L'Arte Di Purificare Il Cuore (Editato) [PDF]

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Zitiervorschau

sotto il tiglio 9.

Tomás Spidlik

L’arte di purificare il cuore

“È il tempo quando fiorisce il tìglio”

Lipa «è»

© 1 9 9 9 Lipa Srl, Roma prima edizione: febbraio 1999 prima ristampa: febbraio 2000 diciassettesima ristampa: marzo 2016 diciottesima ristampa: maggio 2017

Lipa Edizioni via Paolina, 25 00184 Roma © 06 4747770 fax 06 485876 e-mail: [email protected] http://www.lipaonline.org

In copertina: particolare di un mosaico di Marko I. Rupnik Stampato nel maggio 2017 Abilgraph via Pietro O ttoboni, 11 - Roma

Proprietà letteraria riservata Printed in Italy

codice ISBN 8 8 '8 6 5 1 7 '3 9 -4

Indice

Introduzione. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. .

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1. Il mistero del bene e del male..........................

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2. Il serpente nel paradiso del cuore......................

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3. La vigilanza del cuore. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . ..

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4. Il discernimento degli spiriti. ..........................

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5. Gli otto pensieri cattivi................................

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6. L’esperienza personale... . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. .

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1. Il metodo psico-fisico degli esicasti.. . .. . .. . .. . .. . .. . .. .

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8. Pregare “nel cuore” . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . ..

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Epilogo. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . ..

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Introduzione

Cominciamo con alcuni testi caratteristici: «Questa sarà l’alleanza che io concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore» (Ger 31,33). «Che Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così, radi­ cati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio» (Ef 3,17-19). «Può essere che l’aria sensibile divenga meno presente al respiro dei nostri sensi esteriori di quanto lo Spirito di Dio divenga intimo al nostro cuore, alitandovi senza posa il suo ricordo, dimorando sempre più in noi...» (Martyrius Sahdonà, autore sirìaco del VII sec.). «Puro di cuore è chi disprezza le cose terrene e cerca le celesti non cessando mai di adorare e di vedere il Signore Dio vero con cuore e animo puro» (san Francesco d!Assisi). «Non è l’abbondanza della scienza che soddisfa Xanv ma, ma sentire e gustare interiormente le cose» (sant’Igna»o di Loyola).

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«Il nostro cuore è davvero la radice e il centro della vita. Esso mostra se lo stato dell’uomo è buono o cattivo ed inci­ ta le altre forze all’attività e, dopo che esse hanno realizzato la loro opera, esso riceve dentro à sé il risultato à queste azioni per rafforzare o indebolire quel sentimento che caratteriz' za la disposizione permanente dell’uomo. Sembra, quindi, che ad esso— il cuore— si dovrebbe concedere il governo della vita—ed infatti è così presso molti e in maniera minore presso altri—e può darsi che inizialmente fosse così. Ma vennero le passioni e turbarono tutto. Quando esse sono pre­ senti, il nostro cuore non è un segnalatore sicuro, le nostre impressioni non sono come dovrebbero essere, i gusti sono perversi e conducono l’attività delle altre forze verso la dissi­ pazione. Il programma, quindi, è questo: tieni il cuore sotto controlb e sottometti ad una severa critica tutti i sentimen­ ti, i gusti e le inclinazioni. Quando sarà purificato dalle pas­ sioni, esso potrà agire a suo agio» (Teofane il Recluso, au­ tore spirituale russo, f 1894). «Se la religione è una relazione personale con Dio, allo­ ra il contatto con la Divinità non è possibile che nella profon­ dità del mio io, nella profondità del cuore, perché Dio, co­ me dice Pascal, è sensibile al cuore» (B. Vyseslavcev, teo­ logo russo, f 1954).

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1, Il mistero del bene e del male

DA DOVE PROVIENE IL MALE?_____________________

E la domanda che gli uomini si sono continuamente fatti, pur rimanendo sempre convinti che il problema del male ci pone davanti ad un mistero. Schematicamente, prima del cristianesimo possiamo distinguere tre diverse risposte fondamentali date a tale interrogativo: 1. Quella del dualismo cosmico: nel mondo ci sono due tipi di forze che si combattono a vicenda: quelle del­ le divinità buone e quelle delle divinità malvagie, la luce e le tenebre. Il bene appare più forte, ma la sua lotta con il male è eterna. 2. Quella del dualismo antropologico: il bene e il ma­ le stanno nell’uomo stesso. La loro lotta si manifesta come opposizione di carne e spirito. I desideri della carne ci portano al male, lo spirito ci eleva verso l’alto. Ma con l’ascesi l’uomo può indebolire l’influsso della car­ ne e fortificare così lo spirito. 3. Quella del dualismo morale: non è la carne in sé che conduce al male, ma le “passioni”. La virtù consiste allora nel vincere le passioni e vivere secondo ragione. SI PUÒ ACCETTARE LA SPIEGAZION E DEL DUALISMO C O S M IC O ?______________________________

Questa concezione, tipica delle antiche religioni orien­ tali, si riflette nelle favole che sono come i documenti più antichi della letteratura umana. In esse ci sono le fa­ 7

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te buone, le streghe cattive e i principi che vanno a com­ battere i draghi. I bambini ascoltano volentieri questi racconti perché vi è una chiara distinzione fra ciò che è bene e ciò che è male e alla fine si manifesta la fede nella vittoria del bene. Eppure, in fondo, questa conce­ zione contraddice la rivelazione cristiana. Tutto ciò che esiste è stato creato da Dio e tutto ciò che Dio ha creato è buono. Non si può quindi ammettere l’esisten­ za di qualche forza del male indipendente da Dio, con­ temporanea a lui, né si può ammettere qualche essere cattivo fin dall’inizio per sua natura. M A NELLA NOSTRA CARN E, C O M E ATTESTA SAN PAOLO (CF RM 7), È N A SC O ST O IL PECCATO , LA CA RN E SI O PPO N E ALLO SPIRITO. C O M E DOBBIAM O INTENDERE QUESTA O PPO SIZIO N E?____________________________

Infatti, nella Bibbia e nella letteratura ascetica, la “carne” è indicata come la sorgente del male. Ma que­ sto termine non deve indurci in errore. “Carne” non significa il corpo umano, ma è un termine usato in sen­ so morale, che indica l’insieme delle tentazioni causate dal peccato che ha già preso dimora in noi. Si chiama anche “concupiscenza”, di cui si dice che «dal peccato proviene, al peccato ci attira, ma in se stessa non è an­ cora peccato». Perciò sarebbe erroneo credere che il no­ stro corpo, la componente materiale dell’uomo, sia ma­ le. Il corpo di Cristo è santo e noi siamo chiamati a santificare il nostro corpo in unione con Lui.

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CO M E GLI ANTICHI FILOSOFI STOICI, A N CH E LA MORALE CRISTIANA IN S EG N A A DOMARE LE PASSIONI; S O N O D UN QUE QUEST'ULTIME A DOVER ESSERE CONSIDERATE UN MALE?

Il termine “passione” si può intendere in due modi. Po­ sitivamente, come un desiderio sensibile buono, quando indica una tendenza naturale: ad esempio il desiderio di mangiare quando uno ha fame, la gioia di muoversi, la vo­ glia di sposarsi al tempo opportuno, ecc. Negativamen­ te, quando le passioni che eccedono la misura e sono dif­ ficilmente controllabili ci conducono al male. Ma nemmeno le passioni in se stesse costituiscono peccato. Con la grazia di Dio, l’uomo possiede normal­ mente la libertà e la forza di vincere le inclinazioni al male. E se, per un’eccezione, la passione fosse così forte che l’uomo perdesse la libertà o la conoscenza del bene e del male, egli commetterebbe, come dicono i morali­ sti, un peccato “materialmente”, ma davanti a Dio tale peccato risulta giustificato a causa dell’estrema debo­ lezza dell’uomo. ALLORA CH E C O S A , S E C O N D O L'INSEGNAMENTO CRISTIANO, DEV'ESSERE CONSIDERATO "MALE" E CHI È RESPONSABILE PER LA SUA VENUTA NEL M O N D O ?______________

Solo il peccato è vero male, cioè frutto di un libero ac­ consentire al male dato dall’uomo stesso. Quindi, solo l’uo­ mo è responsabile del male che s’impossessa del suo cuo­ re e attraverso di lui entra nel mondo. I Padri della Chie­ sa scrissero omelie sul tema “Dio non è causa dei mali” (san Basilio). Apostrofano l’uomo con queste parole: «Non 9

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dare la colpa né a Dio né al diavolo, né al mondo, né al­ la carne con le sue passioni, ma da’ la colpa a te stesso e solo a te stesso! » San Giovanni Crisostomo scrisse un trat­ tato dal titolo: Nessuno pud soffrire danno se non da se stesso. Sembra una constatazione triste? Lo è? In un cer­ to senso sì, ma vi è anche il rovescio della medaglia: se da un lato siamo stati noi stessi a causare il male, dall’al­ tro noi stessi possiamo cercare di ripararlo. M A NEL M O N D O IN CON TRIAM O TANTI GUAI DI CUI N O N SENTIAM O A LCU N A COLPA!__________________________________________________

I Padri distinguono i cosiddetti mali “fisici” da quel­ li “morali”. Il male morale è il peccato. I mali fisici so­ no le malattie, la morte, le catastrofi naturali, le perse­ cuzioni ecc. Anche la loro lontana origine è nel pecca­ to, che risale alla prima disobbedienza di Adamo. I ma­ li fisici hanno un carattere punitivo. Ed è proprio per questo che servono al bene: se si accettano in uno spi­ rito di penitenza. Le sofferenze ci mettono in guardia dal cercare nel mondo la nostra felicità definitiva, per ri­ volgere la mente a Dio.

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2, Il serpente nel paradiso del cuore

DOVE CERCARE L'ORIGINE DEL PECCA TO ? CO M E INTERPRETARE IL R A C C O N T O BIBLICO SUL SERPENTE NEL PARADISO?____________________

Gen 3 racconta la storia del primo peccato: la ten­ tazione di mangiare il frutto proibito, il colloquio di Èva con il serpente seduttore, il consenso di Adamo, la cacciata dal paradiso. I Padri ritengono che l’esperien­ za di ciascuno confermi e prolunghi nella storia ciò che la Genesi racconta nei primi capitoli. Ognuno di noi pos­ siede un paradiso, cioè il cuore creato da Dio in uno stato pacifico. Ed ognuno di noi vive l’esperienza del ser­ pente, che penetra nel cuore per sedurci. Il serpente ha la forma di un pensiero cattivo. Scrive Origene— e con lui concordano tanti altri Padri— che «la sorgente e l’i­ nizio di ogni peccato è il pensiero» (in greco bgismos). COM E MAI UN SEMPLICE PENSIERO PUÒ CAUSARE IL MALE?___________________________________

Non si tratta di un semplice pensiero, ma di un pen­ siero impuro, cattivo. Ad essere sinceri, ciò che spesso chiamiamo tentazioni non sono neppure veri pensieri, piuttosto immagini della fantasia alle quali si aggiunge la suggestione di realizzare qualche cosa di cattivo. San Mas­ simo il Confessore illustra questa situazione con esempi tratti dalla vita quotidiana affermando, ad esempio, che non è un male la facoltà di pensare e neppure lo è il 11

pensare. Non è un male la donna. Né è un male pensare ad una donna. Eppure, nella mente di un uomo indine alla sensualità, l’immagine di una donna non rimane sempre pura, ma si mescola ad un impulso carnale chi' suggerisce un atto contro la legge di Dio. Allo stesso modo, il denaro e il vino non sono un male in sé, eppu­ re possono diventare pietra di inciampo a causa degli im­ pulsi impuri che si aggiungono ad essi. Diciamo così “puro” ciò a cui non si aggiunge nient’altro, come par­ liamo, ad esempio, di oro puro, di acqua pura ecc. Così anche i pensieri sono puri finché non si aggiunge ad es­ si qualche impulso che induce a fare il male. DA DOVE V E N G O N O TALI IMPULSI AL MALE?

I Padri paragonano il cuore umano ad una “terra pro­ messa”, nella quale i Filistei, i Babilonesi e altri popoli pagani gettano lance e frecce, cioè cattive suggestioni. Questi pensieri “diabolici”, “carnali”, “impuri” non possono aver origine nel nostro cuore, dal momento che esso è creato da Dio. Vengono quindi “dal di fuori”. Non appartengono al nostro modo naturale di pensare. E fin­ ché rimangono al di “fuori” di noi, non sono peccato. Costituiscono un male solo nel momento in cui li ac­ cettiamo consapevolmente e liberamente, quando cioè ci identifichiamo con essi. M A NEL VAN G ELO È SCRITTO CH E IL MALE PROVIENE DAL CU O R E E N O N DALLE C O S E ESTERNE [MT 15,19). E ALLORA?__________________

Certo, ma dobbiamo stare attenti a come spieghiamo 12

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questo testo. Dal cuore dell’uomo viene il peccato, perché il consenso al male è dato dall’interno dell’uomo, dalla sua libera volontà. I pensieri cattivi, i desideri passionali gi­ rano continuamente, per così dire, intorno a noi. Spesso occupano la nostra fantasia e la nostra mente. Costitui­ scono la debolezza umana dopo il peccato dei primi an­ tenati. Ma in sé non sono ancora un vero male. La Chie­ sa afferma che la concupiscenza proviene dal peccato e at­ tira al peccato, ma in sé non è peccato. MA ALLORA VIVIAMO IN U N O STATO PERICOLOSO, SEMPRE ESPOSTI ALLE TENTAZ IO N I..._________________________________________

La vita dell’uomo sulla terra è un combattimento, di­ ce Giobbe (7,1). E un proverbio aggiunge che chi non vuol combattere, non dovrebbe nemmeno vivere. Ma non dobbiamo esagerare la difficoltà di questa lotta. Un antico autore mistico, lo Pseudo-Macario, parago­ na la nostra anima ad una grande città. Nel centro c’è un bel castello, vicino c’è la piazza del mercato e intor­ no la periferia. Il nemico, cioè il peccato originale, ha occupato la periferia, cioè i nostri sensi. Ed è perciò che in quel punto spesso ci sentiamo turbati. Ma questi turbamenti arrivano di frequente anche alla piazza del mercato, cioè là dove si comincia a discutere se dob­ biamo o non dobbiamo accogliere un pensiero come no­ stro o se piuttosto dobbiamo rifiutarlo. Ma nel castello interiore, dove è la nostra libertà ad essere il padrone, il peccato non può penetrare se non gli apriamo la por­ ta con il nostro libero consenso. 13

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Anche santa Teresa d’Avila parla del “castello inte­ riore” della nostra anima, dove possiamo conversare con il Signore, l’Ospite divino, senza che i turbamenti peri­ ferici ce lo impediscano in alcun modo. C IÒ N O N O STA N TE SIAM O INTERNAMENTE DIVISI. Q U ESTO N O N È PIACEVOLE, E FORSE E ADDIRITTURA STA N CA N TE..._____________________

Gli uomini spirituali cercano non solo di evitare il peccato, ma anche di purificare il cuore, perché così fa­ cendo l’anima può ritornare alla pace interiore. Gli au­ tori monastici chiamano l’ascesi con il termine greco praxis, indicando così la pratica spirituale. Ma distin­ guono tra la “pratica esteriore”— che si concentra per evitare gli atti peccaminosi— , e la “pratica interio­ re”—che ha come scopo la purificazione del cuore. Spes­ so, purtroppo, gli insegnamenti morali che si propon­ gono restano limitati solo alla pratica esteriore: «Non si deve fare questo, si può fare quello». E questo può forse spiegare perché tanto spesso, quando gli uomini si sentono troppo turbati, non sanno più cosa fare e, dal momento che l’applicazione di leggi esteriori in loro pos­ sesso non li aiuta, allora, in cerca di ulteriori soluzioni, ricorrono ai metodi più disparati proposti da qualche fal­ so misticismo, ai medici, alle droghe... Si dimentica spesso che la spiritualità cristiana offre istruzioni efficacissime per acquistare la pace. DOVE SI P O S S O N O TROVARE QUESTE ISTRUZIONI?___________________________________________

I monaci che sceglievano una vita di solitudine era­ 14

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no particolarmente esperti nell’acquisizione della pace interiore. Cercavano la quiete fuggendo il mondo. Ma ben presto facevano esperienza del fatto che la sola solitudine in se stessa non pacifica. Sant’Antonio Abate, ad esempio, si recò nel deserto, ma fu assalito dai “de­ moni”, cioè da una quantità di pensieri e di fantasie che lo turbavano. Dovette quindi imparare a vincere questi “demoni”. Solo dopo un lungo combattimento interio­ re acquistò l’arte di vincere le fantasie. Solo allora la sua solitudine divenne un luogo di pace. Tale esperienza era così comune, così nota, che una legge statale dell’impe­ ro bizantino proibì ai monaci di recarsi nei deserto, in so­ litudine, prima di aver vissuto nel monastero dieci anni di vita ascetica. I monaci dovevano dunque, prima di affrontare la vita eremitica, aver già imparato ad essere padroni dei loro pensieri e delle loro fantasie. MA QUESTE ESPERIENZE DEGLI ANTICHI M ONACI S O N O A N C O R A ACCESSIBILI E UTILI PER L'UOM O DI O G G I?_______________________

E interessante che ai nostri giorni— proprio perché se ne sente particolare bisogno ed aumenta la loro ri­ chiesta—vengano tradotti e pubblicati testi dell’antica spiritualità che riguardano il tema del combattimento interiore. Per citare un esempio noto, basta ricordare co­ me ultimamente si moltiplichino le traduzioni della Filocalia di Nicodemo Agiorita. Il testo è una raccolta di numerosi brani patristici in cui si insegna come acqui­ stare la purezza del cuore, che è condizione della pre­ ghiera e della tranquillità di vita. 15

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SI È DETTO CH E IL VERO PECCATO SI HA SO LO Q U A N D O INTERVIENE IL UBERO C O N S E N S O C H E SI UNISCE AL PENSIERO CATTIVO. MA C O M E FA CCIAM O A SAPERE C O N SICUREZZA SE ABBIAMO A C C O N SEN TIT O UBERAMENTE O N O ?

