Le ragioni della logica [PDF]

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Zitiervorschau

© 1998, Gius. Laterza & Figli Prima edizione 1998

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Carlo Cellucci

LE RAGIONI DELLA LOGICA

Laterza

Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Finito di stampare nel gennaio 1998 Poligrafico Dehoniano - Stabilimento di Bari per conto della Gius. Laterza & Figli Spa

CL 20-5438-8 ISBN 88-420-5438-0

Tutte le nostre logiche fino ad ora sono appena un' ombra di ciò che auspico e che quasi vedo di lontano. G.W. Leibniz, Lettera a Gabriel Wagner, fine 1696, LEP VII, p. 516

PREFAZIONE

La logica è stata un grande argomento nell'antichità, successivamente ha avuto alterne vicende, ma a partire da Frege ha goduto di uno straordinario sviluppo durato quasi un secolo. Poi, però, essa ha perso slancio, apparendo sempre più incerta sulle sue motivazioni e sulla direzione da prendere. Questo libro ne ricerca le cause, sia prossime che remote, riesaminando le ragioni della logica quali sono state espresse da alcuni dei suoi protagonisti, da Platone a Godel. Un tale riesame è essenziale non solo per spiegare i motivi delle attuali incertezze della logica, ma per comprendere la natura stessa della disciplina. Le ragioni della logica sono state molteplici nel suo sviluppo e non sempre sono state formulate limpidamente né sono state distinte nettamente tra loro. Riesaminarle costituisce una condizione indispensabile per comprendere la variegata e per certi versi ambigua natura della logica. Riesaminare le ragioni della logica costituisce, però, solo uno degli scopi del libro. Un altro scopo, se non lo scopo principale, è quello di offrire alla logica una prospettiva auspicabilmente capace di restituirla alla condizione di disciplina viva e vitale. A tal fine nel libro si discutono i limiti dell'attuale identificazione del metodo matematico col metodo assiomatico, e se ne propone alternativamente l'identificazione col metodo analitico, un metodo molto antico che è stato a lungo al centro dell'attenzione ma che è stato quasi del tutto trascurato negli ultimi due secoli. Partendo da esso e arricchendolo di strumenti per la ricerca delle ipotesi, nel libro si delinea una nuova visione della logica. Ciò comporta un cambiamento nella concezione della conoscenza scientifica.Nell'età moderna e contemporanea questa è stata vista come concentrata in un unico sistema e basata su un singolo soggetto conoscente (tipicamente, da Descartes a Kant), o addirittura su nessun soggetto conoscente (tipicamente, nell'empirismo logico). Nel libro, invece, essa viene vista come distribuita tra più sistemi e basata su più soggetti conoscenti capaci di interagire tra loro. Questo comporta il passaggio da una concezione della conoscen::>:,t scientifica coVII

me sistema chiuso a una concezione della conoscenza scientifica come sistema aperto. Il libro consta di un'introduzione e di dieci capitoli, il cui contenuto può essere così riassunto. Nell'introduzione si pone il problema dei limiti dell'attuale paradigma logico, rappresentato dalla logica matematica, che identifica lo scopo della logica con la giustificazione e fondazione di conoscenze già acquisite. Tale paradigma appare inadeguato rispetto alle esigenze di vari settori del sapere contemporaneo, come l'informatica, l'intelligenza artificiale, la scienza cognitiva, la linguistica, la sociologia, l'economia, nonché della stessa matematica con cui pure dall'inizio la logica matematica ha instaurato un rapporto privilegiato. A tale paradigma si contrappone un nuovo paradigma logico, che assume a oggetto della logica non solo la giustificazione e fondazione di conoscenze già acquisite ma anche la scoperta di nuove conoscenze, e si propone non solo come una logica della giustificazione ma anche come una logica della scoperta. Nel capitolo 1 si esaminano le ragioni per cui la logica matematica ha identificato lo scopo della logica con la giustificazione e fondazione di conoscenze già acquisite e ha escluso con Frege la possibilità di una logica della scoperta. Al rifiuto di Frege si contrappone la tesi, sostenuta già da Platone e Aristotele, che una logica della scoperta è possibile e si basa sul metodo analitico. Dopo aver analizzato le principali obiezioni che sono state avanzate contro tale tesi, si esamina il tentativo di Descartes di ridarle vigore e si discutono le ragioni del suo fallimento. Nel capitolo 2 si collega il rifiuto di Frege di una logica della scoperta alla sua contrapposizione della logica scientifica alla logica naturale. Si esamina la proposta alternativa di Leibniz e Hilbert di considerare la logica scientifica come un surrogato della logica naturale e se ne discutono i limiti. Si esaminano anche due ulteriori formulazioni del rapporto tra logica scientifica e logica naturale, cioè quella del1' algebra della logica (Boole, Schroder, Peirce), che fa dello studio delle leggi del pensiero l'oggetto della logica scientifica, e quella dell' aritmetizzazione dell'analisi (Weierstrass, Dedekind, Cantar), che prescinde dalla logica scientifica fondando la matematica sulla logica naturale. Si considera, inoltre, l'influenza che l'idea della logica come studio delle leggi del pensiero ha esercitato sulla logica matematica (Frege, Hilbert, Gentzen, Prawitz). Si sostiene infine che la logica della scoperta non deve porsi come un surrogato della logica naturale, bensì come un suo aiuto sebbene un aiuto non infallibile. Nel capitolo 3 si ricostruiscono le idee di Pascal sul metodo della matematica, che egli identifica col metodo assiomatico, e si fa vedere come esse siano state riprese da Frege e dalla logica matematica. Un VIII

punto importante del parallelo tra Frege e Pascal riguarda il ruolo dell'intuizione nella conoscenza matematica. Si mostra che tale ruolo, sebbene apparentemente rifiutato da Frege per quanto riguarda l'aritmetica, in realtà è da lui sempre stato assunto implicit'amente, fino ad essere apertamente riconosciuto dopo la scoperta del paradosso di Russell. Si fa anche vedere che il ruolo dell'intuizione è essenziale non solo per Frege ma per tutta la logica matematica successiva. Nel capitolo 4 si mostra che, a monte dell'affinità tra la logica matematica e Pascal, vi è una più generale affinità tra essa e la logica aristotelica. Per verificarlo si ricostruisce la concezione del metodo matematico di Aristotele e la si mette a confronto con quella di Hilbert, sottolineandone i molti punti di continuità oltre ai pochi di discontinuità, legati alla sostituzione della concezione concreta del metodo assiomatico con quella astratta. Si mostra che la continuità permane anche con la logica matematica dopo Hilbert. Nel capitolo 5 si mostra che le motivazioni storiche solitamente addotte per il passaggio dalla concezione concreta del metodo assiomatico a quella astratta, quali la nascita delle geometrie non-euclidee e dell'algebra astratta, sono pretestuose perché gli autori di queste svolte ne davano un'interpretazione concreta piuttosto che astratta. Si mostra inoltre che, nonostante le giustificate critiche di Frege alla concezione astratta, questa si è trasformata con Hilbert in un'ideologia che assume non solo che ogni teoria matematica è una teoria assiomatica, ma addirittura che ogni teoria scientifica è matematica e quindi cade sotto il dominio del metodo assiomatico. Si considerano alcuni sviluppi di tale ideologia dopo Hilbert (Bourbaki, Curry, Mac Lane) e i guasti che essa ha prodotto. Nel capitolo 6 si analizza il metodo matematico in termini della nozione di sistema concettuale chiuso, un analogo di quella di sistema fisico chiuso, e si mostra che essa sta alla base della concezione del mondo chiuso (sostenuta da Kant, F rege e Hilbert), secondo cui ogni campo della matematica e l'intera matematica sono sistemi concettuali chiusi. Si fa vedere che la nozione di sistema concettuale chiuso trova due diverse realizzazioni nell'ideografia di Frege e nei sistemi formali della logica matematica attuale, a cui corrispondono due diverse concezioni della completezza: la completezza in senso empirico di Frege e la completezza in senso metasistemico di Hilbert. Si esamina il tentativo di Wagner di usare la nozione di completezza in senso empirico per proporre una riedizione del logicismo di Frege, e se ne mostrano i limiti. Infine si discute il ruolo dell'analisi nella concezione del mondo chiuso e si dà una caratterizzazione del metodo assiomatico elencandone alcune proprietà fondamentali. Nel capitolo 7 si esaminano i limiti della concezione del mondo chiuso, e in particolare dei sistemi chiusi, alla luce dei risultati di inIX

definibilità di Tarski, di incompletezza di Godei e di indecidibilità di Church-Rosser, che mostrano l'impossibilità di una logica della giustificazione. Si discutono le conseguenze di questi risultati per il ruolo dei sistemi formali, per l'ideale della purezza dei metodi (Aristotele, Hilbert), per il problema della scoperta, per la verità matematica e per la rappresentazione della conoscenza. Si esaminano anche altri limiti dei sistemi chiusi, che riguardano la loro incapacità di rappresentare le conoscenze in evoluzione, la formazione delle ipotesi, il ragionamento non-monotono, le conoscenze incoerenti, le interazioni dinamiche tra sistemi. Nel capitolo 8 si esaminano varie forme del metodo analitico, quali il metodo della riduzione di Ippocrate di Chio e i metodi delle ipotesi, della divisione, e della figura di Platone. Si sottolinea il carattere di processo infinito di tali metodi e si esamina la contrapposizione di Platone del metodo analitico al metodo assiomatico. Inoltre si discute la subordinazione del metodo analitico al metodo assiomatico introdotta attraverso il metodo analitico-sintetico di Aristotele e quello di Pappo. Si mostra che la distinzione tra il metodo analitico di Ippocrate di Chio e Platone e il metodo analitico-sintetico di Pappo è andata perduta nell'età moderna e contemporanea, dove il primo è stato dimenticato e ha prevalso il secondo. Come esempio di ciò si considerano le posizioni della Logique di Port-Royal, di P6lya, di Hintikka e Remes. Infine si dà una caratterizzazione del metodo analitico elencandone alcune proprietà fondamentali. Nel capitolo 9 si formula la concezione analitica del metodo matematico in termini della nozione di sistema concettuale aperto, un analogo di quella di sistema fisico aperto, e si propone tale nozione come base di una concezione del mondo aperto secondo cui ogni campo della matematica e l'intera matematica sono sistemi concettuali aperti. Si esaminano le ragioni per cui la concezione del mondo chiuso è inadeguata e dev'essere rimpiazzata da quella del mondo aperto, e le si individua soprattutto nel primo teorema di incompletezza di Godel e nella non-ampliatività della deduzione logica. Si considerano poi alcune proprietà che distinguono le dimostrazioni nei sistemi aperti da quelle nei sistemi chiusi, come l' evolutività, la plasticità e la modularità. Si dà infine una caratterizzazione dei sistemi aperti elencandone alcune proprietà fondamentali. Nel capitolo 10, poiché il metodo analitico di per sé non fornisce processi per trovare le ipotesi, si esaminano vari candidati a tale ruolo come l'analisi, l'astrazione, l'abduzione, l'induzione e l'analogia. Si mostra che, tra essi, l'analisi e l'astrazione sono utili ma insufficienti per servire da base per una logica della scoperta, e che l'abduzione non rende conto della creatività della scoperta. L'induzione e l' analogia svolgono, invece, un ruolo centrale. Per esempio, a esse sono riX

conducibili molti altri processi di scoperta quali la generalizzazione e lanalisi delle dimostrazioni. Se ne conclude, perciò, che l'induzione e l'analogia possono costituire la base di una logica della scoperta. Il libro trae origine da un ciclo di lezioni tenute a Napoli presso l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici nei giorni 31 maggio-4 giugno 1993, il cui testo è stato poi grandemente elaborato e ampliato. Sono grato all'Istituto per avermi costretto col suo invito a mettere ordine nei miei pensieri, e ai partecipanti alle lezioni per avermi stimolato con le loro osservazioni. Oltre che nelle lezioni di Napoli le idee del libro sono state sottoposte a un pubblico più vasto in varie occasioni, tra cui il Colloque Kurt Godet di Neuchatel 1991, il 15. Internationale Wittgenstein-Symposium di Kirchberg 1992, il Colloquium Logicum della Deutsche Vereinigung fiir Mathematische Logik und Grundlagenforschung di Neuseddin 1994, il convegno The Growth o/ Mathematical Knowledge di Penn State 1995, il workshop Empiricism in the Philosophy o/Science di Bruxelles 1995, il seminario Philosophy o/ Mathematics del King's College di Londra 1996, il workshop Logie and Meanin g di Stoccolma 1996, il workshop Construction d' objectivité: entre intuition et raisonnement di Parigi 1997. In tali occasioni sono stato particolarmente stimolato dalle osservazioni di Daniele Dubois, Burton Dreben, John Corcoran, Michael Dummett, Solomon Feferman, Donald Gillies, Emily Grosholz, Petr Hajek,Jaakko Hintikka, Dan Isaacson, Moshé Machover, Kenneth Manders, Mioara Mugur-Schachter, Werner Oberschelp, Charles Parsons, Dag Prawitz, Bas van Fraassen. Parti sostanziali di que~to libro sono una risposta alle loro osservazioni. Molti capitoli del libro, a cominciare dai due ultimi, si presterebbero a sviluppi e approfondimenti, e addirittura a essere materia di un intero libro. Ma, come dice Tristram Shandy, nessun autore che conosca i limiti del decoro e delle buone maniere può presumere di pensare a tutto. Il riguardo più vero che si può mostrare per il lettore è di esercitare una certa concisione, lasciando qualcosa alla sua immaginazione. Molti hanno letto alcune parti del libro e mi hanno aiutato con le loro osservazioni e critiche. Tra loro in particolare ricordo Claudio Bernardi, Giuseppe Cambiano, Mirella Capozzi, Marta Cialdea Mayer, Cesare Cozzo, Maurizio Ferriani, Gabriele Giannantoni, Donald Gillies, Carlo Penco. Sono loro grato per l'impegno mostrato nel rilevare imprecisioni e suggerire miglioramenti, anche quando non erano d'accordo con le mie idee. Essi non sono in alcun modo responsabili delle opinioni da me presentate, ma tutt'al più forse per non avermi sufficientemente dissuaso dal pubblicarle. Carlo Cellucci Roma, 10 settembre 1997

