La Scuola Degli Dei ITA [PDF]

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Zitiervorschau

Questo Libro è per sempre

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Elio D’Anna

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La Scuola degli Dei Proprietà letteraria riservata Copyright © by European School of Economics (International Ltd)

ISBN13: : 978-88-8494-000-3

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Al Dreamer che è in me che spinge il mio Sogno ad altezze oltre il mio intelletto e ad abissi oltre le mie emozioni che mi chiama e mi comanda per rendermi libero

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INDICE

Capitolo I L‟incontro con il Dreamer 1 L‟incontro con il Dreamer 2 Il lavoro è schiavitù 3 “Sono una donna…” 4 Una specie in estinzione 5 Il risveglio 6 Cambiare il passato 7 Perdonarsi dentro 8 “Self-observation is self-correction 9 La morte non è mai una soluzione 10 La guarigione procede dall‟interno 11 I Padroni di casa 12 Judith, „la signorina‟ 13 Grazie Luisa! Capitolo II Lupelius 1 Incontrare la Scuola 2 Il mondo ci è stato raccontato 3 La Scuola del capovolgimento 4 Lupelius 5 L‟incontro con Padre S. 6 La dottrina di Lupelius 7 Offri un gallo ad Asclepio 8 Vietato uccidersi dentro 9 The School for Gods 10 Mea Culpa 11 Stati ed eventi I 12 Stati ed eventi II 13 Metti Dio al lavoro! 14 L‟arte di vegliare 15 Le cattive abitudini 16 Non ce la farai! 17 Capovolgi le tue convinzioni 18 La sindrome di Narciso 19 Un uomo non può nascondersi Capitolo III Il Corpo 1 Il mondo sei tu 2 I nani psicologici 3 Il canto di dolore 4 Il corpo non può mentire 5 Sii frugale! 6 Un mondo senza fame 7 Il mondo è come tu lo sogni 8 No war within, no war without 9 Thinking is Destiny Capitolo IV 9

La Legge dell‟Antagonista 1 La Corsa 2 I custodi di Main Street 3 I muri 4 La Legge dell‟Antagonista 5 Ama il tuo nemico 6 Impara a sorriderti dentro 7 La suite al St James 8 Prima che il gallo canti 9 A cena con il Dreamer 10 L‟amministratore disonesto 11 La vittima è sempre colpevole Capitolo V Addio a New York 1 Per le strade di Manhattan 2 Gli strumenti del Sogno 3 La menzogna 4 Addio New York 5 Chi ama non può dipendere 6 Non si può sognare e dipendere7 Un futuro di seconda mano 8 A cena con lo Sceicco 9 Fuga nella malattia 10 Il ragno e la preda 11 Il cucù dell‟esistenza 12 La bottiglia 13 I veri poveri 14 La paura è amore degradato 15 The solution comes from above Capitolo VI A Kuwait City 1 Questa è economia! 2 Dimenticare il Sogno 3 Preoccuparsi è animalesco 4 La fuga è per pochi 5 Programmare senza crederci 6 L‟Agenda 7 Pronto, chi sono? 8 Sgambetto alla meccanicità 9 Vincere se stessi 10 Il Sogno è la cosa più reale che ci sia 11 Heleonore 12 L‟adozione Capitolo VII Ritorno in Italia 1 La clausola 2 Un brusco risveglio 3 L‟ignoranza è sempre a un palmo di distanza 4 Ritorno al passato 5 L‟inquinamento psicologico 6 Nella pancia della balena 7 L‟incidente 8 La lettera. Un Re Mida al rovescio 9 Danza, perdio, danzaaa! 10 Sei vivo e sincero solo sotto minaccia! 11 La guarigione può avvenire solo dall‟interno 12 Elogio dell‟ingiustizia 13 Il mondo è creato dai nostri pensieri 14 Il passato è polvere 15 Volontà e Accidentalità Capitolo VIII 10

A Shanghai con il Dreamer 1 La perfezione non si ripete mai 2 La ragione dell'uomo è armata 3 L‟animale che mente 4 Diventa un uomo libero! 5 Il papà del Budda 6 Ciò che dipende non è reale 7 Vision and reality are one 8 La razza da impiego 9 Fai solo ciò che ami 10 La direzione terribile e meravigliosa… 11 To fall in love 12 Io sono tu! 13 Uni-verso. Verso l‟uno 14 Il Re è la terra, la terra è il Re 15 La Realtà è il Sogno più il tempo 16 Essere toccati dal Sogno Capitolo IX Il Gioco 1 Credere per vedere 2 Cambia la tua vitaaa! 3 Il Pagamento 4 Noi siamo l‟arco, la freccia e il bersaglio 5 Sono venuto a liberarti! 6 Recitare i ruoli 7 Il cammino a ritroso 8 Non sei pronto! 9 La scorciatoia 10 Comprimere il tempo 11 Gli altri ti rivelano 12 Recitare intenzionalmente. The Art of Acting 13 Il „Gioco degli Incontri‟ 14 Il nuovo paradigma 15 Il Replay 16 Aspettarsi dal mondo 17 Questo libro è per sempre! Capitolo X La Scuola 1 La Visione verticale 2 Una Scuola per sognatori pragmatici 3 Il sogno del Sogno 4 Il paradiso portatile 5 La verità economica più grande 6 Avere è Essere 7 Università significa „verso l‟uno‟ 8 La nascita della Scuola 9 La Missione della Scuola 10 Credere senza credere 11 Il Segreto del fare 12 The past is a lie 13 State is place 14 Diventa un Re, un Regno ti sarà dato 15 La Banca 16 Money is not real 17 Il Digiuno prima della Battaglia 18 L‟Asta

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La Scuola degli Dei

Questo Libro Questo libro è una mappa, un piano di fuga. Il suo scopo è mostrarvi il percorso che un uomo comune ha seguito per sfuggire al racconto ipnotico del mondo, alla descrizione lamentosa ed accusatoria dell‟esistenza, per deragliare dai solchi di un destino già tracciato. Questo libro non sarebbe mai esistito, né avrei potuto scriverne un solo rigo, se non avessi incontrato il Dreamer e il Suo insegnamento. Al Dreamer va la mia infinita gratitudine per avermi accompagnato per mano nel mondo del Sogno, nel mondo del coraggio e dell‟impeccabilità, dove il tempo e la morte non esistono e dove la ricchezza non conosce „né ladri né crimini‟. In questo viaggio di ritorno all‟essenza ho dovuto abbandonare tanta zavorra: pensieri mediocri, emozioni negative, convinzioni ed idee di seconda mano. Ho dovuto riconoscere le mie incomprensioni ed affrontare la parte più oscura di me. Tutto ciò che vediamo, tocchiamo e sentiamo, la realtà in tutta la sua varietà, non è altro che la proiezione di un universo invisibile che esiste al di sopra del nostro mondo e ne è la vera causa. Difficilmente siamo consapevoli di essere circondati dall‟invisibile, di vivere in un mondo prodotto dal Sogno, dove tutto ciò che conta ed è reale in un uomo è invisibile. Tutti i nostri pensieri, sentimenti e fantasie, sono invisibili. Le nostre speranze, ambizioni, segreti, memorie e immaginazioni, paure e incertezze e tutte le nostre sensazioni, attrazioni, desideri, avversioni, amori ed odi, appartengono all‟impalpabile, ma reale mondo dell‟Essere. L‟invisibile non è qualcosa di metafisico, di poetico o mitico, e neanche di misterioso, segreto o soprannaturale; non è una porzione stabile del mondo dei fenomeni e degli eventi, delle categorie del reale. In ogni epoca il cambiamento del momento storico, del clima intellettuale, l‟uso di strumenti più sofisticati, ne modificano continuamente i confini facendo rientrare porzioni 13

sempre più vaste dell‟invisibile di ieri, tra i legittimi soggetti della ricerca scientifica di oggi. Questo libro è la storia della „rinascita‟ di un uomo comune, epitome di una umanità decaduta, sconfitta. Il suo viaggio di ritorno all‟essenza è un nuovo esodo alla ricerca dell‟integrità perduta. La prima condizione per intraprendere questo viaggio è la consapevolezza del proprio stato di schiavitù. La radice, la causa prima di tutti i problemi del mondo, dalla povertà endemica di intere regioni del pianeta alla criminalità ed alle guerre, è che l'umanità pensa e sente negativamente. Le emozioni negative governano il mondo che conosciamo. Esse sono irreali eppure occupano ogni angolo della nostra vita. Per cambiare il destino dell'uomo bisogna cambiarne la psicologia, il suo sistema di convinzioni e di credenze. Bisogna estirpare dal profondo la tirannia di una mentalità conflittuale, fragile, mortale. La malattia più temibile del pianeta non è il cancro né l'Aids, ma il pensiero conflittuale dell‟uomo. È questo l‟architrave su cui poggia la visione ordinaria del mondo, il vero killer planetario. La direzione indicata dal Dreamer è terribile e meravigliosa, sofferta e gioiosa, assurda e necessaria come il corso di un salmone che risale il fiume controcorrente. La Sua filosofia mi apparve inizialmente come una trasgressione alle leggi naturali cui è soggetta l'intera umanità; essa è invece prevista e voluta dall'ordine universale delle cose e ne è la visione più alta. Il libro è il racconto degli anni di studio e di preparazione vissuti accanto a un „Essere straordinario‟, da Lui ho ricevuto in dono il più incredibile dei compiti: la creazione di una „Scuola‟ planetaria, un‟Università senza frontiere. Ho sognato una Rivoluzione Individuale capace di capovolgere i paradigmi mentali della vecchia umanità e liberarla per sempre dalla sua conflittualità, dal dubbio, dalla paura, dal dolore. Ho sognato una Scuola che educhi una nuova generazione di leader ad armonizzare gli apparenti antagonismi di sempre: economia ed etica, azione e contemplazione, potere finanziario e amore. 14

La Scuola degli Dei Crescendo e mutando sotto i miei occhi, come un essere in gestazione, giorno dopo giorno, „La Scuola degli Dei‟ si costruiva, ed io mi costruivo. Apparentemente ero io a scriverlo, in realtà il libro era già scritto da sempre. Le leggi del Dreamer, le Sue idee, stanno ancora scavandomi dentro e tuttora, per la maggior parte, esse restano incomprese. Come Prometeo, ho carpito una scintilla dal mondo del Dreamer e l‟ho tenuta stretta per poterla un giorno donare a uomini e donne che, come me, vorranno abbandonare i gironi infernali dell‟ordinarietà. Una volta credevo che scrivere, e soprattutto insegnare, fosse il vero dare. Ora so che insegnare è solo uno stratagemma per conoscersi, per scoprire la propria incompletezza e guarirla. “Si può insegnare solo se non si sa – dice il Dreamer – Chi realmente sa non insegna! Quello che abbiamo „compreso‟, ciò che „realmente‟ possediamo, non si può trasferire. La felicità, la ricchezza, la conoscenza, la volontà, l‟amore non possono essere acquisiti dall‟esterno, non possono essere „dati‟ ma soltanto… „ricor-dati‟. Sono beni inalienabili dell‟Essere, e per questo, patrimonio naturale di ogni uomo. Nessuna politica, religione o sistema filosofico può trasformare la società dall‟esterno. Solo una rivoluzione individuale, una rinascita psicologica, una guarigione dell‟Essere, uomo per uomo, cellula per cellula, potrà condurci verso un benessere planetario, verso una civiltà più intelligente, più vera, più felice.” Nel raccontare quanto ho appreso accanto al Dreamer ho evitato intenzionalmente di includere episodi, avvenimenti e rivelazioni che potevano eccedere la capacità di accettazione del lettore, riferendo solo quelli che, benché „rivoluzionari‟, mi sono sembrati puntuali con lo stato attuale dell‟umanità.

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La Scuola degli Dei CAPITOLO I

L‟incontro con il Dreamer

1 L‟incontro con il Dreamer A quel tempo vivevo a New York in un appartamento di Roosevelt Island, la piccola isola nel mezzo dell‟East River, tra Manahattan e Queens. L‟isolotto, come una nave all‟ancora, sembrava sul punto di sciogliere gli ormeggi per scivolare con la corrente verso la libertà dell‟oceano; ma giorno dopo giorno restava immobile nell‟oscurità ondosa del fiume. Entrai in camera per dare la buonanotte ai bambini, ma già dormivano. In punta di piedi ritornai nel soggiorno. Il silenzio della notte mi fasciava e mi nascondeva. Un senso di estraneità vicino alla repulsione mi faceva sentire un ladro penetrato nella vita di uno sconosciuto. Restai ad osservare il profilo punteggiato di luci del Queensborough Bridge. Il ponte sembrava sospeso sul vuoto immenso dei suoi atomi di metallo. Era freddo, incombente come una minaccia. Jennifer si era da poco ritirata in camera, nello stile americano che conclude un litigio. Ero tornato tardi quella sera. Ero stato al J. F. Kennedy Airport a prendere un amico che non vedevo da tempo. Dall‟incontro ricavai l‟impressione che la sua vita fosse più agiata, più felice della mia. Sentimenti di invidia, di gelosia e una rivalità cieca, rigurgiti di un passato non risolto, scattarono insieme ad una loquacità meccanica, ad un impulso a parlare senza freno. In macchina, una bugia dietro l‟altra, venne fuori una storia romanzata dei miei anni a New York. Gli raccontai dell‟impossibilità di partecipare a tutti i party cui ero invitato, dei 17

L‟Incontro con il Dreamer vernissage, delle prime teatrali, dei miei successi professionali, dei miei hobbies, e soprattutto di quanto ero felice con Jennifer. Le parole mi arrivavano in gola morte e un pianto mi montava dentro. La nausea per quel fiume di insincerità che scorreva denso, inarrestabile, il senso di impotenza a governare quella sequela di menzogne, divenne insopportabile. Avrei „voluto‟ interrompere quell‟assurda esibizione; ma più tentavo di arrestare quel disastro e più sentivo l‟impossibilità di porvi rimedio. Eravamo in due nello stesso corpo. Il pensiero di essere intrappolato in una entità bifronte, siamese, centauro, androgino, prigioniero per sempre di una simbiosi grottesca e feroce, mi atterrì. L‟aria si oscurò. Mi accorsi di aver sbagliato strada. Ci stavamo addentrando in un labirinto desolato di vie male illuminate e sempre più sporche. Le parole si smorzarono e a poco a poco un silenzio freddo si impossessò dell‟auto. Procedevo ormai a passo d‟uomo sotto scrosci di pioggia torrenziale, quando notai i fari di una macchina tallonarci ed intravidi alcune ombre fare capolino dai pilastri di una soprelevata. Mi voltai a guardare il mio amico e raggelai. Tremava senza controllo, la sua faccia era una maschera di paura. Accelerai. I battiti del cuore si erano fatti così forti da squassarmi il petto. Svoltai d‟istinto nella prima strada che trovai. Con una brusca sterzata evitai un gruppo di vagabondi stretti intorno ad un bidone in fiamme. Le ombre dei palazzi erano fauci mostruose, la gorgia di un inferno che ci stava fagocitando. Un suono di sirene spiegate lacerò l‟aria e urtò quell‟atmosfera angosciosa spezzandola. Nel retrovisore, da cui lanciavo di continuo occhiate disperate sulla macchina che ci inseguiva, vidi i fari allontanarsi fino a sparire, ingoiati dal buio. Riconobbi i segni di un quartiere più umano ed alcuni cartelli indicatori che finalmente ci riportarono a casa. Non rividi mai più quel vecchio amico. Feci il breve tratto in ascensore in compagnia di un gigante nero, un „idiota‟ che con il suo farfugliare mi accompagnò fino al sedicesimo piano. Roosevelt Island era a quel tempo un esperimento di integrazione e non era raro l‟incontro con portatori di handicap che risiedevano sull‟isola con i loro accompagnatori. L‟accoglienza che mi riservò Jennifer, i suoi capelli arricciati nei bigodini ondeggianti come serpi di medusa, la sigaretta tra le dita mentre sbraitava e misurava a passi nervosi il soggiorno, furono gli 18

La Scuola degli Dei ultimi suoi riflessi nello specchio della mia vita. Sentii la vacuità della nostra relazione e tutta la dolorosità della mia esistenza, come se il lento anestetico che mi aveva intorpidito per anni stesse d‟improvviso cessando il suo effetto. Quell‟appartamento, il rapporto con quella donna e qualunque oggetto su cui ora poggiavo lo sguardo mostravano una mediocrità insanabile. Quelle scelte che credevo espressioni della mia personalità si stavano rivelando trappole senza vie d‟uscita. Non era così che avevo sognato la mia vita! Avvertii la mia impotenza con ripugnanza. Una disperazione muta mi travolse. Un fiume gelido e denso abbatté ogni argine, ogni bugia, ogni compromesso e mi gettò come un naufrago su una sponda desolata dell‟Essere. Reclinai la fronte sulle braccia. Poi la tristezza si fece sonno. L‟interno della villa era immerso in un buio profondo appena stemperato da un presagio d‟alba. Un‟antica tela occupava la parete di fondo della grande sala. Alla fioca luce disponibile vi indovinai uno scenario silvestre con al centro una figura sognante. Come il dipinto, ogni dettaglio di quell‟ambiente, dall‟architettura agli arredi, trasmetteva un intenso messaggio di bellezza. Trovarmi in quella villa, a quell‟ora incerta tra la notte e l‟alba, era molto strano, eppure non sembravo sorpreso. Tutto mi appariva familiare, anche se ero certo di non esserci mai stato prima. La villa restava silenziosa, come assorta in un pensiero. Salii le antiche scale di pietra fino alla massiccia porta di una camera. Osservai che ero accuratamente vestito, come se dovessi incontrare un‟autorità sconosciuta. Non ricordo cosa agitasse il mio animo, ma ero ansioso e di cattivo umore. Una ridda di sentimenti alimentava il mio monologo interno come sterpi in una fornace. Mi slacciai le scarpe e le deposi sulla soglia. Anche questa operazione mi sembrò naturale. Per certo, quei movimenti, noti e necessari, erano parte di un rituale eseguito già altre volte. Mi sembrava perfino di sapere che cosa mi attendesse oltre quella porta, senza però averne la minima idea. Nel bussare avvertii un‟improvvisa inquietudine che sostituì d‟un colpo il flusso dei miei pensieri; una specie di timore riverenziale. Qualcosa dentro di me sapeva. Senza attendere risposta ai miei leggeri colpi, poggiai il mio peso sulla maniglia di ferro battuto e spinsi abbastanza da creare un varco. 19

L‟Incontro con il Dreamer Diedi un‟occhiata al camino. Il bagliore della fiamma mi fece male agli occhi, tanto che dovetti distogliere lo sguardo e chiudere le palpebre per non lacrimare. „Lui‟ era accanto al fuoco. Mi volgeva le spalle. Vidi proiettata sulla parete l‟ombra della Sua sagoma. La stanza, che il fuoco remoto lasciava in penombra, era per due lati percorsa da archi imponenti che incorniciavano finestre antiche, occhiaie di pietra aperte sul buio. Attraverso quelle a est vedevo una porzione di cielo intenerirsi dei colori dell‟alba. Stavo avanzando cautamente di qualche passo sul bianco lago del pavimento, quando la Sua voce risuonò alta e terribile raggelando ogni mio movimento e pensiero. «Sei in condizioni disastrose! – disse, senza voltarsi – Lo sento da come entri, dai tuoi passi e soprattutto dal tanfo delle tue emozioni. Sei una moltitudine, una folla di pensieri. Dove vai in questo stato? Ridotto in mille pezzi come sei, a stento riesci a vivere la tua esistenza da impiegato.» «Io non sono un impiegato» rintuzzai con forza, come a difendermi da un attacco fisico, improvviso. Chiunque egli fosse, era opportuno stabilire subito le giuste distanze tra noi. Ma l‟impeto delle mie parole si spense contro pareti di ovatta. Assalito da un timore sconosciuto, trovai a stento la voce per ribattere: «Io sono un manager!» Il silenzio che seguì si allargò nell‟Essere a dismisura; una risata beffarda mi echeggiò dentro per un tempo infinito. Poi da quell‟eternità la voce emerse di nuovo. «Come ti permetti di dire „io‟? – disse con un tono sprezzante che mi colpì come uno schiaffo in piena faccia – Nel mio mondo pronunciare „io‟ è una bestemmia. „Io‟ è la divisione che ti porti dentro… „io‟ è la tua folla di bugie… Ogni volta che affermi uno dei tuoi „piccoli io‟ stai mentendo. „Io‟ può dirlo solo chi conosce se stesso, chi è padrone della propria vita… chi possiede una volontà.» Ci fu una pausa. Quando riprese a parlare le Sue parole suonarono ancora più minacciose. «Non pronunciare mai più „io‟ o qui non potrai più tornare! Osservati… Scopri chi sei!… To be a multitude means to be trapped in an unreal, inescapable, self-created system of false beliefs and lies. That you yourself created. Lack of unity leaves man in the prison of 20

La Scuola degli Dei ignorance, fear and self- destructiveness, and causes illness, degradation, violence, cruelty and wars in the outer world. Il mondo è come tu lo sogni… è uno specchio. Fuori trovi il tuo mondo, il mondo che hai costruito, che hai sognato. Fuori trovi te! Vai a vedere chi sei. Scoprirai che gli altri sono l‟immagine riflessa della bugia che ti porti dentro, del compromesso, della tua ignoranza… Cambia!… e il mondo cambierà. Crei un mondo malato e poi hai paura della tua stessa creatura, della violenza che tu stesso hai generato. Credi che il mondo sia oggettivo… ma il mondo è come tu lo sogni. Vai nel mondo e accettali… Incontra i poveri, i violenti, i lebbrosi che ti porti dentro. Accettali… Non evitarli, non accusarli… Arrenditi al tuo mondo. Vai e accetta consapevolmente quello che hai creato: un mondo rigido, ignorante… senza vita. Il potere di un uomo è nel possedere se stesso e nello stesso tempo, arrendersi a se stesso.» Bruscamente, la voce assunse il tono ruvido di un ordine: «In Mia presenza… carta e penna! – comandò – Non lo dimenticare mai.» Il tono perentorio, quell‟improvviso cambiamento di soggetto, mi sconcertarono. Poi lo sconcerto si trasformò rapidamente in paura e questa in panico. Mi sentii sovrastato da una minaccia mortale. Ogni senso era teso allo spasimo quando sentii la Sua voce diventare un sibilo potente: «Questa volta dovrai scrivere. Carta e penna saranno la tua sola salvezza – disse – Scrivere le Mie parole è il solo modo che hai per non dimenticare… Scrivi! Solo così potrai racimolare i brandelli sparsi della tua esistenza.» Poi, come se non si fosse mai interrotto, si riallacciò alla mia ultima affermazione e rimbeccò: «Un manager è un impiegato che si sforza di credere in quello che fa; si impone una fede… è il sacerdote di un culto che, per quanto mediocre, gli dà un‟appartenenza, l‟illusione di avere una direzione. Ma tu non hai neppure questo! Pensieri, sensazioni e desideri in assenza della volontà sono schegge impazzite nell‟Essere e tu, un frammento in balia nell‟universo… » Quelle parole mi si rovesciarono addosso come una doccia fredda ed improvvisa che mi lasciò boccheggiante. La temperatura 21

L‟Incontro con il Dreamer sembrò abbassarsi di parecchi gradi e mi sentii gelare. Uno sconfinato imbarazzo, come non lo avevo ancora provato in tutta la vita, mi pervase con crudele lentezza. Il tono era un sussurro rauco, senza dolcezza. «Nelle tribù indiane d‟America c‟era una casta degli ultimi: uomini che non erano né sciamani né guerrieri; non cacciavano, non competevano né per il rango né per le donne… Erano adibiti ai lavori più umili e gravosi. Erano quelli che indietreggiavano davanti alle prove di coraggio, di incorruttibilità.» Qui si fermò. Poi, rapido, lanciò la sua stoccata. Ero paralizzato e non potei fare nulla per pararla o fermarla. «In qualunque tribù, primitiva o moderna – sussurrò con ferocia – tu saresti messo lì, a quel punto della scala… » Il colpo mi raggiunse in pieno petto. Esplosi di vergogna. Adesso non volevo neppure più che smettesse. Volevo soltanto fuggire; trovare la forza di girare le spalle, semplicemente, e sparire. Se solo uno squillo di telefono o il suono di una sveglia mi avesse tirato fuori di lì. Ma non potevo muovere un muscolo né fare un movimento. Una legge implacabile, lì, nel mondo del Dreamer, non consentiva un solo gesto né un sospiro che non avesse dignità. «Lo so, vorresti uscire dal Sogno – incalzò – Ma Io sono la realtà. La tua vita, il mondo in cui credi di poter scegliere e decidere, sono irreali… sono un orribile incubo. Sposarti, avere figli, far carriera, avere una casa, essere stimato e riconosciuto dagli altri… e tutto quello in cui hai creduto, sono feticci senza senso che hai idolatrato e messo avanti a tutto.» «Solo il Sogno è reale – affermò – Il Sogno è la cosa più reale che ci sia. Impara a muoverti nel mondo del reale. Qui le tue abitudini e convinzioni, i tuoi vecchi codici non hanno più valore... Quella che tu chiami realtà è solo apparenza, va totalmente capovolta e non c‟è nulla del vecchio che puoi portarti dietro... Dovrai imparare un nuovo modo di pensare, di respirare, di agire e di amare… » «Hai vissuto un‟esistenza senza scopo… dolorosa. Nascosto dietro un impiego, dietro la protezione illusoria di uno stipendio, stai perpetuando la povertà, la sofferenza del mondo – diagnosticò con voce dolce e severa, come alla constatazione di un danno grave – La vita è troppo preziosa per dipendere ed è troppo ricca per perdere! È ora di cambiare!» Una pausa moltiplicò la forza delle parole che seguirono. 22

La Scuola degli Dei «È tempo di abbandonare la tua visione conflittuale del mondo. È tempo di morire a tutto ciò che non ha vita. È tempo di una rinascita. È tempo di un nuovo esodo, di una nuova libertà. È la più grande avventura che un uomo possa immaginare: la riconquista della propria integrità.» Gli occhi si erano quasi abituati a quella penombra quando l‟aurora cominciò a dissipare il buio della notte. Un raggio di sole colpì la grande trave di mogano su cui poggiava la cappa di pietra. Incise e dipinte in oro, a grandi lettere gotiche, apparvero le parole: Visibilia ex Invisibilibus. 2 Il lavoro è schiavitù «Chi sei?» ebbi appena la forza di chiedere. «Io sono il Dreamer – disse – Io sono il sognatore e tu il sognato. Un attimo di sincerità, una breccia nel muro delle tue bugie, ti ha permesso di arrivare a Me.» Il silenzio che seguì allargò i suoi cerchi all‟infinito. La Sua voce divenne un fruscìo. «Io sono la libertà! – annunciò – Dopo avermi incontrato non potrai più vivere un‟esistenza così insignificante.» Le parole che seguirono sarebbero rimaste per sempre incise nella memoria. «Dipendere è sempre una scelta personale, anche se involontaria. Niente e nessuno può costringerti a dipendere, solo tu puoi farlo.» Fissandomi di proposito, affermò che l‟attitudine ad accusare il mondo e a lamentarsi era la prova più certa della incomprensione di questi princìpi. Un uomo non dipende da un‟impresa, non è limitato da una gerarchia o da un boss, ma dalla sua paura. La dipendenza è paura. «Dipendere non è l‟effetto di un contratto, non è legato a un ruolo né nasce dall‟appartenenza ad una classe sociale… Dipendere è la conseguenza di un abbassamento della propria dignità. È il risultato di uno spappolamento dell‟Essere. Questa condizione interna, questa degradazione, nel mondo prende la forma di un impiego, assume l‟aspetto di un ruolo subordinato. Dipendere è l‟effetto di una mente resa schiava da timori immaginari, dalla propria paura… 23

L‟Incontro con il Dreamer La dipendenza è l‟effetto visibile della capitolazione del Sogno.» Questa conclusione, il modo in cui aveva pronunciato ogni volta la parola „dipendere‟, la lenta scansione delle sillabe, stavano rivelandone il vero significato nascosto dalla banalità dell‟uso comune. «La dipendenza è una malattia dell‟Essere!… Nasce dalla propria incompletezza – denunciò il Dreamer – Dipendere significa smettere di credere in se stesso. Dipendere significa smettere di sognare.» Più rimuginavo quelle Sue parole e più le sentivo scavarmi dentro. Il mio risentimento si acuì fino a diventare collera. Quel Suo modo di tranciare giudizi su una categoria così vasta di persone era intollerabile. Cos‟aveva a che fare la vita, il lavoro di un uomo, con i suoi sentimenti o con le sue paure? Per me questi due mondi, interno ed esterno, erano sempre stati separati e tali dovevano restare. Credevo fermamente che si potesse dipendere fuori ed essere liberi dentro. Questa certezza alimentava la mia indignazione. «Come milioni di uomini, hai vissuto l‟esistenza nascosto tra le pieghe di organizzazioni senza vita – mi accusò − Hai barattato la tua libertà per un pugno di certezze illusorie. È tempo di uscire dal tuo sonno ipnotico… dalla tua visione infernale dell‟esistenza!» Nessuno mai mi aveva trattato così. «Chi ti dà l‟autorità di parlarmi in questo modo?» sbottai in tono di sfida. «Tu» Quella risposta, inaspettata, mi recluse in uno stato di impotenza. Provavo uno schiacciante senso di colpa. Avrei voluto nascondermi. Un‟inspiegabile sensazione di vergogna mi faceva sentire nudo di fronte a quell‟Essere che ancora non aveva un volto. Sentii l‟impulso di fuggire. Con le ultime forze tentai di recuperare quella situazione che mi stava catapultando fuori dai confini del mondo. «Ma come potrebbero le organizzazioni funzionare senza dipendenti?» dissi con pacatezza nel tentativo di ricondurre quel dialogo nei termini della coerenza e della ragione. Il Dreamer taceva. Incoraggiato dal Suo silenzio che scambiai per perplessità, o incapacità a rispondermi, incalzai: «Se non ci fossero loro… si fermerebbe il mondo… » 24

La Scuola degli Dei «Al contrario! – ribatté seccamente – Il mondo è fermo perché esistono uomini che dipendono, uomini spaventati a morte. L‟umanità così com‟è non può concepire una società libera dalla dipendenza.» Accorgendosi che il limite delle mie capacità di comprensione era stato raggiunto e superato, alleggerì il tono che diventò quasi incoraggiante. «Non temere! – disse con sarcastica sollecitudine – Finché ci saranno uomini come te il mondo della dipendenza ci sarà sempre e continuerà ad essere densamente abitato.» La pausa che seguì raggelò l‟aria tra noi. Il Suo tono da leggero ed ironico diventò duro come l‟acciaio. « Tu!… non potrai più farne parte… perché hai incontrato Me .» Sentii un bisturi di luce perforare dolorosamente strati calcificati di pensieri e ciarpame emozionale. «La dipendenza è la negazione del Sogno – continuò – La dipendenza è la maschera che gli uomini indossano per nascondere l‟assenza di libertà, la rinuncia alla vita .» Quella parola, „dipendente‟, l‟avevo ascoltata e pronunciata tante volte, ma solo da quel primo incontro con il Dreamer ne realizzai tutta la dolorosità. La condizione impiegatizia si rivelava una moderna trasposizione dell‟antica schiavitù. Uno stato di immaturità interiore, di soggezione. Attraverso uno squarcio nella coscienza, vidi masse umane condannate al destino di Sisifo, incatenate alla ripetitività senza fine di un lavoro-fatica, di un lavoro non scelto, di un lavoro senza creatività. In un flashback, rividi la facciata dell‟edificio della Rusconi a Milano, in Viale Sarca, con l‟insegna „Ingresso Dipendenti‟ torreggiante sulla lunga teoria di varchi riservati agli impiegati. Attraverso quelle strettoie immaginai uno sterminato esercito di esseri curvi, sconfitti, passare come i romani nel Sannio sotto le Forche caudine, una processione planetaria di uomini e donne che avevano smesso di credere nella propria unicità. Un presagio di morte dell‟individuo oscurò l‟aria e tutta la tristezza di quella sorte mi strinse l‟anima in una morsa d‟acciaio. Il Dreamer penetrò in questa visione con la delicatezza di chi sta avvicinando i lembi di una ferita mortale. Le Sue parole avevano un‟intonazione ieratica quando annunciò: 25

L‟Incontro con il Dreamer «Un giorno una società sognante non lavorerà più. Un‟umanità che ama sarà abbastanza ricca per sognare e sarà infinitamente ricca perché sogna. L‟universo è totalmente abbondante, è una cornucopia traboccante di tutto quello che il cuore di un uomo può desiderare... In un tale universo è impossibile temere la scarsità. Solo uomini come te, intrappolati nella paura e nel dubbio, possono essere poveri e perpetuare la dipendenza e la miseria nel mondo.» «Ma io non sono povero!» gridai con voce strozzata dall‟indignazione. «Perché dici questo?» Dentro di me giustificavo, ed affastellavo tutte le possibili ragioni per dimostrare l‟assurdità di quell‟accusa. Il Dreamer restava silenzioso. «Io non sono povero! – gridai di nuovo – Ho una bella casa, ho un lavoro da dirigente, ho amici che mi stimano… ho due figli ai quali faccio da padre e madre… » Qui mi fermai, sopraffatto da quell‟intollerabile ingiustizia e da quell‟offesa senza fondamento. «Povertà significa non vedere i propri limiti… – precisò il Dreamer – Essere povero significa aver ceduto il proprio diritto di artefice in cambio di un lavoro che non ami, che non hai scelto.» «Tu! – aggiunse quando già speravo che avesse finito – sei il più povero tra i poveri. Perché ancora non sai chi sei… Hai „dimenticato‟! A nessun altro ho dato tante opportunità per farcela. Questa è l‟ultima volta.» D‟un tratto, quel sentimento di offesa, di ingiustizia, che aveva invaso ogni angolo del mio Essere svanì, ed ogni mia difesa cedette sotto quel decisivo colpo d‟ariete. Sentii gemere i vecchi cardini su cui poggiava la mia esistenza. Le convinzioni più radicate, come templi scossi dalle fondamenta, stavano crollando. «Apri gli occhi sulla tua condizione e saprai quanto l‟uomo si sia allontanato dalla sua regalità. Siamo qui apparentemente nella stessa stanza, eppure ci separano eoni infiniti di tempo.» A quelle parole, come al bagliore di un lampo che lacera il buio della notte, ebbi la percezione della distanza da quell‟Essere. Realizzai la falsità della mia dignità offesa e l‟insignificanza di quell‟„io‟ che, come uno squittio all‟universo, avevo pronunciato davanti al Dreamer. Come il sipario su un‟opera buffa, cadde la mia 26

La Scuola degli Dei illusione di appartenere ad una classe decisionale, a una élite di uomini responsabili, dotati di volontà, indipendenti, padroni della propria vita. Avevo gli occhi lucidi. Senza accorgermene stavo scivolando nelle sabbie mobili dell‟autocommiserazione. Provvidenzialmente, il Dreamer intervenne con un ruvido massaggio all‟Essere: «Ora svegliati! Fai la tua rivoluzione… Insorgi contro te stesso!» mi ordinò scuotendomi ed offrendomi una via d‟uscita dall‟angolo di contrizione in cui mi stavo rinserrando. «Sogna la libertà… la libertà da ogni limite… Tu sei il solo ostacolo a tutto quello che puoi desiderare. Sogna… Sogna… Sogna senza posa! Il Sogno è la cosa più reale che ci sia.» 3 “Sono una donna…” Poi la Sua intonazione cambiò e la voce, da profonda e risoluta, si trasformò in quella di una donna. Quel cambiamento mi gelò il sangue nelle vene. Non era possibile! Quella voce... era... era... Il pensiero cadde in una voragine… Le parole che pronunciò, anche se non più violente, divennero insostenibili. «Sono una donna in fin di vita» disse quella voce. La pausa che seguì mi diede tutto il tempo di assaporare la nausea dolciastra di un terrore sconosciuto. Ero paralizzato, impotente a sollevare lo sguardo. Un occhio impietoso, grande come l‟intero orizzonte, si stava aprendo sul mio passato. «Sono una donna ammalata di cancro che ti maledice per il tuo abbandono, per l‟incapacità di sostenere la sua morte annunciata.» Proteso nell‟ascolto, il corpo percorso da brividi, sentivo che ogni parola stava sospingendomi verso la bocca di un baratro. Era Luisella che mi stava parlando, raggiungendomi oltre il tempo, oltre i confini della vita, con la sua dolcezza indifesa. Le terribili circostanze della sua morte, a ventisette anni, stavano ora ripresentandosi alla coscienza. La grettezza di tanti episodi della nostra vita insieme, l‟egoismo che mi aveva fatto barattare tutto e tutti contro un briciolo di sicurezza, le preoccupazioni legate al denaro, alla carriera e l‟incapacità di amarla, mi esplosero dentro in un‟unica percezione di dolore. Una vergogna infinita, quasi un 27

L‟Incontro con il Dreamer ribrezzo, mi inondò l‟anima. Cercai di staccarmi dall‟uomo che ero stato. «Questa è la „tua‟ morte – mi disse – è la morte di tutto quello che sei stato, la morte del vecchiume che ti porti dentro… Non sfuggirla… Affrontala una volta per sempre! Un uomo per „rinascere‟ deve prima „morire‟.» «Cosa significa “morire”?» chiesi. La sottomissione della mia voce sorprese me per primo e capii quanto fosse cambiato il mio atteggiamento. «Morire significa scomparire da un mondo grossolano governato dalla sofferenza per riapparire ad un livello più alto.» disse enigmaticamente. Ancora non riuscivo a capire. Una parte di me resisteva ancora. Quelle idee, quelle parole mai ascoltate prima, mi stavano dilaniando. Poi un fiume in piena travolse ogni argine e m‟inondò l‟Essere trascinando con sé i ricordi, gli amici, le mie convinzioni più radicate. Per anni avevo disperatamente studiato per essere il primo. Avevo lavorato instancabilmente per affermarmi, spinto dall‟ambizione di diventare qualcuno. Vincere, vincere… superare qualsiasi ostacolo si frapponesse tra me ed il mio obiettivo. Competere e vincere nel mondo, vincere sugli altri, era questo il principio che aveva guidato la mia vita, l‟unico in cui avevo veramente creduto... Ed ora, avrei dovuto rinnegare, annullare tutto questo? Mi sembrava ingiusto che il Dreamer condannasse i miei sforzi. Travolto dai flutti, ancora mi aggrappavo a quella voglia di emergere, a quel relitto della volontà che credevo la parte più sana, più vitale di me. «Qualunque cosa accada fuori di te deve avere la tua approvazione per manifestarsi. Questo significa che qualunque evento della tua vita è il riflesso fedele della tua volontà» disse, ed io ingoiai queste parole come boccate di ossigeno dopo una lunga apnea. Il tentativo di razionalizzare quello che stava accadendo mi fece perdere quell‟attimo di lucidità. Un‟angoscia mortale prese il suo posto. Ero quindi responsabile della morte di Luisella, ero stato io a volerla, a chiederla? «Il mondo ti muore intorno perché tu muori dentro… Una persona cara sparisce per farti realizzare la tua visione mortale dell‟esistenza che é la vera causa di tutte le tue difficoltà… Non permettere che la tua incomprensione e autocommiserazione 28

La Scuola degli Dei rendano inutile il suo sacrificio. Qualunque circostanza o evento ti permetta di capire e conoscere te stesso, anche se insopportabile, è sempre bene.» «Come posso rimediare, cambiare questa tragedia?... Darei la mia vita per questo…» «Sei un bugiardo e il tuo passato è il riflesso della tua ipocrisia e della tua immaginazione malata. The slightest change in your Being projects an entire different past history. The „now‟ moment is in fact the only point of physical experience where you can really change your personal history. With each change of your Being, you are a different person living in a different world. The illusion that you are still the same person with the same past, is because you believe yourself to still be the same person having the same past.» «With the slightest change of your inner states, the memory of your past, your future and the entire universe will simultaneously change. Your past, which you believe to have really lived, and feel to be so familiar, is just an imaginary experience that you produce in this precise instant. Remember! All possibilities lie in Now!» 4 Una specie in estinzione «Nessuno mai può prevalere sugli altri! – disse il Dreamer penetrando tra i miei pensieri sparsi come rottami – L‟idea di prevalere sugli altri è un‟illusione… un pregiudizio della vecchia umanità, conflittuale, predatoria… perdente.» La pausa che seguì mi diede per qualche istante l‟illusione di una tregua. Ma era solo il sollevarsi di un maglio pronto ad abbattersi con ancora più peso. «Tu sei l‟emblema di questa specie in estinzione – sentenziò sferrando il colpo – una specie che sta lasciando il posto ad un Essere più evoluto.» Le Sue parole stavano scavando un tunnel attraverso strati e strati di vecchiume. Sentii gli spasimi di una creatura nello sforzo supremo di nascere e disperai di farcela. Poi l‟universo si fece malleabile, fluido, fino a diventare liquido. Stavo ora nuotando in acque profonde. 29

L‟Incontro con il Dreamer «Quello che senti come un senso di morte è l‟asfissia di un‟umanità che sta cambiando pelle, di una specie sul ciglio dell‟abisso costretta ad abbandonare le sue superstizioni, i vecchi trucchi che ormai non funzionano più.» Quelle parole si scolpirono nell‟aria come un‟epigrafe universale della condizione umana. Mi vidi annaspare tra una distesa sterminata di teste altalenanti, naufraghi già rassegnati ad annegare, a lasciarsi morire. «Gli uomini, fin dai primi anni, sono educati a vivere nelle zone più desolate dell‟Essere… Messi di fronte ad un‟idea troppo grande, o a qualunque cosa che esorbiti dai limiti della loro visione, l‟avversano e tentano di rimpicciolirla pur di farla rientrare nel minuscolo contenitore della loro coscienza.» Associai a queste parole le immagini dei selvaggi del Borneo che rinsecchiscono le teste dei loro nemici per esorcizzarne la forza. La Sua voce mi sottrasse bruscamente a questi pensieri. «Per te è tempo di affrontare il „viaggio‟» annunciò con paterna gravità. C‟erano nelle Sue parole la tenerezza, l‟accoramento, ed insieme, l‟autorità di chi sa. Notai che il Suo tono si adeguava perfettamente alla mia attitudine nell‟ascoltarlo, come se mi riflettessi in uno specchio sonoro. Aspra e terribile contro le mie resistenze, violenta quanto la mia disposizione, riposante e dolce come la mia resa, la Sua voce aveva ora preso a parlarmi in tono diverso. Con un gesto teatrale, accostò la mano all‟angolo della bocca, come per farmi una comunicazione confidenziale, e sussurrò: «Di fronte ai test della vita finora non hai trovato di meglio che stordirti di lavoro o cercare rifugio nel sesso, nel sonno o in qualche letto d‟ospedale.» Poi con intenzionale rudezza, per scuotermi dalla autocommiserazione in cui stavo scivolando, disse: «Curvarsi sotto il peso di situazioni spiacevoli, di sciagure, prenderle terribilmente sul serio, significa rafforzare la descrizione luttuosa del mondo, e perpetuarne gli eventi.» «E allora, cosa avrei dovuto fare?» chiesi con la voce rotta dalla disperazione. «Se un uomo cambia la sua attitudine verso ciò che gli accade, questo nel corso del tempo modificherà la natura stessa degli eventi che incontra.» 30

La Scuola degli Dei «Our Being creates our Life» completò avvicinandosi impercettibilmente. Si trattò in tutto di pochi centimetri, ma quel movimento mi inquietò. Entrai in uno stato di allerta, di angosciosa vigilanza. Non sapevo cosa aspettarmi. Non ero mai stato così attento; come se le cellule, bruscamente destate da un sonno ancestrale, fossero ora ad orecchi ed occhi sbarrati, protese nell‟ascolto. Il Dreamer attese che la mia attenzione fosse allo spasimo, poi pronunciò le parole più insostenibili. «La morte di tua moglie è la materializzazione, la rappresentazione drammatica del canto di dolore che da sempre ti porti dentro. Stati ed eventi sono le due facce di un‟unica realtà.» Stavo venendo meno. Provai la nausea di un insostenibile senso di colpa. Una voragine senza fondo mi si allargò davanti pronta ad ingoiarmi. Stavo resistendo con tutte le mie forze alla più semplice ed insieme alla più insostenibile delle verità: ero io l‟unico responsabile di ogni evento della mia vita, ero io la sola causa di ogni sofferenza, di ogni sventura. Le luci del mondo impallidirono; stavano per spegnersi. Ero sul limite di un limbo. Lentamente vi scivolai arrendendomi ad un torpore irresistibile… 5 Il risveglio Appena sveglio non potei pensare ad altro. Fuori era ancora notte. Il traffico di Manhattan scorreva in fiumi sottili, bave luminose alimentate dalla bocca di un vulcano invisibile. Restai per qualche tempo immobile ad osservare il „mondo‟ galleggiare sulla mia coscienza col pallore di un fantasma. Una lucidità nuova, spietata, stava setacciando ogni angolo della mia vita e di quell‟appartamento. A quella velocità, mobili, libri, arredi, riflettevano la sofferenza di una vita insignificante e senza gioia. Mi strinse il cuore quella mestizia speciale che emana dagli oggetti senza più padrone. Sentii lo sforzo immane di esistere, l‟impossibilità di cambiare. Uno spasmo si associò al pensiero di incontrare i bambini, di vedere nei loro occhi la stessa morte che impregnava ogni cosa intorno. Temevo che potessero sbiadire e svanire con tutto il resto. Lavorai per ore a trascrivere quanto era accaduto nell‟incontro col Dreamer e tutto quello che avevo ascoltato da Lui 31

L‟Incontro con il Dreamer in quella villa misteriosa, nell‟appartamento dal pavimento bianco. Quell‟Essere era ormai parte della mia vita. Riportai fedelmente le Sue parole e ogni dettaglio di quell‟incontro. Non fu difficile. Mi bastava socchiudere gli occhi per vedere affiorare alla memoria ogni particolare con assoluta nitidezza. Non ero mai stato così lucido come nel tempo senza tempo trascorso accanto a Lui. Ora sapevo di appartenere al mare buio di un‟umanità divisa, inconsapevole, a una folla planetaria di sonnambuli incapaci di amare. Non avrei più potuto fingere o ignorarlo. Nelle settimane che seguirono lessi e rilessi scrupolosamente gli appunti alla ricerca di qualche traccia che potesse ricondurmi da Lui, nel Suo mondo. Dalla terrazza del Café de la France osservavo i turisti occidentali addentrarsi nel Souk. Li vedevo circolare nel dedalo delle sue strade, globuli bianchi nelle vene di El Fna. Avanzavano con difficoltà, assediati da indigeni vocianti, da una selva di mani mendiche cotte dal sole, da venditori d‟acqua bardati di otri lanuti. Giovani venditrici di monili blandivano gli stranieri di passaggio, li strofinavano come talismani cui chiedere la magia di pochi dirham. Conoscevo i loro sguardi − lame di fuoco nero − ed i sorrisi imploranti, come in un gioco d‟amanti. Da tre giorni ritornavo in quel caffè circondato dalla vita pulsante di Marrakech. Attendevo leggendo e sorseggiando tè. Mi teneva compagnia una coppia di camaleonti comprata al mio arrivo. Ogni tanto abbandonavo la lettura ed osservavo il caleidoscopico spettacolo della vita di strada, il brulicame dei commerci, il lavorìo intenso degli indigeni. Poi tornavo al mio tavolo. Cominciavo a scoraggiarmi! Il pensiero di tornarmene a New York, di prendere il primo volo e non pensarci più, ricorreva frequentemente man mano che passavano le ore ed i giorni. Stavo ancora tentando di raccapezzarmi, di trovare il bandolo di quanto mi stava accadendo. Ero partito per incontrarLo senza altra indicazione che il nome di quella città, una manciata di palme e di case rannicchiate tra le labbra infuocate del Sahara. Dopo aver ricevuto il Suo messaggio, avevo esitato a lungo prima di partire. Mi sembrava una pazzia attraversare l‟oceano per andare ad incontrare un Essere fantastico di cui neppure sapevo il nome. Mille difficoltà erano insorte ed avevano congiurato ad avversare quel viaggio. Soprattutto mi era apparso impossibile 32

La Scuola degli Dei trovare il modo di giustificarlo a Jennifer. Giorno dopo giorno avevo rimandato la decisione. Poi il bisogno di riprovare quel senso di guarigione che avevo sentito solo accanto a Lui, il timore di perdere quell‟unica possibilità di ritrovarLo, ebbero il sopravvento e decisi di partire. Mi aiutò a prendere questa decisione la mia confidente, l‟unico essere umano al quale avevo parlato del Dreamer e del mio incontro con Lui: Giuseppona. «Vai, figlio» mi incoraggiò nel suo linguaggio essenziale, dal forte accento napoletano, quando andai a parlargliene nella sua cameretta «Trovalo! Questo Dreamer mi sembra una brava persona.» Giuseppona mi aveva visto nascere. Era da sempre parte della famiglia, ed aveva aiutato Carmela a partorirmi. Con lei avevo mosso i primi passi, con lei accanto avevo affrontato i primi giorni di scuola. Ogni mattina, accompagnandomi, ascoltavo da lei la storia sempre nuova dei vicoli e della gente di Napoli. Da lei suggevo ed assimilavo gli umori, le leggende e gli eroi di quella città dal cuore antico, propaggine immemore di civiltà indossate l‟una sull‟altra, come il costume a sbuffi di pulcinella, diventate poi strati della sua pelle. Con Giuseppona, le sentivo ancora vive e pulsanti; sotto toppe e sbrindelli vedevo trapelare bagliori di ori e sete preziose. Ancora ricordo il mio imbarazzo quando, nei giorni di pioggia, irrompeva in aula a metà mattinata, dopo aver travolto custodi e bidelli, per cambiarmi le calze e le scarpe bagnate. Crescendo non volli più che mi tenesse per mano e, per qualche tempo, ancora mi accompagnò, seguendomi a distanza. Da adolescente, fu la mia confidente in tutte le questioni di cuore. Il suo laconico giudizio: “Tanto chella non faceva per te!”, per anni concluse consolatoriamente le mie delusioni d‟amore. Adorò Luisella dal primo giorno, e quando ci sposammo ed avemmo la prima bambina venne a stare con noi. Fu la migliore governante che avremmo potuto desiderare per Giorgia e Luca cui fu sempre legata da un affetto e una devozione senza limiti. Autodidatta, decisa e combattiva, dal carattere ruvido e un po‟ dispotico, Giuseppona era bassa e tarchiata. La struttura fisica ed i tratti decisi le davano un aspetto da amerinda, a metà tra una vecchia squaw ed un capo indiano. E di un capo aveva la dignità e il coraggio. Era lenta, pesante, ma dovunque arrivasse metteva ordine. Con lei non mancava mai nulla. Il suo giudizio, cui in tanti momenti della mia vita avevo attinto, era una miscela irripetibile di buon 33

L‟Incontro con il Dreamer senso e di saggezza popolare. La sua presenza ha portato gioia e buonumore dovunque mi abbia seguito, in ogni parte del mondo, ed è stata un riferimento costante per tutta la mia vita. Quando Luisa si ammalò e poi mancò, fece da mamma ai miei figli, senza venir meno un giorno. Non potrò mai ripagare il debito di gratitudine, né esprimere che cosa quest‟Essere ha rappresentato per quattro generazioni della mia famiglia. Cara Giuseppona, ti porterò nel cuore, per sempre. Giunto a Marrakech, ogni mia ricerca del Dreamer era risultata vana. Arrivato al terzo giorno, non ero neanche più certo che il sibillino biglietto che mi aveva portato fin lì fosse Suo. Avevo occupato le lunghe ore di attesa girovagando per la città alla ricerca di qualche indizio. Per due notti, di ritorno all‟Hotel dopo un‟intensa giornata di ricerche risultate infruttuose, avevo ripassato mentalmente ogni dettaglio del nostro incontro alla ricerca della più piccola traccia che potesse portarmi da Lui. Quella mattina stavo attraversando ancora una volta il cuore del Souk, quel dedalo ombroso di stradine odorose di spezie, i sorrisi levantini di cento mercanti mi invitavano ad entrare nei loro empori, in botteghe e negozi sovraccarichi di mercanzia improbabile. Si trattava per lo più di cianfrusaglie arrivate lì e disposte in ordine sparso, come relitti dopo un naufragio. La teoria interminabile di questi antri commerciali, spesso inospitali, bui come celle di arnie, faceva da ripa ad un fiume umano che scorreva trascinando con sé nazionalità, etnie, colori e lingue del mondo. Un uomo dall‟abbigliamento pittoresco, un mustafà corpacciuto uscito dalla matita di Disney, seppe attirarmi nella sua bottega, tra la delusione e l‟invidia dei vicini. Aveva un viso bonario ed intelligente, gli occhi furbi e maliziosi. L‟interno del negozio si rivelò insospettabilmente spazioso. Assistito da due aiutanti, lo mise letteralmente all‟aria per trovare qualcosa che potesse interessarmi, un oggetto da vendermi. Srotolò cento tappeti e lucidò sulla manica, prima di darmeli da esaminare, un bazar di oggetti di ottone e d‟argento. Dopo lunghi tentativi e un numero incalcolabile di tè, che gli usi locali non permettono di rifiutare, avevo ormai deciso di uscire. Da un ultimo scaffale, estratto da una montagna di cianfrusaglie, venne fuori uno scrigno di legno e di avorio. Era così finemente intarsiato, le sue proporzioni così perfette, che non 34

La Scuola degli Dei riuscivo a staccarne gli occhi mentre il mercante, capito il mio interesse, ne accresceva le lodi e, mentalmente, il prezzo. Sul coperchio dello scrigno, incisa a caratteri gotici, lessi la scritta: Visibilia ex Invisibilibus. Tutto ciò che vediamo e tocchiamo nasce dall‟invisibile. 6 Cambiare il passato Dal Souk ero tornato al Café de la France a ricuperare i miei piccoli compagni verdi e squamosi e ora, affacciato alla ringhiera, stavo riflettendo su quanto era accaduto. «La prima regola per affrontare il deserto è viaggiare leggeri» qualcuno disse alle mie spalle. Sobbalzai al suono di quella voce. Per quanto avessi atteso quel momento e per quanto avessi desiderato rivederLo non potei trattenere un moto di spavento. Sentii con raccapriccio l‟ignoto, il miracoloso alitarmi sul collo. Solo a fatica e voltandomi molto lentamente, trovai il coraggio di guardarLo. Il Dreamer mi sorrideva. Il Suo look era quello di un ricco aristocratico viaggiatore d‟altri tempi. Aveva l‟aria annoiata ed i modi pigri di uno snob, ma la Sua voce tradiva una inesauribile energia. Quando cominciò a parlare riconobbi il Suo tono deciso, apparentemente ruvido. «Alleggerire l‟Essere richiede un enorme lavoro – mi premunì entrando in argomento senza preamboli – Richiede l‟abbandono di tutto quello che genitori, educatori, maestri di sventura, profeti del disastro, ti hanno imposto. From them we have learned how to get into victim consciousness; how to get into misery, poverty and sickness… » Poi, avvicinando lentamente il Suo viso al mio, aggiunse: «Da loro abbiamo imparato i mille modi per morire. Dagli albori della civiltà, attraverso un „contagio generazionale‟, milioni di uomini, sigillati in un sonno ipnotico, hanno imparato a credere ciecamente nella scarsità e nel limite.» «Perché? – chiesi – Perché non dovremmo scegliere la vastità, l‟assenza di ogni limite… Perché non dovremmo scegliere la vita? »

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L‟Incontro con il Dreamer «Perché l‟uomo è irrimediabilmente ipnotizzato. Dietro ogni sua sventura, c‟è il male dei mali: la fede incrollabile nella ineluttabilità della morte… Il primo passo verso la libertà, il più difficile, è realizzare che questa paura governa tirannicamente tutta la sua vita.» Queste parole, la gravità del tono accentuata da quel Suo movimento di avvicinamento, mi misero in uno stato di agitazione. Come nei culti e negli spettacoli sacri delle antiche civiltà, la Sua teatralità trasformava il più semplice atto in un gesto magico, in un evento cosmico dal forte potere creativo. «Il tuo passato è un castigo di Dio!» denunciò il Dreamer con voce roca. E si fermò. Quella pausa fu particolarmente lunga, come se, per poter andare oltre, attendesse un segnale che tardava ad arrivare. Poi disse: «Occorre riscattarlo… redimerlo… Occorre cambiarlo!» «Cambiare… il passato?» chiesi. «Nel tuo passato ci sono ancora troppi buchi… conti in sospeso, debiti interiori mai pagati, sensi di colpa, vittimismo, e soprattutto angoli oscuri dove regnano ruggine e polvere» elencò, rovistandomi come un cassetto ingombro di cianfrusaglie. «Il tuo Essere è un negozio mal gestito, con i prezzi messi a casaccio – commentò – ciò che ha valore si svende e la chincaglieria ha prezzi elevati. Andare avanti in queste condizioni significa fallire…» Avrei voluto porre un argine alla forza dirompente di quelle parole che mi incalzavano senza darmi un attimo di tregua. «Ma com‟è possibile modificare il passato, situazioni ed eventi già accaduti?» chiesi per difendermi, per deviare quel fiume che mi investiva di una responsabilità insostenibile. «Esiste un luogo dove pensieri, sensazioni, emozioni, azioni ed eventi, sono registrati per sempre e anche dopo anni possiamo ritrovarli come oggetti accantonati in soffitta, apparentemente inattivi, inermi. In realtà essi continuano ad agire e a condizionare tutta la nostra esistenza. È lì che devi ritornare!» Aggiunse che questo avrebbe richiesto una lunga preparazione. «Quanto lunga?» chiesi con l‟eccitazione ed il timore di chi ha davanti un viaggio avventuroso. «Ci vorranno almeno tanti anni quanti sono stati quelli di cattiva gestione» fu la lapidaria risposta che bacchettò allo stesso tempo la mia condotta di vita e la presunzione della mia domanda. 36

La Scuola degli Dei Un bruciante sentimento di offesa scattò come un riflesso psicologico condizionato e pervase ogni angolo dell‟Essere. Poi, rapidamente com‟era insorto, si ridusse ad un brontolio e sparì. Il Dreamer si era seduto ad uno dei tavolini. Con un cenno mi indicò un posto accanto a Lui. Il silenzio che seguì durò a lungo e divenne più profondo a mano a mano che la sera smorzava i mille suoni che animano El Fna. 7 Perdonarsi dentro Il tramonto lanciava i suoi ultimi bagliori. Nel cobalto digradante del cielo Orione era già visibile. La temperatura si era abbassata improvvisamente ma il Dreamer non diede segno di risentirne né di voler rientrare. Tutto indicava che stava per aprirsi un nuovo, importante capitolo del mio apprendistato. Tirai fuori penna e taccuino, deciso a prendere nota di ogni Sua parola nonostante il buio incipiente in cui il terrazzo stava rapidamente sprofondando. Quel gesto mi fece sentire immediatamente a mio agio. Capii l‟importanza di avere sempre con me carta e penna. Carta e penna significava ri-cordare, recuperare, raccogliere parti di me disperse nel mondo, lontano da Lui. Scrivere mentre Gli ero davanti, annotare le Sue parole, significava entrare in punta di piedi in zone inaccessibili dell‟Essere. La Sua voce mi colse in flagrante. «Per conquistare quella speciale condizione dell‟Essere fatta di libertà, di conoscenza, di potere… occorrono anni di lavoro su se stessi… occorre „perdonarsi dentro‟» disse, sottolineando con una particolare inflessione della voce questa espressione che subito mi sembrò estranea al carattere guerriero ed al linguaggio inesorabile del Dreamer. Con uno sguardo si accertò che stessi annotando fedelmente le Sue parole. Attese che completassi, poi continuò: «„Perdonarsi dentro‟ non è l‟esame di coscienza di un santo stupido, ma il vero fare di un uomo d‟azione, il risultato di un lungo processo di attenzione… di autosservazione. Significa entrare nelle pieghe della propria esistenza là dove è ancora lacerata… Significa lavare e curare le ferite ancora aperte… saldare tutti i conti in sospeso… » Poi, assumendo un atteggiamento teatralmente guardingo e abbassando la voce, come per cautelare un segreto, mi confidò: 37

L‟Incontro con il Dreamer «Perdonarsi dentro ha il potere di trasformare il passato con tutta la sua zavorra.» Infinite volte rimestai tra me queste parole dal significato incomprensibile. «Tutto è qui, adesso! Passato e futuro stanno agendo insieme in questo istante nella vita di ogni uomo.» Queste parole mi riempirono di un‟inspiegabile, irragionevole felicità. Ero di fronte ad una visione senza limiti. Passato e futuro non erano mondi divisi ma connessi ed inseparabili. Una sola realtà. „Perdonarsi dentro‟ era una macchina del tempo... per poter accedere a un tempo passato che nella visione ordinaria non c‟era più, e a un tempo futuro che era ancora da venire… «Capisco che il passato possa agire sulla nostra vita, ma il futuro?…» chiesi. «Il futuro, come il passato, è sotto i tuoi occhi, ma tu ancora non puoi vederlo.» Fu allora che mi parlò di un „tempo verticale‟, di un „corpotempo‟ che comprimeva passato e futuro in un solo istante. Un tempo senza tempo la cui porta di accesso è quest‟attimo. Il segreto è non distrarsi, non allontanarsene mai. Accedere a questo „corpotempo‟ significava poter cambiare il passato e disegnare un nuovo destino. Provai un irrefrenabile entusiasmo. Avrei voluto che quell‟avventura cominciasse subito... Lo volevo con tutte le mie forze… Ma il mio slancio non ebbe il tempo di abbozzarsi che già lo sentii spegnersi sotto le severe parole del Dreamer. «Per uomini come te è impossibile perdonarsi dentro!» Il tono era quello di un giudizio senza appello. «Per entrare nel proprio passato e guarirlo, occorre una lunga preparazione. Solo un lavoro di Scuola può renderlo possibile.» «„Perdonarsi dentro‟ è un ritorno a se stessi, è la vera ragione per cui siamo nati – affermò in tono conclusivo il Dreamer – Gli uomini non dovrebbero mai interrompere questo processo di guarigione.» Il Dreamer mi premunì avvertendomi che questo mi avrebbe richiesto grandi sforzi e, prima di ogni altra cosa, un lungo lavoro di autosservazione.

