Le lame del cacciatore: L'orda degli orchi-Il cacciatore solitario-Le due spade  
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Zitiervorschau

LAME DEL CACCIATORE LE

VOLUME UNICO

L’ORDA DEGLI ORCHI IL CACCIATORE SOLITARIO LE DUE SPADE

ARMENIA

ISBN 978-88-344-2440-7 Titoli originali delle opere: The Thousand Orcs, The Lone Drow, The Two Swords Traduzione di Sara Cicala e Ileana Appino FORGOTTEN REALMS and the Wizard of the Coast logos are registered trademarks of Wizard of the Coast, Inc., in the USA and other countries. © 2002, 2004, 2004 Wizards of the Coast. Ali rights reserved. Licensing by HPG. Art cover by Todd Lockwood U.S., Canada, Asia, Pacific, & Latin America Wizards of the Coast, Inc. P.O. Box 707 Renton, wa 98057-0707 + 1-800-324-6496 European Headquarters Hasbro UK Ltd Caswell Way Newport, Gwent NP9 0YH Great Britain Visit our web site at www.wizards.com Opera edita in Italia dal Gruppo Editoriale Armenia S.p.A. Via Valtellina, 63 - Milano [email protected] www.armenia.it Stampato da f Grafica Veneta S.p.A. per conto del Gruppo Editoriale Armenia S.p.A.

L'autore:

R.A. Salvatore, nato nel 1959 a Leominster, nel Massachusetts, esordì nella narrativa fantasy nel 1988 e con il tempo si è affermato come uno degli autori più amati e prolifici del genere.

È il creatore della lunga e fortunata saga di Drizzt. Presso la nostra casa editrice ha pubblicato cicli narrativi ormai mitici: la Trilogia degli elfi scuri, la Trilogia delle terre perdute, L'Eredità di Drizzt, I soldati di ventura, La Lama del Cacciatore, Transizioni e La Trilogia del demone, seguita da L'eredità del demone.

Salvatore: Cronologia Opere ND Aby: Inlcudo uno schema per provare a fare un po’ d’ordine nelle opere di Salvatore che si svolgono in Forgotten Realms: DR = Dalereckoning D: libri legati alla figura di Drizzt

LE LAME DEL CACCIATORE LE LAME DEL CACCIATORE - secondo le classifiche del New York Times, una delle saghe più vendute di R.A. Salvatore - si compone di tre romanzi: L'orda degli orchi, (The Thousand Orcs, 2002), Il Cacciatore solitario (The Lone Drow, 2003) e Le Due Spade (The Two Swords, 2004). All'epoca, il ciclo si collocava subito dopo II Servitore della Reliquia e gli altri episodi della serie I SENTIERI DELLE TENEBRE, per cui Le Due Spade era il diciassettesimo romanzo con protagonista Drizzt. Sennonché Salvatore decise in seguito di scompaginare quest'ordine introducendo la nuova trilogia I SOLDATI DI VENTURA (Il Servitore della Reliquia, La promessa del Re Stregone e La strada del patriarca) tra I SENTIERI DELLE TENEBRE e LE LAME DEL CACCIATORE. Nella trilogia che presentiamo, Drizzt Do'Urden, credendo che i suoi amici siano stati uccisi e calpestati da un'orda di orchi scatenati, abbandona temporaneamente i panni dell'eroe giusto e riflessivo per indossare quelli di un personaggio completamente inedito, spietato e vendicativo, «il Cacciatore», attraverso il quale dà libero sfogo agli istinti omicidi che albergano nel profondo della sua razza. Solo, in una landa selvaggia, di fronte a un nemico che lo sovrasta con un rapporto di mille contro uno, il fiero elfo scuro è l'essere vivente più temibile tra le montagne del gelido Nord. Ma è più pericoloso per gli orchi che hanno la sfortuna di capitargli a tiro o per se stesso?

L'ORDA DEGLI ORCHI Il re degli orchi Obould Many-Arrows ha riunito le tribù e ha deciso che è giunto il momento dell'invasione: alleatosi con i giganti dei ghiacci e con quattro drow esuli dal Buio Profondo, che tramano per ottenere potere sul mondo di superficie, cala con il suo esercito nelle terre del nord della Spina Dorsale del Mondo, devastando intere città e spargendo terrore ovunque. Separato dalle circostanze dai suoi amici più cari, Drizzt crede di essere rimasto solo e di aver visto morire tutti i suoi compagni, e cede al lato oscuro che è in lui, diventando un letale assassino di orchi, e il suo unico scopo è la vendetta. IL CACCIATORE SOLITARIO Drizzt Do'Urden ha lasciato libero sfogo al suo spirito vendicativo ed è diventato il Cacciatore, il terrore degli orchi, che vive solo per la vendetta e per ripagare la morte con altra morte. Offuscato dalle nebbie dell'ira, Drizzt troverà placata la sua sete di sangue grazie all'aiuto di due elfi di superfìcie (Tarathiel e Innovindil), anche se la morte di Tarathiel per mano del re degli orchi cambierà nel profondo l'animo dell'elfo scuro, mentre lontano gli amici creduti morti stanno combattendo disperatamente per salvare la propria vita contro le immani forze degli orchi. LE DUE SPADE Mithral Hall è assediata dall'esercito del re degli orchi. Bruenor e gli altri, che credono Drizzt morto, devono lottare fino all'ultimo per evitare che la loro patria venga cancellata per sempre. Ma non tutto è perduto: Drizzt e Innovindil uniscono le forze e tornano in aiuto dei loro compagni, riuscendo a bloccare l'avanzata finale degli orchi e ponendo fine alle mire dei quattro elfi drow che favorivano l'avanzata del nemico. Passato il dolore per la presunta scomparsa dei suoi amici più cari, lo spirito del Cacciatore viene sopito anche se non definitivamente...

IL CACCIATORE

SOLITARIO

PRELUDIO Le tre nebbie, Obould Many-Arrows”, strillò Tsinka Shrinrill, gli occhi sbarrati, i globi oculari che roteavano all’impazzata. Mentre si rivolgeva al re degli orchi e a tutti gli altri, era in trance, rapita a metà tra il mondo reale e la terra degli dèi, o così almeno sosteneva. “Le tre nebbie delimitano il tuo dominio al di sotto della Spina Dorsale del Mondo: la lunga striscia del fiume Surbrin, che emana i suoi vapori nell’aria del mattino; il fetido fumo dei Trollmoors, che si leva a rispondere alla tua chiamata; l’essenza spirituale dei tuoi antenati morti da tempo, il retaggio di Fell Pass. Questo è il tuo momento, Re Obould Many-Arrows, e questo sarà il tuo regno!” L’orchessa sciamano concluse la propria dichiarazione sollevando le braccia in alto con una sorta di lamento, e gli altri numerosi adepti di Gruumsh Occhio-solo, dio degli orchi, seguirono il suo esempio, gridando, alzando le braccia e girando su se stessi, mentre si disponevano in un ampio cerchio attorno al re e alla statua di legno dissacrata del loro amato dio. La statua cava dissacrata dai loro nemici, l’insulto all’immagine di Gruumsh. La profanazione del loro dio. Urlgen Threefist, figlio di Obould ed erede al trono, assisteva alla cerimonia con un misto di stupore, trepidazione e gratitudine. Non aveva mai nutrito molta simpatia per Tsinka - una sacerdotessa minore, sebbene una delle più pittoresche all’interno della tribù dei Many-Arrows - e sapeva che le sue parole ricalcavano la falsariga di un copione ideato dallo stesso Obould. Fece scorrere lo sguardo tutt’intorno, osservando la caotica moltitudine degli orchi, tutti infuriati e insoddisfatti, le bocche spalancate, i denti dal colore

giallastro e verdognolo, aguzzi e spaccati. Osservò gli occhi itterici e iniettati di sangue, che si spostavano rapidi qua e là, eccitati e intimoriti. Osservò i continui urti e spintoni che si scambiavano e notò gli innumerevoli insulti che volavano, ai quali seguivano spesso lanci di oggetti. Erano tutti guerrieri, arrabbiati e amareggiati - come qualunque orco della Spina Dorsale del Mondo - costretti a vivere in umide caverne, mentre gli appartenenti alle altre razze godevano degli agi delle loro rispettive città e comunità. Al pari di Urlgen, erano ansiosi, le lingue appuntite che leccavano labbra straziate. Chissà se Obould avrebbe riplasmato il destino e la miserabile vita degli orchi del nord! Urlgen aveva condotto l’attacco contro la città degli umani conosciuta con il nome di Shallows, riportando una vittoria decisiva. La torre del potente mago, da lungo tempo una spina nel fianco degli orchi, era stata abbattuta e il grande mago era morto, così come la maggior parte della sua gente e un buon numero di nani, tra cui Re Bruenor Battlehammer in persona, sovrano di Mithral Hall, o almeno così tutti credevano. Ma parecchi altri erano sfuggiti all’assalto di Urlgen servendosi di quella statua blasfema. Nel vedere il grande e imponente idolo, la maggior parte degli orchi al comando di Urlgen si era giustamente prostrata al suo cospetto rendendo omaggio all’immagine del loro spietato dio. Ma si trattava di uno stratagemma, e la statua si era aperta, rivelando al suo interno un gruppetto di feroci nani, che avevano massacrato molti ingenui orchi e fatto scappare i superstiti verso le montagne. A ciò era seguita la fuga dei restanti difensori della città capitolata, e i fuggitivi si erano uniti a un altro contingente di nani: le stime parlavano di circa quattrocento individui. Le due forze combinate avevano sbaragliato l’esercito di Urlgen che li aveva inseguiti. Le perdite subite dal comandante degli orchi erano state ingenti. Per tale motivo, quando Obould era giunto sul campo di battaglia, Urlgen si era aspettato rimproveri e probabilmente anche percosse a causa di quella sconfitta e, per la verità, il suo violento padre aveva reagito proprio così. Ma poi, con grande sorpresa di tutti, erano trapelate notizie

dell’arrivo di possibili rinforzi. Molte altre tribù avevano cominciato a riversarsi fuori dalla Spina Dorsale del Mondo. Ripensando a quel singolare momento, Urlgen si meravigliava ancora per la pronta reazione del padre. Obould aveva ordinato che il campo di battaglia fosse isolato da ogni contatto esterno e che ogni traccia di passaggio ai confini meridionali di quel territorio venisse cancellata. Lo scopo era quello di far credere che nessuno fosse riuscito a fuggire da Shallows: Obould capiva che il controllo delle informazioni da trasmettere ai nuovi arrivati si rivelava cruciale. Perciò, aveva chiesto a Urlgen di istruire a dovere i suoi innumerevoli guerrieri, dicendo loro che nessuno tra i nemici era sopravvissuto e mettendoli in guardia dal prestare fede a differenti versioni dei fatti. E le tribù degli orchi erano accorse dai profondi recessi della Spina Dorsale del Mondo al fianco di Obould. I capi avevano deposto ai suoi piedi doni preziosi e l’avevano pregato di accettare la loro offerta di fedeltà. Quei pellegrinaggi erano stati guidati dagli sciamani, o così almeno tutti dicevano. Con il loro turpe inganno, i nani avevano provocato le ire di Gruumsh, e molti tra i suoi sacerdoti avevano inviato le loro rispettive tribù affinché si unissero a Obould, che li avrebbe condotti a vendicare l’oltraggio subito. Obould, che aveva ucciso Re Bruenor Battlehammer, avrebbe fatto pagare caro ai nani il loro sacrilegio. Ovviamente, Urlgen aveva accolto tutto questo con grande sollievo. Era più alto del padre, ma non forte a sufficienza da sfidare apertamente il potente capo degli orchi. Se poi si aggiungeva alla considerevole prestanza e destrezza di Obould quel mirabile artefatto che era la sua nera corazza munita di creste e punte, e quel suo spadone, che non ci metteva un attimo a prendere fuoco, nessuno, nemmeno il troppo orgoglioso Urlgen, avrebbe potuto osare sfidarlo per assumere il comando della tribù. Ma Urlgen non si doveva preoccupare di questo. Gli sciamani, scortati dall’agitata sacerdotessa, stavano promettendo a Obould la realizzazione di molti sogni e desideri e lo stavano elogiando per la grande vittoria riportata a Shallows: una vittoria conseguita dal suo onorato figlio. Durante lo svolgimento della cerimonia, Obould lanciò ben più di

un’occhiata in direzione di Urlgen, e il suo sorriso zannuto sembrava generoso. Non era quel ghigno malevolo, segno inequivocabile del grande godimento che avrebbe provato nel torturare qualcuno. Obould era soddisfatto di Urlgen, davvero soddisfatto. Dopotutto, Re Bruenor Battlehammer era morto e i nani erano in fuga. E, sebbene a Shallows gli orchi avessero subito quasi un migliaio di perdite, il loro numero si era notevolmente accresciuto. Altri ancora stavano arrivando, emergendo alla luce del sole (molti probabilmente per la prima volta nella loro vita), socchiudendo gli occhi accecati da quella luminosità, e avanzando lungo i sentieri di montagna diretti a sud, verso il richiamo degli sciamani, verso il richiamo di Gruumsh e di Obould Many-Arrows. “Avrò il mio regno”, proclamò Obould dopo che gli sciamani ebbero finito con le loro giravolte e lamentazioni. “E, dopo aver occupato i territori all’interno delle montagne e delle tre nebbie, attaccheremo i popoli che ci circondano e ci sono nemici. Conquisterò Citadel Felbarr!” esclamò, e un migliaio di orchi esultò. “Farò scappare i nani a rotta di collo ad Adbar, dove li murerò nelle loro sudicie tane!” continuò Obould, saltando tutt’intorno e correndo lungo le prime file dei presenti, e un migliaio di orchi acclamò. “Farò tremare la terra sotto i piedi a Mirabar, fino ai suoi confini più occidentali!” Obould gridò e le acclamazioni si moltiplicarono. “Farò sì che la stessa Silverymoon vacilli al suono del mio nome!” Quest’ultimo annuncio suscitò l’ovazione più calorosa, mentre l’espansiva Tsinka afferrava rudemente il grande orco e lo baciava, offrendogli se stessa, offrendogli la benedizione di Gruumsh al sommo grado. Obould la sollevò con un braccio poderoso stringendosela al fianco, e le acclamazioni si intensificarono ulteriormente. Urlgen non partecipava a quel delirio collettivo, si limitava a sorridere, mentre osservava Obould trasportare la sacerdotessa su per la rampa che conduceva alla statua profanata di Gruumsh. Stava pensando alla grossa eredità che lo avrebbe presto aspettato. Dopotutto, Obould non sarebbe vissuto in eterno.

E se così fosse stato, Urlgen era certo di poter trovare il modo di apportare qualche ritocco alla situazione.

PARTE 1 ANARCHIA EMOZIONALE

Ho sempre agito correttamente. Ogni passo del viaggio che mi ha portato lontano da Menzoberranzan è stato guidato dalla mia mappa interiore di ciò che è giusto e sbagliato, dai miei principi di comunione e altruismo. Anche nelle occasioni in cui ho mancato, cosa che del resto succede a tutti, i miei errori sono stati determinati più da incapacità di giudizio o da semplice fragilità che non da mancanza di coscienza. Poiché in essa, lo so, risiedono i più alti fondamenti e dogmi che ci fanno avvicinare agli dèi che ci siamo scelti, alle nostre raffigurazioni, speranze e conoscenze del paradiso. Non ho abbandonato la mia coscienza, sebbene io tema che lei abbia ingannato me. Ho sempre agito correttamente. Eppure Ellifain è morta, e il fatto di averla salvata molto tempo fa non è altro che una beffa del destino. Ho sempre agito correttamente. E ho assistito alla caduta di Bruenor, e sono convinto che con lui siano caduti tutti coloro che amavo e le cose che mi erano care. Mi chiedo se ci sia un’entità divina là fuori, da qualche parte, intenta a ridere della mia stupidità. Mi chiedo addirittura se ci sia un’entità divina là fuori, da qualche parte. O si è trattato invece di una menzogna o, peggio ancora, di un imbroglio rivolto contro me stesso? Ho considerato spesso il concetto di comunione e di miglioramento del singolo individuo nel contesto di miglioramento del tutto. Questo era il principio guida della mia esistenza, la percezione che mi ha spinto a lasciare Menzoberranzan. E ora, in questo momento di dolore, sono giunto a comprendere - o forse è solo adesso che mi costringo ad ammetterlo - che la mia convinzione era anche qualcosa di molto più personale. Come suona ironico il fatto che nel professare il mio desiderio di comunione stavo in effetti alimentando la mia disperata necessità di appartenere a qualcosa di più vasto che andasse al di là di me stesso. Nel dichiarare e nel rafforzare in privato l’onestà del mio credo,

non mi comportavo diversamente da coloro che si accalcano dinanzi al pulpito del predicatore. Ero alla ricerca di conforto e guida, ma le risposte di cui avevo bisogno le volevo trovare dentro me stesso, al contrario di molti altri che le cercano all’esterno. Con quell’intendimento, ho sempre agito correttamente. Eppure, non mi abbandona la crescente consapevolezza, la crescente trepidazione, il crescente terrore che, in definitiva, io abbia sbagliato. In effetti, qual è stato lo scopo di tutto questo se Ellifain è morta e se la sua breve esistenza si è svolta attraverso un tale tumulto? Qual è lo scopo, se io e i miei amici abbiamo seguito lo slancio dei nostri cuori e creduto nelle nostre spade, solo perché io arrivassi a vederli soccombere sotto le macerie di una torre in rovina? Se mi sono sempre comportato rettamente, allora dov’è la giustizia, e dov’è la ricompensa di un dio riconoscente? Persino nel pormi quella domanda, vedo l’arroganza che mi ha infettato. Persino nel pormi quella domanda vedo gli intrighi della mia anima messi a nudo. Non posso fare a meno di chiedermi se sono diverso dagli appartenenti alla mia stessa stirpe. Sotto l’aspetto tecnico, sicuramente, ma sotto quello effettivo? E infatti, nelle mie affermazioni di comunione e dedizione, non mi pongo forse gli stessi identici fini delle sacerdotesse che ho lasciato a Menzoberranzan? Come loro, non cerco forse la vita eterna e una posizione più elevata tra i miei pari? Mentre le fondamenta della torre di Withegroo vacillavano e crollavano, anche le illusioni che avevano guidato i miei passi le seguivano. Sono stato addestrato a diventare un guerriero. Non fosse per la mia abilità con le scimitarre, credo che ricoprirei un ruolo minore nel mondo che mi circonda, e sarei meno rispettato e accettato. L’addestramento e il talento sono tutto ciò che adesso mi rimane; sono le basi su cui intendo costruire un nuovo capitolo su quella bizzarra e tortuosa strada che è la vita di Drizzt Do’Urden. È l’estensione della mia rabbia che lascerò scatenare contro le spregevoli creature che hanno infranto tutto ciò che mi era caro. E

l’espressione di ciò che ho perduto: Ellifain, Bruenor, Wulfgar, Regis, Catti-brie e, in effetti, Drizzt Do’Urden. Queste scimitarre, i cui nomi sono Mortegelida e Lampo, diventano ora l’immagine di me stesso, e Guenhwyvar è di nuovo la mia unica compagna. Credo in entrambe, e in nient’altro. Drizzt Do’Urden

1

IL RICORDO DELLA RABBIA A Drizzt non piaceva considerarlo un reliquiario. Appoggiato su un piccolo ramo a due punte, l’elmo a un corno solo di Bruenor Battlehammer dominava la piccola grotta che l’elfo scuro si era scelto come dimora. L’elmo era posto proprio davanti alla parete della rupe che fungeva da muro posteriore della piccola cavità, nell’unico punto di quel rifugio naturale in cui penetrava la luce del sole. Drizzt voleva che fosse così. Voleva vedere l’elmo. Voleva non poter dimenticare. E non era soltanto Bruenor che era determinato a ricordare, e neppure gli altri amici. Soprattutto, Drizzt voleva ricordare chi aveva compiuto quell’atto terribile nei confronti suoi e del suo mondo. Per entrare nella grotta doveva strisciare tra due massi, facendosi strada lentamente e con cautela. A Drizzt non importava; anzi, preferiva che fosse così. La totale mancanza di comodità, la pressoché animalesca natura della sua esistenza, lo faceva star bene, svolgeva un ruolo che andava oltre l’azione purificatrice, era un altro modo di rammentare a se stesso cos’era diventato, chi doveva essere se voleva sopravvivere. Non era più Drizzt Do’Urden delle Lande di Ghiaccio, l’amico di Bruenor e di Catti-brie, di Wulfgar e di Regis. Non era più Drizzt Do’Urden, il ranger addestrato da Montolio deBrouchee secondo le leggi della natura e dello spirito di Mielikki. Era di nuovo il drow solitario che si era avventurato lontano da Menzoberranzan. Era di nuovo colui che era fuggito dagli elfi scuri, che aveva abbandonato

le regole delle sacerdotesse che lo avevano trattato ingiustamente e gli avevano assassinato il padre. Era il Cacciatore, la creatura istintiva che aveva sconfitto le crudeli consuetudini del Buio Profondo e che avrebbe fatto pagare cara alle orde degli orchi la morte dei suoi amici più fedeli. Era il Cacciatore, colui che escludeva qualunque altra cosa dalla mente, fuorché la propria sopravvivenza, colui che ignorava il dolore per la perdita di Ellifain. Un pomeriggio, Drizzt si inginocchiò davanti al suo sacro feticcio e osservò il diffondersi della luce solare sull’elmo inclinato. Bruenor aveva perso uno dei due corni parecchi anni prima, molto prima che Drizzt entrasse nella sua vita. Il nano non lo aveva mai sostituito, aveva raccontato a Drizzt, affinché ciò fosse un monito a tenere sempre bassa la testa. Dita delicate risalirono lungo la superficie a toccare il contorno irregolare del corno spezzato. Drizzt riusciva ancora a cogliere l’odore di Bruenor sulla cinghia di cuoio dell’elmo, come se il nano fosse seduto accanto a lui nella buia grotta. Come se avessero appena fatto ritorno da un’altra brutale battaglia, col respiro pesante, ridendo forte e lucidi di sudore. Il drow chiuse gli occhi e rivide di nuovo quell’ultima disperata immagine di Bruenor. Vide la bianca torre di Withegroo, le fiamme che ne lambivano il fianco, un nano solitario che si agitava in cima, impartendo ordini fino all’ultimo. Vide la torre inclinarsi e crollare, e il nano sparire tra i blocchi di pietra che si sgretolavano. Serrò le palpebre con più forza per trattenere le lacrime. Doveva sconfiggerle, respingerle lontano, molto lontano. Il guerriero nel quale si era trasformato non aveva posto per tali emozioni. Drizzt aprì gli occhi e guardò di nuovo l’elmo traendo energia dalla propria rabbia. Seguì il percorso di un raggio di sole fino alla nicchia che stava dietro il copricapo, e vide i propri stivali. Anch’essi, al pari della debole e debilitante emozione del dolore, non gli servivano più. Drizzt si mise prono e strisciò attraverso la piccola apertura tra i

due massi, emergendo nella luce del tardo pomeriggio. Quasi immediatamente, balzò in piedi e sollevò il naso ad annusare il vento. Si guardò intorno, gli occhi attenti che scrutavano ogni ombra e gioco di luce, i piedi nudi che avvertivano il freddo terreno sotto di lui. Dopo una rapida occhiata tutt’intorno, il Cacciatore si diresse veloce verso una postazione più elevata. Raggiunse il fianco di una montagna proprio quando il sole stava sparendo all’orizzonte, a occidente, e lì aspettò perlustrando la regione, mentre le ombre si allungavano e scendeva il crepuscolo. Infine, vide brillare in lontananza la luce di un bivacco. La mano di Drizzt si portò istintivamente sulla statuetta d’onice che teneva nella borsa appesa alla cintura. Ma non la tirò fuori, né evocò Guenhwyvar. Non quella notte. La vista gli si fece ancora più acuta mano a mano che l’oscurità cadeva intorno a lui, e Drizzt si mise a correre, silenzioso come un’ombra, fuggevole come una piuma in un ventoso giorno d’autunno. I sentieri di montagna non rappresentavano un ostacolo per lui, poiché era troppo agile per essere rallentato dai massi caduti e dal terreno sconnesso. Si muoveva zigzagando agevolmente tra gli alberi, talmente furtivo che molti animali della foresta, persino il sospettoso cervo, non udirono né notarono il suo approssimarsi, e non seppero che era passato, se non quando il mutare di direzione del vento portò loro il suo odore. A un certo punto giunse a un piccolo fiume, che attraversò saltando da una pietra bagnata all’altra in tale perfetto equilibrio che nemmeno la superficie sdrucciolevole dei sassi riuscì a farlo vacillare. Una volta sceso dallo sperone della montagna perse quasi subito di vista il fuoco, ma aveva preso nota della posizione e sapeva dove dirigersi, come se la rabbia che sentiva dentro bastasse da sola a guidare le sue lunghe e sicure falcate. Dopo aver attraversato una piccola valle e aggirato una fitta macchia di alberi, il drow avvistò di nuovo il bivacco. Era abbastanza vicino da scorgere le sagome che si muovevano qua e là. Comprese immediatamente che si trattava di orchi, vista l’altezza e l’ampiezza delle spalle, e il modo di camminare leggermente curvi.

Due di essi stavano discutendo - il che non lo sorprese - e, conoscendo quanto bastava la loro lingua rudimentale, capì che la disputa verteva su chi avrebbe dovuto stare di guardia. Ovviamente, nessuno voleva assumersi il compito, considerandolo solo una semplice scocciatura. Il drow si accovacciò poco lontano, dietro una macchia di alberi, e abbozzò un perfido sorriso. La loro sorveglianza era davvero irrilevante, pensò, dato che, per quanto fossero stati attenti, non si sarebbero accorti della sua presenza. Non avrebbero visto il Cacciatore. *** La rozza sentinella lasciò cadere la lancia su una grossa pietra, intrecciò le dita, e capovolse le mani. Le nocche crocchiarono con un rumore secco, ancora più forte di quello prodotto da rami che si spezzano. “Sempre Bellig”, brontolò, lanciando un’occhiata al fuoco dell’accampamento e alle numerose figure raccolte là intorno, alcune distese a riposare, altre intente a rifocillarsi addentando rimasugli di cibo putrefatto. “Bellig fa la guardia. Voi dormite. Voi mangiate. Sempre Bellig fa la guardia.” Continuò a borbottare e a lamentarsi, indugiando a lungo con lo sguardo rivolto verso l’accampamento. Infine si voltò, per trovarsi di fronte un viso i cui tratti parevano scolpiti nell’ebano, per vedere una folta massa di capelli bianchi e un paio di occhi, ma quali occhi! Occhi purpurei! Occhi fiammeggianti! Bellig cercò istintivamente la propria lancia, o perlomeno fece l’atto di cercarla, prima di essere bloccato su entrambi i lati dal bagliore di lame luccicanti. Tentò di avvicinare le braccia a fermare le armi, ma fu di gran lunga troppo lento nell’ afferrare le scimitarre dell’elfo scuro. Fece per gridare, ma a quel punto le lame ricurve avevano tracciato due solchi profondi nella gola, recidendo la trachea.

Bellig si portò una mano a quelle ferite mortali mentre le spade lo colpivano ancora, e poi ancora. L’orco morente si voltò come se volesse precipitarsi dai suoi compagni, ma le scimitarre infierirono di nuovo, questa volta sulle gambe, e il loro filo tagliente tranciò senza sforzo muscoli e tendini. Mentre cadeva, sentì una mano che lo afferrava e lo guidava dolcemente a terra. Era ancora vivo, sebbene non riuscisse a respirare. Era ancora vivo, sebbene il suo sangue si stesse raccogliendo in una pozza rosso scuro tutt’intorno a lui. Il suo uccisore si mosse, in silenzio. *** “Arsh, stupido Bellig, vedi di darti una calmata”, lo richiamò Oonta da sotto i rami di un grosso olmo ai margini dell’accampamento. “Me e Figgle stiamo parlando!” “Maledetta linguaccia”, convenne Figgle il Brutto. Con un buco al posto del naso, un lato della bocca squarciato e i denti color verde-grigio storti e sporgenti, Figgle era un tipo appariscente, persino in base allo standard degli orchi. In gioventù, si era avvicinato troppo a un worg particolarmente cattivo e ne aveva pagato le conseguenze. “Oonta lo accoppa presto”, dichiarò questi suscitando un sorriso sghembo nel compagno. Una lancia si librò nell’aria conficcandosi profondamente nell’albero tra i due. “Bellig!” berciò Oonta mentre lui e Figgle si scansavano incespicando. “Oonta lo accoppa davvero molto presto!” Con un grugnito, Oonta cercò di raggiungere la lancia ancora vibrante, mentre Figgle scuoteva la testa in segno di assenso. “Lasciala”, intimò una voce che parlava la lingua degli orchi, ma in modo troppo melodioso per appartenere a uno di loro.

Entrambe le sentinelle si bloccarono voltandosi a guardare nella direzione da cui era arrivata la lancia. Videro una figura snella e aggraziata, le mani nere appoggiate ai fianchi, le spalle ricoperte da una cappa di colore cupo agitata dal vento notturno. “Non vi servirà”, spiegò l’elfo scuro. “Eh?” dissero entrambi gli orchi all’unisono. “Cosa guardate?” domandò una terza sentinella, Broos, il cugino di Oonta. Si era avvicinato di lato, alla sinistra di Oonta e Figgle e alla destra dell’elfo scuro. Osservò i due e seguì il loro sguardo pietrificato fino al drow, irrigidendosi a sua volta. “Chi sei?” “Un amico”, rispose l’elfo scuro. “Amico di Oonta?” chiese questi, battendosi una manona sul petto. “Un amico di quelli che avete assassinato nella città della torre”, spiegò l’elfo scuro, e prima che gli orchi si rendessero conto del significato di quelle parole, gli spuntarono tra le mani le scimitarre. Doveva averle estratte dal fodero con un gesto talmente veloce e fluido da non dare agli orchi il tempo di seguirne i movimenti, tanto che tutti e tre ebbero l’impressione che le armi fossero comparse là, semplicemente, come per magia. Broos rivolse lo sguardo verso Oonta e Figgle per capirne di più e azzardò un “eh?”. E l’elfo scuro lo superò d’un balzo. E Broos era bell’e morto. L’elfo scuro ritornò per affrontare gli altri due. Oonta strappò la lancia dal tronco, mentre Figgle estraeva un paio di piccole spade, una con la lama biforcuta da duello, l’altra con la lama esageratamente ricurva. Oonta sollevò destramente la lancia al di sopra della spalla per sferrare un temibile colpo di punta inteso a fermare l’avversario. Questi schivò l’arma lasciandosi scivolare tra i due orchi. Oonta trattenne maldestramente la lancia mentre Figgle assestava un doppio fendente con le sue spade.

Ma il drow non c’era più, poiché aveva spiccato un salto che lo aveva portato in aria, al di sopra dei due. Entrambi gli orchi, abili guerrieri, impartirono un cambiamento di direzione alle loro armi e mirarono ai fianchi dell’agile creatura. E là incontrarono le scimitarre, una a intercettare la lancia, l’altra a deviare con una doppia parata i colpi di Figgle. E mentre le lame dell’elfo scuro bloccavano l’assalto, i suoi piedi, uno proteso in avanti e l’altro indietro, assestavano un paio di calci andando a colpire con violenza e determinazione le facce degli orchi. Figgle cadde riverso, confuso e stordito, continuando a roteare le spade dinanzi a sé con movimenti convulsi per difendersi da eventuali attacchi. Anche Oonta arretrò frastornato, brandendo la lancia per aria. Si riebbero contemporaneamente e si ritrovarono a fissare il nulla in mezzo a loro. “Eh?” disse Oonta, non scorgendo il drow da nessuna parte. Ma Figgle a un tratto sobbalzò, e la punta ricurva di una scimitarra gli spuntò in mezzo al petto per poi sparire quasi immediatamente, mentre l’elfo scuro si affiancava all’orco e gli tagliava la gola nel superarlo. Non volendo avere a che fare con un tale nemico, Oonta gettò la lancia, si voltò e se la diede a gambe, dirigendosi alla massima velocità verso il centro dell’accampamento e gridando per il terrore. Gli altri orchi si fecero attorno allo sbigottito Oonta, lasciando cadere pezzi di cibo nauseabondo - carne cruda in putrefazione - alla ricerca affannosa delle armi. “Cos’hai fatto?” gridò uno. “Chi è stato?” strillò un altro. “L’elfo scuro! L’elfo scuro!” rispose Oonta urlando a sua volta. “L’elfo scuro ammazzava Figgle e anche Broos! L’elfo scuro ammazzava Bellig!” ***

Drizzt lasciò che l’orco se la svignasse verso la zona illuminata del campo e approfittò della distrazione creata dal bruto vociante per nascondersi nella penombra proiettata da un grosso albero situato lungo la fascia esterna. Mentre scrutava rapidamente intorno contando oltre una dozzina di quegli esseri, ripose le scimitarre nel fodero. Quindi, con l’aiuto delle mani, il drow si arrampicò sull’albero prestando orecchio al resoconto che Oonta stava facendo dell’uccisione dei tre compagni a opera dell’elfo scuro. “Un elfo drow?” udì domandare più di una voce, e uno degli orchi menzionò Donnia, un nome che Drizzt aveva già sentito in precedenza. Questi strisciò fino all’estremità di un ramo, a circa quindici piedi dal suolo e quasi al di sopra del gruppo degli orchi. I loro occhi perlustravano i margini dell’accampamento, soffermandosi sulle ombre proiettate dagli alberi, impressionati dalle parole di Oonta. Dal suo nascondiglio aereo, Drizzt attinse ai poteri ereditari dei drow, alle innate arti prodigiose che possedevano gli appartenenti alla sua razza, e creò un globo di impenetrabile oscurità in mezzo agli orchi là assembrati, proprio sopra al falò che costituiva la parte centrale del campo. Poi si accinse a scendere dall’albero, saltando di ramo in ramo, i piedi nudi che percepivano ogni asperità del tronco e lo mantenevano in perfetto equilibrio, i bracciali magici che gli consentivano di aumentare la velocità della propria andatura e di procedere a passo spedito ogni volta che era necessario. Toccò terra correndo verso il globo di oscurità, e gli orchi che si trovavano all’esterno notarono la figura dalla carnagione color dell’ebano e lanciarono un grido gettandoglisi contro, mentre uno di essi scagliava una lancia nella sua direzione. Drizzt schivò il tiro maldestro: di certo, avrebbe anche potuto bloccare l’arma senza problemi, se solo avesse voluto. Accolse il primo orco che uscì barcollante dal globo facendo ricorso a un altro dei suoi innati poteri straordinari e produsse un alone di fiamma bluviolacea tutt’intorno al corpo del malcapitato. Il fuoco non bruciava, ma lo avrebbe reso un bersaglio ben visibile, aiuto di cui peraltro l’abile drow non necessitava davvero.

L’espediente ebbe anche il potere di distogliere l’attenzione dell’orco, creatura alquanto ottusa che, presa com’era a osservare le proprie gambe e braccia in preda alle fiamme e a strillare di paura, rivolse troppo tardi lo sguardo verso Drizzt, giusto in tempo per scorgere il balenio di una scimitarra. Dietro al primo sopraggiunse subito un altro orco, ma il drow non si fermò, abbassandosi per schivare un colpo di mazzafrusto che questo stava per assestargli e infilando con destrezza la scimitarra tra le sue gambe per recidere il tendine del ginocchio. Nel tempo che l’orco ululante impiegò a toccare terra, Drizzt il Cacciatore era già sparito all’interno del globo di oscurità. Una volta là, procedette puramente per istinto, muovendosi in base ai rumori che sentiva attorno a sé e alle sue sensazioni tattili. Avendo cura di tenersi a una certa distanza dal fuoco, di cui percepiva il calore, seppure non a livello cosciente, attraverso i piedi nudi, il Cacciatore manovrò con furia e rapidità le scimitarre, volteggiando e assestando colpi ogni volta che sentiva passargli accanto un orco brancicante. Ci fu un momento in cui non si accorse neppure dell’orco, non lo udì neppure, ma fu avvisato della sua presenza dal senso dell’olfatto. Un colpo secco trasversale di Lampo provocò un urlo e un tonfo, mentre l’avversario crollava a terra. Anche questa volta, senza averne coscienza, Drizzt il Cacciatore seppe esattamente quando sarebbe uscito dall’altra parte del globo di oscurità. In qualche modo, dentro di sé, aveva registrato e misurato ogni passo. Ne emerse veloce, in equilibrio perfetto, gli occhi subito puntati sul quartetto di orchi che gli si stava scagliando contro, l’istinto del guerriero che metteva già in pratica la strategia d’attacco appena elaborata. Si gettò in avanti, chinandosi a bloccare una lancia con una fiammeggiante doppia parata, una lama dopo l’altra. Entrambe le scimitarre avrebbero potuto mozzare di netto l’arma rudimentale, ma il drow evitò di fare un affondo con la prima e parò il colpo di piatto con la seconda. Lasciò la lancia intatta, particolare del tutto irrilevante, visto che la seconda scimitarra, con uno scarto da destra verso sinistra, la proiettò in aria.

Quindi, i suoi piedi lo portarono in avanti con un movimento fulmineo, oltre l’orco, che rimase sbilanciato mentre una delle lame. Lampo, gli trapassava la gola. Drizzt continuò ad avanzare senza fermarsi, piegandosi a ogni passo leggermente a sinistra, di modo che, nell’avvicinare l’orco successivo, poteva ruotare completamente su se stesso. Ancora una volta Lampo si fece strada con un fendente di striscio a colpire il braccio che reggeva la spada, scaraventandola lontano. Mentre Drizzt completava la piroetta, con la seconda scimitarra, Mortegelida, sferrò un colpo rapido e veloce al torace dell’avversario. E il Cacciatore era già oltre. Si chinò, evitando l’incombente colpo di una mazza, e balzò alto al di sopra di una lancia che gli era stata scagliata contro, calpestandone l’asta con i piedi per farla cadere con sé mentre tornava a terra. Con Lampo, assestò un fendente a un orco, ma questi si abbassò. Rallentando appena, Drizzt lanciò la scimitarra in aria con un movimento rotatorio, poi afferrò la lama con una presa rovesciata e impartì una stoccata dietro di sé, andando a infilzare in pieno petto lo sbigottito orco che cercava di assalirlo alle spalle con la mazza. Contemporaneamente, la mano del drow che reggeva Mortegelida agiva per conto suo, squarciando una, due, tre volte il braccio dell’orco che aveva tirato la lancia. Nell’ estrarre Lampo, Drizzt si scansò di lato, e l’orco morente barcollò in avanti, andando a scontrarsi con l’altro, che si stava stringendo il braccio squartato. Il Cacciatore era già passato, caricando all’esterno verso una coppia di orchi che sembrava muoversi in apparente sincronia. Drizzt si lasciò cadere in ginocchio con uno slittamento laterale, mentre gli orchi, per reazione, dirigevano la lancia e la spada verso il basso. Ma non appena ebbe toccato terra con le ginocchia, il drow si proiettò in avanti con una capriola inarcando le spalle e arrivando, al termine della piroetta, a far presa di nuovo con i piedi sul terreno, per poi schizzare verso l’alto con quanta forza aveva in corpo, oltrepassando gli avversari interdetti, i quali si erano a malapena resi conto dei suoi movimenti.

Drizzt atterrò leggero, in perfetto equilibrio, piegò a sinistra e assestò con Lampo un colpo di taglio facendo barcollare ulteriormente la coppia, che si era appena voltata. Dirigendo le armi verso i rispettivi fianchi dei due antagonisti, Drizzt invertì lo slancio di Lampo e portò Mortegelida di traverso, così che le lame si incrociassero in un affondo proprio in mezzo ai due orchi. Una rotazione delle braccia fece sì che le mani si posizionassero sopra le scimitarre, impartendo loro un doppio colpo di rovescio. Nessuno dei due avversari riuscì a parare quei fendenti. Entrambi caddero, colpiti in entrambi i modi da entrambe le lame. Il Cacciatore si era già spinto più in là. Gli orchi si agitavano tutt’intorno, rendendosi conto che non ce l’avrebbero fatta contro quel nemico dalla pelle scura. Nessuno riuscì a resistere, mentre Drizzt tornava veloce sui suoi passi e spaccava la testa all’orco dal braccio squarciato, per poi precipitarsi nel globo di oscurità, dove percepì la presenza di almeno uno di quei bruti che si stava nascondendo, rannicchiato a terra. Ancora una volta fece ricorso agli altri suoi sensi, avvertendo il calore, prestando ascolto a ogni minimo rumore. Colpì un orco che gli stava davanti, ma si accorse che un altro cercava di scansarsi chinandosi di lato. Un rapido spostamento laterale lo portò vicinissimo al fuoco e al treppiede che sorreggeva il paiolo. Sferrò un calcio al supporto più vicino e arretrò veloce. Nell’oscurità del globo magico, l’orco che gli stava di fronte non poté vedere il suo sorriso mentre l’altro compagno, colpito dal liquido bollente del paiolo, cacciava un urlo e cominciava a contorcersi. L’orco dinanzi a lui lo attaccò alla cieca e gridò per chiamare aiuto. Il Cacciatore avvertì lo spostamento d’aria causato da quei movimenti furiosi. Calcolando la loro frequenza, riuscì senza fatica a spingersi oltre. Uscì di nuovo dal globo, lasciando l’orco che si rivoltava a terra, mortalmente ferito.

Dando una rapida occhiata intorno, Drizzt vide che nell’accampamento erano rimasti solo due orchi: uno intento a contorcersi a terra sanguinante, l’altro a lamentarsi e a rotolarsi per alleviare il dolore delle ustioni causategli dal liquido bollente dello stufato. Due fendenti di scimitarra, accuratamente assestati, posero fine all’agitarsi di entrambi. E il Cacciatore si tuffò di nuovo all’inseguimento, nella notte, per portare a termine la propria impresa. *** Il povero Oonta si lasciò cadere contro il tronco di un albero, respirando affannosamente. Zittì con un gesto impaziente il compagno che lo implorava di continuare a correre. Avevano già messo più di un miglio tra di essi e l’accampamento. “Dobbiamo!” “Tu devi!” ribatté Oonta mentre cercava di riprendere fiato. Oonta era strisciato fuori dalla Spina Dorsale del Mondo, ubbidendo agli ordini dello sciamano della sua tribù, per unirsi al glorioso Re Obould, per combattere contro coloro che avevano profanato l’immagine di Gruumsh su un campo di battaglia non lontano da quel luogo. Oonta era uscito alla luce del sole per combattere i nani, non i drow! Il compagno lo afferrò di nuovo e tentò di trascinarselo dietro, ma Oonta gli scostò bruscamente la mano, poi abbassò il capo e continuò a lottare per riprendere fiato. “Fate con comodo”, disse una voce alle loro spalle nella lingua degli orchi, ma in tono così melodioso che nessun orco avrebbe mai potuto imitarlo. “Dobbiamo andare!” insistette il compagno di Oonta, voltandosi verso il punto da cui provenivano quelle parole.

Oonta, conoscendone la fonte e sapendo di essere praticamente già morto, non si diede neanche la pena di alzare la testa. “Possiamo parlare”, udì il compagno implorare l’elfo scuro, e udì anche la sua arma che cadeva a terra. “Io posso”, replicò l’elfo scuro, mentre faceva apparire una diabolica scimitarra, affilata come un rasoio, e tagliava di netto la gola dell’orco. “Ma dubito che tu troverai la voce per farlo.” Per tutta risposta, l’orco boccheggiò e gorgogliò. E cadde. Oonta rimase in piedi immobile e non si voltò a guardare il micidiale avversario. Avanzò verso un albero, tenendo le mani in fuori, senza difendersi, sperando che il colpo di grazia arrivasse presto. Sentì sul collo il fiato caldo del drow, sentì la punta di una lama sulla schiena, e l’altra sulla nuca. “Vai dal comandante del tuo esercito”, gli disse il drow. “Digli che gli farò presto visita. Digli che lo ucciderò.” Poi, con un colpetto, la seconda scimitarra recise di netto l’orecchio di Oonta: l’orco grugnì e fece mille smorfie, ma era troppo esperto e scaltro per cercare di scappare e di voltarsi indietro. “Diglielo”, gli sussurrò la voce nell’orecchio. “Dillo a tutti quanti.” Oonta fece per rispondere al suo assalitore che lo avrebbe fatto. Ma il Cacciatore se n’era già andato.

2

FERMEZZA E CORAGGIO I dodici nani sporchi e affaticati avanzavano ad andatura veloce producendo un rumore sordo, saltando attraverso le fenditure del terreno segnato dalle intemperie e schivando le innumerevoli sporgenze rocciose e i vecchi macigni. Nonostante la loro evidente paura, formavano un gruppo compatto, e se uno inciampava c’era sempre qualcuno pronto a soccorrerlo e assisterlo lungo il cammino. Alle loro spalle veniva l’orda degli orchi, più di duecento esseri bavosi, urlanti e ululanti che sbatacchiavano armi e agitavano pugni in aria. Di tanto in tanto, uno di essi scagliava contro i fuggitivi una lancia, che inevitabilmente mancava il bersaglio. Gli orchi non stavano guadagnando terreno, ma neppure lo stavano perdendo, e la loro smania di acciuffare i nani non era inferiore all’apparente disperazione dimostrata da questi ultimi, mentre cercavano di sfuggire atterriti alle grinfie del nemico. A differenza dei nani, però, se un orco vacillava non trovava compagni disposti a sostenerlo. Anzi, se il malcapitato finito a terra impediva l’avanzata degli altri, rischiava di venire investito, preso a calci, o persino accoltellato. Di conseguenza, la fila degli orchi si era in qualche modo allungata, anche se quelli in testa si mantenevano comunque a breve distanza dal gruppetto dei nani. Questi si stavano inoltrando lungo un tratto di terreno in salita delimitato a destra, e cioè a ovest, da un grande sperone roccioso, e a sinistra da uno spazio più aperto. Continuavano a correre gridando, in apparenza fuori di sé dalla paura; ma se gli orchi fossero stati più attenti alle loro mosse e meno concentrati sulla caccia, avrebbero potuto notare che i nani sembravano muoversi in

una direzione ben precisa e con un intento determinato, pur avendo dinanzi a sé varie scelte di percorso. In formazione compatta, i nani emersero dall’ombra proiettata dal rilievo montuoso e imboccarono un passaggio situato tra due massi ben distanziati. Gli inseguitori prestarono a malapena attenzione a quelle grosse pietre, che in realtà delimitavano l’ingresso di un canale che si snodava lungo il terreno roccioso, ampio a sufficienza da permettere il transito a tre orchi allineati. Per quelle feroci creature, l’itinerario seguito dai nani significava solo che non avrebbero potuto sparpagliarsi qua e là. E gli orchi erano talmente presi dall’inseguimento da non notare che, su entrambi i lati, erano presenti cunicoli laterali abilmente dissimulati da pietre, dall’oscurità dei quali scrutavano occhi naneschi. Gli orchi in testa alla colonna si erano ormai ben addentrati nel canale e oltre la metà delle loro forze aveva già varcato i due massi posti all’entrata, quando i primi nani balzarono fuori dai nascondigli, sferrando colpi a destra e a manca con picconi, martelli, asce e spade. Alcuni, in particolare quelli appartenenti alla Brigata Gutbuster, comandata da Thibbledorf Pwent e formata dai nani più tenaci e sudici di tutto il Clan dei Battlehammer, non portavano armi, ma solo copricapi muniti di una punta acuminata, guanti di ferro chiodati e armature guarnite di creste. Questi si gettarono allegramente nel mezzo della mischia, avventandosi sugli orchi più vicini e picchiando selvaggiamente. Alcuni di quegli stessi orchi erano stati colti di sorpresa dal medesimo gruppo appena alcuni giorni prima, fuori dalla città distrutta di Shallows. Tuttavia, a differenza della volta precedente, gli orchi non fecero dietrofront per scappare, ma sostennero l’assalto. Ma i nani possedevano armi ed equipaggiamento più adatti a combattere nell’angusto spazio del canale. E poiché avevano modificato il terreno di battaglia in base alle loro esigenze e predisposto alcuni trabocchetti, dimostrarono subito la loro superiorità. Quelli più vicini all’entrata si accinsero immediatamente a organizzare la loro difesa. I massi dietro ai quali si erano nascosti erano stati abilmente preparati in modo da costituire uno

sbarramento in grado di consentire loro di occuparsi degli orchi più a portata di mano e di avere tempo a sufficienza per difendersi da quelli che gradualmente riuscivano a passare attraverso la barricata. A quel punto, i dodici fuggitivi che avevano fatto da esca si fermarono girandosi simultaneamente a fermare la corsa degli orchi in testa alla colonna. Mentre i nani che si trovavano nel mezzo della calca agivano in perfetta coordinazione, aiutandosi a vicenda, così che anche chi soccombeva sotto i colpi nemici non venisse massacrato mentre si trovava a terra. Per contro, gli orchi feriti cadevano soli e, ugualmente soli, morivano. *** “I tuoi ragazzi si sono comportati niente male, Torgar”, disse un nano alto e massiccio, con una massa incolta di capelli rossi e una barba che sarebbe arrivata a solleticargli la punta dei piedi, se non fosse stata infilata nella cintura. Un occhio era grigio e opaco, residuo di una ferita riportata durante la difesa di Mithral Hall contro l’invasione dei drow, mentre l’altro scintillava di un bel colore blu intenso e profondo. “Mi sembra però che tu abbia subito un bel po’ di perdite.” “Non c’è modo migliore di morire di quello in cui si combatte per la propria gente”, replicò Torgar Hammerstriker, il potente capo degli oltre quattrocento nani, che avevano da poco abbandonato Mirabar, perché furenti a causa del meschino trattamento riservato a Re Bruenor Battlehammer da parte del Marchese Elastul: trattamento che era stato esteso a tutti i nani di Mirabar che avevano osato dare il benvenuto al loro lontano parente mentre passava per le vie della città. Torgar accarezzò la barba scura mentre osservava la battaglia in lontananza. Grazie a quella curiosa creatura, Pikel Bouldershoulder, che si era unito alla lotta utilizzando le proprie arti magiche da druido, le pietre all’ingresso del canale avevano potuto essere impiegate per fare da barriera contro il resto degli inseguitori.

Si trattava però di una pausa temporanea, in quanto gli orchi non erano troppo stupidi, e molti di quelli che componevano i potenziali rinforzi si erano già ritirati in cerca di percorsi alternativi per aggirare la mischia. “Mithral Hall non dimenticherà l’aiuto che ci hai dato oggi”, dichiarò il vecchio nano dalla statura imponente rivolgendosi a Torgar. Torgar Hammerstriker accettò il complimento con un quieto cenno del capo, senza neppure girarsi a guardare l’altro in faccia, poiché non voleva che il capo del Clan Battlehammer - il cui nome era Banak Brawnanvil - vedesse quanto era commosso. Torgar comprese che quell’attimo lo avrebbe accompagnato per il resto dei suoi giorni, fossero anche trascorse altre centinaia di anni. I timori che l’avevano assalito nell’abbandonare la casa avita di Mirabar erano aumentati nel vedere che centinaia di suoi concittadini, guidati dal fidato amico di sempre, Shingles McRuff, avevano costretto il Marchese Elastul a liberarlo e l’avevano poi seguito senza rimpianti quando aveva lasciato la città. Torgar era più che convinto di agire secondo i propri principi, ma continuava a chiedersi se la sua decisione fosse stata giusta anche per gli altri. Tuttavia, ciò che era appena successo gli aveva fatto capire di aver avuto ragione, e una grande gioia lo pervase. Lui e la sua gente si erano uniti ai superstiti dell’esercito sconfitto di Re Bruenor Battlehammer, fuggiti dal campo di battaglia di Shallows. Torgar e i suoi amici avevano costituito la retroguardia di tale schieramento durante tutto il tragitto che li aveva portati all’arroccamento sulle pendici settentrionali delle montagne, appena a nord di Keeper’s Dale e delle porte di accesso a Mithral Hall. Nel corso della loro fuga per ricongiungersi alle truppe di Bruenor, i nani avevano sostenuto parecchie scaramucce, che li avevano visti opporsi a orchi e persino ai loro insoliti alleati, i giganti dei ghiacci. Naturalmente, avevano tenuto duro, combattendo senza lamentarsi, e avevano ricevuto calorosi ringraziamenti dai loro compagni nani di Mithral Hall e dai due figli adottivi umani di Bruenor, Wulfgar e Catti-brie, oltre che dal suo amico halfling, Regis. Bruenor, invece, era stato gravemente ferito ed era tuttora privo di conoscenza.

Ma Torgar si rendeva conto che quegli episodi avevano solo costituito un preludio. In seguito alla morte del generale Dagnabbit e a causa delle condizioni di Bruenor - e in previsione di una sua morte imminente - i nani di Mithral Hall avevano chiamato ad assumere il comando delle loro forze uno dei veterani più anziani ed esperti. Banak Brawnanvil aveva risposto all’appello. Ed era significativo il fatto che egli avesse chiesto a Torgar di fornirgli alcuni tra i suoi elementi più abili nella corsa per tendere un agguato alle orde di orchi che li inseguivano più da vicino. Questo fece capire a Torgar e all’altro suo parente e membro della famiglia Delzoun che erano davvero stati accettati nel Clan dei Battlehammer. “Segnala loro di scappare”, ordinò Banak rivolgendosi al sacerdote Rockbottom, il nano che si diceva avesse tenuto in vita Bruenor nei sotterranei della torre di Shallows ormai distrutta, durante le lunghe ore trascorse prima dell’arrivo dei soccorsi. Rockbottom agitò le dita nodose e mormorò una preghiera a Moradin. Produsse quindi una pioggia di luci multicolori, piccoli frammenti infuocati che non erano in grado di bruciare alcunché, ma che sicuramente richiamarono l’attenzione dei nani appostati nei pressi del sentiero. Di lì a poco, i guerrieri di Torgar, i Gutbuster di Pwent, gli altri combattenti e i fratelli Bouldershoulder arrivarono, arrampicandosi su per il pendio e seguendo i percorsi già tracciati, senza lasciare nessun compagno dietro di sé, neppure i pochi che erano stati gravemente o addirittura mortalmente feriti. A quel punto, un altro prodigio, opera delle trasformazioni di Pikel - un grosso macigno reso quasi perfettamente rotondo dalle arti magiche del druido - si mosse con rumore sordo dal suo nascondiglio dietro a un cumulo di sassi, vicino allo sperone roccioso. Tre nani robusti lo avevano spinto fin là con lunghe e pesanti pertiche, ricorrendo a tutta la forza muscolare delle loro spalle per farlo correre su tratti di terreno accidentato e persino in salita. Altri nani erano sgusciati fuori dal loro rifugio in cima al sentiero per aiutare i compagni a guidarlo in modo che finisse sul

fondo del canale, dov’era stato costruito uno scivolo per dirigerlo nel suo percorso. Il masso rotolò con un rombo simile al tuono facendo tremare il terreno tutt’intorno, e gli orchi rimasti intrappolati nel passaggio lanciarono un urlo corale inciampando l’uno sull’altro nel cercare di ritirarsi. Alcuni furono spinti a terra e travolti. Altri vennero fatti cadere dai compagni atterriti, nella speranza che i loro corpi rallentassero in qualche modo la discesa di quella valanga. Alla fine, quando il macigno andò a sbattere contro le barricate erette all’ingresso, aveva lasciato dietro di sé un numero relativamente esiguo di cadaveri. Tuttavia, dalla loro posizione sopraelevata, Banak, Torgar e gli altri annuirono soddisfatti, poiché capivano che le conseguenze sarebbero andate ben al di là del danno reale. “Il principio cardine della guerra è scoraggiare lo spirito del nemico”, fece notare calmo Banak, e a tale proposito si poteva dire che il loro piccolo espediente avesse funzionato a meraviglia. Banak offrì a Torgar e a Rockbottom una strizzatina dell’occhio squarciato, e assestò un colpetto affettuoso sulla spalla del profugo di Mirabar. “Mi è sembrato di capire che il tuo amico Shingles abbia fatto un bel lavoretto quassù”, dichiarò Banak. “Con il tuo aiuto, s’intende.” “Mirabar è stata costruita sia in superficie che sottoterra”, replicò Torgar. “Bene, io e i miei compagni non siamo molto esperti di battaglie di superficie”, continuò Banak. “Mi rivolgerò a voi due e a Ivan Bouldershoulder, laggiù, per farmi consigliare.” Torgar annuì felice. *** I nani avevano appena cominciato a ricostituire le loro linee di

difesa sull’altopiano, a sud del canale, quando Wulfgar e Catti-brie raggiunsero correndo Banak e gli altri capi. “Siamo stati in ricognizione verso est”, spiegò Catti-brie col respiro affannoso. Pur superando di una spanna il più alto dei nani, benché non altrettanto robusta, la giovane non sembrava affatto fuori posto in mezzo ad essi. Il viso era largo ma delicato; i capelli di un caldo castano dorato erano folti e abbondanti e portati sciolti sulle spalle. Gli occhi di colore blu erano grandi persino in base agli standard umani e di certo enormi, se paragonati a quelli dei nani, i quali, a causa della fronte corrugata e delle sopracciglia cespugliose, sembravano sempre avere uno sguardo corrucciato. Nonostante la sua bellezza, c’era una robustezza in quella fanciulla cresciuta da Bruenor Battlehammer, uno spirito pratico e una solidità, che le consentivano di essere all’altezza dei più valenti nani guerrieri. “E allora ti sei persa un bel po’ di spasso”, disse un entusiasta Rockbottom, e la sua dichiarazione fu accolta da acclamazioni e da un levarsi di boccali traboccanti di birra schiumosa. “Oo oi!” convenne Pikel Bouldershoulder, lasciando intravedere un candido e scintillante sorriso in mezzo a un groviglio di barba e baffi color verde. “Li abbiamo intrappolati nel canale, proprio come previsto”, spiegò Banak Brawnanvil, in tono molto più sobrio e severo. “Ne abbiamo eliminati un bel po’ e gli altri li abbiamo fatti scappare...” Nel vedere il gesto enfatico di Catti-brie, la voce gli morì in gola. “Avete usato le vostre esche per attirare le loro”, spiegò la ragazza tendendo il braccio verso est. “Una forza imponente sta marciando contro di noi: si dirigono a sud per attaccarci su un fianco.” “Un altro grosso schieramento si trova a nord”, ribatté Banak. “Lo abbiamo avvistato. Quanti orchi puzzolenti ci saranno?” “Più del doppio dei nani che hai per combatterli, molto più del doppio”, interloquì il gigante Wulfgar, l’espressione seria, gli occhi azzurro ghiaccio serrati. Alto ben oltre una spanna rispetto a Cattibrie, Wulfgar, figlio di Beornegar, dominava imponente in mezzo ai

nani. Era più snello sui fianchi, vigoroso e agile, ma esibiva un torace ben più sviluppato e ampio del loro. Le braccia eguagliavano in circonferenza le possenti gambe dei nani, la mascella era ferma e squadrata. Quell’aspetto contribuiva, ovviamente, a meritargli la considerazione di quelle creature robuste e barbute, anche se, in realtà, era la fiamma che gli ardeva negli occhi, quella lucidità di guerriero, a suscitare il rispetto maggiore facendo sì che, non appena ebbe ripreso a parlare, tutti lo ascoltassero con attenzione. “Se combattete su entrambi i lati, cosa che farete di sicuro se resterete qui, verrete sopraffatti.” “Bah!” grugnì Rockbottom. “Un nano vale almeno cinque di quei fetenti!” Wulfgar si girò a fissare il fiducioso sacerdote, ma non batté ciglio. “Così tanti?” chiese Banak. “Anche di più”, precisò Catti-brie. “Dì loro di darsi una mossa e di mettersi in marcia”, disse Banak a Torgar. “Ci dirigeremo verso sud, sulla vetta più alta che ci riuscirà di trovare.” “Questo ci porterà sull’altura che domina Keeper’s Dale”, ribatté Rockbottom. “Una buona posizione per organizzare la difesa”, confermò Banak, non badando alle obiezioni dell’altro. “Ma senza un luogo in cui rifugiarsi”, continuò Rockbottom. “Di certo, ai nostri piedi si stenderà un terreno di battaglia bello ripido.” “E il nemico che ci attaccherà sul fianco non riuscirà a spingersi abbastanza a sud per colpirci”, aggiunse Banak. “Ma se perderemo la postazione, non sapremo dove ritirarci”, insistette Rockbottom. “Ci metterai con le spalle al muro.” “No, non al muro, ma allo strapiombo”, interloquì Torgar Hammerstriker. “I miei ragazzi e io ci dedicheremo proprio a questo dettaglio e prepareremo una quantità di funi sufficiente a consentire a tutti di

calarsi sul fondo della valletta in men che non si dica.” “Stiamo parlando di un’altezza di trecento piedi”, ribatté Rockbottom. Torgar scrollò le spalle come se il particolare non fosse importante. “Qualsiasi cosa stiate per fare, sarà meglio che la facciate in fretta”, intervenne Catti-brie. “E cosa pensate che si debba fare, voi due?” replicò Banak. “Avete visto quanto sono numerosi gli orchi: credete che ce la faremo a resistere?” “Credo che sarebbe saggio portarci sulla cima di Keeper’s Dale e anche oltre”, disse Wulfgar, e Catti-brie annuì, apparentemente d’accordo con lui. “E dritti fino a Mithral Hall.” “Sono così tanti, dunque?” chiese il nano dalla barba gialla Ivan Bouldershoulder, un altro profugo di Mithral Hall e fratello più robusto e meno bizzarro di Pikel. Il nano si fece strada tra i compagni per avvicinarsi ai capi. “Così tanti”, confermò Catti-brie. “Ma non dobbiamo rifugiarci subito nella fortezza. Non ancora. Il regno di Bruenor copre adesso un territorio ben più vasto che non la sola Mithral Hall. Si era recato a Shallows proprio perché chiamato dal dovere, così come il nostro dovere ci dice che non dobbiamo precipitarci di corsa nelle gallerie sottoterra.” “Moriranno in troppi se lo facciamo”, confermò Banak. “Perciò dirigiamoci lassù e lasciamo che quei cani ci inseguano. Li faremo correre, su questo non c’è dubbio.” “Oo oi!” applaudì Pikel. Tutti guardarono il piccolo e stravagante Pikel, una creatura dai capelli verdi e dalla barba dell’identico colore che, di solito, portava pettinata dietro le orecchie e intrecciata ai lunghi capelli che gli arrivavano oltre metà schiena. A differenza del fratello, era più paffuto che massiccio e aveva un aspetto più gentile; inoltre, mentre Ivan, come la maggior parte dei nani, indossava un’armatura confezionata con ritagli di cuoio rigido e spesso e piastre di metallo,

Pikel sfoggiava una semplice veste color verde pallido. E, al contrario degli altri nani, che portavano pesanti stivali per proteggersi dalle scintille e dalle ceneri incandescenti delle fucine, ottimi anche per il pestaggio degli orchi, ai piedi di Pikel figuravano dei sandali aperti. Tuttavia, c’era una particolarità nel bonario Pikel che risultava di certo molto utile. La statua cava del dio che aveva permesso ai soccorritori di entrare a Shallows era una sua idea ed era stata fabbricata dalle sue stesse mani, facendo sì che, nelle battaglie successive, egli fosse sempre presente, pronto a escogitare altre strane diavolerie per sconfiggere i nemici e aiutare i compagni. Uno dopo l’altro, tutti i nani gli rivolsero un sorriso di apprezzamento per compensarlo dell’entusiasmo dimostrato. In effetti, con l’arrivo di Wulfgar e Catti-brie e delle brutte notizie dall’est, il loro slancio era inevitabilmente diminuito. I nani tolsero il campo in un batter d’occhio, ma appena in tempo poiché, subito dopo che ebbero raggiunto una delle creste montuose, le torme degli orchi provenienti da nord e da est affluirono in massa e cominciarono ad attaccare. Un migliaio circa di nani avanzava descrivendo un percorso sinuoso tra i sassi, le gambe che li spingevano indefessamente su per il fianco della montagna. La colonna aveva già coperto un dislivello di tremila piedi, e poi di quattromila, e ancora avanzava in formazione compatta senza mostrare segni di cedimento. A oriente, si profilavano ora cime più alte, escludendo ogni possibile attacco laterale da parte degli orchi, sebbene l’orda alle loro spalle li stesse ancora inseguendo. I nani si erano arrampicati per più di un miglio, ansimando a ogni passo, ma l’andatura non rallentava. Finalmente, l’avanguardia di Banak giunse in vista dell’ultimo tratto, l’estremità della cresta che si affacciava su Keeper’s Dale, dove il terreno terminava bruscamente come se la roccia fosse stata tranciata di netto. In basso, alla distanza degli oltre trecento piedi citati da Rockbottom, si stendeva Keeper’s Dale, l’ampia vallata che delimitava i confini occidentali di Mithral Hall. Quella mattina, nell’aria aleggiava una foschia che avviluppava i numerosi pilastri rocciosi che si innalzavano dal terreno pressoché brullo. Con la tipica disciplina e risolutezza della loro gente, i guerrieri si

dedicarono a ricompattare le loro schiere e a erigere le postazioni di difesa, alcuni raccogliendo pietre sparse per innalzare muri, altri radunando massi più grandi da far rotolare sui nemici, altri ancora individuando le posizioni migliori ed elaborando sistemi per poterle sfruttare al meglio. Nel frattempo, Torgar aveva convocato i suoi ingegneri più abili - e ce n’erano molti tra i nani di Mirabar - e stava sottoponendo loro l’immediato problema: come permettere all’intera forza dei nani di calarsi fino a Keeper’s Dale, nel caso si fosse resa necessaria una ritirata. Oltre un centinaio dei migliori aveva già cominciato a esplorare lo strapiombo, verificando la resistenza della roccia e cercando i percorsi più facili, incluse le sporgenze dove i nani in discesa avrebbero potuto riposarsi e trasbordare su scale di corda poste più in basso. Di lì a poco, furono sistemate le prime funi, e gli ingegneri di Torgar si fecero scivolare giù per trovare il punto adatto a fissare quelle successive. Sarebbero occorse quattro lunghezze separate di corda nei punti più corti e almeno cinque in quelli più lunghi, prospetto alquanto scoraggiante, che avrebbe causato sconforto a parecchi. Ma non ai nani. Non a quella gente cocciuta, che avrebbe potuto passare anni a scavare una galleria solo per scoprire che in fondo ad essa non c’erano minerali preziosi. Non a quella gente schietta e coraggiosa, che a colpi di martello si spingeva fin nelle più recondite profondità della terra, non sapendo neppure se una qualche scintilla avrebbe potuto dar luogo all’esplosione di gas pericolosi. Non a quella gente altruista, che avrebbe fatto a pugni per cercare di soccorrere un compagno in difficoltà. Per i nani che costituivano la difesa delle frontiere più settentrionali di Re Bruenor, vale a dire di Mithral Hall così come di Mirabar, il cognome Delzoun era più di un legame che univa i membri di una stessa famiglia, era un richiamo all’onore e al dovere. Uno degli ingegneri rimase intrappolato durante la discesa su una sporgenza rocciosa e, mentre cercava di liberarsi, mollò la presa sulla corda andando a sfracellarsi duecento piedi più sotto. Tutti gli altri si fermarono, offrendo una breve preghiera a Moradin, poi tornarono alle loro necessarie incombenze.

*** Tred McKnuckles infilò la barba gialla nella cintura, si issò il pesante fagotto sulle spalle e si diresse verso la galleria che conduceva a ovest, fuori da Mithral Hall. “Be’, vieni?” chiese al compagno, anche lui profugo di Citadel Felbarr. Nikwillig assunse un’aria assorta e fissò assente l’oscurità cavernosa. “Non credo che verrò”, fu la sorprendente risposta. “Mi stai prendendo in giro?” chiese Tred. “Sai bene quanto me che qui, da qualche parte e in qualche modo, ci sono le sudice dita di Obould Many-Arrows. Quel cane sta ancora abbaiando e mordendo! E sai bene quanto me che se Obould è coinvolto è perché ha messo gli occhi su Felbarr! Quello è il premio che si aspetta, non c’è davvero da dubitarne!” “Non mi sogno neanche di dubitarne”, ribatté Nikwillig. “Re Emerus deve essere informato.” “Allora vieni.” “Non vengo. Non adesso. Questi Battlehammer hanno salvato le tue chiappe pelose, e anche le mie. Tra un po’, qui ci saranno orchi da pestare, e io sto qui, pronto a pestarne qualcuno. Proprio a fianco dei Battlehammer.” Tred rifletté sull’atteggiamento del compagno, oltre che sulle sue parole. Nikwillig era sempre stato un po’ filosofo, almeno secondo il criterio dei nani, e il suo pensiero si era spesso rivelato un po’ anticonformista. Ma quel suo ragionamento riguardo al non tornare a Citadel Felbarr, con tutto quello che c’era in ballo, colpì Tred molto più di qualsiasi altra sua stravaganza. “Usa la testa, Tred”, osservò Nikwillig, come se avesse letto nella mente perplessa del compagno. “Chiunque potrebbe recarsi a Felbarr, e tu lo sai.”

“E tu credi che chiunque potrebbe far decidere a Re Emerus di lasciare Citadel Felbarr per correre in nostro soccorso, se ne dovessimo avere bisogno? E credi che chiunque potrebbe convincerlo a mandare un messaggio a Citadel Adbar per radunare la Guardia di Ferro di Re Harbromm?” Nikwillig scrollò le spalle e ribatté: “Gli orchi stanno attaccando da nord e i Battlehammer stanno opponendo loro una dura resistenza; e due cittadini di Felbarr, Tred e Nikwillig, sono al fianco dei ragazzi di Bruenor. Se c’è qualcosa che farà senz’altro scattare Re Emerus come una molla sarà il fatto di sapere che tu e io abbiamo deciso che vale la pena di combattere. Può darsi che noi due esercitiamo un richiamo più forte nei confronti di re Emerus Warcrown se stiamo qui a combattere con i soldati di Bruenor”. Tred fissò a lungo l’altro nano, i pensieri che cercavano di mettersi in pari con le sorprendenti parole di Nikwillig. In realtà, non voleva lasciare Mithral Hall. Bruenor si era tuffato a capofitto in una situazione pericolosa per aiutare Tred e Nikwillig a vendicare i due colonizzatori umani, uccisi mentre cercavano di dare appoggio ai due nani ribelli, e a punire la morte dei parenti di Tred e Nikwillig, compreso il fratellino del primo. Il nano dalla barba gialla emise un sospiro mentre si lanciava un’occhiata alle spalle, verso la buia galleria del Livello Superiore del Buio Profondo che si snodava verso ovest. “Allora, forse dobbiamo cercare il piccolo, Regis”, dichiarò. “Forse lui troverà qualcuno disposto a recarsi da Re Emerus a portargli le notizie.” “E noi torniamo dai figli di Bruenor e dai ragazzi di Torgar”, disse Nikwillig, senza arretrare di un passo dal suo zelante proposito. L’espressione di Tred si tramutò da curiosa ad ammirata mentre osservava Nikwillig. Non lo aveva mai visto tanto ansioso di combattere. Per l’intransigente Tred, il cambiamento di idea da parte di Nikwillig non avrebbe potuto presentarsi con un tempismo migliore. Il volto rassegnato del nano dalla barba gialla venne rischiarato da un ampio sorriso mentre si lasciava cadere dalle spalle il pesante

fardello. *** “Ti chiederei a che stai pensando, ma non ne vedo la necessità”, osservò Wulfgar nel raggiungere Catti-brie. La ragazza era in piedi non lontano dai nani che stavano salendo e guardava giù lungo il pendio: non verso l’assembramento degli orchi, notò Wulfgar, ma verso le terre selvagge che stavano al di là. Catti-brie spinse indietro la folta massa di capelli e si voltò a guardarlo scrutandolo con attenzione, gli occhi blu, molto più profondi e ricchi di sfumature di quelli azzurro ghiaccio di lui. “Anch’io mi chiedo dove possa essere”, proseguì il barbaro. “Non è morto, ne sono certo.” “Come puoi esserlo?” “Perché conosco Drizzt”, rispose Wulfgar, e cercò di sorridere per rassicurarla. “Saremmo tutti morti se Pwent non fosse giunto in nostro soccorso”, gli rammentò Catti-brie. “Eravamo in trappola e circondati”, ribatté Wulfgar. “Ma Drizzt non lo era, e neppure può essere intrappolato facilmente. È ancora vivo, lo sento.” Catti-brie gli restituì il sorriso e gli prese una mano tra le sue. “Anch’io lo sento”, ammise. “Se non altro perché sono sicura che il mio cuore lo avrebbe saputo se lui fosse morto.” “Non meno del mio”, sussurrò Wulfgar. “Ma non tornerà da noi tanto presto”, proseguì Catti-brie. “E credo che anche noi non lo vorremmo. Qui sarebbe un altro guerriero in mezzo a tanti guerrieri - il migliore, senza dubbio - ma là fuori...” “Là fuori causerà gravi perdite ai nostri nemici”, convenne Wulfgar.

“Anche se mi fa male pensare che sia solo.” “Non è solo, ha la sua pantera.” Fu la volta di Catti-brie di offrire un sorriso rassicurante al compagno. Wulfgar le serrò più forte le mani e annuì in segno di assenso. “Ho bisogno di voi due per difendere il fianco destro”, li interruppe una voce burbera alle loro spalle e, mentre i due si voltavano, videro Banak Brawnanvil, il sacerdote Rockbottom e un’altra coppia di nani dirigersi verso di loro. “Quei dannati orchi stanno arrivando”, dichiarò il nano condottiero. “Credono di riuscire a batterci ancora prima di lasciarci scendere nei sotterranei, perciò dobbiamo fare di tutto per trattenerli.” Entrambi gli umani assentirono con espressione grave. Banak si rivolse a uno degli altri nani e ordinò: “Vai a raggiungere gli ingegneri di Torgar. Dì loro di tapparsi le orecchie per non sentire il rumore della battaglia e di continuare a lavorare. Non appena avranno fissato le funi fino in basso, tu scenderai”. “M-ma...” balbettò protestando il nano. Scosse la testa e agitò le mani, come se Banak lo avesse appena condannato. Questi protese una mano e la cacciò senza tanti complimenti sulla bocca dell’altro per farlo stare zitto. “La tua missione è la più ardua e importante di tutte”, spiegò il condottiero. “Noi ce ne staremo qui a schiaffeggiare orchi a destra e a manca, a quale nano non piacerebbe? Tu invece, dovrai recarti da Regis per dire al piccoletto che abbiamo bisogno di un migliaio di rinforzi, duemila se il lavoro nelle gallerie lo consente.” “Stai pensando di portarne su altri mille per rafforzare le nostre posizioni?” chiese dubbiosa Catti-brie, poiché sembrava che non ci fosse davvero spazio per altri nani sull’altopiano. Wulfgar la guardò di sottecchi, notando come la ragazza avesse cominciato automaticamente a parlare con accento nanesco non appena erano stati raggiunti dal gruppetto di Banak. “Nah, per il momento qui bastiamo”, spiegò Banak. Mollò la presa sull’altro nano, che era rimasto fermo e paziente, sebbene il

colorito del volto avesse cominciato a virare verso una bella tonalità di blu. “Dobbiamo bastare, e basteremo. Ma questi orchi sono svegli. Troppo svegli.” “Stai pensando che il nemico potrebbe mandare dei rinforzi aggirando quello sperone roccioso a ovest”, concluse Wulfgar, e Banak annuì. “Se altri orchi puzzolenti arrivano a Keeper’s Dale, siamo fritti”, proseguì il comandante dei nani. “Non avranno neanche bisogno di venire a prenderci fin quassù. Sarà sufficiente che ci tengano qui fino a che non crolliamo giù morti per la fame.” Banak fissò con sguardo severo il nano incaricato di portare il messaggio e aggiunse: “Vai e dì a Regis, o a chiunque stia mandando avanti la baracca adesso, di inviare quanti più soldati possibile nella valle, per creare una forza di difesa all’estremità occidentale. Da quella parte non dovrà passare neanche una punta di spillo, chiaro?”. Il messaggero sembrò a un tratto meno riluttante a partire. Si drizzò impettito e gonfiò il possente torace, annuendo energicamente. Proprio mentre si allontanava, dal centro delle linee dei nani giunse un grido ad avvisare che era in corso un attacco da parte degli orchi. “Torna dagli ingegneri di Torgar”, disse Banak istruendo Rockbottom. “Falli lavorare sodo e lasciali smettere solo se gli orchi ci ammazzano tutti e minacciano di prenderli.” Con un deciso cenno del capo anche Rockbottom se ne andò. “E voi due difendete questa postazione, per il bene di noi tutti”, chiese Banak. Catti-brie fece scivolare dalla spalla il suo micidiale arco, Taulmaril lo Spaccacuori. Prese una freccia dalla faretra e inserì la cocca nella corda. Accanto a lei, Wulfgar prese a battere il potente martello da guerra Aegis-fang sul palmo aperto della mano. Mentre Banak e gli altri nani proseguivano la loro ispezione lungo

la linea di difesa, i due umani si guardarono accennando a un segno di incoraggiamento, poi si voltarono dall’altra parte.., a osservare la scura moltitudine degli orchi avanzare veloce su per il pendio roccioso della montagna.

3

OSSA E PIETRE Re Obould Many-Arrows riconobbe immediatamente il pericolo di quell’ultima notizia che arrivava dai monti a est della sua attuale postazione. Resistendo all’impulso iniziale di spaccare la testa dello sventurato messaggero goblin, il grosso re degli orchi tese le dita di una mano, poi le racchiuse strettamente a formare un pugno e se le portò davanti alla bocca zannuta in un atteggiamento che gli era tipico, una via di mezzo tra la meditazione e la rabbia a stento trattenuta. Il che rispecchiava più o meno il conflitto emozionale interiore che assillava di continuo il comandante degli orchi. Nonostante la disastrosa conclusione dell’assedio di Shallows, quando quegli sporchi nani si erano intrufolati nel campo di battaglia nascosti nella statua cava di Gruumsh Occhio-solo, la guerra stava procedendo in modo splendido. La notizia della morte di Re Bruenor aveva incoraggiato dozzine di nuove tribù a strisciare fuori dalle loro tane per combattere al suo fianco e aveva anche placato la molesta Gerti Orelsdottr e i suoi altezzosi giganti dei ghiacci. Il figlio di Obould, Urlgen, aveva già ridotto i nani alla fuga, fino ai confini di Mithral Hall, perlomeno in base a quanto riportavano le ultime voci. Poi si era venuto a sapere che lì nei dintorni, alle spalle delle schiere di Obould, erano presenti forze nemiche. Un intero accampamento di orchi era stato distrutto, la maggior parte degli occupanti uccisa e i pochi superstiti costretti a rifugiarsi nelle caverne sulle montagne.

Obould conosceva bene il comportamento dei propri simili e sapeva che in quei momenti cruciali - e di solito anche nel corso di un’intera campagna - il morale era tutto. A nord, gli orchi erano molto più numerosi dei loro nemici e potevano opporre senza problemi uno schieramento capace di contrastare quello degli umani e dei nani, persino degli elfi. Se le loro recenti incursioni erano fallite, Obould era certo che fosse dovuto alla mancanza di coordinazione tra i vari gruppi e alla diffidenza di base che ciascuna tribù provava nei confronti dell’altra, molto spesso presente persino all’interno della stessa tribù, tra un individuo e l’altro. Le vittorie e l’impeto potevano compensare lo svantaggio di quell’atteggiamento controproducente, ma notizie come quella del gruppo massacrato potevano far sì che molti, molti altri cercassero rifugio nella sicurezza delle grotte sulle montagne. Il momento non era propizio. Obould era venuto a sapere che ci sarebbe stato un altro incontro di sciamani appartenenti a parecchie tribù importanti e temeva che avrebbero cercato di far fallire il suo attacco prima ancora che fosse davvero cominciato. E anche se ciò non fosse avvenuto, il coro dissenziente di un paio di dozzine di sciamani avrebbe di certo influito sull’arrivo di nuovi rinforzi. Una cosa alla volta, si disse Obould, mentre valutava con maggiore attenzione le parole del messaggero goblin. Doveva scoprire cosa stava succedendo, e doveva farlo subito. Per fortuna, in quel momento al campo c’era qualcuno che avrebbe potuto essergli di grande aiuto. Dopo aver congedato il goblin e i suoi servitori, Obould si recò al limitare meridionale del grosso accampamento, verso una figura solitaria che era già stata fatta attendere troppo a lungo. “Salute, Donnia Soldou”, disse alla drow. Questa si voltò a guardarlo - sebbene lui fosse certo che doveva aver avvertito il suo arrivo ben prima di sentirlo parlare - scrutando da sotto il cappuccio del suo magico piwafwi calato sul viso, gli occhi dalle sfumature rossastre dai quali traspariva un’ironia altrettanto perfida e manifesta di quella che lasciava intendere il ghigno delle labbra serrate. “Ho sentito che hai rivendicato un premio importante”, osservò

lei mentre, nel muoversi impercettibilmente, lasciava ricadere su un occhio una ciocca di candidi capelli. Era sempre così: misteriosa e affascinante. “Uno tra i molti che dovranno arrivare”, precisò Obould. “Urlgen sta ricacciando i nani nei loro buchi sottoterra, e dopo chi difenderà le città in superficie?” “Una vittoria alla volta?” chiese Donnia. “Ti facevo più ambizioso.” “Non possiamo certo precipitarci a Mithral Hall per farci ammazzare”, ribatté Obould. “Non è stata forse la tua gente a sperimentare questa tattica?” Donnia si limitò a ridere forte nell’udire il palese insulto, dato che non si era trattato davvero della “sua” gente. Erano stati i drow di Menzoberranzan ad attaccare Mithral Hall, con esiti disastrosi, ma questo poco importava a Donnia Soldou, che non veniva dalla Città dei Ragni, né le era particolarmente affezionata. “Hai sentito della strage all’accampamento della Tribù dei Many Teeth?” domandò Obould. “Già, si sono trovati a fronteggiare un formidabile avversario, o più di uno”, replicò Donnia. “Ad’non si è già messo in viaggio per raggiungere il posto.” “Portami là”, chiese Obould, sorprendendo Donnia. “Voglio verificare con i miei occhi quello che è successo.” “Se porti troppi guerrieri con te, potresti diffondere senza volerlo la notizia del massacro”, lo ammonì Donnia. “È questo ciò che vuoi?” “Andremo tu e io”, spiegò Obould. “Nessun altro.” “E se i nemici che hanno trucidato la tribù dei Many Teeth sono ancora nei dintorni? Rischi molto.” “Se sono ancora là e attaccano Obould, allora sono loro a rischiare molto”, ringhiò Obould, strappandole un candido sorriso, in netto contrasto con l’incarnato color ebano del volto. “Molto bene allora”, accondiscese lei. “Mettiamoci in marcia e

vediamo cosa riusciamo a scoprire del nostro misterioso nemico.” *** Il luogo del massacro non era molto lontano e Donnia e Obould lo raggiunsero quello stesso giorno sul tardi. Con loro grande sorpresa, i due trovarono sul posto non solo Ad’non Karesee, ma anche gli altri due compagni drow di Donnia, Kaer’lic Suun Wett e Tos’un Armgo, intenti a perlustrare il terreno. “Si tratta di un paio di assalitori, non di più”, spiegò Ad’non ai nuovi arrivati. “Abbiamo sentito che in questa zona sono stati visti due elfi in groppa a pegasi e sospettiamo che siano stati loro a provocare la carneficina.” Mentre Ad’non parlava, le sue mani si muovevano nell’alfabeto muto dei drow, che Donnia era in grado di capire, ma non Obould.

Questa è opera di un elfo drow, stava comunicando Ad’non a

tutta velocità.

Donnia non aveva bisogno di sapere altro, poiché lei e i compagni erano a conoscenza del fatto che Re Bruenor di Mithral Hall era solito avvalersi della compagnia di uno strano elfo scuro, un furfante che aveva rinnegato le leggi della Regina Ragno e dei suoi simili dalla pelle scura. A quanto sembrava, Drizzt Do’Urden era riuscito a fuggire da Shallows, come erano stati portati a sospettare in base ai racconti dei giganti dei ghiacci di Gerti, e non aveva fatto ritorno a Mithral Hall. “Elfi”, fece eco Re Obould con aria disgustata, e le parole si trasformarono in un ringhio prolungato, mentre il possente orco portava di nuovo il pugno dinanzi al volto nella posa che gli era abituale. “Non dovrebbero essere difficili da individuare, visto che se ne vanno a spasso su cavalli alati”, disse Donnia per rassicurarlo. Il re degli orchi continuò a emettere un sordo e fremente brontolio, gli occhi iniettati di sangue che scrutavano l’orizzonte come se si aspettasse di vedere sbucare dal nulla gli elfi in groppa ai

pegasi. “Lascia credere agli altri capi che sia stato un attacco isolato”, suggerì Ad’non all’orco. “Donnia e io faremo in modo che Gerti non se ne preoccupi troppo.” “Converti la paura in incoraggiamento”, aggiunse Donnia. “Piazza una grossa taglia sulla testa degli autori del massacro. Questo basterà da solo a mettere in allerta tutte le tribù che si apprestano a unirsi alle vostre forze.” “Ma soprattutto, il fatto che si sia trattato di un piccolo gruppo che ha agito tendendo un agguato, come sembra di certo essere, farà sembrare minore il pericolo”, continuò Ad’non. “Quegli orchi non stavano in guardia, perciò hanno pagato con la vita. È così che vanno le cose, giusto?” Piano piano il brontolio di Obould si affievolì ed egli rivolse un cenno di assenso ai consiglieri drow. Quindi, si recò a ispezionare il terreno e i cadaveri, in compagnia degli altri.

Non elfi di superficie, comunicarono le dita di Ad’non agli altri tre

drow, sebbene Kaer’lic Suun Wett non stesse prestando attenzione, anzi, si fosse allontanata dal gruppo per uscire dal perimetro del campo.

Le ferite sono ampie e circolari, inflitte da una mano esperta, non la stoccata di un elfo. E neppure ci sono ferite provocate da frecce, mentre gli elfi di superfìcie che hanno combattuto i giganti a nord di Shallows si servivano degli archi per colpire dall’alto. Tos’un Armgo si aggirò intorno ai corpi, chinandosi a studiarli con estrema cura. “Drizzt Do’Urden”, bisbigliò agli altri tre e, mentre Obould si avvicinava, passò all’alfabeto muto, è Drizzt che di solito usa la scimitarra. Kaer’lic li raggiunse quasi subito, segnalando con le dita della mano grassottella: impronte di felino fuori dai confini dell’accampamento.

Drizzt Do’Urden, comunicò di nuovo con le mani Tos’un.

*** Su un’altura a nordest, Urlgen Threefist osservava l’enorme massa scura degli orchi arrampicarsi su per il pendio. Aveva ricacciato i nani a ridosso della parete di roccia e ora desiderava solo spingerli definitivamente nell’oblio. Urlgen provava sufficiente rispetto nei confronti della loro tenacia e del loro modo di combattere per capire che non ci avrebbero messo molto a rafforzare le difese, se solo li avesse lasciati un po’ tranquilli. Ma il suo esercito non era pronto per l’attacco; i rinforzi dei giganti non erano ancora giunti, e molti guerrieri alle prime armi erano ancora probabilmente confusi circa lo schieramento da adottare in battaglia e le varie gerarchie di comando. Entro breve tempo, le forze di Urlgen sarebbero aumentate di numero e avrebbero acquisito una maggiore quantità di armi e di conoscenze tattiche, ma sarebbe stato così anche per le schiere dei nani. Valutando i pro e i contro e sentendo ancora bruciare l’inattesa sconfitta di Shallows, il comandante degli orchi aveva dato ordine alle sue orde di avanzare. Pensava che così facendo, perlomeno, avrebbe impedito ai nani di elaborare le loro strategie difensive. Il condottiero si lasciò tuttavia prendere dallo sconforto quando, nell’apprestarsi a risalire il pendio, lui e l’avanguardia del suo esercito vennero attaccati con furia dai nani. Furono assaliti da lanci di pietre e da macigni fatti rotolare giù per la china, oltre che da quelle stesse letali e devastanti frecce che avevano già decimato le forze di Urlgen a Shallows. L’orco si rese conto che i suoi guerrieri stavano cadendo come mosche. Mentre il panico si impadronì di molti dei sopravvissuti all’agguato precedente, la confusione e il terrore resero il contrattacco dei nani ancora più efficace, consentendo al crudele popolo barbuto di causare gravi perdite tra le schiere degli umanoidi. Per di più, gli orchi in ritirata intralciavano l’avanzata di quelli che stavano dietro, generando altra confusione e offrendo persino maggiori opportunità agli aggressivi nemici.

Senza contare quelle frecce, che colpivano i bersagli senza mancare un colpo e il fatto che, accanto all’arciere, all’estremità orientale della postazione dei nani, si scorgeva una figura imponente intenta a spazzare via orchi a tutto spiano. “Cosa facciamo?” domandò un orco scheletrico a Urlgen, correndo e saltando tutt’intorno freneticamente. “Cosa facciamo?” A questo si unì di gran carriera un altro dei capi di quella masnada. “Cosa facciamo?” ripeté questi come un pappagallo. E un terzo sopraggiunse trafelato, strillando: “Cosa facciamo?”. Urlgen continuò a osservare il combattimento selvaggio che si stava svolgendo sul promontorio roccioso. Anche i nani crollavano a terra, ma la maggior parte cadeva sui corpi senza vita degli orchi. Ben presto si giunse al caos totale, con la soldataglia di Urlgen che non sembrava per niente propensa a costituire uno schieramento accettabile, mentre i nani si erano raggruppati ordinatamente in due quadrati difensivi a fiancheggiare la formazione a cuneo di un reparto d’assalto. Mentre quest’ultimo partiva alla carica, la sua ampia base si collegò fluidamente con gli angoli di ogni quadrato, ciascuno dei quali effettuò una perfetta rotazione permettendo alle prime file di sganciarsi per andare a congiungersi con il cuneo, trasformandolo così in un quadrato difensivo, mentre i nani che costituivano il fianco si ricompattarono a formare altre unità d’attacco. Agli occhi di Urlgen questi movimenti erano di una bellezza straordinaria, in quanto basati su quella stessa disciplina che lui e il padre avevano cercato invano di instillare nelle orde degli orchi. Doveva ammettere, tuttavia, che, eccezion fatta per l’attacco unilaterale, i suoi soldati avevano ancora molta strada da percorrere. Urlgen era così assorbito dalle manovre da parata degli abili nani che per alcuni istanti ignorò i tre orchi che gli ballonzolavano attorno gridando a gran voce: “Cosa facciamo?”. Infine, le loro domande gli divennero evidenti, così come la consapevolezza che i nani stavano trasformando la battaglia in una palese disfatta.

“Ritiratevi!” ordinò Urlgen. “Fateli ritirare! Fateli ritirare tutti finché non arrivano i giganti di Gerti.” Nei brevi minuti che seguirono, mentre il suo ordine veniva impartito ed eseguito, Urlgen si rese conto che i suoi soldati erano molto più bravi a ripiegare che non a condurre un attacco. Durante la fuga in mezzo ai sassi resi scivolosi dal sangue, molti vennero lasciati indietro. Numerosi orchi giacevano a terra morti o morenti, urlando e grugnendo finché i nani più vicini non li misero definitivamente a tacere con un colpo d’ascia alla testa. Ma tra quelle pietre arrossate c’erano anche cadaveri di nani, il che rallegrò gli orchi che, per loro natura, si preoccupavano poco delle proprie perdite. Urlgen fece un cenno di assenso. Le sue forze sarebbero aumentate a dismisura e lui avrebbe continuato a scagliarle contro i nemici finché questi non fossero morti di stanchezza, sempre che gli orchi non li avessero uccisi prima. Lui sapeva cosa si nascondeva oltre la cresta montuosa, alle spalle dei nani. Sapeva di averli intrappolati. A meno che da Mithral Hall, dopo aver intrapreso un percorso tortuoso verso ovest o verso est, non fosse giunto in soccorso un folto numero di nani, il gruppo sull’altopiano avrebbe dovuto abbandonare la sua posizione difensiva per cercare di aprirsi un varco da solo. A ogni modo, la forza d’attacco di Urlgen sarebbe stata più che sufficiente a soddisfare i piani di Obould. In ogni caso, l’importanza di Urlgen tra le file degli orchi che si stavano ingrossando sarebbe cresciuta enormemente. *** “Sappiamo che è stato Drizzt Do’Urden, ma riferite a Obould che sono stati gli elfi di superficie”, disse Tos’un Armgo ai suoi tre compagni drow, mentre si ritiravano all’interno di una confortevole grotta per discutere gli ultimi sviluppi della situazione. “In tal modo, l’odio di Obould per gli elfi di superficie si

rafforzerà”, replicò Donnia, le labbra che si incurvavano in un delizioso sorriso, in parte nascosto dalla massa di capelli bianchi che le copriva un lato del volto dai lineamenti scolpiti nell’ebano. “Non ha certo bisogno di essere spinto in quella direzione”, osservò Kaer’lic. “Ma l’importante è che Obould si renda conto il più tardi possibile che ci sono elfi drow che lo osteggiano”, disse Ad’non Karesee. “È già al corrente di Drizzt”, ribatté Kaer’lic. “Sì, ma forse possiamo minimizzare il problema di quella canaglia prima che raggiunga dimensioni tali da far dirigere la collera di Obould verso di noi”, spiegò Ad’non. “Quell’orco sembra pensare più che altro in termini di razza che non di individuo.” “Come Gerti, del resto”, commentò Kaer’lic. “E come tutti noi.” “Eccetto Drizzt e i suoi amici, però”, disse Tos’un, lasciando tutti a bocca aperta con questa semplice e ovvia constatazione. I quattro drow rimasero un attimo in silenzio, intenti a osservarsi a vicenda, ma eventuali e significative esternazioni filosofiche a favore del gruppo vennero subito sepolte dal peso del pragmatismo e dalle necessità impellenti. “Credi che dovremo fare qualcosa per eliminare la minaccia rappresentata da Drizzt Do’Urden?” domandò Kaer’lic ad Ad’non. “Pensi che la cosa ci riguardi direttamente?” “Ritengo che potrebbe diventare un nostro problema”, la corresse Ad’non. “I vantaggi derivanti dalla sua eliminazione potrebbero essere enormi.” “Questo era anche il parere di tutta Menzoberranzan”, ricordò Tos’un Armgo. “Dubito che la città si sia riavuta del tutto da quella follia.” “Menzoberranzan ha combattuto ben altro che non Drizzt Do’Urden”, interloquì Donnia. “Forse che Lady Lolth non desiderava la morte di quel farabutto?”

Nel formulare la domanda, Donnia si rivolse a Kaer’lic, la sacerdotessa del gruppo, mentre entrambi, Ad’non e Tos’un, puntavano gli occhi nella stessa direzione. Davanti a quegli sguardi inquisitori, Kaer’lic scrollò il capo. “Drizzt Do’Urden non è un nostro problema”, rispose Kaer’lic, “e noi faremo bene a stare il più possibile lontani dalle sue scimitarre. Ciò che Lady Lolth desidera è che noi non si smetta di usare la testa e, credetemi, non vorrei trovarmi a fronteggiare Drizzt Do’Urden più di quanto non vorrei condurre l’attacco di Obould contro Mithral Hall. Questo non è il motivo per cui abbiamo incoraggiato ciò che sta accadendo. Ricordate i nostri desideri e i nostri progetti, non è vero? Il mio piacere, per quanto sia grande, non troverà soddisfazione sulla punta di una delle scimitarre di Drizzt Do’Urden”. “Ma se ci dovesse cercare?” chiese Donnia. “Non lo farà se non sa niente di noi”, rispose Kaer’lic. “Questo è il sistema migliore. La mia guerra preferita è quella in cui me ne sto a guardare da lontano.” L’espressione stizzosa di Donnia mentre si voltava verso Ad’non non fu difficile da decifrare. Né lo fu l’aria di disappunto che questi le offrì in risposta. Ma Kaer’lic aveva un alleato, e anche parecchio enfatico. “Sono d’accordo”, dichiarò Tos’un. “Fin dai giorni di Menzoberranzan, Drizzt Do’Urden non ha rappresentato altro che un problema spinoso e spesso fatale per coloro che hanno cercato di contrastarlo. Durante il mio girovagare nel Livello Superiore del Buio Profondo, dopo i fatti disastrosi di Mithral Hall, ho avuto occasione di sentire le storie più svariate circa le ripercussioni che quei fatti hanno prodotto su Menzoberranzan. Sembra che, subito dopo l’attacco sferrato dalla città a Mithral Hall, Drizzt abbia fatto ritorno a Menzoberranzan e sia stato catturato dal Casato Baenre e rinchiuso nelle loro prigioni.” Espressioni attonite accolsero quella ghiotta notizia, poiché il potente e spietato Casato Baenre era ben conosciuto da tutti i drow del Buio Profondo.

“Eppure, lui è tornato dai suoi amici lasciando dietro di sé una scia di catastrofi”, continuò Tos’un. “È quasi uno scherzo crudele di Lady Lolth, temo, uno strumento del caos nascosto sotto ai panni del traditore. Più di uno tra gli abitanti di Menzoberranzan si è detto certo che Drizzt Do’Urden sia segretamente guidato dalla Signora del Caos in persona per il suo piacere.” “Se servissimo qualunque altra dea, le tue parole sarebbero blasfeme”, ribatté Kaer’lic, mentre sbottava in un risolino davanti alla suprema ironia della situazione. “Non puoi davvero credere...” si apprestò a controbattere Donnia. “Non devo credere”, lo interruppe Tos’un. “O Drizzt Do’Urden è molto più bravo di quanto ci sia dato di capire, o è molto fortunato, oppure gode della benedizione degli dèi. In ogni caso, non desidero dargli la caccia.” “Sono d’accordo”, disse Kaer’lic. Donnia e Ad’non si limitarono a scambiarsi di nuovo un’occhiata scrollando le spalle. *** “Non male come gioco”, commentò Banak Brawnanvil rivolgendosi a Rockbottom, che gli stava accanto mentre presiedeva allo schieramento delle forze. “Non fosse per il fatto che molti finiscono per lasciarci la pelle.” “Più orchi che nani”, gli fece notare Rockbottom. “Non abbastanza degli uni e troppo degli altri. Ma guardali. Con quale furia combattono, pronti a farsi colpire senza un lamento, anche a morire, se questa è la decisione degli dèi.” “Sono guerrieri”, gli rammentò Rockbottom. “Nani guerrieri. Questo vuol dire molto.” “Sicuro”, convenne Banak. “Molto.” “I tuoi piani hanno messo in fuga gli orchi”, osservò Rockbottom.

“Non miei”, ribatté l’altro. “È stata un’idea di uno dei fratelli Bouldershoulder - sai, quello che ci sta col cervello - con l’aiuto di quel Torgar di Mirabar. Sono sempre più convinto che ci siamo trovati davvero dei buoni amici.” Rockbottom annuì e continuò ad ammirare la superba dimostrazione di lavoro di squadra, le tre formazioni comunicanti che scendevano giù per il pendio falciando orchi a ogni passo. “Un discendente dell’una o dell’altra razza si troverà qui tra qualche centinaio di anni”, osservò Banak dopo qualche istante. Non guardava neppure più la battaglia, ma concentrava la propria attenzione sui corpi sparsi tra le rocce. “Vedrà le ossa sbiancate di coloro che hanno lottato per questo pezzo di terra. Molte di esse saranno scambiate per pietre, ma prima o poi qualcuna verrà riconosciuta per ciò che è e, naturalmente, questo luogo verrà visto come il sito di un’importante battaglia. Chissà se quelle persone così lontane da noi nel futuro saranno in grado di capire cosa abbiamo fatto qui o perché l’abbiamo fatto! Comprenderanno le nostre ragioni, o la differenza tra le nostre e quelle degli orchi invasori?” Rockbottom fissò a lungo Banak Brawnanvil con aria grave. Il vigoroso guerriero dall’imponente statura era stato per secoli una figura importante tra i nani del Clan Battlehammer, sebbene fosse solito tenersi lontano dai riflettori della celebrità e offrisse raramente la propria consulenza in strategie belliche, a meno di non essere invitato a farlo da Bruenor o da Dagna, o da uno degli altri comandanti ufficiali. Tuttavia, era un altro l’aspetto che lo rendeva davvero diverso dal resto del clan. Aveva un modo tutto suo di vedere la vita, e pareva sempre guardare ai fatti del momento come se facessero parte di un contesto che avrebbe potuto essere studiato da generazioni di storici del futuro. Un grido proveniente dalla loro destra li fece voltare da quella parte per ammirare la straordinaria coordinazione e armonia di Wulfgar e Catti-brie occupati a difendere saldamente il fianco. Gli orchi salivano in gruppi disordinati verso di loro e molti cadevano sotto i colpi del micidiale arco della ragazza e della sua infinita scorta di frecce. I pochi che erano riusciti a schivare la morte a opera di un dardo molto probabilmente si auguravano di essere stati colpiti,

visto che si trovavano subito davanti il possente barbaro Wulfgar e il suo martello devastatore, il magnifico Aegis-fang, fabbricato da Bruenor Battlehammer in persona. Proprio mentre l’attenzione di Banak e di Rockbottom era concentrata sulla coppia, Wulfgar assestò un colpo talmente forte sulla testa di un orco che questa esplose, così, semplicemente, riversando sul barbaro e sugli orchi vicini sangue e brandelli di cervello spappolato. Una freccia sibilò a una spanna da Wulfgar per andare a infilzare un secondo orco, e un energico movimento circolare di Aegis-fang si abbatté sui due restanti, facendone cadere uno a terra e scagliando l’altro lontano. Catti-brie colpì il secondo, mentre una mazzata di Aegis-fang finì quello crollato a terra. “Quei due stanno costruendo una leggenda che durerà attraverso i secoli”, osservò Rockbottom. “Fino a un certo punto”, disse Banak, “poi svanirà”. Rockbottom lo osservò curioso, sorpreso da quell’atteggiamento pessimista. “Sulla strada del ritorno”, spiegò Banak, “Re Bruenor passò attraverso Fell Pass”. Rockbottom annuì con cognizione di causa, visto che aveva fatto parte del convoglio. “Trovate ossa laggiù?” domandò Banak. “Più di quante se ne possano contare”, rispose il sacerdote. “Pensi che alcuni tra coloro che hanno combattuto quella ormai lontana battaglia a Fell Pass siano stati più forti e coraggiosi di altri?” Rockbottom rifletté per un attimo sulla domanda prima di stringersi nelle spalle e assentire. “Conosci i loro nomi?” chiese Banak. “Sai chi erano e cosa stavano facendo? Sai quanti orchi e quanti altri mostri uccisero in combattimento? Sai quanti tennero il capo a un amico che stava morendo?” Quel ragionamento colpì Rockbottom. Si voltò a osservare lo scontro, dove i nani stavano respingendo gli orchi e costringendoli alla fuga.

“Non inseguiteli giù per il pendio!” ordinò Banak. “Li abbiamo fatti impazzire di paura”, commentò piano Rockbottom. “Sono comunque matti”, disse il nano condottiero. “Ci hanno attaccato solo per distoglierci dal nostro lavoro di preparazione delle difese. Lavoro che non può interrompersi mentre cacciamo una banda di straccioni al di là delle montagne. Richiamiamo tutti i nostri ragazzi affinché si rimettano all’opera. Questa era una scaramuccia. La battaglia vera e propria deve ancora venire.” Banak lanciò uno sguardo al di sopra delle spalle, verso il punto in cui la montagna si interrompeva bruscamente per lasciare il posto al burrone, e si augurò che gli ingegneri non avessero rallentato il ritmo nel sistemare le scale di corda che li avrebbero collegati in basso con Keeper’s Dale. “Solo una scaramuccia”, ripeté mentre il combattimento si esauriva e molti nani cominciavano a ricondurre i loro schieramenti verso la sua postazione. Vide i morti e i feriti che giacevano sulle pietre inzuppate di sangue. Pensò alle ossa che avrebbero presto ingombrato il terreno, numerose e silenziose come pietre.

4

IL PROCESSO DI SELEZIONE I suoi passi sembravano sempre riportarlo verso quel luogo. A Drizzt Do’Urden le macerie devastate di Shallows servivano d’ispirazione, fungevano da catalizzatore per consentire al Cacciatore di alimentare il proprio spirito con la sete della caccia. Girò attorno alla torre diroccata e ai muri semidistrutti, ma non si diresse verso la zona sud della città: raramente vi metteva piede. Gli ci erano voluti parecchi giorni per trovare il coraggio di avventurarsi oltre la statua profanata del ripugnante dio degli orchi. Come temeva, non c’era traccia di eventuali sopravvissuti. Ben presto Drizzt aveva preso l’abitudine di recarsi sul posto per i motivi più svariati. A ogni visita sperava di sorprendere qualche orco attorno ai cadaveri sparsi sul terreno, intento forse alla ricerca di un bottino. Riteneva che gli sarebbe stato congeniale uccidere orchi in mezzo a quell’ammasso di rovine che era diventata Shallows. Quel pomeriggio, mentre si avvicinava alla città, credette di avere trovato l’opportunità che cercava. Guenhwyvar, che gli camminava al fianco, era palesemente nervosa, segno indiscutibile che nei dintorni ci dovevano essere dei mostri. Infatti Drizzt notò dei movimenti mentre avanzava sull’altopiano oltre le macerie, a nord della città: si trattava dello stesso altopiano dal quale i giganti avevano bombardato Shallows, come preludio all’assalto degli orchi. Tuttavia, non appena Drizzt ebbe una chiara visuale della zona, si rese conto che quel giorno non avrebbe combattuto. A Shallows c’erano davvero degli orchi: parecchie tribù di quegli sciagurati,

accampate attorno ai resti della grande statua di legno abbandonata a sud dei muri meridionali della città. Accanto a lui, Guenhwyvar appiattì le orecchie ed emise un lungo e sordo brontolio. Questo strappò un sorriso all’elfo scuro: il primo dopo tanto tempo. “Lo so, Guen”, disse sfiorando con la mano le orecchie del felino. “Sii paziente. Verrà il nostro momento.” Guenhwyvar lo fissò e batté adagio le palpebre, poi reclinò la testa affinché potesse grattarle il collo nel suo punto preferito. Il brontolio cessò. Ma non il sorriso di Drizzt. Continuò a carezzare l’animale e a scrutare i ruderi, le rovine di Shallows, spingendo lo sguardo fino al luogo in cui si trovavano le orde degli orchi. Passò mentalmente in rassegna i propri ricordi, facendoli rivivere vividi; non si sarebbe permesso di dimenticare. L’immagine di Bruenor che cadeva tra le macerie della torre. L’immagine dei giganti che scagliavano pesanti massi contro il suo amico. Non uno di questi eventi era stato voluto. Non uno era stato meritato. Ma sarebbero stati vendicati, di questo Drizzt era certo. Oh sì, che sarebbero stati vendicati. *** “Re Obould è al corrente dell’inganno?” chiese Arganth Snarrl, lo sciamano dagli occhi sbarrati e stralunati facente parte della tribù che portava il suo cognome. Con il copricapo di piume a colori vivaci e la collana di denti (provenienti da una gran varietà di creature) che gli arrivava fin sotto la vita, Arganth era uno degli sciamani più singolari e pittoreschi tra tutti quelli radunati attorno all’idolo profanato di Gruumsh e, a causa della voce stridula simile quasi a quella di un uccello, era anche il più rumoroso.

