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Italian Pages 128 [133] Year 2014
Peter Trawny, J e s ú s Adrián Escudero, Dean Komel Alfredo Rocha de la Torre, Adriano Fabris
Metafísica e antisemitismo I Quaderni neri di Heidegger tra filosofia e politica a cura di Adriano Fabris
Edizioni E T S
parva philosophica
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l rapporto tra filosofia e politica in Heidegger è sempre stato controverso. Com'è stato possibile che uno dei maggiori filosofi del Novecento abbia aderito al nazionalsocialismo e, soprattutto, non abbia mai riconsiderato la sua posizione anche dopo la Shoah? Con la pubblicazione poi di una parte dei Quaderni neri - il diario intellettuale nel quale Heidegger esprime alcuni giudizi antisemiti - la questione è divenuta ancora più scottante. Qual è il rapporto tra filosofia e politica, in questo pensatore e, più in generale, nei grandi filosofi? Se lo sono chiesto, partendo da Heidegger, alcuni dei principali studiosi del vecchio e nuovo continente. LH / Laboratorio Heidegger / testi
ISBN-13:
€ 10,00
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17fl-6a4b7i405b7
Peter Trawny è direttore del Martin-HeideggerInstitut alla Bergische Universität di Wuppertal. Jesús Adrián Escudero è professore alla Universidad Autónoma di Barcellona. Dean Komel è professore all'Università di Lubiana. Alfredo Rocha de la Torre è professore alla Universidad San Buenaventura di Bogotá. Adriano Fabris è professore all'Università di Pisa.
In copertina Martin Heidegger nei pressi della sua Hütte
parva philosophica [38] serie rossa a cura di Adriano Fabris
parva philosophica [38]
Scansione a cura di Natjus, Ladri di Biblioteche
parva philosophica
serie rossa diretta da Adriano Fabris comitato
scientifico
Bernhard Casper, Claudio Ciancio, Francesco Paolo Ciglia, Donatella Di Cesare, Félix Duque, Piergiorgio Grassi, Enrica Lisciani-Petrini, Flavia Monceri, Cado Montaleone, Ken Seeskin, Guglielmo Tamburrini
Peter Trawny, Jesús Adrián Escudero Dean Komel, Alfredo Rocha de la Torre Adriano Fabris
Metafisica e antisemitismo I Quaderni neri di Heidegger tra filosofia e politica a cura di
Adriano Fabris
Edizioni ETS
www. edizioniets. com
© Copyright 2014 EDIZIONI ETS Piazza Carrara, 16-19,1-56126 Pisa [email protected] www. edizioniets. com Distribuzione PDE, Via Tevere 54,1-50019 Sesto Fiorentino [Firenze] ISBN 978-884674026-7
PREMESSA I QUADERNI NERI DI H E I D E G G E R TRA FILOSOFIA E POLITICA Adriano
Fabris
Q u e s t o libro è l'occasione - la prima, organica, in Italia - di approfondire e di discutere da un punto di vista filosofico i Quaderni neri di Heidegger. In verità di questi testi si è parlato tanto, anche prima che venissero pubblicati i primi tre volumi, a cura di Peter Trawny, che raccolgono le Überlegungen II-XV, cioè le Riflessioni redatte da Heidegger dal 1931 al 1941. Se n'è parlato, soprattutto sui giornali, anche prima che essi fossero effettivamente disponibili, allo scopo di rilanciare le polemiche riguardanti la questione dell'antisemitismo in Heidegger e per riproporre, in tal modo, l'attenzione nei confronti di questo pensatore. Anche noi non vogliamo sottrarci al dibattito su questi temi. E dunque, certo, affronteremo i Quaderni neri anche sotto tale punto di vista. Saranno discussi, nei saggi qui raccolti, la concezione dell'ebraismo e del popolo ebreo che emerge nelle riflessioni heideggeriane" nonché, più in generale, il rapporto tra filosofia e politica che tali riflessioni manifestano. Ma i Quaderni neri non ci dicono solo questo. Anzi: le Überlegungen che parlano dell'ebraismo sono solo una piccola parte delle circa 1.300 pagine dei tre volumi finora pubblicati. Non per questo i giudizi di Heidegger in proposito non sono significativi, talvolta scandalosi: illuminanti, comunque, riguardo alla sua idea di storia dell'essere e nei confronti delle sue scelte concrete. I saggi di questo libro lo mostrano adeguatamente. Ma - ripeto - la questione che dobbiamo discutere dopo la pubblicazione di
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questi scritti è anche un'altra, e di respiro più ampio, I sa concerne in generale il modo in cui possiamo ufi l'onta re, oggi, il pensiero di Heidegger nel suo complesso. Che cosa comporta, infatti, la pubblicazione tiri Quaderni neri adesso? Voglio dire: adesso, ili i|iicslo momento, e non alla fine della Gesamtausgabe, come inizialmente era previsto? Essa implica la possibilità di un ulteriore cambiamento d'impostazione, di un uggiti stamento della prospettiva con la quale va ricoulrulto il pensiero di Heidegger in quanto tale. Con l'avvio della Gesamtausgabe, c in particolare con la pubblicazione delle Vorlesungen, abbiamo Imputino infatti che Heidegger non era solo l'autore di lissrrr r tempo e delle altre opere da lui edite in viti, Abbiamo avuto conferma del fatto che egli era davvero un «liiddrn king» della filosofia, il quale attirava a Freiburg p r i l l i » e ti Marburg poi, e poi ancora a Freiburg, le migliori giovani intelligenze della Germania, e non solo della (icriimnin Abbiamo potuto ricostruire, grazie al materiale compirlo delle Vorlesungen e dei Seminäre degli anni Venti e I ren ta, la genesi e gli sviluppi immediati di Essere riempo, Poi abbiamo scoperto che Heidegger aveva elabora to anche opere che non aveva dato alla stampa, o di i ni aveva pubblicato solo parti minime. Mi riferì*«) al gran di e innovativi testi della seconda metà degli anni Trema e della prima metà degli anni Quaranta: i lieiträur zur Philosophie, Besinnung, i Feldweggespräche, li abbiamo così compreso che le Vorlesungen erano opere cintoteli che, pubbliche, a fronte di una costante elaborazione originale, innovativa, esoterica, sperimentale, che veniva prodotta secondo nuove forme espressive e che cercava di realizzare modi alternativi di far filosofia. Ma anche questo non era ancora tutto. Erano reni liti sullo sfondo i rapporti di Heidegger con i (tuoi contemporanei: colleghi, amici, amiche, congiunti, Non si
Premessa
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trattava solo di uno Heidegger "privato", ma di un'elaborazione di pensiero che, come in molti casi dell'epoca, si sviluppava anche attraverso il dialogo a distanza con i propri interlocutori. Sono state perciò pubblicate le lettere: con la moglie Elfriede, con Hannah Arendt, con Elisabeth Blochmann, con Jaspers, Löwith, Gadamer, e via dicendo. Ora scopriamo un ulteriore livello nella ricerca di questo pensatore e nella sua scrittura. Ci troviamo di fronte a un altro modo di elaborare la riflessione. E come se emergesse una stratificazione finora ignota. In parallelo alle vicende pubbliche e private, in contemporanea alla stesura delle Vorlesungen, nel momento in cui elaborava i Beiträge e le altre opere esoteriche, Heidegger si dedicava anche, costantemente, alla scrittura di una serie di Überlegungen'. quelle appunto raccolte nei Quaderni neri. Nel contesto italiano potremmo cogliere una qualche affinità fra questi quaderni e lo Zibaldone di pensieri di Leopardi. Ciò che offrono tali scritti heideggeriani è, per molti aspetti, sorprendente. Essi presentano, per così dire, il primo livello di elaborazione di una filosofia - un livello strutturato, ordinato grazie a rimandi interni, riscritto a macchina in virtù del lavoro, soprattutto, del fratello Fritz - i cui contenuti poi si riverberano nelle altre Opere, pubblicate o no, e negli altri livelli ed esperimenti di scrittura. Si tratta della testimonianza di un pensiero continuo, incessante, che non fa sconti a se stesso, che non nasconde scacchi e sconfitte. Heidegger non smette di pensare: anche quando il pensiero lo porta in un vicolo cieco. E c c o perché è davvero importante, oltre all'interesse per i temi concreti che in essi vengono affrontati, ciò che ci viene proposto dai Quaderni neri. Questi scritti ci fanno scoprire e ci costringono a esplorare un'ulteriore stratificazione del pensiero di Heidegger. Chi infatti oggi vuole conoscere questo pensiero, chi vuole
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confrontarsi con esso, non può più limitarsi all'opera « l i ta, non può dedicarsi solo alla lettura delle Vorlesungen, non può studiare unicamente i Beiträge. Deve fare i colili anche con queste riflessioni: sperimentando la necessità di un livello di scavo ancora più profondo nell'articolata e già complessa elaborazione di questo autore, Un primo sondaggio di alcuni temi presenti nei Quaderni neri, all'interno di tale quadro complessivo, viene appunto offerto dal presente libro. Esso si concentri! sul tema del rapporto tra filosofia e politica in Heidegger. A partire da qui viene affrontata la stessa questione dell'antisemitismo heideggeriano. L o fanno gli autori dei contributi che sono qui raccolti. Si tratta di contributi presentati e discussi nel corso di una giornata di studio svoltasi al Seminario di Filosofìa dell'Università di Pisa il 1 luglio 2014, in collaborazione con il Dottorato in Filosofia Pisa-Firenze. In quest'occasione è stato anche presentato il «Laboratorio I leidegger», promosso presso questa Università e dedicalo all'approfondimento, alla diffusione e alla discussione dell'opera di questo autore. Alla giornata di studio, oltreai relatori, hanno partecipato come discussant uriche Leonardo Amoroso, Stefano Bancalari, Lorenzo Calabi, Franco Camera, Virgilio Cesarone, Stefano Poggi, nonché numerosi dottorandi e studiosi interessati. La vivacità della discussione che ha caratterizzato l'incontro, e soprattutto l'assenza di ogni orientamento preconcetto, hanno consentito la messa a fuoco di una serie di problemi che attraversano l'intero pensiero heideggeriano e ili cui questo libro dà conto. In tale prospettiva i Quaderni neri possono essere considerati non solo, unicamente, un esempio dell'ambiguo impegno filosofico-politico di Heidegger, ma un'espressione del suo articolato pensiero: e, soprattutto, del suo tentativo di dire ciò che la filosofia, fino a quel momento, non è stata capace di dire.
HEIDEGGER E L'EBRAISMO MONDIALE Peter
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Trawny
Premessa
Q u a n d o nel marzo del 2014 sono state pubblicate le Überlegungen II-XV di Heidegger, la prima serie dei Quaderni neri (come lui stesso li aveva chiamati), è stato immediatamente evidente che questi testi differiscono da tutti gli scritti fin'ora conosciuti di Heidegger. Essi sembrano esaminare con maggiore chiarezza e immediatezza le motivazioni e le intenzioni filosofiche, sembrano indicare con maggior precisione contro chi si scaglia il pensiero heideggeriano degli anni Trenta (e cioè contro la "modernità"), e confermano che, verso la fine degli anni Trenta e nel contesto della seconda guerra mondiale, il pensiero ontostorico (seinsgeschichtliches Denken) di Heidegger si apre a idee antisemite 1 . L e discussioni al riguardo, pubbliche e private, non hanno prodotto alcuna conciliazione delle differenti posizioni 2 . L o scontro interpretativo, spesso superfluo, ha finito per porre nuovamente l'accento su una questione 1 Sulla questione si veda P. Trawny, Heidegger und der Mythos der jüdischen Weltverschwörung, Klostermann, Frankfurt a.M. 2014. 2 Cfr. R. Wolin, National Socialism, World Jewry, and the History of Being: Heidegger's Black Notebooks, in «Jewish Review of Books», Summer 2014, e D. Di Cesare, Heidegger, das Sein unddie]uden, in «Information Philosophie», 2 (2014), pp. 8-21, così come C. Esposito, Heidegger, h'antisemitismo dei "Quaderni", in «Avvenire», 17.07.2014, p. 24 eF-W. Von Herrmann, Sugli ebrei solo passi minori, in «Avvenire», art. cit.
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specifica. I Quaderni neri di Heidegger ci costringono come nessun altro manoscritto dell'autore a porci la seguente domanda: come dobbiamo leggere Heidegger? L a questione riguarda soprattutto come debbano essere intese le problematiche esternazioni sull'ebraismo. Il pensiero di Heidegger è antisemita? Se si, lo è nel suo complesso o solo in una fase? E se no, come dobbiamo intendere queste esternazioni? Evidentemente tali questioni hanno un significato decisivo per il futuro del pensiero heideggeriano. È quindi comprensibile la violenza delle discussioni. Il problema è complicato dal fatto che Heidegger certamente non pensava che le sue affermazioni sull'ebraismo mondiale ( W e l t j u d e n t u m ) fossero antisemite 3 . Dal suo punto di vista, esse erano sullo stesso livello delle idee espresse sull'americanismo, il bolscevismo, l'Inghilterra dell'epoca e il cristianesimo. Vari lettori e interpreti di Heidegger condividono quest'interpretazione. Essi ritengono irrefutabile la valutazione che Heidegger fa dei propri testi. Chi vuole comprendere Heidegger dovrebbe quindi subordinarsi a essa. Pertanto dobbiamo chiederci (nuovamente): come dobbiamo leggere Heidegger? Il primo effetto della domanda è ambivalente. Dato che i testi heideggeriani sono spesso ermetici, dato che operano con molti neologismi, dato che in essi si dà uno stile proprio della scrittura, la questione sembra inevitabile. Eppure nello stesso tempo è evidente che ogni filosofo parla a modo suo, con uno stile proprio, con concetti propri. D a questo punto di vista si potrebbe porre la stessa domanda, come leggere x?, per ogni filosofo. Sennonché confrontandoci con Heidegger e i suoi 3 Cfr. P. Trawny, Heidegger und der Mythos der jüdischen Wellverschwörung, p. 107 ss.
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testi abbiamo a che fare con un caso particolare. Heidegger è un pensatore che cerca di organizzare e di condizionare la lettura dei suoi testi. D a tale organizzazione deriva - consciamente o inconsciamente - un controllo sulla ricezione dei testi. Vedo in particolare due indicazioni al riguardo: 1) in Heidegger c'è una differenza tra sfera esoterica e sfera essoterica del filosofare 4 , 2) nella scrittura di Heidegger c'è tutto un discorso sull'erranza" il cui effetto secondario è che il testo si immunizza nei confronti della critica. Sul punto 1 Alla distinzione tra una sfera esoterica e una essoterica nel pensiero di Heidegger corrispondono destinatari diversi. D a una parte ci sono le lezioni universitarie e i trattati, come ad esempio Essere e tempo, che non si rivolgono ad alcun destinatario specifico, o almeno Heidegger non problematizza la questione circa il destinatario del testo o del suo pensiero. L e cose cambiano con gli scritti come ad esempio i Contributi alla filosofia. Q u e s t o testo si rivolge espressamente a destinatari precisi. Heidegger li chiama «i pochi» o «i venturi». Questi lettori vengono dunque decisamente messi in guardia contro la sfera essoterica della filosofia in generale. L'autentica filosofia sarebbe impossibile nella "dimensione pubblica" - Heidegger pensa qui all'università e ai media - , e pertanto bisognerebbe esercitare il «pensiero essenziale» al di là di questa "dimensione pubblica". Q u e s t a è un'idea certamente discutibile. Oggigiorno non solo conosciamo filosofi che hanno una certa influenza nella sfera pubblica e che, in funzione di 4 Cfr. P. Trawny, Adyton. Heideggers esoterische Philosophie, Matthes und Seitz, Berlin 2010.
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consiglieri esistenziali, devono perorare varie banalità. E anche quanto mai necessario porre all'univcrsiià e nell'università la questione circa il ruolo della filosofia. Il diniego della "dimensione pubblica" e la chiamala in causa diretta di destinatari precisi da parte di I leiilegger hanno prodotto un gruppo di lettori che si sono allontanati con sospetto da ogni discorso pubblico. Si tratta della nascita degli "heideggeriani". All'interno del corpus heideggeriano i testi massimamente esoterici sono i Quaderni neri. Essi non si rivolgono nemmeno ai «pochi». In essi il pensiero heideggeriano parla innanzitutto puramente a se stesso (questo giudizio dovrebbe essere sceverato perché nei Quaderni ci sono anche indizi che lo contraddicono). Con questa auto-referenzialità il pensiero per così il ire si avvolge su se stesso. L'avversione nei confronti della "dimensione pubblica" viene messa in pratica senza nessun riguardo per un qualsivoglia "altro". Il pensiero si rivolge a se stesso in un'intimità ontostorica eppure nello stesso tempo i testi non diventano mui personali, privati. (Ci si è chiesto in che rapporto stiano i Quaderni neri con gli altri testi heideggeriani. Alcuni vogliono percepire già nei titoli Riflessioni, Annotazioni, una certa relativizzazione della loro importanza - come se i Contributi alla filosofia non si fossero già spinti oltre ogni limite às&understatement. Io ritengo invece che i Quaderni neri siano talmente importanti da poter modificare in futuro la comprensione che abbiamo di Heidegger). N o n si potrebbe comprendere in maniera adeguata l'iniziativa esoterica del pensiero e della scrittura di Heidegger senza considerare il modo in cui nel testo l'autore si rivolge direttamente ai destinatari prescelti. Heidegger non è un pensatore uso al discorso argomentativo (questo è il linguaggio della "dimensione pubblica").
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Certo, sarebbe falso non riconoscere a un'opera come Essere e tempo la sua forza argomentativa, ma l'allocuzione esoterica segue un altro stile, uno stile seduttivo, per non dire erotico. II dialogo ricercato dal pensiero heideggeriano non è la discussione critica a distanza. Si tratta piuttosto di ascoltare, di orecchiare nel silenzio, d'ubbidire. Alla distanza critica dell'argomento viene contrapposta la vicinanza dell'affiatamento intimo. E così che l'iniziativa esoterica ottiene il suo carattere autentico. Q u e s t a è anche la causa del fatto che lo "heideggeriano" parta dal presupposto che l'auto-interpretazione di Heidegger debba stare alla base di ogni studio del suo pensiero. Ci si attiene alla "direttiva" del "Maestro". Per lo "heideggeriano" quindi è impossibile che l'amato, l'amico, il padre, il nonno, ecc. abbia potuto essere un antisemita. Nonostante negli anni Venti e Trenta la metà non solo dei tedeschi ma anche degli europei fosse antisemita, per loro non può affatto essere che quest'uomo dedito alla scrittura aderisse agli stereotipi antisemiti. L'iniziativa esoterica e il suo effetto di costringere gli "heideggeriani" a interpretare gli scritti di Heidegger con una tonalità intima che risiede al di là "della "sfera pubblica" rappresentano ancora al giorno d'oggi un problema per la ricerca filosofica. Infatti questi appassionati amanti sono senza dubbio i maggiori esperti di Heidegger. N e seguono il pensiero sino nelle più sottili variazioni, lo conoscono nei più piccoli dettagli. Si abbandonano completamente a esso. (Proprio questa è la debolezza della maggior parte dei critici - non conoscono ciò che criticano, si chiudono in se stessi). L a domanda: come leggere Heidegger?, sembra essere aporética. O diventiamo "heideggeriani", coloro che conoscono alla perfezione l'immenso corpus del pensiero
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heideggeriano, o diventiamo ricercatori c/o critici mediocri, cioè coloro che esaminano la sua filosofia solo superficialmente. Ma c'è anche una terza possibilità. Oltre alla lettura degli appassionati e scolastici amanti e quella dei critici superficiali c'è tinche un modo di leggere Heidegger che è filosofico. Unti lettura filosofica prova amore per il filosofo. Essa conosce l'eros, la dimensione erotica della filosofia in questione. Ma oltre a ciò essa conosce anche la dimensione erotica della filosofia in assoluto, la libertà del pensiero che si inscrive in ogni filosofia. L a libertà della filosofia conta più che l'ubbidienza nei confronti del pensatore amato. (ìli "heideggeriani" non conoscono quest'esperienza. È questa la loro debolezza: non sono filosofi e non lo potranno mai essere. I testi di Heidegger richiedono forse più di altri una modalità di lettura filosofica. Potrebbe anche essere che Heidegger fosse ben cosciente che il suo unico e vero lettore era solo colui che assapora la sua seduzione e si dedica a essa - senza caderne preda. Sulpunto
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« L a libertà per l'errore, l'interminabile e vano errare dal quale solo coloro che sono disposti e destituiti al pensiero apprendono ciò che di essa è più essenziale»' sarebbe per il «pensiero essenziale» una sorta di autoconferma. L a «storia della filosofia» non sarebbe allora «la storia degli errori intesa come sequela storica delle differenti inesattezze», bensì «un'odissea, nella quale 5 M. Heidegger, Überlegungen VII-Xl (Schwarze I le/ir IViX/l'». G A 95, Klostermann, Frankfurt a.M. 2014, p. 74. Sul tcrnu prorntinm mente: P. Trawny, »Irmisfuge«. Heideggers An-archie, Matthe» & Srilz, Berlin 2014.
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verrebbe esperita l'erranza e presagita di volta in volta una fenditura della verità dell'essere». A questo punto però «non saremmo ancora capaci di errare attraverso questa storia senza finire per affermare la falsità o, che è lo stesso, lodare vanamente i filosofi». Pertanto «la definitiva non-scientificità della filosofia» potrebbe essere arrischiata solo se i filosofi fossero decisi «ad errare attraverso i cammini erranti della loro storia - e cioè a pensare solo ed esclusivamente in quanto coloro che interrogano radicalmente». Questa è solo una delle tante considerazioni sull'"erranza" nei Quaderni neri. A partire dai primi anni Trenta, a partire dalla conferenza L'essenza della verità Heidegger lavora a una comprensione della verità come «svelatezza», come àÀi]0£La. L a verità è l'accadere occ u l t a t e s i di «svelamento e nascondimento». Non si tratta più di distinguere tra enunciati veri e falsi. Heidegger cerca piuttosto di mostrare in che misura ci troviamo o meno all'interno di questo accadere della verità. Però, dove accade il nascondimento, l'«erranza» è inevitabile. L'uomo entra necessariamente nell'«erranza». Heidegger ha infine messo in relazione questa necessità con la tragedia. E invero questa necessità è presente x\e&'Antigone di Sofocle. Tiresia avvisa Creonte: «Rifletti, Figliuolo. Errare è comune, fra gli uomini» 6 . Ma l'indovino dichiara anche che pur nell'«erranza» ci si potrebbe ravvedere e cambiare il proprio atteggiamento. Creonte non ascolta l'avvertimento e va incontro alla rovina. Riferita al testo filosofico quest'idea mette in una luce del tutto particolare le dichiarazioni più problematiche. N o n potrebbe essere che per esempio quei passaggi 6 Sofocle, Antigone, in II teatro greco. Tutte le tragedie, a cura di Carlo Diano, Sansoni, Firenze 1975, p. 194.
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antisemiti sull'ebraismo mondiale errino? Certo, Heidegger non ha mai suggerito di persona questa possibilità. Al contrario ha disposto a voce la pubblicazione dei Quaderni neri. Eppure l'una e l'altra cosa stanno sulla stessa linea di pensiero. Si erra veramente solo quando non si sa di errare. Inoltre, se filosofare significa sbagliarsi, è del tutto inutile proibire la pubblicazione di testi filosofici. In tal senso il titolo Sentieri interrotti (1950) dev'essere preso sul serio. Q u e s t a idea è molto importante dal punto di vista filosofico. Come concepire filosoficamente il fenomeno secondo il quale potrebbero errare non solo i singoli pensieri ma un'intera filosofia? L e Meditazioni di Cartesio non potrebbero essere un unico grande errore? Può essere. Non possiamo escludere questa possibilità. Ma proprio nel dover lasciare in sospeso la decisione sulla verità o sull'errore risiede il problema. In tal modo il filosofo non ha più la responsabilità di preservare da errori i propri testi. E dal,momento che l'errare appartiene addirittura all'eccellenza di una filosofia, la «libertà per l'errore» deve esprimersi. Ma anche quando ci si assume una tale responsabilità il problema rimane, perché se l'errare è di fatto inevitabile, anche la responsabilità non aiuta. Colui che erra è di per sé scevro d'ogni colpa e responsabilità. E così il testo s'immunizza dalla critica. Come e perché si dovrebbe criticare un errore? Forse le dichiarazioni di Heidegger sull'ebraismo mondiale errano. Anzi, esse errano certamente. Ma così abbiamo risolto il problema? Possiamo leggere Heidegger con il presupposto che il filosofo (forse) erra? Una lettura filosofica di un'opera filosof ica lieve dare atto di questo "forse" dell'erranza, Non si può infatti escludere che i filosofi, i cui cammini conducono a posizioni estreme (come ad esempio Platone, Plotino,
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Sant'Agostino, Schelling, Nietzsche, Heidegger), errino: indipendentemente dal fatto che proprio per questo - come Heidegger ritiene - pensino nella luce della verità. Ciò naturalmente non significa che non possiamo riconoscere le deviazioni come tali. Al contrario: se l'errore è proprio della filosofia, lo dobbiamo specificare in maniera adeguata. E se dovessimo errare, tanto meglio. L a questione: come leggere Heidegger? può essere posta e risolta solo filosoficamente. Dobbiamo presupporre una libertà di pensiero che prepara il campo non solo per le varie interpretazioni ma anche per i loro contrasti. Nel contempo non dobbiamo solo ammettere la possibilità dell'"errore" ma anche esaminarla con attenzione. Se tutto parla a favore del fatto che il filosofo erri, dobbiamo marcare con precisione l'errore.
2. L'"antisemitismo
ontostorìco"
di
Heidegger
Ora desidero discutere qualche passo sull'ebraismo mondiale. Al riguardo bisogna tenere presente che questi passi contengono pensieri che sono scritti in una forma finora sconosciuta in Heidegger. Inoltre mi sembra che in queste dichiarazioni si mostri qualcosa di relazionato al pensiero ontostorico di Heidegger della fine degli anni Trenta. Forse per Heidegger l'ebraismo mondiale è il rappresentante per eccellenza della modernità. Se ci rimettiamo ai parametri della ricerca attuale sull'antisemitismo (ad esempio Wolfgang Benz: Was ist Antisemitismus?1), allora non ci resta altra possibilità che qualificare le considerazioni di Heidegger come "antisemite" (e non "antiebree" o "antiebraiche" ecc. formule che evitano il problema). Dichiarazioni che 7
W. Benz, Was ist Antisemitismus?, C.H. Beck, Munchen 2005.
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rappresentano l'ebraismo mondiale come «principio di distruzione» nella storia dell'Occidente - in questa storia di guerre mondiali e di massacri - possono essere definite solo "antisemite". Pertanto per caratterizzare le dichiarazioni heideggeriane mi sono deciso per l'espressione "antisemitismo ontostorico" (seinsgeschichtlicher Antisemitismus). Con essa intendo innanzitutto rilevare la motivazione teoretica delle annotazioni di Heidegger sull'ebraismo mondiale. Se capiamo questa motivazione, si mostrano anche i propositi a cui Heidegger aveva connesso il suo progetto filosofico a partire del 1932 circa. Pertanto il giudizio morale non m'interessa affatto - nonostante esso sia inevitabile. Sebbene provi a prescindere dalla questione della responsabilità del filosofo e dal problema del coinvolgimento personale nelle proprie affermazioni, ciò è comunque inutile: alla fine non possiamo ignorare la qualità morale delle dichiarazioni, perché un pensiero sull'ebraismo mondiale dopo la Shoah non è come un pensiero sull'ebraismo mondiale prima della Shoah. In tal maniera subentra in tutta la discussione una certa asimmetria, di cui dobbiamo essere costantemente consapevoli. Noi tutti conosciamo le posizioni antisemite di Nietzsche. Esse hanno addirittura un ruolo significativo nella sua filosofia. L a nascita della «morale degli schiavi» viene attribuita genealogicamente agli ebrei. Eppure le dichiarazioni di Nietzsche hanno per noi un altro peso rispetto a quelle di Heidegger. Heidegger le ha scritte all'epoca in cui era già iniziata la persecuzione degli ebrei - e soprattutto quando essa andava già verso lo sterminio di massa, la «fabbricazione di cadaveri». Le esternazioni di Heidegger hanno un significato particolare perché egli ha voluto riflettere sul ruolo ontostorico
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dell'ebraismo mondiale non solo prima, ma anche immediatamente dopo gli eventi di Auschwitz. Tutto ciò è altamente problematico. Anche perché non possiamo partire dal presupposto che Heidegger fosse a conoscenza dei campi di sterminio. Nonostante le dichiarazioni che mostrano come egli sapesse qualcosa circa le violenze contro gli ebrei, nonostante circolassero voci - mirate o meno - sui lager, il tremendo segreto di quanto accadeva ad Auschwitz non è un semplice mito. Anche nell'immediato dopoguerra, come ricordava ancora Hannah Arendt, non si sapeva quasi nulla dello sterminio organizzato degli ebrei. Si taceva, molto venne sottaciuto, ignorato. Solo con la diffusione della serie televisiva americana Holocaust (1978) ebbe inizio un confronto autentico con gli eventi. Furono queste le prime immagini che iniziarono a diffondere il ricordo di quanto successo. E quante immagini si sono aggiunte in seguito, e continuano a sommarsi? Immagini, come quelle del documentario di Claude Lanzmann Shoah (1985), l'unico film serio sugli eventi. A differenza dei primi decenni del dopoguerra, quando si provava a dimenticare, oggi siamo attorniati da immagini e racconti. Certo, anche un ufficiale della Wehrmacht come Ernst Jünger aveva parlato nel suo scritto La pace, pubblicato immediatamente dopo la guerra, delle «prigioni e camere di tortura» che «rimarranno nella memoria dei tempi più lontani». Queste sarebbero «gli autentici monumenti della guerra» 8 . Anche A d o m o e il poeta Paul Celan (Fuga della morte) e naturalmente Hannah Arendt ne hanno parlato e discusso pubblicamente. Eppure dobbiamo tener conto del fatto che Heidegger molto probabilmente non sapeva che cosa fosse successo. 8
p. 9 ss.
