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Italian Pages 307 [311] Year 2012
Dello stesso autore nella «Economica Laterza»:
Logica da zero a Gi:idel Tutti pazzi per Gi:idel! La guida completa al Teorema di Incompletezza
Francesco Berto
L'esistenza non ~. l9gica Dal quadrato rotondo · · ai mondi impossibili
© 2010, Gius. Laterza & Figli Nella «Economica Laterza» Prima edizione 2012
Edizioni precedenti: «i Robinson/Letture» 2010 www.laterza.it
comune di Roma
ST. BIBL. C. CULTURALI
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Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Finito di stampare nel febbraio 2012 SEDIT - Bari (Italy) per conto della Gius. Laterza & Figli Spa ISBN 978-88-420-9865-2
a Valeria Roberti, bella nella tristezza e nella gioia
La pura logica è impotente a dirimere le questioni esistenziali.
Marce! Proust La parte di Guermantes
Prologo
Un problema da nulla
Stare con la maggioranza non vale il tempo di un uomo intelligente. Per definizione, c'è già abbastanza gente per farlo.
G.H. Hardy
1. In una puntata di qualche anno fa del talk show mattutino Today, Gene Shalit - critico letterario e cinematografico ufficiale della Nbc, famoso per i suoi motti di spirito - passa in rassegna una serie di libri dai titoli sempre più strani e improbabili. Il libro con cui Shalit raggiunge l'apice del monologo è stato scritto dal filosofo americano dell'Uda Terence Parsons. Il titolo del libro è Oggetti inesistenti (Nonexistent Objects). Shalit si chiede come faccia uno a scrivere un intero libro parlando di cose che non esistono! 1 Strano, visto che un'enorme quantità di libri parla di cose che non esistono. Ne avrete letti molti anche voi: le storie di Sir Arthur Conan Doyle parlano del detective Sherlock Holmes, e Il signore degli anelli parla di Gandalf. Doyle dice che Sherlock Holmes è un detective che vive a Londra, in Baker Street (precisamente al numero civico 221b), ci fa conoscere le sue notevoli capacità di osservazione e deduzione logica, lo dipinge come nemico acerrimo del criminale Moriarty, e così via. Tolkien ci dice che Gandalf è un mago dal cappello a punta e dal vestito grigio (e, da un certo punto della storia in poi, bianco), con sempre in mano un bastone nodoso da stregone, accanito fumatore di erba-pipa, e che ha scorto nei piccoli hobbit più tem1
L'aneddoto è citato da Roy Sorensen, in Sorensen [2003], p. 31. IX
pra di quanto il mondo della Terra-di-Mezzo possa mai sospettare. Naturalmente, Doyle e Tolkien non ci dicono mai che Holmes e Gandalf non esistono - nelle storie che li descrivono, il detective e lo stregone hanno l'aria di essere molto, molto esistenti: affrontano avventure, rischiano la propria vita, e alla fine hanno successo sui propri malvagi avversari; tutte cose che difficilmente un oggetto inesistente potrebbe fare, visto che, appunto, non esiste. Nelle storie che li riguardano, per dirla in gergo appena un poco filosofico, Holmes e Gandalf hanno svariate proprietà causali: interagiscono col mondo fisico che li circonda, lo modificano e, anche, ne vengono modificati. In quel mondo fisico, occupano sempre un qualche luogo e sono sottoposti allo scorrere inesorabile del tempo. Come tutti noi. Che noi non si venga informati da Doyle e Tolkien dell'inesistenza dei rispettivi eroi, però, non ha in fondo molta importanza. Dopotutto, sappiamo che molte altre cose sono vere di Holmes e Gandalf, anche se queste verità che li riguardano non vengono mai ascritte loro esplicitamente nelle rispettive storie, né possono essere inferite da ciò che, in quelle storie, ci viene raccontato. Ad esempio: entrambi sono personaggi letterari, ed entrambi sono descritti in libri di autori britannici anche se queste cose, nei libri dei suddetti autori, non ci vengono dette. Entrambi sono molto più famosi di me. Entrambi sono nei miei pensieri. Certamente, almeno da quando avete cominciato a leggere questo libro, si sono affacciati anche nei vostri. Magari li penserete proprio leggendo i loro nomi, ora: Holmes. Gandalf. E potete anche rappresentarli nella vostra immaginazione. Lasciate che vi dia una mano: chiudete gli occhi e immaginatevi questo stregone, Gandalf, col suo cappello a punta, il lungo vestito grigio, la folta barba candida, il borsello pieno di erba-pipa alla cintola e, naturalmente, l'inseparabile bastone da stregone in mano ... Fatto? Niente di più facile, no? 2. Sherlock Holmes e Gandalf sono oggetti inesistenti. Ma cosa vuol dire «oggetto»? Per come userò io il termine, «oggetto» vuol dire semplicemente qualcosa come: «portatore di proX
prietà». Un oggetto, o, equivalentemente, una cosa (in questo libro, userò «cosa» in modo tale che «oggetto» e «cosa» vogliano dire proprio la stessa cosa), ha proprietà - ne gode, dicono i filosofi - e così facendo soddisfa - dicono, ancora, i filosofi - certi predicati: i predicati che designano le proprietà in questione. Con gergo meno pedestre, possiamo anche dire che rende veri quei predicati, o anche, rende veri gli enunciati, o le affermazioni, corrispondenti. Ad esempio: Gandalf e Urna Thurman sono oggetti (senza offesa per Urna). Lo sono perché sono portatori di proprietà. Ci sembra del tutto plausibile dire che Gandalf gode della proprietà di essere uno stregone, e Urna Thurman di quella di essere un'attrice; ovvero, che i due soddisfano i predicati che designano quelle proprietà, e così facendo rendono vere le affermazioni: «Gandalf è uno stregone», «Urna Thurman è un'attrice». In questo consiste la loro oggettività. Ho dunque caratterizzato la nozione di oggetto dicendo che gli oggetti sono portatori di proprietà. Ma questa non è affatto una definizione con tutti i crismi - e dubito che, quando sono in gioco nozioni così