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La Scuola degli Dei 8 “Self-observation is self-correction” «Self-observation is self-correction… Un uomo può guarire qualunque cosa del suo passato se ha la capacità di „osservare se stesso‟» affermò il Dreamer e proseguì rimarcando come la condizione dell‟uomo non fosse che un effetto della sua incapacità di conoscersi, e prima ancora, di osservarsi. «L‟autosservazione è uno sguardo dall‟alto sulla propria vita! − la definì il Dreamer e precisò − È come far passare eventi, circostanze, relazioni del passato, sotto un raggio di luce.» Per quello che potei capire, „conditio sine qua non‟ dell‟autosservazione è la capacità di condurla in modo imparziale e senza moralismi. Auto-osservarsi per il Dreamer significava far scorrere la propria vita non davanti ad un tribunale giudicante, ma sotto i raggi X di un‟intelligenza distaccata, di un testimone neutrale che doveva limitarsi ad osservare, astenendosi rigorosamente dall‟emettere qualsiasi giudizio o dal formulare critiche. Lontanamente, questo mi fece pensare ad alcuni esperimenti di psicologia dell‟organizzazione di cui avevo appreso quando ancora studiavo alla London Business School. Alcune grandi imprese avevano ottenuto miglioramenti eccezionali della produttività attraverso il wondering management (come era stato battezzato dai ricercatori). Questo si fondava sull‟attenzione e propugnava la funzione di un management errante. Il compito di un wondering manager consisteva appunto nel „vagare‟, nel far sentire la sua presenza in tutti gli angoli dell‟impresa, anche i più remoti. La Sua voce mi distolse bruscamente da quei ricordi e dalle mie riflessioni, prelevandomi di peso dalle aule londinesi della LBS. «Self-observation is self-correction» ripeté il Dreamer. «L‟autosservazione è guarigione… una conseguenza naturale del distacco che si crea tra osservatore e osservato. L‟autosservazione permette ad un uomo di vedere tutto quello che lo tiene incollato al tapis roulant del mondo: pensieri obsoleti, sensi di colpa, pregiudizi, emozioni negative, profezie del disastro... È una operazione di distacco, di de-ipnotizzazione, di risveglio… La più piccola sospensione dell‟azione ipnotica del mondo, sgretolerebbe tutto quello in cui ha creduto, farebbe cadere gli apparenti equilibri e le certezze illusorie affastellate nel corso di una vita.» 39

L‟Incontro con il Dreamer «Per questo la maggior parte degli uomini non potrà mai accedere all‟autosservazione − sentenziò − Distaccarsi dalla descrizione del mondo, sia pure per un attimo… è un‟impresa al di là dei limiti ordinari.» Mi fissò intensamente, a lungo. Stava spostando il mirino del discorso nella mia direzione. Un nodo allo stomaco anticipò la dolorosità di quello che stava per accadere. «Metti in funzione l‟osservatore che è in te! L‟autosservazione è la morte di quella moltitudine di pensieri ed emozioni negative che governano da sempre la tua vita. Se ti osservi dentro, ciò che è giusto comincia ad accadere e ciò che non lo è comincia a dissolversi.» In uno sguardo colse la mia espressione di sgomento e aggiunse: «Nessuno potrebbe farcela da solo. Incontrarti con te stesso, con la tua menzogna, avventurarti nei labirinti dell‟Essere senza una preparazione impeccabile, ti ucciderebbe all‟istante.» Quelle Sue parole risuonarono come una condanna. Temetti che mi abbandonasse, che giudicasse il mio caso disperato e ogni ulteriore impegno a mio favore inutile. Insorse in me una determinazione disperata, eroica. La mia prontezza lo lasciò riflessivo. Lentamente assunse una delle Sue posture originali. Distese l‟indice ed il medio della mano destra e li tenne uniti, premuti contro la guancia. Poi appoggiò il mento sul cavo del pollice, mantenendo la testa leggermente inclinata. Restò così, assorto, per un tempo interminabile. Non sembrava guardarmi, ma ero certo che neppure uno dei miei pensieri Gli stava sfuggendo. Stavo giocando il finale di una partita decisiva, forse l‟ultima. Tutto dipendeva da me. Attesi. Finalmente il Dreamer uscì dalla Sua immobilità. «Guarda... è luna piena – disse, puntando l‟astro con un lieve cenno del mento – Un uomo potrà vederne al massimo mille in tutti i suoi anni, ma con ogni probabilità alla fine della sua vita non avrà trovato il tempo di osservarne nemmeno una... Eppure è esterna. Immagina quanto è più difficile per un uomo osservarsi, invertire la direzione della propria attenzione. L‟autosservazione è solo l‟inizio dell‟arte del sognare.» Restammo silenziosi a lungo. Il terrazzo del Café de la France, proteso nel buio, era la prua di una starship pronta a fendere 40

La Scuola degli Dei il cielo stellato. A bordo non c‟eravamo che noi... solitari argonauti dell‟Essere. «Preparati – mi avvisò nel tono deciso di un uomo d‟azione – non sarà una passeggiata.» Ascoltai attentamente le Sue ultime raccomandazioni. Il Dreamer sarebbe stato ancora al mio fianco. Freddamente mi espose il rischio di restare intrappolato in una specie di limbo mentale dove il passato non è ancora compreso, abbandonato, ed il nuovo non si è ancora formato. Da quella fascia spazio-tempo non avrei avuto alcuna possibilità di ritornare nel mondo del Dreamer. Evidenziò che quello poteva quindi essere il nostro ultimo incontro. «Il passato di un uomo comune... di un uomo che non ha ancora avviato neppure i primi passi verso l‟unità dell‟Essere, è disseminato di uncini – disse – Essi lo artigliano al minimo tentativo di entrarvi e di portare cambiamento…» Furono queste le ultime parole che potei ascoltare. Come un‟imbarcazione che scioglie gli ormeggi, ebbi la sensazione che la terrazza beccheggiasse e che gli oggetti intorno cominciassero ad allontanarsi. “Ci siamo” pensai, facendomi coraggio. Sentivo con difficoltà quello che il Dreamer mi stava dicendo, come se la Sua voce fosse coperta per lunghi tratti dal rumore di invisibili motori. Il terrazzo si trasformò in una macchina del tempo. L‟universo si sospese, il nastro del tempo si riavvolse e null‟altro al mondo sembrò essere più importante di quel nostro viaggio, a ritroso nella coscienza e nel mio passato. Ebbi l‟impressione di scivolare nel buio impenetrabile di un tunnel, come se la nostra „macchina‟ stesse attraversando una geologia interiore: strati e strati calcificati di esistenza. Dall‟oscurità, un primo frammento della mia vita affiorò, come un‟isola. Seguii il suo avvicinarsi ed ingrandirsi con la sensazione di entrare in un mondo familiare e al tempo stesso arcano, misterioso, ai limiti dell‟ignoto. Nel tempo lineare erano trascorsi solo pochi anni dagli eventi che con il Dreamer stavo rivisitando, eppure quella parte del mio passato mi appariva incredibilmente remota.

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L‟Incontro con il Dreamer 9 “La morte non è mai una soluzione” Luisella era morta a ventisette anni. Un melanoma le aveva lentamente scavato un buco in una gamba come un bambino che gioca a bucacieca sulla spiaggia. I contorni del mondo si fecero ancora più confusi, come se vedessi attraverso gli occhi pesti di un pugile. Per mesi provai solo rancore: un risentimento sordo a metà tra rabbia e paura. Stordimento, dolore... Buio!... Criminale complicità di pensieri ed emozioni... Schegge impazzite dell‟Essere… Una lama di luce trafigge il buio della mia esistenza. Dolore, stordimento… Buio! … Uno squarcio… Dietro: buio... e dolore…ancora! … Gli volo incontro, si avvicina, grandeggia, il pianeta opaco dei miei anni passati… Atterrare…ma dove? Non c‟è uno spazio, non un varco, non un solo millimetro quadrato di sincerità… nel deserto roccioso dei miei pensieri. Un budello mi ingoia… Buio… Dolore... Stordimento! … La cameretta di un ospedale di provincia… odore di creolina… puzza di malattia e di impotenza. Una figura affranta, è inginocchiata davanti ad un essere disteso, immobile… Mi avvicino… quell‟uomo spaventato… sono io!

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La Scuola degli Dei Questa è la scena che stavo osservando col Dreamer. L‟austerità di quella presenza marmorea, già estranea, gettava una luce spietata su quel piccolo uomo avvilito, ne denunciava l‟anacronismo. Ascoltai la moltitudine confusa che affannava il suo Essere; la folla tumultuante dei pensieri, dei desideri piccoli, delle emozioni che gli si agitavano dentro con una parvenza d‟anima. Attraverso gli occhi del Dreamer, come sotto l‟effetto di un allucinogeno, „vedevo‟ oltre le sembianze, il grumo di egoismo e di paura cui quell‟uomo si era ridotto. «È un fantasma che piange la propria morte» commentò con spietatezza il Dreamer indicandolo con un cenno del mento. «La paura, la sofferenza, l‟angoscia, non sono l‟effetto ma la causa vera di tutti i suoi guai.» Il Dreamer mi stava rivelando il male dei mali, la fonte di ogni sventura, individuale e sociale, locale o planetaria! «Il caos che ogni uomo si porta dentro, il suo inferno, si proietta nel mondo materializzandosi in faide, discriminazioni e guerre tra razze, ideologie, credenze, religioni.» L‟emozione di quella scoperta si intrecciò all‟orrore, alla pietà, alla vergogna, quando notai in quell‟uomo i segni marcati di un precoce invecchiamento. «Quell‟uomo soffre non perché è davanti ad un evento luttuoso, doloroso, ma è davanti a quell‟evento perché ha scelto la sofferenza come sua condizione naturale» denunciò lapidariamente il Dreamer. Realizzai che tutto quello che era stato e tutto quello che sarebbe avvenuto nella mia vita era già lì, compresso in quell‟istante, come la secolarità di una quercia è racchiusa nel suo seme. Ogni dettaglio denunciava l‟incuria, l‟abbandono, il vecchiume della sua vita. Avrei voluto fare qualcosa, avvertire l‟uomo che ero stato della nostra presenza. Avrei voluto entrargli dentro per mettere le cose a posto; infondergli un po‟ di dignità, fargli raddrizzare la schiena curva, cancellare quella smorfia di dolore dal viso… «È impossibile intervenire! Non puoi farci nulla!» mi prevenne il Dreamer. La Sua intonazione era diventata impercettibilmente più dolce. «Quell‟uomo ama soffrire!… Potrebbe giurare il contrario, ma in realtà non uscirebbe dal suo inferno per nulla al mondo.» 43

L‟Incontro con il Dreamer Ero attonito, incapace di credere a una tale mostruosità. Il Dreamer colse quella smorfia d‟incredulità nel mio viso e aggiunse: «Indulgere in quello stato gli permette di restare aggrappato al mondo, lo fa sentire sicuro. Pur nella dolorosità della sua condizione, è cullato dall‟illusione che un aiuto possa arrivargli dall‟esterno… Se potesse osservarsi… se potesse modificare di un solo atomo la sua attitudine, le sue reazioni… se avesse la capacità di innalzare di un solo millimetro un pensiero,un‟emozione, tutta la sua vita sarebbe trasformata…» Qui, teatralmente, modificò la Sua voce in un sussurro potente. Quel repentino cambiamento di tono acuì allo spasimo la mia capacità di ascolto. «A man cannot change the events of his life but only his way to take them.» «Mi avevi detto che il passato si può cambiare… » obiettai in tono d‟accusa. Uno struggente senso di delusione, un‟onda di disperazione mi stava montando agli occhi, come un pianto. «Questo che vedi, questo frammento della tua esistenza su cui vorresti intervenire, non è il tuo passato − ribatté seccamente il Dreamer − È il tuo futuro!» «Tutto si ripete nella tua vita… Gli eventi ricorrono, sempre gli stessi, perché tu non vuoi cambiare… Ancora ti lamenti, ancora accusi il mondo, convinto che qualcuno dall‟esterno possa nuocerti o essere la causa delle tue sventure… L‟uomo ordinario imprigionato nella circolarità del tempo non ha un vero futuro ma solo un passato che ricorre e ricorre… Ora stai „vedendo‟ attraverso i Miei occhi! Un giorno, quando ne avrai la responsabilità, saprai che il tuo vittimismo non è una conseguenza ma l‟origine di tutte le tue sventure… che tu, solo tu, sei la causa di tutto questo… Solo allora potrai portare luce nel tuo passato e potrai guarirlo.» Eravamo nella camera ardente. Accanto a quello di mia moglie, altri corpi giacevano immobili. Nessuno era giovane come Luisa. In quel silenzio echeggiarono parole che non avrei più dimenticato. «La morte di questa donna è l‟immagine speculare dei tuoi stati d‟Essere, delle tue morti interne.» Per quanto il Dreamer mi avesse predetto le difficoltà che avrei incontrato ripercorrendo i solchi della mia storia, rivivendola 44

La Scuola degli Dei con Lui accanto, mi sentii schiacciare dal peso della Sua visione. La responsabilità che ne germinava era insostenibile. Come potevo accettare di essere l‟ideatore, il regista di quel film dell‟orrore che chiamavo la mia vita? «La morte è immorale – annunciò con voce ferma – è innaturale… La morte fisica è solo la materializzazione di milioni di morti che ogni giorno avvengono dentro di noi; è la cristallizzazione di una fede presa in prestito da un‟umanità che indugia nel dolore e che ama soffrire.» «Gli uomini hanno fatto della morte la loro via di fuga – incalzò implacabile, noncurante del mio annaspare – Sanno perfettamente cosa fare per sopprimersi... conoscono tutte le tecniche… Il corpo è indistruttibile!… Eppure hanno reso inevitabile l‟impossibile… Un uomo non può morire, può solo uccidersi! Per riuscirci deve mettercela tutta e fare dell'autosabotaggio, dell'impegno a nuocersi, un lavoro…» Qui si fermò per cercare le parole che potessero superare le mie resistenze, la rudimentalità del mio ascolto e aggirare il muro ipnotico che opponevo a quelle idee rivoluzionarie dal potere sconosciuto. «La morte è sempre un suicidio – affermò imprimendo a quell‟aforisma la forza di un grido di battaglia – Quando questo modo di pensare diventerà carne della tua carne, capovolgerà la tua visione e con essa la tua realtà.» Il Dreamer stava attaccando convinzioni millenarie, la fede incrollabile condivisa dalla totalità degli esseri umani affratellati dalla comune condizione di morituri, dalla universale convinzione che la morte è naturale e inevitabile. Quelle parole mi resero violento, cattivissimo, come se qualcuno mi stesse strappando d‟un colpo quanto avevo di più prezioso. Qualcosa mi squarciò l‟Essere. Un grido muto, incontrollabile, mi echeggiò dentro e permase nel sottofondo come un brontolio di rancore. «In questo attimo miliardi di uomini pensano e sentono negativamente, intrappolati come te, nel tuo stesso risentimento» disse. Sentendolo penetrare nei recessi dell‟Essere che credevo più segreti ed inaccessibili, provai una vergogna infinita, come se mi avesse sorpreso a rubare. «È questo lo stato d‟Essere che impedisce all‟umanità ogni possibilità di fuga dai gironi più dolorosi dell‟esistenza» annunciò con una vena di amarezza. 45

L‟Incontro con il Dreamer Poi, in tono conclusivo, tirando le fila di quella memorabile lezione, disse: «Gli uomini venerano la morte e non la abrogherebbero mai, neppure se potessero, perché la considerano la soluzione di ogni loro problema, la fine delle sofferenze e delle mille morti psicologiche che essi stessi si infliggono… ma la morte non è mai una soluzione!» La nebbia ipnotica si diradò, la visione si fece chiara. E mentre le parole del Dreamer divenivano reali, la morte di Luisella, in quella stanza parata di nero, con le altre salme allineate nei lettucci circondate da ceri, mi appariva irreale, come una macabra messa in scena. 10 La guarigione procede dall‟interno Proseguendo quel viaggio a ritroso nel passato, approdammo al periodo degli ultimi mesi di vita di Luisa. Mi rividi nell‟ottusa, inconsapevole recita del marito addolorato, del capo famiglia non ancora trentenne, già curvo sotto il peso di una disgrazia troppo grande. Osservai quel piccolo uomo autocommiserarsi, accusare, recriminare, rimpiangere. Lo vidi astioso, in preda a livori, a rancori; perso in immaginazioni malate; palpitante d‟ansia, il cuore stretto tra gli artigli implacabili dei suoi sensi di colpa. Ascoltai il suo canto di dolore, quell‟incessante atto d‟accusa verso il mondo e gli altri. Finché non potei reggere oltre. «Perché tutto questo? Che cosa ci faccio qui?» gridai al Dreamer, sentendomi schiacciare dalla vergogna di quella visione. Avrei voluto girare le spalle e fuggire, ma non potei muovere un muscolo. Con inaspettata gentilezza il Dreamer mi rinnovò lo scopo di quel viaggio: portare luce nel passato, ritornarci con una nuova comprensione. Era un‟opportunità irripetibile. «Come in ogni vera guarigione, il processo deve avvenire dall‟interno» disse distogliendomi provvidenzialmente da quello stato di vittimismo che rischiava di sopraffarmi ad ogni istante. «È il nostro Essere che crea il mondo e non viceversa! Come tutti gli uomini hai sempre creduto che fossero gli eventi a creare i tuoi stati, che fossero le circostanze esterne a renderti 46

La Scuola degli Dei infelice, insicuro. Ora sai che questa è una descrizione capovolta della realtà.» Stavo riprendendomi. Attesi ancora qualche secondo, poi feci segno al Dreamer che ero pronto a proseguire. La tappa successiva fu via Bolognese a Firenze, dove a quel tempo mi occupavo di formazione manageriale. In quei mesi, con i colleghi, si era stabilita una sorta di simbiosi emozionale che combinava la mia attitudine ad auto-commiserarmi con la loro solidarietà a buon mercato. Senza esserne consapevoli, la mia „disgrazia‟ li faceva sentire meglio. Attraverso un salutare spavento, messi di fronte alla precarietà della vita, per un po‟ riuscivano ad apprezzare la loro mediocre razione di esistenza. Mi trattavano con la gentilezza e la premura che si ostenta per un malato, per un ferito, per chi è sconfitto. „Vidi‟ tutto l‟orrore di quel baratto e provai un profondo sconforto. Da qualunque parte lo osservassi, il mio passato era intessuto di ombre. Non c‟era il più piccolo brandello da salvare. Mi aggiravo come un disperato sul luogo di un disastro, alla ricerca di qualcosa da recuperare: una persona cara, un rapporto, qualsiasi cosa che avesse utilità o valore. Inutilmente. Avevo il fiato mozzo per l‟orrore. Senza la presenza del Dreamer non avrei trovato la forza di andare oltre. «Non dare colpa agli eventi – disse, vedendomi vacillare sotto il peso di quelle emozioni – Restare vedovo a ventinove anni con due bambini non è una maledizione. Un evento non è né bello né brutto. È soltanto un‟opportunità. Se avessi avuto una disciplina avresti potuto trasformare quella circostanza in un evento luminoso, trasferirla ad un ordine superiore… Se avessi avuto il coraggio di conoscerti non sarebbe stato necessario che Luisa morisse… non sarebbe stato necessario andare attraverso tante sventure. Our level of Being attracts our Life… Tutto quello che vedi e tocchi è l‟immagine riflessa del tuo Essere, di quella incompletezza, di quel gap che ti porti dentro. Nell‟esistenza non ci sono spazi vuoti. Se non li colmi intenzionalmente, imponendoti un nuovo modo di pensare, di agire, dovrà intervenire il mondo con la sua spietatezza. Se non vedi, o non vuoi vedere, la malattia si acutizza e la commedia della tua vita si farà sempre più dolorosa. Tutto avviene per rivelarti la causa di quella tragedia, per riportarti alla fonte di tutto questo… e permetterti un giorno di trasformare la visione mortale dell‟esistenza.» 47

L‟Incontro con il Dreamer 11 I Padroni di casa Altri frammenti del film della mia vita, immagini del passato, come fotogrammi in speed motion, si avvicendarono a velocità prodigiosa. Riconobbi nei visi della gente e nelle strade, le cento città in cui avevo vissuto, le cento case che avevo abitato. Finché la intravidi... l‟ombra!... Quella oscura presenza che mi aveva sempre seguito nella scelta di ogni nuova casa, ad ogni trasloco. Sentii l‟apprensione strozzarmi lo stomaco in una morsa d‟acciaio. In ognuna di quelle case avevo trovato un cerbero: proprietari intrattabili, esseri litigiosi con i quali una sorte ironica, un destino ricorrente, una mirabile pedagogia aveva voluto che fossero miei vicini e mi abitassero accanto. «Guarda attentamente… osservali bene! – mi ordinò il Dreamer con ferma dolcezza, anticipando la dolorosità di quello che stava per mostrarmi – Quei padroni di casa sono in realtà una sola persona. Sempre la stessa. Non cambia mai… Tu non hai mai voluto „vedere‟ che dietro la maschera, camuffato da padrone di casa, c‟eri sempre tu. Tu che incontravi te stesso!» Qualcosa si spezzò dentro. Una porta si chiuse pesantemente alle spalle e sentii lo scatto metallico delle mandate. Ebbi la certezza che una volta ascoltate queste parole nulla sarebbe stato più come prima. Ruppi in un pianto disperato, interno, senza lacrime: la mia vita era stata quella di un fantasma, un riflesso che ora vedevo impallidire nello specchio del mondo e sparire senza lasciare tracce. Le parole del Dreamer vennero a soccorrermi sul ciglio di quell‟abisso. «Essi sono i guardiani, i carcerieri che tu stesso hai assoldato per perpetuare la tua dipendenza. Finché non avrai eliminato dal tuo Essere quel canto di dolore che da sempre governa la tua vita, quei fantasmi ritorneranno.» Il silenzio che seguì durò così a lungo che temetti che il filo d‟oro che mi legava a Lui si spezzasse. Un‟angoscia mortale mi assalì al pensiero che mi avesse tagliato fuori dal Suo Sogno. Fu una sensazione terribile. Per il tempo infinito in cui sperimentai quel vuoto, quell‟assenza, smisi di esistere. Capii allora quanto il Dreamer fosse ormai parte integrante della mia esistenza. Un prezioso funicolo mi connetteva a Lui come ad un organo da cui succhiavo vita, un terzo polmone da cui aspiravo „aria pura‟. 48

La Scuola degli Dei Poi nuove immagini del mio passato cominciarono a scorrere come su una moviola. In qualche modo imparai a gestirle. Ora potevo fermarle, ingrandirle, avvicinarle o guadagnare prospettiva, inserirmi o escludermi dalla scena. Rividi la villa di via Fortini, troppo grande e silenziosa ora che Luisa era nell‟Istituto di via Venezian a Milano, e Luca e Giorgia vivevano con i nonni in Piemonte. Rividi quei giorni che si inseguivano rapidi, accendendosi e spegnendosi come battiti di ciglia. Al tramonto le ombre dei pini prendevano possesso della vecchia casa insinuandosi come dita sottili nelle parti più interne del mio Essere. Non sapevo il motivo per cui il Dreamer mi aveva condotto proprio lì, ma un tremore incontrollabile si impadronì del corpo. «Stiamo per entrare nella soffitta della tua vita – disse il Dreamer rincuorandomi – Negli angoli bui della tua esistenza… C‟è tanto da eliminare.» «Liberati di quell‟uomo!− ordinò, indurendo il tono – scaccialo dalla tua vita una volta per tutte.» Presi coraggio e ripercorsi la strada in salita, fino al grande cancello di ingresso. Riconobbi il vento che rotolava giù per la collina trovando impeto proprio in quel punto. Come un torrente, scorreva nell‟alveo di quella stradina tortuosa, ne lambiva i ruvidi muri a secco, screziati del verde e bianco dei capperi selvatici. Entrai dalla piccola porta di metallo. In fondo vidi parcheggiata la Citroën di allora. La villa mi comparve davanti inaspettatamente, tanto era breve il vialetto interno. Altrettanto improvviso fu l‟incontro con la sua scalinata di pietra e cotto. Accingendomi a salire, volsi lo sguardo verso il fondo del giardino, oltre la casa. Indugiai ad osservare le finestre illuminate della piccola dépendance. Lì abitava la nostra unica vicina. I ricordi affluirono alla mente accalcandosi. Sentii il respiro accelerare mentre cominciavano a scorrere i primi fotogrammi della mia storia con Judith. 12 Judith, „la signorina‟ Giorgia e Luca la chiamavano „la signorina‟. Appena di qualche anno più vecchia di me, alta, attraente, Judith era una persona riservata. Viveva da sola nella casetta in fondo al nostro 49

L‟Incontro con il Dreamer giardino. Nulla la stupiva veramente e niente sembrava interessarla oltre i suoi libri e la musica. La sua espressione di imperturbabile distacco era animata da un battito intenso delle ciglia, agitate come per uno stupore continuo. Mi accertai che il Dreamer fosse ancora al mio fianco e mi avvicinai ad una delle finestre del piccolo soggiorno. Mi sentivo in tumulto, come allora, quando di notte venivo a cercarla per sfogare sul suo corpo la mia paura per l‟incapacità di sostenere quello che mi stava accadendo. Rividi quel piccolo ambiente, le pareti ricoperte di libri, il divano centrale tappezzato di un tessuto a fiori, e Judith che faceva scorrere le lunghe dita sulla tastiera mentre le raccontavo della malattia di Luisa e dell‟aggravarsi delle sue condizioni. La sua musica invadeva la stanza facendone vibrare ogni atomo in un crescendo fino a che copriva quelle parole intrise di menzogna. Ora potevo sentire tutto l‟orrore dei pensieri di quell‟uomo, l‟odore nauseante delle sue intenzioni. Per la prima volta vedevo con chiarezza quale lotta mi straziasse le viscere: combattuto tra il dolore per quella morte annunciata e la gioia segreta e selvaggia di liberarmi di mia moglie, del peso di quel matrimonio immaturo, squilibrato. un livello oscuro di me stesso, avevo incolpato lei per la mia infelicità e le mie frustrazioni, per i limiti e gli ostacoli che avevo incontrato nella mia vita professionale. «La morte non è mai un fatto accidentale – irruppe la voce del Dreamer – come non lo sono la malattia, la infelicità e la povertà. Per anni hai implorato che questo accadesse… senza ammetterlo nemmeno con te stesso, lo hai intensamente desiderato e invocato. I sogni si realizzano sempre, anche quelli più oscuri.» La cortina della finzione si sollevò. Non potevo più nascondermi. Non sarebbe più stato possibile. Dietro i pianti e la disperazione di quel piccolo uomo, tra la pelle e la maschera, vidi il ghigno della mia criminalità. Il fiato si sospese per l‟orrore. Una forza inoppugnabile mi impedì di fuggire e mi tenne immobile davanti alla finestra di Judith. Rividi la scena del nostro incontro. Luisa moriva ed io mi aggrappavo a quella donna, chiedendo un po‟ di compagnia, la sua compassione, il suo corpo. Quando Judith capì le mie intenzioni, non cambiò attitudine, non si turbò. Mi prese per mano e mi accompagnò in camera dandomi quello che stavo elemosinando: del sesso… per 50

La Scuola degli Dei dimenticare, per fuggire, per trovare sollievo dalla paura che mi attanagliava l‟anima. Da allora ci incontrammo spesso. Tra noi non c‟erano discorsi, e non erano necessari i convenevoli. Di notte la cercavo per placare la mia angoscia, ma i nostri amplessi si esaurivano in orgasmi insignificanti come starnuti. Il Dreamer non me ne risparmiò una di quelle scene e restai lì, a consumare quello spettacolo, ad assaporare fino in fondo il fiele del loro squallore. Luisa era in casa, a pochi metri da noi, oltre il giardino. Non potevo essere io quell‟uomo... Il ribrezzo divenne insostenibile. Mi sentii venir meno nel riconoscermi capace di qualunque bassezza pur di salvare me stesso. Così, crudelmente, si stavano cauterizzando le ferite ancora aperte del mio passato. Judith affrontava il rapporto sessuale come un compito da eseguire scrupolosamente, con impegno e serietà, ma non permetteva che un solo atomo della mia esistenza si aggrappasse alla sua vita. La nostra relazione le scivolava addosso senza lasciare traccia e senza che la sua vita ne fosse minimamente influenzata. Era frustrante non riuscire veramente a possederla, mi faceva sentire insicuro quella sua indipendenza. Giunsi alla conclusione che Judith non viveva per nessun altro che per sé. Mi convinsi che il suo amore per i libri e per la musica fosse solo un paravento del suo egoismo. E così, sigillata sottovetro ed etichettata con questo giudizio, la relegai tra i ricordi del passato. Solo ora, attraverso gli occhi del Dreamer, vedevo veramente cosa aveva rappresentato per me Judith. Solo adesso riconoscevo nella sua indole, riservata e schiva di ogni ipocrisia, l‟attitudine distaccata di un saggio e l‟amore puro di una donna sincera. Judith era migliore di me. Mi aveva raccolto come un disperato nel mezzo del naufragio della mia vita. Non so immaginare cosa avrei fatto senza di Lei. Aveva visto chiaramente chi ero! Aveva visto la mia vita insensata curvare orribilmente su se stessa. Mi aveva riconosciuto come un portatore di morte! Tenermi fuori dalla sua vita era stata la sua salvezza. Come avevo potuto giudicarla così duramente? Ora Judith non occupava più un angolo buio nella soffitta della mia memoria, ma splendeva. La sua musica era la vita… Qualcosa però non quadrava. Come avevo fatto ad incontrarla? Come aveva fatto un essere come Judith ad entrare nel mio inferno proprio quando ne avevo così disperatamente bisogno? 51

L‟Incontro con il Dreamer Mi voltai verso il Dreamer. Le gambe stavano cedendo. Un pensiero assurdo, un cuneo di pazzia si stava piantando in una piccola crepa della mia razionalità. Da lì lo sentivo spingere. Stava penetrando, lentamente, inesorabilmente in un punto recluso della coscienza. Non era possibile!… Judith... era un dono del Dreamer!… Judith… era il Dreamer!… Quante volte era già intervenuto nella mia vita a salvarmi? Come avevo potuto essere così cieco? Come avevo potuto essere così disattento ad una tale perfezione? Il pensiero vorticò sull‟orlo di quella voragine e vi sprofondò. «Ognuno di noi è dotato di un immenso margine di salvezza» furono le parole con cui venne a recuperarmi il Dreamer. Il tono era sorprendentemente dolce. «Ma noi lo consumiamo, lo assottigliamo velocemente, attraverso una continua disattenzione, la irresponsabile isobbedienza ai segnali, alle avvertenze, ai semafori dell‟esistenza… e ci crediamo fragili, esposti ad ogni pericolo, in balia dell‟accidentalità… » La voce del Dreamer riprese il tono risoluto e severo, la sua intensità mi fece fremere. «La vita è potentissima e il corpo è indistruttibile… Per poter morire bisogna rendere possibile l‟impossibile.» Riferendosi all‟uomo che ero, come se parlasse di qualcun altro, disse: «Perdonalo!… Perdonando lui guarirai il tuo passato e lo sostituirai con la luce di oggi.» Una sponda dura del mio Essere si intenerì e crollò. Piangevo come un bambino. Un magma di dolori, di pensieri ed emozioni spiacevoli: sensi di colpa, rimpianti, accuse, risentimenti, venne alla superficie. «Gli uomini sono tutti come te, frammenti sperduti nell‟universo, governati dalle emozioni negative… Accusare, lamentarsi, dipendere è la storia della loro vita… è l‟unico senso che sanno dare alle cose!… Strozzati dall‟angoscia, cercano di dimenticare la morte con la morte.»

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La Scuola degli Dei 13 Grazie Luisa! Il viaggio nel passato riprese. Lo scenario lentamente cambiò ed il Dreamer mi riportò al periodo dei miei continui viaggi tra Firenze e Milano, in visita a Luisa, ricoverata all‟Istituto di Via Venezian. Subito fui imprigionato nelle stesse gabbie mentali ed entrai negli stati d‟Essere di allora. Provai quella sofferenza che si faceva più acuta all‟avvicinarsi di ogni partenza. Mi straziava il conflitto tra l‟obbligo morale di esserle vicino e la ripugnanza ad entrare in quei gironi affollati di esseri sofferenti. Attraversando le corsie, incontrandoli per i corridoi, leggevo i loro visi, li sfogliavo come pallide pagine di un libro. Penetravo penosamente nelle righe della loro storia, nelle parole delle loro espressioni, nell‟inchiostro della loro sofferenza. La paura terribile di potere un giorno subire il loro stesso destino mi invadeva. Allora provavo una voglia irresistibile di fuggire, di lasciarmeli indietro e dimenticarli per sempre. Fuori c‟era quella che chiamavo vita: la gente persa nelle stupidaggini di ogni giorno, il frastuono del traffico, il suono ed il biancore rassicurante di risate futili. E lì, tra la folla, correvo a rifugiarmi. Assolvevo frettolosamente il rituale del coniuge addolorato, mi mostravo preoccupato mentre incontravo qualcuno dello staff medico, chiedevo notizie e trovavo un pretesto qualsiasi per fuggire. Come un disperato, mi aggiravo per le strade del centro rifugiandomi tra la folla, immergendomi nella confusione del traffico. Mi fasciavo dei colori e delle luci della città, mi stordivo dei sorrisi delle donne agghindate e dei decori delle vetrine, alimentando in me l‟illusione di un mondo senza problemi, abitato da gente miracolosamente invulnerabile e felice. In quella fantasia cercavo rifugio. In quella bolla psicologica trovavo respiro, come un‟anguilla nella sua bava. Solo il pensiero di Luisa, ogni tanto, faceva irruzione senza preavviso e disturbava la mia ubriachezza. Apprensioni, paure, sensi di colpa, come Erinni e deità vendicatrici, venivano a scovarmi, in un cinema, in una mostra o in un caffè. Allora il pensiero della fragilità della vita, l‟impotenza e lo sconforto per la sua precarietà, mi inondavano con un freddo terrore. Col Dreamer arrivai al capezzale di Luisa. Aveva gli occhi chiusi. Era sola. Il Dreamer aveva scelto un giorno in cui ero al lavoro o stavo aggirandomi per la città fuggendo da me stesso. Il 53

L‟Incontro con il Dreamer respiro affannoso di Luisa sollevava la coltre leggera ad un ritmo impressionante, inumano. Riconobbi quel sintomo con una stretta al cuore. I suoi giorni si stavano spegnendo. Un cenno del Dreamer mi incoraggiò ad avvicinarmi. Spostai con cautela una sedia accanto al comodino di metallo e restai a lungo ad osservarla. Ciocche di capelli madide di sudore ingombravano la fronte e la porzione di viso che sporgeva dal lenzuolo. I mesi ed i giorni del nostro breve matrimonio mi passarono davanti, vividamente, con tutto il loro carico di eventi, di ricordi. Il nostro primo appartamento. I racconti che le facevo al ritorno dal lavoro e l‟orgoglio che leggevo nei suoi occhi per i miei primi successi. La nascita di Giorgia. I suoi pianti notturni, interminabili, che non riuscivamo a calmare. La nascita di Luca. E poi la malattia. La nostra immaturità si era trasformata presto in incomprensioni, gelosie, litigi, rimpianti, accuse. Eravamo due persone deboli, aggrappate l‟uno all‟altra; due esseri incompleti che si erano illusi di poter fare un‟unità. Il risultato della nostra unione era stata un‟incompletezza al quadrato. Questi pensieri ed altri, affiorarono alle labbra facendosi parole che mormoravo al suo orecchio. Le parlai della vita, della bellezza, della felicità. Non aveva importanza che mi sentisse. Un dolore acerbo mi batteva in petto, un pianto senza lacrime mi stringeva la gola. Eppure gioivo. Mi sentivo innamorato, appassionatamente, come mai prima. Fino a quel giorno, ipnotizzato dall‟azione e da mille illusorie occupazioni, avevo subito come pura sofferenza il tempo trascorso accanto a Luisa. Quell‟attesa senza passato né futuro, quel tempo senza avvenimenti, l‟immobilità, il silenzio e la calma che governavano quel mondo, mi riempivano di spavento. Quella visione era insostenibile. «Questa donna è il tuo passato che sta morendo» disse il Dreamer alle mie spalle. Quel senso di morte che per mesi avevo sentito accanto a lei non era esterno a me. Era la mia morte. La morte che portavo dentro da sempre. Luisa mi aveva permesso di vederla, di sentirla e toccarla. In quel momento supremo, mi stava dando l‟opportunità di sconfiggerla. In ritorno l‟avevo macchiata di ogni malevolenza, di ogni accusa. «Chiedile perdono! – ordinò paternamente il Dreamer – La sua vita è stata qualcosa di speciale, è servita a farti riconoscere la 54

La Scuola degli Dei morte in te: il vittimismo, i sensi di colpa, la distruttività che hanno guidato la tua esistenza.» «Grazie Luisa – sussurrai ravviandole i capelli bagnati ed asciugandole la fronte – Quanta disattenzione… Io non sapevo… Questa è la nostra resurrezione… Io cambierò per sempre, ed i nostri figli, cambieranno con me!» Le ore trascorrevano ma non sentivo stanchezza. Non avrei voluto essere in nessun altro posto al mondo che lì, accanto a lei. Per quanto tempo, riflettevo, ero venuto a trovarla in quell‟ospedale, e negli altri, sentendomi separato, convinto di essere il sano tra i malati. Settimana dopo settimana, avevo vissuto con quegli esseri aggrappati come lei ad una scheggia di vita, senza capire il loro dono. Allora sarebbe stato per me impossibile capire che quegli uomini e quelle donne non erano fuori di me, ma la proiezione di una visione malata dell‟esistenza… immagini riflesse della mia malattia, della mia separazione, della mia irresponsabilità. Quel mondo mi stava rivelando la morte che mi portavo dentro. Contenerlo, assumersene la responsabilità, faceva parte di quel processo, neppure ancora avviato, che il Dreamer chiamava “perdonarsi dentro”. Self-observation is self-healing Osservare tutto questo, realizzare quanto ogni più piccolo dettaglio di quel mondo mi appartenesse, e provare gratitudine, mi fece avvertire i primi sintomi della mia guarigione. Era notte. Le corsie dell‟ospedale silenziose. Non sapevo più da quanto tempo fossi al suo fianco. Avevo consumato tutto quello che avevo da consumare: parole, ricordi, lacrime. C‟era una cosa ancora da fare! Ripiegai il lenzuolo e la scoprii. Sotto la camicia il corpo mostrava gonfiori enormi. Il ventre in particolare era grande e turgido come se fosse pronta a partorire. La rinfrescai passandole sul petto e sulle gambe un panno umido leggermente profumato. Esaminai la ferita, cupa e profonda quanto un nido. Lucidità, perizia ed una freddezza che non avrei potuto immaginare guidarono le mie mani mentre la medicavo. Anni di incomprensione, le incrostazioni di tante cattiverie e tradimenti, li grattai via, insieme alle cellule ed ai tessuti morti. Disinfettai, coprii con un tampone di garza ed incerottai. Le rimboccai la coperta e la baciai. 55

L‟Incontro con il Dreamer «Il passato va benedetto, guarito… Entra in ogni piega! Porta luce in ogni angolo! Trasformalo attraverso una nuova comprensione... Il tuo passato sarà guarito quando la smetterai di indulgere in apprensioni, dubbi e paure. Questo è il vero significato di „perdonarsi dentro‟.» Queste parole del Dreamer ancora echeggiavano nell‟aria quando sentii mancarmi il pavimento sotto i piedi come per l‟aprirsi di una botola. Caddi sulla schiena e slittai lungo uno scivolo invisibile a una velocità vertiginosa finché una vortice di colori mi ingoiò. Quando riaprii gli occhi ero nella mia stanza d‟albergo a Marrakech. Quello stesso giorno organizzai il mio viaggio di ritorno a New York. La miracolosità avvolgeva ancora il ricordo di ogni istante vissuto con Lui, dall‟incontro al Café de la France al viaggio nel mio tormentato passato, fino alla notte trascorsa con Luisa. Il mio bagaglio era già stato portato via, la macchina mi attendeva per raggiungere l‟aeroporto, ed io indugiavo. Non mi decidevo a lasciare quei luoghi dove ancora potevo respirare la Sua presenza. Rivolsi al Dreamer un pensiero di gratitudine per avermi accompagnato nel mio passato ed avermi aiutato a liberarlo di tanta zavorra. Solo qualche brandello della mia vita era rimasto attaccato al mio Essere. Un frammento, in particolare, uno solo, l‟avevo trattenuto e ancora lo stringevo in pugno. Per quanto doloroso, lo tenevo stretto stretto, restìo a lasciarlo andare: quell‟ultimo sguardo a Luisa, quel bacio d‟amore scambiato tra passato e futuro, ai confini dell‟esistenza.

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La Scuola degli Dei CAPITOLO II

Lupelius 1 Incontrare la Scuola Era mattino inoltrato. Percorrevo una strada elegante, ricca di negozi di antiquariato. Un caldo sole alle spalle sembrava sospingermi verso lo slargo che si indovinava in fondo. Mi accorsi di camminare di buon passo, come se fossi diretto ad un appuntamento. Tuttavia non sapevo né dove né con chi. Il marciapiede che stavo percorrendo sfociò nel dehors di un caffè italiano e lo slargo si rivelò una grande piazza, tra le più belle che avessi mai visto. Il Dreamer era seduto ad uno dei tavolini. Lo circondava un piccolo stuolo di camerieri, ossequiosamente attenti ad ascoltarne le raccomandazioni. Arrivai mentre avvicinavano un secondo tavolo e cercavano spazio per depositare il contenuto di due grandi vassoi. Un‟aria di ricchezza costantemente Lo circondava. Ricercava la raffinatezza in ogni particolare ed amava l‟abbondanza, ma ogni Sua attitudine era improntata alla sobrietà di un guerriero macedone. Il Suo regime alimentare poi, andava ben oltre la frugalità. Sembrò felice di rivedermi. Con un lieve cenno del capo assolse il doppio compito di salutarmi e di invitarmi a sedere. Da quel momento l‟attenzione del Dreamer sembrò completamente assorbita da pasticcini e blandizie di ogni tipo disposti in bell‟ordine sui tavoli. Lo rivedevo per la prima volta dall‟incontro a Marrakech. Avevo atteso con impazienza questo momento. Ora, in Sua presenza, mille domande mi affollavano la mente. Alcuni di questi quesiti avevano echeggiato per secoli, avevano attraversato tutta la storia del mondo, senza trovare risposta. Religioni, scuole sapienziali e tradizioni profetiche, generazioni di scienziati, di 57

Lupelius ricercatori, di filosofi ed asceti, avevano invano cercato di venirne a capo. Riflettei che l‟uomo moderno, ultimo anello di questa millenaria ricerca, si ritrova ancora nudo di fronte all‟enigma della sua esistenza, come Edipo davanti alla Sfinge. Ci servirono il tè. Il Dreamer seguì con scrupolosa cura ogni dettaglio di quell‟operazione e diresse l‟attività dei camerieri seguendo un rituale noto a Lui solo. A malapena toccò cibo. Il Dreamer sembrava nutrirsi della Sua stessa attenzione, delle impressioni, dell‟armonia e del ritmo di ogni più piccolo movimento. Dopo il tè ci fu una lunga pausa. Attesi con impazienza che prendesse a parlare. Intanto avevo aperto il taccuino e tenevo la penna a portata di mano. Quando la Sua voce risuonò l‟intonazione era solenne. «Accanto a Me potrai deragliare dai solchi del tuo destino inflessibile – disse – accanto a Me potrai spezzare il cerchio meccanico delle tue abitudini, dei tuoi sensi di colpa… Accanto a Me dovrai rinunciare al dubbio, alla paura, ai tuoi pensieri distruttivi… dovrai abbandonare la bugia che ti lega alla descrizione mortale dell‟esistenza.» «Per cambiare, dovrai lottare con la tua programmazione! – incalzò – Dovrai capovolgere la tua visione. Solo così, e attraverso un lungo lavoro, potrai cambiare il tuo destino… Un uomo da solo non potrà mai farcela. Ha bisogno di una Scuola.» L‟accento che mise sulla parola „scuola‟ ed il contesto in cui la usò mi fece intuire l‟esistenza di un significato oltre l‟ordinaria accezione. Mi sembrò di sentirla per la prima volta. Scoprii in essa una forza che non vi avevo mai trovato prima e la dolcezza di una promessa da tempo dimenticata. Un pensiero mi percorse come un brivido. «Cos‟è la Scuola?» chiesi. La voce era tremula, ed io stesso fui sorpreso dalla mia emozione. «La „Scuola‟ è il viaggio di ritorno» disse il Dreamer. I Suoi occhi scuri brillavano di una gioia segreta. The School is the quantum leap from multitude into integrity, from conflictuality into harmony, from slavery into freedom. «Trovare la Scuola significa legarsi al Sogno con un cavo d‟acciaio… significa poter accedere alle zone più alte della 58

La Scuola degli Dei responsabilità. Solo pochi tra i pochi possono sostenere un tale incontro» concluse. Quelle parole, il Suo sguardo, forzarono un meccanismo recluso. Sentii fisicamente lo scatto meccanico di un ingranaggio che salta. Con il dolore lancinante di un rimorso, realizzai l‟immoralità di aver vissuto anni ed anni „fuori casa‟, la miracolosità di trovarmi di fronte a qualcosa, a qualcuno che avevo disperatamente cercato. «Come si fa a trovare la Scuola? » domandai con un filo di voce, compreso di riverenza, sentendo l‟eccezionalità di quell‟evento. «Non temere… sarà la Scuola a trovare te» rispose il Dreamer. Poi, osservando il mio smarrimento, mitigò la laconicità di quella risposta ed aggiunse: «Quando un uomo è irrimediabilmente deluso dalla sua vita… Quando realizza la sua incompletezza, la propria impotenza, quando l‟esistenza lo stringe in una morsa senza respiro, solo allora… appare la Scuola.» 2 “Il mondo ci è stato raccontato” Seduto al caffè di quella città sconosciuta, Lo ascoltavo raccogliendo pagine di appunti. Avevo la sensazione che il mio apprendistato iniziato in quella singolare residenza, poi a Marrakech, seguisse una pedagogia segreta, le linee di un disegno mai interrotto. «Incontrare la Scuola è l‟evento più straordinario della vita di un uomo… l‟unica opportunità per sfuggire alla ipnosi comune – epilogò il Dreamer – per realizzare che tutto quello che vedi e ti circonda non è il mondo… ma solo una descrizione.» «Ma io Ti ascolto, tocco questo tavolo... vedo la gente che passa... so che ognuno di questi uomini ha una vita, un lavoro, una famiglia… come può tutto questo essere una descrizione, una mia visione?» «Le immagini che cadono sulla retina non sono il mondo ma il suo racconto – rispose laconicamente il Dreamer – Il mondo ti è stato descritto.» La meraviglia per quello che stavo ascoltando fu superata da una meraviglia più grande quando gli sentii aggiungere in un soffio: 59

Lupelius «Il vero creatore della realtà che ti circonda sei tu!... lo hai solo dimenticato… » «Cosa ho dimenticato?» chiesi. Una vena di ostilità nella mia voce indicava la distanza che si stava creando tra noi. «Tu sei la causa di tutto e ogni cosa. Un giorno quando sarai guarito, saprai che tu sei le radici del mondo. Il mondo per esistere ha bisogno di te… Hai dimenticato di essere l‟artefice, l‟inventore, e sei diventato l‟ombra della tua stessa creazione.». Il tono che usò annullò quel divario sul nascere e mi rimise in riga, come uno scolaretto. «Il mondo è soggettivo, personale!… È il riflesso speculare del nostro Essere… Visione e realtà sono la stessa ed identica cosa; ciò che li divide è solo il „fattore tempo‟… » Avrei voluto dire di sì. Accettare la Sua visione. Eppure, qualcosa in me si opponeva. La mia razionalità vacillava ma non cedeva. Com‟era possibile trovarsi di fronte ad uno stesso oggetto, panorama, evento o persona, ed averne visioni diverse? «Ma esisterà bene una realtà oggettiva! – affermai per mettere un puntello alle mie convinzioni di sempre – In fondo una cosa non può essere nient‟altro che quello che è… » Ancora tentavo di difendere le „mie‟ credenze, ma sapevo che, per quanto radicate, non avrebbero resistito. Erano destinate ad essere sovvertite a contatto con la visione del Dreamer. Anche questa volta, come tutte le altre volte, ci sarebbe stato l‟imprevedibile prodigio: quello scatto nella comprensione che, accanto a Lui inevitabilmente avveniva senza tuttavia poter prevedere come e quando. Desideravo e temevo quella trasmutazione. Quando finalmente accadeva, sentivo le pareti dell‟Essere allargarsi a dismisura per fare spazio ad una visione più chiara, più libera, più intelligente del mondo. Vedendomi ancora perplesso, sferrò un altro, decisivo colpo di ariete alla descrizione del mondo ed aggiunse: «Noi possiamo vedere solo ciò che siamo!» Poi con il Suo inimitabile umorismo, sottilmente prossimo al sarcasmo, dichiarò: «Se un ladro incontrasse un santo ne vedrebbe soltanto le tasche.» Questa boutade fu per me illuminante e per qualche istante indugiai in quell‟immagine comica ed istruttiva. Ma il Dreamer aveva già ripreso il Suo discorso con piglio severo, come se quella 60

La Scuola degli Dei divagazione, per quanto minima, l‟avesse fatto rallentare o divergere fin troppo dall‟obiettivo del nostro incontro. «Solo l‟incontro con la Scuola può permetterci di sfuggire alla rigidità di una vita ordinaria. Soltanto un „lavoro di scuola‟ potrà un giorno permetterci di „vedere‟ il mondo al di là della sua falsa descrizione. Soltanto un „uomo di scuola‟ potrà un giorno accedere ad una visione armoniosa, ad uno stato d‟integrità. E solo una visione armoniosa e integra, potrà guarire il mondo.» 3 La Scuola del capovolgimento Il Dreamer mi rivelò che Scuole di preparazione per uomini straordinari erano sempre esistite, in tutti i tempi ed in tutte le civiltà. Queste „scuole‟ al di là delle differenze filosofiche e culturali che sembravano distinguerle, erano in realtà una sola Scuola. La sua voce era rimasta immutabilmente la stessa, il suo pensiero aveva attraversato tutti i tempi e tutte le civiltà. Questa scuola Egli la chiamò la „Scuola dell‟Essere‟: una fucina universale di sognatori, dove uomini visionari, utopisti luminosi, hanno da sempre affinato il loro intento. «Una scuola di trasformazione» la definì ulteriormente il Dreamer e si interruppe. Aspirò intensamente le volute aromatiche che esalavano dal Suo tè, poi sottovoce completò: «La Scuola degli Dei... dove, prima ancora di poter governare gli altri, si impara a governare se stessi.» La Sua voce mi diede i brividi. Si era trasformata nel sibilo marziale di un guerriero in azione. «Una Scuola del capovolgimento – disse – dove si sovvertono convinzioni e idee… e prima di ogni altra, l‟idea della inesorabilità della morte. La morte è una resistenza alla verità, all‟armonia, alla bellezza. La morte distrugge qualunque cosa che non è capace di passare nella verità. Se siamo veri in ogni cellula del nostro corpo non moriremo mai.» Ripensai alla tradizione classica, anteriore all‟età di Omero, che divideva l‟umanità in due specie infinitamente distanti tra loro: gli eroi, campioni di un‟umanità sognante, individui capaci di dare concretezza all‟impossibile, e una moltitudine indeterminata di 61

Lupelius esseri senza volontà, senza sogni, senza volto. Gli uni, guidati dal Fato, erano destinati ad una grande avventura individuale; gli altri, destinati a una esistenza insignificante, erano governati dalle leggi del caso e dall‟accidentalità. Mi illuminò il pensiero che i grandi miti, dalle epoche più remote, in realtà narravano le imprese di uomini che avevano incontrato la „Scuola‟. Le loro avventure, le lotte contro mostri e giganti, cantate da erranti aèdi, erano le tappe del „viaggio di ritorno‟, di un viaggio nella propria psicologia, nei meandri più oscuri, più segreti dell‟Essere. Il Dreamer mi spiegò che nelle regioni più nascoste dell‟esistenza, lì dove schiumano emozioni negative e scorre il lete dei pensieri distruttivi, dei sensi di colpa… proprio lì c‟è la fonte di tutti quei mostri, la scaturigine delle grossolanità, delle morti, di ogni nostra caduta… «Bisogna innanzitutto scovare il nemico nella nostra carne. E quando l‟avrai stanato te lo ritroverai davanti sempre più sottile, più potente… più spietato. L‟antagonista cresce con te… Non esistono migliaia di nemici, ne esiste uno solo, e la vittoria è una sola… quella su te stesso.» «Il „viaggio di ritorno‟ è per un uomo la grande opportunità di guarire il proprio passato» disse, e con lo sguardo, lentamente, percorse la piazza, le chiese gemelle, i palazzi patrizi, le statue intorno all‟antico obelisco; osservò la gente che l‟affollava. «Il mondo è il passato – affermò, coniando uno dei Suoi più mirabili aforismi – Chiunque incontri, qualunque cosa incontri è sempre il passato. Anche se ti appare davanti in questo istante, quello che vedi e tocchi è solo la materializzazione dei tuoi stati… Past is dust. Il mondo che vedi e tocchi in questo preciso momento è la materializzazione di tutto ciò che sei stato… Non c‟è nulla che possa accadere nella tua vita che non abbia prima avuto assenso nei tuoi pensieri... Il mondo è polvere. Soffiaci sopra e disperdilo.» Il Dreamer spostò leggermente la sedia accennando ad alzarsi. Il Suo movimento mi distolse bruscamente dallo sforzo di stare al passo con quelle nuove idee. Avevo un nodo allo stomaco. Avrei voluto immettere quel vino nuovo, esuberante ed incontenibile, negli otri vecchi delle mie convinzioni. Avrei voluto costringere quell‟oceano nei limiti di una razionalità che stava sbriciolandosi e soccombendo sotto i Suoi colpi. Mi perdevo in vuoti intellettualismi per nascondere l‟evidenza che il Suo insegnamento 62

La Scuola degli Dei stava penetrando sempre più in profondità in me, diventando più pericoloso, fatale per i vecchi equilibri. Intanto il Dreamer si era alzato. Con un cenno mi invitò a seguirlo. Lasciavo un po‟ a malincuore quell‟angolo tranquillo dove l‟aria ancora vibrava delle Sue parole. Mi sembrava di abbandonare un antico tempio, un‟arca veneranda della conoscenza. Ogni dettaglio di quell‟incontro si sarebbe fissato per sempre nelle mie cellule, compreso i tavolini imbanditi, i movimenti dei camerieri e perfino le sfogliatine di riso appena sfornate. Attraversai con Lui la piazza e Lo seguii in una chiesa. Passando tra il transetto e l‟altare, oltre la navata centrale, arrivammo nella piccola cappella. Nella semioscurità intravidi due grandi tele che si fronteggiavano. Diedi un‟occhiata intorno; dalla nostra posizione la chiesa appariva completamente deserta. Il Dreamer mi chiese di inserire una moneta nella macchina a tempo. Una forte luce investì le due opere. Mi suggerì di osservarle dal centro della cappella, in un punto equidistante tra loro. Seguii le Sue indicazioni ed esaminai attentamente quei due capolavori. Il quadro a sinistra rappresentava Pietro crocifisso a testa in giù; l‟altro la caduta di Paolo sulla via di Damasco. «Questi due quadri non sono l‟uno di fronte all‟altro per caso – mi disse – Essi sono indissolubilmente legati da un unico messaggio.» Il Dreamer tacque e restammo in silenzio. Interpretai quella pausa come un invito a riflettere e a tentare di scoprire il segreto di quella simbologia. Il tempo scandì l‟inutilità di ogni mio sforzo finché il Dreamer liberandomi dall‟imbarazzo mi rivelò che quelle due opere costituivano le riprese iconografiche più potenti dell‟idea del capovolgimento. «Queste opere trasmettono il respiro, l‟ampiezza del pensiero di una grande Scuola di responsabilità – disse – Solo una tale Scuola può combattere pregiudizi e credenze millenarie, sovvertire i paradigmi mentali della vecchia umanità e guarirla per sempre dalla conflittualità, liberarla dal dolore… Vision and reality are one and the same thing. Il mondo è il tuo riflesso. Capovolgi le tue convinzioni ed il mondo, come un‟ombra, seguirà. La realtà prenderà la forma di una nuova visione.» Il meccanismo a tempo scattò, le luci si spensero ed i quadri si rinfoderarono nel buio, come lame d‟acciaio nelle guaine. Nella penombra odorosa di ceri, ascoltai dal Dreamer il racconto 63

Lupelius straordinario della Scuola rimasta silente per oltre dieci secoli. Fece una lunga pausa prima di annunciarmi enigmaticamente che era tempo di riascoltarne la voce. Ero attonito. Il pensiero di una Scuola dal respiro millenario, che a cadenza di secoli riappariva per portare avanti la sua missione, mi folgorò. Fu allora che il Dreamer mi parlò di un monaco-guerriero leggendario e di un prezioso manoscritto scomparso. «Per te e per quelli come te che credono di poter trovare la verità nei libri… sarà utile ricercare le tracce di questa antica Scuola» disse. Poi il Suo tono divenne imperioso. «Cerca quel manoscritto!» comandò. Oltre la ruvidezza del tono e la sua perentorietà, sentii che mi stava affidando un compito importante. Provai un moto di riconoscenza. Un grande „sì‟, solenne come un giuramento, mi echeggiò in petto. Mi sarei dedicato a quella ricerca con tutte le mie forze... Più ci pensavo e più cresceva l‟entusiasmo per quell‟impresa che prometteva di proiettarmi in un mondo familiare, congeniale. Il Dreamer si accorse che stavo indulgendo, imboccando vecchi binari e ricadendo nel cliché malinconico dello studioso: «Un giorno realizzerai che non c‟è nulla da immettere dall‟esterno, che non c‟è nulla che tu possa aggiungere a quello che già sai… che insegnamenti ed esperienze non aggiungono niente alla comprensione… La vera conoscenza si può solo „ricordare‟… La conoscenza di un uomo non può essere né più piccola né più grande di lui. Un uomo „sa‟ solo ciò che è. Conoscere significa innanzitutto essere… Più sei, più sai!» In seguito, il Dreamer mi avrebbe parlato di una memoria in assenza di tempo, una „memoria verticale‟ fatta di stati e di livelli, contenitore di una conoscenza infinita. Essa è patrimonio di ogni uomo; tutti la possediamo, ma ne abbiamo perso le chiavi di accesso… Ri-cordare. L‟antico mosaico del pavimento si dilatò e la distanza tra noi cominciò ad aumentare, prima impercettibilmente, poi a vista d‟occhio. Provai un senso struggente di abbandono mentre ascoltavo le Sue ultime parole. «La conoscenza è proprietà inalienabile di ogni uomo… è antica quanto lui… 64

La Scuola degli Dei Un giorno realizzerai che non c‟è nulla da aggiungere… ma tanto, tanto da eliminare… per poter sapere.» Bevvi quelle parole come se le attendessi da sempre. Le riconoscevo. Una vibrazione sottile sottopelle accompagnò la sensazione di contenere tutte le cose. Ero un sistema di misura universale, perfetto. Provai una sensazione di totalità, di comprensione, di connessione con tutto ed ogni cosa. Sentii l‟ebbrezza della invulnerabilità, della impeccabilità del Dreamer. Nulla poteva attaccare, corrompere quella integrità. «Trova quel manoscritto!» mi ricordò con austerità. I contorni del Suo viso già sfumavano. «Quando l‟avrai trovato ci rivedremo!» 4 Lupelius Quel giorno stesso iniziai la ricerca dell‟antica scuola e del manoscritto di cui mi aveva parlato. L‟opera che mi aveva richiesto di trovare, „School for Gods‟, „La Scuola degli Dei‟, era stata scritta nel nono secolo dal monaco-filosofo Lupelius, un libero spirito degli evi bui, nativo di quel rifugio di uomini colti che fu l‟Irlanda di quegli anni: una terra crocevia di culture e tradizioni, tormentata da guerre e da contrasti di ogni tipo. Non si sa molto della vita di Lupelius e anche su quel poco non ci sono molte certezze. Scarsi sono i documenti che ho potuto trovare e non sempre attendibili. Fin dall‟adolescenza, fu avviato all‟arte della guerra dal padre che gli diede i maestri più grandi e lo sottopose alla disciplina più severa. Ancora giovanissimo, abbracciò la vita monastica e si ritirò in solitudine sulle montagne del Bet Huzaye (l‟odierno Khuzestan) allora meta di anacoreti provenienti da tutte le regioni della cristianità. Della sua formazione religiosa e spirituale si sa che in seguito entrò nel vicino monastero di Shaban Rabbur dove, rinchiudendosi per anni nella sterminata biblioteca, studiò con fervore le sacre Scritture, i Padri greci ed i grandi mistici di ogni tempo, da Origene a Giovanni di Apamea, fino ai Padri del deserto. Dagli studiosi di filosofia medioevale che riuscii ad interrogare nelle settimane successive ebbi conferma che della sua unica opera, e del manoscritto originale, si erano perdute le tracce ormai da secoli. 65

Lupelius Investigai nelle biblioteche delle grandi università, contattai istituti di filosofia ed incontrai studiosi e ricercatori. Estesi la mia ricerca anche all‟Europa, ma senza risultato. Infine in Irlanda, al Dublin Wrighter‟s Museum, seguendo un‟ennesima pista, potei accertare che ne avevano custodito una copia, l‟unica di cui si era a conoscenza. Tuttavia da anni anche questa era sparita, ingoiata dalle sabbie del tempo. Gli ostacoli e le difficoltà che incontravo aumentarono l‟impegno e la determinazione. Sulle tracce di quell‟insegnamento perduto, ogni indizio, ogni nuovo incontro, stava mettendo ordine nella mia esistenza. Come se seguissero i contorni di un preciso disegno, i frammenti della mia vita, da tessere sparse di un mosaico sconosciuto, stavano componendosi, andando ad occupare ciascuno il suo posto. Ritrovare quel manoscritto e ritornare dal Dreamer diventarono per me una sola impresa. Non avevo infatti altro modo per rivederLo. Questo pensiero rinnovava ogni volta l‟energia per portare avanti la ricerca che mi aveva affidato. Dalle conoscenze che man mano andavo accumulando e dagli elementi della filosofia di Lupelius che faticosamente ero riuscito a raccogliere, emergevano il pensiero ed il carattere di una grande Scuola dai principi possenti come le mura di una città immortale. Dopo più di mille anni, i frammenti di quell‟insegnamento ancora germinavano una luce che strideva con la marea di dissoluzione sociale e morale di quell‟età. La figura di Lupelius, servitore del mondo, mi appassionò subito. Dall‟inizio delle mie ricerche provai per quel filosofo sconosciuto una crescente ammirazione. Più mi avvicinavo a lui e alla sua missione più vedevo quella figura di pensatore torreggiare solitaria su uomini e accadimenti. La sua Scuola si stagliava come roccia su un mare di ignoranza e di superstizione. Il suo pensiero attraversava come un filo d‟oro le trame di una storia di crimini e di sventure. Della sua vita non riuscii a saperne mai molto, ad eccezione del periodo in cui fu alla corte di Carlo il Calvo in Francia. Per certo Lupelius fu una figura singolare; un filosofo d‟azione uguale solo a se stesso. Non aveva abitudini né routines. Di lui si diceva che potesse resistere al sonno indefinitamente. In ogni caso, nessuno mai l‟aveva visto dormire. 66

