La somma Teologica. Peccati contro la carità. La prudenza [Vol. 16] [PDF]

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Zitiervorschau

S. TOMMASO D'AQUINO

LA SOMMA TEOLOGICA TRADUZIONE E COMMENTO A CURA DEI DOMENICANI ITALIANI TESTO LATINO DELL'EDIZIONE LEONINA

XVI

PECCATI CONTRO LA CARITÀ LA PRUDENZA (11-11, qq. 34 - 56)

CASA EDITRICE ADRIANO SALANI

Nihil obstat Fr. Ludovicus Merlini O. P. Doctor S. Theologiae Fr. Albertus Boccanegra O. P. Lector et Doctor Pbiloaopbiae

Imprimi potesi Fr. lnnocentioa Coloaio O. P. Prior Provincialis S. Marci et Sardiniae Florentiae die VIII Mai MCMLXVI IMPRIMATUR F1.esulis die IX Mai MCMLXVI t Ali.tonius Epiacopua Paesulanus

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8.p.A.

Officine Grafiche Stianti, Sancasciaoo • MCMLXVI • Printed in haly

PECCATI CONTRO LA CARITA (I-Il. qq. 34 - 46)

PECCATI CONTRO LA CARITA (li-II, qq. 34 - 46)

TRADUZIONE, INTRODUZIONE E NOTE dcl P. Tito S. Centi O. P.

INTRODUZIONE I - Nella nostra edizione vizi e peccati contro la carità si presentano staccati e smembrati dalla virtù corrispondente. :m solo una triste conseguenza dei limiti materiali di spazio imposti praticamente a tutte le edizioni bilingue della Somma Teologica. Perchè nella mente dell'Autore i contrari si richiamano a vicenda: proprio come avviene con perfetta naturalezza nella mente di tutti gli uomini. Accanto a ogni virtù, infatti, egli prende in esame i vizi corrispondenti, secondo il programma tracciato nel prologo della Secunda Secundae. Sempre secondo codesto programma, il trattato sulla carità si chiude con uno studio sui precetti relativi a questa virtù, e !'ml dono annesso, che è il più sublime: la sapienza (qq. 44, 45), con l'appendice del suo vizio contrario, la stoltezza {q. 46). Non crediamo utile per i nostri lettori anticipare qui nell' introduzione quanto potranno leggere diffusamente nel testo. Ci limiteremo perciò a precisare alcuni problemi, che oggi si presentano parLicolarmente ardui, e sotto certi aspetti erano ignoti all'Autore della Somma Teologica: l'odio di Dio e la guerra.

I L'odio di Dio e l'ateismo moderno.

2 - A rendere attuale il primo argomento ai nostri giorni è l'apparizione di due fenomeni inquietanti, e tra loro intimamente connessi: l'ateismo militante e l'ateismo di massa. Qualcuno forse potrebbe pensare che questi due fatti, e specialmente il secondo, non debbano interessare il nostro tema ; P~rc~è l'ateo, negando l'esistenza di Dio, non è in condizione d~ rivolgere un sentimento qualsiasi verso di lui. A fil di logica I.a situazione dei negatori di Dio dovrebbe esser questa ; ma d1 fatto l'ateismo di massa si risolve in un atteggiamento

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più affettivo che intellettuale, dove l'odio supplisce la mancanza di convinzioni e di ragioni sufficienti. L'ateismo contemporaneo, e soprattutto l'ateismo di massa, è un fenomeno molto complesso, che impegna seriamente chi voglia conoscerne le origini. Chi lo considerasse una conseguenza spontanea del progresso tecnico-scientifico mostrerebbe un'ignoranza assoluta della storia europea degli ultimi secoli. Anzi, per un giudizio sicuro sulle vicende che hanno condotto all'ateismo di massa, bisogna risalire addirittura all'epoca del rinascimento, in cui si sono forgiate le prime armi contro la civiltà cristiana del nostro occidente. - Non si spiega, p.· es., la denunzia marxista della religione come «oppio del popolo'» senza risalire al Machiavelli che accusò il cristianesimo di avere educato i popoli alla « debolezza" e alla sopportazione (cfr. Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, lib. I, Prol.; lib. II, c. 2). Alle brutali accuse dei letterati gli uomini di Chiesa non reagirono sempre con inflessibile energia. E tutti sanno che una repressione saltuaria, anche se crudele, invece di stroncare un sentimento o un'idea, riesce a favore di quest'uUima, dandole l'aureola dell'audacia e del martirio. Quando poi la repressione divenne addirittura irrisoria, come nel secolo XVIII, si ebbe una vera inflazione di audacia blasfema: e fu il secolo dei lumi, del deismo e finalmente dell'ateismo. Nel secolo XIX le idee irreligiose dell'illuminismo raggiunsero larghi strati di persone colte, o di media cultura per meglio dire, non senza l'apporto organizzativo e manovriero delle sette anticristiane, facenti capo alla massoneria. Negli ultimi decenni del suddetto secolo e nei primi del XX il motivo antireligioso scendeva decisamente alla conquista delle masse sotto la spinta del socialismo e del comunismo. Dire che è spontaneo questo processo è come dire che è spontaneo lo sviluppo di un'azienda petrolifera. Oggi, in Italia almeno, l'ateismo di massa si fonda su una propaganda capillare, organizzata tecnicamente con larghi mezzi finanziari : per molti dei suoi agenti la rivoluzione ateo-marxista è un affare economico in tutto analogo a quello dei produttori di una ditta commerciale. Ma non tutto è organizzazione e tecnica propagandistica: tra gli ingranaggi di questo macchinario mastodontico, e specialmente al suo centro di propulsione, troviamo dei sentimenti, umani o disumani che dir si voglia. E purtroppo in questi ultimi non manca una forte carica antireligiosa, soprattutto anticristiana. E di questa che vogliamo qui interessarci, per coglierne gli aspetti più genuini, la cui conoscenza è indispensabile per qualsiasi tentativo di ricupero. 3 - I teologi non hanno molto approfondito le loro indagini sull'odio di Dio. In sostanza siamo rimasti agli articoli della

INTRODUZIONE

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Somma Teologica. S. Tommaso si chiede (q. 34, a. i) se quest'odio è realmente possibile, perchè se consideriamo le cose in astratto non ci può essere un'assurdità più inaudita. Dio infatti "è il bene universale e sotto questo bene rientrano l'angelo, l'uomo e ogni altra creatura. Essendo perciò ogni creat.nra in tutto il suo essere qualcosa di Dio, ne segue che anche nell'ordine di natura l'angelo e l'uomo amino Dio più di se stessi. Altrimenti.... la dilezione naturale sarebbe perversa '' (I, q. 60, a. 5).

Ma se dalla sfera del dover essere noi scendiamo alla concretezza della realtà, vediamo subito che l'odio verso Dio è straordinariamente diffuso negli esseri spirituali. S. Tommaso non esita ad affermare che persino nelle più alte gerarchie angeliche ci sono state delle defezioni, e quindi dei dannati che per tutta l'eternità odiano Dio (I, q. 63, a. 9, ad 3). Chi ha dimestichezza col trattato tomistico sugli angeli sa bene come sia difficile spiegare il peccato di queste creature del tutto spirituali, e perfettamente intelligenti. Tuttavia una possibilità «fisica" dello stesso peccato di odio sussiste anche in esse, perchè non godono la visione dell'essenza divina. Dio in se stesso, essendo la bontà infinita, non può essere oggetto di odio ; " ma quelli che non lo vedono nella sua essenza, lo conoscono attraverso effetti particolari, che talvolta sono in contrasto con la loro volontà" (I, q. 60, a. 5, ad 5). Anche per l'uomo l'odio di Dio è materialmente possibile per questo motivo fondamentale: perchè non lo conosciamo nella sua essenza, bensì in certi suoi effetti che contrastano con la volontà pervertita dal peccato. «L'adultero, p. es., odia Dio in quanto odia il precetto Non commettere adulterio. E così tutti i peccatori, in quanto si rifiutano di sottostare alla legge di Dio, sono nemici di Dio,, (In ad Rom., c. 8, lect. 2). 4 - Per ben chiarire il problema dobbiamo distinguere nettamente a questo punto due tipi di odio verso Dio: a) l'odio di abominazione; b) l'odio d'inimicizia. Il primo, che consiste nel senso di fastidio o di insofferenza verso una data persona, è implicito in ogni peccato mortale. Di suo l'abominazione non è diretta contro la persona per se stessa, ma per certe sue doti o qualità. Per lo più il peccatore si contenterebbe di una certa condiscendenza da parte di Dio verso le proprie colpe. L'odio d'inimicizia invece si volge direttamente contro la divinità, pur essendo motivato da certi suoi effetti, o da certi attributi. E l'odio di cui 'formalmente stiamo trattando. I teologi ne hanno parlato meno forse del Vangelo stesso, P_reo?cupati di rispettare con assoluto rigore la distinzione surnfenta. Ma, nota giustamente a questo proposito il celebre D. Banez: «Da principio i peccatori, amando se stessi con amore di concupiscenza, e volendo delle cose che sono con-