E. Jünger, La pace, trad. it. di A. Apa, Guanda, Parma 1993,
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Pertanto le osservazioni sull'ebraismo mondiale suonano per noi assai diversamente da come devono essere state percepite da Heidegger. Esse appartenevano essenzialmente a un discorso sull'ebraismo mondiale che nel Terzo Reich era comune nella dimensione pubblica e veniva acclamato più o meno da tutti. Q u e s t o significa, ancora una volta, che non possiamo liberarci da questa asimmetria. Anche sapendo che Heidegger (probabilmente) non ne sapeva nulla, non possiamo ignorare la Shoah. Pertanto in questo caso la correttezza ermeneutica è quasi impossibile. Tuttavia dobbiamo appellarci a essa. Forse questa è la difficoltà principale per la discussione morale dei passi antisemiti nei Quaderni neri di Heidegger. Passo ora a discutere in che misura sia possibile parlare di un antisemitismo ontostorico in Heidegger. Dobbiamo capire quale sia il significato di quest'espressione nel contesto del pensiero heideggeriano. Dobbiamo capire le motivazioni filosofiche connesse alle osservazioni sull'ebraismo mondiale. D u e cose sono pertanto necessarie allo scopo: 1) dobbiamo familiarizzarci con i connotati essenziali del pensiero ontostorico heideggeriano degli anni Trenta e Quaranta; 2) dobbiamo chiederci se le osservazioni sull'ebraismo mondiale sono in qualche modo connesse a queste caratteristiche del pensiero ontostorico e scoprire se è possibile comprenderle a partire da esso. Per poter discutere questi due punti dobbiamo prima però conoscere i passi sull'ebraismo mondiale, con i quali inizierò le mie riflessioni. Cito in seguito tre osservazioni di Heidegger, per poterne poi individuare i punti fondamentali. 1. «L'attuale aumento di potere dell'ebraismo ha il suo fondamento nel fatto che la metafisica dell'Occidente,
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mondiale
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almeno nel suo sviluppo moderno, ha offerto il punto d'appoggio per l'espandersi d'una razionalità vuota e dell'attitudine al calcolo, che su questo cammino s'è creata un alloggiamento nello "spirito", senza poter comprendere a partire da se stessa le zone decisive occulte» 9 . 2. «Anche il pensiero di un accordo con l'Inghilterra nel senso di una ripartizione dei "diritti" dell'imperialismo (e cioè la potestà fondata in un diritto o legge) non coglie l'essenziale del processo storico che adesso l'Inghilterra, nell'ambito dell'americanismo, del bolscevismo e cioè allo stesso tempo nell'ambito dell'ebraismo mondiale, sta portando allo stremo. L a domanda circa il ruolo dell'ebraismo mondiale non è una questione razziale, bensì la questione metafisica circa il tipo di umanità che, svincolata per antonomasia, potrebbe assumere lo sradicamento dall'essere di tutto l'ente come compito della storia mondiale» 1 0 . 3. «L'ebraismo mondiale, aizzato dagli emigranti lasciati liberi di uscire dalla Germania, è ovunque inafferrabile ed espandendo il suo potere non ha nemmeno bisogno di partecipare alle azioni di guerra in nessun luogo; contro ciò non ci resta che sacrificare il miglior sangue dei migliori del nostro popolo» 1 1 . Sul primo passo È possibile ricondurre quest'annotazione a tre aspetti fondamentali: a) si guarda all'ebraismo in seguito al «momentaneo aumento del suo potere»; b) questo è 9 Martin Heidegger, Überlegungen XII-XV (Schwarze 1939-1941), GA96, Klostermann, Frankfurt a.M. 2014, p. 67. 10 Ivi, p. 121. 11 Ibidem.
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connesso con la metafisica moderna; c) la metafisica moderna si caratterizza per una «razionalità vuota e un'attitudine al calcolo», per cui l'aumento di potere dell'ebraismo è connesso alla sua «spiccata disposizione al calcolo». Sul punto a) Una delle dichiarazioni heideggeriane più importanti sul carattere della storia moderna ci dice che essa nel suo corso ha assunto sempre più la forma di una storia della «volontà di potenza». Il soggetto moderno dello «ego cogito me cogitare» (Cartesio) si progetta in ultima analisi totalmente in vista delle prospettive della sua volontà e dei possibili dispiegamenti della sua potenza. Inoltre con le sue invenzioni egli si sottomette a una tecnica che Heidegger nel corso degli anni Trenta definisce «macchinazione», riallacciandosi al coevo concetto jiingeriano della «mobilitazione totale» 1 2 . Nei Quaderni neri Heidegger descrive la «macchinazione», ove ogni ente appare nella prospettiva del fare e potremmo anche dire della produzione, come segue: « L a potenza della macchinazione - l'annientamento anche dell'assenza di Dio, la deformazione dell'uomo nell'animale, lo sfruttamento della terra, la computazione del mondo, - è entrata in uno stadio definitivo; le differenze tra popoli, stati e culture ci sono solo sulla facciata. Nessun provvedimento può ostacolare o evitare la macchinazione» 1 3 . Dio - uomo - terra - mondo: una prefigurazione dell'«insieme dei Quattro», sono tutti occupati dalla «potenza della macchinazione». Tutto è integrato in essa, nulla le sfugge. Negli ultimi appunti delle Uberle12
(1989). 13
Cfr. E. Jünger, La mobilitazione totale, in «11 Mnlino», 5 M. Heidegger, Überlegungen XII, cit., p. 76,
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gungen (1941), ma non solo, compare il pensiero che vi sia un qualche legame tra le eruzioni della guerra mondiale e la «potenza della macchinazione». L a storia non finisce per caso con i giganteschi scontri tra i sistemi tecnico-totalitari del nazionalsocialismo, bolscevismo e americanismo. Sul punto b) L o spiegamento della «potenza della macchinazione» nella sua «definitività» occupa lo spazio storico della metafisica moderna. Q u e s t a inizia con il pensiero di Cartesio e termina, si chiude con Nietzsche. Questa idea rientra nella narrazione del "pensiero ontostorico". L'essere si strappa all'occultamento nella modernità come volontà del soggetto, assieme alla egoità che dalla volontà di volontà hegeliana s'eleva alla volontà di potenza di Nietzsche. Q u e s t o movimento è un destino epocale; non sottosta cioè all'influsso dell'uomo ma a una dinamica interna dello spiegamento dell'essere moderno e della sua comprensione. Il seminario di Zurigo del 1951 offre un esempio di questo pensiero. Lì Heidegger afferma che la bomba atomica è esplosa da tempo, « e cioè nel momento in cui l'uomo è insorto contro l'essere e ha posto l'essere a partire da se stesso e lo ha reso oggetto della propria volontà». E aggiunge: « Q u e s t o a partire da Cartesio» 1 4 . Sul punto c) Una «razionalità vuota e un'attitudine al calcolo» sarebbero tipiche del pensiero moderno. Heidegger si riferisce qui al processo per cui nella scienza moderna la 14 M. Heidegger, Seminare, GA 15, Klostermann, Frankfurt a.M. 1986, p. 433.
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matematica si tecnicizza e strumentalizza in «sfruttamento della terra e computazione del mondo», come detto prima. Cartesio infatti definisce l'uomo, il soggetto moderno, come «maitre et possesseur de la nature». Ci sarebbe molto da dire sull'emancipazione della scienza e la sua storia, e anche sul rapporto problematico che la filosofia a partire da Hegel ha con questa storia. Tuttavia più importante per noi è notare come Heidegger inscriva l'ebraismo in questa storia della tecnica e della scienza moderna, voglio dire, della "macchinazione". All'ebraismo viene riconosciuta una «spiccata disposizione al calcolo». Q u i dobbiamo essere precisi, perché anche Heidegger lo era. Nei Contributi alla filosofia, questo testo assolutamente centrale della metà degli anni Trenta, troviamo la seguente riflessione: « E pura sciocchezza dire che la ricerca sperimentale sarebbe nordico-germanica e quella razionale, al contrario, stranieral Dovremmo allora risolverci ad annoverare Newton e Leibniz tra gli "ebrei"» 1 5 . Pertanto la distinzione tra una fisica "tedesca" o "ariana" e una fisica "ebrea" non convinceva affatto Heidegger. Egli la rifiutava perché sapeva che nel progetto della scienza moderna una tale divisione era impossibile. Ciò non significa però che questo passo dei Contributi contraddica l'idea heideggeriana secondo cui gli ebrei hanno una «spiccata disposizione al calcolo». C'è una (bella) differenza tra affermare che tutto il pensiero calcolante è ebreo e che tutto il pensiero ebreo è calcolante. L a prima è falsa perché la scienza moderna non è stata fondata dagli ebrei. L a seconda secondo Heidegger era vera. \ Conseguenza di tutte queste "riflessioni" è che, grazie 15 M. Heidegger, Beiträge zur Philosophie (Vom Ereignis), GA 65, Klostermann, Frankfurt a.M. 1989, p. 163, trad. it. a cura di F. Volpi, Contributi alla filosofia (Dall'evento), Adelphi, Milano 2007, p. 175.
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all'attribuzione del «pensiero calcolante» all'ebraismo, Heidegger può considerare quest'ultimo come un momento della «potenza della macchinazione». L'ebraismo è un rappresentante tra i tanti della tecnica moderna, come anche il nazionalsocialismo. Se questa collocazione dell'ebraismo può essere definita "ontostorica" e se l'attribuzione del "calcolo" all'ebraismo risponde a stereotipi antisemiti, allora abbiamo a che fare con un "antisemitismo ontostorico". Sul secondo passo L a seconda considerazione è composta da due enunciati assai difficili da mettere in relazione: a) c'è un «processo storico» nel quale l'Inghilterra gioca un ruolo che non può essere modificato nemmeno con un «accordo»; b) il ruolo dell'ebraismo mondiale, nel quale si inserisce anche il ruolo dell'Inghilterra e - questo è importante - dell'americanismo e del bolscevismo, non sarebbe fondato «sulla razza», bensì deriverebbe dalla «questione metafisica circa il tipo di umanità che, svincolata per antonomasia, potrebbe assumere lo sradicamento dall'essere di tutto l'ente come compito della stoI ria mondiale». Apparentemente non è necessario soffermarsi a lungo sulla prima parte. Heidegger - così come Nietzsche non è solo un denigratore della filosofia inglese ma anche e soprattutto dello "spirito inglese", costituito per lui da un pragmatismo imperiale orientato esclusivamente all'economia. (Forse si potrebbero confrontare i discorsi di Hitler con il pensiero heideggeriano della fine degli anni Trenta. Anche nel discorso di Hitler dell'8 novembre 1939 troviamo questa particolare miscela di disprezzo per l'Inghilterra e accenni antisemiti. In ogni caso mi sembra che Hitler sia una figura chiave per capire
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la lealtà di Heidegger nei confronti del Terzo Reich). L a seconda parte è più importante. Innanzitutto Heidegger afferma che la comprensione dell'ebraismo mondiale non dev'essere necessariamente «razziale». Per ora lascio questo punto in sospeso. L a questione del razzismo in Heidegger dev'essere posta, a mio parere, in termini nuovi, come ho fatto nel mio libro. A causa del poco tempo lascio per ora questo problema da parte. Ci sarebbe poi una "metafisica" dell'ebraismo mondiale, il quale rappresenterebbe un certo tipo di umanità svincolata che eserciterebbe «lo sradicamento dall'essere di tutto l'ente». L'ebraismo mondiale gioca un ruolo fondamentale in questo passo. N e cito una parte ancora una volta: «Anche il pensiero di un accordo con l'Inghilterra nel senso di una ripartizione dei "diritti" dell'imperialismo (e cioè la potestà fondata in un diritto o legge) non coglie l'essenziale del processo storico che adesso l'Inghilterra, nell'ambito dell'americanismo, del bolscevismo e cioè allo stesso tempo nell'ambito dell'ebraismo mondiale, sta portando allo stremo». Il problema è la sequenza Inghilterra - americanismo - bolscevismo - «e cioè allo stesso tempo ebraismo mondiale». Che cosa significa qui « e cioè allo stesso tempo»? Inghilterra, americanismo e bolscevismo non sono solo la stessa cosa ma sono anche identici all'ebraismo mondiale? Q u e s t o rappresenta forse il principio o l'origine del bolscevismo, dell'americanismo e dell'Inghilterra? In un'annotazione del 1944/45 leggiamo: « L a comunità ebraica è nell'epoca dell'Occidente cristiano, e cioè della metafisica, il principio di distruzione. Ciò è distruttivo nel rovesciamento del compimento della metafisica - cioè della metafisica di Hegel attraverso Marx. L o spirito e la cultura diventano una sovrastruttura della "vita" - cioè dell'economia e dell'organizzazione -
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cioè della sfera biologica - cioè del popolo» 1 6 . Marx, l'ebreo, rivolta la metafisica di Hegel e così lo spirito diventa epifenomeno dell'economia e dell'organizzazione. A prescindere dal fatto che per Heidegger ciò rappresenta una distruzione, è chiaro ora in che misura la «comunità ebraica» o l'ebraismo mondiale sono fonte del bolscevismo, dell'americanismo e dell'Inghilterra persino riguardo all'aspetto biologico del nazionalsocialismo menzionato da Heidegger. (Come suona diverso il riferimento a Marx nella Lettera sull'"umanismo", scritto probabilmente circa un anno dopo questa nota! «Poiché Marx, nell'esperire l'alienazione, penetra in una dimensione essenziale della storia, la concezione marxista della storia è superiore ad ogni alta storiografia» 1 7 . L'apparenza inganna. L e due dichiarazioni sono strettamente connesse. L'alienazione di cui parla Heidegger non è quella che Marx vede nel mondo del capitale bensì quella che Marx vive in quanto ebreo). L a «comunità ebraica» è il «principio di distruzione». In che senso? L a «assenza di vincoli» propria degli ebrei è connessa a una pratica dello «sradicamento dall'essere di tutto l'ente». L'«assenza di vincoli» dell'ebraismo mondiale consiste, come Heidegger dice altrove, in una specie di «assenza di mondo» 1 8 e cioè, questa è la mia interpretazione, in una «spaesatezza». Si tratta della diaspora ebrea, "galut" in ebraico, una dispersione che il popolo ebraico ha dovuto accettare a partire dalla con-
16 M. Heidegger, Anmerkungen I-V, GA 97, Klostermann, Frankfurt a.M., di prossima pubblicazione. 17 M. Heidegger, Brief über den Humanismus, in Wegmarken, GA 9, Klostermann, Frankfurt a.M. 1996, p. 340, 18 M. Heidegger, Überlegungen VII-XI (Schwane Hefte 1938/39), GA95,cit.,p. 9.
32 Peter Trawny quista babilonese del Regno di Giuda nel 597 a.C. In tal senso la diaspora è condizione del sionismo, ed è degno di nota come all'affare Dreyfus in Francia alla fine dell'Ottocento seguirono immediatamente i Protocolli dei savi di Sion e il libro Der Judenstaat (1896) di Theodor Herzl. Q u e s t o sia detto per inciso. Tale «assenza di vincoli» renderebbe capace l'ebraismo mondiale di esercitare, praticare lo «sradicamento dall'essere di tutto l'ente». Per interpretare quest'idea in relazione alla storia dell'essere è necessario, a mio parere, soffermarsi brevemente sulla concezione ontostorica di Heidegger di due concetti fondamentali come "terra natia" e "spaesatezza". In un passo sulla "terra natia" risalente all'inizio degli anni Quaranta leggiamo: « L a terra natia è l'ad-propriazione della terra in quanto località per la preparazione dell'abitare che custodisce la venuta dell'essere, dalla cui verità gli dei e gli uomini accolgono la contrada della loro contrapposizione» 1 9 . Permettetemi di citare un'ulteriore definizione della terra natia dallo stesso testo: « L a terra natia è la località storica della verità dell'essere, chiamata e ricevuta dalla terra, radicata in essa e in essa al riparo» 2 0 . Questa concezione della "terra natia" non riguarda più una comunità concreta legata a una nazionalità, a un "popolo" nel senso corrente del termine. Q u i la terra natia viene pensata a partire dall'"evento" come «località storica della verità dell'essere». Un elemento di questa terra natia è necessariamente la "terra". Essa «chiama» e «riceve» la «località storica della verità dell'Essere». L a «località» è «radicata e al riparo» in essa. In altre parole si tratta della cosiddetta 19 M. Heidegger, Zutn Ereignis-Denken, GA 73.1, Klostcrmann, Frankfurt a.M. 2013, p. 755. 20 Ibidem.
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«intimità della contesa tra terra e mondo» 2 1 . L a terra natia come mondo è «radicata» e «al riparo» nella e sulla terra, il mondo fa sì che la terra si apra e si disveli. Però la terra natia/mondo e la terra, quando accadono nella contesa, aprono ognuno una "storia" propria. In riferimento all'ebraismo mondiale svincolato ciò significa che lo «sradicamento dall'essere di tutto l'ente» promuove l'assenza di terra natia in senso ontostorico. L'ebraismo mondiale nella sua diaspora senza terra lavora a impossibilitare la terra natia. E come potrebbe essere altrimenti, dal momento che gli ebrei sono esclusi dall'avvenire storico della contesa tra mondo e terra? Ma per operare lo «sradicamento dall'essere di tutto l'ente», per così dire la separazione dell'ente dall'essere, è necessaria una facoltà particolare. L'abbiamo già incontrata in precedenza: si tratta della «spiccata disposizione al calcolo», che si serve della tecnica e della matematica come strumento universale per spianare ogni differenza storicamente fondata tra popoli e culture diversi. Evidentemente, però, questa non è l'unica modalità con cui l'ebraismo mondiale realizza il suo aspetto distruttivo. L a caratterizzazione dell'ebraismo mondiale come «principio di distruzione» si coniuga con una visione degli ebrei come popolo «senza mondo». Dal punto di vista della storia dell'essere l'assenza di mondo è connessa alla spiccata disposizione al calcolo degli ebrei. Gli attributi dell'ebraismo mondiale entrano in conflitto con la terra natia ontostorica (intesa come «l'ad-propriazione della terra in quanto località per la preparazione dell'abitare») perché essa assegna all'ebraismo il compito dello «sradicamento dall'essere di tutto l'ente».
21 M. Heidegger, Überlegungen II-VI (Schwarze Hefte 19311938), GA 94, Klostermann, Frankfurt a.M. 2014, p. 78.
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[Excursus: Emmanuel Lévinas, nel suo saggio del 1961 Heidegger, Gagarin e noi, prova a interpretare la sostanziale differenza che sussiste tra l'ebraismo e Heidegger e gli heideggeriani (come vengono esplicitamente chiamati). Si tratta sostanzialmente di un confronto con l'idea, più volte enfatizzata da Heidegger, di un ordinamento topografico del mondo e della distruzione di tale ordinamento provocata dall'ebraismo con la tecnica. «L'insediamento in un paesaggio, l'attaccamento al L u o g o » comporterebbe una «scissione in autoctoni e stranieri». In questa prospettiva la tecnica sarebbe «meno pericolosa dei geni del Luogo». Essa «sopprime il privilegio di questo radicamento e dell'esilio» a esso riferito. L a tecnica ci strapperebbe «al mondo heideggeriano e alle superstizioni del Luogo» 2 2 . Gagarin, al contrario, ci avrebbe mostrato che possiamo abbandonare il Luogo. E allora Lévinas dice che «per un'ora un uomo è esistito al di fuori di ogni orizzonte - intorno a lui tutto era cielo, o, più esattamente, tutto era spazio geometrico. Un uomo esisteva nell'assoluto dello spazio geometrico» 2 3 . Il punto decisivo però è la rivendicazione da parte di Lévinas dell'idea di sostituire il « L u o g o » con «lo spazio geometrico» come propria dell'ebraismo. Q u e s t o non avrebbe «sublimato gli idoli, bensì richiesto la loro distruzione». «Attraverso la sua universalità astratta esso urta immaginazioni e passioni», eppure avrebbe «scoperto l'uomo nella nudità del suo volto» 2 4 .
22 E. Lévinas, Heidegger, Gagarin und wir, in Schwierige Freiheit. Versuch über das Judentum, Jüdischer Verlag, Frankfurt a.M. 1992, p. 175. Cfr. la trad. it. di S. Facioni, Heidegger, Gagarin e noi, in Difficile libertà. Saggi sul giudaismo, Jaca Book, Milano 2004, p. 291. 23 Ivi, pp. 175 ss. Cfr. la trad. it., pp. 291 ss. 24 Ivi, p. 176. Cfr. la trad. it., p. 292.
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Mi sembra che si debba necessariamente raffrontare l'antisemitismo ontostorico di Heidegger con questi pensieri di Lévinas. A questo punto sembra quasi che le idee di Heidegger siano una sorta di reazione istintiva di fronte a caratteristiche reali dell'ebraismo? O forse Lévinas — se fosse stato a conoscenza di tali idee — avrebbe dovuto rivedere la contrapposizione tra il « L u o g o » heideggeriano e l'universalità ebraica?] Sul terzo passo L o ripropongo, così lo abbiamo ben presente: «L'ebraismo mondiale, aizzato dagli emigranti lasciati liberi di uscire dalla Germania, è ovunque inafferrabile ed espandendo il suo potere non ha nemmeno bisogno di partecipare alle azioni di guerra in nessun luogo; contro ciò non ci resta sacrificare il miglior sangue dei migliori del nostro popolo». Tre differenti soggetti sono all'opera in questa frase, a) l'ebraismo mondiale, b) gli emigranti lasciati liberi di uscire dalla Germania, c) noi, noi che «sacrifichiamo il miglior sangue dei migliori del nostro popolo». Che l'ebraismo mondiale svolga un ruolo nella «potenza della macchinazione» lo abbiamo già sentito. Il contesto decisivo di quest'annotazione è la guerra mondiale. Gli «emigranti» aizzano l'ebraismo mondiale. Non è chiaro a chi si riferisca qui Heidegger. Forse a profughi ebrei? A persone come Thomas Mann che con l'aiuto della B B C trasmetteva da Londra i suoi discorsi? Loro - così come "noi" - sembrano essere ben identificabili. Dell'ebraismo mondiale si dice che è «inafferrabile». Sembra che l'assenza di mondo propria dell'ebraismo gli permetta di essere «ovunque», eppure esso in questo «ovunque» si nasconde, rimane «inafferrabile». L a semantica di questo afferrare però indica già la prò-
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blematicità insita in questo passo. L'ebraismo mondiale «ovunque inafferrabile» è potente perché «ovunque inafferrabile». E d è particolarmente potente proprio perché non ha bisogno di «partecipare alle azioni di guerra in nessun luogo». Ma com'è possibile tutto ciò? Al riguardo desidero ricordare i già citati Protocolli dei savi di Sion, Wolfgang Benz, nel suo libro Was ist Antisemitismus?, ha mostrato come il concetto di "ebraismo mondiale" faccia parte del mito della «congiura ebraica mondiale» 2 5 . In tal senso i Protocolli dei savi di Sion rappresentano un «incunabolo» che è un punto di riferimento assoluto. Essi sono il testo più importante per l'antisemitismo moderno, pur non essendone l'unica fonte. Il perfido falso dei Protocolli racconta un ebraismo che aspira a governare il mondo e che annovera anche la guerra come possibilità per realizzare questa meta. Nel capitolo dedicato a come «domare la resistenza dei gentili con guerre e con la guerra mondiale» si legge: «Appena uno Stato non ebreo osa opporci resistenza dobbiamo essere in grado di costringere gli stati vicini alla guerra contro di lui. Nel caso gli Stati vicini volessero allearsi a lui e attaccarci, allora dobbiamo scatenare la guerra mondiale» 2 6 . Non è possibile provare che Heidegger abbia letto effettivamente i Protocolli. Ma che ne fosse a conoscenza ce lo conferma Karl Jaspers, secondo cui durante una discussione sulla perversa assurdità che erano i Protocolli dei Savi di Sion Heidegger avrebbe detto: «Esiste però un pericoloso collegamento internazionale tra gli ebrei» 2 7 . W. Benz, Was ist Antisemitismus?, cit., p. 74. J.S. Sammons (ed.), Die Protokolle der Weisen von Zion. Die Grundlage des modernen Antisemitismus - eine Fälschung, Wallstein Verlag, Göttingen 1998, p. 53. 27 K. Jaspers, Philosophische Autobiographie, Piper Verlag, München 1977, p. 101. 25
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Eppure per farsi abbindolare dal falso dei Protocolli non era necessario nemmeno che Heidegger li avesse letti. Essi erano un elemento della propaganda nazionalsocialista. Hannah Arendt ha fatto riferimento in questo contesto a un libro di Alexander Stein dell'anno 1936 intitolato A dolf / htler, Schiller der Weisen von Zior?%. In ogni caso anche nel discorso di Hitler del 30 gennaio 1939 risuona un'allusione a questo tipo di antisemitismo: « S e il giudaismo della finanza internazionale, in Europa o altrove, riuscisse ancora una volta a gettare i popoli in una guerra mondiale, il risultato non sarà la bolscevizzazione della terra e la vittoria del giudaismo, ma l'annientamento della razza ebraica in Europa» 2 9 . Si può considerare questo discorso come il primo annuncio delle azioni di sterminio da parte dei gruppi operativi della polizia di sicurezza e dei servizi segreti (SD) che ebbero inizio con l'invasione della Polonia nel 1939. Heidegger seguiva i discorsi di Hitler e avrà sicuramente sentito quest'esternazione sul «giudaismo della finanza internazionale». Il suo spirito o demone parla a partire dai Protocolli dei savi di Sion. In tal modo si chiarifica il contesto nel quale e dal quale Heidegger parla dell'ebraismo mondiale «ovunque inafferrabile». L'ebraismo mondiale è diventato una potenza che agisce sul piano internazionale e che muove le sue pedine (Inghilterra, USA, Unione Sovietica) rimanendo invisibile. Allo stesso tempo evidentemente Heidegger riconosce in esso un nemico del popolo tedesco. Altrimenti non si spiegherebbe perché egli costruisca un'opposi-
28 A. Stein, Adolf Hitler „Schüler der Weisen von Zion", Verlagsanstalt „Graphia", Karlsbad 1936. 29 M. Domarus, Hitler. Reden und Proklamationen 1932-1945, voi. 2.1 Hntergang 1939-1940, Siiddeutscher Verlag, Miinchen 1965, p. 1328.
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zione: «contro il quale non ci rimane altra cosa che sacrificare il miglior sangue dei migliori del nostro popolo». (Un'annotazione per quei critici che rifiutano il nesso con i Protocolli perché la loro lettura da parte di Heidegger non potrebbe essere provata. Io ritengo che questo sia irrilevante. Non solo chi aveva effettivamente letto il Mein Kampf di Hitler ne subiva l'influenza. Si poteva infatti essere nazionalsocialisti senza aver mai letto questo libro. Ma se vogliamo lavorare filologicamente, allora posso segnalare che Heidegger conosceva bene non solo i discorsi di Hitler ma anche il Mein Kampf. E stato storicamente provato che i Protocolli hanno influito su questo libro e che Hitler li esalta in modo palese - sebbene non si possa provare che Hitler avesse letto effettivamente i Protocolli, dal momento che non abbiamo alcun esemplare contenente sue note e osservazioni a margine manoscritte).
3.