Esistono persone scmpolose che nella confessione si accusano di “aver avuto pensieri cattivi”, ma non sanno rispondere alla domanda se hanno loro acconsentito o meno. Gli antichi monaci sapevano che una tale incer­ tezza è molto dannosa per la pace dell’anima. Perciò proposero un’accurata analisi del processo mentale che si verifica in occasione delle tentazioni interiori. Ordina­ riamente si distinguono cinque stadi di penetrazione della malizia nel cuore: 1) la suggestione, 2) il colloquio, 3) il combattimento, 4) il consenso, 5) la passione. Questo esige evidentemente una spiegazione. CH E C O S 'È LA S U G G ESTIO N E?___________________

Questo primo grado si chiama anche “contatto”. E la prima immagine fornita dalla fantasia, la prima idea, il primo impulso. Così, ad esempio, un avaro vede dei soldi incustoditi e gli viene un’idea: “potrei nasconder­ li”. Allo stesso modo possono imporsi a noi immagini carnali, il pensiero di essere migliori di tutti, l’impulso di smettere di lavorare, ecc. In questo caso non decidia­ mo ancora nulla, constatiamo semplicemente che ci si offre la possibilità di fare il male, e il male si presenta in una forma piacevole. I neofiti nella vita spirituale si spaventano, confessano di aver avuto “pensieri cattivi” anche in chiesa e durante la preghiera. Si racconta che 16

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sant’Antonio Abate avrebbe condotto sul tetto un suo discepolo che si lamentava amaramente dei suoi pensieri cattivi, e gli avrebbe ordinato di afferrare il vento con la mano. Poi, dopo un po’, gli avrebbe detto: «Se non puoi afferrare il vento, tanto meno prenderai in mano i pensieri cattivi!». Voleva così dimostrare che in queste prime suggestioni non c’è ancora nessuna colpa e che, finché vivremo, non potremo liberarci dalle suggestioni. Esse assomigliano alle mosche che ci molestano tanto più quanto più diventiamo impazienti. C HE C O S A SIGN IFICA "CO LLO Q U IO "?

Questo stadio ricorda il racconto di Gen 3, quando Èva entra in colloquio con il serpente. Se lasciamo perdere la prima suggestione, essa se ne va così com’è ve­ nuta. Ma l’uomo normalmente non lo fa, si lascia piut­ tosto provocare e comincia a riflettere. Così l’avaro di­ ce: «Se prendo quei soldi, li metto in banca». Poi gli vie­ ne in mente che questo non è onesto ed, oltre tutto, è anche pericoloso, dal momento che questo suo gesto po­ trebbe venire a conoscenza di qualcuno. Allora pensa che sarebbe meglio tenere la cosa nascosta. Non è ca­ pace di decidere nulla, ma tale questione dei soldi gli rimane in testa per tutta la giornata. Lo stesso accade a chi si è arrabbiato con qualcuno. Per lungo tempo si occupa di chi lo ha fatto adirare. Si immagina di pic­ chiarlo, di offenderlo, poi di perdonarlo generosamente, poi di nuovo riflette su che cosa gli potrebbe fare... Lo dimentica solo dopo tanto tempo. Qual è la colpa di questi “colloqui” interiori? Colui 17

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che non ha deciso nulla non può aver peccato. Ma quan­ to tempo e quanta energia vitale si perdono con questi “dialoghi” interiori insensati! PERCHÉ IL COMBATTIMENTO SI C O LLO C A SO LO AL TERZO POSTO?___________________________

Siamo al terzo stadio. Un pensiero che, dopo un lungo colloquio, si è insediato nel cuore, non si lascia scac­ ciare facilmente. L’uomo sensuale ha una fantasia così in­ quinata da immagini impure che non riesce a liberarse­ ne. E ancora libero di non acconsentire. Può e deve usci­ re vittoriosamente da questa sua lotta, ma gli costa tan­ ta fatica: deve combattere. La sua volontà deve star fer­ ma, deve ripetere a se stesso: «sento una forte attrazione al peccato, eppure non voglio acconsentire, decido li­ beramente il contrario e sono capace di resistere.» C O S 'È IL C O N S E N S O ? ______________________________

E il quarto stadio. Chi ha perduto la battaglia deci­ de di eseguire, alla prima occasione, ciò che il pensiero maligno gli suggerisce, dà il suo libero consenso al sug­ gerimento della malizia. In questo stadio si commette il peccato in senso vero e proprio. Ed anche se non si concretizzerà esteriormente, il peccato rimane interior­ mente. Si tratta di ciò che la morale chiama “peccato nel pensiero”. Purtroppo la gente non abbastanza istrui­ ta ed inesperta confonde i concetti. Crede che già il pen­ sare al peccato sia peccaminoso. Così tali persone di­ ventano scrupolose e confessano di non riuscire a libe­ rarsi dai “peccati nel pensiero”. Come uscire da questa 18

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confusione? Bisogna sapersi soffermare e dirsi: «Che cosa sento, l’attrazione al peccato? Mi piace? Mi sento sensibilmente molto attirato a compierlo? Lo farò? No! Decido di non farlo». Quest’ultima decisione deve consolarci. Nel momento in cui l’abbiamo presa, ab' biamo scoperto la nostra libertà. L’uomo è essenzialmente ciò che decide e non ciò a cui lo porta l’attrazione dei sensi. In tali momenti, quando si dà il libero consenso al male, si fa anche esperienza del peccato. C QS'È LA PASSIONE?________________________________

È l’ultimo stadio, quello più tragico. Chi soccombe ai pensieri maligni, spesso indebolisce progressivamente il suo carattere. Nasce così una costante inclinazione al male che può diventare forte a tal punto da essere mol­ to difficile resisterle. E proprio la passione che rende l’uo­ mo schiavo del bere, dell’abuso del sesso, dello scoppio d’ira incontrollata, ecc. Si può dire che in un tale indi­ viduo la libertà sia già distrutta? Le opinioni a questo pro­ posito sono diverse. Recentemente, sia alcuni psicologi che, spesso, anche alcuni giuristi hanno considerato anor­ mali gli uomini caratterizzati da forti passioni. Quindi non li hanno accusati di altro se non di una debolezza esage­ rata. Al contrario gli antichi Padri, come ad esempio san Giovanni Crisostomo, ripetono anche a questi tipi di persone: «Basta volere!» Nell’ottica dei Padri, dunque, anche l’uomo passionale e debole resta uomo, quindi la volontà è ancora presente in lui. Ma è come se dormis­ se, e quindi bisogna svegliarla. In tal senso, un proble­ ma particolarmente attuale oggi è costituito da coloro che 19

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si drogano. L’esperienza dimostra che ci vuole una cura speciale per svegliare e rafforzare in loro la volontà. Ma ci vuole anche uno straordinario aiuto della grazia di Dio. Ricordiamo che un antico monaco guarito da una forte passione sessuale si considerava, per grazia di Cristo, co­ me uno risorto dai morti. ALLORA IL VERO PECCATO ARRIVA SO LO AL QUARTO STADIO?____________________________________

E utile ripeterlo: il vero peccato è condizionato da un libero consenso. Questo deve consolare gli scrupolosi che si spaventano dei pensieri e dei desideri di male che non raramente confessano di aver avuto e che si rat­ tristano tanto quando tali pensieri si fanno di nuovo pre­ senti anche dopo la confessione. Che cosa fare allora, ■ quando ci sentiamo assaliti da tali tentazioni? Dobbia­ mo fermarci e dirci: “Che cosa voglio fare? Che cosa decido?” Davanti a Dio, l’uomo è ciò che liberamente vuole e non ciò che sente contro la propria volontà. La , scoperta della propria libertà è molto importante per il progresso nella vita spirituale. Ma resta vero che i pensieri malvagi che attirano la nostra attenzione sono spiacevoli. Con quale mezzo si potrebbero evitare? A questo proposito gli uomini spi­ rituali imparano la pratica che si chiama attenzione o vigilanza del cuore, o sobrietà mentale.

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3, La vigilanza del cuore

.SIATE VIGILANTI_____________________________________ «Vigilate, state saldi nella fede», scrive san Paolo ai Corinzi ( 1Cor 16,13 ). Un portinaio vigile sta attento, cu­ stodisce il portone affinché nessun estraneo entri in ca­ sa. In senso spirituale, scrive Evagrio, bisogna mettere un custode vigilante alla porta del cuore. Costui non chiu­ damai gli occhi, ma esamini ogni pensiero che si presenta interrogandolo: «Sei dei nostri o dei nostri nemici?» I cinque “stadi” o “gradi” di penetrazione che abbia­ mo appena descritto ci danno un senso di sicurezza morale. Infatti, si è visto che il peccato non viene com­ messo subito al primo stadio, ma solo al quarto, quando si ha il consenso. Prima, durante il “colloquio”, non pec­ chiamo, né lo facciamo durante il “combattimento”. Tut­ tavia va detto che in tali stadi abbiamo perso molto tem­ po e molta energia spirituale discorrendo con i pensieri e resistendo debolmente alle loro suggestioni. Felice è quindi l’uomo che riesce a vincere il pensiero cattivo fin dalla prima suggestione. L'ESEMPIO DI GESÙ___________________________________

Come si può scacciare il pensiero che viene da solo, contro la nostra volontà? Dal punto di vista psicologi­ co è un grosso problema. Ma può esistere qualcuno libero dalle suggestioni? Gli asceti si chiedevano se Gesù stesso lo fosse, o se anche 21

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lui ne fosse vittima. Chiaramente, per noi è difficile entrare negli stati d’animo interiori del Salvatore. Però il vangelo ci insegna una cosa: anche Cristo fu tentato dal diavolo (Mi 4,1-11). E la sua tentazione è stata si­ mile alle nostre tentazioni che si presentano sotto forma di suggestioni: «Di’ che questi sassi diventino pane... Get­ tati giù... Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai». Nella nostra esperienza umana—come ab­ biamo già visto dalla descrizione del processo della pe­ netrazione del pensiero cattivo nel cuore— alla sugge­ stione segue assai spesso il “colloquio”, cioè il dialogo con il pensiero. In tale colloquio si ponderano e si sop­ pesano le ragioni prò e contro una certa scelta. Gesù evitò tale colloquio con la suggestione. Egli diede semplicemente una risposta pronta di rifiuto a ciò che venne sug­ gerito da satana. Fece come facciamo noi quando sia­ mo occupati e qualcuno ci propone, ad esempio, di usci­ re con lui. Senza esitare diciamo: «Non posso». Con la nostra “contraddizione” il discorso è chiuso. Questo è l’u­ nico modo ragionevole di comportarsi in tali casi. In­ fatti, più la risposta è breve e decisa, più è efficace. Co­ sì come ci comportiamo con gli uomini che ci molesta­ no ingiustamente, allo stesso modo dobbiamo compor­ tarci con le suggestioni del maligno. "CONTRADDIRE"______________________________________

Il termine greco per questa pratica del contraddire è antirrhèsis. Divenne tradizionale, perché Evagrio scrisse un libro dal titolo Antirrheticus (Istruzioniper contradàre). L’autore notò che Gesù per rispondere al diavolo aveva 22

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usato i testi della Sacra Scrittura: «Non di solo pane viv l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio... K[0n tentare il Signore Dio tuo... Adora il Signore Dio pjoea lui solo rendi culto!» La Scrittura ci rivela la vo­ lontà di Dio. I suoi detti sono quindi un’arma contro le insinuazioni diaboliche. Nei vangelo ne sono citati solo ffe contro tre tentazioni specifiche. Tuttavia, nella vita umana, le suggestioni al male si presentano in tante for­ me diverse. Ma, d’altra parte, anche la Sacra Scrittura contiene moltissimi brani adatti per essere pronunciati quando viene alla mente un pensiero cattivo. Evagrio ne scelse i migliori e li ordinò secondo le otto categorie ge­ neriche dei pensieri malvagi: contro la gola, la lussuria, l’avarizia, la tristezza, l’ira, l’accidia, la superbia. I mona­ ci li imparavano a memoria per essere sempre pronti a controbattere quando si presentava loro una tentazio­ ne. Ad esempio, quando qualcuno è tentato di occupar­ si inutilmente degli affari degli altri, gli si consiglia di dire ciò che Gesù disse a san Pietro che voleva sapere che cosa succederà con san Giovanni: «Che importa a te? Tu seguimi!» (Gv 21,22). Non raramente si legge nei documenti agiografici che un santo monaco «sapeva a memoria tutta la Sacra Scrit­ tura». Il lettore moderno non può crederlo. Come si po­ trebbero, ad esempio, ricordare le liste dei tanti nomi contenuti nelle diverse generazioni di cui si parla nel­ l’Antico Testamento? Si tratta di un equivoco. L’e­ spressione “sapere a memoria tutta la Sacra Scrittura” indica l’arte della direzione spirituale: quando ogni for­ ma di tentazione veniva rivelata al padre spirituale 23

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che, riconosciuto il tipo di tentazione, consigliava il te­ sto della Bibbia più adeguato a combatterla. LA FORZA DEL N O M E DI G ESÙ ____________________

La pratica della contraddizione, l’anùrrhesis, si è dun­ que rivelata molto utile. Eppure alla gente semplice sem­ brava talvolta complicata. Ci si chiedeva allora: chi può, ad un tratto, quando arriva una tentazione, ricordarsi di un testo scritturistico adatto a combatterla? Non si po­ trebbe piuttosto semplificare la pratica trovando un uni­ co testo adatto per tutte le occasioni? I devoti si con­ vinsero a poco a poco che l’invocazione del nome di Ge­ sù “mette in fuga tutti demoni”. Per questo motivo si co­ minciò a ripetere spesso la cosiddetta “Preghiera di Ge­ sù”. La sua formula tradizionale in oriente è: «Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore!», Gli uomini spirituali la elogiano come forza liberatrice del cuore, difesa facile ed efficace contro ogni tentazio­ ne e distrazione della vita. N O N SI DOVREBBE DIRE PIUTTOSTO PREGHIERA "A G ESÙ "?______________________________

Si tratta infatti di un’invocazione rivolta a Gesù con la formula: «Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore!» Si dice “Preghiera di Ge­ sù” perché così fu letteralmente tradotta dal greco. I mo­ naci orientali la recitano spesso, contando il numero del­ le invocazioni su una corona simile a quella del rosario latino. Il famoso pellegrino russo la vuole armonizzare unendola al battito del cuore e alla respirazione. La 24

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giudica essere il metodo più efficace per raggiungere la preghiera incessante. Ma anzitutto essa serve come “ri­ sposta” ai pensieri cattivi. Quando, ad esempio, sorge la suggestione di vendicarsi per un’offesa ricevuta, si ri­ sponde a questo pensiero dicendo: «Signore Gesù Cri­ sto, Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore». E così si fa in occasione di qualsiasi altra tentazione. Si PUÒ DIRE CH E IN TAL M O D O V E N G O N O RUMINATE LE SU G G ESTIO N I AL MALE?

Questo era supposto da certi quietisti. Ma i Padri della Chiesa dicono il contrario. Il combattimento spi­ rituale è l’essenza dell’ascesi cristiana. Se ci sono momenti di tregua, questi sono o un dono speciale di Dio o una tentazione del nemico, che tenta di sedurre l’uomo fa­ cendogli falsamente credere di trovarsi al sicuro dalle sue insidie. Giovanni Climaco lo spiega con questo esempio: la volpe finge talvolta di dormire, affinché gli uccelli si avvicinino sicuri, per poi saltare improvvisamente su di loro; così fa anche il diavolo con le anime. Quindi, in questa vita le suggestioni cattive sono inevitabili. Non esistono un tempo o uno spazio così sacri da essere inac­ cessibili alle tentazioni. Ma l’uomo spirituale, esperto nel combatterle, “risponde” loro con prontezza, acquista sem­ pre più la facilità del combattimento, al punto che alla fine lo fa persino con un certo piacere, perché nel farlo scopre la propria libertà e forza soprannaturale. LA "SOBRIETÀ SPIRITUALE", L'ATTENZIONE

La pace del cuore non è duratura se non viene prò25

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tetta da una costante attenzione ai turbamenti che, prò- « venienti “dal di fuori”, tendono ad infiltrarsi nell’uo- ■ mo. Perciò la vigilanza del cuore si chiama, nel voca- a boiario degli asceti, anche “sobrietà spirituale” o sem- * plicemente “attenzione”. Il vero atto umano è consa­ pevole e libero. Più diminuisce la consapevolezza, più i si diventa vittime dell’immaginazione, dei sogni, delle impressioni ossessionanti, di una sorta di “letargo”. Anche a scuola, il successo dell’insegnante dipende dal ■ fatto che i bambini “siano attenti”. La preghiera, elevazione della mente a Dio, è im­ pensabile senza attenzione. Gli autori greci usano un ¡. co di parole che è intraducibile. Attenzione si dice in : greco prosoche, preghiera proseuchè; due parole simili.. ciò dicono che la prima è madre della seconda. Nella; liturgia bizantina prima di un momento importante, il diacono canta proprio questa ammonizione: «Prosoche, \ state attenti!» SI PUÒ ESSERE SEMPRE ATTENTI? CHI PUÒ EVITARE LE DISTRAZION I?________________________ _______________________________________________

V E difficile dire in che cosa consiste l’attenzione. Una sua semplice definizione è “presenza psicologica a | ciò che si fa”. Quando uno guida la macchina e non perv | sa ad altro tranne a ciò che vede sulla strada, guida in | modo sicuro. Ma, al contrario, può avere in mente una ; grave preoccupazione familiare, cosicché, per quanto i suoi occhi seguano ancora la strada, la sua “testa”, i suoi pensieri sono altrove. In tali momenti un incider te può succedere facilmente. 26

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Talvolta anche i santi che pregano intensamente so­ no ciechi e sordi rispetto a ciò che succede accanto a loro- Di san Bernardo si legge che non sapeva rispon­ dere a come fosse il soffitto della cella in cui abitava. Evidentemente aveva altro a cui pensare. La capacità di concentrarsi pienamente facilita enor­ memente il lavoro. E un dono della natura e di Dio. jyla questo non è da tutti. Anzi, spesso incontriamo persone incapaci di concentrarsi. Aprono un libro e pen­ sano a mille altre cose, tranne a quello che leggono. Quando parlano, saltano da un tema all’altro. Si può sup­ porre che a tali persone vengano in mente chissà quan­ te e quali strane cose quando cominciano a pregare! C OME EDUCARSI AD ESSERE ATTENTI?

