L'eskimo in redazione: Quando le Brigate Rosse erano «sedicenti»
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Qualche ragione per credere

Leskimo in redazione Quando le Brigate Rosseerano "sedicenti, Presentazione di Indro Montanelli

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O 1990 Edizioni Ares-Milano

Indice

I edizione Oscar saggi aprile 1998 Edizione su licenza

rsBN 88-04-45239-0 Questo volume è stato stampato presso Arnoldo Mondadori Editore S.p.A. Stabilimento Nuova Stampa - Cles (TN) Stampato in Italia - Printed in Italy

Presentaz.ione di Indro Montanelli

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Trent'anni dopo

27 Le sedicenti Brigate Rosse 30, Un invisibile Minculpop rosso - 34, "$sn6 antidivorzisti" - 37, La strategia della tensione 42, nSono fascisti mascherati> - 49, uPuri scopi dimostrativio - 51, La verità nascosta

54 Un passo indietro: Annarumma,

gli scontri

e il rapporto Mazza ó1, Gli opposti estremismi - 66, "Prefetto sciocco, oppure fazioso" - ó8, La guerriglia urbana 75, Le opinioni di Panorama - 78, Il fascista don Camillo -82,La "riabilitazione, di Mazza

85 nÈ Feltrinelli il morto del traliccioo 90, Il coro: nÈ un delitto, -99,Le cronache: oÈ un complotto> * 108, Montanelli e pochi altri 111, Lautocritica

Il nostro indirizzo Internet è: h ttp://www.mondadori.com/libri

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113 Calabresi, il ocommissarió finestra> 116,Le vignette,le bugie,le minacce- l22,Intellettuali a mano armata - 127.La sentenzadel

giudice democratico - 129, Senza pace anche da morto - 136, Caccia alle streghe - 142, Parola di sindaco - 146,Da quella finestra - 148,Dieci anni per capire - 150, il processo Sofri 155

Ramelli e Brasili, un morto di destra e un morto di sinistra 159, Ucciso un missino? *È un delitto fascistaoló1, .Solo a destra si ucciden - 163, Ma l'omicidio non ha colore

166

Quando spararono a Montanelli ló8, Il Corriere di Ottone - 170, La scissione: nasce Il Giomale - 173,I processi di via Solferino 178,Dieci anni dopo

180

Due fatti di cronaca nera 1 8 1 , Lom ic idio P a s o l i n i - 1 8 3 , u Es i s te u n ' a l tra ve rs ione. . . o- 186 , " D e l i tto p o l i ti c o " - 1 9 3 , C ontrocorrente - 195, Ed ecco che spunta Gladio 198, La strage di Doretta Graneris - 203, oVendetta contro i partigianio

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Indice dei nomi e delle testate

Presentazione

Credo, anzi sono sicuro, che quando mise mano a questo libro, Michele Brambilla non si rese conto che stava per compilare una preziosa ((comparsa> per il cosiddetto Tribunale della Storia. Io in questo Tribunale non ho molta fiducia: ancora non mi ha detto se Cesare fu più grande come statista o come awenturiero. Ma non c'è dubbio che chiunque vorrà ricostruire gli oannl di piombo, e misurare le devastazioni che quella grande ubriacatura produsse nella testa della nostra intellighenzia (inutile aggiungere ndi sinistra,: quella di destra non è riconosciuta come intellighenzia), non avrà che da sfogliare questo libro-documento. Nomi e cognomi, c'è tutto: tutto quello che bisogna sapere, e che i citati vorrebbero invece dimenticare e far dimenticare. Ecco perché a suo tempo mi stupii che Brambilla avessetrovato un editore. Intendiamoci. Non è che tutti sl'intellettuali che fiancheggiarono I'eversione lo ibbiano fatto per codardo conformismo. Alcuni erano cerlamenre in buona fede, e sono quelli che si rawidero prima del crollo delle Brigate Rosse. Ma è certo che, nel suo insieme, lo spettacolo offerto dalla cultura italiana al tempo di quella storica svolta è sconsolan-

te. E Brambilla le ha reso in fondo un prezioso servigio inchiodandola alle sue responsabilità.A futura memoria, nella speranza che la memoria servaa qualcosa. Indro Montanelli

Leskimo in redazione

Trent'anni dopo

Nota dell'autore I brani degli articoli riportati fra virgoiette in questo libro corrispondono agÌi originali. In alcuni casi, per [àcilitare la comprensione del lettore, al cognome dei personaggi citati negli stessi articoli è stato aggiunto, fra parentesi quadre, il nome di battesimo.

Quando, nel febbraio del 1991,questo libro - grazie a un piccolo e coraggioso editore - uscì per la prima volta, Massimo Fini, che non mi conosceva, scrisse sull'Europeo che ero un nkamikaze>,tanti erano i rischi cui, a suo parere, andavo incontro. Vittorio Messori, su Avvenire, si mostrò ancora più preoccupato: nOualcunoo, scrisse, nfarà pagare a Brambilla il coraggio e l'amore di verità che lo hanno spinto a compilare un'antologia di brani che tanti avrebbero voluto seppellire per sempre,). In effetti, il libro era piuttosto npoliticamente scorretto). In non piu di duecento pagine, si riportava - tra virgolette - ciò che i più importanti giornalisti e intellettuali scrissero e dissero, negli anni "caldio che seguirono al Sessantotto,sull'estremismo di sinistra e sulla nascita delle formazioni terroristiche. Ne emergeva un quadro desolante. Le grandi firme à la page del giornalismo italiano, comprese quelle delle testate cosiddette nborghesi>, per un buon decennio (diciamo fino al sequestro e all'uccisionedi Aldo Moro) si arrampicarono sugli specchi per cercare di dimostrare che, in realtà, i vari movimenti e gruppi organizzati dell'estrema sinistra aborrivano la violenza; che spranghe, molotov e - più tardi - P38 non esistevano;che ll

negli scontridipiazza era sempre e solo la polizia a menare le mani; che il terrorismo era sempre e solo ufascista, e . E tutto questo veniva scritto e spacciato per vero mentre crescevano e si consolidavano formazioni armate che awebbero poi scatenato la più massiccia, sanguinosa e duratura rivolta della storia d'Italia. Ma non era solo questo osilenzioo, o se preferite questa manipolazione della verità, a emergere dall'antologia degli articoli pubblicati sui quotidiani e sui settimanali degli anni Settanta. Emergeva anche una sorta di complicità, neppure troppo dissimulata, della nostra intellighenzia con quell'estremisrfio di sinistra, con quel progetto urivoluzionarion cui il futuro sembrava spalancare le porte. Il lettore si stupirà nello scoprire, ad esempio - ed è solo una delle tante nperler, nelle pagine che seguono -, che sotto un appello (del 1971) in cui ci si impegna (a combattere un giorno con le armi in pugno contro Io Stato fino alla liberazione dai padroni'e dallo sfruttamenton ci sono le firme, fra l'altro, di Umberto Eco, Lucio Colletti, Tinto Brass, Enzo Paci, Natalia Ginzburg, Paolo Portoghesi, Cesare Zavattini, Giulio Carlo Argan... E tanti altri. Insomma, il libro accusava la categoria cui io stesso appartengo; I'accusava di avere prima nascosto la verità, e poi, negli anni Ottanta, di aver (rimosso, quel non lieve peccato di omissione, e di aver anzi abusivamente rivendicato un ruolo determinante nella sconfitta dell'eversione. Laccusava, soprattutto, del vizio sempre ricorrente in questo mestiere: quello del conformismo. E poi si mettevano di fronte alle proprie responsabilità maîtres à penser ancora in servizio effettivo e ancora potenti, specie nel mondo dell'editoria. Lo stesso giornale in cui io, già in quel'91, lavoravo, e cioè il Corriere della Sera, non usciva certo t2

immacolato dalla ricostruzione delle cronache degli anni Settanta. Ce n'era abbastanza,dunque, per comprendere le preoccupazionidi Fini e Messori. Invece,e fortunatamente, non ci fu alcuna (quella che portava a Gianni Nardi) che non avevaalcuna consistenza. Limpatto con questi vecchi ritagli di giornali si sommò ai miei ricordi personali.Gli anni che vanno dal 1972(omicidio Calabresi,appunto) al1977 (l'ultimo della grande contestazionedi piazza) furono, per me, quelli della scuolamedia superiore. Il 1978,anno del sequestroMoro, il primo dell'università. Non ero, all'epoca,uno studente(politicamente impegnatou.Non lo ero a sinistra, ma non lo ero neppurea destra.Eppure,ricordo benequantonon fossefacile la vita per chi non era di alcun omovimento>(di estremasinistra,ga va sansdire...),per chi non andava in manifestazione,per chi non frequentavale assemblee,e via elencandoi vari riti rivoluzionari del tempo. Si venivachiamati ufasci-

sti); quando andava bene, si doveva cambiare scuola; quando andava male, si finiva al reparto craniolesi. Mi pare francamente incredibile che ancora oggi Mario Capanna insista nel negare, come fa nella sua Lettera a mio figlio sul Sessantotto (Rizzoli, 1998), la componente di violenza che carattenzzò i movimenti nati nel'ó8. Capanna dice che il terrorismo nacque, e solo nnella testa di pochin, dopo la strage dipiazza Fontana, come reazione alla brutalità con cui lo Stato volle reprimere la rivolta. È un'afferm azione, a mio parere, smentita da almeno due fatti. Il primo è che la lotta armata non fu solo un'idea unella testa di pochin. Quasi tutti i terroristi orossio uscirono dai movimenti di estrema sinistra nati nel'ó8: Prima Linea, ad esempio, era composta perlopiù da ex militanti dell'"ala dura, di Lotta Continua (oala durar, è doveroso ricordarlo, che contestava le posizioni di Adriano Sofri, contrario al terrorismo); e non erano poi così npochin, viste la quantità e la nqualità> dell'attacco che fu poi sferrato allo Stato. Il secondo fatto èche gli stessi brigatisti rossi hanno più volte ripetuto che la scelta della lotta armata fu una logica conseguenza del loro essere "comunisti, leninisti, quindi rivoluzionariu; hanno più volte detto che la guerra alla società capitalista sarebbe stata dichiarata comunque. Non c'è, nei brigatisti, quel tipico vittimismo di chi dice: "Hanno cominciato prima loror. Ma poi, l'errore - sempre a mio parere - di Capanna è quello di parlare di tenorismo ogni qual volta si accusano di violenza i gruppi di estrema sinistra degli anni Settanta. La violenza non fu solo quella di chi passò nelle fila delle formazioni clandestine tipo Brigate Rosse; la violenza fu anche quella, quotidiana, capillare, che si viveva in una scuola egemonizzata dai gruppi extraparlamentari; la violenza non fu solo quella dei kalash-

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nikov dei brigatisti, fu anche quella delle spranghe dei Katanga del Movimento Studentesco. Ecco: mi pareva che quel che ricordavo degli anni della scuola e quello che leggevo sui vecchi ritagli di giornali fosse stato sepolto, dimenticato, oppure travisato, deformato. Per questo scrissi, otto anni fa, le pagine che tra poco il lettore troverà riproposte. Per dare un contributo - certo parziale, s'intende - al ristabilimento di quella che io ritengo esserela verità. A dimostrazione che um'è andata beneo, ecco qui, addirittura, un'ottava edizione, con un terzo editore. Edizione che esce nel trentennale del Sessantotto: trent'anni dopo, dunque,l'inizio di quella ,o meglio umilitanten, è stato un'eccellentepalestra di professionisti dell'informazione.Pur con tutte le sue faziosità,l'area della sinistra in quegli anni ha allevato una generazionedi giornalisti, nello stessoperiodo in cui altri (per naltrio intendendo, ad esempio,i cattolici e i liberali) si preoccupavano più di occupare posti nei consigli di amministrazione delle banche che non di preparare comunicatori. Se oggi molti posti-chiavenei giornali sono occupati, per usare un termine infelice, da ,è ancheper questomotivo. Tuttavia, pur riconoscendoI'efficacia di quella uscuola, e pur sottolineandoil diritto-doveredi cambiare idea, è innegabile che in molti casi siamo di fronte ai classiciincendiari che col tempo si trasformanoin pompieri; o, peggio,di fronte a un ennesimo fenomeno di trasformismo. Nomi, però, qui non ne faccio.E non per viltà. Il fatto è che non ci si può arrogare il diritto di giudicarele coscienze,e di deciderechi ha cambiatoper sinceraautocritica e chi inveceper mero opportunismo. Questolibro vuole solo documentareun fatto, e cioè che in quegli anni difficili gli italiani non furono informati correttamente;non vuole emettere sentenzedi condannacontro chicchessia. Anzi, di nomi ne faccio due, ma non per accusare, bensì per riconoscere loro dei meriti che devono esserericonosciuti. Dico odevonooperché questi due nomi vengono spessocitati come nex sessantottini,che hanno fatto carriera. Il primo nome è quello di Paolo Mieli. Se fosse ancora il mio direttore, non scriverei le righe che seguono:ma, poiché non lo è più, mi sento libero di poterlo pubblicamenteringraziare senzache mi si possa sospettaredi piaggeria. Perché nrinl7