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INTRODUZIONE

Viene un momento, in ogni settore della conoscenza, in cui non si producono più idee davvero nuove, e le ricerche continuano ad andare avanti per una certa via solo per forza di inerzia, perché qualcuno l'ha già intrapresa, e non perché essa abbia, o abbia ancora, uno scopo chiaramente visibile e importante. Quando arriva quel momento, c'è solo da augurarsi che venga introdotta al più presto qualche nuova idea brillante, che mandi in soffitta il paradigma corrente e ne instauri un altro. Ma non ci si deve illudere che le nuove idee vengano accolte a braccia aperte. Le resistenze al cambiamento sono fortissime in tutti i campi, ivi compresa la logica. Un tale momento sembra essere giunto per il paradigma logico che è stato dominante nel nostro secolo, la logica matematica. I segni ci sono tutti: c'è la mancanza di idee nuove, la sclerotizzazione delle ricerche e il loro perpetuarsi senza alcuno scopo rilevante, o con scopi rispetto a cui esse sono manifestamente inadeguate. La finalità per cui la logica matematica era stata creata in origine, garantire la certezza assoluta della matematica, si è dimostrata irrealizzabile a causa dei risultati di incompletezza di Godel, e le nuove finalità che essa ha tentato di ritagliarsi si sono rivelate inconsistenti, perciò il suo campo di applicazione è diventato sempre più angusto. I logici matematici somigliano sempre più a «meccanici che danno descrizioni di strumenti di cui non potrebbero affatto servirsi» 1 • Non per loro incapacità ma perché i loro strumenti, a causa della loro limitatezza, sono inutilizzabili per scopi seri e importanti. Si ha sempre più la sensazione che, come nel Seicento la logica aristotelica, così anche la logica matematica abbia imboccato una via di crescente futilità in fondo alla quale non può esservi che l'inevitabile decadenza e infine l'estinzione. Con ciò non si vuole affatto sminuire l'importanza della logica matematica, né tanto meno quella della logica aristotelica. Le creazioni di Aristotele e Frege stanno davanti a noi come monumenti perenni a cui dobbiamo sempre ritornare con la nostra riflessione e col nostro pensiero, e da cui possiamo sempre imparare qualcosa di nuovo. Ma,

come spesso accade anche alle più splendide costruzioni intellettuali, esse si sono rivelate insufficienti sia per i loro scopi originari che per le nuove esigenze sopravvenute in seguito. Questa diagnosi sullo stato della logica contrasta col punto di vista corrente secondo cui, con la nascita della logica matematica, in un cinquantennio che va dalla pubblicazione nel 1879 della Begri/fsschri/t di Frege a quella nel 1928 dei Grundzuge der theoretischen Logik di Hilbert e Ackermann, la logica sarebbe diventata una scienza utile e feconda e avrebbe assunto la sua forma definitiva. Tale punto di vista è anticipato da Russell secondo cui col passaggio dalla sillogistica aristotelica alla logica matematica si è determinato «lo stesso tipo di progresso che Galileo introdusse nella fisica» 2 • La creazione della logica matematica ha reso la sillogistica aristotelica «un sistema altrettanto decisamente antiquato dell'astronomia tolemaica»3 • Come la fisica, per nascere come scienza in senso moderno, ha dovuto sconfiggere le resistenze della tradizione aristotelica, lo stesso è avvenuto con la logica matematica, sicché si può dire che «in tutta l'epoca moderna praticamente ogni progresso nella scienza, nella logica o nella filosofia ha dovuto compiersi contro i discepoli di Aristotele»4 • Ma la tradizione aristotelica ormai appartiene al passato. Con la nascita della logica matematica la logica ha finalmente assunto quella stabilità e quell'autonomia che sono proprie delle scienze. Non è escluso che in futuro possano intervenire in essa mutamenti anche rilevanti, ma si tratterebbe comunque solo di cambiamenti interni a una stessa forma della logica. Questo punto di vista, però, non appare molto convincente. Contro di esso si possono avanzare almeno le seguenti obiezioni. 1) Dire che, con la nascita della logica matematica, la logica è diven-

tata una scienza, significa assumere tacitamente che prima non lo fosse. Ciò è difficilmente sostenibile perché, come sottolinea Leibniz, Aristotele «per primo, per quanto consta, pose la stessa logica nella forma di una scienza matematica»5 • Vi sono «esempi assai considerevoli di dimostrazioni al di fuori delle matematiche, e si può dire che Aristotele ne ha offerte già nei suoi Analitici primi»6. La 5°. Anche per essa la logica non dev'essere ampliata «inserendovi, o capitoli psicologici sulle diverse capacità conoscitive {l'immaginazione, l'ingegno), o capitoli metafisici sull'origine della conoscenza o sulle diverse specie di certezza a seconda della differenza degli oggetti>>5 1• Includervi questioni come 1) -10) significherebbe inserirvi capitoli psicologici o metafisici, rendendo incerti i confini della disciplina e trascurando che «non si ha un accrescimento ma una deformazione delle scienze quando se ne confondono i confini>>52 • Per trattare questioni del genere occorre un nuovo paradigma logico. Sebbene la necessità di un tale nuovo paradigma emerga da vari settori del sapere contemporaneo, le resistenze ad ammetterlo sono molto grandi, né potrebbe essere altrimenti dato l'elevato numero di logici matematici attualmente operanti e data la naturale tendenza di ogni corporazione all' autoperpetuazione. Il rischio, naturalmente, è che a causa di tali resistenze le nuove idee, piante ancor esili e delicate, appassiscano e muoiano invece di fiorire rigogliosamente grazie al concorso di molti. È stato scritto che «la Logica Simbolica di Lewis Carroll è la reductio ad absurdum della logica aristotelica. I suoi silloXXIV

gismi non solo suscitano ilarità ma dimostrano, con la chiarezza di un motto di spirito, quanto sia raro e anormale il ragionamento sillogistico. Per sbarazzarsi della fede residua nella logica aristotelica, giova sfogliare questo mirabolante classico. Dopo Lewis Carroll, non è più possibile far credere agli studenti che la logica sia anche minimamente ancorata alla realtà»53 . Dobbiamo forse attendere che un nuovo Lewis Carroll mostri, con la chiarezza di un motto di spirito, quale rara e anormale forma di ragionamento siano le dimostrazioni formali della logica matematica, per sbarazzarci della residua fede in essa e dare ascolto alle ragioni della nuova logica? Sfortunatamente questo libro non possiede le caratteristiche che si richiederebbero all'opera di un nuovo Lewis Carroll. Ma, se non attraverso la chiarezza e la folgorante incisività di un motto di spirito, almeno attraverso il ragionamento, esso si propone uno scopo simile: riconsiderare le ragioni della logica matematica, mostrando quanto poco esse siano ancorate alla realtà, e presentare le ragioni della nuova logica. Nel libro si sottolineano soprattutto gli aspetti filosofici del passaggio al nuovo paradigma, evitando ogni tecnicismo. Del resto i problemi qui discussi non sono tecnici ma riguardano questioni di fondo sulla natura della conoscenza che risalgono alle origini stesse della filosofia. Essi ricevono scarsa attenzione nella attuale filosofia professionale, e perciò il libro, mentre contiene numerosi riferimenti a filosofi del passato, è abbastanza parco di rimandi a quelli attuali. Anche chi nutre grandi speranze nelle prospettive della filosofia non può non riconoscere che, su alcune grandi questioni riguardanti la natura della conoscenza, come 1)-10), non vengono dati contributi rilevanti da gran parte della filosofia contemporanea. In essa, ad esempio, nonostante i risultati di incompletezza di Godel, si continua a ripetere che scopo principale della logica rimane quello di fondare la matematica e che, lungi dal rimettere in questione le finalità fondazionali per cui la logica matematica venne creata, si deve continuare «a ispirarsi a quegli scopi fondazionali originari»54 . Soltanto, si devono rinforzare «le preoccupazioni fondazionali dei pionieri con strumenti concettuali più affilati, con tecniche più sofisticate, con risultati più sottili»55 . Addirittura, secondo alcuni il «necrologio del programma hilbertiano è a dir poco prematuro. Il teorema di Gode! esclude solo le realizzazioni più esattamente totali del programma hilbertiano. Ma non esclude realizzazioni parziali significative»56. In effetti «una parte sostanziale del programma può essere realizzata>>5 7 • Queste affermazioni mostrano che, nonostante i risultati di Godei, alla fine del ventesimo secolo si continua ad assegnare alla logica gli stessi scopi che i fondatori della logica matematica le avevano assegnato alla fine del diciannovesimo.

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Che su questioni come 1)-10) la filosofia contemporanea non dia contributi rilevanti risulta evidente anche dal fatto che sul problema della scoperta matematica essa non va oltre affermazioni generiche. Per esempio si limita a dire che «l'intero processo della scoperta può essere sottoposto a una valutazione razionale e a una possibile simulazione>>58. Oppure che i metodi euristici comportano rischi che è razionale correre «in vista del fatto che i guadagni nella praticabilità di un programma di ricerca superano il rischio di errore e fallimento>>5 9 . O anche, che per affrontare il problema della scoperta occorrono «nuovi progetti nella scienza cognitiva, con metodologie che vanno dai modelli computazionali all'analisi storica all'indagine empirica dell' analogia in azione» 60 • Ma poi non fa nulla per realizzare tali progetti. Poiché il punto di vista qui proposto si discosta nettamente da quello corrente che considera la logica matematica come il punto di arrivo definitivo della logica, è presumibile che il libro susciti vivaci reazioni. Alcuni, pur consentendo su alcuni punti, forse ne troveranno eccessiva la tesi di fondo, ma questo è naturale perché nel libro si invoca una rivoluzione nella logica e le rivoluzioni devono essere eccessive. Altri dissentiranno radicalmente. Non pretendo di convincerli: mi sembra soltanto che il quadro qui tracciato offra un'immagine realistica dello stato attuale della logica e indichi una via per trasformarla in una disciplina viva e vitale. A chi non ne fosse convinto posso solo dire: chi vivrà vedrà. Non rinunzio comunque alla speranza, per non dire all'ambizione, che il lettore trovi le idee esposte in questo libro altrettanto naturali e persino ovvie di quanto appaiono a me. Come dice Pascal, «i libri migliori sono quelli che coloro che li leggono credono che avrebbe potuto farli loro» 61 . Almeno mi auguro che il lettore valuti il punto di vista di questo libro con mente aperta. Già qualche secolo fa qualcuno si è rifiutato di guardare il cielo attraverso un cannocchiale, e, fatte le debite proporzioni, certe situazioni tendono a ripetersi.

Note 1 J.A.N.C. Condorcet, Éloge de Mariotte, in Oeuvres, Frommann, Stuttgart-Bad Cannstatt 1968, II, p. 32. 2 B. Russell, Our Knowledge o/ the External World, Allen & Unwin, London 1926, pp. 68-69. 3 B. Russell, History of Western Philosophy, Routledge, London 1991, p. 206. 4 Ivi, p. 212. 5 G.W. Leibniz, Elementa rationis, LEC, p. 338. 6 G.W. Leibniz, Nouveaux Essais, LEP V, p. 351. 7 G.W. Leibniz, Lettera a Bourguet, 22 marzo 1714, LEP III, p. 569. 8 G.W. Leibniz, Nouveaux Essais, LEP V, p. 351. 9 Ivi, p. 352.

XXVI

10 H. Scholz, Abriss der Geschichte der Logik, Karl Alber, Freiburg-Miinchen 1959, p. 6.

11

Ibid.

12

J. Lukasiewicz, Aristotle's syllogistic, Oxford University Press, Oxford 1957, p.

6. Bochenski, Formale Logik, Karl Alber, Freiburg-Miinchen 19784, p. 86. Alessandro di Afrodisia, In Aristotelis Analyticorum Priorum Librum I Commentarium, CAG Il 1, p. 54, 1-2. 15 S. Mac Lane, Mathematical models: a sketch /or the philosophy o/ mathematics, «The American Mathematical Monthly», vol. 88 (1981), pp. 462-472; v. p. 468. 16 G. Longo, Notes on the /oundations o/ mathematics and o/ computer science, in G. Corsi e G. Sambin (a cura di), Nuovi problemi della logica e della filosofia della scienza, vol. 2, CLUEB, Bologna 1991, pp. 117-127; v. p. 120. 13 J.M. 14

17 · 18

Ibid.

Kreisel, Recensione di K. Godei, Collected Works, Volume I, «Notre Dame Journal of Formal Logie», vol. 29 (1988), pp. 160-181; v. p. 164. 20 G.-C. Rota, Pensieri discreti, Garzanti, Milano 1993, p. 175. 21 J. McCarthy, A basis /or a mathematical theory o/ computation, in P. Braffort e D. Hirschberg (a cura di), Computer Programming and Forma! Systems, North-Holland, Amsterdam 1963, pp. 33-70; v. p. 69. 22 M. Minsky, Why people think computers can't, «Artificial lntelligence Magazine», vol. 3 (1982), n. 4, pp. 3-15; v. p. 7. 19 G.

23

Ibid.

Bochenski, Formale Logik, p. 14. T.S. Kuhn, The Structure o/ Scienti/ic Revolutions, The University of Chicago Press, Chicago 1962, p. 10. 2 4 J.M. 25

26

Ibid.

E.L. Post, Absolutely unsolvable problems and relatively undecidable propositions. Account o/ an anticipation, DA, p. 417. 28 K. Godel, The modern development o/ the /oundations o/ mathematics in the light o/ philosophy, GO III, p. 376. 29 ]. Hintikka, The Principles o/ Mathematics Revisited, Cambridge University 27

Press, Cambridge 1996, p. 94. 30 I. Kant, Logik Dohna-Wundlacken, KA XXIV, p. 772. 31 E. Mach, Erkenntnis und Irrtum, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 19686 , p. 319. 32 Ivi, p. 225. 33 F. Bacon, Novum Organum, BA I, p. 162. 34 S. Mac Lane, To the greater health o/ mathematics, «The Mathematical lntelligencer», vol. 10 (1988), No.3, pp. 17-20; v. p. 18. 3 ' S. Mac Lane, Mathematical models: a sketch /or the philosophy o/ mathematics, p.467. 36 K.D. Forbus, Logie versus logicism: a reply to McDermott, «Computational lntelligence», vol. 3 (1987), pp. 176-178; v. p. 178. 37 ]. Doyle, Logie, rationality and rational psychology, «Computational lntelligence», vol. 3 (1987), pp. 175-176; v. p. 175. 38 Ibid., p. 176. 39 L. Wittgenstein, Bemerkungen uber die Grundlagen der Mathematik, Blackwell, Oxford 19782 , V.25. 40

Ibid.

P. Kitcher, Mathematical naturalism, ASK, p. 293. S. Mac Lane, Mathematical models: a sketch /or the philosophy o/ mathematics, p. 462. 43 B. Gold, What is the philosophy o/ mathematics, and what should it be?, «The Mathematical lntelligencer», vol. 16 (1994), No.3, pp. 20-24; v. p. 20. 41

42

XXVII

44

Ibid.

Hilbert, Uber das Unendliche, «Mathematische Annalen», vol. 95 (1926), pp. 161-190; v. p. 170. 46 Porfirio, Isagoge, CAG N-1, p. 1, 10-12. 47 G. Frege, Lo_gik (1897), FRN, p. 160. 48 D. Hilbert, Uber das Unendliche, p. 171. 49 L.E.J. Brouwer, Guideliner o/ intuitionirtic mathematics, BR I, p. 477. 50 1. Kant, Kritik der reinen Vernunft, B VIII. 45 D.