Esistono delle persone che soffrono di distrazioni in modo anormale. Lasciando che siano dei medici pru­ denti a capire come si possono curare, si può tuttavia os­ servare che spesso la mancanza di concentrazione è il ri­ sultato di una cattiva abitudine. In questi casi, una for­ te volontà può procurare un miglioramento, anche ra­ pido. Uno psicologo aveva nella sua stanza un grande acquario con vari tipi di pesci rari. Accanto c’erano al­ cune sedie su cui faceva accomodare i suoi pazienti in cura perché incapaci di prestare attenzione alla lettura, e poi chiedeva a ciascuno di loro di seguire con lo sguardo i movimenti di un solo pesciolino. All’inizio non ci riuscivano, ma dopo qualche esercizio ce la facevano a non perdere d’occhio il proprio esemplare addirittura per una mezz’ora. Dopo tali esercizi, i pazienti confessa­ 27

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rono di poter seguire, senza distrarsi, il proprio corso di lettura mentale anche per mezz’ora. Ma ci sono momenti in cui per prestare attenzione ■ non serve minimamente fare degli esercizi. Ad esempio, : un tifoso di calcio segue la partita per lungo tempo, senza distrarsi, anzi se lo si volesse distrarre non sarebbe I facile dal momento che è particolarmente difficile di­ strarre una persona deviando l’attenzione che ha già focalizzato altrove. Giustamente, gli psicologi dicono che l’attenzione è figlia dell’interesse. Gli asceti cristiani affermavano lo stesso e, applicando il principio alla preghiera, dicevano: la concentrazione su Dio dipende dall’amore, che, secondo l’antico detto » monastico, è il «fuoco ardente nel cuore che dispèrde, dalla mente elevata al Signore, le nuvole dei pensieri cattivi ed inutili». Ciò ci conduce a trattare la questione della cosiddetta apatheia, l’insensibilità per il male. L'IDEALE DEH'APATHEIA DEI CRISTIANI ORIENTALI______________________________________________

Il termine apatheia è di origine stoica, perciò ancor oggi si dice “tranquillità stoica”. Nelle Odi di Orazio si legge: «Conserva la mente tranquilla sia nelle diffi­ coltà che nella felicità!» Questa pace dell’anima è, secondo gli stoici, la più grande felicità umana. Come si raggiunge? I cristiani insegnano a combattere i pensieri cattivi. Gli stoici hanno in mente in particolare l’ulti­ mo stadio della penetrazione nel cuore, cioè quello del­ la passione. Passione in greco si dice pathos. La nega­ 28

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zione si esprime con il prefisso “a”; così, dall’unione dei due, sorge il termine apatheia, ad indicare lo stato di chi ^a eliminato le passioni, ed è «al di là di ogni paura, tristezza, concupiscenza e voluttà» (Epitteto). q u a t t r o p a s s i o n i f o n d a m e n t a l i ___________

La passione è un movimento sensibile di attrazione o di repulsione verso qualcosa. Così si dice, ad esempio, che un tale è un “appassionato giocatore di carte”, o che un nazionalista sente un’“appassionata avversio­ ne” per il rappresentante di un altro popolo, o che un uomo suona il violino “con passione”, o ancora che “un giovane ama una ragazza con una forte passione”. Da questi pochi esempi, vediamo che esistono tanti tipi di passioni. Tutte turbano la serenità e diminuiscono la no­ stra libertà. Epitteto ripropone lo schema che gli stoici avevano individuato per indicare “quattro passioni fondamentali”. La nostra quiete, dicevano gli stoici, può essere turbata sia da qualche cosa cattiva, sia da qual­ che cosa gioiosa, cioè sia dal male che dal bene che ci eccitano. Se il male è presente, siamo tristi; se lo pre­ vediamo per il futuro, abbiamo paura. Quando godia­ mo delle cose buone del tempo presente, suscitiamo la voluttà, quando pensiamo che potremo goderne in fu­ turo, nasce in noi la concupiscenza. Vi sono, quindi, quat­ tro passioni capitali: la tristezza, la paura, la voluttà e la concupiscenza. Si possono paragonare a quattro donne litigiose nella stessa casa. Non ci sarà pace finché non verranno scacciate tutte e quattro.

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SI P O S S O N O ELIMINARE TUTTE LE PASSIONI? E INOLTRE: SAREBBE UTILE DIVENTARE COMPLETAMENTE INSENSIBILI?___________________

Quando i cristiani orientali adottarono il termine apatheia per esprimere l’ideale della pace interiore, furo­ no severamente criticati da san Girolamo. Egli rimpro­ vera a questi autori di voler fare dell’uomo o un angelo o un sasso privo di sentimenti. Ma gli angeli, come Dio, non possono avere movimenti sensibili, perché questi so­ no legati al corpo. Al contrario, l’uomo non può vivere senza percepire l’attrazione dei sensi, altrimenti sarebbe 0 come un sasso insensibile, o sarebbe malato. Non è for­ se naturale sentire la fame, la sete, l’attrazione a giocare, ad amare? Perciò, anche gli autori scolastici rifiutano ì’apatheia. Tuttavia bisogna distinguere le passioni buone, cioè l’attrazione per il bene, dalle passioni cattive che ci spingono al male. Quanto alle passioni buone, l’unica co­ sa che si chiede è che esse siano sotto il proprio control­ lo. In questo senso, anche la collera può essere buo quando ad esempio in giusta misura uno si scaglia con­ tro il male, allo stesso modo di come Gesù fece scacciando 1venditori dal tempio (Mt 21,12ss). Per evitare equivoci, bisogna prima determinare me­ glio che cosa s’intenda con il termine “passione”. Per gli autori orientali esso indica l’inclinazione al male. Con­ siderate secondo queste accezioni, è quindi desiderabi­ le che tali “passioni” siano distrutte e che il cuore sia totalmente puro da esse. Al contrario, gli autori occidentali chiamano pas­ sione ogni attrazione sensibile sia al male che al bene. 30

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pistinguono quindi le passioni “ordinate” da quelle “disordinate”- Di conseguenza, la perfezione consiste non nell’estin331"6 o distruggere le passioni, ma solo nel controllarle, nell’“ordinarle”. Le passioni sono dunque a> me cavalli con le briglie: bisogna condurli sulla retta stra­ da, ma non indebolirli o ucciderli. ALLORA, IN CHE S E N S O SI DEVE COMPRENDERE L'APATHEIA TANTO LODATA p a i r a d r i GRECI?____________________________________

Essa non è l’assenza di sofferenze o di sensibilità. Il “fachirismo” in se stesso non è una perfezione umana. La de­

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licatezza dei sentimenti naturali è un valore positivo. Non si può pretendere che l’uomo perfetto sia libero dalle “suggestioni” dei pensieri cattivi. Si presentano anche a lui. Ma—dice Evagrio—“non lo commuovono più”, non so­ no più pericolose per lui. Si può dire che un uomo tale sia già impeccabile? Sarebbe dire troppo. Adamo ha pecca­ to anche nel paradiso. La scelta del bene o del male ri­ mane sempre libera. Ma per l’uomo che ha raggiunto l’apatheia, la scelta del bene è facile e gioiosa. Equivale al­ la forza dell’anima pura. I ragazzi forti si rallegrano quando possono combattere i più deboli, e quando sono attaccati ridono. L’uomo libero di fronte ai pensieri cat­ tivi che gli vengono in mente sente una gioia simile. Di tali pensieri se ne ride, non ha paura di venir da loro scon­ volto. Commentando questa forza interiore, san Giovanni Climaco chiama l’apatheia «resurrezione dell’anima av­ venuta già prima della resurrezione dei corpi».

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L'APATHEIA E LA C A R I T À ______________________

Lungi dall’essere una sorta di insensibilità cadaveri- * ca, Yapatheia, insensibilità cristiana, è piuttosto un | “fuoco divorante”, il fuoco divino nel cuore che brucia ' tutte le tentazioni appena queste si presentano. L’esetn- f pio fornito da sant’Efrem è di stile molto popolare, ep­ pure molto espressivo. Dice così: quando la minestra è calda, nessuna mosca può avvicinarsi, gli insetti vi ca­ dono solo quando si è raffreddata; allo stesso modo il cuo­ re che arde per l’amore di Dio distrugge i pensieri c k vi si oppongono. «Se amiamo sinceramente Dio, la no­ stra stessa carità scaccia le passioni malvagie», dice san Massimo il Confessore. E la carità che riunisce tutte le forze dell’uomo sotto la direzione dello Spirito Santo. E questo l’ideale incarnato, secondo Vladimir Losskij, nella Vergine Maria, che «rappresenta il culmine della santità... è stata senza peccato sotto il dominio univer­ sale del peccato»; «il peccato non ha mai potuto attua­ lizzarsi nella sua persona».

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RIGETTARE I PENSIERI? CERTAMENTE N O N

TUHl]________________________________________ Finora abbiamo parlato dei pensieri cattivi che so­ no causa del peccato. Ma se è vero che ogni male co­ mincia da un pensiero, è ugualmente vero che anche il bene ha il suo inizio da un pensiero, da un pensiero buo­ no detto “ispirazione”. Bisogna quindi saper distingue­ re tra questi due tipi di pensiero. Le biografie dei santi raccontano di quante esperienze essi facessero in que­ sto campo e anche di quanti sbagli commettessero non sapendo “distinguere gli spiriti”. PERCHÉ SI PARLA DI "SPIRITI", SE SI TRATTA DI PENSIERI?_______________________________________________

Il capitolo 12 dell’Apocalisse riprende e completa il racconto della Genesi sull’origine del peccato, riassu­ mendo per sommi capi la dottrina della Bibbia sul de­ monio e sul suo ruolo nella storia della salvezza, e rap­ presentando lo scontro personale che oppone Cristo al “seduttore”, al “principe di questo mondo”. In questa pro­ spettiva, i Padri interpretano diversi avvenimenti della vita di Cristo. Anche la vita spirituale dei cristiani è vi­ sta come un combattimento contro i demoni. La Bibbia presenta all’uomo delle scelte, a cui egli non può sottrarsi. Queste scelte vengono però a volte ostacolate. Infatti, in opposizione alla voce divina, alla voce della coscienza, 33

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un’altra voce si fa sentire: quella delle suggestioni al male, di satana. Come discemere l’una dall’altra? Nelle epistole del Nuovo Testamento è utilizzata esplicitamente l’espressione “distinguere gli spiriti” ( ICor 12,10; cf 1 Gv 4,1). Dicendo “discernimento dei pensieri”, si vuol indicare il campo dove il combattimento spirituale co­ mincia e dove fondamentalmente già si decide. CHI È CAPACE DI DISTINGUERE I PENSIÈRI BUONI DA QUELLI MALVAGI?______________ \ Testimoniare la voce di Dio è stato il compito dei pro­ feti, e i libri sapienziali sono stati scritti per insegnare a distinguere la voce della sapienza da quella della follia. Questo problema non cessa di occupare un posto di primo piano nella letteratura spirituale. Ma l’arte di di­ scernere i pensieri è in primo luogo un dono di Dio. Per san Giovanni l’esperienza spirituale è un’“unzione”, uno stato di luce (IGv 2,20.27). Sant’Antonio Aba­ te disse: «E necessaria molta preghiera e molta ascesi affinché, dopo aver ricevuto dallo Spirito il carisma del discernimento degli spiriti, si possa conoscere ciò che concerne ciascun demone...» Questa conoscenza, inol­ tre, è frutto di una lunga osservazione. Con l’esperien­ za, infatti, si può acquistare un “senso” speciale, un’in­ tuizione spirituale, fino a divenire capaci di riconosce­ re dove ogni pensiero ci condurrebbe. O G G I CI SO N O AN CO RA PROFETI CAPACI DI INTERPRETARE LA V O C E Di DIO?_________________ La domanda è del tutto giustificata. Nell’Antico 34

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Testamento si parla dei profeti, e anche nel Nuovo si fa riferimento alla loro presenza nelle comunità cristiane. Il dono della profezia era particolarmente apprezzato dai padri della Chiesa. Perché allora oggi sembra che non esistano più? La parola “profeta” ricevette un significa­ to peggiorativo a causa della diffusione di falsi profeti emersi dalla setta dei montanisti. Ma se “profeta” signi­ fica qualcuno che parla in nome di Dio, tale carisma ri­ mane essenziale per la Chiesa. E interessante notare che nelle Chiese orientali chiamavano profeta un buon pa­ dre spirituale. La sua principale funzione era infatti quel­ la di riconoscere e dire quale ispirazione è buona e qua­ le dev’essere invece considerata come una suggestione del male. Perciò si consigliava, soprattutto ai giovani, di rivelare al padre spirituale “ogni pensiero” e quindi la­ sciar decidere a lui ciò che si doveva fare.

MA CHI HA UN PENSIERO SOSPETTO N O N LO DICE VOLENTIERI ALL'ALTRO!___________________

Infatti sant’Ignazio esprime questa esperienza con un esempio. Un falso amante— dice— quando vuol sedur­ re una ragazza, vuole sempre restare nascosto e vuole che tutto sia tenuto segreto. Perché, se la figlia lo rivelasse al proprio padre, quello saprebbe come far finire la storia. Allo stesso modo, anche il diavolo, quando suggerisce un inganno, cerca di convincerci a non dirlo al padre spirituale. Infatti, quando un pensiero cattivo viene ri­ velato, è facilmente superato. Per questo motivo si in- * siste sulla necessità di aver un buon padre spirituale, cioè di avere qualcuno a cui poter rivelare con assoluta fi35

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ducia i propri pensieri, soprattutto all’inizio del cammi­ no della vita spirituale, quando per un principiante il di­ scernimento è ancora estremamente difficile da fare. M A C O M E È POSSIBILE RIVELARE AL PADRE SPIRITUALE O G N I PENSIERO?_____________________

Bisogna evitare di cadere in un equivoco. Quando parliamo di “pensiero”, qui non intendiamo tutto ciò che pensiamo, ma indichiamo solo le suggestioni, cioè le ispi­ razioni che ci portano a decidere di fare o non fare una certa cosa, a partire dal riconoscimento della sua bontà presunta o reale. Perciò è prudente consigliarsi, non con il primo venuto, ma ricorrere ad un “padre spirituale”, cioè a qualcuno di cui non dubitiamo che abbia l’assi­ stenza dello Spirito Santo e la conoscenza dei cuori uma­ ni. Solo chi ha questi requisiti può dire, come un profe ta, che cosa Dio desidera da noi. S O N O POCHI GLI UOMINI C O S Ì?____________

E vero che non s’incontrano ad ogni passo, ma biso­ gna cercarli accuratamente. D’altra parte, già gli antichi monaci si lamentavano di non riuscire a trovare un buon padre spirituale. Venne quindi l’idea di stabilire certi prin­ cipi, certe regole, con cui riconoscere la bontà o la ma­ lizia dei suggerimenti interiori. Un esempio interessan­ te di questo sforzo lo si trova nel libro degli Esercizi Spi' rituali di sant’Ignazio di Loyola. Egli sentiva un grande bi­ sogno della capacità di distinguere tra i due tipi di sug­ gerimenti, perché dopo la sua conversione aveva più vol­ te sbagliato, considerando come ispirazione divina eie 36

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che era solo un’illusione. In seguito, guidato dalla propria eSperienza, stabilì per sé e per gli altri alcune “regole per discernimento degli spiriti”. Ma già prima di lui tanti altri uomini spirituali fecero la stessa esperienza. Quin­ di alcune “regole” sono divenute tradizionali. q

UAL È LA REGOLA FONDAM ENTALE?

Quando sant’Antonio Abate si ritirò nel deserto, fece la sua prima esperienza di discernimento dei pen­ sieri. Essi si possono distinguere secondo l’effetto che pro­ ducono. I buoni suggerimenti fanno nascere «una gioia inesprimibile, il buon umore, il coraggio, il rinnovamento interiore, la fermezza dei pensieri, la forza e l’amore per Dio»; gli altri, invece, portano con sé «paura dell’anima, turbamento e disordine dei pensieri, tristezza, odio contro gli asceti, accidia, afflizione, ricordo dei parenti, timore della morte e infine desideri cattivi, pusillanimità per la virtù e disordine dei costumi». Questa regola è sta­ ta semplificata in un assioma: «Ciò che turba viene dal diavolo, mentre Dio dà la pace al cuore.» SI PUÒ SEMPRE APPLICARE QUESTA REGOLA?

