Misteri e magia nella filosofia antica. Empedocle e la tradizione pitagorica [PDF]

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Zitiervorschau

Peter Kingsley

Empedocle e la tradizione pitagorica Traduzione di Mauro Bonazzi

il

MISTERI E MAGIA NELLA FILOSOFIA ANTICA

Sommario

Prefazione Mappa della Sicilia e dell'Italia meridionale Mappa dell'Egitto Introduzione I.

9 lO Il

13

FILOSOFIA

2. Aither 3. Aer

25 27 36

4. L'enigma 5. Il sole

48 61

1. Ritorno alle radici

II.

MISTERI

6. Un'introduzione alla Sicilia 7. Il mito del Fedone: geografia 8. Il mito del Fedone: le fonti 9. Il mito del Fedone: la struttura lO. Platone e Orfeo Il. Il cratere 12. «Uomini e donne sapienti» 13. Il fuoco centrale

83

90 98 106 121

140 154 174

8 50mmario

14. Una storia di errori

194

III. MAGIA

15. Il mago 16. Dalla Sicilia all'Egitto 17. L'eroe

213 228 244

18. 19. 20. 21. 22. 23. 24.

271

Morte sull'Etna Sandali di bronzo e cosce d'oro Pitagorici e neopitagorici «Non per insegnare, ma per guarire» Nesti «Cela le mie parole nel tuo petto» Da Empedocle ai sufi: «Il lievito pitagorico»

281

308 325

337 347 358

Appendici I. Parmenide e Babilonia II. Nergal ed Eracle III. Empedocle e gli ismailiti

Abbreviazioni Bibliografia Indice analitico

377

379 380 381

387 399

Prefazione

Questo libro è stato serino in buona sostanza come un racconto: cerre storie, per quanto antiche, meritano ancora di essere narrate. Per comodità dellenore non specialista, frasi e termini greci sono stati tradoni o parafrasati; lo stesso vale anche per le altre lingue antiche. Di norma, i problemi più specifici sono stati relegati nelle nore, con qualche eccezione occasionale, quando un cerro argomento implicava problemi più ampi o aiutava a spiegare una questione imporrante. Nelle note, lo stile adonato per i riferimenti bibliografici è stato per quanto possibile semplificato. Per una spiegazione delle citazioni che compaiono solo con le iniziali o in forma abbreviata, si veda l'elenco delle abbreviazioni alla fine del volume; i dati completi delle opere citate soltanto con il nome dell'autore, o con il nome e la data di pubblicazione, sono segnalati nella bibliografia. Questo è il luogo adano per esprimere la mia gratitudine a tuni coloro che mi hanno aiutato, ognuno a suo modo, nella stesura del libro. In parricolare, vorrei ricordare Sir John Boardman, l'arcivescovo Norair Bogharian, Mary Boyce, Walter Burkert, Michel Chodkiewicz, Stella Corbin, John Creed, Luc Deitz, Jill Kraye, Geoffrey Lloyd, Alain Martin, James Morris, Vrej Nersessian, David Sedley, Bob Sharples, Anne Sheppard, Malcolm Willcock e Fritz Zimmermann. Ho contrano un debito speciale con Charles Burnen, Stephanie DaUey, Sara Sviri e Robin Waterfield; con tuno il personale bibliorecario e con il corpo dei professori del Warburg Institute di Londra; e con Hilary O'Shea deUa Oxford Clarendon Presso Ma sopranuno desidero ringraziare Marrin West, che è sempre stato disponibile ad aiutarmi a mano a mano che questo lavoro prendeva corpo.

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Mappa della Sicilia e dell'Italia meridionale

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Mappa dell'Egitto

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Introduzione

Questo libro copre un'ampia area nello spazio e nel tempo, assumendo come punto di panenza un uomo che visse ben più di duemila anni fa. n suo nome era Empedocle. 1 Empedocle nacque probabilmente intorno all'inizio del v secolo a.c. Proveniva dalla colonia greca di Akragas -la moderna Agrigento - sulla costa sudoccidentale della Sicilia; ma sembra che abbia trascorso la maggior parte del suo tempo viaggiando, come ci si poteva aspettare da un «veggente» come lui nel mondo del Mediterraneo antico e del Vicino Oriente. 2 Quando sia morto, dove o come, non lo sappiamo.} E tutWright, pp. 3-5; KRS, pp. 280-281. 2 A proposito dei suoi viaggi, cfr. DK31BI12 con Zuntz (1971), p. 189 e per es. D.L. 8.67, dove si racconta che il ritorno di Empedocle ad Akragas era stato impedito dai «discendenti dei suoi avversari», oi trov ÈX9prov ànoyovol, implicando probabilmente un lungo periodo di assenza: per l'espressione, cfr. Hdt. 7.153, Porph. l'P 22 = Aristox. framm. 17 con \'on Fritz (1940), p. 19. Sui veggenti che viaggiavano cfr. Grottanelli; Burkert (1983l. } Il resoconto di Aristotele secondo cui Empedocle sarebbe morto all'età di sessant'anni è generalmente considerato attendibile (Arist. framm. 71; Guthrie [196281], voI. Il, p. 128; \X'right, p. 5); ma già Bidez un secolo fa ne aveva criticato la mancanza di valore storico; la successiva ricerca sulla tradizione biografica greca anteriore o coeva ad Aristotele non ha fatto nulla per ispir-dre maggiore fiducia. Cfr. Bidez, pp. 154-155 con A.J. Podlecki, Phoenix, 23 (1969), pp. 114-137; Momigliano, pp. 23-84; Kingsley (1990), pp. 261-264. In assenza di informazioni più fondate, il massimo che possiamo dire è che secondo i biografi greci sessant'anni era un'età conveniente per morire: cfr. per es. D.L. 2.44 (Socrate) e 9.3 (Eraclito), Burnet (1892), pp. 75-76 (Anassimene), F. Jacoby, Apo/loJoroJ Chr01zik (Berlin 1902), p. 329 (Oemostene), p. 350 (Moschionc). A proposito delle leggende sulla morte di Empedocle, cfr. sotto, capp. 16-19. I

14 Introduzione

tavia proprio quest'uomo, la cui vita rimane per noi un mistero, avrebbe avuto un ruolo incomparabile per il successivo sviluppo della cultura occidentale. Per esprimersi nei termini della tendenza, più tarda, a circoscrivere campi specifici di interesse e di competenza, il suo influsso si fece sentire in filosofia, retorica, medicina, chimica, biologia, astronomia, cosmologia, psicologia, misticismo e religione. La teoria dei quattro elementi, una teoria che avrebbe esercitato un'influenza immensa e che fu introdotta proprio da Empedocle, è solo un esempio dei più ovvi:l Non sorprende che una figura tanto imponante abbia suscitato grande attenzione e dato origine a una vasta letteratura. Scopo principale di questo libro è dimostrare che - nonostante tutti questi studi - la critica a cogliere il senso complessivo delmoderna non è minimamente riuscita , l'insegnamento di Empedocle. E necessario un ripensamento delle nostre idee su di lui: un ripensamento ricco di conseguenze non solo per la nostra comprensione di Empedocle, ma anche della filosofia antica e, quindi, delle origini della cultura occidentale. In modo più specifico, il presente volume si propone di mostrare che il principale ostacolo per una corretta valutazione di Empedocle non consiste (come di solito si afferma) nella natura frammentaria delle testimonianze superstiti, bensì in un approccio errato; di chiarire le ragioni per cui fin dai tempi di Aristotele, dal IV secolo a.c., il suo insegnamento è stato tanto frainteso; e di mostrare quale sia la chiave per una ricostruzione più accurata della sua opera. In primo luogo, questo ci spingerà a portare alla luce le testimonianze più o meno coeve a Empedocle che risultano rilevanti per comprendere la sua figura, nonostante siano state finora trascurate. In secondo luogo, si tratterà di ricostruire la catena continua di una tradizione: una tradizione «alternativa» di lettura e interpretazione di Empedocle che è sopravvissuta per secoli, e che è rimasta sotto molti punti di vista più fedele, più vicina all'autentico Empedocle rispetto alla corrente esegetica dominante delle scuole filosofiche di Aristotele e Platone. Una conseguenza inevitabile del reinserimento nel quadro di questi aspetti è la consapevolezza che occorre ampliare decisamente le nostre prospettive e che molti assunti impliciti sulla trasmissione delle idee nel mondo antico devono essere riconsiderati. Per trasmettere i suoi insegnamenti Empedocle si è servito della poesia, e i suoi versi sopravvivono - come gli scritti di tutti i filosofi precedenti a Socrate e Platone - nella forma di frammenti citati e conservati nei testi degli scrittori più tardi. Questo naturalmente ha sollevato il problema di valutare quali aiuti e quali fonti ci possano guidare nell'interpretazione di Kranz, pp. 83- 105, 110-112; l-Iallcux (I974), p. 67;.J. Longrigg, /JiJ, 67 (1976), pp. 420-429, c Apàron, 19 (1985), pp. 93·115. -l

Introduzione

15

quei resti frammentari. Il problema è di importanza cruciale, perché rimanda alla questione di fondo del contesto in cui dobbiamo collocare e valutare gli scritti dei cosiddetti «presocratici». Benché siano in pochi ad ammetterlo, gli studi contemporanei sui presocratici versano in una condizione di crisi. Una crisi che ruota intorno a due parole: autorità e tradizione. Da un lato la critica post-«illuminista» degli ultimi due secoli ha costantemente inquadrato la storia della prima filosofia greca nei termini di una progressiva evoluzione verso un ideale molto vago, ma potentemente seduttivo, di razionalità. Così facendo ha fatto acriticamente proprio l'arrogante giudizio che dei presocratici aveva dato Aristotele: niente più che un balbettante tentativo di esprimere quello che solo lui sarebbe stato capace di articolare con scioltezza. Aristotele e Teofrasto, il suo successore, sono stati considerati le autorità di riferimento per la nostra comprensione dei presocratici, non solo perché sono i primi in grado di offrirei informazioni diffuse sulle loro dottrine, ma anche perché sono considerati i giudici idealmente più qualificati per valutare gli scopi, e i presunti difetti, della filosofia presocratica. Il risultato è il consolidamento di una specie di genealogia: la tradizione esegetica dei presocratici è tanto più pura, tanto più attendibile, e addirittura tanto più infallibile quanto più ritorniamo alla 5 duplice fonte di queste due grandi autorità. D'altro canto, fin dalla pubblicazione dello studio di Cherniss su Aristotele e i presocratiei nel 1935, si è fatta progressivamente più acuta la consapevolezza che non solo Aristotele e la sua scuola furono spesso responsabili di fraintendimenti decisivi nell'interpretazione dei presocratici, ma che sia lui sia i suoi successori hanno sistematicamente dato vita a equivoci deliberati e a travisamenti «sfacciati» per avere ragione dei loro predecessori. In altre parole, Aristotele e Teofrasto risultano ben lontani dali' essere guide infallibili nell'interpretazione dei presocrati ci; tanto più risaliamo la corrente della «tradizione antica» tanto più direttamente ci confrontiamo con le forze del pregiudizio e della 6 prevenzione, per non dire di una cattiva volontà. Gli sforzi compiuti per far risalire la storia Jella «Jossogf'Jfia» - il termine attualmente in uso per inJicare la compilazione e la Jiscussione Jelle opinioni Jei pri· mi tìlosofi greci - fino a prima Ji T eofrasto e Aristotele non sono ancora risolutivi: cfr. per es. MansfelJ (1990), pp. 22·83; sul ruolo Jominante esercitato Ja Aristotele nella Jeterminazione Jella natura Jella traJizione storiografica così come è cono· sciuta Ja noi. cf... Kingsley (199-4(/) con i riferimenti Ji n. 46. 6 Cf... Cherniss ( 1935) e gli ulteriori riferimenti in Kingsley ( 199-4(/), n. 2; (199-4h), specialmente nn. 17 ·19; (1995(/), § IV. «Sfacciato»: Guthrie (1962·81 ), voI. II, p. 160. Come veJremo più avanti (cap. 24). la consapevolezza JeI graJo Ji Jcformazione operato Ja Aristotele e Jalla sua scuola nei confronti Jei presocratici non rappresenta in realtà nessuna novità. 5

16 Introduzione

Le situazioni disperate spesso stimolano soluzioni disperate. La tendenza più recente è stata fare di necessità virtù: glorificare la soggettività delle nostre fonti antiche considerandole non soltanto degne di studio in se stesse, ma il solo possibile oggetto di studio. Per citare uno studioso recente: Non sono le parole a interessare, ma le interpretazioni L..]. Non c'è modo di farsi strada strato dopo strato verso una >. Ma è meglio pensarci due volte prima di fare leva su un argomento simile in contesti come questo. Per citare solo un esempio, Milton mostrò ben poca considerazione per il «buon senso» quando - circa duemila anni dopo Empedocle - descrisse i suoi angeli: «E qualcuno è caduto L.. ] dal cielo al profondissimo inferno; o caduta L.. ]!». È un semplice dato di fatto che il mito è condizionato dal «buon senso» quasi quanto la vita. 5 In secondo luogo, non è solo un'ironia della sorte se i due studiosi maggiormente impegnati negli ultimi anni nella difesa di questa interpretazione sono gli stessi che, fino a poco prima, avevano lungamente criticato l'errore, comune tra gli interpreti del Gorgia, di non distinguere - come fonti per il mito contenuto in quel dialogo - il narratore originale a cui Platone si riferisce dall'interprete allegorico che pure Platone menziona. Altra ironia è poi la successiva conclusione che quel «siciliano o italico» a cui Platone allude come all'inventore della storia, a -I Burkert (1972), p. 363 e n. 70. A proposito Jei testi antichi che presentano l'interpretazione platonica Jelle Puri/icaz-ùmi, cfr. Dicls (! 901), pp. 150-152, 154-155; Sturz, pp. 448-456. A parte Burkert, RohJe e DoJJs (si veJano le prossime note), quest 'interpretazione è stata accettata quasi universalmente, e le poche ma Jecise voci J'opposizione - \Xfilamo\\'itz (1935), p. 489; Rathmann, pp. 100-101; Thomas, p. 119; Zuntz ( 1971), pp. 200-205,262-263; MansfclJ (1989), XIV, p. 285 n. 59 - Ji fatto trascurate. L'ambigua posizione aJottata in KRS, p. 316 caJe in una petizione Ji principio. 5 RohJe, p. 403 n. 75; Milton, Poradi.w perduto 5.541-542. Sul contesto storico Jelle iJcc Ji Milton, cfr. G. McColley, HTR 31 (! 938), pp. 21-39.