Conclusione
S'annuncia qui un pensiero che poi Heidegger riprenderà dopo la guerra. L'ebraismo mondiale è diventato un nemico che i tedeschi dovevano sconfiggere, prima militarmente e poi anche economicamente. E qui incontriamo l'ultima forma dell'antisemitismo ontostorico. Essa si collega al progetto filosofico di Heidegger tra gli anni 1932 e 1945. In un'annotazione del 1947/48 il filosofo s'adegua criticamente all'usanza del tempo di rimarcare le date "1933" e "1945". Egli ritiene che questo sia un'espressione del "pensiero calcolante" della scienza. E aggiunge che forse «calcolare in tal modo e considerare la storia solo come storiografia» sarebbe «assolutamente erroneo, sebbene tutto il mondo europeo moderno tratti
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proprio così, calcolando, la Germania». Ma i tedeschi non si sarebbero ancora accorti di «che cosa sta succedendo e che questo calcolare non è ancora arrivato al conto finale». Rimarrebbe «ancora il compito di sterminare i tedeschi spiritualmente e storicamente»™. Un antico spirito di vendetta s'aggirerebbe per la terra. L a storia spirituale di questa vendetta non verrà mai scritta: questo lo impedirebbe la stessa vendetta. Essa non raggiungerebbe nemmeno l'immaginazione pubblica, perché la dimensione pubblica sarebbe già «la stessa vendetta». L o «spirito della vendetta»: allusione a Nietzsche, secondo il quale gli ebrei «avrebbero ricevuto la loro soddisfazione solo grazie a un atto della più spirituale vendetta» contro la superiorità dei migliori 31 . Certo, le affermazioni sul "calcolare" e sul "conto finale" possono ritenersi riferite all'ebraismo solo mediante un'interpretazione specifica. N e sono conscio. Ritengo però che quest'interpretazione sia possibile soprattutto nel contesto che ho appena provato a presentare. L o «sterminio spirituale e storico dei tedeschi» segna la fine di un pensiero ontostorico che si era appellato al ruolo privilegiato dei tedeschi nel rapporto con gli antichi greci. Heidegger porta il lutto per un tedesco «tradimento del pensiero» che egli riconosce anché nella propria interdizione all'insegnamento. L a colpa più grande non è il crimine contro gli ebrei, bensì la resa dei tedeschi come conseguenza della sconfitta militare. Questa resa non era affatto, agli occhi del filosofo, una confutazione di Hölderlin; una frase come «solo il tedesco può dire l'essere in maniera originariamente nuova 30 Martin Heidegger, Anmerkungen I-V, GA 97, Klostermann, Frankfurt a.M. (pubblicazione prevista per la fine del 2014). 31 Friedrich Nietzsche, Zur Genealogie der Moral. Ein Streitschrift (KSA5), De Gruyter/Dtv, New York-Berlin-München 1980, p. 267.
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nella poesia» 3 2 era per Heidegger ancora vera. E infatti la Germania di Heidegger, il quale aveva provato a pensarla come «il popolo di Hölderlin», secondo una famosa espressione di Norbert von Hellingrath 3 3 , aveva ben poco a che fare con la Germania di Hitler. Eppure Heidegger non si rendeva conto che proprio questo popolo era coinvolto, o s'era lasciato coinvolgere, in un crimine orrendo contro l'umanità. N o n c'è nessun documento, nemmeno privato, nel quale Heidegger parli apertamente dell'eliminazione degli ebrei europei. Piuttosto l'ha messa in conto contro lo «sterminio spirituale e storico dei tedeschi». Non ha potuto o voluto nominare il motivo della "vendetta": un silenzio che dopo i passi discussi sull'antisemitismo ontostorico è diventato ancora più assordante, un silenzio fragoroso che rimarrà a lungo nelle nostre orecchie. L a domanda circa le intenzioni della filosofia di Heidegger tra il 1933 e il 1945 può infine essere acutizzata. Gli attributi assegnati da Heidegger all'ebraismo mondiale — l'assenza di mondo come «spaesatezza» a causa della diaspora, la «spiccata disposizione al calcolo» come risorsa centrale della «macchinazione» e quindi della tecnica e scienza moderne, la rappresentazione del «principio di distruzione» nell'interpretazione dello spirito come epifenomeno della materia e cioè dei rapporti economici - contrassegnano caratteristiche cenJ trali del mondo moderno. L'"essere-nel-mondo" moderno consiste sostanzialmente in un'incrementata mobilità (sino alla disponibilità professionale a essere impiegati globalmente), nell'affermazione incondizionata 32 M. Heidegger, Überlegungen II-VI (Schwarze Hefte 19311938), GA94, cit.,p. 31. 33 N. von Hellingrath, Hölderlin, Hugo Bruckmann Verlag, München 1921, pp. 13-47.
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del ruolo costitutivo delle (sempre) nuove tecnologie, così come nell'accettazione dell'economia come prima istanza organizzativa della società e della politica. Nell'antisemitismo ontostorico di Heidegger si manifesta quindi l'intenzione filosofica di frenare una modernità che sempre più si perde nella tecnica, nella scienza e nel capitale (peraltro su questo punto un tale antisemitismo "spirituale" esercita ancora una certa attrazione sui "critici della cultura"). Lasciando da parte il banale accostamento di vacui stereotipi, nell'antisemitismo ontostorico di Heidegger si palesa una debolezza: il non poter pensare l'epoca della globalizzazione, che in realtà è relazionata allo sviluppo della tecnica e ai processi economici, se non come una violazione invasiva dall'esterno. Per Heidegger la dimensione interna e intima, la terra natia, la sua poesia, la sua provenienza non hanno nulla a che fare con ciò che s'impone con la "macchinazione". Come i tedeschi incarnavano questa dimensione intima, così nella topografia della storia dell'essere c'erano gli ebrei che rappresentavano l'esterno. I nazionalsocialisti, nella loro deformazione della dimensione interna e intima, non erano forse epigoni degli ebrei? L'attribuzione della tecnica e del calcolo a una figura della storia dell'essere può solo essere considerata un errore. Tecnica, scienza e capitale hanno un significato universale perché sorgono dall'interno della terra natia, in ogni terra natia. Traduzione di Giovanni Jan
Giubilato
HEIDEGGER E I QUADERNI NERI LA RINASCITA DELLA CONTROVERSIA NAZIONALSOCIALISTA1 Jesús Adrian 1.
Escudero
Introduzione
Il silenzio di Heidegger dopo la scoperta degli orrori del nazismo è notorio. Attualmente ci s'interroga ancora sulle ragioni ultime che lo portarono a simpatizzare con il movimento nazionalsocialista. Heidegger comunque non è stato in silenzio. Un numero importante di documenti - alcuni pubblicati di recente - mostrano con chiarezza la sua opinione personale e politica. In essi ammette che appoggiò il partito nazi, che sbagliò, che commise errori e che non fu in grado di prevedere ciò che sarebbe successo dopo aver lasciato l'incarico di rettore dell'università di Freiburg nell'anno 1934. Però s'affretta anche ad aggiungere delle scuse e a minimizzare il grado del suo coinvolgimento. Per fortuna la recente edizione dei suoi diari filosofici nella primavera del 2014 - conosciuti nell'ambito degli studi heideggeriani come Quaderni neri (Schwarze Hefie) - permettono ora di gettare nuova luce sul livello del suo impegno con il nazionalsocialismo e valutare nuovamente la dimensione politica del suo pensiero2. 1 Questo lavoro è stato realizzato nel contesto di una Senior Fellowship concessa dalla Fondazione Humboldt e del progetto di ricerca finanziato dal Ministero dell'Istruzione, della Cultura e dello Sport con numero di riferimento FFI2013-44418-P. 2 Arriverà il giorno in cui si saprà ogni cosa che Heidegger ha scritto e ha detto, in cui si conoscerà ogni aspetto e ogni dettaglio della sua vita. Giunto questo momento, chissà, sarà possibile stabilire
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Senza dubbio la pubblicazione dei primi tre volumi dei Quaderni neri ha acceso nuovamente la polemica. La controversia è iniziata addirittura prima della pubblicazione di questi quaderni. La circolazione di alcuni estratti del libro ha dato adito a un'acida discussione in diverse riviste tedesche, francesi e italiane tra difensori e detrattori del pensiero e della figura di Heidegger3. E indiscutibile che i Quaderni neri contengano alcune affermazioni polemiche e ambivalenti sul tema dell'ebraismo e degli ebrei. Un fatto che ha risvegliato la spinosa questione dell'antisemitismo e riaperto il caso Heidegger. Di fronte all'abbondanza di materiali e documenti disponibili attualmente bisogna comunque essere prudenti e cauti al momento di affrontare nuovamente la questione Heidegger, la politica e l'antisemitismo. Più una nuova relazione con l'eredità filosofica che ci ha lasciato, liberata dal vaglio politico e dalla ricerca costante di tracce nazionalsocialiste nel suo pensiero (cfr. Miguel de Bistegui, Heidegger and Politics Dystopias, Routledge, London-New York 1998, pp. 3-4). 3 Al riguardo si vedano le parole di Eric Aeschimann in «Le Nouvel Observateur», che commenta la polemica tra François Fédier, Hadrien France-Lanorad e Peter Trawny (7 dicembre 2013). Vale la pena ricordare anche le opinioni di Donatella di Cesare, vicepresidente della Heidegger Gesellschaft e membro della comunità ebraica di Roma, espresse sul quotidiano «La Repubblica» (18 dicembre 2013), i commenti di Jiirg Altweg sulla débâcle per la filosofia francese apparsi sulla «Frankfurter Allgermeine Zeitung» (13 dicembre 2013) e le repliche dell'editore tedesco dei Quaderni neri, Peter Trawny, pubblicate sulla rivista tedesca «Die Zeit-Online» (27 dicembre 2013). Per la controreplica del co-editore della Gesamtausgabe di Heidegger, Friedrich-Wilhelm von Herrmann, si veda il supplemento culturale del quotidiano «Avvenire» (17 giugno 2014). Altri interpreti tedeschi dell'opera di Heidegger - come il biografo Rüdiger Safranski e i professori Günther Figal e Klaus Held - hanno scritto e partecipato a programmi radiofonici e televisivi per discutere la questione. Anche la stampa internazionale ha preso parte al dibattito facendo ricorso a frasi e citazioni pubblicate già da tempo, nelle quali Heidegger esprime la sua posizione nei confronti del nazionalsocialismo e dell'ebraismo.
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che chiedere se Heidegger sia stato un nazi o un antisemita, ci sembra opportuno interrogarsi invece sul tipo di nazionalsocialismo che desiderava stabilire durante il periodo del rettorato. I suoi discorsi politici degli anni Trenta inoltre devono essere letti alla luce del contesto sociale e storico della Germania del tempo, caratterizzato dalla caduta della Repubblica di Weimar e dall'ascesa al potere del partito nazionalsocialista. Secondo Heidegger l'identità tedesca ha le sue basi nel radicamento al suolo della propria terra natia. A partire da questa idea di fondo, il presente lavoro affronta le seguenti quattro questioni. In primo luogo si spiega che cosa sono i Quaderni neri. In secondo luogo viene offerta una breve descrizione del cosiddetto caso Heidegger e una ricapitolazione dello stato attuale della ricerca sulla compromissione di Heidegger con il nazionalsocialismo. Poi vengono analizzati la funzione e il significato spirituale del radicamento al suolo (Bodenstàndigkeit), della terra natia (Heimat) e del popolo ( Volk) come elementi portanti dell'identità tedesca. Quest'analisi prende le mosse dall'influenza su Heidegger delle letture di Yorck, Spengler e altri rappresentanti del movimento conservatore della dèstra tedesca contrari alla repubblica di Weimar. Infine si dirime la spinosa questione dell'antisemitismo in Heidegger. 2. Che cosa sono i Quaderni neri? Intorno al 1930, quando inizia la nota svolta (Kehre), Heidegger incominciò a redigere dei testi che tentavano di chiarificare alcuni elementi centrali del suo pensiero più esoterico, in particolare gli esperimenti filosofici e concettuali intorno al pensiero dell'evento (Ereignis-denken) che inizia ad affiorare con i Contributi alla
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filosofia (1936/38). Suo fratello Fritz Heidegger aveva già fatto allusione a questi quaderni in una lettera del 1950 a Hugo Friedrich: «Heidegger è completamente se stesso nei manoscritti privati (non nelle lezioni e nelle conferenze); tali manoscritti si trovano qui quasi intatti, solo pochi sono stati trascritti. In essi appare quell'attitudine fondamentale che dovrebbe essere principio e fine di ogni filosofare; io da tempo la chiamo umiltà. Qui in questi manoscritti risiedono occulte le rarità e le delizie del pensare heideggeriano. Spero rimangano occulte per molto tempo» 4 . Heidegger stesso aveva disposto, con un gesto assai nietzscheano, che questi manoscritti rimanessero secretati per almeno cento anni, come s'apprende dalla testimonianza di suo figlio Hermann Heidegger: «Quando morirò, quello che dovrai fare sarà sigillare tutto ciò che lascio, legare il tutto e chiudere il tutto in un archivio per cent'anni. L'epoca non è ancora pronta per capirmi» 5 . Siamo a conoscenza delle riserve mostrate da Heidegger nei confronti di un progetto di Gesamtausgabe (Opere Complete). Ancora nel 1972 scriveva al suo editore Vittorio Klostermann: «Purtroppo non posso corrispondere al suo desiderio di pubblicare un'edizione integrale dei miei scritti»6. Tuttavia l'editore riesce a 4 Questa lettera si trova nell'Archivio dell'Università di Freiburg. Qui la citiamo da Angel Xolocotzi, Facetas heideggerianas, Los Libros de Homero, Città del Messico 2009, p. 66. 5 Intervista a Hermann Heidegger, citata in Angel Xolocotzi, Facetas heideggerianas, ibidem. 6 Ibidem. Per ulteriori dettagli sulla storia della Gesamtausgabe e degli sforzi per conservare i manoscritti quando si temeva di perderli alla fine della seconda guerra mondiale si veda il già citato libro di Xolocotzi (soprattutto le pp. 67-70). Heidegger presagiva il pericolo che incombeva sui suoi manoscritti per lo meno a partire dall'agosto del 1944. La sua preoccupazione farà sì che egli arrivi a nasconderli in una grotta lungo le rive del Danubio presso Beuron (si veda la lettera
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convincere Hermann Heidegger e a formare così un fronte comune. Alla fine, nel 1973, Heidegger accondiscende alla proposta di un'edizione integrale. I Quaderni neri, per desiderio dello stesso Heidegger, avrebbero dovuto essere pubblicati solo dopo i 102 volumi che compongono la Gesamtausgabe. Tuttavia questo desiderio non è stato rispettato alla lettera. Per far fronte al grande interesse generato da questi quaderni, nella scorsa primavera del 2014 sono stati pubblicati tre volumi dalla casa editrice Vittorio Klostermann. Ebbene, in che cosa consistono i Quaderni neri? Da molti anni ormai questi testi costituiscono uno dei miti intorno alla figura di Heidegger, uno dei segreti meglio custoditi neNArchivio Heidegger a Marbach. A giudizio dei pochi che hanno potuto consultarli, si tratta del concentrato della sua filosofia. Il co-editore della Gesamtausgabe e ultimo assistente di Martin Heidegger, FriedrichWilhelm von Herrmann, rivela l'importanza dei Quaderni neri nei seguenti termini: «Una cosa a parte sono i volumi 94-102 della quarta sezione. Questi volumi contengono i cosiddetti Quaderni neri e i Quaderni di lavoro, come li chiamava Heidegger. Iniziano con l'anno 1931, cioè proprio in concomitanza con l'inizio del pensiero della storia dell'essere e terminano con l'anno della sua morte. Questi Quaderni neri accompagnano tutto il suo cammino dal 1931 al 1967. In tal senso costituiscono un manoscritto vasto e unitario, nonostante siano appunti che iniziavano sempre di nuovo, ogni settimana, ogni
indirizzata a sua moglie del 15 aprile 1945 (Cfr. Martin Heidegger-Elfriede Petri, "Mein liebes Seelchen!" Briefe Martin Heideggers an seine Frau Elfriede, 1915-1970, Deutsche Verlags-Anstalt, München 2005). Per quanto ne sappiamo questo piano non si realizzò ed i manoscritti ritornarono a Meßkirch con Fritz Heidegger e infine furono depositati nel Literaturarchiv di Marbach.
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mese, ogni anno. [...] Ciò che abbiamo qui è un addensamento del pensiero. [...] Non è solo una diversa forma stilistica, vengono menzionate molte cose che così come le scrisse non le avrebbe mai scritte in nessun altro saggio, nemmeno in quelli grandi. Per tale ragione questi nove volumi sono di grande importanza»7. In definitiva i Quaderni neri sono composti da trentaquattro taccuini con la copertina incerata di colore nero, nei quali Heidegger annotava i suoi appunti tra gli anni 1931-1976.1 primi quattordici taccuini - quelli appena pubblicati - si intitolano Riflessioni (Überlegungen,) e comprendono gli anni tra il 1931 e il 19418. Gli altri venti stanno per essere pubblicati e sono suddivisi nel modo seguente: nove corrispondono alle Osservazioni (Anmerkungen), due ai Quattro Quaderni (Vier Hefte), altri due alle Vigilie (Vigilae), uno è il Notturno (Notturno), altri due sono i quaderni dei Cenni {Winke) e quattro quelli Provvisori (Vorläufiges). Negli ultimi anni sono comparsi altri due taccuini, Megiston (Megiston) e Parole fondamentali (Grundworte). Al momento non è prevista la pubblicazione di questi ultimi due nella Gesamtausgabe. A che cosa si deve il grande interesse per tali testi? Fino a poco tempo fa si pensava che i Quaderni neri fossero una specie di diario filosofico, un elenco pensante che ci offrirebbe la chiave di lettura dell'opera heideg7 Angel Xolocotzi, En torno a Heidegger. Diàlogo con FriedrichWilhelm von Hermann, in «Revista de Filosofia» 108, pp. 108 ss. Citato anche in Angel Xolocotzi, Facetas heideggerianas, cit., p. 61. 8 Cfr. Martin Heidegger, Überlegungen II-VI (Schwarze Hefte 1931-1938), G A 94, Klostermann, Frankfurt a.M. 2014; Martin Heidegger, Überlegungen VII-XI (Schwarze Hefte 1938/39), GA 95, Klostermann, Frankfurt a.M. 2014; e Martin Heidegger, Überlegungen XII-XV (Schwarze Hefte 1939-1941), G A 96, Klostermann, Frankfurt a.M. 2014.
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geriana. Ma Heidegger ci sorprende ancora una volta. Come lui stesso afferma, non si tratta né di aforismi, né di una qualche forma di letteratura sapienziale, ma di «celati avamposti - battute di caccia alla ricerca di un tentativo di una meditazione ancora indicibile per conquistare un cammino per il domandare nuovamente iniziale che, a differenza del pensiero metafisico, si chiama pensiero ontostorico»9. Le diverse rappresentazioni che incontriamo nella storia della metafisica sono irrilevanti. L'aspetto che qui risulta decisivo è come si pone la domanda dell'essere, non ciò che si dice su di esso. Nello scritto Retrospettiva sul cammino (1936/38) Heidegger menziona i suoi quaderni, soprattutto alle Riflessioni II, IV e V, ricordando che essi conservano «gli stati d'animo fondamentali del domandare e gli accenni agli orizzonti più estremi di ogni tentativo di pensiero»10. Il fatto di rimarcare «gli stati d'animo fondamentali del domandare» rinforza l'idea che queste riflessioni siano «tentativi di pensiero». In tal senso, l'editore dei Quaderni neri decide di collocare all'inizio del testo un'indicazione risalente probabilmente all'inizio degli anni Settanta in cui si afferma che i Quaderni neri «non sono appunti per un sistema pianificato, bensì fondamentalmente tentativi di un semplice nominare»1*. Continua a sorprendere il fatto che in ognuno di questi casi i Quaderni neri vengano considerati come semplici intenti, approssimazioni a un pensare più originario, tentativi di dire l'indicibile e di pensare l'impensato. Se ciò
9 Martin Heidegger, Überlegungen 1938/39), G A 95, cit., p. 274. 10 Martin Heidegger, „Rückblick auf (1936/38), G A 66, Klostermann, Frankfurt 11 Martin Heidegger, Überlegungen 1938/39), G A 95, cit., p. 1.
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den Weg", in Besinnung a.M. 1997, p. 426. VII-XI (Schwarze Hefte
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che risulta essere decisivo è «come si pone la domanda», e cioè come si porta al linguaggio il senso dell'essere, allora nei Quaderni neri incontriamo un nuovo stile di scrittura. Diversamente dalle lezioni, i libri, le conferenze, i trattati e i discorsi incontriamo qui uno stile peculiare che si avvicina molto a quello che potremmo chiamare un «diario del pensiero» {Denktagebuch). In generale troviamo riflessioni filosofiche mescolate con annotazioni su fatti dell'epoca. Così, in più di 1200 pagine, incontriamo indicazioni sulla direzione che ha preso la filosofia di Heidegger dopo Essere e tempo e precisazioni riguardo la sua seconda opera fondamentale, i Contributi alla filosofia. Ci sono anche opinioni sul periodo del rettorato a Freiburg e svariate riflessioni sui pericoli della recente meccanizzazione della vita quotidiana e il compimento della tecnica come espressione della volontà di potere, il cui «ultimo atto» avverrà quando «la terra stessa esploderà e l'umanità contemporanea scomparirà»12. Però assieme a queste interessanti osservazioni sul suo itinerario di pensiero e alla diagnosi del divenire della storia della metafisica risaltano alcuni giudizi contundenti sul nazionalsocialismo e, a partire dal 1938, alcuni commenti severi sull'ebraismo. 12 Martin Heidegger, Überlegungen XII-XV (,Schwarze Hefte 1939-1941), G A 96, cit., p. 238. A giudizio di Heidegger ciò non è una disgrazia, piuttosto l'occasione di una prima «purificazione dell'essere (Reinigung des Seins) dalle sue più profonde aberrazioni provocate dall'egemonia dell'ente» (ibidem). Heidegger si distanzia chiaramente dai principi di purificazione razziale del nazionalsocialismo. Però allo stesso tempo interpreta l'ebraismo mondiale (Weltjudentum) come la cuspide della manifestazione ontostorica del calcolo e della macchinazione (ivi, p. 46). Dev'essere chiaro che le affermazioni di Heidegger non sono da interpretarsi in senso politico. Si tratta piuttosto della sua particolare interpretazione filosofica della storia dell'essere. Detto altrimenti, l'ebraismo - come il bolscevismo, l'americanismo e il nazionalsocialismo - è un fenomeno ontostorico.
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Come ben osserva l'editore tedesco dei Quaderni, Peter Trawny, non c'è alcuna prova che Heidegger avesse letto i Protocolli dei Savi di Sion, con i quali si diffondeva la tesi del complotto mondiale ebraico13. Comunque alcuni discorsi di Hitler diffondevano gli stereotipi tipici di questi Protocolli, che vennero assimilati da Heidegger e connessi alla sua problematica filosofica in vari momenti della sua opera. Ci riferiamo all'associazione tra il calcolo, il modo di pensare dell'epoca contemporanea e la visione del mondo ebraica che, secondo Heidegger, s'identifica nello spirito del calcolo. In tal modo la critica della modernità si accompagna e si estende a quella dell'ebraismo. Nelle Riflessioni Vili Heidegger scrive: «Una delle figure più nascoste del mostruoso e chissà la più antica è quella della storicità del calcolo, la spinta e il miscuglio confuso nei quali si fonda la mancanza di mondo dell'ebraismo»14. E nelle Riflessioni XII a p. 24 sostiene che «l'attuale incremento del potere dell'ebraismo si fonda nel fatto che la metafisica occidentale, soprattutto nel suo sviluppo moderno, offre il punto di partenza che rende visibile una razionalità vuota e una capacità di calcolo che altrimenti rimarrebbero inavvertite» 15 . Affermazioni di questo tipo hanno ravvivato la questione dell'antisemitismo e riaperto il famoso" caso Heidegger. I primi tre volumi recentemente pubblicati dei Quaderni neri apportano elementi a sufficienza per poter distruggere l'immagine dello Heidegger apolitico e rurale, rinchiuso nella sua baita, disinteressato alla realtà sociopolitica del suo tempo. 13 Cfr. Peter Trawny, Heidegger und der Mythos der jüdischen Weltverschwörung, Klostermann, Frankfurt a.M. 2014, p. 23 ss. 14 Martin Heidegger, Überlegungen VII-XI (Schwarze Hefte 1938/39), G A 95, cit., p. 97. 15 Martin Heidegger, Überlegungen XII-XV (Schwarze Hefte 1939-1941), G A 96, cit., p. 46.
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3. Il caso Heidegger: le nuove prove e lo stato attuale della ricerca
documentali
La ricezione dell'opera di Heidegger ha mostrato profondi dubbi riguardo alla praticabilità politica del suo pensiero. Questi dubbi risalgono allo scandalo politico - il cosiddetto caso Heidegger - che sfociò nella pubblicazione dei lavori pionieristici di Derrida (1987), Farias (1987), Lyotard (1988) e Ott (1989) sulla compromissione di Heidegger con il nazionalsocialismo16. A questi primi lavori sulla dimensione politica dell'opera heideggeriana seguirono tra gli altri quelli di Nolte (1992), Pòggeler (1990), Rockmore (1991), Sluga (1993), Young (1997) e Wolin (1993)17. Alla luce di questo scandalo è divenuto definitivamente evidente che Heidegger non può essere letto allo stesso modo di prima e che i suoi legami con il nazionalsocialismo sono innegabili. Dall'altra parte abbiamo la storia ufficiale raccontata dallo stesso Heidegger in diversi momenti della sua vita: dal suo saggio retrospettivo intitolato II rettorato 1933/34: fatti e riflessioni e la sua lettera del 4 novembre 1945 diretta al Comitato di Epurazione dell'univer16 Cfr. rispettivamente Jacques Derrida, De l'esprit: Heidegger et la question, Editions Galilée, Paris 1987; Victor Farias, Heidegger et le nazisme, Editions Verdier, Paris 1987; Jean-François Lyotard, Heidegger et "les juifs", Débats, Paris 1988; Heinrich Ott, Martin Heidegger. Unterwegs zu seiner Biographie, Campus Verlag, Frankfurt a.M. 1989. 17 Cfr. rispettivamente E. Nolte, Heidegger. Politik und Geschichte im Leben undDenken, Propylaen, Berlin 1992; O. Pòggeler, Der Denkweg Marin Heideggers, Neske, Pfullingen 1990; T. Rockmore, On Heidegger's Nazism and Philosophy, University of California Press, Berkeley-Los Angeles 1991; H. Sluga, Heidegger's Crisis: Philosophy and Politics in Nazi Germany, Harvard University Press, Cambridge 1993; R. Wolin, The Heidegger Controversy. A Criticai Reader, MIT Press, Cambridge (CA) 1993; J. Young, Heidegger, Philosophy, Nazism, Cambridge University Press, Cambridge 1997.
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sità di Freiburg, sino alla sua famosa intervista con Der Spiegel nel 196618. A ciò si sommano la recente pubblicazione dei discorsi politici, atti accademici e interviste radiofoniche degli anni trenta nel volume 16 della Gesamtausgabe, il noto Discorso di rettorato, il controverso testo del 1933/34 sullo Stato, la storia e la natura e le riflessioni e i commenti sparsi sul popolo ebreo che incontriamo nei Contributi alla filosofia (1936/38)19. Inoltre disponiamo delle autorevoli opinioni di alcuni contemporanei di Heidegger, come Karl Löwith (1986), Hermann Mörchen (1981), Hans Jonas (2003), Karl Jaspers (1978) e Heinrich Petzet (1977)20. Dopo qualche anno di silenzio il caso Heidegger si ravviva con i libri di Farias (2009) e Feye (2005)21, i quali 18 Cfr. rispettivamente Martin Heidegger, „Das Rektorat 1933/34 Tatsachen und Gedenken (1945)", in Reden und andere Zeugnisse, G A 16, Klostermann, Frankfurt a.M. 2000, pp. 372-394; M. Heidegger, „Antrag auf die Wiedereinstellung in die Lehrtätigkeit - Reintegrierung (November 4, 1945)", ivi, pp. 397-404; M. Heidegger, „Spiegel-Gespräch mit Martin Heidegger (September 26, 1966)", ivi, pp. 652-683. 19 Cfr. rispettivamente Martin Heidegger, Reden und andere Zeugnisse, cit.; Martin Heidegger, „Die Selbstbehauptung der deutschen Universität (Mai 27, 1933)", ivi, pp. 107-117; Martin Heidegger, Über Wesen und Begriffe von Natur, Geschichte und Staat. Übung aus dem Wintersemester 1933/34, in A. Denker - H. Zaborowski (eds.), Heidegger und der Nationalsozialismus. Heidegger Jahrbuch 4 - Dokumente (53-88), Karl Alber, Freiburg i.B.-München 2009, pp. 53-88; M. Heidegger, Besinnung, cit. 20 Cfr. rispettivamente K. Löwith, Mein Leben in Deutschland vor und nach 1933, Metzler, Stuttgart 1986; H. Mörchen, Adorno und Heidegger. Untersuchung einer philosophischen Kommunikationsverweigerung, Klett-Cotta, Stuttgart 1981; H. Jonas, Erinnerungen, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 2003; K.Jaspers, Philosophische Autobiographie, Piper, München 1978; H. Petzet, Erinnerungen an Martin Heidegger, Neske, Pfullingen 1977. 21 Cfr. Victor Farias, Heidegger y el nazismo, Objeto Perdido, Palma de Mallorca 2009; E. Faye, Heidegger et l'introduction du nationalsocialisme dans laphilosophie, Albin Michel, Paris 2005.