graziarlor? Perché, come ricordavo all'inizio, sette anni fa furono in molti a dire che ume l'avrebbero fatta pagare),. Bene, nelle pagine che seguono Mieli compare come firmatario di due di quegli appelli nincendiari>. Diventò, un anno e mezzo dopo l'uscita di questo libro, il mio direttore: e non solo nnon me l'ha fatta pagareo, ma ha anche manifestato concretamente di apprezzare questo lavoro. E lo debbo ringraziare anche perché la sua direzione al Coriere è stata quella che ha permesso a tutti - compresi coloro che per mezzo secolo erano stati spinti in un ghetto per-' ché ritenuti indegni di partecipare al dibattito civile - di far sentire la propria voce. Lopposto, insomma, di quella faziosità che qui si denuncia. Il secondo nome è quello di Gad Lerner. Molti gli hanno rimproverato di essere stato vicedirettore della Stampa, cioè il "giornale di Agnellio, dopo aver militato in Lotta Continua. Bene, voglio riferire, qui, un fatto che nel libro non è raccontato. Il 19 novembre 1977, dopo l'attentato all'allora vicedirettore della Stampa Carlo Casalegno, Gad Lerner e Andrea Marcenaro pubblicarono su ltttta continlta uîa lunga intervista ad Andrea Casalegno, figlio del giornalista ferito a morte. In quell'intervista - per la prima volta - si invitava tutta l'area di Lotta Continua, e dell'estrema sinistra in generale, a rivedere le proprie posizioni sulla violenza: ,.C'è il problen ,, di un profondo cambiamento nella testa di tutti noiD, scrivevano Lerner e Marcenaro. Sostenere quelle cose in quel momento, e per giunta su un giornale come I'otta continua, richiedeva un certo coraggio e una certa onestà intellettuale. "Scrivemmo di getto quell'intervistan, ci ha raccontato di recente Gad Lerner sul Corriere, nnella sede torinese di Lotta Continua, e i compagni che dovevano trasmetterla a Roma ci critica-

rono: "Aprite un casino".Poi, la notte, andammo a Mirafiori, dov'eranogià arrivate le prime copie di Lotta continua, e vedemmo che alcuni operai le stavanobruciando: non approvavanoil nostro invito alla riflessione.Per molto tempo ci dissero che facevamoil gioco dei "borghesi".Ma alla fine la nostra idea passò.E penso che quell'intervista sia servita.o Ma torniamo all'oggi.Trent'anni dopo, dunque, molti nexsessantottini>sono nella stanzadei bottoni del giornalismo italiano. Si devededurre che il Sessantottoha vinto? Direi di no, perché quasi nessunodi questi giornalisti e intellettuali sostiene più il progetto politico che sostenevaallora. Hanno, come dicevamoprima, cambiato idea o, se preferite,bandiera.Le utopie rivoluzionarie sono state da tempo accantonate,sepoltedalla stona. Politicamente,quindi, il Sessantottoha perso. Chi ha vinto, semmai, sonodellepersone,diventate classedirigente. E, oltre ad aver abbandonatoquel (progetto politico,, molti dei giornalisti e degli intellettualicitati in questolibro hanno fatto ammendadegli errori di quegli anni. Oggi, quasi più nessunosostiene che il terrorismo rossonon esisteva. Tuttavia,rimangono non poche (sacche>di soprawivenza di una certa dietrologia, di un certo vittimismo, di un certo rifiuto a riconoscere l'evidenzadei fatti. Lo abbiamo visto in occasionedel ventennaledel rapimento e dell'uccisionedi AIdo Moro. Un delitto compiuto da brigatisti rossi di cui conosciamonomi e cognomi; brigatisti che non solo hanno confessato,ma che hanno sempre rivendicato la loro sceltadella lotta armata come unanaturale conseguenza- lo ricordavamoprima dell'esserecomunisti leninisti, rivoluzionari. Bri19

gatisti che sono stati a lungo in carcere, a riprova del fatto che non si trattava di doppiogiochisti al serviziodella Reazione. Eppure, da autorevoli voci della sinistra abbiamo sentito,ancorauna volta, rilanciare Ia pista dei umisteri del caso Moror, del uperchénon l'hanno voluto salvarer,del uchissacosa c'è dietro>. . Si puÒ però tentare di alzare le antenne per cogliere qualche segnale. Mario Ceffi, quando è diventato direttore delGiornale,ha scritto che, in un cerlo senso, il rischio di un (regimeu esiste dawero. Non un regime inteso come dittatura, ha spiegato: ma, ha aggiunto, se trent'anni fa c'era una sorta di useparazionedei poteri> - la cultura alla sinistra, il governo alla Dc oggi questa distinzione rischia di non esserci più. Oggi, ha scritto Cervi, governo eintellighenzia sembrano sempre più far parte di un unico fronte. E Paolo Mieli, un uomo che non ha nascosto di aver votato per il centro-sinistra, il 19 maggio'96, subito dopo la nascita del governo Prodi, ha scritto sul Corriere un articolo di fondo significativamente intitolato ,raramente si occupò - nei primi anni Settanta - dell'eversione di sinistra. E quando lo fece, lo fece nel modo che ora vediamo. Sul numero del 15 giugno '72, Panorama, commentando fra I'altro quattro attentati dinamitardi contro altrettante ditte americane di Milano, scriveva: (Questi ultimi attentati erano firmati con manifestini scritti col pennarello, e poi fotocopiati, che si scagliavano "contro l'imperialismo americano", a favore della "lotta proletaria" e dell"'esercito rivoluzionario e comunista del Vietnam del Nord". Gli esperti di lessico politico hanno fatto notare che l'esercito rivoluzionario vietnamita non si è mai autodefinito comunista, né mai è stato chiamato così dai giornali di sinistra. Sono, se mai, quelli di destra ad attribuire la qualifica di "comunista" a tutti i governi e a tutti i movimenti di sinistran. Può anche darsi che gli oesperti di lessico politico> avesseroragione nel dubitare sulla vera matrice di quelle bombe, e di pensare che gli attentati fossero opera di elementi di destra che volevano screditare la sinistra. Ma è sineolare il metro di

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Un invisibile Nlinculpop rosso

giudizio utilizzato per valutare a priori le nfirmeo alle imprese terroristiche: se la rivendicazione era di fascisti, non v'era dubbio che il gesto fosse stato compiuto da fascisti; se viceversa era di sinistra, era chiaro che la rivendicazione era falsa, e che l'attentato era stato opera di fascisti che volevano gettare discredito sulla sinistra. Questa unilaterale interpretazione dell'na chi giova?o che accompagnava ogni discussione sugli episodi di violenza è stata, come vedremo, una tragicomica costante nella prima metà degli anni di piombo. Sempre a proposito di quelle bombe a Milano, nello stesso articolo di Panorama si scriveva: nl-e ipotesi più probabili sono sempre le stesse due: gruppuscoli della sinistra extraparlamentare che, puntando sul tanto peggio tanto meglio, sperano con le bombe di ottenere quell'importanza che non hanno in campo politico; oppure una manowa della destra estrema che col terrore cerca di scuotere il Paese, di provocare indignazione e di ottenere quindi credito con la sua continua, proclamata difesa dell'ordine.n Seguivano 48 righe per dimostrare che era questa seconda ipotesi la più verosimile. Ancora Panorama (12 luglio 1973) dedicò (annunciandolo con richiamo in copertina) un servizio sulle Brigate Rosse. Quattro colonne in tutto, e quindi ben più modesto rispetto a quelli riservati alle ntrame fascister. Il titolo era oA tutto sequestro>. Nel sommario, dopo aver elencato le ultime imprese delle Br, si diceva: uChi si nasconde dietro questa organizzazione?o. Nel pezzo si rispondeva così: "Molti continuano a domandarsi se le Brigate Rosse siano effettivamente un gruppuscolo esasperato dell'estrema sinistra, un'organizzazione di estrema destra camuffata, o se addirittura qualche gruppetto nazimaoista o fascista non abbia usato 52

la sigla e i metodi delle Brigate Rosseper aumentare la tensione a Milano, proprio nei giorni in cui si sta formando il nuovo governo di centro sinistrar. Il 16 dicembre del '73 I'Unità pubblicò sulle Br un servizio dal tenore non molto diverso. Sopra il tiJolo nProfessionisti della provocazioneu, c'era un occhiello in cui compariva, e non era la prima volta, I'espressione"sedicenti Brigate Rosseo.Alla voce Oggi che sappiamo cosa furono le Br possiamo fare una critica a quelle interpretazioni. Ma il teorema secondo cui i brigatisti sarebbero stati . oBrigate Rosse: ma chi sono? Il loro motto è 3 molotov al giorno", era il titolo di un pezzo di Marco Nozza pubblicato il 20 gennaio 1976 dal Giorno. nDa sei anni', scriveva Nozza, "ci poniamo le stessedomande. Chi sono? Chi c'è dietro? Chi li muove? Come mai si agitano appena i fascisti sono smascherati o hanno l'acqua alla gola? Come

gani democratici di controllo politico dello Stato, che molti paesi non troppo lontani da noi sono passati dalla democrazia alla dittatura militare,. Nel ncatenaccioo,ossia nella riga sotto il titolo, si usava l'espressione(strategia della tensione, in riferimento alle imprese delle Brigate Rosse.E "strategia della tensione>, in quegli anni, aveva un significato che nessun lettore avrebbe potuto equivocare. Cinque giorni dopo, sulla Stampa, Furio Colombo scrisse che "[...] Le Brigate Rosse intervengono sempre nei momenti tesi in cui c'è già ansia e paura... Ansia e paura aumentano. E la gente tende a chiedere protezione e maniere forti. Per esempio durante la sospensionedelle trattative sindacali della Fiat e durante certi delicati momenti elettorali,. Lossessione del colpo di stato fascista non risparmiò neppure Il Popolo, giornale ufficiale della Democrazia Cristiana, che il20 febbraio 1975 (articolo nLefficienza militare delle Brigate - Chi c'è dietro,) a firma Alberto Guzzi) scriveva: "Ci si deve chiedere, dopo aver rammentato una volta di più Ia priorità del pericolo fascista, se dawero si possa sottovalutare la forza dell'organismo estremista di colore opposto). Dopo cinque anni di imprese brigatiste, il giornale della Dc pensava dunque che oci si doveva chiedere se dawero si potevano sottovalutare>, queste Br, e comunque era quella nprioritàn a fare la differenza. Non bisogna stupirsi. Era difficile non lasciarsi coinvolgere, e travolgere, da un'unanimità e da un conformismo dell'informazione forse senza precedenti. Il Corriere d'Informazione il6 giugno 1975 pubblicò un commento di Guido Gerosa al rapimento dell'industriale piemontese Vallarino Gancia, un sequestro firmato e rivendicato dalle Br. 38

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le vecchie leve del terrorismo, quelle di piazza Fontana e dell'Italicus e, anche e soprattutto, dalla fine dei finanziamenti che avevano allevato e nutrito l'eversione di destra.o nMa il flussor, scriveva ancorq Silvano Costanzo, .può riprendere da un momento all'altro, nell'illusione, folle, di poter argin:lre, con una violenza uguale e contraria, l"'esercitof' dei b-rigatisti'" Il pericolo era dunque la ripresa del terrorismo di destra, secondo kt Stampa. Eravamo nel luglio '77. Meno di un anno dopo ci sarebbestata via Fani; e poi un'interminabile serie di omicidi, per tutti gli anni Ottanta. Un npiano di guerran firmato Brigate Rosse. Nel marzo'78, subito prima del sequestroMoro e pochi mesi dopo quell'articolo della Stampa, qualcuno cominciava a capire che la realtà era diversa' Giorgio Bocca pubblicò sull'Espresso-unsuo com*"nio col titolo ulnfiltrati? - inevitabile, però"'o' Scriveva: ol-e Brigate Rosse di Renato Curcio e di Alberto Franceschini,per dire quelle un po'romantiche un po'partigiane fra il 1970 e il1974, hanno subìto certisiimi condizionamenti stranieri"' Nel seminario segreto di Lotta Continua e in parecchie occasioni sul giornale del movimento si sono fatte, come si è detto, chiare allusioni al serviz'io segreto cecoslovacco.È un'ipotesi credibile? E per quali rasioni dovrebbe esistereun'intesa fra le Brigate Rosí" r.r.tservizio che certamente fa capo al Kgb, la " polizia segreta sovietica? Noi evidentemente non iappiamoiulla di preciso. Le ragioni però potrebbero essere queste, semplicissime: nessuna organizzazionerivoluzionaria di un paese subalterno è oggi in grado di soprawivere p-sicologicamentepiù cÉématèrialmente, se non sa o spera di avere un appoggio imperiale, se non sa o spera che uno dei pot".ttl a"nuìerra riuscirà prima o poi a salvarlao'

