Linguistica Italiana Capitolo 3 Morfologia [PDF]

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Linguistica italiana Morfologia La morfologia studia la struttura interna delle parole. Prendiamo per esempio libr-i, la prima parte dà il significato della parola mentre il secondo dà la marca del plurale: ognuno di questi due segmenti costituisce un morfema (la più piccola unità dotata di significato). I morfemi possono essere: 1. Lessicali -> riguardano il lessico ed appartengono ad una classe ampia (significante e significato; la base per tutte le forme e le occorrenze di una parola): Es.: È un fiore prorompente quindi raramente può essere accostato ad altri fiori. 2. Grammaticali -> costituiscono un gruppo chiuso e poco spandibile (numero, genere, persona ecc.) Confrontando parole come tavolo e tavoli si può individuare il morfema lessicale: tavol- (parti di significante in comune).  Morfema lessicale: tavol- (radice)  Morfema grammaticale: -o, -i (desinenza) Il morfema può essere costituito da un elemento (-i, plurale maschile) oppure da più elementi, può essere: 1. Libero, la parola in questo caso coincide con il morfema 2. Semilibero, parole grammaticali 3. Legato ad altri morfemi Possono inoltre essere: 1. Flessionali -> -i di libr-i 2. Derivativi -> libr-one La morfologia flessionale, riguarda la flessione, cioè la modificazione delle forme in relazione alle diverse funzioni grammaticali e pertanto indica:  Genere, numero singolare o plurale per il nome (ma ragazzo e ragazza sono da considerare lessemi diversi: non abbiamo sempre questa differenza per il genere: libro / *libra);  Persona, numero singolare o plurale, modo, tempo, aspetto, diatesi per il verbo. Classi di flessione: la declinazione e la coniugazione Le varie forme flesse dei lessemi variabili si organizzano in paradigmi.

L’italiano è in parte una lingua flessiva, perché alla flessione demanda alcune funzioni, mentre per altre ricorre a elementi esterni. Nella tipologia morfologica si riconoscono le lingue isolanti, agglutinanti, polisintetiche e flessive, queste ultime possono essere analitiche e sintetiche. Si dicono analitiche e lingue ricorrono a elementi esterni per esprimere rapporti sintattici, mentre sintetiche che si avvalgono di elementi interni. Morfo A un elemento unico è possibile ricondurre più morfi: ad es. al morfema «maschile singolare» colleghiamo la realizzazione concreta chiamata morfo: -o (tavol-o), -e (pied-e). Il morfema indica sul piano dei contenuti il significato minimo espresso dal morfo (talvolta il concetto di morfema ingloba quello di morfo). Si parla di vincoli distribuzionali per definire le selezioni a seconda del contesto sintattico (cotesto) Es. gli studenti, i fiori. bello: bello, bel, bei, begli parole grafiche o fonologiche che realizzano la stessa parola grammaticale ALLOMORFIA: alternanza di più forme che hanno lo stesso valore morfologico ma che non determinano un cambiamento al livello del significato. Le trasformazioni di morfemi grammaticali possono dipendere da condizioni fonetiche *Polimorfismo -> quando due o più forme dello stesso paradigma svolgono le stesse funzioni con ko stesso significato (es. perso e perduto). Nell’italiano è frequente per una stessa forma grammaticale la presenza di due o più morfemi non fonologicamente derivabili l’uno dall’altro ed etimologicamente provenienti da forme distinte come per esempio (and- e vad-). Allomorfie per il morfema di negazione prefisso in basi nominali: in-, im-, irimpossibile, inadatto, irreprensibile… Allomorfi: il e lo sono allomorfi per il morfema dell’articolo determinativo maschile singolare.

Parti del discorso: In genere, le parole vengono suddivise in classi di parole ("classi grammaticali" o "parti del discorso"). Il loro numero può variare a seconda dei criteri adottati e della lingua considerata.   -

5 variabili: verbo nome aggettivo pronome articolo 4 invariabili: avverbio preposizione congiunzione interiezione

Secondo la classificazione tradizionale la classe degli invariabili comprende quattro parti il discorso: Congiunzione, avverbio, preposizione e interiezione. Le congiunzioni possono essere coordinative e subordinative. Vale la pena di soffermarsi sugli usi recenti di piuttosto che, una congiunzione con valore avversativo che significa anziché. Da tempo si è diffuso Il valore disgiuntivo, ciò che rende spesso l’enunciato ambiguo. Le preposizioni si distinguono in proprie (semplici e articolate) e improprie alcuni avverbi usati come preposizioni tipo dopo di te. Si registra reggenze nuove e nelle preposizioni: - L’estensione di in e da - L’uso della locuzione grazie a Gli avverbi possono essere qualificativi, determinativi, valutativi, interrogativi ed esclamativi. Possono esserci anche aggettivi usati come verbi. L’interiezioni, le esclamazioni e le onomatopee hanno una funzione principalmente espressiva, ricorrono più nel parlato in alcuni contesti scritti tipi testuali. Le interiezioni sono suoni non nettamente articolati con cui si esprimono stati d’animo e le azioni; le esclamazioni sono normali parole che si pronunciano con un tono esclamativo e isolatamente; l’onomatopee imitano suoni e rumori. Alle tradizionali parte il discorso si sono aggiunti anche i segnali discorsivi che possono essere congiunzioni avverbi verbi, Elementi che in parte assumono valore aggiuntivo all’interno del testo. I criteri di classificazione delle classi di parole sono diversi:

 Logico-semantico, che si fonda sul contenuto di ciò che le stesse categorie indicano: su questa base si distinguono parole piene, quelle che hanno un contenuto semantico significativo, dalle parole vuote, o grammaticali o funzionali, che hanno un contenuto semantico debole e hanno un ruolo grammaticale di completamento alle parole piene.  Funzionale , che si basa sulla funzione esercitata dalla parola, come quella di collegare e coniugare altri elementi  Distribuzionale, che si basa sulla posizione che la parola occupa rispetto ad altre parole nella frase  Formale, che distingue parole variabili e invariabili Il mutamento linguistico nel tempo: grammaticalizzazione e lessicalizzazione 1. Grammaticalizzazione: è il fenomeno per cui forme linguistiche libere perdono gradualmente l’autonomia fonologica e il significato lessicale, fino a diventare forme legate con valore grammaticale (formazione del futuro) 2. La lessicalizzazione è il processo per cui nuove unità linguistiche che in una fase precedente non avevano valore lessicale vengono a far parte del lessico di una lingua: forme e strutture grammaticali possono nel tempo dare origine a parole nuove e autonome. Un caso frequente della lessicalizzazione degli alterati (o idiomatizzazione) Nome Il nome è una parola che ha una funzione referenziale (denotativa) nel discorso: rappresenta e classifica la realtà extralinguistica. - Ha una variabilità morfologica: marche di genere (singolare e plurale) e numero (maschile e femminile) e caso Classificazioni tradizionali: -

Nomi propri: Andrea, Carla… (antroponimi), Napoli… (toponimi) Nomi comuni: cane, uomo, sedia… (si riferiscono a tutta la categoria) Nomi collettivi: gente, folla, squadra… Nomi concreti/astratti (e gradi intermedi di astrazione e concretezza): cucchiaino, libertà, disagio…

Sulla base di un criterio formale i nomi possono distinguersi per l'aspetto morfologico (variabili e invariabili, nomi derivati, composti, nomi sintagmatici ecc.). Numero dei nomi

A partire dal numero, i nomi dell'italiano si distribuiscono in sei classi (cfr. TAB. I). Le classi più produttive sono le prime due, a cui appartengono quasi tutti nomi maschili (alla prima, con una sola eccezione) e femminili (alla seconda). In netta crescita risulta la sesta classe degli invariabili a cui appartengono 1. 2. 3. 4.

Monosillabi forti (re) Parole ossitone (virtù) Nomi in -ie (serie) Vari nomi in -a (maschili come cinema, gorilla, mascara, puma; femminili come iguana) 5. Numerosi termini derivanti da accorciamenti (moto, auto, foto, frigo ecc.) 6. Sigle (DNA); Oscillano tra la prima classe e la sesta degli invariabili anche alcuni composti (agriturismo, lungarno). Rientrano tra gli invariabili 1. Molti prestiti come film, bar, sport, tram, computer, sponsor. In generale, è buona norma lasciare sempre invariati al plurale i nomi stranieri non adattati (gli step e non gli steps). Alla terza classe appartengono come produttivi: 1. Derivati in -tore, -trice e in -zione (clonazione), mentre tra i pochi neologismi si registra anche il drone, i droni. Poco produttiva risulta la quarta classe, si segnalano 1. Derivati in -, e i grecismi in -a Mentre tace ed è ormai improduttiva la quinta. A quest'ultima appartengono 1. Nomi maschili in -o, detti anche “sovrabbondanti" 2. Nomi difettivi Il genere è in italiano una categoria grammaticale che nei nomi presenta un certo valore inerente (non è condizionato da niente di esterno al lessema o alla forma). Per la segnalazione del genere, come del numero, l'italiano mette in gioco anche i vari determinanti (articolo, pronomi, attributi ecc.). Questi rafforzano la marca del femminile o del maschile, ma possono anche risultare decisivi come nel caso degli invariabili. Per le persone (e spesso gli animali), in linea generale c'è corrispondenza e genere tra il genere naturale e quello grammaticale (donna, madre, gallina, mucca sono grammaticale femminili, mentre uomo, padre, gallo, bue sono maschili; per gli animali si abbina spesso maschio e femmina: una pantera maschio, un pavone femmina) Le sedie piccole: le e piccole sono in questa forma per accordo.

