problemi posti da un mondo che cominciava a dischiuder­ si, facendo incrinare le grandi fratture ideologiche che ne avevano rallentato l’integrazione. «La violenza», ha scritto l’antropologo indiano Arjun Appadurai, riferendosi ai conflitti etnici della seconda metà del Novecento, non riguarda solamente «odi antichi e timori primordiali, ed è invece ten­ tativo di esorcizzare il nuovo, l’imminente e l’incerto: ciò che oggi si presenta a volte con il nome di globalizzazione»“ 5. L ’incertezza ca­ tegoriale che ne consegue, con l’assottigliarsi delle diversità ideologi­ che, culturali e politiche - perfino biologiche - porta la violenza a svolgere il ruolo di ripristino delle differenze, necessarie a ristabilire l’identità di una comunità, etnica, sociale o politica. In questo senso, lo scontro fra neofascismo e sinistra extraparlamentare rispecchiò il bisogno di sicurezza di fronte ai repentini cambiamenti di un mondo in continua espansione. La schedatura del nemico, con la puntiglio­ sa registrazione delle abitudini della sua vita, la descrizione dei suoi tratti somatici, del suo abbigliamento, cos’altro fu se non l’ossessiva conferma della propria diversità, della propria differenza?

Scrisse Pier Paolo Pasolini, nel giugno del 1974, a ridosso del­ la strage di Brescia: 1,5

a . a p p a d u r a i,

Sicuri da morire. La violenza nell’epoca della globalizzazione, M elte­

mi, Roma 2005, p. 34.

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Capitolo ottavo [...] la matrice che genera tutti gli italiani è ormai la stessa [...] Non c’è più dunque differenza apprezzabile - al di fuori di una scelta politica come sche­ ma morto da riempire gesticolando - tra un qualsiasi cittadino italiano fascista e un qualsiasi cittadino italiano antifascista. Essi sono culturalmente, psicolo­ gicamente e, quel che è più impressionante, fisicamente, interscambiabili1“ .

Pasolini scriveva della «rivoluzione antropologica» introdotta in Italia - e nel mondo - dalla società dei consumi. Pessimista, ne trae­ va un giudizio radicale, tranciante. «Si può parlare casualmente per ore con un giovane fascista dinamitardo e non accorgersi che è fa­ scista»1” . Nel pieno dello choc per la strage, l’articolo suscitò un vespaio di polemiche” 8. Eppure, il problema posto da Pasolini - il quale certo non ignorava, né sottovalutava le terribili responsabi­ lità del neofascismo - è rimasto sostanzialmente inesplorato, negli studi che si sono occupati del terrorismo e della violenza politica ne­ gli anni Settanta. Percorrere questa strada ci porterebbe a compren­ dere meglio il dispiegarsi della vasta quantità di feroce violenza, or­ ganizzata e politicamente motivata, che segnò il Paese alla fine del decennio. G li anni più drammatici della nostra Repubblica. 126 G li italiani non sono più quelli, in «Corriere della Sera», io giugno 19 7 4 , ora in P. Scritti corsari, Garzanti, Milano 2 0 0 1 , p. 4 2 . 127 Ibid., p. 43. 128 Per una ricostruzione del dibattito scatenato dall’articolo di Pasolini, cfr. gli interven­ ti di Lucio Colletti, Franco Fortini, Alberto Moravia e Leonardo Sciascia in È nato un bim­ bo :c ’è un fascista in più, in « L ’Espresso», X X (23 giugno 1974), n. 25. p. Pa s o l i n i ,

Abbiati, Giancarlo, 2 10 n. Accame, Giano, 24 e n, 1 2 1 n. Adamo, Pietro, 93 n. Agnelli, famiglia, 95, 224. Agosti, Aldo, 225 n. Alasia, Franco, 2 17 n, 227 n. Alasia, W alter, 233 e n. Albanese, Giulia, 12 4 n, 142 n. Alessandrini, Em ilio, 2 14 . Allende Gossens, Salvador, 1 1 9 , 18 7 , 263. Almirante, Giorgio, 32, 38 n, 46-48, 58, 60 e n, 70, 80, 10 3 , 10 5 , 107 n, 1 1 2 , 1 1 4 , 1 1 5 , 1 2 2 e n, 12 3 n, 1 2 5 ,1 8 4 ,1 8 5 e n, 186 e n, 18 7 , 190 e n, 19 1 e n, 2 1 1 , 2 3 1, 244, 256, 268, 2 7 1, 272, 273 en , 2 8 1, 282 en , 283 e n. Aloia, Giuseppe, 12 0 n. Ambrosi, Luigi, 1 1 7 n, 1 1 8 n. Amendola, Giorgio, 65 e n, 1 4 1 e n. Amerio, Ettore, 257. Andreotti, Giulio, 206, 207, 256, 275, 276, 2 8 1. Annarumma, Antonio, 73, 74, 77, 7 9 ,10 5 n, 19 3, 196, 230. Antonioli, Maurizio, 233 n. Appadurai, Arjun, 291 e n. Arbizzoni, Andrea, 17 9 n. Arcuri, Camillo, 247 n. Ardizzone, Giovanni, 15. Arendt, Hannah, 43 e n. Arfè, Gaetano, 109 n, 1 1 0 n, 1 1 2 n, 140 n, 194 n. Armani, Barbara, 6 n. Armati, Cristiano, 290 n. Artières, Philippe, 35 n. A ruffo, Alessandro, 92 n. Azzi, Nico, 269. Balbo, Italo, 1 3 7 , 249. Baldoni, Adalberto, 98 n, 266 n, 268 n. Balducci, Ernesto, 86 n. Balestrini, Nanni, 249 e n. Ballini, Pier Luigi, 10 7 n.