fondamentali, il più brillante dei filosofi possa fare molto di meglio. Infatti, cos'è allora una proprietà? Beh ... è ciò che gli oggetti possono istanziare (o avere, o di cui possono godere). D'altra parte, anche le proprietà sono oggetti - sono qualcosa, nel senso che sono portatrici di ulteriori proprietà: se il laptop su cui digito ora è qualcosa perché ha proprietà come quella di essere grigio, grigio è qualcosa perché ha la proprietà di essere un colore (prima che la filosofia del linguaggio passasse di moda fra gli analitici, si diceva: un oggetto è ciò che può essere designato da un termine singolare, mentre una proprietà è ciò che può essere designato da un predicato. Ma poi, per caratterizzare un termine singolare, si rischiava di dover dire: è un'espressione linguistica che può designare un oggetto; e, per caratterizzare un predicato, si rischiava di non trovare di meglio che affermare: un predicato è un'espressione che può riferirsi a una proprietà; e così si era daccapo). Se uso come sinonimi «oggetto» e «cosa», lo stesso non può dirsi per la parola «ente», cara ai filosofi, o per la parola contigua «entità». Questi termini infatti rischiano di essere un po' XI
fuorvianti, perché iniettano già l'essere nel nostro concetto di oggetto. E non solo in italiano: l'Oxford English Dictionary definisce «entity>> come «thing that has real existence». Invece, a differenza di Urna Thurman, che (fortunatamente) esiste, Sherlock Holmes e Gandalf, si diceva, sono things che non hanno real existence: non sono, non hanno l'essere, non esistono. 3. E non solo· Sherlock Holmes e Gandalf, ma anche gli innumerevoli altri personaggi che popolano le nostre storie, i miti, i racconti, le strisce a fumetti, le narrazioni che ci piace ascoltare o leggere ai nostri figli, i libri che teniamo sul comodino: Anna Karenina, Lolita, Eva Kant, Gregorio Samsa, Zi' Scarda, Batman,Jessica Rabbit, Fleba il Fenicio, Alice nel Paese delle Meraviglie col suo Cappellaio Matto e lo Stregatto. Nel seguito del libro chiamerò (puramente) finzionali questi personaggi a noi tanto cari. A volte aggiungerò l'avverbio «puramente», perché succede che nelle suddette storie, narrazioni, etc., vengano menzionati, rappresentati e descritti anche personaggi che, a differenza di Batman e Gregorio Samsa, esistono, o quantomeno sono esistiti in passato, anche se ora non esistono più, e magari non esistevano più neppure al tempo in cui le storie sono state scritte. In Guerra e pace si parla di Napoleone, e Napoleone, a quanto pare, è esistito, anche se ora non esiste più da un po' di tempo (give and take, come dicono gli inglesi, certe credenze religiose sull'immortalità dell'uomo). E nella Commedia di Dante si parla di Virgilio, un altro personaggio storicamente esistito, anche se (give and take le stesse credenze) già al tempo in cui Dante scrisse il suo poema non esisteva più da un pezzo. A volte questi personaggi finzionali, ma non puramente tali, nei racconti che li riguardano sono molto simili a quelli realmente esistiti. A volte, invece, sono piuttosto diversi: ad esempio, il Giulio Cesare storico probabilmente è un po' diverso dal Cesare rappresentato nei drammi shakespeariani, e ancora più diverso dal buffo imperatore romano alle prese con i Galli di Asterix e Obelix. Non solo non esistono le cose che popolano il mondo letterario - Holmes, Gandalf, Alice. Anche molte altre cose che non appartengono (soltanto) alla fantasia letteraria, pur essendo esiXII
stite in passato, ora non esistono più: Eraclito, Socrate, Platone, Giulio Cesare, Virgilio, Agrippina, Carlomagno, Leonardo da Vinci, George Washington, Immanuel Kant, Napoleone, Michael Jackson, tutti i nostri cari estinti (con l'usuale give and take). E tutte queste cose, pur non esistendo più alla data del 10 luglio 2009 (ossia mentre sto scrivendo queste righe), conservano ancora la qualifica di oggetti, secondo la caratterizzazione di «oggetto» che vi ho dato sopra: sono, oggi che non esistono, portatori di proprietà, e rendono vere certe affermazioni. Socrate ha, oggi, la proprietà di esser morto; George Washington rende vera, oggi, l'affermazione «Il primo presidente degli Stati Uniti aveva denti di legno»2 , mentre Napoleone ha la proprietà di aver perso a Waterloo. Eraclito è tuttora frainteso, Virgilio è autoidentico (dopotutto, è Virgilio), e Platone ha la proprietà che, secondo Alfred North Whitehead, l'intera storia della filosofia occidentale consiste in una serie di note a piè di pagina ai suoi dialoghi. Queste cose non sono- nel senso di esistono - più; eppure, sono qualcosa. Altri qualcosa, invece, non sono ancora - oggetti futuri a cui ancora manca l'esistenza, come l'alba di domani o il primo uomo che nascerà nel XXII secolo, ma che già oggi riescono ad avere qualche caratteristica notevole: quella di essere nei miei pensieri ora, ad esempio. In effetti, tutti questi oggetti mancanti sembrano avere questo in comune: hanno occupato qualcuno dei miei pensieri, ossia sono o sono state cose verso cui si è orientata la mia attenzione. E non solo la mia: probabilmente anche la vostra, se non altro allorché le ho evocate scrivendo le righe che avete appena letto. Pensiamo spesso a cose che non esistono. Non devono neanche essere cose improbabili come lo Stregatto o un cavallo alato, o manifestamente assurde, come un cerchio quadrato. Potrebbe trattarsi di quella gonna bianca, fatta così e cosà, che volevate comprare alla vostra fidanzata per Natale, ma che non 2 In effetti, la famosa leggenda secondo cui Washington aveva una dentiera di legno per molti è infondata: aveva varie dentiere, ma nessuna di legno. Farò comunque finta che l'aneddoto sia vero, perché l'ho trovato troppo buffo per non utilizzarlo.
