Manuale Di Criminal Profiling (Fabrizio Russo) [PDF]

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Zitiervorschau

Criminologia e scienze forensi Il crimine e i criminali visti dalla prospettiva di chi li combatte

Comitato scientifico Valter Capussotto, Biagio Carillo, Dante Cibinel, Giuseppe Dezzani, Elvezio Pirfo, Fabrizio Russo (coordinatore), Daniela Schillaci, Roberto Testi

Il logo della collana “Criminologia e scienze forensi” è di Francesco Mele

Fabrizio Russo

Manuale di criminal profiling Teorie e tecniche per tracciare il profilo psicologico degli autori di crimini violenti

© 2018 Celid prima edizione: aprile 2018 isbn 978-88-6789-117-7 LEXIS Compagnia Editoriale in Torino srl via Carlo Alberto 55 I-10123 Torino www.celid.it [email protected]

INTRODUZIONE

Abbiamo bisogno di un nuovo modo di pensare per risolvere i problemi causati dal vecchio modo di pensare. Albert Einstein

Secondo Derek J. Paulsen (Paulsen et al. 2009), professore di Criminal Justice and Police Studies alla Eastern Kentucky University, la maggior parte dei reati è commessa da criminali recidivi; per l’autore, infatti, il 7% di questi individui è responsabile di più del 60% di tutti i crimini commessi. Tra i criminali recidivi possiamo annoverare gli autori di truffe, furti, rapine, incendi dolosi, attentati dinamitardi, atti persecutori, molestie sessuali sui minori, violenze sessuali sugli adulti, omicidi seriali e/o senza apparente movente, crimini rituali e/o legati al mondo dell’occulto, e sacrifici umani. La maggior parte di queste condotte sono motivate da disturbi psicologici e/o psicopatologici e/o marcatamente psichiatrici di cui soffrono i responsabili di questi atti devianti, altre volte queste condotte sono collegate a credenze legate alla magia e al mondo dell’occulto: trame mentali difficilmente districabili ricorrendo solamente all’investigazione criminale classica, che, seppur necessaria, a volte non è sufficiente per arrivare alla cattura del colpevole. Sono proprio questi i casi in cui il criminal profiling e la symbolic analysis possono essere usati con successo. Il criminal profiling è il metodo sviluppato dagli agenti speciali della Behavioral Science Unit (BSU) del Federal Bureau of Investigation di Quantico, Virginia, unità confluita nel National Center for the Analysis of Violent Crime (NCAVC.), per tracciare il profilo degli autori di crimini sessuali, seriali e/o senza apparente movente (serial killer, stupratori, molestatori di bambini, stalker) partendo dall’analisi del crimine commesso. Negli anni, con la diffusione di questo metodo nelle forze di polizia di tutto

il mondo e con l’introduzione di centri universitari appositamente dedicati allo studio e all’applicazione di questa disciplina, si sono stratificati diversi contributi scientifici sulla materia. Oggi, infatti, il criminal profiling aiuta gli investigatori a comprendere il “modus operandi” e la “firma” dell’offender, a individuarlo da una lista di sospettati, a identificare le strategie d’interrogatorio più congeniali per farlo confessare; permette agli inquirenti di collegare il crimine analizzato con altri delitti che presentino eventualmente modalità di esecuzione e/o movente simile (crime linking); infine, consente di collegare il criminale a una precisa area geografica di residenza e/o lavoro in base alla localizzazione dei delitti commessi (geographical profiling). La symbolic analysis è un metodo utilizzato dagli studiosi dell’Institute for the Research of Organized and Ritual Violence della Pennsylvania (centro che offre consulenza all’FBI), per individuare, in base alle tracce lasciate sulla scena del delitto, il modus operandi e la firma dei sospettati, così da facilitare l’individuazione degli appartenenti ai culti distruttivi (Satanismo, Vampirismo, Santeria, Brujeria, Palo Mayombe, Macumba, Voodoo, ecc.) e catturarli nel più breve tempo possibile. Questo libro, offrendo una rassegna sistematica degli studi e delle ricerche effettuati sul criminal profiling e sulla symbolic analysis, si presenta come un pratico e maneggevole supporto per il lavoro di investigatori, magistrati, giudici e appartenenti alle forze dell’ordine, per tracciare il profilo psicologico di alcuni dei più efferati criminali sessuali, seriali e violenti o di criminali rituali e/o dediti alle pratiche dell’occulto. I diversi capitoli affrontano infatti, nell’ordine: – gli aspetti criminologici, psicopatologici e antropologici dei crimini violenti e dei crimini rituali; – la nascita del criminal profiling; – i principali fondamenti teorici e metodologici del criminal profiling e della behavioral analysis; – la tecnica del ritualistic profiling e la symbolic analysis; – le tecniche del crime linking e del geographical profiling; – il profilo degli autori di delitti seriali, di violenze sessuali, di autori abusi sessuali sui minori, di atti persecutori

– le figure dei satanisti, dei vampiri moderni e degli appartenenti a culti sincretici (Santeria, Palo Mayombe, Voodoo, – Brujeria e Macumba).

A Guglielmo Gulotta indimenticabile maestro A nonna Giovanna, mamma Concetta, papà Vincenzo e ai miei fratelli Simone ed Enrico con affetto A Marcella con amore

Ringraziamenti

La vita è fatta di incontri… Se non avessi incontrato Gabrielle Salfati, Guglielmo Gulotta, Isabella Merzabora Betsos, Elvezio Pirfo, Antonio Pellegrino, Duccio Scatolero, Marco Bertoluzzo, Angelo Zappalà, Fulvio Villa, Annamaria Baldelli, Stefano Scovazzo, Alessandra Aragno, Dante Cibinel, Maria Grazia Devietti, Muriel Ferrari e Francesco Sirchia, non sarei mai diventato il criminologo e profiler che sono diventato. Se non avessi incontrato Bruna Bara, Fabio Veglia, Ivan De Marco, Nando Brunetti, Luca Rossi, Nadia Vidini, Giuliana Gallicchio, Marco Zuffranieri, Alessandra Bramante, Viviana Lamarra e Valentina Soldo, non sarei mai diventato lo psicologo e psicoterapeuta che sono diventato. Se non avessi incontrato Vanda Cremona, Daniele Natale, Luca Guizzardi, Barbara Sancin ed Enrico Panattoni non sarei mai diventato il saggista e docente che sono diventato. Se non avessi incontrato Davide Mattiello, Pier Vittorio Arisio, Maria Grazia Santagati, Maria Josè Fava, Marco Chiapello, Maria Mercadante, Rodolfo Bianchi non sarei mai diventato l’uomo che sono diventato. Ringrazio tutte le persone che con i loro insegnamenti hanno fatto di me la

persona che sono; questi insegnamenti sono nel mio cuore, nella mia mente e nella mia anima, guidando il mio cammino nell’attesa di essere tramandati…

PARTE PRIMA CRIMINI VIOLENTI E CRIMINI RITUALI

1. CRIMINI VIOLENTI E CRIMINI RITUALI: ASPETTI CRIMINOLOGICI, PSICOPATOLOGICI E ANTROPOLOGICI

Lo studio scientifico dei crimini e dei criminali ha origine con le pubblicazioni pionieristiche di Cesare Lombroso che alla fine dell’Ottocento iniziò ad analizzare i delinquenti e le loro devianze. Nel novembre 1872 Lombroso sottopose ad autopsia il cadavere di Giuseppe Vilella, un brigante calabrese di settant’anni che aveva già incontrato in carcere qualche anno prima. Dall’esame autoptico condotto sul cranio di Vilella lo studioso rilevò alcune anomalie nella struttura cranica. L’autopsia evidenziò infatti alla base del cranio la fusione congenita della parte corrispondente dell’occipite con l’atlante e altre caratteristiche anomale, quali la mancanza della cresta occipitale interna, la deformazione della cresta mediana e altre deformazioni delle ossa craniche. Queste anomalie spinsero Lombroso a ipotizzare che quelle peculiari caratteristiche ossee avessero avuto una certa influenza sull’attività del cervello del criminale Vilella. Per Lombroso l’eziologia di queste anomalie poteva essere imputata a un arresto allo stato fetale nello sviluppo del cervello del soggetto e di tutti i criminali in generale, arresto dello sviluppo che si manifestava anche a livello fenotipico, cioè nell’apparenza esteriore (Russo, 2012). Da queste riflessioni ebbe origine il concetto di “atavismo” – per Lombroso, infatti, il delinquente si distingueva perché aveva tratti “primitivi” distinti da quelli dall’uomo “normale”: – grandi mandibole – canini forti, incisivi mediani molto sviluppati a discapito dei laterali, denti soprannumerari o in doppia fila – zigomi sporgenti – prominenti arcate sopracciliari – apertura degli arti superiori di lunghezza superiore alla statura dell’individuo

– piedi prensili – naso schiacciato – prognatismo – ossa del cranio in soprannumero Rispetto all’uomo “normale”, l’uomo “delinquente” secondo Lombroso mostrava anche specifiche caratteristiche fisiologiche e psicologiche: – minore sensibilità al dolore – rapida guaribilità alle ferite – maggiore accuratezza visiva – tatuaggi – accentuata pigrizia Gli studi sulla causa della delinquenza e la teoria della delinquenza atavica furono presentati nel volume L’uomo delinquente, edito per la prima volta nel 1876, che avrà poi cinque edizioni rivedute, ampliate e corrette in base alle osservazioni di altri studiosi (Lombroso, 2013). Questo lavoro portò Lombroso a creare la prima classificazione dei criminali: delinquente nato, epilettico, pazzo, per passione, occasionale (pseudo-criminali, criminaloidi e delinquente d’abitudine). Per Douglas (et al., 2016) “Cesare Lombroso è generalmente riconosciuto come colui che ha condotto la criminologia nell’era della scienza”. Lombroso ha avuto, infatti, il merito di comprendere che i criminali e i loro crimini potevano essere studiati con un metodo scientifico anche se le sue riflessioni sulla devianza lo portarono a concentrarsi esclusivamente sulle anomalie cerebrali di cui erano portatori i delinquenti da lui esaminati. A diversi anni di distanza dalle sue riflessioni la comunità scientifica ampliò questa impostazione disciplinare per abbracciare il filone sociologico che vedeva la devianza come dipendente da fattori sociali e ambientali. Le recenti scoperte della criminologia e delle neuroscienze hanno ulteriormente allargato l’orizzonte, portando l’attenzione degli studiosi sulle alterazioni genetiche e cerebrali (strutturali e funzionali) degli autori di crimini violenti e su come queste influenzino lo sviluppo psicologico del soggetto deviante (Raine, 2016).

Sviluppo strutturale e cerebrale del cervello, caratteristiche dell’ambiente sociale e familiare, ereditarietà genetica: tutto confluisce per costruire la psicologia degli autori di crimini violenti. Per Canter (e Alison, 2004) la psicologia è direttamente applicabile allo studio del crimine in quanto questo deve essere visto come una relazione interpersonale tra la vittima e l’autore del reato. In particolare, la psicologia criminale studia l’uomo autore di reato, la vittima, la situazione criminale e vittimologica (Gulotta, 2002), mentre la psicologia investigativa applica le conoscenze della psicologia al processo dell’investigazione criminale (Russo, 2016b). Tutte queste discipline convergono per permetterci d’investigare, catturare e trattare gli autori di crimini seriali, sessuali, violenti, rituali e/o dell’occulto. Gli esperti hanno individuato quattordici moventi che possono spingere a compiere un crimine violento e, in particolare un omicidio (Strano, 2003): 1. per denaro 2. per istigazione di gruppo 3. per il potere criminale 4. per il proprio successo 5. per il piacere sessuale 6. per distruggere le prove di un altro crimine minore 7. per vendetta 8. per gelosia 9. per invidia 10. per odio 11. per far vedere che si è in grado di farlo 12. per motivi ideologici 13. per motivi religiosi 14. per psicopatologia Gli esperti hanno individuato nove moventi che possono spingere a compiere un crimine rituale, e, in particolare un sacrificio (Perlmutter, 2004): 1. adorazione della divinità

2. ringraziamento della divinità 3. supplica alla divinità 4. espiazione 5. trasformazione 6. comunione 7. rigenerazione 8. assimilazione alla divinità 9. raggiungimento dell’immortalità. Michael Stone (2009), psichiatra forense alla Columbia University, analizzando le biografie di centinaia di autori di omicidio e delle atrocità da loro commesse sulle vittime è arrivato a proporre la “scala del diavolo”, formata da 22 tipologie di soggetti autori di omicidio di crescente crudeltà: 1. soggetti che hanno ucciso ma non sono assassini, ovvero quelli che hanno commesso omicidio per autodifesa e che non mostrano alcun tratto psicopatico 2. amanti gelosi, non psicopatici, che commettono crimini passionali 3. complici compiacenti di assassini, dominati dagli impulsi, con qualche tratto antisociale 4. assassini per autodifesa ma provocatori della vittima 5. persone traumatizzate che hanno ucciso parenti o altri (es. per sostenere un vizio di droga) e che mostrano rimorso 6. impetuosi assassini “teste calde”, ma non psicopatici 7. assassini narcisistici con un’anima psicotica 8. persone non psicopatiche che provano rabbia e che uccidono quando questa rabbia si accende 9. amanti gelosi con tratti psicopatici 10. assassini di persone benestanti con alcuni tratti psicopatici 11. assassini di persone benestanti chiaramente psicopatici 12. psicopatici assetati di potere che uccidono quando messi in un angolo 13. personalità inadeguate aggressive con tratti psicopatici 14. pianificatori psicopatici, spietati accentratori

15. coinvolti in baldoria psicopatica a sangue freddo o omicidi multipli 16. psicopatici che commettono varie azioni ma senza uccidere le loro vittime (es. rapimento) 17. assassini seriali e sessualmente perversi in cui la tortura non è il movente principale 18. assassini il cui scopo principale è la tortura 19. psicopatici spinti al terrorismo, alla sottomissione, all’intimidazione e al rapimento 20. assassini psicotici che torturano 21. psicopatici dediti alla tortura estrema, ma non conosciuti come assassini 22. assassini psicopatici che torturano (la maggior parte dei serial killer) Come si può osservare, sono molteplici le motivazioni che possono spingere al crimine, e in particolare all’omicidio, per questo per comprendere la mente degli autori di crimini violenti o rituali dobbiamo utilizzare un approccio multidisciplinare: – criminologico – psicopatologico – antropologico 1.1. Violenza grave e omicidio: aspetti criminologici Per quanto riguarda l’omicidio violento, l’elemento più rilevante nel determinare la motivazione per effettuare questo reato è l’analisi della natura dell’offesa e del modo in cui essa è stata commessa. Molteplici aspetti della personalità di un criminale si possono dedurre dalla scelta di eseguire certe azioni prima, durante e dopo il crimine. Queste informazioni vengono combinate con altri elementi pertinenti e con prove fisiche, poi gli esiti vengono paragonati con le caratteristiche note dei vari tipi di personalità e con le anormalità mentali, per sviluppare così il lavoro pratico di descrizione dell’aggressore (Picozzi e Zappalà, 2002). Sono cinque le tipologie di omicidio contenute nel Crime Classification

Manual (Douglas et al., 2008) che sembrano essere maggiormente legate alla violenza: 1. omicidio a sfondo sessuale - sadico 2. omicidio a sfondo sessuale - disorganizzato 3. omicidio motivato dall’appartenenza a un gruppo - sette e culti 4. omicidio motivato dall’appartenenza a un gruppo - omicidio estremistico 5. omicidio di un’autorità Omicidio a sfondo sessuale – sadico Per Douglas e Ressler (Douglas et al., 2008), l’“omicidio a sfondo sessuale - sadico” è un delitto commesso da un soggetto che uccide le sue vittime in modo sadico, in quanto l’aggressore prova eccitazione sessuale in risposta a fantasie sessuali perverse. Nelle fantasie sessuali di questo soggetto sono presenti idee di dominazione, umiliazione e violenza sulla vittima; queste immagini mentali vengono tradotte in un atto criminale che porta alla tortura e alla morte della persona offesa. Nella maggior parte dei casi i sadici sessuali uccidono donne adulte, bianche e sconosciute. Le vittime sono scelte perché coincidono, per le loro fattezze fisiche, con le donne protagoniste delle fantasie sessuali del soggetto. Solitamente le vittime vengono pedinate dall’aggressore che le avvicina con un pretesto, poi le cattura e le uccide dopo averle torturate. Il luogo dell’incontro della vittima con il soggetto solitamente non coincide con il luogo della tortura e della morte della persona, e questo posto può essere ancora diverso dal luogo in cui viene abbandonato, o nascosto, il corpo. Generalmente questo avviene perché, per torturare la vittima, l’aggressore necessita di un luogo appartato e solitario in cui trascorrere diverso tempo indisturbato. Solitamente la prigionia varia da alcune ore fino a sei settimane. La residenza dell’aggressore può essere usata come luogo di prigionia, soprattutto se può fornire l’isolamento necessario al soggetto. La vettura che l’aggressore utilizza durante il rapimento e la tortura generalmente è diversa da quella che usa abitualmente. Il soggetto abitualmente manomette finestrini e portiere e insonorizza l’abitacolo per evitare che le urla della vittima possano essere udite dall’esterno.

L’aggressore intraprende il suo crimine attuando una preparazione metodica e la scena del crimine risulta di conseguenza molto organizzata. Alcune volte il soggetto crea nella sua macchina o nel suo furgone una vera e propria struttura di tortura (se l’aggressore porta la vittima in casa, in quel luogo può essere stata creata una vera e propria stanza delle torture). Le armi e gli attrezzi utilizzati dal soggetto per legare, torturare e uccidere la vittima vengono portati dall’aggressore sulla scena del crimine e poi rimossi. Solitamente il corpo viene lasciato in luoghi di sepoltura nascosti e isolati in cui il soggetto abbandona indisturbato il corpo della vittima; talora il cadavere della persona viene bruciato per rallentarne il riconoscimento e per eliminare eventuali tracce presenti sul corpo. Il sadico sessuale organizzato tortura e violenta la vittima prima della morte. Il soggetto sottopone la persona ad attività sessuali degradanti e violente quali la penetrazione anale, orale e vaginale, e per aumentare la degradazione può ricorrere a penetrare la vittima con un oggetto estraneo. L’aggressore tortura e violenta la vittima prima della morte poiché la fonte primaria di piacere ed eccitazione sessuale per questo soggetto sadico è il dolore causato alla vittima, piuttosto che l’atto sessuale vero e proprio. Gli atti sessualmente sadici possono comprendere un accanimento sulle aree che richiamano l’ambito sessuale: le cosce, l’addome e le natiche, oltre ai seni e ai genitali. Tracce di sperma si ritrovano spesso negli orifizi del corpo della vittima e attorno al corpo stesso, l’aggressore può anche urinare sulla persona per esibire il suo senso di superiorità. Per aumentare l’eccitazione sessuale sadica, l’atto dell’uccisione avviene in modo lento e graduale, così che l’aggressore possa assaporare con calma tutti i passaggi che portano la vittima alla morte. Sono numerosi i casi in cui i soggetti non solo prendono speciali misure per mantenere cosciente la loro vittima, ma addirittura la rianimano quando è ormai vicina alla morte, per attuare sul suo corpo nuove torture. La causa più comune di morte in questo tipo di delitto è l’asfissia provocata tramite strozzamento, strangolamento, soffocamento o impiccagione. Meno frequenti sono in questo caso le ferite mortali inflitte con armi da fuoco, oppure con armi da taglio, o la morte dovuta all’utilizzo della forza bruta. Gli autori di omicidi sessualmente sadici sono solitamente maschi bianchi. A volte l’aggressore può servirsi di un collaboratore per commettere i delitti: questa persona può essere di sesso maschile, magari conosciuta

dall’aggressore in una precedente carcerazione, oppure una persona di sesso femminile, per esempio la compagna dell’omicida. Spesso l’aggressore svolge un lavoro che lo porta a contatto con il pubblico; ha una storia di abuso di droga e/o di alcool e una lunga serie di comportamenti antisociali e psicopatici; è un fanatico della polizia e possiede una collezione di attrezzi, libri e armi che riguardano le forze dell’ordine. Omicidio a sfondo sessuale - disorganizzato Per gli esperti americani, l’“omicidio a sfondo sessuale - disorganizzato”, è un delitto commesso da un soggetto che uccide delle persone in modo caotico e disorganizzato. Solitamente la vittima di un aggressore disorganizzato è conosciuta dall’assalitore, perché generalmente il soggetto sceglie una persona che risiede o lavora vicino a lui. Questo avviene soprattutto perché l’aggressore agisce impulsivamente e sotto la pressione di eventi stressanti, ma la vicinanza geografica è anche dovuta al fatto che il soggetto trae sicurezza da circostanze ambientali familiari per superare i propri sentimenti di inadeguatezza sociale. Se ci sono vittime multiple di un aggressore disorganizzato, sarà subito evidente agli investigatori una notevole variabilità di età, sesso e altre caratteristiche delle vittime: ciò è dovuto alla natura casuale del processo di selezione. La scena del crimine di un omicidio a sfondo sessuale disorganizzato riflette l’impulsività e la poca preparazione dell’aggressione; proprio per questo la scena del crimine e il luogo del ritrovamento del cadavere spesso coincidono. Solitamente la morte delle vittime avviene a causa di una violenza improvvisa, attuata dall’aggressore tramite un attacco repentino, tipo blitz, della persona. L’arma utilizzata dal soggetto è spesso presa dalla scena del crimine e poi lasciata lì. Non ci si sforza di rimuovere con attenzione le prove fisiche che possono portare gli investigatori all’assassino. Il corpo viene lasciato sulla scena del crimine, spesso nella posizione in cui la vittima è stata uccisa, e non vengono messi in atto sforzi, se non minimi, per nascondere il corpo stesso. La vittima può subire tentativi di depersonalizzazione; infatti, l’aggressore può coprire il volto della persona con un cuscino o con un asciugamano, oppure può capovolgere il corpo distendendolo sul ventre. La posizione del corpo può avere un significato per l’aggressore e riflettere

le sue fantasie sessuali violente. Questa disposizione, dal profondo significato simbolico, non deve essere confusa con lo staging, poiché qui l’aggressore, collocando il corpo in un modo particolare, cerca di personalizzare il crimine, anziché provare a confondere deliberatamente la polizia. Un esempio della personalizzazione delle fantasie sessuali rituali tipiche di un aggressore disorganizzato è la mutilazione dei seni e degli organi genitali oppure lo sfregio di cosce, addome e natiche. L’aggressore disorganizzato è spesso socialmente inadeguato e avverte un profondo senso di solitudine. Questi sentimenti portano ad assalire la vittima tramite attacco improvviso e violento, che generalmente rende subito impotente la persona aggredita. Sono prevalenti gli assalti alle spalle e, poiché la morte è immediata, per stabilire il controllo sulla vittima c’è un utilizzo minimo di restrizioni. Lo stile di attacco blitz, comune a questo tipo di omicidio, è spesso evidenziato da traumi da corpo contundente lasciati sulla testa e sul volto della vittima, ferite a cui si aggiunge la mancanza di azioni di difesa messe in atto da parte della persona. Gli atti sessuali compiuti sulla vittima da questo aggressore solitamente avvengono post mortem e comportano l’inserimento di oggetti estranei negli orifizi del corpo della persona offesa. Questi comportamenti sono spesso combinati con atti di mutilazione, tagli e pugnalate alle natiche e ai seni. Molto spesso la morte della vittima avviene per asfissia o per strangolamento; talvolta, invece, tramite uno strumento appuntito e tagliente. Anche la forza bruta e le contusioni possono essere una causa di morte. L’aggressore non si preoccupa di nascondere gli abiti insanguinati, le scarpe o altri oggetti appartenenti alla vittima presi dalla scena del crimine, questi “souvenir” servono al soggetto per ricordare l’evento delittuoso e alimentare la sua fantasia sessuale rivivendo il delitto precedente. L’aggressore disorganizzato generalmente vive da solo o con un parente, sovente lavora in prossimità della scena del crimine e ha una storia di rendimento scolastico e/o lavorativo scarso. Spesso l’aggressore è un soggetto sciatto e disordinato, con abitudini notturne quali vagare senza meta avanti e indietro nel suo quartiere, e ha un passato che testimonia una mancanza di abilità sociali nel creare e mantenere rapporti interpersonali. Omicidio motivato dall’appartenenza a un gruppo - sette e culti Per gli esperti americani l’“omicidio motivato dall’appartenenza a un

gruppo - sette e culti”, è un delitto commesso da due o più soggetti appartenenti a un culto. Questi aggressori nutrono una smisurata devozione in credenze che non sono considerate ortodosse dalla cultura dominante. Nella maggior parte dei casi la vittima di questo tipo di omicidio è un membro del culto, o qualcuno che ha avuto a che fare con la setta stessa. Accade poche volte che siano scelte come vittime persone estranee al culto. Sulla scena del crimine è possibile ritrovare una serie di elementi dal significato simbolico, quali scritte indecifrabili e/o manufatti e disegni legati al mondo dell’occulto. La posizione in cui viene rinvenuto il cadavere dipende dallo scopo che l’assassino, o gli assassini, vogliono raggiungere con quell’uccisione. Se, per esempio, i leader del culto vogliono lanciare un messaggio rivolto a un pubblico ampio, gli sforzi compiuti dall’assassino, o dagli assassini, per occultare il cadavere sono minimi. Se invece lo scopo che gli appartenenti alla setta vogliono raggiungere con l’uccisione è quello di intimidire la cerchia degli adepti al culto, il corpo della vittima viene generalmente sepolto. Solitamente, più la setta è organizzata e strutturata nel tempo, più sarà dedicato cura alla disposizione simbolica del corpo sulla scena del crimine o all’occultamento del cadavere. Generalmente i luoghi di sepoltura delle vittime sono collocati in prossimità delle aree in cui gli aderenti al culto si riuniscono, quali boschi, terreni, fattorie e/o abitazioni rurali. La scena del crimine solitamente porta i segni di molteplici aggressori, così come di molteplici vittime. Nella maggior parte dei casi sui cadaveri sono rinvenute ferite da armi da fuoco, contusioni e ferite causate da oggetti taglienti e/o appuntiti. Talvolta, i corpi delle vittime possono presentare particolari mutilazioni o risultano mancare specifici organi del corpo. Alcuni sacerdoti appartenenti a questi culti possiedono una sorprendente abilità nell’attrarre e manipolare le persone deboli, sfruttando la loro solitudine e vulnerabilità. Tali leader hanno spesso alle spalle una lunga carriera criminale, fatta di frodi e truffe, a volte di delitti, attuati per eliminare persone scomode alla setta. L’omicidio compiuto nell’ambito di un culto non ha sempre connotazioni religiose o ritualistiche: il delitto, infatti, può essere motivato agli occhi dei membri della setta dalle credenze religiose o occulte su cui si fonda la setta stessa. Il sacerdote del culto, però, può uccidere anche alcune persone appartenenti al gruppo, per incutere paura agli altri adepti e aumentare il suo potere personale. Eliminare i

membri meno devoti del gruppo permette al sacerdote di consolidare la propria autorità e di mantenere in vita il gruppo stesso da cui trae generalmente un tornaconto economico (soldi, donazioni ecc.) e personale (potere, sesso ecc.). Omicidio motivato dall’appartenenza a un gruppo - omicidio estremistico Per gli studiosi americani, l’“omicidio motivato dall’appartenenza un gruppo - omicidio estremistico” è un delitto motivato da ideologie fondamentaliste che possono essere politiche, economiche e religiose. Questo delitto può essere attuato sia da singoli aggressori, le cui azioni sono incoraggiate dal gruppo fondamentalista, sia da gruppi di persone accomunate dal seguire la medesima ideologia. Le vittime di questo tipo di omicidio seguono generalmente un sistema di credenze diverso da quello degli aggressori, dunque la tipologia di vittime colpite dal gruppo dipende della dottrina a cui fa riferimento il gruppo fondamentalista. Se sono coinvolte diverse vittime, queste potrebbero avere la medesima etnia, religione, ideologia politica, status sociale e/o economico. La scelta della vittima potrebbe esser stata dettata dall’opportunità, oppure la persona potrebbe essere stata scelta specificamente dal gruppo estremista e morire, quindi, in seguito a un attacco premeditato e ben pianificato. Tra le vittime di questo tipo di omicidio troviamo solitamente persone che contrastano gli obiettivi del gruppo fondamentalista. Un altro tipologia di vittima è colui che, pur appartenendo al gruppo estremista, viene ucciso a causa della stessa ideologia del gruppo. Gli indizi presenti sulla scena del crimine dipendono dal numero degli aggressori che hanno commesso l’omicidio. Questo delitto può essere compiuto da un aggressore singolo, che agisce per conto del gruppo estremista, oppure da diversi assalitori: in questo caso saranno utilizzate diverse armi e munizioni differenti. Anche un elevato numero di vittime può indicare aggressori multipli. La presenza di un gruppo di persone permette di commettere un delitto organizzato e metodico, specialmente se la cellula fondamentalista vuole effettuare il rapimento di una persona oppure compiere un omicidio. Il numero delle prove fisiche lasciate sulla scena del crimine e la sicurezza con cui il gruppo ha compiuto il delitto dipendono dal suo livello di preparazione.

Sulla scena del crimine possono essere lasciati simboli e/o rivendicazioni ufficiali, come biglietto da visita del gruppo estremista. Proprio per questo lo staging, o messa in scena, non è presente in questo tipo di delitto, poiché l’omicidio è pensato e attuato per comunicare al mondo dei messaggi che supportano la causa del gruppo estremista. Le analisi di ogni rivendicazione o comunicato ufficiale, che avvengono dopo il delitto, sono importanti per determinare l’autenticità del messaggio. Un investigatore non dovrebbe affrettatamente concludere che il comunicato in questione sia dell’aggressore, o degli aggressori, senza prima aver compiuto un attento esame psicolinguistico del documento, e aver utilizzato anche altri metodi per appurarne l’autenticità. Sulla scena del crimine possono essere evidenti le prove fisiche dell’esistenza di diversi aggressori, ma il loro ritrovamento dipende anche dal livello di organizzazione del gruppo. Sulla scena possono essere ritrovate le prove dell’utilizzo di diversi armamenti: per esempio, armi da fuoco di diverso calibro o armi diverse, quali armi da fuoco e coltelli insieme. Ferite multiple o eccessivi traumi sono indicatori di un’azione compiuta da un gruppo di persone. Nell’aggressione eseguita da un soggetto solitario mancheranno i segni che sono, invece, evidenti nelle aggressioni compiute da assalitori multipli. L’investigazione di questo tipo di omicidio deve prendere in considerazione il materiale prodotto dai mass media riguardante il gruppo fondamentalista e le sue diverse attività. Molto spesso è utile studiare la documentazione riguardante il metodo di esecuzione del delitto, le armi da taglio, da fuoco e/o gli esplosivi legati alla “firma” del gruppo. Omicidio di un’autorità Per gli studiosi americani, l’“omicidio di un’autorità” è un delitto commesso da un soggetto che uccide persone che hanno con l’aggressore una relazione reale o simbolica di autorità, questo perché il killer ritiene di essere stato offeso dalle vittime. Queste persone possono essere ferite e/o uccise durante l’aggressione, come risultato del loro collegamento, passato e/o presente, con la figura autorevole o con l’istituzione che è stata attaccata. Nella maggior parte dei casi le vittime di questo tipo di omicidio si dividono in primarie e secondarie. Le vittime primarie sono costituite dalle persone che l’aggressore percepisce come offensive nei suoi confronti. Il male può

esser stato effettivo, come l’essere stati realmente feriti dalla vittima, o può essere stato immaginato sulla base di un’ideazione psicotica o paranoica, che ha portato l’aggressore a pensare di essere stato oggetto di una cospirazione. Le vittime secondarie, invece, diventano bersagli casuali dell’aggressore, poiché egli tende ad assimilarle all’autorità in base alla loro presenza fisica sulla scena del crimine. Solitamente l’aggressore si trova sulla scena del crimine avendo come priorità assoluta l’eliminazione delle persone accusate di avergli fatto un torto e di averlo danneggiato, quindi non ha nessuna intenzione di fallire nella sua missione di morte e/o di interrompere il suo piano omicida per scappare dalla scena del delitto. Il soggetto può aver preso in considerazione l’idea di morire sulla scena del crimine attraverso il suicidio o ucciso dalla polizia. Con questa morte “spettacolare”, l’aggressore spera di raggiungere il martirio per le cause da lui perorate e le azioni da lui commesse. Solitamente l’aggressore si procura diverse armi e pallottole per vendicare i torti subiti, soprattutto se questi vanno avanti da diverso tempo. Questo soggetto generalmente porta sulla scena del crimine armi, munizioni e attrezzi che potrebbero sostenere e supportare il suo attacco. Le armi usate sono spesso letali, solitamente sono armi d’assalto semiautomatiche di elevata potenza, che trasformano l’aggressione in una vera e propria uccisione di massa. Lo staging, o messa in scena, non è presente in questo tipo di delitto. Per gli investigatori, la caratteristica comune in questa tipologia di omicidio è costituita dall’utilizzo di armi da fuoco semiautomatiche, utilizzate per la loro velocità nel fare fuoco. Generalmente le ferite inferte alle vittime sono gravi e portano spesso alla morte; ferite multiple su una specifica vittima possono suggerire che quella persona fosse l’obiettivo principale della missione di morte; è proprio l’uccisione del bersaglio primario che può spingere l’aggressore al suicidio oppure a consegnarsi alle autorità. Se l’obiettivo primario, invece, non viene raggiunto, l’aggressore può abbandonare la scena del crimine quando ha finito le munizioni. L’aggressore che compie questo tipo di delitto ha generalmente una storia di comportamenti paranoici e un’insoddisfazione apertamente espressa riguardo a circostanze della sua vita familiare, scolastica o lavorativa. I disordini mentali comunemente riscontrati sono disturbi depressivi, disturbi di personalità paranoica oppure una schizofrenia paranoide. Questi disturbi

possono essere associati alla presenza di fallimenti e conflitti interpersonali, quali la mancata inclusione nel gruppo dei pari, una bocciatura scolastica, la perdita del lavoro, divorzio o separazione, o altri eventi traumatici nella vita personale del soggetto, che aggravano la sua reazione contro l’autorità. Questi aggressori possono aver tentato il suicidio più volte, prima di commettere un’azione omicida. Gli investigatori dovrebbero prendere nota delle affermazioni fatte dal soggetto prima, durante e immediatamente dopo la missione omicida. Dovrebbero essere annotate e documentate dagli agenti anche le letture specifiche fatte dall’aggressore, nonché agende, appunti, file nel computer e ricette di medicinali prescritti al soggetto, al fine di collegare il sospettato autore dell’aggressione a particolari malattie psichiatriche. Gli investigatori dovrebbero anche indagare su collezioni di armi e munizioni, di tute mimetiche e uniformi, e su ogni altro oggetto militare e/o paramilitare posseduto dal soggetto autore della strage. 1.2. Violenza grave e omicidio: aspetti psicopatologici Sono cinque le tipologie di disturbi mentali contenuti nel Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (American Psychiatric Association, 2013) che risultano essere maggiormente legati alla violenza: – schizofrenia tipo paranoide – disturbo delirante – disturbo antisociale di personalità – disturbo borderline di personalità – disturbo dipendente di personalità Schizofrenia tipo paranoide Secondo gli psichiatri americani la manifestazione essenziale della “schizofrenia tipo paranoide” è la presenza di rilevanti deliri o allucinazioni uditive, in un contesto di funzioni cognitive e di affettività preservate. I sintomi caratteristici dei tipi disorganizzato e catatonico (es. eloquio disorganizzato, affettività appiattita o inappropriata, comportamento catatonico o disorganizzato) non sono rilevanti. I deliri sono tipicamente di

persecuzione, o di grandiosità, o entrambi, ma possono anche ricorrere con altri temi (es. di gelosia, religiosi o somatici); possono essere molteplici, ma sono generalmente organizzati attorno a un tema coerente. Le allucinazioni sono pure tipicamente correlate al contenuto del tema delirante. Le manifestazioni associate comprendono ansia, rabbia, distacco e atteggiamento polemico. Il soggetto può manifestare un atteggiamento di superiorità e accondiscendenza, e una modalità di rapporto formale e artificiosa, oppure un’estrema intensità delle relazioni personali. I temi persecutori possono predisporre il soggetto a un comportamento suicida, e la combinazione di deliri di persecuzione e grandiosità con la rabbia può predisporre il soggetto alla violenza. L’esordio tende a essere più tardivo nella vita rispetto agli altri tipi di schizofrenia, e le caratteristiche distintive possono essere più stabili nel tempo. Questi soggetti generalmente dimostrano scarsa o nessuna compromissione ai test neuropsicologici o ad altri test cognitivi. Alcuni dati suggeriscono che la prognosi per il tipo paranoide può essere considerevolmente migliore che per altri tipi di schizofrenia, con particolare riguardo al funzionamento lavorativo e alla capacità di vivere autonomamente. Disturbo delirante Secondo gli esperti americani, la caratteristica essenziale del “disturbo delirante” è la presenza di uno o più deliri non bizzarri che persistono per almeno un mese (criterio A). Una diagnosi di disturbo delirante non viene formulata se il soggetto ha un quadro sintomatologico che soddisfi il criterio A per la schizofrenia (criterio B). Le allucinazioni visive o uditive, se presenti, non sono rilevanti. Le allucinazioni tattili o olfattive possono essere presenti (e rilevanti) se sono correlate al tema delirante (es. la sensazione di essere infestato da insetti associata a deliri di infestazione, o la percezione di emettere un odore disgustoso da un orifizio del corpo associata a deliri di riferimento). A parte le conseguenze dirette dei deliri, il funzionamento psicosociale non è compromesso in modo rilevante, e il comportamento non è né eccessivamente stravagante né bizzarro (criterio C). Se gli episodi di alterazione dell’umore ricorrono in concomitanza con i deliri, la loro durata totale è relativamente breve, in confronto alla durata totale dei periodi deliranti (criterio D). I deliri non sono dovuti agli effetti fisiologici diretti di

una sostanza (es. cocaina) o a una condizione medica generale (es. malattia di Alzheimer, lupus eritematoso sistemico) (criterio E). Benché lo stabilire se i deliri siano bizzarri sia considerato un fattore di particolare importanza nel distinguere il disturbo delirante dalla schizofrenia, la “bizzarria” può essere difficile da valutare, specialmente tra differenti culture. I deliri sono ritenuti bizzarri se risultano chiaramente non plausibili, non comprensibili, e non derivabili da esperienze ordinarie della vita (es. la convinzione di un soggetto che uno sconosciuto abbia rimosso i suoi organi interni rimpiazzandoli con quelli di qualcun altro senza lasciare ferita o cicatrice alcuna). Al contrario, i deliri non bizzarri riguardano situazioni che possono plausibilmente verificarsi nella vita reale (es. essere inseguiti, avvelenati, infettati, amati a distanza, o ingannati dal proprio coniuge o amante). Il funzionamento psicosociale è variabile. Alcuni soggetti possono sembrare relativamente non compromessi nei loro ruoli interpersonali e lavorativi. In altri la menomazione può essere considerevole, e comportare un funzionamento lavorativo scadente o totalmente carente, oltre che l’isolamento sociale. Quando nel disturbo delirante vi è un funzionamento psicosociale scadente, esso deriva direttamente dalle stesse convinzioni deliranti. Per esempio, un soggetto che è convinto che verrà assassinato da “sicari della mafia”, può abbandonare il suo posto di lavoro e rifiutarsi di uscire di casa eccetto che a notte fonda, e solo quando sia vestito con abiti completamente differenti rispetto al suo normale abbigliamento. La ragione di questo comportamento è un comprensibile tentativo di evitare di essere identificato e ucciso dai propri presunti assassini. Da contro, il funzionamento scadente nella schizofrenia può essere dovuto a entrambi i sintomi positivi e negativi (in particolare l’abulia). Analogamente, una caratteristica comune dei soggetti con disturbo delirante è l’apparente normalità del loro comportamento e atteggiamento, quando le loro idee deliranti non sono messe in discussione o contrastate attivamente. In generale il funzionamento sociale e quello coniugale sono più facilmente compromessi del funzionamento intellettuale e lavorativo. Il tipo di disturbo delirante può essere specificato sulla base del tema delirante predominante. – Tipo erotomaniaco. Questo sottotipo si diagnostica quando il tema

centrale del delirio è la convinzione che un’altra persona sia innamorata del soggetto. Il delirio spesso riguarda un amore romantico, idealizzato, e un’unione spirituale, piuttosto che l’attrazione sessuale. La persona che diventa oggetto di questa convinzione di solito appartiene a uno status più elevato (es. una persona famosa o un superiore sul lavoro), ma può anche essere del tutto sconosciuta. Sono comuni gli sforzi di contattare l’oggetto del delirio (attraverso chiamate telefoniche, lettere, doni, visite, e persino sorveglianza e pedinamento), benché occasionalmente la persona mantenga segreto il delirio. Nei campioni clinici, la maggior parte dei soggetti con questo sottotipo sono di sesso femminile; nei campioni forensi, invece, la maggior parte di soggetti con questo sottotipo sono di sesso maschile. Alcuni, in particolare i maschi, entrano in conflitto con la legge nei loro sforzi di inseguire l’oggetto del delirio, o in un maldestro tentativo di “liberarlo” da qualche pericolo immaginario. – Tipo di grandezza. Questo sottotipo si diagnostica quando il tema centrale del delirio è la convinzione di possedere un certo talento (non riconosciuto) o una certa intuizione, o di avere fatto qualche importante scoperta. Meno comunemente, il soggetto può nutrire la convinzione delirante di poter contare su una relazione particolare con una persona in vista (es. un consigliere del presidente), o di essere una persona eccezionale (nel qual caso la persona reale può essere considerata come un impostore). I deliri di grandezza possono avere un contenuto religioso (es. la persona crede di essere depositario di un messaggio speciale della divinità). – Tipo di gelosia. Questo sottotipo si diagnostica quando il tema centrale del delirio della persona è la convinzione che il proprio coniuge o amante sia infedele. A questa convinzione il soggetto arriva senza un motivo accertato, ed essa è fondata su deduzioni non corrette supportate da piccoli indizi interpretati come “prove evidenti” (es. abiti in disordine o macchie sulle lenzuola), raccolti e usati per giustificare il delirio. Il soggetto generalmente cerca il confronto con il coniuge o l’amante, e tenta di intervenire contro l’infedeltà immaginaria (es. restringendo l’autonomia del coniuge, seguendolo segretamente, investigando sul presunto amante, attaccando fisicamente il proprio partner).

– Tipo di persecuzione. Questo sottotipo si diagnostica quando il tema centrale del delirio riguarda la convinzione della persona di essere vittima di una cospirazione, o di essere ingannato, spiato, seguito, avvelenato o drogato, calunniato con malizia, molestato, o ostacolato nel perseguimento di progetti a lungo termine. Piccoli sgarbi possono venire esagerati, e diventare il punto di partenza di un sistema delirante. Il nucleo delirante è spesso rappresentato da presunte ingiustizie, che debbono essere riparate a mezzo di azioni legali (“paranoia querula”), e il soggetto disturbato spesso si impegna in ripetuti tentativi di ottenere soddisfazione, appellandosi alla magistratura e ad altre agenzie governative. I soggetti con deliri di persecuzione sono spesso pieni di risentimento e di collera e possono ricorrere alla violenza verso quelli che ritengono essere i propri persecutori. – Tipo somatico. Questo sottotipo si diagnostica quando il tema centrale del delirio riguarda le funzioni del corpo o le sensazioni inerenti. I deliri somatici possono manifestarsi in diverse forme. I più comuni sono rappresentati dalla convinzione del soggetto di emettere un cattivo odore dalla pelle, dalla bocca, dal retto o dalla vagina; di avere un’infestazione di insetti sulla o nella pelle; di essere afflitto da un parassita interno; di possedere alcune parti del corpo decisamente deformi o turpi (contro ogni apparenza), o non funzionanti (es. l’intestino crasso). – Tipo misto. Questo sottotipo si diagnostica quando nessun tema delirante è predominante. – Tipo non specifico. Questo sottotipo si diagnostica quando la convinzione delirante predominante non può essere chiaramente determinata, o non è descritta fra i tipi specifici (es. deliri di riferimento senza un contenuto persecutorio o di grandezza rilevanti). Disturbo anti sociale di personalità Secondo gli psichiatri americani, la caratteristica essenziale del “disturbo antisociale di personalità” è un quadro pervasivo di inosservanza e di violazione dei diritti degli altri, che si manifesta nella fanciullezza o nella prima adolescenza, e continua nell’età adulta. Questa modalità è stata anche

denominata psicopatia, sociopatia o disturbo “dissociale” di personalità. Poiché la disonestà e la manipolazione sono caratteristiche centrali del disturbo antisociale di personalità, può essere particolarmente utile integrare le informazioni acquisite dalla valutazione clinica sistematica con le informazioni raccolte da fonti collaterali. Per porre questa diagnosi l’individuo deve avere almeno 18 anni (criterio B), e deve evidenziare in anamnesi alcuni sintomi del disturbo della condotta prima dell’età di 15 anni (criterio C). Il disturbo della condotta comporta un quadro ripetitivo e persistente di comportamenti che violano i diritti basilari degli altri, o le norme, o regole sociali principali appropriate per l’età. I comportamenti specifici caratteristici del disturbo della condotta ricadono in una delle quattro seguenti categorie: aggressione a persone o animali; distruzione di proprietà; truffa o furto; grave violazione di regole. La modalità di comportamento antisociale continua nell’età adulta. Gli individui con il disturbo antisociale di personalità non riescono a conformarsi alle norme sociali secondo un comportamento legale (criterio A1). Possono compiere ripetutamente atti passibili di arresto (effettivamente avvenuto oppure no), come distruggere proprietà, molestare gli altri, rubare o svolgere attività illegali. Le persone con questo disturbo non rispettano i desideri, i diritti o i sentimenti degli altri. Sono frequentemente disonesti e manipolativi per trarre profitto o piacere personale (es. per ottenere denaro, sesso, o potere) (criterio A2). Possono ripetutamente mentire, usare false identità, truffare o simulare. L’impulsività può manifestarsi con l’incapacità di pianificare il futuro (criterio A3). Le decisioni vengono prese sotto l’impulso del momento, senza previdenza, e senza considerazione delle conseguenze per sé e per gli altri; questo può determinare cambiamenti improvvisi di lavoro, di residenza o di relazioni. Gli individui con disturbo antisociale di personalità tendono a essere irritabili e aggressivi, e possono essere coinvolti ripetutamente in scontri fisici o commettere aggressioni fisiche (come picchiare il coniuge o i figli) (criterio A4). Le azioni aggressive richieste per difendere sé o gli altri non sono considerate in questo item. Questi individui mostrano anche di non curarsi della sicurezza propria o degli altri (criterio A5). Ciò può essere evidenziato dal loro modo di guidare (ricorrenti eccessi di velocità, guida in stato di intossicazione, incidenti multipli). Possono farsi coinvolgere in comportamenti sessuali, o in uso di sostanze, con elevato rischio di conseguenze dannose. Possono

ignorare o non curarsi di un figlio, al punto da mettere il bambino in pericolo. Gli individui con disturbo antisociale di personalità tendono anche a essere spesso estremamente irresponsabili (criterio A6). Un comportamento lavorativo irresponsabile può essere indicato da periodi significativi di disoccupazione, nonostante la disponibilità di opportunità di lavoro, o dall’abbandono di molti lavori senza un piano realistico per ottenerne un altro. Può essere presente anche una situazione di assenze ripetute dal lavoro non giustificate da malattie proprie o dei familiari. L’irresponsabilità finanziaria è indicata da azioni quali mancata restituzione dei debiti, incapacità di provvedere al supporto dei figli, o incapacità di sostenere altre figure dipendenti in modo regolare. Gli individui con disturbo antisociale di personalità mostrano scarso rimorso per le conseguenze delle proprie azioni (criterio A7). Possono risultare indifferenti, o fornire una razionalizzazione superficiale dopo avere fatto del male, maltrattato o derubato qualcuno (es. “la vita è ingiusta”, “i perdenti meritano di perdere”, “doveva accadergli”). Questi individui possono accusare le vittime di essere pazze, senza risorse, o di meritarsi il loro destino; minimizzare le conseguenze dannose delle proprie azioni; o semplicemente mostrare completa indifferenza. Generalmente sono incapaci di scusarsi o di riparare al loro comportamento. Possono sostenere che ognuno è tenuto a sacrificarsi per “aiutare il numero uno”, e che non ci si dovrebbe fermare di fronte a niente, per evitare di essere sottomessi. Il comportamento antisociale non necessariamente si manifesta solo durante il decorso della schizofrenia o di un episodio maniacale (criterio D). Disturbo borderline della personalità Secondo gli esperti americani, le caratteristiche essenziali del “disturbo borderline di personalità” sono una modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali, dell’autostima e dell’umore, e una marcata impulsività, che iniziano nella prima età adulta e sono presenti in una varietà di contesti. Gli individui con disturbo borderline di personalità compiono sforzi disperati per evitare abbandoni reali o immaginati (criterio 1). La percezione della separazione o del rifiuto imminenti, o la perdita di qualche strutturazione esterna, possono portare ad alterazioni profonde

dell’immagine di sé, dell’umore, del pensiero e del comportamento. Questi individui sono molto sensibili alle circostanze ambientali. Provano intensi timori di abbandono e rabbia inappropriata, anche quando si trovano ad affrontare separazioni reali limitate nel tempo, o quando intervengono inevitabili cambiamenti di progetti (es. manifestano disperazione improvvisa come reazione all’annuncio del terapeuta del termine dell’ora del colloquio; panico o furore quando qualcuno per loro importante è in ritardo di pochi minuti oppure deve disdire un appuntamento). Possono ritenere che questo “abbandono” implichi che essi sono “cattivi”. Questi timori di abbandono sono correlati all’intolleranza di fronte alla solitudine e alla necessità di avere sempre qualcuno accanto. I loro sforzi disperati per evitare l’abbandono possono includere azioni impulsive, come comportamenti autolesivi o suicidi, che vengono descritti separatamente nel criterio 5. Gli individui con disturbo borderline di personalità manifestano una modalità di relazione instabile e intensa (criterio 2). Possono idealizzare protettori o amanti potenziali al primo o secondo incontro, chiedere di trascorrere molto tempo insieme, e condividere i dettagli più intimi fin dall’inizio di una relazione. Peraltro possono passare rapidamente dall’idealizzare allo svalutare le altre persone, protestare che l’altra persona non si occupa abbastanza di loro, non dà abbastanza, non è abbastanza “presente”. Questi individui entrano in empatia con gli altri e li coccolano, ma solo con l’aspettativa che gli altri saranno “presenti” a loro volta per soddisfare le loro necessità. Sono inclini a cambiamenti improvvisi e drammatici nella loro visione degli altri, che possono essere vissuti alternativamente come supporti benefici o come crudelmente punitivi. Tali variazioni spesso riflettono la disillusione nei confronti di un curante, le cui qualità di accudimento sono state idealizzate, o da parte del quale ci si aspettano il rifiuto o l’abbandono. Possono essere presenti un disturbo dell’identità caratterizzato da un’immagine di sé o da una percezione di sé marcatamente e persistentemente instabile (criterio 3); variazioni improvvise e drammatiche dell’immagine di sé, caratterizzate da cambiamenti di obiettivi, di valori e di aspirazioni: improvvisi cambiamenti di opinioni e di progetti a proposito della carriera, dell’identità sessuale, dei valori e dei tipi di amici. Questi individui possono improvvisamente passare dal ruolo di supplice, bisognoso di aiuto, a quello di giusto vendicatore di un maltrattamento precedente.