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svelano nuovi documenti e scritti politici che dimostrerebbero il nazismo di Heidegger. E stato altresì pubblicato il volume coordinato da Tauereck (2008) che stabilisce una certa comunità di interessi tra Heidegger e il nazionalsocialismo22. Tuttavia questo tipo d'interpretazione estremamente politicizzata mostra alcuni errori di documentazione ed è assai unilaterale23, come hanno evidenziato gli studi di Denker e Zaborowski (2009), Grosser (2011), Xolocotzi (2013) e Zaborowski (2010)24. Nonostante l'ampio consenso esistente nell'ambito degli studi heideggeriani sull'affiliazione politica di Heidegger, il dibattito è ancora aperto, in special modo dopo la pubblicazione di nuovi documenti e discorsi politici conservati nell'Archivio Heidegger e naturalmente dopo la recente pubblicazione dei Quaderni neri. Questi quaderni contengono informazioni biografiche e politiche decisive per quanto riguarda le turbolenze del periodo nazi. Tra le altre cose, risulta evidente che Heidegger rifiuta l'ideologia nazionalsocialista della dominazione razziale e biologica. I Quaderni neri ci fanno vedere come Heidegger provi a pensare filosoficamente alcune questioni affrontate anche dal nazionalsocialismo, in particolare la questione della definizione del popolo tedesco (Volk). Non si fa quasi menzione di 22 B. Taureck (ed.), Politische Unschuld? In Sachen Martin Heidegger, Wilhelm Fink, München 2008. 23 II caso più eclatante è quello di Julio Quesada (cfr. J. Quesada, Heidegger de camino al holocausto, Biblioteca Nueva, Madrid 2008) che ignora molti dei testi pubblicati nel volume 16 della Gesamtausgahe. 24 Cfr rispettivamente A. Denker - H. Zaborowski (eds.), Heidegger und der Nationalsozialismus. Heidegger-]ahrbuch 5 - Interpretationen, cit.; F. Grosser, Kevolutionen Denken. Heidegger und das Politische, Beck Verlag, München 2011; A. Xolocotzi, Heidegger y el nacionalsocialismo. Una crònica, Plaza y Valdés Editores, México, D.F. 2013; H. Zaborowski,"Eine Frage von Irre und Schuld?" Martin Heidegger und derNationalsozialismus, Fischer, Frankfurt a.M. 2010.
Scansione a cura di Natjus, Ladri di Biblioteche
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problematiche politiche concrete. Il suo interesse è di-\ retto al significato spirituale e simbolico più che agli effetti concreti della rivoluzione nazionalsocialista. Gli studi di Farias, Sheehan, Ott e altri hanno dimo-/ strato chiaramente le connessioni tra Heidegger e il na- \ zionalsocialismo. Però molte volte la discussione sulla postura politica di Heidegger cade in una concezione «storica del nazismo, per cui tende a considerarlo come male morale più che un complesso movimento politico, ideologico e sociale che sfociò in un olocausto senza paragoni nella storia moderna dell'Europa25. Il nazionalsocialismo non è qualcosa di monolitico ma un movimento - soprattutto nei suoi inizi - che aspira a una rivoluzione politica e sociale e che si trasformò drammaticamente in un regime di devastazione umana. Pertanto risulta necessario collocare i testi heideggeriani nel contesto della caduta della Repubblica di Weimar e dell'ascesa al potere del partito nazionalsocialista. Come mostrano alcune delle pubblicazioni più recenti, negli ultimi anni il tema della Repubblica di Weimar è tornato nuovamente in auge. Tra queste pubblicazioni s'impongono la classica trattazione da un punto di vista culturale di Gay (1968), la radiografia delle conseguenze economiche dopo il patto di Versailles di Ferguson (1975), l'analisi sociologica di Weitz (2007), lo studio giuridico della costituzione di Weimar offerto da Jelinek (2010), lo studio sociologico di Moller (2010) e la spiegazione storica di Jay (1994)26. Bisogna poi aggiun25 Cfr. Ch. Bambach, Heidegger's Roots. Nietzsche, National Socialism, and the Greeks, Cornell University Press, Ithaca-London 2003. 26 Cfr. rispettivamente P. Gay, Weimar Culture. The Outsider as Insider, Norton&Company, London-New York 1968; A. Fergusson, When Money Dies: The Nightmare of the Weimar Collapse, William Kimber, London 1975; D. Weitz, Weimar Germany. Promise and Tragedy, Princeton University Press, Cambridge 2007; W. Jelinek - O.
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gere gli studi sull'ideologia nazionalsocialista di Benz (1993) e le analisi storiche del contesto accademico dell'università tedesca degli anni trenta forniteci da Leaman (1993) e Martin (1991)27. In definitiva, da un lato, bisogna analizzare ciò che Heidegger ha detto - le sue riflessioni — e ciò che ha fatto - le sue azioni - durante il periodo del regime nazionalsocialista, dall'altro, bisogna anche capire in che modo questi fatti devono essere interpretati in relazione alla sua filosofia e al contesto storico. In altre parole, sia la "storia ufficiale" raccontata dallo stesso Heidegger sia il "caso Heidegger" devono essere integrati - e in parte corretti - sulla base delle ricerche d'archivio, documentali, storiche e filosofiche. A noi interessa una lettura delle riflessioni heideggeriane sull'ebraismo profondamente radicata nel contesto sociale e storico della Germania conservatrice, una Germania molto critica nei confronti della Repubblica di Weimar.
Buhler - C. Bornati, La constitución de Weimar, Tecnos, Madrid 2010; H. Möller, La República de Weimar. Una democracia inacabada, Antonio Machado Libros, Madrid 2010; M. Jay - A. Kaes (eds.), Weimar Republic Sourcebook, University oí California Press, Berkeley, Los Angeles and London 1994. 27 Cfr. rispettivamente W. Benz - H. Buchheim - H. Mommsen (eds.), Der Nationalsozialismus. Studien zur Ideologie und Herrschaft, Fischer, Frankfurt a.M. 1993; G. Leaman, Heidegger im Kontext. Gesamtüberblick zum NS-Engagement der Universitätsphilosophen, Argument Verlag, Berlin-Hamburg 1993; B. Martin - E.John - M. Mück - H. Ott (eds.), Die Freiburger Universität in der Zeit des Nationalsozialismus, Ploetz Verlag, Freiburg 1991.
Heidegger e i Quaderni neri 4. Che cos'è Radicamento 4.1 .Lapolitica
Germania? al suolo, terra natia e
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popolo
della terra
La particolare visione di Heidegger della storia dell'essere stabilisce una relazione privilegiata tra i greci e i tedeschi - e più concretamente tra i pensatori greci e i poeti tedeschi. Dal suo punto di vista l'identità tedesca si forgia linguisticamente, storicamente e culturalmente nella nozione di "terra natia" (Heimat o Heimatland). Lo spirito tedesco non si definisce a partire dal modello territoriale dello Stato-nazione quanto piuttosto nel radicamento che i tedeschi stabiliscono nei legami della loro comunità e della loro storia. Come è noto, Heidegger rifiutò con insistenza il biologismo e la retorica razzista dell'ideologia nazi. Apparentemente gli interessa di più pensare filosoficamente alcuni dei principali problemi del nazionalsocialismo, e in particolare che cosa significhi essere un popolo {Volk)2*. Qui il popolo non viene
28 Ovviamente la dimensione politica gioca un ruolo importante nel pensiero di Heidegger durante gli anni del rettorato. Nel 1933/34 lo Stato nazionalsocialista incarna per Heidegger la continuazione e realizzazione definitiva dello Stato prussiano. A suo giudizio Bismarck aveva commesso l'errore di non includere il proletariato nello Stato. Perciò il suo interesse per il nazionalsocialismo: "nazional-" è espressione dell'elemento popolare (völkisch), "socialismo" rinvia all'integrazione del lavoratore. In questo contesto Hider è il Führer, la persona che rappresenta e compie la volontà del popolo iyolkswillen). Nel 1933/34 il Führer e il Führerprinzip sono una presenza costante nella filosofia heideggeriana dello Stato. Però già nel 1934/35 si possono percepire sintomi di distanziamento e disillusione nei confronti del regime nazionalsocialista e un interesse crescente per la poesia di Hölderlin e la filosofia di Nietzsche. Per un'analisi dettagliata delle tappe del pensiero heideggeriano durante il regime nazionalsocialista si veda F. Grosser, Revolutionen denken. Heidegger und das Politische 1919 bis 1969, cit., pp. 66-98.
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pensato in termini razziali o biologici. Il popolo s'identifica con lo spirito di una nazione. Lo Stato - come segnala Heidegger - è il modo d'essere del popolo29. Heidegger è convinto che la filosofia nel suo senso originario possa compiersi solo dialogando con la politica. Però si tratta di una nozione assai particolare di "politica". Nel caso di Heidegger non si tratta tanto della politica in senso istituzionale, legale, socio-economico ma di una politica della terra, di una geo-politica o di una archi-politica30. Questa politica della terra rappresenta lo spazio storico e ontologico in cui YEsser-ci lotta per trovare il suo posto. Il suo senso d'essere si trova radicato nella comunità, nella tradizione, nella storia. La terra assume qui un senso ontologico31. Essa diventa lo spazio che permette il dispiegarsi delle possibilità umane basiche, vale a dire che essa è la matrice, quel -ci {Da) in cui e contro cui l'Esser-ci si auto-realizza come ente politico determinato. Nella misura in cui gli esseri 29 Si vedano al riguardo le interessanti osservazioni di Zoborowski sul tentativo heideggeriano di formulare un'ontologia del politico, una meta-politica a partire dalla concezione spirituale del popolo che non ha nulla a che vedere con criteri biologici o razziali (cfr. H. Zoborowski,"Eine Frage von Irre und Schuld?" Martin Heidegger und der Nationalsozialismus, cit., pp. 414-20). Si palesa qui l'influenza della Filosofia del diritto di Hegel, alla quale Heidegger dedicò varie sessioni nel semestre invernale del 1934/35 (cfr. M. Heidegger, Seminare Hegel-Schelling, G A 86, Klostermann, Frankfurt a.M. 2011, pp. 59-185). 30 Cfr. Ch. Bambach, Heidegger's Roots. Nietzsche, National Socialism, and the Greeks, cit., p. 14. 31 II concetto di "terra" impiegato ad esempio nel saggio L'origine dell'opera d'arte non rinvia ad una natura idealizzata e data prima dell'apparizione della cultura. La terra è piuttosto una dimensione dell'esistenza dell'individuo che si manifesta nel conflitto con la cultura e il mondo. La terra non è un fondamento stabile bensì lo spazio di realizzazione di possibilità creative dell'esistenza (cfr. M. Heidegger, Der Ursprung des Kunstwerkes, in Holzwege, G A 5, Klostermann, Frankfurt a.M. 1997, pp. 35 s.).
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umani abitano (sul)la terra, essi creano anche spazi i cui bordi non coincidono necessariamente con i limiti territoriali e/o geografici. La terra costituisce ciò che i greci chiamavano chton\ il luogo dove gli uomini dimorano e creano una terra natia {Heimatland)^2. Qual è il momento giusto per realizzare questo tipo di politica? I turbolenti anni della Repubblica di Weimar rappresentano l'opportunità sperata - non solo per Heidegger ma anche per gran parte del mondo accademico tedesco33. L'instabilità economica, la disgregazione della società e le agitazioni politiche del periodo di Weimar sembrano rappresentare l'occasione propizia (kairós) per liberare la filosofia dal cosmopolitismo, dal liberalismo e infine dalla mancanza di radicamento al suolo (Bodenlosigkeit) caratteristici della cultura urbana di Weimar. Per combattere questa carenza di radicamento Heidegger intende risalire alle radici profonde della Germania e della tradizione filosofica occidentale. Ciò spiega la stretta relazione che egli stabilisce tra i poeti tedeschi (Hölderlin, George, Trakl, Rilke) e i pensatori greci (Eraclito, Parmenide, Platone e Aristotele). Già nelle lezioni del semestre estivo del 1924 I concetti fondamentali della filosofia aristotelica Heidegger ricordava ai suoi studenti la necessità di recuperare il suolo che mantiene viva la scienza greca 34 . Ciò a cui Heidegger allude è il mantenersi al 32 Ciò si mostra chiaramente nelle interpretazioni del semestre invernale 1934/35 di alcuni inni di Hölderlin (cfr. Martin Hedegger, Hölderlins Hymnen "Germanien" und "Der Rhein", G A 39, Klostermann, Frankfurt a.M. 1999, pp. 176 ss.). 33 Per uno studio dettagliato delle relazioni dell'università di Freiburg con il nazionalsocialismo e in particolare con il rettorato di Heidegger si veda B. Martin, Universität im Umbruch: Das Rektorat Heidegger 1933/34, in B. Martin - E. John - M. Mück - H. Ott (eds.), Die Freiburger Universität in derZeit des Nationalsozialismus, cit., pp. 9-23. 34 Cfr. Martin Heidegger, Grundbegriffe der aristotelischen Philosophie, G A 18, Klostermann, Frankfurt a.M. 2002, pp. 36-37.
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suolo, la costanza/permanenza (Stàndigkeit) sulla terra (Boden). Questo ritorno alle origini tedesche della terra natia è una rivendicazione comune all'ala conservatrice del cosiddetto "movimento popolare" (Volkstum). Autori come il conte Paul Yorck von Wartenburg e Oswald Spengler sono due rappresentanti di tale movimento che hanno esercitato una forte influenza su Heidegger. 4.2. Yorck e il radicamento
nella propria terra natia
Gli anni 1924/25, in cui Heidegger si dedicava con grande sforzo all'interpretazione dei testi della filosofia pratica e politica di Aristotele, sono marcati altresì dall'attenta lettura della corrispondenza tra il conte Yorck e Wilhelm Dilthey pubblicata nel 1923. In queste lettere - che influiscono in maniera decisiva sul senso della storicità in Essere e tempo - Heidegger incontra un'importante fonte d'ispirazione per il suo concetto di "terra natia" (Heimatland). In molte di esse Yorck ritorna costantemente sul tema della mancanza di radicamento al suolo (Bodenlosigkeit) della Germania dell'epoca e difende un tipo di vita radicata nel suolo natio e nella tradizione storica. La permanenza nella propria terra natale costituisce un elemento primordiale di stabilità (Stàndigkeit), tanto dell'individuo quanto della comunità. Coloro che abbandonano il proprio suolo natale in favore del flusso di capitale e della vita urbana hanno perso i legami con la propria identità storica. Yorck segnala qui gli ebrei come esempio di questo tipo di vita governata dai soldi e dal lucro: «Gli ebrei, tutta questa tribù carente di ogni sentimento verso il suolo fisico e psichico»35. 35 Paul Yorck, Katharsis, in L. Grunder (ed.), Die Philosophie des Grafen Paul Yorck von Wartenburg, Vandenhoeck & Ruprecht, Gòttingen 1970, pp. 174-175.
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L'interesse dimostrato da Yorck per il luogo di nascita e per una vita stanziata nella terra natia ha una grande influenza sul pensiero di Heidegger. Riconfigurando l'identità tedesca nei termini di un radicamento autoctono al posto di criteri strettamente economici e territoriali, Yorck mette in evidenza una dimensione fondamentale dell'esistenza tedesca: lo stanziamento in una terra il cui senso autentico è storico più che topografico. L'idea di Yorck della terra natia e del paesaggio locale come forze che formano il destino storico tedesco offre a Heidegger un modello che gli permette di pensare la connessione tra il radicamento al suolo (Bodenstàndigkeit) e il destino comune, epocale (Geschick). Nei paragrafi 73-77 di Essere e tempo Heidegger riprende l'analisi di Yorck e sviluppa una particolare lettura del destino dell'esistenza umana: l'Esser-ci in quanto determinato dalla cura {Sorge) non esiste mai in maniera isolata e scissa dall'eredità della sua tradizione. La lettura di Yorck consente a Heidegger di riconcettualizzare il ruolo costitutivo della tradizione e del radicamento al suolo della propria terra natia come due elementi fondamentali che determinano l'esistenza individuale« collettiva. Quest'esistenza - tanto degli individui come delle comunità - è qualcosa di dinamico, sottomesso' a un costante processo di revisione e reinterpretazione. Yorck sottolinea la necessità di comprendere l'Esser-ci non come un soggetto isolato, monadico e borghese, ma come un ente il cui essere è costituito dalla sua generazione. Ciò significa che il destino individuale CSchicksal) è strettamente legato al destino collettivo del popolo {Volksgeschick) a cui appartiene. Il destino collettivo, il Ge-schick, non è qualcosa di pre-dato. Si tratta piuttosto di una ricerca comune (Ge-) delle possibilità storiche che la tradizione invia (schicken) a una comunità; possibilità che in ogni caso devono essere realizzate
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e appropriate attraverso un confronto con le loro radici storiche. ! A giudizio di Heidegger il radicamento è legato alla / storicità. L'Esser-ci - inteso come popolo - diventa ciò che è (tedesco) solo attraverso la lotta e lo sforzo per recuperare le proprie radici nella storia, nel linguaggio e \ nella terra natia. Tuttavia durante gli anni Venti e il periodo della Repubblica di Weimar Heidegger non affronta mai esplicitamente la questione di che cosa significhi essere tedesco. Ciò avverrà solo durante la fase euforica del nazionalsocialismo nel 1933, quando Heidegger mostra un interesse crescente per la questione del radicamento al suolo del popolo (völkische Bodenständigkeit) dialogando apertamente con la politica della rivoluzione conservatrice36. L'irruzione nazionalso-
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36 Ferdinand Tönnies è uno dei principali rappresentanti di questo movimento popolare (völkisch). A suo dire l'Occidente si definisce secondo due diversi tipi di organizzazione sociale: la società (Gesellschaft) e la comunità (Gemeinschaft). La prima è un'associazione artificiale basata nell'idea del libero contratto tra individui motivati dall'interesse, mentre la seconda è caratterizzata da legami familiari e di sangue, dal compartire un luogo e una terra comuni e infine dall'avere lo stesso spirito popolare. Le società sono governate dal calcolo, dalla cupidigia, dal potere, dall'ambizione e la vanità, dal vantaggio, dalla mancanza di spirito e dallo sfruttamento della natura e degli individui. Le comunità invece sono mosse dalla passione, dalla sensualità, dal coraggio, dalla pietà, dall'immaginazione, dal rispetto della natura e dalla permanenza nella terra natia. Tönnies afferma che «nel corso della storia la cultura del popolo (Kultur des Volkstum) si è trasformata in una civilizzazione statale (Zivilisation des Staatstum)» (F. Tönnies, Gemeinschaft und Gesellschaft, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1963, p. 251). In Spengler troviamo un'elaborazione ancora più profonda della tesi di Tönnies sulla decadenza della cultura e i pericoli della civilizzazione. Heidegger entrò in contatto con i temi della "comunità", del "popolo" e della "cultura" propri di Tönnies attraverso la lettura del libro di Spengler II tramonto dell'Occidente, lettura a cui dedicò alcuni corsi durante i primi anni a Freiburg all'inizio degli anni Venti.
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cialista del 1933 offrì poi a Heidegger quella che Machiavelli chiama l'occasione', l'occasione politica, il momento kairologico, l'istante opportuno per il popolo tedesco e il ruolo predominante del suo Führer. Oltre gli scritti, i manifesti e le parole di Heidegger, oltre la sue intenzioni politiche, bisogna soprattutto comprendere la sua postura politica nel contesto del conservatorismo accademico dell'epoca e dei suoi propositi, uno dei quali consisteva nel ristabilire le radici storiche del popolo tedesco. 4.3. La questione
tedesca
Affermando che Heidegger elabora i concetti di "terra natia", "comunità" e "popolo" a partire dalle letture di Yorck e Spengler non stiamo affatto insinuando che l'uso di tale terminologia possa spiegare di per sé la sua vicinanza al nazismo. Ma è pur vero che essa spiana e facilita un'interpretazione positiva del movimento nazionalsocialista. E nostra opinione che l'uso di tali termini, nel contesto intellettuale dell'epoca, non sia fortuito. Questo sfondo ideologico impensato viene mobilitato facilmente nel momento in cui si vuole definire la "germanicità" (Deutschtum), rivendicare i, legami di sangue, difendere l'appartenenza a uno stesso suolo e invocare il sacrificio, il patriottismo e il nazionalismo. Alla fine degli anni Venti troviamo in Max Müller e Hans Jonas delle testimonianze che confermano l'inclinazione heideggeriana al movimento tedesco del Volkstum e le sue simpatie per l'ideologia del «sangue e suolo» (Blut und Boden). Max Müller descrive lo Heidegger del 1928/29 come segue: «Heidegger trattava i suoi studenti con uno stile completamente diverso da quello degli altri professori. Facevamo molte escursioni. Naturalmente la relazione con il popolo {Volk), la natura e il
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movimento studentesco erano un tema di conversazione ricorrente. La parola "völkisch" gli era molto cara, sebbene non l'abbia mai relazionata ad alcun partito politico»37. E Hans Jonas ci offre il seguente racconto: «In Heidegger era sempre presente un certo punto di vista segnato dall'idea del "sangue e suolo". Le sue origini nella Foresta Nera avevano per lui grande importanza. Ciò non è dovuto solamente al fatto che amava lo sci e le montagne, aveva anche a che fare - in qualche modo - con la sua posizione ideologica: bisognava rimanere vicino alla natura. Alcune delle sue osservazioni mostravano una sorta di nazionalismo primitivo»38. Heidegger era realmente convinto della necessità di un cambio profondo e duraturo della realtà tedesca quando, nella primavera del 1933, scrisse una lettera a Elisabeth Blochmann che, con un linguaggio rivoluzionario, segna il momento decisivo del suo ingresso nel regno della politica. «Secondo me la situazione attuale richiede di agire al servizio di un gran compito e di partecipare alla costruzione di un mondo fondato sul popolo. Questo compito lo possiamo scoprire, come anche la vocazione dei tedeschi, nella storia dell'Occidente, però solo esponendo noi stessi a essa e facendola nostra in un modo nuovo. E giunto il tempo per un primo risveglio»39. La diagnosi heideggeriana della società tedesca a lui contemporanea si conclude con un invito a un cambio, a una trasformazione che deve portare alla riforma 37 Max Müller, Martin Heidegger. Ein Philosoph und die Politik, in «Freiburger Universitätsblätter», 1986, p. 18. 38 Hans Jonas, "Heidegger's Resoluteness", in G. Neske - E. Kettering (eds.), Martin Heidegger and National Socialism, Continuum, London 1990, p. 200. 39 Martin Heidegger - Elisabeth Blochmann, Briefwechsel 19181969, Deutsche Schillergesellschaft, Marbach 1990, p. 60.
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dell'università. Questo è uno degli annunci del Discorso di rettorato. Proclami simili vennero fatti anche da altri rettori di università tedesche dell'epoca, per esempio Hans Heyse, rettore dell'università di Königsberg e Ernst Krieck di quella di Frankfurt. Heyse, Krieck e Bäumler, tra i tanti, erano convinti che la trasformazione della società tedesca passasse attraverso una riforma universitaria e un ritorno alla cultura greca. Una riforma condita con un'intensa retorica patriottica, marziale, nazionale ed eroica; una riforma che invoca la durezza e la severità. In questo contesto Heidegger vede se stesso come un filosofo di transizione in un tempo di transizione che affronta eroicamente i pericoli che incombono sull'università e in conclusione sulla Germania intera, in un'epoca dominata dal nichilismo. Qui si possono rintracciare evidentemente suggestioni che risalgono a Ernst Jünger e Friedrich Nietzsche. Entrambi hanno aiutato Heidegger a comprendere le profonde implicazioni metafisiche del suo tempo. A partire dalle letture di Jünger e Nietzsche, iniziate al principio degli anni trenta, Heidegger inizia a rendersi conto che la macchinazione e il nichilismo sono le forze che animano il destino dell'Occidente. Le cause politiche e metafisiche del nichilismo sono la volontà di potenza e la mancanza di radicamento al suolo del mondo moderno. Heidegger intende scuotere le coscienze assopite dei suoi contemporanei con una rivelazione ( O f fenbarung), una rivelazione che consiste in un salto (Sprung) verso l'origine {Ursprung). Al centro del crescente interesse che Heidegger inizia a mostrare per Jünger, Nietzsche, George e Hölderlin si trova una domanda fondamentale: «Che cos'è Germania?». Il destino della Germania può compiersi in tre modi diversi:
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- Come suggerito da Jünger, il quale racconta una Germania del «lavoratore» nel contesto di un nuovo nazionalismo dalle tinte socialiste e militari. - Con lo stile del nazionalsocialismo, che concepisce una «Germania sottomessa al Führerprinzip e alla teoria razziale». - Come diagnostica Stefan George, il quale poetizza l'idea di Hölderlin di una «Germania intesa come patria e terra natia». La patria tedesca (deutsches Vaterland) è l'origine silenziosa e occulta che ancora attende d'essere scoperta nel momento adeguato. Ritroviamo quindi l'elaborazione del mito della terra natia (Heimatland) che risponde a una struttura del tempo chiaramente kairologica. I Quaderni neri incominciano proprio con un'osservazione sull'essenza dei tedeschi: «Essere tedesco: il peso più intimo nella storia dell'Occidente, al quale siamo gettati e che dobbiamo caricarci sulle spalle»40. Una delle questioni centrali che sostiene molte delle riflessioni heideggeriane contenute nei Quaderni neri è: «Noi chi siamo?». Qui avviene il passaggio dalla Jeweiligkeit, l'essere-sempre-mio proprio dell'Esser-ci analizzato in Essere e tempo, alla Jeunsrigkeit del secondo Heidegger, l'essere-sempre-nostro. Ciò comporta anche un passaggio dal destino individuale al destino collettivo della nazione tedesca. Lasciando da parte i legittimi giudizi morali e politici che si possono formulare contro la compromissione di Heidegger con il nazionalsocialismo, riteniamo che questo sia il contesto in cui devono essere interpretati filosoficamente i passi sull'ebraismo che, come è noto, s'integrano alla sua critica della modernità e ai suoi reiterati attacchi all'americanismo e al bolscevismo. 40
Martin Heidegger, Überlegungen VII-XI, G A 9 5 , cit.,p. 1.
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Riprendendo la relazione stabilita da Hölderlin fra tedeschi e greci, Heidegger trova una fonte d'ispirazione per il suo ideale d'una terra natia tedesca. I tedeschi — come scrive a Schwoerer per raccomandare uno dei suoi studenti - devono riaffermare la loro eredità o soffrire il destino d'una «crescente ebraizzazione» (Verjudung)41. La lettera a Schwoerer si conclude con l'identificazione della differenza tra tedeschi ed ebrei nel linguaggio della terra natia. I tedeschi sono profondamente radicati nella loro terra natia, nel suolo patrio ( Vaterland), mentre gli ebrei sono un popolo segnato dalla diaspora, dalla migrazione, dall'esodo - cioè dalla mancanza di radicamento al suolo. La forma di vita urbana e sradicata degli ebrei può arrivare a essere un pericolo per la comunità del popolo {Volksgemeinschaft). Dal punto di vista di Heidegger, secondo il quale l'essere autoctono si fonda nel radicamento al suolo della terra natia, gli ebrei sono un popolo sradicato. Come commenta Derrida, l'unica forma di radicamento che conoscono gli ebrei è quella della parola e della scrittura42. Pertanto non ci deve sorprendere che nel 1933 Heidegger menzioni a Jaspers la «pericolosa rete internazionale degli ebrei» 43 o che nei Contributi alla filosofia dichiari che «il bolscevismo è ebreo» 44 . Bisogna comunque 41 Cfr. U. Sieg, Die Verjudung des deutschen Geistes. Ein unbekannter Brief Heideggers, in «Die Zeit», 5 2 , 2 2 dicembre 1989. 42 Cfr. Jacques Derrida, Edmond Jabés and the Question of the Book (1981), in Writing and Difference, Roudedge, London-New York 2002. 43 Karl Jaspers, Philosophische Autobiographie, Piper, München 1977, p. 101. 44 Martin Heidegger, Beiträge zur Philosophie. Vom Ereignis, G A 65, Klostermann, Frankfurt a.M. 1979, p. 54, trad. it. a cura di F. Volpi, Contributi alla filosofia, Adelphi, Milano 2007, p. 79. Però ciò non significa sterminare gli ebrei. Heidegger rifiuta l'idea di un dominio della razza e del controllo politico di essa (cfr. ivi, p. 397).
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procedere con cautela nel momento in cui si passa a decifrare il senso di queste affermazioni heideggeriane. Heidegger non è un tipico antisemita razzista. In molte occasioni ha rigettato il razzismo biologico45. 5. Antisemitismo
o
antigiudaismo?
Nell'ambito della discussione sul rapporto di Heidegger con il nazionalsocialismo s'affronta ogni volta la questione se Heidegger sia stato antisemita o se nella sua opera filosofica siano presenti tendenze antisemite. Non è facile dare un risposta a queste domande, anche per il tipo di implicazioni politiche e morali che esse comportano. Evidentemente non si può rispondere con un semplice sì o no. Per poter rispondere alla domanda se Heidegger o la sua opera siano antisemiti bisogna aver ben chiaro che cos'è l'antisemitismo e che cosa si intende per antigiudaismo46. Bisogna conoscere bene le differenze tra questi due fenomeni per non cadere in giudizi affrettati. Si parla infatti di antigiudaismo di ordine religioso e culturale e di antisemitismo di ordine biologico e razzista. 45 Cfr. R. Polt, Jenseits von Kampf und Macht. Heideggers heimlicher Widerstand, in A. Denker - H. Zaborowski (eds.), Heidegger Jahrbuch 5-Interpretationen, cit.,pp. 1 5 6 , 1 5 9 , 1 6 9 e 171. 46 Referenza obbligata per una storia dell'antisemitismo è il lavoro di W. Benz, Was ist Antisemitismus?, Beck, München 2004, pp. 926. Altrettanto interessanti sono gli studi di W. Benz - W. Bergmann (eds.), Vorurteil und Völkermord. Entwicklungslinien des Antisemitismus, Herder, Freiburg 1997; J. Schoeps - J. Schlör (eds.), Antisemitismus. Vorurteile und Mythen. Piper, München-Zürich 1995; D. Claussen, Vom Judenhass zum Antisemitismus. Materialen einer verleugneten Geschichte, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1987. Infine si veda anche l'istruttiva storia concettuale del termine contenuta alla voce "antisemitismo" in C. Schmitz-Berning, Vokabular des Nationalsozialismus, De Gruyter, Berlin 2000, pp. 34-39.