51.52

Ibid.

G.-C. Rota, Pensieri discreti, p. 14. 54 S. Feferman, Kreisel's 'unwinding' program, in P. Odifreddi (a cura di), Kreiseliana, Peters, Wellesly, Mass. 1996, pp. 247-273; v. p. 269. "W. Sieg, Hilbert's program sixty years later, «TheJournal of Symbolic Logie», voi. 53 (1988), pp. 338-348; v. p. 347. 56 S.G. Simpson, Partial realizations o/ Hilbert's program, «The Journal of Symbolic Logie», vol 53 (1988), pp. 349-363; p. 362. 53

57

Ibid.

58 D.

Lamb, Discovery, Creativity and Problem-Solving, Avebury, Aldershot 1991,

p.4. S.A. Kleiner, The Logie of Discovery, Kluwer, Dordrecht 1993, p. 318. K.J. Holyoak e P. Thagard, Menta! Leaps: Analogy in Creative Thought, MIT Press, Cambridge, Mass. 1996, p. 196. 61 B. Pascal, De l'art de persuader, PA IX, p. 289. 59 60

LE RAGIONI DELLA LOGICA

Capitolo primo

GLI SCOPI DELLA LOGICA

1. La ricerca della certezza assoluta Secondo i fondatori della logica matematica e la maggior parte dei suoi esponenti, «la logica matematica era ed è volta a dare una 'fondazione' e una 'giustificazione' di tutta o parte della matematica in quanto disciplina già data» 1. E ciò allo scopo di assicurarne la certezza assoluta. E vero che «talora (sebbene non spesso) sono stati ottenuti risultati di interesse matematico autonomo, come nelle applicazioni della teoria dei modelli all' algebra»2 . Ma «non sono mai stati questi gli scopi principali della logica nella matematica»3 . La sua importanza come disciplina matematica è sempre consistita «nel suo successo nel fondare il ragionamento deduttivo, nel comprendere, diciamo, i mezzi razionali minimi necessari per ottenere risultati in una specifica area, nel chiarire nozioni quali la coerenza, la categoricità o la conservatività relativa delle teorie matematiche»4 • A tal fine la logica matematica identifica il metodo della matematica col metodo assiomatico, perché questo mostra su quali principi si basano le conoscenze già acquisite, permettendo così di ridurre il problema di fondare la matematica a quello di giustificare un numero limitato di assiomi. Lo scopo della logica matematica è espresso nei termini più chiari possibili da Godel. Anzitutto i metodi dimostrativi della matematica «devono essere ridotti a un numero minimo di assiomi e regole primitive di inferenza, che devono essere formulati nel modo più preciso possibile»5 . Tale problema «è stato risolto in un modo perfettamente soddisfacente e la soluzione consiste nella cosiddetta 'formalizzazione' della matematica»6 . Poi «si deve cercare una giustificazione di questi assiomi in un senso o nell'altro, cioè un fondamento teorico del fatto che essi danno luogo a risultati che concordano tra loro e con i fatti empirici»7 • Su come risolvere questo problema vi è nella logica matematica una varietà di opinioni, ma il fine è comune: ga~ . rantire la certezza assoluta della matematica. Per la logica matematica 3 4. Si deve ottenere 3 7. Essa è stata creata per ottenere «una più salda e più profonda instaurazione dei fondamenti della matematica>>3 8. A tal fine è essenziale l'uso del metodo assiomatico, che «libera in ampia misura dalla possibilità di oscurità ed errori>>39. Grazie a esso «tutti i motivi di dubbio circa il contenuto dei concetti o la verità delle asserzioni di una data teoria sono considerevolmente ridotti, e possono valere al più per i pochi termini primitivi e assiomi»40. Il metodo assiomatico permette di eliminare ogni causa di dubbio perché sostituisce, «nell'esame delle definizioni e delle dimostrazioni, le valutazioni soggettive con criteri di natura oggettiva»41 . Esso fa «dipendere la decisione circa la correttezza delle definizioni o delle dimostrazioni esclusivamente dalla loro struttura, cioè dalla loro forma esteriore»42 . Perciò è «considerato giustamente come il più perfetto tra tutti i metodi impiegati nella costruzione delle scienze»43 . Addirittura Simpson sostiene che garantire la certezza assoluta della matematica è per la logica matematica un dovere morale, perché «la validità della matematica è sotto assedio»44 . Per esempio «Wigner dichiara che non esiste alcuna spiegazione razionale dell'utilità della matematica nelle scienze fisiche» 45 . Kline «dispiega un vasto assortimento di argomenti matematici e riferimenti storici per mostrare che 'nella matematica non vi è alcuna verità'»46 . Nessuno dei due «è considerato un nemico della matematica. Ma con amici siffatti che bisogno c'è di nemici?»47 . Perciò, rispetto all'epoca di Hilbert, la necessità di difendere l'integrità della matematica non è diminuita, «al contrario il teorema di Godel l'ha resa più urgente che mai»48 . Esso viene citato «con monotona ripetitività ed effetti devastanti. I; assalto infuria come non mai»49 . Questo attacco contro la matematica «fa parte di un assalto generale contro la ragione>>5°. Così, accreditando I'immagine della cittadella assediata, Simpson ribadisce l'attualità, e addirit6

tura la drammaticità, del compito di garantire la certezza assoluta della matematica.

2. Il rifiuto di una logica della scoperta Assegnando alla logica il compito di assicurare la certezza assoluta della matematica, la logica matematica si occupa solo del problema della fondazione e giustificazione di conoscenze già acquisite, trascurando quello della scoperta di nuove conoscenze. Ciò non è il frutto di una dimenticanza ma della convinzione, che si è venuta sempre più radicando negli ultimi tre secoli, che una logica della scoperta sia impossibile perché la scoperta è un salto nel buio, basato su intuizioni infallibili ma imperscrutabili. Tale convinzione ha messo profonde radici nel nostro secolo. Così Pop per afferma che «1' atto iniziale, 1'atto di concepire o inventare una teoria, non mi sembra né richiedere un'analisi logica né esserne suscettibile»51 • Non esiste «una cosa come un metodo logico per avere nuove idee»52 . Ogni scoperta contiene «un elemento irrazionale, o un'intuizione creatrice, nel senso di Bergson»53 • Come si arriva a formulare nuove idee è solo una questione di fatto, e la logica «non si occupa di questioni di fatto (il quidJacti di Kant) ma solo di questioni di giustificazione o di validità (il quid iuris di Kant)»54 . Perciò si deve stabilire «una netta distinzione tra il processo del concepire una nuova idea e i metodi e i risultati dell'esaminarla logicamente»55 . Il primo è oggetto della psicologia, i secondi della logica, che può solo «indagare i metodi usati in quei test sistematici a cui dev'essere sottoposta ogni nuova idea se dev'essere presa in seria considerazione>>5 6 • Le questioni di cui la logica può occuparsi sono solo del tipo: «Può un' asserzione essere giustificata? E se lo può, come? È controllabile? È logicamente dipendente da certe altre asserzioni? O forse le contraddice?»57. Naturalmente, «perché un'asserzione possa essere esaminata così logicamente, essa deve esserci già stata presentata. Qualcuno deve averla formulata»58 • Ma come 1' abbia formulata, quale intuizione creatrice lo abbia guidato, è una questione che riguarda solo la psicologia, non la logica. Perciò vi può essere solo una logica della giustificazione, non una logica della scoperta. D'accordo con questa posizione, le analisi della scoperta che sono state tentate nel nostro secolo l'hanno vista come un fenomeno psicologico piuttosto che logico. Così, secondo Poincaré e Hadamard, la scoperta matematica «ha luogo combinando idee»59 . Ma tra tutte le combinazioni possibili occorre scegliere quelle utili, perché scoprire «consiste precisamente nel non costruire le combinazioni inutili e nel 7

costruire quelle utili, le quali non sono che un'infima minoranza»60 • La scelta può essere effettuata solo dopo che la mente ha prodotto tutte le combinazioni possibili, perché se essa «non producesse che una piccola parte di queste combinazioni e lo facesse a caso, vi sarebbero ben poche possibilità che quella buona, quella che si deve scegliere, si trovi tra esse»61 • Tali combinazioni non possono essere prodotte dall'io conscio, che può formarne solo un numero limitato, ma dall'inconscio, che riesce a «formare in poco tempo più combinazioni differenti di quante potrebbe abbracciarne l'intera vita di un essere conscio»62 • L'inconscio poi filtra, tra tutte le combinazioni possibili, quelle interessanti e utili, e in tal modo «la maggior parte di queste combinazioni, più esattamente tutte quelle che sono inutili, ci rimangono sconosciute»6.3. Quest'azione di filtro viene effettuata dall'inconscio in base al criterio della bellezza. È la «sensibilità estetica che svolge il ruolo di un delicato crivello»64 • Le combinazioni utili «sono esattamente le più belle, vale a dire quelle che possono meglio incantare questa speciale sensibilità che tutti i matematici conoscono»65 . L'inconscio sceglie «quelle che soddisfano il nostro senso della bellezza, e che, di conseguenza, possono essere utili» 66 • La bellezza è «l'armonia delle diverse parti, la loro simmetria, il loro felice equilibrio; è, in una parola, tutto ciò che vi mette ordine, tutto ciò che dà loro unità, ciò che quindi ci permette di vederci chiaro e di comprenderne l'insieme nello stesso tempo che i dettagli»67 • Essa può derivare anche «dalla sensazione dell'imprevisto, per l'incontro inatteso di oggetti che non si è abituati ad accostare; anche in questo caso essa è feconda, perché ci svela così delle parentele fino ad allora sconosciute»68 . In generale la bellezza è «la soddisfazione dovuta a non so quale adattamento tra la soluzione che si scopre e i bisogni della nostra mente»69 • Il criterio della bellezza proposto da Poincaré e Hadamard appare ricorrente tra i matematici, ma difficilmente consente una comprensione adeguata del processo della scelta delle combinazioni utili, essendo vago e soggettivo. Esso, inoltre, spesso ci fa sbagliare. Per esempio, considerazioni estetiche devono aver avuto una parte importante nel determinare le resistenze di Galileo di fronte alle innovazioni di Keplero, inducendolo a considerare l'ellissi come un cerchio distorto, una forma indegna dei corpi celesti. Questo gli impedì di ammettere che il moto rettilineo potesse essere più naturale di quello circolare, e quindi di formulare la legge secondo cui ciascun corpo persevera nel proprio stato finché non sia costretto da una forza impressa. Un'altra analisi della scoperta di tipo psicologico è quella di Simon. Egli si richiama ali' analisi di Poincaré e Hadamard delle fasi del processo della scoperta. La prima fase, detta preparazione, consta di una prolungata attività conscia in cui non si riesce a risolvere e talvol-

8

ta neppure a inquadrare adeguatamente il problema, e perciò si ha la sensazione «di esseJ:e totalmente sulla falsa strada»70• Alla fine il sen· sa di frustrazione diventa intenso e il problema viene abhandonat.o dall'attenzione conscia. Qualche tempo dopo, spesso all'ìmprovviso e senza premonizione, l'idea cruciale per la soluzione si presenta alla mente consda, dopo di che non rimane che elaborare i dettagli. Gli sforzi fatti nella fase della preparazione non sono «stati così. s.texili f.:o· me si pensa, hanno messo in moto la macchina ìnc.onsda e senza di es· sì questa non sarebbe partita e no.n avrebbe prodotto nulla»71 • La. fa. se intermedia tra la prepara~ione e l'illuminazione imprnvvisa è detta incubazione. Simon si propone proprio dì spiegare i «fenomeni del· l'incubazione e dell'illumina2ione improvvis~~n. A tale scopo Simon assume che gli sforzi per la sQluziooe di oo pro· blema siano «guidati e controllati da una gt:mm::hia o 'albero' di sçopi e sottoscopÌ>>73 • Il soggetto genera un sottosçopo e cerca di raggiun· gerla. Se riesce ritorna allo scopo originario,. altrimenti genera un sot · tosottoscopo per raggiungere il sottoscopo, e cosl via. Ciò presup· pone che la gerarchia degli scopi sia conservata nella memoria. Se sottoscopo viene raggiunto illuminazìone im· provvisa. Quando il soggetto, non riuscendo a raggiungere lo scopo, abbmidona per qualche tempo il problema, l'informazione conserva· ta nella memoria a breve termine comincia a scomparire, mentre quel· la conservata nella memoria a lungo tennine viene t.rattenuta. Ma nella memoria a breve termine è conservato l'albero degli scopi, mentre in quella a lungo termine è conservata la lavagna. Perciò, quando il soggetto riprenderà in mano il problema, dall'albero degli scopi sa· ranno scomparsi molti dei rami più esili. Egli ricomincerà a costruire

un

9

un nuovo albero degli scopi, ma facendo uso dell'informazione presente sulla lavagna, che è molto diversa da quella che vi si trovava la prima volta che aveva costruito l'albero. Dunque egli seguirà una via diversa da quella che egli aveva percorso fil!o a quel momento. Poiché la >24 ~. Il metodo assiomatico non dà alcun criterio per discriminare, tra le tantissime proposizioni deducibili dagli assiomi, quelle interessanti da quelle non interessanti, quindi presuppone che si sappia già che cosa si vuol dimostrare, cioè quale sia il punto di arrivo della deduzione. Questo contraddice la direzione della ricerca del metodo assiomatico che va dagli assiomi ai teoremi. 5) Ha messo in evidenza che il metodo assiomatico è solo un modo di dimostrare ri"sultati già ottenuti per altra via. In esso semplicemente si inverte la direzione della ricerca della dimostrazione seguita nel metodo analitico, partendo, invece che dalla proposizione che si vuol dimostrare, da proposizioni assunte come principi. 6) Ha mostrato che il processo della deduzione è particolarmente semplice perché consta di passi molto elementan: sebbene numerosi. Esso consiste di «quelle lunghe catene di ragionamenti, tutti semplici e facili, di cui di solito si servono i geometri nelle loro più difficili dimostrazioni»247. La difficoltà non sta nella deduzione ma nel concepire chiaramente e distintamente le ipotesi, perché, «se fossero proposte da sole, potrebbero facilmente essere negate da coloro che sono desiderosi di contraddire»248. Ora, per trovare le ipotesi il metodo assiomatico non è di alcun aiuto e si deve ricorrere al metodo analitico. Nonostante questi suoi meriti la logica cartesiana si è risolta in una grande occasione mancata. Se essa avesse avuto successo, avrebbe segnato l'inìzio di una logica della scoperta e avrebbe cambiato radical32

mente l'aspetto della disciplina. Ciò, purtroppo, non è avvenuto, e dopo Descartes per più di tre secoli il suo tentativo non è stato più ripreso, lasciando insoddisfatta l'esigenza di una logica della scoperta. Anche quando, infine, il tentativo di Descartes è stato ripreso, per esempio da Lakatos, non si è andati al di là di una certa genericità. È vero che Lakatos formula alcune regole per il suo metodo della scoperta matematica, che egli chiama «metodo delle 'dimostrazioni e confutazioni'»249 • Ma le sue regole non sono affatto più definite e informative di quelle di Descartes.

