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Zitiervorschau
S. TOMMASO D'AQUINO
LA SOMMA TEOLOGICA TRADUZIONE E COMMENTO A CURA DEI DOMENICANI ITALIANI TESTO LATINO DELL'EDIZIONE LEONINA
XXXII
I NOVISSIMI : A (Suppi., qq. 69-86)
CASA EDITRICE ADRIANO SALANI
Nihil obstat Fr. Ludovicus Merlini, O. P.
Doct. S. Thcologiae Fr. Albcrtus Boccancgra, O. P. Doct. Phi!osophiae et
LccL S. Thcologiae
lmprimi potest Fr. Lc·oP~rdus Magrini, O. P. Prh.ir Prnvim:ialis S. Marci et Sardiniac rlorcntiac (!k XXVI Aprilis MCMLXXII IMPRIMATUR r.::.c:-1..:!is clic XXVIII Aprilis MC:i.1LXXl l
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DIRITTI SONO RISERVATI
cm.a Editrice Adriano Salarti S.p.A.
Tir. PoligloHa L:niv. Grcgodana, Roma - MCMLXXII - Printed in Itn!y
I NOVISSIMI: a) oltretomba e resurrezione (Suppl., qq. 69-86)
I NOVISSIMl : a) oltretomba e resurrezione (Suppi., qq. 69-86) A cura dei Padri Tito e Timoteo Centi, O. P.
INTRODUZIONE I _ Non è facile introdurre il lettore profano in un trattato di escatologia. Né ci sembra giustificata l'idea, cara a certi teologi moderni, che le difficoltà nascano dal fatto che oggi la gente vive in una società demitizzata. La difficoltà in questo campo è sempre esistita: basterebbero a provarlo le parole di scherno con le quali gli antichi pagani oommentarono la proclamazione di codeste verità da parte degli apostoli e dei martiri. «Paolo, tu sei fuori di senno », gridò Festo a.Il' Apostolo che aveva accennato alla resurrezione dei morti ; « la tua molta dottrina ti fa dare in pazzia » (Atti 26, 24). Ma il nostro non è un compito apologetico: chi prende in mano la Somma Teologica sa bene che si tratta di un'esposizione sistematica della dottrina cristiana secondo la più genuina tradizione cattolica, cosi come essa poteva essere conosciuta nella seconda metà del secolo XIII. Ora, secondo il pensiero cristiano l'escatologia ha un'importanza capitale, come affermano consapevolmente gli studiosi moderni di teologia positiva, e come si rileva dall'analisi stessa delle correnti moderne di teologia sistematica. Hans Urs von Balthasar osserva argutamente in proposito che mentre per la teologia liberale del secolo XIX poteva valere il motto : « L'ufficio escatologico è abitualmente chiuso », dall'inizio del secolo XX in codesto ufficio si fanno molte ore di straordinario. 1 Non c'è quindi da meravigliarsi che quest'ultimo trattato sui novissimi abbia un grande rilievo nella sintesi tomistica. Ma i lettori devono tener presente che la sintesi dell'Aquinate non ha potuto mostrarsi qui in tutta la sua bellezza e chiarezza, perché la morte immatura dell'Autore ha lasciato l'opera incompiuta, costringendoci a ripiegare sulle opere precedenti. Il trattato dei Novissimi che noi presentiamo fa parte del Suwlemento, ossia di quel compendio tratto dal Com1
I Novissimi nella teoloyia contemporanea, Brescia., 1967, p. 31.
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m.ento giovanile alle Sentenze di Pietro Lombardo che ha 8upplito in qualcho n1odo l'esposizione originalo e matura dell'Autore. 2 Purtroppo il r.om.pilatore anonimo non era un genio, e neppure un teologo ben preparato, come vedremo chiaramente nel corpo dell'esposizione, n1ediante opportune note in Cè:1lc~o lai:-:: li ea. 6 - l\fa sul 1nodo di utilizzare i testi biblici, sia nella costruzione teologica in generale, che in particolare nel trattato dei novissimi, bisogna fare un'altra osservazione importante. l\1 oJto prin1a ehe si parla8se di « demitizzazione », ossia fin dai prhnordi dclr èra cristia.na, i teologi hanno rilevato che non poche f•sprP.ssioni bibliche non possono e non devono essere intese nella Joro materialità. ll testo sacro, per es., è pieno di espresRioni antropomorfiche, le quali materialmente prese compro1netterebbero l'assoluta semplicità, invisibilità e incorporeità. di Dio. E neppure siamo tenuti a sottoscrivere le idee cosn1ologiietro Lombardo nel testo delle Sentenze che qui 1' Aquinate commenta. Anzi al Santo vescovo d'Ippona viene concesso più del giusto, perché a lui vengono attribuite anche opere che non gli appartengono ; il De Fide ad Petrum che è di S. Fulgenzio di Ruspe, e il De Spiritu, et Anima, di cui S. Tommaso stesso riconobbe in seguito la non autenticità (oggi viene attribuito concordemente al monaco cistercense Alchero di Chiaravalle). :Molto citate sono pure le ope:re di S. Gregorio Magno, sopratutto i Dialoghi e i M oralia. I primi specialmente formavano la delizia dei medioevali con le loro storie meravigliose in cui frequenti sono le apparizioni d'oltretomba. Le altre fonti sono in confronto molto meno importanti ; ma ci permettono di controllare la vastità della cultura teologica di S. Tomn1aso. Di Euse.bio di Cesarea (265-339), p. es,, abbiamo una sola citazione. Ma essa ci permette una constatazione molto importante : mediante la Storia Ecclesiastica di codesto autore, citata al momento opportuno, S. Tommaso mostra di ·conoscere l'importanza che l'escatologia aveva rivestito nei primordi del cristianesimo, fino al punto di suscitare movimenti di fanatici come quelli dei Catafrigi, e dei Chiliasti. Nelle opere apologetiche (tra le quali va ricordato anche l'opuscolo Contra errores Graecorum) vediamo che il Santo conosceva abbastanza anche l'escatologia ebraica e quella mussulmana, tenendo bene in evidenza le controversie che in materia esistevano tra cattolici e greci scismatici. Per completare il quadro relativo alle fonti del trattato, dobbiamo almeno accennare ai molti anonimi maestri di cui 8. Tommaso si è servito, senza mai citarli espressamente per rispetto verso una tradizione di scuola. I « quidam )) cui egli accenna sono i teologi dei secoli XII e XIII, che a vevano insegnato a Parigi e altrove, pubblicando opere meno fortunate, ma non meno valide delle Sentenze di Pietro Lombardo. Dietro la scorta degli editori della Somma Teologica, sia Leonini che Canadesi, daremo qua e là qualche indicazione in . proposito.
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I NOVISSIMI
III Le anime separate e l'escatologia.
8 - Tra tut.ti i problemi che interessano l'escatologia cattolica non ee n'è uno che sia oggi più discusso e più vitale di quello relativo all'esistenza e consistenza delle anime separate. Per l'esattezza esso non rientra direttamente tra i temi escatologici, perché le anime separate non sono che in una condizione di trapasso, in una situazione intermedia e non finale. Ma tutto quello che i teologi hanno detto intorno alle condizioni attuali dei regni d'oltretomba presuppone la loro esistenza. In seguito però all'apertura del dialogo con i fratelli separati, promosso dal Concilio Ecumenico Vaticano II, molti teologi cattolici, in un'atmosfera antimetafisica e antiscolastica come quella attuale, si sono sentiti a, disagio nella difesa delle posizioni tradizionali. E, per evitare ai cristiani d'Oriente e a quelli riformati d'Occidente ogni fatica per capire la tesi cattolica, hanno accettato sostanzialmente le tesi degli scismatici e quelle anche più radicali dei protestanti. Questi ultimi respingono il dualismo anima e corpo, perché secondo loro esso non sarebbe di origine biblica, ma filosofica ; mentre i Greci Ortodossi si ostinano a considerare le anime dei trapassati prima della resurrezione finale in una specie di ibernazione. Ecco come nel clima post-conciliare parla della morte, che tutti i cat.echismi cattolici finora descrivevano quale separazione dell'anima dal corpo, il Nuovo Catechismo 01,andese: «Poi l'uomo ritorna alla terra, come una foglia d'autunno, come un anin1ale. ~Iistero insopportabile, la morte, cui nessun cuore umano può adattarsi. La, morte non si addice all'uomo. La morte è radicale. Non muoiono solo le braccia, le gambe, il busto, la testa. No. Muore tutto l'uomo terrestre. Su questo punto hanno ragione coloro che non possono ammettere la sopravvivenza ; la morte è la fine di tutto l'uomo, quale lo conosciamo. Il nostro cuore circonda la morte di rispetto. L'uon10 tace di fronte alla morte. La morte è un rnistero }>. 1 E dopo aver affermato che dalla fede nella resurrezione di Cristo scaturisce anche la fede nella resurrezione dei giusti (ibid. p. 571), si prendono in esame « senza preconcetti )) (sic I) 1
ll "Viw1·0 Cait"chisuw Olamlese, Torino·Leumann, 1969, pp, 569 s.
INTRODUZIONE
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le parole della Bibbia in cui «pare» che si parli dell'anima separata arrivando alle seguenti conclusioni : « Ma sulla bocca di Gesù' la parola anima non significa uno spirito umano sciolto e fluttuante 1 Significa piuttosto, come anche in altre parti della ~ibbia, ~a vita,. il nucle~ vitale di tutto l'uomo, corpo e spinto. Il Signore mtende dire che qualcosa la parte più autentica dell'uomo, può venire salvata dopo la morte. Questo quakoaa non è il cada vere che rimane. Ma il Signore non dice che quel quakosa esiste senza alcun legame con un nuovo corpo. II linguaggio biblico ignora lanima umana assolutamente incorporea » (ibid. p. 573). Per evitare l'imbarazzo di fronte all'attesa piuttosto prolungata della resurrezione finale, questi nuovi maestri del dialogo a, oltranza, per evitare che il suddetto « qualcosa » il quale attende la resurrezione reclami un suo modus vivendi, vengono a dirci con tutto candore che la resurrezione dei morti è già in atto. « Stando la centralità della resurrezione di Cristo », scrive E. Ruffini, «e poiché gli eventi escatologici sono da situare al di fuori di ogni categoria temporale, ne consegue che la resurrezione dei morti deve essere stabilita in perfetta simultaneità con quella di Cristo stesso ». 1 Idee, ovvero fantasticherie del genere possono riscontrarsi in molti autori protestanti, p. es. nell'opera di OscAR CuLLMANN, Oriato e il tempo (parte IV, c. 3), con accenti abbastanza rispettosi verso la posizione cattolica, ma che certo nessun cattolico degno di questo nome può condividere. Si fa presto a, dire che l'interesse dei nostri fedeli e dei nostri teologi per la maniera in cui viene a esistere l'uomo (non più l'anima separata), prima della resurrezione finale «costituisce prova di poca fede, è un segno incontestabile che la fede nella già. avvenuta resurrezione di Cristo è vacillante». 2 Sarebbe facile infatti dimostrare precisamente il contrario. 9 - Ad ogni modo quello che noi contestiamo è la legittimità di questo ostracismo decretato alle anime separate in base a un fanatico attaccamento al testo biblico nella sua ·materialità e a una non meno fanatica ripugnanza per la filosofia greca in genere e platonica in particolare. Procedendo con il medesimo criterio, noi dovremmo escludere nel modo più assoluto la sfericità dell'orbe terraqueo, perché non concorda con la Bibbia, e riaffermare la solidità e l'impermea-
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In· Gfomale di Teologia, 13, Querinlana, Brescia, 1967, p. 21. Cristo e il tempo, Bologna., 1965, p. 280.
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bilità del firmamento, perché cosi lo 1mmag1na vano gli agiografi. 1 l\Ia chiunque abbia un nun1mo di criterio nell'interpretazione dei testi sacri accet.ta senza scandalizzarsi l'idea che Dio parla va a.gli uo1nini secondo il grado di cultura che essi avevano, senza pretondere dalle persone semplici il linguaggio rigoroso della seienza f' della filosofia. :Non è detto però che egli intendeva per quest,o condannare le indagini oneste e coseienziose della sapienza umanà ; perché, come ricorda con insistenza S. Tommaso, il l)io della rivelazione è anche il Dio della creazione. Ora., concepire l'anima del tutto spirituale (e l'osservazione vale per la concezione stessa della divinità) è un'impresa che supera la capa.cit,à del fa.nciullo e quella della massa. Di qui l'esclusione abit.nale delle anime disincarnate dal linguaggio biblico, che non era indirizzato a un'assemblea di dotti. Perciò la questione del dualisino sostanziale dell'uomo va trattata a prescindere dal testo sauro. Quello che importa è che le affern1azioni del "Vecchio e del Nuovo Testamento non com1 A proµoi,sito t.lcgli csst'l'i vh;enti è ben difficile sfuggire all'argomentazione del· l' Aquinatl" che dimostra nel modo pH1 1·igoroso la distinzione tra anima e corpo: •La dta si manifesta i.-:pcdalmeute neHa duplice attività della conoscenza e dcl movi· mento. Gli a.ntichi filo!'iotì, che non riuscivano ad elevarsi al di sopra dell'immaginazione, l'itt:uevimo ehe il prlndpio di tali attività fosse un corpo ; perciò a.ft'crmavano che i soli corpi sono P.88erì l'(Xtli e dw fuori di essi non vi è che il niente. In base a ciò. dicevano che:\ l'anima non è C"hc un corpo •. ~ ;:o;ehhene si pndél!:I, mostra.re la fft.lF.!ità di tale opinione in molte maniere. tuttavia useremo un solo argomento, che. }lf!r la sua universalità e certczz~. prova come l'mdma non r:iio, un corpo. Infatti è evidente che non ogni principio di operazioni "\'ito.H è un'ft.nima, al.trimenti anche l'nct~hio sarebbe anima, essendo principio dell'ol)c· rarlone viRiva; e lo r:>tctiso pot,1·emmo dire degli altri organi dell'uomo. Noi invoco chiamiamo anima il primo principio della vita. Ora, benché un corpo possa essere in un ccr.to senso prirn:.•l])jo di vita, il cuore per es., è principio di vita nell'animale, tutta.via un corpo non potrà. ma.i essere primo principio di vita. È infatti mani· festa clie al coriw, in quanto corpo, non appartiene né di essere principio di vita, né d.i e~cre un -viYentc : a.Jtrìmcnti ogni corpo sarebbe vivente, o principio di vita. Dnnque, se un corpo è vivente o principio di vita, ciò dipende dal tatto che esso è ta.le corpo, Ora un essere è Mtualmcnte tale in forza di un principio, che viene ehiamato i1 1::1uo titto. Pcr0if) l'anima., la quale è il primo principio di vita, non ò lm t.1orpo, ma o.tt.o di un cnrpo : come il calore, che ò principio del riscaldamento. non è nn em·po. ma l'atto (o la perfo.iionc) di un corpo • (1, q. 75, a. l). Vorrt'mmo saper~ dai moùcrnis.'limi teologi perché questo ragionamento è da con· siderarsi superato, e se et'lisi lo considerino filosofia platonica o semplice buon senso. Non abbiamo nt.-ssnm1 difficoltà ti. r,oncedere che U tentativo tomistico di determi· naro la cono!'lcenza delle anim1.~ separate (cfr. I, q. 89) o persino il comportamento tklla loro volontà {cfr. 4 (!Qrd. Geni., oc. 92-95) è molto meno Persuasivo, sebbene l'inrlagint• sia C'ondotta con rigorl) e sobrietà; perché in codesti particolari avvertiamo la nN'CBl'ità
, noi sjan10 costretti a ripiegare sull' analisi aolo afferma : «Se l'abitazione nostra terre8h'e sarà. disfatta, avrC'n10 una casa non manufatta preparata nei cieli ». Quindi, l 'ani.rna libera dai lacci della carne ha una dimora. prC'pa.rata nei cielL 2 ..Dice ancora l'Apostolo: e< Desidero andarmene ed essere con Cristo » ; per cui conclude S. Gregorio : e< Chi non dubita della pre~enza di Cristo in Cielo, neppure può negare che vi sia l'anima di 8. Paolo ». !fo. siccome non possiamo negare che Cristo sia in cielo~ p(~rché è~ un articolo di fede, neanche è lecito dubitare che le anhne dei sa.nti siano portate in cielo. Che poi vi siano delle 1
Luogl:ù paralfoH = 1, q. 6-4, a. 4, ad 3; 1·11, q. 4, a. 5; III, q. 59, a. 5, ad I;
DIMORA DELL.E ANIME DOPO LA MORTE
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ARTICULUS 2 Utrum statim post mortem aliquae animae deducantur ad caelos vel ad infemum. (4 Sent., d. 45, q. 1, a. 1, qc. 2)
AD SECUNDUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod stat,im post mortem nullae animae deducantur ad caelos vel ad infernum. Quia super illud Psalmi [36, 10], «Adhuc pusillum et non erit peccator », dicit Gloaaa quod «sancti liberantur in fine mundi: post hanc tamen vitam non ibi eris uhi erunt sancti, quibus dicetur, Venite benedicti Patris mei ». Sed illi sancti erunt in caelo. Ergo sancti post hanc vitam non statim ascendunt ad caelum. 2. PRAETEREA, Augustinus dicit, in Enchirid. [c. 109], quod f tempus inter hominis mortem et ultimam resurrectionem interpositum animas abditis receptaculis continet, sicut unaquaequc digna est req"?i~ vel aerum!la ». Sed ha:ec. a~d!ta r~ccptacula non possunt intelhg1 caelum et lnfernus : qu1a in ilhs etiam post resurrectionem ultimam cum corporibus erunt; unde pro nihilo distingueret tempus ante resurrectionem et post resurrcctionem. Ergo non erunt nec in inferno nec in paradiso usque ad diem iudicii. 3. PRAETEREA, maior est gloria animae quam corporum. Sed simul omnibus redditur gloria corporum, ut sit maior laetitia singulorum ex communi gaudio: ut patet Heb. 11, 40, super illud, «Deo pro nobis aliquid melius providente, etc. 1> ; dicit Glossa : è Ut in communi gaudio omnium maius fieret gaudium singulorum ». Ergo multo fortius gloria animarum debet differri usquc ad fin.ero, ut simul omnibus reddatur. 4. PRAETEREA, poena et praemium quae per sententiam iudicii redduntur, iudicium praccedcre non debent. Sed ignis inferni et gaudium paradisi dabuntur omnibus per sententiam iudicantis Christi, scilicet in ultimo iudicio, ut patet Matth. 25, 31 88. J4~rgo ante diem iudicii nullus ascendit in caelum vel descendit ad inferos. SED CONTRA EST quod dicitur 2 Oor. 5, 1 : «Si terrena nostra habitatio dissolvatur, domum habemus non manufactam conservatam in caelis ». Ergo, dissoluta carne, homo habet mansionem qua-e ei in caelis fuerat conservata. 2. PRAETEREA, Philip. 1, 23 dicit Apostolus : « Cupio dissolvi et esse cum Christo 1>. Ex quo sic arguit Gregorius, in 4 Dialog. [e. 25]: ! Qui ergo Christum in caeJo esse non dubita t, nec Pauli animam m ooelo esse negat ». Sed non est negandum Christum esse in caelo : cum sit articulus fidei. Ergo nec est dubitandum animas
: Benl., d. 6, a. 3, ad 5 ; d. 11, q. 2, a. 1 ; 4 Cont. Gent., o. 91 ; In loonn., c. 19, eot. 5 ; In e Cor., lect. 2 ; A.d Hebr .• c. 11, lect. 8.
3 · XXXII
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LA
SO~t\'lA
TEOLOGICA, Suppl., q. 6·9, a. 2
ani1nP ch0 imnH-'diatament.e dopo la morte discendono all'inferno, è. chia.ru da quanto dice S. Luca : . Ergo Iaeob sciebat in morte sua se ad inferos transferendum. Ergo et, eadem rat,ione, Abraham ad inferos translatus fuit post mortem. Et ita sinus Abrahae videtur esse aliqua pars inforni. RESPONDEO DICENDUlf quod animae hominum post mortem ad quiet.om pervenire non possunt nisi merito fidei : quia « accedentem ad Deum oportet credere», Heb. Il, 6. Primum autem exemplum eredendi hominibus in Abraham datur, qui primo se a coetu infidelium segregavit [Gen. 12, 4], et speciale « signum fidei accepit ; [Gen. 17, 10 ss. ; Ad Rom. 4, 11]. Et ideo requies illa qua.e hominibus post mortem datur, « sinus Abrahae » dicitur : ut patet per Augustinum, 12 Super Gen. ad litt. [c. 34 ]. Sed animae sanctorum post mortem non omni tempore eandem quietem habuerunt. Quia post Christi adventum habent plenam quietem, divina visione perfruentes. Sed ante Christi adventum habebant quietem per immunitatem poenae, sed non habebant quietem desiderii per eonsecutionem finis. Et ideo status sanctorum ante Christi adventum potest considerari et seeundum id Men.tre nelle lingue classiche e nei testi neotestamentari si parla di inferi [o inferno] e di 7>aradiso [cielo o reuno dei cieli!. i teologi scolastici si videro costretti a trovare un termine che indicasse la condizione intermedia tra la pena e il premio eterno, in cui sistemare provvisoriamente i padri dcli' Antico Testamento, e definitivamente i bambini morti senza battesimo. 1''u Per questo che essi ricorsero al termine limbo, che signiftca appunto bordo o lembo. Lembo di che cosa 1 Dell'Inferno, ossia degli Inferi ; nel quale luogo discese Cristo dopo la sua morte, secondo le chiare indicazioni della Scrittura.
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LA SOMMA TEOLOGICA, Suppi., q. 69, aa. 4-5
raggiunto. Perciò prima di Cristo, lo stato delle anime sante in rapporto a quel che aveva di pace si chiamava «seno di Abramo», ma per quel che a questa pace mancava era detto «limbo infernale»-. Quindi, prima di Cristo il limbo infernale e il seno di Abramo formavano, solo occasionalmente, non già essenzialmente, la stessa cosa. Perciò niente impedisce che dopo la venuta di Cristo il seno di Abramo sia del tutto diverso dal limbo, perché quelle cose che sono unite occa.sionalmf'ntc possono separarsi tra loro. SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ : 1. Lo stato dei santi patriarchi per quanto vi era di bene si chiamava «seno di Abramo»; ma per quel che vi era di imperfezione si denomina va (. Perciò il seno di Abramo non è preso in senso cattivo, e neppure l'inferno in senso buono, benché in qualche modo siano la stessa cosa. 2. Il luogo di riposo dei santi patriarchi è chiamato seno di Abramo prima e dopo la venuta di Cristo; ma con significati diversi. Poiché la pace dei santi, prima della venuta di Cristo, essendo difettosa, si chiamava indifferentemente inferno o seno d'Abramo, mancando in essa la visione di Dio. Siccome in vece, dopo quella venuta, la pace dei giusti è perfetta, per la visione di Dio, può chiamarsi ancora seno di Abramo, ma non inferno. La Chiesa perciò prega che a questo seno d'Abramo siano condotti i suoi fedeli. 3. La risposta alla terza obiezione è quindi ovvia. E in tal senso va intesa la Glossa alle parole di S. Luca : « Avvenne che mori anche il mendico ecc. » : «Il seno di Abramo è il luogo di pace dei poveri beati, dei quali è il regno dei cieli ». 1
ARTICOLO 5 Se il limbo si identifichi con l'inferno dei dannati.
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SEMBRA che il limbo si identifichi con l'inferno dei dannati. Infatti : 1. È detto che Cristo «ha morso» l'inferno, non che l'ha assorbito; perché ne tirò fuori solo alcuni e non tutti quelli che c'erano. L'espressione non sarebbe valida se i liberati da lui non avessero fatto parte della moltitudine che si trovava all'inferno. Ma siccome quelli che egli liberò erano nel limbo dell'inferno, è chiaro che essi stavano e nel limbo e nell'inferno. Quindi ne segue che il limbo è lo stesso che l'inferno o ne è una parte. 2. Nel Credo si dice che Cristo «discese all'inforno ». Ma si sa bene che egli discese nel limbo dei patriarchi ; quindi codesto limbo si identificava con l'inferno. 3. Sta scritto in Giobbe : « Tutte le mie cose scenderanno nel1
Quest'ultima proposizione si può tradurre anche più chiaramente in questi ter-
mini : • ... ai quali appartiene il regno dei cieli•.
DIMORA DELLE ANIME DOPO LA MORTE
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uod habebat d~ requie, et si? dicitur ~< sinus Abrahae ».: pote~t itiam considerar~ qua~tum ad id quod e1s deerat de requie, et sic dicitur « lim bus 1nfern1 ». Limbus ergo inferni et sinus Abrahae fuerunt ante Christi adventum unum per accidens, et non per se. Et ideo nihil prohibet post Christi adventum esse sinun:_i Abrahae on:_inino .div:ersum a limbo : quia ea quae sunt per acmdens, separar1 conting1t. AD PRIMU:VI ERGO DICENDU:\I quod quantum ad id quod habcbat de bono, status sanctorum Patrum « sinus 4brahae » ~icebatur. Sed quantum ad id quod habebat dc defectu, d1cebatur «1nfernus )}. Et sic nec sinus Abrahae in malum accipitur, ncc infernus in bonum quamvis quodammodo sint unum. A~ sECUNDUM DICENDUM quod, sicut requies sanctorum Patrum ante Christi adventum dicebatur sinus Abrahae, ita et post Christi a,dventum : sed diversimode. Quia enim ante Christi adventum sanctorum requies habebat defectum requiei adiunctum, dicebatur idem infernus et sinus Abrahac, inquantum ibi non videbatur Deus. Sed quia post Christi adventum sanctorum requies est completa, cum Deum videant, talis requies dicitur sinus Abrahae, et nullo modo infernus. Et ad hunc sinum Abrahae Ecclesia orat fideles perduci. Unde patet responsio ad tertium. Et sic etiam intclligenda est qua.edam glossa quae habetur Luc. 16, super illud [v. 22], «Factum est· ut moreretur mendicus etc. », quae sic dicit : « Sinus Abrahae est requies beatorum pauperum, quorum est regnum caclorum )),
ARTICULUS 5
Utrum limhus sit idem quod infemus damnatorum. (4 Seni., d. 45, q. I, a. 2, qe. 2)
An QUINTUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod limbus sit idem quod infernus damnatorum. Christus enim dicitur infernum e< momordisse » [O.see 13, 14], non absorbuisse, quia aliquos inde extraxit, non a.utero om.nes. Non autem diccrctur momordisse infernum si illi quos liberavit non fuissent pars multitudinis in inferno con. tenta.e. Ergo, cum illi quos liberavit in limbo inferni contineren~ur, iidem continebantur in limbo et inforno. Ergo limbus vel est idem quod infernus, vel pars inferni. 2. PRAETEREA, Christus dicitur in Symbolo [Apostolorum] «desErgeendisse ad infernum ». Sed non descendit nisi ad limbum Patrum. o limbus Patrum est idem quod infernus. 3. PRAETEREA, lob 17, 16 dicitur : «In profundissimum inferni d eeeendent omnia mea )). Sed lob, cum esset vir sanctus et iustus
·-v
lLu,.._.. Parallelo: 3 Seni., d. 22, q. 2, a. t, qc. 2.
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LA SOM.MA TEOLOGICA, Suppl., q. 69, a. 5
l'inferno più profondo». Ora, il Santo e giusto Giobbe discese al limbo. Dunque il limbo si identifica con l'inferno più profondo. IN CONTRARIO : « Nell'inferno non c'è redenzione alcuna ». 1 Siccome invece i santi furono redenti dal limbo; è chiaro che questo non è l 'infcrno. 2. Si legge in S. Agostino : « Con1e si possa pensare che quella pace », concessa a Lazzaro, « si trovi all'inferno, io non riesco a capirlo ». :Jfa l'anima di Lazza.ro discese al limbo. Perciò il limbo e l'inferno non sono la stessa cosa. RISPONDO: Le dimore delle anime si possono distinguere per la loro ubicazione, o per la loro qualità, cioè in quanto sono destinate al premio o al castigo. In questo ultimo senso non c'è dubbio che il limbo dci patriarchi è distinto dall'inferno; sia perché nell'inforno c'è la pena del senso, che non esiste nel limbo, sia perché nell'inferno la pena è eterna, mentre nel limbo i santi eran trattenuti solo per un certo tempo. Ma rispetto all'ubicazione, è probabile che l'inferno e il limbo abbiano lo stesso luogo, o luoghi quasi contigui, in maniera però che una certa parte superiore dell'inferno si chiami limbo dei Patriarchi. I dannati infatti patiscono una pena proporzionata alla diversità della loro colpevolezza. Perciò quanto più i loro peccati sono gravi, tanto più profondo e più oscuro sarà il luogo assegnato nell'inferno. Dunque ai santi Patriarchi, oberati da minime colpe, dovette essere riservato un posto più in alto e meno tenebroso di tutti gli altri che quivi sono puniti. SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ : 1. Si può dire che Cristo ha morso l'inforno 2 e vi è disceso a liberare i patriarchi, per il fatto che l'inferno e il limbo hanno la stessa ubicazione. 2. 1..a stessa risposta vale per questa seconda difficoltà. 3. Giobbe non discese all'inferno dci dannati, ma al limbo dei patriarchi, che è chiamato «luogo profondissimo;>, non perché luogo di pena. ma per connessione con gli altri luoghi, poiché in esso si suole includere ogni luogo di pena. Oppure si può spiegare il passo citato con l'esposizione di S. Agostino : «Giacobbe, dicendo ai figli, " ~,arete discendere la mia vecchiaia con tristezza all'inferno", sembra aver voluto manifestare la paura di essere talmente afflitto, da temere di non giungere alla pace dci giusti e dì dover andare invece nell'inferno dei reprobi ». Allo stesso modo si possono interpretare le parole di Giacobbe, ritenendole, non tanto un'asserzione, quanto piuttosto la manifestazione di un timore.
1 Qncsta frase, che l'Autore cita senza nessuna referenza, è nell'Ufficio dci defunti, rcsp. 7, a. Sed nulla est poena mitior ea quam sancti Patres habebant. Ergo idem est locus poenae utrorumque. SED CONTRA, sicut actuali peccato debetur poena temporalis in purgatorio et aeterna in inferno, ita et originali peccato debebatur poena temporalis in limbo Patrum, et aeterna in limbo puerorum. Si ergo infernus et purgatorium non sunt idem, videtur quod nec limbus puerorum et limbus Patrum sint idem. Utrum autem infernus et purgatorii locus sint idem, quaesitum est supra dist. 21 [q. 1, a. 1, qc. 2]. RESPONDEO DICENDUM quod limbus Patrum et Iimbus puerorum absque dubio differunt secundum qualitatem praemii ve] poenae : pueris enim non adest spes beatae vitae, quae Patribus in limbo aderat, in quibus ctiam lumen fidei et gratiae refulgebat. Sed quantum ad situm probabiliter creditur utrorumque locus idem fuisse : nisi quod requics beatorum adhuc erat in superiori loco quam limbus pucrorum, sicut de limbo et inferno dictum est [a. 5]. An PRIMUM ERGO DICENDUM quod ad culpam originalem non eodem modo se habebant Patrcs et pueri. In Patribus enim originalis culpa expiata est secundum quod erat infectiva personae, remanebat tamen impedimentum ex parte naturae, pro qua nondum erat satisfactum plenarie. Sed in pueris est impedimentum et ex parte personae et ex parte naturae. Et ideo pueris et Patribus diversa receptacula assignantur. An SECUNDUM DICENDUM quod Augustinus loquitur de poenis quae de bentur alieni ratione personae suae, inter quos mitissimam poenam habent qui solo originali peccato gravantur. Sed adhuc est mitior poena eorum quos non impedit a perceptione gloriae defectus pcrsonae, sed solum defectus naturae : ut ipsa dilatio gloriae quacdam poena dicatur.
1
Il compilatore frettoloso del Supplemento, trascrivendo questa frase non ha badato ohe il riferimento è relativo a un testo dcl Commentario alle Sentenze (4 Sent., d. 21, q. I, a. 1, qc. 2), che non esiste affatto nella compilazione da lui curata. Anzi egli eliminerà del tutto quelle pericopi tomistiche nel trattate dci novissimi, cosicché anche ndloi, imitando gli altri editori della Summa, saremo costretti ad aggiungerle in appence (cfr. quest. dc Purgat., a. 2).
4 - XXXII
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ARTICOLO 7 Se sia neeessario distinguere tutte queste dimore.
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SEMBRA che non sia necessario distinguere tutte queste dimore. Infatti : 1. Le dimore vengono attribuite alle anime dci trapassati in rapporto non solo al peceato, ma anche al merito. Ma per il merito non c'è che una dimora, cioè il paradiso. Quindi anche per i peccati basta una sola dimora. 2. La destinazione delle anime alle diverse dimore dopo la morte avviene secondo il merito o demerito. Ma il luogo per acquistare meriti o demeriti è uno solo. Perciò ci deve essere per le anime un solo luogo, anche dopo la morte. 3. I luoghi di pena devono corrispondere alle colpe. Ora, le colpe sono soltanto di tre specie : originale, veniale e mortale. Dunque tre devono essere i luoghi di pena. IN CONTRARIO : Scm bra che non bastino le dimore generalmente ammesse, ma ce ne vogliano molte di più. Quest'aria tenebrosa, p. es., è il carcere dei demoni, come scrive S. Pietro. E tuttavia essa non è computata tra le cinque dimore suddette. Dunque i regni d'oltretomba devono essere più di cinque. 2. Il paradiso terrestre è distinto da quello celeste. Ma alcuni, dopo questa vita, sono stati trasferiti al paradiso terrestre, come si dice di Enoc e di Elia. 2 Quindi, non essendo il paradiso terrestre computato tra le suddette cinque dimore, queste devono essere più di cinque. 3. Ad ogni genere di peccatori deve corrispondere un particolare luogo di pena. Ma, nell'ipotesi che uno, contaminato dal peccato originale, muoia col solo peccato veniale, non troverebbe un luogo dove stare. Infatti non potrebbe andare in paradiso né al limbo dei patriarchi perché privo della grazia. Ma neppure potrebbe andare nel limbo dei bambini, dove non c'è pena sensibile, dovuta al peccato veniale. Non in purgatorio, dove la pena è solo temporanea, mentre a lui spetta una pena eterna. Mancando poi il peccato mortale, non può andare all'inferno. Bisogna quindi ammettere una sesta dimora. 4. La gravità delle pene dipende dalla diversità delle colpe e dei meriti. Ma i gradi dell'una e degli altri sono infiniti. Dunque bisogna che ci siano infinite dimore, per punire o premiare le anime dopo la morte.