In fondo vale sempre, però la sua applicazione non può essere meccanica. Infatti, quando uno è quasi asso­ pito nelle sue cattive abitudini, allora scuoterlo e, in cer­ to senso, turbarlo è opera della grazia divina. Bisogna quindi distinguere anche i diversi sentimenti di pace. Non sempre la pace viene da Dio, c’è anche una pace il­ lusoria che viene dal mondo. Ma solo il vangelo ci pro­ mette la vera pace, che è duratura e conduce al bene. 37

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INFATTI SPESSO CI SENTIAM O TURBATI. È NORM ALE?_____________________________________________

Le prime esperienze non sono facilmente percepibi­ li. Normalmente ci rendiamo conto del nostro stato in­ teriore solo quando è, in certo senso, più duraturo. Al­ lora diciamo agli altri: «Lasciatemi in pace, sono di cat­ tivissimo umore, e non passa subito !» I libri spirituali non parlano di cattivo umore, ma usano la parola “desola­ zione”. Osservano come essa influisce sulle nostre rela­ zioni con Dio e sulPadempimento dei doveri religiosi. Ne­ gli Esercii sant’Ignazio la descrive così: «Chiamo deso­ lazione... l’oscurità dell’anima, il suo turbamento, l’in­ clinazione alle cose basse e terrene, l’inquietudine do­ vuta a vari tipi di agitazioni e tentazioni, quando l’ani­ ma è sfiduciata, senza speranza, senza amore e si trova tut­ ta pigra, tiepida, triste e come separata dal suo Creatore e Signore». In termini moderni si può tradurre questo par­ lando di disgusto, frustrazione, dubbi su tutti e su tutto. C O M E COMPORTARSI IN UN TALE STATO DI DESO LAZIO N E INTERIORE?________________________

Tutti dicono: «si deve reagire, l’uomo non deve la­ sciarsi trascinare dal suo turbamento. » Ma come e da dove cominciare? Il primo passo è acquistare fiducia nella propria libertà. Il cattivo umore ci insinua una quan­ tità di progetti sbagliati. Ed è logico. È come quando la bilancia è guasta: non pesa rettamente. Per questo motivo, dobbiamo essere fermi e non cambiare la decisione presa in precedenza, quando ci sentivamo bene. Facendolo, si vive una bella esperienza: scopriamo di es38

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sere forti e capaci di fare il contrario di ciò che ci insi­ nua di fare il cattivo umore presente. MA IL DISGUSTO INDEBOLISCE, TOGLIE LA VOGLIA DI RESISTEREI_______________________________

Eppure in tali momenti dobbiamo risvegliare proprio questa voglia di resistete, di fare il contrario di ciò che saremmo naturalmente propensi a compiere. Sant’Ignazio propone un esempio che può sembrare banale, ma espri­ me bene l’idea. Dice che il diavolo si comporta verso di noi come una donna litigiosa. Quando gli si resiste fer­ mamente, tace. Al contrario, quando uno si perde d’a­ nimo e comincia a fuggire, essa lo perseguita con più ferocia. PERCHÉ SI V IV O N O TALI STATI D'ANIM O C O S Ì SPIACEVOLI?___________________________________________

Gli autori spirituali ricordano, per affrontare questa circostanza, la narrazione biblica su Giobbe. Tutte le sue sofferenze divennero prova della sua virtù. La desola­ zione spirituale è dunque una dura prova, soprattutto per quelli che vogliono dedicarsi alla vita di preghiera. Un esempio è dato da santa Teresa d’Avila, monaca con­ templativa, che ne soffrì per parecchi anni, ma in seguito fu ricompensata con grandi visioni. Tuttavia ogni cri­ stiano ha bisogno di essere in qualche modo provato dal­ le desolazioni. Solo così infatti si rende ben conto che la vera devozione non si può misurare solo con l’intensità dei bei sentimenti provati. Non va tutto bene solo quan­ do ci sentiamo bene. 39

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M A LE PROVE N O N D EV O N O ESSERE ESAGERATE!__________________________________________

Infatti Dio non prova gli uomini mai oltre la giusta misura e dà sempre una forza speciale per superare le dif­ ficoltà esteriori ed interiori. Nella desolazione, inoltre, ci deve essere sempre la speranza che il difficile momento presente è uno stato che passerà. Si è addirittura individuata una certa regola nell’e­ voluzione spirituale. Quando uno decide di incammi­ narsi sulla strada della vita spirituale, all’inizio, normal­ mente, si sente incoraggiato e pieno di entusiasmo. Poi viene uno stato di aridità dell’anima, di disgusto per le cose spirituali, ma successivamente viene una consola­ zione più solida e duratura della precedente. O G N U N O HA LE SUE DEBOLEZZE PERSONALI. MOLTI SI S C U S A N O DICEN DO : «Q U ESTO È IL M IO CARATTERE». M A SI P O S S O N O VINCERE I PROPRI DIFETTI?

Così come ci sono le malattie corporali, esistono anche le debolezze dell’anima. Uno tende ad essere' malinconico, l’altro si arrabbia facilmente, un altro è pi­ gro di natura. Anche a questo punto, possiamo ricorda­ re un esempio di sant’Ignazio. Egli dice che il diavolo si comporta come un capo militare che vuol impossessar­ si di un castello. Prima analizza quali ne sono i punti deboli, per poi attaccare partendo proprio da lì. Come un buon difensore mette i suoi migliori soldati nelle postazioni di guardia che prevede siano attaccate, così dobbiamo fare anche noi: concentrare l’attenzione là do­ ve più facilmente sbagliamo e dove quindi siamo più vul­ 40

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nerabili* Perciò dobbiamo conoscerci bene per proteg'

gercibene. MA C O M E U N O PUÒ C O N O S C E R E SE STESSO?_________________ ^ ____________________________

L’esperienza insegna ad ognuno. A questo proposito è importante l’esercizio noto come “esame di coscien­ za”, che si raccomanda di fare soprattutto alla sera, prima di andare a dormire. Ma è sbagliato credere che in esso l’attenzione si debba concentrare solo sui peccati. E an­ cora più importante porsi queste domande: «Oggi quali pensieri mi appesantivano il cuore e mi occupavano i pen­ sieri? Che cosa producono nella mia mente? La turbano 0 le danno pace? Dove vogliono condurmi?» I pensieri sono come gli amici. Ben presto si impara tra di loro a di­ stinguere i veri dai falsi. Così i santi dicevano di ricono­ scere i suggerimenti buoni da quelli cattivi già dal loro “odore”, dal modo in cui essi si presentano. 1SANTI H A N N O SPESSO DESCRITTO LE LORO ESPERIENZE PER I DISCEPOLI. DOVE SI PO SSO N O LEGGERE?_______________________________

Sul “discernimento degli spiriti” hanno parlato molti autori spirituali. Già nel V secolo Diadoco di Fotica ha raccolto ciò che dicevano i Padri su tale argomento. Abbiamo già ci­ tato sant’Ignazio di Loyola che, dopo aver fatto espe­ rienza praticamente da solo, trascrisse ciò che aveva vis­ suto, stabilendo alcune regole di condotta per il discer­ nimento degli spiriti. Anche Scupoli espone i principi del discernimento 41

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in un libretto intitolato Combattimento spirituale. Ma più famoso divenne il catalogo di Evagrio (della fine de] IV sec.) sugli “otto spiriti di malizia”, in cui si ha un elen­ co, che cerca di essere completo, dei vari tipi di tenta­ zioni che di sicuro conducono al male.

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5, Gli otto pensieri cattivi

È POSSIBILE FARE UN CATALO GO DI TUTTI I PENSIERI CATTIVI?____________________________________

A prima vista sembra impossibile. Infatti le suggestioni del male sono così numerose e diverse che nessuno riesce ad enumerarle completamente. Ma va anche detto che certi vizi sono frequenti. Perciò già la letteratura di epoca ellenistica offre cataloghi di vizi. D’altra parte, fin dal Nuovo Testamento ne troviamo diversi esempi. Fu alla fine del IV secolo che Evagrio propose l’elenco de­ gli otto “pensieri generici” che divenne poi tradiziona­ le, perché in esso si possono collocare e descrivere le varie tentazioni che di solito attaccano la persona. QUAL È QUINDI Q U ESTO CATA LO GO TRADIZIONALE?_______________________________________

Nel suo Trattato pratico Evagrio lo propone così: «Ot­ to sono in tutto i pensieri generici che comprendono tut­ ti i pensieri [cattivi]: il primo è quello della golosità, poi quello della fornicazione, il terzo quello dell’avarizia, il quarto quello della tristezza, il quinto quello della collera, il sesto quello dell’accidia, il settimo quello della vanagloria, l’ottavo quello dell’orgoglio». MA È IDENTICO A QUELLO DEI "SETTE VIZI CAPITALI"..._____________________________________________

Infatti è lo stesso. Però san Gregorio Magno cambiò 43

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l’ordine. La superbia è messa al primo posto come radi­ ce di tutti i vizi. Inoltre vanagloria e superbia sono considerate come un unico vizio, e così il numero è ri­ dotto a sette. Il termine greco di “accidia” non si com­ prendeva bene, perciò si parlò semplicemente di “pigri­ zia”. La tristezza completamente perversa che si mani­ festa quando ci rattristiamo, invece di godere, per il suc­ cesso del nostro prossimo, venne definita “invidia”, termine che nel catalogo latino sostituì quello di “tri­ stezza”. Giungiamo così all’elenco presentato dai nostri catechismi. Poco importa se il catalogo è proposto in questo o un altro ordine. L’importante è che gli autori spirituali cerchino di analizzare in che cosa consistono questi vizi, quali pensieri ci suggeriscono e quali rimedi si possono usare per combatterli. IN CH E C O S A CO N SISTE LA GO LO SITÀ ?

Un detto popolare dice: «Non si vive per mangiare, ma si mangia per vivere». Lo scopo per cui si mangia è dunque la salute del corpo. Ma il corpo dev’essere man­ tenuto in tale stato per poter servire l’anima. I bisogni corporali sono diversi a seconda della propria costitu­ zione, di quale lavoro si esegue, delle circostanze in cui il cibo viene assunto. La natura stessa, negli animali e nelle piante, ci indica come dobbiamo comportarci. Infatti piante e animali cercano e prendono dalla natu­ ra quello di cui hanno bisogno, niente di più e niente di meno. San Basilio dimostra la validità di questa leg­ ge naturale con molti esempi concreti. L’uomo deve dun­ que seguirla consapevolmente, liberamente, con lo 44

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scopo voluto da Dio. Il pensiero cattivo della golosità, scrive Cassiano, ci suggerisce di mangiare prima del tem­ po stabilito, ci incita a mangiare troppo e ci fa ricercare i cibi non secondo la loro utilità vera, ma solo per sod­ disfare la ghiottoneria. Si dice che l’uomo educato, a tavola, dia l’impressione di poter, in ogni momento, es­ sere chiamato altrove e di potersi alzare volentieri. Per il cristiano possiamo anche aggiungere che ciò che lo ca­ ratterizza è il fatto di essere sempre pronto a dare la precedenza, davanti ai piaceri sensibili, allo spirito. LA FO RN ICAZIO N E___________________________________

A Buddha si attribuisce il detto: «Il pungolo dell’i­ stinto sessuale è più acuto della punta che si usa per domare gli elefanti selvaggi, brucia più del fuoco e pos­ siede un dardo che penetra sino all’anima». Non stupi­ sce l’intensità di tale istinto, trattandosi dell’istinto di conservazione del genere umano. Tuttavia, va precisa­ to che gli uomini devono conservarsi e moltiplicarsi in modo umano, con decisioni libere e morali. Le appli­ cazioni della continenza sessuale sono, nella vita prati­ ca, numerosissime. Di esse sono zeppi i libri di morale. Il primo e più importante sostegno per conservare la castità è imparare a distinguere bene. A consolazio­ ne di coloro che si sentono turbati e invasi dai dubbi, la Chiesa non si stanca di ripetere ciò che ha stabilito: «la concupiscenza viene dal peccato e spinge verso il pec­ cato, ma essa non è peccato». Il non sentire tentazioni contro la castità è un eccezionale dono di Dio. Quando ci vengono suggestioni che ci spingono ad atti immo­ 45

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rali, quando la fantasia ci presenta immagini impure, dobbiamo imparare a soffermarci e dirci: «Che cosa voglio e decido io? Il contrario della suggestione!» Esi­ stono anche dei mezzi che si raccomandano per aiutare a prevenire un eccesso di sentimenti sessuali: la custodia dei sensi, la preghiera, ma in particolare il lavoro co­ stante. Se l’ozio è il padre dei vizi, il lavoro li fa dimen­ ticare e tranquillizza l’anima. L'AVARIZIA____________________________________________

La parsimonia è una virtù. Non è facile, però, dire quando essa si trasforma in avarizia. Si indicano quat­ tro regole che mettono in guardia ed avvertono chi ri­ sparmia troppo. 1. Non è permesso appropriarsi delle cose contro la legge, contro il Decalogo, per mezzo di un furto. 2 . 1 beni possono essere acquisiti onestamente. L’a­ varo pensa che tutto ciò che ha conquistato è suo in mo­ do assoluto e che non è obbligato a dare a nessuno nul­ la, neanche ciò che è superfluo. 3. L’uomo laborioso cerca dove poter guadagnare sol­ di. L’avaro lo fa in modo tale che, alPinfuori del guada­ gno, perde interesse per gli altri valori. Cerca solo quel­ le attività dalle quali vengono vantaggi di lucro. 4. Non solo i religiosi, ma anche i laici devono pra­ ticare in un certo modo la virtù della povertà, devono cioè cercare il benessere che è conveniente al loro sta­ to, senza esagerare. Gli avari ripongono troppa fiducia nei loro soldi, dimenticano Dio, sono duri verso il pros­ simo e così, infine, ne soffre anche la loro stessa vita. Al46

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J’infuori dei soldi non hanno interessi, né culturali, né altri, legati ad un sano divertimento. Custodiscono il lo­ ro tesoro sulla terra e non in cielo (cf Mi 6,19ss). lA TRISTEZZA, L'INVIDIA_____________________________

Quando siamo tristi, esprimiamo la convinzione che qualcosa non ci dovrebbe essere, che desideriamo che non ci sia. E quindi una specie di odio. Ma il cristiano deve odiare, come unico vero male, il peccato. Se, al contrario, ci assale la tristezza per la vita come tale, per la compagnia degli altri, per il fatto che siamo soli ecc., al­ lora c’è sempre qualche mancanza di fede nella Provvi­ denza di Dio e nella sua opera. La tristezza è pericolosa. Paralizza il coraggio di proseguire nel lavoro, nella pre­ ghiera, ci rende antipatici i nostri vicini. Gli autori mo­ nastici, che dedicano una lunga descrizione a questo vi­ zio, lo chiamano il nemico peggiore della vita spirituale. Ci sono diversi tipi di tristezza. Uno di essi è vizioso sin dall’inizio: è la tristezza per il bene di cui gode un altro uomo. Tale tipo di tristezza si può definire anche invidia. Secondo san Giovanni Crisostomo, l’invidioso è peggiore dell’avaro. Infatti, se quest’ultimo si accon­ tenta di quanto ha, l’invidioso si affatica affinché gli altri non possiedano niente: «Lui stesso forse non si al­ za perché è pigro, ma è capace di saltare per far cadere l’altro che sta in piedi». Se è vero che spesso si vivono sottili sentimenti di dispiacere quando un altro ha suc­ cesso, bisogna stare attenti e impegnarsi con un po’ di buona volontà per non cedere ad essi.

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È LECITO CERCARE DI SUPERARE IL S U C C ES SO DI UN ALTRO?________________________________________^

Non si può negare che la vita nell’attuale società sia un continuo combattimento per aumentare il pro­ prio successo lavorativo, economico, sportivo, ecc. L’im­ portante è che tutto ciò si faccia onestamente, senza risentimenti di antipatia verso gli altri. Quando poi si trat­ ta di gareggiare per un maggior possesso dei beni spiri­ tuali, questo tipo di emulazione è raccomandabile. Co­ sì leggiamo di sant’Antonio Abate che retrocedeva a tut­ ti in tutto, solo nelle virtù voleva superare tutti. Ma bi­ sogna che si tratti davvero di virtù autentiche, affinché l’emulazione non degeneri. L'IRA________________________________________________

La collera comincia con sentimenti di avversione : contro ciò che—realmente o solo nell’immaginazioi si presenta come ostacolo al nostro cammino. Così ab- ; biamo subito voglia di metterlo in disparte. Ci viene un’i- : dea di come farlo. Nasce così l’ira, che può essere giù- ; sta o ingiusta. Quale ira si può considerare giusta? L’unico vero osta­ colo al bene è il male. Possiamo e dobbiamo quindi ac- : cenderci d’ira contro il male. Ma esso deve essere un ma- ; le reale e non immaginario. Nel pieno senso della pa­ rola dobbiamo quindi adirarci contro il peccato, contro ; il diavolo, contro i pensieri cattivi. Quando si tratta 1 degli uomini, l’ira è giusta solo se conduce al bene, alla | sconfitta del male e quindi va a beneficio del prossimo, ■ non a suo danno. Cimmagine di un’ira giusta è, come ab- ! 48

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biamo già ricordato, Cristo che scaccia i venditori dal tempi0 (Me ll,15ss; Gv 2,14ss). S’intende che la col­ lera deve essere commisurata, controllata, moderata. l'IRA INCONTROLLATA_______________________________

Quale ira è da considerarsi ingiusta? Dal sentimen­ to di dispiacere nasce spesso l’odio e la voglia di vendetta, proviamo piacere per la disgrazia di un altro, lo umilia­ mo con le parole e lo denigriamo davanti agli altri. Poi si passa agli atti. Più spesso l’ira si manifesta con l’e­ splosione di sentimenti che sono più forti del sano giu­ dizio. Un uomo così è, secondo san Giovanni Climaco, un folle, un epilettico volontario. Non si può parla­ re con lui finché l’impulso d’ira non è cessato. Il consi­ glio migliore da dargli è ciò che affermano alcuni detti popolari: «respirare profondamente», «contare fino a dieci», «spaccare la legna, ma non sulla testa dell’altro». Molto più pericolosa è l’ira che rimane nell’anima anche quando l’esplosione dei sentimenti è già passata. Allora si comincia con freddezza a riflettere sulla ven­ detta, si rifiuta di perdonare. Secondo san Gregorio di X issa, un uomo che si comporta in tal modo si separa dal regno di Dio. A lui stesso non sarà perdonato, perché non perdona gli altri; Dio non interverrà in suo favore, perché vuol farsi giustizia da solo. COME VIN CERE L'ESPLOSIONE DELL'IRA?