Barbagallo, Francesco, 241 n. Barbieri, Paolo, 90 n. Bardini, Bianca, 288 n. Barilli, Francesco, 290 n. Bartolini, Francesco, 229 n, 236 n. Bascetta, Marco, 201 n. Basso, Lelio, 145. Basso, Pietro, 242 n. Battara, Marco, 4 1 n. Bazzega, Sergio, 233 n. Bellini, Fulvio, 79 n. Bellini, Gianfranco, 79 n. Beltrametti, Edgardo, 18 n, 274. Beneduce, Roberto, 9 n. Bergamaschi, Myriam, 233 n. Berlinguer, Enrico, 8, 70 e n, 128 e n, 13 0 , 206, 263, 273. Bermani, Cesare, 4 n, 136 n, 233 n. Bertolazzi, Felice, 232 n. Bertoli, Gianfranco, 272 e n. Bianchi, Sergio, 285 n. Bianchi d ’Espinosa, Luigi, 1 9 1 e n. Bianconi, Giovanni, 16 4 n. Bibbi, Gino, 1 1 . Biondo, Nicola, 46 n. Blondet, Maurizio, 18 3 n. Boatti, Giorgio, 86 n. Bobbio, Luigi, 14 4 n. Bobbio, Norberto, 40 e n, 87 n, 88 e n, 194 e n, 225. Bocca, Giorgio, 79 n. Boffelli, Silvia, 288 n. Boldrini, Arrigo, nome di battaglia Bulow, 274 Bollati, Benito, 19 1 n. Bompressi, Ovidio, 208. Bonanate, Luigi, 78 n. Bonomo, Bruno, 236 n. Bonucci, Elisabetta, 15 5 . Bonzanini, Angelo, 2 18 n. Bordiga, Amadeo, 242. Borghese, Junio Valerio, 47 n, 64, 12 2 , 124, 12 5 , 13 0 , 18 7 n, 224, 248, 253, 276.

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Indice dei nomi

Borghini, Gianfranco, 65 n. Borlandi, Bruno, 12 4 n. Bortolon, Gabriella, 232 n. Boschi, Rodolfo, 290. Bozzo, Nicolò, 269 n. Brama, Marcello, 25 n. Brambilla, Michele, 19 7 n. Brasillach, Robert, 3 1 . Bravo, Anna, 258 n, 286 n. Breschi, Danilo, 39 n. Browning, Christopher R ., 16 7 n. Bruno, Pietro, 288, 289 n. Brusa, Vittorio, 278. Buffa, Pier Vittorio, 49 n. Bultrini, Giampaolo, 2 8 1 n. Buonocore, Luciano, 18 3 n. Buscaroli, Piero, 39 n, 13 2 n. Buttafuoco, Pietrangelo, 246 n. Buttini, Giovanni, 17 9 n. Cacucci, Pino, 249 n. Cadorna, Raffaele, 10 . Calabresi, Luigi, 7, 82 e n, 148 e n, 208-10, 2 1 2 , 232 e n, 272. Calvi, Fabrizio, 79 n. Calza Bini, Gino, 50. Caminiti, Lanfranco, 285 n. Camon, Ferdinando, 248 n. Campagna, Vincenzo, 54 n. Capanna, Mario, 7 3, 74 e n, 166, 228 e n. Cappello, Piero, 12 4 n. Caprara, Massimo, 9 1 n, 17 5 n. Caradonna, Giulio, 17 , 32 , 46, 50 e n, 243. Carioti, Antonio, 15 5 n. Carminati, Gianfranco, 232 n. Casalegno, Carlo, 79 n. Casarrubea, Giuseppe, 246 n. Casilio, Silvia, 285 n. Castrezzati, Franco, 280. Castronovo, Valerio, 14 5 n, 2 2 1 n. Catalano, Giuseppe, 4 n, 8 1 n, 283 n. Catanzaro, Raimondo, 4 n, 6, 89 n, 9r n, 1 6 1 n, 16 4 n, 192 n, 257 n. Cavallo, Luigi, 223. Cazzullo, Aldo, 89 n, 90 n, 208 n, 241 n, 281 n. Cederna, Camilla, 77 e n, 82 n, 1 0 1 n. Centola, Domenico, 196 n. Cereja, Federico, 226 n. Chaliand, Gérard, 22 n. Chianese, Gloria, 242 n. Chiarini, Roberto, 10 n, 279 n. Chiodi, Pietro, 222 n. Cicchitto, Fabrizio, 98 n. Ciconte, Enzo, 1 1 7 n. Cipriani, Gianni, 17 5 n. Civitelli, Loris, 12 5 n. Clavo, Marino, 266 e n, 267.