1 È questo un articolo riassuntivo, in cui l'Autore mostra chiara.monte Io schema della catechesi cristiana circa i regni d'oltretomba, e indica sommariamente i motivi che hanno indotti i teologi a fissarlo in quei dati che sono ormai tradizionali. •Mentre altri testi che accennano al rapimento di Ji~noc e di ~;lia (cfr. 4 6 Re, 11 ; Eccli. 48, 9>. non precisano la loro dislocazione, in Eccli., 44, 16, stando alla Volgata,
DIMORA DELLE
A~IME
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ARTICULUS 7 Utrum debeant tot reeeptaeula distingui. (4 Sent., d. 45, q. I, a. 3)
An SEPTIMUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod non debeant tot receptacula distingui. Sicut enim receptacula dcbcntur anima.bus pro peccato post mortem, ita et pro merito. Sed ratione meriti non debetur nisi unum tantum receptaculum, scilicet paradisus. Ergo nec ratione peccatorum debetur nisi unum receptaculum. 2. PBAETEREA, receptacula assignantur animabus post mortem ratione meritorum vel demeritorum. Sed unus est locus in quo merentur vel demerentur. Ergo unum tantum receptaculum deberet eis assignari post mortem. 3. PRAETEREA, loca poenalia debent respondere ipsis culpis. Sed non sunt nisi tria genera culparum : scilieet originalis, venialis et mortalis. Ergo non debent esse nisi tria receptacula poenalia. SEn CONTRA, videtur quod deheant esse multo plura quam assignentur. Aer enim iste caliginosus est daemonum carcer, ut patet 2 Petri 2, 4. Nec tamen computatur inter quinque receptacula quae a quibusdam assignantur. Ergo sunt plura receptacula quam quinque. 2. PRAETEREA, alius est paradisus terrestris, et alius paradisus caelestis. Sed quidam post statum huius vitae ad paradisum terrestrem sunt translati : sicut de Hcnoch et de Elia dicitur [Eccli. 44, 16; 48, 9]. Cum ergo paradisus terrestris inter quinque receptacula non computetur, videtur quod sint plura quam quinque. 3. PBAETEREA, cuilibet statui peccantium debet aliquis locus poenalis respondere. Sed si ponatur aliquis in originali decedere cum solo veniali peccato, nullum receptaculorum assignatorum ei competeret. Constat enim quod in paradiso non esset: cum gratia careret. Et eadem rationc nec in limbo Patrum. Similiter etiam nee in limbo puerorum : cum in ipso non sit poena sensibilis, quae tali debetur ratione venialis peccati. Similiter nec in purgatorio: quia ibi non est nisi poena temporalis, huic autem debetur poena perpetua. Similiter autem nec in inferno damnatorum: quia mortali peccato caret. Ergo oportet sextum receptaculum assignare. 4:. PRAETEREA, diversae sunt quantitates praemiorum et poenarum secundum differentias culparum et meritorum. Sed infiniti sunt gradus meritorum et culparum. Ergo infinita debent distingui receptacula, in quibus puniantur vel praemientur post mortem.
;!, legge: • Henoc placuit Dco et translatus est in pa:ra.disum, ut det gentibu.s poeni· ntiam •. Codesto accenno fu sufficiente perché gli antichi padri della. Chiesa, a mtncl&re a.lmeno da. s. Ireneo, precisassero che si trattava. dol paradiso terrestre (~RNELIO A LAPIDE, Commentario in S. Script., Parigi, 1866, t. X, In Ecc'le· " , pp, 440 s.). 00
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5. Talvolta la punizione delle anime avviene nei luoghi stessi dovo peccarono, come è chiaro da quel che racconta S. Gregorio. Ma esse peccarono dove noi abitiamo. Perciò tra i luoghi d'oltretomba bisogna metterci anche questa terra : tanto più che alcuni, come afferma più sopra il Maestro [delle Sentenze] sono puniti anche in questo mondo per i loro peccati. 6. Alcuni, che muoiono in grazia, hanno delle venialità le quali son degne di pena ; ma altri, pur morendo in peccato mortale, hanno dei meriti, per i quali dovrebbero ricevere un premio. Ora, per quelli che muoiono in grazia col peccato veniale c'è un luogo, in cui vengono puniti prima di ricevere il premio, cioè il purgatorio. Quindi ci deve essere un luogo anche per quelli che muoiono in peccato mortale, ma con qualche opera buona. 7. I patriarchi, come prima della venuta di Cristo erano in attesa della gloria perfetta dell'anima, cosi ora sono in attesa della gloria del loro corpo. Quindi, allo stesso modo che si ammette un luogo per i santi, prima della venuta di Cristo, diverso da quello in cui ora si trovano, così si deve ammettere per loro un luogo, diverso dal presente, sul quale si troveranno dopo la resurrezione. RISPONDO: Le dimore vanno distinte in base allo stato delle anime. L'anima che è unita al corpo mortale è in grado di meritare ; libera da questo è in grado di ricevere il premio o la pena secondo i meriti. Quindi, dopo la morte, l'anima è in grado di ricevere il premio finale, oppure ne è impedita. Se può ricevere la retribuzione finale, due sono i casi : o merita il premio, e allora c'è il paradiso ; o merita il castigo, e allora, per la colpa attuale, c'è l'inforno ; altrimenti, per il peccato originale, il limbo dei bambini. Se invece c'è qualche impedimento a ricevere la retribuzione finale, questo può dipendere da una colpa personale, e allora c'è il purgatorio, in cui vanno le anime, che non possono conseguire subito il premio a causa dei peccati commessi ; oppure l'impedimento è nella natura, e allora c'è il limbo dei patriarchi, dove erano trattenute le anime in attesa di raggiungere la gloria, perché il peccato dell'umana specie non si poteva ancora espiare. SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTl : 1. «Il bene avviene in una sola maniera, il male in tanti modi », come Dionigi e Aristotele dimostrano. Quindi, nulla di strano, se il luogo del premio eterno è uno solo e i luoghi di pena siano invece molti. 2. Lo stato di merito e di demerito è uno solo: perché chi può meritare può anche demeritare. Perciò è giusto che ci sia per questo un solo luogo per tutti. Invece gli stati dei premiati o dei puniti sono diversi. J>erciò il paragone non regge. 3. Per la colpa originale si può essere puniti in due maniere, come è stato dichiarato sopra : a titolo personale, o soltanto a motivo della natura. Di qui la necessità di un doppio limbo per quell'unica colpa. 4. J}acre tenebroso non è assegnato ai demoni come luogo di retribuzione per i meriti, ma solo come luogo conveniente al loro
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5. PRAETERE.A, animae quandoque puniuntur in locis in quibus peccaverunt : ut per Gregorium patet, 4 Dialog. [c. 55]. Sed peccave:runt in loco in quo nos habitamus. Ergo hic locus debet computari inter receptacula: et praecipue cum aliqui in hoc mundo pro peccat~s. suis puniantur, ut supra [d. 15, c. Attende lector] Magister d1x1t. 6. PRAETERE.A., sicut aliqui in gratia decedcntes habcnt aliqua pro quibus digni sunt poena, ita aliqui in peccato mortali deccdentes habent aliqua bona pro qui.bus essent digni praemio. Sed decedentibus in gratia cum pcccatis venialibus assignatur aliquod receptaculum in quo puniuntur antequam praemia eonsequantur, scilicet purgatorium. Ergo, eadem ratione, e converso debet esse de illis qui in mortali deccdunt cum aliquibus bonis operibus. 7. PR.A.ETERE.A., sicut Patrcs retardabantur a piena gloria animae ante Christi ad ventum, ita et nunc a gloria corporis. Ergo, sicut distinguitur receptaculum sanctorum ante Christi adventum ab eo in quo nunc recipiuntur, ita debet rcceptaculum nunc distingui ab eo in quo recipientur posti resurrectionem. RESPONDEO DICENDUM quod reccptacula animarum distinguuntur secundum diversos status earum. Anima autem coniuncta mortali corpori habet statum merendi: scd exuta corpore est in statu recipiendi pro meritis bonum vel malum. Ergo post mortem vel est in statu recipiendi finale praemium, vel est in statu quo impeditur ab illo. Si autem est in statu recipiendi fi.nalem retributionem, hoc est dupliciter : vel quantum ad bonum, et sic est paradisus ; vel quantum ad malum, et sic ratione actualis culpae est infernus, ratione autem originalis est limbus puerorum. Si vero est in statu quo impeditur a finali retributione consequenda, vel hoc est propter defectum personae, et sic est purgatorium, in quo detinentur animae ne statim pracmia consequantur, propter peccata quae commiserunt; vel propter defectum naturae, et sic est limbus Patrum, in quo detinebantur Patres a consecutione gloriae propter rea.tura humanae naturae, quae nondum poterat expiari. An PRIMUM ERGO DICENDUM quod (( bonum contingit uno modo, sed malum multifarie l> : ut patet per Dionysium, 4 cap. De Div. Nom. [lect. 22], et per Philosophum, in 2 Ethic. [c. 6, lect. 7]. Et propter hoc non est inconveniens si locus beatae retributionis est unus, loca vero poenarum sunt plura. An SECUNDUM DICENDUM quod status merendi et demerendi est unus status : cum eiusdem sit posse mereri et demereri. Et ideo convenienter debetur on1nibus unus locus. Scd eorum qui recipiunt pro meritis, sunt status diversi. Et ideo non est simile. AD TERTIUM DICENDUM quod pro culpa originali potest aliquis puniri dupliciter, ut ex dictis [corp. ; a. 6, ad l] patet : vel ratione personae, vcl ratione naturae tantum. Et ideo i11i culpae respondet duplex limbus. ~D QU.A.RTUM [S. c. I] DICENDUM quod aer iste caliginosus non ass1gna.tur daemonibus quasi locus in quo recipiant retributionem pro meritis, sed quasi competens officio eorum inquantum depu-
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ufficio, che è quello di metterci alla prova. Perciò non è compreso tra i luoghi dei quali trattiamo; ché ai demoni spetta innanzi tutto il fuoco dell'inferno, come è cWaro dal Vangelo. 5. Il paradiso terrestre più ehe per i trapassati da rimunerare era adatto per lo stato dei viatori. Ecco perché non è compreso tra i luoghi dei quali ora trattiamo. 6. L'ipotesi è assurda. Ma, ammettendola come possibile, costui sarebbe punito nell'inferno per tutta l'eternità. Poiché se il peccato veniale è punito in purgatorio, ciò si deve al fatto che occasionalmente è unito con lo stato di grazia. Se infatti è unito al peccato mortale, e quindi senza la grazia, allora è punito all'inferno con la pena etema. 7. Le diversità di grado nella pena o nel merito non costituiscono stati diversi in base ai quali si distinguono le varie dimore. Perciò la ragione addotta non vale. 8. Se talvolta le anime separate sono punite nei luoghi abitati da noi, ciò non avviene perché codesti siano specifici luoghi di pena : ma solo per nostro ammaestramento ; affinché conoscendo le loro pene ci teniamo lontani dalla colpa. L'esempio delle anime, punite per i loro peccati nello stato di unione col corpo, non fa a proposito. Perché quella pena non modifica lo stato di merito o di demerito dell'uomo; e noi ora trattiamo delle dimore destinate alle anime dopo lo stato predetto. 9. Il male non può mai essere assoluto, senza alcuna mescolanza di bene, mentre invece il bene può essere senza alcuna mescolanza di male. Perciò quelli che sono destinati alla beatitudine, cioè al sommo bene, devono essere purificati da ogni male. E quindi deve esserci un luogo in cui vengono purificati quelli che muoiono non completamente puri. Quelli invece che saranno imprigionati nell'inferno non saranno privi di ogni bene. Quindi non vale il paragone: perché i dannati possono ricevere il premio delle opere buone da essi fatte in passato con una mitigazione della pena. 10. La gloria dell'anima costituisce il premio essenziale ; quella del corpo invece, derivando dall'anima, è radicalmente tutta nella stessa anima. Perciò mentre la mancata gloria dell'anima costituisce uno stato, non lo costituisce la mancata gloria del corpo. Ecco perché uno solo è il luogo per le anime sante liberate dal corpo e per quelle riunite al corpo glorioso, cioè il cielo empireo. Invece non poteva essere unico il luogo destinato alle anime dei patriarchi prima e dopo il conseguimento della gloria.
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tantur nobis ad exercitium. Et ideo inter receptacula de quibus nunc agitur, non computatur : primo enim eis deputatur ignis . . inferni, ut patet Matth. 25, 41. An QUINTUM [S. c. 2] DIOENDUM quod parad1sus terrcstr1s pertinet magis ad statum viatoris quam ad statum recipientis pro meritis. Et ideo inter receptacula de quibus nunc agitur, non computatur. An SEXTUM [S. c . .3] DICJi~NDUM quod illa. positio est impossibilis. Si tamen esset possibilis, talis in inferno puniretur in aetemum. Quod enim veniale peccatum in purgatorio temporaliter puniatur, accidit ei inquantum gratiam habet adiunctam. Unde, si adiungatur mortali, quod est sine gratia, poena aeterna in inferno punietur. Et quia iste qui cum originali peccato decedit, habet veniale sine gratia, non est inconveniens si ponitur aeternaliter puniri. An SEPTIMUM [S. c. 4] DICENDUM quod diversitas graduum in poenis vel praemiis non diversificat statum, secundum cuius diversitatem receptacula distinguuntur. Et ideo ratio non sequitur. An OCTAVUM [S. c. 5] DICENDUM quod hoc quod animae separatae aliquando in loco nostrae habitationis puniuntur, non est propter hoc quod locus iste sit proprius Iocus poenarum : sed hoc fit ad nostram instructionem, ut, eorum poenas videntes, retrahamur a culpis. Quod autem animac existentes in carne hic puniuntur pro peccatis, non pertinet ad propositum. Quia talis poena non trahit hominem extra statum merentis ve] demerentis: nunc autem agimus de receptaculis quae debentur animae post statum meriti vel demeriti. An NONUM [ S. c. 6] DIOENDUM quod malum non potest esse purum absque commixtione boni, sicut bonum summum est absque omni commixtione mali. Et ideo illi qui ad beatitudinem, quae summum bonum est, transferendi sunt, debent etiam ab omni malo purgari. Et proptcr hoc oportet esse locum in quo tales purgentur, si hinc non omnino purgati exeant. Sed illi qui in inferno detrudentur, non erunt immunes ab omni bono. Et ideo non est simile: quia ibi in inferno existentes praemium bonorum suorum recipere possunt inquantum bona praeterita eis valent ad mitigationem poenae. An DECIMUM [S. c. 7] DICENDUM quod in gloria animae consistit praemium essentiale: sed gloria corporis, cum redundet ex anima, to~ consistit in anima quasi originaliter. Et ideo carentia gloriae anunae diversificat statum, non autem carentia gloriae corporis. Et propter hoc etiam idem locus, scilicet caelum empyreum, debetur animabus sanctis exutis a corpore, et coniunctis corporibus gloriosis. Non autem idem Iocus debetur animabus Patrum ante perceptionem gloriae animae, et post perceptionem ipsius.
QUESTIONE 70
Le proprietà dell'anima separata dal corpo e la pena inftittale dal fuoco materiale. Passiamo ora a parlare delle proprietà dell'a.nima sepa.rat.a dal corpo e della pena che le procura il fuoco materiale. Sull'argomento si pongono tre quesiti: 1. Se nell'anima separata rimangano le potenze sensitive. 2. Se rimangano gli atti di tali potenze. 3. Se l'anima separata possa essere tormentata dal fuoco materiale.
ARTICOLO l
Se nell'anima separata rimangano le potenze sensitive.
1
SEMBRA che nell'anima separata rimangano le potenze sensitive. Infatti : I. Afferma S. Agostino : 2 «L'anima se ne parte dal corpo portandosi dietro tutto il senso, l'immaginazione, la razionalità, l'intelletto, l'intelligenza, l'irascibile e il concupiscibile ». Ora, il senso, l'immaginazione, l'irascibile e il concupiscibile sono potenze sensitive. Dunque le potenze sensitive restano nell'anima. 2. Lo stesso Santo 3 afferma ancora : « Riteniamo che solo l'anima umana sia una sostanza, nella quale, anche quando è priva del corpo, rimangono vivi il senso e l'intelletto ». Quindi l'anima separata conserva le potenze sensitive. 3. Le potenze dell'anima o sono radicate nella sua essenza, come alcuni affermano, ' o, per lo meno, sono proprietà naturali della medesima. Ma quel che si trova nell'essenza di una cosa non se ne può mai stacc!ire; né un soggetto è mai separato dalle sue proprietà naturali. E quindi impossibile che l'anima separata dal corpo perda alcune potenze. 4. Non è integro ciò che manca di qualche parte. Ma le potenze sono parti dell'anima. Perciò se l'anima perdesse alcune delle sue potenze, dopo la morte non potrebbe dirsi completa. E questo è inammissibile. 5. Le potenze dell'anima cooperano al merito più del corpo ; perché il corpo è solo strumento mentre le potenze sono i principii Luoghi paralleli: I, q. 77, a. 8 ; De A.nima, a. 19. L'opera qui citata, ossia il De Spfrilu et anima, non appartiene a S. Agostino (cfr. MI~ 40, 791). Già ai tempi dell'Aquinate alcuni dubitavano della sua autenti· cità. come vedremo nell'articolo seguente ad t. 1
s
QUAESTIO 70
De qnalitate animae existentis a corpore separatae, et poena ei infticta ab igne corporeo. DEINDE considerandum c)st dc qualita.tc a.nimae excuntis a corore et poena ei ab igne corporeo inflicta. p eh-ca quod quaeruntur tria. Primo : utrum in anima separata remaneant potentiae sensitivac. Secundo : utrum remaneant in ea actus dictarum potentiarum. Tertio: utrum anima separata possit pe.ti ab igne corporeo.
ARTICULUS l Utrum in anima separata remaneant potentiae sensitivae. ( 4 Sent., d. 44, q. 3,
a. 3, qc. I)
AD PRIMUM SIC PROCEDITUR. Vidctur quod in anima separata remaneant potentiae sensitivae. Augustinus enim, in libro De Spiritu et Anima [c. 15], sic dicit : « Recedit anima a corpore secum trahens omnia : sensum scilicet, imaginationem, rationem, intelIectum, intelligcntiam, concupiscibilitatem et irascibilitatem )), Sed sensus et imaginatio, et vis irascibilis et concupiscibilis, sunt vires sensitivae. Ergo in anima separata vires sensitivae remanent. 2. PRAETEREA, Augustinus dicit, in libro De Ecclesiasticis Dogmat. [c. 16] : « Solum hominem credimus animam habere substantive.m, quae exuta a corpore vivit, et sensus suos atque ingenia vivaciter tenet ». Ergo anima exuta a corpore vivit et habet potentias sensitivas . .3. PRAETEREA, potentiae animac vel essentialiter ei insunt, ut quidam dicunt : vel ad minus sunt naturales proprietates ipsius. Sed id quod esscntialiter in est alieni, non potest ab eo separari : neque subiectum aJiquod deseritur a naturalibus proprietatibus. Ergo impossibile est quod anima separata a corpore aliquas potentias amittat. 4. PRAETEREA, non est totum intcgrum cui aliqua partium deest. &:d potentiae animae dicuntur partes ipsius. Si ergo potentias e.hquas post mortem anima amittit, non erit anima integra post mortem. Quod est inconveniens. 5. PRAETEREA, potentiae animac magis cooperantur ad mcritum que.m etiam corpus: cum corpus sit solum instrumentum actus, • ~uehe qui l'autorità di S. Agostino è usurpata; poiché il De JtJcclesiasticis Doooggi comunemente attribuito a Gennadio di Marsiglia [t 494]. Vedi sopra il citato opuscolo De spirUu el anima. c. 13.
naa:ibus è
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LA SOMMA TEOLOGICA, Supp1., q. 70, a. 1
dell'atto. Ora, se è necessario che il corpo sia premiato insieme all'anima, perché ha cooperato al merito, molto più devono essere premiate, insieme all'anima, le sue potenze. Quindi l'anima separata non può perderle. 6. Se l'anima separata perde una potenza sensitiva, bisogna che questa finisca nel nulla ; non potendo ridursi a qualche cosa di materiale, perché non è composta di materia. Ma, ciò che viene annichilato non torna più numericamente lo ste8so. Quindi l'anima non avrà alla resurrezione la medesima potenza sensitiva. Senonché, a detta di Aristotele, l'anima sta al corpo come le potenze dell'anima alle parti del corpo e la potenza visiva all'occhio. Se dunque l'anima che si riunisce al corpo non è la stessa, neppure l'uomo che ne deriva è lo stesso. Come logicamente l'occhio non sarebbe numericamente lo stesso, se la sua facoltà visiva non fosse la medesima. Di conseguenza, neppure una qualsiasi altra parte risorgerebbe numericamente identica. E qµindi neanche l'uomo completo sarebbe più il medesimo. Non può essere dunque che l'anima separata perda le potenze sensitive. 7. Se le potenze sensitive andassero distrutte col corpo, si dovrebbero affievolire quando il corpo si indebolisce. Ma ciò non avviene, perché, come dice Aristotele, «se un vecchio prende l'occhio di uno giovane vedrà certo come il giovane». Quindi neppure le potenze sensitive si perdono con la morte del corpo. AL CONTRARIO: I. S. Agostino afferma che «l'uomo consta di due sole sostanze : «l'anima e il corpo ; l'anima con la sua razionalità, il corpo con i suoi sensi ». Ora, le potenze sensitive appartengono al corpo. Dunque non rimangono nell'anima dopo la morte di questo. 2. Aristotele, parlando della separazione dell'anima, cosi si esprime : «Se infine rimane qualcosa, bisogna indagare. Per certi elementi non sembra impossibile. Per esempio, se l'anima, non tutta, ma l'intelletto è di tale disposizione. Tutta infatti sembra impossibile)>. Dalle quali parole sembra che non tutta l'anima si separi dal corpo, ma solo le potenze dell'anima intellettiva, quindi non quelle sensitive e veg:etative. 3. Inoltre, afferma lo stesso Filosofo parlando dell'intelletto : «La separazione avviene soltanto tra ciò che è perpetuo e ciò che è corruttibile ; è chiaro che le altre parti dell'anima non si separano, come alcuni affermano». Quindi le potenze sensitive non rimangono nell'anima separata dal corpo. RISPONDO : Intorno a questo problema, vi sono diverse opinioni. Alcuni, pensando che tutte le potenze sono nell'anima come il colore nel corpo, ritengono che l'anima separata si porti dietro tutte le potenze. Perché, dicono, se l'anima mancasse di qualche cosa, verrebbe ad essere cambiata nelle proprietà naturali : queste invece non possono cambiare, rimanendo lo stesso soggetto. 1
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S. Alberto Magno giudica molto ecveramentc questa opinione (• potius derisio
PROPRIETÀ DELL'ANIMA SEPARATA
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potentiae vero principia agendi. Sed necesse est ut simul corpus ra.emietur cum anima proptcr hoc quod cooperabatur in merito. ~go multo fortius est necesse quod potentiae animae simul praemientur cum ipsa. Ergo anima separata eas non amittit. 6. PRAETEREA, si anima, cum separatur a corpore, potentiam eensitivam amittit, oportet quod illa potentia in nihilum cedat : non enim potest dici quod in materia aliqua resolvatur, cum non ha.beat matC'riam partf'm sui. SPd id quod omnino in nihilum ..,edit, non reitcratur idem numero. Ergo anima non habebit in resurreetione eandem numero potentiam sensitivam. Sed, secundum Philosophum (2 De Anima, c. 1, lect. 2], sicut se habet anima ad eorpus, ita se habent potentiae animae ad partes corporis, ut visus ad oculum. Si autem non est eadem anima quae redibit ad corpus, non esset idem homo. Ergo, eadem ratione, non essct idem oculus numero si non habeat eandem numero potentiam visivam. Et, simili ratione, nec aliqua alia pars eadem numero resurgeret. Et per consequens nec totus homo idem numero erit. Non ergo potest esse quod anima separata potentias sensitivas amittat. 7. PRAETEREA, si potentiae sensitivae corrumperentur corrupto corpore, oporteret quod, debilitato corpore, debilitarentur. Hoc autem non contingit : quia, ut dicitur in 1 De Anima [c. 4, lect. IO], «si senex accipiat oculum iuvenis, vidcbit utique sicut iuvcnis ». Ergo nec, corrupto corpore, scnsitivae potentiae corrumpentur. SED CONTRA EST quod Augustinus, in libro De Ecclesiasticia Dogmat. [c. 19], dicit : C< Duabus substantiis homo constat, anima tantum et carne, anima cum ratione sua, et carne curo sensibus suis ». Potentiae ergo sensitivae ad carnem pertinent. Ergo, corrupta carne, non manent potentiae sensitivae in anima. 2. PRAETEREA, Philosophus, in 12 Metaphys. [c. 3, lect. 3], de separatione animae loquens, sic dicit : « Si autem aliquid remanet in postremo, quaerendum est de hoc. In quibusdam enim non est impossibile. Verbi gratia, si anima est talis dispositionis, non tota, sed intellectus. Tota enim forte impossibile». Ex hoc videtur quod anima tota a corpore non separetur, sed solum potentiae animae intellectivae : non enim sensitivae vel vegetativae. 3. PRAETEREA, in 2 De Anima [c. 2, lect. 4] Philosophus dicit, de intellectu loquens : «Hoc solum contingit separari ut perpetuum a corruptibili. Reliquae autem partes animae manifestum est ex his quod non separabilcs sunt, ut quidam dicunt ». Ergo potentiae sensitivae non manent in anima separata. RESPONDEO DICENDUM quod circa hoc est multiplex opinio. Quidam enim, aestimantes potentias omnes esse in anima ad modum quo color est in corpore, dicunt quod anima a corpore separata omnes potentias suas secum trahit. Si enim aliqua ei deesset, oporteret animam transmutatam esse secundum naturales proprietatcs : quae, subiccto manente, variari non possunt. eet, Quam sententia veritatis •), che egli considera una novità, priva di qualsiasi fondamento (cfr. In 4 Seni., d. 44, a. 43, fine).
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LA
SO~IMA
TEOLOGICA, Suppl., q. 70, a. 1
Ma codesta opinione è falsa. La potenza infatti, essendo ciò che ci rende adatti a fare o patire qualche cosa, ed appartenendo allo stesso soggetto l'agire e il poter agire, è chiaro che la potenza appartiene allo stesso soggetto che agisce o patisce. Perciò il Filosofo dice che l'atto va attribuit,o a chi ne ha la potenza. Ora, noi constatiamo che alcune operazioni, le quali hanno per principii le potenze dell'anima, non appartengono, per essere esatti, all'anima, ma al composto: perf'hé non ~Rplicano la propria attivit.à 8C' non mediante il corpo : come la vista, l'udito, e simili. Quindi codeste potenze hanno per sede il composto, e l'anima per principio motore, essendo la forma il principio delle proprietà del composto. Altre operazioni invece come l'intendere, il considerare, il volere, l'anima le esercita senza organi corporali. Essendo perciò queste azioni proprie dell'anima, le potenze relative si trovano in essa non solo in radice, ma anche come nella loro sede, o soggetto. E poiché, rimanendo un dato soggetto, rimangono necessariamente anche le sue proprietà, mentre se quello si corrompe anche queste subiscono la stessa sorte, è necessario che le potenze, le quali agiscono senza organo corporeo, rimangano nell'anima separata; quelle invece che agiscono servendosi di organi corporei si corrompono insieme a questi. Per tale motivo alcuni distinguono due serie di potenze sensitive. E dicono che esse sono di due specie : le une sarebbero atti [o perfezioni] degli organi, quasi emanazioni dell'anima sul corpo, e queste si corromperebbero con esso ; le altre invece sarebbero radice di esse, e risiederebbero nell'anima, perché l'anima per mezzo loro darebbe al corpo il senso del vedere e dell'udire, ecc. ; e queste rimarrebbero nell'anima separata. 1 Ma questa teoria non è ammissibile. L'anima infatti solo per mezzo della sua essenza e non mediante altre potenze, è radice di quelle potenze che sono atti di organi corporei : come qualsiasi forma, dal fatto stesso che informa la sua materia, è l'origine di quelle proprietà che sono naturalmente inerenti al composto. Se infatti ci fosse bisogno di ammettere altre potenze, mediante le quali quelle potenze che perfezionano l'organo materiale, profluissero dall'essenza dell'anima, per lo stesso motivo bisognerebbe poi ammetterne altre, mediante le quali profluissero dall'essenza dell'anima codeste potenze intermedie, e cosi si andrebbe all'infinito. Se invece ci si deve fermare, è meglio restare al primo caso. Ecco perché altri 2 affermano che le potenze sensitive, e simili, rimangono nell'anima separata solo in senso relativo, cioè in radice, come le cose originate dai principii sono nei principii stessi. Infatti nell'anima separata rimane l'attitudine a infondere queste potenze non appena essa si riunisce al corpo. Né tale attitudine, secondo le spiegazioni date, è da concepirsi come qualche cosa di aggiunto all'essenza dell'anima. Questa sembra l'opinione più ragionevole. Anche S. Bonaventura riferisce questa opinione, precisando che secondo questi Ignoti maestri la radice, od oriaine comune delle potenze sensitive, presente in atto, nell'anima separata, sarebbe stato il senBUS communis (ctr. In 4 Sent., d. 50, P. II, 1
a. I, q.
l).
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Sed dieta aestimatio falsa est. Cum enim potentia sit secundum quam potentes dicimur aliquid agere vel pati; eiusdem autem sit agere et posse agere : oportet quod eiusdem sit potentia sicut subiecti quod est agens vel patiens. Unde Philosophus, in principio De Som,no et Vigilia [c. 1, lect. l], dicit quod «cuius est potentia, eius est actio )}. Videmus autem manifeste quasdam opcrationes, quarum potcntiae animae sunt principia, non esse animae, proprie loqucndo, sed coniuncti, quia non explcntur nisì mediante corpore : ut est videre, audire, et huiusmodi. Unde oportet quod istae potentiae sint coniuncti sicut subiecti ; animae autcm sicut principii influentis, sicut forma est principium proprictatum compositi. Quaedam vero opcrationes exercentur ab anima sinc organo corporali : ut intclligere, considerare et vellc. Unde, cum hae actiones sint animae propriac, et potentiac quae sunt harum ~rincipia, non solum erunt animac ut principii, sed ut subiecti. Quia ergo, manente proprio subiecto, manere oportet et proprias passiones, et corrupto eo corrumpi ; necesse est illas potentias quae m suis actionibus non utuntur organo corporali, remanere in anima separata ; illas autem quae utuntur, corrumpi corpore corrupto. Et huiusmodi sunt potentiae omncs quae pcrtinent ad animam sensibilem et vegctabilem. Et proptcr hoc quidam in potcntiis animae sensibilibus distinguunt. Dicunt enim has esse duplices : quasdam quae sunt actus organorum, quae sunt ab anima effiuxae in corpus, et hae cum corpore corrumpuntur ; quasdam vero originales harum, quac sunt in anima, quia per eas anima corpus scnsificat ad vidcndum et audiendum et huiusmodi, et hac originalcs potcntiac manent in anima separata. Sed hoc non videtur convenienter dici. Anima enim per suam essentiam, non mcdiantibus aliquibus aliis potentiis, est origo illarum potentiarum quae sunt actus organorum : sicut et forma quaelibet, cx hoc ipso quod per essentiam suam materiam informat, est origo proprictatum quae compositum naturaliter consequuntur. Si enim oporterct in anima ponere alias potcntias, quibus mediantibus potcntiae quae organa pcrficiunt ab esscntia animae effiuerent, eadem ratione oporteret ponerc alias potentias quibus mediantibus ab essentia animae effiuerent illae mediae potentiae : et sic in infinitum. Si enim statur alicubi, melius est ut in primo stetur. Unde alii dicunt quod potentiae sensitivae, et aliae similes, non manent in anima separata nisi sccundum quid, scilicet ut in radice, per modum scilicet quo principiata sunt in principiis suis : in anima enim separata man.et efficacia infiuendi iterum huiusmodi potentias si corpori uniatur. Nec oportet hanc cfficaciam esse aliquid s1:1-peradditum essentiae animae, ut dictum est. Et haec opinio v1detur magis rationabilis. d
1
Tra questi troviamo anche S. Alberto Magno, maestro dell'Autore (cfr. In 4 Sent., • U, a. 43).
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LA SOMMA TEOLOGICA, Suppl., q. 70, a. 1
SOLUZIONE
DELLE
DIFFICOLTÀ :
1. Le parole di
s. Agostino
vanno interpretate nel senso che l'anima alcune di quelle potenze quali l'intelletto e l'intelligenza, se le porta dietro attualmente, altre restano solo in radice. 2. I sensi che l'anima si porta dietro non sono quelli esterni, ma quelli interni, i quali appartengono alla parte intellettiva ; perché l'intelletto talvolta è chiamato senso, come è chiaro in qualche testo di S. Basilio e di Aristotele. - Se poi si vuole riferire quel passo ai sensi esteriori, allora vale la risposta data alla prima difficoltà. 3. Come è chiaro dalla risposta, le potenze sensitive non stanno nell'anima come le proprietà essenziali stanno al loro soggetto, ma come [gli effetti] stanno alla loro causa. Perciò l'argomento non regge. 4. Le potenze o facoltà sono parti potenziali dell'anima. Ora, la natura di un tutto potenziale esige che la virtù del tutto si trovi perfettamente in una parte, e nelle altre solo parzialmente ; la virtù dell'anima, p. es., si riscontra perfetta nella parte intellettiva, mentre nelle altre parti è solo parziale. E siccome nell'anima separata rimangono le potenze della parte intellettiva, essa rimane integra e non diminuita, quantunque non vi siano più in atto le potenze sensitive; come il potere regale non è diminuito con la morte di un ministro, che partecipava al suo potere. 5. Il corpo coopera al merito come parte essenziale dell'uomo che merita. Non cosi le potenze sensitive, che sono invece accidenti e non cooperano allo stesso modo. Quindi il paragone non regge. 6. J...e potenze dell'anima sensitiva si dicono atti degli organi non come forme essenziali dei medesimi, ma solo in forza dell'anima cui appartengono: sono invece atti degli organi in quanto li rendono idonei alle operazioni loro proprie, come il calore è atto del fuoco rendendolo capace di riscaldare. Ma, come il fuoco è sempre numericamente lo stesso, anche se fosse informato da un altro calore ; il che è evidente nel freddo dell'acqua, il quale non riappare numericamente lo stesso dopo il riscaldamento, pur restando la stessa acqua ; cosi gli organi saranno numericamente gli stessi, pur non essendolo numericamente le potenze. 1 7. Aristotele parla qui di tali potenze in quanto esistono radicalmente nell'anima ; come è chiaro da quanto poi soggiunge, che cioè «i vecchi non subiscono qualche cosa nell'anima, ma nel soggetto)), vale a dire nel corpo. E in tal senso le potenze dell'anima non si indeboliscono né si corrompono per il corpo.
