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Italian Pages 662 Year 1998
J e a n Daniélou
La teologia del giudeo-cristianesimo
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Edizioni Dehoniane Bologna
Edizione originale: Théologie du ]udéo-Christianisme. Histoire des doctrines chrétiennes ava11t Nicée, I, Tournai, Desclée & Co., 1958. Tra duzione di Carlo Prandi. Messa a punto redazionale di Speranza Tur chetti.
©
1964 by Darton, Longman & Todd Ltd.
©
1980 Centro editoriale dehoniano via Nosadella, 6 - 40123 Bologna
ISBN 88-10-40758-X
Stampa: Grafiche Dehoniane, Bologna 1998
Introduzione all' edizione italiana
di Luigi Cirillo
Il problema del giudeo-cristianesimo
La teologia del giudeo-cristianesimo del Card. Jean Daniélou, pubblicata nel 1 95 8 , quando l'autore era pro fessore all'Institut Catholique de Paris, è passata nella storiografia delle origini cristiane come l'opera che ha dato una definizione nuova del giudeo-cristianesimo. Contemporaneamente nuove piste di ricerca sono state aperte nel campo degli studi sul cristianesimo primitivo. La preoccupazione dell'autore è di presentare la comples sità del fenomeno giudeo-cristiano attraverso la molte plicità delle speculazioni teologiche proprie delle primi tive comunità cristiane anteriormente alla seconda metà del secondo secolo. Quest'opera deve essere considerata come il punto di arrivo di piu di un secolo di ricerche. In effetti, da F. Ch. Baur della Scuola di Tubinga - da cui prendeva ufficialmente inizio la discussione sul giudeo cristianesimo - a J. Daniélou, gli studi sulla Chiesa pri mitiva hanno fatto dei progressi enormi. Per introdurre alla lettura della presente pubblica zione, conviene preliminarmente: l) discutere i termini inclusi nell'espressione; 2 ) presentare i capisaldi della bi bliografia sul giudeo-cristianesimo; 3 ) mostrare le pecu liarità della tesi di J. Daniélou. l termini «
del problema
Non è per nulla agevole definire il contenuto del giudeo-cristianesimo »: di per sé, questa espressione
Luigi Cirillo sta .t ;.• • )a fusione di elementi giudaici con ele ..-i aM' !; -. nella sua estensione, essa può inclu dere realtà diverse. Cominciamo allora col sintetizzare, dal punto di vista della storia delle religioni, i contenuti dei due termini : giudaismo e cristianesimo. Per giudaismo gli studiosi intendono la religione del popolo giudaico dopo la distruzione del primo Tempio e la cattività di Babilonia ( 586 a.C.). Della sua lunga evo luzione ci interessa specifìcatamente il periodo tardivo, quello che nella bibliografia è denominato Spiitjudentum (giudaismo tardivo). Due grandi avvenimenti storici ca ratterizzano questo periodo: l'ellenizzazione della Pale stina, che fu il compito precipuo di Antioco IV Epifane ( 1 7 5-164 a.C.), che tentò di introdurre i costumi greci in Palestina attraverso l'introduzione della paideia (l'edu cazione) greca e a cui si oppose il movimento dei Macca bei ( presentato nei libri omonimi della Bibbia), e l'occu pazione della Palestina attraverso Pompeo, che la ridusse a provincia romana ( 65 a.C.). Il mondo giudaico non aveva una unità geografica : ai giudei che vivevano in Palestina vanno aggiunti tutti quelli ( ed era la maggio ranza) che vivevano nella Diaspora, dispersi cioè, ma riuniti a formare colonie, di cui le piu importanti erano quelle di Mesopotamia, Siria, ed Egitto, ove quella di Alessandria fu chiamata ad un grande destino letterario e religioso. Questi fatti storico-geografici determinano la cultura del giudaismo: la Diaspora metteva i giudei a contatto diretto con le culture ambientali, l'introduzione delle culture ellenistica e romana inquinava d'altra parte lo stesso giudaismo di Palestina, aperto ormai a civiliz zazioni straniere, che lo rendevano un carrefour culturale. Tutti questi aspetti saranno presenti nella letteratura giu daica di questo periodo. Dopo il libro di Daniele, ultimo libro accolto nel canone della Bibbia ebraica, il giudaismo tardivo conosce espressioni letterarie molteplici per il genere letterario e per la lingua: a) la letteratura sapienziale; b ) il pul lulare di libri apocrifi, di cui l'apocalittica, costituitasi
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nella scia dei libri di Daniele e di Enoc, è l'espressione piu rappresentativa 1; c) i testi di Qumran in ebraico 2, le opere di Filone e di Giuseppe Flavio in greco; d) la letteratura rabbinica. Di questa cultura, il sincretismo let terario e ideologico è la nota piu caratteristica. Dal punto di vista religioso, giudaismo significa es senzialmente la professione di fede nell'unità di Dio e nell'elezione di Israele, manifestata dalla circoncisione, considerata come il sigillo dell'appartenenza al popolo della promessa, e dalla condotta di vita secondo la legge mosaica e le tradizioni dei padri 3 • Il tipo di vita è in dicato dal verbo « giudaizzare », attestato soprattutto nell'uso linguistico greco extratestamentario nella forma luocdsew, il cui significato esprime la maniera giudaica di vivere relativa sia ai giudei di nascita, sia a tutti quelli che, sotto l'azione della propaganda giudaica, si converti vano al giudaismo; questi ultimi si distingueranno in « proseliti » e « semiproseliti », nella misura in cui con dividono in tutto o solo in parte il tipo di vita secondo i precetti giudaici 4• Il cristianesimo di per sé è una religione diversa dal giudaismo per il fatto che ha riconosciuto in Gesti di Nazaret il Messia promesso ed ha sostituito perciò al tempo dell'attesa il tempo della realizzazione e del com pimento . Ma se il cristianesimo viene considerato esat tamente dal punto di vista del compimento delle spe ranze messianiche giudaiche, secondo come questo com pimento era vissuto dai primi uomini chiamati a testi moniarlo e come presentato nei piu antichi strati dei testi neo-testamentari, il cristianesimo si presenta come un prolungamento del giudaismo. Esso accoglie la Bibbia giudaica nel suo canone delle Scritture sacre, l'Antico 1 Cfr. D. S. Russe!, The Method and Message of ]cwish Apoca lyptic, London, 1964. 2 Per l'edizione italiana segnaliamo L. Moraldi, I Manoscritti di Qumrdn (Classici delle Religioni}, Torino, UTET, 197 1 . 'Cfr. Rom. 2, 1 7 s . , 2S; Gal. l, 14. 4 W. Gutbrob, in Theologisches Worterbuch zum Ncuen Testament (cl1a1o dopo: THWNT}, III, p. 385.
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Testamento, che costituirà per le prime generazioni cri stiane il punto di partenza della prova che Gesu è quel Messia ivi promesso. Da questo punto di vista, il cri stianesimo è un giudaismo realizzato, secondo l'espres sione di G. Lindeskog 5• Nascerà cosi il Nuovo Testa mento, che, d 'altra parte, non sarà accettato nel canone delle scritture che nella seconda metà del secondo se colo e non uniformemente da tutte le comunità cristiane. Se allora le nostre considerazioni sul rapporto giu daismo-cristianesimo si fermano a questo punto, sa remo costretti a denominare la Chiesa cristiana tutta intera « giudeo-cristiana », come esattamente faceva Mar cione nel secondo secolo 6• Ma non è in questa linea che si imposta la nostra discussione. Il giudeo-cristia nesimo non è un fatto generico ma preciso, anche se molteplice, in seno al cristianesimo primitivo , riconosci bile inoltre da alcuni elementi specifici e identificabile in gruppi umani, almeno nella gran parte dei casi: è cosi che è presentato nella bibliografia specializzata. Ve diamo allora come alcuni eminenti studiosi hanno definito la natura del giudeo-cristianesimo.
La bibliografia sul giudeo-cristianesimo Di una vasta bibliografia scegliamo le opere piu rap presentative . L'interesse per il giudeo-cristianesimo, come materia separata di studio, cominciò nella Scuola di Tu binga, quando F. Ch. Baur pubblicava, nel 183 1 , un lavoro dal titolo Die Christuspartei in der Korinthischen
Gemeinde. Der Gegensatz des paulinischen und petrini-
s Christianity as Realised Judaism, in « Horae Soderblomianae », VI (1964), pp. 15-36. 6 Marcione secondo Tertulliano, Adversus Marcionem, l, 19, ri teneva che la Chiesa, come tale, è la continuazione della Sinagoga per aver accettato nel suo canone delle Scritture la Bibbia giudaica. Marcione invece voleva la separazione delia « Legge », rivelazione del Demiurgo, dio subalterno, dal «Vangelo », rivelazione del Dio delia grazia.
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schen Christentums 7• Il giudeo-cristianesimo è definito
qui solo in rapporto alla legge mosaica, vissuta ancora dalla comunità cristiana primitiva di Gerusalemme, iden tificata in un tipo di cristianesimo, chiamato « petrino », opposto antiteticamente all'altro tipo, denominato « pao lina » e fondato sulla libertà del Vangelo. L'opposizione tra Legge e Vangelo, concepita da Baur in termini di filosofia hegeliana di tesi e antitesi, era all'origine del futuro sviluppo del cristianesimo, come si vede nell'opera successiva, pubblicata nel 1 853, Das Christentum und die
Christliche Kirche der drei ersten. Jahrhunderte.
A. Schwegler fu molto vicino alle posizioni di Baur, quando nel 1846 scrisse Das nachapostolische Zeitalter in den Hauptpunkten seiner Entwicklung, in cui volle dimostrare che il cristianesimo anteriore a Paolo non era che una setta del giudaismo. Per l'autore il giudeo-cri stianesimo è la vita della setta cristiana degli Ebioniti, vicinissima alla setta giudaica degli Esseni . Rispetto a Baur, A. Ritschl fu piu moderato e in parte lo criticò. Nella sua opera del 1 850 , riconosceva il grande valore della letteratura giudeo-cristiana, che l'autore identificava principalmente nelle Pseudo-Clementine, da cui provava l'esistenza di diversi partiti giudeo-cristiani e riteneva, contro Baur, che la tendenza ebionita, per quanto forte, non fu la tendenza dominante nel secondo secolo. Le Pseudo-Clementine, nella duplice recensione delle Homiliae 8 e Recognitiones 9 diventavano in seguito la fonte privilegiata per la conoscenza del giudeo-cristia nesimo a partire dallo stesso Baur 10, seguito soprattutto da A. Hilgenfeld 11, H. Waitz 12, C. Schmidt 13, O. CuliIn « Tiibinger Zeitschrift », 1831, n. 4. s Ed. a cura di B. Rehm, Die Pseudoklementinen, I, Homilien ( Die Grieschiche Christlishe Schriftsteller der drei ersten Jahrhunderte, 42) ( =G.C.S.), Berlin, 1953. 9 Ed. a cura di B. Rehm, Die Pseudoklementinen, II, Recogni tiom·m in Rufinus Dbersetzung (G.C.S., 51), Berlin, 1965. IO r. C:h. Baur, Die Christliche Gnosis oder die Christliche Re lif!,ionsphilosophie in ihrer Entwicklung, Tiibingen, 1835. " Die C/ementinischen Recognitionen und Homilien nach ihrem UrsprUflfl. rmd I nhalt dargestellt, Jena, 1848. 7
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marm 14, G. Strecker 15• A partire da A . Harnack la cri tica notava le difficoltà della definizione del giudeo-cristia nesimo, date le sue molteplici implicanze. Per il noto au tore la prerogativa giudeo cristiana doveva essere innan ziwtto riservata ai cristiani di origine giudaica legati alle forme politico-nazionali e religiose del giudaismo, ma estesa anche a quei cristiani che, come Paolo, salvavano il valore del popolo giudaico in seno al cristianesimo 16• A. Hilgenfeld ha anche il merito di aver raccolto le ti fon patristiche del giudeo-cristianesimo in un piccolo li bro del 1 886 ]udentum und ]udenchristentum} eine Nach lese zu der Ketzergeschichte des Urchristentums. Anche per lui, il giudeo-cristianesimo è basato sul tipo di vita secondo la legge mosaica 17 • Giungiamo cosi alle definizioni piu precise di F. J. A. Hort e G. Honnicke. Il primo, nell'opera ]udaistic Christianity ritiene che si può chiamare giudeo-cristiane simo solo quel movimento che storicamente si considera un prolungamento della primitiva comunità cristiana ge rosolimitana e si definisce propriamente per rapporto alla mentalità giudaica. In questo senso - l'autore aggiunge il giudeo-cristianesimo potrebbe essere denominato « giu daismo cristiano » e la sua posizione fondamentalmente non differisce da quella dell'Islam, sebbene Gesti e non Maometto sia l'ultimo dei profeti 18 • Per Honnicke, Das -
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Die Pseudoklementinen (Texte und Untersuchungen) ( =T.U.), Leipzig, 1904. Studien zu den Pseudo-Klementinen (T.U., 46, 1), Leipzig, 1929. 14 Le problème littéraire et historique du Roman Pseudo-Clémentin (Etude sur le rapport entre le Gnosticisme et le fudéo-Christianisme), Paris, 1930. 15 Das Judenchristentum in den Pseudo-Klementinen, (T.U., 70), Be rlin, 1958. 16 A. von Harnack, Lehrbuch der Dogmengeschichte, ed. 1909, l, pp . 310-334. 17 Cfr. la conclusione del suo libro, pp. 1 16 ss. 18 ]udaistic Christianity. A Course of Lectures, Cambridge-London, 189 4 , pp. 5 s., si legge: « The only christianity which can properly be called Judaistic is that which falls back to the Jewish point of view. . . Ju daistic Christìanity, i n thìs the true sense o f the term, mìght with at least equal propriety be called Christian Judaism. lts position is
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Judenchristentum im ersten und zweiten ]ahrhundert, del 1 908, il giudeo-cristianesimo è l'interpretazione del van
gelo propria dei cristiani di provenienza giudaica e la convinzione che « la salvezza è possibile solo attraverso la mediazione del giudaismo » 19 • Nella linea delle osservanze giudaiche si inserisce la definizione di M. Simon, nell'opera Verus Israel 20 ma la sua concezione del giudeo-cristianesimo è molto piu par ticolareggiata. Nell'opera indicata l'autore avverte che « giudeo-cristiano » si può essere in due sensi diversi : etnico e religioso. In senso etnico lo è il giudeo che con vertito al cristianesimo resta legato alle osservanze giu daiche; in senso religioso invece lo è il cristiano pro veniente dal paganesimo, che persuaso dall'attività mis sionaria giudaica, giudaizza a sua volta. Storicamente infatti si verifica il fenomeno dei giudei convertiti, che come san Paolo rompono il legame con la religione dei padri e, all'inverso, quello dei convertiti dal paganesimo che osservano le pratiche giudaiche . Al Colloquio di Strasburgo sul giudeo-cristianesimo ( 23-25 aprile 1964) lo stesso autore presentava la relazione Problèmes du ]udéo-Christianisme 21, in cui precisava che il fenomeno del giudeo-cristianesimo stricto sensu è caratterizzato dall'attaccamento alle prescrizioni della legge mosaica e da alcune particolarità dottrinali primitive, giudicate aber ranti dalle norme ecclesiastiche in seguito all'evoluzione interna del cristianesimo antico e nella misura in cui si precisava la nozione di ortodossia. Accanto, esistono poi aspetti del pensiero e della pratica cristiana antica che non sono settarii ma appartenenti alla grande Chiesa, caratterizzati tuttavia o dall'assenza o dalla disconoscenza not fundamentally or generically different from that of Mahometanism,
though Jesus, not Mahomet, is its great prophet >>. 1" Nelle parole proprie del'autore, op. cit., p. 18: « Alles Heil kann nur durch Vermittlung des Judentums gewonnen werden ». 20 VNus Israel. Étude sur les relations entre chrétiens et juifs d,mr f",·mpire romain (135-425), Paris, 1948, 1964, pp. 277-314. 21 In Aspects du Judéo-Christianisme (Travaux du Centre d'études wprric·urcs çp,:cialisé d'histoire des Religions de Strasbourg) ( =Aspects), Pariw, 1965. pp. 1-16.
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degli orientamenti fondamentali delle comunità cristiane paoline o dalla gentilità occidentale. Si tratta di un set tore ben definito del cristianesimo primitivo: transpa lestinese dal punto di vista geografico e semitico per lingua e cultura 22• Che il giudeo-cristianesimo non debba essere identifi cato soltanto con un movimento settario del cristianesimo primitivo ma con un modus vivendi giudaico all'interno della Chiesa soprattutto della Siria è stato affermato da G. Strecker nello studio Zum Problem des ]udenchri stentum in appendice alla seconda edizione del volume di W. Baur 23• Per H. J. Schops , che nel 1 949 pubblicava la sua opera Theologie und Geschichte des ]udenchristentums, il giudeo-cristianesimo è preferenzialmente quello degli Ebioniti e la fonte per ricostruirlo è per eccellenza quella delle Pseudo-Clementine. Questo giudeo-cristianesimo si rivela originario di un giudaismo marginale e settario, e la Chiesa palestinese di Gerusalemme deve essere con siderata come un anello intermedio verso la formazione del pensiero ebionita. Con la primitiva comunità cristiana di Gerusalemme si identifica infine il giudeo-cristianesimo secondo J. Munck. L'autore ribadisce il suo pensiero nell'arti colo: ]ewish Christianìty in Post-apostolic Times del 1960 24 e nella relazione Primitive Jewish Christianity
and Later Jewish Christianìty: Continuation of Rupture? al Colloquio di Strasburgo del 1 964 25• Per J. Munck
non esiste giudeo-cristianesimo al di fuori della comu nità cristiana di Palestina prima del 70 d.C., per la co noscenza della quale disponiamo solo dei testi del Nuovo Testamento. Tra questa chiesa e la cristianità giudaica della Palestina e la Siria dei secoli posteriori vi è una 22
Cfr. Aspects, Conclusion générale. pp. 181 s. W. Bauer, Rechtglaubigkeit und Ketzerei im altestCII Christentum, Tiibingen, 1964, pp. 245-287. 2 4 Pubblicato in « New Testament Studies » ( = « N.T.S. »}, VI ( 1 960), pp. 103-1 16. 2s I n Aspects, pp. 77 91 23
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rottura, da cui nasce un nuovo tipo di chiesa, che non ha alcuna relazione con la chiesa gerosolimitana. Concludendo, dalla bibliografia riportata si vede che il giudeo-cristianesimo è la vita della comunità cristiana palestinese ( a nostra conoscenza è solo J. Munck a so stenere questa tesi), oppure la vita di alcuni settori del cristianesimo primitivo, che si manifesta in due precisi elementi: l'osservanza della legge mosaica ritenuta ne cessaria per la salvezza, e l'atteggiamento antipaolino. In questa complessità di intel'pretazioni e di valuta zioni, J. Daniélou presenta la sua versione del giudeo cristianesimo, definito come « categoria di pensiero » . Questa concezione si inserisce in un sistema organico di idee sulle origini del cristianesimo, che ricostruiremo nel paragrafo seguente.
Le origini del cristianesimo secondo ]. Daniélou La teologia del giudeo-cristianesimo si deve inserire nel vasto contesto di pubblicazioni di Jean Daniélou, da cui emerge una concezione abbastanza unitaria del l'autore sulle origini cristiane. In ordine di tempo questa bibliografia può essere ordinata come segue : a) L'articolo La Communauté de Qumran et l'organi sation de l'Église ancienne 26; e il libro Les Manuscrits de la Mer Morte et les origines du Christianisme 21, in cui l'autore, sensibile sin dall'inizio alla nuova proble matica sulle origini del cristianesimo, posta dalle nuove scoperte, apportava il suo contributo alla questione di battuta sui rapporti tra la vita e l'organizzazione della Chiesa primitiva e la comunità degli Esseni di Qumran. h) La teologia del J!,iudeo-cristianesimo del 19 58, che costituisce il primo volume di una trilogia, in cui l'au tore si propone di presentare la storia delle idee cri311 In > della Chiesa di Gerus al em me da Pietro, Giacomo e Gio vanni, dopo l'ascensione del Salvatore. 46 Cfr. A. Dupont-Sommer, A perçus préliminaires sur lcs Manu scrits de la Mer Morte, Paris, 1 950; Nouveaux Aperçus sur !es Ma nuscrits de la Mer Morte, Paris, 1953 ; Les Manuscrits de la Mer Morte, leur importance pour l'histoire des Réli.�ions, in « Numen », 11 (1955), pp. 168-189. 47 I n Qumrdn e le Origini dell'Eucaristia nr:l Nuovo Testamento di cui solo una parte è fino ad ora pubblicata a Napoli, 1965, h o trattato d i questo problema.
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cero resistenza dapprima il gruppo degli « Ellenisti», dei quali faceva parte Stefano, e in un secondo momento Paolo. Col nome 'EÀ.À.I}vLcr"ta.t il libro degli Atti 6 , 1 , designa un gruppo della Chiesa palestinese opposto agli 'EBpa.�oL. Non si ha nessuna prova per dire che gli Ellenisti erano giudei che parlavano in greco, in opposizione agli Ebrei, giudei di lingua aramaica. È probabile invece che con questo nome il libro degli Atti indichi un gruppo par ticolare della primitiva comunità di Gerusalemme, che non viveva secondo la legge mosaica 48• Di essi si inte ressa solo Luca nel libro degli Atti 6-8 . In Atti 6,4, Stefano è accusato di aver detto che Gesti distruggerà il tempio e cambierà i costumi dati da Mosè. L'espressione greca del testo: "tcX t:ell ri 1ta.pHiwxs:v 'i}[J)�v Mwi.icrfjc; indica bene che Stefano attaccava, col Tempio , la validità delle consuetudini che si facevano ri salire, per tradizione diretta, a Mosè stesso. Il suo di scorso in Atti 7, confermava il suo pensiero, e il suo atteggiamento non conformista gli varrà la morte attra verso la lapidazione (Atti 7, 57-60) e provocherà l'espul sione da Gerusalemme dell'intero gruppo degli Ellenisti, solidali con Stefano. Cosi, quella breccia che era stata aperta nel giudaismo dagli Esseni attraverso l'idea della spiritualizzazione del culto 49, fu aperta dagli Ellenisti e da Stefano nella comunità gerosolimitana 50• Windisch, Th. WNT, II, p. 509. questo argomento esiste una vasta bibliografia; da segna· larc in particolare J. Carmignac, L'utilité ou l'inutilité dus sacrificcs wnglants dans la Règle de la Communauté de Qumran, in (forni clzionc) è discusso tra gli studiosi. Cfr. E. Molland, La circoncision, f,· bapteme et l'autorité du decret apostolique, in « Studia Thcologica » , I X ( 1955), pp. 37 ss. ; A. F. J. Klijn. The Pseudo.Clementines and t f.,· 1\ J)()Stolic Decree, in « Novum Testamcntum >> , X (1968), pp. )()) l 12 ; M. Simon, T he Apostolic Decree and Its Setting in the ;1•mc''' rburch, in « Bulletin of the John Rylands Library >> , II ( 1 '170). '5 '5 . pp. 437-460, spiega il termine dalla complessità dei si Rnilint t i dl'l termine ebraico « zenuth », che, oltre ai vizi impuri, i mpl intva anche le impurità rituali e i matrimoni irregolari. � 1 Cfr. ;\l . Simon, art. cit., pp. 459 s.
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Questi giudeo-cristiani accaniti li ritroviamo dapper tutto nel tempo apostolico : essi agiscono in Palestina e nella Diaspora; nell a Galazia, a Corinto, Colossi e Roma; non solo nelle missioni cristiane non raggiunte da Paolo, ma anche in quelle evange1izzate da lui 54• A giudizio di Paolo, i giudaizzanti pervertono il vangelo di Cristo, ((3al 1 ,7) , imponendo ai galati, che sono in maggio ranza pagani convertiti ( Gal. 4 , 8-10; 5, 2 ss. ) l'osser vanza dell a totalità della legge e in particolare l'obbligo della circoncisione ( Gal. 5,3- 1 2 ; 6, 12- 1 5 ) ; probabilmente con l'appoggio di Pietro, come sembra dedursi dall'esi stenza del partito di Cephas ( cioè di Pietro) a Corinto ( l Cor l , 1 2 ), o piu sicuramente di Giacomo, cosa che spiegherebbe l'enorme importanza di quest'ultimo per i giudeo-cristiani delle Pseudo-Clementine. E saranno i giudeo-cristiani probabilmente l'occa sione della morte di Paolo. Il vescovo di Roma, Cle mente, nella I Cor. 5,5, attribuisce la morte di Paolo « alla gelosia e alla discordia » , come anche la morte di Pietro ( l Cor. 5,4 ) , che, alla fine, dovette fare causa comune con Paolo 55• Intanto in Palestina dal 66 d.C. gli avvenimenti pre cipitavano: il nazionalismo zelota guidava la prima in surrezione giudaica contro i romani . L 'esi t o fu la distru zione di G erusalemme e del Tempio ad opera delle le gioni di Tito. La comunità g iudeo-cris t ia na di Gerusa lemme non sarebbe stata ri spa r mi at a se non avesse ri cevuto un avvertimento celeste di migrare a Pella, lo calità della Perea, in Transgiorda nia . La notizia è tra smessa da Eusebio ( H. E. , I I I , '5 , 3 ) in q t �est i t ermin i : 54 Per ]. Munck però, soprat tutto ndla �un opan P,w/us u nd die l leilsgeschichte ( in Acta Jutlandira, '1\·oloRi�k Snil' 6 ) , Copenhagen, 1 954, i giudaizzanti opposti a Paolo non sono m·n·s,ariamente cri 'tiani provenienti dal giudaismo, ma possono t'sscrc considerati anche come pagano-cristiani che giudaizzano. Consulra rt· anchL· la recensione di 4uest'opera fatta da W. D. Davies in « N.T.S. » , I l ( 1 95 5 ), pp. 196 ss. 55 L'idea è del prof. O. Cullmann, l.n Cil/1.11'.1 ,f,. la 111ort de Pierre l't de Pau! d'après l6 témoignage de C/,�mmt ronlilill, in « R.H. Phil. Hl'! . >>, 1 930, pp. 294 ss.