“Ma si rende conto, vero? Si rende conto? Mi chiedo se se ne renda conto”, proseguì lo sciamano, saltando in rapida successione da un collega all’altro. “Non credo che se ne renda conto! No, no, perché se lo facesse, allora dovrebbe attribuire a questo.., questo.., questo atto blasfemo il giusto peso! Ben più importante di tutte le sue conquiste, ecco cos’è!” “A meno che le sue conquiste non vengano condotte nel nome di Gruumsh”, osservò l’orchessa sciamano Achtel Gnarlfìngers, facendo ammutolire Arganth nel bel mezzo del suo eloquio. La veste di Achtel non era ricca e vistosa come quella di Arganth, ma era similmente colorata, corredata da un’ampia mantella da viaggio rossa, completa di cappuccio, e da una sciarpa giallo brillante che le ricadeva da una spalla fin sui fianchi per poi girarle intorno alla vita. Reggeva un bastone con il pomo a forma di teschio dai considerevoli poteri magici, che usava come un’arma formidabile, almeno in base a quanto Arganth era venuto a sapere. Inoltre, la sacerdotessa dai capelli scuri e arruffati occupava una posizione di primo piano, che le veniva semplicemente dal fatto di rappresentare la tribù più numerosa tra quelle lì convenute, con oltre seicento guerrieri accampati nei dintorni e pronti a ubbidire a ogni suo comando. Il pittoresco sciamano fissò Achtel con gli occhi sbarrati, ma questa si guardò bene dal desistere. “Ed è proprio quello che fa Obould”, insistette Arganth. “Noi marciamo per la gloria di Gruumsh”, confermò un altro appartenente al gruppo. “L’Occhio-solo vuole che i nani vengano sconfitti!” La dichiarazione suscitò le acclamazioni dei presenti, di tutti all’infuori di Arganth, che era rimasto in piedi a fissare Achtel. A poco a poco, tutti gli sguardi conversero sulla fremente figura dal copricapo piumato. “Non è abbastanza”, insistette Achtel. “Re Obould Many-Arrows marcia per la gloria di Re Obould Many-Arrows.” Nell’udire quelle parole tutti la fissarono a bocca aperta. “Questa è la nostra consuetudine”, aggiunse rapido Arganth

vedendo aumentare pericolosamente il dissenso e l’improvviso cipiglio della sconsiderata Achtel. “Lo è sempre stata, ed è una buona consuetudine. Ma ora, a causa della profanazione della statua, dobbiamo riunire i due, Obould e Gruumsh! La loro gloria dovrà essere unica e indivisibile!” Gli altri sciamani non lo applaudirono né lo contraddissero, ma rimasero semplicemente là, a fissare il volubile sacerdote della tribù degli Snarrl. “E le tribù?” chiese uno con fare esitante, scuotendo il capo. I clan degli orchi avevano risposto in blocco all’appello di Obould - specialmente dopo aver appreso la notizia della caduta di Re Bruenor Battlehammer, che era stato per molto tempo una figura ingombrante ma i vari schieramenti restavano, prima di tutto, tribù ben distinte. Arganth Snarrl si portò con un balzo dinanzi al suo interlocutore, gli occhi dalla sfumatura giallastra così dilatati da dare l’impressione di essere lì lì per uscire dalle orbite. “Non dire altro!” strillò mentre saltellava selvaggiamente tutt’intorno, fermandosi di fronte a ognuno. “Non dire altro! Le tribù vengono al secondo posto. Il posto d’onore tocca a Gruumsh!” “Gruumsh!” gridarono all’unisono alcuni sciamani. “E Gruumsh è Obould?” chiese con calma Achtel, dando l’impressione di voler misurare con attenzione ogni gesto e ogni parola, molto più degli altri orchi presenti. “Gruumsh è Obould!” proclamò Arganth. “Sì, lo sarà presto!” E nel dire questo si mise a danzare selvaggiamente, a gesticolare e a contorcersi attorno alla raffigurazione del dio, la statua cava utilizzata dai nani per penetrare con l’inganno tra le file degli orchi. Con l’imminente vittoria a portata di mano, e cioè la distruzione di Shallows, l’ultimo spregevole inganno di quegli ignobili nani aveva fornito loro una via di fuga da quello che invece avrebbe dovuto essere un completo sterminio. Agli occhi di quella dozzina di sciamani, i capi religiosi degli oltre tremila orchi appartenenti alle rispettive tribù, l’uso che era stato

fatto della statua del dio superava ogni limite di decenza. “Gruumsh è Obould!” prese a salmodiare Arganth mentre danzava, e gli sciamani, uno alla volta, ripresero la litania e si inserirono nella fila che si stava formando dietro a quella figura dalle incredibili vesti e dal frenetico gesticolare. Tutti, tranne Achtel. La pensierosa e più sedentaria orchessa si allontanò dai danzatori e rimase a osservarli, con una palese espressione di dubbio stampata sul volto dai rozzi lineamenti. Tutti gli altri conoscevano il suo punto di vista sull’argomento e la sua esitazione nel consigliare a Re Obould di condurre la tribù di lei lontano dalla sicurezza della propria casa per combattere contro i potenti nani. Fino a quel momento, nessuno aveva osato mettere in dubbio la sua decisione. “Devi guarire”, sussurrò Catti-brie all’orecchio del padre. Era convinta che lui la sentisse, sebbene non mostrasse segni visibili e, per la verità, da parecchi giorni non accennasse più ad alcun movimento. “Gli orchi credono di averti ucciso, ma non possiamo lasciare che continuino a crederlo!” proseguì la giovane, cercando di trasmettere entusiasmo ed energia al comatoso re dei nani. Mentre parlava, Catti-brie stringeva la mano di Bruenor e, per un attimo, credette che lui ricambiasse la stretta. O forse se l’era semplicemente immaginato. Emise un lungo sospiro e guardò l’arco appoggiato in un angolo della stanza rischiarata dalle candele. Sapeva che presto avrebbe dovuto tornare là fuori, dato che la battaglia sull’altura sarebbe di certo ricominciata. “Credo che ti senta”, disse una voce alle sue spalle, costringendola a sorridere mentre si voltava verso l’amico Regis. L’halfling aveva un aspetto davvero malconcio, con un braccio avvolto da pesanti bende e appeso al collo. Quel braccio aveva parato il morso di un possente worg e Regis ne aveva pagato il prezzo. Catti-brie si alzò dal capezzale del padre per accogliere l’amico con un meritato abbraccio.

“I sacerdoti non ti hanno ancora guarito?” chiese, osservando la fasciatura. “Hanno già fatto molto, per la verità”, rispose Regis in tono gaio e, per mostrare il suo ottimismo, cercò di muovere le dita bluastre. “Avrebbero già concluso il loro lavoro se non ci fossero molti altri più bisognosi del sottoscritto dei loro unguenti e formule magiche. Non sono poi ridotto così male.” “Ci hai salvato tutti, Pancia-che-brontola”, esclamò Catti-brie ricorrendo al soprannome che Bruenor usava per il paffuto halfling. “Se tu non fossi andato da solo a cercare aiuto noi saremmo morti. Per fortuna sei arrivato con Pwent e i ragazzi.” Regis si limitò a scrollare le spalle e persino ad arrossire un po’. “Come vanno le cose sull’altopiano?” chiese. “Abbastanza bene”, rispose Catti-brie. “Gli orchi ci hanno inseguiti fin sull’orlo del precipizio, ma ne abbiamo presi un bel po’ e quando ci hanno attaccato in massa, li abbiamo fatti scappare a gambe levate. Avresti dovuto vedere Banak Brawnanvil, Ivan Bouldershoulder e Torgar Hammerstriker di Mirabar. Hanno disposto i nani in formazioni a quadrato e a cuneo in continuo movimento finché gli orchi, completamente storditi, non sono stati sopraffatti.” Regis si concesse un largo sorriso con un accenno di risata chioccia, che però si spense subito non appena rivolse lo sguardo oltre le spalle di Catti-brie, a Bruenor che riposava immobile nel suo letto. “Come sta oggi?” La ragazza si voltò a guardare il padre e si strinse nelle spalle. “I sacerdoti credono che non se la caverà”, le riferì Regis, e lei annuì poiché le era stata detta la stessa cosa. “Invece, io credo di sì”, proseguì Regis. “Anche se avrà bisogno di molto tempo per riprendersi.” “Tornerà da noi”, Catti-brie rassicurò il suo piccolo amico. “Abbiamo bisogno di lui”, disse questi con la voce ridotta a un

sussurro. “Tutta Mithral Hall ha bisogno di Re Bruenor.” “Bah, non è questo il modo di comportarsi in un momento così difficile”, li interruppe una voce dalla porta. I due si voltarono e videro un vecchio nano tutto insudiciato avanzare verso di loro. Lo riconobbero subito: si trattava del generale Dagna, uno dei comandanti più fidati di Bruenor e padre di Dagnabbit, caduto a Shallows. I due amici si scambiarono un’occhiata trasalendo, poi accolsero con uno sguardo di simpatia il nano che aveva perso il proprio valoroso figlio. “Gli è stata concessa una bella morte”, osservò Dagna, interpretando il loro sguardo. “Nessun nano potrebbe chiedere di più.” “Sì, una magnifica morte”, convenne Catti-brie. “Se n’è andato mostrando il pugno agli orchi e ai giganti. E prima di andarsene ha fatto assaggiare a tanti il morso della sua rabbia.” Dagna annuì con aria solenne. “Banak ha condotto i suoi guerrieri sulla montagna?” chiese di lì a poco, cambiando argomento di conversazione e persino il tono di voce, in un improvviso scoppio di energia. “Diciamo che ha tutto sotto controllo”, rispose Catti-brie. “E ha trovato un valido aiuto nei nani di Mirabar e nei Bouldershoulder, i due fratelli venuti fin qui dalla biblioteca Fremente Spirito dei Monti Fiocco di Neve.” Dagna annuì e borbottò: “Bene, bene”. “Ce la faremo a tenere duro, lassù”, disse Catti-brie. “Sarà meglio”, rispose Dagna. “Ho già troppe gatte da pelare nel difendere le gallerie. Non permetteremo ai nemici di intrufolarsi nel Buio Profondo mentre ci tengono occupati all’esterno.” Catti-brie fece un passo indietro e cercò conforto nello sguardo di Regis. In un certo senso, si era aspettata tutto questo, visto che l’accoglienza riservata ai corrieri di Banak, giunti con la richiesta di inviare altri soldati da Mithral Hall a difesa dei confini occidentali di Keeper’s Dale, non era stata per niente calorosa. Era chiaro che era in corso un conflitto riguardo alla possibilità di ritirarsi a Mithral Hall

e difendere la fortezza dall’interno oppure fronteggiare la minaccia delle orde degli orchi restandosene all’esterno. “Stanno sistemando le funi per assicurare un collegamento con il fondovalle e consentire a Banak una ritirata da quel lato?” chiese Dagna. “Hanno già fissato parecchie scale”, rispose Catti-brie. “E il comandante Banak ne ha ordinate altre. Gli ingegneri di Torgar sono infaticabili. Ma Banak non pensa che ci ritireremo presto. Quando sarà certo di avere una via di scampo alle sue spalle, starà sulla montagna fino a che gli orchi non lo cacceranno.” Dagna borbottò sottovoce qualcosa di incomprensibile e, sebbene Catti-brie e Regis non fossero riusciti a comprenderne il significato, risultò abbastanza evidente che il vecchio e rude nano guerriero non era per niente entusiasta della prospettiva. “Abbiamo proprio dei bravi condottieri alla testa delle nostre truppe là fuori”, lo rassicurò Catti-brie. “Questo è vero”, ammise Dagna. “Ho scelto io stesso Banak Brawnanvil, certo che tra le file del Clan Battlehammer non ce ne sarebbe stato uno migliore.” “Allora forniamogli tutto l’aiuto di cui ha bisogno per difendere il terreno.” Dagna fissò Catti-brie a lungo e con sguardo serio, poi scrollò il capo. “Non dipende da me”, ribatté. “I sacerdoti mi hanno chiesto di organizzare la difesa delle gallerie, ed è quello che faccio. Non mi hanno chiesto di fare le veci di Bruenor.” Nel terminare la frase lanciò un’occhiata a Regis, e la ragazza seguì il suo sguardo notando che l’amico sembrava improvvisamente imbarazzato. “Che mi dici?” domandò piano la ragazza all’halfling. “I-io h-ho detto che a-avresti dovuto essere tu”, balbettò Regis. “O Wulfgar, se non fossi stata tu.” Cattie-brie guardò confusa Dagna, poi di nuovo Regis.

“Tu?” domandò a quest’ultimo. “Mi stai dicendo che hai chiesto di diventare castaldo di Mithral Hall?” “L’ha fatto”, confermò Dagna. “E io sono tra quelli che l’hanno nominato. Con tutto il rispetto, mia cara ragazza, per te e per il tuo fratellastro, ma riteniamo tutti che nessuno conosca Bruenor meglio del nostro Regis qui presente.” L’espressione di Catti-brie mentre tornava a fissare Regis era più divertita che contrariata. Sollevò un poco la testa, così da poter sbirciare al di sopra del colletto della sua tunica per cercare un certo pendente di rubini che questo era solito portare. Il suo sguardo inquisitore sembrava chiedere altrettanto chiaramente che se avesse fatto uso delle parole se l’halfling aveva fatto ricorso al pendente di rubini come strumento di “persuasione” per convincere coloro che dovevano decidere sulla questione della reggenza durante la malattia di Bruenor. Regis inghiottì rumorosamente a vuoto. “Quindi adesso sei il re?” chiese Catti-brie. “Per il momento ne fa le veci”, la corresse Dagna. “Il re è quello laggiù, a meno che non ve ne siate dimenticati.” Il vecchio nano puntò il mento in direzione di Bruenor. “Laggiù, anche se molto presto ci raggiungerà di nuovo”, puntualizzò Catti-brie. “Fino a quel momento, Regis sarà il suo castaldo.” Da un punto imprecisato lungo il corridoio qualcuno chiamò Dagna. Il nano rispose con una serie di “bah” e si congedò scusandosi, il che era proprio ciò che voleva Catti-brie, poiché desiderava scambiare due chiacchiere in privato con un certo halfling. “N-non ho fatto niente di deplorevole”, balbettò Regis non appena si trovò faccia a faccia con Catti-brie, e il modo in cui il sangue gli defluì dalle guance dimostrava che era consapevole del turbamento della ragazza. “Nessuno ha mai sostenuto il contrario.” “Mi hanno chiesto di servire Bruenor”, proseguì Regis esitante.

“Come potevo dire di no? Tu e Wulfgar sarete in giro là fuori, e chi sa quando Drizzt tornerà?” “I nani, comunque, non seguirebbero nessuno di noi tre”, Cattibrie convenne. “Anche se la loro preferenza andrebbe a un halfling. E tutti sanno che durante il viaggio di ritorno dalle Lande di Ghiaccio Bruenor aveva accordato la propria fiducia a Regis. Una buona scelta direi, quella di Regis come castaldo. Non ho dubbi che deciderai ciò che sarà meglio per Mithral Hall, ed è questo che conta, dopotutto.” Regis sembrò riacquistare un po’ di sicurezza e riuscì persino a sorridere. “E ciò che è bene per Mithral Hall adesso è che Regis mandi un altro migliaio di nani a difesa dei confini occidentali di Keeper’s Dale”, disse Catti-brie. “E altri duecento per il trasporto di provviste, da Mithral Hall a Keeper’s Dale e da Mithral Hall al comandante Banak e alle truppe sulla montagna.” “Non abbiamo così tanti nani!” protestò Regis. “Abbiamo già privato le miniere di due gruppi per mandarli a rinforzare la linea difensiva lungo il Surbrin, a est.” “Allora fai rientrare il secondo gruppo e assegnalo alle porte orientali”, propose Catti-brie. “Sappiamo che è in corso una battaglia sulla montagna, ma se gli orchi ci aggirano e invadono Keeper’s Dale, Banak perderà tutto il suo esercito.” “Ma se gli orchi attraversano il Surbrin...” insistette Regis. “In tal caso potremmo appostare dei ricognitori per avvistarli”, ribatté Catti-brie. “E poi dovrebbero fare anche i conti con i nostri alleati nella zona.” Regis rifletté per un attimo sulla logica del ragionamento, poi diede il suo consenso. “Farò rientrare quasi tutti i nani”, disse l’halfling, “e li farò dislocare a guardia di Keeper’s Dale. Ma davvero ce ne servono un migliaio a ovest? Così tanti?”. “Almeno cinquecento, secondo le stime di Banak”, spiegò Cattibrie. “Ma se i suoi ragazzi verranno lasciati un po’ tranquilli a organizzare le difese, il numero potrebbe essere ridotto di molto.”

Regis annuì. “Però non priverò completamente le miniere delle loro difese”, aggiunse. “Se gli orchi attaccano in superficie, possiamo anche aspettarci che lo facciano nelle gallerie. Sono d’accordo sul fatto che Bruenor sia responsabile nei confronti della gente che abita le terre qui intorno, ma il suo dovere primario è verso Mithral Hall.” Cattie-brie lanciò un’occhiata al di sopra delle spalle di Regis, verso la sagoma inerte dell’amato padre adottivo. Si costrinse ad abbozzare un malinconico sorriso mentre sussurrava: “D’accordo”. *** Il piede nero si abbassò adagio a toccare la pietra con le dita, il peso che si spostava gradualmente, così da assicurare un perfetto equilibrio e il più assoluto silenzio. Un lieve movimento portò avanti l’altro piede, a ripetere l’andatura furtiva. L’elfo scuro avanzava attraverso il più grande della dozzina circa di accampamenti disposti tutt’intorno a Shallows, strisciando nella semioscurità che precedeva l’alba con la perizia che solo un guerriero drow - e solo il migliore tra tutti i guerrieri drow - era in grado di raggiungere. Si avvicinò a pochi passi da un gruppo di orchi ignari della sua presenza, impegnati in una discussione che non lo interessava per niente. Strisciò accanto a una tenda, sgusciò al suo interno e l’attraversò, passando proprio in mezzo a una coppia di orchi che russavano. Con la punta ben affilata di una scimitarra tagliò una porzione di tenda sul fondo e, silenzioso come una brezza leggera, uscì dall’altra parte. In circostanze normali, si sarebbe fermato a uccidere i due che dormivano, ma Drizzt Do’Urden aveva altro per la testa, qualcosa che non voleva compromettere per procurarsi quei trofei minori. Infatti, poco più oltre, si trovava una tenda più grande e riccamente decorata, la cui apertura, protetta da lembi di pelle di

cervo, era ornata da segni e pitture rappresentanti il dio degli orchi. Tre guardie armate fino ai denti presidiavano l’entrata. Drizzt ne dedusse che là dentro si doveva sicuramente trovare il capo della tribù, e quella tribù era la più grande tra quelle là convenute. Il Cacciatore avanzò, con passo rapido e leggero, sempre in perfetto equilibrio, sempre vigile, le scimitarre sguainate che ondeggiavano in armonia con il corpo, mentre procedeva a grandi passi, ritraendosi furtivo e balzando avanti all’improvviso. Poiché indossava i bracciali magici che gli permettevano di accelerare l’andatura, sapeva di non doversi limitare a portare le armi al fianco, dato che, nell’attraversare a tutta velocità così tanti angoli bui, doveva tenersi pronto a colpire con precisione fulminea in qualunque momento. Così, le spade dalla lama ricurva gli danzavano intorno mentre, passo dopo passo, attraversava l’accampamento, spinto inesorabilmente verso la grande tenda decorata. Nell’ombra proiettata dal tetto a spiovente di una baracca, proprio di fronte all’entrata della tenda dove i tre orchi stavano di guardia, Drizzt si fermò a riporre le scimitarre. Doveva essere veloce e preciso e scegliere con cura il momento propizio. Si guardò intorno, in attesa che passasse un altro gruppo di orchi. Contento di avere qualche istante per sé, appoggiò casualmente le mani sull’elsa delle spade che portava appese alla cintura e si avviò verso la propria meta, ostentando un sorriso e un’aria innocente. Ciononostante, le guardie si misero subito all’erta: una impugnò la propria arma e un’altra ordinò a Drizzt di fermarsi. Il drow ubbidì e, con i sensi affinati al massimo, memorizzò la loro esatta posizione, contando il numero di passi che gli avrebbero permesso di portarsi proprio di fronte ai tre. L’orco che stava nel mezzo continuò a parlare, latrando ordini e facendo domande, mentre Drizzt restava là, fermo, con un sorriso. Nel momento stesso in cui uno degli altri due si voltò per entrare nella tenda, il drow attinse ai propri innati poteri magici e proiettò un globo oscurità sul terzetto. Nel frattempo, partì all’attacco e, prima ancora di avere fatto due passi avanti, aveva già tra le mani le

scimitarre. Si tuffò nell’oscurità senza che gli orchi si fossero neppure resi conto di ciò che stava accadendo. Si voltò prima verso sinistra, con ben chiara nella mente la posizione dei tre e certo che nessuno si fosse mosso. Lampo colpì all’altezza del collo, trasformando un grido d’aiuto in un gorgoglìo. Una giravolta di Drizzt fece sì che entrambe le lame tranciassero di netto la seconda guardia, e un suo improvviso balzo in avanti lo portò diritto con le lame roteanti dinanzi al terzo orco, che abbatté facendolo cadere all’interno della tenda proprio attraverso l’apertura. Il drow entrò a sua volta, emergendo dalla zona di oscurità che aveva creato. Parecchie facce stupite lo guardarono, inclusa quella di un’orchessa sciamano coperta da un mantello rosso, la quale, sfortunatamente, stava all’altro capo della tenda. Senza fermarsi, Drizzt si gettò sull’orco più vicino recidendogli il braccio che aveva sollevato, poi lo oltrepassò rapido mentre gli bucava la pancia con l’altra scimitarra. Tra Drizzt e l’orco successivo si trovava un tavolo. L’orco si riparò dietro di esso usandolo come barriera per rallentare l’avanzata del drow o, quanto meno, pensando di poterlo fare, visto che Drizzt lo superò d’un balzo come se nulla fosse. Nel farlo, calciò via col piede il piccolo sgabello che l’altro gli aveva scagliato contro. Mentre l’orco cadeva sotto i colpi delle spade, il Cacciatore fece una piroetta roteando, l’una dopo l’altra, le lame attorno a sé per difendersi, così che la prima deviò la punta di una lancia e la seconda fece definitivamente cadere di lato quel dardo tirato da mano maldestra. Ma gli altri orchi si stavano già organizzando a preparare le loro difese e la sciamana era intenta a lanciargli un sortilegio. Drizzt fece di nuovo ricorso ai propri poteri magici, ma non prima di aver pronunciato alcune parole dal suono incomprensibile e misterioso: olacka acka eento.

Gettò persino in aria una delle scimitarre, muovendo le dita con gesti teatrali, per accrescere l’effetto. L’orchessa abboccò, e il gran baccano che si era udito fino a un attimo prima lasciò il posto al silenzio. Un silenzio totale e magico, mentre la sciamana pescava dal proprio arsenale la formula più efficace da contrapporre all’incantesimo del drow. Ma fu tutto inutile, poiché venne improvvisamente avvolta da fiamme violacee che delinearono il profilo del suo corpo mettendolo in evidenza sullo sfondo scuro della tenda e rendendolo un bersaglio ancora più facilmente individuabile. Drizzt però non aveva ancora finito e creò un globo di impenetrabile oscurità per bloccare gli orchi in procinto di attaccarlo. Subito dopo ne produsse un secondo per assicurarsi che la tenda tutt’intera fosse immersa nell’oscurità e nella confusione, dopodiché si calò ancora di più nei panni del Cacciatore. Non potendo udire né vedere nulla, si affidò unicamente al tatto e all’istinto. Si lanciò in una piroetta, facendo ruotare vorticosamente le lame intorno a sé per proteggersi, mentre, di tanto in tanto, con l’una o con l’altra andava a segno. E ogni volta che avvertiva la presenza di un orco vicino a lui vuoi per il tanfo che il corpo emanava o per il fiato fetido, o perché l’aveva appena sfiorato - Drizzt colpiva rapido e deciso, con micidiale precisione, riuscendo sempre a ritagliarsi dei varchi nella difesa dei nemici per il semplice fatto che ne conosceva l’altezza e la postura assunta, sia in attacco sia in difesa. Così facendo, percorse la tenda in tutta la sua lunghezza, poi si girò e tornò verso il palo centrale, usandolo come perno. Se non si fosse fatto assorbire completamente da quella sua natura primitiva e animalesca, avrebbe notato che era apparsa una magica luce a contrastare i suoi globi di oscurità. Intorno a sé vide gli orchi, sorpresi quanto lui, tutti tranne la sciamana, che era rimasta in fondo alla tenda, gli occhi che lanciavano bagliori feroci nella sua direzione, il contorno del corpo ancora lambito dalle fiamme, le dita che si agitavano per lanciare un

altro incantesimo. Drizzt abbatté con mossa fulminea gli orchi alla sua destra, poi si girò a sinistra per fronteggiare altri attacchi, le spade che tracciavano spirali continue, scaraventando lontano armi, squarciando braccia e mani, e respingendo gli ultimi quattro orchi rimasti. Di botto, i gesti del drow si fecero pesanti, le braccia simili a piombo, mentre veniva travolto da un flusso di potere stregato. Capì istintivamente che si trattava di un sortilegio capace di paralizzare i movimenti e che, se in quel momento lui non fosse stato così posseduto dalla rabbia del Cacciatore, dove l’istinto e la furia quasi animalesca avevano eretto una barriera protettiva intorno a lui, la sua vita sarebbe giunta al termine. Così stando le cose, le difese del drow si indebolirono per un attimo consentendo a un colpo di mazza infertogli trasversalmente di raggiungerlo in pieno nel costato. Il colpo era molto forte, ma lui non avvertì alcun dolore. Mentre creava di nuovo tutt’intorno un globo di oscurità, fronteggiò l’attaccante incassando un secondo colpo molto meno violento, e rispondendo con una rapida successione di stoccate e fendenti, ciascuno dei quali avrebbe potuto da solo abbattere facilmente l’orco. Il magico silenzio svanì, o venne dissolto, e le orecchie del Cacciatore si aguzzarono di colpo, captando sia le mosse degli orchi vicini sia i movimenti febbrili della sciamana che, imperterrita, stava per scagliargli contro un altro sortilegio. Il drow eseguì con le scimitarre alcuni veloci colpi di striscio, facendole ruotare con un movimento circolare ininterrotto mentre si portava vicino a un paio di orchi. Nell’effettuare la rotazione discendente, si servì dello slancio del momento per fare un balzo in avanti verso l’esterno, producendosi in una capriola completa che lo fece atterrare ben saldo sui piedi all’esterno della zona di oscurità. Proprio in quel momento, dietro di sé, udì una secca conflagrazione, come se l’aria stessa fosse esplosa, tanto che si trovò a barcollare rischiando di finire a terra.

Se quell’incantesimo aveva prodotto tali effetti su di lui, Drizzt si chiese quali fossero le conseguenze sugli orchi! Si ricompose, ruotò su se stesso e si rituffò nel cerchio agitando selvaggiamente le scimitarre. In realtà non aveva davvero intenzione di colpire, ma di assicurarsi che non fosse rimasto in piedi un solo orco. Come aveva immaginato, non trovò ostacoli. A quel punto, si fermò, si voltò ad angolo retto verso sinistra e con un balzo fu di nuovo fuori dall’oscurità, proprio di fronte alla sciamana che stava ancora muovendo le mani. Lampo gliele tranciò. Mortegelida le mozzò la testa. Udendo provenire un terribile trambusto dall’esterno, il Cacciatore superò l’orchessa, che era caduta esanime a terra, e si portò sul fondo della tenda. Poi si aprì un varco nel tessuto con le lame taglienti e sgusciò fuori. Attraversò di corsa l’accampamento facendosi strada tra gli orchi che si gettavano di lato per sfuggire ai suoi fendenti, mentre dalla tenda alle sue spalle provenivano urla sempre più forti. Scelse il percorso con molta attenzione, saltando da una zona d’ombra all’altra. Ben presto si trovò fuori dall’accampamento, i bracciali magici che lo spingevano a tutta velocità sul terreno sconnesso verso oriente, a nord di Shallows. Non erano molti gli orchi che aveva ucciso, ma Drizzt era certo di avere causato parecchi disagi al nemico, quel giorno.

5

IL MONDO ESTERNO Shoudra Stargleam si stava dirigendo verso il fuoco del proprio bivacco. La Sceptrana di Mirabar si era recata, in compagnia di un abile stregone, a cercare funghi e radici per una nuova pozione magica alla quale stava lavorando. Nella fertile terra a sud di Fell Pass aveva trovato esattamente ciò che voleva e in tale abbondanza da averne ricolmo il davanti della veste, che teneva sollevata per i lembi con entrambe le mani. Era sul punto di chiedere al suo compagno di spedizione di portarle un sacco, quando si fermò di botto soffocando una risatina. Dato che il piccolo gnomo di nome Nanfoodle costituiva un quadretto alquanto buffo, rannicchiato com’era accanto al fuoco, intento a fregarsi le mani per scaldarle. Si stringeva il mantello attorno al corpo minuto, col cappuccio calato sulla fronte a proteggere il viso. Non abbastanza, però, da nascondere il suo tratto più appariscente, e cioè il lungo naso puntuto. “Se ti sporgi ancora un po’ ti brucerai i peli del naso”, disse Shoudra mentre raggiungeva il limitare del falò, attorno al quale avevano disposto alcuni tronchi caduti. “Il vento è gelido questa notte”, ribatté lo gnomo. “Già, strano davvero”, concordò Shoudra, poiché erano ancora in estate, sebbene l’autunno fosse ormai prossimo. “Il che, naturalmente, non fa altro che aggravare i disagi di chi è

costretto a dormire sotto le stelle”, borbottò Nanfoodle. Shoudra fece di nuovo una risatina e gli si sedette di fronte. Cominciò a srotolare le falde della gonna ricolma di funghi e radici, ma si fermò nel notare che lo gnomo teneva lo sguardo fisso sulle sue gambe aggraziate. Ovviamente, la cosa le parve del tutto ridicola; Shoudra aveva un corpo statuario e una delle sue gambe da sola superava in altezza il piccolo Nanfoodle tutto intero. Ma non si mosse, anzi si spostò appena in modo da consentire allo gnomo una migliore visuale e l’osservò mentre la mascella gli si faceva cascante. Finalmente, questi si accorse dello sguardo di Shoudra e del sorriso divertito che le era comparso sul bel volto. Batté più volte le palpebre e si schiarì la voce, strascicando i piedi e guardandosi attorno come se avesse smarrito qualcosa. Mentre lo osservava intenta, Shoudra aprì i lembi della gonna e ne lasciò cadere con cautela il contenuto a terra. “Pensi davvero che la vita all’aria aperta sia così terribile?” chiese di lì a poco, mentre cominciava a dividere i funghi e le radici a seconda delle loro dimensioni. “Non ti sembra che invece faccia sentire rinvigoriti?” Nanfoodle si strinse le braccia attorno al corpo e si avvicinò ancora di più al fuoco. “Rinvigoriti?” le fece eco con aria incredula. “Non apprezzi dunque l’avventura, mio buon Nanfoodle?” chiese Shoudra. “È possibile che, dopo aver trascorso anni seduto davanti a provette e a soluzioni, ti sia talmente assuefatto da dimenticare il fremito che si prova nell’arrostire un goblin lanciandogli contro una sfera infuocata?” Nanfoodle la fissò con uno sguardo strano. “Il Nanfoodle che ho conosciuto anni fa a Baldur’s Gate era capace di escogitare almeno un paio di incantesimi, se ricordo bene”, osservò Shoudra. “Di sicuro, nulla di così volgare come una palla di fuoco”, protestò lo gnomo con un gesto sdegnoso della piccola mano. “Bah,

una palla di fuoco! E poi ti vanterai di essere riuscita a creare una saetta. No, no, Shoudra. Preferisco la magia della mente allo scatenarsi degli elementi della natura.” “Ah, già”, ribatté Shoudra. “Naturalmente. Avrei dovuto riconoscere meglio il legame tra la magia illusionistica e l’alchimia.” A queste parole, gli occhi di Nanfoodle si spalancarono! Era stato assunto dal Marchese Elastul di Mirabar, il superiore di Shoudra, per far sì che le sue brillanti conoscenze alchimistiche contribuissero a migliorare la scadente qualità dei loro minerali nell’ambito della guerra di scambi commerciali che Mirabar conduceva contro Mithral Hall. Innumerevoli volte si era trovato a sopportare lo spirito sarcastico di Shoudra Stargleam, nelle occasioni in cui aveva dovuto rendere conto al suo superiore dei progressi compiuti, dato che l’alchimia era una scienza inesatta che procedeva per tentativi. Sfortunatamente per lui, le sue fatiche a Mirabar erano state quasi esclusivamente portate avanti all’insegna dell’errore. Cosa che Shoudra raramente mancava di far notare. “Che vorresti dire?” chiese lo gnomo in tono controllato. Shoudra scoppiò in una risata e tornò a separare i suoi funghi. “Sbaglio o non credi nell’alchimia?” “Ne ho mai fatto mistero?” “Eppure, sei stata tu a fare il mio nome al Marchese Elastul, giusto?” chiese Nanfoodle. “Mi era sembrato di capire che fossi stata tu a informarlo della mia crescente reputazione di alchimista.” “Non nutro interesse per l’alchimia”, spiegò Shoudra. “Ma non ho mai detto apertamente che non sono interessata, o che non mi importa nulla di questa scienza, Nanfoodle Buswilligan.” Dopo una pausa in cui nessuno dei due parlò, la donna sollevò lo sguardo verso lo gnomo, che la stava osservando con curiosità. “Se il Marchese Elastul era così deciso a sperperare nella pirite il proprio denaro, perché mai non darne almeno un po’ a Nanfoodle?” proseguì Shoudra con un sorriso beffardo.

L’alchimista annuì, ma la sua espressione perplessa le fece capire che era incerto se ringraziarla o rimproverarla. La situazione la divertiva molto. “Non mi è chiaro come mai, pur consumando regolarmente le provviste che ci siamo portati dietro, il nostro carico continua ad aumentare”, osservò lo gnomo, fissando con stizza il raccolto di Shoudra. “Il nostro carico?” ribatté lei sarcastica. “Anche un solo fungo potrebbe sembrare un peso per il povero piccolo Nanfoodle.” E così dicendo, gli lanciò scherzosamente un minuscolo fungo dalla cappella bianca attraverso il fuoco. La mano di Nanfoodle si alzò a intercettarlo, ma riuscì solo a deviarlo e a farlo rimbalzare contro il suo lungo naso, suscitando così un’altra risata di Shoudra. Con aria accigliata e brontolando sottovoce, Nanfoodle raccolse deliberatamente il fungo, lo guardò per un attimo e poi, sempre brontolando, lo scagliò verso Shoudra. Questa aveva già alzato le mani per parare il colpo, tranne che non uno, ma una mezza dozzina di funghi identici le piovvero addosso. “Ben fatto!” esclamò congratulandosi e ridendo ancora più forte, quando l’unico vero proiettile la colpì sulla fronte e quelli finti le passarono attraverso. “Bisogna stare attenti a non suscitare le ire di Nanfoodle”, si vantò lo gnomo, gonfiando impettito il torace, a tal punto che il tessuto della mantella si tese tutto. “Eccone alcuni con cui preparare la cena”, osservò la donna sollevando entrambe le mani colme delle più disparate varietà di funghi e radici. “Se ne mangerai a sufficienza - e questo non mi è mai sembrato un problema per te! - il bagaglio da portarci dietro si farà più leggero.” Nanfoodle la fissò e fu sul punto di rispondere, ma venne interrotto da un rumore di zoccoli che li fece voltare entrambi in direzione della strada, che passava proprio a sud del luogo dove si

erano accampati. “Il cavaliere avrà visto il nostro fuoco!” esclamò lo gnomo allarmato. E così dicendo, arretrò nell’ombra dando l’impressione di volersi rannicchiare ancora di più nel suo mantello, mentre cominciava subito a recitare una specie di cantilena e ad agitare le dita. Shoudra osservò lo gnomo con un certo divertimento, per poi concentrare la propria attenzione sulla strada. Non si sentiva troppo spaventata, dato che era una viaggiatrice esperta e perfettamente in grado di difendersi dai pericoli, sia con le armi sia con gli incantesimi. Ma all’improvviso, tutto sembrò farsi sfocato, come se qualche sortilegio fosse calato sull’accampamento, e Shoudra si lasciò sfuggire un piccolo grido accingendosi a mettersi in salvo. Si accinse soltanto, visto che si rese conto quasi immediatamente che la magia non era opera di un nemico, bensì di Nanfoodle. Fissò furiosa lo gnomo, che le ricambiò lo sguardo da sotto il cappuccio, il volto distorto in un sorriso che gli arrivava fino alle orecchie. Si mise un dito sulle labbra, intimandole il silenzio. Ed ecco comparire un cavallo, uno stallone baio grosso e robusto, con in groppa un alto cavaliere ricoperto da una mantella grigia segnata dalle intemperie. Lo sconosciuto tirò le redini e smontò agilmente di sella. Si portò davanti al cavallo, si spazzò via con la mano la polvere dalla mantella, poi si inchinò educatamente verso un albero poco distante dal luogo in cui si trovava Nanfoodle. Il cavaliere sembrava un uomo di mezz’età, all’incirca sui quarant’anni, anche se in perfetta forma fisica, con capelli ancora neri, appena spruzzati di grigio alle tempie. Portava uno spadone sul fianco sinistro e un pugnale su quello destro. Mentre si avvicinava, teneva la mano destra appoggiata sull’elsa del pugnale, con atteggiamento che, a uno sguardo poco attento, avrebbe potuto sembrare del tutto casuale. Ma agli occhi esperti di Shoudra, la postura dello sconosciuto fece capire invece che stava all’erta. Dall’angolazione che formava il braccio, si vedeva, infatti, che

avrebbe potuto afferrare il pugnale, estrarlo e lanciarlo con un unico e fluido movimento nel giro di pochi secondi. “Piacere di conoscervi, mio buono gnomo”, disse lo sconosciuto rivolto all’albero, e Shoudra faticò parecchio per impedirsi di ridacchiare. Guardò Nanfoodle, che stava ugualmente sogghignando, pur facendole segno di stare zitta. Il piccoletto cominciò di nuovo a muovere le dita. “Sono Galen Firth di Nesmé”, si presentò l’uomo. “E io sono Nanfoodle, alchimista capo del Marchese di Mirabar”, rispose l’albero, attraverso l’incantesimo creato dallo gnomo illusionista. “Che cosa vi porta, mio buon signore, così lontano da casa?” “Anche voi siete lontano”, commentò Galen. “Sicuro, ma siete stato voi a venire nel mio accampamento”, replicò l’albero che impersonava Nanfoodle. Galen si inchinò di nuovo. “Brutte notizie da Nesmé”, spiegò. “Gli abitanti della palude e i troll ci hanno attaccati. La nostra situazione è disperata: non so neppure se, mentre stiamo parlando, i miei uomini siano ancora liberi o siano già caduti nella mano dei nemici.” “Possiamo ritornare di corsa a Mirabar!” disse una voce proveniente di lato, quella di Shoudra, che stava avanzando verso Galen. Poiché l’inganno non aveva più motivo di essere, Nanfoodle agitò la mano e fece sparire il superbo incantesimo, mentre Galen Firth lanciava occhiate stupite tutt’intorno nel tentativo di orientarsi. “Sono la Sceptrana di Mirabar”, spiegò Shoudra, quando Galen l’ebbe finalmente individuata. “Torniamo immediatamente a Mirabar affinché possa persuadere il Marchese Elastul ad accorrere in vostro aiuto.” “Abbiamo già inviato alcuni cavalieri dal vostro Marchese”, ribatté Galen, mentre continuava a strizzare gli occhi e a guardarsi intorno.

“Io sono diretto a Mithral Hall e alla corte di Re Bruenor Battlehammer.” Alla fine l’uomo individuò il vero Nanfoodle, ma non la smise di far correre lo sguardo da lui al luogo dell’illusione, quasi stesse cercando di capire cos’era appena accaduto e perché prima avesse rivolto la parola a un albero, salutandolo per di più con un inchino. “Anche noi siamo diretti là”, disse la voce di Nanfoodle dal fondo del campo, mentre lo gnomo avanzava sotto gli occhi inquisitori di Galen. “Perdonate il sortilegio con cui vi abbiamo accolto, buon cavaliere di Nesmé. Dopotutto, non si è mai troppo cauti.” “Già”, commentò Galen. “Specialmente quando si tratta di illusionisti.” Nanfoodle sogghignò e gli offrì a sua volta un inchino. “Il vostro cavallo è tutto sudato”, osservò Shoudra. “Non potete spingervi oltre questa notte. Venite, condividete la nostra cena e raccontateci nei dettagli le vicende di Nesmé. Domani ci dirigeremo in tutta fretta da Re Bruenor, e farò quanto in mio potere per contribuire a perorare la vostra causa.” “È molto generoso da parte vostra, Sceptrana”, replicò Galen. E così dicendo, si recò ai margini del campo a legare il suo cavallo. “Questo non mi piace”, sussurrò Nanfoodle a Shoudra quando rimasero soli accanto al fuoco. “Spero solo che il Marchese si dimostri più indulgente verso Nesmé di quanto non lo sia stato verso altri, di recente”, ribatté Shoudra. “Re Bruenor invierà di certo il suo aiuto”, ipotizzò Nanfoodle, e Galen, che stava tornando verso di loro, lo udì. “Spero solo che Re Bruenor non abbia una buona memoria riguardo ai torti subiti”, confessò Galen, suscitando le occhiate curiose dei due. “Alcuni anni fa, attraversò la regione di Nesmé”, spiegò il nuovo

venuto mentre si sedeva su un tronco vicino al fuoco. “Temo che la mia pattuglia di ricognizione non lo abbia trattato troppo bene.” Emise un lieve sospiro e abbassò gli occhi, ma poi aggiunse rapido: “Non fu Re Bruenor la causa dei nostri dubbi e timori, ma il suo compagno, un elfo drow”. “Drizzt Do’Urden”, osservò Shoudra. “Sì, credo che i compagni di Bruenor possano sembrare per molti versi sconcertanti.” “Spero che il nano abbia perdonato il nostro atteggiamento di un tempo”, disse Galen, “e riconosca che è nel suo interesse appoggiare Nesmé in questo momento di necessità”. “Da ciò che conosciamo di Re Bruenor, non ci aspetteremmo di meno”, interloquì Nanfoodle, e Shoudra convalidò quella dichiarazione con un cenno di assenso. Anche Galen Firth assentì, ma mantenne un’aria grave. Intorno a loro, la notte si fece ancora più cupa e, a causa delle notizie riferite da Galen, l’oscurità sembrò incutere persino maggiore paura. *** “Complimenti al tuo amico Pancia-che-brontola”, disse Banak Brawnanvil a Catti-brie mentre, dall’alto della parete a picco sulla quale erano state fissate le funi di collegamento con Keeper’s Dale, guardava, insieme ad alcuni altri, un nutrito contingente di nani muoversi verso ovest attraverso la valle. “È uno su cui si può contare”, osservò Catti-brie. “Oo oi!” convenne Pikel Bouldershoulder. “Bene, adesso che so che la valle è protetta alle nostre spalle, mi sento meglio”, aggiunse Ivan Bouldershoulder. “Ma sono sempre dell’idea che quell’altura a ovest possa diventare prima o poi un problema.” A quelle parole, gli occhi dei presenti si rivolsero tutti in quella direzione, a osservare il lungo sperone montuoso, l’unico altopiano

della zona apparentemente accessibile. “Gli orchi combattono fianco a fianco con i giganti”, aggiunse Ivan, “potrebbero pensare di spedirne qualcuno lassù”. “Ma i giganti non ci possono raggiungere da quella postazione”, ribatté Banak, ripetendo l’osservazione fatta mentre avevano discusso delle varie strategie. “È troppo lontano.” “Ma è un buon posto d’osservazione”, commentò Ivan. “Anche se dislocassero pochi ricognitori, avrebbero comunque un’ottima visuale dell’intero campo di battaglia.” “È una buona posizione”, convenne Torgar Hammerstriker. “I tuoi ricognitori hanno già fatto ritorno?” chiese Banak. “Per il momento, sull’altura non c’è nessuno”, riferì Torgar. “I miei ragazzi hanno detto che il posto è pieno di gallerie. Quasi una ragnatela di passaggi sotterranei. Ritengono addirittura che alcuni di essi possano condurre qui sull’altopiano.” “È possibile”, confermò Ivan. “Lascia che porti con me un centinaio di soldati”, dichiarò Torgar. “Andiamo laggiù a difendere le gallerie.” “E se scoprono che siete là?” lo interruppe Banak. “Gli orchi potrebbero attaccarvi al gran completo. Non voglio rischiare di perdere cento dei nostri guerrieri!” “Non succederà”, lo rassicurò Torgar. “Poco più a ovest di qui, a ridosso dello strapiombo di Keeper’s Dale, c’è un ingresso alle gallerie. Potremmo sgattaiolare dentro veloci e, all’occorrenza, uscirne con altrettanta rapidità.” Banak lanciò un’occhiata a Ivan per vedere le sue reazioni, poi si rivolse a Catti-brie e a Wulfgar. “Catti-brie e io ci potremmo portare vicino all’entrata e servire da collegamento”, suggerì Wulfgar. Banak gettò uno sguardo verso il proprio schieramento per valutarne la forza. Avevano già respinto due volte gli orchi, benché il secondo assalto non fosse parso altrettanto determinato del primo. Banak aveva capito che il comandante degli orchi aveva unicamente

attaccato per disturbare le loro opere di rafforzamento difensivo ed era rimasto molto impressionato da quell’insolito sfoggio di tattica bellica. Nondimeno, il secondo assalto non era riuscito a rallentare il lavoro dei nani, visto che i soldati di Banak avevano respinto il nemico senza fatica e che molti di essi non avevano neppure smesso di tagliare e ammucchiare pietre durante lo svolgimento dello scontro. Il campo di battaglia era ormai ben delineato, con solidi muri di sassi impilati l’uno sull’altro a formare strettoie che avrebbero rallentato la carica degli orchi. Grazie a questo e al fatto che gli ingegneri avevano finito di sistemare le scale di corda lungo la parete a picco, Banak era certo che avrebbe potuto fornire un centinaio di nani, forse anche duecento, senza compromettere la propria posizione. Dato che, se gli orchi fossero sopraggiunti, un gran numero di nani avrebbe dovuto semplicemente mantenersi pronto in seconda fila, dietro ai compagni che combattevano, perdendosi così tutto il divertimento. “Prendi la metà dei tuoi e ripulisci quelle gallerie”, ordinò Banak a Torgar. “E, quando sarai lassù, dà un’occhiata a nord, d’accordo?” “Ti farò un bel quadretto”, rispose Torgar sogghignando. “Hi-hi-hi”, commentò Pikel. “E se te ne arrivano addosso troppi, prendi i tuoi ragazzi e tirali subito fuori di là”, raccomandò Banak. “Non voglio raccontare a Re Bruenor che ho perso tutte le mie nuove reclute prima ancora che entrassero nel suo palazzo!” “Non perderai Torgar e i guerrieri di Mirabar a causa di un branco di orchi puzzolenti!” lo rassicurò Torgar. “Nemmeno se si portano appresso un centinaio di giganti!” aggiunse Shingles McRuff, il vecchio nano brizzolato che stava in piedi accanto a Torgar. Shingles strizzò l’occhio a Banak, poi assestò una manata amichevole sulla spalla di Torgar. L’espressione di quest’ultimo fece capire a tutti i presenti che i due erano davvero buoni amici. In effetti, l’amicizia tra Shingles e la famiglia di Torgar risaliva a ben

prima che questi vedesse la luce a Mirabar, ovvero secoli addietro. Quando il Marchese di Mirabar aveva trattato Torgar così ignominiosamente, rimproverandolo per il caldo benvenuto tributato da alcuni nani della città a Bruenor, Shingles era stato il primo a schierarsi al suo fianco e a organizzare l’esodo che aveva condotto più di quattrocento tra i migliori nani di Mirabar sulla strada di Mithral Hall. E là erano giunti, dopo essersi lasciati alle spalle la loro casa natale, ma avendo già in vista la loro nuova dimora, al di là di Keeper’s Dale. Prima ancora di avvicinarsi a Mithral Hall si erano imbattuti nel convoglio che fuggiva da Shallows portando Re Bruenor ferito. Torgar, Shingles e i nani di Mirabar avevano formato la retroguardia della colonna e si erano comportati valorosamente. Nonostante le battaglie e la pressione esercitata dalle orde degli orchi, non uno dei nani di Mirabar aveva mostrato segni di cedimento e chiesto di fare ritorno alla vecchia città dell’ovest. Non uno. E subito dopo l’incontro di Torgar con Banak, davanti al potenziale pericolo della loro nuova missione, nessuno si tirò indietro rifiutando di offrirsi volontario per condurre un attacco nelle gallerie. Torgar delegò a Shingles il compito di scegliere chi lo avrebbe accompagnato. *** L’espressione sul volto dei tre ospiti faceva chiaramente capire che colui che sedeva dinanzi ad essi sul trono di Mithral Hall non era esattamente chi si aspettavano di trovare. Ma Regis non vacillò di fronte a quell’evidente perplessità. “Sono il castaldo di Mithral Hall”, spiegò, “ho assunto il governo nel nome e negli interessi di Re Bruenor”. “E dove si trova il vostro re?” domandò Galen Firth, in tono

brusco e impaziente. “Si sta ristabilendo dalle gravi ferite ricevute in battaglia”, confessò Regis, augurandosi con tutto il cuore che l’affermazione fosse veritiera. “Si trovava in posizione frontale durante lo scontro di cui avete sentito parlare quando siete stati scortati attraverso Keeper’s Dale.” Galen fece di nuovo per parlare, ma Regis proseguì, cercando di assumere l’aria più severa che il suo viso da cherubino gli consentiva. “Ho sentito voci su voi tre”, disse l’halfling, “che siete giunti qui inattesi - ma non per questo indesiderati! - in un momento di grave pericolo. Prima però di continuare a rispondere alle vostre comprensibili domande, gradirei sapere chi siete veramente e qual è il motivo della vostra visita”. “Sono Galen Firth dei Cavalieri di Nesmé”, si presentò Galen, e il suo riferimento ai cavalieri fece corrugare lievemente la fronte all’halfling. “Sono venuto a pregare Re Bruenor di mandare soccorsi alla mia città assediata. I troll sono usciti dalle loro paludi. Ci hanno messo alle strette!” Regis si accarezzò il mento con una mano e lanciò un’occhiata ai nani Battlehammer, che se ne stavano un po’ in disparte. Nesmé era molto distante; poteva rischiare di mandare qualcuno del Clan Battlehammer così lontano esponendolo a tale pericolo? Fece un cenno a Galen, visto che per il momento non aveva altro da offrirgli. “E voi siete la Sceptrana di Mirabar”, osservò Regis, rivolgendosi a Shoudra. “Così almeno mi hanno detto, anche se ho conservato un ricordo di voi, dai tempi della mia ultima visita nella vostra città.” “I vostri lavori di intaglio sono diventati di moda a Mirabar, mio buon castaldo Regis”, disse Shoudra compita, facendo un profondo inchino. “Shoudra Stargleam, al servizio di Mithral Hall. Questo è il mio assistente, Nanfoodle Buswilligan.” “Al servizio di Mithral Hall?” fece eco Regis. “O venuti a tenere d’occhio i vostri nani ribelli?”

Lo gnomo accanto a Shoudra si irrigidì, ma la donna si prodigò in un sorriso ancora più generoso. “Spero che Torgar stia bene”, ribatté lei e, se anche era seccata per l’esodo di Torgar e del suo gruppo di nani, non lo diede a vedere né con il tono di voce né con l’espressione del viso. “Ma non siete venuti fin qui per unirvi a lui”, commentò Regis. Shoudra ridacchiò a quell’idea apparentemente assurda e disse: “Non sono d’accordo con la scelta di Torgar né con quella di chi lo ha accompagnato lontano da Mirabar, ma sono stata io a convincere il Marchese Elastul a lasciarli partire, poiché questa era la loro decisione. Quando Torgar Hammerstriker e la sua gente se ne sono andati, è stato un triste giorno per noi a Mirabar”. “Essi sono approdati a Mithral Hall”, ricordò Regis, “e Mithral Hall li ha accolti come fratelli. Un forte legame si è stabilito con Torgar e i suoi compagni, fin dal giorno in cui li incontrammo nei territori del nord. Adesso appartengono al Clan dei Battlehammer, sapete?”. “Lo so, e benché questo mi procuri grande dolore, lo accetto”, concluse Shoudra con un altro inchino. “Dunque, perché siete venuti?” “Chiedo scusa, castaldo Regis”, interruppe Galen Firth, “ma non mi sono spinto fin qui per assistere a una discussione su nani smarriti e ritrovati. La mia città è assediata, il mio problema richiede una soluzione urgente”. Alcuni tra i nani che si trovavano in fondo alla stanza cominciarono a borbottare e a strascicare i piedi, visibilmente a disagio, mentre la voce di Galen si alzava progressivamente di tono per la rabbia. “Non potreste continuare la vostra discussione con la Sceptrana Shoudra in un altro momento?” Regis ammutolì e fissò a lungo l’uomo dalla statura imponente. “Ho udito la vostra richiesta”, disse l’halfling, “e sono profondamente dispiaciuto per la situazione che si è venuta a creare a Nesmé. Anch’io ho avuto modo di conoscere le ripugnanti creature dei Trollmoors, essendo passato attraverso quei luoghi durante il nostro viaggio alla riconquista di Mithral Hall”.

Fissò Galen con uno sguardo che non lasciò dubbi circa il fatto che ricordava bene il vergognoso trattamento riservato dai Cavalieri di Nesmé a Bruenor e ai suoi compagni, in quella circostanza ormai lontana nel tempo. “Ma non potete aspettarvi che spalanchi le porte di Mithral Hall e svuoti la fortezza dei suoi soldati, proprio quando ci sono orde di orchi e di giganti che si dirigono su di noi attraverso i territori del nord”, proseguì Regis, lanciando uno sguardo verso i nani e traendo conforto dal loro cenno di assenso. “La vostra situazione e le vostre richieste verranno discusse in dettaglio tra breve, ma prima che questa seduta giunga al termine desidero farmi un’idea precisa dei motivi che vi hanno portato a Mithral Hall, così che possa riferire al consiglio.” “Urge un’azione decisiva!” insistette Galen. “E io non ho il potere di darvi ciò che desiderate!” ribatté Regis alzando la voce. Scese dal trono e si fermò sulla predella, il che gli consentì di guardare l’altro diritto negli occhi. “Non sono Re Bruenor. Non sono re di niente. Sono un castaldo, un consigliere. Discuterò il vostro problema in dettaglio con i nani, i quali sanno meglio di me cosa Mithral Hall può o non può fare per aiutare Nesmé in questo momento di grave necessità, soprattutto adesso che anche noi ci troviamo in difficoltà.” “Quindi, il nostro colloquio è da considerarsi terminato?” domandò Galen, senza battere ciglio mentre incrociava lo sguardo di Regis. “Esatto.” “In tal caso, vi chiederò il permesso di congedarmi”, disse Galen. “Posso perlomeno presumere che Mithral Hall mi offrirà un luogo dove riposare?” Il “perlomeno” fece contrarre le pupille scure di Regis. “Naturalmente”, rispose, sebbene avesse la mascella contratta nel pronunciare quella parola. L’halfling si rivolse verso un lato della stanza e fece un cenno. Due

nani avanzarono ad affiancare Galen. L’uomo fece un inchino sbrigativo e si allontanò, accompagnato enfaticamente dal battito ritmico dei suoi pesanti stivali sul pavimento di pietra. “Teme per il destino della sua città, è comprensibile”, osservò Shoudra, non appena Galen fu uscito. “Già”, convenne Regis. “E capisco le sue paure e la sua impazienza. Ma temo che gli appartenenti al Clan dei Battlehammer non considerino Nesmé proprio alla stregua di una città amica, visto che Nesmé non ha mai dimostrato molta cordialità verso la gente di Mithral Hall. Quando ci mettemmo in marcia per riconquistarla, parecchi anni fa, incontrammo un gruppo di Cavalieri di Nesmé, appena fuori dai Trollmoors. Si trovavano in grave pericolo, assediati com’erano da una banda di abitanti della palude. Bruenor non esitò a correre in loro soccorso, e insieme a lui si precipitarono Wulfgar e Drizzt. In quell’occasione, salvammo loro la vita, e per tutta risposta abbiamo ricevuto un trattamento indegno.” “A causa dell’elfo drow”, disse Shoudra. “Già”, sospirò Regis. Emise un lieve sospiro mentre riprendeva posto sul trono. “Quello non era di per sé un problema. Era accaduto spesso e accadrà di nuovo.” Il palese riferimento all’accoglienza ricevuta alle porte di Mirabar dal convoglio che aveva lasciato le Lande di Ghiaccio, quando a Drizzt Do’Urden fu negato il permesso di entrare in città, provocò lo scambio di un’occhiata un po’ imbarazzata tra i due. “Dopo la riconquista di Mithral Hall, Settlestone fu ricostruita”, proseguì l’halfling. “Dai guerrieri di Uthgardt, non dai nani.” “Ricordo Berkthgar l’Intrepido e la sua gente”, disse Shoudra. “La comunità all’inizio era fiorente”, commentò Regis. “Speravamo tutti che i barbari provenienti dalle Lande di Ghiaccio avrebbero prosperato qui. Ma, sebbene mantenessero stretti contatti con Mithral Hall, i loro prodotti primari - le pellicce - non furono di grande utilità per i nani, che vivevano nelle gallerie sotterranee, dove la temperatura rimane pressoché costante. Se Nesmé, in qualità di territorio più vicino al popolo di Berkthgar, avesse incentivato gli scambi, oggi Settlestone potrebbe ancora essere rigogliosa. Invece, è

solo un’altra città in rovina abbandonata lungo un passo di montagna.” “La vita della gente di Nesmé è difficile”, osservò Shoudra. “Vivono ai margini di pericolose paludi, quasi sempre in guerra. Hanno imparato attraverso tragiche esperienze che, la maggior parte delle volte, se non quasi sempre, devono fare affidamento solo su se stessi. Non c’è famiglia in tutto il territorio che non abbia conosciuto la tragedia di una perdita. Sono molti quelli che hanno avuto almeno uno dei propri cari rapito dagli orribili troll.” “Anche questo è vero”, ammise Regis. “E comprendo. Ma non potevo impegnarmi con Galen. Non ora. Non con Bruenor a un passo dalla fine e con gli orchi che premono alle porte.” “Offritegli un rifugio, allora”, suggerì Shoudra. “Ditegli che se il suo popolo viene sopraffatto, si potrà rivolgere a Mithral Hall, dove troverà amicizia, conforto e riparo.” Regis aveva già cominciato ad annuire persino prima che Shoudra finisse il discorso, poiché era proprio quello che aveva in mente di fare. “Forse potremo anche rimediare alcuni soldati che lo accompagnino a Nesmé”, disse l’halfling. Si fermò un attimo, poi sbuffò. “Eccomi qui, a chiedere consiglio a un visitatore. Ma che bravo castaldo sono!” Shoudra fece per rispondere, ma Nanfoodle la interruppe: “I capi migliori sono quelli che sanno ascoltare molto più di quanto non sappiano parlare”. Le parole suscitarono il sorriso di Shoudra e di Regis, ma l’halfling chiese dubbioso: “E questo dimostra saggezza? O apprensione?”. “Per chi influisce sulla vita altrui con le proprie azioni queste qualità vanno di pari passo”, dichiarò convinto Nanfoodle. Regis rifletté sull’osservazione e ne trasse un po’ di conforto. Anche se il miglior capo che Regis avesse conosciuto altri non era che Bruenor Battlehammer, il quale, se pure aveva provato insicurezza nel prendere una decisione, persino la più audace, di certo non

l’aveva mai dato a vedere.

6

IL TEMERARIO “Si farà ammazzare di sicuro”, mormorò Tarathiel a Innovindil mentre i due elfi dalla flessuosa e snella figura se ne stavano sdraiati su una pietra piatta e sporgente e osservavano Drizzt Do’Urden che stava tornando, più in basso. Il drow zoppicava vistosamente tenendosi una mano premuta sul fianco destro. “La sua cocciutaggine rasenta la follia”, replicò Innovindil guardando il compagno. I loro occhi erano di colore abbastanza simile - un blu profondo - ma, visti nell’insieme dei tratti del viso, sembravano molto diversi, dato che i capelli dell’elfa erano biondi e quelli del maschio neri come l’ala di un corvo. “Non ho mai visto nessuno così straordinariamente.., arrabbiato.” La coppia di elfi stava tenendo d’occhio Drizzt fin dal saccheggio di Shallows. Durante la battaglia, quando Drizzt aveva attraversato le macerie cercando di attirare su di sé l’attenzione dei giganti lanciatori di pietre, Tarathiel e Innovindil erano volati in suo aiuto. Lassù, in groppa ai pegasi, Tramonto e Alba, i due elfi avevano creduto che Drizzt li avesse visti, benché, dopo il fatto, non avesse cercato di rintracciarli. Gli elfi invece c’erano riusciti. Entrambi erano abili segugi e Tarathiel aveva ritrovato Drizzt quasi subito dopo lo scontro fatale, seguendo perlopiù la scia di orchi uccisi che il drow era solito lasciarsi dietro. Nelle settimane successive alla caduta di Shallows, Drizzt aveva attaccato accampamenti e bande di orchi quasi quotidianamente. L’ultimo assalto, contro una delle grandi tribù apparsa di recente sulla scena di Shallows, dimostrava che si stava

facendo più audace, ma in modo pericoloso. Eppure, da quegli scontri usciva sempre vittorioso, il che, agli occhi di Tarathiel e Innovindil, era una cosa stupenda. “Ha perso degli amici a Shallows”, le rammentò Tarathiel. “Gli orchi sostengono che Bruenor Battlehammer sia caduto laggiù.” Innovindil guardò in direzione del guerriero drow. Nel frattempo Drizzt si era spogliato e si stava lavando l’ultima ferita - una delle tante in ordine di tempo - in un piccolo ruscello nei pressi del suo spartano rifugio costruito con sassi impilati l’uno sull’altro. “Non è uno che vorrei avere come nemico”, lei sussurrò. Tarathiel la fissò mentre rifletteva su quelle parole e sulla loro implicazione. Non appena avevano saputo del ritorno di Bruenor Battlehammer a Mithral Hall, insieme a Drizzt Do’Urden, Tarathiel e Innovindil si erano sentiti felici di avere finalmente l’occasione di incontrare Drizzt. Poiché una di loro, la povera Ellifain, era partita alla ricerca del drow per vendicarsi di un’incursione di elfi scuri avvenuta decenni prima, quando era ancora bambina. Durante quell’assalto l’intera famiglia di Ellifain era stata trucidata, e Drizzt Do’Urden figurava tra i razziatori. Ma gli elfi sapevano che Drizzt non aveva preso parte al massacro, anzi, aveva salvato Ellifain cospargendola del sangue della madre e nascondendola dietro al suo cadavere. Per Tarathiel e Innovindil, così come per gli altri elfi di Moonwood, Drizzt Do’Urden era più un eroe che una canaglia, ma la povera Ellifain non era mai riuscita a superare il dolore della perdita, e aveva sempre considerato il nobile ranger nient’altro che un impostore. Sebbene si fossero prodigati tutti per fornire alla piccola un’adeguata educazione e placare la sua ira, un paio d’anni prima Ellifain se n’era andata da Moonwood cercando vendetta. Tarathiel e Innovindil l’avevano inseguita, decisi a fermarla, ma avevano perso le sue tracce a Silverymoon. Tuttavia, Drizzt era di ritorno, ed era decisamente vivo. Cosa poteva mai voler significare per Ellifain? Quando l’avevano trovato, Innovindil aveva pensato di andare dritta da lui a raccontargli ogni cosa, ma Tarathiel, dopo averlo

tenuto d’occhio per un po’, l’aveva dissuasa. Da quel che era dato di vedere, Drizzt Do’Urden sembrava un’entità sconosciuta, una carta fuori dal mazzo, un essere che si teneva in vita unicamente grazie alla propria rabbia e all’istinto di sopravvivenza. Quando se ne andava via la mattina, attraverso l’impietoso terreno disseminato di sassi aguzzi, non indossava neppure gli stivali, e nelle due occasioni in cui Tarathiel l’aveva visto combattere, gli era sembrato di capire che il drow fosse tutt’altro che un guerriero consapevole e prudente. L’aveva visto incassare colpi senza battere ciglio e mozzare le teste dei nemici senza la benché minima esitazione o espressione di rammarico. Per molti versi, il drow gli ricordava l’amica di Moonwood perduta di recente, quella giovane fanciulla elfo talmente accecata dalla collera da non accorgersi di nient’altro. “Dobbiamo parlargli prima che si faccia ammazzare”, disse Tarathiel d’un tratto. Quell’osservazione all’apparenza indifferente, ma pronunciata in modo così realistico, indusse Innovindil a fissare il compagno con occhi meravigliati. Poiché il tono di quelle parole faceva chiaramente capire che Tarathiel considerava quell’eventualità, e cioè il fatto che Drizzt sarebbe stato ucciso, come una cosa ineluttabile. Lui avvertì l’intensità di quello sguardo e rispose con una semplice scrollata di spalle. “Chissà se questa sua caccia viene portata avanti con intenti assassini o suicidi?” chiese Tarathiel. “O forse entrambi?” “In tal caso, dovremmo magari dissuaderlo dal continuare così.” Tarathiel scoppiò in una risatina e lanciò un’occhiata in lontananza, verso Drizzt, che aveva finito di lavarsi e si stava producendo in una serie di stiramenti ed esercizi di equilibrio, concentrandosi soprattutto sul fianco destro ferito, quasi volesse accelerarne la guarigione. “Forse sa di Ellifain”, azzardò Innovindil. “E se l’ha già incontrata e uccisa, che cosa dirà nel vedere noi due che ci presentiamo davanti a lui?”

“Non sei proprio uno sconosciuto per Drizzt Do’Urden”, ribatté Innovindil. “Anni fa, quando era di passaggio a Moonwood, non aveva forse cercato di convincerti della sua onestà? E la dea Mielikki non gli aveva forse fatto visita sotto le sembianze di un unicorno proprio davanti ai tuoi occhi?” Naturalmente era tutto vero, anche se in qualche modo, nel vedere quella creatura piena di rabbia che si esercitava poco lontano, Tarathiel non poteva fare a meno di pensare che non si trattava dello stesso Drizzt Do’Urden che aveva conosciuto un tempo. *** L’equilibrio del corpo era perfetto, non un tremito del muscolo, né un cedimento improvviso del piede sinistro ben piantato a terra. Lentamente, Drizzt fece oscillare la gamba destra, che teneva tesa, facendole eseguire un’intera gamma di movimenti, prima all’indietro e poi in avanti. La tenne ben sollevata, tirando i tendini e i muscoli, mentre si concentrava sul senso di tensione che avvertiva sul fianco destro. Era davvero meravigliato della gravità della ferita riportata in quell’ultima battaglia e temeva di avere qualche osso fratturato. Piano piano, mentre si esercitava, le sue paure però diminuirono. Non notava alcuna difficoltà nei movimenti, se non un semplice dolore, e neppure troppo forte. Per fortuna, era uscito incolume da un altro scontro e, pur avendo provato un fugace ripensamento circa la sua decisione di essersi avventurato nel grande accampamento nemico, il ricordo della scena che si era lasciato alle spalle glielo aveva fatto subito abbandonare. Aveva inflitto agli orchi un colpo che non avrebbero facilmente dimenticato. Ma il Cacciatore sapeva che questo non bastava. Neanche lontanamente. Drizzt alzò lo sguardo al cielo di metà mattina e calcolò quanto

tempo ci sarebbe voluto prima di poter richiamare Guenhwyvar al suo fianco. La pantera aveva bisogno di riposare sul suo Piano Astrale, ma Drizzt sapeva che ben presto sarebbe stata in grado di riprendere la caccia, e quel pensiero suscitò un sorriso maligno sul viso color dell’ebano. Probabilmente gli orchi si stavano affannando a cercarlo e, in tal caso, lui e Guenhwyvar si sarebbero sicuramente imbattuti in alcuni di quei capricciosi esseri, così da poterli uccidere. Alla vista dei due elfi appollaiati in alto su una sporgenza che lo osservavano, l’attenzione di Drizzt fu rapidamente distolta da quel piacevole pensiero. Sì, il Cacciatore sapeva di quei due, poiché, quando Drizzt si trovava in quello stato d’animo particolare, entrava talmente in sintonia con l’ambiente circostante che nulla gli sfuggiva, nemmeno quelle due creature dall’aria furtiva. Non aveva idea di chi potessero essere, ma visto quello che era successo durante l’ultimo, tragico incontro con un elfo di superficie, la prospettiva di quella vicinanza non lo entusiasmava granché. *** “Era drow!” protestò energicamente l’orco. “Me visto drow!” Arganth Snani si portò con un balzo di fronte all’ostinato orco, la grossa collana di denti che ondeggiava selvaggiamente in ogni direzione, arrivando a colpire persino in faccia il poveretto. “Hai visto un drow?” domandò lo sciamano. “Me te l’ho detto!” protestò l’orco. Arganth ignorò la sua replica e si voltò verso gli altri sciamani, che si erano tutti radunati attorno al cadavere di Achtel. “È stato Ad’non Karesee a fare questo?” chiese uno degli sciamani, il volto dai tratti animaleschi colmo d’oltraggio. Arganth si guardò intorno alla ricerca di una risposta, non volendo sminuire il pathos che si era creato dopo l’assassinio: un

mistero che il volubile sciamano voleva utilizzare ai propri fini personali. Dopotutto, Achtel era stata l’unica, tra tutti gli sciamani presenti, a opporsi con pacata cocciutaggine al fatto che Obould avrebbe dovuto essere considerato un tutt’uno con Gruumsh. Non volendo compromettere l’indipendenza della sua potente tribù, Achtel aveva anche tramato alle spalle di Arganth mettendo in dubbio il buonsenso delle sue affermazioni. Adesso, non solo Achtel era morta, ma tutto lasciava intendere che lui fosse il prescelto. Agli occhi di Arganth la risposta era ovvia: l’impudenza di Achtel aveva irritato Gruumsh Occhio-solo, la cui vendetta era stata rapida e irriducibile. Ovviamente, Arganth era anche abbastanza astuto da rendersi conto che, se gli altri sciamani avessero in qualche modo collegato gli amici drow di Obould all’assassinio di Achtel, avrebbero potuto sospettare qualche efferato complotto teso a persuadere attraverso il terrore, il che, dopotutto, era la politica applicata di solito dagli orchi. “Non Ad’non”, osò controbattere il testimone. “Era.., quello.” La voce fattasi all’improvviso rauca nel pronunciare le parole fece chiaramente capire agli altri di chi stesse parlando. Tra le schiere di orchi e giganti usciti dalle loro caverne sulle montagne era circolata la notizia che un drow solitario, un alleato del defunto Re Bruenor, stava agendo di soppiatto alle loro spalle, con effetti devastanti. “Quel Drizzt”, esclamò Arganth in tono basso e minaccioso. “Gruumsh si è servito di un nostro nemico per eliminare una nemica.” “Achtel era nostra nemica?” domandò uno degli altri sciamani. “Achtel aveva negato il congiungimento dello spirito di Gruumsh al corpo di Re Obould”, spiegò Arganth. “È tutto chiaro. Il segnale non può essere ignorato!” Quando lo sciamano arricchì queste divagazioni andando a esporre le proprie aspirazioni politiche, si levarono mormorii tutt’intorno, anche se la maggior parte di quelli che borbottavano faceva cenni di assenso. “Obould è Gruumsh!” osò dichiarare Arganth a quel punto.

Non una parola di protesta gli giunse di rimando. *** “Non spreca davvero il suo tempo”, commentò Innovindil, nel raggiungere Tarathiel al di là di una macchia di alberi che sorgeva sul pendio montuoso prospiciente il luogo eletto a dimora da Drizzt Do’Urden. “Se ne va di nuovo?” domandò Tarathiel, e alzò lo sguardo verso il cielo, vedendo che mancavano ancora un paio d’ore al tramonto. “Credevo che avrebbe voluto riposare a causa del fianco ferito.” “Ha richiamato la pantera”, spiegò Innovindil. Tarathiel annuì e osservò di nuovo il cielo, gli occhi blu che ne riflettevano la luce. “Temo che faccia un grosso errore”, disse l’elfo. “La ferita deve essere più grave di quanto non sembri, visto che fatica a camminare...” Innovindil sguainò la sua spada sottile e scrollò le spalle. Quindi si apprestò a imboccare il sentiero che li avrebbe condotti sulle tracce dell’elfo scuro. “Forse dovrei seguirlo da solo”, dichiarò Tarathiel. “In groppa a Alba.” Innovindil lo fissò con espressione grave. “Tramonto non è ancora pronto a portarti”, disse Tarathiel. “Presto forse, ma non ora.” Innovindil non aveva argomenti validi per controbattere. Nella battaglia contro i giganti a nord di Shallows, il suo pegaso era rimasto colpito a un’ala e aveva riportato una profonda ferita da lacerazione. Tramonto sembrava ormai in via di guarigione, dato che i pegasi erano creature resistenti, ma lei sapeva che l’osservazione di Tarathiel era corretta e che non avrebbe osato chiedere alla sua cavalcatura di salire lassù in cielo, con lei in groppa per di più.

Ma non aveva dall’inseguimento.

alcuna

intenzione

di

essere

esclusa

“Che splendido bersaglio sarai nel cielo pomeridiano”, disse. “O forse starai ancora volando dopo il tramonto, lasciando che il tuo destriero proceda alla cieca in mezzo a speroni rocciosi.” “Temo solo di incontrare la pantera”, spiegò Tarathiel. “Non ci tengo proprio a battermi con quel felino!” “Non succederà se staremo attenti”, insistette Innovindil. Fece un cenno verso il sentiero. In un baleno, Tarathiel le fu accanto e i due si affrettarono, con passi silenziosi e con i sensi ben all’erta. Poco dopo, trovarono tracce di Drizzt e Guenhwyvar. *** Nella zona erano presenti così tanti orchi che Drizzt e Guenhwyvar ne avevano già incontrato un gruppo mentre il sole era ancora alto a occidente. “Gerti dice”, si lamentò una di quelle creature, riempiendo un secchio nell’acqua fredda di uno spumeggiante ruscello di montagna. “Gerti dice!” “Come facciamo a sapere cosa dice Gerti, e cosa dicono i giganti su quello che dice Gerti?” brontolò un altro mentre, anche lui, tuffava con un colpo secco il proprio secchiello in acqua. “Gerti chiacchiera troppo”, fece un terzo cantilenando. “Gerti”, sussurrò Drizzt a Guenhwyvar. “Un gigante?” La perspicace pantera, che sembrava comprendere ogni parola, appiattì le orecchie sul capo. Ritenendo saggio valutare prima la forza del gruppo, Drizzt fece segno a Guenhwyvar di aggirare gli orchi sulla destra mentre lui lo avrebbe fatto sulla sinistra. Di lì a un paio di minuti, subito dopo una curva, il drow si imbatté in una gigantessa dei ghiacci, sdraiata sulle pietre del torrente, col capo reclinato all’indietro, intenta a crogiolarsi al sole del tardo

pomeriggio. Aveva lasciato i pesanti stivali sulla riva, uno ritto e l’altro piegato a metà, accanto all’enorme ascia. Mentre giocherellava con i piedi nudi nell’acqua ghiacciata, pareva dimentica di tutto. Drizzt scorse Guenhwyvar al di là del corso d’acqua e le fece segno, indicando la gigantessa. Il Cacciatore fece ritorno al luogo in cui il gruppo di orchi era ancora al lavoro, occupato a riempire d’acqua una fossa ampia e poco profonda. Là vicino ardeva un falò, circondato da sassi impilati l’uno sull’altro. Di tanto in tanto, un orco assestava un calcio a uno dei sassi roventi e lo mandava a rotolare nella pozza. “Una vasca da bagno?” azzardò Drizzt sottovoce. Il drow accantonò quel pensiero irrilevante e si concentrò sulla sua missione. Si massaggiò il fianco ferito senza accorgersene, intento com’era a sorvegliare la zona circostante prendendo nota di ogni eventuale via di fuga, più per gli orchi che non per se stesso, e scrutando le irregolarità del terreno per capire se altre bande potessero trovarsi nei dintorni. Un ruggito al di là della curva, seguito da un grido di sorpresa, pose fine all’ispezione e fece scattare il Cacciatore verso gli orchi. Gli esseri dai tratti porcini strillarono all’unisono, gettando via i secchi. Uno se la svignò a destra lungo il torrente, ma Drizzt, grazie ai bracciali magici, lo raggiunse in un baleno e lo abbatté. Si voltò rapido quasi inciampando a causa dell’intenso dolore che avvertiva al fianco - e si lanciò all’attacco del gruppo. I due orchi più vicini gli puntarono contro le lance per rallentare la carica, ma lui si lasciò cadere slittando sulle ginocchia davanti a loro, per poi rialzarsi immediatamente prima che potessero centrare il bersaglio. Con un paio di balzi, Drizzt si portò sulla sinistra, mentre gli orchi vibravano un fendente. Ma il Cacciatore si era nel frattempo già buttato nella direzione opposta abbassandosi, il tempo sufficiente a confondere il nemico.

Poi scattò in avanti e assestò un paio di calci a mezz’aria, cogliendo in piena faccia un orco e colpendo l’altro sull’avambraccio, così che l’arma gli cadde di mano. Il Cacciatore atterrò in punta di piedi, e avvertì di nuovo il dolore al fianco. Si produsse subito in una piroetta, roteando le scimitarre attorno a sé. Entrambi gli orchi caddero, il corpo disseminato di tagli color rosso vivo. Il Cacciatore si affrettò verso l’orco successivo. Una torsione, un giro, una finta, seguita subito da un’altra, fecero sì che l’orco si sentisse confuso e sbilanciato, mentre il drow lo superava e, con un rapido movimento del polso e una stoccata di rovescio, gli trapassava le reni. Drizzt proseguì, senza nemmeno rallentare mentre udiva provenire da dietro la curva un tremendo ruggito, accompagnato da un frenetico agitarsi di piedi nell’acqua. Subito dopo comparve la gigantessa, inciampando tra i numerosi sassi viscidi, le mani sul volto per cercare di strapparsi di dosso gli artigli dell’ostinata pantera. Il Cacciatore aveva intanto eliminato un altro orco con un doppio fendente dal basso, che fece vacillare all’indietro il malcapitato per poi farlo ricadere in avanti a causa dell’inevitabile perdita d’equilibrio. Il drow assestò quindi un paio di sciabolate in rapida successione, che andarono a colpire l’avversario sulla faccia e sul collo. Prima ancora che l’orco morente crollasse a terra, il Cacciatore si era già voltato a fronteggiare la gigantessa. Vide Guenhwyvar staccarsi finalmente dal volto lacerato dell’enorme creatura, balzare in aria al di sopra della sua testa e dileguarsi. Udì il suo ruggito lamentoso, di animale ferito, e ne avvertì per un attimo l’agonia. Ma in quel momento era il Cacciatore, non Drizzt, e non cercò immediatamente la statuina d’onice per far sì che il felino sofferente tornasse al suo Piano Astrale per risanarsi. Approfittò invece delle diminuite difese della gigantessa, chiaramente accecata e sfigurata in modo orribile, e si accanì sferrandole sciabolate sul ventre e sulla schiena, mentre le girava intorno per disorientarla. Sempre in posizione di vantaggio, colpì ancora e poi ancora, e quando l’ostinata gigantessa si lasciò infine cadere sulle ginocchia nell’acqua

del torrente, il Cacciatore intensificò gli attacchi con rinnovata ferocia, mirando al collo. Il sangue sgorgava a fiotti, suscitando in lui una rabbia ancora più profonda. Colpì e squarciò con impeto, non fermandosi neppure dopo che l’avversaria era stramazzata a faccia in giù nell’acqua. Quello che succedeva tutt’intorno non aveva importanza. Vide Ellifain che cadeva sotto il fendente di una scimitarra, vide Bruenor precipitare con la torre in fiamme. E lottò contro quelle immagini con tutto lo spirito e il coraggio che aveva in corpo, le cacciò via accanendosi con le scimitarre contro lo spesso cranio della gigantessa. Lei divenne il punto focale di tutta la sua rabbia; durante quei pochi attimi di pura intensità, Drizzt Do’Urden si sentì affrancato dal proprio turbamento interiore. Ma il lamento di Guenhwyvar ferita lo distolse da quella frenesia e gli si insinuò nel profondo del cuore come una pugnalata, richiamandolo alla realtà. La pantera giaceva sull’argine opposto del torrente, lottando con le zampe anteriori per sottrarsi alla forte corrente, mentre gli arti posteriori giacevano inerti e rattrappiti, il bacino evidentemente fratturato a causa della feroce presa della gigantessa. Alle spalle della pantera stava sopraggiungendo un altro gruppo di orchi, le lance alzate e già in procinto di esserle scagliate contro. “Torna a casa, Guen”, sussurrò piano Drizzt estraendo la statuetta d’onice dalla borsa appesa alla cintura. Sapeva che sarebbe guarita se fosse tornata sul suo Piano Astrale, sapeva che nessun danno provocatole nel mondo di lui avrebbe potuto farle davvero male. Ma ciò non impediva che lei provasse dolore, una bruciante sofferenza che faceva arrivare il suo lamento dritto al cuore di Drizzt. Una lancia si librò in aria diretta verso il bersaglio. Ma vi passò attraverso, mentre l’immagine della pantera sbiadiva e diventava una turbinante nebbia grigia che si allontanava e svaniva. Gli orchi deviarono la loro corsa puntando sul drow, fermo al centro della corrente. Dapprincipio, Drizzt li udì appena, avendo

ancora nelle orecchie il gemito di Guenhwyvar, avvertendo ancora il peso della sua pena. Alzò lo sguardo sugli orchi che si avvicinavano e cercò di usare quello spasimo per riappropriarsi della propria rabbia, per trasformarsi di nuovo nel Cacciatore. Dietro di sé, udì approssimarsi altri compagni di quegli esseri brutali. Impugnò le scimitarre; nel guardarsi intorno, si rese conto di quanti fossero. Forse troppi. Il Cacciatore si limitò a sorridere.., poi partì alla carica attraverso una pioggia di lance, le due lame che fendevano l’aria per deviarne la traiettoria. Si scansava e girava su se stesso, i sensi all’erta per capire quando, anche senza vedere, una di quelle armi l’avrebbe colpito, così da poter schivare il colpo senza perdere il proprio perfetto equilibrio. Guadò il torrente camminando su alcuni massi viscidi, i piedi nudi che non vacillarono nemmeno di un millimetro mentre procedeva. Atterrò con un balzo sulla sponda sabbiosa disseminata di sassi, poi si buttò di lato con una capriola, si rialzò e fece un altro salto. Attraversò le schiere degli orchi usando le scimitarre per aprirsi un varco. Le mani si muovevano rapidissime, mentre i piedi lo facevano avanzare e schivare di lato, ogni passo veloce e sicuro, il peso del corpo che si spostava senza fatica grazie alla spinta delle gambe. L’impeto che lo guidava diminuì solo gradualmente, e lui continuò a correre per molto, molto tempo. Ma in ogni angolo c’erano orchi che lo attaccavano, che agitavano mazze e spade e gli scagliavano addosso lance. Lampo e Mortegelida si abbatterono ripetutamente contro metallo e legno, buttando a terra o scagliando in aria lame, oppure deviandone la traiettoria così che Drizzt potesse passare. Ma gli orchi non si dimostrarono né stupidi né codardi. Nonostante le perdite subite, mantennero la loro formazione, agendo di comune accordo all’interno dei vari gruppi per precludere al nemico solitario ogni possibile via di fuga. Infine, l’esausto drow si trovò in un avvallamento poco profondo, sopra una costa sabbiosa a venti piedi dal torrente.

Circondato dagli orchi, seppure a una certa distanza, assunse una posizione di difesa, con le scimitarre pronte a intercettare qualsiasi arma. Uno degli orchi latrò un ordine, qualcosa che sembrava voler significare: “Arrenditi!”. Il Cacciatore decise che quell’orco sarebbe morto per primo. Si posizionò meglio. Gli orchi tutt’intorno finsero un attacco, tenendosi però ben stretti in formazione. Il Cacciatore aspettava che si muovessero per primi, per individuare un punto debole. Ma gli orchi non ne avevano la minima intenzione. Il Cacciatore balzò di lato verso le file nemiche, facendo roteare rapido le scimitarre. Ma gli orchi si mantennero saldi, le loro difese compatte e coordinate. Riprovò di nuovo e fu di nuovo respinto. Dai loro ampi sorrisi zannuti, capì che stavano acquisendo sicurezza e si rese anche conto che quella sicurezza era ben giustificata. Erano in troppi. La sua rabbia l’aveva cacciato in una situazione al di là delle sue possibilità. Se solo si fosse aperto un varco! Nell’udire una certa agitazione di lato si voltò, le armi a mezz’aria per difendersi. Ma vide che gli orchi non erano sul punto di assalirlo, anzi, non erano neppure più rivolti verso di lui. Rimase a guardare confuso quanto loro, mentre i guerrieri delle file più arretrate venivano travolti dagli altri che si facevano strada per scansarsi. Tra di essi si aprì un passaggio e davanti al Cacciatore, nella valletta, comparvero due figure sottili. La coppia, che indossava bianche tuniche e calzoni marrone chiaro con svolazzanti mantelle verde foresta, avanzava fianco a fianco, l’uno appoggiato all’altro per mantenere il proprio equilibrio mentre si facevano strada in mezzo a un vortice di spade balenanti. Capelli lunghi e folti, biondi e neri, ondeggiavano sulle spalle degli sconosciuti mentre questi procedevano incrociando ripetutamente i propri passi, pur restando sempre vicini, ognuno impostando le proprie angolazioni d’attacco in modo indipendente, ma in perfetta armonia con i movimenti e le decisioni dell’altro.

Uno di essi si girò abbassandosi, e gli orchi più vicini reagirono di conseguenza, tranne che l’elfo (poiché Drizzt aveva capito che si trattava proprio di elfi di superficie) si portò semplicemente oltre, mentre il compagno li colpiva aprendosi un varco tra le loro difese. Si udirono orchi gridare e si videro orchi stramazzare a terra, mentre altri stavano spingendo per entrare nella mischia. Anche questi ultimi vennero abbattuti. Il Cacciatore si costrinse a distogliere lo sguardo da quello stupefacente spettacolo, una danza così perfetta e aggraziata, quale non aveva mai visto prima. Girò di proposito le spalle alla coppia che piroettava, per evitare di essere distratto, e si concentrò sugli orchi più vicini, che però all’improvviso, e a ragione, sembrarono più interessati a darsela a gambe. Ne colpì alcuni uccidendoli e ne mise in fuga molti altri, che se ne corsero via ululando attraverso la valle. Una volta svanita la minaccia e vinta la battaglia, egli si rivolse agli sconosciuti soccorritori, accennando a un saluto con una delle due scimitarre. L’elfo maschio, poiché di una coppia si trattava, col respiro affannoso ma con un cordiale sorriso sul volto, rispose al saluto con la propria spada insanguinata. E, a questo punto, sconvolse quasi il drow dicendogli semplicemente: “Sono lieto di incontrarti di nuovo, Drizzt Do’Urden”.

7

OLTRE I CONFINI DEL TEMPO Ho sentito parlare della vostra fortezza”, disse Nanfoodle a Nikwillig. Lo gnomo si stava aggirando nelle terre al di là delle porte occidentali di Mithral Hall quando si imbatté in quell’altro ospite dei Battlehammer, seduto su una pietra piatta. Dal punto in cui si trovavano, potevano udire il clamore della battaglia, al di sopra di loro, a nord. “Il mio parente, Tred, adesso è lassù”, osservò Nikwillig. “Siete in pensiero per lui?” chiese lo gnomo. “Per Tred?” rispose ridendo l’altro. “Nah! Nemmeno per sogno. Il mio nome è Nikwillig, mio piccolo amico, e voi chi siete?” “Nanfoodle Buswilligan al vostro servizio, mio buon nano”, replicò lo gnomo con un inchino educato. “Ospite di Mithral Hall, proprio come voi.” “Venite da Silverymoon?” “Da Mirabar”, ribatté Nanfoodle. “Sono l’alchimista capo del Marchese Elastul.” “Alchimista?” fece eco Nikwillig, lasciando chiaramente intendere dal tono di voce che non teneva in gran conto quella particolare arte. “Be’, che ci fa un alchimista in giro per il mondo?” La domanda fece suonare un campanello d’allarme nella testa di Nanfoodle e gli rammentò che forse non avrebbe dovuto essere così socievole, vista la sua missione. Di certo. Torgar e gli altri di Mirabar conoscevano la verità circa la sua visita, ma perché mai diffondere la

notizia ai quattro venti? “Credo che il vostro Marchese avrebbe fatto meglio a mandarci un consulente bellico”, aggiunse il nano. “Ah, ma non sapevamo che Mithral Hall fosse in guerra”, ribatté Nanfoodle e, quasi per caso, in quell’istante, si udirono risuonare i corni sulla montagna, seguiti dalle acclamazioni crescenti di un’altra carica nanesca. “Sono giunto qui con la Sceptrana, dopo l’esodo di molti dei nostri concittadini.” “Ne ho sentito parlare”, commentò Nikwillig. Si voltò verso la montagna alle sue spalle e annuì. “Torgar e i suoi ragazzi sono lassù adesso, da quel che mi hanno detto.” “E rendono orgogliosa Mirabar, sebbene ora non le appartengano più.” “Siete venuti a ricondurli indietro, non è vero?” Nanfoodle scosse il capo. “Siamo venuti a trovarli”, precisò lo gnomo. “Ad assicurarci che fossero arrivati qui sani e salvi e che avessero ricevuto una buona accoglienza. Ci sono dei ponti da ricostruire: l’ostilità non è utile né a Mirabar né a Mithral Hall.” Nanfoodle si augurava davvero di poter credere alle parole che stava pronunciando! “Ah”, borbottò Nikwillig. “Allora non c’è di che preoccuparsi. Non ci sono ospiti migliori in tutto il mondo di Re Bruenor e della sua famiglia, a meno che uno non si rechi a Citadel Felbarr e alla corte di Re Emerus Warcrown.” “Hanno trattato bene voi e i vostri amici?” “Come credete che Re Bruenor si sia ridotto in quelle condizioni?” disse Nikwillig. “Stava cacciando la banda di orchi e giganti che aveva colpito me e Tred. Una cosa è certa: li abbiamo ripagati a dovere, anche se alla fine erano arrivati troppi orchi puzzolenti sul campo di battaglia. Eh sì.., non c’è amico più fidato di Bruenor Battlehammer.”

“Come reagirà il vostro re a questo attacco?” domandò Nanfoodle sinceramente incuriosito. Lo gnomo aveva sempre apprezzato i legami esistenti tra i nani ed era stato tra i più solleciti a criticare il trattamento riservato dal Marchese Elastul e dai suoi consiglieri a Torgar Hammerstriker. Nanfoodle si commosse nell’udire quel nano di Citadel Felbarr, la roccaforte più vicina a Mithral Hall - e certamente sua rivale per quanto riguardava gli scambi commerciali - parlare così bene di Bruenor e della sua gente. Lo gnomo lanciò un’occhiata all’alta montagna e pensò che Tred era lassù, e anche Shingles McRuff, senza dubbio a battersi con lo stesso fervore che avrebbero dimostrato nel difendere Mirabar. Nanfoodle stava per fare un’altra domanda, ma il nano si era rizzato in piedi all’improvviso, lo sguardo rivolto a un punto oltre le sue spalle. Nikwillig superò d’un balzo lo gnomo per intercettare un nano che indossava una lunga veste. “Allora? Come sta Re Bruenor?” domandò Nikwillig. “Sei stato da lui?” Il nano, giovane d’aspetto ma con un’aria stanca ed esausta, raddrizzò le spalle e infilò la barba scura nella fascia che portava in vita. “Salve, Nikwillig di Citadel Felbarr”, rispose. “Questo è il mio nuovo amico Nanfoodle”, presentò Nikwillig, spingendo avanti lo gnomo. “Sì, certo, di Mirabar”, replicò il nano, prendendo tra le sue la minuscola mano di Nanfoodle e salutandolo con una salda stretta. “Cordio Muffinhead al vostro servizio.” “Sacerdote di Moradin”, osservò lo gnomo, e Cordio si inchinò profondamente. “E per rispondere alla tua domanda, Nikwillig, sì, sono appena stato al capezzale di Re Bruenor dove anche oggi, purtroppo, io e molti altri abbiamo dato fondo ai nostri poteri magici.”

“E avete ottenuto risultati positivi?” chiese Nikwillig. “Così avevamo sperato”, rispose lo scoraggiato sacerdote. “Re Bruenor ha pronunciato alcune parole e ci ha indotti a pensare che avesse ripreso conoscenza. Ma abbiamo capito che stava chiamando suo padre e il padre di suo padre, mettendoli in guardia contro le ombre.” “Le ombre?” interloquì Nanfoodle. “Forse il drago dell’ombra”, aggiunse Cordio. “Re Bruenor stava vagando nel passato”, spiegò Nikwillig. “Molto lontano nel passato, prima che il Clan Battlehammer fosse cacciato da Mithral Hall e costretto a vagabondare e a stabilirsi nelle Lande di Ghiaccio.” “Dove sono nato io”, disse Cordio. “Non avevo mai sentito parlare di Mithral Hall finché Re Bruenor non la riconquistò. Che battaglia! Vi ho preso parte dall’inizio alla fine, combattendo proprio accanto a Dagnabbit, il giovane guerriero più valoroso di tutto il clan.” “Dagnabbit è caduto a Shallows”, spiegò Nikwillig a Nanfoodle, e lo gnomo fece un cenno deferente del capo all’indirizzo di Cordio. “In quel giorno buio mi è venuto a mancare un buon amico”, ammise Cordio. “Ma ci ha lasciati combattendo gli orchi: nessun nano potrebbe desiderare un modo migliore per andarsene.” Cordio si voltò allontanandosi dalla pietra piatta. Là intorno c’erano molti altri nani, tutti addetti al trasporto delle provviste: alcuni si stavano arrampicando su per le scale di corda che conducevano all’altopiano occupato da Banak Brawnanvil e dai suoi ragazzi, altri si stavano dirigendo verso ovest, a un gruppo incaricato di scavare trincee per la difesa di Keeper’s Dale. Altri nani ancora stavano scendendo dalla parete a picco a nord trasportando i morti e i feriti. “Queste terre hanno conosciuto una storia lunga e sanguinosa”, osservò Cordio. “Molti nani sono stati uccisi qui.” “Ma ancora più numerosi sono stati gli orchi”, ricordò Nanfoodle. “E i goblin.” Queste parole riportarono un sorriso sul

volto dello stanco sacerdote, e Nikwillig batté un colpetto amichevole sulla spalla di Cordio. Ma il maggior numero di perdite che i nani di Mithral Hall hanno conosciuto, nello stesso posto e in una sola volta, si è avuto proprio qui dove siete seduto”, spiegò Cordio a Nanfoodle. “Nel combattimento contro i drow?” domandò Nikwillig. “Nah”, rispose il sacerdote. “Ben prima. Molto prima dei tempi del padre del padre di mio padre. Vi parlo di quando Gandalug era appena un ragazzo.” Quella notizia fece spalancare gli occhi ai due ascoltatori. Gandalug Battlehammer era diventato una vera leggenda a Mirabar e a Citadel Felbarr, e dovunque al nord. Era stato il fiero e onorato re di Mithral Hall secoli prima, ma fu imprigionato a causa di un sortilegio e finì tra le grinfie della Madre Matrona Baenre di Menzoberranzan. Quando, una decina d’anni prima, i drow avevano attaccato Mithral Hall, Bruenor aveva ucciso la Matrona Baenre e liberato Gandalug. E Bruenor era tornato nelle Lande di Ghiaccio, che sono state la sua dimora per secoli, restituendo Mithral Hall al suo antenato. “Gandalug mi ha raccontato molte cose di quegli anni”, continuò Cordio Muffinhead, gli occhi grigi che sembravano guardare lontano, attraverso spazio e tempo. “Passeggiavamo spesso insieme qui, a Keeper’s Dale. La valle non era così quando lui era piccolo, ma tutto questo...” Fece una pausa e con un gesto delle corte braccia comprese l’intera vallata rocciosa. “Tutto questo costituiva la via d’accesso principale di Mithral Hall, e che via d’accesso! Con grandi torri...” Rise e indicò, tra gli obelischi di cui era disseminato il terreno di Keeper’s Dale, quelli più vicini. “Dovete sapere che ciascuno di questi obelischi era coperto di sculture. Magnifiche sculture. Antiche battaglie, persino la scoperta di Mithral Hall. Adesso sono sparite: il vento le ha portate via e sparpagliate ai confini del tempo. “Come i morti, sapete? Dispersi e spariti, quando ci si dimentica di loro.” Cordio fece una risatina e aggiunse: “Non credo che lascerò mai andare via in questo modo Gandalug o Dagnabbit!”. Nanfoodle sedeva in silenzio, osservando quello strano nano e il

palese effetto che le sue parole stavano producendo su Nikwillig. Il legame tra quei due colpì profondamente lo gnomo. Solido come una stretta di mano nanesca, pareva, o come un boccale di quell’idromele che i nani facevano passare per acqua santa. Nikwillig domandò cosa avesse potuto causare la completa distruzione di una zona grande come Keeper’s Dale e Nanfoodle, guardandosi attorno, rimase soprattutto stupito dell’assenza di macerie o di muri diroccati. “Volo di draghi?” azzardò Nikwillig, ma Nanfoodle intervenne con un “no” persino prima che Cordio potesse rispondere. Entrambi i nani fissarono lo gnomo. “Conoscete la storia?” chiese Cordio. “Avevano gallerie sotterranee”, concluse Nanfoodle. “Miniere. E a un certo punto si imbatterono in aria calda.” Non aveva bisogno di spiegare ai due, che avevano trascorso anni a lavorare sottoterra, il pericolo e le potenziali catastrofi causate dall’“aria calda”, o dai depositi naturali di gas. Qualunque nano avrebbe potuto dissertare per ore circa i pericoli che si potevano incontrare nelle loro gallerie o nelle viscere del Buio Profondo, dai goblin alle belve distorcenti, ai drow fino ai draghi dell’ombra. Pochi tuttavia parlavano apertamente dell’aria calda, dato che non si trattava di qualcosa che si potesse abbattere con un martello o smembrare con un’ascia. Nanfoodle riusciva solo a immaginare l’entità della catastrofe che aveva trasformato Keeper’s Dale. Doveva essersi trattato di un flusso d’aria enorme, per arrivare fin lassù, e doveva essere avvenuto tutto in un tempo talmente breve che nessuno se ne era reso conto finché non era stato troppo tardi. Lo gnomo poteva raffigurarsi quegli ultimi frenetici momenti: magari i nani, alla fine, avevano individuato l’assassino invisibile. E l’esplosione, uno spostamento d’aria arancione fiammeggiante e il crepitio della pietra che si frantumava in mille pezzi. Tutto il terreno intorno a Keeper’s Dale era disseminato di massi. Nanfoodle ora comprendeva meglio cosa li avesse portati là. “Sotto Keeper’s Dale adesso non ci sono miniere”, disse Cordio

Muffinhead. “Le abbiamo chiuse secoli fa. Sigillate per bene!” Nanfoodle fece un cenno d’assenso. Prima di uscire aveva gironzolato per la grande Città Sotterranea di Mithral Hall, con le sue file di fucine e gli innumerevoli ingressi per i carretti colmi di minerali estratti dai pozzi ancora in funzione. Laggiù c’erano molte mappe, vecchie e nuove, e, nel ripensare a qualcuna, Nanfoodle ebbe davvero l’impressione che le porte occidentali di Mithral Hall fossero il punto più a ovest, sia sottoterra che in superficie. I loro pensieri furono interrotti da rinnovate grida e clamori di battaglia provenienti dall’altopiano a nord. Cordio Muffinhead lanciò un’occhiata da quella parte ed emise un profondo sospiro. “Devo andare a riposare”, dichiarò. “Tra non molto, temo, saranno di nuovo richiesti i miei servizi.” “Dannati orchi”, borbottò Nikwillig. Nanfoodle osservò a lungo il nano di Felbarr, poi si avviò con disinvoltura verso i cancelli che l’avrebbero riportato a Mithral Hall. Si diresse alla volta della Città Sotterranea e delle sue mappe, che desiderava consultare più in dettaglio dopo aver sentito il racconto di Cordio. *** Più tardi, quello stesso giorno, Regis fu sorpreso nel vedere Torgar Hammerstriker in attesa di un’udienza. “Salute, castaldo”, lo ossequiò il nano di Mirabar con un profondo inchino. “La battaglia sta procedendo bene?” Torgar si strinse nelle spalle e replicò: “Mi sa che gli orchi, in realtà, non mirano tanto a noi quanto ad abbattere le nostre difese e a impedirci di scavare in profondità”. “In attesa degli alleati”, concluse Regis, guadagnandosi un cenno di assenso da parte di Torgar. “Una banda di giganti è stata vista venire da questa parte.”

“Mi sorprende che tu abbia abbandonato la battaglia.” “Solo per un po’”, disse Torgar. “Solo per vederti da solo. Al calare della sera, farò spostare i nani di Mirabar sul fianco sinistro dello schieramento di Banak. Dovremo difendere le gallerie che stanno sotto lo sperone montuoso.” “Abbiamo disposto quante più protezioni possibili nella zona occidentale di Keeper’s Dale”, spiegò Regis. “Tutti i nani, tranne quelli indispensabili a Mithral Hall, sono fuori in prima linea adesso, ma ne potrei mandare ancora. Ci sono giunte notizie di disordini a Nesmé, non troppo lontano da qui, a sudovest, da dove si dipartono gallerie collegate alle nostre miniere.” “Bisogna proteggere la fortezza a ogni costo”, convenne Torgar. “I guerrieri là fuori sono pronti a rientrare di corsa, se occorre.” Regis reagì a tale affermazione con un caloroso sorriso, poiché era davvero felice di sentire che la sua decisione veniva approvata. Si sentiva oppresso dal peso del mantello di castaldo, benché si rendesse conto che, in assenza di Bruenor, i veri capi di Mithral Hall, i temprati nani Battlehammer, non l’avrebbero lasciato agire se non fossero stati d’accordo. “E sono venuto quaggiù per discutere con te circa le protezioni di cui dotare la fortezza”, proseguì Torgar. “Hai ricevuto altre visite da Mirabar, o perlomeno, così mi è stato detto.” “La Sceptrana in persona e uno gnomo suo compagno”, confermò Regis. “Brava gente, perlopiù”, commentò Torgar. “Ma ricordati che Mirabar è in difficoltà, adesso che i miei compagni e io siamo partiti. Nanfoodle è scaltro e Shoudra dispone di poteri magici.” “Credi che siano stati mandati qui per altri scopi, diversi da quelli di assicurarsi che voi stiate bene?” “Non spetta a me sapere”, ammise Torgar. “Ma quando ho sentito da Catti-brie che quei due erano arrivati, la prima cosa che ho pensato era che fosse opportuno tenerli d’occhio.” “Da lontano”, convenne Regis, e Torgar annuì di nuovo. “Qualunque cosa tu ritenga sia meglio fare, castaldo Regis”, disse,

e l’halfling riuscì a malapena a impedirsi di trasalire nell’udire l’altro rivolgersi a lui con quel titolo. “Ho pensato che sarebbe stato meglio venire di persona a dirti questo.” “E te ne sono grato, Torgar”, Regis replicò rapido. “Più di quanto tu non possa immaginare. Tu e i tuoi ragazzi di Mirabar vi siete già dimostrati veri amici e credo che Bruenor avrà parecchio da dirvi quando riprenderà conoscenza. Dopotutto, gli piace dare il benvenuto di persona ai nuovi membri del suo clan.” Nel vedere il volto barbuto di Torgar illuminarsi in un sorriso, Regis capì di essersi espresso nel modo giusto. Il nano annuì e si inchinò, quindi si allontanò lasciando Regis con il suo avvertimento. Che fare riguardo a Shoudra e a Nanfoodle? si chiese l’halfling. Regis era rimasto colpito dalla loro cordialità e schiettezza quando li aveva incontrati, e di certo sembravano persone abbastanza ragionevoli. Ma il castaldo di Mithral Hall non poteva ignorare la possibilità di ricevere un danno da quella visita, non se tale danno avrebbe potuto rivelarsi del tutto disastroso per il Clan Battlehammer. *** “Capisci, vero, che non sei venuto da solo fin qui?” disse Shoudra Stargleam, in tono di rimprovero, quando raggiunse lo gnomo nelle gallerie della Città Sotterranea. Tutt’intorno si udiva il frastuono dei martelli mentre l’aria, fastidiosamente calda, era satura di fumo, dato che le fornaci funzionavano a pieno ritmo e ogni incudine era incandescente per il gran lavoro. In un angolo, grandi pietre da cote ruotavano senza sosta, e su di esse venivano fatte passare l’una dopo l’altra le lame delle armi per affilarle, così che potessero subito essere riconsegnate ai guerrieri impegnati nella battaglia contro gli orchi. “Sono abbastanza discreti”, replicò lo gnomo riferendosi ai due nani che avevano seguito in silenzio ogni sua mossa attraverso le gallerie.