Clementi, Marco, 2 5 1 n. Coccia, Massimiliano, 289 n. Cohn-Bendit, Daniel, 92. Colasanti, Donatella, 238. Colletti, Lucio, 292 n. Colombi, Arturo Raffaello, 12 9 . Colosso, Umberto, 12 n. Conci, Alberto, 5 n. Concutelli, Pierluigi, 49 e n, 247, 248. Congedo, Domenico, 56, 19 6 n, 238. Conti, Giuseppina, 1 4 1 n. Cooke, Philip, 52 n. Corbetta, Piergiorgio, r85 n. Corsini, Paolo, 279 n. Corvisieri, Silverio, 239 n. Cossutta, Armando, r2 7 n, 130 . Crainz, Guido, 85 n, 13 6 n, 169 n, 18 7 n. Craveri, Piero, 79 n. Crescenzio, Roberto, 2 6 1. Crispi, Francesco, 168. Crockatt, Richard, 275 n. Cruciani, Innocenzo, 159 n. Cucchiarelli, Paolo, 79 n, 90 n. Curcio, Renato, 37, 4 1 e n, 90 e n, 234 n. Davis, M ike, 102 n. De Bernardi, Alberto, 30 n. De Boccard, Enrico, 22 n. De Cesaris, W alter, 239 n. De Falco, Antonio, 76 n. De Felice, Franco, 15 n. De Felice, Renzo, 13 9 e n. De Gaulle, Charles-André-Joseph-M arie, 36, 37 , 120. Degli Occhi, Adamo, 18 3 e n. De Jorio, Filippo, 273, 274 e n. Delfino, Raffaele, 17 . Della Porta, Donatella, 6, 15 n, 182 n, 183 n, 187 n, 268 n. Delle Chiaie, Stefano, 24 n. De Lorenzo, Giovanni, 22, 54, 169. De Luca, Erri, 2 4 1 n. De Lucia, Vezio, 2 17 n. De Luna, Giovanni, 27 n, 225 n, 290 n. De Lutiis, Giuseppe, 275 n. De Martino, Guido, 242 n. De Mauro, Mauro, 247. Dentice, Fabrizio, 1 1 1 n, 280 n. De Paolo, Giancarlo, 14 4 n. De Rosa, Gabriele, 43 n, 1 3 1 n. De Simone, Cesare, 62 n, 72 n, 247 n. De Waure, Vincenzo, 196 n, 244. Di Nola, Alfonso M ., 24 n. Dionisi, Michele, 1 6 1 n. Dolci, Danilo, 245 e n. Dondi, Mirco, 83 n, 12 5 n, 13 2 n, 14 8 n, 283 n. Donno, Gianni, 68 n.