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trarie alla legge di Dio, hanno in odio in qualche modo la legge, e per partecipazione il legislatore: il che si riscontra in qualsiasi peccato mortale. Dopo però, crescendo l'affetto per i beni sensibili, prendono in odio espressamente la legge e il legislatore come tale, e allora codesto odio è un peccato speciale. E finalmente arrivano a odiare Dio per se stesso come termine della loro malevolenza» (Sclwlastica Commentaria in li-li Anqelici Doctoris, Salmanticae, 1586, col. 1294). Questi trapassi son più facili di quanto si creda in coloro rhe vivono abitualmente nella colpa. Ecco perchè il SignorP nel Vangelo ha parlato dell'odio contro Dio come di un peccato niente affatto peregrino: " Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo .... Chi odia me, odia anche il Padre mio. Se non avessi fatto tra loro opere che nessun altro mai fece, sarebbero senza colpa; ma ora, anche dopo averle vedute, hanno odiato me e il Padre mio. Ma ciò è avvenuto affinchè si adempisse la parola scritta nella Legge: "Mi odiarono senza ragione"» (Giov. 15, 18-25). E interessante il commento che il Dottore Angelico fa seguire a codesto brano evangelico. Prima di tutto notiamo che egli non si limita alla questione astratta se è possibile l'odio verso Dio, ma in concreto si domanda in che modo i Giudei potevano odiare il Padre, di cui non avevano la diretta e vera conoscenza. Al quesito risponde, con S. Agostino, rhe "si può amare e odiare una persona che non si è mai vista, e che realmente non si conosce, fondandosi sulla fama che ne dice bene o male» (In loann., c. 15, lect. 5). Ma l'osservazione pitì importante è quella relativa ali' intima connessione riscontrabile tra l'odio di Dio e lincredulità. Considerando le cose in astratto, potrebbe sembrare che il peccato più grave, l'odio verso Dio, debba essere all'ultimo posto, come l'estremo limite cui può giungere l'umana malizia. Invece S. Tommaso vede in esso la radice dell'incredulità che è meno grave per l'intrinseca cattiveria, ma più irreparabile: " Qui [il Signore] mostra da quale radice derivasse il loro peccato d'incredulità: cioè dall'odio, che loro impediva di credere alle opere che vedevano». E non si lratta, ben inteso, di una dipendenza occasionale P sporadica, bensì ordinaria, come potremmo accertare e documentare ampiamente attraverso gli sviluppi dell'ateismo moderno, senza dimenticare che i moti psicologici non si susseguono con la costanza delle deduzioni algebriche. Inoltre va ricordato che l'odium Dei che precede l'incredulità non sempre è l'odio "d'inimicizia» ; perchè la sola insofferenza verso la legge morale (odiurn abominationis) basta a provocare i primi moti cl' incredulità o addirittura l'incredulità medesima.

INTHODUZIONE

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Qualcuno potrebbe obiettare che nel caso dell'ateismo non \'iene compromessa soltanto la fede, ma anche la ragionevolezza di un uomo; perchè l'esistenza di Dio, oggettivamente almeno è una verità di ordine naturale. Perciò la semplice insoffer~nza che può mettere in crisi la fede cristiana, la quale si fonda sulla rivelazione dei divini misteri, non sembra sufficiente a distruggere la convinzione profonda dell'esistenza di Dio fondata sulla ragione umana. s'. Tommaso risponde che la negazione del Dio della rivelazione è negazione sic et simpliciter di Dio, perchè l'unico vero Uio è precisamente quello della rivelazione (cfr. In Psalm., ps. 13; li-li, q. iO, a. 3). Come abbiamo accennato, questa osservazione è suffragata dalla esperienza: la storia infatti dell'ateismo moderno dimostra che dalla negazione della religione positiva si giunge presto all'espulsione di Dio, nonostante ogni sforzo per rimanere ancorati al deismo naturalistico (cfr. FABRO C., Introduzione all'ateismo moderno, Roma, 1964). 6 - In questo momento a noi interessa precisare il contributo dell'odio verso Dio in questo processo storico, e più ancora nelle varie forme di ateismo che offre il mondo contemporaneo. Tra queste ne emergono due ben differenziate, che potranno servirci per lo meno come schemi approssimativi: l'ateismo di massa, o ateismo volgare, e l'ateismo personalistico dei filosofi o degli uomini di scienza. Sull'ateismo di massa influiscono molti fattori di ordine tecnico: la dissipazione quotidiana del lavoro collettivo e delle tecniche pubblicitarie che rende la vita impersonale; la conquista in atto del benessere economico; la cultura mediocre e divulgativa, priva di senso critico e di profondità. Ma su quef>ti fattori tecnici giuocano motivi di carattere affettivo: lo spettacolo e l'avvenimento politico non solo dissipano, ma provocano reazioni di massa abilmente orchestrate; il benessere materiale nei suoi elementi frammentari occupa e preoccupa al punto da escludere abitualmente preoccupazioni di ordine superiore ; nella cultura media sono immessi sistematicamente elementi incompatibili con una visione religiosa o cristiana del mondo. Le reazioni negative che tutto ciò è in grado di provocare vengono promosse ad arte dalla propaganda atea del marxismo. Sono ben noti nelle grandi linee questi sistemi d' indottrinamento: a) si cerca di esasperare il marasma passionale delle masse giovanili accentuando così il disgusto e l' insofferenza per ogni remora morale e per la religione che la rappresenta; b) si riduce la zona d'interesse vitale ai soli problemi d'indole economica o temporale, respingendo le prospettive ultraterrene nel mondo dell'ipotesi, del mito, o dei sogni ; e) in un secondo tempo s'insiste a presentare queste "evasioni"

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come abili manovre dello sfruttamento capitalista, così da provocare sentimenti di diffidenza verso la religione e i suoi rappresentanti; d) all'occorrenza si scatenano campagne di odio contro il clero, che travolgono di prepotenza gli ultimi legami affettivi e pratici con la religione. In tutto questo processo l'odio verso Dio ha un peso determinante. Infatti, come abbiamo accennato, in ogni colpa c'è già implicito l'odio di abominazione. Dall'attaccamento ai beni terreni, nota S. Tommaso, nasce l'accidia, cioè il disgusto dei beni spirituali, la quale a sua volta provoca il rancore verso le persone spirituali e i beni che esse promuovono (cfr. q. 35, a. 4, ad 2). - Ma tale rancore si concreta in atti di vera inimicizia, quando un uomo nella sua pretesa evoluzione verso l' indipendenza più spregiudicata si abbandona coscientemente alla bestemmia. Di suo, dicono i moralisti, la bestemmia può avvenire anche per puro sfogo d'ira verso il prossimo, che nelle persone più volgari può anche non raggiungere la gravità di un peccato mortale. Ma nel giovane che inizia codesta abitudine, per provare a se stesso e ad altri la propria emancipazione, essa è un gesto inqualificabile di odio, e di disprezzo verso la divinità. Oppure si tratta di una suprema vigliaccheria, quando si compie non di proprio arbitrio, bensì per assecondare o sfidare la malizia altrui. In certi paesi la bestemmia costituisce ormai un'abitudine di massa, perchè si è costituito un legame psicologico tra l'ira e il disprezzo delle cose sante. Anzi in molti casi si riscontra un legame tra la bestemmia e qualsiasi stato emotivo, come se si trattasse di un'esclamazione insostituibile. Ed è proprio quest'abitudine che talora rende quasi innocua la bestemmia per il sentimento religioso del popolo. Ma insistere in queste usanze dopo aver preso coscienza della loro gravità non è senza una carica di odio e di disprezzo. - S. Tommaso ci ricorda che l'ira, pur non identificandosi con l'odio, è un incentivo ovvero un sentimento che predispone all'odio (q. 34, a. 6, ad 3). Perciò non è da meravigliarsi che in questi paesi, dove per lunga tradizione familiare imperversa la bestemmia, l'ateismo di massa abbia trovato un terreno fertilissimo. Ma l'ateismo che ne è derivato risente gravemente delle sue origini emotive. Più che di convinzioni codesto atteggiamento irreligioso si alimenta di una carica puerile di rancore verso Dio, e soprattutto verso le persone o le istituzioni che lo rappresentano. Più che negazione convinta è negazione blasfema della divinità: odio spesso incosciente verso una realtà che non si conosce neppure in maniera approssimativa. Ed è proprio codesto odio a dar corpo e consistenza a una "fede» nell'ateismo, com'è l'amore incipiente verso Dio a giustificare psicologicamente l'atto di fede soprannaturale.