8. Le ragioni di una logica della scoperta Contrariamente all'opinione della logica matematica che la logica non debba occuparsi del processo della scoperta ma solo di quello della giustificazione e fondazione di conoscenze matematiche già acquisite, vi sono varie ragioni per sviluppare una logica della scoperta. 1) Si deve sviluppare una

logica della scoperta perché la scoperta c'è.

Come dice Hanson, a un «distinto scalatore chiamato Mallory veniva spesso chiesto: 'Perché scalare l'Everest?'. La sua sonora e memorabile risposta era sempre 'Perché c'è!'. Alcuni mi chiedono: 'Perché angustiarsi per la scoperta?'. La mia timida risposta è di solito 'malloriana'; io dico: 'Perché c'è!'»250. Ogni indagine su qualcosa nasce perché quella cosa c'è, o almeno vi sono forti indizi che ci sia e si vuole saperne di più. La scoperta c'è, o almeno vi sono forti indizi che ci sia, e questo basta per giustificare che si debba indagarla. 2) Si deve ampliare il campo della logica oltre quello della giustifi-

cazione e fondazione, perché ciò risponde alle esigenze del sapere contemporaneo. Secondo Feferman la logica deve continuare a occuparsi soltanto della giustificazione e fondazione di conoscenze già acquisite «anche quando smettiamo di preoccuparci dei grandi schemi [fondazionali]»251 • In particolare deve studiare le dimostrazioni come mezzo di giustificazione, non di scoperta, trattandosi di «metodi di verifica (dimostrazioni)»252 • Feferman assegna un ruolo così centrale alla fondazione con metodi logici da farne un aspetto non sovrastrutturale ma costitutivo della matematica. Egli la considera come >275 . Ma a essa egli non sembra assegnare alcun ruolo nel suo nuovo tentativo di fondazione della matematica. Sostituire la fonte conoscitiva logica cotl quella geometrica dev' essere costato molto a Ftege perché contra:ddkeva le convinzionì di una vita. Se prima egli aveva stabilito una netta separazione tra aritmetica e geometria, ora egli ribalta questa posizione. Ciò che più sorprende è che questo avvenga senza che egli senta il bisogno di spiegare per quale motivo le ragioni che prima lo avevano indottO' a considerare la fonte conoscitiva geometrica come una: base inadeguata per l' a-tiunetica, ora rton sussistano più. Ciò conferma che la sua preoccupàzione principale non era quella di basare Yaritmetica su un fondamento' privilegiato e prestabilito, cioè la fonte conoscitiva logica. Egli si mostra pronto a basarla su un altro fondamento, la fonte conosdtiva geometrica, quando si rende conto che la fonte conoscitiva logica non gli permette di raggiungere ciò che davvero gli sta a cuore e che costituisce il suo vero scopo,, Io stesso di Pascal: tendere assolutamente salde le verità: matematiche basandole su dim:ostra:zi:ont inidubitahili. fo effetti in Frege la sostituzione dell'intuizione ttì:telletmale con quella spaziale non deri:va da una particolare propensione per una soluzione kantiana del problema della fondationè della matematica, ma solo dal suo desiderio di rendere salde le verità matematiche, con qua}siasi mezzo. Se egli ricorre llll'intu:lzione spaziale, non è pet una particolare predilezione per tale soluzione, d1e fa a pugni con le convinzioni di una vita, ma sola perché ricorrere ad essa gli sembra l'unica vfa rimastagli. Rendere assòlutamente salde levetità matematiche è il fine, rispetto a cui fondare la matematica sull'intuizione intellettuale, o su quella spaziale, è soltanto un mezzo. In questa prospettiva va vista la sua posizione, che non discende dall'adesione a un quadro 109

epistemologico privilegiato. Può darsi che Frege trovasse particolarmente congeniale quello logicista, ma egli non esita ad abbandonarlo quando si trova di fronte all'alternativa: conservarlo rinunciando alla certezza assoluta della matematica, oppure salvare quest'ultima rinunciando a quel quadro. Questo suo comportamento sarebbe inspiegabile se il suo fine ultimo non fosse stato quello di rendere assolutamente salde le verità matematiche basandole su dimostrazioni indubitabili, ma fosse stato piuttosto quello di collocare la matematica in un quadro epistemologico prestabilito. Il suo comportamento diventa ancor più chiaro se si considera che, fin dall'inizio, la sua adesione al quadro epistemologico logicista ha un carattere sperimentale. Che l'aritmetica possa fondarsi sulla sola logica è per lui solo un'ipotesi da verificare attraverso l'indagine. Egli comincia a farlo nella Begri/fsschrzft, dove pone il compito di «indagare fino a che punto si possa procedere nell'aritmetica in modo puramente deduttivo»276 • L'ideografia è lo strumento che egli intende usare a tale scopo, ma la Begri/fsschrzft ne contiene soltanto un frammento, che, sebbene sufficiente per analizzare l'inferenza logica, non basta per fondare il concetto di numero su una base logica. Perciò egli dichiara che «l'ulteriore prosecuzione del cammino indicato, l'illuminazione del concetto di numero, di grandezza, ecc., devono formare oggetto di successive ricerche»277 . Col lavoro svolto negli anni immediatamente successivi, culminante nelle Grundlagen, l'ipotesi comincia ad apparirgli probabile ma non più di tanto. È vero che egli dice che dalle sue indagini emerge «con maggiore probabilità la natura analitica e a priori delle verità aritmetiche» 278 . Ma riconosce di non poter pretendere «di aver reso la natura analitica delle proposizioni aritmetiche altro che probabile, perché si può ancora sempre dubitare che la loro dimostrazione possa essere completamente ricondotta a pure leggi logiche»279 • Quest'ammissione mostra che in questa fase il logicismo per Frege rimane ancora un'ipotesi. Solo con un articolo pubblicato due anni dopo egli sembra essersi definitivamente convinto della verità di tale ipotesi, tanto da affermare che «tutte le proposizioni aritmetiche possono essere derivate, e di conseguenza devono anche essere derivate, dalle sole definizioni in modo puramente logico»280 . Ma l'unica giustificazione che ne dà è che «le proposizioni fondamentali su cui si basa l'aritmetica non possono applicarsi solo a un'area limitata»281 . Esse «devono estendersi a tutto il pensabile; e siffatte proposizioni estremamente generali possono a buon diritto essere ascritte alla logica»282 . Frege ha l'impressione di aver dato una vera e propria dimostrazione dell'ipotesi solo alcuni anni dopo, nei Grundgesetze, ma ben presto il paradosso di Russell gli rivelerà tutta la fragilità della sua costruzione. Così il logicismo ridiventerà una mera ipotesi e le indagini successive lo convinceranno cheta110

le ipotesi è implausibile e perciò dev'essere abbandonata e sostituita con un'altra. Averla considerata soltanto come un'ipotesi spiega la relativa disinvoltura con cui alla fine Frege rinuncia al quadro epistemologico logicista per adottarne un altro totalmente differente. Ciò a cui Frege non rinuncia è invece il paradigma di Pascal, che egli adotta in tutte le fasi dello sviluppo dell'ideografia e che continua ad adottare anche dopo il suo abbandono. Come per Pascal anche per Frege la logica non serve a chiarire come si scoprono le verità matematiche ma solo a giustificare verità matematiche già trovate, in modo da renderle assolutamente salde basandole su dimostrazioni indubitabili. Anche per lui il metodo analitico è umanamente impossibile; il metodo della matematica è il metodo assiomatico; la fonte dei principi della matematica è l'intuizione; le definizioni matematiche sono definizioni nominali; le regole della logica devono basarsi su quelle della matematica e non su quelle della logica aristotelica. L'affinità tra F rege e Pascal si estende a tutta la logica matematica. È vero che Hilbert propone una variante del paradigma di Pascal, in cui la concezione concreta del metodo assiomatico è rimpiazzata con la concezione astratta, in base a cui gli assiomi non sono più veri di un singolo concetto ma possono essere veri di una pluralità di concetti non dati dall'inizio, e la certezza dei principi non si fonda sull'intuizione direttamente ma solo indirettamente, attraverso una dimostrazione di coerenza basata sull'intuizione finitaria. Tuttavia la variante di Hilbert è stata conclusivamente confutata dai risultati di incompletezza di Godei, e dopo di allora la logica matematica è tornata all'idea di Pascal che la certezza dei principi debba essere assicurata direttamente dall'intuizione. Tale è il caso, ad esempio, di Godei secondo cui noi «abbiamo una sorta di percezione degli oggetti della teoria degli insiemi, come si vede dal fatto che gli assiomi ci si impongono come veri» 283 • Non vi è ragione di «aver meno fiducia in questo tipo di percezione, cioè nell'intuizione matematica, che nella percezione sensibile»284 • L'intuizione di cui parla Godei non è l'intuizione finitaria di Hilbert ma l'intuizione infinitaria, «Un'intuizione che è sufficientemente chiara da produrre gli assiomi della teoria degli insiemi e una serie aperta di loro estensioni»285 . Fondando gli assiomi della teoria degli insiemi sull'intuizione Godei ritorna al paradigma di Pascal. Anche se a prima vista l'affinità tra la posizione della logica matematica e quella di Pascal può sembrare strana, in essa non vi è nulla di sorprendente. Infatti tanto Pascal quanto la logica matematica si propongono lo stesso scopo, cioè quello di mettere la certezza della matematica al di là di ogni dubbio, e individuano lo stesso strumento per raggiungere tale scopo, cioè il metodo assiomatico. Parimenti non vi è nulla di sorprendente nel fatto che tanto Pascal quanto la logica 111

matematica assegnino all'intuizione un ruolo così centrale nel metodo assiomatico. In questo, infatti, si pone il problema di come giustificare gli assiomi, e da Pascal in poi l'unica soluzione che è stata trovata è stata quella di basarli su un qualche tipo di intuizione. L'intuizione logica di Frege, l'intuizione finitaria di Hilbert e l'intuizione infinitaria di Godel sono variazioni sul secolare tema della giustificazione dei sistemi assiomatici.

Note B. Pascal, De l'esprit géométrique, PA IX, p. 240. Ibid. 3 Ivi, p. 241. 4 Ibid. 5 Ivi, p. 242. 6 Ivi, p. 241. 7 B. Pascal, De l'art de persuader, PA IX, p. 282. 8 Ivi, p. 278. 9 Ibid. 10 B. Pascal, De l'esprit géométrique, PA IX, pp. 240-241. 11 Ivi, p. 242. 12 B. Pascal, Pensées, PA XIII, fr. 72. 13 B. Pascal, De l'esprit géométrique, PA IX, pp. 245-246. 14 Ivi, pp. 241-242. 15 lvi, pp. 247-248. 16 B. Pascal, Pensées, PA XIII, fr. 72. 17 ·23 Ibid. 24 G.W. Leibniz, Pian de la science générale, LEC, p. 220. 25 B. Pascal, De !'esprit géométrique, P A IX, p. 246. 26.21 Ibid. 28 lvi, p. 253. 29 lvi, p. 254. 30 B. Pascal, Pensées, PA XIII, fr. 72. 31 Ibzd. 32 B. Pascal, Del'esprit géométrique, PA IX, p. 246. H Ibid. 34 Ivi, pp. 246-247. 35 lvi, p. 254. 36 Ivi, p. 247. 37 Ivi, p. 254. 38 lvi, p. 257. 39 lvi, p. 255. 40 lvi, p. 257. 41 B. Pascal, De l'art de persuader, PA IX, p. 281. 42 Ibid. 43 B. Pascal, Extrait d'unfragment de l'Introduction à la géométrie, PA IX, p. 291. 44 B. Pascal, De l'art de persuader, PA IX, p. 278. 45 B. Pascal, Pensées, P A XIII, fr. 1. 46-49 Ibid. 50 Ivi, fr. 2. 51.52 Ibid. 1

2

112

53

Ivi, fr. 3.

54-55

Ibid.

56 Ivi, 57

fr. L

Ibid.

58 lvi, 59-61

fr. 282.

Ibid.

fr. 277. lvi, fr. 434. 64 lvi, fr. 282.

62 Ivi, 63

65-10

Ibid.

B. Pascal, De l'esprit géométrique, PA IX, pp. 242-243. 72 Ivi, p. 243. 71

73

Ibid.

74

Ivi, pp. 243-244.

76

Pascal, Lettre à Le Pailleur, PA II, p. 195. B. Pascal, De l'esprit géométrique, PA IX, pp. 244-245.

77

Ivi, p. 245.

75 B.

78

B. Pascal, Lettre à Le Pailleur, PA II, p. 184.

79

Ivi, p. 185.

Ibid. B. Pascal, De l'art de persuader, PA IX, p. 287.

80· 84 85

p. 288.

86 Ivi, 87-91 92 93

Ibid.

lvi, p. 289. Ivi, p. 287.

94.95

Ibid.

G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, vol. 1, p. VII. 97 Ivi, p. VI. 98 lvi, p. VII. 99 G. Frege, Ober die Grundlagen der Geometrie (1906), FRK, p. 288. 100 G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, vol. 1, p. VI. 101 G. Frege, Logik in der Mathematik, FRN, p. 221. 102 G. Frege, Grundgesetze der Arithmettk, vol. 1, p. VI. 103 G. Frege, Logik in der Mathemattk, FRN, p. 221. 104 G. Frege, Gedankenfiige, FRK, pp. 391-392. 105 G. Frege, Logik in der Mathematik, FRN, pp. 221-222. 106 Ivi, p. 222. 96

107

Ibid.

108

Ivi, p. 224.

109

Ibid.

p. 227. G. Frege, Die Grundlagen der Arithmetik, p. 78. 112 G. Frege, Ober die Grundlagen der Geometrie (1903), FRK, p. 262. 113 Ivi, p. 263. 114 G. Frege, Begri/fsschri/t, FRB, p. 56. 115 G. Frege, Ober die Grundlagen der Geometrie (1903), FRK, p. 263.

llO lvi, 111

116

Ibid.

p. 225. G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, vol. l, p. VI. 119 G. Frege, Logik in der Mathematik, FRN, p. 225. 117 Ivi,

118

120-121

Ibid.

lvi, pp. 224-225. 123 G. Frege, Ober Schoenfl.ies: Die logischen Paradoxien der Mengenlehre, FRN, p. 122

194. 124-126

Ibid.

113

127

G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, voi. 2, p. 78.

128-129

Ibid.

G. Frege, Uber den Zweck der Begri/fsschri/t, FRB, p. 97. 131 G. Frege, Booles rechnende Logik und die Begri/fsschri/t, FRN, p. 13. 130

132 133

Ibid. Ivi, p. 14.

