149 9 6MB
Italian Pages 304 [302] Year 2005
Giovanni Semerano L’infinito: un equivoco millenario Le antiche civiltà del Vicino Oriente e le origini del pensiero greco
Bruno Mondadori
economica
«Alle straordinarie ricerche di questo solitario devo moltissime indicazioni per tutta la dimensione etimologica del mio libro Arcipelago» (Massimo Cacciari)
Giovanni Semerano (1911-2005), filologo, è stato l’allievo dell’ellenista Ettore Bignone all’Università di Firenze, dove ha seguito gli insegnamenti di Giorgio Pasquali, del semitologo Giuseppe Furiarli, di Giacomo Devoto e di Bruno Migliorini. È stato autore della monumentale opera Le origini della cultura europea (Olschki, Firenze 1984-1994). Per Bruno Mondadori ha pubblicato: Il popolo che sconfisse la morte. Gli etruschi e la loro lingua (2003) e La favola dell’indoeuropeo (2005).
ISBN 88-424-9293-0
€ 11,50
788842 492931
9788842492931
«I libri di Semerano sono una festa dell’intelligenza»(Emanuele Severino)
8842492930
Scavando nell’etimologia del greco, del latino e del sanscrito, Giovanni Semerano ha rintracciato, in quarantanni di studi che trovano la sintesi in questo libro, la madre di tutte le lingue: l’accadico-sumero. Questo volume mette in discussione le teorie legate all’indo-europeo come origine delle lingue mediterranee ed europee. In modo suggestivo ci viene data la pos sibilità di comprendere il senso nascosto delle nostre parole, m andando in frantum i molti pregiudizi e incomprensioni. Un esempio: “L’uomo nasce A&Winfinito e tom a alTinfinito7’; cosi è sem pre stata tradotta una delle riflessioni più famose del filosofo Anassimandro. Semerano invece traduce àpeirori con il semitico “apar” e con l’accadico “eperu”: parole che, in mezza Mesopotamia. e più tardi nell’ebraico (“aphar”), stavano a significare “polvere, fango”. Ovvero: “L’uomo è pol vere e polvere tornerà”...
Giovanni Semerano L’infinito: un equivoco millenario Le antiche civiltà del Vicino Oriente e le origini del pensiero greco A cura di Luca Sorbi
(D Bruno Mondadori
Tutti i diritti riservati © 2001,2004, Paravia Bruno Mondadori Editori E vietata la riproduzione, anche parziale o ad uso intemo didattico, con qualsiasi mezzo, non autorizzata. L’editore potrà concedere a pagamento l’autorizzazione a riprodurre una porzione non superiore a un decimo del presente volume. Le richieste vanno inoltrate a: Associazione Italiana per i Diritti di Riproduzione delle Opere dell’ingegno (AIDRO), via delle Erbe 2,20121 Milano, tel. e fax 02809506. Progetto grafico: Massa & Marti, Milano La scheda catalografica è riportata nell’ultima pagina del libro.
www.brunomondadori.com
Indice
3
Introduzione Preminenza del centro antico di irradiazione culturale, al quale questo libro fa costante riferimento
31
II fascino illusorio dell’infinito
82
La Ionia: Cadmo e il Vicino Oriente
87
Testimonianze di Ferecide di Siro e dei suoi libri fenici
96
Senofane. Ancora l’òmeipov che offuscò le vedute dei critici antichi
110
Eraclito
151
Parmenide
226
Orfeo
231
I fondatori del diritto
268
Inizi e sviluppi della scienza greca
286
Abbreviazioni
287
Indice dei nomi e dei personaggi
A Umberto Galimberti. Alle sue pagine di scienza e di varia umanità
Chi non sa rendersi conto di tremila anni resta all’oscuro, ignaro, vive alla giornata.