mai escono dai propri covi solo alla vigilia delle elezioni o dei referendum? Come mai vogliono esattamente quello che vuole fFranco] Freda?u E più avanti: opig.i giorni dopo il sequestro Macchiarini, l'editore Giangiacomo Feltrinelli cade, o viene fatto cadere, al traliccio di Segrate. Sparisce [Carlo] Fioroni, che pare uno dei capi delle Br. Sparisce [Giuseppe] Saba,che viene poi trovato in uno dei covi milanesi, il covo di via Subiaco 7. Con Saba (che si professa"tupamaro autentico", "erededi Feltrinelli") salta fuori Viel. Augusto Viel, esponente della banda maoista genoveseche ha sulla coscienza il rapimento di fsergio] Gadolla e l'assassinio di fAlessandro] Floris. Capo di quella banda: fDiego] Vandelli. Vandelli è fascistan.Ergo... I pregiudizi sono duri a morire, e così ancora nel'77 si poteva leggere, sulla Stampa, che il terrorismo finto rosso doveva essereinterprerato come il segnaledi un prossimo colpo di Stato di destra, o comunque di una svolta reazionaria. Larticolo, pubblicato il 18 luglio 1977 a firma Silvano Costanzo, era intitolato nPerché dilasano brisatisti rossi e altri gruppi - Dietro gli attentati unliano di guerra". Si partiva dal '68: uEra un progetto per una società comunista, con strumenti legali, di massa, democratici, anche se spesso,a torto, criminalizzati. Era, lo si voglia o no, una tensione ideale, con una meta a tempi medi, che faceva diretto riferimento ai gruppi della nuova sinistra, ma anche al partito comunista,. Poi erano entrate in azione le Br, i Nap, Prima Linea. nSono,in molti), proseguiva In Stampa, E si leggevaancora in quell'articolo: nPeril Psi un severo giudizio di condanna è stato espresso dal sottosegretario alla Difesa onorevole Michele Pellicani. "Noi non sappiamo nemmeno cosa siano le fantomatiche bande rosse di cui qualcuno si è affrettato a parlare, dice Pellicani, ma da qua'siasi parte venga la provocazione è necessariotrattare simili episodi come atti di banditismo comune"'. Sulia prima pagina del Corriere della Sera di venerclì3 maggio 1974 spiccavaquesto titolcl: nSedicenti Brigate Rosse in azione a Milano e a Torino,. Subito sotto, due articoli di cronaca. Il primo cominciava così: nA Milano un commando di cinque giovani delle sedicenti "Briga : Rosse"ha fatto irruzione ieri sera...,. Nella seconda cronaca si ripeteva, ancora una volta, il sospettoche le Br fossero al servizio di chi voleva l'abrogazione della legge sul divorzio: nEstremisti delle Brigate Rosse o provocatori politici i due uomini che stamattina a Torino hanno fatto irruzione negli uffici del deputato democristiano Giuseppe Costamagna, immobil izzandolo e

Erano passati tre anni e 24 giorni dalla pubblicazione dell'articolo nLeterna favola delle Brigate Rosser, in cui lo stesso Giorgio Bocca ironizzava sulla presunta esistenza delle Br.

" Sono fascisti mascherati>, La negazione della violenza di estrema sinistra non avvenne solo attraverso i nfondi, dei commentatori, ma anche nelle cronache. Soprattutto nelle cronache, perché da quelle i commentatori prendevano poi lo spunto per scrivere. Ogni voltarche le Br entravano in azione, entravano in azione anche eserciti di cronisti pronti a indiri zzare I'irrformazione. Ll l dicembre del 1973 i lemori del Giorno furono informati del sequestro del cavalier Ettore Amerio, direttore del personale della Fiat auto (un sequestro organizzato, compiuto e subito rivendicato dalle Brigate Rosse),nel modo sequente. Il titolo del pezzo era: nsono bri; risti rossi o giustizieri neri?r, e nel sommario si leggeva: nI magistrati stessi che da anni si occupano delle "Brigate Rosse" non sono riusciti a scoprire chi ne faccja parte - Sotto quell'etichetta potrebbero agire gli estrernisti nerio. Il pezzo era dell'inviato Filippo Abbiati. Eccone alcuni stralci: nI problemi però restano intatti, legati all'interrogativo su che cosa siano queste fantomatiche "Brigate Rosse",sui nomi dei loro componenti, sul colore politico che le alimenta... I fantomatici "brigatisti rossi"... Chi sono allora? Che cosa vogliono?!...1 "Nessuno è convinto che si tratti di "Brisate Rosse" autentiche. Il giudice che si è occupato-del sequestro di Michele Mincuzzi non esitò a suo

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Lo stesso settimanale, Il Mondo, il numero seguente (9 maggio) pubblicò u1 nRapporto segreto sulle Brigate Rosse", preceduto da questo interrogativo: oQual è il vero colore politico dei guerriglieri?". Si leggeva poi nella presentazione del rapporto: oQual Cll u"to colore politico dei commandos, al di là dell'etichetta rossa che appare sempre più di comodo? Perché la strategia del caos ricompare puntualmente in ogni momento cruciale della vita àel Paese:alla vigilia delle elezi'ni del 1972 e, di nuovo, oggi, quando mancano pochi giorni al referendum sul divorzio?r. E piu avanti: .La lettura del verdetto fu accolta con app rusi e saluti col pugno chiuso dagli imputati e da alcuni awocati difensori. Un anno dopo, le polemiche sul . Si cominciava col ricordo della morte dello studente di sinistra Roberto Franceschi, ucciso dalla polizia. Volontariamente? Numerosi processi lo ha.rrro escluso, avendo i giudici stabilito che Franceschi fu raggiunto da un colpo sparato dagli agenti durante gli icontri. Ammesso che i giudici abbiano deciso pèr l'.incidente> per mancanza di indizi diversi, opeggio, per non voler infierire sulla polizia, nulla convalidava la tesi di Panorama, che parlando di un colpo sparato alla nuca faceva pensare, anche senza dirlo, a un'esecuzione di tipo nazista. o[...] Franceschio, scriveva infatti Panorama, "era caduto da mezz' ora davanti all'Università Bocconi di Milano, ferito a morte da un colpo di pistola alla nuca sparato dalla polizia, che la massima autorità della provincia, il prefetto Libero Mazza, non ancora infbrmato della gravità del fatto, veniva applaudito la sera di martedì 23 gennaio, da un centinaio di soci del Rotary Club nella sala dei banchetti delI'Hotel Continental, un albergo di lusso lontano trecento metri da PiazzaDuomo. o oll suo discorsor, proseguivaPanorama, ntremila parole non interrotte nemmeno da un colpo di tosse nonostante il fumo delle sigarette stagnante nella sala ("La crisi d'autorità investe come un vento impetuoso e demolitore lo Stato, la famiglia, la sóuola, I'azienda, la fabbrica, la Chiesa") éra stato lapidario: I'ordine pubblico, problema numero ,lttó deilu città, che ha fatto di Milano la capitale italiana della violenza politica, lo si poteva risolvere solo col pugno di ferro.'

Era dunque il prefetto Mazza il protagonista, negativo, di quel servizio: nSessantaquattro anni, toscano, ex ufficiale di Marina, capelli quasi bianchi, accuratamente pettinati e arricciati alla nuca ("Luomo giusto al posto giusto", dice di lui Franco Maria Servello, deputato e commissario straordinario del Msi a Milano, tre pistole e tiro a segno tutte le mattine), il prefetto Mazza a Milano dal 196ó è l'ispiratore di questa strategia...>. Non poteva mancare un riferimento al solito rapporto: . oDa quel momento>, si leggeancora, ul'ufficio politico della questura, sotto la guida di Antonino Allegra e del commissario Luigi Calabresi cominciò a schedare freneticamente il maggior numero possibile di elementi dell'ultra sinistra e a reclutare informatori all'interno dei gruppi di estremadestra.) Questa della collusione fra istituzioni e fascisti era una fissa, in quel servizio, in cui si leggeva an9612; nfRoberto] Bravi ferì in via Larga il9 ottobre '70 lo studente di sinistra Giovanni Manzelli che dovette essere ricoverato all'ospedale e portato in sala operatoria. Arrestato per tentato omicidio e porto abusivo d'armi, Bravi fu rimesso in libertà qualche giorno dopo dal sostituto procuratore Óiovanni lin realtà si chiama Ferdinando, n.d.a.] Pomarici perché secondo il magistrato il giovane fascista aveva agito per legittima difesa. Contemporaneamente, Pomarici incriminò Manzeì,li per falsa testimonianzan. C'è da chiedersi quali elementi avessel'articolista per esserecosì sicuro che Bravi fosse colpevole e Manzelli sincero. C'è da chiederselo, perché non lo scrisse. Ancora Panorama del 1' marzo'73: ..Una manifestazione antifranchista dell'Anpi, l'unica autorizzata dalla questura rispetto alle alt3

tre tre in programma (una dei neofascisti che volevano celebrare una messa in suffragio di Annarumma, un'altra del Movimento Studentesco in piazza Fontana ela terza degli anarchici), si stava concludendo regolarmente in piazza Duomo quando un migliaio di extraparlamentari formarono il corteo. La polizia, al comando del vicequestore Luigi Vittoria, li bloccò sospingendoli verso la Statale, già presidiata dal servizio d'ordine del Movimento Studentesco. Lo scontro fu violento. Gli extraparlamentari rovesciarono dieci auto in sosta, tirarono e scagliarono contro i poliziotti biglie di vetro con le fionde. Nello spazio di mezz'ora la battaglia raggiunse via Larga dove erano schierati cento carabinieri. Da uno di essi partì il candelotto sparato all'altezza d'uomo che ammazzò fSaverio] Saltarelli. o Panorama continuava a sostenere una tesi, e cioè che la polizia interveniva solo per sedare i tumulti dell'estrema sinistra: "Pochi giorni dopo in piazza San Babila, nel cuore di Milano, centro della violenza nera... i fascisti, stivaletti a punta, golf di cachemire e una certa pratica di karate, hanno picchiato passanti isolati... Molto spesso è capitato che la polizia sia rimasta impassibile o sia intervenuta soltanto a bastonatura ultimata. o Nello stesso servizio, oltre alla cronaca della guerriglia milanese, c'era un'nopinione>: quella di Uberto Scarpelli, professore ordinario di filosofia del diritto all'università di Torino. Il titolo era: ul-a violenza nella scuolao. Ne leggiamo un brano, dedicato alla violenza di sinistra: nNon è, generalmente, una violenza fisicar, scriveva il professore, ul.e opinionio, rubrica fissa di Panorama, meriterebbero quasi un capitolo a parte. Lo risparmiamo al lettore, limitandoci a una breve antologia. Giorgio Galli, oUn certo clima politicoo, 28 settembre'72: oA mio giudizio, tutti i fatti cosiddetti inspiegabili sono suscettibili di una spiegazione complessiva: chi sapeva molte cose e sarebbe potuto intervenire, úon ha usato quanto sapeva e non è intervenuto proprio perché voleva che questi fatti accadesseroe non potessero esserechiaramente spiegati in tempo utile. Si creava in tal modo nel Paeseun'atmosfera e una situazione che portavano necessariamente a uno spostamento verso destra dell'opinione pubblica e delle forze politiche. Elemento essenzialedi questa strategia era la protezione o almeno la tolleÍanzànei confronti del terrorismo di destra., Giorgio Galli, uBombe fasciste e colpe Dc,,, 2 novembre'72: giudizio, la tensione sociale della fine "A mio degli anni Sessanta,sfruttata da una destra che ha abbinato iniziative terroristiche e pretese di rispettabilità parlamentare, è la conseguenza sia 75

dell'insufficiente capacità riformatrice del centro sinistra, sia dello spazio che è stato concesso a una destra di ispirazione fascista sin dall'entrata in vigore della Costituzione repubblicana.o Antonio Carbonaro, docente di sociologia all'università di Firenze, uPerché vedono 16ss6o, 2ó aprile'73: uQuel tipo di violenza e di intolleranza, che poggia su un supporto qualunquistico o indifferente o compiacente di una parte dell'opinione pubblica e sulla lentezza o incerrezza degli interventi del governo, della magistratura, delle forze dell'ordine, si qualifica per estremismo di destra (conservatore, reazionario e cinico), che non ha nulla in comune con I'estremismo di sinistra. uQuestrultimo infatti nelle forme in cui si manifesta nei movimenti extraparlamentari ed extrasindacali denota certamente un'ingenua'e imprevidente esaltazione dello spontaneismo, ma non fa leva su pregiudizi razziali; esercita la libera critica culturale e del costume; non è conservatore bensì innovatore; ha una concezione ottimistica della natura umana; non esalta il gregarismo, anzí reagisce a ogni autorità imposta dall'esterno; crede nella possibilità di realizzare l'eguaglianza sociale; non esclude nessun gruppo dal processo di emancipazione e si sforza di indicare e promuovere nuove forme di solidarietà sociale.o

sembrava una fortezza assediata, tante erano le forze dell'ordine che la presidiavano. Ma nessuno ha stabilito un controllo attorno alla questura a un anno dall'assassinio di Calabresi, ucciso pochi giorni dopo che gli era stata tolta la guardia del corpo. Uno dei più noti pregiudicati di Venezia, dall'aspetto e dal volto di un uomo anche più logorato di quanto comportino i suoi 40 anni, ha potuto giungere in Italia col passaporto di un altro (Massimo Magri), nel quale risultava più giovane di vent'anni, e con almeno una bomba in valigia; ha potuto prendere alloggio e stare tre giorni a Milano, e attendere davanti alla questura il momento più opportuno per lanciarla in un giorno in cui la soweglianza avrebbe dovuto essere intensa, senza che nessun controllo abbia disturbato la sua azione.o Giorgio Galli, nUn tritolo che viene da lontanoo, L5 agosto'74: *[...] a lungo il famoso servizio affari del ministero dellTnterno ha intralciato le indagini sul terrorismo anzichó accelerarle. E chi sono i ministri che in base alla Costituzione hanno la responsabilità politica di queste "deviazioni"? Eccoli sempre lì: lMariano] Rumor, lPaolo Emiliol Taviani, [Giulio] Andreotti, [Mario] Tanassi, con qualche parentesi dei lFranco] Restivo e dei lRoberto] Tremelloni... Per questo le bombe vengono da molto lontano.r,

Giorgio Galli, uUn anarchico al momento giustoo (commento all'attentato compiuto dall'anarchico Gianfranco Bertoli alla questura di Milano: quattro morti fra i passanti),24 maggio '73: uGianfranco Bertoli è stato venti minuti sul luogo dell'attentato senza che nessuno controllasse né lui, né altri. Ci sono stati giorni in cui Milano

A parte i'apologia dell'estremismo di sinistra del professor Carbonaro, che non sfiora nemmeno I'argomento della violenza, dalle uopinioni' di Panorama emerge sempre il concetto di un'unica regia: il terrorismo è di Stato o ha coperture di Stato; lè bombe fasciste sono fasciste, quelle anarchiche

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(caso Bertoli) sono state agevolate da un apparato deliberatamente permissivo, che aveva bisogno di un mostro rosso da dare in pasto all'opinione pubblica. Persino per l'omicidio del commissario Calabresi si lascia intendere (oOpinione, di Galli del24 maggio'73) che le istituzioni abbiano organizzato I'agguato o permesso che venisse organizzato: ([...] ncciso pochi giorni dopo che gli era stata tolta la gr-rardiadel corpoo. Come dire: lo hanno lasciato indifeso e, guarda caso, gli assassinihanno agito perché ne hanno a\uto la possibilità. Il commissar-iodi polizia Luigi Calabresi non ha mai avuto una guardia del corpo.