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« Il popolo della Chiesa di Gerusalemme, per mezzo di un vaticinio ( xrnà -rwa XP'lJOlt6v) 11ivelato alle persone ragguardevoli del luogo, ricevette l'ordine di allontanarsi dalla città prima della guerra e di abitare una città della Perea chiamata Pella ». Fu allora - continua Eusebio - che la vendetta divina si abbatté sugli empi ( giudei ), rei dei delitti contro Cristo.
La realtà del fatto è stata negata da S.G.F. Brandon 56, G . Strecker 57 e J. Munck 58 • Per quest'ultimo autore la notizia di Eusebio sarebbe soltanto il racconto di una storia edificante, con la conseguenza che i giudeo-cristiani, che incontreremo dopo nella regione di Pella, non sono una continuazione della comunità gerosolimitana ma l'e spressione del pagano-cristianesimo misto ad elementi ere tici giudaizzanti. Ma è difficile credere che il giudeo-cristianesimo po steriore, caratterizzato dalla tendenza antipaolina, sia nato spontaneamente nel filone della tradizione pagano cristiana. D'altra parte le ragioni per rigettare il testo di Euse bio non sono plausibili 59• Da parte sua, Epifanio in Panarion, Haer. , XXIX, 7 , e XXX, 2 , spiega l'origine dei Nazareni e degli Ebioniti direttamente dalla comunità gerosolimitana spostatasi a Pella. La notizia della Storia ecclesiastica ci si presenta cosi' di capitale importanza per spiegare nelle sette giudeo cristiane trans-palestinesi quel tipico carattere primitivo della loro dottrina, che sarà all'origine del giudizio di eresia che gli eresiologi porteranno su di loro.
2 ) Il giudeo-cristianesimo tra le due guerre giudaiche . ( 70-1 35 d.C. ) . Dopo la guerra del 70, la comunità,
56 The Fall of }erusalem and the Christian Church, London, 195 1 , pp. 168-173. 57 Das ]udenchristentum in den Pseudo-Klementinen, pp. 229-231. 5B }ewish Christianity in Post-Apostolic Times, pp. 107 s . ; Primitive ]ewish Christianity and later ]ewish Christianity: Continuation or Rup ture � , pp. 89-91. ·'9 Cfr. M. Simon, La migration a Pella, légende ou réalité?, in >, LX (197 1 ), n. l, pp. 37-54; H.-J. Schoeps, Theologie tmd C'cschichte des ]udenchristentums, pp. 266-277.
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trasferitui a Pella, dovette ritornare, almeno in parte, a Gerusalemme, perch� lo stesso Eusebio ( H.E. , IV , 5, 2 ) cUce eU aver conosciuto d a « documenti scritti » l a suc ceslione, nella chiesa di Gerusalemme, di quindici vescovi « tutti eU origine ebraica » fìno all'assedio subito dai aJudei sotto Adriano ( 1 32 d.C.) e che in questo tempo tutta quella Chiesa era formata da fedeli ebrei ( È; 'È�patwv "t.CM'GN). Per questo periodo, l'autore piu importante per la storia del movimento è Giustino nel Dialogo con Trifone, capp. 47-48. L'opera stessa scritta poco dopo il 1 50 d.C. situa la discussione tra Giustino e il giudeo Trifone al tempo della guerra giudaica guidata da Bar-Kochba ( 1 32-135 d.C . ), alla quale allude il cap . l , chiamandola « guerra attuale » 60 • Dal Dialogo emerge l a situazione interna delle comu nità cristiane di Palestina e Siria nella prima metà del secondo secolo, relativa ai rapporti tra giudaismo e cri stianesimo 61 • Sull'argomento interessano particolarmente i capitoli 44-48 , ma noi fermeremo l'attenzione sui due ultimi. L'importanza storica del Dialoi!,O è nel fatto che esso testimonia che intorno alla data indicata i giudeo c ris ti ani non erano ritenuti eretici . Questi, al cap . 4 6 , 1 , sono presentati come « alcuni (txW6[J.EVOL) 64 .
Se questi « alcuni della vostra razza » con riferi mento a Trifone sono ancora i cristiani di origine giu daica, di cui l'Autore aveva parlato precedentemente, la 63
64
Ibidem, pp. 208-212. Ibidem, pp. 214 e 216.
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c:oueauenza � che essi negavano la divinità di Gesti, ma
� in lui il Messia. Queld testi del Dialogo dunque presentano la compJwd� della formazione delle comunità cristiane del A M!IIJ!D 1 la loro tensione interna: esistono gruppi di cri lflllllll!lt provenienti dal giudaismo, altri provenienti dal paga uiif ·- e i pagano-cristiani « giudaizzanti », persuasi dalla �a giudaica. In questa situazione non mancava Ub certo buon senso, attestato dalla moderazione del giu dizio di Giustino stesso, tendente a considerare la pra
dca giudaizzante non necessariamente come un ostacolo alla salvezza, a condizione però che i costumi giudaici fossero uniti alla fede in Cristo. Appare infine l'esi stenza di due gruppi giudeo-cristiani, gli intransigenti che costringevano i gentili a vivere secondo la legge, ri tenendola necessaria alla salvezza, e i moderati. Quanto alle idee cristologiche del cap . 48, Giustino non speci fica se esse fossero di tutti i giudeo-cristiani oppure del solo gruppo degli intransigenti, come troveremo attestato negli eresiologi posteriori. Allo stesso modo, non è si curo se la scomunica dei giudei ( di cui in 4 7,5) fosse rivolta contro i giudeo-cristiani ritenuti traditori dai loro connazionali, oppure contro i cristiani in generale. Giustino voleva che si conservasse la comunione coi giudeo-cristiani. Questo parere conciliante finirà ben pre sto. Il fatto è che questi giudaizzanti finiranno come « eretici » nel giudizio degli autori, che vengono subito dopo, e col nome di Ebioniti li troveremo elencati da Ireneo di Lione nel suo catalogo di eresie. 3 ) Il giudeo-cristianesimo come eresia (fine del sec. II ti/ sec. V) . Questo terzo periodo offre le testimonianze più numerose sui giudeo-cristiani, considerati come di stin t e sette eretiche. Conviene sacrificare la successione nonologica dei testi al loro ordine logico, per mostrare le caratteristiche che gli autori daranno a distinti gruppi giuJeo-cristiani. Seguirà cosi la presentazione dei testi au A ) g l i Ebioniti, B ) gli Elcasni t i , C ) i Nazareni. Tut tavia In t rattazione che Epifanio fa degli Ebioniti ( Haer. ,
XXXII I
Il problema del giudeo-cristianesimo
XXX) sarà rinviata alla fine, perché i suoi testi ripren
dono le testimonianze anteriori, da cui in gran parte dipendono, e vi aggiungono dati nuovi in modo che ne risulta una testimonianza che fa quasi da sintesi del movimento giudeo-cristiano fino al sec. IV. A ) Gli Ebioniti. Allo stato attuale della documen tazione, il primo autore a presentare un gruppo di giu deo-cristiani col nome di Ebioniti e a classificarli tra gli eretici è Ireneo di Lione, alla fine del secondo secolo. Nell'Adversus Haereses i seguenti testi riguardano gli Ebioniti: I, 26, 2 ; I II, 2 1 , l ; IV, 33 , 4 ; V, l , 5. Il primo di essi è una presentazione sintetica del sistema dottrinale ebionita. Ecco il testo 65: Per quanto riguarda gli Ebioniti, essi sono in verità dell'av viso che il mondo è stato fatto da Dio, ma per quanto concerne il Signore , [ non 66 ] pensano allo stesso modo di Cerinto e Car pocrate. Si servono soltanto del vangelo secondo Matteo ( solo autem eo quod est secundum Matthaeum evangelio utuntur) e respingono l'apostolo Paolo, chiamandolo apostata della legge ( apo statam eum legis dicentes ) . Per i testi profetici, si accaniscono ad interpretarli in maniera stravagante (curiosius); si circoncidono e persistono in quei costumi che sono secondo la legge e nella maniera giudaica di vita, in modo da adorare Gerusalemme, come la casa di Dio .
All'inizio, il testo parla della teodicea e della cristo logia degli Ebioniti e la loro cristologia è messa in re lazione con quella degli gnostici Cerinto e Carpocrate 67 • 65 .1 . E. Grabe, S. Irenaei Contra omnes Haereses libri quinque, Oxford, 1702, pp. 102 s. 66 Alcune edizioni, come la Patrologia graeca del Migne, pongono il non davanti a « similiter ». J. B. Cotelier, Constitutiones Apostolicae, L VI, cap. 6, in nota, propose di espungere la negazione perché falsa il testo. Che il non debba essere espunto è chiaro ancora di piu se il nostro testo è confrontato con la notizia dell Elenchos, VII, 34, sugli Ebioniti, dove la frase di Ireneo viene riprodotta senza la negazione. J. E. Grane, nell op . cit., p. 102, nota f., propose di leg gere « consimiliter » . 67 Sui due eretici cfr. ed. Hilgenfeld, Die Ketzergescichte des Urch ristentums, pp. 397 ss. (Carpocrate); pp. 411 ss. (Cerinto). ]. Daniélou n� parlerà nelle pp. 95 ss. e 97 ss. '
'
3
XXXIV
Luigi Cirillo
Per Cerinto e Carpocrate il mondo non ha avuto ori Dio ma da una potenza che ignora Dio e che � al eU sopra di tutto, cosi attesta Ireneo in Ad v. Haer. , l, 2,,1 ; l, 26, 1 . In cristologia essi ritengono che Gesu � nato da Giuseppe e da Maria e che in lui, al mo mento del battesimo è venuto « il Cristo » , una potenza divina. In teodicea dunque gli Ebioniti non seguono Ce rinto e Carpocrate ma l'insegnamento dell'Antico Te stamento. Per la cristologia invece, nella scia dei due eretici, gli Ebioniti negano la nascita verginale di Gesu. Questa dottrina cristologica ebionita è confermata negli altri testi citati di Ireneo. In Adv Haer. , IV, 3 3 ,4, gli Ebioniti sono presentati come un gruppo che non accetta Gesu come figlio di Dio; nel libro V, 1 ,3 come quelli che respingono l'incarnazione del « figlio del Dio Altis simo » operata in Maria dallo Spirito Santo. Molto interessante è il testo del libro III, 2 1 , 1 , che offre il fondamento biblico della loro dottrina cristolo gica. Nella profezi a dell 'Emmanuele d'I s. 7 , 1 4 , gli Ebio niti seguivano la traduzione greca eU Aquila e Teodozione, proseliti giudei, in cui l 'ebraico il � r ! ( 'almah ) è tra dotto con va4v�< ( = giovane donna)' e non con 11:ap8Évoç ( = . vergine), come nella traduzione d c i S e t tanta e nel Vangelo di Mat t . l , 2 3 a . Di qui gli Ehion i t i profbs1vano che Gesu era nato dal matrimonio di G i u s e p pe e Maria 6-s . Che gli Ebioniti fossero crist iani d i origine giudaica è detto da Ireneo nel libro V , 1 ,3 , quando l 'autore li accusa di cont inu a re a vivere nel « vecch i o l ievito » uella loro origine, senza entrare nella nuova ge n eraz i one inau guratasi con l 'incarnazione •. Per Irenc:o quindi gli Ebio niti non hanno solo un modo giuda i co d i vivere pre sentato nella circoncisione, osservanza della legge e l'ado-
Bine da
1•3 F. Saignard, Irénée de Lyon. Ccmtrr lt•r / /,:n:,·ics Livre III. ( Sources Chrétiennes, 34 ), Paris, 1 952, pp. 3-IK- 3 '50. Sulla traduzione di fs. 7, 14 da parte di TcoJozionc c A q u i l a , come fondamento scr i t t u rist ico degli Ebioniti nel ncgnrc !.1 nn,d t a verginale di Gesti,
dr. anche H.E., V. VIII, 10. 6'1 A . Rousseau, Irénée de Lyo11. Con/r,· f,. , 1 1/réries, l. V, l, 3 ( Sourcn Cbrétiennes, n. 153), Paris, 1 96'J, pp . 2-1-28 .
Il problema del giudeo-cristianesimo
xxxv
razione di Gerusalemme, ma altres1 una mentalità giu daica nell'interpretare i fatti cristiani. Questa mentalità impedirà loro di accettare l'evoluzione del dogma cri stiano. Essi appariranno perciò necessariamente come dei cristiani, che non sono al passo dell'evoluzione che si fa nelle altre comunità cristiane. Segni del loro sentire giudaico sono ancora il ripudio di san Paolo, ritenuto come il traditore della causa giudaica e il loro uso del solo Vangelo di Matteo, perché piu vicino alla loro men talità 70 • Ireneo tuttavia non dà un'informazione precisa su questo vangelo e le testimonianze che ne seguiranno non saranno sempre concordi. Né l'avverbio « curiosius » in forma piu chiaramente sul loro modo di fare l'esegesi dei testi profetici. Dopo Ireneo , sarà l'autore dell'Elenchos, VI I, 34, a dedicare agli Ebioniti questa corta notizia 71 : Gli Ebioniti ritengono che il mondo è stato fatto dal vero Dio, ma per quanto concerne il Cristo fabulano alla maniera di Cerinto e di Carpocrate. Vivono secondo i costumi giudaici ( E8E. 9.
Il problema del giudeo-cristianesimo
XLVII
per i cristiani provenienvi dal giudaismo ( « propter eos qui ex circumcisione crediderant » ) il vangelo di Cristo in parole e lettere ebraiche, tradotto poi in greco da un autore ignoto. Questo stesso vangelo ebraico si trovava ancora a Cesarea di Palestina, nella biblioteca di Panfilo, almeno fino al tempo della composizione del De viris ( 3 92-93 ), e l'autore aggiunge che egli lo ha trascritto col permesso dei Nazareni, che vivono a Berea, città della Siria 95• Passi di questo vangelo sono citati da Girolamo nel l'Adversus Pelagianos, III, 2 96, mentre nel Commento al Vangelo di Matteo, XII, 1 3 97, Girolamo dice che gli Ebioniti e i Nazareni adoperano questo stesso vangelo, che egli ha appena finito di tradurre dall'ebraico in greco, e questa potrebbe essere una prova supplementare per l'identificazione dei due gruppi giudeo-cristiani. Epifanio, nativo della Giudea, di Eleuteropoli, verso il 3 15 , vescovo di Salamina dell'isola di Cipro nel 367 e morto nel 403, iniziava la sua opera contro le eresie, Panarion, poco prima del 3 7 5 . Egli è il primo eresiologo a distinguere la setta dei Nazareni da quella degli Ebio niti . Ecco i lineamenti di questa setta secondo I'Haer. , XXIX. Col nome di Nazareni (Ncxswpcx'Lo� ) Epifanio indica la setta cristiana giudaizzante ( XXIX, l ) e si prende cura di distinguerla sia dalla setta omonima del giudaismo, presentata nella forma Ntx.O'txpcx'Lo� (XXIX, 5 ), che costi tuisce per lui la quinta setta giudaica (Haer. , XVIII), sia dai Nazirei 98 • In Haer. , XXIX, l , spiegando il nome dei 95 Cfr. in E. C. Richardson, « Porro ipsum hebraicum habetur usque hodie in Caesariensi bibliotheca, guam Pamphilus martyr studio sissime confecit. Mihi quoque a Nazaraeis, qui in Beroea mbc Syriae hoc volumine utuntur, describendi facu!tr.s fuit ». 96 P.L., XXIII, pp. 597 ss. 97 P.L., XXVI, 78. 98 Cfr. P. Nautin, Saint Epiphane, in > «
> , LXVI I ( 1960), pp. 516-550.
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25
m enti fanno parte della nostra documentazione sulla teo logia giudeo-cristiana. Il carattere giudaico assai marcato dell'opera com porta una data antica. In particolare è da notare il carat tere molto arcaico della cristologia e della teologia trini taria, influenzata dall'angelologia 16 • Vi è poi un episodio che permette una datazione piti precisa. L 'autore parla dell'abbandono del Tempio di Gerusalemme da parte dell'angelo della presenza 17 ; il che sembra dipendere da quanto scrive Giuseppe Flavio a proposito della caduta di Gerusalemme nel 70 ( Bel!. ]ud. , VI , 5, 3 ) e che sarà ripreso da Tacito (Hist. , V, 3 ). La redazione non deve dunque essere molto posteriore alla caduta di Gerusa lemme e alla narrazione di Giuseppe. D'altronde il tema non presenta ancora la forma che assumerà in Melitone (Hom. Pasch. , 98), che dipende dai Testamenti, ma si collega esplicitamente alla Passione di Cristo secondo Mt. 27, 5 1 . L 'ambiente geografico, effettivamente, sembra ancora la Siria. Troviamo, almeno in certe recensioni, la dot trina dei sette cieli 18 : sembrerebbe una modificazione in contesto siriano della dottrina arcaica dei sette cieli; il che lascerebbe supporre una redazione piti antica, già giudeo-cristiana ma in ambiente palestinese, prima del 7 0 . È evidente che il testo ha avuto parecchie redazioni. D 'altra parte il Testamento di Levi contiene una descri zione dell'iniziazione battesimale in cui l'unzione con l 'olio precede il battesimo 19; un ordine, normale nella liturgia giudeo-cristiana 20 , che si ritrova nella liturgia siriaca posteriore 21• Quanto all'ambiente religioso, qui si tratta ancora 1 6 R . de Jonge, The Testaments of tbe XII Patriarchs , cit . , pp. 92-93. 17 Ibidem, pp. 123-124. 18 Ibidem, pp. 47-51 .
1 9 T. W . Manson, Miscellanea Apocatyptica, I I I , in « JTS >> , XLVIII ( 1947), pp. 59-61. 2 0 G. Dix, The Seal in the Second Century, in « TH >> , LI ( 1948), p . 7.
21
R.
de Jonge,
Tbe Testaments of the XII
Patriarchs, cit., p.
128.
Le fonti
26
di un giudeo-cristianesimo ortodosso, ma che sembra effet tivamente quello degli Esseni convertiti. Abbiamo già messo in risalto molteplici aspetti che, in questo senso, sono caratteristici. In particolare si noterà la posizione occupata dalla dottrina dei due spiriti, che ritroviamo in altre opere giudeo-cristiane influenzate dall'essenismo, specialmente la Didachè e il Pastore di Erma. Vorrei sottolineare soltanto un altro aspetto. L'autore dei Testa menti utilizza, per applicarli al Cristo, dei Testimonia che sembrano proprio d'origine essena, in particolare Num. 24, 1 7 : « Un astro spunterà da Giacobbe » , che com pare molte volte nei manoscritti di Qumràn (in partico lare CDC, VIII, 1 9 ). Pur essendo vicino al gruppo giu deo-cristiano da cui ha avuto origine l'Ascensione d'Isaia, l 'ambiente al quale si collegano i Testamenti ci sembra avere un orientamento un po' diverso, meno gnostico e piu fedele all'essenismo classico. Di recente è stata avanzata la proposta di collegare il II Henoch al medesimo gruppo, che, secondo M. Vail lant 22 , avrebbe adattato la letteratura henochiana alla propaganda cristiana, come già gli autori degli Oracoli sibillini cristiani avevano fatto per gli Oracoli sibillini giudaici . Ma le argomentazioni del Vaillant per suffra gare la sua tesi non sono tutte dello stesso valore. In primo luogo, nel fatto che gli Egregori, i Vigilanti che hanno peccato con le figlie degli uomini siano riconciliati e posti al quinto cielo, egli vede la traccia di una teo logia cristiana piu misericordiosa di quella del I Henoch, che li mostrava incatenati in una regione inferiore del cielo, in attesa del giudizio definitivo ( p. X ). Tale ricon ciliazione di angeli ribelli sarebbe un fatto nuovo, ma in realtà non sembra che sia cosi. Gli Egregori del quinto cielo non hanno peccato ed Henoch non deve riconci liarli, ma soltanto incoraggiar li; quelli che hanno peccato 22 Le livre des secrets d'Hénoch , Paris, 1 952, pp. XII-XIII . La tesi è contestata da M. Phi!onenko, La cmmogonie du Livre des Secrets
d'Hénoch, in Religions en Egypte pp. 1 09-1 16.
bcllénistique
et romaine, Paris, 1969,
L'eredità letteraria del giudeo-cristianesimo
27
si trovano effettivamente in prigione nel secondo cielo in attesa del Giudizio definitivo. Unico scopo dell'autore è stato quello di conciliare la caduta degli Egregori del I Henoch con l'affermazione dell'esistenza di Egregori non colpevoli in Dan. 4 , 1 0 e 1 4 . Non vi è quindi un'impronta propriamente cristiana. Pure contestabile è l'affermazione di M. Vaillant, che oppone l'Henoch giudeo, modello di penitenza, all'He noch cristiano, annunciatore della Buona Novella (p. X). In realtà l'Henoch modello di penitenza non è l'Henoch giudaico, ma l'Henoch ellenistico di Eccli. 44, 15, di Sap. 4, 2, di Filone (De Abrah. , 1 7 ). L'Henoch giudaico è messaggero di segreti divini, ed è quello del II Henoch come del I Henoch. Giungiamo a ragioni maggiormente valide con l'espressione di « luogo preparato » ('JÌ-to� (J.WTIJ.Évov) ( IV, 1 9 ). M. Vaillant l'accosta a Mt. 25, 34. Si potrebbe aggiungere Apoc. 12, 6 e Giov. 14, 2-3 . Essa compare inoltre nel Test. Levi, III, 2 ; sembra quindi caratterizzare l'apocalittica giudeo-cristiana. Ana logamente il paragone tra le beatitudini di XXII , 6- 1 6 e quelle del Vangelo ha il valore di un indizio. Con la narrazione della nascita di Melchisedec abbiamo a che fare con un argomento molto piu deci sivo. L'autore racconta che Sofonim, moglie di Nir e sorella di Noè, concepf il bambino nella sua vecchiaia « senza aver dormito con suo marito » (XXXIV, 10-1 1 ). Il bambino nacque poi miracolosamente. M. Vaillant scrive che « l'imitazione del racconto della nascita di Cristo è flagrante » (p. XI ). Si può aggiungere che l'epi sodio del fanciullo Melchisedec perseguitato ( XLI, 22) ricorda quello di Gesti bambino braccato da Erode . La nascita di Noè alla fine del I Henoch è altrettanto mira colosa, ma non si parla di concepimento verginale 23 • Sembra quindi veramente che qui vi sia una proiezione della nascita verginale di Cristo nella storia di Melchi23 Cfr. anche il concepimento di Noè, attribuito da Lamech ai Vigi lanti nel Commento della Genesi scoperto a Qumriìn (A Genesis Apo cryphon, Jerusalem, 1956, col. II, 1 ).
Le fonti
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sedec. La tesi è tanto piti verosimile se si considera che la Lettera agli Ebrei aveva paragonato la generazione di Melchisedec a quella di Gesti, dicendo che Melchisedec era senza padre ( 7, 3 ). Peraltro il II H enoch mostra Melchisedec nascosto in Paradiso che compare nel mondo « per essere capo dei sacerdoti di un'altra stirpe » (XLI, 3-4 ). Ci(> ricorda l'opposizione tra il sacerdozio di Aronne e quello di Melchisedec nella Lettera agli Ebrei. Sembra dunque che, in questo caso, si tratti di un tema specifi camente cristiano. Occorre aggiungere che un altro argomento, non addotto dal Vaillant, conferma la sua tesi. Si tratta del confronto con l'Ascensione d'Isaia, che presenta molti punti di contatto col II Henoch. In entrambi l 'entrata del veggente nel settimo cielo è contrastata dagli angeli ed è autorizzata da Dio (Asc. , IX, 1 -2 ; II Hen . , XII, 4 ) ; i l veggente vede soprattutto una luce meravigliosa e innu merevoli angeli (Asc. , IX, 6 ; II Hen. , XI, 1 -2 ); l'angelo Gabriele, che sta alla sinistra di Dio, lo rincuora (Asc. , IX, 39; II Hen., XI, 15 e XIV, l ); gli sono comunicati i libri del destino (Asc. , IX, 2 1 -22 ; II Hen. , XIII, 4-7 ) ; a quelli che entrano nel cielo vengono donati gli abiti di gloria (Asc. , IX, 2 ; II Hen . , XII , 1 5- 1 6 ). Inoltre il racconto della nascita di Gesti in Asc. è molto vicino a quello della nasci ta di Melchisedec in II He n. ( Asc. , XI, 8; II Hen., XXXIX, 1 ). Sembra proprio che l 'opera presenti certi aspetti deri vati dalla teologia giudeo-cristiana. Il primo è la conce zione dell'ascensione corporale dei giusti in Paradiso prima del giudizio, non reperibile nell'apocalittica giu daica ove le ascensioni sono soltanto viaggi celesti prov visori. Invece il Il Henoch ha questa teoria ( XXIII, 18 ), come pure l'Ascensione d'Isaia ( IX, 28 ) . Essa riappare nelle Ree. Clem. , I , 52, negli Anziani ( Presbyteres) 24 : ivi il carattere giudeo-cristiano è evidente. Altra dottrina giudeo-cristiana è la rappresentazione del Verbo e dello 24
l reneo, Adv. haer. , V, 5, l .