La Scuola degli Dei “Il sonno vi rende deboli, nella mente e nel corpo − diceva ai discepoli, e con il suo tipico umorismo irlandese, aggiungeva − Il sonno è soltanto una cattiva abitudine.” Una sua attitudine, tra le più peculiari, era quella di aggirarsi per i mercati, nei luoghi più malsicuri e malfamati delle città d‟Europa. Lì, nelle condizioni apparentemente più sfavorevoli, iniziava i suoi discepoli a nuovi modi di pensare e di sentire, ne sovvertiva schemi mentali e una descrizione meschina del mondo. Lì, la sua pazzia luminosa trasformava quel mondo fatto di truffatori e criminali, di trappole ed agguati, in una scuola di impeccabilità. Trovava gli stratagemmi più astuti per sradicare le loro convinzioni inveterate, per eliminare dalla loro psicologia la melma emozionale. Alla sua Scuola si forgiarono uomini straordinari, guerrieri invincibili. Lupelius si avvaleva di fantasiose tecniche di insegnamento e di purificazione che lui stesso continuamente inventava. Si travestiva da schiavo, da vagabondo, da politicante, da banchiere, da ricco mercante, e usava strategicamente questi ruoli. Fosse la corona di un re o il saio di un monaco, Lupelius li indossava, e li faceva indossare ai suoi discepoli, insegnando loro come „diventare‟ quel ruolo, per esplorarne e conoscerne ogni angolo, ogni segreto, ma senza dimenticare il gioco, senza mai restarne prigionieri. Li portava nei Souk, dove li coinvolgeva in commerci terribili, con banditi e criminali, li faceva entrare nelle parti più sofferenti dell‟umanità, li spingeva ai viaggi più disperati, quasi senza possibilità di ritorno. I lupeliani si arruolavano come mercenari in guerre assurde, in rivoluzioni e faide di paesi remoti le cui ragioni neppure conoscevano. Essi scendevano in campo, non per difendere i deboli o gli oppressi, non per affermare astratti princìpi o ideologie, non per sconfiggere nemici esterni o per compiere vendette, ma per diventare padroni di se stessi, artefici del proprio destino. Real warriors do not fight for supremacy or control over others. They do not fight for glory nor for any possession or reward, but to gain the only thing which really matters: their own inner freedom. Per i Lupeliani, il campo di battaglia offriva la via più pratica per applicare i princìpi e le idee della Scuola – la vera prova della loro consapevole trasformazione e comprensione. Solo chi aveva 67

Lupelius conquistato una integrità interiore poteva restare illeso da qualunque attacco. L‟invulnerabiltià dei Lupeliani originava da questa impeccabile integrità. Per quanto vicina, la morte non poteva ghermirli né penetrare. L‟insegnamento di Lupelius era una disciplina dell‟invulnerabilità fondata sullo sviluppo della volontà. Il suo scopo era il raggiungimento della libertà da ogni limite. Free forever from all human conditions and natural limitations I Lupeliani si esercitavano nell‟arte della „padronanza di sé‟. La vittoria suprema è „vincere se stessi‟, non permettere a nessun evento o condizione di produrre ferite interne, di scalfire l‟Essere. Lupelius li allenava a mantenere la serenità e la calma sotto le condizioni più estreme. Li spingeva ad andare in cerca dell‟offesa e dell‟attacco per provare la loro integrità. Anche attraversando le città e le plaghe più colpite da epidemie e morbi, ne uscivano sempre indenni. L‟incorruttibilità, la purezza rendono un guerriero invulnerabile, inattaccabile anche dai mali più temibili Cercai di addentrarmi nella questione della differenza tra l‟impassibilità (apatheia) predicata dagli stoici e l‟indifferenza dell‟anima alle passioni ed ai pensieri esteriori della mistica lupeliana. Per Lupelius l‟impassibilità è connotata dal recupero della integrità, di quell‟unità dell‟Essere che è una condizione naturale e che l‟uomo ha dimenticato. Dal vuoto che l‟anima crea liberandosi dalla zavorra delle cose esteriori e carnali, senza più l‟illusione che ci sia qualcosa al di fuori di noi, nasce uno stato d‟Essere che è una continua, naturale mozione verso l‟eternità, l‟immotalità, l‟immenso. Tutto quello che si chiama sinteticamente „mondo‟, gli eventi e le circostanze della nostra vita, sono nostre proiezioni. Se siamo consapevoli possiamo proiettare soltanto la vita, la prosperità, la bellezza, la vittoria. Se siamo vigili, attenti, possiamo proiettare libertà, un mondo senza ostacoli, senza limiti, senza vecchiaia, né malattia, né morte. 68

La Scuola degli Dei La Scuola di Lupelius mi aveva stregato. Appassionatamente la studiavo e l‟amavo. Mi sembrava di respirarne l‟aria. La sognavo ad occhi aperti. Quelle donne e quegli uomini visionari, studentiguerrieri, solitari eroi di una battaglia spirituale ineffabile, erano ai miei occhi esseri straordinari, esempi impareggiabili di coraggio e determinazione. Spiavo con ammirazione la loro pazzia luminosa, la ricerca febbrile, inflessibilmente tesa verso la conquista di sé. Continuando a cercare senza posa, trovai indizi forti che molti degli eroi-mercenari di quel tempo, nei turbolenti anni che dopo Carlo Magno accompagnarono il lento sfaldamento del Sacro Romano Impero, erano suoi discepoli sotto mentite spoglie. Senza mai apparire apertamente, quei monaci-guerrieri furono i leggendari protagonisti di epopee impareggiabili, capaci di trasformare battaglie già perdute in grandiose vittorie. Le mie ricerche arrivarono ad un punto morto. Per settimane non mi fu possibile mettere insieme nulla più di quel poco che, con molti sforzi, ero riuscito a raccogliere. Disperai di poter mai trovare quel mitico manoscritto e con esso il modo per ritornare dal Dreamer. Finché un giorno, durante una delle mie sortite sulle tracce di questo insegnamento perduto, venni a sapere di un Padre domenicano di sconfinata cultura che avrebbe potuto aiutare la mia ricerca. Egli era tra l‟altro autore di un‟opera ciclopica sulla storia medioevale della Chiesa. 5 L‟incontro con Padre S. Arrivai con qualche minuto d‟anticipo all‟incontro con chi, dopo tanto cercare, mi era stato indicato come uno dei padri viventi della dottrina cristiana. Padre S. viveva in un antico convento di carmelitane. Una tribù di minuscole suore, severe e protettive, vegliava sul suo raccoglimento di studioso e sulla sua vecchiezza contemplativa. Due di esse mi introdussero nella piccola astanteria e lì attesi in piedi. Dalla finestra socchiusa potevo vedere un angolo dell‟incantevole chiostro. Il verde raccolto tra la geometria dei portici e la qualità di quel silenzio rinnovarono con maggiore intensità la sensazione che avevo provato attraversando l‟antico portale: più che la soglia di un convento sembrava di aver varcato il 69

Lupelius limine di un‟altra età. In un istante la memoria volò al cortile del Collegio Bianchi, nelle viscere di Napoli. L‟aria risuonò dello scalpiccio, dei gridii, degli inseguimenti tra i portici; profumò di mensa e dei mille ricordi della mia fanciullezza con i Barnabiti. L‟ordine di introdurmi arrivò puntuale. A malincuore abbandonai quell‟isola incantata e la piccola folla dei compagni che era accorsa a salutarmi. I loro volti sorridenti sbiadirono e ritornarono al loro posto tra i neuroni, nella foresta misteriosa della memoria. «Padre S. sta completando un nuovo volume della sua immensa opera sul medioevo cristiano» sembrò informarmi una delle due microscopiche suore-guardiane che mi scortavano. Dall‟austerità del tono raccolsi un indiretto monito a fare uso parsimonioso del tempo e della pazienza del mio ospite. Mi avviai per una stretta scala a chiocciola resa ancora più angusta da pareti di libri che la stringevano da ogni lato. Più che montare dei gradini, ebbi l‟impressione di scalare una metafora in salita. Ogni dettaglio di quell‟allestimento simbolico sembrava lì per mettermi sull‟avviso. Stavo per incontrare uno dei maître à penser della cristianità. Questo pensiero mi riempì di un timore riverenziale misto al dolore sottile che si prova per un rimpianto o per un‟improvvisa malinconia. Era quella la vita che avrei voluto per me, dedicata alla ricerca e allo studio. Ebbi un rigurgito dell‟antica, cieca fiducia nei maestri e nei libri. Le parole del Dreamer irruppero tra questi pensieri, severe e provvidenziali: “Non c‟è nulla che puoi aggiungere a quello che già sa… La vera conoscenza non si può acquisire, si può solo „ricordare‟.” Riconobbi la mia malattia: la propensione a dipendere dal mondo, ed in special modo, ad idolatrare la conoscenza libresca. Ancora una volta, stavo facendo dell‟esterno il mio dio. Era bastato trovarmi davanti a qualche feticcio per eleggere quell‟uomo a mio boss prima ancora di conoscerlo. Mi figurai Padre S. come l‟epitome di un‟umanità intrappolata nell‟intellettualismo, di un‟umanità che ha smesso di sognare. Il campione di una cristianità che ha dimenticato, che ha messo al suo vertice uomini libreschi e l‟orgoglio intellettuale. “Tutti i libri del mondo sono racchiusi in un atomo dell‟Essere – mi aveva detto il Dreamer – Non possono aggiungere 70

La Scuola degli Dei nulla alla tua conoscenza… dai libri non può arrivare la vita. Il sapere dipende dall‟Essere… Più sei, più sai! ” Una voce salmeggiante, potente, mi raggiunse dall‟alto, come da una breccia scavata tra i libri. «Si accomodi» disse. L‟intonazione era quella di un frammento liturgico. Quell‟invito echeggiò così vicino da indicarmi con anticipo le modeste dimensioni dell‟ambiente in cui stavo inoltrandomi. Mentre salivo gli ultimi gradini, sentii il mio Essere raccogliersi a pugno, compostamente, come quello di un guerriero nell‟imminenza di un pericolo calcolato. Le parole del Dreamer intervennero ancora una volta: “Ogni uomo occupa un gradino dell‟intelligenza umana ed è un guardiano dei livelli superiori… Se rimani intatto, ogni incontro sarà un‟opportunità, un gradino su cui poggiare il piede ed andare oltre. Se dimentichi, ti troverai intrappolato in un gioco virtuale, esterno, che ti rigetterà nel disordine infernale della tua vita.” Padre S. era una porta dell‟esistenza. Ecco chi stavo veramente incontrando: un guardiano-esaminatore, un Minosse che mi avrebbe infallibilmente assegnato il posto che meritavo nella scala dell‟Essere. Una grande testa di vecchio, calva e rasata, emerse dalle onde di libri che coprivano il tavolo. Mi scrutò a lungo. I suoi occhi scuri mi apparirono così straordinariamente giovani da sembrarmi non suoi, organi presi a prestito e piantati in quel viso di vecchio. Sembrava che, per un caso straordinario, quegli occhi avessero trovato modo di non invecchiare lasciando tutto il resto al suo destino biologico. Dovette accorgersi di questa mia scoperta. Con lentezza abbassò le palpebre. Rinfoderò gli occhi come avrebbe fatto una testuggine con i suoi lembi. Quando li riaprì aveva uno sguardo senile. Questa sensazione fu rafforzata da un altro contrasto: l‟espressione cerimoniosa di chi accoglie un ospite ed il severo cipiglio di maestro. Questa ambivalenza permase sullo sfondo del nostro incontro, come per ricordarmi la distanza che ci separava. Il tono di voce, l‟abito, i gesti stavano fissando le regole della nostra interazione. Padre S. evidentemente desiderava definire al più presto lo scopo del nostro incontro ed i confini entro cui poteva svolgersi. 71

Lupelius Gli strinsi la mano. Avvertii la stessa energia che avevo percepito nel suo sguardo. Padre S. stava studiandomi. Appena celata dal suo sorriso, una sonda stava raccogliendo segnali ed elementi di giudizio per classificarmi. Il suo visitatore non era un animale accademico, ma appariva piuttosto un giovane uomo d‟affari. Il tipo d‟uomo che Padre S. probabilmente non incontrava spesso. «Di lei so soltanto che si interessa di filosofia morale e che viene da una università americana… da New York… se non sbaglio» disse, pronunciando quel „soltanto‟ quasi in tono di rimprovero, lasciando trapelare la sua natura ed il piglio professorale. «Mi occupo di Business Ethics» lo corressi cortesemente mentre gli presentavo copia della lettera speditagli giorni prima dalla Fordham University. Quel documento mi accreditava come ricercatore, studioso di etica degli affari. Era stato la mia credenziale per ottenere quell‟incontro. Mi sentivo perfettamente a mio agio in quel ruolo. Tacqui. Preferii non dargli subito altre informazioni su di me, lasciandolo sulla soglia di quel lieve disagio, in bilico tra la curiosità e l‟estraneità, senza semplificargli troppo il compito. Mentre leggeva, osservai sul suo volto l‟espressione di un crescente interesse. Finché trasalì manifestamente quando lesse degli studi che stavo conducendo su Lupelius, della speranza che il nostro incontro potesse far avanzare le mie ricerche. Con sforzo riuscì a contenere l‟emozione per quella scoperta e si limitò ad esprimere una cauta sorpresa per la scelta di una scuola di pensiero così straordinaria, fuori da ogni ambito scientifico noto. Senza naturalmente parlargli del Dreamer, giustificai il mio interesse per Lupelius con l‟impatto rivoluzionario che il suo pensiero poteva avere sulle teorie organizzative e sulla preparazione di una nuova generazione di leader. Gli parlai dei grandi risultati che mi attendevo da quel filone di studi che propugnava l‟applicazione nel mondo del business dei valori, dei metodi educativi e dei principi filosofici delle antiche scuole di preparazione. In particolare mi erano sembrati interessanti gli insegnamenti di Lupelius e le sue ricerche sulla invulnerabilità e sulla invincibilità, per l‟evidente rilevanza che ancora oggi queste qualità potevano avere nelle moderne sfide economiche, non meno dure e fatali di quelle militari. Le sue ricerche e gli esperimenti sulla immortalità condotti nella sua scuola potevano essere estesi alle imprese moderne. 72

La Scuola degli Dei Da tempo gli studiosi di economia si trovavano inermi di fronte ad un fenomeno allarmante, di dimensioni planetarie. «Companies die young. Le imprese di tutto il mondo hanno vita troppo breve, appena un pugno di anni – gli raccontai – Perfino i giganti della finanza e dell‟economia, le più grandi multinazionali del pianeta, difficilmente superano il loro quarantesimo anno di vita.» Attingendo agli insegnamenti del Dreamer, gli riferii come mia la convinzione che un‟impresa longeva nasce da un fondatore longevo e che un‟impresa immortale può nascere solo dal sogno di un Essere immortale. Una volta, parlandomi della polarità amore/paura, il Dreamer mi aveva rivelato che il vero significato di amore andava ricercato nella etimologia della parola latina a-mors, assenza di morte. Il nome di Roma, la città eterna, non a caso, è l‟anagramma di „amor‟. Nelle sue radici, già dalla fondazione, sigillato nel nome che il fondatore le aveva dato, era codificato il suo destino di immortalità. Portai l‟esempio di Roma, che aveva oltre 2800 anni di ininterrotta attività, come il caso di un‟impresa di tale longevità da non poter essere spiegato senza risalire al fondatore ed alle sue qualità di Essere immortale (Romolo fu divinizzato e venerato come dio Quirino). Feci a Padre S. altri esempi di aziende estremamente longeve, da quella dei Windsor, che ha mille anni, alla stessa chiesa cattolica, la più grande multinazionale del pianeta. Continuando ad attingere agli insegnamenti ricevuti dal Dreamer, sostenni che un‟economia ricca è sempre l‟espressione di un pensiero immortale. Vision and reality are one Basta un frammento di eternità per dilatare la visione di un paese, per espandere i confini della sua economia. Basta il concetto di immortalità per vedere innalzato il destino finanziario di individui, di organizzazioni, di intere nazioni. In questa direzione stavano procedendo le mie ricerche. Affermai che queste scoperte avrebbero a breve cambiato la visione del business e rivoluzionato l‟insegnamento e la ricerca scientifica di tutte le università di economia. L‟interesse di Padre S. cresceva a vista d‟occhio, man mano che gli parlavo di teorie economiche connesse all‟immortalità e del poco che sapevo della filosofia di Lupelius. L‟economia globale si 73

Lupelius stagliava sullo sfondo di un immenso campo di battaglia dove ogni giorno intere nazioni, compagini aziendali grandi come sterminati eserciti, si affrontano per fissare a proprio vantaggio le nuove frontiere dell‟economia. Dal confronto emerge un vincitore. Gli altri, sconfitti, sono incatenati al suo carro e trascinati in schiavitù. Per vivere dovranno adottare gli usi del loro nuovo padrone, impararne la lingua. Dovranno servirlo. Incoraggiato da un gesto del mio ospite di andare avanti, continuai raccontandogli quello che ero riuscito a scoprire sul misterioso monaco-filosofo. Non nascosi il fascino che su di me esercitavano Lupelius ed il suo straordinario insegnamento. Arrivai rapidamente al punto dove si erano arenate le mie ricerche. Gli riferii anche delle mie ricerche, finora infruttuose, del manoscritto di „School for Gods‟ e della misteriosa scomparsa di ogni sua copia. Non nascosi il mio stupore per quello che appariva un deliberato tentativo di cancellare ogni traccia del lavoro di Lupelius e della sua Scuola per immortali. 6 La dottrina di Lupelius Padre S. mi ascoltò assorto, il capo chino sul petto. Quando sollevò il viso, il suo sguardo brillava. Rividi gli occhi straordinariamente giovani che tanto mi avevano impressionato nell‟incontrarlo. Questa volta non li nascose ma continuò a fissarmi. Il suo viso assunse l‟espressione speciale di chi si aspetta di essere riconosciuto. Non mi sottrassi al gioco e mi concentrai su quella sua mossa. La soluzione dell‟enigma arrivò improvvisa, abbacinante come un lampo che squarcia un cielo nero. Provai un senso di vertigine. Quell‟uomo si camuffava da vecchio… ma sì… usava la vecchiezza, come una maschera… una maschera strategica... Padre S. era un finto vecchio. Il cuore mi balzò in petto. Padre S. era… un lupeliano. Ne ero certo. Riuscii a stento a contenere l‟emozione di quella scoperta… Provai il piacere sottile della complicità che si stava stabilendo tra noi… Un funicolo lungo dieci secoli ci univa a quella stirpe di guerrieri che sapeva vivere strategicamente e conosceva l‟arte del travestimento. Le sue capacità camaleontiche gli avevano permesso di vivere tra le pieghe del suo ordine, nascosto nel seno della 74

La Scuola degli Dei cristianità. Un tunnel si era aperto nel tempo e più di mille anni si erano compressi in un istante per condurmi davanti alle porte della Scuola. Avevo di fronte forse l‟ultimo dei suoi immortali custodi. Una domanda mi martellava le tempie, pulsando con le mie arterie. Padre S. conosceva il Dreamer?… Fui tentato di confidargli il mio incontro con il Sogno e la straordinaria avventura che stavo vivendo in quei giorni. «Lupelius è il profeta dell‟immortalità fisica, diritto di nascita di ogni uomo – rivelò Padre S. interrompendo il mio pensare febbrile ed allentando il suo iniziale riserbo – Un diritto che abbiamo abdicato e di cui dobbiamo riappropriarci.» Poi, come se attingesse da un libro invisibile, più che citare, lesse ad occhi chiusi queste parole: «Il corpo è lo spirito fatto carne. Se lo spirito è immortale, tale è anche il corpo.» Era evidente la gioia che provava nel ricordare la Scuola e nel riascoltare le parole che egli stesso sembrava non aver più sentito da anni. Mi raccontò che per le sue idee Lupelius fu bandito dalla cristianità e solo miracolosamente poté sfuggire al rogo. La minaccia più grande rappresentata da Lupelius era la sua fede nelle immense possibilità dell‟individuo, e nella vittoria finale della vita sulla morte. Per la chiesa cristiana e per tutte le religioni istituzionali, dedite alle masse, non poteva esserci una filosofia più pericolosa: „la rivoluzione dell‟Essere‟, la ribellione alla quale ogni uomo è chiamato per trasformare la sua fragilità, il suo destino mortale. Una lotta contro demoni, draghi e chimere interiori, contro mostri e giganti psicologici che l‟uomo ha chiamato dubbio, paura, dolore, che per Lupelius erano la vera causa di ogni male, di ogni sciagura. Non sorprendeva come idee di una tale sovversività gli avessero sollevato contro persecuzioni ed attentati. In effetti ogni traccia di Lupelius e della sua opera sparirono. Ora questo mi sembrava l‟effetto di una deliberata strategia di Lupelius più che il risultato di una implacabile ostilità. Essere accettati dalla sua scuola significava essere messi a dura prova, vivergli accanto voleva dire avere la capacità di sostenere grandi sforzi per lungo tempo. Dell‟immortalità fisica e dell‟invulnerabilità Lupelius voleva che i discepoli avessero una esperienza diretta, sperimentando come fosse possibile passare indenni attraverso i pericoli più gravi. E in effetti mai si verificò che 75

Lupelius uno dei suoi, partito con la sua benedizione, tornasse minimamente scalfito. Gli chiesi a cosa attribuisse questo fatto così straordinario. «Lo scudo di un uomo è la sua purezza, il suo amore per la vita e per il suo maestro» recitò Padre S. tenendo gli occhi leggermente socchiusi. Più che riflettere su cosa rispondere, mi sembrò che stesse ricordando. «Per Lupelius la purezza è la qualità fondamentale di un uomo e la via d‟accesso all‟immortalità fisica: asintote supremo della parabola umana.» Si fermò per una pausa che mi sembrò straordinariamente lunga. Avevo notato che riferendosi a Lupelius, Padre S. parlava sempre al presente, come se si trattasse di un contemporaneo... o di qualcuno che non fosse mai morto. Nel discorso che seguì mi condusse per mano nel mondo straordinario di quei pochi uomini e donne pronti a tutto pur di spingersi oltre gli inviolati confini, le colonne d‟Ercole della comune descrizione del mondo. «Nella scuola di Lupelius ogni sforzo è volto a liberare la mente dalla convinzione che la morte sia inevitabile ed invincibile – disse Padre S. – Tutto faceva parte di una strategia di purificazione per riuscire a sconfiggere dentro di sé quella arcana volontà di morire che nell‟uomo ordinario prende mille aspetti; ne impregna la psicologia, fino a diventare una seconda natura, parte ineliminabile della sua vita.» The belief that death is invincible is unhealthy to humans. Your longevity is determined by your mental state, by your life urge. «La tua longevità è determinata dalla tua mente – asserì Padre S. sintetizzando a mio beneficio il pensiero di Lupelius – Questo significa che se muori sei l‟unico responsabile! » Una piccola suora entrò silenziosamente portando l‟occorrente per servirci un tè. Dalle occhiate stupite che furtivamente mi diede mentre trasferiva sul tavolo tazze e teiera e ci versava la bevanda fumante, mi resi conto di quanto doveva essere raro che Padre S. si trattenesse con qualcuno così a lungo. Il mio ospite tacque per tutta la durata di quell‟operazione. Solo quando la suora fu uscita riprese quel punto e mi raccontò come i Lupeliani 76

La Scuola degli Dei sapessero che mettere in discussione l‟inevitabilità della morte, anche solo per ironia, ne indeboliva il potere. «Per l‟affermazione del diritto di ogni uomo all‟immortalità, per la sua lotta rivolta a denunciare la morte come il più orribile ed ingiusto dei pregiudizi umani – annunciò Padre S. in tono epigrafico – Lupelius sarà ricordato come il più importante mistico dell‟immortalità fisica.» Continuò affermando che Lupelius si connette a quella religione fisica, corporale, che fu il cristianesimo delle origini e ne diventa l‟epigono, araldo del materialismo spirituale e del suo messaggio di indistruttibilità del corpo. «Mentire, nascondersi, lamentarsi e tentare di sfuggire alle proprie responsabilità sono le stigmate dell‟uomo caduto nell‟immoralità, nella divisione; dell‟uomo che ha dimenticato la ragione del suo esistere – disse Padre S. in tono epilogativo – Un‟umanità che ha abdicato il suo diritto di nascita, che ha dimenticato la propria integrità, „inventa‟ la morte per porre fine alle sue miserie. L‟uomo preferisce morire piuttosto che assumersi il compito immane di vincere se stesso, la propria incompletezza… Tuttavia la morte non è una soluzione. Un uomo riprende sempre da dove ha lasciato.» Lupelius crea The School for Gods, una scuola di responsabilità per indicare all‟uomo frammentato, the scattered man, la via del ritorno verso la semplicità, l‟integrità, la volontà sepolta. 7 Offri un gallo ad Asclepio Attraverso i frammenti che avevo potuto raccogliere dell‟opera perduta di Lupelius, dietro le citazioni di Padre S., riconoscevo sempre più chiaramente il respiro del Dreamer, sentivo la Sua voce. Più alta, più antica di quella di Lupelius. Gli rivolsi un pensiero di gratitudine. Padre S. stava ora leggendomi alcune frasi da un libriccino che trattava con venerazione e che evidentemente portava sempre con sé. L‟emozione gli faceva tremare la voce. Il suo tono, appassionato, stava diventando più intenso man mano che da quel florilegio venivano alla luce alcune tra le più „scandalose‟ credenze di Lupelius, verità inaccettabili per qualunque mente razionale e per qualunque fede canonica. Mentre le ascoltavo e le annotavo sul mio 77

Lupelius taccuino avvertivo lo strofinio della loro insostenibile „diversità‟, la loro stridente antinomia con le convinzioni più radicate, universalmente accettate. «Vecchiaia, malattia e morte sono insulti alla dignità umana, pilastri millenari di una descrizione illusoria del mondo. Il male è al servizio del bene. Sempre!… Tutto arriva per guarirci… Anche la morte fisica è in realtà una guarigione. L‟ultima possibile!» Questa affermazione, l‟insostenibile paradosso di Lupelius, fece scattare un meccanismo segreto. La mente andò alle parole pronunciate da Socrate mentre la cicuta stava arrivando al cuore e ne stava fermando i battiti. La loro comprensione mi esplose dentro con un insostenibile fulgore. Durò un battito di ciglia, poi si spense; ma fu abbastanza per poterla catturare. Per oltre duemilacinquecento anni il significato dell‟ultima volontà espressa da Socrate era stato un mistero insondabile. Circondato dai suoi discepoli più cari, ingerita la cicuta, l‟effetto paralizzante del veleno dalle gambe stava procedendo rapidamente verso il cuore. Mancavano solo pochi istanti alla fine. In quel momento supremo, le parole di Socrate furono: “Siamo debitori di un gallo ad Asclepio: dateglielo e non ve ne dimenticate.” Come poteva Socrate chiedere all‟amico Critone di offrire un gallo al Dio della guarigione quando la vita gli stava scivolando tra le dita e la morte era ormai inevitabile? Per venticinque secoli queste parole hanno rappresentato un rompicapo per generazioni di saggi, dotti ed esegeti. Le affermazioni filosofiche di Lupelius avevano squarciato una cortina impenetrabile ed ora dall‟abisso del tempo il significato di quel messaggio stava emergendo in tutta la sua vastità. Come un naufrago che rinchiude in una bottiglia il suo messaggio, per salvarlo e trasmetterlo, Socrate aveva affidato la sua comprensione all‟oceano del tempo, per farla arrivare fino a noi. Sigillato nelle sue ultime parole c‟è il frutto estremo della sua ricerca instancabile: anche la morte è una guarigione… è l‟ultima delle medicine! Arriva quando null‟altro è servito. Per effetto delle straordinarie circostanze della sua esecuzione, Socrate raggiunge un grado di unità interiore mai toccato prima, un vertice di integrità che gli permette di accedere al più grande degli arcani: perché l‟umanità sia ancora soggetta a morire e come questo un giorno non sarà più necessario. Dietro le 78

La Scuola degli Dei ultime parole di Socrate grandeggia il sogno di un‟umanità futura, guarita, integra, che non avrà più bisogno di quell‟estremo atto di purificazione. Un giorno mi avrebbe detto il Dreamer: “La morte è la modalità estrema cui l‟esistenza fa ricorso quando ogni altro tentativo di guarirci, di integrarci, è stato vano. Socrate usa la morte per capire! Nel momento supremo scopre che essa non è altro che un passo sulla via della guarigione, un altro gradino lungo la scala dell‟integrità. È questo l‟ultimo insegnamento di Socrate, il più grande… ” Socrate è l‟epitome di un‟umanità ancora in bilico tra due visioni. È un ricercatore, un esploratore. Non ce l‟ha fatta a superare la morte ma almeno l‟ha usata per capire. Ha indicato la strada. 8 Vietato uccidersi dentro «L‟integrità dell‟Essere è soltanto l‟inizio di una umanità che ha scelto di vivere per sempre – completò Padre S. – Like attracts like. Morte attrae morte e non può colpire chi è connesso alla Vita.» Armati della loro integrità, i lupeliani tornavano incolumi dalle imprese più temerarie. Nessuno strumento di guerra sembrava poterli scalfire, come se ogni connessione con la morte fosse stata sradicata per sempre. Senza proselitizzare e senza propugnare alcuna filosofia, i monaci-guerrieri di Lupelius sapevano innalzarsi, ed innalzavano uomini ed eventi intorno a loro, ad una fascia più alta dell‟Essere. Essi vincevano ancor prima di combattere. Vincere significava vincere se stessi, i propri dubbi, le paure, l‟ignoranza. La vittoria esterna era solo una verifica della vittoria interna. Così, curando il proprio Essere, alimentando la propria impeccabilità, rendendosi inaccessibili al male, vinsero sfide impossibili e realizzarono imprese leggendarie. «La prima causa della morte è proprio la nostra separazione da Dio, l‟aver trasferito il divino al di fuori di noi» disse Padre S. traendo da un cassetto un foglio ed annotandovi qualcosa. Poi continuò: «Lupelius dice: puoi odiare Dio perché sei ammalato, perché soffri o sei povero, ma io ti assicuro: la ragione per cui sei ammalato, sofferente o povero è la tua divisione da Dio. Gli uomini l‟hanno dimenticato e hanno trasformato il pianeta in un mondo di 79

Lupelius morte. Hanno fatto della morte la loro ragione di vita. Ad essa dedicano ogni loro pensiero, ad essa è rivolta ogni loro azione.» «„Love and Serve‟ è il motto… Per essere al servizio dell‟umanità bisogna amare… e prima di ogni altra cosa, se stessi, la propria vita… » Qui Padre S. abbassò la voce. Intuii che stava per confidarmi l‟insegnamento più segreto, la più insostenibile delle verità ricevute dalla Scuola. «Lupelius ricordava ai suoi discepoli… » disse, e si fermò per alcuni interminabili istanti. Le labbra gli tremavano mentre stava per riportare le parole del suo maestro. «Voi siete Dei che hanno dimenticato… voi siete Dei in stato di amnesia.» «Anche ordini secolari dimenticano.» Gli occhi del vecchio si inumidirono al pensiero di quello spirito guerriero che aveva ispirato la sua scelta monastica. «La dimenticanza indebolisce il guerriero che è in ogni uomo… Una volta noi domenicani eravamo vegetariani, mangiavamo una volta al giorno; coltivavamo il corpo e lo spirito come una sola entità… Ci era molto chiaro il messaggio di Cristo e lo Scopo: la vittoria della Vita sulla morte fisica.» Solo un lavoro incessante su se stesso può permettere ad un uomo di superare la morte. C‟era nella sua voce la nostalgia dell‟antica disciplina, il ricordo dello splendore sepolto della Scuola. Ero ammirato, felice. Non credevo che la cristianità ancora custodisse in seno uomini come Padre S., crociati votati alla più santa delle guerre: mettere a morte la morte. «Scuole e chiese, università, ordini religiosi ed istituzioni governative, hanno smesso da tempo di preparare esseri responsabili. Oggi producono solo corpi e menti inquinate» affermò Padre S. Finì di riempire con una fitta calligrafia il foglio che aveva davanti. Lo piegò più volte e me lo consegnò senza aggiungere altro. Quel gesto mi parve simbolicamente il passaggio del testimone in una staffetta ininterrotta attraverso i secoli. Mi stava affidando un tratto della millenaria corsa dell‟umanità alla ricerca di una via di fuga dalle sue prigioni. 80

La Scuola degli Dei Lasciandomi, sulla soglia del suo minuscolo studio, mi sorrise, ammiccando, contagiandomi con quella complicità gioiosa e inviolabile che avevo trovato soltanto tra i piccoli guerrieri, gli scugnizzi luminosi del mio rione. Gli chiesi di indicarmi il comandamento di Lupelius che più di ogni altro rappresentasse la sintesi della sua ricerca, la formula segreta per sconfiggere la morte fisica. «Vietato uccidersi dentro! – citò Padre S. senza esitazioni – Ciò che ci fa morire fisicamente sono le mille morti psicologiche che ogni giorno ci insidiano… Credere che la morte sia invincibile ci uccide. La fede nella sua inevitabilità è il vero killer.» 9 The School for Gods Avevo scalato le ripide pendici dell‟altopiano fino alla cima dei suoi maestosi vulcani. Attraverso l‟aria secca e limpida, per estensioni grandissime, lo sguardo spaziava su una vegetazione steppica, un paesaggio senz‟alberi. Giunto ad Everan, mi lasciai alle spalle la statua del monaco Mashtots ed attraversai il piazzale in direzione di una specie di bunker di basalto grigio che occupava la sommità di un‟arida collina. Ero nel cuore dell‟Armenia. Vi ero arrivato seguendo fedelmente le indicazioni di Padre S. e ora mi stavo avvicinando a quel severo edificio, sede dell‟antica Biblioteca. In essa, materializzata in migliaia di volumi, era custodita la memoria di un popolo che per lunghi secoli aveva vissuto sull‟orlo dell‟estinzione. Qui, dove copisti e traduttori furono venerati come santi, dalla metà del V secolo in poi, furono conservate o copiate migliaia di opere della classicità, della tradizione cristiana, ed anche pagana. Religiosamente tradotti in armeno classico, con fedele aderenza al testo originale, si erano così salvati importantissimi testi e capolavori ormai considerati perduti. Ad Everan erano legate le mie ultime speranze di trovare il manoscritto di Lupelius, o almeno una sua copia. Trascorsi giorni ad interrogare gli archivisti, ad esplorare minutamente intere sezioni della biblioteca. Percorrevo gli sterminati corridoi dalle pareti tappezzate di volumi e plichi polverosi, come un archeologo tra le mura di una città sepolta. Mi aiutavano nella ricerca due giovani bibliotecari. Mi erano stati assegnati dal sovrintendente, non so se come assistenti o come 81

Lupelius guardiani. Con loro penetrai in labirinti cartacei, esaminai pergamene e rotoli di cartapecora ingialliti dal tempo, riportandoli alla luce per la prima volta dopo secoli. Quando mi sembrava di individuare qualche giacimento promettente, selezionavo i volumi o i rotoli, ed i due giovani studiosi provvedevano a prelevarli e ad aprirli. Non toccavano mai quei preziosi reperti a mani nude, ma solo attraverso un drappo finemente ricamato, seguendo un rituale quasi sacro. Un giorno, dal catalogo dell‟Istituto Manoscritti Antichi scoprii che, col numero 7722, era conservato un volume senza titolo dalla storia originale. Riscattato a peso d‟oro dalle mani dei Selgiuchidi nel 1204, era stato conservato e difeso in qualche monastero arroccato tra i monti aspri e nevosi, prospettanti il Mar Nero. Alla fine del settecento fece parte della collezione di testi spirituali e ascetico-mistici di Paisij Velichovskij che fece stampare a Mosca una versione slavonica. Dopo innumerevoli peripezie, ancora una volta nel 1915, viene salvato miracolosamente dalle distruzioni dei turchi e riportato ad Everan. Sentii in petto i battiti diventare colpi di maglio quando dalla cassaforte blindata emersero i rotoli di cartapecora coperti fittamente dalla mano dell‟autore. Seppi subito che si trattava di Lupelius. Mi bastò la lettura di poche righe per esserne certo. A stento riuscii a controllare la gioia mentre ne esploravo avidamente il contenuto. Il linguaggio di Lupelius si rivelò un misto di latino ed inglese volgare, una specie di esperanto europeo di suggestiva creatività. Quelle parole avevano la forza di annullare il tempo e di trasmettere intatta, a distanza di oltre un millennio, l‟energia preziosa che aveva ispirato generazioni di monaci-guerrieri. Durante la mia permanenza ad Everan avevo stretto amicizia con una coppia di studiosi gallesi. Storico lui, esperta latinista la moglie. A loro, quella sera, nel piccolo lounge della locanda in cui alloggiavamo, confidai la mia scoperta. Ne discorremmo eccitati per buona parte della notte. Il loro aiuto si sarebbe rivelato provvidenziale. Solo il Dreamer poteva aver creato una tale prodigiosa „coincidenza‟. La cosa, tra le altre, che più apparve sorprendente a questi ricercatori non era il modo in cui avevo rintracciato quell‟opera quanto il fatto che ne conoscessi il titolo originale. Un titolo perduto da secoli e che nessuno più conosceva. Con il loro aiuto cominciai subito a trascrivere alcuni passi ed avviai il lavoro di traduzione. 82

La Scuola degli Dei Insieme studiammo il manoscritto per settimane. Più leggevo, più mi avvicinavo alla filosofia di Lupelius, e più sentivo crescere la passione per quell‟insegnamento dimenticato. L‟interpretazione di un passo, la esegesi di un simbolo, mi faceva attraversare i sacri limini di quella scuola di uomini e donne, ricercatori instancabili del segreto dell‟immortalità. Commissionai a copisti esperti una riproduzione fedele de „The School for Gods‟. Ne risultò un vero capolavoro: un volume finemente rilegato in cuoio e le pagine di cartapecora vegetale identiche in tutto e per tutto agli originali vergati dalla mano di Lupelius. Da quella copia non me ne separavo mai. Di notte custodivo il volume sotto il guanciale, come faceva Alessandro con l‟Iliade. Era un dono per il Dreamer e non vedevo l‟ora di offrirGlielo. Sapevo che ogni più piccolo scatto nella comprensione dei Suoi principi mi avvicinava a Lui, giorno dopo giorno. Frequentemente ero rapito da un entusiasmo incontenibile che talvolta culminava in veri e propri momenti di estasi al pensiero del prodigioso esito di quell‟impresa, ai confini dell‟impossibile. Avevo „miracolosamente‟ trovato Padre S., avevo trovato il manoscritto originale „The School for Gods‟, avevo incontrato la coppia di studiosi che, con devozione illimitata, ne stava curando la traduzione. Non avevo alcun dubbio che presto avrei ritrovato il Dreamer. Per il momento non esisteva null‟altro che immergermi nel manoscritto, calarmi ogni giorno in quelle miniere di re Salomone, percorrerne le venerande gallerie e scavare, scavare senza tregua, per estrarne la „materia preziosa‟. In order to choose life we have to choose the thought that death is not invincible. And so, we have to find the principles of aliveness, longevity and eternity in our Being. Questa ed altre leggi che appresi dal manoscritto di Lupelius sarebbero poi state le pietre angolari di ogni mia futura attività ed i princìpi portanti di innumerevoli imprese nel mondo internazionale del business. Un‟impresa è tanto vitale, e tanto ricca e longeva, quanto le idee ed i princìpi del suo fondatore. 83

Lupelius Per Lupelius la vera disuguaglianza tra gli uomini, la radice da cui ogni altra differenza visibile si produce, è la loro appartenenza a livelli diversi di responsabilità interiore. La differente qualità del pensiero posiziona verticalmente gli uomini su piani diversi lungo la scala dell‟Essere. Esiste una gerarchia interiore che nessuna guerra o rivoluzione potrà mai cancellare perché la vera diversità tra gli uomini non è di censo, né di credo o di razza. È una differenza di stati d‟Essere. È una differenza psicologica, verticale, evolutiva, di grado. Perciò essa può essere superata solo attraverso un cambiamento radicale del modo di pensare e di sentire. A real improvement implies change of Being. A real improvement means evolution or growth towards unity of Being, which is the result of a new way of thinking and the abandonment of the old, mortal mentality... Solo un cambiamento nell‟Essere può innalzare un uomo ad un più alto grado di libertà, di comprensione, di felicità. 10 Mea Culpa Per Lupelius la Terra è un penitenziario cosmico, una prigione vasta quanto il pianeta, dove gli uomini vivono come reclusi nel braccio della morte. Invece di trarre da questa visione la conclusione di una sconfitta finale e irrimediabile, la sua pazzia luminosa concepisce il disegno più ardito. Lupelius sogna per l‟uomo un‟avventura oltre i confini del possibile: l‟evasione dalle leggi del pianeta, la fuga dal suo destino mortale, apparentemente inesorabile. L‟uomo può infrangere i confini che egli stesso si è assegnato, può sfidare la natura, trasgredire i limiti che, come colonne d‟Ercole, ormai non osa superare neppure con l‟immaginazione. Lupelius raccoglie intorno a sé pochi audaci e mette a punto un dettagliato piano di fuga. Incontri sempre gli stessi eventi perché nulla cambia in te! Like attracts like. 84

La Scuola degli Dei La particella di paradiso va verso il paradiso, la particella d‟inferno verso l‟inferno. Nella filosofia di Lupelius i nostri stati d‟Essere attraggono gli eventi che gli corrispondono e gli eventi ci fanno ricadere negli stessi stati. Solo la volontà può interrompere questo eterno rincorrersi, questo gioco meccanico senza fine, e spezzare il cerchio ipnotico in cui è circoscritta l‟esistenza dell‟uomo. Thought is creative. Thought creates. Gli eventi sono materializzazioni del nostro pensiero, dei nostri stati d‟Essere. Stati ed eventi sono perciò la stessa cosa. Gli stati si producono nell‟Essere di ogni uomo, gli eventi si manifestano nella sua vita, nel tempo, e sembrano prodursi indipendentemente dalla sua volontà. In realtà siamo noi che li abbiamo intensamente invocati, inconsapevolmente creati. Che sia positivo o negativo, il pensiero dell‟uomo è sempre creativo e trova puntualmente l‟occasione per materializzarsi. I nostri pensieri, come inviti scritti di nostra mano, spediti e poi dimenticati, attraggono gli eventi corrispondenti. Al tempo dovuto, quando neanche più ci pensiamo, circostanze, incontri, accadimenti, problemi ed incidenti, cadute e fallimenti, si presentano al nostro uscio, ospiti indesiderati eppure a lungo, oscuramente, evocati. Solo la disattenzione ai nostri stati, che sono la vera origine di quegli eventi, ce li fa apparire improvvisi, inaspettati. L‟improvviso ha sempre bisogno di una lunga preparazione. Nessun evento può accadere esternamente ad un uomo senza il suo consenso, sia pure inconsapevole. Nulla può occorrergli senza prima attraversare la sua psicologia. Il pensare è quindi potentissimo. Quelli che poi chiamiamo fatti, gli eventi, le esperienze e tutti i possibili accadimenti della vita sono stati d‟Essere già in marcia per andare incontro a chi si è messo in sintonia. Gli stati sono eventi in attesa dell‟occasione propizia per verificarsi. La qualità delle nostre emozioni, l‟ampiezza dei nostri pensieri, gli stati d‟animo che viviamo in questo stesso istante, stanno decidendo cosa si manifesterà nel visibile, la natura degli eventi che si materializzeranno nella nostra vita.

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Lupelius Thinking is Destiny. The higher our Thoughts the greater our Life. L‟elemento centrale del pensiero filosofico di Lupelius è che stati ed eventi sono i due profili di un‟unica realtà. Questo abbatte ogni distinzione tra mondo esterno e mondo interno, dischiudendo la padronanza di se stesso. L‟esistenza è una nostra invenzione, e come tale dipende solo da noi. Condotto per mano da Lupelius, stavo scoprendo per la prima volta il potere vertiginoso, la „concretezza del fare‟ che si nascondeva nel mea culpa cristiano. In queste due parole, come in uno scrigno, è custodita da millenni l‟epitome stessa dell‟intelligenza umana. Mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa. Solo ora la riconoscevo come l‟espressione più sintetica e potente dell‟idea di responsabilità. Mea Culpa. Questa formula, capace di imbrigliare l‟universo, dalla gerarchia degli astri al movimento degli atomi, racchiude il segreto di un‟energia senza limiti. Modificando gli stati d‟Essere puoi trasformare gli eventi che ti tocca incontrare. Ecco come l‟uomo, attraverso uno studio di se stesso, modificando il proprio modo di pensare e di sentire, può trasformare la sua esistenza orizzontale, temporale. L‟esistenza sulla Terra è la nostra grande Scuola. Una Scuola di vita che agli occhi dell‟umanità ordinaria appare come un penitenziario. Occorre imparare a rovesciare la nostra visione. Tutto quello che gli uomini ordinariamente percepiscono come difficoltà e sventura, tutto quello contro cui imprecano, tutto quello che cercano di evitare ad ogni costo, è in realtà il materiale più prezioso per trasformare la propria psicologia di morte in una psicologia di vita. Life through this world is a School for Gods. Confusion, doubts, chaos, crisis, anger, despair and pain are all excellent conditions for growth. 86

La Scuola degli Dei 11 Stati ed eventi I L‟Essere è fatto di stati e la vita di eventi. La nostra esistenza quindi corre parallelamente su due binari: quello degli eventi che sono la successione di avvenimenti che durante la nostra vita ci vengono incontro sul tapis roulant del tempo-spazio, e quello degli stati che sono i moti dell‟animo, i moods, gli stati d‟Essere che si succedono dentro di noi, in modo quasi sempre inavvertito. La storia personale di un uomo è quindi orizzontalmente fatta di eventi e verticalmente fatta di stati. Tuttavia la gente ordinariamente pensa alla propria vita e la racconta come se fosse costituita soltanto di eventi esterni. In realtà il tipo di eventi che si manifestano, e quindi la qualità della vita esterna, dipende dalla qualità del pensiero e dagli stati dell‟Essere. La vita perciò è fatta di eventi, ma ancor più di stati. Ognuno di noi, per esempio, andando a una conferenza o a teatro, è convinto di scegliere il posto dove sedere; ognuno è convinto di avere scelto questa mattina l‟abito da indossare. In realtà a scegliere il posto, come il vestito, non siamo stati „noi‟ ma i nostri stati d‟Essere. È facile osservare che tutti hanno nel guardaroba un vestito, una camicia, un capo per cui provano avversione, che per qualche ragione non vorrebbero mai indossare. Non se ne liberano perché sanno che prima o poi si troveranno in quello stato d‟animo, quel mood, quel livello d‟Essere che gli corrisponde. Quando ci „sentiamo‟ in quel modo „scegliamo‟ quel capo. La relazione che lega stati ed eventi, accadimenti interni ed eventi esterni, il misterioso rapporto che esiste tra la psicologia di un uomo e ciò che gli accade è il nucleo della questione del libero arbitrio e del millenario enigma se il destino è soggetto al caso o alla necessità. Intorno a questo enigma gli uomini hanno accumulato nel tempo le conoscenze di una grande scienza oggi sconosciuta. Per gli antichi greci esisteva una relazione di causalità trea stati interiori ed eventi esteriori. Quella civiltà arcaica credette intensamente che il destino di un uomo fosse una proiezione del suo mondo interiore, del suo Essere. Su questa convinzione fondarono una scienza ed un‟arte che assunse tra essi il massimo valore. Nell‟età preomerica, sapiente non è chi è ricco d‟esperienza o chi eccelle in conoscenza, ma chi manifesta l‟ignoto, chi conosce il futuro. Gettare luce nell‟oscurità, precisare l‟incerto è per i greci la vera sapienza ed insieme un‟arte. 87

Lupelius Altri popoli esaltarono la divinazione, ma nessun altro popolo la innalzò a elemento centrale della sua vita. In tutto il territorio ellenico fiorirono i santuari dedicati al culto di Apollo al quale, più che a Dioniso, è da attribuirsi il dominio sulla sapienza, intesa come conoscenza del destino degli uomini e manifestazione, comunicazione di tale conoscenza. A Delfi questa vocazione dei Greci e l‟arte di conoscere il futuro trova la sua massima espressione. Per questo il dio di Delfi è l‟immagine unificante di quella civiltà ed un‟abbreviazione della Grecia stessa. Il pellegrino che spesso attraversava grandi distanze e affrontava gravi pericoli per interrogare il Dio sul suo futuro, leggeva inciso sul timpano del tempio il motto delfico „conosci te stesso‟. Era come dire: vuoi sapere il tuo futuro? Conosci te stesso! In questo paradosso, apparentemente beffardo, i greci deposero la soluzione del più antico enigma dell‟uomo, la risposta alla millenaria domanda sull‟esistenza di un libero arbitrio. Una domanda che ha fatto vibrare d‟inquietudine tutte le filosofie del mondo sospese tra il presagio fatalistico di un futuro predeterminato ed ineluttabile, e il credo nell‟homo faber, artefice del suo destino. Scolpendo il motto delfico proprio sul tempio deputato alla più sacra delle arti, alla più grande tra le scienze, la divinazione, i greci indicarono la relazione segreta tra mondo interiore e mondo esteriore, tra stati ed eventi. E questa scoperta l‟affidarono come un messaggio in una bottiglia all‟oceano del tempo per farla arrivare fino a noi. L‟uomo che conosce se stesso, il proprio Essere, contenitore dei propri pensieri, idee, attitudini, conosce anche il proprio futuro, perché ciò che pensiamo è connesso al mondo; la nostra psicologia è il nostro destino. Thinking is Destiny Apollo è il simbolo del mondo, specchio dell‟interiorità dell‟uomo. Il mondo ci riflette. La tradizione classica che tramanda il mito di Omero come il vate cieco, è ancora un messaggio di quell‟età dei saggi che si concluse con la morte di Socrate, l‟ultimo dei saggi. La cecità attribuita all‟autore dell‟Iliade e dell‟Odissea, le due grandi bibbie dell‟antichità, è emblematica dell‟attenzione che i greci seppero dare al mondo psicologico, alla conoscenza di sé, dei propri stati. 88

La Scuola degli Dei Guardare dentro se stessi è la chiave di conoscenza del mondo, la strada per capirne e prevederne gli accadimenti. Accorgendosi che alcuni uomini erano capaci di sforzi speciali e di affrontare imprese ben oltre le possibilità ordinarie ed osservando come essi godessero di una protezione speciale, anche nelle circostanze più perigliose, e come la loro vita fosse al centro di eventi straordinari, gli antichi greci riconobbero in loro una natura speciale, una luminosità dell‟Essere e qualità interiori quasi divine. Essi concepirono quindi l‟esistenza di due specie umane: quella degli eroi e dei semidei, da un lato, e quella degli uomini comuni, dall‟altro. Nell‟Età di Omero solo semidei ed eroi, attraverso imprese sovrumane, potevano conquistarsi il diritto ad un destino individuale. La loro vita, unica, originale, era sottratta alla giurisdizione di ogni divinità, libera dal capriccio degli eventi e del caso. Tutti gli altri uomini erano condannati ad una esistenza ripetitiva. Governati dalle leggi dell‟accidentalità e soggetti al Caso, la loro vita, lunga o breve, e le loro azioni, erano rivolte al vuoto e destinate a non lasciare traccia. Per Lupelius la differenza tra queste due specie umane, e tra gli uomini, è la loro appartenenza a diversi livelli nella scala dell‟Essere. Dovunque si incontrino, per pochi istanti o per anni gli uomini formano inevitabilmente una piramide, si dispongono a livelli diversi di una scala invisibile rispettando un ordine interiore, matematico, come gerarchie planetarie fatte di luminosità, di orbite, di massa e di distanza dal loro sole. Possiamo non esserne consapevoli, ma il nostro destino, la qualità della nostra vita, gli eventi che ci toccano devono rispettare questa gerarchia. Comprendendo come tutto emana dall‟Essere e che il destino individuale degli uomini, come quello di una intera società, non è che una proiezione dell‟Essere, la Grecia classica usò ogni mezzo possibile, dalla religione alla politica, dalle scienze alla filosofia, alle arti ed anche la guerra, per innalzare lo spirito. Le meraviglie architettoniche di città come Atene ed opere d‟arte come i capolavori di Fidia, esposti nelle piazze, erano macchine per 89

Lupelius trasmettere all‟Essere messaggi di bellezza, di fierezza, di armonia, e per elevarlo. Solo presso i greci Poiesis, la poesia, racchiude nella sua etimologia il segreto del fare attraverso l‟Essere. E tutto il teatro greco, producendo negli spettatori una purificazione, una liberazione dell‟anima dal proprio fardello, ebbe presso quel popolo una funzione terapeutica e catartica. Causa finale della tragedia fu per i greci la purificazione delle passioni e perciò l‟elevazione dell‟Essere. 12 Stati ed eventi II Ripensando alla ricchezza di queste informazioni e a tutto quello che stavo imparando sugli stati e sugli eventi, molte volte riflettei sull‟assurdità di spendere un quarto della nostra vita a scuola e all‟università, e trascorrere l‟intera esistenza, senza sapere dell‟Essere e del potere che i nostri stati hanno nel determinare gli eventi e le circostanze della vita. La nostra prima educazione non ci dà alcun senso di discernimento tra cosa è esterno e cosa è interno, né ci prepara a un management dei nostri pensieri, ad una consapevolezza delle nostre emozioni. Senza una scelta intenzionale, la cultura comune ha relegato emozioni, sensazioni e pensieri nella sfera effimera ed impalpabile dei miti, delle fiabe, del sogno, considerandoli fenomeni separati e quanto mai lontani dalla „realtà‟. Seguendo le tracce lasciate dalla civiltà classica, scoprendone la mitologia, che per ogni aspetto si è rivelata più utile e più affidabile della storia, studiando il manoscritto di Lupelius, feci la scoperta emozionante che in realtà tra stati ed eventi non c‟è un rapporto di anteriore e posteriore, di causa ed effetto, ma di assoluta identità. Stati ed eventi sono due facce della stessa realtà poste su piani diversi dell‟esistenza, le due estremità di uno stesso bastone, posto verticalmente. Ciò che ci impedisce di vedere che stati ed eventi sono la stessa e identica cosa è che essi sono separati dal fattore tempo che agisce come una specie di ammortizzatore. Tra i nostri stati interni ed il prodursi degli eventi esterni che gli corrispondono intercorre del tempo che, come una cortina fumogena, impedisce di riconoscere che gli eventi non sono altro che i nostri stati materializzati nel tempo-spazio. 90

La Scuola degli Dei Pensieri, emozioni, sensazioni e tutti i nostri stati sono come inviti che ad ogni istante diramiamo e che, anche se ce ne dimentichiamo, immancabilmente attraggono gli eventi corrispondenti. Più precisamente, essi sono già gli eventi. Per manifestarsi hanno solo bisogno che arrivi il loro tempo. Potranno impiegarci più o meno tempo e accadere in questo luogo o in un altro ma essi infallibilmente ci raggiungeranno. Gli stati emozionali di un uomo sono in verità eventi in cerca di un‟occasione per verificarsi e diventare visibili. Il tempo distanzia gli stati dagli eventi e ne cela l‟identità. Il tempo soffia il suo nero-seppia e dietro questa cortina gli eventi si nascondono e covano prendendoci poi di sorpresa, quando abbiamo dimenticato, o mai ci siamo accorti, di averli prodotti. Ma nulla accade improvvisamente. L‟improvviso ha sempre bisogno di una lunga preparazione. Non c‟è nulla che un uomo possa incontrare, non c‟è un evento che possa materializzarsi e raggiungerlo senza che prima, consapevolmente o inconsapevolmente, abbia attraversato il suo Essere, la sua psicologia. Il mondo è connesso alle nostre emozioni, alle nostre passioni, ai nostri pensieri. Essi sono la cinghia di trasmissione tra mondo interno e mondo esterno. Attraverso la gestione delle emozioni, dei pensieri e di tutto quello che proviamo e sentiamo in un certo momento, cioè attraverso la padronanza dei nostri stati, abbiamo in mano il timone della nostra esistenza e possiamo imprimere una direzione al nostro destino. Ecco dove trova fondamento la concezione romana della fortuna e dell‟homo faber contrapposta alla visione greca, medio-orientale, che rappresenta la Fortuna come una dea bendata che dispensa gli eventi in modo puramente casuale ed invia gli eventi secondo il proprio capriccio. È convinzione comune che siano gli eventi esterni a condizionare le nostre attitudini e a determinare i nostri stati d‟animo. Un fatto si verifica, facciamo un incontro o riceviamo una notizia, e noi crediamo che lo stato psicologico che avvertiamo, di 91

Lupelius irritazione, di ansia, o di sorpresa, sia un effetto, una conseguenza, di quell‟avvenimento, di quell‟incontro, di quella notizia. Allo stesso modo che, fino all‟invenzione della fotografia, è stato impossibile determinare l‟esatta successione degli zoccoli nel galoppo del cavallo, essendo i suoi movimenti più veloci dell‟occhio, così pensieri, emozioni, percezioni, sensazioni, come lampi elettronici, attraversano le misteriose foreste dei nostri neuroni a velocità vicine a quella della luce e sembra impossibile stabilire la corretta successione temporale in connessione agli accadimenti esterni. Un evento si verifica e noi crediamo che lo stato psicologico che avvertiamo sia l‟effetto di quell‟avvenimento. Giustifichiamo cioè il nostro stato d‟Essere con l‟evento esterno mentre è accaduto esattamente il contrario. In realtà sono gli stati d‟Essere che annunciano e determinano gli eventi della nostra vita. Le nostre emozioni negative, nel tempo, si trasformano nelle avversità di cui poi ci lamentiamo. Per incontrare un evento di una certa natura, nel bene o nel male, devo prima creare internamente le condizioni del suo accadere. La più grande illusione dell‟uomo è di poter cambiare le condizioni esterne, di poter modificare il mondo. Noi possiamo solo cambiare noi stessi, intervenire sulle nostre attitudini, modificare le nostre reazioni, non esprimere le emozioni negative che proviamo. L‟universo è perfetto così com‟è. L‟unico che deve cambiare sei tu! Siamo convinti che l‟energia e la buona volontà di un uomo siano ben poca cosa di fronte agli avvenimenti della vita, che ci appaiono per lo più fortuiti e fatali. Quel torrente di eventi che continuamente ci sommerge, si presenta troppo vario e confuso per poterlo prevedere e troppo superiore alle nostre forze per pensare di poterlo addirittura dirigere. Per Lupelius il lavoro che dobbiamo fare è „vedere‟ che dietro gli eventi e poi dietro gli stati, ci siamo sempre noi. Prima di qualunque soluzione viene il nostro cambiamento. Chi sa produrre intenzionalmente in sé il più piccolo innalzamento dell‟Essere sposta montagne e si proietta come un gigante nel mondo esterno. 92

La Scuola degli Dei Intervenendo sui nostri stati, sulla qualità dei nostri pensieri, sui modi di sentire, sulle emozioni negative, denutrendo alcuni e alimentandone altri, non solo modifichiamo la nostra attitudine, quindi il nostro rapporto con gli eventi che ci arrivano dal mondo esterno, cioè il nostro modo di reagire, ma anche la natura stessa degli eventi che si susseguono giorno dopo giorno. Il primo lavoro che siamo chiamati a fare è autosservazione, l‟osservazione dei nostri pensieri e degli stati d‟Essere. Uno studio attento di se stessi, dei propri pensieri, emozioni, delle posture che assumiamo e delle nostre reazioni, del modo in cui „prendiamo‟ gli accadimenti, ci permetterebbe di scoprire che l‟uomo pensa e sente negativamente. Solo apparentemente un uomo si augura bene, prosperità, salute. Se potesse osservarsi e conoscersi interiormente ascolterebbe invece dentro di sé la recita pressoché continua di un canto di negatività, come una preghiera di sventura ùfatta di preoccupazioni, di immagini malate, dell‟attesa di eventi terribili, probabili ed improbabili. Ma come si fa a intervenire sugli stati interiori, sui propri stati d‟animo, emozioni e modi di pensare? Basta pensare alla difficoltà di uscire da uno stato di cattivo umore. L‟energia che può spostare una montagna non può modificare un pensiero e ancor meno un‟emozione. La forza per indirizzare un pensiero o per avere controllo su un‟emozione è prodotta da un‟energia più alta. Per accumulare questa speciale energia occorre eliminare tutte le falle a bordo, i mille rivoli attraverso cui, come un colabrodo, perdiamo energia e che consistono soprattutto nella espressione di emozioni negative e in attitudini interiori sbagliate. Se un evento accade esternamente e non lo connetto agli stati del mio Essere che lo hanno creato, ho perso un‟opportunità importante. A ben osservare, molti eventi della nostra vita ricorrono ed è possibile cercare di definirne più chiaramente la natura vedendo la loro corrispondenza a particolari stati d‟Essere. Per esempio, questo grumo di pensieri si chiama „essere in ritardo‟. „Essere in ritardo” mi procura uno stato di ansietà. L‟intelligenza è sapere che quelle 93