INTRODUZIONE

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7 - Nell'ateismo personalistico dei filosofi, degli scienziati e dci letterati la carica emotiva potrebbe sembrare del tutto ine-

sistente, stando all'analisi oggettiva di certe dichiarazioni. Lo .;:cienziato positivista che respinge il problema stesso della ;. causa del mondo,, (cfr. RusSELL B., Perchè non sono cristiano, Milano, 1959, p. 193), potrà essere accusato forse di commettere un suicidio intellettuale ; ma non sembra che possa essere accusato di odio verso Dio e verso la religione. Però basta sollevare questo velo sottile di preteso agnosticismo, per vedere in codesti portatori della cultura le tare del fanatismo antireligioso. Si osservi, p. es., il giudizio "storico,, seguente: " II cristianesimo, così com'è organizzato, è stato ed è tuttora il più grande nemico del progresso morale del mondo,, (ibid., p. 26). Senza una carica emotiva giudizi come questo non si giustificano. Non parliamo poi dei letterati, che, lungi dal nascondere, esasperano i loro sentimenti. L'odio e il disprezzo di Dio sono stati cantati in tutti i toni da certa letteratura contemporanea (cfr. SoMMAVILLA G., Incognite religiose della letteratura contemporanea, Milano, 1963, pp. 113 ss.). Non è qui il caso di esaminal'e le singole esperienze. Notiamo soltanto che in questi canti e in questo bestemmie ritroviamo gli stessi sentimenti riscontrati nella massa. " Ma già si sa che la bestemmia spesso non è che un modo per imputare a Dio il male che egli permette, allo scopo di non dover imputare a se stessi il male che Dio 1n·oibisce" (SOMMAVILLA, op. cit., p. 351). - Notiamo con S. Tommaso che la stoltezza, così evidente nell'atteggiamento rti tanti letterati, deriva per lo più dalla lussuria (cfr. q. 46,

a. 3; q. 153, a. 5).

8 - Più complesso è invece l'ateismo dei filosofi, i quali sviluppano in maniera coerente dei principi da cui log·icamentc sembra derivare l'espulsione di Dio. A detta del P. Cornelio Fabro, questa sembra essere la triste sorte della filosofia immanentista (cfr. op. cit., pp. 19ss.; 921ss.). Ma posta una possibilità di questo genere, si ripropone sotto una luce nuova un problema connesso con quello che noi stiamo studiando. E possibile un ateo in buona fede? Il quesito si può porre anche per l'ateismo volgare, o di massa; ma solo nel caso del1',a~eo razionalmente convinto sembra avere una soluzione positiva. Ecco in proposito la conclusione del P. Fabro: "Può e.ssere quindi, può accadere, che l'ambiente in cui si trova ~ uon.10 e l'educazione ch'egli riceve lo portino ad assorbire il. Pri.ncipio d'immanenza e a svolgerlo fino a coglierne l' inevitabile istanza atea ed a riposare in essa" per qualche tempo". Ma non per sempre. Egli vive in un mondo storico qualificato e " dev~" chiedersi anzitutto perchè mai fino alla comparsa del cogito non era ateo ; e poi perchè ancora dopo la comparsa

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del cogito altri filosofi impugnano il principio d'immanenza come intrinsecamente insignificante e contraddittorio; inoltre perchè alcuni filosofi, proprio per sfuggire al vuoto di essere del principio ù' immanenza, sono ritornati e ritornano al principio metafisico .... ben consci che ciò va contro la logica dcl principio dell'immanenza ma in conformità però della "esigenza del fondamento". La buona fede "atea" pertanto, se e' è stata o se ci può essere all'inizio come effetto di ambiente e di educazione, non può e non deve rimanere molto a lungo e per tutta la vita; ciò vale non soltanto perchè non si può ammettere che Dio non abbia dato all'uomo i principi sufficienti per poterlo trovare ed avere una certezza valida della sua esistenza, ma anche perchè non si può ammettere che l'uomo sia incapace di trovare il fondamento della verità,, (op. cit., p. 37). Dobbiamo tener presente che nella concretezza storica rientra anche la vita affettiva e umana del filosofo in tutta la sua complessità. Non è normale che un uomo possa respingere il sentimento religioso con i soli postulati della ragione: quel sentimento viene coartato e annullato da sentimenti contrastanti. L'intelligenza nell'uomo non si esercita mai allo stato puro, soprattutto quando tratta di problemi che interessano i destini supremi individuali e sociali. A parte questa considerazione pregiudiziale, nell'atto pratico vediamo bene dal comportamento dei filosofi lintervento inoppugnabile dei loro sentimenti nell'affermazione dell'ateismo. " Tanto per Hegel quanto per Fichte abbiamo potuto dimostrare'" scrive G. Siegmund, u che il loro idealismo - il quale ha una portata così decisa su tutto quanto l'ateismo moderno si fonda su una decisione volontaria preliminare peculiare, a ca1·attere volontaristico, presa in favore della libertà assoluta dell'uomo e contro una personalità assoluta e predominante di Dio. Essa rappresenta la ybris, la superbia, come dichiara senza ambagi Nietzsche» (Storia e diagnosi dell'ateismo, Roma, 1960, p. 550).

Ora, la superbia non è un coefficiente della sapienza, ma conduce alla stoltezza: " Chi è d'animo superbo ed orgoglioso viene chiamato stolto, perchè con la superbia l'uomo passa i limiti della ragione; mentre l'umiltà prepara le vie della sapienza, secondo il detto dei Proverbi [ii, 2]: "Ubi umilitas, ibi sapientia" » (In lob, c. 5, lect. 1). E la stoltezza, come nota lo stesso S. Tommaso, ha un legame intimo con l'odio verso Dio: « E proprio della stoltezza far sentire il disgusto di Dio e dei suoi doni. Ecco perchè S. Gregorio enumera tra le figlie della lussuria due cose che si riducono alla stoltezza, e cioè l'odio di Dio, e la disperazione del secolo futuro» (q. 4.6, a. 3, ad 1).

INTRODUZIONE

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Alcuni scrittori cattolici insistono molto oggi nello scusare gli atei delle loro bordate di odio contro Dio e contro la religione, affermando che molte volte essi non hanno dell'uno e cÌell'altra che delle idee deformate, le quali in buona parte dipendono dalla falsa religiosità di tanta gente di Chiesa. - Pur riconoscendo in questa osservazione qualche cosa di vero, non possiamo accettarla senza riserve. cc E un errore far ricadere ogni avversione alla religione, a Cristo e alla Chiesa, sulle deficienze della Chiesa e dei suoi sacerdoti. Vi sono, certo, delle colpe. Ma oggi è una vera mania in alcuni mettere a conto della Chiesa ogni ostilità contro Dio. E venuto al mondo Cristo, la santità, la sapienza, la bontà in persona; in Lui ha preso forma la santità e la benignità di Dio verso l'uomo; e tuttavia, proprio contro di Lui si è accanito l'odio dei nemici di Dio, appunto perchè nemici e odiatori del Padre Celeste [Giov. i5, .24]. Come la venuta di Cristo ha fatto divampare tutta la malvagità del peccato [cfr. Giov. 15, 22), così anche la venuta clello Spirito Santo, Spirito di amore, svelerà il peccato nella sua forma peggiore (nella miscredenza e nell'odio di Dio) [cfr. Giov. 16, 8 s.]: "Egli convincerà il mondo del suo peccato",, (HARJNG B., La legge di Cristo, Il, p. 81). R inutile dire che l'odio contro Dio derivante dalla superbia costituisce il più grave di tutti i pecca.ii: è l'odi:.> d'inimicizia, che proviene dal diabolico proposito di sostituirsi alla divinità nell'ordine della causa finale. Invece l'odio volgare dell'ateismo di massa per lo più rimane un odio di abominazione. Si parla oggi di ateismo re positivo» o cc costruttivo"• per indicare in sostanza questo tentativo di sublimare i valori umani e temporali per innalzarli alla sfera rlell' Assoluto. Ma in realtà non c'è niente di più distruttivo; perchè con la negazione del Dio personale tutto è irreparabilmente compromesso: immortalità e felicità come prospettiva per il futuro, libertà e dignità umana per il presente. Al deprecato timor di Dio subentra la vigliaccheria, cioè la paura degli uomini sotto tutte le forme: dal rispetto umano al conformismo letterario e filosofico, dal! 'opportunismo politico alla rinunzia positiva di ogni elementfl.re libertà. La negazione di Dio si risolve cosi nell'alienaziom~ dt>ll'uomo. II La guerra. 10 - I teologi, mentre parlano ben poco dell'odio vc~rso Dio, h~nno parlato fin troppo, si direbbe, di quella massiceia ma-

n.1festazione dell'odio contro il prossimo che è la guerra. Specialmente dalla prima metà di questo secolo i loro scritti in pro-