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Spirito per mezzo di angeli superiori. Nell'Ascensione d'Isaia Gabriele è equiparato allo Spirito Santo (VII , 2 3 ; VIII, 1 4 ; IX, 3 5 ): una nota distintiva che troviamo anche nel II Henoch ( XI, 1 5 ; XII, 1 2 ). Tutto ciò permette di concludere che il II Henoch deve essere considerato opera di un giudeo-cristiano. La sua data è certamente posteriore all'Ascension e d'Isaia : forse la fine del primo secolo 25• Anche l 'ambiente è senza dubbio quello siriaco. Nell'opera troviamo in particolare la dottrina dei sette cieli, che l'apparenta all'Ascens io ne d'Isaia e ai Testamenti. È un aspetto caratteristico del l'apocalittica giudeo-cristiana siriaca. L'opera proviene da un gruppo che è pure quello da cui è uscita l'Ascen sione. Al medesimo gruppo si deve far risalire la Preghiera di Giuseppe, un'opera citata a piu riprese da Origene 26• Schiirer pensava che si trattasse di un apocrifo giudaico, ma Resch ne ha dimostrato in modo decisivo il carattere giudeo-cristiano 27 • Studieremo i due principali frammenti rimastici. Qui sarà sufficiente sottolineare un'osservazione di Resch. In questo apocrifo incontreremo l'espressione 'ltVEU!J.CX &.pxtx6v attribuita al settimo angelo. Ora Epifa nio cita degli eretici giudeo-cristiani chiamati 'Apxov ·nxoL 28 • Costoro hanno il libro santo, la I:u(J.q>ovLcx, in cui si parla dei sette cieli e dei loro angeli. D'altra parte questi eretici, sempre secondo Epifanio, utilizzano la Ascensione d'Isaia ( Pan. , XL, 2 ). Sembra che la Preghiera di Giuseppe e l'Ascensione d'Isaia appartengano allo stesso gruppo : anche la prima parla dei sette cieli. Avremo modo di far notare altre somiglianze. L'Ascensione e la Preghiera erano dunque
25 Cfr. M. Philonenko, La cosmogonie du Livre des Secrets d'Hé noch, cit., p. 109. 26 Comm. in ]oh., I, 3 1 ; II, 3 1 ; Comm. in Gen. in PG, 12, 73 B, 81 B; Hom. in Num. , XVII, 4. 27 A. Resch, Agrapha (in TU, 30, 3-4), Leipzig, 1906, pp. 296-297. 28 Cfr., su questa setta, H. C. Puech, Archontiker, in RAC, I , 634-646. ,
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opere arcaiche accettate dai giudeo-cristiani. Resch ha rilevato un certo numero di elementi che peraltro atte
ltano il carattere cristiano della Preghiera. Si osserverà ID pa rt icol are l'espressione xcx"tÉ91']v bd -t'l)v yfjv che ri corda la dottrina della discesa del Diletto nell'Ascen lione. Vedremo in seguito l'importanza dell'opera per la teologia trinitaria giudeo-cristiana. E necessario accostare alle opere di cui ci siamo oc cupati gli Oracoli sibillini giudeo-cristiani. Effettivamente ci troviamo davanti ad un caso del tutto parallelo, cioè di rimaneggiamenti cristiani di opere giudaiche o di com posizioni cristiane direttamente ispirate a prototipi giu daici. La raccolta degli Oracoli a noi pervenuta ci fa se guire le tappe di un simile sviluppo. Secondo lo studio di J. Geffcken 29 completato da A. Kurfess 30, i libri III e IV sono giudei, i libri I, II e V sono giudei rimaneggiati da dei cristiani, i libri VI, VII e VIII sono opere giudeo cristiane dell'epoca che stiamo studiando. Lasciamo da parte gli altri libri che sono di un'epoca posteriore. Il genere è parallelo alle Apocalissi, ma al posto di Henoch o di Noè qui sono le Sibille ad annunciare gli avvenimenti escatologici. Il libro V ha un carattere giudaico molto accentuato. Tuttavia Geffcken vi riscontra molteplici passaggi palese mente cristiani, in particolare sulla nascita di Cristo ( 256269 ) . Interpolata o composta da un cristiano, si tratta dunque, sotto la forma i n cui ci è pervenuta, di un'opera giudeo-cristiana. La sua caratteristica , che la differenzia notevolmente dalle apocalissi preceden t i , è la violenta osti lità contro Roma . Sono gi udeo-c r i s t i an i molto vicini ai Giudei c che ne condividono il risentimento contro Roma, a causa della caduta di Gerusalemme. L'opera quindi non
N
f;.omprJJition und J:ntsft•bui/R,szril Ja Oracula Sibyllina, Leipzig,
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s,hnccmelcher, Neutesta Ttibingen, 1959-62,
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pp. 4'JK �2K.
L'eredità letteraria del giudeo-cristianesimo
31
deve essere molto posteriore a questo avvenimento. Geff cken la pone sotto Domiziano o Nerva 31 • Per mezzo degli indizi geografici Geffcken dimostra che la regione d'origine sembra proprio l 'Egitto 32• Ciò comporta un'importante conseguenza per le origini della Chiesa giudeo-cristiana d'Egitto, che rimangono molto oscure. Infatti la violenza antiromana, che non si riscon tra né nel giudeo-cristianesimo siriaco, né in quello asia tico, fa supporre che i giudeo-cristiani d'Egitto, come i Giudei in generale, siano stati allora particolarmente per seguitati dalle autorità romane. La scarsità di notizie in nostro possesso sul primo cristianesimo egiziano potrebbe trovare la sua spiegazione nella precatietà di tale situa zione. Si noterà peraltro la colorazione fortemente elle nizzata dell'opera, veramente consona all'ambiente ales sandrino, seppure molto influenzata dall'apocalittica pale stinese e assai lontana dalla tendenza di Filone. I libri I e II appartengono allo stesso genere lette rario. Essi sono fissati da Kurfess poco dopo Adriano 33 • Il libro VI è una caratteristica opera giudeo-cristiana, come è stato riconosciuto da J. Geffcken 34• Inizia con una narrazione del battesimo di Cristo : aspetto arcaico pre sente in Marco, che persisterà negli eretici arcaicizzanti, negli Ebioniti, in Cerinto, e che sarà ripreso dagli Gno stici ( 1-8 ) . Per di piu in questo racconto del battesimo, come in molti testi primitivi, si parla della presenza del fuoco nel Giordano, ma qui interpretata nello stesso senso del Vangelo degli Ebioniti. Il libro termina con un'ascen sione celeste della croce, che ricorda il Vangelo di Pietro a cui lo riavvicina pure il carattere della sua polemica antigiudaica. Piu che di un'apocalisse, si tratta di un poe ma arcaico ispirato agli antichi targumim del Vangelo. Geffcken data l'opera alla set:onda metà del secondo se31 J. Geffcken, Konzposition und Entstehungszeit der Oracula Sibyllina, cit., p. 25. 32 Ibidem, p. 26. 33 A. Kurfess, Christliche Sibyllinen, cit., p. 501. 3 4 Komposition und Entstehungszeit der Oracula Sibyllina, cit., p. 3 1 . 1
)2
Le fonti
colo. l punti di contatto con gli altri libri fanno ugual mente pensare all'Egitto come luogo d'origine. Il l ibro VII contiene innanzitutto una lunga descri llone dei flagelli escatologici: caos cosmico e incendio del mondo, caos sociale e confusione delle nazioni, caos mo rale e unioni illegittime. A questi tempi succederanno i tempi messianici che assumono una colorazione meno
materiale del millenarismo asiatico, mentre si nota una affinità con la tarda apocalittica giudaica. L'incendio cosmico, che compare nelle Hodayoth di Qumràn, si ri trova nell'Apocalisse di Pietro e nella II Lettera di Pie tro. Gli episodi della vita di Cristo risentono della teo logia giudeo-cristiana : incendio del Giordano al momento del battesimo, esaltazione al di sopra degli angeli al mo mento dell'Ascensione. L'opera risale probabilmente alla fine del secondo se colo. Parecchi aspetti ci fanno ancora pensare all'Egitto. Cristo è esaltato al di sopra degli angeli (VII, 32-35), senza alcuna allusione ai sette cieli, come in Siria. Lo spazio dato al battesimo e non alla natività, come inizio della vita di Cristo, ci ricorda i legami del Vangelo di Marco con Alessandria, e l'apparizione della festa del battesimo in questa città, stando alla testimonianza di Clemente Alessandrino. Le apocalissi siriache di cui ab biamo parlato insisteranno sulla Natività. L'allusione al l'ogdoade ( VII, 1 39 ), come ultimo periodo della storia, si ritrova nella stessa epoca, ad Alessandria, nello Pseudo Barnaba. Possiamo quindi situare l 'opera in Egitto. E gli Oracoli sibillini ci appaiono cosi la forma egiziana dell'apocalittica giudeo-cristiana. Quanto all'ambiente al quale lo scritto si collega, risulta evidente l'affinità con il V anR,do degli Ebioniti; ma non v'è traccia di cristologia eterodossa. Le stesse caratteristiche si ritrovano nel libro VI. È stata ugual mente notata l'affinità delle descrizioni escatologiche con quelle dei manoscritti di Qumrun. Anche qui il fuoco ha una funzione dominante. Tutto ciò sembrerebbe col lcaarsi ad Esseni convertiti, >, LX ( 1 95 3 ), pp. 41-82.
L'eredità letteraria del giudeo-cristianesimo
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Ascensione d'Isaia lamentava la sparizione, il montanismo mostrerà la sopravvivenza, e che appaiono caratteristici non dell'esistenza dei carismi dello Spirito nella Chiesa come ritiene H. V. Campenhausen 101 - ma della forma propria che tali carismi assumevano nella comunità giu deo-cristiana e in particolare nel settore esseno. Le altre parti del libro portano ugualmente l'impronta giudeo-cristiana. I Precetti sono in gran parte un trattato sul discernimento degli spiriti che sviluppa le due vie, cosi come le troviamo nella Didachè e nella Lettera di Barnaba. I punti di contatto con queste due opere e con i Testamenti sono molteplici: l'insieme costituisce una summa della teologia morale e dell'ascetica giudeo-cri stiana. Quanto alle Parabole, esse dipendono dalle visioni simboliche di cui la letteratura giudaica presenta nume rosi esempi: in particolare in I Henoch e in IV Esdra. Il confronto con quest'ultima opera, contemporanea al Pa store, ha un'importanza tutta particolare. D'altra parte la dipendenza rispetto all'apocalittica giu daica risulta da molti aspetti, segnatamente per quanto concerne l'angelologia. L'angelo della penitenza era no minato in I Henoch ( XL, 9 ). Gli angeli sono incaricati della creazione ( Vis. III, 4, l ). Si noti in particolare la dottrina dell'angelo buono e dell'angelo cattivo ( Prec. VI, 2, l ) che si collega alla dottrina delle due vie di cui ab biamo notato l'origine giudaica. Piu decisiva è la dottrina degli angeli dei vizi ( Prec. II, 3 ; V, 2 ) che appartiene al fondo comune della teologia giudeo-cristiana. La si ritrova nel Testamento di Ruben e nelle Omelie Clementine ( IX, 1 0 ). Da notare pure la statura gigantesca degli angeli ( Sim. VIII, 1 , 2 ), e il tema degli angeli che fungono da troni durante le ascensioni ( Vis. III, 10, l ), che osser viamo anche nel Vangelo di Pietro. Tutta questa angelo logia proviene direttamente dall'apocalittica giudaica e dalla spiritualità essena. Wl Kirchliches Amt und geistliche Vollmacht in den ersten drei Jahrhunderten, Tiibingen, 1953, p. 210.
Le fonti Le componenti propriamente giudeo-cristiane sono nu
merose. La discesa agli inferi è legata al problema della
aalvezza dei santi dell'Antico Testamento, che è la forma afudeo-cristiana della dottrina che ritroviamo nel Vangelo
ili Pietro e nella Lettera degli Apostoli ( Sim. IX, 16, 2 ). La teologia trinitaria prende a prestito le sue categorie dall'angelologia, ma sotto una forma diversa da quella che vedemmo nell'Ascensione d'Isaia : il Verbo è il capo dei sei Arcangeli, ed egli stesso è il settimo. Come dimo streremo, questa teologia angelomorfica - peraltro orto dossa - è tipicamente giudeo-cristiana. Ugualmente lo è l'espressione « il Nome » per designare il Verbo : la si ri trova nel Vangelo di Verità, che la prende a prestito dalla teologia giudeo-cristiana. Audet ha riconosciuto il carat tere giudeo-cristiano della teologia di Erma, ma ne ha misconosciuto la portata, contestandone la natura trini taria. Parimenti caratteristica del giudeo-cristianesimo è la disciplina ecclesiastica, la quale manifesta una volta di piu, in questo contesto, la forte impronta dell'essenismo sulle forme d'organizzazione. Citerò due esempi. Il primo ri guarda la disciplina della penitenza che costituisce l'og getto principale del libro. La disciplina della scomunica temporanea, o a vita, vi appare come l'espressione, nel l'ambiente giudeo-cristiano, del potere apostolico di rimet tere i peccati o di ritenerli 102 • Un altro aspetto è stato segnalato da A. Adam 10·\ È noto lo strano passo in cui Erma racconta come ha passato una notte con delle ver gini sante (Sim. IX, 1 1 ) . Adam accosta questo brano a Taziano (XV, l ) e alla Didachè (XI, 1 1 ) . Può darsi che pure Paolo alluda a queste unioni spirituali ( I Cor. 7 , 3 6-38 ) . Ora ciò sembra collocarsi nel contesto dell'ideale esseno, cosi come è descritto da Filone nel De vita con templativa. Per lungo tempo se ne troverà la traccia nelll•2 Cf r. L. Pcrnvcdcn, The
tJ/ l lrrmas, Lund, 1966. 1u1
( 19,7 ),
l:·rwliJ(.IIfl/l.l'fl pp. 2 1-23.
Coflet•pt o/
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L'eredità letteraria del giudeo-cristianesimo
57
l'istituzione delle vergini a'uvwtiXX't'ot M a erano usanze, come del resto molte altre ( l'unione dell'Eucaristia col pasto, ad es. ) legate ad una mentalità giudaica; e non v'era alcun motivo di mantenerle nel milieu dei cristiani venuti dal paganesimo . Sembra cosi che i l Pastore sia una delle opere essen ziali per la conoscenza del milieu teologico e spirituale giudeo-cristiano. Il problema della sua datazione è com plesso 1()4. Gli elementi-base sono conosciuti. Da una parte Erma sostiene di aver ricevuto da papa Clemente l'ordine di scrivere il suo libro; il che ci colloca nel 90. Dall'altra il Canone Muratoriano dice che il Pastore è stato scritto verso il 140. La soluzione sembra quella che l'opera pre senti piu stadi di redazione, dei quali il primo risalirebbe al 90 cirrporate all'inizio del terzo secolo i n un racconto dci v i aggi d i Pietro e del 8 IL Waitz, Dic Pscudo l\lrmr,tùu·fl . l .l· ip;ig. 1 904, pp. 161-162; H . J. Schoeps, ThcoloJ!.ie rmd Gruhicbtc-, l i l .. pp. l7- 6 1 ; O. Cullmann,
Le
problème litlérairc cl hisloriq ur: Ju rom,m pwudo-clémentin, Paris, 1 930, pp. 220-257 ; L Mollnnd, La rirrtmciHIIII, le haptéme e l'autorité du décrct apostoliquc dt111S Ics milic-ux !Udt:o-chn:ticns des Pseudo-clé 'llentincs, in >, JX ( 1 9 5 5 ), pp. t -9 ; ( ; , Streckcr, Das ] udench ri J!en/u/11 in dcn Pscudo-KicfflZ Cfr. G. Quispel, Der gnostische Anthropos und die jiidische Tra
dition, i n
>, XXXIX ( 1931 ), pp. 23-43. 7 � Cfr. F.
J. Doelger, "Ixeuç Das Fisch-Symbol in fruhchristlicher
Ztil, Miinster, 1925, pp. 3-19.
L'ambiente intellettuale
1 68
attento studio, ha tuttl 1 motivi per scrivere che « vi si trova una nota carica di letteralismo e una chiara relazione all'esegesi giudaica » 73• Ed anche : « Per questa esegesi
Teofilo si rivolge ordinariamente ai suoi maestri giudei e giudeo-cristiani. In essa quasi tutto può essere messo a confronto con l'esegesi giudaica haggadica » 74 • Clemente Alessandrino e Teofilo d'Antiochia ci hanno trasmesso dati preziosi sulle speculazioni giudeo-cristiane relative all'Esamerone, ma elementi di tali speculazioni sono presenti anche in molti altri autori. Ne parleremo in seguito. Per il momento ci limitiamo ad alcuni cenni. Erma presenta elementi di una speculazione sulla Chiesa preesistente, in relazione con il racconto della creazione (Vis. I , 3 , 4). Il tema dei sette giorni è stato peraltro l 'oggetto di speculazioni diversissime. Abbiamo ricordato la tradizione che vi vede i sette Arcangeli. Un'altra testimoniata dalla Lettera di Barnaba - gli dà un signifi cato escatologico e individua in esso i sei periodi cosmici seguiti dal sabato eterno: « E Dio compf in sei giorni le opere delle sue mani ( . . . ) Vuoi dire che il Signore con durrà a termine l'universo in 6000 anni » (XV, 4 ) 75• Abbiamo lasciato da parte quanto riguarda la creazione dell'uomo e della donna. Filone c'informa sulle specula zioni di cui erano oggetto i due racconti della creazione. Ritroviamo tali speculazioni nel Poimandres. Esse occu pano un posto considerevole nello gnosticismo. L'ele mento che qui piu c'interessa è il tema d'Adamo ed Eva riferito a Cristo e alla Chiesa. Vi ritorneremo sopra a lungo. Esso compare in Paolo ( E/. 5 , 25-3 3 ) e nell'Apo calisse di Giovanni ( 2 1 , 1-3 ). Certi testi hanno un signi ficato tipologico, altri invece - in particolare la II Let tera di Clemente - parlano proprio di una creazione della Chiesa preesistente . Qui si tratta ancora una volta di spe culazioni giudeo-cristiane di cui lo gnosticismo è una tra71 Theophilus of Antioch to Autolycus, cit., p. 235. 74 Ibidem, p. 327. «
75
VC
Cfr. ].
»,
Daniélou, La typologie millénariste de la semaine, in
II ( 1 948), pp. 1-16. Ritorneremo sul problema al cap. Xl.
L'esegesi giudeo-cristiana
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sposizione 76• Nell'ebionismo assumono un carattere parti colare con l'opposizione tra l'elemento maschile e l'ele mento femminile in quanto principi del bene e del male 77• Dopo l'opera dei sei giorni sarebbe opportuno accen nare alle speculazioni riguardanti il racconto del Paradiso. Sono diversissime, ma tutte ugualmente immerse nella gnosi giudaica. Esse si riferiscono ai diversi aspetti dei capp. 2 e 3 della Genesi e non possiamo darne che degli esempi. Tali speculazioni riguardano anzitutto il Paradiso. Accanto ad esegesi di tipo puramente letterale (per esem pio in Teofilo d'Antiochia, Ad Antol. , II, 24) si trovano anche speculazioni di due tipi diversi. Le une mostrano nel Paradiso l'espressione di realtà spirituali preesistenti : ne abbiamo l'eco in particolare presso certi Gnostici come questo Giustino citato da Ippolito : « Tutti gli angeli riu niti formano il Paradiso, di cui Mosè ha detto : Dio piantò un Paradiso nell'Eden. Gli angeli sono chiamati alberi del Paradiso per allegoria » (Elench., V, 26, 5-6 ). Ma le speculazioni riguardano principalmente la Chiesa. Ancora una volta abbiamo la testimonianza di Papia, di cui Anastasio il Sinaita dice che « interpretava spiritualmente il Paradiso per mezzo della Chiesa di Cri sto » 78• Papia rappresenta indubbiamente una tradizione asiatica testimoniata peraltro dall'Apocalisse giovannea, in cui le immagini della Fidanzata, della Città e del Paradiso designano la Chiesa escatologica (Apoc. 2 1 , 2 ) . Per Ire neo il Paradiso talora indica la Chiesa presente. « Gli uo mini che hanno fatto progressi nella fede ed hanno rice vuto lo Spirito di Dio sono spirituali, come [ fossero ] piantati nel Paradiso » (Adv. haer. , V, 1 0 , 1 ). La stessa interpretazione è attestata per Alessandria. Anastasio rin via a Panteno ( op. cit. ) ; la ritroviamo nella Lettera a Dio gneto (XII, 2 ). Le Odi di Salomone la testimoniano per 76 Cfr. A. Orbe, Cristo y la lglesia en su matrimonio anterior à las H!l.ios, in « EE », XXIX ( 1955), pp. 299-344. 77 l I. ]. Schoeps, Urgemeinde, Judenchristentum, Gnosis, ci t., pp. '6- '59. 7� E. Preuschen, Antilegomena, cit., p. 96.
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L'ambiente intellettuale
la Siria (Xl, 14 ) . Anastasio cita Giustino. Essa è presente pure in Tertulliano ( Adv. Mare. , II, 4 ) Tutto ciò risale ad una comune tradizione giudeo-cristiana certamente primitiva. .
Capitolo quarto
L'apocalittica giudeo-..cristiana
Lo studio della visione del mondo del giudeo-cristia nesimo è indispensabile. Essa infatti costituisce l'insieme di rappresentazioni attraverso le quali si dispiegherà il dramma cristiano. H. Bietenhard ha ben visto che non è la cosmologia in quanto tale che interessa i nostri autori : essi traggono la maggior parte dei loro elementi dall'apo calittica giudaica 1• Il loro interesse è direttamente cristo logico, ma i dati cosmologici servono come mezzi di espressione e costituiscono le loro categorie teologiche. Bisogna aggiungere che in certi punti la cosmologia giudeo cristiana presenta aspetti originali . In particolare va osser vato che alcune caratteristiche concernenti la demonologia e l'angelolog1a sono passate nella tradizione cristiana tra mite la cosmologia giudeo-cristiana. Lo stesso termine « apocalisse » indica lo svelamento grazie al quale il velo che copre le realtà superiori o infe riori viene tolto per il veggente, cosicché egli possa con templare i segreti del cosmo e della storia. Questo aspetto è presente nell'apocalittica giudeo-cristiana; anch'essa è costituita da ascensioni e da visioni celesti. Nell'Ascen sione d'Isaia, Isaia attraversa le sfere successive. Ed Erma scrive : « Uno spirito mi prese e mi trasportò attraverso un luogo impraticabile, inaccessibile ( . . . ) . Mentre pregavo ecco il cielo aprirsi » (Vis. I , l , 3-4 ) 2• Ricordiamo che p,,olo afferma di essere stato innalzato al terzo cielo (H 1 Cfr. H. H . Rowley, The Relevance of Apocalyptic, London, 19472, f'll· 9 ! - 1 50. 1 l n I Padri Apostolici, a cura di G. Corti, cit.
L'ambiente intellettuale
1 72
Cor. 12, 2-3 ) e che Giovanni riferisce di essere stato « ra pito in spirito » e di aver visto i cieli aperti (Apoc. 4, 1 -2 ). La
scala cosmica Questo mondo nascosto comprende anzitutto i cieli.
Il giudaesimo tradizionale ne conosce soltanto tre : il cielo
delle meteore, il cielo degli astri e il cielo di Dio. È quanto troviamo nell'antica apocalittica giudaica. A tale divisione allude Paolo, in cui però non vi è motivo di vedere la dottrina dei sette cieli. Certi testi giudeo-cristiani la con servano, mentre gli scritti pseudo-clementini, che rappre sentano una tendenza tradizionalista e antisincretistica, la riducono a due (Ree. Clem. , IX, 3 ). Il Testamento di Levi secondo la recensione a menziona soltanto tre cieli ( III, 1 -6 ) . Ma nella nostra epoca questa teoria si affianca a quella dei sette cieli, che è assente dal giudaesimo del tempo. Nel IV Esdra e nell'Apocalisse di Baruch non ve n'è traccia 3; la troviamo soltanto nei testi giudeo-cristiani, causata sicuramente da influenze orientali e iranico-babi lonesi . Essa dunque appare come caratteristica del giudeo cristianesimo siriaco. È notevole il fatto che la dottrina dei sette cieli , apparsa col giudeo-cristianesimo, sparirà con esso. lreneo e Clemente la mantengono per rispetto alla tradizione, mentre Origene la rigetterà esplicitamente ( Contra Cels. , VI , 2 1 ) . Le testimonianze sono numerose, innanzitutto quelle dirette. Tre opere sono particolarmente importanti e ca ratteristiche del giudeo-crist ianesi mo 4 • L'Ascensione d'Isaia presenta la dottrina in tre fasi , a proposito dell'ascensione d'Isaia, dell'Incarnazione di Cristo c della sua Ascensione. L'autore distingue sette cieli abitati dagli angeli, e il piu elevato è quello di Dio. Sotto l ul t i mo cielo si trova il '
3 Cfr. L. Gry, Séiours et habitats divins d 'ttprès !es apocryphes de l'Ancien Testament, in « RSPT », IV ( 1910), p. 708. 4 Cfr. H. Bietenhard, Die himmlische Wt'lt im Urchristentum und Spatjudentum, Tiibingen, 1 95 1 , pp. 3·8.
L'apocalittica giudeo-cristiana
1 73
firmamento che è il carcere degli angeli apostati in attesa di essere gettati nella geenna, nell'ultimo giudizio. Poi viene l'aria, dominio dei demoni. Su quest'ultimo punto l 'autore si fa testimone di un'opinione comune, indipen dente dalla speculazione sui sette cieli e che ritroviamo in Paolo ( E/. 2, l ; 6 , 1 2 ) 5• II Henoch espone con maggior precisione il contenuto dei sette cieli ( III-IX). I l primo cielo, a partire dal basso, comprende le acque superiori, i serbatoi delle nevi e delle piogge con i rispettivi angeli ad essi preposti, le stelle e gli angeli che ne regolano il cammino. Il secondo è la prigione degli angeli apostati, caduti dal quinto cielo. Il terzo contiene il Paradiso nel quale le anime dei giusti attendono la resurrezione e lo scheol, in cui le anime degli empi attendono il castigo. Il quarto è quello del sole, della luna e degli angeli ad essi preposti. Il quinto è quello dei Vigilanti. Il sesto contiene gli angeli superiori: 7 Arcangeli, 7 Cherubini, 7 Serafini e 7 Fenici. Il settimo è quello di Dio . Si osservi che nulla è detto di ciò che sta sotto il firmamento: non è questa la prigione degli angeli apostati, bensi il secondo cielo. L'autore vede i cieli so prattutto in relazione ai misteri delle dimore delle anime e dei segreti del cosmo piu che a quello degli angeli. Per questo motivo sembra maggiormente inserito nella tradi zione dell'apocalittica giudaica. Anche il Testamento di Levi, nella sua recensione �. presenta i sette cieli, il che sembra proprio una prova della sua provenienza cristiana. La disposizione è vicina a quella dell'Ascensione d'Isaia. Il primo cielo è triste perché vede i peccati degli uomini. Il secondo e il terzo contengono gli angeli destinati a punire angeli e uomini macchiati dalla colpa; il quarto e il quinto contengono gli angeli che inter cedono per gli uomini; il sesto è quello dei Troni e delle Potenze; nel settimo risiede la gloria di Dio. Nulla si -' Cfr. H. Schlier, Christus und die Kirche im Epheserbrief, Tiibin gen, 1930, pp. 9-1 3 ; J. Daniélou, Les démons de l'air dans la vie d'Antoine, in Antonius Magnus Eremita ( Studia Anselmiana XXXV III), Roma, 1956, pp. 136-147.