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avete trovato anche dopo aver cercato in tutti i negozi. Di quel modello le fanno solo nere: le gonne bianche di quel tipo, purtroppo, non esistono proprio. Il che ci fa intendere, fra l'altro, che la faccenda dell'inesistenza riguarda non solo gli oggetti (puramente) finzionali, e quelli passati e futuri. Molti altri generi di cose non esistono. Ad esempio, non esistono certi oggetti ideali menzionati in numerose teorie scientifiche (avete presente i piani privi di attrito?). Non parliamo poi degli oggetti assunti o postulati in teorie scientifiche, o pseudo-tali, che si rivelano false. Ecco a voi una storia interessante in proposito, e su cui si tornerà a lungo in questo libro: gli astronomi del XIX secolo J ohn Couch Adams e U rbain Le Verrier avevano postulato e predetto l'esistenza di un pianeta, nell'intento di spiegare certe anomalie notate nell'orbita di Urano. Non lo avevano visto puntando un cannocchiale. Adams e Le Verrier si erano messi, indipendentemente, a fare calcoli, che avevano portato a predire (fra l'altro, solo con una certa approssimazione, come si rivelò poi) massa, distanza e periodo orbitale del nuovo pianeta. Essi avevano dunque fornito una certa caratterizzazione del pianeta in questione, ma rimaneva da vedere se il pianeta così caratterizzato esisteva davvero. Esisteva: Johann Gottfried Galle, un po' di tempo dopo le teorizzazioni di Adams e Le Verrier, trovò empiricamente il corpo celeste descritto dai due astronomi, nella notte di osservazioni celesti del 23 settembre 1846, e la scoperta fu confermata ben presto da ulteriori osservazioni. Quel corpo celeste è Nettuno, l'ottavo pianeta del nostro sistema solare. Il 1°ottobre1846 il titolo del Times recitava: «Trovato il pianeta di Le Verrier». Ma qualche anno dopo, fra il 1859 e il 1860, Le Verrier postulò l'esistenza di un altro pianeta (ci aveva preso gusto, a quanto pare), chiamato Vulcano, e caratterizzato come avente un'orbita più vicina al sole dello stesso Mercurio. Lo fece perché l' esistenza di quel pianeta, col suo debole influsso gravitazionale, avrebbe spiegato certe anomalie nell'orbita di Mercurio. Ma le anomalie non erano dovute alla presenza di Vulcano. Erano dovute al fatto che gli astronomi del tempo effettuavano le loro misurazioni secondo la meccanica newtoniana. Senonché il nostro XIV
mondo, come sappiamo dopo Einstein, non è newtoniano: le misurazioni degli astronomi erano sbagliate, anche se di poco, perché si basavano su una teoria fisica falsa. Vulcano è un pianeta inesistente: non può influenzare l'orbita di Mercurio, né di nient'altro. La storia di Vulcano e di Nettuno è molto istruttiva, perché esemplifica il fatto che l'esistenza o l'inesistenza di qualcosa può essere un problema, e un problema che viene risolto a posteriori: attraverso scoperte empiriche. E quando scopriamo che qualcosa non esiste, o che esiste, magari mentre prima credevamo il contrario, è sempre di quella cosa che stiamo parlando. Come tutte le cose su cui ci informiamo a posteriori, la nostra conoscenza intorno all'esistenza di questo o quell'oggetto è molto limitata e fallibile: le nostre credenze in proposito possono cambiare e, soprattutto, rivelarsi false. Poco fa ho parlato con sicurezza dell'inesistenza di Gandalf, dell'esistenza attuale (al 10 luglio 2009) di Urna Thurman, e di quella passata di Platone. Ma i filosofi di inclinazione scettica costruiscono da sempre strani argomenti per farci dubitare di queste cose: forse Gandalf esiste davvero, e forse Urna Thurman è un'illusione ottica collettiva. Forse Platone non è mai esistito: forse i suoi scritti sono in realtà un coacervo di opere prodotte da molte persone diverse in tempi diversi e in luoghi diversi da Atene; magari neanche uno di loro si chiamava Aristocle. Naturalmente, pochi (fra i non filosofi) presterebbero attenzione seria ad argomenti di questo tipo; ma in altri casi il dubbio è reale, e può riguardare tanto le cose passate che quelle presenti e future. La gente ha dubitato di, o creduto a, l'esistenza di Vulcano e di Nettuno. E poi, esiste da qualche parte del mondo la mia dolce metà? La mia anima gemella, l'amore della mia vita? Ed esisterà un giorno mio figlio? Ci sarà mai un papa nero? Un centésimo presidente della Repubblica? Omero è esistito davvero? Ulisse è esistito? Patroclo? A proposito di eroi omerici: è esistita la città di Troia? Alcuni ritengono di sì: ritengono che l'esploratore Heinrich Schliemann abbia effettivamente scoperto le rovine di un'antica città, che corrisponde abbastanza bene alla descrizione di Troia fatta
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da Omero nell'Iliade. Certo, sappiamo che le descrizioni di Troia che troviamo nell'Iliade sono romanzate: ad esempio, vi si dice che qualche dio greco visita la città, ma è piuttosto improbabile che gli dei greci siano mai esistiti, e dunque che abbiano potuto visitare qualche città. Eppure, molta gente trova del tutto sensato ritenere che Schliemann abbia scoperto la città di Troia - proprio quella città. Dopotutto, anche il Napoleone di Guerra e pace ha qualche proprietà che al Napoleone storico manca, o è mancata. Eppure è di Napoleone che quel romanzo ci parla, proprio quel personaggio storico (alcuni filosofi sostengono il contrario: sostengono cioè che il Napoleone storico e quello che viene menzionato in Guerra e pace sono due individui diversi: come possono essere lo stesso Napoleone, se hanno anche solo qualche piccola proprietà che li differenzia? Come vedremo fra un bel po' di pagine, l'argomento è convincente solo quando lo si guarda da lontano). Atlantide è una città più controversa di Troia. Molti credono che non sia mai esistita, ma altri vanno in cerca del sito dove si sarebbe sviluppata, delle rovine ancora esistenti di una città che non esiste più ma, a detta di questi cercatori, esisteva. Altri ancora hanno inseguito la fontana della giovinezza, o la pietra filosofale, o la montagna d'oro, ma sono state ricerche infruttuose - e la diagnosi è sempre la stessa: quelle cose non esistevano, sicché per quanto si percorressero i più remoti angoli del mondo, non si poteva sbatterci contro. 