Nanfoodle si asciugò il sudore dalla faccia, poi si tolse la veste rossa e cominciò a ripiegarla. Accorgendosi che della fuliggine si era già depositata sul tessuto, arricciò il lungo naso e cercò di ripulirla con la mano, poi rovesciò la veste sul lato marrone, più consunto. “Potevamo aspettarci qualcosa di diverso?” “Certamente no”, convenne Shoudra. “Di sicuro non mi lagno del trattamento che ci è stato riservato qui. Il castaldo Regis è un ospite squisito. Ma se dobbiamo portare avanti la nostra missione sarà necessario ricorrere a qualche sortilegio, cosa che non sarà difficile da attuare.” La Sceptrana serrò gli occhi mentre osservava l’espressione stizzita di Nanfoodle. Con una scrollata di spalle, lo gnomo proseguì per la sua strada, seguito a breve distanza da Shoudra. “Perché qui?” chiese lei. “Non avremmo una migliore opportunità nelle camere di trasferimento inferiori, dove il metallo già separato aspetta di essere trasportato in superficie?” Nanfoodle non abbandonò la sua aria seccata e accelerò il passo. “O hai forse dimenticato il motivo della nostra visita a Mithral Hall?” domandò Shoudra senza mezzi termini. “Non ho dimenticato un bel niente”, rispose brusco Nanfoodle. “Ci hai ripensato, allora?” “Hai notato l’accoglienza che Mithral Hall ha riservato a Torgar e agli altri?” “Regis ha bisogno di guerrieri”, ribatté Shoudra. “Torgar gli è molto utile.” Nanfoodle si fermò di botto e la fissò severo. La Sceptrana esibì un sorriso impotente. Certo, sapeva che lo gnomo aveva ragione. Torgar e gli altri nani di Mirabar rappresentavano un aiuto alla causa dei Battlehammer, un aiuto vitale, ed era proprio questo ruolo che confermava il ragionamento di Nanfoodle. Il clan di Bruenor aveva accolto i nani di Mirabar fidandosi della loro parola e del loro onore, senza discutere. E non si trattava certo di cosa da poco, soprattutto in tempi pericolosi come

quelli che stavano vivendo. “Ho sentito che ti sei fatto un amico tra gli altri ospiti di Mithral Hall”, osservò la donna mentre Nanfoodle riprendeva ad avanzare. “Nikwillig, di Citadel Felbarr, di sicuro una città rivale di Mithral Hall quanto lo è Mirabar”, spiegò lo gnomo. “Hai sentito la sua storia?” “Mi dirai che Bruenor è caduto mentre cercava di vendicarlo”, tirò a indovinare Shoudra. Nel frattempo erano giunti a un grosso tavolo in pietra e legno, che sul lato anteriore presentava una fila di nicchie, ciascuna delle quali aveva una pergamena arrotolata al suo interno. Nanfoodle si chinò a leggere le targhette, poi estrasse una mappa e la srotolò sul piano in pendenza del tavolo. Dopo averla scorsa rapidamente, sospirò con aria insoddisfatta e si chinò a cercare un’altra mappa. “Nessuno è più bravo di loro a forgiare la lama di un’ascia, ma in quanto a disegnare anche una semplice mappa, be’, lasciano molto a desiderare!” si lamentò. Shoudra lo toccò sulla spalla per richiamare la sua attenzione. “Ricorda che ci osservano”, disse. “Sicuro.” “Allora, mi vuoi dire cosa stai facendo?” Nanfoodle estrasse la seconda mappa e si raddrizzò, allargandola su quella che stava già sul tavolo. “Sto cercando di capire come posso aiutare la causa del Clan Battlehammer”, rispose lo gnomo in tono pratico. Shoudra sbatté la mano sul tavolo, proprio al centro della mappa. “Bruenor ha combattuto per i nani di Felbarr”, ribatté lo gnomo. “Bruenor in persona! Ha combattuto per un rivale. Il Marchese Elastul farebbe mai una cosa del genere?” “Sta forse a noi giudicare?” “Perché no?” Shoudra fissò con sguardo truce il minuscolo compagno, o

perlomeno cercò di farlo, poiché trovava difficile sostenere il proprio punto di vista e la missione che era stata loro affidata. Infatti, erano stati inviati a Mithral Hall con il compito di danneggiare i loro minerali con gli intrugli alchimistici di Nanfoodle, così che il materiale prodotto dal Clan Battlehammer risultasse di qualità più scadente. In tal modo, la reputazione di Mithral Hall presso i mercanti del nord si sarebbe indebolita consentendo a Mirabar di approfittarne nei propri scambi commerciali. “Quanto riusciamo a essere meschini noi due, Shoudra?” chiese piano Nanfoodle. “Il Marchese mi paga bene, questo è vero, ma come posso ignorare ciò che vedo intorno a me? Questi nani si stanno comportando con grande correttezza, non dimentichiamolo. Hanno accolto Torgar e i due ribelli di Felbarr a braccia aperte.” “Perché si tratta di nani come loro”, fu la scettica risposta. “E quando si tratta di gnomi, e di Sceptrane?” ribatté Nanfoodle. “Cerca di paragonare l’ospitalità che ci è stata prodigata qui a quella che Elastul aveva riservato a Re Bruenor.” “Stai cominciando ad assomigliare un po’ troppo a Torgar Hammerstriker nel parlare”, osservò la donna dall’alta statura e dal bell’aspetto. “Non mi sembravi in disaccordo con Torgar.” “Non per quanto riguardava la sua accoglienza a Re Bruenor”, ammise Shoudra. “Ma la sua partenza da Mirabar? Su quello non sono davvero d’accordo, Nanfoodle. Non credere che non sia grata del benvenuto che ci è stato accordato, e non provo risentimento verso Bruenor e il suo clan, ma sono innanzitutto e soprattutto la Sceptrana di Mirabar, ed è a Mirabar che va la mia lealtà.” “Non chiedermi di rovinare il loro metallo”, supplicò Nanfoodle. “Non ora.., ti prego.” Shoudra lo fissò a lungo, poi fece un passo indietro, togliendo la mano dalla mappa. “No, certo che no”, concesse, e Nanfoodle tirò un sospiro di sollievo. “Il nostro operato non solo li colpirebbe nei loro commerci ma

comprometterebbe la vita dei molti nani impegnati a combattere quegli abominevoli orchi. Elastul sarebbe sicuramente d’accordo con noi per rimandare la missione.., almeno per il momento.” Nanfoodle annuì e sorrise, anche se la sua espressione fece capire a Shoudra che lui, al pari suo, non credeva per niente a quell’ultima affermazione. Shoudra sapeva - e ciò le procurava molto dolore che il Marchese Elastul avrebbe insistito ancora di più nel danneggiare le miniere, se avesse pensato che il danno avrebbe determinato una catastrofe persino maggiore a Mithral Hall. “Allora si può sapere cosa stai cercando e cosa hai in mente di fare?” chiese allo gnomo, scrutando la mappa al di sopra della sua spalla e riconoscendo subito le terre più occidentali di Mithral Hall, l’accesso a Keeper’s Dale e alle gallerie sotterranee. “Ancora non lo so”, ammise Nanfoodle. “Ma in base a ciò che riuscirò a scoprire escogiterò un modo per usare le mie conoscenze a beneficio della causa.” “Per farti fare una offerta migliore da Re Bruenor?” domandò Shoudra con un sorriso beffardo. Nanfoodle fece per protestare, ma notò la sua espressione. “Sono qui solo da un paio di giorni, ma mi sento più a casa a Mithral Hall di quanto mi sia mai sentito a Mirabar”, confessò. Shoudra non replicò. Non si sentiva molto attratta da quel luogo, visto che era tutto sottoterra, ma di certo comprendeva i sentimenti dello gnomo. “Dovresti cercare con me”, disse Nanfoodle riportando la sua attenzione sulla mappa. “Le tue arti magiche potrebbero essere di grande aiuto al Clan Battlehammer in questi tempi oscuri.” Ancora una volta, nonostante tutto, Shoudra non replicò. *** Esausta e con innumerevoli nuove ferite da curare, Catti-brie aveva appena fatto ritorno a Mithral Hall quella notte, quando udì il

trambusto creato dai sacerdoti che accorrevano al capezzale di suo padre. La giovane lasciò cadere il mantello, l’arco e persino il cinturone che reggeva la spada sul pavimento dell’ingresso e si precipitò al loro seguito. Intorno al letto trovò un gruppetto di sacerdoti e Pikel Bouldershoulder. Tutti pregavano e salmodiavano, appoggiando a turno, con dolcezza, la mano sul petto del malato per trasmettergli i loro fluidi terapeutici. Nel bel mezzo di tale cerimonia, in effetti, Bruenor si mosse un poco e arrivò anche a tossire, ma subito dopo ripiombò nel suo stato di torpore. Cordio Muffinhead e Stumpet Rakingclaw, i due sacerdoti di rango più elevato, si soffermarono un attimo a esaminarlo, poi si guardarono intorno e annuirono soddisfatti. Avevano scongiurato un altro potenziale disastro, ancora una volta avevano strappato il loro re dall’orlo della fossa. Catti-brie passò più tempo a osservare i sacerdoti che non il padre. Parecchi si appoggiarono ai bordi del letto, palesemente esausti, ritenendo di avere compiuto un altro apparente miracolo: non che qualcuno di loro sembrasse troppo compiaciuto, neppure l’eterno corcontento Pikel. Quindi, uscirono a uno a uno dalla stanza, quasi tutti battendo una mano sulla spalla di Catti-brie nel passarle accanto. “Veniamo qui ogni giorno...” disse Cordio Muffinhead quando lui e la giovane rimasero soli. Catti-brie si avvicinò e si inginocchiò accanto al padre. Gli prese una mano tra le sue e la strinse forte al petto. Com’era freddo, come se l’energia della sua vita si fosse ridotta a poco più di niente. Lanciò un’occhiata intorno alla stanza, alle numerose candele che ardevano e ai mobili confortevoli, cercando di ricordare a se stessa quanto fosse diversa dalle anguste, buie e umide gallerie al di sotto della torre di Withegroo in rovina, a Shallows. Di sicuro era più gradevole e arieggiata, e la luce era meno cruda, ma per lei tutto questo non faceva una grande differenza. La sua attenzione non era concentrata sul mobilio, né sull’illuminazione, bensì su quella figura, che giaceva

così perfettamente immobile al centro della stanza. Nel guardare il padre, Catti-brie si ricordò di un altro amico che aveva visto giacere così, prossimo a morire. Lontano, a occidente, lungo la Costa della Spada, lei e gli altri avevano trovato Drizzt in condizioni analoghe, disteso, mortalmente ferito, su un lato di una stanza, con Le’lorinel - Ellifain - quella povera fanciulla elfo segnata da un terribile destino, similmente squarciata, sull’altro lato. Drizzt l’aveva pregata di salvare Ellifain al suo posto, di usare l’unica pozione magica disponibile per guarire le ferite dell’elfo, anziché le sue. Era stato Bruenor a rifiutare categorico la proposta, e Drizzt si era salvato. Nondimeno, in quel momento, Catti-brie e gli altri si erano trovati davanti a una difficile scelta e avevano agito in base alle loro necessità personali e al bene di tutti: fortunatamente, le due cose erano sembrate compatibili. Ma che dire della situazione attuale? Chissà se i loro desideri individuali, persino egoistici, li stavano spingendo verso un percorso non rivolto al vantaggio comune! Gli sforzi eroici dei sacerdoti stavano tenendo in vita Bruenor, ammesso che la condizione in cui si trovava potesse definirsi tale. Ogni giorno, spesso più volte al giorno, dovevano precipitarsi al suo capezzale e ricorrere alle loro arti terapeutiche più potenti per ricondurlo a quel suo stato comatoso molto simile alla morte. “Dobbiamo lasciarti andare?” chiese la giovane a Bruenor. “Cos’hai detto?” chiese Cordio affrettandosi al suo fianco. Catti-brie guardò il nano, vide la sua espressione preoccupata e rispose sorridendo: “Niente, Cordio. Stavo semplicemente chiamando mio padre”. Rivolse lo sguardo al viso grigiastro di Bruenor e aggiunse: “Ma non mi sente”. “Sa che sei qui”, sussurrò il nano, e le appoggiò le mani sulle spalle, trasmettendole un po’ della propria forza. “Tu credi? Io no”, replicò Catti-brie. “Può darsi che sia questo il problema. Sei stato abbandonato dal coraggio e dalla speranza?”

chiese a Bruenor. “Pensi che io sia morta, che Wulfgar e Regis e Drizzt siano anch’essi morti? Da quel che hai potuto vedere, gli orchi hanno vinto a Shallows, non è vero?” Fissò Bruenor ancora per un momento, poi riportò lo sguardo su Cordio, e l’espressione di lui le confermò i suoi dubbi. “Come sta?” domandò una voce dalla soglia, e i due si voltarono verso Regis che stava entrando a passo veloce, seguito da Wulfgar. Cordio li rassicurò, dicendo che le condizioni di Bruenor erano stabili, poi si accomiatò, non prima di essersi chinato a baciare Cattibrie sulla guancia. “Continua a parlargli”, le sussurrò. Catti-brie strinse ancora più forte la mano di Bruenor concentrandovi sopra tutta la sua attenzione, cercando un lieve movimento di risposta, un piccolo indizio in grado di dirle che Bruenor era consapevole della sua presenza. Nulla. Solo la fredda carne, apparentemente inanimata. La giovane trasse un profondo sospiro, diede un’ultima stretta, poi si costrinse ad alzarsi e a voltarsi verso i due amici. “È necessario fare alcune scelte”, disse, tentando con grande determinazione di mantenere ferma la voce. Wulfgar la fissò incuriosito, ma Regis, che era più al corrente di tutto quello che succedeva all’interno della fortezza, emise un sonoro sospiro. “I sacerdoti si sentono sempre più scoraggiati.” “E la loro opera è richiesta anche altrove, non solo qui”, si costrinse ad ammettere Catti-brie, sebbene ogni parola le procurasse un profondo dolore. Rivolse lo sguardo verso il povero Bruenor, il cui respiro era talmente impercettibile che il torace si sollevava appena. “Ci sono molti guerrieri che necessitano di cure per le loro ferite.” “Credi che abbandoneranno il loro re?” chiese Wulfgar con una punta di rabbia nella voce. “Bruenor è Mithral Hall. Ha riportato qui il suo clan e gli ha ridato importanza. Gli sono debitori di tutte le loro fatiche e anche di più.”

“E tu credi che Bruenor voglia questo?” domandò Regis prima ancora che Catti-brie potesse replicare. “Se sapesse che altri stanno soffrendo, persino morendo, perché così tanti sacerdoti sono trattenuti qui a tenerlo in vita, quando invece c’è così poca vita in lui, non sarebbe affatto contento.” “Come puoi dire questo?” ribatté Wulfgar gridando. “Dopotutto quello che Bruenor ha...” “Nessuno di noi lo ama meno di quanto lo ami tu”, lo interruppe Catti-brie. Si avvicinò a Wulfgar e gli scostò il dito accusatore, lottando per qualche secondo con lui prima di abbracciarlo e stringerlo a sé. “Né io né Pancia-che-brontola.” Finì per abbracciarlo ancora più stretto e lui non oppose resistenza. “Nessuno di noi può sostituirlo”, osservò Regis. “Sono il castaldo di Mithral Hall, ma solo perché parlo in vece di Bruenor. Senza di lui non posso parlare, non al Clan Battlehammer.” “Né io, né Wulfgar o Drizzt”, convenne Catti-brie, lasciando finalmente andare l’amico e facendo un passo indietro. “Solo un nano può diventare re di Mithral Hall, anche se credo che noi tre, in quanto familiari e amici di Bruenor, avremo molta voce in capitolo sulla scelta del successore. Lo dobbiamo a Bruenor, l’impegno di scegliere con oculatezza.” “Credo che un degno Dagnabbit”, disse Regis.

successore

avrebbe

potuto

essere

“Suo padre, allora?” chiese Catti-brie, e sebbene fosse stata lei a dare inizio alla discussione, riusciva a stento a credere di stare parlando di una questione tanto sgradevole. Regis scosse il capo e replicò: “Dagna non accetterebbe.., ha anche rifiutato la reggenza. Naturalmente, gli dovremo parlare, anche se ha mostrato poco interesse nella faccenda”. “E allora chi?” chiese Wulfgar. “Cordio Muffìnhead si è rivelato un capo ammirevole”, osservò Regis. “Ha organizzato in modo brillante non solo la difesa delle gallerie, ma anche i turni dei sacerdoti che si sono presi cura di

Bruenor.” “Ma Cordio non è un Battlehammer”, rammentò loro Catti-brie. “E un sacerdote non è mai stato alla guida di Mithral Hall.” “I Brawnanvil sono i cugini più prossimi di Bruenor”, disse Wulfgar. “E di certo nessuno si è distinto più di Banak nel combattimento sull’altopiano.” Gli altri due rifletterono per un istante e poi annuirono. “Allora, Banak”, disse Regis. “Ammesso che sopravviva alla battaglia contro gli orchi.” “E se...” Catti-brie fece per aggiungere, ma le parole le morirono sulle labbra mentre si volgeva a guardare Bruenor. Avrebbero raccomandato Banak come nuovo re di Mithral Hall, ma solo, naturalmente, dopo che suo padre, il caro vecchio nano che l’aveva accolta bambina, orfana di genitori, e allevata con dignità e speranza, avesse abbandonato quel loro mondo di carne e sangue.

PARTE 2 GUARDANDO NELLO SPECCHIO

Ho sbagliato, ma del resto lo sapevo. Nei momenti in cui sono stato capace di liberarmi della rabbia, mi sono reso conto che le mie azioni stavano rasentando l’incoscienza e che, procedendo di questo passo, sarei andato incontro a morte sicura, qui, sulle pendici di questi monti. Ma è davvero questo ciò che ho desiderato per tutto il tempo, fin dalla caduta di Shallows? Porre fine alla mia sofferenza sulla punta di una lancia? Dietro all’assalto di questi orchi c’è molto più di quanto avevamo creduto quando, per la prima volta, incontrammo i due nani ribelli e feriti di Citadel Felbarr. Essi si sono uniti e organizzati, arrivando a formare uno schieramento compatto contro il comune nemico. Di sicuro, tutto il nord è minacciato, soprattutto Mithral Hall, e non sarei stupito di venire a sapere che i nani si sono già barricati nelle loro buie gallerie sbarrando le pesanti porte d’ingresso contro l’attacco delle temibili orde degli orchi. Forse è tale consapevolezza, e cioè che queste orde minacciano i luoghi che per molto tempo sono stati la mia casa, a indurmi a colpire quei predatori. Forse, con il mio personale contributo sto rendendo la vita difficile agli invasori e, in una certa misura, sto aiutando i nani. O forse questo mio convincimento è solo una giustificazione? Posso ammettere tale evenienza almeno con me stesso? Poiché nel profondo del mio cuore so che, anche se dopo la caduta di Shallows gli orchi si fossero ritirati nelle loro tane, non avrei fatto ritorno a Mithral Hall. Avrei inseguito questi mostri nelle viscere più tenebrose, scimitarre alla mano, pronte a colpire, con Guenhwyvar al mio fianco. Avrei colpito duro, come sto facendo adesso, traendo quel poco di piacere che sembra essere rimasto nella mia vita dallo spargimento del sangue degli orchi. Come li detesto. Ma sono proprio loro che detesto? Ho una gran confusione nella testa. Colpisco duro, e nella mia mente rivedo Bruenor in cima alla torre incendiata precipitare

incontro alla morte. Colpisco duro, e nella mia mente rivedo Ellifain ferita in un angolo della stanza cadere incontro alla morte. Colpisco duro e, se sono fortunato, non vedo niente, nient’altro che lo sconcerto del momento. Fino a che i miei istinti mettono a tacere la parte razionale che è in me, sto bene. Eppure, dopo che le necessità immediate sono state soddisfatte, dopo che gli orchi sono fuggiti o sono stati uccisi, mi trovo spesso a fare i conti con conseguenze non volute e non desiderate. Quanta sofferenza ho causato a Guenhwyvar in questi ultimi giorni! La pantera accorre infallibilmente al mio richiamo e combatte ubbidendo ai miei ordini e in base a ciò che l’istinto le suggerisce. Le chiedo di affrontare feroci nemici, e lei non si tira indietro. La sento gridare di dolore mentre si dibatte nella morsa di un gigante, ma non c’è ombra di rimprovero in quei lamenti. E quando, dopo averle permesso di riprendere le forze nel suo Piano Astrale, la richiamo di nuovo al mio fianco, lei compare accanto a me, senza giudicare e senza protestare. Si è ricreata la stessa situazione di quando mi trovavo nel Buio Profondo, nei giorni successivi alla mia fuga da Menzoberranzan. Lei è l’unico contatto con quel poco d’umanità che mi è rimasta, l’unica finestra aperta sul mio cuore e sulla mia anima. So che dovrei lasciarla andare, so che dovrei affidarla a chi è più meritevole, dato che non nutro speranza di sopravvivere a questa difficile prova. Il solo pensiero che la statuetta usata per evocare Guenhwyvar - il legame con il suo spirito astrale - possa finire nelle grinfie di un orco mi fa stare male. Eppure, sento di non poter fare quel viaggio alla volta di Mithral Hall per riconsegnare la pantera ai nani. Non posso continuare per la mia strada senza di lei, ed è una strada dalla quale non mi posso discostare. Forse sono un debole, o un pazzo. In ogni caso, non sono ancora pronto a porre fine a questa guerra che ho intrapreso; non sono ancora pronto a rinunciare al piacere di spargere il sangue degli orchi. Sono state queste belve a causarmi tanto dolore e io le

ripagherò mille volte tanto, fino a che le scimitarre non cadranno dalle mie mani esangui e io non crollerò morente su un sasso. Spero solo che Guenhwyvar si sia in parte liberata della costrizione che la statuetta magica esercita su di lei e che sia in grado di opporle un po’ di resistenza. Credo che ne sia capace e che, se un orco strapperà questa sua raffigurazione dal mio cadavere e scoprirà in qualche modo come usarla, lei si trasformerà nello strumento che gli procurerà la morte. Almeno, questa è la mia speranza. Ma forse si tratta di un’altra menzogna, di un’altra giustificazione. Forse sono intrappolato in una rete di pietose bugie, talmente intricata da non poterne uscire. Conosco solo la sofferenza del ricordo e il piacere della caccia. E inseguirò questo piacere, fino alla fine. Drizzt Do’Urden

8

ATTEGGIAMENTI Drizzt fissò serio l’elfo che aveva appena pronunciato il suo nome. Un barlume di riconoscimento si fece strada nel suo cervello, ma nulla di tangibile, nulla a cui potersi aggrappare. “Abbiamo degli unguenti in grado di curare la tua ferita”, disse l’elfo. Avanzò di un passo, mentre Drizzt arretrava di uno. L’elfo si fermò e alzò le mani. “Fu molti anni fa”, disse. “Sono contento di vedere che stai bene.” Drizzt non poté trattenersi del tutto dal trasalire all’ironia di quella frase, dato che si sentiva tutt’altro che “bene”. Ma il riferimento fatto dall’elfo a un loro incontro precedente e lo sforzo che stava facendo per ricordare lo avevano distolto per un attimo dai suoi pensieri. Negli anni vissuti fuori dal Buio Profondo aveva conosciuto pochi elfi di superficie. Non ce n’erano neppure molti nelle Dieci Città, non che Drizzt avesse frequentato con assiduità gli abitanti del posto, visto che preferiva passare la maggior parte del tempo in compagnia dei nani o all’esterno, negli spazi sconfinati della tundra. Tuttavia, non appena si rammentò di Ellifain, di quella povera e tormentata fanciulla elfo che l’aveva inseguito ai confini del mondo fino a incontrare la propria morte, Drizzt fu in grado di fare il collegamento. “Vieni da Moonwood”, disse.

L’elfo lanciò un’occhiata alla compagna, s’inchinò e disse: “Tarathiel, al tuo servizio”. A quel punto, i ricordi cominciarono a fluire nella mente di Drizzt. Anni prima, durante il suo viaggio di ritorno nel Buio Profondo, aveva attraversato Moonwood e aveva incontrato il clan di Ellifain. Questo elfo, Tarathiel, gli aveva fatto da guida, gli aveva persino permesso di cavalcare uno dei preziosi cavalli del clan. Il loro incontro era stato breve e limitato, ma si erano lasciati con un sentimento di reciproco rispetto e fiducia. “Ti prego di scusare la mia scarsa memoria”, replicò Drizzt. Avrebbe voluto esprimere la propria gratitudine per la generosità che Tarathiel gli aveva dimostrato in precedenza e ringraziare i due per essere venuti in suo soccorso durante lo scontro con gli orchi, ma rimase in silenzio, consapevole di non voler dare inizio a quella conversazione. Chissà se erano al corrente del fatto che Ellifain l’aveva inseguito e attaccato! Chissà se doveva informarli della sorte di quella poveretta, uccisa dalle stesse scimitarre che Drizzt portava ora al fianco! “Felice di incontrarti di nuovo, Tarathiel”, disse Drizzt in tono quasi brusco. “E Innovindil”, presentò Tarathiel, indicando la bella e temibile compagna. Drizzt le rivolse una specie di rigido inchino. “Gli orchi torneranno tra breve”, osservò Innovindil, che nel frattempo era rimasta a scrutare la zona tutt’intorno. “Andiamo dove sia possibile discorrere più a nostro agio del passato e del pericolo che si è abbattuto su queste terre.” I due si avviarono facendo segno a Drizzt di seguirli, ma il drow non si mosse. “Meglio non offrire al nemico un’unica traccia”, disse Drizzt. “Forse le nostre strade si incontreranno di nuovo.” Fece un altro inchino, ripose le scimitarre nel fodero e se ne andò di corsa nella direzione opposta.

*** Tarathiel fece per seguirlo e richiamarlo, ma Innovindil lo afferrò per il braccio. “Lascia che vada”, sussurrò. “Non è ancora pronto a parlare con noi.” “Vorrei dirgli di Ellifain”, protestò Tarathiel. “Adesso lui sa di noi”, spiegò Innovindil. “Quando si sentirà pronto, ci cercherà.” “Dovremmo almeno metterlo in guardia contro Ellifain.” Innovindil scrollò le spalle, come se la cosa non avesse importanza. “Lei non è qui, giusto?” chiese. “E anche se lo fosse, il suo inseguimento avrebbe forse la priorità? Le terre qui intorno brulicano di nemici che richiedono un’attenzione più immediata.” Tarathiel continuò a guardare, indugiando, nella direzione verso cui se n’era andato il drow, ma non si liberò dalla stretta di Innovindil. “Parli come se lo conoscessi”, osservò Tarathiel. Si voltò a fissare la compagna e scoprì che anche lei si stava avviando nella stessa direzione del drow. Innovindil annuì adagio. “Forse”, replicò. *** Urlgen Threefist osservò l’ultima ondata delle sue truppe d’assalto, perlopiù composte da goblin, avanzare su per il pendio per scagliarsi con impeto contro le linee di difesa dei nani. Il comandante degli orchi ignorò il mutarsi repentino del grido di battaglia in un lamento agonizzante e concentrò la propria

attenzione sui guerrieri che difendevano l’altopiano. I nani si muovevano con grande precisione, anche se avevano ridotto un po’ il ritmo, almeno così sembrava all’orco, come se le gambe si fossero infiacchite. Le labbra di Urlgen si incurvarono in un perfido sorriso che lasciava scoperti i denti zannuti. Sapeva che dovevano essere stanchi, visto che non aveva concesso loro un attimo di respiro. Di giorno, li attaccava con i suoi orchi, di notte, con le truppe d’assalto dei goblin. Persino durante i tempi morti in cui i suoi soldati si ritiravano per poi raggrupparsi di nuovo, ai nani non veniva concesso riposo, dato che le loro difese non si trovavano tutte dislocate nello stesso posto. Un balenare sul fianco destro della linea difensiva dei nani, alla sinistra di Urlgen, attirò l’attenzione dell’orco dall’imponente statura. Ancora una volta i nani avevano rafforzato le loro schiere con una splendida coppia di guerrieri, un umano dall’aspetto mastodontico, forte come un gigante, e una donna arciere le cui frecce magiche avevano portato, a ogni attacco, la devastazione lungo il fianco sinistro comandato da Urlgen. Lui sapeva che si trattava di due sopravvissuti alla disfatta di Shallows, dato che ricordava bene i micidiali dardi argentei - quelle magiche frecce splendenti - e il barbaro che aveva seminato terrore tra i suoi soldati durante la battaglia nella città assediata. Quel grande guerriero aveva difeso da solo la parte centrale delle mura di Shallows, disperdendo impunemente gli attaccanti. Il suo pugno era duro come il ferro e il martello che brandiva nella mano spazzava via, a due o tre alla volta, gli orchi che ardivano avvicinarsi al muro. Urlgen notò che erano pochi tra i goblin quelli che sembravano ansiosi di dirigersi da quella parte. Il grosso delle truppe preferiva concentrarsi sul centro e sulla destra dello schieramento nemico. Ma l’arco prodigioso continuava a scagliare frecce, un tiro dopo l’altro, e Urlgen era certo che il barbaro oppositore avrebbe trovato prede da uccidere in gran quantità. Ben presto l’assalto perse mordente e i goblin, disorganizzati e sopraffatti, ridiscesero il pendio roccioso. Forse, a causa della crescente stanchezza, i nani non si gettarono al loro inseguimento con lo stesso impeto che li aveva contraddistinti in precedenza, e

Urlgen cominciò a credere che la sua strategia li stesse logorando a dovere. A quel punto, l’orco si lanciò un’occhiata alle spalle, verso i vasti territori a nord. Gli erano giunte notizie di grandi assembramenti di tribù di orchi. Le file dell’esercito paterno si stavano ingrossando. Ma dov’erano? Urlgen era tormentato dalle implicazioni di quella domanda. Da una parte, si rendeva conto di non avere un numero sufficiente di soldati per cacciare i nani, e questo era il motivo per cui desiderava rinforzi in grado di aiutarlo a respingere quelle sgradevoli creature dall’altopiano, giù fino ai loro sudici buchi nelle profondità di Mithral Hall. Ma dall’altra, Urlgen non era propriamente entusiasta all’idea di ricevere soccorsi dal suo arrogante padre, e ancora meno al pensiero di Gerti Orelsdottr che si presentava con i suoi giganti a trucidare nani davanti ai suoi occhi. Forse era meglio che le cose continuassero così, visto che comunque giungevano ogni giorno nuovi guerrieri a rimpolpare le sue file. Nonostante le centinaia di orchi e goblin uccisi lungo il pendio, l’esercito di Urglen, in effetti, era più grande di quando era giunto lì all’inseguimento dei nani. Non poteva rischiare un assalto senza riserve solo per respingere i nani. Ma il logorio l’avrebbe aiutato a raggiungere il suo intento. *** Catti-brie cominciò a tendere l’arco, ma l’avversario era troppo vicino. Sempre pronta a improvvisare, la ragazza afferrò l’arma alle estremità con entrambe le mani e colpì il fastidioso goblin in piena faccia. Questi barcollò all’indietro, ma non cadde. Infine, vedendo aprirsi un varco tra le difese della temibile coppia, lui e i compagni si

gettarono ululando sulla giovane. Ma Catti-brie aveva lasciato cadere l’arco e aveva estratto Khazid’hea, la cui affilata lama senziente sembrava fremere tra le sue mani. Parò la sciabolata del goblin con un fendente incrociato e vibrò una stoccata facendola seguire subito da un’altra. Khazid’hea, soprannominata Coltello, si rivelò all’altezza della sua fama, tranciando qualunque cosa i goblin le mettessero davanti: lance, un fragile scudo di legno, e ben più di un braccio. I goblin continuarono a incalzare, più per forza d’inerzia che per desiderio di lottare contro quell’avversaria, ma Catti-brie non arretrò di un passo. Un colpo di rovescio mozzò la punta di una lancia prima che l’arma le arrivasse troppo vicina; un altro rovescio sbilanciò un goblin facendogli fare un salto per evitarlo, ma una repentina sciabolata da sotto in su riportò Khazid’hea all’altezza della sua faccia, per affettarla di netto proprio nel mezzo.

Benfatto! comunicò telepaticamente la spada. “Lieta di essere utile”, borbottò Catti-brie. Nell’avvertire una presenza alle spalle, estrasse l’arma e si scostò di lato. Con perfetto tempismo, Wulfgar la oltrepassò per avventarsi contro un gruppo di goblin in procinto di attaccare. Senza rallentare, travolse i primi due della fila, spingendoli di lato con un calcio al suo passaggio, e ne abbatté altri due con il possente Aegis-fang. A questo punto, si fermò a sua volta e sollevò il martello per consentire a Catti-brie di inserirsi nella mischia assestando colpi a destra e a manca con il suo Coltello. Non ci volle molto perché i goblin capissero di non avere scampo, soprattutto quelli più vicini alla formidabile coppia, che decisero di darsela freneticamente a gambe inciampando gli uni sugli altri. A quel punto, da un’estremità all’altra dello schieramento dei nani, tutti i goblin erano in fuga. Wulfgar si gettò all’inseguimento catturandone uno per il collo. Con un grugnito, il barbaro lo sollevò in aria e, nel vedere che questo gli opponeva resistenza e cercava di colpirlo con la mazza, lo scrollò con tale energia che i denti del

malcapitato cominciarono a sbattere e il corpo a vibrare tutto lasciando cadere l’arma. Subito dopo, il suo possessore fece la stessa fine, scagliato in alto da Wulfgar, oltre il ciglio di un piccolo burrone che si trovava alle spalle dei nani. Il barbaro lanciò un’occhiata a Catti-brie, che stava prendendo la mira con Taulmaril, e la raggiunse mentre questa lanciava frecce sui goblin in ritirata. “La mia dannata spada sta protestando”, disse Catti-brie. “Vuole combattere e uccidere nemici”, ridacchiò. “Uccidere nemici e anche amici, per quel che le importa!” “Ho paura che otterrà ciò che desidera e anche di più”, replicò Wulfgar. “A quei disgraziati non importa nemmeno di essere ammazzati”, commentò Catti-brie. “Si arrampicano fin quassù solo per farci stancare, e noi li uccidiamo uno dopo l’altro.” “E alla fine, avranno conquistato questa cresta”, osservò Wulfgar. Mentre guardava dietro di sé, appoggiò un braccio sulle spalle della giovane e questa seguì il suo sguardo. I nani stavano già portando via i feriti, caricandoli su barelle che venivano assicurate alle scale di corda e calate giù per la parete rocciosa con l’aiuto di paranchi. Naturalmente, venivano evacuati solo i feriti più gravi, dato che quei solidi guerrieri si convincevano difficilmente ad abbandonare il campo di battaglia, sebbene quel giorno fossero in molti a scendere a Keeper’s Dale per essere affidati alle cure di mani premurose. Altri nani, ugualmente destinati a lasciare l’altopiano, erano stati collocati su un lato, ma per essi non c’era fretta, visto che oramai non necessitavano più dell’intervento terapeutico dei sacerdoti. “Grazie alla mia faretra magica, posso usare Spaccacuori giorno e notte”, osservò Catti-brie. “Avrò sempre frecce a sufficienza. Non come lo schieramento di Banak, che si sta assottigliando sempre più. Dal basso non ci arriverà alcun rinforzo, visto che stanno lavorando sodo per fortificare le sale inferiori e le gallerie, le porte orientali e Keeper’s Dale.”

“Non sarebbe male se Banak possedesse una faretra come la tua”, convenne Wulfgar, “solo che, anziché produrre frecce, dovrebbe sfornare nani guerrieri”. Catti-brie sorrise debolmente alla battuta, ma, osservando Wulfgar, si rese conto che lui non intendeva fare dell’umorismo. I caparbi nani erano già tornati a occuparsi delle barriere difensive, sebbene Catti-brie avesse l’impressione che i martelli picchiassero con meno fervore. Gli orchi e i goblin li stavano logorando. A quei mostri non importava nulla di morire. *** Era arrivato sul ciglio dell’enorme sasso senza fare rumore, a piedi nudi, con passo elastico e armonioso. Si chinò pancia a terra per scrutare in basso e individuò quasi subito l’apertura della caverna. Mentre se ne stava là sdraiato a spiare, l’elfa apparve all’ingresso tenendo un pegaso per le briglie. Il grosso stallone aveva un’ala piegata e aderente al fianco, sorretta, così parve a Drizzt, da una specie di fascia. L’animale, tuttavia, non sembrava soffrire particolarmente di quella condizione. Intanto che il drow continuava a guardare, il sole alle sue spalle si era approssimato alla linea dell’orizzonte e l’elfa aveva cominciato a spazzolare il bianco e lucido mantello del pegaso e a cantare una dolce melodia, il cui suono giungeva carezzevole all’orecchio di Drizzt. Sembrava tutto così.., normale. Così confortevole e tranquillo. Anche l’altro pegaso comparve, e Drizzt si ritrasse un poco mentre Tarathiel atterrava di fianco alla sua compagna. Non appena gli zoccoli dello stallone toccarono terra, Tarathiel smontò con un agile movimento, sollevando la gamba sinistra al di sopra della sella a congiungersi con la destra, per poi prodursi in una capriola all’indietro. Toccò terra in perfetto equilibrio e si avviò verso l’elfa, che gli gettò prontamente una spazzola affinché potesse strigliare il

cavallo. Drizzt si soffermò a osservare i due con un misto di amarezza e speranza. Poiché in loro vedeva la promessa di Ellifain, di ciò che avrebbe potuto diventare, di ciò che avrebbe dovuto diventare. L’ingiustizia del destino gli fece serrare i pugni contro i fianchi, lo indusse a digrignare i denti, gli fece venire voglia di correre via, in quel preciso istante, alla ricerca di altri nemici da massacrare. Il sole tramontò e sulla terra scese il crepuscolo. Fianco a fianco, i due elfi condussero i cavalli alati nella grotta. Drizzt si voltò supino e vide scintillare le prime stelle nel cielo della sera. Si passò le mani sul viso e pensò di nuovo a Ellifain, e a Bruenor. E si chiese ancora una volta a che poteva servire tutto questo, a che erano serviti tutti i sacrifici, a che serviva agire secondo i propri codici morali. Sapeva che avrebbe dovuto andare subito a Mithral Hall per scoprire quali tra i suoi amici, ammesso che ne fossero rimasti, erano sopravvissuti alla sconfitta che gli orchi avevano inflitto a Shallows. Ma non ci riusciva. Non adesso. Si rese conto, allora, che avrebbe dovuto scendere da quella roccia e andare a parlare con quegli elfi, con la gente di Ellifain, per raccontare la sua fine ed esprimere il proprio dolore. Ma il pensiero di riferire a Tarathiel una notizia così triste lo bloccò. Vide di nuovo la torre che crollava, vide di nuovo la morte del suo più caro amico. Il ricordo del giorno più triste della sua vita ritornò vivido e lo fece precipitare nella disperazione più cupa. Si alzò dal masso e si mise a correre nell’oscurità che calava, coprendo il miglio, o poco più, che lo separava dalla propria angusta grotta, e là rimase seduto a lungo, tenendo fra le mani l’elmo a un corno solo che aveva recuperato dalle macerie. Mentre si rigirava il copricapo tra le mani, la tristezza si fece più profonda. Si sentì avviluppare dalle tenebre, si sentì afferrare, e

seppe che l’avrebbero inghiottito e annientato. Perciò Drizzt ricorse all’unica arma che possedeva per combattere tanta disperazione. Avrebbe voluto evocare Guenhwyvar, ma non poteva, poiché la pantera non aveva riposato abbastanza dopo le ferite causatele dalla gigantessa. Così Drizzt uscì, solo nella notte, a caccia di nemici.

9

SOTTO L’OCCHIO VIGILE DI GRUUMSH Mentre attraversava il vasto accampamento nei pressi delle rovine di Shallows, Re Obould era circondato da un muro di robuste guardie. Quel giorno, il grosso orco si sentiva titubante, dato che le chiacchiere provocate dall’assassinio di Achtel non si erano ancora sopite e facevano temere ripercussioni capaci di causare l’ostilità di alcune tribù. La reazione degli orchi a guardia del perimetro, almeno, era stata positiva e molti di essi si erano prostrati strisciando ai suoi piedi, cosa che gli risultava sempre gradita, mentre tutti gli altri si inchinavano al suo passaggio, abbassando gli occhi a terra ogni volta che rispondevano con deferenza alle domande del grande re degli orchi. Le sentinelle, compatte, stavano scortando Obould alla ricerca di Arganth Snarrl. Il pittoresco sciamano non fu difficile da scovare. Con il suo singolare abbigliamento e il copricapo piumato, il mantello che aveva strappato alla povera Achtel e le continue giravolte, Arganth non poteva non attirare l’attenzione di quanti lo circondavano. Se mai Obould avesse avuto dubbi riguardo al comportamento del carismatico stregone nei suoi confronti, essi furono immediatamente dissipati nel momento in cui si trovò al suo cospetto. Lo sciamano si prostrò a terra come se fosse stato colpito da un masso lanciato da un gigante. “Obould Many-Arrows!” strillò Arganth, mostrando in modo palese che stava letteralmente piangendo di gioia. “Obould! Obould! Obould!”

Gli orchi intorno ad Arganth lo emularono prostrandosi a terra e ripetendo la gloriosa acclamazione. Obould lanciò uno sguardo perplesso alle sue guardie e reagì alla loro scrollata di spalle con un’aria di autorità. Sì, la cosa gli piaceva! Forse, rimuginò, avrebbe dovuto pretendere di più da quanti gli stavano intorno... “Tu sei Snarrl? Arganth Snarrl?” domandò il re mentre si avvicinava, sovrastando con la sua imponente statura il fremente sciamano, ancora faccia a terra. “Obould mi parla!” gridò Arganth. “La benedizione di Gruumsh è su di me!” “Alzati!” ordinò l’altro. Poiché Arganth esitava, Obould tese una mano, lo agguantò per la collottola e lo fece drizzare in piedi. “Abbiamo aspettato il tuo arrivo, o magnifico”, disse rapido Arganth, mentre distoglieva lo sguardo. Obould, sentendosi un tantino confuso, dato che si rendeva conto che una tale altisonante professione di fedeltà altro non poteva essere se non il preludio di un assassinio, sollevò il mento dello sciamano costringendolo a guardarlo. “Noi due dobbiamo parlare”, dichiarò. Arganth parve infine calmarsi. Gli occhi iniettati di sangue scrutarono tutt’intorno soffermandosi sugli orchi ancora inginocchiati, poi tornarono a puntarsi sullo sguardo solenne di Obould. “Nella mia tenda, o magnifico?” domandò speranzoso. Obould lo mollò e gli fece cenno di incamminarsi. Segnalò anche alle guardie di stare all’erta e di tenersi vicino a lui. Non appena Obould e lo sciamano si furono allontanati dalla vista degli altri orchi, questi sembrò trasformarsi completamente. “Sono felice che tu sia venuto, Re Obould Many-Arrows”, esordì, conservando ancora una sfumatura di deferenza nel tono di voce, ma lasciando trasparire anche un’apparente forza interiore che

nessuno avrebbe immaginato. “Adesso, le tribù sono ansiose di combattere e di uccidere.” “Hai avuto un.., problema”, osservò Obould. “Achtel non credeva, per questo è stata assassinata”, disse Arganth. “Non credeva?” “Che Obould sia Gruumsh e che Gruumsh sia Obould”, dichiarò Arganth baldanzoso. Il re degli orchi si fece di nuovo perplesso. Serrò gli occhi cupi e corrugò la fronte prominente. “Ne ho le prove”, spiegò Arganth. “Re Obould è grande. Re Obould è sempre stato grande. Re Obould adesso è ancora più grande poiché l’Occhio-solo formerà un tutt’uno con lui.” Il viso di Obould non perse l’espressione di palese scetticismo. “Quale sacrilegio hanno commesso i nani!” esclamò Arganth. “Servirsi della statua del dio!” Obould annuì, mentre cominciava a intuire. “Hanno contaminato e dissacrato Gruumsh, e l’Occhio-solo non ha gradito!” proclamò Arganth, la cui voce, salita di tono, cominciava a incrinarsi diventando un acuto squittio. “L’Occhio-solo vuole essere vendicato. Li schiaccerà con i suoi piedi! Li falcerà con il suo spadone! Li azzannerà alla gola e li lascerà rantolare nel fango!” Obould rimase immobile a fissare lo sciamano e tentò persino di fare un gesto con la mano per calmarne la crescente agitazione. “I suoi piedi”, spiegò Arganth, indicando i piedi di Obould. “Il suo spadone”, proseguì additando la pesante arma assicurata con una fascia attraverso la robusta schiena dell’orco. “Obould è lo strumento di Gruumsh. Obould è Gruumsh. Gruumsh è Obould! Ne sono certo!” La massiccia e brutta testa di Obould si inclinò mentre osservava lo sciamano e cercava di capire se Arganth si stesse per caso facendo beffe di lui. “Achtel non ha accettato la verità”, continuò Arganth. “Gruumsh

non l’ha protetta contro il feroce drow. Tutti gli altri accettano e sanno che Obould è Gruumsh, l’ho fatto per te mio signore.., mio Altissimo.” L’espressione sospettosa del grosso re degli orchi si ammorbidì in un largo e perverso sorriso. “E cosa vuole Arganth in cambio per questo servizio reso a Obould?” “Teste di nani!” strillò lo sciamano senza la benché minima esitazione. “Devono morire. Tutti! Re Obould farà in modo che questo accada.” “Sì”, rifletté Obould. “Sì, lo farò.” “Accetterai la benedizione di Gruumsh, che ti verrà impartita attraverso le mani di Arganth e degli altri sciamani qui convenuti?” chiese il sacerdote, mentre, tenendo lo sguardo fisso a terra, sembrava rattrappirsi un poco nel porre una tale domanda. “Quale benedizione?” “Tu sei grande, Obould!” gridò Arganth intimorito, sebbene la domanda dell’altro non contenesse un tono di accusa. “Sì, Obould è grande”, assentì Obould. “Quale benedizione?” Gli occhi iniettati di sangue scintillarono mentre rispondeva: “A Obould trasmetteremo la forza del toro e l’agilità del gatto. A Obould conferiremo grandi poteri. Gruumsh ne sarà garante. Ne sono certo”. “Queste stregonerie non sono insolite”, rispose secco Obould. “Non chiederei di meno a...” “Nessuna stregoneria!” lo interruppe Arganth, sentendosi quasi svenire nel rendersi conto di avere osato tanto. Ammutolì per un istante, quasi sperando che il massiccio orco non lo polverizzasse. “Una stregoneria, sì, ma destinata a durare per sempre. Obould è Gruumsh. Obould sarà forte, molto più forte!” aggiunse con rapidità ed entusiasmo nel vedere che la sgradevole faccia dell’orco cominciava a rabbuiarsi. “La benedizione di Gruumsh è un dono raro e meraviglioso”, spiegò Arganth.

“Nel corso degli ultimi secoli, non è mai stata concessa. Ma verrà accordata a te, grande Obould. Ne sono certo. Accetterai di unirti a noi per celebrare l’evento?” Obould fissò a lungo lo sciamano con sguardo severo, senza un’idea ben chiara di cosa avesse in mente. Fino ad allora non aveva mai sentito parlare di una “benedizione di Gruumsh”. Ma capiva che Arganth provava timore e sincero rispetto nei suoi confronti. In precedenza, i sacerdoti l’avevano sempre favorito. Perché non avrebbero dovuto farlo adesso, quando ogni sua conquista veniva fatta in nome del grande Occhio-solo? “Obould accetta”, disse ad Arganth, e lo sciamano fece quasi un salto per l’eccitazione. Obould lo ricondusse prontamente alla calma, afferrandolo per la collottola e sollevandolo senza fatica da terra per poi avvicinarselo al viso, alitandogli addosso il proprio alito fetido. “Se mi deludi, Arganth, ti appendo al muro e ti mangio, cominciando dalle dita e risalendo su, lungo le braccia.” Arganth si sentì di nuovo mancare, dato che gli era già stato riferito che Obould aveva riservato lo stesso trattamento ad altri orchi in diverse occasioni. “Non deludermi.” La risposta dello sciamano avrebbe potuto essere tanto un “sì” quanto un “no”. Non era importante per Obould, visto che il suono emesso dalle labbra di Arganth, un semplice e miserevole squittio, aveva confermato tutto ciò che l’orco voleva sapere. *** “Sto rendendo loro onore?” domandò Drizzt a Guenhwyvar. Era seduto sul masso che costituiva metà della sua nuova dimora, rigirando l’elmo a un corno solo di Bruenor tra le dita delicate. Guenhwyvar era accucciata al suo fianco, gli occhi rivolti verso i profili montuosi. Quella sera, il vento soffiava forte e portava con sé

una punta di gelo. “So che dimentico il mio dolore quando combattiamo”, proseguì il drow. Lo sguardo gli andò dal copricapo alle montagne in lontananza. Stava parlando più a se stesso che non alla sua compagna, come se Guenhwyvar non fosse che un’estensione della propria coscienza. Ma, a dire il vero, era sempre stato così. “Mentre mi concentro sull’azione, dimentico le perdite subite e ritrovo per un po’ la mia libertà. E sono certo che quello che facciamo qui è importante per i nani di Mithral Hall. Se continuiamo a confondere gli orchi, se facciamo in modo che abbiano paura di strisciare fuori dalle loro tane sui monti, la pressione sui nostri amici dovrebbe diminuire.” Era tutto molto logico, naturalmente, ma agli occhi di Drizzt quelle parole non sembravano possedere alcuna consistenza o razionalità. Poiché dentro di sé sapeva che non avrebbe dovuto trovarsi là, non subito almeno, e che, nonostante la certezza che nessuno fosse sopravvissuto, avrebbe dovuto recarsi direttamente da Shallows a Mithral Hall. Avrebbe dovuto andare là per mettere a tacere i propri dubbi, per avere la conferma che nessuno dei suoi amici più cari era scampato al massacro, avrebbe dovuto farlo per il bene dei nani del Clan Battlehammer sopravvissuti, per confermare la caduta del loro re e coordinare i suoi successivi movimenti con le loro azioni di difesa. Il drow scacciò quel senso di colpa con un profondo sospiro. Era probabile che i nani si fossero barricati dietro alle grandi porte di ferro e pietra. Sicuramente, gli orchi avrebbero seminato grande scompiglio al nord, soprattutto nella miriade di piccole città di cui quelle terre erano costellate, ma Drizzt dubitava che gli umanoidi avrebbero rappresentato una minaccia reale nei confronti di Mithral Hall, nemmeno dopo la morte di Re Bruenor. Dopotutto, anche gli elfi scuri di Menzoberranzan avevano tentato di scatenare una tale guerra e, sebbene disponessero di risorse assai migliori e di vie d’accesso ben più numerose attraverso le varie gallerie del Buio Profondo, avevano fallito miseramente. La gente di Bruenor costituiva una forza davvero tenace e organizzata.

“Mi mancano, Guenhwyvar”, mormorò il drow, e la pantera si drizzò, volgendo verso il compagno il grosso muso dagli occhi dolci. “Naturalmente sapevo che poteva accadere, tutti lo sapevamo. A dire il vero, me l’aspettavo. Troppe fughe per il rotto della cuffia e troppi colpi di fortuna. Doveva finire, e proprio in questo modo. Ma avevo sempre pensato che sarei stato io il primo a morire, e gli altri ad assistere alla mia fine, non io alla loro.” Chiuse gli occhi e rivide la caduta di Bruenor, quella terribile scena impressa a fuoco nella sua mente. Rivide la caduta di Ellifain e, in un certo senso, il ricordo di quella lontana battaglia lo colpì ancora più nel profondo. Poiché la morte di Bruenor gli causava sì una grande sofferenza, ma era in sintonia con i principi che l’avevano guidato nel corso di tutta la sua esistenza. Morire difendendo gli amici e la comunità non era una cosa tremenda, e se il disastro di Shallows gli straziava il cuore, quello avvenuto lungo la Costa della Spada, nel covo di Sheila Kree, lo straziava ben più nell’intimo, poiché andava a toccare le basi stesse delle sue convinzioni. Quando ripensava alla fine di Ellifain, riviveva quel terribile giorno della propria giovinezza, quando, per la prima volta, si era avventurato all’aperto in compagnia di un gruppo di drow razziatori che avevano attaccato e massacrato alcuni innocenti elfi di superficie. Quella era stata la prima vera prova di importanza vitale a cui aveva sottoposto i suoi principi. Quella fatidica notte così lontana nel tempo, la prima notte sotto le stelle, aveva cambiato per sempre il suo modo di percepire le cose. Quella fatidica notte aveva segnato l’inizio della fine della sua vita a Menzoberranzan, il momento in cui Drizzt era davvero giunto a vedere la malvagità del suo popolo, una malvagità al di là di qualsiasi possibile redenzione e tolleranza, al di là di tutto ciò che Drizzt poteva sperare di contrastare. Zaknafein lo aveva quasi ucciso a causa di quella malaugurata incursione, prima di venire a sapere che lui non aveva preso parte attiva al massacro, anzi, aveva persino ingannato i suoi compagni e la Regina Ragno risparmiando la bimba elfo. Quanto dolore aveva provato Drizzt quando, parecchi anni

dopo, nell’attraversare le terre di Moonwood, si era imbattuto in Ellifain e nella sua gente e aveva scoperto che quella bambina era diventata una giovane donna dalla mente offuscata dalla collera. E quanto altro dolore quando, nella battaglia lungo la Costa della Spada, l’aveva inavvertitamente uccisa! Sotto innumerevoli aspetti, Drizzt aveva l’impressione che la morte di Ellifain si fosse fatta beffe dei suoi principi e avesse tramutato la sua esistenza in un’avventura priva di ogni senso. Il drow si passò la mano sul volto, poi carezzò Guenhwyvar che, nel frattempo, gli aveva posato la testa su una gamba e stava respirando piano e ritmicamente. A Drizzt piacevano quei momenti trascorsi con Guenhwyvar, quando non erano impegnati a combattere, quando potevano riposare e godere di una calma temporanea e della brezza che scendeva dalle montagne. L’istinto del Cacciatore gli diceva che avrebbe dovuto consentire alla pantera di andare a riposare nel suo Piano Astrale. Infatti, molto presto gli orchi e i giganti si sarebbero rifatti vivi e la sua presenza sarebbe stata preziosa. Ma era Drizzt, e non il Cacciatore, che, dilaniato dai propri conflitti interiori, non poteva prestare ascolto a quell’altro suo più concreto alter ego. Chiuse gli occhi e ripensò ai suoi amici, evitando di ricordare la loro fine. Rivide il bonario Regis sulle rive del Maer Dualdon, la lenza protesa a tuffarsi nelle acque scure dinanzi a lui. Sapeva che non c’era esca attaccata all’amo e che la pesca era solo un pretesto per rilassarsi. Rivide Bruenor, aggirarsi con aria burbera nelle caverne che circondavano il Monte Kelvin, sbraitando ordini e battendo il pugno mentre, nel frattempo, strizzava l’occhio a Drizzt per fargli capire che si trattava di una finta. Rivide il ragazzo che era stato Wulfgar crescere grazie agli insegnamenti di Drizzt e di Bruenor. Ricordò la battaglia nel covo del verbeeg, quando lui e Wulfgar avevano attaccato senza pensarci un folto gruppo di pericolosi nemici. Ricordò la lotta con Mortegelida nella caverna del ghiaccio, quando un astuto e

fortunato Wulfgar aveva fatto crollare l’intero soffitto ricoperto dai ghiaccioli per sconfiggere il drago. Rivide Catti-brie ragazzina, quando l’aveva incontrata per la prima volta sui pendii del Monte Kelvin. Rivide la giovane donna che gli aveva fatto conoscere i veri aspetti della vita di superficie, in un lontano deserto del sud. La donna che gli era rimasta accanto, attraverso i suoi dubbi e le sue paure, i suoi errori e i suoi trionfi. Quando, in un impeto di follia, era tornato a Menzoberranzan per cercare di liberare i suoi amici, Catti-brie aveva tenuto testa al popolo del Buio Profondo e l’aveva salvato dai drow e da se stesso. Era lei la sua coscienza, che gli faceva capire quando aveva torto, anche se, nonostante tutto, gli era amica e non lo condannava mai. Con il suo tocco gentile, era in grado di far sparire le ansie provocate dal dubbio e dalla paura. Con un’occhiata di quei seducenti occhi blu poteva guardargli dritto in fondo all’anima e comprendere le sue emozioni, rendendo vana qualsiasi falsa espressione si fosse dipinta sul volto. Con un bacio sulla guancia, poteva ricordargli che era circondato da amici, sempre e per sempre, e che, grazie ad essi, nulla avrebbe potuto ferirlo davvero. Grazie a quegli amici... Quell’ultimo pensiero gli fece affondare il viso tra le mani e gli rese il respiro breve e affannoso, mentre le spalle venivano squassate dai singhiozzi. Si sentì precipitare in un dolore intenso, mai provato prima, si sentì sprofondare in un pozzo buio e vuoto, dove si sentiva impotente. Sempre e per sempre? Ellifain? Erano quelle le menzogne della vita di Drizzt Do’Urden? Vide Zaknafein cadere nell’acido. Vide la torre di Whitegroo, quell’orribile torre, sbriciolarsi nelle fiamme. Cadde ancora più giù e seppe che c’era un solo modo di uscire da quel pozzo. “Vieni, Guenhwyvar”, disse il Cacciatore alla pantera. Si rialzò su gambe salde, e con mani altrettanto salde estrasse le scimitarre. Lo sguardo del Cacciatore si spinse lontano, vagando alla luce delle stelle scintillanti e del loro invito a una dolorosa riflessione

interiore, fino ad arrivare ai fuochi degli accampamenti e alla promessa di una battaglia. La promessa di una rivincita. Contro gli orchi. Contro le menzogne. Contro la sofferenza. *** Nella notte buia, migliaia di orchi si erano riuniti attorno alla statua profanata di Gruumsh Occhio-solo, tenendosi a una certa rispettosa distanza, secondo le istruzioni ricevute dai loro capi spirituali. Parlottavano tra loro e facevano i bravacci, contendendosi le posizioni migliori per assistere al miracoloso evento. Ma i battibecchi erano abbastanza contenuti, dato che gli sciamani avevano minacciato di sacrificare a Gruumsh chiunque avesse disturbato lo svolgimento della cerimonia. Per dare più incisività all’avvertimento, gli sciamani avevano già fatto prigionieri una dozzina di disgraziati accusati, in apparenza, di crimini commessi sul campo di battaglia. Anche Gerti Orelsdottr era presente quella notte, insieme a un centinaio di suoi compagni, i giganti dei ghiacci. Con la sua gente, si era tenuta ancora più lontana dalla statua, poiché voleva assistere all’ipotetico prodigio che aveva causato così tanto fermento negli orchi, ma non voleva dare troppo credito all’evento con la sua presenza. “Mantenete un’aria di distaccato divertimento”, aveva esortato. “Osservate con blando interesse esteriore e con distaccato divertimento.” Altre due paia di occhi erano presenti alla cerimonia. Kaer’lic Suun Wett e Tos’un Armgo erano rimasti dapprima vicini al gruppo di Gerti - con la quale si erano già incontrati in precedenza quella sera ma ben presto si erano spinti più avanti, dato che la sacerdotessa

drow, in particolare, voleva vedere meglio. Il richiamo al silenzio giunse dagli sciamani che si trovavano accanto alla statua, e gli orchi che non ubbidirono prontamente ricevettero subito un richiamo in punta di lancia, punta che venne dolorosamente conficcata nelle carni di parecchi presenti dai numerosi soldati di Obould sparsi in mezzo alla folla.

Molti

sciamani,

comunicò Tos’un a Kaer’lic, ricorrendo all’alfabeto muto dei drow, costituito da complicati gesti delle mani.

Un grande sortilegio comunitario, spiegò Kaer’lic. Non è un’usanza insolita tra i drow, ma mi è stato raramente riferito di razze inferiori che ricorrono a tale tattica. Forse questa cerimonia è davvero importante come era stato annunciato dagli orchi. Il loro potere non è grande! ribatté Tos’un, stringendosi enfaticamente il pollice.

Individualmente, no, convenne Kaer’lic. Ma non sottovalutare il potere degli sciamani tutti insieme. Né quello del dio degli orchi. Può darsi che Gruumsh abbia udito il loro appello. Kaer’lic sorrise nel vedere Tos’un muoversi a disagio, le mani che si avvicinavano furtivamente ai fianchi a sfiorare le spade nel fodero. Kaer’lic non era preoccupata. Conosceva i piani di Obould, e sapeva che quei piani non erano molto diversi dai suoi, da quelli del suo compagno, o di Gerti. Era certa che quella non sarebbe stata una cerimonia destinata ad aizzare gli orchi contro i propri alleati. Fu distolta dai suoi pensieri dall’apparizione improvvisa di una figura in cima alla statua profanata del dio degli orchi. Con indosso la veste rossa di Achtel e il suo tipico copricapo da cerimonia, Arganth Snarrl si portò con un balzo sul punto più alto e levò le braccia al cielo, reggendo in ciascuna mano una torcia le cui fiamme danzavano nel vento notturno. Il viso era dipinto di rosso e di bianco e dai polsi pendevano numerosi bracciali fatti con denti di animali. All’improvviso, emise un grido stridulo e gettò le braccia ancora più in alto, mentre numerose altre torce si accendevano formando un cerchio attorno alla statua.

Kaer’lic osservò con attenzione i portatori delle torce, tutti sciamani, tutti dipinti e abbigliati in modo vistoso. La drow non aveva mai visto così tanti orchi sciamani riuniti e, conoscendo la stupidità di quei bruti, era sorpresa che avessero persino pensato di abbigliarsi in quel modo! Dalla sua posizione prominente, Arganth cominciò a girare lentamente in tondo. A loro volta, gli sciamani che stavano al di sotto cominciarono a camminare tutt’intorno al perimetro della statua, ciascuno producendosi in piroette mentre avanzava lungo il cerchio più grande. A poco a poco, Arganth accelerò il passo, seguito dagli altri. La marcia si fece più concitata, simile a una danza. Le torce si muovevano a scatti e ondeggiavano a ritmo irregolare. Lo spettacolo durò parecchi minuti e gli sciamani non parevano per niente stanchi, particolare che, da solo, fece capire alla ricettiva Kaer’lic che ci doveva essere sotto qualche stregoneria. La sacerdotessa drow strizzò gli occhi e prese a osservare la scena con ancora maggiore attenzione. Infine Arganth si fermò di botto, imitato in simultanea da tutti gli altri. Kaer’lic trattenne il respiro: solo uno stato di comunione spirituale superiore poteva aver coordinato tali movimenti. Con il sincronismo tipico di una formazione di esperti ballerini - particolare da escludere, visto che la maggior parte degli sciamani non apparteneva neppure alla stessa tribù e si conosceva solo da pochi giorni - il gruppo ondeggiò e girò su se stesso fino a fermarsi, il corpo eretto, le torce tenute alte e ferme. In quel momento, Obould fece finalmente la sua apparizione. La folla, come una sola persona, compresa Kaer’lic e i suoi compagni drow, Gerti e i suoi giganti, ammutolì. Il re degli orchi era nudo, il corpo muscoloso dipinto di colori vivaci: rosso, bianco e giallo. Il bianco che contornava gli occhi li ingrandiva a tal punto da dare l’impressione a ciascuno dei presenti che Obould stesse fissando proprio lui, così che tutti, per riflesso, si ritrassero un po’. Mentre ritrovava la propria lucidità, Kaer’lic si rese conto di

quanto quella cerimonia fosse straordinaria, dato che Obould non indossava la sua magnifica armatura. L’orco aveva permesso che il proprio corpo si mostrasse vulnerabile, benché non sembrasse per nulla indifeso. Il torace si gonfiava a ogni passo e le gambe davano l’impressione che i muscoli fossero troppo tesi, i tendini rigidi e tirati. Sotto molti aspetti, l’orco non era meno imponente di quando si presentava ricoperto dalla sua corazza e armato fino ai denti. I tratti del viso si contorsero, mentre la bocca si stirava in un ringhio largo e minaccioso che, crescendo di intensità, pareva essere a malapena contenuto nell’involucro della gola. Lassù in alto, Arganth abbassò una torcia e se la passò davanti con un movimento orizzontale. Il primo orco prigioniero venne trascinato alla presenza di Obould e costretto a inginocchiarsi dalla guardia che lo scortava. La povera creatura gemeva da far pietà, ma i suoi squittii furono presto messi a tacere dagli sciamani, che avevano cominciato a salmodiare il nome del loro dio. Il canto raggiunse le prime file della folla e si diffuse tra il resto dei presenti, finché migliaia di voci di orchi non si unirono all’invocazione di Gruumsh. L’atmosfera era così ipnotica che anche Kaer’lic si sorprese a mormorare il nome del dio. La drow si guardò intorno nervosa, sperando di non essere stata vista da Tos’un, poi sorrise nell’accorgersi che anche lui stava invocando il dio degli orchi. Gli assestò una brusca gomitata sul fianco per ricordargli chi era. Poi riportò lo sguardo sulla scena della cerimonia proprio nel momento in cui Arganth aveva cominciato a gridare, incrociando le due torce dinanzi a sé e facendo ammutolire tutti. Nell’abbassare lo sguardo su Obould, Kaer’lic vide che aveva estratto una grossa spada, che sollevò adagio al di sopra del capo e calò con un urlo sulla testa dell’orco inginocchiato, mozzandogliela. La folla emise un ruggito. Il secondo orco prigioniero venne a sua volta trascinato al cospetto di Obould e fatto inginocchiare accanto al corpo decapitato del primo. La cerimonia proseguì seguendo lo stesso rituale del canto e della decapitazione finché tutti e dieci i prigionieri non furono giustiziati,

mentre ogni esecuzione suscitava tra i presenti acclamazioni sempre più entusiaste alla gloria di Gruumsh. E ogni volta sembrava che Obould si facesse un po’ più alto e forte, il possente torace sempre più gonfio sotto la pelle tesa del corpo. Quando tutto fu finito, gli sciamani ripresero a danzare in cerchio e gli orchi a rivolgere invocazioni al grande Occhio-solo. Poi venne portato un animale, un grosso toro dalle gambe legate saldamente per mezzo di corde. I guerrieri orchi che lo circondavano lo pungolavano con la punta delle lance senza dargli tregua, mentre lo spingevano davanti al loro magnifico re. Obould fissò lungamente il toro con sguardo truce, come se i due fossero caduti in una sorta di trance. Poi lo afferrò per le corna, stando fermo, gli occhi sempre puntati nei suoi. Arganth scese dalla statua, e tutti gli sciamani gli si avvicinarono circondando il toro. Cominciarono a lanciare il loro incantesimo all’unisono, frammezzando le formule magiche con invocazioni al dio Gruumsh per richiedere la sua benedizione. Kaer’lic riconobbe alcune parole e capì che si trattava di una magia per accrescere temporaneamente la forza di qualcuno. Ma c’era qualcosa di diverso, dato che l’intensità delle suppliche era tale da poterne percepire le prodigiose vibrazioni persino a distanza. Una serie di luci misteriose e multicolori, verdi, gialle e rosa, cominciò a fluttuare attorno al toro e a Obould. Pareva che un numero sempre maggiore di luci venisse addirittura emanato dal toro stesso per venire poi assorbito e assimilato dal re degli orchi. Ciascuna di esse sembrava portare via un po’ di forza all’animale che, ben presto, si ritrovò instabile sulle gambe mentre, al contrario, Obould diventava sempre più vigoroso. A un certo punto il gioco di luci finì, e solo allora Kaer’lic si accorse che, nel frattempo, le corde che assicuravano le zampe del toro erano state recise, e che questo era tenuto fermo solo dalle mani di Obould. Tutti tacquero: un brivido di anticipazione serpeggiò tra la folla.

Con il passare dei minuti, Obould e il toro continuavano a fissarsi. Poi, con una mossa rapida e possente il re degli orchi impresse una rotazione alla testa dell’animale facendole fare un giro completo di trecentosessanta gradi. L’orco mantenne a lungo quella posizione, gli occhi puntati su quelli della vittima, infine mollò la presa lasciandola crollare a terra. Quindi, alzò le braccia al cielo e gridò: “Gruumsh!”. Un’ondata di energia scaturì dalla sua persona e andò a riversarsi sulla folla sbigottita e muta. Kaer’lic ci mise un po’ per rendersi conto che si era lasciata cadere in ginocchio, al pari di quanti le stavano intorno. Lanciò un’occhiata ai giganti dei ghiacci, solo per appurare che anch’essi erano in ginocchio e che nessuno, Gerti meno di tutti, era palesemente compiaciuto della cosa. Gli sciamani tornarono di nuovo a danzare attorno alla statua e nessuno dei presenti osò rialzarsi, sebbene tutti avessero ripreso a cantare. All’improvviso, ogni cosa si fermò ancora. Fu portato un secondo animale, un grosso coguaro, con attorno al collo un cappio assicurato a lunghi bastoni. Nell’avvicinarsi a Obould, la belva ruggì, ma questi non ne fu per niente intimorito. Si mise persino a terra, a quattro zampe, per fissare il felino negli occhi. I guardiani allentarono il cappio e rimossero i bastoni, liberando l’animale. I due continuarono a fissarsi tenendo la folla col fiato sospeso. Poi il coguaro fece un balzo in avanti, spalancando le fauci e ruggendo, le zampe protese a graffiare l’aria, mentre Obould le bloccava nella morsa delle sue mani. Gli artigli della bestia non riuscirono ad affondare nella carne dell’orco. I suoi denti non riuscirono a fare presa. Obould si rialzò in tutta la sua statura sollevando sopra la testa il felino che si contorceva e si divincolava.

Il re degli orchi mantenne a lungo quella posa, poi invocò di nuovo Gruumsh e cominciò a muoversi in cerchio, i piedi che acquistavano velocità a ogni passo, il corpo in equilibrio perfetto a ogni salto e giravolta. Quindi si fermò nel bel mezzo della frenetica danza e diede una vigorosa torsione al collo dell’animale. Questi emise un lamento, poi si fece muto e inerte. Obould lo gettò a terra accanto al cadavere del toro. La folla cominciò a ruggire. Gli sciamani cominciarono a cantare e a danzare, girando intorno al re degli orchi, ai prigionieri e agli animali uccisi. Arganth entrò nel cerchio e da lì guidò le danze. Lo sciamano cominciò a ondeggiare ritmicamente, mormorando una formula magica che Kaer’lic non fu in grado di udire. I dieci orchi senza testa si rialzarono e si avviarono in silenziosa processione a formare una doppia fila dietro a Obould. Arganth si concentrò di nuovo su un altro sortilegio e, all’improvviso, ecco che il toro e il coguaro balzarono in piedi, vivi e vegeti. Vivi e vegeti! Le povere creature, confuse e spaventate, si allontanarono di corsa nel buio della notte. Gli orchi acclamavano, ma Obould era molto calmo. Kaer’lic riusciva a stento a respirare. Il ritorno in vita dei cadaveri dei prigionieri non era poi quella grande prodezza - di certo, nulla che non si fosse aspettata da uno sciamano - ma la risurrezione dei due animali! Com’era possibile che tutto ciò fosse stato fatto a opera di un orco? E Kaer’lic capì, e se ne rese conto. Gruumsh in persona doveva aver preso parte alla cerimonia, in spirito, perlomeno. L’invocazione degli orchi al loro dio era stata ascoltata e la benedizione dell’Occhio-solo si era riversata su Obould. Kaer’lic comprese tutto con chiarezza esaminando l’imperturbabile re degli orchi. Seppure lontana, poté percepirne l’aria solenne, poté riconoscere l’accresciuta forza soprannaturale e la rapidità di riflessi di cui era stato dotato il suo possente fisico.

Capì che i nani avevano commesso un errore, un grave errore. Lo stratagemma di usare la statua di Gruumsh per ingannare i suoi accoliti aveva attirato su di essi la collera del dio degli orchi, nella forma di Re Obould Many-Arrows. All’improvviso, Kaer’lic Suun Wett provò paura. All’improvviso, la bilancia del potere tra coloro che si erano alleati nella lotta contro i nani si era spostata. E non per il meglio.

10

L’ALLIEVO FA UN PASSO AVANTI Era impressionante”, ammise cupa Kaer’lic Suun Wett. Tos’un, accanto a lei, la prese in giro, mentre Donnia e Ad’non, seduti di fronte, rimanevano immobili a bocca spalancata. “Sono solo degli orchi”, disse il reietto del Casato Barrison Del’Armgo. “Si è trattato di un’illusione causata dall’emozione del momento.” Per un attimo, sembrò che Kaer’lic volesse schiaffeggiarlo, tanto i lineamenti del viso le si fecero tirati, mettendo in risalto i muscoli. “Ma certo”, convenne Donnia sottolineando le parole con una risatina sdegnosa. “L’atmosfera, la folla: la cerimonia è stata amplificata dall’intensità del...” “Silenzio!” ordinò Kaer’lic con un vigore tale che Donnia e Ad’non misero mano all’elsa delle rispettive spade. “Sottovalutare Obould adesso potrebbe rivelarsi disastroso. Quello sciamano, Arganth della tribù Snarrl.., era davvero ispirato. Divinamente ispirato.” “Che cosa assurda”, commentò Ad’non sottovoce. “Si tratta di qualcosa a cui ho già assistito, durante una cerimonia in cui erano apparse parecchie yochlol”, confermò Kaer’lic. “Anche allora avevo capito con cosa avevo a che fare: l’ispirazione divina.” Si voltò verso Tos’un. “Sei solito ingannarti con così tanta facilità da arrivare a credere di non avere davvero assistito a ciò che hai visto?” “Posso capire tutta quell’aria di magia”, ribatté Tos’un con fare esitante.

“La testa del toro è stata fatta ruotare di trecentosessanta gradi”, lo rimproverò Kaer’lic, rivolgendosi anche agli altri. “L’animale era morto, e poi, a un certo punto, non lo era più, e questo genere di risurrezioni è semplicemente al di là dei poteri di qualsiasi orco sciamano.” “Normalmente, sì”, ammise Ad’non. “Ma forse è Arganth che non dobbiamo sottovalutare.” Scrollando il capo a ogni parola, Kaer’lic replicò: “Arganth è davvero degno della fama che si è creato. Nutre una forsennata devozione nei confronti di Gruumsh e ha gestito la fortuita morte di Achtel con molta intelligenza. Ma se avesse posseduto poteri magici sufficienti a far rivivere i due animali uccisi, avrebbe anche potuto averla vinta su Achtel e sui suoi dubbi, ben prima della sua morte intempestiva. Ma non l’ha fatto, non ci ha neanche provato”. “Ritieni che la morte di Achtel sia stata una fortunata coincidenza?” chiese Donnia. “È stata uccisa da Drizzt Do’Urden”, rispose Kaer’lic. “Su questo non ci sono dubbi. Era proprio lui, in compagnia delle sue scimitarre: ci sono testimoni. L’ha ammazzata e si è aggirato come una furia nell’accampamento per poi svanire nella notte. Dubito che fosse uno strumento nelle mani di Gruumsh. Ma Arganth l’ha fatto credere a quegli stupidi orchi, sfruttando il fatto a suo vantaggio.” “E adesso sappiamo che Drizzt ha degli alleati tra gli elfi di superficie”, osservò Tos’un. “Mi chiedo fino a che punto”, congetturò Donnia, che, nonostante il resoconto della battaglia sul fiume, non pareva pienamente convinta. “Questo aspetto è secondario”, ricordò esplicita Kaer’lic. “Drizzt Do’Urden non è un nostro problema!” “Non fai che dircelo”, la interruppe Ad’non. “Perché mi sembra che non vi sia ancora entrato in testa”, replicò la sacerdotessa. “Drizzt non è un nostro problema, e neppure noi lo siamo per lui, a meno che non venga a sapere della nostra esistenza. Sono Obould e Gerti che se ne devono occupare e noi faremmo meglio a lasciare che se ne occupino. Soprattutto adesso che Obould

ha ottenuto i favori di Gruumsh.” La scettica coppia seduta di fronte a Kaer’lic reagì alla dichiarazione con alcune sbuffate. “Sottovalutatelo a vostro rischio e pericolo”, disse Kaer’lic rivolta ai due dileggiatori. “È più forte - lo si vede - e possiede una grande lucidità mentale. Persino Tos’un, che è convinto dell’esistenza di un trucco, non può negare questa evidenza. Obould è molto più forte.” Tos’un fece un riluttante cenno d’assenso. “Obould è sempre stato forte”, replicò Ad’non. “Persino prima della cerimonia, avrei esitato a muovergli guerra apertamente. E di sicuro nessuno di noi vuole provarci con Gerti Orelsdottr. Ma davvero gli sciamani hanno reso il re degli orchi più sveglio e intelligente? Ne dubito!” “Però gli hanno concesso la fiducia di un mandato e la certezza suprema di sapere che Gruumsh è dalla sua parte”, fece notare Kaer’lic. “Non dovete ignorare l’importanza di queste due conquiste. Adesso Obould non sarà più condizionato da quei timori e da quei dubbi interiori che avremmo potuto sfruttare a nostro vantaggio. Avanza sicuro, forte e deciso. Valuterà con grande attenzione qualunque nostra parola contraria ai suoi istinti, e con ancora maggiore attenzione eventuali nostri consigli volti a cambiare le sue decisioni. È una corrente più impetuosa e veloce, adesso, una corrente alla quale sarà difficile imporre il corso da noi desiderato.” I sorrisetti dubbiosi si trasformarono rapidamente in espressioni di cipiglio. “Ma sono convinta che noi abbiamo già tracciato adeguatamente il percorso di questo fiume”, proseguì Kaer’lic. “Non dobbiamo manipolare oltre Obould, visto che è fermamente deciso a continuare la guerra da noi voluta e che ora sembra più che mai in grado di farlo.” “Dobbiamo agire da spettatori distaccati e divertiti?” domandò Tos’un. Kaer’lic scrollò le spalle e rispose: “Non è necessario spingersi a tal punto”.

Donnia e Ad’non si scambiarono un’occhiata perplessa e Ad’non scosse il capo. “Rimane la questione di Gerti”, concluse. “E questa cerimonia in onore di Obould probabilmente metterà la gigantessa ancora più sulla difensiva. L’ascesa di Obould potrebbe rendere più unite le tribù degli orchi, ma è possibile che susciti forti dubbi in Gerti. Giacché, sebbene il re degli orchi abbia acquisito un enorme potere, avrà bisogno dell’aiuto dei giganti di Gerti per ricacciare i nani nelle loro tane e depredare le campagne.” “Perciò, dobbiamo assicurarci che Gerti continui a seguire Obould”, intervenne Tos’un. Gli altri tre gli lanciarono un’occhiataccia deplorando in silenzio la sua ottusità, e lui accettò il tacito rimprovero con la giusta dose di umiltà. Dopotutto, era il più giovane del gruppo e di certo il meno esperto in tali questioni. “No, non seguire”, lo corresse Donnia. “Dobbiamo far sì che continui a stargli accanto e assicurarci che lui capisca che sta procedendo al suo fianco, e non che la sta guidando.” Gli altri annuirono; si trattava di una distinzione molto sottile, ma estremamente importante. *** Non appena il sole fu tramontato, Ad’non e Donnia abbandonarono la profonda caverna a est, non troppo lontana dalle rovine di Shallows, eletta a domicilio temporaneo dal gruppo. Nell’uscire all’aperto, i due elfi scuri batterono ripetutamente le palpebre, dato che, sebbene la luna non fosse ancora sorta, la relativa luce della notte di superficie continuava a dare loro fastidio. Donnia rivolse lo sguardo a oriente, oltre i ripidi pendii e le alture, verso il fiume Surbrin che scorreva sinuoso in direzione sud, riflettendo nelle sue acque impetuose lo scintillio delle stelle. Al di là, si estendeva l’oscurità di Moonwood, dove risiedevano parecchi elfi. Stando ai recenti fatti, solo un paio di essi risultavano interessati

alle mosse di Obould, visto che il re degli orchi, dietro richiesta dei drow, non aveva ancora attraversato il fiume con il grosso delle forze. “Forse usciranno dalle loro dimore nella foresta”, commentò Ad’non leggendole nel pensiero. Il drow accompagnò le parole con una smorfia maligna e scoppiò in una roca risata. Entrambi speravano che gli elfi accorressero numerosi, questo Donnia lo sapeva. Obould sarebbe stato in grado di vincerli e lei avrebbe goduto nel vederli morti ai piedi degli orchi. O, meglio ancora - ma poteva lei osare tanto? - avrebbe potuto prendere in consegna alcuni prigionieri per potersi divertire un po’ con i compagni. “Questa ossessione di Kaer’lic nei confronti di Drizzt è preoccupante”, osservò Ad’non. “Tos’un dice eccezionali.”

che

quel

furfante

possiede

poteri

davvero

“Già, e non metto in dubbio l’affermazione del nostro amico di Menzoberranzan a tale proposito”, replicò Ad’non. “Tuttavia...” “Kaer’lic sembra avere paura di tutto ultimamente”, convenne Donnia. “Pensate che si è messa a tremare al solo sentir nominare Obould. Un semplice orco!” “Forse è stata troppo a lungo lontana dalla nostra gente. Forse dovrebbe ritornare nel Buio Profondo: a Ched Nasad, magari, o a Menzoberranzan, se soltanto Tos’un potesse aiutarci a rientrare.” “Dove saremmo dei vagabondi senzatetto finché una delle Madri Matrone non si degnasse di offrirci un rifugio, in cambio di cieca fedeltà”, osservò amara Donnia, mentre Ad’non si limitò a scrollare le spalle. “Kaer’lic non sarebbe affatto contenta di sapere quali intenzioni abbiamo per questa notte”, aggiunse Donnia subito dopo. Ad’non scrollò di nuovo le spalle e disse: “Io non devo rendere conto delle mie azioni a Kaer’lic Suun Wett”.

“Anche se le sue argomentazioni sono ben fondate?” Ad’non fece una pausa, riflettendo a lungo su quelle parole. “In ogni caso, non stiamo cercando Drizzt Do’Urden”, concluse. Era abbastanza vero, anche se solo da un punto di vista tecnico. La coppia aveva deciso di indagare sui problemi incontrati dalla retroguardia di Obould nel corso delle ultime settimane. Naturalmente, sapevano che Drizzt Do’Urden era parte centrale di tali problemi, ma non era lui che li aveva spinti a uscire dalle loro caverne in profondità, bensì le deduzioni di Kaer’lic e gli avvertimenti di Tos’un e, per quanto riguardava Donnia e Ad’non, il fatto che ci fosse una preda più ambita da cacciare. Due elfi di superficie, avvistati dai giganti di Gerti mentre se ne andavano in giro in groppa a cavalli alati: quelli sì che erano trofei succulenti! Nel giro di un’ora, i due drow giunsero sulla scena dell’ultimo attacco, nei pressi del torrente tra le montagne. Il terreno tutt’intorno era letteralmente disseminato di cadaveri di orchi, anche perché nessuno si era preso la briga di seppellirli. Seguendo le tracce del massacro, i due ben presto ricostruirono il percorso di Drizzt, e i corpi di numerosi orchi uccisi, disposti in cerchio, mostrarono il punto in cui i due elfi di superfìcie erano intervenuti nello scontro.

I morti sono più di una ventina, abbattuti per mano di tre spade soltanto, comunicò Donnia con l’alfabeto muto delle mani, stando bene attenta a non pronunciare una sola sillaba.

La maggior parte uccisa da Drizzt, senza dubbio, prima che fosse raggiunto dagli altri, giunse la risposta di Ad’non. Indugiarono ancora un po’ sul campo di battaglia, cercando di cogliere quanti più indizi possibile sulle tecniche di combattimento usate, analizzando sia la disposizione dei cadaveri sia il tipo di ferite. Più di una volta Donnia comunicò silenziosamente ad Ad’non la propria ammirazione per l’eccellente lavoro di spada compiuto, e più di una volta Ad’non si dichiarò d’accordo. E, all’incirca verso la metà della notte, i due si allontanarono dall’epicentro della battaglia e setacciarono la zona del perimetro, spingendosi anche oltre, per individuare eventuali segni di passaggio.

Con grande sorpresa e delizia, scoprirono con relativa facilità alcune tracce e furono in grado di capire dalle impronte e dagli steli d’erba piegati che di là erano passati almeno due dei tre nemici.

Gli elfi di superficie, mimò Ad’non. Mi sarei aspettato che

sapessero coprire meglio le loro orme.

A meno che non le abbiano lasciate a beneficio degli orchi, ipotizzò Donnia. Anche se credo che ben pochi orchi saprebbero individuare questi tenui indizi che ai nostri occhi sembrano ovvi. Ai nostri occhi esperti e a quelli di Drizzt, forse? chiese Ad’non muovendo le dita.

Donnia sogghignò e si chinò a esaminare un particolare tratto di boscaglia. Sì, le sembrava tutto perfettamente logico. Solo uno sguardo attento e una particolare abilità nel seguire le orme di elfi scuri ben addestrati avrebbero potuto decifrare quelle impronte, che sicuramente non avrebbero significato nulla per gli orchi. Tuttavia, in base alla sua esperienza sugli elfi di superficie, Donnia era certa che le tracce fossero state lasciate di proposito. Più guardava e più si rendeva conto che la sottile allusione di Ad’non aveva colto nel segno. Gli elfi pensavano che i loro nemici fossero gli orchi, i goblin e i giganti, mentre l’elfo scuro era loro alleato. Per la verità, gli orchi presenti al massacro riferivano che l’elfo scuro e gli elfi di superficie si erano separati subito dopo la battaglia; forse questi ultimi volevano assicurarsi che Drizzt Do’Urden sapesse dove trovarli in caso di necessità.

Credi che dovremo andare a divertirci un po’? domandò Ad’non

agitando le dita.

Donnia sollevò le mani davanti a sé in segno di assenso e di entusiasmo e batté l’esterno dei due pollici assieme.

Sicuramente! *** Quando Kaer’lic e Tos’un fecero il loro ingresso nella tenda di Obould, la tensione che aleggiava nell’aria era percettibile.

Un’occhiata in direzione di Gerti, la gigantessa seduta a gambe incrociate (il che non impediva comunque che la sua testa arrivasse a sfiorare la volta ad arco in pelle di cervo) in mezzo a due guardie dalla faccia torva, fece capire ai drow che l’incontro non prometteva bene. “Nesmé è stata conquistata”, proseguì Gerti, non appena i nuovi venuti ebbero preso posto di fronte a lei, alla destra di Obould. “Proffit e i suoi spregevoli troll hanno fatto più progressi di noi e in un tempo decisamente più breve.” “I loro nemici non erano forti come i nostri”, ribatté Obould. “Hanno combattuto contro uomini che abitavano in villaggi di superfìcie, mentre noi stiamo cercando di stanare nani dai loro buchi sottoterra.” “Buchi sottoterra?” ruggì Gerti. “Non abbiamo neanche lontanamente raggiunto Mithral Hall. Tutto quello che tu e il tuo inetto figlio vi siete trovati a fronteggiare erano insediamenti minori e un pugno di nani in terreno aperto! E Urlgen non è neanche stato capace di respingere un gruppetto di nani dall’altopiano e di farlo ripiegare su Mithral Hall. Questo non si chiama vincere. Questo si chiama trovarsi a un punto morto mentre, nel frattempo, quel disgraziato di Proffit sta marciando fuori dai Trollmoors!”

Proffit? Tos’un fece segno a Kaer’lic, sillabando il nome

sconosciuto.

Il capo dei troll, rispose Kaer’lic, tirando naturalmente a

indovinare, dato che sapeva ben poco di ciò che accadeva nei territori a sud. Kaer’lic riportò l’attenzione sulla gigantessa e sul re degli orchi e vide che l’espressione del viso di Obould non lasciava presagire nulla di buono. “Il figlio di Re Obould reclama la testa di Bruenor Battlehammer come trofeo”, interloquì la drow, cercando di allentare la tensione. Kaer’lic stava solo cominciando a capire l’entità del cambiamento che si era verificato nel re degli orchi, e le venne in mente che con la sua rinnovata sicurezza e abilità, Obould non ci avrebbe pensato due volte a sfidare Gerti, aizzando le proprie legioni contro di lei e i suoi

giganti. “Io non ho visto alcuna testa di Battlehammer in giro”, replicò Gerti seccamente. “Sono stati in molti ad assistere alla sua caduta”, insistette Kaer’lic. “Con il crollo della torre.” “I miei giganti hanno avuto una parte essenziale in quell’evento.” “Questo è vero”, assentì Kaer’lic prima che Obould sbottasse, come sicuramente sembrava sul punto di fare. “Perciò, ad oggi, le nostre vittorie equivalgono almeno a quelle del troll, come si chiama, Proffit?” “Proffit”, confermò Obould. “Che ha riunito i troll e gli abitanti delle paludi sotto il suo comando e li ha guidati fuori dai Trollmoors, numerosi come mai prima d’ora.” “Cercherà di fare pressioni su Mithral Hall da sud?” chiese Kaer’lic. Obould si chinò in avanti e appoggiò il mento sulla mano con aria riflessiva. “Meglio dalle gallerie”, dichiarò Tos’un facendo convergere su di sé gli occhi dei tre capi. “Lasciamo che Proffit prema sui nani”, proseguì il drow. “Lasciamo che lui e i suoi scagnozzi li tengano occupati, dopo che noi li avremo ricacciati nelle gallerie di Mithral Hall. Nel frattempo noi raderemo al suolo i villaggi ampliando i nostri confini, dopodiché rivolgeremo la nostra attenzione ai nani sotto assedio.” Il viso di Kaer’lic rimase impassibile, ma le sue mani trasmisero un segnale di gratitudine a Tos’un per la geniale pensata. “La caduta di Nesmé e la presenza dei troll probabilmente chiameranno in causa Silverymoon”, aggiunse Kaer’lic. “Questo noi non lo vogliamo. Lasciamo che scendano sottoterra a combattere contro Mithral Hall, come il figlio di Barrison Del’Armgo suggerisce. Forse allora i nostri nemici penseranno che Proffit e le sue miserabili creature si sono ritirati nei Trollmoors, dove persino Lady Alustriel non

oserebbe inseguirli.” Obould stava facendo cenno di sì con il capo, impercettibilmente, ma ciò che richiamò l’attenzione di Kaer’lic fu il cipiglio stampato sul viso di Gerti e la fissità dei suoi occhi blu, che non lasciavano nemmeno per un attimo la persona di Re Obould. La drow si rese conto che doveva esserci sotto qualcos’altro che non la semplice assenza di progressi recenti nell’avanzata verso Mithral Hall. Innanzitutto, a Gerti non andava giù l’apparente trasformazione di Obould. Si trattava di gelosia? Di paura? Per un attimo, questo pensiero terrorizzò Kaer’lic. Un dissenso tra orchi e giganti in un momento così critico avrebbe consentito ai nani di ricompattare le loro file e vanificare i successi finora raggiunti. Ma fu un pensiero fuggevole, poiché a Kaer’lic venne in mente che assistere a uno scontro tra orchi e giganti poteva essere uno spettacolo altrettanto piacevole di quello che avrebbero potuto offrire i loro due eserciti uniti contro i nani. “Il suggerimento mi attrae”, disse Obould a Tos’un. “Ne parleremo ancora. Ho mandato a dire a Proffit di deviare a est verso il Surbrin e di dirigersi poi a nord, verso le porte orientali di Mithral Hall, dove lo raggiungeremo per ricacciare i nani nelle loro tane.” “Dobbiamo dirigerci subito a sud per respingere il nemico che preme contro le schiere del tuo inutile figlio”, intervenne Gerti in tono perentorio. “Le forze di Urlgen vengono decimate e, sebbene non mi dispiaccia vedere orchi e goblin fatti a pezzi, temo che le perdite finiscano per essere troppo grandi.” A quell’osservazione, un’espressione di disprezzo totale apparve sul viso di Obould, tanto che Kaer’lic cominciò immediatamente a elaborare una formula magica che permettesse a lei e a Tos’un di svignarsela indisturbati nel caso l’orco si fosse avventato su Gerti. Ma Obould si ricompose, limitandosi a fissare la gigantessa con sguardo duro. “Le mie file si sono ingrossate tre volte tanto dalla caduta di Shallows”, le rammentò.

“I nani stanno trucidando l’esercito di tuo figlio”, replicò Gerti. “E nel farlo subiscono gravi perdite”, ribatté il re degli orchi. “E le loro forze si stanno fiaccando a causa dell’inadeguatezza dei rinforzi, mentre non c’è giorno che passi senza che nuovi guerrieri raggiungano le schiere di Urlgen. Se poi un numero più consistente di giganti dovesse partecipare alla battaglia, le perdite dei nani sarebbero ancora più ingenti.” “Non voglio sacrificare i miei soldati.” Obould cominciò a ridacchiare e disse: “I giganti moriranno in questa campagna, Madame Gerti Orelsdottr”. La semplice potenza del tono di voce dell’orco fece sì che Kaer’lic si voltasse a studiarne ogni singolo movimento. Era ovvio che la cerimonia aveva prodotto dei cambiamenti in Obould e gli aveva conferito la sicurezza di trattare con Gerti in un modo che era ben al di là delle aspettative della sacerdotessa drow. “A te la scelta”, proseguì Obould. “Se temi di subire delle perdite, allora fai ritorno alla Spina Dorsale del Mondo e alla sicurezza di Shining White. Se invece vuoi delle ricompense, allora affrettati. I Battlehammer saranno respinti nelle loro tane e la Spina sarà nostra. Non appena saranno in trappola, li spazzeremo via e Mithral Hall prenderà il nome di Citadel Many-Arrows.” Quell’ultima notizia sorprese chiunque non fosse un orco, nella tenda. Fin dalla prima volta in cui aveva incontrato Obould, Kaer’lic non aveva fatto altro che sentirlo esprimere un solo desiderio: riappropriarsi di Citadel Felbarr. Aveva forse abbandonato quel progetto spostando le sue mire sul più vicino insediamento di Mithral Hall? “E come reagirà Re Emerus Warcrown?” commentò astuta Gerti, facendo rilevare quella discrepanza e rammentando in modo fin troppo chiaro a Obould l’altro suo obiettivo. “Non possiamo attraversare il Surbrin”, ribatté questi senza la minima esitazione. “Non permetterò alle grandi potenze del nord di allearsi contro di noi, non ora. Citadel Felbarr manderà di certo aiuti e guerrieri al Clan Battlehammer, ma quando i nani perderanno Mithral Hall, visto che Re Bruenor è morto, è probabile che i loro

compagni dei territori a oriente li accolgano nelle loro profonde gallerie. Allora, dopo che i passaggi di collegamento saranno sotto controllo, la nostra vittoria sarà completa e tutte le terre comprese tra le montagne e il Surbrin, a sud dei Trollmoors, saranno nostre.”

Un bocconcino minore, comunicò Tos’un a Kaer’lic con il

linguaggio delle mani.

Una decisione saggia, rispose Kaer’lic. Adesso Obould persegue un obiettivo più grande che non la semplice vendetta e la battaglia. Persegue la vittoria. Kaer’lic si stupì di quell’idea persino mentre la comunicava con i delicati gesti delle mani a Tos’un. Sebbene fosse decisamente migliore dei suoi meno pregevoli simili, Obould le aveva sempre dato l’impressione di non possedere tutta quella perspicacia che stava dimostrando. Dal giorno del loro primo incontro, il re degli orchi non aveva fatto altro che parlare di riprendersi Citadel Felbarr, cosa che, dopo la riconquista di Mithral Hall da parte dei nani e il consolidamento delle alleanze tra il triumvirato di Mithral Hall, Citadel Felbarr e Citadel Adbar, sembrava del tutto impossibile. Persino nell’incoraggiare l’unione delle forze degli orchi con quelle dei giganti in vista di quella campagna, i quattro intriganti elfi scuri avevano sempre dato per scontato il fatto che Obould facesse fiasco. Kaer’lic e i suoi compagni non avevano mai pensato ad alcun successo reale e duraturo, ma solo a un semplice momento di confusione dal quale trarre soddisfazione e profitto. Chissà se la cerimonia dello sciamano Arganth aveva munito il re degli orchi di una sorta di intuito superiore! Chissà se l’atto blasfemo dei nani nei confronti della statua di Gruumsh aveva portato a Obould e alle sempre più folte schiere dei suoi sostenitori la possibilità di una vittoria stabile e concreta! Kaer’lic ebbe cura di non lasciare che questi pensieri avessero la meglio, ricordando a se stessa che, per quanto numerosi, dopotutto, non erano altro che orchi. Bastava che guardasse ribollire la rabbia negli occhi di Gerti per rendersi conto che i piani di Obould si sarebbero potuti sgretolare e cadere in mille pezzi in qualunque momento.

“Tutta la regione sarà nelle nostre mani all’inizio dell’inverno”, spiegò Obould. “Bloccheremo i nani nei loro buchi e controlleremo tutte le terre in superficie fino alle montagne. Durante l’inverno combatteremo invece nelle gallerie di Mithral Hall.” “I nani saranno più forti, al sicuro, sottoterra”, osservò Kaer’lic. “Ma quanto resisteranno?” chiese Obould. “Re Bruenor è morto, e non potranno ricevere merce né viveri a meno di uscire all’esterno.” Il ragionamento aveva una sua logica, Kaer’lic dovette confessare a se stessa, e quella constatazione le piaceva e le faceva paura al tempo stesso. Forse Obould era diventato troppo sensato. Sempre scettica sull’intera impresa, la sacerdotessa drow prevedeva sia una potenziale ascesa di potere sia una rovinosa caduta. L’aspetto peggiore della situazione stava nel fatto che Re Obould era diventato all’improvviso meno malleabile nei confronti dei progetti e degli imbrogli degli elfi scuri. Il che avrebbe potuto renderlo pericoloso. Kaer’lic lanciò un’occhiata a Gerti e si rese conto che la gigantessa stava pensando più o meno la stessa cosa.

11

LIBERARSI DALLE CATENE In uno dei suoi rari momenti di calma, l’esausto Wulfgar si appoggiò a un masso e fece correre lo sguardo su Keeper’s Dale, spingendolo fino alle porte occidentali di Mithral Hall. “Stai pensando a Bruenor”, osservò Catti-brie quando lo raggiunse. “Sì”, mormorò il gigantesco barbaro. Le lanciò un’occhiata e, nel vederla, quasi scoppiò a ridere, benché la sua reazione fosse dettata più dalla rassegnazione che non dal divertimento. Catti-brie era ricoperta di sangue da capo a piedi, la chioma dai bei riflessi ramati appiccicata alla testa, gli abiti macchiati e gli stivali che sembravano aver cambiato colore tanto erano impregnati. “Mi sa che la tua spada è troppo tagliente”, commentò lui. Catti-brie si passò una mano sui capelli impastati e fece un sospiro impotente. “Non avrei mai pensato di arrivare a stancarmi di uccidere orchi e goblin”, disse. “E per quanti tu ne uccida, te ne trovi sempre di nuovi davanti.” Wulfgar si limitò ad annuire e a guardare di nuovo giù nella valle. “Regis ha ordinato a tutti i sacerdoti di non prodigare più le loro cure a Bruenor”, gli ricordò Catti-brie. “Dovremo farci trovare al suo capezzale quando morirà?” fu tutto ciò che Wulfgar riuscì a dire prima che la voce gli si spezzasse. Sentì che la ragazza si avvicinava, ma non si voltò, temendo di scoppiare a piangere se solo l’avesse guardata negli occhi. E questa era una cosa che non poteva fare, una cosa che nessuno dei due

poteva permettersi. “No”, disse Catti-brie, posando una mano confortante e familiare sulla poderosa spalla di Wulfgar e avvicinandosi per stringergli la testa al seno. “L’abbiamo già perduto”, mormorò. “L’abbiamo visto cadere a Shallows. Il nostro Bruenor è morto allora, e non quando il suo corpo esalerà l’ultimo respiro. I sacerdoti l’hanno tenuto in vita per il nostro bene, non per il suo. Bruenor se ne è già andato da tempo, e adesso probabilmente siede alla tavola in compagnia di Gandalug e Dagnabbit, e si sta lamentando di noi e del nostro piagnucolare.” Wulfgar pose l’enorme mano su quella di Catti-brie e si voltò a guardarla, ringraziandola in silenzio per quelle parole di consolazione. Non si sentiva ancora ben sicuro di ciò che stava accadendo, e aveva quasi l’impressione di tradire Bruenor per non essere accanto a lui nel momento della dipartita. Ma come avrebbero potuto Banak e gli altri fare a meno dell’aiuto suo e di Catti-brie in un momento così cruciale ai fini della battaglia? Sicuramente Bruenor gli avrebbe rifilato uno scapaccione nel sentire una tale assurdità. “Non riesco neppure a dirgli addio”, disse Wulfgar. “Quando pensavamo che tu fossi morto per mano di una yochlol, Bruenor si è disperato per settimane”, raccontò Catti-brie. “Si sentiva il cuore straziato come mai prima di allora.” Gli si mise di fronte prendendogli il viso fra le mani e guardandolo fisso negli occhi. “Ma non si fermò. E in quei primi giorni, quando i micidiali elfi scuri ci stavano ancora incalzando, lasciò emergere tutta la sua rabbia. “Non c’è tempo per piangere”, continuava a borbottare quando pensava che nessuno lo udisse.” “E noi dobbiamo essere altrettanto forti”, convenne Wulfgar. Ne avevano già discusso in precedenza, naturalmente, dicendosi più o meno le stesse cose e con la stessa determinazione. Wulfgar si rendeva conto che la necessità avvertita da lui e da Catti-brie di ripetere quanto era già stato detto veniva da profondi dubbi e paure, da una situazione sfuggita all’improvviso a ogni controllo.

“Bruenor Battlehammer riposa con i suoi antenati”, proseguì Wulfgar, “e per lui sarà più facile, se saprà che Mithral Hall è sicura e che gli amici e la famiglia hanno combattuto per il suo nome e per la sua causa”. Catti-brie gli diede un bacio sulla fronte e lo abbracciò stretto, mentre Wulfgar, con un profondo sospiro, si liberava, seppure temporaneamente, del proprio dolore. Per lui il mondo era cambiato, e sarebbe cambiato di nuovo, e non in meglio, quando Re Bruenor fosse stato seppellito accanto ai propri antenati. Le parole di Catti-brie avevano un senso e Wulfgar si rendeva conto che Bruenor era morto gloriosamente, come dovrebbe morire ogni nano, come Bruenor stesso avrebbe voluto, nella battaglia di Shallows. Tale constatazione gli rese le cose un poco più accettabili. Solo un poco. “E tu?” chiese Wulfgar alla ragazza. “Ti preoccupi così tanto delle pene altrui, ma io vedo un grande dolore nei tuoi occhi, amica mia.” “Che persona sarei se la perdita del nano che si è preso cura di me come fossi sua figlia non mi ferisse nel profondo?” rispose Catti-brie. Wulfgar protese le mani afferrandole le braccia. “Mi riferivo a Drizzt”, aggiunse piano. “Non credo che sia morto”, fu l’enfatica risposta. Wulfgar scrollò il capo a ogni parola, dicendosi pienamente d’accordo. “Orchi e giganti?” disse. “No, Drizzt è vivo e vegeto e sta probabilmente uccidendo tanti nemici quanti ne uccidono qui i nostri guerrieri.” Nell’annuire, Catti-brie rispose con una smorfia che ricordava più un digrignare di denti che non un sorriso. “Non è questo ciò che intendevo dire”, proseguì Wulfgar. “So quanto tu sia confusa in questo momento, tutti coloro che ti vogliono bene e ti conoscono lo sanno.” “Stai dicendo un sacco di sciocchezze”, rispose Catti-brie, facendo un gesto come per accantonare l’argomento.

Wulfgar la trattenne per le braccia. “Gli vuoi bene?” chiese. “Potrei chiedere la stessa cosa a Wulfgar e sono certa che otterrei un’uguale risposta.” “Sai cosa intendo”, insistette Wulfgar. “Sicuro, vuoi bene a Drizzt come a un amico, come io gli voglio bene, e anche Regis, e Bruenor. Quando sono tornato da voi quattro, sapevo che avreste alleviato il mio tormento e mi avreste aiutato a smetterla con il mio vizio del bere. Voi siete i miei più fedeli amici e la mia famiglia. Ma tu sai che la mia domanda era diversa. Lo ami?” La lasciò andare e lei fece un passo indietro, senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi azzurro ghiaccio e senza battere ciglio. “Quando te ne sei andato...” cominciò a dire. Wulfgar rise al palese tentativo di lei di non urtare i suoi sentimenti. “Tutto questo non ha niente a che fare con me!” insistette. “Tranne per il fatto che ti sono amico. Che tengo profondamente a te. Per favore, per il tuo bene, non sfuggire alla verità. Lo ami?” Catti-brie emise un profondo sospiro e abbassò gli occhi. “Drizzt”, disse, “quello che provo per lui è diverso da ciò che sento per il resto del gruppo”. “E siete amanti?” La domanda brusca e diretta fece sì che la ragazza riportasse di colpo lo sguardo sul barbaro. Ma nei suoi occhi scorse solo sincera compassione, che le fece ricacciare indietro la secca risposta che le era venuta alle labbra. “Abbiamo passato molti anni insieme”, disse piano. “Quando tu cadesti e pensammo di averti perduto, Drizzt e io diventammo molto uniti, e trascorremmo anni insieme, a cavalcare con Deudermont.” Wulfgar le sorrise e alzò la mano per farle dolcemente segno di avere sentito abbastanza e di avere ben compreso ciò che voleva dire.

“Ma fu l’amore o l’amicizia ad accompagnarvi per tutto quel tempo?” chiese Wulfgar. Catti-brie rifletté un attimo, lo sguardo perso lontano. “C’è sempre stata amicizia”, disse. “Noi due l’abbiamo sempre ritenuta necessaria. L’amicizia e la solidarietà fraterna sono stati i sentimenti che più di tutti hanno sostenuto me e Drizzt durante il cammino.” “E adesso soffri perché ciò che provavi per lui andava ben oltre”, concluse Wulfgar. “E quando hai pensato di morire combattendo con quella moltitudine di orchi, il tormento che provavi era così grande perché sapevi di avere molto da perdere.” Catti-brie rimase a fissarlo senza rispondere. “Allora dimmi, amica mia, sei pronta ad abbandonare quella strada?” chiese Wulfgar. “Sei pronta a rinunciare a una vita avventurosa?” “Non più di quanto lo sia mai stato Bruenor!” rispose secca Cattibrie, senza la minima traccia di esitazione. Il viso di Wulfgar si illuminò con un ampio sorriso, dato che cominciava a vederci chiaro e a capire che sarebbe stato in grado di aiutare l’amica, quando lei ne avesse avuto bisogno. “Vuoi avere dei figli?” chiese. Catti-brie lo fissò incredula. “Che genere di domande mi stai facendo?” “Il genere di domande che farebbe un amico”, ribatté Wulfgar riproponendole il quesito. L’espressione severa della giovane si ammorbidi e Wulfgar capì che stava riflettendo, ponendosi per la prima volta il problema in tutta onestà. “Non lo so”, ammise. “Ho sempre pensato che sarebbe stata una scelta facile e che, ovviamente, avrei voluto dei figli miei. Ma adesso non sono così sicura, benché pensi che non mi rimanga molto tempo per decidere.” “E vorresti avere dei figli da Drizzt?”

Un’espressione di panico apparve sul viso di Catti-brie, mentre gli occhi le si spalancavano inorriditi, per poi addolcirsi subito. Wulfgar vide chiaramente che era combattuta, come d’altra parte si era aspettato. Poiché quello era il nodo della questione, il punto focale nel loro rapporto. Catti-brie voleva davvero essere la compagna di Drizzt, di un drow? Voleva davvero avere dei figli da lui, figli che sarebbero stati dei mezzi-drow? Di certo la risposta era ambigua, un sincero sì e un logico no, entrambi molto sentiti. Wulfgar cominciò a ridacchiare. “Mi stai prendendo per i fondelli”, esclamò Catti-brie, dando modo a Wulfgar di notare che, quando lei si agitava, parlava assumendo un’inflessione nanesca! “No, no”, la rassicurò Wulfgar, protendendo le mani in gesto di difesa. “Stavo riflettendo sull’ironia della cosa e mi diverte il fatto che tu presti ascolto alle mie parole e ai miei consigli, io che mi sono scelto come moglie una donna che viene da uno dei luoghi più impensabili di questa terra e che mi sto prendendo cura di un bambino che non è né mio né della mia inverosimile compagna.” Nell’assimilare il messaggio, Catti-brie sorrise a sua volta. “E noi, che apparteniamo a una famiglia nella quale un padre nano ha cresciuto due figli umani come se fossero i suoi”, replicò lei. “E devo cominciare a elencare le stranezze di Drizzt Do’Urden?” chiese Wulfgar. A quel punto Catti-brie si reggeva i fianchi dalle risate. “Potremmo forse dire che Regis è il più normale di tutti noi?” “Che il ciclo ce ne scampi e liberi!” commentò Wulfgar con aria drammatica, mentre Catti-brie rideva ancora più forte. “Forse sono proprio queste incongruenze che ci riguardano a farci spesso scegliere la strada che finiamo per percorrere.” A quell’osservazione, Catti-brie si fece più seria, per poi smettere del tutto di ridere e riprendere d’un tratto un’espressione grave, e Wulfgar capì che la conversazione l’aveva ricondotta al punto di partenza, e cioè alle condizioni di Bruenor Battlehammer.

“Può darsi”, convenne la ragazza. “Certo che finora, con Bruenor morente e Drizzt là fuori da solo...” “No!” insistette Wulfgar, e si alzò, ergendosi in tutta la sua persona dinanzi a lei. “Nonostante tutto!” Catti-brie sospirò e fece per replicare, ma Wulfgar la zittì. “Penso a mia moglie e a mio figlio rimasti a Mithral Hall”, disse. “Ogni volta che esco là fuori, so che potrei non rivedere Delly e Colson. Eppure ci vado, perché l’avventura mi chiama, come del resto hai ammesso anche tu. Bruenor ci ha lasciati, e dobbiamo accettarlo, e Drizzt.., be’, chi può mai sapere dove si trovi? Chi può sapere se la lancia di un orco gli ha trapassato il cuore e lo ha messo a tacere per sempre? Né tu né io, benché entrambi ci aggrappiamo alla speranza che sia vivo e che torni presto da noi. “Ma anche se non tornasse, anche se Regis accettasse il titolo permanente di castaldo, o di consigliere, se Banak Brawnanvil dovesse essere eletto Re di Mithral Hall, io non rinuncerò a percorrere quella strada. È la mia vita, con il vento che mi soffia sul viso e il cielo stellato che mi fa da coperta. È il mio destino, combattere contro gli orchi e i giganti e contro chiunque minacci i popoli della terra. Accolgo quel destino sentendomici bene dentro, e sarà così finché non sarò troppo vecchio per inerpicarmi sui sentieri di montagna, o finché la spada di un nemico non mi avrà fatto cadere. “Delly lo sa. Mia moglie accetta il fatto che io trascorra poco tempo accanto a lei a Mithral Hall.” Il barbaro sbottò in una risatina avvilita e si chiese: “Ma posso davvero chiamarla mia moglie? E posso chiamare Colson mio figlia?”. “Sei un buon marito per lei e un buon padre per la piccola.” Wulfgar accolse con gratitudine quelle parole. “Cionondimeno, non abbandonerò la mia strada”, disse, “e Delly Curtie non me lo permetterebbe. Questo è l’aspetto che sono giunto ad amare di più in lei. Questo è il motivo per cui sono convinto che si occuperà di Colson in mia assenza, se dovessi essere ucciso, per

educarla a diventare ciò che lei è destinata a diventare”. “Secondo la sua natura?” “L’importante è essere indipendenti”, spiegò Wulfgar. “Ed è di gran lunga più difficile rendersi indipendenti dai propri vincoli interiori che non da quelli imposti esternamente dagli altri.” Quelle semplici parole quasi sconvolsero Catti-brie. “Una volta dissi la stessa cosa a un nostro comune amico”, lei disse. “Drizzt?” La giovane annuì. “Allora presta ascolto alle tue stesse parole”, le consigliò Wulfgar. “Tu ami lui tanto quanto l’avventura. Cos’altro rimane da dire?” “Se volessi dei figli miei...” “In tal caso impartirai una nuova direzione al tuo cammino o alla tua vita”, le disse Wulfgar. “O può darsi che, nonostante tutto, intervenga il destino e tu ottenga quello che in realtà non eri sicura di volere.” Catti-brie trattenne il respiro. “E sarebbe una così brutta cosa?” le chiese Wulfgar. “Prenderti cura di un figlio di Drizzt Do’Urden? Se il bambino possedesse metà delle sue doti e anche solo un decimo del suo coraggio, non sfigurerebbe comunque tra gli uomini più grandi dei territori del nord.” Catti-brie sospirò di nuovo e si asciugò gli occhi con una mano. “Se Bruenor è riuscito ad allevare un paio di marmocchi turbolenti come noi...” osservò Wulfgar con un sorriso compiaciuto, lasciando la frase incompiuta. Catti-brie gli sorrise con affetto e gratitudine. “Accogli l’amore e la gioia dove li puoi trovare”, la ammonì Wulfgar. “Non preoccuparti così tanto del futuro da lasciarti sfuggire il presente. Con Drizzt sei felice. Cos’altro puoi desiderare di più?” “Parli proprio come lui”, replicò Catti-brie. “Non quando dava

consigli a me, ma a se stesso. Mi stai chiedendo di recarmi nello stesso luogo che Drizzt aveva scoperto, di apprezzare l’attimo e dimenticare tutto il resto.” “E quando Drizzt trovò quel luogo, tu cominciasti a farti cogliere dai dubbi”, commentò Wulfgar con un timido sorriso. “Quando trovò quel rifugio confortevole e accogliente e non ci furono più ostacoli, tu ne creasti altri - le tue paure - per bloccare di nuovo tutto.” Catti-brie scrollava il capo, ma Wulfgar capì che non era in disaccordo con ciò che le aveva detto. “Dai retta al tuo cuore”, la esortò a bassa voce il barbaro. “Minuto dopo minuto e giorno dopo giorno. Lascia che il fiume segua il suo corso, anziché nasconderti dietro a timori che potrebbero anche rivelarsi infondati.” Catti-brie alzò lo sguardo verso di lui annuendo. Felice di averle dato un po’ di conforto e qualche buon consiglio, Wulfgar si chinò a baciarle la fronte. Sul volto di Catti-brie comparve un largo e caloroso sorriso e, per la prima volta dopo molto tempo, lei sembrò finalmente in pace con se stessa. Wulfgar sapeva di averla riportata al presente e di averla liberata di quelle paure che la tenevano prigioniera. Perché sacrificare il piacere dell’oggi - il gusto della libertà, la compagnia dei suoi amici e l’amore di Drizzt - per timore di un incerto futuro? La guardò rilassarsi visibilmente, la guardò sorridere e diventare più spontanea e tollerante. Vide cadere le sue barriere difensive. “Da quando in qua sei diventato così perspicace?” gli chiese. “Da quando sono stato all’inferno”, replicò “Nell’inferno di Errtu e in quello mio personale.”