Sebbene abbiano di solito un’immagine di sé che si basa sull’essere cattivi o dannosi, gli individui con questo disturbo possono talvolta sentire di non esistere affatto. Tali esperienze solitamente si manifestano in situazioni in cui l’individuo percepisce la mancanza di una relazione significativa, di accudimento e supporto. Possono mostrare prestazioni peggiori nel lavoro non strutturato e in situazioni scolastiche. Gli individui con questo disturbo manifestano impulsività in almeno due aree potenzialmente dannose per sé (criterio 4). Possono giocare d’azzardo, spendere soldi in modo irresponsabile, abbandonarsi ad abbuffate, abusare di sostanze, farsi coinvolgere in rapporti sessuali non sicuri, o guidare spericolatamente. Gli individui con il disturbo borderline di personalità manifestano ricorrenti comportamenti, gesti o minacce suicidi, o comportamenti automutilanti (criterio 5). Il suicidio riuscito si verifica nell’8-10% di tali individui, e i gesti autolesivi (es. tagliarsi o bruciarsi), le minacce e i tentativi di suicidio sono molto comuni. La tendenza ricorrente al suicidio è spesso la ragione per cui questi individui chiedono aiuto. Le azioni autodistruttive sono di solito precipitate da minacce di separazione o di rifiuto, o dalla prospettiva di doversi assumere maggiori responsabilità. L’automutilazione può verificarsi durante esperienze dissociative, e spesso porta sollievo, riaffermando la capacità di sentire o di espiare la sensazione dell’individuo di essere “cattivo”. I soggetti con disturbo borderline di personalità possono manifestare instabilità affettiva dovuta a una marcata variabilità dell’umore (es. intensa disforia, irritabilità o ansia episodica, che di solito durano poche ore e solo raramente più di pochi giorni) (criterio 6). L’umore disforico di base di chi è affetto da disturbo borderline di personalità è spesso spezzato da periodi di rabbia, panico o disperazione, ed è raramente sollevato da periodi di benessere o soddisfazione. Questi episodi possono riflettere l’estrema reattività dell’individuo al disagio interpersonale. Gli individui con questo disturbo possono essere afflitti da sentimenti cronici di vuoto (criterio 7). Facilmente annoiati, possono costantemente ricercare qualcosa da fare. Gli affetti da disturbo borderline di personalità frequentemente esprimono rabbia inappropriata e intensa, o hanno comunque delle difficoltà a controllarla (criterio 8). Possono manifestare estremo sarcasmo, amarezza costante o esplosioni verbali. La rabbia è spesso

suscitata dal vedere un curante o un amante come disattento, rifiutante, poco dedito, o abbandonante. Tali espressioni di rabbia sono spesso seguite da vergogna e colpa, e contribuiscono alla sensazione di essere cattivi. Durante i periodi di stress estremo, possono manifestarsi ideazione paranoide o sintomi dissociativi transitori (es. depersonalizzazione) (criterio 9), ma questi sono generalmente di gravità o durata insufficienti a giustificare una diagnosi addizionale. Questi episodi si verificano più frequentemente in risposta a un abbandono, reale o immaginato. I sintomi tendono a essere transitori, durano pochi minuti o ore. Il ritorno, reale o percepito, della funzione di accudimento da parte della figura accudente può determinare una remissione dei sintomi. Disturbo dipendente della personalità Secondo gli psichiatri americani, la caratteristica essenziale del “disturbo dipendente di personalità” è una necessità pervasiva ed eccessiva di essere accuditi, che determina un comportamento sottomesso e dipendente, nonché il timore della separazione. Questa modalità compare entro la prima età adulta ed è presente in una varietà di contesti. Il comportamento dipendente e sottomesso è finalizzato a suscitare protezione, e nasce da una percezione di sé come incapace di funzionare adeguatamente senza l’aiuto di altri. Gli individui con disturbo dipendente di personalità hanno grande difficoltà a prendere le decisioni quotidiane (es. scegliere il colore della camicia da indossare per il lavoro, o se portare con sé un ombrello) in assenza di consigli e rassicurazioni da parte degli altri (criterio 1). Questi individui tendono a essere passivi e a permettere ad altre persone (spesso una persona singola) di prendere l’iniziativa e di assumersi la responsabilità per la maggior parte dei settori della loro vita (criterio 2). Gli adulti con questo disturbo tipicamente dipendono da un genitore o dal coniuge per decidere dove devono vivere, che tipo di lavoro dovrebbero svolgere, e di quali vicini devono essere amici. Gli adolescenti con questo disturbo possono permettere a un genitore (o a entrambi) di decidere cosa dovrebbero indossare, chi frequentare, come dovrebbero trascorrere il tempo libero, e a quale scuola o corso universitario iscriversi. Questa necessità che gli altri si assumano le responsabilità va al di là delle richieste appropriate per l’età e la situazione (es. le necessità specifiche dei bambini, delle persone anziane, e dei portatori di handicap). Il disturbo dipendente di personalità può manifestarsi in un

individuo con una grave condizione medica generale o disabilità, ma in tali casi la difficoltà nel prendersi delle responsabilità deve andare al di là di quanto si associa generalmente con quella condizione o disabilità. Poiché temono di perdere il supporto o l’approvazione degli altri, gli individui con disturbo dipendente di personalità spesso hanno difficoltà a esprimere disaccordo verso altre persone, specialmente verso coloro da cui sono dipendenti (criterio 3). Questi individui si sentono talmente incapaci di funzionare autonomamente, che concorderanno su ciò che ritengono sbagliato, piuttosto che perdere l’aiuto di coloro che ricercano per essere guidati. Non si arrabbiano adeguatamente con le persone da cui ricevono supporto e accudimento, per timore di allontanarle. Se le preoccupazioni dell’individuo riguardo alle conseguenze dell’espressione del disaccordo sono realistiche (es. timori di castigo da parte di un coniuge violento), il comportamento non dovrebbe essere considerato come prova di un disturbo dipendente di personalità. Gli individui con questo disturbo hanno difficoltà a iniziare progetti o a fare cose in modo indipendente (criterio 4). Essi mancano di sicurezza in se stessi, e credono di avere bisogno di aiuto per iniziare e portare avanti dei compiti. Aspetteranno gli altri per intraprendere delle attività, poiché credono che di regola gli altri facciano meglio. Questi individui sono convinti di essere incapaci di funzionare indipendentemente e si presentano come inetti e bisognosi di assistenza costante. Possono comunque funzionare in maniera appropriata, se hanno la sicurezza che qualcun altro li stia supervisionando e approvando. Possono temere di diventare o di apparire più competenti, poiché ritengono che questo possa condurre all’abbandono. Poiché contano sugli altri per gestire i propri problemi, spesso non acquisiscono gli strumenti per vivere adeguatamente, perpetuando così la dipendenza. I soggetti con disturbo dipendente della personalità possono spingersi a fare qualsiasi cosa pur di ottenere accudimento e supporto da altri, fino al punto di offrirsi per compiti spiacevoli, se tale comportamento assicurerà loro le cure di cui hanno bisogno (criterio 5). Sono pronti a sottomettersi a ciò che gli altri vogliono, anche se le richieste sono irragionevoli. La loro necessità di mantenere un legame importante spesso si evidenzia in relazioni sbilanciate o distorte. Possono sottoporsi a sacrifici straordinari, o tollerare l’abuso verbale, fisico o sessuale (si noti come questo comportamento debba

essere considerato prova del disturbo dipendente di personalità solo quando può essere chiaramente stabilito che per l’individuo sono possibili delle alternative). Gli individui con questo disturbo si sentono a disagio o indifesi quando sono soli, a causa del timore esagerato di essere incapaci di prendersi cura di sé (criterio 6). Seguiranno “passo passo” altre persone importanti, proprio per evitare di stare da soli, anche se non sono interessati o coinvolti in ciò che sta accadendo. Quando termina una relazione importante (es. la rottura con un amante, o la morte di una figura protettrice), possono cercare con urgenza un’altra relazione che fornisca la cura e il supporto di cui hanno bisogno (criterio 7). La loro convinzione di essere incapaci di funzionare in assenza di una relazione stretta li motiva ad attaccarsi rapidamente e indiscriminatamente a un’altra persona. I soggetti con questo disturbo sono spesso assaliti dal timore di essere lasciati a prendersi cura di sé (criterio 8). Si vedono così totalmente dipendenti dal consiglio e dall’aiuto di un’altra persona importante, che temono di essere da essa abbandonati anche quando non vi sono motivi per giustificare tale preoccupazione. Le paure, per essere considerate evidenza di questo criterio, devono essere eccessive e non realistiche. Per esempio: un uomo anziano affetto da cancro, che si sposta nella casa del figlio per essere curato, esibisce in realtà un comportamento dipendente appropriato, date le circostanze di vita della persona. 1.3. Violenza grave e omicidio: aspetti antropologici Per quanto riguarda l’omicidio rituale, l’elemento più rilevante nel determinare la motivazione a compiere questo omicidio, il metodo per effettuarlo e il tipo di vittima scelta, consiste nel significato sacro che l’aggressore dà a tale atto. Quindi l’analisi simbolica distingue gli omicidi rituali in base alla necessità dell’aggressore di esprimere in modo rituale la sua percezione del sacro. Sono cinque le tipologie di omicidio rituale, tratte dal testo Investigating Religious Terrorism and Ritualistic Crime (2004) dell’antropologa americana Dawn Perlmutter, che sembrano essere maggiormente legate a culti e sette dedite all’occultismo: 1. sacrificio

2. assassinio rituale 3. assassinio millenaristico 4. guerra santa 5. iconoclastia Sacrificio Secondo Perlmutter, il “sacrificio” è una categoria sacra, o religiosa, di condotta rituale individuale o di gruppo. Il sacrificio viene sempre compiuto da un “vero credente”, un praticante dell’occulto che commette tale delitto poiché ogni atto, rito o rituale, è richiesto o, comunque, inserito in un determinato sistema di credenze religiose. La vittima, che può essere un animale o un essere umano, sarà selezionata secondo lo scopo che la setta vuole raggiungere con quel sacrificio; nel caso la vittima sia un essere umano, questa può essere una persona sconosciuta al gruppo o anche un adepto appartenente al culto. Il sacrificio può essere condotto da un unico offensore o da un gruppo di persone, tuttavia l’assassinio viene generalmente messo in atto da una persona sola, l’“alto sacerdote” designato. Solitamente il sacrificio viene compiuto in uno spazio sacro deputato, sovente un’area isolata e all’aperto, un luogo scelto dagli adepti in base alla dottrina in cui crede il gruppo. La data dell’esecuzione è spesso significativa e può corrispondere a una particolare festività dell’occulto o a una specifica ricorrenza del gruppo. Il sacrificio in genere comporta una cerimonia di sangue e l’arma più comunemente utilizzata per tale scopo è un coltello rituale. A seconda della dottrina a cui fa riferimento il gruppo, la morte della persona può essere lenta e associata a torture, un metodo usato di norma con gli esseri umani, o può avvenire con un rapido taglio della gola. Uno dei principali indicatori forensi del sacrificio, oltre alla presenza di atti di violenza sessuale, mutilazione, smembramento e cannibalismo, e a eventuali simboli esoterici, occulti e/o satanici incisi sulla carne della vittima, è basato sull’assenza del sangue dal corpo della persona uccisa, fluido che di solito l’assassino prosciuga dal corpo della vittima per utilizzarlo ritualmente. Lo scopo del sacrificio è di incrementare il potere personale e/o di adempiere alle necessità del sistema di credenze religiose del gruppo; gli elementi richiesti per gli atti, i riti e i rituali del gruppo, sono spesso ottenuti

attraverso altri delitti, quali violazione di domicilio, estorsione, vandalismo, furto nei cimiteri, incendio e, a volte, rapimento. Assassinio rituale Secondo Perlmutter, l’“assassinio rituale” è una categoria laica, non religiosa, di comportamento rituale individuale, che spesso viene confusa con il sacrificio. L’assassinio rituale riguarda persone che compiono attività criminali, caratterizzate da una serie di ripetuti attacchi fisici, sessuali e/o psicologici, combinati con l’uso sistematico di simboli, cerimonie e/o liturgie particolari. Il bisogno di ripetere tali atti può essere di tipo culturale, sessuale, economico, psicologico e/o spirituale. L’assassinio rituale può essere commesso da un “vero criminale” o da un “dilettante”, e, generalmente, l’atto viene eseguito da un singolo aggressore. Esso avviene quando la condotta del criminale va al di là delle azioni strettamente necessarie all’esecuzione del crimine; alcuni tipi di comportamenti rituali non religiosi, infatti, costituiscono il “biglietto da visita”, o “firma”, dell’aggressore. La vittima è scelta a seconda della necessità rituale dell’assassino. L’assalto sessuale, l’uso di restrizioni e la depersonalizzazione della vittima sono spesso presenti. I principali indicatori forensi dell’assassinio rituale riguardano la mutilazione della faccia e di specifiche parti del corpo, oggetti inseriti nel corpo della vittima e atti sessuali compiuti dall’aggressore dopo la morte della persona. Parti del corpo e altri oggetti della vittima, quali determinati effetti personali, possono mancare dalla scena del crimine. Lo scopo di questo delitto spesso consiste nell’adempiere a un personale bisogno spirituale e/o sessuale dell’aggressore; questo soggetto spesso utilizza il suo personale sistema di credenze per compiere dei delitti rituali conformi alle sue ideologie. Assassinio millenaristico Secondo la studiosa americana, l’“assassinio millenaristico” è una categoria sacra, o religiosa, di condotta rituale di gruppo. L’assassinio millenaristico è generalmente commesso da un “vero credente”, un praticante dell’occulto, che commette questi delitti in quanto ogni atto, rito o rituale, è richiesto, o comunque inserito, in un determinato sistema di credenze religiose. Tuttavia il leader del gruppo può essere considerato un

“vero criminale”, che usa l’occulto come una scusa per giustificare l’abuso dei suoi seguaci (solitamente per ottenere sesso, soldi e/o potere). La maggior parte delle vittime di questo delitto sono membri del culto stesso, o appartengono a una frangia del gruppo medesimo. I parenti dei membri del gruppo, considerati nemici del culto perché cercano di far uscire dalla setta i loro familiari, possono essere prescelti come possibili vittime. Abitualmente nell’assassinio millenaristico ci sono più vittime e più aggressori. La scena del crimine di un assassinio millenaristico può contenere elementi simbolici, sotto forma di manufatti e/o immagini sconosciute. Il posto scelto per il delitto avrà un significato sacro per il gruppo, mentre la data dell’assassinio deriverà da un’interpretazione fornita dal leader, o dagli adepti del culto, circa la fine del millennio e/o della persecuzione a cui il gruppo si sente sottoposto. Lo stato di ritrovamento del corpo delle vittime dipenderà dallo scopo dell’omicidio; per esempio, per intimidire gli altri membri del gruppo, l’assassinio viene perpetuato di nascosto, oppure vengono scavate fosse comuni in cui nascondere i corpi. I principali indicatori forensi di un assassinio millenaristico sono la presenza di ferite provocate da armi da fuoco, da oggetti appuntiti e da traumi violenti; più armi, comunque, possono essere utilizzate durante uno stesso evento da diversi aggressori. Possono anche essere attuate dal gruppo mutilazioni di determinate parti del corpo. L’omicidio e il suicidio di massa del gruppo possono essere condotti tramite avvelenamento, overdose di droghe o immolazione, a cui possono essere spinti alcuni adepti. Lo scopo di questo tipo di delitto consiste nell’adempiere, tramite l’interpretazione della letteratura sacra del culto, e in base alla sua dottrina, al sistema di credenze religiose del gruppo. Queste, solitamente, proclamano che la morte delle persone aderenti al culto permetterà loro di raggiungere la salvezza tanto desiderata. Guerra santa Secondo l’antropologa americana, la “guerra santa” è una categoria sacra, o religiosa, di condotta rituale di gruppo. La guerra santa è sempre attuata da un “vero credente”, che commette dei delitti motivati dalla sua fervente devozione a un sistema di credenze religiose non ortodosse. Le vittime prese di mira, solitamente, incarnano credenze religiose differenti da quelle

dell’aggressore; la tipologia di vittime che possono essere colpite dal gruppo, quindi, varia a seconda della dottrina a cui si ispirano gli adepti. Se ci sono più vittime coinvolte nell’attacco, queste avranno in comune la razza, la religione, il credo politico, lo status sociale e/o economico. La vittima potrebbe essere un obiettivo casuale, scelto dal gruppo per motivi di opportunità, oppure potrebbe anche essere un bersaglio designato a morire per via di un attacco premeditato e ben pianificato. Tra le vittime si possono includere anche le persone che entrano in conflitto con il gruppo e ne contrastano gli obiettivi; tra questi figurano i fuoriusciti dal gruppo, oppure i membri del culto che costituiscono una minaccia per il leader o per l’integrità del gruppo stesso. Nella guerra santa, per effettuare gli omicidi viene usato un metodo di tipo “paramilitare”, che porta il gruppo a utilizzare uniformi, tecniche e tattiche di addestramento di tipo militare. In questo caso possono anche esserci diverse scene del crimine: il luogo in cui si scatena la rivolta del gruppo, quello in cui vengono uccise le vittime e quello in cui avviene la sepoltura dei loro corpi; l’ubicazione della scena del crimine può anche essere quella che crea meno rischi agli assassini. La presenza di più aggressori può essere desunta dall’utilizzo di armi e munizioni diverse; anche un numero elevato di vittime può indicare più assalitori, benché le vittime possano essere ben controllate anche da pochi uomini ben addestrati. L’addestramento degli aggressori, la pianificazione degli omicidi, l’attenta vigilanza durante l’assalto perpetrato e la veloce fuga dalla scena del crimine, abbassano le probabilità di cattura degli assalitori. Analizzando la scena, gli esperti di scienze forensi spesso rivelano il “biglietto da visita”, o “firma”, del gruppo dall’utilizzo che questo fa degli esplosivi, delle armi da fuoco, delle armi di distruzione di massa, o tramite l’analisi dei traumi e delle ferite inferte alle vittime. Lo scopo della guerra santa consiste nel rovesciamento dell’ordine politico e/o religioso esistente in un certo luogo, al fine di raggiungere gli obiettivi politici e religiosi del gruppo. Iconoclastia Secondo la studiosa americana, l’“iconoclastia” è una categoria laica, non religiosa, di comportamento rituale individuale o di piccolo gruppo. L’iconoclastia è un atto di distruzione di un oggetto, di un animale o di un essere umano, simbolo che precedentemente la persona che attua la

distruzione considerava sacro, e per questo venerava e idolatrava. In senso politico, l’iconoclastia è un atto teso a distruggere i simboli e/o i rappresentanti del potere religioso e/o delle sue istituzioni, nonché un atto finalizzato ad attirare l’attenzione della società. L’iconoclastia è generalmente commessa da “veri seguaci”, spesso giovani, che si rivolgono all’occulto a causa di un profondo senso di alienazione dalla cultura dominante. Questi giovani sono spesso ispirati dalla musica rock e da libri e film legati al mondo dell’occulto, che servono al gruppo per prendere spunto per le loro ideologie, per dare una forma al loro sistema di credenze e per giustificare il proprio comportamento criminale. Generalmente gli aggressori sono dei “dilettanti” coinvolti in modo occasionale nelle attività dell’occulto, anche se, temporaneamente, possono essere considerati dei “veri credenti”; questi “dilettanti” generalmente mascherano le loro attività criminali conformandole al sistema di credenze del momento. Obiettivo principale di questi ragazzi sono le persone che li hanno offesi, umiliandoli e maltrattandoli; in secondo luogo, le vittime sono coloro che si trovano in un posto che l’aggressore associa a determinati simboli e/o autorità. Le vittime prese di mira, solitamente, rappresentano l’antitesi delle credenze dell’aggressore; esse, comunque, variano a seconda della dottrina della persona o del gruppo. Tendenzialmente l’assassino è mosso da una missione, quindi non manifesta l’intenzione di scappare dalla scena del crimine ma, anzi, dimostra di avere il desiderio di morire lì, tramite suicidio, o ucciso dalla polizia. Egli porta diverse armi e munizioni sulla scena del crimine, perché il suo scopo è che queste armi non lascino scampo a nessuna delle vittime. La scena del crimine è in genere un luogo pubblico, il posto in cui l’aggressore ha subito un’umiliazione, e la posizione in cui verrà ritrovato il corpo della vittima indicherà il motivo del gesto. Un’imboscata, un rapido attacco o i colpi di un cecchino che spara da lunga distanza sono i metodi d’azione comunemente utilizzati dall’aggressore per superare il problema del controllo delle vittime. Analizzando la scena del crimine, gli esperti di scienze forensi spesso rilevano l’utilizzo di armi da fuoco: sovente sono armi semiautomatiche, che servono a garantire uno sparo più veloce; in questo caso, i bossoli trovati sono numerosi. Oltre alle armi da fuoco, gli esperti sottolineano il possibile uso di armi da taglio, spesso coltelli, con cui vengono inferte alle vittime numerose ferite. Lo scopo di questo tipo di

violenza rituale è di distruggere i simboli e/o i luoghi che hanno generato un senso di ingiustizia e di alienazione per l’aggressore.

PARTE SECONDA L’INVESTIGAZIONE DEI CRIMINI E RITUALI

2. NASCITA DEL CRIMINAL PROFILING

Le scoperte consistono nel vedere ciò che tutti hanno visto e nel pensare ciò che nessuno ha pensato. Albert Szent-Györgyi

2.1. Origini del criminal profiling Le origini del criminal profiling si possono far risalire ai primi tentativi di stilare il profilo psicologico di Jack lo Squartatore, effettuati verso la fine dell’Ottocento da Thomas Bond, medico legale, e da Forbes Winslow, esperto di malattie mentali all’epoca dei delitti. Diversi anni dopo, il profilo psicologico stilato dallo psichiatra William Langer su Adolf Hitler segna un altro passo importante nell’affermazione di questa tecnica di analisi criminologica. Nel 1956, James Brussel, psichiatra, viene chiamato dall’ispettore Howard Finney per analizzare i reperti esplosivi e le lettere di rivendicazione inviate da George Metesky, soprannominato “Mad Bomber”, un dinamitardo che stava terrorizzando la città di New York. Sarà solamente dopo la cattura del criminale – arresto avvenuto soprattutto grazie alle preziose intuizioni dello psichiatra – che si inizierà sistematicamente ad applicare la psicologia all’investigazione criminale, specie nel caso di crimini commessi da autori di molestie, aggressioni e/o omicidi seriali e/o senza movente apparente. Il profilo psicologico di Jack lo Squartatore “Jack lo Squartatore” è lo pseudonimo del serial killer che agiva a Londra, nel quartiere di Whitechapel e nei distretti limitrofi, nell’autunno del 1888. Il nome del serial killer è tratto da una lettera, pubblicata al tempo delle

uccisioni, indirizzata alla Central News Agency e scritta da qualcuno che dichiarava di essere l’assassino. A Jack lo Squartatore sono state attribuite cinque vittime, anche se è possibile, basandosi sulle tipologie di vittime prescelte dall’assassino e sul tipo di ferite loro inferte, che questo individuo abbia ucciso anche altre persone. I diversi delitti compiuti dal serial killer, infatti, hanno dato modo alle forze dell’ordine di conoscere, oltre alla sua abilità nel non farsi catturare dagli inquirenti, anche il suo modus operandi e la sua firma. Le vittime preferite da Jack lo Squartatore erano prostitute, che venivano sventrate e sgozzate dal killer, che in seguito ne asportava alcuni organi. MARY ANN NICHOLS.

È la prima vittima accertata di Jack lo Squartatore. Il suo corpo viene ritrovato il 31 agosto 1888, alle 4 del mattino, in Buck’s Row, di fronte a uno dei tanti mattatoi del quartiere. La vittima presentava la gola tagliata fin quasi alla decapitazione (il taglio intaccava le vertebre del collo) e tagli sul ventre dai quali fuoriusciva l’intestino. Gli organi genitali presentavano gravissime ferite da taglio, probabilmente inferte di punta. ANNIE CHAPMAN.

Viene ritrovata uccisa l’8 settembre 1888, nel cortile del numero 29 di Hanbury Street, a Whitechapel, da un fattorino. Il suo corpo giaceva tra una porta e la palizzata, in uno spazio di circa 80 centimetri. La gola era squarciata e la testa era di poco attaccata al collo. Il ventre era aperto, gli intestini erano appoggiati sulla spalla destra della vittima, mentre la vagina, l’utero e due terzi della vescica erano stati asportati. ELIZABETH STRIDE.

Viene trovata in Berner Street, presso il cortile di un circolo ricreativo, da un cocchiere. La vittima presenta solo un profondo taglio alla gola, dal quale, afferma il cocchiere che l’ha rinvenuta, usciva ancora del sangue. Ciò porta alla conclusione che il cocchiere deve aver disturbato l’opera di Jack lo Squartatore, che quindi non ha avuto modo di infierire sulla donna. Ciò è suffragato dal ritrovamento della seconda vittima, Catherine Eddowes, in Mitre Square: la donna era stata sottoposta a un vero e proprio martirio, cosa che confermerebbe il “cambio di programma” dell’assassino, che, non riuscendo ad accanirsi sulla Stride, ha cercato un’altra prostituta su cui infierire.

CATHERINE EDDOWES.

Giaceva a Mitre Square, in un lago di sangue, supina, come tutte le altre vittime. La faccia era sfregiata: naso e lobo dell’orecchio sinistro erano tagliati, così come la palpebra dell’occhio destro, solcata da profondi tagli. Il volto era sfigurato con un taglio a “V” sulla parte destra e con numerosi tagli sulle labbra, tali da lasciare esposte le gengive. Il corpo era sventrato con un taglio dall’inguine alla gola, lo stomaco e gli intestini erano stati estratti e appoggiati sulla spalla destra della donna, il fegato appariva tagliuzzato, il rene sinistro e gli organi genitali erano stati asportati. Per finire, la vittima era stata sgozzata con un taglio che l’aveva quasi decapitata. MARY JANE KELLY.

È l’ultima vittima attribuita a Jack lo Squartatore. Il suo cadavere viene scoperto l’8 novembre 1888, poco dopo le 10.45. Il corpo, o quello che ne rimaneva, giaceva sul letto della camera dove la donna viveva, al numero 13 di Miller’s Court, vicino a Spitalfields. La gola era squarciata, il viso severamente mutilato e irriconoscibile, il petto e l’addome aperti, molti organi interni erano stati rimossi, il fegato giaceva tra le gambe e l’intestino arrotolato presso le mani, era stata asportata la carne che ricopriva gli arti. Il cuore non venne trovato e si crede possa essere stato bruciato nel camino o persino cotto e mangiato. I vicini dissero di aver sentito un unico urlo intorno alle 4 del mattino e a quest’ora viene fatta risalire la morte. Thomas Bond, medico legale, sulla base della propria esperienza e delle proprie conoscenze professionali, stilò un profilo psicologico dell’assassino che inviò al responsabile della Criminal Investigation Division di Londra. L’assassino deve essere un uomo fisicamente forte e di grande freddezza e audacia. Non vi sono prove che abbia avuto un complice. Egli deve, secondo la nostra opinione, essere soggetto a periodici attacchi di mania erotica e omicida. Le caratteristiche delle mutilazioni indicano che l’uomo può essere affetto da un disordine sessuale denominato “satiriasi”. È naturalmente possibile che l’impulso omicida abbia avuto origine da una condizione mentale di vendicatività a lungo covata, o che la patologia di base debba identificarsi in una mania di religione, sebbene noi non riteniamo che tali ipotesi siano probabili. L’assassino appare assai probabilmente come una persona inoffensiva, di mezza età, curato nell’igiene e rispettabilmente abbigliato. Pensiamo che abbia l’abitudine di indossare un mantello o un cappotto, e che altrimenti difficilmente avrebbe potuto sottrarsi all’attenzione fuggendo per la strada con le mani o gli abiti insanguinati. Assumendo che l’assassino appaia nelle modalità che abbiamo descritto, riteniamo che egli sia soggetto solitario ed eccentrico nei comportamenti. Ancora, egli non ha un’occupazione regolare, ma vive di piccole entrate o di un sussidio. È possibile che abiti tra persone rispettabili che hanno qualche conoscenza del suo carattere e delle sue abitudini, e che hanno iniziato a sviluppare qualche sospetto sul fatto che talvolta non sia persona del tutto equilibrata mentalmente. Tali persone

probabilmente non desiderano comunicare i propri dubbi alla polizia, per timore dei guai o dell’eccessiva notorietà; la prospettiva di una ricompensa potrebbe vincere i loro scrupoli. (Picozzi e Zappalà, 2002)

Forbes Winslow, noto esperto di malattie mentali che all’epoca dei delitti di Jack lo Squartatore ha aiutato Scotland Yard, afferma, invece: Ritengo che l’omicida […] sia delle classi elevate della società, e ritengo tuttora che il parere che ho espresso alle autorità sia corretto, ossia che gli omicidi siano stati commessi da un pazzo rilasciato da poco da un manicomio o evaso da uno di questi. Nel primo caso, senza dubbio si tratta di una persona che, pur preda degli effetti di una mania omicida, è apparentemente sana a prima vista, e di conseguenza è stata liberata e asseconda le tendenze delle proprie fantasie morbose attraverso ripetuti omicidi. Ritengo assennato il mio suggerimento, ossia richiedere un rendiconto immediato a tutti i manicomi che hanno rilasciato individui del genere, al fine di accertarne i movimenti.

Il profilo psicologico di Adolf Hitler Nel 1943, William J. Donovan, capo dell’Office of Strategic Services (OSS) dell’American Secret Services (ASS), commissiona allo psichiatra americano William Langer la produzione del profilo psicologico di Adolf Hitler. Il profilo psicologico tracciato da Langer, di taglio psicoanalitico, si basa su documenti dell’Office of Strategic Services sul Führer nazista, sulla base delle testimonianze di alcuni ufficiali delle SS che avevano disertato e di interviste effettuate a luminari che avevano curato il dittatore in qualità di medici o di specialisti di malattie del sistema nervoso. Il profilo psicologico di Adolf Hitler, tracciato da Langer anche con il contributo di altri specialisti della salute mentale, si articola in diversi capitoli. Tra questi, riveste particolare importanza il capitolo in cui lo psichiatra elenca le possibili soluzioni a cui il dittatore potrebbe far ricorso nel caso dovesse perdere la guerra. Per Langer, infatti, Adolf Hitler potrebbe (Picozzi e Zappalà, 2002): – essere vittima di un colpo di stato militare – essere catturato – essere assassinato – morire per cause naturali – essere ucciso in battaglia – fuggire e trovare rifugio in una regione neutrale – impazzire

– suicidarsi Langer ritiene più probabile quest’ultima ipotesi. Questo perché, secondo lo psichiatra, il narcisismo e il delirio di onnipotenza che albergano in lui difficilmente potranno permettere al dittatore di morire per mano dei propri nemici: se la morte deve avvenire per mano di qualcuno, questi sarà l’esecutore di un ordine, con un suicidio su commissione nel momento del sacrificio supremo. Il profilo psicologico di Mad Bomber Mad Bomber è stato un dinamitardo seriale che dal 1940 al 1957 ha causato numerose esplosioni in diversi punti della città di New York. Rivendicazioni aspre, attraverso messaggi composti con lettere ritagliate dai quotidiani, si alternano al ritrovamento degli ordigni esplosivi che, al momento della cattura del reo, saranno più di una trentina. Nel 1956 l’ispettore Howard Finney, incaricato delle indagini, chiede e ottiene l’intervento di James Brussel, psichiatra. Costui aveva diretto, durante la seconda guerra mondiale, il reparto di neuropsichiatria presso la base militare di Fort Dix, nel New Jersey. Un ruolo simile lo aveva poi visto impegnato durante la guerra di Corea. Brussel chiede di poter esaminare tutto il materiale raccolto dagli investigatori e fornisce loro un profilo psicologico del dinamitardo, utilizzando anche elementi di psicoanalisi e di grafoanalisi, giungendo a una serie di conclusioni. – L’attentatore è un maschio. Con poche eccezioni, storicamente i dinamitardi sono maschi. – L’attentatore ha motivi di rivendicazione nei confronti dell’azienda Con Edison ed è stato probabilmente in precedenza impiegato presso la stessa realtà. Egli ritiene di essere stato perennemente danneggiato dalla Compagnia ed è in cerca di vendetta; tale conclusione appare evidente dal tono e dal contenuto delle lettere minatorie inviate. – L’attentatore costituisce un classico esempio di paranoide. Egli crede che la Con Edison e in generale la società complottino contro di lui. – L’attentatore ha un’età di circa 50 anni. La paranoia ha esordio

sintomatologico intorno ai 35 anni e Mad Bomber è attivo da 16 anni. – L’attentatore è ben curato, meticoloso ed è competente nel suo lavoro. Ogni particolare, dalla costruzione degli ordigni alla stesura delle lettere, all’attenta collocazione delle bombe, rivela la sua cura e precisione. Ancora, i soggetti affetti da paranoia pretendono molto da se stessi. – L’attentatore è ipersensibile alla critica: questo è un classico sintomo della paranoia. – L’attentatore ha origini straniere o trascorre la maggior parte del tempo con stranieri. Egli scrive i propri messaggi di rivendicazione con stile assolutamente formale, esente da ogni espressione gergale. Utilizza espressioni che sembrano tratte da un romanzo vittoriano. Si riferisce alla Con Edison come “la Con Edison”, quando i newyorkesi si riferiscono alla compagnia senza utilizzare l’articolo. – L’attentatore ha frequentato quantomeno le scuole superiori, senza tuttavia accedere a un’istruzione di più alto livello. Vi è traccia di una formazione da autodidatta nel linguaggio utilizzato nelle lettere e nell’abilità dimostrata nella costruzione delle bombe. – L’attentatore è probabilmente di origini slave e di religione cattolica romana. L’utilizzo delle bombe come arma è più tipica delle zone dell’Europa centrale e orientale. Gli slavi sono per la maggioranza di religione cattolica. – L’attentatore presenta irrisolto il complesso edipico; come la maggior parte di simili individui, egli non è sposato e vive con una parente di sesso femminile che non è la madre; probabilmente ha perso la madre da giovane. – Nel caso sia catturato, indosserà al momento dell’arresto un doppio petto scuro, accuratamente abbottonato (Picozzi e Zappalà, 2002). Il 27 gennaio 1957, grazie alle indicazioni fornite agli investigatori, la polizia giunge all’arresto di George Metesky, le cui caratteristiche risultano quasi del tutto sovrapponibili al profilo psicologico stilato da Brussel. Al momento dell’arresto, Mad Bomber indossa, per esempio, un doppio petto ben abbottonato. Da quel momento in poi, James Brussel fu consultato in qualità di esperto

da diverse forze di polizia statunitensi. 2.2. Nascita della Behavioral Science Unit (BSU) del Federal Bureau of Investigation (FBI) Un nuovo impulso all’applicazione della psicologia alle indagini giunge nel 1960 per opera dell’agente Howard Teten, il quale, con l’aiuto dello psichiatra Douglas Kelly, suo docente alla School of Criminology, University of California, con sede a Berkeley, inizia uno studio scientifico sul comportamento criminale. Nel 1970 Teten diviene agente speciale del Federal Bureau of Investigation e dà l’avvio, insieme a Patrick Mullany, al programma di ricerca sul profilo criminale (programma grazie al quale Teten ha modo di incontrare James Brussel, apprendendo da lui le tecniche di profilo psicologico dei criminali). Insieme con l’agente speciale Jack Kirsch, Teten e Mullany dà avvio, nel 1972, alla Behavioral Science Unit (BSU). Nel 1974 Teten e Mullany sviluppano un programma di negoziazione per gli ostaggi, avvalendosi appunto delle tecniche di costruzione del profilo criminale. Sempre nel 1974 vengono assegnati alla Behavioral Science Unit anche Robert Ressler (crimini seriali), Robert Hazelwood (crimini sessuali) e Dick Ault (spionaggio). In seguito entreranno dell’unità John Douglas (crimini seriali), Hassel e Strentz (negoziazione ostaggi), Tony Rider (incendi dolosi) e Kennet Lanning (sette e Satanismo). Nel 1976, Ressler e Douglas intervistano in carcere numerosi serial killer, con lo scopo di scoprire le correlazioni tra la scena del crimine e le caratteristiche di personalità del reo. Ai due agenti federali si aggiunge in seguito una psichiatra, Ann Burgess, con l’incarico di stendere il protocollo dell’intervista e di elaborarne i dati – da questa collaborazione nasce nel 1992 il Crime Classification Manual (trad. it. Douglas et al., 2008), il manuale di classificazione dei crimini violenti del Federal Bureau of Investigation. Nel 1984 nasce il National Center for the Analysis of Violent Crime (NC.AVC), al cui interno confluisce la Behavioral Science Unit (BSU), poi denominata Behavioral Analysis Unit (BAU), oggi Behavioral Research and Instruction Unit (BRIU). Questa unità fornisce la propria consulenza riconsiderando i dati di un

crimine violento da una prospettiva comportamentale. La dettagliata analisi del reato permette ai componenti dell’unità di fornire agli investigatori un’analisi della scena del crimine, indicazioni investigative, profili psicologici di offender sconosciuti, strategie di colloquio e di interrogatorio, indicazioni sulle tattiche processuali. Nel tempo, il National Center for the Analysis of Violent Crime è stato suddiviso in: – Behavioral Analysis Unit - 1: unità che si occupa di controterrorismo, incendi e attentati dinamitardi – Behavioral Analysis Unit - 2: unità che si occupa di cybercrime, criminalità colletti bianchi, corruzione – Behavioral Analysis Unit - 3: unità che si occupa di crimini contro i bambini – Behavioral Analysis Unit - 4: unità che si occupa di crimini contro gli adulti – Behavioral Research and Instruction Unit (BRIU). Le diverse sezioni della Behavioral Analysis Unit compongono il National Center for the Analysis of Violent Crime, che fornisce assistenza, a tutti i livelli e in tutto il mondo, alle forze dell’ordine nei casi di: – scomparsa di un minore – scomparsa di un adulto – sequestro di un minore – sequestro di un adulto – aggressioni a sfondo sessuale – aggressioni a sfondo sessuale con carattere seriale – omicidio singolo – omicidio seriale – manomissione di prodotti commerciali – incendi dolosi e attentati dinamitardi – corruzione pubblica – terrorismo interno

– terrorismo internazionale – detenzione di armi di distruzione di massa 2.3. Nascita dell’Unità per l’Analisi del Crimine Violento della Polizia di Stato In Italia, nel 1994, nasce l’Unità per l’Analisi del Crimine Violento (UACV). Questa unità ha sede a Roma, fa parte della Polizia di Stato, ed è inserita all’interno della Direzione Centrale Anticrimine del Servizio di Polizia Scientifica. L’Unità per l’Analisi del Crimine Violento è un reparto preposto al supporto delle attività di indagine su casi di omicidi particolarmente efferati, apparentemente privi di movente e/o con caratteristiche di serialità. Un delitto, per l’UACV, è un vero e proprio puzzle da ricostruire tassello dopo tassello, seguendo un rigoroso percorso metodologico che passa attraverso quattro momenti fondamentali: – esame della scena del crimine – analisi della scena del crimine – analisi delle informazioni – analisi del comportamento criminale ESAME DELLA SCENA DEL CRIMINE.

Prevede il sopralluogo tecnico sul teatro del delitto nel caso di reati di particolare rilevanza. La task force dell’UACV ha poi il compito di esaminare il fascicolo ed effettuare il controllo di qualità di tutti gli atti relativi alle ispezioni effettuate. Già nel corso del primo sopralluogo, immediatamente dopo il delitto, o durante i rilievi successivi, si segue un preciso approccio metodologico finalizzato all’analisi della scena del crimine, con l’obiettivo di individuare ogni indizio utile alla ricostruzione della dinamica dell’evento. ANALISI DELLA SCENA DEL CRIMINE.

Comporta l’analisi sistematica di tutti gli elementi presenti sulla scena, al fine di orientare le indagini. Questa analisi viene effettuata sia sulla base delle risultanze oggettive provenienti dai sopralluoghi tecnici svolti dal personale dei gabinetti regionali di Polizia Scientifica, sia grazie ai sopralluoghi specialistici effettuati dagli stessi

esperti dell’Unità per l’Analisi del Crimine Violento, finalizzati ad acquisire i dati che verranno utilizzati per realizzare le ricostruzioni tridimensionali della scena del crimine e della dinamica dell’evento criminale. ANALISI DELLE INFORMAZIONI.

Allo studio di un caso viene applicata una metodologia di tipo logico-deduttivo ed empirico-induttivo, basata sull’impiego di modelli matematici e statistici ricavati dall’esperienza italiana e internazionale. Mediante l’analisi sistematica di tutti gli elementi acquisiti, e grazie alle esperienze già maturate e codificate nel sistema informativo, l’Unità per l’Analisi del Crimine Violento è in grado di orientare in modo esperto le strategie investigative, al fine non solo di individuare eventuali vincoli di serialità tra omicidi diversi, ma anche e soprattutto di suggerire soluzioni investigative basate su un’approfondita conoscenza degli eventi criminali. ANALISI DEL COMPORTAMENTO CRIMINALE.

I risultati ottenuti dai sopralluoghi e dall’analisi delle varie informazioni serviranno quindi all’Unità per l’Analisi del Crimine Violento per individuare il profilo psicologico dell’autore del reato, vale a dire un modello comportamentale che consenta di caratterizzare il responsabile sconosciuto di un omicidio, di una rapina o di una violenza sessuale. Nascita della Squadra Anti Sette della Polizia di Stato Nel 2006 il Ministero dell’Interno - Dipartimento della Pubblica Sicurezza, ha istituito presso l’Unità per l’Analisi del Crimine Violento (UACV) del Servizio di Polizia Scientifica della Polizia di Stato, la Squadra Anti Sette (SAS), con lo scopo di occuparsi dell’investigazione dei delitti e dei crimini rituali commessi in Italia da gruppi e/o sette religiose, magiche e/o legate al mondo dell’occulto. Secondo il Ministero dell’Interno, negli ultimi anni, l’esponenziale diffusione del fenomeno delle sette esoteriche, di ‘aggregazioni’ religiose o pseudo tali, di gruppi dediti a pratiche di magia, di occultismo e Satanismo, ha assunto in tutto il paese, dimensioni e connotazioni da richiamare l’attenzione anche sotto il profilo della sicurezza […] a fini di polizia, interessa verificare, osservando l’operato dei singoli gruppi, la rilevanza penale e la conseguente perseguibilità, di particolari pratiche nonché l’atteggiamento d’indifferenza o di rifiuto rispetto ai princìpi su cui si fonda la convivenza civile. Tale attività di identificazione e di verifica non pone particolari problemi allorquando coglie manifestazioni che presentano profili di manifesta illiceità; più difficoltosa l’analisi di taluni comportamenti che rimangono al limite del giuridicamente e penalmente rilevante; il fenomeno delle sette si presenta,

infatti, con numerose sfaccettature: una molteplicità di manifestazioni che vanno dalla magia alla stregoneria, dallo spiritismo al cannibalismo e Vampirismo, manifestazioni apparentemente folkloristiche che però, non di rado, sono sfociate nella commissione di gravissimi crimini, quali omicidi, stragi, violenze sessuali.

Il gruppo investigativo integrato, che deve sempre agire in stretto contatto con la Squadra Mobile competente per territorio, ha le seguenti competenze: – attività di acquisizione dati – analisi dei dati – collaborazione con esperti del settore – supporto dell’attività investigativa ATTIVITÀ DI ACQUISIZIONE DATI.

La Squadra si occupa di raccolta dagli uffici territoriali della Polizia di Stato della documentazione d’indagine già concluse nel recente passato sul mondo dell’occultismo e delle sette pseudoreligiose. L’ente si occupa anche di analisi della letteratura scientifica e delle informazioni non specialistiche sul fenomeno provenienti dai media. ANALISI DEI DATI.

La squadra si occupa di analisi dei dati sulla base delle informazioni provenienti dalle esperienze operative pregresse, e dell’individuazione degli elementi di interesse investigativo statisticamente comuni a situazioni analoghe, da mettere a disposizione degli uffici impegnati nelle indagini. Sulla base della conoscenza del fenomeno, della letteratura e dell’esperienza operativa, l’ente si occupa dell’individuazione di procedure di valutazione dell’attendibilità testimoniale, anche legata all’evidenziazione di eventuali fenomeni di controllo mentale (plagio, stato di incapacità indotto). COLLABORAZIONE CON ESPERTI DEL SETTORE.

La Squadra partecipa alla creazione di una rete di contatti con esperti di diverse discipline connesse all’analisi del fenomeno in esame. L’ente si occupa dello sviluppo di eventuali programmi di ricerca mirati, in collaborazione con enti universitari. SUPPORTO DELL’ATTIVITÀ INVESTIGATIVA.