Il fascistadon Camillo Restiamo ancora un po' su Panorama. E sempre sulla strage compiuta il 17 maggio'73 dall'anarchico Gianfranco Bertoli davanti alla questura di Milano. Il24 maggio seguente il servizio di Panorama era intitolato nSangue a Milanor. Ouesto il sommario: nHa un colore politico la bomba lanciata da Gianfranco Bertoli, pregiudicato e sedicente "anarchico individualista"? Quel che è certo è che il suo gesto orrendo ha ricreato un pericoloso clima di tensione e ha consentito al neofascismo di cercare un alibi ai suoi molti delitti,. Come mai dopo le bombe fasciste non si faceva lo stesso ragionamento, dicendo che il ngesto orrendo ha consentito) una strumentalizzazione questa volta di sinistra? Panorama non impiegò molto a far quadrare il cerchio. Sul numero successivo- il 31 maggio'73 si riuscì a dare del fascista anche a Gianfranco Bertoli. Titolo del servizio: oChi vuole il caos,. Sommario: attentati, tanti morti. C'è un piano preci"Tanti 78

so perché non si facciano alcune riforme fondamentali? C'èuna trama per ingigantire pericoli a sinistra e convincere gìi italiani che solo a destra ci sono ordine e tranquillità? Partendo dal caso del terrorista Bertoli cerchiamo di dare una risposta a questedomander. Il titolino sotto era: nUn anarchico troppo nero,,, riferito owiamente a Bertoli. Delle bombe, purtroppo, sappiamo poco o nulla, e tutte le ipotesi hanno diritto di cittadinanza. Soprattutto quelle sul coinvolgimento di uomini dei servizi segreti:i sospetti sono pesanti,e sarebbeingenuo negare l'esistenzadi una strategia della tensione. Ma è quell'unica matrice del terrore, quell'unica regia, che è un'ipotesi sconfessata dai fatti. Ouanto a Bertoli, poi, va osservato che fu condannato all'ergastolo, e ancora oggi si trova in carcere. Se fosse stato un nfascistaal soldo dei servizin, se fossestato insomma un doppiogiochista,i suoi protettori gli avrebbero garantito, evidentemente, un futuro migliore. Gianfranco Bertoli è ancora dentro, e dopo venticinque anni in cella continua a dirsi nanarchicostirnerianoll e a rivendicare il suo gesto. Non ha mai detto di esserestato (usato, da qualcuno che poi lo ha tradito. Allora, però, sulla quasi totalità dei giornali, era quella dell'nunica matrice> del terrore l'ipotesi più accreditata. Anche don Camillo, in quell'Italia, era da me"ere al bando. Troppo reazionario. Il 15 agosto del 1974 così scriveva, nel suo editoriale, il direttore di Panorama Lamberto Sechi: oll tritolo che ha ucciso 12 cittadini qualsiasi a San Benedetto Val di Sambro è dawero un tritolo che viene da lontano... È un tritolo che viene prima di tutto dal modo in cui la Dc ha gestito fino a oggi l'ordine pubblico in Italia, pretendendo che i 79

servizi segreti, le polizie, parte della magistratura, la Rai-tv e molti grossi giornali vi si allineassero. Ecco come è nato il clima psicologico favorevole ai gruppi eversivi., Per spiegare quali aiuti la Dc dava ai gruppi eversivi fascisti, Lamberto Sechi elencava questi fatti: oQuando un lMassimo] De Carolis, capogruppo Dc al consiglio comunale di Milano, aderisce alla Maggioranza silenziosa e sfila a fianco dei fascisti, dà automaticamente coraggio a qualche folle bombarolo. Quando il Dc Eugenio Cefis, presidente prima dell'Eni e poi della Montedison, sceglie come grande amico il senatore missino Gastone Nencioni, editore di un settimanale fascista che sputa ogni settimana sulla democrazia, i bombaroli e i loro tirafili sono automaticamente autorizzati a sentirsi coperti anche ad alto livello. per la ge"Quando la Sipra, azienda di Stato stione della pubblicità, garantisce all'editore Rusconi feditore del settimanale Gente,n.d.a.] un numero di miliardi sproporzionato rispetto alìa tiratura dei suoi giornali solo perché è un editore di regime, grande amico dei ìeader Dc, qualificato politicamente dall'aver pubblicato sul suo maggior settimanale una serie di articoli sulla Resistenza (presentata come un'accolita di assassini) scritti dal repubblichino Giorgio Pisanò, perché non dovrebbero i folli bombaroli neri sentirsi i veri protagonisti dell'Italia di oggi? nQuando Il Giornale, finanziato da Cefis, commemora nel settimo anniversario della morte Giovanni Guareschi, un uomo che ha dedicato la maggior parte della sua vita alla denigrazione dell'antifascismo e della Repubblica, qualsiasi fascista ha diritto di sentirsi, nonché giustificato, riverito, degno di un medaglione su uno dei molti (ormai quasi tutti) giornali di regime.o

Quale fosse il (regime) a cui erano assoggettati i giornali di allora, è oggetto di questo libro. Per capire quale fosse il clima di quel tempo, il lettore consideri che bastava commemorare, nell'anniversario della morte, uno degli autori più amati dagli italiani (quel Guareschi creatore di don Camillo e Peppone), per essere ritenuti non solo dei fascisti, ma addirittura dei complici morali dei bombaroli che sterminavano innocenti su treni. Settimanale gemello diPanorama è sempre stato L'Espresso.Camilla Cederna-di cui ci occuperemo anche più avanti, a proposito del caso Calabresi teneva sullEspresso una rubrica fissa, nll lato deboleo, in cui si occupò più volte della tensione e della violenza che awelenava l'Italia, e Milano soprattutto. Nel 1977, intervistata da Lietta Tornabuoni per presentare la pubblicazione della raccolta, in un volume, dei suoi articoli, Camilla Cederna ribadì tutte le sue convinzioni di quegli anni: nAndavo a vedere gli anarchici (anche Valpreda) in sciopero della fame davanti al Tribunale, vedevo il commissario Calabresi arrivare coi suoi e picchiarli durissimamente. Assistevo al processo degli anarchici, e lì veniva fuori che era tutta una montatura, che erano i poliziotti a metter loro in tasca droga o bigliettini compromettenti, che uno importante della polizia li caricava in macchina , notte e li portava sull'autostrada promettendo per spaventarli: Adesso ti metto sotto, ti ammazza, poi dico che è stato un incidente. Sentivo che soprannominavano Calabresi Commendator Finestra, perché accompagnava gli interrogati vicino la finestra dicendo loro: Vediamo se sei coraggioso, se ti butti giù [...]. nHo capito allora I'ingiustizia. È nata e cresciuta in me la passione per la politica a Milano, per la ricerca dellaverità ela difesadellagiustizianella mia città [...]. 8l

(La sera dopo cena uscivo, ma per andare all'università assediatadi poliziotti in grande assettoguerresco,che picchiavano gli studenti con le catene [...]. nNei grandi cortei del 1969, 1970,1971,vedevo la guerra: i gas asfissianti, gli studenti pestati, le azioni di commando.o Ouanto fossero vere molte di queste affermazioni, specie quelle sul commissario Calabresi, lo vedremo poi. Per ora non si può non registrare un fatto: che Camilla Cederna, e Panorama e tanti altri, "vedevano) una polizia degna di una dittatura sudamericana, che picchiava con catene studenti inermi, ma non vedevano I'altra violenza, della quale non seppero presagire i tragici sviluppi. Rileggendo i giornali di quegli anni non si trova quasi mai un awertimento di questo tipo: attenzione, c'è anche una violenza di sinistra, che si sta organizzando e che può degenerare. Come poi degenererà. Non occorreva avere doti profetiche, per dire una banalità del genere. Bastava fare i cronisti. Una grande verità, nell'intervista con Lietta Tornabuoni, Camilla Cederna l'ha senz'altro detta, smentendo Lamberto Sechi che vedeva un'informazione manipolata dal nregime, democristianfascista: nDa un certo momento in poi chi non la pensava come me? Mi premiavano persino, mi davano il Premio Palazzi per il coraggio, il Premio ammise la Cederna, Omegna della Resistenza>>, anche se poi aggiunse il rammarico per l'assenza di uprefetto, sindaco, comandante dei carabinieri, alle cerimonie per le sue premiazioni.

Stampa un articolo intitolato "W il prefetto), che rappresentò uno dei pochi commenti che, per il contenuto, non avrebbero vinto alcun premio.

Il 20 aprile del 197l, all'inizio delle polemiche sul rapporto Mazza, Carlo Casalegno scrisse sulla

Scriveva Casalegno: "Vedere nelle quattro pagine di un'ormai vecchia relazione confidenziale una manovra reazionaria, è costruire un falso propagandistico. nSi rimprovera al prefetto di rivelarsi sollecito all'ordine pubblico, cioè di far bene il suo mestiere... Il rapporto riassume dati che ogni lettore di giornali già conosce, e che ogni abitante del centro di Milano può confermare [...]. uAltri deplorano I'allusiva indicazione a una prevalenza numerica dell'estrema sinistra. Ma è un dato che risponde a verità [...]. nMa forse il prefetto è condannato soprattutto pel avere accolto la tesi degli "opposti estremismi" [...] nI prefetti, i questori, i magistrati, lo stesso ministro dell'Interno non possono discutere i fattori morali e storici, quando le idee sono appoggiate dai manganelli o dalle bombe, e si importano nelle nostre città i metodi di guerriglia indocinese o cubanao. Carlo Casalegno, che sarà poi assassinato dai terroristi di sinistra, fu dunque uno dei pochi a dare solidarietà al prefetto Mazza.Il quale, per ottenere la propria uriabilitazionen pubblica, dovette aspettare molti anni. Dovette aspettare l'awerarsi della sua profezia. Solo quando * ripetiamo, dopo il delitto Moro - tutti si accorsero di cos'era il terrorismo di sinistra, anche uno come Mazza poté essereriaccolto nella società civile. nParla Mazza, il profeta non creduto del terrorismo che insanguina I'Italiao, titolò /-a Stampa -l'8 maggio del 1978 - un'intervista con Libero Mazza, che da quattro anni non era più prefetto.