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Bisogna distinguere da una parte una tradizione (risalente al I secolo d.C.) ostile agli ebrei in quanto membri di una comunità religiosa e dall'altra un movimento politico e sociale che rifiuta e discrimina la "razza ebrea". In ogni caso qui non si tratta di minimizzare le colpe di Heidegger. E difficile trovare le parole giuste per descrivere i fatti accaduti, specialmente quando ci si riferisce all'antisemitismo nazionalsocialista e all'olocausto. Altrettanto difficile è distinguere chiaramente tra antisemitismo e antigiudaismo. Non è possibile capire l'uno senza l'altro; i confini tra questi due fenomeni sono fluttuanti. Ma davvero è possibile fare una distinzione chiara tra due diversi tipi di ostilità nei confronti degli ebrei? Non sarebbe questa la scusa dell'antigiudaismo, a differenza dell'antisemitismo e della sua ricerca d'una "soluzione finale" alla questione ebraica? Nonostante le difficoltà implicite nella differenziazione tra anti-giudaismo e anti-semitismo, e ben consci delle precauzioni necessarie per fare queste distinzioni, non si può perdere di vista il fatto che sono esistite ed esistono alcune differenze di peso tra: a) un pregiudizio ideologico, condizionato da motivi culturali e religiosi, contro gli ebrei e b) il proposito, giustificato in maniera pseudo-scientifica, di sterminare tutta la "razza ebrea". Come sottolinea Zoborowski, anche a prescindere dalla distinzione tra antigiudaismo e antisemitismo, sotto il concetto più generale di "antisemitismo" saremmo comunque obbligati a differenziare vari tipi di antisemitismo - almeno per quanto riguarda la posizione sociale degli ebrei e l'uso della violenza contro essi47. Quando si discute sulla relazione di Heidegger con gli ebrei bisogna prendere in considerazione tutte le differenzia47 Cfr. Holger Zaborowski, "Eine Frage voti Irre und Schuld?" Martin Heidegger undderNationalsozialismus, cit., pp. 603-604.
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zioni e sfaccettature che il termine "antisemitismo" comporta. Non possiamo limitarci solamente ad alcune fonti48. Il cammino di pensiero e la vita di Heidegger devono anch'essi essere presi in considerazione a partire dal loro particolare contesto storico. A mio giudizio è necessario distinguere nettamente tra antisemitismo, inteso come ostilità razziale e biologica contro gli ebrei, e antigiudaismo, il riflesso d'una lunga tradizione europea ostile al popolo ebraico e alla sua religione. Sulla base delle prove documentali risulta difficile parlare di antisemitismo sistematico nell'opera di Heidegger 49 . Ciò che si può trovare invece sono le tracce profonde di un antisemitismo spirituale e culturale, particolarmente diffuso nelle sfere accademiche e universitarie dell'epoca. Senza dubbio il rapporto di Heidegger con l'ebraismo è altamente problematico e 48 Nella sua opera, e in particolare nei molti volumi che compongono la Gesamtausgabe, non c'è alcun antisemitismo sistematico che consenta quindi di parlare di un antisemitismo filosofico o, come afferma Faye, di un'introduzione del nazismo nella filosofia. Una cosa diversa è valutare le affermazioni heideggeriane sull'ebraismo dal punto di vista del suo progetto filosofico. Un tale lavoro può certamente essere realizzato contemporaneamente all'analisi dell'attitudine personale e politica di Heidegger e delle sue simpatie per certi aspetti dell'ideologia nazionalsocialista. Al riguardo si veda lo studio di Roubach sulla ricezione dell'opera heideggeriana in Israele (cfr. M. Roubach, Die Rezeption Heideggers in Israel, in A. Denker - H. Zaborowski (eds.). Heidegger-Jahrbuch Heidegger undder Nationalsozialismus, cit., pp. 419-432). 4' In tal senso ci sentiamo più vicini alle posizioni moderate di Grosser, Martin, Safranski, Sluga, Thòma, Xolocotzi e Zaborowski che alle accuse di Faye y Farfas. Al riguardi si può menzionare la lettera che Herbert Marcuse scrive a Heidegger nell'agosto del 1947 rimproverandogli una totale mancanza di sensibilità più che un antisemitismo malvagio e perverso (cfr. H. Marcuse, Briefan Martin Heidegger vom 28. August 1947, in B. Martin [ed.], Martin Heidegger und das „Dritte Reich ". Ein Kompendium, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1989, p. 156).
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ambiguo, però, se per antisemitismo intendiamo la persecuzione razziale e lo sterminio sistematico degli ebrei, non possiamo descrivere la sua posizione come unilateralmente antisemita. Come dobbiamo rispondere allora alla domanda se Heidegger fu antisemita? Già verso la fine degli anni Venti circolava la diceria che Heidegger fosse antisemita. Toni Cassirer, la moglie di Ernst Cassirer, riconosce nella propria autobiografia che «l'inclinazione [di Heidegger] all'antisemitismo ci era nota» 50 . E all'inizio degli anni trenta - come segnala Bultmann - si era propagata la notizia che Heidegger era entrato nel partito nazionalsocialista51. Anche il suo antico amico e collega Karl Jaspers aveva palesato, nel rapporto redatto nel 1945 per l'università di Freiburg, le proprie reticenze rispetto alla posizione che Heidegger mostrava nei confronti degli ebrei52. E nelle lettere a sua moglie Elfriede Petri, pubblicate nel 2005, Heidegger già nel 1916 parlava dell'«ebraizzazzione della nostra cultura e della nostra università»53. Heidegger torna a parlare di «ebraiz50 Toni Cassirer, Mein Leben mit Ernst Cassirer, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 2003, p. 187. 51 Cfr. Martin Heidegger - R. Bultmann, Briefwechsel 1925 bis 1975, Klostermann, Frankfurt a.M. 2009, pp. 187 s. e 191 s. Lo stesso Heidegger conferma l'esistenza di tali dicerie in una lettera a Hannah Arendt dell'inverno del 1932/33 (cfr. M. Heidegger - H. Arendt, Briefwechsel 1925 bis 1975, Klostermann, Frankfurt a.M. 1999, p. 68). 52 Cfr. Martin Heidegger - Karl Jaspers, Briefwechsel 1920-1963, Klostermann, Frankfurt a.M. 1990, p. 270. 53 Martin Heidegger - Elfriede Petri,"Mein liebes Seelchen!". BriefeMartin Heideggers an seineFrau Elfriede, 1915-1970, cit., p. 51. Tuttavia dodici anni dopo scrive a sua moglie che «indubbiamente gli ebrei sono "i migliori"» (ivi, p. 156). Risulta quindi difficile sostenere la tesi che Heidegger sia stato un antisemita spirituale già negli anni venti. La situazione cambia all'inizio degli anni trenta con la crescente importanza delle questioni del popolo e della nazione tedeschi.
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zazione» ( Verjudung) in termini simili in una lettera del 1929 scritta a Victor Schwoedrer, direttore della Notgemeinschaft der Deutschen Wissenschaft34. Questa lettera a Schwoedrer e le lettere indirizzate a sua moglie Elfriede sono due casi che sembrano mostrare chiaramente un certo antisemitismo razzista. Ancora una volta s'impone la domanda accennata all'inizio: che tipo di antisemitismo sostiene Heidegger? Alla luce della documentazione disponibile sembra difficile parlare di antisemitismo razzista o biologico in Heidegger. Anche nei Quaderni neri e in altri scritti sono presenti dei passaggi in cui Heidegger si mostra estremamente critico nei confronti di questo tipo di antisemitismo. Certo è che Heidegger stabilisce una differenza tra ebrei e non ebrei, però tale distinzione non si basa su criteri biologici. I suoi commenti sugli ebrei rispondono a una prospettiva spirituale e non razziale. Per esempio nel libro su Nietzsche afferma che «la biologia come tale non decide mai su ciò che la vita è» 55 . La vera questione relativa al rapporto di Heidegger con gli ebrei non può essere risolta in tal maniera. Bisogna piuttosto prendere in considerazione come il confronto filosofico con la tradizione ebraica costituisca un elemento decisivo nel momento in cui si interpreta l'intera storia della filosofia. A Heidegger non interessa - almeno dal punto di vista filosofico - legittimare lo sterminio degli ebrei, egli anela invece a una comprensione critica del suo presente. La diagnosi dell'epoca è fortemente influenzata dalla sua interpretazione del nichilismo nietzscheano: il presente è un tempo dominato dal principio metafisico della volontà di potenza. L'introduzione di una «selezione e alle54 Cfr. U. Sieg, Die Verjudung des deutschen Geistes. Ein unhekannterBrie/Heideggers, cit. 35 Martin Heidegger, Nietzsche I, Neske, Pfullingen 1989, p. 520.
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vamento della razza» (Rassenzüchtung), discussa da Heidegger nelle sue lezioni su Nietzsche degli anni trenta56, non ha nulla a che vedere - come invece ritiene Faye con una «selezione della razza come quella che in quel tempo viene sanguinosamente avviata dal nazionalsocialismo»57. Non si tratta d'una legittimazione ontologica del razzismo nazionalsocialista. L'«allevamento dell'essere umano» (Züchtung des Menschen) rappresenta il culmine della metafisica della soggettività, è la massima espressione della tecnica moderna nel suo intento di sfruttare le risorse naturali e umane, è un prodotto della meccanizzazione (Machinalisierung) che governa il presente. Heidegger ritiene che Nietzsche sia il primo a riconoscere il carattere metafisico della macchina che converte l'essere umano in un tipo (Typ), in una semplice figura (Gestalt) a cui si può dare forma, in un semplice materiale di sperimentazione (VersuchsmateriaD5&. Al riguardo si è soliti citare alcuni passi dalle Conferenze di Brema per sostenere la tesi che il pensiero di Heidegger sia in fondo un pensiero antisemita. Così fanno Wolin e Faye, tra gli altri. Nella conferenza del 1949 intitolata L'impianto (Das Gestell0 si dice: «L'agricoltura è oggi industria alimentare meccanizzata, che nella sua essenza è lo Stesso (das Selbe) della fabbricazione di cadaveri nelle camere a gas e nei campi di sterminio, lo Stesso del blocco e dell'affamamento di intere nazioni, lo Stesso della fabbricazione di bombe all'idrogeno»59. 56 Cfr. Martin Heidegger, Nietzsche, G A 6.2, Klostermann, Frankfurt a.M. 1997, p. 309. 57 Emmanuel Faye, Heidegger, der Nationalsozialismus und die Zerstörung der Philosophie, in B. Taureck (ed.), Politische Unschuld? In Sachen Martin Heideggers, cit., p. 53. 58 Martin Heidegger, Nietzsches Metaphysik, G A 50, Klostermann, Frankfurt a.M. 2007, pp. 55 s. 59 Martin Heidegger, Bremer und Freiburger Vorträge, G A 79,
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Com'è possibile mettere sullo stesso piano la «fabbricazione di cadaveri» e «l'industria alimentare meccanizzata»? Lasciando da parte la mancanza di sensibilità heideggeriana e la discussione morale sull'olocausto, Heidegger intendeva pensare filosoficamente le ragioni profonde della «fabbricazione di cadaveri nelle camere a gas». Secondo la prospettiva della critica heideggeriana alla tecnica che s'estende su tutto il pianeta, la fabbricazione di cadaveri è espressione e conseguenza della desertificazione spirituale inerente alla volontà di potenza. Questa volontà riduce ogni cosa, includendo le persone e i gruppi sociali, a semplice oggetto d'uso e di sfruttamento tralasciando qualsivoglia considerazione umana, sociale, politica, religiosa o morale. Si può rabbrividire di fronte all'insensibilità e "supposta" ignoranza di Heidegger, però così non si rende giustizia al suo pensiero. Le interpretazioni di Faye e Farias, e in misura minore anche quella di Taureck, citano estrapolando alcuni passi fuori dal loro contesto e non considerano la necessaria differenza tra antigiudaismo e antisemitismo. Nel caso di Heidegger ci troviamo di fronte a un antisemitismo che potremmo definire "religioso", "culturale" o "spirituale". In una lettera alla Arendt, in cui Heidegger commenta l'esistenza di dicerie sul suo antisemitismo, leggiamo: «Per gli altri, nelle questioni universitarie sono antisemita come dieci anni fa a Marburg. Questo antisemitismo fu appoggiato perfino da Jacobstahl e Friedländer. Ciò non ha nulla a che vedere con le relazioni personali (per esempio Husserl, Misch, Cassirer e altri)»60. Klostermann, Frankfurt a.M. 2005, p. 27. Per un'interpretazione critica di questo passo si veda D. Thöma, Die Zeit des Selbst und die Zeit danach. Zur Kritik der Textgeschichte Martin Heideggers, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1990, pp. 626 ss. 60 Martin Heidegger - Hannah Arendt, Briefwechsel 1925 bis 1975, cit., p. 69.
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Quando Heidegger parla della «ebraizzazione» lo fa a partire da un determinato contesto culturale. Bisogna ancora una volta procedere con cautela ed evitare di discolpare Heidegger semplicemente in quanto prodotto dello spirito dell'epoca. Però d'altra parte non si può nemmeno ricadere in accuse generalizzate. Sembra che per ogni prova di antisemitismo se ne trovi una contraria61. Alle volte i documenti esistenti possono essere interpretati in maniera opposta. Senza dubbio questo antisemitismo spirituale o culturale venne rinforzato dall'antisemitismo pseudo-scientifico del nazionalsocialismo. Ancora una volta, non si tratta di sminuire l'antisemitismo di Heidegger. Però non bisogna nemmeno dedurre una relazione diretta con la Shoah come quella radicata nell'ideologia del nazismo. La questione della colpa e del rapporto di Heidegger con l'ebraismo è certamente problematica e spinosa, ancor più se consideriamo le affermazioni contenute nei Quaderni neri recentemente pubblicati. E un rapporto che non ha nulla a che vedere con questioni politiche e che sembra inquadrarsi invece nella sua interpretazione del destino metafisico dell'Occidente dominato dalla scienza e dalla tecnica62. L'allontanamento heideggeriano 61 Per esempio una lettera del 1932 di Heidegger a sua moglie offre testimonianza dell'ambiguo rapporto di Heidegger con gli ebrei. In essa egli esprime il suo disincanto riguardo le capacità filosofiche di Baeumler, anche se lo loda come storico (cfr. M. Heidegger - E. Petti, "Mein liebes Seelchen!" Briefe Martin Heideggers an seine Frau Elfriede, 1915-1970, cit., p. 176). Anche una lettera scritta da Jaspers nel 1945 alla Commissione di Epurazione dimostra questa ambivalenza: «Negli anni Venti Heidegger non era un antisemita. Le sue parole sull'ebreo Fraenckel dimostrano che, almeno nel 1933, mostrava certe tendenze antisemite. Ciò non esclude, come io credo, che in altri casi l'antisemitismo era contrario alla sua coscienza e al suo gusto» (M. Heideggger - K.Jaspers, Briefwecbsel 1920-1963, cit., p. 271). 62 Come sostiene Donatella di Cesare, la critica di Heidegger
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dallo spirito urbano degli ebrei non risulta da un razzismo biologico, è piuttosto la conseguenza delle sue analisi sulla metafisica della soggettività e del nichilismo. Da questo punto di vista gli ebrei rappresentano la vuota razionalità e lo spirito del calcolo caratteristici dell'era moderna. Come segnalano i Quaderni neri. «Il problema del ruolo dell'ebraismo non è razziale, è bensì una questione metafisica circa il tipo di umanità»63. Si può non essere d'accordo con la critica heideggeriana della tecnica moderna e ci si può chiedere anche se la sua comprensione della modernità non sia eccessivamente unilaterale e semplicistica. Però se si analizza il confronto heideggeriano con la modernità a partire dai testi disponibili risulta altamente problematico affermare che Heidegger giustifica e legittima lo sterminio degli ebrei. Antigiudaismo in Heidegger? Senza dubbio. Antisemitismo? Sì, sempre che non venga associato direttamente a un'interpretazione razzista del popolo e alla politica di sterminio praticata dal nazionalsocialismo. Dobbiamo essere indulgenti con un grande pensatore come Heidegger? Probabilmente no. Però non possiamo nemmeno ignorare l'eredità filosofica che ci ha lasciato. In ogni caso, i Quaderni neri ci invitano a riflettere sulla responsabilità della filosofia nei confronti della politica. Traduzione di Giovanni Jan Giubilato assume in varie occasioni un tono messianico (si veda l'intervista pubblicata il 18 dicembre 2013 su «La Repubblica», p. 40). Questo tono messianico, spirituale e religioso è palpabile chiaramente anche nell'idea dell'ultimo dio che troviamo nei Contributi alla filosofia. Lì si dice che solo i venturi sono la vera voce del popolo e che la rinascita del popolo avverrà molto probabilmente attraverso un risveglio religioso. H popolo deve trovare il suo dio, e i venturi devono iniziare questa ricerca (cfr. M. Heidegger, Beiträge zur Philosophie. Vom Ereignis, G A 65, cit„ pp. 3 1 9 , 3 9 8 , trad. it cit., pp. 317,390). 63 Martín Heidegger, Überlegungen XIV, G A 96, cit., p. 243.
BIANCO-NERO E CHIARO-SCURO NEI QUADERNI NERI DI HEIDEGGER Dean Komel
Pare doveroso incominciare questa riflessione con due annotazioni. La prima riguarda la volontà di Heidegger di pubblicare i diari come parte finale della Gesamtausgabe, senza peraltro alcuna revisione nei contenuti, specialmente quelli che si possono valorizzare come "antisemiti". La seconda annotazione riguarda invece un certo imbarazzo da parte dei curatori e della casa editrice Klostermann in merito alla questione su come affrontare i Quaderni neri, evitando che essi possano, seppur indirettamente, scalfire la credibilità intellettuale dell'opera di Heidegger nel suo complesso. Il curatore Peter Trawny si è trovato in tal modo quasi costretto, da un lato, a contribuire all'edizione con un commento supplementare1, dall'altro a partecipare attivamente alla campagna mediatica, suscitata dalla pubblicazione del volume. Anche questa campagna, come altre in passato, a prima vista ruotava intorno agli stessi "principi": da una parte il tentativo di denigrare, dall'altra quello di difendere la reputazione dell'autore, mettendo in primo piano posizioni etiche, filosofiche e politiche più o meno sicure in se stesse. Da una prospettiva europea e mondiale alquanto oscurata, ci troviamo però di fronte alla questione su come descrivere il "caso Heidegger" e su quale significato attribuire a esso. Probabilmente 1 Peter Trawny, Heidegger und der Mythos der jüdischen Weltverschwörung, 2. Uberarbeitete und erweiterte Auflage, Klostermann, Frankfurt a.M. 2014.
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non sarebbe poi così difficile cancellare dalla storia del XX secolo il pensiero di Heidegger, se tale storia non si fosse mostrata come uno spiacevole ritorno del suo proprio monstrum\ oggi siamo testimoni di così tante tensioni politiche, economiche e militari, che non sembra esagerato considerarle come le più intense dal dopoguerra a oggi. Dalla prospettiva di un tale scenario storico, abbastanza cupo, i Quaderni neri appaiono, nel loro insieme, controversi, ma si configurano, allo stesso tempo, come particolare testimonianza e giudizio su un'epoca non meno controversa, epoca alla quale non siamo stati del tutto capaci di attribuire un senso definitivo e che, nondimeno, minaccia di ritornare in tutta la propria banalità del male. Consapevoli di tale incapacità, non è possibile rapportarsi a questa epoca come se da essa avessimo preso le distanze, come se oggi fossimo in grado di condannarla e valutarla da una distanza sicura. La questione principale che emerge a margine delle formulazioni antisemite dei Quaderni neri riguarda la domanda se Heidegger può ancora convincerci come testimone del proprio tempo e se le sue opinioni sono ancora credibili rispetto non solo a ciò che offre la sua filosofia, ma anche rispetto alla filosofia in sé. Quello che nei Quaderni neri si presenta, per così dire, nero su bianco e come una cosa verificata, è in verità circondato da un chiaroscuro-, esso, a sua volta, avvolge l'essere, proprio in considerazione del fatto che, secondo Heidegger, l'essere si sottrae alla storia. A differenza, per esempio, di Jiinger, Heidegger non si è mai posto come testimone del tempo, bensì come custode del destino dell'essere che nel "nostro" tempo non ha tempo "per sé". Presi nel contesto complessivo che tale ripensamento pone nella valutazione dell'esclusione epocale dell'essere dal tempo che è, i Quaderni neri non sono
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tanto la ricerca di un essere più originario, quanto piuttosto una ricerca sull'origine di tale esclusione. Ma l'incontro del pensiero con tale assenza dell'essere presuppone forse anche un pensare contro il tempo? Che cosa indica questo "contro"? Qui si pone in risalto il prefisso "anti-" (contro), che caratterizza non solo l'"anti-semitismo", ma anche l'"anti-americanismo", Vanti-bolscevismo", l'"anti-nazionalsocialismo", l'"anti-cristianesimo", l'"anti-democraticità", l'"anti-imperialismo", l'"anti-cultura", Vanti-scienza", 1'"anti-filosofia", ecc. dei Quaderni neri. Sembra che questo "anti-" indichi un certo risentimento che, apparentemente, Heidegger non ha potuto, saputo o perfino voluto evitare. A differenza, per esempio, di Nietzsche, nei Quaderni neri, per quanto mi è dato sapere, non troviamo alcun pensiero anti-germanico. Possiamo perciò dedurre che l'origine del risentimento di Heidegger vada ricercata nella sua latente angoscia di poter essere derubato della patria — dopo che essa, accettata o meno, gli è già stata rubata. Tutto lo studio di Heidegger su Hölderlin è indirizzato verso il recupero di questa Heimat. Ed è proprio partendo dalla stessa sensazione di assenza della patria che, nel contempo, non è possibile negare la patria all'altro. E Una regola di Hestia stessa. Nei Quaderni neri non troviamo nulla che riguardi l'incendio del 1938 della sinagoga di Friburgo, non lontano dalla sua università. Nessuna reazione. Nelle lezioni 1941/42 dal titolo L'inno di Hölderlin «Andenken» incrociamo però una curiosa circostanza: all'apice delle sue lezioni che riguardano la costellazione Die Freuden- die Fremden- das Heimkehr Heidegger propone la spiegazione della parola greca synagoge (nella sua accezione del «mettere insieme», di «luogo di riunione» e in Platone come parola per l'essenza
Scansione a cura di Natjus, Ladri di Biblioteche
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della bellezza)2 ricollegandola a prophetein nell'accezione del «dire in avanti in uno stato di estasi» 3 , il che ci riporta a ciò che è scritto nei Quaderni neri riguardo al profetare ebraico: «"La profezia" è la tecnica di tener lontano ciò che è storico dalla storia. E lo strumento della volontà di potenza. Che i giudei siano grandi profeti è un fatto, il mistero del quale non è stato ancora risolto»4. Cosa ci raccontano queste circostanze, l'ignoranza o la protesta di Heidegger? In questa sede lasciamo il quesito irrisolto. Quanto sincere erano, allora, le parole di Heidegger rivolte a Hannah Arendt dopo la seconda guerra mondiale, con le quali Heidegger stesso vuole superare il (suo?) risentimento, lo "spirito di vendetta"? «Retten, salvare, non significa soltanto mettersi in salvo, riuscire a scappare per tempo da un pericolo, bensì anche liberarsi in anticipo nell'essenza. Questo infinito intento è la finitezza dell'uomo: a partire da essa l'uomo è capace di superare lo spirito di vendetta. È da tempo che rifletto su questo aspetto: né un atteggiamento moralista né una qualsiasi educazione sembrano sufficienti per affrontare una tale fatica. «L'uomo deve provare, deve fare esperienza della più intrinseca guida dell'essere (Seyn) per potersi così ristabilire lì dove la giustizia non è funzione del potere ma raggio della bontà salvatrice. Ciò che è solo internazionale e "nazional-unitario" attinge, di soppiatto, dal nazionale che, nella sua essenza, rimane non libero. I popoli del mondo sono perciò chiamati a donare la 2 Martin Heidegger, Hölderlins Hymne »Andenken«, G A 52, Klostermann, Frankfurt a.M. 1982, pp, 176-177. 3 Ivi, p. 127. 4 Martin Heidegger, Überlegungen XIII (Schwarze Hefte 19311939), G A 96, Klostermann, Frankfurt a.M. 2014, p. 127.
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maggior parte del proprio potere allo scopo infinito della bontà salvatrice, affinché, nella sua dignità storica, l'umanità possa essere all'altezza della missione del Seyn e in essa possa salvarsi»5. Nel contesto della storia dell'essere «il destino degli ebrei e dei tedeschi ha la propria verità che oltrepassa la portata del nostro ragionare storico»6. Cosa direbbe Hannah Arendt leggendo i Quaderni neri? E cosa direbbe Celan, che da Heidegger si aspettava una «parola di redenzione», parola del resto accennata nella lettera alla Arendt? La lettera di Elfriede Heidegger (alla quale si attribuisce una dedizione alla rivoluzione nazionalsocialista superiore a quella dello stesso Heidegger) a Malvine Husserl datata 20 aprile 1934, posteriore dunque alla nomina di Heidegger al rettorato ma prima che si unisse alla NSDP, mostra una certa consapevolezza e condanna rispetto ai metodi antisemiti delle nuove autorità naziste. La lettera testimonia il rammarico nel vedere nella lista dei pensionamenti obbligatori anche il figlio di Husserl, Gerhard, professore di legge e decorato combattente nella prima guerra mondiale: attestati che avrebbero potuto impedire il pensionamento obbligatorio, ma così non fu 7 . L'elenco di questi e altri riferimenti biografici potrebbe protrarsi all'infinito (in questo contesto è di certo interessante l'ultima intervista a Hermann Heidegger, che persiste nel difendere i genitori dalle accuse di nazionalsocialismo). Tutto ciò, però, soprattutto dopo l'uscita dei Quaderni neri, ci allontana più che avvicinarci 5 Martin Heidegger - Hannah Arendt, Briefe 1925 bis 1975 und andere Zeugnisse, Klostermann, Frankfurt a.M. 1999, p. 93. 6 Ìbidem. 7 Edmund Husserl, Briefwechsel, Band IV, Husserliana Dokumente, Kluwer, Dordrecht-Boston-London 1994, pp. 160-161.
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al nocciolo della questione sulle posizioni antisemite: posizioni che, evidentemente, provengono dal piano del pensare filosofico di Heidegger e non invece da un qualche livello sottostante. Tale piano è la pianura del pensiero storico dell'essere. In questa cornice colpisce soprattutto la seguente annotazione: «La questione del ruolo del giudaismo mondiale non è una questione razziale ma metafisica»8. Qui possiamo supporre che Heidegger abbia posto il proprio antisemitismo a livelli decisamente più alti, forse anche in modo più pericoloso degli stessi nazionalsocialisti che salpano dal principio della razza e a esso anche approdano. Riguardo a ciò, già sopra abbiamo menzionato il risentimento, lo spirito di vendetta che accompagna Heidegger. Secondo il filosofo - come si può ben vedere nella lettera a Hannah Arendt - questo risentimento non può però che confluire nel complemento e allo stesso tempo nell'affrancamento rispetto alla storia dell'essere. Si tratta però di un complemento che significa un enorme fervore per l'ente e per l'allontanarsi dall'essere nella sua posizione in differenza rispetto all'ente. Abbiamo evidenziato "in differenza" per non cadere - nonostante l'insegnamento di Heidegger stesso, specialmente nei due Quaderni neri intitolati Eregnis-Denken pubblicati poco prima dei Quaderni neri neri - nella trappola di comprendere l'essere (Seyn) non solo come identità dell'ente ma piuttosto come l'avvenire che già attraversa la differenza tra essere e ente, ovvero la storia dell'essere. In che modo, però, nel pensare la differenza trova collocazione il risentimento, quello stesso risentimento che prima o poi avvia una volontà d'identità e d'identificazione? A grandi linee la domanda è plausibile, se teniamo 8 Martin Heidegger, Überlegungen XIV (Schwarze Hefte 19311939), cit.,p. 243.