La Squadra si occupa della ricezione di materiali acquisiti dagli operatori degli uffici territoriali di Polizia Scientifica, sia di iniziativa, sia su segnalazione delle strutture deputate al

controllo del territorio, con eventuale comunicazione di dati di interesse agli uffici investigativi. L’ente, su richiesta degli uffici investigativi o dell’autorità giudiziaria, pratica l’analisi criminologica dei fenomeni settari oggetto di indagine. La Squadra svolge attività di colloquio specialistico con potenziali e accertate vittime e autori di reati a sfondo occultistico e/o pseudoreligioso, al fine di: – valutare l’attendibilità delle informazioni testimoniali, anche sulla base dell’individuazione di eventuali segnali di manipolazione mentale; – valutare la natura delle conoscenze di carattere esoterico esibite da un soggetto alla luce delle competenze culturali acquisite, per fornire agli investigatori elementi utili alla comprensione del fenomeno e dunque all’orientamento delle indagini. 2.4. Nascita del Reparto Analisi Criminologiche dell’Arma dei Carabinieri Nel 2004 nasce in Italia il Reparto Analisi Criminologiche (RAC). Si tratta di un reparto che ha sede a Roma, fa parte dell’Arma dei Carabinieri, ed è inserito nel Raggruppamento Carabinieri Investigazioni Scientifiche (RaCIS). Il Reparto Analisi Criminologiche è preposto alle attività di: – supporto alle indagini, mediante la ricerca di elementi di connessione e/o analogia con altri fatti delittuosi e la valutazione del profilo criminologico degli autori dei delitti – studio e ricerca sulle tecniche di analisi della scena del crimine – creazione e implementazione di una banca dati sui crimini violenti

3. CRIMINAL PROFILING E BEHAVIORAL ANALYSIS

Ogni scena del crimine è un’aula di scuola, dove il soggetto sconosciuto insegna agli investigatori qualcosa di sé. Motto della Behavioral Science Unit, Federal Bureau of Investigation

David Canter, direttore dell’International Centre for Investigative Psychology presso la University of Huddersfield, nei primi anni Novanta coniò l’espressione “psicologia investigativa” per definire una disciplina che comprendesse e sistematizzasse i contributi della psicologia all’investigazione criminale (Canter et al., 2004; Canter e Alison, 2004; Gulotta et al., 2002; Gulotta, 2003, 2005, 2008). Per questo autore, infatti, la psicologia è direttamente applicabile allo studio del crimine, in quanto il crimine deve essere visto come una relazione interpersonale (Rossi e Zappalà, 2005a, p. 30). Nel caso dell’atto criminale, questa relazione si instaura tra l’offender e la vittima, dunque le modalità e le motivazioni che caratterizzano le azioni criminali di un soggetto sono direttamente collegabili e simili a quelle che contraddistinguono qualunque altro rapporto che lo stesso offender intrattiene quotidianamente. Per David Canter, il cuore del lavoro dello psicologo non sta nel sostituire quello degli investigatori, ma nel mettere le competenze psicologiche al servizio delle indagini. L’obiettivo, quindi, non è tanto identificare l’autore del reato, quanto contribuire alla definizione del profilo del possibile autore di una serie di reati attraverso comparazioni fra le evidenze investigative (es. i rilievi fotografici), le evidenze psicologico-relazionali (le tracce psicologiche e cognitive della persona che ha commesso il reato), e le tracce reperibili nel luogo in cui i reati sono stati commessi (Patrizi e De Gregorio, 2009, p. 149).

I campi di applicazione della psicologia investigativa sono molteplici: dall’analisi della scena del crimine, infatti, è possibile tracciare sia il profilo psicologico di un autore di reato – il noto criminal profiling –, sia il profilo psicologico di una presunta vittima di reato – la meno nota “equivocal death analysis”, o analisi di morte equivoca – o, ancora, effettuare un’operazione che, partendo sempre dall’analisi della scena del crimine, cerca di stabilire se una persona è morta a seguito di un suicidio o di un incidente; questa operazione viene definita “psychological autopsy”, autopsia psicologica (Picozzi e Zappalà, 2002). Altri campi d’applicazione della psicologia investigativa sono: la negoziazione nei casi di cattura di ostaggi per richiederne un riscatto o, nei casi di barricamento, per avanzare delle rivendicazioni; l’analisi dei testi scritti per identificare l’autore di un reato; l’intervista investigativa alle vittime di reato; e, infine, il “decision making”, cioè la metodologia che aiuta a gestire le dinamiche di gruppo fra le persone coinvolte nell’investigazione (Rossi e Zappalà, 2004, 2005a e 2005b). 3.1. Criminal profiling e behavioral analysis L’investigazione del crimine violento avviene tramite un procedimento definito “analisi investigativa criminale”, uno dei modi utilizzati per definire il criminal profiling (Douglas et al., 1992, p. 310): L’analisi investigativa criminale è un processo investigativo che identifica le caratteristiche più rilevanti della personalità e dei comportamenti dell’aggressore, sulla base del crimine che lui o lei ha commesso. Questo processo comporta un approccio comportamentale all’offesa praticata secondo la prospettiva giuridica, che è opposta al punto di vista della salute mentale. La prospettiva giuridica focalizza l’attenzione sull’identificazione e sulla cattura dell’aggressore, mentre il punto di vista della salute mentale è incentrato sulla diagnosi e sulla terapia. (Gulotta et al., 2002; Gulotta, 2008 e 2011)

3.2. La crime scene analysis Nel Crime Classification Manual (Douglas et al., 2008), il manuale di classificazione e investigazione dei crimini violenti del Federal Bureau of Investigation della Virginia, viene fornita una griglia per analizzare le componenti fondamentali di un delitto. Vittimologia

A. Per quanto riguarda la vittima di un reato, bisogna prendere in considerazione: – lo stile di vita – l’impiego – la personalità – le amicizie (sia la tipologia sia il numero) – le entrate economiche (ammontare e fonti dei guadagni) – la famiglia – l’uso o abuso di droga/alcool – l’abbigliamento abituale – la presenza di handicap – i mezzi di trasporto utilizzati abitualmente – la reputazione, le abitudini e i timori – lo stato civile – le abitudini riguardo agli appuntamenti – le attività di svago e gli hobby – i precedenti penali – la sicurezza di sé e il grado di assertività – le preferenze e le avversioni – gli eventi accaduti alla vittima precedenti al crimine – le attività della vittima precedenti al crimine B. Nel caso di un’aggressione a sfondo sessuale, bisogna prendere in considerazione le interazioni verbali tra l’autore e la vittima durante l’esecuzione del reato: – l’autore di violenza sessuale utilizza un linguaggio volgare e oltraggioso? – l’autore di violenza sessuale utilizza un linguaggio teatrale? – l’autore di violenza sessuale utilizza un linguaggio apologetico e/o ricco di scuse? C. Nel caso di un incendio doloso o di un attentato dinamitardo, bisogna stabilire se la proprietà presa di mira dall’autore di reato sia:

– un edificio residenziale, commerciale, o didattico ecc. – un immobile o un veicolo ecc. – un appezzamento boschivo o un campo coltivato ecc. Scena del crimine – Quante sono le scene del crimine? Sono organizzate o disorganizzate? – Qual è l’ambiente, e quali sono l’ora e il luogo del crimine? – Quanti sono gli autori del reato? – Quali sono le prove materiali ritrovate sulla scena del crimine? – Quali sono le armi utilizzate sulla scena del crimine? – Qual è la disposizione del corpo nella scena del crimine? – Quali sono gli oggetti aggiunti o mancanti dalla scena del crimine? – Altri elementi (es. ci sono dei testimoni, delle vittime ferite ecc.?) Staging (messa in scena del delitto) Per quanto riguarda la vittima, bisogna valutare se ci si trova di fronte a: – una morte naturale – una morte accidentale – un suicidio – un’attività criminale camuffata da rapina, stupro, suicidio ecc. Reperti di interesse forense A. È necessario prendere in considerazione le analisi di laboratorio sui seguenti reperti: – capelli e fibre – sangue – sperma – saliva – altro

B. Inoltre, occorre prendere in considerazione i riscontri autoptici sui seguenti elementi:

– Quali sono le cause della morte? – Quali traumi si presentano (tipo, estensione, sede)? – Ci sono evidenze di overkill? – Ci sono evidenze di tortura? – Ci sono evidenze di percosse al viso, o di tentativi di depersonalizzazione del volto? – Ci sono evidenze di morsicatura? – Ci sono evidenze di mutilazione? – Ci sono evidenze di aggressione sessuale (quando è avvenuta, qual è la sequenza, dove è avvenuta, quali sono i tipi di penetrazione che ha subito la vittima, ci sono evidenze di necrofilia)? – Ci sono evidenze di assunzione di alcool e/o droga e/o farmaci nel sangue della vittima? Considerazioni investigative A. Mandati di perquisizione da richiedere al magistrato: – per l’abitazione – per il luogo di lavoro – per l’auto – per altri luoghi B. Localizzazione e interrogazione dei testimoni del delitto. 3.3. Modus operandi e signature, personation, undoing, staging e mutilation Modus operandi e signature Con l’espressione modus operandi ci si riferisce al comportamento di un offender finalizzato a portare a termine il reato. Questo è un comportamento appreso: costituisce, infatti, quanto il soggetto compie per mettere in atto il crimine. Il modus operandi è un comportamento dinamico, può cioè

modificarsi nei successivi delitti (Douglas et al., 2008; Eliopulos, 2008; Geberth, 2003, 2006; Turvey, 2008). Con il termine signature (firma), ci si riferisce al comportamento statico di un offender, ripetuto in ogni scena del crimine, non necessario all’esecuzione del medesimo e rispondente a dinamiche profonde dell’aggressore. La signature è un comportamento rituale, che l’offender ripete reato dopo reato. L’aspetto importante da sottolineare è che la signature di un offender altro non è che il ripetersi, in ogni scena del crimine, della personation, o personalizzazione (Douglas et al., 2008). Di seguito si propongono alcuni esempi di modus operandi e di signature. – Nel Michigan, un rapinatore di banche costringe i cassieri a spogliarsi durante una rapina. – Nel Texas, un altro rapinatore spinge gli impiegati della banca a denudarsi; inoltre li fa posare in posizioni sessualmente provocanti mentre scatta fotografie. Nel primo caso il rapinatore fa denudare i cassieri della banca per far sì che, imbarazzati dal fatto di ritrovarsi nudi, tengano lo sguardo basso e non possano riconoscerlo in caso di una futura identificazione (modus operandi); nel secondo caso, il comportamento del rapinatore, apparentemente simile a quello del primo, contiene degli elementi in più: il fotografare le vittime in posizioni sessualmente provocanti rimanda alle fantasie sessuali dell’offender (signature). – Uno stupratore entra in una casa e blocca una donna e suo marito. L’offender ordina all’uomo di stendersi prono sul pavimento. Quindi gli mette una tazza e un piattino sulla schiena. “Se sento la tazza o il piattino cadere per terra, tua moglie muore”, dice al marito. Spinge la donna nella stanza a fianco e la violenta. – Uno stupratore entra in un’abitazione e ordina alla moglie di telefonare a suo marito e di inventare una scusa per farlo tornare a casa. Quando il marito arriva, l’offender lo lega a una sedia e lo costringe ad assistere allo stupro della moglie. Nel primo caso lo stupratore fa sdraiare il marito della vittima sul

pavimento, collocandogli sulla schiena una tazzina da caffè per poter violentare la donna indisturbato (modus operandi); nel secondo caso, il comportamento dello stupratore, apparentemente simile a quello del primo, contiene degli elementi in più: il volere che il marito assista obbligatoriamente alla violenza sessuale della moglie, infatti, rimanda alle fantasie sessuali dell’offender (signature). Personation Con il termine personation ci si riferisce a un insolito comportamento messo in atto da un offender, che va al di là di quanto è necessario per commettere il crimine. L’offender investe la scena del crimine di un significato intimo (es. tramite il posizionamento della vittima, le mutilazioni, la rimozione o l’aggiunta di oggetti o altri gesti simbolici che hanno a che fare con essa). Solo l’offender conosce il significato intimo di queste azioni (Douglas et al., 2008). Di seguito si propone un esempio di personation. Nel 1979, il corpo di una donna bianca di 26 anni fu rinvenuto sul tetto del suo appartamento di New York. La donna era morta per strangolamento causato da un legaccio. L’offender lasciò il corpo della vittima supino e lo posizionò in modo da ricordare un simbolo religioso ebraico. Rimosse con cura gli orecchini della vittima e li depose ai lati della testa. Tagliò i capelli della donna e li posizionò sul torace. Inserì poi un ombrello nella vagina della giovane e sistemò un pettine appartenuto alla vittima tra i peli pubici. Quindi legò i collant della donna attorno ai suoi polsi e alle caviglie. In seguito l’offender scarabocchiò un messaggio sprezzante rivolto alla polizia sul corpo della vittima, usando la penna della donna. Infine defecò a pochi metri di distanza dal corpo della vittima e ricoprì le feci con i vestiti della donna. Nel corso delle indagini si riuscì a stabilire che tutte queste attività erano avvenute dopo la morte della vittima. Si scoprì, inoltre, che qualche oggetto di bigiotteria della vittima era stato sottratto dalla scena del crimine, compresa una medaglietta con un simbolo ebraico che rimandava alla posizione in cui fu scoperto il cadavere. Undoing Con il termine undoing si intende una deliberata modificazione della scena

del crimine da parte dell’offender, che sente rimorso per quello che ha fatto e simbolicamente cerca di porvi rimedio. Può quindi spostare il corpo, ripulirlo o disporlo in una posizione meno degradante. Questo comportamento si realizza sulla scena del crimine quando esiste uno stretto legame tra l’offender e la vittima, o quando la vittima rappresenta una figura importante per l’offender (Douglas et al., 2008). Quello che segue è un esempio di undoing. Un figlio accoltella a morte la madre durante un acceso litigio. Dopo essersi calmato, si rende conto di quanto è accaduto alla donna. Subito cambia la maglietta insanguinata della vittima, poi ne adagia il corpo sul divano con la testa sul cuscino. Il ragazzo copre, infine, il corpo della vittima con una coperta e le incrocia le braccia sul petto, così che sembri che la donna stia pacificamente dormendo. Staging Con il termine staging ci si riferisce alla deliberata alterazione della scena del crimine prima dell’intervento delle forze dell’ordine. Due sono le ragioni che possono indurre un soggetto a un simile comportamento (Picozzi e Zappalà, 2002): 1. depistare le indagini, allontanando gli investigatori dal possibile sospettato; 2. proteggere la vittima, oppure la famiglia della vittima. Quello che segue è un esempio di staging. Un uomo aggredisce una donna e suo marito in casa, il sabato mattina. L’offender appoggia una scala a un lato della casa, si arrampica fino alla finestra del secondo piano ed entra dopo aver rimosso il vetro. Il marito si affaccia dalla camera da letto e vede una figura dirigersi al piano inferiore, quindi lo segue armato di pistola. L’uomo dichiara che l’offender, dopo una colluttazione, lo ha colpito alla testa e poi è tornato di sopra; qui ha ucciso la moglie dell’uomo strangolandola. Il corpo della vittima viene trovato con la camicia da notte sollevata fino alla vita, il che suggerisce che sia stata violentata.

Quando gli investigatori analizzano la scena del crimine, notano che la scala appoggiata all’esterno dell’abitazione – scala su cui avrebbe dovuto gravare il peso dell’offender – non ha lasciato alcuna impronta sul terreno; inoltre, l’offender ha sistemato la scala al contrario. Molti dei pioli in legno inoltre sono marci, non avrebbero quindi potuto sopportare il peso dell’offender. La polizia nota anche che l’offender non ha lasciato orme di scarpe né in casa né sul terreno e non ha neppure trasferito detriti dai pioli al tetto, da dove in teoria sarebbe entrato tramite la finestra del secondo piano. Mutilation Con mutilazione si intende l’asportazione di un arto, o parte di un arto, o di qualsiasi parte importante del corpo della vittima. Si possono distinguere quattro diversi tipi di mutilazione (Rajs et al., 1998): 1. difensiva: il motivo principale della mutilazione consiste nel nascondere o spostare più agevolmente il corpo della vittima, sbarazzarsi del cadavere della persona smembrandolo, rendere più difficile l’identificazione della vittima e/o nascondere delle prove; 2. aggressiva: il motivo principale è sfogare una forte rabbia nei confronti della vittima, solitamente conseguente all’ovekilling; 3. offensiva: il motivo principale dell’omicidio è la mutilazione e lo smembramento del cadavere a fini di lussuria; 4. necromatica: il motivo principale della mutilazione è utilizzare una parte del corpo, o più parti del corpo come un trofeo, un simbolo o per feticismo. In Italia, una donna di 80 anni viene ritrovata morta nel suo appartamento, in posizione supina, presentando 23 pugnalate all’addome, stilettate poco profonde, a eccezione di una, e lo squarcio alla gola che quasi le ha staccato la testa. Tutte queste ferite sono state inferte dall’assassino con un cacciavite, le braccia della donna sono aperte e le mani mozzate, nella stanza non sono stati riscontrati segni di rapina. Dopo pochi giorni viene fermato un uomo, un artigiano di 60 anni, che conosce da tempo la sua vittima. Secondo gli inquirenti l’assassino ha disarticolato le mani dell’anziana perché la donna aveva cercato di

difendersi, graffiando il suo assassino sul volto. Sotto le sue unghie era rimasto il DNA dell’assassino. 3.4. Dal criminal profiling alla psicologia criminale e investigativa Secondo Douglas, Ressler, Burgess e Hartman (1986), il criminal profiling consiste nell’identificazione delle principali caratteristiche di comportamento e personalità di un individuo, basandosi sulle peculiarità del crimine commesso. Per Hazelwood e Burgess (1995 e 2001), il criminal profiling costituisce una sottocategoria dell’analisi investigativa criminale, ed è destinato a determinare le condizioni psicologiche dell’autore del crimine, l’analisi delle cause della morte e le strategie investigative più opportune. Holmes e Holmes (1996) identificano nel criminal profiling tre obiettivi fondamentali, finalizzati a fornire una valutazione sociale e psicologica dell’offender, una valutazione psicologica dei reperti in possesso dell’individuo sospetto, una consulenza agli investigatori sulle strategie di interrogatorio più efficaci. Salfati e Canter (1999) utilizzano l’espressione “criminal profiling” per riferirsi a qualsiasi attività che, a partire da tutte le informazioni disponibili, possa essere utile a inferire le caratteristiche dell’aggressore e del tipo di reato. Per Rossi e Zappalà (2004, 2005a e 2005b), il criminal profiling serve a fornire un quadro delle caratteristiche psicologiche, sociali e demografiche (e, nel caso di un aggressore seriale, anche la probabile area di residenza) dell’autore sconosciuto di uno o più reati, basando le proprie ipotesi sia su dati statistici, sia su un’analisi psicologica e criminologica del delitto. Elementi fondamentali Il profilo psicologico propone una possibile identificazione del sospetto, ipotizzandone (Picozzi e Zappalà, 2002, p. 5): – età – sesso – etnia – stato coniugale/adattamento al rapporto

– status socioeconomico – residenza in relazione alla scena del crimine – caratteristiche del mezzo veicolare utilizzato – intelligenza – risultati scolastici ottenuti e adattamento alla scuola – risultati lavorativi raggiunti e abitudini e adattamento al lavoro – stile di vita e adattamento sociale – aspetto e cura della persona – ambiente educativo di provenienza – caratteristiche di personalità – caratteristiche patologiche di personalità – evidenze di scompenso psichico – adattamento sessuale – presenza di elementi di perversione sessuale – precedenti contatti con i servizi di salute mentale e/o con la giustizia – movente Logica sottostante Secondo Kocsis (2003), il criminal profiling può essere definito come la tecnica di analisi degli schemi di comportamento messi in atto durante l’esecuzione di un crimine o di una serie di crimini di autore non noto, tecnica grazie alla quale può essere ricostruito un profilo descrittivo del probabile autore del crimine in questione. Pinizzotto e Finkel (1990) affermano che per inferire il “chi?”, cioè per tracciare un profilo psicologico e sociodemografico dell’aggressore, bisogna conoscere il “che cosa?” e il “perché?” di un delitto. – Che cosa è successo? ➱ Analisi della scena del crimine + Analisi del rapporto medico-legale ➱ Modus operandi – Perché è successo? ➱ Ricerca del movente ➱ Signature – Chi è stato? ➱ Caratteristiche di personalità e socio demografiche ➱ Profiling CHE COSA È SUCCESSO?

Il modus operandi si riferisce al comportamento di un

aggressore finalizzato a portare a termine il reato. Questo è un comportamento appreso: costituisce, infatti, quanto il soggetto compie per mettere in atto il crimine, ed è dinamico, può cioè modificarsi nei successivi delitti. – Scopo: proteggere l’identità dell’aggressore, assicurare il successo dell’aggressione, facilitare la fuga dell’aggressore. – Azioni: pianificazione del crimine, scelta di luogo e ora, ricognizione della scena, coinvolgimento della vittima, uso di armi, uso di mezzi di controllo, precauzioni. – Evidenze che se ne possono ricavare: scolarità e intelligenza, lavoro, professione, esperienza di atti criminali, esperienza del sistema penale, umore, stato d’animo. – Dinamica nel tempo: prima si ha evoluzione, poi involuzione. PERCHÉ È SUCCESSO?

La signature è un comportamento statico, ripetuto in ogni scena del crimine, non necessario all’esecuzione del medesimo e rispondente a dinamiche profonde dell’aggressore. – Scopo: piacere, vendetta, rabbia, interesse personale ecc. – Azioni: legature e bendaggi, tipi e sequenza delle ferite, posizionamento della vittima, torture e mutilazioni, comportamenti rituali, dominazione, atti sessuali, scritte sul corpo ecc. – Evidenze che se ne possono trarre: tipo di psicopatologia, tipo di personalità, tipo di parafilia, stile di vita. – Dinamico nel tempo: sempre stabile. Il National Center for the Analysis of Violent Crime (NCAVC) del Federal Bureau of Investigation, organo che comprende al suo interno la Behavioral Analysis Unit (ex Behavioral Science Unit), nel 1985 avviò il Violent Criminal Apprehension Program (VICAP), un programma utilizzato per raccogliere dati che consentissero un’analisi finalizzata all’identificazione di schemi comuni nei crimini violenti commessi negli Stati Uniti. Lo scopo del programma era di riuscire a collegare tra loro i delitti commessi dallo stesso individuo, anche in città o in Stati differenti, operazione chiamata crime

linking (Douglas et al., 2008). Per implementare il software utilizzato a tale scopo con informazioni standardizzate, fu fornito ai diversi organi di polizia del paese il VICAP Crime Analysis Report Form (https://wilenet.org), un questionario che gli investigatori devono compilare con informazioni sull’amministrazione che immette i dati, sulla vittima, sull’aggressore/sospetto, sulla vita dell’aggressore, sul tipo di approccio che l’aggressore ha utilizzato con la vittima, sulla disposizione geografica e temporale delle aggressioni, nonché informazioni dettagliate sul luogo in cui è avvenuta l’aggressione e, infine, sugli atti compiuti dall’aggressore sulla scena del crimine ai danni della vittima. In appendice a questo volume (cfr. p. 211) viene fornito un estratto del questionario. Il modello di John Douglas e Robert Ressler Tra il 1979 e il 1983, John Douglas e Robert Ressler, agenti speciali della Behavioral Science Unit del Federal Bureau of Investigation, intrapresero un lavoro di ricerca finalizzato alla comprensione delle caratteristiche degli autori di omicidio, delle loro dinamiche relazionali con le vittime, nonché del loro comportamento precedente, contestuale e successivo al delitto. Elaborarono un questionario che venne sottoposto a 36 assassini seriali. I dati emersi, unitamente ai rapporti di polizia, ai referti medico-legali e alle caratteristiche delle 118 vittime, permisero di stabilire importanti relazioni tra i processi mentali dell’omicida e le caratteristiche del suo crimine. I due agenti speciali arrivarono quindi a teorizzare la distinzione tra serial killer “organizzato” e serial killer “disorganizzato” (Strano, 2003). Il serial killer “organizzato” pianifica attentamente tutto l’evento criminale, dalla scelta della vittima sino al momento in cui lascia la scena del crimine (cfr. le tabelle 3.1 e 3.2). Tabella 3.1 Il serial killer “organizzato” e la scena del crimine Il serial killer compie una aggressione pianificata. La vittima del serial killer è una persona sconosciuta. Il serial killer personalizza la vittima.

Il serial killer compie atti sessuali prima della morte della vittima. Il serial killer nasconde il corpo della vittima. Il serial killer trasporta la vittima o il cadavere lontano dal luogo del delitto.

Il serial killer controlla la relazione verbale con la vittima. Il serial sottomessa.

killer

esige

una

vittima

Il serial killer utilizza mezzi contenzione per legare la vittima.

di

La scena del crimine riflette un controllo completo da parte del serial killer. Le armi sono assenti dalla scena del crimine.

Le tracce sono assenti dalla scena del crimine.

Tabella 3.2 Profilo criminale del serial killer “organizzato” Il serial killer ha una intelligenza media o superiore. Il serial killer è socialmente competente. Il serial killer predilige lavori che richiedono abilità. Il serial killer è sessualmente adeguato.

Il serial killer ha una emotività controllata durante il crimine. Il serial killer utilizza alcool durante il crimine. Stress situazionali precipitanti hanno portato al crimine. Il serial killer vive con il suo partner.

Il serial killer ha un alto ordine di genitura.

Il serial killer si sposta con un’auto in buone condizioni.

Il serial killer ha un padre con occupazione stabile.

Il serial killer segue il suo crimine attraverso le notizie dei media.

Il serial killer ha avuto una disciplina inconsistente nell’infanzia.

Il serial killer può cambiare lavoro o lasciare la città.

Tabella 3.3 Il serial killer “disorganizzato” e la scena del crimine Il serial killer compie una aggressione improvvisa e non pianificata.

Il serial killer utilizza poco i mezzi di contenzione per legare la vittima.

La vittima del serial killer è una persona conosciuta.

Il serial killer compie atti sessuali successivi alla morte della vittima

I posti in cui colpisce il serial killer sono luoghi conosciuti.

La scena del crimine di questo serial killer si presenta caotica e disorganizzata.

Il serial killer depersonalizza la vittima.

Il serial killer lascia il cadavere in vista sul

luogo dell’omicidio. Il serial killer controlla minimamente la relazione verbale con la vittima.

Le armi sono spesso presenti sulla scena del crimine.

Il serial killer compie una improvvisa violenza sulla vittima per controllarla

Le tracce sono spesso presenti sulla scena del crimine.

Tabella 3.4 Profilo criminale del serial killer “disorganizzato” Il serial killer ha una intelligenza sotto la media.

Il serial killer fa minimo uso di alcool durante il crimine.

Il serial killer è socialmente inadeguato.

Minimi stress situazionali hanno portato al crimine.

Il serial killer svolge lavori semplici e generici.

Il serial killer vive da solo.

Il serial killer sessualmente inadeguato.

Il serial killer vive vicino alla scena del crimine.

è

Il serial killer ha un basso ordine di genitura.

Il serial killer lavora vicino alla scena del crimine.

Il serial killer ha un padre con una occupazione precaria.

Il serial killer ha un interesse minimo per le notizie dei media riguardanti il suo crimine.

Il serial killer ha avuto una disciplina rigida nell’infanzia.

Il serial killer va incontro a significative modificazioni comportamentali (abuso di alcool/droghe, religiosità eccessiva ecc.).

Il serial killer prova ansia durante l’esecuzione del crimine.

Il modello di Vernon Geberth Nel 2006 Vernon Geberth, già comandante del New York City Police Department e della Bronx Homicide Task Force, approfondisce e amplia la classificazione di John Douglas e Robert Ressler, offrendo agli investigatori spunti sulla personalità e sul profilo sociodemografico degli offender. Per Geberth (2006) il serial killer organizzato è un soggetto psicopatico, cioè un

aggressore affetto da un disturbo della personalità, mentre il serial killer disorganizzato è un soggetto psicotico, cioè un soggetto affetto da schizofrenia.

Profilo criminale del serial killer psicopatico Personalità estroversa. Completa assenza di sensi di colpa. Desideri di soddisfazioni immediate. Continue sperimentazioni sessuali. Eccessiva dipendenza dagli altri. Completo disprezzo delle regole della comunità di appartenenza. Può andare in “in” e in “out” del sentimento. Non impara dalle punizioni ricevute.

Profilo sociodemografico del serial killer psicopatico

Età Sesso

Ha dai 18 ai 45 anni (però generalmente è sotto i 35 anni); ha circa la stessa età della vittima. Maschio.

Etnia

Stessa etnia della vittima (però bisogna vedere l’area in cui si svolge l’aggressione e i costumi della comunità locale).

Stato civile

Sposato oppure convive con una partner. Solitamente è sessualmente competente e ha una relazione significativa.

Livello

Ha completato il liceo e molte volte ha frequentato l’università, ma non è

dell’educazione

Intelligenza

stato uno studente brillante. Ha avuto problemi disciplinari per aver compiuto atti aggressivi verso gli altri. Nella norma oppure superiore alla media.

Livello socio-economico

Classe media.

Storia di disturbi mentali

Nessuno.

Caratteristiche fisiche

Bella presenza, tende a prendersi cura di sé. Solitamente vive distante dalla scena del crimine (però solitamente la prima aggressione avviene vicino all’area di residenza). Vive in affitto in una casa della classe media, si prende cura della sua casa.

Residenza

Mezzo locomozione

di

Solitamente ha un veicolo della classe media. Potrebbe essere una macchina scura oppure assomigliare a quella della polizia del luogo. Il veicolo è pulito e ben mantenuto. Se l’aggressore ha intorno ai 20 anni il veicolo potrebbe essere una macchina sportiva.

Lavoro

Può svolgere diversi impieghi, ma tende a cercare lavori che gli permettono di avere una immagine da macho oppure lavori che lo mettono a contatto col sangue o con la morte. Il suo lavoro generalmente è distante dalla scena del crimine. Le scene del crimine potrebbero trovarsi lungo il tragitto tra casa e lavoro.

Storia militare

Ha svolto il militare però potrebbe essere stato allontanato per questioni d’onore e problemi disciplinari.

Precedenti penali

Violenza interpersonale, aggressioni sessuali, ecc.

Profilo criminale del serial killer psicotico Ha abitudini solitarie. Rimane isolato e appartato.

Prova disagio in mezzo alla gente. Manca di abilità interpersonali.

Profilo sociodemografico del serial killer psicotico Ha dai 16 ai 30 anni (però la maggior parte è tra i 17 e il 25 anni); l’età della vittima è indifferente.

Età Sesso

Maschio. Stessa etnia della vittima (però bisogna vedere l’area in cui si svolge l’aggressione e i costumi della comunità locale).

Etnia Stato civile

Single.

Livello dell’educazione Intelligenza

Solitamente ha frequentato il liceo oppure l’università (però senza finirle). Sotto la media.

Livello socio-economico

Appartiene alle classi medie o basse.

Storia di disturbi mentali

Diversi trattamenti psichiatrici, anche ambulatoriali, spesso affetti da disturbo schizoide.

Caratteristiche fisiche

Magrolino e con acne, oppure con una malattia fisica che lo rende riconoscibile dalla popolazione generale. Vive nell’area delle scene del crimine, solitamente abita in affitto, da solo, oppure con parenti, in particolare la madre anziana.

Residenza

Mezzo locomozione

di

Non ha un proprio autoveicolo (se abita in città) oppure ha un vecchio modello di automobile di scarso valore (se abita in aree rurali). Spesso gira a piedi.

Lavoro

Solitamente non ha un impiego, se ce l’ha è un lavoro umile.

Storia militare

Non ha svolto il militare perché scartato come inadatto.

Precedenti penali

Voyerismo, feticismo, furto, esibizionismo ecc.

Il modello di David Canter Nel 1999 David Canter, direttore dell’International Centre for Investigative Psychology presso la University of Huddersfield, partendo dallo studio di 82 casi di omicidio, è arrivato a identificare specifici temi nelle narrative interpersonali degli aggressori e a collegarli con specifiche azioni compiute sulla scena del crimine. I tre temi identificati dall’autore sono (Hicks e Sales, 2009; Gulotta, 2008): – il tema “espressivo-impulsivo” – il tema “strumentale-opportunistico” – il tema “strumentale-cognitivo” “ESPRESSIVO-IMPULSIVO”. Il criminale “espressivo-impulsivo” mette in atto un insieme di comportamenti frenetici, eclettici e impulsivi. Esempi di azioni criminali contenute in questo tema sono le molteplici e varie ferite inflitte alla vittima e l’uso di un’arma. Le caratteristiche associate del criminale includono un passato di numerosi e diversi reati, violenti e non violenti, un matrimonio o un precedente matrimonio e il fatto di aggredire le donne (cfr. le tabelle 3.5 e 3.6). IL TEMA

Tabella 3.5 Il serial killer “espressivo-impulsivo” e la scena del crimine Il serial killer infligge ferite multiple alla vittima, queste sono distribuite su tutto il corpo: arti, torace e viso.

Il serial killer porta l’arma sulla scena del crimine.

Il serial killer compie differenti tipi di ferite: tagli e pugnalate.

Il serial killer prende l’arma sul posto.

Tabella 3.6 Profilo criminale del serial killer “espressivo-impulsivo”. Il serial killer ha precedenti reati di aggressione.

Il serial killer ha precedenti reati connessi alla droga.

Il serial killer ha precedenti reati per disturbo della quiete pubblica. Il serial killer ha precedenti reati contro la proprietà. Il serial killer ha precedenti reati per aggressioni sessuali.

Il serial killer è sposato.

Il serial killer è stato sposato. Il serial killer predilige aggredire le donne.

“STRUMENTALE-OPPORTUNISTICO”. Il criminale “strumentaleopportunistico” prende di mira e usa la vittima come un oggetto attraverso cui soddisfare un ulteriore movente che ha a che vedere con il denaro o con il sesso. Le azioni tipicamente associate al reato rintracciabili in questo tema includono lo scegliere come bersaglio vittime di sesso femminile più grandi per età, il commettere il reato nella casa della vittima, il rubare oggetti di sua proprietà, il compiere un’aggressione sessuale e ferire e/o uccidere manualmente la vittima con metodi come lo strangolamento. Le tipiche caratteristiche del criminale includono la familiarità con la vittima e con la zona dell’aggressione, l’essere disoccupato e avere trascorsi di furto e furto con scasso (cfr. le tabelle 2.7 e 2.8). IL

TEMA

Tabella 3.7 Il serial killer “strumentale-opportunistico” e la scena del crimine Il serial killer predilige vittime donne o anziane. Il serial killer trafuga oggetti di valore. Il serial killer aggredisce la vittima nel proprio appartamento. Il serial killer infligge le ferite manualmente.

Il serial killer copre il volto della vittima. Il serial killer compie un aggressione sessuale. Il serial killer lascia parzialmente svestita.

la

vittima

Il serial killer infligge diverse ferite sul collo.

Tabella 3.8 Profilo criminale del serial killer “strumentale-opportunistico” Il serial killer ha precedenti reati per furto. Il serial killer ha precedenti reati per furto con scasso.

Il serial killer è disoccupato. Il serial killer ha familiarità con la zona del crimine.

Il serial killer ha precedenti reati di furto d’auto.

Il serial killer conosce la vittima.

Il serial killer è noto alle forze dell’ordine. IL TEMA “STRUMENTALE-COGNITIVO”.

Il criminale “strumentale-cognitivo” cerca di nascondere le proprie azioni criminali e di rimuovere le prove incriminanti. Tratti tipici delle azioni criminali commesse sono il trasportare altrove e il nascondere il cadavere, l’occultare i reperti con valore forense o l’intero crimine o lo sbarazzarsi del corpo all’aperto. I criminali inclusi in questa categoria hanno trascorsi di permanenza in carcere e/o nelle forze armate (cfr. le tabelle 3.9 e 3.10). Tabella 3.9 Il serial killer “strumentale-cognitivo” e la scena del crimine Il serial killer realizza il crimine all’aperto. Il serial cadavere.

killer

trasporta

Il serial killer occulta il cadavere.

il

Il serial killer rimuove gli oggetti che rendono identificabile la vittima.

Il serial killer abbandona il cadavere all’aperto.

Il serial killer rimuove le prove medico-legali che lo renderebbero identificabile.

Il serial killer dispone il cadavere supino.

Tabella 3.10 Profilo criminale del serial killer “strumentale-cognitivo” Il serial killer ha svolto servizio nelle forze armate.

Il serial killer ha scontato una pena detentiva.

Dalla scena del crimine al profilo del criminale Rajs (et al., 1998), ha analizzato 22 omicidi avvenuti in Svezia che presentavano mutilazioni in alcune parti del corpo, osservando che le mutilazioni difensive erano presenti in 10 casi, le mutilazioni aggressive in 4 casi, le mutilazioni offensive in 7 casi, e in 1 caso soltanto erano presenti delle mutilazioni necromantiche. In quest’ultimo caso la vittima era morta

per cause naturali, mentre tutte le morti incluse nei primi tre gruppi erano avvenute per omicidio. Tutti gli autori delle mutilazioni erano maschi, in 6 casi erano stati assistiti da altre persone. In più della metà dei casi l’occupazione del colpevole implicava delle conoscenze anatomiche utili all’omicida per effettuare le mutilazioni (es. macellaio, medico, assistente veterinario, cacciatore). Gli autori delle mutilazioni difensive e aggressive erano per lo più persone disorganizzate, alcolisti e/o tossicodipendenti con precedenti contatti con la giustizia o con la salute mentale. Gli autori di mutilazioni offensive erano per lo più persone organizzate, meno frequentemente dipendenti da sostanze stupefacenti o da disturbi psichiatrici, ma erano persone con una storia di crimini violenti a carattere sessuale alle spalle. Koch (et al., 2011) ha confrontato un campione 166 autori di omicidio a sfondo sessuale e 56 autori di reati sessuali che non avevano ucciso la vittima. Per quanto riguarda il profilo criminale, gli autori di omicidio a sfondo sessuale sono stati diagnosticati più spesso con un disturbo di personalità, soprattutto schizoide, così come con sadismo sessuale e disfunzioni sessuali. Questi assassini, inoltre, avevano più spesso usato alcool durante il reato. I risultati indicano che gli autori di omicidio a sfondo sessuale presentano una maggiore varietà di disturbi psichiatrici rispetto agli autori di reati a sfondo sessuale. Per quanto riguarda il profilo sociodemografico, l’età media degli autori di omicidio a sfondo sessuale era di 32,8 anni, rispetto ai 38,9 anni degli autori di reati a sfondo sessuale. Chan (et al., 2015) ha studiato 86 autori di omicidio a sfondo sessuale: tra questi 13 erano autori di omicidi sessuali seriali mentre 73 di omicidi sessuali singoli. Per quanto riguarda il profilo criminale, gli autori di omicidi sessuali seriali, questi erano maggiormente guidati dalle fantasie sessuali devianti nella commissione del crimine. Le vittime, infatti, erano selezionate con caratteristiche distintive, erano persone sconosciute, c’era una premeditazione più strutturata degli omicidi ed emergevano evidenze di umiliazioni verbali delle vittime durante i delitti. Diversi disturbi di personalità erano presenti in entrambi i campioni, ma gli autori di omicidi seriali sessuali avevano maggiormente disturbi narcisistici, schizoidi e/o ossessivo-compulsivi, ed erano anche più propensi a impegnarsi in attività parafiliache quali masochismo sessuale, parzialismo, pedofilia omosessuale, esibizionismo e/o voyeurismo. Per quanto riguarda il profilo

sociodemografico, gli autori di omicidio a sfondo sessuale erano caucasici (91%) e single (61%), mentre l’età media era 36,2 anni. Le vittime erano caucasiche nel 90% dei casi, nell’80% dei casi di sesso femminile, mentre l’età media era di 28,1 anni. Santtila (et al., 2015) ha confrontato 116 omicidi commessi da assassini seriali con 45 omicidi commessi da assassini non seriali ma di difficile risoluzione (questi sono definiti come delitti in cui sono trascorse più di 72 ore tra la notizia di reato e la cattura dell’offender). Lo studio ha evidenziato che i serial killer avevano ucciso prevalentemente persone sconosciute e prostitute e dimostrato una conoscenza forense più marcata sia prima che dopo l’uccisione della vittima. La componente sessuale sulla scena del crimine era maggiormente presente e le azioni violente commesse sulla vittima sembravano avere maggiormente una valenza strumentale, e per questo erano maggiormente premeditate. Le vittime degli assassini seriali erano state più spesso uccise fuori casa ed erano più giovani delle vittime dei non serial killer. I non serial killer avevano ucciso prevalentemente vittime conosciute e selezionate, sulla scena del crimine erano maggiori i tratti che indicavano una componente rabbiosa e per questo le azioni commesse avevano una valenza espressiva e impulsiva. Le vittime dei non serial killer erano state più spesso uccise nella loro casa utilizzando un coltello da cucina o un’accetta, con conseguente aumento delle ferite difensive alle mani. Queste vittime, infine, erano state più spesso prese a calci e/o colpite diverse volte al viso e al corpo. Sturup (2018) ha confrontato i condannati per omicidio seriale (n = 25) con i condannati per omicidio singolo (n = 201) sul territorio della Svezia. L’autore ha scoperto che, analogamente agli Stati Uniti, gli omicidi seriali hanno una prevalenza dell’1,6% rispetto agli omicidi singoli. I criminali seriali dello studio sono stati più spesso diagnosticati come portatori di disturbi della personalità e disturbi dello spettro autistico rispetto agli autori di omicidio singolo. Gli autori di omicidi seriali dello studio coinvolgevano più spesso le vittime nelle dinamiche omicidiarie, e queste erano più spesso donne che non conoscevano l’autore del reato, gli omicidi seriali erano più spesso pianificati ed erano evidenti motivazioni sessuali nei delitti. L’asfissia era il mezzo omicidiario prevalente. In un terzo degli omicidi seriali dello studio l’assassino aveva messo in atto azioni per mascherare la causa della morte della vittima, mentre tali azioni erano molto meno comuni in caso di

omicidio singolo. Infine, circa un terzo degli omicidi seriali presentava motivazioni sessuali, una percentuale di circa 10 volte superiore a quella del gruppo che riguardava gli omicidi singoli.

4. RITUALISTIC PROFILING E SYMBOLIC ANALYSIS

L’investigazione del crimine rituale avviene tramite un procedimento definito symbolic analysis (Perlmutter, 2004, pp. 352-353): L’analisi simbolica è un metodo di identificazione del/i responsabile/i di un crimine rituale, basato sull’analisi della natura simbolica dell’aggressione e sul modo rituale con cui essa è stata commessa. Diversi aspetti delle credenze del criminale sono determinati dalla scelta di eseguire le azioni prima, durante e/o dopo il crimine. Questa informazione, combinata con altri dettagli pertinenti e con le prove fisiche ritrovate sulla scena del crimine, viene poi confrontata con i simboli, i riti e le pratiche relative a subculture e/o religioni alternative per arrivare all’individuazione del o degli aggressori.

Dawn Perlmutter, direttrice dell’Institute for the Research of Organized and Ritual Violence della Pennsylvania nonché consulente del Federal Bureau of Investigation, afferma che alcuni appartenenti a culti e sette dediti all’occultismo possono essere collegati alla commissione di delitti e crimini rituali (Perlmutter, 2004). L’etimologia del termine “setta” va cercata nel latino sequor, “seguire”, e nel verbo seco, “tagliare, recidere”, e suggerisce la separazione che praticano alcuni membri appartenenti a un certo gruppo religioso o magico rispetto alla maggior parte degli individui della società che condividono altre credenze religiose. La studiosa definisce un crimine rituale come un “atto di violenza caratterizzato da una serie di ripetute aggressioni di natura fisica, sessuale e/o psicologica, combinato con l’uso sistematico di simboli, cerimonie e/o liturgie particolari”. “[…] il bisogno di ripetere tali atti può avere una base culturale, sessuale, economica, psicologica e/o spirituale” per l’aggressore (Perlmutter, 2004, p. 3). Delitti e crimini rituali possono essere attribuiti a coloro che seguono ideologie occulte, quali quelle derivanti dai culti del Satanismo e del Vampirismo, oppure da Santeria, Voodoo, Palo Mayombe, Macumba e Brujeria. Solitamente, a commettere questi delitti non sono gli appartenenti a vere e proprie sette strutturate e organizzate in forma di movimento, con sedi conosciute e riconosciute anche dalle forze dell’ordine,

ma individui e/o gruppi di persone che si ispirano comunque alla magia, e che traggono spunto proprio dalle loro conoscenze religiose e/o occulte per attrarre a sé seguaci e commettere crimini rituali e/o sacrifici animali e umani. Il termine “sacrificio” deriva dal latino sacrificium, composto di sacer, “sacro”, e facere, “fare”, ovvero letteralmente “rendere sacro”. Il sacrificio è un atto religioso nel senso più alto e più completo del termine; può anche essere inteso come un atto per benedire o consacrare un oggetto. Storicamente, i teologi hanno proposto quattro motivazioni alla base del compimento di un sacrificio, animale o umano (Perlmutter, 2004, p. 11): 1) omaggio e lode alla divinità (una forma di pura adorazione); 2) ringraziamento della divinità (per un favore concesso); 3) supplica alla divinità (per ricevere beni e oggetti materiali tramite l’intervento divino); 4) espiazione di un peccato o di una colpa (chiedere perdono oppure placare l’ira divina oppure chiedere la rimozione o la protezione dal male e della sfortuna). Tradizionalmente, i destinatari dei sacrifici sono esseri soprannaturali come divinità, spiriti, esseri angelici o demoniaci. A volte, gli esseri umani che praticano i sacrifici adorano e temono la divinità contemporaneamente. Tra gli studiosi che più hanno contribuito a spiegare la nascita della pratica del sacrificio e dei rituali di sangue il più importante è stato René Girard, antropologo e professore di letteratura francese, che dalle sue ricerche ha elaborato la “teoria mimetica del desiderio” e la conseguente “teoria del capro espiatorio” (Girard, 1965, 1980, 1983 e 1987). Girard inizia i suoi studi analizzando le opere letterarie di diversi autori, ma, invece di cercare l’“originalità” delle opere di ciascun scrittore, cerca ciò che esse possono avere in comune tra loro; si accorge così che i personaggi creati dai romanzieri si muovono in una dinamica di rapporti che si ritrova costantemente nei vari testi. La legge universale del comportamento umano ivi descritta, secondo Girard, consiste nel carattere “mimetico”, nel senso di imitativo, del desiderio (Girard, 1965). Secondo la teoria mimetica del desiderio, noi imitiamo, osservandoli, i desideri, le opinioni e lo stile di vita delle altre persone, facendoli nostri. Per Girard, infatti, il nostro desiderio è sempre suscitato dall’osservazione del desiderio di un altro soggetto per un determinato oggetto; la visione della felicità dell’altro suscita in noi che osserviamo, consapevolmente o

inconsapevolmente, il desiderio di fare come lui per ottenere la stessa felicità. Tutto ciò significa che il rapporto tra soggetto e oggetto desiderato non è diretto e lineare, ma è sempre triangolare: soggetto, modello, oggetto. Per Girard, le lotte e le violenze tra le persone (o tra i gruppi) possono essere comprese tramite il concetto di rivalità mimetica che viene a crearsi all’interno di questo triangolo; questa rivalità è contagiosa in quanto imitata, infatti si sviluppa a partire dai conflitti per l’appropriazione degli oggetti, voluti perché desiderati da alcune persone. Ma il desiderio del medesimo oggetto può estendersi anche ad altre persone e il conflitto dei primi, invece di risolversi, si allarga, iniziando così un processo a catena che può portare alla distruzione. A questo punto, l’oggetto della contesa passa in secondo piano e il conflitto mimetico si trasforma in antagonismo generalizzato, che porterebbe alla distruzione della società, se non intervenisse il meccanismo del “capro espiatorio” a interrompere l’escalation. Secondo Girard (1980 e 1987), quando la violenza generalizzata non può scaricarsi sulla persona (o sul gruppo) che l’ha generata, allora il gruppo deve necessariamente sfogare la violenza accumulata su un bersaglio sostitutivo. In particolare, la violenza può focalizzarsi su una vittima scelta arbitrariamente dal gruppo in quanto considerata all’origine della crisi. A questo punto le persone si riuniscono attorno alla vittima e la uccidono per il bene del gruppo; l’eliminazione della vittima, per espulsione o per uccisione, consente alle persone di sfogare la frenesia violenta da cui ciascun membro era posseduto prima del sacrificio, riportando il gruppo alla pace originaria. La vittima viene quindi vista dal gruppo sia come l’origine della crisi mimetica sia come la responsabile del miracolo della pace ritrovata dal gruppo stesso. Essa diviene sacra agli occhi delle persone appartenenti al gruppo, proprio perché prodigiosamente capace di scatenare la crisi così come di ripristinare la pace. Ha cioè potere di vita e di morte sul gruppo: è un dio, è una divinità. Questo è, secondo Girard, il meccanismo che spiega la genesi degli antichi culti e in particolare del rito del sacrificio come ripetizione dell’evento vittimario originario. Il meccanismo del capro espiatorio permetterebbe anche di spiegare il bisogno universalmente diffuso in molte comunità umane di vittime sacrificali e il successivo passaggio dalle vittime umane a quelle animali, loro sostitute, per la celebrazione dei rituali di sangue (Girard, 1983; cfr. anche Tomelleri, 1996).