Indice dei nomi Drieu La Rochelle, Pierre, 280. Dubla, Ferdinando, 65 n. Dutschke, Alfred W illi Rudi, 3 3 , 34. Einaudi, Giulio, 225. Einstein, Albert, 86 n. Elias, Norbert, 44 n, 262 n. Enzensberger, Hans Magnus, 53 n. Esposti, Giancarlo, 2 8 1. Evangelisti, Valerio, 264 n. E vola, Julius (Giulio Cesare Andrea), 3 1 , 44, 45 n, 10 2 . Fabiani, Leopoldo, 82 n. Fachini, Massimiliano, 16 5. Falvella, Carlo, 196 n. Fanesi, Pietro Rinaldo, 286 n. Fanfani, Amintore, 144. Fasanella, Giovanni, 5 n, 42 n, 198 n, 248 n. Fazzo, Luca, 269 n. Fedeli, Ugo, 92 n, 272 n. Feltrinelli, Giangiacomo, 4 2 ,6 3 e n, 9 1 ,9 7 , i i 2 , 1 1 3 , 1 7 7 , 1 9 8 n, 204-6, 220, 232 n, 2 34 Fenzi, Enrico, 90 e n. Ferrara, Maurizio, n o n, 14 0 n. Ferraresi, Franco, 10 2 n. Ferrari, Silvio, 279. Ferrarotti, Franco, 2 19 n. Ferretti, Gianfranco, 16 n. Ferrigno, Rossella, 245 n. Fincardi, Marco, 109 n. Fini, Massimo, 108 n. Fiocco, Paolo, 220. Fiorani, Adolfo, 168 n. Fiorano, Fernanda, 16 4 n. Fiorini, Sergio, 227 n. Flamigni, Sergio, 16 9 n, 274 n. Flamini, Gianni, 275 n. Flesca, Giancesare, 4 n, 1 1 9 n, 235 n. Flores, Marcello, 30 n. Fo, Dario, 269. Fo, Jacopo, 89 n. Foa, Vittorio, 14 0 n, 15 5 n, 225, 284. Focardi, Filippo, 287 n. Fontana, Susanna, 289 n. Foot, John Mackintosh, 227 n. Formentoni, Pietro, 18 n. Fornari, Franco, 28 n. Forte, Sandro, 10 3 n. Forti, Simona, 17 2 n. Fortini, Franco, 292 n. Fragalà, Vincenzo, 98 n. Francescangeli, Eros, 13 6 n. Franceschi, Roberto, 232 n. Franceschini, Alberto, 42 n, 49 e n, 198 n. Francia, Salvatore, 98 n. Franco, Francesco, detto Ciccio, 1 1 7 .

*97

Franzinelli, Mimmo, 18 n, 84 n, 167 n, 168 n, 183 n. Freda, Franco Giorgio, 4 1, 84, 99, 100 e n, 169, 1 9 1 , 2 14 , 248. Freud, Sigmund, 86 e n. Fromm, Erich Pinchas, 43 n, 88 n, 262 e n. Fumagalli, Carlo, 18 3 , 276, 282. Galasso, Giuseppe, 79 n, Galbraith, John Kenneth, 42 n. Galleni, Mauro, 18 7 n, 224 n. G alli, Giorgio, 97 n, 199 n, 202 n. Gamba, Carlo Amedeo, 282 e n. Gam betta, William, 249 n. Ganapini, Luigi, 233 n. Gasparetti, Alessandro, 30 n. Geismar, Alain, 202 n. Genco, Mario, 247 n. Gentile, Emilio, 108 n, 2 16 n, 237 n. Georgakis, Costantino, 12 7 . Germinario, Francesco, 3 1 n, 48 n. Gerosa, Luigi, 242 n. Gervasoni, Marco, 275 n. Ghira, Andrea, 238. Giacchetti, Diego, 2 2 1 n. Giannettini, Guido, 18 e n, 100 , 16 9, 276, 2 8 1. Giannuli, Aldo, 42 n, 8 1 n, 83 n, 13 4 n, 14 4 n, 145 n, 208 n, 250 n, 272 n. Giap, vedi Vò Nguyen. Giardina, Andrea, 236 n. Gigliobianco, Alfredo, 36 n. Ginsborg, Paul, 78 n, 227 n, 235 n. Ginzburg, Carlo, 208 n. Giralucci, Graziano, 5, 285. Giralucci, Silvia, 5. Girard, René, 27 n, 13 2 e n. Giraudo, Guido, 179 n. Gironda, Francesco, 98 n. Gismondi, Arturo, n o n. Giustolisi, Franco, 49 n. G obbi, Romolo, 43 n. González Calleja, Eduardo, 6 n. Gotor, Miguel, 5 n. Gottmann, Jean, 2 18 n. G rand i, A ldo, 89 n, 9 1 n, 200 n, 203 n, 204 n, 267 n. Graziani, Clemente, 23, 10 2 , 10 3 , 2 1 3 e n, 277, 2 8 1. Greene, Jack, 12 6 n. Gregoretti, Carlo, 33 n, 77 n. Grigolli, Paolo, 5 n. Grillo, Francesco, 17 9 n. Grillo, Manlio, 266 e n, 267. Grispigni, Marco, 1 1 2 n, 236 n. Guénon, René, 3 1 . Guerrieri, Laura, 283 n. G uevara, Ernesto, detto Che, 26-28, 264.

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Indice dei nomi

G u i, Luigi, 84. G uida, Marcello, 82. Guidetti Serra, Bianca, 16 9 n. G uido, Giovanni, 238. Guiso, Andrea, 2 1 n. Guzzanti, Paolo, 4 1 n.