4. Certe cose non esistono proprio. Se ciò che vi ho raccontato finora vi sembra plausibile, questa è la più plausibile delle conclusioni da trarne. È una conclusione fondata sulle nostre intuizioni intorno a numerose affermazioni che riteniamo vere, e su ciò che segue dalla loro verità. Queste intuizioni a volte vacillano, come nel caso delle discrepanze fra la Troia di Omero e quella i cui resti avremmo rinvenuto, o fra il Napoleone storico e quello di Guerra e pace. Come vedremo, talvolta non possono essere conservate tutte insieme in una teoria coerente, sicché qualcuna deve per forza andare. Ma nella grande maggioranza dei casi sono piuttosto solide, e sostanziano la conclusione. Eppure, come vedremo in seXVI
guito, i filosofi hanno tentato di rendere conto di questo fatto in modi strani e obliqui - quando non di negarlo apertamente. I filosofi (specie quelli analitici) fanno spesso ricorso alla parola «intuizione». Ma cosa sono, infine, queste intuizioni? Tecnicamente, sono qualcosa come credenze condivise non suffragate da argomenti o dall'evidenza. Il che vorrebbe dire che sono una specie di declinazione al plurale di quello che, con un terminemassa, si chiamerebbe «buon senso comune». Ma la filosofia, si dice d'altra parte, non è legata al senso comune più di quanto lo sia all'argomentazione o ali' evidenza, qualsiasi cosa queste nozioni indichino in concreto. Anzi, la filosofia spesso ha come suo compito principale di non fermarsi davanti alle credenze e persuasioni che non sono suffragate né dall'evidenza né dall'argomentazione: la credenza passata nelle streghe, nel flogisto e nella dittatura del proletariato, o la credenza presente che, se un numero non esce al lotto da molto tempo, è più probabile che esca prossimamente (la gambler's /allacy). Sicché sono stato un po' in imbarazzo, scrivendo questo libro, nel dover insistere spesso su quanto sia intuitiva la tesi secondo cui alcune cose non esistono. Ma i filosofi hanno spesso sostenuto addirittura che questa tesi non è intuitiva - anzi, che è o implica affermazioni del tutto implausibili, assurde, e folli. Dunque, ho dovuto darmi da fare per attestare che non è così: che anzi la sua avversaria - la tesi secondo cui, invece, tutto esiste - non è affatto ciò per cui viene spacciata, ossia una verità ovvia e di senso comune: La tesi secondo cui qualcosa non esiste non è soltanto intuitiva: io penso che sia anche, e soprattutto, vera. E la sua avversaria, la tesi secondo cui tutto esiste, oltre ad essere, secondo me, falsa, è un'ovvietà di senso comune solo per il senso comune dei filosofi, o di molti di essi - la maggior parte,in effetti. Sicché ci sarebbe da chiedersi piuttosto come mai i filosofi siano giunti a prendere per ovvio qualcosa che non lo è affatto. Anche se non so spiegare perché sia successo, la prima parte del libro che avete cominciato a leggere è una breve storia che spiega come sia successo. L'idea che tutto senza eccezione, ogni singola cosa, esista non è infatti dottrina comune soltanto fra i filosofi di oggigiorno. Invece, ha origini remote: risale al più antico pensiero dei Greci. XVII
5. Quine afferma in Che cosa c'è (On What There Is) - probabilmente il singolo saggio più celebre dell'ontologia contemporanea - che la risposta al quesito ontologico fondamentale, ossia appunto: «Che cosa c'è?», si può dare in una parola sola. La parola è: «Tutto». Ma questa tesi secondo cui tutto esiste si basa su un certo concetto di esistenza: su una certa idea di che cosa voglia dire affermare che una cosa esiste. Un'idea così basilare, che la sua messa a punto è addirittura preliminare all'inizio dell'indagine metafisica vera e propria3. Ad esempio, ecco come comincia il manuale Ontologia di Achille Varzi: Si è soliti identificare l'ontologia con quel ramo della filosofia che nasce dalla domanda: «Che cosa esiste?». E si è soliti precisare che questa domanda ammette due tipi di risposta. La prima risposta è facile, per non dire banale, e si può riassumere in un'unica parola: «Tutto». Come ha scritto Quine [. .. ],esiste tutto in quanto non ha senso parlare di «entità inesistenti», e chi la pensasse diversamente manifesterebbe non già un disaccordo ontologico, bensì di aver travisato il concetto stesso di esistenza. Naturalmente esistono gli elefanti ma non gli unicorni - si dirà - né i quadrati rotondi, ma ciò non significa che unicorni e quadrati rotondi siano cose che non esistono. Significa semplicemente che non esistono cose del genere. Proprio in quanto sarebbe contraddittorio asserire che qualcosa non esiste, tuttavia, asserire che tutto esiste è tautologico, cioè privo di contenuto, quindi privo d'interesse4.