Il sangue che si asciuga sulla vittima perde presto la sua limpidezza, si fa torbido e sporco, forma delle croste e si stacca a placche; il sangue che invecchia sul posto forma un tutt’uno con il sangue impuro della violenza, della malattia e della morte. A quel cattivo sangue subito guasto, si contrappone il sangue fresco delle vittime appena immolate, sempre fluido e vermiglio […] sangue che resta puro se versato ritualmente […] Qualunque impurità si riduce, in fondo, a un unico e medesimo pericolo, all’insediamento della violenza interminabile in seno alla comunità. La minaccia è sempre la stessa e mette in moto la stessa parata, la stessa manovra sacrificale, in modo da dissipare la violenza su vittime senza conseguenze. (Girard, 1980, pp. 59-60)

Il rituale di sangue che avviene nel sacrificio canalizza la violenza del gruppo “perdente” – che altrimenti annienterebbe il gruppo stesso propagandosi in esso –, su un’unica vittima, il capro espiatorio, responsabile del fallimento e della sconfitta della disputa. La vittima, morendo per il gruppo, diventa il simbolo della redenzione, dando nuova vita e nuova speranza al gruppo stesso. Il sangue della vittima versato durante il rituale, diventa sacro come la vittima stessa, e la sostanza versata da fonte di vita e salvezza per la persona sacrificata, diventa la fonte di vita e di salvezza per il gruppo stesso (Girard, 1965, 1980, 1983 e 1987; cfr. anche Tomelleri, 1996). Gli atti di violenza sacra che oggi vengono commessi da alcuni appartenenti a culti e/o sette legate al mondo dell’occulto sarebbero quindi un “anacronismo rituale”, cioè azioni violente inappropriate, o non adatte, al sistema di valori entro il quale sono attuate. Per quanto terribile possa apparire al giorno d’oggi un sacrificio e/o un rituale di sangue, esso può essere considerato accettabile in una determinata epoca storica o in una cultura differente dalla nostra. I culti e le sette che praticano il sacrificio e i rituali di sangue farebbero riferimento a questa cultura “antica” e a un tempo in cui si “credeva” alla natura sacra della violenza (Perlmutter, 1999). 4.1. Crimini rituali e dell’occulto Il California Law Enforcement di Sacramento, organismo governativo che raggruppa diversi dipartimenti di polizia dello Stato californiano, nel suo rapporto Occult Crime: A Law Enforcement Primer (1989) afferma che sono diversi i crimini che possono essere legati al mondo dell’occulto, tra cui i seguenti. – Attività illecite. Le attività illecite legate al crimine rituale coinvolgono, in generale, persone che si appropriano indebitamente di aree private, quali terreni boschivi, granai e/o edifici vecchi e abbandonati. Lo scopo di queste

persone è quello di trovare e/o occupare un luogo in cui adorare la propria, o le proprie, divinità; tale luogo può essere lasciato allo stato naturale, oppure può essere adornato di simboli e/o di altari sacri, i quali fanno sì che il posto diventi un vero e proprio luogo di adorazione e venerazione della, o delle, divinità. – Vandalismo. Tra gli atti di vandalismo associati al crimine rituale troviamo la profanazione di chiese e/o di cimiteri. Gli atti comunemente commessi durante la profanazione delle chiese consistono in distruggere copie della Bibbia, orinare e/o defecare su oggetti, mobili e attrezzature sacre, accanirsi su rosari, crocifissi e statue dei santi. Tra gli atti comunemente commessi durante la profanazione dei cimiteri, invece, figurano il rovesciamento, la rottura e/o il furto delle pietre tombali, lo scavo e/o il saccheggio delle tombe, la rottura e/o la frantumazione degli scheletri e lo smembramento dei corpi di alcuni defunti. Gli atti di vandalismo che richiedono la profanazione di un cimitero sono spesso motivati dalla volontà di procurarsi ossa umane, per adempiere a determinati rituali previsti da credenze religiose legate all’occulto. – Furti. I furti commessi ai danni delle chiese cristiane, delle sinagoghe ebraiche, degli ospedali, degli obitori, delle scuole di medicina e/o dei negozi di onoranze funebri, sono spesso legati al crimine rituale. Gli articoli rubati, infatti, consistono spesso in manufatti religiosi considerati sacri, quali ostie, vino santo, calici, crocifissi ecc.; oppure parti di cadaveri, quali sangue, organi e/o resti scheletrici. La ragione più frequente di tali furti è l’esigenza del gruppo di procurarsi oggetti sacri e/o organi, ossa e altro materiale umano per adempiere ai riti del culto. – Graffiti. I graffiti sono comunemente legati al crimine rituale. La maggior parte dei graffiti può essere attribuita a gruppi dediti al Satanismo che raffigurano nei loro disegni simboli satanici, mentre solo una piccola quantità di questi disegni può essere attribuita ad altri gruppi legati all’occulto. Quasi tutti i graffiti connessi al Satanismo sono disegnati da ragazzi e/o giovani adulti, che si dilettano con queste credenze occulte. – Incendi dolosi. L’incendio doloso legato al crimine rituale è quasi sempre

commesso da ragazzi e/o giovani adulti legati al Satanismo. La maggior parte degli incendi dolosi coinvolge chiese e/o sinagoghe, in cui sono ritrovati graffiti raffiguranti simboli satanici, mentre solo una piccola quantità di questi incendi coinvolge case e/o edifici pubblici. – Mutilazione di animali. Il sacrificio di alcuni animali è attuato primariamente dai praticanti della Santeria, un movimento sincretico afrocaraibico che, tra i suoi riti, prevede il sacrificio di determinati animali, considerati sacri, come offerta alla divinità. Tuttavia il sacrificio di certi animali può anche essere attribuito ad adepti che praticano il Satanismo. Gli elementi simbolici ritrovati sulla scena del crimine, il tipo di mutilazione effettuata sugli animali e altre prove forensi possono suggerire agli investigatori quale credo è stato praticato nel luogo in cui si ritrovano i resti. – Estorsioni. Solitamente l’estorsione di denaro non è un’attività legata al crimine rituale; in alcuni casi, però, alcuni individui legati all’occulto usano il potere derivante dal loro credo religioso per estorcere soldi e/o informazioni ad altri credenti. Molto più spesso di quanto non s’immagini, le vittime non si considerano tali, poiché si fidano del sacerdote che officia il culto, e credono che il loro denaro sarà utilizzato dallo stregone per la loro protezione personale. – Abusi. L’esistenza di abusi legati al crimine rituale è controversa, anche se i presunti responsabili di questi crimini sarebbero satanisti. Probabilmente nessun altro argomento divide così tanto gli esperti di giustizia criminale; se nessuno discute sull’esistenza di abusi legati al crimine rituale, pochi concordano su aspetti quali la sua estensione, le motivazioni di coloro che agiscono in questo modo e la veridicità dei racconti delle vittime, le quali sostengono di aver subito queste pratiche rituali per diverso tempo. – Rapimenti. L’esistenza del rapimento legato al crimine rituale è controversa, anche se la scomparsa di numerose persone non lo è sicuramente. I presunti responsabili di questo crimine sarebbero legati al Satanismo; per alcuni satanisti, infatti, sembra sia necessario il rapimento per ottenere vittime da immolare durante i sacrifici rituali. Altri responsabili di questo crimine sarebbero legati al Palo Mayombe; per alcuni sacerdoti di

questo culto il rapimento servirebbe a procurarsi crani umani da aggiungere nel nganga, il calderone sacro, e compiere i sacrifici rituali. – Suicidi. Il suicidio legato alla violenza rituale sembra essere l’atto maggiormente praticato da ragazzi e giovani adulti legati al Satanismo, siano essi credenti convinti, o persone che si dilettano con l’occulto. Il suicidio di adolescenti e giovani adulti accostatisi al Satanismo è una delle maggiori preoccupazioni per i professionisti della giustizia criminale e per i terapeuti. – Omicidi. L’esistenza nel mondo contemporaneo dell’omicidio legato al crimine rituale è controversa, anche se il sacrificio di esseri umani si è verificato in quasi tutte le culture sorte nella storia. Oggigiorno i presunti responsabili di questo crimine sarebbero legati prevalentemente al Palo Mayombe e al Satanismo; questi culti, infatti, sono spesso legati al sacrificio umano. L’evidenza indica che alcuni ragazzi e/o giovani adulti, divenuti convinti credenti, potrebbero commettere un assassinio per ragioni sacrificali in base alle loro credenze spirituali. Come già detto, a commettere questi delitti non sono solitamente gli appartenenti a vere e proprie sette strutturate e organizzate in forma di movimento, con sedi conosciute e riconosciute, ma individui e/o gruppi di persone che ai vari culti si ispirano. 4.2. Ritualistic crime scene analysis Nel già citato manuale di classificazione e investigazione dei crimini rituali dell’Institute for the Research of Organized and Ritual Violence della Pennsylvania (Investigating Religious Terrorism and Ritualistic Crime) viene fornita una griglia per analizzare le componenti fondamentali di un delitto rituale: – abiti, soprattutto neri, bianchi o scarlatti ritrovati sulla scena del crimine – alfabeto incomprensibile e non riconoscibile sulla scena del crimine – altari contenenti manufatti rituali (candele, calici, coltelli ecc.) sulla scena del crimine – animali o parti del corpo umano conservati in frigorifero

– assenza di sangue negli animali presenti sulla scena del crimine e sul suolo adiacente – boccette di polvere e/o sale colorato sulla scena del crimine – calendari con evidenziati giorni dal significato simbolico o rituale – stanze drappeggiate in nero o in rosso – lumini, candele bianche o candele colorate sulla scena del crimine – computer utilizzati per visitare siti dell’occulto – disegni di simboli occulti sui muri e/o sulla scena del crimine – disegni strani e insoliti, simboli sui muri e/o su muri e pavimenti (croci rovesciate, pentacoli ecc.) – atti vandalici e/o furti riguardanti oggetti e manufatti sacri e/o religiosi e/o cristiani – mutilazioni di animali in cui si nota la rimozione di specifiche parti del corpo (ano, cuore, lingua, orecchie ecc.) – pupazzi e bambole infilzati con aghi o mutilati – saggi e libri sul Satanismo, libri di magia e di rituali, diari e quaderni dell’occulto scritti a mano – resti scheletrici e/o teschi umani presenti sulla scena del crimine, con o senza candele cerimoniali – utilizzo di alcune parti di animali (piume, peli, ossa ecc.) per creare segni e simboli sul terreno della scena del crimine.

5. CRIME LINKING E GEOGRAPHICAL PROFILING

Che cosa fa l’uomo che vuole catturare, Clarice? Qual è la cosa principale che fa? Quale bisogno soddisfa uccidendo? Desidera! E come cominciamo a desiderare? Incominciamo desiderando ciò che vediamo ogni giorno Thomas Harris

L’investigazione dei crimini violenti e dei crimini rituali, oltre ad avvalersi del criminal e ritualistic profiling, può utilizzare altre due tecniche specifiche: 1) il crime linking, una procedura finalizzata all’identificazione di schemi comuni presenti nei crimini violenti, per collegare tra loro i delitti perpetrati dallo stesso individuo anche se questi delitti vengono commessi in luoghi e tempi differenti; 2) il geographical profiling, una procedura che analizza il comportamento spaziale dei criminali con riferimento ai luoghi in cui essi mettono in atto i loro crimini e alle relazioni spaziali che fra tali luoghi intercorrono. 5.1. Crime linking Si tratta di un’analisi finalizzata a collegare crimini violenti perpetrati dallo stesso autore in luoghi e tempi differenti tramite l’identificazione di schemi comuni ricorrenti nelle diverse scene del crimine (Douglas et al., 2008). Secondo Hazelwood (cit. in Bosco, 2016, pp. 137-138) quando si esaminano due o più crimini per effettuare una linkage analysis, per prima cosa deve essere studiato il comportamento dell’offender per individuare le similitudini tra i crimini. Questo comportamento che deve essere individuato è riferibile

a quello che noi definiamo “modus operandi” e “ritualismo” o “signature” (cfr. qui p. 63). Il modus operandi è un comportamento appreso che si sviluppa nel tempo per il raggiungimento di tre obiettivi: successo nel crimine, protezione dell’identità del criminale durante il fatto e facilità di fuga dopo il crimine. Poiché questo comportamento è appreso, esso è in continua evoluzione e può mutare da crimine a crimine, da situazione a situazione. Tre sono i fattori che, inoltre, influiscono sul continuo mutamento del modus operandi: l’esperienza, la maturità e l’educazione. Sempre secondo Hazelwood (cit. in Bosco, 2016, p. 140), l’offender violento che ripete i suoi crimini dimostra, tipicamente, un secondo tipo di condotta che può essere definita “condotta ritualistica”, spesso identificata con quello che gli esperti definiscono “signature”. Questa condotta va oltre ciò che è necessario per commettere un crimine. L’unico scopo di questi atti è quello di gratificare mentalmente ed emotivamente l’offender. L’aspetto ritualistico del crimine, a differenza del modus operandi, rimane costante nel tempo, anche se ci possono essere delle evoluzioni che lo rendono più complesso e pienamente sviluppato. Come già detto (cfr. p. 69), nel 1985 il National Center for the Analysis of Violent Crime (NCAVC) del Federal Bureau of Investigation avviò il Violent Criminal Apprehension Program (VICAP), finalizzato a fornire agli investigatori strumenti per il crime linking. La ricerca universitaria però, con il passare del tempo, focalizzò sempre più l’attenzione sui comportamenti messi in atto dal criminale nelle diverse scene del crimine, e questo portò al “behavioral crime linking”, cioè a un’attività di supporto all’investigazione criminale attraverso la quale si cerca di capire, attraverso l’analisi del modus operandi, se una serie di reati dello stesso tipo (es. omicidi, stupri, incendi, rapine ecc.) sono stati commessi dallo/ gli stesso/i autore/i (Santtila et al., 2012). Questa metodologia si basa su due assunti fondamentali: 1. consistenza comportamentale: secondo questo assunto un offender è coerente nel modo di commettere i propri crimini all’interno di una serie di reati (Canter, 1995); 2. specificità comportamentale: secondo questo assunto il modo in cui un offender commette i propri crimini si può distinguere da quello in cui lo commettono altri offender all’interno delle serie di reati (Bennell e Canter, 2002).

Per testare questi due assunti Jessica Woodhams (et al., 2014), professoressa di Forensic Psychology alla University of Birmingham, ha comparato 50 autori di reati sessuali in serie contro 194 vittime, con 50 autori di reati sessuali non in serie che avevano aggredito 50 vittime, con l’obiettivo di testare la consistenza e la specificità del comportamento nelle scene del crimine da parte degli autori di reati sessuali. Lo studio ha confermato la validità degli assunti, consentendo di collegare in modo accurato i crimini commessi dallo stesso autore e di differenziarli da quelli commessi da altri autori seriali e dagli autori di crimini sessuali non seriali oggetto di analisi. Santtila (et al., 2012), professore di Investigative and Forensic Psychology alla University of Turku, ha studiato un campione di 19 serial killer che avevano ucciso 116 vittime; la ricerca intendeva testare l’efficacia dell’analisi del comportamento strumentale (modus operandi) dell’offender sulla scena del crimine per collegare tra loro i crimini commessi dallo stesso serial killer. L’autore ha preso in considerazione 92 comportamenti messi in atto dagli offender sulla scena del crimine arrivando a scoprire che 10 di queste condotte aumentavano fino all’83,6% la probabilità di collegare tra loro gli omicidi commessi dallo stesso serial killer, e di differenziarli da quelli di un altro omicida seriale, confermando quindi l’importanza dello studio del modus operandi. Questi comportamenti sono: 1. l’autore del reato, durante o dopo il reato, ha cercato di ridurre le prove; 2. il punto in cui l’autore incontra la vittima e la scena del delitto dove questa viene uccisa coincidono; 3. la vittima presenta ferite alla gola; 4. il corpo della vittima viene trovato sulla scena del delitto; 5. il corpo della vittima si trova in una zona interna della città; 6. la vittima viene trovata con i genitali esposti; 7. la vittima presenta lesioni in diverse parti del corpo; 8. per l’uccisione viene utilizzata un’arma da fuoco; 9. la vittima ancora in vita viene spostata a forza; 10. la vittima presenta lesioni in una sola parte del corpo.

Pinizzotto (et al., 2010), già agente speciale dell’FBI, ha studiato un campione di 38 serial killer che avevano ucciso 162 vittime. Il gruppo di offender era tratto dagli archivi della Behavioral Science Unit dell’FBI, e la ricerca ha voluto testare l’efficacia dell’analisi del comportamento rituale (firma) dell’offender sulla scena del crimine per collegare tra loro i crimini dello stesso serial killer. I risultati dello studio suggeriscono che il comportamento rituale non è presente in tutte le scene del crimine esaminate. Inoltre, il comportamento rituale, quando è presente, non è il medesimo nelle scene del crimine della stessa serie omicidiaria. I serial killer sessuali, quindi, per esempio, modificano i rituali da una scena del crimine all’altra, oppure non li compiono nemmeno, anche solo perché non hanno avuto il tempo per farlo, oppure perché mancano loro gli strumenti, o infine perché manca la collaborazione della vittima per portarli a termine. Questi studi dimostrano come sia molto importante, per collegare i crimini commessi dello stesso autore, studiare il comportamento strumentale messo in atto dal criminale (modus operandi). Il comportamento espressivo (firma) risulta in questo caso meno significativo, ma il suo studio è invece di grande utilità in altre fasi dell’investigazione criminale: stilare il profilo utilizzando anche gli elementi rituali presenti sulla scena del crimine può essere molto utile, per esempio, durante l’interrogatorio del sospettato. 5.2. Geographical profiling Secondo Kim Rossmo – già investigatore presso il Vancouver Police Department, ora professore di Geographical Profiling alla University of Texas – si tratta di una procedura che analizza il comportamento spaziale dei criminali con riferimento ai luoghi in cui essi mettono in atto i loro crimini e alle relazioni spaziali che fra tali luoghi intercorrono (Hicks e Sales, 2009). Il modello di Kim Rossmo Kim Rossmo mette in evidenza che, benché il geographical profiling coinvolga misure quantitative che consentono di identificare determinate configurazioni spaziali, esso richiede anche una ricostruzione del profilo psicologico del criminale per poter risalire alla sua “mappa mentale” e interpretarla. Il modello di Rossmo si basa su quello relativo al luogo di selezione del

crimine proposto da Brantingham e Brantingham nel 1981, che suggerisce che la scelta della vittima sia spazialmente orientata in funzione del luogo di abitazione del criminale. Ne deriverebbe che alle azioni del criminale si possa applicare una funzione di decremento: più lontano il criminale si trova da casa, minori saranno le probabilità che commetta un crimine. Il modello prevede anche una zona tampone, o “buffer”, tale per cui i criminali eviteranno di commettere i loro crimini troppo vicino a casa, per evitare che le indagini si orientino subito su di loro.

Il modello di Rossmo integra questi due princìpi in un modello matematico, usando i luoghi di abbandono dei corpi delle vittime per identificare la posizione dell’abitazione del criminale. Di particolare interesse, per l’autore, sono anche il luogo di lavoro del criminale oppure quello in cui svolge un hobby.

Secondo Rossmo (2000) inoltre è fondamentale, per tracciare il profilo geografico, comprendere lo “stile di caccia”, cioè il modo col quale il criminale ricerca e poi attacca le vittime, messo in atto dall’offender. 1. poacher: il criminale non usa come base la sua residenza, ma viaggia da una località all’altra alla ricerca della vittima; 2. troller: il criminale incontra la vittima per caso, solitamente mentre sta svolgendo un’altra attività; 3. trapper: il criminale crea le condizioni che facilitino la ricerca e la selezione della vittima; 4. hunter: il criminale ha una base, la sua residenza, e da lì parte per cercare la vittima. Per quanto riguarda i metodi di attacco delle vittime, Rossmo li classifica in: 1. stalker: il criminale pedina la vittima e la attacca nel momento che ritiene opportuno; 2. ambusher: il criminale attacca la vittima quando quest’ultima raggiunge un luogo che ritiene di controllare;

3. raptor: il criminale attacca la vittima non appena la incontra. Secondo Rossmo, le domande che bisogna porsi per stilare il profilo geografico del criminale sono le seguenti: A. Luoghi – Cos’è che connette questi luoghi al crimine o alla serie di crimini? – Dove sono questi luoghi? Indicarli sulla mappa! – Quali sono le distanze e tempi di percorrenza tra questi luoghi? B. Tempo – Quando si sono verificati i crimini (data, ora, giorno della settimana)? – Quali erano le condizioni metereologiche di quel giorno? – Quanto tempo è intercorso tra i crimini? C. Scelta del sito – Come si accede ai luoghi del crimine? – Cos’altro si trova di significativo in queste aree? – Come l’autore del crimine potrebbe aver conosciuto questi luoghi? – Quale significato hanno i luoghi del crimine? D. Obiettivo di fondo – Dove si trova il gruppo bersaglio (e dove non si trova)? – Quanto controllo ha avuto l’autore del reato sulla scelta dei luoghi del crimine? – Sono avvenuti degli spostamenti (nello spazio o nel tempo)? E. Metodi di caccia – Quale metodo di caccia ha usato il criminale? – Perché questi siti e non altri? – Quale è stato il mezzo di trasporto utilizzato dal criminale? Il modello di geographical profiling di David Canter

David Canter ha sviluppato un modello di interpretazione del comportamento spaziale dell’aggressore a partire dalle teorie della psicologia ambientale, elaborando il concetto di “sfera criminale”. Ciò gli ha permesso di dividere gli aggressori in due tipologie: i “pendolari” e i “residenti” (Canter, 2009; Strano, 2003). I “pendolari” compiono il reato fuori dal luogo di residenza, e quindi non si evidenzia una relazione geografica fra il luogo di vita abituale e la zona in cui il soggetto compie i reati (Strano, 2003).

I “residenti” utilizzano la propria area abitativa come luogo intorno al quale si sviluppa l’attività predatoria. In questo caso si applica il modello della sfera criminale, secondo cui il soggetto si muove dalla sua base per commettere i delitti e poi vi ritorna, agendo in direzioni diverse nei differenti episodi della serie. Secondo l’autore, nell’85% dei casi l’area di residenza dell’aggressore può essere localizzata all’interno dei cerchi definiti dai reati.

L’ipotesi della sfera criminale conduce alle seguenti considerazioni: – l’attività futura dell’aggressore, in molti casi di delitti seriali, è da collocare geograficamente all’interno del circolo delineato dai precedenti reati (cioè dal cerchio che ha come diametro la distanza tra i due eventi più lontani tra loro); – l’area di residenza del sospetto è nell’85% dei casi collocabile all’interno del cerchio delineato dai reati.

PARTE TERZA CRIMINI SERIALI, SESSUALI E/O VIOLENTI

6. SERIAL KILLER

Uccidi un uomo e sei un assassino. Uccidine milioni e sei un conquistatore. Uccidili tutti e sei Dio. Jean Rostand

Nel 1986 Douglas, Ressler, Burgess e Hartman (Douglas et al., 1986) proposero una classificazione dei delitti in base al numero delle vittime, alla loro tipologia e allo stile di uccisione. In questa classificazione proposero di dividere gli omicidi in mass murder, spree killer e serial killer (Douglas et al., 2008): – mass murder: è l’omicidio di tre o più persone, tramite delitti compiuti in un unico luogo e nel medesimo periodo di tempo; – spree killer: è l’omicida di tre o più persone, autore di delitti avvenuti in luoghi diversi, senza un periodo di raffreddamento emozionale tra un omicidio e l’altro; – serial killer: è l’omicida di due o più persone, autore di delitti avvenuti in luoghi diversi e con un periodo di raffreddamento emozionale tra un omicidio e l’altro. 6.1. Nascita di un serial killer I fattori che possono portare dalla violenza grave all’omicidio seriale sono di tre tipi: biologici, sociologici, psicologici. Per quanto riguarda i fattori biologici che possono essere causa di comportamenti criminali violenti, alcune anomalie potrebbero causare un malfunzionamento del cervello, rilevabile per esempio con un elettroencefalogramma. A questo proposito gli autori sopra citati fecero una

scoperta molto interessante. Nei loro campioni di autori di omicidio, le anormalità rilevate all’elettroencefalogramma scomparivano una volta che questi ultimi raggiungevano una fascia d’età compresa tra i 30 e i 40 anni. Secondo gli stessi autori, a quell’età potevano essersi verificati alcuni mutamenti nella struttura cerebrale, questa quindi avrebbe richiesto un periodo maggiore del normale per svilupparsi, e ciò per gli studiosi poteva spiegare, almeno in parte, il comportamento infantile caratteristico dello psicopatico. Secondo altri studiosi, all’origine di comportamenti criminali violenti potrebbero darsi danni strutturali e/o organici: per esempio in tale ottica il trauma cranico ha costituito un oggetto di ricerca importante. Per esempio, Pasternack (1974) riportò che da un progetto di ricerca in cui erano stati esaminati dei detenuti omicidi era emerso che ognuno dei soggetti intervistati aveva subito un trauma cranico durante l’adolescenza. Anche Norris e Birnes (1988) svilupparono una teoria sull’omicidio seriale fondata sull’esistenza di condizioni preliminari di carattere fisiologico (trauma cranico incluso). Secondo questi studiosi, le lesioni al cervello riportate negli anni dello sviluppo o addirittura al momento della nascita costituirebbero alcuni degli elementi più comunemente presenti nei serial killer. Essi aggiungevano che quasi tutti i serial killer sono affetti da qualche forma di epilessia psicomotoria o da gravi squilibri ormonali, che potrebbero derivare da un cattivo funzionamento del sistema limbico, e in particolare dell’ipotalamo. Anche l’ereditarietà e la genetica hanno un ruolo nel fenomeno dell’omicidio seriale, anche se è ancora aperta la caccia al “gene del crimine”: la presenza di un cromosoma Y sovrannumerario nei criminali fa ancora discutere. In ogni caso, non sono mai state raggiunte prove sicure in merito a eventuali effetti indotti da un cromosoma Y sovrannumerario. Per valutare quindi l’esattezza di questa “scoperta” sarebbe necessario esaminare la popolazione generale e stabilire quanti cittadini rispettosi della legge possiedano un cromosoma Y in più, ma non siano ancora stati coinvolti in atti criminali, e specialmente in quelli che comportano atti di violenza. Per quanto riguarda i fattori sociologici nella genesi della violenza grave, secondo Hickey (1997), una spiegazione è fornita dalla “teoria del processo sociale”, secondo cui il comportamento criminale sarebbe un prodotto

dell’apprendimento sociale e del processo di socializzazione. Questa “socializzazione” dell’essere umano verrebbe a realizzarsi attraverso l’interazione tra l’individuo e le istituzioni sociali, e al tempo stesso le persone e i gruppi che sono parte delle istituzioni sociali. Lo sviluppo fondamentale della persona sarebbe inoltre dettato in una misura non trascurabile dalle esperienze del tutto peculiari alle quali ognuno di noi viene esposto durante il normale corso della vita. Bandura (1973), partendo da questa teoria, fornisce una spiegazione sul possibile sviluppo del serial killer chiedendoci di guardare alla vita precoce di un soggetto dalla personalità violenta. Per Bandura assistere ad atti violenti commessi da altri, specialmente in un’età impressionabile come quella degli anni giovanili, insegna all’individuo che con la violenza si può ottenere tutto. Il soggetto sarà così portato ad applicare questo insegnamento ai suoi successivi rapporti con gli altri, e specialmente con i più deboli. Secondo Hickey un’altra spiegazione della violenza proviene dalla “teoria della struttura sociale”, che afferma che determinati gruppi di individui rivelano una maggiore tendenza alla delinquenza e alla criminalità, a causa del loro status sociale in una comunità o in una società. In base a questa teoria, si presume, ad esempio, che i poveri abbiano una propensione più spiccata verso il crimine, poiché a questa categoria di soggetti sono spesso precluse le vie per raggiungere obiettivi e mete che riscuotono approvazione sociale. Brown (1984), Hale (1993), e Wolfe et al. (1985) tentano di spiegare lo sviluppo di una personalità violenta nei termini di un’esperienza di apprendimento. Dalle loro ricerche emerge infatti che è possibile “imparare” a diventare un criminale capace di atti violenti contro gli altri. Le esperienze giovanili fornirebbero una preziosa arena di apprendimento in vista di successivi atti di violenza. Secondo questi studiosi non è necessario essere stati vittime di violenze per diventare violenti. Contano piuttosto le esperienze fatte in qualità di spettatori di atti di violenza. Per il successivo sviluppo di un serial killer, gli atti di violenza osservati assumono in genere un’importanza maggiore quando sono commessi dalle persone più vicine al bambino. Per quanto riguarda i fattori psicologici che possono portare alla violenza grave, Lewis et al. (1995), Smith (1965), McCarthy (1978), Dutton e Hart

(1992) e Abrahamsen (1973), sono concordi nel riportare di aver riscontrato traumi fisici, emotivi o sessuali nell’infanzia di diversi assassini, anche se non solamente in quella dei serial killer. Sears (1991) sostiene che l’odio può giocare un ruolo importante nell’eziologia dell’omicida seriale. Il serial killer, infatti, può nutrire un profondo odio per qualcuno (in genere una donna e spesso la madre) e poi sfogare il suo odio su un’altra persona: tale concetto è definito “spostamento di aggressività”. Molti serial killer dichiarano di amare le loro madri, mogli ecc., e che non farebbero mai nulla che possa recar danno a chi è importante per loro. In compenso, però, uccidono degli sconosciuti che risultano possedere attributi fisici simili a quelli delle persone alle quali i criminali si sono dichiarati tanto legati. L’odio è indirizzato alla persona che li ha danneggiati con l’azione o l’omissione, ma il comportamento viene diretto su degli estranei. Può infatti esistere, da parte del killer, una qualche forma di dipendenza dalla persona odiata, e dunque un’incapacità ad arrecarle danno. Holmes e Holmes (1996) ritengono che le fantasie svolgano un ruolo fondamentale per il serial killer, perché gli forniscono una ragione, un rituale, delle motivazioni, delle aspettative, nonché il criterio di selezione della vittima e infine un sentimento di soddisfazione per gli atti compiuti. Se per qualche motivo l’uccisione non viene portata a termine, le fantasie del criminale vengono frustrate. È proprio questa frustrazione a spingerlo ulteriormente all’azione: e se la frustrazione non viene alleviata, non soltanto si verificheranno ulteriori omicidi, ma il carattere e il grado delle violenze potranno modificarsi e accrescersi. Nei suoi studi su soggetti in giovane età, Aichorn (1934) osservava che in alcuni giovani si manifestavano comportamenti delinquenziali latenti, che esigevano un’immediata gratificazione. Secondo questo studioso, il giovane delinquente non può posporre la soddisfazione e reagisce spesso con violenza per ottenere una gratificazione immediata. Hickey (1997) aggiunge che la frustrazione gioca senza dubbio il ruolo principale nella mentalità del serial killer. 6.2. I serial killer e i metodi di caccia Norris (1988), psicologo penitenziario americano che ha svolto diversi

colloqui con autori di omicidi seriali, ha studiato l’attività pre-predatoria, predatoria e post-predatoria dei serial killer, dividendola in sette fasi: 1. FASE AURORALE. Il soggetto esperisce una serie di fenomeni di tipo sensoriale peculiari: il tempo trascorre più lentamente, i suoni e i colori diventano più vividi, gli odori più intensi, la pelle più sensibile. In questa fase il soggetto avverte un senso di estraniazione dalla realtà e si perde in una florida attività immaginativa consistente innanzitutto nella fantasia di avere un compagno/a che entra a far parte del suo progetto di morte. Questa fase può durare pochi minuti o alcuni mesi, durante i quali il soggetto si eccita con le fantasie di morte. 2. FASE DI PUNTAMENTO. Il soggetto entra in una compulsione irrefrenabile, inizia la ricerca attiva della vittima scegliendo alcuni luoghi preferenziali in cui appostarsi e attendere, come un animale in attesa della preda. Dopo aver individuato la vittima, ne studia gli spostamenti. 3. FASE DELLA SEDUZIONE. Il soggetto avvicina la vittima senza destare sospetti, con un modo di fare seduttivo o comunque garbato, senza terrorizzarla, ma conquistandosene la fiducia. 4. FASE DELLA CATTURA. Il soggetto cattura la vittima, in modo graduale oppure in modo improvviso. Ciò avviene in un luogo isolato, dove il soggetto può tranquillamente esercitare il proprio dominio sulla vittima, provando per questo un enorme piacere, e avendo tutto il tempo per preparare il rituale di morte che seguirà, senza speranza di fuga per la vittima. La cattura può avvenire in diversi modi: a) tecnica dello squalo: l’assassino si muove finché non trova la vittima ideale, che cattura rapidamente e uccide, o nello stesso posto o in un luogo isolato; b) tecnica dell’aquila: l’assassino si sposta finché non trova la vittima giusta, che poi conduce a casa sua, dove la sottopone a torture varie, per tempi anche molto lunghi, godendo sadicamente del fatto di poter fare ciò che vuole, e poi uccide la vittima; c) tecnica del ragno: l’assassino, con un espediente, attira la vittima a casa sua, quindi la uccide comodamente; d) tecnica del serpente: l’assassino riesce a intrufolarsi nella residenza

della vittima in vario modo. 5. FASE DELL’OMICIDIO. Il soggetto raggiunge il massimo grado di eccitazione nel momento in cui la vittima muore tra le sue mani. Il soggetto esperisce una sensazione di trionfo, di rivalsa nei confronti delle sofferenze e delle paure passate che vengono cancellate da quel momento di godimento assoluto. Alcuni soggetti provano un orgasmo proprio nel momento in cui danno la morte. 6. FASE TOTEMICA. L’eccitazione per l’omicidio commesso va scomparendo gradualmente. Per mantenere il ricordo delle sensazioni provate e per prolungare il senso del trionfo, il soggetto conserva il corpo della vittima o parti di esso, oppure sottrae alla vittima degli oggetti. Alcuni soggetti fotografano la vittima da viva e/o da morta. 7. FASE DEPRESSIVA. Il soggetto capisce che il senso di trionfo che ha provato durante la commissione del delitto non ha cancellato il passato, e che il potere che ha esperito è transitorio e ora ha lasciato il posto alla triste realtà. Il soggetto entra allora in una fase depressiva, con il trascorrere del tempo le fantasie riprendono il sopravvento, il bisogno impellente di uccidere ritorna a farsi sentire e lo spinge alla ricerca di una nuova vittima. 6.3. I serial killer e il profilo criminale: la classificazione di Ronald e Stephen Holmes Godwin (2008), psicologo forense e investigativo americano, dopo aver studiato più di 107 serial killer americani che avevano ucciso 728 vittime, offre il seguente profilo degli autori di omicidi seriali: – il 55% era schedato per reati giovanili – il 51% era occupato – il 45% era stato condannato per reati sessuali – il 44% era diplomato – il 31% aveva usato un kit per commettere i crimini – il 27% aveva svolto il servizio militare – il 24% aveva trofei e souvenir della vittima – il 17% era sposato

– il 16% era nero – il 12% aveva provato una crisi emotiva prima del crimine – il 12% aveva pedinato le vittime – l’8% aveva messo in posa le vittime oppure aveva alterato deliberatamente la scena del crimine (staging) – il 7% teneva un diario dei crimini – il 6% aveva utilizzato un alias per commettere i crimini – il 3% si era intromesso nelle indagini Mastronardi (et al., 2009) professore di psicopatologia forense presso l’Università La Sapienza di Roma, dopo aver studiato 2228 serial killer di tutto il mondo, così delinea il profilo dell’uomo serial killer: – commette il primo omicidio fra i 20 e i 30 anni – trascorre mediamente 4 anni prima di essere scoperto – preferisce uccidere vittime sconosciute (soprattutto prostitute) – uccide prevalentemente donne – adora ridurre all’impotenza le vittime per esercitare il suo dominio – ha un atteggiamento predatorio e mostra una certa mobilità negli spostamenti – usa armi che permettono un contatto fisico con le vittime (coltelli, corde ecc.) – molto spesso, l’arma ha un valore simbolico – si eccita alla vista del sangue ed esegue “manipolazioni” varie con il cadavere – si interessa alle indagini – prova difficoltà a mantenere un’attività lavorativa costante nel tempo – mostra una prevalenza di comportamenti violenti nell’adolescenza – ha una sessualità scarsa o nulla nel periodo evolutivo Ronald e Stephen Holmes (1996, 2000, 2009a, 2009b, 2009c), consulenti del Federal Bureau of Investigation con più di 500 profili criminali al loro attivo, definiscono il serial killer come un predatore che uccide tre o più

persone in un arco di tempo superiore a un mese, con significative battute d’arresto tra un omicidio e l’altro. Questi autori distinguono quattro tipologie principali di serial killer: – il serial killer “visionario” – il serial killer “missionario” – il serial killer “edonista”: – orientato alla ricerca del piacere sessuale – orientato alla ricerca del brivido – orientato alla ricerca del tornaconto personale – il serial killer “orientato al controllo e al potere” L’esame delle varie tipologie presentato nelle prossime pagine fa riferimento agli studi di Ronald e Stephen Holmes sopra citati. Per comprendere il modo di pensare di ciascun tipo di serial killer verranno in particolare presi in esame, riassumendoli in tabelle, i suoi schemi di comportamento omicida, analizzando cioè: – il processo di selezione della vittima – il metodo di uccisione della vittima – i luoghi nei quali questo assassino seriale commette i suoi crimini Il serial killer “visionario” È un soggetto psicotico che soffre di un grave distacco dalla realtà, che lo porta a “sentire delle voci” e/o ad avere delle visioni. Questo disturbo può fargli credere di essere un’altra persona, o di essere “costretto” ad agire in un certo modo da demoni o da angeli, dal diavolo o da Dio. Questo serial killer non uccide per ottenere dei rapporti sessuali di tipo “tradizionale”; le sue motivazioni possono risultare varie, ma il sesso non costituisce mai la motivazione dominante e propulsiva per i suoi atti omicidi. Il serial killer “visionario” commette degli omicidi incomprensibili. Le scene dei crimini si presentano caotiche. In genere, abbondano gli indizi di natura fisica, e proprio da essi si può dedurre di trovarsi in presenza dell’opera di un omicida di questo tipo. Questo serial killer può presentare un buon funzionamento nell’ambito

sociale, e può attenersi alle regole della propria cultura di appartenenza. È possibile, infatti, che i suoi distacchi dalla realtà siano soltanto temporanei, ma tali da tradursi, comunque, in comportamenti tanto eccessivi da rendere necessari la detenzione o l’internamento psichiatrico. MOTIVAZIONI E ASPETTATIVE.

Il serial killer “visionario” non necessariamente mantiene in modo continuativo il suo distacco dalla realtà. I periodi di distacco dalla realtà possono, infatti, variare in frequenza e durata, il grado di distinzione tra ciò che è reale o immaginario può variare da un’occasione all’altra, e si verificheranno dei periodi nei quali la sua percezione della realtà sarà solamente un po’ confusa. Questo serial killer, essendo psicotico e quindi a tratti soggetto a un distacco dalla realtà, viene spinto ad agire dalle proprie motivazioni interiori. Contrariamente ad altri tipi di assassini seriali, che vengono spinti verso l’esecuzione dei delitti da qualche elemento dell’ambiente circostante, l’impulso a uccidere di questo serial killer si manifesta perché qualcosa, nel profondo della sua personalità e della psiche, lo costringe a farlo. Le aspettative che spingono il serial killer “visionario” a commettere i delitti sono di natura psicopatologica. Alcuni assassini seriali traggono una qualche forma di piacere psicologico da un assassinio, altri possono provare un senso di reale benessere dopo che l’atto predatorio è stato portato a termine. Per i serial killer “allucinati”, invece, i vantaggi raggiunti uccidendo possono essere costituiti dalla liberazione da un male presunto o temuto, oppure dal raggiungimento di un senso di equilibrio mentale per aver assecondato gli ordini impartiti da Satana o da Dio. SCHEMI DI COMPORTAMENTO OMICIDA

Tabella 6.1 Scena del crimine del serial killer “visionario” scena del delitto controllata

no

scena del crimine caotica



spostamento del corpo

no

strangolamento

no

overkill



tortura

no

necrofilia



sesso aberrante

no

penetrazione col pene

?

penetrazione con oggetti



arma lasciata sulla scena del crimine



arma violenta



arma di tortura

no

relazione con la vittima

no

vittima specifica

no

vittima conosciuta



Tabella 6.2 Caratteristiche specifiche del crimine del serial killer “visionario” tipi aspecifici vittime

selezione casuale estranei focalizzato sull’atto

metodo

spontaneo disorganizzato

luoghi dell’omicidio

SELEZIONE DELLA VITTIMA.

concentrati

Il serial killer “visionario” non ha un tipo di vittima ideale: per questo tipo di assassino seriale non è necessario che le vittime

rispondano a specifici requisiti. Esse non vengono infatti selezionate per una particolare attività o per una struttura fisica ricorrente, o ancora per il colore dei capelli, l’età, il sesso o la razza. In altre parole, non vi è nulla di caratteristico o di particolare in loro tale da suggerire all’aggressore che esse sono prede che “meritano” di essere cacciate. La selezione della vittima avviene in modo abbastanza fortuito e del tutto casuale. Il solo elemento che potrebbe essere considerato non dipendente dal caso è la posizione geografica della vittima: essa, infatti, vive in genere all’interno del “terreno di caccia” o della zona abituale di attività del criminale. Ciò consente all’aggressore di uccidere la vittima in un’area nella quale si sente a suo agio. Il tipico “territorio” di un serial killer “visionario” è dato, ad esempio, dalla sua stessa abitazione, dalle sue aree di svago, come pure dal luogo dove esercita le sue modeste mansioni. Dopo ogni crimine, il suo “territorio privilegiato” si estende. METODI DI OMICIDIO.

Il serial killer “visionario” sceglie la propria vittima in modo casuale e porta a termine il crimine in pochi istanti: non viene quindi dedicato del tempo alla selezione della vittima né al prolungamento del crimine. In questo caso, l’uccisione avviene con rapidità, e il tempo a essa dedicato è appena quello sufficiente a portare a termine l’omicidio. Il modo di uccidere, quindi, è focalizzato sull’atto. Sotto questo punto di vista, il serial killer si comporta come se avesse un “lavoro” da compiere, quello di uccidere la vittima. Non avverte quindi la necessità di punire, torturare o entrare in qualche altro tipo di rapporto con la vittima. La scena del crimine di un serial killer “visionario” non mostra alcuna preparazione e alcuna pianificazione. L’assassino può giungere al punto di procurarsi l’arma del delitto sulla scena del crimine e userà quindi qualunque arma disponibile, come un coltello o un’accetta, magari di proprietà della vittima stessa, che possa essere usata per l’omicidio. Al termine dell’aggressione, l’arma verrà in genere abbandonata sulla scena del crimine; ma, se viene portata via, sarà comunque gettata da qualche parte. La scena del crimine del serial killer “visionario” è contraddistinta da un’attività disorganizzata. Sul luogo del delitto sono rintracciabili numerosi indizi di natura fisica, come impronte digitali, macchie e schizzi di sangue. Vi saranno anche elementi riconducibili a indizi di tipo psicologico, come l’espressione di sentimenti quali rabbia, paura o passione. Gli indizi,

materiali e non materiali, indicheranno con certezza l’attività di questo serial killer, e metteranno in guardia gli investigatori riguardo al tipo di assassino da ricercare, come pure riguardo alle principali variabili sociali espresse da ogni singolo omicida sul luogo del delitto. RIFERIMENTI GEOGRAFICI.

Il serial killer “visionario”, in virtù delle limitazioni imposte dalla sua personalità, è un assassino seriale “stanziale”, dunque seleziona e colpisce le sue vittime solo nelle aree vicine alla sua abitazione. Simili limitazioni in termini di mobilità si rifletteranno sulla selezione delle vittime operata dall’aggressore, e aumenteranno così le possibilità che il caso sia risolto con successo. Il serial killer “missionario” È un soggetto che manifesta una coazione a uccidere alcuni generi di persone, da lui giudicati “degni” di essere sterminati. Decide consapevolmente di portare a termine gli omicidi, quindi non è uno psicotico. Questo omicida seriale non è soltanto guidato dalla necessità compulsiva di uccidere ripetutamente alcune persone, ma ha anche una consistente e precisa motivazione per farlo. Le vittime, infatti, rispondono a un preciso modello, sono cioè “vittime ideali” perché corrispondono al tipo di persona che, secondo il serial killer, va “sradicato” dalla società (es. prostitute, spacciatori, barboni, omosessuali ecc.). Proprio seguendo le sue stesse fantasie, che fungono da preparazione al crimine anziché esserne un semplice surrogato, l’omicida seriale “missionario” identifica la sua vittima preferita, che in genere è “facile” da uccidere, proprio perché essa possiede delle caratteristiche che per il serial killer sono indesiderabili e che, al tempo stesso, rendono la vittima facilmente riconoscibile dall’omicida. La decisione del serial killer “missionario” di uccidere solamente un determinato tipo di persone è certamente dettata da esperienze precedenti con lo stesso genere di individui che successivamente riterrà suo dovere uccidere, come in una sorta di “missione”. È possibile che queste esperienze siano state reali e che si siano ripetute per un certo numero di volte; può anche darsi, però, che la persona abbia invece subito delle ingiustizie (vere o presunte) da parte di una determinata categoria di persone. In questo caso, le

vittime saranno semplicemente dei sostituti dell’obiettivo stabilito, che non risulta accessibile. Questo serial killer può, per esempio, avere associato un determinato evento a una persona appartenente a una determinata etnia, e può quindi decidere che tutti gli esponenti di quella etnia siano uguali tra loro e debbano essere eliminati dalla società a causa del torto subito. A questo punto l’omicida può farsi carico della “missione” di liberare il mondo da simili elementi, eliminandoli uno a uno. MOTIVAZIONI E ASPETTATIVE.

Il serial killer “missionario” prova un forte senso di sollievo dopo aver ucciso una vittima appartenente alla categoria di persone che vuole sterminare. Il vantaggio che ottiene è di natura psicologica, non vi è infatti alcun tornaconto economico o personale a fronte delle uccisioni. Nelle sue fantasie, oltre a delle razionalizzazioni che giustifichino l’aggressione, saranno presenti sia il piano studiato dall’assassino per l’uccisione della vittima, sia le tecniche per commettere il delitto, sia elementi di tipo immaginario incentrati sull’atto stesso dell’omicidio. Le motivazioni che spingono questo serial killer a uccidere un determinato tipo di vittime risiedono nella psiche di questo predatore. Ciò che viene instillato nella sua mente scaturisce abitualmente dalle esperienze personali che l’omicida ha avuto con altre persone significative nel suo contesto di sviluppo e di vita – elementi che terrà sicuramente in considerazione – per portare a termine la sua “missione” omicida. Il serial killer “missionario” si investe della missione di liberare la comunità, o addirittura il mondo, da un determinato gruppo di persone, che a suo avviso non meritano di viverci. Gli appartenenti a questo gruppo possono essere prostitute, drogati, spacciatori, cattolici, ebrei o anche bambini neri sulla strada di una grande città. Questo tipo di serial killer non crede che la sua missione sia ordinata da Dio o da un altro essere soprannaturale, quanto piuttosto dal proprio giudizio morale, in base a ciò che lui pensa sia giusto o sbagliato. La “correttezza” del suo agire viene rafforzata dal suo sistema di valori, ovvero le credenze che ha sviluppato durante l’infanzia, l’adolescenza e l’età adulta, oppure dall’attenzione (o persino dall’ammirazione) delle persone che gli stanno vicino e/o che conoscono le sue azioni. Tramite i suoi delitti,

egli acquisisce quindi un senso di valore personale e di giustizia per aver reso il mondo, tramite i suoi omicidi, un “posto migliore” in cui le generazioni presenti e future potranno vivere in tranquillità e pace. SCHEMI DI COMPORTAMENTO OMICIDA

Tabella 6.3 Scena del crimine del serial killer “missionario” scena del delitto controllata



scena del crimine caotica

no

spostamento del corpo

no

strangolamento

no

overkill

no

tortura

no

necrofilia

no

sesso aberrante

no

penetrazione col pene



penetrazione con oggetti

no

arma lasciata sulla scena del crimine

no

arma violenta



arma di tortura

no

relazione con la vittima

no

vittima specifica



vittima conosciuta

no

Tabella 6.4 Caratteristiche specifiche del crimine del serial killer “missionario”

vittime

tipi specifici selezione casuale estranei focalizzato sull’atto

metodo

pianificato organizzato

luoghi dell’omicidio

concentrati

SELEZIONE DELLA VITTIMA.