Lucci Chiarissi, Luciano, 48 n, 2 10 e n. Lupo, Mariano, 1 3 7 , 13 8 , 190, 196 n, 249. Lupo, Salvatore, 4 n. Lussu, Emilio, 264 e n. Luttwak, Edward Nikolai, 1 2 1 n. Luzzatto, Sergio, 28 n.

Héritier, Françoise, 88 n. Hillman, James, 44 n. Hitler, Adolf, 83 n. Hobbes, Thomas, 88 n.

Macchiarmi, Idalgo, 206, 255. Maggi, Carlo M aria, 46 e n, 280 n. Magnoni, Francesco, 2 8 1 n. Magri, Tito, 88 n. Maina, Aldo, 255. Malacaria, Giuseppe, 12 9 , 13 3 , 170 , 196 n. Malaparte, Curzio, pseudonimo di Kurt Erich Suckert, 12 1. Malaspina, Telesio, 283 n. Malcolm X , Malcolm Little, detto, 24, 40 n. Manconi, Luigi, 88, 89 n, 16 4 n, 257 n. Mangiameli, Francesco, 248. Mantakas, Mikis, 290. Mantelli, Bruno, 222 n. Mantica, Alfredo, 98 n. Manzini, Giorgio, 233 n. Mao Zedong (Mao Tse-tung), 202 e n. Maranzana, Silvio, 248 n. Mariani, Manlio, 76 n. Marighella, Carlos, 264. Marino, Antonio, 232 n, 268, 270. Marino, Giuseppe C ., 42 n. Marino, Leonardo, 208. Marletti, Carlo, 222 n. Martin, John, 229 n. M artini, Emilio, 12 0 n. Massarin, Federico, 232 n. Massentini, Cristina, 288 n. Massignani, Alessandro, 12 6 n. M attei, Giampaolo, 266 n. M attei, Mario, 266. M attei, Stefano, 266, 268, 270. Mattei, Virgilio, 266, 268, 270. M atteotti, Giacomo, 109. Mazza, Libero, 83, 197. Mazzola, Giuseppe, 285. Melegari, Diego, 287 n. « M ete, Fiore, 196 n. Miccichè, Tonino, 220, 290. Miceli, Vito, 2 8 1. Michelini, Arturo, 30, 3 3 , 50, 99. Milza, Pierre, 35 n. Misasi, Riccardo, 158 . Mitterrand, François-Maurice-Adrien-Marie, 2 75 Mollet, G uy, 24. Monicacci, Stefano, 15 8 n. Monina, Giancarlo, 43 n, 1 3 1 n. Montaldi, Danilo, 2 1 7 n, 227 n. Montanari, Enrico, 10 3 n. Montanelli, Indro, 8 1 e n.

Ignazi, Piero, 186 e n. Ilari, Virgilio, 4 n, 19 1 n, 276 n. Indrio, Ugo, 73 n. Ingrao, Pietro, 65 e n, 1 1 8 . Isnenghi, Mario, 1 1 2 n. Izzo, Angelo, 238. Jannuzzi, Lino, pseudonimo di Raffaele Iannuzzi, 12 n. Johnson, Lyndon Baines, 27. Juliano, Boris, i o i n. Kaldor, M ary, 87 n, 1 7 1 n. Kennedy, John Fitzgerald, 1 7 1 . King, Martin Luther Jr, 24. Klinkhammer, Lutz, 16 8 n. Labate, Bruno, 256. Lacaita, Carlo G ., 228 n. Lacan, Jacques, 17 2 e n. La Fata, Ilaria, 287 n. Laffranco, Luciano, 15 8 n. La M alfa, Ugo, 140 n. Landoni, Enrico, 227 n. Lanna, Luciano, 98 n. Lanza, Luciano, 93 n. Laurent, Frédéric, 79 n. Lazar, Marc, 4 n. Leccisi, Domenico, 229. Ledda, Romano, 27 n. Lefebvre, Georges, 5 1 e n. Lega, Achille, 168 n. Lenin, Nikolaj Vladimir Il’ic Uljanov, det­ to, 201 n. Leone, Giovanni, 45, 140, 184, 288. Levi, Primo, 225. Licciardi, Gabriele, 245 n. Loi, Vittorio, 268. Lollo, Achille, 266 e n, 267. Lombardi, Riccardo, 267. Lombardo, Toto, 239 n. Lombardo Radice, Marco, 16 2 n. Longo, Luigi, 12 8 , 12 9 , 239 n. Lopez, M aria Rosaria, 238. Loteta, Giuseppe, 234 n. Lucarelli, Carlo, 46 n.