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conto che la differenza ontologica porta con sé l'intera metafisica e che, quindi, continua ad appartenere alla metafisica, anche quando, a partire dal pensare la differenza, ha cercato di sopraffarla; proprio perciò è necessaria non solo una convalescenza, un riprendersi dalla metafisica, ma anche un riprendersi dalla differenza in sé. Che questo accadere della differenza non si estenda però solo alla metafisica, ma anche alla politica, emerge proprio dagli scritti di Heidegger nei suoi Quaderni neri, laddove tocca, seppure con un breve accenno, la questione su come la metafisica si muta in metapolitica'^. Prima di questo passo non mi è mai capitato di incrociare il termine "metapolitica" negli scritti di Heidegger, ma l'ho adoperato una decina anni fa, quando ebbe inizio il dibattito intellettuale sulle conseguenze dell'invasione in Iraq, dibattito che - sostenuto da sempre nuove guerre davanti ai nostri occhi - continua tutt'oggi. A quel tempo ho utilizzato il termine "metapolitica" per segnalare il reciproco intrecciarsi e una certa congiura tra metafisica e metapolitica, congiura che nessun pensatore del XX secolo ha saputo eludere, a prescindere dal fatto che si fosse schierato o meno da un parte del conflitto oppure che si fosse adoperato a rimanere, dentro il proprio pensare, politico o apolitico. Heidegger non solo non ha eluso tale "congiura", ma ha voluto alla lettera estrarre la metapolitica direttamente dall'esserci, come mostra uno scritto ai tempi del rettorato: «Attraverso i suoi più intrinseci legami la metafisica dell'esserci deve approfondirsi ed espandersi nella metapolitica "della" nazione /Volk, "popolo"/storica» 10 . Proprio l'esempio di Heidegger ci mostra come 9 Martin Heidegger, Überlegungen und Winke III (Schwarze Hefte 1931-1938), G A 94, Klostermann, Frankfurt a.M. 2014, p. 116. 10 Ibidem.
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dentro la Machenschaft metapolitica non sia possibile distinguere l'enunciazione filosofica da quella politica o ideologica. Sotto la dittatura della metapolitica stiamo incondizionatamente passando dal discorso all' e f f e t t o del discorso, il che favorisce il crescente successo della propaganda politica. Indipendentemente se e quanto ne restiamo affetti, tale passaggio si configura ancora oggi come una sfida per la filosofia, che cerca di imporsi come discorso di per sé e non come suo semplice effetto. Traduzione dijurij
Vere
I QUADERNI NERI NEL CONTESTO DELLA QUESTIONE POLITICA IN HEIDEGGER 1 Alfredo Rocha de la Torre
1. Heidegger
e la "questione
politica"
Il problema della "politica" nell'opera di Martin Heidegger è stato trattato in varie occasioni a partire dalla relazione del filosofo e della sua filosofia con l'ideologia nazionalsocialista, guidata nella pratica da Adolf Hitler. Questa relazione a sua volta è stata affrontata secondo due diverse prospettive: 1) l'indagine storica e l'analisi dei documenti; 2) la riflessione sul vincolo che lega "l'impegno politico" del filosofo e la sua opera, vale a dire un confronto tra il contenuto della filosofia di Heidegger e l'ideologia del movimento, fautrice dell'antisemitismo. Evidentemente in molti casi le due prospettive s'intrecciano, producendo così un corpus documentale ed esegetico assai eterogeneo, con il quale si pretende di affermare o negare il nesso interno esistente tra la riflessione filosofica heideggeriana e le idee che favorirono la realizzazione di una tra le forme di terrore più terribili che il genere umano abbia mai 1 Questo contributo è stato scritto nel contesto della ricerca Instrumentalisierung des Denkens: Martin Heidegger und Max Horkheimer im Vergleich, finanziato dalla Alexander von Humboldt-Stiftung e sostenuto dalla Direzione Ricerca dell'Università di San Buenaventura (Cra 8H No. 172. 20, Bogotá, Colombia), istituzione a cui appartiene l'autore. La traduzione della prima versione del testo è stata fatta da Giovanni Giubilato (Albert-Ludwigs-Universität Freibug). Le estensioni al testo originale in italiano sono state fatte da Noel Rodríguez Loaiza (Universidad de San Buenaventura, Bogotá).
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conosciuto. Qualunque sia la via che si prende per delucidare questa relazione, se il nostro obiettivo è di riflettere sulla "questione politica" nel pensiero di Martin Heidegger, a mio avviso non è possibile eludere una domanda fondamentale: la questione relativa al "caso Heidegger" permette davvero un accesso alla "cosa stessa", alla "questione politica" all'interno della sua opera? La mia risposta andrà sicuramente contro coloro che si concentrano sul "caso Heidegger" onde definire il suo pensiero come un'introduzione del nazismo e dei suoi postulati nella filosofia (questo è infatti il titolo di un esteso lavoro di Emmanuel Faye pubblicato nel 2005) 2 . Come è stato segnalato, gran parte della discussione circa la questione politica nella filosofia di Heidegger si è concentrata fondamentalmente sulla vita del filosofo e sulle sue "decisioni politiche", quali l'accettazione del rettorato dell'università di Freiburg e l'iscrizione al partito nel 1933. Tali discussioni storico-documentali, dedicate al contesto socio-culturale e a fatti specifici della sua vita pubblica e privata, sviluppatesi in seguito alla pubblicazione di alcuni studi biografici e fomentate soprattutto dalla pubblicazione del libro di Victor Farias Heidegger et le nazismi, hanno finito per definire il cosiddetto "caso Heidegger": termine generico che comprendeva tutte le questioni relative all'impegno politico del filosofo e alla sua compromissione con il regime nazionalsocialista. Uno dei punti centrali della discussione tra critici e difensori del filosofo riguardava l'obbietti2 Cfr. Emmanuel Faye, Heidegger. L'introduction du nazisme dam la philosophie. Autour des liminaires inédites de 1933-1935, Albin Michel, Paris 2005. Si veda anche: Heidegger. Die Einführung des Nationalsozialismus in die Philosophie. Im Umkreis der unveröffentlichten Seminare zwischen 1933 und 1935, Matthes &Seitz, Berlin 2009. 3 Victor Farias, Heidegger und der Nationalsozialismus, Fischer, Frankfurt a.M. 1989.
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vità delle prove documentali presentate da coloro che pretendevano di considerare conclusa la questione grazie a testimonianze apparentemente irrefutabili. Si trattava quindi di una controversia generata dalle spiegazioni del contesto storico dell'epoca fornite da alcuni critici della "decisione politica" di Heidegger e dalla loro interpretazione, che vincolava direttamente l'opera filosofica con l'ideologia nazista. L'opera citata di Farias rappresenta il caso paradigmatico di questa duplice via, che non giudica e condanna solo l'ormai famoso anno 1933 della vita di Heidegger, ma anche tutto il suo passato e le possibilità future della sua opera a partire da una lettura dell'esistenza del filosofo come una sorta di destino fatale. Al dibattito concernente le fonti storico-documentali, dominato dalla tendenza a concentrarsi sulla figura del filosofo e non sull'opera, non appartiene il carattere della riflessione filosofica. Come c'era da aspettarsi, la discussione ha virato, alle volte, verso questioni concernenti l'ingresso di Heidegger nel partito e le sue motivazioni, le cause che lo spinsero prima ad accettare e poi a dimettersi dall'incarico di rettore dell'università di Freiburg, e altri interrogativi simili. Anche in relazione
all'"antisemitismo" dei Quaderni neri — evidente' per
molti - si potrebbero porre le stesse domande. Mentre secondo Farias - e le interpretazioni di Faye e di Habermas sono fondamentalmente sulla stessa linea - il "nazismo" di Heidegger era una sorta di conseguenza naturale del suo background storico-culturale, nella misura in cui egli spiegava la rinuncia del rettorato chiamando in causa la debolezza del suo progetto dopo la morte di Ernst Rohm (capo di stato maggiore delle SA), altri, come Lacoue-Labarthe, consideravano il periodo dell'impegno politico di Heidegger come un'espressione del suo rimanere all'interno della metafisica occidentale.
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Pierre Aubenque ritiene invece che l'assunzione del rettorato risponda a motivi non di carattere filosofico, ma solamente personali e accademici, volti a liberare l'università dal suo isolamento sociale e dal suo torpore. Hans Blumenberg, da parte sua, non si è fatto riguardi nel qualificare la decisione di Heidegger come opportunista. Gadamer, per menzionare con l'ultimo esempio uno dei grandi difensori dell'autore di Essere e tempo, concepisce la relazione del filosofo con il regime nazista come il frutto di un'illusione politica che non coincideva con la cruda realtà del momento. Allo stesso tempo tuttavia risultò necessario concentrarsi maggiormente sull'opera più che sull'autore, cercando di mettere in risalto - a buon diritto - il carattere filosofico che la discussione doveva assumere, superando l'ammirazione gratuita, i giudizi etici, le attribuzioni di una colpa e le richieste di espiazione che sono proprie dell'opinione pubblica. Una delle prime e più veementi esortazioni ad andare in tale direzione viene da Philippe Lacoue-Labarthe, che incita a muovere un primo passo verso il fenomeno della "questione politica" in Heidegger 4 . L'origine dell'esortazione da parte del filosofo francese risiede nella critica implacabile che egli fa, assieme a molti altri, del modus operandi di Farias, il quale a suo giudizio fraintende il pensiero di Heidegger e connette in modo avventato l'opera con i fatti storici per tentar di spiegare l'innegabile compromissione di Heidegger con il nazismo. La stessa esortazione proviene da Holger Zaborowski5, il quale rivendica tutta una serie d'impor4 La ficción de lo politico. Heidegger, el arte y la politica, Arena, Madrid 2010, pp. 154-155. 5 "Eine Frage von Irre und Schuld?". Martin Heidegger und der Nationalsozialismus, Fischer, Frankfurt a.M. 2010.
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tanti condizioni per avvicinarsi con l'equilibro dovuto all'opera heideggeriana: discutere il tema con una certa serenità e distanza, adeguate alla prospettiva storica, senza cadere in polemiche personali; distinguere la messa in questione della critica heideggeriana dell'epoca moderna, del liberismo e della democrazia dalla relazione problematica che Heidegger ebbe con il nazismo; distinguere inoltre tra le occasionali osservazioni antisemite e un antisemitismo radicale e sistematico, inesistente nella sua filosofia; tenere conto poi della differenza tra testi pubblicati e non dallo stesso Heidegger - lettere o lezioni universitarie - così come tra documenti originali e documenti scritti dagli studenti; e infine essere capaci di discernere tra fatti storici certi e quelli solamente probabili, presunti o addirittura leggendari. Il dibattito quindi si è messo in cammino verso una comprensione della relazione della filosofia heideggeriana con il suo impegno politico. I due esempi più recenti al riguardo sono il voluminoso libro di Emmanuel Faye, al quale ho già fatto riferimento, Heidegger. Die Einführung des Nationalsozialismus in die Philosophie. Im Umkreis der unveröffentlichten Seminare zwischen 1933 und 1935, e quello del filosofo tedesco Bernhard Taureck Politische Unschuld. In Sachen Martin Heidegger^. Entrambi gli studi mettono in risalto innanzitutto la vicinanza ideologico-politica di Heidegger con gli obiettivi del nazionalsocialismo, per poter poi formulare la questione: quale influenza ha avuto tale vicinanza sulla sua opera filosofica? Con una certa ragione si presuppone che la dimostrazione dell'appartenenza di Heidegger al partito appartenenza che a sua volta presuppone un'identificazione ideologica e spirituale dell'uomo con il partito permetta di dedurre direttamente il vincolo indissolubile 6
Fink, Paderborn 2007.
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tra l'opera e l'ideologia del partito stesso. Si assume quindi, un po' alla buona, che se Heidegger era fautore degli ideali nazisti allora anche la sua opera dev'essere necessariamente vincolata a questi ideali, dal momento che è naturale concepirla come frutto dell'uomo e delle circostanze. A partire da tali premesse si suppone che non resti che esplicitare il carattere ideologicamente mediato dell'opera, il modo in cui il credo politico s'introduce non solo in essa ma in tutto l'ambito del pensare. La strategia più comune è quella di segnalare la concordanza concettuale tra filosofia e ideologia. Se realmente esiste quest'affinità, se è possibile reperirla esplicitamente confrontando l'opera con i presupposti politici, allora non resta che bollarla come opera «non filosofica»: come appunto fa Emmanuel Faye. Conseguenza diretta dell'accettazione filosofica di un'opera «non filosofica» sarà, lo sostiene il filosofo francese, la distruzione della filosofia: «Stando così le cose, Heidegger non mostra qui affatto la lungimiranza di un "grande filosofo", ma al contrario una volontà di distruzione della verità storica e filosofica [...] La sua, in fondo, non è filosofia, ma è il tentativo di una distruzione della filosofia stessa»7. Che cosa si può nascondere dietro l'abbandono della filosofia agli interessi meschini dell'ideologia politica? La risposta a questa domanda ci metterà in condizione di valutare in maniera diversa il carattere dell'opera di Heidegger, la quale secondo Faye e Taureck, lo abbiamo visto, può essere definita come «non filosofica». Heidegger stesso segnala in maniera paradigmatica nelle sue riflessioni sul problema del linguaggio il modo d'impostare una possibile risposta: «Il riflettere sul 7 Emmanuel Faye, Heidegger, der Nationalsozialismus und die Zerstörung der Philosophie, in Politische Unschuld. In Sachen Martin Heidegger, a cura di Bernhard Taureck, cit., pp. 55-56 e 58.
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linguaggio esige pertanto che noi ci inoltriamo entro il parlare del linguaggio per prender dimora presso il linguaggio: nel suo parlare, cioè, e non nel nostro. Soltanto così possiamo raggiungere quel dominio entro cui può riuscire, come può anche non riuscire, che il linguaggio ci riveli la sua essenza»8. A questo punto posso affermare che la questione circa la relazione della filosofia di Heidegger con il movimento nazionalsocialista, e quindi anche un'indagine sul potenziale distruttivo, per la filosofia, della sua opera, ha senso solo se si lasciano da parte le modalità tradizionali di avvicinamento alla questione e si cerca l'autentico cammino del pensare hedeggeriano, e poi, in riferimento diretto all'essenza del pensare, si analizza in che misura questo cammino possa corrispondere a una filosofia che è determinata da una particolare ideologia. Solo in tal modo sarà possibile lasciare credibilmente da parte la domanda se l'opera di Martin Heidegger è un'introduzione alla filosofia del nazionalsocialismo e ai suoi postulati antisemiti.
2. lì"antisemitismo"
dei Quaderni neri
Possiamo davvero prendere qualche ormai noto passaggio dei Quaderni neri e considerarlo semplicemente un'espressione di "antisemitismo" senza soffermarci, almeno brevemente, sul significato che concetti come "metafisica", "tecnica", "terra natia", "radicamento-sradicamento" (Entwurzelung) assumono in generale nell'opera di Heidegger? E filosoficamente coerente parlare di 8
Martin Heidegger, In camino verso il Linguaggio, trad. it. di Alberto Caracciolo e Maria Caracciolo Perotti, Mursia, Milano 1973, p. 28.
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"antisemitismo" in Heidegger senza riconoscere il carattere del prefisso "anti-" e le sue connotazioni di "gegen", ''cantra", "opposizione/opponente", che per lo stesso Heidegger sono inadeguate quando si cerca, riflettendo, di "prendere le distanze" rispetto a fenomeni come quelli della tecnica, del razionalismo, della scienza e del linguaggio? Di alcune di queste questioni mi occuperò specificamente più avanti, seppur in maniera generale date le limitazioni di spazio. Affrontare la posizione "antisemita" di Heidegger può essere fatto se si accetta con Otto Pòggeler l'idea che il pensiero di Heidegger sviluppi in se stesso una "dimensione politica" vincolata in particolare alla questione più generale dell'abitare dell'uomo sulla terra. Si tratta di una problematica profondamente connessa con la riflessione heideggeriana sulla situazione dell'epoca moderna, caratterizzata dallo sviluppo accelerato della scienza e della tecnica, e dall'espansione di una forma di pensare egemonica dominata dal calcolo. Questa predominanza è tanto profonda ed estesa - minacciando di invadere tutti gli ambiti dell'esperienza umana - da manifestarsi anche come uniformità organizzata dell'ente in generale, considerato come ciò che è sempre a disposizione. La rapida espansione del calcolo negli ambiti sociali e culturali è di tale importanza da produrre infine una negazione delle differenze, è generatrice di sradicamento e di perdita dell'autentico. Pertanto l'unilateralità universalizzata di questa forma di pensare si converte nell'espressione più evidente di un totalitarismo che invade l'esistenza umana. Tutto tende a essere spiegato, "interpretato", concepito e trattato mediante i canoni del calcolo e della disponibilità. Inteso come un pensare che imprigiona e reifica nei minimi dettagli l'abitare dell'uomo, l'unilateralità del calcolo può essere definita - nel senso ampio dato da Pòggler al
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termine "Volitili" - come l'essenza del «totalitarismo politico», vale a dire come un modo particolare ("inglese", come anche nell'accezione nietzschiana) di abitare il mondo. Tale scenario permette d'intendere con maggior precisione la preoccupazione manifestata da Heidegger nei confronti del «buon funzionamento» del mondo messo in risalto nel 1966 dall'intervistatore dello Spiegel. In questa preoccupazione si vede non solo lo stretto legame dello sviluppo della tecnica con lo sradicamento e il carattere onnicomprensivo del funzionamento come tale un'allusione diretta all'essenza della tecnica: il Ge-Stellma anche l'analisi filosofica della situazione attuale del mondo. Questo modo di procedere ha una valenza "politica", dato che non si limita solo alla descrizione delle categorie teorico-formali dell'esistenza umana, ma si sforza anche di pensare il "qui ed ora" dell'uomo nel mondo, nel contesto della questione dell'abitare 9 . E noto che per Heidegger la critica all'essere-disponibile dell'ente nel suo complesso inteso come riserva (GeSteli), vale a dire all'essenza della tecnica, comprende tutte le manifestazioni del primato del calcolo, che in termini generali si riferisce a ciò che Heidegger pensa quando dice «Judentum». Ed è in tale contesto che dev'essere compreso il vincolo stabilito da Heidegger nei Quaderni neri tra "Judentum", metafisica, epoca moderna e capacità di calcolo, quando egli afferma: «L'attuale aumento di potere dell'ebraismo ha il suo fondamento nel fatto che la metafisica dell'Occidente, almeno nel suo sviluppo moderno, ha offerto il punto d'appoggio per l'espandersi d'una razionalità vuota e dell'attitudine al calcolo, che su questo cammino s'è creata un 9 Otto Pòggeler - Annemerie Gethmann-Siefert, Heidegger diepraktischePhilosophie, Suhrkamp, Frankfurt a.M., p. 7.
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alloggiamento nello "spirito", senza poter comprendere a partire da sé stessa le zone decisive occulte» 10 . Pertanto la tesi del mio saggio è che quella di Heidegger non rappresenta una posizione antisemita esclusiva e radicale, indirizzata specificamente contro un popolo in particolare - in questo caso il popolo ebreo, preso violentemente di mira dal nazionalsocialismo - , ma è invece una riflessione sull'espansione soggiogante della metafisica (all'interno della quale il giudaismo si manifesta come una delle sue espressioni), la quale si sviluppa come calcolo e potere della produzione nel bel mezzo dell'esigenza di disporre di tutto l'ente come ciò-che-sta-a-disposizione (Bestand). Naturalmente non si tratta nemmeno d'una posizione anti-tecnologica nel senso più comune del termine, bensì di un atteggiamento che nello stesso tempo riconosce e si distanzia dall'espansione del suddetto calcolo, come si dice anche nella definizione di Gelassenheit, dell'«abbandono», in quanto «sì e no» simultaneo nei confronti dell'avanzare onnicomprensivo del pensiero calcolante.
3. Le varie manifestazioni della razionalità moderna Questo dunque è il contesto teorico nel quale Heidegger prende le distanze dalle varie manifestazioni della ragione moderna, che è generatrice, a suo avviso, di calcolo e unilateralità. Egli si rivolge non solo al giudaismo, ma anche al nazionalismo, al comunismo, alla democrazia e, naturalmente, aH'«umanismo». Permettetemi di addurre alcuni esempi al riguardo, al fine di miti10 Martin Heidegger, Überlegungen XII-XV (Schwarze 1939-1941), GA 96, Klostermann, Frankfurt a.M. 2014, p. 67.
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gare l'eccessiva enfasi che attualmente viene posta sull'antisemitismo heideggeriano. Ciò finisce per occultare l'orizzonte filosofico più ampio nel quale s'inscrive tale fenomeno proprio a causa dell'eccessivo concentrarsi su di un unico aspetto particolare della ragione moderna, tralasciandone le restanti espressioni: 1) Nel contesto della sua riflessione degli anni 1938/39 sull'epoca moderna e la storia come tecnica Heidegger afferma: «Un giorno - considerato da una prospettiva occidentale - il common sense delle democrazie e la pianificazione razionale dell'"autorità totale" s'incontreranno e saranno riconosciute come la stessa cosa» 11 . Qui bisogna mettere in risalto, per ora senza ulteriori chiarimenti, il nesso esistente tra "democrazie", "pianificazione razionale" e "autorità totale", naturalmente nel contesto della posizione heideggeriana riguardo alla metafisica occidentale. Questo possibile nesso tra democrazia e pianificazione razionale non ha senso all'interno di una lettura fondata sulle carcasse vuote dei concetti di cui Heidegger qui parla, e su altre definizioni rigide e banali. Heidegger invece scorge un filo conduttore tra tutti questi fenomeni, considerandoli come manifestazioni della stessa cosa, e cioè del primato della soggettività e del pensiero calcolante. Entrambi sono espressioni dell'espansione soggiogante della metafisica razionale dell'Occidente. Questa idea che ci sia un vincolo essenziale tra la democrazia e la pianificazione razionale di tutto l'ente non è un caso isolato nella filosofia contemporanea, e quindi non è nemmeno una forzatura stabilire un legame tra questi concetti. In un altro contesto, dal quale scaturisce 11 Martin Heidegger, Besinnung, furt a.M. 1997, p. 234.
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anche una forte critica a Heidegger 12 e una decisa denuncia della barbarie dei campi di concentramento, i rappresentanti della Scuola di Francoforte hanno messo in risalto la pianificazione/amministrazione che viene posta in atto dalla ragione moderna 13 , e dalle forme politiche del mondo contemporaneo e delle società altamente industrializzate. Questa riflessione critica sulle società industriali concepisce lo sviluppo senza limiti della pianificazione e amministrazione, quale si manifesta nella forma politica del capitalismo, come un fatto connaturato all'espansione della ragione strumentale. Il nesso che Heidegger vede tra democrazia e pianificazione totale, il quale attraversa l'accadere storico della metafisica occidentale, viene colto nell'ambito della ricerca sociale anche attraverso il noto fenomeno della dialettica dell'Illuminismo. Non è affatto casuale quindi che, partendo da tradizioni filosofiche differenti e in vista di obiettivi anch'essi diversi, si arrivi a concepire l'espansione della ragione e dei suoi prodotti (ad esempio la tecnica) come la manifestazione culminante di un movimento storico universale diretto verso il dominio totale della pianificazione e dell'amministrazione dell'esistenza umana. In questo contesto più generale Heidegger istituisce un nesso essenziale tra la manifestazione "politica" (la democrazia) e quella che possiamo chia12 Cfr. Theodor W. Adorno, Jargon der Eigentlichkeit. Zur deutschen Ideologie, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1964. 13 Cfr. Theodor W. Adorno - Max Horkheimer, Dialektik der Aufklärung, in Gesammelte Schriften, Bd. 5, Fischer, Frankfurt a.M. 1987; Max Horkheimer, Zur Kritik der instrumenteilen Vernunft, in Gesammelte Schriften, Bd. 6, Fischer, Frankfurt a.M. 1991; Herbert Marcuse, Der eindimensionale Mensch. Studien zur Ideologie der fortgeschrittenen Industriegesellschaft, Deutscher Taschenbuch Verlag, München 1994.
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mare l'espressione sociale (la pianificazione) della metafisica occidentale. 2) Riferendosi a uno degli autori più influenti in tutta la sua opera, Heidegger nel 1939 sostiene che: «Nietzsche riconobbe che le democrazie occidentali e il modo in cui esse ottennero il sopravvento in epoca moderna sta nel fatto di aver dato inizio, in maniera determinante, a ciò che noi oggi, al di là di Nietzsche, possiamo chiamare "comunismo", usando il concetto in un senso ampio ma forse essenziale: nella misura in cui intendiamo con esso non già un "partito", e neppure una "visione del mondo", bensì la posizione metafisica finale dell'epoca moderna» 14 . Ancora una volta va fatto notare come Heidegger metta in relazione diretta fenomeni politici come la democrazia e il comunismo con la metafisica moderna, e quindi implicitamente con le già note connotazioni della tecnica. E chiaro, quindi, che Heidegger considera il comunismo come un'espressione della versione moderna della metafisica e delle sue implicazioni per l'esistenza umana. Non si tratta di una visione del mondo ( Weltanschauung), vale a dire di un'ideologia determinata o di una semplice rappresentazione politica, ma di un'esperienza dell'essere nel mondo attraversata dal potere del subiectum e dal valore della pianificazione tecnica che tutto uniforma. È in tal senso che le prospettive politiche della democrazia e del comunismo, in questo caso particolare, sono manifestazioni della stessa cosa, differenziate da fatti specifici di carattere teorico (politicoeconomico) che le convertono in antagonisti proprio per il fatto di condividere lo stesso ambito dell'esistenza. 14 Martin Heidegger, Zu Ernst Jünger, Frankfurt a.M. 2004, p. 238.
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Tradizionalmente la spiegazione dualista di queste differenze esigerebbe dal pensatore una presa di posizione in difesa di uno o dell'altro polo. Da questo punto di vista si potrebbe affermare che la critica della democrazia, per esempio, si fonda su di una concezione antidemocratica che difende gli interessi politici a essa contrari. Non è così, ovviamente, nel caso della filosofia di Heidegger, lontana dalle semplificazioni dualiste che si esprimono attraverso i prò e contro. Segnalare questo carattere non dualista della riflessione heideggeriana sarà il mio compito quando, più avanti, cercherò di analizzare l'uso del prefisso "anti-" nella filosofia del pensatore di MeKkirch. 3) Nel 1946, nella famosa Lettera sull'«umanismo», Heidegger segnalerà il carattere non esclusivamente politico e/o sociale del comunismo e dell'americanismo, rispettivamente mostrando invece il carattere "seinsgeschitlich", "ontostorico", di entrambe le posizioni: «In quanto forma della verità, la tecnica ha il suo fondamento nella storia della metafisica. Questa, a sua volta, è una fase caratteristica della storia dell'essere, e finora è la sola che possiamo abbracciare con il nostro sguardo. Si possono prendere varie posizioni sulle dottrine del comunismo e sulla loro fondazione, ma sul piano della storia dell'essere resta fermo che in esso si esprime un'esperienza elementare di ciò che è la storia del mondo. Chi prende il "comunismo" solo come "partito" o come "visione del mondo", pensa in modo altrettanto angusto di quelli che pensano che con il termine "americanismo" si indichi solo, e per giunta in modo spregiativo, un particolare stile de vita» 15 . 15 Martin Heidegger, Segnavia, Milano 1976, p. 293.
a cura di Franco Volpi, Adelphi,
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E degno di nota in questa prospettiva heideggeriana il quadro generale che permette di concepire i due termini in questione al di là di semplici espressioni di ideologie antagoniste, che potrebbero anche essere intese dal senso comune in termini "politici" tradizionali, nell'ottica di un dualismo inconciliabile tra comunismo e capitalismo, o tra bolscevismo e americanismo. Heidegger supera tale dicotomia grazie alla constatazione di una vicinanza essenziale di questi termini opposti, resa possibile dalla sua riflessione sull'accadere storicoepocale dell'essere. Nonostante le ovvie differenze, ovviamente percepite e accettate da Heidegger stesso, c'è un filo comune tra i vari termini opposti, che li rende simili: essi sono la manifestazione di un momento fondamentale della storia della metafisica, che si esprime come calcolo e disposizione. Questo è il senso del collegamento stabilito nella citazione precedente tra la verità, la storia dell'essere e la tecnica. La triade costituita dai concetti di "verità", "metafisica" e "tecnica" sarà sviluppata ulteriormente in Die Frage nach der Technik16 e anche in Zur Metaphysik-Neuzeitlichen WissenschaftTechnik11. Qui l'essenziale è, quindi, il fatto che varie espressioni di natura politica o sociale, per esempio, si riferiscono in fondo alla stessa cosa: allo stesso {das Selbe). Ciò che da un punto di vista eminentemente ontico è concepito come un partito politicamente strutturato, come una visione dal mondo o uno stile di vita (Lebensstil), in una prospettiva strutturale rappresenta invece il dispiegamento metafisico di una forma di concepire tutto l'ente come «riserva» (Bestand) e «impianto» (Gestell). In tale prospettiva, in cui la storia dell'essere e la storia 16 17
Cfr. G A 7 , pp. 5-36. Cfr. GA 76.
