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Italian Pages 202 Year 1970
CHARLES HAROLD DODD
Le parabole del regno Edizione italiana a cura di F. Ronchi
PAIDEIA EDITRICE BRESCIA
Titolo originale dell'opera C. H. Dooo T he Parables of the Kingdom Traduzione italiana di F. Ronchi © James Nisbet and Company Ltd, Digswell Piace, Welwyn, Herts, 1 961 e 1965 © Paideia Editrice, Brescia 1970
INDICE
Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I. Natura e scopo delle parabole evangeliche. . II. Il Regno di Dio.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . III. Il giorno del Figlio dell'uomo . . . . . . . . . . . . . . . . IV. Il 'Sitz im Leben' . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . V. Le parabole della crisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . VI. Le parabole della crescita . . . . . . . . . . . . . . . . . . VII. Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . J ndice delle parabole . Indice dei passi della Scrittura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Indice degli autori . . . .
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Reverendo ordini theologorum Universitatis Yalensis apud Portum Novum in Nova Anglia Hospitibus hospes conlegis conlega
PREFAZIONE
All'origine di questo libro si trovano le Shaffer Lectures, un corso di lezioni che ebbi occasione di da
re alla Divinity School dell'Università di Yale nella primavera del I935· Questo lavoro è il risultato di vari anni d'intenso studio, anni nei quali ho cercato di affrontare e risolvere il problema dell'escatologia nei vangeli, con particolare riguardo al suo significato per l'idea di Regno di Dio. Quando ho cominciato a dedicarmi ad uno studio approfondito del Nuovo Te stamento, questo problema era stato imposto all'at tenzione generale soprattutto per opera di Albert Schweitzer, dopo la cui Geschichte der Leben -Jesu Forschung (I9I/) non era più possibile eliminare i difficili passi escatologici dichiarandoli inautentici o considerandoli marginali e trascurabili. Ancor oggi non abbiamo risolto il problema dell'escatologia, an che se lo affrontiamo in modo alquanto diverso da una volta. All'inizio della mia ricerca seguii la dire zione indicata dallo Schweitzer; ma benché, come molti altri, fossi fortemente influenzato dalla sua posi zione, pure non ero convinto della soluzione da lui pro posta, nota comunemente come konsequente Eschato logie, escatologia conseguente 1: bisognava ancora cerr. G. Conte in O. Cullmann, Il mistero della redenzione nella storia (Il Mulino, Bologna, 1966) 32, rende konsequente Eschatologie con 'escatologia consequenziale': la traduzione 'escatologia conseguente' ci sembra non solo più fedele, ma anche più chiara. Per Schweitzer 'esca tologia conseguente' significa, quando riferita al messaggio e alla vira di Gesù, escatologia coerente, totale, assoluta, in contrapposizione, per es., alla 'escatologia intermirtente' di Joh. Weiss; d'altra parte conseguente mantiene anche il suo valore participiale di «che segue, che vien dopo, II
carne una. Qualunque ricerca tendesse a chiarire il problema avrebbe dovuto esaminare attentamente le parabole evangeliche, in particolare quelle che tratta no espressamente del Regno di Dio: per questa ra gione sono stato spinto ad esaminarne di nuovo na tura, scopo ed interpretazione. Avevo seguito Jiili cher nel rifiuto dell'allegoria come metodo ermeneu tico, ma non potevo seguir/o molto oltre questo pun to. Neanche la ripresa moderna di questo metodo mi ha aiutato molto (qualunque possa essere il suo valo re omiletico) a chiarire il problema che in primo luo go m'interessava: qual era l'intenzione originaria di questa o di quella parabola nella sua situazione stori ca? Questa domanda è solo una parte di quella più ampia che riguarda il contenuto storico dei vangeli in generale: nonostante quanto è stato detto o scritto di recente, sono convinto che questo problema non è né irrilevante né insolubile in linea di principio. Vi sono infatti vari segni che mostrano il declino della reazio ne contro lo 'storicismo' ed una possibile ripresa del la >; oppure, per considerare una similitudine, «a che paragonerò io questa generazione? è come dei fanciulli che siedono sulla piazza del mercato e si dicono : abbiamo suonato per voi il flauto e non ave te ballato; abbiamo intonato un lamento e voi non avete pianto! » . I Tedeschi chiamano questo tipo di parabola Gleichnis, similitudine. Si tratta di un tipo comune che include, p. es. , il figlio che chiede un pa ne, l'occhio come lampada del corpo, gli amici del lo sposo, il fico araldo dell'estate (Mc. 13,29) e al tre parabole familiari. 20