50 L Filosofia

loro avviso, sarebbe stato solo il narratore del mito e non il suo interprete; e mentre l'interprete avrebbe allego rizzato il mito equiparando gli inferi alla nostra vita terrena, il narratore avrebbe probabilmente descritto una vera e propria katabasis o discesa nel regno dei morti. 6 Nel caso delle Puri/icazioni di Empedocle il narratore del mito è ovviamente Empedocle, ma chi è l'interprete? Che lo stesso autore abbia attenuato l'impatto drammatico del suo poema con l'aggiunta di una propria interpretazione allegorica non è certo l'ipotesi pill allettante. A ciò bisogna poi aggiungere che non rimane una sola traccia di una simile spiegazione da parte di Empedocle, per quanto nulla sarebbe convenuto di più ai neoplatonici che la possibilità di citarla in difesa della loro interpretazione. Così per esempio Porfirio, nel famoso passo in cui paragona la caverna coperta di Empedocle alla «caverna sotterranea» di Platone, è costretto a menzionare il solo Platone a sostegno del fondamento della propria tesi, secondo cui in entrambi i casi la caverna è un simbolo di questo mondo? Ancor più significativo è un passo di Plotino, dove si afferma precisamente che Empedocle, a proposito della caduta delle anime e del suo significato ci ha rivelato quanto già Pitagora, credo, e i suoi seguaci dicevano per enigmi su questo come su molti altri argomenti. A lui, d'altra parte, anche per lo stile poetico, era lecito non essere chiaro. Non ci resta che il divino Platone [, .. ].

Eppure, in riferimento a Empedocle, Plotino era deciso a colmare le lacune e sostenere che anche lui aveva equiparato la caverna con il nostro mondo perché, come predecessore dei platonici, era quanto avrebbe dovuto fare. Quando ritorna sulla questione della «caverna» in cui - sia per Empedocle che per Platone - le nostre anime discendono, il commento di Plotino non avrebbe potuto essere più eloquente: «indica - mi pare (001(00 Ilod - questo universo».8 Questa affermazione conserva tutti i tratti distintivi dell'interpretazione creativa dei filosofi precedenti per cui i neoplatonici sono famosi. In particolare, il bisogno che Plotino ha di menzionare se stesso anche quando parla di Platone pone in una luce davvero differente il rinvio di Rohde alla «tradizione ben definita» o il richiamo di Dodds all' «an6 DodJs (1959), pp. 296-297 e Burkel't (1972), p. 248 n. 48, in riferimento a Pl.

Gorg. 493 a-b. I De 0111/'0 lIyl1/phorul1/ 8 citando Emp. B20 e Pl. Rep. 514a, 515a, 517a-b.

-

8 PIOl. 4.8.1.17 ·36. Sul passo, e sulle fonti di Plotino, cfr. Burkert in

J. Mansfeld e

L.M. de Rijk (a C. di), Keph%ùm: 51udies iII GI'eek Phi/osophy olld ils COlllilluolùm offel'ed lo P/'Of CJ. de Fogel U\ssen 1975), pp. 137-146; T. Gelzer, MH 39 (1982), pp. 101-131; Mansfeld (1989), VII, pp. 131-156e (1992), pp. 217 n. 33, 300-302, 305.

4. L'enigma

51

tica autorità». che non ci può essere un Ade sotterraneo perché la terr-.! è una sfera solida è inapplicabile non solo a Empedocle ma anche ad alcuni stoici (cfr. sotto, cap. 6; 5VF III. 264.1-6); vedremo più avanti (cap. 13) quali furono i fattori cruciali che condussero a spostare l'Ade all'esterno della terra sferica. A proposito delle critiche, perlopiù assurde, di Frank su quello che è necessario o impossibile nel pensiero greco, cfr. de Santillana, pp. 190-20 I. Quanto a Empedocle e alla sfericità della terra, cfr. Millerd, p. 63 n. 6 e Burkert (1972), p. 305 con cap. 8 n. 5 sotto.

54 I. Ftlorofia

terra, per non parlare dell'ai/her del cielo. Sempre secondo Empedocle infatti, come vedremo presto, l'ai/her non è un elemento presente in modo significativo all'interno della terra. L'equazione di Era, o Ade, con ai/her può essere scartata. Rimane dunque un solo possibile candidato, Zeus, e nessuno potrebbe andare meglio. L'idea che l'ai/her, in alto nel cielo, è la dimora di Zeus è probabilmente la tradizione religiosa che ha goduto di più lunga durata, da Omero fino alla fine dell'antichità. Per ogni greco quello è il posto che gli appartiene. 19 Viceversa, la celebre ripartizione del cosmo nell' Iliade stabiliva che Zeus si prese «il cielo (ouranos) fra le nuvole e l'ai/her».20 La tendenza a una completa assimilazione tra ai/her e Zeus è antica, ben più di Empedocle, e fin da subito molto diffusa. 21 Lo stesso Empedocle, come abbiamo visto, attribuì all'aria l'epiteto tradizionalmente ri22 servato a ZeuS. Nel cruciale frammento 6, la sua definizione di Zeus come «splendente» (àpyi)ç) concorda con lo splendore dell'ai/her più volte enfatizzato altrove, e descrive perfettamente anche la luminosità abbagliante del cielo mediterraneo. 2} La pretesa di alcuni studiosi recenti che vorrebbero bollare come invenzione moderna l'identificazione dello Zeus empedocleo con l'aria è smentita chiaramente dai fatti. 2-1 Che Empedocle avesse riferito all'aria un epiteto specificamente riservato a Zeus merita un ulteriore commento. Accanto all'immagine consueta del filosofo che si è trovato quasi per caso a mettere per iscritto le sue idee in forma di poesia, c'è in Empedocle un aspetto più sfumato che dipende dal suo legame con Omero. Liste di echi e paralleli omerici erano già state raccolte da Diels nelle sue edizioni dei frammenti empedoclei, ed è toccato poi agli studiosi delle generazioni successive il compito di mostrare come di regola questi echi siano scelti intenzionalmente e che i paralleli assolvono una funzione specifica. I poemi omerici erano conosciuti dal pubblico di Empedocle al punto tale che la citazione di un singolo termine inconsueto avrebbe immediatamente evocato il contesto della parola; l'impiego congiunto di due o tre parole che anche in Omero comparivano associate avrebbe potuto richiamare visivamente un'intera scena. Le sue scelte lessicali - anche l'evidente inclinazione a coniare neologismi - si fondano senza dubbio su un'acuta l'l ai9Épl vatoov: Il. 2. 412, Od. 15.523, Hes. Op. 18, Theognis 757 ccc. Cfr. Eur. framm. 487; Cook, volo I, pp. 25·26. 20 II. 15.192. Cfr. Eur. framm. 839, 985; Kahn (1960), pp. 135-137. 21 Cook, volo I, pp. 27-33; Buffière, pp. 108-109. 22 B149 con cap. 3 n. 18. 2} EmI'. B21 ... (àpyÉtl aUy~l), B98.2; Traglia, p. 152; cap. 2 n. II. -'-1 Cap. 3 n. 3.

4. L'enigma

55

consapevolezza del modo in cui alcuni termini particolari erano usati da Omero. Le testimonianze superstiti mostrano che nel caso di Empedocle, come in quello di Parmenide prima di lui, allusioni ponderate e trasposizioni sottili erano espressione di un metodo ricercato e di un'abilità di cui si era ben consapevoli. 25 Naturalmente quest'arte dell'allusione è anche quella di un parlare indiretto: l'arte dell'accenno, di dire in realtà più di quanto non si dica in apparenza. Per Aristotele questo non ha nulla a che spartire con lo stile di scrittura di un filosofo: è solo un altro irritante aspetto di quel modo di esprimersi vago, allusivo e oracolare che aveva condannato in Empedocle come pretenzioso e inganne26 vole gioco di prestigio. Ma se vogliamo comprendere Empedocle nei suoi termini è più utile osservare che un simile interesse a comunicare più di quanto non colpisca immediatamente l'orecchio e l'occhio lo collega molto da vicino da un lato con la figura del filosofo-poeta della tradizione mediorientale, che con i suoi enigmi e le sue allusioni velate è sopravvissuto fino al Medioevo e oltre; e daU'altro con i rapsodi greci e i sofisti, per i quali enigmi e allusioni erano intimamente connessi all'interpretazione di Omero. 27 Bollack ha contribuito in modo considerevole a portare alla luce questo aspetto di Empedocle. Allo stesso tempo ha però compiuto l'errore di equiparare diversi tipi di allusione, introducendo nello studio della letteratura antica le idee dei postsimbolisti francesi sulla natura 28 della poesia. La confusione che ne è derivata ha lo stesso peso dei Cfr. in panicolare Bollack, voI. I, pp. 277 -285 e per es. voI. III, p. 493; per il rcimpiego di termini omerici, O'Brien (1969), p. 267 e Gemelli Marciano. Su Parmenide, cfr. soprattutto Mourclatos, pp. 1-33 e pas.rim. 26 Rh. 1407a31-37 (= Emp. A25b) con Cope e Sandys ad loc., i quali ossel"ano che l'oscurità d'espressione di cui Aristotele accusa Empedocle «appare soprattutto nell'uso di termini simbolici, come per esempio "Nesti", con cui Empedocle a volte designa gli clementi». Cfr. Mele·or. 357314-28 = Emp. A25c; Karsten, p. 60, L1oyd, Def!/yJ/i/ying lvlelllolilies (Cambridge 1990), p. 23. Gli antichi attribuivano l'uso intenzionale di enigmi non solo a Pitagor-d, ma anche a Empedocle - ncl suo caso con particolare riferimento all'identificazione degli clementi con le divinità ncl framm. 6-, cfr. Mansfcld (1992), pp. 193-195 con n. 11J. 21J n. 17; cfr. anche H. Munding, HermeJ,82 (1954). pp. 1J6·1J7, Mansfeld. PhronesiJ, 17 (1972), pp. 30-35. Sulla natura enigmatica dci frammento 6 di Empedocle. cfr. anche Kingsley (19940), § VII con i rinvii bibliografici di n. 62; sotto, cap. 23. Sugli enigmi e la filosofia greca in generale, si veda in particolare Clearco, framm. 63 Wehrli; Huizinga, pp. 115-118, 146-152, e po.uim. 27 Pl.lo1l530b-542a con Richardson (1975), pp. 65-81;J. Grangeret de Lagrange, Alllhologiearohe (Paris 1828), p. 118, Nicholson, pp. 166-167. Su Empedocle, sui sofisti e sui r-dpsodi, cfr. in panicolare Dicls (1969), pp. 159-184; Morrison, pp. 55-63; Guthrie (1962-80, voI. III, pp. 29-3 1,42·43,269-270; sotto, cap. 16 n. 53. 28 Cfr. i rilievi di Kahn, Gnomoll, 41 (1969), pp. 439-440,447. 25