Wulfgar.

Catti-brie piegò il capo e lo fissò seria. “E ne sei uscito libero?” chiese. “Sei davvero libero?” Il sorriso di Wulfgar eguagliò il suo, lo superò persino in splendore, quel sorriso di ragazzo così largo e sincero, così caldo e, sì, così libero. “Andiamo ad ammazzare un po’ di orchi”, la invitò, e quelle

parole suonarono come musica agli orecchi di Catti-brie.

12

L’INGANNO Avanzavano attraverso la valle situata tra Shallows e le montagne a nord di Keeper’s Dale come un terribile uragano, una massiccia tempesta, scura e vorticosa. Guidata da Obould-che-era-Gruumsh e appoggiata dalla più imponente orda di giganti dei ghiacci che si fosse mai vista negli ultimi secoli, la moltitudine degli orchi travolgeva alberi e cespugli al suo passaggio e metteva in fuga animali grandi e piccoli. Per la prima volta dopo settimane, Re Obould Many-Arrows incontrò il figlio, Urlgen, in una gola riparata, a nord del promontorio sul quale erano arroccati i nani. Urlgen giunse all’incontro pieno di rabbia, deciso a chiedere altre truppe per respingere i nani dall’altopiano e costringerli a rifugiarsi nelle loro gallerie. Temendo che Obould e Gerti lo avrebbero rimproverato per non avere ancora ottenuto una vittoria decisiva, Urlgen era pronto ad attaccare e a criticare il padre per non avergli fornito una quantità di guerrieri sufficiente a raggiungere il suo scopo. Tuttavia, dopo che il giovane orco fu entrato nella tenda del padre, sentì svanire tutta la propria spavalderia per lasciare il posto allo stupore. Giacché si era accorto, fin dalla prima occhiata, che lo spietato capo che gli stava di fronte non era il padre che conosceva, ma qualcosa di più grande. Qualcosa di superiore. Uno sciamano che Urlgen non aveva mai visto era seduto accanto a Obould, leggermente più in basso e in avanti rispetto a lui, con indosso un copricapo piumato e una veste di un rosso acceso.

Dall’altra parte, verso l’estremità sinistra della tenda, sedeva Gerti Orelsdottr, con un’espressione che non pareva molto compiaciuta. Ma, soprattutto, l’attenzione del giovane e arrogante orco si focalizzò su Obould, al punto da non riuscire a distogliere lo sguardo dalla sua figura, dalla massa muscolare delle braccia possenti o dall’espressione feroce del viso, che sembrava sul punto di esplodere. Tale atteggiamento non era insolito in Obould, ma Urlgen si rese conto che questa volta il padre era ben più pericoloso. “Non li hai ricacciati a Mithral Hall”, lo aggredì Obould. A Urlgen non riuscì di capire se la dichiarazione fosse una semplice constatazione dei fatti o un’accusa rivolta alla sua inettitudine di comandante. “Sono nemici difficili”, ammise Urlgen. “Sono riusciti a rifugiarsi sull’altopiano prima che li raggiungessimo e hanno subito organizzato le loro difese.” “E queste difese adesso sono consolidate?” “No”, ribatté Urlgen con una certa dose di sicurezza. “I nostri attacchi sono troppo frequenti. I nani continuano a darsi da fare, ma sono indeboliti a causa dei numerosi scontri.” “Allora colpiscili ancora e poi ancora”, ordinò Obould, protendendosi verso di lui con foga improvvisa. “Se le punte delle vostre lance non ce la fanno a ucciderli, fai in modo di farli morire per la stanchezza. Rendili talmente stanchi di combattere da indurli a ritirarsi nei loro buchi sottoterra!” “Mi servono altri soldati.” “Non ti serve nient’altro!” Obould gli gridò di rimando, alzandosi dalla sedia e avvicinando la faccia a un palmo da quella del figlio. “Continua ad assalirli e a infilzarli per bene! Schiacciali e polverizzali in mezzo ai sassi!” Urlgen tentò con tutte le forze di sostenere lo sguardo del padre, ma invano, poiché si sentì invadere da un sentimento che andava ben al di là della semplice collera iniziale. Obould si era presentato con uno spiegamento di forze dieci volte più grande delle sue e con

un’orda di giganti al fianco. Un loro attacco concentrato avrebbe costretto i nani alla ritirata ricacciandoli dritti filati fino a Mithral Hall. “Mi dirigerò a est”, annunciò Obould. “Per bloccare il passaggio dei nani lungo il Surbrin e rispedirli nelle viscere della terra. Laggiù mi incontrerò con il troll Proffit, che ha annientato Nesmé, e farò in modo che conduca l’attacco sotterraneo contro i nani.” “Risolviamo prima la questione delle porte occidentali”, suggerì Urlgen, ma il padre gli ringhiò un secco “no!” prima ancora di lasciarlo concludere. “No”, ripeté Obould. “Non basta lasciare che questi nani puzzolenti si rifugino a Mithral Hall. Non più. Si sono messi contro di noi, e perciò moriranno! Tu devi trattenerli, colpendoli ripetutamente. Tienili a bada e fiaccali. Presto tornerò e li finiremo.” “Ho perso centinaia di soldati”, protestò Urlgen. “E ne hai ancora centinaia da perdere”, replicò calmo Obould. “I miei guerrieri si daranno alla fuga”, insistette Urlgen. “Sguazzano tutto il giorno in mezzo al sangue dei loro fratelli. Si arrampicano sui cadaveri di altri orchi per arrivare fino ai nani.” Obould emise un ringhio prolungato. Tese un braccio e afferrò Urlgen sul davanti della tunica. Questi si aggrappò con entrambe le mani a quella del padre cercando di liberarsi, ma Obould, con uno scarto improvviso del polso, scaraventò lo sbalordito figlio contro i lembi che chiudevano la tenda. “Non oseranno scappare”, gli assicurò Obould, e nel dire ciò si rivolse allo sciamano dalla veste rossa. “Vedranno la gloria di Obould.” “Obould è Gruumsh!” rincarò Arganth Snarrl. Urlgen fissava incredulo il padre, stupito dalla sua forza e dall’intensità che traspariva da quei balenanti occhi gialli. Uno sguardo a Gerti fece capire a Urlgen che era anch’essa turbata da quanto era accaduto e ugualmente frustrata. Ma, soprattutto, Urlgen capì il significato di quella frustrazione, e solo allora si rese conto che la gigantessa non aveva pronunciato una sola parola.

Gerti Orelsdottr, figlia del grande Jarl Greyhand, che aveva sempre occupato una posizione di vantaggio in tutte le faccende che riguardavano gli orchi, non aveva proferito una sola parola. *** Come un immenso fiume che inghiotte tutto, la moltitudine degli orchi capitanati da Re Obould si apprestò a cambiare il proprio corso e a dirigersi verso est. Urlgen Threefist, amareggiato e spaventato, osservava la partenza da un’altura, alle spalle del proprio esercito. Il padre gli aveva lasciato dei rinforzi, anche se del tutto irrilevanti. Sufficienti a resistere, a tenere i nani sotto pressione, ma del tutto inadeguati per scacciarli dalle loro posizioni. Dato che, all’improvviso, Re Obould non li voleva più scacciare. Il suo ragionamento era parso logico - impegnare i nani in combattimento, separati dal resto delle forze, così che gli orchi potessero eliminarne quanti più possibile prima che le porte occidentali di Mithral Hall si richiudessero su di essi - ma Urlgen non riusciva a ignorare la sensazione che quella tattica fosse in parte dovuta all’intenzione di Obould di togliere il merito del successo al figlio, per accreditarlo a se stesso. Un rumore alle spalle lo distolse dalle proprie riflessioni. “Temevo che non saresti venuta”, disse l’orco rivolto a Gerti, mentre la gigantessa si fermava appena al di sotto della postazione di Urlgen, di modo che i visi di entrambi si trovarono allo stesso livello. “Non sono stata forse io a chiederti di trovarci qui?” replicò lei. Urlgen ricacciò in gola una brusca risposta, poiché nel proprio intimo non riusciva ancora a riconoscere l’importanza di un colloquio con Gerti, che lui odiava. “Hai paura di mio padre”, dichiarò l’orco. “Non sei anche tu del mio parere?” domandò Gerti.

“In un certo senso, è cresciuto”, convenne Urlgen. “Obould cerca di dominare.” “Re Obould”, la corresse Urlgen. “Mi vorresti chiedere di aiutare i giganti a impedire il successo degli orchi?” “No, non degli orchi”, precisò Gerti. “Vorrei chiedere a te, per il bene di Urlgen e non per quello di Gerti, di frenare l’ascesa al potere di Re Obould. Che posto occuperà Urlgen accanto all’immagine di quel dio nel quale Obould si sta rapidamente trasformando?” Visto il peso della domanda, Urlgen evitò di far notare a Gerti che aveva di nuovo omesso il titolo del padre. “Riuscirà Urlgen a vedersi riconoscere una parte di merito e di gloria?” chiese Gerti. “O farà da comodo capro espiatorio al primo segnale di disastro?” Le labbra dell’orco si curvarono in un ghigno e, sebbene provasse l’impulso di picchiare la gigantessa (cosa che non avrebbe mai osato fare!), la sua collera era dovuta più al fatto che Gerti aveva ragione che non al palese insulto ricevuto. Obould gli stava impedendo di realizzare una grande vittoria, ma Urlgen non aveva dubbi che, se avesse commesso qualche errore, il padre non gli avrebbe risparmiato i suoi impietosi giudizi. “Cosa vuoi che faccia per te?” chiese Gerti, sorprendendolo con quella domanda. Urlgen si guardò indietro, verso le migliaia di orchi in marcia, poi si rivolse alla sua interlocutrice fissandola con curiosità, mentre cercava di interpretare il messaggio che si nascondeva dietro a quelle parole. “Quando verrà il tempo di eliminare i nani contro i quali stai combattendo vorrai di certo che gli orchi attribuiscano a Urlgen il merito della riuscita”, argomentò Gerti. “Ebbene, io ti darò una mano per far sì che ciò accada.” Urlgen serrò gli occhi e, malgrado il suo cinismo, fece un cenno d’assenso. “E che gli orchi attribuiscano il merito anche a Gerti”, osservò acuto.

“Se ci spartiamo la gloria di Obould, faremo in modo di condividere anche eventuali colpe.” Di certo il ragionamento non faceva una grinza, ma a Urlgen sembrava tutto irreale. Non si era mai sentito molto vicino a Gerti. Aveva spesso litigato con il padre per convincerlo a non avvalersi dei giganti come alleati. E sapeva che Gerti, da parte sua, nutriva nei suoi confronti un disprezzo ancora maggiore di quello che provava per Obould e gli altri orchi. Ai suoi occhi, Urlgen non era altro che un essere spregevole. Eppure, eccoli qui, tutti e due a complottare alle spalle di Obould. Urlgen fece dirigere lo sguardo di Gerti verso sud, allo scosceso altopiano sul quale si erano arroccati i nani. “Mi servono giganti”, disse. “Per garantire la sicurezza ai miei soldati e bersagliare il nemico con grosse pietre!” “I nani occupano una posizione di vantaggio sull’altopiano”, replicò Gerti. “Non permetterò che la mia gente vada ad aggiungersi ai cadaveri degli orchi.” “Allora, cosa proponi di fare?” chiese Urlgen sentendosi sempre più scoraggiato. Entrambi esaminarono il terreno tutt’intorno. “Laggiù”, disse la gigantessa indicando un’alta cresta in lontananza, verso ovest. “Da quel punto i miei giganti si troverebbero fuori dalla portata dei nani e occuperebbero una posizione altrettanto elevata della loro. Da quel punto, potrebbero fiancheggiarti e farti da artiglieria.” “Una bella distanza da coprire.” “Ma non con una catapulta formato gigante”, dichiarò Gerti. “Ci sono dei cunicoli appena al di sotto della cresta”, spiegò Urlgen. “I nani li hanno occupati. Sarà difficile...” “Difficile come sostenere la tua causa quando tuo padre dirà che hai sbagliato?” Quelle parole spaventarono Urlgen, facendolo però ragionare

con maggiore lucidità. “Fai occupare la cresta, e io ti darò i guerrieri per difenderla e colpire i nani, per la nostra gloria, la mia e la tua”, promise Gerti. “Non sarà facile.” Gerti indicò a Urlgen l’erta salita che portava all’altopiano, i cadaveri degli orchi ammonticchiati, che si stavano decomponendo al sole del mattino, lasciando che l’immagine si commentasse da sé. *** “Per la miseria! Se le stanno di nuovo dando di santa ragione, mentre noi siamo qui, bloccati a guardare!” borbottò il vecchio nano Shingles McRuff rivolto a Torgar Hammerstriker. Torgar si diresse verso il varco sulla parete orientale dell’altura, da dove si vedeva il pendio che era stato teatro di battaglia per così tanti giorni. Di certo, doveva esserci un attacco in pieno corso, con tanto di orchi e goblin che si stavano arrampicando su per la ripida costa, ululando e strepitando a ogni passo. Bastò un’occhiata a sud per dire al nano che i suoi compagni erano pronti a fronteggiare l’assalto, con le formazioni già schierate, e con il micidiale arco di Catti-brie intento a scagliare una sequela di frecce sfrigolanti all’indirizzo delle orde nemiche. Di tanto in tanto, si udiva una piccola esplosione nelle prime file degli orchi che avanzavano, e Torgar sorrise, sapendo che Ivan Bouldershoulder aveva rimesso in funzione la sua ingegnosa balestra. Per quanto fosse certo che Banak e gli altri avrebbero retto la carica, Torgar si ritrovò ben presto a mordicchiarsi il labbro inferiore per la frustrazione, dato che a lui e a una buona metà dei nani di Mirabar non era stato concesso di stare al fianco dei combattenti. “La nostra presenza era richiesta qui”, rammentò Shingles a Torgar, battendogli vigorosamente la mano sulla robusta spalla. “Ci stiamo rendendo utili a Re Bruenor.” “Difendendo gallerie che nessuno si degna di prendere di mira”, brontolò Torgar.

Aveva appena finito di parlare che, dai cunicoli più profondi a nord, giunsero alcune grida. “Orchi!” urlò qualcuno. “Orchi nelle gallerie!” Shingles e Torgar si scambiarono un’occhiata incredula, mentre venivano invasi dal sacro furore della battaglia. “Orchi”, ringhiarono all’unisono. “Orchi!” fece eco Shingles ad alta voce, per il beneficio di tutti i nani che si trovavano nelle vicinanze, in particolare quelli piazzati vicino all’ingresso meridionale. “State pronti con le asce, ragazzi. Ci sono degli orchi da ammazzare!” Con vigore, entusiasmo, e persino con allegria, i nani di Mirabar si disposero nelle formazioni convenute, per essere di supporto ai compagni dislocati più a nord, dove, a sentire il clangore provocato dal cozzare delle spade e le grida di rabbia e di dolore, la battaglia doveva già essere incominciata. A ogni passo Torgar abbaiava ordini, benché fosse certo che i suoi esperti soldati non ne avessero affatto bisogno. Infatti, i nani di Mirabar sapevano bene come muoversi, dato che, ai tempi in cui erano stati nelle gallerie, avevano imparato a conoscerne ogni svolta e ogni posizione strategica in cui allestire postazioni difensive. Tuttavia, Torgar non si risparmiava nel latrare i suoi comandi e nell’esortarli a combattere per la gloria di Bruenor Battlehammer e di Mithral Hall, il loro nuovo re, la loro nuova casa. Torgar aveva progettato le difese con molta cura, predisponendole in modo che né lui né Shingles potessero essere esclusi dal combattimento. I due si precipitarono giù per un cunicolo in discesa e sbucarono su una sporgenza che si affacciava su una caverna ovale, nella quale videro i loro primi orchi, impegnati a battersi contro una dozzina abbondante di nani di Mirabar. Senza pensarci un attimo, Torgar si lanciò nel vuoto, atterrando nel pieno della mischia e trascinando un paio di orchi con sé nella caduta. Subito si rialzò, l’ascia che ondeggiava avanti e indietro, ma

perfettamente sotto controllo. Anche Shingles si era nel frattempo buttato, insieme a molti altri che ne avevano seguito l’esempio. Con l’arrivo dei rinforzi, i nani delle prime file moltiplicarono il loro slancio contro gli orchi, aprendosi un varco a colpi d’ascia per ricongiungersi con Torgar e gli altri. Quasi subito, le sorti della battaglia volsero in loro favore. Gli orchi cadevano o cercavano di darsela a gambe, ma erano intralciati dai compagni, i quali cercavano ostinatamente di infiltrarsi dalla galleria nella caverna e unirsi ai combattenti. “Fatene fuori un bel po’ e vedrete che se la svigneranno!” ruggiva Torgar, traducendo in parole quella che era l’aspettativa di ogni nano, quando si trovava a lottare contro gli orchi. Parecchi minuti più tardi, non prima di avere inondato il pavimento col sangue degli orchi, i nani raggiunsero l’ingresso della galleria e respinsero gli invasori. Con Torgar al centro, formarono uno sbarramento semicircolare a protezione della stretta apertura, così da rendere difficile il passaggio al nemico. Ciononostante, gli orchi continuarono ad affluire, l’uno dopo l’altro, a ricevere colpi di ascia e a stramazzare esanimi sul mucchio sempre crescente dei cadaveri dei compagni. Avanzavano, incuranti del fatto che, per ogni nano ferito, ben cinque di loro venissero colpiti. “Dannati cocciuti!” sbraitò Shingles al fianco di Torgar. L’urlo venne sottolineato da una potente martellata che si abbatté su un altro di quei bruti. “Troppo cocciuti”, replicò Torgar, questa volta piano, però, quasi sottovoce. Non voleva che gli altri notassero la sua preoccupazione. Non riusciva a credere che gli orchi continuassero ad arrivare. Nessuno faceva più di un passo nella caverna senza essere fatto a pezzi, eppure quella marea sembrava non avere fine. Altre grida provenienti dalle gallerie vicine fecero capire a Torgar che non erano gli unici impegnati a combattere, ma che, a ogni svolta di quell’intrico di cunicoli, c’erano nani di Mirabar che stavano lottando. Con il trascorrere dei minuti, il numero degli orchi diventava

sempre maggiore, così come lo era quello dei cadaveri che andavano a coprire il pavimento. Torgar lanciò un’occhiata alla sporgenza sulla quale un nano era in attesa dei suoi ordini. “Posizione due!” gridò al giovane ricognitore, e questi si allontanò di corsa ripetendo a gran voce il comando. “Avete sentito?” urlò a sua volta Shingles ai nani nella caverna. “Serrate i ranghi!” Nel frattempo, Shingles si era portato davanti a un grosso macigno collocato di fianco all’apertura della galleria e vi si era appoggiato contro con la schiena. “Al tuo ordine!” disse. Torgar finì di lavorarsi l’orco che lo aveva assalito e schivò di lato, mentre questi crollava a terra, così da poter fronteggiare subito quello successivo. Alle sue spalle, gli altri guerrieri si stavano dando da fare per eliminare gli orchi rimasti. Non appena Torgar vide che l’ingresso era temporaneamente sgombro, impartì l’ordine: “Adesso!”. Una possente spinta di Shingles mandò il masso a incastrarsi nell’apertura della galleria, obbligando Torgar a fare un balzo indietro per evitare di essere travolto. “Via! Andate! Andate!” Shingles sbraitò. I nani raccolsero i feriti e i cadaveri e ripiegarono veloci sul lato opposto della caverna, da dove si apprestarono a uscire attraverso il passaggio a sud. Prima ancora che questi imboccassero la galleria, però, gli orchi erano già riusciti a farsi strada attraverso l’improvvisato sbarramento e a scagliare un paio di lance, una delle quali andò a colpire il povero Shingles. “Ahi, le mie chiappe!” strillò, afferrando l’asta che sporgeva dalla natica destra. Sebbene portasse già un nano svenuto sulle spalle, Torgar agguantò per un braccio il suo più caro amico e lo spinse avanti,

lungo la galleria meridionale, dove erano stati disposti a intervalli regolari mucchi di pietre con lo scopo di rallentare eventuali inseguimenti. I nani furono costretti ad abbandonare tutta la complessa rete di cunicoli che si trovava al di sotto della cresta occidentale, ma, poiché in precedenza vi avevano trascorso parecchi giorni, avevano già organizzato adeguatamente le loro difese. Torgar tornò ben presto a combattere, accompagnato da uno zoppicante Shingles, che faceva mulinare con ardore il proprio martello. I due, insieme a un pugno di altri guerrieri, si erano asserragliati in una grotta disseminata di stalagmiti che, alle loro spalle, saliva verso sud. Poiché intendevano far pagare caro agli orchi ogni palmo di terreno conquistato per intrufolarsi nell’ampio slargo sotterraneo, i nani combatterono con tale furia che il sangue degli orchi cominciò un’altra volta a scorrere a fiumi, mentre i loro cadaveri si ammassavano a terra. Ma quegli esseri cocciuti continuarono ad affluire. “Dannati stupidi!” Shingles imprecò di nuovo. Torgar non si soffermò neppure a rispondere all’ovvio, o implicito, messaggio dell’amico. Stavano infatti cominciando a rendersi conto che gli orchi erano fermamente intenzionati a conquistare le gallerie, a qualunque costo. Quel terribile pensiero acquistò persino maggiore consistenza quando, alcuni minuti dopo, un altro gruppo di nani arrivò di corsa provenendo da un corridoio a ovest. “Giganti!” strepitarono, prima ancora che Torgar avesse potuto interrogarli sul perché avessero deviato dal loro percorso, che non prevedeva passassero da quella parte. “Ci sono i giganti nelle gallerie!” “Giganti?” fece eco Shingles. “Ma non sono troppo piccole per i giganti?” Senza perdere tempo i nuovi arrivati si lanciarono nella mischia, abbattendo gli orchi che si frapponevano tra loro e i guerrieri di Torgar. “Giganti!” insistette uno quando fu di fronte al capo. Torgar non dubitò di quelle parole, anche perché alle spalle del

nano vide materializzarsi proprio un gigante, anzi una gigantessa, che camminava curva, addirittura carponi, per giungere all’ingresso del corridoio occidentale. “Prendetela!” ordinò Torgar, non vedendo l’ora di assicurarsi l’ambito premio. I suoi nani si apprestarono a colpire, brandendo alti i martelli da guerra e ignorando le esortazioni alla prudenza dei compagni. Una dozzina di martelli furono scagliati in direzione della gigantessa, ma, benché la mira fosse accurata, non appena questi furono vicini alla pallida creatura dal colorito bluastro, vennero deviati dal loro corso. “Una qualche stregoneria?” sussurrò Torgar. Quasi l’avesse udito e si stesse facendo beffe di lui, la gigantessa ghignò con aria malvagia e agitò in aria le dita. I nani di Torgar si lanciarono all’attacco. Ma quasi subito si trovarono a barcollare mezzi accecati perdendo l’equilibrio, mentre venivano assaliti da un’improvvisa tormenta di neve che aveva reso viscido il terreno. “Serrate i ranghi!” gridò Torgar, cercando di superare il frastuono della bufera stregata. In quell’istante, dalla volta, cadde una palla di fuoco che si abbatté su tre nani in procinto di ubbidire al comando. “Scappate!” urlò Shingles. “No”, bofonchiò Torgar, e con gli occhi che mandavano lampi di collera ed erano quasi fiammeggianti quanto la prodigiosa sfera infuocata della gigantessa, l’esule di Mirabar si fece strada attraverso il turbinio della neve, dirigendosi verso la grossa sagoma animalesca accucciata. La gigantessa lo fissò con un’espressione di odio, e cominciò a biascicare un’altra formula magica. Torgar affrettò il passo e sollevò l’ascia. Emise un ruggito, quasi a voler negare l’esistenza della tempesta di neve, delle proprie paure e del maligno incantesimo.

Quando si trovò a due passi, si scagliò in avanti. E venne colpito da un dolore tremendo, da un’improvvisa e inspiegabile morsa che gli serrò il cuore e lo immobilizzò. Cercò di protendere le braccia per sferrare un colpo con l’ascia, ma esse non gli ubbidirono. Non riusciva a riprendersi da quell’agonia bruciante, da quel supplizio che lo artigliava. Fece per avventarsi contro la gigantessa che, però, non si mosse di un palmo, mentre lui veniva scaraventato lontano. Cercò di mantenersi in equilibrio, sebbene le gambe, così come le braccia, non rispondessero più. Arretrò barcollando di parecchi passi e lanciò uno sguardo incredulo alla gigantessa. Poi cadde a terra. I nani affluirono nella grotta, invocando il loro comandante, piegandosi in avanti per proteggersi dal nevischio che continuava a turbinare nell’aria, mentre Gerti (poiché proprio di lei si trattava), dopo aver messo mano ai suoi più potenti sortilegi, pensò bene di andarsene, lasciando che un’orda di orchi coprisse la sua ritirata. *** Incurante del dolore che gli procurava la natica, del rivolo di sangue che gli scorreva sulla gamba e delle nuove ferite che gli erano appena state inferte, Shingles si precipitò accanto a Torgar. Lo colpì con forza sul viso e gli gridò di svegliarsi. Annaspando, Torgar aprì gli occhi e guardò l’amico. “Fa male”, sussurrò. “Per Moradin, mi ha fatto a pezzi il cuore!” “Bah, hai il cuore duro come un sasso”, brontolò Shingles. “Smetti di piagnucolare!” E così dicendo, si issò Torgar sulle spalle e si avviò attraverso la grotta, appoggiando con cautela un piede davanti all’altro per cercare di tenersi in equilibrio sul pavimento sdrucciolevole. Mentre la battaglia infuriava all’esterno impegnando i nani di

Mirabar per la difesa di ogni palmo di terra, i due nani si avviarono verso l’uscita. Ma gli orchi erano ostinati e disposti a morire dieci a uno contro il nemico. Ed essendo così numerosi, guadagnavano terreno, una galleria dopo l’altra, una grotta dopo l’altra. Non appena si fu portato nei pressi dell’uscita meridionale di quell’intrico di cunicoli, Shingles ordinò riluttante di provocare il crollo della galleria. Comandò a tutti i suoi nani, feriti inclusi: “Datevi da fare e siate pronti a morire per l’onore di Mithral Hall. I Battlehammer ci hanno accolto come fratelli e noi non li abbandoneremo proprio adesso”. Udì levarsi acclamazioni tutt’intorno, anche se non gli sfuggì il tono dimesso di quelle grida. Poiché circa un terzo dei quattrocento guerrieri, lui compreso, era stato ferito sia nel corpo che nella mente. Ma i nani ubbidirono senza protestare. L’ultimo tratto delle gallerie, il primo che avevano occupato quando erano entrati, era quello meglio attrezzato per la difesa, e se gli orchi avessero tentato di respingerli fino alle alture che dominavano Keeper’s Dale avrebbero subito centinaia di perdite. I nani cominciarono a scavare e ad aspettare. I feriti si fasciarono gli squarci più gravi senza un lamento, alcuni si legarono addirittura le armi alle mani fratturate, e aspettarono. Diedero un bacio d’addio ai compagni morti, e aspettarono. Ma gli orchi, sebbene avessero conquistato un buon tre quarti delle gallerie, non si fecero vedere. *** “Non sono mai stati così cocciuti”, osservò Banak quando gli orchi e i goblin cominciarono finalmente a ritirarsi giù per il pendio. Avevano continuato ad affluire in gran numero per più di un’ora, gettandosi con impeto nella mischia, al punto che quell’ultima battaglia aveva fatto ammassare sul terreno più corpi di orchi e di

goblin di quanti se ne fossero contati in tutte le altre messe insieme. Per tutto quel tempo, i nani avevano mantenuto compatte le loro formazioni ed erano rimasti saldamente arroccati sulle loro posizioni, così che, nemmeno per un attimo, gli orchi erano stati sul punto di avere la meglio. Ma nonostante ciò, l’attacco era continuato. “Cocciuti? O stupidi?” replicò Tred McKnuckles. “Stupidi”, decise Ivan Bouldershoulder. E suo fratello aggiunse: “Hii hii hii”. La risata di Pikel si interruppe bruscamente e la replica di Banak gli morì sulle labbra, dato che solo allora si accorsero di quello che stava succedendo a ovest, nel punto in cui i guerrieri di Torgar si stavano ritirando, solo allora videro le file di nani feriti che si riversavano fuori dalle gallerie, i morti trasportati da coloro che erano ancora in grado di camminare. “Per Moradin!” esclamò Banak, rendendosi conto solo allora che l’imponente attacco in superficie altro non era che uno stratagemma destinato a impedire l’invio di rinforzi alle truppe di Torgar. Banak serrò gli occhi con una smorfia prolungata, mentre le colonne di feriti zoppicanti e dei morti portati a braccia continuavano a fluire dall’uscita meridionale del complesso di gallerie sotterranee. Quei nani erano appena arrivati a Mithral Hall: la maggior parte di essi non aveva neppure ancora visitato i luoghi che li avevano attirati lontano dalla sicurezza delle loro case natie. “La ritirata si Bouldershoulder.

sta svolgendo con ordine”, osservò Ivan

“Credo che il nemico non sia riuscito a sbaragliarli, ma solo a respingerli.” “Andate a cercare Torgar”, ordinò Banak. “O chiunque sia al comando. Chiedete se hanno bisogno di aiuto!” Accompagnati da un “Oo oi!” di Pikel, i fratelli Bouldershoulder si precipitarono a fare ciò che era stato chiesto.

Tred fece un cenno del capo a Banak e li seguì a ruota. In quel momento giunsero al cospetto del condottiero altri due guerrieri, scuri in volto e imbrattati di sangue. “A che è servito tutto questo?” chiese Catti-brie, osservando i soldati in ritirata. “Quanti sacrifici per impossessarsi delle gallerie, ma a che è servito, in ogni caso? Nessuna di esse è collegata direttamente a Mithral Hall, né conduce abbastanza vicino alla fortezza.” “Ma loro non lo sanno”, rispose Banak. Catti-brie non si lasciò ingannare da quelle parole. Era certa che ci fosse sotto qualcosa, e quando volse lo sguardo verso Wulfgar capì che era anche lui del suo parere. “Andiamo”, dichiarò Wulfgar. “Ho mandato i Bouldershoulder e Tred a cercare Torgar”, lo informò Banak. Wulfgar scosse il capo. “Qual è lo scopo?” disse. “Non c’è nulla in quei cunicoli che giustifichi tutto questo”, aggiunse tendendo il braccio per sottolineare il massacro che si parava dinanzi a loro. Banak annuì ma evitò di esternare i suoi fondati timori. La ragione per cui gli orchi si erano battuti così disperatamente per la conquista di quelle gallerie stava diventando sempre più ovvia, per lui e per gli altri. I giganti. Wulfgar e Catti-brie si avviarono di corsa, raggiungendo e superando i tre nani che stavano andando alla ricerca di Torgar. “Saliamo sulla cima”, spiegò Catti-brie. “Portate anche mio fratello!” disse Ivan. “Sarà sicuramente più utile lassù che non sottoterra.” “Mio fratello!” strillò Pikel, mentre si staccava dal gruppetto per raggiungere i due. Catti-brie e Wulfgar non protestarono, avendo ormai imparato a non sottovalutare quel nano apparentemente “strambo”, e proseguirono per la loro strada. Raggiunsero l’estremità meridionale

della cresta e cominciarono la scalata, proprio accanto all’apertura della galleria da cui stavano uscendo i feriti. “Abbiamo tenuto duro!” dichiarò un nano gravemente ferito, ma ancora in grado di camminare, mentre si voltava verso di loro. “Non ne abbiamo mai dubitato!” disse di rimando Catti-brie, lasciando che l’accento nanesco prendesse il sopravvento nella sua parlata. Per tutta risposta, il nano sollevò in aria la mano stretta a pugno. Quel gesto gli provocò uno spasimo di dolore, sebbene si sforzasse di non darlo a vedere. Wulfgar guidava gli altri su per la ripida parete, favorito dalla notevole forza e dalle lunghe gambe che gli permettevano di arrampicarsi con facilità. Ogni volta che si imbatteva in un tratto disagevole si fermava e tendeva la mano ad aiutare Catti-brie. In un paio di occasioni ebbero maggiori difficoltà a causa della bassa statura di Pikel, sebbene Wulfgar si fosse sdraiato su una pietra e si fosse proteso in tutta la sua lunghezza verso il basso per afferrare il nano. Ma Pikel si limitò a sorridere e a fargli cenno di lasciar perdere. Quindi, si prodigò in una serie di giravolte e cantilene, si fermò di botto e fissò l’erta parete rocciosa, ridacchiando senza sosta. Il nano dalla barba verde sfiorò con la mano la roccia, diventata all’improvviso malleabile, e la modellò fino a formare alcuni piccoli gradini. Poi, ancora ridacchiando, li salì fino a raggiungere i due compagni e fece loro segno di proseguire. La sommità della cresta era sconnessa e irregolare, ma percorribile, nonostante il forte vento che soffiava da sinistra. Poiché i tre si trovavano sottovento, fiutarono la presenza del nemico ancora prima di vederlo. Si infilarono lesti sotto un’alta sporgenza e stettero a guardare, mentre il primo gigante dei ghiacci faceva la sua comparsa sulla vetta. Catti-brie imbracciò Taulmaril e si apprestò a prendere la mira, ma Pikel agguantò la freccia, scosse il capo ricoperto dai folti capelli e le agitò davanti al viso il dito della mano libera, indicando poi un punto verso nord.

Dove altri giganti stavano salendo. “Un tiro”, sussurrò Wulfgar, stringendo Aegis-fang. “Comincerò a correre mentre lanci la freccia.” “Pronta”, confermò Catti-brie, e fece segno a Pikel di lasciar andare la freccia e di darsela a gambe. Con uno squittio porcino, Pikel balzò come una molla dal nascondiglio, correndo a più non posso verso sud. Il gigante più vicino emise un ululato e si apprestò a dargli la caccia. Ma proprio allora un dardo fiammeggiante lo centrò in pieno petto facendolo barcollare all’indietro, mentre un martello da guerra roteante seguiva, colpendolo quasi nello stesso punto. Il gigante vacillò ancora di più e ruzzolò giù dal fianco occidentale della cresta. Wulfgar e Catti-brie lo udirono ruggire, senza però vederlo, dato che stavano già svignandosela. Raggiunsero Pikel nei pressi del pendio meridionale e Wulfgar, senza dire una parola, agguantò il nano tra le possenti braccia e continuò a correre, saltando da una sporgenza all’altra fino ad arrivare in basso. Subito dopo, tutt’intorno, cominciarono a cadere massi, e i tre si misero d’impegno nell’aiutare i pochi nani rimasti nelle vicinanze a ripararsi nelle gallerie. Di lì a poco si imbatterono in Ivan e Tred, insieme a Shingles McRuff e a uno sconvolto Torgar Hammerstriker. “Un sortilegio”, spiegò Shingles. “Quella strega di una gigantessa ha quasi fatto a pezzi il cuore del mio amico!” E nel dire questo batté alcuni colpetti sulla spalla di Torgar, ma con estrema delicatezza. “Fa male”, disse Torgar con un filo di voce. “Fa molto male.” “Balle! Sei troppo duro per rimetterci le penne a causa di una banale stregoneria”, lo rassicurò Shingles mentre si apprestava ad assestargli altri colpetti amichevoli sulla spalla, subito fermato dalla mano di Torgar. “Ci sono dei giganti sulla cima”, spiegò Wulfgar ai nani. “Dovremmo scendere più in profondità nel caso decidano di raggiungerci.”

“Non si muoveranno”, arguì Catti-brie. “Volevano l’altopiano e l’hanno avuto.” “E nemmeno gli orchi ci raggiungeranno”, disse Shingles. “Abbiamo fatto crollare la volta delle gallerie: non avrebbero potuto inseguirci nemmeno se l’avessero voluto.” “Hanno avuto ciò per cui sono venuti”, replicò Catti-brie. Lanciò un’occhiata all’uscita meridionale dove, dopo la pioggia di sassi, tutto sembrava di nuovo tranquillo. Tuttavia, Wulfgar e gli altri aspettarono ancora un po’ prima di avventurarsi all’esterno. Quando uscirono, furono accolti dalle lunghe ombre del crepuscolo e da una calma inquietante, che sembrava essere calata su tutta la zona. Catti-brie guardò in direzione dell’altopiano sul quale era posizionato l’esercito dei nani, lontano, a est. “È troppo distante, anche per lanci di pietre fatti da giganti”, commentò, mentre riportava lo sguardo sulla cresta sopra di lei. Wulfgar si accinse immediatamente a risalire, seguito dalla ragazza. Una volta tornati in cima, nonostante l’infittirsi dell’oscurità, i due compresero subito il motivo dell’attacco. A nord, in lontananza, i giganti erano intenti a trasportare enormi tronchi su per il pendio occidentale che conduceva all’altura, dove altri li stavano montando a formare gigantesche macchine da guerra. Cattibrie riportò uno sguardo allarmato sulla postazione dei nani. La distanza era davvero eccessiva perché il tiro di un gigante potesse giungere fin là, ma sarebbe stata troppa anche per una catapulta gigante? In quel momento la giovane si rese conto appieno del pericolo che stavano correndo. Poiché comprese che gli orchi avevano accettato il sacrificio e il massacro di così tanti loro compagni solo per acquisire una posizione tecnicamente avvantaggiata sul campo di battaglia, il che significava che il livello di impegno e di astuzia raggiunto da quelle creature dai tratti porcini era tale da superare qualunque aspettativa. “Bruenor diceva spesso che l’unica ragione per cui gli orchi e i goblin non si erano mai impossessati dei territori del nord era

dovuta al fatto che fossero troppo stupidi per unire le loro forze”, sussurrò la giovane a Wulfgar. “E adesso Bruenor è morto, o lo sarà presto”, replicò Wulfgar. Il tono cupo della voce del barbaro confermò a Catti-brie che anch’egli era giunto a farsi un’idea più o meno simile della situazione. Sì, erano proprio nei guai.

13

DEFINIRE IL CONFINE “Per la miseria, mio buon vecchio William, potresti passare tutto il giorno a dormire mentre ti prepari al riposo notturno”, disse Brusco Brawnanvil, primo cugino di Banak, il condottiero che, con le sue gesta, si stava facendo onore al di là delle montagne a ovest, dall’altra parte di Mithral Hall. “Già, proprio così”, rispose il vecchio William - Bill per gli amici HuskenNugget, appoggiando di nuovo il capo contro il muro di pietra della piccola torre che delimitava l’ingresso orientale alla fortezza dei nani. Poco più sotto, il Surbrin scorreva veloce, le acque che scintillavano nella luce del pomeriggio. Subito dopo che a Mithral Hall erano giunte voci di scorrerie di mostri nei territori settentrionali, era stato costruito un grosso accampamento appena a nord della loro attuale postazione, su un altopiano. Ma dopo l’avvilente ritirata di Shallows e lo scoppio della guerra a occidente, la guarnigione era stata quasi del tutto abbandonata, ad eccezione di alcuni ricognitori in servizio temporaneo. I nani non disponevano di un grosso contingente di soldati, e gli orchi li stavano incalzando sulle montagne a nord di Keeper’s Dale. Inoltre, dopo quanto era accaduto a Nesmé, il Clan Battlehammer era stato costretto a rafforzare anche le difese nelle gallerie, dato che si temevano attacchi sotterranei. A est non c’erano altro che le evoluzioni del fiume Surbrin e le lunghe ore di noia rese ancora peggiori, agli occhi di quei veterani, dalla consapevolezza che i propri compagni stavano combattendo e morendo a ovest.

Perciò, visto che Banak, Pwent e i loro guerrieri - insieme ai nani di Mirabar - si stavano conquistando la gloria resistendo contro le orde degli orchi, Brusco, Bill e gli altri si limitavano a chiudere gli occhi e riposare, con la speranza che venisse loro lasciato un numero sufficiente di orchi da ammazzare prima che la guerra fosse giunta al termine. “È da qualche giorno che non vedo in giro Filbedo”, osservò Brusco. Bill aprì un occhio sonnacchioso e disse: “Da quel che ho sentito, pare sia andato verso ovest, oltre Keeper’s Dale”. “Sì, è così”, confermò Kingred Doughbeard, che stava sopra di loro, seduto accanto alla botola, la schiena appoggiata contro il muretto che delimitava la sommità della torre. “Non ci saranno più rimpiazzi di quindici alla volta. Siamo rimasti solo in venticinque, perciò alcuni di noi salteranno il turno due volte di seguito.” “Bah!” grugnì Brusco. “Avrebbero potuto chiederlo. Sarei andato anch’io a ovest!” “Come tutti noi, del resto”, ribatté Kingred sbuffando. “Tranne il nostro Bill, qui. Tutto ciò che desidera fare è dormire.” “Già”, assentì Bill. “E accetterò il doppio turno di guardia. Triplo, se volete. Per i Nove Inferni, me ne starei qui giorno e notte.” “A russare in continuazione”, commentò Kingred. “Proprio così”, ribatté Bill. “Ti sei davvero trovato un bel posticino confortevole”, osservò Brusco, suscitando di nuovo l’ilarità di Kingred. “Ci puoi scommettere”, affermò Bill. “Be’, se devi dormire, allora fatti dare il cambio da Kingred”, disse Brusco. “Lasciami almeno qualcuno con cui giocare a dadi.” “D’accordo”, assentì Bill. E con uno sbadiglio, rotolò su un fianco e si rimise in piedi, poi cominciò stancamente ad arrampicarsi su per la scala. Il frastuono nel locale sottostante, provocato da Kingred, Brusco e da altri due nani richiamati dalle gallerie per unirsi al gioco, non

impedì al perennemente stanco Bill di prendere sonno, tanto che, di lì a poco, già russava beato. *** Rannicchiato a metà del muro esterno, nella scura rientranza formata dal punto d’incontro tra il profilo della torre e la montagna, Tos’un Armgo aveva assistito allo svolgersi di quella conversazione. Il drow si fermò un attimo, appeso a un comodo appiglio, e attese maledicendo in silenzio - e non per la prima volta! - l’assenza di Donnia e Ad’non. Dopotutto, erano loro le spie del gruppo, mentre lui non era altro che un semplice guerriero. Almeno, questo era ciò che Donnia e Ad’non continuavano a ripetergli. Kaer’lic lo aveva dotato di alcuni incantesimi per aiutarlo nella missione ricognitiva ordinatagli da Obould. Ciononostante, il drow non era del tutto entusiasta all’idea di esporsi così, da solo, in quel covo di nani nerboruti. Si disse che Obould non era molto lontano. Era probabile che tra breve l’orco e i suoi tirapiedi avrebbero sferrato un attacco contro le fragili difese dell’accampamento a nord. A quel pensiero, il drow trasse un profondo sospiro e si guardò intorno per cercare altri appigli. Grazie al cielo, quella dannata e rovente palla di fuoco era finalmente sparita dietro le montagne, proiettando lunghe ombre dietro di sé, sebbene, secondo Tos’un, ci fosse ancora troppa luce a dare fastidio. Ma l’oscurità stava calando rapidamente. Era giunta l’ora dei drow. *** Brusco soffiò tra le mani strette a coppa e le mosse su e giù con vigore, agitando i dadi racchiusi tra le dita nodose e i palmi callosi. Poi soffiò di nuovo e mormorò una breve preghiera a Dumathoin, il dio dei segreti sotto la montagna.

Ripeté il rituale parecchie volte, finché gli altri nani non cominciarono a protestare e uno di essi non gli rifilò uno schiaffone sulla nuca. “Vuoi tirare questi dadi, sì o no?” Ovviamente, l’irritazione del nano dipendeva molto dal fatto che la maggior parte delle monete d’argento del gruppetto fosse ammucchiata davanti a Brusco, il quale, dal tramonto in poi, non aveva fatto altro che vincere. “Devo aspettare che il buon vecchio Dum mi dia l’ispirazione”, replicò Brusco. “Tira questi maledetti dadi!” urlarono gli altri all’unisono. “Bah!” sbuffò Brusco, ricominciando ad agitare le mani. In quel momento si udì il suono di un corno, forte, chiaro e persistente, e i nani si irrigidirono. “Sud?” chiese uno di essi. Il corno suonò ancora. Poiché erano rimasti tutti in ascolto, furono in grado di capire che, in effetti, proveniva proprio da sud. “Bill, cosa vedi?” domandò Kingred. Gli altri si precipitarono fuori dalla torre, arrampicandosi sulle piccole alture là intorno per riuscire a scorgere i segnali luminosi trasmessi dalle postazioni di guardia a sud. “Bill?” chiamò di nuovo Kingred. “Svegliati, zuccone! Bill!” Nessuna risposta. E nemmeno si udiva russare, si rese conto Kingred, ed era già da un po’ che il silenzio era calato lassù. “Bill?” chiamò di nuovo, più piano e con preoccupazione crescente. “Che succede?” chiese Brusco, rientrato di corsa. Kingred sollevò uno sguardo molto eloquente verso la botola. “Bill?” chiamò Brusco a gran voce. Quindi, corse verso la scala e cominciò ad arrampicarsi rapido. “Troll in arrivo da sud!” si udì gridare all’esterno, lontano. “Troll

da sud!” Brusco si bloccò a metà scala e pensò: “Troll? Per i Nove Inferni, cosa ci facevano dei troll da quelle parti?”. A nord si udì suonare un altro corno. “Correte nei rifugi!” ordinò Brusco a Kingred nel locale sotto di lui. “Falli andare tutti nei rifugi e preparatevi a barricarvici dentro!” Kingred si affrettò a eseguire l’ordine e Brusco sollevò lo sguardo verso l’alto. Riusciva a scorgere uno dei piedi di Bill, che sporgeva attraverso l’apertura. “Bill?” chiamò di nuovo. Il piede non si mosse. Mentre si costringeva a salire, uno scalino dopo l’altro, Brusco venne colto da un senso di nausea. Arrivato vicino alla botola, afferrò il piede di Bill e lo scosse. “Bill?” Non udì alcun movimento, né risposta, né tanto meno russare. Poi, d’un tratto, Brusco si trovò circondato dall’oscurità e non vide più nulla. D’istinto, mollò la presa sulla scala e si lasciò cadere sul pavimento in pietra, dove atterrò tutto raggomitolato. Non appena si fu rimesso in piedi, il veterano mise mano alla spada, scoprendo con gioia di non essere diventato cieco, bensì di essere stato vittima di un incantesimo che lo aveva avvolto nell’oscurità impedendogli di vedere. “Tornate dentro!” strillò, richiamando i compagni. “C’è un sortilegio! Ed è successo qualcosa a Bill!” Gli altri nani, Kingred alla loro testa, si precipitarono nella torre. “Preparate dei teli!” ordinò Brusco. Corse di nuovo alla scala e ricominciò ad arrampicarsi, questa volta con maggiore rapidità. Gli altri nani afferrarono un paio di coperte, che sovrapposero per renderle più resistenti, quindi,

afferrandole saldamente agli angoli per tenerle ben tese, si piazzarono sotto la botola. Sopra alle loro teste udirono un certo fermento: strilli di Brusco all’indirizzo di Bill, seguiti da un grugnito. Poi cadde giù un nano, che finì sul bordo della coperta rotolando con un tonfo secco sul pavimento. “Bill!” esclamarono insieme i quattro, mollando la coperta e precipitandosi verso il compagno caduto, la cui gola era segnata da una striscia trasversale di sangue rosso brillante. “Portiamolo da un sacerdote!” gridò un nano, cominciando a trascinarlo via. Tutti si affannarono verso la porta, ma, udendo dell’altro frastuono provenire da sopra le loro teste, si bloccarono e chiamarono Brusco a gran voce. Brusco emerse dal cerchio di oscurità e piombò pesantemente sul pavimento. Cercò di rialzarsi, ma barcollò e sarebbe ricaduto se Kingred non si fosse precipitato a sostenerlo. “Quella dannata cosa mi ha punto!” annaspò Brusco. Si passò la mano dietro la testa e la mostrò ai compagni: era coperta di sangue. A quel punto si sentì mancare, e Kingred dovette fare ricorso a tutta la propria energia per reggere in piedi il pesante nano. “Datemi una mano!” intimò, mentre un altro nano accorreva a sostenere il ferito dall’altra parte. “Ai rifugi”, riuscì a dire Brusco, sputando sangue tra una parola e l’altra. Quando uscirono dalla piccola torre, con due nani occupati a trasportare Bill e due a sorreggere Brusco, videro alcuni compagni giungere correndo da sud e udirono i richiami di altri che stavano tornando indietro da nord. Quelli che venivano da sud strillavano: “Troll!”. Mentre da nord si sentiva gridare: “Orchi!”. Kingred lasciò che gli altri nani si occupassero di Brusco e, mentre

estraeva il martello dalla cintola, si lanciò a capofitto verso il grande portone di ferro di Mithral Hall. Colpì con forza i battenti, una, due volte.., pausa, quindi una terza volta. Aspettò un attimo, prima di rifare il segnale convenuto, poi, quando gli parve che dall’interno sollevassero la pesante barra che chiudeva le porte, lo ripeté con maggiore decisione. L’ultima cosa che desiderava in quel momento era vedere spalancarsi quei battenti inespugnabili! Su un lato dell’ingresso principale si udì un suono stridente, mentre un piccolo masso rotolava da parte rivelando l’apertura di un buio cunicolo. I nani vi si infilarono, l’uno dopo l’altro, mentre Kingred stava in piedi accanto al passaggio incitandoli a fare presto. Frotte di nani affluivano da nord e da sud, inseguite a breve distanza dai nemici: i troll a sud e gli orchi a nord. Kingred si rese conto che, sebbene fosse stata aperta una seconda galleria, tutti quei nani non ce l’avrebbero fatta a mettersi in salvo. Fu quasi sui punto di chiedere ai compagni di aprire il portone principale, ma frenò l’impulso e tenne per sé le sue paure. Lui e qualcun altro avrebbero dovuto restare fuori a fermare il nemico, anche a costo della vita. Mentre continuava a ordinare agli altri di affrettarsi nei rifugi, Kingred sguainò la spada e si assicurò lo scudo a un braccio. “Via! Via! Via!” li esortava. “Tenetevi bassi e muovete quelle chiappe!” I troll furono i primi ad arrivare, annunciati da un fetore nauseabondo che saturò le narici di Kingred, mentre questi avanzava per fronteggiarli. Le sue robuste braccia lavorarono indefesse, assestando fendenti su quelle bestie a destra e a manca e impedendo loro di avanzare. Una mazza lo colpì sulla spalla provocandogli uno squarcio profondo, ma lui si diede una scrollata e si girò di nuovo ad affrontare gli assalitori. L’uno dopo l’altro, Kingred li respinse tutti. Lottando come un nano indemoniato, un nano consapevole del fatto che, per lui, tutto era perduto, Kingred continuò ad attaccare. Un enorme troll a due teste, brutto come nessun altro, brutto come un incubo, spazzò via alcuni suoi compagni e gli si presentò davanti.

Ricacciando indietro il proprio terrore, Kingred ruggì e caricò il bruto a testa bassa, ma una grossa mazza ferrata lo intercettò e lo sollevò da terra scaraventandolo lontano. In quel momento, sulla scena comparvero gli orchi che, affluendo in massa da nord, presero a scagliare pietre e a caricare con impeto, urlando e strepitando. *** “Ci sono dei nani intrappolati là fuori!” sbraitò Bayle Rockhunter, una delle guardie che si trovava all’interno del portone principale. “Aprite questa dannata porta!” Il nano afferrò un pesante piccone con entrambe le mani e cominciò a sferrare colpi ai battenti, imitato ben presto da molti altri. “Non lo fate!” gridò il povero Brusco ferito. “Sapete quali sono gli ordini!” Quelle parole rallentarono l’impeto della carica al massiccio portone, portone che non doveva in nessun caso essere aperto senza l’esplicito permesso del capo del clan, che si trovava nell’ala occidentale del complesso. I nani di guarnigione alla porta orientale non erano soldati, bensì semplici guardie e sentinelle, alle quali era stato ordinato di difendere la fortezza a ogni costo. Aprire quella porta avrebbe significato consentire a un nemico agguerrito di farsi strada all’interno, mettendo a repentaglio la sicurezza di tutti. Ma non aprire significava lasciar morire i propri compagni là fuori. “Non possiamo abbandonarli!” urlò di rimando Bayle. “In tal modo, privi la loro morte di qualsiasi significato”, ribatté Brusco in tono più pacato. Il tono, così come le parole, parvero spegnere l’ardore del giovane nano infuriato. “Cerchiamo di tenere aperti i rifugi il più a lungo possibile”,

propose un altro nano. Quella sera fatale un’altra quarantina di nani riuscì a mettersi in salvo all’interno di Mithral Hall, mentre alcune decine rimasero, insieme a Kingred, fuori dai cunicoli e dal grosso portone sbarrato. Alla fine, i nani all’interno azionarono riluttanti le leve dei contrappesi che bloccavano il passaggio verso i rifugi, abbandonando quei compagni al proprio destino. Brusco e i nani che erano con lui agirono con il cuore gonfio di amarezza, promettendo che Kingred e gli altri non sarebbero stati dimenticati e che canzoni sarebbero state scritte e cantate, di taverna in taverna. *** Re Obould, Gerti Orelsdottr e Proffit, il troll, se ne stavano in disparte a osservare i lavori, mentre giganti, orchi e troll ammassavano pesanti pietre davanti alla porta d’accesso orientale di Mithral Hall. Dai rumori provenienti dall’interno si intuiva che anche i nani stavano facendo altrettanto, ma Obould non voleva rischiare. Si era proposto di sigillare la porta orientale, e così faceva. “Abbiamo conquistato tutti i territori fino al Surbrin”, annunciò l’orco ai capi suoi compagni. Dal loro angolo buio, Kaer’lic e Tos’un ascoltavano con attenzione.

Dimentica che il figlio non ha ancora ricacciato quei nani nelle loro tane, comunicò silenziosamente Kaer’lic al compagno. Tos’un apprezzò la battuta sarcastica, sebbene fosse rimasto alquanto impressionato dai successi di Obould. Grazie ai ripetuti attacchi che Urlgen stava sferrando contro il Clan Battlehammer a ovest, la vittoria era stata ottenuta con facilità. Ancora un po’ di orchi e di nani uccisi qua e là, e Obould avrebbe avuto il controllo della sponda occidentale del Surbrin, dalla Spina Dorsale del Mondo fino alle propaggini delle montagne, a sud di Mithral Hall. Tenendo conto che stavano già innalzando postazioni difensive lungo il fiume, a nord della loro posizione attuale, i risultati raggiunti non erano da

poco. “I nani troveranno un’altra via d’uscita”, commentò Gerti, e Tos’un si rese conto che lei, al pari di Kaer’lic, voleva semplicemente ridimensionare un po’ l’orco presuntuoso. Obould si accigliò nell’udire quelle parole, ma si rivolse subito a Proffit, il troll dalle due teste. “Siete stati bravi”, si congratulò con lui. “Il vostro attacco è stato superbo.” “I troll non...” disse la testa di sinistra. “… si stancano mai”, aggiunse quella di destra. “E quindi, non appena avrete finito qui, vi dirigerete subito verso sud”, proseguì Obould ottenendo un cenno d’assenso da entrambe le teste. “Piazzeremo uno schieramento lungo il Surbrin”, spiegò Obould a Gerti. “Difenderemo le nostre conquiste contro chiunque ce le voglia strappare. Il grosso delle truppe si dirigerà invece a ovest e a nord.” “E Proffit tornerà nei Trollmoors?” domandò Gerti. Il suo disgusto per il fetido troll era palese. “Nelle gallerie meridionali”, la corresse Obould. “Le gallerie che collegano a Mithral Hall. Proffit e i suoi condurranno dall’interno la battaglia per la conquista della fortezza. Noi li sconfiggeremo all’esterno e reclameremo i nostri nuovi possedimenti.”

Sta vaneggiando, comunicò Kaer’lic, muovendo rapida le dita. Tos’un trattenne un sorriso, poiché era evidente che la sua compagna si sentiva sempre più a disagio a causa di Obould. Erano stati i quattro astuti drow a mettere in moto tutto il meccanismo, ma essi non avevano neppure lontanamente immaginato che Obould sarebbe stato in grado di concepire un piano così decisivo e attuabile! Cosa sarebbe successo, si chiese Tos’un (e sapeva che i suoi compagni drow si stavano ponendo la stessa domanda), se il re degli orchi fosse riuscito a conquistare tutti i territori settentrionali posti

tra i Trollmoors e la Spina Dorsale del Mondo, dal fiume Surbrin a Fell Pass? Cosa sarebbe successo se, con un impero così vasto, Obould avesse finalmente cacciato i nani da Mithral Hall? Cosa avrebbe fatto Silverymoon? E Mirabar? E Citadel Adbar o Citadel Felbarr? E loro quattro, cosa avrebbero potuto fare? Stando alle ultime notizie, un numero sempre maggiore di orchi si stava riversando giù dalle montagne. Era possibile che Tos’un e i suoi compagni avessero, senza volerlo, innalzato Obould a una posizione al di fuori del loro controllo? Un regno di orchi proprio in mezzo alle varie roccaforti: degli umani, dei nani e degli elfi. Chissà se altre tribù sarebbero venute a unirsi a loro per condividere la gloria di Obould! Chissà se Obould avrebbe concluso trattati e avviato scambi commerciali con le altre città! A Tos’un pareva tutto così assurdo, e anche divertente. Tuttavia, nell’osservare Gerti e l’espressione cupa che la gigantessa non riusciva a cancellare dal volto persino mentre si dichiarava d’accordo con il re degli orchi, l’elfo scuro si ricordò che esistevano ancora molte potenziali insidie. Solo allora si accorse che Kaer’lic si era avvicinata ai tre capi e che Obould lo stava chiamando. Così, si avviò e andò a porsi di fianco alla sacerdotessa di Lolth. “Tu andrai con Proffit”, ordinò l’orco al guerriero di Barrison Del’Armgo. “Io?” esclamò incredulo Tos’un, mostrando una decisa ripugnanza a quella poco appetibile prospettiva. “Proffit passerà attraverso il Livello Superiore del Buio Profondo per attaccare i nani”, spiegò Obould. “Cosa che avevano già fatto a loro tempo i tuoi concittadini.” Tos’un guardò sorpreso Kaer’lic, chiedendosi come il re degli orchi avesse potuto ottenere una simile informazione.

È per il meglio, gli comunicò a segni Kaer’lic, eliminando ogni

dubbio circa la fonte.

“Tu conosci le gallerie che portano a Mithral Hall”, aggiunse Obould rivolto a Tos’un. “Ci sei già stato.” “Le conosco molto poco”, ribatté il drow. “Ma meglio di chiunque altro”, disse Obould. “Se vogliamo assicurarci i territori in superficie dobbiamo cominciare ad attaccare dall’interno della fortezza. Tu guiderai Proffit in questa missione.” Il tono di Obould non lasciava spazio per le discussioni, e quando Tos’un fece per controbattere, Kaer’lic gli lanciò un enfatico: È

meglio così!

“Andrò con loro”, annunciò poi Kaer’lic. “Conosco alcune delle gallerie, ed è meglio che Proffit abbia due elfi scuri a guidare i suoi guerrieri.” Obould fece un cenno d’assenso e si concentrò su altre questioni, perlopiù riguardanti lo sbarramento delle grandi porte.

Perché l’hai fatto? chiesero le mani di Tos’un a Kaer’lic mentre i

due si estraniavano dalla conversazione principale.

Perché così saremo lontani, fu la risposta. E Ad’non e Donnia? Kaer’lic scrollò le spalle e replicò: Sono in grado di badare a se stessi. Lo hanno sempre fatto. Ed è meglio che noi ci dirigiamo a sud, adesso. Perché? Perché Drizzt Do’Urden è a nord. Tos’un fissò incuriosito la sua sorprendente compagna. Kaer’lic si era detta molto preoccupata riguardo a Drizzt, ma volersi addirittura allontanare solo perché l’elfo disertore si trovava là intorno! Non aveva senso. Ma non poteva conoscere i sospetti di Kaer’lic. Sin da quando Tos’un si era unito al gruppo dei ribelli e aveva raccontato loro del disastro di Mithral Hall a opera di Menzoberranzan, Kaer’lic Suun Wett aveva temuto che Drizzt Do’Urden potesse avere qualcosa di più rispetto agli altri drow di Menzoberranzan. Al di là della sua abilità nel combattere, c’era in lui qualcosa di

speciale, qualcosa di divino. Kaer’lic era sempre stata accorta, ma era giunta quasi a odiare la propria astuzia, poiché si rendeva conto che la sua natura sospettosa avrebbe potuto, in effetti, crearle dei problemi. Ma non era forse quello il prezzo da pagare per vedere ciò che era invisibile? Senza averne fatto parola ai compagni, la sacerdotessa di Lolth era convinta che ci fosse dietro a tutto questo qualcosa di irritante e assolutamente perverso: era convinta che Drizzt Do’Urden godesse dei favori di Lolth in persona.

14

ZANZARE ELFICHE Con tutte le sciabolate che volavano e quelle zampe che si agitavano, i due orchi non avevano alcun desiderio di continuare a lottare contro il micidiale guerriero elfo sul suo cavallo alato, dato che tre compagni già stesi a terra erano più di quanto il loro animo codardo potesse sopportare, perciò gettarono le armi e se la diedero a gambe, trottando a più non posso sul viottolo sassoso e invocando aiuto. L’elfo li incalzava alle spalle, in groppa al bel destriero bianco che si librava in aria sulle magnifiche ali. Di certo, gli orchi non potevano sfuggirgli né potevano nascondersi, a meno di non trovare un rifugio sottoterra. Ma non l’avrebbero fatto, di questo l’elfo era sicuro. Fece deviare Alba a sinistra, costringendo i due a riportarsi sullo stretto sentiero principale. Dimentichi di tutto tranne che dell’elfo e del suo pegaso, gli orchi mutarono direzione di buon grado, sempre correndo a tutta velocità, l’uno dietro l’altro. Giunsero infine a una curva e si apprestarono ad aggirare un masso per potersi arrampicare su per una leggera salita. Almeno, cercarono di aggirare il masso. Il secondo elfo apparve, un’elfa in tutta la sua micidiale bellezza. Sbucò da dietro il masso producendosi in una giravolta a sinistra. Il primo orco cacciò un urlo e si fermò di botto, tendendo le mani in avanti per proteggersi, ma l’elfo non tentò nemmeno di colpirlo. Gli

girò intorno, usandolo alla stregua di una barriera visiva nei confronti del compagno che stava sopraggiungendo di corsa. Questi si affrettò, vedendo che l’altro si era fermato all’improvviso, e non notò la flessuosa figura che faceva in quel momento capolino, finché non fu troppo tardi. Una spada gli trapassò il petto. Il primo orco aprì di nuovo gli occhi e pensò di averla scampata e che l’elfa l’avesse in qualche modo ignorato. Non essendo, in apparenza, tipo da fermarsi a riflettere sull’inaspettata fortuna che gli era capitata, riprese a correre. Fece appena in tempo ad allontanarsi di un passo prima che una lama gli penetrasse le reni. Riuscì a fare un secondo passo prima che la lama lo colpisse di nuovo. E fu lì lì per completare un terzo passo quando la spada fatale sferrò un altro fendente, questa volta sulla nuca. “Sto cominciando a capire perché a Drizzt Do’Urden piaccia questa vita”, commentò Tarathiel, portandosi con il proprio cavallo di fianco a Innovindil. “Non credo che gli piaccia”, replicò questa. Fece correre lo sguardo tra le rocce ed emise un fischio. Tramonto si diresse trotterellando verso di lei. “È guidato dalla rabbia e non è in grado di provare alcuna gioia. Abbiamo visto come si è comportato quando l’abbiamo soccorso. Non ha neanche voluto accettare la nostra generosa offerta.” Tarathiel ripulì la lama insanguinata nella tunica consunta di un orco. Sapeva che la sua compagna aveva ragione. Quando lui e Innovindil avevano raggiunto l’elfo scuro vicino al fiume, aveva sperato di stabilire con lui un rapporto di amicizia. Aveva sperato di parlargli di Ellifain, di avere sue notizie o di mettere in guardia Drizzt circa il fatto che la poveretta non era in sé dal dolore e che lo stava inseguendo. Ma quel giorno non gliene era stata data l’opportunità, e il motivo era proprio quello appena spiegato da Innovindil. “Da qualche parte, nel suo intimo, deve sicuramente provare

piacere nell’uccidere queste ripugnanti creature”, ribatté Tarathiel. “Dovrà pur riconoscere che le sue azioni mirano a migliorare il mondo.” “Speriamo”, disse Innovindil in tono poco convinto. Mentre parlava, si guardava in giro, quasi cercasse di individuare segni del passaggio di Drizzt. Di lì a poco, i due proseguirono il cammino, certi che altri orchi stessero convergendo sul luogo dello scontro per scoprire la ragione delle grida dei loro compagni. Per quasi tutto il tragitto tennero i pegasi a terra, facendoli volare solo quando si trovavano in prossimità di burroni e di piccole alture, per scoraggiare eventuali inseguimenti. In tal modo, erano certi che gli orchi non li avrebbero potuti raggiungere. Quella notte, gli elfi non fecero subito ritorno alla loro grotta, ma preferirono perlustrare la zona tutt’intorno alla ricerca di altre prede. Drizzt poteva anche agire per rabbia, ma Tarathiel e Innovindil provavano in quell’attività un senso di adempimento, persino di piacere. E gli orchi da cacciare non mancavano certo. *** Donnia non dovette neppure rendere partecipe Ad’non della propria soddisfazione quando la traccia di calore li portò verso il mucchietto di sterco, visto che il malvagio sorriso comparso sulle sue labbra era molto eloquente. L’espressione di Ad’non fece capire che era altrettanto soddisfatto. I drow videro che gli escrementi avevano perso gran parte del loro calore, e si servirono di quel dato per calcolare da quanto tempo si trovassero là. Gli elfi scuri imparavano fin da piccoli a calcolare la dispersione di calore dalle feci degli animali, e il tipo che avevano davanti era simile in consistenza e dimensioni a quello del

bestiame di razza rothé che allevavano nelle loro città sotterranee. I due si scambiarono una serie di silenziosi messaggi e si avviarono lungo un sentiero tortuoso che risaliva il fianco della montagna. Muovendosi furtivi da una sporgenza all’altra, da un masso all’altro e da un albero all’altro, i drow avanzavano. Un nuovo mucchietto di sterco suscitò ulteriori sorrisi. Poi, mentre si sporgevano a guardare verso il basso da una pietra piatta, ne scoprirono dell’altro.

Grotta, segnalò Ad’non sdraiandosi pancia a terra alla destra di

Donnia.

I due elfi scuri non potevano saperlo, ma si trovavano sulla stessa pietra dalla quale Drizzt aveva scorto per la prima volta il rifugio di Tarathiel e Innovindil. Donnia comunicò altri messaggi ad Ad’non, poi avanzò strisciando fin sul bordo della sporgenza. Dopo aver gettato un’occhiata intorno ed essersi assicurata che Ad’non tenesse pronta la balestra, si fece scivolare giù, reggendosi saldamente al bordo della pietra, per poi toccare terra con un balzo dieci piedi più sotto e precipitarsi verso l’apertura della buia caverna. Una volta là, estrasse la spada e la piccola balestra che soleva portare con sé. Ad’non la seguì imitandola e raggiunse la parete rocciosa che stava di fronte alla grotta.

La cenere è ancora calda, comunicò Donnia, segno che il luogo

era abitato.

Ad’non si abbassò e scrutò all’interno con attenzione.

Vuota, disse alla compagna. Ma non disabitata. Nessuno dei due ebbe bisogno di comunicare all’altro di preparare un’imboscata. Gli elfi drow si diedero da fare per cercare un luogo dove appostarsi. Ma non rimasero troppo vicini all’ingresso, né tanto meno cercarono di entrare, dimostrando una giusta dose di rispetto nei confronti dei pericolosi avversari. Di lì a poco, Donnia si imbatté in

qualcosa di ancora più promettente: una seconda grotta.

Questa è più profonda, segnalò. Ad’non la raggiunse sulla soglia. Esaminò la pendenza e l’angolazione del cunicolo, quindi le confrontò con quelle della grotta usata dagli elfi di superfìcie. Fece segno a Donnia di tirarsi indietro, poi si appoggiò a terra e inclinò la testa di lato mentre inseriva con cautela la mano nella cavità, le dita delicate ed esperte che tastavano il bordo alla ricerca di eventuali trappole. Piano piano, introdusse il braccio e ispezionò la superficie palmo a palmo. Dopo aver lanciato un’occhiata alla compagna, il drow strisciò attraverso la piccola apertura e scomparve alla vista. Donnia si avvicinò e fece appena in tempo a vedere i piedi di Ad’non che sparivano oltre la prima curva. Dopo aver gettato un rapido sguardo intorno, la drow appoggiò delicatamente l’orecchio sulla roccia. Alcuni colpetti in codice l’avvisarono che era giunto per lei il momento di muoversi e di entrare. Il passaggio era stretto e diventò ancora più angusto dopo che ebbe superato la prima curva, al punto che, per infilarsi nella fenditura che aveva davanti, dovette avanzare strisciando prima con la testa, nella totale oscurità. Ben poche creature dotate di razionalità avrebbero proseguito attraverso un percorso così disagevole, ma i due elfi scuri, che avevano trascorso decine e decine di anni a farsi strada lungo simili cunicoli nell’infinita rete di gallerie del Buio Profondo, non ne furono minimamente impressionati. Il corridoio che si apriva al di sotto della fenditura era un po’ più ampio, sebbene la volta bassa non consentisse a Donnia di alzare la testa, mentre avanzava carponi. Poi diventò mano a mano più largo fino a sbucare in un’alta caverna, dove lei ritrovò il compagno, seduto ad aspettarla su un masso.

Dobbiamo scendere più in basso, comunicò Ad’non, indicando le

varie possibilità che si offrivano loro: un paio di cunicoli che si dipartivano dalla caverna seguendo un percorso tortuoso, una cavità più ampia al termine di una ripida salita che sembrava continuare oltre un muro di pietre impilate l’una sull’altra, e un angusto tunnel dalle pareti rocciose sconnesse che si tuffava sinuoso ancora più in profondità.

Donnia sapeva che non era il caso di discutere con Ad’non circa la direzione da prendere, dato che il drow aveva sempre dimostrato una notevole abilità nell’orientarsi sottoterra. Possedeva un istinto infallibile per quel tipo di cose, come se riconoscesse al tatto la struttura di ogni galleria, come se, al bisogno, fosse in grado di allontanarsi dallo spazio circoscritto in cui si trovava per avere una visione panoramica di tutto l’insieme dei passaggi. Forse percepiva le variazioni di flusso dell’aria, del calore o della luminosità; comunque fosse, Ad’non sembrava sempre seguire il percorso migliore nei labirinti del sottosuolo. E fu così che, dopo essersi lasciati scivolare giù lungo la parete del tunnel, dopo avere strisciato carponi sotto una bassa sporgenza rocciosa e aver seguito un altro cunicolo serpeggiante, gli elfi scuri giunsero in una piccola caverna. Dalla parete opposta filtrava un lieve soffio d’aria. Non era molto evidente, ma chiaramente percepibile dal sofisticato udito dei drow.

Senza uscita? chiese Donnia. Ad’non le fece segno di essere paziente, poi si avvicinò alla parete e vi fece scorrere sopra le dita. Quindi si voltò con un sorriso perverso, di cui Donnia comprese subito il motivo non appena si fu avvicinata. Si trovavano infatti in una caverna attigua a quella degli elfi di superficie e, sebbene non vi fossero passaggi di comunicazione tra le due cavità, gli elfi scuri riuscirono a scavare nella roccia un’apertura sufficiente a consentire loro di avere un’ampia visuale dell’altra grotta. Dopodiché rimisero accuratamente a posto le pietre e tornarono fuori nella notte. *** Drizzt si piegò su un ginocchio e ammirò il paesaggio nel chiarore dell’alba. La bruma si alzava dagli innumerevoli ruscelli di montagna smorzando i profili angolosi delle creste e dei rilievi, aggiungendo una bellezza surreale alla luce del mattino, ammorbidendola di una sfumatura color giallo e arancio. La bruma attutiva anche i suoni. Lo

stridio degli uccelli, il rimbombo dei sassi che cadevano, il mormorio dell’acqua che scorreva. Le grida degli orchi. Drizzt inseguì quelle grida attraverso una valle fino a raggiungere un’altra cresta montuosa, al di sopra della quale scorse la figura alata di un pegaso; il cavallo si librava in aria per poi tuffarsi all’improvviso, ancora e poi ancora, mentre il suo cavaliere scagliava una raffica di frecce da un arco lungo. Drizzt immaginò che si trattasse di Tarathiel, visto che di solito era lui a spingere gli orchi nelle imboscate tese da Innovindil. Drizzt scrollò il capo e sorrise di fronte a tanta energia, dato che i due erano stati occupati a inseguire orchi tutto il giorno precedente, fino al tramonto, ed erano di nuovo usciti alle prime luci dell’alba. Si chiese se quella notte fossero addirittura tornati nella grotta. Rimase un altro po’ a osservare l’inseguimento, poi si allontanò silenzioso verso una radura riparata che sapeva trovarsi nelle vicinanze. Una volta là, si cercò un posto tranquillo un po’ in disparte, da dove poter tenere d’occhio lo spiazzo erboso senza essere visto. Poco meno di mezz’ora dopo, una coppia di pegasi giunse trotterellando sul prato, seguita dai due elfi intenti a chiacchierare. I due cavalli avevano bisogno di cibo e di riposo, oltre che di essere governati, dato che il loro candido mantello luccicava di sudore. Drizzt era certo che gli elfi sarebbero arrivati proprio lì. Ancora una volta, venne assalito dal desiderio di raggiungerli. Non era forse suo dovere informarli riguardo a Ellifain e al dramma che aveva avuto luogo nelle terre a ovest? Ma con il passare dei minuti, mentre Tarathiel e Innovindil toglievano i finimenti ai pegasi, la risoluzione del drow sembrò svanire. Li osservò lavare con delicatezza i due stupendi destrieri attingendo acqua da un vicino ruscello. Osservò Tarathiel abbeverare prima l’uno poi l’altro pegaso, accarezzando loro la testa con dolcezza mentre si chinavano sul secchio. Osservò Innovindil raccogliere alcune radici e porsi di fronte al suo cavallo dopo essersene ficcata per scherzo una tra i denti, così che l’altro la potesse

afferrare con un gesto molto simile a un bacio. Vide anche l’animale impennarsi, con atteggiamento tutt’altro che minaccioso, e Innovindil ridere mentre restava là e lo guardava agitare gli zoccoli anteriori in aria davanti a lei. Nell’assistere a quella scena, la mano di Drizzt corse alla borsa che portava alla cintura e alla sua statuetta d’onice, poiché il rapporto che legava Tarathiel e Innovindil ai loro pegasi gli parve molto più profondo che non il semplice legame tra un animale e il suo padrone, gli parve amicizia bell’e buona. E lui, più di chiunque altro, era in grado di comprenderlo. Di nuovo, il drow provò il desiderio di raggiungerli, di parlare con loro e raccontare la verità. Esitò e abbassò lo sguardo, poi chiuse gli occhi e rivide col pensiero la fatale lotta con la povera Ellifain. Per parecchi minuti rimase seduto là, in silenzio, a ricordare quell’ultimo incontro con la fanciulla elfo, e anche il precedente a Moonwood, in presenza di Tarathiel. Si rese conto del dolore che questi avrebbe provato nell’apprendere la fine di Ellifain, poiché lui era stato testimone dell’affetto che Tarathiel le aveva dimostrato. Non voleva far soffrire quei due. Ma avevano il diritto di sapere, ed era suo dovere informarli. Sì, lo doveva fare. Quando rialzò lo sguardo, però, gli elfi se n’erano già andati. Drizzt abbandonò il suo punto d’osservazione, una bassa biforcazione di un albero in mezzo a tanti altri. Raggiunse il margine della radura scrutando tutt’intorno e vide i pegasi sollevarsi in aria all’estremità opposta. Drizzt sapeva che non sarebbero andati a caccia di orchi. I cavalli erano troppo stanchi, e probabilmente anche i due elfi. Rimase a osservare la direzione che prendevano. Stavano tornando alla grotta. Drizzt si chiese se avrebbe avuto davvero la forza di andare da loro a raccontare quanto era successo. ***

“Dovremmo tornare a Moonwood a chiedere rinforzi”, disse Tarathiel alla compagna mentre i due pegasi atterravano davanti alla grotta. “E saresti disposto ad abbandonare Drizzt Do’Urden senza neppure avere saputo di Ellifain?” replicò Innovindil. “Presto verrà da noi”, disse Tarathiel. Cominciò a togliersi gli abiti macchiati di sangue e appese con cura la cintura con la spada a un gancio sulla parete al di sopra del suo giaciglio, quindi si sfilò la tunica. Nel notare una ferita sulla spalla, riprese la cintura e pescò dalla piccola borsa che vi era assicurata una boccetta di unguento. Accanto a lui, anche Innovindil si stava spogliando e appoggiando a terra gli indumenti sporchi. “Sei stato colpito”, osservò, vedendo il lungo graffio che segnava la spalla e il braccio di Tarathiel. “Un ramo, probabilmente”, precisò lui, facendo una smorfia mentre si spalmava l’unguento sulla ferita. “Durante una delle discese di Alba.” Rimise il tappo sulla boccetta e la lasciò cadere sul pagliericcio, poi si tolse i calzoni e si inginocchiò a rassettare le coperte. “Il taglio non è troppo profondo?” si informò Innovindil. “Per niente”, la rassicurò l’altro, bloccandosi di colpo e, quando Innovindil si voltò a guardarlo, lo vide crollare a terra. “Ti senti così debole?” chiese in tono allegro, non preoccupandosi in un primo momento dell’accaduto. Trascorsero alcuni secondi. “Tarathiel?” fece lei, dato che il compagno rimaneva muto e immobile. Poi si avvicinò e si chinò su di lui. “Tarathiel?” Un lieve rumore le fece volgere lo sguardo verso la parete di fondo, dove scorse un movimento furtivo attraverso un’apertura: una mano che puntava una balestra.

Lo scatto del dispositivo di tiro troncò sul nascere l’esclamazione di stupore che le era venuta alle labbra, e lei rimase a guardare il piccolo dardo attraversare fulmineo l’angusto spazio della grotta. Cercò di schivare il colpo, ma era troppo vicina. Protese istintivamente la mano, ma la freccia era già passata oltre andando a conficcarsi in profondità alla base del collo, proprio sopra la clavicola. Innovindil barcollò all’indietro, la mano ancora tesa a proteggersi. Si rese conto, guardandola, che la mano stava tremando con violenza. Nel frattempo, il veleno drow le stava penetrando nelle vene, rendendole insensibili le estremità e intorpidendole il cervello. Si accorse di essersi messa a sedere, benché non ne avesse avuto affatto l’intenzione. Quindi, si ritrovò sdraiata sulla schiena a fissare il soffitto della caverna. Cercò di chiedere aiuto, ma le labbra non ubbidivano. Cercò di girare la testa per vedere il suo compagno, ma non ci riuscì. Al di là del muro, Ad’non e Donnia si scambiarono un sorriso e si allontanarono veloci. Di lì a poco, uscirono dalla galleria sul retro e aggirarono la collina portandosi all’ingresso della grotta. Ricorsero entrambi ai loro poteri magici e crearono un cerchio di oscurità intorno ai due pegasi che si stavano agitando inquieti nelle vicinanze. I cavalli nitrirono e rasparono il terreno in segno di protesta, mentre i due elfi scuri li superavano lesti. Ad’non si avvicinò ai due elfi paralizzati: Innovindil distesa supina proprio davanti a lui e Tarathiel raggomitolato in posizione fetale, poco più indietro. “Bella, nuda e indifesa”, commentò Ad’non nell’osservare con aria lasciva l’elfa. Con un ghigno e una rapida occhiata a Donnia, il drow si chinò su di lei e cominciò a carezzarle la spalla. Innovindil rabbrividì e si agitò spasmodicamente cercando di sfuggirgli, suscitando l’ilarità di Ad’non e di Donnia, che si stava godendo la scena. “Bella, nuda e indifesa”, ripeté Ad’non e guardò di nuovo la compagna drow. “Proprio come piacciono a me.”

PARTE 3 CORAGGIO E VIGLIACCHERIA

Come mi era parso strano vedere i due elfi accorrere in mio aiuto quel giorno vicino al fiume! Come mi sentivo malridotto e turbato! Naturalmente sapevo che i due si trovavano nelle vicinanze, ma vedermeli davanti, così all’improvviso, mi ha fatto ricordare luoghi che non avevo più osato rivisitare. Mi ha riportato a quella grotta, a occidente, dove Ellifain, la loro amica, ha trovato la morte sulla punta della mia lama insanguinata. Durante quell’incontro, ho approfittato della situazione, poiché c’era sincerità nel mio consiglio di prendere strade diverse per scoraggiare eventuali inseguimenti. Il mio ragionamento era giustificato. Ma non posso nascondere la verità che si trova nel profondo del mio cuore. Sono fuggito perché avevo paura, perché il coraggio in battaglia è spesso una dote del tutto differente dal coraggio che si dimostra nelle questioni personali ed emozionali, e non necessariamente l’abbondanza dell’uno si traduce nella dovizia dell’altro. Non ho paura dei nemici. Mi spaventano di più gli amici. E il paradosso della mia esistenza. Sono in grado di fronteggiare un gigante, un demone o un drago con le scimitarre sguainate e con grande ardore, ma mi ci sono voluti anni perché ammettessi i sentimenti che provavo nei confronti di Catti-brie, perché mi liberassi delle mie ansie e accettassi quel legame come uno degli aspetti più positivi della mia vita. E adesso posso lanciarmi contro una banda di orchi senza pensarci su due volte, le lame roteanti strette in pugno e un canto di battaglia sulle labbra, ma quando Tarathiel e Innovindil mi sono comparsi dinanzi mi sono sentito nudo e indifeso. Mi sono sentito di nuovo bambino a Menzoberranzan, quando mi nascondevo da mia madre e dalle mie feroci sorelle. Non credo che i due elfi volessero farmi del male; di certo non erano venuti a soccorrermi in battaglia per poi uccidermi con le loro mani. Mi si erano presentati a viso aperto, sapendo bene chi ero. Ma sono quasi certo che non erano al corrente del mio incontro con la povera Ellifain.

Avrei dovuto informarli. Avrei dovuto confessare tutto. Avrei dovuto spiegare il mio dolore e il mio rincrescimento, inchinarmi davanti a loro con pentimento e umiltà, pregare insieme a loro per la salvezza dell’anima della sventurata Ellifain. Avrei dovuto fidarmi. Tarathiel mi conosce, e un tempo mi aveva addirittura affidato uno dei preziosi cavalli di Moonwood. Lui aveva compreso la verità e aveva creduto nella mia buonafede, quella lontana notte dell’incursione, quando i drow erano sgusciati fuori dal Buio Profondo per massacrare la gente di Ellifain. Lui avrebbe capito la mia impossibilità ad agire in altro modo e il sincero dolore che avevo provato nel cuore e nello spirito. E ora dovrebbe essere informato sul destino della sua vecchia amica. Lui e Innovindil hanno il diritto di sapere della fine di Ellifain, di come è morta, e forse tutti insieme potremmo stabilire il motivo per cui è morta. Ma non ho potuto dirglielo. Non in quel luogo. Non in quel momento. L’ondata di panico che mi aveva assalito era violenta come non mai. Riuscivo solo a pensare che dovevo fuggire di là, fuggire da quei due alleati, da quei due amici della scomparsa Ellifain. E così sono scappato. Quando impugno le mie scimitarre, sono Drizzt il Coraggioso, che non si tira indietro se c’è da combattere. Sono quel Drizzt che entrò senza esitare nella tana dei verbeeg al fianco di Wulfgar e insieme a Guenhwyvar, sapendo che loro erano più forti e numerosi! Sono quel Drizzt che sopravvisse per dieci anni da solo nel Buio Profondo, sono colui che accettò il proprio destino e l’inevitabile fine (o così almeno pensavo) piuttosto che rinunciare a quei principi che avevo posto a guida della mia esistenza. Ma sono anche Drizzt il Vigliacco, che non teme alcun confronto fisico, eppure è incapace di lasciarsi andare tra le braccia di Cattibrie. Sono Drizzt il Vigliacco, che sfugge Tarathiel perché non riesce a confessargli la verità. Sono quel Drizzt che dopo la caduta di Shallows non è tornato a Mithral Hall perché in mancanza di una

conferma di ciò che so essere vero - e cioè che i miei amici sono tutti morti - posso almeno sperare che alcuni di essi siano scampati alla carneficina. Forse Regis, con l’aiuto del suo pendente di rubini, è riuscito a convincere gli orchi a lasciarlo tornare dai Battlehammer. O forse Wulfgar, infuriato come non mai al ricordo del tempo trascorso nell’Abisso e della rabbia e del dolore provati allora, si è dato da fare ad abbattere così tanti orchi che quelli rimasti sono scappati senza inseguirlo. E con lui Catti-brie, forse. È una follia, lo so. Ho udito ciò che dicevano gli orchi. Conosco la verità. Sono sorpreso di vedere quante cose riesco a nascondere dietro a queste mie lame. Sono sorpreso di quanto poco mi faccia paura la morte per mano nemica e, tuttavia, di quanto timore io provi all’idea di raccontare la verità su Ellifain a Tarathiel. Ma so di doverlo fare. So che questo è il modo giusto di agire. Lo so. Quando si tratta di sentimenti, il coraggio non può vincere la vigliaccheria finché non si riesce a essere onesti con se stessi, ad ammettere la verità. La mia decisione di fuggire dai due elfi quel giorno in riva al fiume è stata ragionevole ed è servita a sviare la loro curiosità. Ma è stata anche una menzogna, perché non ho ancora la forza di mostrare i miei sentimenti. Lo so bene. Drizzt Do’Urden

15

SVANTAGGIO TATTICO Catti-brie si era appiattita contro un masso per evitare il macigno che l’aveva sfiorata e che, dopo aver colpito il terreno, era rimbalzato nel vuoto cadendo su Keeper’s Dale. La ragazza non perse tempo a seguirne la traiettoria, poiché era inseguita dai due orchi sopravvissuti del terzetto che l’aveva attaccata. Ne aveva abbattuto uno con Taulmaril, ma poi era intervenuto il fuoco di fila dei giganti appostati in lontananza, sulla cresta occidentale. Questi non erano in grado di raggiungere la postazione dei nani con lanci di grosse pietre, per cui scagliavano schegge di ardesia, proiettili sottili e aguzzi che sibilavano nell’aria descrivendo selvagge giravolte. La maggior parte mancava il bersaglio, volteggiando senza controllo, sollevandosi in posizione verticale e ricadendo troppo lontano, da questa o da quella parte, ma alcuni arrivavano troppo vicini per essere ignorati. Catti-brie posizionò un’altra freccia sulla corda dell’arco e si sottrasse appena in tempo alla vista del primo orco, che era sbucato in quel momento all’estremità opposta del masso, la mazza sollevata in aria e le labbra atteggiate a un ghigno. Il dardo fiammeggiante lo centrò in pieno petto, sollevandolo da terra e scagliandolo una decina di passi più indietro, contro la roccia. Istintivamente, la giovane abbassò l’arco afferrandolo alle due estremità e, compiendo un giro su se stessa, intercettò l’assalto dell’altro orco. La traiettoria circolare fece sì che una delle estremità dell’arma andasse a incastrarsi sotto il mento del malcapitato, il

quale rimase là, bloccato, mentre Catti-brie rovesciava la presa esercitando una pressione in avanti. L’orco fu costretto a sollevarsi sulla punta dei piedi per cercare di afferrare l’arco e toglierlo di mezzo. Ma Catti-brie fu più veloce, voltandosi appena ad appoggiare saldamente la schiena contro la roccia, imprimendo all’arco un’inclinazione esterna. Quindi, si girò e spinse, così che l’orco fu costretto ad arretrare per svincolarsi. Sfortunatamente, il caso volle che si trovasse proprio sull’orlo del precipizio che dava su Keeper’s Dale. Mentre era sul punto di cadere, cercò di aggrapparsi all’arco, obbligando Catti-brie a mollare la presa. La ragazza abbozzò una smorfia nel vedere Taulmaril precipitare nel vuoto, ma non perse tempo, estrasse Khazid’hea e si voltò a fronteggiare un altro nemico. La brutta faccia di un orco la fissava lasciva da dietro il masso. La creatura simulò un movimento verso destra e Catti-brie si apprestò a parare il colpo, quindi sferrò un fendente a sinistra cercando di sorprendere l’avversario. Poi si spostò di nuovo rapido a sinistra, mentre la ragazza reagiva di conseguenza, e scattò fulmineo verso il centro portandosi oltre il masso. Ma Catti-brie, stanca del gioco, vibrò un affondo dritto davanti a sé, scalfendo con la lama la superficie rocciosa e andando a trapassare l’orco in pieno petto. Gli occhi iniettati di sangue dell’altro la fissarono increduli. “Mi avevi quasi imbrogliata”, disse Catti-brie ammiccando. In quel momento, un altro orco balzò verso di lei, improvviso e inaspettato, come se si fosse materializzato dal nulla. Mentre il disgraziato si librava nel vuoto oltrepassandola, la giovane si rese conto che in realtà doveva essere caduto da qualche punto più in alto. Non appena vide comparire Wulfgar, martello alla mano, comprese subito cos’era accaduto. “Prepara l’arco”, la esortò. “Stanno arrivando di nuovo!”

Catti-brie sollevò impotente la mano vuota e fece per affacciarsi sul precipizio. Ma, nel vedere che Wulfgar era già tornato a combattere, si limitò a scrollare le spalle. A quel punto, si apprestò a salire, arrampicandosi veloce sulla roccia per raggiungere l’amico. Fianco a fianco, i due si fecero strada fino al più vicino gruppo di orchi, con Aegis-fang che menava colpi a destra e a manca togliendo di mezzo chiunque si trovasse sulla sua strada. Catti-brie scartò di lato, verso un orco che si proteggeva con uno scudo: una ben debole difesa contro Khazid’hea. La lama trapassò il legno, il braccio che lo reggeva e andò a conficcarsi nel petto dell’orco. La ragazza si voltò a intercettare l’assalto di un secondo nemico, e la lama affilata, che ben si meritava il soprannome di Coltello, lacerò le carni e, mentre veniva rimossa, ridusse a pezzi le ossa e lo scudo della prima vittima. Abbassando l’arma, Catti-brie bloccò la lancia che le era stata scagliata contro e ne deviò la traiettoria. Dopodiché riportò la spada all’altezza dell’orco e gli inflisse un paio di rapide stoccate: due fori nitidi nel torace. La creatura vacillò all’indietro e cercò di tenersi in equilibrio, ma Aegis-fang la colpi alla schiena e la mandò a ruzzolare poco più in là. Mentre avanzava, Catti-brie tenne Coltello al fianco, pronta a qualsiasi eventualità.

Che deliziosa cenetta questa sera! il pensiero le attraversò la

mente.

Sebbene le parole non si fossero impresse a livello cosciente, la sensazione della sete di sangue era palpabile. Prima ancora di poterne considerare le implicazioni, prima ancora di rendersi conto che la spada senziente si era risvegliata e aveva trovato di nuovo il modo di comunicare con lei, la giovane si era già lanciata avanti, oltre Wulfgar, diretta verso una moltitudine di orchi. La ferocia sostituì la delicatezza, mentre sferrava colpi con Coltello su qualunque cosa si muovesse. Vibrò una sciabolata di rovescio verso sinistra, trapassando uno scudo e un braccio. Estrasse rapida la lama e la fece roteare dinanzi a sé, costringendo i due orchi che la fronteggiavano ad arretrare e a finire infilzati dalla punta di

lancia di un altro orco che stava attaccando alla sua destra. Catti-brie si girò con un movimento rotatorio delle anche, poi caricò all’improvviso sulla destra, colpendo ripetutamente, trafiggendo innumerevoli volte l’orco che strillava e cercava di ripararsi. Rendendosi conto della propria vulnerabilità, la ragazza si voltò a fronteggiare i due orchi rimasti e si chinò giusto in tempo per evitare un oggetto che l’aveva sfiorata con un sibilo. Quando vide che uno dei due orchi era semplicemente svanito, si rese conto che si trattava di Aegis-fang.

Prende parte alla nostra cena! protestò Khazid’hea, costringendo

la giovane a lanciarsi all’attacco dell’ultimo orco.

La creatura, terrorizzata, scagliò la spada nella sua direzione e si apprestò a darsela a gambe. Sebbene Catti-brie fosse stata colpita, non si fermò. Agguantò l’orco e lo abbatté proprio mentre stava raggiungendo un paio di compagni, ma non rallentò la sua corsa, continuando infuriata a vibrare fendenti a destra e a manca. A sua volta, ricevette una sciabolata, ma non provò dolore, intenta com’era a restituire, l’uno dopo l’altro, i colpi ricevuti e a opporre alle spade degli orchi la sua prodigiosa Khazid’hea. Ben presto i tre orchi giacquero riversi a terra, e Catti-brie avanzò nella sua furia. “Aspetta!” gridò qualcuno alle sue spalle. Era Wulfgar, ma la voce sembrava lontana e irreale. Non palpabile come la sete di sangue che le divorava i pensieri. Non palpabile come il fuoco che le scorreva nelle vene. Un altro orco cadde davanti a lei. Poi ne colpì un altro pensando di passare oltre per occuparsi anche di quello che veniva dopo. Ma la sua stoccata fu violenta, al punto che la lama affilata tranciò il braccio dell’avversario all’altezza della spalla e si andò a conficcare in profondità nel torace, dove si fermò. L’orco ferito a morte si lasciò cadere e quasi trascinò con sé la giovane, che diede un feroce strattone nel tentativo di liberare la spada ed essere pronta a fronteggiare il nemico successivo, che già si intravedeva dietro. “Bah! Non c’è gusto, ti stai prendendo tutto il divertimento!” disse la voce del presunto avversario.

Catti-brie si fermò di botto, rendendosi conto di avere ormai raggiunto le linee dei nani. Offrì un tremulo sorriso al nano che aveva parlato, pensando nel suo intimo che, se la sua lama non fosse rimasta intrappolata nel torace dell’orco, il malcapitato sarebbe sicuramente rimasto vittima dell’insaziabile Khazid’hea. In preda a quel pensiero, la ragazza maledisse mentalmente la spada, che dovette sicuramente recepire il messaggio. Quindi puntò un piede sul cadavere dell’orco e tentò di nuovo di estrarre Khazid’hea. “Calmati”, la esortò Wulfgar. “Adesso combatteremo insieme, fianco a fianco.” Catti-brie lasciò andare l’impugnatura della spada e fece un passo indietro, poi trasse un lungo e profondo respiro. “La spada è assetata di sangue”, spiegò. Wulfgar sorrise e annuì, poi le disse: “Cerca di mitigare questa sete con un po’ di buonsenso”. Catti-brie gettò uno sguardo alla scia di corpi squarciati e tagliuzzati che si era lasciata alle spalle e poi a se stessa, ricoperta da capo a piedi dal sangue degli orchi. Ma non era tutto sangue nemico, solo allora se ne rese conto, e soltanto allora avvertì un dolore bruciante. La spada che l’aveva colpita aveva provocato un taglio al braccio sinistro. Inoltre, aveva una ferita sul fianco destro e una sul piede sinistro, dov’era stata trafitta dalla punta di una lancia. “Hai bisogno che un sacerdote si prenda cura di te” le disse Wulfgar. Catti-brie, la mascella contratta per resistere al dolore, si fece avanti cocciuta e afferrò l’elsa di Khazid’hea. Nell’estrarre la lama, venne raggiunta da un altro getto di sangue. “E di un bagno”, osservò Wulfgar, con un tono di voce a metà tra l’ironico e il triste.

*** Banak Brawnanvil si ficcò in bocca due dita paffute e si produsse in un fischio acuto. Gli orchi erano di nuovo in ritirata e i nani li stavano inseguendo in formazione compatta e ordinata. Ma dalla sua posizione predominante a ridosso della parete a picco, Banak si rese conto che gli orchi, nello scendere giù per il pendio, avevano mutato direzione e piegavano a ovest. Allora fischiò ripetutamente, ordinando ai comandanti più vicini di richiamare le loro truppe. Tuttavia, prima ancora che il comando raggiungesse le prime file, i nani avevano già compreso che nella loro foga si erano spinti eccessivamente a nordovest, troppo vicini all’alta cresta dov’erano appostati i giganti. La formazione dei nani si fermò di colpo e si stava apprestando a tornare indietro, quando i sassi dei giganti cominciarono a piovere sulle loro teste. Il disciplinato dietrofront si trasformò ben presto in fuggifuggi generale e gli orchi, che li avevano attirati in quella trappola, da inseguiti divennero inseguitori. “Dannati e scaltri maiali”, borbottò Banak. “Adesso che hanno piazzato i giganti sull’altura, possiedono un vantaggio tattico su di noi”, convenne Torgar, al suo fianco. Quel vantaggio stava portando a un disastro totale. Tutti quegli orchi all’inseguimento e il fuoco di fila dei giganti come supporto avrebbero probabilmente decimato lo schieramento dei nani. I due condottieri trattennero il respiro, pregando che quei poveri nani allo sbando riuscissero ad allontanarsi dalla portata di tiro dei giganti e a opporre una qualche resistenza nei confronti degli orchi. Banak e Torgar studiarono il terreno, impartendo comandi ai rinforzi, e richiamando tutti i nani disponibili affinché corressero in aiuto dei loro compagni in fuga. Ma i loro piani subirono un mutamento improvviso, quando un gruppetto di nani fuggitivi si staccò dagli altri e si girò a fronteggiare gli orchi con inattesa ferocia.

“Dovrebbe trattarsi di Pwent”, borbottò Banak. Torgar si portò una mano all’elmo in segno di ammirazione verso i coraggiosi Gutbuster. Pwent e i suoi guerrieri attaccarono il nemico con slancio, sbaragliandolo quasi immediatamente. I giganti rivolsero la loro attenzione a quella particolare area. Furono scagliati sassi, ma, poiché gli orchi erano cinque volte più numerosi dei nani, anche il numero dei combattenti colpiti rispecchiò quella proporzione. Alla fine, l’inseguimento ebbe termine e la maggior parte dei nani fu in grado di tornare alle proprie postazioni difensive. Tutti gli occhi erano puntati sulla zona del massacro, dove un gruppo di Gutbuster meno della metà di quelli che così arditamente avevano fronteggiato il nemico - si stava trascinando fuori dalla mischia, correndo a zigzag su per il pendio. I guerrieri di Banak li esortavano con grida di incoraggiamento del tipo: “Correte!” e “Abbassatevi!” e “Non fermatevi!”. Ma i sassi continuavano a piovere e, ogni volta che uno dei soldati di Pwent veniva colpito, gli evviva si trasformavano in un lamento collettivo. Una figura, in particolare, monopolizzava l’attenzione dei presenti. Era Pwent in persona, intento a risalire il versante non con uno, ma con ben due nani feriti sulle spalle. La sua avanzata verso la cima veniva scandita da calorosi: “Pwent, Pwent, Pwent!”. Ma, a un certo punto, il valoroso nano perse terreno e divenne il bersaglio dei giganti, che gli scagliarono addosso una gran quantità di pietre. Eppure, Pwent continuò ad avanzare, emettendo ruggiti a ogni passo, più che mai determinato a mettere in salvo i suoi ragazzi feriti. Un sasso colpì il terreno dietro di lui e rimbalzò centrandolo sulla schiena e proiettandolo in avanti. I nani che trasportava gli rotolarono giù dalle spalle finendo anch’essi a terra. Sull’altopiano calò un silenzio attonito.

Pwent cercò di rialzarsi. Un’altra pietra lo colpì facendolo ricadere a faccia in giù. A quel punto, dalle schiere dei nani emersero due figure, che presero a correre rapide sulle lunghe gambe scendendo a tutta velocità verso i tre feriti. Sorprendentemente, Pwent riuscì a rialzarsi e si girò a guardare i giganti. Sollevò il braccio sinistro e appoggiò la mano destra sull’incavo del gomito, mentre l’altra mano chiusa a pugno colpiva l’aria al di sopra del capo: il gesto più ingiurioso che potesse fare. Un masso mandò in mille pezzi la roccia davanti a lui e rimbalzò passandogli sopra. E Pwent rimase là, in piedi, a inveire contro i giganti. *** Catti-brie rimpianse di non avere con sé il suo arco! Altrimenti, avrebbe potuto garantire una certa copertura a quell’attacco suicida. Wulfgar la superò a mani vuote, dato che aveva lasciato Aegisfang ai nani sull’altopiano. “Va da Pwent!” urlò il barbaro mentre si dirigeva verso uno degli altri due guerrieri feriti. “Non essere stupido!” gli gridò lei. “Ti farai spappolare!” “Bah! La loro stupidità è pari alla loro altezza!” sbraitò Pwent. Si divincolò dalla salda stretta di Catti-brie, piegò gli indici di ogni mano e se li infilò ai lati della bocca, spalancandola e mostrando la lingua ai colossi sull’altura. Ma si ricompose quasi subito, e non a causa delle incessanti implorazioni di Catti-brie, bensì alla vista di Wulfgar che gli passava davanti con un nano svenuto sulla spalla. Pwent stette a guardare il barbaro che si dirigeva verso il secondo Gutbuster ferito e lo sollevava per la collottola con l’enorme mano issandolo con facilità sull’altra spalla.

Quando Catti-brie lo strattonò di nuovo, Pwent non perse tempo a discutere e si lasciò spingere su per la salita. Le pietre ricominciarono a piovere più forte di prima, ma i tre ebbero fortuna, e Wulfgar non venne minimamente rallentato dai suoi fardelli privi di conoscenza. Ben presto si trovarono fuori tiro e i giganti, frustrati, tornarono a lanciare le loro schegge di ardesia, riempiendo l’aria di vorticosi frammenti di roccia dalla punta affilata. *** I nani acclamarono a gran voce il gruppetto che si avvicinava, poi sollevarono in perfetto sincronismo le braccia mimando gesti volgari all’indirizzo dei giganti e resistendo impassibili e con aria di sfida alla grandine di dardi sibilanti che li colpiva. “Prepara le bende”, gridò Banak a Pikel Bouldershoulder, intento a saltellare eccitato nelle vicinanze. “Oo oi!” strillò il nano per tutta risposta, mentre si voltava e alzava un braccio in segno di saluto a Banak. Il pezzo tagliente di ardesia scagliato dai giganti colse il braccio di Pikel all’altezza del gomito. Il nano dalla barba verde assunse un’espressione perplessa e vacillò in avanti, quindi scrollò le spalle, come se non avesse capito. Ma poi sbarrò gli occhi nel vedere il braccio tranciato - il suo braccio tranciato! - che giaceva a terra. Ivan, il fratello, si precipitò verso di lui e avvolse il proprio mantello attorno al moncone, dal quale sgorgava sangue a fiotti, mentre anche altri nani là attorno accorsero ad aiutare, gridando per lo spavento. Nel frattempo, il fratello di Pikel l’aveva fatto sedere. “Oooo”, disse solo questi.

16

IL RISVEGLIO DEL CACCIATORE Le lunghe dita snelle di Ad’non Karesee tracciarono una linea lungo il mento delicato di Innovindil, giù per l’esile collo immobile dell’elfo della luna, fino alla base della gola. “Mi senti?” la canzonò, benché avesse la certezza che la poveretta non fosse in grado di capire la sua lingua. “Fai ciò che devi fare con questa creatura e sbrigati”, lo esortò la voce di Donnia alle sue spalle. Ad’non sorrise, nascondendo il viso alla compagna affinché non vedesse quanto il suo sgomento lo divertiva. Donnia di certo comprendeva l’intento che si era prefisso - ed essendo lei stessa una drow, avrebbe sicuramente trovato modo di svagarsi con quei due giocattoli incapaci di muoversi - tuttavia, il suo tono di voce lasciava trasparire una palese agitazione. Divertente. “E se ti troverò morbida e calda, può darsi che ti manterrò in vita per un po’”, disse Ad’non rivolto a Innovindil. Mentre parlava, osservava gli occhi dell’elfa, accorgendosi, così, che essi reagivano al suono della voce e al tocco delle mani. Sì, non riusciva a muoversi - il veleno drow aveva fatto effetto - ma si rendeva conto di ciò che stava per accaderle e capiva di non poter sfuggirgli. Questo rendeva il tutto ancora più piacevole. Ad’non fece correre la mano un po’ più in basso, tra i seni minuti della sua preda, fino a raggiungere il ventre. Quindi si rialzò e

indietreggiò. Gettò uno sguardo a Donnia, che era rimasta in piedi, le braccia conserte. “Dovremmo portarli in un’altra caverna”, disse alla compagna. “Teniamoli prigionieri.” “Lei, forse”, replicò Donnia indicando Innovindil. “Per quell’altro non ci può essere che la morte.” Ad’non si trovò d’accordo e rivolse un sorriso all’elfa. Ma non riuscì a vederla, dato che venne avvolto da un globo di oscurità. I due elfi scuri, che difficilmente venivano colti alla sprovvista, si girarono di scatto, Ad’non con le spade in pugno, Donnia con un pugnale in una mano e la sua piccola balestra nell’altra. La figura alle loro spalle, vicina all’ingresso, era facilmente riconoscibile. Era un drow, quello che se ne stava là in piedi, calmo e vigile, le due scimitarre sguainate e pronte a colpire. “Traditore!” ringhiò Donnia, alzando la balestra e scagliando il primo dardo. *** Subito dopo essere entrato nella caverna, Drizzt si sorprese a tremare di rabbia nel vedere i due elfi distesi a terra e i drow in piedi accanto ad essi. Si era accorto ancora prima di fare il proprio ingresso che qualcosa non andava, dato che i nitriti dei pegasi e il loro battere insistente degli zoccoli sul terreno lo avevano messo in allerta mentre si trovava ancora a una certa distanza. Senza esitare, il drow si era messo a correre, saltando giù dalla pietra piatta dalla quale era solito vigilare sulla zona circostante e passando tra i cavalli alati proprio quando il globo di oscurità si stava dissipando. Drizzt era talmente preoccupato che non aveva neppure pensato a richiamare Guenhwyvar. E così, si trovò a fronteggiare la coppia dei drow. Non vide neppure il movimento, anche se percepì chiaramente

un clic, il cui suono gli era familiare. Il ranger ruotò su se stesso, tracciando con il mantello un ampio giro attorno al corpo. In tal modo, bloccò il dardo tra le pieghe, anche se, proprio in quel momento, udì un secondo clic. Fece un’altra giravolta, ma la seconda freccia lacerò il tessuto e lo colpì al fianco. Quasi subito avvertì il gelido torpore indotto dal veleno drow. Arretrò barcollando verso l’uscita e cercò di chiamare Guenhwyvar. Ma non riuscì a prendere il sacchetto che portava alla cintura, l’unica cosa che gli riuscì di fare fu tenere ben strette le scimitarre. “Sei stato gentile a unirti a noi, Drizzt Do’Urden”, esclamò la drow che l’aveva colpito. Le parole, pronunciate nella sua lingua natale, lo riportarono indietro negli anni, ai ricordi di Menzoberranzan e della sua famiglia, del Casato Do’Urden e di Zaknafein, di Narbondel lustro di sudore, delle imponenti strutture degli edifici drow, dei palazzi di stalattiti e stalagmiti, adorni di ampi terrazzi e decorati dai toni multicolori dei fuochi fatati. Rivide tutto con estrema chiarezza: i giorni dell’infanzia trascorsi accanto alle sorelle ad allenarsi con i maestri d’armi a Melee Magthere, la scuola per i guerrieri drow. Il rumore prodotto dal metallo contro la roccia lo riportò al presente e fece sì che, solo allora, si rendesse conto di essersi appoggiato pesantemente alla parete e di aver lasciato cadere una delle scimitarre. “Ah, Drizzt Do’Urden, speravo che saresti riuscito a combattere un po’ meglio di così”, disse l’altro drow, il maschio. Dal suono della voce, Drizzt comprese che il suo nemico si stava avvicinando. “Ho sentito talmente parlare della tua perizia.” Drizzt non riusciva a tenere gli occhi aperti. Sentiva il torpore scorrergli lungo le gambe, a tal punto da non essere più in grado di percepire il terreno sotto i piedi. Attraverso la nebbia che gli ottundeva il cervello, capì di non essere ancora crollato solo perché il muro lo sosteneva.