Lupelius condizioni esterne corrispondono a una condizione interna che non si è creata in quel momento. C‟è una parte del mio Essere che mi connette a quegli eventi. Per cancellarli dalla mia vita non c‟è altra soluzione che modificare questa condizione interiore che io chiamo ansietà, paura, preoccupazione, ma che in realtà non è altro che una malattia dell‟Essere, una peccabilità. In un modo o nell‟altro, quel tipo di eventi si ripeterà nella mia vita finché perdureranno internamente quegli stati psicologici che lo hanno prodotto. Quegli eventi sono in realtà sintomi che annunciano una guarigione, se abbiamo il potere di connetterli agli stati che li hanno originati. „Vederli‟, portare attenzione ai propri stati psicologici, significa rivolgere la freccia verso se stessi, rovesciare il processo e risalire dall‟evento allo stato. Lì c‟è l‟accesso alla comprensione e la concreta possibilità di trasformare la propria vita. Scusarsi, giustificarsi, accusare un evento esterno e non riconoscerne la causa in una peccabilità del nostro Essere, nei nostri stati, nel nostro modo di pensare, di sentire, di reagire, significa non aver capito; e non aver capito significa che quell‟evento in qualche modo dovrà ripetersi e ripetersi. Cambieranno le circostanze, gli eventi si presenteranno con maschere diverse e noi continueremo ad accusare circostanze ed eventi esterni perdendo l‟opportunità di liberarcene per sempre. Datti la colpa di tutto, prenditi la responsabilità di tutto quello che ti accade. Il potere di questa attitudine è compresso in due parole eterne: Mea culpa. Riflettei che anche le nazioni vivono stati d‟Essere che attraggono eventi corrispondenti. In U.S.A. il sentimento razziale, per esempio, lo stato di avversione per uomini diversi per razza, credo, cultura, ha richiesto decine e centinaia di anni perché fosse riconosciuto e perché si producessero le condizioni per il suo superamento. I martiri, i leader bruciati giovani, come: Malcom X, M.L.King, J.F.Kennedy, accorciano i tempi e accelerano le condizioni per i cambiamenti di stati psicologici, modi di pensare e di sentire di una intera nazione, di una civiltà, capaci di attirare nuovi eventi e nuove opportunità. 94

La Scuola degli Dei I nostri stati possono farci perdere o vincere nella vita, farci poveri o ricchi, possono ammalarci o guarirci. Lo studio di noi stessi, l‟autosservazione è lo strumento per conoscerli. Il solo atto di osservarci ci fa più consapevoli, più intelligenti. Self-observation is self-correction 13 “Metti Dio al lavoro!” La lettura del manoscritto di Lupelius mi rendeva febbricitante. Scavando in quelle pagine che avevano attraversato i secoli, entravo tra i banchi della Scuola degli Dei. Ne ascoltavo estatico la voce senza tempo. Ogni giorno era un‟avventura dell‟intelligenza e la mia ricerca veniva premiata dai tesori di un pensiero immortale. L‟uomo non ha bisogno di immettere nulla dall‟esterno… né cibo, né conoscenza, né felicità... è suo diritto di nascita non dipendere da alcuna cosa al di fuori di sé… L‟uomo può alimentarsi dall‟interno, nutrirsi della sua intelligenza, della propria volontà, della propria luce. Per Lupelius questa idea era l‟elemento centrale dell‟immortalità fisica, la pietra angolare di ogni filosofia e di ogni religione. Da un recesso della memoria affiorarono le parole più antiche del mondo, le parole che le labbra dell‟uomo, come quelle di un bambino, hanno pronunciato quattromila anni fa, prima ancora che sapesse scriverle: Non avrai altro Dio al di fuori di Me!… Una comprensione si fece spazio e si allargò dentro, trepidante, all‟inizio, come una luce che scava antiche tenebre… Poi divampò, potente come un incendio. Non avrai altro Dio… voleva dire che l‟uomo, inconsapevole di essere il creatore, fa del mondo esterno la sua divinità e lo elegge a signore e padrone del suo Essere… Quel monito millenario tramandava il primo ed il più grande dei comandamenti: non dipendere da nulla!… Ricorda che sei colui che ha creato tutto questo!… 95

Lupelius Credere in un mondo fuori di noi significa dipenderne, significa restare intrappolato nelle leggi della propria proiezione. Le mie riflessioni a questo punto si sovrapposero e si confusero, come voci di bambini eccitate da una scoperta felice… „Ama il Signore Dio tuo. Non avrai altro Dio al di fuori di te stesso‟… Tu sei signore e padrone, artefice e creatore di tutto ed ogni cosa. Tu proietti tutto questo… Tu sei tutto questo… Mai più avrei sentito così vicino l‟alito di un dio più concreto e reale… Qui il pensiero si arrestò e si sospese… Dalle traduzioni che ogni giorno ricevevo dal team di studiosi e ricercatori che avevo raccolto ad Everan emerse un dialogo tra Lupelius ed Amanzio, uno dei suoi monaci-guerrieri. Il loro messaggio guizzava tra le righe, ancora palpitante e vivo, come se le domande di quel discepolo fossero pronunciate in quel preciso momento. Il tempo si compresse e fui fiondato tra le mura venerande della Scuola. Lupelius:“If you believe in the external world as something real, then you are lost and destined to fail in whatever you do. Anything coming from „out there‟ can only help you to recognize in yourself the true source of all your troubles, limitations and mysery. Therefore, let all outer incidents, circumstances, events and relations with others, fall in a place within yourself where such trash can be transformed into a new substance, new energy, new life… …Avete fatto dell‟esistenza, del mondo esterno, il vostro dio... Ma l‟esistenza non è reale… è un artificio al servizio del Sogno perché possiate risalire alla fonte e scoprire che cosa è veramente reale… Non c‟è nulla fuori di noi che non sia governato dal Sogno.” Amanzio:“E questo castello in cui siamo, allora, e queste stanze che hanno più di trecento anni?” Lupelius: “Sono una tua creazione… ora, in questo attimo!” 96

La Scuola degli Dei Amanzio: “E mio padre e mia madre?” Lupelius: “Sono sempre una tua creazione… Non c‟è nulla fuori di te che sia prima di te! Life doesn‟t come from our parents, but stands Real,Eternal, Magnificent, with neither beginning nor end, neither birth nor death.” Amanzio: “Ma… allora… l‟uomo è… Dio?” Lupelius: “No!… È molto di più!… Ha Dio al suo servizio… ” Amanzio: “Cosa significa?” Lupelius: “Che potresti chiederGli tutto quello che desideri… e Dio obbedirebbe ad ogni tua richiesta.. senza limiti… Dio è un buon servitore ma non un buon padrone... Dio ama servire… ama amare... Dio è l‟arrendevolezza totale al tuo servizio… Dio esiste… perché „tu‟ esisti… Se non ci sei tu non ha ragione di esistere… Dio è la tua volontà in azione.” Amanzio: “Non capisco” Lupelius: “La mente non può capire… può solo mentire… La mente… mente… La mente che non mente si annulla e fa spazio alla totalità dell‟Essere. Non puoi cambiare il passato se non comprendi che è il presente che da forma al passato. Qualunque cosa realizzi in questo istante è simultaneamente trasferito in tutte le direzioni. Se il presente è reso perfetto, ogni cosa nel tuo passato si allinerà con questa perfezione. Each event of the past is just a resonance of vibrations that your body is sending right Now. It‟s Here that everything happens… 97

Lupelius It‟s Here that everything is touched... It‟s Here that everything is moved… Here… where Truth, Innocence, Beauty and Power dwell. Here… in this infinite, everlasting, indestructible Body.” 14 L‟arte di vegliare The battlefield is the Body, lessi dal manoscritto. Questa sintesi perentoria di Lupelius mi echeggiò dentro come il grido di guerra di una grande crociata. Il campo di battaglia è il nostro corpo. La vittoria si chiama integrità. Il fine della vita di un uomo, il suo scopo, è l‟integrità, l‟unità dell‟Essere. In questo Lupelius comprimeva il senso della millenaria ricerca dell‟uomo ed individuava la ragione stessa della sua esistenza, il significato di tutta la sua storia. Secondo Lupelius, questo raggiungimento è fisico. Il corpo è la parte più visibile dell‟Essere. L‟integrità dell‟Essere è una vittoria che avviene nelle cellule. Expand your vision until your whole body with every organ, muscle, fibre and cell down to the very last atom is overwhelmed by the light of your dream. Once dreaming is set in motion all things are possible. Your dreaming contains all the principles and power for the establishment of the kingdom of heaven on earth. Non c‟è guerra più santa che „vincere se stessi‟, non c‟è vittoria più grande che superare i propri limiti. L‟integrità è una guarigione dell‟Essere. Richiede un capovolgimento di convinzioni millenarie, una trasformazione di emozioni negative e pensieri distruttivi, il raggiungimento di un dominio su se stessi e la padronanza sul cibo, sul sonno, sul respiro… Dallo studio di questo e di altri passi di „The School for Gods‟ ricavai la natura degli esperimenti che si conducevano intorno a Lupelius, in quel laboratorio solare che fu la sua Scuola, nell‟Irlanda di mille anni fa. Lì, i suoi discepoli-guerrieri si allenavano a padroneggiare il sonno ed il cibo, a ridurne ogni giorno 98

La Scuola degli Dei il bisogno, come parte fondamentale della loro preparazione all‟invulnerabilità ed all‟immortalità. Per Lupelius il sonno era un cattivo surrogato della respirazione, un espediente che il corpo aveva trovato per liberarci, sia pure solo per qualche ora, da una respirazione asfittica, insufficiente. Inoltrandomi ancora di più nel pensiero di Lupelius mi resi conto che nulla è per noi più vicino, ed allo stesso tempo più sconosciuto e misterioso, del nostro respiro. Siamo creature che vivono sul fondo di un oceano d‟aria. E sebbene siamo immersi in questo elemento ed ogni centimetro quadrato del nostro corpo è sotto la pressione di un universo etereo, immettiamo nei polmoni una quantità insufficiente di ossigeno. Lupelius aveva fatto la scoperta straordinaria che ogni uomo respira una quantità di aria decine di volte inferiore a quella che gli è necessaria. Nel suo manoscritto esamina e descrive accuratamente questa condizione di quasi apnea in cui l‟uomo si è ridotto a vivere, definendola di „underbreathing‟, cioè di sottorespirazione. La conseguenza di questo strano fenomeno è che, secondo Lupelius, ci sono parti vitali del nostro organismo che mancano di ossigeno e sono sottoalimentate. Anticipando di secoli la scoperta della preminenza che la respirazione ha nel catabolismo e nel ricambio organico, Lupelius aveva raggiunto la conclusione che l‟umanità era tutta gravemente inquinata. Per lui un uomo doveva dedicare ore ed ore ogni giorno ad una respirazione piena, profonda, completa, e preconizzava che nel futuro ogni scuola, ogni comunità e organizzazione umana, avrebbe introdotto una educazione al respiro, un allenamento ad immettere le grandi quantità di ossigeno che in realtà il nostro organismo richiede. Considerai con amarezza che, dieci secoli dopo, quella profezia era ancora lontana dall‟avverarsi e che l‟umanità continuava imperterrita a „sottorespirare‟, comportandosi come se l‟ossigeno fosse gravato da tasse esorbitanti o fosse tra i beni più rari e costosi dell‟universo. Secondo Lupelius una respirazione profonda non può prodursi meccanicamente ma solo intenzionalmente. Da lui appresi che il destino di un uomo è legato a filo doppio alla sua respirazione. Più ampio il respiro di un uomo, più ricca la sua realtà… Se vuoi cambiare il tuo destino, lavora sul respiro… dedica tempo alla respirazione… 99

Lupelius Una delle pietre angolari della dottrina di Lupelius è che per meritare un destino individuale, per essere l‟eroe di una grande avventura personale, un uomo ha bisogno di una respirazione consapevole e profonda, di essere frugale nel cibo, nel sesso e di sottrarre tempo al sonno. In questa direzione vanno fatti tutti gli sforzi necessari. Sull‟argomento trovai nel manoscritto una lettera di Lupelius ad un suo allievo, con alcune raccomandazioni fatte in tono famigliare, senza formalità. La gente si addormenta allo stesso modo in cui si augura di morire… di colpo… Ma tu, qualunque sia l‟ora, non importa quanto lunga sia stata la giornata e dura la tua battaglia, accertati di „andare a dormire sveglio‟… Chi non sa gestire la propria energia, a fine giornata cade sul letto sfinito, più morto che vivo… Ma tu, se proprio devi dormire qualche minuto, approccia il sonno da sveglio. Questo ti permetterà di non cadere nelle profondità infernali. Mi sembrò che quelle parole di Lupelius fossero dirette a me e che bacchettassero a distanza la mia abitudine, allora frequente, di cadere addormentato di colpo davanti alla TV o leggendo un libro. La loro forza, il loro potere di suggestione fu tale che leggendole decisi sul posto di redimermi e da allora adottai „l‟addormentarsi sveglio‟ come una regola di vita ed una parola d‟ordine. Secondo Lupelius il modo in cui un uomo si addormenta è una cartina di tornasole, un sistema per rivelare la qualità della sua vita. Quando sembra che stiamo soccombendo e che chiudere gli occhi e cadere addormentati sia ormai inevitabile, è quello per Lupelius il momento di esercitare la volontà, di insorgere ed usare ogni mezzo per vincere il sonno… Lupelius suggeriva di tirare di spada, di bagnarsi o di danzare, ed aveva inventato ogni sorta di trucchi e stratagemmi che potevano servire a questo scopo. Secondo Lupelius „Dormire è morire!‟ Con il suo inimitabile black humor, da burlone planetario qual‟era, capace di mille travestimenti, affermava che gli uomini ogni notte fanno le prove generali della propria definitiva uscita di scena. Perseverando nella „cattiva abitudine‟ di dormire, a turno, metà del pianeta va a letto, ed i suoi abitanti si augurano la buona 100

La Scuola degli Dei notte, senza neppure sospettare di eseguire un rituale così macabro. Quel monaco-filosofo che aveva osato sognare l‟impossibile, il capo di quella Scuola di guerrieri invincibili, concludeva la lettera al discepolo con alcuni straordinari insegnamenti sull‟arte della veglia. Quando sai che il sonno è la rappresentazione della morte non puoi più approcciarlo come prima… In ogni caso, quali che siano le precauzioni e i mezzi cui ricorrerai, non permettere a nessuno, mai, neppure alla tua donna, di vederti dormire… Esercitati nell‟arte della veglia!… Un guerriero sa che farsi scorgere a dormire è mostrare la propria vulnerabilità… è un consenso dato al mondo di attaccarci e di colpirci a morte. 15 Le cattive abitudini Lupelius aveva scoperto nell‟uomo un mistero che la mente non riesce nemmeno a concepire, l‟esistenza di un buco nero dove si annida una melma emozionale, una sorta di „schiuma psicologica‟, che gli inquina le cellule. Attraverso le tecniche del digiuno e della respirazione, attraverso una nuova visione, nuove idee e sforzi speciali, un uomo può trasformare se stesso e la realtà che lo circonda; può fare il passaggio da un Essere incompleto, conflittuale, mortale, ad un individuo integro, armonioso, immortale. Ogni astinenza, ogni sforzo teso alla frugalità, è una preparazione alla fuga dagli inferni dell‟ordinarietà, ci libera delle incrostazioni emozionali accumulatesi negli anni. Secondo Lupelius solo un uomo di Scuola, guidato da un maestro impeccabile, può affrontare un tale processo di guarigione, superare le impervietà e gli ostacoli di una tale impresa. C‟è nell‟uomo una generale incomprensione dei segnali che annunciano e accompagnano un‟attività di purificazione. L‟umanità ordinaria li legge a rovescio ed invece di interpretarli come sintomi di guarigione li percepisce come vere e proprie malattie. La dolorosità dello sforzo richiesto è qualcosa che nessuno vuole affrontare. Per questo, secondo Lupelius, ogni pratica di astinenza viene sospesa proprio quando comincia a funzionare. 101

Lupelius Attraverso i lunghi viaggi, gli intensi studi e una ricerca instancabile, Lupelius aveva conosciuto le antiche scuole di iniziazione e aveva incontrato uomini straordinari delle grandi tradizioni ascetiche e mistiche. In ogni tempo ed in tutte le civiltà l‟otium, l‟arte del non fare, è stato l‟architrave su cui ha poggiato ogni disciplina, ogni ricerca interiore; il filo d‟oro che ha mantenuto legato alla grande avventura ogni uomo puntato verso la conquista dei più alti livelli di responsabilità. Seguendo la mappa ideale tracciata dal manoscritto, l‟astinenza dell‟asceta, la solitudine dell‟eremita, la frugalità del monaco, si rivelano espressioni di una sola Scuola, profili diversi di un‟unica, millenaria ricerca che si connette alle discipline marziali e alla veglia del guerriero. Quando approfondii questa indagine scoprii che Arriano, uno dei due storici al seguito di Alessandro il Grande, nell‟Anabasis Alexandrou ha trasmesso in una sola frase la regola alimentare ed il segreto della sua energia: “…era stato educato alla frugalità: per colazione, una marcia prima dell‟alba, per cena, un pasto leggero.” Gli stessi guerrieri macedoni, modello insuperato di valore e di forza per tutta l‟antichità, erano di una frugalità leggendaria. Dormivano sulla terra nuda e, anche durando fatiche estreme, affrontando le imprese più temerarie, mangiavano un pugno di olive. Eppure erano infaticabili, i più temibili, un vero incubo per gli eserciti nemici. L‟eliminazione intenzionale di un solo grammo di cibo, l‟astinenza da un solo minuto di sonno, erano secondo Lupelius così potenti da poter mettere in crisi l‟intero sistema di convinzioni di un uomo e sconvolgerne i falsi equilibri. La sua scuola propugnava l‟assenza di malattia, di vecchiaia, di morte come diritto di nascita e condizione naturale dell‟uomo. A diseaseless, ageless, deathless man. Da sempre, attraverso i secoli ed in tutte le tradizioni, la conquista della padronanza di sé aveva richiesto pratiche e discipline intese a portare alla superficie la „melma emozionale‟, come la chiamava Lupelius. Un‟operazione indispensabile per scoprire le ferite interne e per snidare dalle pieghe dell‟Essere ogni ombra in agguato. Lavorando sul manoscritto un giorno scoprii l‟incredibile segreto cui era pervenuto Lupelius. Il suo annuncio è il manifesto di 102

La Scuola degli Dei una rivoluzione del pensiero che non sembra diretto ai suoi contemporanei ma ad un consesso scientifico del futuro: “ …È tempo per l‟umanità di uscire da un sonno ancestrale, metafisico… È tempo di scuotere la polvere millenaria dal suo sistema di convinzioni…” Il documento si concludeva con queste insostenibili parole: “Il cibo, il sonno, il sesso, la malattia, la vecchiaia, la morte sono „cattive abitudini mentali. Bisogna liberarsene.” In più punti del suo manoscritto esse sono anche chiamate „superstizioni‟, „illusioni‟. “The battlefield is the body… Il campo di battaglia è il tuo corpo – dice Lupelius – Ogni vittoria sull‟eccesso di cibo, ogni attimo sottratto al sonno, te lo ritroverai come vittoria sulla morte… La morte fisica è immorale… innaturale… inutile.” Secondo Lupelius l‟assenza di frugalità nel cibo, nel sonno, nel sesso come nel lavoro, è causa prima di ogni perdita di vitalità e d‟energia; essa ha condotto l‟uomo ad abbandonare la sua condizione di Essere immortale e a sopprimersi, rendendo la morte fisica possibile e poi inevitabile. In ogni tempo, pochi uomini appartenenti a tutte le civiltà e di ogni tradizione religiosa, svegliandosi dall‟ipnotismo denunciato da Lupelius, hanno tentato di seguire una disciplina e hanno messo l‟idea dell‟immortalità fisica al centro del loro sistema di pensiero, come origine di ogni prosperità e longevità. Un giorno il Dreamer mi avrebbe detto che l‟idea della immortalità fisica è un elemento fondamentale della psicologia di una nuova umanità, e del leader in particolare. Senza l‟attraversamento di queste colonne d‟Ercole, un uomo viene prima o poi attaccato dal limite e curva. L‟idea che la morte possa essere sconfitta sradica ogni limite dalla psicologia, innalza la responsabilità, ed è una condizione necessaria per far nascere un‟impresa vitale, longeva, ricca. Secondo il Dreamer la filosofia dell‟immortalità fisica va insegnata in tutte le scuole, di ogni ordine e grado, nelle università e in ogni istituzione. L‟idea di una vita senza fine è l‟antidoto più potente alla povertà, alla criminalità, alla morte. Lasciando Everan e l‟Istituto Manoscritti Antichi, tornavo a New York portando con me, come il bene più prezioso, la copia di The School for Gods che avevo fatto realizzare per il Dreamer. Da tutta la massa dei miei appunti, due parole, in particolare, mi fecero 103

Lupelius riflettere per tutto il viaggio: Die less, aforisma ricorrente e forse il motto dei Lupeliani. Esse mi apparvero la sintesi estrema, l‟abbreviazione stessa della filosofia della Scuola. Die less and live forever Pensai alla devastante scoperta nascosta dietro l‟apparente semplicità di questa formula. L‟uomo muore dentro migliaia di volte al giorno. Nel nostro Essere, stati e pensieri distruttivi, emozioni negative, si arruffano e si riproducono senza posa, distillando il lento veleno che ci uccide. Forse non sapremmo da dove cominciare per vivere per sempre, ma seguendo il millenario aforisma di Lupelius certamente possiamo „morire di meno‟. Più volte intonai il canto di immortalità dei lupeliani: Eat less and Dream more. Sleep less and Breathe more. Die less and Live forever. 16 “Non ce la farai!” Emersi come da un percorso sotterraneo. Riconobbi la sala ed il grande dipinto che ne occupava la parete più lontana. Era un‟ora più avanzata del mattino questa volta nel mondo del Dreamer ed in queste condizioni di luce potei osservare con agio l‟architettura di quella parte della villa. Sollevai lo sguardo all‟alto soffitto e ne percorsi la linea fino al punto dove questo bruscamente si abbassava formando un‟imponente arcata di mattoni a vista. Fu in quel momento che avvertii una presenza. Trasalii. Dalle due estremità di quell‟arcata, guardiani immobili, mi osservavano due esseri nudi, un uomo e una donna. Un brivido mi percorse la schiena prima che potessi capire di cosa si trattasse. Erano statue a grandezza naturale disposte in modo da fronteggiarsi. La loro fattura così squisita mi fece pensare a copie di originali ellenistici. Il petto del guerriero, alto e levigato, potente come una corazza, mi lanciò un messaggio irresistibile di fierezza. Mi raddrizzai ed inarcai la schiena, come ad un comando marziale. 104

La Scuola degli Dei D‟istinto scartai la severa scala di peperino che portava all‟appartamento del Dreamer e, senza esitazioni, mi diressi nella direzione opposta, verso un‟ampia porta di cristallo e ferro battuto dalla sagoma particolare. Di fianco, un grande dipinto occupava tutta la parete. Mi fermai ad esaminarlo. Riconobbi un‟opulenta versione del mito di Narciso ritratto mentre si specchia nelle acque di uno stagno, un attimo prima di esserne ingoiato. Ammirai a lungo quell‟opera che avrebbe ben figurato tra i capolavori del seicento di una grande pinacoteca. Poi spinsi cautamente la porta di cristallo e restai incantato sulla soglia di un ambiente fiabesco. Senza distogliere lo sguardo da quella visione, mi chinai a slacciarmi le scarpe e le lasciai lì, dov‟ero, come avevo fatto nella mia prima visita. Scalzo, avanzai a cauti passi sulle grandi lastre di cotto del pavimento e mi inoltrai in quella che mi sembrò una immensa serra. La ricchezza di piante, per lo più tropicali, e le lunghe teorie di archi vetrati che ne formavano le pareti, rafforzavano questa impressione. Fuori, il verde intenso del giardino l‟assediava e premeva contro gli infissi di castagno come un mare vegetale contro i fianchi di un‟arca. Ma l‟eleganza di ogni dettaglio, le opere d‟arte, i quadri preziosi e le moderne sculture in marmo bianco mi lasciarono piacevolmente perplesso sulla vera natura di quell‟ambiente straordinario. Da due ampi lucernari pioveva la prima luce del mattino. Osservai le possenti travi che sostenevano il tetto e la mia immaginazione fu rapita dal pensiero di quale titano avesse potuto trasportarle e posarle lì dov‟erano. Più volte esplorai con lo sguardo ogni angolo, ma del Dreamer non vidi traccia. Non Lo vedevo da quasi un anno. Procedendo, vidi che il pavimento della sala nella sua parte centrale accoglieva uno specchio d‟acqua. Più che una piscina mi sembrò un piccolo stagno azzurro scavato nel cotto. Un movimento costante increspava piacevolmente la superficie dell‟acqua, come un brivido. Percorsi con lo sguardo il bordo, finché, ondeggiante sull‟acqua, vidi la Sua immagine. Lentamente sollevai lo sguardo. Il Dreamer stava portando alle labbra un flauto d‟argento. Arcuò con grazia il corpo e sollevò il viso verso la luce insieme a quella scintillante appendice. L‟aria si riempì di note infilate una dietro l‟altra come perle di una stessa collana. Era una musica senza età, senza tempo, come quella villa, come quella sala, come quel momento. Immobile, ascoltai. Provai l‟esultanza della mia infanzia, odorosa di mare, la sua felicità dimenticata. La pazzia delle corse sugli scogli, il sapore delle 105

Lupelius telline e dei granchi appena raccolti, i battiti del cuore prima dei tuffi più spericolati dal roccione, l‟ombra fresca della casa di Ischia, i baci sudati di Carmela al ritorno dal mercato… Una nota restò sospesa nell‟aria più delle altre, aleggiò sul respiro che l‟aveva creata, giocò ancora un poco con le molecole dell‟aria fino a liberarsi della musica e diventare un unico, vibrante soffio sonoro. Improvvisamente cessò. Per l‟eternità di qualche secondo il flauto rimase traverso, attaccato al labbro inferiore, poi seguì docile la mano che lo adagiò su un cuscino accanto. Era più giovane di come lo ricordavo e mi sembrò ancora più magro. Sollevò il Suo sguardo e mi esaminò a lungo. Di certo sapeva degli sforzi che avevo fatto per ritornare da Lui… delle lunghe ricerche del manoscritto e del successo della mia missione, della passione con cui avevo studiato e mi ero avvicinato al pensiero della Scuola. Dopo il burrascoso incontro con cui aveva avuto inizio il mio apprendistato e l‟avventuroso viaggio nel mio passato iniziato a Marrakech, mi attendevo questa volta parole di incoraggiamento, se non di elogio. Mi avvicinai ancora di alcuni passi. Il Dreamer continuò a fissarmi senza parlare. Inizialmente provai uno stato di vago disagio che rapidamente si trasformò in dolore. Sotto il Suo sguardo la mia attenzione stava invertendo la sua direzione. Mi stavo osservando dentro, per la prima volta. Lo spettacolo non era dei più piacevoli: un blob di pensieri oscuri stava affiorando alla coscienza, insieme a sensi di colpa e sentimenti ingarbugliati come matasse emozionali mai dipanate. Il Suo sguardo mi stava scavando dentro rimestando quella fanghiglia psicologica che non avevo mai voluto vedere, né affrontare. Smise un attimo prima che la dolorosità superasse il limite della sopportabilità. Ma non allentò la presa. Quello che stava per seguire sarebbe stato ben più doloroso. Al termine del Suo esame, come se avesse raggiunto un giudizio conclusivo, definitivo, sentenziò: «Non ce la farai!» Il silenzio che seguì quel verdetto invase rapidamente tutto lo spazio della serra e conquistò ogni angolo. Malinconia, delusione, scoramento, rabbia, si intrecciarono e si fusero in un solo dolore, pacato. Mi sentivo svuotato di ogni energia. Avrei voluto solo essere lasciato in pace ed accasciarmi. Con il fiato sospeso, attesi come un imputato la fine di quel giudizio. Quella pausa durò crudelmente a lungo. 106

La Scuola degli Dei Finalmente, con il tono di un ricercatore che constata l‟ennesimo esperimento fallito, previsto ma non per questo meno deludente, annunciò: «Nessuno ce la fa… È l‟umano che non ce la fa! » Si stava rivolgendo a me come al rappresentante di una razza sconfitta, di una specie in via di estinzione. «Troppe sono le leggi che ti costringono a restare quello che sei. Anche la ricerca che ti ho affidato, l‟hai trasformata in qualcosa che alimenta la tua vanità, il tuo egocentrismo.» Provai un forte risentimento, l‟avversione mista ad autocommiserazione che si prova per un‟ingiustizia subita. Dopo mesi di viaggi e di ricerche fatte tra gli Stati Uniti e l‟Europa, dopo aver trovato il manoscritto di Lupelius che ricercatori, studiosi ed archeologi del sapere consideravano perduto per sempre, e dopo aver affrontato con coraggio l‟incontro con il mio tormentato passato, non meritavo di essere trattato in quel modo. Avrei voluto rintuzzare in qualche modo le parole del Dreamer, ma i muscoli della dignità erano ancora troppo esili. D‟altra parte, in cuor mio sapevo che aveva ragione. Tentai di nascondere il mio stato d‟animo dietro una falsa arrendevolezza. «Non riesco a cambiare» mi limitai a dire. Ma la voce tradì il rancore dell‟impotenza e la mia inclinazione ad aggrapparmi e dipendere. «STOOOOP! » shouted the Dreamer, drawing out the „o‟ in a hideous tone of voice. I felt my body scattered into a thousand pieces and recompose simultaneously. Every thought and emotion had been washed away leaving a strange sensation of thoughtlessness, carved out by that inhuman wail, terrible as a battle cry heard among the clashing components of war in the middle of lethal combat. The passing seconds were filled with terror like the countdown to a harrowing event. Something in my Being was triggered which sharpened my ability to listen. «STOOOOP! »Gridò il Dreamer, prolungando la „o‟ con un tono di voce orribile. Sentii il mio corpo frantumarsi in mille pezzi e ricomporsi all‟istante. Ogni pensiero ed emozione erano stati spazzati via da quel grido inumano, che come un grido di battaglia nel mezzo del fragore del combattimento chiamava a raccolta per l‟attacco finale. Attimi pieni di terrore avevano innescato il conto alla rovescia, affinando allo spasimo la mia attenzioneper l‟attesa di un evento terribile. 107

Lupelius «Ricordi quando piangevi per ore, fino a ridurti senza voce?» mi chiese a sorpresa il Dreamer a voce bassa ma conservando nel tono tutta la Sua ferocia. Immagini si avvicendarono rapide nella mente. Tessere di un passato lontano si sovrapposero l‟una all‟altra e si mischiarono come fruscianti carte da gioco tra i pollici di un illusionista. Non differivano l‟una dall‟altra, avevano tutte la stessa luce, l‟atmosfera magica della mia infanzia napoletana, dove lari e penati avevano nomi più antichi, partoriti da superstizioni millenarie. Riconobbi la vecchia casa, la camera di Carmela, l‟armadio con le ante a specchio. Un bambino di forse sei anni, seduto sul pavimento piangeva disperatamente, senza interruzione… Ero io. «Sei ancora lì, nulla è cambiato. I tuoi capricci di bambino sono diventati un‟inclinazione permanente alla lamentela e alla autocommiserazione.» Tacque per un tempo che mi parve interminabile. «Nel mondo dell‟ordinarietà è impossibile cambiare – commentò infine il Dreamer – A sette anni un bambino entra già nell‟esercito triste degli adulti, come un piccolo spartiate… ha già ricevuto una descrizione rovesciata del mondo ed un set completo di tutte le convinzioni, pregiudizi, superstizioni ed idee che lo faranno appartenere di diritto e per sempre al club planetario degli infelici.» «Pensiero, emozione e corpo nell‟uomo sono universi concentrici… tutto è connesso. Cambiare intenzionalmente una cadenza o un‟inflessione della voce, raddrizzare di un solo millimetro la schiena, modificare l‟abitudine apparentemente più insignificante, significa cambiare tutta la propria vita. È pressoché impossibile.» Mi scrutò a lungo, con severità, ed io sostenni il Suo esame. Sapevo che neppure il più piccolo moto dell‟animo Gli stava sfuggendo e che, in quella partita non c‟era possibilità di barare. Stavo giocandomi il tutto per tutto… La possibilità, un giorno, di conquistare me stesso, di essere toccato dal Sogno, di trasformare la mia vita in una grande avventura individuale, oppure precipitare e perdermi per sempre, senza rimedio, erano lì… coesistevano. La mia vita pendeva da un filo sottile, sospeso sulla bocca di un baratro. Una parola, una intonazione, la lunghezza di una pausa, potevano farla precipitare nel brulicame di un destino collettivo. Con un movimento rapido e l‟elasticità di chi ha un corpo ben allenato, dalla posizione reclinata si mise in piedi; l‟azzurro 108

La Scuola degli Dei della piscina raccolse il Suo movimento come il riflesso di un volo e lo cullò sulla sua tremolante superficie. Lentamente fece alcuni passi nella mia direzione. Il respiro sospeso, attesi per attimi infiniti. Poi in tono fermo, ma questa volta senza durezza, annunciò: «Solo se ricordi Me puoi farcela!» 17 “Capovolgi le tue convinzioni!” Intanto si era messo a Suo agio, sistemando con cura alcuni cuscini intorno al corpo. La Sua attitudine mi parve quella di chi fa buon viso e approccia con rinnovata energia un lungo lavoro che credeva già concluso. «Capovolgi le tue convinzioni!» mi esortò con forza. L‟idea di invitarmi a sedere non dovette neppure sfiorarGli la mente, e mi lasciò in piedi, dov‟ero sin dall‟inizio del nostro incontro. Interpretando questa Sua attitudine come mancanza di considerazione, provai risentimento ed un senso di offesa. Allora era impossibile per me concepire un essere che come il Dreamer vivesse ogni istante strategicamente. In Lui non c‟era un battito di ciglia che non fosse consapevolmente al servizio del Suo intento. Rimuginando il mio malanimo, restai ad ascoltarLo, confinato nello spazio di una lastra di cotto, accanto al tremolio delle acque della Sua piscina. «Il presente, il passato, il futuro di un uomo… gli eventi, le circostanze e le esperienze che incontra sul suo cammino, sono ombre proiettate dal suo credere - continuò il Dreamer - la sua esistenza, il suo destino, sono la materializzazione delle sue convinzioni e soprattutto del suo indulgere… „Visibilia ex invisibilibus‟. Tutto quello che percepisci, vedi e tocchi nasce da una invisibilità. La vita di un uomo è l‟ombra del suo Sogno, è il dispiegamento nel visibile dei suoi princìpi e di tutto ciò in cui crede… Tutti vedono puntualmente realizzarsi ciò in cui hanno fermamente creduto… Un uomo crea sempre. Gli ostacoli che incontra sono la materializzazione dei propri limiti, del suo pensiero conflittuale, della sua impotenza... C‟è chi ha fede nella povertà, c‟è chi ha fede nella malattia… c‟è chi crede incrollabilmente nel limite e nella 109

Lupelius scarsità… c‟è chi ha puntato tutto sulla criminalità… Un uomo crea sempre, anche negli stati più tenebrosi dell‟Essere.» Secondo il Dreamer non c‟è qualcuno che abbia più fede degli altri. Ogni uomo ha la sua porzione di fede da gestire, da investire… ad ognuno è data esattamente la stessa quantità che a tutti gli altri. «Ciò che fa la differenza tra gli uomini… ciò che veramente li fa appartenere ad un diverso destino, è la direzione delle loro credenze, la diversa qualità del target che, anche se inconsapevolmente, ognuno si prefigge di colpire… » Queste affermazioni del Dreamer mi sconcertarono non poco. Avevo sempre creduto che la fede fosse un bene raro e che anzi, proprio nella loro diversa capacità di avere fede, consistesse la differenza sostanziale tra gli uomini. Tra i pilastri ideologici su cui poggiava la mia descrizione del mondo, c‟era sicuramente la convinzione che Maometto o Alessandro, Socrate o Lao Tzu, Churchill o Napoleone fossero diversi dagli altri per la forza delle loro convinzioni. «Ma se tutti hanno fede... anzi, la stessa quantità di fede – chiesi, chiamando in causa le scritture e facendomi forte della loro autorità – qual‟è allora il significato delle parole „se aveste fede quanto un granello di senape‟?…» Il discorso che seguì si incise per sempre nella mia Coscienza. Non tanto per le memorabili parole che pronunciò, ma per l‟autorità che sentii pulsare dietro ognuna di esse. Il Dreamer non stava dandomi un‟interpretazione di quel passo del Vangelo, lo stava creando. La sostanza sognante di quel messaggio millenario, l‟intelligenza compressa nei suoi atomi, si stava sprigionando lì, in quel momento. Quelle che stavo ascoltando erano parole nuove, vive. Non erano mai state pronunciate prima, in tutta la storia del mondo. «Se un uomo avesse la capacità di spostare di un millimetro la direzione della sua fede, se appena potesse indirizzare la forza delle sue convinzioni verso la vita anziché verso la morte… potrebbe spostare montagne nel mondo degli eventi.» Come un lampo che squarcia il buio ed illumina ciò che un attimo prima era sepolto nell‟ombra, così, vividamente, mi attraversò la mente l‟evidenza dell‟immensa energia contenuta in un atomo di fede. Capii che l‟eliminazione del più piccolo granello d‟inferno avrebbe disintegrato la fede nella morte che è la più 110

La Scuola degli Dei radicata tra tutte le convinzioni dell‟uomo. Realizzai anche la ciclopicità di una tale impresa. Soltanto concepirne il pensiero equivaleva allo sforzo di un titano che caricava su di sé il peso della terra e della volta del cielo. Per la prima volta chiesi a me stesso in che cosa avevo avuto fede… a che cosa avevo dato valore, fino all‟incontro con il Dreamer… La Sua voce mi raggiunse nel mezzo di questi pensieri e mi soccorse mentre stavano irrimediabilmente curvando verso il fondo oscuro del mio passato. Anche se ne ero già a conoscenza, fu imbarazzante avere la riconferma che ero per Lui come un libro aperto. «Fino ad oggi la tua ragione di vita, il goal della tua esistenza, come quello di tutti gli uomini, è stato di ucciderti dentro… Malattia, Vecchiaia, Morte sono le divinità che da migliaia di anni l‟umanità ha idolatrato… Così l‟uomo ha rinunciato dolorosamente alla vita… al suo sogno infinito.» „Se aveste fede quanto un granello di senape… ‟ significava che il più piccolo innalzamento della visione, la minima trasformazione, avrebbe potuto farci deviare dal nostro destino mortale. Il Sogno è la cosa più reale che ci sia „Vedere‟ i propri limiti, circoscriverli, significa liberarsene! La vita dell‟uomo è governata dalle emozioni negative. L‟angoscia che si porta dentro è la vera causa di tutti i suoi guai e della sua infelicità. Il Dreamer si alzò e, voltatemi le spalle, si diresse a passi attenti oltre la grande piscina, verso l‟angolo opposto di quella straordinaria serra. Da lì mi parlò, sempre di spalle, e la Sua voce mi arrivò forte e chiara come se fosse accosto al mio orecchio. «È solo questione di tempo… – registrai fedelmente sul mio taccuino – Nel tempo, colpiremo tutti il target che ci siamo prefisso... Alla fine vinceremo tutti… tutti diventeremo ciò in cui abbiamo creduto… e tutti otterremo ciò per cui siamo stati incorruttibili… voi, la vostra miseria, la vostra immoralità, la vostra morte… ed Io l‟impeccabilità, l‟infinito, l‟immortalità.»

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Lupelius 18 La Sindrome di Narciso «La tua fede più incrollabile… la tua convinzione più nociva, è che esista un mondo esterno a te, qualcuno o qualcosa da cui dipendere, qualcuno o qualcosa che possa darti o toglierti, eleggerti o condannarti» disse il Dreamer. «Se un guerriero credesse, anche solo per un attimo, in un aiuto esterno, perderebbe all‟istante la sua invulnerabilità» affermò. Poi tacque e chiuse gli occhi. Mi occupai annotando le Sue ultime parole sul taccuino. Ma quella pausa si prolungava. Tentai di superare l‟imbarazzo della mia estraneità e della mia improvvisa superfluità rileggendo mentalmente alcune parti dei miei appunti. Finalmente il Dreamer uscì dal Suo silenzio e ad occhi chiusi recitò: «There is nothing out there... There is no help coming from anywhere at all... La malattia più grave dell‟uomo è la dipendenza» annunciò in tono severo. Immediatamente entrai in uno stato di vigilanza. Nel corpo sentii senza possibilità di errore l‟importanza di questa affermazione e la centralità da assegnarle nel mio nuovo sistema di convinzioni. Non c‟è danno più grave che dipendere dagli altri, dal loro giudizio… Per liberarsi da tutto questo occorre una lunga preparazione… » Come avrei notato in seguito, osservando la mia attitudine in questa occasione e in altre simili, quello che accettavo senza troppe resistenze, o che addirittura mi trovava subito convinto, quando il Dreamer si riferiva all‟umanità in generale, trovava in me resistenze inespugnabili quando mi prendeva di petto e si rivolgeva a me in prima persona. «La gente come te… si sente viva solo in mezzo agli altri… preferisce i ritrovi affollati… trova lavoro nelle amministrazioni statali o si impiega nelle grandi aziende... ovunque possa sentire lo strofinio rassicurante della moltitudine… Celebra tutti i rituali della dipendenza e ne affolla i templi: cinema, teatri, ospedali, stadi, tribunali, chiese, pur di stare con gli altri, pur di sfuggire a se stessa, al peso insostenibile della propria solitudine» incalzò il Dreamer. Ebbi un moto animalesco di difesa. Un‟insopprimibile ostilità mi oscurò l‟Essere, quasi quelle parole minacciassero 112

La Scuola degli Dei qualcosa di vitale, o buttassero all‟aria un piano da tempo preordinato. Mentalmente allineai, come i proiettili di un mortaio, tutte le cattiverie che avrei voluto dirGli. Uno sguardo interno tentò di rimuovere quella moltitudine vergognosa, ma riuscì solo a disegnarmi sul volto una smorfia di dolore. Il Dreamer saggiò le mura della mia resistenza. Sapeva come aprirvi una breccia. Abbozzò un sorriso di ferocia, come se stesse per sferrarmi un colpo, e disse a voce bassa: «Un uomo come te si ammala ed è pronto a farsi fare a pezzi dai chirurghi… dagli sciamani di una scienza ancora primordiale, pur di attrarre l‟attenzione… pur di aggrapparsi al mondo.» Boccheggiai, come per un pugno allo stomaco. Il Dreamer lasciò passare qualche secondo come se mi contasse, arbitro ed avversario allo stesso tempo. «Ricordi il quadro?» mi chiese a bruciapelo, cambiando totalmente attitudine e tono. Ogni volta mi sconcertava. Non mi sarei mai assuefatto a questi mutamenti radicali che eseguiva con la subitaneità e una maestria che non avevo visto in nessun altro. Mi stupiva la Sua capacità di trasformarsi in un Essere totalmente nuovo, di passare al momento successivo senza portarsi dietro neppure un atomo di quello precedente. Capii subito che la Sua domanda si riferiva al dipinto che avevo ammirato prima di entrare in quella serra, dov‟eravamo. Ripassai mentalmente l‟immagine di Narciso che si piega di desiderio verso il proprio riflesso nello stagno qualche istante prima di venirne ingoiato. «È la storia emblematica dell‟uomo intrappolato nel riflesso di sé» espose il Dreamer non nascondendo l‟ilarità che gli suscitavano i miei tentativi, ancora infruttuosi, di adeguare i muscoli del viso al Suo improvviso cambiamento di soggetto e di umore. «La favola di Narciso è la metafora dell‟uomo che diventa vittima del mondo.» «Credere in un mondo esterno, affidare ai leader politici il governo della vita sociale e alle religioni la cura della vita interiore, ti deluderà profondamente ….. Vedi il mondo per quello che è – la simultanea creazione del tuo Essere. Il mondo è un riflesso dei tuoi stati interiori e delle tue condizioni, appare e scompare a volontà, ma può diventare sconosciuto e violento se dimentichi che sei tu, tu stesso, l‟origine della sua esistenza.» 113

Lupelius Continuò rivelandomi che, contrariamente alla convinzione comune, Narciso non si innamora di sé ma dell‟immagine riflessa nell‟acqua, senza realizzare che quella è solo un‟immagine. Credendo di vedere un essere esterno a sé, un‟altra creatura, se ne invaghisce, cade nell‟acqua e miseramente vi annega. «Once you realize that the world is the projection of yourself, you are free of it» concluse il Dreamer. Ero sotto shock. Com‟era stato possibile fraintendere per millenni uno dei miti decisivi della nostra civiltà? Com‟era stato possibile eludere una spiegazione così semplice? Accanto al Dreamer sentivo distintamente la voce di quell‟età di giganti che finì con Socrate e con l‟invenzione consolatoria della filosofia. L‟eco di quella saggezza ancora supera l‟oceano del tempo er raggiungerci, e noi continuiamo a fraintendere le sue favole eterne, rivelatrici della vera condizione dell‟uomo. Ancora spacciamo Narciso per l‟archetipo della vanità quando il suo mito, all‟opposto, è un monito, un grido di allarme contro la stupidità, la pericolosità della visione ordinaria del mondo. Quello che più volte il Dreamer aveva tentato di farmi capire stava finalmente trovando il modo di penetrare un po‟ più in profondità. La storia di Narciso era il messaggio di una scuola del capovolgimento, la stessa che aveva ispirato il Caravaggio a dipingere i quadri sulla crocifissione di Pietro e sulla caduta di Paolo. «Innamorarsi di qualcosa al di fuori di noi, dimenticando se stessi, significa perdersi nei meandri di un mondo che dipende… significa dimenticare di essere l‟unico artefice della nostra realtà personale… » «Un mondo fuori di noi non esiste – riaffermò – tutto quello che incontriamo, che vediamo, tutto ciò che tocchiamo, ci riflette. Gli altri, gli eventi, le circostanze della vita di un uomo rivelano la sua condizione.» Accusare il mondo, lamentarsi, giustificarsi, nascondersi, sono le manifestazioni di un‟umanità in disgrazia, i sintomi rivelatori della dipendenza, dell‟assenza di una „vera‟ volontà. «Questo non è il solo messaggio che ci è arrivato fino a noi attraverso i secoli che l‟uomo ha consistentemente frainteso per sfuggire alla sua insopportabile affermazione» disse il Dreamer. «Come Adamo, anche Narciso addenta la mela!» affermò prendendomi alla sprovvista. 114

La Scuola degli Dei Facevo fatica a stargli dietro mentre valicava con un passo solo abissi di tempo e distanza tra mondi remoti, accostando la storia della Genesi, vecchia di quattromila anni, ad uno dei miti più antichi della Grecia classica. «Anche lui, come Adamo, ha creduto nell‟esistenza di un mondo esterno.» Narciso restò vittima della sua illusione che ci fosse qualcuno al di fuori di sé e Adamo fu scacciato dall‟Eden, condannato a morte per aver addentato la mela, credendo nell‟esistenza di un mondo esterno. In entrambe le tradizioni, per quanto culturalmente lontane, il messaggio è lo stesso: credere che il mondo è fuori di noi significa diventarne vittima, esserne ingoiati. «Il mondo lo crei tu, ogni attimo! – affermò il Dreamer – Lo stagno in cui Narciso si specchia è il mondo esterno. Crederlo reale, appoggiarsi ad esso significa dipendere dalla propria ombra… Da creatore diventi creato, da sognatore diventi sognato, da padrone diventi schiavo, finché sarà la tua stessa creatura a soffocarti.» Riflettei che il messaggio di questi miti, così come mi stava facendo scoprire il Dreamer, si ritrovava intatto nelle favole nuove ed antiche, da Frankenstein a Blade Runner, da Alice in Wonderland al Nuovo Testamento. «La caduta dall‟Eden di Adamo ed Eva avviene ogni attimo» concluse il Dreamer. «Ogni attimo siamo scacciati dal paradiso, quando la descrizione del mondo ci possiede… quando dimentichiamo di esserne gli artefici. La creatura allora si ribella e si torce contro… È questo il peccato originale, il peccato imperdonabile, mortale: scambiare la causa con l‟effetto. Un uomo integro, reale… è tale perché governa se stesso… E nonostante l‟apparente dinamicità degli eventi e la varietà delle situazioni egli sa che il mondo è il suo specchio…» «Che sia bene o male, bello o brutto, giusto o sbagliato, tutto ciò che un uomo incontra è solo il suo riflesso e non la realtà.» disse il Dreamer, e dal tono seppi che il nostro incontro era giunto alla fine. Stava per lasciarmi. «Ognuno raccoglie sempre e solo se stesso… Tu sei il seme ed il raccolto… È per questo che tutte le rivoluzioni della storia sono fallite… esse hanno tentato di cambiare il mondo dall‟esterno... hanno creduto reale l‟immagine nello stagno...Do not 115

Lupelius rely anymore on the world for help. Go beyond it! Only those who have gone beyond the world can improve the world.» Qui si arrestò per qualche istante. «Go beyond it! » mi ordinò e si zittì di nuovo. Trascendi, vai oltre il mondo! Cosa poteva significare? «Per secoli l‟uomo ha grattato lo schermo del mondo credendo di poter modificare le immagini del film che egli stesso proietta.» La spiegazione dell‟insuccesso di innumerevoli generazioni di uomini protési a modificare il corso della storia, mi veniva offerta su un vassoio d‟argento. Quella visione amaramente beffarda riassumeva la storia infinita di atrocità, lutti ed eroismi sotto un unico giudizio: una colossale, inutile follia. «Tu… esci da questa pazzia! – mi comandò con inaspettata dolcezza – Lascia perdere guerre, rivoluzioni, riforme economiche, sociali o politiche… ed occupati del vero responsabile di ogni accadimento… Non curarti del sognato, cura il sognatore che è in te. La più grande rivoluzione, la più difficile delle imprese, eppure l‟unica che abbia senso, è cambiare te stesso.» 19 Un uomo non può nascondersi «Chi dipende dal mondo rimane invischiato nelle zone più basse dell‟esistenza – mi ammonì il Dreamer – Per tutta la vita hai cercato sicurezze e soddisfazioni effimere fuori di te… continuamente sospeso tra il timore e la speranza… che sono le radici della dipendenza... » Il Dreamer mi stava parlando fissandomi negli occhi con una severità che non consentiva un battito di ciglia o un respiro, come faceva quando doveva superare i miei sbarramenti e raggiungermi in profondità. «La tua vita, come quella di tutte le persone che dipendono, è orribile. È la vita di uno schiavo… Anni e anni in un ufficio a perpetuare la mediocrità, la scarsità, senza neppure il più lontano desiderio di sfuggire a quella prigionia.» Prendevo nota di quello che stava dicendo mentre, come un reporter di guerra, scrivevo sotto una gragnuola di colpi. «There is nothing out there… there is no help coming from anywhere at all – ripeté il Dreamer per imprimere questo statement tra le mie convinzioni più radicate – Non smetterò mai di ripetertelo: 116

La Scuola degli Dei nulla è fuori di te… Quello che chiami „mondo‟ è solo un effetto… Quella che chiami realtà è la materializzazione, il riflesso speculare dei tuoi sogni o dei tuoi incubi…» Questa visione si sarebbe rivelata lo scenario di fondo di tutto il Suo insegnamento ed in più occasioni, in futuro, il Dreamer l‟avrebbe approfondita ed ampliata, a mano a mano che crescevano in me le capacità di comprendere e sostenerne la forza sovversiva. Ricordo che quella prima volta fu per me uno shock, un ribaltamento di tutto quello che avevo creduto fino a quel momento. «Realize that the world is in you and not viceversa! Ciò che è nel mondo, o che appartiene ad esso, non può aiutarti né salvarti.» Poi il Suo discorso divenne un‟esortazione, un appello che sentii rivolto non più a me ma ad ogni uomo. Le Sue parole erano venate dal dispiacere di chi sa di offrire una grande ricchezza a chi non può apprezzarla né farne uso. «Aspira alla libertà, esci da questa moltitudine di disperati… Imponiti un nuovo modo di sentire. Conquista l‟immenso dentro di te e le galassie diventeranno granelli di sabbia… Allarga la tua visione e vedrai il mondo rimpicciolirsi… Vision and reality are one and the same thing… Cerca l‟integrità e quello che per gli altri sono montagne insormontabili per te saranno solo lievi gibbosità.» Interpretai la pausa che seguì come l‟invito ad un commento e, incautamente, avventurai alcune considerazioni. Dissi qualcosa intorno alla difficoltà di accettare l‟idea che siamo noi la causa di qualunque evento o circostanza della nostra vita. Misi ogni cura nel cercare di bandire ogni accento polemico ed assunsi il tono super partes di chi cerca di portare una saggia neutralità in una occasionale conversazione con uno sconosciuto. Come un cieco, non potevo percepire la distanza abissale che nella scala della responsabilità divideva le parole del Dreamer dalle mie. «Sembra impossibile credere che tutto quello che può accadere ad un uomo, da un raffreddore ad un crash aereo, sia la materializzazione della sua psicologia, dei suoi stati d‟Essere» conclusi. Mi sentivo affascinato e minacciato dalla visione del Dreamer. Seguendo la scia delle mie riflessioni stavo penetrando nelle radici della nostra civiltà, fino a quelle due visioni contrapposte che divisero il mondo fino ad oggi. La Grecia classica credeva in una dea Fortuna che dispensava ciecamente i suoi favori. La rappresentava bendata. I romani antichi credevano invece nell‟homo 117

Lupelius faber. La Fortuna romana era una dea che aveva il massimo delle diottrie e rispettava la virtus dell‟individuo. Classificai mentalmente il Dreamer tra i sostenitori della concezione romana del mondo. Non feci in tempo a formulare questo giudizio, che sentii la Sua voce trasformarsi in un ruggito che mi raggelò il sangue, come nei momenti più terribili che avevo avuto con Lui. « …Credi di essere qui a fare una conversazione da salotto con qualche impiegato come te!… Ascolta bene – disse, e rinforzò quest‟ordine colpendo il suo orecchio destro leggermente con indice e medio uniti, più volte, con premeditata lentezza – Il mondo è un riflesso dei tuoi stati d‟Essere‟ significa che Luisa non è morta di cancro. La sua morte è la rappresentazione scenica del dramma che ti porti dentro, della tua angoscia letale… Quell‟evento, come tutti gli eventi, è solo un rivelatore dei tuoi stati d‟Essere… Anche se tenti di nasconderlo accusando e lamentandoti continuamente, in realtà il tuo canto di dolore, come un rito propiziatorio a rovescio, ha invitato tutti i guai e le difficoltà del tuo esistere.» D‟improvviso fu silenzio. Sentii un‟ansia inesplicabile premere contro un argine oscuro. Una parte dura e immobile di me cedette e una voragine si allargò dentro a dismisura fino ad ingoiarmi. Sentii il cuore battere tumultuosamente contro le pareti del torace ed il respiro si bloccò in una espirazione senza ritorno. Provai la nauseante vertigine di una caduta senza fine e un grido muto di spavento, di aiuto, di disperazione, di vergogna, mi echeggiò nelle fibre più remote dell‟Essere come se tutta la dolorosità dell‟esistenza si fosse compressa in un punto. Solo quando riprese a parlare riuscii finalmente a riprendere respiro ed ingoiai avidamente tutta l‟aria che potei. «A man cannot hide» enunciò allora il Dreamer in un sussurro, come a trasmettermi un insegnamento segreto. Il mio ascolto divenne quello di un bambino, senza più divisioni, senza opposizioni. «La nostra più piccola azione, ogni percezione, ogni nostro pensiero, un gesto, una espressione del viso, è registrato nell‟eternità.» Mi disse che il modo in cui viviamo ogni istante, come un fotogramma nel film della nostra vita, indica un innalzamento o un 118

La Scuola degli Dei abbassamento nell‟Essere e ci mette in sintonia con tutto quello che ci accadrà. «A man cannot hide!… Qui con Me sei solo di fronte all‟esistenza... Qui non ci sono partiti, né sindacati. Quando entri in questa stanza non puoi portarti dietro niente del passato, neppure la bugia del nome o del ruolo. Qui non ci sono ringhiere a cui aggrapparti… qui ci sei solo tu di fronte a te stesso… » Si accorse che stavo tremando visibilmente; cominciavo a battere i denti come in preda ad una febbre, e disse: «Smettila di avere paura e di nasconderti! C‟è una parte di te che deve morire perché assurda. Questa morte è la tua grande opportunità… Solo tu puoi farlo… » Sentii fisicamente, dolorosamente che il Dreamer stava perforando strati e strati di ignoranza, di immondizia psicologica accumulatasi nel tempo e diventata dura come roccia. «Se lavorerai senza posa e ti impegnerai per tanti anni quanti sono quelli che hai speso a farti danno – disse in un sussurro dolce come una promessa – un giorno il tempo si spaccherà, si aprirà un tunnel che ti guiderà fino alla tua parte più reale, più vera… una parte alla quale ogni uomo dovrà ricongiungersi: il suo Sogno.» Solo a questo punto il Dreamer distolse lo sguardo concedendomi un momento di respiro. Vidi la Sua figura ondeggiare come un riflesso sull‟acqua. Stava per lasciarmi. Sentii d‟un colpo una stanchezza irresistibile come per una corsa di miglia e miglia fatta tutta d‟un fiato. Le gambe smisero di sostenermi. Piegai le ginocchia sul tappeto affiorante, conteso all‟ombra dalla luce crescente del giorno, e caddi come morto.

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La Scuola degli Dei CAPITOLO III

Il Corpo

1 “Il mondo sei tu” Trascorsero alcuni mesi dall‟ultimo incontro col Dreamer. Le parole ascoltate nell‟atmosfera incantata della serra, intorno alla piscina, ancora assillavano la mia memoria. Soprattutto tornava ad echeggiarmi dentro, indimenticabile, quel Suo grido disumano: Stoooooop!… e la sensazione di venirne completamente svuotato. Per un po‟ non potei pensare ad altro. Spesso rileggevo gli appunti raccolti e ogni volta si rinnovava in me, vivida e potente, la chimica delle Sue parole. Poi, un po‟ per volta, e sempre più rapidamente, New York mi riassorbì. La vita ritornò a scorrere sui binari di sempre, scandita dagli impegni di lavoro alla ACO e dalle routines connesse ai bambini ed al ménage con Jennifer. La „sostanza preziosa‟ raggranellata nei miei incontri col Dreamer evaporò; e stati d‟Essere, pensieri, attitudini, linguaggio, ritornarono ad essere quelli di prima. Una sera, con alcuni del mio team di lavoro, stavo bevendo qualcosa nella tipica semioscurità di un bar della Madison, assolvendo quell‟immancabile rito newyorkese di fine giornata. Festeggiavamo il compleanno di uno di noi. D‟un tratto, come se il mondo avesse perso l‟audio, il bar con tutti i suoi avventori sprofondò in un assoluto silenzio. Il tempo rallentò. Osservai i visi gonfi di alcool dei miei compagni, „vidi‟ le espressioni di dolore nascoste dietro le loro risate mute. Ebbi l‟agio e l‟ironica lucidità di riflettere su quanto senso del grottesco fosse necessario per chiamare quel triste rituale „the happy hour‟. Poi, lancinante, inaspettato, arrivò il dolore di una mancanza, la sensazione improvvisa di aver trascurato qualcosa di vitale, di insostituibile. Il desiderio struggente 121

Il Corpo di rivederLo si alternò alla nausea di quel vuoto, finché colmò ogni anfratto dell‟Essere. Gli rivolsi un muto, disperato appello. Mai un SOS fu così letteralmente lanciato per la salvezza dell‟anima. Pochi giorni dopo, Valery, la mia assistente, arrivò con il rituale white coffee di inizio giornata in una mano ed una misteriosa busta nell‟altra. Ne trasse un biglietto aereo e senza parlare, ostentandolo, me lo mise davanti con stizza, come avrebbe fatto una moglie con l‟indizio di una inequivocabile infedeltà. «E così – mi disse con astio – vai a Barcellona, senza neppure avvertirmi… » Sentii, concentrata in quelle parole, impressa nel tono e nell‟attitudine di quella donna, la storia dei mille compromessi che deturpavano la mia vita. Attraversai molte sale prima di trovarLo. Lui mi volgeva le spalle, apparentemente intento ad attizzare il fuoco del camino di pietra. Sulla cappa campeggiava uno stemma preziosamente scolpito. Un imponente quadro raffigurava in toni dal nero al grigio dei peones indolentemente in marcia. Mi sembrò di riconoscere la mano di Ortega. Del volto del Dreamer potevo vedere solo il profilo, rischiarato dal fuoco. Ebbi la sensazione che non fosse il riverbero del camino a dargli luminosità ma fosse la Sua pelle bruna ad effondere quel bagliore. Indossava una veste da camera di seta leggera. L‟impressione d‟insieme era quella di un aristocratico signore intento all‟aureo ozio cui lo obbligavano privilegi di nascita e di censo. Il filo segreto dei miei stati d‟animo mi riportò al nostro primo incontro. Anche allora mi volgeva le spalle. Accolsi questa similitudine con nervosismo. Ancora sentivo bruciare sulla pelle le parole d‟allora. Non sarebbe stato piacevole andare attraverso un‟altra sessione di quel genere. Il silenzio si prolungava ed il Dreamer non dava segno di aver rilevato la mia presenza. Tentai di ingannare la montante inquietudine per quella attesa osservando l‟ambiente, la fuga di stanze e saloni che alloggiavano l‟imponente biblioteca di Mas Anglada. Un‟incredibile massa di libri tappezzava fittamente le pareti da terra al soffitto. Il pavimento a piccoli rombi di cotto smaltato era attraversato per tutta la sua lunghezza da un 122

La Scuola degli Dei coloratissimo dipinto di Chagall. Cercai di sbirciare qualche titolo dai libri più vicini quando la Sua voce ruppe il silenzio. «Lontano da Me degradi e ritorni nel tuo programma di morte» disse, e ruotò il busto verso di me. Sentii i suoi occhi d‟acciaio passarmi da parte a parte, come spade. «Quando non ricordi Me cadi nei solchi della ripetitività… Ogni volta ripercorri la tua vita e ti affanni senza ricordare che l‟hai già vissuta.» C‟era in quelle parole, oltre la loro minacciosità, oltre l‟insopportabile dolorosità di quella denuncia, un profumo di eternità… la fragranza dimenticata di una libertà senza limiti. Il Dreamer aveva ripreso il discorso dove l‟aveva lasciato mesi prima, quasi che il tempo si fosse sospeso e solo ora, con Lui, ritornasse a fluire. Tirai fuori il mio taccuino e presi nota di ogni parola. «Nothing is external!… Ma tu ancora cerchi la sicurezza negli occhi degli altri… ancora cerchi la felicità, le soluzioni, in un mondo che soffre della tua stessa malattia… Il mondo è la tua pelle... il mondo sei tu!… Tu che incontri sempre e solo te stesso.» «E gli altri? » chiesi. «Gli altri sono te „fuori di te‟!… Sono frammenti di te dispersi nel tempo… riflessi di una psicologia disintegrata… » Raccolsi in quell‟incontro pagine e pagine di appunti, specialmente sull‟illusione fatale che ci fa credere in un‟alterità, nell‟esistenza di un mondo fuori di noi dotato di una propria volontà e dal quale dipende il nostro destino. «È questo il peccato dei peccati» epilogò il Dreamer. Il peccato originale. Quando desideri qualcosa e protendi la mano per prenderla, fosse pure una semplice mela, la completezza non c‟è più e il paradiso è perduto. 2 I nani psicologici Per il Dreamer la prima educazione‟ è la descrizione del mondo attraverso cui impariamo a percepire la realtà come un‟entità esterna, capace di decidere ed agire e di imporci la sua volontà. Per questo l‟uomo si incontra con un mondo da cui si sente continuamente minacciato, di cui è insanabilmente vittima...