Articoli e aggettivi non hanno genere e numero inerente: dipendono dal valore che la categoria assume nel nome che costituisce la testa del sintagma nominale: il controllore dell’accordo. Proposta di classi di flessione dei nomi in italiano (P. D’Achille, A. Thornton 2003): 1. -o/-i: libro/libri, piatto/piatti… 2. -a/-e: casa/case, matita/matite… 3. -e/-i: fiore/fiori, tigre/tigri… (-tore, -trice, -zione) 4. -a/-i: poeta/poeti, artista/artisti (grecisimi in -ista) 5. -o/-a: uovo / uova, lenzuolo / lenzuola… 6. varie, invariabile: re, caffè, città, foto… Usi nominali di verbi, avverbi, aggettivi, congiunzioni e pronomi: verbo: il cadere delle avverbio: parlare del perché si è comportato così… aggettivo: l’ottimo è nemico del buono congiunzione: c’è un però… pronome: come stanno i tuoi? Genere grammaticale: maestro, maestra, studente, studentessa, padre, madre, mare, pensiero Il genere può essere riconducibile alla tassonomia Es. Arancio / arancia Roma, Firenze, Napoli f. / il Milan, il Bologna, il Napoli L’Adriatico, il Tirreno, il Po, il Tevere, il Trasimeno Le eccezioni alla serie (-o nomi maschili e -a nomi femminili) dipendono dal genere dell’etimo: mano < mănus eco < ēchō Maschile e femminile: il problema del sessismo della lingua -a, -essa: figlio / figlia: -a, signore / signora, avvocato / avvocata / avvocatessa, professore / professoressa, poeta / poetessa, la presidente, la ministra: il ministro Paola De Micheli, la presidentessa ‘la moglie del presidente’

Femminile in modo isolante: la tartaruga maschio, donna poliziotto, donna soldato ( esempi in Serianni 1988: 1981, 1986) Uso dell’articolo soltanto con il femminile: Dopo la Boldrini, lo spot di Grasso: "L'Italia è più sicura con lo ius soli" Dopo la Boldrini, anche Grasso va all'attacco: "Approvate subito il ddl sullo ius soli". Aggettivi Gli aggettivi si dividono in qualificativi e determinativi (o pronominali: possessivi, dimostrativi ecc.). Gli aggettivi qualificativi italiani appartengono a due classi principali: la prima ha quattro uscite (bello, bella, belli, belle), la seconda due (illustre, illustri); altri aggettivi si distribuiscono tra: L'aggettivo qualificativo, oltre a quella attributiva e predicativa, può avere anche una funzione avverbiale (correre veloce o bere forte), frequente oltre che nel parlato anche in alcuni tipi di scritto (per esempio, nei testi pubblicitari) Concorrono, inoltre, alla formazione del superlativo varie strutture analitiche sempre più diffuse nell'italiano contemporaneo: 1. Il tipo con intensificatori, con avverbi e locuzioni 2. Il tipo diffuso soprattutto nel linguaggio giovanile (ma non solo) con ricorso a prefissi e prefissoidi 3. La reiterazione dell'aggettivo la struttura con tutto + aggettivo 4. Le strutture con alcuni aggettivi e locuzioni in collocazioni precise Genere con allocutivi di cortesia Con gli allocutivi di cortesia la forma lei (più correttamente in maiuscolo, Lei) è ambigenere e quindi concorda al maschile o al femminile in base all'interlocutore. All'accusativo il clitico La è unigenere, quindi resta tale anche con referente maschile (Ingegnere, preoccupato. Unigenere femminile anche il clitico dativo Le. Nel caso del raro allocutivo Ella, dello scritto più formale, l'accordo è al femminile anche con referente maschile: si tratta di una forma in disuso che sopravvive appena in qualche scritto burocratico. Posizione dell'aggettivo qualificativo Dall'aggettivo qualificativo può collocarsi, nelle lingue romanze, prima o dopo il nome. Più spesso l'aggettivo è collocato dopo il nome sia nello scritto, sia nel parlato. Ma è anche possibile porre l'aggettivo prima del nome, nel caso in cui esso esprime una qualità intrinseca, descrittiva come di frequente nella lingua letteraria (il lontano orizzonte). In alcuni casi l'aggettivo qualificativo va posposto al nome: 1. Quando è un alterato 2. Quando regge un complemento

3. Quando deriva da un participio 4. Quando è un aggettivo di relazione che specifica il significato del nome 5. Con gli aggettivi etnici o derivati da un nome proprio In alcuni casi uno stesso aggettivo può avere significati differenti a seconda che si trovi prima o dopo il nome. Altri aggettivi pronominali Per i dimostrativi il paradigma attuale è bipartito questo/quello, un tempo era tripartito prevedendo anche codesto che non è più in uso tranne che nell’italiano regionale fiorentino, nel linguaggio burocratico e in quello giuridico. Il pronome neutro ciò è poco usato nella lingua parlata, e anche in quella scritta tende sempre di più ad essere sostituito da questo e quello. Nel parlato questo è spesso ridotto a ‘sto. A volte, specie con referenti non umani o inanimati i pronomi dimostrativi sono usati al posto del pronome personale tonico di terza persona. In alcuni contesti quando i dimostrativi sono usati per indicare persone hanno una connotazione dispregiativa. I pronomi relativi consentono di collegare due proposizioni seguendo immediatamente il punto di attacco e connettendo così sintatticamente la subordinata. Il pronome più comune è la forma invariabile che, sia soggetto, si oggetto diretto. Perciò che riguarda la semplificazione del paradigma, anche per i relativi si nota l’estensione del che in funzione temporale al posto di in cui. Sono quantificatori gli indefiniti che comprendono gli universali, esistenziali, i quantitativi, I negativi, identificativi, i generalizzanti. I quantificatori sono anche i numerali distinti in: cardinali, ordinari, frazionari, moltiplicativi, numerativi o collettivi, distributivi.

Articolo Indichiamo con “determinante” ogni elemento che caratterizza, “determina” un sostantivo, come, per esempio, l'articolo, che tra i determinanti opera come “specificatore” del nome. In italiano gli articoli possono introdurre referenti noti e non noti, e si distinguono in definiti (“determinativi”) e indefiniti (“indeterminativi”), questi ultimi solo in forma singolare, mentre per il plurale si ricorre al partitivo (Ho guardato dei libri) o agli aggettivi indefiniti (Ho ricevuto alcuni amici, Ho incontrato certi colleghi ecc.). Accanto al determinativo e all'indeterminativo, infatti, esiste il partitivo, usato al singolare con nomi di massa: L'indeterminatezza può essere specifica, quando il referente è noto all'emittente, ma

non al destinatario, oppure, quando il referente non è specificato né all'emittente né al destinatario; Con i nomi propri in vari italiani regionali l’articolo si può trovare con i femminili, meno con i nomi maschili; in alcune aree sono diffusi entrambi. Nello standard l’articolo è obbligatorio con elementi di specificazione. Normalmente con i cognomi maschili viene omesso ragione per la quale si va diffondendo l’uso non sessista di ometterlo anche davanti a quelli femminili. Nell’uso degli articoli determinativi si registra un omissione o decrescita soprattutto: davanti ai nomi di aziende, enti sentiti come nomi propri, nella preposizione articolata dopo andare e in complemento di tempo determinato. Si espande nello scritto prima dell’articolo determinativo la perifrasi costituita dal pronome dimostrativo quello introdotto da che più il verbo essere. Possessivi a destra e a sinistra: aggettivi possessivi possono essere collocati per maggioranza anche dopo il nome. In alcune strutture di tipo esclamativo o vocativo possono essere solo posposti. Esistono inoltre espressioni cristallizzate in cui la posizione è post nominale. Posizione di dimostrativi indefiniti e numerali: gli aggettivi dimostrativi indefiniti e ordinali se precedono obbligatoriamente il nome Le costruzioni con ridondanza pronominale come la ripetizione della forma tonica sono molto frequenti nel parlato. Tuttavia il primo dei due elementi costituisce una sorta di espansione con valore di tema ad esempio a me può essere interpretato come per quanto riguarda me.

Pronomi personali La complessità dei pronomi personali si lega alla presenza di una serie doppia, atona e tonica e alla diversificazione in base alla funzione sintattica. Il sistema, inoltre, prevede asimmetrie e alcuni sincretismi (Forme di significato diverso ma con significante uguale ‘mi’ -> a me; ‘mi’-> me). Per la seconda persona singolare è in espansione la forma accusativa col ruolo di soggetto, diffusa nel parlato. Negli italiani regionali settentrionali e nell’italiano regionale tosco-fiorentino l’uso dipende soprattutto dalle lingue locali, che esprimono obbligatoriamente il soggetto pronominale e usano di frequente il te soggetto. In varietà centro meridionali il te soggetto è molto diffuso e si spiega per la convergenza da una parte dell’influsso dell’italiano settentrionale e dall’altra dall’indebolirsi della distinzione tra una forma soggetto una forma complemento oggetto.