Nelle Vite dei Padri del deserto si racconta che un iro­ sovenne guarito in questo modo. Gli fecero ripetere que­ sto tipo di preghiera: «Ti ringraziamo, Signore, per non 49

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aver bisogno di te, perché la giustizia ce la procuriamo da soli». San Doroteo paragona Tirato ad un cane che morde il sasso e, nella sua cecità, non vede l’uomo che ha gettato quel sasso. Bisogna quindi cercar di ragionare. «Nell’ira, non peccate!» leggiamo in san Paolo (Ef 4,26). L’apostolo delle nazioni aveva un temperamento esplosivo. Conosceva per esperienza come si può anda­ re in collera quando all’improvviso si incontrano il male, la disonestà, le difficoltà espressamente combi­ nate. Ma quest’impulso non deve portarci al peccato, per non giungere a cacciare un male con un altro. Del resto, san Paolo stabilisce un tempo prudente per calmarsi, fino al tramonto: «Non tramonti il sole sulla vostra ira» (Ef 4,26). L’ira guarisce definitivamente con le virtù con­ trarie: la mitezza, la pazienza, la fede nella provvidenza,

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L'ACCIDIA_____________________ .________ _ j Il termine greco akédìa ha un senso più ampio del suo corrispondente latino, “pigrizia”. Significa uno stato generale di disgusto, di stanchezza, di disinteresse, la “tiepidezza”. Lo chiamano anche “demone di mezzogiorno” (cf Sai 90,6), quello che assale il monaco a metà giornata, quando cioè passa l’ardore, la voglia di lavorare. I monaci, infatti, si alzavano molto presto al mattino e quindi a mezzogiorno arrivava la stanchezza. In modo allegorico, lo stesso vale anche per il “mezzogiorno della vita”, quando svanisce l’entusiasmo giovanile. Evagrio è convinto che questo sia un “demone pericolosissimo”, perché il disgustato e il pigro non hanno voglia di resistere, e dunque il nemico trova in essi facili prede. 50

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[A PIGRIZIA SPIRITUALE______________________________

Così gli autori latini chiamano l’accidia. Ludovico pa Ponte ne enumera nove manifestazioni: 1) una paura esagerata degli ostacoli che si possono incontra' re; 2) l’avversione a tutto ciò che costa fatica; 3) la negligenza nell’osservare i comandamenti, l’ordine, le re­ gole; 4) l’instabilità nel bene, nel mantenimento dei pro­ positi; 5) l’incapacità di resistere alle tentazioni; 6) l’avversione verso coloro che sono zelanti e che diven­ gono odiosi a causa della loro diligenza e dell’osservan­ za delle regole; 7) la perdita di tempo prezioso; 8) la li­ bertà che viene concessa ai sensi, alla curiosità, al pia­ cere di divertirsi e di usare tutto; 9) la negligenza nei prin­ cipali doveri del proprio stato, la dimenticanza del fine ultimo, la trascuratezza dei motivi religiosi nell’agire. LA TIEPIDEZZA S E C O N D O SAN BERNARDO

Per san Bernardo, la “tiepidezza” è “ombra della mor­ te”; il tiepido assomiglia ad una vigna non coltivata, ad una casa senza porta e finestre. La tiepidezza priva l’uomo della gioia spirituale. Aumenta la fatica della giornata e, nello stesso tempo, ne diminuisce i meriti. E come un ver­ me che alla radice divora dal di dentro le virtù principa­ li, anche se fuori tutto continua come sempre. Il pigro na­ sconde i suoi talenti nella terra (Mt 25,25ss). Non desi­ dera essere né troppo buono né troppo cattivo. Perciò gli si applicano le parole : «Conosco le tue opere: tu non sei né freddo, né caldo. Magari tu fossi freddo o cal­ do! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca» (Ap 3,15-16). 51

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LA SUPERBIA________________________________________

Tutti sono concordi neU’affermare che la superbia è quello che si potrebbe definire il colmo di tutti i vizi e peccati. D’altra parte, anche i buoni confessano di ave­ re “pensieri di orgoglio” che non possono essere così ma­ ligni. Quindi distinguiamo, anche senza rendercene con­ to, una doppia superbia: grave e meno grave. Gli autori orientali parlano di due vizi simili, eppure tanto diver­ si: la vanità e la superbia. In ambedue i casi ci attribuiamo qualche bene e, per questo, vogliamo essere stimati: ma quel bene non è merito nostro. Cerchiamo la gloria. Ma questa gloria può essere seria o “vana”: possiamo cioè vantarci di qual­ cosa che è degno di ammirazione o amiamo essere lodati per delle cose piccole, ridicole, vane. Agli occhi degli asceti, l’unica cosa che merita la glo­ ria è la grazia, la partecipazione alla vita di Dio. E solo il Signore che ci rende partecipi della sua gloria, perciò il cristiano non la attribuisce a sé. Crede fermamente che sia un dono di Dio non meritato. L’immagine classica della superbia è quindi il fariseo che prega: « 0 Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, in­ giusti, adulteri e neppure come questo pubblicano» (Le 18,11). L’orgoglioso esige ammirazione e venerazione per ciò che, senza meriti, ha ricevuto da Dio e, per questo, si considera migliore degli altri. LA SUPERBIA— "ULTIMO DEM ONE"

Giustamente si avverte che, proprio quelli che si sfor­ zano di condurre una vita spirituale, sono maggior­ 52

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mente esposti al pericolo del vero orgoglio. Tale vizio è l’“ultimo demone” che attacca quelli che si sono libe­ r ti dai “sette precedenti”. Ed è più forte di tutti gli al­ tri. Ispira alla coscienza la superiorità sul prossimo a causa delle proprie buone opere, della conoscenza teologi­ ca, della vocazione allo stato religioso. Si dice che l’orgoglio precede la caduta. L’orgoglio­ so cade facilmente nel peccato. Il teologo superbo delle sue conoscenze alla fine professa errori. «L’autosufficienza del proprio giudizio» è, secondo Teodoreto di Ciro, la più grave malattia degli intellettuali che hanno perduto l’u­ miltà. «Essi disprezzano ogni iniziativa e i consigli degli altri. Il loro detto preferito è: O si fa come voglio io, o ri­ fiuto di collaborare». LA VANAGLORIA______________________________________

La vanità è un vizio molto minore. C ’è chi si lascia ammirare per i suoi folti capelli, chi per la bella voce, chi per le sue capacità intellettuali, chi per le sue nobili origini; chi cerca la gloria nelle cose “vane”, di poco con­ to in confronto ai veri valori della vita. San Francesco di Sales dice che, benché si tratti di una “passioncina” ridicola (nonostante ciò, la gente riesce a vantarsi!), ha una vita dura: muore, si dice, “solo mezz’ora dopo la morte dell’uomo”. Fino all’ultimo respiro siamo legati al rispetto umano. Nel suo stato più evoluto, la vanità con­ duce alla mancanza di sincerità, alle menzogne, suscita contese, fa sperperare il denaro. In tal caso si chiama an­ che “rispetto umano”, ma nel senso deteriore: per non perdere l’ammirazione, la gente commette vizi e, per 53

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essere lodata dai peccatori, commette anche i peccati. Gli autori spirituali paragonano la vanagloria ad un ladro che accompagna un viaggiatore fingendo di avere la sua stessa destinazione, ma poi, inaspettatamente, lo deruba. Il vanitoso spesso lavora, osserva i comandamenti, frequenta la chiesa. Più è zelante, più desidera essere lo­ dato. Ma alla fine, perde i meriti acquisiti per le sue buone opere perché, di fatto, non le ha compiute per Dio, ma per vanagloria. Perciò si verifica spesso ciò che scri­ ve san Paolo: che «Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole, per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nul­ la per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dìo» (ICor 1,27-29). SI PUÒ DIRE CHE LA SUPERBIA È LA RADICE DI TUTTI GLI ALTRI VIZI?_________________________________

Lo afferma san Gregorio il Grande. Perciò nel suo ca­ talogo la mette al primo posto. Per Evagrio il fondamento di tutti gli otto vizi è l’amore di sé (in greco philautia), al­ tri lo chiamano “volontà propria”. MA È VERAMENTE UN MALE AMARE SE STESSI?

A questo proposito, bisogna fare attenzione a non ca­ dere in un equivoco. Il vangelo ci ordina di amare il pros­ simo come se stessi (cf Mt 22,39), non dice invece di “non amare se stessi”. Gli scolastici ripetevano l’ada­ gio: «Chi non è buono verso se stesso, non potrà essere buono neanche per gli altri». Il cristianesimo vuol uni­ 54

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re ambedue gli amori, di sé e dell’altro, in un unico amo­ re. Chi rifiuta questa unione possiede l’amore di sé, ma

esso da solo è egoistico, perverso. Amando sé, l’egoista anche distrugge se stesso, perché rompe le relazioni con gli altri e con ciò diminuisce il suo essere “perso­ na”. San Massimo il Confessore definisce la philautia: “amore di sé contro di sé”. L’amore vero è la sorgente di tutte le virtù, l’egoismo è la radice dei vizi. MA C O M E SI FA A N O N AVERE VO LO N TÀ PROPRIA?_______________________________________________

Anche usando questo termine, bisogna stare attenti a non equivocare. La volontà libera è uno dei più gran­ di doni di Dio. «Per salvarsi—scrive san Giovanni Cri­ sostomo— basta volere». Indebolire la volontà significa rendere l’uomo meno capace sia del lavoro umano che della perfezione spirituale a cui l’uomo stesso è teso. In questo contesto, sembrano quindi strane le esortazioni di san Doroteo di Gaza, di san Benedetto e degli altri che ammoniscono severamente di “distruggere totalmente la propria volontà” per poter accettare la volontà di Dio o la volontà del legittimo superiore. Abbiamo già detto che l’origine di ogni male è un pensiero cattivo, una suggestione al peccato. Ad essa si unisce un’attrazione verso l’oggetto proibito: l’inclina­ zione all’avarizia, al desiderio di bere ecc. Sappiamo che possiamo e dobbiamo resistere a queste suggestio­ ni. Ma, talvolta, ci viene voglia di accettarle in modo che sembrino lecite. Allora, ad esempio, si cerca di giu­ stificare l’avarizia con la necessità di risparmiare, si co­ 55

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mincia a chiamare il rifiuto di perdonare “senso per la giustizia” ecc. Vari autori chiamano “volontà propria” questa tendenza a giustificare l’inclinazione al male con pretesti sacri. Va da sé che, presa in questo senso, de­ ve essere distrutta prima ancora che diventi origine di tutti i guai. L’uomo corrotto non solo commette crimi­ ni, ma riesce a giustificarli tutti. E una situazione triste, e lo è ancor di più quando si ha il caso di persone appa­ rentemente devote che amano giustificare la propria ipo­ crisia addirittura utilizzando testi della Sacra Scrittura. L’unico rimedio a questa perversione è cercare sincera­ mente la volontà di Dio e sottomettersi a chi la trasmette spiritualmente.

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6. L’esperienza personale

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TENTAZIONI SOTTO L'APPARENZA DEL BENE

Il catalogo degli otto pensieri malvagi (o dei sette vi­ zi capitali) è come il fondamento dei manuali di mora­ le cristiana dove si cerca di enumerare tutti i casi che co­ stituiscono peccato in modo “oggettivo”, valido per tut­ ti. I pensieri che suggeriscono tali azioni sono certamente immorali. Ma non tutti i pensieri che ci vengono in men­ te sono così chiaramente determinati. Gli autori esper­ ti nella vita spirituale notano che il demonio prende tal­ volta la forma dell’angelo della luce (cf 2Cor 11,14) e inganna sotto l’apparenza del bene. Così, ad esempio, un suggerimento all'inizio appare buono, solo inseguito, con la propria esperienza, si vede che ci ha condotto al ma­ le. A sant’Ignazio, poco dopo la sua conversione, sem­ brava un santo proposito praticare un digiuno radicale. Ma il risultato fu una grave malattia allo stomaco. Igna­ zio riconobbe in seguito che si era lasciato imbrogliare, non riconoscendo l’inganno nascosto sotto una falsa ap­ parenza di bene. Ciò accadde perché la sua anima, co­ me egli stesso confessa, era ancora inesperta nell’arte del combattimento spirituale. N O N È TROPPO TARDI Q U A N D O CI SI È RESI C O N TO DI AVER FATTO QUESTA TRISTE ESPERIENZA?__________________________________________

Certo, ed è proprio per tale motivo che si raccomanda 57

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di confrontare i suggerimenti che si percepiscono inte­ riormente con i consigli del padre spirituale. Gli uomi­ ni esperti nella vita spirituale acquistano un senso più fi­ ne e riescono a distinguere il pensiero angelico da quel­ lo demoniaco dal suo “profumo”. E lo stesso con gli uo­ mini. Una persona mi disse: «Io all’inizio non faccio attenzione a ciò che uno dice, ma ascolto piuttosto la sua voce. Così, raramente mi lascio ingannare dai bei di­ scorsi. E dalla voce stessa che sento se vi è qualche in­ ganno». E interessante notare che tali osservazioni si pos­ sono fare anche per i pensieri che ci vengono. Sant’Ignazio parla delle regole “di un maggiore discernimen­ to degli spiriti” adatto a quelli che hanno già compiuto un certo progresso nella vita interiore. In questi casi si sta meno attenti a ciò che il pensiero1suggerisce, ma si presta più attenzione al modo in cui il pensiero si pre­ senta all’anima. In questo modo anche sant’Antonio Abate imparò a distinguere gli spiriti: notando i diversi stati psicologici che i pensieri producono nell’anima. ABBIAM O G IÀ NOTATO LA REGOLA FONDAMENTALE: C IÒ CHE TURBA VIENE DAL D EM O N IO ...________________________________________

Ma abbiamo anche notato che il principio non si può applicare meccanicamente. Inoltre, il turbamento che si vive può essere molto fine, non osservabile facilmen­ te... Sant’Ignazio afferma: «A quelli che procedono di bene in meglio, l’angelo buono tocca l’anima dolcemente e soavemente, come una goccia d’acqua che entra in una spugna; mentre il cattivo la tocca acutamente con stiv58

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pito e inquietudine, come quando la goccia d’acqua ca­ tte sulla pietra». MA SE Q U ESTO TURBAMENTO N O N SI NOTA SUBITO?________________________________________________

Bisogna seguire lo sviluppo del pensiero. Ignazio lo descrive così: «Dobbiamo fare molta attenzione al cor­ so dei pensieri; se il princìpio, il mezzo e il fine sono tutti buoni e tendono unicamente al bene, è un segno dell’angelo buono. Ma se il corso dei pensieri che si han­ no porta verso una cosa cattiva o futile, oppure meno buona di quella che l’anima si era proposta di fare pri­ ma, o indebolisce, inquieta e conturba l’anima, to­ gliendo la pace, la tranquillità e la calma che prima ave­ va, è un segno chiaro che ciò proviene dal cattivo spi­ rito, nemico del nostro bene e della salute eterna». C'È UN 'ESPRESSIONE CHE ESIGE UNA SPIEGAZIONE: IL PENSIERO PORTA VERSO UNA C O S A CATTIVA O FUTILE. QUANTE COSE FUTILI CI PASSANO IN MENTE! S O N O TANTO D A N N O SE?__________________________________

L’autore spirituale russo Teofane il Recluso giudica questi pensieri severamente. Pensa davvero che possa­ no essere più dannosi dei pensieri espressamente catti­ vi. Non ammette che l’uomo onesto si occupi troppo nel pensare a progetti peccaminosi. Quanto tempo prezio­ so spesso si perde fantasticando su cose inutili! Di certe persone si dice che vivono concentrate a tal punto da non avvertire ciò di cui si parla. Teofane commenta ironicamente dicendo: “Concentrate, sì, ma sulle stu­ 59

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pidaggini!” Dunque, se in ciò non c’è una vera e pro­ pria tentazione al male, è pur vero che in tal modo si per­ de tanto tempo prezioso. Ancora di più: a ciò seguono un senso di vuoto nel cuore e una crescente malinco­ nia che indebolisce le forze dell’anima. LA FANTASIA È UN A FORZA NATURALE CH E SI SVILUPPA S E C O N D O LEGGI PROPRIE?___________

Infatti! Un giorno un medico mandò ad un suo col­ lega una paziente accompagnandola con una lettera in cui aveva scritto: «A me pare che la povera donna non sia per niente malata, se non nella sua fantasia». A ciò il destinatario rispose: «La sua è una malattia molto se­ ria, dal momento che è malata la fantasia, una facoltà importantissima nella nostra vita». Dello stesso parere è l’autore spirituale già citato, Teofane, che giudica par­ ticolarmente pericoloso il lasciar correre, senza con­ trollo nella mente, le immagini della fantasia. Le im­ magini interiori o esteriori sono come il “materiale grez­ zo” che deve servire a costruire un’opinione sana, un giu­ dizio. L’architetto costruttore è la ragione. Se questa re­ sta inattiva, le immagini, il “materiale grezzo”, si accu­ mulano nella confusione. Non costruiscono un “castel­ lo interiore” nella mente, ma una specie di ammasso di rovine intellettuali. Gli uomini affetti da questa malat­ tia si riconoscono facilmente: non riescono né a parla­ re, né a pensare con disciplina, saltano da un tema al­ l’altro, essendo incapaci di seguire nel discorso una linea coerente.