Le vittime di un serial killer “missionario” non hanno in genere alcun rapporto con l’omicida: sono tutte persone a lui estranee. Le vittime, però, possiedono qualche caratteristica comune che attrae l’assassino, spingendolo a prenderle in considerazione come potenziali vittime. Si può trattare della loro occupazione (es. prostitute, spacciatori ecc.), della loro razza (es. caucasici, afroamericani ecc.), del loro sesso, delle preferenze sessuali (es. eterosessuali, omosessuali ecc.) o di altri elementi, reali o immaginari, ai quali il serial killer risulta sensibile, avendoli giudicati “indesiderabili”. A questo serial killer interessa soprattutto che la vittima rientri nei parametri del suo tipo di vittima ideale, tipologia che però non è legata a specifiche fantasie sessuali. La vittima viene piuttosto selezionata in base alle sue motivazioni morali. Le vittime sono infatti tutte persone estranee, che possiedono però l’elemento comune dell’indesiderabilità; esse, secondo il serial killer, non meritano di vivere tra la “gente perbene” della comunità. Egli quindi non uccide per fini sessuali, tuttavia ciò non significa che sulla scena del crimine non saranno ritrovati indizi relativi ad alcuni atti sessuali compiuti con la vittima. METODI DI OMICIDIO.

Il serial killer “missionario” uccide le proprie vittime con rapidità: il suo modo di uccidere, quindi, è focalizzato sull’atto. I suoi delitti sono pianificati; all’elaborazione di un piano si affianca un lavoro minuzioso, indispensabile per eliminare un elemento indesiderabile dalla società nel più breve tempo possibile. Considerata la pianificazione messa in

campo, è evidente che i delitti saranno caratterizzati da una scena del crimine organizzata. Più il serial killer è organizzato, meno indizi di natura materiale abbandonerà sul luogo del delitto. Questo omicida seriale, ad esempio, non farà l’errore di abbandonare un’arma sul luogo del delitto, anzi prenderà l’arma e la porterà via con sé dopo aver commesso l’omicidio. RIFERIMENTI GEOGRAFICI.

Il serial killer “missionario” è geograficamente stabile: egli, infatti, non si avventura lontano nella sua residenza alla ricerca di vittime, perché si sente più a proprio agio nelle sue zone privilegiate di lavoro, residenza, shopping e divertimento. Questo omicida seriale ha spesso un impiego in attività di tipo professionale e/o impiegatizio, e proprio per questo motivo ha la tendenza a risiedere per lungo tempo in una stessa area. È possibile, infatti, che egli abbia un lavoro fisso nelle vicinanze della residenza, quindi se egli fosse geograficamente mobile ciò andrebbe a discapito della sua carriera lavorativa. Solitamente abbandona il cadavere della vittima in aree dove ha già eseguito, con successo, un’operazione analoga. Questo perché il momento più pericoloso per un serial killer è proprio quello in cui si disfa del cadavere: in quel frangente, infatti, è vulnerabile e rischia di essere scoperto. Proprio per questo motivo tenderà a depositare ogni successiva vittima in un luogo che è stato già utilizzato con successo a questo fine. Questa è anche la ragione per cui il luogo del delitto è spesso anche quello dove viene abbandonata la vittima. Il serial killer “missionario” uccide secondo uno schema trifasico: fantasia, caccia e assassinio. Dopo l’omicidio, abitualmente, non avverte la necessità di abusare ulteriormente del cadavere: diversamente da altri tipi di serial killer, egli non procede infatti a esperimenti sessuali, mutilazioni del corpo, disposizione del cadavere in varie pose ecc. Una volta uccisa la vittima, considera compiuta la sua missione e si limita ad abbandonare la scena del crimine. Su quest’ultima resteranno ben pochi indizi di natura materiale: questo omicida seriale, infatti, pianifica prima del delitto l’uccisione, e il suo piano, ben chiaro nella sua fantasia, prevede ogni possibile dettaglio utile a evitare di essere scoperto. Il serial killer “edonista” Il serial killer “edonista” uccide per ottenere piacere. L’edonismo va qui

inteso come una serie di atti aggressivi e violenti, agiti per procurarsi gratificazioni sessuali, personali oppure finanziarie. Come indicato a p. 105, Ronald e Stephen Holmes distinguono tre tipi di serial killer “edonista”: – orientato alla ricerca del piacere sessuale – orientato alla ricerca del brivido – orientato alla ricerca del tornaconto personale Il serial killer “edonista” orientato alla ricerca del piacere sessuale Il serial killer “edonista” orientato alla ricerca del piacere sessuale connette, attraverso le sue azioni, il piacere sessuale alla morte. La sua motivazione centrale è il sesso: egli sviluppa un’intensa fantasia sessuale violenta, che rappresenta la motivazione di base per l’esecuzione dei crimini. MOTIVAZIONI E ASPETTATIVE.

Questo tipo di assassino è motivato, come si è detto, dal sesso, un fattore potente in lui, che lo obbliga ad agire quando la coazione sessuale reclama soddisfazione. Egli sviluppa fantasie di estrema intensità, che gli forniscono, tra l’altro, un rituale per gli atti predatori perpetrati sulla vittima. Le sue motivazioni scaturiscono da un bisogno interiore di uccidere e di soddisfare i propri meccanismi compulsivi. Egli uccide per ragioni psicologiche, soddisfa con gli omicidi le sue necessità sessuali violente. Non è uno psicotico, quindi mantiene uno stretto contatto con la realtà. Torturare e uccidere le vittime, accompagnando a questi atti l’elemento concomitante della sessualità, appaga il suo bisogno di gratificazione personale. SCHEMI DI COMPORTAMENTO OMICIDA

Tabella 6.5 Scena del crimine del serial killer “edonista” orientato alla ricerca del piacere sessuale scena del delitto controllata



scena del crimine caotica

no

spostamento del corpo



strangolamento



overkill



tortura



necrofilia



sesso aberrante



penetrazione col pene



penetrazione con oggetti



arma lasciata sulla scena del crimine

no

arma violenta



arma di tortura



relazione con la vittima

no

vittima specifica



vittima conosciuta

no

Tabella 6.6 Caratteristiche specifiche del crimine del serial killer “edonista” orientato alla ricerca del piacere sessuale tipi specifici vittime

selezione non casuale estranei focalizzato sul processo

metodo

pianificato organizzato

luoghi dell’omicidio SELEZIONE DELLA VITTIMA.

concentrati

Il serial killer orientato alla ricerca del piacere

sessuale ha un tipo ideale di vittima che lo eccita sessualmente. Quest’ultima deve in qualche modo risultare sessualmente attraente per l’assassino: può trattarsi del colore dei capelli, della corporatura o di qualunque altra caratteristica esteriore giudicata tale dal serial killer. Le persone che possiedono le caratteristiche considerate indispensabili dall’assassino vengono automaticamente inserite nella categoria di vittime ideali. Quando una vittima “ideale” viene avvistata durante la “caccia”, il serial killer inizia a “braccarla”; l’atto predatorio non tarda a verificarsi, e l’assassino ottiene così la sua gratificazione sessuale. METODI DI OMICIDIO.

Il serial killer orientato alla ricerca del piacere sessuale è organizzato: generalmente, si è preparato a commettere i suoi crimini durante complesse fantasie maturate nel corso degli anni. Queste fantasie forniscono il copione di comportamenti che il serial killer ha mentalmente replicato e perfezionato infinite volte. Egli ha bisogno di un contatto di tipo fisico con la vittima. Questo può avvenire sotto forma di un brutale assalto, realizzato con un’arma impugnabile come il coltello, oppure con lo strangolamento, che esige un contatto diretto con la vittima. Talvolta l’assassino introduce degli oggetti nei vari orifizi della vittima o li penetra con essi; questo assassino è dedito con una certa frequenza ad atti di necrofilia. RIFERIMENTI GEOGRAFICI.

Il serial killer orientato alla ricerca del piacere sessuale, una volta giunto in un luogo, bracca le sue vittime in un raggio relativamente ristretto. Questo assassino tuttavia viaggia e si sposta, non solo per procurarsi le vittime, ma anche per confondere le forze dell’ordine. Serial killer “edonista” orientato alla ricerca del brivido Il serial killer “edonista” orientato alla ricerca del brivido vuole ottenere, attraverso le sue azioni sulla vittima, piacere personale e/o sessuale. Per raggiungere il suo scopo, ha bisogno di una vittima cosciente che capisca quello che le sta succedendo e che, in quel momento, “il padrone” della sua vita è lui. Per questo motivo il serial killer ha bisogno che la vittima resti in vita il più a lungo possibile, prima di essere uccisa. L’assassino ha bisogno di compiere tutta una serie di atti di tortura sulla vittima cosciente, atti che

terminano con la morte della persona quando egli è stanco di “giocare” con lei. MOTIVAZIONI E ASPETTATIVE.

Il serial killer orientato alla ricerca del brivido, per procurarsi sensazioni estreme, ha bisogno di provare tutta l’eccitazione scaturita da una serie di atti di sadismo che si concluderanno con l’uccisione di una vittima rimasta, sino a quel momento, in vita. Affinché egli possa provare il senso di gratificazione di cui ha bisogno e possa considerare raggiunto lo scopo dell’omicidio, la vittima deve dunque restare cosciente per un certo periodo di tempo. Quando infine viene uccisa, l’assassino perde qualunque interesse verso quello specifico omicidio, e si libera del corpo della vittima. Questo serial killer trae la maggior parte del piacere dal processo stesso che precede l’uccisione, più che dall’assassinio della vittima in se stesso. Un omicidio scatenato dalla ricerca del brivido comporta, quindi, che gli atti che portano all’uccisione della vittima siano prolungati e protratti nel tempo. SCHEMI DI COMPORTAMENTO OMICIDA

Tabella 6.7 Scena del crimine del serial killer “edonista” orientato alla ricerca del brivido scena del delitto controllata



scena del crimine caotica

no

spostamento del corpo



strangolamento



overkill

no

tortura



necrofilia

no

sesso aberrante



penetrazione col pene



penetrazione con oggetti



arma lasciata sulla scena del crimine

no

arma violenta



arma di tortura



relazione con la vittima

no

vittima specifica



vittima conosciuta

no

Tabella 6.8 Caratteristiche specifiche del crimine del serial killer “edonista” orientato alla ricerca del brivido tipi specifici vittime

vittime “braccate” estranei focalizzato sul processo

metodo

pianificato organizzato

luoghi dell’omicidio SELEZIONE DELLA VITTIMA.

dispersi e geograficamente predisposti

Il serial killer orientato alla ricerca del brivido non ha alcuna relazione con la vittima, e in genere non la conosce affatto. Questo assassino seleziona attentamente qualcuno che possieda determinate caratteristiche fisiche, rispondenti alle sue fantasie. Può anche accadere che il serial killer abbia “braccato” la sua vittima per un determinato periodo di tempo (da pochi minuti a diverse settimane). Tra le caratteristiche che attirano questo assassino possono ricorrere il colore dei capelli, la corporatura, l’occupazione, l’abbigliamento o altro ancora: si tratta comunque di elementi visibili, di tratti fisici che attirano il killer verso il bersaglio prefissato.

METODI DI OMICIDIO.

Il serial killer orientato alla ricerca del brivido prova fantasie di totale dominio e controllo della vittima, che si rifletteranno nel metodo di omicidio. Gli atti omicidiari vengono protratti per un certo periodo di tempo, e il godimento che l’assassino prova nell’uccidere nasce in parte proprio dal dolore e dalla sofferenza della vittima. Questo serial killer non trae una gratificazione personale di tipo sessuale tanto dal dolore inflitto alla vittima, quanto piuttosto dalla possibilità di pregustare le sofferenze indotte nella vittima con le sue torture. La tortura avviene prima della morte della vittima, e non vi sono segni di necrofilia. Le armi del serial killer sono quelle che egli ha attentamente scelto per “portare a termine il lavoro”. Avrà grande cura dei suoi strumenti di tortura, perché essi esaudiscono le sue fantasie. Alcuni strumenti possono risultare adatti a essere inseriti negli orifizi delle vittime. Simili oggetti appagano le sue fantasie sull’atto predatorio. RIFERIMENTI GEOGRAFICI.

Il serial killer orientato alla ricerca del brivido viaggia alla ricerca delle sue vittime. Dopo aver incontrato la sua vittima ideale, questa viene rapita e condotta in un posto che si trova all’interno del “territorio favorito” del serial killer; qui la persona viene torturata e uccisa. Solitamente l’assassino abbandona il corpo della vittima in un luogo diverso sia dal luogo in cui l’ha incontrata, sia dal luogo in cui l’ha torturata e uccisa. Serial killer “edonista” orientato alla ricerca del tornaconto personale Il serial killer “edonista” orientato alla ricerca del tornaconto personale uccide per ricavare un profitto materiale dall’omicidio. Questo assassino solitamente agisce per ragioni legate a guadagni economici e/o ad altri incentivi di natura materiale ottenibili con l’omicidio, e uccide conoscenti o membri della famiglia (spesso conviventi, mariti, mogli), per incassare eredità o per riscuotere il denaro dei premi assicurativi. Nel serial killer orientato alla ricerca del tornaconto personale, l’atto dell’omicidio è subordinato alla realizzazione di scopi che possono tradursi in guadagni materiali. Il principale obiettivo di questo assassino è, infatti, quello di raggiungere il benessere economico e di esercitare sulle circostanze esterne un controllo sufficiente a permettergli di MOTIVAZIONI E

ASPETTATIVE.

condurre una vita agiata. Questo tipo di serial killer non ama ostentare in modo aperto e vistoso i propri omicidi, anzi, la maggior parte di questi assassini predilige uccidere con calma, qualora la situazione lo permetta. SCHEMI DI COMPORTAMENTO OMICIDA

Tabella 6.9 Scena del crimine del serial killer “edonista” orientato alla ricerca del tornaconto personale scena del delitto controllata



scena del crimine caotica

no

spostamento del corpo

no

strangolamento

no

overkill

no

tortura

no

necrofilia

no

sesso aberrante

no

penetrazione col pene

usualmente no

penetrazione con oggetti

no

arma lasciata sulla scena del crimine



arma violenta

no

arma di tortura

no

relazione con la vittima



vittima specifica



vittima conosciuta



Tabella 6.10 Caratteristiche specifiche del crimine del serial killer “edonista” orientato alla ricerca del tornaconto personale

vittime

tipi aspecifici selezione non casuale relazione con le vittime focalizzato sull’atto

metodo

pianificato organizzato

luoghi dell’omicidio

concentrati e geograficamente centralizzati

SELEZIONE DELLA VITTIMA.

Il serial killer orientato alla ricerca del tornaconto personale non uccide in modo casuale. Questo assassino effettua una selezione accurata delle sue vittime, spesso traendo spunto da un rapporto di amicizia, di convivenza o da un vincolo di matrimonio. Le sue vittime potrebbero anche essere partner d’affari o persone in grado di fornire all’assassino l’opportunità di un guadagno finanziario. METODI DI OMICIDIO. Il serial killer orientato alla ricerca del tornaconto personale sceglie un metodo di omicidio pianificato, organizzato e focalizzato sull’atto. Seleziona le vittime che lo condurranno all’esito desiderato e spesso dedica molto tempo alla scelta della vittima e del modo di ucciderla. Egli potrà utilizzare metodi ad azione lenta (es. un veleno) oppure ad azione rapida (es. simulare un incidente). La scena del crimine di questo assassino è organizzata, in modo da ostacolare eventuali indagini sul delitto. RIFERIMENTI GEOGRAFICI. Il serial killer orientato alla ricerca del tornaconto personale tende a vivere in una determinata area, e a rimanervi. Questo assassino non è un “nomade”: nei suoi omicidi, dunque, ucciderà le sue vittime e si libererà dei loro cadaveri nella medesima area. Serial killer “orientato al controllo e al dominio” Il serial killer “orientato al controllo e al dominio” desidera soggiogare totalmente la sua vittima: questo tipo di omicida seriale, infatti, ama l’idea che il destino di quest’ultima sia totalmente nelle sue mani, e trae la sua

gratificazione personale dallo stato di controllo assoluto da lui esercitato su un altro essere umano. Egli è alla continua ricerca del potere sulla vittima. Il potere è qui inteso come la capacità di controllare il comportamento altrui in base ai desideri o alle esigenze di una figura dominante. Quest’ultima impone – con la forza fisica, la dominazione personale, o la manipolazione psicologica – determinati comportamenti al “partner” in stato di sottomissione. Questo tipo di situazione soddisfa le fantasie di questo tipo di omicida seriale e rientra nel rituale stabilito dall’assassino per eccitarsi. MOTIVAZIONI E ASPETTATIVE. Il serial killer “orientato al controllo e al dominio” della vittima vuole ottenere un potere e un controllo completi sul destino della vittima. La sua massima soddisfazione deriva dal potere di vita e di morte, completo e definitivo, di cui lui soltanto può godere tramite le azioni compiute sulla vittima. Egli ha un’immaginazione profonda e ricca, il che spingerà l’omicida a compiere atti sempre più atroci sulla vittima. SCHEMI DI COMPORTAMENTO OMICIDA

Tabella 6.11 Scena del crimine del serial killer “orientato al controllo e al dominio” scena del delitto controllata



scena del crimine caotica

no

spostamento del corpo



strangolamento



overkill

no

tortura



necrofilia



sesso aberrante



penetrazione col pene



penetrazione con oggetti

no

arma lasciata sulla scena del crimine

no

arma violenta



arma di tortura



relazione con la vittima

no

vittima specifica



vittima conosciuta

no

Tabella 6.12 Caratteristiche specifiche del crimine del serial killer “orientato al controllo e al dominio” tipi specifici vittime

vittime “braccate” estranei focalizzato sul processo

metodo

pianificato organizzato

luoghi dell’omicidio SELEZIONE DELLA VITTIMA.

dispersi e geograficamente predisposti

Il serial killer “orientato al controllo e al dominio” non ha alcuna relazione con la vittima, e in genere non la conosce affatto. Questo assassino seleziona attentamente una vittima che possiede determinate caratteristiche fisiche, rispondenti alle sue fantasie. Può anche darsi che abbia “braccato” la sua vittima per un determinato periodo di tempo. METODI DI OMICIDIO. Il serial killer “orientato al controllo e al dominio” della vittima è interamente concentrato sul processo omicida. Le fantasie di totale dominio e controllo della vittima si rifletteranno nel metodo di omicidio. Gli atti omicidiari vengono protratti per un certo periodo di tempo, e il godimento che l’assassino prova deriva dal potere di vita e di morte, completo e definitivo, di cui lui soltanto può godere tramite le azioni

compiute sulla vittima. Questo serial killer trae una gratificazione personale dal sentirsi come una divinità agli occhi della vittima. RIFERIMENTI GEOGRAFICI. Il serial killer “orientato al controllo e al dominio” della vittima ha i mezzi fisici e le capacità mentali per spostarsi da un luogo all’altro per le sue uccisioni. Sebbene non abbia bisogno di percorrere grandi distanze per trovare vittime, questo omicida seriale è itinerante, allo scopo di confondere le indagini di polizia. 6.4. Serial killer di genere femminile: la classificazione di Ronald e Stephen Holmes Mastronardi (et al., 2009), già citato professore di psicopatologia forense presso l’Università La Sapienza di Roma, dopo aver studiato 2228 serial killer di tutto il mondo, così delinea il profilo della donna serial killer: – commette il primo omicidio fra i 30 i 40 anni – trascorre mediamente 8 anni prima di essere scoperta – preferisce uccidere vittime conosciute (parenti, amici ecc.) – sceglie indifferentemente vittime di entrambi i sessi – sceglie vittime che sono già deboli e indifese (bambini, anziani, malati, ecc.) – ha un atteggiamento attendista e tende a una certa stanzialità – usa armi che impediscono contatti fisici con le vittime (veleno, farmaci ecc.) – sceglie l’arma in base all’opportunità – non si eccita con il sangue e non effettua manipolazioni del cadavere – non si interessa alle indagini – ha una capacità molto sviluppata di mantenere una “facciata” normale nella vita quotidiana – dimostra una prevalenza di comportamenti di fuga nell’adolescenza – ha una sessualità precoce, marcata e promiscua nel periodo evolutivo Per quanto riguarda gli assassini seriali di genere femminile Ronald e

Stephen Holmes (2000 e 2009) hanno distinto cinque tipologie principali di serial killer: – la serial killer “discepola” – la serial killer “orientata al tornaconto personale” – la serial killer “allucinata” – la serial killer “edonista” – la serial killer “orientata al dominio” L’esame delle varie tipologie presentato nelle prossime pagine fa riferimento agli studi di Ronald e Stephen Holmes sopra citati. La serial killer “discepola” Uccide sotto il comando del leader carismatico del gruppo al quale si è affiliata. In questo caso, gli incentivi che l’assassina riceve sono di natura psicologica: il riconoscimento personale della donna da parte del suo “idolo”. Alla scelta delle vittime provvede in genere il leader maschile: l’omicidio, quindi, rifletterà più i desideri di quest’ultimo che quelli di chi commette materialmente l’atto. La serial killer “orientata al tornaconto personale” Uccide per ricavare il proprio vantaggio personale: denaro, benefici assicurativi o interessi d’affari. Questa donna offender costituisce il tipo prevalente di serial killer femminile. È spinta da ragioni materiali a commettere gli omicidi e uccide abitualmente persone di sua conoscenza, dalla cui morte può ottenere dei vantaggi materiali. La serial killer “allucinata” Ha caratteristiche simili al suo omologo maschile, soffre di un distacco dalla realtà, ode voci e ha delle visioni. La motivazione dei delitti di questa donna offender è psicopatologica: tende ad attaccare spontaneamente e velocemente la vittima, a volte in base alla descrizione fornita dalla visione. La serial killer “edonista” Uccide perché stabilisce una relazione diretta tra l’assassinio e la sua personale gratificazione, talvolta di natura sessuale. Questa donna offender è

la meno compresa e rappresentata di tutte le serial killer. Ha stabilito una connessione cruciale tra la tortura, il sesso e l’omicidio e solitamente compie le sue torture e i suoi omicidi assieme a un partner dominante. La serial killer “orientata al dominio” Uccide per provare una sensazione di potere inteso come la forma più estrema di dominio esercitata da un individuo su un altro. Questa donna offender agisce generalmente in ambito medico e/o ospedaliero, arrivando ad avvelenare le vittime e facendole ristabilire. Il paziente poi verrà ucciso e l’offender, in genere una donna medico o un’infermiera, passerà a un’altra vittima. Queste criminali ricevono in genere una soddisfazione psicologica a seguito del loro operato, anche solo l’elogio dei superiori e/o la gratitudine del paziente e della sua famiglia. Come nella “Sindrome di Münchausen per procura” queste donne offender rilanciano temporaneamente il loro ridotto senso di autostima e la percezione della propria mancanza di valore calandosi in situazioni di vita e di morte, come quelle riscontrabili in un reparto di pronto soccorso, in una sala operatoria, o in un’unità per la terapia d’urgenza. 6.5. Serial killer che stuprano: la classificazione di Keppel Secondo Robert Keppel (1999), già investigatore criminale capo del Washington State Attorney General’s Office, i serial killer si possono distinguere in: 1. power assertive rape-murder (potere/assertivo) 2. power reassurance rape-murder (potere/rassicurazione) 3. anger retaliatory rape-murder (rabbia/rappresaglia) 4. anger excitation rape-murder (rabbia/eccitazione) Serial killer per potere/assertivo (power/assertive) – inizia la sua carriera intorno ai 20 anni – ama dare agli altri un’immagine da macho – generalmente è percepito come un antisociale – presenta episodi di abbandono scolastico e precedenti per reati

contro il patrimonio – lo stupro è pianificato, ma non l’omicidio – l’omicidio è un evento non calcolato ed è una conseguenza della escalation di violenza durante lo stupro – seleziona vittime che non conosce sulla base dell’opportunità – la scena del crimine riflette un approccio organizzato scena del crimine

caratteristiche distintive

vittima sconosciuta sesso ante mortem non deturpa la vittima distruzione delle prove arma scelta precedentemente presenza di sperma utilizzo di coltelli

alcol/droga furto con scasso macchina nuova alta dispersione scolastica carriera militare

Serial killer per potere e rassicurazione (power/reassurance) – ha tra i 20 anni e i 30 anni – coltiva fantasie di stupro – è socialmente isolato con una storia limitata di attività sessuale – le sue vittime tendono a essere di 10/15 anni più giovani di lui – lo stupro è pianificato, mentre l’omicidio no – spesso si osserva overkill – l’aggressione serve a soddisfare i suoi impulsi sessuali devianti – offende e intimidisce la vittima per ottenerne il controllo – l’omicidio avviene quando la sua competenza sessuale è minacciata oppure quando non riesce a terminare lo stupro – usa come metodi di uccisione le percosse e lo strangolamento – si osserva attività “esplorativa” post mortem e mutilazione del cadavere – la scena del crimine è disorganizzata. scena del crimine

caratteristiche distintive

vittima sconosciuta sesso ante mortem utilizzo del coltello vittima conosciuta casualmente deturpazione del cadavere utilizzo di armi lesioni post mortem presenza di comportamenti rituali vittima pedinata arma preselezionata

furto con scasso vecchia automobile feticista carriera militare pornografia trattamento psichiatrico single voyeur

Serial killer per rabbia/rappresaglia (anger/retaliatory) – vicino ai 30 anni – con relazioni limitate e superficiali – difficilmente in grado di stabilire una relazione a causa della rabbia – personalità esplosiva – precedenti per aggressioni – le sue vittime tendono a essere più vecchie di lui, selezionate in una comfort zone dove lui può muoversi a piedi – il suo crimine riflette rabbia per le vittime che sono un sostituto simbolico (es. una donna che lo criticava) – lo stupro e l’omicidio sono pianificati – porta via souvenir dalla scena del crimine, per riviverlo scena del crimine

caratteristiche distintive

vittima sconosciuta sesso ante mortem utilizzo del coltello deturpazione del cadavere volto coperto familiare alla vittima amico della vittima lesioni ante mortem acquisizione di souvenir corpo lasciato sulla scena del crimine primaria utilizzo di armi

disturbo domestico alta dispersione scolastica sposato o single vicino di casa università non terminata

Serial killer per rabbia eccitazione (anger/excitation)

– commette il primo omicidio a 35 anni circa – pubblicamente appare un marito convenzionale, con intelligenza media e spesso è ben inserito in una rete sociale – la sua vita interiore e privata riflette i temi del sadismo – colleziona materiale pornografico inerente sadismo e bondage – vittime sconosciute – omicidio e stupro ben pianificato – vuole torturare e infliggere dolore e paura alle vittime per soddisfare le sue fantasie – quello che importa per lui è il “processo dell’uccisione” non la morte della vittima – prende souvenir e trofei per rivivere l’aggressione e masturbarsi ripensando alla violenza commessa scena del crimine vittima sconosciuta utilizzo del coltello abbigliamento tagliato vittima trovata nuda vittima torturata corpo legato, corpo sepolto, corpo bruciato, corpo spostato lesioni ante mortem e post mortem inserimento di oggetti nella vagina sesso ante mortem e post mortem acquisizione di trofei smembramento del cadavere

caratteristiche distintive occupato alto grado scolastico carriera militare sposato utilizzo di pornografia diploma postlaurea laurea

UN ESEMPIO DI SERIAL KILLER EDONISTA ORIENTATO AL PIACERE SESSUALE

nome Theodore Robert Cowell, Theodore Bund soprannome il serial killer di Seattle luogo degli omicidi diversi luoghi degli Stati Uniti periodo degli omicidi 1974-1978 numero vittime 30 + modus operandi ingannava le vittime per farle salire in auto, le violentava e le torturava Theodore Robert Cowell, poi Theodore Bundy, soprannominato “Ted”,

durante gli anni ’70 e ’80 uccise numerose donne in diverse località degli Stati Uniti d’America. Nel 1974 una ragazza di diciotto anni fu la sua prima vittima accertata. La ragazza divideva un appartamento a Seattle con diverse compagne, quando lei non scese per la colazione queste andarono a chiamarla. Entrando nella stanza le studentesse videro la giovane in una pozza di sangue; una delle doghe del letto era stata spezzata e usata per picchiarla sul viso e sulla testa ed era stata poi conficcata nella vagina. La ragazza nonostante le gravi ferite respirava ancora, ma andò in coma prima dell’arrivo dei soccorsi, e in seguito alle gravi ferite non ricordava nulla dell’accaduto. Un mese dopo un’altra ragazza scomparve da una villetta di Seattle. Diverse macchie di sangue furono trovate sul letto, mentre le lenzuola e il cuscino erano scomparsi; il suo corpo non fu trovato. Nei mesi seguenti almeno altre cinque ragazze scomparvero in circostanze misteriose tra gli stati di Utah, Oregon e Washington. Sempre nel 1974 i resti di una ragazza furono ritrovati in un parco; a causa dello stato in cui furono ritrovate le sue spoglie non si riuscì a stabilire la causa della morte. Appena due mesi dopo, in un parco nelle vicinanze di Washington, vennero trovati i resti di altre due ragazze scomparse pochi mesi prima. In questo periodo iniziarono ad arrivare alla polizia delle segnalazioni su Ted Bundy, che però non furono prese in considerazione: il suo coinvolgimento nella politica e gli studi universitari portarono le forze dell’ordine a escluderlo dai sospetti. Dopo questi delitti Ted Bundy si spostò a studiare legge alla University of Utah e qui commise altri omicidi. Verso l’ottobre del 1974 una giovane di diciassette anni scomparve vicino a Salt Lake City. La ragazza fu ritrovata nuda, e risultò essere stata picchiata, stuprata, sodomizzata e strangolata con le sue stesse calze; sporcizia e rametti erano stati infilati nella sua vagina e sembrava che l’assassino l’avesse truccata prima di abbandonare il suo cadavere. Nello stesso mese un’altra ragazza di diciassette anni scomparve, sempre nello Utah. Nel novembre 1974 Bundy avvicinò una donna in un centro commerciale, l’uomo si presentò travestito da agente per farsi seguire al commissariato. La donna salì sull’auto di Bundy ma l’uomo allontanatosi dall’abitato fermò la macchina, tirò fuori una pistola e le ammanettò un polso. La donna però riuscì a liberarsi e a fuggire e si fece portare dalla polizia per sporgere denuncia. Poche ore dopo l’aggressione al centro commerciale, a sole diciassette miglia di distanza, una ragazzina scomparve all’uscita della scuola. La ragazza era uscita in anticipo dalla

lezione di teatro per andare a prendere a scuola il fratellino, ma la sua auto non lasciò mai il parcheggio. L’insegnante di recitazione testimoniò che un uomo aveva avvicinato la ragazzina dicendole che era successo qualcosa alla sua auto nel parcheggio della scuola. Un altro testimone raccontò di aver visto un Maggiolino Volkswagen allontanarsi velocemente dal parcheggio. Nell’agosto del 1975 un poliziotto ferma l’auto di Bundy perché correva troppo. Durante la perquisizione della macchina vengono trovati una spranga, un passamontagna, un rompighiaccio e delle manette. Bundy viene quindi arrestato, ma mentre si cerca di collegarlo ai delitti riesce a scappare dalla finestra della stazione di polizia. Bundy viene ripreso sei giorni più tardi, arrestato riesce però nuovamente a scappare dal carcere nel 1997 per raggiungere la Florida. Nel gennaio del 1978 Bundy entra nella sede di un gruppo studentesco universitario dove uccide due ragazze ventenni. Le donne erano state picchiate e strangolate, a una di loro Bundy aveva infilato una bomboletta nella vagina e nell’ano. Altre due ragazze furono ferite gravemente, Bundy spaccò loro i denti e le ossa, ma ciononostante sopravvissero. Un mese dopo i genitori di una dodicenne di Lake City denunciarono la scomparsa della ragazzina. Il suo cadavere fu trovato barbaramente martoriato otto giorni dopo, in un parco delle vicinanze. Due testimoni riuscirono a prendere il numero di targa della macchina su cui avevano visto salire la ragazza e a identificare Ted Bundy dalle foto segnaletiche. Pochi giorni dopo Ted Bundy venne nuovamente fermato dalla polizia alla guida dell’auto, e dopo una colluttazione con un poliziotto fu arrestato. Tra il 1979 e il 1980 in Florida si tenne il processo contro di lui, che si concluse con la condanna a morte alla sedia elettrica.

7. STUPRATORI

Due cose mi hanno sempre sorpreso: l’intelligenza degli animali e la bestialità degli uomini. Tristan Bernard

Il rapist (stupratore) è un soggetto che pratica la conoscenza carnale di una donna contro la sua volontà (Douglas et al., 2008). Tra le violenze a sfondo sessuale rientrano anche i tentati stupri, le aggressioni sessuali, così come i crimini che non implicano un contatto fisico diretto, le molestie. Sempre maggiori sono le evidenze di violenze sessuali attuate anche nei confronti degli uomini Ronald e Stephen Holmes (1996) tracciano un profilo degli stupratori, che si può così riassumere: – violentano mediamente 14 vittime prima di essere catturati; – mettono in atto una violenza crescente con ogni assalto; – attuano più del 50% delle violenze a casa della vittima, mentre il 25% avviene in una zona pubblica e il 25% in un garage; – nel 93% dei casi violentano una donna della stessa etnia; – nel 50% dei casi violentano la vittima sotto l’effetto di alcool o droghe; – nel 33% dei casi utilizzano un’arma di qualche tipo; – nel 50 % dei casi oltre alla violenza causano ferite multiple alla vittima. 7.1. La classificazione di Hazelwood Secondo Robert Hazelwood (Hazelwood, Burgess, 2001), ex agente speciale della Behavioral Science Unit del Federal Bureau of Investigation, gli stupratori si possono distinguere in:

– stupratore “compensatore” – stupratore “dominatore” – stupratore “rabbioso” – stupratore “sadico” Le descrizioni che seguono fanno riferimento allo studio sopra citato di Hazelwood e Burgess (2001), nonché a Zappalà e Bosco (2008). Rapist “compensatore” Lo stupratore “compensatore” cerca di rassicurare se stesso della propria virilità, di cui dubita fortemente, esercitando un controllo fisico sulle donne (cfr. le tabelle 7.1 e 7.2). MOTIVAZIONE. Il sentimento di inadeguatezza sessuale e la bassa autostima spingono questo stupratore al reato sessuale, nella convinzione, ovviamente distorta, che la vittima proverà piacere e si innamorerà di lui dopo il rapporto. L’esperienza del controllo sulla vittima lo rassicura e lo rinforza. Il suo comportamento sessuale è espressione di intense fantasie erotiche. CARATTERISTICHE SOCIOPSICOLOGICHE. Il grado di istruzione e il tipo di occupazione sono di basso livello. Possono essere presenti disturbi dell’orientamento sessuale, disturbi dell’identità di genere e parafilie. Non ha relazioni significative e spesso vive con i genitori. TIPOLOGIA DELLE VITTIME. Le vittime sono generalmente della stessa etnia e fascia d’età dell’aggressore, e gli sono sconosciute. MODUS OPERANDI. Non è eccessivamente violento. Pedina la vittima e utilizza per avvicinarla un approccio amichevole. L’aggressione, di breve durata, avviene di solito la sera tardi o al primo mattino; a volte, l’aggressore sottrae un oggetto alla vittima, con funzione di “souvenir”. Questo stupratore cerca attivamente di coinvolgere la vittima, agisce utilizzando al minimo la forza, fa dei complimenti alla vittima per farla sentire a suo agio e cerca di calmarla quando si agita. Generalmente, dopo l’aggressione si scusa con la vittima. INDICAZIONI INVESTIGATIVE. È geograficamente stabile: la sua residenza o il luogo dove lavora sono prossimi alla zona delle aggressioni. Tabella 7.1. Caratteristiche sociopsicologiche dello stupratore “compensatore” è single

usa la pornografia

vive con i genitori

voyerista

non ha una partner sessuale

esibizionista

non è atletico

feticista

non è ben adattato socialmente

a volte può praticare il travestitismo

ha una reputazione da perdente

ha una madre dominante

Tabella 7.2. Lo stupratore “compensatore” e il suo crimine usa un approccio amichevole con le vittime oppure le aggredisce mentre dormono aggredisce vittime sole o con bambini piccoli aggredisce le vittime in luoghi conosciuti del vicinato (case, appartamenti ecc.), oppure all’interno di luoghi chiusi (ascensori, automobili ecc.) dove può controllare facilmente la vittima.

cerca di instaurare un rapporto con la vittima

usa il minimo indispensabile di violenza per commettere l’aggressione

in alcuni casi copre il volto della vittima durante l’aggressione

in alcuni casi essere impotente

può

solitamente prende dei souvenir della vittima in alcuni casi può tenere un diario delle aggressioni in alcuni casi può tentare di ricontattare la vittima dopo l’aggressione sì muove a piedi in cerca dei luoghi in cui compiere le aggressioni continua ad agire fino alla cattura

Rapist “dominatore” Lo stupratore “dominatore”, meno comune e più violento del precedente, aggredisce per affermare la propria virilità, sulla quale non nutre dubbi. Per questo aggressore, la cosa più importante è che gli altri lo considerino un campione di virilità (cfr. le tabelle 7.3 e 7.4). MOTIVAZIONE. Considera l’aggressione sessuale come un modo per esprimere la propria virilità, forza e autorità; egli, infatti, desidera possedere sessualmente la vittima per mostrare la sua potenza.

CARATTERISTICHE SOCIOPSICOLOGICHE.

La famiglia d’origine è problematica: l’aggressore può essere stato a sua volta vittima di violenza, psicologica e/o fisica, quando era piccolo. Questo aggressore esprime la sua idea stereotipata di virilità anche nell’abbigliamento e/o con la propria auto. TIPOLOGIA DELLE VITTIME. Hanno la stessa età del criminale e sono selezionate in base alla loro vulnerabilità e accessibilità. Tabella 7.3. Caratteristiche sociopsicologiche dello stupratore “dominatore” ha avuto matrimoni

numerosi

ha problemi familiari

ha un lavoro da macho ha un’auto alla moda

ha avuto una sola figura genitoriale è atletico e pratica diversi sport

frequenta bar e locali per single per incontrare le vittime ha delle condanne per crimini contro la proprietà (violazione di domicilio, ecc.)

dà di sé un’immagine da macho Tabella 7.4. Lo stupratore “dominatore” e il suo crimine usa un approccio di tipo confidenziale con la vittima per poi attaccarla verbalmente e fisicamente in modo brutale

la vittima viene legata e dominata durante l’aggressione

seleziona le vittime in bar e locali notturni

la vittima subisce attacchi sessuali multipli

seleziona le vittime della stessa età e della stessa etnia

l’aggressore assume sostanza alcoliche prima, durante e dopo l’aggressione

aggredisce le vittime all’aperto, in una zona che conosce, vicino al luogo in cui vive o lavora

le aggressioni avvengono generalmente tra le 19 e l’1

non cerca di instaurare un rapporto con la vittima

MODUS OPERANDI.

le aggressioni avvengono generalmente ogni 20-25 giorni

Avvicina le persone con un approccio amichevole e

confidenziale, per poi passare rapidamente a una modalità più aggressiva e violenta, arrivando infine a umiliare e degradare la vittima. INDICAZIONI INVESTIGATIVE. Non temendo di essere arrestato, compie errori e lascia diverse tracce. La quota di aggressività agita da questo soggetto durante le violenze aumenta nel corso degli episodi successivi: questo potrà favorire la raccolta di prove e di testimonianze da parte degli investigatori. Rapist “rabbioso” Lo stupratore “rabbioso” impiega un livello di violenza maggiore del precedente. Questo soggetto odia le donne per motivi reali o presunti, e occasionalmente si scaglia contro qualcuna di esse (cfr. le tabelle 7.5 e 7.6). MOTIVAZIONE. La rabbia nei confronti delle donne è la motivazione principale che spinge questo stupratore a compiere i suoi crimini; le aggressioni permettono di vendicare i torti, immaginari o realmente subiti dalle donne nel corso della sua vita. CARATTERISTICHE SOCIOPSICOLOGICHE. La famiglia d’origine è problematica. Generalmente sposato (solitamente la moglie non è vittima di violenze sessuali), questo tipo di stupratore è socialmente competente; può avere relazioni extraconiugali. Ama e pratica sport che gli permettano di dimostrare la sua atleticità e virilità. Tabella 7.5. Caratteristiche sociopsicologiche dello stupratore “rabbioso” è sposato

è ben adattato socialmente

ha genitori divorziati

ha un lavoro

ha una partner sessuale (con cui non è violento) è atletico e pratica diversi sport

odia le donne frequenta bar e locali per incontrare le vittime

Tabella 7.6. Lo stupratore “rabbioso” e il suo crimine usa un approccio tipo blitz con la vittima aggredisce delle vittime sole (tra queste possono esserci anche prostitute o persone anziane)

il suo scopo è punire e degradare una donna che diviene una vittima simbolica l’aggressione avviene in uno schema di situazioni precipitanti l’attacco

aggredisce le vittime all’aperto, vicino alla zona in cui vive non cerca di instaurare un rapporto con la vittima usa la violenza e commette atti sessuali degradanti con la vittima durante l’aggressione

ha un basso grado di organizzazione.

usa armi d’opportunità le aggressioni avvengono generalmente ogni sei mesi – un anno

TIPOLOGIA DELLE VITTIME.

Le vittime gli sono sconosciute; della stessa età o più anziane, rimandano simbolicamente alle donne autrici dei “torti” subiti dal soggetto. MODUS OPERANDI. Attua un attacco rapido, non pianificato, in prossimità della propria abitazione. L’aggressore utilizza la forza fisica e armi di opportunità per avere successo nello stupro. L’attacco è di breve durata e sessualmente violento, il linguaggio utilizzato nei confronti della vittima è ostile e rabbioso. INDICAZIONI INVESTIGATIVE. La violenza può essere innescata da un evento significativo accaduto nella vita dello stupratore poco prima dell’aggressione, per esempio l’ennesimo torto, reale o immaginario, subito da una donna. Ciò è da prendere in considerazione quando si stanno interrogando eventuali sospettati delle aggressioni. Rapist “sadico” Lo stupratore “sadico” è un aggressore rabbioso in cerca di eccitazione. Meno comune dei precedenti, è il più pericoloso di tutti, perché si eccita e sfoga la sua rabbia tormentando e torturando la vittima fino a causarne la morte (cfr. le tabelle 7.7 e 7.8). MOTIVAZIONE. Alla base dei gesti compiuti vi è un’erotizzazione dell’aggressività. La sofferenza inflitta e la paura manifestata dalla vittima sono la principale forma di gratificazione sessuale che il soggetto conosce. CARATTERISTICHE SOCIOPSICOLOGICHE. Manca di empatia e tende a essere indifferente, cinico e sprezzante nei confronti degli altri; presenta un quadro pervasivo di inosservanza delle regole dalla prima adolescenza, proseguendo nell’età adulta. Offre una buona immagine di sé, che non lascia trasparire la propria natura crudele. La famiglia di origine è problematica, con un passato di abusi. Il grado di istruzione è medio e l’occupazione di tipo impiegatizio. Generalmente è sposato.

TIPOLOGIA DELLE VITTIME.

Le vittime sono donne sconosciute, considerate deboli e non aggressive. Questo aggressore non seleziona le vittime in base all’età o all’etnia, che possono essere variabili. MODUS OPERANDI. Utilizza con la vittima un approccio di tipo confidenziale, avvicinandola con scuse e gentilezze. Generalmente porta con sé un “kit da stupro” contenente attrezzature sessuali, armi e legamenti vari. Lo stupratore degrada la vittima attraverso l’uso del linguaggio e altri comportamenti vessatori. L’aggressione è protratta e avviene in un luogo che l’aggressore considera sicuro e di cui ha completo controllo. Il fine dell’aggressione è la gratificazione sessuale attraverso la sofferenza della vittima; lo stupratore può giungere a uccidere la vittima, nella ricerca di un piacere sessuale perverso ed estremo, oppure perché ritiene che questa possa identificarlo in qualche modo. Tabella 7.7. Caratteristiche sociopsicologiche dello stupratore “sadico” è sposato

ha una buona istruzione

ha problemi familiari

ha un lavoro impiegatizio

ha avuto una sola figura genitoriale o proviene da una famiglia divorziata è cresciuto in presenza di comportamenti sessuali devianti all’interno della famiglia proviene dalla classe media

ha delle condanne precedenti ha comportamenti compulsivi e maniacali durante le attività quotidiane non presenta disturbi psichici gravi

Tabella 7.8. Lo stupratore “sadico” e il suo crimine l’aggressore può pedinare e seguire la vittima, mettendo in atto condotte di stalking

la vittima viene legata e subisce atti sessuali sadici durante l’aggressione

la vittima viene catturata e trasportata in una zona tranquilla in cui avviene la violenza

l’aggressione ha caratteristiche rituali

non seleziona le vittime in base all’età o all’etnia, che possono essere, invece, variabili

il tempo tra le diverse aggressioni è variabile

l’aggressore utilizza un “kit” per compiere le violenze sulle vittime

l’aggressore può utilizzare un’automobile

non cerca di instaurare un rapporto con la vittima l’aggressore non mostra rimorsi o capacità empatiche nei confronti della vittima

l’aggressore può lavorare in coppia l’aggressore, con il procedere del tempo e con l’aumentare della violenza, può uccidere le vittime e diventare un serial killer

utilizza un linguaggio volgare e terrorizza la vittima prima dell’aggressione INDICAZIONI INVESTIGATIVE.

Considerando l’alta opinione di sé e la bassa considerazione delle forze dell’ordine che caratterizzano questo stupratore, nonché l’aumentare della sua aggressività nel corso del tempo (fino ad arrivare a uccidere le vittime, diventando un vero e proprio serial killer), è importante una tempestiva operazione di collegamento da parte degli investigatori dei casi che presentano i medesimi indizi. Talvolta, infatti, un assassino seriale ha iniziato la sua “carriera” criminale con reati di stupro. Stabilire questo collegamento tra casi permetterà, tramite l’analisi dei primi reati, di ottenere informazioni decisive sull’aggressore e sui passi falsi da lui commessi: errori da imputare soprattutto all’inesperienza criminale. 7.2. La classificazione di Ronald e Stephen Holmes Ronald Holmes e Stephen Holmes (1996) riprendono e ampliano la classificazione di Hazelwood, dividendo gli stupratori in: 1) stupratore per “compensazione” 2) stupratore per “rabbia” 3) stupratore per “potere” 4) stupratore per “sadismo” Stupratore per “compensazione” È un soggetto scarsamente dotato di competenze sociali, solitamente con un senso di autostima estremamente basso e prova sentimenti di

inadeguatezza nei confronti delle donne. SCENA DEL CRIMINE/MODALITÀ ESECUTIVE DELLO STUPRO

– Lo scopo principale dello stupro è quello di aumentare la propria autostima attraverso l’atto sessuale; si percepisce come un perdente e il fatto di dominare un altro essere umano, anche se solo per poco tempo, gli crea l’illusione di sentirsi importante. – Spesso il soggetto soffre di qualche disfunzione sessuale, la più comune è l’impotenza. – Utilizza solo la forza strettamente necessaria per sottomettere la vittima, ma la violenza può aumentare durante la prosecuzione dello stupro. – È preoccupato del benessere fisico della vittima e non le fa male intenzionalmente; durante l’atto, si autoconvince che la vittima si diverta a essere stuprata. – Chiede gentilmente alla vittima di spogliarsi e sta attento a denudare solo le parti del corpo necessarie per commettere l’azione. – Può chiedere alla donna di parlare volgarmente e insultarlo, mentre lui tende a non pronunciare oscenità quando si rivolge a lei. – Se ha bisogno di un’arma, la sceglie dalla casa della vittima, e da essa può portare via anche dei “trofei”. – Il comportamento durante lo stupro è l’espressione delle sue fantasie sessuali. – Tende a scegliere vittime della sua stessa età ed etnia, e che vivono nel suo stesso quartiere o vicino al luogo di lavoro, posti che conosce bene anche perché si sposta a piedi. – Di solito commette gli stupri di notte, in un orario compreso fra le 24 e le 5 del mattino. – Il periodo di intervallo fra uno stupro e l’altro è mediamente di 7/15 giorni. – Può contattare la vittima in un secondo momento per assicurarsi del suo stato di salute ed è talmente convinto che la donna si sia divertita a essere violentata da prometterle anche di ritornare a trovarla.