134 Ivi, 135

p. 13. G. Frege, Ober die Begri/fsschri/t des Herrn Peano und meine eigene, FRK, p.

227. Frege, Die Grundlagen der Arithmetik, p. 103, nota 1. G. Frege, Uber den Zweck der Begri/fsschri/t, FRB, p. 97. 138 G. Frege, Ober die Begri/fsschri/t des Herrn Peano und meine eigene, FRK, p.

136 G. 137

221. 139

Ibid.

G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, voi. 1, p. 1. G. Frege, Rechnungsmethoden, die sich au/ eine Erweiterung des Grossenbegri/fes grunden, FRK, p. 50. 142 G. Frege, Ober eine geometrische Darstellung der imaginiiren Gebilde in der Ebene, FRK, p. 1. 143 G. Frege, Lettera a Hilbert, 27 dicembre 1899, FRW, p. 63. 144 G. Frege, Neuer Versuch der Grundlegung der Arithmettk, FRN, p. 298. 14' G. Frege, Die Grundlagen der Arithmetik, pp. 18-19. 146 G. Frege, Rechnungsmethoden, die sich au/ eine Erweiterung des Grossenbegrif/es grunden, FRK, p. 50. 147 G. Frege, Die Grundlagen der Arithmetik, p. 21. 148 Ivi, pp. 20-21. 149 lvi, p. 21. 140 141

Ibid. I. Kant, Kritik der reinen Vernun/t, B 147. 1' 2 Ivi, B 2991A240. 153 Ibid. 15 4 G. Frege, Die Grundlagen der Arithmetik, pp. 19-20. 150

1' 1

Ivi, p. 20. Ivi, p. 19. 157 I. Kant, Kritik der reinen Vernun/t, B 180/A 141.

155

156

158

Ibid.

lvi, B 179/A 140. B 182/A 142. 161 I. Kant, Prolegomena zu einer jeden kiinftigen Metaphystk, KA IV, p. 282. 162 G. Frege, Ober formale Theorien der Arithmetik, FRK, p. 103. 159

160 Ivi,

Ibid. I. Kant, Kritik der reinen Vernun/t, B 75/A 51. 166 G. Frege, Die Grundlagen der Arithmetik, p. 6. 163-164 165

161

Ivi, p. 101.

168

I. Kant, Kritik der reinen Vernun/t, B 179/A 140.

169 Ivi, 170

B 16.

Ibid.

171 I. Kant, Ober eine Entdeckung, nach der alle neue Kritik der reinen Vernun/t durch eine iiltere entbehrlich gemacht werden soli, KA VIII, p. 212. m-113 Ibid. 174 W.D. Goldfarb, Logicism and logica! truth, «Joumal of Philosophy», voi. 79

(1982),pp. 692-695;v.p.692. 175 Ivi, p. 693. 176 P.A. Blanchette, Frege's reduction, «History and Philosophy of Logie», voi. 15 (1994), pp. 85-103; V. p. 85.

114

177

W.D. Goldfarb, Logicism and logica! truth, p. 693.

Ibid.

118-119

180 W.D.

Goldfarb, Poincaré against the Logicists, ASK, p. 63.

Jbid_

181-182

G. Frege, Die Grundlagen der Arithmetik, p. 115. Jbid. 185 Ivi, pp. 79-80. is3

184

Ivi, p. 80, nota. Ivi, p. 117. 188 Ivi, p. 80, nota. 186 187

Ibid.

189-192

G. Frege, Erwiderung au/ Cantors Rezension der Grundlagen der Arithmetik, FRK, p. 112. 194 H. Scholz, Freges wissenschaftlicher Nachlass. Katalog, in M. Schim (a cura di), Studien zu Frege I. Logik und Philosophie der Mathematik, Frommann-Holzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt 1976, pp. 88-103; v. p. 95. 195 G. Frege, Ober Begri/f und Gegenstand, FRK, p. 172. 196 G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, vol. 1, p. 8. 193

197

Ibid.

198 Ivi,

p. X.

199 Ivi,

p. IX. 2oolvi, p. X. 201 lvi, p. 7. 202 lvi, p. 16. 203.204

Ibid.

205 G.

Frege, Uber Schoen/lies: Die logischen Paradoxien der Mengenlehre, FRN, p.

196.

p. 197. G. Frege, Lettera a Russell 28 luglio 1902, FRW, p. 222.

206 lvi, 207

208-209

Ibid.

lvi, p. 223. 211 G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, vol. 1, p. 16. 212 Ivi, p. 17. 210

213

Ibid.

Ivi, p. 18. G. Frege, Die Grundlagen der Arithmetzk, p. 73. 216 G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, vol. 1, p. 46. 217 lvi, p. l. 214

215

218

Jbid.

219 G. 220 Ivi, 221

Frege, Logik (1897), FRN, p. 145. p. 160.

lbid.

222 Ivi, 223

p. 150. lvi, p. 149.

224

Ibid.

225

G. Frege, Der Gedanke, FRK, p. 354, nota.

226

Ibid.

lvi, p. 359, nota. Frege, Logik (1897), FRN, p. 160. 229 G. Frege, Erkenntnisquellen der Mathematik und der mathematischen Naturwissenscha/ten, FRN, p. 286. 230 M. Dummett, Frege: Phtlosophy o/ Language, Duckworth, London, 19812, p. 663. 231 G. Frege, Uber Schoen/lies: Die logischen Paradoxien der Mengenlehre, FRN, p. 197. 227

228 G.

115

m G. Frege, Logik (1897), FRN, p. 150. m.234

Ibid.

m G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, vol. 1, p. XXVI. 236 lvi, p. VII. 237

Ibid.

Frege, Funktion und Begriff, FRK, p. 130. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, voi. 2, p. 253. 240 G. Frege, Die Grundlagen der Arithmetik, p. 19. 241 D. Hilbert, Lettera a Frege, 7 novembre 1903, FRW, p. 80. 238 G. 239 G.

242

Ibid.

G. Frege, Neuer Versuch der Grundlegung der Arithmetik, FRN, p. 298. 244 G. Frege, Erkenntnisquellen der Mathematik und der mathematischen Naturwissenscha/ten, FRN, p. 286. 243

245

Ibid.

lvi, p. 293. Ivi, pp. 288-289. 248 Ivi, p. 289. 249 G. Frege, Lettera a Husserl 30 ottobre-1novembre1891, FRW, pp. 102-103. 250 G. Frege, Neuer Versuch der Grundlegung der Arithmetik, FRN, p. 299. 251 G. Frege, Au/zeichnungen fiir Ludwig Darmstaedter, FRN, p. 277. 252 G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, vol. 2, p. 253. 253 G. Frege, Tagebucheintragungen uber den Begrif/ der Zahl, FRN, p. 282. 254 G. Frege, Erkenntnisquellen der Mathematik und der mathematischen Naturwissenschaften, FRN, p. 292. m Ivi, p. 293. 256 G. Frege, Gedankenfiige, FRK, p. 393. 257 G. Frege, Neuer Versuch der Grundlegung der Art'thmetik, FRN, p. 299. 246 247

258

Ibid.

259

G. Frege, Zahlen und Arithmetik, FRN, p. 297. Frege, Neuer Versuch der Grundlegung der Arithmetik, FRN, p. 299.

260 G. 261

Ibid.

262

Ivi, p. 300.

263-265

Jbid.

Frege, Grundgesetze der Arithmetik, vol. 2, p. 155. G. Frege, Neuer Versuch der Grundlegung der Arithmetik, FRN, pp. 299-300. 268 lvi, p. 300.

266 G. 267

269

Ibid.

Frege, Die Grundlagen der Arithmetik, pp. 101-102. Ivi, p. 102. 272 Ivi, p. 119. 273 G. Frege, Zahlen und Arithmetik, FRN, p. 297.

270 G. 271

274

Ibid.

m G. Frege, Erkenntnisquellen der Mathematik und der mathematischen Naturwissenscha/ten, FRN, p. 294. 276 G. Frege, Begrif/sschri/t, FRB, p. X. 277 lvi, p. XIV. 278 G. Frege, Die Grundlagen der Arithmetik, p. 118. 279 Ivi, p. 102. 280 G. Frege, Uber formale Theorien der Arithmetik, FRK, p. 103.

Jbid. K. Géidel, What is Cantor's continuum problem? (1964), GO II, p. 268. 284-285 Jbid.

281-2si 2 83

Capitolo quarto

LE ASSUNZIONI DELLA LOGICA

1. Le assunzioni della logica aristotelica A monte dell'affinità tra la logica matematica e Pascal, vi è l'affinità tra la logica matematica e la logica aristotelica. La concezione di Pascal del metodo matematico costituisce una revisione e un perfezionamento di quella di Aristotele. Quest'ultima si basa, infatti, sulle seguenti assunzioni. 1) Il metodo della matematica è il metodo assiomatico. 2) I:oggetto principale della logica è il metodo assiomatico. 3) Le teorie matematiche sono sistemi chiusi.

L'assunzione che il metodo della matematica sia il metodo assiomatico è espressa da Aristotele nei seguenti termini. 1) Ogni scienza è una scienza assiomatica, cioè è una scienza basata su principi. Infatti ogni scienza è dimostrativa perché «si costituisce attraverso la dimostrazione» 1 • Ma la dimostrazione, owero il «sillogismo scientifico, deve fondarsi su proposizioni prime, indimostrabili, altrimenti non si avrebbe sapere»2 . Dunque ogni scienza deve fondarsi su principi, essendo «la stessa cosa ciò che è primo e un principio»>. 2) Tutte le proposizioni di una data scienza, diverse dai principi, sono dimostrate a partire da questi. Infatti «per i principi è necessario assumere che sono, mentre per le altre proposizioni è necessario provarlo»4. Per esempio, «che l'unità e la grandezza siano è necessario as-

sumerlo, ma è necessario provarlo per le altre proposizioni>>-5. Dove provarlo vuol dire dedurlo dai principi. 3) I principi devono essere veri e autoevidenti. Occorre che essi «siano veri, perché non è possibile conoscere ciò che non è, per esempio la commensurabilità della diagonale»6 . Se i principi fossero falsi, da essi si potrebbe derivare qualunque cosa, perché «da premesse false si può dedurre una conclusione vera»7 • Inoltre occorre che i principi siano autoevidenri, perché essi «sono quelli che devono la loro evidenza a se stessi e non ad alcun altro» 8 • Nel caso «dei principi delle scienze non bisogna cercarne ulteriormente il perché, ma occorre che , ciascuno sia evidente di per sé»9 . 117

4) I principi devono essere immediati. Un «principio della dimostrazione è una premessa immediata» 10 • Dove una premessa «è immediata se non esiste alcuna altra proposizione anteriore ad essa» 11 • Più precisamente, una premessa immediata è una premessa tale che non esiste alcun termine medio con cui costruire un sillogismo che abbia per conclusione quella premessa. 5) I principi devono essere indimostrabili. Infatti si chiamano «principi in ciascun genere quelle cose che non è possibile dimostrare che sono» 12 . Se le si potesse dimostrare si avrebbe o un regresso all'infinito oppure un circolo. Un regresso all'infinito si ha quando una conclusione rimanda a una premessa, quest'ultima a un'altra premessa e così via all'infinito. Un circolo si ha quando una conclusione rimanda, attraverso una catena di proposizioni, a premesse tra cui è contenuta la conclusione. Ora, per conoscere assolutamente e in senso proprio qualcosa, non si può avere un regresso all'infinito ma la serie delle premesse deve arrestarsi perché, «se non si arrestasse e invece vi fosse sempre un termine più elevato del termine assunto, si potrebbe dimostrare qualsiasi cosa» 13 • Parimenti, per conoscere assolutamente e in senso proprio qualcosa non si può avere un circolo, perché «coloro che affermano che la dimostrazione è circolare non soltanto vanno incontro a quanto si è detto, ma in definitiva non dicono null'altro se non che un determinato oggetto è se esso è. In tal modo, però, sareb· be facile dimostrare qualsiasi cosa» 14 . 6) I principi sono conosciuti attraverso l'intuizione. Se le disposizioni in base a cui noi arriviamo alla verità e non cadiamo mai in errore «sono scienza, saggezza, sapienza e intuizione, e se i principi non possono essere oggetto di tre di queste (dove con tre intendo saggezza, scienza e sapienza), resta che essi siano oggetto dell'intuizione» 15 • L'intuizione è il fondamento della scienza perché «nessun altro genere di conoscenza è più esatto della sdenza tranne l'intuizione» 16 • Perciò si può chiamare «l'intuizione principio della scienza» 17 . Anzi, poiché essa ci fa conoscere i principi e su questi si basa la scienza, l'intuizione «può essere considerata principio del principio» 18 • 7) Tra i principi ve ne sono alcuni che sono propri di una data scienza, e altri che sono comuni a tutte le scienze. Tra «le proposizioni di cui ci si serve nelle scienze dimostrative alcune sono proprie di ciascuna scienza mentre altre sono comuni» 19 • I principi propri sono quelli in cui «si tratta dell'oggetto della dimostrazione»20 • Essi esprimono determinazioni degli oggetti propri di quella scienza, cioè degli «oggetti di cui, una volta assuntane l'esistenza, una data scienza studia le determinazioni per sé»21 • Per esempio, i principi propri esprimono che «la linea ha una natura cosiffatta e la nozione di retto ha una natura cosiffatta»22 • Essi sono propri di una scienza e la distinguono da tutte le altre.