La metafora o similitudine può diventare una sto ria e non solo un'immagine se i particolari supplemen tari delPelaborazione servono a sviluppare una situa zione. È questa la Parabel dei Ted�chi, cioè la para bola in senso proprio. La storia può essere molto breve, p. es. : «Il Regno di Dio è come lievito che una donna prese e mise in tre misure di farina finché il tutto fu lievitato». Poco più lunghe sono le parabole della pecora perduta e della moneta persa, del tesoro nascosto--e della-pefiaru gran valore, del seme di se napa, del seme che cresce di nascosto e dei due figli. Un po' più lunghe sono quelle delle due case, del se minatore, dell'amico importuno e alcune altre. Ab biamo infine dei veri racconti (Novellen ) come quel li della somma affidata, del servo spietato (Mt. 1 8 ,233 5 ) dei figliol prodigo e dei lavoratori nella vigna. Non è possibile distinguere nettamente e con pre cisione tra queste tre classi di parabole, detti meta ferici, similitudini e parabole in senso proprio Pos siamo servirei di una regola grammaticale pratica e dire che il primo ti�o non ha più di un verbo, il se condo più di un verbo al presente, tl terzo una serie di verbi in�E_i st�rici : è così perché la similitudine generalmente descrive un caso tipico o ricorrente mentre la parabola presenta un caso particolare e lo tratta come tipico. In realtà i tipi si confondono e si somigliano sostanzialmente in quanto non sono che l'elaborazione di un paragone e i particolari hanno lo scopo di mettere il più in risalto possibile la situa zione o gli eventi in modo da afferrare l'attenzione. Giungiamo così a quello che è il principio interpre tativo più importante: la parabola tipica, sia essa una semplice metafora, una similitudine più elaborata o un vero racconto, non ha che un solo punto di com,
4•
4· Bultmann, Geschichte der synoptischen Tradition ( 1 9 3 1 ), 1 79-222, usa questa classificazione: Bildworter, Gleichnisse, Parabel. 21
parazione e i vari particolari non hanno un significa to indipendente dal tutto. Nell'allegoria, invece, ogni particolare è una metafora in sé, col suo proprio si gnificato distinto. Prendiamo, ad esempio, l'episodio della Casa bella nel Pilgrim's Progress Qui si narra dell'arrivo di alcuni stanchi viaggiatori ad un'ospita le casa di campagna e i commentatori c'indic;ano per fino la casa attuale nel Berdfordshire. In questa sto ria, però, la serva che apre la porta si chiama Discre zione, le padrone di casa sono Prudenza, Pietà e Ca rità, la camera da letto è Pace. Se vogliamo prendere un esempio biblico, pensiamo a.l1'�llegoria paolina del guerriero cristiano : la cintura è la-verità, la corazza è la giustiZia, le calzature sono la pace, lo scudo è la fede, l'elmo è la salvezza, la spada è la Parola di Dio . Se invece consideriamo la parabola dell'amico im portuno, sarebbe assurdo domandarci chi è rappre sentato dall'amico che arriva da un viaggio o dai bambini in letto : questi e tutti gli altri particolari della storia servono soltanto a darci l'impressione di un'improvvisa situazione critica di necessità cui biso gna far fronte con un'urgenza che sarebbe altrimenti inopportuna e sfacciata. Così anche nella parabola del seminatore il sentiero e gli uccelli, le spine e il suolo pietroso n�_, çome Marco ha creduto, dei crittogrammi per indicare la persecuzione, la fallacia delle ricchezze, ecc. : tutti questi elementi son lì per darci l'i.Q_e_� d� quale _g!_!nde percent�ale di lavoro il contadino dev'esser pronto a perdere�o-·con temporaneamente in risalto la soddisfazione che, no nostante tutto, il raccolto genera. L'autore di un'allegoria cerca naturalmente di nar rare la sua storia in modo tale che essa possa esser letta normalmente, anche se non si riesce a coglierne .