– Scrive un diario nel quale riporta i nomi delle vittime e una descrizione degli stupri. – Come la maggior parte degli stupratori, continua ad agire finché non viene fermato. PROFILO CRIMINALE

– Nella maggior parte dei casi proviene da una famiglia nella quale sono stati presenti entrambi i genitori. – Ha avuto problemi scolastici, anche se non particolarmente rilevanti, e ha raggiunto un livello d’istruzione medio. – In età adulta spesso non è fidanzato né sposato e vive con i genitori. – A causa del suo modesto titolo di studio, generalmente svolge un lavoro umile, ma è considerato un lavoratore affidabile. – Ha pochi amici e non ha partner sessuali e, in molti casi, è dominato da una madre aggressiva che mostra un atteggiamento seduttivo nei suoi riguardi. – Non ha un fisico atletico, è tranquillo e il carattere tende alla passività. – Trascorre buona parte del suo tempo nelle librerie per adulti del suo quartiere. – Mostra una molteplicità di deviazioni sessuali e può essere dedito al travestitismo, comportamento sessuale promiscuo, esibizionismo, voyeurismo, feticismo e masturbazione compulsiva. Stupratore per “rabbia” È un soggetto violento, con ampie competenze sociali. La vittima è violentata perché rappresenta un simbolo. Nelle sue fantasie, infatti, il soggetto sogna di far del male a tutte le donne del mondo per le ingiustizie, vere o presunte, che crede di aver subito dalle donne della sua vita. SCENA DEL CRIMINE/MODALITÀ ESECUTIVE DELLO STUPRO

– Per questo tipo di soggetto, lo stupro non ha una valenza prettamente sessuale, ma è principalmente una manifestazione di

rabbia; lo scopo primario dell’aggressione è quello di “far male” alla donna. – Nella sua mente questo soggetto ha creato una connessione diretta fra la gratificazione sessuale e la modalità per esprimere la sua rabbia. – Una volta che il soggetto è sicuro di poter disporre della vittima a suo piacimento, la degradazione presenta un duplice scopo, cioè incrementare la sua eccitazione sessuale e instillare il terrore nella vittima. – Gli attacchi sono improvvisi e mostrano poche tracce di pianificazione, generalmente avvengono vicino alla casa dell’aggressore. – L’aggressione nei confronti della donna presenta un’escalation violenta; inizialmente il soggetto usa ingiurie verbali, successivamente passa attraverso l’aggressione fisica, e infine può arrivare anche all’omicidio (questo dipende dalla quantità di rabbia che il soggetto deve far esplodere in quel momento). – Solitamente lo stupratore cerca di umiliare e degradare la vittima in diversi modi ed è frequente che strappi i vestiti alla donna, colpendola anche con pugni e calci. – Lo stupratore sente il bisogno di manifestare la sua rabbia con una moltitudine di comportamenti, per esempio può stuprare la vittima analmente e poi costringerla a praticare un rapporto orale subito dopo; e alla fine del sesso orale decidere di eiaculare sulla sua faccia come ulteriore segno di umiliazione. – Solitamente il soggetto cerca donne della sua etnia e della sua età, oppure un po’ più grandi. – Generalmente il soggetto “caccia” le vittime vicino a casa sua, spostandosi in automobile. – Dopo lo stupro non cerca di contattare la stessa vittima in alcun modo. – Fra uno stupro e l’altro intercorrono intervalli di tempo piuttosto lunghi, che possono arrivare anche a 6 mesi o un anno. PROFILO CRIMINALE

– Più della metà dei soggetti ha subito abusi fisici durante l’infanzia da uno o da entrambi i genitori, più della metà ha trascorso diversi anni in casa di estranei, la maggior parte proviene da famiglie in cui i genitori hanno divorziato, in meno della metà dei casi i soggetti sono stati adottati. – Nella maggior parte dei casi i soggetti sono stati cresciuti da un genitore singolo di sesso femminile o comunque da un’altra figura femminile di riferimento; questo spesso ha generato esperienze relazionali negative con queste figure di riferimento portando il soggetto a sviluppare sentimenti negativi e di ostilità verso tutte le donne in generale. – Ha un’elevata visione di sé, si considera un macho ed è concentrato sulla propria virilità; spesso si dedica ad attività sportive che implicano un contatto fisico diretto o a occupazioni lavorative centrate sull’azione. – Generalmente è sposato e non è aggressivo verso la compagna, però per rafforzare la sua immagine di “macho” spesso intrattiene diversi rapporti extraconiugali. – Ha un temperamento violento e incline a passare all’azione, prova un impulso incontrollabile nel violentare le donne, e generalmente gli stupri sono commessi dopo discussioni con la propria compagna, con la madre oppure qualche altra donna che rivesta un ruolo significativo nella sua vita. L’evento scatenante fa uscire la sua rabbia e questa si trasforma immediatamente in impulso ad agire. Stupratore per “potere” È un soggetto per cui lo stupro rappresenta uno degli strumenti preferiti per manifestare la propria virilità e il dominio su di un’altra persona. Il livello di aggressività impiegato nell’approccio alla vittima è molto alto ed è attuato per garantirsi la completa sottomissione della donna. Il violentatore è completamente indifferente al benessere della donna che ha attaccato, lei è ai suoi ordini e deve fare tutto quello che lui desidera. SCENA DEL CRIMINE/MODALITÀ ESECUTIVE DELLO STUPRO

– Il soggetto cattura la sua preda specialmente nei locali per single, dove trova sempre un’ampia scelta di donne disponibili; sceglie vittime prevalentemente della sua stessa età ed etnia. – Per questo tipo di soggetto il sesso è un atto predatorio e impulsivo; la motivazione primaria delle violenze non è il sesso, ma il bisogno di esercitare il potere “andando a caccia”. – Il soggetto porta con sé un’arma per minacciare la donna, e questa abitudine dimostra la pianificazione delle aggressioni sessuali. – Non nasconde la propria identità, non indossa maschere e non agisce solo di notte; si sente sicuro di riuscire a terrorizzare a tal punto la sua vittima da non farla parlare. – Compie l’attacco utilizzando un mix di violenza fisica e verbale, e se la vittima oppone resistenza cerca di sopraffarla con un eccesso di violenza per costringerla a ubbidire ai suoi ordini. – Taglia o strappa i vestiti della donna e può violentare una stessa vittima in diverse occasioni. – Può soffrire di eiaculazione ritardata, per cui costringe la donna al sesso orale finché non è eccitatissimo e solo allora la stupra. – Può arrivare a stuprare la donna vaginalmente, poi a sodomizzarla e a obbligarla a praticargli un rapporto orale. – Spesso ha una relazione con una donna che dura da molto tempo. – Il livello di violenza impiegato tende ad aumentare nel tempo. – Il soggetto non prova alcun tipo di rimorso dopo lo stupro, non colleziona “trofei” e non scrive diari. – Tende a commettere gli stupri con un intervallo di 20-25 giorni. PROFILO CRIMINALE

– La maggior parte di questi soggetti è stato allevato in famiglie monoparentali, la maggior parte di loro ha subito abusi di varia natura durante l’infanzia, e un terzo di essi ha trascorso svariati anni in case adottive. – Da adulto il soggetto ha avuto molteplici conflitti matrimoniali e spesso più di un matrimonio infelice.

– Questo soggetto è spesso attento alla sua immagine e indossa vestiti appariscenti per confermare la sua immagine di “macho”. – Frequenta locali per single e sembra sempre alla caccia di una donna, parla a voce alta e ha un comportamento chiassoso, alla ricerca continua di attenzione. – Generalmente guida una macchina sportiva e vistosa per dare un’immagine “di successo”. – Generalmente svolge un impiego da macho, e può indossare un’uniforme di qualche tipo per rafforzare la sua percezione di “maschio virile”. Stupratore per “sadismo” È il soggetto più pericoloso, il suo obiettivo principale è quello di tramutare in realtà le sue fantasie sessuali sadiche e perverse. Desidera infliggere dolore fisico e psicologico alla sua vittima. Questo soggetto generalmente è aggressivo anche durante le normali attività quotidiane, soprattutto se viene criticato oppure se le sue richieste di soddisfazione personale vengono posticipate. Nella mente di questo stupratore esiste una connessione diretta fra aggressione e gratificazione sessuale, perché la violenza ha acquisito un significato erotico. SCENA DEL CRIMINE/MODALITÀ ESECUTIVE DELLO STUPRO

– Il soggetto investe la violenza sessuale di un significato espressivo molto forte, con le sue azioni violente vuole mandare un “messaggio” alla vittima. – Ha come obiettivo principale quello di causare il dolore più forte possibile alla vittima, e la componente di aggressione nello stupro non è semplicemente finalizzata al controllo della vittima. – Si sposta in macchina per dare la caccia alle vittime. – Mette molta cura nella scelta della vittima, assicurandosi che non ci sia in giro nessuno che lo possa vedere, e prende tutte le precauzioni necessarie per controllare la zona in cui deve operare. – Non vuole essere scoperto né catturato, gli piace molto quello che fa e vuole continuare a farlo più a lungo possibile.

– Non colpisce necessariamente vicino al luogo di abitazione o di lavoro, anzi gli piace spostarsi; la zona operativa deve comunque essere un posto che lui conosce bene e dove ha potuto fare dei sopralluoghi in precedenza. – Sia per controllare la vittima sia per instillare un terrore assoluto, utilizza bavagli, nastro adesivo, manette e altri attrezzi facenti parte di quello che viene chiamato “rape kit”, per immobilizzare la vittima e garantirsi la sua assoluta sottomissione. – Può anche mettere una benda sugli occhi della vittima, sempre allo scopo di accrescere lo stato di paura. – Prima di mettere in atto la violenza sessuale, il soggetto molto spesso si diverte a descrivere alla vittima tutto quello che le farà, dettaglio per dettaglio, insultandola pesantemente e usando un linguaggio umiliante. – Esegue le violenze sessuali in modo ritualistico, ogni stupro infatti viene eseguito in modo tale che il soggetto riesca a sperimentare quelle sensazioni che ha immaginato per tanto tempo nella sua fantasia e che sono necessarie per la sua soddisfazione sessuale. – Ha bisogno di una vittima che partecipi in prima persona alla violenza magari costringendo la stessa a pronunciare determinate parole per aumentare la sua eccitazione. – Spesso costringe la donna a praticargli sesso orale prima dello stupro vero e proprio. – Può soffrire di eiaculazione ritardata. – Può essere un consumatore abituale di droga. – Diventa sempre più sofisticato nell’esecuzione delle violenze sessuali, imparando velocemente nuovi metodi per cacciare le vittime e, se uccide, modi più efficaci per disfarsi del cadavere. – Può in ogni caso diventare un assassino seriale, anche se l’omicidio ha un’importanza secondaria rispetto al bisogno di infliggere dolore alla vittima. – Non sente alcun tipo di rimorso per i crimini commessi, e continua finché non viene catturato. PROFILO CRIMINALE

– Più della metà di questi soggetti è cresciuto in una famiglia monoparentale. – La maggior parte di questi soggetti ha subito ripetuti abusi fisici durante il periodo evolutivo e molti di essi provengono da una famiglia in cui erano presenti diverse devianze sessuali (es. il padre era uno stupratore a sua volta). – Un numero elevato di violentatori di questa categoria ha manifestato patologie della sfera sessuale durante l’adolescenza (voyeurismo, sesso promiscuo, masturbazione compulsiva ecc.). – Spesso questo soggetto vive in una zona residenziale tipicamente borghese dove avvengono pochi crimini, si dedica ad attività per il miglioramento delle condizioni di vita nel quartiere, possiede un’educazione superiore alla media e lavora in un ruolo impiegatizio. – Il soggetto è generalmente sposato e viene considerato “un buon padre di famiglia”. – È intelligente e, nella maggior parte dei casi, non ha precedenti penali. – Mostra una personalità compulsiva ed è sempre molto curato nell’abbigliamento che indossa e nell’automobile che guida, tenuta costantemente in perfetta efficienza. – Riesce a non essere catturato per molto tempo perché pianifica attentamente ogni azione e non esce mai dai confini del piano prestabilito. – La sua intelligenza, la conoscenza del lavoro di polizia e la cura mostrata nella pianificazione e nell’esecuzione dei crimini lo rendono un soggetto particolarmente difficile da catturare. UN ESEMPIO DI STUPRATORE RABBIOSO/IN CERCA DI ECCITAZIONE

nome Ronnie Shelton soprannome lo stupratore del West Side luogo degli stupri Cleveland, Ohio periodo degli stupri 1983-1988 numero delle vittime 49 stupri modus operandi penetrava in casa da una finestra e violentava la donna presente

Ronnie Shelton, soprannominato “lo stupratore del West Side”, durante gli anni ’80 terrorizzò Cleveland, nell’Ohio. Shelton entrava nell’abitazione delle vittime attraverso una finestra o un patio che si affacciavano su una zona boschiva o su dei cespugli, vegetazione che gli offriva un pratico nascondiglio. Prima di entrare in casa indossava degli occhiali da sci, dei collant sul volto e una sciarpa attorno al collo. Shelton si dimostrava subito violento con la vittima, minacciava la donna spingendola a terra e puntandole un coltello alla gola. In seguito la calmava, rassicurandola, dicendole che non era lì per farle del male ma per derubarla, dicendole “voglio solo i soldi”. Una volta ottenuto il controllo della vittima ritornava ai modi violenti. Utilizzava frasi del tipo: “Abbassa lo sguardo”, “Copriti gli occhi”, “Non mi guardare e non ti ucciderò”, “Non mi guardare e non farò del male ai tuoi bambini”. Prima di andarsene intimidiva la vittima con minacce del tipo: “Non chiamare la polizia o tornerò e ti ucciderò”. Shelton era verbalmente umiliante e molto volgare con la vittima. La penetrava con violenza, poi si ritraeva ed eiaculava sul suo addome o sul seno. Usava spesso i suoi indumenti per ripulirsi. Shelton costringeva molte delle sue vittime a praticare sesso orale e poi insisteva perché ingerissero il suo liquido seminale. Le costringeva anche a masturbarlo manualmente. Un elemento disorientante per gli investigatori a proposito delle aggressioni di Shelton fu che le prime vittime descrissero la presenza di una protuberanza sul suo pene, mentre le vittime successive non la notarono. La firma di Shelton lo collegava, comunque, a tutte le aggressioni avvenute nella zona, nonostante le differenze nella descrizione dei particolari fisici. Se la sua firma non fosse stata riconosciuta, Shelton avrebbe potuto evitare molte condanne a suo carico. Come si scoprì in seguito, c’era una semplice spiegazione per la differenza nelle descrizioni fisiche: Shelton si era sottoposto a un intervento per rimuovere una verruca al pene e quindi la “protuberanza” venne rimossa prima che le ultime vittime fossero aggredite. Dopo l’arresto Ronnie Shelton fu accusato di aver commesso 49 stupri, ricevette 29 imputazioni per furto aggravato, 27 per rapina aggravata, 19 per intimidazione, 18 per percosse, 16 per gravi molestie sessuali, 12 per rapimento, 3 per aver tagliato cavi telefonici e 2 per furto semplice. Shelton venne riconosciuto colpevole di 220 capi d’accusa. Il giudice lo condannò a 3198 anni di carcere, la sentenza più lunga nella storia dell’Ohio.

8. MOLESTATORI DI BAMBINI

Il bambino è padre dell’uomo. William Wordsworth

Il child molester (molestatore di bambini) è un soggetto che intrattiene attività sessuali illecite con minori, indipendentemente dal sesso, dall’unicità o ripetitività degli atti, dalla presenza o assenza di condotte violente; e indipendentemente dal fatto che la vittima sia pubere o prepubere, conosciuta o meno, legata o meno da vincoli di parentela all’aggressore (Picozzi e Maggi, 2003). 8.1. La classificazione di Lanning Secondo Kennet Lanning (1992), ex agente speciale della Behavioral Science Unit del Federal Bureau of Investigation, i child molester si possono distinguere in: – child molester “situazionale”: – regressivo – moralmente indifferente – sessualmente indifferente – inadeguato – child molester “preferenziale”: – seduttivo – introverso – sadico Child molester “situazionale” Il child molester “situazionale” è un soggetto che, oltre ad approfittare di

minori, può aggredire sessualmente soggetti appartenenti ad altre fasce deboli, come gli anziani, i disabili e i malati psichici. Questo molestatore non ha una reale preferenza sessuale per i minori: la scelta delle vittime, infatti, è condizionata da ragioni varie e complesse. La vittima può essere scelta per colmare vissuti di insicurezza personale, perché disponibile in quel dato momento, perché in una condizione di vulnerabilità, per noia o per curiosità. O anche per l’emozione di sperimentare qualcosa di proibito “una volta nella vita”, anche se l’aggressore, ripetendo nel tempo la sua violenza, finisce per assomigliare sempre più al molestatore “preferenziale”. CHILD MOLESTER SITUAZIONALE “REGRESSIVO”. Il child molester situazionale “regressivo” ha una bassa autostima e una scarsa capacità di adattamento sociale. Tali caratteristiche portano questo tipo di aggressore a scegliere il minore come sostituto di un partner sessuale adulto, con il quale la relazione appare fonte di ansia eccessiva. L’azione aggressiva compiuta sul minore può essere precipitata da eventi stressanti e condotta anche all’interno del proprio nucleo familiare, quando non si presentino situazioni di facile disponibilità all’esterno della famiglia. Questo aggressore agisce soprattutto con modalità coercitive e spesso colleziona materiale pedopornografico che ne è una dimostrazione. Ciò può essere assai utile da un punto di vista investigativo: infatti, spesso è possibile rinvenire video e foto artigianali nei quali il soggetto ripreso è proprio il minore molestato dall’aggressore (cfr. la tabella 8.1). Tabella 8.1 Caratteristiche del crimine del child molester situazionale “regressivo” caratteristiche di base dell’offender

scarse abilità di adattamento

motivazioni

sostituzione

criteri di scelta della vittima

disponibilità

modus operandi

coercizione

collezionismo di materiale pornografico

possibile

“MORALMENTE INDIFFERENTE”. Il child molester situazionale “moralmente indifferente” potrebbe rientrare nella classica CHILD MOLESTER SITUAZIONALE

diagnosi di psicopatia. Per questo aggressore, l’abuso sessuale dei minori è semplicemente parte di uno schema generale di comportamento, che esercita quotidianamente in svariati contesti sociali e relazionali. Con modalità seduttive e manipolatorie, questo soggetto cerca di sfruttare indifferentemente familiari, conoscenti e colleghi di lavoro, mentendo con facilità ogni qualvolta ne intraveda un vantaggio personale. Solitamente predilige delle vittime sconosciute, ma è possibile che compia degli abusi sessuali anche nei confronti dei propri figli (cfr. la tabella 8.2). Tabella 8.2 Caratteristiche del crimine del child molester situazionale “moralmente indifferente” caratteristiche di base dell’offender

sfrutta la gente.

motivazioni

“perché non farlo?”

criteri di scelta della vittima

vulnerabilità e opportunità

modus operandi

lusinga, utilizza la forza e la manipolazione

collezionismo di materiale pornografico

di tipo sadomasochistico e detective magazine

“SESSUALMENTE INDIFFERENTE”. Il child molester situazionale “sessualmente indifferente” ha motivazioni e schemi di comportamento difficili da definire: alla base della sua spinta sessuale, infatti, sembra esservi un patologico bisogno di sperimentazione sessuale. I bambini possono perciò rappresentare, per questo tipo di aggressore, solamente un’esperienza nuova e sconosciuta. Questo soggetto, proveniente da categorie socioeconomiche elevate, può aggredire un numero elevato di vittime (cfr. la tabella 8.3). CHILD MOLESTER SITUAZIONALE

Tabella 8.3 Caratteristiche del crimine del child molester situazionale “sessualmente indifferente” caratteristiche di base dell’offender

sperimentatore sessuale

motivazioni

noia

criteri di scelta della vittima

vittime nuove e diverse tra loro

modus operandi

coinvolgimento in attività reali

collezionismo di materiale pornografico

altamente apprezzato e di vario genere

“INADEGUATO”. Il child molester situazionale “inadeguato” può essere uno psicotico, un soggetto affetto da ritardo mentale, da demenza senile, ma anche un giovane curioso e insicuro incapace di relazionarsi con i coetanei. Il minore viene scelto in sostituzione dell’adulto al quale è legato e al quale l’aggressore vorrebbe avvicinarsi, senza averne la capacità. Le problematiche emozionali e il disagio mentale presenti in questo soggetto conducono alla difficoltà nel manifestare emozioni, sentimenti e paure; quando la frustrazione, la rabbia e l’ostilità che ne derivano non riescano a trovare spazio d’espressione, ecco che l’abuso sessuale sul minore può caratterizzarsi per componenti di violenza e di crudeltà talvolta letali (cfr. la tabella 8.4). CHILD MOLESTER SITUAZIONALE

Tabella 8.4 Caratteristiche del crimine del child molester situazionale “inadeguato”. caratteristiche di base dell’offender

socialmente non integrato

motivazioni

insicurezza e curiosità

criteri di scelta della vittima

non vissuta come minacciosa

modus operandi

sfruttamento della differente stazza fisica

collezionismo di materiale pornografico

apprezzato

Child molester “preferenziale” Il child molester “preferenziale” è un soggetto le cui fantasie e l’intero immaginario erotico ruotano attorno ai bambini, verso i quali mostra una specifica preferenza sessuale. Questi molestatori appartengono a categorie socioeconomiche più elevate rispetto ai molestatori “situazionali”; le loro fantasie e i loro desideri sono solitamente indirizzati verso fasce d’età e di sesso specifiche (le loro vittime sono soprattutto di sesso maschile). CHILD MOLESTER PREFERENZIALE “SEDUTTIVO”. Il child molester preferenziale “seduttivo” seduce i bambini attraverso un corteggiamento fatto di attenzioni, affettuosità e doni, inteso a vincere gradualmente le loro

inibizioni sessuali. Molti di questi aggressori sono coinvolti sessualmente con più minori, in quello che viene definito un “child sex ring” (es. molestie nei confronti di un gruppo di bambini residenti nello stesso quartiere). Nella relazione con il minore non vi è mai aggressività né violenza, ma la predilezione per una determinata fascia d’età espone al rischio che la vittima, non esercitando più attrattiva sul molestatore, venga abbandonata e possa quindi rivelare l’esistenza e la natura della relazione; in questo caso, il soggetto può impedire che ciò accada ricorrendo anche alla violenza (cfr. la tabella 8.5). Tabella 8.5 Caratteristiche del crimine del child molester preferenziale “seduttivo” caratteristiche di base dell’offender

manifesta preferenza sessuale per i bambini colleziona pornografia infantile e oggettistica erotica.

motivazioni

identificazione

criteri di scelta della vittima

preferenza di genere e di età

modus operandi

modalità seduttive

“INTROVERSO”. Il child molester preferenziale “introverso” difetta di quelle abilità sociali che gli permetterebbero di avvicinarsi e stabilire un contatto con l’oggetto del suo desiderio, il bambino. La sua incapacità relazionale lo spinge verso vittime molto piccole oppure totalmente sconosciute, verso le quali può compiere atti di esibizionismo o attuare approcci osceni al telefono. Sono questi i soggetti che classicamente corrispondono alla figura del pedofilo che attende i bambini all’uscita delle scuole o che frequenta parchi e giardini pubblici (cfr. la tabella 8.6). CHILD MOLESTER PREFERENZIALE

Tabella 8.6 Caratteristiche del crimine del child molester preferenziale “introverso”. caratteristiche di base dell’offender

manifesta preferenza sessuale per i bambini colleziona pornografia infantile e oggettistica erotica.

motivazioni

timore e incapacità a comunicare

criteri di scelta della vittima

estranei o molto giovani

modus operandi

contatti sessuali non verbali

“SADICO”. Il child molester preferenziale “sadico” è un soggetto che associa al piacere sessuale la volontà di infliggere dolore e sofferenza alla sua vittima. Il più delle volte, questa sofferenza psicologica e fisica è la spinta primaria del comportamento abusante (cfr. la tabella 8.7). CHILD MOLESTER PREFERENZIALE

Tabella 8.7 Caratteristiche del crimine del child molester preferenziale “sadico” caratteristiche di base dell’offender

manifesta preferenza sessuale per i bambini colleziona pornografia infantile e oggettistica erotica

motivazioni

bisogno di infliggere dolore

criteri di scelta della vittima

preferenza di genere ed età

modus operandi

lusinga o utilizza la forza fisica

8.2. La classificazione di Ronald e Stephen Holmes Per approfondire, presentiamo le tipologie proposte da Ronald e Stephen Holmes (1996), i già citati consulenti dell’FBI. Gli autori distinguono i child molester in: – child molester “immaturo” – child molester “regressivo” – child molester “sadico” – child molester “fissato” Il child molester “immaturo” violenta i bambini nel quartiere di residenza. Il “regressivo” ricorre alla seduzione dei bambini con cui ha una relazione interpersonale pregressa. Il “sadico” ha una preferenza sessuale per i bambini che sono estranei alla sua cerchia di conoscenze. Stringe una relazione con la vittima, magari tramite il computer, poi la rapisce e la violenta. È un soggetto con personalità aggressiva e antisociale, che violenta diversi bambini e che poi arriva a uccidere.

Il “fissato” ricorre alla seduzione per avvicinare i bambini, utilizza il computer, le bacheche e le chat per incontrarli, e per questo riesce a vittimizzare un gran numero di bambini. Tabella 8.8 Caratteristiche dei child molester secondo Ronald e Stephen Holmes elementi

immaturo

regressivo

sadico

fissato

stalking nel quartiere di residenza



no

no

no

utilizzo della seduzione

no



no



preferenza sessuale per bambini

no







preferenza sessuale per bambini estranei

no

no



no

vi è relazione offender/vittima

no





no

danno fisico per il minore

no

no



no

rapimento del bambino

no

no



no

utilizzo computer bulletin board

no

no





grande numero di vittime

no

no





personalità aggressiva

no

no



no

personalità antisociale

no

no



no

rischio di violenza fatale

no

no



no

UN ESEMPIO DI MOLESTATORE SESSUALE PREFERENZIALE SADICO

nome Andrej Chikatilo soprannome il Mostro di Rostov luogo degli omicidi Rostov e dintorni, Ucraina periodo degli omicidi 1978-1990 numero delle vittime 55 modus operandi molestava, adescava, violentava, mutilava e si cibava di parti del corpo di bambini Andrej Chikatilo, soprannominato “il mostro di Rostov”, durante gli anni

’70 e ’80, uccise diverse bambine e ragazzine in Russia. Verso la fine degli anni ’70 uccise per la prima volta una bambina di 9 anni incontrata alla fermata dell’autobus. L’assassino la portò in una casetta abbandonata nella campagna circostante, e qui provò a violentarla. Non riuscendoci, preso dalla rabbia, la uccise con tre forti coltellate e gettò il corpicino nel fiume. All’inizio degli anni ’80 Chikatilo venne accusato di molestie nei confronti dei suoi alunni e venne licenziato dall’istituto tecnico in cui lavorava come insegnante. Successivamente trovò lavoro in fabbrica, cosa che lo costrinse a viaggiare in treno per raggiungere il luogo di lavoro, ma il treno era anche il luogo che gli consentiva di incontrare diverse vittime. La seconda vittima fu una ragazzina del liceo, che l’uomo riuscì ad avvicinare e convincere a seguirlo per avere un rapporto sessuale. La ragazza però, vista l’impotenza dell’uomo, lo derise. A questo punto Chikatilo la strangolò, la morse sulle braccia e sui seni, ingoiò un capezzolo e le conficcò un palo nella vagina. Qualche mese dopo Chikatilo adescò una ragazzina di 12 anni, la portò nel bosco, la accoltellò quaranta volte e le cavò gli occhi. Tra il 1983 e il 1984 la violenza di Chikatilo crebbe esponenzialmente e l’uomo arrivò ad uccidere più di 30 ragazzini. Nel 1984 la polizia iniziò ad avere alcuni sospetti su di lui e lo arrestò con una scusa, sottoponendolo alle analisi del sangue, ma il suo gruppo sanguigno non corrispondeva a quello prelevato dallo sperma ritrovato sui cadaveri, e venne rilasciato nuovamente. Nei dintorni di Rostov ricominciarono così a sparire bambini, bambine e donne per lunghi mesi, mentre i loro cadaveri venivano ritrovati nei fiumiciattoli, dentro delle baracche abbandonate nei boschi e lungo la ferrovia. Nel 1990 Chikatilo fu arrestato per la terza volta e questa volta confessò i delitti. Egli descrisse le tattiche di adescamento dei bambini, il loro accoltellamento e le torture perpetrate, come gli occhi perforati, le dita mozzate a morsi, i cuori strappati e i capezzoli ingoiati. Nel 1992 Chikatilo fu giudicato capace di intendere e di volere, condannato alla pena capitale, e nel 1994 giustiziato con un colpo di pistola alla nuca nel cortile del carcere di Mosca.

9. STALKER

Il Libro della Vita inizia con l’immagine di un uomo e una donna in un giardino. Termina con l’Apocalisse. Oscar Wilde

Con il termine “stalking” si intende un insieme di comportamenti persecutori reiterati nel tempo, diretti o indiretti, rivolti a una persona conosciuta o sconosciuta, che inducono in chi li subisce uno stato di grave disagio psichico e/o fisico. Lo stalker è un persecutore assillante, che non accetta il distacco originato dalla fine di una relazione, oppure che non sopporta il rifiuto delle sue attenzioni da parte della vittima. Il terrore e l’ansia dell’abbandono inducono questo soggetto ad attaccarsi sempre di più alla persona “amata”, nei confronti della quale il desiderio diventa morboso (Meloy, 1999). L’insieme delle condotte persecutorie che lo stalker può infliggere alla vittima può essere suddiviso in diverse categorie. – COMUNICAZIONI INDESIDERATE. Sono rivolte direttamente alla vittima di stalking, ma possono consistere anche in minacce o in contatti con la famiglia, gli amici o i colleghi di lavoro della vittima. Lettere e telefonate sono le forme più comuni di comunicazione, ma gli stalker ricorrono spesso anche a scritti (non necessariamente inviati in modo diretto alla vittima), oppure utilizzano altri mezzi, come l’invio di sms, mms ed e-mail. – CONTATTI INDESIDERATI. Comprendono i comportamenti dello stalker diretti ad avvicinare in qualche modo la vittima. Tra questi, i più diffusi sono i pedinamenti, il presentarsi alla porta dell’abitazione o gli appostamenti sotto casa o sul luogo di lavoro, il recarsi negli stessi luoghi frequentati dalla vittima o lo svolgere le sue stesse attività. – COMPORTAMENTI ASSOCIATI. Comprendono l’ordine o la cancellazione di beni e servizi a carico della vittima, al fine di danneggiarla o intimidirla. Tipiche condotte di questo tipo sono il far recapitare cibo

o altri oggetti all’indirizzo della vittima, anche a tarda notte, oppure la cancellazione di servizi quali l’elettricità o la carta di credito all’insaputa della vittima. Secondo una ricerca realizzata dal Dipartimento di Psicologia della Seconda Università degli Studi di Napoli, compiuta su 300 omicidi avvenuti fra partner ed ex partner tra il 2000 e il 2004, nel 70% degli omicidi la vittima aveva subito episodi di persecuzione prima di morire (Baldry, 2007). Secondo un’indagine Eures-Ansa (2012) sono state 2061 le donne uccise dal 2000 al 2011, di cui sette su dieci in ambito familiare, 607 mogli, 207 ex mogli e/o ex fidanzate; la metà di queste donne è stata uccisa entro novanta giorni dopo aver troncato una relazione. Questi dati ci dicono che un’importante percentuale di casi di stalking sfocia in un agguato mortale, mentre non è vero il contrario, cioè non tutti i casi di stalking portano all’omicidio. Per Isabella Merzagora, professore ordinario di Criminologia presso l’Università degli studi di Milano, si possono isolare degli indicatori che dallo stalking della vittima possono portare alla violenza grave. Uno studio condotto su 59 casi di stalking che hanno portato all’omicidio, al tentato omicidio e/o alla violenza sessuale della vittima, avvenuti tra il 1981 e il 2009, ne elenca 10 (De Fazio e Merzagora, 2011): Indicatore di pericolosità 1) È disoccupato o si trova in una condizione lavorativa precaria? 2) È motivato da rabbia o vendetta? 3) Ha danneggiato la proprietà della vittima? 4) Molesta la vittima regolarmente? 5) Fa uso di sostanze? (stupefacenti/alcoliche)? 6) Ha molestato la vittima in luoghi pubblici? 7) È di nazionalità straniera? 8) Possiede un’arma?



no

9) È noto per essere stato violento nei confronti di altre persone durante la campagna di stalking? 10) È già stato denunciato alla polizia?

In base a questi indicatori è possibile tracciare l’ipotetico profilo dello stalker che può arrivare a uccidere la vittima, cioè un soggetto che in preda a rabbia e/o vendetta, dopo essere stato lasciato dalla vittima, disoccupato o in condizioni lavorative precarie, quindi avendo molto tempo libero a disposizione, mentre fa uso di alcool e stupefacenti, inizia a mettere in atto reiterate e regolari condotte persecutorie durante il giorno, molestandola anche nei luoghi pubblici, arrivando a danneggiare le sue proprietà, e anche a molestarne i parenti e gli amici per avere informazioni importanti sulla vittima stessa, anche diventando violento, e che, nonostante abbia ricevuto ammonimenti o denunce da parte di magistrati e forze dell’ordine non si dà pace e uccide la vittima perché ha la disponibilità di un’arma. 9.1. La classificazione di Mullen Secondo Paul Mullen, docente di Forensic Psychiatry alla Monash University di Melbourne (Mullen, Pathé, Purcell, 2000), gli stalker si possono suddividere nelle seguenti categorie: – stalker “respinto” – stalker “cercatore d’intimità” – stalker “corteggiatore inadeguato” – stalker “rancoroso” – stalker “predatore” Stalker “respinto” Ha avuto in passato una relazione sentimentale con la vittima e le motivazioni del suo comportamento sono riconducibili al desiderio di riallacciare la relazione con la vittima e/o al tentativo di vendicarsi per essere stato respinto. Questo aggressore può essere molto insistente e intrusivo: lo stalking, infatti, rappresenta ai suoi occhi un modo di mantenere in vita il

rapporto. Egli è solitamente rimasto legato alla relazione sentimentale avuta in passato e riversa la propria rabbia sulla vittima, secondo lui responsabile della rottura della loro relazione. In questi casi sono frequenti storie affettive fatte di soprusi e di violenze già durante la relazione sentimentale, comportamenti che continuano anche dopo la rottura del rapporto. Questo stalker può soffrire di marcate anomalie caratteriali, con tratti di personalità dipendenti, narcisistici o paranoici, a volte correlati a comportamenti di abuso di sostanze (problema che dovrebbe essere trattato specificamente); in alcuni casi possono essere presenti anche veri e propri disturbi mentali. Questo stalker ha bisogno di aiuto, per accettare la perdita della partner e per cercare nuovi obiettivi di vita (cfr. la tabella 9.1). Tabella 9.1 Caratteristiche del crimine dello stalker “respinto” caratteristiche di base dell’offender motivazioni criteri di scelta della vittima modus operandi

ha avuto nel passato una relazione sentimentale con la vittima desiderio di riallacciare la relazione ex partner pedinamenti, appostamenti, contatti e/o molestie telefoniche e per email; possibili aggressioni fisiche

Stalker “cercatore d’intimità” Indirizza i propri sforzi verso il tentativo di costruire una relazione con una persona che lo attrae o che egli ritiene innamorata di lui. Spesso questo aggressore non ha avuto precedenti relazioni sentimentali ed è piuttosto solo. È molto insistente negli approcci con la vittima, perché convinto che essa stringerà una relazione con lui se ci metterà abbastanza impegno. Il rischio di violenza, per la vittima, non è immediato, ma aumenta con il passare del tempo. Questo stalker può soffrire di disturbi mentali abbastanza variegati, che vanno dalla schizofrenia al delirio erotomanico, oppure presentare un disturbo di personalità narcisistico (il suo trattamento dovrebbe essere focalizzato sul disturbo mentale che sottende le condotte di stalking). In questo caso le sanzioni penali non si rivelano molto efficaci: questo

soggetto, infatti, potrebbe interpretarle come una prova da superare per dimostrare la propria devozione nei confronti dell’amata, anziché esserne dissuaso (cfr. la tabella 9.2). Tabella 9.2 Caratteristiche del crimine dello stalker “cercatore d’intimità” caratteristiche di base dell’offender

desiderio di costruire una relazione con una persona che lo attrae o che ritiene innamorata di lui

motivazioni criteri scelta vittima

non ha avuto precedenti relazioni sentimentali ed è piuttosto solo

di della

sconosciuta incontrata in contesti di vita quotidiana

prima contatti telefonici e per e-mail, adulazioni, regali, corteggiamento; poi pedinamenti, appostamenti, molestie telefoniche e per e-mail; possibili aggressioni fisiche

modus operandi

Stalker “corteggiatore inadeguato” Ricorre a un comportamento persecutorio al fine di instaurare una relazione sentimentale con la vittima. Si tratta di una persona incapace di stabilire una relazione amicale e/o sentimentale, e spesso neanche di accettare un rifiuto. Mette in atto condotte di stalking nei confronti di diverse vittime e cerca un nuovo bersaglio ogni qualvolta non ha successo con quello precedente. Questo tipo di stalker può diventare violento quando la vittima gli oppone resistenza; a volte, può presentare un ritardo o un disturbo mentale. La presa in carico di questo soggetto dovrebbe essere finalizzata allo sviluppo di abilità sociali, all’acquisizione di una maggiore empatia e alla cura di eventuali disturbi mentali (cfr. la tabella 9.3). Tabella 9.3 Caratteristiche del crimine dello stalker “corteggiatore inadeguato” caratteristiche di base dell’offender motivazioni criteri

incapace di stabilire una relazione amicale e/o sentimentale, spesso incapace di accettare un rifiuto desiderio finalizzato a instaurare una relazione sentimentale

di

sconosciuta incontrata in contesti di vita quotidiana

scelta vittima

della

prima contatti telefonici e per e-mail, adulazioni, regali, corteggiamento; poi pedinamenti, appostamenti, molestie telefoniche e per e-mail; dopo il rifiuto, ricerca di una nuova preda

modus operandi

Stalker “rancoroso” È motivato dal desiderio di vendicarsi e di generare paura e tensione nella vittima. Percepisce se stesso come una vittima che deve difendersi da presunti persecutori e si sente sempre giustificato nel proprio comportamento. Talvolta vede la vittima come un simbolo delle persone che lo hanno tormentato e umiliato in passato, e proprio per questo essa può essere scelta in maniera casuale. In alcuni casi può diventare violento. Questo tipo di stalker può presentare un disturbo di personalità paranoide oppure un disturbo mentale più grave, come un disturbo schizofrenico o delirante. Il trattamento di questo soggetto è difficile a causa della sua convinzione, distorta, di essere nel giusto. Egli è in genere capace di valutare le conseguenze del suo comportamento, quindi le sanzioni legali, almeno nella fase iniziale dello stalking, potrebbero rivelarsi efficaci. Successivamente, quando l’investimento in termini personali nella vicenda è diventato troppo alto, e la convinzione di avere il diritto di fare quello che sta facendo si è rafforzata, diventa più difficile intervenire con successo (cfr. la tabella 9.4). Tabella 9.4 Caratteristiche del crimine dello stalker “rancoroso” caratteristiche di base dell’offender motivazioni criteri di della vittima

percepisce se stesso come una vittima che deve difendersi contro presunti persecutori desiderio di vendicarsi per un torto reale o presunto subito

scelta

modus operandi

ex partner, ex amici o persone sconosciute, colpite perché rappresentano simbolicamente la persona che ha compiuto un torto pedinamenti, appostamenti, contatti e/o molestie telefoniche e per email; possibili aggressioni fisiche

Stalker “predatore” Pensa ossessivamente alla vittima in termini sessuali. Prepara con cura

l’aggressione sessuale nei confronti della vittima, mettendo in atto un’ampia gamma di comportamenti persecutori (pedinamenti, appostamenti ecc.). Può diventare violento nei confronti della vittima perseguitata anche a distanza di tempo. Questo stalker mostra problemi di empatia, autostima e disfunzioni nel funzionamento sociale e nelle relazioni sessuali. Il suo trattamento terapeutico dovrebbe essere focalizzato su questi aspetti e dovrebbe essere associato a sanzioni legali (cfr. la tabella 9.5). Tabella 9.5 Caratteristiche del crimine dello stalker “predatore” caratteristiche di base dell’offender

l’offender collega inscindibilmente il potere al sesso, quindi pensa ossessivamente a una persona su cui esercitare entrambi

motivazioni criteri di della vittima

mostra problemi di empatia e autostima, nonché disfunzioni nel comportamento sociale e nelle relazioni sessuali

scelta

modus operandi

sconosciuta incontrata in contesti di vita quotidiana pedinamenti, appostamenti, molestie telefoniche e per e-mail; possibili violenze fisiche e/o sessuali

9.2. La classificazione di Sheridan e Boom Per approfondire l’argomento presentiamo anche le tipologie proposte da Lorraine Sheridan e Julian Boon della University of Leicester (Boon e Sheridan, 2002). Questi studiosi propongono di suddividere le forme di stalking in base alla motivazione che porta l’aggressore a compiere atti persecutori o molestie. 1) da parte dell’ex partner 2) dovuto a infatuazione 3) delusionale e di fissazione - alto rischio 4) delusionale e di fissazione - basso rischio 5) sadico Stalking da parte dell’ex partner

L’offender prova odio e risentimento a causa della fine della precedente relazione. L’aggressore ha un temperamento impulsivo e ostile, anche in presenza di terzi e/o delle forze di polizia. La precedente relazione era caratterizzata da maltrattamenti, spesso sfociati in violenze fisiche e verbali, commesse anche in presenza di terze persone. Il comportamento di stalking consiste in minacce esplicite (riconducibili, ad esempio, a recriminazioni o a motivi di contenzioso); diffamazione della vittima presso amici e parenti; iniziative giudiziarie relative all’affidamento, al mantenimento, agli incontri con i figli, finalizzate esclusivamente a imporre un controllo sulla vita dell’altra persona e a limitare la sua libertà; gelosia e aggressività per la presenza di nuove relazioni; abuso verbale e/o fisico nei confronti di terze persone (parenti, amici) che sostengono e aiutano la vittima; comportamenti vessatori caratterizzati da livelli elevati di violenza fisica e verbale e da danneggiamenti a cose di proprietà della vittima. Gli atti persecutori possono avere origine sia da eventi fortuiti (es. l’offender insegue la vittima dopo averla incontrata casualmente), sia premeditati (es. lo stalker aspetta in macchina fuori dall’abitazione della vittima). L’età di questo tipo di stalker è variabile. Stalking dovuto a infatuazione Questa tipologia si suddivide in due sottocategorie – “amore giovanile” e “amore adulto” – che hanno comunque caratteristiche di condotta simili. Solitamente, l’oggetto delle attenzioni è una “persona amata” piuttosto che una “vittima”: la persona desiderata, infatti, diventa il punto centrale delle fantasie dello stalker; il desiderio, anche se manifestato con rabbia, nella fantasia è romantico e positivo. La persona desiderata viene rintracciata e avvicinata con trucchi non malevoli, ad esempio facendo trovare due biglietti per il cinema nella buca delle lettere o sotto i tergicristalli, facendosi trovare in un posto dove si trova anche la vittima fingendo che l’incontro sia casuale, oppure ponendo domande ad amici e/o colleghi su qualsiasi aspetto relativo alla vita della persona desiderata. I livelli di pericolosità di questo stalker sono bassi: le molestie, infatti, non sono caratterizzate da minacce, regali macabri o azioni malevole. L’autore di queste condotte è spesso un adolescente o un giovane adulto.

Stalking delusionale e di fissazione - alto rischio Lo stalker in questo caso tende a essere incoerente e la sua fissazione sulla vittima permane; la vittima è a elevato rischio di subire violenza fisica e/o sessuale. L’autore di queste condotte potrebbe essere già noto, alle forze di polizia e agli operatori sanitari, per probabili disturbi di personalità di tipo borderline, con episodi di schizofrenia; sono frequenti i casi in cui il soggetto ha già commesso reati di violenza fisica o sessuale, o ha precedentemente messo in atto condotte vessatorie. Il comportamento di stalking si caratterizza con una sequela di telefonate, lettere, e-mail, visite sul posto di lavoro. Non esiste un modello comportamentale coerente, i tempi e i luoghi in cui agisce lo stalker sono vari e imprevedibili. Il contenuto del materiale da lui inviato e le sue conversazioni sono velatamente osceni e di natura sessuale. L’obiettivo è stringere una relazione intima di natura sessuale con la vittima, facendo riferimento alla loro precedente relazione o all’interesse che, a parer suo, la vittima mostra ancora nei suoi confronti. Le vittime possono essere indistintamente uomini o donne e, solitamente, appartengono a una classe sociale medio-alta. Con una certa frequenza, queste vittime sono professionisti (medici, professori universitari ecc.) o persone comunque note, anche solo a livello locale. Stalking delusionale e di fissazione - basso rischio Lo stalker presenta la delirante convinzione che esista una relazione fra lui (o lei) e la persona oggetto delle sue fissazioni; il livello iniziale di conoscenza fra vittima e stalker è basso. Nessuna delle condotte messe in atto è pericolosa o costituisce una minaccia; tuttavia il persecutore non è disposto a riflettere sulle ragioni della vittima. Lo stalker costruisce una propria realtà, per cui egli (o ella) e la vittima hanno una relazione reciproca e consensuale; se ciò risulta smentito, la motivazione viene ricercata in fattori esterni (es. il marito della vittima che si sta intromettendo). Nel caso in cui lo stalker si convinca che una terza persona impedisce la pretesa relazione, si potrebbe verificare una condizione di pericolo, soprattutto se questa persona viene percepita come intrusiva nella vita della vittima.

Stalking sadico Per questo tipo di stalker la vittima costituisce un pensiero ossessivo, ed è vista come una preda. Il criterio di selezione utilizzato da questo persecutore è basato principalmente sulle caratteristiche della vittima stessa, che può essere considerata una persona da rovinare poiché percepita come felice e/o realizzata. In questo contesto, nella percezione della vittima non esiste alcuna spiegazione plausibile sul perché proprio lei sia stata presa di mira. Il livello iniziale di conoscenza fra vittima e stalker è basso; il tipo di approccio utilizzato dall’aggressore è inizialmente benevolo, per poi diventare sempre più persecutorio. Egli si infiltra sistematicamente nella vita della persona, per crearle sconcerto e nervosismo; l’autore di questi crimini si caratterizza per un’accentuata freddezza emotiva e spesso presenta un disturbo antisociale della condotta. Gli stalker sadici hanno già avuto in precedenza tendenze comportamentali simili, soprattutto se di età superiore ai 40 anni; il comportamento persecutorio può essere rivolto anche a tutte le persone vicine alla vittima, nel tentativo di isolarla. A volte è proprio quest’ultima ad allontanarsi da parenti o amici, o a lasciare il nuovo partner, per non esporli al pericolo, nella speranza che lo stalker prenda di mira lei sola. Le minacce possono essere esplicite (“moriremo insieme”) o subdole (la consegna di un mazzo di fiori secchi). Lo stalker sadico può essere molto pericoloso, in particolar modo per la violenza psicologica che è in grado di infliggere. Alcuni dei suoi comportamenti hanno matrice sessuale e hanno principalmente lo scopo di umiliare la vittima e minarne l’autostima.

un esempio di stalker cercatore d’intimità nome Albert Toronjo soprannome lo stalker seriale di Kingsport luogo dei delitti Kingsport, Tennessee periodo dei delitti 2012-2016 numero delle vittime 100 + modus operandi avvicinava le vittime fingendosi un “tuttofare”, poi iniziava a molestarle sessualmente e a perseguitarle tramite appostamenti e telefonate Albert Toronjo, soprannominato “lo stalker seriale di Kingsport”, ha

molestato e perseguitato in modo assillante diverse donne della sua città tra il 2012 e il 2016. Generalmente abbordava le sue vittime fingendosi un innocuo “tuttofare” che poteva aiutarle nelle faccende di casa, cercando di parlare con loro ai mercatini o alle svendite, di conversare mentre camminavano per il quartiere. Oppure vagava di casa in casa nel tentativo di cercare lavoro, mentre in realtà aveva l’intento di stringere con le donne una relazione affettiva. Solitamente abbordava vittime sole, giovani e anziane, e cercava di introdursi in casa loro con la scusa di prendere un caffè. Terrorizzava le sue vittime in vari modi: appostandosi davanti a casa loro nel tentativo d’incontrarle, nascosto dentro la sua automobile; facendo numerose telefonate a casa, sempre mentre era nascosto dentro l’auto; spaventandole rivolgendo loro diverse allusioni sessuali sia di persona sia tramite il telefono; infine sconfinando nella loro proprietà mentre loro erano in casa. Nel 2014 Toronjo è stato condannato a un anno di prigione per aver molestato e perseguitato più di 100 donne. A pochi giorni dalla sua rimessa in libertà vigilata, la polizia ha ricevuto denunce da alcune delle vittime precedentemente molestate, perché avevano nuovamente subito stalking da parte dell’uomo.