In italiano me e te si sono grammaticalizzate come soggetto: - dopo come e quanto - nelle esclamazioni - dopo la congiunzione “e” Per la terza persona, la semplificazione dell’opposizione tra nominativo e accusativo si è dovuta a una riduzione del paradigma. Egli e ella sopravvive nello scritto molto formale, mentre lui si è esteso a tutte le posizioni sintattiche. Lui, lei, loro sono in evitabili anche nello scritto più sorvegliato: -

dopo come e quanto nelle esclamazioni nella contrapposizioni quando si vuole mettere in rilievo il soggetto, con pronome postverbale quando il pronome è da solo, per esempio, in risposta alle domande dopo la congiunzione “e” (sono preferiti) dopo anche, pure, neanche, nemmeno, neppure. Ella sembra ormai uscito dall’uso, mentre esso ed essa sembrano specializzati con riferimento ai referenti inanimati o almeno non umani. Un tipo particolare di pronome personale è costituito dai cosiddetti allocutivi, cioè forme di pronomi usati nel rivolgersi a qualcuno, per interloquire e per richiamare l’attenzione. Italiano si fa distinzione tra una forma più confidenziale di vicinanza il tu e una forma di cortesia di distanza il lei: la prima tende a diffondersi molto a spese della seconda soprattutto tra i giovani. Al plurale il voi si è ormai imposto anche come plurale di Lei, al posto del più regolare ma molto formale Loro.

Morfologia: egli e lui Esempi di egli che è un pronome anaforico soggetto NON marcato: Uso anaforico del pronome zero (Ø) e non di egli: Morfologia: lui, lei, loro Lui, lei e loro - possono avere il ruolo di soggetto o non soggetto; - sono pronomi deittici: servono a riferirsi, cioè, a qualcuno che è presente nel contesto situazionale (o che è possibile individuare sulla base delle conoscenze condivise tra gli interlocutori).

- sono forme marcate: sono usate con una ragione speciale; marcano un cambiamento di tema o un’opposizione rispetto a un’altra persona menzionata o presupposta nel contesto comunicativo (in precedenza o in séguito) - possono avere anche funzione anaforica Morfologia: egli e ella a scuola Esempi di usi sbagliati di egli negli scritti scolastici: 1. «A me piace molto il protagonista Riccardo Scamarcio nel ruolo di Step, egli è alto, ha gli occhi verdi e i capelli mori «Il primo egli non sarebbe stato esprimibile con lui, non avendo alcuna marcatura, ma il soggetto sarebbe più correttamente rappresentato dall’assenza del pronome; 2. Italo Calvino è nato a Cuba e cresciuto a Sanremo. Egli era compagno di classe del famoso giornalista Eugenio Scalfari […] si iscrisse alla facoltà di agraria, seguendo le orme del padre botanico. Ma per questi studi egli non era portato. Il secondo egli, un po’ più marcato (diversamente dal padre, lui, Italo, non era portato per gli studi di agraria) poteva essere espresso anche da lui. Ma pure in questo caso sarebbe stata più opportuna l’omissione di qualsiasi pronome. Questi esempi dimostrano che l’uso più improprio e frequente di egli non è tanto nella sua preferenza rispetto a lui quanto nella sua inutile presenza»). Morfologia: ella Ella, che ha le stesse funzioni di egli, è una forma soltanto soggetto ormai da anni in disuso. Attenzione. egli ed ella possono essere usati soltanto per il soggetto; sarebbe un errore dire o scrivere: Presidente, le dichiarazioni *da ella rilasciata…, Morfologia: lei, lui Lui e lei (e loro) vengono usati anche per cose, animali o per concetti al posto di esso (nell’italiano parlato di tutto i giorni e anche nella lingua degli articoli di giornale dallo stile più ‘brillante’): «Quando un musicista comincia a lavorare, soprattutto su questo tipo di cose, la mano va da sola. Non sono più io che suono il violino ma è lui che suona me. Bisogna scoprire quello che c'è già ma che va svelato. Non so se riesco a essere chiaro". - Finalmente, Xiaomi Mi Smart band 5 sbarca ufficialmente anche in Italia. Di lui vi abbiamo raccontato tutti i dettagli al momento del lancio in Cina, ma è tempo di focalizzarsi sulla versione internazionale

Lui e lei possono avere nel testo anche funzione anaforica e si usano invece normalmente anche come complemento: con lui, da lui, a lui ecc. Morfologia: gli, le e loro Gli, le, loro sono le forme per l’oggetto indiretto (il tradizionale complemento di termine o il dativo) della terza persona: valgono ‘a lui’, ‘a lei’, ‘a loro’. Nell’italiano contemporaneo si è ormai molto diffuso l’uso di gli al posto di loro ‘a loro’, che «non può certo dirsi errore» gli ho dato i biglietti = ho dato loro i biglietti (loro tende spesso a essere sostituito da gli nella comunicazione quotidiana: «Loro non è attestato in testi di narrativa, teatro e fiction televisiva […]; loro sembra invece relegato ai registri più alti dell’italiano», dati dell’Osservatorio linguistico dell’università di Bologna, cfr. Cardinaletti 2003). Nel parlato e nello scritto informale gli viene usato anche al posto del femminile le; si tratta di uso che non è ancora accettato nell’italiano scritto formale. Diversi valori del pronome si Il pronome atono di terza persona si può avere valore riflessivo e coincide con il soggetto in funzione di oggetto diretto o indiretto oppure può avere un valore reciproco o un uso apparente in cui il sì non ha valore riflessivo, cioè una funzione argomentale, ma si è lessicalizzato. Il si impersonale, consente la costruzione impersonale di qualunque verbo intransitivo o transitivo senza oggetto espresso o passivo. Il si impersonale può costituire il soggetto di una frase passiva. Inoltre quando il complemento oggetto di un verbo transitivo è costituito da un pronome clitico, questo precede il si impersonale, mentre non avviene così con il sì riflessivo. Se invece è coinvolto un verbo transitivo con il suo complemento oggetto sì è il cosiddetto sì passivante in cui l’oggetto diventa soggetto e il verbo si accorda. Il sì passivante è impiegato in costrutti con valore passivo con la terza persona singolare o plurale di un verbo transitivo attivo di tempo semplice: tale forma sintetica di passivo prevede di non esplicitare l’agente. Per la distinzione tra sì passivante e impersonale è possibile osservare che quest’ultimo può essere considerato il soggetto vero e proprio della proposizione, mentre il sì passivante va considerato come un mero segno della passività del verbo. In presenza di un transitivo o intransitivo senza oggetto espresso il sì non ho mai valore passivante ma soltanto impersonale. Morfologia: che polivalente «Si parla di che polivalente nel caso in cui la congiunzione sia utilizzata per introdurre frasi di significato esplicativo-consecutivo (come in 1), frasi causali (2), frasi consecutivo-presentative (3), frasi relative temporali (4), frasi finali (5), frasi in cui che ha valore enfatizzante-esclamativo (6), frasi pseudorelative (7):

- (1) vieni che ti pettino - (2) vai a dormire che ne hai bisogno - (3) io sono una donna tranquilla che sto in casa, lavoro (Sornicola 1981: 70-71) - (4) maledetto il giorno che ti ho incontrato - (5) fai in modo che è tutto pronto al mio arrivo - (6) che sogno che ho fatto (Berruto 19984: 69) - 7) li vedo che scendono (Berruto 19984: 69 Esempi di che polivalente: - subordinante generico: sbrigati che è tardi - che indeclinato: il mio amico che il fratello fa il medico…, il posto che sono stato l’altra sera - ma uno che non gli piace tantissimo comprare cd non è un appassionato? (uno a cui gli piace + controllato; il quale nel parlato è meno usato) - che + ripresa: è una procedura che l’hanno seguita anche a Economia c'era un mio amico che lui gli altri lo odiavano Tra gli usi pronominali dell’italiano contemporaneo parlato (colloquiale e poco sorvegliato) c’è quello del che come relativo analitico: un medico che gli posso telefonare, una spiaggia che ci torno sempre volentieri Esempio da un post su un forum on line: Oggi ho avuto un colloquio in questa Agenzia e mentre stavo presentando il mio cv lavorativo vengo interrotto subito....e mi viene detto il punto del colloquio.....da un ragazzino di poco più di 18 anni che neanche sapeva quello che stavo parlando. I clitici I pronomi personali complemento dispongono, accanto alla serie tonica di una serie debole atona, detta anche clitica, priva di accento proprio e appoggiata alla parola ti precede, proclitica, o che segue, enclitica, con il gerundio, l’infinito e il participio. In funzione di complemento oggetto o di complemento indiretto il pronome tonico è usato quando si vuole marcare. I clitici sono quelle parole brevi o brevissime (monosillabe o bisillabe) che non hanno accento proprio e si appoggiano dunque a un’altra parola con cui formano un’unità prosodica:

- forme atone del pronome personale: mi, ti, gli… - congiunzioni come ma - pronomi e avverbi ne, ci (ce), vi (ve) Quando si posizionano - prima della parola si dicono proclitici (pròclisi); dopo la parola, enclitici (ènclisi) Cumuli di clitici: me ne vado, glielo (gliel’…). Nota: particella è un termine generico che indica gli elementi grammaticali non autonomi (quelli che si usano sempre insieme a un’altra parola) e per lo più monosillabici e atoni (sono particelle anche gli articoli, le preposizioni, le congiunzioni e gli avverbi). L’enclisi pronominale normalmente è prevista con i modi infiniti, con l’imperativo e con l’avverbio ecco. Con i verbi servili il clitico può agganciarsi all’infinito o può risalire precedente il verbo servile. Con fare e lasciare con valore causativo il clitico precede obbligatoriamente il verbo; Con sembrare e parere + infinito, il clitico va dopo l’infinito. In qualche caso la posizione del clitico può lessicalizzarsi.