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N O N SO LO LE IMMAGINI DELLA FANTASIA, MA A N CH E I RAGIONAM ENTI P O SS O N O ESSERE FUTILI!_________________________________________

Senza dubbio. Teofane ci avverte anche di questo pe­ ricolo. Ancor più che la fantasia, la ragione è un dono preziosissimo di Dio che ci deve guidare sul cammino della vita. Non deve quindi perdere questa sua funzio­ ne vitale. Teofane provò a distinguere, di seguito ai Pa­ dri greci e alla filosofia idealistica tedesca, i due termi­ ni: “ragione” e “intelletto”. La “ragione”— afferma— lavora meccanicamente. Distingue il vero dal falso, ma non si preoccupa del valore che ha per la vita il suo giudizio. Invece P“intelletto” giudica il valore dei pen­ sieri che ci occupano la mente. Secondo Teofane, il “razionalismo” è un’altra epi­ demia pericolosa del nostro tempo, simile a quella pro­ vocata dall’abuso della fantasia. Il “razionalista”, nel sen­ so peggiorativo della parola, spreca molta fatica ponen­ dosi problemi che la sola ragione non può risolvere od occupandosi di questioni che non gli spettano. Frat­ tanto perde il senso di ciò che lo riguarda direttamente nella vita. Così, nella vita religiosa, i razionalisti desi­ derano risolvere i misteri della fede, ma non si pongo­ no la domanda di come viverli per salvarsi. COM E POSSIAM O SAPERE IN ANTICIPO SE UN PROBLEMA È O N O N È IMPORTANTE PER LA NOSTRA VITA?_____________________________________

Gli autori spirituali ci danno un consiglio pratico, ma saggio: «Age quod agis», occupati di ciò che devi fare ades­ so! Ogni momento ha la sua esigenza. Il momento del61

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la preghiera non è adatto per pensare al lavoro. Ma an­ che un lavoro preciso esige che l’attenzione sia tutta destinata alla sua esecuzione e non a ciò che si dovrà fare più tardi. Quando parliamo con qualcuno, è bene concentrarsi su ciò che dice, ma questo è meglio di­ menticarlo quando andiamo a letto. Nei ricordi di un padre spirituale si legge che un giovane monaco gli chie­ se perché non riuscisse a vivere con tranquillità nel mo­ nastero. Il padre spirituale gli disse: «Non sarai mai tran­ quillo, non troverai pace. Quando è inverno pensi con impazienza a quando verrà la primavera. A pasqua pen­ si ai lavori nei campi d’estate. Quando si lavora sei preoc­ cupato e pensi a quando il lavoro finirà e, quando è ve­ nuto il tempo del riposo, ti spaventi di quanto lavoro ti aspetta. Insomma, la tua testa non sta mai con te, corre in avanti e non riesci mai a raggiungerla». DA C IÒ SEG U E CH E B ISO G N A CONSIDERARE N OCIVI I PENSIERI C H E N O N S O N O COEREN TI C O N LA VITA?__________________________

Infatti, questo è un importante principio del discer­ nimento degli spiriti. Lo si può spiegare con un’analogia tratta dall’ambito artistico. Un professore dell’Accade­ mia di Belle Arti stava dando i voti ai disegni presenta­ ti dagli allievi. Uno di questi disegni fu giudicato pessi­ mo. Ad un inesperto che assisteva a tale valutazione, il giudizio del professore sembrava ingiusto, il disegno con­ siderato così negativamente gli piaceva, rappresentava una ragazza con un mazzo dei fiori, finemente traccia­ to. Allora il professore gli spiegò i motivi del suo giudi' 62

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zio, apparentemente così severo. Coprì con un pezzo di carta una parte del disegno, lasciando allo spettatore il compito di indovinare quale potesse essere l’età della per­ sona di cui era visibile solo la mano con il mazzo di fio­ ri. Era la mano di una ragazza. Ma ripetendo poi lo stes­ so procedimento per altre parti del corpo raffigurato, risultò che il piede sembrava quello di una donna adul­ ta e le spalle si sarebbero dette addirittura di un uomo. In altre parole, ogni particolare sembrava bello, ma non era armonizzato con la persona. Allo stesso modo, i progetti incoerenti con la vocazione personale di­ struggono l’immagine di Dio di cui la persona stessa è portatrice. Nel romanzo I fratelli Karamazov, il raziona­ lista Ivan finisce folle, con una doppia personalità. Ben diverso il risultato a cui portava il suggerimento, spesso ripetuto, che Teofane il Recluso dava ai suoi figli spiri­ tuali: unire la testa al cuore, pensare all’identità spiri­ tuale data dallo Spirito che risiede nel cuore. Perciò i mi­ gliori padri spirituali sono quelli che possiedono la cardiognosia, cioè la conoscenza dei cuori. Ed è perciò che possono giudicare quali sono i pensieri da conservare e quali quelli da rigettare. ALLORA, PER DISTINGUERE BENE L'UTILITÀ O LA DAN N OSITÀ DEI PENSIERI, B ISO G N A C O N O S C E R E LA PROPRIA IDENTITÀ?____________

Sì, ma nel senso spirituale, cioè identità intesa co­ me vocazione divina. Quando si parla di vocazione in “senso profano”, la si considera come una scelta del la­ voro, del posto nella società, del modo di vivere, scelta •63

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fatta in età matura. Ma agli occhi di Dio la nostra vo­ cazione precede la nostra esistenza. Dio crea gli uomini avendo in mente la loro vocazione specifica, l’opera al­ la quale sono chiamati. Quelli che la seguono fedelmente, dipingono, per così dire, un quadro perfetto, un’imma­ gine di Dio nella sua perfezione. L’esempio classico è da­ to dalla vita di Maria Santissima: prescelta per essere la Madre di Dio, seguì nella sua vita tutto ciò che corri­ spondeva a questa chiamata. M A C O M E SI PUÒ C O N O S C E R E LA PROPRIA V O C A Z IO N E ?________________________ _______________

Non si può dare una risposta in poche parole. Però si può indicare il principio fondamentale dal quale seguo­ no le altre applicazioni concrete: è la voce del cuore pu­ ro che indica la strada che Dio ci ha destinato a seguire. Le voci della malizia che cercano di deviarci da questo proposito provengono “dal di fuori”. Tale principio, evi­ dentemente, ha bisogno di essere ulteriormente spiega­ to. Lo faremo gradualmente. Sarà più facile descrivere in­ nanzitutto come un pensiero viene “dal di fuori”, per poi riuscire a comprendere la voce interiore del cuore.

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7. Il metodo psico-fisico degli esicasti

U N O Y O G A CRISTIANO?___________________________

Oggi ci sono parecchie persone— anche in ambito eu­ ropeo, non solo dell’estremo oriente—che praticano lo yoga ed assicurano che si tratta di un esercizio efficace per acquistare la pace dell’anima. La Sacra Congregazione per la Fede si è sentita obbligata ad avvertire dei perico­ li che sono ad esso legati. È chiaro che il fedele non può accettare alcune delle teorie che spesso si accompagna­ no allo yoga, se queste contraddicono l’insegnamento cri­ stiano. Ma ciò non vale per lo yoga se praticato come una specie di esercizio ginnico utilissimo per l’uomo che vi­ ve nelle città ed ha ormai perduto il contatto con la vi­ ta naturale. Inoltre, l’uomo della nostra società tecnica pensa di poter esercitare il corpo in diversi tipi di atti­ vità sportiva indipendentemente dal considerare l’anima e, inversamente, ritiene di potersi dedicare alle attività dell’anima dimenticando e disprezzando il proprio corpo. A questo proposito, chi pratica lo yoga vuole ristabilire l’unità perduta tra questi due elementi. E chiaro che ciò ha implicazioni anche nell’ambito della preghiera. Quan­ do uno prega intensamente, degli atteggiamenti sba­ gliati del corpo producono stanchezza e anche nevrosi. A l contrario, una giusta posizione corporale aiuta la con­ centrazione nella preghiera. Quali conclusioni pratiche ne possiamo trarre?

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LA PACE DEL C O R PO ______________________________ ^

Dobbiamo ammettere che, nelle considerazioni psi­ cologiche degli autori greci antichi, così come nel lin­ guaggio degli asceti cristiani, emerge un punto debole: l’atteggiamento negativo verso la realtà corporea. I cri­ stiani non potevano considerare la materia come male. D’altra parte, gli asceti rimasero sempre convinti che il corpo creato da Dio rimane, dopo il peccato, la sfera più esposta alle tentazioni del diavolo. La rinuncia al cor­ po è quindi oggetto costante di esortazioni ascetiche. Ma sulP“uso” del corpo e sulle sue disposizioni nella preghiera non si trovano che brevi cenni in note occasionali. Da questo punto di vista, dunque, il “metodo fisico” dei monaci del Monte Athos dei secoli XIV-XV rap­ presenta un progresso. Gli antichi esicasti dell’Egitto e del Sinai non dubitavano che la pace dell’anima si ir­ radiasse sul volto e pacificasse le passioni del corpo. Il metodo fisico vuol mettere in rilievo l’aspetto opposto: i pacifici esercizi delle funzioni corporee tranquillizza­ no l’anima e la dispongono alla preghiera. IL M OVIM EN TO DEGLI ESICASTI__________________

Per molti contemporanei è stata una scoperta venire a sapere che molti degli esercizi yoga erano praticati già parecchi secoli fa dai monaci cristiani. Abbiamo accen­ nato a quelli viventi al Monte Athos. Essi fanno parte di una grande corrente di spiritualità orientale chiama­ ta “esicasmo”. Il termine greco hesychia significa: calma, pace, riposo, tranquillità. Fin dall’inizio, fra i Padri del de­ serto egiziano, vi erano molti “esicasti” che considera­ 66

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vano come propria vocazione il dedicarsi interamente al­ la preghiera, non preoccupandosi di altro. Considerava­ no come condizione necessaria per una tale vita la pace esteriore ed interiore. Perciò vivevano nella solitudine e praticavano il controllo dei pensieri, la “vigilanza in­ teriore”, intesa come abbiamo già spiegato. Più tardi questa tendenza trovò una calda accoglien­ za sul Monte Athos dove, all’inizio del secolo XIV, un monaco d’origine calabrese, Niceforo, inventò un “me­ todo fisico” per facilitare la preghiera, utilizzando alcu­ ne posizioni del corpo. In realtà il risveglio di questo ti­ po di preghiera si ebbe grazie alla diffusione della Filoca­ lìa, un’antologia di testi dei Padri e degli autori esicasti curata da Macario di Corinto (f 1805) e da Nicodemo Agiorita (t 1809). Ora, tale opera è molto conosciuta an­ che in occidente. Inoltre, grazie alle numerose edizioni dei Racconti di un pellegrino russo, l’occidente ha fatto conoscenza con la “Preghiera di Gesù”, tipica giaculato­ ria del metodo esicasta. E attraverso queste pubblicazio­ ni che è cresciuto l’interesse per tale sistema che promette l’acquisto della pace per mezzo di un “metodo fisico”. IL PELLEGRINO RUSSO_______________________________

Cominciamo con questo scritto piuttosto tardivo. Contiene l’istruzione del metodo corporale esposta in modo piuttosto rudimentale. Il suo autore è sconosciu­ to. Nel 1881 furono pubblicati a Kazan’, in Russia, quat­ tro racconti in cui un devoto pellegrino narrava la sua ricerca per l’acquisizione del dono della preghiera in­ cessante, cercato ripetendo senza posa la Preghiera di 67

Gesù. Più volte ristampati in russo e tradotti in altre lin­ gue, questi racconti sono divenuti non solo ima delle più note opere della letteratura spirituale, ma anche una fon­ te di grande importanza per lo studio della spiritualità. IL M ETO D O DELLA PREGHIERA IN CESSAN TE DEL "PELLEGRINO RUSSO"________________________ _

Il metodo di questa preghiera si può seguire tappa per tappa nei Racconti. La narrazione comincia col pro­ porre il problema capitale della preghiera continua: co­ me “pregare incessantemente” (ITes 5,16)? Il pellegrino incontra uno starete, cioè un padre spirituale, esperto nel­ la “Preghiera di Gesù”. Riceve da lui l’ordine di recitare tremila giaculatorie al giorno per acquistare l’abitudine di recitare la preghiera di Gesù con la bocca, affinché tale ripetizione divenisse un’abitudine spontanea, an­ che se ancora puramente esterna, un movimento delle labbra. Quindi lo starets gli ordinò di recitare seimila pre­ ghiere al giorno. Il pellegrino riuscì a malapena a farlo, ma in seguito si esercitò a tal punto in questa ripetizio­ ne che l’abitudine passò dallo stato di veglia al sonno. Le labbra si movevano anche se lui dormiva. Il pellegrino si sentiva felice e cominciò a credere di essere arrivato alla preghiera senza interruzione. Ma fe­ ce un nuovo, ulteriore passo. Per nascondere il fatto di pregare in presenza degli altri, smise di muovere le labbra e provò a dire la preghiera muovendo soltanto la lin­ gua. Alla fine gli sembrò di essersi abituato. Ma il pro­ cesso non poteva finire lì. La preghiera doveva arrivare allo stadio in cui l’invocazione di Gesù si sarebbe unita

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al battito del cuore. Ecco come fece lui stesso e come, più tardi, insegnò tale metodo ad un cieco: «Immagina il tuo cuore, volgi gli occhi come se tu guardassi attraverso il petto così vivacemente come puoi, ed ascolta con l’orecchio teso come esso batta un colpo dopo l’altro. Quan­ do ti sarai abituato, cerca di adattare ad ogni battito del cuore, sema perderlo di vista, le parole della preghiera. Ossia, col primo battito dirai o penserai: “Signore”, col secondo “Gesù”, col terzo “Cristo”, col quarto “abbi pietà”, col quinto “di me”, e ripetilo molte volte». Legata al battito del cuore, la preghiera è, per così di­ re, inseparabile dalla vita stessa. Almeno così la capì il pellegrino e in questa maniera trovò la sua felicità: «Quan­ do uno mi insulta, non penso che alla benefica preghiera di Gesù. Immediatamente collera o pena svaniscono del tutto. Il mio spirito è diventato semplice, veramente. Non mi do pena di nulla, nulla mi occupa, nulla di quan­ to è esteriore mi trattiene... Quando un freddo violen­ to mi colpisce, recito la preghiera con maggior atten­ zione e ben presto mi sento caldo e confortato. Se la fame si fa troppo insistente, invoco più spesso il nome di Gesù Cristo e non ricordo più di aver avuto fame». IL TESTO C LA SSIC O DI N IC EFO R O ________________

Il testo del pellegrino è, come abbiamo detto, tardi­ vo. Inoltre, ciò che si chiama “metodo fisico”, cioè l’u­ so dei mezzi corporali per raggiungere la concentrazio­ ne mentale, vi è esposto solo parzialmente. L’esposizione tradizionale completa si trova nell’opuscolo del mona­ co atonita Niceforo Sulla sobrietà e custodia del cuore. Il 69

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brano famoso, ripreso dalla Filocalia, dice: «Siediti in una cella tranquilla, in qualche angolo remoto e fa’ quel che ti dico io: chiudi la porta, leva lo spirito al di là di ogni oggetto vano e temporale. Poi appoggia la barba sul petto, volgi lo sguardo dell’occhio corporale con tutta la tua mente in mezzo al ventre, ossia sull’ombelico, trat­ tieni il respiro dell’aria che passa per il naso, così che tu non spiri facilmente, e cerca mentalmente dentro le tue viscere, per trovare là il luogo del cuore, dove risie­ dono le facoltà dell’anima. All’inizio troverai tenebre e spessore impenetrabile. Ma se perseveri, se fai questo eser­ cizio giorno e notte, allora troverai, oh miracolo!, una fe­ licità senza fine. Quando lo spirito troverà il luogo del cuore, vedrà subito cose mai conosciute prima, vedrà l’ae­ re che esiste nel mezzo del cuore, vedrà se stesso tutto lu­ minoso, pieno di discernimento. Da quel tempo, qual­ siasi pensiero [malvagio] si presenterà, prima che si svi­ luppi e prenda forma, sarà messo in fuga dall’invocazio­ ne del nome di Gesù, che lo scaccia e lo distrugge. Da quel momento lo spirito, pieno di avversione ai demo­ ni, s’infiammerà con quell’ira che è secondo natura, cioè per combattere i nemici spirituali. Il resto lo imparerai con l’aiuto di Dio, quando ti eserciterai nella custodia della mente, ritenendo Gesù nel cuore, perché fu detto: “siedi in cella e questa ti insegnerà tutto”». IL SIMBOLISMO DEL C O R PO _______________________

Nel metodo del pellegrino russo abbiamo incontra­ to praticamente due elementi “fisici” della preghiera: il battito del cuore e la respirazione. 70

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Da Niceforo ne vengono segnalati altri: la posizione del corpo (notiamo che per lo yoga sono le “posizioni” che contano e non i movimenti, come nella ginnastica classica), la fissazione dell’attenzione a certe parti del cor­ po (il cuore, l’ombelico), il controllo della respirazione, l’ambiente adatto. Questi elementi “fisici” vengono mes­ si in relazione diretta con certi effetti “psichici”: visioni luminose (gli esicasti parlano della “luce del Tabor”), prontezza del discernimento, santa ira contro i demoni. I seguaci dello “yoga cristiano” trovano in questo bra­ no vari punti di appoggio e sono convinti che il meto­ do di Niceforo possa essere sviluppato con l’aiuto delle esperienze indiane o giapponesi. Fino a che punto si può seguire questo cammino? Crediamo che sia importante fare una nota previa. Fu notato giustamente che il rap­ porto fondamentale verso la realtà è diverso in oriente e in occidente. L’occidentale, qualsiasi evento avven­ ga, concentra la sua attenzione nello scoprire la rela­ zione fra causa ed effetto. L’atteggiamento degli orien­ tali è diverso. Davanti a ciò che succede, essi si chiedo­ no: «Che cosa significa ciò che osserviamo? Di quale realtà nascosta può essere simbolo?» Questi due atteggiamenti ci sono anche quando si par­ la del metodo fisico nella preghiera. Un occidentale nor­ malmente chiede: «Che effetto produce la respirazione rallentata? E il fissare l’attenzione al cuore?» Di conse­ guenza, il metodo fisico diventa per gli occidentali una sorta di cultura ginnica adatta per i contemplativi.» Gli orientali, al contrario, vivono anche qui del sim­ bolismo e si chiedono: «Che significato si può dare al 71