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dice di ciò che sta sotto il firmamento. Si osservi che, come nell'Ascensione d'Isaia, i cieli sono esclusivamente la dimora degli angeli e non vi si trovano né le anime dei morti, né i demoni . De Jonge ha notato giustamente che per l'autore l'essenziale è la descrizione della liturgia ce leste nel settimo cielo, destinata a far vedere il carattere spirituale del culto celeste che deve imitare il culto ter restre 6 • Questo accento posto sul culto spirituale ci rial laccia all'essenismo cristiano. Questi i testi giudeo-cristiani nei quali la dottrina dei sette cieli compare allo stato puro 7• Ma è certo che il suo influsso, mescolato ad altri elementi, è visibile nei testi che costituiscono le testimonianze indirette. Ireneo, descrivendo la struttura del mondo all'inizio della Dimo strazione della Predicazione Apostolica, scrive : « Il mon do si compone di sette cieli in cui abitano le Virtu, gli Angeli, e gli Arcangeli che compiono le funzioni del culto verso il Dio buono e creatore di tutte le cose » ( 9 ; PO, XII , 761 ) . Egli poi confronta - forse influenzato da Fi lone - i sette cieli al candelabro dalle sette braccia. Ma la gerarchia degli angeli secondo i sette cieli proviene di rettamente dalla tradizione giudeo-cristiana dalla quale è nota la dipendenza d'Ireneo . Si osservi però che per Ire neo il settimo cielo è la dimora degli angeli e non quella di Dio, lasciando supporre che al di fuori dei sette cieli egli ammetta non soltanto il cielo inferiore dell'aria, ma anche una sfera superiore che sarebbe propriamente la dimora di Dio 8• Vediamo questa concezione in un autore giudeo-cri stiano che si riallaccia precisamente alla tradizione ,asiatica. La Lettera degli Apostoli parla due volte dei cieli. Da una parte al cap. 24 è detto che durante la sua ascensione 6 R. de Jonge, The Testaments of the XII Patriarchs, cit., pp. 46-49.
7 Bisognerà aggiungere la testimonianza di Aristone di Pella, nel Dialogo di Giasone e Papisco, che parla di sette cieli (É1t'tà oùpav6uc;). Cfr. Massimo, Schol. Myst. Theol., I, 17. 8 Si constati che tale dottrina si collega con quella dei tre cieli principali, perché i sette cieli costituiscono la suddivisione del secondo cielo principale.
L'apocalittica giudeo-cristiana
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Cristo riveste la forma degli angeli sino al quinto cielo. Nell'Ascensione d'Isaia (Xl, 2 9 ) è scritto che a partire dal sesto cielo Cristo non riveste piu la forma degli angeli. Evidentemente si tratta della medesima concezione. La Lettera degli Apostoli conosce quindi la dottrina dei sette cieli e dipende dall'Ascensione. Ma in un altro brano Cristo dichiara: « Io sono stato nell'Ogdoade, che è la Kyriakè » ( 29). C. Schmidt ha notato che non si tratta di una dottrina gnostica, ma di una concezione della Grande Chiesa. In questa concezione i sette cieli rappresentano le dimore degli angeli, mentre l'ottavo è la dimora del Signore (xup�ax1}): notiamo l'influsso della concezione elle nistica delle sette sfere planetarie opposte alle sfere delle stelle fisse, e un'allusione alla designazione cristiana del l'ottavo giorno col termine xupw.x1) che qui è trasposto all'ottava sfera 9 • Una peculiarità rilevabile anche in Clemente Alessan drino, che scrive : « Per prato bisogna intendere ( Platone, Rep. , X, 61 b) la sfera delle stelle fisse in quanto costi tuente la regione tranquilla e accogliente e la terra dei santi. Per i sette giorni [ bisogna intendere ] il movimento dei sette [ pianeti ] ed ogni attività operativa che si affretti verso il termine del riposo ( ètvcbtcx.uo-L�): il viaggio dopo i pianeti conduce al cielo, cioè al movimento e all'ottavo giorno » ( Strom., V, 1 4 , 1 06 ). Qui vediamo la trasposi zione del tema temporale dei sette giorni e dell'ottavo al tema spaziale delle sette sfere planetarie e della sfera delle fisse. D'altronde Clemente se lo spiega cosi: « Che si tratti del tempo che, attraverso i sette periodi enumerati, si risolve nel riposo terminale, o dei sette cieli, che certuni contano s,alendo, e della sfera fissa, vicina al mondo in telleggibile e che è chiamata ogdoade, tutto ciò vuol dire che lo gnostico deve spogliarsi dal divenire e dal pec cato » ( Strom. , IV, 25, 1 5 9 ). Tuttavia Clemente, pur conoscendo l'opposizione tra i set t e cieli e l'ogdoade, non collega i sette cieli alle gerar9 C Schmidt, 1967. pp. 275-28 1 .
Ul
Gespriiche Jesu mit seinen Jiingern, Mildesheine,
1 76
L'ambiente intellettuale
chie angeliche. Conosce però una teoria delle gerarchie, ma che non corrisponde ai sette cieli. Scrive negli Stro mata: « Ad un principio unico operante dall'Alto sono sospesi i primi, i secondi e i terzi. All'altra estremità si trovano gli angeli felici » (VII, 2, 9 ). Vi è dunque qui una gerarchia formata soltanto di quattro gradi. Dopo tutto Clemente considera i sette cieli come un insieme che corrisponde al mondo del cambiamento, in opposi zione all'ogdoade del riposo. Questa prospettiva non è quella degli autori giudeo-cristiani, per i quali i sette cieli costituiscono il regno celeste. Sembra dunque che ci tro viamo in presenza di una concezione diversa, di origine direttamente ellenistica e influenzata particolarmente da Filone. I sette cieli non sono il mistero del mondo celeste rivelato ai veggenti, ma semplicemente le sfere planetarie del cosmo. La concezione dei sette cieli s'incontra pure nella let teratura gnostica e costituisce uno degli elementi essen ziali del sistema. Scrive Ireneo nel suo cenno su Tolomeo: « Essi pensano che vi siano sette cieli, al di sopra dei quali dicono che c'è il Demiurgo. Per questo lo chiamano Ebdo made e sua madre Achamoth Ogdoade . Essi sostengono che i sette cieli sono degli angeli e che lo stesso Demiurgo è un angelo » (Adv. Haer. , I , 5 , 2 ). Vediamo la medesima opposizione presente in Clemente tra i sette cieli e l'ogdoa de, esattamente nei termini della Lettera degli Apostoli: « Il riposo degli spirituali ha luogo nel giorno del Signore ( xup�aJt{j), nell'Ogdoade detta Giorno del Signore. Le altre anime fedeli sono presso il Demiurgo ( = nell'Ebdo made) » 10• Qui la struttura è tratta dal giudeo-cristiane simo : in eff·etti essa comporta una gerarchia di angeli che manca in Clemente. Ma tale struttura è interpretata nella prospettiva gnostica: i sette cieli sono le sfere planetarie dei cosmocrati malvagi, a cui si oppone l'ogdoade, non le dimore degli angeli. D'altra parte la struttura dei cieli valentiniani qui non to
Clemente Aless., Excerpt. et Theol., LIII, l .
L'apocalittica giudeo-cristiana
1 77
è completa. Un altro passo ce la dà completamente : « Essi elencano pure le dieci Virtu : sette corpi sferici che chia� mano cieli, poi un cerchio che li contiene ( che chiamano ottavo cielo), infine il sole e la luna. Poiché il numero di tali cose è dieci, essi affermano che sono l'immagine della Decade invisibile » (Adv. Haer. , I , 1 7 , 1 ). Il testo pre senta una difficoltà, perché il sole e la luna sono contati due volte 11 • Ciononostante sembra che vi sia la possibilità di conservare la concezione dei dieci cieli, interpretandola diversamente. Orbe propone ragionevolmente di vedervi l 'eco della concezione stoica che distingue il cielo dell'aria, i sette cieli planetari, il cielo delle stelle fisse, il cielo del l 'etere. Questo schema che forma dieci cieli in realtà è quello che sembra supporre la concezione che comprende l 'aria inferiore, l'ebdomade, l 'ogdoade e il Pleroma 12• La concezione gnostica comprende dati tratti da siste mi diversi. Ma è facile scoprirvi un primo fondo giudeo cristiano. Effettivamente la concezione degli angeli mal vagi dei sette pianeti sembra proprio una deformazione della dottrina giudeo-cristiana degli angeli dei sette cieli. Abbiamo visto Ireneo affermare che per i Valentiniani i cieli erano assimilati a degli angeli. Questo lo dice anche Tertulliano (Adv. Valent. , 20 ), ma Clemente Alessandrino attribuisce tale opinione ad una tradizione giudeo-cristiana (Eclog. , III, 1 ). È quindi la persistente concezione dei sette cieli e dei loro angeli che viene utilizzata dagli Gno stici in una diversa sistemazione. Del resto Ireneo scrive: « Essi [ i Valentiniani ] dicono che il Paradiso - virtu esistente ,al di sopra del terzo cielo - è il quarto 'arcan gelo dal quale Adamo ha ricevuto qualcosa quando vi si trovava » (Adv. haer. , l, 5, 2 ). Qui abbiamo una chiara eco della tradizione giudeo-cristiana del Paradiso situato in uno dei cieli. Gli Gnostici lo pongono al quarto, senza 11
Uno sdoppiamento analogo è presente in un affresco della Sina
�o�a Ji Dura-Europos. Cfr. C. H. Kraeling, The Excavations of Doura l:'uropns. Final Report, New Haven, 1956, VIII, l, p. 235. 12 A. Orbe, Las primeros herejes ante la persecuci6n, cit., pp. 1 10l l ol . l due cieli si trovano nell'Apocalisse di Paolo (XXIV, 7 ) che non � anostica.
1 78
L'ambiente intellettuale
dubbio perché si tratta del cielo centrale, quello del sole secondo l'ordine caldeo 13 • Siamo cosi portati a riconoscere parecchie strutture del cosmo celeste : l 'una, del giudeo-cristianesimo palestinese, comprende l'aria e i sette cieli; una seconda, del giudeo cristianesimo asiatico, comprende l'aria, i sette cieli e l 'ogdoade; gli Gnostici ne presentano una terza, influen zata dallo stoicismo, che aggiunge un cielo igneo. Però il contenuto di questi cieli presenta delle varianti : dimore angeliche, ambito del mutamento. Molti di questi elementi non sono giudeo-cristiani e provengono dall'ellenismo o dallo gnosticismo, ma sembra proprio che si inseriscano tutti in una matrice giudeo-cristiana. Infatti è nel giudeo crisdanesimo che compare la concezione dei sette cieli, dimore delle gerarchie angeliche. Occorre aggiungere che abbiamo insistito su questa struttura del cosmo celeste perché nella dogmatica giudeo cristiana essa svolge un ruolo importante: i dogmi essen ziali saranno infatti formulati in termini cosmologici. L'In carnazione apparirà una discesa del Verbo attraverso le sfere angeliche; la Passione sarà considerata la lotta di Cristo con gli angeli dell'aria, cui seguirà la discesa agli inferi . La Resurrezione sarà un'esaltazione dell'umanità del Cristo al di sopra di tutte le sfere angeliche ; l'anima, dopo la morte, dovrà superare le diverse sfere e incon trerà sul suo cammino i loro guardiani, ai quali dovrà ren dere conto di varie cose . Tutte queste concezioni sono basate su una visione delle sfere celesti che costituisce uno degli elementi strutturali del giudeo-cristianesimo. Ho citato la discesa agli inferi. Accanto alle dimore celesti il cosmo sacrale contiene anche i luoghi infernali. A questo proposito il testo piu preciso è quello dell'Ascen sion e d'Isaia in cui si parla soprattutto dello scheol, di mora delle anime dei morti sorvegliate dall'angelo della morte. Quest'angelo non è un malvagio perché Cvisto scen dendo prende la sua forma ( X, 8-10). Si osservi che II 13 A.
106.
Orbe, Las primeros here;es ante la persecuci6n, cit., pp. 105-
L'apocalittica giudeo-cristiana
1 79
Henoch poneva lo scheol al primo cielo. La concezione
della Ascensione invece è la piu comune: lo scheol con tiene dimore felici per le anime dei giusti e dimore infe lici per quelle dei peccatori. Si tratta di abitazioni prov visorie in cui gli uni e gli altri attendono la resurrezione, come, dopotutto, è la dimora dei Vigilanti decaduti nel firmamento o al secondo cielo. Dopo la resurrezione vi sono infatti dimore definitive. Sotto lo scheol si trova il grande abisso, luogo di perdi zione nel quale saranno gettati gli angeli malvagi e i dan nati dopo il Giudizio : è l'equivalente del nostro inferno (Asc. Is. , X, 8 ; II Hen . , V, 2- 1 6 ). Si noti che la distin zione tra scheol e abisso è presente nella successiva tradi zione siriaca, in Efrem e in !sacco d'Antiochia 14 • Cristo non scende nella geenna (Asc. Is. , X, 8), mentre i giusti verranno introdotti nel luogo definitivo della beatitudine. Questo è designato talvolta come cielo (Asc. Is. , IX, 9 : è il settimo cielo), talvolta come Paradiso, talvolta come città. Ireneo ci ha conservato una tradizione giudeo-cri stiana che distingue queste diverse dimore : « I presbiteri sostengono che, allora, coloro che ne sono degni 'andranno nei cieli, mentre altri godranno le delizie del Paradiso e altri ancora possederanno lo splendore della città » (Adv. haer. , V, 36, 1 ). Tuttavia questa attesa dei giusti prima d'entrare nella beatitudine ha un'eccezione : per alcuni tale ingresso è in fatti anticipato. Questa dottrina sembra propriamente giu deo-cristiana. Nell'Ascensione d'Isaia il visionario vede già al settimo cielo « Sant'Abele ed Henoch » ( IX, 8-9 ; cfr. pure IX, 28, dove l'autore aggiunge Adamo): essi hanno i loro vestiti di gloria ( IX, 9 ), cioè sono risuscitati. D'al tra parte la resurrezione è la condizione per entrare in questo luogo. II Henoch descrive l'ascensione di Henoch come un'entrata definitiva nel sesto cielo, luogo della defi nitiva beatitudine ( XVIII, 12-13 ), mentre I Henoch non conosce che una ascensione provvisoria. Ireneo attribuisce 14 P. Kriiger, Gehenna und Scheol in dem Schriftum unter dem NtJmcn des Isaak von Antiochien, in « OS », Il ( 1953), pp. 270-279.
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· L'ambiente intellettuale
questa dottrina ai presbiteri : « Unà volta Henoch, essen do piaciuto a Dio, fu innalzato col suo corpo » (Ad v. haer. ; V, 5, l ). Dove è stato innalzato? « I presbiteri, discepoli degli Apostoli, dicono che si trova in Paradiso: là egli dimora sino alla consumazione, inaugurando l'incorrutti bilità » (v' 5 l ) 15 • ' Questa condizione riguarda soltanto alcuni santi del l'Antico Testamento. Ne parla un altro testo giudeo-cri stiano, le Recognitiones clementine, in cui leggiamo: « Cer tuni, sull'esempio di Henoch, sono stati trasferiti al Para diso in attesa del regno perché sono piaciuti a Dio. Quanto a coloro che non hanno compiuto pienamente la giustizia, i loro corpi sono dissolti, ma le loro anime sono custo dite nelle regioni felici, cosicché alla resurrezione, puri ficate dalla dissoluzione dei loro corpi, ottengano la ricom pensa » ( 1 , 52). Qui è chiarissima la distinzione tra la condizione eccezionale di coloro che sono già risuscitati e la condizione comune delle anime dei giusti che atten dono nello scheol - ma in un luogo di felicità - il tempo della resurrezione.
Gli angeli L'apocalittica giudeo-cristiana ci ha fatto conoscere le dimensioni del cosmo in tutta la sua estensione; ugual mente essa ha per oggetto la descrizione di tutti gli esseri che lo popolano. Questa conoscenza riguarda in partico lare il mondo degli angeli. L'angelologia è una delle com ponenti caratteristiche della teologia giudeo-cristiana. Ne vedremo l'importanza per la teologia trinitaria. L'angelo logia comunque ha lasciato un'impronta anche su tutti gli altri dogmi. Questa importanza conferita all'angelologia viene dall',apocalittica giudaica. È noto il posto che essa occupa in I Henoch. Secondo Giuseppe Flavio la cono scenza dei nomi degli angeli è una delle caratteristiche 15 Cfr. ]. Daniélou, Les saints paiens de l'A.T., Paris, 1956, pp. 69-7 1 .
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della gnosi essena e rimane un aspetto della gnosi giudeo cristiana. Da questa tradizione numerose dottrine passe ranno nella tradizione cristiana. Qui non ne sottolineiamo tutti gli aspetti : molti provengono dal giudaesimo 16 ; al cuni saranno trattati a parte. Basterà offrire un'idea gene rale della creazione degli angeli nel giudeo-cristianesimo, sottolineandone gli aspetti che le sono peculiari. Gli angeli costituiscono la prima creazione , anteriore a quella delle altre creature, allorquando Dio ordinò il cosmo e in particolare i cieli : « Dalle pietre ho fatto sprizzare un gran fuoco e col fuoco ho fatto tutta la mi lizia incorporea e tutta la schiera delle stelle, i Cherubini, i Serafini e gli OJianim » ( II Hen., XVI, 2-4 ). Si noti che gli angeli non sono immateriali, ma che la loro sostanza è il fuoco 17• Essi sono i 7tpW'tO� X't�O"OEV"t"Eç, « i primi creati » , secondo l'espressione di Erma ( Vis. III, 4, l ; Sim. V, 5, 3 ) ripresa da Clemente Alessandrino ( Eclog. , 56-57). Uno degli oggetti delle speculazioni sulla Genesi che, come abbiamo detto, è uno dei temi della gnosi giu deo-cristiana, consiste nel ritrovare delle allusioni celate alla loro creazione. Nell'espressione: Dio creò il cielo e la terra, per cieli si intendono gli angeli. Altri li identificano con le « acque superiori » 18 , ma in ogni caso essi sono creati prima degli altri esseri viventi. Per quanto riguarda la loro apparenza, accanto alla natura ignea, un aspetto tipico dell'angelologia giudeo cristiana è la loro statura gigantesca. Il particolare, estra neo all'apocalittica antica, si trova in parecchi testi. II H enoch ci mostra « due uomini altissimi come mai se n'erano visti sulla terra » ( Il , 1 ). Nel Vangelo di Pietro la testa dei due angeli che portano il Cristo risuscitato « giunge sino al cielo » ( 40 ). Nel Testamento di Ruben 16 Paolo nelle Lettere dalla cattività e Giovanni nell'Apocalisse hanno già incorporato gran parte dell'angelologia giudaica del Nuovo Tl·stamento. 17 Cfr. H. B. Kuhn, The Angelology of the Non-Canonica! Jewish ltpocalìpses, cit., pp. 21 1-219. la Cl e mente Aless., Eclog. , l, 2 e III, l .
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1 82
gli angeli sono alti come il cielo (V, 7 ). Gli Egregori di II Henoch sono grandi « piu dei grandi giganti » ( IX, 3 ) Negli Atti di Giovanni la testa degli angeli tocca il cielo .
(90). Gli Elcesaiti parlano di due angeli
« alti 96 mi Il particolare è verifìcabile anche nell'ermetismo ( Poimandres, I, l ). Festugière pensa ad un'origine greca 20, ma ciò si trova già negli scritti di Qumran (CDC, II, 1 9 ) e rimarrà nella letteratura popolare e nelle immagini arti stiche. Gli angeli comprendono molteplici categorie. Gli or dini piu elevati costituiscono la corte celeste, mentre gli spiriti inferiori amministrano le realtà terrestri. Uno degli aspetti dell'apocalittica giudeo-cristiana consiste nel l'abbozzare una gerarchia in relazione con la dottrina dei sette cieli. Al vertice - al settimo cielo secondo l'Ascen sione d'Isaia, al sesto secondo II Henoch che riserva il settimo alla Grande Gloria - ci sono beninteso i sette Arcangeli. II Henoch cita sette Cherubini, sette Serafìni e sette Fenici. Per gli altri ordini le disposizioni sono di verse : II Henoch pone gli Egregori al quinto cielo, quello che precede immed,iatamente il cielo degli Arcangeli. Il Testamento di Levi ci mostra nel quinto cielo gli « an geli della faccia », nel sesto « i Principati e i Troni » . In ogni caso viene tracciata una frontiera precisa tra i cieli superiori - il settimo, il sesto e talvolta il quinto, che sono quelli degli angeli che attorniano il santuario di Dio - e i cieli inferiori , riservati agli angeli che svolgono funzioni terrestri. Ciò è particolarmente evidente nella Ascensione d'Isaia e nella Lettera degli Apostoli, dove Cristo non cambia forma che a partire dal quinto cielo. I cieli superiori sono perciò il san tuario nel quale gli angeli compiono la liturgia celeste 21 • Cosi II Henoch ci mostra nel settimo cielo « le delizie, suddivise per gradi, farsi avanti, inchinarsi davanti al Signore e poi ritirarsi e tornare al loro posto nella gioia e nell'allegrezza » (Xl,
glia
»
19•
19 Ippolito, Elench., IX, 13.
20
Révelations d'Hermès Trismégiste, Paris, 1 944, I, p. 8. W elt, ci t., pp. 123-137.
21 Cfr. H. Bietenhard, Die himmlische
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6-8 ). Analogamente « i Gloriosi lo servono non scostan dosi di notte, né ritirandosi di giorno, ma tenendosi da vanti al volto del Signore » ( Xl , 9-1 0 ). Infine « tutta la milizia dei Cherubini intorno al suo trono, che canta di fronte al Signore » ( Xl , 1 1- 1 2 ). Un'ideologia che si col loca in continuazione con l'apocalittica giudaica. Una com ponente cristiana compare nell'Ascensione d'Isaia con la adorazione delle Tre Persone: « E cosi mi trasportò nel sesto cielo . Colà ( . . . ) tutti avevano aspetto uguale e la loro lode era pari ( . . . ). Colà tutti invocavano all'unisono il primo Padre, il suo Diletto, Cristo, e lo Spirito Santo » 22 ( VIII, 1 6- 1 8 ). Ma c'è di piu. L'Apocalisse di Giovanni ci mostra l'immolazione dell'Agnello come centro della liturgia cele ste. Ora, de Jonge ha giustamente attirato l 'attenzione su un passo del Testamento di Levi nel quale s 'incontra una idea analoga, ma espressa in una chiave del tutto diversa, il che attesta uno sviluppo indipendente : « Nel quinto cielo stanno gli angeli del volto del Signore; essi compiono la liturgia ( ).E�1:oupyouv-t'Ec;) ed intercedono presso il Si gnore per i giusti che ignorano. Essi offrono ( 7tpoO"q>Ep6!J.E\Io� ) al Signore il profumo dal buon odore ( ÒO"!J.TJ\1 Evwol.txc; ), l'ablazione ragionevole (Àoy�xi)v 11:poo-cpopav) e non cruenta ( avtxl.X!J.tx1:0\I) » ( II I , 5-6 ). Di primo acchito si potrebbe pensare che si tratti del culto spirituale oppo sto alle vittime cruente, cosi come lo troviamo, in parti colare negli Esseni, con « la lode delle labbra ». Questa polemica contro i sacrifici è presente anche in II Henoch ( XXIV, 6-8 ) : infatti è possibile che il nostro passo s'ispiri alla spiritualizzazione essena del culto. Ma d'altra parte il carattere giudeo-cristiano del bl'ano è incontestabile. La Lettera di Barnaba, in polemica con tro i sacrifici cruenti, dopo aver citato il Salmo 50, 1 9 , ag giunge un'altra citazione : « Profumo soave ( ÒO"!J.TJ EÙwol.txc; ) per il Signore è il cuore che glorifica colui che l'ha pla22 I n Gli Apocrifi del Nuovo Testamento, a cura di M. Erbetta, III : Lettere c Apocalissi, cit.
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smato » ( Il , 1 0 ). La citazione non è biblica: forse viene da un apocrifo. Abbiamo visto che essa è piuttosto uno di quei targumim che incontriamo frequentemente nel giu deo-cristianesimo. In ogni modo Ef. 5 , 2 attesta l'esistenza dell'espressione òcr�-tiJ Èuwoi.txc; per designare il sacrificio della Nuova Alleanza in opposizione ai sacrifici giudaici. L'eapressione À.oyLxi) 1tpocrcpopa richiama evidentemente la Àoyt.Xi! 8uo-ta. di Rom. 1 2 , l . Ma il termine 1tpocrcpopa ha una risonanza maggiormente liturgica 23• Infine la parola cl'Va.��o�, che designa il sacrificio, deriva dal linguaggio tecnico cristiano 24• È dunque possibile che ci troviamo in una liDet essena . Ma l'autore cristiano dei Testamenti vuoi dimottrare che il vero sacrificio spirituale, che sostituisce i IICrifid cruenti , è la 1tpocrcpopa, l'offerta liturgica del sa crificio di Cristo. Sembra quindi che nel giudeo-cristiane simo airiaco si trovi l'equivalente del tema asiatico del l 'agnello immolato. Se sJ:i qeli superiori sono adibiti, alla liturgia celeste, gli anaeu inferiori sono incaricati dell amministrazione del cosmo e dell'umanitl. Qui, ancora una volta, l'angelologia giudeo-cristiana dipende notevolmente dall'angelologia giu daica. Gli angeli sono preposti ai diversi elementi e alla vita della natura. Essi preaiedono ai movimenti degli astri (Asc. Is. , IV, 1 8 ; Il Htnoch, X, 8 ); custodiscono i ser batoi della pioggia, della neve e della grandine ( T est. Levi, III, 2 ; II Henoch, III, 1 1 , 1 3 ); vegliano sui fiumi e sui mari; proteggono le messi e i frutti ( Or. sib., VII, 34; II Henoch, X, 13, 14) 25, Questi aspetti non sono speci ficamente cristiani ; ma � interessante notare che allor quando Celso accuserà i cristiani di mancare di pietà per i otxi.�-tovEc; che presiedono alla vita della natura e distri buiscono agli uomini i loro favori , Origene sarà felice di ritorcergli che anche i cristiani credono a questi protettori 23 È associato a 60'1-J.TJ EÙw5(a� in E/ ,,2. Lo si trova pure in Barn., II, 6. 24 R. de Jonge, The Testaments o/ lhe XII Patriarchs, cit., pp. 48-49. 25 In Erma si trova l'angelo Tegri incaricato per gli animali (Vis. IV, 2, 4).