Una volta risposto alla domanda facile, insomma, si può passare a questioni più sostantive. Però, però ... Nella risposta alla domanda facile, intanto, si è già innestata quella certa idea di cosa vuol dire esistere. E l'idea ha le proprie radici nella filosofia di Parmenide («venerando e 3 In questo libro userò «ontologia» e «metafisica» come termini largamente intercambiabili. Oggi si discute molto - soprattutto nel recente dibattito sulla meta-ontologia: cf. Bottani e Bianchi [2003], D'Agostini [2002] sull'opportunità di intendervi due cose distinte; ma poi non c'è accordo su come tracciare la distinzione. Sicché, per stare sul semplice, ho inteso qui i termini sostanzialmente come sinonimi. 4 Varzi [2005], p. 3.
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terribile», come lo descriveva Platone); si sviluppa attraverso i secoli, nel pensiero di Hume e in quello di Kant (il che come vedremo non vuol dire che essi, e specialmente Kant, la sottoscrivessero in pieno: vuol dire solo che hanno contribuito a plasmarla, anche loro malgrado), fino ai padri della filosofia analitica, Gottlob Frege e Bertrand Russell. Attraverso Frege e Russell, l'idea invade la logica contemporanea - sia la logica cosiddetta classica, sia la maggior parte delle logiche non classiche. E per via della deferenza verso la logica (classica) propria della filosofia analitica, invade anche buona parte di quest'ultima. In particolare, lo.sviluppo di quest'idea ha portato a concludere che l'affermazione che tutto esiste è non solo vera ma, come abbiamo sentito ora da Achille Varzi, è tautologicamente tale. E quindi, l'affermazione che non tutto esiste, essendo la negazione di una tautologia, è contraddittoria. Tautologicità e contraddittorietà sono proprietà logiche. In questa concezione del senso dell'esistenza, l'esistenza di tutto, come vedremo, è una faccenda di logica e come tale va trattata. Ora, nel libro che state leggendo, in effetti, si farà un po' di logica. Ma questo non è affatto un volume di logica, bensì di filosofia teoretica e, precisamente, di metafisica. E la tesi che difenderò qui - la tesi secondo cui certe cose non esistono implica che l'esistenza non sia affatto una faccenda puramente logica. L'esistenza non è una proprietà logica, non è riducibile a concetti logici, ed «esiste» non è una parola che possa essere definita utilizzando soltanto il vocabolario logico, ossia espressioni come i connettivi, l'identità e, soprattutto, i quantificatori - questi ultimi essendo (la traduzione logica di) espressioni come «tutti», «qualche», ~ dovrebbe voler dire che una qualche specifica proprietà P è istanziata (da Brad Pitt). Quale? Cos'è P? Se fosse solo la proprietà di essere un uomo (o tin uomo biondo, o un uomo biondo di razza caucasica, o un uomo biondo di razza caucasica di nazionalità americana, etc.), ad esempio, non si capisce perché questo sarebbe sufficiente a spiegare l'esistenza di Brad Pitt (ossia il senso di ;. Consideriamo l' enunciato:
24
L'esposizione che segue è largamente ripresa da Reicher [2006], § 3.3.
In effetti, sembra che un papa donna ci sia già stato: la papessa Giovanna, che sarebbe stata in carica forse fra 1'853e1'855; ma sorvoliamo sulla complicazione storiografica.
(3)
Ci sono stati sedici papi chiamati Benedetto;
se applichiamo l'operatore temporale P, questo diventerà: (3a)
P(Ci sono sedici papi chiamati Benedetto).
Ma, come ha osservato David Lewis25 , la traduzione non conserva il valore di verità in casi come questo: (3a) è falsò, perché non c'è stato nessun tempo passato con sedici papi in simultanea. Si potrebbe produrre una traduzione che innesta vari operatori temporali uno dentro l'altro, ad esempio: (3b) P(C'è un papa chiamato Benedetto, e P(C'è un altro papa chiamato Benedetto, e P(C'è un altro papa ancora chiamato Benedetto, e ... ))). Ma, osserva ancora Lewis, questo non consentirebbe mai di rendere enunciati in cui si parla di un'infinità di cose passate o future che soddisfano un certo predicato, perché ciò richiederebbe una costruzione con operatori temporali annidati all'infinito26. C'è di peggio. Un fautore della received view che adotti la strategia degli operatori temporali fronteggia il problema delle relazioni fra oggetti esistenti e oggetti passati e futuri che non esistono (più, o ancora). Abbiamo abbondantemente visto come sia caratteristico della posizione parmenidea sostenere che le relazioni presuppongono sempre l'esistenza dei relata, sicché sembra non vi possano essere relazioni con cose che non esistono (più, o ancora). Ma queste relazioni ci sono: non solo posso pensare al primo papa donna, o a George Washington; ma, ad esempio, io sto nella relazione essere uno di dieci nipoti di con mia nonna Olga, che però non è più; e sto nella classe di equivalenza determinata da essere concittadino di con Casanova. La soluzione meinonghiana, come al solito, è più semplice. 25
26
Cf. Lewis [2004]. Cf. ivi, p. 7. 118
Le cose possono acquisire o perdere la proprietà di esistere, come possono acquisire o perderne altre, ma non per questo cessano di avere qualsiasi proprietà. In particolare, possono avere proprietà modali e temporali. (1) e (2) sono veri, la loro forma grammaticale va bene così com'è, e la posizione meinonghiana non consente di inferire che George Washington o il primo papa donna esistano (ancora, o di già). «George Washington» denota l'attualmente inesistente primo presidente degli Stati Uniti, e «il primo papa donna» denota l' attualmente inesistente primo papa donna27 • Ma l'inesistente George Washington ha, ora, la proprietà di aver avuto una dentiera di legno, etc.