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della metafisica s'incontrano, convergono pure tutte le numerose e diverse manifestazioni del calcolo. Con questo quadro di riferimento è possibile insomma comprendere perché non è del tutto giusto estrapolare la filosofia heideggeriana dal suo contesto eminentemente "ontologico" di riflessione e valutarla su di un piano "politico", ideologico, morale o dottrinale, come fanno i sostenitori del cosiddetto "caso Heidegger". 4) Nella stessa Lettera, qualche riga dopo, Heidegger afferma: «Ogni nazionalismo è, sul piano metafisico, un antropologismo e, come tale, un soggettivismo. Il nazionalismo non viene superato dal semplice internazionalismo, ma soltanto esteso ed elevato a sistema. In questo modo il nazionalismo viene così poco elevato e portato ali'humanitas, quanto poco lo è l'individualismo nel collettivismo privo di storia. Il collettivismo è la soggettività dell'uomo portata sul piano della totalità» 18 . E evidente in questa citazione il carattere moderno, in senso filosofico, del nazionalsocialismo. Ciò converte questo fenomeno politico in un'espressione della metafisica in generale e, più precisamente, della metafisica della soggettività. Non è irragionevole dunque affermare che qualsiasi nazionalismo, sia nella sua versione individuale che in quella collettiva, è il risultato della preminenza del suhiectum come fondamento di tutto ciò che è. È questo il motivo per cui, oltrepassando una volta di più i tradizionali dualismi, Heidegger vedrà sia nel nazionalismo che nel collettivismo l'identica manifestazione di un soggettivismo. Non è casuale, di conseguenza, che nella loro concretezza "politica" tanto il nazionalismo quanto il col18
Martin Heidegger, Segnavia,
cit., p. 294.
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lettivismo facciano riferimento alla figura di un leader, cioè all'espressione del subiectum nella forma di un individuo che si presenta come una "guida". Da questo punto di vista, nella misura in cui sono entrambi fondamento dell'«azione politica» del popolo, sia Hitler che Stalin sono esempi di un dispiegamento della metafisica della soggettività e di una ragione che calcola e amministra. Di nuovo è superata da Heidegger ogni dicotomia inconciliabile a partire dalla scoperta di un punto d'incontro, che è insito nel dispiegamento della metafisica occidentale. Diventa dunque difficile comprendere la filosofia di Heidegger a partire da parametri dualistici, che mettono in gioco un'opposizione chiusa (quale viene espressa dal prefisso "anti-") o, più in particolare, che richiedono la negazione assoluta di un fenomeno "politico". La presa di distanze nei confronti del collettivismo, ad esempio, non comporta una difesa dell'individualismo, né una negazione del carattere sociale e "politico" di questi eventi storici. Allo stesso modo, in un altro contesto, la riflessione critica che Heidegger dedica all'umanismo non va intesa come un elogio della barbarie, né la sua meditazione sulla tecnica ha come esito l'invito a ritornare a forme primitive di organizzazione sociale, negando i benefici che il progresso tecnico ha per l'uomo. Se dunque non è possibile spiegare il nazionalismo, come fenomeno che rientra all'interno della metafisica della soggettività, contrapponendolo all'internazionalismo o al collettivismo, in che modo potrà essere valido comprendere semplicemente come antisemitismo l'inserimento heideggeriano dell'ebraismo nel quadro della storia dell'essere, come dispiegamento di un approccio calcolante? Che cosa significa in questo contesto l'aberrante opposizione nazionalsocialista a un determinato popolo, il popolo ebreo? La concezione heideg-
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geriana del nazionalismo come metafisica della soggettività implica forse una dichiarazione filosofica di antisemitismo nazista? Ma questa dichiarazione di antisemitismo non potrebbe invece essere una conferma filosofica del dispiegamento della metafisica (in particolare della metafisica moderna dell'organizzazione totale), e quindi un riproporsi di ciò contro cui Heidegger intende combattere?
4. Antisemitismo
e metafisica
Con questi esempi - e nell'opera di Heidegger se ne trovano molti altri dello stesso tenore - si è voluto offrire una serie di argomenti a favore della tesi generale per cui l'antisemitismo del filosofo di MeBkirch è solo un'ulteriore espressione della sua riflessione sulla metafisica e, in particolare, sulla metafisica moderna: quella che conduce al primato della vuota razionalità del calcolo. In tal senso la democrazia, il comunismo, il nazionalismo e - stranamente, per molti di noi - anche l'ebraismo, nella misura in cui sono pensati come manifestazioni dello sviluppo della razionalità che calcola e pianifica, risultano fenomeni che, secondo la «prospettiva politica» di Heidegger (considerata nei termini indicati all'inizio di questo lavoro) sono «la stessa cosa». Indicazioni in tal senso sono a) la stessa posizione di Heidegger nei confronti di questi fenomeni, b) l'idea che essi sono espressioni della metafisica moderna e c) il fatto che essi sono inseriti nel contesto della razionalità calcolante, tecnico-scientifica. Dato che 1'"antisemitismo" di Heidegger non può essere semplicemente omologato alla pratica nazista sfociata nello sterminio di un popolo (cosa che è stata taciuta nei molti giudizi negativi, politici e morali, contro il
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filosofo tedesco), e che la sua opera, includendo le prolusioni, i discorsi e le lettere, non consente una tale identificazione, dobbiamo attenerci alle fonti scritte e prendere sul serio la dimensione filosofica di quanto è stato detto da Heidegger nei suoi Quaderni neri. Ecco ciò che afferma: «La domanda circa il ruolo dell'ebraismo mondiale non è una questione razziale, bensì la questione metafisica circa il tipo di umanità che, svincolata per antonomasia, potrebbe assumere lo sradicamento dall'essere di tutto l'ente come compito della storia mondiale» 19 . In queste stesse Überlegungen Heidegger metterà chiaramente in relazione l'origine di ogni razzismo possibile (il fatto cioè di pensare a una razza) con l'epoca moderna e il soggettivismo, e quindi con la sua derivazione più importante: il «calcolo». Questa prospettiva sul fenomeno del razzismo - tipico di una visione nazista dell'uomo - può servire da esempio per mostrare come Heidegger potrebbe cadere in un'evidente contraddizione, se si accettasse la lettura che concepisce la sua filosofia come una filosofia antisemita e un'apologia del nazismo. Infatti sia la sua concezione della soggettività come espressione di una forma fondamentale della metafisica, sia la dimenticanza dell'essere inteso sotto la determinazione del soggetto come fondamento, sia infine l'idea del calcolo e della disponibilità di tutto l'ente, concepiti come fenomeni fondamentali dell'epoca moderna, sono in palese contraddizione con ogni apologia filosofica di fenomeni come l'antisemitismo e il nazionalismo, dal momento che essi sono considerati da Heidegger come manifestazioni di quello stesso dispiegamento della metafisica della soggettività, del calcolo e della macchinazione 19 Martin Heidegger, Überlegungen 1939-1941), GA 96, cit., p. 121.
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(.Machenschaft), che egli intende superare. Come Heidegger afferma: «Ogni pensiero relativo alla razza è moderno, perché si muove sui binari della concezione dell'uomo come subiectum. Nel pensiero della razza viene portato a compimento il soggettivismo dell'epoca moderna mediante l'inserimento della corporeità nel soggetto e attraverso la concezione per cui il soggetto è completamente ricondotto all'umanità della massa degli uomini. Contemporaneamente a questo compimento, e asservito a esso, si realizza senza più condizioni il dispiegamento del pieno potere della macchinazione»20.
5. Due importanti
conseguenze
Dal nesso fra "ebraismo mondiale" e metafisica occidentale derivano, per la filosofia di Heidegger e la sua lettura del fenomeno dell'ebraismo, due importanti conseguenze: 1) Come espressione dello sviluppo della metafisica il "Weltjudentum", l'"ebraismo mondiale", dev'essere compreso nel contesto dello sviluppo del calcolo e della macchinazione {Machenschaft). Questi fenomeni, di cui si parla nei Quaderni neri in modo molto simile a come Heidegger parlerà della «civilizzazione mondiale» (la Weltzivilisation-, un'altra forma di pensare il Gestell in quanto essenza della tecnica moderna) 21 , portano, nel loro sviluppo incontrollato, alla distruzione della terra e all'estremo sfruttamento della natura, così come alla 20
Ivi, pp. 69-70. Martin Heidegger, Dankansprache, in GA 16, Klostermann, Frankfurt a.M. 2000, pp. 711-713; Ein Grusswort für das Symposion in Beirut, ivi, pp. 742-743; Grusswort anlasslich des Erscheinens von Nr. 500 der Zeitschrift Riso, ivi, pp. 744-745. 21
I Quaderni neri nel contesto della questione politica 101 reificazione della tecnica e della scienza. Una delle forme più radicali dello sviluppo soggiogante della macchinazione è il totalitarismo politico fondato sul calcolo e sulla razionalità pianificatrice: in questo, come abbiamo visto, coincidono nazionalsocialismo e comunismo. Campi di concentramento e campi di lavoro forzato {Gulag) sono la manifestazione della stessa volontà di distruzione e di sterminio. Heidegger fornirà un esempio di questa forma politico-culturale derivata dalla metafisica moderna del calcolo nei suoi Bremer und Freiburger Vorträge del 1949: «L'agricoltura è oggi industria alimentare meccanizzata, che nella sua essenza è lo Stesso {das Selbe) della fabbricazione di cadaveri nelle camere a gas e nei campi di sterminio, lo Stesso del blocco e dell'affamamento di intere nazioni, lo Stesso della fabbricazione di bombe all'idrogeno» 22 . Non c'è forse nell'opera di Heidegger un passaggio che collega più chiaramente il rapporto essenziale esistente tra il fenomeno generale della macchinazione e alcune manifestazioni caratteristiche della barbarie nazionalsocialista - le camere a gas, i campi di concentramento e gli interessi nazionali - con le espressioni dello sviluppo scientifico-tecnico che hanno avuto un'influenza decisiva sul rapporto dell'uomo con la natura (la meccanizzazione dell'agricoltura, ad esempio) e che storicamente, in un'altra area di sviluppo, hanno contribuito alla difesa di quello che ancora oggi chiamiamo "democrazia". E dunque - dobbiamo chiederci - è possibile ignorare la convergenza di tali manifestazioni nel primato del calcolo per vedere semplicemente nella filosofia heideggeriana un'apologia del nazionalsocialismo? È saggio, filosoficamente parlando, ignorare gli sforzi di 22 Martin Heidegger, Conferenze di Brema e Friburgo, Giovanni Gurisatti, Adelphi, Milano 2002, pp. 49-50.
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Heidegger per mostrare come tutte queste diverse manifestazioni sono invece forme di dispiegamento della stessa cosa? Capire questo sforzo comporta, almeno, la possibilità di comprendere il significato del suo "antisemitismo" e di evitare un'interpretazione di ciò che viene detto nei Quaderni neri, a suo favore o contro di lui, come un'attestazione "politica" delle sue posizioni. 2) La macchinazione e il calcolo conducono in ultima istanza allo sradicamento ( B o d e n l o s i g k e i t ) e alla spaesatezza (Heimatlosigkeit), intesi nel loro senso culturale. Questa tematica, che lega fra loro sradicamento e calcolo, è presente secondo diverse forme in varie opere e in scritti dello Heidegger maturo. La incontriamo nel discorso commemorativo di Conradin Creutzer del 195523, nel discorso celebrativo per i 700 anni della sua città natale MeKkirch24, nella breve lettera in risposta a un invito a Beirut25, ecc. Tutto ciò, e soprattutto il concetto di "civilizzazione mondiale" come segnale evidente del venir meno dell'autentico, coincide con quanto detto da Heidegger nelle sue Überlegungen del 1939: «La potenza della macchinazione - l'annientamento insito nell'assenza di Dio, il farsi uomo dell'uomo nella bestia, lo sfruttamento della terra, il calcolo del mondo sono giunti allo stadio finale; differenze di popoli, Stati, culture sono solo fenomeni di facciata. Nessuna misura può rallentare o imbrigliare la macchinazione» 26 . 23 Martin Heidegger, Gelassenheit, Neske, Pfullingen 1959, trad. it. di A. Fabris, L'abbandono, Il melangolo, Genova 1983. 24 700 Jahre Mejlkirch, in Reden und andere Zeugnisse eines Lebensweges, GA 16, cit., pp. 74-82. 25 Martin Heidegger, Ein Grusswort für das Symposion in Beirut, cit., p. 742. 26 Martin Heidegger, Überlegungen XII-XV (Schivane Hefte 1939-1941),GA96,cit,p.76.
I Quaderni neri nel contesto della questione politica 103 Il carattere dello sradicamento - a differenza di quanto sostenuto da Lévinas nel suo scritto Heidegger, Gagarin et nous — non è proprio ed esclusivo dell'esperienza del Weltjudentum11. L'ebraismo non è, pertanto, l'unica espressione della distruzione (Zerstörung), dello sradicamento dall'essere di tutto l'ente (die Entwurzelung alles Seienden aus dem Sein). Già in Essere e tempo troviamo, quale carattere strutturale dell'esserci, il fatto di non-sentirsi-a-casa-propria (Un-zuhause), l'esperienza costitutiva dello sradicamento: «L'in-essere assume il "modo" esistenziale del non-sentirsi-a-casa-propria [...] Dal punto di vista ontologico-esistenziale, il non-sentirsi-a-casa-propria deve esser concepito come ilfenomeno più originario»2^. Ciò significa che il richiamo all'esperienza dello sradicamento non basta per sostenere una ferma opposizione della filosofia di Heidegger a un popolo in particolare. La distinzione proposta da Lévinas tra lo sradicamento ( E n t w u r z e l u n g ) dell'ebraismo e il radicamento (Verwurzelung) dell'autentico in Heidegger si rivela infondata, tanto più se si considera tale radicamento secondo parametri geografico-culturali. In Gelassenheit29 si delinea infatti una concezione non spaziale del radicamento, quando Heidegger afferma la possibilità di esperire uno sradicamento profondo anche all'interno della stessa terra natia: il luogo dove uno è nato e cresciuto. Si tratta di uno sradicamento ancora più grande di quello che sperimentano coloro che sono stati cacciati dal loro luogo di origine. In Heidegger non c'è tanto una rigida opposizione di 27
Cfr. Emmanuel Lévinas, Heidegger; Gagarin und wir, Jüdischer Verlag, Frankfurt a.M. 1992, p. 175. 28 Martin Heidegger, Essere e tempo, trad. it. a cura di Franco Volpi sulla versione di Pietro Chiodi, Longanesi, Milano 2005, § 40, pp. 230,231. 29 Op. cit., p. 17.
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stampo manicheo tra radicamento e sradicamento, quanto piuttosto una ricerca continua del «ritorno a casa» nell'esperienza della nostalgia (Heimweh). Ciò in fondo significa la vicinanza costitutiva all'autentico anche nella distanza che è propria dell'esperienza umana. Nella sua lettura dell'opera di Hölderlin, Heidegger metterà in risalto questo sradicamento che cerca l'autentico (sinonimo di ciò che non si possiede) quando riconoscerà il ruolo dell'altro, dello «straniero», all'interno di tale ricerca30. Non si tratta comunque di un «ritorno a casa» che ne prende possesso (besitzen), ma di un ritorno che scopre proprio l'impossibilità di appropriarsene. La manifestazione culturale dello sradicamento si accorda insomma con il carattere strutturale del non-sentirsi-a-casa-propria già segnalato in Essere e tempo. Pertanto lo sradicamento non è una caratteristica particolare dell'esperienza del Weltjudentum, ma costituisce invece l'essenza stessa dell'uomo che cerca il ritorno all'autentico. Per tale ragione non mi sembra adeguato identificare 1'"antisemitismo" di Heidegger con la sua descrizione dello sradicamento. In Heidegger, infatti, l'antisemitismo non deriva dal confronto tra due posizioni, una fondata nello sradicamento e l'altra nel radicamento, così come pensa Lévinas.
6.
Conclusione
Non è quindi assurdo ritenere che la "questione politica" nella filosofia di Heidegger e il suo "antisemitismo" debbano intendersi a partire dalla confluenza delle analisi sul predominio tecnico-scientifico nel mondo 30 Martín Heidegger, Hölderlins Hymne Klostermann, Frankfurt a.M. 1992, p. 140.
»Andenken«,
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I Quaderni neri nel contesto della questione politica 105 moderno, del divenire storico-fattuale della metafisica che ne sta alla base e del progresso totalizzante delle istanze alla disponibilità proprie dell'ente nella sua totalità. Per questa ragione viene stabilito un legame profondo tra il progresso della metafisica e l'emergere di varie espressioni e ambiti del totalitarismo. Silvio Vietta, ad esempio, mette in relazione la riflessione di Heidegger sulla tecnica con il suo prendere le distanze dall'ideologia nazista, considerando il suo coinvolgimento nel partito nazionalsocialista come una manifestazione dell'essenziale permanere del filosofo all'interno della metafisica. In tale contesto la guerra e il nazionalsocialismo sono due fenomeni concomitanti dell'abbandono dell'essere, e pertanto una conseguenza del progresso della tecnica verso il suo stadio ultimo. Ciò che caratterizza la "questione politica" nel pensiero di Heidegger è la sua interpretazione della metafisica come manifestazione dell'oblio dell'essere, che sul versante tecnico-moderno del progresso universale del Ge-Stell invade tutte le sfere dell'umano. Solamente a partire da qui si può capire il vero senso del suo antisemitismo, che assieme all'americanismo, al bolscevismo e al nazionalsocialismo rappresenta l'espressione "politica" dello sviluppo metafisico del Ge-Stell. Come si è già detto facendo riferimento a Pöggeler, pensare la metafisica e la sua espansione tecnica - e le ovvie e profonde conseguenze che essa comporta per l'esistenza umana - costituisce l'autentico "pensiero politico" di Heidegger. Senza scadere in un'assurda negazione di tecnica e calcolo, Heidegger prende le distanze dall'egemonia unilaterale della tecnica, quell'egemonia che esclude ogni accesso all'ente che non risponda alla pianificazione ordinata in vista di fini specifici. Tale carattere unilaterale del calcolo tecnico-scientifico è essenzialmente una «uniformità organizzata» ( o r g a n i s i e r t e Gleichför-
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migkeit), che diventa il linguaggio comune e universale dell'epoca contemporanea31. Nell'analisi del presente proposta da Heidegger non c'è traccia di quel fondamentalismo che genera concezioni univoche e chiuse. Al contrario, la sua meditazione sul fenomeno della tecnica si oppone alla restrizione del pensare compiuta da spiegazioni universalizzanti e definitive, dall'uniformità e unilateralità dell'espansione del Ge-stell che rende tutto omogeneo fondendo le differenze in un'unica esigenza universale di disponibilità. Il carattere aperto e non univoco della riflessione heideggeriana si manifesta anche nel rifiuto dell'uso di termini contrapposti, che nel fondo indicano solo la loro appartenenza allo stesso ambito. Per tale ragione la riflessione di Heidegger sull'essenza della tecnica non è una posizione anti-tecnologica (che sarebbe estremamente ingenua) e la sua critica dell'umanismo non dev'essere frettolosamente intesa come una posizione anti-umanista. E non si può nemmeno affermare che il distanziarsi di Heidegger dalle diverse teorie del linguaggio denoti semplicemente una posizione anti-linguistica o che il suo atteggiamento critico nei confronti della logica conduca direttamente a un'apologia dell'illogico. Non si può nemmeno sostenere che la sua lettura della democrazia sbocchi in una proposta anti-democratica e totalitaria, o che la condanna della metafisica moderna sia una denigrazione di tale epoca e manifesti una postura antimoderna. Tutte le prospettive dualiste che esprimono un'opposizione tra due poli non rappresentano assolutamente il senso della concezione heideggeriana, la quale riesce a superare l'uso comune del prefisso "anti-" e le sue connotazioni
31
Martin Heidegger, 700]ahreMefikirch,
in GA 16, cit., p. 577.
I Quaderni neri nel contesto della questione politica 107 di "gegen", "contra", "opposizione/opponente". Quanto detto in Essere e tempo può essere considerato la risoluzione definitiva di tali opposizioni: «L'irrazionalismo, come controparte del razionalismo, discorre semplicemente da orbo di ciò rispetto a cui questo è cieco» 32 . Il percorso di questo saggio sulla "questione politica" nel pensiero di Heidegger, e sulla possibilità che tale problematica offre di comprendere l'antisemitismo di Heidegger stesso, rimane insomma all'interno della questione capitale da pensare: la sua filosofia. Solo a partire da qui sarà possibile delineare il suo "pensiero politico" e comprendere il senso della sua posizione "antisemita". A partire da tale prospettiva filosofica dev'essere posta anche la domanda se, al fondo, il pensiero di Heidegger sia un pensiero antisemita" nel senso comune del termine, cioè se esso manifesta un'ostilità radicale nei confronti di un popolo, e se in tal senso possa venir considerato un'introduzione del movimento politico-totalitario nazionalsocialista nella filosofia.
32
Martin Heidegger, Essere e tempo, cit., § 29, p. 169.
HEIDEGGER: L'AMBIGUITÀ DELLA DECISIONE TRA FILOSOFIA E POLITICA1 Adriano Fabris 1. L'ambiguità del pensiero
heideggeriano
Il pensiero di Heidegger, sotto molti aspetti, appare ambiguo. Lo è nella misura in cui rivela spesso un'incertezza nelle sue intenzioni di fondo. Lo è soprattutto se si considerano gli esiti a cui giunge. Ciò si riflette anche nelle azioni e nelle scelte che Heidegger compì in vita. Ciò può essere documentato, oggi, anche da alcune annotazioni contenute nei Quaderni neri finora pubblicati2. Certo: l'incertezza ovvero l'indecisione di cui parlo non possono che apparire paradossali nel caso di quel filosofo che, in Essere e tempo, pone al centro della propria rappresentazione dell'esserci - dell'ente che noi siamo - proprio la disposizione delYEntschlossenheit, della "risolutezza"3. Ma, come cercherò di mostrare, tale 1 Una versione più ampia di questo saggio è stata pubblicata su «Filosofia politica» (XXVIII, 1, aprile 2014, pp. 27-41) con il titolo Heidegger: l'esperienza della quotidianità e ì"eroismo" della decisione. Ringrazio la direzione della rivista per avermi concesso di proporre in questa sede una diversa versione del testo. 2 Band 94, 95 e 96 della Gesamtausgabe, hrsg. v. P. Trawny, Klostermann, Frankfurt a.M. 2014. 3 In italiano il termine è comunemente tradotto con "risolutezza". In Essere e tempo esso indica il modo in cui l'esserci si risolve a essere ciò che propriamente è, vale a dire un ente mortale, e fa di questa risoluzione lo habitus della propria vita. " E n t s c h e i d u n g " invece, l'altro termine che Heidegger usa con analogo significato, indica propriamente la decisione, la scelta che viene di volta in volta compiuta dall'essere umano. Questo vocabolo è attestato nell'intera produzione
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ambiguità viene sperimentata e messa in opera nel suo pensiero proprio nonostante, anzi: attraverso l'esercizio della decisione. E in ciò consiste forse il paradosso più evidente di questa filosofia. Inoltre l'ambiguità delle conseguenze a cui tale pensiero conduce spingono Heidegger a elaborare giustificazioni più o meno convincenti nei confronti di scelte - ad esempio l'adesione al nazismo - rivelatesi disastrose da una prospettiva sia teorica che morale. Bisogna dunque cercar di capire il perché di questa struttura e di questi esiti ambigui. La mia tesi è che tale ambiguità è sintomo di un'insoddisfacente elaborazione del problema etico. Ci tornerò in conclusione4. Ma che cosa significa qui, più precisamente, usare il termine "ambiguità"? Anzitutto esso si riferisce a un dato di fatto, nella misura in cui il pensiero heideggeriano può essere interpretato, legittimamente, in maniere anche opposte. In effetti ciò è accaduto spesso. Solo per fare alcuni esempi: tale pensiero è stato concepito come una radicale distruzione della filosofia precedente, da Platone a Nietzsche, in quanto dimentica della differenza heideggeriana. Si veda per un'analisi delle ricorrenze di Entschlossenheit nel contesto di Essere e tempo, R.A. Bast - H.P. Delfosse, Handbuch zum Textstudium voti Martin Heideggers "Sein und Zeit", voi. I, Frommann-Holzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt 1980, pp. 8990. Quanto all'uso successivo di Entscheidung cfr. invece i Contributi alla filosofia (Dall'evento), GA 65, a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 2007, §§ 44-49. 4 Non si tratta certo di una tesi nuova. Essa ha avuto sviluppi sia nella letteratura secondaria recente, sia, prima ancora, nella riflessione più o meno amara di chi Heidegger lo aveva conosciuto e frequentato. Ma forse, da parte degli allievi e degli studiosi di Heidegger, questa tesi non è stata elaborata fino in fondo. Si veda di chi scrive, per una discussione della letteratura secondaria sull'argomento, la parte iniziale del saggio Das ethos des Wohnens im Denken Martin Heideggers, in «Internationales Jahrbuch fiir Hermeneutik», 6 (2007), pp. 181-195.
L'ambiguità della decisione tra filosofia e politica
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ontologica, e al tempo stesso come un'assimilazione, non sempre dichiarata, di temi centrali della storia della metafisica; è stato inteso come una critica della modernità e del suo punto d'arrivo nella tecnica, e insieme come un invito ad abbandonarsi agli esiti della tecnica stessa, in quanto «evento dell'essere»; è stato interpretato come una presa di distanze, definitiva, dal Dio sia dell'onto-teo-logia filosofica che della tradizione religiosa ebraico-cristiana, ma anche, esplicitamente, come l'annuncio di un «Dio più divino» del quale restare in attesa. Anche e soprattutto sul piano dei comportamenti personali, poi, un'analoga ambiguità è stata rimproverata a Heidegger più volte. Lo hanno fatto per esempio sia Lowith, sia, in maniera più sfumata, lo stesso Gadamer5. Un giudizio analogo, che conteneva però anche un tentativo di spiegazione dei motivi che hanno indotto Heidegger ad assumere atteggiamenti talvolta poco chiari, è stato formulato da Hannah Arendt. Lo stesso Jaspers ha cercato di valutare la scelta heideggeriana di aderire al nazismo a partire da parametri di coerenza. E per questo motivo ha dovuto interpretare gli atti pubblici di Heidegger nel periodo del rettorato come una vera e propria compromissione con il regime. Di più: in assenza di qualunque riconoscimento di responsabilità da parte heideggeriana, egli non ha potuto che condannare il vecchio amico. Forse Heidegger, dal canto suo, può credere di non esser stato capito. Neppure da coloro che un tempo 5 Cfr. Karl Lowith, Mein Leben in Deutschland por und nach 1933: Ein Bericht, Metzler, Stuttgart 2007; Hans-Georg Gadamer, Interpretazione e verità. Colloquio con Adriano Fabris, in «Teoria», 1 (1982); Id., Caro Professor Heidegger, a cura diD. Di Cesare, Il melangolo, Genova 2000.
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erano stati a lui legati da vincoli di amicizia intellettuale e personale. Magari può sostenere che l'ambiguità di cui sto parlando è un destino della filosofia e di chi la pratica davvero. Non a caso, per esempio, la verità è, nella sua interpretazione, qualcosa di duplice: sia svelamento che nascondimento. Non a caso chi erra per i sentieri dell'essere, e pensa in grande stile, non può che sbagliare altrettanto grandemente. Il punto però è un altro. Vi è in chi fa filosofia, richiesto dalla struttura del filosofare stesso, un bisogno di coerenza. E un bisogno che viene richiesto dalla filosofia stessa a chi la pratica. Mi riferisco anzitutto alla necessità di tener assieme, nella vita del filosofo, ciò che questi pensa e il modo in cui si comporta: dal momento che il filosofare - lo insegna proprio Heidegger - non è solo un esercizio teorico, ma richiede una verifica esistenziale. Si parla in proposito di «veracità», ovvero di «veridicità» di determinati comportamenti. Essa è stata manifestata per esempio da Socrate, fino all'estremo. Non solo comporta il fatto, puro e semplice, di dire la verità, affermando correttamente enunciati che corrispondono a stati di cose. Soprattutto implica un'assunzione responsabile, in prima persona, di ciò che risulta vero, e la necessità, la necessità morale, di accettarne le conseguenze. Dalla teoria, insomma, si passa all'etica. Dalla contemplazione avalutativa della «storia dell'essere», quale emerge pure in alcune pagine dei Quaderni neri, e dal reiterato tentativo di decifrarla si giunge all'accoglimento in prima persona della responsabilità nei confronti degli stessi pensieri che sto sviluppando. Qualora poi tali pensieri altro non fossero che la risposta a un appello dell'essere, ci sarebbe pur sempre spazio per un'analoga assunzione di responsabilità concernente l'accettazione e la concreta applicazione di ciò che l'essere stesso suggerisce. Tutto ciò, ripeto, è necessario
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per lo sviluppo dell'indagine filosofica: a meno che chi la pratica non sia rassegnato all'irrilevanza della propria riflessione nei confronti del mondo e del contesto storico in cui vive. Eppure, proprio nel caso di Heidegger, l'atteggiamento ambiguo che sto discutendo ha contribuito paradossalmente, più di altri aspetti della sua filosofia, a tener desta l'attenzione su questo pensatore. Forse perché in filosofia non sempre la coerenza paga. Forse perché è meglio, in molti casi, lasciar aperta la possibilità di interpretazioni molteplici. Sembra infatti preferibile affidarsi all'indeterminatezza di metafore che chiunque può interpretare a suo piacimento, oppure credere che non è l'essere umano a parlare, ma un logos impersonale, che sgrava il filosofo dalla responsabilità di ciò che afferma. La questione dell'ambiguità, insomma, è decisiva non solo per discutere il significato e la portata del pensiero heideggeriano, ma per chiarire i compiti e la portata della stessa ricerca filosofica. In questa sede intendo limitarmi a discutere, movendo da questo sfondo di ambiguità accettata e praticata, alcuni aspetti del rapporto tra filosofia e politica così come in Heidegger si è configurato. Lo farò mettendo al centro dell'indagine il concetto di "decisione". Privilegerò soprattutto alcuni scritti degli anni venti e dei primi anni trenta: testi nei quali il tema della decisione s'intreccia con quello della quotidianità. Cercherò più precisamente di mostrare come lo stesso approccio che fa leva sulla decisione individuale dell'esserci in Essere e tempo si ripresenta su di un piano collettivo a fondamento della decisione politica che il popolo tedesco, secondo Heidegger, dovrebbe far propria.