Indice dei nomi Monti, Giommaria, 266 n. M oravia, Alberto, pseudonimo di Alberto Pincherle, 292 n. M oretti, Giovanni (Nanni), 13 3 . M oretti, M ario, 90 e n, 234 n. Morgan, Sarah, 249 n. Moro, Agnese, 77 n. Moro, Aldo, 5 n, 13 , 60, 6 1, 77, 78, 8 1, 84 e n, 287, 289. Moro, Giovanni, 5 e n. Moroni, Primo, 229 n. Morucci, Valerio, 204. Mosna, Natalina, 5 n. Mozzarella, Bartolo, 1 4 1 n. Mughini, Giampiero, 247 n. Mumford, Lewis, 2 17 n. Murgia, Pier Giuseppe, 168 n, 223 n. Murialdi, Paolo, 145 n. M ussolini, Benito, 28, 108 n, 1 1 4 , 13 6 , 140 , 229, 230, 237, 249. Nahoum-Grappe, Véronique, 88 n. Natoli, Aldo, 14 5 , 239 n. Natta, Alessandro, 145. Negri, Antonio (Toni), 248. Nenni, Pietro, 15 e n, 1 1 3 . Nicoloso, Paolo, 2 15 n. Nieburg, Harold L ., 97 n. N ixon, Richard Milhous, 37 , 56, 67, 1 1 6 . Novelli, Diego, 164 n. Noventa, Stefania, 288 n. Occhetto, Achille, 1 3 n. Occorsio, Vittorio, 277. Oliverio Ferraris, Anna, 1 7 1 n. Ollearis, Giuseppe, 97. Ortoleva, Peppino, 43 n. Osti Guerrazzi, Amedeo, 168 n. Ottaviano, Franco, 19 n, n o n. Pacciardi, Randolfo, 10 , n , 13 , 275. Pace, M ary, 18 n. Pacelli, Guido, 249. Padovani, Vittorio, 233 n. Pajetta, Giancarlo, 17 n, 1 4 1 . Pala, Gianfranco, 16 n. Palach, Jan , 47, 65, 12 7 . Pansa, Giampaolo, 12 5 e n. Panvini, Guido, 14 8 n, 15 4 n, 16 7 n. Panzin, Giuseppe, 232 n. Paolicchi, Luciano, 13 n. Paolucci, Ibio, 1 1 2 n, 278 n. Papi, Ugo, 12 , 15 , 16. Papuzzi, Alberto, 223 n. Pardi, Francesco, detto Pancho, 89. Pardini, Cesare, 72, 1 1 6 , 196 n.

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Parini, Sergio, 89 n. Parlato, Giuseppe, 23 n, 10 1 n, 229 n, 23611, 246 n. Parri, Ferruccio, 12 , 13 , 85, 145, 263. Pasolini, Pier Paolo, 24 n, 32, 74, 236 n , 2 9 1, 292 e n. Pasquino, Gianfranco, 192 n. Passanisi, Enzo, 83 n, 13 3 n. Passerini, Luisa, 222 n, 225 n. Passi, Mario, 70 n. Pastore, Luca, 208 n. Pavese, Cesare, 225. Pavone, Claudio, 13 n, 87 n, 13 7 e n. Pecchioli, Ugo, 68 n, 130 e n, 142 e n, 1 5 1 n, 175 e n, 274. Pellegrini Giampietro, Gaetano, 2 12 n. Pellegrino, Carmen, 241 n. Pellegrino, Giovanni, 5 n. Pennacchi, Antonio, 3 1 n. Persichetti, Paolo, 4 n. Pesce, Giovanni, 77 n. Pesenti, Roberto, 276 n. Petacci, Clara (Claretta), 28. Petricola, Elena, 2 17 n. Pettinato, Concetto, 46. Philopat, Marco, 234 n. Piccioni, Lidia, 239 n. Picelli, Guido, 13 7 . Pietrostefani, Giorgio, 208. Pinelli, Giuseppe, 82 e n, 83-85, 87, 9 1, 92, 93 n, 104, 14 5 , 148, 208, 232, 269, 272. Pinochet Ugarte, Augusto José Ramón, 119 . Pipitone, Cristiana, 17 5 n. Pisano, Giorgio, 75, 13 2 n, 17 2 , 269, 270 n. Pisanò, Paolo, 270, 2 7 1 n. Pisetta, Enrico, 1 6 1 n. Pivato, Stefano, 73 n. Plebe, Armando, 4 1. Poggio, Pier Paolo, 38 n. Polese, Ranieri, 86 n. Pollock, Friedrich, 43 n. Portelli, Alessandro, 238 n. Portinaro, Pier Paolo, 88 n. Posadas, Juan, 29 n. Preiser, Alessandro, pseudonimo di Alessan­ dro Danieletti, 229 n. Prezzolini, Giuseppe, 24 n, 18 5 n. Provvisionato, Sandro, 98 n, 268 n. Punzo, Maurizio, 228 n. Quagliariello, Gaetano, u n . Quazza, Guido, 284. Rame, Franca, 269. Ramelli, Sergio, 179 , 233. Ranzato, Gabriele, 5 n, 1 7 1 n, 200 e n.