5.2.4. «Il quadrato rotondo è tanto rotondo quanto è quadrato» Un altro ambito in cui il meinonghianismo ingenuo se la cava bene è quello di enunciati come i seguenti: (1) (2) (3)
(4)
L'insieme di tutti gli insiemi che non appartengono a se stessi appartiene e non appartiene a se stesso. Il cerchio quadrato è un cerchio ed è un quadrato. Il cerchio quadrato è un cerchio. La fontana della giovinezza è una fontana.
Enunciati di questo genere sembrano a molti essere veri; anzi, secondo molti lo sono a priori28 e, nel caso di (2), (3) e (4), sembrano analiticamente tali29 • Anzitutto, non occorre alcuna verifica empirica per stabilire che sono veri. In particolare, (1) è una formulazione del paradosso di Russell, che è deducibile del tutto a priori dai principi della teoria ingenua degli insiemi. Pro27 Notate: stanti le assunzioni dell'esempio, «iLprimo papa donna» denota oggi, del tutto felicemente, un oggetto che, oggi, non soddisfa (ancora) la descrizione: non è ancora un papa (né probabilmente una donna!), visto che non esiste ancora. Vedremo che fenomeni del genere non sono affatto problematici. Dipendono semplicemente dal fatto che usiamo di preferenza descrizioni che fanno appello a proprietà salienti di oggetti, per riferirci ad essi anche in circostanze, o tempi, in cui quegli oggetti non hanno (più, o ancora) quelle proprietà. 2s Ad es. Zalta [1983], p. 3. 29 Ad es. Lambert [1983].
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prio la verità di (1) e (2) costituisce l'evidenza di base per concludere che l'insieme di tutti gli insiemi che non appartengono a se stessi (ossia appunto, l'insieme di Russeli), e il cerchio quadrato, non possono esistere. Inoltre, (1)-(4), come al solito, hanno la struttura di enunciati a soggetto-predicato. Ma il filosofo parmenideo, ancora una volta, non può prenderli per tali perché implicherebbero l'esistenza dell'insieme di Russell, o del cerchio quadrato, e deve fornire una qualche parafrasi. In alternativa, se il fautore della received view prende per buona la forma grammaticale di (1)-(4), allora «l'insieme di tutti gli insiemi che non appartengono a se stessi», «il cerchio quadrato» e «la fontana della giovinezza», che vi compaiono, dovrebbero essere prese come descrizioni non denotanti. E in tal caso diventa difficile conservare il valore di verità intuitivo in tutti i casi: un enunciato che contiene un termine non denotante potrà essere privo di valore di verità, o magari falso, ma difficilmente si può giustificare in generale l'idea che sia vero. Il problema si pone per qualsiasi enunciato della forma «Il P 1, P2 , •.. , Pn è P,», 1 Si S n, dove P 1, P2 , •.• , Pn sono proprietà tali che non può esistere alcun oggetto che le esemplifichi tutte insieme. E anche in questo caso, la semplice soluzione meinonghiana consiste nel prendere enunciati di questa forma per quello che sono. Un cerchio quadrato o l'insieme di Russell sono oggetti impossibili, ossia non solo oggetti che non esistono, ma che neppure possono esistere; e, come Meinong ci ha ricordato sopra, il Principio di Indipendenza del Sosein dal Sein si applica anche a questi oggetti. Il cerchio quadrato e l'insieme di Russell hanno proprietà; anzi, si diceva, è proprio perché hanno proprietà inconsistenti come quella di appartenere e non appartenere a se stessi, o di essere cerchi quadrati (ossia, è proprio perché rendono veri enunciati come (1) e (2)), che sono impossibili, non possono esistere: lo statuto di oggetti impossibili viene a queste cose come conseguenza del loro avere quelle proprietà. 5.2.5. Cose intenzionali
Una delle motivazioni principali a favore della Gegenstandstheorie, si è detto sopra, fa perno sulla nozione di intenziona120
lità. Nello spiegare i fenomeni connessi all'intenzionalità, affermava Meinong, il filosofo vittima del pregiudizio a favore del reale è a rischio di «psicologismo», inteso come «la tendenza o la disponibilità [... ] a porre mano alla soluzione di problemi soprattutto attraverso strumenti psicologici»30 • Due capitoli or sono, abbiamo già visto quali problemi abbia il parmenidismo, in particolare con gli stati intenzionali de re (Ponce de Leon cercava la pietra filosofale, gli antichi Greci veneravano Zeus, etc.). E abbiamo parlato anche della tendenza, invalsa nella received view, a ridurre i termini degli stati intenzionali a rappresentazioni mentali: «Ciò che non esiste fuori di noi - rilevava Meinong - deve, così si opina involontariamente, esistere almeno in noi: esso cade pertanto dinanzi al foro della psicologia»31 • Ma Meinong rifiutava recisamente la soluzione mentalistica: L'oggetto, per non esistere, ha se possibile ancor meno necessità d' esser rappresentato che non per esistere e quand'anche ciò gli fosse necessario, dall'esser-rappresentato potrebbe scaturire al massimo una specie di esistenza: «l'esistenza nella rappresentazione», cioè più precisamente la «pseudoesistenza». Per esprimermi in modo più preciso: quando affermo «il blu non esiste», non penso assolutamente ad una rappresentazione e ad una eventuale facoltà di questa ma, appunto, al blu32 •
Così, Meinong rifiutava anche che la Gegenstandstheorie potesse identificarsi con la psicologia, intesa in senso lato come la disciplina che si occupa delle facoltà e rappresentazioni mentali. E con buone ragioni visto che, come abbiamo visto supra, le rappresentazioni mentali non possono essere buoni sostituti degli oggetti intenzionati de re: non possono avere quasi nessuna delle proprietà di quegli oggetti, sia che questi esistano, sia che non esistano. Il problema dell'intenzionalità de re, invece, è risolto in modo semplice dalla teoria meinonghiana: accettiamo che un agente possa avere relazioni intenzionali de re con autentici oggetti - cose che non sono simulacri mentali di altre co30
Meinong [1904], p. 41.