56

L Filosofia

chiarimenti. L'arte dell'allusione in Rimbaud o Mallarmé è qualcosa di essenzialmente aperto, in Empedocle non è così. L'oggetto principale dell'allusione - i poemi omerici - era fisso, e le allusioni venivano chiaramente scelte in vista dell'effetto specifico che avrebbero prodotto con lo spostamento di un termine o di un'immagine da un contesto all'altro. Il contesto originale di Omero informa e determina. Alla luce di queste considerazioni generali non è difficile concludere che Empedocle, quando chiama l'aria con il nome che Omero riserva a Zeus, vuole comunicare proprio che la sua aria e lo Zeus di Omero sono strettamente collegati se non addirittura la stessa cosa. Per il lettore moderno di Empedocle il meccanismo di quest'inferenza sembrerà forse soggettivo e anche troppo ingenuo. Come ad Aristotele, anche a noi piace battere il pugno sul banco e dichiarare con convinzione che la filosofia è un gioco a carte scoperte in cui si chiamano le cose con il proprio nome. Ma rimane il fatto che nel frammento 6 Empedocle ha rivelato un enigma poetico,2" se avesse voluto dire in modo diretto quello che intendeva esprimere, non ci sarebbe mai stato alcun problema nel decifrare il significato delle sue parole. Ci ha inoltre messo a disposizione degli indizi, che possiamo usare oppure no. L'impiego dell'epiteto di Zeus «adunatore di nubi» in riferimento all' aria è un 'indicazione evidente che Bollack fu costretto a ignorare a causa della sua errata equazione tra Zeus e il fuoco: «L'epiteto solitamente associato al nome di Zeus è ,attribuito a un elemento che, secondo Empedocle, non gli appartiene. E impossibile capire quale senso avesse».}O AI contrario, l'indizio semplicemente rinforza quella che resta comunque una conclusione inevitabile: l'ai/ber di Empedocle non corrisponde a Era o Ade, ma a Zeus. Rimangono Era e Ade, la terra e il fuoco. Per cominciare possiamo escludere un'identificazione di Era con il fuoco, perché mancano giustificazioni plausibili. Certo, in Tzetzes troviamo un'equiparazione con l'aspetto infuocato dell'aer, «perché Era è la madre di Efesto».H Ma Tzetzes, uno scrittore del XII secolo, è molto lontano da Empedocle per epoca e mentalità. Più vicino da entrambi i punti di vista è Plutarco, che non cerca le scorciatoie di Tzetzes affermando con maggior precisione che Era «viene identificata con l'aer e la nascita di Efesto con la trasformazione dell'aer in fuoco».n Non dovrebbe esserci bisogno di aggiungere nulla a proposito dell'impossibilità di attribuire a Empedocle anche questa idea di trasformazione. Mentre mancano giustificazioni per un'identificazione di Era con il Cfr. sopra, n. 26. }O Val. III, p. 301. } I Ò nupooo'lç (a~p) ... ovn€p l qui indica chiaramente il ciclo delle stelle fisse), secondo cui i pitagorici equipararono l'antiterra con il ciclo, ha una stretta affinità con l'esegesi gnostica, ma è anche collegata all'idea che le stelle fisse sarebbero dei sistemi comprensivi di una o più terre (Her-oIc1id. framm. 113 = OF framm. 22; Procl. 1ì·m. 2.48.24-25). I) Cfr. Zeller, voI. VI. pp. 533-534, Frank, p. 197 e, circa l'origine dell'idea pitagorica di una «antiterra», Burkert (1972), pp. 347-348 con cap. 13 sotto. 1-1 Sull'antiterra abitata di Filolao, cfr. ps.-Plut. P/aci/a 3.11.3 = Philolaus A17a (Huffman, p. 238), Burkert (! 972), p. 348 e n. 58; sulla sua luna disabitata, Stob. 1.222.3-8 (cfr. ps.-Plut. P"1C/~a 2.30.1; Philolaus AlO = Huffman, p. 270) con Burkert (1972), p. 346. Sulle stelle intese come terre con una loro atmosfera: Heraclid. framm. 13 = OF framm. 22. Il tentativo compiuto da Wehrli (p. 99, ad /oc.) di restringere, in questo contesto, il significato di as/eres a pianeti in opposizione a stelle non è soltanto forzato, ma chiaramente sbagliato - cfr. W. Kroll, De oraculis Cha/daicis (8reaslau 1894), p. 20, Guthrie (1952), p. 185 - perché si può ipotizzare con un certo grado di sicurezza che queste stelle simili alla terra si riteneva fossero abitate Ubid.). Quando si discute dcll'idea di una luna abitata prima dell'epoca di Platone, viene ogni volta citato il nome di Anassagora, ma gli avvertimenti di Guthrie sono quasi sicuramente appropriati Ubid., pp. 247-248 con Guthrie [1962-81], voI. Il, p. 308 n. 4). Quanto alla tesi di una luna abitata ncl pitagorismo, si veda anche lam. l'P 30 e 82. L'idea ritorna anche in Epimenide (82); cfr. Burkert (1972), pp. 150-153,346-347. I~ Si veda su questo punto Zhmud', pp. 280, 288-289; Kingsley (1990), p. 261 con n. 99.

8. Il milo del Fedone: le fonli

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trarsi su una sola interpretazione astronomica a scapito delle altre conviene, in prima istanza, considerarle tutte insieme sulla base della matrice mitica, e soprattutto escatologica, da cui si sono sviluppate. Per quanto riguarda il mito del Fedone, questo sfondo escatologico ci ripor16 ta ancora una volta al pitagorismo. Anche qui non mancano indizi aggiuntivi a garanzia del debito contratto da Platone, su questo punto preciso, con le teorie pitagoriche. Quando arriva a descrivere la forma della sua «vera terra», la presenta come un'enorme palla a dodici spicchi: un evidente rinvio al dodecaedro. Il posto di riguardo riservato a questa figura geometrica - sia qui che nel Timeo - è in entrambi i dialoghi una delle conferme più eloquenti del suo richiamo al pitagorismo. li Torniamo così alle insenature e ai fiumi d'acqua e di fuoco, componenti essenziali nella descrizione della «vera terra» di Platone. A uno sguardo complessivo emerge che questa sezione del mito, da qualunque direzione la si prenda, è circondata su ogni lato da elementi senza dubbio attinti al pitagorismo italico o siciliano: l'escatologia, la cosmologia, i simboli. In quest'ottica, niente potrebbe essere meno sorprendente del fatto che questo paesaggio mitico di insenature e fiumi abbia la sua origine nella geografia della Sicilia. Le testimonianze si confermano a vicenda e portano a un'unica conclusione: la geografia mitica di Platone - in particolare l'intricata raffigurazione del Tartaro e dei grandi fuochi sotterranei - trae spunto dai pitagorici occidentali. Su come Platone abbia ereditato , queste idee, tutte le ipotesi plausibili puntano nella stessa direzione. E opinione condivisa che le visite personali di Platone nel sud dell'Italia e in Sicilia furono determinanti per la sua conoscenza dei circoli pitagorici e, in particolare, per l'acquisizione delle teorie pitagoriche che avrebbe poi incorporato nei suoi miti. In teoria, Platone potrebbe aver appreso i dettagli confluiti nel Fedone da qualcuno ad Atene. Ma è in assoluto più probabile che sia venuto a conoscenza di queste idee durante la sua prima visita in Sicilia, che sem18 bra sia avvenuta non molto prima della composizione del Fedone. Burkert (1972), pp. 345- 348, che aveva anche compreso la necessità Ji collocare la «vera terra» JeI FeJone nello stesso cOn!(.'Sto (p. 347 n. 55); cfr. anche Dctienne (1963), pp. 148-149 con ulteriori riferimenti bibliografici, 160-162. li Phd. 11Ob6-7 (cfr. 108J9-eIl; Tim. 55c. Sul Jebito contratto con il pitagorismo, cfr. Burnet (191 Il, p. 131 e (1930), pp. 292-295; Sachs, pp. 76-84; M. Cantor, Vorlesungen iiber Geschichlt, de,. Malhemalik (Leipzig 1907 l, voI. l', pp. 174-178; A. Mieli, I PreariJlolelici, \'01. I (Firenze 1916), pp. 262-264, T.L. I-Ieath, A His/o,.yo! G,.eek Malht'malics, voI. I (OxforJ 192 I), pp. 160-162 eJ EudiJ's Elemenl.f (CambriJge 19261, voI. IF, pp. 97 -99; Burken (1972), pp. 458-460. Cfr. anche Je Santillana, pp. 108-114. 18 Cfr. in generale, Wilamowitz (1920), voI. I, p. 249; Thomas, pp. 66-67, 72, 79, 120, 156; Long, pp. 69-70. Quanto all'importanza JeI primo viaggio in Sicilia per la 16

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II. Mir/eri

Si può essere, volendo, più precisi. Tra i biografi antichi si registra la tendenza a far dipendere il primo viaggio in Sicilia dal desiderio lodevole di studiare gli straordinari crateri dell'Etna. Ma questo modo di presentare Platone nelle vesti del filosofo naturalista costituisce un vistoso travisamento dei suoi interessi reali: una spiegazione ingenua, quasi certamente concepita da qualche scrittore ben intenzionato ma non troppo profondo, e con tutta probabilità fondata su nient' altro che l l'allusione ai vulcani siciliani del Fedone. imo tl voç ItÈltEICJJ.Ial (Phd. 108c); cfr. cap. 8 con nn. 9- IO; sotto, n. 36. 24 lllJ2 (imò y~v), 6, e5, 112c8-d1, 113a1, b4, c3; cfr. Phdr. 256d6, Rep. 615a2-3, Leg. 905a6-7 e, quanto alla segretezza di Ade, cap. 4 con n. 43. 25 Rohdc, pp. 586·588; Burkcrt (1972), p. 248 n. 48. 26 J>hd. 109a-11Oa, ncllo specifico 109c3-4, a9-b4. Sull'associazione tra «cavità» (KoiÀOv o EYKOIÀOV) e caverna, cfr. cap. 7 n. 14; Od. 12.84-93, Acsch. Eum. 22-23, Eur. Al1dmmoc. 1264-1265 e framm. 421, Diod. 3.13.1 ecc.

9. Il mi/o del Fedone: la s/ru/lura

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rale del mito del Fedone abitiamo sulla superficie dell'isola, sopra le oscure cavità e insenature che si aprono sulle profondità degli inferi; ma secondo il livello metaforico siamo già sprofondati in una di queste cavità, giù, proprio nel mondo degli inferi, e ci troviamo sulla superficie della terra solo nei nostri sogni. Non ci dovrebbe essere bisogno di sottolineare l'importanza di quest' analisi del Fedone in rapporto agli altri miti di Platone, soprattutto per la nostra comprensione dell'allegoria della caverna nella Repubblica. Nel caso del Fedone c'è un'ultima osservazione da fare. L'analisi del mito secondo i livelli che lo compongono pone fine una volta per tutte al dibattito che ha ostacolato per millenni ogni tentativo di spiegazione: se la «terra» cui si faceva riferimento nel mito vada intesa alla lettera come la terra a noi familiare, o piuttosto metaforicamente come un'allu27 sione a qualcos'altro. La risposta banale è che si riferisce a entrambe, a seconda del livello scelto per leggere le parole di Platone. Come è facile prevedere nel caso di un materiale successivamente rielaborato e arricchito da una sovrastruttura allegorica, il mito comincia con il livello 28 letterale. In un secondo momento, come pure era da aspettarsi, coTestimonianze dei dibaniti antichi sul problema sono conservate in Dam. Phd. 1.503-522,2.114-145. Lo stesso Damascio aveva tentato, in modo piunosto debole, di persuadere i suoi allievi che la, «vera terra» del h·dom· è «semplicemente, la terra descrina dai geografi» (1.504). E evidente che in questo caso Damascio prendeva posizione su un problema che aveva diviso per secoli i platonici (cfr. in particolare 1.503,2.114 l; cercando di proporre una soluzione ((ragionevole» al problema, seguiva la strada aperta da Aristotele, che con il suo tipico aneggiamento realistico aveva già criticato il IiveUo lenerale del mito, ignorando qualunque significato allegorico (Mc/eor. l55b32-356aHl. In epoca moderna, si è tendenzialmente scelto di seguire Aristotele e Damascio, come per es. J. Dillon, California 5ludic's in Classical Anliquity, 4 (J 97 1l, pp. 138-139; una comprensione non comune del livello allegorico del mito, e delle sue relazioni con quello raccontato da Plutarco nel De genio 50Cl'alis, è in R. Heinze, Xenocralc's (Leipzig 1892l, pp. 135-136; cfr. anche le osservazioni di de Santillana, Hamlct'.r J'vWI (Boston 1969; trad. it. Il mulino di Amlclo, Milano 1983), pp. 186-188. L'insieme di dottrine platoniche presenti nei miti escatologici di Plutarco è stato patrimonio comune a lungo: cfr. per es. Dieterich (J893 l, pp. 145149 e, più di recente, Culianu, pp. 4346. Culianu, tunavia, commene un errore tipico, quando afferma che in Plutarco «i dettagli di Platone sono continuamente interpretati concordemente a un sistema esegetico moderno e sofisticato» - presupponendo di fano che nei miti di Platone non siano già presenti in modo implicito né sofisticazione né un sistema esegetico. 28 108c-109a (sfericità della terra); cap. 8 con n. 5. Questo passo introdutth'o, con la sua netta distinzione fra una terra cent/"".1le e i cieli che la circondano, risponde direttamente ai problemi precedentemente sollevati nel dialogo circa la forma e la posizione della terra come noi la concepiamo (97d-98a; Sedley, pp. 360-363). Per esempi analoghi di interpretazioni successive che riprendono materiale precedente, cfr. Kingsley (J 994al. 27

116 II. Mis/m'

mincia rapidamente ad affiorare il livello metaforico. Il risultato è che il mito del Fedone descrive due terre, non una. In origine la terra è la nostra terra o, per essere più precisi, la terra cosÌ come è vista dal punto di vista privilegiato della Sicilia o del sud Italia. In seguito, in aggiunta a questa terra presa in senso letterale viene anche introdotta un'altra terra, una terra «vera», distinta dalla povera copia che ci è riservata: un mondo etereo, celeste, abitato da esseri divini. Costoro sono i veri esseri viventi, mentre la cosiddetta vita sulla superficie della nostra terra corrotta e malsana è soltanto una flebile ombra o un sogno, se paragonata alla loro. 2,) La giustapposizione di queste due terre ha comprensibilmente prodotto qualche confusione; ma nel momento in cui smettiamo di cercare di scegliere tra un livello e l'altro accettando l'esistenza di entrambi, ci troviamo finalmente nella giusta posizione per poter apprezzare la reale intensità e complessità del mito finale del Fedone. ,