118

8) I principi propri di una data scienza dipendono dal genere di quella scienza. Ogni scienza assiomatica verte intorno a un «genere, del quale la scienza studia le affezioni inerenti di per sé»23 . Nel genere rientrano tutti gli oggetti propri di quella scienza, dei quali essa «considera le determinazioni per sé, così come, ad esempio, l'aritmetica si rivolge alle unità, mentre la geometria si riferisce ai punti e alle linee»24 . 9) I principi comuni a tutte le scienze sono costituiti dai principi logici. Essi sono dati da proposizioni come la legge del terzo escluso, secondo cui «una qualsiasi determinazione dev'essere affermata o negata di un oggetto, oppure come quella secondo cui, quando da oggetti eguali si sottraggono oggetti eguali, gli oggetti rimanenti sono eguali»25 • È vero che, in una data scienza assiomatica, i principi comuni non vengono usati nella loro piena generalità ma solo in quanto relativizzati al genere della teoria in questione, perché ciascun principio comune «è utile solo in quanto si applica al genere subordinato a una data scienza»26 . Tuttavia la relativizzazione a un particolare genere non cambia la forma logica del principio e quindi non ne altera il carattere di principio generale comune. 10) I principi propri non sono riducibili a quelli comuni; cioè ai principi logici. Infatti, «non possono esistere principi comuni a partire dai quali si possono dimostrare tutte le cose»27 • Questa impossibilità deriva dal fatto che gli oggetti delle varie scienze assiomatiche appartengono a generi differenti perché «i generi delle cose sono differenti»28. Ora, «a cose differenti quanto al genere corrispondono principi differenti quanto al genere»29 . Perciò non resta che ammettere che «certe conclusioni sono dimostrate a partire da certi principi e altre conclusioni da altri principi»3o. 11) Sebbene i principi propri non siano riducibili ai principi logici, tuttavia ogni scienza ha una 'logica sottostante' costituita dai principi logici. I principi logici sono comuni a tutte le scienze assiomatiche, quindi fanno parte di ciascuna di esse, e in ciò si distinguono dai principi propri di ciascuna scienza. Poiché tutte le scienze assiomatiche posseggono queste proposizioni comuni, esse «comunicano tra loro in virtù delle proposizioni comuni»31 . Ma che esse abbiano proposizioni comuni non significa che in tutte le scienze assiomatiche è comune «ciò intorno a cui si dimostra né quello che si dimostra»32 . Significa soltanto che la dimostrazione discende dalle proposizioni comuni. 12) I principi propri sono di due specie: ipotesi e definizioni. In particolare, tra essi, quello che stabilisce «che qualcosa è oppure che qualcosa non è risulta un'ipotesi, mentre quello che prescinde da ciò è una definizione»33. 13) Le definizioni non sono definizioni nominali. Una definizione nominale non dice nulla sulla natura della cosa definita ma si limita a

119

imporle un nome, e ciò «è un'assurdità»34 . Mediante essa, infatti, si potrebbero «significare con un nome anche cose che non esistono affatto»35. Inoltre «tutti i discorsi sarebbero delle definizioni, perché si potrebbe sempre imporre un nome a un qualsiasi discorso, di modo che tutto ciò che diremmo non sarebbe che una definizione»36 . Infine «nessuna dimostrazione proverebbe più che il tal nome rivela la tal cosa, perciò neppure le definizioni potrebbero rivelarcelo»37 . 14) Le definizioni sono definizioni reali perché stabiliscono che cos'è una cosa, cioè ne determinano l'essenza. La definizione «consiste in

un discorso che spiega che cos'è una cosa»38 . Essa «rivela che cos'è un oggetto»39 . Perciò «tende all'essenza e alla sostanza»40 . Di conseguenza essa ci dà conoscenza, anzi svolge un ruolo fondamentale nella conoscenza, «dal momento che noi conosciamo ciascuna cosa attraverso le definizioni»41 . 15) Le definizioni; pur essendo definizioni realz; non implicano che la cosa definita esista. Esse dicono che cos'è quella cosa, non che quella cosa è, quindi 55. Questo significa che la conclusione del sillogismo segue in modo puramente logico dalle premesse. Infine I'assunzione che le teorie matematiche siano sistemi chiusi è espressa da Aristotele nei seguenti termini. 1) I principi di una data scienza esprimono l'essenza degli oggetti di quella scienza. Infatti ogni scienza assiomatica segue «il procedimento sillogistico, e il principio dei sillogismi è appunto l'essenza>>56 . 2) Tutte le verità di una data scienza devono essere dimostrabili a partire dai suoi principi. Occorre, infatti, che i principi «siano le cause della conclusione»57 . E che essi siano dello stesso genere della conclusione, perché >6}. Cioè si deve dimostrare la coerenza degli assiomi, e occorre farlo con metodi assolutamente sicuri quali quelli dell'aritmetica finitaria. Dunque per Hilbert lo sviluppo della matematica ha luogo «attraverso un continuo avvicendarsi di due momenti: la produzione a partire dagli assiomi di nuove formule dimostrabili per mezzo di inferenze formali, e d'altra parte l'introduzione di nuovi assiomi unitamente alla dimostrazione della loro non contraddittorietà mediante inferenze contenutistiche»64. L'introduzione di nuovi assiomi si rende necessaria quando il sistema è incoerente oppure quando non permette di decidere ogni proposizione espressa nel suo linguaggio. In entrambi questi casi il sistema dev'essere demolito e sostituito con un altro. Può anche accadere che si voglia estendere un sistema assiomatico, i cui assiomi valgono per una certa classe di oggetti, a una classe più ampia di oggetti. Anche allora, secondo Hilbert, il sistema dev' essere demolito e sostituito con un altro. Egli scarta l'idea di un'estensione del sistema per stadi successivi, per esempio esclude che si possa introdurre un sistema per i numeri naturali e poi estenderlo ai numeri relativi, razionali e infine reali, producendo così un sistema per i numeri reali «per mezzo di estensioni successive del semplice concetto di numero»65 • Questo modo di procedere si basa sul metodo genetico. Ma, «nonostante lalto valore pedagogico ed euristico del metodo genetico, tuttavia per una definitiva rappresentazione e una piena sicurezza logica del contenuto della nostra conoscenza merita preferenza il metodo assiomatico»66. Quest'ultimo esclude che si possa procedere per modificazioni successive di un sistema iniziale. Quindi, quando un sistema diventa inadeguato per i nuovi scopi, esso dev'essere demolito e sostituito con un altro. Da quanto si è detto risulta evidente che Kant, Frege e Hilbert convergono nell'aderire alla concezione del mondo chiuso. Ciò non è casuale perché, nonostante le loro differenze, essi si propongono lo stesso scopo: garantire la certezza assoluta della matematica. La concezione del mondo chiuso è la più idonea a tale scopo perché, assumendo che l'intera matematica possa essere vista come un sistema concettuale chiuso, essa riduce il problema di garantire la certezza assoluta della matematica all'unico problema di garantire quella dei suoi assiomi. Lo scopo di garantire la certezza assoluta della conoscenza matematica e il ruolo svolto in esso dalla concezione del mondo chiuso sono espressi nei termini più chiari possibili da Kant, Frege e Hilbert.

201

1) Secondo Kant, nella nostra conoscenza dev'esserci «qualcosa di indimostrabile e immediatamente certo, e l'intera nostra conoscenza deve cominciare da proposizioni immediatamente certe» 67 • In matematica le proposizioni immediatamente certe sono i principi, la cui certezza dipende dalla loro evidenza. Infatti 94 • Ciò implica che le inferenze non possono contenere proposizioni false. 7) Nell'ideografia non si ammette alcuna forma di ragionamento ipotetico. Un «semplice pensiero che non sia riconosciuto come vero non può affatto essere una premessa. Soltanto dopo che un pensiero è stato da me riconosciuto come vero può essere per me una premessa. Semplici ipotesi non possono essere usate come premesse»95 • La loro verità ci è ignota ed esse possono anche essere false. Perciò il ragionamento ipotetico è inammissibile perché in esso «si traggono conclusioni da quakosa di falso o dubbio» 96 • Ma questo è impossibile perché «si può inferire qualcosa solo da enunciati veri»97 • Per esempio, sebbene da un punto di vista puramente formale si potrebbe derivare 2>2 da 2>3 5 . Poiché il risultato di Go del si applica anche a una successione di teorie di questo tipo, esisteranno inferenze non-deduttive che non potranno essere rappresentate in essa. Ciò si estende anche al caso di «un matematico idealizzato le cui alternative epistemiche siano determinate a ogni stadio in modo effettivo, ma che possa avere la possibilità di scegliere tra queste altemative»36 .

324

4) Lo sviluppo della matematica non può essere concentrato in un unico sistema formale, ma dev'essere distribuito tra più sistemi capaci di interagire tra loro. Ogni sistema, essendo incompleto, deve far appello ad altri sistemi per ottenere l'informazione che non è in grado di ottenere con i propri mezzi, quindi deve poter comunicare con gli altri sistemi. Solo grazie alla comunicazione un sistema può riempire il vuoto che si determina quando le sue risorse risultano inadeguate per risolvere un dato problema. La soluzione di problemi non può basarsi sulle risorse di un singolo sistema, ma deve poter sfruttare un processo di comunicazione tra sistemi che consenta uno scambio di informazione tra essi, dal quale soltanto possono emergere conoscenze adeguate per risolvere il problema. Solo laddove si può aver accesso a un gran numero di dati, punti di vista, strategie differenti, si avrà una varietà di conoscenze e di capacità tali da consentire, attraverso la selezione ininterrotta e l'interazione delle più efficaci tra esse, di arrivare alla soluzione del problema. 5) I sistemi che formano l'ambiente distribuito non possono essere sistemi formali. Infatti, introdurre nuova informazione in un sistema mentre esso cerca di trovare una dimostrazione, equivale a cambiare i suoi assiomi nel corso della dimostrazione. Ma in un sistema formale non si posson cambiare gli assiomi nel corso della dimostrazione, perché ciò distruggerebbe la dimostrazione parziale costruita fino a quel momento. Cambiare assiomi nel corso della dimostrazione conduce a una radicale modifica nel concetto di dimostrazione. Le dimostrazioni nei sistemi formali sono atemporali, nel senso che la loro validità non dipende da quando sono costruite né da quanto tempo è necessario per costruirle, ma esse sono valide in ogni istante. Inoltre le dimostrazioni nei sistemi formali sono acontestuali, nel senso che la loro validità può essere controllata unicamente in base al testo della dimostrazione, indipendentemente dal contesto in cui essa si sviluppa. Alle dimostrazioni nei sistemi formali non si possono applicare le determinazioni 'ora' e 'qui'. Perciò i sistemi formali permettono di prevedere completamente che cosa accadrà prima ancora che accada (cioè quali dimostrazioni potranno essere generate, con quali assiomi e con quali regole di inferenza). Inoltre, essi permettono di analizzare completamente che cosa è accaduto dopo che è accaduto (cioè quale dimostrazione è stata generata, con quali assiomi e con quali regole di inferenza). Il carattere aspaziale, atemporale e acontestuale delle dimostrazioni nei sistemi formali si perde, invece, quando si ammette che gli assiomi possono essere cambiati nel corso della dimostrazione, come risultato delle interazioni del sistema con l'ambiente. 6) Le interazioni tra i sistemi che formano l'ambiente distribuito non possono essere deterministiche né algoritmiche. Non possono essere deterministiche perché, se lo fossero, tutti i sistemi che formano l'am-

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biente si ridurrebbero a un solo sistema, che sarebbe soggetto al primo teorema di incompletezza di Godei. Non possono essere algoritmiche perché ciò non sarebbe sufficiente per superare i limiti del risultato di Godei. Si dice spesso che la dimostrazione di un teorema matematico è «un processo non-deterministico e tuttavia algoritmico»37. In tale processo le istruzioni sono le regole di inferenza e «l'elemento non-deterministico è: a quale parte della dimostrazione fin qui generata devo applicare una nuova istruzione e quale tipo di istruzione devo applicare?»38 . Ora, questo tipo di non-determinismo non è sufficiente per superare i limiti del risultato di Godei. Infatti, la possibilità di scelte multiple non-deterministiche nell'applicare le regole di un sistema incompleto, non rende il sistema meno incompleto. Il non-determinismo richiesto dal risultato di Godei è quello legato alla possibilità di introdurre ad ogni passo nuovi assiomi in modo nonalgoritmico. Se i nuovi assiomi fossero introdotti in modo algoritmico, allora il sistema si ridurrebbe a un sistema formale e sarebbe soggetto al risultato di Godei. Perciò la dimostrazione dev'essere un processo che non solo è non-deterministico ma è anche non-algoritmico. Queste conseguenze del primo teorema di incompletezza di Godei rendono insostenibile la tesi di Curry che tale teorema, benché incompatibile con la possibilità di identificare la matematica con un singolo sistema formale, lasci aperta la possibilità di individuare l'essenza della matematica nel metodo formale in quanto tale. Tale tesi è insostenibile già a causa dell'implicazione 3) di cui sopra del risultato di Godei, per la quale la matematica non può consistere nella costruzione di una successione di sistemi formali scelti in modo effettivo. Per poter asserire che lessenza della matematica consiste nel metodo formale in quanto tale, occorrerebbe non solo che la matematica fosse formalizzabile mediante una successione di sistemi formali, ma anche che le relazioni tra i sistemi di tale successione fossero di tipo effettivo. A maggior ragione la tesi di Curry è insostenibile a causa delle implicazioni 5) e 6) del risultato di Godei, che impediscono che i sistemi presenti nell'ambiente siano sistemi formali, e che le interazioni tra esse possano essere deterministiche e algoritmiche.

6. I:ampliatività del!'inferenza Il primo teorema di incompletezza di Godei non costituisce l'unico limite della concezione del mondo chiuso e l'unica ragione per sostituirla con quella del mondo aperto. Vi sono varie altre ragioni per farlo. Ci limiteremo qui a considerarne una: la sua incapacità di spiegare come una dimostrazione matematica possa essere ampliativa, cioè possa dare nuova informazione. 326

Come sottolinea Poincaré, l' ampliatività della dimostrazione matematica ci è attestata da tutta l'esperienza matematica, la quale mostra che «la dimostrazione genuina è feconda perché in essa la conclusione è, in un certo senso, più generale delle premesse»39 . Questo carattere della dimostrazione matematica risulta evidente «se apriamo un qualsiasi libro di matematica; a ogni pagina l'autore annunzierà l'intenzione di generalizzare una proposizione già nota. Dunque il metodo matematico procede dal particolare al generale»40 . Ora, l'ampliatività della dimostrazione matematica può essere spiegata facilmente dalla concezione del mondo aperto, dove trovare nuove ipotesi significa scoprire nuove relazioni tra il problema e altri sistemi di conoscenze. Ma essa non può essere spiegata facilmente dalla concezione del mondo chiuso, dove dimostrare un teorema vuol dire derivarlo logicamente da assiomi dati. In tal caso, infatti, l'informazione è già tutta contenuta negli assiomi, e la deduzione logica non produce, rispetto a essi, alcuna nuova informazione, essendo incapace di aggiungere alcunché ai dati che le si forniscono. Come dice Wittgenstein, «nella logica non possono mai esservi sorprese»41 . In essa, infatti, «processo e risultato sono equivalenti. (Perciò nessuna sorpresa)»42 . Ma se, come ci mostra l'esperienza matematica, il ragionamento matematico, è ampliativo, «come si può chiamarlo deduttivo?»43 . Viceversa se, come sostiene la concezione del mondo chiuso, la dimostrazione matematica consiste unicamente nella derivazione logica di teoremi dagli assiomi, come può la matematica non ridursi a un'attività alquanto futile, non produttrice di nuova informazione? A ciò non si può rispondere che la conoscenza matematica è data dagli assiomi. Questi, infatti, sono già tutti noti dall'inizio, mentre ciò che occorre spiegare è il dato dell'esperienza matematica che la dimostrazione matematica ci dà nuova informazione rispetto a quella disponibile inizialmente. Dire che la conoscenza matematica è data dagli assiomi non risolve il problema che la deduzione logica è «incapace di aggiungere nulla ai dati che le si forniscono; tali dati si riducono agli assiomi, e questo è tutto quanto dovremmo ritrovare nella conclusione»44. Se non si vuol asserire, contraddicendo l'esperienza matematica, che la matematica si riduce a un'attività non produttrice di nuova informazione, se ne deve concludere che, contrariamente a quanto afferma la concezione del mondo chiuso, il metodo della matematica non può consistere nella deduzione logica a partire da assiomi dati, e quindi che la concezione del mondo chiuso è insostenibile Questa conclusione, owiamente, si basa in modo essenziale sul1' assunzione che l'inferenza logica non sia ampliativa. Tale assunzione è condivisa dai sostenitori più conseguenti della concezione del mondo chiuso, come Kant, secondo cui non solo l'inferenza logica non è ampliativa, ma è anche necessario che non lo sia,