1
Questo discorso, che nelle sue considerazioni relative all'anima separata. merita tutto il nostro rispetto, è reso quasi incomprensibile per un lettore moderno a motivo degli esempi tratti dalla. fisica antica. A complicare ulteriormente quest'ultimo pe-
PROPRIETA DEL.L'ANIMA SEPARATA
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quod verbum illud Augustini intelligendum est quod anima secum trahit quasdam illarum potentiarum in actu, scilioot intelligentiam et intellectum ; quasdam vero ra.dicaliter, ut dictum est [in corp.]. AD SEOUNDUM DICENDUM quod sensus quos anima secum trahit, non sunt isti exteriores, sed interiores, qui scilicet ad partem intellectivam pertinent : quia intellectus intcrdum scnsus appcllatur, ut patrt per Ba~ilium, Super Proverbia [Homil. in princip. Proverb., num. 13], et per Philosophum, in 6 Ethic. [c. 11, lect. 9j. _ Vel, si intelligit de sensibus exterioribus, dicendum sicut ad primum. AD TERTIUM DICENDUM quod, sicut iam patet ex dictis [in corp.], potentiae scnsitivae non comparantur ad animam sicut naturales pa.ssiones ad subiectum, sed sicut ad originem. Unde ratio non procedit. An QUARTUM DICENDUM quod potentiae animae dicuntur partes eius potentiales. Talium autcm totorum ista est natura, quia tota virtus totius consistit in una partium perfecte, in aliis autem pa.rtialiter : sicut in anima virtus animae perfecte consistit in parte intellectiva, in aliis autem partialiter. Unde, cum in anima separata remaneant vires intcllectivac partis, integra remanebit, non diminuta, quamvis sensitivae potentiae actu non remaneant : sicut nec potentia regis manet diminuta mortuo praeposito, qui eius potentiam participabat. An QUINTUM DICENDUM quod corpus cooperatur ad meritum quasi pars essentialis hominis qui meretur. Sic autem non cooperantur potentiae scnsitivac : cum sint de genere accidcntium. Et ideo non est simile. An SEXTUM DICENDUM quod potentiae animae sensitivae non dicuntur esse actus organorum quasi formae cssentiales ipsorum, nisi ratione anim.ae cuius sunt : sed sunt actus ipsorum sicut perfìcientes ea ad proprias operationcs, sicut calor est actus ignis perfìciens ipsum ad calefaciendum. Unde, sicut ignis idem numero remaneret etiam si alius numero in eo calor essct, sicut patet de frigore aquae, quod non redit idem numero postquam fuerit calefa.cta., aqua nihilominus eadem numero manente ; ita et organa erunt eadem numero, quamvis potentiae eaedem numero non sint. An SEPTIMUM DICENDUM quod Philosophus ibi loquitur de huiusmodi potentiis secundum quod radicaliter in anima consistunt: quod patet ex hoc quod dicit, quod e< senium non est in pa~iendo aliquid animam, sed id in quo est~' scilicet corpus. Sic ei:i1m propter corpus neque debilitantur nec corrumpuntur animae virtutes. AD PRIMUM ERGO DICENDUM
rodo interviene anche il fatto singolarissimo che l'Autore, per corroborare l'esempio ratto dal rapporto fra calore e fuoco, ricorre al rapporto esistente (sempre secondo 1a ftsica antica) tra l'acqua e il freddo.
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LA
SO~f'.\IA
TEOLOGICA, Suppl., q. 70, a. 2
ARTICOLO 2 Se nell'anima separata rimangano gli atti delle potenze sensitive. 1
SE1IBRA che nell'anima s. E S. Agostino dice che l'anima dell'uomo è legata al fuoco (. 1 2. Tutti i fedeli sono uniti per mezzo della carità come •membri di un unico corpo che è la Chiesa l>. Ora, un membro viene aiutato da un altro. Dunque un uomo può essere aiutato dai meriti di un altro. Quindi possono loro servire per soddisfare i debiti con la divina giustizia, oppure a qualcosa del genere, che però non muta il loro stato. RISPONDO : I nostri atti possono giovare a due scopi : primo, a raggiungere un determinato stato, come quando uno con le opere meritorie acquista la beatitudine ; secondo ad acquistare qualcosa di conseguente a uno stato determinato, come quando uno merita un premio accidentale o la remissione di una pena. In ambedue i casi i nostri atti possono giovare in due modi : primo, mediante il merito; secondo, mediante la preghiera. E c'è una differenza tra i due, perché il merito si fonda sulla giustizia ; nella preghiera invece uno impetra dalla sola liberalità di chi ascolta la preghiera. Si deve perciò concludere che le opere di uno mai possono servire a far raggiungere a un altro un determinato stato mediante il merito, non è possibile cioè che le buone opere fatte da me meri.tino la vita eterna per un altro. Poiché lo stato di gloria è elargito secondo la misura, ossia nella misura di chi lo riceve, ossia nella misura che n'è degno : d'altra parte ciascuno viene disposto dal proprio agire, e non da quello altrui. -Invece uno può giovare ad altri mediante la preghiera anche per il conseguimento dello stato di salvezza fino a che non sono in questa vita : uno, p. es., può ottenere a un altro la prima grazia. Siccome, infatti, l'efficacia impetrativa della preghiera dipende dalla liberalità divina, è chiaro che questa si può estendere a tutte quelle cose che sono soggette ordinatamente alla potenza divina. Quando in vece si tratta di qualche cosa di accessorio ad un determinato stato ; l'intervento di un fedele per un altro può valere non solo mediante la preghiera, ma anche mediante il merito. Ciò può avvenire in due maniere. Primo, in virtù di una reciproca comunicazione di opere meritorie nella loro radice, che è la carità, mediante la quale tutti quelli che ne partecipano, ne riportano un reciproco vantaggio, sempre però in proporzione allo stato di 1
Il magistero della Chiesa, sia ordinario che solenne, ha ribadito più volte il
I SUFFRAGI PER I MORTI
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3. PRAETEREA, secundum eandem rationem est aliquod opus meritorium et laudabile : quia, scilicet, inquantum est voluntarium. Sed ex opere unius non laudatur alter. Ergo nec opus unius potest esse alteri meritorium. 4. PRAETEREA, ad iustitiam divinam pcrtinet similitcr bona reddere pro bonis, et mala pro malis. Sed nullus punitur pro malis alterius : immo, ut dicitur Ezech. 18, 20, «anima quae peccaverit, ipsa morietur )>. Ergo nec unus iuvatur pro bono alterius. SED CONTRA EST quod dicitur in Psalmo ll 18, 63J : e< Particcps ego sum omnium timentium te, etc. ». 2. PRAETEREA, omnes fideles per caritatem uniti sunt « unius corporis Ecclesiae membra » [ cfr. Rom. 12, 5]. Sed unum membrum iuvatur per alterum. Ergo unus homo potest ex alterius meritis iuvari. REsPONDEO DICENDUM quod actus noster ad duo valere potest : primo, ad aliquem statum acquirendum, sicut per opus meritorium homo acquirit statum beatitudinis ; secundo, ad aliquid consequens statum, sicut homo per aliquem actum meretur aliquod praemium accidentale, ve] dimissionem poenae. Ad utrumque autem horum actus nostcr dupliciter valere potest : uno modo, per viam meriti; alio modo, per viam orationis. Et est differentia inter istas duas vias, quia meritum innitìtur iustitiae ; scd orans impetrat petitum ex sola liberalitate eius qui oratur. Dicendum ergo quod opus unius nullo modo potest alteri valere ad statum consequendum per viam meriti, ut scilicet ex his quae ego facio, aliquis mereatur vitam aeternam. Quia sors gloriae redditur sccundum mensuram accipientis : unusquisquc autem ex actu suo disponitur, et non cx alieno; et dico dispositione dignitatis ad pracmium. - Sed per viam orationis etiam quantum ad statum conscquendum opus unius alteri, dum est in via, valere potest: sicut quod unus homo impetrat alteri primam gratiam. Cum enim impetratio orationis sit sccundum liberalitatem Dei, qui oratur, ad omnia illa impetratio orationis se potest extendere quae potestati divinae subsunt ordinate. Sed quantum ad aliquid quod est conscqucns vel accessorium ad statum, opus unius potest valere alteri non solum per viam orationis, sed etiam per viam meriti. Quod quidem dupliciter contingit. Vel propter communicantiam in radice opcris, quae est .caritas in operibus meritoriis. Et ideo omnes qui sibi invicem cantate connectuntur, aliquod emolumcntum cx mutuis operibus re~orta?t : tamen secundun1 mensuram status uniuscuiusquc ; qu1a et1am in patria unusquisque gaudebit de bonis alterius. Et P!'1~~o che esiste 1a concreta possibilità. di partecipare ai fedeli defunti i nostri ~76-"""'· Le definizioni più solenni sono quelle del Concilio Tridentino (cfr. DE!iZ.-S., 3• 1820). Leone XIII ha ribadito i:;;::-sito n~ll'Enc. Mirae Caritatis Oost d to a riaffermare solennemente • ogm. Lum.en Genfium, nn. 50,
b 1
e spiegato il senso della dottrina tradizionale (cfr. ibid., 3363). 11 ConciJio Vaticano 11 non le precedenti dichiarazioni dcl magistero (cfr. 51).
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LA
SOM~IA
TEOLOGICA, Suppi., q. 71, aa. 1-2
ciascuno ; perché anche in cielo ognuno godrà delle buone opere dell'altro. Ed è per questo che tra gli articoli di fede c'è «la comunione dei Santi•· 1 - Secondo, in virtù dell'intenzione di chi agisce, quando questi compie qualche cosa per giovare ad altri. Ecco perché dette opere appartengono per cosi dire a coloro per i quali vengono fatte, come se fossero regalate da chi le compie. SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ : I. La mietitura di cui si parla è la vita rterna, come si ricava da S. Giovanni : «E chi miete raccoglie il frutto per la vita eterna». La vita eterna però si concede a ciascuno soltanto per le opere proprie ; perché se bbcne uno impetri ad un altro la vita eterna, ciò non può accadere se non mediante le opere personali di ciascuno ; in quanto le preghiere gli ottengono la grazia per meritare la vita eterna. 2. L'opera fatta per uno diventa proprietà di lui ; cosi come l'opera di chi è tutt'uno con mc, è in qualche modo mia. Perciò non è contro la giustizia divina se uno percepisce il frutto delle opere fatte da un altro, che è a lui unito nella carità, ovvero dalle opere compiute apposta per lui. Infatti anche la giustizia umana ammette che uno soddisfaccia per un altro. 3. La lode non si dà a una persona che in riferimento ai suoi atti : ecco perché Aristotele scrive che la lode è relativa. E siccome nessuno è bene o male disposto in riferimento a qualche cosa per l'opera di un altro, nessuno può essere lodato per l'opera di un altro, se non indirettamente in quanto ne è la causa o con il consiglio, o con l'aiuto, o in qualsiasi altro modo. Ma per il merito può giovare non solo influendo sulla disposizione di chi l'acquista, ma anche procurando qualcosa di accessorio alla disposizione o allo stato di ciascuno, come è chiaro da quanto sopra è esposto. 4. Togliere a uno quello che gli spetta è certo contrario alla giustizia ; ma dare a uno ciò che non gli spetta non è contro, ma sopra la giustizia : è infatti proprio della liberalità. Questo perché dai mali altrui uno non può subire un danno, senza che gli sia tolto qualcosa che gli spetta. Perciò quanto a convenienza la punizione per i peccati altrui non è paragonabile alla possibilità di trarre giovamento dai beni altrui.
ARTICOLO 2 Se i morti possano essere aiutati dai TI.vi.2
SEMBRA che i morti non possano essere aiutati dai vivi. Infatti: 1. Dice l'Apostolo che «tutti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo per ricevere ciò che ci spetta secondo quel che 1 Per il concreto formarsi ed affermarsi di questa formula. nel Simbolo Apostolico, vedi DENZ.-S., nn. 26, 30.
I SUFFRAGI PER I MORTI
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inde est quod articulus fìdei ponitur «sanctorum communio ; [Sym.b. Apost.]. - Alio modo, ex intentione facientis, qui aliqua opera specialiter ad hoc facit ut talibus prosint. Unde ista opera uodammodo efficiuntur eorum pro quibus fiunt, quasi eis a faciente collata. Unde possunt eis valere vel ad impletionem satisfactionis; vel ad quidquid huiusmodi quod statum non mutat. AD PBIMUM ERGO DICENDUM quod messio illa est pcrceptio vitae aetcrna.e : sicut habctnr Ioan. 4, ,16 : , ut dicitur in 1 Ethic. [c. 12, lect. 18]. Et quia ex opere alterius nullus efficitur vel ostenditur bene dispositus vel male ad a.liquid, inde est quod nullus laudatur ex operibus alterius : nisi per accidens, secundum quod ipse est aliquo modo operum illorum causa, consilium vel auxilium praebendo, seu inducendo, vel quocumque alio modo. Sed opus est meritorium alieni non solum considerata eius dispositione, sed etiam quantum ad aliquid consequens dispositionem vel statum eius, ut ex dictis [in corp.] patet. AD QUABTUM DICENDUM quod auferre alieni quod sibi debetur, hoc directe iustitiae repugnat. Sed dare aliquid alicui quod ei non debetur, hoc non est iustitiae contrarium, sed metas iustitiae excedit : est enim liberalitatis. Non autem posset aliquis ]aedi e.x ~alis alterius nisi aliquid ei de suo subtraheretur. Et ideo non ita convenit quod aliquis puniatur pro peccatis alterius, sicut quod emolumentum percipiat ex bonis alterius.
ARTICULUS 2 Utrum mortui possint iuvari ex operibus vivorum. (4 Sent .• d. 45, q. 2, a. I, qc. 2)
. A~ SECUNDUM SIC PROCEDITUB. Videtur quod mortui non posBmt iuvari ex operibus vivorum. Primo, per hoc quod dicit ApoBtolus, 2 Oor. 5, 10: « Omnes nos manifestari oportet ante tribuna] 1
Lunan ...... _..11 ................. a..u.elo : 4 Sent., d. 15, q. 2, a. 5, qe. 3, ad 2.
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LA SOMMA TEOLOGICA, Suppl., q. 71, a. 2
ciascuno ha operato in bene o in male nel corpo;. Dunque dopo la morte quando uno è privo del corpo, non potrà avere nessun vantaggio dalle opere altrui. 2. Lo stesso ci viene suggerito da quanto si legge nell' Apocalisse : « l3eati i morti che muoiono nel Signore, perché le loro opere li accompagnano ». 3. Solo chi è tuttora in istato di viatore può progredire nel bcnt! ; 1na gli umnini dopo la, morte non si il'ovano più in tale stato; poiché vanno applicate ad essi le parole di Giobbe : « [Il Signore] ha sbarrato il mio sentiero, si che non posso passare)). Dunque i morti non possono usufruire dei suffragi altrui. 4. Perché uno possa essere aiutato da un altro, bisogna che vi sia una comunicazione di vita reciproca. Ma, a detta del Filosofo, non c'è nessuna comunicazione dei vivi con i morti. Quindi i suffragi dei vivi non giovano ai morti. IN CONTRARIO : Nel Libro dei Maccabei si legge : C< Il pensiero di pregare perché i morti siano liberati dai loro peccati è santo e salutare ». Sarebbe invece inutile se loro i suffragi non giovassero. Dunque i suffragi d~i vivi giovano ai morti. 2. Dice S. Agostino : « E grande l'autorità deUa Chiesa universale che vanta la consuetudine di raccomandare le anime dei morti nelle preghiere fatte a Dio dal sacerdote all'a]tare del Signore». Tale consuetudine risale agli Apostoli, come afferma il Damasccno in un sermone intorno ai suffragi dei morti : «Consapevoli dei divini misteri i discepoli e i santi Apostoli del Salvatore, stabilirono che, durante adorabili e vivificanti misteri, si facesse memoria di coloro che piamente si addormentarono nel Signore ;. Questo è chiaro anche da quanto si legge in Dionigi, 1 che non solo ricorda il rito col quale nella Chiesa primitiva si pregava per i morti, ma asserisce che i suffragi dci vi vi giovano ai morti. Quindi tale verità bisogna crederla senza alcun dubbio. 1 RISPONDO : Ciò che unisce i membri della Chiesa è la carità che si estende non solo ai vivi ma anche ai morti che muoiono nella carità, la quale, come dice S. Paolo, non finisce con la vita del corpo : « La carità non verrà mai meno ». Cosi pure i morti vivono nella memoria dei vivi : e quindi l'intenzione di questi ultimi può indirizzarsi a beneficio di quelli. Tali suffragi in due modi possono giovare ai morti, cioè come ai vivi : per l'unione nella carità, e per l'intenzione ad essi diretta. Non bisogna credere però che i suffragi dei vivi valgano a mutare lo stato di dannazione in quello di felicità, o viceversa. Essi valgono solo per ottenere una diminuzione della pena o qualcosa dcl genere, senza che Io stato dei trapassati venga mutato. 1
Per S. Tomma.."lo, come per tutti i suoi contemporanei, l'autorità di Dionigi il mistico era enorme, perché si pensava di ascoltare in lui la voce della Chiesa primitiva. Nel secolo XIII nessuno sospettava che le pagine pr~scntate sotto lo pseudonimo di Dionigi l'Areopagita potessero appartenere a un ig'Il.oto teologo greco del V o del VI secolo.
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Christi ut recipiat unusquisque propria corporis quac gessit ». Ergo ~x his quae post mortem hominis geruntur, quando extra orpus erit nihil ei accrescere potcrit ex aliquibus operibus. e 2 PRAE~EREA, hoc idem videtur cx hoc quod habetur Apoc. l4, J3 : « Beati mortui qui in Domino moriuntur : opera enim illorum sequuntur illos ». 3. PRAETERE.A., proficere cx opere aliquo est solum in via existcnt is. Scd homines pm;t mortem ìam non sunt viatores : quia de eis hoc intclligitur quod legitur lob 19, 8 : « Semitam meam ciroumsepsit, et transire non possum ». Ergo mortui de suffragiis aliouius iuvari non possunt. 4. PRAETERE.A., nullus iuvatur ex opere alterius nisi sit aliqua vitae communicatio inter cos. Sed nulla communicatio est mortuorum ad vivos, secundum Philosophum, in 1 Ethic. [c. 11, lect. 17]. Ergo suffragia vivorum non prosunt mortuis. SED coNTR.A. EST quod habctur 2 Machab. 12, 46: «Sancta et salubris est cogitatio pro defunctis exorare, ut a peccatis solvantur ». Sed hoc esset inutile nisi eos iuvaret. Ergo suffragia vivorum mortuis prosunt. 2. PR.A.ETERE.A., Augustinus dicit, in libro De Cura pro mortuis agenda [c. l] : « Non parva est universae Ecclesiae, quae in hac consuetudine claret, auctoritas, ut in prccibus sacerdotìs, quae Domino Deo ad eius altare funduntur, locum suum habeat etiam commendatio mortuorum ». Quae quidem consuetudo ab ipsis Apostolis inchoavit : ut dicit Damasccnus, in quodam sermone De SuOragiis Mortuorum, sic dicens: « Mysteriorum conscii discipuli Salvatoris et sacri Apostoli in trcmcndis et vivificis mysteriis memoriam fieri eorum qui fideliter dormicrunt, sanxerunt ». Quod etiam per Dionysium patet, in. ult. cap. [P. II] Eccles. Ilier., uhi ritum commemorat quo in primitiva Ecclesia pro mortuis orabatur; uhi etiam [P. III, § 6]. Dionysius asserit suffragia vivorum mortuis prodesse. Ergo hoc indubitanter credendum est. RESPONDEO DICENDUM quod caritas, quae est vinculum Ecclesiae membra unicns, non solum ad vivos se extendit, sed etiam ad mortuos qui in caritate dccedunt : caritas enim vita corporis non finitur, 1 Oor. 13, 8 : « Caritas nunquam excidit ». Similiter etiam mortui in memoriis hominum viventium vivunt : et ideo intentio viventium ad eos dirigi potest. Et sic suffragia vivorum mortuis dupliciter prosunt, sicut et vivis : et propter caritatis unionem ; et propter intentionem ad eos directam. Non tamen sic eis valere credenda sunt vivorum suffragia ut ~~us eorum mutetur de miseria ad felicitatom vel e con verso. valet ad diminutionem poenae, ve] aliquid huiusmodi quod statum mortui non transmutat. 1
A Parta l'antichità relativa della testimonianza di Dionigi, è ormai fuori di discas·
of't- 1a Presenza del suffragi per i defunti nella phì remota tradizione cristiana. (Cfrre alle Prove Patristiche, abbiamo oggi anche qucIIc archeologiche e liturgiche
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· 8 cmu.us M., Le ultime realtà, Alba, 1960, pp. 392·405).
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LA
SO~L\IA
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SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ : 1. Mentre l'uomo 'è tuttora in vita merita che i suffragi gli siano validi dopo la sua morte. Quindi dipende sempre da quel che ha fatto in vita, se questi gli giovano. Oppure l'espressione paolina, seguendo il Damasceno, va riferita alla retribuzione di gloria o di pena eterna nel giudizio finale, in cui ciascuno sarà retribuito solo in rapporto a ciò che egli operò mentre era nel corpo. Nel frattempo però i defunti possono essere aiutati dai suffragi dei vivi. 2. 11 testo si riferisce espressamente a ciò che segue l'eterna retribuzione, come è chiaro dalla premessa : « Beati i morti, ecc. ». Oppure si può spiegare nel senso che le opere fatte per loro sono in qualche modo opere loro, come abbiamo detto nell'articolo precedente. 3. Le anime, sebbene, dopo la morte non siano in via in senso proprio, possono esserlo però in qualche modo, in quanto cioè sono trattenute dal ricevere l'ultima retribuzione. Perciò, in senso assoluto, la loro via è «sbarrata», perché non possono più passare da uno stato all'altro per mezzo delle opere. Ma non è «sbarrata » nel senso che non possano ricevere aiuti; perché non sono tuttora giunte alla felicità eterna e quindi si trovano in stato di via. 4. Tra i vivi e i morti non ci possono essere comunicazioni nella vita civile, di cui parla Aristotele, perché questi ormai ne sono fuori. Ma ci possono essere relazioni spirituali per mezzo dell'amore di Dio, «presso il quale vivono le anime dei morti ». 1
ARTICOLO 3 Se ai morti giovino i suffragi fatti dai peccatori.
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SEMBRA che ai morti non giovino i suffragi fatti dai peccatori. Infatti : 1. Nel Vangelo si legge : «Dio non ascolta i peccatori». Ma se le preghiere fatte da loro giovassero a quelli per i quali sono formulate, essi sarebbero esauditi da Dio. Dunque i suffragi che essi fanno non giovano ai morti. 2. Dice S. Gregorio che «quando si interpone a pregare uno che non gode il favore di chi si prega, se ne provoca lo sdegno e la vendetta ». Ora, qualsiasi peccatore dispiace a Dio. Perciò i suffragi da lui fatti non inducono il Signore alla misericordia. Quindi tali suffragi non giovano. Queste ultime parole si riscontrano nel Processionario den•ordlne Domenicano, e precisamente nella settima orazione in • Officio sepulturae Fratrum , : « Deus. apud quem mortuorum spiritus vivunt... •. 1
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quod homo, dum in corpore vixit, meruit ut haec ei valerent post mortem. Et ideo, si post hanc vitam eis iuvatur, nihilominus hoc proccdit ex his quae in corporc gessit. Vel dicendum, secundum Ioannem Damascenum, in sermone raedicto, quod hoc est intelligendum quantum ad retributionem ~uae fiet in finali iudicio, quae erit aeternae gloriae vel aetcrnae miseria.e, in qua quilibet recipiet solum secundum quod ipse in corpore gessit. Interim a.ntf'm iuvari possunt vivorum suffragiis. AD SECUNDUM DICENDUM quod auctoritas illa expresse loquitur de sequela aete~nae ret!ibutionis : quod patet ex hoc quod praemittitur, (( Beati mortu1 etc. ». Vel dicendum quod opera pro eis facta sunt etiam quodammodo eorum ut dictum est [a. praec.). AD 'TERTIUM DICENDUM quod, quamvis animae post mortem non sint simpliciter in statu viae, sed quantum ad aliquid adhuc sunt in statu viae : inquantum scilicet eorum progressus adhuc retardatur ab ultima retributione. Et ideo simpliciter eorum via est circumsepta, ut non possint ulterius per aliqua opera transmutari secundum statum felicitatis et miseriae. Sed quantum ad hoc non est circumsepta, quin, quantum ad hoc quod detinentur ab ultima retributione, possint ab aliis iuvari : quia secundum hoc adhuc sunt in via. An QUARTUM DICENDUM quod, quamvis communicatio civilium operum, de qua Philosophus loquitur, non possit esse mortuorum ad vivos, quia mortui extra vitam civilem sunt ; potest tamen eorum communicatio esse quantum ad opera vitae spiritualis, quae est per caritatem ad Deum, «cui mortuorum spiritus vivunt ». AD
PRIMUM ERGO DICENDUM
ARTICULUS 3 Utrum suffragia facta per peecatores mortuis prosint. (4 Sent., d. 45, q. 2, a. J, qc. 3)
An TEBTIUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod suffragia per peccatores facta mortuis non prosint. Quia, ut dicitur Ioan. 9, 31, «peoeatores Deus non audit )>. Sed, si orationes eorum prodessent illis pro quibus orant, a Deo exaudirentur. Ergo suffragia per eos facta mortuis non prosunt. 2. FRA.ETEREA, Gregorius, in Pastorali [P. I, c. 11 ], dicit quod, « olllD: is qui displicet ad interpellandum mittitur, irati animus ad deteriora provocatur •. Sed quilibet pcccator Deo displicet. Ergo peEr. peecatorum suffragia Deus ad misericordiam non flectitur. t ideo talia suffragia non prosunt.
ttc• ~U:bi Paralleli: III, q. 82, a. 6; 2 Seni., d. 40. a. 4, ad 5; 41 d. 5, q. 2, a. 2, • • 2; d. 19. q. 1, a. 2, qc. 2, ad 4:.
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LA SO:\'IMA TEOLOGICA, Suppl., q. 71, a. 3
3. Un'opera buona reca più utilità a chi la fa che a qualunque altro. Ma il peccatore con le sue opere non può meritare in alcun modo per sé. Molto meno dunque può meritare per altri. 4. Ogni opera meritoria deve essere vivificata, ossia «informata dalla carità ». Ma le opere del peccatore sono morte. Dunque non possono giovare ai morti, ai quali sono destinate. IN CONTRARIO : I. Nessuno può sapere con certezza assoluta se un altro è in sta.to di grazia o di colpa. SC' qnindi giova.Rsero solo i suffragi di quelli che sono in grazia, uno non potrebbe sapere a chi rivolgersi per i suffragi da fare per i propri defunti. E così molti si asterrebbero dal procurare i suffragi. 2. Dice inoltre S. Agostino che un morto riceve dai suffragi tanto giovamento quanto meritò per riceverlo in vita ; quindi il valore dei suffragi è [solo] proporzionato dalle condizioni di colui, cui sono diretti. Perciò non ha importanza che siano fatti dai buoni o dai peccatori. RISPONDO : Nei suffragi fatti da coloro che non sono in grazia si possono considerare due cose. Primo, l'opera compiuta : p. es., il sacrificio dell'altare. Ebbene questa giova come suffragio dei defunti anche se compiuta da peccatori, perché i nostri sacramenti hanno efficacia per se stessi a prescindere dall'opera di chi li amministra. Secondo, l'opera quale atto dell'operante. E allora bisogna distinguere. Perché l'opera del peccatore che fa i suff1·agi, considerata in primo luogo come sua, non può essere affatto meritoria né per sé né per altri. - Ma il peccatore che fa i suffragi può essere considerato quale rappresentante di tutta la Chiesa, come il sacerdote che compie le esequie per i morti. Ora, siccome l'azione appartiene a colui in nome dcl quale vien fatta, come dice Dionigi, è chiaro che i suffragi di detto sacerdote, anche se peccatore, giovano ai dC'funti. - L'opera può essere di un altro, quando chi la compie agisce come suo strumento. In tal caso l'azione si attribuisce, più che allo strumento, all'agente principale. Perciò anche se chi funge da strumento non è in istato di poter meritare, l'azione può nondimeno essere meritoria a motivo dell'agente principale: come se un servo, trovandosi in peccato, fa una qualsiasi opera di misericordia per ordine del padrone che vive in grazia di Dio. Perciò se qualcuno, morendo in istato di grazia, o chi per lui nelle stesse disposizioni, ordina che gli vengano fatti dei suffragi, questi valgono per il defunto, anche se chi li fa si trova in peccato. Tuttavia essi varrebbero di più, se chi li compie fosse in grazia di Dio : perché allora quelle opere sarebbero doppiamente meritorie. SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTl : 1. La preghiera fatta dal peccatore in certi casi non è del peccatore, ma di un altro. Perciò da questo lato è degna di essere esaudita dal Signore. Talvolta poi anche i peccatori sono ascoltati da Dio, cioè quando chiedono quel che a lui è gradito. Il Signore infatti dispensa il bene non solo ai giusti, ma anche ai peccatori, come è detto nel Vangelo, non per i loro meriti, ma per la sua clemenza. Perciò
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3. PRA.ETEREA., opus alicuius · magis videtur esse fructuosum facienti quam alteri. Sed peccator per opera nihil meretur sibi. Ergo multo minus potest alteri mereri. 4. PRAETEREA., omne opus meritorium oportet esse vivificatum, ideat «caritate informatum ». Sed opera per peccatores facta sunt mortua. Ergo non possunt per ca mortui iuvari pro quibus fiunt. $ED CONTRA EST quod nullus potcst scire de altero pro certo utrum sit in statu cu1pae vcl gratiae. 8i f'rgo tantum iUa suffragia pr0desscnt quac fiunt per cos qui sunt in gratia, non posset homo jre per quos suffragia conquireret suis defunctis. Et ita multi 80 a suffragiis procurandis retraherentur. 2. PRA.ETEREA, sicut Augustinus [Enchirid., c. 110] dicit, in littera (d. 45, c. Neque negandum], sccundum hoc iuvatur aliquis mortuus ex suffragiis, secundum quod, dum viveret, meruit ut iuvaretur post mortem. Ergo valor suffragiorum mensuratur secundum conditionem eius pro quo fiunt. Non ergo differt utrum per bonos vel malos fìant. ltESPONDEO DICENDUM quod in suffragiis quae per malos fiunt, duo possunt considerari. Primo, ipsum opus operatum : sicut sacrificium Altaris. Et quia nostra sacramenta ex seipsis efficaciam habent absque opere operantis, quam aequaliter explent per quoscumque fìant, quantum ad hoc suffragia per malos facta defunctis prosunt. Alio modo, quantum ad opus operans. Et sic distinguendum est. Quia operatio peccatoris suffragia facientis potest uno modo considerari prout est eius. Et sic nullo modo meritoria esse potest nec sibi nec alii. - Alia modo, inquantum est alterius. Quod dupliciter contingit. Uno modo, inquantum pcccator suffragia faciens gerit personam totius Ecclesiae : sicut sacerdos dum dicit in ecclcsia cxequias mortuorum. Et quia ille intelligitur facere cuius nomine vcl vice fit, ut patet per Dionysium, in 13 cap. [§ 3] Oael. Hier., inde est quod suffragia talis sacerdotis, quamvis si.t peccator, defunct.is prosunt. - Alio modo, quando agit ut instrumentum alterius. Opus cnim instrumcnti est magis principalis agentis. Unde, quamvis ille qui agit ut instrumentum alterius, non sit in statu merendi, actio tamen eius potest esse meritoria ratione principalis agentis : sicut si servus in peccato existens qu~dcumque opus misericordiae facit ex praecepto domini sui c~ntatem habentis. Unde, si aliquis in caritate decedens praecip1at sibi suffragia fieri, ve] alius praecipiat caritatem habens, illa su!fragia valent defuncto, quamvis illi per quos fìunt in peccato ex1stant. Magis tamen valerent si cssent in caritate : quia tunc ex duabus partibus opera illa meritoria essent. AD PRIMUM ERGO DICENDUM quod oratio per peccatorem facta ~ua.ndoque non est peccatoris, sed alterius. Et ideo secundum oe digna est ut a Deo exaudiatur. Tamen ctiam quandoque Deus peccatorcs audit, quando scilicet =eatores petunt aliquid Deo acceptum. Non enim solis iustis, etiam peceatoribus Deus bona sua providet, ut patet Matth.
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LA SOMMA TEOLOGICA, Suppi., q. 71, aa. 3-4
la Glos8a, a commento delle parole di S. Giovanni : « Dio non ascolta i peccatori>), dice che il cieco le pronunciò come ancora «infangato)>, cioè come uno che non ci vedeva perfettamente. 1 2. La preghiera del peccatore, pur non essendo accetta a Dio per l'orante che dispiace, può esserlo a motivo degli altri che quegli rappresenta, o di cui eseguisce l'ordine. 3. Se il peccatore che fa i suffragi non ne riporta nessun beneficio, lo deve a.Ila. propria indisposizione. Quelli però possono giovare ad altri, che non sono indisposti. 4. Sebbene l'opera del peccatore non sia viva in quanto appartiene a lui, tuttavia lo può essere in quanto è di un altro, come è stato già spiegato. Siccome poi le ragioni addotte in contrario sembrano concludere che è indifferente procurare i suffragi per mezzo dei buoni o dei cattivJ, bisogna rispondere anche a queste. 5. E vero che non possiamo sapere con certezza se esso è in stato di grazia, ma è possibile congetturarlo da ciò che di lui apparisce all'esterno, perché «l'albero si conosce dai suoi frutti », come dice il Vangelo. 6. Perché i suffragi valgano per un altro, si richiede da parte sua la capacità recettiva che egli acquistò in vita per mezzo delle proprie opere buone. In questo senso parla S. Agostino. Tuttavia si richiede anche, nell'opera destinata al suffragio, una certa qualità. E questa non dipende da colui che deve usufruirne, bensl da colui che la compie o che ordina di compierla.
ARTICOLO 4 Se giovino anche ai vivi i suffragi che essi fanno per i morti.