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Il Corpo «È così che gli uomini diventano dei nani psicologici… più piccoli di un insetto. Si aggirano per il mondo con la coda tra le gambe… nutrono sensi di colpa… hanno paura… Raggiunto questo livello di degradazione, un uomo può soltanto tradire, accusare, lamentarsi, compiangersi… e mentire… mentire a se stesso, illudendosi che il suo problema sia circoscritto… che la sua vita sia perfetta tranne che per qualche piccolo aspetto, per un problema isolato o per una contrarietà del momento. Nella sua cecità non vuole riconoscere che dietro un aspetto spiacevole della sua vita, dietro un particolare apparentemente marginale, c‟è una malattia della totalità. Per cambiare un solo atomo della propria vita occorre cambiare tutto… occorre capovolgere il proprio modo di pensare, le proprie idee... la visione ordinaria del mondo!» Al termine del Suo discorso il Dreamer mi rivelò che le cinque ferite di Gesù sono in realtà l‟emblema dei cinque sensi dell‟uomo orizzontale che lo inchiodano alla parte più bassa dell‟esistenza. «Quando realizzi che l‟esterno l‟hai creato tu, che sei tu a contenere il mondo e non viceversa... quando ricordi che tutto quello che vedi, che ascolti, che tocchi, è frutto della tua creazione, non puoi più averne paura… » «Il mondo è un chewing gum, prende la forma dei tuoi denti» annunciò. Amai subito quell‟espressione, così insolita e sfrontatamente espressiva, e la registrai tra i Suoi aforismi più memorabili. «Non dimenticare che il mondo, gli altri, sono l‟espressione più onesta, più sincera di quello che realmente siamo… The world is such because you are such.» Ad un Suo cenno la pesante tenda si raccolse scoprendo una lunga parete vetrata. Percorsi con lo sguardo le colline lontane, il verde fitto dei vigneti ed i graffi bruni dei solchi appena aperti. La proprietà intorno a Mas Anglada sembrava non avere confini. La Sua voce aveva il suono dolce di una promessa. « …Ricorda Me! Ricorda il Sogno! – disse – Allora ti incontrerai con un mondo perfetto, con un mondo guarito... Il paradiso terrestre è la proiezione di uno stato d‟Essere, di un paradiso portatile.... Per mantenere intatto questo paradiso, per

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La Scuola degli Dei tenerne insieme gli atomi, occorre essere costantemente vigili, bisogna continuamente „intervenire‟… » Sotto la mia mano le pagine si infittivano di appunti; a malapena riuscivo a starGli dietro. Cerchiai più volte quel verbo, per evidenziarlo, ed alla prima opportunità Gli chiesi cosa intendesse per „intervenire‟. «Significa saper entrare nelle parti più oscure del proprio Essere e portare luce» rispose il Dreamer dando alle Sue parole una intensità speciale, come nel trasferirmi un segreto vitale. Fece un lunga pausa e più volte sembrò esitare nel dirmi qualcosa di troppo potente, che potesse eccedere la mia capacità di comprensione… Tenni il fiato sospeso e sperai fortemente che potesse fidarsi di me. «Se permettessi ad un solo granello d‟inferno di entrare nel Mio paradiso… tutto questo scomparirebbe» disse, ed accompagnò le Sue parole con un gesto largo, mostrando in successione il camino acceso, i libri e le opere d‟arte di cui eravamo circondati, la piscina, grande come un lago, che si scorgeva tra il verde intenso del parco, e l‟immensa tenuta. «Un giorno, per meritare un paradiso, e per poterlo sostenere, dovrai saperlo schermare da ogni mediocrità, da ogni disattenzione… dalle tue morti interne… Un uomo solare proietta la propria luminosità, un mondo felice, integro, e non permette a nulla di offuscarlo… » Fu allora che cominciò a farsi spazio in me con chiarezza la spiegazione di che cosa il Dreamer intendesse per essere vigili. “…Se permettessi ad un solo granello d‟inferno…” Quelle parole mi scavarono dentro. Quando ebbero raggiunto l‟osso, qualcosa scattò nella mia comprensione. Catturai in un respiro cosa fosse l‟incorruttibilità, cosa fosse l‟impeccabilità di un leader e l‟immane impresa di non permettere nel proprio Essere neppure la più piccola disattenzione. Capii la Sua durezza e perché fosse sufficiente una smorfia, un atteggiamento, il minimo accenno di negatività, per far scattare da parte Sua il più spietato degli interventi. Il Dreamer mi disse che i pensieri e le emozioni degli uomini hanno una fisicità fatta di colori, di odori, che rivelano i loro stati d‟Essere, il loro livello di responsabilità, a distanza. Arrossii fino alla radice dei capelli pensando a quante volte nel mondo del

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Il Corpo Dreamer avevo portato i miasmi del dubbio, l‟odore acre della mia paura. Pensai alla nostra condizione di esseri incompleti, che conducono la propria esistenza senza neppure immaginare che qualcuno possa sentire il lezzo dei loro rifiuti psicologici, l‟odore dei pensieri, l‟odore delle emozioni negative che, come quello di una fuga di gas, ha la funzione di denunciare i nostri stati e l‟imminenza di eventi disastrosi. «Il mondo è la rappresentazione perfetta dei tuoi stati d‟Essere. The world is such because you are such, and not viceversa.» 3 Il canto di dolore Non eravamo più all‟interno di Mas Anglada e non ci circondavano più la piscina, il parco e l‟agreste bellezza del suo paesaggio. Camminavo ora con il Dreamer per le strade di una città sconosciuta. Dal porto arrivava l‟odore intenso del mare condotto dalle stradine come da alvei di fiumi invisibili. Ci inoltrammo a piedi in quel paese d‟acqua che il Dreamer sembrava conoscere perfettamente e via via che procedevamo nel suo corpo liquido, tra riflessi ed echi, sentii crescere un‟impressione di leggerezza. Un trenino a cremagliera si inerpicò ansante. Ci accolse una terrazza sospesa tra roccia e mare, un angolo antico di mondo cullato nel liquido amniotico di favole e miti cari all‟infanzia dell‟umanità. «Solo apparentemente un uomo si augura bene, prosperità, salute» disse il Dreamer ieraticamente. Nella sua voce c‟era la solennità di un discorso rivolto alla parte più vera di ogni uomo. «Se potesse osservarsi, conoscersi interiormente, ascolterebbe dentro di sé un canto di dolore, la recita costante di una preghiera di sventura, nell‟attesa di eventi terribili, probabili ed improbabili… » Un po‟ discosto, un uomo in T-shirt nera ed occhiali scuri sembrava assorto nella visione di quel panorama intatto di cielo e mare. Aveva il ventre eccessivamente pronunciato, le braccia ritorte verso l‟interno, come accade ai grassi per effetto dell‟ingrossamento del busto. Continuamente affondava la mano in una confezione gigante di patatine fritte attingendone generose manciate. Masticava ed ammirava. 126

La Scuola degli Dei «Vedi – disse indicandomelo con un leggero movimento del mento – quell‟uomo si sta suicidando… Un gentiluomo d‟altri tempi, o di diverso temperamento, avrebbe potuto scegliere una pistola. L‟avremmo visto dignitosamente puntarsela alla tempia e dare un addio al mondo rivolgendo un ultimo sguardo a questo straordinario panorama.» Fui disturbato da un tale commento su quello sconosciuto. Stavo ancora tentando di capire che cosa in quelle Sue parole mi faceva stare così male, quando Gli sentii aggiungere: «L‟unica differenza tra la pistola e il cibo è la rapidità del metodo scelto per sopprimersi!» Provenendo da chiunque altro avrei liquidato quella battuta come una boutade infelice, un‟esagerazione di cattivo gusto. Ma il Dreamer non era uomo da scherzare. D‟altra parte non riuscivo a spiegarmi perché quelle Sue parole mi turbassero tanto e mi lavorassero dentro con una tale molestia. Credevo allora che il mio stato d‟animo, a metà tra lo stupore e l‟indignazione, e quel dolore, fossero causati dal cinismo del Dreamer. Ero lontano dal sospettare la vera origine del mio malessere. L‟unico modo che trovai per uscire da quel malanimo e per fermare, o almeno nascondere, l‟inspiegabile ostilità che sentivo crescere in me senza controllo, fu di ricorrere ad un commento ironico. «In entrambi i casi dovremmo richiedere il pronto intervento della polizia per portargli via l‟arma e tentare di salvargli la vita» dissi con un sorriso che quando affiorò sulle mie labbra era già morto. Avrei dovuto fermarmi ma continuai ironico. «Nel nostro caso potremmo avvertire la polizia che un uomo sta attentando alla sua vita con… un pacco di patatine.» Il Suo sguardo già severo diventò d‟acciaio e mi gelò il sangue nelle vene. «Anche tu sei un suicida» annunciò freddamente. Poi, a voce bassa sibilò: «Quell‟uomo sei tu!» Attese qualche secondo che mi riprendessi dal colpo, come si fa con un pugile al tappeto. A quel punto dovette darmi per definitivamente sconfitto, smise di contarmi e disse: «La vita dell‟uomo ordinario è a senso unico… conosce soltanto la direzione verso il limite… L‟unica sua fede, la sua sola lealtà è alla morte… La scelta di come uccidersi è la sua unica 127

Il Corpo libertà. This body is indestructibile. We ourselves allow this body to be destroyed. The very thoughts and feelings we impose upon the body are creators of ageing, disease, failure and death. Whatever happens in your body, happens to the world. The world is as you are, and you are this birthless, deathless body. Tu, come milioni di uomini, hai scelto di sopprimerti attraverso le tue paure, i tuoi pensieri distruttivi.» «Cosa si può fare? » riuscii a balbettare penosamente. Avrei voluto chiederlo a nome di tutta l‟umanità suicida. Avrei voluto dire “cosa possiamo fare?” …ma questo avrebbe richiesto energia e la mia era stata tutta risucchiata attraverso chissà quale falla nell‟Essere. A stento mi mantenevo in piedi. «Tentare di fermarli, ostacolare il loro progetto di morte, non ci farebbe apparire ai loro occhi come salvatori o benefattori – disse il Dreamer – al contrario… il nostro tentativo li trasformerebbe in nemici mortali, ed infine, servirebbe soltanto a posporre il loro suicidio.» Mi scrutò come a scoprire quanto fossi pronto a sostenere la responsabilità di quello che stava per dirmi, poi sussurrò: «C‟è un lato oscuro dell‟Essere che l‟uomo eredita dalla „prima educazione‟, un pensiero distruttivo, u impulso a danneggiare prima se stesso e poi gli altri.» Mi parlò dell‟auto-sabotaggio, del desiderio di annullarsi e della lealtà alla morte come caratteristiche dominanti della psicologia della vecchia umanità, quasi una seconda natura che nell‟uomo ordinario si manifesta come „cupio dissolvi‟, un irresistibile impulso a sopprimersi. Una volta dimenticato di essere il creatore, artefice e padrone assoluto di tutto e di ogni cosa, l‟uomo cade prigioniero di una descrizione miserabile del mondo. Vive come un mendicante afflitto da sensi di colpa e da un costante sentimento di sconfitta, vittima del canto di dolore che incessantemente gli echeggia dentro immaginazioni e pensieri distruttivi. «Osserva te stesso! Entra negli angoli più bui dell‟Essere. Circoscrivi dentro di te ogni forma di dubbio e di paura al loro primo insorgere. Fai violenza a te stesso… imponiti la felicità, l‟agio, la certezza. Non sono le condizioni del mondo a renderti infelice ma il tuo canto di dolore a creare tutte le miserie del mondo. La povertà è una malattia mentale.» 128

La Scuola degli Dei 4 Il corpo non può mentire «Guardati – riprese bruscamente il Dreamer – hai poco più di trent‟anni e il tuo corpo è già quello di un vecchio.» Il sangue mi affluì con violenza al viso e mi sentii morire per l‟imbarazzo, come se mi avesse esposto nudo, lì, davanti a tutta la gente che affollava il belvedere. Continuò impietosamente. «Il corpo è un rivelatore dell‟Essere. Dovrebbe continuamente vibrare di piacere, di gioia, come quella di un bambino… ma tu hai dimenticato… Il corpo non può mentire!» Nella Sua voce non c‟era accusa, ma solo la fredda constatazione di un disastro. Provai il dolore di una sferzata, un dolore vero, pulito, senza risentimenti né accuse. Mi ricomposi, provai a raddrizzarmi sulla schiena e solo in quel momento mi resi conto di quanto mi fossi oramai abituato a vivere curvo e di quanta incuria e disamore per il mio corpo fossi colpevole. A quel punto la mia naturale inclinazione mi avrebbe sospinto verso la vecchia abitudine di auto-commiserarmi. Ma il Dreamer non lo permise. L‟opportunità che mi stava offrendo era troppo grande. Avrei dovuto catturarla al volo, ma non ero pronto. Ricorsi allora ad un atteggiamento di difesa, riflesso di un inconsapevole rifiuto a cambiare. Rapidamente accatastai tutte le buone ragioni che mi avevano impedito di aver cura del mio corpo: il lavoro, i viaggi continui, la vita di città, le necessità della famiglia, la malattia di Luisa e, non ultima, la calcolosi renale di cui soffrivo fin da giovanissimo. La Sua voce interruppe la mia progettata apologia e gettò all‟aria tutte le mie argomentazioni. In un attimo mi sentii catapultato fuori della mia condizione e mi vidi attraverso gli occhi del Dreamer. Ebbi la umiliante visione di un piccolo uomo unicamente preoccupato a difendersi, a cercare buone ragioni per assolversi, per allontanare da sé ogni responsabilità, per restare com‟era. Avrei voluto trattenere quella visione che, per quanto dolorosa, aveva in sé la purezza del distacco, la chiarezza risanatrice dell‟integrità. Ma questa libertà durò solo pochi istanti. «Il corpo, il pallore del viso, gli occhi gonfi, la flaccidità, denunciano che hai già rinunciato a vivere, che hai già dichiarato forfait Il tuo piano inconsapevole di affrettare l‟incontro con la tua morte fisica, lo conoscono tutti, tranne te!… 129

Il Corpo Un uomo, per ridurre il corpo in questo stato deve prima profanare se stesso… È come un animale ferito che sanguina e lascia dietro di sé le tracce per essere raggiunto ed eliminato dal suo predatore. Le leggi dell‟esistenza, fuori dalla jungla, non sono diverse. L‟Essere, il corpo ed il mondo sono una sola cosa!» Quest‟ultima affermazione mi lasciò sbalordito. Mentre con la ragione riuscivo ad accettare, almeno come possibilità, che l‟Essere ed il corpo fossero un‟unica realtà, l‟idea che il corpo ed il mondo potessero trovarsi in rapporto di causa ed effetto esorbitava completamente dalla mia capacità di accettazione. «Tutto quello che vedi e tocchi è luce solidificata, tutto quello che percepisci non è altro che una proiezione dei tuoi organi – confermò il Dreamer – Essi non sono soltanto la parte di te più vicina al mondo… essi sono i veri costruttori, artefici, creatori del tuo universo.» Poi, ad occhi chiusi, come talvolta faceva, recitò alcuni versi che trascrissi fedelmente: The Body is the real Dreamer... The Body dreams and its cells and its organs dream. The Body is the real maker of your personal world. Il Dreamer mi spiegò che quello che l‟uomo vede di se stesso attraverso i propri occhi fisici lo chiama corpo e quello che non vede, perché vibra a frequenze più alte, lo chiama Essere. «In realtà il corpo è l‟Essere… è l‟Essere reso visibile» disse, e il Suo sguardo riprese a scrutarmi, come a valutare le mie condizioni. Poi si fece nuovamente duro. «La fede in una divinità fuori di noi, l‟idea che ci sia un‟entità al di là del nostro corpo, è la superstizione più diffusa al mondo ed è uno tra i maggiori killer dell‟umanità.» In molte tradizioni religiose questo dio esterno è stato sostituito dalla credenza in uno spirito-guida, in un‟anima, in una invisibilità interna all‟uomo. Secondo il Dreamer anche questa convinzione è un killer. Per una strada o per l‟altra, siamo stati portati a rinnegare il nostro corpo ed a ridurre la vita a una serie continua di attentati tesi ad ucciderlo. «È così che l‟uomo è caduto nella iniquità, nella immoralità della morte.» 130

La Scuola degli Dei I miei pensieri mulinavano intorno ai concetti rivoluzionari che stavo apprendendo da Lui. «Il corpo non può mentire – ripeté, con una impennata della voce ed un accento severo che subito mi richiamò all‟ascolto – Il corpo è la parte più sincera, più onesta, del nostro Essere. Il corpo ci rivela… Nello stato in cui siamo rivela la nostra incompletezza, la nostra conflittualità.» Mi raschiai leggermente la gola e diedi un leggero colpo di tosse. Il Dreamer lentamente accorciò lo spazio tra noi di qualche millimetro; nei suoi occhi lessi un‟innocente ferocia e la spietatezza di un Essere selvaggio. L‟aria si oscurò. Sentii come se d‟improvviso fossi venuto a trovarmi faccia a faccia con un nemico mortale… Precipitai in un‟angoscia incontrollabile. «Tossire è il tuo modo di dire no… di puntare i piedi e resisterMi – disse con voce terribile – Io sono l‟ostacolo al tuo invecchiamento, al tuo progetto di ammalarti e morire. Io sono l‟ostacolo al tuo ritorno nella volgarità del passato… nella ripetitività… nell‟accidentalità… Accanto a Me non puoi degradare… Per questo mi vedi come il tuo peggior nemico… È più semplice seguire ipnoticamente il vecchio percorso verso la degradazione e la sofferenza piuttosto che arrampicarti… andare controcorrente... e ribellarti alla povertà, alla tirannia della vecchiaia e della malattia, all‟immoralità della morte… » Mi concesse una breve pausa ed io l‟accolsi con l‟avidità di un naufrago che riprende respiro. Quelle parole mi avevano gettato nella disperazione e svuotato di ogni energia. Nessuno mi aveva mai parlato così, né mi aveva mai fatto sentire in quel modo. Chi era quell‟Essere? Cos‟era quel Suo amore tagliente, spietato come un bisturi, che mi frugava nella carne? «Accanto a me non potrai invecchiare… non potrai ammalarti… né morire» disse, ed io ascoltai attonito quelle parole senza tempo. «If you learn how to raise the vibrations of your body to a higher level, you will disappear from the sight of a harmful threatening, mortal world. The battlefield is the body. Ma a voi che avete scelto la morte come vostra guida, la vita e la luce appaiono come l‟orrore… Per questo c‟è una lotta aperta tra Me e voi… » L‟uso del „voi‟ allargò a dismisura quel messaggio straordinario e magistralmente lo estese ad una massa umana di 131

Il Corpo dimensione planetaria. In quel belvedere di una città sconosciuta, circondati da un panorama indescrivibile, in piedi davanti al Dreamer non c‟ero più io ma tutta l‟umanità che ascoltava. 5 Sii frugale! «Questa lotta tra noi finirà solo quando sarai cambiato per sempre – minacciò il Dreamer con fredda calma – Se ti apparirò duro… spietato… se proverai dolore… se mi vedrai come un mostro dagli occhi iniettati di sangue, sarà solo il riflesso della tua incomprensione, della tua resistenza al cambiamento… Accanto a Me, se vorrai, potrai cambiare il tuo destino ineluttabile e quello di migliaia di uomini e donne… » Come una mano che lentamente si stringe a pugno, una determinazione nuova, una certezza, si stava facendo strada nell‟Essere: non volevo più dipendere dal mondo, dagli altri, come orribilmente era accaduto fino a quel momento. Non volevo più essere un‟ombra, un burattino biochimico mosso dai terribili fili della dimenticanza e dell‟accidentalità. Promisi a me stesso che avrei fatto qualunque cosa per applicare alla mia vita, senza deviare, i princìpi che il Dreamer stava faticosamente tentando di trasmettermi. «Usa piuttosto tutta la tua forza, finché sei in tempo, per contrastare la programmazione al disastro, la preparazione di tutta una vita alla sconfitta, alla dipendenza. Capovolgi la tua visione e liberati dalla descrizione del mondo ricevuta da adulti adulterati e da tutti i maestri di sventura che hai incontrato nella tua vita… Rinuncia alla tua fede nella malattia e nella vecchiaia… Smettila di mentire!… Ribellati a tutto questo e scrollati questa zavorra di dosso… Raddrizza la schiena, tieni il collo e la testa alta… Liberati dal peso superfluo, dal grasso e dalla bugia.» Mi stava parlando come se fossi un obeso. Sentii bruciare l‟offesa e provai un sordo risentimento come per una insopportabile ingiustizia. In realtà ero poco più di ottantacinque chili e non giudicavo questo peso eccessivo per un uomo della mia altezza. Questa apparentemente piccola distanza che si era creata col Dreamer si tramutò in un dolore fisico inesprimibile. Le divergenze di opinione, quelle differenze nel modo di pensare che ordinariamente esistono tra gli uomini e che sono accettabili, anzi 132

La Scuola degli Dei considerate un segno di indipendenza intellettuale, di forza di carattere, accanto al Dreamer erano intollerabili, erano fuorilegge. Mi resi conto che oramai ero connesso a Lui da fibre invisibili. In un baleno, vidi i nostri Esseri colmare distanze stellari e lentamente intrecciarsi tra loro. Generato dall‟invisibile, un essere mitico emerse e prese le forme di un centauro che attraversò galoppando la mia immaginazione. Per un attimo la creatura si stagliò contro un orizzonte ancestrale, vivida come un ricordo del futuro, e riconobbi l‟Essere nuovo, l‟archetipo della nuova specie, metà uomo, metà sogno. Non so perché, ma immediatamente sentii di dovermi scrollare dalla mente quella immagine. Una specie di pudore, un inspiegabile senso di colpa, mi facevano sentire come se l‟avessi trafugata o sbirciata di nascosto, come Atteone che aveva visto ciò che un umano non avrebbe dovuto vedere. Temetti di essere colto sul fatto. Ma il Dreamer sembrò lasciare libertà alla mia immaginazione. La pausa che seguì mi diede il tempo di stringere le fila dei miei pensieri e ristabilire almeno un briciolo delle vecchie certezze. Accertatosi con un lungo sguardo che stessi prendendo accuratamente nota di ogni Sua parola, pronunciò una frase che mi trafisse come una stilettata. «Il cibo è morte» annunciò perentorio. E, prima ancora che potessi riavermi dalla sorpresa di una tale affermazione, aggiunse: «Il tuo corpo denuncia che sei ricattato dal cibo. Il tuo invecchiamento precoce rivela l‟assenza di frugalità, l‟assenza di intelligenza, l‟assenza di amore.» Mentre parlava, i suoi occhi mi stavano passando da parte a parte. Inaspettatamente, Lo vidi sorridere della mia espressione sgomenta, comicamente patetica. «L‟umanità ha una fedeltà al cibo pari solo alla sua lealtà alla morte» disse con sarcasmo. Poi mi esortò: «Abbandona queste superstizioni!» Mai fino a quel momento avevo sentito parlare del cibo, e tantomeno della morte, come superstizioni. Nel manoscritto di Lupelius l‟ignoranza di se stessi, le emozioni negative e il cibo erano indicati tra le principali cause di morte, ma ascoltarlo dal Dreamer era una sfida a tutto quello in cui l‟umanità aveva sempre creduto, un attentato alle sue convinzioni più incrollabili. Ero davanti ad un salto nell‟abisso. Semmai fossi stato convinto di essere membro di 133

Il Corpo un qualunque gruppo, di una speciale fascia del consorzio umano, ne stavo perdendo le chiavi di accesso. Sentii la disperazione inconsolabile di un essere espulso dal branco, catapultato fuori dalla sua natura. Il Dreamer continuò a mostrarsi apertamente divertito della mia confusione. Evidentemente la considerava un buon segno ed, in ogni caso, uno stato più avanzato e produttivo della mia sterile „normalità‟. Poi l‟espressione del Suo viso si fece intensa. «Mangia una sola volta al giorno – ripeté – sii frugale.» Quella richiesta mi sembrò talmente assurda, anzi sovversiva dell‟ordine naturale, che temetti di essere davanti ad un essere diabolico o al diavolo in persona. Papà Giuseppe mi aveva più volte raccontato che, durante gli anni di guerra, era andato per lunghi periodi attraverso il regime di un pasto al giorno, ma sempre si era riferito a questa esperienza come ad un periodo di privazioni. Sapevo di pratiche e periodi di digiuni rituali, ascetici, religiosi, connessi a culture e tradizioni per lo più arcaiche. Mai avevo neppure immaginato che una simile disciplina potesse essere praticata da un uomo attivo, immerso negli impegni e nei ritmi del business moderno. E a che scopo poi? Lo stesso Ramadan islamico, anche nella sua più rigorosa applicazione, è limitato ad un solo mese, il nono, di quel calendario. Mi sembrò ingiusto, crudele, e perfino dannoso per la salute, richiedermi un tale sforzo. Provai per la richiesta del Dreamer una radicale, immediata repulsione. «Un giorno quando sarai più pronto saprai che anche un pasto unico è eccessivo. Gli organi di un uomo non sono stati creati per smaltire cibo.» «E per che cosa allora?» chiesi riuscendo a malapena a controllare la voce rotta dall‟emozione. «Gli organi di un uomo… tutti i suoi organi… sono fatti per sognare! Questa è la loro funzione naturale – disse con dolce assertività – Quando il corpo è digiuno il volto si ingentilisce… la mente è lucida, pronta… veloce… le cellule ringraziano, si rigenerano; si avvia così un processo di guarigione, una rinascita dell‟Essere che si materializza prima nel corpo e poi nel mondo degli eventi» completò il Dreamer. Ascoltai affascinato il racconto che mi fece di antiche scuole di invulnerabilità che conoscevano il segreto di un nutrimento più sottile del cibo. I soldati macedoni, secoli prima delle conquiste di 134

La Scuola degli Dei Alessandro, erano già considerati tra i guerrieri dalle abitudini più frugali. Allo stesso tempo erano i più temuti per il loro coraggio e l‟insuperato valore. Alessandro stesso, pur sopportando insieme ai suoi uomini tutte le fatiche, anche le più ardue, non mangiava quasi nulla, e una sola volta al giorno. La sua invulnerabilità era leggendaria; attraversava indenne nugoli di frecce, mentre a centinaia i compagni gli cadevano intorno trafitti. «Il segreto è che gli organi, in assenza di cibo, ritornano a svolgere la loro vera, naturale funzione: sognano!… e attraverso il potere del sognare materializzano nella vita di ogni giorno tutto quello che un uomo può desiderare. Finchè considererai una qualsiasi parte del tuo corpo meritevole di qualcosa meno dell‟eternità, stai emanando una sentenza di morte sull‟intero organismo.» L‟ombra minacciosa che all‟inizio del Suo discorso sul cibo aveva oscurato ogni fibra del mio Essere, cominciò a dissiparsi. «Stai attento! – mi disse, notando che si era finalmente aperto uno spiraglio per la mia comprensione – astenersi dal cibo non significa digiunare. Quello di cui ti sto parlando è una sostituzione…» 6 Un mondo senza fame «Quando avrai smesso di credere in un mondo esterno come fonte della tua sussistenza, non potrai più nutrirti dal basso, non potrai più alimentarti della grossolanità… Attraverso l‟innalzamento della qualità dell‟Essere, attraverso un nuovo modo di pensare, sentire, respirare, agire, un‟umanità più responsabile scoprirà una fonte alternativa di alimentazione. Questo cibo, che è il nostro vero nutrimento, nasce da noi stessi e tornerà ad essere accessibile quando sarà la volontà a governare la nostra vita e non la descrizione del mondo.» D‟un tratto, prima ancora che quella spiegazione mi diventasse chiara, sentii il dialogo interno chetarsi; solo una specie di pianto si prolungò appena, come la coda di un capriccio infantile; poi anche questo cessò. Ripensai ai miti della classicità ed alla credenza dei Greci antichi che la mensa degli Dei non fosse imbandita con lo stesso cibo dei mortali ma con nettare ed ambrosia. Ricordai che gli ebrei 135

Il Corpo dell‟esodo, uomini in fuga verso la libertà, furono nutriti da un cibo offerto dall‟alto. Immaginai l‟inimmaginabile: una civiltà senza cibo. Un mondo senza fame. Allora, mi resi conto dell‟enormità dello spazio, del tempo che il cibo occupa nella nostra vita; delle risorse che assorbe. Nella convinzione che senza assumere alimenti dall‟esterno non possiamo sopravvivere, incalzati costantemente dallo spettro della fame, senza accorgercene, abbiamo fondato tutta la nostra vita sul cibo trasformandolo in un pensiero ossessivo, un‟attività assillante di dimensione planetaria. Mi sentii schiacciato dalla visione di miliardi di esseri pervicacemente al lavoro per coltivarlo, produrlo, allevarlo, comprarlo, cucinarlo, distribuirlo, consumarlo… e smaltirlo. Immaginai come sarebbero apparse le città senza negozi di alimentari, senza ristoranti e supermercati; ed ebbi una visione da day after pensando alla nostra vita con le dispense desolate, i frigoriferi vuoti, le tavole mai imbandite, gli affari senza pranzi, i corteggiamenti senza cene al lume di candela e le famiglie senza il papà a capotavola ed i ritmi cadenzati dai pasti. Cosa avrebbe mai riempito il baratro di spazio e di tempo lasciato da questa assenza? «Capovolgi la tua visione − suggerì il Dreamer − Pensa a quante risorse potranno invece essere dedicate alla bellezza, all‟arte, alla musica, all‟entertainment, alla ricerca della verità, alla conoscenza di sé… Una società libera dal cibo sarebbe una società libera dalla malattia, dalla vecchiaia, dalla morte… In un mondo senza mattatoi né allevamenti, che non deve produrre cibo né coltivare campi, non ci sarebbe criminalità né povertà; non esisterebbero ghetti, guerre o conflitti… né assistenti sociali. Un mondo senza cibo sarebbe un mondo senza divisioni ideologiche, senza superstizioni né religioni. Sarebbe un mondo senza bambini affamati, senza ospizi; senza tribunali, né ospedali, né cimiteri. Un mondo dove le risorse potrebbero essere indirizzate a realizzare il sogno più grande dell‟umanità… Una volta sconfitta l‟industria della morte e l‟economia del disastro, che sono materializzazioni della sua paura, l‟uomo può riconquistare il suo diritto di nascita e raggiungere lo scopo supremo del suo esistere: l‟immortalità fisica.» Ora potevo sollevare gli occhi. Guardai il Dreamer. Mi resi conto che per tutto il tempo in cui avevo contrastato dentro di me la 136

La Scuola degli Dei Sua visione avevo tenuto il corpo teso e la testa bassa, come se stessi fisicamente respingendo qualcosa con tutte le mie forze. «Una società che ha smesso di credere nel cibo, libera dal bisogno di mangiare, si lascerà alle spalle l‟ossessione ancestrale della fame e tutti i suoi terrificanti corollari e si troverà davanti un nemico ancora più implacabile… – disse il Dreamer – la noia del non mangiare.» Anche se l‟umanità così com‟è, si convincesse ad abbandonare il cibo, come un‟abitudine tra le più nocive, essa dovrebbe affrontare il baratro di tempo che la sua eliminazione scaverebbe nella vita di ogniuno. Pensai che questa era la chiave per capire perché, di tutte le discipline e di tutte le austerità, quella relativa al cibo è sempre stata la più insostenibile e la più scongiurata. Tanto che, in tutta la nostra storia, soltanto santi ed asceti hanno saputo riportare una vittoria sul cibo, e molto spesso solo parziale e temporanea. Riportai al Dreamer questa riflessione. «Occorrerà una lunga preparazione e una nuova educazione – disse – Un‟umanità zoologica, ancora spaventata dallo spettro del tempo, convinta della inevitabilità della morte, non può nutrirsi che di un cibo grossolano, esterno, mortale. Nutrirsi dall‟interno sarà la conseguenza naturale di un diverso modo di pensare e di respirare, il passaggio evolutivo dall‟uomo conflittuale governato dalle emozioni negative, all‟uomo verticale.» «E cosa accadrà all‟economia? – chiesi – Come compenseremo la perdita di tanta parte delle nostre attività?» «Quella che chiami economia è in realtà poco più di un‟attività di sopravvivenza, anche nei paesi più ricchi. È tenuta in piedi a costi ormai inaccettabili… Una società che riconosca la potenza creativa del pensiero, la sua capacità nutritiva, produrrà beni e servizi più elevati tanto per i singoli che per l‟intera umanità – annunciò profeticamente – Una società sognante, leggera, flessibile, si dedicherà all‟educazione di ogni individuo, al perfezionamento di ogni sua cellula.» Immaginai un esercito di uomini e donne dedicati alle attività di rieducazione di un‟umanità che ha dimenticato la sua origine, il suo scopo. «Una tale rivoluzione non può essere fatta dalle masse – affermò il Dreamer – Occorre educare l‟umanità individuo per individuo, cellula per cellula, aprirla ad una nuova visione… 137

Il Corpo renderla capace di ribellarsi al suo destino e combattere dentro di sé la vera radice di ogni male: la convinzione che l‟esterno possa nutrirci, che qualcosa fuori di noi possa guarirci.» Queste superstizioni trovano la loro espressione più marchiana nell‟industria alimentare ed in quella farmaceutica. Dimenticato il gioco, l‟uomo diventa l‟anello finale di un ciclo produttivo infernale. Come in una favola macabra, o in un film dell‟orrore, colpiti da un maleficio che non ha finora trovato esorcismi, gli uomini sono condannati a trascorrere metà della vita a cibarsi e l‟altra metà a curarsi e assumere farmaci. Il compito supremo dell‟umanità è trascendere se stessa attraverso l‟arte del sognare. Per questo deve ridurre al minimo la necessità, il bisogno di nutrirsi. «È un processo inside-out. Solo una nuova educazione potrà porre rimedio ad una incomprensione di tale vastità… » Nella visione del Dreamer, con la graduale sparizione del cibo sparirebbero anche malattie, vecchiaia e morte. «Non temere di annunciarlo! – mi esortò notando la mia esitazione anche soltanto nel riportare sul taccuino queste Sue insostenibili rivelazioni – Il passaggio sarà graduale ed è già in corso nelle nazioni più ricche. L‟umanità mangerà sempre di meno!… finché scoprirà che nuota in un plancton infinito, che è circondata da un cibo inesauribile che è solo suo e per il quale non deve affaticarsi né lottare.» «Sarà mai possibile per l‟uomo vivere senza cibo?» «Non sto parlando di vivere senza cibo ma di sostituirlo. Quando avverrà un capovolgimento della sua visione, quando avrà rovesciato come un guanto tutto quello in cui ha creduto fino ad oggi, un‟umanità più evoluta potrà sostituirlo con un alimento più intelligente. Una volta libero dal bisogno ipnotico, dalla dipendenza dal cibo, l‟uomo potrà scegliere di mangiare o non mangiare, come fosse un „optional‟.» Le parole del Dreamer mi fecero pensare agli dei omerici che di tanto in tanto, volendo provare le gioie e i dolori degli uomini, dovevano degradare discendendo dall‟Olimpo e trasformandosi in bestie. Ricordai che quando mi innamorai di Luisella, quando il profumo della sua giovinezza pervase ogni molecola della mia esistenza, trascorrevo interi giorni senza sentire alcun bisogno di mangiare. Raccontai al Dreamer della preoccupazione di mamma 138

La Scuola degli Dei Carmela e della sua comica disperazione nel vedermi rinunciare ai miei piatti preferiti, perfino a struffoli e pastiere. «È la sostituzione di un cibo grossolano con un cibo sottile, interno – mi disse – sarà una cosa possibile a tutti gli uomini quando non saranno più governati dalla descrizione del mondo ma da se stessi, dalla propria volontà… dal Sogno.» «E gli ammalati di anoressia?» «Gli anoressici non sono degli ammalati ma i precursori di un‟umanità più avanzata, più longeva. Essi sono i veri ribelli all‟industria della morte.» «E quelli che muoiono di anoressia?» «Non ci sono morti per anoressia, ma solo vittime di una medicina primordiale e di un ambiente familiare impreparato a riconoscere in loro gli antesignani dell‟uomo nuovo.» In questa occasione, come aveva fatto altre volte, il Dreamer mi parlò molto dei giovani, dei loro segnali di aiuto, dei loro disperati, inutili tentativi di annunciare all‟umanità adulta-adulterata, obsoleta, la nuova direzione, il nuovo esodo. «Tu, abbandona le „cattive abitudini‟ – disse – Sii frugale!…» «Ma ricorda – mi ammonì – Fino a quando non sarai pronto per una tale impresa, non osare mai fare un digiuno o una notte di veglia. Sarò Io a dirti quando potrai ridurre il cibo di un boccone o il tuo sonno di un minuto… Ci vorranno anni e anni di lavoro… » In realtà, in tutto il tempo trascorso accanto al Dreamer, mai sopportai digiuni o feci astinenze, né mai mi parlò di privazioni. Lo vidi anzi continuamente circondato dalla prosperità e dall‟abbondanza. La frugalità fu per me un lento processo e una naturale conseguenza della Sua vicinanza. Pur essendo così a contatto con la Sua filosofia, impiegai anni e dovetti fare grandi sforzi per capire che nella visione del Dreamer il cibo era soltanto l‟emblema, l‟espressione più visibile della dipendenza dell‟uomo dal mondo. «Non è il cibo che avvelena l‟uomo ma la sua convinzione di averne un imprescindibile bisogno. Anche asceti e santi hanno mancato il vero obiettivo di una disciplina alla frugalità che non è l‟eliminazione del cibo ma l‟affrancamento dal suo bisogno, il superamento della dipendenza.» Obiettai che infine, anche nutrirsi dall‟interno è pur sempre una dipendenza. 139

Il Corpo «Dipendere dall‟interno, dipendere da se stessi, non è dipendere! – disse – significa governare!» Per il Dreamer chi non ha messo in discussione l‟idea dell‟inevitabilità della morte è capace di nascondere il suo autosabotaggio dietro pratiche di miglioramento, diete, digiuni ed esercizi estremi di ogni tipo. Sotto la cortina fumogena di discipline religiose e spirituali connesse al cibo ed al sonno l‟uomo nasconde spesso la sua auto-distruttività, il suo desiderio di annullamento. «Scoprirai che templi scientifici ed organizzazioni umanitarie, laboratori farmaceutici ed industrie alimentari, sette ascetiche, beauty farms, scuole di fachiraggio e di austerità, sono anch‟esse, inconsapevolmente, al servizio della morte; anch‟esse alimentano e sono alimentate dall‟economia del disastro. Sotto i loro messaggi di benessere, di felicità e lunga vita, inconsapevolmente, persiste imperterrita una lealtà alla morte a tutta prova e la più intensa e devota delle attività al suo servizio.» «Possibile che non ci siano istituzioni sinceramente al servizio dell‟umanità? Uomini che sappiano suscitare e guidare una rivolta contro ogni forma di dipendenza?» chiesi angosciato. Ero una creatura sbalzata fuori dal suo universo, esposta improvvisamente al freddo di un mondo sconosciuto, inospitale. «Che ne è di tutti i salvatori di ogni tempo, degli eroi, dei santi?…» «Eroi, santi e benefattori, e le istituzioni da essi ispirate, in effetti sono al servizio dell‟umanità, ma di un‟umanità autodistruttiva – rispose il Dreamer – Essi stessi sono vittime della propria incomprensione; non sanno che nessun aiuto o guarigione può venire dall‟esterno e che solo l‟individuo può portare soluzione guarendo la propria visione, riconoscendo in se stesso la vera causa di ogni calamità. In una società più evoluta filantropi e benefattori spariranno o saranno considerati fuorilegge perché il loro distorto altruismo, la loro filantropia deviata, può solo perpetuare la povertà e la malattia. Guarire il mondo significa guarire se stessi… La tua visione del mondo crea il mondo… Può sembrarti paradossale, fuori da ogni logica, eppure il mondo è come tu lo sogni. Sei tu che lo ammali, sei tu il solo responsabile dei conflitti che lo devastano, delle calamità, della fame, della criminalità. 140

La Scuola degli Dei Riconquista la tua integrità e il mondo sarà guarito per sempre!» 7 Il mondo è come tu lo sogni Da questo punto in poi il Dreamer mi fece prendere accuratamente nota di princìpi e pratiche, di attività e tecniche, apparentemente eterogenee e disparate, ma configuranti nel loro insieme una disciplina completa, un sistema. Come la skyline di un continente sconosciuto, dall‟invisibile vedevo emergere i contorni di una cosmogonia unica ed affascinante. Trascorsi alcune giornate di intenso studio nella imponente biblioteca di Mas Anglada dove trovai e consultai volumi preziosi per la comprensione di „The School for Gods”. In particolare, Gli chiesi la spiegazione di disegni e formule che avevo trovato nel manoscritto. Lupelius considerava corpo e spirito come una sola, indivisibile realtà; e riconosceva il „corpo‟ come il creatore di tutto il mondo fenomenico, dal microbo a Dio. Devo precisare che l‟uso dei termini „spirito‟, o qualche volta „anima‟, è una mia intromissione fatta con l‟intento di semplificare la comprensione del lettore. Il Dreamer non li hai mai pronunciati. Più apprendevo delle teorie di Lupelius sul cibo e sul corpo, più sentivo il pensiero sotto shock e arretravo di fronte alle implicazioni ultime dei suoi postulati. Alcune proposizioni tra le più insostenibili del monaco-guerriero, come schegge di irrazionalità, si erano conficcate nella mente e la inquietavano. Volevo assolutamente parlarne col Dreamer. L‟occasione per farlo si presentò la terza sera, quando il Dreamer mi invitò a visitare le cantine della Sua straordinaria dimora. L‟ordine in cui erano tenuti i vini, divisi per paesi, qualità ed annate, era supremo. Mai avevo neppure immaginato l‟esistenza di una collezione così vasta e completa. Accanto al camino, centellinando uno dei Suoi vini più preziosi, il Dreamer mi chiese dell‟andamento dei miei studi e se avessi scoperto qualcosa di rilevante. Gli raccontai dei punti più impervi ed improponibili delle teorie di Lupelius sul corpo e soprattutto di quel dialogo tra Lupelius ed un suo discepolo il cui argomento, la capacità del corpo e dei suoi organi di creare il mondo, era diventato per me un vero assillo. Appena proposto quell‟argomento, mi accorsi di essere impreparato ad ascoltare quello che stava per dirmi. Avrei voluto 141

Il Corpo fuggire! Quando capii che ormai era troppo tardi e che non avrei più potuto sottrarmi, il cuore si impennò, accelerò i battiti come nell‟imminenza di un pericolo grave, e un cerchio di ferro mi avvinghiò le tempie cominciando a stringere. Ero incapace sia di accettare una visione così fantastica che di rifiutarla ed eludere ciò che il Dreamer mi stava rivelando con una tale autorità. Sentii il pensiero barcollare sull‟orlo di una vertigine. «Tra Sogno e realtà non c‟è alcuna distanza né divisione. Così come non c‟è distanza tra essere ed avere, tra credere e vedere – enunciò il Dreamer – Quello che un uomo sogna è già realtà. Ha bisogno solo di un po‟ di tempo perché diventi visibile…» Dream + Time = Reality «Il Sogno si manifesta attraverso il tempo. È la limitatezza della nostra percezione che ha bisogno di tempo per vedere. Il tempo è per l‟uomo una vernice magica che rivela quello che altrimenti resterebbe invisibile ai suoi occhi. Dietro tutto ciò che vedi e tocchi deve esserci il Sogno per esistere… un mondo meraviglioso o un mondo di dolore deve essere sognato perché si realizzi. Il Sogno è la cosa più reale che ci sia... e dietro il Sogno c‟è il corpo… Le nostre cellule, i nostri organi… sognano!» concluse il Dreamer. «Ma se il corpo ha questa capacità di sognare e di creare il mondo, come mai non riesco a cambiare un atomo nella direzione che vorrei?» chiesi dando sfogo alla mia frustrazione. Il Suo sguardo volò lontano oltre le fiammelle dei grandi candelabri d‟argento, oltre le pareti centenarie di Mas Anglada. Per lunghi istanti restò assorto, il mento poggiato sul palmo della mano sinistra, poi disse: «Non esiste un mondo oggettivo, fisso, uguale per tutti… Il mondo è così come tu lo sogni… E anche quello che ti appare negativo, distruttivo, è solo il riflesso di un sogno conflittuale.» «E per cambiare le cose che non vanno?» «Cambia il Sogno! È impossibile uscire dai solchi della ripetitività, della ricorrenza se non cambi il Sogno. You have to abandon your destructive way of dreaming.

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La Scuola degli Dei You have to dream a new dream, you have to learn a new way of dreaming where the power of will commands, where the power of love creates, where the power of certainty wins. Sii più sincero, più onesto con te stesso e realizzerai che dietro la tua falsa convinzione di voler cambiare la tua vita, c‟è il segreto disegno di perpetuarla così com‟è. The world is such because you are such.» 8 No war within, no war without «Il mondo è il Sogno che si materializza. Your thoughts create your own personal reality.» Il Dreamer mi stava parlando tra una serie di esercizi fisici e l‟altra, scegliendo e attivando di volta in volta una delle sofisticate macchine della Sua palestra. Il locale occupava la sommità di un‟antica torre che dominava l‟immensa tenuta di Mas Anglada. Attraverso le pareti vetrate l‟immobilità secolare di colline e vigneti entrava nel tempo e si contendeva il dominio di quello spazio con l‟acciaio degli attrezzi, potenti e silenziosi, e il metallico riflesso dei pesi. L‟ampio lucernario incorniciava un vasto tratto di cielo percorso da cirri leggeri. «Allora... tutti sognano e tutti creano il mondo.» «Si! Il proprio mondo.» «E l‟inquinamento del pianeta? I conflitti, la criminalità?» «Sono anch‟essi parte della tua realtà personale… Il mondo è tanto sano, o tanto malato, quanto lo sei tu! Solo tu puoi inquinarlo... intasando i tuoi organi, ottundendoli! Anche chi inquina il proprio corpo, crea!… Inventa un mondo degradato che con i suoi eventi e le sue circostanze è l‟immagine speculare della sua fisicità malata, e prima ancora, dei suoi stati d‟Essere, dei suoi pensieri. Thoughts are always creative at any level. Thinking belongs to your way of dreaming and is the basic factor in shaping your destiny.» «E la povertà, le guerre?» chiesi, affannato dal pensiero di una responsabilità così grande. «La sofferenza, la povertà e tutti i conflitti del mondo, le persecuzioni e gli eccidi, sono stati sognati, oscuramente voluti da 143

Il Corpo un‟umanità che ha gravemente inquinato il proprio Essere e che non conosce il potere del pensiero.» «Mentre noi siamo qui a parlare, in tutto il mondo, centinaia di fabbriche stanno producendo e immettendo negli arsenali armi micidiali per alimentare i conflitti del pianeta e perfino per distruggerlo. Come possiamo proteggerci da un tale potere distruttivo?» «Rimuovi da te ogni forma di ipnotismo, dipendenza, superstizione. Non affidarti alla conoscenza, alle fantasie, alle profezie di nessuno. Non c‟è potere fuori di te che può distruggerti. Fuori di te niente può accadere senza il tuo assenso. Il mondo degli eventi e delle circostanze dipende totalmente da te. Se tu raggiungi l‟integrità, l‟unità dell‟Essere, allora il mondo sarà salvo. Non preoccuparti del mondo, preoccupati di te stesso. Questo è il solo modo in cui puoi portare aiuto. No war within, no war without. This is the law. » Il Dreamer raccolse dalla pila ordinata una salvietta per asciugarsi il viso, poi l‟avvolse al collo come una mantiglia preziosa, incrociando le liste sul petto con un gesto elegante. «Imparando a governare il proprio corpo un uomo può governare l‟universo» disse. Fu a quel punto che sollevò gli occhi e mi fissò intensamente, a lungo, senza battere ciglio. I pensieri si dileguarono uno ad uno, sempre più velocemente, finché la mente fu completamente sgombra. «Ricordi il tempo della California… quel tuo amico di San Francisco?» chiese, continuando a fissarmi. Non avevo bisogno di altro. Sapevo perfettamente a chi si stava riferendo. Era sorprendente che mi venisse in mente Corrado, senza un attimo di esitazione. Eravamo stati grandi amici al tempo in cui vivevo a San Francisco. Ottimo musicista, giovanissimo si innamorò perdutamente di una belly dancer e la sposò. A parte questo, per quanto frugassi nella memoria, non ricordavo di lui nulla che potesse giustificare una connessione così immediata all‟idea che il Dreamer mi stava trasmettendo: ogni uomo è l‟inventore del proprio mondo, il creatore assoluto di ogni evento della propria vita. Poi i contorni di un lontano episodio divennero sempre più nitidi e una curiosa storia si fece spazio tra i ricordi di quegli anni. 144

La Scuola degli Dei Corrado aveva sempre avuto una predilezione per i neri d‟America. Ne imitava il gergo, i modi, l‟indolenza del portamento e dell‟andare. Ne amava la cultura, divinizzava la loro musica che considerava al di sopra di ogni altra. Frequentava i loro locali, perfino le loro chiese. Incrociando un nero per strada non mancava mai di mostrargli con un ammiccamento, un saluto o uno scambio di battute, quanto si sentisse vicino alla loro razza. Trascinò anche la moglie in questa sua singolare mania ed avevano amici neri, coppie con le quali spesso uscivano e si ritrovavano nei ristoranti e nei club della black society di San Francisco. Una sera, rientrando a casa con la moglie, una banda di neri li assalì e li picchiò selvaggiamente, senza alcun motivo, senza neppure derubarli. Fu una semplice lunga e sonora bastonatura che li costrinse in un letto d‟ospedale per parecchi giorni. Ricordo Corrado piangere di rabbia mentre raccontava questa sua disavventura. Il Dreamer stava scrutandomi alla evidente ricerca di un accenno di comprensione da parte mia; ma i secondi trascorrevano veloci senza che trovassi il barlume di una connessione. Sapevo che considerava basso il grado di responsabilità dei musicisti e degli artisti in generale. Per il Dreamer il mondo bohèmien era un mondo fragile, irresponsabile. Perfino gli artisti più celebri, quelli che l‟umanità ha consacrato e consegnato alla storia come „geni‟, sono in realtà dipendenti della loro stessa arte, piccoli uomini spaventati dalla scoperta insostenibile che l‟individuo è il creatore della propria realtà personale, l‟Artista supremo, l‟origine di tutto quello che vediamo e tocchiamo. Esteti ed artisti non hanno riconosciuto la ragione della loro esistenza e indulgono in qualcosa che è solo un lontano barlume del “Sogno” da cui ha origine. Invece di usare l‟arte come un ponte tra l‟uomo e il Sogno, una via per toccare la parte più interna di se stessi, vi si erano aggrappati facendone una divinità, aggravando quello stato di dipendenza dal mondo che ha governato tutta la loro vita. Un uomo in cammino verso la totalità dell‟Essere, che ha raggiunto un grado di libertà superiore, non può più fare l‟artista. Quando realizzi di essere l‟artefice, il creatore del mondo, non puoi più dipingere né comporre. Abbandoni quel tramite che è l‟arte come uno zoppo guarito butta via le grucce. Per il Dreamer la libertà da ogni dipendenza, da ogni schiavitù, era il significato stesso della vita. I ruoli, tutti i ruoli, sono prigioni da trascendere ed abbandonare. 145

Il Corpo Anche queste riflessioni non mi stavano portando da nessuna parte. Corrado era un musicista di professione. Certamente per vivere dipendeva dalla sua musica. Tuttavia ancora non trovavo il nesso che aveva spinto il Dreamer ad evocarne il ricordo. «Quell‟incidente è la vita che arriva con violenza, ed allo stesso tempo con „compassion‟, per farti vedere quello che non vuoi vedere, per farti toccare quello che non vuoi toccare, nel tuo Essere. Non c‟è nessuna criminalità fuori di noi, tranne quella che noi stessi proiettiamo − intervenne il Dreamer a quel punto, ritenendo inutile attendere gli improbabili frutti del mio almanaccare − Quell‟incidente ha permesso al tuo amico di riconoscere la sua bugia, il latente razzismo… per superare la conflittualità, la violenza che da sempre si porta dentro… e finalmente renderlo libero.» Il Dreamer ricavò altre importanti considerazioni dalla vita di Corrado, presentando vari episodi come sfaccettature di un‟unica malattia: l‟ipocrisia, il mentire a se stesso. Anche il suo matrimonio affrettato era stato dettato da un desiderio di restare negli Stati Uniti e prenderne la cittadinanza, più che da un vero affetto per quella donna. Si interruppe. Cambiò i pesi di una delle macchine e ne regolò il sistema computerizzato per programmare alcuni esercizi. Ero strabiliato. Ero certo di non averGli mai parlato di lui. Mi chiesi come potesse conoscere in tale dettaglio la vita di un amico che non vedevo né sentivo da anni. Intanto il Dreamer aveva smesso di esercitarsi. «Ecco! – disse, annodando la cintura del kimono con la grazia e la fierezza di un rito guerriero – Questa „cosa‟ nascosta in una piega dell‟Essere, questa bugia che copre e nasconde l„egoismo, il pregiudizio, la vanità, l‟odio razziale, costruisce quell‟evento ed è la vera causa di tutte le atrocità del mondo.» Il tono era quello di uno scienziato che annuncia la scoperta di un virus inseguito fino ai confini dell‟esistenza. La sofferenza, la povertà e tutte le calamità… sono state sognate, oscuramente volute ed inconsciamente proiettate… Esse sono la materializzazione ingrandita al pantografo, di ombre e mostri che l‟uomo alberga nell‟oscurità del proprio Essere.»

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La Scuola degli Dei «Oggi, se ha capito la lezione, sicuramente è un uomo più sincero, più libero – disse concludendo – Nel tempo potrà riconoscere la sua bugia… e un giorno potrà anche guarirla.» Ripensai al canto di dolore che l‟umanità costantemente recita, a quella preghiera di sventura che il Dreamer mi aveva fatto ascoltare e riconoscere in me. Finalmente capivo l‟importanza vitale che Egli dava allo studio di sé, ad una vigile, spietata attenzione ai propri stati; all‟autosservazione che, come un raggio di luce, impediva a qualsiasi mostruosità di annidarsi nell‟Essere. Self-observation is self-correction Ricordai i Suoi aforismi: „States and events are one and the same thing... Vision and reality are one… Thinking is Destiny… The world is such because you are such…‟ ed ancora, tra i più sorprendenti, „la vita è un chewing-gum, prende la forma dei tuoi denti‟, e riconobbi il filo d‟oro che li connetteva come espressioni diverse di un unico messaggio. Un messaggio che era la compressione di tutto il Suo insegnamento ed al tempo stesso il confine ultimo cui l‟intelligenza dell‟uomo aveva osato spingersi. In uno scampolo di lucidità, per una frazione di attimo, una verità mi si presentò alla mente potente e luminosa come l‟annuncio di un dio pantocratore: il mondo è uno specchio dell‟Essere! Un raggio laser spaccò gli strati sedimentati della descrizione del mondo... „Vidi‟ che ogni molecola è mirabilmente connessa al tutto. E che il „tutto‟ è un‟entità personale, soggettiva. «Tu sei l‟unico ostacolo alla trasformazione del mondo. Cambia e vedrai il mondo cambiare sotto i tuoi occhi! Ogni atomo di chiarezza, di libertà, di assenza di morte prenderà forma nel mondo e lo libererà da ogni male.» Capii scientificamente, senza orpelli morali o metafisici, l‟importanza di conoscere se stessi, di lavorare senza respiro all‟innalzamento del proprio Essere. «Qualunque viaggio abbia intrapreso l‟uomo, che sia storico o mitico, e qualunque esodo, che sia reale o leggendario, è stato rivolto ad un solo scopo: conoscere se stesso! Conoscerti ti fa padrone di te stesso e padrone del mondo.»