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La "riabilitazione"

di Mazza

, era ormai considerato una presenza irrinunciabile per capire il presente partendo dal passato. Ancora il Corriere della Sera, nell'ottobre dell'85, lo intervistò quando furono arrestati gli assassini (di Avanguardia Operaia) del giovane missino Ramelli. Mazza disse in quell'occasione che l'aver sottovalutato quanto accadeva nelle scuole e nelle piazze ha avuto come conseguenza il terrorismo: ul-a sua matrice è in quegli anni. All'inizio non solo non è stato contrastato, ma addirittura favorito. E quando è stato valutato nei suoi reali pericoli era troppo tardin. Purtroppo, Mazza andava ascoltato quando era prefetto. Quando gli dissero che la teoria degli opposti estremismi era (espressione di rozzezza culturaleu (il deputato socialista Riccardo Lombardi). Quando nei cortei, a Milano, si gridava: *Mazza, ti impiccheremo in piazzar,.

uÈ Feltrinelli il morto del traliccioo: il titolo, a nove colonne, apriva il Corriere della Sera di venerdì 1,7marzo 1972. La notizia meritava tanto spazio. Il giorno prima la polizia aveva scoperto che I'uomo trovato morto mercoledì 15 marzo sotto il traliccio numero 71 di Segrate - dilaniato dallo scoppio di una carica di dinamite - era Giangiacomo Feltrinelli, industriale ed editore plurimiliardario, che da due anni si era dato alla clandestinità. Addosso al cadavere gli inquirenti avevano trovato un documento, intestato a un inesistente Vincenzo Maggioni, impiegato di Novi Ligure. Poi, la notte stessa, al commissario Calabresi era venuto un dubbio. Calabresi telefonò, da casa, ai suoi superiori: "Guardate la foto di Vincenzo Maggioni, e provate a mettergli un paio di baffi...,. Con un paio di baffi, Vincenzo Maggioni diventava Giangiacomo Feltrinelli. Lidentificazione della salma, a opera dei familiari, dissipò ogni incertezza residua. Dunque Feltrinelli, il misterioso Feltrinelli che da tempo non dava più notizie di sé, era mono in un modo che mai si sarebbe potuto immaginare

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uÈ Feltrinelli il morto del traliccio"

per un uomo del suo (elevatissimo)livello sociale' bh. fort. un nmiliardario rosso>, innamorato di Fidel Castro e della rivoluzione cubana, lo si sapeva. Che avessedichiarato guerra al sistema, lo si intuiva: la sua casa editrice, dall'inizio del'ó8, aveva pubblicato numerosi opuscoli sulla guerriglia cittadina e sulle tecniche rivoluzionarie, praticamente dei manuali di istruzioni che gli costarono una serie di denunce per istigazione a delinquere' Che potesse avere a che fare con il terrorismo, lo si sospettava:nell'aprile del 1971 fu coinvolto direttamente nell'uccisione del console boliviano ad Amburgo, Roberto Quintanilla Pereira; l'arma del delitto, una oColt Cobrao, risultava acquistata da Iui a Milano. Ma che Feltrinelli, il ricco Feltrinelli facesseanche il (manovaler, l'esecutore materiale di attentati, nessuno se lo poteva immaginare. E da quanto risultò fin dai primi accertamenti, Feltrinelli era morto per un .incidente sul lavoroo: gli era scoppiata fia le mani una carica di dinamite che doveìa servire per far saltare il traliccio, e quindi provocare il black-out in una zona di Milano' Visti i tempi, si poteva anche dubitare della versione della pòtiriu. Ma una cosa è il dubbio, un'altra sono le certezze.Sulla stessa prima pagina del Corriere della Sera del 17 marzo c'era un articolo così intitolato: osecondo un documento di sinistra l'editore è stato assassinato>. oLa sconcertante ipotesi secondo cui l'editore sarebbe rimasto vittima di una macabra provocazione politicao, raccontava il cronista del Corriere,

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ula criminale provocazione, il mostruoso assassinioo, proseguiva il documento, (sono la risposta deila reazione internazionale allo smascheramento della strage di Stato, nel momento in cui si dimostra che il processo Valpreda è stato costruito illegalmente e dalle indagini della magistratura di Treviso emergono precise responsabilità della destra. Così si capisce perché sei o sette candelotti possono esplodere in mano a Feltrinelli lasciandone integro il volto per il sicuro riconoscimento.> Itlnità, 16 marzo 1972 (non si sapeva ancora che il morto del traliccio era Feltrinelli): uTutta la vicenda, come si vede, è molto oscura' per le evidenti connessioni con i famosi attentati ai tralicci, a suo tempo firmati in Italia dai Mar fascisti, a loro volta, come recentemente documentato dall'.Espresso,collegati con gruppi eversivi che agivano, appunto, in Liguria, in Versilia e nel Veneto. Ma siamo appena all'inizio di una vicenda su cui occorrerà che magistratura e polizia vadano a fondo, senza errori o tentennamenti'> lUnità,18 marzo 1972 (dopo che si era scoperto che il morto del traliccio era Feltrinelli): ull pesante sospetto di una mostruosa messinscena grava sulla morte di Giangiacomo Feltrinelli: tale affermazione, fatta nella seduta conclusiva del congresso comunista, è suffragata dai tanti, troppi elementi inverosimili che s'accumulano attorno al tragico episodio t...].A chi giova, comunque, un tale clamoroso evento è del tutto chiaro.' Il manifesto, 17 marzo 1972: oÈ Giansiacomo Feltrinelli I'uomo dilaniato dal tritolo a Ségrate. È un clelitto, una provocazione che esige vigilanza politica di massa. La morte in93

credibile dell'editore Feltrinelli, nelle vesti di un terrorista che salta in aria da solo, alla periferia, sotto un pilastro dell'aha tensione, dice a-che pun_ to di gravità sia giunta la crisi italiana. La noiizia è arrivata strisciando tra le pieghe delle agenzie di stamp? italiane e straniere, quando ancora taceva_ no le fonti ufficiali, suscitando incredulità prima di esplodere in tutta la sua drammaticità.

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Lamberto Sechi su Panorama (di cui era direttore), 30 marzo 1972: oIl caso Feltrinelli ripropone drammaticamente il problema dell'obiettività della stampa di informazione. Obiettività significa soprattutto rinuncia ai pregiudizi; cioè ai giudizi precostituiti che ognuno di noi può farsi, spinto dalla propria ideologia. Di Giangiacomo Feltrinelli vivo si può avere qualsiasi opinione, e dei suoi atti si può dare qualsiasi interpretazione, ma nel momento in cui è stato trovato morto in circostanze a dir poco sorprendenti e che interessano tutta la comunità, per le implicazioni politiche che ne nascono, è compito della stampa informare senza passione I'opinione pubblica sull'andamento delle indagini e controllare che queste indagini non vengano sviate per criteri di parte., Il servizio su Panorama veniva presentato come nuna dimostrazione di informazione fuori dalle parti, condotta per un pubblico che sappiamo solidale con noi nella battaglia dei "fatti separati dalle opinioni",. Lamberto Sechi, Panorama della settimana dopo, 6 aprile 1972: .[...] i colonnelli di Atene hanno tentato di esportare un piano che gli è già riuscito in casa: creare, appunto, in Italia, quel clima politico teso, drammatico, disseminato di bombe e di provocazioni, che ha caratterizzato in Grecia gli ultimi mesi prima del colpo di Stato. oUna volta ammessa I'attendibilità dell'ipotesi greca, viene da chiedersi: un piano di provocazione, É bombe,la prospettiva di un colpo di Stato si fondano su un'idea politica? Hanno dietro una giustificazione ideologica? È toccato a Stefano Malatesta rispondere [...] a queste domande spigolando nella 97

collezione del periodico Ordine nuovo, diretto da Pino Rauti, candidato del Msi alle prossime elezioni. Da quelle pagine non viene fuori assolutamente nulla su questa o su quella bomba, ma certoviene fuori una mentalitàrazzistae nazista che fa pensare,esattamente come pensavano Hitler e Goebbels, non a un ritorno indietro di un secolo, non a un ritorno a prima della Rivoluzione francese, ma a un ritorno al più fosco e barbarico Medioevo [...]. oSono idee che nutrono certi personaggi che nei giorni della violenza non si trovano lontani da altri personaggi che tingono di un colore opposto altre aberrazioni mentali. È quanto si viene sempre più scoprendo nelle indagini che si stanno conducendo sulla morte dell'editore Feltrinelli [...], Giorgio Galli su Panorama dello stesso numero, 6 aprile 1972 o[...] pare da escludersi una verità valida per tutti sul caso Feltrinelli. Ma è una conferma che non mi conforta. Come conforta solo in parte il vedere che non solo l'interesse oggettivo, ma anche la direzione organizzativa della destra radicale nella strage di piazza Fontana è una tesi che, avanzata da pochi nel dicembre 1969, è ormai confermata da fatti e collegamenti la cui realtà non è più possibile rifiutare. [...] Quello che si percepisce dell'attuale classe di governo, è che sta conducendo una campagna elettorale volta a raccogliere consensi sulla base della paura degli "opposti estremismi" ai quali porrebbe rimedio la "centralità" della Dc.u Anche sul numero della settimana precedente Giorgio Galli aveva messo in relazione la morte di Feltrinelli con le imminenti elezioni politiche, ma come beneficiaria del clamore provocato dalla vicenda non aveva indicato la Dc, bensì la destra: 98

nPensoche il "caso Feltrinelli" sia stato determinato da chi lrrol giovare alla destra.u Giornalisti e scrittori dei giornali uborghesiu, oltre che di quelli di sinistra, non si espressero dunque molto diversamente dal segretario del partiìo comunista, Enrico Berlinguer, che così òommentò la morte di Giangiacomo Feltrinelli: osull'uomo che è stato trovato morto I'altra notte a Milano, il meno che si possa dire è che le spiegazioni che vengono date non sono credibili: peÀante è il sospetto di una spaventosa messa in scena> (dal Coniere della Sera del l8 maîzo 1972). oDobbiamo esserevigilanti contro le centrali di provocazione italiane e straniere... Siamo pronti a tatterci su tutti i terreni, mobilitando le grandi masse popolari, che hanno saputo respingere altre minacce, altri complottio (da In Stampa, 18 marzo 1972).

Le cronache: nÈ un comPlotto" I commenti di cui abbiamo offerto un florilegio non furono che il corollario a cronache non dissimili nell'impostazione e nelle finalità. *Feltrinelli: mistero e polemica - Morto per Io scoppio? Drogato e assassinato?>erano le tre righeche componevano I'enorme titolo (su nove col=onne)della prima pagina del Corriere d'Informazione divenerdì-sabato 17-18 marzo t972. Lo stesso giorno, 17 marzo, così scriveval'Attan' rll, quotidiano ufficiale del partito socialista: uLe ipotési a un certo punto possono prendere pieghe allucinanti, fondarsi su un disegno di macchinazioni demoniache. Lincredibile si aggiunge all'incredibile. E credibile che Feltrinelli non sia giunto

vivo al traliccio? Soltanto porre questa domanda fa sorgere dubbi e congetture che definire inquietanti è poco>. Nel frattempo si era scoperto un altro traliccio minato con cariche di tritolo identiche a quelle esplosea Segrate.La dinamite era stata messasotto un traliccio dell'alta tensionead Abbiategrasso, a trenta chilometri da Milano, la stessasera della morte di Feltrinelli. Era un ulteriore indizio sulla verosimiglianza della tesi secondocui si stava preparando un black-out che awebbe permessoazioni di guerriglia. Ma bisognerà aspettareil documento delle Brigate Rosse,nel 1979,per crederea quella tesi. Che, nel marzo '72, restavaper tutti una "messinscena"della polizia. La morte di Giangiacomo Feltrinelli venne considerata dal quotidiano PaeseSera . Forse che le opinioni della sinistra erano dimostrate? C'era forse la udimostrazione, che Feltrinelli era stato assassinatodai fascisti o dalle istituzioni? E perché chiamare ndi destra, la tesi della morte accidentale, che era stata avanzata non dai fascisti (che semmai I'avallarono) ma dagli inquirenti? Dunque si considerava udi destra> l'apparato cfclfo Stato. Un giudizio che veniva da Stampa serzr,giornale della Fiat. Il Corriere d'Informalione del18-19 marzo 1972 riportò con grande rilievo (nove colonne in prima) i primi risultati dell'autopsia, aggiungendo però nel sommario: . Larticolo cominciava così: Eppure nel 1972 Camilla Cederna, sull'Espresso, si disse convinta di far parte di una minoranza, naturalmente coraggiosa:nHo capito da sola in questi anni com'è scomodo esserein una minoranza, specialmentequando si ha ragione,. Nello stessoarticolo la Cedernaemise sul caso Feltrinelli un verdetto che sarebbe stato ribaltato successivamente dalla storia: n[...] penso che nessuno potrà mai ammettere che un uomo come Feltrinelli (pur così ideologicamente confuso) si arrampichi di notte su un traliccio a metter bombe a duecento metri da un capannone della sua casa editrice, mettendosi in tasca i documenti falsi con la foto depositata in questura insieme alle foto di famiglia. E che i suoi complici si lascino dietro tutti i mezzi perpermettere alla polizia e alla magistratura la solita e vergognosa campagna degli opposti estremismi intesa a soffocare da un lato l'innocenza di Valpreda e a utilizzare dall'altro la solita strategia della tensione, un'utilizzazione ti pi camente f'ascista,. il0

L'autocritica La prova che molti giornali e giornalisti nborghesi" ìbagìiarono l'analisi di quegli anni, non interpr"tunào correttamente gli awenimenti, sta anche nell'autocritica che alcuni hanno fatto' lll

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Scrisse nel 1979 L'Espresso:

E sula Repubblicadel 14 febbraio 1979: uMa c'è un'altra lezione che viene dagli atti di questo tardivo processo. Perché non si volle dire o capire sin dagli inizi che le Brigate Rosseerano una cosa seria? Noi conosciamo i nostri errori. Ma se questi documenti ci fossero stati in qualche modo resi noti allora, avremmo evitato di s-orrideredelle Br e di pensare a connubi con le trame nere. ))

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Calabresi, il "commissario finestra,