E ora tempo di riassumere e fare un po' d'ordine tra i punti principali finora assodati. L'analisi del Fedone ha mostrato che il mito si articola quanto meno su due livelli diversi. Quello più basso contiene una descrizione della forma e della geografia della terra, presentata sostanzialmente come un'immagine particolareggiata della parte visibile della Sicilia, con i suoi vasti fiumi d'acqua e di fuoco che scorrono e bruciano sotto la superficie dell'isola. Questa descrizione può essere definita pitagorica non solo nel senso che era impiegata e reinterpretata nei circoli pitagorici, ma anche perché fu quasi certamente redatta da un pitagorico. A questo proposito è particolarmente significativo che la teoria della sfericità della terra - vale a dire la sfericità della terra così come noi la conosciamo - appartiene allivello letterale del mito, è precedente alla sua allegorizzazione. lO Non c'è niente di sorprendente in questo. Si profila, al contrario, un altro parallelo con il mito abbozzato nel Gorgia, perché gli indizi tendono a suggerire che il «siciliano o italico» a cui ci si riferisce, per ipotesi, come all'autore del livello letterale del mito era a H sua volta un pitagorico. C'è poi il livello superiore del mito del Fedone, dove questa descrizione originaria viene rielaborata e sfruttata per fini filosofici o, per essere più precisi, mistici. E con quest'interpretazione allegorica ci troviamo di fronte a qualcosa di sorprendentemente nuovo: l'interesse per PhJ. \09b7-111c3, 11-Ib6-c-l; cap. 8 con nn. 12-1-1. 16. Per la realtà della «vita» nei cicli, si veda anche Tim. 3ge·-IOb, -Ilb--I2d; Epinomiç 98Ie-98-1b, in panicolarc 98-1a6-b I; ArisL De phi/osophia, framm. 33 (22) Untcrstciner; Jaeger, pp. 138-155. 29

Cap. 8 con nn. 5, Il; sopra, n. 28. H Burkcrt (1972), p. 2-18 n. -18; cfr. anchc Wilamo\\'itz (1920), voI. Il, p. 89, Frank, p. 299. Sull'csprcssione «siciliano o italico», cfr. Chemiss (1935), pp. 38-1385, Sext. Ma/h. 9.127 = DK, \'01. l, p. 367.1-2, e cap. IO con n. 8. lO

9. Il milo del Fedone: la slrullura

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una trasposizione simbolica, in una dimensione cosmica, dei particolari della geografia della Sicilia o della Campania. Più avanti incontreremo un altro esempio, ancora più incisivo, di quanto fosse diffuso questo inl2 teresse tra i pitagorici dell'epoca precedente a Platone. Dopo questo lavoro di scavo nel mito del Fedone le conclusioni da trarre sono molteplici. Una riguarda proprio Platone e il problema della sua originalità. Ai nostri giorni, ormai, l'idea che i miti siano prodotti del suo genio creativo è diventata un dogma di fede. Questa credenza è di solito accompagnata dal riconoscimento che qualche elemento di fondo dei suoi miti può essere ragionevolemente derivato da fonti pitagoriche; ma nello stesso istante è anche inevitabile precisare che solo gli straordinari poteri di Platone hanno potuto rielaborare questi crudi dettagli, combinandoli e integrandoli fino a ottenere i miti così come li leggiamo. Più e più volte ci si imbatte nel proclama, espresso perlopiù in termini identici, che «nessuno se non Platone» avrebbe potuto trasformare questi miti «in quei meravigliosi prodotti della fantasia» che noi leggiamo. H L'analisi del mito del Fedone presenta però un quadro ben diverso. A quanto risulta, in realtà, le presunte intuizioni o creazioni di Platone non sono per nulla ascrivibili a lui, e l'origine di questo materiale tradizionale non è inoltre da rintracciarsi in diverse direzioni visto che tutte le testimonianze rimandano a una stessa e unica fonte. Questo vale non solo nel caso dei dettagli fisici o geografici, ma anche di quelli mitici o escatologici; e non solo per i dettagli in sé, ma anche per la loro interpretazione allegorica. La struttura e l'intreccio del mito risultano molto più densi e complessi di quanto non si sospettasse finora: il mito si articola su diversi livelli di significato che Platone ha riprodotto e non creato, quello letterale e mitologico come anche quello simbolico. In breve, tutto porta a concludere che Platone abbia fatto proprio queUo che a più riprese confessava di aver fatto: riferire il mito come lo aveva appreso da qualcun altro. Naturalmente con questo non si vuole negare che Platone abbia introdotto dei cambiamenti personali. AI contrario, molto probabilmente, alcuni dettagli sono stati confusi e gli estremi di alcune distinzioni in origine sottili sono andati persi, sia per mancanza d'interesse sia in conseguenza di fraintendimenti.l~ Ciò nonostante, nessun indizio suggerisce che Platone abbia contribuito in modo significativo alla creazione Sotto, cap. 13. Cfr. anche Vir~. Am. 6.887 con cap. lO n. 37: Plut. De sera 566a-e con cap. Il n. 26. 33 Guthrie (1952), p. 168. CosÌ per es. F .. uti~er, pp. 260, 266: Thomas, pp. 120122, 157: Hackforth, p. 172 e n. 2; Annas, p. 122. 3~ Cfr. sopra, a proposito della mancanza d'interesse che Platone dimostra rispetto alle~ame PirifJe~etonte/fuoco: e sotto, cap. 14. 32

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[I. Mir/eri

anche al riadattamento - di questo materiale mitico. Si è già vagliato un buon numero di casi a partire dagli intricati dettagli della geografia italica e siciliana, dove proprio i particolari che potevano sembrare più di altri contributi originali di Platone si rivelano invece l'opposto. Per menzionare solo un altro esempio, un tocco apparentemente personale di Platone è quando cita un verso di Omero per illustrare la teoria cosmologica che sta descrivendo. Come si vedrà più avanti, in verità, il verso specifico dell'Iliade a cui si fa qui riferimento aveva un significato molto preciso per i pitagorici a lui anteriori, che lo avevano già usato 35 per spiegare e formulare le proprie teorie cosmologiche. Ancora una volta, la lunga ombra del pitagorismo si estende su ogni dettaglio del mito del Fedone che si decida di analizzare con attenzione. C'è però un altro aspetto cui Platone sembra aver contribuito in modo originale, mettendo cioè per iscritto quanto aveva appreso dalla sua fonte orale. Un dettaglio che nella nostra età tanto colta e Iibresca potrebbe anche non sembrare molto significativo, e che invece si sarebbe rivelato un passo di grande imponanza. Presentando in fomla scritta quello che aveva appreso a voce, Platone avrebbe reso accessibile a un pubblico molto più ampio - anche solo nel mondo greco del suo tempo, a prescindere dai secoli a venire - una tradizione orale rimasta circoscritta a una cerchia molto ristretta di pitagorici. 36 C'è un'ulteriore implicazione di maggior ponata. Questo passaggio dall'oralità alla scrittura è pane di un fenomeno molto più vasto, che può essere apprezzato pienamente solo se si tiene presente che Platone viveva in una fase decisiva della civiltà occidentale: il momento del passaggio da una cultura fondamentalmente orale a una che avrebbe visto predominare la scrittura. Platone stesso era a sua volta fin troppo consapevole dei limiti del testo scritto come mezzo di una comunicazione autentica. Era però anche realista e si rese conto che l'unica speranza era battere il nemico sul suo stesso campo: l'unico modo per contrattaccare la nuova «democratizzazione» della parola scritta - che - O

n PhJ. 112a, con una citazione di l/. 8.14; sotto, cap. 13. Dodds (1959), p. 27 descrive l'altro mito corredato da un'interpretazione allegorica, 4uello che compare ncl Gorgia, come «un testo a proposito dci 4uale è evidente che Platone non si aspettava che fosse conosciuto dai suoi lettori». Questa sottolineatura della manCan7.ll di familiarità dei lettori di Platone è chiaramente corret· ta; ma la descrizione fatta da Dodds dci mito e della sua interpretazione simbolica come se si trattasse di un «tç rlKEÀ.Oç nç lÌ ·ltaÀ.lKoç) - parafrasano con arguzia un verso del poeta Timocreonte su un «siciliano raffinato» (rlKEÀ.Òç KOIl'l'Òç àvtip), Come inoltre rilevò Wilamowitz, il modo in cui Platone modifica e integra il suo modello implica chiaramente che il narratore di miti, se pure strettamente collegato con la Sicilia tanto da richiamare alla mente in prima battuta le parole di Timocreonte, con tutta pro8 babilità non è originario della Sicilia bensì della penisola. E questo esclude del tutto Empedocle. Se torniamo al mito del Fedone si delineano le stesse conclusioni. La teoria di Burnet deI prestito da Empedocle era difendibile a patto che il mito fosse un semplice pastiche in cui alcuni dettagli bizzarri presi da Empedocle venivano combinati con materiale ricavato altrove. Ma come si è visto, la struttura di fondo del mito del Fedone è una descrizione continua e accurata della natura della terra, della sua superficie e delle sue viscere, e dell'accoglienza che viene riservata ai morti. Se fosse stato scritto da Empedocle, Platone se ne sarebbe reso conto immediatamente, e senza dubbio si sarebbe aspettato che il suo pubblico facesse lo stesso. , E quindi necessario cercare in un'altra direzione. Come osservato in precedenza, dei due livelli del mito, quello letterale e quello allegorico, il primo era quasi di sicuro invenzione di un pitagorico. Ciò non toglie che in un'opera a tal punto caratterizzata in senso locale l'autore abbia 9 quasi inevitabilmente adattato tradizioni mitiche e religiose precedenti. Eccoci quindi a un'altra ipotesi che merita di essere presa in considerazione: lo strato originario del mito aveva la forma di un poema ascritto al profeta Orfeo. È ben noto che nel secolo precedente a Platone le relazioni tra il pitagorismo e la produzione di scritti orfici furono molto strette. Per i priSoph.,/oc. cii. 8 Zcllcr, voI. III, p. 558 n. 2; \'('ilamo\\,itz (1920), \'01. II, p. 89 (((anche il compilatore, un pitagorico, vcniva dall'Italia»); Timocreon. framm. 6 Pa/olc IPMG § 732); sono, cap. 12 n. 73. 9 Cfr. percs. Burkert ([972), pp. 112·113,con n.21 aJ/in. 7

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II. Mir/eri

mi pitagorici era una prassi consolidata attribuire a Orfeo i poemi che avevano scritto sugli dèi e sul cosmo, o sulla salvezza dell'anima. lO Quando consideriamo la distribuzione geografica dei pitagorici del tempo non sorprende che, per le fonti di questa letteratura orfica, siamo ripetutamente ricondotti proprio in Sicilia e in Italia meridionale. l l Per esempio, una Discesa nell'Ade orfica, ora perduta, era ascritta a «Orfeo di Camarina», senza dubbio lo pseudonimo di un abitante di questa città sita lungo la costa meridionale della Sicilia, sotto i Palici e l'Etna, e fondata nel 599 a.c. da Siracusa. 12 O ancora, a Timocle di Siracusa è attribuita un'opera intitolata Salvez.za (l:omlpta),u Siracusa, come si è visto, era un centro di primaria importanza per i misteri di Persefone, e ciò è sicuramente legato al fatto che anche la letteratura orfica si concentrava a sua volta in larga misura sulla sua figura e sul suo destino. l" Per di più, la produzione orfica si distingue per una tendenza marcata a gravitare verso i misteri di Demetra e Persefone, assumendo rispetto a essi il ruolo di testi sacri, come emerge in modo chiaro nel ca15 so dei misteri eleusini. È quindi il momento di tornare al Fedone, con la sua descrizione accurata del paesaggio siciliano e campano e tutti i dettagli già notati: prende forza l'ipotesi che a costituire lo strato originario del mito precedente alla sua interpretazione allegorica fosse un qualche tipo di narrazione sacra, destinata a svolgere in Occidente più o meno la stessa funzione che gli inni omerici e orfici svolgevano nei misteri eleusini. Il che automaticamente risolve un altro problema: se l'ipotesi che Empedocle fosse l'autore del mito originale va esclusa perché la sua poesia era, troppo conosciuta, il caso di un testo orfico cadrebbe a proposito. E chiaro che molti poemi orfici erano concepiti per una fruizione ristretta ai circoli d'iniziati: un particolare che spiega perché questi scritti sembrano aver goduto di un'attenzione relativamente limitata e di «una circolazione davvero ridotta». 16 Non è comunque il caso di accontentarsi di queste considerazioni, suggestive ma generali. Esistono infatti testimonianze molto più specifiche che puntano nella stessa direzione, cominciando dal mito abbozzaBurkert (1972), pp. 125-133; Graf (1974), pp. 92-94,148-149; \'{'est (1983), pp. 7 ·15. Sull'inappropriatezza dci termine ((piagio>~ in questo contesto, cfr. Kingsley (1993b), p. 23. 11 OF test. 173·179; Nilsson. voI. II. p. 644; Burken (1969), p. 17 e n. 37. 12 OF test. 176; Rohde. pp. 336. 349 n. 7; Nilsson. !oc. ci/o Sulla fondazione di Camarina. cfr. Thucydides 6.5.3. 13 OF test. 178; Lobeck. voI. 1. pp. 383-384. l" Per alcuni punti di contatto tm Siracusa e la 1ettemtura orfica. cfr. Loicq-Berger. p. 61; Graf (1974). pp. 143-144; F. di BeUo in OMC. pp. 191. 193. 15 Richardson (1974). pp. 77-85; Graf (1974); West (1983), p. 24. 16 West (1983), pp. 79-83. lO