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misteriosi, ma non li venerano come divinità� E in ciò egli sarà l'erede dei giudeo-cristiani. Gli angeli non presiedono soltanto ai fenomeni della natura, ma anche alle collettività umane. Il giudeo-cristia nesimo ha ereditato dall',apocalittica giudaica la dottrina degli angeli delle nazioni ( II Hen . , X, 1 4 ; Or. sib. , VII, 35 ) u. La troviamo in Ireneo (Adv. haer. , III, 1 2 , 9) e in Clemente Alessandrino (Strom. , VI , 1 7 , 159): « Le presideMe degli angeli sono ripartite secondo le città e le nazioni », indubbiamente tramite il giudeo-cristianesi mo. La dottrina è particolarmente sviluppata negli scritti pseudo-clementini . Le Recognitiones ( II , 4 2 ) conoscono la ripartizione tra gli angeli dei 7 O ( o 72 ) popoli. Sembra che Origene abbia ricevuto tale concezione o, per lo meno, certi suoi sviluppi - da questi scritti 27 • Si legge infatti nelle Hom. Clem. : « Tenendo conto del numero dei figli, che erano 70 quando entrarono in Egitto ( Gen. 46, 27 ), il Padre defini con 70 lingue le frontiere tra le nazioni » ( XVIII, 4 ) . In questo passo è evidente il tentativo di armonizzare la tmduzione dei Settanta di Deut. 32, 8 : « Quando l'Altissimo consegnò alle genti la loro eredità, fissò i confini dei popoli secondo il numero degli angeli di Dio », col testo ebraico tradotto da Sim maco che non parla degli angeli di Dio, bensi dei figli d'Israele. Origene ne riporta la spiegazione: « Potrà allora apparire che questa discesa dei ( settanta) Padri ( d'Israele) in Egitto, cioè in questo mondo, sia stata permessa dalla provvidenza divina per l 'illuminazione degli altri e per l'educazione del genere umano » (De princ. , IV, 3 , 1 2 ) 28• Rimane il fatto che tutto ciò è un'eredità dell'haggada giudaica. C'è una traccia di cristianizzazione? Si osservi 26
H. Bietenhard, Die himmlische Welt, cit., pp. 108-116.
27 Cfr. J. Daniélou, Les sources ;uives de la doctrine des anges des
11ations chez Origène, cit., pp. 132-137 ; R. Cadiou,' Origène et !es écrits pseudo-clémentins, in « RSR », XX ( 1930), pp. 506:515. 28 In Origene, I Principi, a cura di M. Simonetti, Torino, 1968. D'altra parte il problema non poteva porsi che a· proposito dei Giudei ellenizzati. L'origine quindi non sarebbe in questo caso l'apocalittica giudaica palestinese.
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che le Hom. Clem. nel passo di cui abbiamo citato l'inizio proseguono: « A suo Figlio, chiamato Signore, Dio asse gnò, quale sua parte, gli Ebrei, dichiarando che egli sa rebbe stato il dio degli dèi, cioè delle divinità che avevano ricevuto, quale loro parte, le altre nazioni. Questi dèi por tarono delle leggi, ma il Figlio diede la Legge che vige presso gli Ebrei » ( XVIII, 4 ) . Ora, nei testi giudaici, se Dio è la parte di Israele, a Michele è affidata la prote zione degli Ebrei. È lui che insegna loro la lingua e che dona loro la Legge sul Sinai 29• D'altra parte se ci sono 70 popoli e 70 angeli e ogni angelo corrisponde a un po polo, sarebbe normale che anche Israele avesse un angelo. Per questo sembra veramente che qui gli scritti clemen tini identifichino Michele col Figlio di Dio 30 : è Lui i] capo dei 69 angeli, come, secondo Erma, è il capo dei sei Arcangeli. Tuttavia conviene aggiungere che per gli scritti clementini, come vedremo, la dottrina non ha un senso ortodosso, perché Cristo non è veramente Figlio di Dio 3 1 • Oltre gli angeli incaricati delle collettività vi sono gli angeli ai quali vengono affidati gli individui. La dottrina ha dei precedenti nell'Antico Testamento ( Tob. 3, 2 5 ) , nel giudaesimo ( Giub. , XXXV, 1 7 ) e nel Nuovo Testa mento ( Mt. 1 8, 1 0 ) . Ha pure degli antecedenti nel paga nesimo, particolarmente nel medio-platonismo di Plutar co 32 • È comunque vero che il giudeo-cristianesimo le ha conferito un'importanza particolare : la troviamo nei Te stamenti ( Test. Gius. , VI , 6-7 ). Compare pure in Erma dove l'angelo che gli appare gli dice : « Io sono il Pastore al quale sei stato affidato » ( Vis. V, 3 ) . Nella Lettera di Barnaba ( XVIII, l ) e in Erma (Prec. VI, 2 , 2-5 ) la dot trina dell'angelo custode si combina con quella del demo29 Giuseppe Flavio, Ant. ]ud., XV, 5, 3; Gal. 3, 19.
30 Si osservi che Basilide insegna che il principe degli angeli ( Mi chele) è stato preposto al popolo giudaico ed è lui che i Giudei pren dono per Dio (lreneo, Adv. haer. , l, 24). 3 1 Sui paralleli ellenistici dr. G. Andresen, Logos und Nomos, pp. 195-197. 32 G. Soury, La démonologie de Plutarque, Paris, 1942, p. 131. =
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nio custode, il che appare come uno svilupp� della dottrina essena dei due spiriti. Un punto notevole è il fatto che qui abbi ì:l. tezza che la teologia successiva ha tratto tale �o la cer da! giudeo-cristianesimo. Abbiamo due testim� �oncezione ziose. La prima è di Origene. Per la dottrina �ianze pre geli egli si basa sull'autorità del Pastore di E ei due an Lettera di Barna ba ( De Princ. , III, 2 , 4 ). �.lna e della quella di Clemente Alessandrino, il quale n� \j estesa è propheticae scrive : « La Scrittura dice che i b� le Eclogae esposti sono affidati ad un angelo custode che l �bi piccoli fa crescere. Essi saranno come i fedeli di quj � alleva e li cent'anni » ( XLI , l ). Per Scrittura Clemente d� the hanno mente un'opera giudeo-cristiana, forse l'Apoca(�igna certa tra, che egli cita immediatamente dopo . Ciò �.s-se di Pie una prova dell'autorità di cui, per la loro antj costituisce � vano in Clemente le opere giudeo-cristiane. f:l.�ità, gode abbiamo la conferma quando Clemente cita u u oltre ne che dipende dallo stesso contesto, attribuendoli:\.'l. dottrina, lisse di Pietro : « La Provvidenza divina no!)_ all'Apoca solo a coloro che sono nella carne. Pietro, i:\. si estende nella sua Apocalisse dice : I bambini abortiti � � esempio, ad un angelo custode affinché, dopo aver �no affidati � alla gnosi, ottengano un destino miglior(\ teso parte •> (Eclog. , XLVIII, 1 ). Tra le funzioni dell'angelo dell'anima ne \ due che la teolog1a cristiana erediterà dal giuq �dicheremo simo. Da una parte Erma parla frequenteme \l-cristiane gelo della penitenza che viene mandato a lui ��e dell'An gario di convertirsi, sia per affidargli un messa. la per pre dono (Vis. V, 7 ; Prec. XII, 4, 7 ; Sim. IX, 14, �gio di per riprenderà questa idea riferendosi esplicitam � ). Origene � stare (Sel. in Psalm. , XII, 3 7 ; PG, XII, 1 372 tl.te al Fa gelo della penitenza appariva in I Henoch ( )\ �-C ). L'an � è Erma che gli dà un posto importante ed è q , 7-9 ), ma Origene l 'ha eredi tato. Con ogni probabilità il. Erma che mente Alessandrino l 'ha ricevuto da queste fo 67 .
4'7 Cfr. I I. ]. Schoeps, Aus fruhchristlicher Zeit, cit., pp. 38·�2.
17.
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è in seguito ad un castigo, ma a causa del suo gusto innato per le tenebre ( IX). Per questa ragione alla fine anche il Maligno potrà essere salvato ( IX, 9 ). Sul piano personale esso appare come l'equivalente psicologico della tendenza al male, lo yeser ha-ra, che è pure una tendenza innata nell'uomo 48• Non sembra che questa concezione sia pre sente negli scritti giudeo-cristiani ortodossi, ma essa ha potuto influire sul pensiero d'Origene di cui è nota la conoscenza degli scritti clementini. Quali che siano le diverse opinioni sull'origine dei de moni, gli ,autori giudeo-cristiani concordano nel suddivi derli in due categorie, seguendo quindi l'apocalittica giu daica. Da una parte vi sono i demoni superiori. Per coloro che seguono I Henoch sono i Vigilanti decaduti, che ven gono chiamati Potenze ( E/. 6, 1 2 ; Asc. Is. I, 3 ; X, 1 5 ), Dominazioni (E/. 6, 1 2 ; Asc. Is. I, 3 ), Arconti (Asc. Is. , X, 1 2 ; Epist. Ap. 28 ; Ef. 6, 1 2 ); il loro capo è detto Beliar ( Giub. , I, 20; II Cor. 6, 1 5 ; Asc. Is. , IV, 1 4 ), Satan, Sammael, Principe delle tenebre, Principe di questo mondo, o s�a.�oì.oc;, ò '7tOV1Jpoc;. Sovente è confrontato col capo degli angeli buoni, il Principe delle luci esseno o ar cangelo Michele (Apoc. 1 2 , 7 ). Nel giudeo-cristianesimo a questa opposizione giudaica tende a sostituirsi quella tra Cristo e lo Spirito Santo e l'angelo cattivo. E qui, ancora una volta potremmo rilevare un punto di partenza per la cristologizzazione di temi angelici. Satana e gli altri angeli decaduti sono chiusi, come s'è visto in un carcere che, secondo l'Ascensione d'Isaia, si trova nel firmamento e per II Henoch nel secondo cielo. L'idea che la dimora attuale di Satana sia nel cielo infe riore è già la rappresentazione corrente nel Nuovo Testa mento: per questo Cristo lo vede « precipitare dal cielo come folgore » (Le. 10, 1 8 ). Paolo colloca gli spiriti ma ligni Év "t'Oi:ç É1toupa.vCoLç (E/. 6, 1 2 ); Michele, in Apoc. 12, 8-9, fa precipitare Satana sulla terra. H. Bietenhard ha giustamente sottolineato il fatto che Gesti, con la sua azio-
48 Ibidem,
p. 49.
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ne salvifìca, toglie a Satana i suoi poteri e lo caccia dal cielo 49• Ma questa azione è escatologica: soltanto alla Pa rusia Satana sarà gettato nell'Abbadon, il grande abisso. Per questo i testi giudei-cristiani lo presentano sempre nei cieli inferiori. Accanto a Satana e ai suoi angeli ci sono i demoni inferiori, i 'ltVEUJJ4'tlX, I Henoch vi vedeva le anime dei giganti nati dall'unione dei Vigilanti con le figlie delle donne. Questa spiegazione sarà ripresa da Giustino ( II Apol. , V, 2-6 ), da Atenagora (Suppl. , 24); la troviamo an che nelle Omelie Clementine ( VIII, 1 8 ). Qualunque sia la loro origine, questi demoni abitano nell'atmosfera che circonda la terra: Paolo parla di « esseri spirituali della malvagità che abitano gli spazi celesti » ( Ef. 6, 1 2 ). È esat tamente quanto ci mostra l'Ascensione d'Isaia, in cui gli angeli dell'aria sono distinti in modo esplicito da Sammael e dai suoi angeli (X, 30). L'opera aggiunge che « si deru bavano e s'opprimevano reciprocamente » (X, 3 1 ); il che si ritrova in Atenagora, il quale, parlando degli « angeli caduti intorno all'aria e alla terra » dice che « suscitano attacchi disordinati, interni ed esterni » (25; SC, I, 9 ) . Ciò è in relazione con l'agitazione perpetua a cui è sottoposta l 'atmosfera, in contrasto con la serenità del mondo delle stelle. Anche nel mondo ellenistico si trova la dottrina dei demoni dell'aria, ma la caratteristica tipica del giudeo cristianesimo sta nel vedervi delle forze malefiche. Il giudeo-cristianesimo insisterà soprattutto sul ruolo svolto da questi demoni inferiori riguardo la tentazione 50• Individuiamo parecchie dottrine importanti. Ad ogni vizio sarà attribuito un demone particolare; è l'idea del Testa mento di Ruben ( II I , 3-6 ), sviluppata da Erma, per il quale « la maldicenza è un demone turbolento » (P ree. I I , 3 ) e « la collera è uno spirito ( 'ltVEVJ.l.a) cattivissimo » (P"'· V, 2, 8 ). Origene riceverà questa dottrina da Erma ' dal Tlllllll,nli e la incorporerà nella tradizione cri'
1
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cit.,
1 94
L'ambiente intellettuale
stiana 5 1• I demoni sono presentati come istallantisi nei corpi che sono oggetto di un'autentica possessione. Il Van gelo suppone tale dottrina: i sette demonì cacciati dalla peccatrice sembrano proprio i sette demoni dei vizi del Testamento di Ruben ( Le. 8 , 2 ). La Lettera di Barnaba ( XVI, 7), le Omelie Clementine ( IX, 1 0 ) e Valentino (Strom., II, 20, 1 1 4) svilupperanno tale dottrina. Ritor neremo su tutto ciò a proposito della spiritualità giudeo cristiana. Un'ultima osservazione. Che si tratti di Satana e degli Egregori decaduti o dei demoni dell'aria, la dimora degli angeli cattivi si trova nelle zone inferiori del cielo, quelle che sono a contatto diretto con la terra. Ne deriva una conseguenza importante per la rappresentazione giudeo cristiana delle cose : le anime, nella loro ascesa al cielo dopo la morte, devono attraversare le sfere demoniache 52• Il che implicherà anzitutto - secondo un'esatta osserva zione di H. Schlier 53 - che, secondo il giudeo-cristiane simo, Cristo incontrerà i demoni e trionferà su di loro nel corso della sua Ascensione e non durante la sua discesa nello scheol, che ha soltanto lo scopo di ,liberare le anime. Secondo Col. 2 , 14-15, già l'esaltazione di Cristo sulla croce lo pone alle prese con le potenze dell'aria. Si tratta di una concezione, spesso ripresa , propriamente giudeo cristiana e che diventerà di difficile comprensione quando si sarà abituati a fare dell'inferno la dimora di Satana. L'idea è ugualmente importante per l'ascensione di ogni anima, che dovrà sfuggire dalle grinfie dei demoni che tenteranno di trattenerla. Ed essa potrà scampare sol tanto se in essa non v'è nulla che dia loro un pretesto. Questa idea va distinta da quella della traversata delle sfere angeliche da parte dell'anima nell'Ascensione d'Isaia, e che gli Gnostici interpreteranno mediante i cosmocra51 E. Bettencourt, Doctrina ascetica Ori�t.enis, Roma, 1945, pp. 133143. 52 A. Orbe, Los primcros hcrejes ante la persecuci6n, cit., pp. 1 171 18. 53 Christus und die Kirchc i m Epheserbricf, cit., pp. 17-18.
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tori planetari. Le due concezioni possono, d'altra parte, anche giustapporsi . A. Orbe l'ha dimostrato per i Valen tiniani, ma ciò è vero anche per certi autori ortodossi 54• Sarà il caso allora di distinguere i tentativi dei demoni di opporsi all'ascensione dell'anima e le garanzie chieste dagli angeli, custodi deHe porte dei cieli, prima di !asciarvela en trare. Le due concezioni si equilibreranno finalmente nella concezione del processo, del giudizio dell'anima, nel quale i due angeli svolgono ciascuno la sua funzione. Resta il fatto che queste concezioni non trovano una spiegazione se non mediante la teoria giudeo-cristiana della dimora dei demoni nelle sfere inferiori dell'aria che sembra uno degli elementi portanti della Weltanschaaung che stiamo cer cando di descrivere. Ecco alcuni aspetti della visione del cosmo nella teo logia giudeo-cristiana. Certo, tale concezione dipende in gran parte dall'apocalittica giudaica. Tuttavia vi abbiamo trovato numerose altre componenti - i sette cieli, i due angeli, i demoni ddl'aria, gli angeli delle nazioni - che presentano dei paralleli nel mondo ellenistico. Ciò sembra tipico di un'epoca in cui l'apocalittica giudaica subisce l'in fluenza dell'ambiente greco, e in cui i giudeo-cristiani della Siria o dell'Asia Minore sono in con�atto con le religioni orientali. Ma pure in questa coloritura particolare, che le conferisce una fisionomia propria, distinta da quella del l'antica apocalittica, tale strutture rimane fondamental mente giudeo-cristiana e le vestigia che vi troviamo piu tardi si collegheranno proprio a questa fonte. D'altra parte il suo interesse sta soprattutto nel fatto che essa fornisce le sue categorie alla teologia dell'Incarnazione e della redenzione. I
libri celesti
Insieme ai segreti del cosmo, l'elemento pm tmpor tante di ciò che è mostrato al visionario durante il suo
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Lo.r primeros herejes ante la persecuci6n, cit., pp. 1 17-1 18.
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viaggio è costituito dai libri celesti, che contengono i se greti della storia. La dottrina delle « tavolette celesti » o del « libro del destino » , in cui i destini umani sono iscritti in anticipo nel cielo, è un'antica concezione, atte stata particolarmente dalla religione babilonese. Essa è as sociata all'idea di rivelazione. Il profeta è un eletto da Dio, al quale, nel corso di un'ascensione celeste, sono mo strate queste tavolette affinché possa annunciare agli uo mini i disegni di Dio. L'idea è estranea al giudaesimo an tico . Essa compare in Ezech. 2, 9 . Avrà uno sviluppo stra ordinario nell'apocalittica giudaica, di cui esprime l'idea essenziale di una storia interamente costituita in anticipo, di cui basta attendere lo svolgimento 55• È chiaro che una simile concezione, come quella dei sette cieli, è suscettibile di interpretazioni diverse. Può associarsi ad uno stretto predestinazionismo, ed è il senso che sembra presentare in certe apocalissi giudaiche ( se condo la testimonianza di Giuseppe Flavio ), nello gnosti cismo e nel Corano. Può indicare semplicemente il pro getto di Dio nel suo complesso. Ciò appare ugualmente a proposito di una concezione connessa, quella del « libro della vita » , che può designare la lista di coloro che sono iscritti dall'eternità sui registri celesti, o di coloro che lo saranno se se ne renderanno degni. Dopotutto, ciò che a noi interessa qui non è la struttura mitica in se stessa, che il giudeo-cristianesimo ha ereditato dal giudaesimo apoca littico, ma la concezione che essa gli serve ad esprimere. È opportuno distinguere daUa concezione del « libro del destino » e del « libro della vita » una terza conce zione, che sarà ripresa anche nel giudeo-cristianesimo, ma che si riferisce ad un ordine distinto di considerazioni, quella del « libro delle opere » . Si tratta qui del fatto che le azioni degli uomini, buone o cattive, sono scritte su dei ss G. Widengren, The Ascension of the Apostle and the Heavenly Book, Uppsala, 1950; L. Koep, Das himmlische Buch in Antike und Christentum, Bonn, 1952; H. Bietenhard, Die himmlische Welt,- cit., pp. 231-255; R. Eppel, Les tables de la Loi et les tables célestes, in Recherches Théologiques, Paris, 1937, pp. 1-12; J. Daniélou, Bultetin d'histoire des origines chrétiennes, in « RSR », XLII ( 1954), pp. 610-614.
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libri celesti che saranno presentati nel giorno del Giu dizio. Tale concezione sottolinea l'importanza delle azioni umane ed è in relazione con quella del Giudizio. Ha pure degli antecedenti nella religione babilonese e, attraverso il giudaesimo e il giudeo-cristianesimo, passerà nella tradi zione cristiana. Tuttavia non dovremo occuparcene in que sto capitolo. La letteratura giudeo-cristiana riprende la concezione propda dell'apocalittica giudaica del disegno segreto di Dio iscritto sulle tavolette celesti e rivelato ad un profeta al momento di una ascensione . Tale concezione era in particoJare quella di I Henoch ( LXXXI, 1-3 ; CIII, 1 -3 ; CVI, 1 9 ) e si trova in I I Henoch ( che è giudeo-cristiano) : « I l Signore chiamò Vrevil, uno degli arcangeli, che era abile, perché scrivesse tutte le opere del Signore . E il Signore disse a Vrevil : Prendi dei libri dai depositi, porgi una penna a Henoch e dettagli . . . Ed egli mi raccontava tutte le opere del cielo, della terra e del mare » (XIII, 4-1 O). Piu sopra si parlava degli angeli che « regolano tutta la vita e la scrivono davanti al volto del Signore » (X, 1 1- 1 3 ). Il seguito del testo mostra che il contenuto dei libri è l'insieme del disegno di Dio nella natura e nella storia : c'è proprio una scena di « rivelazione » nel senso proprio del termine . Tutto è scritto in anticipo nei libri celesti, e sono essi ad essere mostrati o comunicati, oppure, come qui, dettati. Le apocalissi sono cosi la copia dei libri ce lesti. Ministro di questa rivelazione è un angelo. Si noti peraltro che sono pure angeli che scrivono i libri celesti. Queste diverse concezioni hanno degli antecedenti nella apocalittica giudaica. Le stesse vedute si ritrovano nell 'Ascension e d'Isaia. Quando Isaia è introdotto nel settimo cielo « uno degli angeli che stanno là mi mostrò dei libri. Li apri : non erano scritti come libri di questo mondo. Me li diede, io li lessi ed ecco: vi erano registrate le opere dei figli di Israele e pure gli atti di coloro che non conosci. lo dissi: Davvero nulla è nascosto nel settimo cielo di ciò che ac-
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cade nel mondo! » ( IX, 22-23 ) Il tema viene presentato pure dai Testamenti dei XII Patriarchi. Cosi nel Testa� mento di Aser si legge : « Ho saputo infatti dalle tavole del cielo che voi sarete empi e disobbedienti » ( VII, 5 ); e nel Testamento di Levi: « Ho compiuto a suo tempo la vendetta sui figli di Emmor, secondo quanto è scritto nelle tavolette del cielo » (V, 4 ) 56 • Cosi i xcupot sono fis sati in anticipo sulle tavole celesti. L'idea di determina zione e di rivelazione sono le due componenti della con cezione. La comunicazione di un libro non significa soltanto la conoscenza degli avvenimenti futuri, ma anche la rivela zione di una dottrina nascosta. Ciò appare nel Pastore dove, neHa Prima Visione, Erma scorge una donna an ziana, vestita con abiti sfolgoranti e con « un libro in ma no » ( I, 2, 2 ) che gli propone di leggere il libro (V is. I , 3 , 3 ) . Questo termina con u n racconto della creazione del mondo e di quella della Chiesa ( I , 3, 4 ); il che ricorda il contenuto dei libri che Vrevil legge�a a Henoch. Nella Se conda Visione Erma vede di nuovo la vecchia signora « che stava passeggiando e leggeva un libriccino » ( II , l, 3) e con essa intraprende i l dialogo seguente : « Mi chiese : Tutte queste cose le puoi annunciare agli eletti di Dio? Signora - risposi - tante cose mi è impossibile ricordarle. Dammi il libretto che le possa copiare. Pren dilo - mi disse - poi me Io renderai » (Vis. Il, l , 3 ). Erma prende allora il libro: « Lo presi e, ritiratomi in un angolo del campo, lo copiai tutto intero, lettera per let tera, perché non riuscivo a distinguere le sillabe . Quando ebbi finito la trascrizione di tutte le lettere, il libretto mi fu strappato all'improvviso dalle mani e non vidi da chi » ( II, l , 4 ) . Infine « passati 1 5 giorni, dopo molti digiuni e preghiere, mi fu rivelato il senso di questo scritto » ( II , 2, l ). Esso contiene u n messaggio di penitenza. Rappresentazioni analoghe le incontriamo presso il .
56 Cfr. pure la Preghiera di Giuseppe: > ( IX, 1 2- 1 3 ), il che ricorda l'espressione dell'Apocalisse 3 , 5 : « Di colui che vincerà io non cancellerò il nome dal libro della vita » . Si osservi in questo passo } ',allusione all'antica frase biblica: « cancellare dal libro della vita ». Peraltro è notevole il fatto che in tutti questi passi l'iscrizione sul libro della vita sia considerata come il risultato della fedeltà dell'uo mo. La linea predestinazionistica che caratterizzava la con cezione del « libro della vita » nell'apocalittica giudaica e che persiste in certi passi di Paolo (E f. l , 1 8 ) e di Gio vanni (Apoc. 1 3 , 8 ) sembra qui del tutto accantonata. La si ritroverà nello gnosticismo . 65
Cfr. pure Sini. V, 3, 2.