Il veleno avanzava strisciando, così come il drow con la spada in pugno. Drizzt cercò di lottare contro l’intorpidimento, cercò di ritrovare il proprio equilibrio, la propria lucidità mentale. Ma non ci riuscì. “Forse adesso abbiamo trovato un vero giocattolo, Ad’non”, udì la drow che diceva da un punto imprecisato, molto distante. “Cara la mia Donnia, questo è troppo pericoloso”, ribatté il drow. “Dovrà morire subito.” “Come desideri...” La voce della drow si affievolì e a Drizzt parve di precipitare in un pozzo buio e senza fondo dal quale non c’era via d’uscita. *** Wulfgar era disteso prono sulla pietra e stava scrutando in basso, nel tentativo di individuare il sistema migliore per arrivare alla sporgenza sulla quale era rimasto appeso in modo precario Taulmaril. Alle sue spalle, Catti-brie si stava assicurando una fune attorno alla vita e ne controllava la lunghezza. “Quella diabolica spada mi aveva quasi ipnotizzata”, confessò la giovane, mentre Wulfgar si alzava e le si poneva di fronte. “Sono mesi che non sentivo il suo richiamo con tanta forza.” “Perché sei stanca”, ribatté l’altro. “Siamo tutti stanchi. Quante volte ci ha attaccato il nemico? Una dozzina? Non ci lasciano davvero il tempo per riprendere fiato.” “Perché non colpite quel dannato coso con una pietra facendolo cadere a valle, e poi non andate a recuperarlo?” suggerì Torgar mentre si avvicinava, in compagnia di Shingles McRuff. “Ci abbiamo già provato”, replicò Wulfgar.

“Come sta Pikel?” si informò Catti-brie. “E Pwent?” “Pwent è fuori di sé”, disse Shingles. “Questa non è una novità”, osservò la ragazza. “E Pikel, da quando ha perduto il braccio, non dice altro che “Oooo””, aggiunse Shingles. “Credo che ci vorrà un po’ prima che si abitui al fatto. Banak l’ha riandato a Mithral Hall per farsi curare meglio.” “Ma sopravviverà, e questo è più di quanto molti possano dire”, commentò Torgar. “Be’, fate in fretta a riprendere l’arco”, li esortò Shingles. “Può darsi che tra un po’ ci si debba tutti ritirare nella fortezza.” Si lanciò un’occhiata alle spalle, verso l’altura in lontananza dove si erano piazzati i giganti. “Per il momento riusciamo a reggere, almeno finché non saremo tanto stupidi da inseguire quei maledetti orchi fino a un tiro di schioppo dai bruti loro alleati. Ma ho visto che stanno portando lassù grossi tronchi per costruire catapulte giganti. Quando quegli aggeggi cominceranno a funzionare, dovremo levare le tende.” Wulfgar e Catti-brie si scambiarono un’occhiata nervosa, giacché nessuno dei due riuscì a replicare a quell’affermazione. “Banak avrebbe già ordinato la ritirata”, disse Torgar, “non fosse per il fatto che adesso abbiamo dei guerrieri dislocati a ovest di Keeper’s Dale, e lui sa che, se abbandonano l’altopiano, quei poveretti avranno non poche difficoltà a rientrare nella fortezza, dato che dovranno attraversare la valle sotto i tiri dei giganti”. I due umani si scambiarono di nuovo uno sguardo preoccupato. I nemici avevano acquisito un enorme vantaggio tattico, in grado di respingere i nani da quella posizione e ricacciarli tutti a Mithral Hall. Questo era poco ma sicuro. Ma cosa avrebbe significato tutto ciò per le vicine città? Cosa avrebbe significato per Mithral Hall, che si sarebbe vista privata della possibilità di scambiare le proprie merci e di organizzare una guerra di superficie con un numero di guerrieri sufficiente a riconquistare i territori perduti?

E per Wulfgar e Catti-brie restava anche un ultimo e assillante problema. Se fossero stati costretti a ritirarsi nella città sotterranea, che ne sarebbe stato di Drizzt Do’Urden? Sarebbe mai riuscito a trovare la strada per raggiungerli? *** Vide Zaknafein cadere nella fossa dell’acido. Vide Ellifain crollare contro il muro. Vide Bruenor precipitare insieme alla torre. Avvertì il tormento acuto di ogni perdita, il dolore e la rabbia, e non li respinse. No, Drizzt si tenne strette quelle emozioni, le richiamò a sé, si crogiolò nel loro abbraccio e le rafforzò. Si raffigurò Regis squartato dagli orchi. Si raffigurò Wulfgar che stramazzava colpito dalle lance nemiche in un mare di sangue. Si raffigurò Catti-brie, a terra e impotente, circondata dai nemici, il corpo sfigurato da centinaia di ferite. Tutto questo si raffigurò, e le immagini si fusero con quelle reali e penose di cui era costellata la sua esistenza, le visioni di dispiacere e disperazione, le circostanze della sua vita che lo avevano portato in un luogo di ottenebramento emozionale. Sentì risorgere dentro di sé il Cacciatore. Tutte le immagini si unirono in una lunga sequela di dolore e di perdita, di tormento e di rimpianto e, soprattutto, di pura rabbia. Una spada colpì Drizzt al fianco sinistro, ma il suono del metallo che cozzava contro il metallo fece capire ai due assalitori che il veleno non era stato in grado di sconfiggere il Cacciatore. Poiché dinanzi allo sguardo attonito dei drow giunse una sciabolata di rovescio, a parare il colpo e a deviarlo verso l’esterno. Anche la seconda spada nemica colpì, prevedibilmente bassa, e a quel punto, data l’angolazione d’attacco, parve proprio che Drizzt, pur giocando d’anticipo, non avesse praticamente alcuna possibilità

di scansare il fendente o di raccogliere da terra la seconda scimitarra. Ma lui era il Cacciatore e, nel girarsi, non solo fece entrare in azione la lama della prima scimitarra respingendo quella dell’avversario, ma riuscì anche a chinarsi in fase di parata e a recuperare Lampo. Mentre il Cacciatore si rialzava veloce, muovendo le lame in sincronismo perfetto, la seconda scimitarra spinse ancora più lontano l’arma nemica. La prima scimitarra risalì con violenza andando a cozzare di nuovo contro la prima spada dell’attaccante. Così, Ad’non rimase bloccato, con le spade tenute ben lontane dai fianchi dalle due micidiali scimitarre. Per l’attonito drow sarebbe stata un’inattesa e brutta fine, se la sua compagna non fosse intervenuta alle spalle del Cacciatore. Uno scatto improvviso fece allontanare ulteriormente le spade dai fianchi di Ad’non, il quale dovette arretrare per mantenersi in posizione di difesa. Anche se in quel momento non aveva alcuna esigenza di difendersi, visto che il Cacciatore si era allontanato facendo roteare le scimitarre dinanzi a sé per proteggersi, mentre si girava verso destra. Donnia lanciò un grido nel vedersi deviare il colpo, ma l’esperta guerriera assecondò l’impeto delle scimitarre inserendosi subito dopo con una stoccata. Il Cacciatore, però, si stava già scansando per portarsi fuori tiro. Poi Drizzt si produsse in un’altra giravolta e parò il doppio fendente di Ad’non, le scimitarre che si muovevano in ogni direzione incrociandosi in rapida successione con le spade dell’avversario, per poi continuare il giro respingendo una seconda stoccata e abbattendosi di nuovo contro la spada di Donnia. Il Cacciatore continuò a piroettare mulinando le scimitarre in tutte le direzioni, intercettando le armi avversarie sempre dalla giusta angolazione, come se il drow solitario sapesse in anticipo da quale parte veniva l’attacco, come se lo prevedesse prima ancora che avesse inizio. Ma i suoi assalitori non erano dei novellini e avevano combattuto insieme innumerevoli volte. Si tenevano l’uno di fronte all’altro e

coordinavano le cariche sprecando una quantità di energia decisamente inferiore rispetto al loro volteggiante antagonista. Eppure le loro stoccate, basse o alte che fossero, provenienti da sinistra o da destra, venivano sempre parate con precisione dalle due scimitarre. Poi, all’improvviso, il Cacciatore si fermò e gli altri due attaccarono, ma invano, dato che si era già scansato, producendosi in una piroetta in senso contrario. Di nuovo, si udì l’urto del metallo contro il metallo: le due scimitarre che colpivano con violenza le tre spade. Ma la piroetta terminò quasi subito lasciando il Cacciatore in posizione obliqua rispetto agli avversari. Ad’non si lanciò in avanti con un doppio fendente. Drizzt si chinò e mirò alle ginocchia, poi evitò con un balzo in alto una sciabolata di Donnia, mentre il compagno di lei si tirava indietro. Quindi, atterrò di nuovo di fronte ad Ad’non, frapponendo le sue scimitarre incrociate a quelle del nemico e spingendo verso l’alto, finché le sue impugnature non incontrarono le lame a strappargliele quasi di mano. Ad’non si buttò indietro, imitato però dal Cacciatore, che si esibì in una capriola per schivare la spada di Donnia, toccò terra leggero, e continuò a retrocedere. Mentre Drizzt la superava eludendo l’attacco, l’abile Donnia afferrò il pugnale e mirò al petto. Ma Drizzt bloccò l’arma da sopra con la scimitarra destra e, prima che questa cadesse, la fermò da sotto con la scimitarra sinistra placcandola per un attimo contro l’altra, per poi scagliarla, con un rapido lancio, verso l’avversario che stava arretrando. Ad’non si tuffò disperatamente all’indietro facendo un mezzo giro, ma venne trafitto alla guancia e cadde. Donnia intensificò l’assalto ed estrasse una frusta dalla cintura, mentre sferrava un fendente con la spada. Fendente che peraltro andò a vuoto, visto che la scimitarra destra

del Cacciatore respinse con un rovescio la spada sollevandola a mezz’aria, poi assestò un altro colpo con la sinistra sollevandola ulteriormente e finì sovrapponendole di nuovo la scimitarra destra per spingerla ancora più in alto. Donnia non oppose resistenza, dato che con la mano libera si stava preparando a colpire il Cacciatore in pieno volto con la frusta. Una delle due scimitarre la fermò, ma la lama non riuscì a recidere il cuoio della frusta magica, anzi, lo stesso potere che aveva impedito che ciò accadesse fece sì che, su ordine di Donnia, i tentacoli della frusta prendessero vita e si avvolgessero tutt’intorno alla spada. Con gli occhi che brillavano per l’apparente vittoria, la drow strappò di mano la scimitarra a Drizzt. Rimase stupita per la facilità con cui il nemico aveva mollato la presa, ma si accorse che, nel frattempo, questi si era tolto il mantello dalle spalle. A quel punto, Ad’non assalì il Cacciatore su un fianco con violenza, ma questi si portò avanti sull’altro lato girando attorno a Donnia per usarla come riparo. Nel frattempo, sollevò il mantello sopra la testa facendolo ruotare e, quando Donnia fece per usare di nuovo la frusta, glielo lanciò contro. Questa udì l’urto della frusta contro la spalla di lui e si ritrovò a sua volta con la testa imprigionata nel mantello, cosa che accettò di buon grado, come se si trattasse di uno scambio equo. Finché, però, non avvertì un’improvvisa puntura sul collo e non si rese conto che la freccia avvelenata che aveva scagliato contro Drizzt era rimasta impigliata nel tessuto, e che il feroce e spregevole guerriero aveva fatto in modo che il lancio avvenisse a una angolazione tale da centrarla con la punta avvelenata. Emettendo un dell’indumento.

grido,

la

drow

indietreggiò

e

si

liberò

Usando una sola scimitarra contro le due spade, il Cacciatore continuava a sferrare colpi e a pararli, non lasciando mai avvicinare Ad’non. Mentre deviava i fendenti arretrava, rapido e in perfetto equilibrio per recuperare la scimitarra perduta.

Avendo compreso il suo intento, Ad’non intensificò gli attacchi e assalì l’avversario persino con maggiore violenza. Il Cacciatore scartò di lato portandosi alla sinistra di Ad’non, l’abile guerriero corresse immediatamente il tiro con la sinistra e, quando questo venne deviato, fece seguire un altro tiro con la destra. Anche questo venne parato, e il Cacciatore si produsse in una piroetta che lo portò a volgere le spalle ad Ad’non. Quindi, con un veloce movimento del braccio fletté avanti e indietro la scimitarra e per ben due volte colpì Ad’non in piena faccia con il pomo dell’arma. Barcollando, il drow vacillò all’indietro agitando le lame tutt’intorno per difendersi. Ma, nell’accorgersi che colpiva solo il vuoto, venne assalito dal terrore. Il Cacciatore non l’aveva seguito, pensando bene di recuperare la propria scimitarra. Mentre era chino, si vide inghiottire da un globo di oscurità, al quale egli rispose con un altro globo, proiettato verso il punto in cui avrebbe dovuto trovarsi la drow. Dopo aver raccolto da terra la scimitarra, Drizzt si lanciò avanti con furia, tuffandosi in una capriola e caricando deciso attraverso il secondo globo - quello da lui creato - scivolando guardingo all’interno e facendo roteare le scimitarre davanti a sé. Quando emerse dall’oscurità vide l’elfa precipitarsi verso il maschio, che sanguinava copiosamente dal volto. Il Cacciatore avanzò impavido. “Tutti e due insieme e sul fianco”, udì il maschio dire alla compagna mentre si spostava a sinistra. L’elfa si tastò il collo con un’espressione di panico sul volto. Il Cacciatore le scagliò addosso una fiamma blu incandescente, un innocuo fuoco fatato che l’avrebbe resa un bersaglio facilmente individuabile. Mentre Ad’non si accingeva ad attaccare, lei si girò e corse via.

Le lame cozzarono l’una contro l’altra con una rapidità tale che il suono che ne scaturì parve un unico grido prolungato. Ad’non colpì prima con l’una e poi con l’altra spada, e venne a sua volta colpito da un doppio fendente sinistro e poi da un doppio destro, dato che Drizzt aveva intercettato con entrambe le scimitarre. Una sciabolata obliqua incontrò solo l’aria, mentre il Cacciatore si abbassava. Un affondo finì nel vuoto, poiché il bersaglio si era abilmente scansato, e la spada rischiò di sfuggire di mano ad Ad’non a causa dell’impeto. “Donnia!” urlò questi. Poi grugnì e lavorò di spada in modo superbo, mentre veniva assalito da una raffica di fendenti trasversali, e riuscì a deviare la traiettoria delle due scimitarre quel tanto che bastava per non venire ferito. Ma i colpi giungevano così rapidi che Ad’non era costretto ad arretrare di continuo senza avere il tempo di pensare al contrattacco. A un certo punto, l’avversario rallentò il ritmo lasciandogli una possibilità. Della quale Ad’non approfittò, scattando in avanti con un micidiale doppio fendente basso. Le scimitarre risposero con l’unica azione di difesa possibile, e cioè una doppia incrociata bassa che riequilibrava l’esito dello scontro, o perlomeno questo era ciò che Ad’non credeva. Poiché Ad’non Karesee non veniva da Menzoberranzan e non poteva sapere che il suo nemico, Drizzt Do’Urden, aveva da molto tempo elaborato una variante. Con incredibile destrezza e padronanza di sé, il Cacciatore sollevò di colpo il piede tra le due scimitarre incrociate, andando a colpire Ad’non in piena faccia e scaraventandolo all’indietro vacillante. Questi tentò di assumere una posizione di difesa, ma le spade gli vennero strappate di mano dalle scimitarre e, mentre andava a cozzare con violenza contro il muro, non riuscì a evitare l’affondo di una delle due lame ricurve. Venne colpito al petto, e cacciò un urlo. E il Cacciatore emise un ringhio, credendo che la lotta fosse giunta

al termine. Ma la scimitarra non penetrò nella carne! Né l’altra sua compagna riuscì a procurare un taglio profondo mentre raggiungeva il fianco di Ad’non. Sì, le due lame avevano ferito il guerriero drow, ma nessuna delle due in modo mortale. D’un tratto, il Cacciatore si sentì disorientato, colto alla sprovvista. Giunse un colpo di spada, che respinse le due scimitarre, e il Cacciatore ruotò su se stesso, da destra a sinistra. Ma Ad’non gli fu di fianco con un balzo, incalzandolo, costringendolo a scegliere tra l’arretrare o l’essere trapassato da parte a parte. Ma Ad’non sapeva che alle spalle del rivale c’era un muro, e sorrise, dato che quel diabolico rinnegato non avrebbe avuto via di scampo. Così, attaccò con entrambe le spade, pronto a uccidere. Ma il Cacciatore non era più là. Le lame di Ad’non colpirono la nuda roccia ed egli si bloccò all’improvviso, gli occhi sbarrati. “Ah! L’astuto Drizzt”, esclamò, immaginando che l’avversario l’avesse superato d’un balzo dopo essere corso su per il muro ed essersi lasciato ricadere alle sue spalle con una piroetta all’indietro. La scimitarra vibrò il suo fendente proprio al di sopra della spalla di Ad’non, recidendogli di netto la testa. Drizzt lanciò un’occhiata ai due elfi paralizzati che giacevano sul pavimento della grotta e fece per andare verso di loro, ma la sua rabbia, ben lontana dall’essere appagata, lo trattenne e lo costrinse a precipitarsi fuori nella notte. Poi si fermò guardandosi intorno e vide muovere lungo un promontorio, a ovest, il bagliore azzurro del fuoco fatato dal quale era circondata la drow. Con uno sguardo determinato, il Cacciatore estrasse la statuetta di onice ed evocò Guenhwyvar. Quando la possente pantera si materializzò al suo fianco, la fiamma si scorgeva ancora, e Drizzt gliela indicò. “Prendila, Guen”, le disse. “Prendila e fermala per me.”

Con un ringhio, la pantera si lanciò all’inseguimento nell’oscurità, allontanandosi con possenti falcate.

17

CASTALDERIA E SPIONAGGIO Regis strinse la mano di Bruenor tra le sue e abbassò lo sguardo sull’amico, chiedendosi se quella fosse l’ultima volta che lo vedeva vivo. Il suo respiro sembrava essersi fatto ancora più impercettibile e il colore persino più grigiastro, come se fosse scolpito nella pietra. Stumpet e Cordio avevano informato Regis che probabilmente la fine era vicina, e questo si vedeva chiaramente. “Te lo devo”, sussurrò l’halfling, riuscendo a malapena a vincere il groppo che sentiva in gola. “Tutti te lo dobbiamo, e stai sicuro che Mithral Hall resisterà durante la tua assenza. Non permetterò che questo posto cada a pezzi.” L’halfling impartì un’altra stretta delicata alla mano di Bruenor e gliela lasciò ricadere sul petto. Non scorgendo alcun movimento immediato, si chiese se il nano l’avesse udito e avesse infine deciso di abbandonarsi al proprio destino. Ma poi Bruenor respirò. Non era ancora giunto il momento. Regis diede un colpetto sulle mani del nano e si diresse bruscamente fuori dalla stanza, sopraffatto, lottando per riacquistare il controllo delle proprie emozioni. Avanzò rapido lungo i corridoi, sapendo di essere in ritardo per l’incontro con Galen Firth di Nesmé. Non aveva ancora deciso il da farsi con quell’ardente guerriero. E poi, quale aiuto avrebbe potuto offrirgli, con Mithral Hall sottoposta a tali sollecitazioni? Le porte orientali erano sprangate: i nani avevano persino fatto

crollare la volta delle gallerie per essere sicuri che, se il nemico avesse tentato di infiltrarsi da quella parte, avrebbe dovuto scavare attraverso un buon venti piedi di detriti rocciosi. Le notizie che provenivano dal nord non erano molto più confortanti, dato che Banak Brawnanvil aveva mandato a dire che non sapeva quanto a lungo avrebbe potuto difendere la sua postazione. Sulla cresta occidentale, i giganti stavano montando catapulte e ben presto, così almeno temeva Banak, le sue forze sarebbero state sottoposte a una terribile pressione. Aveva chiesto a Regis di far dirigere a nord le truppe che aveva piazzato ai confini occidentali di Keeper’s Dale, in modo tale da aggirare il nemico da ovest, ma la richiesta era stata inoltrata con una postilla: se questo era possibile. Persino Banak, invischiato com’era in una situazione che si stava facendo sempre più difficile, si rendeva conto del pericolo nell’intraprendere una tale azione. Giacché non solo Regis avrebbe esposto uno dei due eserciti rimasti a combattere in superficie a una potenziale minaccia devastante, ma, nel privare Keeper’s Dale delle sue postazioni difensive, avrebbe rischiato di aprire una breccia verso le porte occidentali di Mithral Hall. Inoltre Nesmé era gravemente assediata - se non addirittura già conquistata - ragion per cui l’halfling doveva fare in modo di mantenere l’accesso occidentale al riparo da eventuali nemici provenienti da sud. Troppi erano i problemi che assillavano la mente del povero halfling. Troppe erano le questioni da affrontare. Non sapeva nemmeno cosa avrebbe dovuto fare per almeno la metà di esse e, a essere sinceri, tutto ciò che desiderava era potersi godere un buon pasto, o anche due, e riposarsi in un letto caldo, con nient’altro a cui pensare se non decidere cosa mangiare a colazione. Gravato da quell’enorme fardello, Regis si incamminò. Prima, però, si fermò un attimo a lanciare un ultimo sguardo alla stanza illuminata dalle candele dove Re Bruenor giaceva, e ricordò le parole che aveva detto all’amico morente.

Ma subito raddrizzò le spalle, sostenuto dal proprio senso del dovere. La sua promessa non era stata fatta invano e, di certo, doveva a Bruenor almeno quello, se non di più. Per prima cosa, Regis decise di sbrigare le faccende che aveva già in ballo e, quindi, si avviò ancora più rapido e deciso all’incontro con Galen Firth. Lo trovò nella sala delle udienze, una stanza più piccola e più accogliente del salone delle cerimonie, ammobiliata con comode sedie - tre poltroncine imbottite con braccioli e ampi schienali - disposte su un folto tappeto che riprendeva il motivo del boccale schiumante, emblema del Clan Battlehammer. A completare l’arredamento, c’era un camino in pietra nel quale ardeva un piacevole fuocherello. Nonostante le ovvie comodità offerte dalla saletta, Galen Firth la stava percorrendo in lungo e in largo, le mani dietro la schiena, le dita che si agitavano senza sosta, gli occhi fissi sul pavimento. Regis si chiese se quell’uomo avesse mai conosciuto la tranquillità. “Lieto di rivedervi, Galen Firth di Nesmé”, lo salutò l’halfling mentre faceva il suo ingresso. “Vi prego di perdonarmi il ritardo, ma molte questioni pressanti mi hanno trattenuto.” “Il vostro ritardo di oggi è più perdonabile di quello con cui Mithral Hall risponde al disperato grido di aiuto di Nesmé”, replicò alquanto brusco lo sgradevole individuo. Regis fece un sospiro, passò accanto a Galen e si lasciò cadere su una poltroncina. Nel vedere che l’altro non accennava a fermarsi, l’halfling gli fece segno di sedere di fronte a lui, alla destra del focolare. Senza battere ciglio e senza distogliere gli occhi dall’halfling, il Cavaliere di Nesmé si diresse verso la seconda poltroncina. “Cosa volete che faccia?” domandò Regis mentre Galen finalmente prendeva posto. “Inviare un esercito di nani in soccorso di Nesmé, per consentirci di ricacciare i troll nelle loro acque putride e riprendere possesso della nostra città.”

“E se questo esercito si dirige a sud e uno ancora più grande di orchi e giganti lo insegue, cosa faremo?” controbatté Regis, mentre gli occhi di Galen si riducevano a due fessure. “Poiché è questo ciò che accadrà, capite? Gli orchi stanno incalzando a nord e hanno posto sotto assedio le porte orientali di Mithral Hall: vi è giunta notizia di quest’ultima battaglia, non è vero? Ho uno schieramento di nani sull’altopiano a nord di Keeper’s Dale che combatte ogni giorno contro gli orchi, ma se le informazioni sull’entità delle forze che stanno attaccando a est sono accurate, i miei guerrieri subiranno ben presto un assalto feroce e saranno costretti ad abbandonare la loro postazione. “Non vi rendete davvero conto di ciò che sta succedendo qui intorno, vero?” chiese l’halfling. Galen Firth rimase seduto a fissarlo, scuro in volto. “Non è un caso se Nesmé è stata attaccata proprio adesso”, spiegò Regis. “Il nemico ha coordinato i movimenti dei suoi vari eserciti, a nord e a sud.” “Non può essere!” “Conoscete i particolari della nostra sconfitta presso le porte orientali di Mithral Hall?” “Solo alcuni, ma non vedo...” “I nostri soldati laggiù furono assediati da giganti e da orchi provenienti dal nord e da una moltitudine di troll provenienti dal sud”, lo interruppe Regis, e l’arroganza di Galen svanì, mentre con altrettanta rapidità la mascella gli si fece ciondolante. “Pare che i nostri comuni nemici stiano ripulendo tutte le terre situate tra il fiume Surbrin e Nesmé, dai Trollmoors alla Spina Dorsale del Mondo”, proseguì Regis. “Questo lascia solo un pugno di insediamenti, Mithral Hall e Nesmé ancora in grado di fermarli, a meno di non ricorrere all’aiuto dei territori vicini.” “Dunque concordate con me sul fatto che bisogna unire le nostre forze”, concluse Galen. “Allora capite il motivo per cui si deve inviare subito un contingente di soldati a Nesmé.”

“Sì, sono d’accordo con voi”, replicò Regis, “ma nello stesso tempo non lo sono. È giusto restare uniti, e lo saremo, ma credo che la vostra richiesta di aiutare Nesmé a tener testa al nemico sia inopportuna. Mithral Hall resisterà, ma fuori dalle nostre porte tutto è perduto, o lo sarà presto”. “Che sciocchezze state dicendo?” chiese Galen Firth facendo un balzo sulla sedia, gli occhi fiammeggianti di rabbia. “Stiamo combattendo per ogni palmo di terra”, ribatté Regis, mantenendo la voce ferma, senza lasciarsi intimidire o innervosire dall’aspetto autorevole del suo interlocutore. “E quando non ce la faremo più a opporci, cercheremo rifugio nelle gallerie di Mithral Hall. Da lì manterremo aperti i collegamenti sotterranei con Citadel Felbarr; saranno i nostri occhi, orecchi e bocca verso il mondo esterno. Da lì continueremo a chiedere con insistenza a Silverymoon e a Sundabar di mobilitare le loro forze per venirci in aiuto. Ho già inviato emissari a Lady Alustriel di Silverymoon e ai governanti di Sundabar. Da lì difenderemo l’unica roccaforte rimasta contro l’attacco furioso dei nostri mostruosi nemici.” “Mentre la mia gente muore?” commentò sprezzante Galen Firth. “No”, ribatté Regis. “Non se lo possiamo evitare. Nel momento stesso del vostro arrivo, ho inviato dei ricognitori a sudovest, attraverso passaggi sotterranei, per cercare uno sbocco che ci consenta di raggiungere Nesmé. I loro progressi sono stati notevoli e spero che riescano presto a trovare un’uscita in superficie non lontana dalla città, in modo tale da consentirci di entrare in contatto con la vostra gente.” “In tal caso, mandate un esercito e aiutateci a respingere i troll!” “Manderò ciò che ci possiamo permettere, ma temo che si tratterà comunque di un numero di guerrieri inferiore a quello da voi auspicato”, disse Regis. “E allora?” disse Galen Firth con un tono di voce fattosi più morbido, mentre si lasciava ricadere sulla sedia e girava il capo a fissare le fiamme, il mento appoggiato a una mano. “Lasciate che raggiungiamo i vostri concittadini e che li aiutiamo

come meglio ci sarà possibile”, spiegò Regis. “Combatteremo al loro fianco, se la situazione lo consentirà. In caso contrario, durante la ritirata, li condurremo con noi attraverso il Buio Profondo fino a raggiungere Mithral Hall. Benché i miei nani non siano in grado di sconfiggere il nemico in superfìcie, non ho dubbi che riusciranno a tenere testa a quei mostri nelle gallerie sottoterra.” Galen Firth rimase in silenzio, gli occhi intenti a osservare il fuoco. “Vorrei potervi offrire di più”, proseguì Regis. “Vorrei poter svuotare Mithral Hall di tutti i suoi soldati e precipitarmi a sud per sconfiggere i troll. Ma dovete capire che non mi è possibile.” Galen rimase a lungo assorto e in silenzio, poi si rivolse a Regis, il viso dai tratti addolciti. “Credete davvero che gli orchi e i giganti si siano alleati ai troll dei Trollmoors?” “L’assedio alle porte orientali lo conferma”, replicò l’halfling. “E conferma anche che la mia gente è in pericolo”, disse Galen. “Se i troll sono stati sufficientemente forti da spingere i loro guerrieri a est e a nord, fino alle vostre porte ai confini con il Surbrin...” “Allora, non indugiamo oltre”, lo interruppe Regis. Tra le pieghe della veste pescò una pergamena arrotolata, che porse all’ospite. “Portate questa nella Città Sotterranea e consegnatela al Sorvegliante Bellows. I preparativi della spedizione sono quasi terminati e i suoi componenti sono pronti a partire anche oggi stesso.” Galen Firth indugiò di nuovo fissando la pergamena e poi ancora Regis, mentre si alzava piano dalla sedia. Non disse nulla, ma il suo cenno di assenso fece capire a Regis che comprendeva le sue ragioni, sebbene non fosse necessariamente d’accordo. Quindi accennò un inchino e lasciò la stanza, mentre il castaldo traeva un sospiro di sollievo al pensiero di avere una preoccupazione in meno. Regis si appoggiò allo schienale della poltroncina e si voltò a guardare il fuoco, ma prima ancora che potesse rilassarsi, venne richiamato da un colpo bussato alla porta.

“Avanti”, disse, pensando che si trattasse di nuovo di Galen Firth. Il battente si apri ed entrò un nano completamente ricoperto di fuliggine. Si trattava di Miccarl Ironforge, uno dei migliori fabbri di Mithral Hall. Il nuovo venuto era così sporco che era impossibile dire quale fosse il colore della sua folta e corta barba (che si diceva fosse rossa). Indossava uno spesso grembiule di cuoio e una camicia nera a una manica sola, che gli ricopriva il braccio sinistro ed era cucita a un pesante guanto confezionato con un tessuto resistente al calore. Il braccio destro, che era nudo e striato di fuliggine, era grande quasi il doppio in circonferenza rispetto al sinistro, a causa dell’utilizzo continuo di pesanti martelli che ne avevano sviluppato i muscoli in modo abnorme. “Ancora lo gnomo?” domandò Regis. Nel corso dell’ultima settimana, Miccarl si era già recato da lui due volte a riferirgli che il piccolo visitatore di Mirabar era andato a ficcare il naso dappertutto nella Città Sotterranea. “Il piccoletto stava di nuovo curiosando in mezzo alle mappe”, disse Miccarl. “Le stesse?” “Quelle delle gallerie occidentali, i vecchi cunicoli, perlopiù.” “E adesso dov’è?” “L’ultima volta che l’ho visto girava da quelle parti”, rispose Miccarl. “Mi sa che lui crede di avere trovato qualcosa.” “Cosa mai potrebbe avere trovato?” “Questo proprio non lo so, e neanche gli altri lo sanno. Qui si parla di gallerie rimaste chiuse per centinaia di anni, sempre che quei duergar che avevano conquistato la fortezza con il drago non le abbiano aperte: ma tutti quelli che sono arrivati fin là dopo che siamo tornati a Mithral Hall non hanno trovato un bel niente.” “E allora? Un passaggio: un modo per far arrivare un esercito da Mirabar fin qui?” domandò Regis. “Minerali da rubare per le fucine di Mirabar?”

“Là non c’è niente di niente, neanche minerali che valga la pena di rubare”, replicò Miccarl. “Non c’è mai stato niente, solo scisto e carbone per le fucine. Se il piccoletto ha fatto tutta quella strada per ripulire le miniere, allora è più matto di quanto sembra, perché là c’è tutta roba senza valore, e Mirabar, di quella roba, ne ha già più di quello che le serve.” “Gallerie che portano a Mirabar, forse?” Miccarl sbuffò e disse: “Ne conosciamo già abbastanza di gallerie. In un solo giorno, possiamo spingerci lontano, verso ovest, e uscire all’aperto facendola in barba ai nemici, già nelle vicinanze di Mirabar. Il nostro amico lo dovrebbe sapere”. “E allora cos’altro?” chiese di nuovo Regis, ma piano, rivolto più a se stesso che non al nano. Cosa poteva mai combinare Nanfoodle? Mentre vagliava le varie possibilità, la mano dell’halfling toccò istintivamente la catena che portava al collo. “Vai a cercare Nanfoodle e chiedigli di venire qui”, ordinò Regis a Miccarl. “Sissignore”, acconsentì prontamente l’altro. “Vuoi che te lo trascini fin qui o che lo faccia nero di botte e me lo porti sulle spalle?” “Voglio che tu lo convinca a venire da me”, replicò Regis. “Digli che ho notizie da Mirabar e che mi serve un suo immediato parere.” “Ma così non c’è divertimento”, borbottò Miccarl mentre si allontanava. Alla partenza del fabbro seguì un andirivieni di messaggeri, con notizie dai territori dell’est e da quelli dell’ovest, con resoconti delle battaglie in superficie e dei progressi compiuti durante la ricognizione delle gallerie e l’allestimento delle loro difese. Regis ascoltò e prestò la massima attenzione, soppesando le varie possibilità e, soprattutto, formulando tutta una serie di domande che avrebbe rivolto poi ai suoi consiglieri nani. Capiva di essere più un sintetico relatore di informazioni che non un deliberatore, sebbene

avesse scoperto che il suo giudizio cominciasse ad avere un peso preponderante, mano a mano che i nani arrivavano sempre più a fidarsi di lui. Il che lo rallegrava e al tempo stesso lo spaventava. La cena gli venne servita in quella stessa stanza contemporaneamente all’arrivo di un altro messaggero, il quale gli riferì che la spedizione dei cinquanta nani accompagnati da Galen Firth era partita verso sud. Regis invitò il nano a unirsi a lui, o perlomeno, stava per farlo, quando Miccarl Ironforge comparve di nuovo sulla soglia. “Altro lavoro”, spiegò Regis al messaggero. Poi si strinse nelle spalle come per scusarsi e indicò i vassoi di cibo appoggiati sul tavolino tra le sedie. “.., azzie”, replicò il nano avvicinandosi e ammonticchiando su un piatto carne sufficiente a sfamare un esercito, per poi riempire fino all’orlo una caraffa gigante con dell’idromele. Dopodiché, abbozzò un cenno di saluto in direzione di Regis, rovesciando un po’ di liquido dal recipiente, e uscì dalla stanza mentre Miccarl e Nanfoodle facevano il loro ingresso. “Ho da fare”, spiegò il fabbro ricoperto di fuliggine, e così dicendo, dopo essersi servito di una porzione altrettanto abbondante di carne e di idromele per rifocillarsi sulla via del ritorno nella Città Sotterranea, si accomiatò. “Prego, sedete e servitevi”, disse Regis invitando lo gnomo ad accomodarsi. “Non che sia avanzato granché”, osservò lo gnomo con un sorrisetto ironico. Ma proprio in quell’istante fecero il loro ingresso due nani portando altri piatti di cibo. I due, per mostrarsi all’altezza di chi li aveva preceduti, si accinsero ad affrontare un pasto lungo e abbondante. “Mi hanno riferito che avete notizie da Mirabar, o per Mirabar”, disse Nanfoodle tra una sorsata e l’altra del liquido ambrato. “Mastro Ironforge non è stato esplicito.”

“Ho una richiesta per Mirabar”, spiegò Regis mentre mangiava. “Spero che comprendiate la gravità del nostro attuale dilemma.” “Tutti quei mostri in giro, certo”, replicò Nanfoodle, ingollando un altro boccone di agnello e un sorso di idromele. “Ben più di quanti crediate”, ribatté Regis. “Che scorrazzano per tutta la regione. Senza dubbio il vostro Marchese è già stato informato dell’assedio, e forse anche della capitolazione, di Nesmé. Non so quanto a lungo potremo resistere in superficie, ed è per questo che Mirabar dovrà mobilitare le sue forze.” “Per la salvezza di Mithral Hall?” domandò lo gnomo. Parve così sorpreso dalla richiesta di Regis che l’idromele appena bevuto gli sprizzò inavvertitamente dalla bocca. Si pulì subito con un tovagliolo e ne trangugiò un altro sorso. “Per la salvezza di Mirabar”, lo corresse Regis. “Non penserete certo che quei mostri finiscano qui la loro avanzata.” A quel punto, gli sembrò che lo gnomo si facesse più preoccupato e che, a causa del suo nervosismo, consumasse quantità sempre maggiori di idromele e sempre minori di cibo. Il che non era male, pensò Regis, che cercò di mantenere per un po’ la conversazione su un tono generale, raccontando in dettaglio l’assedio delle porte orientali e confessando i suoi timori riguardo al fatto che i troll del sud si fossero alleati agli orchi e ai giganti del nord, o che forse avessero sempre agito uniti. Non risparmiò i particolari, cercando di dilungarsi quanto più possibile, mentre lasciava che Nanfoodle continuasse a ingurgitare boccali di idromele. Quando poi entrarono i servitori per portare altro cibo e bevande, Regis ne fece avvicinare uno e gli sussurrò all’orecchio: “La prossima caraffa diluitela con del Gutbuster”. L’halfling lanciò un’occhiata allo gnomo per cercare di capire fino a che punto fosse ancora sobrio. “Idromele in proporzione di uno a venti”, spiegò al servitore, non volendo mettere del tutto fuori combattimento il povero gnomo. Un’ora più tardi Regis stava ancora parlando e Nanfoodle stava ancora bevendo. “Ma voi e la vostra Sceptrana avete detto di essere venuti qui per

assicurarvi che Torgar e i suoi compagni stiano bene e per rafforzare i legami di amicizia tra le nostre due città”, disse Regis all’improvviso, alzando il tono della voce. Era già da un po’ che stava pilotando il discorso in quella direzione, cercando di allontanarsi dall’argomento mostri e battaglie per concentrarsi sui rapporti tra Mirabar e Mithral Hall. “È vero oppure no?” Gli occhi di Nanfoodle si spalancarono, o almeno si spalancarono quanto uno gnomo ubriaco può essere in grado di farlo. “B-be’.., sì”, farfugliò. “È il motivo per cui siamo venuti fin qui.” “Ah, davvero?” lo incoraggiò Regis. Si protese sulla sedia avvicinandosi a Nanfoodle. Pescò la catena da sotto il collo della veste e cominciò a giocare con il pendente di rubini, facendolo oscillare. “È quello che vogliamo tutti, naturalmente”, disse l’halfling, mentre notava che lo sguardo di Nanfoodle passava da lui al rubino e poi ancora a lui. “Consolidare il nostro rapporto, voglio dire.” “Sì, sì, certamente”, affermò lo gnomo, gli occhi sempre più fissi sul movimento ipnotico del magico ciondolo. In circostanze normali, Regis non l’avrebbe mai usato sullo gnomo. Nanfoodle era un brillante alchimista, o perlomeno così gli avevano riferito Torgar e Shingles McRuff, ed era anche risaputo che si dilettava di magia illusionistica. Se poi si aggiungeva a quella manifesta intelligenza la naturale resistenza di uno gnomo al tipo di sortilegi indotti dal rubino, le possibilità che questo facesse effetto erano praticamente nulle. Ma Nanfoodle era ubriaco. Non riusciva nemmeno più a distogliere lo sguardo dal pendente, tanto era affascinato dal suo continuo ondeggiare e luccicare. “E voi cercate di rafforzare questi rapporti spingendovi fin nelle gallerie all’estremo limite occidentale di Mithral Hall?” domandò Regis in modo casuale. “Eh?” rispose Nanfoodle.

“Siete stato laggiù, non è vero?” Regis continuò sollecitandolo, ma senza darlo a vedere, poiché non voleva che i sospetti del nano interrompessero l’incantesimo. “Nelle gallerie a ovest, voglio dire. Da quel che mi è stato riferito, vi siete recato spesso da quelle parti. I nani lo trovano curioso, persino divertente, dato che laggiù non c’è nulla.., o invece sì?” “Gallerie chiuse, con pareti ricoperte di pece”, rispose Nanfoodle con occhi assenti. “E allora, quale contributo possono mai offrire al viaggio che avete fatto fin qui?” chiese l’halfling. “Dato che siete venuto a Mithral Hall per assicurarvi che Torgar stesse bene, giusto? E per migliorare i rapporti tra le nostre due città, o mi sbaglio?” Nanfoodle emise una specie di grugnito e scosse il capo. “Fosse solo quello”, replicò lo gnomo. Regis si irrigidì, resistendo all’impulso di lasciarsi cadere contro lo schienale della sedia, e impartì un’ulteriore oscillazione al pendente. “Già, fosse solo quello!” convenne in tono entusiasta. “Allora ditemi, mio buon Nanfoodle, qual è il vero motivo della vostra visita?” *** Shoudra Stargleam sentì rizzarsi senza ragione i capelli sulla nuca quando un nano le riferì che il suo amico era andato a trovare il castaldo Regis e si trovava in sua compagnia da oltre due ore. La Sceptrana percorse i corridoi di corsa, rallentando di tanto in tanto mentre cercava di capire cosa poteva essere successo. Perché mai si sentiva così preoccupata e nervosa? Dopotutto, non era forse Nanfoodle un compagno affidabile? Infine giunse in un’anticamera dove stava di guardia un terzetto di nani, ciascuno dei quali reggeva in mano un’ascia dall’aspetto sinistro. “Che piacere vedervi”, disse a Shoudra uno dei tre, indicando la porta che dava nella sala delle udienze.

Mentre un secondo nano le apriva la porta, Shoudra udì un suono di risate provenire dall’interno e intravide il bagliore proiettato dal confortevole fuoco di un camino. Ma ciò non bastò a tranquillizzarla; lo strano presentimento che l’aveva assalita continuava a perseguitarla. Si affacciò alla soglia e scrutò nella sala: vide Nanfoodle che rideva come uno sciocco su una poltroncina imbottita, mentre, di fronte a lui, stava un Regis decisamente più sobrio, col braccio ferito sostenuto da una fascia. “Siete gentile a unirvi a noi, Sceptrana Shoudra”, la salutò l’halfling, indicandole la sedia libera. Shoudra avanzò di un passo nella stanza e si girò di scatto mentre la porta si richiudeva alle sue spalle. “Nanfoodle e io stavamo giusto discutendo dei rapporti tra le nostre rispettive comunità”, spiegò Regis, indicando di nuovo la sedia alla Sceptrana, che non si era mossa. Shoudra lo udì appena, intenta com’era a osservare la sala nei dettagli. Ad eccezione della parete dove si trovava il camino, tutte le altre erano rivestite da arazzi, che però non aderivano al muro. Lo sguardo di Shoudra corse al pavimento e vide più di una punta di stivale emergere da sotto le frange. Adagio, la Sceptrana riportò lo sguardo su Regis. “Sono rapporti interessanti, non lo credete anche voi?” disse l’halfling, e a Shoudra non sfuggì il cambiamento di tono nella voce. “Rapporti che speriamo di consolidare”, replicò Shoudra, gli occhi puntati su un Nanfoodle palesemente ubriaco. “Davvero?” chiese Regis. Shoudra lo guardò di nuovo. “Consolidarli danneggiando la qualità dei nostri minerali?” domandò l’halfling, mentre tirava fuori una sacca da dietro lo schienale della sedia e la gettava sul pavimento ai piedi di Shoudra. La Sceptrana si chinò lentamente e raccolse la sacca, ma non dovette neppure aprirla per indovinarne il contenuto: le magiche misture che Nanfoodle aveva preparato per rovinare il metallo delle

miniere di Mithral Hall. Rivolse quindi uno sguardo attonito allo gnomo, il quale scoppiò in una risata tale che quasi lo fece cadere dalla sedia. “Il mio nuovo amico Nanfoodle mi ha detto tutto”, dichiarò Regis. Dopodiché fece schioccare le dita, e gli arazzi vennero tirati da parte rivelando un terzetto di nani dalle facce torve. Anche la porta alle spalle di Shoudra si aprì, e la Sceptrana capì di avere delle asce puntate alla schiena. “Mi ha raccontato”, continuò Regis, “di come siete giunti qui per ordine del vostro Marchese per sabotare le nostre miniere. E di come, in tal modo, Mirabar intendesse intraprendere una battaglia commerciale contro Mithral Hall per pregiudicare la nostra fama e rubarci i clienti”. Shoudra scosse il capo. “Dovete capire...” cominciò. “Capire?” la interruppe Regis. “Rendere più debole il metallo delle nostre armi, mentre stiamo combattendo contro temibili orde di orchi? Rendere più debole il metallo delle barricate che innalziamo per tenere quei mostri fuori dalla nostra fortezza? Cosa c’è da capire, Sceptrana?” “Non sapevamo che eravate in guerra!” dichiarò Shoudra precipitosamente. “Ah be’, allora il fatto che ci abbiate spiati e controllati non è così importante!” giunse la sarcastica risposta. “No, dovete cercare di capire com’è fatto il Marchese Elastul”, tentò di spiegare Shoudra. Mentre parlava, si accostò a Nanfoodle e gli posò casualmente un braccio attorno alle spalle. “Questo è il suo.., il suo modo di fare. Il Marchese Elastul teme Mithral Hall, per questo ha chiesto a me e a Nanfoodle di venire qui a scoprire se Torgar stesse divulgando i segreti di Mirabar. Converrete che Mithral Hall ha ottenuto un vantaggio inaspettato nella lotta per la supremazia economica con il fatto che quattrocento nani hanno

abbandonato Mirabar per unirsi a voi.” “Già, un vantaggio tremendo con le orde degli orchi che premono alle nostre porte.” “Non eravamo al corrente.” Shoudra trasse un profondo sospiro e proseguì. “E dubito che Nanfoodle o io avremmo avuto il coraggio di procurarvi dei danni, anche senza una guerra in corso. Nessuno di noi approva la strategia del Marchese nei vostri confronti, né il suo modo di comportarsi verso Re Bruenor e Mithral Hall. Noi avremmo agito diversamente.” “È logico che diciate così, adesso”, la interruppe Regis. Shoudra chiuse gli occhi e fece un profondo sospiro, poi cominciò a mormorare qualcosa sottovoce. “Prendeteli e rinchiudeteli, in celle separate”, ordinò Regis. I sei nani fecero per avvicinarsi, ma i due stranieri erano nel frattempo scomparsi. “La porta!” gridò Regis, e il nano più vicino all’uscita si precipitò a chiuderla. Improvvisamente, all’estremità opposta della stanza, apparvero Shoudra e un Nanfoodle dall’aria molto stupita. Ma, mentre i nani si avventarono verso di essi urlando, svanirono di nuovo, riapparendo poco dopo di fronte al camino. “Sta facendo un altro sortilegio! Fermatela!” urlò Regis, vedendo che Shoudra stava di nuovo biascicando qualcosa. “Attenzione alle palle di fuoco!” strillò il nano accanto alla porta. Così dicendo, spalancò di colpo il battente e Shoudra e Nanfoodle comparvero là quasi per magia. Il nano si scansò con un grido. Nanfoodle fece una risatina ebete, e Shoudra lo spinse fuori dalla stanza trascinandolo a forza attraverso l’anticamera e il corridoio, con i nani urlanti alle calcagna. “Stupido di uno gnomo!” lo apostrofò Shoudra, e Nanfoodle ridacchiò ancora più forte. Visto che i nani guadagnavano terreno e Nanfoodle restava

sempre più indietro, Shoudra emise un brontolio esasperato e si risolse a prenderlo in braccio. Passarono per un’altra porta, che Shoudra si affrettò a chiudere e a sprangare e, dopo aver attraversato una stanza, sbucarono in un altro corridoio. Proseguirono nella loro corsa verso l’uscita occidentale, mentre da ogni parte risuonavano grida di allarme. Ben presto vennero di nuovo individuati dai nani e inseguiti dalle loro urla. Infine, i due imboccarono il lungo passaggio principale che dava su un ampio pianerottolo fiancheggiato dalle statue dei re di Mithral Hall. Da lì, una scala scendeva in una stanza di dimensioni più modeste, oltre la quale si vedevano gli ultimi raggi del sole riversarsi attraverso le grandi porte occidentali, al momento spalancate. Porte che non erano destinate a rimanere aperte a lungo, si rese conto Shoudra, dato che alcuni nani stavano già spingendo da parte i fermaporta, mentre altri si schieravano davanti all’apertura. “Bene, ci hanno beccati”, disse Nanfoodle con una risata chioccia. “Adesso ci torturano!” “Taci, stupido”, lo zittì Shoudra. La Sceptrana si guardò intorno, poi, con mossa rapida, si nascose nell’ombra proiettata dalla statua più vicina, trascinandosi dietro Nanfoodle. Giusto in tempo, poiché in quel preciso istante sopraggiunse un gruppo di nani, ognuno dei quali sbraitava esortazioni del tipo: “Restate a difesa della porta!” o “Tagliate loro la strada!”. Nanfoodle fece per rispondere a quei richiami, ma Shoudra gli premette la mano sulla bocca e lo tenne fermo. Quindi fece un respiro profondo chiamando a raccolta tutto il coraggio rimastole, e si sporse a sbirciare verso l’uscita girando lo sguardo tutt’intorno. Dopo aver finalmente calmato lo gnomo ubriaco, la Sceptrana si apprestò a fare un altro incantesimo. Mentre mormorava una specie di nenia, le punte dei due indici cominciarono ad assumere un colore blu incandescente. Con queste, disegnò nel vuoto il contorno di una porta.

Poi udì gridare: “Laggiù!”. E in quel momento Shoudra si accorse che Regis, insieme a un gruppo di nani, si stava precipitando verso di loro. Senza esitare, la Sceptrana sollevò di nuovo Nanfoodle e, mentre le porte occidentali di Mithral Hall si chiudevano con un tonfo, passò attraverso l’apertura che aveva disegnato. Il battente del magico uscio si chiuse alle loro spalle e Shoudra trasse un respiro di sollievo nel constatare che lei e il suo compagno si trovavano fuori dalla fortezza, a Keeper’s Dale. “Sai fare così tanti trucchi”, squittì Nanfoodle, abbandonandosi a un’altra risata. Shoudra fulminò con lo sguardo lo sciocco alchimista. “Più di quanti tu non riesca a immaginare”, lo minacciò. Sempre tenendo lo gnomo in braccio, si spostò sul fianco delle porte, in una rientranza buia. Lì, una meditabonda Shoudra sedette, non prima però di avere costretto Nanfoodle ad accovacciarsi anche lui a terra. E quando questi cercò di alzarsi, ancora malfermo, Shoudra gli posò sopra entrambe le gambe, bloccandolo. Lo gnomo fece per protestare, ma Shoudra gli puntò un dito sotto il lungo naso puntuto con un movimento repentino. “Ehi!” esclamò Nanfoodle. “Ssst”, gli intimò Shoudra, mettendosi un dito sulle labbra. Poi aggiunse con voce bassa e minacciosa: “Vedi di stare zitto o ti ci costringo con uno dei miei incantesimi”. A quelle parole, lo gnomo sembrò riacquistare un po’ di lucidità. Deglutì a vuoto e non disse più nulla. Rimasero seduti là, mentre il pomeriggio scivolava nel crepuscolo e il crepuscolo nella notte. E Shoudra non aveva proprio idea di cosa avrebbero fatto.

18

LA SFIDA DELL’AMICIZIA Drizzt si issò sulla pietra scura, poggiandovi sopra il piede con destrezza. Dopo aver rapidamente individuato il punto adatto per atterrare, si apprestò a spiccare un salto, ma si rilassò e si fermò, vedendo che Guenhwyvar aveva la situazione completamente sotto controllo. Vide che la drow, armi alla mano, stava parlando al felino, supplicandolo di non ucciderla. “Forse se tu lasciassi cadere a terra le armi, Guenhwyvar non avrebbe l’aria così feroce”, le disse Drizzt, stupito per la facilità con cui gli ritornava alla mente la lingua drow, così poco usata. “E se ubbidisco, tu dirai alla pantera di ammazzarmi”, gli rispose l’altra. “Potrei dirglielo fin d’ora”, ribatté Drizzt, “e ti assicuro che potrei raggiungerla in un baleno. Le tue scelte sono limitate. Arrenditi, oppure combatti e muori”. La drow alzò lo sguardo verso di lui e, sebbene Drizzt si trovasse a una certa distanza, poté vedere il ghigno che le era comparso sul volto, ma poi riportò gli occhi su Guenhwyvar e buttò rabbiosamente a terra la spada e il pugnale. Guenhwyvar continuò a girarle intorno, senza però avvicinarsi. “Come ti chiami?” domandò Drizzt, camminando carponi sulla pietra per cercare un passaggio che gli permettesse di scendere verso la piccola cavità rocciosa nella quale il felino aveva spinto la drow. “Appartengo alla famiglia Soldou”, replicò esitante l’altra.

“Questo nome ti è noto?” “No”, rispose Drizzt, che era comparso all’improvviso al suo fianco facendola spaventare. “E per la verità, il nome della tua famiglia non è importante per me. Neanche lontanamente importante quanto lo scopo per cui ti trovi qui.” La drow si voltò adagio verso di lui. Era molto graziosa, ebbe modo di notare Drizzt, con i capelli acconciati in modo da nasconderle un lato del viso, scendendo a ricoprire uno di quegli occhi dai bagliori rosseggianti, neanche lontanamente simili a quelli iniettati di sangue degli orchi, ma piuttosto contraddistinti da una sfumatura rossastra. “Anch’io, come te, sono fuggita dal Buio Profondo, Drizzt Do’Urden”, raccontò lei, e sebbene Drizzt fosse riuscito a trattenere lo stupore, quel riferimento alla sua persona e l’apparente conoscenza delle sue imprese lo sorprese. “Se tu conoscessi la famiglia Soldou sapresti che ha perso i favori della Regina Ragno per una sua esplicita scelta. Io e i miei parenti, tutti insieme, abbiamo abbandonato quella perfida e diabolica regina, ed è per questo che siamo stati quasi annientati.” “Però tu sei riuscita a salvarti?” “Come vedi, sono qui.” “Già, e in compagnia di un degno seguace di Lolth”, osservò Drizzt mentre alzava Lampo con mossa fulminea e appoggiava il filo della lama sul collo della drow. Questa non batté ciglio. “Solo per poter sopravvivere”, cercò di spiegare lei. “Da quando sono emersa in superficie, non sono ancora riuscita ad adattarmi a questo globo infuocato che viaggia attraverso la volta celeste.” “Ci vuole tempo.” “Così, mi sono imbattuta nell’altro drow: il suo nome è Ad’non...” “Era”, la corresse Drizzt stringendosi nelle spalle. L’altra non reagì.

“L’avrei comunque ucciso”, proseguì lei. “Non riuscivo più a sopportare quell’essere abietto. Non appena si fosse spogliato per approfittare della fanciulla elfo paralizzata, l’avrei colpito.” Drizzt annuì, benché ovviamente non credesse a una sola parola di quel racconto. Per essere una presunta convertita, la drow sembrava fin troppo desiderosa di conficcargli addosso un paio di frecce. “Non mi hai ancora detto come ti chiami.” “Donnia”, rispose lei, e Drizzt si sentì in un certo senso sollevato che, almeno su quello, non gli avesse mentito. “Sono Donnia Soldou, in cerca della benedizione di Eilistraee.” Nell’udire quel nome. Drizzt si sentì preso in contropiede. “Hai sentito parlare della Signora della Danza?” “Un poco”, rispose Drizzt. Naturalmente, era convinto che la drow stesse mentendo, ma non poteva fare a meno di sentirsi incuriosito, giacché aveva davvero sentito parlare della dea Eilistraee e dei suoi seguaci, che, a quanto si diceva, erano dei drow con idee molto simili alle sue. “Mi spiace di averti assalito nella grotta degli elfi”, continuò Donnia abbassando gli occhi. “Devi capire che il mio compagno era un potente guerriero e che io ero viva solo grazie a lui. Se avesse sospettato che lo tradivo, mi avrebbe già uccisa.” “E durante tutto questo tempo, mi vuoi far credere di non avere mai avuto occasione di liberarti di lui?” Donnia lo fissò. “O forse non era l’unico compagno nel quale ti sei imbattuta?” “Solo Ad’non”, confermò Donnia. “Be’, Ad’non e i suoi amici, i giganti e gli orchi. Ha vissuto qui molti anni, un solitario proprio come te, sebbene le sue intenzioni fossero del tutto differenti. Si aggirava nelle gallerie tra il Buio Profondo e la Spina Dorsale del Mondo, cercando il proprio piacere qua e là.” “Ma perché non ti sei sbarazzata di lui e non te ne sei andata a stare per conto tuo?” domandò Drizzt.

Donnia annuì e si passò una mano sul viso. “Perché mi sarei trovata sola”, mormorò. “Sola quassù, in questo luogo estraneo. Mi sentivo debole, Drizzt Do’Urden. Riesci a capire come mi sentivo?” “Certo che capisco”, rispose Drizzt. Poi ripose Mortegelida nel fodero e allontanò Lampo dal collo di Donnia. Con la mano libera cominciò a perquisire l’elfa. Le trovò una spada infilata nella cintura e gliela tolse, insieme alla balestra e a una piccola borsa colma di frecce. Una di quelle frecce venne estratta rapidamente dalla borsa e passò nella cintura di Drizzt. Il drow tastò più in basso, lungo le gambe, e notò una leggera protuberanza in corrispondenza del bordo superiore di uno dei suoi morbidi stivali. L’ignorò di proposito e fece passare la mano tra le caviglie. Naturalmente, si trattava di un coltello, che lui fece finta di non aver trovato durante l’ispezione. “Le tue armi sono state fabbricate da mani di drow”, osservò, gettando a terra la spada e la balestra, accanto alle armi che già si trovavano là. “Non ti serviranno a molto se deciderai di restare qui sotto i raggi del sole.” Fece scivolare anche Lampo nel fodero. “Vieni con me”, le disse, mentre si avviava, avendo cura di passare di fianco alle armi che giacevano al suolo. Nel frattempo, si voltò indietro a guardare Donnia e, vedendo che lei non gli prestava la minima attenzione, agganciò con il piede la piccola balestra, la sollevò e l’afferrò con una mano, assicurandosela alla cintura. “Vieni con me”, la invitò di nuovo mentre proseguiva. Quando Donnia passò accanto alle armi trattenne il respiro, e Drizzt capì esattamente cosa le passava per la testa. Era convinta che lui la stesse mettendo alla prova e che si tenesse pronto a sfoderare le sue armi nel caso lei avesse tentato di riprendere una delle sue. Dopo che si furono allontanati, la pila di armi ancora intatta, Drizzt seppe che Donnia era certa di avere superato la prova. Non si

era resa conto che quella prima opportunità era semplicemente un trucco. “Guenhwyvar”, disse il ranger, preparando in modo ancora più sottile l’esca nella trappola. “Sei rimasta qui troppo a lungo. Ti prego, torna a casa!” Drizzt guardò Donnia di sottecchi, mentre lei osservava la grossa pantera che aveva cominciato a girare in tondo, finché i suoi contorni non si fecero sfocati e diventarono un’impalpabile nebbia grigia, dapprima ancora con la forma di un felino, per poi svanire nel nulla. “Il tempo di permanenza di Guenhwyvar qui è limitato”, spiegò Drizzt. “Si stanca facilmente e ha bisogno di tornare sul suo Piano Astrale per rigenerarsi.” “Una compagna stupenda”, osservò Donnia. “Una delle tre”, replicò Drizzt. “O dei cinque, se conti anche i pegasi, e ti assicuro che dovrebbero essere contati.” “Allora, tu e gli elfi di superficie siete alleati?” chiese Donnia e, prima ancora che Drizzt potesse rispondere, aggiunse: “Mi fa piacere saperlo: sono degli ottimi compagni per chi, come noi, ha abbandonato la Regina Ragno”. “Compagni potenti”, convenne Drizzt. “L’elfa è la grande sacerdotessa di un dio degli elfi, Corellon Larethian. Sicuramente vorrà parlare con te per stabilire se dici il vero.” Notò che Donnia ebbe una lieve esitazione nell’andatura, mentre avanzava al suo fianco. “Ti farà un incantesimo”, continuò Drizzt. “Ma non devi avere paura, dato che servirà solo a capire se stai mentendo. Non appena avrà appurato che Donnia Soldou è sincera...” Drizzt accompagnò la fine della frase con un’improvvisa giravolta, da sinistra verso destra, mentre sguainava Mortegelida. Come aveva previsto, la terrorizzata Donnia gli si stava avventando contro, il braccio teso, con in mano lo stiletto che aveva estratto dallo stivale. La mano destra di Drizzt colpì forte il polso di Donnia deviando

la lama del pugnale verso l’esterno, mentre la scimitarra le procurava un lungo squarcio al torace. Donnia si girò cercando di scansarsi, ma non prima di essere colpita di nuovo sul braccio teso, con una violenza tale che fu costretta a lasciar cadere la propria lama. Tenendosi il braccio destro premuto contro la ferita, Donnia vacillò. Drizzt la oltrepassò. “Era tutta una menzogna! Come se avessi potuto aspettarmi qualcosa di diverso da una drow!” le gridò, arretrando di lato mentre lei si voltava. “Otterrò la verità, adesso, oppure la tua vita!” dichiarò Drizzt. “Perché sei qui? E quanti altri compagni fanno parte della tua banda?” “Centinaia!” Donnia gli urlò di rimando, mentre tentava ancora di fuggire. “Migliaia, Drizzt Do’Urden! Tutti quanti con l’ordine di portare la tua testa alla Regina Ragno!” Drizzt si affrettò a tagliarle la strada, ma Donnia proiettò un globo di oscurità intorno a lui. Quindi, balzò anche lei al suo interno, immaginando che il drow sarebbe uscito da una parte o dall’altra, e lo attraversò emergendo sull’orlo di un precipizio. Senza esitare, si lanciò nel vuoto, facendo ricorso a qualche altra magia, che lei e la gente della sua razza possedevano innata. Dopo essere precipitata per una ventina di piedi in caduta libera, cominciò a planare lentamente, quasi sospesa nell’aria. “Mi hai proprio deluso”, udì Drizzt dire al di sopra della sua testa, e sentì che c’era sincerità in quelle parole, come se lui avesse sul serio voluto credere alla sua storia. E davvero Drizzt aveva voluto crederle. Quanto aveva desiderato trovarsi una compagna drow! Qualcuno simile a lui, con cui dividere le proprie avventure, qualcuno in grado di comprendere la solitudine che gli colmava il cuore. Donnia stava abbozzando un sorriso quando dall’alto udì il clic di una balestra, e subito dopo avvertì una puntura alla spalla. Rimase là, sospesa a mezz’aria, contrastando con la levitazione la gravità che

la reclamava al suolo. Poi vide la freccia e sentì che il veleno stava cominciando a scorrerle dentro. Restò là, immobile, impotente. Drizzt guardò in basso e fece un profondo sospiro. Lasciò andare la balestra - la piccola balestra a mano di Donnia, che aveva raccolto da terra - e la osservò cadere nel vuoto, superando la drow, giù, giù nel vuoto, andando a sfracellarsi sulle rocce, duecento piedi più sotto. Drizzt si sedette e si prese la testa tra le mani. Ma non distolse lo sguardo, determinato ad assistere a ciò che sarebbe successo. La levitazione ben presto ebbe termine e Donnia, ormai completamente paralizzata, precipitò al suolo. Non poté neppure urlare come avrebbe voluto, giacché le corde vocali erano anch’esse bloccate a causa del potente veleno. Drizzt distolse lo sguardo un secondo prima dell’impatto, non volendo vederla schiantarsi sui sassi. Ma poi guardò di nuovo e vide il suo corpo disteso al suolo, mentre una pozza di sangue le si stava allargando attorno. Il ranger sospirò di nuovo, benché quella fine non lo sorprendesse. Eppure, l’unica emozione che dominava Drizzt Do’Urden in quel momento era la rabbia, solo la rabbia, a causa della futilità di tutto ciò che stava succedendo. Qualche istante dopo si rialzò, rammentandosi che Tarathiel e Innovindil probabilmente giacevano ancora nella grotta incapaci di muoversi, e scappò via a passo di corsa. Li trovò sani e salvi, che stavano persino ricominciando a muoversi. Mentre Drizzt sopraggiungeva, Innovindil stava cercando di prendere i suoi abiti, così il drow li raccolse e glieli porse. Dopodiché ritornò vicino all’entrata e si diede da fare per togliere di mezzo i resti di Ad’non. “Sono felice di rivederti, Drizzt Do’Urden”, lo salutò Tarathiel. “E vorrei aggiungere che questa è una circostanza particolarmente gradita, almeno per noi.”

“Ti sei occupato dell’altra drow?” gli domandò Innovindil. “È morta”, comunicò Drizzt con voce triste. “Precipitata giù per un dirupo.” “Ucciderla deve averti fatto soffrire, non è vero?” chiese Innovindil. Drizzt si girò di scatto verso di lei, gli occhi ridotti a due fessure. “Non è forse vero?” chiese di nuovo Innovindil, senza desistere. Il viso di Drizzt si addolcì. “Mi fa sempre soffrire”, confessò. “In tal caso, la tua anima è intatta”, dichiarò Tarathiel. “Nel momento in cui uccidere ti lascerà del tutto indifferente, dovrai cominciare a preoccuparti.” Come sembrò profonda, in quel momento, quella semplice osservazione a Drizzt, alla creatura intrappolata da qualche parte tra il suo autentico io e il Cacciatore. Di certo, si sentiva di più senz’anima quando era il Cacciatore. Le morti che causava non lo preoccupavano eccessivamente. Quando aveva mozzato la testa ad Ad’non non aveva provato altro se non la soddisfazione della vittoria, ma la fine di Donnia l’aveva colpito. Drizzt sapeva che doveva esserci una sorta di terra di mezzo, un luogo dove poter combattere nelle vesti del Cacciatore, senza però rinunciare alla propria anima. Ripensando agli anni passati, gli parve di averlo già scoperto quel luogo. Sperava solo di poterlo ritrovare. Drizzt frugò le tasche di Ad’non alla ricerca di qualche indizio che gli potesse far capire quale fosse la sua identità e il motivo della sua presenza da quelle parti. Ma non trovò nulla, tranne alcune monete sconosciute. Tuttavia, un altro particolare attirò la sua attenzione: la sottile camicia di seta grigio chiaro che Ad’non indossava sotto la mantella. Il suo tessuto aveva fermato le scimitarre di Drizzt: riusciva a vedere le impronte lasciate dai colpi. Inoltre, sebbene tutt’intorno al corpo di Ad’non vi fosse del sangue, questo non sembrava avere macchiato la camicia. “Si tratta di potente magia”, osservò Innovindil, e quando Drizzt

la guardò, gli fece segno di prenderla. “Al vincitore...” recitò. Drizzt cominciò a sfilare l’indumento. La sua cotta di maglia, forgiata da Bruenor in persona, aveva bisogno di riparazioni urgenti, dato che molti anelli erano spezzati, e alcuni di essi gli graffiavano sgradevolmente la pelle. “Ti siamo davvero riconoscenti”, disse Tarathiel. “Questo lo capisci, vero?” “Non potevo permettere che vi facessero del male. Credo che anche voi sareste accorsi in mio aiuto, cosa che del resto avete già fatto”, replicò Drizzt. “Non ti siamo nemici”, continuò Tarathiel, e qualcosa nella sua voce costrinse Drizzt a fermarsi e a guardarlo. “Non ho mai voluto farmi nemico nessun elfo di superficie tra tutti quelli che mi è capitato di incontrare”, replicò Drizzt, in tono eloquente. Non gli sfuggì lo sguardo preoccupato che Innovindil e Tarathiel si erano scambiati. “Dobbiamo invece dirti che ti eri fatto un nemico”, confessò Innovindil. “Sebbene non per colpa tua.” “Ricordi Ellifain?” disse Tarathiel. “Molto bene”, confermò Drizzt, mentre sospirava e abbassava gli occhi a terra. “Anche se l’ultima volta che l’ho incontrata si faceva chiamare Le’lorinel ed era travestita da maschio.” I due elfi si scambiarono di nuovo un’occhiata e Tarathiel annuì. “Fu così che riuscì a fuggire da Silverymoon”, disse rivolto alla compagna. “Seguiva le tue tracce”, proseguì Innovindil. “Sapevamo che quella era la sua intenzione, benché non sapessimo dove ti trovavi. Abbiamo cercato di fermarla: devi crederci se ti diciamo che Ellifain aveva perso la ragione e stava agendo per conto suo e contro la volontà della nostra gente.” “Era fuori di sé”, concordò Drizzt.

“E vi siete scontrati in combattimento?” chiese piano Tarathiel, in tono preoccupato. Drizzt sollevò lo sguardo, ma lo distolse quasi immediatamente e sospirò ancora. “Non era mia intenzione.., se l’avessi saputo, avrei...” balbettò. Fece un respiro profondo e fissò i due negli occhi. “Mi sono imbattuto in lei mentre i miei compagni e io stavamo inseguendo alcuni ladri. Non avevo idea di chi fosse - e neppure che fosse una “lei” - quando attaccammo. Perlomeno, non finché...” “Finché non hai sferrato il colpo mortale”, concluse Tarathiel, mentre Innovindil volgeva gli occhi altrove. Il silenzio di Drizzt fu più eloquente di mille risposte. “Temevo che sarebbe finita così”, disse Tarathiel a Drizzt. “Abbiamo cercato di salvare Ellifain da se stessa, e siamo certi che l’avresti fatto anche tu, se ne avessi avuto l’occasione.” “Ma era posseduta da una rabbia che trascendeva ogni forma di ragionevolezza”, aggiunse Innovindil. “Ogni volta che sentivamo parlare delle tue imprese al servizio di qualche buona causa, lei si sentiva sempre più oltraggiata, convinta che si trattasse di menzogne. Convinta che Drizzt stesso fosse una menzogna.” Drizzt non batté ciglio nel rispondere: “Forse lo sono”. “È davvero questo ciò che credi?” chiese Innovindil, ottenendo per tutta risposta una scrollata di spalle. “Non ti condanniamo per esserti difeso da Ellifain”, dichiarò Tarathiel. “Non cambierebbe nulla se lo faceste”, disse Drizzt. E la battuta parve disorientare un pochino gli altri due. “Perciò possiamo combattere insieme al servizio della causa comune”, proseguì Tarathiel. “Fianco a fianco.” Drizzt lo fissò per un attimo, poi rivolse lo sguardo verso Innovindil. Era un’offerta allettante, ma comportava un impegno che Drizzt

non era ancora pronto ad assumersi. Guardò di nuovo Tarathiel e scosse il capo. “Io vado a caccia da solo”, spiegò. “Ma quando ne avrete bisogno, sarò pronto ad aiutarvi, sempre che lo vogliate.” Dopodiché raccolse la stupenda camicia di seta e si avviò. “Avremo sempre bisogno del tuo aiuto”, disse Tarathiel alle sue spalle. “E tu non saresti più forte se...” “Lascialo andare”, Drizzt sentì Innovindil dire al suo compagno. “Non è ancora pronto.” *** La mattina seguente, Drizzt Do’Urden sedeva su una sporgenza prospiciente la grotta degli elfi, riflettendo sulla generosa offerta fattagli da Tarathiel. Aveva confessato di avere ucciso la loro amica e compagna, eppure nessuno dei due l’aveva giudicato severamente. Questo fatto proiettava una luce nuova sull’increscioso incidente occorso a Ellifain, ma Drizzt Do’Urden non era ancora certo che quella luce potesse davvero brillare. Inoltre, doveva confrontarsi con il prospetto di una nuova amicizia, di nuovi alleati e, sebbene quell’idea in linea di massima lo allettasse, ne era anche profondamente spaventato. Un tempo aveva avuto amici stupendi e gli alleati più grandi che uno avesse mai potuto desiderare. Un tempo. Per questo era seduto là, in preda a un conflitto interiore, chiedendosi cosa avrebbe potuto essere e cosa avrebbe invece dovuto essere. Come sempre, gli tornava in mente l’immagine della torre che esplodeva e crollava, trascinandosi dietro Bruenor. Drizzt avvertì l’impulso improvviso di tornare alla sua grotta, di

prendere tra le mani l’elmo a un corno solo, di annusare l’odore di Bruenor e di ricordare gli amici perduti. Così si incamminò. Ma, prima che il giorno finisse, ritornò a quella sporgenza nella roccia, dalla quale poteva scorgere il rifugio di Tarathiel e Innovindil. Osservò con grande interesse uno dei pegasi volare poco lontano da lui e atterrare con in groppa Tarathiel davanti all’ingresso della caverna. Con sua enorme sorpresa, l’elfo smontò ma, anziché entrare, corse nella sua direzione e lo chiamò. “Drizzt Do’Urden!” gridò Tarathiel. “Vieni! Ho notizie che ci riguardano tutti!” Nonostante le proprie riserve, nonostante il profondo dolore che pervadeva ogni fibra del suo corpo. Drizzt si trovò a dirigersi verso il rifugio della coppia. *** “Un’altra tribù è strisciata fuori dal suo buco nelle montagne”, disse Innovindil a Drizzt quando lo vide entrare. “Tarathiel l’ha vista avanzare lungo le colline della Spina Dorsale del Mondo.” “Mi avete chiamato fin qui per dirmi che ci sono orchi qua intorno?” chiese incredulo Drizzt. “Non mi sembra davvero che siano mai scarseggiati...” “Non orchi qualsiasi, ma una nuova tribù”, lo interruppe Tarathiel. “Abbiamo visto confluire una tribù dopo l’altra al servizio del re degli orchi. Adesso stiamo parlando di un gruppo che finora era rimasto isolato.” “Se lo colpiamo subito, potrebbe decidere di tornare nella sua tana”, spiegò Innovindil. “E questa sarebbe una vittoria importante per la nostra causa.” Nel vedere che Drizzt non mostrava interesse, aggiunse: “Una vittoria importante per i nani che difendono Mithral Hall”.

“Quanti orchi sono?” Drizzt si udì chiedere. “Una piccola tribù: forse una cinquantina”, rispose Tarathiel. “E pensate che noi tre si possa eliminare cinquanta orchi?” domandò Drizzt. “Meglio ucciderne dieci e costringere gli altri quaranta alla fuga”, replicò Tarathiel. “Facciamo in modo che tornino nei loro cunicoli a sussurrare della morte sicura che aspetta chi risponde all’appello del re degli orchi”, aggiunse Innovindil. “Gli orchi e i giganti hanno messo insieme un grande esercito”, spiegò Tarathiel. “Migliaia di orchi e centinaia di giganti, temiamo, e sinceramente i nostri tentativi contro una tale armata si dimostrerebbero davvero poco efficaci ai fini del risultato finale. Ma l’aspetto più inquietante per tutti gli abitanti della regione, i nani di Mithral Hall, gli elfi di Moonwood, la gente di Silverymoon, è rappresentato dall’apparente e infinita quantità di rinforzi che si riversano fuori dalla Spina Dorsale del Mondo.” “Decine di migliaia di altri orchi e di goblin potrebbero rispondere alla chiamata di chiunque sia alla guida di questo esercito”, intervenne Innovindil. “Ma forse possiamo interrompere questo flusso di predatori”, disse Tarathiel. “Facciamo in modo che gli orchi tornino indietro e mettano in guardia i loro compari dall’abbandonare le montagne. La situazione potrebbe avvantaggiarsene a favore dei nani.” Fece una pausa e fissò serio Drizzt. “Forse ci viene offerta l’opportunità di creare una differenza in questa guerra. Solo noi tre.” Drizzt non poteva negare il potenziale successo del piano di Tarathiel. “Dobbiamo agire rapidamente”, osservò Tarathiel, non appena gli fu chiaro che Drizzt non si sarebbe opposto. “Dobbiamo colpirli prima che si allontanino troppo dalle loro caverne, prima che cali l’oscurità.”

*** Drizzt si meravigliò per il modo in cui i due elfi guidavano la discesa dei loro cavalli alati, facendoli avvicinare al gruppo degli orchi, esattamente in linea con il sole al tramonto. Alle sue spalle, Guenhwyvar emise un ringhio impaziente, ma Drizzt la trattenne. Ed ecco che i due cavalieri comparvero in vista degli orchi e le corde dei loro archi cominciarono a ronzare, mentre il nemico urlava e additava il cielo. “Adesso, Guen”, bisbigliò Drizzt, lasciando libera la pantera. Guenhwyvar balzò via seguendo un tracciato a nord rispetto alla postazione degli orchi, mentre Drizzt si dirigeva sul lato opposto, aggirando la tribù verso sud. I pochi orchi in cui si imbatté avevano lo sguardo rivolto verso la pantera e stavano gridando terrorizzati. Il drow si arrampicò su una prominenza rocciosa e rimase a spiare due orchi che si erano rifugiati proprio sotto per ripararsi dalle frecce degli elfi. Aspettò che guardassero in su, e poi saltò loro addosso. Con Lampo, vibrò un mortale fendente alla sua sinistra, mentre, con Mortegelida, colpiva di piatto l’orco alla sua destra, mandandolo a ruzzolare lontano. Intanto i pegasi erano atterrati alle sue spalle, e i due elfi, dopo aver fatto cadere sul nemico un’altra pioggia di frecce, smontarono di sella brandendo le spade. “Per Moonwood!” Drizzt udì gridare Tarathiel. Nonostante la gravità del momento, Drizzt Do’Urden aveva un sorriso sul volto, mentre abbandonava il riparo del masso e si avventava con una piroetta devastatrice sul gruppo più vicino. Accanto a lui, Tarathiel e Innovindil, fianco a fianco, si produssero nella loro micidiale danza. Gli orchi arretrarono. Uno di essi fece per dare l’ordine di raggrupparsi, ma Drizzt lo circondò subito con un globo di oscurità. Un altro latrò un comando, che venne subito soffocato da

Guenhwyvar. Non ci volle molto prima che i superstiti si precipitassero nella direzione da cui erano venuti, e gli ultimi raggi del sole all’orizzonte li illuminarono mentre stavano ancora correndo, braccati a sinistra da Guenhwyvar, a destra da Drizzt, e alle spalle da Tarathiel, Innovindil e dai loro possenti cavalli. Ben presto Drizzt vide sparire i pochi rimasti indietro in una vasta e buia caverna. Continuò a inseguirli minacciandoli e, quando uno di essi rallentò l’andatura e cominciò a lanciargli occhiate, il drow lo raggiunse e lo abbatté. L’altro compagno se la diede a gambe senza voltarsi. E così fecero tutti gli altri orchi della tribù. Drizzt si fermò all’ingresso della caverna, le mani sui fianchi, a fissare la buia cavità che gli stava davanti. Udì i passi felpati di Guenhwyvar che gli si avvicinava e, subito dopo, lo scalpiccio degli zoccoli dei pegasi. “Proprio come avevo sperato”, commentò Tarathiel, scendendo di sella e ponendosi accanto a Drizzt. Poi alzò la mano e gli diede un colpetto sulla spalla, e Drizzt, sebbene avesse avuto un sussulto, non cercò di allontanarsi. “La nostra tecnica non potrà che rafforzarsi con la pratica”, disse Innovindil mentre li raggiungeva. Il drow la fissò dritta negli occhi e capì che gli aveva lanciato un’altra sfida: lo aveva di nuovo invitato a unirsi a loro. E quando lei gli si fece più vicina, non la contraddisse, né cercò di indietreggiare.

19

ALL’OMBRA DEL RE DEGLI ORCHI I lavori lungo le rive occidentali del Surbrin avanzavano a ritmo frenetico, con orchi e giganti impegnati a costruire fortificazioni difensive in corrispondenza di tutti i possibili guadi prossimi al confine meridionale delle montagne che attorniavano le porte sbarrate di Mithral Hall. C’era un punto che Re Obould giudicava particolarmente pericoloso, dove il corso del fiume si faceva ampio e poco profondo, così da permettere a un intero esercito di attraversarlo senza difficoltà. Perciò Obould aveva piazzato in quel tratto la maggior parte dei suoi orchi, facendo costruire direttamente nell’acqua un muro di pietre, che aveva poi colmato con della sabbia, in modo da formare un innalzamento capace di restringere il percorso del fiume ed elevarne il livello. Per non essere da meno, e per maggior sicurezza, Gerti Orelsdottr aveva dato ordine ai suoi giganti di assicurarsi che le porte d’accesso a Mithral Hall rimanessero chiuse per un bel po’ e, per raggiungere lo scopo, aveva persino fatto franare una parte della vicina montagna. Non avrebbe permesso che il Clan Battlehammer se la svignasse dietro le sue spalle! I lavori procedevano giorno e notte, e alte mura vennero erette nei punti strategici. In corrispondenza di ciascun avamposto, i giganti ammassarono pietre da usare come proiettili, così da poter opporre resistenza a ogni avanzata del nemico. Con un’identica finalità, gli orchi riempirono le stanze di frecce fabbricate alla bell’e meglio. Se nuove forze avessero attraversato il Surbrin, Gerti e Obould avrebbero conteso il terreno palmo a palmo. I due capi si incontravano ogni sera, insieme ad Arganth, il quale

era ben presto diventato il principale consigliere di Obould. Le discussioni si svolgevano spesso in un’atmosfera di cortesia generale e vertevano di solito sul modo migliore di accaparrarsi la vittoria, anche se agli occhi dell’attenta Gerti non sfuggiva il fatto che Obould primeggiasse di continuo, che i suoi piani fossero sempre molto sensati e che le sue idee avessero raggiunto un livello di indiscutibile chiarezza. Tutto ciò faceva sì che la gigantessa partecipasse a denti stretti a ogni riunione e che, al termine di quegli incontri serali, fosse sempre di cattivo umore. Ed era così anche quella sera, la settimana successiva all’assedio delle porte orientali di Mithral Hall. “Dobbiamo muoverci di nuovo verso ovest”, disse Gerti, esordendo con la litania che ultimamente aveva preso a recitare ogni volta che si incontravano. “Tuo figlio è a un punto morto nella sua guerra contro i nani e non dispone di un numero sufficiente di alleati per respingerli dalle loro postazioni.” “Hai fretta di cacciarli all’interno di Mithral Hall?” domandò Obould in tono casuale. “Un problema in meno per noi, se lo facciamo.” “Meglio logorare un po’ la loro resistenza finché sono fuori all’aperto”, dichiarò il re degli orchi. “Fiaccando in tal modo le forze che impiegherebbero per combattere Proffit e i suoi maleodoranti troll.” L’idea che Obould si riferisse ad altre razze classificandole come “maleodoranti” suscitò l’ilarità di Gerti, quantunque non si trovasse nello stato d’animo adatto per divertirsi. “Credi davvero che un pugno di troll riesca a scacciare il Clan Battlehammer dalla sua dimora avita?” lo schernì. “Certo che Proffit non ci riuscirà”, dichiarò Obould. “Ma non serve che ci riesca. Sarà sufficiente che se li lavori un po’ e che stringa un po’ la corda. Più a fondo li spingiamo nei loro cunicoli, meglio sarà per noi.” “Per poterli poi respingere dal nord?” chiese Gerti un po’ confusa, dato che non le pareva che Obould si stesse muovendo in quella direzione, benché quello fosse sempre stato il suo intento.

“Sarebbe stupendo”, osservò l’orco. “Se ci sarà possibile. E se non ci riusciremo, può darsi che, con le vie d’accesso bloccate e con tutti i nani prigionieri nelle gallerie, il Clan Battlehammer si decida a negoziare un accordo.” “Un trattato tra gli orchi conquistatori e i nani?” chiese Gerti incredula. “Cos’altro rimarrebbe loro da fare?” ribatté Obould. “Continuare gli scambi commerciali usando le gallerie che li collegano a Silverymoon e a Felbarr?” “Questo è possibile.” “E quando noi, alla fine, avremo localizzato le gallerie e le avremo fatte crollare?” proseguì Obould con l’aria di essere molto fiducioso al riguardo. “Seguiranno forse i nani l’esempio di quella creatura ribelle di nome Drizzt Do’Urden e stabiliranno rapporti d’affari con i drow del Buio Profondo?” “O forse non faranno niente del genere”, disse Gerti. “Di certo, Mithral Hall è autonoma e in grado di mantenersi da sé. Il Clan Battlehammer può permettersi di restare nel suo buco per un centinaio d’anni, se necessario.” Si protese in avanti bilanciandosi sulle gambe incrociate. “La tua razza non è mai stata famosa per i suoi propositi a lungo termine, Obould. Le conquiste degli orchi di solito sono fugaci e, il più delle volte, vanno perdute a causa degli scontri con altri orchi.” Quella particolare osservazione era destinata a ferire Obould, dato che non molto tempo addietro il re degli orchi aveva davvero realizzato una grande impresa, cacciando i nani da Citadel Felbarr e ridenominandola Cittadella dei Many-Arrows. Ma poi si era verificato l’inevitabile battibecco tra gli orchi e i nani al comando di Re Emerus Warcrown non avevano perso tempo a ricacciare i distratti e caotici invasori da dove erano venuti. Gerti aveva ricordato in modo neppure troppo sottile quel disastro semplicemente per scardinare un po’ l’ego sempre più tronfio della controparte. Ma la gigantessa rimase sorpresa e anche dispiaciuta per la composta reazione di Obould. “Questo è vero”, arrivò persino ad ammettere il re degli orchi.

“Può darsi che abbiamo tratto insegnamento dai nostri errori.” Gerti fu sul punto di chiedere a quello strano essere chi fosse realmente e cosa ne avesse fatto di quel piagnucoloso folle che un tempo era stato Obould. “Quando tutta la regione sarà sotto il nostro controllo, costruiremo delle città”, spiegò Obould, lo sguardo fisso su un punto lontano, come se si raffigurasse già ciò di cui stava parlando. “Avvieremo commerci e promuoveremo scambi coinvolgendo le vicine città.” “Vuoi dire che invierai un emissario da Lady Alustriel e da Emerus Warcrown per chiedere loro di stabilire rapporti commerciali con la tua gente?” chiese Gerti impulsivamente. “Prima di tutto Lady Alustriel”, rispose calmo l’altro. “Silverymoon è sempre stata famosa per la sua tolleranza. Credo invece che Re Warcrown necessiti di una maggiore opera di convincimento.” Guardò fisso Gerti e atteggiò la bocca a un perfido sorriso che metteva in mostra i denti zannuti ricurvi all’insù. “Ma faremo dei baratti, non è vero?” chiese Obould. “Quale prodotto potrete mai avere voi che gli altri non possano trovare altrove?” “Avremo la chiave che permetterà al Clan Battlehammer di riconquistare la libertà”, spiegò Obould. “Forse permetteremo la riapertura delle porte orientali di Mithral Hall. Forse in quel punto costruiremo persino un grande ponte sul Surbrin. Consentiremo a Mithral Hall di commerciare di nuovo liberamente in superfìcie, chiedendo in cambio un tributo, ovviamente.” “Sei diventato matto”, disse Gerti in tono secco. “E tutti i nani caduti per mano degli orchi? E lo stesso Re Bruenor ucciso dall’esercito di tuo figlio? Credi davvero che possano dimenticare così rapidamente?” “Chi può dire?” rispose il re degli orchi con una scrollata di spalle, dando davvero l’impressione che non gliene importasse un granché. “Queste sono solo alcune possibili opzioni in caso di vittoria. Se

tutte queste terre diventano una roccaforte degli orchi, credi che i loro abitanti si coalizzino contro di noi? Quanti di loro saranno disposti a sacrificarsi? Quanto a lungo saranno capaci di tenere fede ai loro propositi mentre vedranno i compagni cadere a frotte? A centinaia, a migliaia? E tutto questo, quando viene loro offerta onestamente la pace?” “Onestamente?” “Onestamente”, replicò Obould. “Nemmeno se la mia gente si unisse alla tua e a tutti i troll dei Trollmoors saremmo in grado di conquistare Silverymoon o Sundabar. Questo lo sai, come del resto lo so io.” Quell’ammissione fece quasi soffocare Gerti per lo stupore, dato che aveva conosciuto la verità dall’inizio, naturalmente, ma non aveva mai pensato che Obould fosse in grado di ammettere i propri limiti. “Che m-mi dici di Citadel Felbarr?” riuscì a balbettare, sperando ancora una volta di prendere l’altro in contropiede. “Vedremo quanto lontano ci porteranno le nostre vittorie”, replicò Obould. “Può darsi che Mithral Hall venga conquistata, e non sarà certo un premio meno importante di Felbarr. Può darsi che persino Moonwood cada nelle nostre mani durante i mesi che saranno necessari ad assicurare una certa forma di pace. Ci occorrerà del legno, ovvio, e non sotto forma di alberi attorno ai quali danzare come fanno quegli stupidi elfi.” Distolse di nuovo lo sguardo, come se fissasse un punto lontano, e accennò una bassa risata gutturale. “Ma stiamo correndo troppo”, osservò il re degli orchi. “Cerchiamo di assicurarci quello che abbiamo adesso. Impediamo il passaggio del Surbrin agli alleati di Mithral Hall. Lasciamo che Proffit faccia il suo lavoro nelle gallerie meridionali e che Urlgen respinga tutti i nani nei loro buchi vicino alle porte occidentali. Poi decideremo quale sarà la prossima mossa.” Gerti si appoggiò alla parete di pietra della stanza e rimase a fissare il suo interlocutore e il compiaciuto sciamano che gli sedeva accanto.

Represse il desiderio impellente di strozzare Arganth, sebbene lo desiderasse con tutte le sue forze, se non altro perché era un tale piccolo miserabile. E si chiese, in tutta onestà, se non dovesse innanzitutto saltare addosso a Obould. L’essere che aveva di fronte non smetteva mai di sorprenderla e di confonderla. Non era l’orco piagnucoloso che le aveva portato su un vassoio d’argento le teste dei nani. Non era il guerriero insaziabile e destinato a fallire che lei si era fatto alleato per puro divertimento. In quella guerra contro i nani là, a occidente, Obould stava aspettando il momento buono, sacrificando una conquista a breve termine e una facile vittoria a un beneficio destinato a durare nel tempo. Quale orco mai aveva potuto ragionare così? Gerti aveva l’impressione che Obould avesse già pianificato tutto fin dall’inizio e, cosa assai più sorprendente, che avesse davvero la possibilità di riuscire nel suo intento. Ciò che la lasciava dubbiosa, tuttavia, era il fatto di non sapere quali progetti il re degli orchi avesse in serbo per lei. *** “Puzzano come sterco di rothé in acqua putrida”, si lamentò Tos’un. Nonostante il pessimo carattere che si ritrovava, Kaer’lic Suun Wett non ribatte: il suo naso non glielo consentiva. “E Proffit è il più puzzolente di tutti”, riprese Tos’un. Kaer’lic lo fulminò con un’occhiata per rammentargli che erano gli unici due drow in mezzo a un esercito di troll e che non era il caso di insultare così palesemente il capo di quella masnada di bruti. “Forse è questo il motivo per cui è salito così tanto di rango”, aggiunse Tos’un, con aria divertita, sebbene Kaer’lic non trovasse nulla di divertente nella loro attuale situazione. In particolare, riguardo al suo specifico stato di indecisione. Tos’un continuò a brontolare e cominciò a camminare impettito

tutt’intorno. All’improvviso si fermò e scrutò più da vicino la piccola grotta che Kaer’lic aveva eletto a suo rifugio temporaneo. Glifi e rune erano stati incisi qua e là sulle pareti e gli abiti da cerimonia della sacerdotessa erano sparpagliati sul pavimento. Quando Tos’un spostò su di lei uno sguardo interrogativo, Kaer’lic non nascose il fatto che fosse proprio in procinto di indossarli nel momento in cui l’altro aveva fatto irruzione. “Oggi non è giorno di cerimonia, vero?” chiese il drow. “No”, si limitò a rispondere la sacerdotessa. “Allora, stai forse cercando di andare in trance.., per trovare i nostri compagni scomparsi?” “No.” “Per fare degli incantesimi che ci aiuteranno con i troll?” “No.” “Devo andare avanti all’infinito a considerare ogni possibile eventualità? O non me lo diresti in ogni caso?” “No.” Tos’un indugiò e la studiò, incerto sul significato di quell’ultima risposta. “Chiedo scusa, grande sacerdotessa”, esclamò con palese sarcasmo, producendosi in un inchino nel quale riversò tutta la propria frustrazione. “Ho dimenticato che, essendo un semplice maschio, devo stare al mio posto.” “Oh, vedi di stare un po’ zitto”, replicò Kaer’lic, mentre continuava a spogliarsi e si avvicinava agli abiti da cerimonia. “Sono confusa quanto te”, confessò. A quel pensiero, fece una risatina: perché non dire a Tos’un la verità, dato che sarebbe stato l’unico compagno drow che avrebbe avuto per qualche tempo? “Non mi sorprende che Ad’non e Donnia se ne siano andati”, disse Tos’un. “Nemmeno io ne sono sorpresa”, replicò Kaer’lic. “La mia confusione non ha niente a che vedere con quello.”

“Con chi, allora? Obould?” “Potrebbe sacerdotessa.

esserne

in

parte

responsabile,

sì”,

ammise

la

“Così come potrebbe essere responsabile qualunque intervento del suo brutale dio.” “È stata una cerimonia imponente”, commentò Tos’un. Kaer’lic si voltò all’improvviso verso di lui, incurante del fatto di essere nuda fino alla cintola. “Temo di aver fatto arrabbiare Lolth”, si decise infine a confessare. Dapprima, Tos’un non sembrò afferrare bene il concetto, tanto che fece per ribattere. Ma poi, visto che lei continuava a fissarlo, il peso di quelle parole lo sconcertò. Si guardò intorno, come se si aspettasse di vedere balzare fuori dall’ombra qualche creatura degli Abissi pronta a divorarlo all’istante. “Cosa vuoi dire?” chiese con voce tremante. “Non lo so”, rispose Kaer’lic. “Non so neppure se ciò che ho detto sia vero.” “Credi che l’intervento di Gruumsh Occhio-solo sia...” “No, è stato prima della cerimonia”, precisò Kaer’lic. “Allora cosa?” “Ho paura che sia stato a causa di un tuo consiglio”, replicò Kaer’lic con sincerità. “Mio?” protestò il drow. “Cosa posso avere mai fatto per influenzare la Regina Ragno? Non ho offerto nulla...” “Dicesti che sarebbe stato meglio evitare Drizzt Do’Urden, ricordi?” Tos’un oscillò all’indietro sui tacchi, gli occhi che scrutavano tutt’intorno, simile a un animale braccato. “Temo di essere intrappolata nella rete dei miei stessi sospetti”, disse Kaer’lic. “Forse la mia titubanza nel volermi occupare di quel traditore mi è costata i favori di Lolth, anche se sono propensa a

credere che, mettendoci contro Drizzt Do’Urden e uccidendolo, non faremmo che irritare ancora di più la Regina Ragno!” Tos’un aveva l’aspetto di uno che avrebbe potuto essere abbattuto anche solo da una leggera brezza. “Lolth ti nega la possibilità di entrare in comunione spirituale con lei?” “Mi vengono i brividi alla sola idea di provarci”, confessò la sacerdotessa. “E possibile che, in questo caso, le mie stesse paure agiscano contro di me.” “Le tue paure riguardo a Drizzt?” domandò l’altro scuotendo il capo, del tutto disorientato. “Molto tempo fa, sono giunta ad alcune conclusioni sul ribelle del Casato Do’Urden”, spiegò Kaer’lic. “Ancora prima di sapere dell’attacco da parte della Matrona Baenre contro Mithral Hall. Ancora prima che tu ti unissi al nostro piccolo gruppo, il nome di Drizzt non ci era sconosciuto. Temo.., e ne sono convinta, che molte nostre sacerdotesse si fossero fatte delle opinioni sbagliate su di lui. Lo consideravano un nemico della Regina Ragno.” “Naturale”, esclamò Tos’un. “Come potrebbe non esserlo?” “Lui è un induttore di caos!” lo interruppe Kaer’lic. “A modo suo, Drizzt Do’Urden da solo ha causato più confusione nella nostra città natale di chiunque altro. Credi che questa non sia un’espressione della volontà di Lolth?” Tos’un spalancò gli occhi a tal punto che sembrava gli dovessero schizzare dalle orbite. “Credi che le azioni di Drizzt Do’Urden siano ispirate da Lolth?” chiese. “Sì”, rispose Kaer’lic, voltandosi. “Astuta di una sacerdotessa! Riuscire a scorgere l’ironia della situazione. Immaginare la bellezza del disegno di Lolth.” “Tutto questo sembra avere un senso”, ammise l’altro drow. “E in ogni caso, anche se la mia supposizione è corretta, sono prigioniera del mio stesso acume”, concluse Kaer’lic.

Tos’un la fissò incuriosito. “Se ho torto”, spiegò la sacerdotessa, “avremmo dovuto combattere quel rinnegato con tutte le nostre forze, come credo che Ad’non e Donnia stiano cercando di fare in questo preciso momento. Ma se ho ragione, allora ho svelato un piano che è ben al di là...”. La voce le morì in gola. “Se hai ragione, il semplice fatto che tu abbia portato allo scoperto l’enigma di Drizzt pregiudica i progetti di Lady Lolth”, concluse il drow. “Ma questo non possiamo saperlo.” Tos’un cominciò a scuotere la testa e a tremare. Disse: “E tu hai rivelato a me il segreto”. “Me l’avevi chiesto.” “Ma...” balbettò il drow. “Ma...” “Non siamo sicuri di nulla”, gli ricordò Kaer’lic, alzando la mano davanti al tremebondo compagno per calmarlo. “Si tratta solo di supposizioni.” “Allora liberiamoci di questi miserabili troll e andiamo in cerca di Drizzt per conoscere la verità”, propose Tos’un. “E rendere così manifesta la mia scoperta?” A Tos’un parve di capire il punto di vista della compagna, l’apparente e improvvisa perdita di vigore del suo zelo. “Ebbene, cosa facciamo?” chiese. “Cercherò le mie risposte mentre proseguiamo con Proffit”, spiegò Kaer’lic. “Devo trovare il coraggio di invocare le ancelle, anche se temo gli intrighi di Lady Lolth e il destino che attende coloro che svelano i suoi piani.” “Il Tempo dei Disordini ha contraddistinto un periodo di grande caos a Menzoberranzan”, le disse il drow. “Quando il Casato Oblodra, reso più forte dai propri poteri psionici, aspirò al titolo di Primo Casato e fu sul punto di ottenerlo, vista la carenza di poteri magici da parte di tutti gli altri attorno. Dopo, naturalmente, in

seguito alle suppliche della Matrona Baenre, Lady Lolth tornò.., e devo dire che non ho mai assistito a una catastrofe più terribile di quella che si abbatté sugli Oblodriani!” Kaer’lic annuì, poiché il drow le aveva narrato una storia che lei e i compagni già conoscevano in tutti i suoi sanguinosi dettagli. “Stiamo attraversando un momento di confusione”, ripeté. “Le mie paure riguardo ai progetti di Lolth su Drizzt Do’Urden trovano in un certo senso conferma nel fatto che stiamo assistendo a un’insolita manifestazione di potenza da parte degli orchi sciamani.” “Hai paura di Obould”, disse Tos’un, esprimendo più una constatazione che una domanda. “Faremmo bene a essere cauti nei suoi confronti”, replicò Kaer’lic, senza negare. “E non perché sia diventato all’improvviso così forte nel fisico e così acuto. No, dobbiamo tenerlo d’occhio perché sta dimostrando di avere ragione!” “Forse abbiamo avuto torto nel valutare le doti che Gruumsh gli ha elargito. Forse gli sciamani lo hanno dotato di ben altre cose al di là della sola forza muscolare e agilità”, concluse Tos’un. “È possibile che la cerimonia abbia potuto infondergli anche il dono dell’intuito?” “Almeno, dobbiamo dire che ha imparato bene quali sono le sue priorità”, commentò Kaer’lic. “Soffocando la propria rabbia e sete di sangue con la ragione, a un livello ben superiore di quello che mi sarei aspettata da quegli esseri dal grugno porcino. Pensa anche solo alla missione alla quale stiamo partecipando, pensa alla facilità con cui Obould sta manovrando Proffit e i suoi troll. Se Obould è in grado di impadronirsi di queste terre, assicurandosi un flusso ininterrotto di orchi e di goblin dalle montagne e conservando nello stesso tempo un saldo rapporto di alleanza con Proffit, allora c’è ragione di credere che sia anche capace di creare una nazione di orchi su al nord. Sarà quindi possibile che Obould porti la sua gente a un livello di parità con le popolazioni di Silverymoon e di Sundabar, e che costringa questi a firmare trattati, forse anche accordi per scambi commerciali?” “Ma sono degli orchi!” protestò Tos’un.

“Ma, ad un tratto, troppo intelligenti per essere degli orchi”, si rammaricò Kaer’lic. “Sarà bene tenere gli occhi aperti sugli ultimi sviluppi stando attenti a non contraddire Obould, per il momento.” Ancora una volta, Kaer’lic e Tos’un si trovarono punto e a capo: avevano già discusso della faccenda, ma, con grande meraviglia di entrambi, finivano per giungere ogni volta alla stessa inevitabile conclusione. “Vorrei tanto che Ad’non e Donnia non se ne fossero andati”, si lamentò Tos’un. “Sarebbe meglio se fossimo tutti insieme adesso.” “Per filarcela?” “Se fosse il caso”, confermò il guerriero del Casato Barrison Del’Armgo. “Dato che non è chiaro quale sarà la nostra collocazione nel nuovo regno di Obould.” “Una collocazione a distanza, in ogni caso”, rispose Kaer’lic. “Ma non temere, poiché ci prenderemo la nostra parte di divertimento. Anche se i piani di Obould si dovessero realizzare e lui arrivasse a conquistare tutti quei territori che asserisce appartenergli, quanto a lungo credi che possa durare il dominio degli orchi? Quanto durò dopo che Obould ebbe conquistato Citadel Felbarr? Non c’è dubbio che si disgregherebbe presto, con nostro grande piacere, se sapremo essere accorti e prudenti.” La mancanza di fiducia in quelle parole, persino mentre le pronunciava, colpì profondamente la spavalda sacerdotessa. Si sentiva forse a disagio a causa dei suoi timori riguardo ai sommi poteri che si nascondevano dietro al rinnegato Do’Urden? Oppure era stata la cerimonia degli orchi a sconvolgerla a tal punto? Kaer’lic si chiese se la propria incertezza fosse giustificata, e direttamente proporzionale alla crescente certezza che invece nutriva verso le capacità di Obould. “E adesso, come ci divertiamo?” domandò Tos’un in tono sarcastico. “Sì, i troll puzzano orribilmente”, replicò Kaer’lic. “Ma guidiamoli, come ci è stato chiesto, attraverso le gallerie che portano a Mithral Hall. Tu e io ci terremo lontani dalla battaglia: lasciamo

che i troll e i nani si scannino a dovere. Che importanza ha quale delle due parti uscirà vincitrice?” Tos’un rifletté per un po’ su quelle parole, poi fece un cenno di assenso. Quindi, fece correre lo sguardo sulle pareti decorate alla bell’e meglio. “Credi che tornerai a godere dei favori di Lolth?” chiese il drow. “Chi può mai conoscere la volontà di Lolth?” ribatté Kaer’lic, in un tono che lasciava trasparire ben più di una lieve sconfitta. “Il mistero del disertore Do’Urden mi preoccupa alquanto. In questi tempi di confusione estrema, sono la principale rappresentante di Lolth davanti al grande Gruumsh Occhio-solo. Se, a causa della mia intelligenza o follia, ho compromesso questa posizione, ho anche allontanato Lady Lolth dal posto che ben si merita.” “Oppure esiste un rimedio personale?” suggerì Tos’un, le labbra atteggiate a uno scaltro sorriso. “Non sono ancora pronta ad accettare quell’idea e a mettermi sulle tracce di Drizzt Do’Urden”, replicò Kaer’lic. “Se Lolth è arrabbiata con me perché ho intuito le sue intenzioni riguardo a quel furfante, allora avrò bisogno di consigli e della sua benedizione.” Tos’un annuì e si guardò di nuovo intorno. “Tanti auguri per la tua ricerca”, disse. E, mentre si apprestava a lasciarla, aggiunse: “Per il bene di entrambi”. Kaer’lic gradì quell’ultima frase e fu contenta di aver deciso di rendere partecipe il drow delle sue debolezze. Di solito, un elfo scuro non offriva mai dei vantaggi a un altro elfo scuro, per paura di trovarsi con un pugnale conficcato nella schiena. Chissà se Tos’un pensava di aggiudicarsi i favori di Lolth uccidendo Kaer’lic. La sacerdotessa respinse l’idea inquietante ricordando a se stessa che il loro gruppetto era piuttosto insolito. I quattro drow erano soliti fare affidamento l’uno sugli altri più del normale, vuoi per difesa, vuoi per profitto e, sì, anche per compagnia. Come sarebbe stato terribile quel viaggio se non avesse avuto Tos’un al suo fianco. E il drow provava la stessa cosa, ne era certa, così com’era certa che il proprio istinto avesse avuto ragione nel suggerirle di confidarsi con lui. Poiché se si trattava di una questione personale, se Lolth era

arrabbiata con lei per avere evitato di proposito Drizzt Do’Urden, avrebbe davvero avuto bisogno dell’aiuto di Tos’un - oltre che di quello di Ad’non e di Donnia - sempre che la fama di guerriero di quel rinnegato rispondesse a verità. Sì, Kaer’lic la pensava più o meno come Tos’un. Avrebbe preferito che gli altri due non se ne fossero andati. *** “Che succede?” chiese Gerti entrando nella vasta caverna vicino al fiume, occupata da Obould come temporanea dimora. Il re degli orchi sedeva su un sasso, un po’ in disparte, la testa appoggiata a una mano e un’aria preoccupata sulla faccia dai tratti animaleschi, anzi, per la verità, la gigantessa non l’aveva mai visto così inquieto dai giorni della fastidiosa cerimonia. “Notizie dal nord”, replicò Obould. “I Red Slash, gli orchi della Palude Rossa, erano usciti dalla Spina Dorsale del Mondo per unirsi a noi.” Già la semplice scelta delle parole rammentò a Gerti che non si trattava dello stesso re degli orchi che era solito arrivare frignante nella sua grotta. Obould alzò gli occhi su di lei e aggiunse: “Sono stati respinti”. “Respinti?” domandò Gerti, mentre il tono le si faceva sprezzante. “Mi stai dicendo che la tua gente è già tornata al suo tipico comportamento autodistruttivo? Che sta pensando a un modo di contrattaccare prima ancora di avere conseguito la vittoria?” “Sono stati respinti dagli elfi”, replicò Obould con amarezza, fissando la gigantessa con astio: la sfida più palese che Gerti avesse mai visto in un orco. “Gli elfi hanno attraversato il Surbrin?” chiese lei, senza preoccuparsi eccessivamente. “Sono stati respinti da una coppia di elfi.., e da un drow”, chiarì Obould. “Non ti suona familiare tutto questo?”