lO. Platone e Orfeo

125

to nel Gorgia. L'idea che lo strato originario e non allegorico di questo mito derivi da un poema orfico sugli inferi non è certo una novità, ed è un'ipotesi ben fondata. In termini ampi, !'importanza degli scritti attribuiti a Orfeo di provenienza siciliana o italica trova conferma nell' accenno elusivo che Platone fa a un «sicilano o italico» come autore del 17 mito del Gorgia. L'eventualità di un legame con la letteratura orfica è poi ulteriormente rinforzata da un passo dello stesso Platone nella Repubblica. 18 A gettare nuova luce sul problema è però stata soprattutto la sensazionale scoperta nel 1962 del papiro di Derveni, contenente un testo scritto probabilmente pochi anni prima del Gorgia che conserva un'interpretazione allegorica di un poema attribuito a Orfeo. 19 Come si è visto più volte, la struttura del breve mito del Gorgia rispecchia fin nel più piccolo dettaglio quella del mito finale del Fedol1e: qualunque chiarimento sul Gorgia, quindi, contribuirà in modo automatico a chiarire anche il mito del Fedol1e. Arriviamo dunque alla testimonianza più importante di tutte, vale a dire il Fedol1e stesso. Il primo punto da tenere presente è che già nel corpo centrale del dialogo Platone, prima di imbarcarsi nel mito conclusivo, costella la discussione di riferimenti alla letteratura orfica sul 20 tema dell'aldilà. È innegabile che i riferimenti corrano proprio a testi li Burkert (1972), p. 130. Cfr. anche

ibici., p. 248 n. 48; Guthrie (1952), pp. 161-

163,190,241-242. 18 L'idea, espressa ncl Gorgia, che la punizione negli inferi consiste ncll'essere costretti a portare aC'lua con un setaccio (cIl0pOlEv uooop tEtTUIÉVOOl 1C0oICi VOOl, 493a5-c3) ritorna nella Repubblica, dove è attribuita ad «altri», in aggiunta a Museo ed Eumolpo 063c3-d8, 1C00ICivOOl UOrop àvaylCaçov(ll cIlÉPElV). In '1uesto legame diretto con Museo, gli «altri» vanno individuati molto probabilmente negli scrittori orfici che avevano reinterpretato e riadattato idee greche tradizionali (sul legame tra Museo e Orfeo, cfr. Apologia 41a, Ione 536b, Pro/agora 316d, OF test. 11, 15-18, 166-172, e pa.uim; '1uanto alla reinterpretazione delle tradizioni precedenti nella poesia orfica, cfr. sotto, con n. 54-55); '1uesto è ulteriormente confermato dall'accenno di Platone, che segue '1uasi subito, al «gran numero di libri di Museo e Orfeo» (PipÀOlv o~aoov Moooaiov lCai 'OpcIlÉro.;, 364e3). 19 Sulla scoperta e la datazione dci testo, cfr. West (1983), pp. 75-82, Brisson, RHR 202 (1985), pp. 397-398; sul suo significato rispetto al Gorgia, Burkert (1968), p. 100 e n. 13. 20 A proposito dcll'affermazione di 62b, che secondo «la parola pronunciata a '1uesto proposito nei misteri>~ la vita sulla ter/"'d è una prigione, si veda Cra/. 400c, dove lo stesso insegnamento è attribuito espressamente agli «orfici» (ol à~cIli 'OpcllÉa); cfr. OF framm. 7-8 con ulteriori rinvii, L.J. Alderink, Crea/I'on and 5alva/ion in Ancicm/ Orphism (Chico Calif. 1981), p. 62, West (1983), pp. 21-22. Quanto all'allusione di 69c ai non iniziati che «giacciono ncl fango~~, cfr. Rep. 363d6-8 con n. 18 sopra, OF framm. 5, Graf (1974), pp. 100-107; cfr. anche Olymp. Phd. 8.7.1-2 e, in generale, P. Courcelle, Connais-/oi /oi-meme, voI. II (Paris 1975; trad. it. Conosci h' sleJSo. Da 5ocro/e a san Bernardo, Milano 200 l), pp. 502-519. Per la citazione dci verso che se-

126

II. Mir/eri

orfici, e questo di per sé basta a supportare l'ipotesi che quando Platone si accingerà a raccontare il mito finale - dedicato, va da sé, all'aldilàprenderà nuovamente spunto dal materiale orfico. Parlando in termini approssimativi, questo è lo stadio in cui la questione è stata lasciata nelle precedenti analisi del Fedone: una possibilità ben definita ma niente più. Se così è stato, la causa non va imputata alla mancanza di prove, come vedremo, bensì a una combinazione di disinteresse e inversioni di tendenza negli studi. È passato ormai un secolo da quando Dieterich con il suo Nekya pubblicò l'ultimo studio serio sulle relazioni tra la letteratura orfica e i miti di Platone. Il tema ha quindi perso via via d'interesse, oscurato dalla nuova fede nell'originalità di Platone inventore di miti. Negli anni trenta Wilamowitz e Thomas assestarono un colpo apparentemente mortale all'intero tema dell' «orfismo», dimostrando che non erano mai esistiti né un singolo o unico corpo dottrinale né tanto meno una «chiesa» orfica. Così facendo, riuscirono a compiere un miracolo: la consapevolezza dell'esistenza di un'autentica letteratura orfica anteriore a Platone sparì completamente dalla scena degli studi. 21 Una conseguenza particolare di tutto ciò è che oggi, di fronte all'eventualità di una sovrapposizione fra le tematiche e le immagini della letteratura orfica e quelle che si trovano in Platone, si ritiene più «prudente» parlare nei termini di un materiale orfico che seguiva il «modello» platonico o era da intendersi «in una prospettiva platonica».22 E sarebbe anche prudente, se non fosse che alla lunga ciò ha significato fuggire da un problema storico, piuttosto che cercare di risolverlo. Di recente poi, il problema è stato percepito in modo ancor più penetrante in conseguenza delle scoperte archeologiche, in particolare quella del papiro di Derveni, che ha riconfermato con tutti gli onori l'esistenza di una letteratura orfica anteriore all'epoca 23 di Platone. Tuttavia, anche i ritrovamenti di Derveni rischiano di sviare l'attenzione dalla testimonianza cruciale: gli scritti platonici. Platone cita o parafrasa versi orfici a più riprese, e la maggior parte delle volte cerca di enfatizzarne l'antichità. 24 La conferma più eloquen.:ue subito dopo (69c8), si vcdano i commenti di Olimpiodoro, che corre~e la metrica, PhJ. 7.10.10-12,8.7.1-4 e 10.3.13-15 = OF framm. 235; Dam. PhJ. 1.170.8·9. 21 \X'i1amo\\'itz (! 931-1932), voI. Il, pp. 193-200, 251 n. l; Thomas, p. 51 n. 192, • e paHII1/. 22 Brisson, ANRW' 11.36.4 (1990), pp. 2915, 2920. 23 Cfr. i commenti di Boyancé, REG 87 (1974), p. 94; Burkcrt (1977), pp. 1-3; Mansfcld (1989), XIV, p. 290. 24 PhJ. 69cJ·d l = OF fr-.mIm. 5 (((da tcmpo ci fanno capire per eni.:ma»): cfr. 63c6, 67c5-6, 70c5-6. eral. 402b-c = 01-" framm. 15: per l'idea dell'antichità in questo passo, cfr. Mansfcld (1990), pp. 46-51. Phlh. 66c = 01-" framm. 14: cfr. West (1983), p. 118 e n. 8. I.i>g. 715e = OF framm. 21 (((detto antico»): cfr. framm. 21a, Pap. Dc,v. colonnc 17-19, Boyancé,loc. cii., Mansfcld (1989), XIV, p. 290 e n. 75, West (1983), p. 89 c n. 35.

lO. Plalone e Orfeo

127

te si trova nel Fedone. Le scarse allusioni a teorie orfiche nel corpo principale del dialogo rappresentano, alla lettera, solo il punto di partenza. Per esempio, il particolare più sorprendente della simbologia infera in quelle prime allusioni orfiche ritorna a più riprese nella geografia del mondo sotterraneo del mito finale: l'accenno allo stare distesi nel fango (Èv j30pl3Opool KE'ia9at) è ripreso tre volte, nella trattazione del Piritlegetonte, del Tartaro e dei vasti fiumi di fango che scorrono sotto la Sici25 lia. Sono state avanzate alcune ipotesi davvero bizzarre per spiegare l' origine dell'espressione «giacere nel fango», ma risulta chiaro da altri accenni - di Platone come di altri scrittori - che quest'immagine alludeva aUa punizione riservata negli inferi a coloro che si erano macchiati di qualche colpa. Particolarmente illuminante è la descrizione di Aristofane: chi ha commesso qualche crimine, in particolare quello di alzare le mani contro il proprio padre o la propria madre, è condannato a «giacere nel fango» (éÌta I3OpPOpov ... Èv oÈ tOUtOOl KElIlÉvOuç) negli inferi, vicino alla palude Acherusia. A prescindere da questa stessa idea di essere condannati a giacere nel fango, vale la pena di notare che nel Fedone i fiumi di fango sono gli emissari del Piritlegetonte, che scorre vicino alla palude Acherusia e che è riservato in particolare a quelli che hanno 26 usato violenza contro il proprio padre o la propria madre. Il passo di Aristofane e gli altri paralleli non fanno altro che riunire le allusioni al giacere nel fango e ai fiumi sotterranei di fango che nel Fedone erano invece separate, mostrando che si tratta di tante sfaccettature della stessa teoria principale. In altre parole, queste testimonianze chiariscono in modo inequivocabile che il mito conclusivo del dialogo spiega il senso della precedente breve allusione al giacere nel fango e la ricolloca nel contesto mitologico che le è proprio e in cui essa riacquista un senso. A questo livello di base Platone non ha apportato alcun miglioramento al mito né lo ha arricchito di qualche sottile esegesi, e lo stesso vale per la sua fonte; si è piuttosto limitato ad abbozzare il contesto ge25 69c5-6 (sopra, n. 20); l1Oa5-6, llld5-e2, 113a6-b6, Frutiger, p. 259 n. 2.

Aristoph. Ran. 137, 145-150 con Graf (1974), pp. 92-94; PI. Pbd. 113a5-b5, 113c6-114a8 (cap. 9 con n. In Si veda inoltre PI. R,·p. 363d6-7 (cfr. 533dl-2); Virg. G. 4.478-480; Luc.llisl. vero 2.30-31 e Alex. 25; Plot. 1.6.6.3-5, 1.8.13.17-26. Con la descrizione nel Fedone del «vasto lago» formato dal Piriflegetonte. una regione «bruciata da un gran fuoco)) e «ribollente di acqua e di fango» (Il 3a6-8), si confronti anche la cosiddetta Apocalisse di Pielro, che descrive i peccatori negli inferi come intrappolati in «un vasto lago pieno di fango incandescente)) (Dieterich [l 983 ]. pp. 4.50-51, 6, 81, 221). Le somiglianze tra questa immagine e quella dci Fedone sono evidenti, e Dieterich ha dedicato un libro intero a mostrare l'entità della dipendenza dalle tradizioni orfiche e pitagoriche ncll'Apocalim' cristiana, ritrO\'ata soltanto in forma frammentaria ad Akhmim nell'Alto Egitto e in una versione in etiopico: cfr. Dieterich (1983), paSIim; Cumont (1949), pp. 245-248; C. Maurer in E. Hennecke, N,w T"slamenl ApoclJ'pba, voLli (London 1965), p. 667. 26