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Il Corpo 9 Thinking is Destiny «Se l‟uomo potesse riconoscere il potere creativo del proprio pensiero, perseguire la bellezza e l‟armonia con la stessa determinazione - per tanti anni quanti ne ha dedicati alla povertà e alla sofferenza - potrebbe trasformare il passato e il proprio destino. Il mondo sarebbe così un paradiso terrestre.» Sentii l‟eternità palpitare dietro queste parole. Aspirato il tempo dall‟equazione tra visione e realtà, stati ed eventi, essere ed avere, si mostrava la natura indivisibile degli opposti, l‟unità nascosta dietro ogni apparente conflittualità. «Se i pensieri di un uomo creano il suo universo, la sua realtà personale, come può cambiarli?» «Puoi migliorare o controllare la qualità dei tuoi pensieri solo se sai come elevare la qualità dell‟Essere. Per fare questo devi studiare e lavorare in una Scuola speciale e applicare il suo insegnamento e le sue idee a te stesso. L‟uomo, così com‟è, non può „fare‟, finché attraverso sforzi immani non avrà riconosciuto e superato la violenza che si porta dentro. L‟uomo non può „fare‟ finchè non avrà realizzato che tutti i mali planetari e le sue sventure personali non sono altro che la drammatica conseguenza del suo pensare distruttivo e delle sue attitudini negative. Finché l‟umanità si crederà governata da eventi e circostanze esterne, non potrà mai riconoscere la vera origine di tutta la violenza del mondo. Il mondo è il tuo specchio. Anything coming from the outer world breathes with your breath, everything is as much alive as you are. There is nothing in the universe that is not you. Thinking is Destiny.» Il suono di queste parole mi echeggiò dentro, improvviso e selvaggio come un vagito, inneggiante più di qualunque peana, più forte del canto di cento rivoluzioni. Nessun evento mi sarebbe mai apparso così devastante, così trasgressivo quanto il superamento di quella linea sottile: una nuova soglia all‟umanizzazione. Ad occhi sbarrati stavo assistendo all‟esodo di una specie ancora zoologica, al suo passaggio evolutivo da razza ominide ad una umanità dotata di una vera psicologia, libera dai conflitti, dal dubbio, dalla paura. «C‟è una favola che tutti conoscono come „la bella addormentata nel bosco‟» annunciò. Quel brusco cambiamento di soggetto mi prese di sorpresa. L‟attenzione si acuì fino allo spasimo. Poi in un sussurro disse: 148

La Scuola degli Dei « …ma il suo vero titolo è „la bella nel bosco addormentato‟.» La missione che un giorno mi avrebbe affidato era racchiusa in questa apparente minuzia. Il bosco addormentato è il mondo come ci è stato descritto, flagellato da povertà e conflitti, sigillato in un sonno ipnotico; e la bella è il risveglio della volontà, il risveglio dell‟Essere, il Sogno. La Scuola che presto avrei fondato avrebbe permesso ad una nuova generazione di giovani di capovolgere i vecchi paradigmi e di accedere a una nuova visione della realtà. «L‟unico aiuto che puoi dare agli altri è destarti da quel sonno» disse quella sera il Dreamer. Il Suo tono era insolitamente pacato, le Sue parole tenere come datteri al sole. Assaporai in tutto l‟Essere la loro dolcezza legnosa. Quel periodo con Lui, insperatamente lungo, stava concludendosi. Vacillava la luce degli ultimi candelabri. La splendida sala di Mas Anglada, con i suoi arredi raffinati, le opere d‟arte e gli argenti scintillanti, stava rinfoderandosi lentamente nell‟ombra. Accanto al Dreamer, per giorni, mi ero sentito l‟unico, fragile legame tra il mondo dell‟impeccabilità e l‟uomo. Ora, in silenzio, Lo osservavo. Era immobile da tempo. Stava ad occhi socchiusi, il corpo proteso verso l‟alto. Quando riprese a parlare, le Sue parole mi penetrarono con l‟incanto di visioni presaghe. « …Lentamente l‟umanità sta cambiando pelle… Un giorno smetterà di frugare tra le ombre del mondo, smetterà di venerare il cibo, la medicina, il sesso, il sonno, il lavoro… Crescerà nella sua coscienza il valore della frugalità fino a raggiungere l‟integrità dell‟Essere che segnerà la fine di ogni povertà, di ogni calamità, di ogni conflitto. Ci vorrà tempo… perché l‟umanità è tempo. Per adesso studia, osservati e conosciti! E un giorno sarai presente al più grande spettacolo del mondo: la tua integrità!» Preso commiato dal Dreamer nulla più mi tratteneva a Barcellona. Quella notte stessa presi il primo volo per ritornare a New York. Per tutta la durata del viaggio ricapitolai quanto avevo ascoltato in quei giorni straordinari vissuti accanto a Lui. Il corpo continuava a vibrare di una sensazione mai provata prima: uno stato di completezza, di ordine, di celebrazione. L‟universo intero respirava con il mio respiro. Ogni cosa era connessa al tutto e nulla era separato. 149

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La Scuola degli Dei CAPITOLO IV

La Legge dell‟Antagonista 1 La corsa “Il corpo non può mentire… Il tuo corpo è già quello di un vecchio… ” Queste espressioni del Dreamer ancora echeggiavano nella mente, rinnovando la dolorosità del loro primo impatto. “Accanto a Me non c‟è posto per pensionati... ” Quelle parole spietate avevano bucato la spessa crosta delle mie difese e stavano ora scavando nei tessuti vivi. Sentivo la loro forza dirompere e trasformarmi, sconvolgendo abitudini, travolgendo convinzioni ed attitudini. In particolare mi pungevano, dolorose come sproni, le cose che mi aveva rivelato alla fine del nostro incontro: “Gli organi servono per sognare… Il corpo crea il mondo… Anche chi inquina il proprio corpo crea… crea un mondo inquinato… When you are sick, the world is sick… Il mondo è malato quanto te… Tutto è connesso, niente è separato.” Dal Dreamer avevo appreso che il destino di un uomo, e tutto quello che ha, è legato a filo doppio alla salute del suo corpo. In futuro, guidato da queste rivelazioni, avrei fatto ricerche nel campo dell‟economia e del business scoprendo che anche il destino finanziario di un uomo dipende dalla sua integrità fisica, dall‟impeccabilità corporea. Grandi imprese, fortune finanziarie, imperi industriali, così come nazioni ed intere civiltà, si formano e prosperano, o si ammalano e muoiono, con il loro leader, con il loro fondatore-ideatore. “Una piramide organizzativa è legata al respiro del suo leader. Un filo d‟oro salda la sua immagine e il suo destino personale a quello della sua organizzazione e dei suoi uomini. Il suo 151

La Legge dell‟Antagonista sé corporeo coincide con la sua economia, come fu per gli antichi sovrani. Il Re è la terra e la terra è il Re.” Ormai non potevo più continuare ad eludere un messaggio così diretto e cruciale. Decisi così di avviare i primi passi nella direzione indicata dal Dreamer combattendo il mio decadimento fisico. Mi impegnai in un regime di allenamento fisico, dalla dieta alla respirazione, dal sesso al sonno, seguendo le guidelines che avevo ricevuto nell‟incontro a Mas Anglada. Passai in rassegna le opzioni che avevo a disposizione e feci un piano d‟azione per dare un colpo di barra alla mia esistenza; ma le difficoltà si mostrarono insormontabili. Il solo pensiero di un cambiamento di abitudini, di uno sforzo fisico o di un qualsiasi sacrificio, era sufficiente per sentire insorgere in me resistenze di varia forza e natura, fino a vere e proprie repulsioni. Al solo pensiero di quelle austerità, stati d‟animo contrastanti si alternavano, azzuffandosi tra loro. L‟attenzione a queste mie reazioni fece affiorare, come sullo schermo di un radar, il tracciato delle mie asperità, una mappa interiore: le montagne della rigidità, gli scoscesi pendii dei dubbi, gli abissi senza fondo della paura, fino ai deserti dell‟incomprensione e della solitudine. Fu in questo modo, studiandomi ed osservandomi, che arrivai ad individuare quella parte di me che più si opponeva e provava dolore all‟idea di cambiare. E lì, dove sentii il nodo, affondai la lama della volontà. Da quel giorno ebbe inizio la lotta… una sfida mortale, una guerra santa tra me e me stesso che sarebbe durata anni. Quell‟inverno fu uno dei più rigidi nella pur stravagante storia meteorologica di New York. Coperta da una spessa coltre di neve, spazzata da venti polari, la metropoli sembrava essere stata trasportata per incanto in un paese artico con i grattacieli trasformati in scivoli di ghiaccio per giganti bambini. La mattina presto, prima di trovare il coraggio di uscire per la corsa, aprivo uno spiraglio tra le lame della veneziana e spiavo il tempo. Ero tra i fortunati. Dal sedicesimo piano, con una vista sull‟East River e sulla città, potevo attingere informazioni dirette sulle condizioni del tempo. La maggior parte dei newyorkesi per sbirciare fuori e decidere cosa indossare non aveva altra scelta che accendere il televisore e usarlo come una finestra elettronica. 152

La Scuola degli Dei Da settimane Manhattan, con la sua skyline di pinnacoli e guglie nevate, era un bianco universo gotico sigillato in una bolla di cristallo. A quella vista l‟intento vacillava. Ogni mattina c‟era un‟ardua battaglia da vincere. Al suono della sveglia, al pensiero della corsa in quel freddo polare, una lotta epica si ingaggiava tra me e un fisico degradato, neghittoso, che non voleva saperne di cambiare. Avvilito da anni di abusi e di incuria, il mio corpo diceva no a qualunque tentativo di interrompere o frenare la sua degradazione. Minacciato dalla corsa, rivelava la sua vera condizione. Solo oggi, a distanza di tempo vedo quanto quell‟impresa fosse impossibile, del tutto simile al tentativo del Barone di Münchhausen di sollevarsi dal pantano tirandosi su per la parrucca. Solo la voce del Dreamer, il ricordo delle Sue parole, sostenevano il mio intento e mi davano forza. Per poter avanzare anche di un solo millimetro verso l‟integrità, bisogna rovesciare la nostra visione del mondo. È uno sforzo immane. Eppure non c‟è benedizione più grande. La conquista di quel millimetro di eternità ingoia oceani nel mondo degli eventi. Il programma che mi ero imposto prevedeva un giro di corsa intorno all‟isola e il ritorno in tempo utile per prepararmi, per fare colazione con Giorgia e Luca e scambiare qualche parola prima che andassero a scuola; ma la tentazione di restarmene a letto e lasciare che fosse Giuseppona ad occuparsi dei bambini, era sempre in agguato. Più volte mi chiesi da dove arrivasse quella voce che ogni mattina tentava di dissuadermi dal correre. “In fondo – diceva – con un tempo del genere chi potrebbe biasimarti se ritornassi a letto? Non hai forse già fatto più del dovuto? Che cosa sarà mai interrompere la corsa per un solo giorno?” E così via. Altre volte, essere andato a letto troppo tardi o dover prendere un volo mattutino, diventava il pretesto del giorno per cercare di eludere quello sforzo. Così ogni circostanza tentava di infiltrarsi tra le crepe della mia determinazione, tentava di accreditarsi come una buona scusa per interrompere ed abbandonare la disciplina che mi ero imposto. Qualunque fosse la sua origine, quella voce interna mi esasperava. Quella presenza in agguato, sempre pronta a sabotare i 153

La Legge dell‟Antagonista miei propositi, avrei voluto sopprimerla. Ma era solo la punta di un iceberg. Attraverso la disciplina della corsa, lottando contro le mie resistenze, contrastando le mie abitudini, stava affiorando la parte più sconosciuta, più oscura dell‟Essere. “Remember… Nothing is external… You are the only obstacle to your evolution! – mi aveva detto più volte il Dreamer – Non c‟è difficoltà o limite che non trovi la sua origine in te.” Ma per „comprendere‟ queste parole, farle diventare linfa vitale del mio corpo, ci sarebbero voluti anni. Dovetti degradare, cadere e risorgere mille volte... dovetti morire e rinascere, prima di imparare a benedire ogni difficoltà che incontravo sul mio cammino e riconoscere che l‟Antagonista è solo interno. Per giustificare il suo destino mortale, la sua vita infestata di eventi disastrosi, l‟uomo si convince che ci sono forze fuori di lui che l‟ostacolano, che sono la causa di ogni suo male. Si lamenta, giustifica ed accusa gli eventi, le circostanze esterne, gli altri, senza neppure sospettare che il mondo è la sua immagine riflessa, che, proprio come in uno specchio, non è possibile cambiarla se non cambiando se stesso. There is no help coming from anywhere at all. You have to make your own individual revolution which is purely based upon you. Semmai gli insegnamenti del Dreamer tollerassero di venire ingabbiati in un metodo, di configurare un giorno una dottrina o un nuovo sistema filosofico, quelli che il Dreamer chiama sgambetti alla meccanicità vi occuperebbero un capitolo speciale. Per il Dreamer uno sgambetto alla meccanicità è un agguato teso da noi stessi alla nostra ripetitività, un autoinganno, un trucco per aggirare le ferree difese dietro cui proteggiamo abitudini calcificate e vecchi schemi mentali. Solo col tempo, con l‟avanzare del mio apprendistato, avrei capito che il beneficio della corsa non consisteva tanto nell‟esercizio fisico, o nel sopportare la fatica, ma nella sua natura di „sgambetto‟, di stratagemma per scombussolare un ordine meccanico fatto di ripetitività e di indolenza. Correre mi aiutava a sospendere, sia pure per pochi minuti, il flusso oscuro dei miei pensieri; urtava, spezzandola, quella descrizione meschina, luttuosa del mondo che l‟uomo chiama realtà. Correre creava una crepa in quest‟ordine 154

La Scuola degli Dei carcerario. Attraverso quello sforzo fisico un alito di libertà penetrava nella prigione del tempo ed allentava i miei ceppi da schiavo. Come un oceano pronto a riempiere ogni cavità nel suo seno, deciso a non permettere alcun vuoto, il mondo insorgeva e schierava un esercito di eventi per soffocare quel piccolo spazio che era un suo nemico mortale, una specie di intollerabile trasgressione alle leggi naturali del pianeta. Solo il ricordo del Dreamer, la pratica della Sua presenza, mi sostenevano provvedendo un‟energia prodigiosa. A quel tempo mi aiutò, se non la volontà, una buona dose di ostinazione. Mi obbligai a credere nella assoluta necessità di quello sforzo, e senza alcuna spiegazione razionale, misi la corsa al mattino in cima ad ogni priorità, come se la mia stessa vita ne dipendesse. “First thing first”, così chiamava il Dreamer l‟attitudine a darsi le giuste priorità e a mantenere la direzione, ricordando che cosa viene prima. Adesso so che quell‟ora al mattino sottratta intenzionalmente alla routine, era uno spazio di potere, un punto su cui far leva per cambiare il mondo. Un uomo puntato verso l‟alto, impeccabilmente teso al suo miglioramento, può spostare montagne, trovare soluzioni a situazioni apparentemente inestricabili, trasformare le avversità in eventi di ordine superiore. 2 I custodi di Main Street Quando penso a quel tempo, mi rivedo passare davanti alla portineria centrale del palazzo dove abitavo, in Roosevelt Island, incappucciato, imbottito come l‟ometto della Michelin. I mezzi sorrisi dei custodi, illuminati dalla luce livida dei monitor, e quel loro scuotere la testa in segno di ironico dissenso, erano la prima reazione del mondo alla mia temeraria impresa mattutina. Solo ora posso vedere che il loro atteggiamento non era altro che il riflesso speculare delle mie resistenze e della mia incomprensione di allora. Tra gli insegnamenti ricevuti dal Dreamer, uno in particolare aveva assediato le mie convinzioni e sgretolato sotto i suoi colpi d‟ariete i bastioni delle mie certezze. 155

La Legge dell‟Antagonista The world is such because you are such Il mondo è l‟immagine fedele dei nostri stati. Quelle guardie mi riflettevano! Sotto i loro sorrisi ironici, dietro lo scetticismo di Jennifer, i commenti dei colleghi e le reazioni di quanti sapevano di questa mia impresa mattutina, c‟era la mia fragilità. Dietro questi atteggiamenti facevano capolino la mia mancanza di determinazione, i dubbi e l‟insincerità che puntualmente „gli altri‟ mi rimandavano come smorfie che io facevo a me stesso nello specchio del mondo. Ricordalo per sempre! Niente è fuori di te… Il mondo che vedi e tocchi è solo un effetto. Ha il tuo respiro... vive se sei vivo e muore con il tuo morire. Senza l‟insegnamento del Dreamer avrei continuato a crederle guardie giurate, poveri diavoli che stavano guadagnandosi da vivere. Uscendo di casa, rientrando, avrei ricambiato il loro saluto, ed ogni giorno mi sarei riflesso nella loro ironia, nel loro scetticismo, senza neanche immaginare che essi non erano portinai, e neppure uomini. Essi erano terminali, apparati percettivi attentissimi, organi sensori del mondo. A man cannot hide… Un uomo non si può nascondere… Il mondo sa! Ti rivela! Furono idee come questa che mi penetrarono e mi trasformarono nel corso degli anni. A ogni attimo puoi evolvere o degradare. Dipende da te! Ogni tuo pensiero, attitudine, ogni parola o sguardo, la più piccola contrazione del viso, comunica all‟universo intero il tuo livello di responsabilità, il tuo grado di libertà. È questo che ti colloca mirabilmente lì dove sei, è questo che determina il tuo destino, la tua economia, il tuo ruolo nel teatro dell‟esistenza…

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La Scuola degli Dei Immaginai un universo che sapeva tutto di me, un apparato fatto di innumerevoli sensori, aggiornato in „tempo reale‟ sul più piccolo moto dell‟Essere, sulla qualità dei nostri pensieri, dei nostri stati. Se fossimo attenti a questi indizi, come dal vaticinio di antichi auspici, potremmo conoscere chi siamo, che cosa ci è permesso sapere, ciò che possiamo fare e non fare, ciò che possiamo possedere e quello che dobbiamo perdere. Giorno dopo giorno, non mancando mai all‟appuntamento con la corsa e con me stesso, ricordando e rafforzando il mio intento, stavo alleggerendomi delle scorie di una vita. Il tamtam dell‟esistenza stava trasmettendo all‟universo nuovi messaggi. I suoi battiti propagavano la notizia che un altro uomo stava osando la fuga. Il suo temerario tentativo di evadere dall‟orrore dell‟ordinarietà era in corso. 3 I muri I primi tentativi di correre un giro completo dell‟isola richiesero uno sforzo eroico. E anche dopo, quando fui più allenato, il superamento della fatica fu un elemento costante con cui fare i conti, specialmente in alcuni momenti della corsa. Notai che la difficoltà e la molestia dello sforzo non crescevano secondo una progressione lineare, geometrica, come mi sarei aspettato, ma seguivano un andamento altalenante, un moto ondoso. Durante ogni corsa sentivo l‟alternarsi di momenti di leggerezza, di quasi assenza di sforzo, a momenti di insopportabile pena. In queste fasi critiche era come se si formassero veri e propri „muri‟, barriere che per essere superate richiedevano uno sforzo immane. Una parte centrale del mio apprendistato con il Dreamer mi aveva allenato ad un minuzioso lavoro di autosservazione, ad una costante attenzione ai propri stati, ai pensieri, alle sensazioni, alle emozioni, ed a tutto ciò che sembrava attrarmi o suscitare repulsione. Osservandomi proprio nei momenti di mancanza di energia, avevo notato che i momenti critici erano sempre preceduti dall‟innalzarsi di un „muro‟ psicologico, da un‟ombra che oscurava l‟Essere: pessimismo, sfiducia, prendevano il sopravvento e la voce dell‟Antagonista interno si faceva sentire con più forza, con sempre nuove ragioni per abbandonare. 157

La Legge dell‟Antagonista Fu la corsa ad insegnarmi a stringere i denti, a farmi realizzare come bastasse in quei momenti resistere un attimo in più per ritrovare uno stato di fluidità. Una volta superata la tentazione di lasciarsi andare, di abbandonare, si aprivano nuovi serbatoi di energia. Sarebbe stato impossibile accedervi, e perfino conoscerne l‟esistenza, senza avere vinto se stesso ed aver abbattuto quei „muri‟ che ogni volta si presentavano come insormontabili. Più studiavo il meccanismo che li generava e più la corsa si rivelava ai miei occhi come un modello concettuale, uno strumento prezioso per la spiegazione del mondo. Nel suo moto alterno riconoscevo l‟elemento costitutivo, il fondamento dinamico di ogni realtà fisica. Dal nucleo dell‟atomo ai confini dell‟universo, tutto si muove e si propaga secondo quel movimento ondulatorio che stavo scoprendo nel mio corpo. La vita stessa è un moto di onde senza inizio né fine. I „muri‟ che in certi momenti la corsa mi presentava e lo sforzo straordinario che il loro superamento richiedeva, mi stavano rendendo consapevole di un paradigma ricorrente non solo nella corsa, ma nella vita. Quante volte sarebbe bastato tener duro quel tanto di più per superarli, per vincerli definitivamente e andare oltre. Ma qualcosa mi aveva sempre spinto a darmi per vinto e abbandonare. La sconfitta, che avevo sempre creduto effetto di cause esterne, si stava rivelando un processo inside-out, un meccanismo obbediente ad un comando interno, un atto di autosabotaggio. Un‟ombra nasce e si propaga nell‟Essere, poi trova l‟occasione per materializzarsi sotto forma di incontri, circostanze ed eventi avversi. La consapevolezza di questo meccanismo, l‟attenzione al prodursi di questa ombrosità nell‟Essere, preludio di ogni nostra disfatta, era la grande opportunità per imparare a circoscriverla ed eliminarla, non soltanto dalla corsa, ma dalla mia esistenza. La mia corsa era per lo più solitaria. Mi erano compagni voli di gabbiani o qualche chiatta che, risalendo l‟East River, mi affiancava per un tratto lasciandomi nella sua scia con un fischio di saluto. Correndo, spesso fantasticavo; mi piaceva credere che prima o poi avrei incontrato compagni di fuga, altri temerari che come me avevano deciso di sfuggire a un‟esistenza mediocre. Una volta si formò un gruppetto di cinque uomini e due donne. Ci mettemmo a correre d‟impegno. La mattina era luminosa e la skyline di Manhattan si stagliava nitida contro il cielo. Percorremmo fianco a fianco un giro completo dell‟isola. Non li 158

La Scuola degli Dei avevo mai visti prima, eppure trovai con quei compagni di corsa un‟intesa immediata. Ebbi l‟impressione che fossero un gruppo già affiatato. Un uomo con una tuta scintillante come seta e scarpe da jogging nere e grigie, per un poco guidò il passo. Ad un tratto accelerò. Incapaci di reggere quel ritmo, uno alla volta abbandonammo. I nostri corpi appesantiti, avviliti, mostrarono i loro limiti. In breve lo perdemmo di vista. Quel confronto rese penosamente evidente quanto ognuno di noi avesse ancora da fare. Continuammo a correre in gruppo fino al parco giochi dove ci sedemmo a prender fiato sulle panchine. Non lontano sostava il glorioso autocarro dei pompieri, ora ridotto ad attrazione per i rari bambini dell‟isola. Il destino di quel veicolo, emblema di antichi eroismi, mi sembrò l‟imbarazzante monumento dell‟inflaccidimento e della degradazione fisica di un‟intera civiltà. Feci la tacita promessa di aumentare i miei sforzi per mettere ordine e uscire dalle condizioni in cui avevo ridotto il mio corpo. Nessuno parlò; non c‟era alcuna necessità. In silenzio, resi innocenti dallo sforzo, ci spartimmo il pallido sole come un pane azzimo e godemmo la speciale complicità del nostro improvvisato sodalizio. Poi, a distanza di pochi secondi, ciascuno si accomiatò con un cenno di saluto e si allontanò a passo di corsa verso una doccia calda e gli impegni della sua giornata newyorkese. Era ancora presto. Giocai con un raggio di sole tra le rime degli occhi socchiusi; indugiai qualche secondo sbirciando le rosse navicelle della funivia che si incrociavano nella loro instancabile spola tra Manhattan e Queens. 4 La Legge dell‟Antagonista «Non temere l‟Antagonista! Sotto la sua maschera feroce si nasconde il nostro più grande alleato, il nostro più fedele servitore.» A queste parole sussultai. Con gli occhi ancora chiusi, restai per lunghi attimi sospeso tra incredulità e speranza. “È impossibile!” pensai. Non potevo crederci. Eppure quella voce era inconfondibile... quelle parole erano Sue. Lentamente girai il viso nella Sua direzione e aprii gli occhi. Il Dreamer mi sedeva accanto. Un brivido di irrealtà mi percorse la schiena e serpeggiò sottopelle fino alla radice dei capelli. Lì si annidò come una insistente, leggera vibrazione. Indossava la tuta dai 159

La Legge dell‟Antagonista riflessi di seta e quelle scarpe da jogging che sembravano venire dal futuro. Avevo percorso quasi un intero giro dell‟isola con Lui senza neppure sospettare che fosse il Dreamer! Immaginai che gli uomini e le donne di quel gruppo fossero Suoi studenti. Superato lo sbalordimento, Gli confidai i miei propositi: Gli parlai della nuova attenzione che stavo dedicando al corpo, dei risultati che stavo ottenendo dai primi esperimenti sul cibo, sul sonno, sulla respirazione... Gli raccontai della corsa, della scoperta dei „muri‟, del mistero di questa voce interna che continuamente mi istigava ad abbandonare, a cedere, a fallire nel mio intento. «La voce che senti è l‟Antagonista che ti porti dentro.» affermò il Dreamer, avviando il tema che si sarebbe rivelato uno dei più impegnativi del mio apprendistato. Accompagnò quelle parole con l‟accenno di un sorriso che lo fece apparire ancora più giovane. Questa espressione benevola era in Lui così rara che invece di darmi coraggio sortì l‟effetto opposto. Entrai in uno stato di apprensione. Sapevo di essere davanti a un passaggio cruciale. Mi raddrizzai sulla schiena e inspirai profondamente: qualunque fosse la barriera da superare avrei impegnato a fondo ogni mia capacità. Il Dreamer passò in rassegna i fatti più emblematici della nostra storia, le sciagure che nei secoli hanno afflitto l‟uomo e le società da lui create. Indagandone la ragione, penetrando nelle radici, mi informò dettagliatamente di una forza planetaria, equivalente psicologico dell‟attrito fisico. Come accade per un corpo in movimento, ogni spinta che un uomo imprime alla sua vita riceve il contrasto di una forza uguale e contraria. Fu in quella occasione che il Dreamer introdusse un sistema di proposizioni, una compagine di princìpi che denominò „la Legge dell‟Antagonista‟. «Ogni cosa, dalla più semplice alla più complessa, dalla vita di un uomo a quella di una intera civiltà, ogni organismo sulla via della evoluzione incontra un potere „apparentemente‟ avverso, un Antagonista che ha forza e capacità pari all‟ampiezza del suo progetto.» Nel tempo, con gli approfondimenti successivi, l‟insieme di quelle idee avrebbe rivelato i caratteri di una vera e propria „teoria generale dell‟attrito‟, capace di imbrigliare secoli di storia e dare un senso alla infinita serie di difficoltà e sciagure che ha flagellato l‟umanità. La visione dall‟alto sulla condizione dell‟uomo, quello sguardo a 360 gradi sulla dolorosità della sua vita, mi teneva col fiato sospeso, sul ciglio di un abisso senza fondo. 160

La Scuola degli Dei Tra le mani mi ritrovai prodigiosamente il taccuino. L‟agguantai come un‟ancora di salvezza. Annotai minuziosamente le Sue parole catturando ogni frammento di quella irripetibile lezione all‟aperto. La panchina del parco giochi dov‟eravamo fu avvolta in una bolla d‟aria pura, senza tempo, e mi parve che l‟intera Roosevelt Island si trasformasse in un‟astronave pronta a volare alla velocità del pensiero. Manhattan e la sua vita affannosa non avrebbero potuto essere più remote. Il Dreamer mi spiegò che ogni uomo è un sognatore. Ogni uomo, perché sognatore, nel bene e nel male è artefice, creatore della propria realtà personale, del proprio destino; nel tempo vede materializzato ogni sogno, ogni pensiero, tutto quello che nasce dal suo Essere. «Il mondo è un effetto… una proiezione del tuo Sogno ma anche dei tuoi incubi. Può essere paradisiaco o infernale. Dove e come vivere lo decidi tu.» 5 Ama il tuo nemico «Sotto la maschera dell‟Antagonista, al di là delle apparenze, si cela in realtà il volto del nostro miglior alleato.» mi spiegò. Poi aggiunse: «Contrariamente a quello che l‟umanità crede, non è possibile essere avversati da nulla che sia più grande di noi… L‟Antagonista non è mai superiore alle nostre forze!» «E Davide e Golia?» chiesi, chiamando in causa la storia più famosa e tra le più emblematiche di una lotta impari. La mia immaginazione ripescò le cento icone che nei millenni hanno tramandato la sfida tra il gigante filisteo armato fino ai denti e un giovane pastore con in mano solo una fionda… «Una fionda… ed il Sogno di diventare re! – corresse il Dreamer entrando tra la calca di quelle immagini – Al di là delle apparenze, la lotta è sempre pari!… » «Nessuno può incontrare un Antagonista più grande di sé, né superiore alla propria capacità di comprenderlo ed armonizzarlo... Anche il confronto tra Davide e Golia, oltre l‟apparente disparità di forze, rispetta le leggi universali del duello – epilogò col tono che conclude una dimostrazione matematica – l‟unico e solo scopo dell‟Antagonista, nascosto dalla sua spietatezza, è la tua vittoria… 161

La Legge dell‟Antagonista l‟Antagonista ha tutti gli strumenti e i metodi a sua disposizione per permetterti di realizzare il tuo Sogno… È lui che ti indica il cammino più breve per il successo.» Per quanto paradossali potessero apparire queste affermazioni, riflettei che, in realtà, nessuna strategia né alleato avrebbe potuto portare più velocemente David a coronare il suo sogno. Il Dreamer assentì in silenzio, incoraggiando con brevi cenni del capo questi primi sintomi di comprensione. Poi concluse: «Nessuno al mondo può amarti più dell‟Antagonista.» Ero senza parole. Sentii le tempie pulsare per un accesso di febbre. Quell‟apice dell‟intelligenza umana raggiunto dal pensiero cristiano con „ama il tuo nemico‟, veniva superato dopo due millenni da questo annuncio del Dreamer, ancora più semplice e rivoluzionario: è il nemico che ama te! L‟uomo non doveva più imporsi di amare il suo nemico (cosa ormai dimostratasi impraticabile, se non impossibile, dopo altri duemila anni di vendette e ritorsioni). Per una nuova umanità sarebbe stato sufficiente riconoscere che è il nemico, è l‟Antagonista ad amare te. Più ci pensavo e più quell‟avvitamento verso l‟alto prodotto dal messaggio del Dreamer mi appariva grandioso. Distanziato da questo colpo d‟ala, l‟annuncio millenario: „ama il tuo nemico‟, pietra angolare dell‟insegnamento cristiano, mostrava ora la sua rigidità. Come tutte le religioni del mondo anche il cristianesimo, assottigliato dall‟usura dei secoli e dalla divisione delle sue chiese, aveva dimenticato che la verità non è statica, non può rimanere immobile. La verità di ieri non trascesa degrada e diventa la menzogna di oggi. Intanto avevamo abbandonato la panchina del parco giochi lasciandoci alle spalle la vecchia carcassa del camion dei pompieri e stavamo percorrendo in direzione nord la strada che costeggia il fiume. Camminavo accanto al Dreamer e Lo ascoltavo mentre collocava nel quadro d‟insieme gli ultimi tasselli della Sua stupefacente teoria. «Perdonare il nemico fuori di noi è la manifestazione di una vanità e di un‟incomprensione millenaria. L‟unico nemico è dentro di te. Fuori non c‟è nessun nemico da perdonare e nessun male che possa nuocerti… L‟Antagonista è il tuo più prezioso alleato… uno 162

La Scuola degli Dei strumento per migliorarti, perfezionarti, integrarti... la sola chiave di accesso a zone più alte dell‟Essere.» Passammo davanti alla Chapel of the Good Shepherd, la vecchia chiesa di stile gotico ora completamente diroccata. Il busto di pietra di un Gesù sofferente ancora si ergeva sul silenzio di quelle rovine. «Anche quella „scuola‟ millenaria non ce l‟ha fatta.» ammise il Dreamer. Nella voce si avvertiva una vena di dolore per l‟ennesimo epilogo di un dramma senza tempo. «Anch‟essa ha mancato il bersaglio…»

L’Antagonista L‟Antagonista, il nemico, è un propellente speciale. Più alto il nostro grado di responsabilità più spietato l‟attacco dell‟Antagonista. L‟Antagonista ci misura, ci rivela, ci realizza… Più alto il nostro grado di libertà, più sottile la sua azione. Non temere l‟Antagonista! Dietro la sua apparente spietatezza si nasconde il tuo più grande alleato, il tuo più fedele servitore. L‟unico e solo scopo dell‟Antagonista, è la tua vittoria… L‟Antagonista usa ogni artificio, ogni strategia, per la meta finale: la tua integrità. Nessuno al mondo può amarti più dell‟Antagonista Tu sei la sola ed unica ragione del suo esistere. Non temere l‟Antagonista! La tua perfezione crescerà con la sua spietatezza. La tua immortalità con la sua apparente immoralità, la tua intelligenza crescerà con il suo potere, il tuo potere con la sua intelligenza. Perché l‟Antagonista, sei tu!

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La Legge dell‟Antagonista 6 Impara a sorriderti dentro Pensai alla grandezza di questa rivelazione. Se una tale verità fosse stata riconosciuta dall‟umanità avrebbe rivoluzionato, trasformato per sempre il nostro modo di pensare e di sentire. Un giorno, ai miei studenti di economia avrei trasferito la forza di questa visione: più feroce è l‟attacco dell‟Antagonista, più grave il suo insulto, più grande è l‟opportunità per andare oltre. Imparate a sorridervi dentro mentre l‟attacco, l‟offesa si manifesta in tutta la sua spietatezza… L‟Antagonista deve essere combattuto fuori e simultaneamente perdonato dentro! Il perdono può avvenire solo dentro di te. Fuori di te „recita‟ impeccabilmente il combattimento più accanito… ma senza crederci! Finalmente, uno spiraglio si apriva a gettare luce su quel millenario, impenetrabile paradosso: Se lo ami non è più un nemico e se è un nemico come fai ad amarlo? „Ama il tuo nemico‟ è un‟idea superiore che può essere compresa e applicata solo da un uomo integro. Solo chi ha estirpato da sé conflittualità e divisione può fare a meno dell‟Antagonista. Per chi ha una logica duale, per chi ancora vede e pensa attraverso gli opposti, la guarigione non può che presentarsi con la maschera feroce dell‟Antagonista. «L‟attitudine di un leader di fronte alle difficoltà deve essere questa» disse e rese mimicamente il concetto stropicciandosi le mani come chi finalmente ha davanti qualcosa che ha atteso e desiderato a lungo. «Un leader sa che, per quanto terribile possa apparire l‟Antagonista, la lotta è sempre pari e le difficoltà solo apparenti. Dietro la maschera dell‟Antagonista, dietro la sua apparente brutalità, si nasconde l‟accesso ai più alti livelli di responsabilità.» «Più chiaro di così il gioco non ve l‟ha mai spiegato nessuno!» annunciò il Dreamer, indirizzando le Sue parole ad una invisibile audience vasta quanto il pianeta. 164

La Scuola degli Dei Aggiunse che senza questa comprensione, senza una Scuola, la maggior parte degli uomini si ferma sulla soglia di questo passaggio rifiutandosi di pagarne il prezzo. Continuamente incontriamo ostacoli e voci interne che ci dissuadono dal proseguire, antagonismi fisici o psichici che saggiano la forza della nostra aspirazione, la chiarezza del nostro intento, la nostra preparazione, la nostra determinazione. Un‟impossibilità apre sempre le porte alla possibilità successiva. Inoltrandomi sempre di più nella visione del Dreamer sentivo il potere di un training speciale. Da Lui stavo ricevendo l‟insegnamento di un‟arte marziale capace di trasformare in propellente ogni attacco e tutto quello che nella vita sembra contrastarci. Nemici e ostacoli apparivano ora sotto una nuova luce. Uomo o evento, l‟Antagonista ha l‟ingrato compito di rivelare ogni vuoto, ogni mancanza, debolezza o paura che ti porti dentro; di denunciare senza alcun compromesso la tua impreparazione, le colpe, i limiti che tu stesso ti sei posto. Quando avrai riconosciuto l‟Antagonista che hai dentro, sparirà anche fuori. Il Dreamer sottolineò ironicamente come in cambio dei suoi preziosi servigi l‟Antagonista riceva da noi solo malevolenza e rancore. La figura di Padre Nuzzo si fece spazio nella memoria e prevalse sulla piccola folla degli antagonisti incontrati negli anni della mia fanciullezza al Collegio Bianchi. Provai una pungente malinconia e un leggero rimorso al ricordo di tutte le cattiverie che gli indirizzavamo. Solo ora, accanto al Dreamer, potevo „vedere‟ dietro la sua spietatezza, dietro i suoi attacchi più severi, il sorriso e l‟amore di chi contiene il „gioco‟. «I maestri che più abbiamo odiato sono quelli che ci hanno dato di più» affermò il Dreamer. Il Suo intervento disperse i miei pensieri e sgombrò il campo dalle ombre e dai fantasmi generati da quei sentimenti inutili. Dalla esposizione del Dreamer stavo osservando l‟emergere di un sistema, un modello cosmico ricorrente capace di essere applicato a tutte le azioni umane, individuali e sociali; una sorta di 165

La Legge dell‟Antagonista legge universale osservabile in qualsivoglia scala. In particolare mi aveva colpito il Suo accenno alla possibilità di sfuggire alla legge dell‟Antagonista. Su questo punto Gli manifestai l‟incapacità di immaginare un mondo senza attrito, dove fosse possibile proporsi e raggiungere qualunque traguardo senza avvalersi dell‟aiuto prezioso e spietato dell‟Antagonista. «Come si fa?» chiesi affascinato dalla prospettiva di trasformare la vita in un paradiso terrestre, dove finalmente l‟Antagonista non avrebbe avuto possibilità di accesso. «È come chiedere di vivere su questo pianeta eludendo la legge di gravità» rispose il Dreamer nel tono secco di chi liquida una questione. Poi a voce bassa, come per mantenere segreta quell‟informazione, aggiunse: «L‟uomo potrebbe scegliere le influenze sotto cui vivere e affidarsi al potere di qualcosa che si trova più in alto, ma vive nel dolore e per questo non sa nulla dell‟Arte del sognare! Soffre perché non sogna.» «Attraverso l‟Arte del sognare un uomo cessa di soffrire… cessa di morire – disse sibillinamente – Solo chi ha smesso di uccidersi dentro „ha diritto‟ alle rivelazioni ineffabili dell‟Antagonista.» Lasciò trascorrere una lunga pausa in cui sembrò interessarsi a quello scorcio di Roosevelt Island e ai gabbiani che ne graffiavano il cielo, poi disse: «Per il momento, impara a considerare l‟Antagonista il tuo migliore alleato… e augurati che sia sempre più feroce ed agguerrito. Più alto il nostro grado di responsabilità, più feroce sarà l‟attacco dell‟Antagonista. Questa visione, col tempo, capovolgerà la tua vita e creerà il mondo che hai sempre voluto.» Il Dreamer si accorse che ancora attendevo una risposta su come far sparire ogni minaccia, ogni attacco, dalla nostra esistenza. «Ciò che apparentemente ti contrasta e si oppone è solo un rivelatore, una freccia luminosa puntata verso la vera causa di ogni tuo guaio e di tutte le tue difficoltà. L‟Antagonista sei tu! Se potessi avvicinarti a questa comprensione, il „gioco‟ si svelerebbe e sparirebbe; l‟Antagonista perderebbe i suoi contorni, la sua apparente cattiveria, il suo potere. L‟Antagonista è in realtà un segnale puntato su tutto ciò che dovresti cambiare in te, tutto ciò che non vuoi vedere, toccare, sentire in te... » 166

La Scuola degli Dei Dalla mia evidente difficoltà a seguirLo deliberò che non ero ancora pronto ad affrontare quell‟argomento. Mi disse che per il momento avrei dovuto considerare la legge dell‟Antagonista come una legge universale ed ineluttabile. «L‟uomo così com‟è non può sfuggire alla legge che governa il mondo degli opposti, dove tutto avviene e si crea attraverso il conflitto, il gioco dei contrasti» affermò in tono conclusivo. Mi ritrovai a riflettere sulla inesorabilità del nostro destino e su come la salvezza di un solo uomo potesse estendersi a tutta l‟umanità. «Che cosa c‟entri tu con la salvezza del mondo? – disse con voce terribile il Dreamer irrompendo tra quei miei pensieri – quando tutto quello di cui il mondo ha bisogno è di salvarsi da te!.» «Per adesso incontra il tuo dolore, la tua sofferenza – ordinò – stai lì. Non sfuggire. Osservati e metti a nudo le loro radici. Solo quando sarai libero dalla descrizione del mondo potrai liberare il mondo. The whole world, its way of thinking and doing, its conditions of precariousness and danger exactly mirrors your interior fragmentation.» «Only you, living permanently in the „Here Now‟ can liberate the world from all opposites. Only you, abandoning your inner confictuality, will free it from all contradictions, violence and wars» disse, chiudendo definitivamente quella parte del nostro incontro. Avrei dovuto attendere alcuni mesi prima che riprendesse di nuovo questo argomento; fu una sera a Londra quando, in occasione di una cena con alcuni indimenticabili personaggi, mi introdusse al segreto della „proattività‟. Al termine di quella peripatetica lezione, ascoltandoLo e camminando al Suo fianco, mi ritrovai nel parco, vicino alla panchina da cui eravamo partiti. Il Dreamer sedette ed io presi posto accanto a Lui ad una rispettosa distanza. Il sole fece capolino improvvisamente da una nuvola, e un raggio mi fece socchiudere gli occhi. Era piacevole e restai così ad assaporare quel momento. Le parole del Dreamer, attutite, sembravano arrivare da un mondo lontano. «L‟uomo ha dimenticato di essere il creatore della propria realtà ed è questo che rende indispensabile, simbiotica, l‟azione dell‟Antagonista nella sua vita… » 167

La Legge dell‟Antagonista «Capovolgi la tua visione! Imponiti la libertà!» disse. Il tono era paterno ma aveva la forza aspra e severa di un ordine. Per un attimo mi scossi; poi il sonno in cui stavo scivolando mi riprese impossessandosi gradualmente di ogni mia facoltà. Feci ancora in tempo a sentirGli dire: «Trasferisciti nell‟uomo che sogna, che crea, che ama!… L‟Antagonista lo incontra solo chi ha deciso di vincere se stesso. La caduta non ha antagonismi, è libera e indolore.» 7 La suite al St James Deposi il mio bagaglio sulla spessa moquette e mi guardai intorno. Il lusso di quella suite, la ricchezza austera dei broccati e degli arredi, mi misero a disagio. Mi domandai cosa avesse in mente il Dreamer nel chiedermi di trasferirmi in quell‟albergo così esclusivo. Con Lui niente accadeva per caso, ed allo stesso tempo nulla poteva essere programmato. Per il Dreamer anche il più piccolo movimento era parte di una strategia. Nel corso degli anni del mio apprendistato Lo avevo incontrato nei paesi più remoti e nelle principali capitali del pianeta. Ogni volta senza preavviso, senza alcun bisogno di appuntamenti o pianificazioni. Ogni incontro era stato un‟esperienza insostituibile, il gradino luminoso di un‟ascesa che stava trasformando la mia vita in un‟avventura straordinaria. Questa volta avevo ricevuto un Suo messaggio presso il piccolo albergo che mi ospitava quando ero a Londra. Ci saremmo visti al Veronica‟s. Nel darmi appuntamento per quella sera il Dreamer mi chiedeva di lasciare Eaton Place e di trasferirmi in una suite del St James in Mayfair. E lì mi trovavo ora, ad ingannare i minuti interminabili che mi separavano dal nostro incontro. Fiori, un trionfo di frutta, champagne, due bagni… uno studio con scrivania d‟epoca, un ricco sofà… Il pensiero di quanto mi sarebbe costato tutto questo si fece più inquietante fino a diventare malessere. Sapevo che qualunque cosa il Dreamer avesse in mente, e qualunque cosa mi avesse chiesto di fare, compreso il trasferirmi in uno degli alberghi più lussuosi di Londra, era senza alcun dubbio parte di un disegno strategico. Eppure non riuscivo a eliminare quella nausea. Immaginai la faccia che avrebbe fatto Mr Lyford dell‟amministrazione davanti al conto di una suite di lusso nella mia 168

La Scuola degli Dei nota spese… Avrei dovuto pagare di tasca mia. Era infatti fuori questione che potessi farmi rimborsare quel conto dalla ACO. Poche notti al Saint James avrebbero divorato tutto il mio stipendio newyorkese. Quel pensiero, da dolore psicologico si trasformò rapidamente in dolore fisico. A quel tempo era troppo radicata in me la convinzione che circostanze ed eventi controllassero la mia vita in tutti i suoi aspetti, e accusavo gli altri, il mondo esterno del mio star male, della mia infelicità. “Avresti provato lo stesso risentimento e rancore se invece che in una suite royale ti avessi chiesto di trasferirti in una topaia del quartiere più povero di Londra – mi avrebbe poi detto il Dreamer – Quello con cui ti stavi confrontando non ha alcuna relazione con l‟esterno, né con gli eventi o le circostanze. È qualcosa che ti accompagna da sempre, che ti porti dentro ed è la vera causa di ogni tua difficoltà, di un‟esistenza infernale.” Rivedo con vergogna i pensieri di quel giorno penzolare nella mente come impiccati. Un‟insopprimibile nausea inondò l‟Essere e pervase ogni cellula. Per ricuperare un alito di vita dovetti sedermi. Cercai dappertutto il tariffario, ma non ne trovai traccia. Sollevai il ricevitore per chiedere il prezzo di quella suite. Forse avrei fatto ancora in tempo a disdirla. Avrei dato qualunque cosa pur di uscire da quella situazione, da quella disperazione. Le istantanee di una vita fragile, senza senso, senza potere, mi attraversarono la mente come immagini negli occhi di un morente. Per qualche secondo restai fermo, come paralizzato. Poi lentamente rimisi a posto la cornetta. Una lucidità nuova aveva preso il sopravvento e mi tirò fuori dalle sabbie mobili di quell‟angoscia. Ricordai una frase straordinaria che una volta mi aveva appena sussurrato e che per fortuna ero riuscito a captare e trascrivere. “Lo stile è coscienza… Investi tutto quello che hai… e anche quello che non hai, su te stesso… sempre! E vedrai la tua vita arricchirsi ed amplificarsi in tutti i sensi. If you bet on yourself life will bet on you. Don‟t worry about money. Worry about yourself, about your integrity. When money is needed, it will be right there. Trust yourself, trust your dream and you will have all the money necessary to match a beautiful life. The masterpiece of your very dreaming is… you. 169

La Legge dell‟Antagonista The outer world is only a pale shadow of your inner creativity, a very faled manifestation of your uniqueness.” 8 Prima che il gallo canti Sentii la mia chimica cambiare. Provai l‟euforia di un galeotto al quale fossero state improvvisamente spalancate le porte della prigione. Riflettei su quanto poco bastasse a spaventarmi, a oscurarmi, a curvarmi. Questa era l‟esatta misura dell‟Essere e la vera ragione di ogni difficoltà della mia vita. Eppure bastava connettermi a Lui, volgere lo sguardo, un solo pensiero nella Sua direzione per sentirmi trasformato e vedere la soluzione emergere. Quella suite al St James, come in altre occasioni create dalla Sua inesauribile pedagogia, si stava rivelando un‟aula della Scuola in cui studiavo ed assimilavo i fondamenti dell‟Arte del sognare che il Dreamer molto spesso chiamava „Scienza del Fare‟. Il Dreamer mi stava preparando ad un‟impresa straordinaria, anche se non avevo ancora idea di cosa fosse. Ero certo che la missione che un giorno mi avrebbe affidato richiedeva un imento‟ totale, una tale responsabilità che così com‟ero non avrei potuto sfiorare neppure con un dito. Sentii la gratitudine montare e la sua chimica farsi più intensa. Socchiusi gli occhi e bevvi a grandi sorsi quel lusso, assorbii ogni dettaglio di quell‟ambiente, la sua ricchezza, la bellezza. Capii che nulla è fuori di noi. La presenza del Dreamer stava rivelando parti completamente sconosciute di me stesso. In quella suite del St James accadde qualcosa di straordinario. Eoni di tempo si compressero ed atomi di prosperità arricchirono il mio Essere di eternità. Sia pure per pochi secondi, smisi di essere un uomo impaurito, dubbioso, un uomo sconfitto, una vittima, e divenni l‟architetto, l‟artista che aveva ideato quell‟albergo. Realizzai l‟eterna distanza tra sognatore e sognato, tra un uomo libero e uno che dipende. Il mondo è una proiezione dell‟Essere. Ecco la fonte! Cercai la Bibbia. La trovai in uno dei cassetti del comodino. L‟aprii „a caso‟ e lessi il passo in cui per tre volte Gesù chiede a Pietro: “Mi ami tu?” E per tre volte, prima imbarazzato, poi perfino un po‟ infastidito Pietro risponde: “Si, ti amo!” “No!” avrebbe dovuto rispondere, “non ancora!” 170

La Scuola degli Dei Se fosse stato un po‟ più sincero, più onesto, se si fosse conosciuto più profondamente, avrebbe dovuto dire: “sto cercando di amarti!”. Con quella domanda, ripetuta tre volte, Gesù in realtà gli stava chiedendo: Ti conosci tu? Sai chi sei? … Ami te stesso più di ogni altra cosa? Hai smesso di ucciderti dentro? Gli stava chiedendo di trasferire il Suo insegnamento nelle parti più interne di se stesso, di capovolgere la sua visione, di trasformare il suo modo di pensare, di ammorbidire la sua rigidità. È forse per questa rigidità che lo chiamò „Pietro‟. Pietro è l‟uomo che si rifiuta di cambiare, che crede di poter mentire, di nascondersi. Quell‟uomo ero io. Leggevo e piangevo. Per tre volte era stata data a Pietro l‟opportunità di evitare il suo tradimento, per non doversi trovare un giorno a rinnegare per tre volte la parte più alta di sé. Quel tradimento era già nell‟Essere, attendeva solo le circostanze favorevoli per manifestarsi. Povero Pietro! Se solo avesse potuto osservarsi… avrebbe compreso che quella richiesta non era esterna ma gli arrivava dal proprio Essere: “Tu, Pietro, ami te stesso? Hai eliminato ogni divisione, ogni morte interna?” Avrebbe scoperto in sé la menzogna, la paura, il dubbio… avrebbe potuto fugarli, come si fa con un ladro. Amarsi dentro è un atto di volontà, significa „conoscersi‟. Amarsi dentro significa celebrare incessantemente la vita nella sua totalità. Ricordai queste parole del Dreamer e capii che se Pietro avesse accolto la richiesta di guardarsi dentro, di conoscersi, di amarsi, avrebbe cambiato il suo destino mortale. Se avesse potuto capovolgere le sue convinzioni, non sarebbe stato crocifisso a testa in giù… come lui stesso chiese ai suoi carnefici, offrendosi a simbolo di una comprensione tardiva ma autentica della sovversività all‟insegnamento di Cristo. Da quel passo, dal messaggio trasmesso da quella grande Scuola che fu il cristianesimo primitivo, stavo risalendo alla grandezza dell‟insegnamento del Dreamer. L‟Essere è la fonte di tutto ciò che poi incontriamo nel mondo degli eventi. Guardati dentro e conoscerai il tuo destino! 171

La Legge dell‟Antagonista I tre „sì‟ sono la menzogna che Pietro non ha voluto vedere e che si materializza nell‟evento del suo martirio. Se vogliamo cambiare qualcosa lo possiamo fare solo innalzando l‟Essere. Il destino di un uomo, di un‟organizzazione, di una nazione o di un‟intera civiltà, e la sua economia, sono la proiezione del suo Essere, della sua visione. Quanto più ampia è la visione di un uomo tanto più ricca la sua realtà. In nessuna scuola di economia avrei potuto apprendere una legge così vasta. Queste furono per me le grandi lezioni di „vera‟ economia, di management, di alta finanza e di pedagogia. In questi insegnamenti oggi riconosco le pietre miliari di una nuova educazione fondata sull‟Essere, di una rivoluzione psicologica capace di trasformare i paradigmi mentali della vecchia umanità, di capovolgerne la visione e liberarla per sempre dalla sua conflittualità, dal dubbio, dalla paura, dal dolore, che sono la vera causa della povertà e di tutta la criminalità nel mondo. 9 A cena con il Dreamer Dovetti controllare la mia impazienza per non arrivare troppo presto al Veronica‟s. La sala era affollata. Seduto ad un tavolo riccamente imbandito, il Dreamer era circondato dalle premure della proprietaria e dalla concitata solerzia di un nugolo di camerieri. Ogni tanto questi, come uno stormo, si bloccavano all‟unisono per ascoltarne religiosamente gli ordini e le minute raccomandazioni; poi, tutti insieme, riprendevano la loro danza operosa. Il Dreamer indossava un abito nero, di uno stile senza tempo, con i lunghi capelli raccolti dietro la nuca. Sotto le falde di raso splendeva la camicia impreziosita da un nastro di velluto nero. Mi sorprese il fatto che non fosse solo. C‟erano con lui quattro uomini e tre donne: Bruno e Rebecca W., proprietari di una importante agenzia di pubblicità a Zurigo; Klaus E., da Francoforte, fondatore della Robotronic e presidente di una fondazione internazionale attiva nel campo della ricerca biologica; Ben F., 172

La Scuola degli Dei Academic Dean di una università britannica, apparentemente il più strano del gruppo. La foggia orientaleggiante del suo abito dava risalto a un imponente fisico da atleta, sorprendentemente lontano da le physique du rôle di un intellettuale. Accanto a lui, Linda, attraente e dall‟aspetto determinato, esperta di human resources, fondatrice e proprietaria di due agenzie di head hunting con base a Londra e a New York. C‟era infine una giovane coppia di origine irlandese, Peter C. e la moglie Susan, dall‟aria timida e riservata. Provai per loro un‟istintiva simpatia. Cattolico lui, figlia di un predicatore protestante lei, lavoravano insieme a un progetto europeo con base in uno storico college di Regent‟s Park. L‟attitudine del gruppo verso il Dreamer indicava deferenza e familiarità allo stesso tempo. La presenza inaspettata di quelle persone fece esplodere sentimenti che da tempo non provavo più, emozioni che credevo di aver cancellato per sempre: risentimento per quella intrusione, ma anche gelosia e invidia per il loro aspetto opulento e per l‟alone di sfavillante successo che li avvolgeva. Quella luminosità mi oscurava. Certo, avevo sempre pensato che il Dreamer avesse altri „studenti‟, e tante volte avevo fantasticato di conoscerli; ma incontrarli, così, senza preavviso, mi aveva colto impreparato. Ebbi vergogna per la mia reazione, per le emozioni che stavo provando e questo aumentò la dolorosità di quella divisione. L‟infinita distanza che mi separava dal Dreamer in realtà non più di pochi passi, mi impose il cambiamento. Invertii la direzione della mia attenzione, rivolgendola dall‟esterno all‟interno. Nel momento in cui osservai quelle emozioni negative, impallidirono e svanirono. Restò infine il fascino di quella scoperta; riconobbi la ricchezza dell‟opportunità di conoscere finalmente uomini e donne che come me avevano incontrato la Scuola. Ebbi la sensazione di vivere un‟esperienza virtuale, di essere immerso in uno spazio teatrale dove la linea di confine tra attore e spettatore era continuamente trasgredita, restando per tutto il tempo intrigantemente incerta. Un teatro dell‟assurdo stava sollevando il suo sipario rivelando i contorni di una realtà separata. Eravamo pagine viventi di un copione sconosciuto, pennellate di un dipinto che nessuno di noi poteva comprendere… Ed ora davanti all‟Artistaautore-creatore attendevamo di conoscere il nostro destino. Mi concentrai sugli invitati di quella sera, osservandoli con maggiore attenzione. Ognuno di quegli uomini e di quelle donne era un‟autorità riconosciuta nel proprio mondo. Bruno W. era un 173

La Legge dell‟Antagonista omaccione di mezza età, apparentemente semplice nei modi e nel linguaggio, ma deciso e costruttivo. La barba brizzolata, elegantemente incolta, gli dava un‟aria rilassata e rifletteva l‟altro risvolto del suo carattere di uomo semplice, un po‟ infantile. La moglie Rebecca appariva esile, quasi cagionevole, ma aveva l‟energia compressa di una businesswoman internazionale. Trascorreva parte dell‟anno in Toscana dove dirigeva una vasta tenuta di famiglia e un‟azienda vinicola. Klaus E. aveva l‟aspetto di un avventuriero-gentiluomo, dai modi eleganti, cosmopolita, luminoso. Come una lama nella guaina, sotto l‟apparenza fatua e la leggerezza della sua conversazione si celava un‟intelligenza tagliente al servizio di una forte ambizione. Peter C. si rivelò un vibrante Chenier, dal linguaggio raffinato e dalle idee visionarie. La giovane moglie Susan lo guardava estatica e pendeva dalle sue labbra. Davanti al Dreamer eravamo nudi. Di ognuno conosceva capacità e limiti, e il posto che occupava nell‟economia di un‟opera perfetta. Insieme formavamo una specie di tastiera su cui stava creando, componendo il capolavoro che il Suo estro aveva concepito. Solo Lui conosceva il Progetto, la puntualità di quel tassello, unico e insostituibile, che ognuno di noi rappresentava nel grande mosaico che aveva in mente. Nessuno sembrò notare il mio arrivo. Non ci furono convenevoli, né presentazioni. Mi unii a loro in silenzio occupando il posto che era stato lasciato libero e concentrai la mia attenzione su quello che il Dreamer stava dicendo. Sedendomi al tavolo, catturai questo frammento del discorso già avviato: «L‟uomo reale non appartiene ad alcuna filosofia, ideologia o religione. Un vero sognatore non ha etichette. Non può appartenere, non può essere compreso… Egli sa che l‟Antagonista arriva solo per permetterci di superare i nostri limiti… Per questo benedice ogni apparente ostacolo… ogni apparente avversità… Se un giorno passeggiando in un giardino poggerai il piede su una spina – epilogò – non dimenticare mai di ringraziare.»

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La Scuola degli Dei 10 L‟amministratore disonesto Questo epigramma ed il richiamo all‟Antagonista servirono di introduzione al racconto e al commento di una parabola dal significato oscuro: la storia dell‟amministratore disonesto. Il Dreamer ce la presentò in tutta la sua millenaria enigmaticità. Un uomo ricco scoprì che il suo fattore sperperava i suoi beni. Lo fece comparire davanti a sé e, accertati i fatti, gli tolse l‟amministrazione. “Che farò? – disse tra sé il fattore disperato – Di zappare non sono capace; di mendicare mi vergogno.” Allora fece venire uno per uno i debitori del suo padrone e falsificò i documenti riducendogli il debito. Cento bati d‟olio diventarono cinquanta, cento cori di grano diventarono ottanta, e così via. In questo modo contava di guadagnarsi la loro benevolenza ed essere accolto una volta allontanato dal suo incarico. Il padrone venne a sapere anche di queste pratiche disoneste e per tutta reazione… lo „lodò‟. «Attraverso i secoli, il comportamento di questo padrone ha sconcertato i biblisti più dotti, e sfidato generazioni di saggi, teologi ed esegeti» concluse il Dreamer e tacque. Alcuni di noi accettarono la sfida e provarono a dare delle spiegazioni; ma tutte si rivelarono improbabili e furono a turno bocciate da tutti gli altri. Era un enigma in un indovinello. Infine volgemmo i visi verso il Dreamer in segno di capitolazione. Sapevamo che anche i nodi gordiani si scioglievano docili tra le Sue dita. La chiosa che fece di quel rompicapo biblico fu esemplare per semplicità e gettò luce sul buio di millenni. Ci spiegò che questa reazione apparentemente astrusa del „padrone‟ ha, per la specie umana, la solennità e l‟importanza di un evento cosmico: l‟attraversamento della soglia evolutiva della razza umana. Essa sta alla psicologica dell‟uomo come l‟assunzione della posizione eretta o l‟abbandono della sua coda ancestrale sta alla sua evoluzione fisica. Quella reazione è la nascita del sapiens sapiens, dell‟uomo dopo l‟uomo; significa l‟inizio di quell‟esodo che porterà la specie fuori dalla sua condizione zoologica. «L‟uomo scopre la proattività, la gestione dell‟attimo e la trasformazione di ogni offesa a proprio vantaggio, di ogni insulto in propellente per il suo viaggio… E seppellisce la mappa di questo tesoro in una piccola storia dalla profondità insondabile.»