PARTE QUARTA CRIMINI RITUALI E/O DELL’OCCULTO

10. SETTE E CULTI SATANICI

La miglior astuzia del diavolo sta nel convincerci che non esiste. Charles Baudelaire

In epoca contemporanea il Satanismo è un fenomeno soprattutto statunitense, e dagli Stati Uniti, dove è stato riconosciuto ufficialmente come una religione, si è diffuso in tutto il mondo (Perlmutter, 2004). Può essere definito come l’adorazione o la venerazione, da parte di gruppi organizzati in forma di movimento, tramite pratiche ripetute di tipo culturale o liturgico, del personaggio chiamato Satana o diavolo nella Bibbia (Introvigne, 1994, p. 12). Satana, dall’ebraico hass-t-n, “l’avversario”, è il signore delle potenze invisibili del male, personificazione della forza negativa che si oppone a Dio. Nel Nuovo Testamento il termine ebraico Satana è spesso alternato con il greco diabolos (diavolo), che significa “colui che calunnia e che accusa, che si getta di traverso, che disunisce, che fa nascere l’odio”. Altri nomi utilizzati derivano da culti fenici, come nel caso di Belzebù – contaminazione di Baal Zbub, il “signore delle Mosche”, il “dio di Ekron” secondo la definizione filistea, o Belzebul, dall’ebraico Zebul, “la dimora”, o Zebel, “l’immondizia” –, o Belfagor, da Baal Phegor, il “signore del monte Phegor” (Bouisson, 1994; cfr. anche Famà, 2004). Nel Satanismo vengono generalmente venerati quattro demoni: 1. Satana 2. Beelzebub 3. Astaroth 4. Azazel SATANA.

Re assoluto degli inferi e avversario per eccellenza del bene, nella maggior parte delle volte è identificato con Lucifero, l’angelo caduto. Elementi caratteristici:

– regna nel mese di marzo – animali sacri: pavone, serpente, caprone e corvo – numeri: 13, 666 e 4 – giorno: lunedì – colori: blu, rosso e nero – festa: 23 dicembre BEELZEBUB. Demone

molto potente, governa 66 legioni di spiriti. Elementi

caratteristici: – regna nel mese di luglio – colore della candela: nero – pianeta: Sole – metallo: acciaio – elemento: fuoco – festa: 21 settembre ASTAROTH. Demone

molto antico e potente, tesoriere generale dell’Inferno, secondo la tradizione comanda 40 legioni di demoni e possiede quattro assistenti (Aamon, Pruslas, Barbatos e Rashaverak). Elementi caratteristici: – regna nel mese di agosto – pianeta: Venere – colore della candela: marrone o verde – metallo: rame – elemento: terra – festa: 21 marzo AZAZEL.

Demone guerriero, portavessilli dell’esercito infernale, secondo la tradizione è capo messaggero dell’armata infernale. Elementi caratteristici: – pianeta: Saturno – colore della candela: blu, nero – metallo: piombo

– elemento: aria – festa: 21 giugno

La caratteristica che differenzia principalmente il Satanismo praticato nelle sette sataniche dal credo praticato in altre sette religiose consiste nel fatto che solitamente nelle sette sataniche la fedeltà degli adepti non è rivolta principalmente alla personalità carismatica del leader della setta, bensì alla stessa dottrina satanista. Se ne deduce che al culto satanico l’adepto si accosti più per convinzione di tipo fideista che non per persuasione esterna, intesa anche come coercitiva e manipolatoria. Il Satanismo, infatti, deve essere inteso come una fede comunque di tipo religioso e, come tale, deve essere condivisa da tutta la comunità satanista, attraverso l’adesione al gruppo e la cooperazione intragruppale in attività, riti e rituali riprovevoli dedicati alla/alle divinità degli Inferi (Strano, 2003, p. 472). Al Satanismo il Federal Bureau of Investigation degli Stati Uniti d’America, che è in contatto con le fonti di polizia degli altri paesi dove il culto è più diffuso, attribuisce in media un omicidio all’anno nel mondo. Ad esempio, tra il 1975 e il 1995 furono una quindicina i delitti satanici compiuti nel mondo. Quasi tutti questi omicidi devono essere attribuiti a persone appartenenti a gruppi giovanili, gruppi formati da persone che non appartengono a vere e proprie sette sataniche e che mettono in scena riti satanici ispirandosi a musica, libri, fumetti e film, ma non a “testi sacri” del Satanismo. Queste persone solitamente compiono atti sessuali devianti, magari accompagnati dalla rottura di un crocifisso o di un altro simbolo cristiano, profanazione di chiese e di cimiteri, a volte sacrifici di animali. Col passare del tempo, gli appartenenti a questi gruppi possono perdere il senso del limite e, sotto l’influsso di alcool e droga, compiere atti di violenza carnale, e in casi molto rari, anche sacrifici umani (Introvigne, 1990, 1994 e 1998). 10.1. La cultura satanica La maggior parte delle persone si avvicinano all’occulto da adolescenti e alcune, diventando adulte, si allontanano da questo sistema di credenze; altre, invece, proseguono il loro percorso nell’occulto, arrivando a costituire gruppi e/o sette sataniche e diventando veri e propri capi spirituali del culto. Alcuni studiosi hanno cercato di comprendere che cosa spinge gli adolescenti ad avvicinarsi al Satanismo, che cosa li induce a una graduale “discesa agli inferi”. Secondo Cantelmi e Cacace (2007, pp. 126-127; il

numero del campione è di 880 ragazzi/e), la maggior parte di loro è entrata in contatto col Satanismo per: 1) ottenere un senso di appartenenza (46%) 2) rivolgersi a valori alternativi (39%) 3) superare alcune inibizioni giovanili (6%) 4) realizzare loro desideri (5%) 5) sentirsi superiori agli altri (4%) Le modalità utilizzate sono state: 1) siti internet (14%); 2) libri (21%) 3) film (28%) 4) musica (44%) – FILM, TELEFILM, ROMANZI E FUMETTI. Negli ultimi anni sono diversi i prodotti filmici e cinematografici che possono far avvicinare le persone alla magia e all’occulto (wicca, Vampirismo e/o Satanismo ecc.). Per citare solamente alcune opere, tra le tante, incentrate sulla lotta tra il bene e il male, tra il culto e l’occulto, tra Dio e Satana: Dungeons & Dragons (D&D), Vampire: The Masquerade ecc. tra i giochi di ruolo; Dylan Dog, Dampyr ecc. tra i fumetti; Harry Potter, Twilight, The Vampire Diaries, Il Signore degli anelli ecc. tra le opere di narrativa; Streghe, Buffy l’ammazza vampiri, Supernatural, True Blood ecc. tra le serie televisive, e ancora, tra i film, le trasposizioni cinematografiche di Harry Potter, Twilight e The Blair Witch Project. Tra i film meno recenti citiamo, invece, Rosemary’s Baby, L’esorcista, Damien - La profezia, Stigmate, La nona porta, Dracula, Intervista col vampiro ecc. – LIBRI. Negli ultimi anni il numero dei libri pubblicati sull’esoterismo, sull’occultismo e sul Satanismo è aumentato a dismisura; oggi, infatti, molte librerie dispongono di un’intera sezione dedicata a questi culti alternativi. Negli Stati Uniti, ad esempio, la casa editrice Avon Book è specializzata

nella pubblicazione di libri dedicati al paganesimo e alla stregoneria; essa pubblica, tra gli altri, i libri più popolari sul Satanismo, quali The Satanic Bible e The Satanic Rituals, entrambi di Anton Szandor LaVey, fondatore della californiana Church of Satan. Al di là di questi prodotti, letti da persone aventi già una certa familiarità con il Satanismo, esistono centinaia di libri e libercoli di magia, dedicati prevalentemente ai giovani, che introducono a questo culto, dando numerose e circostanziate informazioni su come praticarlo. La maggior parte degli adolescenti, soprattutto statunitensi, impara i primi elementi dei culti alternativi da questo genere di libri. Abbiamo poi i romanzi dedicati a un pubblico di giovani adulti, che utilizzano l’occulto come trama delle loro storie, che gravitano attorno a sette sataniche dedite a riti sacrificali; tali pubblicazioni, spesso vendute nei supermercati e nei grandi magazzini in edizione economica, sono prese come punto di riferimento dagli aspiranti satanisti per definire i riti e i rituali a cui ispirarsi durante gli incontri. Esistono poi opuscoli e manuali clandestini che parlano del Satanismo agli aspiranti satanisti; queste pubblicazioni, fotocopiate e ciclostilate in proprio, vengono in genere fatte passare di mano in mano, da un adepto all’altro, o all’interno di piccoli gruppi di giovani improvvisati. Tornando ai libri di LaVey, The Satanic Bible contiene la filosofia e le pratiche di introduzione al Satanismo della chiesa da lui fondata, mentre in The Satanic Rituals sono contenuti gli atti, i riti e rituali per venerare Satana. Entrambi i libri traggono spunto dai racconti di H. P. Lovecraft, ideatore del genere fantasy horror. Tra gli altri libri che vengono spesso consultati dagli aspiranti satanisti ricordiamo il Malleus Maleficarum (1487) degli inquisitori H. Kramer e J. Sprenger, Magick e The Book of the Law (1904) di Aleister Crowley, il mago nero inglese fondatore dell’Ordo Templi Orientis, e, infine, il testo sulla magia nera di Richard Cavendish, The Black Arts (1967) (Barresi, 2000 e 2006). – MUSICA. I testi violenti e la simbologia satanica della musica heavy metal, in particolare brutal e death metal, anche se non sono causa esplicita di violenza auto- ed eterodiretta, possono contribuire a condizionare alcune giovani menti. La musica e i video musicali, infatti, hanno un forte impatto sui valori degli adolescenti e sull’attrazione e la fascinazione che questi provano e subiscono per il Satanismo. Molti artisti heavy metal, per convinzione propria o per “esigenze di mercato”, accompagnano le proprie musiche con testi idolatranti la divinità del Male. Tra questi, esponenti di

rilievo nel panorama mondiale sono i Marilyn Manson, un gruppo musicale che prende il nome dallo pseudonimo del loro leader. Ciascuno dei membri ha uno pseudonimo, creato tramite l’accostamento del nome di un personaggio femminile di successo al cognome di un famoso serial killer. Il leader del gruppo, infatti, fa derivare il suo pseudonimo da Marilyn Monroe, l’intramontabile mito del cinema, e Charles Manson, l’autore della strage di Bel Air in cui perse la vita, fra gli altri, Sharon Tate, la moglie del regista Roman Polanski. Nella sua biografia, intitolata La mia lunga strada dall’inferno (1998) Brian Hugh Warner (questo il suo vero nome) racconta della sua giovinezza, delle perversioni sessuali del nonno tracheotomizzato, dell’uso sfrenato di alcool e droga, delle proprie abitudini sessuali promiscue, dell’incontro con Anton Szandor LaVey, che lo nominerà sacerdote della sua Chiesa di Satana. Il cantante ha quasi trent’anni quando diventa uno dei personaggi più noti della scena hard rock, facendo della trasgressione la sua arma più efficace. Sul palco, infatti, egli si scatena ferendo i compagni della band e tagliandosi con ciò che gli capita in ogni parte del corpo raggiungibile (Picozzi, 2002). Per quanto riguarda brutal e death metal, tra i gruppi considerati ideatori di questo genere musicale figurano i Morbid Angel e i Deicide, due gruppi della Florida. I Morbid Angel fanno discutere per i testi delle loro canzoni che, a detta del gruppo, sono ispirati dalla lettura dei libri dello scrittore H. P. Lovecraft; i Deicide hanno contribuito a far nascere e a diffondere il death metal anche grazie alle ideologie del loro leader, Glen Benton, che ha dichiarato di essersi fatto incidere con il fuoco una croce rovesciata sulla fronte, per evidenziare la sua adesione al culto di Satana. Da segnalare tra i gruppi musicali più rappresentativi dall’heavy metal contemporaneo i danesi Mercyful Fate, che in una loro canzone parlano di un vero e proprio patto col diavolo: “Io bacerò il caprone e giuro di dedicarmi mente, corpo e anima, senza riserve, per promuovere i piani del nostro signore Satana” (Climati, 2001, p. 60). – ALCOOL E DROGA. L’utilizzo di sostanze stupefacenti è un comportamento molto diffuso tra i giovani; queste sostanze, infatti, rendono i ragazzi disinibiti, euforici e socievoli, mentre il loro utilizzo prolungato può condurre gli utilizzatori a sviluppare depressione, ansia, paranoia e crisi psicotiche con allucinazioni. Ciò induce a riflessioni sull’origine di alcune delle allucinazioni visive che diversi soggetti alcoldipendenti e tossicodipendenti, afferenti al mondo del Satanismo, affermano di avere

avuto durante la celebrazione di riti e sacrifici. La proprietà di alcune sostanze stupefacenti di portare in contatto con un “altro mondo”, infatti, è provata da studi di psicologia della religione, i quali dimostrano come, con una particolare predisposizione psicologica e in un contesto che tende a creare un’atmosfera religiosa, alcune droghe possano agevolare esperienze mistiche, nella misura in cui il soggetto posto sotto l’influsso di queste sostanze può, per la prima volta, vedere il mondo in termini adeguati a un proprio particolare sistema di significati. Alcuni ricercatori hanno scoperto, per l’appunto, che, sotto l’influsso di determinate sostanze stupefacenti, le visioni di esseri demoniaci sono un fenomeno comune: su un campione di 206 soggetti, infatti, il 49% ha affermato di aver visto, durante l’assunzione o a seguito dell’assunzione di determinate sostanze stupefacenti, immagini specificamente religiose, quali quelle dei diavoli e dei demoni, mentre solamente il 7% ha dichiarato di aver visto figure angeliche (Hood et al., 2001, p. 267). Questi prodotti ludici, letterari e cinematografici, utilizzati da centinaia di migliaia di persone nel mondo, sono qui indicati solamente a titolo di esempio, e non citati perché specificamente implicati nel generare in giovani e/o adulti la “voglia” di compiere delitti e crimini in nome di Satana. Questi prodotti, però, sembrano fungere per alcuni individui da promemoria, soprattutto per le persone che, per determinate caratteristiche di personalità, vogliono mettere in pratica un rituale o un sacrificio per ottenere un determinato vantaggio dalla divinità; questo soprattutto quando non appartengono ad autentiche sette dedite al Satanismo, e quindi non sanno concretamente come fare per celebrare una “messa nera” o come compiere un rito o un sacrificio (Introvigne, 1998). La frequentazione di un determinato genere letterario, la visione di un certo tipo di film, l’ascolto di un particolare genere musicale, l’utilizzo di un qualche tipo di alcool e/o droga possono portare alcuni giovani ad avvicinarsi al mondo dell’occulto perché alcuni di questi prodotti possono suscitare fantasie sopite in soggetti con una personalità fragile o con disturbi della personalità. Nell’esplorare questi “mondi altri”, il rischio risiede nel fatto che alcune persone possano perdere il senso del limite tra finzione e realtà e si “perdano”, svincolandosi giorno dopo giorno dai valori condivisi della società per abbracciare quelli della “cultura” satanica. La prima tappa dei meccanismi di svincolo dal culto cristiano a quello satanico è

rappresentata dal rifiuto della Chiesa cristiana; il ragionamento del giovane è: la Chiesa no, Gesù Cristo sì. La seconda tappa è rappresentata dal rifiuto di Gesù Cristo: Gesù Cristo no, Dio sì. E così di seguito: Dio no, la religione sì; la religione no, il sacro sì; il sacro no, il mistico sì; il mistico no, l’esoterico sì; l’esoterico no, l’occulto sì. Infine: l’occulto no, il demoniaco sì (Mastronardi, 1998). Questi processi di svincolo portano diverse persone, inizialmente interessate all’occulto, a compiere una lenta ma inesorabile discesa verso l’inferno, dove la commissione di crimini e sacrifici per adorare Satana va per gli adepti al di là della legge degli uomini. 10.2. Il Satanismo e i satanisti Nel corso degli anni, sono stati molti gli studiosi che si sono interessati al Satanismo e alle sette sataniche, cercando di inquadrare il fenomeno tramite classificazioni e tipologie. La già citata Dawn Perlmutter (2004, pp. 110112) ha individuato quattro categorie generali di Satanismo, basate sul livello di coinvolgimento dei gruppi satanici in eventuali attività criminali; tale tipologia è utilizzata anche dalle forze dell’ordine statunitensi: – satanisti religiosi/organizzati – satanisti tradizionali/intergenerazionali – satanisti sedicenti tali – satanisti della subcultura giovanile L’autrice afferma anche che vi sono molte altre organizzazioni occulte che, sebbene non specificamente sataniche, attuano pratiche e rituali somiglianti a quelli perpetuati dai satanisti; tra queste le organizzazioni occulte che si ispirano al Vampirismo e al mondo “vampire”. Il Satanismo religioso/organizzato Il Satanismo religioso/organizzato, definito anche “Sentiero della Mano Sinistra”, è praticato in chiese, grotte, “piloni” e rifugi da gruppi organizzati aventi credenze sataniche diverse. I satanisti religiosi/organizzati sono conosciuti anche come “veri credenti”, individui che si sono seriamente impegnati nelle credenze, nei princìpi, nei riti, nei rituali e nelle ideologie di una religione satanica. Attualmente negli Stati Uniti d’America alcune di

queste Chiese sataniche sono state riconosciute dal governo come religioni e, di conseguenza, non solo sono protette dal Primo Emendamento della Costituzione americana, ma godono anche dell’esenzione dal pagamento delle tasse. In America vi sono molte Chiese sataniche e una varietà di altre organizzazioni religiose che praticano apertamente il Satanismo, molte delle quali hanno pagine web su Internet, che forniscono informazioni sulle loro credenze e pratiche, e sulla possibilità di aderire on line al culto satanico. A causa della natura provocatoria di questa religione, la rete è infatti diventata una rilevante fonte di crescita per la comunità satanista: essa fornisce diversi forum per il reclutamento di nuovi adepti, per la diffusione di informazioni e per lo scambio di idee sul fenomeno, e sul web esistono centinaia di siti di gruppi di supporto, organizzazioni e Chiese sataniste, nonché siti che fornisco materiale per riti occulti e tutto ciò che, in generale, riguarda il Satanismo. Le Chiese sataniche americane più consolidate e note sono Church of Satan (CoS) e Temple of Set (ToS). Tra le altre organizzazioni sataniche possiamo citare First Church of Satan (FCoS), Cult of Mastema (CoM), Ordo Templi Satanis (OTS), Church of Lucifer (CoL), Ordo Sinistra Vivendi (OSV). Nel mondo vi sono molti ordini, grotte, “piloni” e rifugi delle principali Chiese sataniche, e un significativo numero di gruppi indipendenti, meno conosciuti, molti dei quali dispongono di pagine web. Sebbene sia difficile stabilire il numero e la collocazione geografica dei vari membri, molti di questi sono situati negli Stati Uniti d’America, in Europa e in Australia. In Africa e Sud America, però, la “magia nera” è praticata nel contesto delle religioni sincretiche – Voodoo, Santeria e Palo Mayombe –, il che potrebbe spiegare lo scarso numero di adepti che le Chiese sataniche occidentali attirano in questi due continenti. In molti Stati, peraltro, i gruppi satanici religiosi/organizzati non sono tollerati e debbono quindi rimanere clandestini. Sebbene le ideologie di questi gruppi possano risultare altamente offensive nei confronti delle religioni più tradizionali, in genere i satanisti religiosi/organizzati sono, nel complesso, cittadini rispettosi della legge, le cui pratiche conosciute raramente costituiscono attività illegali. Tuttavia, questa affermazione è stata spesso messa in discussione dalle dichiarazioni provenienti da molti “sopravvissuti”, come vengono definiti i fuoriusciti dalle sette, e dalle vittime dei crimini legati all’occultismo, le quali

affermano che questi gruppi religiosi/organizzati sono soltanto coperture per attività criminali di varia natura (Perlmutter, 2004). Tra le sette sataniche italiane che hanno avuto problemi con la giustizia va segnalata quella dei Bambini di Satana, fondata a Bologna nel 1982 da Marco Dimitri, con attività che si svolgevano tra Forlì, Rimini e Riccione, Pesaro e Bologna. Le pratiche comprendevano soprattutto rituali di evocazione del diavolo, in cui non mancavano elementi tantrici e di magia sessuale. L’iniziazione al gruppo avveniva tracciando il numero 666 con il sangue del fondatore Dimitri, che si faceva chiamare “la Grande Bestia 666”, sulla fronte dell’iniziato o dell’iniziata, che riceveva così “il marchio della Bestia”. Per i cattolici e gli aderenti ad altre religioni c’era anche una “cerimonia di annullamento di riti battesimali di qualsiasi culto”. Il novizio doveva sottoscrivere un patto, scritto di proprio pugno e firmato con il proprio sangue, tramite il quale proclamava fedeltà all’opera magica e si proclama Satana, dio di se stesso. Le inchieste della magistratura su presunti reati commessi da membri della setta, iniziate nel 1992 con l’interruzione di un rito da parte delle forze dell’ordine, si sono concluse nel 2000 con l’assoluzione da tutti i reati (Introvigne et al., 2001). Il Satanismo tradizionale/intergenerazionale Analogamente ai satanisti religiosi/organizzati, sono conosciuti come “veri credenti”; sono eccezionalmente legati alle loro credenze, che costituiscono una versione fondamentalista radicale della religione satanica. Dal punto di vista ideologico, essi adorano Satana come l’essere soprannaturale maligno descritto nel Nuovo Testamento. Alcuni dei membri di questo culto sostengono di essere stati allevati in un sistema di credenze e tradizioni che risale indietro nel tempo per diverse generazioni – per tale motivo sono anche chiamati satanisti generazionali o intergenerazionali. Le loro pratiche religiose comprenderebbero rituali di sangue, sacrifici animali e umani, e una varietà di riti sessuali sadici intesi a glorificare Satana. Dawn Perlmutter (2004) ritiene che costituiscano una rete cultuale internazionale segreta e altamente organizzata, impegnata in una serie di attività criminose, quali incendi, violenze rituali, violenze sessuali, pratiche incestuose, rapimento di bambini, pedopornografia e forme di omicidio rituale implicanti mutilazione, smembramento e talora cannibalismo sui corpi delle vittime.

Di fronte alla scarsità di prove empiriche, molti studiosi, e con loro una larga porzione dell’opinione pubblica, ritengono che queste accuse siano dovute ai falsi ricordi di pazienti in terapia oppure che siano semplicemente leggende metropolitane, alimentate da una forma di “panico satanico”. Sebbene non siano stati condotti studi empirici sulla frequenza degli episodi criminosi sopra riportati, l’evidenza dei fatti indica comunque che la pratica del Satanismo tradizionale/intergenerazionale esiste veramente. Tra i casi criminali che hanno coinvolto persone accusate di essere dei satanisti tradizionali/intergenerazionali, va ricordato il caso che coinvolse il personale dell’asilo McMartin Preschool avvenuto a Los Angeles, in California. Nel 1984, il procuratore distrettuale di Los Angeles contestò ad alcune persone che lavoravano nell’asilo 208 capi d’imputazione per abuso sessuale di minore, nei riguardi di quaranta bambini; tra gli adulti accusati figuravano i due proprietari della scuola, il figlio di uno dei proprietari e quattro insegnanti. Il processo fu il primo caso negli Stati Uniti in cui le autorità ipotizzarono la commissione, da parte di alcuni adulti, di abusi sessuali a scopi satanici. Nel gennaio del 1986, un nuovo procuratore distrettuale fece cadere tutte le accuse contro cinque degli adulti; rimasero cinquantadue addebiti nei confronti di Ray Buckey e venti imputazioni nei confronti di Peggy Buckey, compresa quella di cospirazione. Dopo sei anni, nel 1990, un’altra giuria non fu in grado di accordarsi sul verdetto e la pubblica accusa rinunciò a tentare di ottenere una condanna. Questo caso stimolò vari procedimenti giudiziari simili, ma c’è chi sostiene che si trattò di una vera e propria caccia alle streghe scatenata dagli inquirenti (Zappalà, 2004 e 2009). Un gruppo di satanisti tradizionali italiani è costituito dal movimento 666 Realtà Satanica, fondato da Filippo Scerba, noto anche come Principe Demus. Per i suoi adepti, Satana è considerato figlio di Dio e fratello di Gesù Cristo. La ritualità del gruppo è eclettica e sembra derivare da una pluralità di fonti diverse. Fra i riti del gruppo, i più importanti sono quelli della “mano del morto”, “del bue o della capra”, “del palo”. Il primo consiste nello scoperchiare una tomba, tagliare la mano del cadavere e coricarsi nella bara, che rimane chiusa per un breve periodo di tempo. Il secondo nel sacrificio di un animale che viene squartato dopo essere stato legato a quattro alberi (che corrispondono rispettivamente a Lucifero, Satana, Leviathan e Belial), dopodiché il sacerdote immerge l’adepto nelle viscere dell’animale. Quanto

al rito del palo, si tratta di una pratica di magia eterosessuale (Introvigne et al., 2001). Il Satanismo sedicente tale Secondo Dawn Perlmutter (2004) i satanisti sedicenti tali sono generalmente individui dediti individualmente al Satanismo, oppure persone appartenenti a piccoli gruppi poco organizzati di satanisti. Possono essere sottoclassificati o come “dilettanti”, persone coinvolte solo saltuariamente in attività occulte a cui si dedicano per curiosità, o come “veri criminali”, individui che usano l’occultismo come scusa per giustificare o razionalizzare il loro comportamento criminale. I rituali e i sistemi di credenze dei “dilettanti” e dei “veri criminali” possono essere, in certi casi, completamente inventati per l’occasione, frutto della combinazione di svariate tradizioni esoteriche; in altri casi, invece, possono derivare da emulazioni di pratiche sataniche tratte dalle immagini provenienti dai mass media. Questi satanisti non possono quindi essere considerati “veri credenti”, poiché il loro principale interesse solitamente consiste nell’acquisizione del potere personale e di un notevole guadagno materiale o, comunque, nella gratificazione proveniente dall’attività criminale, piuttosto che in quella derivante dalle pratiche di adorazione messe in atto durante il culto. Un esempio classico di sedicente satanista è rappresentato da Richard Ramirez (di cui si veda una scheda a p. 182). Un caso italiano è invece quello che coinvolse i componenti delle Bestie di Satana, un gruppo di persone accusato di aver compiuto una serie di efferati delitti sotto l’influenza di alcool, droghe, musica rock e, appunto, Satanismo. Il 24 gennaio 2004, con l’omicidio della ventisettenne Mariangela Pezzotta, commessa di Somma Lombardo (Varese), balzò all’onore delle cronache la lunga scia di crimini commessi dal gruppo. A conclusione delle indagini preliminari, la Procura di Busto Arsizio contestò quattordici capi d’imputazione, alcuni dei quali fecero precipitare l’Italia intera ai tempi del Medioevo, tra cui la costituzione di un’associazione a delinquere allo scopo di compiere delitti in nome del maligno (Spezi, 2004; Offeddu, Sansa, 2005; Moroni, 2006). Oltre all’assassinio di Mariangela Pezzotta, perpetrato per evitare che la giovane denunciasse alle autorità i delitti commessi dal gruppo, fece particolare scalpore l’omicidio di Fabio Tollis e Chiara Marino,

compiuto nel quadro di un rituale in nome di Satana, che per i giudici fu effettivamente un sacrificio umano commesso contro persone indifese per ottenere i favori della divinità satanica. Gli appartenenti al gruppo furono condannati a pene durissime, tra cui diversi ergastoli (Corte di Cassazione, Sentenza n. 32851 del 6 maggio 2008; cfr. anche Zanconi et al., 2009). Il Satanismo della subcultura giovanile Secondo Dwan Perlmutter (2004) possono essere assimilati a quelli che abbiamo definito “sedicenti satanisti”, tuttavia, il loro interesse per il Satanismo solitamente è transitorio, e non è detto che dia luogo a sviluppi criminali. Questi satanisti possono essere sottoclassificati come “veri dilettanti”: individui adolescenti e giovani adulti che, di solito, sono introdotti al Satanismo tramite la musica, i film, internet o altre influenze mediatiche. Spesso questi giovani si accostano all’occultismo e al Satanismo a causa di un profondo senso di alienazione dalla cultura dominante e dalle tradizioni spirituali consolidate, dopo di che o fanno ritorno alle credenze più tradizionali o vengono reclutati in una delle varie organizzazioni religiose sataniche. I loro rituali diventano più impegnativi a seconda della durata della loro adesione al Satanismo, e vanno dalle semplici formule magiche per giungere talora al sacrificio animale ed umano. I crimini comunemente commessi da questi satanisti comprendono atti di vandalismo, incendi, profanazione di tombe, mutilazione di animali, violenze scolastiche e, in qualche caso, omicidi. A seconda del livello di convinzione al momento del loro coinvolgimento nelle attività rituali, possono anche essere considerati “veri credenti” temporanei. Uno degli episodi più gravi collegati a questo tipo di satanisti è la strage compiuta dal sedicenne Luke Woodham, che nel 1997 a Pearl, nel Mississippi, pugnalò a morte la madre e poi si recò a scuola dove aprì il fuoco con un fucile, uccidendo due suoi compagni e ferendone sette. Egli apparteneva un gruppo di giovani che avevano abbracciato il Satanismo. I suoi confratelli, membri di un gruppo chiamato Kroth, che mirava alla distruzione dei propri oppositori e praticava il culto satanico, aveva inculcato in Luke l’idea che l’assassinio fosse un mezzo accettabile per il conseguimento dei fini del sistema di credenze condiviso. A questo tipo di satanisti si può ricondurre quanto avvenuto in Italia il 6 giugno 2000, quando tre ragazze adolescenti assassinarono brutalmente suor

Maria Laura Mainetti, madre superiora dell’Istituto Immacolata di Chiavenna (Sondrio), ritrovata cadavere nel parco cittadino delle Marmitte dei Giganti (Spezi, 2004). Dopo alcune indagini, le forze di polizia fermarono con l’accusa di omicidio tre ragazze minorenni, che confessarono il delitto, spiegando inizialmente agli inquirenti che il loro intento era quello di rompere la monotonia della vita noiosa che conducevano. In seguito però ammisero di aver ucciso la religiosa durante un sacrificio a Satana, raccontando anche la dinamica dell’omicidio. Una delle ragazze aveva telefonato alla suora dicendo di essere rimasta incinta dopo aver subito una violenza sessuale e di voler abortire, chiedendo di fissare un appuntamento. Una volta sul posto, la vittima era stata accompagnata in un vicolo buio e qui, dopo essere stata colpita alla testa con un cubetto di porfido, costretta a inginocchiarsi e massacrata con diciotto fendenti, menati con due grossi coltelli da cucina, accompagnati da insulti da parte delle ragazze (Zappalà, 2004). indizi sulla scena del crimine che fanno riferimento a un delitto rituale collegato al Satanismo presenza di abiti, cappe e cappucci altare su cui sono poste pietre o altri addobbi rituali candele nere e/o incenso cerchio sul terreno (circa 8-9 m di diametro), talvolta contenente un pentacolo cranio umano con gli occhi scavati, pietre rosse e/o candele infilate in zoccoli di animali disegni di croci rovesciate, rettili e/o serpenti con le corna gocce e/o residui di cera colata sul cadavere e/o in particolari orifizi del corpo della vittima cadaveri di uccelli e/o di altri animali con il prelievo e la mutilazione di organi specifici (genitali, ano, cuore, lingua, orecchie) particolare posizionamento del corpo della vittima (il nord indica la supremazia di Satana) scritte riguardanti passi di libri dell’occulto oppure passi biblici (alcune volte queste scritte sono composte con il sangue della vittima)

presenza di sangue umano e/o animale simboli vari: croce rovesciata, pentacolo con la punta del triangolo verso il basso, 666 (il numero dell’anticristo), “anatas” (scritta che inneggia a Satana scritta leggendo il nome al contrario) ecc. tagli, sfregi e/o simboli incisi sul cadavere tatuaggi sulle vittime (pentacolo, testa di capra ecc.) testa di capra (l’animale simboleggia il diavolo) cadaveri umani con parti del corpo mutilate

UN ESEMPIO DI SERIAL KILLER SEDICENTE SATANISTA

Richard Ramirez nacque a El Paso, in Texas, nel 1960. Figlio di due poveri immigrati di origine messicana, iniziò la sua carriera criminale a 12 anni, quando fu arrestato per uso di droga, aggressione a pubblico ufficiale e guida in stato di ebbrezza. Da giovane frequentò le scuole elementari e medie fino ad arrivare al liceo; qui, però, Ramirez fu costretto a ritirarsi, a causa della sua incapacità a mantenere per lungo tempo la concentrazione. Dopo aver trovato lavoro come fattorino in un motel, fu licenziato per aver tentato di violentare una donna che stava uscendo dalla doccia della sua camera. A quel punto si mise a vagabondare da un posto all’altro, a far uso di droghe e a interessarsi al Satanismo. A 25 anni, magro, emaciato, con lunghi capelli neri e denti ingialliti, appassionato di musica heavy metal, iniziò a terrorizzare i ricchi sobborghi della città di Los Angeles. Abile e silenzioso, durante la notte si introduceva negli appartamenti delle vittime da una finestra lasciata aperta, oppure da una porta non sprangata. Dopo aver ucciso gli uomini della casa, violentava brutalmente le donne e i bambini; la maggior parte delle volte torturava le vittime con un coltello che portava sempre con sé e, dopo averle uccise, ne mutilava i cadaveri. In alcuni casi Ramirez tracciava con il rossetto su di uno specchio il disegno del pentacolo, una stella a cinque punte spesso associata al Satanismo. Altre volte, invece, rapiva i bambini per accrescere il terrore della comunità, uccidendoli poi in luoghi isolati e lontani da dove li aveva prelevati; queste vittime, solitamente, venivano prima picchiate e poi pugnalate a morte. Ramirez sceglieva le vittime casualmente e ciò causò notevoli difficoltà alle forze dell’ordine. Nel corso del tempo si convinse che Satana lo

proteggeva, rendendolo invisibile alla polizia, e per questo iniziò a lasciare tracce e impronte sulle scene del crimine, indizi che infine portarono gli investigatori alla sua cattura. Agli inquirenti Ramirez disse di non provare alcun rimorso per le tredici vittime uccise tra il giugno 1984 e l’agosto del 1985, in quanto la sua sete di sangue era guidata dal Demonio, di cui si proclamò fedele servitore. Condannato alla pena di morte, Ramirez, soprannominato “The Night Stalker”, presentò diversi ricorsi che posticiparono la data della sua esecuzione capitale fino a che morì in carcere nel 2013 (Wilson e Seaman, 2008).

11. SETTE E CULTI VAMPIRICI

Ci sono misteri che gli uomini possono solo intuire, che secolo dopo secolo possono solo in parte risolvere. Bram Stocker

Il Vampirismo è un culto praticato da persone che si ispirano ai vampiri e che seguono la pratica di bere il sangue per trarne nutrimento e vita. Questo credo si è affermato negli Stati Uniti, dov’è stato riconosciuto ufficialmente come una religione, e si sta diffondendo anche in altri Stati, tra i quali quelli europei (Perlmutter, 2004). Come altri movimenti religiosi, esoterici e/o legati al mondo dell’occulto, è formato da persone che seguono un’ideologia occulta, che afferma determinati princìpi entro un sistema gerarchico, e partecipano a riti che sono specifici del proprio sistema di credenze magiche. I vampire, o vampiri moderni, si riuniscono in clan, chiese, congreghe, ordini, case e circoli; alcuni si incontrano anche in locali che danno spazio ad attività di tipo sadomasochistico. In questi luoghi convergono diverse “culture”, quali quelle legate alla modificazione corporea, al piercing, ai tatuaggi e a tutte le forme di bondage e sottomissione sessuale. A volte vengono praticati rituali e scambi di sangue, mutilazioni e atti di autolesionismo. In rari casi, alcuni appartenenti a questo mondo arrivano a compiere attività sessuali violente e rituali di sangue che possono portare al suicidio o all’omicidio (Melton, 1999). 11.1 La cultura vampirica Questa cultura si è sviluppata a partire da una combinazione di miti, leggende, letture, film e telefilm che hanno reso affascinante e romantico il mondo dei vampiri. La denominazione vampire scene fa riferimento a individui, gruppi, organizzazioni, eventi, imprese che condividono un interesse per lo stile di vita ispirato al periodo gotico vittoriano e per le

presunte attività vampiriche, tra cui la vita prevalentemente notturna e il cibarsi del sangue proprio e/o altrui per acquisire energia vitale (Perlmutter, 2004). Alcuni ragazzi vengono introdotti nel mondo vampire tramite giochi di ruolo, molti di più attraverso la letteratura e i film popolari incentrati sul fenomeno dei vampiri. Quanto agli adulti, sono invece piuttosto attratti dalla natura erotica dello stile di vita in cui vivono i clan dei vampiri, fatta di giochi sadomasochisti, sesso estremo e bondage (Larson, 1989). Anche dal punto di vista estetico gli appartenenti ai clan vampire si ispirano ai libri e alla cinematografia sui vampiri antichi e moderni. Essi infatti si dotano di una vera e propria “tenuta”, che in genere si ispira a epoche storiche come quella vittoriana o edoardiana, con vestiti che utilizzano corsetti, mezzi per legare e oggettistica feticista. I colori utilizzati dai membri dei clan sono il rosso, il nero e il porpora. I monili e i gioielli d’argento sono solitamente preferiti a quelli d’oro, per contrapposizione con i riti della Chiesa cattolica. La musica ascoltata è prevalentemente industrial, punk, techno, ma a volte nei luoghi in cui si incontrano gli adepti si ascolta anche musica classica. Il vino è la bevanda d’elezione, anche se alcuni membri fanno largo uso di assenzio, nonostante questa bevanda sia illegale negli Stati Uniti e in molti paesi europei (Perlmutter, 2004). 11.2. I rituali di sangue Nel corso della storia e attraverso le culture, le persone hanno attribuito qualità sacre e magiche al sangue. I riti di sangue comportano sempre il cospargersi del sangue della vittima oppure il bere il sangue di un’altra persona. In alcune culture, infatti, si riteneva che bere il sangue di una vittima donasse alla persona che se ne cibava la resistenza della persona stessa. Allo stesso modo, bevendo il sangue di un animale la persona avrebbe acquisito le sue qualità (Perlmutter, 2004). L’utilizzo del sangue è comunemente indicato dai vampiri moderni come blood play, cioè “gioco del sangue”. Il sangue viene ricavato dalle ferite che i componenti del gruppo si infliggono da soli; a questi tagli possono attingere per bere il sangue la stessa persona che si è inflitta la ferita o altri adepti del gruppo. I tagli sono spesso inferti tramite lame molto affilate o bisturi chirurgici, anche se vengono effettuati solamente tagli superficiali nello strato superiore della pelle. Occasionalmente, gli adepti possono

utilizzare una siringa per prelevare il sangue da una persona e poi berlo, da soli oppure in condivisione con altri. I vampiri moderni fanno spesso parte di quello che viene definito feeding circle, o “cerchio di alimentazione”, cioè un gruppo di adepti che vicendevolmente si scambiano il sangue per nutrirsi (Ramsland, 1998). I rituali di sangue messi in atto dai moderni vampiri creano dipendenza fisica e/o psichica. Fisica perché, quando gli adepti stanno sperimentando il dolore a seguito dei tagli che si sono procurati, nell’organismo della persona che si è inflitta la ferita vengono rilasciate endorfine, antidolorifici naturali che produce il corpo; a lungo andare, però, il dolore deve aumentare d’intensità prima di poter nuovamente raggiungere tassi adeguati di endorfine. La dipendenza psicologica si instaura perché le persone che mettono in atto la pratica di bere il sangue sentono che, se non si nutrono di tale sostanza, la loro vitalità diminuirà, i loro poteri magici si attenueranno o semplicemente non saranno più se stessi: proprio per questo, alcuni appartenenti a questo culto portano sempre con sé delle fiale di sangue. I rituali di sangue creano però problematiche legate alla diffusione e trasmissione di malattie come epatite e HIV. Ma, soprattutto, alcuni possono degenerare e c’è il rischio di morire dissanguati. In alcuni casi, per procurarsi del sangue fresco, i vampiri moderni possono ricorrere al rapimento e/o all’omicidio (Ramsland, 1998). Un esempio di delitto commesso nell’ambito della cultura vampire è l’omicidio perpetrato in Florida da Rodrick Justin Ferrell, capo di un clan composto da quattro adolescenti. Nel 1996, i ragazzi uccisero una coppia di anziani a colpi di bastone, mentre si trovavano nella loro casa. Sui corpi delle vittime fu incisa con il fuoco la V di Vassago (nome di un principe degli inferi), e altre bruciature più piccole furono incise tutt’attorno: esse rappresentavano gli altri membri del clan (Perlmutter, 2004). 11.3. Il Vampirismo e i vampiri moderni I vampiri moderni si qualificano scrivendo la parola vampire con una “y”, che li distingue dai riferimenti narrativi, mitologici e hollywoodiani a cui fanno riferimento. I moderni vampiri si radunano in clan, chiese e congreghe che si caratterizzano per la loro struttura gerarchica, l’opposizione ai dogmi cristiani, le ideologie legate al mondo dell’occulto e del simbolismo oscuro, i

riti di sangue e i rigidi codici di condotta imposti. Come per altri culti organizzati, le ideologie del gruppo e i rituali variano da setta e setta e sono diversi a seconda dei leader del culto stesso. Sono molti, infatti, le Chiese e i gruppi che si ispirano al Vampirismo, negli Stati Uniti e in altre parti del mondo: ad esempio, Kheprian Order, Sekhrian Order, Lucifer’s Den, Society of the Dark Sun, Order of the Vampyre, Thee Empyre ov Nozgoth, Temple of Eternal Night, The Lilith Tradition, Coven of Vampires (Perlmutter, 2004). Un gruppo particolare di vampiri moderni, con un’intricata rete di membri, è chiamato Sanguinarium. Questo culto promuove uno stile di vita vampire, con tanto di regole di etichetta, una speciale estetica nel vestiario e princìpi comportamentali che gli adepti devono seguire. Il loro manifesto definisce il gruppo “una rete di individui, organizzazioni sociali e imprese per cui il vampiro è una metafora, che rappresenta un interesse comunitario per il feticismo, l’occulto, la teatralità, l’arte, le antiche tradizioni, come anche per l’espressione e l’esplorazione individuale e spirituale”. Il Sanguinarium si propone come meta finale quella di riunire tutte le persone che provano gioia e piacere per l’oscurità, l’occulto, il feticismo e il Vampirismo. I membri del gruppo si radunano in rifugi e corti, che si trovano in specifiche località geografiche conosciute solamente dai membri stessi, collegate da un sofisticato sistema diffuso in tutti gli Stati Uniti e in Europa. Il Sanguinarium è inoltre ampiamente presente sul web. Tutto questo dimostra che la cultura vampire non è una voga passeggera, ma una comunità estesa e altamente organizzata i cui membri si contano a migliaia (Perlmutter, 2004). Il simbolo utilizzato degli adepti del Sanguinarium è l’ankh cremisi, un amuleto disegnato dal mastro fabbro D’Drennen: questo sigillo consente ai membri del culto di identificarsi reciprocamente in tutto il mondo. L’amuleto è stato derivato dall’antico simbolo egizio della vita eterna e fa riferimento all’uso, da parte dei sacerdoti del dio egizio Horus, di coltelli taglienti, ankh appunto, per i riti che implicavano il versamento del sangue. La struttura gerarchica dei clan è denominata “The Three Pillars” (i tre pilastri). Il livello più basso è rappresentato dai fledgling, i principianti, che sono persone alle prime armi, generalmente privi di esperienza nel culto oppure figli di adulti già appartenenti al clan. Si identificano per il non avere alcun prefisso identificativo prima del loro nome di battesimo, né alcuna pietra dura nel loro sigillo distintivo. Dopo un periodo di iniziazione, i fledgling diventano

calmae, membri esperti del clan: adesso possono portare un sigillo contenente una pietra rossa. Il livello più alto è quello degli elder, gli anziani, che sono i membri più esperti e influenti del culto. Generalmente questo livello è riservato ai fondatori del clan oppure ai leader carismatici, oppure ai proprietari dei rifugi o ai “creatori di zanne” (dentisti compiacenti che realizzano canini acuminati permanenti per i membri del clan); gli elder portano nel loro sigillo una pietra dura color porpora. Nel gruppo del Sanguinarium l’uso del linguaggio e dell’etichetta è altamente significativo, in quanto il culto si prefigge lo scopo di promuovere l’onore, la cavalleria, lo stile e la creatività. L’espressione “il risveglio”, per esempio, allude all’attrazione iniziale delle persone comuni per il mondo vampire; a questo si associano anche altri termini, come “nascita alle tenebre” o “divenire”. Il termine sire, per indicare il signore oppure il genitore, è utilizzato per identificare chiunque guidi un principiante a realizzare la sua natura vampire. Il termine mundane identifica invece tutte le persone che non tollerano questo stile di vita. Swan, cigno, sono chiamate persone che, ben conoscendo questa cultura, scelgono però di non prendervi parte. Black swan (cigno nero) è una persona che manifesta tolleranza e/o simpatia per lo stile di vita vampire, mentre white swan, cigno bianco, è colui che lo disapprova e cerca di convincere i membri della famiglia o gli amici a uscire dal culto. Altre etichette tipiche della cultura vampire comprendono nomi ispirati al mondo dei vampiri, pseudonimi derivati da fonti storiche, mitologiche e bibliche. Titoli quali lord, lady, marchese, signora e signore indicano lo status dell’adepto entro un clan. Vi sono anche forme di saluto tipiche, per esempio nel Sanguinarium di Gotham si usa prendersi per mano, scambiarsi un bacio sulle mani, quindi baciarsi sulle guance. Il codice di comportamento dei gruppi è imposto dagli elder in una tradizione che è conosciuta come “The Black Veil” (il velo nero). Si tratta di otto princìpi etici dei quali il primo e più importante è quello di evitare che i “segreti del sangue” oltrepassino la cerchia dei membri del gruppo. Altri princìpi sono l’utilizzo di pseudonimi e di nomi vampire, il rispetto e la cortesia degli altri membri del clan, l’importanza dell’individualità, l’onore per il proprio sangue e la tutela della sua sicurezza (es. il preservarlo dalle malattie infettive). La violazione di questi princìpi comporta la punizione del membro del gruppo e la scomunica dal clan di cui faceva parte per un tempo variabile, a seconda della violazione commessa (Melton, 1999).

Questi princìpi si applicano alle congreghe che fanno parte della rete del Sanguinarium, e vi sono molte sette e sistemi di credenze differenti tra i vampiri che non fanno parte di questo gruppo. In alcuni clan si attua la pratica del bere il sangue e del versare il proprio sangue sugli altri adepti. Un gruppo che usa succhiarsi il sangue vicendevolmente è chiamato, come già detto, feeding circle, ma, a differenza dell’immagine diffusa dai mass media, i suoi membri non si mordono reciprocamente il collo ma generalmente usano lame di rasoio per praticare dei tagli l’uno nel corpo dell’altro e per succhiarsi vicendevolmente il sangue che ne esce. Altre consuetudini diffuse nei gruppi vampire sono il feticismo, il sadomasochismo e le attività sessuali caratterizzate da varie forme di asservimento, bondage e disciplina; i partecipanti a questi gruppi sono chiamati regnant, signore, e thrall, servo. In rari casi, oltre a dedicarsi a pratiche di sadismo e masochismo, alcuni appartenenti a gruppi vampire compiono vere e proprie violenze fisiche e sessuali su adepti; in altri casi vengono compiuti delitti e crimini in cui le ideologie vampire, i simboli occulti e il sangue delle vittime fanno da coreografia alle violenze rituali compiute sulla vittima (Linedecker, 1998). indizi sulla scena del crimine che fanno riferimento a un delitto rituale collegato al Vampirismo abbigliamento in latex e/o abiti dark con borchie e catene artigli di metallo che si applicano alle dita delle mani coltelli e/o spade protesi con denti e zanne fruste, restrizioni in pelle, catene, bondage gioielli in argento con pietre preziose e simboli lame e lamette da barba (usate per provocare tagli da cui leccare e/o succhiare il sangue) lenti a contatto colorate siringhe usate per rimuovere il sangue dal corpo della vittima sangue umano (generalmente conservato in sacche e/o in fiale)

UN ESEMPIO DI DELITTO A SFONDO VAMPIRICO

Un delitto a sfondo vampirico fu compiuto nel 2001 nel villaggio di Llanfairpwll sull’isola di Anglesey, nel Galles settentrionale. Matthew Hardman, un ragazzo diciassettenne, uccise in modo macabro e rituale Mabel Leyshon, una signora novantenne, nella convinzione di diventare immortale come i vampiri di cui era studioso. Hardman fece irruzione nella casa della donna, la accoltellò ventidue volte, quindi le aprì lo sterno per rimuoverle il cuore, che mise, avvolto in un foglio di giornale, in una casseruola. Poi fece diverse incisioni sulla gamba della vittima e ne dissanguò il cadavere, raccogliendo il sangue in un catino prima di berlo. Il cadavere della signora Leyshon fu trovato inserito in una scena dai macabri contenuti rituali: era stato posizionato su una sedia con le gambe sollevate su uno sgabello, ai suoi piedi il govane aveva posto una croce formata con due attizzatoi e due candelabri, mentre una candela era stata collocata sul caminetto. Hardman affermò davanti ai giudici, che lo condannarono all’ergastolo, che aveva consumato il sangue dell’anziana signora nella convinzione che questa sostanza l’avrebbe reso immortale trasformandolo in un vampiro (Kocsis, 2008).