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Il libro della vita, nel senso che noi stiamo studiando ora, può portare altri nomi : prenderemo in considerazione quello di « libro del memoriale » . Esso compare in Cle mente Romano : « I giusti che sopportarono tutto, fidenti in Dio ebbero gloria e onore ; furono esaltati e furono scritti da Dio nel memoriale ( !J.Vt')!J.ocruvtp ) per tutti i secoli dei secoli » (l Clem. , XLV, 8). Si tratta di un'espressione biblica presente in Malachia: « Jahweh ha udito coloro che lo temono e un libro del ricordo ( !J.Vt')!J.OCTuvou) è stato scritto davanti a lui, contenente coloro che temono Jahweh. Nel giorno che si prepara, dice Jahweh, essi sa ranno per me un bene particolare » ( 3 , 1 6-1 7 ). Si noti che questo passo di Malachia è ci�ato nel Documento di Damasco (XX, 1 9 ) : era dunque in uso negli ambienti es seni. D'altra parte lo ritroviamo nel Testamento giudaico di Levi: « La tua discendenza sarà iscritta per tutti i se coli nel libro del memoriale ( IJ.Vt')!J.OCTuvou ) della vita » 66. Si osserverà che « il libro della vita » e « libro del memo riale » qui vengono accostati. Questi diversi esempi ci hanno dimostrato che la con cezione del « libro del destino » e del « libro della vita » era familiare al giudeo-cristianesimo; tuttavia essi non ave vano niente di originale rispetto alla tradizione delle apo calissi giudaiche. Qui non . ci interessano le rappresenta zioni, ma i dati cristiani che si sono espressi per mezzo di esse : ciò si verifica in particolare a proposito dei temi che stiamo trattando. Nel suo capitolo sul libro celeste H. Bietenhard l'ha giustamente notato; ormai « Gesti stes so è la Rivelazione ; le visioni, le estasi e i sogni sono superflui » 67• Non c'è piti bisogno di ascensione celeste per essere iniziato ai libri del destino : « La rivelazione che porta Gesti scende dal cielo sulla terra » 68• Cosi « sono la sua parola, le sue azioni, le sue sofferenze e la sua persona che costituiscono la rivelazione autorizzata di M• R. H. Charles, Apocrypha and Pseudepigrapha of the Old Testa '"""' Oxford, 1913, I I , p. 252. �>7 Die himmlische Welt, cit., p. 251 oK l bidem, p. 251 . .
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Dio : Dio Padre si rivela nel suo Figlio Gesu Cristo » 69 • Tale è, infatti, il mutamento radicale operato dalla venuta del Cristo. Ma il problema è di sapere se ciò ha avuto dei riflessi sulla concezione del libro celeste, se questo dato è stato utilizzato dal giudeo-cristianesimo per esprimere il carattere proprio della rivelazione cristiana. È curioso il fatto che Bietenhard, dopo aver formulato il principio, non ne abbia dato degli esempi. Vedremo che le espressioni da lui usate sono rigorosamente verifi cate in un gruppo di testi che, a dire il vero, non sono mai stati sinora raffrontati e che costituiscono l'espressione giudeo-cristiana specifica del libro celeste. Bisogna dire che la carenza da noi constatata si spiega se notiamo che tra i testi, di cui parleremo, uno era sinora sconosciuto, un secondo era ritenuto incomprensibile, mentre soltanto il terzo aveva un senso riconosciuto. Il loro accostamento chiarisce un aspetto importante della cristologia giudeo cristiana e forse ci fornisce la chiave di rappresentazioni figurate rimaste sinora oscure. Il primo testo è quello dell'Apocalisse giovannea, in cui si legge : « Poi vidi nella destra di colui che sedeva sul trono un libro scritto di dentro e di fuori, sigillato con sette sigilli. E vidi un angelo potente che gridava : Chi è degno di aprire il libro e di rompere i suoi sigilli? Ma né in cielo, né in terra, nessuno poteva aprire o guardare il libro » ( 5 , 1 - 3 ). Il libro sigillato è qui , evidentemente, colui che contiene il segreto dei destini umani 70: è sigil lato perché la sua conoscenza è interdetta ad ogni sguardo creato. Si trova nella mano destra di Dio, di cui rappre senta i decreti. Ancora una volta il compito di renderlo manifesto è affidato ad un angelo, ma l'angelo attesta che né lui, né alcun'altra creatura ne sono capaci; il che sottolinea la trascendenza assoluta del « mistero » nascosto 69 Ibidem,
p. 250.
Schrenk, ���).tov, in TWNT, I, pp. 615-619 ( trad. it., Grande lessico del Nuovo Testamento, 1 1 , Brescia, 1966, coli. 268-280, N.d.T. ). 70 Cfr. G.
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in Dio e ricorda Ef. 3 , 9-1 1 . I sette sigilli designano forse le sette età del mondo. Allora uno dei vegliardi esclama: « Non piangere: ecco che il leone della tribu di Giuda, il rampollo di Da vid, ha vinto in modo da poter aprire il libro e i suoi sette sigilli » ( Apoc. 5, 5). Vediamo poi comparire « l'Agnello immolato ». « Venne e ricevette il libro dalla mano destra di Colui che era assiso sul trono » ( 5, 6-7 ). Ciò ricorda le scene delle apocalissi in cui il libro è consegnato da un angelo al veggente. Ma qui è Dio stesso a consegnare il libro : si tratta, dunque, di una rivelazione piu alta. Dopo tutto, « quando Egli ebbe ricevuto il libro, i 4 animali e i 24 vegliardi si prosternarono davanti all'Agnello » ( 5, 8 ). Il confronto con le apocalissi giudaiche rivela il carattere inaudito di questa nuova rivelazione, il cui contenuto era nascosto agli angeli stessi : ciò ricorda I Piet. l , 1 2 ; Ebr. l,
1 - 1 4 ; Gal. 3, 20 71 •
Ma un altro aspetto, nuovo rispetto alle apocalissi, consiste nel fatto che l'Agnello non è soltanto colui che rivela i destini ultimi del mondo ma è anche quello che li compie. È l'oggetto stesso della Rivelazione . Apre il libro perché è Lui a costituirne il contenuto. Questa appli cazione alla persona di Cristo della dottrina apocalittica del disegno nascosto di Cristo si trova già in Paolo ( Ef. l , 3-12 ) , ma senza un esplicito riferimento ai libri celesti, sebbene si parli del Padre « il quale ci ha benedetti in Cristo di ogni sorta di benedizioni spirituali nei cieli e ci ha eletti in lui prima della creazione del mondo » ( Ef. l , 3-4 ). La I Lettera di Pietro parla dell'« Agnello irre prensibile e immacolato, predestinato avanti la costitu zione del mondo » ( 1 , 19-20 ) 72• Ma soltanto l'Apocalisse allude al libro celeste. Si noti che nella Lettera agli Efesini l'elezione divina riguarda ad un tempo il Cristo e coloro che egli ha scelto dall'eternità. Questa seconda idea si ritroverà pure 71 Cfr. ]. Daniélou, Les anges et leur mission, cit., pp. 1 1-35. 72 In Le lettere cattoliche, a cura di J. Miche, Brescia, 1968.
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nell'Apocalisse. Essa fa intervenire la nozione del « libro della vita » che sarà identificata con il « libro dell'Agnel lo » . Cosi la nozione del « libro della vita » a sua volta è trasformata: essa viene introdotta nella nuova concezione dell'Agnello come costituente il contenuto del disegno di Dio, il cui oggetto è l'Agnello e coloro che Egli ha scelto in lui. Si legge : « E l'adoreranno [ = la Bestia ] tutti gli abitanti della terra, coloro il cui nome non è stato scritto, ancor prima della creazione del mondo, nel libro della vita dell'Agnello immolato » (Apoc. 1 3 , 8 ). E un altro passo conferma il senso della frase : « Gli abitanti della terra, i cui nomi non sono stati scritti nel libro deUa vita sin dalla fondazione del mondo, stupiranno vedendo la bestia »
( 1 7, 8 ). Nell'Apocalisse il Cristo immolato appare dunque
come colui che rivela e compie il disegno di Dio conte nuto nel « libro » sigillato. Restava un ultimo passo da compiere, quello in cui egli sarebbe stato identificato col libro stesso, dal momento che la sua venuta nel mondo costituisce la rivelazione. Bietenhard ha intravisto che ciò sembra espresso in due testi i quali si basano su delle speculazioni giudeo-cristiane riguardanti il « libro celeste » . I l primo è l' Ode di Salomone XXIII, di cui Rendel Harris diceva che era la piu difficile della raccolta 73 • Ecco le parti che ci interessano : « Il pensiero [ dell'Altissimo ] fu come una lettera, la sua volontà discese dall'Altissimo e fu inviata come una freccia da un arco teso con forza. Molte mani si sono precipitate su questa lettera, per prenderla e leggerla ; ma essa sfuggi alle loro dita ed essi ebbero paura di lei e del sigillo che le stava sopra, perché essi non erano capaci di spezzarlo, perché tale sigillo era piu forte di loro . Allora quelli che l'avevano vista, corsero dietro alla lettera, per sapere dove si trovava e chi l'avrebbe letta e capita » ( Odi Salom. XXIII, 5-9 ). R. Harris h a mostrato una notevole perspicacia acco stando questo testo oscuro all'Apocalisse: « La descrizione
73 The Odes and Psalms of Solomon, cit.,
p. 120.
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è in parte come quella del piccolo libro sigillato nell'Apo calisse che nessuno può aprire ad eccezione dell'Agnello
trionfante » 74 • Ma è un peccato che non abbia sviluppato questa intuizione. Si noti innanzitutto, infatti, a qual punto la descrizione ricorda quella dell'Apocalisse : si tratta di un libro - o di una lettera 75 - che contiene « la volontà » dell'Altissimo e che era nella sua mano. Uomini e angeli cercano di leggerla, ma non ci riescono perché è sigillata. Nessuno osa nemmeno guardarla; tut tavia tutti cercano di afferrarne il contenuto e sono in attesa di sapere in qual modo sarà decifrata. L'analogia, pressappoco, è certa; la differenza essenziale sta nel fatto che nelle Odi il libro è inviato e diventa una lettera. Ma ciò si spiega con precisione: il senso del testo è di mostrarci che la rivelazione è fatta nel mondo e non piu nel corso di una ascensione celeste. Di piu, questa rivelazione è il Verbo stesso, ma che è dapprima scono sciuto: per questa ragione la lettera è sigillata. Batiffol ricorda l'I nno naasseno: « Scenderò portando dei sigilli » 76 , che, come abbiamo visto, è un tema giudeo-cristiano. Quanto all'immagine della lettera, la si ritrova nel Canto della perla, esso pure di origine siriaca ( 40-55). Di piu, in questo testo si legge che il Padre dice al Verbo : « Il tuo nome è citato nel libro di vita » ( 4 7 ). Abbiamo cosi l'equivalenza tra « libro » e « 'lettera » . Oltretutto questa equivalenza viene esplicitamente affermata dagli ultimi versetti che ci danno la chiave di tutta l'Ode : « La lettera era una grande tavoletta scritta interamente dal dito di Dio; essa conteneva il nome del Padre con quello del Figlio e dello Spirito Santo, per regnare nei secoli dei secoli » ( 1 9-20 ) . Abbiamo qui un ultimo elemento prezioso : la tavoletta scritta col dito 74 Ibidem, p. 121. 75 O. Roller mostra che in Apoc.
l , 11, ���),(o\1 designa una lettera (Das Buch mit sieben Siegeln, in « ZNW », XXXVII I [ 1937 ] , p. 99) e E. Lohmeyer ritiene che sia lo stesso in 5,1 con riferimento alla nostra Ode ( Komment. Apok., p. 49). 7 6 Ippolito, Elench., V, 10.
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di Dio si riferisce evidentemente alle tavole date da Mosè sul Sinai. Ora, queste sono identificate con le tavole celesti neHa speculazione giudaica delle apocalissi. La tavoletta quindi è la novella rivelazione del Nuovo Testamento, paragonata a quella del Sinai. Tale rivelazione è quella del Padre 77, il che conferma l'ultimo tratto del suggeri mento di Bietenhard. « La rivelazione autorizzata sono le parole, le azioni, le sofferenze e la persona di Gesu : Dio Padre si rivela nel suo Figlio Gesu Cristo » . Cosi l'enigma dell'Ode XXIII sembra risolversi nella prospettiva di una speculazione giudeo-cristiana sul « libro celeste », identificato col Cristo rivelatore e il cui conte nuto è la Croce. Tuttavia sinora questa concezione rima neva isolata e ciò contribuiva a mantenere una certa esita zione quanto all'interpretazione dell'Ode. Ma queste esita zioni sono oggi dissipate per la scoperta di una analoga speculazione del Vangelo di Verità ritrovato a Nag Ham madi. Abbiamo detto che quest'opera gnostica molto antica (già Ireneo ne fa menzione), forse è da attribuirsi a Valen tino. Come tutti i testi gnostici essa si basa su dei dati della gnosi giudeo-cristiana, tra i quali il « Libro della vita » occupa, con il Nome, un posto eminente. Le aliusioni cominciano alla linea 3 5 di p. 1 9 , in cui si parla della rivelazione della gnosi ai discepoli: « Si è rivelato nel loro cuore il Libro della vita dei vivi 78, che è scritto nel pensiero e nella mente del Padre e che, ancor prima della fondazione del Tutto, era nella parte di Lui che è incomprensibile, e che nessuno aveva possibilità di prendere, poiché era decretato che chi lo avrebbe preso sarebbe stato immolato. Nessuno poteva essere manife stato, di coloro che credevano nella Salvezza, finché quel Libro non avesse fatto la sua apparizione. Per questo motivo il fedele e misericordioso Gesu ebbe compassione 77 Concordo con la tesi di P. Batiffol (Les Odes de Salomon, cit., p. 85) secondo cui la menzione del Figlio e dello Spirito è una dosso logia posteriore. 78 Si noti che l'espressione « libro dei vivi » si trova in Erma (Sim. v, 2, 9 ).
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e accettò le sofferenze, perché sapeva che la sua morte era vita per molti » ( 19 , 35 - 20, 1 4 ) 79 • È impossibile leggere questo passo senza rimanere col piti dal suo parallelismo con l'Apocalisse e l'Ode, e nello stesso tempo, per i suoi tratti specificamente gnostici. Il « libro della vita » è il decreto nascosto in Dio che con tiene il nome dei vivi. Come nell'Apocalisse questi nomi sono stati scritti nel libro ancor prima della creazione del mondo. Il libro è presente nel mondo, come la lettera dell ' Ode, ma nessuno lo può afferrare . Nella prospettiva gnostica ciò significa la rigorosa predestinazione dei viventi : gli spirituali, e , nello stesso tempo, il fatto che essi sono sconosciuti, finché non sono stati manifestati dalla comunicazione della gnosi che è la manifestazione del libro. Cristo se ne impadronisce, ma non può farlo prima di essere stato sacrificato e di aver preso su di sé il carico delle sofferenze. Ciò evidentemente è un'allusione all'agnello invisibile dell'Apocalisse che apre il libro sigillato. W. C. van Unnik, che già aveva posto in evidenza queste somiglianze 80, sottolinea altri accostamenti, parti colarmente con la Lettera agli Ebrei 81• Ma il piu sorpren dente è evidentemente quello con l'Apocalisse, con riferi mento ad Apoc. 1 3 , 8 dove si parla del libro della vita dell'Agnello, nel quale i nomi dei vivi sono scritti ancor prima della creazione del mondo. Ciò è di capitale impor tanza - lo ha mostrato van Unnik - per attestarci l'uso dell'Apocalisse sin dalla metà del secondo secolo. In effetti qui Valentino dipende sicuramente dall'Apocalisse, e tale dipendenza è molto piu letterale che nell'Ode. Qui abbiamo il testo stesso dell'Apocalisse e non una generica
79 Seguo pressappoco la traduzione di H . Ch. Puech ( tvad. it. in I Vangeli Apocrifi, a cura di M. Craveri, cit. Il brano è ivi collocato al pgf. 7, N.d.T.). 80 Het kortgeleden ontdekte Evangelie der Waarheid, in « NR », XVI I ( 1 954), pp. 71-101, riedito in The ]ung Codex, cit., pp. 79-130. 8 1 Ebr. 2, 17 parla di Gesu « misericordioso e fedele », il che è giudeo-cristiano con il riferimento a emet e a hesed.
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speculazione del giudeo-cristianesimo. Comunque il tema è specificamente giudeo-cristiano.
Il seguito del testo non è meno significativo : « Allo stesso modo che, fin quando un testamento non è ancora stato aperto, i beni del padrone defunto rimangono nascosti, cosi rimaneva nascosto il Tutto, finché era invi sibile il Padre del Tutto, essendo un essere unico, esi stente per se stesso, dal quale vengono tutti gli Spazi. Perciò è apparso Gesu e ha preso quel Libro. Egli è stato inchiodato ad un Legno : ha affisso alla croce l'editto del Padre. Oh, quale grande insegnamento! » (Van. Ver. 20, 1 5-25). Ma soprattutto abbiamo un'esegesi capitale di Col. 2, 1 4 : il XE�p6ypcx.q>ov è la prescrizione del Padre, vale a dire il libro stesso. Quest'ordinanza è promulgata sulla croce: è allora che Cristo acquista il diritto di renderla manifesta. Il suo contenuto è la rivelazione del Padre, sino a quel momento segreta. Qui ritroviamo il tema dell'Apocalisse, con il diritto acquisito dall'Agnello sulla croce di dispiegare il libro. Ma soprattutto ritroviamo i temi dell'Ode: in quest'ultima, infatti, il rotolo, lettera o libro, viene ugualmente simbo lizzato sulla croce da una ruota ( XXIII, 1 0 ). Là esso viene aperto, e il suo contenuto è la rivelazione del Padre. Vi sono dunque degli elementi comuni all'Ode e al Van gelo e che sono estranei all'Apocalisse : il legame tra la lettera e la croce, la rivelazione del Padre, il che ci auto rizza perciò a riconoscere una speculazione giudeo-cristiana in senso specifico. D'altra parte l'accostamento suggerito da Batiffol tra Col. 2, 1 4 e l'Ode, e che non era giustifi cato se il XELp6ypcx.q>ov era un decreto di condanna, qui diventa certo e attesta un'imprevista esegesi giudeo-cri stiana di Col. 2, 1 4 . Restano da citare nel Vangelo di Verità alcune allu sioni al « Libro dei viventi » . Anzitutto l'iscrizione nel libro della vita: « Quelli che ricevono l'insegnamento sono i vivi, iscritti nel libro dei vivi. Essi ricevono l'insegna mento per se stessi » ( 2 1 , 3 ) 82• Questa è un'allusione ad 82
Nella trad. it. ci t., al pgf. 9 (N.d.T. ).
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Apoc. 1 3, 8 . Piu oltre leggiamo: « Essa è la conoscenza del libro vivo, che egli alla fine ha rivelato agli Eoni » ( 22 , 35) 83• Cosi viene sottolineato il carattere di rivela zione del libro e, nello stesso tempo, appare la trasposi zione gnostica del tema. Essa si rivela in ciò che segue dove si parla di vocali e consonanti del libro, inesprimibili per coloro che non le conoscono ( 2 3 , 1-5 ). Ciò ricorda Erma Vis. II, l e 2 ma lascia pure il posto alla speculazione sulle lettere, quale si trova in Marco il Mago. Ci appare cosi l'importanza della concezione dei libri celesti. Come l'apocalittica era uno svelamento del cosmo sacro, essa è una rivelazione della storia sacra. Questa è un disegno celato in Dio, un �VC"'tTJpto\1 rivelato al visio nario e la cui conoscenza costituisce la gnosi. Tutte queste rappresentazioni provengono dall'apocalittica giudaica, ma il cristianesimo conferisce loro un contenuto nuovo. Già elaborate in Paolo e Giovanni esse costituiscono, assieme alla cosmologia sacra, le categorie fondamentali della teoria giudeo-cristiana. Abbiamo visto che esse lasciano un'im pronta suHa sua esegesi ; le ritroveremo nella teologia. Questo insieme di rappresentazioni ne costituisce la strut tura generale. -
Ml
-
Ibidem, al pgf. 13 (N.d.T. ).
Parte terza
Le dottrine
Capitolo quinto
Trinità
e
angelologia
Un primo aspetto della teologia arcaica e propriamente giudeo-cristiana è l'utilizzazione di categorie tratte dal voca bolario dell'angelologia per designare il Verbo e lo Spirito. La storia di questa forma della teologia trinitaria è stata scritta da J. Barbel e da G. Kretschmar 1 • « Angelo » è uno dei nomi dati al Cristo sino al quarto secolo; l'uso tende quindi a sparire per l'ambiguità dell'espressione e per l'uti lizzazione che ne avevano fatto gli Ariani. Ma a partire dal secondo secolo l'impiego del termine viene limitato, men tre, al contrario, costituisce la forma ordinaria della teologia trinitaria giudeo-cristiana. A questa consuetudine si possono attribuire parecchie fonti, tra le quali la principale - e la sola che si manterrà perché la meglio fondata - è l'espressione malak ]ahweh, « angelo di Jahweh », con la quale l'Antico Testamento designa frequentemente le manifestazioni di Dio. I cristiani adottarono queste teofanie al Verbo. L'espressione non implicava affatto che non si trattasse di Dio stesso, anzi, per certi passi, come quello del roveto ardente, era evidente il contrario: l'applicazione al Verbo del termine angelo era perfettamente corretta. Ma questa concezione, cara agli Apologisti, non ha nulla di specificamente giudeo-cristiano. Una seconda fonte è data dallo sviluppo dell'angelo logia propriamente detta nel tardo giudaesimo. Come abbiamo visto, gli angeli costituiscono un mondo di inter mediari tra Dio e gli uomini . Molte funzioni attribuite a 1 J. Barbe!, Christos Angelos, Bonn, 1941 ; G. Kretschmar, Studien znr fnihchristlichen Trinitiitstheologie, cit.
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Le dottrine
Dio dal giudaesimo vengono ora concesse anche a loro. Tra di essi emergono figure eminenti, come Gabriele che compare in Tobia, Michele citato in Daniele, Uriel che guida Henoch nella sua ascensione. L'insieme forma il gruppo dei sette Arcangeli tra i quali Michele è il prin cipale e il capo delle milizie celesti. Peraltro gli Esseni avevano, stando a Giuseppe Flavio, delle speculazioni sugli angeli, la piu importante delle quali è, per noi, la dottrina dell'angelo della luce, preposto da Dio a condurre tutta la storia e al quale si oppone il Principe delle tenebre. Ci occuperemo principalmente dell'uso di tali specula zioni da parte della teologia trinitaria giudeo-cristiana. Possiamo notare che già nel giudaesimo possono esservi stati dei contatti tra l'angelologia e la dottrina del Verbo. Sono attestati per Filone che assegna agli angeli il Logos come capo, il quale è « il piu anziano degli angeli, cosi da essere chiamato arcangelo » ( Conf., 1 4 6 ). D 'altra parte il Logos è il malak ]ahweh che si manifesta nelle teofanie: cosi in Filone si sviluppa l'idea di una certa parentela tra il Logos, che è il TCpw-.oc; iiyyEÀ.oc;, e gli angeli, che sono i À.6yoL. Ma speculazioni analoghe possono essere esistite anche nel giudaesimo palestinese 2 • Come interpretare questa teologia angelica? Il punto ha suscitato una viva discussione. M. Werner ha preteso che per i teologi giudeo-cristiani il Cristo fosse un angelo nel senso proprio del termine, cioè una creatura celeste, mandata da Dio nel mondo 3• Questa tesi è stata forte mente avversata da W. Michaelis, che ha dimostrato in modo decisivo che l'applicazione dell'appellativo angelo a Cristo non implicava affatto che egli fosse considerato come una creatura 4• Non solo, ma ha scartato le conside2 G. Dix, (The Seven Archangds and the Seven Spirits, in « JTS », XXVII I [ 1926] , pp. 233-28' ) ha dimostrato come « l'angelo della pre senza >> sia stato identificato con uno dci sette Arcangeli, ora Uriel, ora Michele, senza tuttavia che si perdesse l'idea della sua superiorità sugli altri. 3 Die Entstehung des christlichen Dogmas, Leipzig, 1941, pp. 302-389. 4 Zur Engelchristologie im Urchristentum, Baie, 1942; dr. pure
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razioni di Werner sul Figlio dell'uomo che confondevano la questione mescolando due problemi distinti. Sembra dunque un fatto acquisito che l'impiego del vocabolario dell'angelologia non implica affatto che Cristo sia per natura un angelo. Werner ha avuto il torto di considerare le categorie semitiche, che costituiscono il retroterra dell'espressione, come dei concetti ellenistici. In realtà la parola angelo ha un valore essenzialmente con creto e designa un essere soprannaturale che si manifesta. Tuttavia la natura di questo essere soprannaturale non è determinata dall'espressione, bensf dal contesto. Il ter mine rappresenta la forma semitica della designazione del Verbo e dello Spirito come sostanze spirituali, come « per sone ». Ma questi ultimi termini non verranno introdotti nella teologia che molto piu tardi; angelo è il loro equiva lente arcaico. Resta evidente - lo vedremo - che in realtà l'uso di espressioni tratte dalle speculazioni apocalittiche era, in questo ambito, carico d'ambiguità. Talvolta è impossi bile distinguere se si tratti di persone divine oppure di angeli. D'altra parte è incontestabile che una tendenza subordinazionista è implicata in molti casi da questo vocabolario. Infine, presso certi eterodossi, il Verbo e lo Spirito sono chiaramente assimilati a degli angeli, nel senso proprio del termine. Tutte queste ragioni avrebbero poi determinato il declino assai rapido di questa prima forma della teologia trinitaria. L'angelo glorioso
La designazione del Verbo come « angelo glorioso » ( ltvoo;oç), oppure come « angelo molto venerabile » ( C'q-�.v6-ccx.-coç) costituisce un aspetto caratteristico della teologia d i Erma, il quale compie una netta distinzione tra l'angelo G. Krctschmar, Studien zur fruhchristlichen Trinitatstheologie, dt., pp.
220-223.
Le dottrine
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che lo visita, lo assiste ed è da lui designato con i nomi diversi di « pastore », « angelo della penitenza », e l'essere superiore, che chiama pure col nome di angelo, ma che è del tutto diverso dal precedente, poiché è quello che invia questa e i cui attributi sono del tutto diversi. Poiché questo punto è stato oggetto di numerose discussioni, daremo i testi piu importanti. Nella Quinta Visione il Pastore appare ad Erma e gli dice: « Sono stato mandato dall'angelo santissimo » ( C"EIJ.VO '!(x:ro (Adv. haer., l, 21, 3). 22.