Goethe, 1788
Ma poiché sulle sponde del Tigri e dell’Eufrate ha avuto la sua cuna l’incivilimento umano, è da ritenere probabile che là abbia avuto origine, se non ne’ suoi singoli elementi, nel tutto insieme, la civiltà neolitica, e che il suo diffondersi nel bacino del Mediterraneo coincida con uno di quei movimenti di popoli dall'oriente verso l’occidente... De Sanctis, Storia dei romani
Introduzione Preminenza del centro antico di irradiazione culturale, al quale questo libro fa costante riferimento
Queste pagine sono state scritte a testimoniare la legittimità del richiamo al mondo culturale, alle antiche lingue del Vicino Oriente, all’accadico, al sumero, per far luce sulle origini della civiltà nel nostro Continente. Sono le lingue, cioè, che dettero Voce al pensiero, alla scienza,1 al fervore religioso congiunto al fascino del misterioso nel cosmo, del quale l’uomo può sentirsi per un attimo centro, per essere sommerso, come Gilgames, nel la disperata certezza della fine di ogni orgoglio. Per l’ordine sociale dei popoli civilizzati, già alla metà del III millennio a.C., e agli inizi del millennio successivo, hanno detta to le loro leggi in quelle lingue i fondatori del diritto. L’organici tà e la chiarezza di quei corpi legislativi non ebbero mai in G re cia esemplari da porre a raffronto. 1. Azione selettiva operata fra le varie lingue di ceppo semitico Per le origini e gli sviluppi del nostro repertorio linguistico, per ciò che costituisce il nostro strumento enunciativo, va rilevato che esso risulta dall’azione selettiva operata sui suoi elementi dalle esigenze storiche dei parlanti. All’universalità dell’accadico seguirà, nel millennio successivo, la lingua aramaica, nota per la sua duttilità e la sua ricchezza. E la lingua in uso nell’impero persiano, che giunge sino all’India. Testimonianza storica di enorme rilievo per la successiva evo 1 L’etimologia di latino “scientia” è rimasta ignota finché non è apparso evi dente che scio ha il suo remoto antecedente in accadico se’ù, ebraico s i’a, tede sco sehen, suchetv. è un “vedere dopo aver cercato di scorgere”. La complemen tarità del “vedere-sapere” è confermata dal latino sapio, nel senso di “sapere come autopsia”: accadico sapiì (guardare), ebraico ?àfa (essere veggente, profe ta), della stessa base di aaf|(; (chiaro). 3
L'infinito: un equivoco millenario
luzione linguistico-culturale è l’altra lingua semitica, l’amorreo, parlata dai fondatori del grande regno di Hammurabi nei primi secoli del II millennio a.C. Tale lingua ha cancellato ogni traccia di arcaismo e di agglutinazione, ha sviluppato la flessione nomi nale e l’apofonia vocalica in funzione morfologica. 2. Oralità e scrittura Molte parole sono giunte sino a noi, come diremo, attraverso gli incontri dei popoli. Altra è però l’oralità che si identifica con la creazione quando è opera che muove fantasia, sentimento, estro, come il linguag gio della poesia o della preghiera. Il ricordo delle opere e dei giorni fu in realtà fermato nella pie tra come il grande blocco di diorite su cui sono incise le leggi di Hammurabi. Ciò che sappiamo di quei popoli del Vicino Orien te che crearono la prima grande civiltà come conquista perenne anche per l’Occidente noi possiamo leggerlo negli scritti che so no giunti sino a noi. Nessun altro popolo celebrò con parole così vibranti il fascino della propria scrittura e chiamò le costellazioni scrittura dei cieli. E se i primordi culturali di altri popoli antichi hanno certo rile vanza conoscitiva, sono o possono essere arricchimento cultura le, le creazioni dei popoli mesopotamici dal III millennio a.C. costituiscono invece per noi vita spirituale. Così ben poco ci dicono i reperti dell’India antica ritrovati a Ur, Lagas, Kis, perché prima della civiltà di Harappà sappiamo quanto