SEMBRA che non giovino anche ai vivi i suffragi che essi fanno per i morti. Infatti : 1. Chi secondo l'umana giustizia paga il debito di un altro, non si libera dal proprio. Dunque chi facendo i suffragi paga il debito di un altro, non soddisfa al debito proprio. 2. Ciascuno deve fare ciò che fa nel modo più perfetto possibile. Ora, è meglio giovare a due che a uno solo. Se dunque è vero che uno pagando il debito di un altro mediante i suffragi, si libera anche dal proprio, nessuno deve mai soddisfare solo per se medesimo, ma sempre per un altro. 3. Se la soddisfazione di uno per un altro valesse per sé come
L'espressione della Glossa deriva dall'originalissimo commento fatto da S. Agostino all'episodio evangelico (cfr. Giov. 9, 1-34) della guarig'ione del cieco nato, cui il Signo1
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5 45 : non autem ex eorum meritis, sed ex sua clementia. Et ideo I~a.n. 9, super illud [v. 31], « Deus peccatorcs non audit l>, Glossa [interlin.] dicit quod loquitur ut . Perciò essi non sanno quando si offrono per loro dci suffragi : a meno che, in via eccezion a.le, n.d alenni Dio non conceda questo soUievo. Ma la cosa è molto dubbia. Perciò è più sicuro affermare in assoluto che i suffragi non giovano ai dannati e che la Chiesa non intende pregare per loro, come è chiaro dai testi sopra ricordati. SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ : 1. Dagli oggetti idolatrici trovati addosso ai morti non si può senz'altro concludere che quei soldati li portassero per motivi superstiziosi : li a ve vano forse presi come vincitori, e per diritto di guerra se n'erano impossessati. Tuttavia avevano fatto un peccato veniale di avarizia. Essi perciò non erano stati condannati all'inferno. E quindi i suffragi potevano loro giovare. Oppure, secondo altri interpreti, si può pensare che di fronte al pericolo, si siano pentiti dcl loro peccato : ossia, secondo l'espressione del Salmista, ((mentre Dio li condannava a morire, si rivolgevano a lui )). Ciò può ritenersi probabile, e rende più logica l'oblazione fatta per loro. 2. La parola dannazione è presa qui in senso lato per una punizione qualunque. Quindi può includere anche la pena del purgatorio che, attraverso i suffragi può essere condonata in tutto o in parte. 3. I suffragi più che per i vivi sono accettati per i morti, i quali ne hanno più bisogno, non potendo, come i vivi, provvedere a se stessi. Però d'altra parte i vivi si trovano in condizione più vantaggiosa, perché possono riacquistare Io stato di grazia perduto col peccato mortale, mentre ciò non è possibile ai morti. Perciò i motivi per cui si prega per i morti sono diversi da quelli per cui si prega per i vi vi. 4. Quell'aiuto non consisteva in una diminuzione di pena; ma, come dice il racconto, soltanto nel fatto che, per mezzo dell'orazione di S. Macario, quei dannati potevano vedersi reciprocamente, e per questo provavano una certa gioia, non vera ma immaginaria, mentre si compiva questo loro desiderio. In questo senso diciamo che i demoni godono quando riescono a indurre gli uomini al peccato, quantunque per questo la loro pena non diminuisca affatto ; come non diminuisce la gioia degli angeli quando si dice che essi commiserano i nostri mali. 5. Probabilmente il fatto di Traiano si può spiegare nel senso che egli, per le preghiere di S. Gregorio, fu richiamato in vita e quindi ottenne la remissione dei peccati e la grazia. Di conseguenza fu liberato dalla pena ; come si riscontra in tutti quelli che furono risuscitati da morte miracolosamente, molti dei quali erano
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pro eis nullam curaro habcrent; quae materia doloris subtrahitur dum suffragia pro eis fiunt. Sed illud etiam non potest esse secundum lcgem communem. Quia ut Augustinus dicit, in libro De Cura pro mortuis agenda [e ia] quod praecipue dc damnatis verum est : «Ibi sunt spiritus d~fun~torum uhi non vidcnt quaecumque aguntur aut eveniunt in ista vita hominibus ». Et ita non cognoscunt quando pro eis suffragia fiunt : nisi supra communcm legc1n hoc remcdium divinitus datur aliquibus damnatorum. Quod est verbum omnino incertum. Unde tutius est simpliciter dicere quod suffragia non prosunt damnatis, nec pro eis Ecclesia orare intcndit, sicut ex inductis auctoritatibus apparet. AD PRIMUM ERGO DICENDUM quod donaria idolorum non fucrunt inventa apud illos mortuos ut ex cis signum accipi posset quod in reverentiam idolorum eis dcfcrrcnt : sed ea acceperunt ut victores, quia eis iure belli debebantur. Et tamen per avaritiam venialiter peccaverunt. Unde non fucrunt in inferno damnati. Et sic suffragia eis prodesse poterant. Vel dicendum, secundum quosdam, quod in ipsa pugna, videntes sibi periculum imminere, de peccato poenituerunt: secundum illud Psalmi (77, 34] : « Cum occideret eos, quaerebant eum ». Et hoc probabiliter potest aestimari. Et ideo pro eis fuit oblatio facta. AD sECUNDUM DICENDUM quod in verbis illis damnatio large accipitur pro quacumque punitione. Et sic includit ctiam poenam purgatorii, quae quandoque totaliter per suffragia expiatur, quandoque autem non, sed diminuitur. AD TERTIUM DICENDUM quod quantum ad hoc magis acceptatur suffragium pro mortuo quam pro vivo, quia magis indiget: cum non possit sibi auxiliari sicut vivus. Scd quantum ad hoc vivus est melioris conditionis, quia potest transferri de statu culpae mortalis in statum gratiae, quod de mortuis dici non potest. Et ideo non est eadcm causa orandi pro mortuis et pro vivis. AD QUARTUM DICENDUM quod illud adiutorium non erat quod poena eorum diminueretur, sed in hoc solo, ut ibidem dicitur, quod, eo orante, concedebatur eis ut mutuo se viderent : et in hoe aliquod gaudium, non verum sed phantasticum, habebant, dum implebatur hoc quod desiderabant. Sicut et daemones gaudere dicuntur dum homines ad pcccatum pertrahunt, quamvis per hoc eorum poena nullatenus minuatur : sicut non minuitur a.ngelorum gaudium per hoc quod malis nostris compatì dicuntur. AD ~-C:INTUM DICENDUM quod de facto Traiani hoc modo potest r,ro~ab1hter aestimari : quod precibus beati Gregorii ad vitam ~er1t revocatus, et ita gratiam consccutus sit, per quam remissionem ~eocatorum habuit, et per consequens immunitatem a fo'!ena; s1cut etiam apparet in omnibus illis qui fuerunt miracuose a mortuis suscitati, quorum plures constat idololatras et dam-
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LA SOMMA TEOLOGICA, Suppl., q. 71, aa. 5-6
idolatri e quindi dannati. Di tntti costoro si deve dire che non erano condannati all'inferno definitivamente, ma secondo quanto esigeva l'attuale giustizia in considerazione dei loro meriti. Ma secondo un piano provvidenziale più alto, che prevedeva la loro resurrezione, erano predestinati a una sorte diversa. Oppure, dicono alcuni, si deve ritenere che l'anima di Traiano non fu liberata del tutto dalla pena eterna, ma solo per un certo te1npo cioè fino al giorno del giudizio. Non bbmgna però credere che i suffragi producano tale effetto ; perché, oltre le cose che avvengono per legge generale ve ne sono altre che sono concesse soltanto ad alcuni in via eccezionale : ossia, come dice S. Agostino~ «altri sono i limiti delle forze naturali, altri i prodigi della potenza divina)).
ARTICOLO 6 Se i suffragi giovino alle anime del purgatorio.
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SEMBRA che i suffragi non giovino alle anime del purgatorio. Infatti: I. II purgatorio fa parte dell'inferno, ma nell'inferno «non vi è alcuna redenzione ». E nei Salmi si legge : «Chi spererà in te nell'inferno ? ». Quindi i suffragi non giovano a chi è nel purgatorio. 2. La pena del purgatorio è una pena finita. Se quindi viene condonata con i suffragi, moltiplicandoli si potrà arrivare al punto di cancellarla completamente. E in tal caso il peccato rimarrà completamente impunito. Ma questo è incompatibile con la giu· stizia divina. 3. Le anime sono trattenute in purgatorio perché purificate possano giungere monde al regno dei cieli. Ma nulla si può purjficare senza un 'azione che tocchi il soggetto. Quindi i suffragi dei vi vi non diminuiscono la pena del purgatorio. 4. Se i suffragi per le anime purganti valessero, varrebbero soprattutto per quelli che li ordinarono prima di morire. Ma talvolta questi non valgono niente. Come nel caso di chi morendo ordina per sé tanti suffragi, che se fossero subito eseguiti, basterebbero a condonargli tutta la pena ; se capita però che essi vengano rimandati fino a che egli non ha scontato tutta la pena, quei suffragi non gli contano niente ; perché non possono contargli prima che vengano fatti ; e se gli vengono fatti dopo, non ne ha più bisogno, perché ha già scontato la pena. Quindi i suffragi per le anime del purgatorio non valgono. IN CONTRARIO: 1. S. Agostino 2 afferma che i suffragi giovano Luogo parallelo : I. Sent., d. 45, exp. lltt. L• Autore si dispensa dal cita.re il brano celeberrimo di S. Agostino, perché esso era riferito dal libro delle Sentenze che egli commentava. Eccone :I periodi più im· 1
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atos fuisse. 'De omnibus enim similiter dici oportet quod non ~rant in inferno finali~er deputati, sed secundum prae~entem iustitiam propriorum mer1torum. Secundum autem super1ores causas, quibus praevidebantur ad vitam revocandi, erat aliter de eis disponendum. · T ra1an1 · · non f u1t · Vel dicendum, secund um quos d am, quod anima simpliciter a reatu poen.a? aeternae absol~ta, ~ed. ~~us poena fuit suspensa ad tempus, sc1hcet usque ad dwm 1ud1cu. Nec tamen oportet quod hoc fiat communiter per suffragia : quia alia sunt quae lege communi accidunt, et alia quae singulariter ex privilegio aliquibus conced1:ntur ; . sicut « alii sunt hum~naru1? _lim_ites. rerum, alia divinarum s1gna virtutum », ut Augustinus dic1t, in hbro De Oura pro mortuis agenda [c. 16].
ARTICULUS 6 Utrum suf&agia prosint existentihus in purgatorio. (4 Sent., d. 45, q. 2, a. 2, qc. 2)
AD SEXTUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod nec etiam existentibus in purgatorio. Quia purgatorium pars quaedam inferni est. Sed «in inferno nulla est redemptio )) [Brev. Rom. Offic. Defunct. resp. 7 ad Matutin.]. Et Psalmus [6, 6] dicit : e< In inferno autem quis confìtebitur tibi 1 ». Ergo suffragia his qui sunt in purgatorio non prosunt. 2. PRAETEREA, poena purgatorii est poena finita. Si ergo per suffragia aliquid de pocna dimittitur, tantum poterunt multiplicari suffragia quod tota tolletur. Et ita peccatum remanebit totaliter impunitum. Quod videtur divinae iustitiae repugnare. 3. PRAETEREA, ad hoc animae in purgatorio detinentur ut, ibi purgatae, purae ad Regnum pervcniant. Sed nihil potest purgari nisi aliquid circa ipsum fiat. Ergo suffragia facta per vivos poena.m purgatorii non diminuunt. 4. PRAETEREA, si suffragia existentibus in purgatorio valerent, maxime ea viderentur valere quae sunt ad imperium eorum facta. Sed haec non semper valent. Sicut si aliquis decedens disponat tot suffragia pro se fieri, quae, si facta esscnt, sufficerent ad totam poenam abolendam : - posito ergo quod huiusmodi suffragia differantur quousque ille poenam evaserit, illa suffragia nihil ei proderunt : non enim potest dici quod ei prosint antcquam fiant ; postt';am autem sunt facta, eis non indiget, quia iam poenas evasit. go suffragia existentibus in purgatorio non valent. SEn CONTRA EST quod dicitur in lit tera (d. 45, c. N eque negandum] ex verbis Augustini [Enchirid., c. 110], quod suffragia pro: n t 1 : •Non si deve negare che le anime dei defunti vengano sollevate dalla Dled.Jadel loro congiunti tuttora vivi, quando per loro viene offerto il sacriftcio del tore. o quando nella Chiesa si fanno per essi delle elemosine. Me. queste opere
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a coloro che non sono né molto buoni, né molto cattivi. Ma tali sono appunto le anime del purgatorio. Dunque ... 2. Dionigi scrive che «il sacerdote di Dio intende pregare per quei defunti che pur avendo vissuto santamente, contrassero delle macchie per umana fragilità». Ora in purgatorio ci sono proprio codeste anime. Quindi ... RISPONDO : J. .a pena del purgatorio supplisce quella soddisfa .. zione che fu completata mentre l'anima era nel corpo. Perciò poiché è chiaro da quanto si è detto che le opere di uno possono va .. ]ere a soddisfare per altri, sia vivi che morti, non c'è dubbio che i suffragi fatti dai vivi giovano alle anime del purgatorio. 1 SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ : 1. Quel testo si riferisce all'in .. ferno dei reprobi, dove (. Sed pueri non computantur inter valde malos : cum sit ), e altre cose simili. Dunque non solo il sacrificio dell'Altare, ma anche altre offerte devono computarsi tra i suffragi per i defunti. RISPONDO : I suffragi dci vivi giovano ai morti in quanto gli uni e gli altri sono tra loro uniti per mezzo della carità, e in quanto l'intenzione dei primi è indirizzata ai defunti. Perciò quelle opere che cementano la carità o dirigono l'intenzione di uno verso l'altro sono per loro natura più efficaci a suffragare i defunti. Ora, lo strumento più efficace per la carità è il sacramento dell'Eucarestia ; perché è il sacramento dell'unità della Chiesa, in quanto contiene colui nel quale tutta la Chiesa è uni~a e compaginata, cioè Cristo. Perciò l'Eucarestia è come la fonte e il vincolo della carità. Invece tra gli effetti principali della carità primeggia l'elemosina. Ecco perché dal punto di vista della carità questi sono i suffragi principali per i defunti : il sacrificio della Chiesa e l'elemosina. Dal punto di vista poi della disponibilità dell'intenzione il princi~ pale suffragio per i morti è la preghiera ; perché la preghiera di sua natura non solo dice rapporto con chi prega, come le altre opere, ma si riferisce anche più direttamente alle persone per cui si prega. Ecco perché queste tre cose sono ritenute come i suffragi principali per i defunti; benché si debba credere che qualunque altra opera buona fatta nella carità possa loro giovare. 1 SOLUZIONE DELLE DIFii'ICOLTÀ: 1. In chi soddisfa per un altro, va considerato, più che la pena, l'elemento per cui la soddisfazione di uno può passare ad altri e produrre tale effetto ; sebbene la pena di per sé sia più efficace a togliere il reato di chi soddisfa, in quanto è una specie di medicina. È per questo che i tre mezzi sopra enumerati sono più efficaci del digiuno. 2. Anche il digiuno può giovare ai defunti per la carità e per l'intenzione di chi lo pratica per i morti. Tuttavia di per sé esso non dice relazione alla carità o all'orientamento dell'intenzione, che rimangono come elementi estranei al digiuno. Ecco perché S. Agostino, a differenza di S. Gregorio, ha escluso il digiuno dai suffragi per i morti. 1
Come abbiamo notato sopra (a. 1) il magistero stesso della Chiesa si è espreeeo
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3. PRA.ETEREA., baptismus est potissimum sacramentorum, maxime quantum ad effectum. Ergo baptismus vel alia sacramenta deberent vel similiter vel magis prodesse defunctis sicut sacramentum Altaris. 4. PRA.ETEREA., hoc videtur ex hoc quod habetur 1 Cor. 15, 29 : e Si omnino mortui non resurgunt, ut quid etiam baptizantur pro illis i ». Ergo etiam baptismus valet ad suffragia defunctorum. 5. PRAETEREA, in diversis missis est idcn1 sacrificium AUa.ris. Si ergo sacrificium computatur inter suffragia et non missa, videtur quod tantundem valeat quaccumque missa pro defuncto dicatur, si ve de Beata Virgine, sive de Spiritu Sancto, vel quaecumque alla. Quod videtur esse contra Ecclesiae ordinationem, quae specialem missam pro defunctis instituit. 6. PRA.ETEREA., Damascenus, in Sermone De Dormientibus, docet « ceras et oleum», et huiusmodi, pro defunctis offerri. Ergo non solum oblatio sacrificii Altaris, sed etiam aliae oblationes debent inter suffragia mortuorum computari. REsPONDEO DICENDUM quod suffragia vivorum prosunt defunctis secundum quod uniuntur viventibus caritate ; et secundum quod intentio viventis refertur in mortuos [a. 2]. Et ideo illa opera praecipue nata sunt mortuis suffragari quae maxime ad communicationem caritatis pertinent, vel ad directionem intentionis ad alterum. Ad caritatem autem sacramentum Eucharistiae praecipue pertinet : cum sit sacramentum ecclcsiasticae unionis, continens illum in quo tota Ecclesia unitur et consolidatur, scilicet Christum. Unde Eucharistia est quasi quaedam caritatis origo sive vinculum. Sed inter caritatis effectus est praecipuum eleemosynarum opus. Et ideo ista duo ex parte caritatis praecipue mortuis suffragantur: scilicet sacrificium Ecclesiae et eleemosynae. Sed ex parte intentionis directae in mortuos, praecipue valet oratio: quia oratio, secundum suam rationem, non solum dicit respectum ad orantem, sicut et cetera opera, sed directius ad illud pro quo oratur. Ji]t ideo ista tria ponuntur quasi praecipua mortuorum subsidia : quamvis quaecumque alia bona ex caritatc fiant pro defunctis, eis valere credenda sint. AD PRIMUM: ERGO DICENDUM quod in eo qui satisfacit pro altero, magia est considerandum, ad hoc quod effectus satisfactionis ad alterum perveniat, illud quo satisfactio unius transit in altcrum, q?am etiam satisfactionis poena : quamvis ipsa poena magis cxp1et reatum satisfacientis, inquantum est quaedam medicina. Et ideo tria praedicta magis valent defunctis quam ieiunium. AD SECUNDUM DICENDUM quod etiam ieiunium prodesse potest defunctis ratione caritatis et intentionis in defunctos directae. Sed tamen ieiunium in sui ratione non continet aliquid quod ad caritate~ vel dircctioncm intentionis pertìneat, sed haec sunt ei quasi ?~tr~seca. Et ideo Augustinus non posuit, sed Gregorius posuit 1e1un1um inter suffragia mortuorum. ~ favore di questa conclusione (Cfr. DENZ.-8., 583, 741, 797, 856, 1304, 1405, l 74:3,
7 53,
1820. 1866 s., 2535, 3363).
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.3. Il battesimo è una rinascita spirituale. Quindi come la nascita produce l'essere solo in chi viene generato, cosi il battesimo per l'opera operata non ha efficacia se non in chi viene battezzato, sebbene per l'opera dell'operante, sia dcl battezzato che di chi battezza, possa giovare anche ad altri, come tutte le opere meritorie. L'Eucarestia al contrario è il sacramento dell'unità della Chiesa. Perciò PSsa per l'opera operata può trasmettere la propria efficacia ad altri. Il che non si può dire degli altri sacramenti. 4. Il testo riferito viene spiegato in due modi dalla Glossa. Primo : «Se i morti non risorgono, neppure Cristo è risorto. E perché allora alcuni si battezzano per quelli)), cioè per i peccati, «i quali non sono rimessi se Cristo non è risorto 1 ». Nel battesimo infatti opera non solo la passione, ma anche la resurrezione di Cristo, che è in qualche modo causa della nostra resurrezione spirituale. Secondo, in questi termini : •C'erano degli ignoranti che si facevano battezzare per chi era morto senza battesimo, nella speranza di poter giovare ad essi )), In questo caso l'Apostolo parlerebbe riferendosi al loro errore. 1 5. Nella celebrazione della messa non c'è solo il sacrificio, ma anche la preghiera. Perciò la messa include due dei suffragi elencati da S. Agostino : la preghiera e il sacrificio. Ora, sotto l'aspetto di sacrificio, che è l'elemento principale di essa, la messa ha per i defunti sempre lo stesso valore, qualunque sia il proprio della solennità per cui viene celebrata. Quanto alle preghiere invece è più efficace la messa con le preghiere speciali per i defunti. Tuttavia, la mancanza di queste, può essere compensata dalla maggiore devozione di chi dice o di chi fa dire la messa ; oppure dall'intercessione del santo, del quale nella messa si implora il suffragio. 6. Le offerte di candele, o di olio, possono giovare al defunto in quanto sono una specie di elemosina; essendo destinate al culto della Chiesa o ali 'uso dei fedeli.
ARTICOLO 10 Se le indulgenze concesse dalla Chiesa possano giovare anche ai morti.
SEMBRA che le indulgenze concesse dalla Chiesa non possano giovare ai morti. Infatti : 1. La Chiesa ha la consuetudine di far predicare la crodata perché uno possa acquistare le indulgenze per sé e per altre due o tre anime, anzi talora persino per dieci altri, vivi o morti. Ora, 1
Gli esegeti moderni stanno por quest'ultima interpretazione. • La pratica cui alludo l'apostolo•, scrivo N. Palmarini, •ci è sconosciuta. Forse si tratta di questo: quando moriva un catecumeno senza battesimo, allora un cristiano, parente o amico del defunto, per attestare che il morto aveva avuto la fede in Cristo oppure per
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quod baptismus est quaedam spiritualis regeneratio. Unde, sicut per generationem non acquiritur esse nisi generato, ita baptismus non habet efficaciam ni~i in eo qui baptizatur, quantum est ex opere operato: quamv1s ex opere operante, vel baptizantis ve] baptizati, possit aliis prodesse, sicut et cetera opera meritoria. Sed Eucharistia est sign uJil ecclesiasticae unionis. Et ideo ex ipso opere operato eius effic&cia in alterum transire potest. Quod non coniingit de aliis sacranwntis. AD QUABTUM DICENDUM quod Glossa istam auctoritatem dupliciter exponit. Uno modo, sic. « Si mortui non resurgunt, nec Christus resurrcxit. Ut quid etiam baptizantur pro illis ~ • «idest, pecoatis : cum ipsa non dimittantur si Christus non resurrexit )). Qui.a. in baptismo non solum Christi passio, sed resurrectio operatur, quae est nostrae spiritualis resurrectionis quodammodo causa. Allo modo sic. « Fuerunt quidam imperiti qui baptizabantur pro bis qui de hac vita sino baptismo discesserant, putantes illis prodesse ». Et secundum hoc, Apostolus non loquitur nisi secundum errorem aliquorum in verbis illis. An QUINTUM DICENDUM quod in officio missae non solum est sacrificium, sed etiam sunt ibi orationes. Et ideo missae suffragium continet duo horum qua.e hlc Augustinus enumerat [loco cit. in arg. 2], scilicet orationem et sacrificium. Ex parte igitur sacriflcii oblati missa aequaliter prodest defuncto de quocumque dicatur : et hoc est praecipuum quod fit in missa. Sed ex parte orationum magis prodest illa in qua sunt orationes ad hoc determina.tae. Sed tamen iste defectus recompensari potest per maiorem devotionem vel eius qui dicit missam, vel eius qui facit dici; vel iterum per intercessionem sancti cuius suffragium in missa imploratur. An SEXTUM DICENDUM quod huiusmodi oblatio candelarum vel olei possunt prodesse defuncto inquantum sunt eleemosynae quaedam : dantur enim ad cultum Ecclesiae, vel ctiam in usum fidelium. AD TERTIUM DIOENDUM
ARTICULUS 10
Utrum indu.lgentiae quas Ecelesia facit, etiam mortuis prosint. (4 Sent., d. 45, q. 2, a. 3, qc. 2)
An !lECI~UM SIC PROCEDITUR. Videtur quod indulgentiae quas Eccles~a famt, etiam mortuis prosint. Primo, per consuetudinem ::b~es1ae, quae facit praedicari crucem ut aliquis indulgentiam eat pro se et duobus vel tribus, et quandoque etiam decem giovare a.l.I'anima d'1 l u1, . .taceva a • Bi:mb ripetere suUa sua persona, a modo di pura azione vu.to0 U rito battesimale. Altri pensano che si tratti di un "ero battesimo. ricedefunti un .catecumeno con l'intenzione di giovare all'anima. di parenti o amici l'ebbe • nto non doveva essere superstizioso, ché in tal caso Paolo lo riprove• Sacra Bibbia, a cura. di Mons. S. Ga.rofalo, :Mariettl. 1960, pp. 421 s.).
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LA SOMMA TEOLOGICA, Suppl., q. 71, a. 10
sarebbe un inganno, se queste non giovassero anche ai morti. Quindi le indulgenze giovano anche ai morti. 2. Il merito della Chiesa intera è più efficace del merito di una persona sola. Ma il merito personale può suffragare i defunti, come nel caso dell'elemosina. Molto più dunque può farlo il merito della Chiesa, su cui si basano le indulgenze. 3. I.e indulgenze giovano a tutti quelli che sono sotto la giurisdizione della Chiesa. }la poiché le anime del purga.torio sono sotto tale giurisdizione, altrimenti non potrebbero usufruire dei suffragi della Chiesa, è chiaro che le indulgenze giovano ai defunti. IN CONTRARIO : Perché le indulgenze giovino, ci vuole un motivo conveniente che ne giustifichi la concessione. Ora, tale motivo non può sussistere da parte dei defunti, che non possono far nulla a vantaggio della Chiesa, che è la causa principale della concessione delle indulgenze. Quindi è impossibile che queste giovino ai defunti. 2. Le indulgenze sono determinate secondo l'arbitrio di chi le concede. Se quindi potessero giovare ai defunti, chi le concede potrebbe liberare completamente dalla pena l'anima del defunto. Ma questo è assurdo. RISPONDO : L'induJgcnza può giovare in due modi : in maniera diretta o principale, e in maniera secondaria. Principalmente dunque essa giova a colui che l'acquista, cioè a chi compie le opere per cui viene data, p. es., il pellegrinaggio alla tomba di un santo. Ebbene, in questo modo le indulgenze non possono giovare ai morti, che sono incapaci di compiere le opere prescritte per l'acquisto delle indulgenze. In modo secondario e indirettamente queste possono giovare a colui, per il quale uno compie le opere prescritte per l'acquisto delle indulgenze. E questo può verificarsi o meno, secondo la concessione dell'indulgenza. Se, p. es., l'indulgenza viene concessa in questa forma : «Chiunque farà questa o quell'opera, acquisterà tanta indulgenza )), è chiaro che colui che compie l'opera prescritta non può riversare su altri il frutto dell'indulgenza da lui acquisita ; perché non è in suo potere applicare i suffragi comuni della Chiesa a un'intenzione particolare. Se invece l'indulgenza è concessa sotto quest'altra forma, : , dicit Glossa [ord.] : « Desiderant gaudium maius rt consortium sanctorum, et institiae Dei eonsentiunt &. An SECUNDUM: DICENDUM quod Dominus loquitur ibi de Moyse et Samuele secundum statum quo fuerunt in hac vita. « Ipsi cnim Jeguntur, pro populo orantes, irae Dei rcstitissc », ut lnterlinearis [in Ierem., 15, 1] dicit. Et tamen, si in illo temporc fuisscnt, non potuissent orationibus Deum placare ad populum, propter populi illius malitiam. Et hic est intellectus litterae. An TERTIUM DICENDUM quod ista pugna bonorum angelorum non intelligitur ex hoc quod apud Deum contrarias orationes funderent : sed quia contraria merita ex diversis partibus ad divinum examen referebant, divinam sententiam expectantes. Et hoc est quod Gregorius dicit, 17 Moral. [c. 12], exponens praedicta verba Danielis : « Sublimes spiritus gentibus principa.ntcs nequaquam pro iniuste agentibus decertant, sed corum facta rccte iudicantes cxaminant. Cumque uniuscuiusque gcntis vel culpa ve] iustitia ad supernae curiae solium ducitur, ciusdem gentis praepositus vel obtinuisse in certamine, vel non obtinuisse perhibetur. Quorum tamen omnium una victoria est super se Opificis voluntas summa. Quam dum sempcr aspiciunt, quod obtinerc non valent, nequaquam volunt ». Unde ncc petunt. J1]x quo etiam patet quod orationes eorum semper exaudiuntur. An QUA.RTUM: DICENDUM quod, licet sancti non sint in statu merendi sibi postquam sunt in patria, sunt tamen in statu merendi aliis, vel potius ex merito praecedenti alias iuvandi : hoc enim apud Deum viventes mcruerunt, ut orationes eorum cxaudirentur post mortem. Vel dicendum quod oratio ex alio meretur et ex alio impetrat. Meritum enim consistit in quadam adaequatione actus ad finem propter quem est, qui ei quasi merces rcdditur [I-Il, q. 114, a. I]. ~d orationis impetratio innititur liberalitati eius qui rogatur : impetrat enim aliquis quandoque ex liberali tate eius qui rogatur, quod tamen ipse non mcruit. Et ita, quamvis sancti non sint in statu merendi, tamen non sequitur quod non sint in statu impetrandi. . An QUINTUM DICENDUM quod, sicut ex auctoritate Grcgorii 1nducta patet, sancti vcl angeli non volunt nisi quod in divina voluntate conspiciunt ; et etiam nihil aliud petunt. Nec tamen
ln esame da S. Tommaso nella Prima PaTle della Somma, offrendo la possibilità dl BPletrarlo diversamente, secondo il pensiero di 8. Girolamo (cfr. I, q. 113, a. 8).
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LA SOM:\IA TEOLOGICA, Suppl., q. 72, a. 3
preghiera è senza frutto; perché, come afferma S. Agostino, le preghiere dei santi giovano ai predestinati, poiché forse è stato predisposto che la loro salvezza dipenda dalle preghiere di tali intercessori. Così anche il Signore vuole che, mediante le orazioni dei santi, si compia ciò che i santi vedono conforme alla sua volontà. 6. I suffragi della Chiesa per i defunti sono opere satisfattorie che i vivi compiono per i morti, e quindi liberano i morti da una pena che non hanno ancora scontata. Ora, i santi del cielo invece non si trovano nelle condizioni di poter soddisfare. Quindi il paragone tra le loro preghiere e i suffragi della Chiesa non regge.
LE PREGHIERE DEI SAXTI
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oratio eorum est infructuosa : quia, sicut dicit Augustinus, in libro 2 De Praedest. Sanctorum [c. 22], orationes sanctorum praedestinatis prosunt, quia forte praeordinatum est ut intercedentium orationibus salventur. Et ita etiam Deus vult ut orationibus sanctorum impleatur illud quod sancti vident eum velle. An SEXTUM DICENDUl\f quod suffragia Ecclesiae pro defunctis sunt quasi quaedam satisfactiones viventium vice mortuorum; et secundum hoc mort.uos a poena absolvunt quam non solverunt. Sed sancti qui sunt in patria non sunt in statu satisfaciendi. Et ideo non est simile de eorum orationibus et de suffragiis Ecclesiae.
QUAESTIO 73
De signis quae iudicium praecedent. DEINDE eonsiderandum est de signis quae iudicium praeeedunt. Circa quod quac'runtur tl'ic.t. Prin10 : utrum aclvcntn1n Do1nini ad iudicium aliqua signa praeeedant. Seeundo : utrum secundum rei veritatem sol et luna obseurari tune debeant. Tertio : utrum virtutes caelorum, Domino veniente, moveantur.
ARTICULUS 1 Utrom adventum Domini ad iudicium praecessura sint aliqua signa. (4 Sent., d. 48, q. I, a. 4, qc. 1)
An PRIMUM SIC PROOEDITUR. Videtur quod ad ventum Domini ad iudieium non praeeedent aliqua signa. Quia 1 Thessal. 5, 3: «Cum dixerint, Pax et seeuritas, repentinus eis ~uperveniet interitus ». Sed non csset pax et securitas si homines per signa praecedentia terrerentur. Ergo signa non praeeedent illum adventum. 2. PRAETEREA, signa ad manifcstationem requiruntur. Sed adventus eius de bet esse oeeultus : unde 1 Thessal. 5, 2 : « Dies Domini, sicut fur, ita in noete veniet ». Ergo signa non debent ipsum praeeedere. 3. PRAETEREA, tempus primi adventus fuit praecognitum a prophetis : quod non est de seeundo adventu. Scd primum adventum Christi non praeeesserunt aliqua huiusmodi signa. Ergo nee seeundum praeeedent. SED CONTRA EST quod dieitur Lue. 21, 25 : « Erunt signa in sole et luna et stellis ». 2. PRAETEREA, Hieronymus ponit quindeeim signa praecedentia iudicium : dieens quod primo die maria omnia exaltabuntur quindeeim cubitis super montes. Secundo, omnia aequora prosternentur in profundum, ita ut vix videri poterunt. - Tertio, redigentur in statum antiquum. Quarto, belluae omnes, et alia quae moventur in aquis, congregabuntur et lcvabuntur super pelache riassume il pensiero di S. Tommaso d'Aquino è la dichiarazione del primo articolo : " È difficile sapero quali saranno questi segni ". Imitiamo questa prudenza • (WlllBERT J., op. oit., p. 319). 1 Luogo parallelo : 4 Sent., d. 47. q. 1, a. I, qo. 3, ad 2. ' A S. Girolamo vengono attribuiti i quindici segni che seguono, sia da S. Pier Dam.tant. (ofr.-De Novissimis et Antichrisfo, o. 4), ohe da Pietro Comcstor (Tlist. Schol., ~ 14:1 ; ML 198, 1611); ma con gli Editori Canadesi della Sommo. dobbiamo ammetre di non aver trovato niente di simile in S. Girolamo.