“Gli orchi Red Slash, una piccola tribù?” “Che importanza ha?” ribatté Obould. “Adesso torneranno nelle loro gallerie e impediranno agli altri di unirsi a noi.” “Ma Arganth sta diffondendo in lungo e in largo la notizia della gloria di Obould”, disse Gerti, “e Obould e Gruumsh sono una cosa sola, non è vero?”. Nel vedere che l’orco aveva ridotto gli occhi a due fessure, Gerti seppe che aveva colto la sfumatura di sarcasmo nella sua voce, e ne provò piacere. Pur guardandosi bene dal contrastarlo apertamente, era più che mai desiderosa di fargli capire che non era per niente impressionata da lui. “Non sottovalutare i benefici che Arganth e i suoi sciamani ci hanno portato”, la ammonì Obould. “A noi, o a Obould?” “A entrambi”, tagliò corto l’orco. “Il loro richiamo arriva in profondità nelle gallerie. E ha condotto fino a noi circa quindicimila orchi e migliaia di goblin. Ma là sotto ce n’è dieci volte tanto di orchi e di goblin, che potrebbero unirsi alle nostre forze. Non possiamo permettere a questi nemici inconsistenti di trasformare la ritirata di pochi in un vantaggio tattico per loro.” Naturalmente, Gerti avrebbe voluto controbattere - soprattutto perché lei metteva sempre in discussione quello che diceva Obould ma si rese conto che il ragionamento non faceva una grinza. “Cosa intendi fare?” si ritrovò a chiedere. “I lavori di fortificazione in questo tratto sono a buon punto, perciò raduneremo il grosso delle truppe e ci dirigeremo subito a ovest e poi a nord”, dichiarò Obould. “Manderemo un po’ di rinforzi a Urlgen per consentirgli di continuare a combattere lungo la cresta settentrionale, fino a che i nani saranno tanto pazzi da resistere. A prescindere dalla quantità delle nostre perdite, saremo senz’altro in grado di sopportarle meglio dei nani.” “Ho previsto di deviare immediatamente verso ovest”, continuò Obould, “e dare un giro di vite in quel posto chiamato Keeper’s Dale, ricacciando i nani a Mithral Hall. Ma prima di tutto mi recherò a nord con Arganth e alcuni altri per esaminare da vicino questo

problema”. Gerti lo osservò sospettosa, senza cercare di nascondere la propria trepidazione. “Spero che mi vorrai lasciare un po’ dei tuoi per accompagnarci durante il viaggio.” Obould ricambiò lo sguardo. “Puoi venire con me oppure no, come desideri. In ogni caso, mi procurerò un paio di teste di elfi e una di drow da appendere al mio carro.” “Ma tu non hai un carro”, osservò la gigantessa. “In tal caso me ne costruirò uno”, replicò Obould senza battere ciglio. Gerti non rispose, ma si limitò a girarsi e a uscire, cosa che bastò, da sola, a confermarle il cambiamento intervenuto nel suo rapporto con Obould. In precedenza, era sempre stato il re degli orchi a farle visita a Shining White, nella sua gelida residenza sui monti, mentre negli ultimi tempi era lei a recarsi con maggiore frequenza nei domini di Obould. Con quel pensiero inquietante che le martellava nella testa mentre usciva alla luce del sole, la gigantessa non poté fare a meno di ricordare le parole di commiato di Obould: “Puoi venire con me oppure no, come desideri”. Gerti ricordò esplicitamente a se stessa che non poteva permettere a Obould di relegarla in un angolo. E a quel punto cominciò a pensare che, se la sicurezza dell’orco fosse sfociata nell’impertinenza, si sarebbe reso necessario eliminarlo. La gigantessa si rendeva conto che la scelta del momento opportuno sarebbe stata decisiva. Doveva lasciare che Obould giocasse le proprie carte, ricacciando i nani nelle gallerie sotterranee e portando a termine l’epurazione dell’intero Clan Battlehammer. Doveva lasciare che le popolazioni del nord lo considerassero come il fulcro stesso della guerra, se era il caso. Se ci fosse stata una sconfitta, Gerti voleva che la responsabilità cadesse tutta su Obould. Se invece ci fossero state solo gloria e conquiste, allora avrebbe dovuto infliggere a Obould la sua sconfitta personale e occupare il posto vacante. La gigantessa avrebbe ricavato un enorme piacere nel distruggere quel brutto orco presuntuoso.

Doveva solo continuare a ripeterselo.

20

DIFFERIRE L’INEVITABILE “È così allora? Ci limitiamo a tagliare la corda?” domandò Nanfoodle a Shoudra. Il piccolo gnomo assunse un atteggiamento di sfida, mettendosi braccia conserte e picchiando a terra con moto impaziente il piede, le cui dita, nascoste alla vista, urtavano ritmicamente contro il bordo dell’abito rosso. “Vorresti tornare indietro dopotutto quello che hai rivelato al castaldo Regis?” disse la Sceptrana, indicando le porte sbarrate di Mithral Hall alle spalle di Nanfoodle. “Se non ti spiace, preferisco riferire di persona al Marchese Elastul, piuttosto che vedere la mia testa che gli viene servita su un vassoio del Clan Battlehammer!” La spavalderia di Nanfoodle si attenuò un poco al ricordo che era stato proprio lui a tradirli, e il piede smise di battere con insistenza. “Era.., era la verità”, balbettò. “E quando sentiranno anche tutto il resto, capiranno che, comunque, non ho mai avuto intenzione di portare a termine quella stupida missione affidataci dal Marchese Elastul.” “Allora, vai e dillo a Regis”, gli suggerì Shoudra. “Sono certa che ti crederà.” Nanfoodle borbottò qualcosa sottovoce e assunse di nuovo un’aria di sfida. “Ovvio che non possiamo tornare là!” disse lo gnomo. “Non ancora. Dobbiamo dimostrare ai nani che siamo sinceri. E perché non dovremmo?

Siamo venuti qui sotto falsi pretesti e con intenti perversi. Perciò mostriamo loro il vero aspetto di Nanfoodle e Shoudra, dimostrando quanto siamo diversi dal Marchese Elastul.” “Ben detto”, osservò Shoudra, la voce ancora piena di sarcasmo. “Dobbiamo andare e distruggere le orde degli orchi? Forse ce la facciamo a tornare nel salone prima che vengano serviti i dolci e le bevande del pomeriggio...” Si fermò vedendo che Nanfoodle spalancava gli occhi e, per un istante, pensò che stesse guardando lei. Ma poi udì i gemiti alle sue spalle e, voltandosi, scorse un terzetto di nani che si stava avvicinando da nord. Al centro stava un nano dalla barba verde, Pikel Bouldershoulder, sorretto a destra da un compagno che gli aveva poggiato la mano sotto l’ascella, e a sinistra dal fratello Ivan, che teneva premuto un panno inzuppato di sangue sul moncone rimasto al posto del braccio. “Oooo”, si lamentava Pikel. Nanfoodle e Shoudra si affrettarono incontro ai tre. “Oooo”, ripeté Pikel. “Hanno beccato mio fratello”, gridò Ivan. “Tranciato il braccio di netto, gli hanno. Con una di quelle pietre taglienti che i giganti ci tiravano addosso. Maledetta iella.” “Adesso si sono sistemati ben bene là, sulla cresta, e quando avranno montato le loro macchine da guerra, ce ne saranno altre di pietre che ci pioveranno addosso”, interloquì l’altro nano che reggeva Pikel. “Questo non è niente rispetto a quello che sta per arrivare.” I tre si affrettarono verso le porte, mentre Shoudra e Nanfoodle, saggiamente, si defilarono. “Non possiamo abbandonarli in questo terribile momento”, insistette Nanfoodle. Shoudra spiava da dietro un masso il grande portale che si apriva e i nani che venivano fatti entrare. Ma si ritrasse prontamente quando vide uscire due guardie che cominciarono a scrutare

tutt’intorno. “Cosa vorresti fare, Nanfoodle l’alchimista”, chiese, appoggiandosi con la schiena al masso e dando davvero l’impressione di avere bisogno di aiuto. “Magari potremmo unirci agli orchi, e tu potresti sabotare le loro armi con i tuoi intrugli.” Stava scherzando, naturalmente, ma Nanfoodle sembrò illuminarsi all’improvviso, mentre fissava Shoudra. Fece schioccare in aria le dita grassottelle. “Potremmo proprio fare così”, dichiarò. Quindi, si incamminò verso nord, avendo cura di mantenersi al riparo del muro diroccato. “Cosa stai farneticando?” domandò Shoudra, standogli dietro senza fatica. “Hanno bisogno di noi lassù. Perciò, adesso li raggiungiamo e vediamo dove possiamo renderci utili”, replicò lo gnomo. Shoudra lo afferrò per il braccio facendolo fermare. “Lassù?” gli fece eco, indicando la cima della cresta settentrionale. “Lassù dove sta infuriando la battaglia?” “Lassù”, rispose l’altro. Shoudra fece una risatina di scherno. “Sai che ho ragione”, ribatté lo gnomo. “Sai che lo dobbiamo al Clan Battleham...” “Lo dobbiamo al Clan Battlehammer?” lo interruppe la Sceptrana. “Certo”, rispose Nanfoodle, usando a sua volta un tono sarcastico. “Allora non dobbiamo loro un bel niente. Neppure per questa causa comune contro mostruose armate nemiche. Neppure se questi nani fossero l’unica cosa che si frappone tra queste orde congiunte di orchi e di giganti e Mirabar! Neppure perché hanno offerto a Torgar Hammerstriker e ai suoi compagni un’amicizia da fratelli. Neppure perché ci hanno accolti nella loro casa accordandoci la loro fiducia, benché non avessero alcuna ragione per farlo. Neppure perché...”

“Basta così, Nanfoodle”, disse Shoudra agitando le mani in segno di resa. “Basta così.” La bella donna dalla figura slanciata trasse un lungo sospiro e rivolse lo sguardo verso l’altopiano e le scale di corda che pendevano giù collegando insieme le varie sporgenze fino a valle. “Lassù”, ripeté, e fu più una conferma che una domanda. “Forse sei capace di fare un incantesimo che ci porti dritti fin là?” domandò lo gnomo speranzoso. Shoudra lo guardò e scosse il capo. Nanfoodle assunse un’espressione scoraggiata, che ben presto fu sostituita da una rinnovata determinazione, mentre si faceva strada portandosi alla base della parete a picco, in prossimità della scala più vicina. Lanciò un’ultima occhiata a Shoudra e cominciò ad arrampicarsi. Ci volle più di un’ora perché i due completassero la salita, dopo essersi fermati a riprendere fiato su qualunque sporgenza disponibile. Tuttavia, quando giunsero finalmente in prossimità della cima, con loro grande stupore, i primi visi che li accolsero non furono quelli dei nani. “Vi ha mandato Regis?” domandò Catti-brie dall’alto. Quindi, protese la mano verso Nanfoodle, mentre Wulfgar si sdraiava bocconi e porgeva il suo possente braccio a Shoudra. “Siamo venuti per conto nostro”, rispose Shoudra, ripulendosi con una mano la veste, dopo aver finito di arrampicarsi. “Ci stiamo preparando a partire - per tornare a Mirabar - ma abbiamo pensato di venire a vedere se vi serve aiuto.” “Ci serve tutto l’aiuto che riusciremo a trovare”, rispose Wulfgar. Si voltò e si fece da parte, indicando ai due la vasta distesa di territori a nord, dove lo smisurato esercito di orchi e goblin si stava raggruppando. “Non hanno fatto che attaccare, con regolarità, giorno dopo giorno.” Nell’abbassare lo sguardo verso il pendio che portava all’altopiano sul quale si trovavano i nani, Shoudra vide che il barbaro aveva detto la verità: il suolo era disseminato di decine di

cadaveri mutilati di orchi e goblin. Lo strato di sangue che ricopriva le rocce in quel punto era così spesso che sembrava che il suolo grigio avesse assunto una colorazione rossastra. “La proporzione è di venti orchi uccisi per un nano”, osservò Catti-brie. “Eppure, continuano ad arrivare.” Shoudra lanciò un’occhiata a Nanfoodle, che annuì risoluto. “Se può servire, vi daremo una mano”, ripeté la Sceptrana rivolgendosi ai due figli adottivi di Re Bruenor. “Potrebbe esserci utile riuscire a trovare un modo per togliere di mezzo quei dannati giganti”, disse la voce di un nano, Banak Brawnanvil, mentre questi si avvicinava a salutare i nuovi venuti. Poi si voltò, indicando la lontana cresta a occidente, un tratto montuoso che correva da nord a sud. “Non ci possono raggiungere con i loro sassi”, spiegò Catti-brie. “Ma sono riusciti a improvvisare una variazione, scagliando pezzi taglienti di...” “Ardesia”, completò la frase Shoudra annuendo. “Ci siamo imbattuti nello sfortunato Bouldershoulder a Keeper’s Dale.” “Povero Pikel”, commentò Catti-brie. “Quei giganti diventeranno ben presto un vero problema”, interloquì Banak. Il nano non si dilungò oltre, ma non era necessario, dato che, mentre Shoudra scrutava la postazione dei giganti a nordovest, vide i grossi tronchi che erano stati trasportati sulla vetta, alcuni dei quali erano già stati montati a formare ampie basi di supporto. Avendo una certa conoscenza di tattiche belliche, Shoudra capì facilmente cosa stessero costruendo quei mostri. “Questi lanci di ardesia sono fastidiosi e snervanti”, spiegò Wulfgar. “Anche se, per la verità e nonostante la sfortuna di Pikel, non riescono molto spesso a raggiungerci. Ma una volta che saranno pronte quelle catapulte, le nostre barricate non riusciranno a proteggerci.”

“E tutto mi fa credere che entro domani ne avranno già due montate e pronte a tirare”, aggiunse Banak. “A quel punto, vi cacceranno Nanfoodle, e nessuno lo contraddisse.

dall’altopiano”,

concluse

“Be’, siamo lieti di avervi qui per tutto il tempo che vorrete restare”, disse Banak con improvviso entusiasmo, cercando di rallegrare un po’ l’atmosfera. Si rivolse a Wulfgar e a Catti-brie. “Voi due portateli un po’ in giro per vedere dove possono esserci di aiuto.” Shoudra e Nanfoodle si resero conto che, nonostante le innumerevoli incursioni nemiche, i nani avevano fatto un ottimo lavoro nel costruire le loro postazioni difensive. I muretti non erano né alti né larghi in spessore, ma erano inclinati in modo tale da proteggere dai lanci dei frammenti di ardesia, permettendo così ai nani di spostarsi da una postazione all’altra rimanendo al riparo. Ma, soprattutto, nell’ultimo tratto del pendio prima di raggiungere la vetta, erano state disposte alcune strozzature strategiche, in modo tale che il vantaggio numerico del nemico venisse ridotto per mancanza di spazio. Shoudra si disse convinta che l’ultimo attacco degli orchi, quello destinato a respingere i nani dall’altopiano, sarebbe costato molte vittime agli aggressori. I nani si stavano anche preparando all’eventualità di una ritirata. Con centinaia e centinaia di guerrieri da evacuare, era chiaro che parecchi avrebbero rischiato di rimanere uccisi durante la discesa sulle scale di corda: colpiti da dardi scagliati dall’alto o addirittura fatti precipitare a valle, qualora le funi fossero state tranciate. Shoudra riconobbe molti nani, ingegneri di Mirabar, tra quelli che si stavano dando da fare per risolvere quel problema. Stavano infatti scavando un tunnel, uno scivolo per la verità, provvisto di un’ampia piattaforma iniziale che sfociava in uno stretto canale costruito in modo che corresse in senso verticale nella parete rocciosa, giù fino a valle. “Ma voi riuscirete a entrare lì dentro?” chiese Shoudra all’imponente Wulfgar. “Hanno anche sistemato delle funi da cui lanciarsi”, spiegò il barbaro.

“Lo scivolo servirà ai nani che lasceranno per ultimi l’altopiano.” “Non è che per caso avete un paio di incantesimi che ci aiutino a rendere più scorrevole il canale?” disse una voce familiare proveniente dal cunicolo. Nanfoodle si abbassò e scorse Shingles McRuff emergere dall’oscurità. “Mi fa piacere vedere che stai bene”, commentò Shoudra quando il nano venne fuori dallo scivolo. “Abbastanza bene, direi”, rispose Shingles. “Ma abbiamo perso molti compagni a causa di quei maledetti orchi nelle gallerie occidentali.” “Gallerie?” “Sotto la cresta”, spiegò Catti-brie. “Torgar. Shingles e gli altri di Mirabar hanno cercato di difenderle, ma il massacro è stato eccessivo.” La giovane lanciò un’occhiata al nano tutto insudiciato. “Una cosa è certa, però: sono morti più orchi che nani”, aggiunse, mentre il volto di Shingles si spianava in un tentativo di sorriso. “Gallerie sotto la cresta?” domandò Nanfoodle. “Una bella rete di cunicoli”, spiegò Shingles. “Non troppo larghi e neppure troppo numerosi, ma si snodano sottoterra da una parte all’altra della montagna.” Nanfoodle assunse all’improvviso un’aria molto interessata mentre alzava lo sguardo verso Shoudra. “E senza un facile sbocco sulla cima”, disse Catti-brie, “se per caso state pensando che dovremmo riconquistarle a colpi di spada per andare a prendere i giganti lassù”. Nanfoodle si limitò ad annuire e cominciò a battersi un dito sul mento. Poi si sporse a guardare Keeper’s Dale, giù in basso. “Cosa sta pensando di fare?” chiese Shingles. “Con lui non si può mai dire”, rispose Shoudra scrollando le spalle. “Ma dimmi, vecchio amico mio, come sta Torgar?”

“Sta bene”, riferì Shingles. Rivolse lo sguardo a nordest, verso un gruppo di nani in formazione compatta a ridosso di un basso muro, pronti a scattare per respingere un eventuale attacco degli orchi. Osservando bene, a Shoudra parve di riconoscere la figura familiare di Mastro Hammerstriker, delle cui imprese a Mirabar si continuava a parlare. “Be’, per quanto lo consenta la situazione”, aggiunse Shingles. “Non è stato molto contento di abbandonare quelle gallerie.” “Troppi orchi”, disse Catti-brie. “E troppi giganti, alcuni anche con poteri malefici. Tu e i nani di Mirabar siete stati bravi a resistere.” “Già, già”, rispose Shingles quasi a voler glissare sul fatto. “Magari avrete l’opportunità di riprendervele”, Nanfoodle, prendendo parte alla discussione.

dichiarò

“Può darsi, anche se non ne vedo la ragione”, replicò Shingles. “Non ne avremo bisogno per liberarci di quei dannati giganti e, in questo momento, sono proprio loro il problema. Non riesco proprio a immaginare come potremo fermarli.” Nanfoodle guardò Shoudra, la quale emise un profondo sospiro e si allontanò di un paio di passi verso nordovest, si protesse gli occhi con una mano e prese a scrutare in direzione dell’altura. “Le soluzioni sono spesso complicate”, disse Nanfoodle con un largo sorriso. “A meno di non seguirle in modo logico, passo dopo passo.” “A cosa state pensando?” chiese Catti-brie. “Sto pensando che mi è stato presentato un problema. Un problema che deve essere risolto quanto prima.” Ancora sorridendo, lo gnomo si volse verso Shoudra, anzi, verso la sua schiena, visto che lei continuava a studiare la cresta in lontananza. “E tu Shoudra, a cosa stai pensando?” chiese. “Sto pensando che so bene cosa riesci a fare col metallo, amico mio”, rispose la Sceptrana. “Sapresti fare la stessa cosa con il legno?” Nanfoodle guardò i visi perplessi di Catti-brie, Wulfgar e Shingles.

Poi offrì loro un altro ampio sorriso. *** La sensazione che Wulfgar provava nel librarsi in aria era strana, quasi quanto l’altro incantesimo che Shoudra gli aveva fatto rendendolo capace di vedere al buio, come un qualunque elfo. Era l’unico a poter volare - gli altri levitavano, semplicemente - perciò fungeva da guida, conducendoli attraverso il terreno accidentato della cresta montuosa. Continuava a voltarsi verso i compagni, sebbene, essendo invisibili, non riuscisse a vedere né loro né le corde che li tenevano uniti. Sapeva che c’erano, giacché avvertiva la resistenza esercitata sulle funi da tutti e quattro: Catti-brie, Torgar, Shoudra e Nanfoodle. Memore degli avvertimenti di Shoudra riguardo agli aspetti imprevedibili del volo magico, Wulfgar atterrò non appena gli parve che il resto del tragitto fino alla postazione dei giganti e delle loro macchine da guerra fosse praticabile a piedi. Appoggiò i piedi ben saldi a terra e si chinò, dato che gli sembrava di avere capito che gli altri stessero ancora librandosi sopra di lui. Li afferrò a uno a uno, non appena sentiva che la corda arrivava alla fine, e benché tutti facessero del loro meglio per restare in silenzio al momento dello strattone, Nanfoodle emise un lieve grugnito, facendo stare tutti col fiato sospeso. I giganti non parvero accorgersene. Al gruppetto ci volle un bel po’ prima di riuscire a districarsi dalle funi e a slegarsi, dato che solo Shoudra e Nanfoodle erano provvisti del dono della vista magica e riuscivano a vedere gli altri. Infine, si nascosero tutti al riparo di una piccola sporgenza rocciosa. “Abbiamo fatto bene a venire”, bisbigliò Shoudra. “Le catapulte dei giganti sono quasi pronte.” “Datemi cinque minuti”, sussurrò Nanfoodle di rimando. “Non è molto”, disse Shoudra. “È molto più di quanto tu non pensi, con tutti questi giganti

intorno”, ribatté Catti-brie a bassa voce. Nanfoodle si avviò, e Shoudra guidò i suoi tre invisibili compagni aggirando i giganti a est, verso una postazione che offrisse loro la possibilità di difendersi. “Ditemi solo quando partire con le frecce”, chiese Catti-brie. “Non appena attaccherete, l’incantesimo che vi rende invisibile svanirà”, le ricordò Shoudra. Per tutta risposta, Catti-brie appoggiò Taulmaril al bordo della sporgenza puntandolo verso il più vicino gruppo di giganti. Solo allora si rese conto di non essere in grado di prendere bene la mira, visto che l’arco era invisibile e non le forniva un punto di riferimento. “Voi due state qui, allora”, confermò Shoudra. “Sentirete presto i primi segnali di battaglia.” La Sceptrana afferrò Torgar per la mano e lo condusse con sé, dirigendosi ancora più a nordest per girare intorno all’accampamento dei giganti. “Mi sentirei un po’ meglio se tu rimanessi al mio fianco”, sussurrò Catti-brie a Wulfgar. “Starò qui, non temere”, la rassicurò questi. Poi tacquero tutti e due, mentre una gigantessa passava proprio nei pressi della loro postazione. Trascorsero parecchi minuti in un silenzio teso, rotto solo dal suono del vento che si infiltrava sibilando tra le numerose crepe della parete rocciosa. Ma quella notte nemmeno il vento era forte, come se il mondo intero fosse stato messo a tacere in attesa di ciò che doveva succedere. E successe. Nell’udire l’improvviso trambusto proveniente da nord, Catti-brie e Wulfgar fecero un balzo per la sorpresa: un grande frastuono, che dava l’impressione che un intero esercito di nani fosse partito all’attacco. I giganti reagirono immediatamente, scattando in piedi e dirigendosi da quella parte. Catti-brie lasciò che il più vicino di quei bestioni - una gigantessa si allontanasse di qualche passo, poi le scagliò contro un dardo fiammeggiante di colore blu, colpendola proprio in mezzo alla

schiena. Questa emise un ululato e fece per girarsi, ma Aegis-fang le si abbatté sulla spalla, mandandola a schiantarsi contro le rocce. “Per la gloria di Moradin!” lo spaventoso ruggito risuonò fino ai loro orecchi, permettendo a Catti-brie di identificarlo come un’esplosione all’ennesima potenza della voce di Torgar. Poi partì una saetta, che lacerò l’oscurità e mandò a gambe all’aria un gruppetto di giganti. Catti-brie spedì un’altra freccia a conficcarsi nel corpo della gigantessa e, non appena Wulfgar ebbe fatto ricomparire tra le mani il suo magico martello da guerra, lo lanciò contro il gigante successivo, che stava per precipitarsi a soccorrere la compagna ferita. Altre invocazioni al dio dei nani echeggiarono da nord, un altro fulmine rischiarò la notte, poi vi fu un’improvvisa tempesta, una violenta grandinata che si abbatté sulle rocce tutt’intorno a Catti-brie e a Wulfgar. La ragazza non smise di tirare frecce, l’una dopo l’altra, benché molti giganti cercassero di aggredirla. Parecchi di essi scivolarono sulle pietre rese viscide dalla grandine. Uno sdrucciolò arrivando proprio davanti ai due guerrieri, ma Aegis-fang lo colpì in pieno petto. Sebbene il malcapitato sembrasse, a prima vista, reggere bene il colpo, finì per vacillare all’indietro trascinato dal suo stesso peso e cadde gambe all’aria. Catti-brie lo colpì al viso con una freccia, mentre cercava di rimettersi a sedere sui sassi lucidi e bagnati. A un tratto, le comparve dinanzi una grossa mano: la gigantessa che aveva abbattuto all’inizio si era arrampicata fin sotto la sporgenza e stava cercando di issarsi con un ruggito. Catti-brie si sentì spingere di lato. La ragazza si rese conto che si trattava di Wulfgar, il quale l’aveva fatta scostare prendendo il suo posto e, mentre la testa della gigantessa emergeva a livello dei loro piedi, il barbaro, con un urlo d’invocazione al suo dio della guerra, calò Aegis-fang con violenza sul bersaglio.

Catti-brie trasalì al rumore dell’impatto, simile al frastuono prodotto da un masso che va a schiantarsi contro un altro masso, e la gigantessa sparì dalla loro vista. Ma altri nemici stavano sopraggiungendo, con la rapidità consentita loro dal terreno scivoloso. Altri ancora ricorsero invece a un diverso stratagemma, raccogliendo sassi e scagliandoli contro gli avversari. Fu la volta di Catti-brie di spingere Wulfgar da parte, mentre si tuffava al riparo della sporgenza e lo afferrava per una ciocca dei suoi capelli biondi costringendolo a rannicchiarsi accanto a lei. Giusto in tempo, dato che, appena il barbaro si fu chinato, un pietrone passò fischiando proprio al di sopra delle loro teste andando a sfracellarsi poco più in là. I due cercarono di rimettersi in posizione di tiro, ma entrambi lanciarono un grido di sorpresa nel veder apparire nell’oscurità una striscia blu che, partendo da terra, si alzava per un’altezza di circa sei piedi. La striscia si allargò e si allungò a formare una porta luminosa attraverso la quale fecero il loro ingresso Shoudra e Torgar. “Correte!” gridò Shoudra, trascinandosi dietro Catti-brie mentre partiva con un balzo in direzione sud. “E Nanfoodle?” urlò Catti-brie. “Correte e basta!” insistette Shoudra. I fuggitivi non sembravano avere altra scelta, dato che i giganti si stavano avvicinando, portandosi fuori dalla zona ghiacciata, e avevano ripreso a bersagliarli di sassi. Si inerpicarono con mani e piedi ruzzolando e aiutandosi a vicenda quando uno cadeva. A un tratto, si trovarono dinanzi un ampio burrone apparentemente senza fondo e Wulfgar afferrò Cattibrie e la lanciò dall’altra parte. Un riluttante Torgar ricevette lo stesso trattamento, seguito da Shoudra. Infine, bersagliato dai sassi che piovevano tutt’intorno, Wulfgar saltò a sua volta. E continuarono a correre, timorosi persino di voltarsi indietro. A poco a poco, il bombardamento si diradò e le urla di oltraggio alle loro spalle si ridussero fino a cessare. Ansimando e sbuffando, i quattro si fermarono a ridosso di una parete rocciosa.

“E Nanfoodle?” si informò di nuovo Catti-brie. “Se siamo fortunati, i giganti non si saranno neanche accorti che è stato là”, spiegò Shoudra. “Ha con sé alcune pozioni che dovrebbero consentirgli di mettersi in salvo con facilità.” “E se non siamo fortunati?” chiese Wulfgar. L’espressione cupa di Shoudra fu più eloquente delle parole. Wulfgar aveva visto un numero sufficiente di giganti quel giorno, soprattutto giganti dei ghiacci, da capire cosa sarebbe successo a Nanfoodle se l’avessero scoperto. “Non so.., se ne abbiamo uccisi.., ma c’è una.., gigantessa in particolare che.., sicuramente avrebbe voluto non averci visti per niente”, commentò Catti-brie, col respiro affannoso. “Sono sicura che i miei fulmini ne hanno colpiti alcuni”, aggiunse Shoudra. “Però non credo che abbiano causato loro seri danni.” “Ma non era questo il nostro obiettivo, giusto?” ricordò Torgar. “Coraggio, andiamocene da qui prima che gli orchi attacchino di nuovo. Non sono riuscito a tirare nemmeno uno schiaffone che si rispetti a quei dannati giganti e intendo rifarmi con un bel po’ di teste di orco!” Ciò detto, si avviò con passo pesante seguito dal resto del gruppo, ciascuno portandosi dietro la sua bella collezione di tagli e ferite riportati durante l’escursione notturna e guardandosi ripetutamente alle spalle nella speranza di scorgere il piccolo gnomo. Avrebbero invece dovuto guardare davanti a sé, dato che, al loro arrivo all’accampamento principale, trovarono Nanfoodle che si riposava appoggiato contro una roccia, con una gigantesca pipa in bocca e un largo sorriso. “Sarà una mattinata interessante”, dichiarò lo gnomo, mentre il sorriso gli arrivava fino alle orecchie. Il giorno seguente, appena dopo l’alba, i giganti cominciarono il loro primo bombardamento, o, perlomeno, cercarono di cominciare.

Tutti i nani rimasero a guardare mentre, a distanza, un paio di enormi catapulte con panieri colmi di sassi vennero messe in posizione di tiro dai giganti, che non la finivano di affannarsi attorno ad esse. Ai piedi del pendio, gli orchi lanciarono ululati apprestandosi ad attaccare, sicuri di avere la meglio sui nani indeboliti dal fuoco di fila degli alleati. I tronchi con cui erano state costruite le imponenti macchine da guerra scricchiolarono.., e si spaccarono. I giganti tentarono di lanciare i sassi, ma le catapulte crollarono miseramente al suolo. Sull’altopiano, tutti gli occhi si rivolsero verso Nanfoodle, il quale estrasse fischiettando dalla borsa che portava alla cintura una fialetta contenente del liquido verdastro e l’agitò davanti a sé. “Si tratta di semplice acido, per la verità”, spiegò. “Be’, ci avete concesso un po’ di respiro”, disse Banak Brawnanvil congratulandosi con i cinque del gruppo e rivolgendo lo sguardo giù per la china, verso gli orchi che, cocciutamente, continuavano ad avanzare. “Da quei dannati giganti, perlomeno.” Dopodiché, il nano corse via sbraitando ordini e richiamando i suoi guerrieri in formazione. “Avranno bisogno di parecchi nuovi tronchi se vorranno ricostruire le loro macchine”, assicurò Nanfoodle. Naturalmente, nessuno fu sorpreso nell’udire alcuni ricognitori riferire che nuovi tronchi venivano trasportati sulla cresta nordoccidentale. “Che branco di ostinati zucconi”, commentò il piccolo gnomo.

21

DUE ELMI La lama della scimitarra catturò il suo sguardo, aiutandolo a dare una forma precisa ai suoi pensieri con il suo scintillio. Drizzt era seduto all’interno della sua piccola grotta, con Mortegelida dinanzi a sé e con accanto l’elmo di Bruenor appoggiato su un bastone. Fuori, la mattina splendeva tersa e chiara, e una brezza vivace spingeva attraverso l’azzurro del cielo piccole masse di nuvole bianche. C’era una specie di vibrazione in quel vento, una sensazione di vitalità che faceva provare a Drizzt Do’Urden vergogna e rabbia al tempo stesso. Visto che si era rifugiato là per nascondersi, per rannicchiarsi nel conforto di quell’oscurità appartata: per arginare i propri sentimenti dietro a un muro in grado di negarli del tutto. Tarathiel e Innovindil avevano assaltato quel muro. L’indulgenza e il perdono dimostrati nei suoi confronti, la bellezza dei loro movimenti quando combattevano, l’energia delle loro azioni, tutto induceva Drizzt a pensare di dover accettare il loro invito, sia per il bene della causa comune contro gli orchi sia per il suo. Sapeva che solo grazie ai due elfi avrebbe potuto cominciare a emergere dall’oscura sofferenza che gli procurava il ricordo di Ellifain. Solo grazie a loro avrebbe potuto porre fine a quei momenti terribili vissuti nel covo del pirata. Ma, così facendo, avrebbe dovuto rinunciare al riparo di quel muro inespugnabile che era il Cacciatore. Lo sguardo di Drizzt si staccò dal filo dalla lama di Mortegelida e andò a posarsi sull’elmo a un corno solo.

Cercò immediatamente di distogliere gli occhi, ma non era importante, dato che non lo stava davvero guardando. Davanti a sé aveva l’immagine della torre che crollava. Non stava assistendo alla fine di Ellifain, ma a quella di Clacker. Stava assistendo alla fine di Zaknafein. Tutto il dolore sepolto nel profondo del suo intimo nel corso degli anni emerse, avvolgendo Drizzt Do’Urden, che se ne stava seduto là, in solitudine, nella piccola grotta. Solo quando le prime lacrime cominciarono a scorrergli sulle guance, si rese conto di quanto poco avesse pianto durante tutto quel tempo. Solo quando quell’umidore risvegliò la sua consapevolezza, comprese l’entità della sofferenza che aveva dentro di sé. L’aveva respinta, giorno dopo giorno, dietro la cortina di rabbia che si frapponeva tra lui e il mondo quando diventava il Cacciatore, quando la disperazione lo sommergeva. E capì di essersi spinto ben oltre in modo più sottile ma non meno distruttivo - giacché aveva nascosto tutto quanto sotto uno strato di speranza, con l’intendimento logico e determinato che i sacrifici fossero accettabili, se sostenuti da validi principi. Morire con onore. Drizzt aveva sempre sperato di morire con onore, combattendo nemici malvagi o correndo in soccorso di un amico. Sarebbe stata una fine dignitosa e anche l’eredità più sincera che avesse mai potuto lasciare. Forse qualcuno era morto in modo più nobile di Zaknafein? Ma questo non alleviava la sofferenza di coloro che ci si lasciava alle spalle. Solo allora, seduto là, dopo avere volontariamente abbattuto quel muro di rabbia e di speranza che si era costruito, Drizzt Do’Urden scoprì di non avere mai davvero pianto per Zaknafein, né per nessun altro. E, sotto il peso di tale rivelazione, si sentì un vigliacco. Ebbe inizio con un movimento impercettibile, un sussulto delle esili spalle. Suonò dapprima come un ansito, quasi un riso represso. Per la prima volta, Drizzt Do’Urden non consentì che finisse a quel punto. Per la prima volta, non lasciò che il Cacciatore erigesse

una barriera di pietra attorno al suo cuore, né lasciò che la giustificazione dei propri principi e intenti mitigasse l’intensità del dolore. Per la prima volta non si ritrasse dal senso di vuoto e di impotenza che lo pervase; non lo accolse a braccia aperte, ma neppure lo sfuggì. Pianse per Zaknafein e per Clacker. Pianse per Ellifain, la perdita più terribile di tutte. Ripercorse la propria vita, ma senza compatirsi, respingendo ostinatamente il rimorso di non aver saputo evitare ai suoi amici il tragico destino che li attendeva sulle montagne, di non aver saputo convincerli a fare subito ritorno a Mithral Hall. Erano andati avanti con gli occhi bene aperti. Tutti quanti, consapevoli dei pericoli che li attendevano, preparati all’inevitabile. Erano state le circostanze e la sfortuna a guidare il cammino di Drizzt verso la torre caduta e l’elmo dell’amico scomparso. Quel cammino l’aveva condotto al giorno più triste della sua vita, alla perdita più terribile mai provata. In un attimo, era rimasto privo di tutto ciò che aveva di più caro: Bruenor, Wulfgar, Catti-brie e Regis. Ma non aveva versato una sola lacrima. Aveva fuggito la sofferenza. Si era costruito intorno il muro del Cacciatore, con la scusa che avrebbe continuato a lottare - sempre di più - per ripagare i suoi nemici con la stessa moneta. C’era sincerità in tutto questo. C’era uno scopo e anche del vigore, non poteva negarlo. Ma Drizzt capì che c’era anche un prezzo da pagare, mano a mano che i pezzi di muro crollavano e le lacrime fluivano. Il prezzo del suo cuore. Poiché, nascondendosi dietro alla rabbia, aveva negato a se stesso il piacere di essere vivo. Questo era il particolare che lo distingueva dagli orchi che aveva ucciso. Questo giustificava la battaglia che aveva intrapreso, la differenza tra il bene e il male, tra il vero e il falso. Ma tutto era diventato sfocato con la morte di Ellifain. Tutto si confondeva dietro la cortina del Cacciatore. Allora, Drizzt pensò ad Artemis Entreri. Il primo giustiziere, il suo.., alter ego? Forse il Cacciatore nascosto dentro di sé era Entreri,

un uomo così colmo di sofferenza e di angoscia da negare persino l’esistenza del proprio cuore? Forse anche lui era destinato a seguire la strada di quel vendicatore? Drizzt lasciò fluire le lacrime. Pianse per tutti quanti, pianse per se stesso, per la terribile perdita che gli aveva svuotato l’anima di ogni gioia. Quando sentiva affiorare la rabbia, la ricacciava indietro. Quando si raffigurava le scimitarre nell’atto di mozzare la testa di un orco, cercava di richiamare l’immagine di Catti-brie che gli sorrideva, o quella di Bruenor che gli faceva un cenno d’intesa, oppure di Wulfgar che cantava lodi a Tempus mentre trotterellavano lungo i sentieri di montagna, oppure ancora di Regis che se ne stava disteso a pescare, con la lenza assicurata all’alluce, sulle rive del Maer Dualdon. Drizzt fece di tutto per richiamare alla mente quei ricordi, anche se gli procuravano dolore. Incurante delle ombre della sera che stavano calando, rimase là, sospeso tra il sonno e i ricordi, per tutta la notte. Quando l’alba si annunciò di nuovo, Drizzt aveva finalmente trovato il coraggio di fare i primi passi sulla strada che l’avrebbe condotto sulle tracce degli elfi, i quali, nel frattempo, avevano lasciato l’accampamento. Il coraggio di accettare l’invito a unirsi a loro per la causa comune. Ripose le scimitarre nel fodero e prese il mantello, poi indugiò guardandosi alle spalle. Con un sorriso dolceamaro sulle labbra, Drizzt tolse l’elmo di Bruenor dal suo supporto. Se lo fece girare tra le mani e lo avvicinò al viso per sentire ancora l’odore di Bruenor. Poi lo cacciò nella bisaccia e uscì. Ma, dopo aver fatto pochi passi all’aperto, si fermò di nuovo e scoppiò quasi a ridere nel notare i propri piedi ricoperti di calli. Un istante dopo, il drow aveva in mano i suoi stivali. Indugiò, chiedendosi se indossarli subito, ma poi decise di legarli insieme e di appenderli alla spalla. Forse si poteva giungere a un equo compromesso in grado di accontentare tutti.

*** Mentre Drizzt si stava rigirando l’elmo di Bruenor tra le mani, qualcun altro, poco distante, era intento a studiare un diverso tipo di copricapo. Si trattava di un elmo, di un biancore osseo che ricordava nella forma un teschio, benché fosse provvisto di due grotteschi occhi oblunghi. Il “mento” dell’elmo arrivava ben al di sotto del mento di Obould, garantendo protezione alla gola. Ma erano le due aperture in corrispondenza degli occhi il particolare più straordinario di quell’oggetto. Esse infatti non erano aperte, bensì ricoperte da una sostanza del tutto trasparente. “Vetro indurito”, spiegò Arganth all’orco dalla statura imponente. “Nessuna lancia sarà in grado di trapassarlo. Nemmeno la grossa balestra di un nano riuscirà a farci passare attraverso una delle sue frecce.” Obould emise un basso grugnito di ammirazione mentre si rigirava l’elmo tra le mani. Lo sollevò adagio e se lo infilò. Gli scendeva fino alle clavicole. Arganth prese una sciarpa, confezionata con un tessuto intrecciato a fili di metallo. “Avvolgila attorno al collo per fermare l’elmo”, spiegò lo sciamano. “Così non ci saranno fessure.” Dietro alla protezione di vetro indurito, gli occhi di Obould si serrarono. “Dubiti forse della mia abilità?” chiese. “Non ci devono essere fessure”, rispose Arganth intrepido. “Obould è la speranza di Gruumsh! Obould è il prescelto.” “E Gruumsh punirà Arganth se Obould fallisce?” domandò il re degli orchi. “Obould non fallirà”, replicò lo sciamano, evitando abilmente la domanda. L’orco lasciò perdere e si soffermò invece a riflettere sull’infinito elenco di doni preziosi che gli sembrava di avere ricevuto.

Ogni volta che stringeva il pugno, avvertiva l’accresciuta forza del braccio; a ogni passo che faceva avanzando sul terreno sconnesso, scopriva di possedere una rinnovata destrezza e padronanza di movimenti. Sotto l’armatura indossava una tunica leggera e dei calzoni magici, a detta degli sciamani, che l’avrebbero protetto dalle fiamme e dal gelo. Gli sciamani lo stavano rendendo invincibile. Gli stavano costruendo attorno una corazza inespugnabile. Ma Obould capiva di non poter permettere che quel pensiero gli entrasse in testa, o avrebbe inevitabilmente abbassato la guardia. “Ti piace?” chiese Arganth, in tono talmente eccitato che quasi squittiva. Ancora grugnendo, Obould si levò il copricapo e prese la sciarpa dallo sciamano. “A Obould piace”, disse. “Allora piace anche a Gruumsh!” dichiarò Arganth. Così dicendo, si allontanò a passo di danza avvicinandosi al gruppo degli altri sciamani, i quali cominciarono a parlottare agitati tra di loro. Senza dubbio, chiedendosi come apportare nuovi miglioramenti al loro re, decise Obould. Il re degli orchi scoppiò in una risata stridula. Fino a quel momento, aveva sempre fatto ricorso alla forza muscolare e alla paura per pretendere la devozione che riteneva gli fosse dovuta. Ma quel crescente fanatismo era qualcosa di totalmente diverso. Poteva forse un re sperare di più? Ma l’orco si rendeva conto, nel gettare uno sguardo alle cupe montagne, che quel fanatismo era accompagnato anche da alcune aspettative. Avevano avanzato a marcia forzata verso nord, viaggiando giorno e notte, a causa di una minaccia che incombeva sui suoi grandiosi progetti. Obould era più che mai deciso a estirpare quella minaccia.

*** Una rapida occhiata verso ovest fece capire a Tarathiel che stava approfittando troppo della propria fortuna, dato che il disco del sole aveva quasi toccato l’orizzonte e che l’accampamento dei due elfi era ancora lontano. Non appena il sole fosse tramontato, avrebbe dovuto far scendere a terra Alba, poiché volare nell’oscurità della notte non era facile neppure per gli elfi, che erano dotati di una vista acuta. Ciononostante, sentiva l’adrenalina scorrergli veloce nelle vene a causa sia dell’eccitazione della caccia - sotto di lui, infatti, una dozzina di orchi stava scappando impaurita lungo il sentiero montuoso - sia della presenza di Drizzt nei dintorni. Dopo aver combattuto insieme nel ricacciare la tribù degli orchi Red Slash verso la Spina Dorsale del Mondo, il drow li aveva di nuovo lasciati e non si era fatto vedere per parecchi giorni. Poi, mentre era fuori a caccia, Tarathiel aveva avvistato Drizzt che si dirigeva verso la caverna usata da lui e da Innovindil come nuovo rifugio. Drizzt gli aveva fatto un cenno di saluto; non si trattava di una certezza, naturalmente, ma Tarathiel aveva notato un paio di dettagli che lo rendevano ottimista. Drizzt si era portato dietro l’elmo dell’amico scomparso l’elfo aveva visto spuntare il corno rimasto dalla bisaccia del drow e, particolare ancora più incoraggiante, Drizzt aveva con sé gli stivali. Chissà che la sua resistenza alle offerte dei due elfi avesse cominciato a cedere! Tarathiel aveva intenzione di tornare da Innovindil, e magari anche da Drizzt, con la notizia di un’altra vittoria, seppure di minore importanza. Prima di fare ritorno, era più che mai deciso a portare a quattro il numero dei nemici uccisi. Ne aveva già ammazzati due e, con tutti quei possibili bersagli che si agitavano sotto di lui, non avrebbe avuto difficoltà a raggiungere il numero che si era prefisso. L’elfo si sistemò più comodamente in sella e alzò l’arco, pronto a colpire, ma gli orchi tagliarono attraverso uno stretto passaggio nella

roccia e scomparvero alla sua vista. Tarathiel fece volteggiare Alba al di sopra del crepaccio e li vide che stavano correndo. Perciò condusse il pegaso più in basso, seguendo l’angusto canale, in attesa di essere a portata di tiro. Una freccia partì dall’arco, ma mancò l’obiettivo, dato che il canale e i fuggitivi avevano deviato all’improvviso verso destra. L’elfo fu costretto a volare ancora in circolo per non portarsi troppo avanti rispetto al gruppo. Di lì a poco, gli orchi ricomparvero e il terzo tiro andò a segno. Di nuovo, Tarathiel dovette far procedere il cavallo in ampi cerchi. Poi lanciò un’occhiata verso ovest, al sole ormai quasi scomparso, e si rese conto di non avere molto tempo. Si abbassò nuovamente. Il canale che costeggiava la montagna passava bruscamente in mezzo a due alte sporgenze rocciose, oltre alle quali c’era uno slargo. Tarathiel si disse che li avrebbe sorpresi mentre uscivano dalla strettoia e avrebbe inseguito quelli che si fossero diretti verso la propria caverna. Con un ampio sorriso sulle labbra, impaziente al pensiero di procacciarsi l’ultima preda, Tarathiel condusse Alba oltre la strettoia. Nel mentre, due lunghi pali si alzarono in diagonale dinanzi a lui per poi raddrizzarsi su entrambi i lati. Fu solo quando Alba vi andò a sbattere, che l’elfo si rese conto che tra i pali era stata tesa una rete. Il pegaso emise un nitrito spaventato nel trovarsi preso in trappola, le ali che si piegavano per l’impatto. Insieme con il suo cavaliere, avanzò ancora per un breve tratto, mentre la rete si chiudeva alle loro spalle imprigionandoli del tutto e trascinandoli al suolo. Tarathiel si divincolò e strisciò sotto Alba non appena ebbe toccato terra, approfittando della protezione della cavalcatura per estrarre la spada e cominciare a tagliare la fitta maglia della rete. Dopo essersi aperto uno stretto varco, l’elfo sgusciò fuori e si guardò attorno, in attesa dell’attacco del nemico. Nel vedere che i pali usati per l’imboscata non erano stati manovrati da orchi, ma da due giganti dei ghiacci, gli mancò il respiro.

Ma i due giganti non si avvicinarono, perciò Tarathiel si voltò e tornò a darsi da fare sulla rete nel disperato tentativo di liberare Alba. Si fermò quando vide brillare delle torce tutt’intorno. Si fermò e capì di essere davvero in trappola. L’elfo si allontanò adagio dal pegaso che lottava per districarsi e cominciò a muoversi in circolo attorno a lui, spada alla mano in posizione di difesa, mentre rivolgeva lo sguardo ai portatori delle torce: un intero schieramento di brutti orchi. Gli avevano teso un tranello, nel quale era caduto. Non aveva alcuna idea di come lui e il cavallo avrebbero potuto tirarsi fuori da quella situazione. Lanciò un’occhiata al pegaso e vide che aveva compiuto dei progressi, anche se non bastavano. L’elfo capì che avrebbe dovuto tagliare ancora un tratto di rete e si girò per accingersi a farlo. Ma si bloccò. Dinanzi a lui, staccatosi dalla fila degli orchi, comparve un essere di statura e forza tali da convincere Tarathiel a non tentare nemmeno una mossa. Protetto da una stupenda armatura in maglia d’acciaio munita di punte e da un bianco elmo a forma di teschio, con aperture allungate in corrispondenza degli occhi e denti scintillanti, l’imponente orco avanzò verso di lui. Tarathiel notò l’elsa intagliata di una grossa spada che spuntava in diagonale da dietro la spalla destra del bruto. “Obould!” presero a cantilenare gli altri orchi. “Obould! Obould! Obould!” Era un nome che Tarathiel, al pari di ogni altro abitante delle Marche d’Argento, sicuramente conosceva, il nome di un re degli orchi che aveva costretto in ginocchio una potente roccaforte di nani. Tarathiel provò l’impulso di girarsi verso Alba per liberarlo. Sapeva di doverlo fare, ma non poteva. Non poteva distogliere gli occhi dalla figura di Re Obould Many-Arrows che dominava tutta la scena. Il robusto orco avanzò verso Tarathiel, sollevando il possente braccio destro ad afferrare l’elsa intagliata della spada. Lentamente,

l’orco sguainò l’arma e la sollevò in posizione orizzontale al di sopra della testa. Sempre avanzando, senza rallentare e senza mutare espressione (per quanto Tarathiel riuscisse a vedere attraverso le ampie fenditure in corrispondenza degli occhi) la determinata creatura abbassò lo spadone. La lama fiammeggiò come se fosse viva. Tarathiel raggiunse con la mano sinistra, rimasta libera, l’impugnatura del proprio coltello da lancio, che teneva assicurato alla cintura dietro la schiena. Capiva che avrebbe dovuto finire l’orco rapidamente, per confondere gli altri e trovare il tempo di liberare Alba. Ricacciò indietro i propri timori e studiò il nemico che si faceva avanti, cercando uno spiraglio attraverso il quale colpirlo, uno qualunque. Solo gli occhi iniettati di sangue sembravano vulnerabili: un lancio non facile, benché necessario. Estrasse il coltello dalla cintura e abbassò con noncuranza il braccio lungo il fianco, nascondendo l’arma nella mano e tenendo premuta la lama contro l’avambraccio. Obould si trovava ad appena quindici piedi di distanza e non dava segno di volersi fermare né di voler parlare. Avanzò di un altro passo. Il braccio di Tarathiel scattò in avanti scagliando il coltello con mossa fulminea. Obould non cercò di scansarsi, ma si irrigidì all’improvviso e fissò l’avversario senza battere ciglio. Tarathiel si diresse subito con un balzo verso Alba, certo che il pugnale avrebbe colpito il bruto. Ma, mentre muoveva il primo passo, notò l’impatto dell’arma. La punta andò a urtare la copertura trasparente in corrispondenza delle aperture oculari e rimbalzò indietro senza neppure averla scalfita. Al riparo dell’orribile elmo, Re Obould si produsse in un largo sogghigno sottolineato da un grugnito impaziente. Tarathiel si fermò, voltandosi per fronteggiare l’inaspettato assalto dell’altro. Si chinò per evitare il colpo sorprendentemente rapido

dello spadone, avvertendo l’attrito esercitato dalla lama nell’aria mentre gli passava fischiando sopra la testa. Poi balzò in avanti cercando di affondare la spada nel ventre di Obould. L’orco non arretrò, certo che l’armatura l’avrebbe protetto, ma afferrò con entrambe le mani il proprio spadone e sferrò un fendente in diagonale. Tarathiel, che si stava accingendo a vibrare un altro colpo alla ricerca di un punto vulnerabile nella corazza, fu costretto a schivare di lato producendosi in una giravolta e lottando con ogni muscolo del corpo per evitare la possente arma dell’orco. Mentre volgeva le spalle al nemico, prima di completare la piroetta, l’elfo si scansò. Aveva avvertito sul collo il fiato pesante dell’avversario, la sua sete di sangue, perciò aveva impresso ai suoi movimenti un repentino cambio di direzione che lo portò ad aggirare l’orco cercando di ficcargli la spada nella schiena. Obould cacciò un grido e fece per voltarsi, lo spadone infuocato che fendeva l’aria con un sibilo feroce. Tarathiel non spostò neppure i piedi mentre si lanciava all’indietro, le braccia tese. Ricadde a terra quasi in orizzontale, il petto e il viso sfiorati dalla micidiale lama nemica. Quindi, con una sorprendente dimostrazione di agilità e di forza muscolare, l’elfo si drizzò in verticale vibrando di nuovo un affondo con la propria spada. Dalla nera armatura dell’orco si levarono scintille, mentre veniva colpita con violenza dall’affilata lama elfica, ma Obould non diede a vedere se fosse stato ferito o meno. Lo spadone tornò ad abbattersi su Tarathiel, il quale arretrò con abilità sottraendosi all’impatto. Obould riprese il controllo della spada e si apprestò a inseguirlo. Ma Tarathiel possedeva un vantaggio, l’agilità, e sapeva che se non avesse fatto mosse false avrebbe potuto evitare l’arma. Doveva prendere tempo, cogliere le varie opportunità mano a mano che gli si fossero presentate e far stancare il pesante orco. Doveva tenersi sulla difensiva, sempre un passo avanti rispetto all’avversario, finché il peso di quella spada massiccia avesse cominciato a mettere a dura

prova le forti braccia di Obould, costringendolo ad abbassarle, così che Tarathiel potesse individuare un punto debole nell’armatura, una qualche fessura attraverso la quale infliggere una ferita mortale al nemico. Tarathiel si rese immediatamente conto di tutto questo, ma un’occhiata lanciata in direzione di Alba, che si stava ancora dibattendo intrappolato nella rete, gli ricordò che il tempo non era un lusso che si potesse permettere. L’orco incalzò con la spada in pugno, respingendo l’elfo, il quale schivò di lato con un’altra giravolta e si chinò aggrappandosi alle poderose gambe dell’aggressore per cercare di sbilanciarlo. Ma fu come afferrare due robusti tronchi di quercia, dato che non solo Obould rimase ben saldo in piedi, ma l’impatto procurò un dolore sordo alle spalle dell’elfo. Tarathiel vinse subito lo stupore e si lasciò rotolare fuori portata dai colpi dell’orco, quindi si rimise in piedi in posizione di difesa, pronto a fronteggiarlo. Con un improvviso ruggito, l’orco sferrò ripetuti attacchi, mentre Tarathiel si sottraeva ai fendenti muovendosi qua e là e schivando, in attesa di scorgere qualche segno di stanchezza nell’avversario. Ma l’orco sembrava invece acquisire sempre più slancio. *** Innovindil osservò preoccupata il sole che stava tramontando, dicendosi che Tarathiel avrebbe già dovuto tornare. Aveva cercato di raggiungerlo, tentando di capire da che parte potesse essersi diretto all’inseguimento di potenziali nemici, per aiutarlo nella sua caccia. Ma non aveva trovato tracce. Il sole stava calando all’orizzonte e il pegaso sarebbe stato costretto a scendere a terra. “Dove sei, amore mio?” sussurrò l’elfa rivolta alla brezza della

sera. Scorgendo una sagoma scura appena a nord di dove si trovava lei, sorrise, in un certo senso rassicurata dal fatto che Drizzt Do’Urden le fosse vicino. Si disse che Tarathiel non poteva essere tanto distante e ricordò le innumerevoli volte in cui il suo audace compagno si era lanciato, in piena notte, all’inseguimento degli orchi. Quale piacere provava Tarathiel nell’uccidere gli orchi! Innovindil fece un sospiro che era una via di mezzo tra l’impotente e l’esasperato, ripromettendosi in cuor suo di rimproverarlo per averla fatta preoccupare così tanto. Continuò ad avanzare salendo il fianco di un’altura, da dove avrebbe potuto godere di una migliore visuale sui territori di nordest. Fu allora che udì la cantilena, come il rumoreggiare di un uragano che si stava avvicinando. “Obould! Obould! Obould!” acclamavano all’unisono voci gracchianti e, sebbene Innovindil non avesse subito capito a chi si riferiva il nome, si rese tuttavia conto della presenza di molti orchi nelle vicinanze, troppi orchi. In circostanze normali, quel fatto non l’avrebbe messa in allerta. In circostanze normali, avrebbe semplicemente pensato che Tarathiel si fosse nascosto da qualche parte nei dintorni, per cercare probabilmente di valutare l’entità delle forze nemiche, o addirittura di scoprire qualche punto debole tra le schiere degli orchi, così che lui e la compagna se ne potessero avvantaggiare. Ma, per qualche ragione. Innovindil ebbe la netta sensazione che qualcosa non andasse per il verso giusto e che Tarathiel non fosse per niente al sicuro. Forse era il tono insistente di quel salmodiare: “Obould! Obould!” che lasciava trasparire un sottofondo di rabbia e di esaltazione al tempo stesso. Forse erano solo le ombre che si dilatavano nella notte buia. In ogni caso, Innovindil si ritrovò ad avanzare, correndo più veloce possibile sul terreno roccioso e sconnesso della salita che conduceva alla cresta, dirigendosi verso quelle voci lontane. Non appena ebbe raggiunto la sommità e si fu apprestata a

scendere dall’altra parte, l’elfa sentì il cuore balzarle in petto. Sotto di lei, nella valle disseminata di massi, ardevano le torce di un gran numero di orchi, tutti disposti in circolo, tutti intenti a cantare. A quel punto Innovindil riconobbe il nome e, prima ancora di rendersi pienamente conto di ciò che implicava, frugò con lo sguardo in mezzo a quella moltitudine scrutando verso il centro del cerchio, mentre il cuore le si fermava. Poiché aveva scorto Tarathiel, intento a schivare con scatti e balzi, sempre in anticipo rispetto all’avversario, i colpi di un’enorme spada fiammeggiante. E là, dietro di lui nell’ombra, vide Alba, che si stava dibattendo intrappolato tra le maglie di una rete. Annaspando per riprendere fiato, Innovindil si lasciò cadere contro la parete rocciosa, affascinata dalla danza dei guerrieri e dallo spettacolo che le si parava dinanzi agli occhi. Il suo amore, il suo compagno, in quel momento si tuffò producendosi in una capriola, per poi vibrare un affondo con la lama che mandava bagliori. Poi si tuffò di nuovo, giusto in tempo per evitare un fendente da parte del nemico. Innovindil osservò il cerchio formato dagli orchi, pensando a un modo per penetrarlo, per poter raggiungere Tarathiel. Si maledisse in silenzio per aver lasciato Tramonto nella grotta e si chiese se non fosse il caso di tornare a prenderlo. Ma Tarathiel sarebbe stato in grado di reggere ancora a lungo? Innovindil imboccò di nuovo il cammino verso sud, poi indugiò e tornò sui suoi passi. Ma si rese conto di non avere scelta, perciò si incamminò decisa in direzione della grotta pregando il dio degli elfi di proteggere Tarathiel. Ma si fermò di nuovo, affascinata dall’intensità di quel combattimento, una sorta di danza. Tarathiel si avvicinò a Obould e lo colpì con violenza, mentre la spada dell’altro si levava sull’elfo costringendolo ad arretrare. Innovindil batté le palpebre, e si rese conto che anche Tarathiel doveva aver socchiuso gli occhi per proteggersi dal bagliore di fiamma che scaturiva dalla lama. L’elfa rimase a fissare con lo sguardo attonito e la bocca spalancata in un grido silenzioso, quando capì che quel lampo aveva

accecato il compagno per un attimo facendogli credere che la spada fosse ancora abbassata. Mentre invece non lo era. Era sollevata in aria e stava per abbattersi su di lui. “Obould! Obould! Obould!” inneggiavano incoraggiando il loro potente e astuto capo.

gli

orchi

Il pesante orco fece un balzo avanti e calò la spada con un fendente obliquo. Anche Tarathiel fece un balzo, ma all’indietro, e Innovindil, nel vedere che non fuggiva, credette per un istante che fosse riuscito a schivare il colpo. Sapeva che non era possibile, ma vide che continuava a stare in piedi davanti al re degli orchi. Come poteva avere evitato l’arma? Non l’aveva evitata, non poteva averla evitata. Incapace di respirare, immobile, Innovindil fissò Tarathiel, anch’egli ritto e immobile, e persino a quella distanza fu in grado di vedergli sul viso un’espressione di stupore. La spada non l’aveva mancato; gli aveva procurato un taglio profondo che partiva da sotto la clavicola e scendeva attraverso il petto, da destra a sinistra, per finire appena sotto il costato sul fianco opposto. Sempre con lo sguardo fisso nel vuoto, l’elfo collassò, piegandosi a sinistra, mentre le gambe gli cedevano. “Obould! Obould! Obould!” urlavano gli orchi. Anche Innovindil urlò. Poi fece un balzo, pronta a precipitarsi giù per il pendio roccioso, la spada sottile in pugno. Ma qualcuno la spinse da parte e, prima che cadesse a terra, prima che potesse emettere anche un solo grido di sorpresa, una mano snella e al tempo stesso vigorosa le tappò la bocca. Lei si divincolò per un attimo, ma invano, poi riconobbe la voce che le sussurrava all’orecchio. Drizzt Do’Urden le stava accanto e la tratteneva saldamente, continuando a dirle che sarebbe andato tutto bene, finché lei non si

rilassò. “Non c’è nulla che possiamo fare”, ripeteva il drow. “Nulla che possiamo fare.” La fece sedere vicino a lui, e insieme guardarono giù nella valle disseminata di massi, dove il re degli orchi, la spada tornata a fiammeggiare, marciava attorno al corpo dilaniato di Tarathiel, mentre altre reti venivano gettate sul povero Alba imprigionandolo a terra, e una moltitudine di orchi e giganti esultava e danzava alla luce tremula delle torce. I due restarono seduti là per molto, molto tempo, a fissare attoniti quello spettacolo e, per quanto Drizzt tenesse Innovindil stretta a sé, la poveretta non la finiva più di sussultare, le spalle squassate dai singhiozzi di disperazione e di dolore. Lei non poteva vederlo, poiché aveva ancora davanti agli occhi l’orribile scena della morte di Tarathiel, ma, di fianco a lei, anche Drizzt stava piangendo.

PARTE 4 QUANDO SCENDE L’OSCURITÀ

Ho visto calare la spada di Obould. Il mio cuore indifeso ha assistito ancora una volta alla perdita di un amico e, ancora una volta, è stato straziato. Tutto si riduce di nuovo a un turbine confuso, punteggiato da trafitture dolorose che vanno a colpire le mie parti più vulnerabili e sensibili, da punture acute e brucianti, che proiettano immagini di amici caduti. So che, per fermarle, potrei innalzarmi intorno il solito muro di rabbia. Per proteggermi gli occhi e il cuore, benché io non creda che il sollievo che ne ricaverei valga la pena. Questo è il mio dilemma. La morte di Tarathiel riguardava essenzialmente Tarathiel. È ovvio, lo so, anche se si tratta di una verità che devo rammentare a me stesso di frequente. Il mondo non è un mio esclusivo terreno di gioco, non è uno spettacolo destinato al mio piacere personale e alla mia sofferenza, non è un pensiero astratto nella mente di Drizzt Do’Urden. La fine di Bruenor è stata più angosciante per lui che non per me. Così come quella di Zaknafein e di tutti gli altri. Tuttavia, oltre a quella loro realtà, esistono i miei sentimenti, la mia percezione dei fatti, il mio tormento e la mia confusione. Credo che si possa vedere il mondo solo attraverso i propri occhi. Ciò non toglie che ci si immedesimi negli altri e si provi simpatia nei loro confronti, che ci si sforzi consapevolmente di adottare il punto di vista di un amico o persino di un nemico: questo è un fattore importante nell’ambito del concetto di verità e giustizia, di un discorso più generale che esula dai propri desideri e necessità personali. Ma, alla fin fine, tutto quanto si ripercuote su ciascuno di noi in modo individuale e qualunque evento sembra essere più importante per noi che non per gli altri, pur trattandosi di qualcosa che ci tocca di riflesso. C’è un innegabile egoismo in questa percezione dei fatti, ma non si sfugge alla verità, anche se non c’è nulla che si possa fare per cambiarla. Quando perdiamo una persona cara, la sua agonia si fa anche nostra. Di certo, un genitore che vede soffrire il figlio prova il suo stesso dolore, forse anche più grande. Perciò, non rifuggendo da quell’egoismo, mi chiedo se la fine di

Tarathiel non fosse un avvertimento o una prova. Ho osato aprire il mio cuore, e mi è stato fatto a pezzi. Devo quindi rifugiarmi di nuovo in quell’altra entità, innalzare attorno al mio cuore un muro per renderlo inespugnabile di fronte a tanta sofferenza? Oppure questa perdita improvvisa e inattesa vuole mettere alla prova il mio spirito per dimostrare che posso accettare la crudeltà del destino e andare avanti, che posso restare radicato nelle mie convinzioni, nei miei principi e nelle mie speranze, nonostante lo strazio suscitato da quelle immagini? Credo che ognuno di noi debba prima o poi affrontare, a vari livelli, un dilemma del genere. Ogni giorno, ogni settimana, nel trovarci di fronte a qualche avversità, abbiamo la possibilità di fare almeno una scelta. Quindi, o procediamo ben saldi sul nostro cammino - quello tracciato in tempi migliori e basato sui nostri principi e sul nostro credo - oppure ci lasciamo spingere verso la strada, in apparenza più facile e comoda, dell’atteggiamento difensivo, sia fisico che emozionale. Le persone, e spesso intere società, a volte reagiscono al dolore e alla paura richiudendosi in se stesse, sacrificando la loro libertà e anteponendo la convenienza ai propri principi. Chissà se questo è ciò che ho continuato a fare fin dalla caduta di Bruenor! Chissà se la creatura nella quale mi sono trasformato rappresenta un espediente per evitare la sofferenza! Mentre mi trovavo a Silverymoon, alcuni anni fa, ebbi occasione di studiare la storia di quella terra, di esaminare i significati delle molte guerre che quella mirabile comunità si era trovata ad affrontare nel corso dei secoli. I periodi in cui Silverymoon, sotto la minaccia del nemico, aveva ignorato i propri illuminati principi - in particolare il fatto che le azioni individuali fossero più importanti di qualunque privilegio derivante dalla razza - non erano stati descritti in modo particolarmente lusinghiero dagli storici. Credo che lo stesso valga per Drizzt Do’Urden, ammesso che qualcuno si sia degnato di esprimere un giudizio sul mio operato. Nella grotta abitata da Innovindil e Tarathiel c’è un piccolo specchio d’acqua, vicino al quale mi trovo adesso in compagnia della povera Innovindil. Quando mi ci vedo riflesso, stranamente, mi

torna alla memoria Artemis Entreri. Quando sono il Cacciatore, il reazionario, il guerriero dal cuore duro e scostante, gli assomiglio di più. Quando mi accanisco sui nemici, non per proteggere me stesso o la comunità, né per distinguere il vero dal falso o il bene dal male, ma esclusivamente per rabbia, sono molto più simile a quella creatura chiusa e insensibile che incontrai tempo fa quando le gallerie di Mithral Hall erano controllate dai duergar. In quei momenti, le mie scimitarre non sono guidate dalla coscienza o stimolate dalla giustizia. No, sono guidate dal dolore e stimolate dalla rabbia. Sto perdendo me stesso. Vedo di fronte a me Innovindil, che piange per la morte del suo amato Tarathiel. Non sta rifuggendo il dispiacere procuratole dalla perdita. Lo accoglie e lo incorpora nel suo essere, per renderlo parte di se stessa e possederlo, di modo che non sia lui a possedere lei. Chissà se avrò la forza di seguire il suo esempio! Spero di sì, poiché adesso mi rendo conto che solo attraverso il dolore potrò raggiungere la salvezza. Drizzt Do’Urden

22

IL RICHIAMO DI TEMPI TERRIBILI “Oh oh”, bisbigliò Nanfoodle a Shoudra. Quando la Sceptrana guardò nella sua direzione, lo gnomo indicò con il mento un gruppo di nani intenti a conversare sul ciglio dell’altopiano. Del gruppo facevano parte Torgar e Shingles, come pure Cattibrie, Wulfgar, Banak e Tred di Citadel Felbarr. Quest’ultimo era appena tornato da Mithral Hall con notizie recenti riguardanti senza dubbio Pikel, e i due visitatori di Mirabar. Quasi contemporaneamente. Banak e gli altri si voltarono a fissare con aria significativa Shoudra e lo gnomo. “È tempo di togliere le tende”, sussurrò a sua volta Shoudra, mentre afferrava la spalla di Nanfoodle. “No”, insistette lo gnomo, svincolandosi. “No, non fuggiremo.” “Sottovaluti...” “Li abbiamo aiutati. I nani ci sono grati”, disse Nanfoodle mentre si dirigeva verso il gruppo. “L’ho pensato fin dal primo momento”, commentò Torgar Hammerstriker, quando Nanfoodle li raggiunse, seguito a breve distanza da una Shoudra circospetta. “Non si riesce mai a capire se quel dannato Marchese dice la verità.” “Ma non siamo scappati, giusto?” replicò Nanfoodle. “Tu, piccoletto, faresti meglio a tenere la bocca chiusa”, lo apostrofò Shingles, in un tono che lasciava trasparire più sincerità, persino amicizia, che minacce. “Ti sei già messo abbastanza nei guai

per il momento. Questa gente ti tratterà bene e ti lascerà presto andare via.” “Se è per questo, avremmo già potuto andarcene, se solo l’avessimo voluto”, ribatté cocciuto Nanfoodle. “Ma non l’abbiamo fatto.” “Perché sei uno sciocco?” osservò Torgar. “Perché pensavamo di poter essere utili”, lo rimbeccò lo gnomo. “Per noi o intromettendosi.

per

gli

orchi?”

disse

Banak

Brawnanvil,

“Siete venuti qui per danneggiare la qualità del nostro metallo, così ci ha detto il castaldo Regis in persona.” “Questo era Nanfoodle.

prima

che

sapessimo

della

guerra”,

spiegò

Cercò di concentrarsi e di calmare il proprio respiro affannoso, imponendosi di confidare nella verità. “E questo giustifica forse le vostre intenzioni?” domandò Banak. “Siamo venuti qui con l’ordine di fare esattamente quello che avete appena detto”, ammise Shoudra Stargleam. Si era fatta avanti fermandosi accanto a Nanfoodle ed era riuscita a distogliere un attimo il proprio sguardo da quello imperioso di Banak per lanciare un’occhiata amichevole al suo piccolo compagno. “La vostra partenza ha provocato grande angoscia e timore a Mirabar”, continuò rivolgendosi direttamente a Torgar. “E ha indebolito parecchio la nostra città.” “Non è un problema che mi riguardi”, rispose l’ostinato nano. “No, non ti riguarda infatti”, convenne Shoudra. “È dovere del Marchese proteggere la sua gente.” “La proteggerebbe meglio se sapesse distinguere tra gli amici e i nemici”, ribatté Torgar, puntando un dito paffuto verso Shoudra. La Sceptrana sollevò le mani dinanzi a sé per calmarlo. “Non è il momento di discutere”, disse. “Un momento vale l’altro, mi pare”, disse Torgar.

“Non siamo venuti qui per sabotare...” cominciò a dire la Sceptrana. “Il piccoletto lo ha confessato”, intervenne Tred, che aveva portato la notizia sull’altopiano. “.., ma per indagare”, proseguì Shoudra. “Dovevamo stabilire se esisteva un reale pericolo per Mirabar, sicuramente questo lo capite. Magari i nani che ci avevano lasciato nutrivano del risentimento nei nostri confronti e pensavano di tornare accompagnati da una schiera di Battlehammer.” “Non dire stupidaggini”, dichiarò Torgar. Shoudra fece per ribattere, poi sospirò e annuì. “Vi sto spiegando il punto di vista del Marchese Elastul, che è responsabile della sicurezza della città”, precisò lei. “Proprio come dicevo io”, giunse la secca risposta di Torgar. “Se Nanfoodle e io fossimo riusciti a sventare immediate minacce ai danni di Mirabar - ammesso che ce ne fossero - non saremmo mai ricorsi alla formula. D’altra parte, si tratta della stessa formula utilizzata per distruggere le catapulte dei giganti. O avete già scordato il nostro aiuto in quella faccenda?” “Certo che no”, esclamò Banak. “Il che rende quest’ultima notizia ancora più dolorosa. Stiamo combattendo una guerra qui, perciò bisogna chiarire se voi siete venuti come amici o come nemici. Non ci sono vie di mezzo quando scorre del sangue.” “Siamo qui come amici”, disse Nanfoodle senza esitazioni. “Avremmo potuto tornarcene a casa, ma non l’abbiamo fatto. Eravamo già a Keeper’s Dale e avremmo potuto essere già lontani, a ovest, prima che queste voci trapelassero da Mithral Hall. Sono stato contrario alla missione che ci era stata affidata fin da quando abbiamo lasciato Mirabar, e ho accettato solo perché speravo di mutarne il corso. E lo stesso si può dire di Shoudra Stargleam, che è sempre stata amica di Torgar Hammerstriker e di Shingles McRuff.” Banak, Tred, Catti-brie e Wulfgar si voltarono verso i due nani di Mirabar, i quali confermarono quanto aveva dichiarato Nanfoodle. “Allora, cosa devo fare, mio piccolo amico?” domandò Banak.

“Lasciarvi liberi di tornare a Mirabar?” Nanfoodle lanciò un’occhiata a Shoudra poi, sorridendo, si rivolse al nano. “No”, insistette. “Portatemi da Regis affinché io possa perorare la mia causa. In catene, se necessario.” Così dicendo, tese le mani a Banak, il quale si affrettò a scostarle. “Ci avete aiutato. Ci avete regalato del tempo”, rispose Banak. “Se volete andarvene, questo è il momento giusto. Faremo finta di guardare dall’altra parte finché non sarete lontani.” Prima di guardare il nano, Nanfoodle gettò di nuovo un’occhiata verso Shoudra. “Se ritenessimo di non esservi più utili, accetteremmo la vostra offerta, mio buon nano.” Nanfoodle lasciò correre lo sguardo verso l’altura, dove nuovi tronchi si stavano ammucchiando, e disse: “Dovete prendere dei provvedimenti contro quei giganti e io credo di potervi aiutare. Quindi, non me ne andrò via adesso e sono disposto a venire giudicato dal castaldo Regis”. “Sembra che il nostro piccolo ospite abbia un piano”, commentò Catti-brie. Il sorriso di Nanfoodle si fece ancora più accentuato. *** Regis sedette nella sua comoda poltrona, il mento appoggiato a una mano, ed esaminò le numerose mappe e i diagrammi che Nanfoodle aveva sparso sul pavimento. “Non capisco”, confessò, rivolgendosi a Shoudra. La Sceptrana, che pareva ugualmente perplessa, si limitò a stringersi nelle spalle. “È sempre così teorico?” domandò l’halfling. “Sempre”, confermò Shoudra. Nella poltrona accanto a Regis, Ivan Bouldershoulder era

ugualmente impegnato a studiare una serie di altri diagrammi che Nanfoodle gli aveva fornito, e non si accorse subito che gli altri tre lo stavano guardando. “È abbastanza facile”, disse indirizzandosi agli altri, in particolare a Regis. “La scatola, almeno. Un aggeggio relativamente semplice.” “I tubi di metallo aperti alle estremità non saranno maggiormente complicati”, commentò Nanfoodle. “Siamo d’accordo, eccetto per la quantità”, dichiarò Ivan, rivolto a Regis. “Tutte le fucine dovranno lavorare giorno e notte per avere tutto il materiale pronto in tempo.” Regis scosse il capo, con aria più perplessa che negativa. “Se ho ragione...” cominciò Nanfoodle. “Non sapete neppure se quelle gallerie sono aperte”, ribatté Regis. “E anche se lo fossero, non sapete cosa ci troverete dentro.” “Allora lasciate almeno che vada a dare un’occhiata”, replicò lo gnomo. “Non posso affidare l’incarico dei lavori ai miei fabbri finché non siamo certi”, spiegò il castaldo. Nonostante il rifiuto, o forse proprio a causa di questo, il sorriso di Nanfoodle gli si allargò fino alle orecchie. “Va bene, andate”, disse Regis in tono più morbido. Guardò a terra verso l’ammasso di mappe e diagrammi e scosse il capo con aria incredula e scettica. “Sembra un’impresa folle, ma non abbiamo alternative.” Nanfoodle si inchinò ripetutamente, come se non stesse in sé dalla gioia, cosa che del resto gli accadeva sempre quando si vedeva offrire l’opportunità di mettere in atto uno dei suo strampalati progetti. Riuscì infine a ricomporsi e a voltarsi verso Ivan, la cui fama di abile artigiano era ben nota a Mithral Hall. “Fabbricherete la scatola, dunque?” chiese. “Ho tutto quello che mi serve”, rispose il nano. “Tranne questo miscuglio di acqua che scoppia.”

“Quando sarà il momento, lasciate fare a me”, lo rassicurò Nanfoodle. La contentezza sul viso dello gnomo si attenuò un poco quando questi aggiunse: “Dove posso trovare vostro fratello?”. “Seduto al buio”, rispose Ivan. “E spero che siate tanto fortunato da riuscire a convincerlo a seguirvi nelle gallerie. In questi ultimi giorni non è proprio dell’umore adatto a fare niente.” “Vedremo”, disse Nanfoodle. “Col vostro permesso, tornerei da Mastro Brawnanvil”, interloquì Shoudra. “Mi sembra di essere uno sciocco imprudente a concedervi la mia fiducia dopo quello che mi avete confessato”, le disse Regis. “Dovrei mettervi in catene tutti e due e chiedere al Marchese Elastul un grosso riscatto per restituirvi a lui sani e salvi.” Shoudra gli sorrise e disse: “Ma non lo farete”. “Andate da Banak”, concluse Regis con un cenno della mano minuta. Shoudra si apprestò a uscire, ma si fermò e si voltò, mentre il castaldo aggiungeva: “E grazie”. Nel lasciare la stanza, la Sceptrana si ripromise che, una volta tornata a Mirabar, si sarebbe premurata di opporsi a qualunque iniziativa del Marchese Elastul destinata a osteggiare i loro vicini e alleati. *** Nell’avvicinarsi alla porta, Nanfoodle udì un debole “Oooo” ed ebbe un moto di compassione per il povero nano. Lo gnomo fece per bussare, ma si trattenne e appoggiò la mano sul pomello a forma di drago facendolo girare adagio. La porta, perfettamente oliata, non produsse alcun rumore mentre si apriva. Pikel sedeva al centro della stanza, il capo chino, la mano superstite che tracciava distrattamente dei segni sul pavimento di pietra. Il nano dalla barba verde pareva così assente e

soprappensiero che non sollevò nemmeno lo sguardo mentre Nanfoodle gli si avvicinava e si fermava al suo fianco. Di tanto in tanto il nano emetteva un lamentevole “Oooo”. “Fa ancora male?” chiese piano Nanfoodle. Pikel alzò gli occhi verso di lui. “Oi oi”, rispose agitando il moncone verso lo gnomo. “Perciò siete triste”, disse Nanfoodle, e Pikel lo guardò come se la cosa fosse abbastanza ovvia. “Pensate di non avere più nulla da offrire al Clan Battlehammer?” “Eh?” replicò il nano dalla barba verde. Sollevò l’altra mano e agitò le dita. “Siete ancora capace di fare i vostri incantesimi, dunque?” “Eh!” disse Pikel. “Cosa fate, lì sul pavimento?” chiese lo gnomo. Si protese in avanti, chinandosi al di sopra della spalla del nano, e vide che questi non stava semplicemente tracciando dei ghirigori sulla pietra, ma stava facendo girare con un movimento vorticoso della mano la pietra stessa. Il volto di Nanfoodle si illuminò in un sorriso, poiché quella era proprio una delle particolarità per cui aveva deciso di rivolgersi a Pikel Bouldershoulder. Lo gnomo si pose davanti al nano e si accovacciò, in modo da guardarlo negli occhi. “Vostro fratello sta lavorando per me”, disse. “Eh?” “Mi serve un artigiano, un ingegnere”, spiegò Nanfoodle. “Mi è stato detto che Ivan è uno dei migliori.” “Eh! Hi hi, mio fratello.” “E Regis aveva tutto l’interesse a chiedere a vostro fratello di aiutarmi, dato che si rende conto che il mio progetto potrà mutare le sorti della battaglia che sta infuriando sull’altopiano.” Fece una pausa e scrutò il nano per accertarsi di avere la sua attenzione. “Volete aiutare i vostri compagni, vero?”

Pikel esibì un’espressione perplessa. “Eh! Eh!” “Sapete, per attuare il mio piano, mi servono molte cose”, cercò di spiegare Nanfoodle. “Dovranno essere realizzati dei lavori importanti, ma molti di essi esulano un po’ da ciò che di solito i nani sono capaci di fare. Oh, il castaldo Regis mi ha raccomandato alcuni nomi che mi potranno aiutare nell’una o nell’altra incombenza, ma c’era un solo nome che, a parer suo, sarebbe stato in grado di assistermi in tutto e per tutto.” “Pikel?” azzardò il nano, indicando se stesso con un dito ricoperto di polvere fangosa che si stava rapidamente trasformando in pietra. “Pikel”, confermò Nanfoodle. Fece un cenno verso i ghirigori sul pavimento. “Per questo, e anche perché ho bisogno che mi aiutiate con gli animali. Vi assicuro che non sarà fatto loro del male. Perlomeno, non succederà se saremo rapidi e accorti.” “Hi hi hi.” A Nanfoodle si allargò il cuore nel vedere che era riuscito a riportare un sorriso sul volto del povero nano depresso. Pikel sembrava una creatura dall’animo così gentile; il solo pensiero che potesse soffrire di una tale grave menomazione causò a Nanfoodle una grande angoscia. Ma lo gnomo si rese anche conto che la sofferenza di Pikel era più di carattere emozionale che fisico e che, in quel caso, la riconquista della fiducia in se stesso sarebbe stata un fattore determinante nel farlo sentire meglio. “Andiamo”, disse allegramente, tendendogli la mano per aiutarlo ad alzarsi. “Abbiamo molto da fare.” *** “Mi stai tirando la barba”, si lamentò Wocco Brawnanvil, fratello di Brusco e cugino orgoglioso dell’eroico condottiero di Mithral Hall. “Non è vero, e se lo fosse saresti già caduto in ginocchio, non credere”, ribatté Ivan Bouldershoulder.

“Quel piccolo gnomo è una bella seccatura”, commentò Wocco. “Non è che per caso sta costruendo quei dannati archibugi, vero? Ho sentito dire che quegli affari, più che colpire i nemici, scoppiano in faccia a chi li usa.” “No, non si tratta di quello”, lo rassicurò Ivan. Wocco e tutti i fabbri attorno a lui tirarono un respiro di sollievo. Ivan era convinto che, in quel caso, la discrezione fosse necessaria. Se quei nani, tutti minatori, avessero capito le intenzioni di Nanfoodle, non sarebbero stati per niente contenti. “Quindi, volete solo dei tubi di metallo?” domandò un altro nano. “Ma tutti i tubi dovranno avere lo stesso diametro”, replicò Ivan. “E lunghi quanto?” “Il più possibile.” I fabbri si guardarono l’un l’altro. “E Regis vuole che noi facciamo questo?” chiese uno. “Abbiamo il suo sigillo di approvazione, giusto?” disse Ivan, indicando la pergamena che aveva portato, completa di diagrammi, di istruzioni e della firma del castaldo di Mithral Hall. “Tutte le fucine?” chiese un altro ancora. “Con i continui attacchi, lassù, abbiamo un mucchio di armi da riparare”, spiegò Wocco. “Siamo già in arretrato, visto che abbiamo appena finito di preparare l’equipaggiamento della squadra mandata da Regis nelle gallerie meridionali.” “Questo lavoro deve avere la precedenza assoluta”, disse Ivan. “Be’, se riuscite subito a preparare uno stampo adatto, potrete sfornarne una dozzina alla volta!” Il fabbro si guardò di nuovo intorno, ma vide che almeno un paio dei suoi compagni annuivano. “Quanti ve ne servono?” domandò Wocco. “Voi cominciate a farli”, rispose Ivan. Quindi sorrise, tirò fuori un’altra pergamena e l’aprì per mostrarla

agli altri. Conteneva un diagramma, ben più complicato di quello con le istruzioni per fabbricare i tubi in metallo. “E avrò a che fare nientemeno che con dell’olio da impatto”, aggiunse Ivan ridacchiando. “Bum?” fece Wocco. “Spero proprio di non inciampare nel mio martello”, rispose Ivan con una risata, alla quale si unirono anche gli altri. “Bum!” ripeterono tutti insieme. Wocco alzò la pergamena a mo’ di saluto, poi fece cenno ai compagni di seguirlo verso le fucine. Ivan, il cui compito sarebbe stato molto più delicato, si girò e si incamminò nella direzione opposta, verso la piccola stanza da lavoro che Regis gli aveva fatto allestire vicino al salone delle udienze. Si soffermò un attimo a scrutare i passaggi della Città Sotterranea che conducevano a nordovest, alle porte che bloccavano le gallerie in disuso, e il sorriso gli svanì dalle labbra. Pikel si trovava laggiù con Nanfoodle. Ivan sperava solo che il fratello stesse bene e che ritrovasse lo spirito di sempre e la voglia di ridere. *** Pikel sollevò in aria il suo moncone e l’uccellino che vi era posato sopra si agitò nervoso. Il nano druido si accostò al viso la creaturina e le mormorò parole rassicuranti, poi abbassò il braccio e si avviò giù per un passaggio laterale illuminato da una soffusa luce rossastra. “Siete sicuro?” chiese Nanfoodle al nano. “Non ho portato armi con me e non sono neanche certo che i miei incantesimi più potenti abbiano una qualche efficacia contro quegli esseri.” Per tutta risposta, Pikel si voltò verso Nanfoodle e corrugò la fronte strizzando gli occhi per ricordare allo gnomo l’importanza di non ricorrere al fuoco in un ambiente così potenzialmente

pericoloso. “Sì, ma...” fece per protestare Nanfoodle. Pikel rispose solo con un “Hi hi hi”, e proseguì. Nanfoodle si girò verso i cinque nani guerrieri che erano stati loro assegnati come scorta e si limitò a scrollare le spalle, mentre questi gli rispondevano con un movimento analogo, più con aria divertita che spaventata. “Sono solo insetti, piccoletto”, commentò uno del gruppo. “Grossi, ma comunque insetti.” Per rassicurare lo gnomo, i cinque mostrarono le loro armi, incluse due lunghe spade magiche, munite di luce propria. Ma quelle armi non sarebbero servite, dato che Pikel non faticò molto a convincere i potenziali nemici che non era necessario lottare e, ben presto, tutti e sette si trovarono a cavalcare grossi coleotteri muniti di ghiandole che emettevano un’intensa luce rossa. Pirofori, venivano chiamati, spesso cacciati da avventurieri del Buio Profondo a causa di quelle ghiandole in grado di conservare la loro luminosità per parecchi giorni, anche dopo la morte dell’insetto. Ovviamente, il metodo utilizzato da Pikel era ancora più pratico, visto che i coleotteri vivi non avrebbero mai smesso di fornire luce. Mentre percorrevano le gallerie, il nano dalla barba verde non smise un attimo di comunicare con i suoi nuovi “amici” con una serie di clic e pop e persino (a detta dell’interessato) di racimolare alcune utili informazioni da quegli insetti giganti. Non si riuscì ad appurare se quanto asseriva fosse vero o falso, sta di fatto che il nano condusse il gruppetto in un cunicolo molto insolito, tutto in discesa verso nord e la cui aria era permeata da un odore particolarmente sgradevole. Sulle pareti scure si vedevano striature colorate, benché risultasse difficile capire quale fosse esattamente il colore in quella luminescenza rossastra. “Giallo”, dichiarò Nanfoodle, dato che lo gnomo conosceva bene la puzza dello zolfo. “State attento al vostro piccolo amico, Pikel, se non volete che muoia.” Pikel emise uno squittio di protesta e avvicinò l’uccellino

coraggioso al volto. Quasi immediatamente, la creaturina cominciò ad agitarsi, mentre Pikel le sussurrava qualcosa all’orecchio e la lasciava volare più in alto, verso un’aria meno inquinata. Accanto a lui, Nanfoodle comprese il motivo di tanta agitazione e accelerò l’andatura attraverso quel fetore. Il cunicolo sbucava in un’alta caverna dalle ampie pareti, il cui pavimento era disseminato di stalagmiti che si restringevano mano a mano che salivano andando a congiungersi con le grosse stalattiti della volta. Tutt’intorno aleggiava una nebbia che obbligò anche i nani più robusti a coprirsi naso e bocca con i panni che Pikel aveva fornito loro in precedenza. “Mi sa che la mia colazione non resterà a lungo nello stomaco”, esclamò uno di essi, mentre tutti gli altri annuivano. Ma Nanfoodle era semplicemente troppo eccitato per badare a quello. Fece avanzare ancora un po’ il suo coleottero, poi smontò e si diresse verso il bordo di una pozza d’acqua sotterranea. Il sorriso gli ricomparve sulle labbra quando, dopo essere riuscito a scrutare attraverso la densa foschia, ne scoprì l’origine proprio nell’acqua, che si intorbidiva e gorgogliava, sicuro indizio della presenza di gas. “Se accendiamo una torcia, saltiamo tutti per aria”, annunciò serio lo gnomo. “Allora spero che la colazione non fosse troppo piccante”, ridacchiò uno dei nani, indicandone un altro che si era inginocchiato a terra, scosso da conati di vomito. Quelli che riuscivano ancora a reggersi sulle gambe si avvicinarono a Nanfoodle per vedere la pozza con i propri occhi. “Il gas che ci serve è invisibile e inodore”, spiegò lo gnomo. “Allora non è questo”, disse un nano. “No, no”, proseguì Nanfoodle. “A causa della pressione là sotto, si mischia con altri gas. Ma vedete come esce?” chiese, indicando le bolle. “Sì, sì, è tutto a posto.”

“Non ho la più pallida idea di ciò che state dicendo, mio buono gnomo”, dichiarò un nano. “Ma l’avete trovato, giusto? Possiamo andarcene, adesso?” “Tra non molto”, rispose Nanfoodle. “Dobbiamo vedere qual è la composizione della roccia. Quando torneremo qui dovremo essere preparati, dato che quello che ci attende non è un compito facile.” Si volse verso Pikel, che si stava già concentrando, gli occhi chiusi e le braccia in movimento. Quando ebbe finito, il nano ridacchiò e si chinò, quindi si fuse semplicemente con la roccia, scomparendo alla vista degli altri. “A quello lì deve mancare qualche rotella”, bofonchiò un nano dall’aria sconvolta. “Chiudi la bocca e rimonta in sella al tuo coleottero”, lo zittì un altro in tono sarcastico. “Accidenti...” esclamò un terzo scuotendo la testa. Nanfoodle si limitò a sorridere. Di lì a poco, la sagoma di Pikel emerse dalla roccia, stagliandovisi contro come un bassorilievo. Poi uscì del tutto con un salto e prese a ripulirsi. “Fiuu!” disse. “Quant’è spesso?” domandò un eccitato Nanfoodle. Pikel si batté tre volte sulla testa. “Quindici piedi”, mormorò Nanfoodle. “Come fa a saperlo?” chiese un nano a un compagno. “Tre volte la statura di Pikel”, ipotizzò l’altro. “Mi fate paura, mio buono gnomo”, osservò un terzo. “Possiamo attraversare un tale spessore?” chiese Nanfoodle rivolto a Pikel e ignorando gli altri. “Hi hi hi”, rispose il nano dalla barba verde.

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RIFLESSIONI DI ELFI, PAURE DI GIGANTI Drizzt era seduto su un alto masso sul promontorio orientale, a osservare il cielo che si faceva più chiaro dinanzi a lui, mentre il blu profondo che precedeva l’alba assumeva delicate sfumature rosa e violette. Nell’udire il lieve suono dei passi di Innovindil alle sue spalle, fu contento, dato che quella era la prima volta che usciva dalla grotta dopo la morte di Tarathiel, due giorni addietro. L’elfa si avvicinò e si appoggiò al masso. “Sarà un’alba splendida”, disse. “Lo sono tutte”, replicò Drizzt. “Persino quando l’orizzonte è nascosto da uno spesso strato di nuvole, la luce del sole è una vista che gratifica i miei deboli occhi di abitante del Buio Profondo.” “Anche dopo tutti questi anni?” Drizzt osservò Innovindil, l’intensità di quei lineamenti da elfo che sembravano meno spigolosi nella luce soffusa - e la profondità di quegli occhi blu. E pensò che l’alba si addicesse alla sua bellezza. Dolcezza e calma. Il contrario della spietata guerriera che aveva visto in battaglia. Solo allora Drizzt cominciò davvero ad apprezzare la complessità della compagna. “Quanti anni hai?” chiese, l’opportunità della domanda.

prima

ancora

di

considerare

“Adesso sono alla fine del mio terzo secolo di vita”, rispose lei. “Tarathiel aveva parecchie decine d’anni più di me.” “Particolare del tutto irrilevante per noi elfi.”

Mentre parlava, Drizzt chiuse gli occhi, riflettendo su ciò che aveva appena detto. Si domandò cosa avesse in serbo per lui quel secondo secolo di vita. Chissà se ogni ciclo di esistenza nell’ambito delle razze con una durata di vita inferiore era una ripetizione del precedente! O forse una semplice continuazione! Lanciò un’occhiata al sole che stava sorgendo e si disse che forse non era così, anzi lo sperò, e che forse ogni “esistenza” corrispondente alla durata della vita di un umano, o persino di un nano, era costituita da strati su strati di conoscenze acquisite. Guardò Innovindil augurandosi di trovare una risposta nel profondo dei suoi occhi, ma vide solo il riflesso di un sorriso e un’espressione quasi di condiscendenza. “Tu non comprendi cosa significhi essere elfo, vero?” gli chiese. Drizzt la fissò. Capiva cosa voleva dire ed era certo che le sue parole contenessero ben più di una piccola verità. “Hai lasciato il Buio Profondo quando eri poco più di un bambino”, proseguì Innovindil. “Non ero poi così piccolo.” “Ma non sei mai stato educato secondo i valori degli elfi”, disse Innovindil. Drizzt si strinse nelle spalle e fu costretto ad assentire, dato che durante gli anni trascorsi a Menzoberranzan gli avevano solo insegnato a combattere e a uccidere. “E una volta giunto quassù”, continuò lei, “sei stato quasi sempre in compagnia di razze dalla vita breve”. “Bruenor conta la sua età in secoli, proprio come te”, le rammentò Drizzt. “I nani non hanno le stesse prospettive degli elfi.” “Ne parli come se fosse una cosa tangibile.” A quel punto Drizzt rimase in silenzio, imitato da Innovindil, a osservare il cielo a oriente, che si era illuminato di una vivida luce rosa e violetta. L’alba si presentò in tutta la sua magnificenza, poiché beneficiava della giusta quantità di nuvole, tutte disposte in modo da catturare i raggi del sole e da scomporli in una miriade di

sfumature e arabeschi. “La bellezza di quest’alba è una cosa tangibile?” domandò Innovindil. Drizzt sorrise e si arrese con un sospiro. “Devi cercare di capire cosa significhi o cosa significherà vivere parecchi secoli, Drizzt Do’Urden”, disse Innovindil. “Per il tuo bene, sempre che tu sia fortunato a sufficienza da scampare ai tuoi nemici. Ti sei scelto amici che appartengono alle razze minori, e devi comprendere le implicazioni di tali scelte.” “Minori...” fece per chiedere Drizzt, ma Innovindil lo bloccò spiegando: “Razze con una durata di vita minore”. Drizzt fu di nuovo sul punto di replicare, ma tacque, lasciando vagare lo sguardo verso oriente. Si concentrò sulla bellezza dello spettacolo che gli si parava dinanzi cercando di non mostrare la sofferenza che lo attanagliava. “Che succede?” lo sollecitò Innovindil. Il drow rimase in silenzio. Sentì la mano di Innovindil sfiorargli la spalla con delicatezza e non poté negare che quel morbido tocco lo stesse distogliendo dalla barriera di rabbia che si stava costruendo intorno al cuore. “Drizzt?” chiese lei piano. “Buoni amici”, rispose lui con voce tremante. Innovindil gli tenne la mano sulla spalla finché, infine, lui non si voltò a guardarla. “Più che semplici amici?” insistette lei. Le labbra di Drizzt si strinsero. “La figlia di Bruenor”, concluse Innovindil. “Tu ami la figlia umana di Bruenor Battlehammer, quella che chiamano Catti-brie.” Drizzt inghiottì. “L’amavo”, corresse. Questa volta fu Innovindil a rivolgersi a lui con uno sguardo incuriosito.

“È caduta a Shallows, con Bruenor, Wulfgar e Regis”, Drizzt trovò la forza di rispondere. “Ho scelto i miei amici, e non avrei potuto trovarne di migliori, ma...” La voce gli si spezzò e girò in fretta il viso verso lo spettacolo dell’alba, concentrandosi sui colori e tenendo lo sguardo fisso sul sole che stava sorgendo nonostante il riverbero dei suoi raggi, come se il dolore che gli trafiggeva gli occhi potesse allontanare l’altro, molto più profondo. Innovindil gli strinse più forte la spalla e chiese: “Metti in dubbio la tua scelta?”. “No”, rispose Drizzt senza esitare. “E la tua scelta di amare un umano?” “Ho forse sbagliato?” la interrogò Drizzt. Ma la sua aria di sfida si addolcì all’improvviso e chiese in tono più pacato, come se stesse cercando una risposta sincera: “Ho forse sbagliato?”. A quel punto, Drizzt dovette fermarsi, fare alcuni respiri profondi, e voltarsi di nuovo verso il sole nascente, gli occhi umidi per ben altro che non il semplice bruciore provocato dalla luce solare. “Pensi che non sia saggio per un elfo, che potrebbe vivere per sette secoli e forse più, innamorarsi di un umano che non riuscirà neppure a vederne finire uno?” gli chiese Innovindil. “Credi che sia terribile sapere che se avrai dei figli da un umano, questi invecchieranno e moriranno prima di te?” Drizzt trasalì nel sentirsi porre quelle domande. “Non lo so”, ammise, la voce ridotta a un sussurro. “Perché non sai cosa vuol dire essere un elfo”, dichiarò Innovindil con sicurezza. Drizzt la fissò e chiese: “Mi stai dicendo che ho sbagliato?”. Ma il sorriso di Innovindil era disarmante. “Il nostro destino è vivere più a lungo della maggior parte di coloro che abbiamo conosciuto e amato”, disse lei. “Nel corso della mia vita ho amato due umani.” Drizzt la scrutò, non sapendo come interpretare quell’ammissione.

“Il primo di cui mi innamorai era un umano, e neppure troppo giovane secondo i criteri degli uomini”, continuò Innovindil, voltandosi a sua volta a guardare il sole. “Era un brav’uomo, un mago di grande talento, ma di poche ambizioni.” Scoppiò in una lieve risata triste. “Ma quanto l’ho amato, come nessun altro. L’ho seppellito quand’ero ancora una bimba, si può dire, stando ai canoni degli elfi, persino più giovane di te. Quanto ho sofferto... “Prima che ritrovassi il coraggio di innamorarmi di un altro umano dovette trascorrere quasi un secolo”, proseguì Innovindil, lo sguardo sempre fisso a oriente, senza neppure un battito di ciglia. “E anche lui alla fine morì”, concluse Drizzt per lei. “Ma non prima che avessimo potuto trascorrere insieme trenta splendidi anni”, precisò l’elfa, con un sorriso che le illuminava il volto. Rimase a lungo in silenzio, poi si voltò di nuovo a guardare Drizzt. “Non sai cosa significhi essere un elfo, Drizzt Do’Urden, perché nessuno te l’ha mai insegnato.” Il tono della voce lasciava chiaramente capire che quelle parole volevano essere un’offerta. Ma poteva lui avere l’ardire di accettarla? Poteva avere l’ardire di aprire un’altra volta il suo cuore con il rischio di vederselo di nuovo straziare? “Il dovere ci aspetta”, annunciò il drow con voce forte e decisa. “La morte di Tarathiel sarà vendicata.” “Ucciderai l’orco che l’ha ammazzato?” “Ti do la mia parola”, dichiarò a denti stretti. Gli ci volle un attimo per rendersi conto che Innovindil lo stava fissando con aria severa. Si voltò verso di lei, sentendo svanire la propria determinazione, mentre a sua volta fissava quei grandi occhi arrabbiati. “Allora è questo il nostro scopo?” chiese lei. “Vendicare Tarathiel?” “Non lo è forse?” “No, non lo è!” gli ringhiò di rimando, mentre sembrava ergersi in tutta la sua statura, sovrastandolo. “Il nostro scopo - il mio scopo

- non è un viaggio attraverso l’odio e la vendetta.” Drizzt fece un passo indietro. “Non mentre Alba è prigioniero di esseri tanto spietati e brutali”, spiegò Innovindil. Si ricompose e parve di nuovo se stessa. “Non lascerò che la rabbia condizioni i miei obiettivi. Drizzt Do’Urden. Non lascerò che mi annebbi la vista o mi faccia deviare dal cammino che ho deciso di percorrere. La vita di Alba dipende da me: non lo abbandonerò per saziare la mia sete di vendetta.” Fissò Drizzt ancora un istante, poi si voltò e ritornò nella grotta. Lasciando Drizzt solo sul masso illuminato dai raggi obliqui del sole del primo mattino. *** “Ha tagliato l’elfo a metà”, riferì il gigante, uno dei due che si erano recati in visita a Gerti. “Impugnava la spada con la forza di un Tierlaan Gau”, aggiunse, usando il nome che i giganti attribuivano agli appartenenti alla loro razza. Gerti Orelsdottr serrò la mascella. Obould aveva vinto di nuovo, uno spettacolo imponente a beneficio di tutte quelle creature che già lo credevano un dio. “Che ne è stato del drow e dell’altro elfo?” “Di Drizzt Do’Urden non abbiamo avuto notizie.., forse”, rispose il gigante, voltandosi verso il compagno che, come lui, era da poco tornato dal luogo dell’incidente verificatosi a nord. “Forse?” “È stato trovato un corpo”, spiegò il gigante. “Quello di un drow”, disse l’altro. “Drizzt?” “Donnia Soldou”, replicò il primo dei due messaggeri, e Gerti spalancò gli occhi. “Morta tra le rocce”, aggiunse l’altro gigante. “Uccisa con colpi

molto precisi.” Gerti rimuginò un poco su quelle parole. La drow si era per caso imbattuta in Drizzt? O magari con gli elfi di superficie? Gerti non poté fare a meno di ridacchiare mentre pensava che forse Donnia aveva fatto arrabbiare i suoi tre compagni. I drow erano fatti così. Erano così spesso indaffarati a uccidersi a vicenda che non riuscivano a concentrarsi su nient’altro. “Mi mancherà”, confessò Gerti. “Era.., divertente.” Gli altri due si rilassarono, ovviamente sollevati dal fatto che Gerti non aveva preso troppo male la notizia della morte di Donnia. “Obould ha ammazzato uno degli elfi che seminavano il panico nella regione”, dichiarò la gigantessa. “E ha catturato il suo cavallo alato”, riferì il ricognitore. Gli occhi di Gerti si spalancarono di nuovo. “Un pegaso? Obould è entrato in possesso di un pegaso?” “Avremmo preferito ucciderlo”, spiegò ancora il ricognitore. “Quell’elfo e la sua cavalcatura facevano parte della coppia che ci aveva assalito durante la battaglia di Shallows.” “Un po’ di carne di cavallo non sarebbe male”, commentò l’altro. Gerti rifletté un momento, poi disse: “Avreste dovuto ucciderlo. Mentre Obould era impegnato con l’elfo, avreste dovuto intervenire facendolo a pezzi!”. I due la guardarono stupiti, ma Gerti proseguì: “Sono degli splendidi animali e non mi dispiacerebbe possederne uno. Ma non voglio che Re Obould Many-Arrows se ne vada in giro a volteggiare sui campi di battaglia, dando ordini alle sue truppe. Non sopporto l’idea di vederlo cavalcare lassù, simile a un dio”. “N-non sapevamo”, balbettò il ricognitore. “In ogni caso, non avremmo potuto ucciderlo”, intervenne l’altro. “Se solo ci avessimo provato, avremmo dovuto fare i conti con una moltitudine di orchi.” Gerti li congedò entrambi con un cenno della mano e si girò, la mente in subbuglio per quelle notizie sconcertanti. Obould era di

nuovo un eroe, il che avrebbe incoraggiato l’arrivo di altre tribù di orchi e goblin. La sua gloria li aveva uniti. Ma quella gloria dove lasciava lei? A terra, sul campo di battaglia, mentre l’altro se ne andava a zonzo per il cielo sul suo stallone alato? Il suono di un corno strappò la gigantessa dalle sue riflessioni facendole volgere lo sguardo verso nord, alle schiere di orchi che stavano tornando, con Re Obould che avanzava, a piedi, alla loro testa. “A piedi”, mormorò, pensando che fosse una bella notizia. Scorse il pegaso, che procedeva zoppicando un po’ in disparte, le zampe legate da corte funi. Era davvero uno splendido animale, dal portamento maestoso e dal candido mantello. Troppo bello per quegli orchi, pensò Gerti e, in quel momento, decise che lo avrebbe chiesto per sé: vero è che non avrebbe mai potuto cavalcarlo, ma quale stupendo ornamento avrebbe costituito quel magnifico destriero per Shining White! Mentre la colonna si avvicinava, Obould fece segno ai suoi soldati di proseguire e si diresse verso Gerti, col povero Arganth che gli trotterellava al fianco. “Ne abbiamo trovato solo uno”, le disse. “Ma quell’uno basterà a far uscire gli orchi dalle loro caverne.” “Come puoi saperlo?” chiese Gerti, gli occhi rivolti non al re degli orchi ma al pegaso, in lontananza, che veniva trascinato oltre, alla sua destra. “Già, un cavallo degno di un re”, osservò Obould. “Abbiamo cominciato a domarlo. Lo monterò quando quella cagna, Alustriel di Silverymoon, verrà a supplicarmi di non proseguire la nostra marcia.” Gerti riportò lo sguardo sul pegaso, il quale mostrava chiaramente le tracce delle violenze subite durante il brutale addestramento degli orchi. Segni di frustate solcavano il candido mantello e, ogni volta che lo stallone cercava di sollevare la fiera testa, l’orco che lo

trascinava dava uno strattone alle briglie, obbligandolo a tenerla bassa. Gerti riusciva solo a immaginare il dolore causato dal morso utilizzato dagli orchi per piegare il possente pegaso. “Ho saputo dell’uccisione di Donnia”, disse Gerti, rivolgendosi al re degli orchi. “Ammazzata e lasciata a marcire sulla montagna”, confermò Obould. “Questo significa senza dubbio che Drizzt Do’Urden è ancora nei dintorni, insieme ad altri elfi.” Obould annuì e scrollò le spalle, come se la cosa non avesse davvero importanza. “Resteremo in zona per un po’”, spiegò, “per fornire un richiamo a quelle tribù che decidessero di unirsi a noi. Arganth si recherà nelle gallerie settentrionali per diffondere meglio la notizia della mia vittoria e infondere speranza negli orchi. Forse riusciremo a scovare Drizzt Do’Urden e l’altro elfo - o gli altri elfi - e abbatterli con la mia spada. Se sono intelligenti, se la daranno a gambe al di là del Surbrin e torneranno a Moonwood, per quanto nemmeno quei luoghi potrebbero essere sicuri”. Alle spalle di Obould, Arganth ridacchiò. Gerti studiò con attenzione il re degli orchi. La sua stupidità stava tornando a galla? Stava forse cominciando a credere alle lodi che gli altri gli riversavano sulle spalle e aveva cambiato idea riguardo al consolidamento dei confini del territorio che aveva intenzione di conquistare? Gerti sapeva che l’attraversamento del Surbrin si sarebbe rivelato un grosso e fatale errore. Ciononostante, sperava che Obould l’avrebbe fatto. “Mio sire”, disse alle sue spalle Arganth Snarrl. “Se mi è concesso l’ardire, io credo che dovresti andare a sud ad aiutare tuo figlio a risolvere la questione dei nani.” “Osi mettere in dubbio le mie decisioni?” “No, mio signore, no!” si affrettò a dire Arganth inchinandosi ripetutamente. “Temo... Drizzt Do’Urden e la sua compagna elfo sono ancora da queste parti.., c’è...”