5· Racconto allegorico scritto in carcere ( 1678) dal predicatore battistll i nglese John Bunyan ( r628- r688). (NdT) 22
l'in terpretazione. Questo procedimento richiede una grande abilità e non può durare troppo a lungo poi ché l'interpretazione diverrà apparente. Ritornando alla Casa bella, Bunyan si è dimostrato molto abile nel presentare gli avvenimenti normali durante un breve soggiorno in una casa di campagna; tra l'altro, le signore mostrano, con tutta naturalezza, l'albero genealogico, come è ancora dato di vederlo incorni ciato in alcune case all'antica. Subito, però, traspare la teologia: si vede che il Padrone di casa «era il Fi glio dell'Antico di giorni e proveniva da una genera zione eterna». Quando un allegorista poi non è bra vo la storia non ha più alcun significato a meno di tra durre i particolari nelle idee che essi sono intesi si gnificare. È questo il caso dell'Apostolo Paolo, che nonJ}ji se.n:!Q!:� �scelta felice nelle illustrazioni, quando ci propone if r accòntoaifegorico di un gtar diniere che pota i rami di un olivo e innesta al loro posto germogli di olivo selvatico; poi l'uomo con serva i rami potati e dopo che gli innesti hanno pre so innesta anche i rami tagliati al tronco ( Rom. I I , I 6-24). Si tratta veramente di un procedimento al quanto strano! Tutto si chiarisce, però, se teniamo presente che l'olivo è il popolo di Dio, i rami potati sono i Giudei increduli e i germogli dell'olivo selva tico i cristiani di origine pagana. Le parabole dei vangeli, comunque, sono fedeli al la natura e alla vita : ogni similitudine o storia è una raffigurazione esatta di un evento o procedimento os servabile nell'ambito dell'esperienza. I processi na turali son�o��!L� registrati con precisione; le azioni dei personaggi sonqUelle-clieCi aspelteferii.mo nelle circostanze dè'scritte o se so ' no eccezionali e sor prendenti ciò è proprio quanto la parabola vuole far ci intendere: queste azioni sono fuori dell'ordinario. È certamente sorprendente, p. es.,che un datore di la-
varo paghi allo stesso modo il lavoro di un'ora e quello di dodici, ma lo stupore dei lavoratori serve proprio a farci cogliere il centro della storia. D'altra parte, la distinzione tra parabola ed alle goria_l?9.!1 dev'esser troppo rigida perché se la parabo la è tirata un---p> (oppure >. Credo si potrebbe ben sostenere la sostanziale autenticità del detto lucano, ma poiché esso non appartie ne chiaramente allo strato tradizionale più antico non me ne servirò nella mia argomentazione. [ I l Dodd è praticamente solo a sostenere questo significato di É'll"t 6c;, filologicamente esatto, ma difficilmente so· stenibile nell'attuale contesto; egli stesso sembra, dopo tutto, preferire l'ipotesi del Roberts, cfr. cap. IV n. 3 ; per la discussione più recente v. H. Conzelmann, Die Mitte der Zeit ( 1 964 ), 1 r 1 ss.; O. Cullmann, Il mistero della redenzione nella storia ( 1 966), z8o s. ; Bauer-Arndt-Gin grich, A Greek-English Lexicon of the N.T. ( 1 95 7 ), s. v. Èv>: di questi punti d) rap presenta un logion erratico che appare in tutti i vangeli in diversi con testi, b) è riportato da Marco nel discorso apocalittico e, come abbiamo già visto, è probabilmente da mettersi in rapporto con la predizione di una guerra_ 8_ A .T. Cadoux, op.cit., pp. 1 95-196 vede nella parabola l'immagine di una «squadra di coscrizione forzosa>> all'opera; può anche darsi sia co sl, ma la lezione che egli ne trae ci sembra troppo generica e smorta: «L'occasione cerca l'uomo ed opera la sua scelta>>. Possiamo forse ve der qui un riferimento al carattere selettivo della chiamata di Gesù?