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LA SOM:\IA TEOLOGICA, Suppl., q. 73, a. 1
senza mangiare, né bere. - Nel sesto torrenti di fuoco si leveranno alti nel cielo percorrendolo dall'oriente all'occidente. - Nel settimo tutte le stelle, erranti e fisse, saranno seguite da chiome di fuoco simili alle comete. - Nell'ottavo vi sarà un terremoto cosi pauroso, che abbatterà tutti gli animali. - Nel nono tutte le pietre, grandi e piccole, si frantumeranno a vicenda, dividendosi in quattro pa.rt·i. - NPl decimo da tutte le piante fluirà una rugiada di sangue. Xell'undicesimo i monti, le colline e gli edifici saranno ridotti in polvere. - Nel dodicesimo tutti gli animali usciranno fuori ruggendo dalle foreste e dalle montagne per venire nei campi senza prender cibo. - Nel tredicesimo tutti i sepolcri, dalla mattina alla sera si apriranno per far risorgere i cadaveri. - Nel quattordicesimo tutti gli uomini abbandoneranno le proprie case, per correre qua e là muti e inebetiti. - Nel quindicesimo moriranno tutti per risorgere con quelli che erano morti molto tempo prima. RisPo~no : Quando Cristo verrà a giudicare il mondo apparirà glorioso, come si conviene alla sua autorità di giudice. Ora il potere giudiziario richiede alcuni indizi capaci di ispirare rispetto e sottomissione. Perciò la venuta di Cristo giudice sarà preceduta da molti segni ; affinché i cuori degli uomini si sottomettano al giudice venturo e si preparino al giudizio, per questi segni premonitori. Ma non è facile sapere quali saranno. Perché i segni descritti nel Vangelo, come nota S. Agostino, si riferiscono non solo alla venuta di Cristo e al giudizio finale, ma anche alla distruzione di Gerusalemme ed alla venuta continua con la quale Cristo assiste la sua Chiesa. Cosicché, com'egli dice, se si studia bene la questione, è probabile che nessuno dei segni descritti si riferisca all'ultima venuta ; perché i segni di cui parla il Vangelo, come le guerre, gli spaventi e simili, ci furono sin dalle origini del genere umano ; a meno che non si dica che in quel periodo essi aumenteranno. Ma rimane sempre incerto in quale misura il loro aumento voglia significare l'imminenza del giudizio. I segni poi elencati da S. Girolamo, 1 da lui non sono dati per certi, ma egli dice di averli trova ti descritti negli annali degli Ebrei. Ed essi sono ben poco verosimili. SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ : 1. Avvicinandosi la fine del mondo, secondo quanto afferma S. Agostino, vi sarà una persecuzione dei cattivi contro i buoni, i quali saranno nel timore, mentre i cattivi si sentiranno sicuri. Le parole quindi, «Quando diranno pace e sicurezza, ecc. », si riferiscono ai cattivi, che prenderanno alla leggera i segni del giudizio. Ai buoni in vece si ad dicono le altre parole di S. Luca : « Gli uomini tramortiranno dalla paura, ecc. ». 2 Oppure si può rispondere che tutti i segni del giudizio si manifesteranno nel periodo e nel giorno stesso del giudizio, cosicché 1
Vedi nota precedente.
SEGNI PRECURSORI DEL GIUDIZIO
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gus, more contcntionis invicem mugientes. - Quinto, omnia volatilia caeli congregabuntur in campis, inviccm plorantes, non gustantes nec bibentes. - Sexto, flumina ignea surgent contra faciem firmamenti, ab occasu solis usque ad ortum corruentia. - Septimo, omnia sidera errantia et fixa ex se spargent igneas comas sicut cometae. Octavo, erit magnus tcrrae motus, ut omnia animalia prosternantur. - Nono, omncs lapidcs parvi et magni dividcntur in quatuor partes, unaquaquc aliam co11idPnte. - Decimo, omn. Ergo non poterunt per admirationem moveri, ut in httera [d. 48, c. Veniente] dicitur.
n
'Nel testo latino abbiamo lasciato l'indicazione bibliografica dell'Ed. Leonina. capitolo citato è il c. 5 dcll'Ed. Quare.echi.
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LA SOMMA TEOLOGICA, Supp1., q. 73, a. :3
3. Secondo quanto è scritto nell'Apocalisse tutti gli angeli saranno presenti al giudizio : •Tutti gli angeli saranno davanti al trono )), Ma le virtù sono un ordine speciale di angeli. Perciò non è giusto dire che, a preferenza degli altri angeli, queste saranno sconvolte. IN CONTRARIO : 1. Sta scritto : « Le colonne del cielo paventeranno la sua venuta». Ma tali colonne non possono essere che le potenze celesti. Quindi rsse Hal'anno seon\''"oltC'. 2. Nel Vangelo si legge : « Le stelle cadranno dal ciclo e le potenze dei cieli tremeranno». RISPONDO : La parola virtù, come spiega Dionigi, ha due significati : talvolta significa un particolare ordine angelico che, secondo lo stesso Dionigi, è il secondo della seconda gerarchia ; men tre per S. Gregorio è il primo della gerarchia più bassa. Ma ordinariamente con questo termine vengono designati tutti gli spiriti celesti. Ebbene, nel caso nostro il termine può valere in tutti e due i sensi. Nel testo delle Sentenze esso è adoperato a significare tutti gli angeli. E in tal senso si afferma che gli angeli saranno presi d'ammirazione per ciò che avverrà di nuovo nel mondo. Ma si può intendere anche nell'altro senso, in quanto cioè la parola virtù significa un determinato ordine angelico. Ebbene di codesto ordine si afferma che sarà mosso a preferenza degli altri per gli effetti che seguiranno. Infatti a detta di S. Gregorio, si attribuisce a codesto ordine il potere di compiere i miracoli, che avverranno appunto in gran copia nell'imminenza del giudizio. Oppure nel senso che, essendo quell'ordine della seconda gerarchia, non ha un potere limitato) e perciò la sua attività si svolge intorno alle cause universali. Perciò sembra che il muovere i corpi celesti sia un ufficio proprio delle virtù, le quali esercitano il loro potere sugli esseri terrestri : del resto ciò significa il loro stesso nome di virtù dei cieli. Al tempo del giudizio esse saranno sconvolte, perché cesseranno la loro attività e non daranno più movimento ai corpi celesti ; 1 come del resto anche g1i angeli deputati alla custodia degli uomini, cesseranno dal loro ufficio. 21 SOLUZIONE DEI. LE DIFFICOLTl : 1. Il mutamento in questione non intacca qualcosa di essenziale del loro stato ; ma si riferisce agli effetti, che possono cambiare senza la mutazione dcl soggetto ; oppure a una nuova conoscenza delle cose che era loro impossibile eon le sole loro idee innate. Questo nlutar di pensiero non impedisce la loro beatitudine. Infatti S. Agostino afferma che «Dio muove la creatura spirituale nel tempo ». 1 Per capire queste cSJlrcssioni bisogna ricordare ho secondo la cosmologia aristotelica, comune ai contemporanei deJI' A ntorP, i corpi cel(•sti sarebbero posti in moto non per un principio mccanko d'ir..r-rzia, ma per l'interYento incessante di motori trascendenti, o precisamente da esseri spirituali. Questi per gli antichi greci sarebbero stati delle divinità., mentre i filosofi cristiani e mussulmani affidarono tale compito agli angeli.
SEGNI PRECURSORt DEL GIUDIZIO
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3. PRAETEREA, omnes angeli divino iudicio adstabunt: unde Apoc. 7, 11, « Omnes angeli stabunt in circuitu throni •· Sed virt'Utea nominant unum specialem ordinem in angelis. Ergo non potius de eis dici debuit quod moveantur quam de aliis angelis. SED CONTRA EST quod dicitur lob 26, 11 : « Columnae caeli pavent adventum eius ». Sed columnae caeli non possunt intelligi nisi virtutps caelorum. Ergo virtutcs caelorum con1movebuntur. 2. PRAETEREA, Matth. 24, 29 dicitur : « Stellae cadent de caelo, et virtutes caelorum movebuntur ». RESPONDEO DICENDUM quod virtutes in angelis dicuntur dupliciter : ut patet per Dionysium, 11 cap. [§ 1 ; c. 8, § l] Oael. Hier. Quandoque enim nomen « virtutum » uni ordini appropriatur [c. 8, § I], qui secundum ipsum est medius mediae hierarchiae; secundum vero Gregorium [homil. 34 in Evang.] est supremus infimae hierarchiae. Alio modo accipitur communiter pro omnibus caelestibus spiritibus [DIONYS., Oael. Hier., c. 11, § l]. Et utroque modo potest accipi in proposito. In littera enim exponìtur prout accipìtur secundo modo, scilicet pro omnibus angelis. Et tunc dicuntur moveri propter admirationem novitatis quae in mundo erit, sicut in littera dicitur. Potest ctiam exponi prout virtutes est proprium nomen ordinis. Et tunc ordo ille dicitur moveri prae aliis ratione effectus. Quia illi ordini, secundum Gregorium [homil. 34 in Evang.], attribuitur miracula facere, quae maxime circa illud tempus ficnt. - Vel quia ordo ille, cum sit dc media hierarchia, secundum Dionysium, non habet potentiam limitatam. Unde oportct quod eius ministerium sit circa causas universales. Unde proprium officium virtutum esse videtur corpora caelestia movere, quae sunt causa eorum quae in natura inferiori aguntur. Et hoc etiam ipsum nomen sonat, quia «virtutes caelorum » dicuntur. Tunc ergo movebuntur, quia ab effectu suo cessabunt, ulterius corpora caelestia non moventes : sicut nec angeli qui sunt ad custodiam hominum deputati, ulterius custodiae officio vacabunt. An PRIMUM ERGO DICENDUM quod mutatio illa non variat aliquid quod ad eorum statum pertineat: sed refertur vel ad effectus eorum, qui immutari possunt sine eorum mutatione; vel ad novam rerum considerationem, quam prius secundum species concrea .. ta.s videre non potuerant. Rane autem vicissitudinem cogitationum ab eis beatitudo non tollit. Unde dicit Augustinus [8 De Gen. ad litt., c. 20) quod «Deus movet creaturam spiritualem per tempora•.
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A proposito del giudizio ftnalc, e dei segni che dovranno precederlo, i biblisti c i teologi moderni hanno precisato meglio il si.gn.itlcato delle espressioni bibliche, ed hAnno raccolto con cura le voci della tradizione primitiva. - Vedi in particolare le voci • Jngement •, a cura di J. Riviòre, e • Parousie • a cura di J. Chaine in D.T.O.
11 - XXXII
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LA SOMMA TEOLOGICA, Suppl., q. 73,
:l.
3
2. L'ammirazione nasce da ciò che supera la nostra condizione o le nostre capacità. In tal senso le virtù eelesti ammireranno la divina potenza che compirà tali meraviglie, che essi sono incapaci di imitare e di comprendere. In tal senso S. Agnese 1 diceva: «Il sole e la luna ammirano la sua bellezza». Ciò non suppone negli angeli l'ignoranza, ma solo l'incapacità a comprendere Dio. 3. Le risposte già date valgono a risolvere anche la terza difficoltà.
Si tratta della piccola martire romana. verso la quale S. Tommaso ebbe grande devozione. Le parole riferite sono nel Breviario, ma. furono tratte dalla biogra.fta 3
SEGNI PRECURSORI DEL GIUDIZIO
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An SECUNDUM DICENDUM quod admiratio solet esse de his quae nostram conditionem exccdunt vel facultatem. Et secundum hoc virtutes caelorum admirabuntur divinam virtutem talia facientem, inquantum ab eius imitatione et comprchensione deficiunt: per quem modum. dixit Agnes quod «ei_us pulcrit~din~m sol et _luna mirantur » [Vita S. Agnet., c. I]. Et sic non pmutur in angelo ignorantia, sed tollitur Dei comprehensio. An TERTIUM patct rcsponsio ex dictis [in corp.].
della Santa, scritta da. S. Ambrogio (cfr. ..dcta San.et., Vita S. A.gnetts, Bolland., II, 715 a).
QUESTIONE 74
Il fuoco della conflagrazione finale. Venimno ora a trattare dcl fuoco dPUa conflagrazione finale del mondo. 1 Intorno a questo argomento si pongono nove quesiti : 1. Se il mondo sarà purificato ; 2. Se sarà purificato col fuoco ; 3. Se quel fuoco sarà della stessa natura di uno dei quattro elementi; 4. Se quel fuoco purificherà i cieli superiori; 5. Se quel fuoco consumerà gli altri elementi ; 6. Se purificherà tutti gli elementi ; 7. Se quel fuoco verrà prima o dopo il giudizio ; 8. Se incenerirà gli uomini ; 9. Se esso divorerà i reprobi.
ARTICOLO l Se il mondo dovrà essere purificato.
2
SEMBRA che il mondo non dovrà essere purificato. Infatti: 1. Solo ciò che è immondo ha bisogno di purificazione ; ma le Cl'eature di Dio, come si dichiara negli Atti degli Apostoli, non sono i:rnmonde : «Non chiamare comune;, cioè immondo, «ciò che Dio ha purificato ». Perciò le creature dcl mondo non saranno purificate. 2. La divina giustizia richiede la purificazione per togliere le macchie di una colpa, come è evidente dall'esistenza del purgatorio dopo la morte. Ma negli elementi di questo mondo non può esserci nessuna macchia di colpa. Dunque essi non hanno bisogno di purificazione. 3. Una cosa viene purificata per il fatto che viene tolto da essa ciò che è estraneo e ignobile, rendendola vile ; perché se invece le togliamo qualcosa di nobile, allora non è più una purificazione, rna piuttosto una svalutazione. Ora, gli clementi sono più perfetti e più nobili, se uniti a qualcosa di natura diversa ; perché la forma di un corpo composto è più nobile di quella di un corpo semplice. Perciò è impossibile che gli elementi di questo mondo vengano purificati in maniera conveniente. IN CONTRARIO : 1. Ogni rinnovellamento avviene attraverso una purificazione. E siccome gli clementi si rinnovelleranno secondo le parole dell'Apocalisse : « Vidi un nuovo cielo e una nuova terra ; 1 Il compilatore del Supplemento cerca di mettere un Po' di ordine nen•estrosa. esposizione delle Sentenze, che S. Tommaso è stato costretto a seguire nel suo com-
QUAESTIO 74 De igne ultimae conftagrationis. DEINDE considerandum est de igne ultimae conflagrationis mundi. Circa quod quaeruntur novem. Primo : utrum aliqua mundi purgatio sit futura. Secundo : utrum per ignem sit futura. Tertio: utrum ille ignis sit eiusdem speciei cum igne elementari. Quarto: utrum ignis ille sit caelos superiores purgaturus. Quinto : utrum ille ignis sit alia elementa consumpturus. Sexto : utrum omnia elementa sit purgaturus. Septimo: utrum ille ignis praecedat iudicium vel sequatur. Octavo: utrum per illum ignem consumendi sint homines. Nono : utrum per euro involvendi sint reprobi.
ARTICULUS I Utrum aliqua mundi purgatio sit futura. (4 Sent •• d. 4:7. q. 2. a. l, qc. l)
An PRIMUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod nulla mundi purgatio sit futura. Non enim purgatione indiget nisi quòd est immundum. Sed crcaturae Dei non sunt immundae : unde dicitur Act. 10, 15 : « Quod Deus mundavit, tu ne commune dixeris )), idest immundum. Ergo creaturae mundi non purgabuntur. 2. PRAETEREA, purgatio secundum divinam iustitiam ordinatur ad auferendum immunditiam culpae: sicut patet de purgatione post mortem. Sed in elementis huius mundi nulla potcst esse culpae infectio. Ergo videtur quod purgatione non indigeant. 3. PRAETEREA, unumquodque dicitur purgari quando separatur quod est extraneum ab ipso inducens in eo ignobilitatem : separatio enim eius quod nobilitatem inducit, non dicitur purgatio, sed magis diminutio. Sed hoc ad perfectionem et nobilitatem elementorum pertinet quod aliquid extraneae naturae est eis admixtum: quia forma corporis mixti est nobilior quam forma simplicis. Ergo videtur quod elementa huius mundi nullo modo convenienter purgari possint. SEn CONTRA, omnis innovatio fit per aliquam purgationem. Sed elementa innovabuntur : unde Apoc. 21, 1, «Vidi caelum novum mento. Per attuare codesto programma si comineia dalla purlftcazione dcl mondo U:~te il fuoco, ohe secondo i teologi medioevali era l'88pctto più universale e Ca.a.r.uol'OBo del novi8sima mundi. 1 Luogo parallelo : 4 Cont. Gent., c. 97.
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I~A
SOMMA TEOLOGICA, Suppi., q. 74, a. 1
il cielo di prima e la terra di prima non ci sono più». Dunque gli elementi saranno purificati. 2. I.a Glossa inoltre cosi commenta l'affermazione paolina, «passa la figura di questo mondo » : «La bellezza di questo mondo perirà nella conflagrazione universale ». Vale perciò la conclusione di sopra. RISPONDO : Il mondo, essendo stato fatto in qualche modo per l'uomo, è necessa,do che quando questo sarà glorificato nd corpo, anche gli altri corpi siano trasmutati in uno stato superiore, affinché l'universo diventi un soggiorno più conveniente e più gradito. Ora, perché l'uomo raggiunga la glorificazione del suo corpo, è necessario eliminare quanto ne costituisce un ostacolo. Si tratta cioè di togliere dalle cose la corruzione e la contaminazione della colpa ; perché, come dice S. Paolo, «la corruzione non potrà ereditare l'incorruttibilità» ; e tutti gli immondi, come è scritto nolI' Apocalisse, saranno cacciati «fuori» dalla città della gloria. Allo stesso modo, e nelle debite proporzioni, anche gli elementi cosmici dovranno essere purificati dalle disposizioni contrarie prima del loro rinnovellamento nella gloria. Sebbene le sostanze materiali non possano essere in senso proprio contaminate dalla colpa, tuttavia esse contraggono per il peccato una certa incompatibilità con un arricchimento spirituale, per cui certi luoghi dove sono stati commessi dei delitti non sono rit,enuti degni per l'esercizio del culto fino a che non sono stati ribenedetti. In questo senso, la zona terrestre destinata a nostro uso, per i peccati degli uomini ha contratto una certa ripugnanza alla glorificazione. Per questo essa ha bisogno di purificazione. - Cosi pure, per il contatto degli elementi fra loro, si riscontrano negli elementi intermedi molto corruzioni, generazioni e alterazioni, che diminuiscono la loro perfezione. Perciò è necessario che codesti elementi siano purificati, perché possano ricevere, come si conviene, il rinnovellamento nella gloria. 1 SoLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ : 1. Si dice che ogni creatura è monda, perché la sua sostanza è priva di ogni mescolanza di male, nel senso voluto dai Manichei, i quali affermavano che il bene e il male sono due sostanze ora distinte e ora mescolate. Ma ciò non esclude che in una creatura si trovi mescolato qualcosa, che, pur essendo in se stesso buono, è estraneo e ripugna a quella natura. E neppure esclude che una creatura possa subire il male, pur non essendo questo parte della sua sostanza. 2. Gli elementi materiali, pur non essendo soggetti capaci di colpa, possono tuttavia contrarre una specie di incompatibilità con la perfezione della gloria, per le colpe che vi si commettono. 3. Nei corpi semplici e in quelli composti la forma può essere considerata sotto due aspetti. Quanto a perfezione specifica quella del corpo composto è superiore a quella del corpo semplice, o 1
Confrontando l'artioole.zione dei più celebri commentatori delle Senlenze contemporanei dell'Aquinate. cl accorgiamo che soltanto quest'nlttmo si è preoccupato di
IL FUOCO DELLA CONFLAGRAZIONE FINALE
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et terram novam: primum enim caelum et prima terra abiit •· Ergo elementa purgabuntur. 2. PRAETEREA, 1 Oor. 7, super illud [v. 31], « Praeterit figura huius mundi », dicit Glossa : « Pulcritudo huius mundi mundano .. rum ignium conflagratione peribit ». Et sic idem quod prius. REsPONDEO DICENDUM quod, quia mundus aliquo modo propter hominem factus est, oportet quod, quando homo per corpus glorifica bitur, etiam alia mundi corpora ad meliorem statum mutentur, ut sit et locus convenicntior et aspectus dclectabilior. Ad hoc autem quod homo gloriam corporis consequatur, oportet prius removeri ea quae gloriae opponuntur. Quae sunt duo, scilicet corruptio, et infectio culpae : quia, ut dicitur 1 Oor. 15, 50, « cor .. ruptio incorruptelam non possidebit)); et a civitate gloriae omnes immundi « foris » erunt, Apoc. ult., 15. Et similiter etiam oportet elementa mundi purgari a contrariis dispositionibus antequam in no vitate gloriae adducantur, proportionaliter ei quod de homine dictum est. Quamvis autem res corporalis subiectum infectionis culpae proprie esse non possit, tamen ex culpa quaedam incongruitas in rebus corporalibus corruptis relinquitur ad hoc quod 13piritualibus ditentur: et inde videmus quod loca in quibus aliqua crimina sunt commissa, non reputantur idonea ad aliqua sacra exercenda in cis, nisi purgatione quadam praemissa. Et secundum hoc, ex pcccatis hominum quandam inidoneitatem ad gloriae susceptionem pars mundi recipit quae in usum nostrum cedit. Unde quantum ad hoc mundatione indiget. - Similiter etiam circa medium locum, propter elementorum contactum, multae sunt corruptiones et generationes, et alterationes elementorum, quae puritati eorum derogant. Et ideo ab his oportet elementa purgari, ad hoc quod decenter suscipiant novitatem gloriae. AD PRIMUM ERGO DICENDUM quod, cum dicitur omnis creatura Dei esse munda, hoc intelligendum est quia non habet in substantia sua alicuius malitiae commixtionem : sicut ponebant Manichaei, dicentes bonum et malum esse duas substantias alicubi divisas et alicubi eommixtas. Non autem removetur quin aliqua creatura habeat permixtionem naturae extraneae: quae etiam natura in se bona est, sed perfectioni huiusmodi creaturae repugnat. Similiter non removetur ex hoc quin malum alieni creaturae accidat: quamvis non sit permixtum ei quasi pars substantiae ipsius. AD SECUNDUM DICENDUM quod, quamvis elementa corporea su.biectum culpae esse non possint, tamen ex culpa in eis commissa abquam ineptitudinem possunt consequi ad perfectionem gloriae suscipiendam. AD TERTIUM DICENDUM quod forma mixti et forma elementi proporre espressamente il quesito radicale : e Se il mondo dovrà essere puriftcato •. ~uesto infatti interessa direttamente il teologo : e la sua soluzione positiva può conmdera.rsi sostanzialmente valida, anche a prescindere dalla soluzione che potranno avere i Problemi cosmologici evocati daJl'cscatologia neo-testamentaria, e che servono Più e. ltOddisfare delle curiosità, cho e. esprimere la dottrina rivelata..
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LA SOMMA TEOLOGICA, Suppl., q. 74, aa. 1-2
elemento. Ma quanto alla durata quest'ultimo è superiore, perché non ha in se stesso i presupposti della corruzione, purché la sua. distruzione non sia causata da una causa esterna. Il corpo com .. posto in vece ha già in se stesso i germi di corruzione, che sono appunto gli elementi contrari di cui è formato. Perciò il eorpo semplice è corruttibile solo considerato come parte di un compo .. sto ; ma è incorruttibile come tutto. Il che non può dirsi dei corpi misH. E siccome l'incorruttibilità è una delle p{~rfezioni della gloria, la perfezione del corpo semplice è più consona ad essa della. perfezione del misto; a meno che quest'ultimo non sia associato a un principio incorruttibile, come il composto umano che ha la forma incorruttibile. Nonostante questo, è vero che il corpo composto è in qualche modo più nobile di quello semplice, tuttavia l'essere di quello semplice è più nobile quando sussiste separato di quando sussiste nel composto : perché nel composto i corpi semplici sono come in potenza; mentre quando sussistono da soli sono all'apice della loro perfezione.
ARTICOLO 2 Se questa purificazione sarà fatta eol fuoeo.
1
SEMBRA che questa purificazione non sarà fatta col fuoco. Infatti : 1. Il fuoco, quale parte del [nostro] mondo ha bisogno di purificazione come le altre parti di esso. Ora, l'identica cosa non può essere insieme purificante e purificata. Quindi non sarà il fuoco a purificare. 2. Come il fuoco ha un potere purificatore cosi lo ha anche l'acqua. Non si potrà dunque purificare tutto per mezzo del fuoco, perché alcune cose, come dice anche l'antica legge, bisogna che siano purificate con l'acqua. Perciò la purificazione col fuoco per lo meno non potrà essere universale. 3. La purificazione è destinata a dividere e a rendere più pure le parti di cui l'universo è composto. Ma tale divisione degli elementi fu operata all'inizio solo dalla potenza di Dio : poiché con essa egli compi l'opera della distinzione. Anassagora stesso del resto attribui questa segregazione a un atto dell'intelletto che muove tutte le cose. Perciò la purificazione finale del mondo sarà fatta non per mezzo del fuoco, ma immediatamente da Dio. IN co:sTRAiuo : 1. Si legge nei Salmi : «Davanti a lui fiamme di fuoco, e intorno a lui una violenta tempesta»; 2 e subito dopo si parla del giudizio : «Chiamerà il cielo dall'alto e la terra a giudicare il suo popolo ». Perciò la purificazione finale del mondo sarà effettuata col fuoco. 1
Luogo parallelo : 4 Oont. Gent., c. 97.
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possunt dupliciter eonsiderari. Aut quantum ad perfectionem speciei: et sic corpus mixtum nobilius est. Aut quantum ad perpetuitatem durationis. Et sic corpus simplex nobilius est : quia non habet in seipso unde corrumpatur, nisi eius corruptio fìat ab aliquo exteriori; corpus autem mutum in seipso habet causam corruptionis suae, scilicet compositionem contrariorum. Et ideo corpus simplex, etsi sit corruptibile secundum partem, est tamen incorruptibile secundum totum : quod de mixto diei non potest. Et quia incorruptio est de perfectione gloriae, perfectio corporis simplicis magis convenit perfectioni gloriae quam perfectio corporis muti: nisi etiam corpus mixtum in se habeat aliquod incorruptionis principium, sicut humanum, cuius forma est incorruptibilis. Nihilominus tamen, quamvis aliquo modo corpus mixtum sit nobilius quam simplex, nobilius tamen esse habet corpus simplex secundum se existens quam existens in mixto: quia in muto sunt corpora simplicia quodammodo in potentia; in seipsis autem existentia sunt in ultima sui perfectione.
ARTICULUS 2 Utrum. haec purgatio sit futura per ignem. (4 Sent., d. 47, q. 2, a. 1, qc. 2)
An SECUNDUM SIO PROCEDITUR. Videtur quod haec purgatio non sit futura per ignem. Ignis enim, cum sit pars mundi, purgatione indiget, sicut et aliae partes. Sed non debet esse idem purgans et purgatum. Ergo videtur quod ignis non purgabit. 2. PRAETEREA, sicut ignis habet virtutem purgativam, ita et aqua. Cum ergo non omnia sint purgabilia per ignem, sed quaedam necesse sit aqua purgari, sicut etiam vetus lex distinguit [Num. 31, 22, 23]; videtur quod ignis non purget ad minus universaliter. 3. PRAETEREA, purgatio ad hoc videtur pertincre ut partes mundi ab invicem segregatae puriores reddantur. Scd segregatio partium mundi ab invicem in mundi initio sola virtute divina facta est: quia ex hac opus distinctionis determinatur. Unde et Anaxagoras segregationcm posuit actum intellectus moventis omnia. Ergo videtur quod in fine mundi purgatio fiat immediate a Deo, et non per ignem. SEn CONTRA EST quod in Psalmo [49, 3] dicitur: « Ignis in conspectu eius exardcbit, et in circuitu eius tempestas valida » : et postea [v. 4] sequitur de iudicio, « Advocabit caelum desursum et terram discernere populum suum ». Ergo videtur quod ultima purgatio mundi sit futura per ignem. ~ commento che S. Tommaso ha fatto di questo versetto può considerarsi un IUOgo para.l.lelo dell'articolo presente (cf. In Psal., 49, v. 3).
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LA SOMMA TEOLOGICA, Suppl., q. 74, a. 2.
2. Sta scritto : « I cieli ardenti si dissolveranno e gli elementi saranno fusi dall'ardore del fuoco•· 1 Perciò la purificazione del mondo avverrà col fuoco. 2 RISPONDO : La purificazione finale toglierà al mondo la contaminazione della colpa, l'impurità che deriva dalla commistione degli elementi, e lo preparerà al suo stato di gloria. In vista di questi tre fini, la purificazione col fuoco è massimamente conveniente. Primo, perché il fuoco, come elemento più nobile, ha delle proprietà naturali assai simili a quelle della gloria, come si vede bene nella luce. - Secondo, perché il fuoco non si amalgama ai corpi estranei come gli altri elementi, per l'efficacia della sua potenza attiva. - Terzo perché la sfera del fuoco è molto lontana dalla terra da noi abitata, e il fuoco d'altra parte per noi non è di uso tanto comune come la terra, l'acqua e l'aria. Perciò non può essere inquinato come codesti elementi. - Oltre a ciò, il fuoco ha una grande efficacia per purificare e per volatilizzare i corpi. SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ : 1. Il fuoco da noi usato non è quello esistente nella materia sua propria, che è lontana da noi; ma è il fuoco mescolato ad una materia estranea. Ecco perché il fuoco esistente nella sua purezza potrà purificare il nostro fuoco e liberarlo dagli elementi estranei. 2. La purificazione del mondo effettuata dal diluvio si riferiva soltanto alla contaminazione dcl peccato, specialmente del peccato di concupiscenza che allora dominava. Perciò la purificazione allora fu fatta giustamente con l'acqua. Ma la seconda purificazione riguarda e la contaminazione della colpa e l'impurità derivante dalla mistura degli elementi. Per l'uno e per l'altro scopo la purificazione sarà compiuta quindi meglio col fuoco invece che con l'acqua. Questa infatti è priva della potenza disgregatrice, e 1 Il brano parzialmente riferito della 2 Piet. 3, 7-14, costituisce la ricapitolazione dell'escatologia cristiana, contro l'irrisione dell'incredulità. Perciò è su di esso che il teologo, sull'esempio di S. Tommaso, è chiamato a imbastire le sue ritlcesioni. Eccolo nella sua integrità e nel suo contesto: • P.ar prima cosa sappiate che negli ultimi giorni verranno degli schernitori beffardi, che vivranno secondo le proprie concupiscenze e diranno : " Dov'è la promessa dolla sua venuta I Da quando infatti i padri si addormentarono, tutto rosta come al principio della creazione... Costoro dimenticano a bella posta che, già da molto tempo, c'erano i cieli, e una terra emersa saldamente dall'acqua e per mezzo dell'acqua in forza della parola di Dio ; cause queste per cui il mondo di allora pcrl inondato dall'acqua. Ma i cieli e la terra attuali sono conservati da questa medesima parola, riservati al fuoco per il giorno del giudizio e della perdizione degli uomini empi. • Una cosa però non dimenticate, o carissimi : che un giorno solo presso il Signore è come mille anni e mille anni sono come un solo giorno. Il Signore non ritarda li compimento della promessa, come protendono alcuni che stimano lentezza la sua. Egli porta pazienza verso di noi, non volendo che alcuno perisca m.a che tutti si volgano a penitenza. Verrà però il giorno dcl Signore, come un ladro ; in quel gior· no i cicli svaniranno in un sibilo, gli elementi si dissolveranno in un terribile calore e la terra, con le opere che racchiude, sarà esplorata. • E allora, poich6 tutte queste cose devono dissolversi, quali non dovete essere voi per la santità della condotta e della pietà, mentre aspettato e affrettato la venuta dcl giorno di Dio, per cui i eicli incendiati si dissolveranno e gli elementi si fonderanno nel calore ardente ! Secondo la sua promessa noi aspettiamo nuovi cieli
IL FUOCO DELLA
CO~FLAGRAZIOXE
FINALE
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2. PRAETEREA, 2 Pet. ult., 12 dicitur : « Caeli ardentes solventur, et elementa ignis ardore tabescent ». Ergo illa purgatio per ignem fi.et. RESPONDEO DICENDUM quod illa mundi purgatio removebit a mundo infectionem ex culpa relictam, et impuritatem commixtionis, et erit dispositio ad gloriac pcrfectionem. Et ideo quantum ad haec tria convenientissime fiet per ignem purgatio. Primo, quia ignis, cum Rit nobilissimum elementorum, habet natnrales proprietates similiores proprietaiibus gloriae : ut maxime patet de luce. _ Secundo, quia ignis non ita recipit commixtionem cxtranei, propter efficaciam virtutis activae, sicut alia elementa. - Tertio, quia sphaera i.gnis es~ r. Sed etiam superiores cacli sunt opera manuum Dei. Ergo et ipsi in finali mundi conflagratione peribunt. 2. PRAETEREA, 2 Pet. 3, 12 dicitur : « Caeli ardcntes solventur, e~ e!ementa ignis ardore tabescent ». Caeli autem qui ab elementis d~stinguuntur, sunt caeli superiores, quibus fixa sunt sidera. Ergo v1detur etiam quod illi per ignem illum purgabuntur. . 3: PR:4-~TEREA, ignis illc ad hoc erit ut removeat a corporibus md1spos1t1onem ad perfectionem gloriae. Sed in caelo superiori 1
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Luoghi P&rallcli : 4 Cont. Gent., c. 97 ; Ad Hebr •• e. 12, lect. 5.
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LA SOMMA TEOLOGICA, Suppl., q. 74, a. 4
commentando le parole di S. Paolo, « Sappiamo che fino ad ora tutte le creature gemono e sono nei dolori del parto », «tutti gli elementi adempiono con difficoltà le loro funzioni ; il sole e la luna, p. es., agiscono non senza sforzo nei termini loro assegnati ». Quindi anche i cieli saranno purificati da quel fuoco. IN CONTRARIO : 1. [Secondo i filosofi] « i corpi celesti non possono ricevere impressioni dal di fuori ». 2. A proposito delle parole di S. Paolo, «In un incendio di fiamme a far vendetta », la Glossa 8piega : «Il fuoco che precederà. la sua venuta raggiungerà il livello delle acque del diluvio ». Ora, le acque del diluvio non giunsero fino ai cieli superiori, ma solo fino «a quindici cubiti sopra la sommità dei monti», come si esprime la Genesi. Quindi quel fuoco non arriverà a purificare i cieli superiori. RISPONDO: La purificazione dcl mondo dovrà eliminare dagli esseri corporei ciò che in essi è contrario alla perfezione Id.ella gloria, che sarà come il coronamento ultimo dell'universo. Ora, questa disposizione negativa si trova in tutte le cose, ma non allo stesso modo. Nei corpi inferiori questa indisposizione alla gloria è qualcosa di inerente alla loro stessa sostanza : nei corpi inferiori, p. es., c'è la continua mistura degli element.i per cui essi perdono la loro purezza. In altri corpi invece, ossia in quelli celesti, null'altro ripugna alla perfezione finale dell'universo che il moto, il quale è tendenza e via alla perfezione ; e non qualsiasi tipo di moto, ma solo il moto locale, che non altera niente d'intrinseco, come potrebbe essere la sostanza, la qualità o la quantità, ma solo l'ubicazione, che è qualcosa dì esteriore alle cose. Nulla dunque dovrà essere rimosso dalla sostanza dei cieli superiori, ma deve solo cessare il loro moto locale. Ebbene, questo si ottiene non mediante l'azione di un agente contrario, bensì perché chi li muove cessa di agire. Perciò i corpi celesti saranno purificati non dal fuoco o dall'azione di una creatura, ma il loro arresto, che avverrà solo per divino volere, farà per essi le veci del fuoco purificatore. 1 SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Le parole del Salmo, secondo l'interpretazione di S. Agostino, vanno riferite ai «cieli aerei », che saranno purificati dal fuoco dell'ultima conflagrazione. Se poi vogliamo applicarle ai cieli superiori, allora bisogna dire che essi periranno in quanto cesserà il loro moto che adesso è continuo. 2. S. Pietro stesso spiega di quali cieli vuol parlare, perché prima delle parole riferite, dice che f i cieli e la terra di allora perirono per mezzo dell'acqua ; i cieli e la terra di ora sono conservati dalla medesima parola e riservati al fuoco per il giorno del giudizio ». Perciò sono destina ti al fuoco quegli stessi cieli che perirono per il diluvio, cioè i cieli aerei.