Ivi, p. 42. 32 Ivi, p. 29. 31
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se; e che alcune di queste, come Varenne, esistono, e altre, come Pegaso, no.
5 .3. Cinque problemi del meinonghianismo ingenuo Insomma: il meinonghianismo ingenuo a prima vista se la cava davvero bene: fornisce la soluzione - un'unica soluzione uniforme - per una serie di problemi diversi, laddove la received view deve ricorrere a una quantità di complicazioni ed espedienti ad hoc. La posizione meinonghiana in proposito è talmente intuitiva e semplice da apparire quasi banale: ci sarebbe da chiedersi come mai i filosofi hanno sentito il bisogno di intraprendere quelle altre vie più tortuose. Senonché, come anticipavo, il meinonghi~nismo originario con il suo Principio di Comprensione per oggetti privo di restrizioni ha goduto di pessima fama; anzi, è stato ritenuto per molti anni una teoria totalmente fallimentare. Una parte della cattiva letteratura in proposito è senz'altro dovuta al fatto che la tesi meinonghiana è indissolubilmente legata ali' affermazione che l'esistenza è un predicato reale, un'autentica proprietà di individui - la quale, come ormai sappiamo bene, si oppone alla prospettiva consolidata del parmenidismo. Che quest'affermazione non sia peregrina quanto sostengono di solito i fautori della received view, dovrebbe risultarvi piuttosto chiaro a questo punto del libro. Ma il meinonghianismo ingenuo ha sofferto specificamente del fatto di essere basato su (PC), il Principio di Comprensione senza restrizioni. Anzi, spesso le due cose sono state confuse, e si è ritenuto che il fatto che quel Principio è chiaramente insostenibile facesse tutt'uno con l'insostenibilità della tesi che non tutto esiste, o che esistere è una proprietà di individui. Vedremo che, invece, le due questioni vanno tenute ben distinte. Ma prima cominciamo con l'esaminare i guai della teoria ingenua. Specificamente, ce ne sono ben cinque.
5.3.1. La cupola sferico-quadrangolare del Berkeley College Il più famoso critico di Meinong fu senza dubbio Bertrand Russell, e i testi in cui Russell considera la posizione meinonghiana 122
sono due scritti entrambi apparsi nello stesso numero di Mind3 3 : una recensione di una raccolta di saggi pubblicata da Meinong e dai suoi studenti, e il già più volte citato Sulla denotazione. Russell avanzò due obiezioni fondamentali contro il meinonghianismo ingenuo. La prima dice che il Principio di Comprensione implica direttamente una negazione della Legge di NonContraddizione. La ragione è semplice: se a[x] nel Principio rion ristretto può stare per una qualsiasi condizione, allora si possono considerare condizioni inconsistenti. Se ad esempio a[x] = «x è un cerchio quadrato», il Principio ci garantisce che Lxa[x], ossia che qualcosa è un cerchio quadrato. Dunque il Principio ci obbliga ad ammettere oggetti impossibili e contraddittori. Potrebbe il meinonghiano ribattere che, mentre condizioni come «montagna d'oro» o «fontana della giovinezza» sono sensate e possibili, e dunque hanno oggetti corrispondenti (anche se, magari, di fatto poi quegli oggetti non esistono), condizioni come «cerchio quadrato» sono semplicemente insensate, e dunque si può rifiutare che ad esse corrispondano oggetti in base a (PC)? No, perché, come rimarcato da Quine in Che cosa e'è, anche le condizioni inconsistenti o contraddittorie sembrano piuttosto sensate. Il bersaglio polemico del saggio qui è Wyman - un uomo di paglia che si suppone stia per il meinonghiano: Se fosse un nonsenso dire che Pegaso non è, a meno che Pegaso non sia, allora per lo stesso motivo sarebbe un nonsenso dire che la cupola sferico-quadrangolare del Berkeley College non è, a meno che essa non sia. Ma, a differenza di Pegaso, la cupola sferico-quadrangolare del Berkeley College non può essere ammessa neppure come possibile non attualizzato. Possiamo ora costringere Wyman ad ammettere anche un dominio di impossibili non attualizzabili? Se sì, potrebbero essere poste su di essi parecchie domande imbarazzanti. Potremmo persino sperare di intrappolare Wyman facendolo cadere in contraddizione, portandolo ad ammettere che queste entità sono allo stesso tempo sferiche e quadrangolari. Ma lo scaltro Wyman sceglie l'altro corno del dilemma e concede che è un nonsenso dire che la cupola sfe33
Russell [1905a], [1905b]. 123