Carattere ancor più distintamente parabolico ha l'altro detto che in Luca segue immediatamente quel lo appena discusso e che in Matteo segue invece il logion del lampo: «Dovunque sarà il cadavere, qui si raduneranno gli avvoltoi» 9• Il concetto generale sembra essere che ci sono delle combinazioni di feno meni costanti ed inevitabili, così che se se ne osserva uno, si può dedurre l'altro: non sappiamo però a quali eventi ci si voglia qui riferire. In fin dei conti abbiamo delle indicazioni molto vaghe per quanto riguarda il posto che spetta al Fi glio dell'uomo 'nel suo Giorno'; non è del tutto evi dente che il Giorno del Figlio dell'uomo sia identico con quello del giudizio anche se è logico pensare lo sia; le nostre fonti più antiche in ogni caso non affer mano che il Figlio dell'uomo stesso è il giudice né chiariscono come sarà il giudizio. Il problema è reso ancor più complesso dal fatto che Gesù chiama se stesso, come ci dicono i vangeli, 'Figlio dell'uomo' . Si discute ancora molto ed ani matamente se questa informazione è storicamente esatta, ma è certo che i vangeli sono portati ad inse rire l'espressione 'Figlio dell'uomo' laddove la cri tica mostra che la tradizione originale faceva dire a Gesù 'io'; da ciò alcuni deducono il carattere secon dario di questa espressione quando è riferita a Gesù. Inoltre non si può negare che in testi indubbiamente genuini, come quelli che abbiamo esaminato più so pra, Gesù parla del 'Figlio dell'uomo' senza dare af fatto l'impressione che stia parlando di sé. Giacomo e Giovanni si trovano nella barca con Zebedeo loro padre: i figli furono presi, il padre venne lasciato insieme coi servi (Mc. r , r 9-20). 9· Mt. 24,28 e Le. 1 7,37. f. stata avanzata l'ipotesi che gli cXE"to� siano· le aquile romane e che, pertanto, questo detto sia un presagio di guer ra; d'altra parte, benché alcune specie di aquile mangino carogne, l'av voltoio è l'uccello caratteristico di tale situazione e cXE"t6c; indica proba bilmente qui, come spesso nei LXX, questo rapace.
D'altra parte dobbiamo notare che in tutte le fon ti evangeliche primarie Gesù è identificato con il Fi glio dell'uomo: una tale identificazione appartiene, pertanto, almeno ad uno stadio molto antico della tradizione. Inoltre l'ipotesi che ho menzionata più sopra presuppone che 'Figlio dell'uomo' fosse ad un certo momento una designazione messianica di Gesù molto corrente e per questa ragione venisse interpo lato nel racconto della sua vita e del suo insegnamen to. Non c'è però alcuna evidenza indipendente di un tale momento; nel N.T. c'è solo un passo, al di fuori dei vangeli, in cui una tale espressione venga usata e negli stessi vangeli non la troviamo che sulla bocca di Gesù 10• Sappiamo invece che 'il messia' e 'il Signore' erano d'uso comune nella chiesa, ma nei vangeli Gesù si chiama solo raramente così I teru.