fosse progredita la civiltà mesopotamica. Prima di offrire le testimonianze storiche quali fattori decisa mente positivi per gli sviluppi culturali dell’Occidente, giova forse una breve considerazione. Ai nostri giorni la linguistica ha affinato i suoi metodi di ricer ca in funzione, per lo più, di sistemazioni fonetiche. Ma lo studio sistematico, per dare sempre più rigorosa coerenza alle norme delle evoluzioni fonetiche, nulla può dirci delle reali origini e de gli sviluppi delle voci antiche e non tiene conto che nella storia di quelle voci è scritta la reale storia della nostra umanità. Tale profonda consapevolezza può scuotere solo la coscienza di uno spirito di eccezione come quello di chi fu ritenuto il fondatore della linguistica moderna. 4
Preminenza del centro antico
3. Le cadute del genio della linguistica moderna Émile Benveniste con Pierre Daix ricordò la nascita della lingui stica in Francia, auspice Bréal, con l’investitura di Saussure, ge nio della grammatica comparata: alla sua scuola si formarono Meillet e Grammont. Ma il Saussure comparatista finì col chiu dersi in un lungo silenzio, col rifiuto di ciò che si produceva nel la sua stessa disciplina, perché il linguista “non sa ciò che fa” e tutto è congetturale, ipotetico. Quel silenzio di un dubbio metodologico è una grande prova della severità morale dell’uomo. / Nelle pagine che seguono, il frequente ricorso aH’aceadico, come lingua antichissima di più larga documentazione, dispensa talora dal ricorso a lingue affini e sostituisce il rituale richiamo all’indoeuropeo congetturale dei manuali, storicamente inesi stente. 4. Le parole che crearono il mondo Ed ecco spalancarsi il paradiso dei miracoli sugli orizzonti del l’antico Eden. Vi sono parole fatte fluitare dalle onde di secoli remoti; giungono intatte sino a noi, ma non si possono accogliere solo col suono delle loro sillabe, occorre auscultarle acutamente per sentirvi dentro il loro segreto, come in una conchiglia si ascolta l’eco di oceani abissali. Una di quelle parole che hanno sfidato i millenni è “mano”, dal latino manus. Umberto Galimberti nel suo splendido Dizionario di psicologia evocò la definizione kantiana della “mano” come proiezione esterna della mente.2 Manus, che non ebbe un’etimologia, ha il suo antecedente nell’antico accadico manù (calcolare, computa re). Ne risulta la mano come strumento naturale del computo per indigitazione, quale emerge nei libri di matematica sino al Settecento. A quella antica parola accadica manù ci riconduce una lunga se rie di parole greche, latine, germaniche. Il greco |J/nvT| (luna), l’astro che guida i cicli biologici e segna i ritmi dei giorni: greco p,rjv (mese). A M.fjv'n, “luna”, ci richiama il gotico mena, antico alto tedesco mano, anglosassone mona. 2 U. Galimberti, Dizionario di psicologia, Utet, Torino 1994 (rist.), p. 562. 5
Uinfinito: un equivoco millenario
Il valore semantico di accadico manu (calcolare) torna in voci greche col senso di “ricordare”, “aver senso”: greco |j.évo / in area semitica, quel mistero si dissolva. Luft (aria) ri chiama aramaico nefa (alitare), ebraico nafah, accadico napähu (soffiare, “to blow”; e anche levarsi su, sorgere, “to rise”: detto degli astri); con lo stesso timbro vocalico di Luft, accadico nuppulju (gonfiato). 16. Il lituano sàulè (Sole) Per restare nella sfera del cielo lucente, ci conforta il nome del Sole, sàule, che ha la stessa base di latino sol,42 etrusco savlasie nella Tegola di Capua. Nei canti al Sole dei Lettoni torna l’invocazione ligo. Si credet te un derivato del verbo ligot (oscillare). Ed è ameno che in un’invocazione al Sole si chieda di giocare al pendolo. Ma la traccia lasciata dagli Sciti ci conduce al significato di “ardi!”