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si è rivestito mediante l'elemento carnale. La parte invi sibile è il Nome, che è Figlio Monogeno » ( 26, l ). Si noti che Gesu qui è ancora il nome del Figlio, in quanto si manifesta fuori del Pleroma. Il seguito porta un elemento importante: « Il gran sacerdote, entrando all'interno del Secondo Velo, lasciò la lamina d'oro vicino all'altare dei profumi: lui stesso entrava in silenzio, avendo il Nome scolpito nel suo cuore» (27, 1 ). Il tema è di Clemente, ma ispirato da Teodoto. Ora, qui il nome è il tetragramma sacro, cioè Jahweh, o Jao. Abbiamo l'identificazione del Nome nel senso dell'Antico Testamento e della Persona del Figlio. La teologia del Nome è qui resa pienamente esplicita, e lo è da Clemente. Non siamo nello gnosticismo, ma in uno sviluppo del giudeo-cristianesimo ortodos,so. « Con ciò - prosegue Clemente - esso indicava l'abbandono del corpo che, simile alla lamina d'oro, è diventato puro e leggero, di questo corpo su cui si è impresso lo splen dore della pietà, grazie al quale il gran sacerdote, rivestito del Nome, è stato conosciuto dagli Angeli e dagli Arcan geli » ( 27, l ). Il Nome qui è la virtu del Logos da cui il sommo sacerdote, cioè l'anima del pneumatico, è avvolta. Il contesto battesimale è sempre sotteso. Viene quindi portato un nuovo elemento : « Supe rando l'insegnamento angelico e il Nome insegnato dalla Scrittura, l'anima perviene alla conoscenza e al possesso delle realtà » ( 2 7 , 5). Abbiamo qui una relazione tra il Nome nella sua materialità e la realtà che esso significa, cioè il Figlio. Sembra in tal modo che H legame sia tra la pronuncia materiale del Nome e la conoscenza del Nome in se stesso. Ciò viene a completare quanto osservammo piu sopra a proposito del contesto cultuale del Nome. La pronuncia del Nome ha un'efficacia nel sacramento; il Nome è ad un tempo conoscenza e potere. Ma questo valore del Nome scritto è semplicemente il riflesso del Nome reale, che è il Figlio stes,so. Come si vede, il Nome si prestava a contrassegnare un complesso di rela zioni assai ricche. Questa dottrina si ritrova altrove in
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Clemente. Si noti in particolare il passo seguente, a pro posito del tetragramma del gran sacerdote: « Il Nome inciso sulla lamina d 'oro è giudicato degno di stare al di sopra di ogni potenza e prindpato (Fil. 2, 9 ). Esso è inciso a causa della sua venuta visibile ed è chiamato Nome di Dio perché è contemplando la bontà del Padre che il Figlio agisce, chiamato Dio Salvatore, immagine del Dio invisibile anteriore ai secoli e che ha impresso il suo segno su tutto ciò che è stato fatto dopo di lui » (Strom. , V, 6, 38; GCS, 352-353 ) . Qui il Nome è palesemente il Figlio, perfetta espressione del Padre, e che è impresso su tutte le cose. Ma torniamo a Teodoto e alla concezione gnostica: « Gli Eoni riconobbero che ciò che essi sono, lo sono per grazia del Padre: Nome Innominabile ( ovoiJ.a à.vov6IJ.a cr-rov ), Forma e Gnosi. Ma l'Eone che voleva sapere ciò che sta al di sopra della conoscenza . . . ha operato un vuoto di conoscenza che è l'ombra del Nome, cioè del Figlio, forma degli Eoni. Cosi il Nome parziale di ciascuno degli Eoni è la perdita del Nome » (Excerpta ex Theod. , 3 1 , 3-4 ). Qui ritroviamo Marco: il Nome è il Figlio, forma del Pie roma. Ma il Nome ( l'A-!l) si sbriciola nella moltitudine delle lettere che sono i diversi eoni. È notevole vedere come Clemente operi lui stesso ciò che è l'oggetto del nostro lavoro e distingua nel suo studio su Teodoto gli elementi della teologia tradizionale - che riprende per conto suo e che costituiscono la dottrina giudeo-cristiana del Nome - e, peraltro, la dottrina specHìcamente gno stica della caduta dal Pleroma e della suddivisione del N ome nella varietà degli eoni 39 •
La Legge e l'Alleanza Il Nome non è la sola espressione d'origine semltlca che il giudeo-cristianesimo abbia applicato al Verbo. Stu39 Nell'Apophasis « il Nome » appare come uno degli eoni ( lppolito,
Elench. , VI, 9, 12, 13).
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dieremo qui un certo numero di termini che sono serv1t1 •Jgualmente a designare il Figlio di Dio. La prima di queste espressioni è v6�oc;, la Legge, che traduce l'ebraico thora. Non si deve d1menticare che la Thora per i Giudei è meno la raccolta stessa delle prescrizioni divine che l'atto con cui Dio prescrive. Il termine è cosi abbastanza vicino alla Parola, dabar. Nel giudaesimo contemporaneo a Cristo la Thora è considerata come una realtà divina, preesistente al mondo 40• Il rotolo che la conteneva ·sarà oggetto nella Sinagoga di un autentico culto: è come il sacramento visi bile della presenza della Parola divina. Per il giudeo la Thora è l'autentica Incarnazione, cosi come lo sarà il Co rano per i Musulmani 41• Occorre aggiungere che l'identità tra il Logos e il Nomos era già stata affermata prima del cristianesimo da Filone. E. Goodenough, che ha dedicato qualche pagina al problema, scrive che « l'identificazione dd Verbo con la Legge è completa » 42 • Cosi nel De ]osepho, 174, si legge : « Colui che cerca non è un uomo, ma Dio, Verbo o Legge divina ( 8Ei:oc; v6�oc;) » . Lo stesso altrove: . « Legge divina e Parola divina » sono identificate come presenza attuale di Dio ( Quest. Gen., IV, 140). Particolarmente interes sante è il De Plant. , 8 , il cui testo accettato porta: « È il Verbo ( Àéyoc;) di Dio eterno che costituisce il sostegno assai forte e solido deLl'Universo ». Questo testo si trova in una citazione di Eusebio (Praep. Ev. , VII, 1 3 ), ma tutti i manoscritti di Filone danno v6�oc; al posto di Àéyoc;. Goodenough - con ragione, a quanto pare - preferisce questa lezione. In ogni modo l'eshazione stessa indica la sinonimia delle due espressioni in un contesto peraltro assai forte. Ed è probabile che Eusebio abbia corretto l'arcaismo v6�oc; con Àéyoc;. Non c'è quindi da stupirsi se v6�oc; serve a designare
40 Giub., III, 10; Test. As., II, 10. Cfr. J. Bonsirven, ]uda'isme palestinien, I, p. 250; Strak-Billerbeck, Il, 353-356. 4 1 E. Goodenough, ]ewish Symbols in Greco-Roman Period, New York, 1954, IV, pp. 99-144. 42 By Light Light, cit., p. 58.
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il Figlio di Dio nella teologia giudeo-cristiana 43 • Ciò, peral tro, non dipende da Filone, ma costituisce uno sviluppo parallelo, a partire dalle speculazioni delle apocalissi sulla Thora. J. Lebreton ha raccolto qualcuno dei passi in cui si trova questa identificazione 44 e la loro origine stessa indica proprio il suo carattere giudeo-cristiano. Un primo passo si trova in Erma. Si tratta della visione di un salice immenso: « Quest'albero grande, che ricopre con la sua ombra pianure, montagne, anzi tutta la terra, è la legge di Dio ( VOIJ.Oc; eEou) data al mondo intero. Essa si idendfìca con il Figlio di Dio che è stato annunziato fino alle terre piu lontane » (Sim. VIII, 3 , 2 ). Il testo non potrebbe es,sere piu esplicito : la Legge è il nome del Figlio di Dio. È chiaro che ci troviamo in presenza di un arcaismo, in cui vé!J.oc; sta al posto di Àéyoc;, che non compare mai nel
Pastore.
Un secondo testo di carattere arcaico presenta la stessa assimilazione: è il Kerygma di Pietro, citato da Clemente Alessandrino, il quale scrive : « Nel Kerygma di Pietro tu t roverai il Signore chiamato Legge e Verbo ( vé!J.oc; xaL Àéyoc;) » (Strom. , I, 29 ; GCS, 1 12, 3 ). E in un altro passo: « Il Signore è chiamato lui stesso Legge e Verbo, secondo Pietro nel Kerygma, e pure secondo il Profeta che scrive: Da Sion uscirà la Legge ( véiJ.oc;) e la Parola di Dio da Gerusalemme ( fs. 2, 3 ) » ( Eclog., 58 ). Il testo di Isaia è interessante : infatti appartiene ai Testimonia pri mitivi . In realtà in Giustino si ritrova il Signore chiamato véiJ.oc; con riferimento allo stesso testo 45 • Cosi in Dia!. , XXIV, l : « Vi è ora un'altra Alleanza; un'altra Legge è uscita da Sion, Gesu Cristo » . Termino qui conforme mente al manoscritto C. Gli altri collegano « Gesti Cri sto » alla frase successiva, ma questa sembra una lectio 43
Ibidem, p. 57. 44 Essa si trova già, ma non esplicitamente, in Paolo. Scrive W.-D. Davies: « Paolo considera Gesti come la Thora di Dio, non soltanto nel senso che le sue parole sarebbero un v6[J.oc; ma in quanto lui stesso nella sua totalità è una rivelazione di Dio e della sua volontà all'uomo » ( Paul and Rabbinic Judazsm, London, 1948, p. 149). 45 Cfr. C. Andresen, Logos und Nomos, cit., pp. 325-329.
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Le dottrine
facilior. Piu oltre Giustino si riferisce allo stesso passo:
« Era annunciato che il Cristo, Figlio di Dio, doveva venire, Legge (v6[l.oç) eterna e nuova Alleanza, per il mondo intero » (Dial. , XLIII, 1 ). Si noti che qui il Cristo è chiamato ad un tempo legge e alleanza ( oLa81pt'rJ ), il che si troverà già in Dial. , XI, 2 : « Il Cristo è stato dato per noi, Legge eterna e definitiva ( ·n:Àw-rai:oç), alleanza indistruttibile dopo la quale non vi sono piu né legge, né precetti, né comandamenti » 46• Questa concezione di Cristo come alleanza si ritrova a piu riprese in Giustino : « La nuova alleanza (xaw1) oLa81}ltll), la cui instaurazione era annunciata da Dio da lungo tempo, era ormai presenza, cioè Cristo stesso » (Dia!. , LI, 3 ) . È interessante osservare che l'espressione è già applicata alla persona di Cristo dalla Lettera di Barnaba, che cita Is. 42, 6 : « Ho fatto di te l'alleanza dei popoli » (XIV, 7 ) . Il testo di Isaia applicando alla persona del servo il ter mine Alleanza, giustificava la sua applicazione al Cristo. A proposito dello stesso testo di Isaia, scrive Giustino : « Che cos'è l'alleanza di Dio? Non è il Cristo? » (Dia!. , CXXII, 5 ; cfr. pure CXVIII, 3 ; CXXII, 3 ) . Si è notato che la concezione di Cristo che introduce un'alleanza nuova e che porta la Legge definitiva era corrente nel Nuovo Testamento 47• Ma l'interesse dei testi che abbiamo citato sta nel fatto che essi presentano un elemento in piu, cioè l'identificazione di Dio con la Legge e l' AUeanza. Ora, ciò può difficilmente spiegarsi senza un'influenza diversa da quella dell'Antico Testamento e che è quella del giudaesimo apocalittico, in cui la Legge diventava una sorta di ipostasi. Questo non vuol dire che i testi di Isaia non stiano alla base delle nostre cita zioni, ma esse sono precisamente una speculazione cri stiana sulla Bibbia a partire da categorie del giudaesimo 46 Cfr. pure XI, 4. Filone vede in OLa6rptTJ un nome del Logos (Somn. , II, 237). 47 C. A. Bugge, Das Gesetz und Christus, in « ZNW », IV ( 1903 ), pp. 89-1 10.
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post-biblico. Orbene, quella è precisamente la definizione stessa della teologia giudeo-cristiana. La designazione di Cristo come Legge continuerà presso gli scrittori del secondo secolo, in dipendenza dal medesimo contesto. Scrive Melitone nella sua Omelia Pasquale : « Quando giudica, è Legge » ( 9 ). Ireneo applica alla generazione del Verbo il Salmo 77, 5-6 : « Ha susci tato una testimonianza ( �ap-rupLov) in Giacobbe ed ha stabilito una legge (v6�oc;) in Israele » (Adv. haer. , III, 1 6, 3; cfr. III, 10, 5 ). Non solo, ma Ireneo rinvia a Is. 2, 3 e mostra nella Legge « il Verbo di Dio annunciato a tutta la terra » (Adv. haer. , IV, 34, 4). Quest'ultimo passo di Ireneo è particolarmente interessante, perché il tema della Legge designante il Verbo accompagna quello dell'aratro, figura della croce secondo Is. 2 , 4 48• Abbiamo là una nuova testimonianza del posto importante occupato da questo capitolo di Isaia nei Testimonia della Chiesa antica. Infine Clemente Alessandrino scriverà negli Stro mata: « Chi governa tutto ed è realmente Legge ( v6�oc;), Destino ( 8Ecr�6c;) e Verbo eterno, costui è in realtà il Figlio unico » (VII, 3 , 1 6 ; dr. pure Protr. , I, 3 ).
Il Principio e il Giorno Altri titoli del Verbo si riallacciano nella teologia giu deo-cristiana alle speculazioni sull'Esamerone. Abbiamo già avuto piu volte l 'occasione di segnalare l'importanza di queste speculazioni per l'epoca di cui ci stiamo occu pand9 : esse costituiscono uno dei luoghi essenziali della teologia del Verbo. Due espressioni int,eressano in questa sede. La prima - che compare nelle Eclogae propheticae di Clemente Alessandrino ( di cui abbiamo detto che con tenevano una tradizione giudeo-cristiana) - è quella che designa il Verbo come apxl). Clemente intende dimostmre 48 Cfr. J. Daniélou, Les symboles cbrétiens primitifs, Paris, 1961,
pp. �5·107.
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che « il Figlio è apx1} » ( IV, l ). Non insisto sulla compli cata argomentazione che egli espone a partire da un testo di Osea. Ciò che a noi interessa è che l'iniz�o delle Eclogae contiene dei frammenti di esegesi dell'Esamerone e che è dunque in questo contesto che certamente occorre inter pretare il testo 49• Peraltro una conferma ci è data da un altro passo di Clemente in cui si legge : « Unico è realmente Dio, che ha stabilito un principio ( apx1}) per tutte le cose, come scrive Pietro, designando il Figlio primogenito e riferendosi evi dentemente a: In principio ( Èv apxfi) Dio creò il cielo e la terra » (Strom. , VI, 7 , 5 8 ; GCS, 4 6 1 ) : Clemente si riferisce qui al Kerygma di Pietro a cui riferiva piu sopra la citazione ( VI, 5, 3 9 ; 45 1 ). 011a, il Kerygma di Pietro è un'opera giudeo-cristiana dell'inizio del secondo secolo, nella quale abbiamo già trovato il titolo v61J..oc; dato al Figlio. Abbiamo d'altronde un altro testo le cui origini giu deo-cristiane sembrano certe e in cui il Verbo è chiamato apx1}. È quello di Teofilo d'Antiochia: « Dio generò il suo Verbo e lo creò mediante la sua Sapienza prima di tutte le cose. Lo si chiama apx1} perché è il Principio e il Maestro di tutto ciò che è stato da lui crea�o » (Ad. Antol. , II, 10 ). Il senso è assai prossimo a Clemente, in cui apx1} evoca l'idea di principato. Ora, Teofìlo si riferisce a Gen. l , l : « Mosé, che viveva molti anni prima di Salomone - o piuttosto il Verbo di Dio che si servi di lui come strumento - dice : In Principio ( Èv apxii) Dio creò il cielo e la terra. Le sue prime parole sono per il Principio e la creazione. . . Affinché il vero Dio sia conosciuto per mezzo delle sue opere, perché si sappia che, nel suo Verbo, Dio ha fatto il cielo e la terra, egli dice : Nel Principio Dio creò il cielo e la terra » ( II, 1 0 , cfr. pure I , 3 ). Qui abbiamo dunque una tradizione anteriore a Clemente, che si riallaccia al giudeo49 Si ricordi che X"tLO'EWc;.
il
Cristo in Apoc. 3, 14 è chiamato lipxi) "tijc;
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cristianesimo siri-aco e nella quale s i incontra gta questa esegesi dell'inizio della Genesi. Essa interferirà con Prov. 8, 22 : « Dio mi ha creato ali 'inizio ( tipx1) ) delle sue vie », a cui si riferisce Giustino (Dial. , LXI, l ; LXII, 4 ). Queste speculazioni saranno riprese a loro volta dagli Gnostici ; ma essi pretendono, mediante questa esegesi, di ritrovare dei dati del loro sis·tema. Cosi Ireneo ci offre un esempio della esegesi di Marco del versetto della Genesi che abbiamo visto prima interpretato da Clemente e da Teofìlo: « Mosè - dicono loro - affrontando il problema della creazione fa vedere subito nel Principio ( &.px1) ) la Madre dell'Universo. All'inizio Dio ha fatto il cielo e la terra. Avendo nominato queste quattro cose: Dio, il Principio, il cielo e la terra, ha visto in esse la tetractys, come essi dicono » (Ad v. haer. , I, 1 8 , l ). Si vede che qui anche l'&.px1) viene considerata come una categoria personale: è un aspetto che lo gnosticismo riprende dall'esegesi giudaica e giudeo-cristiana 50• Questa interpretazione del bereshith come designante un'ipostasi divina è evidentemente di origine giudaica: essa è già in Prov. 8, 22, dove la Sapienza è chiamata tipx1). Il Targum di Gerusalemme riferisce ugualmente bereshith alla hokma, la Sapienza preesistente. Ma v'è qualcosa di piu curioso. Aristone di Pella, nel Dialogo tra Giasone e Papisco dichiara, secondo Girolamo ( Quaest. heb. in Gen., I, l ; PL, XXII I , 937), che in ebraico il primo versetto della Genesi è letto : In filio Deus fecit coelum et terram. Aristone - lo sappiamo da Origene è un giudeo-cristiano. Ireneo da parte sua traduce lo stesso versetto nel modo seguente : « Il figlio all'inizio; poi Dio cJ:IeÒ il cielo e la terra » (Dem. , 43 ). Recentemente J. Smith ha proposto di leggere: « All'inizio Dio creò un Figlio, poi il cielo e la terra » 51 • Scrive Tertulliano per parte sua: « Certi dicono che la Genesi in ebraico cominso Cfr. pure l'esposizione che Ippolito fa della dottrina di Simone (Elench., VI, 13). 51 Hebrew Christian Midrash in Irenaeus, in « BI », XXXVIII ( 1957), pp. 24-34.
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eia cosi: All'inizio Dio si è fatto un figlio » (Adv. Prax. , 5) 52• Infine Ilario : « Bresith verbum hebraicum est.
Id tres significantias habet, id est in principio, in capite et in filio » (Tract. in Psalm. , I I , 2 ). Donde proviene questa traduzione di reshith con « Fi glio » ? È curioso il raffronto del testo di Ilario con l'inter pretazione che C. F. Bumey 53 ha dato di Col. l , 1 5- 1 8 e che è stata ricordata da W . D. Davies 54 • Burney vede nel testo di Paolo una esegesi dei diversi significati di reshith. Essi sono : inizio ( 7tpÒ 7t(i"V"tW"V ), testa ( xecpa.ÀdJ ), primizie ( 7tPW"t6"toxoç). Si osservi che anche il Cristo è chiamato tipx1). Si vede che i tre significati dati da Paolo sono gli stessi che trovammo in Ilario. È impossibile che dietro ad entrambi i passi non vi sia una medesima tradi zione rabbinica. L'equivalenza tra tipx1) e Figlio si spiega immediatamente: qui figlio è l'equivalente di primogenito, che è uno dei significati di reshith. In ogni caso questa interpretazione di tipx1) come designante il Figlio primogenito si trova, in dipendenza dal giudeo-cristianesimo, nel corso di tutta la patristica successiva. Per attenerci al periodo antico notiamo che la si trova in Giustino: « Come principio ( tipx1J ) prima di ogni creatura, Dio generò da se stesso una certa virtu logica ( À.oy�x1} ) che lo Spirito Santo chiama pure la gloria del Signore, o Figlio, oppure Sapienza » (Dia!., LXI , l ; cfr. , pure LXV, 5 ) . E Taziano, analogamente: « Il prin cipio ( tipx1) ) è la potenza del Logos » ( Oratio ad Grae cos, 5 ). Origene riassumerà questa dottrina : « All'inizio Dio fece il cielo e la terra. Qual è l'origine ( tipx1) ) di tutto se non il nostro Salvatore e Signore Gesu Cristo, primogenito fra tutte le creature? Ora, è in questo prin cipio, cioè nel suo Verbo, che Dio fece il cielo e la terra » (Hom. in Gen., I, 1 ). Cfr. pure: « Egli è chiamato prin cipio ( tipx1) ) in quanto Sapienza » (Comm. in ]oh., I, 1 9 ; GCS, 2 3 ). 52 E. Evans, Tertullian's Treatise Adv. Praxean, London, 1948, p. 209. 53 Christ as the APXH, in « JTS », XXVII ( 1926), pp. 175-176. 54 Paul and Rabbinic ]uda"ism, cit.,
pp. 150-153.
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Ad &.pxi) può essere accostato un altro titolo, meno frequente, e che sembra pure dovere la sua origine all'Esa merone: è quello di Giorno ( i)�Épa. ) È dato da Giustino accanto a Figlio e a Sapienza ( Dial. , C, 4) . Clemente Ales sandrino dichiara che « il Cristo è frequentemente chia mato Giorno » (Eclog. proph. , LIII, l ; GCS, 1 5 1 ). Ippo lito scrive che « Giorno, Sole e Anno erano il Cristo » (Ben. Mo'ise; PO, XVII, 1 7 1 ) 55 • Qual è l'origine di questo titolo singolare? Tutti i termini citati nelle liste di Giustino sono tratti dalla Scrittura. Clemente, d'altra parte, dicendo che « il Cristo è spesso chiamato Giorno », vuol dire evidentemente che egli è di frequente designato con questo titolo nella Scrittura. Per questo titolo, come per gli altri, abbiamo dunque come contesto una raccolta di Testimonia in cui il termine « Giorno » si trovava menzionato e che giustificavano tale designazione con que sto vocabolo. Dobbiamo perciò chiederci qual è il contesto scritturistico di tale appellativo. Si pone anzitutto il problema di sapere se l'espres sione compare nel Nuovo Testamento, al che bisogna ri spondere negativamente. Tuttavia essa si trova in un lo ghion attribuito a Cristo da Marcello di Ancira e che è assai singolare. Ecco il testo in cui Eusebio di Cesarea cita il passo di Marcello d'Ancira: « (Marcello) continuando la sua esposizione, sostiene che il Signore abbia detto: Io sono il Giorno ( 'Eyw d�� i) i)�Épa. ), esprimendosi in que sto modo: Quando prima esistevano le tenebre ( crx6'toç) a causa dell'ignoranza degli empi; allorché il giorno è sul punto di comparire - Io sono il Giorno, dice infatti egli cita a giusto titolo la stella del mattino ( Éwcrq>6pov ) ; e altrove dice: Dopo essersi incarnato egli è proclamato Cristo e Gesu, Vita, Via e Giorno (i)�Épa. ) » ( Contra Mar cel!. , I, 2 ; GCS, 1 2 ) 56• .
55 Cfr. pure Origene, Comm. in Job., fr. 137; GCS, 573 ; Cipriano, Orat., 35; Ad Vigil., 5; De Zelo et livore, 10; Ambrogio, Tract. in Luc., VII , 222; Gregorio di Nissa, Trid. ; GNO, 274, 20. 56 Cfr. Die Fragmente Marcells, 32 e 43, in appendice a Contra Marcellum, in GCS, 189-190 e 192.
Le dottrine
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Non c'è alcuna ragione di supporre che Marcello sia l'autore di questo loghion : deve perciò averlo ricevuto da una tradizione antica. Molteplici sono le possibili ipotesi sulla sua origine. Può trattarsi di un loghion indipendente; tuttavia è stata rilevata l'analogia della formula con quella che si incontra nel Vangelo di Giovanni. « Io sono il Giorno » sembra proprio una variante di « Io sono la Luce » 57 • Ma sembra eccessivo vedervi, con W. Bauer, sol tanto un semplice errore di citazione 58• Poiché, come pe raltro sappiamo, « Giorno » era un titolo del Verbo nella comunità primitiva, sarebbe piu verosimile vedervi una formula arcaica imparentata con quelle del Vangelo gio vanneo. Infine, l'allusione contemporaneamente al Giorno e alla Stella del mattino fa pensare a II Piet. l , 1 9 . Mar cello ha potuto vedervi un À6ytov, perché il testo parla di npoqnynxòc; À6yoc;. Rimane il fatto che il contesto a cui si riallaccia il loghion sembra proprio l'Antico Testamento. L'espressione « il Giorno » ivi ha soprattutto un senso tecnico per de signare l'epoca escatologica che è quella della venuta del Signore : questa potrebbe essere una prima origine 59 • È in questo senso che la intende Marcello d'Ancira che vede nel « Giorno » il nome del Verbo nella sua manifestazione terrena ro. Peraltro l'equivalenza tra opcic;) e servizi divini in tempi (xatporc;) ed epoche (wpatc;) fissate ». 36.
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Le istituzioni
sto primo cristianesimo sia in ciò che è sopravvissuto, sia in ciò che è scomparso.