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battito del cuore? E alla respirazione? E al sentimento di calore?» Questo era l’atteggiamento dei Padri che difendevano il culto delle sacre immagini e la contem­ plazione della natura visibile. Tale dev’essere l’atteggiamento da assumere nei confronti della funzione del corpo nella preghiera, di modo che l’orante, come scri­ ve Origene, «porti nel corpo l’immagine dei sentimen­ ti dell’anima». Si deve, insomma, essere capaci di com­ prendere anche i diversi stati e i sentimenti corporali co­ me “immagini” dello stato spirituale dell’anima. Fino a un certo punto lo facciamo tutti. Congiun­ gere le mani, inginocchiarsi, fare un inchino profondo sono segni tradizionali della preghiera. Ma perché il sim­ bolismo dovrebbe finire qui? Non possiamo dare un sen­ so simbolico e spirituale anche al respiro, al battito del cuore, alla concentrazione sul cuore? I difensori del metodo fisico sono convinti che questo sia un mezzo efficace per raggiungere la preghiera continua, poiché in tal modo essa viene associata alle funzioni vitali che non s’interrompono mai. E sotto quest’aspetto che possia­ mo considerare i singoli elementi corporali, tanto rac­ comandati dagli esicasti, come adatti alla preghiera. V

SEDERE IN UNA PO SIZION E UMILE______________

Il corpo, in modo consapevole o inconscio, prende parte ai movimenti dell’anima, ai pensieri, ai desideri, ai sentimenti, alle decisioni. Vi è però una grande diffe­ renza fra il movimento del corpo e la sua posizione. Il movimento è il simbolo di un atto che passa. Alziamo ad esempio la mano per dire agli altri: «State attenti a 72

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ciò che dico!» La posizione è, al contrario, segno di yno stato che perdura. Quando ci mettiamo comodaniente a sedere, diciamo agli altri che vogliamo restare in quel luogo. Il corpo, costretto a restare in una posi­ zione, accomoda, non si sa come, i nervi, i muscoli, la circolazione a questo stato. L’ideale della preghiera orientale, e soprattutto di quel­ la esicasta, è arrivare ad uno stato (katastasis), ad una di­ sposizione stabile del cuore, ad uno “stare semplicemen­ te con il Signore”, a sentire la sua presenza. Chi si met­ te a sedere in una posizione umile, simboleggia e raffor­ za con questo gesto una tale disposizione e spontanea­ mente ripete: «Signore, abbi pietà di me, peccatore!» LA CELLA CHIUSA, LA LUCE SCARSA_____________

Chiudere la porta della stanza vuol dire che vogliamo essere soli. Gli esicasti conducevano una vita eremitica, solitaria. Perciò ripetevano spesso il consiglio: «Resta nel­ la tua cella, essa ti insegnerà tutto». Volevano quindi ri­ cevere istruzioni non dagli estranei, ma dalle ispirazioni che nascono nel cuore. Sarebbe però erroneo credere che la solitudine spirituale nasca dalla sola assenza di un con­ tatto con gli altri uomini. Ancora più importante è la “so­ litudine del cuore”, che riesce ad eliminare i “discorsi” prodotti dai pensieri che turbano. Essi sono suscitati an­ che dai diversi oggetti che vediamo intorno a noi. La stan­ za scarsamente, illuminata è un ambiente che perde for­ me e colori. Diventa quindi un invito a cercare Dio al di là delle immagini o dei concetti ed invita a sentirlo co­ me una pura luce che invade il cuore. 73

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LA RESPIRAZIONE_________________________________

La regolarità del respiro coordinata con la preghiera è un esercizio naturale per chi non desidera altro che gustare le parole della preghiera nel ritmo della propria vita. I termini “respirare” e “vivere” nelle diverse lingue sono anche linguisticamente parenti. In slavo la parola per “verità” (istituì) dice originariamente “ciò che esiste e respira”. Chi unisce il nome di Gesù ad ogni respiro de­ sidera sentire come la realtà di Cristo penetra e dà vita a tutto ciò che esiste. Ma chi respira regolarmente sente il bisogno di rallentare il ritmo e anche di arrestarlo. La vita spirituale si svolge sulla terra ed è allo stesso tempo vita eterna. Dio è padrone del tempo e l’uomo in unio­ ne con lui cerca di arrestare ciò che passa. Coloro che pra­ ticano lo yoga dicono che il rallentamento del respiro ral­ lenta il ritmo biologico della vita e l’invecchiare. Il cri­ stiano può con questo metodo vivere l’esperienza del “tem­ po escatologico”: non vuol valutare il corso della vita secondo l’orologio, ma secondo la vicinanza di Cristo. Il respiro comporta tre fasi: inspirare, ritenere, espi­ rare. Chi inspira vive la dipendenza dal mondo. Unire questa fase con la preghiera di Gesù significa sentire la dipendenza da Lui, che è la Vita del mondo nel senso spirituale. Espirare è il sollievo di chi si sente in pieno possesso della medesima vita e vuol donarla, distribuir­ la intorno a sé. FISSARE L'ATTENZIONE SUL LU O G O DEL CUORE

Nello yoga si attribuisce una notevole importanza al­ la localizzazione del pensiero, unendolo con un organo 74

che gli dovrebbe corrispondere secondo la struttura psicofisica delluomo. Si suppone che i diversi pensieri i abbiano la loro “sede naturale” in certi organi. Gli esicasti affermano che la preghiera dev’essere concentrata nel cuore anche in senso materiale, fissando il petto, leg­ germente a sinistra. Un vescovo orientale— che era anche medico— , di­ fensore della preghiera del cuore, cercò di fare ima sin­ tesi dei suoi studi su questo problema. Distingue quat­ tro localizzazioni. Afferma che il pensiero può essere localizzato 1) nel centro cranico cerebro-frontale; 2) nel centro orofaringeo; 3) in quello pettorale; 4) nel cen­ tro cardiaco. Il centro cranico cerebro-frontale è situato fra le so­ pracciglia. Corrisponde al pensiero astratto di un’intel­ ligenza pura. Può essere un pensiero molto intenso, lu­ cido, ma anche molto instabile. Una concentrazione di questo tipo esige molta forza di volontà, che comporta fatica e dissipazione di energie. Collocato nel centro orofaringeo, il pensiero perde il suo carattere astratto ed entra nel dinamismo della vi­ ta. Ma è ancora instabile. Il pensiero situato nel centro pettorale, in mezzo al petto, partecipa alla respirazione; acquista quindi un rit­ mo più stabile. Ma una maggiore stabilità si ottiene quando la lo­ calizzazione è fissata proprio nel cuore. Secondo lo yoga, la respirazione è più unita all’“idea”, mentre il cuore lo è al “sentimento”. Per i monaci russi, il “sentimento del cuore” dice una disposizione stabile, 75

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quindi uno “stato” di preghiera. Perciò gli autori ammo­ niscono spesso: «Scendere dalla testa nel cuore!» IL CALORE__________________________________________ _

La respirazione regolata produce effetti di calore che dal petto si diffondono in tutto il corpo e creano un senso di gioia. La pulsazione si fa più forte e potreb­ be essere accompagnata da fenomeni di visioni lumi­ nose. Ma tutti gli autori spirituali in queste occasioni am­ moniscono severamente: si tratta di effetti naturali, non è la grazia! Sarebbe un errore pericoloso credere che si tratti dell’esperienza mistica. Il valore di questi senti­ menti dipende dall’uso che se ne fa per il bene della pre­ ghiera. Sia il calore che la luce sono immagini dello Spi­ rito Santo. Come immagini possono servire all’eleva­ zione della mente verso la realtà che rappresentano. Ma cercarle per se stesse sarebbe pura idolatria. S EN S O DI PACE E DI ARM ONIA________________

Il metodo fisico ben esercitato produce la calma ar­ monizzando secondo lo stesso ritmo le diverse funzioni vitali: il battito del cuore, la respirazione, il cammino, la preghiera vocale e i pensieri buoni che la seguono. Tutto questo fa pensare alla pace di Dio che è un dono messianico (cf Le 2,14; 19,38; ecc.). Ma il senso di pa­ ce procurato con il metodo fisico potrebbe facilmente degenerare nel quietismo, in cui uno pretende la pace senza ulteriori scopi. Quest’armonia deve invece essere intesa come disposizione di uno che concentra tutte le sue forze per meglio ascoltare la voce di Dio e che si pre­ 76

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dispone a combattere, come se fosse in un castello in­ teriore, i “demoni” che vengono “dal di fuori”. IL CO N TRO LLO DELL'ENERGIA VITALE____________

La respirazione ben regolata permette, come dice lo voga, di portare la quantità di pràna, di cui l’uomo dispo­ ne, al grado di massima intensità. Allora la nutrizione con il cibo esterno è ridotta al minimo. Anche gli esicasti cristiani sono persuasi che il metodo fisico suppone la pra­ tica del digiuno, talvolta assai rigoroso, ma nello stesso tempo gioioso, accompagnato da un senso di libertà in­ teriore rispetto ai bisogni del corpo. Quanti esempi di ciò si trovano nelle biografie dei santi monaci! I PERICOLI DA EVITARE______________________________

Forse sembra esagerata l’insistenza con cui alcuni autori cristiani permettevano la pratica del metodo fisi­ co solo sotto la sorveglianza di un esperto padre spiri­ tuale. Perché tante precauzioni? Il metodo è semplice! Ad un tale che scrisse, preoccupato in tal senso, al ve­ scovo russo Ignazio Brjancaninov, fu risposto: «Il meto­ do è semplice, ma non lo sei tu! » Non tutti gli uomini so­ no capaci in egual modo di vivere ed approfondire il sim­ bolismo, non tutti sono capaci di passare dal segno alla realtà spirituale che si cerca. Succede qui come per le ico­ ne: soffermarsi senza passare oltre significa fare dell’im­ magine un idolo, della via un ostacolo di elevazione della mente a Dio. Vivere il proprio corpo come simbo­ lospirituale è ancor più difficile, perché potrebbe dege­ nerare nel culto del corpo e dei sentimenti carnali. Cer­ 77

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ti esercizi “fisici” producono quasi automaticamente sen­ timenti che assomigliano alle consolazioni spirituali: la calma, la gioia di essere soli, fenomeni di luce e calore. Confonderli con le vere consolazioni spirituali sarebbe una delle deviazioni più temute dagli autori spirituali e sforzarsi di dar loro un significato mistico, quando la vi­ ta dell’uomo non corrisponde a un tale grado, una spe­ cie di schizofrenia che conduce ad aberrazioni mentali. UN AVVISO PRATICO______________________________

Comunque non si deve esagerare neppure con le pre­ cauzioni. Qualcosa di semplice si può tentare anche da soli. Stiamo, ad esempio, in un ambiente tranquillo. La mano destra prenda la sinistra per sentire il ritmo del pol­ so. Cerchiamo di armonizzare il respiro o anche il cam­ mino con lo stesso ritmo. Quando ci siamo riusciti, ri­ petiamo una breve preghiera giaculatoria adatta al no­ stro stato d’animo, ai sentimenti che ci dominano. Pre­ gando così, per qualche tempo, l’esperienza ci inse­ gnerà come approfittare di questo stato pacifico per ren­ der più intenso il dialogo con Dio Padre. In questo modo, la preghiera si semplifica al massi­ mo, ma d’altra parte coinvolge tutto il nostro essere, l’anima e il corpo. Così l’uomo si sente unito in se stes­ so e con Dio. La cultura tecnica di oggi è divenuta estre­ mamente “analitica”. Perciò, l’uomo nel suo subconscio, si sente attratto da ciò che lo aiuta a vivere nella propria integrità, per arrivare, così, almeno in certi momenti, “ad uno stato nel quale si possiede, nel corpo mortale, un’immagine della felicità eterna” (Cassiano). 78

r 8. Pregare “nel cuore”

L'ELEVAZIONE DELLA MENTE O DEL C U O R E?

La definizione tradizionale della preghiera dice che essa è “l'elevazione della mente a Dio”. La sua origine ri' sale fino a Platone. Gli autori cristiani l'hanno adottata, ma anche interpretata affinché diventasse più coni' pietà. Non è solo la mente ad essere attiva nell'orazio' ne, ma l'uomo intero, anche se il ruolo decisivo spetta all'anima. In essa distinguiamo tre facoltà: l'intelletto, la volontà, il cuore. Ciascuna di queste tre “facoltà” può es­ sere più o meno dominante nei vari tipi di preghiera. Co­ nosciamo la preghiera intellettiva, riflessiva. La preghiera “attiva”, quella che si realizza a partire da una decisio­ ne della volontà che formula buoni propositi. Ma la più perfetta, secondo gli autori dell'oriente cristiano, è quella in cui predominano i “sentimenti del cuore”. Scri­ ve ad esempio Teofane il Recluso: «Quando pronunciate la vostra preghiera, cercate di fare in modo che esca dal cuore. Nel suo vero senso, la preghiera non è altro che un sospiro del cuore verso Dio; quando manca questo slancio, non si può parlare di preghiera». PERICOLO DI SENTIMENTALISMO?________________

Se non pericoloso, sembra almeno banale dire che la vera preghiera e la religione devono soprattutto colti­ vare i “sentimenti del cuore”. L'uomo prudente riflette e decide secondo la sana ragione. I sentimenti sono 79

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reazioni secondarie e molto mutevoli. Infatti la Chiesa condannò la sentenza dei “modernisti” del secolo scor­ so che affermava che la religiosità avrebbe origine nel subconscio, nei sentimenti irrazionali. Per rispondere a questa grave obiezione, bisogna chiarire bene che cosa intendiamo con il concetto di cuore e dei suoi sentimenti. IL C U O R E NELLA BIBBIA__________________________

Il linguaggio moderno distingue tre diverse attività della nostra anima: pensare, volere, sentire. Abbiamo quindi tre facoltà separate: l'intelletto, la volontà, il cuore. Questa terminologia non si può applicare ai testi biblici. In essi non si fanno tali distinzioni psicologiche. Si parla in modo spontaneo, in maniera simile a come fa il popolo semplice anche oggi. L'uomo si può osserva­ re esternamente, come si manifesta nel corpo. Ma tutti sanno che il suo valore interno può essere diverso. Ad esempio, egli può parlare in un modo caritativo, ma nel suo cuore nutrire odio. Con il termine “cuore”, voglia­ mo dire tutta la sua vita interiore. Perciò anche nella Bib-bia si dice che l'uomo nel suo “cuore” riflette, decide, rea­ gisce di nascosto. Quando conserva qualche cosa nel cuo­ re, significa che non può dimenticarla. In conclusione: il cuore, in questi testi, non significa una delle facoltà del­ l'anima, ma l'uomo intero, nell'integrità di tutte le sue fa­ coltà e del suo atteggiamento fondamentale verso gli uomini, verso Dio, verso il mondo. Quando la Scrittura dice che dobbiamo amare Dio «con tutto il cuore», ciò vuol dire «con tutta l'anima e con tutta la tua mente» (Mt 22,37), «con tutta la forza» (Me 12,30; Le 10,27). 80

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Questa integrità umana può essere considerata sot­ to un duplice aspetto: uno “statico”, l'altro “dinamico”. Ciò, evidentemente, ha bisogno di essere spiegato. Ri­ cordiamoci la nostra esperienza comune. Un giovane, ad esempio, ama la sua ragazza con tutto il cuore, non pro­ va nessun sentimento contrario, decide di sposarla in piena libertà. Tale è la sua disposizione oggi. Sarà così anche domani? Non ne siamo sicuri. Chiamiamo “sta­ tico” questo atteggiamento di oggi, la disposizione del momento presente. In seguito il giovane sposa la sua ragazza e come marito le è fedele e la ama per tutta la vita. Possiamo chiamare “dinamica” questa disposizione stabile, duratura lungo tutte le peripezie di vita. L’INTEGRITÀ UM ANA CONSIDERATA IN M O D O "STATICO"____________________________________

Cerchiamo di spiegarlo ulteriormente con un esem­ pio concreto. Sono molto occupato, perché devo finire un lavoro urgente. Sfortunatamente, mi viene a trova­ re un visitatore importuno. Cosa devo fare? Mandarlo via sgarbatamente? So che ne sarebbe rattristato. Per­ ciò decido di fare un sacrificio e lo ricevo con una gen­ tilezza liberamente scelta, ma forzata. Quando si fa questo spinti dalla carità, si compie un atto certamente meritorio. La vita ci costringe a tali sacrifici. Ma sen­ tiamo che non sono atti pienamente normali poiché, dentro di noi, c'è una divisione. Facciamo il bene, ma non “con tutto il cuore”. L'ideale è saper superare que­ ste divisioni ed agire in modo spontaneo, “con tutta l'anima”. 81

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LA PREGHIERA DEL CU O RE SO TTO L'ASPETTO "STATICO"___________________________________________