12. SETTE E CULTI SINCRETICI

La stregoneria proviene dai tempi negati alla speranza. Jules Michelet

Tra i nuovi movimenti magici vanno annoverati vari culti sincretici che hanno combinato credenze religiose, culturali, magiche e spirituali differenti, dando vita una nuova fede religiosa. La Santeria, il Voodoo, il Palo Mayombe, il Candomblé (o Macumba) e la Brujeria sono culti che hanno preso piede e si sono sviluppati in paesi afrocaraibici e afroamerindi (cfr. Perlmutter, 2004; Zappalà, 2004; Mastronardi, De Luca, 2005; Mastronardi et al., 2006). Queste religioni sincretiche hanno avuto origine intorno al XVI secolo a seguito del traffico e del commercio degli schiavi che dall’Africa venivano deportati nelle piantagioni dei territori americani. Quando gli schiavi africani arrivavano nel Nuovo Continente, i proprietari terrieri di religione cattolica imponevano alla servitù la propria fede religiosa, vietando loro di praticare la loro religione tradizionale. Per mantenere le proprie convinzioni culturali e religiose e i loro riti e rituali, gli schiavi africani mascheravano la loro religione, assegnando a ciascuna delle loro divinità l’immagine di un santo cattolico (Perlmutter, 2004). I nomi delle religioni sincretiche variano a seconda delle aree geografiche in cui sono nate e si sono evolute le religioni africane tradizionali praticate dagli schiavi. Per esempio la Santeria, originariamente chiamata Lucumi, si è sviluppata a Cuba, ma le credenze religiose a cui si ispira derivano dal popolo Yoruba della Nigeria sud-occidentale. Questa nuova fede fu poi introdotta in altri paesi dell’America Latina e divenne nota come Candomblé (o Macumba) in Brasile e come Shango a Trinidad. Il Voodoo, spesso definito come Hoodoo negli Stati Uniti, si è sviluppato ad Haiti, ma le credenze religiose a cui si ispira derivano dal Dahomey, oggi Benin, dove questo culto era originariamente praticato dalle tribù Fon, Ewe e Yoruba (Perlmutter, 2004; Mastronardi et al., 2006).

Attualmente, sono diversi milioni le persone che praticano un culto sincretico. La maggior parte di questi adepti non sono coinvolti in attività criminali, anche se le magie e le credenze nell’occulto e nel soprannaturale occupano un posto significativo nelle pratiche cerimoniali di tutte le persone appartenenti a questi culti. In particolare il sacrificio di animali e/o l’utilizzo di ossa e/o di oggetti presi nei cimiteri dovrebbero far pensare a culti di origine sincretica. Un altro aspetto significativo dei culti sincretici risiede nel fatto che ognuno di questi prevede il ricorso alla magia nera, che è spesso usata dagli stregoni per maledire, minacciare e/o intimidire chi si ritiene un nemico, oppure per asservire la divinità ai propri fini malvagi. Ad esempio, il lato oscuro della Santeria prende il nome di Palo Mayombe, culto nato in Africa (più precisamente nel Congo) che cerca di allearsi alle forze demoniache per intenti nefasti. Per fare ciò, nei sacrifici vengono utilizzati dai sacerdoti teschi e ossa umane. Un’altra variante della Santeria è l’Abaqua: la cerimonia principale di questo culto prende il nome di Las Matanzas, letteralmente “il massacro”, durante la quale le vittime sono sottoposte a tortura e a cannibalismo rituale (De Luca, 2001). Questi culti sincretici, così come in passato dall’Africa sono arrivati sulle coste dell’America e nel Nuovo Continente si sono sviluppate, integrando elementi della religione cattolica e credenze dei culti sudamericani, potrebbero arrivare e prendere piede anche in Europa, sia a seguito delle migrazioni dal Sud America verso il Vecchio Continente, sia a seguito delle migrazioni dall’Africa all’Europa, che vedono flussi di persone in continuo aumento. L’incontro tra queste credenze occulte e le religioni europee potrebbe dare vita a nuovi e ancora più complessi sincretismi religiosi (Mastronardi et al., 2006). 12.1 Santeria Come già detto, la Santeria, o “Sentiero dei santi”, originariamente chiamata Lucumi, si è sviluppata a Cuba, ma le credenze religiose a cui si ispira derivano dal popolo Yoruba della Nigeria sud-occidentale. Questi riti giunsero negli Stati Uniti a seguito della tratta degli schiavi che, deportati dall’Africa, fornivano la manodopera nelle piantagioni del Nuovo Continente. Nel Nuovo Mondo, queste religioni tribali si sono mescolate ad alcuni elementi della religione cristiana praticata dei proprietari terrieri. A

distanza di alcuni secoli, si stima che diversi milioni di persone pratichino oggi la Santeria – per quanto riguarda gli Stati Uniti, soprattutto in Florida, nel New Jersey, nello Stato di New York e in California (Perlmutter, 2004; Mastronardi et al., 2006). Il sincretismo della Santeria fonda le sue radici nel culto della natura, e alla sua base si ritrovano diversi elementi naturali: acqua, conchiglie, erbe, pietre. Il concetto fondamentale di ashe descrive l’energia che permea l’universo, il potere di cambiare le cose, di risolvere tutti i problemi, di soggiogare i nemici, di acquisire l’amore ecc. Per gli adepti, questa forza è in ogni cosa (persone, piante, pietre ecc.) e può essere liberata tramite la pratica del sacrificio. Eggun è il termine utilizzato per definire gli antenati defunti; il culto degli avi e della famiglia è infatti un altro elemento fondamentale. Gli Orisha, entità appartenenti originariamente alla mitologia degli Yoruba, sono semidivinità oggetto di venerazione (Perlmutter, 2004). Ebbo è il concetto che definisce genericamente la pratica del sacrificio, le cui offerte sono apportate agli Orisha. Il santero, il sacerdote, e la santera, la sacerdotessa, utilizzano la magia bianca per far acquisire agli adepti potenza ed energia, tramite l’uso del sacrificio e di alcune pratiche divinatorie. Il santero è considerato un uomo di conoscenza e di potere; le sue intenzioni sono solitamente “nobili”, cioè è un mago che tende ad aiutare a risolvere i problemi umani e a far ottenere giustizia alle persone che lo richiedono. Babalawo è il termine con cui si identifica il gran sacerdote (De Luca, 2001). Lo stregone si accerta della volontà delle divinità attraverso i diloggun, un sistema di divinazione che utilizza le conchiglie. A seconda del tipo di problema da risolvere, si svolgono rituali e sacrifici differenti: solitamente prevedono offerte di cibo, di fiori, di candele o sacrifici di sangue (soprattutto di piccoli animali e di uccelli). Anche gli Eggun devono essere periodicamente adorati con offerte specifiche (Perlmutter, 2004). Le divinità della Santeria sono numerose; una volta “trapiantate” nel Nuovo Mondo, molte hanno assunto le sembianze e i nomi di santi cattolici (Mastronardi et al., 2006).

La prima che viene invocata è Eleggua, che viene fatta coincidere con sant’Antonio da Padova. È una divinità che controlla il destino delle persone, domina sugli imprevisti e personifica la giustizia divina. Viene rappresentata con una testa di argilla o di cemento, con gli occhi e la bocca fatti di conchiglie. Per ottenere i suoi favori gli stregoni devono sacrificare alla divinità sigari, noci di cocco, mais tostato, pesce affumicato, giocattoli, caramelle e piccoli animali come gli opossum (Perlmutter, 2004, pp. 191192). Orunmila, sincretizzato in san Francesco d’Assisi, ha per gli adepti della Santeria il potere della divinazione, cioè quello di dare informazioni sul futuro e sul destino delle persone agli uomini. Il suo simbolo principale è la Tavola di Ifa, che serve al sacerdote per consultare la divinità e conoscere il futuro. Per poter ricevere il suo aiuto, gli stregoni devono sacrificare a questa divinità noci di cola e uccelli, in particolare galline nere. Obatala, che coincide con Nostra Signora della Misericordia, la Santa Eucaristia o con il Cristo risorto, rappresenta la pace e la purezza. Tutti gli oggetti e le sostanze bianche possono rappresentarla. Il suo simbolo è l’iruke, una coda di cavallo con un manico di perline. Per propiziarsela, gli stregoni devono sacrificare cotone, patate dolci, noci di cocco e piccoli volatili, principalmente colombe bianche. Chango, che coincide con santa Barbara, è una divinità che controlla gli elementi e che simboleggia potenza e passione. Le forze della natura che la rappresentano sono il fuoco, i tuoni e i fulmini. Viene raffigurata con il simbolo dell’ascia con la doppia lama. Per ingraziarsela, gli stregoni devono sacrificare alla divinità mele, banane, e tra, gli animali, le sono graditi i galli rossi e i montoni.

Oggun, associato dai popoli cubani a san Pietro, è la divinità che simboleggia la violenza, la forza e la guerra. Gli elementi della natura che la rappresentano sono il ferro e l’acciaio. I suoi simboli sono i coltelli e tutte le armi in metallo. Per ottenere i suoi favori gli stregoni sacrificano banane verdi, rum, sigari o animali quali piccioni e galli. Ochosi, che coincide con san Norberto, signore della caccia e protettore di tutte le persone che hanno problemi con la giustizia. L’oggetto che lo rappresenta è la balestra utilizzata nella caccia. Per ottenere i suoi favori, gli si sacrificano piccioni e galli. Aganyu, associato a san Cristoforo, controlla le forze della natura e vive nei vulcani. Gli oggetti che lo rappresentano sono le lame di coltello. Per ottenerne i favori gli stregoni gli offrono in sacrificio banane, cracker senza sale con olio di palma e animali alati, come polli e galli. Babalu-Aye, il san Lazzaro dei cattolici, è colui che causa e risana i malanni e le malattie degli uomini. Tra le forze della natura rappresenta le pestilenze e le malattie. Gli oggetti che lo rappresentano sono le stampelle. Per propiziarselo, gli stregoni devono sacrificare alla divinità mais tostato, tutti i tipi di fagioli e piccioni. Yemaya, associata dai cubani alla Vergine della Regola, divinità considerata madre della vita, rappresenta la maternità e la femminilità. Le forze della natura che le corrispondono sono gli oceani, mentre gli oggetti che la rappresentano sono conchiglie e coralli. Per ottenerne l’aiuto, gli stregoni le sacrificano cocomeri, sciroppo di canna da zucchero, anatre, galline e caprette. Oshun, conosciuta dai praticanti della Santeria come Nostra Signora della Carità, rappresenta la divinità dell’amore e del matrimonio. Fra gli elementi naturali la rappresentano i fiumi, fra gli oggetti comuni gli specchi. Per

conquistare i suoi favori gli stregoni le offrono miele, zucche, vino bianco, dolci al rum, gioielli e galline. Oya, Nostra Signora della Candelora per i cubani, protegge le persone dalla morte e vive nei cimiteri. Gli elementi della natura che la rappresentano sono il vento e il fulmine. Per ottenerne i favori gli stregoni sacrificano melanzane, galline e caprette. Al culto della Santeria vengono fatte risalire diverse cerimonie, tra cui riti d’iniziazione, rituali di divinazione, riti di possessione e rituali che prevedono il sacrificio di animali. I riti d’iniziazione sono cerimoniali che gli adepti e la comunità mettono in atto per mostrare alla divinità la profondità del loro impegno nel praticare la religione. La Santeria prevede un sistema di iniziazioni progressivo, in cui all’aumentare del grado iniziatico corrisponde una maggior capacità di padroneggiare le diverse tecniche per invocare l’ashe (Gonzalez-Wippler, 1996). Il primo gradino d’iniziazione è quello definito Recibir los collares: l’adepto riceve delle collane di perline colorate che servono per proteggerlo dal male; ognuna di esse ha perline di differenti colori alternati in modi prestabiliti, a seconda della divinità di cui l’adepto chiede la protezione. Il secondo gradino iniziatico è chiamato Recibir los guerreros: l’adepto accetta Eleggua come divinità e riceve il calderone di Oggun per compiere i rituali della Santeria. L’ultimo gradino dei rituali iniziatici è quello l’Asiento (dal termine spagnolo che significa “rendere sacro”), un patto in cui la persona si consacra definitivamente alle divinità della Santeria. Questo rituale dura un anno e comporta severi tabù, sacrifici animali e una varietà di rituali; l’adepto deve indossare abiti bianchi per tutto il periodo dell’iniziazione ed essere indottrinato dal santero nella conoscenza del culto (Perlmutter, 2004). Un elemento centrale per la Santeria sono i vari sistemi di divinazione che i santeros usano per conoscere la volontà degli dèi e quindi risolvere i problemi quotidiani dei credenti (Gonzalez-Wippler, 1996). Gli oggetti rituali utilizzati sono diversi; tra questi i darle coco al santo, quattro pezzi di noce di cocco lanciati sul pavimento; i già citati diloggun, un gruppo di sedici conchiglie; e l’opele, una lunga catena con otto medaglioni fatti di bucce di cocco. Molto usata nella Santeria per conoscere la volontà degli dèi è soprattutto la già citata Tavola di Ifa, un vassoio di legno con delle linee disegnate sopra che viene cosparso di polvere per conoscere il futuro e il destino (Perlmutter, 2004).

Tra le cerimonie tipiche della Santeria figurano i riti che prevedono la “possessione spiritica” di alcuni adepti (Gonzalez-Wippler, 1996). Con l’espressione Subirse el santo a su caballo, letteralmente “il santo monta sul suo cavallo”, i credenti indicano che la divinità sta possedendo il corpo del discepolo, che in questa condizione esegue danze spettacolari, recapita i messaggi del dio e dispensa consigli agli adepti. Il credente posseduto dalla divinità perde ogni coscienza durante la possessione e la sua personalità viene sostituita con quella degli dèi. Bembes, Guemilere o Tambores sono i nomi delle cerimonie dove si suonano i tamburi per invocare gli spiriti e per farli entrare nei corpi degli adepti (Perlmutter, 2004). Il sacrificio di animali è una delle cerimonie più importanti, compiuto quando gli adepti vogliono donare l’ashe al loro Orisha (Gonzalez-Wippler, 1996). La maggior parte degli animali utilizzati sono uccelli piumati, conosciuti come plumas (piume): polli, galli, anatre, faraone e piccioni; possono però essere utilizzate anche pecore o caprette. Sacrifici di animali che comportano l’utilizzo di gatti, cani o animali più grandi come le mucche sono solitamente indicativi di altri culti, quali Satanismo, Voodoo o Palo Mayombe (Perlmutter, 2004). Nella Santeria esistono tre tipi particolari di sacrifici: 1) rituali di purificazione, dove gli animali assumono su di sé le influenze negative dell’adepto; al termine di questo rito l’animale deve essere gettato via, perché il suo corpo ha assorbito tutte le negatività dell’adepto e quindi non può essere mangiato; 2) offerte di iniziazione, dove il sangue degli animali è versato per fornire potere alla divinità e la carne viene poi consumata dall’adepto, perché si ritiene che sia piena di energia; 3) offerte agli Ebbo, ovvero sacrifici di animali fatti dagli adepti agli antenati o alle diverse divinità; anche in questo caso, la carne degli animali non viene consumata (Perlmutter, 2004). Dal punto di vista criminologico, è importante per gli investigatori avere conoscenze sul culto della Santeria sufficienti a non scambiare il ritrovamento degli animali sacrificati dagli adepti del culto per residui di cibo lasciato a seguito di feste e/o banchetti, anche perché solitamente i resti degli animali vengono ritrovati in luoghi pubblici, sulle spiagge, vicino a binari ferroviari e nei cimiteri. Importante è anche distinguere gli animali sacrificati durante i riti della Santeria da quelli che sono stati usati in rituali satanici nonché saper distinguere gli atti rituali compiuti durante il sacrifico

da atti di sadismo compiuti da singoli individui. Solitamente, i sacerdoti della Santeria non torturano i loro animali sacrificali, ma praticano un taglio netto della gola per far uscire il sangue oppure rompono il collo alla vittima sacrificale. Se dunque un animale è stato torturato, bisogna indirizzare le indagini verso un altro culto o verso altri individui che si compiacciono nel compiere atti di sadismo su esseri indifesi (Perlmutter, 2004).

indizi sulla scena del crimine che fanno riferimento a un delitto rituale collegato alla Santeria e alla Brujeria animali decapitati oppure con il collo spezzato (soprattutto polli, galli e galline, mucche e capre) bambole con perni, con strani simboli disegnati sopra e/o con strane scritture calici di acqua chicchi di mais collane con colori specifici (il colore determina quali santi vengono adorati nel culto) conchiglie di mare erbe, radici e/o fiori monete in multipli di sette oli per il corpo parti di alberi tropicali, di palma e/o di cedro pezzi di frutta (cocco, arance, mele ecc.) sangue animale e/o penne e piume di uccelli sciarpe o scampoli di abbigliamento in colori specifici (il colore determina quali santi vengono adorati nel culto) statue di santi cattolici strumenti e oggetti di ferro

manca la testa della vittima

12.2 Voodoo Il Voodoo, conosciuto anche come Vodun, Voudou, Vodun e Hoodoo, è un culto originario del Dahomey, attuale Benin, in Africa (De Luca, 2001). Ha preso piede prevalentemente ad Haiti ma in seguito alle migrazioni si è ampiamente diffuso negli Stati Uniti, soprattutto a New York, Miami e in Louisiana, mentre in Canada si è diffuso soprattutto a Montreal; si calcola che nel mondo siano quasi 60 milioni le persone che praticano questo culto (Perlmutter, 2004). Le pratiche Voodoo sono officiate da sacerdoti di sesso maschile chiamati houngan o da sacerdotesse chiamate mambo, se i celebranti si occupano di magia bianca; se invece il sacerdote si occupa di magia nera, viene chiamato bokors. Il Voodoo ha molte divinità, denominate genericamente come Loa, cioè Spirito. I Rada e i Petro sono due tipologie differenti di spiriti in contrapposizione: i primi sono conosciuti per la loro saggezza e benevolenza, i secondi per la loro forza e potenza. Sono diversi i rituali per evocare particolari spiriti, a seconda della specifica richiesta che la persona vuole fare alla divinità (Mastronardi et al., 2006).

Gli spiriti adorati nelle cerimonie Voodoo sono molto numerosi e, come nella Santeria, gli adepti del culto, per mascherare i loro riti agli occhi degli occidentali, hanno associato ogni loro divinità a un santo cattolico. Tra queste la prima a essere venerata è Dambala, il più potente degli spiriti esistenti perché considerato il padre di tutti gli altri spiriti e creatore della vita sulla terra. Associato dal popolo haitiano a san Patrizio, che scacciò i

serpenti dall’Irlanda, proprio per questo il simbolo che lo identifica è quello di un serpente. Per gli adepti del Voodoo questo spirito è buono e benevolo, venerato per avere ricchezza, fortuna e fertilità; vive vicino a corsi d’acqua e ai torrenti. Per ottenere i suoi favori gli adepti devono offrire alla divinità animali o alimenti di colore bianco: galline, riso, latte, uova (Perlmutter, 2004, pp. 213-214). Ayida Wedo, moglie di Dambala, associata dagli haitiani alla Madonna dell’Immacolata Concezione, rappresenta la ricchezza, la fortuna, il benessere. Come il suo sposo, è rappresentata col simbolo del serpente, e vive vicino a fiumi e sorgenti. Per propiziarsela, gli adepti le sacrificano animali o cibi di colore bianco: galline, riso, latte, uova.

Legba, spirito protettore della casa, delle entrate e dei crocevia, è il rivale di Dambala nel pantheon Voodoo. Viene rappresentato come un vecchio debole e vestito di stracci. Questa divinità è associata dal popolo di Haiti a san Pietro o a sant’Antonio. Per ottenere i suoi favori, gli si offrono manioca, riso, banane verdi, cibi affumicati o galli chiazzati. Azaka, associato al sant’Isidoro della religione cattolica, è lo spirito dei campi e del raccolto; il suo simbolo è il mabouya, un piccolo rettile simile al geco. Per accattivarselo, gli adepti presentano offerte di mais, pane, zucchero grezzo e brandy. Ezili, associata dagli adepti del Voodoo alla Vergine Maria, è la divinità dell’amore, che abita i torrenti e le sponde dei fiumi. Dea della sensualità, della bellezza, della grazia e del piacere, i simboli che la

rappresentano sono il cuore e gli specchi. Affinché sia propizia, gli adepti le offrono articoli per la bellezza, raffinate stoviglie, e cibo come riso e pollo. Ogou Feray, associato a san Giacomo di Zebedeo, detto anche Giacomo il Maggiore, è uno spirito guerriero che lotta contro le varie condizioni di miseria e povertà degli uomini. Abita nelle canne di bambù o nelle zucche e il suo simbolo è una spada conficcata nella terra. Per ottenere i suoi favori gli adepti devono sacrificare un gallo rosso oppure un toro. Agwe, associato al sant’Ulderico della religione cattolica, è uno spirito che per gli haitiani protegge i navigatori, i marinai e le spedizioni, ed è rappresentato come una figura dalla pelle chiara e con gli occhi verdi, come il mare. I simboli che lo rappresentano sono la barca e i remi. Per ottenerne l’aiuto, gli si offrono in sacrificio pecore bianche, galline e bevande pregiate.

Simbi, rappresentata nelle vesti dei tre Re Magi della religione cattolica, è una divinità che ha il dono della chiaroveggenza e vive nelle sorgenti, nelle caverne e nelle montagne. È il guardiano delle sorgenti e dei laghetti, che sono anche i simboli che lo identificano. Per ingraziarselo, gli adepti gli sacrificano animali di colore grigio o nero, oppure maiali, capre, tacchini o galline. Gede, che corrisponde al sant’Espedito della religione cattolica, è invocato dagli adepti per effettuare o respingere incantesimi: per gli haitiani è infatti il comandante degli spiriti dei morti. Questo spirito, simboleggiato da attrezzi agricoli, croci nere e cadaveri, è solitamente invocato da coloro che vogliono che alcune persone siano possedute dagli spiriti dei defunti, quindi alcuni di questi pregano Gede affinché mandi le anime dei morti contro i loro nemici. Il modo migliore per propizarselo è il sacrificio di galli o capre neri.

Baron Samedi, capo di Gede, è la divinità che attende le anime dei defunti per il loro passaggio nell’aldilà; per gli haitiani abita nelle croci all’ingresso dei cimiteri. Questo spirito è in grado di comandare le anime dei morti: per questo è raffigurato col volto di uno scheletro, un cappello a cilindro e un abito nero. Per ottenerne i favori, si offrono aringhe salate, e galli o capre neri. Sono diversi i rituali attuati nel culto Voodoo, così come sono diversi, a seconda della divinità a cui gli stregoni si rivolgono, i doni che vengono sacrificati agli spiriti. Come nella Santeria, tra le pratiche messe in atto dagli stregoni figurano i rituali d’iniziazione dei nuovi adepti, pratiche di divinazione intese a conoscere il futuro, l’offerta di oggetti per ingraziarsi la divinità, e altre cerimonie che prevedono il sacrificio di animali per venerare gli spiriti. Alcune pratiche Voodoo prevedono anche il sacrificio umano; in questi riti, la vittima sacrificale, chiamata “capra senza corna”, viene uccisa in maniera rituale dal sacerdote (De Luca, 2001). I bokors, sacerdoti che si occupano di magia nera, sono talvolta accusati di compiere rituali che causano la “possessione spiritica” di altre persone. Questa possessione avverrebbe tramite le anime dei defunti appositamente “inviate” dallo stregone a una specifica persona, che viene perciò “invasa” dagli spiriti dei morti. Altre pratiche Voodoo prevedono la trasformazione dell’anima di un defunto in un “morto vivente” che il sacerdote può utilizzare a suo piacimento per compiere azioni nefaste e distruttive. Altre ancora l’utilizzo delle cosiddette Voodoo dolls, cioè marionette in grado di compiere incantesimi e malefici (Mastronardi et al., 2006). Quanto alla “possessione spiritica”, essa avviene tramite una tecnica che

prevede di inviare a un vivente designato uno o più spiriti di defunti che lo “posseggano”, grazie a un incantesimo effettuato dal bokors. Tale maleficio provoca nella persona colpita dimagrimento, emorragia, perdita di sangue dalla bocca e infine la morte. Le anime dei morti sono “inviate” alla persona colpita con una formula rituale rivolta alla divinità Gede, incantesimo che viene pronunziato dinanzi all’immagine capovolta della divinità (Mastronardi et al., 2006). Per quanto riguarda la trasformazione dell’anima di un defunto in un “morto vivente” per ottenere uno zombi, alcuni stregoni secondo gli haitiani avrebbero la capacità di ridare al cadavere una forma crepuscolare di vita, trasformando il morto in un essere vivente, simile a un automa. Lo zombi, che agisce senza avvertire la sua condizione, è completamente assoggettato allo stregone, che lo utilizza per compiere lavori pesanti e azioni malvagie (Giovanditto, 1979). Per quanto riguarda le Voodoo dolls, o bamboline Voodoo, esse sono solitamente utilizzate con l’intento di danneggiare e/o causare la morte di una persona designata dallo stregone tramite la magia nera. In queste pratiche magiche si usano bambole che raffigurano la persona che deve essere danneggiata, a cui sono stati sottratti alcuni oggetti personali. Un rito Voodoo volto a cagionare la morte di qualcuno utilizzando una bambolina è stato descritto nel seguente modo ((Mastronardi et al., 2006, pp. 99-100): Si va al cimitero e si disegna una tomba e ci si rivolge, chiamandola per nome, alla persona che deve morire, dicendole che presto verrà ad occupare la tomba. Al posto della persona si sarà preparato un pupazzo di stracci, un feticcio arricchito il più possibile con reperti organici della persona in questione: umori, unghie, capelli e magari qualche oggetto o indumento molto personale. Si fa una buca in terra nel punto in cui si è disegnata la tomba e si seppellisce il feticcio con un gallo nero vivo o una gallina vergine. Dopo 15 giorni la persona sparisce.

12.3 Brujeria La Brujeria è un culto sincretico che ha radici culturali e religiose messicane. Il suo nome deriva dalla parola spagnola che significa “stregoneria”. Questa credenza magica è molto diffusa in tutto il Sud America, ma a seguito dell’emigrazione si è diffusa anche negli Stati americani del Nord. È un amalgama di elementi provenienti dalla religione cattolica, dalla stregoneria europea e dai riti cubani, mescolati con i riti dell’antico culto azteco (Mastronardi e De Luca, 2005).

La Brujeria è nata attorno al XVI secolo, quando i conquistatori spagnoli sostituirono le immagini di Toantzin, una dea pagana azteca, con la raffigurazione della Vergine Maria madre di Gesù. Le sacerdotesse della dea iniziarono quindi a venerare questa divinità con il nome di Nostra Signora di Guadalupa; le brujas, streghe o sacerdotesse del culto, sono le rappresentanti terrestri della divinità, tramiti fra questo mondo e il mondo della dea. Per gli adepti della Brujeria, Nostra Signora di Guadalupa è una divinità onnisciente e onnipotente che esaudisce tutte le preghiere dei credenti, se questi la venerano secondo i rituali propri del culto. Le sacerdotesse della Brujeria tengono le loro formule magiche in un Libreta, un manuale scritto in dialetto messicano simile al Libro delle ombre utilizzato nella stregoneria europea; in questo manuale ogni strega annota i propri riti e le formule magiche, i filtri e le pozioni medicamentose ottenute con erbe naturali, gli incanti e le formule per invocare gli spiriti, i riti per venerare e invocare la dea (Perlmutter, 2004).

Nella Brujeria la magia viene spesso utilizzata per liberare le persone dalla possessione demoniaca e dagli spiriti maligni. Sembra che gli adepti pratichino anche il sacrificio umano, ricalcando il modello azteco in cui veniva estratto il cuore palpitante dalla vittima mentre questa era ancora in vita (Mastronardi, De Luca, 2005). Al tempo degli Aztechi la vittima sacrificale veniva deposta su una pietra sacra di forma convessa, in modo che il suo corpo si trovasse in iperlordosi, con la testa rovesciata verso il

suolo e il torace rivolto verso il dio Sole Tonatiuth, che doveva afferrarne il cuore e portarlo con sé. Il sacrificio era officiato da diversi sacerdoti (Solié, 1997, cit. in Zappalà, 2004, p. 53): Uno accanto ad ogni arto e uno accanto alla testa, il sesto, che brandisce un coltello di silice (tecpatl, farfalla d’ossidiana), comincia con ‘l’effrazione’ della parte sinistra dell’epigastrio della vittima. Pratica un’ampia incisione in cui affonda la mano sinistra, che impugna la ‘farfalla’, apre il diaframma formando un passaggio, in un gorgogliare di sangue, schiumante caldo, fino al cuore palpitante, che continua a battere e fremere nella sua mano, quasi tentando di fuggire, come un pesce preso nella tana… Ma la mano abile nel sacrificio lo impugna inesorabilmente e lo strappa in uno zampillo indescrivibile di sangue vermiglio che schizza verso il cielo del padre Tonatiuth.

Per gli indizi sulla scena del crimine che fanno riferimento a un delitto rituale collegato alla Brujeria si veda la tabella a p. 199. 12.4 Macumba La Macumba è un culto sincretico originario del Brasile. Il suo nome deriva dalla denominazione in portoghese di un antico tamburo, strumento utilizzato dagli stregoni per evocare gli spiriti; questo culto sincretico può essere anche chiamato Candomblé, termine con cui si indica la danza sacra attuata per evocare gli spiriti. Molte delle pratiche occulte della Macumba sono un sincretismo tra le convinzioni cristiane dei conquistatori portoghesi e le credenze indigene (Mastronardi et al., 2006). In molti riti della Macumba viene adorata una divinità di nome Exù, che corrisponde al diavolo della religione cattolica. In questi riti è ammesso anche il sacrificio di bambini, per propiziarsi i favori del demonio. Le cerimonie iniziano con l’offerta di cibi in recipienti di terracotta, per ingraziarsi l’entità satanica e propiziare il successo dell’offerta più importante, quella della vita del bambino. Prima della vittima umana, sono sacrificati alla divinità anche alcuni animali, soprattutto galline nere, capretti e conigli (De Luca, 2001).

12.5 Palo Mayombe Il Palo Mayombe è considerato il lato oscuro della Santeria. Gli stregoni del Palo Mayombe vengono chiamati mayomberos o paleros, e molti di loro prima erano dei santeros, cioè dei celebranti della Santeria, che hanno poi deciso di lavorare deliberatamente al servizio delle forze del male, per infliggere dolore e sofferenza alle persone utilizzando la magia nera. Come la Santeria, il Palo Mayombe è un culto sincretico afrocaraibico, però originario del Congo (attuale Zaire). È molto presente nei paesi caraibici, ma con i movimenti migratori che da Cuba si sono diretti alla volta degli Stati Uniti, si è diffuso notevolmente anche fra la popolazione americana. Il culto ruota principalmente attorno alla figura del mayombero e alla preparazione del nganga, un calderone sacro in cui lo stregone “intrappola” lo spirito di un defunto. Così facendo, il mago può utilizzare l’anima del cadavere come interfaccia con la divinità e per i suoi riti di magia nera (Perlmutter, 2004). Per creare il nganga, il mayombero si reca in un cimitero a procurarsi tutto l’occorrente. Sparge del rum su una tomba scavata recentemente, formando una croce con il liquido, poi apre una bara e taglia la testa, le dita delle mani e dei piedi, le costole e le tibie del cadavere. La tomba viene scelta in precedenza, e lo stregone conosce l’identità del cadavere, per cui è sicuro di poter avere una testa contenente il cervello del defunto: i praticanti del Palo Mayombe, infatti, credono che il cervello della persona appena deceduta possa mantenere la capacità di pensare ancora per breve tempo dopo la morte, e che grazie a questo lo stregone possa manipolare meglio lo spirito del defunto per inviarlo a compiere determinati malefici. Sempre per lo

stesso motivo, il mayombero predilige tombe dove sono stati appena sepolti corpi di persone che hanno commesso crimini violenti, solitamente criminali o poco di buono, persone comunque di carnagione bianca (i sacerdoti ritengono infatti che il cervello di un uomo bianco sia più influenzabile per compiere il rito, rispetto a quello di un uomo di colore, e quindi più pronto a eseguire le istruzioni). Dopo aver sottratto questi elementi dalla tomba, lo stregone stipula un patto con lo spirito del defunto: scrive su un pezzo di carta il nome del cadavere e lo colloca nel fondo di un calderone di ferro, assieme ad alcune monete che rappresentano il pagamento con cui egli ricompensa lo spirito del defunto per l’aiuto che gli darà nella commissione dei malefici. Lo stregone aggiunge quindi nel calderone le parti del cadavere precedentemente tagliate, insieme alla terra prelevata dalla tomba. Dopodiché si incide il braccio con un coltello dal manico bianco e versa alcune gocce del suo sangue nel calderone rituale, per consentire allo spirito del morto di rifocillarsi – alcuni però non ritengono prudente dare il proprio sangue allo spirito del defunto: quest’ultimo, infatti, potrebbe abituarsi a bere il sangue umano e diventare un vampiro e, col tempo, perseguitare il mayombero stesso, quindi preferiscono utilizzare il sangue di un gallo (Mastronardi et al., 2006, pp. 122-123). In genere, il mayombero aggiunge al calderone diversi altri “ingredienti”, che possono variare da stregone a stregone; tra questi compaiono, solitamente (Perlmutter, 2004): – bastoncini di legno (solitamente 21) – varie erbe e penne di animali – ossa di animali (teschi o altre ossa di uccelli vari) – strumenti agricoli di ferro (rastrelli, picconi, zappe ecc.) – pietre sacre – una catena con un lucchetto (in alternativa, questa può essere avvolta intorno al nganga) – ossa umane (non manca mai un teschio umano) Come si può notare, per compiere il rituale tipico del Palo Mayombe il mayombero compie diversi crimini, quali violazione di proprietà privata, profanazione di sepolcro, vilipendio di cadavere, mutilazione di animali e

furto di parti di cadavere. A questo si deve aggiungere che il nganga, per mantenere la sua forza ed efficacia, deve essere continuamente “nutrito” con il sangue di animali e/o di esseri umani, sostanza che deve essere procurata dal mayombero; questo sangue, infatti, serve per alimentare lo spirito del defunto “intrappolato” nel calderone sacro, entità che lo stregone comanda per compiere i suoi rituali malefici (Perlmutter, 2004). Tra i delitti legati al Palo Mayombe, quelli commessi da Adolfo Constanzo a Matamoros, in Messico, nel 1980 sono stati i più efferati (si veda la scheda qui sotto). Delitti legati al Palo Mayombe, però, possono anche essere compiuti in Europa o in Italia; non sono infrequenti i ritrovamenti di corpi di persone di carnagione chiara decapitati, smembrati e privi di alcuni organi. Delitti del genere, oltre a far pensare alla criminalità organizzata, magari alle associazioni mafiose o alla tratta della prostituzione, possono richiamare sia crimini seriali commessi da uno o più assassini seriali, sia crimini rituali legati ad alcuni culti sincretici (cfr. “la Repubblica”, 26 agosto 2007; e anche “Corriere della Sera”, 8 marzo 2011). indizi sulla scena del crimine che fanno riferimento a un delitto rituale collegato al Palo Mayombe, in particolare al contenuto del calderone sacro, il nanga bastoncini di legno (solitamente in numero di 21) pietre sacre catena con lucchetto (che può essere avvolta intorno al nganga) strumenti agricoli di ferro (rastrelli, picconi, zappe ecc.) varie erbe e penne di animali ossa di animali (teschi o altre ossa di uccelli vari) ossa umane (il calderone contiene sempre un teschio umano)

UN ESEMPIO DI DELITTO LEGATO AL PALO MAYOMBE

Adolfo Constanzo nacque a Miami, in Florida, nel 1962. Il padre abbandonò la famiglia quando il bambino aveva appena un anno, mentre la madre si trasferì a Portorico, dove sposò il secondo dei suoi tre mariti. In

questa località Constanzo abbracciò la fede cattolica, diventando anche chierichetto. Durante l’adolescenza la sua famiglia tornò negli Stati Uniti, e qui il giovane Constanzo iniziò a mostrare capacità particolari che la madre interpretò come poteri magici, per cui iniziò a farlo addestrare da vari stregoni del posto, affinché imparasse i riti e i rituali della magia nera. A 22 anni Constanzo si spostò a Città del Messico, e iniziò a lavorare come mago togliendo il malocchio, assicurando fortuna e predicendo il futuro. In un primo momento i suoi rituali includevano solamente sacrifici animali, ispirandosi ai riti della Santeria, ma la portata dei rituali dipendeva comunque dalle disponibilità economiche dei suoi clienti. Con il passare del tempo egli iniziò a compiere veri e propri sacrifici umani ispirandosi al Palo Mayombe, arrivando a uccidere almeno 23 persone. Nel 1987 incontrò Sarah Aldrete che, affascinata dalla personalità di Constanzo, abbandonò il lavoro da insegnante per dedicarsi completamente alla magia nera insieme a lui. I due fondarono una setta che seguiva i rituali della Santeria e del Palo Mayombe, e stabilirono la loro base operativa in un lussuoso ranch a Matamoros, in Messico. Constanzo riuscì a convincere i suoi discepoli, quasi tutti trafficanti di droga, che se avessero avuto fiducia in lui e nei suoi rituali, essi sarebbero diventati invisibili alle forze di polizia; in cambio di questa protezione egli chiedeva ai suoi seguaci la metà di tutti i loro profitti. Dal suo canto, Sarah Aldrete, gran sacerdotessa della setta, obbligava gli adepti a vedere per diverse volte di seguito un certo film dell’orrore, sostenendo che anche loro avrebbero potuto ottenere i poteri del protagonista del film, se fossero stati fedeli ad Adolfo Constanzo e ai suoi rituali. Le vittime dei sacrifici umani compiuti dalla setta furono soprattutto criminali e poliziotti corrotti messicani, ma Constanzo e i suoi seguaci decisero anche di rapire e uccidere un ragazzo americano, Mark Kilroy. La famiglia del ragazzo scomparso fece molta pressione sulla polizia del Texas affinché scoprisse che fine aveva fatto il figlio, finché gli stessi agenti messicani, per evitare un incidente diplomatico, furono costretti a intensificare le indagini. Nell’aprile del 1989 la polizia messicana collegò la scomparsa di Mark Kilroy alla setta di Constanzo, e fece irruzione nel ranch di Matamoros. Constanzo, Aldrete e altri riuscirono a sottrarsi alla cattura, ma dopo qualche giorno l’uomo capì di non poter sfuggire a lungo alla cattura e si fece uccidere da uno dei suoi seguaci. Oltre a Sarah Aldrete, che

fu condannata a 62 anni di carcere, altri membri della setta furono arrestati e condannati a pene di diversa entità (Simon, 1997).

CONCLUSIONE

Anche la conoscenza è potere. Francis Bacon

Sono passati più di trent’anni da quando Howard Teten e Patrick Mulany diedero avvio al programma di ricerca sul profilo criminale, studio che portò alla successiva nascita, nel 1972, della Behavioral Science Unit del Federal Bureau of Investigation. A oggi, molte università e diverse agenzie di investigazione dei paesi più industrializzati del mondo possiedono unità di analisi e ricerca sul crimine violento, per fronteggiare al meglio serial killer, mass murder, spree killer, stupratori, molestatori di bambini, stalker, praticanti del Satanismo, del Vampirismo e dei vari culti sincretici dediti a sacrifici animali e/o umani. Questo volume presenta una rassegna sistematica degli studi e delle ricerche riguardanti gli autori di crimini e omicidi sessuali e/o violenti, e di crimini e omicidi rituali e/o dell’occulto. Come si è visto, questi delitti possono essere influenzati da aspetti antropologici e culturali, altri invece sono collegati a disturbi psicologici e/o psicopatologici e/o marcatamente psichiatrici: trame mentali difficilmente districabili ricorrendo all’investigazione criminale classica che, seppur necessaria, non sempre è sufficiente per arrivare alla cattura dell’offender. Applicare le conoscenze del criminal profiling e della symbolic analysis all’investigazione criminale, come qui illustrato, consentirà a investigatori, magistrati e appartenenti alle forze dell’ordine di assicurare il colpevole alla giustizia nel più breve tempo possibile.

Appendice I. VICAP crime analysis report form

Appendice II. 911 COPS (Considering Offender Probability in Statements) Scale In tema di profilo criminale, Susan Adams, ex agente speciale FBI, e Tracy Harpster, ex agente della Moraine Ohio Police Division, dopo aver analizzato centinaia di chiamate al 911, il numero per le emergenze americano che coordina gli interventi di forze dell’ordine, soccorso sanitario e vigili del fuoco, hanno creato la 911 COPS (Considering Offender Probability in Statements) Scale, un utile strumento investigativo per comprendere se la persona che chiama per ottenere soccorso in caso di crimini violenti e omicidio è anche l’autore del delitto stesso. Per utilizzare la scala, gli investigatori devono inserire un segno all’estremità appropriata (colpevoli vs innocenti) nella linea corrispondente a ciascun descrittore della chiamata e quindi determinare il lato in cui si concentrano la maggior parte dei segni (https://leb.fbi.gov/2008-pdfs/leb-june-2008; cfr. anche Adams e Harpster, 2016, ). Chiamanti innocenti

Chiamanti colpevoli

Qual era il motivo della chiamata? Richiesta di aiuto per la vittima Informazioni rilevanti Preoccupazione per la vittima Correzione dei fatti

Qual era il motivo della chiamata? Nessuna richiesta di aiuto per la vittima Informazioni estranee Insulta o colpevolizza la vittima Fatti contraddittori

Chi era il soggetto della chiamata? Aiuto richiesto per la vittima Focus sulla sopravvivenza della vittima Nessuna accettazione della morte della vittima

Chi era il soggetto della chiamata? Aiuto richiesto solo per il chiamante Focus sul problema del chiamante Accettazione della morte della vittima

Come è stata fatta la chiamata? Modulazione vocale Urgente e esigente Cooperazione con il telefonista Nessuna autointerruzione

Come è stata fatta la chiamata? Nessuna modulazione vocale Gentile e paziente Resiste alla cooperazione con telefonista Autointerruzioni

Vediamo un esempio: Soccorritore 911. Qual è la tua emergenza? Chiamante: Aiutatemi prego! Soccorritore 911: Cosa sta succedendo? Chiamante: Mio marito... Sono appena entrata a casa. Mio marito è morto! Soccorritore 911: Signora, come fa a sapere che è suo marito è morto? Chiamante: Non respira. È freddo! Soccorritore 911: OK. Siamo in viaggio per aiutarti. Chiamante: Aiutatemi vi prego! Mi aiuti per favore! Mi aiuti per favore! Soccorritore 911: OK. Rimanga in linea con me. Chiamante: È morto! Qualcuno ha sparato mio marito! Sono appena arrivata a casa. Mi aiuti per favore! Non so da quanto tempo sia morto. Chiamanti innocenti Qual era il motivo della chiamata? Richiesta di aiuto per la vittima Informazioni rilevanti Preoccupazione per la vittima Correzione dei fatti

Chiamanti colpevoli Qual era il motivo della chiamata? Nessuna richiesta di aiuto per la vittima X Informazioni estranee X Insulta o colpevolizza la vittima Fatti contraddittori

Chi era il soggetto della chiamata? Aiuto richiesto per la vittima Focus sulla sopravvivenza della vittima Nessuna accettazione della morte della vittima

Chi era il soggetto della chiamata? Aiuto richiesto solo per il chiamante X Focus sul problema del chiamante Accettazione della morte della vittima X

Come è stata fatta la chiamata? Modulazione vocale X Urgente e esigente Cooperazione con il telefonista Nessuna autointerruzione

Come è stata fatta la chiamata? Nessuna modulazione vocale Gentile e paziente Resiste alla cooperazione con telefonista Autointerruzioni X

Nell’esempio, come si può vedere, la maggior parte dei segni indica la

colpevolezza della moglie che chiama i soccorritori, la donna ha successivamente confessato di aver costretto il suo ragazzo a uccidere il marito.

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CRIMINOLOGIA E SCIENZE FORENSI Il crimine e i criminali visti dalla prospettiva di chi li combatte

Comitato scientifico Coordinatore Fabrizio Russo. Psicologo, psicoterapeuta, sessuologo, criminologo e profiler, ha conseguito l’Investigative Psychology Certificate Program del John Jay College of Criminal Justice di New York. Lavora come Esperto psicologo e criminologo ex art. 80 (L. 354/75) presso la Casa di Reclusione di Milano-Bollate dove svolge attività di osservazione, diagnosi e trattamento dei detenuti autori di crimini sessuali e violenti, e come Giudice onorario esperto psicologo e criminologo del Tribunale per i Minorenni del Piemonte e della Valle d’Aosta, dove svolge attività di ascolto dei minori, vittime e/o autori, di neglet, abuso, maltrattamento e violenza. È docente di Criminologia e Psicologia criminale, presso la Scuola di Specializzazione in Psicoterapia cognitiva neuropsicologica (SLOP) di Pavia, e del corso elettivo “Maltrattamento e abuso: aspetti medico legali e criminologici” presso l’Università degli Studi Milano-Bicocca. Valter Capussotto. Artista forense, Sovrintendente della Polizia di Stato e Responsabile dell’Unità Analisi Crimini Violenti della Polizia di Stato del Piemonte. Consulente e Perito del Tribunale nella specifica “comparazione fisionomica e antropometrica”. Biagio Carillo. Criminologo, Tenente colonnello dell’Arma dei carabinieri. Docente universitario di Tecniche di analisi della scena del crimine e formatore in Tecniche investigative presso l’Istituto Studi Superiori dell’Arma dei Carabinieri di Velletri. Dante Cibinel. Magistrato e criminologo, Giudice del Tribunale per i Minorenni del Piemonte e della Valle d’Aosta, già Giudice presso il Tribunale Ordinario di Torino e Pubblico Ministero presso la Procura della

Repubblica dei Tribunale per i Minorenni del Piemonte e della Valle d’Aosta. Giuseppe Dezzani. PHD – Ingegnere forense, già Tenente colonnello del Genio dell’Esercito Italiano. Formatore della Guardia di Finanza e dell’Esercito Italiano. Svolge attività di perito, ctu e ctp presso numerosi Tribunali, Procure e Studi legali. Elvezio Pirfo. Psichiatra forense e criminologo, già Direttore del DSM “Giulio Maccacaro” dell’ASL TO2 e del Servizio Psichiatrico Interno della Casa Circondariale Lorusso e Cutugno di Torino. Svolge attività di perito, ctu e ctp presso numerosi Tribunali, Procure e Studi legali. Daniela Schillaci. Medico legale e criminologo, docente di Medicina legale presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Svolge su incarico dell’Autorità Giudiziaria accertamenti di carattere urgente (sopralluoghi giudiziari, compatibilità carceraria, visite fiscali in tema di condizioni di salute), consulenze tecniche e perizie medico legali d’ufficio e attività necroscopica anche per incarico dell’Autorità Sanitaria. Roberto Testi. Medico legale e criminologo, Direttore di Medicina Legale presso l’ASL To2 di Torino. Professore a contratto di Analisi della Scena del Crimine e di Criminalistica presso il Corso di laurea in Chimica Clinica, Forense e dello Sport dell’Università degli Studi di Torino. Perito del Tribunale e Consulente Tecnico per la Procura della Repubblica di diverse città. Collabora con il RIS - Reparto Investigazioni Scientifiche dell’Arma dei Carabinieri.

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