Nota sul dativo etico I clitici possono essere adoperati In una funzione affettiva o intensiva, come nel caso del dativo etico. Il dativo etico indica la partecipazione o il coinvolgimento emotivo di una persona rispetto a un’azione o una circostanza indicata dal predicato. È sempre espresso da un pronome atono e non è necessario ai fini della compiutezza sintattico grammaticale delle enunciato. Una forte partecipazione del soggetto all’azione possono indicare i pronomi atoni pleonastici accompagnati a un verbo transitivo. Che mi combini? Uso del pronome con valore affettivo-intensivo (marca di una più attiva e sentita partecipazione del soggetto all’azione) con verbi transitivi -> mi faccio un giro Questo tipo di pronome dativo in italiano indica la proprietà inalienabile (parti del corpo): si è rotto il naso, si è tagliato i capelli… Morfologia: ci Origine: (ĕc)c(e) hī(c) ‘ecco qui’ > ci (il collegamento semantico è ‘se vedi qui, vedi noi’

Ci o ce è preferito a vi locativo ( < ĭbĭ con spirantizzazione, ĭ > e , > i per protonia sintattica) come avverbio di luogo (vi si trova in usi molto formali). Con questo significato ci si usa con il verbo essere quando significa ‘esistere, essere presente, essere qua, trovarsi’ ci voglio parlare, devo parlarci: ‘parlare con lui/lei/loro’; purché corrisponda a un pronome dimostrativo o personale costruito con le preposizioni con, su, da, in (substandard ci ho detto, ci ho dato con ci ‘a lui/lei’). Ci attualizzante: c(i) ho fame, che ci hai?, ce l’hai?, c’aveva ecc. L’uso del ci attualizzante è tipico dell’italiano parlato e scritto medio di tutta Italia. La sua rappresentazione grafica non è stabile: si può trovare scritto, ma solo in messaggi informali, o nella prosa narrativa che imita consapevolmente il parlato, in questi tre modi: c’ha, c’ho, o ci ha, ci ho, cià, ciò fame. Ce l’hai i biglietti? (dovrebbe essere li non l’) L’ qui potrebbe essere una mera marca di oggetto; sembra la costituzione di una formula fissa: cel-avresti, cel-ho ma non te li do. Esempio di uso di ci attualizzante con il verbo avere nella saggistica contemporanea: «Le congiunzioni coordinative hanno spesso funzione testuale, a volte quasi solo quella: è il caso di dunque, quindi, cioè, però, tuttavia. Ce l’ha anche piuttosto, usato, lo abbiamo visto, nella locuzione piuttosto che impropriamente come congiunzione coordinativa». Morfologia: ci con i verbi Usato in unione con alcuni verbi ci > lessicalizzazioni (e univerbazioni): centrare, entrarci: che c’entra? «scambiare messaggi che con il calcio centrano poco» entrarci è solo una forma teorica, statisticamente debole; è arrivato il momento di registrare centrare nei dizionari ‘avere a che fare’ (Renzi 2012: 58) prenderci starci volerci restarci male

Morfologia: pronomi e verbi Verbi procomplementari (De Mauro): finirla farcela avercela prendersela mettercela tutta Morfologia: il verbo Il verbo Nella flessione del verbo in italiano i tratti morfosintattici e morfosemantici, coinvolti sono il modo, il tempo, la persona, il numero, l’aspetto e la diatesi. I verbi italiani si distribuiscono in tre coniugazioni; Un’altra classificazione propone due macroclassi, una corrispondente alla prima coniugazione, produttiva e numerosissima e un altro che raccoglie tutti gli altri verbi. Alle radici lessicali seguono le vocali tematiche differenti per coniugazione, la marca temporale e/o modale ed infine il morfema personale o desinenza verbale. Esistono inoltre alcuni verbi difettivi nel cui paradigma alcune caselle sono vuote. I verbi sono invece sovrabbondanti quando appartengono a due coniugazioni diverse, ora conservando lo stesso significato, ora mutandolo. Il modo esprime la modalità del verbo e indica pertanto l’atteggiamento del parlante nei confronti di quanto enunciato. In italiano la modalità è espressa da quattro modi finiti ed altri modi non finiti che non sono quasi mai autonomi ma dipendono da verbi o preposizioni. A parte l’imperativo usato per dare ordini, il condizionale per presentare le situazioni come possibili, indicativo e congiuntivo rispondono rispettivamente i modi delle certezze e dell’ipotesi. Inoltre la modalità questo può essere espressa anche non morfologicamente per esempio con il ricorso ad avverbi. Il participio è caratterizzato da una morfologia mista, sia di tipo verbale, sia di tipo nominale. La complessità del sistema italiano è testimoniata dalla presenza di una ricca gamma di tempi verbali, che hanno funzioni diverse come esprimere relazioni temporali e così via. Possiamo distinguere fra tempi deittici e anaforici: i primi indicano azioni che avvengono in contemporanea o prima o dopo il momento dell’enunciazione ad esempio il presente, il passato remoto, l’imperfetto. I secondi invece hanno una relazione temporale rispetto ad un’azione già espressa per esempio il trapassato remoto rispetto al passato remoto e così via. • Il verbo è una parola che esprime un un processo collocato in una dimensione temporale.

• Il verbo ha la principale funzione di predicare, ovvero di dire qualcosa su qualcos’altro. • La flessione del verbo italiano è detta anche coniugazione. • La morfologia del verbo italiano è fatta di un tema e di una desinenza. Il tema è la radice del verbo, la parte che porta il significato lessicale (morfema lessicale). La desinenza porta le informazioni grammaticali (morfema grammaticale). La desinenza dà queste informazioni: • persona (prima, seconda, terza); • genere (per il participio: Marco è tornato, Alessandra è arrivata; l’accordo del plurale è al maschile con soggetti di genere diverso: Antonio e Alessandra sono arrivati); • numero (singolare o plurale); • tempo (presente, passato, futuro; tempi semplici: amo, amerò…; e composti: ho amato, avrà amato…); • modo (modi finiti: indicativo, congiuntivo, imperativo, condizionale; infiniti: infinito, gerundio e participio). • diàtesi: ( il modo in cui la persona o la cosa indicate dal soggetto della frase partecipano all’evento descritto dal predicato -> l’indicazione della relazione che c’è tra il verbo e il soggetto agente , cioè ‘chi o che cosa fa l’azione’); 1. 2. -

Diàtesi attiva: ho fatto il lavoro che mi hai chiesto, Diàtesi passiva: L’esercizio è stato fatto dagli studenti, Il lavoro che mi hai chiesto è stato fatto Il lavoro viene fatto il lunedì, Il lavoro si è fatto lunedì, in questa fabbrica si producono circa 50 mila bottiglie all’anno (la diatesi può essere espressa tramite il si passivante). 3. Diàtesi riflessiva: quando c’è coincidenza tra soggetto e oggetto (si lava). • Aspetto Le forme del verbo italiano consistono in un tema (arriv-o) e in una desinenza (arriv-o)  Il tema (radice) porta il significato lessicale tema + vocale tematica: gir-a-re, sent-i-re sap-è-re, mett-e-re (la vocale tematica è selezionata dalla radice)

Le vocali tematiche non sono ancora ben definite. Hanno alcune proprietà dei morfi, ma non quella del significato. In una voce di un verbo all’imperfetto, quindi, riconosceremmo questa struttura (Basile et al., 2010: 192): • am: morfema lessicale (significato di amare) • a:

? (vocale tematica)

• v:

morfema grammaticale: ‘imperfetto’

• o

morfema grammaticale: ‘prima persona singolare’.

Nella flessione del verbo, oltre che con i suffissi, le informazioni sono date anche tramite: - il cambiamento della vocale interna nella radice: vedi, vidi - l’alternanza dell’accento: mangio, mangiò - le costruzioni perifrastiche: ho visto, sto vedendo, avrò visto… (Iacobini 2011) Tre coniugazioni: tre classi di flessione che corrispondono alle quattro latine amare, timēre, legĕre, finire Nel passaggio dal latino volg. al volgare si è avuta la riduzione delle coniugazioni verbali: = ē, ĕ > e Nel latino parlato si sono verificati spostamenti di accenti: respondēre > rispóndere; cadĕre > cadére. La prima classe (-are) è la più produttiva: chattare, spoilerare… Il verbo: il suppletivismo • Nel paradigma di un verbo si ha suppletivismo quando la flessione presenta forme diverse per il morfema lessicale: • ANDARE vado vai

va

andiamo

andate vanno

• DOVERE devo devi deve dobbiamo dovete devono • FINIRE

finisco finisci

• SEDERE

siedo siedi siede sediamo

sedete siedono

• USCIRE

esco esci esce usciamo

uscite

escono

• UDIRE

odo

udite

odono

odi

ode

finisce

udiamo

finiamo

finite

finiscono

Il paradigma di questi verbi italiani è organizzato in sottoinsiemi: le classi di partizione

Sono le classi di partizione che stabiliscono la distribuzione dell’allomorfia: gli allomorfi (forme diverse per uno stesso morfema) qui non sono condizionati fonologicamente (non dipendono cioè dai contesti fonosintattici che si creano con la flessione). Allomorfie verbali Allomorfie: presenza di più forme per uno stesso morfema (lessicale o grammaticale) come in: • - conoscere: conosc-o, conosc-i, conosc-e, conosci-uto ([k] vs [ʃ]); • - sedére: siedo, seggo (prego, si sièda! / prego si segga, siediti!); • - il participio di perdere: perso / perduto; • - morire: mor(i)rai, mor(i)rà (fenomeno della sìncope della i) > morrai, morrà (forme meno frequenti). • - udire ‘ascoltare’: udirai, udirà > udrai, udrà Allomorfie Alcune forme possono essere minoritarie, cioè meno comuni, o a volte di registro letterario (il dizionario le segnala). Possono avere significati diversi: che cosa è successo? per succedere ‘accadere’; mentre si usa succeduto per succedere nel significato di ‘venire dopo, prendere il posto’: es. il presidente Mattarella è succeduto a Giorgio Napolitano. Forme verbali inesistenti o non più in uso sono dunque errori: forme analogiche, cioè create sul modello di altre forme, come per esempio i congiuntivi *venghi al posto di venga, *facci al posto di faccia o *dasse al posto di desse. Accordo del participio l participio passato, ho dei vari usi verbali, viene facilmente di analizzato come aggettivo. Ad oggi al participio sono emerse forme che sono da considerare puramente aggettivali. Anche se il participio passato si associa alla diatesi passiva qualche participio ha valore attivo, spesso nelle espressioni molto colloquiali, solo del parlato. Il participio presente è prevalentemente forma aggettivale o nominale; vale come Verbo qualora compaia con il complemento diretto, mentre è analizzabile solo come aggettivo quando regge un complemento preposizionale. Il participio presente verbale italiano è in larga parte sostituito dal gerundio ma continua ad essere usato anche sostantivato sole registri formali come nel linguaggio burocratico giuridico.