Il commissario di pubblica sicurezza Luigi Calabresi venne ucciso la mattina del 17 maggi o 1972 da due colpi di pistola e, ancor prima, da una campagna diffamatoria forse senza precedenti in Italia. Di fatto, Calabresi incominciò a morire la notte del 15 dicembre 1969, quando da una finestra delI'ufficio politico della questura precipitò il ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli. O forse cominciò a morire alle 18 del 12 dicembre del 19ó9. Poche ore prima, alla Banca nazionale dell'agricoltura di piazza Fontana, una bomba aveva sancito I'inizio del periodo più cupo della Repubblica italiana. Lelenco ufficiale parla di 16 morti: ma forse non sarebbe sbagliato aggiungere a quella lista i nomi di Pinelli e di Calabresi, morti rispettivamente tre giorni e due anni e mezzo più tardi, ma ugualmente - anche se indirettamente vittime della stessaesplosione. Alle 18, appunto, del 12 dicembre'ó9, Calabresi incontrò Pinelli al circolo anarchico di via Scaldasole: oVieni in questura - gli disse - è una formalitàn. Non è un mistero che subito dopo la strage I'ufficio politico della questura indirizzò i primi sospetti verso gli anarchici. Non su Pinelli, comun113

que, che era considerato un nemico della violenza, un pacifista. Calabresi conoscevabene Pinelli: i due erano in buoni rapporti, si erano appena scambiati un dono.Il commissario aveva regalato al ferroviere anarchico un libro, MiIIe milioni di uomini, di Enrico Emanuelli. Il ferroviere anarchico aveva regalato al commissario un altro libro, l'Antologia di Spoon River Pinelli, nelle intenzioni di Calabresi e del dottor Antonino Allegra, capo della npoliticao della polizia, doveva esseresentito come testimone, così come molti altri anarchici. Giuseppe nPinoo Pinelli accettò dunque di seguire Calabresi. Da via Scaldasole partirono contemporaneamente, ma non insieme: Calabresi con la n850" della polizia, Pinelli col suo motorino "Benelli,. Lentamente, attraverso il traffico conlulso di Milano, stavano viaggiando entrambi verso la morte, sowastati da un dramma più grande di loro, nel quale erano inconsapevolmente e involontariamente rimasti coinvolti, accomunati da un destino maìvagio che da quel momento avrebbe indissolubilmente legato, per sempre,i loro due nomi. Pinelli morì poco prima dellamezzanotte del 15 dicembre, precipitando da una finestra della questura di via Fatebenefratelli, dove era ininterrottamente rimasto da tre giorni. La polizia disse che si era suicidato. Lo disse poco dopo, in un'improwisata conferenza stampa in cui il questore Marcello Guida ebbe espressioni infelici e gravissime: nPinelli era fortemente indiziato per la strage di piazza Fontana, il suo alibi era crollato, il suicidio equivale a un'autoaccusa. Sembrava un uomo incapace di violenze...r. oMa poio, interloquì Allegra, nho avuto altre notizie sul suo conto, su certe implicazioni politiche che rivelano quella che era la sua vera natura.> n4

Ben diverso il comportamento, nella stessaconche rcl"i)à rtu-pu, deliommissario Calabresi' una disse: ..GIi hó contestato i suoi rapporti con fosse ..rtu p".tona in modo da fargli credere che a mia conoscenza più di quanto in realtà sapessio' E;;l; rrerita. Calaúresi uuèuafatto credere a Pinelaver li^;t; Pietro Valpreda aveva confessato di stragealla partecipato ' di Dopò le prime, iínbarazzate dichiarazioni Allegra, fu sempre questa la versione della G;J;; .É. i Pinelli erà stalo fatto credere che la ili;i"' i suoi [.*Uà di piazza Fontana l'avevano messa dicendo: reagito aveva lui che e amici u.ru..hi.i, ,.È lu fitt. dell'anarchia', e che quindi - disperato si -- era buttato dalla finestra' po' óutuU..ti, nella conferenza stampa, avrebbe confessiofalsa della tuto tacere sulla circostanza per ne di Valpreda, cioè dell'espediente usato (Valpreda' appunto) uomo un ,ìiuppu." notizie su di che era stato appena fermato perché sospettato era Invece' strage' della essere uno degli autori stato sincero fin dal primo momento' era Il minimo che potesse fare la magistratura miniIl Pinelli' di morte uoiir" un'inchiesta sulla Rognini' vedo;;;h. ;.;esse fare la signora Licia civile nelparte éostituirsi r"-pl""fii, era quelìo di (e dovessero) potessero l'inchiesta. Il minimo che fu." i giornali era quello di non :posare acriticapolizia' e mente"alcuna tesi, tantomeno quella della verità' della ricerca tentare una sia pur difficile eviFra tutte Ie ipotesi, una sembrava però fare dell'omiquella logica: dentemente a pugni con la difficile .idio lrolo.ttario-'Riusciva e riesce tuttora uccidere di deciso oÀ.u.. che la polizia, avendo giù da ;;;;;; aÀpeiche, poi?), l'avesse.buttato propna' casa da cioè una finestra della questura, e esponendosi così ai pubblici sospetti' I l5

Protagonista di quella campagna fu il quotidiano Lotta continua, espressione dell'omonimo movimento di estrema sinistra. Protagonista,ma non

promotore. Gemma Capra, la vedova del commisiario, ha scritto nel suo libro Mio marito, il commissario Calabresi (Edizioni Paoline, 1990): uLa campagna, però, non fu Lotta continua a iniziarla, bensì gli awocati della signora Pinelli, il quotidiano del Psi Avanti!, il quotidiano del Pci l'Unità e il suo settimanale Vie Nuove. Lotta continua si limitò a copiare., Lotta continua lu feroce nei confronti di Calabresi, con articoli e vignette. Nel suo libro Pinelli: una finestra sulla strage, Camilla Cederna descrisse qualcuna delle vignette di Lotta continua: nEcco Calabresi che sale sul tram pieno, andando addosso a un passeggerogià molto schiacciato, e il passeggero si volta spazientito: "Ma che fa dottò... spinge?". Ecco un cittadino che, dovendo andare in questura e al quarto piano, si presenta sul portone con un paracadute sulle spalle. Altrimenti si vede Calabresi che ammicca da dietro il davanzale di una finestra mentre il Pinelli precipita, oppure mentre dà la spinta fatale a un uomo in bilico, se no mentre, vestito da cameriere, offre piatti di minestra con su scritto "ricatto" ai fermali, gridando: "O mangiate'sta minestra o saltate 'sta finestra". In un'altra ancora si vedono due uomini spiaccicati a terra nel cortile della questura e un brigadiere che guardava su verso il commissario affacciato: "Non me l'aveva detto, dottore, ct-e c'era un confronto". Lo chiamavano "Volodangelo" e anche più concisamente "Volo".o La stessa Camilla Cederna sull'Espresso scrisse che Calabresi aveva sottoposto Pinelli a n77 ore di interrogatorio ininterrotto>. Non era vero. Pinelli era stato interrogato tre volte. La prima volta alle 2 della notte fra ll 12 e il 13 dicembre, dai brigadieri Carlo Mainardi e Vittorio D'Alessandro' La

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Invece, la tesi che prevalse su molta stampa fu proprio questa:Pinelli era stato assassinatodalla polizia. E come colpevole di quel delitto venne indicato il commissarioCalabresi. Eppure, un fatto era certo. Quando Pinelli precipitò dalla finestra, Calabresi non c'era. Nella stanza,insieme con Pinelli, c'erano il tenente dei carabinieri Savino Lograno, i brigadieri Giuseppe Caracuta, Vito Panessa,Pietro Mucilli e Carlo Mainardi. Sulla porta dell'ufficio, nel corridoio, c'era il brigadieredei carabinieri Attilio Sarti. Nella stanza a fianco, il brigadiere dei carabinieri GiuseppeCalì el'appuntato GiuseppeDe Giglio.In un salonedi fronte,l'anarchicoPasqualeValitutti. E nel cortile della questura c'era un testimone insospettabile:il cronista dell'Unilà Aldo Palumbo, che vide Pinelli precipitare per terra, pochi metri davanti a lui. Quando Pinelli fu soccorso, era ancora vivo: morì poco dopo all'ospedale.Se fossestato buttato giù dalla polizia, e se fossestato in grado di parlare, awebbe potuto denunciare i suoi assassini.Tutto può essere,noi non conosciamola verità: sarebbeperò singolareche la polizia, oltre che diabolica,sia stata così imprudente da rischiare di venire smascherata. In ogni caso,Calabresi- in quel momento - non c'era.E non insinuò sospettisul conto di Pinelli durante la conferenza stampa, Eppure, fu contro di lui che si scatenòuna violentissimacampagna di stampa. Le vignette, le bugie, le minacce

seconda volta domenica 14 dicembre, dal commissario Antonio Pagnozzi. Calabresi era in Svizzera, a Basilea, da dove tornò la sera di domenica 14. Cominciò a interrogare Pinelli alle 19,30 di lunedì 15, su ordine del suo capo dottor Allegra, che gli disse: uFagli credere che Valpreda ha parlatoo. Valpreda era stato fermato la mattina stessa su richiesta della questura di Roma. Un'altra prova che Pinelli non fu interrogato ininterrottamente per 77 ore sta nel fatto che la mattina del l5 poté ricevere la visita della madre Rosa Malacarne, alla quale consegnò la tredicesima (che aveva ritirato nel pomeriggio del 12) e disse di star bene, e di esseresolo un po'stanco. Anche alla moglie Licia, a cui telefonò più volte in quei tre giorni passati in questura, disse che stava bene e non lamentò di aver subìto violenze, Il l8 dicembre, all'obitorio di piazzale Gorini, fu eseguitol'esamenecroscopicosulla salma di Pinelli. Nel rapporto steso successivamente da tre periti c'era fra l'altro questa frase: . che aveva evidenziato .,".ri""idi psicologia spicciola e di psicanalisi da fumetto). La sentenzadi Amati, scrisseCamilla Cederna, -- (getta il totale discredito sulla magistratura)' etíi"O un altro appello, questa volta inviato all'Espresso,efirmato dàipadre della psicanalisi italiana' ó;;;;; Musatti, e da Énzo Paci, Marino Barengo' Elvio Fachinelli, Lucio Gambi, Giovanni Giolitti' Giulio e Vladimiro Scatturin: A. -- Maccacaro, Carlo Salinari .pi"o pi.r"Íli, f".rouiere, è morto nella notte tra il I 5 eil 1ó dicembre 19ó9precipitando da una finestra dàila questrrra di Milano. Non sappiamo come' Sappiut"o soltanto che era innocente' Perché Giovanni 'Caizzl,procuratore della Repubblica, ha chiesto e ottenuto i'archiviazione dell'inchiesta sulla morte del ferroviere? Dobbiamo rispetto al magistrato' ma non di oossiamo non attribuirgli la stessa responsabilità ;hi h" ucciso un'altra uóltu Ginteppe Pinelli, e la rerpo"iaUilità, altrettantograve, di glri uccide in noi la fiducia in una giustizia che non è più taìe Ouandg n91 oossariconoscersiin essala coscienzadei cittadini' A facciamo appello perché levi alta la ;;;;;.;.ienza ,.ru uo.". La voce di quanti intendono che chiedere ossi la verità per Pinelli significa difendere quei valo.i?ttru i quali, domani, la nostra società non potrà più dirsi civile e la nostra repubblica democratica' ' - Eru perfettamente lecito contestare quella come r23

altre sentenze, così come era stato giusto e anzi doveroso, in precedenza, sollecitare un'inchiesta sulla morte di Pinelli. E lecito è continuare ad avere dei dubbi anche oggi, anche dopo mille sentenze, su tutti quei fatti in cui manca la prova provata. Ma i firmatari dell'appello non mostrarono dubbi, mostrarono ceîtezze. Dicendo che la sentenza della magistratura aveva (ucciso un'altra volta Giuseppe Pinellir, si esprimeva la certezza che Pinelli, la notte fra il 15 e il 16 dicembre 1969, era stato assassinato,deliberatamente fatto volare dalla finestra. E anche di questo, come del suicidio, non c'era alcuna prova. E poi giornalisti e intellettuali non scesero in campo solo per (giustamente) sollecitare inchieste sulla morte di Pinelli e per (scorrettamente) dirsi convinti che si trattava di un omicidio, e che Calabresi era l'assassino. Impegnarono il proprio nome anche per qualcosa di più. Cinquanta esponenti del mondo dell'arte, della cultura e dello spettacolo, nell'ottobre del 1971 inviarono una lettera aperta al procuratore della Repubblica di Torino che aveva denunciato direttori e militanti di Lotta Continua per istigazione a delinquere. Nella lettera aperta si leggeva: nTestimoniamo pertanto che, quando i cittadini da lei imputati affermano che in questa società "l'esercito è strumento del capitalismo, mez;zodi repressione della lotta di classe", noi lo affermiamo con loro. Quando essi dicono "se è vero che i padroni sono dei ladri, è giusto andarci a riprendere quello che hanno rubato", io diciamo con loro. Quando essi gridano "lotta di classe,armiamo le masse",10 gridiamo con loro. Quando essi si impegnano a "combattere un giorno con le armi in pugno contro Io Stato fino alla liberazione dai padroni e dallo sfi-uttamento", ci impegniamo con loro., 124