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È chiaro che la fede non è impegnata. affatto in queste elucubrazioni.
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invenitur indispositio et ex parte culpae, quia diabolus ibi peccavit · et ex parte naturalis defectus, quia Rom. 8, super illud (v. 22], (( Scimus quod omnis creatura ingemiscit et parturit usque adhuc », dicit Glossa : «Omnia elementa cum labore explent officia sua : sicut sol et luna non sine labore statuta implcnt sibi spatia )). Ergo etiam caeli purgabuntur per ignem illum. SED ooNTRA EST quod «corpora caelcstia pcregrinac impressionis receptiva non sunt » [Sentent. Philosoph. ex Aristot. eollect., litt. 100 · - Inter Opp. Bedacj. 2. PRAETEREA, super illud 2 Thessal. I, 8, « In fiamma ignis dantis vindictam », dicit Glossa : (< Ignis erit in mundo, qui praeeedet eum, tantum spatium aeris occupans quantum. occupavit aqua in diluvio )). Sed aqua diluvii non ascendit usque ad superiores caelos, sed solum « quindccim cu bitis super altitudinem montium », ut habetur Genes. 7, 20. Ergo caeli superiores ilio igne non purgabuntur. REsPONDEO DICENDUM quod purgatio mundi ad hoc erit ut removeatur a corporibus dispositio contraria perfectioni gloriae, quae quidem perfectio est ultima rerum consummatio. Et haec quidem dispositio in omnibus corporibus invenitur, sed diversimode in diversis. In quibusdam enim invenitur indispositio secundum aliquid inhaerens substantiae eorum : sicut in istìs corporibus inferioribus, quae per mutuam mixtionem decidunt a propria puritate. In quibusdam vero corporibus invenitur indispositio non per aliquid substantiae eorum inhaerens : sicut in corporibus caelestibus, in quibus nihil invenitur repugnans ultimae perfectioni universi nisi motus, qui est via ad pcrfectionem ; nec motus quilibet, sed localis tantum, qui non variat aliquid quod sit intrinsecum rei, ut substantiam aut quantitatem aut qualitatem, sed solum locum, qui est extra rem. Et ideo a substantia caeli superioris non oportet quod aliquid removeatur, sed oportet quod motus eius quietetur. Quietatio autem motus localis non fit per actionem alicuius contrarii agentis, sed per hoc quod motor desistit a movendo. Et ideo caclestia corpora nec per ignem nec per alicuius creaturae actionem purgabuntur, sed ipsa eorum quietatio, sola voluntate divina accidens, eis loco purgationis erit. AD PRIMUM ERGO DICENDUM quod, sicut Augustinus dicit, 20 De Giv. Dei [cc. 18, 24], verba illa Psalmi sunt intelligenda de eaelis aereis, qui purgabuntur per ignem ultimae conflagrationis. Vel dicendum quod, si etiam de superioribus caclis intelligatur, tunc dicuntur perire quantum ad motum, quo nunc continue moventur. A!> _sECUNDUM DICENDUM quod Pctrus se exponit de quibus caehs intelligat. Praemiserat enim [vv. 5 ss.] ante verba inducta quod «caeli prius et terra per aquam pcrierant qui nunc sunt eodcm yerbo repositi, igni rcservati in diem iudicii ». Ergo illi caeli per i ~em purgabuntur qui prius per aquam diluvii sunt purgati, sci11cet eaeli aerii.
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LA SOMMA TEOLOGICA, Suppl., q. 74, aa. 4-5
.3. L'angoscia e la schiavitù del creato che S. Ambrogio attribuisce ai corpi celesti non sono altro che la vicissitudine del moto, per cui sono soggette al tempo, e la mancanza dell'ultima perfezione che sopravverrà loro alla fine dei tempi. Ma la colpa dei demoni non ha contaminato il cielo empireo: perché immediatamente dopo il peccato furono cacciati dal cielo.
ARTICOLO 5
Se quel fuoco distruggerà gli altri elementi. 1
che quel fuoco distruggerà gli altri elementi. Infatti : I. S. Beda così commenta la seconda lettera di S. Pietro : « I quattro elementi dell'universo, saranno divorati da quel fuoco potente. Però non tutti cosi completamente da distruggerli, perché due di essi saranno distrutti, e due solo perfezionati». Sembra dunque che almeno due elementi saranno totalmente distrutti. 2. Si legge nell'Apocalisse : «Il cielo di prima e la terra d'una volta sono scomparsi, e il mare non c'è più ». Ma per «cielo» secondo S. Agostino, si deve intendere l'aria. E il mare non è altro che «il raduno delle acque )). Sembra dunque che questi tre elementi spariranno completamente. 3. Il fuoco non purifica se non quanto diventa sua materia, ossia combustibile. Se quindi il fuoco purifica gli altri elementi, bisogna che questi subiscano codesta sorte. Quindi diventeranno fuoco. Cosicché verranno distrutti nella loro natura. 4. J..a materia elementare non può raggiungere una forma più nobile di quella del fuoco. Ma con la purificazione finale tutte le cose saranno trasmutate nel loro stato più nobile. Dunque tutti gli altri elementi saranno trasforma ti in fuoco. IN CONTRARIO: 1. A commento delle parole di S. Paolo, «Passa la figura di questo mondo», la Glossa afferma : «Passa la bellezza, non la sostanza». Ma la sostanza degli elementi fa parte della perfezione dell'universo. Perciò gli elementi non saranno distrutti nella loro sostanza. 2. ]..,a purificazione finale attraverso il fuoco sarà simile a quella del diluvio. Ora, l'acqua non distrusse la sostanza degli elementi. Quindi non la distruggerà neppure la purificazione finale col fuoco. RISPONDO : Intorno a questo problema ci furono molte opinioni contrastanti. Tutti gli elementi, dicono alcuni, rimarranno quanto SEMBRA
J,uogo parallelo : 4 Cont. Gent., c. 97. Gli elementi di cui ai parla non sono, evidentemente, che i quattro elementi della fisica antica, ossia terra, acqua, aria e fuoco. Data l'inconsistenza di quelle antiche teorie, secondo le quali i corpi celesti sarebbero stat.i invece composti di una materia 1
IL FUOCO DELLA CONFLAGRAZIONE FINALE
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An TERTIUM DICENDUM quod ille labor et illa scrvitus creaturae quae corporibus caclestibus secundum Ambrosium attribuitur, nihil est aliud quam vicissitudo motus, ratione cuius tempori subiiciuntur, et dcfectus ultimae consummationis, quae finaliter in cis erit. Ex culpa etiam daemonum caelum empyreum infectionem non contraxit : quia peccando statim de caelo expulsi sunt [Luc. IO, 18; Apoc. 12, 7 88.].
ARTICULUS 5 Utrum ignis ille alla elementa oonsumpturus sit.
. E la Glossa commenta : «da ieri, cioè dall'inizio; Tofet, cioè la Valle della Geenna ». Invece il fuoco della conflagrazione finale non fu preparato dall'inizio, ma si sprigionerà dall'unione di tutti i fuochi dell'universo. Non si tratta dunque del fuoco dell'inferno che investirà i reprobi. IN CONTRARIO : 1. La Scrittura, parla.ndo dì quel fuoco, dice, che • brucerà all'intorno i suoi nemici •· 2. La Glossa alle parole di Daniele, «un fiume di fuoco usciva dal suo cospetto », fa seguire questa spiegazione : « per trascinare i peccatori nella Geenna». E 8i tratta del fuoco di cui stiamo trattando, perché «dovrà purificare i buoni e punire i cattivi•>, come dice la Glossa interlineare. Quindi il fuoco della conflagrazione finale sarà sprofondato nell'inferno assieme ai dannati. RISPONDO ; La purificazione completa del mondo e il suo rinno ..
IL FUOCO O-ELLA CONFLAGRAZIQ;.;E
FIXAL1~
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An QUINTUM DICENDUM quod tres sunt oausae quare subito illi qui vivi reperientur purgari poterunt. Una est quia in eis pauca purganda inveniuntur: cum terroribus et persecutionibus praecedentibus fuerint purgati. - Secunda causa est quia et vivi et voluntarii poenam sustinebunt. Poena autem in hac vita voluntarie suscepta multo plus purgat quam poC'na post mortf'm infiicta : siout patet in martyribus quod, «si quid purgandum in eis invenitur, passionis falce tollitur », ut Augustinus dicit [De Unic. Baptiam. ccmt. Petilian., c. 1.3] ; cum tamen poena martyrii brevis fuit in oomparatione ad poenam quae in purgatorio sustinetur. Tertia est quia calor ille recuperabit in intensione quantum amittet in temporis abbreviatione.
ARTICULUS 9 Utrum ille ignis involuturus sit reprobos. (4 Sent., d. 47. q. 2, a. 3, qe. 3)
An NONUM SIC PROOEDITUR. Videtur quod ille ignis non involvet reprobos. Quia Malach. 3, super illud [v. 3], « Purgabit filios Levi», dicit Glos8a [ord. in 1 ad Oor. 3, 15]: e< Duos ignes legimus futuros: unum quo purgabit electos, et praecedet iudicium; alterum qui reprobos cruciabit ». Sed hic est ignis inferni, qui malos involvet : primus autem est ignis finalis conflagrationis. Ergo ille ignis conflagrationis non erit ille qui malos involvet. 2. P&AETEREA, ille ignis Deo obsequitur in purgat.ione mundi. Ergo remunerari deberet, aliis elementis remuneratis : et praecipue oum ignis sit nobilissimum elementorum. Non ergo videtur quod in infernum debeat deiici ad poenam damnatorum. 3. PRAETEREA, ignis qui malos involvct, erit ignis inferni. Sed ignis ille ab initio mundi praeparatus est damnatis. Unde Matth. 25, 41 : 41 Ite, maledicti, in ignem aeternum, qui paratus est diabolo ». Et Isaiae 30, 33, « Praeparata est ab heri Tophet, tlt Rcge praeparata, etc. » : Glossa [interlin.], «ab heri, idest ab initio ; Tophet, idest Vallis Gehennae )), Sed ignis illc finalis conflagra tio nis non fuit ab initio praeparatus, sed ex concursu mundanorum ignium generabitur [a. 3). Ergo ille ignis est alius ab igne inferni, qui reprobos involvet. IN CONTRARIUM EST quod in Psalmo [96, 3] de illo ignc dicitur quod (< inflammabit in circuitu inimicos eius ». 2. PRAETEREA, Dan. 7, 10 dicitur : «Fluvius igneus rapidusque egrediebatur a facie eius » : Glossa [interlin.], «ut peccatores tra~ heret in gchennam ». Loquitur autem auctoritas illa de illo igne de quo nunc est mentio : ut patet per quandam glos8am [interlin.], 9u~e ibi [v. 9] dicit, ~ ut bonos purget et malos puniat ». Ergo 1gn1s finalis conflagrationis in infernum cum reprobis demergetur. R:e:sPONDEO DICENDUM quod tota purgatio mundi et innovatio 4
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LA SOMMA TEOLOGICA, Suppl., q. 74, a. 9
vament.o è destinata alla purificazione e al rinnovamento dell'umanità. Perciò la purificazione e il rinnovamento del mondo devono corrispondere a questi due scopi. Ebbene, una purificazione dell'umanità avrà luogo in qualche modo, quando i cattivi saranno separati dai buoni, come dice l'Evangelista : « Egli, col suo ventilabro in mano pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento», cioè gli eletti, « nel suo granaio, la paglia invece, cioè i reprobi, «la b1·ucerà col fuoco inestinguibile ». Così sarà dunque nella purificazione dell'universo : tutto ciò che è vile e sudicio sarà rinchiu8o coi reprobi nell'inferno, tutto ciò che è invece bello e nobile sarà conservato nelle sfere superiori a gloria degli eletti. Lo stesso avverrà per il fuoco della conflagrazione, come afferma S. Basilio commentando le parole dcl Salmo, «La voce del Signore divide le fiamme dcl fuoco». Quel che vi è nel fuoco di caldo, di bruciante e di grossolano scenderà all'inferno a punire i dannati; ciò che invece vi è di agile e di luminoso resterà nelle sfere superiori a gloria degli eletti. SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ : 1. Nonostante le opinioni in contrario, il fuoco che purificherà gli eletti prima del giudizio è identico a quello della conflagrazione finale, sebbene alcuni dicano diversamente : è giusto infatti che, essendo l'uomo parte dell'universo, sia purificato dall'identico fuoco. Si dice che sono due i fuochi che purificheranno i buoni e puniranno i cattivi riguardo al loro diverso ufficio, e anche in qualche modo alla loro sostanza, perché non tutta la sostanza del fuoco, come abbiamo detto, finirà all'inferno. 2. Il fuoco sarà rinumerato anch'esso, perché quanto vi si riscontra di grossolano verrà separato e sprofondato nell'inferno. 3. Dopo il giudizio, come sarà maggiore la gloria degli eletti, così sarà più grave la pena dei reprobi. Perciò, come aumenterà lo splendore dalle creature superiori a maggior gloria degli eletti, cosi tutto ciò che vi è di turpe nel creato finirà all'inferno a maggior vergogna dei dannati. Quindi non c'è nessun inconveniente ad ammettere che al fuoco dell'inferno, già preparato all'inizio, verrà ad aggiungersi altro fuoco. 1 1 La descrizione dei novissima mundi, tentata. dai teologi antichi e medioevali, ri· veste necessariamente le proporzioni infantili della loro cosmologia. I teologi moderni hanno in questo meno pretese, limitandosi a riferire i vaghi accenni ehe otfre
IL FUOCO DELLA
CO~FLAGRAZIO~\E
FI:\" ALE
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ad purgationem et innovationem hominis ordinabitur. Et ideo oportet quod mundi purgatio et innovatio purgationi et innovationi humani generis respondcat. Humani autcm generis purgatio quaedam crit quando mali segregabuntur a bonis : unde dicitur Luc. 3, 17 : « Cuius ventilabrum in manu eius, et purgabit aream suam : et congrega.bit triticum suum », idest electos, «in horreum suum, paleas autem », idest reprobos, «comburet igne inextinguibili ». L"nde et ita erit dc purgatione n1undi, quod quidquid crit turpe et foedum, in infcrnum cum reprobis retrudetur; quidquid vero pulcrum et nobile, conserva bitur in superioribus ad gloriam electorum. Et ita etiam erit de illo igne conflagrationis : sicut dicit Basilius, super illud Psalmi [28, 7], « Vox Domini intercidentis flammam ignis ». Quia quoad calidum, ustivum, et quantum ad id quod in igne grossum reperietur, descendot ad inforos ad poenam damnatorum : quod vero est ibi subtilc et lucidum, remanebit superius ad gloriam elcctorum. An PRIMUM ERGO DICENDUM quod ignis qui purgabit electos ante iudicium, erit idem cum igne conflagrationis mundi, quamvis quidam contrarium dicant : convenit enim ut, cum homo sit pars mundi, eodem igne purgetur homo et mundus. Dicuntur autem duo ignes qui purgabit hos et cruciabit malos, et quantum ad officium, et aliquo modo ad substantiam : quia non tota substantia ignis purgantis in infernum retrudetur, ut dictum est [in corp.]. An SECUNDUM DICENDUM quod in hoc illc ignis remunerabitur, quod illud quod est grossum in co, separabitur ab ipso et retrudetur in infernum. An TERTIUM DICENDUM quod, sicut gloria electorum post iudicium erit maior quam ante, ita et poena reproborum. Et ideo, sicut claritas superiori creaturae addetur ad augmentandum gloriam electorum, ita etiam quidquid est turpe in creaturis rctrudetur in infernum ad augmentandam miseriam damnatorum. Et ita igni ab initio praeparato in inferno, non est inconveniens si alter ignis addatur.
in proposito la sacra Scrittura. Ma per non ridere troppo alla leggera di quelle anti-
che credenze, e per prendere sul scrio lo misteriose minacce della rivelazione divina, basterà. ricordare che le attuali nostre conoscenze dell'universo non escludono affatto le. catastrofe minacciata, ma aprono in quella direzione prospettive ben più terri· ti.canti di quanto i nostri antichi abbiano saputo immaginare.
QUESTIONE 75
La resurrezione. Dobbiamo ora trattare della resurrezione e delle circostanze che l'accompagnano. Prima di tutto parleremo della resurrezione stessa ; secondo, delle sue cause ; terzo, del tempo e del modo di essa; quarto, del suo punto di partenza; quinto delle qualità dei risorti. 1 Sul primo argomento si pongono tre quesiti: 1. Se la resurrezione dei corpi ci sarà ; 2. Se ci sarà per tutti indistintamente ; 3. Se sarà naturale o miracolosa.
ARTICOLO l Se in futuro ci sarà la resurrezione dei corpi. SEMBRA
2
che in futuro non ci sarà la resurrezione dei corpi.
Infatti : 1. Dice la S. Scrittura: «L'uomo quando si sarà addormentato non risorgerà, finché non cada il cielo non si sveglierà ». Ma il cielo non cadrà mai, perché la terra stessa, che pure sembra meno stabile «< sussisterà in eterno », come dice l' Ecclesiaste. Perciò i morti non risorgeranno mai. 2. II Signore, per provare la resurrezione, si riferisce a quelle parole della Scrittura : « Io sono il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe ;, perché egli . Unde talcs resurrectionem non ponebant. Huius autem opinionis apud diversos diversa erant falsa fundamenta. Quidam enim haeretici posuerunt omnia corporalia esse 3 malo principio, spiritualia vero a bono. Et secundum hoc oportebat quod anima summe perfecta non esset nisi a corpore separata, per quod a suo principio distrahitur, cuius participatio ipsam beatam facit. Et ideo omnes haereticorum sectae quae ponunt a diabolo corporalia esse creata vel formata, negant corporum resurrectionem. - Huius autem fundamenti falsitas in Secundi Libri principio [d. 1, p. 1, a . .3] ostensa est. Quidam vero posuerunt totam hominis naturam i..~ anima constare, ita ut anima corpore uteretur sicut1 instrumento, aut sicut nauta navi. Unde secundum hanc opinionem sequitur quod, sola anima beatificata, homo naturali desiderio beatitudinis non frustraretur. Et sic non oportet ponere rcsurrectioncm. - Sed hoc fundamentum sufficicnter Philosophus, in 2 De Anima [c. 2, lect. 4], destruit, ostendens animam corpori sicut formam materiac UnITI.
Et sic patet quod, si in hac vita homo non potest esse beatus, necesse est resurrectionem ponere. An PRIMUM ERGO DICENDUM quod caelum nunquam atteretur quantum ad substantiam : sed attcretur quantum ad effectum virtutis per quam movct ad generationem et corruptionem inferiorum; ratione cuius dicit Apostolus, 1 Gor. 7, 31: « Praeterit figura huius mundi ». An SEOUNDUM DICENDUM quod anima Abrahae non est, proprie loquendo, ipse Abraham, scd est pars eius : et sic de aliis. Undc vita animae Abrahae non sufficeret ad hoc quod Abraham sit vivens, ve] quod Deus Abraham sit Deus vivcntis: scd exigitur vita totius coniuncti, scilicet animae et corporis. Quae quidcm vita, quamvis non esset actu quando verba proponebantur, crat tamen in ordine utriusque partis ad resurrectionem. Undc Dominus per verba illa subtilissime et efficaciter probat resurrcctionem. An TERTIUM DICENDUM quod anima non comparatur ad corpus solum ut operans ad instrumentum quo operatur, sed etiam ut forma ad materiam. Unde operatio est coniuncti, et non tantum 1
Per individua.re 1 sostenitori di queste false dottrine, vedi infra q, 79, a. 1.
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LA SOMMA TEOLOGICA, Suppl., q. 75, aa. 1-2
all'anima soltanto. E siccome la retribuzione spetta a chi agisce, e l'uomo è composto di anima e di corpo, bisogna che tutto l'uomo riceva la mercede che gli spetta. - I peccati veniali sono da considerarsi come disposizioni al peccato, piuttosto che veri peccati ; perciò la pena inflitta per essi in purgatorio non è proprio una retribuzione, ma piuttosto una purificazione; la quale avviene nel corpo mediante la morte e la putrefazione, e nell'anima mediante il fuoco dd purgatorio. 4. A parità di condizioni è più perfetto lo stato dell'anima unita al corpo, di quella separata, perché essa è parte del composto, e ogni parte integrante funge da materia rispetto al tutto ; quantunque essa allora sotto un certo aspetto sia più conforme a Dio. Ma, assolutamente parlando, una cosa è più conforme a Dio quando possiede tutto quel che si richiede all'integrità della propria natura ; perché allora essa imita al massimo la perfezione divina. Perciò il cuore di un animale è più conforme a Dio, che è immobile, quando si muove, che quando sta fermo; perché la perfezione del cuore consiste appunto nel muoversi, mentre il fermarsi è la sua rovina. 5. La morte corporale è subentrata per il peccato di Adamo che è stato cancellato dalla morte di Cristo. Perciò quella pena non può durare per sempre. Il peccato invece, che provoca la morte eterna con l'impenitenza finale, non può essere più espiato. Ecco perché questa morte dovrà essere eterna.
ARTICOLO 2 Se la resurrezione sarà universale per tutti. SEMBRA
1
che la resurrezione non sarà universale, ossia per tutti.
Infatti : 1. Nei Salmi sta scritto : «Gli empi non risorgeranno in giudizio». Ma la resurrezione avverrà al tempo del giudizio universale. Quindi per i cattivi non ci sarà resurrezione. 2. Leggiamo in Daniele : «Molti, di quelli che dormono nella polvere, si sveglieranno». Ora, questa espressione comporta una certa restrizione. Dunque non tutti risorgeranno. 3. Per mezzo della resurrezione gli uomini si conformano a Cristo risorto ; infatti dice l'Apostolo che se Cristo è risorto, risorgeremo anche noi. 2 Ma dovranno essere conformi a Cristo risorto solo quelli che « portarono la sua immagine •>, cioè i buoni. Perciò questi soltanto risorgeranno. 4. Non si può rimettere la pena, se non si toglie la colpa. Ora, la morte è la pena del peccato originale. Quindi, poiché il peccato originale non è stato rimesso a tutti, non tutti risorgeranno. 1
Luogo parallelo : 4 Coni. Geni., cc. 80, 81.
LA RESURREZIOl\'E
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animae: ut patct per Philosophum, in 1 De Anima [c. 4, lect. 10]. Et quia operanti debetur operis merces, oportct quod ipse homo, compositus ex anima et corpore, operis sui mercedem accipiat. Venialia autcm sicut dicuntur peccata quasi dispositioncs ad peccandum, non quod simplicitcr habeant rationem peccati ; ita poena quae eis redditur in purgatorio non est simpliciter retributio, sed magis purgatio quaedam ; quae seorsum fit in corpore per mortcm et incincra.tionem, et in anhna 1wr pnrgatorium igrwm. AD QUARTUM DICENDUM quod, ceteris paribus, perfectior est statue animae in corpore quam extra corpus, quia est pars totius compositi, et omnis pars integralis materialis est respectu totius : quamvis sit Dea conformior secundum quid. Tunc enim, simpliciter Joquendo, est aliquid maxime Dea conforme quando habet quidquid conditio suae naturae requirit: quia tunc perfectionem divinam maxime imitatur. Unde cor animalis magis est conforme Deo immobili quando movctur, quam quando quiescit : quia pcrfectio cordis est in moveri, et eius quies est eius destructio. An QUINTUM DICENDUM quod mors corporalis est introducta per peccatum Adae, quod est morte Christi deletum. Undc poena illa non manet in perpetuum. Sed peccatum quod mortem aeternam per impoenitentiam inducit, ultra non expiabitur. Et ideo mors illa aetcrna erit.
ARTICULUS 2 Utrum resurrectio sit futura omnium generaliter. (4 Sent., d. 43, a. 1, qc. 2)
An SECUNDUM SIO PROCEDITUR. Vidotur quod rcsurrectìo non erit omnium generaliter. In Psalmo (1, 5] enim dicitiur : «Non resurgent impii in iudicio ». Sed resurrectio non erit hominum nisi tempore iudicii universalis. Ergo impii nullo modo resurgent. 2. PRAETEREA, Dan. 12, 2 dicitur : « Multi de his qui dormiunt in pnlvere, evigilabunt ». Sed haec locutio quandam particulationem importat. Ergo non omnes rcsurgent. 3. PRAETEREA, per resurrectionem homincs conformantur Christo resurgenti : unde 1 Cor. 15, 20 ss. concludit Apostolus quod, si Christus resurrexit, et nos resurgemus. Scd illi soli debcnt Christo resurgenti conformari qui ipsius «imaginem portaverunt )) [v. 49] : quod est solum bonorum. Ergo ipsi soli resurgent. 4. PRAETEREA, poena non dimittitur nisi ablata culpa. Sed mors c?rporalis est poena peccati originalis. Ergo, cum non omnibus e1t dimissum originale peccatum, non omnes resurgent. 1
Il commento dell'Autore al testo paolino cui si a1lude, può essere considerato un luogo Parallelo di questo articolo (efr. 1 Cor., c. 15, lect. 9).
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LA SOMMA TEOLOGICA, Suppl., q. 75, a. 2
5. Come rinasciamo in virtù della grazia di Cristo, cosi in virtù di codesta grazia risorgeremo. Ma coloro che muoiono nel seno materno non potranno mai rinascere. Perciò non potranno mai risorgere. Quindi non tutti risorgeranno. IN CONTRARIO : 1. Nel Vangelo si legge : «Tutti quelli che sono nei sepolcri ascolteranno la voce del Figlio di Dio e vivranno». Perciò tutti i morti risorgeranno. 2. S. Paolo afferma : « :\oi tutti risorgeren10, ecc. ». 3. Inoltre la resurrezione è necessaria perché i risorti ricevano il premio o la pena che hanno meritato. Ora, sia la pena che il premio spettano a tutti, o per proprio merito come è per gli adulti, o per merito altrui, come è per i bambini. Tutti perciò dovranno risorgere. 1 RISPONDO: Le cose che devono la loro ragion d'essere alla natura stessa di una data specie, devono essere comuni a tutti gli individui della medesima specie. Ebbene la resurrezione è una di esse ; perché, come abbiamo spiegato sopra, l'anima non può raggiungere l'ultima perfezione dell'umana specie separata dal corpo. Perciò nessun'anima rimarrà per sempre separata dal corpo. Quindi come è necessario che ne risorga uno, cosi devono risorgere tutti. SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ : 1. In quel salmo, come spiega la GloBBa, si parla della resurrezione spirituale, in cui gli empi nel giudizio che subirono le coscienze non saranno in grado di risorgere. Oppure si parla di quegli empi, che mancano assolutamente di fede, perché costoro non risorgeranno per essere giudicati, «essen~ do essi già stati giudicati». 2. Per S. Agostino nel caso « molti » equivale a « tutti ;. Questo modo di parlare è assai frequente nella Sacra Scrittura. Oppure la restrizione può intendersi dei bambini condannati al limbo, i quali sebbene risorgeranno, non si può dire propriamente che «si sveglieranno », mancando in essi il senso [o l'esperienza] della pena e della gloria : svegliarsi infatti significa «riprendere i sensi». 3. Tanto i buoni che i cattivi in vita loro sono conformi a Cristo in tutto ciò che riguarda la natura della specie, ma non in ciò che riguarda la grazia. Quindi tutti somiglieranno a lui nella reintegrazione della vita naturale ; ma solo i buoni saranno simili a lui nella gloria. 4. Coloro che sono morti col peccato originale, in tal modo ne hanno già subito la pena. Perciò, nonostante la colpa originale, possono anch'essi risorgere perché la pena di quel peccato è più il fatto di morire, che quello di restare prigionieri della morte. 5. Non si rinasce che mediante la grazia conferita a noi da Cristo : risorgeremo invece mediante quella grazia per cui Cristo volle
1
La più chiara e.:trermazione del magistero in propoetto la troviamo nella Costltu-
LA RESURREZIONE
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5. PRAETEREA, sicut per gratiam Christi renascimur, ita per gratiam eius rcsurgemus. Sed illi qui in maternis uteris moriuntur nunquam poterunt renasci. Ergo nec resurgere poterunt. Et sie non omnes resurgent. SED CONTRA EST quod dicitur Ioan. 5, 25, 28 : « Omnes qui in monumentis sunt audient vocero Filii Dei, et qui audierint vivent )). Ergo omnes mortui resurgen t. 2. PHAT~TERJ1JA, 1 Cor. L3, 51 dicitur : , ut dicitur 1 Oor. 4, 5. Ergo debet esse in die. SED CONTRA, resurrectio Christi est exemplar nostrae resurrectionis. Sed resurrectio Christi fuit in nocte, ut Gregorius dicit, in Homilia Paschali. Ergo et nostra resurrectio erit tempore nocturno. 2. PRAETEREA, adventus Domini comparatur adventui furis in domum, ut patet Luc. 12, 39, 40. Sed fur in tempore noctis in domum venit. Ergo et Domìnus tempore nocturno veniet. Sed veniente ipso fiet resurrectio, ut dictum est [q. 76, a. 2]. Ergo fiet resurrectio in tempore nocturno. REsPoNDEo DICENDUM quod determinata hora tcmporis qua fiet resurrectio, sciri pro certo non potest, ut patet in littera [d. 43, c. Media autem nocte]. Tamen satis probabiliter a quibusdam dicitur quod resurrectio erit quasi in crepusculo, sole existente in oriente et luna in occidente : quia in tali dispositione sol et luna creduntur esse creata; ut sic eorum circulatio compleatur penitus per reditum ad idem punctum. Unde de Christo dicitur quod tali hora resurrexit [Matth. 28, l]. AD PRIMUM ERGO DICENDUM quod, quando resurrectio erit, non erit tempus, sed finis tcmporis : quia in eodem instanti in quo cessabit motus caeli, erit resurrectio mortuorum. Et tamen erit situs siderum secundum dispositionem qua se habent nunc in aliqua determinata hora. Et secundum hoc dicitur resurrectio futura tali vel tali hora. AD SECUNDUM DICENDUM quod optima dispositio temporis dicitur esse in meridic propter illuminationem solis. Sed tunc « civitas Dei non egebit neque sole neque luna, quia claritas Dei illuminabit eam », ut dicitur Apoc. ult., 5. Et ideo quantum ad hoc non refert utrum in die vcl in nocte resurrectio fiat. An TERTIUM DICENDUM quod tempori illi congruit manifestatio quantum ad ea quae tunc gerentur, et occultatio quantum ad determinationem ipsius temporis. Et ideo utrumque congrue fieri potest : ut scilicet sit resurrcctio in die vel in nocte. metodo espositivo dell' Aquinatot che in questi ca.si è messo allo scoperto. Il teologo Bi llm.ita. a offrire la propria congettura, desumendola da ragioni di convenienza ricavate da altri dati della rivelazione divina (le. resurrezione di Cristo), e dal presunti d'9tl della scienza umana.
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LA SOMMA TEOLOGICA, Sup·pl., q. 77, a. 4
ARTICOLO 4 Se la resurrezione sarà istantanea o progressiva.