128

II. Mis/eri

nerale in cui !'immagine va collocata. Se, presa di per sé, !'idea di «giacere nel fango» è orfica, allora anche il contesto mitologico a cui appartiene è con tutta probabilità orfico, e questo implica non solo i fiumi di fango ma il paesaggio sotterraneo del Fedone nella sua interezza. Dal punto di vista dei contenuti, le prime allusioni orfiche sono collegate al mito finale, offrono una piccola anticipazione di quello che verrà: è così confermata l'ipotesi di legami tra le diverse parti del dialogo. Lo stesso modello di anticipazione e ripresa ritorna anche in altri modi. Per esempio all'immagine, evocata in precedenza nel dialogo, dell'anima impura condannata a giacere nel fango corrisponde, con un evidente parallelo, la visione dell'anima pura che si libera dall'Ade per andare a vivere con gli dèi; le espressioni scelte per indicare questa dicotomia sono tipiche di quella specifica dottrina orfica che proprio Platone descrive in altri passi, mentre la stessa contrapposilì zione riappare - nei medesimi termini - anche nel mito conclusivo. Ancora una volta, le allusioni orfiche della prima parte del Fedone si dispiegano alla fine del mito, offrendo un'inestimabile chiave d'accesso per comprenderne la struttura, il linguaggio e il significato. È sempre più inevitabile concludere che il livello originario del mito - soprattutto i dettagli e la descrizione dei fiumi sotterranei - derivi da un poema orfico. A questo punto un'ulteriore conferma arriva da una fonte sorprendentemente scontata. Nel suo commento al mito del Fedone Damascio giustifica la scelta dei quattro fiumi sotterranei - in usuale dal punto di vista della tradizione omerica - come segno dell'indebitamento di Platone con l'orfismo. Dopo aver affermato che anche Orfeo si era dedicato «in modo ampio» a un'analoga presentazione dei fiumi sotterranei, aggiunge, sulla base della testimonianza di Proclo, che secondo la «tradizione orfica» COpÉcoç napaOootç) ciascun fiume era interpretato 28 simbolicamente in relazione a un elemento. Cosa dobbiamo farcene di questa testimonianza? Nel secolo scorso, 2i 69c6-7 (o /)È KEKaOapIlÉvoç ... IlEtà OEWV OiK!\CJEl), Illb6-c1, 114b7-c2, 114J3. Su 69c6-7 KEKaOapllÉvoç Kaì tEtEÀECJIlÉVOç c 114bs ÈÀEuOEpoullEVOl si veJa Rep. 364e5-365a3 (' Gcncquand nota anche il parallelismo tra l'ermetismo arabo e un'altra affermazione attribuita a Empedocle nell'introduzione della Teologia: il paragone del corpo alla «ruggine» libid., pp. 6-7; Th('o/. A/"iJl. 1.38,24.7-8 Bada\\'i, Le\\'is, p. 229); ma per quanto riguarda quest'idea nelle fonti greche, più importanti del testo di Porfirio citato da Genequand (Ad Marcellam 13; cfr. anche Plot. -U.IO.42-52) sono Basilide ap. Clem. SI/". 4.12.88.5 (cfr. Asin Palacios, pp. 70-70 e CH 14.7. Genequand non menziona il passo della Teologia che abbiamo esami• nato qUI. -IO Massignon in Festugière (J 950), pp. 387,392; S. Nasr, 1J/amic Sludies (Beirut 1967), p. 72; F.E. Peters, Allah's Commonweallh (Ne\\' York 1973), pp. 284, 357; Wilcox, p. 65; e sul sostrato di idee gnostiche nella cosiddetta «dossografia di Ammonio» cfr. le osservazioni di Genequand (1991), pp. 945-947. Plessner, Sludia /slamica, 2 (J 954), p. 48 n. 3, quando segnala l'impossibilità di distinguere chiaramente tra dottrine gnostiche ed el'metiche dice naturalmente una cosa ovvia: cfr. Fo\\'den, pp. 112-114, 172-174,202-204, Kingsley (I993b), e sopra, n. 37. Per Empedocle e lo gnosticismo vedi cap. 22 e n. 25; per Empedocle e il manicheismo, le osservazioni di • P. Alfaric, Les cc/"ilures manichéennes, Il (Paris 1919) pp. 198-199.

24. Da Empedocle ai sufi: «lI lievito pitagorico»

371

cosa sia l'Empedocle autentico: è quello conservatoci nella tradizione aristotelica:u Tuttavia, come abbiamo visto più volte, l'Empedocle che ci viene presentato nella tradizione filosofica greca - e aristotelica in particolare - è in molti aspetti un falso o pseudo-Empedocle, mentre, proprio in questi stessi aspetti, il cosiddetto «pseudo-Empedocle» riesce a conservare o a restaurare caratteristiche genuine dell'insegnamento dell'Empedocle storico. In questo c'è non solo una certa dose di ironia, ma, per tornare a un tema ricorrente di questo libro, anche un sintomo evidente del maggior difetto dell'attenzione dedicata a Empedocle dagli studiosi occidentali. Ciò non significa, ovviamente, suggerire che la letteratura empedoclea in arabo sia di per sé una fonte in qualche modo più affidabile - per la nostra comprensione dell'Empedocle storico - rispetto alla tradizione interpretativa aristotelica e tardo-antica. Serve però a sottolineare il fatto che, come non è possibile rivolgersi automaticamente allo «pseudo-Empedocle» per chiarire certi aspetti della dottrina dell'Empedocle originale, allo stesso modo non ci si può rivolgere neppure alla tradizione interpretativa dei greci. Ogni singola testimonianza deve essere valutata in quanto tale, senza alcun preconcetto a favore dell' accuratezza dell'interpretazione aristotelica - o stoica, o neoplatonica dei primi filosofi. Sarebbe un errore sottovalutare l'importanza, o la portata, del riassestamento e della revisione qui richiesti. In questo libro l'obiettivo dell' attenzione è stato deliberatamente rivolto alla dottrina empedoclea degli elementi e al modo esatto in cui Empedocle la introduce nel suo poema per Pausania: per usare il suo linguaggio, gli elementi rappresentano le vere e proprie radici del sistema e le conclusioni raggiunte su questa base saranno dunque inevitabilmente rilevanti per il sistema nel suo complesso. Non c'è bisogno di ripetere quanto si siano rivelate erronee le interpretazioni della dottrina empedoclea degli elementi offerte dai filosofi greci; per quanto riguarda poi altri aspetti della dottrina di Empedocle, solo un viziato modo di ragionare potrebbe supporre che il risultato finale sarebbe in qualche modo differente, o che il moderno consenso di opinioni in un certo senso si avvicini di più alla verità. Così come ciascun elemento della dottrina di Empedocle deve essere studiato in quanto tale e senza pregiudizi, lo stesso va fatto con ciascun elemento della dottrina di Parmenide (per tacere di altri problemi come il rapporto fra la dottrina di Empedocle e quella di Parmenide o di qualunque altro presocratico). Ritirarsi al riparo dell'idea secondo cui la filosofia presocratica è una tradizione ben riconoscibile di pensiero razionale significa pregiudicare l'intera questione. «Razionalità» è un termine vuoto che, malgrado la sua apparente determinatezza, tende a oscurare piuttosto che a chiarire. Per quanto riguarda poi la teoria di un «discorso presocratico», è dioli

Vedi per es. S.M. Slern, EF, voI. I, p. 483.

372

III. Magia

scutibile che quei filosofi che si suppone abbiano reagito e replicato alle opinioni dei primi presocratici fossero a conoscenza anche solo della loro esistenza, per tacere della loro opera; mentre in quei casi in cui la conobbero, le loro repliche erano senza dubbio molto più sottili e compIesse di quanto si ritenga di solito.-I2 Estendere fino a tal punto i confini per la nostra comprensione di Empedocle - e, nel corso di questo processo, sminuire l'utilità di Aristotele o di Teofrasto come mezzi per avvicinare la sua dottrina - potrebbe ancora sembrare a qualcuno un procedimento fin troppo radica, le. E a chi propone questo ampliamento, in definitiva, che spetta l'onere della giustificazione; ma qui potrebbe essere di aiuto collocare le cose nella loro giusta prospettiva sottolineando alcuni dati storici che gli studiosi di Empedocle hanno trascurato del tutto. Di norma si ritiene che la prima vera messa in questione dell'attendibilità di Aristotele come interprete dei presocratici sia stata attuata da Harold Cherniss negli anni trenta.-I3 Non viene menzionato il fatto che nel 1581 Francesco Patrizi aveva pubblicato un'opera in quattro volumi in cui, muovendo da un punto di vista filologico e storico, si occupava in modo esteso e molto dettagliato del trattamento riservato da Aristotele ai presocratici, criticandolo radicalmente per aver frainteso in modo intenzionale i suoi predecessori, esaminando le ragioni di questo suo comportamento e assumendosi inoltre il compito ulteriore di rivalutare gli insegnamenti dei presocratici - ignorando le interpretazioni aristoteliche - sulla base dei frammenti superstiti delle loro opere. Non è certo una coincidenza, alla luce dei rapporti già osservati, che Patrizi nutrisse un interesse specifico per l'ermetismo e che sia stato in effetti uno dei primi editori moderni degli scritti ermetici.-I-I In un certo senso l'attacco filologico mosso contro Aristotele da Patrizi costituisce un aspetto ben preciso della tendenza del Rinascimento a considerare il nome di Aristotele come «il sinonimo dell'oppressione intellettuale». -15 Ma è importante osservare che questo atteggiamento generale aveva delle radici che affondavano molto indietro nel passato, e cioè nel mondo arabo e persiano. Quattrocento anni prima l'autore persiano al-Suhrawardi, fondatore dell'orientamento Hraqi del sufismo, Cfr. le osservazioni di \'(fest (1971), pp. 99,218-219. -I} Cfr. l'Introduzione, con la n. 6. -1-1 Per l'opel""d su Aristotele vedi Franc(."Sco Patrizi, Discu.uùmum Peripa/elicarum tomi qual/uor (Basilea 1581), insieme al saggio di M. Muccillo, ((La storia della filosofia presocratica nclle Discu.uùmcJ Peripa/elicae di Francesco Patrizi da Cherso», La Cul/ura, 13 (1975), pp. 48-105 (90-93 su Empedocle!. Per l'edizione di Patrizi degli scritti ermetici vedi Scott, voI. I, pp. 36-40; F. van Lamoen, HemlcJ TriJ1llegi· .~/UJ, fa'er philomphorum (Amsterdam 1990), pp. 80-87. -I T. \'(fittaker, The Neo-Pla/oniItl (Cambridge 1928), p. 195. -12

24. Da Empedocle ai sufi: «Il/ievi/o pi/agorico»

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aveva già adottato un approccio meno analitico ma anche più sottile. A suo parere le dottrine dei filosofi greci anteriori ad Aristotele, soprattutto di Empedocle e Pitagora, erano tali da combinare la più elevata maniera mistica e intuitiva di cogliere la realtà con l'abilità di argomentare in favore delle proprie dottrine quando necessario; ma con Aristotele questa sintesi equilibrata era stata distrutta. Aristotele l'aveva rimpiazzata con un interesse esclusivo per la ragione e per il ragionamento, che assorbì i filosofi posteriori Ciaghalahum), stimolando un'attenzione sempre più sterile per l'intellettualismo e l'argomentazione. Grazie a lui, con il tempo «le tracce del cammino degli antichi saggi scomparvero»; l'abilità nello scoprire e nel comunicare la realtà che si nasconde dietro le loro dottrine andò perduta: «le loro indicazioni furono o cancellate, o corrotte o distorte».-I6 Ancora una volta, non è una coincidenza il fatto che al-Suhrawardl intendesse ancorare la propria opera alla linea di tradizione ermeticaY E in effetti le sue opinioni costituiscono solo uno degli aspetti di un quadro storico ben più ampio. Da un lato, la sua convinzione che Aristotele fosse responsabile per la perdita della traccia utile a capire la filosofia dei presocratici e fosse colui che «si era posto in opposizione a essi» (va arislii mubalalat karde ba isan), fu ripresa nella tradizione Hraqi fino al XVII secolo e oltre.-I8 D'altro canto, queste sue opinioni non erano nuove neppure per lui. Duecento anni prima, all'inizio del secolo X, il grande medico persiano Abli Bakr al-Razl aveva già criticato radicalmente Aristotele per aver corrotto la filosofia (/asada al-/alsala) allontanandosi dalla tradizione dei presocratici, in particolare Empedocle e Pitagora.-I9 Al-Razl era un alchimista e sostenne dei princìpi 5o in genere intesi come pitagorici. La stessa idea di base di un Aristowa-inlomoso/ odillo/uhum wo-I)urri/a '%ihil1l ghairuhii: l:Iikl1lo/ al-isriiq 5.19·6.6 (la prefazione di al-Sahrazuril = Corbin (1986b), pp. 80·81, con la sintesi di QUlb al-Din al-Shiriizi lihid., p. 237), Cfr. anche al-Suhrawardi, op. ci/o 10.13-11.11 libid., pp. 88-90); Nasr 61 e in M.M. Sharif (a c. di), A Hù/ory o/lvlus/im Phi/o.wphy, voI. I (Wiesbaden 1963), p. 376. Si noti che al-Suhnlwardi mantenne la sua stima per Aristotele per ljuanto fosse erroneamente convinto che la cosiddetta Teologia di Aris/o/ele fosse opera sua (Corbin [1977], p. 304, n. 2), e nonostante l'attribuzione ad Aristotele, nel mondo arabo, di dottrine alchemiche e a esse affini: Kraus (J 943), p. 54 n. 6. -17 Scott, \'01. IV, p. 264 e n. 4. Nasr, pp. 59-63; Corbin, L'Archonge el1lpourpré (Paris 1976), pp. XV -XVI. -18 'Abd al-Razziilj al-Liihigi (morto nel 1662), Guzido-yi gowhar-i muriid, ed. S. Muwahhid (Tehran 1985), p. 320,-1·6 (Cfr. Corbin [1977], p. 171). -19 Sii'id al-Andalusi, Ki/iib laboqiil al-umol1l, 33 Cheikho (42.13-18 al- 'Ulum, 81achèrc, p. 75); Asin Palacios, p. 8 e n. 18. 50 J. Ruska, DedJ/am, 22(935), pp. 281-319, Ncedham, voI. Vl4, p. 398; S. Pines, Bei/riige ZIIr is/omischen A/omlehre (Berli n 1936), p. 82 n. 3, Pcters, p. 171. -16 [ ••• ]