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perché, se lo fosse, «si avrebbe una logica in cui non si astrarrebbe da ogni contenuto della conoscenza»45 . Ciò è contrario alla natura della logica, la quale «prescinde da ogni contenuto della conoscenza, cioè da ogni relazione di questa con l'oggetto»46 • Per ottenere nuova conoscenza si deve «uscire fuori dal concetto dato per considerare il suo rapporto con qualcosa di totalmente diverso da ciò che era pensato in esso»47 • Quindi si deve affermare qualcosa sull'oggetto. Ma nessuno «può arrischiarsi, per mezzo della logica, a formulare giudizi su oggetti o ad affermare alcunché intorno a essi»48 . Quando lo si fa la logica, «che è semplicemente un canone di valutazione, viene usata come un organo di effettiva produzione di conoscenze oggettive, mentre non produce che illusioni; così, in realtà, non si è dato luogo che a un semplice abuso»49 • L'assunzione che l'inferenza logica non sia ampliativa è condivisa anche da vari logici, ivi compresi alcuni logici matematici. Così De Morgan afferma che ogni inferenza logica è soggetta «alla grande regola di ogni ricerca della verità, che non si deve asserire come conclusione nulla più di quanto sia realmente contenuto nelle premesse>>5°. Peirce afferma che «l'unica legge del ragionamento dimostrativo è che nulla dev'essere detto nella conclusione che non sia implicito nelle premesse, cioè, nulla dev'essere detto nella conclusione che non sia realmente pensato nelle premesse, per quanto non così chiaramente né consapevolmente>>5 1• Lukasiewicz afferma che «il dimostrare consiste nel cercare ragioni già note, e l'inferenza e la verificazione sviluppano le conseguenze già contenute nelle premesse in questione»52 . Tuttavia, contro I'assunzione che l'inferenza logica non sia ampliativa, sono state anche avanzate molte critiche. Alcune di esse sono volte a mostrare che l'inferenza logica è ampliativa dal punto di vista psicologico, altre che lo è anche dal punto di vista logico. 1) /}inferenza logica è ampliativa dal punto di vista psicologico. Ciò è sostenuto, ad esempio, da Schopenhauer secondo cui, sebbene in molti casi vediamo chiaramente che cosa segue dalle premesse di un sillogismo, «non sempre è così: al contrario due premesse possono essere a lungo presenti in una mente, isolatamente l'una dall'altra, finché infine vengono a contatto, così che spesso ne scaturisce la conclusione»53. Spesso le premesse rimangono a lungo inattive e inutilizzate da noi, e vengono «ruminate e quasi agitate tra loro finché la giusta premessa maggiore s'incontra con la giusta premessa minore, in modo che esse si dispongano esattamente, e ora a un tratto ne nasce la conclusione come una luce che ci appaia all'improvvis0>>5 4 • Quando questo avviene, «non comprendiamo come mai noi e gli altri non lo abbiamo riconosciuto così a lungo»55 . Le due premesse che si incontrano sono come i «due poli eteronimi della pila: solo quando questi, mediante i loro due fili conduttori, che rappresentano la copula

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dei due giudizi, vengono avvicinati, scocca dal loro contatto la scintilla, la nuova luce della conclusione»56 . Come i poli della pila lepremesse, pur essendoci note, rimangono inattive nella nostra mente finché si incontrano facendo scoccare una scintilla. Che esse possano non incontrarsi anche a lungo dipende dalla nostra mancanza di attenzione o di sagacia. L'argomento di Schopenhauer mette insieme due questioni differenti. Che le premesse rimangano inattive finché non vengono accostate l'una all'altra, e possano anche rimanerlo a lungo, non dipende dal fatto soggettivo della mancanza di attenzione o di sagacia, ma da quello oggettivo della mancanza di una procedura efficiente di selezione delle premesse per ottenere una data conclusione. Ciò appare evidente, ad esempio, dall'esperienza della dimostrazione automatica, da cui risulta che, da un lato, se il dimostratore automatico non dispone di sufficiente informazione, allora esso non riesce a trovare la dimostrazione. E, dall'altro, se ne ha troppa, esso viene progressivamente sommerso dall'informaziòne irrilevante, gli diventa sempre più difficile reperire quella utile, e alla fine di nuovo non riesce a trovare la dimostrazione. L'argomento non riguarda, dunque, l' ampliatività psicologica della deduzione logica, ma riguarda piuttosto l'esistenza di una procedura efficiente per selezionare, tra le numerose premesse disponibili, quelle utili per ottenere una data conclusione. Quindi non ha nulla a che fare con la questione dell' ampliatività dell'inferenza logica dal punto di vista psicologico. 2) I:inferenza logica è ampliativa dal punto di vista logico. Ciò è sostenuto, per esempio, da Frege, secondo cui ciò che viene dedotto dalle premesse «non è qualcosa che si può vedere in anticipo; qui non si trae semplicemente di nuovo fuori dalla cassa ciò che vi è stato messo dentro. Queste conseguenze ampliano la nostra conoscenza»57 • Esse, infatti, non sono contenute in alcuna premessa singolarmente, ma solo nell'insieme delle premesse, e l'esservi contenute «non ci dispensa dalla fatica di estrarle da questo insieme e di enunciarle di per sé»58 . Poiché estrarle non è immediato e richiede fatica, la deduzione logica è ampliativa. Le conseguenze di un insieme di premesse sono, sì, contenute nelle premesse, ma come le piante sono contenute nei semi. Come una pianta rappresenta qualcosa di nuovo rispetto al seme da cui trae origine perché ricavarla da esso richiede lavoro, così un risultato matematico rappresenta qualcosa di nuovo rispetto agli assiorni da cui è dedotto, perché ricavarlo da essi richiede lavoro. Il risultato è contenuto negli assiomi solo implicitamente e non esplicitamente, e per renderlo esplicito occorre abilità nello scegliere e nel combinare premesse nel modo più idoneo. L'argomento di F rege è inadeguato perché, dire che l'inferenza logica è ampliativa in quanto le conseguenze non sono contenute in al329

cuna premessa singolarmente ma solo nell'insieme delle premesse, trascura che si possono sostituire le premesse con la loro congiunzione riducendole così a un'unica premessa. Inoltre, dire che l'inferenza logica è ampliativa perché il fatto che le conseguenze siano contenute nelle premesse non ci dispensa dalla fatica di estrarle da esse, trascura che esiste un procedimento, l'algoritmo del British Museum, che permette di estrarre tutte le conseguenze dalle premesse in modo puramente meccanico, senza il minimo sforzo dell'intelligenza. Infine, dire che l'inferenza logica è ampliativa perché le conseguenze sono contenute nelle premesse solo come le piante sono contenute nei semi, trascura che la germinazione di una pianta a partire da un seme non può aver luogo in un sistema chiuso ma solo in un sistema aperto in cui il seme può avere continui scambi con l'ambiente, a partire dall'assorbimento iniziale di acqua. Invece la deduzione logica in un sistema assiomatico si sviluppa rimanendo completamente all'interno del sistema, senza trarre alcun alimento dall'esterno ma ricavandolo solo dagli assiomi, il che non spiega affatto la novità logica dei teoremi rispetto agli assiomi. Un altro sostenitore della tesi che l'inferenza logica è ampliativa dal punto di vista logico è Dummett, che fornisce in suo appoggio i seguenti due argomenti. 1) Per applicare l'inferenza logica occorre discernere uno schema. Effettuare un'inferenza logica richiede di cogliere schemi comuni tra più pensieri, «che non sono dati con i pensieri come condizione per afferrarli, e che per essere appresi richiedono un'ulteriore intuizione»59 • Infatti, effettuare un'inferenza logica richiede di estrarre predicati da enunciati complessi, dove «l'estrazione del predicato dall'enunciato dipende dal riconoscere che l'enunciato presenta uno schema in comune con certi altri enunciati»60 • Si deve afferrare il senso di quel predicato, il che «significa cogliere uno schema in comune tra il pensiero espresso dall'enunciato e altri pensieri. Apprendendo lo schema comune noi attingiamo un nuovo concetto»61 • Per esempio, quando riconosciamo che gli enunciati 'un professo re di Harvard è stato nominato presidente di Harvard' e 'un professore di Columbia è stato nominato presidente di Columbia' hanno uno schema comune, attingiamo il concetto «di presidente di università nominato all'interno» 62 . Per afferrare che la conclusione di un'inferenza logica segue dalle premesse è necessario vedere le premesse come contenenti il predicato in questione. Per esempio, «per afferrare che 'ogni università che nomina come presidente un professore di quella università risolve i propri problemi finanziari' e 'Harvard ha nominato presidente un professore di Harvard' insieme implicano 'Harvard risolverà i propri problemi finanziari', è necessario percepire la premessa minore come contenente il predicato '(l'università) x ha nominato un professore dix 330

presidente dell'università'» 63 • Poiché per applicare un'inferenza logica occorre discernere uno schema che non è dato ma dev'essere percepito, l'inferenza logica è ampliativa. Quest'argomento di Dummett è inadeguato, perché fa dipendere l' ampliatività dell'inferenza logica da qualcosa che la precede e che non ha nulla a che fare con essa, cioè l'analisi degli enunciati in termini di soggetti e predicati. L' ampliatività di cui parla Dummett non sta nell'inferenza logica in quanto tale ma nella scelta di come analizzare le premesse e la conclusione. Essa quindi non si colloca, come sostiene Dummett, nel passaggio dalle premesse alla conclusione, bensì in una fase anteriore in cui si decide come analizzare gli enunciati. Ma ciò non ha nulla a che fare con la questione dell'ampliatività dell'inferenza logica dal punto di vista logico. 2) La conoscenza della verìtà della premessa dì un'ìn/erenza deduttìva non implìca la conoscenza della verità della conclusìone. Pensare che essa la implichi è erroneo, perché «il riconoscimento della verità è un processo attivo, che forse comporta operazioni fisiche come la misura, o intellettuali come il contare, e che comunque richiede il discernimento di uno schema: non è solo una risposta automatica all' esposizione a impressioni dei sensi»64 • Così, per poter inferire, dall' osservazione che qualcuno ha attraversato tutti i ponti di Konigsberg, che egli ha attraversato qualche ponte due volte senza aver osservato direttamente che lo abbia fatto, occorre conoscere la soluzione di Eulero del problema dei ponti di Konigsberg. Sebbene tale soluzione non ci permetta di riconoscere direttamente la verità della conclusione, essa ci fa vedere indirettamente «come possiamo arrivare a quella condizione se partiamo dall'essere in condizione di riconoscere direttamente la verità delle premesse. Così facendo, essa ci offre un mezzo indiretto per vedere che la conclusione è vera»65 . Un'inferenza indiretta è ampliativa perché, «se inizialmente non avessimo altri mezzi per stabilire la verità delle nostre asserzioni che quello più diretto, essa estenderebbe i nostri mezzi per arrivare a riconoscere la verità di tali asserzioni»66 • Anche quest'argomento di Dummett è inadeguato, perché l'inferenza che permette di concludere, dal fatto che uno ha attraversato tutti i ponti di Konigsberg, che egli deve aver attraversato almeno uno dei ponti due volte, non è un'inferenza logica ma un'inferenza matematica perché si basa su una proprietà dei grafi stabilita da Eulero. Un'inferenza la cui giustificazione richiede essenzialmente l'uso di proprietà matematiche è sì ampliativa, ma in quanto è un'inferenza matematica, non in quanto è un'inferenza logica. Dietro questi tentativi di mostrare l' ampliatività dell'inferenza logica vi è una fondamentale incongruenza: essi sono effettuati da sostenitori della concezione del mondo chiuso. L'incongruenza sta nel

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fatto che, come ben vedeva Kant, per la concezione del mondo chiuso è essenziale che l'inferenza logica non sia ampliativa. Infatti, nel metodo assiomatico la deduzione logica non serve per scoprire nuove conoscenze ma solo per stabilire rapporti di dipendenza logica tra conoscenze già acquisite, mostrando «la connessione logica che queste verità hanno tra loro»67 • Se la dimostrazione fosse ampliativa, ciò significherebbe che in essa si è insinuato inawertitamente qualcosa che non era contenuto implicitamente nelle premesse. Per questo motivo la tesi di Frege dell' ampliatività dell'inferenza logica dal punto di vista logico è piuttosto incongrua, perché per lui la deduzione logica non serve per scoprire nuove verità ma per dare a verità già trovate (in qualche modo) «il più solido fondamento» 68 . Essa, quindi, non mira alla scoperta bensì alla giustificazione e fondazione. D'altra parte, però, il fatto che la non ampliatività dell'inferenza logica sia essenziale per la concezione del mondo chiuso rappresenta anche il suo limite. La porta, infatti, ad assumere una posizione che comporta «l' assurdo che nella matematica non ci sarebbe nulla da imparare perché non si farebbe altro che sviluppare più chiaramente all'infinito quanto già si sapeva dal principio»69 . Ciò contraddice il dato dell' esperienza matematica che la dimostrazione matematica è ampliativa. Le difficoltà della concezione del mondo chiuso derivano dal fatto che in essa la dimostrazione matematica serve unicamente a derivare conseguenze logiche da assiomi dati. Ciò provoca una serie di problemi, che vanno da quello della non ampliatività dell'inferenza logica, al problema della completezza degli assiomi, a quello della loro giustificazione, e così via. Ben diverso è il caso della concezione del mondo aperto, dove l'inferenza non serve a derivare conseguenze logiche da assiomi dati, ma serve a trovare le ipotesi più adeguate per risolvere un problema. Ciò spiega perché, in base a essa, trovare una nuova dimostrazione produce nuova informazione: trovarla vuol dire trovare ipotesi che non sono contenute già implicitamente nella conclusione, e quindi stabiliscono nuove connessioni tra il problema e il mondo esterno.