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SEMBRA che la resurrezione non sarà istantanea, ma progressiva. Infatti : I. Leggiamo in Ezechiele la seguente profezia sulla resurrezione dei morti : « Sì accostarono le ossa alle ossa. Io guardavo ed ecco su di esse i nervi e le carni risalire e la pelle si distese sopra di esse, ma senza spirito di vita l>. Perciò la ricostituzione dci corpi pre~ cederà il ricongiungimento delle anime. Quindi la resurrezione non sarà istantanea. 2. Non può effettuarsi all'istante ciò che richiede molte azioni tra loro subordinate. Ma la resurrezione esige proprio questo, cioè la raccolta delle ceneri, la ricostituzione del corpo e l'infusione dell'anima. Dunque non può essere istantanea. 3. Ogni suono è misurabile mediante il tempo. Ora, tra le cause della resurrezione, come abbiamo detto, c'è il suono della tromba. Perciò la resurrezione richiederà del tempo, e non sarà istantanea. 4. Nessun moto locale è istantaneo, come dice Aristotele. Ma del moto locale ci dovrà pur essere nella resurrezione per la raccolta delle ceneri. Quindi essa non sarà subitanea. IN CONTRARIO : 1. S. Paolo afferma : « Tutti risorgeremo all'istante in un batter d'occhio ». Dunque la resurrezione sarà istantanea. 2. L'azione di una potenza infinita è istantanea. Ora, come dice il Damasceno, qui interviene la potenza di Dio che è infinita : «Credi che la resurrezione avverrà per virtù divina ». Perciò la resurrezione sarà istantanea. RISPONDO: Abbiamo già visto che nella resurrezione certe funzioni verranno compiute per ministero degli angeli, e altre diret. tamente dalla virtù di Dio. Ebbene tutto ciò che dipende dal ministero degli angeli non avverrà in un istante, se per istante s'intende la frazione indivisibile del tempo ; ma saranno azioni istantanee nel senso che il tempo impiegato sarà impercettibile. Ciò che invece si compirà direttamente per virtù divina, avverrà di un subito, cioè non appena gli angeli avranno compiuto la loro funzione; perché è proprio della virtù superiore condurre a perfezione la virtù inferiore. SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ : 1. Ezechiele come Mosè parlava a un popolo rozzo. Quindi come per farsi capire Mosè parlò della creazione spartendola in sei giorni, sebbene le cose, secondo il pensiero di S. Agostino, siano state create tutte insieme ; così Ezechiele volle esprimere diverse fasi della futura resurrezione, sebbene tutto debba avvenire istantaneamente. 2. Tutte quelle operazioni, pur essendo tra loro subordinate in ordine di natura, non lo sono in ordine di tempo: o perché av-
IL TE.\l'PO E IL MODO DELLA RESURREZIONE
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ARTICULUS 4 Utmm resurrectio futura sit subito vel successive. (4 Sent., d. 43, a. 3, qo. 3)
An QUARTUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod resurrectio non fict subito, scd successive. Quia Ezcch. 37 pracnuntiatur rcsurrectio mortuorum : u bi dicitur l vv. 7, 8], « Accesserunt ossa ad ossa, et vidi, et cece, super ea nervi et carnes ascenderunt, et extenta est in eis cutis desuper, et spiritum non habebant )). Ergo reparatio oorporum praeccdct tempore coniunctionem animarum. Et sic resurrectio non erit subita. 2. PRAETEREA, illud ad quod exiguntur plures actiones so consequentes, non potcst subito fieri. Sed ad resurrectionem exiguntur plures actiones se consequentes : scilicet collcctio cinerum, reformatio corporis, et infusio animac. Ergo resurrectio non fìet subito. 3. PRAETEREA, omnis sonus tcmpore mensuratur. Sed sonus tubae erit causa resurrectionis, ut dictum est [q. 76, a. 2]. Ergo rcsurrectio fìet in temporc, et non subito. 4. PRAETEREA, nullus motus localis potest esse subito, ut dicitur in libro De Sensu et Sensato [c. 6, lect. 16]. Sed ad resurrectionem exigitur aliquìs motus localis in collectione cincrum. Ergo non fìet subito. SED CONTRA EST quod dicitur 1 Oor. 15, 51, 52 : (< Omnes quidem resurgemus in momento, in ictu oculi ». Ergo resurrectio erit subito. 2. PRAETEREA, virtus infinita subito operatur. Sed, sicut Damascenus dicit [4 De Fide orth., c. ult.]: «Crede resurrectionem futuram divina virtute », de qua constat quod sit infinita. Ergo resurrectio fìet subito. REsPONDEo DICENDUM quod in rcsurrectione aliqua fient ministerio angelorum, et aliqua virtute divina immediate, ut dictum est [q. 76, a. 3]. Illud ergo quod fìet ministerio angelorum, non erit in instanti, si instans dicat indivisibile temporis : erit tamen insta.ns si instans accipiatur pro tempore imperceptibili. Illud autem quod fiet virtute divina immediate, fiet subito, scilicct in termino temporis quo angclorum opus compie bitur : quia virtus superior inferiorem ad perfectioncm adducit. An PRIMUM ERGO DICENDUM quod Ezechiel loqucbatur populo r~di, sicut et Moyses. Undc, sicut Moyses distinxit opera sex d1erum per dies [Gen. l], ut rudis populus capere possct, quamvis omnia simul sint facta, secundum Augustinum [4 De Gen. ad litt., cc. 33, 34] ; ita Ezechiel diversa quae in rcsurrectione futura sunt expressit, quamvis omnia simul sint futura in instanti. ~D .sECUNDUM DICE:NDUM quod, quamvis illae operationcs sint se inv1cem consequentes natura, tamen simul sunt tempore: vel 1
Luogo Parallelo: 1 Cor.~ c. 15, lect. 8.
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LA SOMMA TEOLOGICA, Suppi., q. 77, a. 4
vengono nello stesso istante; oppure perché l'una succede istantaneamente al compimento dell'altra. 3. Avviene esattamente per quel suono come per le formule dei sacramenti : quel suono sortirà il suo effetto all'ultimo istante in cui finirà di risuonare. 4. La raccolta delle ceneri, che è impossibile senza il moto locale, sarà fatta dagli angeli. Essa quindi sarà fatta in un dato tempo, però in1perceitibile, per Ja, facilità di opera.re che compete agli angeli.
IL TE.'\fPO E IL MODO DEL,LA RESURREZIONE
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quia sunt in eodem instanti ; vel una est in instanti ad quod alia termina tur. An TERTIUM DICENDUM quod idem videtur esse dicendum de sono ilio et de formis sacramentorum : scilicet quod in ultimo instanti sonus effectum suum habebit. An QUARTUM DICENDUM quod congregatio cinerum, quae sine motu locali esse non potest, fiet ministerio angelorum. Et ideo erit in tcmporf', sed impcrceptibili, proptcr facilitatmpo in cui agli uomini sarà concesso da Dio di non nascere più nella Chiesa con questo peccato. La morte però non ò che la pena del peccato originale. Dunque verso la fine del mondo, accadrà che alcuni uomini non moriranno. Quindi si torna alla conclusione precedente. 4. Il sapiente deve scegliere sempre la via più breve e più semSEMBRA
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Luoghi paralleli: I-II, q. 81, a. 3, ad 1 ; 2 Sent., d. 31, q. 1, a. 2, ad 2; De Malo, q. 4, a. 6, ad l ; 1 Te.asa.l., c. 4, lect. 2.
QUAESTIO 78 De termino resurrectionis. DEINDE considerandum est de termino a quo resurrectionis. Circa quod quaeruntur tria. Pri1no : utrum mors sit terminus a quo resurrcctionis in omnibus. Secundo : utrum cineree ve] pulveres. Tertio : utrum illi pulveres habeant naturalem inclinationem ad animam.
ARTICULUS 1 Utrum mors sit futura terminus a quo resurrectionis in omnibus. (4 Sent., d. 43, a. 4, qc. I)
An PRIMUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod mors non erit terminus a quo resurrcctionis in omnibus. Quia quidam non morientur, sed immortalitate «supervestientur ». Dicitur enim in Symbolo [Apostolorum] quod ipse « venturus est indicare vivos et mortuos )), Hoc autem non potest intelligi quantum ad tempus iudicii: quia tunc erunt omnes vivi. Ergo oportet quod referatur haec distinctio ad tempus praccedens. Et ita non omnes ante iudicium morientur. 2. PRAETEREA, naturale et communo dcsidcrium non potcst esse vacuum et inane, quin in aliquibus expleatur. Sed secundum Apostolum, 2 Oor. 5, 4, hoc est commune desiderium, quod « nolumus exspoliari, sed supcrvestiri ». Ergo aliqui erunt qui nunquam exspoliabuntur corpore per mortem, sed supervestientur gloria resurrectionis. 3. PRAETEREA, Augustinus, in Enchirid. [c. 115], dicit quod quatuor ultimae petitiones Dominicae orationis ad praesentem vi tam pertinent. Quarum una est, e< Dimitte no bis debita nostra ». Ergo Ecclesia petit in hac vita sibi omnia debita relaxari. Scd Ecclesiae oratio non potest esse cassa, quin exaudiatur : Ioan. 16, 23, « Quidquid petieritis Patrcm in nomine meo, dabit vobis )). Ergo Ecclesia in aliquo huius vitae tempore omnium debitorum remissionem consequetur. Sed .unum de debitis, quo pro peccato primi parentis adstringimur, est quod nascimur in originali peccato. Ergo aliquando hoc Ecclesiae Deus praestabit, quod homines sine originali peccato nascentur. Sed mors est poena originalis peccati. Ergo aliqui homines erunt circa finem mundi qui non morientur. Et sic idem quod prius . .4. PRAETEREA, via compendiosior est semper sapienti magis eligenda. Sed compendiosior via est quod homines qui invenien-
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LA SOMMA TEOLOGICA, Suppl., q. 78, a. 1
plice. Ma è molto più semplice per coloro che vivranno alla fine dei tempi raggiungere direttamente l'impassibilità della resurrezione, senza prima morire e poi risorgere immortali. Perciò Dio, che è infinitamente sapiente, sceglierà questa strada. 1 IN CONTRARIO: I. S. Paolo afferma : «Ciò che si semina non ha vita se prima non muore)). E le sue parole sotto l'immagine del seme si riferiscono alla resurrezione dei corpi. Dunque i corpi risorgeranno dalla morte. 2. Inoltre l'Apostolo ha scritto : « Come in Adamo tutti muoiono, cosi in Cristo tutti rivivranno ». Ma in Cristo tutti riacquisteranno la vita. Perciò in Adamo tutti moriranno. Cosicché per tutti la resurrezione avverrà a partire dalla morte. RISPONDO : Su questo problema i Sa11ti Padri hanno espresso pareri contrastanti, come risulta dal testo delle Sentenze. 2 Ma l'opinione più comune e più solida è che tutti moriranno e tutti risorgeranno da morte. Le ragioni che suffragano questa opinione sono tre. Primo, perché ciò è più consono alla giustizia divina: la quale ha condannato il genere umano per il peccato di Adamo; cosicché tutti coloro i quali ne discendono e contraggono il peccate originale paghino il debito del peccato, che è la morte. Secondo, perché tale opinione concorda meglio con la sacra Scrittura, la quale predice che la resurrezione sarà universale Ora, come dice il Damasceno, non può risorgere se non «quel che è caduto e si è dissolto )). Terzo, perché l'opinione suddetta concorda meglio con l'ordinf naturale, dove osserviamo che ciò che è guasto e viziato non s· rinnova se non mediante la sua distruzione : l'aceto, p. es., nor. diventa vino se prima non si guasta, tornando cosi ad essere l'umore della vite. Perciò l'umana natura dopo aver contratto la neces· sità di morire, non farà ritorno all'immortalità, se non mediante la morte. Questo concorda meglio con l'ordine di natura anche per ur altro motivo. Infatti, come dice Aristotele, il moto dei cic1i i « come la vita per tutto ciò che esiste », come il movimento dc: cuore è una specie di vita per tutto il corpo. Perciò come se vien( a· cessare il battito del cuore, tutte le membra muoiono, così S( viene a mancare il moto dei cieli, non potrà rimanere vivo nessur essere che da quel moto dipende. Ma tale è appunto per noi 12 vita presente. Dunque dovranno cessare di vivere quelli che sa· ranno vivi alla cessazione del moto dei cieli. SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTl: I. La distinzione tra vivi e mort non riguarda il tempo del giudizio, né tutto il tempo passato Tra questa. prima serie di argomenti l'Autore evita di citare un passo di S. Giro lamo, che i suoi discepoli potevano leggere cosi ricapitolato nel testo delle Senfenz di cui faceva il commento: • Econtra vero, scribens Ad Marr..ellam, Hieronymu testari vidctur dicens, quosdam in fine saeculi, advcnicnte Christo, non esse mori turos, sed vivos repertos in immortalltatcm repente mutandos • (4 Senl •• d. 43. c. u) 1 Pietro Lombardo, dopo aver riferito le due opinioni contrastanti, aveva concluso • Quale di queste due tesi sia la più vera non è possibile definire col ai,udizio uma 1
PUNTO DI PARTENZA DELLA RESURREZIONE
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tur vivi in impassibilitatem resurrectionis transferantur, quam quod prius moriantur et postca resurgant a morte in immortalitatcm. Ergo De~s, qui est s?m.me sapiens, h!l'nc viam eliget in his qui vivi inven1entur. Et sic idem quod pr1us. SED coNTRA, 1 Oor. 15, 36 : « Quod seminas, non vivifìcatur nisi prius moriatur ». Et loquitur sub similitudine seminis de rcsurrectione corporum. Ergo corpora a morte resurgent. 2. P&AETEREA, 1 Oor. 15, 22: « Sicut in Adam omnt>s moriuntur, ita in Christo omnes vivifìcabuntur ». Scd in Christo omnes vivificabuntur. Ergo in Adam omnes morientur. Et sic resurrectio omnium erit a morte. RESPONDEO DICENDUM quod super hac quaestione varie loquuntur Sancti, ut in littera [d. 43, c. Quaeri solet] patet. Tamen haee est securior et communior opinio, quod omnes morientur et a morte resurgent. Et hoc propter tria. Primo, quia magis conoordat divinae iustitiae, quae humanam naturam pro peccato primi parentis damnavit [Ad Rom. 5, 12 88.], ut omnes qui per actum naturae ab eo originem ducerent, infectionem originalis peccati contraherent, et per consequens mortis debitores essent. Secundo, quia magis concordat divinae Scripturae, quae omnium futuram resurrectionem praedicit (Ioan. 5, 28 ; 1 ad Oor. 15, 51]. Resurrectio autem proprie non est nisi « eius quod cecidit et dissolutum est;, ut Damascenus dicit [4 De fide orth., c. 27]. Tertio, quia magis concordat ordini naturae, in quo invenimus quod id quod corruptum et vitiatum est, in suam novitatem non reducitur nisi corruptione mediante : sicut acetum non fìt vinum nisi aceto corrupto et in humorem vitis transeunte. Unde, cum natura humana in defectum necessitatis moriendi devenerit, non erit reditus ad immortalitatem nisi mediante morte. Convenit etiam ordini naturae propter aliam rationem. Quia, ut in 8 Phy8ic. [c. 1, lect. l] dicitur, motus caeli est «ut vita quaedam natura existentibus omnibus ; : sicut et motus cordis totius oorporis vita quaedam est. Unde sicut, cessante motu cordis, omnia membra mortificantur; ita, cessante motu caeli, non potest aliquid vivum remanere illa vita quae ex influentia illius motus conserva batur. Talis autem vita est qua nunc degimus. Unde oportet quod ex hao vita discedant qui post motum caeli quiesoentem victuri sunt. An PRIMUM ERGO DICENDUM quod distinctio illa mortuorum et vivorum non est referenda ad ipsum iudicii tempus; neque ad no •. Me. i teologi che lo seguirono tentarono ugualmente l'impresa. Tuttavia anche gli esegeti moderni portano buoni argomenti :filologici per escludere l'interpretazione che S. Girolamo dava alle parole di S. Paolo nella sua prima lettera ai Tessalonicesi: 'Noi vivi, noi superstiti, non saremo separati dal nostri d~tunti, alla venuta. del Signore. Perché il Signore in persona, al comando, al grido di un arcangelo, allo squillo della tromba divina, scenderà dal cielo, e prima risorgeranno i morti in Cristo, quindi noi. attualmente vivi, superstiti, sa.remo rapiti insieme ad essi sulle nubi in cielo verso il Signora. Cos} saremo sempre col Signor3 • (1 Tess., 4. 15-17). - Si v~da. in proposito SPADA.FORA F., La Sacra Bibl>ia, Marietti. 1960, voi. III, pp.400s.).
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perché tutti coloro che saranno giudicati un tempo erano v1v1 e poi furono morti ; ma riguarda il tempo che precederà immediatamente il giudizio, ossia quando se ne cominceranno a vedere i segni premonitori. 2. Il desiderio assoluto dei santi non può essere vano, ma può esserlo un desiderio condizionato, come quello per cui , né ci saranno altre perdite nel corpo umano. Dunque le funzioni della generazione e della nutrizione sarebbero inutili. RISPONDO : La resurrezione sarà necessaria all'uomo, non per raggiungere la sua prima perfezione, che consiste nel possesso integrale di quanto la sua natura fisica richiede : perché questo l'uomo può raggiungerlo nello stato della vita presente mediante l'influsso delle cause naturali. Ma la resurrezione è necessaria per conseguire l'ultima perfezione, che consiste nel raggiungimento dell'ultimo fine. Perciò quelle funzioni naturali che sono ordinate a produrre o a conservare la prima perfezione della natura umana non ci saranno dopo la resurrezione. Tali sono appunto le funzioni della vita animale nell'uomo, le mutue interferenze tra gli elementi e il moto dei cieli. Perciò tutte queste funzioni cesseranno con la resurrezione. E poiché mangiare, bere, dormire e generare sono funzioni della vita animale, essendo ordinate alla prima perfezione della natura, dopo la resurrezione esse non avranno più ragione di esistere. 1 SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ : 1. Il pasto che Cristo fece dopo la resurrezione non fu dovuto a necessità, come se la natura umana avesse bisogno di mangiare dopo la resurrezione, ma per mostrare che egli aveva assunto di nuovo la vera natura umana che a ve va prima quando mangia va e beveva con i suoi discepoli. Ma codesta dimostrazione non sarà necessaria nella resurrezione universale : perché allora sarà evidente per tutti. Ecco perché si suol dire che Cristo allora mangiò e bevve per una «dispensa», secondo il frasario dei giuristi, per i quali «la dispensa è un'eccezione alla legge comune»: perché Cristo risorto si sottrasse momentanea1
L'argomentazione dell'Aquinate è da considerarsi apodittica. :Ma essa non ha
CARATTERISTICHE DEI RISORTI
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sophum [l Ethic., cc. 7, 13 ; Lectt.. 10, 19 ; 10, c. 7, lect. 10], in perfecta operatione consistit. Ergo oportet quod omnes potentiae animae et omnia membra sint in suis actibus in beatis post resurrectionem. Et sic idem quod prius. 4. PRAETERE.A., in beatis post resurrectionem erit perfecta et beata iucunditas. Scd talis iucunditas omnes dclectationes includit: quia beatitudo est «status omnium bonorum aggregatione perfcctus » [BoET .. /J De Oonlmlat. Philos., pros. 2] ; et perfectnm est «cui nihil deest » [3 Physic., c. 6, lcct. 11]. Cum ergo in actu virtutis generativae et nutritivae sit magna delectatio, videtur quod tales actus ad vitam animalem pertinentes in beatis erunt. Et multo fortius in aliis, qui minus spiritualia corpora habebunt. SED CONTRA EST quod dicitur Matth. 22, 30 : ~ In resurrectione neque nubent neque nubentur ». 2. PR.A.ETEREA, generatio ordinatur ad subveniendum defectui qui per mortem accidit, ad multiplicationem humani generis; et oomestio ad restaurationem deperditi et ad augmentum quantitatis. Sed in statu resurrectionìs iam humanum genus habebit totam multitudinem individuorum a Deo praefinitam : quia usque ad hoc generatio deferetur. Similiter etiam quilibet homo resurget in debita quantitate. « Nec erit ultra mors » [Apoc. 21, 4], aut aliqua deperditio fiet a partibus hominis. Ergo frustra esset actus generativae et nutritivae virtutis. RESPONDEO DICENDUM quod resurrectio non erit necessaria homini propter primam perfoctionem ipsius, quae consistit in intcgritate eorum quac ad naturam spectant : quia ad hoc homo pervenire potest in statu praesentis vitae per actioncm causarum naturalium. Sed neccssitas rcsurrectionis est ad conscquendam ultimam perfectionem, quae consistit in perventione ad ultimum finem. Et ideo illae operationes naturales quae ordinantur ad primam perfectioncm humanae naturae vcl causandam vel conservandam, non erunt in resurrcctione. Et huiusmodi sunt actiones animalis vitae in homine, et actiones mutuae in elementis, et motus caeli. Et ideo haec ccssabunt in resurrectione. Et quia comedere, bibere et dormire et generare ad animalem vitam pertinent, cum sint ad primam perfectionem naturae ordinata, in resurrectione talia non erunt. An PRIMUM ERGO DICENDUM quod illa comestio qua Christus comedit, non fuit nccessitatis, quasi cibis indigeret humana natura post resurrectionem : sed fuit potestatis, ut ostenderet se veram naturam humanam resumpsisse, quam prius habucrat in statu ilio quando cum discipulis comederat et biberat. Haec autem ostensio non erit in resurrectionc communi : quia omnibus notum erit. Et ideo dicitur dispensative Christus manducasse, eo modo loquendi quo iuristac dicunt, «Dispensatio est communis iuris relaxatio » [S. RAYM., 3 Sum., tit. 29, § 2] : quia Christus intermisit hoc quod persuaso il P. Luigi Majoeeo, il quale ha esposto la sua tesi in un grosso volume: Una "'8ione nuova del Paradiso, L'umanesimo celeste, Chieri, 1967, pp. 355 ss.
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LA SOMMA TEOLOGICA, Suppl., q. 81, a.
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mente all'uso comune dei risorti, che è quello di non cibarsi, per i motivi già indicati. Perciò l'argomento non regge. 2. La differenza dei due sessi e la varietà delle membra servirà a reintegrare la perfezione umana nella specie e nei vari individui. Perciò non ne segue che siano inutili, sebbene codeste membra non compiono le funzioni della vita animale. 3. Le funzioni suddetto appartengono all'uomo non in quanto uomo, come nota anche il Filosofo. Quindi la felicità dc>l corpo umano non consiste in esse : ma il corpo umano sarà felice per la ridondanza della felicità dalla ragione cui è sottomesso, in forza della quale l'uomo è uomo. 4. I piaceri del corpo, come dice il Filosofo, sono «medicinali», perché servono per togliere la stanchezza ; oppure sono (< delle malattie », perché l'uomo si getta su di essi in modo disordinato, come se fossero piaceri autentici; ossia come fa uno il cui gusto è guasto nel provar piacere per cose che non sono piacevoli ai sani. Perciò non è necessario che tali piaceri rientrino nella perfezione della beatitudine, come pensano i Giudei, i Maomettani e certi eretici chiamati Chiliasti. Costoro hanno un sentimento guasto anche secondo l'insegnamento del Filosofo : perché a suo giudizio i soli piaceri spirituali sono piaceri autentici e da ricercarsi per se stessi. Dunque solo questi piaceri sono richiesti dalla beatitudine.
CARATTERISTICHE DEI RISORTI
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est communiter resurgentium, scilicet non uti cibis, propter causam pracdictam. Et propter hoc ratio non sequitur. AD sECUNDUM DICENDUM quod differentia scxuum et membrorum varietas erit ad naturae humanae pcrfectionem rcintegrandam et in specie, et in individuo. Undc non sequitur quod sint frustra, quam vis animales operationes desint. An TERTIUM DICENDUM quod praedictae operationes non sunt hominis in quantum rst homo, nt. Ptiam Philoi::1ophn~ dir.it r10 Ethic., c. 7, lect. Il]. Et ideo in cis non consistit boatitudo hun1ani corporis : sed corpus humanum beatificabitur ex redundantia a ratione, a qua homo est homo, inquantum erit ei subditum. AD QUARTUM DICENDUM quod delectationes corporales, sicut dicit Philosophus, in 7 [c. 14, lect. 14] et 10 [c. 5, lect. 7] Ethic., sunt , come dice il Filosofo. Ora, i corpi gloriosi sono impassibili. Quindi neppure potranno sentire. 2. La trasmutazione animale o sensibile è preceduta da quella fisica, come l'essere intenzionale è preceduto da quello fisico. Ma i corpi gloriosi a motivo della loro impassibilità non subiscono trasmutazioni fisiche. Perciò neppure subiscono la trasmutazione animale richiesta per la sensazione . .3. In ogni sensazione a ogni nuova impressione si produce un nuovo giudizio. Ma dopo la resurrezione non ci saranno nuovi giudizi : perché «allora non ci saranno pensieri fluttuanti t>. Dunque non ci saranno sensazioni in atto. 4. Quando l'anima esercita attualmente una data facoltà è meno attenta alle funzioni delle altre. Ma allora l'anima sarà tutta presa dall'atto della facoltà intellettiva, in cui contemplerà Dio stesso. Quindi in nessun modo attenderà alle funzioni delle potenze sensitive. IN CONTRARIO : 1. Nell'Apocalisse si legge : «Ogni occhio lo contemplerà». Dunque allora ci sarà l'esercizio dei sensi. 2. Il Filosofo insegna, che «un corpo animato si distingue da quello inanimato dalla sensazione e dal moto». Ma allora non mancherà l'esercizio del moto : poiché, a detta della Sapienza, «[i santi] dilagheranno come le scintille in un canneto». Quindi non mancherà neppure l'esercizio dei sensi. RISPONDO : Tutti ammettono che nei beati ci sarà la sensazione. Altrimenti la vita corporea dei santi dopo la resurrezione somiglierebbe più al sonno che alla veglia. Il che non si addice a quello stato di perfezione: perché nel sonno il corpo non è nel suo atto vitale ultimo, essendo il sonno, come si esprime Aristotele «una SEMBRA
1
Luoghi paralleli: l·ll, q. 3, a. 3; 4 Oont. Gent .• c. 86.
LE CONDIZIONI DEI BEATI
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AD SECUNDUM DIOENDUM quod, quamvis negationes et privationes secundum se non intendantur nec remittantur, tamen intenduntur et remittuntur ex causis suis : sicut dicitur esse locus magis tenebrosus qui habet plura et maiora obstacula luois. AD TERTIUM DICENDUM quod aliqua non solum intenduntur per reeessum a contrario, sed per accessum ad terminum : siout lux intenditur. Et propterea etiam impassibilitas est maior in uno quod in alio, quamvis in nullo aliquid passìbilitatis remaneat.
ARTICULUS 3 Utrum impassihilitas sensum in actu a eorporibu.s gloriosis excludat. (4 Sent., d. U, q. 2, a. l, qc. 3)
AD TERTIUM SIO PROCEDITUR. Videtur quod impassibilitas sensum in actu a oorporibus gloriosis excludat. Quia, siout dicit Philosophus, in 2 De Anima [o. 11, lect. 23], «sentire est quoddam patì». Corpora autem gloriosa erunt impassibilia [a. I]. Ergo non sentient in actu. 2. PBAETEREA, immutatio naturalis praecedit immutationem animalem, sicut esse naturale praecedit esse intentionale. Sed corpora gloriosa ratione impassibilìtatis non immutabuntur immutatione naturali. Ergo nec immutatione animali, quae requiritur ad sentiendum. 3. PRAETEREA, quandocumque fit sensus in actu, cum nova reoeptione fit novum iudicium. Sed ibi non erit novum iudicium: quia . Scd in illis corporibus nulla erit imperfectio. Ergo nec aliquis motus. 2. PRAETEREA, omnis motus est propter indigentiam : quia omne quod movctur, movetur propter adcptioncm alicuius finis. Sed corpora gloriosa non habcbunt aliquam indigentiam : quia, ut Augustinus dicit [De Spiritu et Anima, c. 64], «ibi erit quidquid volcs, non erit quidquid noles ». Ergo non movebuntur. 3. PRAETEREA, sccundum Philosophum, in 2 Oaeli et Mundi [c. 12, lect. 18], quod participat divinam bonitatem sine ·motu, nobilius participat illam quam quod participat illam cum motu. Sed corpus gloriosum nobilius participat divinam bonitatem quam aliud corpus. Cum ergo quaedam alia corpora omnino sine motu remaneant, sicut corpora caelestia, videtur quod multo fortius corpora humana. 4. PRAETEREA, Augustinus dicit [De Vera Relig., c. 12] quod « anima stabilita in Deo, stabiliet et corpus suum consequenter ». Sed anima ita erit in Deo stabilita quod nullo modo ab eo movebitur. Ergo nec in corpore erit aliquis motus ab anima. 5. PRAETEREA, quanto corpus est nobilius, tanto debetur ei locus nobilior : undc corpus Christi, quod est nobilissimum, habet locum cminentiorem inter cetera loca, ut patet H eb. 7, 26, (( Excelsior caelis factus » ; Glossa [intcrlin. super Ephes. 4, 8], e< loco et dignitate ». Et similiter unumquodque corpus gloriosum habebit, eadem ratione, locum sibi convenientem secundum mcnsuram suae dignitatis. Sed locus conveniens est de pertinentibus ad gloriam. Cum ergo post resurrectionem gloria sanctorum nunquam varietur neque in plus nequc in minus, quia tunc erunt omnino in termino; videtur quod corpora eorum nunquam de loco sibi determinato reccdcnt. Et ita non movcbuntur. SED CONTRA EST quod dicitur Isaiae 40, 31 : « Currcnt et non laborabunt, volabunt et non deficient » ; et Sap. 3, 7 : (( Tanquam scintillae in arundineto discurrent ». Ergo erit aliquis motus corporum gloriosorum. REsPONDEO DIOENDUM quod corpora gloriosa aliquando moveri necessarium est ponerc : quia et ipsum corpus Christi motum est in ascensione ; et similiter corpora sanctorum, quae de terra resur· gent, ad caelum empyreum ascendent. Sed etiam postquam caelos consccnderint, verisimile est quod aliquando moveantur pro suae Pireo, rimandiamo sopra alla I. q. 61, a. 4: ; q. 66. a. 3 ; ctr. vol. IV. p. 34:6 ss. ; vol. V, pp. 56 ss.
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LA S031MA TEOLOGICA, Suppl., q. 84, a. 2
a loro talento : sia perché esercitando le loro facoltà vengono ad esaltare la sapienza di Dio; sia perché la loro vista possa rallegrarsi con la bellezza delle diverse creature, in cui splende maggiormente la sapienza divina. I sensi infatti richiedono la presenza, sebbene i corpi risuscitati gloriosi e non gloriosi, possano percepire molto più di lontano. Però codesto moto non toglie nulla alla loro beatitudine, che consiste nella visione di Dio, che avranno presrntf' , S. Agostino è ricorso a questo modo di parlare. Oppure si può rispondere che la volontà dei beati non sarà mai disordinata. Perciò essi non vorranno mai che il loro corpo venga a trovarsi all'istante dove non potrà essere in maniera istantanea. Perciò è vero che in qualsiasi istante determinato dalla volontà, il corpo glorioso verrà a trovarsi nel luogo da essa determinato.
AGILITA DEI CORPI RISUSCITATI
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C et A, puta D ; et sic de aliis. Ergo oportet quod Z non perveniat de A in B nisi prius sit in omnibus mediis : nisi dicatur quod pervenit de A in B et nunquam movetur ; quod implicat contradictionem, quia ipsa successio locorum est motus localis. Et eadcm ratio est de qualibet mutatione quae habet duos contrarios terminos quorum utrumque est aliquid positive. Secus autem est de illis mutationibus quae habent unum terminum tantum positivum et altera.m pura.m privationcm : quia inter af11rmationem et negationem seu privationem non est aliqua determinata distantia; unde quod est in negatione potest esse propinquius vel remotius ab affirmatione, vel e converso, ratione alicuius quod causat alterum eorum vel disponit ad ea ; et sic, dum id quod movctur est totum sub negatione, mutatur in affirmationem, et e converso. Unde etiam in eis mutans praecedit mutatum esse, ut probatur in 6 Physic. [c. 5, lect. 7]. N ec est simile de motu angeli : quia esse in loco aequivoce dicitur de corpore et angelo. Et sic patet quod nullo modo potest esse quod aliquod corpus perveniat de uno loco ad alium nisi transeat omnia media. Et ideo alii hoc concedunt, sed tamen dicunt quod corpus gloriosum movetur in instanti. - Sed ex hoc sequitur quod corpus gloriosum in eodem instanti sit in duobus locis simul, vel pluribus : scilicet in termino ultimo et in omnibus mediis locis. Quod non potest esse. Sed ad hoc dicunt quod, quam vis sit idem instans secundum rem, tamen differt ratione: sicut punctus ad quem tcrminantur diversae lineae. - Sed hoc non sufficit. Quia instans mensurat hoc quod est in instanti secundum rem, non secundum hoc quod consideratur. Unde diversa considera ti o instantis non facit quod instans possit mensurare illa quae non sunt simul tempore: sicut neo diversa consideratio puncti potest facere quod sub uno puncto loci oontineantur quae sunt distantia situ. Et ideo alii probabilius dicunt quod corpus gloriosum movetur in tempore, sed imperceptibili propter brevitatem. Et quod tamen unum corpus gloriosum potest in minori tempore idem spatium pertransire quam aliud: quia tempus, quantumcumque parvum aocipiatur, est in infinitum divisibile. AD PRIMUM ERGO DICENDUM quod «illud quod parum deest, quasi nihil deesse videtur ,>, ut dicitur in 2 Physic. [o. 5, lect. 9]. Et ideo dicimus, «Statim facio », quod post modicum tempus fiet. Et per hunc modum loquitur Augustinus, quod «u bicumque erit voluntas, ibi erit statim corpus ». Vel dicendum quod voluntas nunquam erit inordinata in beatis. Unde nunquam volent corpus suum esse alicubi in aliquo instanti in quo non possit ibi esse. Et sic, quodcumque instans voluntas determinabit, in ilio corpus erit in illo loco quem voluntas determinat. 1 s. Tommaso abbraccia in questo caso l'opinione del suo ma.estro, ossia di S. Al· berto ::Magno {ctr. In 4 BenJ., d. 44, e.. 22).