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La Legge dell‟Antagonista «Sentitela nelle viscere, l‟offesa!» Quest‟ordine improvviso del Dreamer, lanciato a voce alta, quasi gridato, mi fece sobbalzare, ed acuì il mio ascolto. «È lì il campo di battaglia… È lì che si decide la vittoria… Il segreto è vincere prima di combattere.» Misi mano al taccuino e registrai ogni Sua parola: «Lodare l‟amministratore disonesto è il vagito di un‟umanità guarita da ogni ferita interna, di un‟umanità che si è perdonata dentro, che vince senza dover più combattere… perché non ha più necessità del benefico, terribile intervento dell‟Antagonista.» Ci disse che un uomo maturo, sul proscenio della vita, sotto i riflettori, giunto alla fine del suo grande spettacolo, più che ringraziare quelli che gli hanno dato amicizia, affetto, dovrebbe pronunciare un ringraziamento solenne a tutti quelli che lo hanno ostacolato, tiranneggiato, offeso. A questo punto il Dreamer sospese il Suo discorso e con un cenno diede il via all‟arrivo delle prime portate. Con semplicità, e con la stessa autorevolezza, dalla esegesi di quell‟oscura parabola passò al commento dei piatti che man mano venivano scoperchiati. Seguendo un excursus gastronomico e storico, arrivarono in successione le pietanze di una cucina regionale inglese a me sconosciuta: dai piatti a base di mostarda che risalivano al 1600, fino a ricette più moderne, ma rigorosamente non posteriori all‟ultimo dopoguerra. Il Dreamer, com‟era Sua abitudine, non toccò cibo. Il Suo piatto ritornava nelle cucine pressoché intatto. Pur essendo un commensale raffinato, un anfitrione generoso e ricco di premure, con una conoscenza da grand gourmet di cibi e vini, il Dreamer era la personificazione della frugalità. Osservava tutti i rituali legati al cibo, passando i piatti di portata, servendosi e offrendo le pietanze che venivano servite, commentandole, ma senza immettere quasi nulla. Ogni tanto masticava qualche boccone, ma non lo ingeriva. Il Dreamer sembrava nutrirsi di un‟attenzione incessante ad ogni dettaglio, ad ogni particolare del cerimoniale. Il gesto di un cameriere, la presentazione di un piatto e la sua decorazione, il colore dei cibi, il loro profumo, gli arredi del ristorante ed ogni elemento dell‟ambiente, sembravano trasformarsi per Lui in un ricco plancton di emozioni, percezioni, sensazioni, in un cibo sottile che era solo Suo e che i nostri organi non sapevano più riconoscere né assimilare. 176

La Scuola degli Dei 11 La vittima è sempre colpevole «Apparently, on this planet everything is kept balanced by the „law of opposites‟: to everything there is an opposite through which it exists and by which it is opposed – recitò il Dreamer – la vita degli individui, come quella delle nazioni e di intere civiltà, „sembra‟ essere inflessibilmente governata dalla legge degli opposti.» Intorno a quell‟argomento la conversazione si accese come per magia. Ognuno su invito diretto del Dreamer indicò chi o che cosa in quel momento sentiva come proprio Antagonista. Il Dreamer ascoltò tutti con attenzione. Anche questa volta non potei fare a meno di interrogarmi su cosa avesse voluto intendere premettendo quell‟avverbio „apparently‟ ed usando l‟espressione „sembra essere‟. Intanto aveva ripreso a parlare. Accantonai le mie riflessioni per ascoltarLo. Il segreto della proattività, appena sfiorato nell‟incontro a New York, stava finalmente per essere affrontato. «Tutti avvertono l‟esistenza di una forza che si frappone tra i propri desideri e la loro realizzazione… la presenza di una specie di attrito universale» disse il Dreamer ed aggiunse che, almeno a giudicare dalla storia e dalle infinite avversità che l‟uomo ha dovuto superare, l‟Antagonista potrebbe essere riconosciuto come il motore stesso della sua evoluzione. «If you want to do something in life you have to meet the opposing force that men call “the Antagonist.» Fece una pausa, come a raccogliere nell‟aria le parole più giuste. «Ci sono però alcuni segreti che riguardano l‟Antagonista che solo pochi conoscono.» Tutti ci disponemmo ad ascoltarLo con un‟attenzione accresciuta da quel Suo misterioso preambolo. «L‟Antagonista ci misura. Misura il nostro AIM, il nostro scopo, l‟ampiezza del nostro Sogno. AIM è l‟anagramma di I AM.» AIM = I AM «Nessuno può avere un goal più grande di se stesso − rivelò, e aggiunse − Un uomo comune può sognare un appartamentino, un altro una villa al mare, ma solo un re può sognare Versailles.» Restai completamente affascinato dalla magia dell‟equazione 177

La Legge dell‟Antagonista appena tracciata dal Dreamer tra ciò che un uomo chiede e ciò che è. Pensai come questo andasse contro la comune convinzione che non ci sono limiti al proprio desiderare, e che ognuno potrebbe proporsi qualunque traguardo se non lo frenasse la cognizione della scarsità di risorse disponibili ed il suo buon senso. Chiunque senza queste restrizioni potrebbe nutrire i più grandi sogni, o sostenere le più grandi aspirazioni. Il Dreamer passò a dimostrare l‟infondatezza di questa generale convinzione. «L‟ampiezza del proprio Essere determina per ognuno il limite massimo di quello che può chiedere all‟esistenza e l‟apice di ogni suo desiderio. Allo stesso tempo è anche il limite di tutto quello che un uomo può ricevere e possedere.» Mi sembrò una scoperta fantastica. Frammenti del Suo insegnamento fino a quel momento sparsi, cominciavano a connettersi. Percepii in un barlume la grandiosità di quelle rivelazioni che avevo ricevuto. Quando emersi da questi pensieri mi resi conto di aver indugiato troppo. Senza accorgermene, ero rimasto indietro rispetto alla conversazione. Mi affrettai a riprendere l‟ascolto riunendomi agli altri, come facevo da ragazzino quando rincorrevo nei corridoi del collegio la fila dei compagni dopo essermi attardato a fantasticare su un animale impagliato o sui miti racchiusi dalle austere cornici. « …L‟Antagonista è la misura più precisa dell‟ampiezza del nostro pensare, del nostro sentire» affermò il Dreamer e lasciò qualche secondo ad ognuno di noi per trarne le conclusioni. Poi aggiunse: «Per questo non è mai superiore alle nostre forze. Per quanto possa apparire orribile, minaccioso, imbattibile, il confronto con l‟Antagonista è sempre un duello e le forze in campo sono sempre pari.» A questo punto abbassò la voce fino a trasformarla in un sibilo marziale che ci fece fremere e ci raccolse intorno a Lui come un solo Essere. «Solo apparentemente un uomo si confronta con ostacoli esterni, con nemici ed avversità fuori di sé. In realtà l‟Antagonista è sempre la materializzazione di un‟ombra, di una parte oscura di noi che non conosciamo, che non vogliamo conoscere – continuò il Dreamer – Quando si manifesta, sotto forma di attacco, avversità o problema, restiamo sorpresi. In realtà l‟abbiamo a lungo, 178

La Scuola degli Dei inconsapevolmente covato dentro di noi. Per la nostra disattenzione, un piccolissimo sintomo ha avuto tutto il tempo di acutizzarsi e per la nostra incapacità di individuarlo ed intervenire, è diventato una minaccia concreta. Per questo un‟umanità più attenta, che avrà cancellato dal proprio Essere vittimismo ed autocommiserazione, nelle aule dei suoi tribunali scriverà a lettere cubitali: la vittima è sempre colpevole!» «Ma una persecuzione che provocò milioni di vittime, come quella contro gli Ebrei, come possiamo considerarla? – intervenne Bruno W. in modo caloroso – Non vedo proprio come nel caso dell‟Olocausto la vittima abbia materializzato il suo carnefice… Che responsabilità possono avere milioni di innocenti dell‟estremismo di un popolo, come quello tedesco, e delle sue aberranti teorie, come quella sulla purezza della razza?» A questo punto il sommelier si avvicinò con discrezione e fece il giro del tavolo versando nei bicchieri la densità preziosa di un vino d‟annata. Il Dreamer si arrestò, e per riprendere, attese che l‟uomo completasse quell‟operazione. Fu allora che Klaus E., come se stesse riflettendo a voce alta, sbottò dicendo: «Certo è che, nei secoli, è sempre stato difficile essere giudeo… Già Nabucodonosor, 600 anni prima di Cristo, rase al suolo il tempio di Gerusalemme e deportò a Babilonia l‟intera nazione israelita… Poi ci furono gli egiziani… i romani… Che si chiamino Führer, Cesare, faraoni o satrapi, agli Ebrei non sono certo mancati gli antagonisti… » Il Dreamer impresse con il polso un movimento rotatorio al suo bicchiere ed osservò il vino ossigenarsi percorrendo le pareti interne del calice. Ne aspirò quindi l‟aroma e, licenziato con lo sguardo il sommelier, disse: «L‟opposto è un frammento, una parte che si è divisa, che si è allontanata dalla totalità... L‟apparente Antagonista è la moneta d‟argento che la donna ha perduto... è quella pecorella che il pastore ha smarrito… Chi non riesce a ritrovare la sua integrità, chi non riesce a reintegrare quell‟atomo dell‟Essere, dovrà incontrarlo fuori di sé, mostruosamente ingigantito, come limite, ostacolo o avversità.» A queste parole Linda si illuminò ed intervenne con animazione: «Ma certo! – esclamò – Asili, scuole, ospedali… separati… macellerie, negozi alimentari, ristoranti… separati… festività, 179

La Legge dell‟Antagonista tradizioni e rituali… sempre separati… Si può dire che la religione ebraica, la filosofia, lo stile di vita e di lavoro di questo popolo, siano sostanzialmente fondati su una visione discriminatoria del mondo… ci sono gli Ebrei e gli altri… » «Nel tempio di Gerusalemme, un muro separava il cortile degli ebrei da quello dei Gentili – contribuì Peter – ed era prevista la pena di morte per il pagano che avesse varcato questa demarcazione.» «Il ghetto nasce ed il filo spinato si dipana nella psicologia – commentò poi a bassa voce, come parlando tra sé e sé – prima di incontrare le condizioni favorevoli per trasformarsi in una terribile realtà… » Bruno si agganciò alle riflessioni di Linda e di Peter. Come se stesse facendo anche lui una scoperta inattesa, disse: «Non ci avevo mai pensato prima… nella radice ebraica, la parola „sacro‟ etimologicamente significa „separato‟… Nella loro visione sacrale gli ebrei hanno diviso il mondo in ciò che è sacro, cioè rispettoso delle loro credenze, e tutto il resto, che è profano… impuro.» Si accasciò sulla sedia, come sotto un colpo difficile da sopportare… «Ma allora?…» annaspò, senza riuscire a continuare. «Allora… – riprese il Dreamer recuperando quel frammento di comprensione e accingendosi a dare voce a quello che Bruno non aveva osato pronunciare – La nostra incompletezza produce mostri nel mondo esterno. La nostra divisione crea la violenza che poi incontriamo. L‟Antagonista siamo noi… Sentirsi separati dagli altri è l‟effetto di una psicologia disintegrata che alimenta una criminalità interna. Un giorno questa si manifesterà nel mondo degli eventi con violenze, attentati, conflitti e persecuzioni.» Eravamo attoniti. Stavamo valicando un abisso di fronte al quale il nostro pensiero si era arrestato, senza fiato. «La Shoah non fu un incidente della storia né l‟effetto della spietatezza di un regime, di una nazione, o ancora peggio, di un uomo, di un tiranno – disse – Essa fu la materializzazione della visione di un popolo che ancora non si è perdonato dentro; l‟immagine speculare di un pensiero diviso, conflittuale, che è la vera causa dei lager, delle deportazioni, degli sterminii e di ogni efferatezza. L‟unico nemico è dentro di noi!… Fuori non c‟è nessun 180

La Scuola degli Dei nemico da odiare né da perdonare, e nessun male che possa nuocerci.» «Adesso che ricordo – intervenne Rebecca – le lamentazioni di Geremia, il canto tragico degli ebrei tradotti in schiavitù a Babilonia, iniziano con un‟espressione di dolorosa sorpresa. La prima parola è „eckah‟ che significa „come mai‟? » «L‟improvviso ha sempre bisogno di una lunga preparazione… di una lunga incubazione che avviene nell‟Essere, nei nostri stati – annunciò il Dreamer – Perciò… riconoscete l‟Antagonista dentro di voi… armonizzatelo… ripristinate l‟integrità… Reintegrarsi significa „perdonarsi dentro‟… è la parte che si congiunge alla totalità… è il ritorno del figliuol prodigo… è ama il tuo nemico… La vita allora vi dirà sempre di sì… Avrà per voi una costante generosità che gli altri chiameranno fortuna.» Quella sera il Dreamer ci raccontò che a un certo stadio della sua evoluzione la specie umana si è trovata davanti ad un bivio, una biforcazione che ha generato due razze distinte, due specie psicologiche profondamente diverse tra loro. Ci sono uomini che dipendono, che accusano le condizioni esterne, si lamentano, si compiangono e che il Dreamer chiama „reattivi‟. Essi vedono attraverso contrapposizioni e hanno una coscienza bipolare. If you believe in the external world as something real, then you are lost and destined to fail whatever you do. C‟è per contro un altro tipo di uomini consapevoli che non ci sia un mondo avverso fuori di noi, un Antagonista esterno messo lì per ostacolarci. Il Dreamer li chiama „proattivi‟. Vedono l‟unità dietro la polarità, l‟armonia dietro gli apparenti antagonismi. «Gli uomini proattivi entrano nelle parti più oscure del proprio Essere e combattono le ombre, i fantasmi, le paure interne prima che possano materializzarsi e un giorno presentarsi come avversari. Qualunque cosa arrivi dall‟esterno deve essere trasformata. Fai cadere eventi, incidenti, circostanze e relazioni in un posto dentro di te dove ciarpame e rifiuti possono essere trasformati in una nuova sostanza, nuova energia, nuova vita.» Queste vittorie su se stesso il Dreamer le definì „vittorie creative‟: 181

La Legge dell‟Antagonista «Esse sono la via per dare concretezza al proprio Sogno. Il sacrificio di Ifigenia, il viaggio di Ulisse, il sacrificio di Isacco, la battaglia di Arjuna, le tentazioni di Cristo, ancora tramandano il segreto di vittorie creative ottenute da uomini capaci di superare l‟Antagonista interno, l‟unico vero ostacolo alla concretizzazione di ogni nostra aspirazione.» Poi, col tono amaro di chi denuncia una situazione senza vie d‟uscita, aggiunse: «La vera malattia dell‟uomo reattivo è essere sempre „fuori casa‟… „fuori di sé‟. Per lui il mondo interno non esiste e di quello esterno ha fatto un idolo da propiziare, un feticcio da adorare, e da cui dipendere. Do not ever expect anything from anybody.» Alla fine di quella cena, accomiatandoci, il Dreamer sottolineò segni di invecchiamento e di degradazione inaccettabili in chi fa parte di una Scuola dell‟Essere e rilevò la scarsità dei progressi e la lentezza con cui stava procedendo il „lavoro‟ di ognuno. Manifestò la Sua insoddisfazione con parole dure, indimenticabili. L‟energia, la forza del Dreamer che aveva portato quegli individui a realizzare in pochi anni progetti straordinari e a raggiungere posizioni di vertice nel proprio mondo, stava ora solo alimentando la loro vanità, la loro presunzione. Dimenticata la promessa, la vera ragione per essere accanto al Dreamer, da precursori, antesignani di una nuova umanità si erano ridotti a cloni della vecchia leadership, matrici senza vita di una specie in estinzione. Ascoltammo la fine di quella indimenticabile lezione in piedi mentre Gli facevamo corona sull‟uscio del Veronica‟s. Le Sue parole erano sferzanti, ma la Sua conclusione fu insostenibile. «Vi ho fatto guadagnare fama, denaro, potere. Avete realizzato tutto quello che avete sognato. Ora c‟è una nuova avventura, un nuovo volo… È tempo di sognare un nuovo Sogno, di sognare un nuovo mondo… Abbandonate tutto quello che credete di avere, mettete qualcuno al vostro posto… Dedicatevi a tempo pieno al Progetto.» Non riporto il Suo discorso che oggi soltanto pochi potrebbero capire ed accettare, ma registrai tutto quello che disse a ognuno di loro e l‟ho gelosamente conservato. «Dietro la maschera dell‟invecchiamento si nasconde la vostra menzogna – tuonò – Demandate ai vostri amministratori! 182

La Scuola degli Dei Abbandonate i ruoli! Fatelo intenzionalmente prima che sia la vita ad imporvelo.» Vidi negli occhi di quegli uomini e di quelle donne lo smarrimento, lo spavento e ricordai la parabola del giovane ricco. Un giorno scriverò di chi ascoltò le parole del Dreamer e di chi quella notte abbandonò, e quale fu la sorte di ognuna di quelle persone che ebbi modo di conoscere individualmente e a fondo. La conclusione del Dreamer si abbatté pesante come un maglio su quei visi preoccupati, deformati dal dolore. «Io non interverrò più – disse – La libertà „vera‟ non si può donare. Un uomo deve conquistarla, volerla fortemente e a qualsiasi prezzo. Solo allora la otterrà! Nel mio mondo non c‟è spazio neppure per un atomo del vostro orrore, della vostra indolenza. Tutto quello che si è, tutto quello che si ha, deve essere abbandonato e trasceso. Per essere ed avere di più.» Un monito, lapidario e solenne, registrò e sigillò la fine di quel discorso: «Quello che non capite attraverso le Mie parole ve lo spiegherà la vita con le sue leggi ed i suoi strumenti di guarigione. Vi restituisco quindi la „vostra‟ libertà, quella di soffrire, degradare, ammalarvi, invecchiare e morire… » Questa frase l‟avvertii come un presagio che mi oscurò l‟anima. Stavo ascoltando con anni di anticipo le parole che mi avrebbero marchiato a fuoco in circostanze tra le più difficili della mia esistenza. Attesi che tutti gli altri se ne andassero ed indugiai per restare solo con Lui. Avrei voluto chiederGli il significato di quelle dure parole, e più di ogni altra cosa, avrei voluto capire perché mi avevano colpito con tanta dolorosità. Nascostamente sapevo che stavo assistendo a qualcosa che mi riguardava molto da vicino e che un giorno sarebbe toccato a me scegliere tra il Sogno e il sognato, tra la vita e l‟attaccamento a quello che il sogno aveva prodotto. Mi chiesi che cosa avrei fatto al posto di quegli uomini e di quelle donne. Quella sera, volevo soltanto un po‟ della Sua attenzione. Così mi limitai a chiederGli di poterLo vedere ancora una volta prima di ripartire per New York. Mi diede appuntamento per il pomeriggio del giorno dopo. Ci saremmo incontrati al Savoy. Poi, come se cogliesse quell‟occasione en passant, mi chiese di procurarmi due 183

La Legge dell‟Antagonista biglietti per lo spettacolo Les Misérables. Fui sorpreso di quella Sua richiesta ma non feci alcun commento. Gli promisi che me ne sarei occupato quella mattina stessa. 12 I biglietti Arrivai puntuale a quello che doveva rivelarsi uno dei nostri incontri più straordinari. Il Thames Foyer del Savoy era affollato a quell‟ora. Davanti ad un tè fumante, in procinto di gustarlo, c‟era il Dreamer. Il tavolino era ricolmo di dolci di ogni specie. La disposizione di quelle chicche e degli argenti era perfetta. Sembrava che non avesse ancora toccato nulla. Lo salutai con la consueta deferenza ed occupai in silenzio il posto accanto. Cercavo di darmi un tono e di fare buon viso, ma dentro sentivo bruciare la sconfitta. Tentai di farmi avvolgere dall‟atmosfera déco e dalla musica discreta del piano, ma un pensiero ricorrente, molesto più di ogni altro, mi oscurava. Le cento giustificazioni che lungo la strada avevano affollato la mia mente erano ora diventate un turbinio. Ero disperato. Sapevo che il Dreamer non era uomo da prendere un no come risposta e l‟indecisione su come avrei fatto a dirGlielo si era trasformata in un‟ansia insopportabile. La Sua voce, fredda e calma, penetrò tra i miei pensieri e mi fece trasalire. «Tu non potevi trovare quei biglietti!» sentenziò senza preamboli. Il tono grave confermò quello che più temevo: il Dreamer considerava il compito che mi aveva affidato una questione vitale. In un attimo il timore, l‟umiliazione, l‟impotenza, si trasformarono in rabbia, in una smorfia di arroganza incontrollabile. Se sapeva che non ce l‟avrei fatta perché mi aveva dato quel compito? Ce l‟avevo messa tutta per trovarli. Per tutto il giorno non mi ero dato pace nella caccia impossibile a quei due posti. Les Misérables era lo spettacolo di maggior successo nella storia recente del West End. Raccontai al Dreamer come la mia ricerca fosse cominciata quella mattina presto con una sonora risata del concierge del St James, quando gli avevo ingenuamente chiesto di prenotare due poltrone per quella sera. “Ma come, non lo sa? – cianciò ridendo – Per delle poltrone del genere non so se basta prenotare con tre mesi di anticipo!” Da quel momento, con il passare delle ore, la mia ricerca si fece sempre più affannosa. Come confessai al Dreamer, più volte 184

La Scuola degli Dei ebbi il sospetto che mi avesse intenzionalmente dato un compito impossibile. Il Dreamer taceva, il mento leggermente inclinato sul petto. Era apparentemente assorto nell‟ascolto delle mie peripezie, ed io credetti di ricevere il via libera alla completa storia dei miei tentativi falliti. Avevo inutilmente passato al setaccio botteghini e bagarini. A conferma di quanto mi aveva anticipato il concierge, dagli slip più periferici ai palchi, il teatro era tutto esaurito da mesi. Trovare quei posti sembrava che fosse la cosa più difficile sotto il cielo di Londra. Confusamente qualcosa in me sapeva che la posta in gioco andava ben oltre l‟apparente futilità di quel compito e mi spingeva a rinnovare i miei sforzi per non lasciare nulla di intentato. Mentre il tea time si approcciava, e con esso il temuto rendiconto al Dreamer, avevo perfino fatto ricorso ad amici influenti dello show business. Gli raccontai anche della mia visita a Lady Ellis in una pausa delle votazioni a Westminster, e come perfino per questa strada non fossi approdato a nulla. Stavo tirando fuori altri episodi di questa odissea, per riempire ogni spazio, attendendomi da un momento all‟altro lo scatenarsi della Sua ira o, peggio, la Sua irrisione, quando il Dreamer mi interruppe ripetendo le parole del Suo esordio. «„Tu‟ non potevi trovare quei biglietti!» disse nello stesso tono, questa volta accentuando il „tu‟ con l‟irritazione che si prova verso chi è duro a capire. Avvicinò impercettibilmente il Suo viso e disse: «Per trovarli avresti dovuto deragliare dal tuo destino… trovarli ti avrebbe cambiato per sempre!» Mi rivelò che, contrariamente a quanto pensassi, nel momento stesso in cui mi aveva richiesto di cercare quei biglietti, la cosa era già fatta. Questa affermazione del Dreamer mi lasciò di stucco. Chi avrebbe potuto convincermi che le difficoltà che avevo incontrato non erano oggettive?... E chi meglio di me poteva sapere che cosa non avevo tentato pur di trovarli. Era facile parlarne lì, seduti ad un tavolo del Savoy… Chi altri avrebbe saputo fare meglio?... «Sei ancora un uomo ipnotizzato dalla descrizione del mondo... Per te il mondo è la verità! – sibilò mentre una vena di irritazione nella Sua voce si faceva sentire con più forza – Quando quell‟uomo ti ha detto che ci sarebbero voluti tre mesi, eri già sconfitto. Da quel momento, tu non hai cercato i biglietti.» Tentai di intervenire per assicurare che... Un gesto severo del 185

La Legge dell‟Antagonista Dreamer mi raggelò prima ancora che potessi aprire bocca. «Da quel momento non hai cercato i biglietti… ma tutti i modi possibili per confermare la descrizione del mondo… per rinsaldare la tua convinzione che le cose stavano veramente così, che era impossibile farcela… Ogni tuo tentativo era preceduto dalla tua rassegnazione… i „no‟ di cui eri convinto erano già lì ad aspettarti, prima ancora che bussassi alla porta… per dare ragione alla tua profezia di fallimento, per permetterti di onorare la promessa fatta a te stesso.» «Quale promessa?» balbettai. Un po‟ di luce si stava facendo spazio tra le mie orribili certezze; un barlume di umiltà, e quindi di comprensione, mi fece sentire la meschinità della mia lunga storia di scuse. «La promessa di arrivarmi davanti sconfitto, ma con la presunzione di aver fatto tutto il possibile per riuscire» rispose il Dreamer. Lasciò che una piccola pausa trascorresse prima di dirmi le parole che non avrei più dimenticato. «Credere a quell‟uomo… fa parte della tua obbedienza cieca alla voce del mondo… Da quel momento, da quando hai accettato la sua descrizione, hai lavorato non per vincere ma per giustificare la tua sconfitta… È la storia della tua vita… una sconfitta annunciata.» Quella giornata mi passò davanti, come le immagini compresse di una intera vita negli occhi di un moribondo. Non la sequenza temporale degli accadimenti, però, ma gli stati d‟animo, i pensieri e tutto quello che avevo provato durante la ricerca di quei biglietti… Rividi la sfiducia nelle mie capacità, quella sensazione di inadeguatezza, la paura di essere sopraffatto, l‟accanimento nell‟accusare il mondo, inspiegabilmente ostile, e gli „altri‟, che sembrava lo facessero apposta a tenermi nascosti quei biglietti, ed infine i sensi di colpa. Mi resi conto del blob di emozioni spiacevoli che mi avevano pervaso per tutto il giorno e che ancora scorrazzavano nell‟Essere a loro piacimento. Le parole del Dreamer mi stavano mettendo di fronte alla mia attitudine di sempre. Quell‟impresa, apparentemente banale, aveva mostrato le ferite più interne e rivelato la dolorosità e la grttezza dei miei limiti. La maestria del Dreamer aveva piegato il mondo, aveva messo l‟universo al lavoro per permettermi di vederli e superarli. Insieme alla realizzazione della grandezza di quella opportunità, della sua unicità, cresceva la mia tristezza per non avercela fatta. Nel tiro alla 186

La Scuola degli Dei fune tra la realtà e la sua proiezione illusoria, tra la visione del Dreamer e il mondo così come mi era stato descritto da sempre, aveva vinto ancora una volta l‟illusione, l‟inesistente. Il mondo era ancora la verità. Il suo potere ipnotico era troppo forte e la presenza del Dreamer ancora troppo flebile. «Il tuo non è stato un fallimento ma il risultato di un fallimento, il riflesso di un crack interno, di una condizione dell‟Essere. There are no failures in life but only effects.» «Per trovare quei biglietti, avresti dovuto cambiare il tuo passato!» riprese il Dreamer con un tono che rifletteva la mia nuova attitudine. Quella che mi era sembrata un‟esagerazione insostenibile, mi appariva ora come la più limpida delle verità. «Se fossi stato capace di mantenerti fedele al Sogno avresti cambiato il tuo destino» disse con spietata dolcezza come parlando al rappresentante di un‟umanità permanentemente sconfitta. Poi in un soffio aggiunse: «La bella nel bosco addormentato è il sognatore dentro di te che sa.» Sentii di amare quell‟Essere più di ogni altra cosa al mondo... Amavo quella lucidità che ora stavo provando con Lui... l‟avrei trattenuta con le unghie e con i denti per non perderla... Il mondo della integrità, delle soluzioni mi aveva detto: vai... è già fatta! Il mondo della divisione, della conflittualità, della complessità, mi aveva detto: è impossibile! Avevo obbedito alla descrizione superficiale del mondo credendoci e identificandomi con la parte più bassa e più povera. Il Sogno è la cosa più reale che ci sia. Ma io costantemente dimenticavo. «Per non lasciarti corrompere avresti dovuto sconfiggere in te la coscienza di scarsità, la conflittualità, il vittimismo, il sonno ipnotico che fa di te un essere dipendente, pauroso, dubbioso, infelice… La fede incrollabile degli uomini nella descrizione del mondo è l‟origine della loro fragilità, la spiegazione ultima degli eventi della loro vita e del ruolo che ad ognuno di essi è assegnato nel teatro dell‟esistenza... » «Anche la malattia è una bugia raccontataci dal mondo! Ci ammaliamo, perché la malattia ci è stata descritta, e così invecchiamo e moriamo, per imitazione, senza mai metterne in discussione la realtà» denunciò il Dreamer. L‟innalzamento del tono e l‟emozione speciale che faceva vibrare le Sue parole indicarono 187

La Legge dell‟Antagonista che esse non erano più dirette a me soltanto, ma ad una invisibile, immensa platea. «L‟uomo ordinario non sogna, obbedisce ciecamente a un racconto ipnotico dell‟esistenza. Ha dimenticato la sua unicità, la sua natura di creatore. Perché non ha accesso a se stesso. Non si conosce!… Whatever you dream, happens. If you begin to know yourself, you will understand why the world is as it is. Adesso sai perché il mondo è così!… Perché è così che tu lo sogni!» A corto di pagine del taccuino, registrai queste parole su un menu del Savoy e per alcuni minuti lo coprii fittamente di appunti usando tutto lo spazio disponibile. Stavo ancora scrivendo, quando Gli vidi fare un gesto per attirare l‟attenzione del maître. «Andiamo» mi ordinò alzandosi senza aggiungere altro. 13 A teatro con il Dreamer Appena fuori ci avviammo a piedi. Immaginai che avremmo preso un taxi al volo, ma il Dreamer continuò ad allungare il passo ed io Lo seguii. Era la prima volta che vedevo il Dreamer affrettarsi. Potevo considerarmi ben allenato, eppure più volte dovetti accelerare per restargli accanto, ed ogni volta il Dreamer mi distaccò forzando l‟andatura. Correvo tutti i giorni intorno alla mia isola sull‟East River. Avevo partecipato a maratone tra le più dure, come quella di Oackland, ed a gare estreme, come il Trofeo Pepsi, a Central Park, dove avevo percorso su bici 310 miglia in 24 ore, non stop. E tuttavia facevo fatica a tenere il passo col Dreamer che apparentemente non mostrava di fare alcuno sforzo. Dove stavamo andando? Chi tanto importante da far affrettare il Dreamer, stava aspettandoci? Avrei voluto domandarGlielo ma non osai, né avrei trovato il fiato per farlo. D‟un tratto, con l‟agilità di un ragazzo, il Dreamer inseguì e raggiunse un bus, un vecchio double-decker che stava ripartendo proprio davanti a noi. Accelerai ma non ce l‟avrei fatta se il Dreamer non mi avesse allungato un braccio tirandomi a bordo quasi di peso. Stringevo ancora la Sua mano quando lo guardai negli occhi. D‟un colpo fui fiondato nella mia infanzia napoletana. Rividi la mia banda di scugnizzi, le gare di disperato coraggio a Mergellina, le corse sui binari, ed il salto sullo „staffone‟ del tram. A 10 anni bisognava saperlo fare alla perfezione per poter essere ammesso tra 188

La Scuola degli Dei quei piccoli guerrieri e condividerne l‟eccitante, rischiosa esistenza. Quella volta qualcosa andò storto. Correndo a perdifiato avevo agganciato lo „staffone‟, quella specie di ammortizzatore, o paraurti posteriore, di ferro, ed ero pronto a saltarci su; ma il mezzo aveva inaspettatamente aumentato la velocità. Non mi arrischiavo a lasciare la presa né riuscivo a saltare su. Sentii la disperazione crescermi dentro mentre le gambe stavano per cedere… Un braccio esile ma forte si sporse dal finestrino posteriore e mi prese per il polso. Saltai e fui salvo. Gli occhi di quel ragazzino che ridevano calmi… erano gli stessi.. erano i Suoi occhi… Quante volte, in quante circostanze avevo già incontrato il Dreamer? Quante volte era già intervenuto nella mia vita? Questa volta la sorpresa superò la mia capacità di nasconderla e, mentre recuperavo il fiato, la mia espressione dovette apparirgli talmente buffa che sentì di dovermi svelare almeno qualcosa di quella misteriosa faccenda. «Stiamo andando a teatro – disse ilare, come mai l‟avevo visto – e non vorrei perdere l‟inizio dello spettacolo di questa sera.» Immaginai che si trattasse di un‟opera di Samuel Beckett, di Brecht o Cechov. Gli unici spettacoli per i quali si sarebbe potuto giustificare l‟ottimismo di trovare due poltrone a quell‟ora. A meno che… La spiegazione si fece spazio come una lama di luce. Ma sì, non poteva essere che così… Ormai ne ero quasi certo. Quando poi riconobbi il teatro in lontananza, non ebbi più dubbi. Bel colpo! Dovevo ammetterlo. Il Dreamer mi aveva fatto mettere Londra sottosopra mentre aveva già in tasca i biglietti. Quando Gli manifestai la mia scoperta non poté fare a meno di riderne apertamente. «Non ho nessun biglietto!» disse avvicinandosi alla porta del bus ed accingendosi a scendere. Ci restai male. Possibile che non mi avesse creduto? Che non fossi riuscito a trasmetterGli l‟impossibilità di trovare il più remoto posto per quella performance? «È impossibile – dissi, sostenendomi ad una maniglia e preparandomi a scendere con Lui – Non c‟è nessuna probabilità di trovare posto, tantomeno a quest‟ora.» Il Dreamer mi zittì con un cenno di fastidio. «Preoccuparsi, dubitare, soffrire, sono l‟occupazione di chi non sogna, di chi non ama, l‟occupazione di coloro che sono ipnotizzati dal mondo della razionalità, dal mondo della superstizione – disse, riprendendo il suo tono severo – sono i sintomi 189

La Legge dell‟Antagonista di una psicologia frammentata, manifestazioni di un crack nell‟Essere che preannuncia i disastri, fallimenti e sconfitte che sono già in marcia nel mondo degli eventi.» A quelle parole provai il senso di una bruciante umiliazione. Nel teatro dell‟esistenza ero rimasto imprigionato nel ruolo del guastafeste, nella gabbia dell‟uomo „razionale‟, coerente, del quale da tempo avevo io stesso cominciato a provare nausea, ma che non riuscivo ad abbandonare. Discese dal Bus ed io lo seguii. A pochi passi vidi sfavillare le luci del foyer; era percepibile l‟atmosfera magica delle grandi performance. Una nutrita folla ancora sostava davanti ai cartelloni che sullo sfondo eroico della insurrezione parigina del 1832, mostravano la sventolante bandiera rivoluzionaria e in primo piano, lacera ed impavida, la figuretta della eroina, eco del mito del monello Gavroche. Lo spettacolo stava per iniziare. Vedendo la folla che si disperdeva e quanti stavano allontanandosi delusi, in un lampo, come una meteorite buia che mi attraversasse l‟Essere, potei cogliere quel vigliacco senso di soddisfazione che i facili profeti di sventura provano nel vedere giustificati i loro dubbi, quell‟effimero trionfo, quella gioia malata, di chi vede avverarsi timori predetti. Insieme a questo, avverti anche quel rinsaldamento nella propria viltà che la plebe, la canaglia, prova nel vedere giustiziati gli eroi. Ebbi in quel momento la certezza che quell‟angolo oscuro del mio Essere era responsabile nei secoli di delitti orribili; che da quell‟ombra, annidata in una piega dell‟anima, si erano generati guerre ed eccidi, distruzioni e sofferenze immense. Per qualche attimo, sopraffatto dal ribrezzo, dall‟orrore di me, restai col fiato sospeso a guardare la trama dell‟Essere attraverso questo squarcio nella coscienza. Intanto avevo perso di vista il Dreamer. Lo ritrovai e Gli fui accanto. Per qualche secondo osservai con Lui il diradarsi delle persone, finché davanti all‟ingresso del teatro non rimase che una coppia: una donna di mezza età, di statura bassa e taglia forte, accompagnata da un giovane alto e robusto. Avremmo poi scoperto che erano madre e figlio, americani, e che stavano attendendo amici. Elegantemente vestiti, avevano un aspetto aristocratico, l‟aria autorevole e sicura di chi governa la propria esistenza. Il giovane evidentemente più abituato agli spazi aperti che alla città, sopportava con stoica dignità, ma con evidente afflizione, la stretta del papillon e la scomoda eleganza del suo tuxedo. Aveva in mano dei biglietti. 190

La Scuola degli Dei 14 Le Misérables Scomparsa la folla, nella hall restammo solo noi e questa coppia. I nostri sguardi si incrociarono. Scorsi nei loro occhi, rapido come un baleno, un moto di riverenza verso il Dreamer, un inchino dell‟anima; come avviene tra uomini e donne che, incontrandosi, riconoscono una invisibile gerarchia. Ripensai a tutte le volte in cui avevo visto il mondo „riconoscere‟ il Dreamer ed in ogni occasione mostrare nei Suoi confronti segni di rispetto e di elezione, con la sensibilità di una pianta che avverte la presenza, e offre la sua gratitudine a chi ne ha cura e ne alimenta le radici. Questi pensieri mi riportarono a un episodio accaduto a New York. Mi trovavo col Dreamer in un ascensore che lungo il percorso, fermandosi ai piani, si riempì di gente. Uscendo, il Dreamer mi fece notare come la vera differenza tra quegli uomini e quelle donne era il modo in cui avevano vissuto, con più o meno imbarazzo, quella piccola eternità tra i piani. Mi spiegò che, sia pure per pochi secondi e senza che ne fossero consapevoli, nell‟ascensore si era formata una gerarchia, una piramide della responsabilità, sui cui gradini, dalla base al vertice, ciascuno era andato ad occupare il posto che gli corrisponde. Dovunque si incontrino, per pochi istanti o per anni, gli uomini si dispongono su piani diversi di una piramide invisibile rispettando un ordine interiore, matematico,come gerarchie planetarie fatte di luminosità, di orbite, di massa e di distanza dal loro sole. Ci sono gradi e livelli d‟Essere. È una legge universale. Si avviò con la coppia americana un breve dialogo. Ci dissero che, stranamente, fino a quel momento, i loro amici non si erano fatti vivi. Mentre la conversazione procedeva, mi accorsi che l‟espressione della signora si andava modificando, e la vidi diventare sempre più leggera, serena, quasi euforica. L‟inizio dello show era imminente e non era il caso di aspettare oltre. Rivolgendo al Dreamer un aperto sorriso, che dimostrava come non fosse molto dispiaciuta di quel cambiamento di programma, la signora ci offrì di entrare con loro. Avevano le poltrone migliori, prenotate prima 191

La Legge dell‟Antagonista ancora di lasciare gli USA. Ogni mio tentativo perché accettassero il prezzo dei biglietti fu respinto con cortese fermezza. Eravamo loro ospiti. Non mi sarei mai abituato alla miracolosità che costantemente aleggiava intorno al Dreamer. Avrei voluto dirGli qualcosa, scusarmi per il mio scetticismo, ma il Dreamer non mi diede neppure un‟occhiata, apparentemente impegnato in una fitta conversazione con la signora che ora stava entrando con Lui, appoggiandosi al Suo braccio. Com‟era possibile che i biglietti fossero lì ad attenderci? La mente vacillava al pensiero che quella coppia di americani, l‟impedimento dei loro amici, perfino il loro viaggio in Europa, li aveva creati il Dreamer, li aveva materializzati in quel momento, lì, sotto i miei occhi. La Sua maestria stava capovolgendo per sempre la mia visione del mondo. Quando fummo comodamente seduti nelle prime file, mentre le luci si abbassavano, Gli sentii sussurrarmi all‟orecchio: «Credere e vedere sono una sola cosa, come l‟essere e il divenire. Nel tempo vedrai tutto quello in cui credi e realizzerai tutto quello che sogni.» Nella penombra del teatro quelle parole appena sussurrate evocarono la magia di un antico coro. Sentii l‟animo innalzarsi e provai quel sentimento di purezza, di liberazione che annuncia la soluzione, che è la guarigione; l‟alchimia dell‟espiazione che l‟antica tragedia suscitava negli spettatori con il suo sciogliersi secondo le leggi della giustizia. «Per credere devi essere integro, impeccabile. Il più piccolo crack nell‟Essere, l‟ombra di un dubbio, ti fa rientrare tra le schiere dei morituri, degli sconfitti, dei miliardi di esseri che hanno abdicato il loro diritto d‟autore, intrappolati nell‟inferno del vedere per credere…» Il Dreamer mi aveva a lungo preparato e tuttavia, toccare con mano che il mondo lo creiamo noi, mi stava facendo barcollare sull‟orlo di una voragine. Ogni uomo è un creatore… Il mondo è un chewing-gum… Whatever you dream, happens… Capii che l‟umanità soffre perché vede il mondo sottosopra. Credere e vedere sono una sola cosa ma gli uomini li percepiscono 192

La Scuola degli Dei separati, divisi dal tempo, ed attendono di vedere per credere. La sofferenza ed il dolore esistono perché sono il solo modo che l‟umanità conosce per colmare questo gap illusorio. Quando credere e vedere si fondono in un uomo, egli sta eliminando anche ogni sofferenza e dolore dalla sua vita, banditi per sempre dal suo universo personale. «Credere per vedere è la legge del creatore,è il principio di chi governa ed è la legge ineluttabile dei re − disse, mentre il sipario già si sollevava − Credere appartiene all‟arte del sognare ed è la qualità intima del sognatore… Nella radice di credere c‟è creare… Il Sogno è la cosa più reale che ci sia…» La Sua voce si abbassò ancora, fino a diventare poco più di un bisbiglio. Feci fatica a cogliere le parole, ma sentii distintamente la severità della Sua intimazione. Riferendosi alla storia de Les Misérable, disse: «Attento. Al di là della sua ottocentesca pateticità, questa storia contiene una grande lezione sull‟Antagonista... È una parabola universale che riguarda tutta l‟umanità. È il racconto di un uomo che non sa „perdonarsi dentro‟… come te!» Les Misérable era la riduzione a musical della storia di un implacabile antagonismo: la caccia condotta per anni da un poliziotto dalla deontologia d‟acciaio, il fanatico Javert, per assicurare ad una giustizia ingiusta il galeotto evaso Jan Valjean, condannato a 20 anni, e poi all‟ergastolo, per aver rubato del pane. Nella storia, quell‟uomo braccato, Jean Valjean, assurge a simbolo della generosità, della bontà dell‟individuo umiliato, abbrutito dalla iniquità del consorzio umano, dalla spietatezza delle sue leggi. Sullo sfondo, in filigrana scorre l‟epopea gloriosa e miserabile di un intero popolo, la vita dei bassifondi parigini, l‟insurrezione del „32, la battaglia di Waterloo. Conoscevo fin da bambino quella storia che mio padre Giuseppe amava raccontarmi. Ancora ricordavo vividamente la sua commozione ogni volta che arrivava al punto in cui Jean Valjean, invece di lasciar morire il suo persecutore e liberarsi finalmente del fanatico Javert, gli salva la vita, contro ogni sensatezza. La generosità di questa azione sovverte tanto la descrizione del mondo del poliziotto inflessibile che, incapace oramai di convivere con i suoi valori, una volta sovvertite le sue convinzioni più radicate sul bene e sul male, si uccide. 193

La Legge dell‟Antagonista «Javert/Valjean anche i nomi sono assonanti… Essi sono la stessa persona − mi rivelò poi il Dreamer − Quando finalmente egli si perdona dentro… quando salva la vita a Javert… quando armonizza gli opposti dentro di sé, allora è pronto per un Antagonista più intelligente e potente. Il vecchio Antagonista, superato, compreso, non ha più ragione di esistere… scompare… si uccide. In realtà non era mai realmente esistito se non come la materializzazione di un‟ombra, di una incompletezza del suo Essere… » Le parole del Suo insegnamento senza tempo riecheggiarono potenti e trovarono risonanza in ogni atomo del mio Essere. «L‟unico nemico è dentro di te! Fuori non c‟è nessun nemico da accusare né da perdonare, e nessun male che possa nuocerti… Non temere l‟Antagonista. È lui il tuo migliore alleato. È lui che ti indica il cammino più breve per il successo. Il suo unico e solo scopo è la tua vittoria.» Quando le luci si riaccesero il Dreamer non c‟era più ed io trascorsi il resto della serata con i nuovi amici americani… ma con la mente rivolta al Dreamer ed al Suo straordinario insegnamento. Dalla notte dei tempi, da quando la prima scintilla di riflessione ha attraversato la coscienza dell‟uomo, sono esistiti ricercatori e scuole dell‟Essere, scuole di preparazione interiore. La Scuola di Pitagora, l‟Accademia di Platone, il Liceo di Aristotele, quella di Plutarco, il primo cristianesimo e tutte le più grandi scuole dell‟antichità, fucine dello spirito, trovavano nel Dreamer la loro epitome, la ragione stessa del loro esistere e la continuità della loro missione.

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La Scuola degli Dei CAPITOLO V

Addio a New York 1 Per le strade di Manhattan Gli headquarters della ACO occupavano un elegante palazzo di nove piani, un gioiello di marmo e alluminio incastonato tra i grattacieli di Park Avenue. In quattro minuti da Roosevelt Island raggiungevo in tramway la 60.ma, sorvolando l‟East River a bordo di una dondolante navicella. Facevo poi a piedi un tratto di pochi isolati attraverso il cuore pulsante di Manhattan. Lungo il cammino una folla sterminata mi fasciava, come un fiume, mi trascinava lungo un alveo di strade e ripe fatte di building dai mille occhi vetrati. Erano trascorse alcune settimane dal nostro ultimo incontro, ma le Sue parole, come una sostanza viva, preziosa, stavano ancora agendo con una forza sconosciuta. Le sentivo diventare ghiandole, tessuti, organi capaci di distillare una chimica di attenzione, di vigilanza. Ogni cosa cominciava ad essere più chiara. Quella massa umana che fino a quel momento mi era apparsa un coacervo indifferenziato, ora si mostrava variegata in colori, in energia, in frequenze. Osservando la gente intorno attraverso gli occhi del Dreamer, realizzai che ogni più piccolo particolare denuncia la posizione che ognuno di noi occupa nella scala dell‟Essere, e il nostro ruolo nel mondo. Tutto è connesso a tutto e nulla è separato Camminavo e sentivo quella moltitudine respirare con me, come un unico immenso Essere. Potevo sentirne le paure, respirarne gli umori. Potevo ascoltarne i pensieri. Rilevai quanto fedelmente essi si rivelassero attraverso gli abiti, nei movimenti, nelle attitudini, 195

Addio a New York nel passo, nel lavoro che li aspettava e verso cui si affrettavano. La loro visione, le loro aspirazioni erano limitate quanto i ruoli in cui l‟esistenza li aveva mirabilmente confinati. Our level of Being creates our life and not vice versa Stringevo al petto queste Sue parole, come uno scudo, o un talismano, mentre fendevo quel blob umano al quale mai prima avevo avuto la consapevolezza di appartenere. Sentivo il canto di dolore che si levava da ognuna di quelle cellule; per la prima volta ascoltavo l‟incessante monologo interno di un‟umanità che non sa. Ne sentivo la solitudine dolorosa mentre mi passavano accanto, ne ascoltavo il brusio, simile al fremito di milioni di ali d‟insetti. Prima di incontrare il Dreamer mi piaceva sentirmi parte di quella gente, amavo quella città. Ne vivevo tutti i rituali. Mi immergevo nelle street fairs più affollate, facevo la coda per accaparrarmi un biglietto per gli spettacoli più gremiti. Strofinare i gomiti con migliaia di sconosciuti, vivere con milioni di altri in una metropoli, lavorare per una grande corporation, mi aveva sempre dato un senso di sicurezza, di appartenenza. Ora una nuova lucidità stava eliminando ogni compromesso. Li „vedevo‟, e attraverso loro, come in uno specchio deformante, vedevo me. Riconoscevo la comune condizione di esseri imprigionati nei ruoli, maschere tragicomiche segnate da una perpetua smorfia di dolore che non smetteva mai, neanche mentre ridevano; macchine azionate nel sonno da fantasie meschine e desideri futili. Dal Dreamer avevo appreso che gli altri sono una nostra proiezione. Quegli uomini e quelle donne erano me. Ero circondato da una miriade di specchi! In essi la mia immagine si rifletteva all‟infinito frangendosi in mille immagini che erano sempre, dolorosamente, me. Camminando osservavo la bava di emozioni, la scia di pensieri che ogni essere umano si lascia dietro, come la traccia limacciosa di una grande lumaca. Ero anch‟io uno di quegli esseri distratti che vedevo passarmi accanto, sigillati in una bolla di preoccupazione e di egoismo. Ero una goccia di quel fiume stigio che scorreva inconsapevole tra i grattacieli, che invadeva le strade e le percorreva spasimando verso il suo destino mortale. Una sola cosa mi distingueva. Avevo 196

La Scuola degli Dei incontrato il Dreamer. Ora sapevo che c‟era una rivoluzione da fare. In quella direzione, con il Suo aiuto stavo muovendo i primi passi. Tra mille visi nessuno era rivolto al cielo. Invano avrei cercato un volto libero, uno sguardo attento, il segnale di un essere umano vivo che provasse un atomo di gratitudine per l‟opportunità di essere al mondo, di aver parte in questo meraviglioso universo. Inutilmente lo specchio della mia attenzione sperava in un alito di cui appannarsi, una bocca che emanasse un segno di vita. A tratti tornava la visione incantata; ritrovavo in me il bambino che stretto al fianco di Giuseppona guardava rapito il grande circo variopinto del mondo. Allora mi guardavo intorno alla ricerca di compagni di quel gioco. Ma Manhattan aveva bambini quanti il regno di Erode. Una mattina nevosa notai un giovane di colore, snello e ben vestito, con un look europeo, che si distingueva tra la folla per una luminosità speciale. Sull‟aureola di capelli crespi che gli incorniciava il viso, fiocchi di neve si erano depositati lievi, come sulle siepi di Central Park. Avemmo appena il tempo di scambiarci un sorriso incrociandoci. Ebbi l‟impressione che anche lui „sapesse‟, che mi „riconoscesse‟. Fu una sensazione fugace ma per un attimo nutrii la speranza che in quell‟immensa città non fossi solo, che tra quegli esseri boccheggianti, nel torpore di quell‟umanità inerte, esistessero corpuscoli pulsanti, cellule vive. Da quando il Dreamer mi aveva aperto gli occhi sulla condizione impiegatizia rivelandola come una moderna trasposizione della schiavitù, quell‟esercito di uomini e donne che andava a lavoro mi appariva simile a uno sciame di insetti spinto da una necessità cieca. Ogni mattina li vedevo affollare interi piani di grattacieli, occupare milioni di celle, piccole come alveoli, riempiendole del loro ronzio. Nelle loro ghiandole trasportavano una sorta di vita allo stato limoso: un carico di pensieri bui e lo sciroppo denso delle loro emozioni. E mentre anch‟io andavo ad occupare la mia celletta, pensavo alla sterminata popolazione planetaria destinata come me a spendere nelle organizzazioni la maggior parte della propria vita in cambio di una retribuzione. Mi chiedevo quale fosse il significato evolutivo di tutti quegli sforzi e dove fosse volto l‟affanno di così tanti uomini ingabbiati nello spazio ipnotico dei ruoli. Dentro e fuori dalle organizzazioni li vedevo attanagliati dalla paura; in essi riconoscevo le mie angosce, la mia infelicità. Sotto la sottile pellicola di apparente razionalità, 197

Addio a New York vedevo nascosta la logica conflittuale, il pensiero distruttivo, quell‟impulso di morte che ci spinge incessantemente a danneggiare prima noi stessi e poi gli altri. Sotto stratificazioni emozionali sedimentate da secoli riconoscevo l‟inquinamento dell‟Essere prodotto da ansietà, dubbi, insicurezze e da una sconfinata paura sia di vivere che di morire. Scivolavo in un vero e proprio terrore al pensiero che senza il Dreamer sarei ritornato a far parte di questa genia di falsi vivi. Una volta Gli chiesi cosa intendesse con l‟espressione „uomini ordinari‟, o „orizzontali‟, come spesso li chiamava. “Sono gli uomini e le donne che studiano, insegnano, lavorano… che fanno figli, che li allevano… che progettano e costruiscono strade e grattacieli, scrivono libri, fondano chiese, ricoprono incarichi privati e ruoli pubblici, anche ai più alti livelli” fu la Sua indimenticabile risposta. “Il tutto sotto ipnosi − aggiunse dopo qualche istante di studiata suspense – Essi brancolano nel sonno, permanentemente sigillati in una bolla di dimenticanza e di infelicità.” Quando ricordavo queste parole e sentivo quel destino incombere, sempre pronto a risucchiarmi, l‟Essere si chiudeva a pugno in un unico immenso desiderio di evadere, di segare le sbarre di quelle prigioni e fuggire. “Quando hai „visto‟ il gioco, non puoi più farne parte” mi aveva rivelato il Dreamer, ed io sentivo che per quanto doloroso potesse essere il „lavoro‟ per capovolgere la visione ordinaria del mondo, la mia vita stava cambiando e sarebbe stato impossibile tornare indietro. Ora sapevo che possedere il proprio destino è possibile. Sentivo finalmente di contenere, di poter governare la mia esistenza. Il mondo delle organizzazioni e del business che mi aveva sempre affascinato per la sua spietata concretezza, e tutto quello per cui stavo lavorando da anni: la carriera, il successo, la famiglia, il denaro, cominciarono a prendere un nuovo significato. Perfino New York, che avevo così amato, desiderato, spesso mi appariva come una specie di universo di cartapesta, rumoroso e futile come un circo, con lo stesso intenso odore di povertà polverosa e di vagabondaggio. Per il Dreamer l‟universo fisico, dagli insetti alle galassie, e tutto quello che è fuori di noi, il mondo visibile, ma anche quello che non vediamo e non tocchiamo, è il microcosmo, e il mondo dell‟Essere è il macrocosmo. 198

La Scuola degli Dei Nel microcosmo, tutto è lento. Ci sono ostacoli, limiti, priorità da rispettare… È il dominio del tempo… gli uomini vi procedono in fila indiana, come su una linea,il sorpasso è impossibile… Dedicati all‟Essere… Solo dentro di te, ad occhi chiusi, potrai volare, sognare… innalzarti sul piano dell‟ordinarietà e andare oltre. Il vero agire è nel „non-fare‟… Se perdi un millimetro di ignoranza sentirai tremare dalle fondamenta le piramidi del business ed i templi della finanza con i loro eserciti di schiavi e sacerdoti. In bilico sul ciglio di quel mondo, ne guardavo ad occhi sbarrati il divenire e la mia posizione in esso. Avrei voluto trattenere quella visione, fare mia quella condizione di distacco, meravigliosa e terribile, che mi permetteva di „vedere‟. Temevo di perderla da un momento all‟altro e di essere di nuovo ingoiato dalla macchina del mondo, risucchiato dalla sua „forza rotante‟. Ero certo che se avessi potuto mantenere quel distacco ancora soltanto per un po‟, sarei diventato definitivamente un estraneo per quel mondo, come una termite sottratta per due giorni alla influenza ipnotica del termitaio. Per cambiare la natura degli eventi bisogna cambiare la nostra visione. Un giorno l‟universo materiale diventerà il nostro capolavoro, l‟immagine speculare della volontà disseppellita, perfetta materializzazione dell‟Arte del sognare. Il ricordo costante degli insegnamenti del Dreamer, il lavoro di autosservazione, di studio, gli esperimenti che conducevo sul cibo, sul sonno e sul respiro, la corsa tutte le mattine e gli altri esercizi fisici, il silenzio, stavano spaccando il bozzolo in cui ero imprigionato. Attraverso quella feritoia già filtrava la luce di una nuova esistenza.

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Addio a New York 2 Gli strumenti del Sogno Jennifer finse per giorni di non accorgersi di nulla. Al suono della sveglia che mi chiamava alla corsa, si limitò per qualche tempo a girarsi dall‟altra parte. Per lei, non c‟era da fare altro che attendere che pigrizia e vecchie abitudini venissero a riprendermi, come selvaggina tra le fauci di un flatcoat retriever. Provai a parlarle. Senza dirle del Dreamer, tentai di farle capire qualcosa della rivoluzione che mi era scoppiata dentro e di quel mondo invisibile in cui stavo avanzando i primi, faticosi passi. Fu tutto inutile. Accelerai. Più acceleravo e più il tempo si comprimeva. Era incredibile quanto riuscissi a fare in quell‟ora, e quanto poteva ancora starci. Più diventavo veloce e più sentivo crescere l‟energia per fare di più e portare in profondità quella ricerca che era diventata il solo interesse della mia vita. Guadagnando velocità nella corsa, accelerando ogni movimento, sottraevo tempo al tempo. Prodigiosamente quell‟ora al mattino si dilatò e così il lavoro su me stesso. Infine, la riflessione su qualche Suo pensiero scelto dal mio inseparabile taccuino, assorbiva gli ultimi minuti e mi connetteva al Dreamer dando una direzione alla mia giornata. Per il Dreamer vivere nell‟attimo è la cosa più preziosa nella vita di un uomo. Mi sforzai di potenziare il „qui ed ora‟ come una disciplina da praticare costantemente. Step out of the time dimension as much as possible in your everyday life. Self observation is the cure… The moment you realize that you are not present, you are present. Ogni mattina mi proponevo di non differire dall‟attimo, di mantenere almeno per un tratto della mia giornata questa chimica speciale di attenzione. Purtroppo bastava rientrare nella routine del lavoro per dimenticare e cadere preda di mille pensieri. Con il venir meno della vigilanza, come al cedere di un argine, preoccupazioni, ansietà, immaginazioni negative mi attaccavano riducendomi alle proporzioni di un nano mostruosamente piccolo. Solo ogni tanto, come „risvegliandomi‟ da un incubo, mi accorgevo di essere ridotto a un colabrodo. Mille ferite nell‟Essere disperdevano la vita. 200

La Scuola degli Dei Attraverso l‟autosservazione un uomo entra nei meandri più oscuri del suo Essere. Solo allora ci sarà una vera trasformazione, troverà un vero significato al suo esistere. Attraverso l‟autosservazione e la corsa scoprii la connessione che esiste tra corpo, emozioni e pensiero. È impossibile nutrire una preoccupazione o mantenere un malumore se la parte fisica del sistema viene spinta ad una più alta velocità. Gli stati più bassi dell‟Essere potevano sopravvivere solo con l‟indulgere nelle fasce più dense e lente dell‟esistenza. A loro volta, il modo di pensare e la qualità delle emozioni producono, inevitabilmente, un‟azione sul fisico. Lo sforzo intenzionale di alleggerire un pensiero o di trasformare un‟emozione può modificare a velocità elettronica condizioni fisiche e perfino tratti somatici. Il pensiero, l‟emozione ed il fisico si stavano rivelando un unico universo fatto di mondi concentrici ed interagenti, dove gli stessi eventi propagano i loro effetti a velocità ed in tempi enormemente diversi. Realizzai quanto complesso sarebbe stato un lavoro di conoscenza e di cambiamento se avessi cominciato dalle parti più sottili e veloci dell‟Essere invece che intervenire sul fisico. If you raise your body‟s vibration, the entire world will be elevated to a frequency where every strife, division and war will disappear, and only harmony, truth and beauty will exist. Erase limitations from within. Put forth the command that you are the very cause of all and everything and flood the entire universe with your inner light of life and power. La corsa portò inoltre attenzione sul respiro. Nonostante sia la funzione più vicina a noi, e più vitale, raramente ne siamo consapevoli. Il respiro accompagna ogni funzione della nostra vita, seguendo il ritmo dei nostri pensieri, modulandosi con l‟intensità delle emozioni, con lo sforzo fisico, connettendo ogni fibra dell‟Essere, i nostri centri vitali. Noi viviamo tutta la vita con un respiro corto e superficiale. Raramente proviamo gratitudine per il 201

Addio a New York respiro e riconosciamo il debito che abbiamo contratto con la nostra prima boccata d‟aria. “Un giorno saprai come si fa a trasformare il mondo, a innalzare il tuo livello di responsabilità, attraverso gli strumenti del Sogno: pensiero e respiro”, mi aveva detto il Dreamer. Non a caso responso, respiro e responsabilità hanno una comune radice latina, e lo stesso etimo. “Il mondo si modella con il tuo grado di responsabilità – mi disse quella volta entrando nel mulinello dei miei pensieri, mentre la magia di quella scoperta mi faceva volare – L‟ampiezza del respiro di un uomo corrisponde al suo grado di responsabilità… e determina tutto quello che può possedere e fare… You can possess only what you are responsible for.” Attraverso le parole del Dreamer l‟equilibrio fondamentale che esiste tra essere ed avere si stava rivelando una legge capace di spiegare il mondo. La portata di quella scoperta era tale da lasciarmi col fiato sospeso ad ogni riprova della sua universalità. L‟equazione tracciata tra responsabilità e ricchezza, tra essere e potere finanziario, segnava anche il limite di quello che può essere dato, affidato ad un uomo, e la misura di quanto egli può possedere, comprendere, contenere. Un giorno l‟avrei trasferita ai miei studenti, dimostrando come la sua applicazione si estenda ad organizzazioni, a nazioni, ad intere civiltà. Anche nel mondo zoologico una sorta di „etologia dell‟avere‟ assegna fauci e artigli micidiali ad animali dotati del miglior sistema nervoso e armi sempre meno potenti a quelli più arretrati nella scala del controllo dell‟aggressività intraspecifica. Ad una tortora, che spiuma il suo avversario fino ad ucciderlo, mai la natura darebbe gli artigli e la forza di un leone che ha la deontologia del più leale dei cacciatori e vive in simbiosi, in perfetto vantaggio reciproco, con le sue prede. Dal regno animale fino alle moderne società umane, in nessuna organizzazione è consentito di avere armi e, in generale, un potere offensivo superiore alla propria capacità di controllo. 3 La menzogna Giorno dopo giorno guadagnavo fiato e velocità; e con questi, un po‟ di leggerezza nell‟Essere. Arrivai così ad amare quello 202

La Scuola degli Dei sforzo e a benedirlo dentro. Continuai il lavoro anche nelle altre direzioni che il Dreamer mi aveva indicato, cercando di applicare i Suoi princìpi alla mia vita per quanto mi era possibile. Non poche volte li fraintesi, e spesso li disattesi. Per un periodo di tempo mi esercitai in alcuni sport estremi nella convinzione di poter rafforzare il coraggio, la fiducia in me stesso. “Non cercare certezze fuori o negli occhi degli altri. Non fingerti coraggioso – mi avrebbe detto un giorno il Dreamer – Il vero coraggio è la vittoria sulla propria menzogna. Lascia questi sport e le imprese temerarie a chi ama le proprie paure, a chi ne dipende. Essi servono solo a rafforzarle. Qualcuno bugiardo come te, ora ha la vita sospesa a un polmone d‟acciaio.” Immediatamente il pensiero corse a A.F., l‟esploratore italiano le cui imprese temerarie mi avevano affascinato e che avevo conosciuto personalmente. Ricordo che, mesi prima dell‟incidente il Dreamer mi aveva detto che sarebbe stato ucciso dalla sua bugia, per essersi confrontato con false sfide invece di affrontare i mostri interni. “If you want to expand your life you have no need to expose yourself to extreme experiences… Expand your vision, ideas and thoughts through the power of earnestness and sincerity and there will be no battle you will not win.” La ragione per cui tanti praticano sport estremi e si avventurano nelle imprese più rischiose è che in condizioni di pericolo sono costretti a sperimentare stati di intensa vitalità, liberi dal tempo, dai problemi, dal peso del mondo. Quando la distrazione di un solo istante può significare il rischio della vita, il differimento dal momento non è più possibile. Ma questa condizione è artificiale, crea uno stato di dipendenza. Ti sottrae ad un ipnotismo per renderti schiavo di un altro. Un giorno per vincere le tue paure non avrai bisogno di affrontare gli oceani o di praticare il volo acrobatico. Sparita la menzogna, entrerai nel „powerful state of Nowness‟ con la massima semplicità. Perché vivere nel „qui e ora‟ è il solo stato naturale, eroico, immortale dell‟uomo. Immortali si può essere solo Adesso e l‟Adesso è per sempre! Remember! All happens here, in this everlasting 'Instant', 203

Addio a New York in this everlasting body. All that you are Now paradoxically creates all that you have always been and all that you always will be. Focus all your attention on Now and nothing will ever be impossible to you. Now is the seed of the universe. All possibilities lie in Now. Per il Dreamer indulgere nella memoria del passato o nell‟immaginazione del futuro è la causa vera di tutti i nostri problemi. Presto cominciai a vedere i risultati dei miei sforzi. Una maggiore lucidità, l‟acuirsi di uno spirito vigile, stavano rivelando mondi fino ad allora invisibili, permettendo scoperte semplici eppure rivoluzionarie. Osservando il numero crescente di persone obese e l‟espandersi di questo fenomeno non solo a New York e in America, ma in buona parte del mondo occidentale, chiesi al Dreamer una spiegazione. “La menzogna si nasconde sotto molte maschere − mi disse − L‟obesità è una di queste. Dietro la recita macabra del loro umorismo e della ostentata generosità, così frequente nei grassi, si nasconde la loro rinuncia alla vita, il loro tentativo di suicidio.” La trasformazione spesso mostruosa dei loro corpi è soltanto il riflesso più grossolano, il sintomo acutizzato di una malnutrizione psicologica. L‟ingozzarsi di junk food, l‟assimilazione di cibi guasti o di montagne di calorie alimentari, sono soltanto l‟effetto di una malattia dell‟Essere. Quando riportai al Dreamer l‟informazione che negli USA gli obesi avevano superato di alcuni punti la metà della popolazione, disse: “È il segnale di indebolimento della volontà di un intero popolo... Una civiltà dipendente dal cibo si sta eliminando. Anche la sua economia, come ombra dell‟Essere, rifletterà questa dipendenza, questo offuscamento della volontà. In breve tempo si indebolirà e sarà ingoiata da predatori più veloci, da civiltà più integre. Your physical destiny is intimately related to your mental, emotional, financial destinies.” Insieme alla mia vitalità sentii accrescersi un senso di vicinanza al prossimo, una disposizione a fare qualcosa per gli altri, 204

La Scuola degli Dei per quanti vedevo intrappolati in una esistenza senza vie d‟uscita. Era qualcosa che non avevo mai provato prima; una specie di compassion per quelle creature che vedevo permanentemente immerse nell‟angoscia. “Smettila di indulgere! − mi urlò una volta, investendomi con parole di fuoco − La tua autocommiserazione prende a prestito la condizione dell‟umanità per nascondersi e perpetuarsi. La tua vanità ti fa credere di essere già guarito e di poter fare per gli altri… La sola cosa che puoi veramente fare per aiutare il mondo è svegliarti dal tuo incubo. Smettila di credere che ci sia qualcuno o qualche situazione che abbia bisogno del tuo aiuto. Smettila di credere che il mondo sia una realtà esterna, separata da te. Lascia che aiuti il mondo chi ne è separato!” Solo molto tempo dopo avrei capito il significato di quelle parole ed aperto gli occhi su tutta la falsità che si nasconde dietro l‟altruismo, dietro ogni forma di assistenzialismo promosso da istituzioni che vivono sui sensi di colpa della gente. “Sono organizzazioni che hanno il solo fine di perpetuarsi − le bollò il Dreamer − Sono specializzate nell‟ottenere fondi e nel raccogliere risorse che poi disperdono e sperperano, riuscendo a malapena a sostenere se stesse. Se sollevi la cortina fumogena della filantropia, in ogni sua forma, potrai scoprire che dietro suffragisti e salvation armies, dietro aiuti medici, farmaceutici e soccorsi alimentari, c‟è la criminalità più efferata e la più intensa delle attività contro l‟uomo…” “Non perderti in rimpianti, o in pietismi. Nessuno può fare al posto di un altro. Sta a lui, soltanto a lui, coglierne l‟opportunità. Everything happens for a reason and a purpose, and it serves you. Chi non ha sconfitto in sé la menzogna, chi non è consapevole dell‟autosabotaggio che continuamente avviene in se stesso, non può fare niente per nessuno.” “Man dies because he lies” fu il motto che coniò il Dreamer a conclusione del Suo discorso e come sintesi di quel dramma tutto umano che è la menzogna. L‟uomo muore perché mente... e innanzitutto a se stesso.