. E conferma persino l’ebraico Iaha, lahath (ardere), ugaritico Ih (mandare scintille), come l’arabo. Altra divinità della luce mattutina è, fra i Baltici, Swayxtis, nome che in lituano ha il senso di “stella”, “primo mattino”. Attraverso l’assiro-scitico si scoprono le componenti di accadico samü (sawù: stella, luce), ugaritico ecc.;43 -xtis corrisponde ad antico babilonese kasatu (primo mattino). Per il lettone Mèness, lituano Menuo, “Luna”, occorre appena ricalcare la base remota che ce la restituisce come auspice del computo dei giorni. È la stessa base di latino manus, strumento naturale del computo: accadico manu (computare). Il gotico mena, greco |if|vr| (luna), è ricondotto, a torto, alla radice ''mé(misurare). A lituano Zaltys, il serpente verde, simbolo della forza genera trice, come il nome generico del serpente in lituano, gyvate, fu posto in relazione gyvàtas (vita, vitalità), che ha innumerevoli ri chiami in area semitica, sino all’ebraico Hajjut (vita). Mentre 41 Cosi L. Mackensen, Reclams Etymologisches Wörterbuch, Reclam, Stuttgart 1966, 42 G. Semerano, Le origini..., cit., II, s.v. sol. 43 AHw, s.v. 20
Preminenza del centro antico
Zaltys, nel significato di “vigore”, “forza”, ci riconduce alla base di accadico saltu (che ha potenza, “herrisch”), ebraico salllt (che dà potenza). Una creatura che ha testa di Zaltys e coda lucente, serpentina, Aitvaras, ci riconduce alla fecondità. Quel nome esibisce una base che ha il senso di “relativo a”, accadico attu, aramaico jat, e la com ponente -vara-: accadico arù, ebraico hàrà (essere incinta). 17. Licio e lingue dravidiche Fra le migliaia di notizie immotivate delle quali i vecchi neo grammatici inondarono le carte, emerge l’etimo della voce latina pars (parte). Essa offre già la misura di quali risultati si raggiun gano nello studio delle lingue antiche senza il sussidio delle no stre fonti, del nostro quadro di riferimento. E non solo per le lin gue lontane e di modesta frequentazione critica, ma per le nostre lingue classiche, nelle quali pars è rinviata al verbo parto (partori sco), invece che ad accadico parsu, persu (parte). Così, con tale povertà di mezzi, si fece richiamo all’indoeuro peo per chiarire voci antiche deli’area anatolica. Ad esempio, per il licio lada (signora) si fece ricorso a lingue slave e si restò lonta ni dallo scorgere in accadico alàdu (partorire) la base di Af)Sa, Ar|5r|, Leda, Latona e quindi l’antecedente di lada, accadico alit ili (madre). Così in una rapida scorsa fra le lingue dravidiche non si può la sciare inosservati il tamil atu (distruggere, uccidere) e accadico hatu (commettere delitto), semitico ebraico hata (peccare), gre co àxr| (sciagura). Tamil atu (essere insieme, accanto) e accadico adu (insieme con, appartenere a, “together with”, “pertaining to”). Tamil atai (chiudere): è persino in ebraico àtam (chiudere, “to dose”, “to shut”): si veda tamil atai (raccogliere). Tamil atu (essere conveniente): la base, come il latino conveniens, col senso di “venire insieme”: aramaico hata, ebraico àtà (venire). Tamil atukku (ammucchiare): accadico *watahu (*matàfou: le var su, raccogliere) che richiama telugu atuka (sotto il tetto, sof fitta in alto). Tamil an (parte superiore): base del greco àv-, ava, antico ac cadico anutn, Annum (cielo), sumero an (alto). Tamil anai (riva), da an-, accadico an (a, verso, avanti) e -ai, ac cadico ahi genitivo di ahu (riva). 21
Linfinito: un equìvoco millenario