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Indice dei nomi

Rao, Nicola, 98 n, 229 n. Rapini, Andrea, 287 n. Rapoport, David C ., 108 n. Rastello, Luca, 226 n. Rauti, Giuseppe Umberto (Pino), 18 , 18 3 , 19T, 2 1 1 e n, 237. Reale, Oronzo, 289. Rebecchi, Enrico, 18 n. Recalcati, Massimo, 17 2 e n. Reiter, Fulvio, io r n. Reiter, Herbert, 15 n. Revelli, Marco, 22 n, 38 n, 8 9 ,17 2 n, 2 2 1 n, 225 n. Revelli, Nuto, 138. Ricchini, Carlo, 275 n. Riccio, Franco, 245 n. Ridolfi, Maurizio, 73 n, 10 7 n, 109 n. Riosa, Alceo, 227 n. Risè, Claudio, 35 n. Rivela, Luigi, 12 8 n. Rizzi, Lazzaro, 67 n. Rolandi, Cornelio, 83 n. Romani, Roberto, 16 7 n. Romualdi, Adriano, 24 e n, 16 5 n. Romualdi, Giuseppe (Pino), 4 6 ,10 8 n, 109, 12 2 e n, 18 5 . Ronga, Lino, 223 n. Rossella, Carlo, 17 3 n. Rossi, Ernesto, 12 n. Rossi, Filippo, 98 n. Rossi, Gianni Scipione, 24 n, 186 n. Rossi, Maurizio, 18 7 n. Rossi, Paolo, 10 , 12 , 13 e n, 14 -17 , 20, 3 1 , 234, 238, 246. Rossi, W alter, 2 6 1. Rostagno, Mauro, 37. Ruffo di Calabria, Francesco, 55 n. Ruggiero, Vincenzo, 50 n. Rumor, Mariano, 45,78 , 7 9 ,12 4 , 232 n, 272. Rusconi, G ian Enrico, 192 n. Sabbatucci, Giovanni, 5 1 n, 186 n, 196 n, 235 n. Sacchetti, Giorgio, 92 n, 272 n. Saccoman, Andrea, 234 n. Salce, Luciano, 63. Salerno, Franco, 2 18 n. Salierno, Giulio, 237 e n. Saltarelli, Saverio, 1 1 6 e n, 19 6 n, 232. Salvadori, Massimo L ., 4 n. Salvati, Michele, 36 n. Salvini, Adriano, 249. Santarelli, Enzo, 140 n. Santino, Umberto, 246 n. Saragat, Giuseppe, 73, 78, 79. Sartoretto, Urbano, 224 n. Scacchi, Domenico, 239 n.

Scalfari, Eugenio, 14 e n. Scalzone, Oreste, 4 n, 3 3 , 90. Scanner, Ivo, 1 1 6 n. Scaringi, Carlo, 13 e n. Sceiba, Mario, 194, 289. Schelling, Thomas C ., 58 n. Schizzerotto, Antonio, 235 n. Schnur, Roman, 58 n. Scialoja, Mario, 4 n, 2 8 1 n. Sciarelli, Federica, 238 n. Sciascia, Leonardo, 292 n. Scoppola, Pietro, 82 n, 84 n. Scurati, Antonio, 86 n. Secchia, Pietro, 15 n, 65, 7 1 , 140 n, 263, 264 n. Segio, Sergio, 164 n. Sémelin, Jacques, 102 n, 17 0 n. Sensini, Alberto, 140 n. Serantini, Franco, 13 8 , 196 n, 209. Serge, Victor, pseudonimo di Viktor L ’vovié K ibal’éié, 29, 262. Seronde Babonaux, Anne M arie, 235 n. Serri, Rino, 15 5 n. Servello, Franco, 98 n. Severgnini, Paolo, 17 9 n. Severino, Lina, 245 n. Siciliano, Martino, 19 n, 10 5 n. Signorelli, Paolo, 2 1 3 n. Silone, Ignazio, pseudonimo di Secondino Tranquilli, 14 0 n. Simmel, Georg, 2 15 n. Sinibaldi, Marino, 162 n. Sinigaglia, Sergio, 290 n. Sircana, Giuseppe, 239 n. Socrate, Francesca, 56 n. Soddu, Paolo, 169 n. Sofri, Adriano, 22, 82 n, 89 e n, 9 1 n, 95, 148 n, 208, 242. Sofsky, Wolfgang, 9 e n, 28 n, 33 n. Soglia, Sergio, 146 n. Sogno, Edgardo, 1 1 n, 12 4 , 19 3, 275, 281 e n. Solaro, Giuseppe, 222. Somaini, Eugenio, 203 n. Sommier, Isabelle, 35 n. Sontag, Susan, 77. Sossi, Mario, 279, 287. Spampinato, Giovanni, 247. Spazzoli, fratelli, 249. Speranzoni, Andrea, 2 8 1 n. Spinelli, Altiero, 12 n. Spini, Giorgio, 6 1 e n. Spriano, Paolo, 222 n. Springer, Axel, 34, 35. Staccioli, Paola, 1 1 6 n, 290 n. Staderini, Alessandra, 237 n. Stajano, Corrado, 227 n.