ro. Act. 7,56; lo. 1 2 ,34 non è una vera eccezione. r r . Xp�cr"t6c; non appare in 'Q'; in Marco lo troviamo soltanto due voi· te in bocca a Gesù a) 9.4 1 : un confronto con Mt. ro,42 fa dubitare che nella prima tradizione si siano trovate le parole 1h� XP�CT"tov ECT"tE; b) 12,35 laddove Gesù parla del 'Messia' quale figura della teologia giu · daica senza dare l'impressione di identificarsi con essa. In passi propri a Matteo lo si trova una volta sulle labbra di Gesù, in 23,ro, ma un ·confronto con 23,8 rende probabile che si tratti di un doppione e che 23,8 (dove manca il termine Xp�CT"t6c;) sia la forma più antica. In Le. 24,46 il titolo appare in un breve sommario dell'insegnamento di Gesù dopo la resurrezione, altrimenti è del tutto assente nel terzo vangelo come autodesignazione di Gesù. i?. invece relativamente frequente sulla bocca di altre persone ed in passi in cui gli evangelisti parlano in prima persona riflettendo la pratica della chiesa. Kup�oc; appare sulla bocca di Gesù, con riferimento a questi, . due volte in Marco: a) 2,28 (>, ma, per il momento almeno, ci basta accettare l'evidenza della nostra fonte più antica. [ La discussione su questo problema e su quello più generale del processo di Gesù è stata ripresa con una certa intensità nell'ultimo decennio: v. ]. Blinzler, Il processo di Gesù, Bre scia, Paideia, 1966; A.N. Sherwin-White, Roman Society and Roman Law in the N. T., Oxford , 1963. NdT] . 1 3 . Va particolarmente sottolineato i l fatto che l'interpretazione della visione del Figlio dell'uomo (Dan. 7,13·141 sia data in 7,22 con le paro le Eq>fra:crEv é xa:�p6ç, xa:t 'tlJ'II �a:crtÀ.E�CX'II xa:'tÉCTXO'II ot iiytot, che, co me abbiamo visto (cap. n, n. 1 5 ), sembrano essere riecheggiate da quel le di Gesù i!q>&a:crEv Éq>' Ù!J.ciç f) �a:cr�À.Eta: 'tOU &Eou. 88
te riesce a scorgere, in forme simboliche, questi pro cessi sovrastorici e può così predire gli eventi storici nei quali essi poi s'incarneranno. Così anche il Figlio dell'uomo della visione è una figura simbolica ed è chiaro che l'adempimento, l'attuazione di questo simbolo, è atteso nella storia. In che senso, allora, Gesù ha citato questa predizione di Daniele? 14 Non si può certo presumere che egli l'abbia interpretata in senso strettamente letterale, ma tornerò ancora su questo problema (v. pp. r o r - r o 3 - note 30-3 2 ). C'è un altro passo in Marco in cui Gesù sembra predire la 'venuta' del Figlio dell'uomo : «Se uno si sarà vergognate di me e dei miei in questa genera15
14· Di solito si presume che l'insegnamento di Gesù presupponga la concezione del Figlio dell'uomo che troviamo in Hen. aeth . .37-71 [ que sti capp. costituiscono la parte centrale di Hen. aeth. o 1 Henoch e so no chiamati generalmente . Una conveniente raccolta, in inglese, di documenti illustranti l'ambiente e il pensiero del mondo greco-romano e giudaico ai tempi del N.T. è quella curata da C.K. Barrett, The New Testament Background: Selected Documents, S.P.C.K., London, 1956. NdT ] . Si dovrebbe quindi ricavare da questo testo apocalittico il modo d'interpretare la profezia di Daniele, ma r ) non è ancora stata detta l'ultima parola per quanto riguarda l'integrità delle 'similitudini di Enoch' o la data dei passi del 'Figlio dell'uomo' i quali non compaiono né in alcuna parte di Hen. gr. che abbiamo né nei numerosi frammenti di quest'opera trovati nelle grotte di Qumran e fi nora pubblicati [cfr. Michelini Tocci, I manoscritti del Mar Morto, Ba ri, Laterza, 1 967, pp. 24 s.; nella IV grotta di Qumran (4Q), che costi tuiva forse la 'biblioteca' principale dei qumraniti, furono trovati circa dieci manoscritti frammentari di Henoch, senza però le 'similitudini' (capp. 37-7 1 ) ; per questa ragione il Milik pensa che le 'similitudini' siano opera di un giudeo o di un giudeo-cristiano del 1-11 secolo d.C. NdT ] ; 2) nonostante l'interessante argomentazione di Otto, Reich Got tes und Menschensohn, pp. 141-189, non sono affatto convinto che, se si vuole distinguere l'influenza a questo stadio da quella sullo sviluppo dell'escatologia della chiesa, le 'similitudini' abbiano influenzato già la più antica tradizione dell'insegnamento di Gesù: infatti 3 ) Gesù si rife risce esplicitamente a Daniele e non a Enoch ; infine 4) Gesù deve esser stato altrettanto capace che l'autore delle 'similitudini' di dare una pro pria reinterpretazione del simbolismo danielico e questa è, assai proba· bilmente, originale e personale in quanto rompe lo schema escatologico tradizionale ad un punto decisivo. 1 5 . La maggior parte dei mss. legge É!J.È xa:t "tOÙc; È!J.oÙc; ).6youc;; W e
zione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui quando sarà venuto nella gloria del Padre suo con i santi angeli» ( Mc. 8 ,3 8 ). Un lo gian simile si trovava anche in 'Q', come si può ri cavare da Mt. 1 0 , 3 2- 3 3 = Le. 1 2 ,8-9 : Matteo
«Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io riconoscerò lui davanti al Pa dre mio che è nei cieli; ma chiunque mi rinnegherà da vanti agli uomini, anch'io rinnegherò lui davanti al Pa dre mio che è nei cieli>>.