Si registra ormai l’uso di frasi implicite espresse con un gerundio non differibile al soggetto della principale; frequenti sono i gerundi con valore testuale conclusivo posti soprattutto a inizio di frase o di capoverso. Particolarità relative all’accordo del verbo con i nomi riguardano il participio. Il participio di norma resta perlopiù invariato: le promesse che ho fatto, abbiamo scelto queste fotografie, le cose che ti ho portato, Anna, chi ti ha accompagnato a casa? Nell’uso contemporaneo è oscillante (cioè variabile) l’accordo del di essere o di un altro verbo copulativo con il soggetto o con il nome del predicato: il suo intervento al convegno è stata una bella sorpresa, la sua telefonata è stata/o un modo per chiedere scusa, il suo discorso è diventato/a una sorpresa.

Il verbo: grammatica tradizionale e linguistica moderna • La grammatica tradizionale presenta e ordina i verbi dell’italiano secondo quattro categorie: persona modo, tempo, diatesi. • Questa sistemazione si fonda sulla corrispondenza di una forma e di una somma di etichette: amasse = terza persona singolare, congiuntivo, imperfetto, diatesi attiva Le forme del verbo nell’analisi della linguistica moderna Tendenze nel sistema verbale di oggi: nel sistema verbale l’italiano mostra un processo di riduzione e semplificazione dei paradigmi temporale modali per esempio:  Il presente è usato anche per il futuro  Il passato prossimo e sovresteso a scapito del passato remoto  L’imperfetto indicativo e impiegato, oltre che con valore temporale, al posto di altri tempi ad esempio L’imperfetto prospettico -> ha detto che veniva, Anche in usi non ammessi, modali Più che temporali, in cui esprime non fattualità - Uso ipotetico se venivo me lo dicevi - Uso attenuativo mi sembrava che stessi parlando - Per esprimere il futuro se ti interessa ti davo quei tortelli - Nel discorso riportato come imperfetto di citazione  Il futuro a perso valore temporale, ma assunto è rafforzato altri valori modali

 Nei modi verbali c’è debolezza, ma non scomparsa del congiuntivo, specie nelle completi ive, in cui si usa sempre più frequentemente l’indicativo  Più vitale del congiuntivo è il condizionale, soprattutto nelle principali - Uso attenuativo l’indagine potrebbe riferirsi a.. - Nelle richieste domani mi porteresti - Nei modali, di cui attenua il valore deontico. - Nel linguaggio giornalistico come condizionale di dissociazione si parla in questi casi di modalità quotativa Con cui si riporta qualcosa come detto ad altri  In espansione l’uso dell’infinito anche Indipendente  In crescita l’uso delle perifrasi verbali  In retrocessione la diatesi passiva

Tra gli attuali non ho ancora messo in italiano standard ma certamente risalita sono da segnalare due tratti: - Il congiuntivo imperfetto invece del presente in frasi principali che hanno valore esortativo andasse a quel paese - Il gerundio dipendente da una frase passiva era stato convocato dichiarando la sua estraneità alla vicenda. Diffusi non solo nel parlato sono i gerundi il regolari o ambigui fosse la fine del periodo e non riferibile al soggetto sintattico della principale precedente, ma al soggetto logico • Il presente, per esempio, dovrebbe indicare una situazione contemporanea rispetto al momento in cui si parla • Ma in frasi come Parto domani alle 7 o Il fatto che Anna parta domani… (Congiuntivo Presente), la situazione descritta dal verbo è futura, posteriore al momento in cui si parla. • Per forme come il Presente che indica situazioni future la grammatica tradizionale parla di significato primario o di valori tipici e fondamentali (presente = contemporaneità) e di usi secondari, come il presente pro futuro. • La linguistica contemporanea ha una diversa prospettiva rispetto alla grammatica tradizionale e cerca di approfondire i rapporti tra forme e funzioni dei verbi. • Per spiegare i vari valori delle forme verbali la linguistica moderna parte dalla neutralizzazione del valore temporale primario. L’analisi si concentra così

sugli usi detti «secondari» per ridefinire la funzione semantica di una forma verbale. • Il linguista Eugenio Coseriu definì per questo in negativo il presente, cioè sulla base della mancanza di indicazioni relative alla collocazione temporale: il presente è una forma neutra, che può essere usata anche in riferimento al futuro e al passato (presente storico: in frasi come Manzoni nasce a Milano nel 1785). • Il presente va inteso quindi come una forma «non marcata» da un punto di vista temporale, compatibile, quindi, con situazioni contemporanee, future e passate rispetto al momento in cui si parla. Il presente, forma non marcata dal punto di vista temporale, normalmente indica eventi o processi contemporanei (simultanei al momento in cui si parla o si scrive: al momento dell’enunciazione): guardo la televisione (‘adesso, in questo momento’). Il presente può però avere particolari valori aspettuali (relativi all’aspetto del verbo); può essere: - iterativo, se indica un’azione abituale: il corso si tiene ogni lunedì mattina; - atemporale, se indica qualcosa che è sempre vero o accade sempre: il fumo nuoce gravemente alla salute; - storico, quando si usa per raccontare: ieri vado in centro e chi ti incontro?; si ha così un effetto di zoom nella narrazione, come ad es. nel titolo di questa notizia data da un quotidiano on line: Svegliata dai rumori nella stanza: si alza e si trova davanti il ladro. - pro futuro, usato, cioè, ‘per il futuro, al posto del futuro’: domani vado a Roma, domani faccio l’esame, domani chiamo anche lui. L’azione progressiva è descritta tramite la perifrasi stare + gerundio: sta mangiando. L’aspetto del verbo. 1) Ieri nel pomeriggio Paolo parlava al telefono con Lucia (quando all’improvviso ha sentito un rumore) 2) Ieri Paolo ha parlato al telefono con Lucia • La differenza tra le due frasi non è temporale (anche se imperfetto e passato prossimo nel paradigma grammaticale sono nella categoria del tempo). • Le frasi hanno significati diversi perché cambia il punto di vista del parlante. • La linguistica, infatti, distingue tra aspetto e tempo del verbo:

l’aspetto è la forma verbale che mostra il punto di vista del parlante, il quale può scegliere di adottare una visione interna, evidenziando un singolo istante nella situazione rappresentata (frase 1), oppure può presentare la situazione nella sua globalità, dall’esterno (frase 2). «L’aspetto è una categoria grammaticale dei verbi che esprime diversi modi di vedere la scansione temporale interna a una situazione» (Grandi, 2010). L’aspetto è quindi un’informazione relativa alla distinzione tra azioni concluse e non concluse, ovvero alla durata del processo (inizio, ripetizione, conclusione: mangio, mangiai, ho mangiato, mangiavo, stavo mangiando, sto per mangiare, sto finendo di mangiare…). L’aspetto mostra un particolare punto di vista del parlante, che può scegliere di presentare il contenuto di una frase secondo una visione interna, mettendo in evidenza un singolo istante nella situazione rappresentata oppure, può presentarlo nella sua globalità, cioè dall’esterno. L’aspetto può essere perfettivo e imperfettivo. L’aspetto perfettivo è la visualizzazione della situazione nella sua globalità, fino al suo punto finale. In italiano è reso con il passato prossimo e il passato remoto. L’aspetto imperfettivo visualizza la struttura interna della situazione, in qualsiasi suo punto. In italiano è reso con l’imperfetto o tramite perifrasi: stare per + infinito, essere sul punto / in procinto di + infinito ecc. Aspetto imperfettivo  L’aspetto imperfettivo -> descrive azioni che non specificano la durata oppure che durano a lungo o che si ripetono nel tempo. • L’aspetto imperfettivo può essere continuo, abituale e progressivo. • L’aspetto imperfettivo continuo indica la mancanza dell’indicazione di un qualsiasi istante: durante il concerto il pubblico rumoreggiava. • L’aspetto imperfettivo abituale segnala la ripetizione regolare del processo: Quando piove prende/ è solito prendere la metro. • L’aspetto imperfettivo progressivo indica un processo còlto nel suo svolgimento; è reso, per esempio, con la perifrasi stare + gerundio: sto mangiando, stava mangiando ecc. Nell’aspetto imperfettivo progressivo il verbo indica una singola occorrenza del processo e non dà informazioni sulla sua ripetizione. Aspetto perfettivo