Ecco i nomi dei firmatari di questo imprimatur alla lotta armata, i nomi di questi intellettuali che si impegnavano a ucombattere con le armi in pugno): ÉttrJpu.i, Giulio A' Maccacaro, Elvio Fachinelli, Lucio Gambi, Marino Barengo, Umberto Eco, PaoVladimiro Scattuiìii, Altierto Salo Portoghesi,'Colletti, Tinto Brass, Paolo Pernici' Lício Àona, Leonetti, Manfledo Francesco Màiorino, Giancarlo Pecorini, Michele Giorgio Gregoretti, iafuri, Carlo Catalano, Mario Giuseppe Mieli, Paolo Canonica, Bultrini, SerGiampaolo Scialoja, Saverio .futino, Lefevre, É1-iÓ' Franco Rossetti, gio Su,riu.t., Serena Giovan lzozzi, Renato Zennaro, IJoirio, Alfredo Caruso' Bruno Zavattini, Cesare Battista Zorzoli, Mario Ceroli, Franco Mulas, Emilio Garroni, Nelo Risi, Valentino Orsini, Giovanni Raboni, Luciano Guardigli, Franco Mogni, Giglio Callo Argan, Alessa.tdrotasillin, DomJnico Porzio, Giovanni Giolitti, Manuele Fontana, Giuseppe Samonà, Salvatore Squitieri, Natalia Ginzburg, TulSamperi, -De Pasquale Mauro, FrancescoValentini' lio . Gli appelli e le lettere aperte, con le adesioni degli uomini di cultura, furono una costante di queprove più ili anni. E oggi costituiscono una delle allora' di del conformismo évidenti Furono piu di ottocento i rappresentanti della cultura italiana che sottoscrissero- in più riprese un documento pubblicato sull'-Espressoll13 giugio 197t, docuàento in cui Calabresi veniva defiiito ,.t (commissario torturatore) e il nresponsabile della fine di Pinellin' Fra gli ottocento, c'erano i filosofi Norberto Bobbio, Licio Colletti e Lucio Villari; gli uomini più prestigiosi del cinema italiano, e cioè Hederieo FelÎini, Vlario Soldati, Cesare Zavattini, Luigi Comencini, Liliana Cavani, Giuliano Montaldo, Bernardo Beriolucci, Carlo Lizzani, Paolo e Vittorio Taviani' 125

Duccio Tessari, Gillo Pontecorvo, Marco Bellocchio, Salvatore Samperi, Ugo Gregoretti, Nanni Loy; i poeti Pier Paolo Pasolini, Giovanni Raboni e Giovanni Giudici;i pittori Renato Guttuso, Andrea Cascella, Ernesto Treccani, Emilio Vedova, Carlo Levi; gli editori Vito Laterza, Giulio Einaudi, Inge Feltrinelli; gli storici Franco Antonicelli e Paolo Spriano; i critici Giulio Carlo Argan, Gillo Dorfles, Morando Morandini, Fernanda Pivano; il musicista Luigi Nono; la scienziata Margherita Hack; gli architetti Gae Aulenti, Gio Pomodoro, Paolo Portoghesi; gli scrittori Alberto Moravia, Urnberto Eco, Domenico Porzio, Dacia Maraini, Enzo Siciliano, Alberto Bevilacqua, Franco Fortini, Angelo M. Ripellino, Natalino Sapegno, Primo Levi, Enzo Enriques Agnoletti, Lalla Romano; i politici Umberto Terracini, Massimo Teodori, Giorgio Amendola, Gian Carlo Pajetta; i sindacalisti Giorgio Benvenuto e Pierre Carniti; i giornalisti Eugenio Scalfari, Giorgio Bocca, Furio Colombo, Mauro Calamandrei, Livio Zanetti, Paolo Mieli, Sergio Saviane, Giuseppe Turani, Carlo Mazzarella, Andrea Barbato, Vittorio Gorresio, Carlo Rognoni, Giampiero Borella, Carlo Rossella, Camilla Cederna, Tiziano Terzani. E poi ancora Bruno Zevi, Grazia Neri, Toni Negri, Franco Basaglia, i fratelli Carlo e Vittorio Ripa di Meana, l'attrice Paola Pitagora. Non è difficile, leggendo questi nomi, immaginare come fossero monopolizzati in quegli anni la letteratura, l'arte, l'insegnamento della storia e della filosofia, il giornalismo e gli spettacoli. Fra questi ultimi non ne mancò uno (teatrale) proprio sulla vicenda Pinelli-Calabresi: Morte accidentale di un anarchico, di Dario Fo. Calabresi era il odottor Cavalcionir, che faceva mettere gli interrogati, appunto, a cavalcioni di una finestra. Al cospetto di Dario Fo si inginocchiarono tutti i 126

Nella stessa pagina, accanto al pezzo di cronaca, c'era una nscheda,,nella quale si leggeva: nIl nome del commissario di polizia Luigi Calabresi appare nelle cronache nel corso del 1969, l'anno delle grandi lotte operaie, l'anno della strategia della tensione gestita da democristiani e socialdemocratici, l'anno delle bombe. *[...] Sa molte cose, è un testimone potenziale troppo importante... Freda e Ventura sono indiziati, era annunciato un terzo nome. Ora Caìabresi è mofto.)) La risposta probabilmente più onesta all'interrogativo del manifeslo (oA chi giova?o) venne non da destra, non dal centro, ma dall'estrema sinistra. Potere Operaio diffuse infatti un comunicato in cui, dopo aver accusato Calabresi di essere nuno degli artefici della strage di Statoo, era scritto: oLa morte di Calabresi non va a favore del padrone. Non sono certo i padroni e il loro personale politico che si sentono più forti stasera). E molto sinceri furono altri onemicio di Cala134

bresi, quelli del Movimento politico dei lavoratori, che riguardo alla responsabilità dell'omicidio scrisselo: oTutte le ipotesi sono aperte, anche quella di qualche gruppo extraparlamentare isolat-o: in alcune frange vi sono realtà che lasciano perplessio. Nott altrettanto equilibrato il Movimento Studentesco di Mario Capan.ta, secondo il quale il colpevole era evidentemente la Democrazia Cristiana. Era scritto nel comunicato del Movimento Studentesco: oDopo il 7 maggio prosegue e si inasprisce la svolta ieazionaria del grande padronato contro le masse popolari. La Dc, che con le elezioni non è riuscita aìpòstare a destra l'asse politico nella misura che speiava, fomenta ulteriori provocazioni [...]' o[...] Lattentato a Calabresi è da considerarsi come un'awisaglia per ulteriori e ancora più gravi provocazioni contro le masse popolari. Luccisione di Calabresi verrà prontamente utilizzata dalla Dc e dai fascisti per lanciare I'apparato statale e poliziesco in una grande caccia alle streghe.' Quanto a Lotta continua, il 18 maggio esultò per l'assassinio, coerente con la linea tracciata dagli articoli precedenti. II titolo del giornale era: iucciso Calabresi, il maggior responsabile dell'assassinio Pinellio. Nel testo si leggeva che l'uccisione di Calabresi era (un atto in cui gli sfruttati riconoscono la propria volontà di giustiziao. Domenica 21 maggio 1972I'Unità tornò sull'argomento, con un servizio più ampio, di una pagina intera, in cui si ricostruivano ule sanguinose tappe della strategia della tensione e della provocarione dal 'ó8 ad oggio. Per l'Unità non esisteva altro che la violenza dello Stato conservatore: nI primi frutti di questa strategia si raccolgono 135

nel'69: ottantasette attentati gravi nel corso di 12 mesi, e via via gli anelli di una sanguinosa catena, Annarumma, i 16 morti della Banca dell'agricoltura, Pinelli, le bombe di Catanzaro, i moti eversivi di Reggio Calabria, Feltrinelli, fino alle revolverate che hanno ucciso il commissario Calabresi. Certo, episodi non tutti riconducibili all'identica "mano": ma facenti tutti parte di un'identica strategia e collegati da un comune obiettivo: colpire le masse dei lavoratori spianando il terreno per un'involuzione autoritaria. o Parlando di Annarumma, il cronista sosteneva: oAncora oggi restano oscure le circostanze di quella morte>. Sulle "cosiddette Brigate Rosse, I'Unità scriveva che le indagini onon hanno portato alla luce nuovi elementi sugli intrighi e sulle torbide manovre intessuti dietro certe coperture di uno straccio rosso o di un'etichetta "super-rivoluzionaria"r. E ancora riguardo alle Brigate Rosse: "Anche qui, come per piazza Fontana, scavando attorno ad alcuni dei personaggi che sono stati portati in primo piano vengono fuori nomi di fascisti, legami oscuri, incredibili omissioni degli apparati di sicurezza dello Statoo. Per far cambiare idea all'Unirà riguardo alle Brigate Rosse dovrà arrivare, anni dopo, l'uccisione di un operaio comunista, Guido Rossa.

Caccia aîhe streghe Come avevano profetizzato il manifesro e il Movimento Studentesco, l'omicidio di Calabresi scatenò una (caccia alle streghe>. Ma non a sinistra, come sostenevano manifesto e Movimento Studentesco, e tutta la sinistra con loro, bensì a destra. l3ó

1122 settembre 1972 il sostituto procuratore della Repubblica Libero Riccardelli (futuro senanelle liste del Pci) incriminò per l'omit"i" "t"tio ciaio ai Calabresil'estremistadi destra Gianni Nardi. Se la logica faceva dubitare della matrice un d"elittocome quello di Calabresi' gli ià..itiJi quei i"aiti su Nardi non potevano che rafforzare labilissimi' indizi dubbi, essendo Certamente Gianni Nardi era un estremista pericoloso: quando lo arrestarono,al valico di Broarmi ed esplosioì";sulla sua Mercedesc'erano accusato essere poteva questo ui. tvtu non per in base a incriminato Fu a"n;oÀi.iaio'Calabresi. dell'assassino il fotofit con ,tttu ..ttu somiglianza déi testimoni oculari lo riconobbe: a;;;;tt"no .Jé.uto passatiquattro mesi dal fatto, non anni) à, pitr it.ài, in basealle dichiarazioni di una detenuìa che assicuravadi aver sentito dire in cella' da u-i.u di Nardi, che lo stessoNardi era il colpe"" vole '-i. del delitto Calabresi. u..".e caddero poco dopo, travolte dalle pto"" che Nardi poté pòrtare a sostegnodella sua itto."rrru. Nel t-989i1 giudice istruttore Antonio ió*tutai, chiudendo listruttoria sull'omicidio ebbe parole dure sulla falsa pista Nardi' óuiuUt"ti, i" og"í.uro, àopo l'arre-stodi Gianni Nardi tutti igioínati, non sòlo quelli di sinistra, esultarono p*T;u*""uta contro un magistrato, e aggiungendo (non si debbono usare da sinistra> gli stessi metodi della destra, faceva per se stessoe Il Giorno un'esplicita scelta di campo. Non di poco conto, comunque, I'inesattezza del suo pezzo quando dice che Viola onon esitò ad additare al linciaggio morale la giornalista che si era adoperata per sostenere l'innocenza di Valpredau. Viola si era scagliato non contro la campagna per l'innocenza di Valpreda, ma contro quella per la colpevolezza di Calabresi, indicato come I'assassino di Pinelli. Sono due cose ben diverse. E quello contro Calabresi sì, che fu un olinciaggio morale,. Non quello di Viola contro ola giornalista> (che poi era Camilla Cederna). Ormai, comunque, era partita un'altra campagna. di cui parlava ilTèmpo illustrato. .Si delineano i piani di un'internazionale rlerà>, scriveva il Corriere d'Informazione del22 luglio 1974. ,.Assassinio Calabresi, strage davanti alla questura lquella compiuta dall'anarchico Bertoli, tt.d.u.], Rosa dei Venti, Mar: i legami diventano s.*p.é più strettio, scriveva il Corriere d'Informazionb, cÉe poi spiegava: oC'è alle spalle, impassibile perché sic.ttà dell'omertà, un'internazionale nera che guida ogni mossa, che comanda le azioni disperate in Italia e altrove', Vediamo Paese Sera del 5 marzo 1974' Titolo: uDa Calabresi alla "Rosa" un'unica strategia nera Collegati a Freda gli assassini del commissario'' Nel tésto, ricostruendo la vicenda Calabresi: nSi grida al delitto "da sinistra": è il rilancio della "teoia degli opposti estremismi" voluta da lArnaldo] 139