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III. Magia

tele corruttore della filosofia può essere fatta risalire, nelle nostre fonti greche, fino a Numenio di Apamea (II secolo d.C.): l'uomo che aveva voluto salvare Platone dall'immagine distorta che ne avevano dato Aristotele e altri, mettendo in primo piano, invece, i debiti contratti H con la tradizione pitagorica. Non c'è bisogno di dire che queste immagini di un Aristotele che distorce, maschera o corrompe le dottrine dei suoi predecessori non possiedono, in quanto tali, alcun valore assoluto: l'idea che aveva Numenio della prima filosofia greca era tinta di platonismo e gli autori persiani, in particolare, non avevano un accesso ai poemi di Empedocle come l'abbiamo noi. Ma è sorprendente e significativo che, nel sostenere tali opinioni, questi autori si collochino all'interno di un modello che corrisponde in modo considerevole alle conclusioni raggiunte nel corso di questo libro sulla base dell'esame diretto dei testi greci. AI-Suhrawardi, che scrive agli inizi del XII secolo, è molto preciso riguardo quella che considera la fonte delle sue informazioni sui presocratici. Per lui esisteva, di fondo, solo un'unica sapienza, o «lievito eterno» (al-bamirat al-aZilliyya), che a un certo punto si è divisa in due branche: una orientale e una occidentale. A est era stata tramandata fino ai suoi tempi soprattutto dai grandi saggi persiani. A ovest aveva fatto la sua comparsa attraverso individui eccezionali come Empedocle e Pitagora; e qui - nonostante sia stata nascosta dal razionalismo aristotelico era stata conservata per poi essere alla fine ritrasmessa in Oriente attraverso l'Egitto. AI-Suhrawardi spiega anche quando e dove ha avuto luogo questa ritrasmissione in Oriente di ciò che descrive come il «lievito pitagorico». «II lievito dei pitagorici arrivò al fratello di Akhmim e da lì fu trasmesso sino al viaggiatore di Tustar e al suo gruppo» (ja-bamirat

alfoithaghiirt:1'yin waqo'at ila abi ibmim wa-minhu nOZillat ila sayyar tustar wa-si'atihi). Il «fratello di Akhmim» si riferisce a Dli 'I-Nlin al-Mi~ri e «il viaggia52 tore di Tustar» a Sahl al-Tustari. Akhmim è, naturahnente, il toponimo che abbiamo già incontrato. Oltre a essere, come ricordano autori arabi e persiani, uno dei centri più importanti dell'ermetismo nel mondo greco-egiziano, è anche il luogo in cui fu composto l'archetipo arabo della Turba philosophorum: un'opera alchemica che, nel contesto di Cfr. Lccmans, p. H, Puech, voI. I, pp. 45-47, O'Meara, p. 12 e n. 14 (Numenio e Attico); ibid., pp. 96·97, 100 (Giamblico), 122-124 (Siriano). Per Numenio cfr. cap. 19 e n. 49, cap. 20 e n. 40; per Attico, Giamblico e Siriano, sopra, n. 37. 52 Kitiib a/·ma$iirr wa·'/-mu/iira/Jiil 223 (OMM, voI. I, pp. 502.13-503.6). Cfr. Corbin, OMM, voI. I, pp. XLI-XLII, OMM, voI. II, Prolegomena, p. 23 n. 49, e (1971-1972), voI. II, pp. 35-36e n. 42; Nasr, p. 62; BOwering, p. 52; anche H. Ziai in C.E. Butter\\'orth (a c. Ji), The Politica/ Aspects 011 Is/amic Phi/osophy: E.uays in Ho· nor 0/ Muhsin5. Mahdi (CambriJge Mass. 1992), pp. 326-327,334. 51

24. Da Empedocle ai sufi: «Il/ievi/o pi/agorico» 375

un'assemblea di saggi presieduta da Pitagora, contiene elementi della 53 dottrina empedoclea. Ma non è tutto. Dii l-Niin, conosciuto come il «capo dei sufi» a causa dell'immensa influenza che ha esercitato sul successivo sviluppo del sufismo, è strettamente legato nelle fonti medievali con l'alchimia e l'ermetismo. Tali connessioni si sono rivelate la maggior fonte di imbarazzo per coloro che hanno interesse a sostenere la natura puramente islamica del sufismo e a negare i suoi legami con tradizioni non arabe precedenti; ma il carattere storico di questi legami può essere dimostrato, e ciò è awenuto sin dagli inizi del xx secolo. 54 Sembra che non sia stata notata, tuttavia, l'esistenza di una testimonianza relativa al coinvolgimento di Dii I Niin nella tradizione alchemica anteriore agli autori del XII secolo (lbn Umayl e al-Ma'siidO, che sono di solito considerati la nostra più antica fonte di informazione. Questa fonte più antica è l'alchimista 'U!man ibn Suwayd da Akhmim, la stessa città natale di Dii l-Niin. Scrivendo poco più, o forse anche meno, di una generazione dopo lo stesso Dii l-Niin, alla fine del IX secolo o agli inizi del successivo, questo alchimista annovera tra le sue opere pubblicate - tutte sul tema dell'alchimia, come mostrano senza dubbio i titoli - un Libro dello confutazione dell'accusa contro Dii l-Niin al-Mi$ri (Kitab $arf al-tawahhum 'an dhi-al-niin al-lmirI). Fu questo stesso Ibn Suwayd, come accennato sopra, ad aver quasi certamente composto il MU$/;af al1ama'a, ossia l'ar55 chetipo arabo della Turba philosophorum. Questa precisa connessione tra Dii l-Niin e Ibn Suwayd è dawero indicativa del legame che esiste tra il primo sufismo e l'alchimia araba, e per più di una ragione. Per esempio, una delle altre opere attribuite a Ibn Suwayd - Kitab al-kibrit al-a/;mar, Libro dello zol/o rosso - indica non solo l'imponanza centrale della nozione di zolfo rosso nell'alchimia, ma fissa anche l'uso di un titolo che 56 sarà ricorrente nella successiva tradizione SUfi. Sopra, cap. 5; Kingsley (199-1cl, § III. Per Akhmim (la greca Panopoli), Ermete Trismegisto e l'ermetismo cfr. Fowden, pp. 27, 173-17-1; Asin Palacios, p. 165; D. Pingrcc, The Tbousol1ds o! Ahll Ma'shor (London, 1968), pp. 1-1-15. 54 Cfr. in particolare l'accurata discussione di Nicholson, JRAS (1906), pp. 309320; anche Massignon, pp. 201-207, M. Smith, 1:[2, voI. II, p. 2-12, RT. Wallis, Neo· pla/ol1ism (London 1972), p. 165, Needham, voI. V/-I, pp. 397, -101, Bowering, pp. 53-54. 55 Ibn al-Nadim 359.4-5 = Dodge, voI. II, p. 865; Kingsley (I99-1cl, § III. 56 Cfr. cap. 5 con i riferimenti contenuti nelle nn. 2-1, -18. L'idea che il sufismo islamico sia stato in qualche modo responsabile della spiritualizzazione di questo simbolismo alchemico mediante un'interpretazione mistica e allegorica si scontra con la fondamentale osselvozione secondo cui i primi sufi come Dhii 'I-Niin si collocano nella stessa tradizione di Zosimo di Panopoli (cioè Akhmim), che documenta, già cinquecento anni prima, la radicale spiritualiz7..3zione o introversione delle pratiche alchemiche. Cfr. in particolare Zos. Pan. 120.12·122.2 e Fowden, pp. 122·123 (benché l'affermazione di Fowden secondo cui in questo passo «i procedimenti dcl5)

376 III. Magia

Per quanto riguarda il «viaggiatore di Tustar e il suo gruppo», che al-Suhrawardi menziona a partire da Dii l-Niin, il carattere storico del rapporto maestro-discepolo ascritto dalla tradizione medievale a 57 Dii l-Niin e Sahl al-Tustari può essere dato per assodato. E, come Gerhard Bowering ha dimostrato, dobbiamo prendere con molta serietà i resoconti relativi a «una tradizione di dottrine gnostiche segrete» che passa attraverso Dii l-Niin e al-Tustari per poi continuare all'inter58 no delle numerose catene successive della tradizione islamica SUfi. Proprio il tema guida della segretezza e dell'esoterismo è, come si è visto, uno di quelli che risalgono indietro fino all'Empedocle storico; e senz'altro non è di alcuna utilità cercare di comprendere lo stesso Empedocle - o le ripercussioni del suo insegnamento su personaggi posteriori, sia in Occidente che in Oriente - senza accordare a questa dimensione esoterica della sua dottrina l'importanza e lo studio che merita. Il compito di ricalibrare in questa luce il pensiero di Empedocle, per non parlare dei successivi canali di influenza, è vasto e complesso. Ma nessuno aveva detto che sarebbe stato semplice.

l'alchimia convenzionale sono strettamente preparatori alla purificazione e al perfezionamento dell'anima» è lontana dal vero: Zosimo sta dicendo che i procedimenti dell'alchimia convenzionale devono essere interpretati, essi stessi, come simboli dcila purificazione e dci perfezionamento dell'anima); Green, pp. 90-91; e si vedano anche le ossen'azioni di Needham, voI. V/4, pp. 397, 40 l. Sul rapporto tra il primo sufismo e l'alchimia vedi inoltre Massignon, pp. 154-155,205; Kraus (1942), pp. XL, XLIII; P. Nwyia, Exégèse coranique el /angage myslique (Beirut 1970), pp. 157158; Corbin (1971-1972), voI. I, p. 92. 57 Bowering, pp. 43, 50-58, 66: probabilmente si incontrarono alla Mecca, ma forse anche in Egitto. Per il r-..pporto di al-Tustari con l'alchimia cfr. ihiJ. pp. 54-55. 58 /hid., pp. 53-54. È da notare che Ibn Masarra, oltre ad avere alcune affinità con gli insegnamenti di Dii I-Niin (Asin Palacios, pp. 40, 86-88 con la n. 36 e Pieatrio>: 297.21, 128, 174; Morris, pp. 15 n. 22, 21, appendice, p. XV) era - come Asin Palacios ha supposto ed è stato ora confermato - particolarmente indebitato nei confronti di Sahl al-Tustari. Vedi Asin Palacios, pp. 88 e 127 con D. Gril in M. Chodkiewicz (a c. dO, (Paris 1988), pp. 427-428. Per Ibn Masarr-.. e l'Empedocle arabo vedi sopra, con la n. 32.

Appendice I Parmenide e Babilonia (cfr. pp. 65-67)

Parallelismi tra il proemio di Pamlenide e l'epica di Gilgamesh sono già stati messi in luce da Burkert (1969), pp. 18-19, e anche le probabilità che esistesse un retroterra vicino-orientale per altre caratteristiche di questo poema sono già state indicate: cfr. per es. Pfeiffer, pp. 124-130, Kingsley (1990), pp. 155-156 e n. 66. A questo proposito ha un'importanza evidente il fatto di sapere - sia per indizi interni sia per la testimonianza di Erodoto - che le tradizioni e i culti religiosi praticati a Velia, la città natale di Pamlenide, erano di origine specificamente anatoliC'd: cfr. cap. 15 n. 28. Per la diffusione della mitologia babilonese in Anatolia - e, per essere più precisi, di elementi relativi alla saga di Gilgamesh cfr. cap. 15 n. 20. Ciò che non è ancora stato sufficientemente sottolineato, tuttavia, è il fatto che non solo il motivo della discesa alla grande Dea nel mondo degli inferi (Burkert, loe. ci/.; cfr. cap. 17 n. 6) ma anche la dettagliata descrizione in Parmenide di porte sorvegliate, cancelli, catenacci, spranghe, chiavi e serrature, che impediscono o rendono possibile l'accesso agli inferi (B1.11-17), sono ca· ratteristiche centrali della mitologia cosmica babilonese. Più importante ancora è che le porte in questione sono normalmente descritte, nelle fonti babilonesi, come collocate sul cammino del sole e della luna, proprio come i cancelli sorvegliati di Parmenide stanno lungo «i sentieri della notte e del giorno» (B1.11). Cfr. in particolare Heimpel, pp. 132-143; W. Horowitz, Mesopo/amian Cosmie Geography, tesi di dottorato (Binningham 1986), pp. 385-387,405-407 (per i «limiti» o 7tf:ipata di Parmenide, 88,27, 10.7, e passim, cfr. ib/J., pp. 384·385). Ma la cosa più rilevante di tutte è la descrizione di Parmenide - che viene subito prima della sua menzione dei cancelli sui «sentieri della notte e del giorno» delle «figlie del sole» CHì..ui()Eç Koupatl, che vanno e vengono dalla «casa della Notte» (()ooJ.lata N"Ktoç, B1.8-11). Senza dubbio qui c'è un legame con l'e· spressione esiodea «casa della Notte» (N"KtÒç olKia, Tb. 744; Pellikaan·Engel, pp. 26, 51-52), e tuttavia vi sono anche dei legami sicuri tra la creazione mitica di Esiodo e la cosmologia babilonese: cfr. P. Walcot, Hesiod and /he Near Eas/ (Cardiff 1966), West (1966), pp. 2, 22-24, 28·30, 212·213, 337,379-381 e sopra, cap. 14 e n. 37. Più pertinente, tuttavia, è il fatto che l'espressione «casa della

378 Appendici Notte», bit miiSi, è essa stessa attestata nel culto e nella religione babilonesi; era citata, in particolare, nel COntesto di riti il cui scopo era quello di bilanciare la lunghezza del giorno e della notte durante i solstizi d'inverno e d'estate; infine, secondo la tradizione babilonese, alla «casa» o al «tempio» della notte si avvicinano, o vi entrano, proprio le «figlie di Esagil», cioè le figlie del dio del tempio di Esagil, Marduk, qui associato al sole. Cfr. BM 34035.1-8, trascritto in modo diseguale da Livingstone (1986), p. 256 (i nomi delle figlie sono Sillustab e Katunna). La copia superstite di questo testo è stata scritta nel 137 a.c.; ma in essa sono chiaramente conservate tradizioni molto più antiche e lo seri ba dichiara esplicitamente nel colophon Ubid., p. 259) che non ha fatto altro che trascrivere il testo da una «antica lunga tavoletta». Per Esagil e Marduk cfr. E. Unger, Rea/lexikon der Assyriologie, voI. I, pp. 353-359, W. Sommerfeld, ibid. voI. VII, pp. 366-368, e per Marduk e il sole VAT 8917 rev. 5, ed. Livingstone (1986), pp. 82-83, 90-91 = (1989), p. 101. La connotazione solare di Esagil in questo caso particolare è confermata da BM 34035.8, «Esagil è il tempio del giorno» (esagil bil iimu sii; cfr. anche Unger, op. ciI., pp. 355b, 357b, sui «cancelli del sole» di Esagil). Per il persistente debito e la familiarità nei confronti delle tradizioni babilonesi - astronomica, astrologica e teologica - nell' Accademia di Platone un secolo dopo Parmenide, vedi Kingsley (l995c).