Luca
«Chiunque mi avrà ricono sciuto davanti agli uomini, anche il Figlio dell'uomo ri conoscerà lui davanti agli angeli di Dio; ma chi mi avrà rinnegato davanti agli uomini, sarà rinnegato da vanti agli angeli di Dio».
Evidentemente Marco ci ha conservato solo uno dei due membri del parallelismo e, dato che questa forma stilistica ebraica è tipica cosi dei detti di Ge sù, come di tutta la tradizione profetica alla quale egli si riallaccia, dobbiamo supporre che la forma di 'Q' ( se la potessimo recuperare) sia stata più vicina all'originale; ma in questa forma il riferimento al Fi glio dell'uomo non può essere stabilito con assoluta certezza poiché in Matteo esso manca del tutto e in Luca appare soltanto nel membro positivo del paral lelismo, essendo omesso in quello negativo. In nes suno dei due detti c'è alcun riferimento alla 'venuta' del Figlio dell'uomo; gli uomini verranno ricono sciuti o «davanti al Padre mio che è nei cieli» o «da vanti agli angeli di Dio» 16: forse qui si tratta del l t .' omettono À.6yovc; e così pure i mss. occidentali nel passo parallelo in Le. C.H. Turner, Mark : A New Commentary on Holy Scripture, ed. Gore-Goudge-Guillaume ( 1928 ) favorisce la lezione più breve che è in perfetta armonia con altri detti, per es. Mc. 9,37; Mt. 10,40 Le. xo, 16; Mt. 2540.45 · 16. «Davanti agli angeli di Dio» è espressione propria a Luca (cfr. 1 5 , r o ) come «il mio padre nei cieli» lo è di Matteo; c i è impossibile stabi lire il testo di 'Q'. Poiché Marco ha sia il padre che gli angeli, è diffici le decidere con sicurezza quale sia la forma più originale; in ogni caso =
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Giorno del giudizio che pone fine alla storia, ma il significato più naturale è che Gesù (o il Figlio del l'uomo ) riconoscerà o rinnegherà alcuni uomini nel mondo superiore, il che vuoi dire che il riconosci mento o il rinnegamento sono eterni Non è pertanto chiaro che il detto originale pre dicesse esplicitamente la 'venuta' del Figlio dell'uo mo. È da tener presente che Matteo non si contenta d�l fuggevole accenno di Marco, alla 'venuta', ma ha modificato il logion così: «Il Figlio dell'uomo verrà nella gloria del Padre suo con i suoi angeli e allora renderà a ciascuno secondo l'opera sua» (Mt. 1 6,27). Se si confrontano 'Q ' , Marco e Matteo, si scorge una tendenza crescente a dare ai detti di Gesù una preci sa forma 'apocalittica' e faremo bene a tenere que sto fatto sempre presente quando ci accingiamo a interpretarli. A questo punto è forse opportuno tornare a quel detto di 'Q' sul giudizio delle tribù che abbiamo escluso dal numero delle predizioni storiche. Nelle sue due versioni esso ci è stato conservato così: 17•
Mt.
1 9 ,28
« Io vi dico in verità che nel nuovo mondo, quando il Fi glio dell'uomo sederà sul tro no della sua gloria, anche voi che mi avete seguito se derete su dodici troni a giu-
Le.