 L’aspetto perfettivo -> descrive azioni delimitate nel tempo • L’aspetto perfettivo può essere aoristico, compiuto e ingressivo. • L’aspetto perfettivo aoristico è di norma quello dei tempi non composti e focalizza il processo senza considerare i suoi effetti; ciò vuol dire che segnala un’azione priva di durata, còlta in un suo singolo manifestarsi. A Parigi Alessandra incontrò un suo amico. • L’aspetto perfettivo compiuto è più spesso espresso dai tempi perfettivi composti. Indica la permanenza, rispetto a un riferimento temporale stabilito, del risultato di un evento compiuto: A Parigi Alessandra ha incontrato un suo amico. • L’aspetto perfettivo ingressivo è un particolare valore che possono avere i tempi con aspetto aoristico: segnala la fase iniziale di un processo, ad esempio tramite le perifrasi iniziare a + infinito o cominciare a + infinito: cominciò a piovere. L’aspetto del verbo L’aspetto del verbo è dunque una prospettiva, un punto di vista . La frase con l’imperfetto (1) comunica un punto di vista interno: la visualizzazione del processo è aperta e la situazione descritta funziona da sfondo di un testo più ampio. La frase con il passato prossimo (2) ha un punto di vista esterno: la visualizzazione è chiusa; la frase è autonoma dal punto di vita testuale: non può essere lo sfondo di altri eventi (sono evidenziati i limiti temporali della situazione, che potrebbero anche essere segnalati con una espressione avverbiale: ha parlato al telefono per venti minuti). Non è la durata a distinguere una forma come l’imperfetto da una come il passato. La possibile combinazione con alcuni avverbi mostra che la durata è un effetto della visione aperta data dalla somma dell’aspetto e del significato del verbo, come in, ad es., il telefono squillò a lungo e in quel momento il telefono squillava. L’imperfetto • Etichette per i valori dell’imperfetto • - descrittivo: quel giorno c’era un sole bellissimo; • - iterativo: un’azione che si ripeteva abitualmente: prendeva sempre l’autobus alle 8;

• - narrativo, storico: ha valore perfettivo ed è usato in contesti in cui gli eventi indicati dall’imperfetto sono rappresentati come successivi -> Giovedì 2 ottobre ignoti si introducevano nel mio appartamento, entrando da una finestra al secondo piano (nei verbali della polizia, ad esempio). • - conativo: ieri Grazia andava a trovare sua mamma, ieri Mario faceva l’esame (indica un’azione che si stava per fare o che si aveva l’intenzione di fare, ma che poi non è stata fatta). • - di modestia o di cortesia: volevo un caffè, volevo una sfogliatella, professore, la chiamavo per dirle che…, le volevo chiedere se… (si usa per attenuare una richiesta); • - irreale: se lo sapevo, ti avvertivo (nelle frasi condizionali); • - onirico o ludico: nel sogno era tutto buio e io cercavo di accendere la luce… facciamo che io ero il re e tu la regina… (per riferirsi a eventi o fatti che appartengono al mondo dei sogni o della fantasia). • - prospettivo: Prima ho sentito Nina: dice che usciva più tardi (indica il futuro nel passato). I tempi verbali nell’analisi della linguistica moderna I tempi relativi: l’uso del passato prossimo (perfetto composto) e del passato remoto (perfetto semplice). • L’osservazione dell’uso di una forma che la grammatica tradizionale indica con «infinito passato» fa capire che il termine passato non è sempre adeguato: Mi sembra / Mi sembrava / Mi sembrerà di aver finito: nella terza aver finito si riferisce a un momento che viene prima della situazione descritta da Mi sembrerà, che è posta nel futuro. Da ciò si capisce che le forme dell’infinito passato indicano un tempo che si riferisce non al momento in cui si parla, bensì a un punto del tempo espresso da altri elementi nello stesso enunciato. L’Infinito passato è quindi un tempo relativo. Hanno un uso relativo in questo senso anche l’infinito presente e il gerundio: Mi sembra / sembrava / sembrerà di essere a casa; Pur essendo a casa non risponde / non rispondeva / risponderà al telefono. • Alle 3 Anna era già partita; • Quel giorno Anna era partita alle 3 ma non è arrivata in tempo.

• L’infinito passato, il futuro anteriore, il trapassato e il valore dell’infinito presente e del gerundio presente vanno interpretati in relazione al momento di riferimento. La nozione di tempo, quindi, in linguistica è distinta in 1) collocazione temporale di una situazione rispetto al momento dell’enunciazione e 2) relazione rispetto a un momento di riferimento. Il verbo nell’analisi della linguistica moderna • Per capire il funzionamento dei tempi verbali la linguistica ricorre ai concetti di deissi e di anafora. • La deissi è il meccanismo linguistico di indicazione che permette di interpretare gli enunciati sulla base degli elementi presenti nel contesto della comunicazione. Tramite la deissi, quindi, la collocazione temporale non è stabilita in assoluto ma in base al momento dell’enunciazione: Due anni fa sei venuto a trovarmi in questa casa Il 15 settembre 2010 Carlo è andato da Gianni in via Verdi 15. Due anni fa sei venuto a trovarmi in questa casa Il 15 settembre 2010 Carlo è andato da Gianni in via Verdi 15. • Le due frasi potrebbero avere lo stesso significato (potrebbero cioè riferirsi allo stesso giorno). La prima, però, che presenta più elementi deittici (quelli indicati in grassetto), è comprensibile solo per chi dispone delle coordinate del contesto in cui avviene la comunicazione (spazio, tempo, persone presenti). La deissi temporale indica una relazione tra il momento dell’enunciazione (‘oggi, adesso’ = ME) e il momento della situazione espressa dal verbo: Adesso è a casa / Ieri era a casa / Domani sarà a casa. • La collocazione temporale non è stabilita in assoluto. Il fatto che la stessa prospettiva aspettuale sia compatibile con diverse collocazioni deittiche conferma l’autonomia dell’aspetto rispetto al tempo verbale, come mostra la forma verbale perifrastica stare + gerundio che codifica una situazione aperta senza una focalizzazione sul limite finale della situazione: In questo momento Anna sta leggendo un libro In quel momento Anna stava leggendo un libro In quel momento Anna starà leggendo un libro

• Per cogliere le ragioni della selezione dei tempi composti (passato prossimo, trapassati, futuri anteriori) dobbiamo considerare oltre al momento dell’enunciazione (ME) anche un momento di riferimento (R). • Per capire l’aggancio a R abbiamo bisogno del concetto di anafora, ovvero del riferimento al cotesto, a un referente espresso nell’enunciato: • Ieri ho incontrato Carlo mentre il giorno precedente avevo visto Lucia Ieri ho incontrato Carlo mentre il giorno precedente avevo visto Lucia • In questa frase il trapassato prossimo è una forma anaforica che indica anteriorità rispetto a un R dato nel contesto: R è infatti localizzato dall’avverbio deittico ieri, rispetto al quale si calcola la collocazione della situazione espressa dal trapassato (avevo visto Lucia). Questi tempi dunque hanno una duplice natura deittico-anaforica: il rapporto deittico è tra R e E piuttosto che tra E e la situazione espressa dalla frase avevo visto Lucia e oltre a questo rapporto esiste una relazione anaforica di anteriorità tra la situazione avevo visto Lucia e R. • La referenza anaforica è il tratto proprio dei tempi composti con un participio passato. Si noti che in una frase come Anna è già partita il passato prossimo è anteriore a R che coincide con E. • Se osserviamo frasi, tutte accettabili in italiano, come Domani ho finito gli esami, da domani ho finito le ferie capiamo che il passato prossimo si riferisce ad avverbi di tempo che si collocano dopo E: domani = R. Questi usi mostrano la natura anaforica del passato prossimo. Anche se è anaforico il trapassato prossimo impone restrizioni deittiche sulla collocazione di R, che deve essere localizzato nel passato (come fa il futuro anteriore). Passato prossimo e passato remoto • I termini remoto e prossimo della grammatica tradizionale suggeriscono un funzionamento dei tempi in base alla distanza temporale. In italiano, però, sono possibili entrambe queste frasi: I dinosauri si estinsero milioni di anni fa I dinosauri si sono estinti milioni di anni fa. • Il passato prossimo, dunque, si usa anche in riferimento a tempi molto remoti. Qual è la vera differenza d’uso? La capiamo se consideriamo frasi come queste:

1. *I dinosauri si estinsero da milioni di anni 2. I dinosauri si sono estinti da milioni di anni  Con la preposizione da è accettabile soltanto il passato prossimo. La frase con il passato remoto, invece, è agrammaticale. Questo perché il sintagma preposizionale da milioni di anni fissa una relazione tra la situazione descritta dal verbo estinguersi ed E. In questo modo E diventa il punto di osservazione rispetto al quale vengono valutate le conseguenze di situazioni precedenti. Questo punto è cioè un R che coincide con E. Il confronto mostra che il passato remoto è una forma di passato deittico, sempre localizzato rispetto a E, mentre il passato prossimo indica un’anteriorità riferita a un R che non coincide necessariamente con E (come in Domani ho finito gli esami, da domani ho finito le ferie, in cui R è posteriore a E). • Si capisce, dunque, perché il passato remoto non è usato nello standard per riferirsi a situazioni di prossimità temporale rispetto a E, ed è invece usato per riferirsi a situazioni temporali più distanti, non valutate rispetto a E. Manca, infatti, il collegamento che sarebbe garantito dalla coincidenza tra R e E. Con i tempi composti R è un “punto di osservazione che permette di valutare le conseguenze di una situazione”. Una frase come Anna è uscita di casa da due ore non solo colloca l’azione di Anna nel passato ma descrive il passaggio da uno stato a un altro: l’essere in casa e l’essere ancora fuori, che è la conseguenza dell’evento di uscire. Nella sua semantica temporale il passato prossimo indica anteriorità rispetto a R e «aggiunge una prospettiva aspettuale, in cui si visualizza una situazione come già compiuta focalizzando l’attenzione sullo stato risultante». R funziona anche come punto di osservazione che permette di visualizzare una situazione nelle sue conseguenze. È questa dunque la differenza tra frasi come Anni partì molto tempo fa e Anna è partita da molto tempo: entrambe hanno valore generalmente perfettivo (visualizzano la situazione in modo globale) ma solo la seconda ha valore di perfetto e segnala le conseguenze della partenza. Di conseguenza (Squartini 2015: 56): Da un punto di vista temporale il Passato Prossimo è un tempo anaforico che indica anteriorità rispetto a R; il Passato Remoto è invece un tempo rigidamente deittico che colloca situazioni nel passato. Da un punto di vista aspettuale il Passato Prossimo esprime la compiutezza di una situazione focalizzando l’attenzione sulle sue conseguenze; il Passato Remoto visualizza la situazione globalmente, indipendentemente dalla sua rilevanza attuale. Il passato prossimo come tempo anaforico-deittico