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posito sono così numerosi da rendere difficile una cernita. Ci limitiamo qui a ricapitolare brevemente il pensiero di S. Tommaso sull'argomento, e ad affrontare quegli aspetti nuovi della guerra che egli non poteva conoscere. Il problema che c'interessa è stato trattato organicamente dall'Aquinate una volta sola nelle sue opere: l'unica questione rledicata alla guerra è quella della Somma Teologica, Il-li, q. 40. E di tutta la questione l'unico articolo d' intere!"se generale sull'argomento è il primo: '" Utrum bellare semper sit peccatum ». Non esistono luoghi paralleli veri e propri. Non sarebbe però un lettore molto accorto colui che trascurasse il contesto in cui il problema è inserito. L'Autore della Somma parla della guerra, che è anche una violazione della giustizia, nel trattato della carità. L'osservazione è molto importante per comprendere le sue prospettive e le sue conclusioni. Serve inoltre a meraviglia tale rilievo, per integrare il pensiero dell'Autore con le pericopi logicamente connesse con gli altri vizi contrari alla carità (odio-invidia), e in modo speciale contro la pace (discordia e contesa: qq. 37, 38). Dobbiamo lamentare che i moralisti e i commentatori non si siano fermati a considerare i rapporti esistenti tra la guerra e lo scandalo: eppure anche questi legami sono innegabili, là dove si discute se siamo tenuti alla rinunzia di beni spirituali e temporali per evitare disordini e scandalo, cioè per non dare ad altri occasione di peccato (q. 43, aa. 7, 8). Sappiamo infatti che la guerra si presenta come un'occasione spaventosa di peccati gravissimi. S. Tommaso così risponde all'obbiezione di chi vede nella pace stessa occasioni di peccato: "La pace dello stato di suo è cosa buona, e non è resa cattiva dal fatto che alcuni ne abusano. Ci sono infatti molti altri che ne usano bene; e d'altra parte con essa si evitano omicidi e sacrilegi, cioè mali assai peggiori di quelli cui essa può dare occasione, quali sono appunto i vizi della carne» (q. i23, a. 5, ad 3). Tutti questi legami della guerra con altri vizi consimili non sono percepibili, se noi la consideriamo sotto l'aspetto della giustizia. E i commentatori purtroppo non li hanno posti in evidenza, perchè specialmente dal secolo XVI in poi hanno considerato la guerra nel quadro di una virtù naturale, qual' è appunto la giustizia, in cui essa si può presentare come un diritto. Speriamo che nessuno fraintenda la nostra osservazione: non intendiamo negare affatto la legittimità di una considerazione meno teologica della guerra; ma rileviamo che S. Tommaso l'ha inquadrata in una visuale diversa, cioè in una prospettiva evangelica. Considerandola come atto contrario alla carità cristiana, egli non esamina formalmente la possibilità di un diritto alla guerra; ma parte dal presupposto che essa è essen-

INTRODUZIONE

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zialmente deprecabile, ed è peccaminosa da parte di colui che ne assume moralmente la diretta responsabilità. Ciò posto, nasce per il teologo il problema se esistano dei casi in cui sia Jrcito e doveroso impugnare le armi anche per un cristiano, al quale è comandato di amare persino i suoi nemici. 11 - Se non teniamo presente questa presupposizione, può destare meraviglia il tono del primo articolo ricordato della q. 40: può sembrare che l'Autore parta dal proposito di giusLificare la guerra. Invece si tratta solo di sapere se i mansueti discepoli di Cristo abbiano in certi casi il dovere di combat1.el'e ; e se il mestiere delle armi, in una società mal compaginata dalla prepotenza, sia lecito a un cristiano. Il problema, poslo in questi termini, è antico, come si sa, quanto il cristianesimo. S. Tommaso si richiama espressamente a S.-Agostino, che ha avuto il merito di affrontarlo nella sua sostanziale com11lessità, senza indulgere a facili estremismi. L'Aquinate non fa che riepilogarne l'insegnamento in maniera sistematica, ponrndo tre condizioni fondamentali per la liceità della guerra da parte di coloro che vi sono ingiustamente costretti: a) l'autorità legittima che la dichiari (l'autorità suprema dello stato) ; li) la giusta causa, ossia un motivo proporzionatamente grave ; r) la retta intenzione, cioè la prosecuzione di un bene morale universalmente valido, o l'espulsione di un male dello stesso genere {cfr. q. 40, a. 1). Nonostante la brevità della sua esposizione S. Tommaso ha avuto un influsso grandissimo sui teologi e sui giuristi cristiani posteriori che hanno trattato il problema della guerra: l•'. De Vitoria e F. Suarez, che in questo campo sono considerati i fonctatori del diritto internazionale, si richiamano costantemente ai suoi principii. Non è giusto però ridurre il nostro intel'esse all'articolo citato della Somma Teologica, come han fatto questi ed altri studiosi dei secoli XVI-XIX: il tema va riportato nel suo contesto, non solo per assumere il suo signifieato genuino; ma anche per eventuali ampliamenti e per riallacciarvi qualsiasi tentativo di risolvere con la dottrina tomistica i problemi del nostro tempo. 12 - Come quasi tutti i mortali, S. Tommaso ha imparato n conoscere il problema della guerra prima dalla vita che dai libri. Nel mezzo secolo in cui visse (1225-12711) l'Europa fu scossa e travagliata da continue guerre: guerra tra il papato e \'impero, che durò quasi ininterrottamente dal 1227 al 1250; si. chiuse l'epoca delle crociate con la disastrosa fine del regno a.

DEti\DE

considerandum est de vitiis oppositis caritati. Et primo,

rie odio, quod opponitur ipsi dilectioni; secundo, de acedia et invi-

dia. quae opponuntur gaudio caritatis [q. 35]; tertio, de discordia PI srhismate, quae opponuntur paci [q. 37]; quarto, de offensione rt scandalo, quae opponuntur beneficentiae et correctioni fraternae

Iq. '•3].

Ci rea primum quaeruntur sex: Primo: utrum Deus possit odio habcri. Secundo: utrum odium Dei sit maximum peccatorum. Teriio: ntrum odium proximi semper sit peccatum. Quarto: utrum sit. maximum inter peccata quae sunt in proximum. Quinto: utrurn sii vilium capitale. Sexto: ex quo capitali vitio oriatur.

ARTICULUS 1 Utrum aliquis possit Deum odio habere. I, •r. oo, a. il, art il; ! Seni .• cl. 5. a. :i, ad 2; Expos. Litt.; 4, d. 50. q. 2, a. I. qc. 5; ne l'crit.. , q. 2'2, a. 2, ad 3; 111 Mattll., c. 13; 111 Ioa11., c. 5, Ject. 7; c. 15, lect. 5; Ad Rom., c. 8, lect. 2.

AD PRIMUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod Deum nullus odio habere possit. Dicit enim Dionysius, 4 cap. De Div. Nom. [lect. 9], quod "omnibus amabile et diligibile est ipsum honum et pulchrum "· ~ed Deus est ipsa bonitas et pulchritudo. Ergo a nullo odio habetur.

.·I 111r1rr- (q. 27) 1.•ff P!ti interni:

Odio (q. 341

Benevolenza: Gioia (q. 28)

verso Dio { Pace (q. 29) vrrso il prossimo:

in genf'rn.le (gioia e pace) a rimedio rlrlla miseria: Misericordia (q. 30)

rffelti esterni: Brneftcenza: in generale: Bene{lcenza (q. 31) a rimedio della miseria:

effetti interni: Malevolenza: contro Dio

Accidia (q. 35) {

contro il prossimo: .

m genera1e

Discordia (q. 37) Contesa (q. 38) Scisma (q. 39) G11erra (q. 40) R-tssa (q. 41) Sedizione (q. 42)

l

come insofferenza del bene altrui: Tnvidia (q. 36) effetli esterni: [Maleficenza] in generale : [Maleftcenza]

Elemosina (q. 32)

iu Particolare: Correzione fraterna (q. 33)

in particolare: Scandalo (q. 43)

e.le; I.a Questione è divisa in sei articoli abbinati : odio di Dio (aa. 1. 2) ; odio Prossimo (aa. 3, 41); odio rispetto al vizi capitali (aa. 5, 6).