Le usanze della pteghiera Il rituale della Didachè prescrive di « pregare tre volte al giorno » ( VIII, 3 ) , ma non precisa quali siano queste ore di preghiera. Si potrebbe pensare alle tre ore in cui si saliva al Tempio, cioè la terza, la sesta e la nona, se condo quanto propone W. O. E . Oesterley 2• Ma un'altra ipotesi è piu verosimile 3 : leggiamo infatti nel Manuale di disciplina che gli Esseni pregavano tre volte al giorno, « all'inizio della luce, quando essa è a metà del suo corso e quando si ritira nell'abitazione che le è stata assegnata » (X, l ). Non è escluso che i cristiani abbiano conservato quest'usanza giudaica, ciò peraltro, si trova esplicitamente in II Henoch : « Il mattino, a mezzogiorno e alla sera del giorno è buona cosa recarsi nella Casa del Signore per glorificarlo di tutte le cose » ( XXVI, 1-3 ). Il contenuto di questa triplice preghiera quotidiana per la Didachè è l'orazione domenicale. Ma si osservi che essa aggiunge la clausola: « Perché tua è la potenza e la gloria nei secoli » ( VIII, 2 ). Quest'aggiunta è certamente giudeo-cristiana. Un altro aspetto relativo alla preghiera merita che ci si soffermi : è la preghiera ad orientem. Non è citata nella Didachè, ma il suo uso è assai antico e Ba silio la annovera fra le tradizioni apostoliche ( De Spir. Sancto ; SC, 2 3 3 ), il che, l'abbiamo detto, designa le tra dizioni risalenti alla comunità giudeo-cristiana della Pale stina. Di primo acchito la cosa potrebbe stupire: pregare verso l'oriente non è infatti un'usanza giudaica, ed è pure condannato da Ezechiele ( 8 , 1 6 ) come un costume pagano. Ma si dà il caso che sia anche un'usanza essena, che è menzionata da Giuseppe Flavio (Bell. Jud. , II, 6, 5 ). È The ]ewish Background of the Christian Liturgy, cit., p. 125. Cfr. J. Jungmann, Altchristliche Gebetsordnung im Lichte des Regelbuches von En Feshka, in « ZKT », LXXV ( 1953), pp. 315-316.
2 3
La comunità cristiana
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possibile quindi, come già notava F. J. Dolger, che vi sia un'origine essena 4• E. Peterson, tuttavia, ha proposto un'altra interpreta zione 5 : egli pensa che l'usanza cristiana costituisca una replica all'usanza giudaica di pregare rivolti a Gerusa lemme. Ora, questa consuetudine sarebbe apparsa dopo la caduta di Gerusalemme e sarebbe in rapporto con l'attesa giudaica della restaurazione messianica di Gerusalemme. La si trova presso gli Ebioniti, cioè alla fine del primo se colo 6 • Ciò sarebbe, presso questi giudeo-cristiani etero dossi, un'impronta del giudaesimo, come li accusa Ireneo. La consuetudine cristiana di pregare verso l'oriente sa rebbe una replica a questa usanza giudaica e sarebbe ap parsa perciò nella stessa epoca 7 • Questo legame tra la pre ghiera rivolta a oriente e l'attesa della Parusia sembra fondato. Esso fa risalire la preghiera a oriente ad una data notevolmente antica, situandola proprio nel quadro della polemica contro il millenarismo giudaico e giudeo-cristiano che caratterizza la fine del primo secolo, e contro la sua attesa di una restaurazione della Gerusalemme terrestre. Ma ciò non spiega perché i cristiani attendessero il ri torno di Cristo a oriente. Le motivazioni addotte dai Padri : allusione a Zacc. 6, 1 2 o al Sal. 67, 5, sono secon darie. Piu decisive sono le parole di Cristo : « Come il chiarore viene dall'oriente, cosi apparirà il Figlio dell'uo mo » ( Mt. 24, 27 ). Ma queste parole stesse si collegano ad un contesto che è quello giudaico. In tal modo siamo condotti agli Esseni. Tuttavia la frase di Giuseppe Flavio non implica che la preghiera ad orientem abbia avuto presso costoro un significato escatologico. Ma bisogna dif fidare di Giuseppe : egli si rivolge a dei Greci ed eccelle nel trasporre nelle loro immagini le usanze giudaiche. Ora, 4
Sol Salutis, cit., p. 44.
s Die geschichtliche Bedeutung der judischen Gebetsrichtung, in
( III, 8 ). L 'a7tÀO"tT)ç è associata all'innocenza ( àxa.xt:a.) (V, l ). Essa non tiene conto dell'opinione del mondo ( IV, 6) e carat terizza l'atteggiamento dell'uomo che conforma la sua con dotta alla sola Legge di Dio, senza curarsi del giudizio del mondo, e che cerca di piacere a Dio soltanto, senza cer care vantaggi personali. Si osservi che l'a7tÀ6'tT)ç è accostata ad un tempo alla dottrina delle due vie ed ai comandamenti fondamentali 17 Cfr. A. Causse, L'idéal ébionitique dans les Testaments des Patriarches, in ]ub. Al/. Loisy, l, pp. 54 ss.
XII
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L e istituzioni
della retta via, l'amore di Dio e quello del prossimo. Que sto ci ricorda che la catechesi cominciava precisamente con questi due tratti. Ora, nella Lettera di Barnaba vedia mo l'&.7tÀ.6"tTJC, menzionata subito dopo: « Sii semplice ( à.7tÀouc;) di cuore, ma ricco di spirito ( 7tVEU!J.a. ). Non unirti a chi cammina nella strada ( òo6c;) della morte » ( XIX, 2 ). L'à.7tÀ.6"tTJc; ritorna un'altra volta nella Lettera ( XVII , l ). Vi si trova peraltro la condanna della OL4JuxLa., che ne è l'opposto (XIX, 5 ); questa condanna si ritrova testual mente nella Didachè ( IV, 4 ). Ma qui ancora la colorazione essena è piu accentuata in Barnaba. La I Lettera di Clemente oppone l'à.7tÀ6"tTJc; alla OL4Ju xLa. in un passo notevole: « (Dio) elargisce le sue grazie con dolcezza e soavità a chi lo cerca con retta intenzione ( cX7tÀfj OLa.vof.� ). Perciò non siamo doppi ( OL4JUXW!J.EV ) » (XXIII , 1-2 ). Per giustificare quest'affermazione, l'autore cita un testo che presenta come Scrittura : « Guai a coloro che sono incerti ( ol.4JuxoL }, oppressi dal dubbio ( OLcncisov "t'Ec;) e dicono: Queste cose le udimmo già al tempo dei nostri padri ( . . . ) e non si sono ancora avverate » (XXIII, 3) 18• Qui si tratta certamente di un apocrifo giudeo-cri stiano. Esso ricorda II Piet. 3 , 4, la cui colorazione giudeo cristiana è accentuata e che può dipendere dallo stesso apocrifo. Si osservi peraltro che il solo testo del Nuovo Testamento in cui compaia oL4Juxoc; è Giac. l , 8 il cui ca rattere è accentuatamente giudeo-cristiano e che presenta pure à.1t'ì..wc; ( 1 , 5 ). Non ci si stupirà quindi di ritrovare questi tem1 m Erma, che però non mantiene apparentemente dell'à.7tÀ6"tTJc; che l'aspetto riguardante il prossimo. L'à.7tÀ.6"tT)c; ritorna frequentemente presso di lui. È associata all'innocenza ( &.xa.xl.a.) (Vis. l, 2, 4 ). Rientra nelle sette virtu principali, con l'innocenza, la continenza e la santità (crE!J.V6"tTJc;) ( Vis. III, 8, 5). Le è dedicato il Secondo Precetto, che l'associa 1s Cfr. pure I Clem., XI, 2 ( lilljivxoL); II Clem. , II, 2 (à7t)..w ç) per la preghiera dalle rette intenzioni; XIX, 2 (lilljivxoL) in cui la oLl)ivxla è unita all'&.7tLI1't'L!X.
La santità personale
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all'innocenza e alla santità ( l e 4 ). Riguarda principal mente l'elemosina: « Compi opere buone ( . .. ) fanne parte a tutti i bisognosi con semplicità, senza chiederti a chi dare e a chi non dare » . Nella Nona Similitudine, essa è associata allo spirito d'infanzia (vTJmO-tTJc;) ( IX, 24, 3 ). Cosf in Erma la semplicità concerne soprattutto la sincerità di una carità che non cerca che il bene. Essa annuncia Cle mente Alessandrino: « L'innocenza ( &.xa.x(a.) è la dolcezza nei rapporti umani e la rettitudine ( &.7tÀ.6'tTJC,) dell'inten zione » (Paed. l, 5 ; GCS, 98 ). Quanto all'aspetto dell'ti7tÀ.6-tTJC, che riguarda la fedeltà alla Legge di Dio, esso è frequente in Erma, ma sotto for ma negativa, come condanna della OL4Jvxl.a. 19• La OL4Jvxta. esprime la mancanza di fermezza nell'adesione alla volontà di Dio ( Vis. IV, 2, 6 ; cfr. II, 2, 4 ; III, 2, 2 ), la man canza di fede nella parola rivelatrice ( Vis. III, 3, 4; 4, 3 ), l'assenza di resistenza alle smentite e alle contraddizioni ( Vis. III, 7, 1 ), l'impressionabilità di fronte agli attacchi del demonio ( Vis. IV, l , 4 ), la mancanza di confidenza nell'efficacia della preghiera ( Prec. IX, l ; 5 ; 7-12 ). In que sto Precetto, che le è interamente dedicato, la OL4Jvxl.a. è presentata come un demone; il suo opposto è la 7tLO''tLC, . Sembra che questa rimpiazzi l'&.7tÀ.6'tTJC, in Erma nel senso di confidenza in Dio e come contrario della OL4Jvxi.a. 20 • Un secondo aspetto caratteristico del giudeo-cristiane simo è l'importanza della yvwcrLc;. L'espressione compare in Paolo e in questo fatto si è voluto vedere presso di lui un elemento « gnostico ». Ma bisogna intendersi sul ter mine. Come ha dimostrato J. Dupont 21 , la gnosi in Paolo è la conoscenza dei segreti escatologici, del (J.VO'-tTJpLov, che è rivelato nel Cristo. Ora, questa è una concezione speci ficamente giudaica ed è pure l'essenziale dell'apocalittica, 19 Sulla 8L\)iVXL!X cfr. O. ] . Seitz, Antecedents and Signification of the Term 8Ll)ivxoc;, in « JBL >> , LXVI ( 1947), pp. 21 1-219. L'autore la pone in rdazione con i due yescr. 20 Cfr. pure Hom. Clem., Epist. Clcm. , XI, 1-2 ; GCS, 14. 21 Gnosis. La connaissance religicuse dans Ics Epìtres de Saint Pau!, ci t. p. 38. ,
38.
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Le istituzioni
che è rivelazione dei segreti escatologici e del mondo cele ste. Questa gnosi, l'abbiamo detto, svolgeva un ruolo im portante nel giudaesimo contemporaneo a Cristo: ne co stituiva propriamente la teologia. Lungi dall'apparire qui un segno dell'influenza dello « gnosticismo », sembra pro prio, al contrario, che sia stato lo gnosticismo a riprendere l'espressione e ad interpretarla ad un tempo nel contenuto e nel suo significato in modo eterodosso, unendola a con cezioni ·estranee, orientali o ellenistiche. Non c'è quindi da stupirsi che la gnosi svolga un ruolo importante nei testi giudeo-cristiani. Le scoperte di Qumràn hanno portato a questo punto di vista una conferma decisiva. In effetti la gnosi, come conoscenza dei segreti divini, vi occupa un posto assai importante, come è stato notato 22• Cosi il Manuale di di sciplina parla dei « segreti della conoscenza » (DSD, IV, 6 ). Questa « conoscenza della verità » ( DSD, IX, 1 7 ) non deve essere comunicata che a coloro « che furono prescelti per la ( retta) via » (cfr. pure DSD, X, 24 ). Essi saranno istruiti nei « misteri meravigliosi e veri » (DSD, IX, 1 8 ). Questa gnosi ha la sua fonte in Dio solo (DSD, XI, 3 ). È « una sapienza nascosta all'uomo, (una) conoscenza e (una) cauta sagacia ( celata) ai figli dell'uomo » (DSD, XI, 6). È Dio che apre « alla conoscenza il cuore del ( suo) servo » (DSD, XI, 15-16 ). Sono evidenti i rapporti di que sta gnosi con « la via » : è comunicata soltanto a coloro che scelgono questa. Infine il contenuto di tale gnosi è l'imminenza degli avvenimenti escatologici annunciati dai Profeti (DSH, VII, 1 -7 ). La concezione della gnosi negli scritti giudeo-cristiani si colloca su questa linea: essa è la conoscenza dei segreti escatologici e costituisce in particolare, l'abbiamo visto, l'esegesi escatologica della Genesi. Essa è la conoscenza del compimento di questi avvenimenti escatologici nel Cristo; il che prolunga il Midrash d'Abacuc. Ma questo «
22 W. D. Davies, Knowledge in the DSS and Mt., 1 1, 25-30, in HTR », XLVI ( 1953), pp. 1 13-141.
La sa11tità personale
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compimento è terminato : nel Cristo gli avvenimenti esca tologici sono compiuti. La gnosi d'un colpo assume un carattere nuovo, fa parte dei beni escatologici. È ritorno già attuale al Paradiso, realizzazione del regno. Da profe tica, diviene mistica. Ed è per questo che apre talvolta la strada alle deformazioni che saranno dello gnosticismo e che faranno della gnosi la salvezza stessa e non la cono scenza dell'avvenimento salvifìco I Testamenti, che costituiscono una cerniera tra esse nismo e giudeo-cristianesimo, presentano la gnosi come comunicata dal Messia: « La luce della gnosi (� yW.. cnwç) brillerà di te (il Messia figlio di Levi ) e tu 111'11 un sole per ogni rampollo d'Israele » ( Levi, IV, .3). Q� ap pare in particolare nel grande passo cristologico: « Un astro si alzerà, come quello di un re, nel cielo, irradiando ( cpw-tLswv) la luce della gnosi, come il sole il giorno • ( Levi, XVIII, 3 ). Si noti il legame tra la gnosi e l'illumi nazione ; esso appariva nel Manuale di disciplina e si ritro verà nell'interpretazione del battesimo come cpw·n01J,6ç. Questa gnosi irraggerà su tutti i popoli: « Le nazioni sa ranno riempite della gnosi sulla terra dal sacerdozio del Messia, e saranno illuminate dalla grazia del Signore » ( Levi, XVIII, 9 ). Il carattere cristiano della dottrina ap pare in un ultimo passo: « Negli ultimi giorni il Diletto del Signore risusciterà, generato da Giuda e da Levi, illu minando tutti i popoli con una gnosi nuova ( xa.waì yvwcnç) » (Ben., XI, 2 ). La Didachè contiene delle allusioni alla gnosi tanto piu preziose per il fatto che esse si trovano nelle antiche pre ghiere eucaristiche. « Ti ringraziamo, o Padre nostro, per la vita e per la conoscenza che ci hai fatto svelare da Gesu Cristo tuo servo » ( IX, 3 ) 23 • Si noti la somiglianza con Test. Ben. in cui la gnosi è comunicata dal Diletto. È il Cristo soltanto la sorgente della vera gnosi : tale è l'affer mazione cristiana. Piu oltre leggiamo : « Ti ringraziamo, o Padre santo ( . . . ), per la sapienza, la fede e l'immortalità 2.1
In I Padri Apostolici, a cnra di G. Corti, cit.
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che ci hai fatto svelare da Gesu Cristo tuo servo » (X, 2 ). ]. Dupont scrive a questo proposito: « Il rendimento di grazie per aver ottenuto la conoscenza è un tema di cui l'eucologia cristiana è debitrice a quella giudaica: questa osservazione permette di cogliere in un punto preciso la continuità esistita tra la preghiera della Chiesa e quella della Sinagoga » 24 • La I Lettera di Clemente presenta una dottrina della gnosi che deriva dalla stessa fonte 25 • La gnosi è lodata presso i Corinti ( l , 2 ). È per mezzo di Cristo che « il Pa drone sovrano volle farci gustare la scienza immortale » (XXXVI, 2 ) 26 • Ciò si collega alle eucaristie della Didachè. La gnosi riguarda le profondità ( �li6TJ ) di Dio ( XL, l ): sarà un punto ripreso dagli Gnostici 27 • Questa conoscenza implica delle responsabilità (XLI, 4 ). La gnosi appare come un carisma « capace di pronunciare una parola di cono scenza » (XLVIII, 4 ). Si aggiunga che il verbo ywwcnmv occupa un posto importante nella preghiera liturgica con cui termina la Lettera: vi si parla della gnosi ( È7tf.yvwcnc;) della gloria del Nome ( LIX, 2 ). Poi il testo continua : « Tu apristi gli occhi del nostro cuore, perché conoscessimo ( ywwcnmv ) te » ( LIX, 3 ) . Per la Lettera di Barnaba la gnosi è la conoscenza del compimento delle profezie nel Cristo e del culto spirituale che in Lui sostituirà il culto esteriore. Ciò si riallaccia di rettamente alla gnosi del Midrash di Abacuc, la quale mo strava le profezie realizzate nella fondazione della comu nità di Qumràn e la missione del Maestro di giustizia. Ma per la Lettera questo compimento è la venuta di Cristo e la fondazione della Chiesa. Lo scopo della Lettera è pre cisamente quello di spiegare il vero senso dell'Antico TeLa connaissance religieuse dans les Epitres de Saint 24 Gnosis. Pau!, cit., pp. 38-39. 25 Ibidem, p. 39. 26 Questo passo sembra proprio collegarsi al q>W't'L01J.6c; battesimale, come nota A. Benoit (Le bapteme chrétien au Second Siècle, cit., p. 85), ma ciò non implica un'influenza ellenistica, come afferma l'au tore (p. 94). 27 Ireneo, Adv. haer. , Il, 22, 3 .
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stamento che, nella sua totalità, non era che una profezia. Ma il senso di tale profezia restava nascosto sino a che non si fosse manifestato nel Cristo. Dichiara infatti l'autore : « Mi preme mandarvi que sto breve scritto perché cosi voi, insieme con la fede ( 1ticr·nc;), possiate anche avere una perfetta conoscenza » ( I, 5 ). La fede introduce alla comunità; è ai fedeli che la gnosi, conoscenza perfetta dei segreti del regno, sarà data. La gnosi è accostata alla sapienza ( crocpl.a ), all'intelligenza ( cruvEcrLc;), alla scienza ( Èmcr-t'h�11) ( II, 3 ; cfr. pure XXI, 5). Essa è in rapporto con le due vie, come abbiamo visto nei Testamenti: « Se un uomo, pur avendo conoscenza ( yvwcrLc;) del cammino della via della giustizia ( òoòc; OLXaLw crvv1)c;) si inoltra per propria colpa nella via delle tenebre, . non è ingiusto che vada perduto » (V, 4; cfr. pure XVIII, l; XIX, l ). Piu precisamente la conoscenza della gnosi è il senso nascosto della promessa della terra in cui scorrono il latte e il miele, che è il corpo del Signore (VI, 9 ). È la conoscenza (yvwcrLc;) del simbolismo dei 3 1 8 servi di Abra mo ( IX, 8 ) . È l'intelligenza del senso figurato degli inter detti alimentari (X, l O ). Con le Odi di Salomone ritorniamo al rendimento di grazie liturgico per la gnosi, quale lo troviamo nella Dida chè. Il tema della gnosi ritorna in ogni istante : « Il Signore ha moltiplicato la sua conoscenza e s'impegna con zelo affinché siano conosciute le cose che ci sono state date per mezzo della sua grazia » (VI, 5 ). Cosi la gnosi è la co noscenza dei beni escatologici dati nel Cristo, ed è il Cristo stesso che ne è il rivelatore. « L'ignoranza è sparita ed è venuta la scienza del Signore » (VII , 24 ) La gnosi si op pone all'ignoranza precedente : è essa che permette la vera lode (VII, 28 ) Ciò ricorda il Manuale di disciplina. Que sta « scienza dell'Altissimo » è un segreto che non è dato se non a coloro che riconoscono il Cristo (VIII, 9-1 1 ) 28• Cosi la gnosi è il compimento della fede. Si osservi che la gnosi è posta in relazione col batte.
.
28
Ciì> caratterizzava la gnosi essena comunicata ai soli iniz�ati.
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Le istituzioni
simo. « Ho ricevuto la sua scienza » è detto all'inizio del l'inno battesimale (XI, 4 ) . Questa scienza conduce ad « ab bandonare la follia che è diffusa sulla terra » (XI, 9 ). Essa è conoscenza della via della luce: « Grazie a lui, ho avuto la rivelazione della scienza. . . Ho abbandonato la strada dell'errore, sono andato verso di lui » ( XV, 5-6 ) 29• Ma questa scienza, data « con abbondanza » (XII, 3 ) , è fatta per essere comunicata: « Il Signore ha diretto la mia bocca con la sua parola e aperto il mio cuore con la sua luce. Mi ha concesso di raccontare i frutti della pace per convertire le anime di coloro che vogliono venire verso di lui » (X, 1-3 ). Questo legame tra la gnosi e la lode ricorda molto le Hodayoth di Qumran e soprattutto il finale del Manuale di disciplina (DSD, X, 1 2- 1 5). Le Odi non sono che una azione di grazie per la vera gnosi, che è conoscenza dei beni della salvezza. Da questa indagine si traggono due conclusioni impor tanti. Da una parte i testi giudeo-cristiani ci fanno ritro vare i due sensi principali della gnosi nei manoscritti di Qumran : la scienza del compimento delle Scritture, che è l'aspetto scritturistico; la conoscenza dei segreti del regno, che viene dall'apocalisse. Peraltro le Odi di Salomone ci mostrano nel possesso della gnosi un triplice aspetto di scienza, di insegnamento e di entusiasmo. Ora, sono que sti tre aspetti che caratterizzeranno lo gnostico secondo Clemente e Origene : sarà un teologo, un didascalo e un mistico. Questa gnosi peraltro è legata al battesimo; essa è l'entrata in possesso dei beni escatologici già presenti. Tutti questi aspetti mostrano nella gnosi cristiana uno svi luppo della gnosi giudaica per il tramite del giudeo-cri stianesimo. Questa gnosi giudeo-cristiana sarà ripresa dallo gno sticismo che ne sarà ispirato, ma modifìcandola profonda mente. La separerà dal battesimo legandola ad una dve lazione nuova; ne trasformerà il carattere riservato ai cri29 Bernard accosta Clemente Aless., Paed., I, 6, 29: « L 'illumina zione che noi riceviamo è conoscenza ( yvwO'�ç) che fa sparire l'igno ranza » (Tbe Odes of Solomon, cit., p. 62).
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stiam m esoterismo; le conferirà un senso piu speculativo e meno escatologico; farà della conoscenza come tale la realizzazione della salvezza. Soprattutto ne modificherà profondamente il contenuto : le darà un senso dualistico e pretenderà di ritrovare questa dottrina mediante un'ese gesi allegorica dell'Antico Testamento. Si vede come tutti questi tratti ad un tempo richiamino e deformino la gnosi giudeo-cristiana. Si potrebbero studiare gli Gnostici in questo senso, ma sarebbe un lavoro immenso. A noi basta aver indicato il legame che vediamo tra gnosi giudeo-cri stiana e gnosi gnostica e aver contestato l'influenza che si è preteso di attribuire a questa su quella. Tendenze ascetiche Un ultimo aspetto del giudeo-cristianesimo è dato da un certo encratismo. Con ciò non intendiamo né la co mune ascesi che ogni religione comporta e che il cristia nesimo esige, né tanto meno, all'estremo opposto, una condanna della carne che proviene da una metafisica dua listica, bensf tutto un insieme di restrizioni nell'uso dei beni materiali che appaiono come legati non all'essenza del cristianesimo, né ad un'influenza gnostica, ma all'ap partenenza dei primi cristiani ad ambienti giudaici. Sem bra qui ancora che il giudeo-cristianesimo sia debitore di questi orientamenti alle correnti pietiste. Li troviamo ad un tempo presso i giudeo-cristiani ortodossi e presso gli altri, che spingono tali tendenze all'estremo e le basano su speculazioni discutibili 30 • Qui si pongono parecchi interrogativi . Il primo riguar da gli alimenti. Abbiamo un testo prezioso di Egesippo che ci parla di Giacomo, il capo della Chiesa giudeo-cri stiana di Gerusalemme : « Egli fu santo fin dal grembo materno; non bevve vino, né altro liquore inebriante; non .lO Cfr. E. Pcterson, L'origine dell'ascesi cristiana, in « ED », I ( 1948 ), pp. 195-204 ( ristampato e completato in Friihkirche, ]udentum und Gnosis, cit., pp. 209-220).
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mangiò carni di animali; la forbice non scese sulla sua testa; non si spalmò di olio, e non fece mai uso di ba gni » 31• L'interpretazione di questo testo è discussa. Rap presenta un quadro storico? O piuttosto è una rappresen tazione ideale? Ed in tal caso la descrizione è emanazione di un gruppo eterodosso? Ma allora a quale collegarla, dal momento che l'insieme dei dati che presenta non corri sponde ad alcun gruppo? Sembra dunque che non ci sia ragione di sospettarne il valore storico. Ci fermeremo soltanto agli aspetti relativi agli ali menti. L'astensione dal vino e da bevande inebrianti ri corda evidentemente il testo di Luca su Giovanni Battista: « Non berrà né vino, né liquore inebriante » ( l , 1 5 ) Ciò doveva far parte dell'ascetismo di certi Giudei. Gli Esseni non escludevano l'uso del vino, poiché si parla della bene dizione di una coppa (DSD, VI, 4-5 ). Si noti tuttavia che si usa del vino non fermentato, come indica la parola ebrea tirosh. È l'espressione ordinaria negli scritti di Qumran. Questo uso dunque non contraddice l'ascetismo esseno. Giuseppe Flavio nel suo racconto del pasto esseno parla soltanto del pane e di un solo piatto (Bell. ]ud. , II, 8 , 5) 33 • Ci si ricorderà pure che egli presenta il tempo del noviziato come un'« esperienza d'ascesi » ( 1tEi:prx. Éyxprx. 'tE(rx.c;) (Bell. ]ud. , II, 8 , 7 ) 34• Tutto ciò sottolinea pro prio le tendenze ascetiche della comunhà essena. Si può anche vedere un argomento in favore dell'asti nenza dal vino presso i Giudei piu pii nel fatto che Cristo suscita meraviglia bevendo del vino ( otvo1tO'tTJ