Obould lanciò un’occhiata a Gerti e si girò di nuovo verso Arganth con un’espressione perplessa. Poi scoppiò in un’improvvisa e poderosa risata. “Temi forse per la mia incolumità?” “Obould è Gruumsh!” esclamò Arganth prostrandosi a terra. “Obould è Gruumsh!” “Alzati!” Arganth si rialzò ma continuò a inchinarsi. “Hai forse avuto paura quando ho combattuto contro l’elfo?” chiese Obould. “No, mio signore! Era ben poca cosa se paragonato alla vostra potenza!” “Ma Drizzt Do’Urden...” “Anche lui è ben poca cosa, mio re!” strillò Arganth. “Se si trattasse di uno scontro normale. Ma è un drow, e ti ingannerà. Ti attaccherà nel sonno, se mi è concesso dire. Temo...” “Silenzio!” intimò Obould. Arganth emise un lamento e parve sul punto di svenire. Obould si voltò verso Gerti, il viso ridotto a una maschera di rabbia. Gerti non riusciva a nascondere il proprio divertimento, anzi, non ci provò neppure. “Perdono, mio signore”, mormorò Arganth, avvicinandosi a Obould. Un manrovescio scaraventò lo stupido sciamano a una discreta distanza. “Non temo il drow solitario, né una schiera di elfi suoi compagni”, dichiarò l’orco a Gerti. “Se l’intera Moonwood venisse a vendicare la loro morte, non esiterei a combatterla.” Andando incontro a un’orribile morte, pensò e sperò Gerti. “Disponiamo già di un numero sufficiente di guerrieri per ricacciare i nani nei loro buchi e difendere il Surbrin”, osservò la

gigantessa. “Non ancora”, replicò Obould. “Voglio che paghino con il sangue per aver cercato di resistere a Urlgen. Lasciamolo continuare ancora un po’ la sua battaglia alle porte di Mithral Hall. Proffit ha bisogno di tempo per cominciare a incalzare da sud.” “Troverai poche prede qui nei dintorni, eccetto Drizzt e qualche altro elfo. Gli umani sono tutti morti o saggiamente fuggiti.” Obould la fissò per un attimo, poi borbottò sottovoce: “Vedrò il da farsi”, e poi se ne andò. Mentre le passava accanto, Gerti fu sul punto di colpirlo per averla tenuta in così poca considerazione. Come osava agire così nei suoi confronti? Come osava... La gigantessa lasciò sbollire la propria rabbia, rendendosi conto che sarebbe stato più prudente stare dalla parte di Obould. L’ingente quantità di seguaci che era riuscito a mettere insieme avrebbe potuto rappresentare una minaccia per lei e i suoi giganti se si fosse inimicata il loro re. Lanciò un’occhiata alle centinaia di orchi radunati là intorno e ai pochi giganti presenti. Capì allora di avere sparpagliato poco accortamente le sue forze qua e là, vista la profusione di guerrieri che aveva inviato per i lavori di fortificazione lungo il Surbrin e in soccorso di Urlgen. Si augurava che quello sciocco avesse utilizzato i rinforzi secondo i piani e ricacciato i nani all’interno di Mithral Hall. Gerti voleva che la gloria arrivasse a toccare anche lei, anziché ricadere sempre e solo sulle spalle di Obould. Avrebbe scoperto ben presto se ciò era possibile, dato che, subito dopo, le giunse voce che Obould aveva deciso di raggiungere Urlgen a sud.

24

FUGGEVOLI SPERANZE Regis sfogliò rapidamente il mucchio di carte che aveva davanti resoconti di ricognitori - poi lo spinse da parte. Sull’altopiano, Banak stava tenendo duro. Ma in che modo? O meglio, perché? Le schiere di orchi e giganti - per non parlare dei troll! - che avevano bloccato le porte orientali di Mithral Hall erano senza dubbio imponenti. Erano state erette fortificazioni in corrispondenza di tutti i guadi sul fiume Surbrin e, tuttavia, la maggior parte di quelle forze mostruose se n’era andata: i troll a sud e l’esercito degli orchi a nord. Se quell’esercito si fosse unito all’altro schieramento che assediava l’altopiano difeso da Banak, il valente condottiero e i suoi guerrieri sarebbero stati costretti ad abbandonare la loro postazione e a ritirarsi attraverso Keeper’s Dale, fino a Mithral Hall. Su questo non c’era dubbio. Ma la domanda assillava Regis: perché gli orchi non l’avevano già fatto? L’halfling alzò lo sguardo verso Catti-brie, che gli stava seduta di fronte. Fu sul punto di dire qualcosa, ma l’espressione di lei lo fermò. Sembrava rilassata, almeno nel fisico, appoggiata alla spalliera della morbida poltrona, le gambe accavallate, la testa rivolta da una parte con lo sguardo fisso chissà dove, una mano sollevata a sfiorare distrattamente il mento e le labbra. Il viso recava chiari i segni della stanchezza: una maschera di sfinimento, ma anche di risolutezza. Regis osservò con maggiore attenzione e notò le escoriazioni sulle mani, il piccolo taglio sul dito indice che esponeva la carne viva a

causa dell’incessante uso del potente arco. Notò il sangue raggrumato sui capelli ramati. E, più di tutto, notò l’espressione di quegli occhi azzurri, la calma determinazione che lasciava però trasparire qualcosa di più cupo, la sensazione che, nonostante i loro sforzi, non sarebbero riusciti a prevalere. “Stanno costruendo difese lungo le rive occidentali del Surbrin”, la informò l’halfling, e Catti-brie voltò adagio la testa verso di lui. “In corrispondenza di tutti i guadi.” “Per fermare gli elfi a Moonwood e Alustriel a Silverymoon”, replicò Catti-brie. “Per impedire a Felbarr di venire in nostro soccorso.” “I soldati di Felbarr ci raggiungeranno comunque attraverso le gallerie”, la corresse Regis. “Già, ma per arrivare sul campo di battaglia dovranno usare i medesimi passaggi del Clan Battlehammer. E non ci sarà modo di stringere il nemico in una morsa se si arriva tutti dalla stessa parte.” “In tal caso, dovremo affidarci agli umani”, disse Regis. “Ad Alustriel e a Silverymoon e alla gente di Sundabar, ammesso che vengano ad aiutarci. Abbiamo bisogno di loro.” Avvertì la sofferenza nella propria voce, all’idea che l’attraversamento del Surbrin avrebbe provocato ingenti perdite nei loro eventuali alleati. “Gli orchi fanno affidamento sulle guarnigioni appostate lungo il Surbrin per tenerli a bada”, rifletté Catti-brie, come se avesse letto nel pensiero dell’halfling. “Alcuni miei consiglieri mi hanno suggerito di riaprire una delle uscite orientali per attaccare alle spalle quelle roccaforte. Potremmo far sgattaiolare fuori alcune centinaia di nani, in grado però di causare più danni di un’intera armata di diecimila guerrieri.” Catti-brie assunse un’espressione perplessa. “È ovvio che dovremo coordinarci con gli alleati”, precisò Regis. “Altrimenti quei bruti si limiterebbero a ricacciarci indietro e a ricostruire indisturbati le loro postazioni difensive.” Catti-brie cominciò a scuotere il capo.

“Non sei d’accordo?” “Hai oltre un migliaio di guerrieri impegnati a combattere al fianco di Banak e un altro migliaio occupato a scavare trincee ai confini occidentali di Keeper’s Dale”, spiegò lei. “Nelle gallerie meridionali si sentono i troll, e ci sono nani che stanno correndo a sud a vedere se qualche abitante di Nesmé è sopravvissuto.” “Non riusciamo a trovarne altri cinquecento, adesso”, replicò Regis. “E se anche riuscissimo...” disse Catti-brie, scuotendo ancora la testa e bloccandosi nel bel mezzo del discorso. “Che ti succede?” “C’è qualcosa che non quadra...” cominciò a dire la ragazza, fermandosi con un sospiro. “Potrebbero ricacciarci sottoterra, ma non lo fanno.” Regis udì chiaramente quelle parole e le lasciò echeggiare nella mente. Si trattava di una verità così semplice, il cui significato sembrava però essere sfuggito a tutti. Sarebbe parso ovvio che gli orchi avessero respinto Banak dall’altopiano costringendolo a rifugiarsi a Mithral Hall. La superiorità del nemico era schiacciante. Eppure, non solo i nani erano ancora saldamente arroccati lassù, ma erano anche riusciti a piazzare uno schieramento difensivo a ovest e stavano pensando di collocarne un altro a est. “Ci stanno attirando in una trappola”, Regis si sorprese a dire, stentando a credere alle proprie labbra. Si protese sulla sedia, gli occhi sbarrati di fronte a quella terribile conclusione. “Ci stanno costringendo a combattere secondo le condizioni che a loro sono più favorevoli.” “I cadaveri delle centinaia di orchi e goblin sparsi sul pendio settentrionale potrebbero non essere d’accordo con te”, ribatté Catti-brie. “Banak li sta massacrando.” Fu la volta di Regis di scuotere la testa. “Accettano queste perdite in vista di un grosso guadagno”, spiegò. “Noi ne uccidiamo mille, duemila, diecimila, ma loro li

rimpiazzano. I nostri sono invece più difficili da rimpiazzare e il tenerci impegnati a combattere sull’altopiano non fa altro che amplificare il richiamo verso le altre tribù, affinché si uniscano a loro.” Il ragionamento aveva una sua logica. Gli orchi si stavano battendo fino all’ultimo guerriero. Il grande esercito che stava marciando verso nord dopo aver bloccato le porte occidentali di Mithral Hall avrebbe sicuramente rivolto la propria attenzione su Banak e ricacciato i nani nelle loro gallerie sotterranee. Prima di allora, però, Silverymoon e forse anche Sundabar avrebbero messo le carte in tavola e fatto sapere se intendevano appoggiarli oppure no. Ma tutto sarebbe andato secondo il piano degli orchi e dei giganti. Regis si lasciò ricadere contro la spalliera della poltrona, accarezzandosi i riccioli scuri con le dita paffute. “Gli orchi vogliono che restiamo qui”, disse. “Quindi tu pensi che sia meglio rientrare?” Regis rifletté sulle parole di Catti-brie e poi fissò confuso la ragazza. “Non possiamo ignorare i danni che Banak sta causando alle forze nemiche”, disse. “E ci sono giunte notizie di profughi che si dirigono verso occidente, a nord della battaglia.” Fece una pausa e frugò in una pila di pergamene, cercando il rapporto che parlava di quell’esodo. “Se smettiamo di combattere sull’altopiano, i pochi abitanti rimasti nella regione non avranno alcuna possibilità di salvarsi, dato che gli orchi rivolgeranno su di loro tutta l’attenzione.” “E tra questi ci sarà anche Drizzt”, osservò Catti-brie, e a quel pensiero Regis cominciò a balbettare, mentre cercava di proseguire. “Non ti preoccupare”, dichiarò Catti-brie. “La decisione spetterà solo a te ancora per poco. Banak ritiene che tra meno di una settimana i giganti avranno pronte altre catapulte, e questa volta non riuscirà a fermarli. Una volta che quelle terribili macchine da guerra avranno cominciato a lanciare dovremo decidere se ritirarci o morire.” “E se il nemico conquista l’altopiano sopra Keeper’s Dale, non avremo altra scelta se non rifugiarci nelle gallerie. Tutti quanti”, disse

Regis. “E se pensano di poterci inseguire, una volta dentro, li annienteremo”, dichiarò risoluta Catti-brie. A Regis, tuttavia, sembrava una ben misera prospettiva sapere che tutto quanto - la battaglia e la scelta del momento - era manovrato dai nemici. Catti-brie si alzò. “Torno da Banak”, annunciò. Afferrò Taulmaril, che aveva appoggiato di fianco alla sedia, e se lo gettò in spalla con un gesto deciso, arrabbiato persino. Ma Regis colse un chiaro indizio di stanchezza dietro a quella determinazione. Prima che la ragazza si avviasse, si udì bussare alla porta e subito dopo entrarono i due emissari di Mirabar: lo gnomo aveva le braccia cariche di pergamene. “Si può fare”, dichiarò Nanfoodle prima ancora che qualcuno avesse avuto il tempo di accoglierlo con i saluti di rito. “Si può fare!” “Fare?” chiese Catti-brie rivolgendosi a Regis. Regis alzò la mano per bloccare altre domande. “Come pensavate?” domandò l’halfling allo gnomo. “Naturalmente”, rispose Nanfoodle. “E la fortuna è con noi, dato che il deposito si trova sotto i confini settentrionali di Keeper’s Dale, abbastanza vicino alle gallerie aperte, così che non sarà necessario scavare troppo.” “Di cosa sta parlando il piccoletto?” chiese piano Catti-brie. Nanfoodle si fece avanti muovendosi a scatti e trascinandosi dietro una Shoudra dall’andatura più solenne. “Con l’aiuto di Pikel Bouldershoulder saremo in grado di collocare i tubi di metallo in breve tempo”, spiegò Nanfoodle. “Anche in un solo giorno, se ci fornirete un numero sufficiente di nani per darci una mano.” “Tubi?” chiese di nuovo Catti-brie, spostando lo sguardo da Nanfoodle a Shoudra, la quale si limitò a stringersi nelle spalle, e

infine a Regis. “Che ne dite?” domandò Regis alla Sceptrana. “So che Nanfoodle è entusiasta dell’idea”, rispose questa, dichiarando quanto era già evidente agli occhi di tutti, dato che il piccolo gnomo non faceva che saltellare tutt’intorno eccitato. “Ce la possiamo fare, Castaldo Regis”, insistette Nanfoodle. “Datemi solo il permesso e comincerò a organizzare i lavori. Mi occorreranno venti nani, oltre a Pikel, Ivan e me. Se fossero di più rischierebbero di pestarsi i piedi! Hah ha!” “Regis?” Catti-brie insistette. L’halfling si passò una mano sugli occhi e fece un profondo sospiro. Il successo riportato dallo gnomo nel trovare il gas sotterraneo lo aveva sorpreso, anche se non in modo del tutto positivo. Poiché, nonostante il palese entusiasmo di Nanfoodle, i nuovi sviluppi della situazione contribuivano ad aumentare i rischi, con gran tormento del povero Regis. Era vero che aveva tenuto occupati i nani delle fucine per fabbricare i “tubi” dietro richiesta dello gnomo, ma, dopotutto, la cosa aveva comportato un rischio minimo. Per mandare avanti il progetto, il castaldo avrebbe dovuto coinvolgere i nani in una missione azzardata capace di mettere in pericolo tutti quanti, in particolare Banak e le sue truppe sull’altopiano a nord. E cosa sarebbe successo se le previsioni di Nanfoodle si fossero dimostrate corrette e il piano fosse stato portato a compimento? Regis si sentì percorrere la schiena da un brivido e si voltò verso Catti-brie. “Pensi che sia possibile riconquistare le gallerie che si trovano sotto la cresta?” “La cresta dove sono appostati i giganti?” “Già, proprio quelle.” La ragazza osservò di nuovo lo gnomo, incuriosita, poi si sedette a riflettere sul problema. Non sapeva con quanta risolutezza gli orchi difendessero quelle gallerie, con i giganti posizionati là di sopra. Era probabile che non avrebbero opposto grande resistenza, dato che l’importanza strategica di quel labirinto di cunicoli sembrava

trascurabile. “Credo che sia possibile”, rispose. Nanfoodle emise un piccolo squittio e sollevò in aria la mano stretta a pugno. “Ma non sarà facile”, aggiunse Catti-brie, giusto per smorzare un po’ l’entusiasmo dell’altro. Regis fece correre lo sguardo da Nanfoodle a Shoudra e da quest’ultima di nuovo al primo, per poi tornare a fissare Shoudra e chiederle esplicitamente con gli occhi di aiutarlo, di dirgli se poteva davvero fidarsi del folle progetto dello gnomo. La Sceptrana, che sembrava aver captato la muta richiesta, fece un lieve cenno di assenso. “Quanto ci vorrà prima che quelle catapulte siano pronte?” chiese l’halfling a Catti-brie. “Una settimana”, rispose lei. “Forse anche solo tre o quattro giorni.” “Allora recati da Banak e preparate una squadra di nani. Dovrete riconquistare quelle gallerie entro la mattina di dopodomani”, le ordinò il castaldo. “Nanfoodle vi farà avere istruzioni precise oggi stesso, nel pomeriggio.” “Ivan Bouldershoulder verrà a portarvele”, aggiunse lo gnomo. “Adesso vuoi dirmi di che cosa si tratta?” chiese Catti-brie. Regis lanciò di nuovo un’occhiata agli altri due, poi sbuffò e si strinse nelle spalle. “Ho paura di farlo”, confessò. “Ho paura che tu non mi creda e, in questo caso, potresti uccidermi proprio qui, seduta stante.” Tutti gli occhi conversero su Nanfoodle, il palese artefice di tutto quanto. “Ce la possiamo fare”, li rassicurò lo gnomo. Tred McKnuckles si imbatté in Torgar Hammerstriker e in Ivan Bouldershoulder subito dopo aver sentito che Banak cercava volontari per riconquistare le gallerie sotto la cresta occidentale. Mentre Tred li avvicinava, i due sembravano assorti e non parvero

notarlo. La loro attenzione era rivolta a una piccola scatola che Torgar teneva in mano: la scatola aveva un lato lucente come uno specchio, mentre gli altri tre, così come la superficie superiore e quella inferiore, erano di legno liscio. “Salute a voi”, disse il nano di Citadel Felbarr. “E anche a te”, rispose Ivan. Torgar fece un cenno col capo e sorrise, poi tornò a studiare la scatola. “Sarai tu a condurre l’assalto alle gallerie?” domandò Tred a Torgar. “Posso essere dei vostri?” “Sì, e sì”, rispose Torgar. “Ci andremo di mattina a tirare fuori quegli orchi puzzolenti. I miei ragazzi e io saremo felici di averti con noi.” “Si è poi saputo circa il motivo di questo attacco?” si informò Tred. “Non credo che da lì sia possibile arrivare a quegli altrettanto fetidi giganti.” Torgar e Ivan si scambiarono un largo sorriso. “Questo è il motivo”, spiegò. Tred fece per toccare la scatola, ma Torgar la tirò indietro. “Attento”, lo ammonì il nano. “È piena di olio delle mie frecce”, spiegò Ivan, facendo scivolare la mano sotto la faretra che conteneva le frecce esplosive per mostrargliela. “Più una miscela preparata dallo gnomo: dell’acquavite che scoppia quando viene a contatto con l’aria.” Tred fece una smorfia e ritrasse la mano. “Allora useremo le bombe?” chiese Tred. “No, useremo asce e martelli per liberarci di quei dannati orchi”, disse Torgar. “Le bombe vengono dopo.” Tred fece correre lo sguardo incuriosito dall’uno all’altro, ma entrambi si limitarono a scrollare le spalle con l’aria di non saperne

di più. “Non ci hanno detto altro”, confessò Torgar. “Ma Banak vuole riprendere quelle gallerie e noi le riprenderemo. Poi vedremo quali prodigi ha in serbo per noi lo gnomo.” “Potrebbe anche essere peggio”, intervenne Ivan. “Almeno ci lasceranno fare la festa a qualche orco.” “Il che è sempre una buona cosa”, convenne Torgar, mentre anche Tred annuiva. *** “Altri mille e cento piedi!” esclamò Wocco Brawnanvil quando Nanfoodle gli mise dinanzi i diagrammi. “Millecentotrenta”, lo corresse Nanfoodle. “Terrete impegnate le fucine per un’altra settimana, stupido di uno gnomo!” “Una settimana?” disse lo gnomo. “Oh no, mi servono per domani, tutti quanti. I miei assistenti vi daranno una mano a tirarli fuori a uno a uno dalle vasche di raffreddamento.” Wocco andò avanti a borbottare per parecchi minuti, le labbra sempre sul punto di eruttare un torrente di imprecazioni, che venivano però ricacciate indietro ancora prima di essere pronunciate dalla sua incredulità di fronte a tale richiesta. “Una lunghezza di sette piedi ciascuno”, riuscì finalmente a dire. “Sono centocinquanta pezzi!” “Centosessantadue”, lo corresse Nanfoodle. “Se ne lasciamo fuori mezzo.” “Non ce la faremo!” “Dovete farcela”, ribatté lo gnomo. “Se doveste consegnarli perché un mercante ve li ha ordinati, alimentereste le vostre fucine fino a farle diventare incandescenti pur di finire il lavoro.” “I mercanti pagano”, rispose Wocco seccamente.

“Anch’io”, insistette Nanfoodle. “E come, piccoletto?” “Con un bel po’ di giganti”, rispose Nanfoodle sottolineando le parole con un ampio gesto della mano, poiché si era accorto che molti altri fabbri lo stavano osservando. “Un bel po’, direi, oltre a una vittoria per Banak Brawnanvil e Mithral Hall. E se questo è poco. Mastro Brawnanvil!” “Ma stiamo già fabbricando delle armi”, protestò l’intera fucina. “Anche questa è un’arma”, assicurò Nanfoodle. “Un’arma potente, quale non è mai uscita dalle vostre forge. Centosessantadue. Potete farcela.” Wocco lanciò un’occhiata al resto del gruppo. “Si tratta di un bel po’ di metallo”, osservò uno dei fabbri. “Dovremo usare più di metà delle nostre riserve”, disse un altro. “Ben oltre la metà”, interloquì un altro ancora. “Potete farcela”, disse di nuovo Nanfoodle rivolgendosi a Wocco. “Dovete farcela. Banak e i suoi guerrieri sono allo stremo. Li vorreste abbandonare lasciando che li respingano dall’altopiano?” Lo gnomo si rese immediatamente conto di aver toccato un punto debole, dato che Wocco gonfiò il torace, irrigidì la mascella e arricciò le labbra in un broncio infuriato. Per un attimo Nanfoodle credette che il nano volesse picchiarlo, ma non arretrò di un passo, anzi rincarò la dose: “Questa è l’unica opportunità che abbiamo da offrire a Banak per permettergli di resistere contro le orde nemiche. Se voi non ce la mettete tutta, sarà costretto a una ritirata disastrosa”. Wocco conservò l’espressione minacciosa, ma non si fece avanti a strozzare lo gnomo e, a poco a poco, la rabbia sembrò sfumare trasformandosi in determinazione. Quindi si rivolse ai suoi compagni. “Bene, l’avete sentito. Abbiamo del lavoro da fare.” Poi si voltò di nuovo verso Nanfoodle e disse: “Avrete i vostri centosessantadue piedi di tubi con alcuni extra, nel caso le vostre misurazioni non si

dovessero rivelare accurate”. Mentre Mastro Brawnanvil tornava a passo di carica verso la sua fucina, Nanfoodle si riavvicinò al tavolo e cominciò a raccogliere i suoi innumerevoli diagrammi, ma ben presto si fermò a coprirsi gli occhi con una mano, sentendosi all’improvviso sopraffatto. Non riusciva quasi a credere di essere in procinto di attuare il progetto, e ancora meno che i nani gli avessero accordato fiducia e fossero pronti a correre il rischio. Si augurò che quella fiducia non fosse malriposta, giacché si rendeva conto di essere ai limiti del buonsenso e, sebbene avesse energicamente difeso i suoi progetti di fronte a Regis, Shoudra, Wocco Brawnanvil e tutti gli altri, dovette ammettere con se stesso che le sue parole possedevano più forza dei suoi pensieri. Nanfoodle sperava con tutto il cuore di non essere la causa della distruzione di Mithral Hall.

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ACCLAMAZIONI SOFFOCATE Obould è Gruumsh!” strepitava Arganth Snarrl parlando alla tribù di orchi che usciva in quel momento da una caverna sul fianco orientale di una montagna. “Ha ucciso il diabolico elfo: tutti noi abbiamo assistito alla sua magnifica vittoria! Lui è il prescelto! Ci condurrà al trionfo!” Il gruppetto di sciamani che gli stavano dietro si unì alle sue acclamazioni, e gli orchi si guardarono intorno e cominciarono a loro volta a inneggiare. “È un tipo pericoloso”, commentò Innovindil guardando Drizzt che, come lei, se ne stava rannicchiato al riparo di un basso muro di pietra, un po’ in disparte. Era da un po’ che ascoltavano Arganth, ed entrambi erano rimasti colpiti dall’incredibile veemenza che poneva l’orco sciamano nel lodare Obould. “Crede davvero che Obould sia l’incarnazione del suo dio ripugnante”, replicò Drizzt. “In tal caso, lo vedrà morire quel suo dio ripugnante.” Nel proferire quella terribile promessa, Innovindil non si voltò a guardare in faccia Drizzt, ma lui fu in grado di avvertirne l’intensità nella fissità dello sguardo e nel cuore, mentre ogni parola le usciva impetuosa dalle labbra. Pensò di farle notare che, non molto tempo prima, lei l’aveva rimproverato per un analogo atteggiamento e l’aveva incoraggiato a guardare oltre la propria sete di vendetta. Ma, mentre le stava accovacciato al fianco e le osservava il profilo, Drizzt si rese conto del suo dolore. Indubbiamente stava soffrendo. E nonostante le sagge parole che gli aveva rivolto, la sofferenza

l’aveva presa alla sprovvista e aveva fatto emergere un insolito momento di debolezza. Drizzt, che aveva di recente assistito alla morte di un caro amico, era sicuramente in grado di comprendere. “Il re degli orchi si è messo in marcia con il suo esercito verso sud, ma questo è rimasto”, osservò Drizzt. “Per radunare la feccia che striscia fuori dalle sue tane in mezzo ai monti”, commentò Innovindil. “Non possiamo sottovalutare l’importanza di tutto ciò”, disse Drizzt. “E poi, questo sciamano è vicino a Obould: potrebbe avere utili informazioni.” Innovindil si voltò verso il drow e la sua espressione gli disse che aveva capito perfettamente il ragionamento. “Probabilmente si accamperanno nei pressi delle caverne”, osservò. Drizzt guardò verso est e annuì, visto che l’azzurro più chiaro dell’alba stava sbocciando oltre la linea dell’orizzonte e gli orchi, sebbene fossero tutti usciti dai loro rifugi, non si erano allontanati di molto. “È possibile che non si muovano fino a pomeriggio inoltrato”, ipotizzò Innovindil. Drizzt si scrutò tutt’intorno, poi diede un colpetto sulla spalla a Innovindil e le fece segno di seguirlo. “Andiamo a dare un’occhiata là sotto per imparare la strada prima che lo facciano loro”, disse. “Sorprenderemo lo sciamano mentre dorme. Devo chiedergli un sacco di cose.” *** I due drow procedevano rapidamente lungo le gallerie, gli occhi attenti nell’oscurità a esplorare ogni fenditura, sporgenza o irregolarità della roccia. Essendo avanti di un bel po’ rispetto ai pesanti troll, Kaer’lic e Tos’un si fermarono più volte ad ascoltare, venendo spesso disturbati nella loro ricognizione dal baccano che

facevano i troll.

Avanzano come se rotolassero, disse Kaer’lic al compagno,

ricorrendo all’alfabeto muto e scuotendo il capo con aria disgustata.

Sono impazienti di bere il sangue dei nani, rispose Tos’un. Chissà se Proffit è altrettanto impaziente di incontrare il loro fuoco! Quegli omini barbuti sanno bene come combattere i troll! Prima ancora di essere in grado di comunicare il proprio assenso, Kaer’lic udì un rumore soffocato provenire attraverso le pareti della galleria. Fermò bruscamente le dita e ne tese uno per segnalare al compagno di fare silenzio, quindi appoggiò l’orecchio contro la roccia. Sì, senza ombra di dubbio, si udiva il passo dei pesanti stivali dei nani. Tos’un le si affiancò.

Ancora i nostri amici? chiese muovendo le dita. Kaer’lic annuì. “Sono parecchi”, sussurrò. “Una quarantina o forse più, direi.”

Quanto sono lontani? domandò Tos’un sempre con le dita. Kaer’lic indugiò prestando ascolto, poi scosse il capo.

Non molto lontani... cominciò a spiegare. Ma in una galleria che corre parallela alla nostra, la interruppe Tos’un. E chi lo sa dove questi cunicoli potrebbero incrociarsi? Una cosa è certa, replicò Kaer’lic, i nostri nemici ci stanno superando, diretti verso sud. Verso i Trollmoors. Rinforzi destinati a Nesmé? ipotizzò Tos’un. Kaer’lic rivolse lo sguardo alla parete con aria dubbiosa. “In tal caso, si tratterebbe di un aiuto puramente decorativo”, sussurrò. “Un gesto simbolico da parte di Mithral Hall per dimostrare il suo sostegno ai vicini.” Lungo il corridoio si udì approssimarsi il frastuono generato dai troll. I due drow si guardarono in faccia ponendosi la stessa muta

domanda. “Proffit vorrà ricacciare indietro i nani, anche se tale diversione causerà un ritardo nell’attuazione del piano di Obould, forse anche di parecchi giorni”, ragionò Tos’un. L’eventualità non sembrò preoccupare molto Kaer’lic, e lei non si curò di nasconderlo. “Se il gruppo dei nani non è troppo numeroso, potremmo divertirci un po’”, proseguì Tos’un, il volto che gli si illuminava in un largo sorriso. “Corri avanti più in fretta che puoi e cerca di scoprire un punto di collegamento con il passaggio usato dai nemici”, ordinò Kaer’lic. “Meglio inseguirli verso sud piuttosto che tornare indietro e sperare di trovare l’uscita del loro tunnel alla maledetta luce del sole.” Tos’un fece un cenno deferente con il capo, poi si accinse ad avviarsi. “Fai attenzione!” lo ammonì Kaer’lic. La sacerdotessa drow si sorprese da sola nel sentirsi pronunciare quell’avvertimento. Non sembravano quelle forse parole dette da un amico? E da quando in qua Kaer’lic Suun Wett considerava qualcuno suo amico? Donnia e Ad’non erano stati suoi compagni per anni, ma nemmeno una volta, nelle circostanze difficili che si erano trovati ad affrontare durante i loro viaggi insieme, lei li aveva esortati a fare attenzione con tanto trasporto. In svariate occasioni aveva pensato che uno dei due fosse morto, però non aveva mai pianto né si era mai preoccupata, se non per particolari che avevano a che fare con le sue inevitabili necessità. Allora, perché così tanta insistenza nei confronti di Tos’un? Perché aveva capito di essere spaventata e di sentirsi vulnerabile. E con Donnia e Ad’non lontani chissà dove, Tos’un era rimasto il suo unico e vero compagno. Il fetore dei troll aumentò d’intensità, mentre Proffit e la sua banda si avvicinavano, cosa che contribuì a rafforzare nella sacerdotessa l’apprezzamento verso il proprio compagno. Senza di

lui la vita sarebbe stata insopportabile. Per molto, molto tempo, Kaer’lic fissò la buia galleria nella quale era scomparso Tos’un, riflettendo su quanto aveva appena compreso. *** Benché avesse cercato di adattarsi alla vita di superficie, non appena si addentrava nell’oscurità delle gallerie, Drizzt Do’Urden si rendeva conto di quanto nel proprio intimo fosse rimasto un abitante del Buio Profondo. Accanto a lui, Innovindil avanzava con la grazia tipica degli elfi, sebbene la sua andatura non fosse altrettanto fluida e sicura di quella dell’elfo scuro. Nel Buio Profondo, Drizzt era più agile di Innovindil, così come lei gli era superiore quando si trovavano alla luce del giorno. Attraverso una rete di cunicoli, procedettero lungo un tratto di terreno sconnesso, quindi risalirono un camino naturale che si biforcava correndo parallelo al corridoio principale. Nel lanciare un’occhiata a Innovindil, Drizzt comprese le riserve dell’elfa. Del resto, non aveva torto. Si trovavano proprio nel mezzo del passaggio più grande, dove sarebbero sicuramente transitati gli orchi, qualora avessero deciso di dirigersi da quelle parti, e dove avrebbero addirittura potuto accamparsi, forse proprio al di sotto del punto dove si trovavano loro. Ma Drizzt non degnò di uno sguardo la galleria sottostante e trattenne un sorriso. La sua compagna non sapeva quanto si potesse muovere furtivo un elfo scuro in tale ambiente. Non capiva che, anche se gli orchi avessero piazzato il loro accampamento in corrispondenza del punto di sbocco del camino naturale, il drow avrebbe potuto sgusciare in mezzo a loro con estrema facilità. A quel punto, Drizzt ritenne doveroso voltarsi verso Innovindil e farle un cenno rassicurante con il capo, mentre si mettevano tutti e due a sedere in silenzio preparandosi ad aspettare. Gli occhi sensibili di Drizzt lo avvertirono che l’oscurità era diventata meno fitta; capì che fuori si stava facendo mattina. Di lì a

poco si udì il passo pesante degli orchi e, sotto di loro, ebbe inizio la sfilata. Drizzt calcolò che ce ne fossero almeno due dozzine, e fece cenno a Innovindil di restare immobile, mentre i nemici passavano oltre, quindi si infilò nel camino procedendo a testa in giù come un ragno. Si fermò un attimo ad ascoltare, poi emerse con la testa nel corridoio e scrutò in entrambe le direzioni. Gli orchi si erano spinti più avanti, anche se non erano andati lontano. Li sentiva muoversi intorno disordinatamente, come se stessero preparando l’accampamento. Dopodiché risalì. “Due ore”, bisbigliò Drizzt all’orecchio di Innovindil. Lei, paziente, annuì. Si sistemarono più comodi e, con gran sorpresa di Drizzt, Innovindil lo fece avvicinare a sé, di modo che la testa di lui potesse appoggiare contro il suo petto. Mentre il drow sentiva allentarsi la tensione, lei gli carezzò i lunghi e folti capelli bianchi e gli diede persino un bacio sulla nuca. Seduto così comodo e oggetto di tanta tenerezza, Drizzt si rilassò più di quanto non avesse fatto da molto, molto tempo. Gli parve addirittura che le due ore trascorressero quasi troppo veloci, anche se non ebbe problemi di sorta a strapparsi a quel rifugio accogliente e a risvegliare dentro di sé gli istinti del Cacciatore. Fece di nuovo segno alla compagna di non muoversi, mentre si calava per la seconda volta a testa in giù nello stretto passaggio. Il corridoio era libero. Drizzt si resse con le forti dita ai bordi del camino, poi fece una piroetta e andò ad atterrare silenzioso sul pavimento. Estrasse le scimitarre, strisciò lungo i muri e ben presto scoprì l’accampamento degli orchi, poco più avanti nel corridoio e in un paio di piccole rientranze laterali. La galleria tortuosa e irregolare gli offrì innumerevoli punti di osservazione strategici per spiare il nemico. Alcuni orchi erano svegli e si stavano affaccendando attorno a un fuocherello, due di essi erano appoggiati a ridosso della parete più lontana, intenti a mangiare e a parlottare. Alle loro spalle c’era un’apertura che dava su una caverna leggermente più alta, da dove proveniva il russare di

parecchi orchi. Di fronte c’era l’altra apertura, nella quale altri stavano ugualmente dormendo. Drizzt ne individuò uno che portava un costume da sciamano, ma non si trattava di quello sciamano, quell’Arganth che sembrava così prezioso per Re Obould. Il drow rinfoderò le scimitarre e sgattaiolò più vicino, in attesa che gli si offrisse l’occasione propizia. Trascorsero parecchi minuti prima che gli occupanti dell’accampamento cessassero quasi del tutto le loro attività, all’infuori di un paio di orchi che continuavano a confabulare tra di loro. Drizzt non aspettò oltre. Si avvolse ben stretto nel mantello e si avvicinò ancora, strisciando nell’ombra, rasente il muro di fronte al piccolo falò, del quale restavano solo alcune braci ardenti. Si fermò di nuovo in prossimità dei due orchi ancora svegli e approfittò di un momento di distrazione per superarli e sgusciare nella piccola caverna che si trovava più avanti. Là vide Arganth, profondamente addormentato. Il drow rifece il percorso inverso e risalì il camino fino a Innovindil, che lo stava aspettando. Valutò di nuovo il da farsi, poi le spiegò sottovoce il suo piano, fermandosi di tanto in tanto per assicurarsi di non avere messo in allerta i nemici. Si scoprì anche a riflettere sull’opportunità di insegnare all’elfa l’alfabeto muto dei drow e, a quel pensiero, quasi scoppiò a ridere. Una volta, aveva cercato di spiegarlo a Regis, ma le dita tozze dell’halfling, a dispetto della sua eccezionale destrezza, non riuscivano a formare le lettere in modo corretto: Drizzt gli aveva spiegato che parlava come se balbettasse! Aveva anche tentato di farlo imparare a Catti-brie, ma i risultati erano stati deludenti, giacché anche un umano provvisto dell’intelligenza di Catti-brie non era comunque dotato della giusta coordinazione nei movimenti. Ma era certo che Innovindil possedeva la necessaria agilità. Magari, in qualche ritaglio di tempo, glielo avrebbe insegnato. “Ma potresti avere dei problemi a uscire, dopo”, rispose Innovindil quando Drizzt ebbe finito di illustrarle il piano. Il fatto che l’elfa si preoccupasse esclusivamente della sua incolumità commosse Drizzt, anche perché, se le cose fossero andate per il verso giusto, sarebbe stata lei a fare da bersaglio agli orchi.

Quindi, uscirono di nuovo all’aperto per assicurarsi che la tribù di orchi appena arrivata dalle montagne non avesse piantato le tende troppo vicino. Dopodiché rientrarono nelle gallerie per fermarsi poco lontano dal punto in cui gli orchi si erano accampati. Si scambiarono colpetti sulle spalle e cenni del capo, poi Drizzt sgusciò via, ripetendo lo stesso percorso di prima. Il tragitto richiese un po’ di tempo, dato che il gruppo nella caverna di fronte era particolarmente agitato e litigioso, ma il furtivo drow riuscì infine a introdursi nella grotta dove si trovava Arganth, in compagnia di parecchi altri orchi. A uno a uno, tagliò la gola a tutti, risparmiando solo lo sciamano. Questi fu svegliato bruscamente da una mano che gli premeva sulla bocca e da punta di una scimitarra conficcata nella schiena. “Un solo movimento e ti trapasso il cuore”, Drizzt lo ammonì, la voce ridotta a un leggero sussurro nell’orecchio dell’atterrito sciamano. Trascinò Arganth contro il muro e lo usò per farsene scudo, nel caso fosse entrato qualcuno. Riuscì persino ad afferrare una sudicia coperta, con la quale ricoprì se stesso e il suo ostaggio, come precauzione aggiuntiva. Poi rimase in attesa. Aveva chiesto a Innovindil di concedergli tempo in abbondanza per riuscire ad agguantare lo sciamano. Un grido lo avvisò che l’elfa si era messa all’opera. Fuori dalla piccola grotta, gli orchi avevano cominciato ad affannarsi tutt’intorno, alcuni che correvano a destra e si inoltravano nella galleria, altri - la maggior parte - che si dirigevano nell’altro senso. A un certo punto, uno di essi entrò a chiedere aiuto, ma, ovviamente, nessuno si mosse o rispose. Drizzt afferrò ancora più saldo Arganth e si rannicchiò ancora di più sotto la protezione della coperta. Un secondo urlo all’esterno gli fece capire che Innovindil aveva colpito di nuovo con il suo arco. Alcuni istanti più tardi il drow balzò in piedi dando uno strattone

ad Arganth e trascinandoselo dietro mentre si avviava verso l’uscita. Al momento opportuno, scivolò fuori e si incamminò a sinistra, inoltrandosi nella galleria. Non appena scorse un passaggio laterale, vi si infilò spingendo Arganth in un angolo. Si preparò di nuovo ad attendere, mentre il frastuono nel corridoio principale diminuiva. Poi, fece uscire il prigioniero dal nascondiglio e, insieme, riuscirono a superare l’accampamento degli orchi senza imbattersi in anima viva. Drizzt notò che tre orchi giacevano morti sul pavimento, uccisi da Innovindil. Il drow e lo sciamano ripercorsero tutto il cammino fino a sbucare all’aperto e, solo allora, Drizzt allentò la presa sul prigioniero. “Se gridi, ti taglio la gola”, lo ammonì e l’espressione di Arganth gli fece capire che aveva compreso ogni parola. “Obould ti uc...” cominciò a dire lo sciamano, ma si zittì di colpo nel sentire la lama affilata della scimitarra contro la gola. “Già... Obould”, replicò Drizzt. “Parleremo anche di lui al momento opportuno.” “Non ti dirò un bel niente!” “Mi permetto di dissentire.” La lama affondò ancora di più nella gola. “Non credo che tu voglia morire.” Al che Arganth esibì uno strano sorriso e, con sua sorpresa, si appoggiò ancora di più contro la lama. “Gruumsh è all’improvviso.

con

me!”

proclamò,

buttandosi

avanti

Ma Drizzt fu più veloce e ritrasse la scimitarra, mentre estraeva l’altra dal fodero e con l’impugnatura assestava un colpo sul cranio di Arganth, che crollava a terra. Cercò ugualmente di dimenarsi e di urlare, ma Drizzt lo colpì ripetutamente, finché non perse i sensi. Imprecando sottovoce, il drow ripose le armi nel fodero e sollevò lo sciamano caricandoselo in spalla, per poi correre via nella notte. Nel trovare Innovindil nella loro grotta, come stabilito, si sentì

sollevato. L’espressione della sua compagna non mutò mentre Drizzt lasciava cadere lo sciamano esanime ai suoi piedi. “C’erano tre orchi morti nella galleria”, le disse. “E parecchi altri fuori”, ribatté lei, guardandolo cupa. “Li avrei uccisi tutti se avessero avuto la costanza di inseguirmi.” Drizzt pensò bene di lasciar perdere; non voleva alimentare la rabbia di Innovindil. Si dedicò quindi a legare metodicamente Arganth, che trascinò poi contro il muro facendolo sedere. “Ci darà le informazioni che ci servono per vendicare Tarathiel”, disse Drizzt. Il ricordo dell’elfo morto fece apparire una smorfia di dolore sul viso di Innovindil. “E per aiutarci a porre fine a questo flagello degli orchi”, riuscì a rispondere piano lei, con la voce che le si spezzava. “Sicuro”, affermò Drizzt con un sorriso affettuoso. Arganth tornò ad agitarsi e Drizzt gli sferrò un calcio negli stinchi. Era giunto il momento di farlo parlare. “Quei bastardi di Nesmé sono stati sbaragliati”, disse una delle due teste di Proffit. “Se la stanno dando a gambe”, aggiunse l’altra. “E si stanno nascondendo”, conclusero entrambe. Kaer’lic fece correre lo sguardo dall’una all’altra e poi di nuovo alla prima, cercando di non mostrare quanto si sentisse a disagio nell’avere a che fare con quel brutto mostro a due teste. “Può darsi che i nani li stiano cercando”, replicò la drow. “In tal caso, seguiremo i nani”, ribatté la prima testa di Proffit. “E li uccideremo”, aggiunse la seconda. “E li schiacceremo”, intervenne di nuovo la prima. “E ce li mangeremo”, decisero ambedue all’unisono. “Solo pochi troll resteranno per banchettare con i nani e con quei bastardi di Nesmé”, spiegò la prima testa. “Il resto proseguirà per sferrare l’attacco all’interno di Mithral Hall.”

Kaer’lic trattenne una smorfia. “Probabilmente ci saranno parecchi nani”, replicò lei. “Un esercito formidabile. Saremmo sciocchi a sottovalutarli.” “Mmm”, rifletterono le teste del troll. “Faremmo meglio a dirigerci tutti a sud per inseguire i nani”, suggerì Kaer’lic. “Concediamoci dei lauti pranzetti, dopodiché, potremo tornare verso Mithral Hall.” “Ma Obould...” “Non è qui”, lo interruppe Kaer’lic. “E non ha neppure cominciato a fare serie pressioni su Mithral Hall. Abbiamo tutto il tempo di eliminare questa banda di nani e i loro amici di Nesmé, per poi tornare a combattere all’interno di Mithral Hall.” Per un attimo, la drow si chiese se non fosse il caso di spiegare a Proffit che Obould lo stava usando e che stava mandando lui e i suoi troll allo sbaraglio nelle gallerie del Clan Battlehammer, sapendo bene che le perdite sarebbero state terribili e che non avrebbe inviato loro alcun soccorso. Ma resistette alla tentazione, poiché si rese conto che un troll furibondo, e per di più con due teste, avrebbe potuto colpire qualunque cosa a portata di mano, compresa una solitaria sacerdotessa drow. Inoltre, per quanto Kaer’lic fosse diventata diffidente nei confronti di Obould, non riteneva che la pressione esercitata sul Clan Battlehammer fosse una cattiva idea. E se anche alcune decine di troll ci avessero rimesso la pelle nell’impresa, che perdita sarebbe stata? Proffit fece per rispondere - dichiarandosi d’accordo, Kaer’lic ne era certa - ma si fermò di botto, vedendo che sopraggiungeva qualcuno a passo veloce lungo il corridoio. “Non lontano di qui c’è un collegamento con la galleria usata dai nani”, spiegò loro Tos’un. “Il passaggio sarà un po’ stretto per i nostri amici, ma ce la faranno.” Mentre parlava, osservava la figura gigantesca di Proffit con un’espressione che non era delle più lusinghiere. Ovviamente, lo stupido troll non colse le implicazioni di quello sguardo.

“Allora andiamo”, esortò Kaer’lic. “Li inseguiremo fino a fuori e, se va tutto bene, con i fuggiaschi di Nesmé e...” indugiò guardando Tos’un, “ci concederemo un buon pranzetto”. Il compagno fece una smorfia di disgusto, ma entrambe le teste di Proffit stavano ridendo mentre le due bocche dentute avevano preso a sbavare.

Un essere del tutto disgustoso, disse Kaer’lic a Tos’un ricorrendo all’alfabeto muto. Ma davvero utile se vogliamo far arrabbiare Obould. Tos’un replicò subito con le agili dita. Allora si tratta di una degna causa.

26

DANNATO GNOMO Regis fece un sospiro rassegnato e lasciò cadere la pergamena che gli era appena stata consegnata dal ricognitore. La osservò mentre cadeva, planando prima a sinistra e poi a destra per poi posarsi sul bordo del tavolo in equilibrio precario. L’halfling pensò che si trattasse di una posizione appropriata, dato che era l’ennesimo inquietante documento che andava ad aggiungersi al mucchio di preoccupazioni già esistenti. Il ricognitore era giunto dal sud per riferirgli che alcuni troll erano stati visti inseguire Galen Firth e il gruppo di nani inviati in soccorso di Nesmé. I suoi istinti gli suggerivano di mettere insieme una squadra e di mandarla a recuperare i cinquanta nani in difficoltà. Ma com’era possibile? Aveva circa un migliaio di guerrieri impegnati sull’altopiano a combattere con Banak e un numero ancora maggiore dislocato ai margini occidentali di Keeper’s Dale per difendere il fianco dell’esercito di Banak e la via d’accesso a Mithral Hall. Quanto all’esiguo raggruppamento di nani che si trovava all’interno della fortezza, Regis era certo che avesse già il suo bel daffare, tra i giri di pattuglia nelle gallerie, il trasporto dei viveri fin sull’altopiano e quello dei feriti giù fino a valle perché venissero curati - oltre a rimpiazzare le perdite - e il lavoro alle fucine per fabbricare il materiale richiesto da Nanfoodle. Nel pensare alle fucine, a Regis comparve sul volto un moto di stizza e, per un attimo, l’halfling si chiese se non fosse il caso di porre fine a quel folle progetto. Almeno, avrebbe potuto mandare qualche nano come rinforzo a sud.

Emise un altro sospiro e si prese il viso fra le mani, ma subito, udendo bussare alla porta, alzò lo sguardo e ordinò al visitatore di entrare. Sulla soglia comparve un nano in abito da combattimento, ad eccezione della testa che, anziché indossare un elmo, era ricoperta da spesse bende. “È iniziato lo scontro nelle gallerie che stanno sotto la cresta dei giganti”, riferì il nano. “Banak mi ha chiesto di venire a informarvi.” “Mentre scendevi a farti curare le ferite”, arguì Regis. “Bah, è solo un graffio”, ribatté il nano. “Sono venuto a prendere delle lance per organizzare qualche nuovo sbarramento di difesa.” Quindi, salutò con un cenno del capo e fece per uscire. “Come procede la battaglia là sotto?” domandò Regis, dopo essersi ripreso dallo stupore causatogli dalla dichiarazione del nano. In effetti, il soldato sembrava più malconcio di quanto volesse dare a vedere. Tutta una parte della fasciatura era intrisa di sangue e l’armatura mostrava innumerevoli squarci e ammaccature. Il nano si voltò. “Avete mai provato a respingere nemici da una galleria?” chiese. “Dei nemici ben piazzati e pronti a ricevervi?” Regis ricacciò indietro una smorfia e scosse il capo. Il nano si limitò ad annuire con espressione grave e uscì. Regis emise un altro profondo sospiro, non prima però che il nano avesse chiuso la porta dietro di sé, dato che, dopotutto, non voleva mostrare segni di debolezza o di sconforto. Ma la situazione lo preoccupava parecchio e gli logorava i nervi. I nani stavano combattendo e morendo, ed era lui a dover decidere se farli rimanere al loro posto. In qualità di castaldo, Regis avrebbe potuto richiamare Banak e le sue truppe, avrebbe potuto riportare tutti i membri del Clan Battlehammer e i nuovi venuti al sicuro, all’interno della fortezza di Mithral Hall. Lasciando così che gli orchi cercassero di stanarli di là! E alla luce delle sue ultime congetture, sul fatto cioè che continuare la battaglia potesse davvero essere quello che gli orchi desideravano, forse sarebbe stata una mossa prudente

richiamare tutti i suoi guerrieri. Ma tale mossa avrebbe significato lasciare i territori della regione in balia del nemico e rinunciare alla funzione ricoperta da Mithral Hall come principale difensore delle genti che abitavano le terre selvagge all’ombra delle propaggini orientali della Spina Dorsale del Mondo. Era tutto troppo confuso e sconvolgente. “Non sono un buon capo”, mormorò Regis. “Maledetto il giorno che mi hanno affidato questo incarico.” L’attimo di disperazione fu presto superato e rimpiazzato da un sorriso malinconico, mentre l’halfling si raffigurava la risposta che Bruenor gli avrebbe dato nel sentirlo pronunciare quelle parole. Il nano l’avrebbe chiamato Pancia-che-brontola, ovviamente, e gli avrebbe rifilato un bel ceffone. “Ah. Bruenor”, sussurrò Regis, “perché non ti svegli e non ti occupi di tutti questi problemi?”. Chiuse gli occhi e pensò a Bruenor che stava là disteso, così immobile e pallido. Aveva preso l’abitudine di recarsi da lui ogni notte e di dormire su una sedia proprio di fianco al letto. Di Drizzt non si avevano notizie e Catti-brie e Wulfgar erano occupati a combattere al fianco di Banak, ma Regis era determinato a far sì che Bruenor non morisse senza uno dei suoi compagni più fidati accanto a lui L’halfling in parte temeva e in parte auspicava il sopraggiungere di quel momento. Non riusciva nemmeno a comprendere come mai Bruenor fosse ancora vivo, dato che tutti i sacerdoti avevano pronosticato che il nano non sarebbe sopravvissuto più di un giorno o due senza le loro cure, ed erano ormai trascorsi già parecchi giorni. “Vecchio nano ostinato”, si disse Regis, mentre si alzava dalla sedia per andare a far visita all’amico. Di solito non si recava da lui a quell’ora della sera, comunque, non prima di avere cenato, ma per qualche recondita ragione Regis sentiva di doverlo fare subito. Forse cercava il conforto della compagnia di Bruenor, aveva bisogno di ricevere la conferma che era lui l’amico più caro del re dei nani e che, perciò, aveva fatto bene ad accettare la carica di castaldo del

Clan Battlehammer. O forse sedendogli accanto avrebbe semplicemente ritrovato un po’ della sua forza, mentre, com’era suo solito, ricordava i vecchi tempi. Che splendido esempio era stato per lui Bruenor durante tutti quegli anni, così saldo quando tutti intorno a lui scappavano, così imperturbabile quando gli altri si facevano piccoli per la paura! Mentre usciva, Regis venne folgorato da un altro pensiero che gli tolse quel poco di sollievo procuratogli dall’idea di andare da Bruenor. Magari, si rese conto d’un tratto, aveva provato il bisogno di far visita all’amico perché in qualche modo lo spirito di lui lo stava chiamando, gli stava dicendo di accorrere al suo capezzale, se davvero voleva essere presente nel momento della sua dipartita. “Oh no!” annaspò l’halfling, mettendosi a correre lungo il corridoio con tutta la velocità consentitagli dalle corte gambe. La rapidità e l’orario insolito della visita fornirono a Regis una spiegazione inattesa, poiché, mentre entrava nella stanza, non vide solo Bruenor Battlehammer che giaceva, come morto, sul letto, ma anche un altro nano chino su di lui, intento a recitare preghiere a Moradin. Per un attimo Regis credette che il sacerdote stesse pregando per favorire il passaggio dell’anima di Bruenor nell’aldilà, e che forse lui era arrivato troppo tardi per assistere l’amico. Ma poi capì la verità, e cioè che il sacerdote, Cordio Muffinhead, non stava dicendo addio al suo re, ma recitando formule magiche per tenerlo in vita. Con gli occhi sbarrati, chiedendosi se Bruenor avesse avuto un miglioramento tale da giustificare una nuova terapia a base di formule magiche, Regis fece un balzo avanti. Il movimento improvviso avvertì Cordio della sua presenza, e il nano alzò la testa e indietreggiò, trattenendo il respiro. L’atteggiamento intimorito dell’altro fece capire a Regis che le sue speranze erano vane e che là stava succedendo ben altro. “Cosa stai facendo?” chiese l’halfling.

“Vengo a pregare ogni giorno per il passaggio dell’anima di Bruenor”, replicò il nano con voce roca, propinando a Regis una mezza verità. “Per facilitare il passaggio, voglio dire”, cercò di chiarire Cordio. “Prego Moradin di accoglierlo dolcemente.” “Mi dicesti che Bruenor era già al fianco di Moradin.” “Già, il suo spirito dovrebbe esserlo.., già, dovrebbe.., essere così”, balbettò Cordio. “Ma noi non vogliamo che il passaggio del corpo sia doloroso, vero?” Regis udì a malapena la risposta, mentre se ne stava là a osservare Bruenor, a osservare l’amico che avrebbe già dovuto essere morto da alcuni giorni, da quando cioè lui aveva ordinato ai sacerdoti di sospendere ogni cura. “Cosa stai facendo, in realtà, Cordio?” cominciò a chiedere Regis, ma si fermò nel vedere che qualcun altro si era precipitato nella stanza. “Il castaldo sta arr...” disse Stumpet Rakingclaw, ammutolendo non appena si accorse che Regis era già là. Mentre indietreggiava, spalancò gli occhi e parve biascicare una qualche imprecazione. “Già, Cordio Muffinhead”, osservò Regis. “Il castaldo sta arrivando, perciò sospendi le tue formule magiche per guarire Bruenor e sparisci.” Nel proferire l’accusa, si girò verso Cordio, che non si mosse di un passo. “Già”, replicò Cordio. “Queste sarebbero state più o meno le parole di Stumpet se tu non fossi ancora arrivato.” “Lo state curando”, accusò Regis, rivolgendo a entrambi uno sguardo duro. “Ogni giorno venite qui e pronunciate formule magiche sul suo corpo per preservare il suo alito vitale. Non lo volete lasciar morire.” “Il corpo è qui, ma lo spirito se n’è andato da tempo”, replicò Cordio.

“Allora lasciatelo morire!” ordinò Regis. “Non posso”, disse Cordio. “Non c’è dignità in tutto questo!” gridò l’halfling. “No”, convenne Cordio. “Ma Bruenor ha dei doveri, ora, e sto facendo in modo che li adempia. Non posso permettere che il corpo di Re Bruenor ci lasci proprio in questo momento.” “Non ancora, perlomeno”, interloquì Stumpet. “Ma siete stati voi a dirmi che non potete riportarlo indietro, che corpo e anima sono già separati e non sentiranno il richiamo dei vostri magici poteri”, sostenne l’halfling. “Le vostre parole mi hanno fatto prendere la decisione di lasciarlo andare in pace, e adesso sfidate i miei ordini?” “Re Bruenor non può riunirsi ai suoi antenati finché è in corso la battaglia”, spiegò Cordio. “E non per il bene di Bruenor: tutto ciò non ha niente a che vedere con il suo bene.” “Ha a che vedere con il re, ma non con il nano”, aggiunse Stumpet. “Ha a che vedere con i guerrieri che sono là fuori a combattere per Mithral Hall, a combattere per il nome di Re Bruenor Battlehammer. Prova a dire a Banak Brawnanvil che Bruenor è morto e vedrai quanto a lungo resisteranno i suoi nani contro l’attacco degli orchi.” “Non è per Bruenor che lo facciamo”, disse Cordio. “Ma per coloro che lottano nel nome di Bruenor. Dovresti capirlo. Mithral Hall ha bisogno di un re.” Regis cercò di controbattere. Le sue labbra si mossero, ma non ne uscì alcun suono. Gli occhi rimasero bassi, rivolti al fantasma di Bruenor, l’amico, il re, disteso pallido e immobile sul letto, le mani vigorose ripiegate l’una sull’altra sul torace un tempo possente. “Nessuna dignità...” mormorò l’halfling, ma la protesta suonò vuota persino alle sue orecchie. L’esistenza di Bruenor era stata imperniata sull’onore, il dovere e, soprattutto, sulla lealtà. Lealtà verso il clan e gli amici. Se rimanere vivo significava aiutare il clan e gli amici, anche se comportava sofferenza per lui, Bruenor non avrebbe esitato a prendere a pugni il

primo che avesse avuto l’ardire di fermarlo. A Regis faceva male dover stare là a fissare l’amico impotente. Gli faceva male pensare che quei sacerdoti non stavano rispettando il desiderio di Catti-brie e di Wulfgar, le due persone che avevano più diritto di chiunque altro di decidere sul destino del loro padre adottivo. Ma l’halfling non riuscì a trovare una ragione che confutasse la logica di Cordio e di Stumpet. Lanciò un’occhiata ai due nani e, senza approvare o contestare il loro operato, chinò il capo e si diresse fuori dalla stanza, le spalle gravate da un ulteriore fardello. *** I due pesanti tubi di ferro caddero sul pavimento di pietra con rumore metallico e rimbalzarono finché Nanfoodle non riuscì a fermarli. Lo gnomo ansimava e soffiava per lo sforzo di aver dovuto trasportare i due pezzi per tutto il tragitto, fin dalle fucine. Ma non si sedette né si riposò, anzi, sistemò i due condotti in modo che le estremità combaciassero. Pikel Bouldershoulder li osservò incuriosito, poi riportò lo sguardo sull’ammasso di fango che aveva davanti. Sapeva che la magia si sarebbe presto dissolta e che il fango avrebbe ripreso la sua abituale consistenza. Il nano dalla barba verde ne raccolse una manciata e la spalmò sui due tubi, poi sollevò l’estremità di uno per esaminarla. “Eh”, disse in tono di apprezzamento, notando che i nani avevano smussato i punti terminali di ogni pezzo. Fece cenno a Nanfoodle di prendere l’altro tubo e di tenerlo sollevato in corrispondenza del suo. Poi li saldarono insieme, mentre Nanfoodle avvolgeva rapido una striscia di panno in corrispondenza del raccordo e Pikel vi spalmava del fango tutt’intorno. Quindi, lui e Nanfoodle appoggiarono con cautela i due tubi sul pavimento. Lo gnomo raccolse rapido del terriccio pietroso e lo premette contro la fanghiglia che rivestiva la

superficie della tubatura, così che vi venisse inglobato, una volta che questa si fosse indurita. Cosa che in effetti successe, e i due pezzi apparivano sigillati come se fossero uno solo. “Ssssss”, spiegò Pikel indicando la giuntura, e tappandosi il naso. “Sicuro, perderà se la lasciamo così”, confermò Nanfoodle. “Ma noi non lo faremo.” Corse via e tornò dopo pochi minuti portando con sé un pesante secchio, dal quale spuntava il manico di un grosso spazzolone. Dopo aver posato il secchio a terra, Nanfoodle sollevò lo spazzolone, impregnato di nero e denso catrame, e spalmò accuratamente tutta la giuntura. “No ssssss”, disse a Pikel agitando il dito in aria. “Hi hi hi”, assentì il nano dalla barba verde. Nanfoodle si sentì allargare il cuore nel vedere che Pikel aveva ritrovato la sua allegria. Da quando aveva perso il braccio, il nano era depresso e persino meno loquace del solito. Ma Nanfoodle lo aveva studiato con attenzione ed era arrivato a concludere che la disperazione di Pikel era dovuta più al fatto di sentirsi inutile di fronte alle difficoltà del momento che non alla sua improvvisa menomazione. L’aver coinvolto il nano in modo così totale nel suo progetto - e indubbiamente Pikel era il più indicato per il compito che gli era stato affidato - gli aveva ridato vigore e aveva riportato il sorriso sulle sue labbra. Seduto là, dinanzi alla roccia trasformata in fango, Pikel si lasciò andare più di una volta a esprimere il proprio entusiasmo con una serie di “hi hi hi”. “Stanno combattendo, lassù”, disse Nanfoodle. “Oooo”, replicò Pikel. Fece per alzarsi, come se volesse precipitarsi sul luogo della battaglia. “Le gallerie sotto alla postazione dei giganti”, spiegò Nanfoodle, afferrando il braccio di Pikel per fermarlo. “Se la fortuna è dalla nostra parte, la battaglia sarà finita prima ancora che saremo riusciti

ad alzarci per uscire di qui. Ma non possiamo chiedere ai nostri amici di difendere troppo a lungo quelle gallerie: così facendo priverebbero Banak di una buona parte delle sue forze.” “Oooo.” “Possiamo solo aiutarli alleviando la loro fatica, Pikel”, disse Nanfoodle. “Solo tu e io, lavorando sodo e velocemente.” Abbassò lo sguardo sui tubi di metallo. “Eh!” convenne Pikel, mentre si rimetteva all’opera sul mucchio di fango che si stava già rapprendendo. Nanfoodle annuì e fece un profondo sospiro. Era tempo di mettersi seriamente all’opera. Rifletté sul percorso da far fare ai tubi e calcolò rapidamente quanti nani avrebbe potuto impiegare senza che si intralciassero l’un l’altro. Lo gnomo era certo che Regis si sarebbe facilmente convinto, dato che il lavoro davvero pesante, cioè lo sgombero delle gallerie al di sopra di loro, era già in corso. Nanfoodle si raffigurò alcune scene di battaglia che, senza dubbio, stavano avendo luogo proprio in quel preciso istante. La schiena gli venne percorsa da un brivido. *** “Dannati arcieri!” gridò Tred McKnuckles. Si gettò sul fianco della galleria riparandosi dietro a un masso. I nani avevano conquistato quasi senza problemi le aree esterne delle gallerie, il tratto meridionale nei pressi di Keeper’s Dale, ma, mano a mano che si erano spinti più in profondità, la resistenza si era fatta più ostinata. La squadra di Tred, di cui facevano parte Ivan Bouldershoulder e l’amico di Tred, Nikwillig, anche lui proveniente da Felbarr, nel percorrere un lungo e stretto tunnel, si era scontrata con uno schieramento difensivo nemico ben organizzato. A poca distanza da loro, gli orchi si erano trincerati dietro una barriera di pietre impilate l’una sull’altra, dalla quale continuavano a scagliare frecce e lance.

“Torgar sta incalzando alla nostra sinistra”, disse Ivan, che si era anche lui messo al coperto in una rientranza sulla parete opposta a quella di Tred. “Si dirigerà verso le grandi caverne che si trovano più avanti. Avrà bisogno del nostro appoggio!” “Bah!” grugnì Tred, mentre balzava deciso fuori dal suo riparo, verso il quale venne subito respinto, colpito da tre frecce che lo fecero cadere pesantemente all’indietro. “Ah, che incosciente!” gridò Ivan. “Questa fa male”, confessò Tred, afferrando l’asta di una delle frecce che gli erano rimaste conficcate nel corpo. “Ti porteremo fuori di qui!” gli promise Ivan. Tred alzò la mano e scosse il capo, rassicurando l’altro nano. “Dobbiamo respingerli”, aggiunse poi. “Per i Nove Inferni!” sbraitò un Ivan sempre più frustrato. Estrasse un dardo di balestra dal cinturone e lo esaminò con cura. Quelle frecce erano state progettate da lui e dal suo amico Cadderly. Compatte alle estremità, presentavano una piccola fenditura al centro dell’asticciola, capace di ospitare una minuscola fiala. Tale fiala conteneva un olio magico in grado di esplodere durante l’impatto. Ivan inserì la cocca del dardo sulla sua piccola balestra - un’altra arma perfezionata da lui e da Cadderly - poi si sdraiò pancia a terra, si mise comodo e lanciò lo strale in direzione degli orchi. Senza godere di una grossa spinta, dato che era stata scagliata da una balestra di dimensioni ridotte, la freccia descrisse un’ampia curva, colpì una delle rocce della barricata nemica e si piegò su se stessa. L’olio mandò un lampo ed esplose, facendo saltare un pezzo di roccia. “Lascia che faccia a pezzi il loro muro”, disse Ivan, rivolgendosi a Tred. “Li faremo correre, quei porci!” Mise un’altra freccia sulla balestra e la tirò, provocando

un’ulteriore esplosione più avanti, nella galleria. E la galleria cominciò a tremare. “Cos’hai fatto?” esclamò Tred spalancando gli occhi. Gli occhi di Ivan non erano meno sbarrati dei suoi. “Che io sia dannato se lo so!” ammise, mentre quel brontolio di tuono cresceva tutt’intorno. Ivan guardò il cinturone ed estrasse un’altra freccia. “Per una cosa tanto piccola!” esclamò, scuotendo il capo e rivolgendo lo sguardo verso gli orchi. Solo allora si rese conto che il rimbombo proveniva da dietro. “Allora non sono io!” gemette, mentre si guardava allarmato alle spalle. “Bah! È una frana!” urlò Tred. “Falli uscire! Falli uscire tutti!” Ma non si trattava di una frana, come i due nani e i loro compagni ebbero modo di appurare qualche istante più tardi, quando l’avanguardia dei responsabili di quello strepito fece la propria comparsa, mentre si lanciava alla carica con impeto selvaggio su per la galleria. “Non si tratta di un crollo!” gridò uno dei nani in fondo al corridoio. “Sono i Gutbuster!” esclamò un altro. “Pwent?” disse Ivan con una smorfia rivolgendosi a Tred, mentre entrambi si addossavano saggiamente ancora di più alla parete dei loro rispettivi rifugi temporanei. La risposta a quell’ultima domanda giunse sotto forma di un fragore basso e protratto: un urlo di pura violenza, lo stridore delle armature di metallo, lo scalpitare di pesanti stivali. La colonna lo oltrepassò, con Thibbledorf Pwent alla testa, protetto da un alto e pesante scudo. Alcune frecce andarono a conficcarvisi contro, e una di esse lo superò centrando Pwent su una spalla, con il solo risultato di farlo urlare ancora più forte e farlo balzare in avanti con foga persino maggiore. Gli archi nemici scagliavano dardi in continuazione e le lance

fischiavano attraverso lo stretto passaggio, ma i Gutbuster, vuoi per coraggio vuoi per incoscienza, non esitarono nemmeno un istante. Parecchi ricevettero colpi brutali, colpi che avrebbero atterrato un nano normale, ma nello stato di eccitazione in cui si trovavano, i guerrieri Gutbuster non sembravano quasi avvertire dolore. Pwent si lanciò a capofitto contro la barricata degli orchi, andandoci a sbattere seguito dai suoi nani, alcuni dei quali si disposero a formare una sorta di piramide su cui si arrampicarono i compagni. E la barricata crollò. I pochi orchi rimasti si industriarono a resistere: alcuni scagliando frecce, altri agitando armi inconsistenti, altri ancora sguainando spade. I Gutbuster reagirono corpo e anima, saltando sui nemici e rotolandovisi sopra con le corazze munite di spuntoni, infilzandoli con le punte delle lance, o colpendoli con i guanti di ferro chiodati. Quando Ivan finalmente riuscì a raggiungere la barricata ormai in rovina, sorreggendo un Tred ferito e zoppicante, vide che non rimaneva più nessun orco intatto, men che meno vivo. “Abbiamo dovuto coglierli di sorpresa, per evitare che ci colpissero”, spiegò il maleodorante Thibbledorf Pwent. Pareva incurante del fatto che un paio di frecce fossero conficcate in una delle sue possenti spalle. “Ci siete riusc...” cominciò a dire Ivan, ma fu interrotto da alcune grida che provenivano da un punto più avanti e che li avvisavano della presenza di un altro schieramento di orchi. “Prendiamoli, ragazzi!” abbaiò Pwent. “Yaaaaaaaaaa!” Agguantò di nuovo lo scudo, scrollando i frammenti di pietra che vi erano rimasti sopra. Poi, circondato da un coro di acclamazioni, si apprestò a lanciarsi a capofitto in un’altra zuffa. “Speriamo di non raggiungere le grosse caverne prima di Torgar”, dichiarò Ivan. Tred si limitò a sbuffare e a scuotere la testa, mentre Ivan lo

aiutava a proseguire. *** Molto più in basso della zona dove si svolgevano gli scontri, nella grotta densa di gas sulfureo al di sotto della cresta settentrionale di Keeper’s Dale, Nanfoodle, Pikel e una schiera di altri nani si erano legati pesanti panni intorno al viso per proteggersi da quel fetore nauseabondo. Pikel era accovacciato in una buca scavata ai margini della pozza di acqua giallastra. Stava bisbigliando le parole di una formula magica, agitando la mano superstite e il moncone sopra la roccia. Accanto a lui, un nano corpulento reggeva un lungo tubo di metallo in verticale, alla cui estremità era inserita un’asta simile a una punta di lancia. Pikel finì di recitare la sua formula e si ritrasse facendo un cenno al nano, il quale tuffò il tubo nella roccia diventata all’improvviso malleabile. Le robuste braccia spinsero a fondo, finché oltre metà tubo scomparve sottoterra. “Ha toccato la pietra”, spiegò. Pikel annuì e sorrise lanciando uno sguardo a Nanfoodle, che trasse un sospiro di sollievo. Lo gnomo riteneva che quello fosse il momento più critico. Per prima cosa, con l’aiuto di Pikel, avevano scavato nella roccia fino a una profondità di dieci piedi, lasciando tra loro e il gas un sottile strato di circa cinque piedi. Il margine di errore era abbastanza ristretto. Dopo aver aspettato che la fanghiglia si indurisse, a un gesto dello gnomo, due nani muniti di mazzuole si erano fatti avanti e avevano cominciato a picchiare sulla sommità del tubo. Nanfoodle trattenne il respiro: benché non avesse condiviso i propri timori con nessuno, sapeva che una scintilla avrebbe potuto provocare un disastro. Gli riuscì di respirare normalmente solo quando uno dei nani annunciò: “Ci siamo”.

L’altro nano, ubbidendo di nuovo a un segnale dello gnomo, estrasse un coltello e tagliò le corde che assicuravano lo spuntone di lancia all’estremità del tubo. Quasi immediatamente, entrambi i nani si misero a sputare e ad agitare le mani davanti alla faccia per proteggersi dal tremendo puzzo che filtrava attraverso l’apertura. Pikel emise un lieve squittio di gioia e balzò in avanti, tappando il foro con una sostanza gommosa preparata in precedenza da Nanfoodle. Dopodiché, si chinò e spalmò il tubo con altra roccia trasformata in fango malleabile. “È la cosa più folle che abbia mai visto”, osservò un nano un po’ in disparte. “Dannato gnomo”, commentò un altro. Al riparo del panno che gli copriva la metà inferiore del volto, Nanfoodle si limitò a sorridere. Non si sentiva davvero di dissentire da quell’affermazione. Fidandosi della sua parola soltanto, i nani avevano tirato un’interminabile fila di tubi di metallo fuori da quella caverna, lungo innumerevoli gallerie e attraverso i dieci piedi di roccia che li separavano da Keeper’s Dale. Fidandosi della sua parola soltanto, altri nani avevano portato quella fila di tubi fino alla base dell’altura, per oltre cinquanta piedi verso nord e il doppio della distanza verso est. Fidandosi della sua parola soltanto, altri nani ancora stavano proprio in quel momento portando il tracciato su per il fianco dell’altura - per un’altezza di due o trecento piedi - fissando i tubi a ogni estremità con una serie di fermagli di metallo, così che Pikel potesse più tardi sigillarli con la roccia fusa. Quest’ultimo si rimise all’opera, accompagnato da tutti i nani: alcuni che trasportavano secchi di fango, altri di catrame. Mentre la buca veniva scavata, il nano dalla barba verde era riuscito a collegare quasi tutti i tubi da sistemare sottoterra, ragion per cui, nel giro di un’ora il gruppo fu in grado di uscire di nuovo all’aperto e di attraversare furtivamente Keeper’s Dale per raggiungere la base dell’altura. Nel frattempo, Pikel era diventato parecchio esperto nel suo lavoro, perfezionando persino una tecnica per modellare del

fango “a gomito” usato poi per rivestire i tubi che seguivano le curve delle gallerie. Nanfoodle, alla testa di un altro gruppo di nani, spalmava un secondo strato di catrame in corrispondenza dei punti deboli delle saldature, pressandovi poi contro dei sassi per rendere il tutto più stabile. Lo gnomo era ben consapevole del fatto che non ci dovesse essere margine di errore, soprattutto nei condotti che passavano sottoterra. Di tanto in tanto, lo gnomo tornava nella grotta di partenza per assicurarsi che il primo tubo fosse ancora ben saldo al suo posto. Giusto per rassicurare se stesso di non essere completamente fuori di testa. *** Dopo la spettacolare vittoria di Pwent sulla barricata degli orchi, i nani erano riusciti a conquistare nel giro di un’ora la maggior parte dei tunnel al di sotto della cresta occupata dai giganti, spingendo gli orchi superstiti verso l’estremità a nord della fitta rete di cunicoli. Non volendo indugiare oltre, Torgar decise di sigillare tutta l’area (cosa che, naturalmente, tradì le aspettative di Pwent) e ordinò ai suoi ingegneri di provocare il crollo della volta per impedire la fuga ai nemici. Quindi, dopo aver ispezionato la frana, dichiarò ufficialmente che la zona era sotto il loro controllo. Ma il lavoro non era che agli inizi. I nani si precipitarono fuori dall’estremità meridionale della galleria, nei pressi di Keeper’s Dale, riposero le armi nelle cinture e afferrarono i secchi che contenevano il nero catrame appiccicoso. Mentre alcuni ritornavano sottoterra con secchielli e spazzole alla mano, altri cominciarono a fissare carrucole e funi che, dall’apertura, scendevano fino a Keeper’s Dale. Di lì a poco, la squadra addetta al trasporto del catrame cominciò il proprio lavoro, tirando su i secchi pieni e rimandando giù quelli vuoti. All’interno, i nani si diedero da fare per sigillare ogni possibile

fessura o crepa ricoprendo le volte e i muri con quella collosa sostanza. Seguendo le istruzioni fornite dai progetti preparati da Nanfoodle, altri nani, dopo essersi assicurati con delle imbragature a lunghe corde, si accinsero a fissare dei supporti a occhiello sul fianco della montagna, a distanza regolare, partendo dal fondovalle e risalendo lungo l’erta parete fino in cima. Venne così costituita una salda struttura, che avrebbe fatto da collegamento. Torgar, Ivan e Tred - che continuava cocciuto a mandare via chiunque si volesse prendere cura delle sue ferite - cominciarono a ispezionare la zona centrale dei tunnel in corrispondenza della costa montuosa, cercando di individuare il punto più sottile nella roccia, in grado di collegarli con l’esterno, a est, e con l’attiguo campo di battaglia. Torgar si muoveva prudente, picchiando con un martelletto e prestando ascolto al suono che ne ricavava. Quando fu convinto di aver finalmente individuato la giusta ubicazione, mise al lavoro gli scavatori, i quali ben presto praticarono un foro che attraversava il sottile strato roccioso e lasciava entrare uno sbuffo d’aria da fuori. “È abbastanza largo?” chiese Torgar. Ivan alzò la piccola scatola con il lato a specchio, che aveva fabbricato seguendo le istruzioni di Nanfoodle. “Pare che ci stia”, rispose. Si avvicinò e tenne la scatola sollevata. Gli scavatori tornarono al lavoro, modellando l’apertura in modo tale che questa si potesse incastrare meglio, poi si spostarono e Ivan la inserì, con il lato a specchio rivolto all’esterno, spingendola quanto più possibile in alto verso l’uscita. “Fissatela bene”, ordinò Torgar alla squadra, quindi, insieme agli altri due capi, si avviò nella direzione da cui erano venuti. “Cos’avrà mai in mente quel dannato gnomo?” chiese Tred. “Non ne ho la più pallida idea”, confessò Torgar. “Ma Banak mi ha detto di conquistare quelle maledette gallerie e io l’ho fatto.” “Certo che l’hai fatto”, disse Ivan. “L’hai proprio fatto.”

“E di sicuro è un bene averlo fatto”, confermò Tred annuendo. “Già”, convenne Ivan. “Questi Battlehammer sanno come vincere una battaglia.” Torgar assestò pacche amichevoli sulla spalla del compagno e Ivan rimase colpito dall’ironia della sorte, che aveva voluto che una missione così importante come la riconquista delle gallerie fosse stata affidata a lui, a Torgar e a Tred, che non appartenevano al clan di Bruenor. Un battere ritmico di pesanti stivali interruppe quelle riflessioni e la conversazione. I tre si voltarono e videro Thibbledorf Pwent dirigersi a passo di carica verso sud alla testa delle sue truppe. “Fuori hanno ricominciato a combattere”, spiegò Pwent mentre passava. Richiamò i suoi guerrieri: “Datevi una mossa, zucconi! Ci stiamo perdendo tutto lo spasso!”. La Brigata Gutbuster li superò con un poderoso urrà. “Sono contento che stia dalla nostra parte”, commentò Tred, strappando una risatina ai compagni. *** Prima del sopraggiungere dell’alba, mentre gli scontri sul pendio orientale continuavano e Tred veniva mandato a farsi curare le ferite dai sacerdoti, Torgar e Ivan erano in piedi all’ingresso della galleria situata più a sud, proprio sul limitare della parete che scendeva a picco su Keeper’s Dale. “Stiamo versando il sangue dei nani solo per chiudere questi cunicoli”, commentò Torgar sospirando scoraggiato. “Credo che lo gnomo abbia intenzione di impuzzolentire i giganti sulla cresta per farli scappare”, replicò Ivan, dando un colpetto col piede al tratto di tubo che collegava il fianco della montagna con l’interno delle gallerie. “S’è messo in testa di far arrivare quell’orribile fetore fino in cima.”

Di fronte ai due c’erano alcuni nani intenti a impilare sassi tutt’intorno alla porzione centrale delle tubature, avendo cura che le pietre stessero in equilibrio senza creare pressione contro le pareti del condotto. “Dev’essere un puzzo davvero terribile”, disse Torgar, “per riuscire a cacciare i giganti”. “Mio fratello dice che lo è”, confermò Ivan. Mentre il gruppetto di operai si affrettò a farsi da parte, questi fece segno ai due ingegneri all’ingresso della galleria di andarsene. Quindi lui e Torgar afferrarono due robusti magli e insieme scalzarono i supporti di legno collocati vicino all’apertura: la volta del tunnel crollò chiudendo il passaggio e seppellendo le tubature. “Sigillateli per bene”, disse Ivan agli operai. “Spalmateli tutti con la pece, ricopriteli con la terra, poi metteteci sopra altra pece. Non vogliamo certo che quel tanfo venga verso di noi.” I nani gli fecero un cenno col capo e si misero all’opera senza indugio. Ivan restituì il cenno e lanciò un’occhiata lungo la parete dell’altura, alla processione di nani che, sorretti dalle imbragature, scendevano in basso nella valle. Altre funi stavano trasportando secchi di fanghiglia rocciosa e altre ancora tiravano su pezzi di tubi di metallo. Una quantità impressionante di tubi. “Dannato gnomo”, commentò Ivan.

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UNA QUESTIONE DI COSCIENZA Che fortuna che quei giganti abbiano deciso di unirsi a voi”, osservò Obould nel raggiungere il figlio in fondo al suo accampamento. Mentre parlava, il re degli orchi indicò a Urlgen la cresta occidentale, dove i giganti dei ghiacci di Gerti erano impegnati a ricostruire le catapulte. “Davvero una fortuna che questo gruppo sia capitato dalle tue parti.” A Urlgen e a Gerti, che si trovava vicino a Obould, non sfuggì il sarcasmo nel tono di voce dell’orco, e neppure il palese cenno al fatto che sapesse del complotto ordito alle sue spalle per eludere gli ordini che lui aveva dato. “Non potevo certo dire di no a un aiuto tanto prezioso”, replicò Urlgen, lanciando più di una volta una muta richiesta di aiuto in direzione di Gerti. “Prezioso per ottenere una vittoria in assenza di Obould?” chiese il re degli orchi senza mezzi termini facendo rizzare i capelli agli altri due, che stavano cominciando a sentirsi a disagio. “Eppure, nonostante l’appoggio di.., cosa? - un pugno di giganti? - i nani sono ancora là.” “Li caccerò dall’altopiano!” insistette Urlgen. “Farai come ti è stato ordinato!” replicò Obould. “Mi priverai di questa vittoria?” “Ti priverei di una vittoria minore se ce ne fosse una più importante a portata di mano”, spiegò Obould. “Ho un piano per

mettere in fuga i nani. Raddoppierò le tue forze, ma in segreto, senza che quegli stupidi se ne accorgano. Poi, Gerti e io ci dirigeremo verso sudovest e attaccheremo la valle da ovest. Allora, potrai respingere i nani dall’altopiano. Non avranno alcun posto dove rifugiarsi.” Fece correre lo sguardo da Urlgen a Gerti, che era chiaramente infuriata e altrettanto chiaramente perplessa, mentre scrutava la cresta a occidente. “Questa faccenda avrebbe dovuto finire molto tempo fa”, disse la gigantessa rivolgendosi soprattutto a Urlgen. “Spiegami questo ritardo.” “Due giorni fa le catapulte erano pronte”, borbottò Urlgen. “Ma i nemici hanno assalito i giganti e questi non sono riusciti a difendere le loro macchine da guerra. Non succederà più.” “Ma ci è stato riferito che i nani hanno riconquistato le gallerie proprio là sotto”, ricordò Gerti, dato che durante tutto il giorno, all’accampamento, non avevano fatto altro che giungere notizie della recente battaglia. “È vero”, ammise Urlgen. “Il nemico ha perso guerrieri nella riconquista di gallerie che non valeva la pena difendere. Ora che saranno riusciti a scavare un’apertura attraverso quello spesso strato di roccia per arrivare in cima e attaccare i giganti, la battaglia all’aperto sarà già finita.” “Ma non sembra essere quella la loro intenzione”, proseguì. “Stanno riempiendo i cunicoli con una puzza terribile, troppo forte per consentirci di contrattaccare, talmente forte che i tuoi giganti si stanno lamentando. Se li osservi meglio, puoi vedere che tengono coperti il naso e la bocca con un panno per non respirare quel tanfo.” “È possibile che un odore, per quanto nauseabondo, li faccia fuggire dalla loro postazione?” si informò Obould. “Si tratta di un puro e semplice inconveniente, nient’altro”, spiegò Urlgen. “Così facendo, i nani si sono assicurati quelle gallerie, credendo in tal modo di proteggersi il fianco, ma non è comunque la strada che noi avremmo scelto per assalirli. Lo scontro che hanno

dovuto sostenere laggiù non è servito a cambiare granché, e tanto meno porterà loro la vittoria.” Obould socchiuse gli occhi iniettati di sangue e scrutò la cresta montuosa. In ogni caso, sembrava proprio che la costruzione delle catapulte fosse a buon punto e che, andando avanti di quel passo, sarebbero state pronte molto presto. “Abbiamo una distanza di dieci miglia da coprire, prima di iniziare l’attacco a ovest”, spiegò Obould. “Quando udrete il frastuono della battaglia, partite anche voi all’assalto dei nani. Cercate di impegnarli a fondo. Respingeteli dall’altopiano verso il mio esercito, così che vendano annientati e Mithral Hall non debba mai più raggiungere il suo attuale splendore.” Urlgen lanciò di nuovo un’occhiata a Gerti, dando l’impressione di essere alquanto scosso. “Tutta la gloria va a Obould”, commentò il giovane orco, senza convinzione. “Obould è Gruumsh”, lo corresse il re degli orchi. “Tutta la gloria va a Gruumsh!” E con ciò, dopo aver emesso un ringhio d’avvertimento nei confronti del figlio e della gigantessa, Re Obould si allontanò. “La sua armata si è accresciuta in modo sproporzionato”, spiegò Gerti a Urlgen. “Raddoppierà le tue forze. Non avrai nemmeno bisogno dei miei guerrieri e delle loro catapulte.” “L’espediente dei nani, con il loro fetore, non li caccerà dalla cima”, la rassicurò Urlgen. “Lascia che le catapulte scaglino quante più pietre possibile e li schiaccino ben bene. Magari potremo dirigere qualche lancio giù per il pendio in direzione dell’esercito di Obould, eh?” “Bada a come parli”, lo ammonì Gerti. Ma non nascose il proprio divertimento all’idea di vedere Re Obould Many-Arrows spiaccicato in modo del tutto “accidentale” sotto un bel masso. Volse lo sguardo verso il re degli orchi che stava partendo, quel miserabile arrogante che si era aggiudicato il controllo dell’intera campagna.

Il sorriso si fece più evidente. *** “Il suo zelo è puramente religioso”, spiegò Innovindil a Drizzt dopo ore di infruttuoso interrogatorio nei confronti dello sciamano che avevano fatto prigioniero. “Non ci dirà nulla. Non teme né il dolore né la morte, purché sia nel nome del suo maledetto dio.” Drizzt si appoggiò al muro della caverna e rifletté sulle conclusioni di Innovindil. Aveva appreso che Obould si era diretto a sud, ma questo l’aveva già immaginato prima di sentirselo confermare dallo sciamano. L’unica altra informazione che pareva seppur lontanamente utile era l’ammissione di Arganth sul fatto che era stato il figlio di Obould, Urlgen, a saccheggiare Shallows e ad attaccare i nani nel duro scontro avvenuto appena a nord di Mithral Hall. “Sei pronto a partire verso sud?” chiese piano Innovindil al drow. “Sei pronto a trovarti di fronte i nani superstiti di Mithral Hall e ad avere conferma dei tuoi timori?” Drizzt si passò le mani sul volto per scacciare la terribile immagine della torre di Withegroo che crollava. Sapeva bene cosa avrebbe sentito una volta tornato a Mithral Hall. E lui non lo voleva sentire. “Dirigiamoci a sud, dunque”, rispose il drow. “Abbiamo delle faccende da sbrigare con questo Re Obould, e abbiamo un fedele pegaso che dipende interamente dal nostro operato. Intendo riprendere quel cavallo e farla pagare a Obould per tutto quello che ha fatto.” A quel punto, Innovindil sorrise e annuì. Drizzt lanciò un’occhiata verso l’apertura della grotta laterale dove avevano lasciato lo sciamano. “Che ne facciamo di lui?” domandò. “Ci sarebbe sicuramente d’impiccio.”

Senza una parola, Innovindil si alzò, raccolse l’arco e si avviò verso la grotta. “Innovindil?” disse Drizzt. Lei posizionò la cocca sulla corda. “Innovindil?” Drizzt trasalì mentre lei tendeva la corda e lasciava partire la freccia, poi ne scagliava un’altra e un’altra ancora. “Uccidendolo in modo così rapido e pulito, gli ho dimostrato più pietà di quanta loro ne abbiano avuta per noi”, rispose Innovindil con voce impassibile. Poi, mentre guardava Drizzt, udirono entrambi provenire un lamento dalla grotta. Sempre senza parlare, l’elfa lasciò cadere l’arco e sguainò la sottile spada, per poi avviarsi con passo lento verso lo sciamano. Drizzt si sentì confuso da quanto era appena accaduto. Ripensò brevemente a un goblin che aveva conosciuto, uno schiavo incompreso che era stato ingiustamente picchiato e assassinato dal suo padrone, un umano. Ma il drow scacciò quell’immagine. La creatura che avevano catturato non assomigliava a quel goblin. Era il fanatico seguace di un dio malvagio, quell’orco sciamano aveva vissuto per distruggere, saccheggiare, incendiare e conquistare. Drizzt sapeva che l’affermazione di Innovindil, e cioè il fatto che lei dimostrasse una pietà maggiore di quanta ne avessero mai avuta gli orchi, era inconfutabile. Cominciò a raccogliere le loro cose per apprestarsi a lasciare la grotta. Era tempo di dirigersi verso sud. Aveva già aspettato anche troppo, forse. *** Regis sedeva al buio, al capezzale dell’amico Bruenor, riandando con la memoria ai vecchi tempi. Ai giorni che avevano condiviso

quando erano nelle Lande di Ghiaccio e a tutte le volte in cui Bruenor l’aveva trovato sulle sponde di Maer Dualdon, occupato a pescare, o perlomeno a fingere di pescare. Bruenor era solito rimproverarlo; Regis poteva ancora sentire chiaramente le parole dell’amico: “Bah, Pancia-che-brontola! Tra tutte le occupazioni possibili ti sei scelto la meno faticosa, ma neppure quella sai portare avanti con impegno!”. Un sorriso apparve sul volto dell’halfling nel ricordare che, poi, Bruenor era solito lasciarsi cadere vicino a lui sulla riva del lago per “insegnargli a pescare”. Un modo stupendo per godersi quei pochi e preziosi giorni di tepore nelle Lande di Ghiaccio. Bruenor era ancora vivo. Regis sospettava che Cordio e Stumpet si recassero ancora a trovarlo nel cuore della notte e riversassero su di lui i loro incantesimi per conservarlo in vita. Riguardo a quella questione, non avrebbero ubbidito ai suoi ordini - l’avevano messo bene in chiaro - e Regis, in qualità di castaldo, aveva ben poca influenza sui due eminenti sacerdoti di Mithral Hall. In un certo senso, Regis era contento che avessero deciso al posto suo. Non era certo di riuscire a trovare di nuovo il coraggio per chiedere che Bruenor fosse lasciato morire. Nondimeno, l’halfling non poteva trovarsi del tutto d’accordo con i due ostinati sacerdoti circa il fatto che Bruenor dovesse essere tenuto in vita per il bene di Mithral Hall. Essi sostenevano che Bruenor Battlehammer fosse importante come simbolo, ma a Regis sembrava ovvio che Bruenor non fosse più re di niente. Nessun re sarebbe rimasto là disteso, sapendo che i propri sudditi stavano sostenendo una dura battaglia, e che molti di essi cadevano feriti o uccisi. “Deve esserci una risposta”, mormorò Regis nell’oscurità della stanza. Si protese in avanti sulla sedia e fissò un punto nel buio. Dovevano esserci altre possibilità.

Poi si raddrizzò all’improvviso, mentre i suoi pensieri volteggiavano e si condensavano a formare nuovi schemi. Ripensò alle parole di Cordio, e a quelle di Stumpet. Ripensò all’amico Bruenor e ai giorni trascorsi insieme. Pensò alla cocciutaggine del nano, al suo orgoglio, alla sua lealtà e generosità. E là al buio, Regis trovò la risposta, trovò il punto d’unione tra il cuore e la mente. Con una risolutezza e un ardore che l’insicuro halfling non aveva più conosciuto da tempo, Regis, Castaldo di Mithral Hall, si precipitò come una saetta fuori dalla stanza alla ricerca di Cordio Muffinhead.

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IL DRAGO DI NANFOODLE “Mantenete compatte le formazioni!” urlò Banak Brawnanvil esortando i suoi guerrieri: i suoi guerrieri spossati. Non solo i continui attacchi cominciavano a lasciare il segno sui soldati, ma Banak aveva anche dovuto inviare parecchi di loro a dare una mano a Nanfoodle. In quel momento, stavano aiutando a saldare i tubi di metallo che correvano dalle gallerie al di sotto di Keeper’s Dale, lungo il fianco della montagna, fin sulla cima. Tali circostanze imponevano al nano condottiero di adottare una guerriglia difensiva, astenendosi dal contrattaccare. I nani di Banak tenevano duro, e avrebbero continuato a resistere, se si fosse trattato solo degli orchi. Ma il comandante continuava a lanciare occhiate alla sua sinistra, verso la cresta nordoccidentale dove i giganti erano impegnati a completare la costruzione delle loro enormi catapulte. Di tanto in tanto, un lampo bianco proveniente dall’altura in lontananza catturava l’attenzione di Banak. I messaggi dei ricognitori lo informavano che il fetido gas di Nanfoodle stava ammorbando l’aria tutt’intorno ai giganti, filtrando attraverso le rocce e posandosi come una graveolente nube giallastra sulla cresta. Ma, con grande stupore di Banak, quell’inconveniente non aveva cacciato via i giganti. Si erano avvolti dei panni attorno alle grosse facce e avevano continuato metodici il loro lavoro. “Non abbiamo quasi più tempo, Banak”, disse una voce dietro di lui. Il condottiero si voltò e vide Ivan Bouldershoulder.

“Li tratterremo”, replicò Banak. “Bah, non sto parlando degli orchi”, disse serio il nano. “Ma del trucco che non funziona. Puoi vedere con i tuoi occhi come i giganti si stiano ancora dando da fare. Le catapulte saranno montate e pronte prima di domani mattina. Da quella posizione, ci schiacceranno tutti sulle rocce.” Banak si strofinò gli occhi stanchi. “Potremmo scendere a valle”, propose Ivan. Banak scosse il capo. “Il piccoletto sta ancora trafficando”, disse in tono risentito. “Ho un centinaio di nani che lavorano con lui.” “Da quel che ho sentito, sta solo controllando le saldature dei tubi”, ribatté Ivan. Fece segno a Banak di seguirlo e si diresse a ovest, verso la moltitudine di nani sparsi lungo tutto il pendio che scendeva a Keeper’s Dale. Di lì a poco, sulla cima dell’altura, scorsero Nanfoodle e il fratello di Ivan intenti a studiare un groviglio di pergamene e diagrammi. Ogni tanto, Nanfoodle si sporgeva verso i nani gridando loro di spalmare ancora catrame sulle giunzioni, su tutte le giunzioni. “In tal modo la puzza sarà così forte che i giganti non riusciranno più a sopportarla?” chiese Banak, quando lui e Ivan si furono avvicinati ai due. Nanfoodle alzò lo sguardo e il sangue gli defluì dal volto palesemente preoccupato. “Calma, mio piccolo amico”, lo consolò Banak. “Quel fetore, perlomeno, li sta rallentando, della qual cosa siamo profondamente grati.” “Non dovrebbero neanche sentirla!” strillò Nanfoodle. “Pfui!” sputò Pikel dichiarandosi d’accordo. Ivan guardò il fratello e scrollò la testa. “Non è nostra intenzione impuzzolentire la postazione dei giganti”, tentò di spiegare Nanfoodle. “Ciò significa che l’aria calda..,

la pece avrebbe dovuto sigillare le gallerie.., dobbiamo raggiungere un tale livello di concentrazione...” Balbettando e incespicando sulle parole mostrò un foglio di pergamena fitto di numeri e formule, che Banak non riuscì a decifrare. “Tu hai capito cos’ha detto?” domandò Banak a Ivan. “Che i giganti non dovrebbero stare in mezzo a quel tanfo”, spiegò Ivan. “Ma se così fosse, non sarebbero più ostacolati nella costruzione di quelle loro macchine da guerra”, ribatté il nano condottiero. “Già”, convenne Ivan. “Ma allora...” cominciò a dire Banak, per poi subito tacere, limitandosi a scuotere il capo. Con la coda dell’occhio, gettò uno sguardo perplesso a Nanfoodle e poi scosse nuovamente il capo, mentre osservava la moltitudine di nani impegnati a fissare le tubature lungo la parete rocciosa, nani che avrebbero potuto aiutare a rafforzare le linee difensive, i cui guerrieri ce la stavano mettendo tutta per resistere contro gli attacchi degli orchi. Con un grugnito, Banak si incamminò verso il campo di battaglia. “No, non ha capito”, si lamentò Nanfoodle rivolgendosi a Ivan. Il nano dalla barba gialla sollevò le mani dalle dita nodose per calmare lo gnomo. “E non capirà mai”, replicò Ivan. “Il puzzo non avrebbe dovuto fuoriuscire”, cercava di spiegare in tono concitato Nanfoodle. “Lo so, amico”, lo interruppe Ivan, ma Nanfoodle continuò a rimuginare. “L’odore non li farà mai scappare, nelle gallerie forse, dove la concentrazione è maggiore...” “Amico, sono io che ti ho costruito la scatola”, gli rammentò Ivan.

Gli assestò qualche colpetto amichevole sulla spalla, quindi si affrettò a raggiungere Banak per aiutarlo a condurre il combattimento. Mentre si allontanava, Ivan lanciò un’occhiata a occidente, non alla cresta montuosa, ma al di là, dove il sole era tramontato e l’ombra del crepuscolo stava prendendo possesso della terra. Poi spostò lo sguardo sull’altura e sulle sagome scure dei giganti, ancora all’opera. Ivan sapeva bene che i loro problemi si sarebbero moltiplicati prima del prossimo sorgere del sole. *** “Il piano dei nani non ha funzionato, capo”, disse a Urlgen uno dei suoi luogotenenti. I due erano fermi in mezzo ai due schieramenti al comando di Urlgen: il suo, impegnato a combattere contro i nani sul fianco che portava all’altopiano, e quello prestatogli dal padre, ancora accampato e nascosto alla vista del nemico. Urlgen stava scrutando a ovest, verso la cresta occupata dai giganti. L’ora della battaglia decisiva si avvicinava, poiché era giunta notizia da Obould che l’attacco da occidente sarebbe stato sferrato all’alba. Ciò significava che lui avrebbe dovuto cacciare quei nani dalla loro postazione e che non sarebbe stato facile senza l’aiuto delle catapulte dei giganti. “Saranno pronte”, osservò il luogotenente. Urlgen lo guardò. “Quei nani non sono riusciti a fermare i giganti con la loro puzza”, affermò l’altro. Urlgen annuì e rivolse di nuovo lo sguardo verso ovest. I giganti gli avevano assicurato che avrebbero cominciato il loro fuoco di

sbarramento prima dell’alba. Lontano, a nord, la battaglia continuava, non a pieno ritmo, poiché non era quello l’intento di Urlgen, ma con impeto sufficiente a impedire ai nani di ritirarsi. Doveva tenerli là, occupati, finché il padre non avesse precluso loro ogni via di fuga. Il comandante degli orchi emise un sordo brontolio e strinse i pugni impaziente. L’alba gli avrebbe fatto dono della sua vittoria più importante. Non poté trattenersi dal rivolgere di nuovo lo sguardo verso la cresta occidentale, mentre pensava che, senza le catapulte dei giganti, il suo compito sarebbe stato molto più arduo. *** Nikwillig non la finiva di rigirarsi tra le mani lo specchietto. Guardò verso la cresta, a ovest, poi a est, verso le vette più alte. Concentrò l’attenzione su una piccola cima all’estremità della montagna: un’arrampicata breve ma difficile. Era là che sarebbe dovuto arrivare per catturare i primi raggi del sole. Se Banak fosse rimasto sconfitto, la fuga da quel posto sarebbe stata pressoché impossibile. “Che cosa devo sentire?” udì Tred esclamare mentre gli si avvicinava, distraendolo da pensieri inopportuni. Nikwillig rimase fermo a osservare il suo conterraneo di Citadel Felbarr. “Che cosa devo sentire?” domandò di nuovo Tred, avanzando a passo di carica e fermandosi proprio di fronte a Nikwillig. “Qualcuno lo deve pur fare.” Tred si pose le mani sui fianchi e lasciò correre lo sguardo sul continuo andirivieni dell’accampamento. Era appena tornato dalla battaglia, trascinandosi dietro un paio di nani feriti ed era più che mai deciso a ributtarsi quanto prima nella mischia. “Mi stavo chiedendo come mai non eri con noi a combattere”, disse.

“Laggiù, vi sarei più d’impiccio che di aiuto, lo sai bene”, rispose Nikwillig. “Non sono tagliato per le battaglie.” “Bah, non te la cavi poi così male!” “Non è il mio posto, Tred. Anche questo sai.” “Avresti potuto recarti da Re Emerus, allora, portandogli la notizia dello scontro”, rispose Tred. “Ti ricordo solo una cosa: è stato grazie alla tua cocciutaggine che ci siamo fermati qui!” “In questo luogo al quale ora apparteniamo”, ribatté subito Nikwillig. “Lo dobbiamo a Bruenor e a Mithral Hall. Ed è indubbio che sono tutti grati a Tred per essere rimasto a lottare al loro fianco.” “E a Nikwillig!” “Bah, non ho ancora ammazzato nemmeno un orco, e mi avrebbero già fatto la pelle più di una volta se tu e gli altri non mi aveste salvato.” “Perciò hai accettato questa missione?” chiese Tred incredulo. “Qualcuno lo deve pur fare”, ripeté Nikwillig. “Per come la vedo io, dovrei essere il meno utile qui.” “E che mi dici di Pikel?” domandò Tred. “O di quel dannato gnomo Nanfoodle, sì, non è stato lui il primo a farsi venire quest’idea?” “Pikel probabilmente non potrebbe neppure arrampicarsi con una mano sola. E Nanfoodle potrebbe servire qui, lo sai bene. E anche Pikel, visto che ha svolto un ruolo importante in tutta questa faccenda. Su, Tred, smettila di piagnucolare. Sai bene che si tratta di un compito adatto a me. Sarò in grado di portarlo avanti bene come chiunque altro e, comunque, sarò quello di cui sentirete meno la mancanza qui.” Tred fece per controbattere, ma Nikwillig si alzò e l’espressione grave del suo viso mise a tacere le rimostranze dell’altro. “E poi lo voglio fare”, dichiarò Nikwillig. “Con tutto me stesso. In tal modo potrò ripagare i Battlehammer per il loro aiuto.” “Potresti avere difficoltà a tornare indietro. O a rifugiarti da

qualche parte.” “Se così fosse, anche tu, oltre a tutti quelli che si trovano qui con te, avreste dei problemi”, disse Nikwillig. Poi sbuffò e scoppiò a ridere. “Proprio tu che stai per lanciarti a capofitto in un mare di orchi puzzolenti mi vieni a dire che hai paura per me?” Nel sentire quelle parole, anche Tred scoppiò a ridere. Poi tese la mano e diede una pacca amichevole sulle spalle del vecchio compagno. “Non mi piace l’idea che potremmo trovare la morte così distanti l’uno dall’altro”, disse. Nikwillig restituì la pacca e rispose: “Neanche a me. Ma ho cercato di rendermi quanto più utile possibile, e questo lavoro è perfetto per Nikwillig”. Tred fece di nuovo per protestare - quasi meccanicamente, o così almeno sembrava - ma Nikwillig tagliò corto. “E tu lo sai!” disse Nikwillig in tono reciso. Tred si calmò e fissò a lungo l’amico, poi fece un cenno esitante con la testa. “Fai attenzione.” “L’hai dimenticato?” replicò Nikwillig strizzandogli l’occhio. “So bene come scappare!” A quel punto, un urlo proveniente dal basso richiamò la loro attenzione. Gli orchi si erano aperti un varco nello schieramento dei nani, proprio in corrispondenza dei due quadrati difensivi. Non era grave, ma sufficiente a far correre un immediato pericolo ad alcuni di quei guerrieri barbuti. “Moradin, infondi forza alle mie braccia!” ruggì Tred, mentre si precipitava a rotta di collo giù per il pendio. Nikwillig sorrise nel vedere allontanarsi l’amico, poi si rivolse a est, a scrutare il cupo profilo delle vette maestose. Lanciò ancora una volta uno sguardo alla propria destinazione per memorizzare i punti di riferimento, poi, senza ulteriore indugio, infilò lo specchio nello zaino e si incamminò verso quello che riteneva fosse l’ultimo viaggio

della sua esistenza terrena. *** Parecchie ore più tardi, mentre il cielo era ancora buio, ma l’orizzonte a est esibiva già la pallida luminescenza che preannunciava l’alba, giunse notizia a Banak che a sudovest era stato avvistato un esercito di orchi che stava rapidamente avanzando verso la postazione dei nani, ai margini occidentali di Keeper’s Dale. Il nano convocò subito gli altri comandanti, oltre a Nanfoodle, Pikel e Shoudra Stargleam, che gli aveva riferito il fatto, essendosi spinta in ricognizione di persona da quelle parti con l’aiuto dei suoi poteri magici. “Si tratta di una forza consistente”, li mise in guardia Shoudra. “Un grande e poderoso esercito. I nostri amici dovranno sopportare una pressione notevole se vorranno resistere a lungo.” Nel sentire la sconfortante notizia, i nani si guardarono l’un l’altro. “State dicendo che dovremmo abbandonare l’altopiano e finirla li?” domandò Banak. Shoudra non rispose, e Banak si voltò verso Nanfoodle. “Spero invece che vinceremo”, spiegò. “Ma di sicuro non ce la faremo se quei giganti cominciano a bersagliarci il fianco con le loro pietre. Dipende dal vostro piano, mio buono gnomo.” Nanfoodle cercò invano di assumere un’aria fiduciosa. “Se dobbiamo andarcene, allora andiamocene”, disse Banak rivolto a tutti i presenti. “Ma sono ancora fermamente convinto che dobbiamo dare una lezione a quei porci di orchi, una lezione che non dimentichino facilmente.” Thibbledorf Pwent rispose con un ruggito. “Presto saranno di nuovo qui”, intervenne Ivan Bouldershoulder. “A nord si stanno già agitando per prepararsi a un altro attacco.”

“Poiché sanno che i giganti stanno per cominciare il loro fuoco di sbarramento”, arguì Wulfgar. “Ma se i giganti non riuscissero a lanciare...” disse Banak con aria scaltra. E così dicendo, si rivolse di nuovo a Nanfoodle facendo convergere tutti gli occhi dei presenti sullo gnomo. “Oo oi!” esultò Pikel in supporto del piccolo alchimista dalle spalle cadenti. “Funzionerà?” domandò Banak. “Oo oi!” disse di nuovo Pikel sollevando in aria il braccio superstite con il pugno chiuso. “La puzza non doveva...” cominciò a spiegare Nanfoodle, ma poi si fermò e fece un respiro profondo. “Non lo so”, ammise. “Credo...” “Voi credete?” lo accusò Banak. “Abbiamo più di mille nani quassù. Voi credete? Riusciremo a resistere o dobbiamo andarcene subito?” Il povero Nanfoodle non sapeva più che pesci pigliare e non poteva neanche pensare di assumersi tutta quella responsabilità sulle fragili spalle. “Oo oi!” strillò Pikel. “Funzionerà”, dichiarò Ivan. “Quindi dobbiamo restare?” chiese Banak. “A te decidere”, replicò Ivan. “Ma credo che quei giganti non tarderanno a rimpiangere che non ce la siamo dati a gambe!” Si avvicinò a Nanfoodle e gli assestò una piccola pacca sulle spalle. “Oo oi!” ripete Pikel. “Gli orchi stanno tornando”, li avvisò un altro nano, il sacerdote Rockbottom. “Si tratta di un attacco in piena regola, questa volta.” “Era ora. Cominciavo ad annoiarmi!” commentò Thibbledorf Pwent, che aveva ancora gli abiti chiazzati di sangue rappreso dallo

scontro della sera prima: un po’ sicuramente suo, ma in gran parte dei suoi sfortunati nemici. “Tra un’ora sarà l’alba”, osservò Ivan. “Dalla postazione di Nikwillig, ancora meno, sempre che ci arrivi”, disse Catti-brie. “Allora dobbiamo resistere”, decise Banak. Si girò verso Nanfoodle e gli rivolse un cenno del capo, il solo incoraggiamento che gli riuscì di dare in quella difficile circostanza. La posti in gioco era enorme, Banak ne era consapevole, così come lo erano gli altri. Con i giganti che scagliavano pietre e gli orchi che incalzavano, i nani avrebbero avuto grosse difficoltà ad abbandonare la loro posizione e a scendere a Keeper’s Dale. Se ciò che aveva riferito Shoudra era veritiero, la discesa a Keeper’s Dale avrebbe dovuto rappresentare l’ultimo dei loro problemi e, al tempo stesso, la peggiore delle soluzioni. “Ricacciali indietro, Thibbledorf Pwent”, ordinò Banak. “Tieni quei porci lontani da noi.” Per tutta risposta, Pwent sollevò un otre da vino rigonfio e con quello si toccò la fronte a mo’ di saluto, poi si affrettò a raggiungere i suoi malconci e insanguinati Gutbuster. Tutti gli sguardi conversero di nuovo su Nanfoodle, il quale parve farsi ancora più piccolo sotto il loro peso. Il piano doveva funzionare, anche se i segnali non erano promettenti. Ben presto, il frastuono della battaglia echeggiò lungo il pendio, mentre Pwent guidava i suoi nani al contrattacco. Subito dopo, il clamore di un’altra battaglia risuonò nella valle, ai margini occidentali di Keeper’s Dale. E a questo seguì il primo lancio delle catapulte. Un enorme masso colpì la roccia vicino allo schieramento dei nani e rimbalzò oltre l’altopiano, giù per il fianco della montagna. “Avete con voi i vostri otri?” chiese Thibbledorf Pwent ai guerrieri raccolti intorno a lui. Quasi contemporaneamente, tutti mostrarono i turgidi recipienti di pelle. “Ad alcuni non serviranno”, aggiunse con aria solenne. “E può darsi addirittura che altri non riescano a usarli,

ma sapete cosa fare!” I nani della all’unisono.