28

LA SOMMA TEOLOGICA, 11-11, q. 34, aa. 1-2

2. Nei libri apocrifi di Esdra si legge che u tutti gli esseri invocano la verità, e si rallegrano delle sue opere li. Ora, Dio è la stessa verità, come dice il Vangelo. Perciò tutti amano Dio, e nessuno può odiarlo. 3. L'odio è una specie di voltafaccia. Ora, come nota Dionigi, Dio " volge tutti gli esseri verso di sè li. Dunque nessuno può odiarlo. IN CONTRARIO: Nei Salmi si legge: "La superbia di quei che t'odiano cresce sempre li ; e nel Vangelo: cc Ma ora hanno veduto, e hanno odiato me e il Padre mio li. RISPONDO: L'odio, come abbiamo visto, è un moto della potenza appetitiva, la quale non viene mossa che da un oggetto conosciuto. Ora, Dio può essere conosciuto dall'uomo in due maniere: primo, in se stesso, cioè quando lo si vede per essenza; secondo, mediante i suoi effetti, cioè quando cc le perfezioni invisibili di Dio comprendendosi dalle cose fatte si rendono visibili». Ma Dio nella sua essenza è la stessa bont.à, che nessuno può odiare: perchè la bontà è essenzialmente amabile. Perciò è impossibile che uno, il quale vede Dio per essenza, lo odi. Tra i suoi effetti poi ce ne sono alcuni che in nessun modo possono essere contrari alla volontà umana: poichè l'essere, il vivere e l'intendere, che sono effetti di Dio, sono cose appetibili e amabili per tutti. E quindi Dio non può essere odiato in quanto è conosciuto come causa di tali effetti. Ci sono invece certi effetti di Dio che ripugnano a una volontà disordinata: p. es., le punizioni, e lo stesso divieto dei peccati fatto mediante la legge divina, il quale ripugna a una volontà depravata dalla colpa. E in rapporto a codesti effetti Dio può essere odiato da certuni: cioè in quanto viene considerato come proibitore dei peccati, e distributore dei castighi. 1 SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il primo argomento vale per coloro che vedono l'essenza di Dio, che è l'essenza stessa della bontà. 2. Il secondo argomento vale per chi considera Dio come causa di quegli effetti che l'uomo ama per natura, tra i quali ci sono le opere della verità, la quale offre la sua conoscenza agli uomini. 3. Dio volge a sè tutti gli esseri come principio dell'essere; poichè tutte le cose, in quanto sono, tendono alla somiglianza con Dio, che è l'essere medesimo.

ARTICOLO 2 Se l'odio di Dio sia il più grave dei peccati. SEMBRA che l'odio di Dio non sia il più grave dei peccati. Infatti: 1. Il peccato più grave è quello contro lo Spirito Santo, il quale, come dice il Vangelo, è imperdonabile. Ora, l'odio di Dio, come abL'Autore risolve Il pl'oblema pa1·tendo dalla natura della volontà, la quale specificata dal bene In genere. Il bene cosi considerato è oggetto necessario della volontà, nel senso che questa non può mal volere il contrarlo ; non nel 1

~

29

L'ODIO

~- PRAETEREA, in apocryphis 3 Esdrae [ 4, 36, 39] dicitur quod " omnia invocant veritatem, et benignantur in operibus eius "· Sed J)eus est ipsa veritas, ut dicitur Ioan. 14, 6. Ergo omnes diligunt neum, et nullus eum odio habere potest. ;_{. PRAETEREA, odium est aversio quaedam. Sed sicut. Dionysius dicit, in 4 cap. De Div. Nom. [lect. 3], Deus 11 omnia ad seipsum eonvertit n. Ergo nullus eum odio habere potest. SED CONTRA EST, quod dicitur in Psalm. [ì3, 23]: «Superbia eorum qui te oderunt ascendit semper n; et loan. 15, 24: « Nunc nutern et viderunt et oderunt me et Patrem meum ». [{ESPONDEO DICENDUM quod, sicut ex supradictis [I-Il, q. 29, a. 1] pa.tet, odium est quidam motus appet.itivae potentiae, quae non movctur nisi ab aliquo apprehenso. Deus autem dupliciter ab hornine apprehendi potest: uno modo, secundum seipsum, pula cum per essentiam videtur; alio modo, per effectus suos, cum scilicet "invisibilia Dei per ea quae facta sunt intellecta conspiciuntur n [A.d Rom. 1, 20]. Deus autem per essentiam suam est ipsa bonitas, quam nullus habere odio potest: quia de ratione boni est ut ametur. Et ideo impossibile est quod aliquis videns Deum per essentiam eum odio habeat. Scd effectus eius aliqui sunt qui nullo modo possunt esse coni rari i voluntati humanae: quia esse, vivere et intelligere est appetibile et amabile omnibus, quae sunt quidam effectus Dei. Unde etiam secundum quod Deus apprehenditur ut auctor horum effectuum, non potest odio haberi. Sunt autem quidam effectus Dei qui repugnant inordinatae voluntati: sicut inflictio poenae; et etiam cohibitio peccatorum per legem divinam, quae repugnat voluntati depravalae per peccatum. Et quantum ad considerationem talium effectuum, ab aliquibus Deus odio haberi potest: inquantum scilicet apprehenditur peccato rum prohibitor et poenarum inflictor. Au PRilllUM ERGO DICENDUM quod ratio illa procedit quantum ad illos qui vident Dei essentiam, quae est ipsa essentia bonitatis. AD SECUNDUM DICENDUM quod ratio illa procedit quantum ad hoc quod apprehenditur Deus ut causa illorum effectuum qui naturalitcr ab hominibus amantur, inter quos sunt opera veritatis praebcntis suam cognitionem hominibus. Ao TERTIUM DICENDUM quod Deus convertit omnia ad seipsum inquantum est essendi principium: quia omnia, inquantum sunt, tendunt in Dei similitudinem, qui est ipsum esse.

ARTICULUS 2 Utrum odium Dei sit maximum peccatorum. Infra, q. 3!1, a 2., ad 3; 1-11, q. 73, a .

Ao

SECUNDUM SIC PROCEDITUR.

.r., ad 3.

Videtur quod odium Dei non sit

~unximum peccatorum. Gravissimum enim peccatum est peccatum in

Spiritum Sanctum, quod est irremissibile, ut dicitur Matth. 12,

senso che non possa mai desistere dal volerlo, come accade, p. es., durante il ~~nno . Dinanzi al bene divino, chiaramente Intuito nella luce della gloria, vo 1ontà non è libera neppure quanto all"eserclzlo dell'atto. Invece dinanzi

30

LA SOMMA TEOLOGICA, II-II, q. 34, a. 2

biamo visto, non è enumerato tra le specie del peccato contro lo Spirito Santo. Dunque l'odio di Dio non è il più grave dei peccati. 2. Il peccato consiste in un allontanamento da Dio. Ora, sembra più lontano da Dio un incredulo, il quale non ne ha neppure la conoscenza che un fedele il quale, pur odiandolo, lo conosce. Perciò è un peccato più grave l'incredulità che l'odio contro Dio. 3. Dio è odiato solo per i suoi effetti che ripugnano alla volontà, e primo fra tutti il castigo. Ma odiare il castigo non è il più grave dei peccati. Quindi l'odio di Dio non è il massimo dei 11eccati. IN CONTRARIO: Come dice il Filosofo, u la cosa peggiore è quella che si contrappone alla cosa migliore"· Ma l'odio di Dio si cont.rappone all'amore di Dio, che è la cosa migliore in un uomo. Dunque l'odio di Dio è il peggiore dei peccati dell'uomo. RISPONDO: La deficienza propria del peccato consiste, come abbiamo visto, nell'allontanarsi da Dio. Ma questo allontanamento non sarebbe una colpa, se non fosse volontario. Perciò l'essenza della colpa consiste nel volontario distacco da Dio. Ora, nell'odio di Dio questo allontanamento volontario da Dio è incluso direttamente ; mentre negli altri peccati c'è solo indirettamente e quasi per partecipazione. La volontà infatti, come aderisce di per sè a ciò che ama, così rifugge di per sè da ciò che odia: perciò quando uno odia Dio, la volontà ripudia Dio per se stesso. Mentre negli altri peccati, nella fornicazione, p. es., non si ripudia Dio per se stesso, ma per altre cose: cioè per il fatto che si desidera un piacere disordinato, al quale è connesso l'allontanamento da Dio. Ora, ciò che è per se stesso ha più vigore di ciò che è per altre cose. Perciò l'odio di Dio è il più grave tra ! utti i peccati. SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come dice s. Gregorio, ((altra cosa è non fare il bene, ed altra cosa è odiare il datore del bene: come altra cosa è peccare per inconsiderazione, ed altro è peccare per deliberazione n. Dal che si arguisce che odiare Dio, datore di ogni bene, essendo un peccato fatto per deliberazione, è peccato contro lo Spirito Santo. Ed è chiaro che è il più grave peccato contro lo Spirito Santo, in quanto con questa denominazione viene indicato un determinato genere di peccati. Esso però non viene enumerato tra le specie del peccato contro lo Spirito Santo, perchè si riscontra universalmente in tutte le specie di codesto peccato. 1 2. L'incredulità è una colpa solo in quanto è volontaria. Essa perciò tanto è più grave, quanto più è volontaria. Ma che sia volontaria deriva dal fatto che uno odia la verità che viene proposta. Dunque è evidente che l'aspetto peccaminoso dell'incredulità viene dall'odio di Dio, la cui verità è oggetto della fede. Perciò, come la ai beni llnit1 e a Dio stesso com'è conosciuto in questa vita, cloè come un bene particolare, la volontà è libera in ogni senso. :E: questo il presuppos1o psicologico che rende posslhilo un atto cosi irragionevole c.ome l'odio di Dio (cfr. I. q. 60, a. s, ad S). 1 Nel trattare 11 problema relativo al piil grave del peccati ci troviamo dinanzi all'affermazione dl Cristo: •Ogni peccato e ogni bestemmia sarà perdonata. agli uomini ; ma la bestemmia contro lo Spirito Santo non sarà perdonata " (i\·latt. 12, 31 ; cfr. Mare. 3, !8-30 ; Luc. 12, IO). Nonostante la varietà delle interpretazioni di questi passl evangelici (cfr. q. 14, a. 1), il pensiero scolastico tradizionale ha cercato di precisare I vari peccati che possono essere consldorati contro lo Spirito Santo. Il Maestro delle Sentem;e, raccogliendo questi tentativi, Il ha raggruppati in sei specie dl atti: disperazione della salvezza, pre-