Tamil annäcci (fratello anziano), da base esprimente "affetto”: accadico ennu, ebraico hén (amorevolezza) e accadico ahi, ahu (del fratello, fratello). Tamil atävati (violenza): ebraico hatti’a (delitto). Tamil atu (cuocere), ebraico hätam (essere arso), accadico hawätu (ardere). E si potrebbe continuare percorrendo in tutta l’ampiezza l’ar co del lessico dravidico.44 E non occorre aggiungere che questi esiti non escludono ricerche per approssimazioni successive. 18. Lingue anatoli che Fermano la nostra attenzione convinzioni ostentate come testi monianze certe, appoggiate alla non documentata esistenza di gruppi linguistici indoeuropei, da lungo scomparsi. Si suppone che lingue parlate nell’età del Ferro, in Asia minore sud-occiden tale, discendano da precedenti lingue anatoliche. Ammettiamo pure che sia così, ma una delle prove addotte non regge a un’at tenta osservazione. Intorno al 1800 a.C. un licio occuperebbe una cospicua carica alla corte del principe di Byblos. Lo rivelerebbe il suo nome Kuk(k)un(is) che riappare nel periodo hittita (XIV secolo a.C.).45 Gli studiosi non hanno sospettato che quello non è nome pro prio, ma la designazione di una carica importante, connessa con l’apposizione dei sigilli. E della stessa base di origine scitica co municata agli slavi: russo kntga, accadico kanlku (documento si gillato). Il compito dell’apposizione dei sigilli sarà stato alle ori gini quello del sovrano. Le voci che preludono al nome del so vrano, König, king, sono tutte riscontrabili in accadico: ma la forma alla quale dettero origine richiama la sopravvivenza in qualche zona germanica di un’eredità scitica, di un popolo che ancora poteva cogliere gli echi del tardo babilonese kanniku (chi sigilla). Il rilievo che i suffissi - v 0o q , -aaaoq compaiano in Grecia, nel le isole dell’Egeo come in Anatolia sud-occidentale, meridionale 44 Si veda T. Burrow, M.B. Emeneau, A Dravidian etymological dictionary, Clarendon Press, Oxford 1961. 45 W.F. Albright, T.O. Lambdin, in Università di Cambridge. Storia antica, cit., I, 1, pp. 182 ss. 22
Preminenza del centro antico
e sud-orientale, dovrebbe rinnovare la convinzione che la forma -v0o a XP°voi, da Pindaro a 7tóvo 5. 13 Clem. Alex, strom. V, 15 = 28 B 4 D-K = 4 Reale. 154
Parmenide
Cartesio sono, a diversi livelli, a distanze siderali. Ciò che tocca Parmenide ha il sigillo dell’eternità e coinvolge il Tutto. E qui l’uomo illuminato dalla grazia di àìkt| che insegna “come l’uom s’etterna”. Fasciato da orgogliosa solitudine, egli resta lontano dai mortali che nulla sanno, erranti, bicefali, il dubbio nei loro petti dirige un vagante spirito, si lasciano portare ottusi, ciechi, stupiti,14 stirpi insensate: Essere e Non-Essere essi ritengono identico e insieme non identico.15 «Nulla viene dal non essere, nulla può perire e dissolversi nel non essere»: è in Democrito ed è in Melisso.16 Per le implicazioni nel mondo della 'ucrtg si corre meno rischio per gli antichi pensatori a lasciar parlare essi stessi, piuttosto che Aristotele: Parmenide, dell’idea di una creazione dal nulla, ignora le sottili sofisticherie di Platone. 3. È tutto luce e notte17 Il frammento 9 di Parmenide celebra ancora l’inestinguibile pre senza dell’Essere che nella luce irradia su ogni cosa il suo domi nio, rivelandosi in ogni aspetto e in ogni forma del reale. L’Ombra, la Notte, non spegne il vigore dell’Essere come par rebbe allo spirito contaminato dai sensi: Giorno e Notte, come tutti gli opposti, ritrovano nell’Essere stesso la loro armonia con ciliatrice. La Notte è anch’essa pienezza dell’Essere, perché, come la sentì l’antico poeta, è genitrice degli dei18 ed è dalla Notte che nacquero l’Etere e il Giorno.19 E ancora nella Notte la potenza esplosiva del Caos dal quale sorge il Cosmo. Sul suo nome Notte, Nui;, N uktóq, il mistero posa ancora inviolato per la pigrizia degli ignavi che non seppero riconoscerlo nell’antica pa rola accadica nùhtu(m ), “pace”.20 Sentita dunque dai piccoli es seri come tregua e ristoro alle fatiche, perché in essa trovano in tatto il respiro della vita, per l’Essere è l’inesplorata potenza che, occulta, crea senza tregua. 14 Te0T|7tótei; (28 B 6 D-K, v. 5 = Simpl. phys. 117, 2) richiama: 0D|j.ó