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2. Alcuni, come riferisce .Averroè, respingono la suddetta affermazione del Filosofo, dicendo che non esiste un rapporto necessario tra il moto nella sua totalità e il moto quale risulta dalla resistenza dello spazio intermedio; ma che il ritardo va computato a parte in base alla resistenza dei vari eorpi intermedi che bisogna attraversare. Infatti qualsiasi moto ha una determinata velocità dalla vittoria del motore sul mobile, anche se non incontra nessuna resistenza da parte dello spazio intermedio : il che è evidente nei corpi celesti i quali non incontrano ostacoli al loro moto, e tuttavia non si muovono in modo istantaneo, ma in un tempo determinato secondo il rapporto tra virtù che muove e il corpo mobile. Perciò è evidente che nell'ipotesi di un moto nel vuoto, non è necessario che il moto sia istantaneo : ma solo che non aumenti la durata del suo tempo, restando proporzionato al solo rapporto tra motore e mobile, perché il moto non subisce ritardi. 1 Però questa osservazione, come nota Averroè, deriva da un'idea sbagliata, cioè dal pensare che il ritardo causato dalla resistenza del corpo intermedio faccia parte del moto come un'aggiunta del moto naturale, che deve la sua grandezza alla proporzione esistente tra motore e mobile, come se una linea venisse ad aggiungersi a un'altra linea ; per cui verrebbe a mancare il rapporto prima esistente tra le varie linee (di un'intera figura geometrica] a quella data linea, che ora risulta prolungata : cosicché non esisterebbe più proporzione tra il moto nella sua totalità col moto sensibile dovuto ai ritardi imposti dalla resistenza dei corpi intermedi. Ora, questa idea è falsa. Perché qualsiasi parte di un determinato moto ha l'identica velocità del moto nel suo insieme: invece qualsiasi parte di una linea non ha l'estensione di tutta la linea. Perciò il ritardo o la velocità che viene impressa a un moto ridonda su qualsiasi parte di esso : il che non avviene invece nel prolungamento di una linea. Perciò il ritardo imposto a un moto non determina una parte supplementare di moto, come invece avviene nel caso della linea cui si aggiunge una parte. Perciò per comprendere l'argomentazione del Filosofo, come spiega Averroè, bisogna prendere il tutto come un'unica cosa : sia la resistenza del corpo mobile all'impulso del motore, sia la resistenza dello spazio intermedio in cui il moto si svolge, sia quella di qualsiasi altra cosa. Cosicché la gravità del ritardo dell'intero moto è proporzionale alla virtù esercitata dal motore sul corpo mobile, qualunque sia la resistenza che questo offre, sia intrinseca che estrinseca. Infatti il mobile bisogna che sempre resista in qualche modo al suo motore : poiché movente e mosso, agente e paziente in quanto tali sono contrari. Talora il mobile presenta al suo motore una resistenza per se stesso: o perché è dotato di una virtù che lo spinge nella direzione opposta, come appare evidente nei moti violenti ; oppure perché la sua localizzazione è contraria a quella che è nell'intenzione di chi lo muove ; e tale resistenza si riseontra persino nei corpi celesti rispetto ai loro motori. - Talora invece il mobile resiste alla virtù del motore non per se stesso, ma solo per dei coefficienti estranei : ciò si riscon-
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An SECUNDUM DICENDUM quod quidam contradixerunt illi propositioni quam Philosophus indueit in parte illa, ut Commentator ibidem [text. 71) dicit : dicentes quod non oportet esse proportionem totius motus ad totum motum secundum proportionem resistentis medii ad aliud medium resistens; sed oportet quod secundum proportionem mediorum per quae transitur, a ttendatur proportio retardationum quae accidit in motibus ex resistentia medii. Quilibet cnim motus habct detcrminatum ternpus 'Tclocitatis et tarditatis ex victoria moventis supra mobile, etiam si nihil resistat ex parte medii : sicut patet in corporibus caelestibus, in quibus non invenitur aliquid quod obstet motui ipsorum, et tamen non moventur in instanti, sed in tempore determinato secundum proportionem potentiae moventis ad mobile. Et ita patet quod, si ponatur aliquid moveri in vacuo, non oportebit quod moveatur in instanti: sed quod nihil addatur tempori quod debetur motui e:x proportione praedicta moventis ad mobile, quia motus non re tarda tur. Sed haec responsio, ut Commentator dicit ibidem, procedit ex falsa imaginatione qua quis imaginatur quod tarditas quae causatur ex resistentia medii, sit aliqua pars motus addita motui naturali, qui habet quantitatem secundum proportionem moventis ad mobile, siout una linea additur lineae, ratione cuius accidit in lineis quod non remanet eadem proportio totius ad tot.am lineam, quae erat linearum additarum ad invicem: ut sic etiam non sit cadem proportio totius motus ad totum motum sensibilem quae est retardationum contingentium ex resistentia medii. Quae quidem imaginatio falsa est. Quia quaelibet pars motus habet tantum de velocitate quantum totus motus : non autem quaelibet pars lineae habet tantum de quantitate dimensiva quantum habet tota linea. Unde tarditas vel velocitas addita motui redundat in quamlibet partem eius : quod de lineis non contingit. Et sic tarditas addita motui non facit aliam partem motus, sicut in lineis accidebat quod additum est pars totius lineae. Et ideo ad intelligendam probationem Philosophi, ut Commentator ibidem exponit, sciendum est quod oportet accipere totum pro uno, scilicet resistentiam mobilis ad virtutem moventem, et resistentiam medii per quod est motus, et cuiuscumque alterius resistentis : ita quod accipiatur quantitas tarditatis totius motus secundum proportionem virtutis moventis ad mobile resistens quocumque modo, vel ex se ve] ex alio extrinseco. Oportet enim semper quod mobile resistat aliquo modo moventi : cum movens et motum, agens et patiens, inquantum huiusmodi, sint contrada. Quandoque autem invenitur resistere mobile moventi ex seipso : ve] quia habet virtutem inclinantem ad contrarium motum, sicut patet in motibus violentis; vel saltem quia habet locum contrarium loco qui est in intentione moventis, cuiusmodi resistentia 1
Per la concezione moderna del moto locale queste. soluzione potrebbe già. essere aui!lolente. Ma per la ftsica antica il Problema· era più complesso.
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tra, p. es., nel ritardo del moto naturale dei corpi gravi o lievi. Poiché la stessa loro forma li spinge a codesto moto : la forma infatti non è che l'impulso di chi li genera, ehe nel easo dei corpi gravi e leggeri è il loro motore. D'altra parte nessuna resistenza può venire dalla materia, né come impulso contrario al moto, né come ripugnanza a una data localizzazione ; perché una determinazione di luogo non è dovuta alla materia se non in modo indiretto, cioè in quanto, esistendo sotto certe dimensioni, viene attuata da una forma corporea. Perciò la resistenza non può venire che da parte del medio ambiente : la quale resistenza è connaturale al moto di codesti corpi. 1 - Talora poi la resistenza deriva dall'una e dall'altra causa : il che è evidente nei moti degli animali. Perciò quando nel moto non si riscontrano resistenze ohe da parte del mobile, come nel caso dei corpi celesti, allora il tempo in cui il moto si svolge è misurato in base al rapporto esistente tra motore e mobile. E nel caso non è valida l'affermazione del Filosofo : perché anche eliminando ogni corpo intermedio, il loro moto è sempre misurato dal tempo. - In quei moti invece in cui si ha una resistenza solo da parte del corpo intermedio, la misura del moto deriva solo dall'impedimento offerto dal corpo suddetto. Perciò, eliminando totalmente codesto corpo, non rimane nessun impedimento. E allora, o il moto sarà istantaneo, oppure si svolgerà nello stesso tempo di quando lo spazio suddetto era pieno. Perché, posto che si muova secondo la misura del tempo anche attraverso il vuoto, il tempo suddetto sarà proporzionato a quello richiesto dal moto stesso quando deve svolgersi nello spazio pieno. Però se immaginiamo un corpo proporzionalmente più sottile del corpo che riempie lo spazio intermedio, allora in uno spazio di uguale grandezza un corpo potrà muoversi attraverso il corpo intermedio in un tempo cosi piccolo come prima attraverso il vuoto; perché ammettendo la sottilità del corpo intermedio, si viene a ridurre la durata del tempo ; e più quel corpo è sottile, meno offre resistenza. - Negli altri moti invece, in cui si assommano la resistenza del corpo mobile e quella dello spazio intermedio, la durata del tempo va desunta dalla proporzione tra la potenza che muove e la somma delle due resistenze suddette. Perciò, pur eliminando lo spazio intermedio, od ogni sua resistenza, non ne segue che il moto avvenga in modo istantaneo: ma ohe il tempo richiesto dal moto debba essere misuiato solo dalla resistenza del mobile. Né fa difficoltà se un corpo impiega lo stesso tempo attraversando uno spazio vuoto e uno pieno di un sottilissimo corpo: poiehé più la sottilità del eorpo intermedio si accentua, più si riduce il ritardo del moto; cosicché è possibile immaginare una sottilità cosi raffinata da offrire un ritardo meno forte di quello prodotto dalla resistenza del mobile; e in tal caso la resistenza del corpo intermedio non incide sul ritardo del moto. Perciò è evidente che, sebbene lo spazio intermedio non opponga resistenza alcuna ai corpi gloriosi, potendo essi ooesìst.ere localR mente con altri corpi, tuttavia. il loro moto non potrà essere istan..
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invenitur etiam corporum caelestium ad suos motores. - Quandoque autem mobile resistit virtuti moventis ex alio tantum et non ex seipso : sicut patet in motu naturali gravium et lcvium. Quia per ipsam formam eorum inclinantur ad motum talem : est enim forma impressio generantis, quod est motor ex parte gravium et levium. E:x. parte autem materiae non invenitur aliqua resistentia neque virtutis inclinantis ad contrarium motum, neque contrarii lo ci : quia locus non de betur ma tcriae nisi sccundum quod, sub dimensionibus consistens, perficitur forma naturali. Unde non potest esse resistentia nisi ex parte mcdii : quae quidem resistentia est motui eorum connaturalis. - Quandoque autem resistentia est ex utroque : sicut patet in motibus animalium. Quando ergo in motu non est resistentia nisi ex parte mobilis, sicut accidit in corporibus caelestibus, tunc tempus motus mensuratur seeundum proportionem motoris ad mobile. Et in talibus non prooedit ratio Philosophi : quia, remoto omni medio, adhuc manet motus eorum in tempore. - Sed in illis motibus in quibus est resistentia ex parte medii tantum, accipitur mensura temporis secundum impedimentum quod est ex medio solum. Unde, si subtrahatur omnino medium, nullum impedimentum remanebit. Et sic vel movebitur in instanti ; vel aequali tempore movebitur secundum vacuum spatium et plenum. Quia, dato quod moveatur in tempore per vacuum, illud tempus in aliqua proportione se habebit ad tempus in quo mcvetur per plenum. Possibile est autem imaginari aliquod corpus in eadem proportione subtilius corpore quo spatium plenum erat; quo si aliud spatium impleatur aequale, in tam parvo tempore movebitur per illud plenum sicut primo per vacuum : quia, quantum additur ad subtilitatem medii, tantum subtrahitur de quantitate temporis ; et quanto est magis su btile, minus resistit. - Sed in aliis moti bus, in quibus est resistentia ex ipso mobili et ex medio, quantitas temporis est accipienda secundum proportionem moventis potentiae ad resistentiam mobilis et medii simul. Unde, dato quod totaliter medium subtrahatur vel non impediat, non sequitur quod motus sit in instanti : sed quod tempus motus mensuratur tantum ex resistentia mobilis. Ncque erit inconveniens si per idem tempus moveatur per vacuum et per plenum, aliquo subtilissimo corpore imaginato: quia determinata subtilitas medii, quanto est maior, nata est facere tarditatem minorem in motu ; unde potest imaginari tanta subtilitas quod erit nata facere minorcm tarditatem quam sit illa tarditas quam facit rcsistentia mobilis ; et sic rcsistentia mcdii nullam tarditatem adiiciet ad motum. Patet ergo quod, quamvis medium non resistat corporibus glorìosis, secundum hoc quod possìnt esse cum alio corpore in eodem loco, nihilominus motus eorum non erit in instanti : quia
Se ce ne fosse bisogno, basterebbe questo accenno Pm~ dimostrare elle i nostri antichi non avevano nessun'idea del vuoto intersiderale. 1
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taneo; perché il corpo mobile stesso oppone resistenza alla virtù motrice, per il fatto che occupa uno spazio determinato, come abbiamo detto a proposito dei corpi celesti. 3. Sebbene la potenza dell'anima glorificata superi senza confronto quella dell'anima non glorificata, non la supera all'infinito; perché entrambe codeste potenze sono finite. Perciò non ne segue che possa imprimere un moto istantaneo. Se invece l'anima avesse una potenza assolutamente infinita, ne seguirebbe la capacità di muovere fuori del tempo, solo superando ogni resistenza da parte del mobile. Ora, sebbene tale resistenza in quanto è dovuta all'inclinazione verso un moto contrario possa essere superata del tutto da un motore di potenza infinita; tuttavia, in quanto essa deriva dalla contrarietà al luogo verso il quale chi la muove intende condurla, non può essere del tutto superata, se non si toglie dal corpo mobile il suo essere in tale luogo, ovvero in tale spazio. Infatti come il bianco resiste al nero a motivo della bianchezza, cosi il corpo resiste a una nuova localizzazione per il fatto che ne ha attualmente un'altra, e la resistenza è proporzionata alla distanza. Ora, non è possibile togliere a un corpo la sua attitudine a un luogo o a uno spazio, se non togliendogli la sua corporeità. Perciò finché rimane corpo in nessun modo esso può muoversi di moto istantaneo, per quanto grande sia la virtù movente. Ma il corpo glorioso non perderà mai la corporeità. Dunque non potrà mai a vere un moto istantaneo. 4. «L'identica celerità», di cui parla S. Agostino, va intesa nel senso che la differenza di un moto dall'altro è impercettibile : come del resto è già impercettibile il tempo di tutti codesti moti. 5. Sebbene dopo la resurrezione venga a cessare il tempo quale misura dcl moto dei cieli, tuttavia rimarrà il tempo che nasce dalla successione del prima e del dopo in qualsiasi moto.
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ipsum corpus mobile resistet virtuti moventi ex hoc ipso quod habet determinatum situm, sicut de corporibus caelestibus dictum est. An TERTIUM DICENDUM quod, quamvis virtus animae glorificatae excedit inaestimabiliter virtutem animae non glorificatae, non tamen exoodit in infinitum : quia utraque virtus est finita. Unde non sequitur quod moveatur in instanti. Si tamen esset simpliciter infinitae virtutis, non sequeretur quod moverctur in instanti, nisi supcrarctur toialitcr rcsistentia quae est ex parte mobilis. Quamvis autem resistentia. qua mobile resistit moventi per contrarietatem quam habet ad talem motum ra.tione inclinationis ad contrarium motum, possit a movente infinitae virtutis totaliter superari ; tamen resistentia quam facit ex contrarietate quam habet ad locum quem intendit motor per motum, non potest totaliter superari, nisi auferatur ab ea esse in tali loco vcl in tali situ. Sicut enim album resistit nigro ratione albedinis, et tanto magis quanto albedo magis distat a nigredine ; ita corpus resistit alieni loco per hoc quod habet locum oppositum, et tanto est maior resistcntia quanto est distantia maior. Non a.utem potest a corpore rcmoveri quod sit in aliquo loco vel situ nisi auferatur ei sua corporeitas, per quam de betur ei locus vel situs. Unde, quandiu manet in natura corporis, nullo modo potest moveri in instanti, quantacumque sit virtus movens. Corpus autem gloriosum nunquam suam corporeitatem amittet. Unde nunquam in instanti moveri poterit. An QUARTUM DICENDUM quod « par celeritas • in verbis Augustini est intelligcnda quantum ad hoc quod est imperceptibilis excessus unius respectu alterius : sicut et tempus totius motus est imperceptibile. An QUINTUM DICENDUM quod, quamvis post resurrectionem non erit tempus quod est numerus motus caeli, tamen erit tempus oonsurgens ex numero prioris et posterioris in quolibet motu.
QUESTIONE 85
Lo splendore del corpo dei beati. Veniamo ora a esaminare lo splendore del corpo dei beati dopo la resurrezione. Sull'argomento si pongono tre quesiti ; 1. Se lo splendore sarà una dote dei corpi gloriosi ; 2. Se codesto splendore potrà esser visto da un occhio non glorificato; 3. Se i corpi gloriosi saranno visti necessariamente dai corpi non gloriosi.
ARTICOLO 1 Se lo splendore si addica ai corpi glorificati. 1
SEMBRA che lo splendore non si addiea ai corpi glorificati. Infatti: I. Come nota Avicenna, « tutti i corpi luminosi sono composti di parti trasparenti ». Ma le parti del corpo glorioso non sono trasparenti : poiché in alcune di esse, ossia nelle carni e nelle ossa, predomina la terra. Dunque i corpi glorificati non saranno luminosi. 2. Ogni corpo luminoso impedisce di vedere al di là di esso: cosicché l'astro che è dietro viene eclissato, e la fiamma stessM impedisce di vedere gli oggetti che le sono dietro. I corpi glorios invece non nasconderanno quanto è dentro di essi: poiché, come dice S. Gregorio nel commentare quel passo di Giobbe, 41 Non son< paragonabili ad essa né l'oro né il vetro », nella patria celeste « lt corporeità delle membra non nasconderà il pensiero di ciascurn alla vista dell'altro, e apparirà agli occhi corporei la stessa armo nia interiore del corpo umano». Perciò i corpi gloriosi non sarann< luminosi. 3. La luce richiede nel soggetto una disposizione contraria ; quella richiesta dal colore : perché, come spiega Aristotele, « J: luce è l'estremità di ciò che è trasparente in un corpo dai bord non delimitati », mentre ) Metereologicorum » t Perihermeneias » » )) Physicorum t t t Politicorum t t t =Contro. in libros Posteriorum Analyticorum Qu. (Qq.) disp. = Quacstio (Quaestiones} disputata (ae) Quodl. = Quaestio de quodlibet = In Primum (Secundum, Tertium, Quar. 1 (2, 3, 4) Sent. tum) Librum Sententiarum S. Theol. = Somma Teologica Parte I, questione •.. , I-I, q ... , a ... , ad... artìcoJo ... , soluzione ... )) Prima Secundae, cioè I-II, q ... , a ... , ad... = sezione I delJa Seconda Parte, ecc. )) )) Secunda Secundae, ecc. II-Il,q ... ,a ... ,ad ..• = )) )) Parte III, ecc. III,» • t )) )) Supplemento d e 11 a Suppl. t t » Parte III, ecc. -
e) Opere generali.
C. I. O.
= Codex Iuria Canonici.
DENZ. - S.
=
D. T. C.
=
Enc. Catt. Dict. Bibl. Enc. It.
=
MG ML
=
= =
-
Enchiridion Symbolorum, definitionum, ecc., Herder, 1963. VACANT - MANGENOT - AMANN, Dictionnaire de Théologie Catholique, Paris, 1903 ss. Enciclopedia Cattolica, Citte. del Vaticano, 1949 ss. Dictionnaire de la Bible, Paris, 1895 ss. Enciclopedia Italiana, Milano, 1929 ss. MIGNE, Cursus Patrologiae, series Graeca. t t » t Latina. DENZINGER - ScaONMETZER,
d) Bibliografia tomistica.
Ang. Bibl. Tom.
= A ngelicum, Roma. = Bibliografia Tomistica nella Introduzione gene-
rale.
Bul. Thom. O. Tom. D. Thom. (F.) D. Thom. (P.) DEUT. TU:OM.
= Bulletin Thomi8te, Parigi. =
La Ciencia Tomista, Salamanca.
=
Die Deutsche Thomas A usgabe. (Edizione tedesco-latina della Somma con note e Commenti a cura dei PP. Domenicani e Benedettini, Salisburgo, Pustet, 1934 ss.).
= Divus Thomas, Friburgo. = Divus Thomas, Piacenza.
ABBREVIAZIONI
424
Dizionario dei termini tecnici tomistici. (Annesso alla nostra Introduzione generale). - Il nostro volume di Introduzione generale a tutta l ntrod. Gen. la Somma. Introd. - La rispettiva introduzione di ogni trattato. R. Se. Ph. Th.éol. - Revue dea Sciences Philoaophique8 et Théologique~, Parigi. Revue Thomiste, St. Maximin, Var. Rev. Thom. SoM. I~""HA~c. - La Somme Théologiquc. Edition dc la Revue des Jeunes (Testo latino con traduzione francese, note e appendici a cura dei PP. Domenicani, sotto la direzione del P. M. Gillet, Parigi). - Suma Teologica de S. T. de Aq., Traducci6n y annotaciones por una comisi6n de PP. Dominicos, Madrid, 1947 ss. SUMMA CANAD. - S. THOMAE DE AQUINO, Summa Theologia.e, cura et studio Instituti Studiorum Medievalium Otta. viensis (Canada), 1941 Rs. Tab. Aur. - Tabula Aurea Petri a Bergomo. -
Diz. Tom.
e) Altre abbreviazioni.
a. aa. arg.
-
c.
-
cc. Oonc. cfr. in corp. d. ebr. fr. i bid.
in h. a. l.
lect. lett. ll.pp.
=
-
articolo articoli argomento o difti · coltà capitolo capitoli Concilio confronta in corpore arti.culi di8tinctio ebraico frammento ibidem in hunc arf.iculum (cioè nel commento a questo articolo) libro lectio letteralmente Juoghi paralleli tomistici
n. nn.. Opu:'fC.
p. p7>. p. es. pree. Prol. prop. q. qc.
-
c.
-
vv. Volg.
-
LXX.
-
8.
88.
s.
V.
num~ro
numeri Opu8culum pagina pagine per esemp10 precedente Prologus propositio quaest.io quaestiuncula seguente seguenti Argumentum • Sed contra & versetto versetti Versione latina Volgata Versione greca detta dei Settanta
INDICE ONOMASTICO N. B. ~I numeri in èorsivo si riferiscono alle note ; i numeri tra parentesi indicano rispettivamente il libro e il capitolo, oppure il capitolo e i1 versetto, secondo le diverse partizioni delle opere cui si riferiscono. I numeri seguiti da una (n) valgono insieme per il testo e per le note. AGNESE (S.) 163 AGOSTINO (S.) :
n.
Confessiones {c. 3) : 43 - {8, 4) : 131.
De Civitate Dei (1, 13) : 121, 123 n, 125 - (l.3, 22) : .343 - {16, 24) : 189 - (18, 52) : 237 - {18, 53) : 237 - (20, 7) : 231, 23.3 - (20, 16) : 173, 183, 185, 189 - (20, 18) : 179, 181, 187' 189 (20, 23) : 207 - {20, 24) : 179 - (20, 30) : 189 - (21, 2): 411 - {21,4): 411 (21, 10) : 77 - (22, 15) : 303 n, 307 - {22, 17) : 309 n - {22, 19) : 325, 393 (22, 22) : 203 - {22, 26) : 203 {22, 30) : 381. De Cura pro M ortuis Agenila {I) : 87 - {3): 123 - (4) : 123 n, 125 - (Il) : 41 (12) : 41 - (13): 37, 103, 135 n, 139 - (16) : 39, 105 - (18) : 121.
De Praede,stinatione Sanctorum (2, 22) : 151. De Trinitate (3, 4) : 29, 225, 229 - (8, 5) : 265 - (13, 5) : 139 n (14, Il) : 69 - (15, 16) : 327.
De Unico Baptismate Contra Petilianum (13) : l 95. De Vera Religione {c. 12) : 377.
Enchiridion (c. 88) : 255, 275 - {c. 89) : 273, 275 - (c. 90) : 275 (c. 91) : 342 - (c. 92) : 405 - {c. 93) : 49 - (c. 109) : 33 - (c. 110): 91, 97, 105 n, 109 - (c. 115): 245. Epistulae ( 102, q. I) : 381 (140, c. 34) : 221 - (199, cc. 9-11) : 155 (205, c. 1) : 323 - {205, c. 2) : 283. Octagintatres Quaestiones (q. 58) : 235. Sermones (159) : 111. {I 7 2) : 99, I 09), 113.
Super Genesi m ad Littera m {4, 33 ss.) : 241 - (8, 20) : 161 - (12, 24) : 65 - {12, 32): 29, 65, 71, 75 - (12, 33) : 41, 47 - {12, 34) : 43 - {12, 35) : 253.
Opere Spurie : De Spiritu et Anima {15) : 57 n, 65 n, 212, 281 n {64) : 377. passim I 2 s., 42, 57 n, 59, 64n, 115, 117, 136, 226, 233, 297' 335, 385, 391. AIMONE di Halbcrstadt 251 n. (S.) MAGNO 58, 61, 98, 101, 172, 221, 225, 267, 385, 398, 405. ALCHERO di Chiaravallc 13, 66, 281. ALCUINO 157.
ALBERTO
INDICE ONOMASTICO
4:26 ALESSANDRO
di
Hales
288, 321,
374. AMBROGIO (S.) 163. ANASSAGORA 169. ANSELMO {S.) 323, 361. ANTOINE DE JESUS 419. ANTONIO (S.) 143 n. A1>or.. LINARE di 1. . aodicca ARIO 145. ARISTOTELE (il Filosofo)
Categoriae (1): 333 -
232. (2) :
271.
De Anima (1, 1): 269 - (1, 2): 327 - (1,3): 67, 229 (1, 4) : 59, 67' 69 - (1, 5) : 279 - (2, 1) : 59, 261, 263, 271, 277' 279 - (2, 2) : 159, 203, 263, 333 - (2, 4) : 277' 289, 305, 323 - (2, 5) : 329 - (2, 7) : 157' 335, 367' 401 - (2, 9) : 335 - (2, l l) : 327 - (2, 12) : 331 - (3, 2) : 371 - (3, 9) : 65 - (12, 3) : 59. De Coelo et Mundo (2, 12) : 377. De Generatione Animalium (1, 4): 291 - (1, 5): 297, 299 - ( 1, 7 ) : 31 7 - (1, 1O) : 30 3 - (I, 18) : 279, 285 - (5, 19) : 411 - (13) : 277 n - (16) : 309.
De Generatione et Corruptione (I , 6) : 79 - (2, 2) : 343 (2, 9) : 277 - (2, 11) : 263 - ( l O, 25) : 71.
De Longitudine et Brevitate Vitae (3) : 407. De Me moria et Reminiscentia (1, 2) : 65.
De Sensu et Sensato (3) : 393 - (6) : 241.
De Somno et V ìgilia (1) : 207 (I, 1); 61. Ethica (1, 7) : 313 - (1, 11) : 8 7 - ( 1, 12) : 85 - (1, 13) : 313, 329 - (2, 6) : 53 (3, 6) : 407 - (4, 5) : 407 (6, 11): 63 - (7, 14): 69,
315 - (9, 9) : 411 - (10, 5) : 313 - (10, 7) : 313, 315. Metaphysica (I, 2) : 159 (2, 1) : 215, 287 - (3, 2) : 349 - (4, 6): 361 - (7, 12) : 323 - (9, 1) : 211 - (12, 8) :
30. Physica (1,4): 411 - (2,1): 211, 265, 269 - (2, 3): 271 - (2, 5) : 385 - (3, 2) : 377 - (3, 6) : 313 - (4, 1) : 349 - (4, 4) : 31, 365 - (4, 5) : 353 - (4, 6) : 349, 363 (4, 8): 349, 351, 365, 381 - (5, 6) : 209 - (6, 4) : 381 - (6,5): 385 - (6, 6): 347 - (7) : 221 - (8, 1) : 247 (8, 7) : 379 - (8, 8) : 235. Sophystici Elenchi (6) : 355. Topica (1, 13) : 71 - (6, 6) : 411. ARRIGHINI A. 419. ATANASIO (S.) 309. AvERROÉ (il Commentatore)
157, 211, 261 n, 265, 289, 387.
AVICEBRON 255. AVICENNA 212,
267, 282, 287,
393. BASILIO {S.) 11, 63, BECKER A. 419. BEDA (S.) 29, 173, BENEDETTO XII 35. BENEDETTO XIII 94, BERNARDO (S.) 46.
309. 181, 187.
207.
G. 4:19. BILLOT L. 419. BIFFI
29, 71, 79, 313, 343, 347, 351 n. BONAVENTURA (8.) 60, 101, 174,
BOEZIO
282, 288, 348, 361. BoRos L. 419. BoULoGNE Ch.-D. BREMOND L. 419.
419.
Breviario Romano 105, 145, 162. BRINQUANT J. F. CAIO di Roma CAMILLERI M.
419.
232 s. 419.
INDICE
O~OMASTICO
427
DIONIGI (S.) 11, 53, 87 Il, 91, 97, 107, 137, 139, 143, 161, 233, 235. DoMENICo SoTo 353.
GILSON E. 143. GIOACCHINO da Fiore 237 Il. GIOVANNI XXII 34. GIOVANNI CRISOSTOMO (8.) 11. G1ov ANNI DAMASCENO (S.) 11, 87, 95, 97 n, 107, 111, 115, 133' 20 9' 213' 21 7' 21 o' 241, 247' 259. GIOVANNI Diacono 97. GIROLAMO {S.) 37 Il, 147, 149, 153 n, 231, 246 s., 309. GIULIANO (S.) 77 n. GIUSTINO (8.) 232. GLEASON R. 419. Glossa 33, 35, 43, 79, 93, 117, 135, 173, 181, 187, 195, 221, 229 Il, 231, 233, 307, 309, 325, 335, 373, 377, 397' 403, 413. GONZALES-RUiz J.-M. 19. GREDT G. 361. GREGORIO MAGNO (S.) 13, 29, 33, 35, 39, 53, 71, 73, 75, 77' 89, 97 Il, 101, 103, 107, 113, 115, 121, 137, 141, 149 n, 159, 161, 209, 213, 221, 225, 261 Il, 341, 345, 353, 367, 369, 379, 393, 395n. GUARDINI R. 419. GUGLIELMO d' Auxerre 98, 101 n,
ELIADE M. 229. EUCLIDE 355. EUSEBIO di Cesarea 13, 121, 232. EUTICHIO 261 n, 341.
GUGLIELMO GUGLIELMO GUGLIELMO GUGLIELMO
FULGENZIO (S.) di Ruspe 13.
HENRY A. M. 419.
GALENO 415. GARRIGOU-LAGRANGE R. 419. GEENEN G. 66. GELTRUDE (S.) 94. GENNADio di Marsiglia 57 n. GERARDO da Borgo 237. GERARDO da Cremona 415. GERMANO 29. GILBERTO de la Porrée 99 n.
ILARIO {S.) 309. INNOCENZO V (B.) 349. IRENEO {S.) 51, 232. ISIDORO (8.) 77, 397.
CAMPANELLA T. 419. CASSIODORO 227. Catafrigi 13. Catari 259. CAYBÉ ~,. 223. CENTI T. s. 108.
232. CHAINE J. 16. CERINTO
Chiliasti 13, 231. CLEMENTE Alessandrino 232. CoMBLIN J. 419. CONCILI:
Costanza 126. Tridentino 83, 142. Vaticano Il 14, 83. Reims 99. CULLMAN
o.
15, 17.
DANTE ALIGHIERI 21, 97. D'ARcY M. C. 419. DE BROGLIE V. 419. De Causis 357, 415 n. Decretum (Gratiani) 113.
De Eccle8iasticis Dogmatibus 35, 57 Il, 59. DENZINGER-SHONMETZER 35,
83 s., 126, 143, 207, 249. DE RUBEIS B. 80.
w.
398. di Moerbecke 333. di S. Amore 237. di Tocco 40. Preposi tino 98, 399.
JUGIE M. 419. LATTANZIO 232. LEON-DUFOUR X. 18.
INDICE ONOMASTICO
4:28 LEONE XIII LUTERO 125.
83.
SACRA SCRITTURA:
MACARIO (S.) 97. MAJOCCO L. 313, 334, MANN AIOLI D. 94. ì\IASSIMO (S.) 97.
419.
Messale Romano 145. MmALLES G. M. 419. MONETA Cremonen8e MoNSABR.É R. P. 419. NICOLA! G. 80. NIGRIS L. G. B. NOLLI G. 201. 0MEZ R. 0RIGENE
259.
235.
419. 99 Il.
PALA G. 419. PALMARINI N. 116. PAOLO VI 21, 201. PASCASIO RADBERTO 29. PÉGUES T. 69. PESCH C. 383. PIER DAMIANI (S.) 153. PIETRO Comestor 153. PIETRO Lombardo (il Maestro delle Sentenze) 8 88., 27, 53,
77, 91, 97, 99, 105, 109, 111, 113, 125, 133, 134, 159, 187, 191, 213n, 221 n, 225, 229, 247n, 251, 253, 273, 275, 287, 289, 295, 297' 303, 340, 405. PIO IX 249. PIOLANTI A. 419. PITAGORA 229. Pr.. A J. 419. PLATONE 213, 265. RABANO MAURO 157, 159, 221. RAI:.\'IONDO (B.) 313. REGINALDO da Piperno 8. RIVIÈRE J. 161. RUFJ!'INI
E. 15.
Vecchio Testamento Gen. (l): 241 - (1, 10) : 181 - (2, 7): 293 - (2, 17): 201 - (2, 22) : 285, 3G9 - (3, 19} : 201, 251 - (3, 24) : 189 (o, 2-5 ss.) : 171 -- (6, 12) : 171- (7): 173 - (7,20): 179, 187 - (7, 23): 213 (12, 4): 43 - (42, 38): 43. Es. (3, 6): 199 - {17, 4): 148 - (32, 31 88.) : 148 - (33, 12 ss.) : 148. Num. (10) : 221 - (20, 6) : 148 - (31, 22 8S.) : 169. Deut. (25, 2) : 405. 1° Re (7, 9): 148 - (12, 18): 148 - (16, 7) : 137 - (28, 19) : 18 3° Re (21, 29) : 107. 4° Re (11) : 50 - (20, 5 s.) : 107 (22, 19 s.) : 135. Giob. (1, 1 ) : 4 7 - {5, 1 ) : 14 l - (7, 9): 37 - {14, 12) : 199, 229, 239 - {14, 21) : 137 ( 17' 16) : 45 - (19' 25 88.) : 201, 259, 265 - (19, 26) : 261 345 - (19, 27) : 265 - (20, 11 ) : 253, 255 - (26, 11 ) : 161 - (28, 17) : 393, 395 Il - (37, 18): 347. Sal. (1, 5) : 205 - (6, 6) : 105 - (15, 10) : 251 - (28, 7) : 197 - (34, 13) : 95 - (35, 9) : 111 - (48, 15) : 411 - {49, 3) : 169 - (61, 13) : 81 (77' 34) : 103 - (96, 3) : 189, 195 - (1o1, 26 s.) : 177 . (148, 7 8.) : 183 - {149, 6) : 335 - (149, 8) : 4:14. Prov. {24, 12): 137. Eccle. {1, 4) : 199 - ( 12, 7) ; 17. Sap. (3, 1 ss.) : 19 - (3, 7) : 327, 377, 395 - (4, 8 s.): 303 - (5, 1 s.}: 399 - (5, 21) : 223.
IXDICE
ONO~IASTICO
Eccli. (44, 16) : 51 n - (48, 9) : 51 n. ls. (13, 8) : 414 - (14, 9-11) : 19 - (30, 26) : 157' 397 (30' 33) : 195 - (40' 31 ) : 377 - (()3, I 6) : 135 - (66, I) : 31 (00, 24) : JJ.J. Ger. (15, 1) : 145, 149. Ez. (4, 6) : 233 ( 18, 20) : 83 - ( 37' 7 s.) : 241. Dan. (3, 32) : 193 - (3, 46) : 323 - (3, 50) : 193 - (3, 94) : 193, 323 (7, 10): 195 (9, 24) : 141 - (10, 12 s.) : (10,21): 225 - (12, 145 2) : 205 - (12, 14) : 233. Os. (13, 14) : 45, 46. Gioele (I, 17) : 415 - {3, 2-12) : 21.
Giona {3, 19) : 107. Mal. (3, 3) : 195. 2° Macc. {12, 40 ss.) : 95 (12, 43, 46) : 19 - (12, 46) : 87 {15, 14 ss.) : 147. Nuovo Testamento Matt. (8, 3): 217 - (8, 26): 221 - {IO, 28) : 121 - (13, 43) : 395 - (16, 27) : 131, 155 - {17,lss): 397 {18, 10): 137 - (22, :JO): 145, 229, 275, 313 - (22, 31 s ) : 199 - (24) : 1f>5 (24, 27) : 221 - (24, 29) 161 - {24, 36) : 175, 235 (25, 6) : 231 - (25, 31 ss.) : 133 - {25, 34) : 223 - (25, 41) : 55, l 95 - {25, 46) : 407 - {27, 52 s.) : 227, 2:n - (28, 1) : 239 - {28, 20) : 235. Jfarco (9, I s.) : 397 - (13): 155 - ( 15, 29) : 275. Luca (3, 17): 197 - (6, 20): 125 - (9, 28 s.) : 307 {1o' 18) : 18 l , 189 - ( 12' 39s.): 239 - (15, 10): III - (16 22): 17, 35, 41, 43, 45 - (16, 25) : 65 - {20, 35) :
429
275 - (21) : 155 - (21, 18) : 279, 287 - (21 26): 155 - (24, 31) : 365, 401 - (24, 39) : 345, 349, 369. Giov. ( l , H)) : 21 7 - (3, 18) : 207 - (4, 36): 85- (5, 25ss.): :?07. :!:! l, :!