L'ODIO

31

.11 32. Sed odium Dei non computatur inter species peccati in Spi-

ritum Sanctum; ut ex supradictis [q. 14, a. 2] patet. Ergo odium Dei non est gravissimum peccatorum. 2. PRAETEREA, peccatum consistit in elongatione a Deo. Sed magis videtur esse elongatus a Deo infidelis, qui nec Dei cognitionem habet, quam fidelis, qui saltem, quamvis Deum odio habet, eum tamen cognoscit. Ergo videtur quod gravius sit peccatum inftdelitatis quam peccatum odii in Deum. 3. PRAETEREA, Deus habetur odio solum ratione suorum effectuurn qui repugnant voluntati, inter quos praecipuum est poena. Sed odire poenam non est maximum peccatorum. Ergo odium Dei non Pst maximum peccatorum. SED CONTRA EST quod u optimo opponitur pessimum n ; ut patet per Philosophum, in 8 Ethic. [c. 10, lect. 10). Sed odium Dei opponitur tlilectioni Dei, in qua consistit optimum hominis. Ergo odium Dei est pessimum peccatum hominis. HF.SPONDEO DICENDUM quod defectus peccati consistit in aversione a Deo, ut supra [q. 10, a. 3) dictum est. Huiusmodi autem aversio ralionem culpae non haberet nisi voluntaria esset. Unde ratio culpae consistit in voluntaria aversione a Deo. Haec autem voluntaria aversio a Deo per se quidem importatur in odio Dei: in aliis autem peccatis quasi participative et secundum aliud. Sicut enim volnntas per se inhaeret ei quod amat, ita secundum se refugit id q11od odit: unde quando aliquis odit Denm, voluntas eius secundum se ab eo avertitur. Sed in aliis peccatis, pnta cum aliquis fornicatur, non avertitur a Deo secundum se, sed secnndum aliud: inquantum scilicet appetit inordinatam delectationem, quae habet annexam aversionem a Deo. Semper autem id quod est per se est poti11s co quod est secundum aliud. Unde odium Dei inter alia peccata est gravius. An PRIMUM ERGO DICENDUM quod, sicut Gregorius dicit, 25 Mora!. 11), (( aliud est bona non facere, aliud est bonorum odisse datorem : sicut aliud est ex praecipitatione, aliud ex deliberationc peccare ». Ex quod datur intelligi quod odire Deum, omnium bonorum datorem, sit ex deliberatione peccare, quod est peccatum in Spiritum Sanctum. Unde manifestum est quod odium Dei maxime est peccatum in Spiritum Sanctum, secundum quod peccatum in Spirit.um Sanctum nominat aliquod genus speciale peccati. Ideo tamen non computatur inter species peccati in Spiritum Sanctum, quia generaliter invenitur in omni specie peccati in Spiritum Sanctum. Ao SF.CUNnUM DICENnuM quod ipsa infidelit.as non habet rationem culpae nisi inquant.um est voluntaria. Et ideo tanto est gravior quan1o est magis voluntaria. Quod autem sit voluntaria provenit ex hoc quod aliquis odio habet veritatem quae proponitur. Unde pntet quod ratio peccati in infidelitate sit ex odio Dei, circa cuius

re.

~un_zione di salvarsi senza merito, Impugnazione della verità conosciuta. in\"h:i. 11ella grazia altrui, ostinazione nei peC'cati, Impenitenza finale (cfr. j Sent., '· ~:l: 1/./1, q. 14, a. 2). l\faterlalmente l'odio di Dio non risulta In 11ues10 cl~nco. Come dunque possiamo considerarlo tra i peccati più gravi? s. Tom· ~;a•. 0 fa notare che esso è Implicito In ciascuno cli qm•stl al.I.i pe, il Crisostomo afferma: u I comandamenti di Mosè, "Non ammazzare'', "Non commettere adulterio", sono piccoli rispetto al merito, e grandi rispetto alla colpa: invece i comandamenti di Cristo, cioè "Non ti adirare", "Non desiderare", sono grandi rispetto al merito, e piccoli quanto alla colpa n. Ora, l'odio è un moto interiore come l'ira e la concupiscenza. Perciò l'odio del prossimo è un peccato meno grave dell'omicidio. RISPONDO: Il peccato che si commette contro il prossimo attinge da due fonti la sua cattiveria: primo, dal disordine di colui che 1 I teologi seguendo Il Gaetano (Tn 1-11, q. 29, a. t; In 11-11, q. 3~. a. 2) . Sed ex hoc quod aliquis aliquod peccatum procurat, non peccat alio peccati genere nisi illo quod procurat. Ergo videtur quod seditio non sit speciale peccatum a discordia distinctum. 2. PRAETEREA, seditio divisionem quandam importat. Sed nomen etiam schismatis sumiiur a scissura, ut supra [q. 29, a. 1] dictum est. Ergo peccatum seditionis non videtur esse distinctum a peccato 8Chismatis. 3. PRAETEREA, omne peccatum speciale ab aliis distinctum vel est vitium capitale, aut ex oJiquo vitio capitali oritur. Sed seditio neque computatur inter vitia capitalia, neque inter vitia quae ex capitalibus oriuntur: ut patet in 31 Moral. [c. 45], uhi ut.raque vitia numerantur. Ergo seditio non est speciale peccat.um ab aliis distinctum. SEo CONTRA EST quod 2 ad Cor. 12, 20 seditiones ab aliis peccatis distinguuntur. RESPONDEo DICENDUM quod seditio est quoddam peccatum speciale, quod quantum ad aliquid convenit cum bello et rixa, quantum autem ad aliquid differt ab eis. Convenit quidem cum eis in hoc quod importat quandam contradictionem. Differt autem ab eis in duobus. Primo quidem, quia bellum et rixa important mutuam impugnationem in actu: sed seditio potest dici sive ftat huiusmodi impugnatio in actu, sive sit praeparatio ad talem impugnationem. Unde Glossa [interlin.] 2 ad Cor. 12, 2fl dicit quod sedHiones sunt "tumultus ad pugnam,,: cum scilicet aliqui se praepnrant et intendunt pugnare. - Secundo differunt, quia bellum proprie est contra extraneos et hostes, quasi multitudinis ad mulPer S. Tommaso Il termine sel)lchè r~sa espr·lme un turbamento sociale In 1·apporto all'autorità legittima. (jUancto Invece l'autorità è Ingiusta perchè Illegittima o tirannica. Il turbamento rhe pari.e da un nuovo regime .. non puù consirlernrsl sedizione"• purchè l'lniliatlya non lasci prevedere mali peggiori (cfr. a. 2, acl 3\.

122

LA SOMMA TEOLOGICA, 11-11, q. 42, aa. 1-2

mentre la rissa è lotta tra due individui, o tra poche persone; la sedizione propriamente è tra le parti discordi di un'unico popolo. e cioè, p. es., quando una parte della città insorge a tumulto contro l'altra parte. Perciò la sedizione, avendo per suo contrario un bene specifico, che è l'unità e la pace di una collettività, è un peccato specificamente distinto. SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Si denomina sedizioso colui che spinge alla sedizione. E poichè la sedizione implica una certa discordia, è sedizioso non chi promuove una discordia qualsiasi, ma tra le parti di una collettività. Però peccano di sedizione non soltanto coloro che seminano la discordia, ma anche quelli che in modo disordinato dissentono tra loro. 1 2. La sedizione si distingue in due cose dallo scisma. Primo, perchè lo scisma si contrappone all'unità spirituale del popolo, cioè all'unità della Chiesa: mentre la sedizione si contrappone all'unità temporale o civile di una collettività, ossia di una città, o di un regno. - Secondo, perchè lo scisma non implica una preparazione al combattimento materiale, ma solo una dissenzione di ordine spirituale: mentre la sedizione implica una preparazione alla lotta materiale. 3. La sedizione, come lo scisma, rientra nella discordia. Infatti sia l'uno che l'altro sono specie di discordia, discordia non di un individuo contro l'altro, ma delle varie parti di una collettività.