Indice dei nomi Sternhell, Zeev, 38 n. Stirner, M ax, pseudonimo di Johan Caspar Schmidt, 100. Stroppa, Claudio, 227 n. Suharto, Haji Mohammad, 18. Sullo, Fiorentino, 65, 15 6 , 2 16 . Tamburrano, Giuseppe, 2 16 n. Tarchi, M arco, 30 n. Tarrow, Sidney, 6 e n. Tartakowsky, Danielle, 1 1 2 n. Tavecchio, Giuseppe, 196 n, 206, 232 n. Taviani, Ermanno, 1 3 1 n. Taviani, Paolo Em ilio, 19 7 e n, 276. Tedeschi, M ario, 14 n, 17 e n, 37 e n, 57, 104 n, 1 9 1 n, 223 e n. Telese, Luca, 1x 3 n. Terracini, Umberto Elia, 128. Tessandori, Vincenzo, 254 n, 256 n, 264 n. Testa, G ian Pietro, 2 14 n. Thiriat, Jean, 4 1. Thompson, Edward P., 28 n, 1 3 1 n. Tilly, Charles, 2 2 1 n. Togliatti, Paimiro, 52. Tolomelli, Marica, 30 n, 34 n, 87 n. Tortorella, Aldo, 62 n, 84. Tosatti, Giovanna, 168 n, 195 n. Tranfaglia, Nicola, 14 5 n, 164 n, 168 n, 222 n, 2 2 ; n, 246 n. Traverso, Enzo, 86 e n, 201 n. Tripodi, Nino, 105 n, 1 1 3 n, 1 1 7 n, 12 3 n. Trivelli, Renzo, 14 n, 17 n. Trockij, Lev D avidoviè Bronstejn, detto, 2 0 1 n. Tronti, Mario, 18 e n, 42 n. Tuti, Mario, 281 e n. Ugolini, Marco, 288 n. Vaccaro, Salvo, 245 n. Valiani, Leo, nome italianizzato di Leo Weiczen, 13 9 n, 14 0 n. Valpreda, Pietro, 82, 83 e n, 84, 92, 93 n, 104 , 19 2 , 200, 205, 2 14 . Varalli, Claudio, 290 e n. Varon, Jerem y, 25 n. Vauchez, André, 236 n. Veneziani, Marcello, 14 4 n. Veneziani, Ugo, 203 n. Ventrone, Angelo, 4 n, 30 n, 38 n, 43 n, 73 n, 109 n, 149 n, 193 n, 288 n. Ventura, Giovanni, 42, 84, 100 , 16 9, 1 9 1 . Venturini, Ugo, 1 1 3 e n, 1 1 4 ,1 2 7 ,1 8 6 ,1 9 6 n. Vergaro, Vezio, 10 3 n. Viale, Guido, 90, 2 2 1 n. Vicari, Angelo, 80. Vidotto, Vittorio, 3 1 n, 5 1 n, 186 n, 19 6 n, 235 n.

Vinciguerra, Vincenzo, 10 5 n, 2 14 . Violante, Luciano, 2 8 1. Violi, Patrizia, 14 5 n. Vó Nguyen, detto Giap, 26 e n. Wallace, George Corley Jr, 25. W einberg, Leonard, 108 n. Zancarini-Fournel, Michelle, 35 n. Zaslavsky, Victor, 68 n, 17 4 n. Zavoli, Sergio, 82 n. Zibecchi, Giannino, 290 e n. Zicari, Giorgio, 79 e n, 12 5 . Zincone, Giuliano, 57 n. Zizek, Slavoj, 43 n. Zocchi, Lino, 70. Zoppelli, Mario, 77 n. Zornetta, Monica, 248 n. Zullino, Pietro, 12 0 n.

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