La possibilità di un aggancio anaforico a R, da cui scatta l’interpretazione aspettuale di compiutezza, fa sì che quando R coincide con E si mettano in evidenza le conseguenze attuali della situazione denotata dal verbo e sia quindi più naturale usare il Passato Prossimo per situazioni vicine nel tempo. Di conseguenza, Il Passato Remoto verrà gradualmente relegato a esprimere situazioni più distanti, le quali verosimilmente hanno meno conseguenze sul momento in cui si parla.

Modi e modalità • Il modo del verbo italiano va ricondotto alla categoria grammaticale della modalità, ovvero l’espressione dell’atteggiamento del parlante verso la situazione indicata dal verbo (espressione di una situazione reale, probabile, ipotetica, necessaria, obbligatoria). • La modalità è «l’insieme delle risorse linguistiche (parole, espressioni, ma anche elementi morfologici, ecc.) che manifestano il modo, ovvero l’atteggiamento del parlante rispetto all’enunciato prodotto, o rispetto all’atto dell’enunciazione” (De Santis, 2011). Il modo del verbo è uno dei mezzi in cui nella lingua italiana si può esprimere una certa modalità (vedi tabella). La modalità • assertiva: è l’espressione di un contenuto senza giudizio sul grado di certezza o di obbligo: Andrea è uscito (modo indicativo, frase dichiarativa); • epistèmica: indica come certo o incerto lo stato di cose presentato dal verbo (il parlante esprime così anche un giudizio su quanto sta dicendo); per esempio, con il futuro epistèmico: - Che ore sono?; - Saranno le 11. Quest’atteggiamento si può comunicare anche usando avverbi modali come forse, sicuramente, di sicuro, senz’altro; oppure, usando verbi come credere, supporre, immaginare, pensare (credo / penso che siano le 11); o ancora usando verbi modali (dovere, potere, sapere e volere) e un modo specifico del verbo: Andrea deve / può / dovrebbe / potrebbe essere uscito = probabilmente Andrea è uscito, forse Andrea è uscito = è probabile che Andrea sia uscito = Andrea sarà uscito.

• deontica: indica come obbligatorio o permesso lo stato di cose presentato dall’enunciato; si può esprimere con il modo imperativo: fai l’esercizio! fate l’esercizio!; con i verbi modali (potere o dovere): devi fare l’esercizio; con l’infinito: non fumare nel corridoio, non si può fumare, non si deve fumare, non bisogna fumare; con il futuro deontico: i candidati presenteranno la domanda on line ( = la domanda deve essere presentata on line). • anankastica: riguarda la necessità fisica o le condizioni necessarie perché si verifichi qualcosa (per esempio quelle normative); si esprime con i verbi modali dovere e potere: le piante per crescere devono ricevere acqua e luce; per essere ammessi all’esame gli studenti non devono aver fatto più di 10 ore di assenza durante il corso. • dinamica o disposizionale: esprime la capacità, l’abilità ed è espressa dai verbi potere, sapere o espressioni come essere capace, essere in grado di: i pipistrelli sanno orientarsi al buio, il cammello può resistere anche un mese senza bere. Tempi e modalità ll tempo per la modalità • Anche in una frase come Adesso saranno le 11 l’etichetta della grammatica tradizionale (futuro) non corrisponde alla funzione del verbo. Il futuro qui segnala un ridotto grado di certezza del parlante, che fa un’ipotesi (la frase corrisponde a quella con il presente e un avverbio che indica la congettura: forse sono le 5). Il tempo in questo caso è piuttosto un modo, «l’atteggiamento che il parlante assume verso la sua stessa comunicazione». La grammatica tradizionale non chiarisce la distinzione tra tempo e modo per il futuro. E anche il condizionale (modo) ha valore di tempo (futuro nel passato) in una frase come disse che sarebbe tornato domani. Per questi scambi di valore la grammatica tradizionale si limita a distinguere di nuovo tra uso primario e secondario delle forme verbali. • La ricerca linguistica, invece, distingue tra la nozione grammaticale di modo, relativa ai fenomeni morfologici e sintattici, e quella semantica di modalità, relativa ai diversi gradi di certezza del parlante. Il congiuntivo è dunque un modo perché ha una sua morfologia e dei tratti sintattici: Che sia Anna? In questa frase il congiuntivo serve anche a mostrare una certa modalità della frase, il suo valore dubitativo. Ma non è sempre così: in una frase come Il fatto che Anna sia partita il congiuntivo non ha valore dubitativo. Il futuro è un tempo ma nella sua semantica esiste anche la modalità, perché anch’esso può essere usato dal parlante per indicare un’ipotesi: - Hanno suonato; - Sarà Anna? (sarà quindi un Futuro epistemico).

Morfologia: il futuro Etichette per gli usi modali del futuro  Futuro deittico, temporale, sta retrocedendo a favore del presente indicativo,  Futuro regressivo, può avere un uso corrispondente al presente storico Il futuro è usato, inoltre, con diverse sfumature modali: • epistemico (il parlante esprime una sua deduzione del presente -> suppositivo, perché esprime ipotesi, previsioni, dubbi, incertezze): a quest’ora Luca sarà arrivato a casa, questa è una forma che voi conoscerete senz’altro; • attenuativo: (ha lo scopo di mitigare un evento) Lei professore ammetterà che questo fatto è un po’ strano…; • deontico (che indica un dovere): i candidati consegneranno la domanda entro il 31 maggio; • iussivo (cioè imperativo, che serve a dare gli ordini in forma attenuata: mi dirai tutto quello che è successo!). • concessivo (vicino all’epistemico -> Sarà anche economico ma è un brutto hotel). Morfologia: l’uso del congiuntivo Note sull’uso del congiuntivo. • Il modo del verbo nelle frasi completive (soggettive e oggettive) è in genere determinato dal verbo della frase reggente; alcuni verbi reggono il congiuntivo e altri reggono l’indicativo: crediamo che sia troppo tardi (completiva oggettiva) che sia troppo tardi è ormai certo (completiva soggettiva) • Il verbo della subordinata è all’indicativo se il suo contenuto è presentato come reale: so che Luca è a casa; • è invece al congiuntivo se il contenuto della subordinata non è presentato come reale: temo / ho paura / è probabile che Luca non sia a casa adesso. Morfologia: il congiuntivo Nell’italiano parlato il congiuntivo oscilla in dipendenza da frasi completive. È il significato del verbo che dà il valore alla frase oggettiva o soggettiva: crediamo che è troppo tardi (stesso significato, ma il registro è più basso). L’alternanza è legata al registro della comunicazione: es. Credo che Dio esiste vs

Credo che Dio esista. Morfologia: il condizionale • Nella lingua dei giornali è frequentemente usato il condizionale di dissociazione: è il modo con cui si presentano notizie di cui non si è completamente certi, notizie quindi che si suppongono, che si sanno per sentito dire o perché si sono lette in un’altra fonte che non si poteva controllare. Ad es.: Claudia Cardinale, 76 anni, avrebbe schiaffeggiato una hostess che le aveva chiesto di spegnere la sigaretta all'aeroporto parigino di Orly e sarebbe poi stata portata in commissariato. Lo scrive oggi il settimanale francese "Closer". • Il condizionale si usa poi anche per indicare il futuro nel passato (un’azione successiva al momento passato dell’enunciazione): L’anno scorso ci disse che sarebbe venuto a trovarci. La classificazione dei verbi Verbi copulativi (quando il compito di predicare è svolto da un altro elemento: collegano un soggetto a un predicato non verbale, come essere, fare, stare, sembrare in questi usi: Nicola fa l’avvocato / è diventato avvocato Nicola sta bene Nicola sembra arrabbiato in Nicola è avvocato abbiamo una copula (dal lat. cōpula(m), ‘unione, legame’); alcuni studiosi la distinguono dal verbo copulativo, che oltre a unire predica anche qualcosa. La classificazione dei verbi: aspetto lessicale (Azione / Aktionsart) La classificazione dei verbi in base al loro aspetto lessicale / alla loro azionalità «è una classificazione in base al modo in cui l’evento che il verbo esprime è presentato dal punto di vista delle fasi temporali che lo compongono» (Ježek 2011: 129). Bisogna distinguere tra aspetto verbale e azionalità: l’aspetto verbale riguarda i morfemi grammaticali l’aspetto lessicale o azionalità riguarda i morfemi lessicali (azione lessicale) La classificazione in base all’azione tiene conto - del dinamismo

- della durata - della telicità («presenza o assenza di un punto in cui l’evento necessariamente si conclude»; es. verbo atelico: Luca disegna; verbo telico: Luca disegna un paesaggio).