rico-quadrangolare del Berkeley College non è. Ci dice che la locuzione «cupola sferico-quadrangolare» è priva di significato. Wyman non è stato il primo ad abbracciare questa alternativa. La dottrina per cui le contraddizioni sono prive di significato ha una vecchia storia alle spalle. [.. .] Di certo, la dottrina non ha alcuna attrattiva intrinseca; essa ha portato i suoi sostenitori a estremi donchisciotteschi come quello di contestare il metodo di dimostrazione per reductio ad absurdum - una contestazione che, ai miei occhi, è una re.ductio ad absurdum della dottrina stessa34 • Si potrebbe rispondere che il cerchio quadrato è un cerchio ed un quadrato, ma da ciò non segue che sia un quadrato che non è un quadrato (o un cerchio non circolare), quindi non c'è qui un'immediata contraddizione35 • Ma a parte il fatto che per bloccare l'inferenza occorrerebbe respingere l'ovvietà geometrica per cui se qualcosa è un cerchio allora quella cosa non è un quadrato (o se qualcosa è un quadrato, allora non è un cerchio), il problema è che il Principio non ha alcuna restrizione sulle condizioni che possono generare oggetti; quindi, è possibile prendere come a[x] una condizione direttamente ed esplicitamente contraddittoria, ossia appunto della forma a[x] = Px /\ -,Px , dove P è una proprietà qualsiasi, e (PC) ci garantisce che rix(Px /\ -.Px) (presumibilmente era proprio una cosa del genere che Russell aveva in mente, quando avanzò la propria obiezione). Un'altra replica all'obiezione consiste nel rilevare che gli oggetti caratterizzati mediante (PC) da condizioni inconsistenti non esistono, e neppure possono esistere -- e questa in effetti fu la risposta dello stesso Meinong. Anche se la Legge di Non-Contraddizione è una legge logica, e come tale vale non solo di fatto ma in modo necessario e senza restrizioni, ossia in tutte le circostanze possibili, ciò non vuol dire che si debba applicare anche al cerchio quadrato, appunto perché si tratta di un oggetto impossibile: che il cerchio quadrato e gli altri oggetti caratterizzati da condizioni inconsistenti non solo non esistano, ma nep34 35
Quine [1953], pp. 17-18. Cfr. Reicher [2006], § 4.
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pure possano esistere, dovrebbe essere sufficiente ad alleviare la preoccupazione che la Legge di Non-Contraddizione corra pericoli. Ciò che (PC) garantisce è che qualcosa, LX, è un quadrato che non è un quadrato (o un cerchio che non è un cerchio), ma il quantificatore meinonghiano come sappiamo bene non è esistenzialmente compromesso. In questo modo la questione viene spostata daccapo verso il più generale problema della sensatezza della quantificazione meinonghiana. Gli oggetti impossibili, ossia le cose inesistenti che soddisfano condizioni inconsistenti, sono soltanto un caso speciale del principio meinonghiano secondo cui vi possono essere oggetti (portatori di proprietà) che non esistono, ossia cose che soddisfano condizioni, e così facendo rendono vere certe affermazioni, pur non esistendo. Che un tal riferimento a (e una tale quantificazione su) oggetti inesistenti abbia senso, come ricorderete, è qualcosa che oramai abbiamo motivo di sospettare seriamente. D'altra parte, anche lasciando da parte la faccenda della quantificazione, la risposta di Meinong non cambia il fatto che dovremmo poterci riferire agli oggetti contraddittori anche usando termini singolari. In base a (PC), qualcosa è caratterizzato dalla condizione «X è un cerchio e x non è un cerchio», Lx( Cx/\ -,Cx). Con l'opportuna versione della Legge di Leibniz, esattamente un oggetto soddisfa la condizione. Chiamiamo questo oggetto Noncerchio, n. Per il (PC), Noncerchio è un cerchio e Noncerchio non è un cerchio, Cn /\ -,Cn. Mediante questo riferimento diretto a Noncerchio, la teoria ci impegna ad asserire contraddizioni scoperte della forma a /\ -,a; ma simili asserzioni non possono mai essere vere36 • 5.3.2. Montagne d'oro esistenti:
il problema della trivializzazione Russell, a quanto pare, accettò la risposta di Meinong - fermo restando che, da buon parmenideo e fautore della received view, non poteva accettare la successiva mossa, consistente nell' accet36
L'obiezione, in questa forma, viene-da Sainsbury [2009], cap. 2.
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tare il riferimento a, e la quantificazione su, oggetti inesistenti: Sulla denotazione, come sappiamo, è appunto celebrato dalla filosofia analitica come una brillante (presunta) soluzione parmenidea al problema del non essere. Ma Russell propose una seconda obiezione, molto più pericolosa. In effetti, questa seconda obiezione è con ogni probabilità il principale problema sul quale i filosofi di ispirazione meinonghiana hanno dovuto arrovellarsi. Si diceva che il Principio di Comprensione ingenuo non ha restrizioni sulle condizioni, o sulle proprietà e gli insiemi di proprietà, che possono produrre oggetti. Sappiamo anche che la caratteristica saliente del meinonghianismo consiste nell'affermazione che in particolare, e contro la received view, l'esistenza è una proprietà di individui come tutte le altre. Ma questo vuol dire che (PC) consente di dimostrare l'esistenza di qualsiasi cosa! Prendiamo infatti come a[x] la condizione Mx/\ Ox /\Ex, dove