Brigata Gutbuster acclamarono

e

ruggirono

“Attacchiamoli e distruggiamo le loro difese”, ordinò il feroce nano. “Facciamoli secchi!” Dopodiché la squadra di Pwent si precipitò all’attacco: un’altra violenta carica che squarciò le linee nemiche. Senza prendere alcuna misura in fatto di difesa, il nano condusse i suoi soldati giù per il pendio, penetrando quanto più possibile all’interno delle file degli orchi e dei loro alleati. Lo scopo era creare più confusione che danno effettivo - il che non costituiva un compito facile per la Brigata Gutbuster, che sembrava prediligere i massacri più truculenti ma tutti si attennero agli ordini. Lo schieramento degli orchi si disperse, e molti furono costretti a fuggire e a ritirarsi prima ancora di pensare a raggrupparsi di nuovo. Thibbledorf Pwent mantenne compatta la sua formazione e non consentì ai suoi guerrieri di dedicarsi ai soliti inseguimenti in “puro stile Gutbuster”. Alzò il proprio otre in segno di saluto, e per ricordare agli altri il proposito della loro missione. Poi raccolse da terra un’arma rotta, che gli sarebbe venuta utile in seguito, e strizzò l’occhio ai compagni che gli stavano intorno, così che capissero le sue intenzioni. *** Come una marca, gli orchi si ritirarono per raggrupparsi di nuovo in vista dell’attacco successivo. E durante quella breve pausa, le catapulte dei giganti cominciarono a scagliare grosse pietre attraverso il cielo, nella luce che precedeva l’alba. All’inizio, furono pochi i tiri andati a segno, ma questi pochi bastarono a far capire ai nani che la situazione sarebbe presto cambiata, e non in meglio. “Dobbiamo resistere a est!” gridò Tred rivolgendosi agli altri, soprattutto a Wulfgar, che aveva egregiamente difeso quel fianco fin

dall’inizio dello scontro. Wulfgar lo guardò cupo, e quella risposta da sola bastò a zittire il nano di Felbarr, rammentandogli ciò che aveva sempre saputo, e cioè che Nikwillig avrebbe avuto problemi a tornare da loro. *** Banak misurava a grandi passi il perimetro della sporgenza che dall’altopiano si affacciava sulla valle, a sudovest, lanciando occhiate verso il fondo con una frequenza pari a quella con cui controllava la battaglia che infuriava lungo il pendio a nord. “Ci siamo”, pensò. Erano giunti al culmine di tutte le loro fatiche, le sue e quelle del nemico. Gli orchi stavano stringendo la morsa, a nord e a ovest, mentre i giganti, sul lato opposto, si stavano cucinando a dovere la postazione di Banak. Un sasso cadde non molto lontano dal punto in cui si trovava e gli rimbalzò sopra, quasi travolgendolo. Il solido nano non batté ciglio, ma si limitò a continuare a camminare, lo sguardo puntato sempre più spesso sulla linea dell’orizzonte, a est, mentre il ciclo si faceva più chiaro. “Coraggio, Nikwillig di Felbarr”, mormorò e, proprio mentre pronunciava quelle parole, scorse il baluginio di uno specchio lontano catturare i primi raggi del sole dall’altra parte della cresta orientale. Anche altri lo notarono, e alcuni indicarono eccitati verso est. Catti-brie arrivò di corsa, arco alla mano, così come Nanfoodle, Shoudra e Pikel. “Catturalo, coraggio, catturalo”, esortò Shoudra a bassa voce, osservando il luccichio lontano. Nanfoodle strinse i pugni, riuscendo a malapena a respirare. “Ecco!” esclamò Catti-brie puntando il dito verso la cresta, dove il riflesso del raggio vagante di Nikwillig si posò infine su un secondo

specchio, creando una luminosità sfavillante. La ragazza sollevò l’arco. Banak trattenne il respiro, imitato da coloro che gli stavano intorno. Sotto di essi la battaglia infuriava, con una moltitudine mai vista di orchi intenta ad arrampicarsi verso l’altopiano. Sembrava proprio un assalto all’ultimo sangue, tanto che dalle schiere dei nani si cominciarono a udire ordini di ritirarsi e persino grida disperate di arretrare fino a Keeper’s Dale. “Allora, cosa facciamo?” chiese Catti-brie rivolta, come tutti gli altri, verso Nanfoodle. Nanfoodle cominciò a soffiare e ad ansimare, come se stesse per soffocare, e per un attimo sembrò quasi sul punto di cadere. Poi guardò Pikel, seduto accanto alle tubature, proprio di fianco a un grosso giunto. Nella sconfinata sicurezza ostentata dal nano dalla barba verde, Nanfoodle ritrovò un po’ di fiducia. Lo gnomo trasse un profondo sospiro e fece un cenno a Pikel. “Oo oi!” strillò Pikel Bouldershoulder. Il druido agitò la mano sulla roccia dove posavano i tubi, finché questa non si trasformò in una fanghiglia, che venne spalmata in uno strato ben aderente sul giunto sigillandolo. Nanfoodle trasse un altro profondo sospiro e deglutì a vuoto mentre si costringeva a calmarsi. “Coraggio, tirate!” gridò, gettandosi di lato con un gemito. Catti-brie alzò Taulmaril mirando allo specchio sfavillante: lo schermo riflettente che Ivan aveva collocato su un lato della scatola incastrata nella roccia. Altri grossi macigni lanciati dai giganti piovvero sull’altopiano provocando il terrore dei nani, mentre cadevano proprio al centro del loro schieramento. Catti-brie tese la corda, ma lo specchio a est, quello di Nikwillig, si spostò un poco e interruppe il collegamento con l’altro che stava

sulla cresta. La giovane mantenne la posizione, trattenendo il respiro e tenendosi pronta con l’arco. “Hanno sfondato le linee difensive!” gridò qualcuno alle loro spalle, a nord. “Tira!” la implorò Banak. Lei continuò a trattenere il respiro e ad aspettare, ad aspettare, fidandosi di Nikwillig. Vide il suo raggio scivolare sulle rocce scure in cerca del bersaglio. “Coraggio”, mormorò Shoudra. “Catturalo!” Banak si allontanò di corsa. “Ripiegate!” sbraitò rivolto ai guerrieri impegnati nella battaglia. “Formate una seconda linea!” ordinò ai soldati di riserva nelle vicinanze, i quali stavano cercando di ripararsi in qualche modo dal crescente fuoco di fila delle catapulte. Catti-brie cercò di estraniarsi dal fragore che la circondava, restando perfettamente calma e pronta e concentrandosi sul raggio. Unicamente su quella strisciante fascia luminosa. Ed ecco che nell’oscurità della cresta occidentale riapparve il riflesso. Taulmaril emise un ronzio e la freccia argentea si librò nell’aria. La ragazza ne lanciò una seconda e poi una terza, quasi in sequenza ininterrotta, mirando verso il punto da cui proveniva la luce. Ma non ce ne fu bisogno, dato che il primo dardo giunse dritto sull’obiettivo, passando attraverso lo specchio e andando a conficcarsi sul listello di legno collocato subito dietro. L’impatto fece arretrare il legno, mandandolo a frantumare una grossa fiala contenente il magico olio, che si incendiò. Per qualche istante non successe nulla, ma poi... Bum! Il boato fu enorme. Il cielo a occidente si rischiarò, come se il sole fosse apparso all’improvviso da dietro la cresta. Le fiamme guizzarono da ogni fenditura dello sperone montuoso, lungo il fianco e sulla vetta,

innalzandosi oltre gli attoniti giganti e le loro macchine da guerra, sollevandosi alte come non mai. Le fiamme color arancio di Nanfoodle raggiunsero un’altezza di mille piedi nel cielo, trasformando la notte in giorno e portando con sé polvere, sassi e persino enormi macigni. L’incendio durò poco, dato che i gas si erano presto esauriti nella deflagrazione iniziale, e i presenti rimasero a fissare la scena a bocca aperta. Furono tutti raggiunti da un violento getto di aria calda: Catti-brie, Shoudra e Nanfoodle, lo squittente Pikel e lo stupefatto Banak, i guerrieri impegnati in battaglia, nani e orchi, furono tutti scaraventati a terra. E con quel getto d’aria calda giunsero anche i detriti, tonnellate e tonnellate di pietre grandi e piccole che si abbatterono sul pendio dell’altopiano. Dato che questo si trovava a nord, furono soprattutto le orde degli orchi a subire maggiormente le conseguenze dello scoppio, con centinaia di soldati colpiti. A ovest, la cresta, un tempo così lineare, aveva assunto un profilo frastagliato e discontinuo. Le catapulte, così come i giganti - i pochi rimasti ancora là -, erano in fiamme, le macchine da guerra che crollavano a pezzi, i grossi bestioni intenti a saltare selvaggiamente tutt’intorno. Nanfoodle si rialzò da terra e rimase a guardare con aria istupidita verso ovest. “Rammenti la palla di fuoco che mi descrivesti dopo essere tornata dalla visita presso quello stregone, anni fa?” domandò alla parimenti attonita Shoudra. “La sfera di Elminster”, replicò questa. “La più grande palla di fuoco mai lanciata.” Nanfoodle fece schioccare le piccole dita in aria e disse: “Ora non più”. “Oo oi!” squittì Pikel Bouldershoulder.

29

ONDE D’URTO Il valoroso Tramonto non protestò, mentre sorvolava le montagne con due cavalieri installati sulla sua poderosa groppa. Davanti stava Innovindil, a guidarlo, con Drizzt seduto dietro, le braccia strette attorno alla vita di lei. Per Drizzt, quel volo costituiva una delle più sbalorditive e meravigliose esperienze della sua esistenza. La mantella da viaggio e i candidi capelli svolazzavano, ondeggiando nel vento, e gli occhi dovevano restare socchiusi per impedire che l’attrito dell’aria li facesse lacrimare. Ma, benché venisse trasportato dal cavallo e non si muovesse autonomamente, il drow avvertiva un profondo senso di libertà, come se allontanarsi dai confini terrestri significasse in un certo senso sottrarsi ai limiti imposti dalla propria mortalità. All’inizio aveva cercato di parlare con Innovindil, ma il vento era talmente forte che li costringeva a urlare per farsi sentire. Perciò Drizzt si limitò a starsene tranquillo e a godersi il viaggio, la carezza corroborante dell’aria e il freddo delle ore che precedevano l’alba. Erano diretti a sud, ben oltre l’imponente armata di Re Obould che scorgevano in lontananza. La loro meta era fonte di notevole preoccupazione per Drizzt, sebbene avesse trovato almeno un po’ di sollievo ai propri timori grazie al meraviglioso godimento offerto da quella traversata sul cavallo alato. Mentre si avvicinavano a Mithral Hall, non sapevano cosa avrebbero trovato. Chissà se Obould aveva costretto i nani a barricarsi nella fortezza, impedendo in tal modo a Drizzt e a Innovindil di sgattaiolare dentro per parlare con i

compagni di Bruenor! Chissà se i nani nel resistere agli invasori si erano lasciati alle spalle un campo di battaglia disseminato dei cadaveri squartati degli orchi! Davanti a così numerose alternative, Drizzt era però riuscito a mantenere un certo distacco e ad apprezzare le sensazioni suscitate dal volo. Davanti ad essi, sulla destra, si stendeva la morbida oscurità che precede l’alba, ma sulla sinistra, a est, il cielo mostrava l’azzurro pallido del mattino, al di sopra della striscia color rosa acceso creato dall’imminente sorgere del sole. Drizzt stette a guardare ammutolito mentre il disco infuocato dell’astro appariva all’orizzonte e le prime striature dell’alba si diffondevano a oriente. “Splendido”, mormorava, benché sapesse che Innovindil non poteva udirlo. Dalla sua posizione predominante Drizzt seguì l’espandersi della luminosità del mattino da est verso ovest, per poi riportare lo sguardo dinanzi a sé per cogliere un’ultima occhiata della notte che svaniva. E la luce del giorno esplose, all’improvviso e dappertutto! No, non si trattava della luce del giorno, si rese conto Drizzt, ma di un bagliore arancione, una fiamma color arancio che s’innalzava alta nel cielo, un incendio di proporzioni così vaste che illuminò istantaneamente il paesaggio tutt’intorno. Il fuoco raggiungeva altezze così elevate che i due elfi in groppa al pegaso dovettero allungare il collo guardando in su per vederne l’apice. Tramonto agitò le zampe nel vuoto e nitrì, tanto che Innovindil, ugualmente stupita e confusa, allentò le redini e cominciò a farlo dirigere verso terra. “Che sta succedendo?” gridò l’elfa. Drizzt fece anche lui per gridare, ma l’onda d’urto dell’esplosione li travolse, sballottandoli qua e là e facendoli quasi cadere da cavallo. La furia del vento portò con sé una quantità di polvere e piccoli detriti tale da costringere tutti e tre a serrare gli occhi. E continuavano a scendere, con Tramonto impaziente di raggiungere il suolo. Innovindil reggeva saldamente le redini e lo

guidava, Drizzt invece colse l’occasione per dare uno sguardo su tutta la zona illuminata dalla palla di fuoco, che si stava rapidamente estinguendo, e vide un enorme ammasso di sagome che si agitavano. In quel breve attimo, il drow scorse il lontano campo di battaglia, riconobbe il pendio che scendeva verso Keeper’s Dale, e capì subito che i nani stavano combattendo furiosamente. “Che è successo?” chiese di nuovo Innovindil disperata non appena furono giunti a terra. “Hanno forse risvegliato il drago?” Drizzt non seppe rispondere, poiché, in tutta la sua vita, non aveva mai assistito a un’esplosione del genere. La sua mente andò subito a un certo Harkle Harpell, uno stregone molto eccentrico e pericoloso, e alla famiglia di lui, composta da maghi ugualmente dissennati. Forse gli Harpell erano venuti di nuovo in aiuto a Mithral Hall con nuovi e imprevedibili prodigi? Ma tutto questo non aveva senso, e Drizzt rimase senza risposta davanti agli occhi sbarrati e disperati di Innovindil. “Cos’hanno fatto?” chiese di nuovo questa. Drizzt balbettò e scosse il capo, poi si limitò a dire: “Andiamo a vedere”. *** Le schiere degli orchi si piegarono come erba alta sotto la bufera. I più fortunati ad aver scampato la pioggia di detriti furono però abbattuti da un’onda d’urto di una violenza tale che mai avrebbero ritenuto possibile. Anche Urlgen venne scagliato contro le rocce, ma il forte e orgoglioso orco non gridò atterrito, né piagnucolò. Si rimise in piedi a fatica lottando contro le raffiche di aria calda provocate dallo scoppio e osservò il campo di battaglia. Vide una moltitudine concitata di orchi e di nani, tutti ugualmente storditi. L’alto orco scosse il capo incredulo e confuso. Volse lo sguardo verso la cresta dove si era verificata l’esplosione e scorse un gigante che correva avanti e indietro, le braccia che si agitavano,

l’intero corpo avvolto da vivide fiamme. Mentre sul campo di battaglia e tra gli orchi disseminati qua e là sembrava tornare la vita, si udirono lamenti e urla di terrore, e solo allora Urlgen si rese conto della reale minaccia determinata da quel terribile scoppio. Aveva perduto alcuni orchi, questo era sicuro, e la postazione dei giganti non esisteva più, ma il vero pericolo veniva dall’alto, dai nani che si erano velocemente raggruppati ed erano in procinto di sferrare un attacco devastante contro il suo esercito confuso e sparpagliato. Urlgen scrollò la testa e pensò che le cose non avrebbero dovuto andare in quel modo! Incitazioni alla ritirata e alla fuga echeggiavano tutt’intorno, tanto che per un attimo Urlgen sembrò quasi cedere alla tentazione di ordinare ai suoi guerrieri di scappare. Quasi, perché poi considerò il quadro generale della situazione e le conquiste che, in quel momento, il padre si stava sicuramente aggiudicando nei territori a sudovest. Urlgen aveva progettato di lavorarsi i nani ancora un po’, di usare i giganti e il suo esercito iniziale per fare in modo che i nemici non avessero la possibilità di fuggire. Dopodiché avrebbe fatto ricorso ai rinforzi forniti dal padre per annientare i nani. Ma nel momento stesso di quella tremenda esplosione tutto era stato stravolto. Con un ruggito che risuonò al di sopra del frastuono provocato dagli orchi, Urlgen reclamò l’attenzione di tutti. Corse in lungo e in largo sul campo di battaglia, bloccando i guerrieri che se la stavano dando a gambe e costringendoli a tornare a combattere con l’uso della forza e delle minacce. E per tutto il tempo continuò a sbraitare incitando quei soldati di riserva che aveva tenuto nascosti alla vista dei nani a raggiungere gli altri, così che l’intero suo esercito si trasformò in un’enorme carica distruttiva. “Uccideteli tutti!” ordinò l’orco dalla statura imponente. Mentre quella moltitudine a poco a poco si ricomponeva a fronteggiare l’assalto dei nani. Urlgen sollevò in aria i pugni protetti

dai guanti chiodati e, per la prima volta, si tuffò nella mischia. Sapeva che si trattava dello scontro decisivo. Se non avesse riportato una vittoria, avrebbe perso tutto quanto. Nel qual caso, sarebbe stato per sempre oppresso dal mantello del suo glorioso padre, sempre che quel glorioso padre decidesse di risparmiargli la vita. *** Banak Brawnanvil trattenne il respiro quando vide che l’orda degli orchi si era ricompattata e si dirigeva di nuovo verso di loro. I suoi guerrieri se l’erano cavata decisamente meglio dei nemici durante lo scoppio causato da Nanfoodle, tanto che il versante inferiore dell’altopiano era praticamente disseminato solo di cadaveri di orchi. Ma i suoi nani erano ancora in minoranza rispetto a questi ultimi, soprattutto adesso che un secondo schieramento si era aggiunto al primo. Banak emise un brontolio. Vista l’efficacia dell’esplosione, aveva voluto unirsi ai suoi soldati nella battaglia decisiva che avrebbe cacciato il nemico da Mithral Hall. “Colpite duro e arretrate per mantenere la linea difensiva!” ordinò Banak ai suoi comandanti. Tuttavia, mentre osservava gli orchi avanzare sul fianco che portava all’altopiano, si rese conto che c’era qualcosa di diverso nell’impeto e nell’intensità del loro assalto. L’esperto condottiero comprese quasi subito che essi non avevano intenzione di colpire e scappare come avevano sempre fatto fino ad allora. Il vecchio nano si morse le labbra, riflettendo sulla forza del nemico e sulle proprie possibilità. “Coraggio”, borbottò sottovoce. Si pose ben saldo sui piedi, più che mai determinato a resistere. Ma la sua risolutezza di nano tenace si trasformò subito in una quasi disperata necessità, quando alcuni ricognitori che si trovavano a ovest gli fecero sapere tramite il passaparola che a sudovest, ai

confini occidentali di Keeper’s Dale, si stava svolgendo una battaglia. Banak si cercò un adeguato punto d’osservazione e scrutò in quella direzione nella crescente luce del giorno. Nel vedere la portata dello scontro e le dimensioni dell’esercito nemico, per poco non crollò svenuto. “Resistete, per Moradin”, mormorò il vecchio nano, a malapena in grado di parlare. Rivolse lo sguardo a nord, dove le conseguenze dell’esplosione si erano esaurite e dove la massa degli orchi stava incalzando sullo schieramento dei nani, costringendoli ad arretrare verso le loro postazioni difensive. Quindi riportò la sua attenzione a sudovest e all’accresciuto frastuono della battaglia. Sospettò subito il piano degli orchi. Capì subito il pericolo. Con un grugnito deciso, il condottiero si costrinse a volgere gli occhi verso lo spettacolo di devastazione sulla cresta occidentale. Il piano degli orchi era eccellente, congegnato in modo tale da non conquistare solo il terreno, ma da massacrare i nani, dal primo all’ultimo. L’esplosione architettata da Nanfoodle gli aveva concesso un po’ di respiro, un po’ di tempo, sufficiente forse perché si mettessero in salvo. “Che Moradin sia con te, mio piccolo amico”, disse Banak rivolto allo gnomo, che era comunque troppo lontano per poterlo udire. Il clamore del combattimento a sudovest aumentò di colpo, in modo drammatico, e Banak vide che il nemico era stato affiancato da un’orda di giganti. “Che Moradin sia con tutti noi”, mormorò il nano. *** Il grosso dello schieramento dei nani cedette e arretrò, come ordinato, verso le postazioni difensive in cima all’altopiano. Lanci di

frecce e colpi di martello vennero in loro soccorso, rallentando l’inseguimento degli orchi. Molti nani, tuttavia, non riuscirono a mettersi in salvo. Parecchi erano rimasti uccisi, colpiti dalle lance nemiche o dai detriti scagliati lontano dall’esplosione di Nanfoodle. Molti di più, all’incirca un centinaio, giacevano riversi sulle rocce, i corpi insanguinati. Non a causa delle ferite, ma del liquido contenuto negli otri. Thibbledorf Pwent e i suoi Gutbuster, tra i quali figuravano numerose nuove reclute, avevano approfittato della confusione seguita allo scoppio per cospargersi di sangue e cadere “morti” a terra. Alcuni, come lo stesso Pwent, avevano accentuato la gravità delle ferite, appoggiandovi strategicamente contro alcune armi mezze rotte. E ora giacevano là, perfettamente immobili, mentre la moltitudine degli orchi li superava, a volte persino camminandoci sopra. Pwent aprì un occhio e si impedì di sorridere. Quindi, si alzò con un balzo e affondò il guanto chiodato nel muso dell’orco che si trovava più vicino, il quale lo fissò attonito. Poi urlò con quanta forza aveva in corpo, e i suoi Gutbuster si sollevarono tutti insieme, proprio nel mezzo delle confuse schiere nemiche. “Cerchiamo di guadagnare tempo!” gridò il temprato comandante, e i Gutbuster proprio quello fecero, lanciandosi in un frenetico attacco, menando con trasporto botte e fendenti, abbrancando orchi e saltandoci sopra, finché le piastre in rilievo delle loro corazze non li ebbero ridotti in polpette. Thibbledorf Pwent stava proprio nel mezzo, a condurre la battaglia più con l’esempio che con le parole. Dato che non c’era un piano ben determinato. Ma l’ultima cosa che Pwent desiderava era proprio creare un’atmosfera di ordine e prevedibilità. Lì si trattava solo di causare del danno permanente. Del puro e semplice danno permanente. Questo era il grido di battaglia dei Gutbuster, la loro più grande soddisfazione.

30

IL CANTO DI BRUENOR Nell’osservare il nemico che contrattaccava - migliaia di orchi che affluivano verso l’altopiano alimentati da una furia sanguinaria Banak Brawnanvil si rese conto che era finita. Si trattava dell’ultimo combattimento su quel terreno, sia che avessero vinto o perso sia che li avessero respinti o si fossero ritirati. Vedendo le dimensioni dell’esercito avversario, con un numero così spropositato di guerrieri pronti a rimpiazzare i caduti, il nano non si sentì per niente elettrizzato. Il frastuono della battaglia dietro di lui e nella valle lo indusse a raggiungere di corsa gli altri nani fermi sul margine dell’altopiano. E là, il vecchio condottiero non vide altro che distruzione. I nani ai confini occidentali di Keeper’s Dale stavano già ripiegando. E del resto, come avrebbero potuto fare altrimenti? Dato che l’esercito che avevano di fronte era enorme, più grande di qualunque esercito Banak avesse mai visto nel corso di tutta la sua vita. “Quanti sono?” domandò senza fiato, poiché quello spettacolo l’aveva prosciugato di tutte le sue forze. “Cinquemila? Diecimila?” “In breve tempo spazzeranno via tutti i nostri dalla valle”, pronosticò Torgar Hammerstriker. E proprio questo sarebbe successo, Banak non aveva dubbi. “Facciamoli scendere”, ordinò Banak, pronunciando a denti stretti le tanto temute parole. “Tutti quanti. Ci rifugeremo nella fortezza.” Un ordine di ritirata non era cosa che i nani del Clan

Battlehammer, né quelli di Mirabar, fossero abituati a sentire e, per un attimo, tutti i comandanti attorno a Banak lo fissarono a bocca aperta. “I giganti sono morti!” protestò uno. “Lo gnomo ha fatto saltare la cresta e...” Ma mentre la percezione della realtà calava su di loro, mentre tutti cominciavano a rendersi conto della morsa esercitata dagli orchi a nord e dello strepito che saliva dalla valle, quella rimase l’unica voce dissenziente. Prima ancora che le proteste del nano avessero termine, Torgar e Shingles, Ivan e Tred, insieme a tutti gli altri, si erano già precipitati verso le rispettive squadre impartendo ordini per organizzare la ritirata dall’altopiano. Banak ignorò le rimostranze del nano e rivolse la propria attenzione al pendio settentrionale, dove Thibbledorf Pwent e i suoi Gutbuster stavano causando devastazione tra le file degli orchi. Il vecchio nano annuì in segno di apprezzamento: il loro sacrificio stava facendo guadagnare loro del tempo prezioso per ripiegare. “Datti da fare, Pwent”, mormorò Banak incoraggiandolo, cosa che sembrava del tutto inutile. “Via! Via! Via!” disse Banak esortando i nani che manovravano le funi per la discesa. “Non fermatevi finché non avrete messo i piedi sul suolo di Keeper’s Dale!” Banak osservò i nani che avevano fronteggiato la carica degli orchi mentre riformavano quadrati compatti e si dirigevano di nuovo verso il pendio. “Dobbiamo sfondare le prime linee del nemico per dare agli ultimi compagni il tempo di scendere”, udì Tred gridare da un punto imprecisato in basso, alla sua destra. In risposta a quella chiamata apparvero due figure familiari, Wulfgar e Catti-brie, che si precipitarono giù per la china incalzando sul fianco sinistro dello schieramento degli orchi. Banak trattenne il respiro. L’osservazione di Tred era corretta. Se non fossero riusciti a contenere l’impeto degli orchi e a respingere

l’avanguardia nemica almeno per un po’, quel giorno, molti nani ci avrebbero rimesso la vita. Alle sue spalle udì nuovamente protestare parecchi nani, che proclamavano che non sarebbero scappati mentre i loro compagni erano impegnati a combattere. Banak si voltò verso di essi deciso, gli occhi fiammeggianti di collera. “Scendete!” gridò sovrastando il trambusto generato dalla discussione e facendo convergere tutti gli sguardi su di sé. “Andate!” ordinò il vecchio condottiero. “Non siate sciocchi, dobbiamo scappare tutti, e quelli che stanno dietro di voi non potranno mettersi in salvo finché non sarete scesi!” Uno dei nani nel gruppo ne colpì un altro con un pugno, spingendolo verso il ciglio del burrone e le funi di discesa. “Non ho mai abbandonato un amico”, continuò a brontolare il nano dissenziente, ma afferrò la corda tra le mani vigorose e si calò giù lungo la parete a picco. Nel volgere lo sguardo verso la battaglia che infuriava, e ancora più oltre verso il punto in cui Pwent e i suoi guerrieri erano rimasti apparentemente intrappolati, Banak era sicuramente in grado di comprendere i sentimenti dell’altro nano. *** “Annientateli!” gridava Re Obould ai suoi soldati, spronandoli alla carica. Il re degli orchi non era rimasto indietro a impartire ordini, ma si era lanciato verso le prime file, incitando gli orchi, spingendo da parte i morti e i feriti che avevano già sperimentato sulla propria pelle la devastante strategia difensiva dei nani. Obould maledisse la propria sorte: il suo attacco iniziale avrebbe di certo distrutto le mura e le fortificazioni, se il terreno sotto i loro piedi non si fosse messo all’improvviso a tremare e non fosse seguita una grandinata di sassi provenienti dall’alto. Il re degli orchi non aveva idea di cosa potesse essere successo lassù, ma per il momento la cosa non lo riguardava.

Per il momento, era concentrato su un unico obiettivo. “Annientateli!” gridò ancora. Il re degli orchi continuò ad avanzare fino a raggiungere le schiere frontali. E, da lì, si avventò contro la barriera difensiva dei nani, agitando lo spadone davanti a sé per farsi strada attraverso le innumerevoli asce nemiche. Un paio di nani, tuttavia, riuscirono a farsi breccia tra le selvagge parate del poderoso orco e lo colpirono. Le lame di Mithral Hall, così affilate, giunsero a malapena a graffiare la magnifica armatura del re degli orchi, mentre questi proseguiva indisturbato e assestava un gran fendente dall’alto in basso riportando in vita la fiamma della sua spada. Il malcapitato nano che fece la sua comparsa proprio in quell’istante si ritrovò con la testa divisa a metà. Ma l’arma di Obould non si arrestò nella sua corsa e andò a cozzare contro un muro di pietra sbalzandone via un grosso pezzo. Il re degli orchi colpì ancora, ripetutamente, spazzando via tutto ciò che si trovava sul suo cammino. Poi, con un gran salto, si portò in cima al muro, quattro piedi più in alto. E là si fermò, con una mano a impugnare la spada fiammeggiante, che tenne appoggiata al fianco con la punta rivolta in diagonale verso l’esterno, e con l’altra stretta a pugno e il braccio proteso in fuori. Frecce e dardi di balestra gli piovvero addosso, ma rimbalzarono lontano. Tutt’intorno i nani si agitavano, armi alla mano, colpendo i piedi del grosso orco per cercare di smuoverlo. “Annientateli!” gridava Obould, senza spostarsi di una spanna. Incoraggiati da quanto stava succedendo, gli orchi affluivano come mosche, mentre i nani terrorizzati esitavano. A destra di Obould, in lontananza, sopraggiunse con grande strepito un gruppo di giganti, che cominciò a scagliare macigni contro le fortificazioni e a caricare con foga. Al riparo dell’elmo a forma di teschio, il re degli orchi si concesse un ghigno perverso. Era certo che il suo ardito assalto avrebbe costretto Gerti e i suoi riluttanti compagni all’azione.

Le difese frontali cedettero sotto l’impeto di quella moltitudine. I nani ruppero le file e se la diedero a gambe, e quelli che non furono sufficientemente rapidi finirono scaraventati a terra e calpestati. Obould rimase al suo posto, là in alto, una mano a reggere la spada infuocata, l’altra stretta a pugno. Lanciò di nuovo un’occhiata verso l’altura a nordest e si interrogò ancora sulla tremenda esplosione. Ma, non appena si voltò a guardare il suo travolgente esercito e a prestare orecchio al crescente clamore a occidente, venne subito distolto da quei pensieri. Anche se Urlgen non ce l’avesse fatta a ricacciare i nani a nord, Obould sapeva che, a Keeper’s Dale, quel giorno la vittoria sarebbe stata sua. Chiudete le porte, rimuginava tra sé il re degli orchi, e lasciate che quei nani intrappolati sull’altopiano se la sbrighino da soli a trovare la via di casa. *** Drizzt non era in grado di vedere il fronte della battaglia, ma capiva, dalle difficoltà che stavano incontrando le schiere di orchi, al centro e sul fondo, che i nani in prossimità dell’altopiano stavano opponendo un’ardua resistenza. Scorse anche una certa agitazione, un centinaio di iarde circa a sud da dove si trovava lui, al centro di un assembramento di orchi. Nel vedere un orco volteggiare per aria, il corpo sanguinante a causa delle innumerevoli ferite, il drow immaginò che ci fosse lo zampino di Thibbledorf Pwent. Ma Drizzt non si dilungò a compiacersi, dato che si era avvicinato alla retroguardia delle file nemiche e aveva già attirato l’attenzione di parecchi guerrieri. “Ti metteranno alla prova”, disse alla compagna che avanzava incespicando davanti a lui, le braccia legate dietro la schiena. “Fidati di me.” Innovindil mise il piede in fallo e perse l’equilibrio, e Drizzt lottò contro il proprio impulso di aiutarla, evitando anche solo di

pensarci, e la lasciò cadere. Poi l’afferrò per la spalla e la sollevò bruscamente in piedi, combattendo ancora contro il proprio istinto, nel vedere il livido che si era procurata sul viso. Ma così doveva essere. Drizzt la spinse avanti facendola quasi inciampare di nuovo, poi la incitò a muoversi con una delle scimitarre. Alcuni orchi raggiunsero i due, gli occhi giallastri spalancati, le bocche atteggiate a un ghigno che lasciava scoperti i denti, le armi in pugno. Uno di essi si fermò proprio di fronte a Innovindil, che abbassò la testa. “Un prigioniero per Urlgen”, approssimativo linguaggio degli orchi.

ringhiò

Drizzt

nel

suo

“Per Urlgen!” ripeté deciso quando l’orco fece per toccare Innovindil. “Un prigioniero da parte di Donnia”, aggiunse il drow, quando si vide circondato da occhiate diffidenti. L’orco di fronte a loro fece cenno a un altro, che si precipitò alle spalle di Innovindil e le diede uno strattone alle braccia per controllare se i lacci tenevano. Drizzt lo respinse, non prima però di avergli lasciato verificare l’affidabilità della legatura. “Per Urlgen!” gridò ancora. Forse per metterli alla prova, o forse per dimostrare il suo disprezzo, l’orco che stava davanti puntò d’un tratto la lancia all’altezza dell’addome di Innovindil. Drizzt gli si parò dinanzi facendo roteare le scimitarre e scagliando via l’arma con tre rapidi colpi. Poi fece un altro volteggio e ripeté ad alta voce: “Per Urlgen!”, mentre le scimitarre descrivevano ampi cerchi intorno a lui. L’orco indietreggiò. Il drow prese posto davanti all’elfa, le scimitarre al fianco. L’orco lo guardò, poi abbassò lo sguardo sul proprio torace, segnato da più di una dozzina di profondi tagli dai quali sgorgava vivido il sangue. Quindi, crollò a terra. “Portatemi da Urlgen!” ordinò Drizzt agli altri. “Portatemi da lui!”

Il drow si spostò dietro a Innovindil, spingendola avanti a tutta velocità, mentre le file degli orchi si aprivano al loro passaggio come le acque di un lago solcate dalla prua di un agile vascello. Salirono su per il fianco della montagna, con gli occhi di tutti puntati addosso, sebbene pochi di quegli orchi sembrassero desiderosi di avvicinarsi troppo. Lo sguardo di Drizzt si diresse ben presto su un orco dall’imponente statura che, poco più su, era intento a latrare ordini, spingendo brutalmente da parte tutti coloro che gli stavano troppo vicino. Il capo. Ovviamente, si trattava del capo. Drizzt cominciò a raccogliersi, concentrandosi nel profondo del suo animo, tentando di evocare la rabbia, l’essere primitivo che risiedeva ben nascosto nel suo involucro mortale - il Cacciatore - per poi immedesimarsi in lui, entrando in quel dominio di pura concentrazione. Con tutti quegli orchi intorno, lui e Innovindil avevano ben poche speranze di riuscire a cavarsela e, proprio per tale motivo, il drow aveva deciso di ignorarli. Lanciò un rapido sguardo a Innovindil, i cui occhi azzurri parevano incastonati nella roccia e fissavano con odio feroce il capo degli orchi, il figlio di quell’animale che le aveva portato via in modo così brutale Tarathiel. Prima di mettere in atto il loro stratagemma, Innovindil aveva fatto promettere a Drizzt che avrebbe lasciato a lei il privilegio di uccidere Urlgen, il figlio di Obould. Il frastuono della battaglia echeggiava tutt’intorno, le grida degli orchi laceravano l’aria mentre i guerrieri caricavano su per l’altopiano dove gli ostinati nani continuavano a resistere. Ma Drizzt Do’Urden cancellò tutto questo e si concentrò su un’unica immagine. Una torre in fiamme che crollava e un nano che correva su e giù lungo le mura pericolanti, gridando ordini. Il Cacciatore evocò Guenhwyvar.

*** Sapevano di dover resistere. Per il bene dei compagni sull’altopiano, i nani dovevano creare un varco tra le orde nemiche. Dove avrebbe potuto rifugiarsi Banak Brawnanvil se fossero stati costretti a ritirarsi a Mithral Hall? I difensori dei confini occidentali di Keeper’s Dale erano consapevoli di ciò e se ne servivano per superare i sempre più frequenti momenti di incertezza. Non avevano scelta: dovevano resistere. Ma non potevano, e si ritrovarono subito a dover decidere se ritirarsi o morire sul posto. Molti scelsero la seconda soluzione, o meglio la seconda soluzione scelse loro, mentre altri arretrarono fino alla più vicina postazione di difesa. Ma la marea degli orchi proseguì nella sua corsa, travolgendo ogni muro e aggirando ogni ostacolo. Come pezzi di legno galleggianti trasportati da quella marea, i nani ripiegarono. Inviarono messaggeri ai piedi dell’altopiano per gridare a Banak di ritirarsi con tutti i suoi soldati e, quando videro che i primi nani si stavano già calando con le funi, la speranza di riuscire a salvarsi si rafforzò. Immediatamente, i guerrieri che si trovavano in basso cominciarono a organizzare un piano per difendere l’area, segnalando ai nani che stavano scendendo di unirsi a loro. Altri messaggeri si precipitarono più lontano, a est, ad avvisare coloro che stavano di guardia alle porte di Mithral Hall della possibile disfatta imminente. Ben presto, tutti i difensori superstiti di Keeper’s Dale giunsero in vista del grande portone occidentale e qualunque sforzo seppur valoroso di fermarsi a fronteggiare il nemico venne sopraffatto, ed essi furono respinti ancora più indietro, verso ovest. Si trovavano quasi in corrispondenza delle funi calate dall’altopiano, quando riuscirono finalmente a tener testa al nemico, consapevoli del fatto che, se fossero arretrati ancora, la ritirata di

Banak sarebbe diventata impossibile. “Il portone si sta aprendo!” strillò un nano, guardando alle sue spalle e indicando le mura. Tutti i nani della formazione lanciarono uno sguardo in quella direzione e, effettivamente, videro le grandi porte di Mithral Hall che si stavano spalancando in risposta alle loro grida di aiuto. Attraverso di esse affluirono i rinforzi, decine e decine di compagni, alcuni con indosso ancora i grembiuli da fabbro, altri con gli abiti di tutti i giorni al posto delle cotte di maglia. Pareva che tutti, fino all’ultimo nano, fossero venuti in loro soccorso, persino parecchi feriti che avrebbero invece dovuto restarsene a letto. Erano accorsi in massa ad aiutarli; erano accorsi in massa a battersi per la sicurezza delle loro gallerie e per dare il proprio contributo alla battaglia. Di certo, quei rinforzi non erano sufficienti ad aggiudicarsi la vittoria e neppure, così almeno sembrava, a rallentare la carica degli orchi. Ma, in mezzo ai nuovi venuti, si trovava un nano in particolare che non passava inosservato e che non poteva essere semplicemente considerato come un guerriero in più. Poiché un nano grande come il mondo si trovava tra le file dei rinforzi. Poiché Bruenor Battlehammer in persona si trovava tra le file dei rinforzi. *** Banak digrignò i denti nell’osservare lo scontro che si svolgeva in basso, stentando a credere alla rapidità con la quale i difensori di Keeper’s Dale venivano sopraffatti e respinti, stentando a credere al numero spropositato e alla ferocia del nuovo esercito degli orchi. Il vecchio nano sciolse lo schieramento e mandò i soldati giù dall’altopiano, a calarsi come tante formiche lungo le funi. Si trattò di una decisione improvvisa, presa sull’onda del momento e, una

volta impartito l’ordine, Banak non poté fare a meno di chiedersi se avesse fatto bene a darlo. Dato che vedeva la cupa marea che stava fluendo da ovest verso est attraverso Keeper’s Dale. Chissà se qualcuno dei suoi nani sarebbe riuscito a toccare terra nella valle prima del sopraggiungere di quella infinità di orchi! E, in tal caso, sarebbero stati in grado di organizzare una difesa mano a mano che i compagni li raggiungevano? Banak sapeva che l’alternativa sarebbe stata una catastrofe terribile, il massacro totale di tutti quegli spiriti coraggiosi affidati al suo comando. Continuò a gridare il proprio incoraggiamento ai nani che si ritiravano. Urlò a Pwent e ai suoi di farsi largo attraverso le schiere nemiche e di tornare sull’altopiano, mentre lui stesso si dirigeva verso la via di fuga d’emergenza: lo scivolo costruito dagli ingegneri di Torgar. Là, trovò Wulfgar e Catti-brie, davanti a Torgar, Tred e Shingles. “Voi due, scendete”, ordinò Banak ai due umani, uno dei quali era davvero troppo grosso per poter usare lo stretto scivolo. “Attaccatevi alle funi e scendete.” “Ce ne andremo non appena Pwent tornerà”, disse Catti-brie. E, per dare più forza alle sue parole, alzò Taulmaril e mandò una freccia sfrigolante a colpire la massa degli orchi. Il dardo venne inghiottito da quella palude di corpi, ma nessuno dei presenti dubitò che avesse mancato il bersaglio. Nel frattempo, Wulfgar afferrò due lunghe funi e le unì, annodandole in modo tale che sarebbe stato difficile scioglierle, e tanto meno tagliarle. “Non siate sciocchi”, cercò di convincerli Banak. “Voi siete i figli di Re Bruenor e, come tali, sarete più utili all’interno della fortezza.” “Ma adesso siamo più utili quassù”, replicò Wulfgar. “Ce ne andremo al ritorno di Pwent”, ripeté Catti-brie. E, lanciando un’altra freccia, aggiunse: “Non un secondo prima”. Banak fu sul punto di ribattere, ma rinunciò, incapace di confutare

la semplice logica della loro decisione. Dopo quella giornata, anche lui sarebbe diventato una voce importante nel capitolo di Mithral Hall, eppure, finché i Gutbuster non avessero cominciato a scendere nello scivolo, nemmeno lui se ne sarebbe andato via. Si fermò di fronte a Catti-brie, con alla sua sinistra Torgar e Shingles, e alla sua destra Tred e Ivan Bouldershoulder, che si era unito al gruppo dopo aver spedito giù con le corde un riluttante Pikel. “Usa la mia testa come appoggio per prendere la mira”, disse Banak a Catti-brie. Cosa che lei fece, abbattendo l’orco più vicino di un gruppo che stava caricando nella loro direzione. *** I movimenti fluidi e aggraziati dell’elfa contrastavano nettamente con gli scatti e gli affondi bruschi e irregolari di Urlgen. Innovindil gli scivolava intorno, sferrando una serie di colpi e di ampi attacchi con la spada, rivolti soprattutto a preparare un finale improvviso e devastante. Urlgen girava insieme a lei, le braccia protette dalla pesante armatura che colpivano con forza e deviavano ogni fendente, i piedi che assecondavano i gesti del corpo e lo mantenevano sempre in equilibrio, mentre l’elfa gli volteggiava intorno tenendosi di continuo alla sua destra. A un tratto questa sparì, poiché aveva invertito il giro verso sinistra, completandolo per acquistare velocità e per sferrare una stoccata al cuore dell’orco. Ma Urlgen, figlio di Obould, aveva intuito la mossa e l’aveva sventata prima ancora che giungesse a termine. Infatti, subito dopo aver perso di vista l’avversaria, l’orco si era voltato e aveva cominciato ad agitare le braccia su e giù e intorno al proprio corpo per proteggersi. Ragion per cui la stoccata che avrebbe trapassato da parte a parte qualunque altro orco non giunse neppure vicino al

bersaglio. Innovindil si trattenne dal mostrarsi sorpresa e neppure rinunciò all’attacco o arretrò per modificarlo. Sapeva di non averne il tempo, dato che Drizzt Do’Urden si stava alacremente dando da fare al suo fianco, con salti e giravolte, falciando con le micidiali scimitarre chiunque osasse avvicinarsi. Di fronte a lui, parimenti efficace nel proteggere l’altro fianco di Innovindil, la possente pantera nera si rizzava minacciosa sulle zampe posteriori, pronta a lanciarsi sul nemico. Proprio in quel momento, si era avventata contro un orco che stava disperatamente cercando di scappare e gli aveva squarciato il volto con una poderosa zampata, per poi dirigersi su di un altro per abbatterlo. Quei due coraggiosi amici stavano permettendo a Innovindil di combattere la sua battaglia personale, anche se lei sapeva che il tempo non era dalla loro parte. L’elfa si lanciò all’assalto raddoppiando il proprio impeto, sferrando colpi a sinistra, a destra e al centro in rapida successione. Miriadi di scintille si sprigionarono, quando la sua lama cozzò contro un bracciale di metallo, e poi contro l’altro, e subito dopo, quando entrambi i bracciali si incrociarono sulla sua spada spingendola verso il basso, contro il fianco sinistro di Urlgen. E l’orco contrattaccò, non sollevando le braccia, ma tenendo fede alla fama del proprio nome, Threefist, ossia “tre pugni”. Si protese al di sopra della spada, che ancora teneva bloccata, e sferrò un violento colpo di testa contro l’avversaria. Sebbene Innovindil avesse avuto la prontezza di girare il capo per evitare l’impatto frontale, ne uscì ugualmente stordita e barcollante a causa dell’urto contro il copricapo dell’orco. Istintivamente, fece roteare la spada dinanzi a sé per deviare i pesanti pugni che l’orco aveva preso a sferrare con i guanti chiodati. Solo a poco a poco, Innovindil riuscì a recuperare sufficiente lucidità da riuscire a rimettersi ben salda sulle gambe e rafforzare la propria difesa. Dopodiché la lotta riprese ad armi pari. “Ho imparato la lezione”, mormorò sottovoce, mentre si riprometteva di prestare maggiore attenzione alla massiccia testa del nemico.

*** Bruenor era in piedi su un sasso. Le gambe divaricate e ben salde, l’ascia segnata dalle molteplici tacche, impugnata alta al di sopra della testa, il re di Mithral Hall esortava i suoi compagni e tutti i nani Delzoun a resistere, mentre a lui confluivano i nani del Clan Battlehammer. E quel giorno, vuoi per fortuna, vuoi per la sollecita protezione dei suoi antenati e del suo dio, nessuna lancia raggiunse Bruenor. Stava in piedi, in mezzo a quel mare brulicante di orchi, simile a un faro di speranza, un esempio di pura determinazione. Le lance volavano fischiando tutt’intorno, le mani degli orchi afferravano le sue robuste gambe, ma niente e nessuno riusciva a smuovere Re Bruenor. Qualcuno scagliò una mazza che lo andò a centrare in pieno volto, procurandogli un lungo taglio e un occhio tumefatto. Ma Bruenor si limitò a emettere un potente ruggito. Un orco riuscì a raggiungerlo e a colpirlo violentemente con un martello da guerra. Bruenor assorbì la botta senza fiatare, quindi abbatté l’avversario con un micidiale fendente della propria ascia. Poi sopraggiunse un altro orco, e un altro ancora finché, per un attimo, parve che il re dei nani fosse letteralmente sommerso dal nemico. Ma, a uno a uno, gli orchi vennero scaraventati lontano, spinti via dalla forza e dalla risolutezza di Bruenor Battlehammer, che non sarebbe caduto, non si sarebbe arreso. Sul suo corpo scorreva il sangue di molte ferite, alcune palesemente gravi. Ma il ruggito di Bruenor non era provocato né dal dolore né dalla paura. Era un rifiuto, vigoroso e ostinato, svincolato dai legami della mortale caducità. Mai come in quel momento i cuori dei nani Delzoun erano stati gonfi d’orgoglio, con Re Bruenor Battlehammer, in piedi sul sasso, che li incoraggiava con il proprio esempio! Non avevano scelta. Ritirarsi avrebbe significato abbandonare le

centinaia di nani che si stavano ancora calando giù dall’altopiano. Meglio morire, secondo i dettami di una logica prettamente nanesca, piuttosto che abbandonare i propri compagni dietro di sé. Questo rammentò loro Bruenor. Con la sua sola presenza, risorto in un certo senso dal letto di morte, ricordava a tutti loro chi erano, di che stoffa erano fatti e che cosa, soprattutto, fosse importante: i propri compagni e la propria razza. Perciò i nani in ritirata si girarono tutti assieme, piantando ben saldi i piedi per terra, e ripartirono all’attacco opponendo alle lance nemiche le loro asce e i loro martelli, alla sete di sangue degli orchi la loro determinazione di nani. E là, attorno al sasso su cui stava il re di Mithral Hall, l’ondata degli orchi vacillò e si fermò. *** Fianco a fianco, con Banak in mezzo a loro, i cinque nani affrontarono l’avanguardia delle schiere nemiche animati da furia allo stato puro, scagliandosi simultaneamente contro l’avversario e menando colpi a destra e a manca. Alle loro spalle, Catti-brie faceva lavorare Taulmaril a pieno ritmo con effetti devastanti, coordinandosi con Wulfgar, che correva su e giù per quell’esigua linea difensiva impedendo agli orchi di aggirare i cinque combattenti. “Coraggio, Pwent, vieni a darci una mano!” gridò Banak all’indirizzo della squadra decimata dei Gutbuster, che stava finalmente facendo progressi nel disperato tentativo di raggiungere lui e lo scivolo. Banak non riusciva neppure a capire se Pwent fosse ancora con i suoi guerrieri. “Ragazza mia, prendi bene la mira!” disse Ivan Bouldershoulder rivolgendosi a Catti-brie. “Vai”, la esortò Wulfgar, confermandole che tutto era sotto controllo.

E, per la verità, pareva davvero che fosse così, dato che nessun orco voleva avere a che fare con il temibile barbaro. Catti-brie balzò in avanti e si fermò proprio alle spalle di Ivan. Esaminò rapidamente la situazione davanti a sé, notando che un gruppo di orchi aveva aggirato i Gutbuster superstiti nel tentativo di impedire loro la ritirata. Ed ecco che Taulmaril, lo Spaccacuori, venne alzato in posizione di tiro e fiammeggianti scie d’argento si dipartirono dalla fila dei cinque nani. La ragazza scagliava i suoi dardi magici su entrambi i lati, non avendo il coraggio di mirare al centro della mischia per paura che trapassassero qualche orco e andassero a colpire i nani in ritirata. Perciò seguiva un certo ritmo, oscillando a destra e a sinistra, a destra e a sinistra, mentre ogni freccia raggiungeva il bersaglio in tutta la sua micidiale potenza. Gli orchi che si trovavano su quella traiettoria rimasero ben presto privi di rinforzi in grado di contrastare la furia dei Gutbuster, e questi ultimi approfittarono dell’occasione per ricompattare la loro formazione e farsi strada a colpi di lancia su per il pendio. “Adesso tornate su!” ordinò Banak a Catti-brie e a Wulfgar, non appena la linea difensiva si fu ricompattata. “C’è un modo più rapido di scendere!” Riluttante, ma incapace di discutere la logica di quel comando, Catti-brie raggiunse Wulfgar e insieme si arrampicarono rapidi fin sull’altopiano. Dopo essersi messi le armi in spalla, afferrarono le loro rispettive funi e si lasciarono scivolare, fianco a fianco, giù per la ripida parete. Nel mentre, udirono con sollievo i Gutbuster saltare nello scivolo al di sopra delle loro teste. Poi udirono Banak esortare concitato i suoi affinché si mettessero in salvo. Infine udirono gli orchi, una moltitudine di orchi. La fune di Wulfgar fece un improvviso sobbalzo e Catti-brie gli tese la mano a sorreggerlo. Giusto in tempo, dato che la corda piombò giù, recisa dall’alto.

*** Obould non vide i suoi guerrieri fermarsi in corrispondenza del sasso sul quale stava Re Bruenor, poiché la sua attenzione era rivolta da un’altra parte, verso la postazione difensiva a nord, dove i nani stavano rapidamente scendendo a valle. I nani si stavano difendendo bene, questo era certo, ma il numeroso esercito di Obould li avrebbe spazzati via. In quel momento, una sfera infuocata esplose in mezzo alle sue schiere. E, inspiegabilmente, un gruppo di orchi si precipitò di lato e cominciò a combattere contro.., contro nessuno, si rese conto il re degli orchi, oppure l’uno contro l’altro, o contro i sassi. Una rapida occhiata intorno fece capire a Obould cosa stava succedendo: due sconosciuti, una donna e uno gnomo, si erano uniti al gruppo dei nani e stavano agitando le mani e facendo incantesimi. Nel frattempo, un numero sempre maggiore di nani scendeva giù nella valle, brandiva le armi e si lanciava a rafforzare le linee difensive. Di questo passo, i suoi orchi avrebbero dovuto ripiegare! Una saetta di un’accecante luce blu piovve sugli orchi uccidendone una dozzina e facendone cadere molti altri, storditi e sconvolti. La bellezza del suo piano, che prevedeva non solo di ricacciare i nani nelle loro tane, ma anche di sterminarli mentre erano ancora in superficie, cominciò a dissolversi davanti agli occhi infuriati di Obould. Con un ruggito, l’orco si rifiutò di credere a quell’inaccettabile cambiamento di rotta. Grugnendo e stringendo i pugni, in modo tale che avrebbe potuto frantumare della solida roccia, il grande re degli orchi si apprestò a condurre il suo attacco personale contro la parete a nord, deciso a mutare di nuovo il corso degli eventi. I nani non sarebbero sfuggiti alla sua trappola. Non un’altra volta.

*** Banak si tuffò nello scivolo a testa in giù, non prima di avervi lasciato cadere il corpo esausto di Thibbledorf Pwent. Si aspettava di scivolare giù per il ripido condotto, ma era a malapena dentro che rimase bloccato. Solo allora il vecchio nano si rese conto di avere conficcata sul fondoschiena una lancia, la quale era rimasta impigliata tra i sassi dell’apertura e gli impediva la discesa. Gli orchi si affollarono tutt’intorno allo scivolo, sopra di lui, sferrandogli pedate e punzecchiandolo con le loro perfide lance. Banak scalciava furiosamente, ma sapeva di dover morire, sapeva che non c’era modo di liberarsi. Ma, proprio in quel momento, una mano lo afferrò per la collottola e il maleodorante Pwent gli comparve a un palmo dal naso. “Avanti, stupido!” urlava Pwent. “H-ho una l-lancia...” cercò di spiegare Banak, ma Pwent non ascoltava, si limitava a strattonarlo. Mentre l’asta della lancia si piegava, un’esplosione bruciante devastò improvvisamente il fondoschiena del povero Banak, facendolo ululare di dolore. Ma Pwent tirò ancora più forte, consapevole del fatto di non avere scelta, di non avere altre possibilità. L’asta della lancia si spezzò e Banak cadde insieme a Pwent, scivolando giù per lo stretto cunicolo costruito dagli ingegneri di Torgar. Precipitarono giù per una ripida discesa e caddero, attraverso un’apertura, su un mucchio di fieno strategicamente disposto allo sbocco dello scivolo. Ma, poiché il fieno era tutto sparso qua e là a causa dei precedenti atterraggi, i due finirono con un tonfo praticamente sulla nuda terra, e là rimasero a lamentarsi. Ruvide mani incuranti dei loro gemiti li afferrarono, poiché non

c’era il tempo di preoccuparsi per le ferite. “Chiudete lo scivolo!” gridò Pwent, ma troppo tardi, visto che era in arrivo un piccolo goblin, probabilmente mandato in avanscoperta da quei prepotenti degli orchi. Il piccolo essere atterrò proprio su Banak, ancora là sdraiato a pancia in giù, il quale emise un altro gemito di agonia. Pwent rotolò su se stesso e affondò il guanto chiodato sul muso dell’attonito goblin, mentre gridava di nuovo agli altri di chiudere lo scivolo. Torgar Hammerstriker si stava già muovendo. Azionò una leva a rilasciare un blocco di pietra, che venne poi spinto a braccia in corrispondenza dell’apertura del condotto. Sulla parte superiore del sasso erano state fissate alcune lunghe punte acuminate, che fecero la loro prima vittima subito dopo la chiusura dello scivolo: un orco o un goblin che vi erano caduti sopra restandovi infilzati. I nani erano troppo occupati per compiacersi di quell’esecuzione, presi com’erano dal prestare i primi soccorsi ai due compagni infortunati, sostenendo Pwent e trasportando Banak, che era gravemente ferito. La grotta in cui sbucava lo scivolo si apriva su una sporgenza situata a circa un quarto di altezza lungo il fianco dell’altura, dove erano state collocate altre scale di corda. Parecchi nani della Brigata Gutbuster erano già quasi arrivati a valle e si stavano apprestando a raggiungere i guerrieri che si trovavano alla base della parete. Non appena Thibbledorf Pwent si trovò dinanzi agli occhi lo spettacolo della battaglia che infuriava sotto di lui, si scrollò dal suo torpore - o vi si tuffò dentro, dato che era sempre arduo stabilire quali fossero le reali condizioni di Pwent! - e, con un balzo oltre la sporgenza, si aggrappò a una fune. “L’ho preso prima io”, insistette Ivan Bouldershoulder. Si pose cautamente Banak sulle spalle e si avviò verso la scala di corda, mentre Tred si calava davanti a lui per aiutarlo nella discesa. Torgar e Shingles, armi alla mano, rimasero di guardia all’ingresso della grotta, pronti a difendere i loro amici nel caso la botola non avesse retto e fossero sopraggiunti gli orchi. I due nani di Mirabar si

decisero a scendere solo dopo che Ivan e gli altri ebbero raggiunto il secondo gruppo di scale, molto più in basso. Si aggrappò istintivamente alla mano che lei gli aveva teso. Si tennero saldamente per i polsi, mentre la fune del barbaro cedeva e lui rimbalzava oscillando contro la parete. Il sobbalzo causato dal suo peso rischiò di far mollare la presa della corda alla ragazza, che però resistette, ostinata, afferrandosi con forza e determinazione. La sommità della fune di Wulfgar ricadde giù colpendolo e, di nuovo, lui fu sul punto di abbandonare la presa. Ma Catti-brie non lo lasciò. Le braccia tese, i muscoli doloranti, le spalle che parevano schizzare fuori dalle articolazioni. Ma non lo lasciò. Wulfgar alzò lo sguardo verso di lei, gli occhi colmi di terrore per la ragazza, oltre che per sé, poiché sembrava davvero che avrebbe finito per strapparla al suo appiglio, trascinando entrambi verso la morte. Ma Catti-brie non lo lasciò. Anche a costo della propria vita, lei non avrebbe lasciato cadere l’amico. Sembrò che trascorressero minuti, sebbene, in realtà, tutto fosse successo nel giro di una manciata di secondi. Infine, Wulfgar riuscì ad aggrapparsi alla corda con la mano libera e a reggersi saldamente. “Vai!” lo esortò Catti-brie, non appena ebbe recuperato il proprio sangue freddo e si fu resa conto che, se la fune di lui era stata tagliata, probabilmente la sua avrebbe seguito la stessa sorte. Wulfgar si calò giù, una mano dopo l’altra, rapido. Raggiunse una sporgenza e vi si issò a fatica, poi si sistemò il più saldamente possibile ad aspettare la compagna. Catti-brie scese subito dopo di lui, veloce, ma non abbastanza, poiché anche la sua corda cedette, tagliata dall’alto. Wulfgar afferrò la ragazza tirandola a sé, mentre ambedue si appiattivano a ridosso della parete. “Neanche a metà strada”, disse Wulfgar un attimo più tardi. Poi indicò il lato opposto della piccola sporgenza, dov’erano state collocate altre funi per la discesa.

*** Drizzt vibrò una doppia stoccata, poi avanzò incalzando l’orco e costringendolo ad arretrare inciampando, impedendo in tal modo agli altri di avvicinarsi. Quindi si girò subito con una piroetta, facendo ruotare le scimitarre con movimenti ampi e misurati, ogni colpo sotto controllo, ogni fendente destinato a scoraggiare chiunque intendesse interferire nella battaglia che Innovindil stava combattendo contro il capo degli orchi. Il drow si girò di nuovo e vide Guenhwyvar, poco più in là, impegnata ad atterrare un orco, per poi balzare via e abbatterne un altro. Mentre fronteggiava l’assalto di due nemici, Drizzt riportò lo sguardo sullo scontro principale e, proprio in quel momento, notò che Urlgen stava dando del filo da torcere alla sua compagna elfo e che lei stava arretrando malferma sulle gambe. Fece per accorrere in suo aiuto, ma fu bloccato da un altro orco. “Concentrati sulla tua rabbia!” gridò a Innovindil. “Ricordati di Tarathiel! Ricordati della perdita che hai subito e asseconda il tuo dolore!” Mentre parlava, il drow continuava a colpire con forza o a parare con le sue scimitarre, mettendocela tutta per contenere l’incalzare degli orchi, che si stavano facendo sempre più audaci. “Sforzati di trovare un equilibrio”, cercò di spiegare a Innovindil. “Un equilibrio tra la tua rabbia e la tua determinazione! Concentrati attraverso il dolore!” Sapeva che le stava chiedendo di trasformarsi nel Cacciatore. Le stava chiedendo di abbandonare la propria razionalità per lasciarsi cadere in uno stato più primitivo, uno stato fatto di sensazioni, di emozioni e di paura. Così come lei aveva tentato di farlo emergere da quella rabbia, ora lui stava cercando di spingercela dentro. Ma aveva forse qualche alternativa?

Drizzt dimenticò i propri timori riguardo alla compagna e si lasciò assorbire ancora di più dall’identità del Cacciatore. Di fronte agli orchi che lo sollecitavano, le sue scimitarre risposero con una danza frenetica, respingendoli e facendoli a pezzi. *** Sebbene la situazione avesse preso all’improvviso una piega disperata, sebbene avvertisse la pressione esercitata su di lei da quel feroce orco e dal tumulto provocato da tutti quei mostri che le si accalcavano intorno, Innovindil riuscì comunque a udire le parole di Drizzt Do’Urden. La sua spada si muoveva con frenesia, sferrando colpo su colpo all’indirizzo del selvaggio orco che incombeva su di lei con i suoi imprevedibili guanti di ferro chiodati. I suoi piedi lavoravano con altrettanta disperazione, mantenendosi saldi, mentre era costretta a schivare e ad arretrare. Tentò di trovare un ritmo, ma lo stile di combattimento dell’orco era tutt’altro che convenzionale, basato com’era su attacchi improvvisi da diverse angolazioni, al fine di individuare i suoi eventuali punti deboli. Innovindil era certa che sarebbe arrivata piano piano a comprendere la tattica dell’avversario e a rispondere in modo adeguato, ma sapeva anche che il tempo era un lusso che non si poteva permettere. Perciò seguì il consiglio di Drizzt Do’Urden, che stava combattendo così valorosamente per tenere lontani tutti gli altri. Lasciò che la sua mente percorresse il cammino dei ricordi, fino alla terribile fine di Tarathiel. Sentì la rabbia crescere dentro di sé e la incanalò tutta quanta nella determinazione. Così, la sua spada scattò a sinistra a bloccare un gancio che stava per esserle sferrato con la mano destra, poi tornò rapida al centro per deviare una pugnalata da sinistra. Innovindil ignorò i propri pensieri coscienti e si abbandonò al flusso e alle sensazioni della battaglia. Dalla sua lama scaturirono scintille quando cozzò contro il pugno della mano guantata di Urlgen, e poi ancora quando questi cercò di fermare il fendente di

lei con l’altra mano protetta dal guanto di ferro. L’elfa si muoveva con insolita efficacia, rispondendo agli assalti del nemico e individuando infine una sorta di schema nelle parate e nei colpi di lui. Capì che l’orco avrebbe sferrato un altro attacco di testa, non appena avesse visto aprirsi un varco nelle sue difese. Innovindil avanzò con movimento oscillante schivando i pugni dell’orco, poi si raccolse maggiormente nel suo sé istintivo, fermandosi da qualche parte tra la rabbia e la totale concentrazione. Nello schivare un colpo, parve perdere completamente l’equilibrio, piegandosi sul fianco con tale violenza che la mano libera andò a sbattere contro lo stivaletto in pelle di daino. Ed ecco che giunse il secondo pugno dell’orco, un pugno così forte che avrebbe potuto ridurla piuttosto male in arnese. Ma lei si rese conto che non era diretto a lei, bensì alla sua spada, che le venne sbalzata di mano. Gli aveva offerto il varco che lui cercava. Urlgen le si scagliò contro proiettando la testa in avanti con la spinta delle spalle possenti. Innovindil portò la mano libera davanti al viso per parare il colpo e sentì che l’impatto improvviso le spingeva indietro la mano e gliela mandava a sbattere contro il cranio. Indietreggiò, cercando di tenersi in equilibrio, ma inciampò e cadde a sedere, sentendosi molto vulnerabile. Ma Urlgen non le stava prestando attenzione, poiché con la testa non aveva colpito solo la mano dell’avversaria, ma anche il coltello che lei aveva astutamente estratto dallo stivale, infilzandosi così da solo. L’orco barcollò all’indietro, il manico della lama che gli sporgeva dalla fronte come il corno di un qualche strano unicorno. I suoi guanti neri si agitavano nel vuoto, mentre continuava a girare su se stesso, la testa riversa, con quell’impugnatura rivolta verso l’alto. In quel momento di confusione, mentre tutti gli orchi presenti fissavano increduli il loro capo, Drizzt Do’Urden si precipitò da

Innovindil, la sollevò bruscamente in piedi e la trascinò via con sé fuggendo verso nord. Il drow correva seguendo un percorso a zigzag e agitava le scimitarre intorno a sé per fare strada all’ancora vacillante e stordita Innovindil. Quando capitarono in mezzo a un gruppo particolarmente compatto di nemici, Guenhwyvar giunse in loro soccorso, scagliandosi sul mucchio degli orchi, atterrandone alcuni e disperdendo gli altri. Drizzt continuava a correre, portandosi dietro Innovindil. A un certo punto, tirò fuori una corda sottile e ne mise un’estremità nella mano di lei, quasi volesse, con quella sensazione tattile, farla ritornare in sé e ricordarle i suoi doveri. Di rimando, lei incitò Drizzt e si portò la mano libera alle labbra emettendo un fischio acuto. Proseguirono diretti verso una zona piana laterale e finalmente scorsero, proprio in linea retta con il sole che stava sorgendo, la loro unica speranza di salvezza: un cavallo alato che scendeva veloce verso di loro. Appena ebbe toccato terra, Tramonto si avviò al galoppo attraverso i sassi, disperdendo gli orchi al suo passaggio. Drizzt e Innovindil si prepararono a intercettarlo disponendosi uno su ogni lato, la corda tesa in mezzo a loro. Quando finì contro la corda, Tramonto accusò il colpo, e il drow e l’elfo approfittarono entrambi dell’improvviso strattone per portarsi di fianco al pegaso passando sotto le ali che il cavallo teneva sollevate. Innovindil montò in sella per prima, seguita subito da Drizzt, mentre Tramonto non rallentava la corsa. Le ampie ali batterono l’aria e l’animale si slanciò in avanti, in parte galoppando e in parte volando, portandosi fuori del raggio d’azione degli inseguitori. “Guenhwyvar, torna a casa!” gridò Drizzt alla pantera ancora intenta a disperdere orchi e a combattere con ardore. Ed ecco che si sollevarono in aria, piegando veloci verso nord. Alcune lance furono scagliate nella loro direzione, ma poche si avvicinarono al bersaglio, e anche quelle poche furono subito deviate dalle scimitarre del drow. Finalmente si trovarono fuori tiro, e Drizzt si voltò a osservare il luogo della battaglia che rimpiccioliva in lontananza. In quel momento, gli orchi si trovavano proprio in cima

all’altopiano, il che voleva dire che i nani erano stati costretti a scendere a Keeper’s Dale. Se si fosse trovato là in alto appena un minuto prima, avrebbe potuto scorgere il familiare lampo argenteo di Taulmaril. *** Lo sguardo di Shoudra Stargleam brillava di determinazione mentre osservava la sua sfera infuocata abbattersi su un gruppetto di orchi, facendoli scappare qua e là, il corpo avvolto dalle fiamme. La maga scagliò un secondo attacco dall’effetto devastante: una saetta incandescente che atterrò un’intera fila di orchi al centro della formazione d’attacco. Più di un nano guardò verso Shoudra facendole un cenno di approvazione, il che contribuì a far sì che l’orgogliosa e nobile Sceptrana si producesse in qualcosa di ancora più spettacolare. In quel momento, si sentiva in tutto e per tutto una Battlehammer e combatteva come se Mithral Hall fosse da sempre stata la sua casa e i nani che la circondavano la sua famiglia. Accanto a lei, anche il piccolo Nanfoodle faceva meraviglie, inducendo un’intera compagnia di orchi a credere che ci fosse un nemico, peraltro immaginario, in procinto di attaccarli proprio in corrispondenza del precipizio. “Molto bene”, si congratulò con lui Shoudra. Al trucco illusionistico dello gnomo fece seguire un’altra saetta che mise definitivamente in rotta il gruppetto degli orchi, eliminandone altri ancora. Shoudra strizzò l’occhio a Nanfoodle, poi gettò uno sguardo preoccupato verso la parete lungo la quale si stavano calando i nani. Alle sue spalle, udì quelli che erano già arrivati in fondo organizzare le difese per far rientrare tutti quanti a Mithral Hall. Ma era necessario resistere finché tutti non fossero scesi. La Sceptrana si voltò e trattenne il respiro nel vedere che un

nano, poco più su di dove si trovava lei, cadeva all’indietro, trafitto da una lancia in pieno petto. Non essendoci subito qualcuno pronto a sostituire il ferito, la Sceptrana avanzò col braccio teso, scagliando magici dardi che riuscirono a respingere gli orchi. Ma molti altri si fecero avanti. Shoudra trasse un sospiro di sollievo quando vide che erano sopraggiunti due nani, uno che si prese cura del compagno colpito e l’altro che lo rimpiazzò, ponendosi a guardia del basso muro di pietra. E gli orchi arrivarono. Mentre Shoudra si guardava attorno per cercare un posto adatto alle sue deflagrazioni, l’occhio le cadde su un orco in particolare, un essere enorme, protetto da un’armatura, che brandiva una spada alta quasi quanto lei. Si stava faticosamente facendo strada in mezzo alle proprie schiere, mentre gli altri orchi si scansavano prontamente per non intralciargli il passaggio, dirigendosi deciso verso il muro. Il dardo di una balestra sibilò nell’aria e andò a colpire con forza la corazza, senza però penetrarla e senza minimamente rallentare l’andatura dell’orco. Anzi, facendolo proseguire più sollecito. Shoudra ricorse ai propri poteri magici e gli scagliò contro una saetta di tale violenza che lo sollevò da terra e lo scaraventò in mezzo ai suoi soldati. Credendolo morto, la Sceptrana rivolse di nuovo la propria attenzione verso la moltitudine nemica che aveva attaccato i nani e lanciò un’altra sfera infuocata appena davanti alle file dei nani, talmente vicina che persino questi ultimi ne avvertirono il calore. Si videro di nuovo orchi con il corpo in fiamme che scappavano qua e là e cadevano a terra gravemente ustionati. Ma nel varco che si era appena creato, comparve una figura familiare, quella del possente guerriero con lo spadone stretto in pugno. Nel vederlo, Shoudra spalancò gli occhi, dato che nessuno era mai riuscito a sopravvivere a uno dei suoi fulmini! Ma si trattava dello stesso orco, ne era certa, che avanzava furioso respingendo chiunque si trovasse sui suoi passi e facendo mulinare la grossa spada dinanzi a sé, diretto a tutta velocità verso il

muro e lo schieramento dei nani. Quando vi si trovò di fronte, abbassò le spalle pronto a caricare e si scagliò contro la barriera frettolosamente eretta, scalzandola con facilità e facendo cadere a terra grosse pietre. Alcuni nani gli balzarono addosso, ma vennero subito respinti, feriti dal pesante spadone o colpiti dal suo braccio libero, che ne scaraventò persino un paio per aria. E Shoudra capì all’improvviso che, per tutto il tempo, l’orco aveva continuato a tenere gli occhi puntati su di lei. La mastodontica figura si fece avanti, strappando uno strillo a Nanfoodle, che assisteva alla scena, poco distante. Shoudra udì lo gnomo bisbigliare una rapida formula magica, ma seppe per istinto che non sarebbe riuscito a distrarre quel bestione dal suo obiettivo. Alzò le mani davanti a sé, con le punte dei pollici che si toccavano. “Vattene, demonio”, disse, mentre un ampio cerchio di fiamme color arancio si sprigionava dalle sue dita. Approfittando di quel diversivo, la Sceptrana si voltò per mettersi in salvo, ma qualcuno la colpì con un pugno, o perlomeno così le parve. Tentò di muoversi, ma i piedi le scivolarono sulla roccia, come se fosse bloccata sul posto. Si lanciò un’occhiata alle spalle e comprese che non era stato un pugno a colpirla, ma un fendente di spada. Abbassò lo sguardo e vide che quasi metà lama le usciva dal petto, e capì che lo spadone l’aveva trapassata da parte a parte. L’orco, con la sola mano che reggeva la spada, sollevò Shoudra in aria. Lei udì Nanfoodle strillare, ma come se fosse molto lontano. Udì gridare i nani e li vide correre qua e là sconvolti di paura, o così le parve. Poi scorse un improvviso bagliore argenteo e avvertì uno strappo, mentre il grosso orco vacillava all’indietro. ***

Catti-brie sospesa a testa in giù, le gambe avvolte intorno alla fune, riposizionò un’altra freccia sull’arco e la scagliò contro il mostruoso animale che teneva Shoudra sollevata a mezz’aria. La prima freccia aveva raggiunto il bersaglio in pieno petto, facendolo arretrare di un passo. Ma non aveva perforato la corazza. “Fermalo!” urlò Catti-brie rivolgendosi a Wulfgar. Il barbaro era balzato a terra e stava, proprio in quel momento, cercando di sopraffare l’orco. Lanciò un’invocazione a Tempus e si preparò a colpire con il martello - si preparò a colpire con l’intero suo corpo - gettandoglisi contro e cercando di respingerlo. Ma, d’un tratto, Wulfgar si trovò immobilizzato, bloccato e scaraventato indietro. L’orco sollevò ancora di più il braccio, mostrando la povera Shoudra che si contorceva, e ruggì. Poi agitò la spada, e Shoudra urlò ancora più forte. Infine, diede uno strappo con il braccio da una parte all’altra, in senso orizzontale. Il corpo di Shoudra Stargleam finì a terra, a pezzi. Catti-brie scagliò una seconda freccia e poi una terza, ma a quel punto l’orco non sembrava neanche più vacillare sotto i colpi. Si voltò e si diresse verso Wulfgar. Il turbinante Aegis-fang si abbatté su di lui con violenza. L’orco indietreggiò di alcuni passi e parve quasi sul punto di cadere. Quasi. Poi si riprese e caricò Wulfgar con foga. Il barbaro impugnò ben saldo Aegis-fang e si preparò a ricevere l’assalto, lanciando un’altra invocazione al suo dio e tracciando un ampio arco con il poderoso martello. Così lottarono, spada contro martello, i due titani dalle imponenti figure che spiccavano al di sopra di quelle dei presenti. Aegis-fang si abbatté con forza, colpendo la spalla dell’orco e facendolo scivolare di lato. Il fiammeggiante spadone rispose con un

altro fendente che costrinse Wulfgar ad arretrare riuscendo a evitarlo d’un soffio. L’orco fece seguire la sua sciabolata da un balzo in avanti, mentre anche l’avversario avanzava dopo aver schivato la lama, e i due si scontrarono con violenza, opponendo muscoli potenti a muscoli altrettanto vigorosi. Un pesante pugno scaraventò Wulfgar lontano, barcollante, appena in grado di reggersi in piedi in mezzo ai sassi. L’orco lo inseguì, reggendo la spada con entrambe le mani, pronto a sferrare il colpo fatale che il barbaro non sarebbe stato in grado di parare. Una freccia colpì l’orco in piena faccia, facendo scaturire scintille dalla superfìcie in vetro indurito che proteggeva le fessure degli occhi, ma questi avanzò imperterrito e vibrò una stoccata all’indirizzo del barbaro. Almeno, l’orco credette che si trattasse del barbaro, giacché, dove la forza e il fuoco non erano riusciti nel loro intento, Nanfoodle ci riuscì. Lo gnomo aveva infatti creato l’illusione di un finto Wulfgar nella persona di un secondo orco che ebbe la sfortuna di trovarsi troppo vicino alla collera di Re Obould. Catti-brie fece un balzo verso Wulfgar, lo afferrò per un braccio e lo trascinò via. L’orco li inseguì, o perlomeno cercò di farlo, dato che il terreno roccioso sotto i suoi piedi si tramutò in fango, solidificandosi subito dopo per imprigionarlo fino alle caviglie. “Orco cattivo!” strillò un nano dalla barba verde, mentre tendeva le dita dell’unica mano in direzione di Obould. L’orco infuriato ruggì e si dimenò, cominciando a sferrare pugni sulla roccia. Poi, con una forza incredibile, riuscì a liberare un piede. “Oooo!” esclamò il nano dalla barba verde. In quel momento sopraggiunsero altri aiuti sotto forma di guerrieri Gutbuster, che attorniarono subito Wulfgar e Catti-brie, pronti a combattere. Ma tutti quelli che osarono avvicinarsi troppo all’orco ne pagarono le conseguenze.

Giunsero Torgar e Tred, Shingles e Ivan, e Banak, ancora malconcio per le ferite riportate, a trascinare via il barbaro e la ragazza, l’attonito e piangente Nanfoodle e tutti quanti si trovavano sul loro cammino, correndo a tutta velocità attraverso Keeper’s Dale, alla volta delle porte di Mithral Hall. Solo allora Catti-brie notò l’imponente figura che stava in piedi su un sasso a incoraggiare i nani, quell’indomito pilastro di forza che era suo padre, i piedi ben saldi sulla roccia, l’ascia in movimento a spazzare via gli orchi, con i nani che gli si stavano raccogliendo tutti intorno. “Bruenor”, mormorò, incapace persino di comprendere come suo padre avesse potuto risollevarsi di nuovo. *** Lo sguardo rivolto verso il centro della valle, Bruenor seguiva la ritirata di Banak e dei propri figli, felice di vederli ancora vivi. Il suo esercito aveva in qualche modo resistito, a dispetto di tutte le previsioni, ed era riuscito ad arginare l’innegabile marea nemica. A caro prezzo però, il re dei nani lo sapeva, così come sapeva che quella moltitudine non si sarebbe fermata, specialmente adesso che i giganti stavano rapidamente avanzando a rinforzare le schiere degli orchi. Dall’alto del sasso, il re dei nani ordinò la ritirata e incitò i suoi guerrieri a dirigersi verso le porte. Ma Bruenor non si mosse finché non fu certo che tutti quanti avessero udito gli ordini. Mentre li seguiva, si faceva strada con la propria ascia. Sentiva le lance e le spade del nemico fischiare intorno a sé, ma nella furia che lo possedeva non c’erano punti vulnerabili. Così continuò ad avanzare schivando colpi. A un certo punto, si fermò e si voltò, facendo a pezzi l’orco che lo inseguiva troppo da vicino e costringendo gli altri ad arretrare spaventati. Ormai in prossimità delle porte, raccolse tutti i suoi guerrieri dietro di sé e si rifiutò di entrare finché non fossero stati tutti quanti

in salvo. Combatté con la foga di dieci nani e con il coraggio di mille, con la sua ascia segnata dalle innumerevoli tacche, che colpiva molti più bersagli di quanti non ne avesse mai colpiti in quegli ultimi anni. I corpi degli orchi si ammassavano intorno a lui e ricoprivano il terreno di sangue vermiglio. E infine, mentre i nani a guardia delle porte lo esortavano a gran voce, capì che era tempo di mettersi in salvo. Assestò un ultimo colpo d’ascia per tenere a bada il muro di orchi che aveva di fronte, poi fece per girarsi e mettersi a correre. O perlomeno cercò di girarsi, dato che un orco alle sue spalle gli stava puntando contro una lancia, con un’angolazione tale che Bruenor non sarebbe riuscito a deviarla in alcun modo. Credendosi perduto, il re dei nani cacciò un urlo di ribellione. Ma a quel punto l’orco barcollò, mentre uno spuntone di metallo gli usciva dal petto. Nel vedere Thibbledorf Pwent in piedi, dietro all’avversario, mentre lo sollevava in aria al di sopra della testa, Bruenor capì che si trattava della punta del suo elmo. Prima che questi potesse proferire anche una sola parola, Pwent lo agguantò per la barba e se lo trascinò appresso in una corsa disperata fin dentro la fortezza. E così, in quel giorno fatale, Thibbledorf Pwent fu l’ultimo a ritirarsi nella roccaforte dei nani, mentre le grandi porte si chiudevano con un tonfo alle sue spalle e l’orco mortalmente ferito continuava a trascinarsi intorno con il torace trafitto dall’elmo del nano.

31

ATTRAVERSO I CORPI Non era la vittoria che aveva sperato di conseguire, visto che quasi tutti i nani appartenenti al Clan Battlehammer, persino quelli sull’altopiano, erano riusciti a rifugiarsi all’interno di Mithral Hall. Ma la cosa peggiore per Re Obould era il fatto che restavano ben pochi dubbi sull’identità del comandante dei nani che aveva guidato la ritirata. Si trattava proprio di Re Bruenor, creduto morto e sepolto sotto le macerie di Shallows. I nani Battlehammer ne avevano acclamato il nome quando aveva condotto la carica, e l’improvvisa e accresciuta dose di ferocia e tenacia che aveva caratterizzato la loro difesa, dopo la comparsa del nano dalla barba rossa, confermava a Re Obould che si trattava proprio del loro capo. Il re degli orchi prese mentalmente nota di approfondire meglio la questione, non appena fosse riuscito a parlare con suo figlio. Nonostante quell’arrivo inatteso, nonostante la riuscita ritirata dall’altopiano, Obould provava piacere nel sapere che i nani non potevano però affermare di avere vinto. Infatti, erano stati ricacciati nelle loro gallerie, con poche speranze di uscirne presto, visto che persino in quel momento i giganti di Gerti si stavano dando da fare per sigillare le porte occidentali della fortezza. Le perdite accusate dagli orchi a Keeper’s Dale erano ingenti, ma tra di esse non c’era neppure penuria di nani. “Era Bruenor!” udì gridare Gerti Orelsdottr, mentre la gigantessa si precipitava da lui. “Bruenor in persona! Il re di Mithral Hall! Avevi detto che era morto!”

“Era stato mio figlio a dirmelo, e anche i tuoi giganti”, le ricordò Obould con calma. “La morte di Bruenor è stata usata come pretesto per chiamare tutti a raccolta, brutto bastardo!” “Abbassa il tono di voce”, disse Obould alla gigantessa. “Abbiamo vinto. Non è il momento per dare voce alle nostre paure.” Gerti ridusse gli occhi a due fessure ed emise un lungo ringhio. “Non hai perso un solo gigante”, le ricordò Obould, e quest’osservazione sembrò togliere un po’ di impeto alla furia di Gerti. “I nani Battlehammer sono stati respinti nelle loro tane, le loro forze sono state decimate, e tu non hai perso un solo gigante.” Dopo aver lanciato un’ultima severa occhiata al re degli orchi e aver cacciato un ultimo brontolio, la gigantessa se ne andò. Obould diresse lo sguardo verso il pendio e pensò alla tremenda esplosione che aveva annunciato l’inizio della battaglia e alla pioggia di scorie che ne era seguita. Si augurava che quanto aveva appena detto a Gerti fosse vero. Sperava che il combattimento sull’altura fosse andato a buon fine. Se così non fosse stato, Obould si ripromise, avrebbe ammazzato suo figlio. *** Con il viso bagnato di sudore e lacrime e sporco di sangue e fango, Catti-brie cadde in ginocchio davanti al padre e lo strinse in un forte abbraccio. Bruenor, col volto sfregiato e sanguinante, con parte della barba strappata e un occhio tumefatto e chiuso, sollevò un braccio (giacché l’altro gli pendeva inerte sul fianco) e rispose alla stretta. “Come è possibile?” chiese Banak Brawnanvil. Se ne stava là con molti altri, nell’atrio della fortezza, a fissare incredulo il suo re, ritornato dal regno dei morti, o così almeno

sembrava. “Regis, è stato lui a trovare la risposta”, disse Stumpet Rakingclaw. “È stato lui a dirci come fare”, concordò Cordio Muffinhead. Si fece avanti e assestò un colpo così forte sulle spalle di Regis che l’halfling barcollò e fu quasi sul punto di cadere. Tutti gli sguardi, in particolare quelli di Wulfgar e Catti-brie, conversero su Regis, il quale pareva insolitamente imbarazzato per tutta quell’attenzione. “È stato Cordio a risvegliarlo”, replicò in tono sommesso. “Bah! Sci stato tu con il tuo rubino”, spiegò Cordio. “Regis ha chiamato Bruenor attraverso la gemma. “Nessun re degno di questo nome se ne starebbe lì disteso a lasciare che la sua gente combatta senza di lui”, ha detto.” “Ma è proprio quello che mi dicesti alcuni giorni fa”, ribatté Regis rivolto al sacerdote. Ma Cordio si limitò a rispondere con una risata, per poi rifilargli un’altra pacca sulle spalle e proseguire: “Perciò è penetrato in quel corpo e ha trovato la scintilla, l’unica ancora rimasta a tenerlo in vita. Poi Regis gli ha raccontato cosa stava succedendo. E quando Stumpet e io siamo tornati da lui per le nostre cure, lo spirito di Bruenor era di nuovo là pronto a riceverle. Il suo spirito ha prestato ascolto alle nostre invocazioni, così come il suo corpo ha ricevuto le cure fisiche. Direi proprio che è tornato direttamente dal suo posto al fianco di Moradin!”. Tutti si voltarono a guardare Bruenor, il quale si strinse nelle spalle e scrollò il capo. Cordio si fece d’un tratto solenne e si mise di fronte al re dei nani. “E così sei tornato a noi nel momento del bisogno”, disse piano il sacerdote. “Ti abbiamo richiamato a noi per aiutarci e tu, fedele alla tua gente, le hai risposto. Nessun nano può negare il tuo sacrificio, o mio sovrano, e nessun nano potrà mai chiederti di più. Siamo al sicuro adesso, e le porte della fortezza sono sbarrate. Hai compiuto

il tuo dovere verso il clan e verso i tuoi compagni.” Tutti quanti intorno cominciarono a mormorare e a farsi più vicini per guardare. E quando compresero l’intento di Cordio, all’improvviso ammutolirono e molti trattennero il respiro. “Sei venuto a noi, tornato dal regno di Moradin”, disse il sacerdote a Bruenor, ponendo le mani sul capo del re dei nani per impartirgli una benedizione. “Non possiamo costringerti a restare. Hai compiuto il tuo dovere e hai meritato il giusto riposo.” Gli occhi dei presenti si spalancarono. Wulfgar dovette afferrare Catti-brie, che sembrava sul punto di svenire, anche se, per la verità, il barbaro aveva bisogno di supporto almeno quanto lei. Le parole di Cordio parvero influire enormemente su Bruenor. I suoi occhi erano in procinto di chiudersi e le spalle ricurve stavano ricadendo in avanti. “Non sentirai più alcun dolore, o mio re”, proseguì Cordio, la voce che gli si spezzava. Si protese a sostenere Bruenor, poiché pareva davvero che il nano stesse per cadere a faccia in giù. “Moradin ti ha spalancato le braccia. Puoi tornare a casa.” Regis non riuscì a trattenere un sussulto, tutti gli altri singhiozzavano. Bruenor chiuse gli occhi. Poi li riaprì, e li sbarrò! E si mise di scatto a sedere fissando il sacerdote con l’aria più incredula che si fosse mai vista in un nano. “Cosa stai dicendo, brutto zuccone!” tuonò. “La mia casa è circondata da orchi e da giganti puzzolenti e tu mi stai dicendo di starmene lì disteso a morire?” “M-ma.., ma...” balbettò Cordio. “Niente ma!” grugnì Bruenor. “Basta con queste stupidaggini. Il lavoro ci attende!” Per un attimo nessuno si mosse o parlò, e neppure osò respirare. Poi, nelle sale di Mithral Hall si levò un’acclamazione tale che non si era più sentita dai tempi della vittoria contro i drow, parecchi anni

prima. Erano stati ricacciati nella fortezza, certo, e non potevano dire di avere vinto, ma Bruenor era di nuovo con loro e stava lottando come non mai. “Evviva Bruenor!” strillò un nano, e tutti i presenti gridarono insieme: “Il nostro eroe!”. “Che non ha certo combattuto più di tutti quanti voi”, gridò Bruenor di rimando. “Se adesso mi trovo qui, è unicamente merito di uno di voi.” E il suo sguardo si diresse, seguito da quello di tutti, verso l’halfling. “Allora è il Castaldo Regis il nostro eroe!” urlò un nano dal fondo della sala. “Uno dei tanti”, aggiunse rapido Wulfgar. “Lo gnomo Nanfoodle ci ha facilitato la ritirata dall’altopiano.” “E Pikel!” aggiunse Ivan Bouldershoulder. “E anche Pwent con i suoi guerrieri”, disse Banak. “E se non fosse stato per Pwent, Re Bruenor sarebbe disteso davanti al portone di Mithral Hall, bell’e morto.” A ogni nome le acclamazioni crescevano di intensità. Bruenor li ascoltava contento e li lasciò continuare, ma non vi prese più parte. Non aveva ancora ben capito cosa gli fosse successo. Ricordava un’impressione di immensa gioia, un senso di profonda pace e un luogo che non avrebbe voluto lasciare. Ma poi, aveva udito in lontananza un’invocazione di aiuto, da parte di un halfling che gli era familiare, e aveva percorso un buio cammino per tornare nel regno dei vivi. Appena in tempo per gettarsi a capofitto nel combattimento. Bruenor sapeva che ci sarebbe voluto un po’ di tempo per uscire dalla confusione della battaglia e tirare le somme del loro successo o della loro sconfitta, ma di una cosa era sicuro in quel momento: il Clan Battlehammer era stato respinto a Mithral Hall. Qualunque fosse l’entità delle perdite, sia da parte degli orchi sia da parte dei nani, non era stata sicuramente una vittoria.

Bruenor era convinto che lui e la sua gente avevano ancora molto da fare. *** Nanfoodle era seduto a piangere a ridosso del muro del corridoio che si dipartiva dall’ingresso principale. Wulfgar lo trovò là, tra gli innumerevoli feriti e i molti nani che si occupavano di loro. “Oggi siete stato stupendo”, disse il barbaro, accucciandosi accanto allo gnomo. Nanfoodle sollevò lo sguardo, gli occhi gonfi e il viso rigato di lacrime. “Shoudra”, mormorò scuotendo il capo. Wulfgar non trovò risposta a quella semplice osservazione e alle terribili immagini che evocava, perciò si limitò a dare con la mano un colpetto amichevole sulla testa dello gnomo e ad alzarsi. Poi si portò con cautela una mano al torace, chiedendosi quanto danno gli avesse provocato la tremenda botta ricevuta da quel possente orco. Ma, a un tratto, ogni pensiero di dolore lo abbandonò nello scorgere una figura familiare farglisi incontro lungo il corridoio. Delly si precipitò correndo verso il marito e, non appena lo ebbe imprigionato in un forsennato abbraccio, parve venire abbandonata da tutte le sue forze, così che si limitò a sciogliersi in lacrime contro il vigoroso petto di lui, le spalle squassate dai singhiozzi. Wulfgar la tenne stretta. Dalla soglia, Catti-brie osservava la scena con un sorriso e annuiva. *** A Keeper’s Dale, Obould aveva perso, in proporzione, quattro

dei suoi guerrieri per ogni nano, un rapporto accettabile, vista la violenza della battaglia. Nessuno avrebbe potuto mettere in dubbio il prezzo pagato per quella vittoria, se si consideravano le conquiste raggiunte. Ma Obould si rese conto che, persino senza avere un conteggio preciso dei cadaveri, le perdite subite da Urlgen sul pendio che conduceva all’altopiano dovevano essere ben maggiori, addirittura di venti a uno. La cresta era stata distrutta e tutti i giganti lassù tranne uno erano morti, e quell’uno, scagliato a parecchie centinaia di piedi di distanza dalla mostruosa esplosione, avrebbe presto raggiunto i suoi compagni. Obould aveva un unico pensiero in testa: chiamare in causa il figlio per quel disastro e fare scempio di quel pazzo incosciente davanti a tutto l’esercito, attribuendo giustamente a lui la colpa dell’accaduto. “Andate a cercare mio figlio!” ordinò a quelli che gli stavano intorno, e i suoi denti ricurvi sembravano sigillati mentre pronunciava quelle parole. “Portatemi Urlgen!” Quindi si aggirò furioso nei pressi cercando segni della sua presenza, prendendo a calci cadaveri quasi a ogni passo. Solo alcuni istanti dopo giunse un orco dall’aria nervosa, il quale si inchinò ripetute volte e spiegò al grande orco che il corpo di suo figlio era stato trovato tra i morti. Obould agguantò il messaggero per la gola e, con la semplice forza della mano, lo sollevò in aria. “Come lo sai?” chiese, scuotendo l’orco avanti e indietro. Il malcapitato si provò a rispondere, sollevò le mani all’altezza della gola nel tentativo di allentare la stretta che lo soffocava. Ma Obould serrò ancora più forte e il collo dell’altro si spezzò con un colpo secco. Obould grugnì e scagliò lontano il messaggero. Suo figlio era morto. Suo figlio aveva fallito. Il re degli orchi si guardò intorno per valutare la reazione dei presenti. Alcune immagini di Urlgen gli attraversarono la mente e una

tenue ondata di rimorso si fece strada attraverso la dura scorza del suo cuore crudele, ma passò subito. Tutto venne rapidamente sepolto sotto il peso della necessità, dell’immediato bisogno del momento. Urlgen era morto. Al di là di questo, Obould sapeva di doversi concentrare sugli aspetti positivi di quella giornata, sul fatto che i nani erano stati respinti dall’altopiano e costretti a rifugiarsi a Mithral Hall. Si rendeva conto che le sue forze e l’esito della loro conquista si trovavano a un punto critico. Aveva sbaragliato tutti i territori, dalla Spina Dorsale del Mondo fino a Mithral Hall, dal fiume Surbrin a Fell Pass. Erano ben pochi quelli che gli opponevano ancora resistenza. Ma, per l’inevitabile contrattacco, doveva mantenere l’entusiasmo nei suoi guerrieri. Come avrebbe voluto che Arganth fosse lì, a proclamare che lui, Obould, era Gruumsh. Di lì a poco, tuttavia, Obould venne a sapere che Arganth era morto, ucciso per mano di un elfo e di un drow. “Tutto questo è inaccettabile!” ringhiò Gerti rivolgendosi al re degli orchi, mentre scendeva la notte e il loro esercito indebolito continuava a darsi da fare per riorganizzarsi. “Sono caduti diciannove soldati dei tuoi, ma migliaia dei miei”, ribatté l’orco. “Venti”, rettificò Gerti. “Venti, allora”, ammise Obould, come se la cosa non avesse alcuna importanza. Gerti lo fissò truce e chiese: “A quale arma sono ricorsi? Quale magia ha fatto sì che la montagna si spaccasse in quel modo? E come ha potuto tuo figlio permettere che tutto ciò accadesse?”. Obould non batté ciglio e non si ritrasse sotto lo sguardo autorevole della gigantessa, quindi si girò e si allontanò. A quel punto, nell’udire il suono familiare di una lama che veniva estratta dal fodero, agì puramente per istinto e, mentre si voltava, afferrò il proprio spadone portandolo in diagonale a parare il fendente della grossa spada di Gerti.

La gigantessa, lanciando un ruggito, lo incalzò cercando di sopraffarlo con la potenza della sua imponente mole. Ma Obould le sferrò un colpo all’altezza delle ginocchia facendo scaturire le fiamme dall’acciaio della sua lama. Gerti si scansò di lato e sollevò una gamba per evitarle. L’orco le si avventò contro affondando la spalla contro la sua coscia e spingendo con forza sovrumana. Con grande sorpresa di Gerti e stupore di tutti i presenti - orchi, goblin e giganti - il re degli orchi la fece cadere. Con enorme sforzo, la fece volare per aria e atterrare con violenza e senza tante cerimonie a faccia in giù, al suolo. Lei si apprestò a rialzarsi, ma saggiamente si fermò, avvertendo la lama infuocata premerle contro la nuca. “Tutto ciò che rimane qui sono le gallerie dei nani”, le disse Obould. “O vai a difendere i confini lungo il Surbrin, oppure ti porti dietro i tuoi morti e ti ritiri a Shining White.” Poi si chinò e le sussurrò, facendo in modo che solo lei lo udisse: “Ma se mi abbandoni adesso, sappi che ti verrò a scovare, dopo che avrò conquistato Mithral Hall”. Quindi indietreggiò e lasciò che Gerti si rialzasse e che rimanesse là a fissarlo con odio palese. “Basta con queste ridicolaggini, gigantessa”, disse Obould a voce alta affinché i presenti attoniti potessero udire. “Siamo entrambi arrabbiati e dispiaciuti. Mio figlio giace tra i cadaveri dei guerrieri morti. “Ma oggi abbiamo riportato una grande vittoria!” proclamò il re degli orchi rivolgendosi alla folla. “Quei nani codardi sono scappati e non torneranno tanto presto!” L’affermazione suscitò applausi. Obould si spostò qua e là, le braccia alzate in segno di vittoria, la spada fiammeggiante che rappresentava quasi un simbolo della loro gloria comune. Di tanto in tanto, però, l’orco lanciava uno sguardo a Gerti, lasciando intravedere a lei sola la luce di odio e di minaccia

che brillava nei suoi occhi itterici e iniettati di sangue. Per Gerti, oramai, ci sarebbe stata solo incertezza. In lontananza, qualcun altro assisteva alla celebrazione dell’orco vittorioso e vedeva la spada scintillante sollevata a simboleggiare la gloria. Soddisfatto di avere compiuto bene il proprio dovere e di avere contribuito alla ritirata dei nani, Nikwillig di Citadel Felbarr si appoggiò di nuovo alla fredda pietra e fissò il distante bagliore del sole al tramonto. Dalla sua posizione predominante, aveva goduto di un’ampia visuale non solo della battaglia sull’altopiano, ma anche degli scontri che avevano avuto luogo a Keeper’s Dale, ed era così al corrente del fatto che i nani si fossero ritirati nelle gallerie sotterranee. Sapeva di non avere alcun luogo verso cui dirigersi. Sapeva che presto non avrebbe avuto alcun luogo dove nascondersi. “Pazienza”, si disse il nano. Aveva compiuto il proprio dovere. Aveva aiutato i suoi compagni.

EPILOGO “A quest’ora, avrà già saputo che suo figlio è morto”, osservò Drizzt. Stava strigliando Tramonto, passando la spazzola con cautela sui numerosi graffi che il pegaso si era procurato durante la fuga dalle schiere degli orchi. “Allora, forse si arrenderà”, replicò l’elfa, “e ci risparmierà la fatica di dargli la caccia”. La preoccupazione avvertita da Drizzt nell’udire il tono cupo di Innovindil svanì nel vedere l’ampio sorriso di lei. La osservò mentre gli si avvicinava: non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Si era tolta gli indumenti da combattimento e indossava un semplice abito azzurro, di un tessuto sottile, quasi impalpabile, che sottolineava morbidamente ogni curva del suo corpo. Dietro di lei, gli ultimi raggi del sole all’orizzonte facevano risaltare la sua figura in controluce, come se fosse illuminata da un bagliore celestiale che le circondava come un’aureola gli splendidi capelli, mettendone in evidenza le sfumature dorate. “Hai risvegliato la mia rabbia”, gli ricordò Innovindil. “Ho trovato un luogo di.., concentrazione”, cercò di spiegare Drizzt, distogliendosi da quello spettacolo. “Uno stato d’animo più sereno. Dopo aver lasciato la mia terra, ho viaggiato da solo attraverso gli oscuri percorsi del Buio Profondo. Dieci anni ho vagato, perlopiù senza compagnia.” Fece un sorriso e mostrò la figurina di onice. “Tranne che per Guenhwyvar.” “Se il Buio Profondo è davvero come mi è stato descritto, non avresti dovuto sopravvivere.”

“Non avrei potuto, nemmeno grazie a Guen, se non avessi trovato il Cacciatore.” “Il Cacciatore?” “Quel luogo di concentrazione”, spiegò Drizzt. “Un luogo all’interno del mio cuore e della mia mente dove la rabbia si trasforma in concentrazione.” “Molti sostengono che la rabbia accechi.” “Può essere”, convenne Drizzt. “Se però non è controllata.” “E così tu ti trasformi in questa creatura di concentrazione e rabbia...” “E il prezzo da pagare è altissimo, come ho avuto modo di capire”, aggiunse Drizzt. “Il prezzo è la rinuncia alla gioia e alla speranza. Il prezzo è...” “La rinuncia all’amore?” “Non lo so”, ammise Drizzt. “Forse c’è sufficiente spazio in me per ospitare tutto ciò che devo essere.” “Spazio per Drizzt e per il Cacciatore?” Il drow si limitò a stringersi nelle spalle. “Abbiamo molte cose da fare”, gli disse Innovindil. “Adesso che i nani si sono ritirati, tutto il nord è in pericolo. E chi potrà sollevare gli eserciti di queste terre contro Obould, se non Drizzt e Innovindil?” Drizzt annuì e aggiunse serio: “Dobbiamo scatenargli contro il mondo prima di ucciderlo questo orco, oppure dopo?”. Quel pensiero suscitò un sorriso sinistro sul bel volto di Innovindil, creando un sorprendente contrasto con i suoi occhi color lavanda. Sembrava splendida e terribile al tempo stesso, come il più caloroso degli amici e il più micidiale dei nemici. ***

“Dobbiamo tornare”, bofonchiò Dagna. “Di sicuro quei troll si stanno dirigendo verso la fortezza!” “Non possiamo!” gridò Galen Firth. “Non adesso! La mia gente è qui vicina, da qualche parte.” Si fermò e si guardò intorno, imitato da molti altri compagni, osservò il paesaggio fangoso, i pochi alberi malconci e il terreno straziato dalla battaglia e dalla marcia di schiere di poderosi troll, come Galen Firth aveva avuto modo di riferire al suo arrivo a Mithral Hall. Il gruppo si trovava nei pressi dell’uscita delle gallerie meridionali e aveva appena fatto in tempo a rendersi conto che il Cavaliere di Nesmé aveva raccontato la verità, quando venne assalito con violenza da una banda di brutti e fetidi troll. Il cervello dei nani, abituato a pensare rapidamente, e i loro piedi persino più rapidi fecero sì che i componenti della spedizione si defilassero immediatamente, addentrandosi in un cunicolo troppo basso per consentire ai grossi troll di inseguirli. Quel lungo cunicolo, scavato dapprima solo nella pietra e poi in parte anche nella terra, li aveva condotti ai confini con i Trollmoors, all’incirca a est di Nesmé, stando ai calcoli di Galen Firth. Con una cupa espressione sul volto, Dagna fissò serio il tenace Galen, giungendo a poco a poco a comprendere il suo punto di vista. Mentre Dagna sentiva che era suo dovere tornare da Regis e mettere in guardia Mithral Hall, Galen Firth era fermamente convinto che il suo compito consistesse nel trovare la sua gente per metterla in salvo. Dagna non poteva ignorare quella richiesta. Era stato mandato lì per aiutare il Cavaliere di Nesmé a fare proprio quello. “Vi concederò tre giorni per le vostre ricerche”, concesse Dagna. “Dopodiché, i miei ragazzi e io torneremo il più velocemente possibile a Mithral Hall. Quei troll non sono più qui, si stanno dirigendo a casa mia.” “Questo non potete saperlo.” “Lo sento”, ribatté Dagna. “Nelle mie vecchie ossa. Sento la minaccia che incombe sui miei compagni. Altrimenti, cosa mai potrebbero fare dei troll provenienti dai Trollmoors nelle gallerie?”

“Forse hanno costretto la gente di Nesmé a rifugiarsi sottoterra.” Dagna annuì, sperando che Galen avesse ragione e che i troll non stessero marciando su Mithral Hall, ma semplicemente finendo il lavoro per cui erano giunti fin là. “Tre giorni”, ripeté. Galen Firth annuì, mentre i cinquanta nani raccoglievano le loro bisacce e le armi. Avevano corso per ore, dopo una giornata di dura marcia. Il sole stava rapidamente tramontando a ovest, e lunghe ombre stavano oscurando la terra. Ma non era il momento di riposare. *** “Quell’elfo è là fuori”, continuava a borbottare Bruenor. Raccolti intorno a lui, Regis, Catti-brie, Wulfgar e alcuni degli altri capi se ne stavano là seduti tranquilli a metterlo al corrente degli ultimi eventi. Gli avevano raccontato della fuga da Shallows, della fine di Dagnabbit, dell’inattesa liberazione da parte dei profughi di Mirabar e di tutte le battaglie che erano seguite. “Be’, dobbiamo predisporre le nostre difese, in corrispondenza delle porte in superfìcie, e delle gallerie sottoterra”, disse alla fine il re dei nani. “Non si può mai sapere dove quei porci attaccheranno.” “O se attaccheranno”, disse Regis facendo convergere su di sé gli occhi dei presenti. “Qual è il loro piano? Vogliono portare a compimento la loro vittoria? Sanno che il prezzo da pagare sarà enorme.” “O cos’altro, allora?” chiese Bruenor. Regis scosse il capo, chiuse gli occhi e lasciò che tutto sedimentasse nella propria testa. Capiva che gli orchi che li avevano ricacciati nella fortezza erano diversi. Che avevano agito ogni volta con estrema accortezza. Che si erano comportati più come un esercito ben organizzato che non come una massa disordinata e violenta in combutta con i goblin.

“Il fatto che siano i giganti”, disse Regis, “o quell’orco conosciuto con il nome di Obould Many-Arrows...”. “Che sia maledetto!” esclamò con disprezzo Tred McKnuckles. “Di sicuro tu e i tuoi amici di Felbarr lo conoscete”, disse Bruenor rivolto a Tred. “Credi che cercherà di attaccarci qua sotto?” Tred grugnì e scrollò le spalle. “Se ci sta pensando, allora deve prepararsi a veder morire tutti i suoi”, promise Banak Brawnanvil, che non era seduto con gli altri, bensì sdraiato su una brandina collocata un po’ in disparte. Nonostante tutte le cure che gli erano state prodigate da Cordio e dagli altri sacerdoti, il tenace e vecchio nano era ben lungi dall’essere guarito, dato che la lancia dell’orco era penetrata parecchio in profondità. Ma l’infermità fisica non gli impediva certo di manifestare con foga i propri sentimenti. Alcuni altri tra i presenti si dissero d’accordo. “Nessuna notizia dal sud?” domandò Bruenor rivolgendosi a Regis. “No, non da Dagna”, replicò l’halfling, guardandosi intorno con aria imbarazzata. Dopotutto, la decisione di inviare i nani al seguito di Galen Firth era stata sua. “Ma ci sono scontri nelle gallerie inferiori, dove si sono introdotti numerosi troll.” “Li respingeremo”, promise Banak. “Pwent e i suoi guerrieri sono andati a dare man forte. A Pwent piacciono i troll, così almeno dice, perché, anche dopo che sono stati squartati, continuano ad agitarsi!” Bruenor annuì, mentre assimilava tutte le informazioni. Mithral Hall aveva resistito contro l’attacco furioso degli elfi scuri; era fermamente convinto che nessun orco, neppure con l’aiuto dei troll e dei giganti dei ghiacci, avrebbe mai potuto sperare di scacciare il Clan Battlehammer. Avevano molto da fare per rafforzare le difese, per curare le ferite e riorganizzare le forze, tuttavia Bruenor era fiducioso nel fatto che, durante la sua assenza, Mithral Hall fosse stata ben governata. Ma mentre la sua fiducia nel clan e nella fortezza era ben salda, l’altro problema, quello che riguardava la perdita dell’amico, pesava

enormemente sul suo rustico cuore di nano. “Quell’elfo è là fuori”, borbottò di nuovo, scuotendo il capo. A un tratto, mentre guardava a turno Catti-brie, Wulfgar e Regis, il viso gli si illuminò. “Ma conosco una strada per uscire di qui e riportarlo dentro.” “Non starai pensando di avventurarti là fuori!” lo rimproverò Cordio Muffinhead, mentre si precipitava al suo fianco. “Sei appena tornato da noi, che non ti venga in mente di andartene!” Aveva a malapena finito di parlare che un manrovescio di Bruenor lo fece finire contro il muro. “Ascoltatemi, ma seriamente”, disse Bruenor rivolto ai presenti. “Ho visto cosa c’è dall’altra parte, e avrei molto da dire al riguardo. Voi affermate che sono il vostro re, e il vostro re sarò, ma farò a modo mio.” Bruenor si voltò di nuovo verso le tre persone che gli erano più care e ripeté: “Quell’elfo è ancora là fuori”. “In tal caso, allora, dovremo forse farlo rientrare”, replicò Regis. Catti-brie e Wulfgar si scambiarono un’occhiata risoluta e poi guardarono Regis e Bruenor. Quindi era tutto deciso. *** Su un alto promontorio posto sul fianco di una montagna battuta dal vento, l’elfo scuro osservava il tramonto. Rifletteva sull’attinenza che quell’immagine, cioè la luce che spariva al di là della linea scura dell’orizzonte, aveva con lui. La fine di un giorno e, forse, di un capitolo nella vita di Drizzt Do’Urden. Lui era un elfo, certo, come Innovindil gli aveva ricordato. Avrebbe assistito ancora a innumerevoli tramonti, a meno di non venire ucciso da una lama nemica. Il solo pensiero di quell’eventualità molto concreta fece comparire un sorriso rassegnato sulle labbra del drow. Forse avrebbe

seguito lo stesso sfortunato destino dei suoi amici, o del povero Tarathiel, come aveva avuto modo di vedere con i propri occhi. Ma, si ripromise, non prima di averla fatta pagare cara a quell’orribile orco, Obould Many-Arrows. Per tutto quanto.