AHTICOLO 2 Se la sedizione sia sempre peccato mortale. SEMBRA che la sedizione non sempre sia peccato mortale. Infatti: 1. La sedizione, come dice la Glossa già riferita, implica "un tumulto che prepara al combattimento "· Ma combattere non sempre è peccato mortale ; anzi talora è giusto e lecito, come sopra abbiamo visto. Perciò a maggior ragione può essere senza peccato mortale la sedizione. 2. La sedizione è una specie di discordia, come abbiamo detto. Ma la discordia può essere senza peccato mortale, e persino senza nessun peccato. Dunque anche la sedizione. 3. Vengono lodati coloro che liberano il popolo da un potere tirannico. Ora, questo non si può fare facilmente senza una divisione del popolo; perchè mentre una parte cerca di conservare il tiranno, l'altra cerca di scacciarlo. Perciò la sedizione si può fare senza peccato. IN CONTRARIO: L'Apostolo, trn le altre opere che sono peccati mortali, proibisce le sedizioni. Dunque la sedizione è peccato mortale. RISPONDO: La sedizione, come si è detto, si contrappone all'unione di una collettività, cioè di un popolo, di una città, o di un regno. 1 E ctnveros•J sottolineare qui le variazioni 7,

169, 324, 326. DIDEROT D. 33. DIONIGI AREOPAGITA:

Ad Demophilum 189. De Dfoinis Nominibus (c. 2) : 181 - (c. 4): 27, 29, 233, 325 - (c. 7): 311. De Er.r.lesiastir.rz Hiemrchia (c. 6): 315. passim 176, 215. DuNs Scoro G. 174, 234. EURIPIDE

242.

FABRO C. 11, 13, .1:J. FICHTE H. 14, 101. FILIPPO IL CANCELLIERE FRONTINO S. G. 111 n. FUMAGALLI G. 351.

201ì.

(Card. Tommaso de Vio) 34, 48, 87, 88, 89, 146, 165, 184, 232, 240, 278, .'J,'J4, 340. GARDEIT. H. D. 5t, 19!i. GARRIGOU-LAGRANGE R. 1.'i!J, 19R, 209. GAUTHIER 207. GAETANO

GIOVANNI (S.) CRISOSTOMO GIOVANNI (S.) DAMASCENO

57, 61.

w;.

3.'J, 167. 33, 43,

1~DICE ONOMASTICO GIOVANNI

(S.)

DELLA

CROCE

252,

253. GIOVANNI Ili S. TOMMASO GlllOLAMO (S.) 61, 75, 91,

182.

107, 12'J, 133, 137, 141, 142, 144, 145n, 14!), 167, 359. Glossa 45, 79, 81, 115, 121, 123, 127 n, 167 n, 341, 343. GOETHE W. 198. GREGORIO (S.) DI NISSA 167. GREGORIO (S.) MAGNO 14, 31, 37, 38, 39, .f6, 47, 51, 53 n, 55 n, 57, 59, 61, 67, 75, 83, 93, 107, 119, 121, 145, 151, 161 176, 181, 183, 185, 187, 195, 197, 199, 201, 227, 253, 309, 315, 327, 335, 339, 341, 351, 363. Gl1GLIELMO D'AUXERRE 145, 205. GUGLIELMO DI MOERBEKE 77, 206, 311.

(S.) 52, 53, 55n, 67, 89, 115, 121, 1!)5, 197, 221 n, 239, 240, 241, 279, 287 n, 341 n.

ISIDORO

E. 216.

J ANVIER M. .TOI.IF 207.

A.

371.

LATTANZIO 20. LEHU L. 371. LEONE IV 107. LEONE XIII 125. LOTTIN 0. 205, 206, LUTERO M. 168. MACCHIA.VELLI MACROBIO 261,

300, 371.

N. 8, 23, ,'J50, 351. 263, 271, 273, 277,

279, 281. l\IAUSBACH G. 22. MERKELBACH B. H. MESSINEO A. 21. METASTASIO P. 214. MONACO R. 102.

209, 213.

NAZARENO DELL'ADDOLORATA NIETZSCHE F. 14. NOBLE H. D. 371. ORIGINE 20. OSTIENSE (Card.

100.

PAOLO VI 9,l PELAGIO I 87, 167. PERICO G. 371. PIEPER J. 214, 371. PIETRO LOMBARDO (l\faestro

delle

Sentenze) 81, 205, 311. XII 20, 22.

PIO PIROTIA A. 2.'HJ. PLEBE A . •104.. PLOTINO 261, 273, PROCLO 77. PROMMER D. 106. RA.BANO M. !15. RAMIREZ S. 212, REGAMEY P. 20, R USSELL B. 13.

277.

371. 371.

SACRA SCRITTURA:

Vecchio Testamento.

HARING B. 15. HEGEL F. 14, 101.

KANT

370

253.

Enrico di Susa)

.

Ge11. (26, 21): 115. Es. (18, 21 s.) : 2:;2 - (20, 8 ss.) : 113 - (20, 12 ) : 35 - (2.'3, 8) :

259 - (32, 27 s.) : 91. Lei.1 • (cc. 4ss.): 341 - (19, 13): 367, 369 - (19, 17): 163 - (19, 18): 171. Num. (16, 26): 9B - (16, 30): 91. Deut. (6, 5): 15!), 163, 165, 167 - (10, 12) : 155 - (16, 20) : 11 - (25, 2) : 91 - (25, 13) : 167. Gios. (8, 2): 111. 1 Re (9, 20) : 239 - (14, 1) : 79. 4 Re (17, 20 ss.): 91. 2 Paral. (2, 14), 227 - (20, 12): 331. 1 Esdrn (4, 19): 93. 3 Esdra (apogrifo) (4, 36): 20 - (4, 39): 29. Giob. (5, 2) : 59, 63 - (9, 28) : 341 - (12, 4): 351 - (12, 12): 255 - (13, 3) : 83 - (13, 9) : 355 - (28, 28) : 177 - (39, 32) : 79 - (41, 25): 179 - (42, 7): 79. Sai. (5, 11) : 353 - (7, 16) : 355 - (8, 8) : 357 - (18, 8) : 329 (18, 9) : 169 - (36, 1) : 63 (37, 13): 353 - (68, 10): 61 (72, 2): 141 - (72, 2s.): 63 (72, 3) : 65 - (73, 23) : 29 (81, 4): 103 - (104, 25) : 353 - (106, 18): 45 - (110, 10):

380

INDICE ONOMASTICO

193 - (118, 165) : 141, 191 (124, 1 s.): 141. Prov. (1, 4): 349 - (1, 18): 355 - (1, 32) : 199 - (3, 5) : 273, 365 - (4, 19): 327 n - (4, 25): 331, 365 - (6, 6 ss.): 359 - (6, 16) : 73 - (6, 19): 73 - (7, 22) : 199 - (8, 8) : 33 - (8, 17): 187 - (10, 12): 119 - (10, 23): 223 - (11, 2): 14 - (12, 20) : 353 - (13, 16) : 351 - (15, 18): 75, ll!J - (15, 27): 341 (17, 19): 119 - (18, 6): 117 (19, 16) : 343 - (21, 20} : 321 (21, 30) : 207 - (23, 4): 227 (24, 6): 295 - (28, 25): 117 (29, 2) : 61 - (29, 22) : 119 (30, 2) : 187. Eccle. (7, 19): 339 - (8, 6) : 361. Cant. (2, 4): 173. Sap. (1, 4): 185 - (2, 24): 67 (7, 27): 191 - (7, 28) : 187 (8, 7): 207, 231 - (8, 16): 183 - (9, 14) : 227 - (11, 14) : 3'11 - (11, 17): 99 - (15, 9): 345. Eccli. (6, 23) : 181 - (6, 26) : 45, 163 - (6, 35) : 273 - (19, 23) : 353 - (20, 7) : 339 - (21, 2) : 43 - (26, 28) : 369. Is. (11, 2): 17!J, 309 - (47, 10): 195 - (58, 3 s.): 113 - (59, 2): 87. Ge1·. (4, 22): 179 - (9, 23) : 185 - (10, 14): 195 - (23, 5): 289 - (31, 33): 173. Ezech. (34, 4) : 97. Dan. (13, 56) : 259. Nahum (1, 9): 97. Malach. (4, 4): 365. 1 Macc. (2, 29ss.): 113 - (2, 41): 113 - (2, 65): 309. Nuovo Testamento. Mat. (5, 3 ss.): 190 - (5, 9): 189, 190 - (5, 19) : 35 - (5, 39): 101 - (5, 40): 151 - (5, 44): 171 - (6, 25 ss.): 357 (6, 31) : 357 - (6, 3.i) : 359 (7, 6): 111, 145 - (7, 18): 133 - (8, 12): 111 - (c. 10): 208 - (10, 16) : 208, 365 - (10, 19) : 329 - (10, 34) : 73 - (12, 25) : 75 - (12, 31) : 30 - (12, 31 s.) : 29-31 - (13, 22) : 357 (15, 12.) : 129, 141 - (15, 14) :