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2. La decisione nel corso universitario
del 1921/22
Ma perché, nel pensiero di Heidegger, il nesso tra quotidianità e decisione è così centrale? E in che modo tale collegamento viene inizialmente impostato? Cioè: secondo quale funzione e a partire da quali presupposti esso si realizza? Possiamo rispondere a queste domande facendo riferimento al corso universitario del semestre invernale 1921/22 sulle Interpretazioni fenomenologiche di Aristotele. Introduzione alla filosofia. Uno dei concetti chiave che ricorrono nel corso è quello di "motilità" {Bewegtheit): una dinamica che attraversa la vita umana e la stessa ricerca filosofica. Ma tale movimento può attuarsi in vari modi. Anzitutto, però, la sua tendenza è di seguire l'inclinazione della vita, che è un'inclinazione al decadimento, e che più precisamente è un modo di accondiscendere, in forma implicita, al proprio «andare in rovina» (Ruinanz). Ebbene, appunto in relazione a ciò, il filosofare svolge una funzione di antidoto. Esso è chiamato a prendere una serie di decisioni. Si tratta anzitutto di decidersi a filosofare davvero, distaccandosi da quella tendenza alla dispersione che prevale nella quotidianità della vita. Bisogna poi decidersi a filosofare nel modo giusto, contrapponendosi al rovinio della vita e attivando un contro-movimento che combatta questa tendenza. E infine va assunta la decisione di rivolgersi a quella condizione di base che consente a chi fa filosofia di orientarsi nella propria ricerca: che gli permette di rivolgersi a quel senso che offre lo sfondo di ogni sua relazione con le cose e lo fa realizzare nelle sue possibilità. Considerata in tutti questi aspetti la decisione permette di compiere tre azioni differenti. In primo luogo inaugura un processo diverso da quello che è proprio della vita fattuale, liberandosi, per così dire, dai vincoli
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che di essa sono propri. Da un altro punto di vista la decisione fa sì che il filosofare possa assumersi positivamente come un movimento alternativo a quello della condizione quotidiana: un movimento nel quale il sé si riconosce come tale, in prima persona, e può propriamente dire «io». Infine l'apertura della decisione e il suo movimento permettono di accedere alle condizioni di fondo che li rendono davvero possibili: al senso che li orienta e alla temporalità che li caratterizza. Analoghe riflessioni vengono poi riprese nella terza parte del corso. Heidegger abbozza qui una prima interpretazione complessiva del faktisches Leben : della vita fattuale in cui siamo immersi e che viviamo in maniera inquieta. La stessa indagine che egli svolge è il risultato di una «genuina decisione originaria» 6 . La decisione, in altre parole, è all'origine di un nuovo movimento, che mette in questione ciò che nella vita dell'essere umano sembra inevitabile subire. Tale decisione consente di prendere le distanze dalla quotidianità e permette la «ripresa», vale a dire una «ripetizione» in controtendenza7 del rapporto che già sempre è in atto con il mondo circostante (ciò che Heidegger chiama già qui Umwelt), con i nostri simili ( M i t w e l t ) e con noi stessi ( S e l b s t w e l t ) . Da questo punto di vista, dunque, la decisione assume davvero il carattere di un gesto "eroico": intendendo per "eroismo" un atteggiamento spesso controcorrente, motivato da una fedeltà a principi che inducono a sacrificare le comodità del quotidiano per fini più alti. Non solo rende possibile il distacco critico rispetto a ciò 6 Martin Heidegger, Interpretazioni fenomenologiche di Aristotele. Introduzione alla ricerca fenomenologica, voi. 61 della Gesamtausgabe, trad. it. di M. De Carolis, Guida, Napoli 1990, p. 113. 1 E evidente qui, non solo per il lessico utilizzato, il riferimento all'opera di Kierkegaard.
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che s'impone nella mentalità comune, ma soprattutto permette di lottare, vivendo, contro la vita stessa. La vita, qui, appare qualcosa di ambiguo: è luogo di opportunità, ma anche, come Heidegger dice, «realtà nella sua specifica impenetrabilità, [...] potenza, destino»8. La sproporzione delle forze in campo, il carattere impari di questa lotta, è un altro segno, se ce ne fosse ancora bisogno, dell'eroismo che tale movimento in controtendenza richiede a ciascuno di noi, e in particolare al filosofo, per essere scelto e attuato. Tutto ciò viene considerato e vissuto da Heidegger come un compito che, nella misura in cui riguarda ogni individuo, dev'essere assunto e attuato in proprio. Vi è molta enfasi, anzi, nel segnalare questo. E in gioco un nuovo modo d'intendere l'essere - la condizione di possibilità di ogni comprensione - a partire dal modo in cui ci rapportiamo anzitutto a noi stessi. Non si tratta semplicemente di coniugare il verbo "essere" alla prima persona singolare, nella forma appunto dell'«io sono», rompendo con una tradizione che, da Parmenide in poi, considera l'«essere» come qualcosa che «è», e che va anzitutto coniugato alla terza persona. Si tratta, prima ancora, di decidere appunto di farlo. E di nuovo in tale decisione è in gioco non solo la possibilità di comprendere se stessi, adeguatamente o meno, ma più ancora di realizzarsi come tali. In sintesi, allora, ciò che il filosofare compie a partire da questa decisione, considerata come gesto impegnativo che contrasta l'andamento decadente e depressivo della vita, non è affatto un atto di chiarificazione teorica, che magari potrebbe anche offrire una prospettiva di salvezza all'essere umano rivelandogli chi davvero è. 8
Martin Heidegger, Interpretazioni tele, cit., p. 117.
fenomenologiche
di Aristo-
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Al contrario. Il filosofare è un processo di conquista della propria individualità autentica che si compie appunto attraverso la concreta messa in opera di tale individualità: performativamente. Ciò significa che il filosofare si oppone al decadimento insito nella vita quotidiana non solo conoscendolo, ma agendo contrariamente al movimento che lo attraversa. La filosofia, dice Heidegger, deve installarsi in maniera adeguata nel campo delle questioni aperte, nell'ambito di ciò che risulta problematico. Deve lottare per tener aperto lo spazio del domandare e per essere in grado di porre le domande giuste9.
3. La decisione per
l'indecidibile
Abbiamo visto come nel giovane Heidegger il filosofare sia un'iniziativa capace di contrastare l'andamento quotidiano della vita. Essa è istituita da una decisione, che appunto serve a interrompere il flusso decadente della quotidianità e a inaugurare un comportamento diverso. Si tratta di una decisione anzitutto filosofica. Ma importante è intendere il filosofare nella maniera giusta: come un restare aperti alle questioni fondamentali e non come un affrettarsi a dare risposte; come una prassi e non solo come una teoria; come qualcosa di radicato nella vita di ciascuno e non come un mero esercizio intellettuale. C'è però un altro aspetto che emerge dalle lezioni esaminate. Esso riguarda il carattere stesso di quella decisione che viene richiesta a chi fa filosofia e che comporta un impegno serio, in prima persona, per essere 9 Heidegger parla esplicitamente della «lotta dell'interpretazione filosofica di fatto contro il suo rovinio di fatto, una lotta che è sempre contemporanea all'attuazione del filosofare» (ivi, p. 182).
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attuata. Già qui emerge infatti che il decidersi non è solo un decidersi per nuove prospettive, per differenti possibilità rispetto a quelle che sono offerte dalla vita quotidiana. Non si tratta solo di prendere una decisione in positivo riguardo a ciò che possiamo effettivamente trasformare. La decisione più difficile, quella più radicale, riguarda invece qualcosa che risulta per noi indecidibile, su cui non possiamo affatto incidere. Il luogo in cui viene sviluppata fino in fondo questa "decisione per l'indecidibile" è la trattazione di Essere e tempo (1927). Mi riferisco ai temi - affrontati in quest'opera - dell'essere-per-la-morte, del precorrimento di essa e della risolutezza che ciò comporta. Heidegger li affronta nei primi due capitoli della seconda sezione della prima parte10. In Essere e tempo, nell'essere-per-la-morte, è in gioco non già l'apertura nei confronti di quanto avverrà - come nella prospettiva escatologica di matrice ebraico-cristiana - , ma la chiusura rispetto a quanto non potrà più avvenire. Di conseguenza, qui, la decisione concerne non già il possibile, bensì soprattutto l'impossibile. Essa viene a indicare ciò che è messo in opera all'interno di quella relazione che l'esserci ha con il proprio essere mortale: con quella possibilità originaria - con quella sorta di meta-possibilità - in virtù della quale l'esserci stesso si sottrae al mondo delle incombenze quotidiane e comprende che ogni possibilità che gli si dischiude nella vita di tutti i giorni è collocata in una dimensione di finitezza. La Entschlossenheit, la risolutezza, è appunto l'assunzione da parte dell'esserci di questa finitezza sua propria. Essa viene perciò chiamata, nel § 60, «la struttura esistenziale del poter essere autentico». 10 Faccio riferimento qui alla traduzione italiana di P. Chiodi, a cura di F. Volpi, Longanesi, Milano 2005.
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Anche nella Entschlossenheit vi è una sorta di apertura. Ma, invece che con un riferimento a qualcosa di assolutamente altro e imprevedibile, abbiamo qui a che fare con un'autocomprensione, con un ripiegarsi su di sé dell'esserci stesso, mediante cui questo ente si coglie nella sua verità e sperimenta una sia pur fragile e precaria possibilità di autoaffermazione. In altre parole, la risolutezza, e le concrete decisioni in cui questa si articola, si sviluppano a partire dalla volontà di essere fedeli a ciò che ciascuno di noi propriamente è. In che modo, concretamente, tutto questo viene elaborato? La trama di Essere e tempo è ben nota. L'esserci, l'ente che è sempre mio, è chiamato a mettere in opera, a realizzare performativamente il suo stesso essere. Per l'esserci tale possibilità è costitutiva, dal momento che esso è descritto come quell'ente che non solo è, ma che anzitutto può essere. Si tratta, più precisamente, di quell'ente per cui ne va della propria esistenza. E che dunque è di volta in volta chiamato a realizzarsi nella maniera più propria. Ciò vuol dire che due, in alternativa fra loro, sono i modi in cui l'esserci può attuarsi. O questo ente si realizza non corrispondendo affatto al suo vero essere, cioè sperimentando una modalità inautentica di esistere, dominata dai fenomeni della dispersione, del decadimento, della chiacchiera, dell'equivoco. Oppure viene messa in opera una fedeltà a se stessi, un'adesione a ciò che uno è, in quanto tale. E ciò che ciascuno di noi è, ciò che si presenta in questo caso come un vero e proprio destino, è il carattere della finitezza. Di esso è specifica espressione la morte. Tra queste due modalità dell'esistenza - pur mescolate fra loro, pur da non considerare secondo un ordine gerarchico, pur da non concepire in un'ottica di tipo valoriale - in Essere e tempo c'è un'alternativa radicale. O
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mi comprendo come non sono, a partire da ciò che è diverso da me; oppure mi sperimento e mi assumo in ciò che mi è proprio. Mi assumo, appunto, non semplicemente mi concepisco o mi contemplo. Quest'alternativa è infatti sottoposta a decisione. Ma, perché ciò accada, essa deve prima di tutto manifestarsi come un'alternativa. Il tema della «chiamata della coscienza», con il suo potere di risveglio dal decadimento in cui sono coinvolto, viene introdotto proprio a questo scopo e sviluppato nei §§ 55-57 di Essere e tempo. La chiamata però non ha un carattere necessitante. Modellata sull'idea ebraico-cristiana di conversione, essa implica, di nuovo, che l'esserci si decida: si decida a rispondere, oppure no, a ciò che in essa è annunciato; si decida ad accogliere quel destino di mortalità che dell'esserci è proprio, oppure preferisca disperdersi nelle incombenze quotidiane. Emerge qui tutto il carattere ambiguo che può essere riscontrato in questa decisione e nella risolutezza che ne costituisce lo sfondo. Per un verso, infatti, essa si oppone alla quotidianità: nella misura in cui la vita di tutti i giorni tende ad allontanare, a distrarre, l'ente che noi siamo dalla propria situazione autentica. Per altro verso, però, è proprio nella quotidianità che la ricerca di autenticità si realizza: come modo per considerare e attuare la quotidianità stessa nelle sue possibilità più proprie. In altri termini: bisogna andare a fondo nella quotidianità, e in tal modo trasfigurarla a partire dall'assunzione della finitezza dell'esserci. Bisogna contrastare la tendenza a non essere se stessi. Bisogna farlo nonostante ciò comporti una chiusura in sé, e una scelta per qualcosa che è inevitabile e angoscioso: non già un'apertura a nuovi scenari capaci di offrire possibilità alternative agli esseri umani.
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4. Alcune questioni di fondo Al fondo di questa impostazione heideggeriana vi sono però alcune assunzioni implicite, ben precise, alcuni presupposti che comportano determinate conseguenze. Vi è in primo luogo l'idea, che Heidegger condivide con buona parte del pensiero moderno, del primato del rapporto a sé rispetto alla relazione con altro. Voglio dire che il protagonista dell'indagine heideggeriana, colui che è chiamato a far filosofia, è anzitutto chi è in grado di rapportarsi a se stesso. Di più: è colui che considera più autentico, maggiormente conforme a ciò che caratterizza il suo essere quel gesto che, nella risolutezza, lo mette in grado di assumersi come tale. L'autorelazione ha dunque il primato rispetto a ogni forma di relazione ad altro. Quest'ultima viene sostanzialmente confinata nella dimensione di una quotidianità privata di valore. Ma tale primato non ha una vera e propria giustificazione. Viene assunto implicitamente. Domandiamoci infatti: perché sarebbe preferibile che ciascuno si decida per il suo più proprio esser mortale? Perché non continuare a vivere, omologandosi ai comportamenti della massa? In altre parole: che senso hanno il gesto della decisione, l'attitudine della risolutezza? Heidegger fa riferimento alla metafora della chiamata della coscienza. Che però, ripeto, non è necessitante. E dunque lascia l'esserci consegnato alla propria libertà. Anzi: fa emergere quella libertà di fondo che sta alla base del poter essere dell'ente che noi siamo. Ma domandiamoci ancora: che genere di libertà è quella di cui Heidegger parla? Che cosa motiva la decisione? Come viene orientata la risolutezza? Heidegger risponderebbe che è la risolutezza a orientare l'agire dell'esserci. È la decisione, in altre parole, che sta al principio. Ma ciò vuol dire che la concezione della
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libertà che qui emerge è simile più all'arbitrio che a una libertà responsabile: a una libertà, cioè, che risponde, kantianamente, ai criteri che danno senso all'agire. Ben presto lo stesso Heidegger si accorgerà della parzialità di tale assunto, dedicando proprio a questo tema alcuni momenti della sua riflessione successiva11. In relazione a ciò emerge ancora un problema. La tacita assunzione del primato dell'autorelazione sull'eterorelazione, se da un lato comporta una decisione arbitraria, insensata, che pretende di dare orientamento senza riconoscere essa stessa di essere orientata, dall'altro finisce per proporre un'idea dell'esserci che rischia di esser falsa e fuorviante. Fuorviante è non tanto riconoscere la finitezza dell'essere umano, e assumerla come tale, quanto rapportarsi a essa come qualcosa d'inevitabilmente chiuso in se stesso. Falso è concepire l'essere umano nel suo isolamento, chiamato a una decisione arbitraria nei confronti di un'immagine di sé che viene altrettanto arbitrariamente presupposta. Nonostante - altro segno di ambiguità - proprio Heidegger lo concepisca, nella prima sezione di Essere e tempo, come essere-nel-mondo e come Mit-Dasein. Le conseguenze di tutto ciò sono importanti. Sia sul piano teorico che nella pratica. Lo sono anzi proprio dal punto di vista del rapporto tra filosofia e politica. Ne è un'immediata riprova la concezione che Heidegger elabora del popolo tedesco pochi anni dopo Essere e tempo, all'epoca della sua adesione al nazionalsocialismo. Dove il "popolo", guidato da un Führer, è il surrogato di quella comunità che Heidegger proprio non riesce a pensare nelle relazioni che l'attraversano e la coinvolgono. 11
Si vedano ad esempio il saggio su Vom Wesen des Grundes (1929) e il corso universitario del 1930 Vom Wesen der menschilichen Freiheit (GA 31, Klostermann, Frankfurt a.M. 1994), che conduce un confronto proprio con il concetto kantiano di libertà.
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5. La decisione del popolo e la dimensione
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politica
Non è un caso che Heidegger parli di "popolo" nei suoi scritti del periodo del rettorato (1933/34). In particolare questa nozione è centrale nel suo discorso d'insediamento come rettore dell'università di Freiburg i.B. intitolato L'autoaffermazione dell'università tedesca12. In esso Heidegger applica al popolo come soggetto collettivo la stessa struttura di pensiero che caratterizza l'esserci in Essere e tempo. 11 popolo è qui il popolo tedesco, radicato nella sua essenza - a differenza di altri popoli che, come nei Quaderni neri viene detto degli ebrei, risultano invece sradicati - e caratterizzato da un suo peculiare destino. La vocazione di questo popolo, che lo differenzia dagli altri, è quella di rapportarsi a tale essenza, è quella di volerla: non semplicemente di viverla nella piatta quotidianità di tutti i giorni o di misconoscerla per mancanza di riferimento a una terra natale. La questione, per i tedeschi, è dunque sapere chi essi sono, saperlo davvero, e poi volersi come tali, in questa loro essenza, nella propria 12 Citerò passim dalla traduzione di Carlo Angelino ora pubblicata in Martin Heidegger, Discorsi e altre testimonianze del cammino di una vita. 1910-1976, a cura di N. Curcio, Il melangolo, Genova 2005, pp. 102-110. Molto d'altronde è il materiale che ora è a disposizione riguardo a questo controverso periodo della vita e del pensiero heideggeriano, nel quale si manifesta, nei fatti, prima l'adesione e poi il distacco dall'impegno pubblico a favore del nazismo. Il problema non sono però i fatti, che risultano incontrovertibili, bensì la portata del coinvolgimento ideologico e il legame che quest'ultimo ha con il pensiero heideggeriano nel suo complesso. Su ciò la letteratura secondaria è molto ampia e tuttora in crescita. Utili a fornire ulteriori elementi per un chiarimento della questione sono due recenti volumi dello «Heidegger Jahrbuch» (4 e 5, a cura di A. Denker e H. Zaborowski, Alber, Freiburg i.B.-Mùnchen 2009): specialmente il primo, Heidegger und der Nationalsozialismus I.
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autenticità. Il farlo costituisce la loro autoaffermazione. Nel contesto dell'università, come viene detto nella Rektoratsrede, volere la propria essenza, cioè «volere la missione spirituale del popolo tedesco», è compito dei professori e degli studenti. Dei primi, anzitutto, in quanto sono chiamati a formare «i capi e custodi del destino del popolo tedesco». Dei secondi, poi, che sono «già in marcia», alla ricerca «di quei capi al cui seguito intende elevare la propria determinazione a verità fondata sul sapere». Si tratta di un sapere che a sua volta è ben radicato. La sua radice sta nell'inizio, nella filosofia greca, nella sua idea di scienza e nella capacità, che per la prima volta in essa s'annuncia, d'interrogare fino in fondo: di star saldi «nel cuore dell'estrema problematicità dell'intero essente». Di nuovo, nell'ambito della scienza, la teoria non ha il primato, poiché dipende da un atteggiamento più ampio degli esseri umani, nel quale si realizza la loro attitudine nei confronti della totalità dell'ente. La scienza, poi, è intesa come un pensiero organico: senza che il modello logico-matematico, nella sua sinergia con la tecnica, abbia il sopravvento. Ma come si può attuare quest'assunzione del proprio sé da parte del popolo tedesco? E necessaria di nuovo una chiamata. Essa però, in questo caso, non proviene dalla coscienza, ma da Heidegger stesso. E Heidegger che di fatto intende indurre i suoi ascoltatori ad accogliere la propria missione. È lui che pretenderebbe di «guidare la guida» {den Führer führen). È qui che il filosofo vorrebbe svolgere un'azione politica: quella di colui che risveglia il popolo alla decisione per il proprio sé autentico. La chiamata infatti è anche qui chiamata a una decisione, perché «lo spirito è decisione». Nel caso del popolo tedesco l'alternativa è «fra la volontà di grandezza e la tentazione di decadenza». Il pericolo è quello di
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essere coinvolti nella generale rovina dell'Occidente: quando la sua forza spirituale «precipiterà verso il fallimento, crollerà nelle sue strutture e una moribonda cultura stramazzerà al suolo e spingerà tutte le forze nella confusione e le lascerà cadere nella follia». Per evitarlo bisogna anzitutto volersi decidere. Poi attuare questa decisione in fedeltà alla propria radice e alla propria essenza. E magari contrastare i nemici - anzitutto i portatori di una mentalità tecnico-scientifica che lo vorrebbero impedire. Se un popolo è senza radice, se è sradicato, pare infatti che non ci sia spazio neppure per una decisione che lo riguarda. Ma la decisione anche in questo caso contrasta con la tentazione, contro la quale bisogna lottare, di acquiescenza al quotidiano e di perdita del proprio sé collettivo. E dunque la conclusione del discorso di rettorato sottolinea che tutto ciò «dipende dalla nostra volontà, dal nostro volere noi stessi ancora e di nuovo come popolo storico spirituale — oppure dal nostro non volerlo. Ognuno di noi decide su ciò, anche quando e proprio quando evita di decidere [...]. Noi vogliamo noi stessi». Questo Heidegger afferma il 27 maggio 1933. E chiaro, come dicevo, il ritorno in un nuovo contesto delle categorie di pensiero elaborate nella sua riflessione precedente. Ed è altrettanto chiaro l'esito a cui questa elaborazione conduce. Il rifiuto di condividere la dimensione quotidiana degli altri popoli, la volontà di scegliere se stessi nella propria autenticità, la lotta contro il decadimento proprio e altrui, il primato del popolo tedesco proprio nella sua possibilità di decidersi, e di decidersi per la propria essenza: tutti questi sono elementi che rivelano fin da subito la loro pericolosità. La manifestano se solo si tiene a mente che questa essenza, che la decisione è chiamata ad attuare, consiste in Essere
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e tempo nell'essere-per-la-morte. Certo: nel discorso di rettorato l'essenza del popolo tedesco è data propriamente dalla fedeltà a se stesso. Ma l'analogia con la tematica della risolutezza, la risolutezza di quell'ente che si mantiene nella propria mortalità, non può che far presagire conseguenze tragiche: conseguenze che, peraltro, non tarderanno a realizzarsi.
6. L'ambiguità heideggeriana
tra filosofia e politica
Perché tutto ciò accade? La risposta può essere finalmente data. Ed essa rimanda al modo in cui Heidegger intende la politica. Meglio: al modo in cui si realizza in lui il rapporto tra filosofia e politica. Ne è segno la subordinazione della nozione di "comunità" a quella di "popolo" nel discorso di rettorato; ne è simbolo l'ambigua svalutazione della quotidianità a favore di forme più "eroiche" del vivere. Tutto ciò si ricollega a una decisione che viene concepita come assoluta, a una volontà che - come qualche anno dopo sarà chiaro allo stesso Heidegger lettore di Nietzsche - vuole solo se stessa, vuole semplicemente affermarsi. Secondo quest'approccio la relazione a sé - non solo teorica, ma appunto pratica; non solo del pensiero, ma della volontà - determina la relazione ad altro. L'essere umano è anzitutto individuo, la comunità è in primo luogo popolo. Ogni agire si fonda sulla fedeltà a sé e sulla decisione di essere fedeli al proprio destino. Anche se non lo dominiamo. Tuttavia il prezzo da pagare, una volta assunta questa tesi, è molto alto. Consiste nel rendere arbitrario, cioè appeso a una scelta individuale - o alla scelta di un capopopolo - ogni progetto di vita. Comporta il rendere insensato, perché dipendente da questa scelta, ogni
L'ambiguità della decisione tra filosofia e politica comportamento umano. Implica la necessità di metterlo alla prova nella lotta. Conduce, in ultima analisi, a un nichilismo distruttivo. Rispetto a ciò vi sono posizioni alternative, che proprio in Heidegger, ambiguamente, sono pure presenti. Anzi: da queste altre possibilità bisogna proprio ripartire. Non già facendo in modo che l'essere umano si riferisca anzitutto a sé, ma vedendolo fin dall'inizio nella sua strutturale relazione ad altro: al mondo, alla storia, alla comunità di cui fa parte. Lasciando aperte e capaci di svilupparsi queste possibilità di relazione, a partire da ciò che ciascuno sperimenta quotidianamente, invece che rinchiudersi in un tentativo di autoaffermazione, solo apparentemente eroico. Trasformando il popolo in una comunità: come fa appunto Hannah Arendt. Perché solo in tal modo sarà possibile evitare, sul piano politico, gli esiti tragici che comporta un filosofare incapace di assumersi fino in fondo le proprie responsabilità. In conclusione possiamo dunque chiarire il legame che sussiste tra l'ambiguità che attraversa il pensiero di Heidegger e il modo in cui viene da lui messa in opera la relazione tra filosofia e politica. Di tale legame i Quaderni neri, per ciò che di essi è stato finora pubblicato, sono non solo un'ulteriore testimonianza, ma anche la descrizione di una genesi e di uno sviluppo ben precisi, nonché di quelle scelte concrete che Heidegger, nella sua riflessione, si trova a prendere. L'ambiguità, ripeto, è il trait d'union che unisce in lui filosofia e politica. Su di un piano filosofico essa si concretizza in una specifica oscillazione: quella tra un decidersi che apre nuovi orizzonti e una scelta che finisce per riconfermare lo stato di cose che mi è proprio; quella tra una decisione che rompe con il passato e una risolutezza che riconferma il mio destino, sancendone l'inevitabilità. Su di un piano politico - grazie alla trasformazione dell'esserci
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nel popolo tedesco - l'ambiguità viene a caratterizzare esiti fra loro opposti: la rottura rivoluzionaria, per un verso, e la fedeltà ai principi della conservazione, per altro verso; la messa in questione delle abitudini borghesi e la necessità di un radicamento, sempre e di nuovo, nella propria terra natale. Ecco perché in Heidegger la tendenza anticonformista della riflessione giovanile finisce per sfociare, senza un sostanziale cambiamento d'impostazione, nell'appoggio al nazismo13. Insomma: come ho cercato di mostrare, il dispositivo dell'ambiguità è il medesimo in entrambi i casi. Ma gli esiti sono ben più rischiosi quando, dall'arbitraria decisione del Dasein, si passa all'agire nella storia del popolo tedesco. D'altronde la filosofia non può, come dicevo all'inizio, permettersi ambiguità di sorta. Non già per un astratto moralismo. Ma perché, come c'insegna lo stesso Heidegger, essa è un agire. E, come ogni agire, ha conseguenze che comportano responsabilità ben precise. È questa dimensione del pensiero ciò che l'etica studia e mette in opera. È questa prospettiva, anche, ciò che la politica contribuisce a realizzare. È questo esito ciò che non troviamo elaborato e praticato, purtroppo, in Heidegger.
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Ed ecco anche il motivo teorico per cui egli è stato legittimamente ricondotto al contesto della Konservative Revolution. Sull'argomento, in generale, è sempre utile il volume di A. Möhler, Die Konservative Revolution in Deutschland 1918-1932. Grundriß ihrer Weltanschauungen, Vorwerk, Stuttgart 1950. Su Heidegger, collegato a questo contesto di pensiero, si veda E. Nolte, Martin Heidegger tra politica e storia, a cura di N. Curcio, Laterza, Roma-Bari 1994.
INDICE
Adriano Fabris Premessa I Quaderni neri di Heidegger tra filosofia e politica
5
Peter Trawny Heidegger e l'ebraismo mondiale
9
Jesús Adrian Escudero Heidegger e i Quaderni
neri
La rinascita della controversia nazionalsocialista
39
Dean Komel Bianco-nero e chiaro-scuro nei Quaderni neri di Heidegger Alfredo Rocha de la Torre I Quaderni neri nel contesto della questione politica in Heidegger
73
Adriano Fabris Heidegger: l'ambiguità della decisione tra filosofia e politica
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