Appendice II Nergal ed Eracle (cfr. p. 268)

Per Nergal = Erra accadico = Erragal vedi J.J.M. Robens, The farliest Semitic Pantheon (Baltimore 1972), pp. 22, 29, 44, 107 n. 355; per l'etimologia NergalEracle, M.K. Schretter, Alter Orient und Hellas (lnnsbruck 1974), pp. 170-171, Dalley, pp. 63-66; per nuovi elementi riguardo la sillabazione e la pronuncia del nome Nergal, J. Eidem in D. Charpin e F. Joannès (éds.>, Marchands, diplomates et empereurs; études sur la civilisation mésopotal1/ienne ojjertes à Paul Gare/li

(Paris 1990, pp. 195, 205. La tradizionale etimologia greca di Eracle come «gloria di Era» solleva ancora problemi di fondo, nonostante la fantasiosa difesa di P. Kretschmer, G/ol/a 8 (1917), pp. 121-129 e di W. P6tscher, Emerita, 39 (1971), pp. 169-184: cfr. H. Usener, Die Sintfluthsagen (Bonn 1899). pp. 58-60. J. Zwicker, RE VIII, 523-528, Burken (1979), p. 179 n. 17. Ma ciò che sia i sostenitori che i detrattori dell'etimologia tradizionale generalmente dimenticano è la ricorrente abitudine greca di adattare nomi stranieri modificando la loro struttura vocale, in modo da dare loro un'etimologia apparente - e di regola senz'altro inadeguata - che è secondaria in rapporto a quella originale: cfr. Kingsley (1993b), pp. 11-15. (1995b), § 2, e sopra, cap. 22 n. 9. Sull' origine e il carattere non greco di Eracle cfr. E. Kalinka, Klio, 22 (1929), p. 258, e, per l'arco di Eracle, Botta e Flandin,/oc. cit. (cap. 17 n. 87); vedi anche E. Schwyzer, Griechische Grammatik, voI. I (Munchen 1939), pp. 61-62. Quanto alle obiezioni di W.c. Lambert all'etimologia Nergal- Eracle, l..evant. 23 (1990, pp. 185, o non centrano il problema, o - nel caso del suo argomento principale, ossia la presunta assenza di Nergal in Siria - sono contraddette da un conio di Tarso che lo riporta provvisto di leone, arco e clava. Vedi Burken (1985), p. 432 n. 21, (1979), p. 82 e n. 17; Dalley, p. 65. insieme a ibid., pp. 62, 64, per ulteriori dati relativi a Nergal in Siria; riguardo l'identità di Eracle e Nergal in Siria vedi H. Seyrig, Syrld, 24 (1944-1945), pp. 62-80. Per Nergal come dio della pestilenza e delle epidemie cfr. ibid., pp. 71-72; E. von Weither. Der babylonische Goll Nergal (Neukirchen-Vluyn 1970. pp. 83-87; Burkert (1979), p. 82 (quanto a Eracle, cfr. anche sopra, cap. 17 nn. 85, 88); Dalley, p. 62; cfr. anche Jourdain-Annequin, p. 169.

Appendice III Empedocle e gli ismailiti (cfr. pp. 363-366)

Un esempio di dottrina tipicamente ismailita nell'Empedocle arabo è la dottrina ciclica della profezia: al-Sahrastani, voI. II, p. 263.3-13 Cureton = voI. II, p. 71. l-IO Kilani. Per la dottrina ismailita vedi Corbin (1983), parsim; Daftary, pp. 63, 66-67, 234 e in particolare 87 circa la nozione di dii'iral al-nubuwwa. Un altro esempio è \'idea dell'anima nell'anima dentro l'anima - con la parte più bassa dell'anima che fa da conchiglia o corpo per la parte più alta ( al-Sahrastani, val. II, p. 262. 1-5 Cureton = val. II, p. 70. 3-6 Kilani) -, la quale ricorre testualmente nel Tasawwuriil (XIII secolo) di Na~ir al-Din al-Tusi. Questo parallelismo con al-Tusi è stato messo in evidenza da Corbin (1983), p. 55 n. 98, benché la sua affermazione secondo cui il termine «conchiglia •• (qisr) in al-Sahrastani è stato sostituito dal termine «corpo•• (jasad) in al-Tusi sia imprecisa: lo stesso Empedocle di al-Sahrastani utilizza già il termine «corpo •• ,jasad (val. II, p. 262. 4 Cureton = val. II, p. 70. 5 Kilani: A1theim e Stiehl, p. 5, Altmann e Stern, p. 184). I casi pii. significativi dell'uso di «Empedocle•• da pane degli ismailiti sono quello di Nasafi - cfr. Rudolph (1989), p. 137 - e al-Sigistani (Rowson, p. 208, Daftary, p. 239), entrambi del X secolo. Per l'utilizzazione ismailita della cosiddetta dossografia di Ammonio cfr. cap. 24 n. 18; per l'uso del testo in panicolare da parte di Abu Batim al-Razi (inizio del X secolo), Rudolph (1989), pp. 13,23-30, 219 n. 61, 220 n. 70, H. Daiber in Proceedings ollhe Isl 1nlernalional Congress on Democrilus (Xanthi 1984), val. II, p. 260. Per l'affiliazione ismailitica di al-Sahrastani, il nostro testimone pii. importante per Empedocle nel mondo arabo, cfr. in panicolare W. Madelung in A. Dietrich (ed.), Aklen des V11. Kongress liir Arabislik und Islamwissenschaft (Gottingen 1976), pp. 250-259; vedi anche C. Baffioni, Sulle Iracce di solia, Napoli 1990, p. 366 e n. 759; Green, p. 166. Per l'uso ismailitico della Teologia di Aristolele cfr. Zimmenllann, pp. 129, 196-208; per la menzione ripetuta di Empedocle da pane di Judah Halevi (Kuzari 4.25,5.14) vedi S. Pines, Jerusalem Sludies in Arabic and Islam, 2 (1980), pp. 160-243. Merita anche di essere notato, in relazione al parallelismo tra i suoi scritti e lo «pseudo-Empedocle.. (A1tmann e Stern, p. 184), il fatto che Isaac Israeli fosse strettamente legato alla cane dei primi Fatimidi d'Egitto: cfr. cap. 24 e n. 19.

Abbreviazioni

Per le opere moderne citate con il nome dell'autore, si veda la Bibliografia. Ael. VH Aesch. AJP Alex. Met. ANR\\i' Ap. Mir. Apul. Met. Arist.

Aristoph. Aristox. Asci. Met. BM BR CAG Calcid.

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382 Abbreviazioni

CH Cic.

Claud. Rapt. Clem. CMAG

CQ CR CRAI

Dam. Phd. Dem.

Diod.

DK D.L. Do.'\:. EA EH EP Emp.

Eur. Eus. PE Eust. FGrH

FHSG Fic. Op. framm. GMPT

Corpus Hermelicum, ed. A. Nock, A.-J. Festugière (NF, volI. I-II) Cicerone. Div. = La divinazione; Fam. = l..el/ere aifamiliari [LeI/ere ai familiari, voI. I, a c. di C. Vitali, Bologna 1973]; ND = La natura degli dèi; Or. = L'oratore; Tusc. = Disputazioni luscolane Claudiano, Il ral/o di Proserpina Clemente di Alessandria, ed. O. Stiihlin, Leipzig 1906; Berlin 1970-1985. Pro = Prolrel/ico; Sir. = Siromati J. Bidez, F. Cumont el al., Ca/alogue des manuscrils alchemiques grecs, Bruxelles 1924-1932 Classical Quarlerly Classical Review Comples rendus de l'Académie des Inscriplions el Belles-LelIres Damascio, Commenlario al Fedone, ed. L.G. Westerink, Amsterdam 1977 Inno omerico a Demetra, ed. N.]. Richardson, Oxford 1974; repr. 1979 [Inni omerici, a C. di F. Cassola, Milano 1975] Diodoro Siculo, Biblioteca storica [Biblioleca slorica, 4 voli. a C. di G. Cordiano, M. Zorat, Milano 1998; Biblioleca slorica, libri XI-XV, a C. di I. Labriola, P. Martino, D.P. Orsi, Palermo 1988] H. Diels, Die Frag"lenle der Vorsokralikel', ed. W. Kranz, Berlin 1951-1952 Diogene Laerzio, Vite deifilosofi [Diogene Laerzio, Vile dei filosofi, a C. di M. Gigante, Roma-Bari 1983] H. Diels, Doxographi Graeci, Berlin 1879 Epigraphica Anatolica Fondalion Hardt, Entretiens sur l'antiquité classique The Encyclopaedia oflslal,r, Leiden 1960Empedocle (DK 31) [trad. il. R. Laurenti, in I presocratici. Testimonianze e frammenti, a C. di G. Giannantoni, RomaBari 1979] Euripide. IT = Ifigenia in Tauride; Or. = Oresle; Phoen. = Fenicie. Frammenti, ed. A. Nauck, Leipzig 19262 Eusebio, Preparazione evangelica Eustazio. 11. = Commentario all'Iliade; Od. = Commenlario al/'Odissea F. Jacoby, Die Fragmenle der griechischen Hisloriker, Berlin-Leiden 1923-1958 W.W. Fonenbaugh, P.M. Huby, R.W. Sharples, D. Gutas, el al., Theophrastos of Eresos: Sources for His L/e, Writings, Thoughl and Influence, Leiden 1992 Marsilio Ficino, Opera, Basel 1576 frammento/i The Greek Magical Papyri in Translation, ed. H.D. Betz, Chicago 1992 2

Abbreviazioni 383 GRBS Hdt. Heracl. Alleg. Heraclid. Heraclit. Hes. Hipp. Re!

HSCP HTR lam. Ibn al-Nadim

Il. JAOS JHS JNES JRAS Julian. Orat . • J\flCI

KRS KoreKosmou LIMC LMS LSJ LSS Luc. Lucr. Lyd. Mens. Macr.

MagH MEFRA

MH MT

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Ov. Met. Pap. Derv.

Paml. Paus. PG PGM(oPGW)

Philo

Philostr. VA Pio

Pica/ri.Y

PI.

Plin. HN Plot. Plut.

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386 Abbreviazioni

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111eocr. Theol. Aris/. 111eophr. lllUcyd. TrGF Turba

Tzerz. VAT Virg. Via. Xenoph. ZDMG Zos. Pan. ZPE

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I testi sono nomlalmente citati nella loro edizione più recente; le ristampe sono menzionate soltanto nei casi in cui contengano correzioni o integrazioni. I numeri di pagina riportati nelle note si intendono riferiti all'edizione di ciascuna opera consultata dall'autore. Qui di seguito vengono indicate tra parentesi anche le relative traduzioni italiane, qualora esistenti. Adam J. (1902; 1963), The Republic 01 Pia/o, Cambridge. Addas C. (1993), Ques/lor /he Red Sulphur. The L/le ollbn 'Arabi, Cambridge. Altheim F., Stiehl R (1961), «Ne\\' Fragments of Greek Philosophers», Eas/ and \Ves/, 12, pp. 3-18. Altmann A. (1969), S/udies in Religious Philosophy and Mys/icism, London. Altmann A., Stern S.M. (1958), lsanc lsraeli, Oxford. Andò V. (1982-1983), «Nestis o l'elemento acqua in Empedocle», Kokalos, 28-29, pp. 31-51. Annas]. (1982), «Plato's Myths of.Judgement», in Phronesis, 27, pp. 119-143. Asfn Palacios M. (1978), The Mys/icnl Phi/osophy ollbn Masarra and His Fol· lowers, Leiden (ed. or. Abenmasarra •l' su escuela, Madrid 1914) . Austin RG. (1977), P. \1ergeli Maronis Aeneidos Uber Sex/us, Oxford. Bayet R (1926), Les origines de l'Hercule romain, Paris. Beck R (1991), «Thus Spake Not Zarathustra: Zoroastrian Pseudepigrapha of the Graeco-Roman World», in M. Boyce, F. Grenet, A His/ory oIZoroas/rianism, voI. III, Leiden, pp. 491-565. Beloch J. (1879), Campanien, Berlin (trad. it. COff/pania: Storia e topografia del/o Napoli antico e dei suoi dintorni, Napoli 1989). Ben N. van der (1975), The Proem 01 Empedocles' Peri Physios, Amsterdam. Bemand A. (1991), Sorciers grecs, Paris. Betz H.D. (1980), «Fragments from a Catabasis Ritual in a Greek Magical Papyrus», Histo,.,' 01 Religion, 19, pp. 287 -295. Bidez]. (1938), La biographie d'Empédocle, Gent. Bidez J., Cumont F. (1938), Les mages hellénisés, Paris. Bieler L. (1935-1936), 8eioç aVllP, Wien.

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