2 2 ,28-30
«Ora voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove ed io di spongo che vi sia dato un regno, come il Padre mio ha disposto che fosse dato a
il senso non cambia e quelle espressioni vogliono entrambe dire 'in cie lo' ( Le. 1 5,7). 17. Per un'espressione simile cfr. Mt. r6,r9; r 8 , r 8 : «Tutto ciò che avre te proibito sulla terra continuerà ad esserlo anche in cielo e rutto quan to avrete permesso sulla terra resterà permesso anche in cielo»: le de cisioni ispirate degli apostoli hanno una validità eterna; in modo simi le il detto che stiamo discutendo vorrebbe dire che quanti riconoscono Cristo sulla terra hanno i n questa professione stessa il segno di essere eternamente accettati da lui. 9!
dicar le dodici tribù d'Isra ele».
me, affinché mangiate e be viate alla mia tavola nel mio regno e sediate su troni a giudicare le dodici tribù di Israele».
Difficilmente dietro le due forme di questo logion c'è una fonte scritta; esso può aver subìto nella tra dizione orale, prima di esser fissato dagli evangelisti, un duplice processo di sviluppo ed è ora difficile de terminare la forma originale. È ad ogni modo chiaro che esso associa strettamente i discepoli al loro Si gnore nella sua gloria futura come nella sua presente tribolazione; esso non è così lontano da quell'altra parola, secondo la quale coloro che Io riconoscono in terra saranno da lui riconosciuti in cielo. Possiamo ricordare, a questo punto, che in Daniele il Figlio dell'uomo è il «popolo dei santi dell'Altissimo» ( 7 , 2 7 ) ed ora, benché il Figlio dell'uomo sia identi ficato con Gesù stesso, questa antica concezione è ancora così viva che i discepoli di Gesù gli vengono associati nel dominio. Soltanto Matteo dice esplici tamente che questa signoria si attua in un ordine tra scendente, ma è probabile che questa sia anche l'in tenzione del testo di Luca; la 'tavola' alla quale i di scepoli dovranno 'mangiare e bere' richiama sia il 'nuovo vino' che Gesù berrà 'nel Regno di Dio', che il banchetto dei beati «Con Abramo, lsacco e Gia cobbe nel Regno dei Cieli». Non è sicuro, inoltre, che la più antica tradizione contenesse delle predizioni esplicite circa una secon da venuta storica di Gesù come Figlio dell'uomo ben ché ci siano dei testi che parlano di una tale 'venuta' oltre la storia. Ci sono, ad ogni modo, molti altri passi i quali predicono che lui, in quanto Figlio del l'uomo, risorgerà dai morti. Le predizioni della pas sione che troviamo in Marco ( 8,3 I ; 9 ,3 I ; I 0,34) cul92
minano tutte con l'assicurazione della resurrezione 'dopo tre giorni' (gli altri sinottici hanno 'il terzo giorno' in armonia con la formula citata da Paolo in I Cor. 1 5 ,4 ) . Per quanti ritengono che i preannunci della passione non siano originali, quelli della resur rezione lo sono ancor meno; io son pronto ad am mettere che la formulazione precisa di tali predizioni possa essere secondaria, ma ho anche indicato dei motivi validi per credere che Gesù abbia effettiva mente predetto sofferenza e morte per sé: e se ciò è corretto, possiamo pensare che questa sia stata l'ul tima sua parola circa il Suo destino ? È vero che secondo certe forme dell'attesa giu daica il Messia era destinato a morire, ma l'evidenza storica per una tale concezione è posteriore ai vange li ed in ogni caso il Messia non muore che dopo aver regnato in gloria. Gesù invece non ha mai regnato così in gloria; poco prima di morire predisse che il Figlio dell'uomo sarebbe stato visto sulle nuvole del cielo : qualunque possa essere l'intento simbolico di questo detto, esso è ripreso da una visione di trionfo e non può certo esser stato considerato adempiuto, come tale, nella morte infamante di Gesù. Se quin di egli ha chiamato se stesso Figlio dell'uomo, deve essersi aspettato di essere vittorioso dopo la morte ed è pertanto credibile che egli abbia predetto non soltanto la propria morte, ma anche la propria re surrezione. È notevole che in Marco tutti o quasi questi presagi leggono : «