In base all’azionalità (unione di durata, dinamismo, telicità) distinguiamo: - verbi di stato (stativi): essere, possedere, sapere, conoscere ecc. (hanno durata, non sono considerati dinamici, hanno fasi una uguale all’altra: indicano qualità permanenti del soggetto o stati non modificabili) - verbi di processo indefinito (continuativi): camminare, spostarsi (hanno durata, sono dinamici – introducono cambiamenti – , hanno fasi una uguale all’altra) - verbi di processo definito (risultativi): svuotare (hanno durata, sono dinamici, hanno fasi non uguali: eventi proiettati verso un punto finale, caratterizzati da una progressione: le fasi non sono uguali) - verbi istantanei (trasformativi): trovare (non hanno durata, indica un evento istantaneo, punto iniziale e finale coincidono) Oltre a dinamismo, durata e telicità si considerano anche: - l’iteratività, in verbi puntuali ma che esprimono ripetizione, fa riconoscere i verbi semelfattivi: starnutire, tossire, lampeggiare ecc.; - l’ingressività o egressività: valutazione in base a ciò che viene prima o dopo l’evente descritto: incamminarsi, camminare, trovare, cercare; - l’incrementalità: eventi che descrivono successione di stadi: crescere. In base alla telicità, ovvero all’espressione di un raggiungimento di una meta, riconosciamo - verbi telici: arrivare, costruire, disegnare (un…), quelli il cui significato mostra un’azione che tende verso un fine - o atelici: disegnare in Luca disegna (senza espressione dell’oggetto diretto) Ho letto un libro in due ore (aspetto perfettivo, telico) Ho letto un libro per due ore (aspetto perfettivo, atelico) La classificazione dei verbi Verbi supporto: supportano un predicato costituito da un nome: dare un consiglio ‘consigliare’

fare una passeggiata ‘passeggiare’ prendere una decisione ‘decidere’ Verbi sintagmatici (verbo + avverbio): unità lessicali formate da una base verbale + una particella che di solito è un avverbio -> tirare su, portare giù, mettere sotto (a volta la particella è pleonastica: entrare dentro, uscire fuori (Jansen 2011) Verbi ausiliari: - essere e avere che aiutano a formare i tempi composti e accompagnano il verbo predicativo esprimendo tempo, modo e persona ; andare e venire nella costruzione passiva: venire descrive un’azione: il lavoro viene fatto da… andare esprime anche la modalità: la domanda va fatta subito Uno stesso verbo può avere valori diversi (variazione semantica in relazione ai nomi): fare un caffè: fare è predicativo, vale ‘preparare’ fare l’attore:  fare è copulativo, vale ‘essere’ fare una passeggiata: fare è un supporto, ‘mettere in atto’ Esiste quindi una scala di verbalità (o di predicatività): si va dai verbi con significato stabile ai verbi ‘leggeri’, che hanno diverse accezioni a seconda dei nomi con cui sono adoperati Verbi modali (servili): esprimono informazione sulla modalità di un’espressione: epistemico, deontico, dinamico, anankastico. Verbi fraseologici: stare per, continuare a, finire di… : definiscono l’aspetto del processo (sono perifrasi verbali: costruzioni formate da un verbo di modo finito seguito da un verbo principale coniugato al participio, al gerundio o all’infinito). Nella perifrasi il verbo fraseologico ha un significato diverso da quello che ha di solito e dà al processo una particolare sfumatura temporale-aspettuale indicando - imminenza - progressione - continuità - conclusione I verbi solitamente vengono divisi in due classi I verbi transitivi ammettono un oggetto diretto e la forma passiva: • Ho spedito una lettera

• La lettera è arrivata (*il postino arriva la lettera) Alcuni verbi transitivi possono essere usati senza oggetto: ho già mangiato (qualcosa); qui il complemento oggetto, quale che sia, non è espresso ma si può inferire I verbi intransitivi non hanno un oggetto diretto, né una forma passiva: Sono di due tipi • inergativi: quelli che nei tempi composti hanno avere ed esprimono attività intenzionali o funzioni e reazioni corporee: ha camminato, ha sorriso, ha pianto • inaccusativi: quelli che nei tempi composti hanno essere ed esprimono un cambiamento di stato o di posizione, o uno stato oppure un avvenimento: è caduto, è arrivato, è successo, è rimasto inaccusativi sono anche i verbi intransitivi pronominali: Marco si è arrabbiato Verbi pronominali (i verbi in -si): Nella loro forma è compreso un pronome clitico come nei: • verbi riflessivi: descrivono un’azione intenzionale fatta da un soggetto su sé stesso: lavarsi, vestirsi ecc. • verbi con uso riflessivo indiretto: hanno come oggetto non la persona in generale ma «alcune sue pertinenze tipiche»: tagliarsi i capelli • verbi con uso intensivo (o di affetto): il -si indica una più intensa partecipazione del soggetto al processo: per es., leggersi un fumetto, bersi una birra…  • verbi reciproci : «descrivono eventi in cui partecipano due soggetti, ognuno dei quali promuove e riceve gli effetti dell’evento stesso»: salutarsi, sposarsi ecc. • verbi con uso reciproco indiretto: «il cui oggetto non è la persona in generale ma sue pertinenze»: stringersi la mano… • verbi intransitivi pronominali: hanno il si nella coniugazione anche se non esprimono un evento riflessivo: arrabbiarsi. Verbi procomplementari: • verbi con

-ci: andarci, entrarci/centrare (es.: questo non c’entra con la questione); -la: finirla, piantarla; -le: buscarle; prenderle; - ne: volerne (non volermene). I clitici si combinano tra loro dando luogo a verbi con pronome multiplo: avercela (con), cavarsela… In forme lessicalizzate con pronome semplice o multiplo: mettercela tutta   La suffissazione è caratterizza dalla transcategorizzazione (passaggio da una categoria morfologica a un’altra): rumore (nome) > rumoreggiare (verbo) e dalla ricorsività dolce > dolcificare (verbi denominali) smarrire > smarrimento (nome deverbale) I verbi parasintetici (parasìnteto): si ottengono tramite l’aggiunta simultanea di un prefisso e un suffisso (fenomeno della circonfissazione): ad-dolc-ire im-barc- a-re/si Dante: «s'io m'intuassi, come tu t'inmii», (Par. IX, 81) «La particolarità di questa costruzione sta nel fatto che nella lingua non appaiono come parole né la forma solo prefissata (*abbottone, *addolce) né quella solo suffissata (*bottonare, *dolcire)» (Iacobini, 2011).  Si fonda sulla distinzione (Frege) tra: Gli argomenti del verbo: elementi necessari (obbligatori) e rappresentano le informazioni aggiuntive che vanno a completare il significato dalla forma verbale. circostanziali: elementi non necessari (facoltativi) es. Ieri Andrea ha regalato un libro a Marco soggetto, oggetto e «complemento di termine» qui sono argomenti. In base alla valenze il verbo ha da zero a quattro posti per collegarsi e costruire una frase -> La grammatica valenziale individua gli argomenti dei verbi: verbi con un solo argomento (verbo con soggetto-> a un posto), monovalenti: camminare verbi con due argomenti (verbo con soggetto e complemento diretto -> a due posti), bivalenti: incontrare

verbi con tre argomenti (verbo con soggetto complemento diretto e indiretto -> a tre posti), trivalenti: dare, dire, regalare verbi con quattro argomenti, tetravalenti: tradurre (?) verbi che non hanno argomenti (non ha né soggetto né il complemento), zerovalenti: piovere, nevicare (?) La prospettiva valenziale (L. Tesnière) Verbi a un posto (monovalenti): intransitivi Verbi a due posti (bivalenti): - transitivi con oggetto diretto (OD) (> soggetto di una frase passiva); - intransitivi che reggono un nome preceduto da preposizione (oggetti preposizionali): ha rinunciato alla proposta, la decisione dipende da lui, contare su qco Da notare la reggenza preposizionale (accusativo preposizionale) nell’italiano regionale meridionale dei verbi normalmente transitivi che hanno una persona come oggetto diretto: senti a me, chiama a tuo cugino… Verbi a tre posti: aggiungono un oggetto indiretto (OI): offrire, togliere, paragonare (diverso da un oggetto preposizionale che completa un verbo intransitivo) l’ OI - si aggiunge a un OD; - è sempre introdotto da a (ha forma propria); - indica il destinatario (nei verbi di dire o dare è il tradizionale compl. di termine): spedire qca a Carla, spedire qca a Roma, togliere qca a Carla (fonte). a quindi è «una codifica grammaticale vuota pronta ad accogliere il ruolo di volta in volta coerente con il verbo che la occupa» Gli argomenti sono costituenti del predicato, controparte di un verbo, che li richiede e ne controlla numero e forma. - Non è sempre necessario che tutte le valenze siano espresse (uso assoluto dei verbi): Es.:

- Che mestiere fa? - Traduce Sono anche indicati con il termine attanti Non sempre alla funzione sintattica corrisponde lo stesso ruolo semantico Il soggetto fa l’azione, è il punto di partenza L’oggetto subisce l’azione L’oggetto indiretto: indica a beneficio o a danno del quale si fa l’azione Sono individuati da segni distintivi, sintattici (l’ordine della parole) e morfologici (i casi). I ruoli tematici tagliare: ha un soggetto agente soffrire: ha un soggetto paziente capire: ha un soggetto esperiente guardare: ha un soggetto esperiente (?) Antonio capisce il cinese: il soggetto degli intransitivi che non indicano un’azione (nascere, crescere) è un tema.