147 - (16, 23) : 133, 137 (18, 6): 137, 141- (18, 6ss.): 129 - (18, 7): 131 - (18, 8): 127 - (19, 21): 317 - (22, 37): 165, 167 - (22, 38) : 157 - (22, 3!}): 171, 173 - (22, 40): 161 - (24, 45): 243 - (26, 52): 101, 102, 107. Mal'Co (3, 28ss.): 30 - (12, 30): 167. Luca (10, 27) : 167 - (12, 10) : 30 - (14, 26) : 33, 159 - (16, 8) : 249, 347 - (22, 24) : w. Giov. (7, 23} : 113 - (7, 39) : 75 - (12, 6): 359 - (14, 6): 20 (15, 18 ss.): 10 - (15, 22): 15 - (15, 24): 15, 29 - (16, 8 s.): 15. Alti (4, 35): 359 - (5, 1 s.): 355 - (13, 13): 71 - (15, 39): 71 (23, 6 s.): 71. llom. (1, 18): 185 - (1, 20) : 2!> - (1, 29) : 81 - (1, 30}: 33 (5, 5): 155, 191 - (7, 5) : 37 (7, 8): 131 - (8, 6): 249 - (8, 7): 345, 347 - (8, 14 s.): 309 (8, 15) : 191 - (8, 29) : 191 (8, 38s.): 141- (11, 34): 315 - (12, 8) : 357 - (12, 19) : 101 - (13, 4) : 103 - (13, 8) : 159 (14, 13) : 163 - (14, 15) : 135, 149 - (14, 21) : 129. 1 Cor. (1, 8) : 169 - (1, 10) : 163 - (1, 30): 187 - (2, G): 187, 197 - (2, 7) : 189 - (2, 10) : 179 - (2, 14): 199 - (2, 15): 179 - (3, 3): 83 - (3, 10): 179 - (3, 18) : 195 - (3, 19) : 197, 199 - (4, 16): 141 - (6, 7): 151, 355 - (6, li): 181 - (6, 18) : 47 - (8, 1) : 83 - (8, 12) : 137 - (8, 13) : 153 - (9, 12) : 151 - (10, 33) : 243 - (11, 19) : 133 - (11, 26): 109 - (12, 8 ss.): 189 - (12, 31): 147 (13, 5) : 243 - (14, 1) : 61 (14, 40} : 143 - (15, 28) : 169. 2 Cor. (1, 12) : 185 - (2, 7) : 45 - (3, 17): 155 - (4, 2): 351 (7, 10) : -19 - (10, 4) : 109 (11, 28): 240 - (12, 16): 353 - (12, 20) : 121, 123. Gal. (2, 14): 141 - (5, 20 s.): 71, 7!>, 115 - (5, 22 s.): 317 -

381

INDICE ONOl\lASTICO (5, 26) : 61, 163 - (6, 10) : 161, 173. Ef es. (1, 11): 315 - (4, 14): 253 - (5, 15): 283 - (5, 29): 345. Filip. (1, 17 s.) : 79, 81 - (4, 4): 161. Colos. (2, 18 s.) : 89 - (4, 5) : 183. I Tcss. (2, 18): 139 - (5, 22): 129. I Tim. (1, 5) : 157 - (1, 6): !l1 - (3, 10): 169 - (4, 8) : 317 -

(5, 8): 175. 2 Tim. (1, 17): 357 - (2, 4): 10!J - (2, 14) : 79, 81. Tit. (3, 10) : 91. Ebr. (5, 14) : 253 - (13, 14) : 161. Giac. (1, 8): 335 - (2, 13): 317 - (3, 15): 177, 179, 3.i-7 - (3, 16): 333 - (3, 17): 187, 191

- (2, 315 35 172 159.

27) : 189, 253 (3, 14) : 65 (3, 16) : 173 (.i, 20s.): 171 -

SALLUSTIO 75. Sn:GMUND G. 14. SOCRATE 281. SOMMAVILLA G. 13. SPICQ C. 127, 371. SUAREZ F. 17, 100. TAROCCHI J. 85. TASCON T. 371. TERENZIO AFRO 335 n. TERTULLIANO 20, 102, 103, 112. TITO LIVIO 8. TOMMASO (S.) BECKET 150, 151. UGO DI S. CARO 145n. URBANO I 95.

- (4, 1): 117. 1 Piet. (4, 7): 241. 1 Giov. (1, 8) : 139 - (2, 9) : 33

(3, 2) : (3, 15): (3, 18): (4, 21):

VALERIO MASSIMO VEGEZIO 107.

213 n.

INDICE GENERALE PAG.

INTRODUZIONE .

7

I. L'odio di Dio e l'ateismo moderno . II. La guerra

15

TAVOLA SCHEMATICA

24

AVVERTENZE

25



Questione S4. - L'odio Articolo L Se uno possa odiare Dio Articolo 2. Se l'odio di Dio sia il più grave dei peccati

Articolo Articolo possa Articolo Articolo Que.~ttone

Articolo Articolo Articolo Articolo

3. Se qualsiasi odio del prossimo sia peccato . . 4. Se l'odio rlel prossimo sia il più grave peccato che si commettere contro di lui . . 5. Se l'odio sia un vizio capitale _6. Se l'odio nasca dall'invidia

7

26 26 28 32 34 36 38

35. - L'accidia. 1. Se l'accidia sia un peccato ..

42 42

2. Se l'accidia sia un vizio specifico 3. Se l'accidia sia peccato mortale 4. Se l'accidia sia. un vizio capitale

46

Questione 36. - L'invidia Articolo 1. Se l'invidia sia un tipo di tristezza .

Articolo 2. Se l'invidia sia. peccato Articolo 3. Se l' invidia sia peccato mortale Articolo 4. Se l' invidia sia un vizio capitale

48 50 56 56 60

62 64

Questi.one S7. - La discordia . Articolo 1. Se la discordia sia peccato .

70

Articolo 2. Se la discordia sia figlia della vanagloria Questione SB. - La contesa . Articolo 1. Se la contesa sia peccato mortale . Articolo 2. Se la contesa sia figlia della vanagloria . Questione ,,9. - Lo scisma . Articolo 1. Se lo scisma sia un peccato speciale . Articolo 2. Se lo scisma sia un peccato più grave dell' inc1·edulità Articolo 3.. Se gli scismatici conservino qualche potere . Articolo 4. Se sia giusto punire gli scismatici con la scomunica

74 78 7R

70

82 86

86 90 91,

96

384

INDICE GENERALE PAG.

Questione 40. - La guerra . Articolo 1. Se fare la guerra sia sempre peccato

Articolo 2. Se ai chierici e ai vescovi sia lecito combattere Articolo 3. Se nelle guerre si possano usare le imboscate Articolo 4. Se sia lecito combattere nei giorni festi\'i . Questione 41. - La rissa .

Articolo 1. Se la rissa sia sempre peccato Articolo 2. Se la rissa sia figlia del!' ira

100 100 106 110

112 114 114 116

Questione 4i. - La sedizione . 120 Articolo 1. Se la sedizione sia uno speciale peccato distinto dagli

altri . . Articolo 2. Se la sedizione sia sempre peccato mortale .

4-'· -

Lo scandalo . Articolo 1. Se lo scandalo sia ben definito come " parola o azione meno retta, che offre Wl'oceasione di caduta• . Articolo 2. Se lo scandalo sia peccato . Articolo 3. Se lo scandalo sia un peccato speciale . Articolo 4. Se lo scandalo sia peccato mortale . Articolo 5. Se lo scandalo passivo possa riscontrarsi anche nei perfetti . Articolo 6. Se si possa riscontrare nei perfetti lo scandalo attivo Articolo 7. Se, per evitare lo scandalo, si debba tralasciare il bene Articolo B. Se per evitare lo scandalo si debbano sacrificare I benl temporali .

Questione

120

122 126 126 130

134 136 138 140 142

148

Questione 44. - I precetti della carità . Articolo 1. Se sulla carità si debbano dare dei precetti .

154

Articolo 2. Se sulla carità bisognasse dare due precetti . Articolo 3. Se i due precetti della carità siano sufficienti Articolo 4. Se sia giusto il ce>mando di amare Dio con tutto il cuore Articolo 5. Se al precetto, • amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore•, sia giusto aggiungere: • e con tutta. la tua anima, e con tutte le tue forze • . .. . Articolo 6. Se questo precetto dell'amore di Dio si possa adempiere nella vita presente . Articolo 7.. Se sia ben enunziato il precetto dell'amore del p.rossimo Articolo 8. Se l'ordine della carità sia di precetto . Questione 45. - Il dono della sapienza Articolo 1. Se la sapienza sia da computarsi tra i doni rlello Spirito Santo Articolo 2. Se la sapienza risiPda nell' intellPtto . Articolo 3. Se la sapienza sia soltanto speculativa o anche pratica . . . . . . . . . Articolo 4. Se la sapienza possa trovarsi senza la grazia e col peccato mortale . . . .. . . . . . . Articolo 5. Se la sapienza si trovi in tutti coloro che sono in grazta Articolo 6. Se al dono