Forlani proprio mentre si sta per formare il nuovo governo (e verrà Andreotti...). u Nello stesso articolo si parlava ancora delle ucosiddette brigate rosse>. E in un altro pezzo, nella stessapagina, si sosteneva:nLa fine del commissario coinvolto nella morte dell'anarchico Pinelli fu al centro di una colossale montatura contro la sinistra, il macabro fiore all'occhiello della Maggioranza silenziosa. Ci sono voluti anniperritornare sulla strada giusta. [...] Cfri ha fatto carte false?u. Anche il settimanale Il Mondo non aveva dubbi: nCalabresi fu ucciso perché aveva individuato i mandanti della strage di Milano> era il titolo del numero 42 clel1975. È curioso come questo povero commissario sia stato insultato fino a quando indagava a sinistra, e osannato come un eroe, una vittima della strategia della tensione, quando si ritenne (o si volle ritenere) che era stato ucciso perché stava smascherando i fascisti. Si leggeva nell'articolo del Mondo: *[...] esistono sufficienti indicazioni per sostenere che il terrorismo nero è nato da un preciso programma politico ispirato da una parte degli stessi servizi di sicurezza e da taiune forze economiche. Ebbene. è altamente probabile che Calabresi sia venuto a trovarsi fra le mani la chiave per aprire la porta che immette direttamente nel cuore del complotto, risalendo fino ai supremi elaboratori degli schemi eversivi. E a questo punto è stato brutalmente tolto di mezzo. [...] La verità è che dietro questo delitto si intravede un'organizzazione ad altissimo livello. [...] Il commissario doveva aver imboccato la strada che porta al cuore dell'eversionen. Ma allora, se questi giornali erano convinti di quello che scrivevano, che Calabresi aveva indagato sui fascisti e li aveva incastrati, perché questi stessi giornali non ammettevano di aver sbagliato 140

tutto quando avevano sostenuto che il commissario Calabresi aveva "un pregiudizio politico contro la sinistra, nel condurre le indagini? In ogni caso, la pista nera si è conclusa con la piena àssoluzione, in istruttoria, di Gianni Nardi, àssoluzione che nessuno, nemmeno a sinistra, ha potuto contestare. Anche Camilla Cederna si cimentò nel sostenere che Calabresi, quel commissario che proprio lei aveva descritto tante volte come uno strumento della repressione anti-democratica, era stato ucciso perché aveva pestato i piedi alla destra. Lo fece sull'.Espressodel20 giugno del1976, con un pezzo nel quale si poteva leggere fra I'altro: .,Il 17 maggio 1972, a Milano, il commissario Luigi Calabresi viene abbattuto con tre colpi [i colpi furono due, n.d.a.l di pistola [...]' . Il nucleo aziendale del Psi dell'ATM (azienda dei trasporti pubblici milanesi) distribuì al deposito "Teodosioo un volantino in cui si affermava che uI maggiori responsabili della morte di Calabresi sono il conservatorismo della Democrazia Cristiana e l'operato dello stesso Calabresio. Non c'è dunque da stupirsi se in seno al consiglio comunale milanese si scatenò una battaglia accesissima quando la Dc avanzò la proposta, nel mese di novembre del'72, di conferire una medaglia alla memoria del commissario Calabresi. Dal Corriere della Sera del24 novembre '72: ,rContestata la proposta della medaglia a Calabresi - Hanno sollevato obiezioni, di carattere formale, il socialista [Mario] Artali e il repubblicano [Pietro] Bucalossio. Eppure, non si poteva dire che quella della Dc fosse una proposta strumentale, diretta contro la sinistra. Infatti, la proposta del capogruppo democristiano Massimo De Carolis era così concepita: riconoscimento al sacrificio del "[...] doveroso commissario Calabresi, la cui tragica scomparsa resta nella memoria dei milanesi, dopo la triste 145

catena di violenze degli estremisti di destra e di sinistra, come luminoso esempio di abnegazione e di senso del dovere.o Non si attribuiva quindi ad alcun gruppo la responsabilità dell'omicidio, né si avanzavano ipotesi sulla matrice politica. E si parlava sia dell'estremismo di destra che di quello di sinistra. Eppure la polemica fu così feroce che, per la prima volta nella storia, si arrivò al ó dicembre, cioè aila vigilia della consegna delle tradizionali benemerenze di Sant'Ambrogio, senza che l'amministrazione municipale avessevarato la delibera. Questa la dichiarazione ufficiale del sindaco Aniasi al consiglio comunale: nPoiché le benemerenze civiche hanno il significato di esempi unanimemente riconosciuti come modello di virtù ambrosiana, è evidente che non si intende, né sarebbe possibile premiare tutti coloro che sono benemeriti, ma solo, fra questi, segnalare pubblicamente coloro nei quali la città intera si riconosce e sui quali esiste un unanime consenso.)

Da quella finestra Indro Montanelliè il più famosofra i giornalisti che, in quegli anni, non seguironol'onda. Il24 ottobre 1980,prendendospunto da possibili sviluppi nell'inchiestasul delitto Calabresi,ricordò il clima dei primi anni Settanta.Ecco alcuni passi del suo articolo di fondo sul Giornale,intitolato ,Montanelli ricordò la falsa pista Nardi: oComee perché la morte di Calabresivel4ó

nisse attribuita ai "neri", possono capirlo solo coloro che ricordano e hanno vissuto la sbornia ideologica di quei temPi [...]. oFu in questa fase che scoppiÒ I'affare Pinelii, altro anaróhico, precipitato dal quinto piano della questura milanese. Fu il segnale del "nuovo corso" imposto dal vociferìo della stampa di sinistra, che rappr"s".rtava i quattro quinti, se non i nove decimi, della stampa nazionale. ull caso Pinelli era proprio quello che ci voleva per convalidare la tesi della "strage di Stato". La polizia, si disse, per addossare le responsabilita di piazza Fontana all'estrema sinistra, dopo l'incriminazione di Valpreda aveva cercato di estorcere una confessione di colpevolezza a Pinelli. E siccome costui le aveva resistito, il commissario Cala' bresi, che lo teneva sotto torchio, Io aveva precipitato o fatto precipitare dalla finestra del quinto piano. Questa fu la versione imposta dalla stampa ;'progressista". Chi si azzatdava a dubitarne chiedendone qualche prova, veniva silenziato come "fascista". oCalabresi pagò con la vita la campagna di opinione che lo dipingeva come un brutale torturatore al servizio dei golpisti. Ma nemmeno il suo assassinio turbò i sonni dei suoi accusatori. Lunica loro preoccupazione fu di risolvere in chiave nera anche quel delitto.,

Uno dei obersagliudi Montanelli era Camilla Cederna.La quale, sull'Espressodel 9 novembre 1980,quindi subito dopo il fondo oDaquella finestra), volle però ricordare a Montanelli che in un elzeviro apparso sul Corrieredella Sera tl2l marzo 1972(poco dopo Ia morte di Feltrinelli, poco prima della morte di Calabresi)e intitolato (Lettera 0 Camillan,Indro Montanelli avevascritto: t47

uTi dobbiamo molto, cara Camilla. Sei stata tu, per esempio,a riproporci lo scomodo,ma salutare casoPinelli, sul quale ci eravamotutti addormentati. Non so se le tue tesi siano giuste.Ma è giusto che siano rimessein discussione,perché il modo in cui questafaccendaera stata liquidata rischiava di portarci in massaall'inferno. A dirci che eravamo su quella strada furono il tuo coraggio, la tua rabbia, la tua insistenza,qualcuno dice anche la tua petulanza,ma non importa: la genre non perdonaa chi le turba i sonni. Ma le sentinelledevono farlo. E tu questo dovere l'hai assoltocome meglio non si poteva. Ora, graziea te, pinelli è qui, adagiatosulle nostre coscienze.E ci pesa.Ma le tienesveglie.[...]

Larticolo di Montanelli n1911916 a Camilla>,peraltro, contestavaa Camilla Cedernadi aver rravalicato il ruolo della usentinella,,e di prenderesempre posizioni preconcette: Bocca chiedeva poi a Montanelli perché anche lui non facesse altrettanto, owiamente autocriticandosi per errori oPPosti. Slull'Unità fu Ibio Paolucci, uno dei più qualificati cronisti di nera e di giudiziaria, a riconoscere gli errori del passato. Lo fece il 17 maggio 1982, decimo anniversario dell'omicidio di Calabresi: oNel settembre successivoo, scrisse Paolucci, oal valico di Brogeda, vennero arrestate tre persone con un carico di armi: Gianni Nardi, Bruno Stefano e Gudrun Kiess. [...] Parecchi giornali, quindi, annunciarono il giorno dopo che erano itati scoperti gli assassini del commissario milanese. Ma si trattava di un'indicazione deviante. [...] [Nardi] in ogni caso non venne riconosciuto dai testimoni che avevano assistito al delitto [quanti giornali scrissero che era stato riconosciuto!, n.d.a.l e fu prosciolto. [...] oSi preferì, singolarmente, orientare i sospetti ?'commando nero". [...] Larea dell'omicidio su un era un'altra. t49

(La verità, ha detto Franco Piperno [ex Potere Operaio, n.d.a.l è che l'omicidio di Calabresi è l'ini zio del terrorismo di sinistra in ltalia. E ancora: "Al di là dell'identità personale dei terroristi che avevano sparato,la responsabilità politica di quella morte era interamente addebitabile al movimento extraparlamentare. Non v'erano dubbi su questo." E sembra proprio che le cose stiano così.o Ilpezzo di Paolucci era intitolato: fa "Dieci anni l'assassinio del commissario Calabresi - Fu la prima vittima del terrorismo rosso>.

Il processoSofri Lomicidio Calabresi è rimasto per sedici anni un giallo insoluto. Il2 luglio del 1988Ia svolta:Leonardo Marino, un ex militante di Lotta Continua, si presentò ai carabinieri autoaccusandosi di aver partecipato all'agguato al commissario e a una decina di rapine compiute per finanziare il movimento. (Non ce la facevo più, volevo liberarmi la coscienza da un peso insopportabiler, spiegò Marino. Interrogato dai carabinieri e dal pubblico ministero Ferdinando Pomarici, Leonardo Marino indicò in Ovidio Bompressi I'altro esecutore materiale del delitto e in Adriano Sofri (fondatore e leader di Lotta Continua) e Giorgio Pietrostefani i mandanti. Secondo il racconto di Marino, Lotta Continua decise di uccidere Calabresi per dare (una prova di forza, agli altri movimenti di estrema sinistra, per (arginare) l'emorragia di militanti verso le nascenti Br'igate Rosse. Poco dopo, Lotta Continua capì "l'sp16re politicoo e voltò definitivamente le spalle alla lotta armata. Il 2 maggio 1990la terza Corte d'assisedi Milano ha ritenuto Leonardo Marino. Ovidio Bom150

nressi, Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefanicollievoli dell'omicidio di.Luigi Calabresi, : _hi:?11àannato Marino a undici ànni di carcere, Sofri' Pietrostefani e Bompressi a ventidue anni ciascuno. La sentenza è stata integralmente confermata

ii-iti"sli;

1991dalla cortè d'assised'appello'al

processo di secondo grado' termin;del -fnf" il 23 òttobre 1992, al tetzo grado di giudimezio,\aCorte di Cassazione- che non entra nel ha forma Jó à"f futti, ma valuta il rispetto della moodifetto di annullato la sentenza d'appello per tivazioneo, ordinando la ripetizione del processo di secondo grado. Processo éh" è .tuto successivamentecelebrato' e che si è concluso con I'assoluzionedi tutti gli imputati' tut*i.to compreso. I-a Cassazione,però, ha annullato *.ft" questó secondo appellg, ritenendo contradditpratica to.iu lu i".tt nza, perché i giudici sostengonoin an" pfuti"o è creàibile, che gli indizi sono consistenti' ma ullu fit e assolvono, sia pure con una formula che ricalca la vecchia ninsufficienza di prove' ' (e Si è arrivati quindi a un terzo appello a un sesto processo, contando anche il primo grado e i due oro'rr.rrr.ia-"nti della Cassazione) e la Corte ha ri[otrf...uto le condanne: ventidue anni a Sofri' Pietrostefani e Bompressi. Per Marino, invece' il reato è stato dichiarato (estinto), essendoormai trascorsi gli anni fissati dal codice per la prescrizione' Ouee atít"ttt".tra di condanna è stata poi confermata' Cassazione' di Corte dalla resa definitiva, giuCosì, dopo sette processi, si è arrivati a un '97 Pietrostefani Sofri, e nel dirio ai .oip"uoleria: e Bompressì sono entrati in carcere, a Pisa' A questo punto, però, la campagna pro-Sofri scattata subito dopo gli arresti - campagna condotta da un massiccioichieramento di giornalisti' intellettuali e politici, tutti certissimi dell'errore 151

giudiziario o, peggio, del complotto - è diventata ancora più insistente. Sono sorti comitati, sono state raccolte firme per la concessione della grazia (che il presidente Scalfaro ha però negato), è tornato in pista anche Dario Fo che, appena insignito del premio Nobel, ha messo in scena uno spettacolo intitolato Marino libero! Marino è innocente! per smascherare quelle che, secondo lui, sono le (centoventi bugien del pentito che accusa Sofri. Soprattutto, si è tentato di ottenere una revisione, cioè una riapertura del processo. La domanda è stata presentata alla Corte d'appello di Milano, sponsorizzata da autorevoli esponenti del governo. Ma il 18 marzo 1998 i giudici l'hanno respinta, ritenendo che non ci fossero ,concludeva to.

l'omicidio non ha colore 'erano dunque una morte di sinistra e una morte destra, che ben diversamente i giornali trattava. Con spazio differente, e soprattutto con interi di parte, per cui tutti i delitti, anche llo di Ramelli, erano ndelitti fascistir. E come si ticavano in fretta, i morti non omogenei alla cui tutti, o quasi, si erano conformati. ulomicidio non ha colorer, scrisse Arturo Carlo sullaStampa del 1" maggio'75, commentanla morte di Ramelli, ma la sua era la voce di uno gridava nel deserto. Anche per Ramelli, così come per molte altre vi, si dovette aspettare che cambiasse il vento, ndo le autocritiche e un nuovo conformismo. Quando gli assassini di Ramelli furono arrestati, giornalista si autodenunciò. nQuelle spranlontane che non sempre vedemmon era il titolo articolo che Gaspare Barbiellini Amidei scrisse Corrieredelkt Sera del2 1 settembre I 985, ricordani ocronisti daltonicin che nei disordini vedevano un colore, e