7. La dimostrazione nei sistemi aperti I sistemi concettuali aperti propongono una concezione della dimostrazione del tutto diversa da quella dei sistemi concettuali chiusi. Owiamente le dimostrazioni in tali sistemi non hanno un carattere aspaziale, atemporale, acontestuale. Ma, in aggiunta a ciò, esse presentano anche altre caratteristiche che le differenziano nettamente dalle dimostrazioni nei sistemi concettuali chiusi. 332

1) Evolutività. Le dimostrazioni nei sistemi concettuali aperti sono evolutive, nel senso che sono il risultato di una serie di aggiustamenti che, partendo da un primo abbozzo un po' informe, portano a costrutti sempre più perfezionati e compiuti. Una dimostrazione non nasce da un atto di creazione istantanea, ma è il risultato di una lenta e progressiva evoluzione. Il punto di partenza della dimostrazione è un'idea rozza e forse un po' confusa ma feconda. Lo sviluppo della dimostrazione a partire da essa è tutt'altro che routine. Come osserva P6lya, «la prima idea di una dimostrazione è molto spesso incompleta. L'osservazione più essenziale, la connessione principale, il germe della dimostrazione possono stare lì, ma i dettagli devono essere dati in seguito e sono spesso fastidiosi»70 . Ciò nonostante l'idea iniziale, «per quanto incompleta, può essere molto più istruttiva di una dimostrazione presentata in tutti i suoi dettagli»71 • Essa è lo scheletro su cui si regge l'intera dimostrazione. Spesso nella presentazione finale della dimostrazione l'idea iniziale non viene espressa chiaramente, perché non sono molti gli autori che «hanno il dono di presentare proprio il germe della dimostrazione, l'idea principale nella sua forma più semplice, e di indicare la natura dei dettagli rimanenti»72 • Tuttavia, anche se nascosta, essa è sempre ben presente. L'idea iniziale costituisce il prototipo della dimostrazione. Le dimostrazioni nei sistemi concettuali aperti si evolvono passando dall'abbozzo grezzo del prototipo a componenti sempre più raffinati, attraverso passi caratterizzati da un grado di astrazione crescente. Ciascuno dei passi arricchisce l'idea iniziale in modo sostanziale, perciò le tappe dello sviluppo successivo della dimostrazione non sono tutte contenute implicitamente nel prototipo. Questo contiene, però, l'idea chiave, la prospettiva illuminante, il germe della dimostrazione. Il germe non nel senso di Frege, ma nel senso che il prototipo è il fermento e il lievito della dimostrazione. Dove il fermento e il lievito non vanno confusi col pane, né da soli bastano per fare il pane: occorrono anche l'acqua e il fuoco. Il punto di partenza per la formulazione del prototipo è lanalisi del problema da risolvere. Essa chiarisce la reale natura del problema e le sue condizioni di solubilità, dando una prima rozza idea della direzione in cui muoversi. Per farlo, in generale essa deve ricorrere a conoscenze esterne al problema. L'analisi non si limita ad estrarre dal problema informazione implicitamente contenuta in esso, ma stabilisce connessioni tra il problema e altre conoscenze. L'evoluzione successiva della dimostrazione a partire dal prototipo avviene per tentativi ed errori. A ogni passo si esamina l'ipotesi assunta e si valutano le ragioni della sua inadeguatezza a risolvere il problema. L'individuazione di tali ragioni è importante, e spesso cruciale, per trarne suggerimenti su come modificare l'ipotesi per renderla più soddisfacente.

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Poi il procedimento viene ripetuto per le nuove ipotesi, e cosl via fino ad arrivare a un'ipotesi adeguata. Il processo si configura come una successione convergente di schemi di dimostrazione, che comincia col prototipo e tende come limite alla dimostrazione. In tale processo l'esame dei tentativi imperfetti fatti in precedenza è essenziale. Nel risolvere un problema matematico un passo importante, forse addirittura il più importante, consiste «nell'analisi di altri tentativi già effettuati in passato, o di tentativi immaginari, con lo scopo di scoprire come mai questi tentativi siano andati a vuoto»73 • Dunque la soluzione del problema >112. Donde risulta che nella teoria dei numeri «ci si deve aspettare moltissimo dalle osservazioni, perché noi da esse siamo condotti continuamente a nuove proprietà dei numeri, che. successivamente ci si dovrà sforzare di dimostrare» 113 . Questo tipo di conoscenza che pog-

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gia solo sulle osservazioni «si suole attribuirla all'induzione» 114 • Noi osserviamo che una proprietà vale in certi casi particolari e per induzione formiamo l'ipotesi che essa valga in generale. Per esempio Fermat inferì varie «esimie proprietà dei numeri per induzione molto prima che avesse imparato a dimostrarle» 115 • Ne segue che «nell'indagare la natura dei numeri si deve attribuire moltissimo all'osservazione e all'induzione, a cui dobbiamo attribuire tutte queste elegantissime proprietà ricevute, e perciò ora non si deve certo desistere dal proseguire ulteriormente questa attività» 116 • Dichiarazioni simili si trovano anche in vari altri matematici, soprattutto nell'ambito della teoria dei numeri, dove spesso l'induzione è stata essenziale per trovare ipotesi. Un esempio significativo è dato dal problema di quanti quadrati sono necessari per rappresentare un intero positivo qualsiasi. Bachet formulò l'ipotesi che ogni intero positivo fosse un quadrato intero positivo o la somma di due, tre o quattro quadrati interi positivi. Egli non ne diede una dimostrazione, ma affermò che «si può cogliere a sufficienza con l'esperienza che ogni numero o è quadrato, oppure si compone di due, o di tre, o anche di quattro quadrati» 117 • Lo si può «confermare con l'induzione mostrando che ciò è PfQprio di tutti i numeri, da 1 a 120» 118 • Basta osservare che 1 = Y,1 = 1 + 1, 3 = 1 + 1 + 1, 4 =4, 5 =4 + l, 6 =4 + 1 + 1, 7 = 4 + 1 + 1 + 1, 8 = 4 + 4, .. ., 120 = 100 + 16 + 4. E, se uno ha voglia e tempo di farlo, può «sperimentare anche oltre» 119 . Per esempio, Bachet condusse «l'esperimento per tutti i numeri fino a 325» 120 . Che l'ipotesi valesse per questi numeri portò Bachet ad inferirne che essa avrebbe dovuto valere anche per tutti i rimanenti. Naturalmente l'aver verificato l'ipotesi fino al numero 325 non la giustificava, e tuttavia bastò a Bachet per formulare la sua ipotesi, la cui prima dimostrazione sarebbe stata data da Lagrange solo molto tempo dopo. Si potrebbe pensare che l'uso di Bachet dell'induzione, sebbene essenziale per formulare la sua ipotesi, sia stato reso ridondante dalla dimostrazione di Lagrange, e che lo stesso debba valere per ogni altro uso dell'induzione. Ma non è così. Si consideri, ad esempio, l'assioma di scelta. Zermelo arrivò a formularlo osservando che le dimostrazioni di vari importanti risultati ne facevano implicitamente uso. L'assioma di scelta, pur «senza essere stato formulato in modo propriamente scolastico, è stato usato con successo e molto spesso da R. Dedekind, G. Cantar, F. Bernstein, Schoenflies, J. Konig e altri, nei campi più disparati della matematica ma specialmente nella teoria degli insiemi» 121 . Zermelo elenca sette casi del genere, che «non potrebbero essere trattati affatto senza il principio di scelta» 122 . L'uso dell'assioma di scelta che è stato fatto in tali casi mostra che l'assioma «viene applicato dovunque senza esitazioni nella deduzione matematica»123. Finché l'assioma di scelta non sarà stato «confutato chiara362

mente, nessuno ha il diritto di impedire ai rappresentanti della scienza produttiva di continuare a servirsi di questa 'ipotesi', come la si può chiamare» 124 . Né ha il diritto di impedire di continuare «a svilupparne le conseguenze nel modo più esteso, specialmente perché ogni contraddizione possibile inerente a un dato punto di vista può essere scoperta solo in questo modo» 125. Dunque, al pari dell'ipotesi di Bachet, anche l'assioma di scelta ha avuto origine da un processo induttivo: l'osservazione che certi casi particolari dell'assioma venivano usati per dimostrare importanti risultati spinse Zermelo a formulare l'assioma in generale e ad usarlo per dimostrare un nuovo risultato, cioè che ogni insieme può essere ben-ordinato. Ma, come sottolinea Zermelo, a differenza dell'ipotesi di Bachet non si può sperare di giustificare l'assioma di scelta mediante una dimostrazione, perché esso «non può certo essere ridotto a uno ancora più semplice» 126 . Perciò, non si può «costringere nessuno ad accettarlo apoditticamente» 127 . L'impossibilità di trovare una giustificazione dell'assioma di scelta mediante un assioma più semplice ed evidente è stata confermata dall'esperienza matematica successiva. L'atteggiamento della comunità matematica in merito è ben rappresentato da Dana Scott, secondo cui l'assioma di scelta «sarà sempre desiderabile nonostante l'interesse tecnico delle varie questioni di indipendenza relative a esso e a principi più deboli. Se solo lo si potesse dedurre da qualche principio più primitivo ... » 128 . Ma nessuno sa dove trovare un tale principio. Sebbene l'ipotesi di Bachet e l'assioma di scelta differiscano quanto a dimostrabilità, entrambi si basano su un'induzione a partire da parecchi casi. Talora, tuttavia, l'induzione viene applicata a partire da un singolo caso, che assume così un valore paradigmatico. Si consideri, ad esempio, il problema di Euclide: determinare se in un cerchio esiste un rapporto costante tra l'angolo al centro e l'angolo alla circonferenza, quando gli angoli hanno la stessa circonferenza come base. La difficoltà del problema è che, per un dato angolo al centro COA, non esiste un solo angolo alla circonferenza ma ve ne sono infiniti: tutti quelli i cui lati passano rispettivamente per A e C e il cui vertice si trova sull'arco ABC. B"

B

363

Vi è tuttavia un caso speciale del problema che è facilmente solubile: quello in cui uno dei due lati dell'angolo alla circonferenza passa per il centro, cioè è un diametro. È facile vedere, allora, che l' angolo al centro COA è il doppio dell'angolo alla circonferenza CBA.

A

Infatti, la somma degli angoli AOB + COA è eguale a due retti, e la somma degli angoliAOB + CBA + BAO è eguale a due retti, perciò COA = CBA + BAO. Ma BAO = CBA perché il triangolo ABO è isoscele. Dunque COA = 2 CBA. Che in questo caso speciale l'angolo al centro sia il doppio del1' angolo alla circonferenza, porta a formulare l'ipotesi che in generale «in un cerchio l'angolo al centro è il doppio dell'angolo alla circonferenza quando gli angoli hanno la stessa circonferenza come base»129. È facile dimostrare questa ipotesi usando il caso speciale. Oltre a esso sono possibili solo altri due casi, cioè: l'angolo alla circonferenza ha i due lati da parti opposte rispetto al diametro; e: l'angolo alla circonferenza ha i due lati dalla stessa parte rispetto al diametro.

A

e

A

Nel primo caso, per quanto già dimostrato nel caso speciale, COH = 2 CBH e HOA = 2 HBA, perciò COH + HOA = 2 (CBH + HBA), cioè COA = 2 CBA. Nel secondo caso, di nuovo per quanto già dimostrato nel caso speciale, HOC= 2 HBC e HOA = 2 HBA, perciò HOA-HOC = 2 (HBA-HBC), cioè COA = 2 CBA. Anche in questi casi, quindi, l'angolo al centro è il doppio dell'angolo alla circonferenza. Si ottiene così una soluzione conclusiva del problema di Euclide. Si possono indicare numerosi altri esempi di uso dell'induzione a partire da un singolo caso. Citiamo, per tutti, quello del teorema in364

tegrale di Cauchy: l'integrale di una funzione olomorfa in un dominio semplicemente connesso e sul suo contorno chiuso, è nullo. Tale teorema può essere dimostrato facilmente nel caso speciale in cui il dominio sia un triangolo. Ciò spinge a formulare l'ipotesi che il teorema valga in generale. Nel formulare questa ipotesi il caso speciale svolge un ruolo paradigmatico perché, una volta dimostrato il teorema per i triangoli, lo si può estendere facilmente ai poligoni (considerandoli come combinazioni di triangoli), e alle curve (considerandole come il limite dei poligoni). Quindi la formulazione del teorema si basa su un'induzione a partire da un singolo caso.

5. Le varietà dell'induzione Come si vede dagli esempi precedenti, l'induzione non consta di un singolo ragionamento ma di più tipi di ragionamento. 1) I: induzione a partire da parecchi casi. Questa è la nozione comune di induzione, che viene espressa da Mill dicendo che «l'induzione è il processo per mezzo del quale noi concludiamo che ciò che è vero di certi individui di una classe è vero dell'intera classe» 130 • Possiamo formulare ciò nel modo seguente: se P(a 1), ... , P(a) per un certo numero di membri al' ... , an di una data classe Q, allora P(b) per un qualsiasi nuovo membro b della classe Q. 2) I.: induzione graduata a partire da parecchi casi. Questa nozione di induzione è un perfezionamento della precedente. Essa è espressa da Russell dicendo che l'induzione è l'inferenza in base a cui, «quando una cosa di un certo tipo A è stata trovata associata a una cosa di un certo altro tipo B, e non è mai stata trovata dissociata da una cosa del tipo B, quanto maggiore è il numero dei casi in cui A e B sono state associate, tanto maggiore è la probabilità che esse saranno associate in un nuovo caso in cui si sa essere presente una di esse» 131 . Questa formulazione va incontro alla difficoltà che, se A sta per corvo e B sta per nero, dal fatto che A è sempre stato trovato associato a B, e a B soltanto, si dovrebbe concludere che, se la prossima cosa che si presenterà sarà nera, è altamente probabile che sia un corvo; ma questo è implausibile. Tuttavia la formulazione di Russell può essere corretta sostituendo l'espressione: 'in un nuovo caso in cui si sa essere presente una di esse', con l'espressione: 'in un nuovo caso in cui si sa essere presente A'. Possiamo allora formulare l'inferenza induttiva nel modo seguente: se P(a 1), ... , P(an) per un certo numero di membri al' ... , an di una data classe Q avente m membri, allora P(b) con probabilità n/m per un qualsiasi nuovo membro b della classe Q. Sebbene in linea di principio questo tipo di induzione sia un perfezionamento di 365

quello precedente, in pratica per trovare le ipotesi è più conveniente usare una rozza stima qualitativa piuttosto che una accurata stima quantitativa. Quest'ultima in generale non è disponibile, né è necessaria, perché si possono effettuare utili inferenze induttive anche in mancanza di una stima quantitativa precisa. 3) I: induzione a partire da un singolo caso. Possiamo formulare l'inferenza induttiva corrispondente nel modo seguente: se P(a) per un certo membro a di una data classe Q, allora P(b) per un qualsiasi nuovo membro b della classe Q. Questo tipo di induzione è più importante di quanto si riconosca di solito, perché «la nostra naturale tendenza è di saltare alle conclusioni dopo una e una sola osservazione»132. Questa tendenza si basa sul fatto che