Quante volte siamo internamente divisi durante la preghiera! Con buona volontà prendiamo il salterio per recitare i salmi. Ma l'intelletto vola e ci vengono tan­ ti pensieri disparati. E cosa dire dei sentimenti? Preghiamo per la salvezza del nostro prossimo, ma nello stesso tempo sentiamo antipatia verso di lui. Come sarebbe bel­ lo pregare con tutto il cuore! E possibile? Gli autori spi­ rituali sono convinti che tale ideale di preghiera si può raggiungere. 1 diversi “metodi di meditazione” non sono altro che un esercizio in questo campo. Ricordiamo il metodo di meditazione ignaziana. Vi si raccomandano molti elementi: mettersi alla presenza di Dio, scegliere la posizione del corpo adatta alla preghiera, immagi­ narsi il luogo (ad esempio, quando meditiamo sul mi­ stero natalizio, la grotta dove Gesù è nato), riflettere sul senso delle parole del vangelo o del testo della pre­ ghiera, decidere quali conclusioni ne seguiranno per la nostra vita, farlo con tutto l'affetto e chiedere la grazia a Dio con l'intercessione dei santi. Si noti che vengo­ no esposti in modo analitico diversi aspetti della nostra attività, ma lo scopo è che nella preghiera tutti siano uni­ ti. L'uomo allora prega tutto intero, con grande inten­ sità e con una grande pace. LA PREGHIERA DEL CU O RE SO TTO L'ASPETTO "DINAM ICO"__________________________________________

Il cuore sotto l'aspetto “dinamico” significa l'unità della persona nel corso della vita. Che cosa sono io? Ciò 82

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che ho deciso ieri o ciò che mi aspetto domani? Come si è “nel cuore”, così si è abitualmente, sempre, non soltanto nel presente, ma in qualsiasi determinato istante. La preghiera, in questo senso, significa una disposizione stabile, duratura. Tale preghiera è per sua natura continua, inseparabile dalla persona. Il miglior esem­ pio di questo stato ci è descritto nella biografia di san Francesco d'Assisi, dove si legge: «Tutta la sua intuizio­ ne e tutto il suo affetto rivolgeva al Signore... così (che si può dire) non era tanto un uomo che prega, quanto piuttosto egli stesso tutto trasformato in preghiera vi­ vente». In questo senso, anche san Tommaso d'Aqui­ no definisce la devozione come “inclinazione della vo­ lontà ad ogni bene”. Così si deve, senza dubbio, inter­ pretare anche il testo nella meditazione ignaziana che esorta perché alle riflessioni razionali e ai propositi concreti della volontà sia aggiunto “affetto”. Certamente con ciò non si intende qualche banale sentimento, ma 10 sforzo compiuto affinché la verità meditata diventi la nostra mentalità normale. Così come ci aspettiamo che un vero amante della musica suoni il suo strumen­ to in ogni occasione che si presta allo scopo, allo stesso modo ci si aspetta che colui che è umile di cuore mani­ festi questo suo atteggiamento in tutte le circostanze. E chi ha acquisito l'abitudine di pregare nel cuore eleva 11suo spirito a Dio in ogni momento. CO M E CI PO SSIAM O RENDERE C O N T O DELLO STATO DEL C U O R E?__________________________

Ciò costituisce un problema antico e sempre attua83

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le. I libri morali ci aiutano a distinguere i singoli atti e possiamo quindi giudicare il loro valore: rubare è male, fare l'elemosina è bene, ecc. Un confessore, anche se 10 vediamo per la prima volta, può dirci, giudicando se­ condo i criteri tradizionali, se in un caso concreto ab­ biamo agito bene o male. Tace però, quando gli rivolgo la domanda: «Come sono io agli occhi di Dio? Quale è 11 mio stato davanti all'eternità?» Il cuore resta un mi­ stero, è la parte nascosta dell'uomo, quella che Dio so­ lo conosce. D'altra parte, anche l'uomo deve conoscere se stesso, misurare il suo progresso nella vita spirituale. Può farlo, gli autori ci assicurano che l'anima è presen­ te a se stessa e l'uomo, a seconda del grado della pro­ pria innocenza, della limpidezza interiore, ha un'intui­ zione diretta di sé. Secondo Teofane il Recluso, la nozione di cuore in­ clude questa forma di conoscenza integrale e intuitiva di sé. Si tratta dei “sentimenti del cuore”. «La funzione del cuore consiste nel sentire tutto ciò che tocca la no­ stra persona». Evidentemente, non tutti i “sentimenti” hanno lo stesso valore. La loro infallibilità e la loro uti­ lità per la vita spirituale dipenderanno dalla purezza del cuore stesso. IL C U O R E— FONTE DI RIVELAZIONE______________

Il cuore ha quindi una voce che si fa sentire. Scrive lo stesso Teofane: «Di conseguenza, sempre e conti­ nuamente, il cuore sente lo stato dell'anima e del corpo, come pure le impressioni multiformi prodotte dalle azio­ ni particolari, spirituali e corporali, gli oggetti che ci cir­ condano o in cui c'imbattiamo, la nostra situazione este84

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riore e, in generale, il corso della nostra vita». Vediamo e pensiamo molte cose, ma solo il cuore ci dice quale valore esse hanno per la vita. Il cuore assicura la giustezza della fede. I credenti non sono in grado di provare la loro fede in Cristo con ar­ gomenti di ragione. Ma il sentimento del cuore dà loro la certezza di essere sulla giusta strada della salvezza: «Chi crede nel Figlio di Dio, ha questa testimonianza in sé. » (lGv 5,10). Il cuore puro ci fa anche conoscere gli altri. I famosi padri spirituali, come gli starisi russi, sorprendevano per la loro conoscenza dei cuori (cardiognosia). Di san Se­ rafino di Sarov dicevano che leggeva nei cuori degli uo­ mini come in un libro aperto. Ed è interessante che non consideravano ciò come un dono miracoloso. Dio ci ha creati, dicevano, affinché ci conosciamo a vicenda. Il pec­ cato costruisce un muro fra le persone. Per chi arriva al­ la purezza del cuore, i cuori degli altri sono aperti. Dun­ que, dato che il cuore viene purificato soprattutto dal­ l'amore, solo chi ama l'altro lo comprende. IL CU O R E PURO FONTE DI CONTEM PLAZIONE DI DIO___________________________________________________

«Vedere Dio in tutte le cose»— con queste parole gli autori orientali definiscono la contemplazione cristia­ na. È un ideale alto, ma d'altra parte è un programma per tutti i cristiani. Giustamente però ci si chiede come ar­ rivarci. La parola contemplazione, in greco theoria, dice “vedere”, e ogni uomo desidera vedere la realtà con cui viene in contatto. Vi sono però diversi modi di vedere. 85

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Il primo è con gli occhi. In tal modo non si può vedere Dio, dato che Egli è invisibile. Il nostro intelletto, che formula idee chiare e principi astratti, ci offre una visio­ ne superiore. Ma nemmeno su questo cammino si arri­ va a Dio, dal momento che Egli supera ogni intelligenza umana. Eppure Cristo ci ha promesso la visione di Dio: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5,8). Scrive un mistico siriaco, Martyrius Sahdònà: «Ah, l'occhio limpido del cuore che vede all'aperto, grazie alla sua purezza, Colui alla cui vista i serafini si copro­ no il viso! Dove, dunque, [Dio] sarà amato se non nel cuore? E dove si manifesterà, se non lì? Beati i cuori puri perché vedranno Dio». Dato che il cuore puro è quello che ama, scrive giu­ stamente un autore orientale recente, è profetica rispetto ad ogni intellettualismo moderno, questa espressione di Leonardo da Vinci: «Un grande amore è figlio di una grande conoscenza», uno ama il bello che ha co­ nosciuto. Eppure noi cristiani possiamo dire il contrario: «Una grande conoscenza è figlia di un grande amore». «Dio è amore» (lGv 4,8). Senza la carità è quindi im­ possibile conoscerlo. IL CU O RE C O N O S C E DIO PER M EZZO DELLE ISPIRAZIONI INTERIORI______________________________

Abbiamo visto che l'uomo è spesso invaso da una moltitudine di pensieri. Per giudicare la loro utilità per la vita, bisogna esaminare non solo ciò che dicono, ma anche da dove vengono. Sotto quest'aspetto, i Padri cer­ cano in primo luogo di distinguere se vengono “dal di 86

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fuori” o “dal di dentro”. I pensieri che ci provengono dal di fuori hanno cause molto varie: abbiamo visto qualche cosa che ci fa pensare, udito un racconto, un interlocu­ tore ci ha “suggerito” un'idea. Gli autori spirituali spe­ rimentarono che anche il demonio suggerisce varie idee per distruggerci. D'altra parte, siamo convinti che anche Dio ci parla attraverso le ispirazioni. Lo Spirito Santo in­ fatti ci suggerisce delle idee. Ma il suo modo di avvici­ narci è diverso da quello del nemico, la sua voce, infat­ ti, si fa sentire “dal di dentro”. Gli autori siriaci descrivono questa esperienza con una metafora. Il cuore, dicono, assomiglia ad una fon­ tana. Se è pura, il cielo si riflette in essa. Similmente nel cuore puro si riflettono i pensieri divini. Chi è abituato a sentirli, non ha bisogno di altri insegnamenti. Gli au­ tori chiamano “preghiera del cuore” ascoltare le ispira­ zioni divine nel proprio interno. LA PREGHIERA DEL CU O RE DESCRITTA DAI SANTI OCCIDENTALI_________________________________

Spesso si dice che la “preghiera del cuore” sarebbe ti­ pica della Chiesa orientale e che gli occidentali non la conoscono. Eppure è interessante paragonare ai testi orientali la brevissima, ma ben riuscita, descrizione di sant'Ignazio di Loyola inserita negli Esercizi Spirituali, là dove parla della distinzione degli spiriti. Afferma: «So­ lo Dio nostro Signore può dare consolazione all'anima senza causa previa, perché è proprio del Creatore en­ trare, uscire e fare mozione in essa, elevandola intera­ mente all'amore della sua divina grandezza. Dico senza 87

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causa, cioè senza nessun precedente sentimento o co­ noscenza di un determinato oggetto...» L'arte è di saper accogliere le reali mozioni. Di san Francesco si legge nell'antica biografia che spessissimo aveva tali intuizioni e che non se le lascia­ va sfuggire. Al contrario, le accettava con molta atten­ zione. Così, quando camminava con gli altri, se gli ve­ niva un’“illuminazione”, lasciava andare avanti gli altri e si soffermava ad ascoltare questa voce del Signore. Si dice ancora che, in questi momenti, ponesse una mano sul cuore (gesto che viene raccomandato dagli esicasti) «e ivi parlava con il Signore, ivi rispondeva al suo giu­ dice, ivi supplicava suo Padre, ivi conversava con l'A­ mico, ivi si compiaceva [la sua anima] con il suo Sposo». C O N O S C E R E SE STESSI PER C O N O S C E R E DIO_______________________ V ___________________________ _

Il pensiero cristiano ha ripreso e sviluppato il motto scolpito sul tempio di Delfi, trasmesso a noi da Socrate: «Conosci te stesso!» Ma per gli autori cristiani che co­ sa significa esattamente conoscere se stessi? Non si tratta di una conoscenza psicologica, piuttosto di quel­ la che si dice “morale”: si tratta di sapere quale bene siamo capaci di realizzare, quale virtù dobbiamo prati­ care. Ma san Basilio parla di una conoscenza di sé an­ cora più sublime, “teologica”: conoscere Dio, contem­ plando la sua immagine nella nostra anima e sentendo la voce dello Spirito nel proprio cuore. E quest'ultima che si esercita nella cosiddetta “preghiera del cuore”.

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L'ATTUALITÀ DELLA PREGHIERA DEL CUORE

A proposito di questa preghiera “del cuore”, spesso si dice che essa sarebbe un privilegio degli asceti orientali, mentre gli occidentali non la conoscerebbero. È vero che gli orientali ne parlano spesso. Il teologo russo B. Vyseslavcev scrive: «Se la religione è una rela­ zione personale con Dio, allora il contatto con la Divi­ nità non è possibile altrove che nella profondità del mio “io”, nella profondità del cuore, perché Dio, come dice Pascal, è sensibile al cuore». Eppure, cosa sorpren­ dente, una delle migliori descrizioni, anche se brevissi­ ma, di questa preghiera la troviamo nel testo già citato di sant'Ignazio di Loyola sui pensieri e gli atteggiamenti che non hanno “una causa esteriore”. Viviamo in una società tecnica e ci siamo abituati a pensare che tutto ciò che succede abbia una causa esterna, ogni movimento un im­ pulso da un'altra forza. Gli psicologi positivisti ci hanno insegnato che l'anima del bambino è una tabula rasa, in cui troveremo solo ciò che gli altri vi scriveranno. Perciò la società cerca di “indottrinarci”, nel senso buono o cat­ tivo del termine. Quindi, l'uomo si è abituato ad ascol­ tare solo gli altri, non fa più attenzione alle ispirazioni nel cuore, che vengono dallo Spirito. È un privilegio degli ar­ tisti quello di avere delle “ispirazioni”, ma non esclusi­ vamente. Nella vita spirituale ognuno dev’essere “arti­ sta” e comporre la propria vita sotto la guida dell’“Arti­ sta” supremo. «Puri di cuore—afferma san Francesco d'As­ sisi— sono coloro che disprezzano le cose terrene e cer­ cano le celesti non cessando mai di adorare e di vedere il Signore, Dio vero, con cuore e animo puro». 89

Epilogo—Paul Claudel: il cuore

«Chi non avrebbe seguito con apprezzamento e con simpatia, durante un concerto, la mimica del direttore d'orchestra? (E può darsi che per gioirne completa­ mente sarebbe preferibile essere sordo! ) Il popolo dei suoi sottoposti sta in fila davanti a noi, una fila dopo l'altra, ciascuno obbedientissimo ad ogni suo sussurro silenzio­ so. Ma noi, purtroppo, non vediamo se non il suo dor­ so, non possiamo approfittare del suo sguardo inquieto, disperato o trionfante, severo, supplicante, insistente, minaccioso, persuasivo, lo sguardo che passa dai violini ai contrabbassi e alle trombe. La sua mano destra tiene come un raggio di fulmine l'arco che suona lo strumen­ to umano, mentre la mano sinistra, imperiosa o bene­ dicente, con le cinque dita aperte e con il palmo deli­ cato e vibrante, carezza, come la capigliatura, come i pe­ li di un cane male addomesticato, l'animale intelligen­ te e multiforme che lo ascolta, e dalla sua pupilla fa scaturire il suono. La mano destra dà la misura con au­ torità e con dolcezza, ma la mano sinistra, in dettagli va­ riatissimi, dà il sentimento. Essa insinua il tocco». Così succede anche nella struttura spirituale dentro di noi. C'è un dirigente della nostra "macchina organi­ ca", che ci indica la misura, ma nello stesso tempo for­ ma dentro di noi, esprime e qualifica il sentimento. E il cuore, questo apparecchio dotto e complicato, munito di molte chiavi, ventilazioni e scaffali. Esso è chiamato

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a dirigere dentro di noi un'orchestra organica, a darle la misura della vita. Esso pulsa, ma nello stesso tempo ascolta. Non è a caso che è stato dato alle sue parti superiori il nome di “orecchietta”. Esso ha ricevuto l'im­ pulso in Adamo, duraturo e circolare, dal Soffio dalla bocca dell'Eterno. Ma non s'accontenta di esso, conti­ nua a dare impulsi nuovi... “Imeni cor meum!" dice il Profeta. Ho trovato il mio cuore! Che scoperta! Niente di meno che il mio cuore! Niente di meno che il nodo della mia persona. Qual­ che cosa che esisteva prima di me, qualche cosa nel mio petto che continua la pulsazione di Adamo. Qual­ che cosa che sa più di me stesso e chiede di essere in­ terrogato diversamente che con le parole. Qualche co­ sa che in mezzo a noi è incaricato della cura dell'essere, che dell'essere si interessa e a cui risponde. Qualche cosa che compariamo a un Roveto ardente, a quel Ro­ veto che brucia senza consumarsi... Quando il Maestro dice: “Dammi il tuo cuore!”, ciò vuol dire: “Figlio mio, dammi ciò che è centro di te stesso, la tua causa, il principio regolatore della tua vi­ ta, il tuo ritmo sensibile, affettivo e intelligibile. Rag­ giungi la tua sorgente! Pulsa insieme con Me!”»

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San Porfirio è uno dei santi contemporanei più amati dal popolo greco. Nasce nel 1906 in un villaggio nell’isola di Eubea, in Grecia, in una famiglia di contadini con molte difficoltà a mantenere la famiglia numerosa. Per questo il piccolo Evangelos, all’età di 7 anni, va prim a a lavorare a Chalkida in una bottega e poi si trasferisce al Pireo, in un negozio di alimentari di proprietà di un parente. A 12 anni fogge di nascosto per il M onte Athos, mosso dal desiderio di imitare san Giovanni il Calibita, al quale era particolarmente affezionato da quando aveva letto la sua biografia. L a grazia di D io lo co n d u ce a ll’erem o d i san G io rg io , a Kafsokalyvia, sotto l’obbedienza di due anziani, che lo introdu­ cono nella vita monastica. Riceve ben presto carismi straordinari, che non lo portano al compiacimento di sé, ma a stupirsi di Cristo. A 19 anni si ammala gravemente, tanto da dover abbandonare PAthos. Ordinato sacerdote nel 1926, nel 1940 diviene cappellano del Policlinico di Atene. Q ui rasserena gli animi e attutisce il dolore, offrendo in silenzio una consolazione che apre ad un altro mondo. N el dicembre del 1991, Dio gli concede di tornare a morire nella cella in cui era stato consacrato monaco. Le sue ultime parole furono quelle che tanto amava e tanto spesso ripeteva: “Perché siano una cosa sola” (Gv 17,11). Il 27 novembre 2013, il Sinodo del Patriarcato di Costantinopoli ha deciso l’inclusione formale di Porfirio di Kafsokalyvia nella lista dei santi. L a sua memoria si celebra il 2 dicembre.