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Italian Pages 160 [85] Year 2014
Dario lime:
Ifievoluzione delfinsegnante di sostegno Verso una didattica inclusiz/a EDITING ROBERTA TANZI
IMPAGINAZJONE LORETTA OBEROSLER MIRKO PAU
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© 2014 Edizioni Centro Studi Erickson S.p.A. Via del Pioppeto 24
38121 TRENTO
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Fax 0461 950698 wvWv.erickson.it [email protected] ISBN: 978-88-590-0435-6 Tinti i diritti riservati. Vietata la riproduzione mn qualfiasi mezzo ijfitruata se non previa auto rizzazione dellfditore. ,
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Indice
Capitolo primo Chiarimenti iniziali, per non essere frainteso
9
Capitolo secondo
Un°analisi critica dell°integra1ione scolastica
51
Capitolo terzo Alcune ipotesi di interpretazione delle Cause della situazione attuale
Capitolo quarto La proposta di evoluzione del ruolo dell°insegnante di sostegno
79
99
Capitolo quinto Conclusioni e qualche altra riflessione
115
Bioliografia
127
Appendice I
Linee progettuali e proposte per un nuovo approccio all°integrazione scolastica degli alunni con disabilità
133
Appendice 2
Il profilo dei docenti inclusivi dell'European Agency for Special Needs and Inclusive Education
Dario Ianes Docente ordinario di Pedagogia e Didattica Speciale all'Università di Bolzano, Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria. E co-fondatore del Centro Studi Erickson di Trento, per il quale cura alcune collane, tra cui le Guide e iMateriali. Autore di vari articoli e libri e direttore della rivista «Difficoltà di Apprendimento e Didattica Inclusiva».
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Dedieo questo libro a tutti i protagonisti delfizllimento raccontato nelle righe seguenti,
a tutti quelli che /vanno dovuto fare questa rinuncia. Assieme a loro, proviamo a capire come poter evitare situazioni come queste.
«Dopo quattro anni in una scuola normale abbiamo deciso di iscrivere nostro figlio a una scuola speciale. E stata una scelta complessa, meditata e condivisa e quelle che seguono sono alcune riflessioni scaturite da parte mia nei giorni immediatamente successivi a quella decisione. Un pensiero fatto, a mio parere, di grandi speranze ma anche di grande fatica. Quaranfanni fa, in una delle borgate più emarginate di Roma, mia madre _ fresca direttrice di una scuola elementare dove la povertà e la di-› sperazione erano all°ordine del giorno -~, con una passione e una dedizione che non ho rnai più incontrato, combatteva e vinceva la sua battaglia affinché nella scuola si affermasse e vincesse liintegrazione di tutti con tutti. Era una “rivoluzione”, e la sua battaglia le ha causato ferite e sofferenze; ma so che, ancora oggi, a 91 anni, ripercorrerebbe strenuamente la stessa strada. Ero un adolescente o poco meno, ma fu una lezione di vita e di partecipazione che non dimenticherò mai. Sono passati tanti anni e tanti sono stati i passi avanti fatti, sia nelle regole che nella naturale predisposizione di tutti verso questo senso di civiltà e
di società aperta, accogliente e solidale. Così, per una di quelle combinazioni che penso a volte confermino come non ci sia, magari, un “disegno divino”,
ma che tutto non possa essere così casuale, dopo tanti anni mi sono ritrovato sulla stessa barca. Per questo (e non solo) dedico qualche ora e qualche riga a riflettere su questi anni, su questi quattro anni vissuti in una scuola dove
Giulio ha trascorso le sue giornate e dove è cresciuto. Abbiamo fallito. Tutti. Tutti e indistintamente. Io come padre, noi come famiglia, le insegnanti, i dirigenti, le famiglie, gli operatori che a vario
titolo seguono e curano Giulio. Abbiamo fallito perché la buona volontà e le energie che abbiamo speso non erano sufficienti, in quantità e qualità.
Abbiamo fallito perché sentirci impotenti fino al punto di iscrivere Giulio a una scuola “speciale” (lo stesso tipo di scuola contro cui mia madre si batteva quarant°anni fa) significa che avevamo “speso” tutto quello che potevamo spendere. Abbiamo fallito perché abbiamo rincorso le nostre tensioni
personali e i nostri “ruoli” senza metterci abbastanza in gioco e in discussione. Lungi da me concludere che, avendo fallito tutti, non ci siano responsabilità individuali. Anche in casi di fallimenti “collettivi”, ciascuno, a mio parere, deve sentirsi responsabile e a suo modo provare a immaginare dove, come e quando ha commesso un errore, una leggerezza, una mancanza. Da parte mia ne ho riconosciuti tanti, non ho remore nel cercare di capire e provare a migliorare. Ma non siamo singoli messi insieme casual«
Capitolo primo
Chiarimenti iniziali, per non essere frainteso
mente. Non basta un esame di coscienza personale per una qualche forma
di catarsi personale. Se siamo assieme, e assieme lavoriamo sui nostri figli, non è solo perché crescano sani e educati. E perché la somma dei nostri agire sia superiore alla somma aritmetica di ciascuno di noi. Quello a cui partecipiamo con il nostro contributo si chiama “società”, si chiama “sistema valoriale”, si chiama “partecipazione” e “solidarietà”. E se qualcosa non funziona non possiamo permetterci il lusso di difenderci dietro un “ho fatto quello che potevo”, “ho fatto il mio dovere”, “ho fatto tutto con
responsabilità”. Dobbiamo avere o trovare la forza e il coraggio di andare oltre, di metterci in discussione, di interagire con gli altri che partecipano al progetto, di criticare e ascoltare le critiche.
Ci sta tutto e non lo nego: il dolore e la ferita non rimarginabile in noi genitori, la dignità professionale degli insegnanti e degli operatori, il rispetto delle regole dei dirigenti, la partecipazione emotiva dei genitori e
dei loro figli. Ma questa volta non è bastato. Questa volta abbiamo rinunciato al progetto.
Ifaltissimo valore, non negoziabile, degli obiettivi delfintegrazione scolastica Ijintegrazione vera, buona, è piena partecipazione alla normalità del fare scuola nel gruppo «normale» dei coetanei, in una classe