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Addio a New York 4 Addio New York Un giorno mi accadde di cantare sotto la doccia. Riconosco che fu un‟imprudenza. Il Dreamer mi aveva ben avvertito dell‟esistenza di guardie carcerarie che sorvegliano la nostra prigionia e che proprio le persone a noi più prossime, i nostri „cari‟, sono i secondini più attenti, i guardiani più implacabili. Quel segnale, da me lanciato incautamente, quella manifestazione di spensieratezza, fornì a Jennifer l‟evidenza che un tentativo di evasione era ormai in corso da settimane. Lo associò alle mie nuove abitudini alimentari, al fatto che avevo recuperato un peso-forma, che avevo migliorato il tono dei muscoli e della pelle, il mio look, i vestiti, le letture, e passò all‟azione. Tentò ogni strada per riportarmi nei vecchi recinti, ma la fuga era andata troppo oltre. Altre gabbie, trappole più subdole mi attendevano per certo. Ma non più quelle. Già da settimane non bisticciavamo più. Accusarci, urlare, tenerci il broncio per poi far finta di ritrovarci, di essere ancora innamorati, erano stati espedienti per riempire il vuoto del nostro rapporto e della nostra vita; modi per tenerci aggrappati l‟uno all‟altra, fermi in un inferno di falsità e di noia. Il tentativo di ricostruire la famiglia con Jennifer, dopo la morte di Luisa, poggiava sulle sabbie mobili della nostra immaturità e richiedeva continui compromessi per reggersi in piedi. Ora anche quel falso equilibrio si era rotto per sempre. Niente più funzionava. Il fumo mentato delle sue Saint Moritz ed il trucco acceso delle labbra non appartenevano più al mondo che sognavo e che cominciava a prendere forma. Fu così che nel giorno del Columbus Day Jennifer impacchettò ogni suo avere (sarebbe più preciso dire che, nel miglior stile di una separazione all‟americana, svaligiò l‟appartamento pressoché di tutto) e ritornò dai genitori nel New Jersey, dall‟altra parte del Washington Bridge. Addio Jennifer, non l‟avrei rivista mai più. Giravo finalmente pagina. Quando Giuseppona rientrò con i bambini e trovò l‟appartamento svuotato, ebbe una sola preoccupazione. Da un angolo segreto della cucina, con una mano aperta sul cuore e un sospiro di sollievo, tirò fuori la sua vecchia caffettiera. La baciò con ostentata venerazione. Era l‟unico bene che non avrebbe voluto perdere e che aveva prudentemente nascosto. La caricò e la mise sul fuoco. Poi con la solennità di un‟antica auspice, disse: “Tanto chella 206

La Scuola degli Dei non faceva per te!” La scelta di quelle parole, memorabile epilogo delle mie storie adolescenziali, ed il tono della voce, le trasformò in un comico epitaffio che unì la famiglia in una gioiosa, lunga risata. La leggerezza, la fragranza di quel momento si fusero col profumo del caffè. Non avrei potuto immaginare, o desiderare, un avvio più favorevole né un augurio più grande. La separazione da Jennifer fu per me una morte ed una rinascita che avvennero nello stesso attimo. Essa fu l‟effetto dell‟eliminazione di un atomo di paura dall‟Essere. Credevo di amare quella donna ma ciò che veramente amavo era la mia sofferenza e la paura che erano ormai diventate familiari e indolori. Da solo non ce l‟avrei mai fatta. Nessuno può farcela da solo Per abbandonare vecchi modi di pensare, idee obsolete, pregiudizi, superstizioni e compromessi, come quelli che avevano tirannicamente governato la mia esistenza, occorre una Scuola, un metodo, un piano di fuga. Occorre incontrare chi prima di noi abbia realizzato la propria prigionia e sia riuscito a sfuggire al racconto ipnotico del mondo, alle sue leggi soffocanti. A Lui offro tutta la mia gratitudine e auguro ad ogni uomo di incontrare il Dreamer. Solo chi è messo davanti al proprio orrore, chi realizza la propria impotenza, la propria incompletezza, può farcela. Scrivo per dirvi che il Dreamer esiste ed è l‟Essere più reale che abbia mai incontrato. Il Suo mondo di impeccabilità, senza tempo, è più vivo e concreto del nostro ed è accessibile. C‟è una rotta ardua ma praticabile, c‟è un varco verso la verità, la bellezza, la felicità; una nuova via alle Indie, veloce e ancora più ricca. Qualcosa di invisibile e potente, cui ogni uomo può accedere, aveva messo in moto gli ingranaggi del meraviglioso. Il più piccolo cambiamento nell‟Essere muove montagne nel mondo degli eventi. Sentii l‟argano gemere nello sforzo di salpare e l‟ancora scuotersi dalla sua lunga prigionia nel fondo melmoso. All‟altro capo di quel viaggio non c‟era un piccolo arcipelago, ma un continente psicologico immenso ed inesplorato. Avevo il fiato sospeso tra timore e gioia, come un bambino sulla rampa dell‟otto 207

Addio a New York volante. Rivolsi ancora una volta un pensiero di gratitudine al Dreamer e sperai in cuor mio di incontrarLo presto. Quel giorno con Giuseppona ed i bambini facemmo gli acquisti più urgenti e la sera andammo a cena da Mamma Leone‟s, allegri e vicini come non eravamo più stati da tempo. Partita Jennifer anche New York ci stava lasciando. Per tanti segnali mi sembrò che i cambiamenti nella mia vita fossero solo all‟inizio e che molto di più fosse già in marcia e mi stesse venendo incontro. Per dipendere da un impiego hai dovuto recitare per anni un canto di dolore, hai dovuto abdicare la tua libertà mandando segnali di decadimento e di impotenza; credendo di proteggerti, hai rafforzato la dimenticanza e il limite. Ora devi fare un percorso a ritroso verso la libertà. È un processo lungo di eliminazione, di semplificazione, di alleggerimento dell‟Essere. Danza, danza, danza senza posa… Celebra l‟esistenza, amati dentro! … Osservati! Porta attenzione all‟Essere!… Vedrai che tutto quello che nella tua vita è reale resterà e tutto quello che è illusorio se ne andrà per sempre. Il Dreamer aveva chiamato tutto questo Arte del Sognare. Stavo facendo ogni sforzo per seguire il Suo insegnamento. Ero in perfetta forma fisica. La frugalità nel cibo, la battaglia contro il sonno, gli esercizi di respirazione, e soprattutto la vigilanza e l‟autosservazione stavano producendo risultati straordinari. Mi bastava dirigere il pensiero verso il Dreamer per avere accesso a una nuova intelligenza. All‟uscita dall‟ufficio, se facevo in tempo, prendevo il treno per City Island per andare a vela lungo la Eastchester Bay. Ascoltare la voce dell‟oceano, il respiro del vento palpitare tra le ali verticali del Flying Dutchman, mi facevano sentire più vicino a Lui. L‟autosservazione, uno sguardo sincero ai miei stati d‟Essere, un più alto senso di dignità, una nuova fiducia nelle mie possibilità cominciarono a produrre cambiamenti nella mia vita che solo poche settimane prima avrei considerato impossibili. 208

La Scuola degli Dei mattina Mr. Keenan, il capo del personale dell‟ACO, piombò nel mio ufficio, senza preavviso. Occupata la sedia di fronte, mi scrutò a lungo con aria sorniona, senza parlarmi. Mi diede l‟idea di uno che avesse fatto una puntata al gioco e stesse ora verificando la giustezza della sua scommessa. L‟esito del suo esame dovette essermi favorevole se un sorriso prese il posto del suo iniziale cipiglio inquisitorio. C‟era una rete commerciale da realizzare in Medio Oriente. L‟operazione avrebbe richiesto due anni, forse tre, di lavoro intenso. Base operativa sarebbe stata la Direzione Commerciale Estero della consociata in Italia, in una piccola città del nord ovest. Mr. Keenan mi premunì subito contro ogni illusione di potervi mettere le radici. “Trascorrerai più tempo in aereo ed in albergo che a casa con i figli” sentenziò con un tono ironicamente profetico. Mi annunciò infine che sarei dovuto partire entro qualche giorno. Senza attendere alcun commento né assenso, rigirò verso di me alcuni documenti pronti da firmare. “Quando avrai finito ti rivoglio qui nella squadra − disse − tra gli hard noses.” In quel periodo, per connettermi all‟insegnamento del Dreamer, ripresi a leggere molti capolavori del pensiero classico e moderno e tutti i libri di filosofia che potei trovare. Li avevo tanto amati ed ora mi annoiavano mortalmente. Spesso li abbandonavo dopo appena poche pagine. Nonostante ogni mia ricerca, da nessuna filosofia, dottrina morale o credo religioso, germinava una sola scintilla della Sua intelligenza, della Sua concretezza. In nessuna tradizione sapienziale o teoria etica trovavo la più lontana eco di quello che avevo provato accanto Lui. Cercai inutilmente nei libri che avevo raccolto in una vita, un‟idea, qualcosa che si avvicinasse alla sostanza preziosa, a quell‟alchimia che con il Dreamer era costantemente presente. Quanti anni avevo trascorso nell‟inutilità! Le opere che più avevo venerato si stavano rivelando capolavori di stupidità, di superficialità, scritti da chi era avviluppato nelle stesse incertezze e paure dei suoi lettori. In nessuna pagina trovai il più lontano riflesso del potere, della forza che avevo sentito nelle Sue parole.

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Addio a New York La conoscenza è un bene inalienabile che ti appartiene da sempre… è già dentro di te. Come la felicità, la prosperità, la volontà, l‟unità dell‟Essere, e qualunque cosa tu cerchi, Dio o denaro, così la conoscenza, non può venire dall‟esterno. Nessuno può dartela… Può solo essere ricordata. Queste parole del Dreamer mi riportarono alla mente la storia dell‟uomo che trova un tesoro e vende tutto per comprare il terreno in cui è sepolto… È la storia di chi „ricorda‟ il bene reale e baratta la descrizione del mondo, con tutti i suoi limiti, il dolore, l‟ignoranza, per la vera ricchezza, quella che non teme ruggine né polvere, che non può essere rubata né alienata... può essere solo sepolta e dimenticata. 5 Chi ama non può dipendere Presi in affitto un appartamento a Talponia, il residence sotterraneo concepito nella pancia di una piccola collina a due passi dal quartier generale della ACO, il gigante nano della robotica. Fino ad allora avevo lavorato da solo o in piccoli team, e quasi sempre all‟estero. Per la prima volta mi trovavo inserito in un complesso di uffici, un comprensorio industriale con laboratori e fabbriche, popolato da migliaia di addetti. Il palazzo centrale era il corpo vivo di un animale. Ne potevo sentire il respiro ed il pulsare delle gigantesche arterie. Quell‟essere a sua volta aveva percepito la mia intrusione e, giorno dopo giorno, sovrintendeva alla mia assimilazione. Scorrevo nelle sue vene insieme a migliaia di altre cellule, filtrato dai suoi immensi organi, passato al vaglio dei suoi processi metabolici. Il mio nuovo lavoro, come mi aveva preannunciato Mr. Keenan, mi teneva gran parte del tempo lontano da casa e dai miei figli, richiedendo frequenti viaggi e lunghe permanenze nei paesi del Medio Oriente. Tra una missione e l‟altra, avevo fatto vari tentativi per integrarmi, ed avevo più volte provato a partecipare ai riti di quella comunità impiegatizia che viveva tra le pieghe dell‟organizzazione. Avevo cercato di apprenderne le abitudini, di adottarne il linguaggio, di interpretarne i simboli, ma i miei tentativi non furono mai coronati da molto successo. 210

La Scuola degli Dei Gli insegnamenti ricevuti dal Dreamer e la visione che Egli mi aveva trasmesso sulla reale condizione impiegatizia, favoriti dall‟intermittenza della mia presenza in Italia, mi permisero di restare sufficientemente estraneo a quegli ambienti e di osservare quasi con il distacco di un entomologo quella brulicante forma collettiva di vita. Le mie osservazioni mi portarono a verificare l‟esistenza nelle organizzazioni umane di un „inquinamento psicologico‟ di cui avevo sentito parlare per la prima volta dal Dreamer e che, fino a quel momento, sembrava essere sfuggito ad ogni indagine scientifica. Di fatto non ne ho mai trovato traccia in alcun testo. Esso è il prodotto di un flusso incessante di emozioni spiacevoli, di paura, di invidie, di gelosie, di pensieri piccoli, di discorsi futili, che avvelenano l‟aria delle organizzazioni producendo malanni ed incalcolabili danni alla mente ed al fisico di milioni di uomini e donne. Anni dopo, proprio alla ACO, avrei approfondito questo fenomeno. Intanto le scoperte che stavo facendo sulla „psychological pollution‟ mi permisero di approfondire alcune riflessioni sulle organizzazioni e sul lavoro dipendente iniziate col Dreamer a New York. L‟impiego non è l‟appartenenza ad una categoria sociale o contrattuale, ma ad un grado basso nella scala dell‟Essere. Questo era stato il primo insegnamento, tra i più sconvolgenti, che avevo ricevuto da Lui. Un uomo dipende perché è basso il suo livello di responsabilità interiore… Impiegarsi è solo il riflesso di una condizione infernale dell‟Essere. La rivelazione che il lavoro dipendente fosse una moderna trasposizione della schiavitù aveva scosso per sempre dalle fondamenta la mia descrizione del mondo. Le Sue parole avevano trovato nella mia coscienza un posto quasi fisico e vi si erano depositate come un materiale difficile da metabolizzare ma anche impossibile da espellere.

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Addio a New York Chi ama non può dipendere… Amare ed essere liberi è tutt‟uno… Un giorno realizzerai che sei l‟artefice e non il manufatto, il sognatore e non il sognato, il creatore e non il creato… che tutto è al tuo servizio. Allora non potrai più dipendere!… The world is such because you are such and not vice versa. Ancora bruciava, come sale sulla carne viva, la scoperta di appartenere ad una razza, ad una sorta di „specie impiegatizia‟; e che tutta la mia educazione, dalle scuole dei padri barnabiti fino agli studi post lauream a Londra ed a New York, non era stata altro che un lungo training alla prigionia, una scuola di fachiraggio rivolta a rendere sopportabile l‟estrema dolorosità del dipendere. Improvvisamente, il mondo delle organizzazioni e del business cui fin da ragazzo avevo sognato di appartenere mi si rivelava come un immenso lager, una rete di penitenziari vasta quanto il pianeta. Evadere! Era questa la sola cosa che avesse senso per un uomo; una lima ed un buon piano di fuga, la sua unica, vera ricchezza. Certamente queste riflessioni non mi aiutavano ad adattarmi al mio nuovo ambiente. La visione ricorrente di un abisso a rovescio pronto ad ingoiarmi era la forma che prendevano allora i miei timori sul futuro. Non decisi nulla, ma un po‟ per volta le mie corse mattutine si diradarono e smisi di rileggere le Sue parole. Lentamente, mi acquattai sul fondo buio dell‟oceano dell‟ordinarietà e scivolai nel brulicante abbraccio della moltitudine e nel confortante strofinio con gli „altri‟. 6 Non si può sognare e dipendere Interiormente scendevo questa china, quando mi arrivò dalla direzione del personale un cartellino rettangolare accompagnato dalla richiesta di timbrarlo all‟ingresso e all‟uscita, e ogni volta che avessi dovuto allontanarmi o tornare nel Main Building. Era una nuova disposizione che ora estendeva la procedura di controllo già in uso per tutto il personale impiegatizio, anche ai dirigenti ed a chi, svolgendo gran parte del suo lavoro all‟estero, come me, aveva fino a quel momento goduto di una più ampia libertà di movimento. 212

La Scuola degli Dei Più volte tentai di ubbidire a quell‟ordine che infrangeva miseramente anche l‟ultima parvenza di indipendenza del mio ruolo lavorativo. Più volte mi misi in coda, inserendomi in una delle tante file di uomini e donne che si formavano nella hall davanti alle macchine marcatempo. Notai che tutti si sottoponevano a quella procedura come se fosse la cosa più naturale. Parlavano tra loro, fumavano, ridevano, mentre con la scheda in una mano attendevano, passo dopo passo, il loro turno per timbrare. Più volte mi incolonnai con loro. Ogni volta, arrivato di fronte alla macchina, ero preso da una vergogna improvvisa, insopprimibile. Allora fuggivo via, senza timbrare. Ripristinato un livello di dignità, le parole del Dreamer tornavano ad ispirarmi; le sentivo palpitare dentro, forti e vive. Per qualche minuto l‟aspirazione ad una vita libera e felice, e le immagini di un‟esistenza ricca di successi, ritornavano ad essere vivide come un ricordo del futuro. Sii indipendente, libero. Be a rebel! Un ribelle non dipende da nessuno… e rispetta la sua unicità. La sua sola ragione d‟essere è dare concretezza al suo Sogno. A questo dedica la sua vita e ogni atomo della propria energia. Non si può sognare e dipendere. Si può sognare e servire. Servire non è dipendere… Servire significa governare la propria vita e quella degli altri… è l‟azione di chi ama. Solo chi ama può servire. Chi non ama può solo dipendere! Ma durava poco! L‟immaginazione negativa prendeva il sopravvento. Pensieri spaventevoli di un futuro senza quel lavoro mi facevano indietreggiare, riducendomi a un essere microscopico. La paura assumeva mille maschere, le preoccupazioni per il futuro si camuffavano da sollecitudine, da senso di responsabilità verso la famiglia e i figli, e così qualche giorno dopo mi ritrovavo di nuovo in fila, davanti ad una marcatempo, senza altro desiderio che essere come gli altri. Avrei dato chissà cosa per uscire da quel limbo e, finalmente, ritornare a far parte di quella moltitudine, condividerne i pensieri, accettarne le angosce e perfino il dolore… e dimenticare. Una mattina, affacciandomi verso l‟interno da uno dei piani più alti dell‟ACO, osservai la spirale di marmo bianco delle scale digradare fino alla hall centrale animata da un flusso ininterrotto di 213

Addio a New York uomini e donne che in coda, attendevano il loro turno per timbrare ed andare in mensa. D‟improvviso fui attraversato da un pensiero assurdo. Ebbi la certezza che ognuno di quegli uomini e di quelle donne aveva conosciuto il Dreamer. Tutti, sia pure per pochi attimi, ad un certo punto della vita avevano avuto accesso al mondo del Dreamer. A tutti era stata data l‟opportunità. Ogni cellula di questa folla aveva incontrato la Scuola ed aveva rinunciato. Li vedevo brulicare in quell‟abisso. Riconobbi nella uniformità, nella mediocrità delle loro vite, la mia vita lontano dal Dreamer. Conformity is mediocrity Provai l‟impulso irresistibile di scendere ad interrogarli, di scuoterli e chiedergli cosa ne era stato del Sogno, cosa ne era stato del Dreamer. Mi avrebbero preso per matto. Essi avevano dimenticato, avevano scelto di curvare e dipendere, di soffrire, invecchiare e morire. Ed io stavo correndo verso lo stesso baratro. Non si può sognare e dipendere. Queste parole del Dreamer risuonarono dentro come un canto di salvezza. Ancora mi arrivava un languido brillio di quell‟intelligenza. 7 Un futuro di seconda mano I momenti di lucidità diventarono sempre più radi. Allentati i fili luminosi che mi legavano al Dreamer, anzi, recisi gran parte di essi, feci in fretta a ricostruire il mio mondo di sempre, in ogni più piccolo dettaglio. Tra una manciata di case, in un paesino rincantucciato tra piccoli laghi ai piedi di un‟immensa ruga glaciale, trovai una vecchia villa in vendita e, con i risparmi americani, l‟acquistai. Mi dedicai con impegno a ristrutturarla e a renderla accogliente finché potei lasciare Talponia e traslocare con i bambini. Presto mi raggiunse Gretchen, una giovane donna divorziata che avevo conosciuto nelle ultime settimane a New York, e che venne a stare con noi portando il figlio Tony, di cinque anni. Avevo rimesso su casa. Dopo Luisella e la conclusione della storia con Jennifer, stavo ricostruendo una famiglia, per la terza volta. Ma senza rendermene conto stavo rinchiudendomi nelle segrete di vecchie prigioni. Gretchen era quanto di più lontano si potesse immaginare 214

La Scuola degli Dei da Jennifer, la juish princesse newyorkese. Campionessa di sci, Gretchen aveva ereditato lo spirito e la forza fisica delle donne che colonizzarono il West. Faceva continuamente sport ed aveva muscoli d‟acciaio. Era essenziale, rude e provinciale quanto Jennifer era sofisticata, vanitosa, cosmopolita. Eppure anche quella relazione, dopo poche settimane, si incanalò nei vecchi binari. Apparentemente avevo cambiato lavoro, avevo cambiato partner, avevo cambiato continente, ma in realtà la mia vita riprendeva ogni volta la forma rigida registrata nella memoria delle sue fibre. Our level of Being creates our Life Giorno dopo giorno, un frammento dietro l‟altro, stavo ricostruendo la vita di sempre, come un essere meccanico condannato dalla sua memoria genetica a ripetere ogni suo gesto, sigillato in una eternità inconsapevole. Vecchie abitudini, pensieri ed emozioni di sempre stavano fabbricando con meticolosa precisione le stesse circostanze e gli stessi eventi del passato. Sotto la maschera di una nuova vita, dietro il goffo tentativo di camuffarsi da futuro, il passato si stava riproducendo sempre crudelmente uguale a se stesso. A man cannot hide. Ogni pensiero, emozione o azione è registrato indelebilmente nel suo Essere e ne è egli stesso il guardiano ineludibile e il giustiziere. È questo che determina il suo destino. Un uomo può illudersi di fuggire, di cambiare la sua vita cambiando le condizioni esterne, ma al di là dell‟apparente differenza delle situazioni, sarà sempre messo allo stesso punto della „scala‟, lì dove lo colloca il suo grado di responsabilità, di integrità, di amore. Queste erano state le memorabili parole ascoltate dal Dreamer nel nostro primo incontro. Da allora le avevo lette e rilette non so quante volte; ma il monito di questa profezia non aveva potuto evitare la ricorrenza ed il ripetersi di errori e dolori nella mia vita. In relazione a questo, ricordo un dialogo intercorso con il 215

Addio a New York Dreamer che ancora considero una delle pietre angolari del mio apprendistato. “La più grande illusione dell‟umanità è l‟idea di avere un futuro − mi rivelò quella volta − Un uomo ordinario in realtà non ha un futuro. Al di là delle apparenze egli incontra sempre e solamente il suo passato.” Eventi, incontri, circostanze si ripetono e ricorrono nella sua vita; sempre gli stessi, solo leggermente camuffati. “È come dire che gli uomini vivono una vita usata, di seconda mano” dissi con quel tanto di incredulità nella voce da coprire il senso di inquietudine che sentivo di fronte alle Sue rivelazioni. “E tuttavia ognuno si illude che gli eventi della sua vita siano nuovi di zecca, creati apposta per lui, mai accaduti prima” rincarò il Dreamer. “E quindi quello che l‟uomo chiama realtà è… ” gli chiesi senza poter completare la mia domanda preso da un nauseante senso di assurdità. Il Dreamer mi guardò senza rispondermi ed annuì lentamente, come ad avallare il raggiungimento da parte mia della più temeraria tra le conclusioni possibili... la più impensabile ed inaccettabile di tutte. Avanzai allora con cautela qualche altro passo nella direzione in cui mi stava spingendo. Assurdamente speravo di aver frainteso le Sue parole e che, in qualche modo, fosse Lui a fermarmi ed a riportare quel nostro dialogo entro i confini di una rassicurante razionalità. “Quella che chiamiamo realtà... quella che vediamo e tocchiamo.. sarebbe... è... una specie di... realtà virtuale?” chiesi, procedendo riluttante e solo a seguito dei suoi continui cenni di assenso che mi arrivavano come spintoni. Attesi. Il Dreamer restò pensieroso per qualche momento, come per scegliere le parole che potessero trovare un varco nelle mie resistenze. “Quello che un uomo vede intorno a sé… la realtà esterna a lui, è il passato − mi rispose lapidariamente e, rompendo il silenzio denso che si era creato, aggiunse − Quello che tu chiami presente è in realtà una trasmissione in differita.” Dopo aver ascoltato queste parole il mondo non sarebbe mai più stato lo stesso. Straordinariamente, ebbi la certezza che fosse cambiato per sempre, non solo per me, ma per tutti gli uomini. 216

La Scuola degli Dei “Quello che vedi e tocchi, gli eventi che potresti giurare stiano accadendo in questo preciso momento, sono stati registrati tempo fa. Per potersi verificare hanno avuto il tuo assenso in un‟altra dimensione, nel mondo dell‟Essere, nei tuoi stati” mi disse con la massima naturalezza. Mi spiegò come i fatti siano già fatti, e che il successo è tale perché è già successo. “Gli eventi della vita sono stati d‟Essere solidificati, resi visibili dal tempo. Mentre vi assisti e ne sei coinvolto, puoi credere che si stiano verificando sotto i tuoi occhi, hai l‟illusione che siano nuovi di zecca e che stiano accadendo per la prima volta; in realtà essi sono la proiezione del tuo passato che ripete se stesso, con appena qualche leggera variante.” Ricordo che, a seguito delle parole del Dreamer, immaginai gli eventi della vita di un uomo ordinario come una processione allegorica di esseri mascherati, di burloni intenti a perpetrare uno scherzo crudele. Li vidi rincorrersi e ripetersi, indeclinabilmente uguali a se stessi, mentre sotto il nasone e i baffi finti soffocavano le risate e si facevano in cuor loro beffe della cecità dell‟uomo, della sua incapacità di riconoscerli. “Ciò che l‟uomo chiama futuro è in realtà il suo passato visto di spalle − disse quella volta il Dreamer, sottraendomi alle mie fantasticherie − La sola possibilità di governare la propria vita è nel „qui ed ora‟… Solo gestendo l‟attimo sospeso tra il nulla e l‟eternità un uomo può „fare‟, può meritare un vero destino, modellarlo e creare eventi di ordine superiore.” Avrei poi avuto modo di sperimentare sulla mia pelle quanto vera fosse questa visione e quanto facile fosse dimenticare e ricadere nel cerchio ipnotico di una falsa vita, di un destino ripetitivo. Quanti anni avrei risparmiato, e quanta dolorosità avrei evitato, se allora avessi saputo ascoltare quel messaggio del Dreamer, aprirmi alla Sua visione che oggi mi appare così semplice, così naturale, inevitabile. Dimenticai, negai il Sogno, e per mesi non ci pensai più. Si riaprirono le porte di vecchie prigioni. I giorni della mia vita con Gretchen e con i nostri bambini ripercorrevano solchi già tracciati. Tra i viaggi di lavoro in Medio Oriente e gli impegni famigliari sembravo ormai destinato a dimenticare e perdermi per sempre.

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Addio a New York 8 A cena con lo Sceicco Alla reception dell‟Hotel Le Méridien di Kuwait City, trovai un invito dello sceicco Yusuf. Richiedeva la mia presenza alla cena di quella sera a palazzo Behbehani. Un‟auto sarebbe passata a prendermi in meno di un‟ora. Ero appena arrivato da un lungo viaggio; l‟idea di affrontare una cena araba ed il suo lungo cerimoniale non era delle più allettanti. Ma non potevo rifiutare. La famiglia Behbehani era uno dei clan più potenti ed allo stesso tempo uno dei gruppi finanziari più forti del paese. In Kuwait, come in tutti gli altri paesi mediorientali, il business è rigorosamente spartito tra le grandi famiglie. La mappa del potere finanziario riproduce con millimetrica esattezza il disegno dell‟albero genealogico e le distanze dinastiche dall‟Emiro, riflettendo diritti acquisiti, spesso di radici medioevali. Nei mesi precedenti avevo avuto qualche contatto con più membri della famiglia e avevo avviato affari con qualche società del gruppo, ma non avevo ancora incontrato lo Sceicco Yusuf. Sapevo che a lui faceva capo un vasto impero finanziario costruito su concessioni e rappresentanze di prodotti delle maggiori multinazionali, con una complessa rete di interessi ed importanti partecipazioni in imprese fuori dal Kuwait, soprattutto in USA. Il palazzo dei Behbehani, un‟opera sfarzosa tutta in marmo bianco di Carrara, aveva la tradizionale disposizione a quadrato, con il largo cortile interno da cui erano accessibili le aree di ricevimento, disposte a piano terra, e gli appartamenti dei vari nuclei famigliari ai piani superiori. Un silenzioso famiglio in caffettano mi introdusse nella sala da pranzo. Intorno al lungo tavolo, imbandito nel più fastoso stile mediorientale, trovai raccolto un variopinto campionario di uomini d‟affari islamici nei tradizionali dish-dash bianchi, le braccia brunite vistosamente ingioiellate, ed alcuni manager occidentali, rappresentanti di note multinazionali. Era una cena per soli uomini, naturalmente, e senza posate. La cucina araba non prevede in ogni caso l‟uso di coltelli; carne e pesce sono serviti già tagliati a bocconi. Antipasti di verdure fresche, formaggi e creme di legumi furono serviti su pesanti vassoi ricolmi di agnello arrosto e riso. Fummo serviti personalmente dal figlio maggiore dello sceicco. Un onore riservato agli ospiti di grande riguardo. La discussione fu subito animata ed ebbe al suo centro lo sceicco Yusuf che si rivelò 218

La Scuola degli Dei un uomo di vivace intelligenza ed un padrone di casa premuroso, attento ai più piccoli dettagli. Bevemmo tè e spremute di frutta. Il Kuwait, tra i paesi del Medio Oriente, è un „dry country‟, rispettoso della tradizione coranica, ed ogni bevanda alcoolica vi è rigorosamente bandita, almeno ufficialmente. Conclusero la cena dolci libanesi, a base di noci e miele, e caffè preparato sul fuoco di bracieri, secondo l‟uso nomade, servito in piccole tazze, sottilissime. Era sempre affascinante lo spettacolo del liquido nero e denso, dal gusto polveroso, fatto zampillare con maestria dai lucenti bricchi di ottone dai farraj. Il caffè continuò ad essere servito, ed i lunghi getti fumosi continuarono a colmare le tazzine, fino a quando ognuno agitò la sua con un movimento dondolante del polso, il gesto rituale che indica la sazietà dell‟ospite. Solo allora lo sceicco Behbehani che mi aveva voluto alla sua sinistra mi espose il suo progetto: creare in Kuwait una sua nuova impresa commerciale. Mi chiese di trasferirmi a Kuwait City per realizzarla e dirigerla. Avrei avuto una partecipazione nel capitale e lo status di Managing Partner. Il Sogno stava diventando realtà: creare una organizzazione internazionale, mettere insieme gli uomini, raccogliere, scegliere le risorse, misurarmi con le difficoltà di un‟impresa in un ambiente così difficile. Finalmente, avrei solcato i sette mari del Business con una imbarcazione tutta mia. Era quello che avevo maggiormente desiderato. O almeno così avevo sempre creduto. Chiesi due settimane per decidere e mi accomiatai. Ma mentre tornavo a Le Méridien ero già in uno stato di apprensione. Nonostante tutti i miei sforzi, quella proposta non riusciva a darmi gioia. Continuai a pensarci intensamente per tutto il viaggio di ritorno, ma più ci riflettevo e più sentivo dentro moltiplicarsi ed ingigantirsi le resistenze a trasferirmi in Kuwait. Dopo pochi attimi di entusiasmo iniziale, quella prospettiva era finita preda della mia immaginazione negativa e delle mie paure. Come nella parabola, il seme dell‟opportunità era caduto su un terreno spinoso, dove lentamente soffocò e si spense, come i fuochi dei farraj al termine di quella cena. Miglia e miglia di deserto grigio, grinzoso come una smisurata schiena di elefante, scorrevano ora sotto la pancia dell‟aereo che mi riportava in Italia, interrotte soltanto a lunghi intervalli da un cerchio perfetto di verde intenso nato intorno al miracolo di un pozzo d‟acqua trivellato a profondità incredibili. Ero 219

Addio a New York certo che quello che mi stava accadendo era il risultato della promessa fatta al Dreamer e del lavoro su me stesso avviato fin dal nostro primo incontro. La mia aspirazione ad una vita più libera, più responsabile, più ricca, come una danza della pioggia, aveva attirato quella opportunità. E ora? Ero più che mai convinto che il più piccolo innalzamento dell‟Essere muove montagne nel mondo degli eventi, che our Being creates our Life, ma mai avrei immaginato che cambiamenti così radicali potessero prodursi con una tale rapidità. La casa che avevo comprato a Chià era ancora fresca di calce e stucchi; l‟erba del prato stava appena cominciando a spuntare e le siepi a crescere. Quella vita, sonnolenta e provinciale, che, dopo New York, tante volte mi era sembrata insopportabile, riacquistò improvvisamente valore ai miei occhi. Le passeggiate con i bambini ai laghi, il gelato sul Lungofiume, le corse sulla neve con Gretchen, perfino quell‟aria asfittica da one-company town, si rivelarono attaccamenti che, senza accorgermene, in pochi mesi, si erano fortemente radicati. Mattone dietro mattone, un‟abitudine dietro l‟altra, avevo costruito un‟altra casa su un ponte, una residenza stabile là dove il Sogno aveva previsto solo una breve sosta prima di riprendere il „viaggio‟ ed andare oltre. Conoscevo Kuwait City. C‟ero già stato più volte per lavoro, ma sempre per periodi brevi. Le impressioni che ne avevo riportato erano limitate alle halls dei suoi moderni alberghi, alle strade polverose, ai Souk affollati, ed a quello che avevo potuto vedere attraverso i finestrini di una limousine, sigillato in una bolla d‟aria condizionata, come in un veicolo spaziale che va attraverso un pianeta inospitale. Nelle poche occasioni in cui mi ero avventurato fuori, avevo sentito il viso trafitto da mille aghi, granelli di silicio roventi trasportati dal vento del deserto. Il deserto in permanenza assedia Kuwait City e incombe come una spada di sabbia sospesa, come un mare sempre pronto ad inghiottire quell‟isola che caparbiamente contende al suo imperio poche miglia di semiciviltà. Dietro l‟opulenza delle torri, oltre l‟intensità dei traffici e la modernità delle sue costruzioni, Kuwait si rivela non una città-stato ma un braccio di ferro instancabile, una partita mortale sempre aperta, tra uomo e deserto. La palla della sua storia rimbalza senza sosta tra età moderna ed un dimentico medio evo retto da usi arcaici e da una giustizia coranica. Un universo bizzarro e polveroso mi si stava aprendo davanti. Un mondo rumoroso come un bazar, dove 220

La Scuola degli Dei avevano trovato modo di convivere in un equilibrio miracoloso, cadillac e cammelli, tende e grattacieli, miserie bibliche e potere finanziario. 9 Fuga nella malattia I miei dubbi più angosciosi e molesti si manifestarono soprattutto al pensiero di abbandonare il lavoro alla ACO. L‟idea di dimettermi e di trasferirmi in quel paese senza le certezze dell‟impiego, mi spaventavano facendomi sentire in balia. E tuttavia, nonostante l‟evidenza, continuavo a mentire a me stesso. Credevo di essere sincero quando mi arrabbiavo contro le apparenti difficoltà e quando accusavo i mille ostacoli che continuamente insorgevano e si amplificavano fino ad apparirmi montagne insormontabili. Ancora non ero neppure all‟inizio di quel lavoro di osservazione, di attenzione ai miei stati, di affinamento dell‟Essere, che il Dreamer mi aveva indicato; né avevo conquistato quel tanto di sincerità per riconoscere che ciò che stava guidando la mia vita, non solo in quella occasione, ma da sempre, era la paura. Oggi sento compassione per quell‟uomo che fingeva con se stesso di riflettere e di ponderare le ragioni a favore e contro, che continuava a mentirsi giorno dopo giorno illudendosi di prendere una decisione che le sue paure avevano da tempo preso per lui. Mi rifiutavo di accettare quello di cui più volte il Dreamer mi aveva accusato: “Tu sei l‟unico vero ostacolo, il più grande nemico della tua evoluzione e la sola causa di ogni tuo insuccesso. Molti anni di autosservazione e molti sforzi ti saranno necessari prima di realizzare che quelle circostanze avverse che ti sembrano oggettive, esterne, indipendenti dalla tua volontà, sono in realtà tue creazioni. Gli ostacoli che incontri sono la materializzazione di un canto interno di dolore che da sempre si leva dalle parti più buie del tuo Essere.” In effetti ero alla ricerca di una scusa che mi fornisse la possibilità di rifiutare ma senza assumermene la responsabilità, lasciando aperta la possibilità un giorno di poterne accusare il destino, le circostanze. Mi aggrappavo a qualunque cosa potesse giustificare la mia rinuncia: i bambini, le loro esigenze di studio, i rischi di quel paese. Feci anche conto sulla ferma opposizione di 221

Addio a New York Gretchen. Dentro di me c‟era un no a quel cambiamento, a quel deragliamento dai vecchi binari. Mi rigiravo in cerca di impedimenti, per poi accusarne il mondo. Alla fine trovai quello che cercavo. Nel passato, prima di incontrare il Dreamer, avevo sofferto di calcolosi al rene destro. Chi avrebbe a cuor leggero preso una decisione così importante come quella di trasferire la famiglia in Kuwait senza un completo check up medico? Mi convinsi che era un fatto di responsabilità, soprattutto verso i figli. Nonostante l‟incontro con il Dreamer e tutto quello che aveva già fatto per cambiare la linea del mio destino, stavo di nuovo per ricadere in quest‟altro terribile solco del mio passato. Fissai l‟appuntamento per una radiografia diretta renale. Era il primo passo. Qualcosa dentro aveva deciso ancora una volta per la malattia. Tornavo a rifugiarmi in quel grembo oscuro dell‟esistenza dove non si compete né si combatte ma si accusa, ci si giustifica e si invoca la commiserazione del mondo. Il cuore si sarebbe arrestato per l‟orrore se avessi allora scoperto che ero io l‟ideatore, il produttore, il regista e l‟attore del film della mia vita, ed in particolare il creatore di quelle immagini che ancora una volta stavo per proiettare sullo schermo del mondo. Come mi avrebbe un giorno detto il Dreamer, l‟ignoranza è una mamma che prudentemente ci lascia la mano un po‟ per volta, solo quando siamo pronti. Se qualcosa non fosse arrivata ad interrompere quel terribile screen-play, i prossimi fotogrammi della mia vita avrebbero mostrato in primo piano il viso preoccupato del medico annunciare che dalla radiografia apparivano piccole ombre nel rene, sempre il destro, e me le avrebbe indicate contro lo schermo luminoso: piccole impronte, come lasciate dalla pressione di dita leggere. Mi sarei visto sbiancare, e poi, una volta a casa, disperarmi, e per gli anni a venire lamentarmi ed accusare il destino, la mia cattiva salute, che „sfortunatamente‟ mi aveva impedito di cogliere quell‟opportunità. Era tutto pronto per la proiezione del mattino dopo. La cosa più terribile era la completa inconsapevolezza di quanto io stessi tramando. Con il mio ultimo respiro avrei difeso la mia buona fede; sarei stato pronto a giurare su quanto avevo di più caro che nulla avrei desiderato di più che ricevere un buon esito dagli esami medici, confermarmi in perfetta salute, e partire per quella nuova avventura. Per fortuna un filo d‟oro ancora mi legava al Dreamer. 222

La Scuola degli Dei Quella sera desiderai più intensamente che mai di poterLo rivedere. Non ce la facevo più. Non avrei potuto resistere ancora a lungo senza il Suo aiuto. Mi sembrava trascorsa un‟eternità dal nostro ultimo incontro. Non trovando altro modo, decisi di scriverGli una lettera. In essa rinnovai solennemente la mia promessa: chiesi di riprendere il „viaggio‟. “…C‟è una parola che in questi giorni ricorre e si presenta insistente alla coscienza. Risale a quanto mi hai detto nel nostro ultimo incontro. La parola è dignità. È questo il punto più dolente della mia vita, quello che più mi è mancato, in ogni situazione, in ogni evento. Ne ho bisogno. Devo produrla, sentirla, diffonderla. So che ha un costo. Sono pronto a pagare. Mi chiedo solo se sono ancora in tempo e se ne ho la forza. Aiutami! “Accanto a Me, nel mio mondo, si vive bene, si è ricchi, si è sani…” Quante volte ci hai invitati. Ma al tuo banchetto mancano i commensali. In un mondo governato dalla menzogna, fatto di uomini pronti a tradire ed a degradare, vedo che ci sei solo Tu a guardia, come il cherubino dalla spada fiammeggiante posto davanti all‟albero della vita… Desidero riprendere il „viaggio‟ e ridare slancio al mio impegno. Ti prego di aiutarmi. Sono mesi che vivo „fuori casa‟. Sento il bisogno di rimettere insieme le parti disperse della mia vita…” Più che scrivere, stavo confessandomi, „leggendomi‟. Quello sforzo di sincerità mi trasformò. Quella lettera non era stata ancora ultimata che era già recapitata. Essa era diretta a me, alla parte migliore di me, a quei pochi atomi di bene, di bello, di vero che ancora pulsavano nel buio del mio Essere; a quella parte di me, tra la moltitudine interna dei dissidenti e degli indisciplinati, che aveva 223

Addio a New York detto sì alla grande avventura. Stavo ancora ultimandola quando scoppiai in lacrime, come per un‟arcana, improvvisa felicità. 10 Il ragno e la preda Mi trovai davanti a Lui. Avevo tanto desiderato rivederLo ma ora sentivo soltanto una vergogna infinita ed un insopportabile senso di colpa. Vergogna e colpa mi contenevano in un mondo denso, dove la forza di gravità era molte volte superiore a quella terrestre. Quello era il mio mondo interiore, quelle erano le leggi sotto le quali, senza esserne consapevole, vivevo tutti i giorni della mia vita. Soltanto lì, in presenza del Dreamer, ne sentivo il peso e l‟orrore che ora mi tenevano il fiato sospeso e lo sguardo schiacciato sul pavimento di quella camera. «Ogni tuo movimento, pensiero o parola, denuncia la tua disposizione a curvare. Segretamente speri di fallire, di ammalarti e smettere di lottare contro un mondo „ostile‟. Come milioni di uomini, hai indirizzato la lotta fuori di te. Per questo ti abbandoni alla sconfitta e ti auguri di invecchiare e morire… L‟hai già fatto troppe volte. È tempo di smetterla… per sempre!» disse e tacque, come a farmi assaporare fino in fondo il sapore amaro di quella verità. Un freddo sudore mi percorse la schiena come ad un annuncio di morte. «Un uomo come te, nell‟oscurità dell‟incoscienza, prepara i suoi disastri, tende a se stesso trappole, rinsalda le proprie prigioni, confeziona ogni suo dolore, disastro, incidente, malattia, con tanta abilità e minuziosa attenzione ad ogni particolare, da poter considerare la sua una vera arte − sibilò il Dreamer nel tono di una minaccia lanciata all‟avversario nel mezzo di un duello mortale − un‟arte buia, inconsapevole, come quella di un mostruoso insetto che trama negli abissi della zoologia. Lì dove l‟uomo è tragicamente il ragno e la preda.» Le Sue parole mi artigliarono l‟anima. Rabbrividii e boccheggiai, come sotto un getto d‟acqua gelida dopo un lungo sonno. Il Dreamer mi stava rivelando che potevo ordinare pietre nel mio rene destro, e fabbricarle a mio piacimento, con la stessa semplicità con la quale avrei potuto chiedere armonia, successo, ed ottenerli. 224

La Scuola degli Dei Era impossibile per me accettare di essere l‟unico artefice del mio mondo. Era questo lo scoglio contro cui si frangeva ogni mio tentativo di capire. Per il Dreamer gli ostacoli che incontriamo sono la materializzazione della nostra incomprensione. Man is his understanding La misura di un uomo è il suo livello di comprensione ed è questo che crea il mondo che merita. La comprensione è un contenimento, un allargamento della visione, una eliminazione di zavorra e di strati di sporcizia. È un atto della volontà. Non può arrivare né essere imposta dall‟esterno. Un uomo non deve cercare il paradiso. Non deve fare nulla per meritarlo. La sola disciplina cui sei chiamato è eliminare l‟inferno, la tua incomprensione. Se il Dreamer non mi avesse preparato per tutto quel tempo e, sia pur con dubbi e disubbidienze, non fossi andato attraverso un lungo apprendistato, non avrei mai potuto sostenere la responsabilità di una tale rivelazione. Ne sarei stato sbriciolato. Pensai a cosa sarebbe accaduto se la scienza ufficiale avesse fatto sua questa verità: l‟uomo, così com‟è, è il solo costruttore dei suoi disastri che prima nascono dentro e poi si manifestano fuori. La scoperta di quanto sia potente, nel bene e nel male, la capacità creativa del nostro pensare, e la realizzazione di quanto il corpo ed il nostro mondo personale gli siano ubbidienti, sarebbero per la civiltà uno shock immensamente più grande della scoperta copernicana. Come questa scagliava l‟uomo ai margini dell‟universo, fuori da un mondo illusorio del quale si credeva al centro, così la visione del Dreamer ne rivoluzionava il destino abbattendo il suo pregiudizio più radicato: la convinzione che esiste un mondo esterno da incolpare, che ci sia qualcuno o qualcosa da accusare per quella continua sconfitta che è la sua vita. The world is such because you are such, abbreviazione massima della filosofia del Dreamer e culmine della Sua visione, conteneva un‟idea così potente da invertire la direzione stessa dell‟esistenza: non più dall‟esterno verso l‟interno ma, viceversa, dall‟interno verso l‟esterno, come ogni guarigione. Il mea culpa 225

Addio a New York cristiano, la fede romana nell‟homo faber, il conosci te stesso dell‟età dei saggi, e le voci di tutte le grandi scuole di responsabilità su cui si erano creati imperi e civiltà millenarie, echeggiarono insieme, possenti e solenni. E sebbene quella visione mi fosse stata più volte annunciata, provai una vertigine del pensiero quando sentii lo schianto della razionalità e della logica divelte dai loro cardini millenari, il loro sovvertimento senza ritorno. Allora mi resi conto che quell‟incontro con il Dreamer stava avvenendo in una parte della Sua residenza che non conoscevo. Non più la camera dal pavimento bianco, né la serra dalle travi possenti, con la piscina centrale e le raffinate sculture, ma un‟ampia mansarda dal soffitto fasciato di legno pregiato, arredata in stile coloniale. Era seduto al centro di un divano bianco cinto di bambù finemente intrecciato, così grande da occupare l‟intera parete. Un quadro in bianco e nero evocava un mondo alla Steinbeck. Fece un‟altra pausa. Sembrò soppesare la mia capacità di poter sostenere quello che stava per dirmi. Nell‟aria, una vibrazione speciale preannunciava l‟importanza cruciale di quel frangente. Ero arrivato ad un altro di quei crocevia dell‟esistenza dove si va oltre o si perde tutto. Ero sull‟orlo di un abisso. Precipitarvi avrebbe significato non rivederLo mai più. Quando riprese a parlare tirai un lungo respiro per farmi forza. «Ogni passaggio è il superamento di se stesso! A guardia dei mondi superiori, delle fasce più alte dell‟esistenza, ci sono esseri mostruosi, nemici millenari, terribili e illusori come le tue paure…» Le Sue parole erano fuoco liquido che mi scorreva nelle vene divorandomi. «Un giorno dovrai affrontarli!» Non potevo muovere un muscolo. Rimasi così, a lungo, immobile. Sentivo su ogni centimetro del corpo la pressione di una forza sconosciuta che vincolava ogni mio movimento. Finalmente, come ad un comando invisibile, mi sentii liberato. Cautamente, avviai i primi movimenti per sgusciare da quella guaina di impotenza e abbandonarla, come una spoglia zoologica. Ora potevo sollevare la testa. Lo feci lentamente. Ancora non osavo dirigere liberamente lo sguardo intorno ma notai che questa volta c‟era una buona luce e potevo vedere con chiarezza ogni dettaglio dell‟ambiente. La fonte di quella luce, ne ero certo, non era il sole. Il nuovo giorno ancora restava fuori, sospeso ai vetri delle finestre più a oriente, senza decidersi ad entrare. In qualche modo misterioso, la 226

La Scuola degli Dei luminosità di quella stanza dipendeva da me! Potevo alimentarla o ridurla, e lo feci più volte, azionando mentalmente un invisibile dimer. Stavo ancora sperimentando questo curioso potere quando un pensiero mi assalì con la forza di una verità devastante. L‟universo dipendeva da me! Come quella stanza, il mondo avrebbe potuto mostrarsi pieno di luce ma restava confinato in un crepuscolo per la mia incapacità di farlo splendere. Questa scoperta mi stava mozzando il fiato. Solo più tardi, quando potei riflettere a mente fredda, sentii tutta la potenza delle parole del Dreamer: The world is such because you are such. L‟uomo è un essere infelice che, circondato dalla perfezione e da ogni abbondanza, guarda il mondo con gli occhi di una rana e si lamenta di ciò che vede. 11 Il cucù dell‟esistenza Mi incontrai con i Suoi occhi dolci e severi; mi sembrò di vedervi passare un‟ombra di apprensione mista a commiserazione. Questo mi spaventò più delle Sue parole. Mi sentii un ammalato che nello sguardo di un amico legge la gravità della sua condizione. Inaspettatamente Gli sentii dire: «Da bambino giocavi a Cucù… » Immediatamente il film della vita srotolò all‟indietro i suoi fotogrammi. Il sole era oro liquido che verniciava smalti e sbrecci dell‟antico terrazzo lasciando sul suo cammino lucertole a bocca aperta, colte di sorpresa ed immobilizzate tra un vaso di basilico ed uno di traboccanti gerani. Uno di noi, a turno, „andava sotto‟, appoggiava al muro un braccino esile esile, vi premeva contro gli occhi e contava. Gli altri correvano a trovare un nascondiglio. Cucù era il grido lanciato a chi veniva preso di sorpresa, scovato, spaventato. «Così fa l‟esistenza… Cucù!» riprese il Dreamer, imitando perfettamente quel suono della mia infanzia e penetrando nel mezzo dei miei ricordi. Tentai di non distogliermi da quelle immagini, per trattenerli ancora un poco, provai a dare un nome ai volti di quegli scugnizzi luminosi, ma essi stavano già svanendo, portando via con sé un profumo incantato d‟infanzia. 227

Addio a New York «L‟esistenza viene a scovarti, dovunque tu sia, e mette la maschera più terribile per rivelare lo stato in cui sei. Di cosa hai paura? Di diventare povero? Di essere abbandonato? Di ammalarti, di perdere una proprietà o il lavoro? Quella è la maschera che l‟esistenza indosserà per spaventarti. Qualunque sia la paura di un uomo, essa si materializza in eventi che egli dovrà incontrare sulla sua strada. Come esami non superati, prima o poi dovrà nuovamente affrontarli.» Non avevo bisogno di ricapitolare mentalmente le mie esperienze per sapere che il Dreamer stava dicendo il vero. E tuttavia resistevo a quelle idee. Mi sembrava aberrante la visione di un meccanismo planetario fatto per mantenere l‟umanità in uno stato permanente di paura, di precarietà, sotto il tallone di una continua minaccia. «Solo sotto minaccia un uomo ordinario può trovare la forza di fugare le ombre, i fantasmi creati dai suoi traumi infantili, dai suoi sensi di colpa… Un uomo reale non ne ha bisogno… Vive perpetuamente in uno „stato di certezza‟» chiarì il Dreamer, e sottolineò l‟espressione con un tono particolare della voce, per evidenziarne l‟importanza. Ero perplesso. Quella che stavo ascoltando mi appariva la teorizzazione di un‟ingiustizia planetaria. L‟umanità sarebbe divisa in due specie: una felice e spensierata, benedetta da un senso di certezza incrollabile, e l‟altra, immensamente più grande, in preda a paure, tremante, in perpetua attesa di problemi e sciagure. Glielo dissi e trovai il Dreamer in una disposizione d‟animo inaspettatamente comprensiva. Nel mondo del Dreamer anche fare una domanda richiedeva cautela e attenzione. In Sua presenza ero continuamente vigile a cosa pensassi, a cosa sentissi, ad ogni più piccolo movimento, a una intonazione, a uno sguardo. Questo trasformava ogni momento accanto a Lui in „lavoro‟ di Scuola. All‟opposto, lontano dal Dreamer, la mia capacità di attenzione si disgregava, attratta in mille direzioni, e con essa tutto il mio Essere si frammentava. «Anche l‟uomo ordinario si sente sicuro; le sue certezze sono le sue paure… i suoi dubbi sono la sua verità. Li ama e non se ne separerebbe per nulla al mondo. Fin dall‟infanzia si è nutrito di paure illusorie, ha mangiato il frutto della sua immaginazione negativa, della sua creatività a rovescio. Perciò scambia le ombre per avversità reali e vive e si sente costantemente sotto minaccia… » 228

La Scuola degli Dei Il Dreamer mi spiegò che la dolorosità di questa condizione a poco a poco non si sente più; essa viene percepita come tutt‟uno con l‟esistenza. Dolore ed insicurezza diventano componenti naturali della vita, ringhiere familiari, rassicuranti ad un punto tale che abbandonarle sarà un‟impresa impossibile per la maggior parte degli uomini. «Feel safe − mi esortò − Fuori non c‟è nessun nemico… In realtà sei sempre tu che minacci te stesso. La gente non si sente mai al sicuro. Anche quando un uomo è ricco e, apparentemente non ha nulla da temere, si sente dubbioso, in uno stato di continua precarietà e vive nella paura, nella incertezza, nel dolore… È la sola occupazione che conosce… un‟attività che governa tutta la sua vita.» «Allora non c‟è rimedio... » «Non ci sono metodi per sentirsi al sicuro − mi disse il Dreamer − non ci sono porte blindate né casseforti o bunker, né ci sono precauzioni che si possano prendere.» Poi recitò: Only a real dreamer can feel safe. Dream is safety. Doubt, fear, sufferings are illusions, but ordinary man‟s sole reality. Chiusi gli occhi e mi lascia cullare dalle parole del Dreamer… provai il senso di sicurezza, di invulnerabilità che solo un bambino sente, nonostante sia circondato da adulti paurosi, ansiosi... Tentai di andare indietro, ancora più indietro, fino a ritornare ad essere un feto ancora nell‟utero. Allora „ricordai‟ quell‟integrità senza scalfitture, quell‟innocenza senza la più piccola separazione, e fluttuai nel liquido amniotico di un oceano di certezza senza limiti. La voce del Dreamer recitò gli ultimi versi: «…To be safe you have to be without sin… without blame…» In un lampo, mi fu chiaro che un uomo può essere attaccato solo da nemici interni. Chi mente, chi simula, chi inganna, una persona peccabile, incerta, dubbiosa… chi ha paura, non ha modo di sfuggire. Sono le sue stesse paure che aprono le porte ai ladri… Mi sentii perduto! …e con me sentii che tutta l‟umanità era perduta, condannata ad una perpetua insicurezza. Chi avrebbe mai potuto farcela? Uno stato di irrimediabile sconforto prosciugò 229

Addio a New York quell‟universo e la sua aridità sabbiosa prese rapidamente il posto del liquido di certezza in cui stavo nuotando. Scivolai verso condizioni dell‟Essere sempre più dolorose e lontane. «Solo un uomo capace di puntare tutto su se stesso, solo un uomo che „vuole‟, che chiede e cerca di cambiare con tutte le sue forze, può farcela − intervenne il Dreamer arrestando quella mia caduta − E anche se agli occhi dell‟umanità ordinaria egli appare un temerario, una persona che vive ad alto rischio, o addirittura un incosciente, un uomo guidato dalla integrità e dalla serietà è costantemente accompagnato da questo „senso di salvezza‟. Solo lui sa che in realtà non sta rischiando nulla. Nel business, nelle imprese apparentemente più temerarie, chi ha questa certezza non può essere attaccato, non può fallire. Qualunque cosa tocchi si arricchisce e moltiplica; sotto qualunque circostanza, anche la più disperata, trova sempre la soluzione. E gli eventi e le circostanze gli danno sempre ragione perché lui stesso è la soluzione.» Continuò a recitare: Feel safe permanently. Be safe and feel immortal right now. Poi, col tono sommesso di chi sta confidando un segreto, disse: «Anche se l‟uomo ordinario si sente costantemente sotto minaccia ed ha sempre paura di qualcuno o qualcosa, in realtà non c‟è nulla e nessuno che può nuocergli dall‟esterno. Il mondo è la proiezione, la materializzazione del nostro Sogno… o dei nostri incubi. Il mondo può essere un paradiso o un inferno. Dove vivere lo decidi tu!» Il Dreamer si fermò per darmi il tempo di annotare queste parole sul mio inseparabile taccuino, poi concluse: «Be free from fear!… Fearlessness is the door to certainty and integrity and yet no amount of effort can make you fearless. Fearlessness comes by itself when you realize that there is nothing to be afraid of.» La rivelazione del Dreamer che nessuna minaccia è esterna mi stava mettendo davanti ad una voragine senza fondo. La prospettiva di vivere senza paura, di sostenere una condizione dell‟Essere che richiedeva uno stato di vigilanza senza tregua, l‟attenzione incessante a filtrare anche il più piccolo granello 230

La Scuola degli Dei d‟inferno, la sentii più minacciosa della nostra trepidante condizione. Aver paura, essere dubbiosi, sentirsi minacciati dagli accadimenti della vita, era l‟unica nostra certezza ed infine, la quintessenza di quello che è considerato uno stato naturale dell‟uomo. L‟idea di una umanità senza paura era ripugnante quanto la prospettiva di vederla trasformata in una nuova razza distante da me e dalla mia concezione di uomo più di una specie extraterrestre. La minaccia alla nostra insicurezza è più spaventosa della paura stessa, come l‟idea della immortalità è più inaccettabile della certezza di morire. Fui assolutamente sicuro che ogni uomo sarebbe stato pronto a sacrificare la sua vita per difendere, per sé e per le future generazioni, il diritto di avere paura e di soffrire. «Dietro ogni dolore, paura, dubbio, incertezza si nasconde un pensiero distruttivo; e dietro un pensiero distruttivo, c‟è la causa delle cause: l‟idea della inevitabilità della morte − riaffermò il Dreamer, e aggiunse − Questo è il vero killer dell‟umanità… l‟origine di ogni sventura dell‟uomo, di ogni guerra e di ogni criminalità nelle civiltà da lui create. La consapevolezza di questo seme di morte nell‟uomo cancellerebbe per sempre la morte fisica dalla sua esistenza. La morte e ogni limite, come ringhiere, mettono l‟uomo ordinario al riparo dallo sconcerto dell‟infinito.» Il Dreamer mi spiegò che il senso di morte che l‟uomo si porta dentro sembra originarsi al momento della sua nascita, anche se in realtà ha origini molto più lontane. Venendo al mondo la prima sensazione dell‟essere umano è quella di soffocare, di venire sopraffatto. Nelle nostre società, cosiddette civili, la vita ha inizio secondo un rituale tra i più brutali, che il Dreamer definì „un vero e proprio benvenuto all‟inferno‟. Partorito nel dolore, accolto dalle luci accecanti di una sala operatoria, dalle voci concitate dei medici e dalle grida della madre, sculacciato e sdraiato su una fredda superficie d‟acciaio, il neonato incontra la paura come prima impressione e dal quel momento, come nell‟imprinting delle oche, la seguirà come la sua vera genitrice. «Da allora nulla ci apparirà più familiare del gusto dolciastro della paura» affermò il Dreamer. Tutta la vita di un uomo ordinario sembra controllata da questo primo attimo, dall‟esperienza di quel fuoco liquido che ha sentito attraversargli i polmoni nel terrificante passaggio da essere acquatico ad essere d‟aria.

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Addio a New York 12 La bottiglia Il tempo trascorse nel più completo silenzio. Tentai di colmarlo immergendomi negli appunti che avevo faticosamente preso. Dentro sentivo crescere un insopprimibile desiderio di saperne di più. Qual era il segreto della paura, dell‟angoscia che ci portiamo dentro? Qual era la ragione di milioni di vite, come la mia, così particolarmente infelici? Il Dreamer sembrò raccogliere nell‟aria queste domande e uscì dal Suo silenzio. Ma le parole che pronunciò furono qualcosa di assolutamente inaspettato. «A New York viveva con una bottiglia d‟acqua sempre a portata di mano» disse in tono accusatorio, a voce alta, come per denunciare questa circostanza a qualcuno alle mie spalle. L‟imbarazzo che provai fu terribile. Il Dreamer stava accompagnando le Sue parole puntando insistentemente entrambi gli indici verso di me, con uno strano movimento dall‟alto verso il basso, come per segnalarmi all‟attenzione di un invisibile testimone. Quel modo di escludermi dalla conversazione diretta mettendo tra noi un osservatore virtuale, mi fece piombare in un doloroso sconcerto. Improvvisamente, le false protezioni, i compromessi, le maschere create e stratificate nel corso di una vita, saltarono una dietro l‟altra, come strati di pelle morta. Persi il controllo dei muscoli del viso e sentii mille espressioni prendere forma in una fast motion di smorfie grottesche. La macchina era impazzita insieme al suo programma di gestione. Fu in quello spazio di libertà, come se il Dreamer le avesse dato la stura, che la memoria di quegli anni prese il sopravvento su ogni altra emozione e le immagini cominciarono a fluire. Di primo acchito, quei ricordi mi fecero l‟impressione di essere i frammenti della vita di un altro. Per prevenire il formarsi dei calcoli i medici mi avevano consigliato di bere molto. Tenere una bottiglia d‟acqua sempre vicino divenne nel tempo un‟abitudine. La bottiglia si trasformò in una specie di protesi, un‟appendice di cui non avrei osato fare a meno. Uno dei primi effetti dell‟incontro con il Dreamer, della corsa al mattino e dell‟applicazione dei Suoi princìpi alla mia vita, fu la sparizione di tanta zavorra psicologica e, con questa, anche della bottiglia. «La tua malattia non è la calcolosi, ma la dipendenza. I calcoli sono solo un sintomo, segnali indicatori per risalire alla vera malattia, per trovare la via della guarigione.» 232

La Scuola degli Dei Mi disse che quando non li ascoltiamo, e non seguiamo il percorso a ritroso verso la vera causa, la malattia si acutizza e i sintomi diventano ancora più assillanti e dolorosi. Su Sua indicazione non bevvi più se non pochissimo, e gli inconvenienti al rene diventarono un lontano ricordo. Rivedendo scorrere le immagini sullo schermo della mente, mi stavo chiedendo perché avesse rivangato proprio quell‟episodio della mia vita. Improvvisamente scattò un meccanismo recluso e fui catapultato in una memoria senza tempo, verticale al piano di quei ricordi, nell‟eternità di uno di quei miei stati d‟Essere. Entrai nei pensieri angosciosi di quegli anni. Ricordai che la perdita di quella schiavitù, la libertà dalla tirannia della paura che aveva reso inseparabile da me la bottiglia d‟acqua, non mi diede gioia né provai sollievo. Anzi! Penetrando in un atomo di quel passato, scoprii che quella nuova libertà ebbe per me il sapore di una perdita irrimediabile, come il venir meno di una persona cara o il verificarsi di un crack finanziario. Ora ricordavo molto bene che la cosa più difficile fu sopportare il vuoto lasciato dalla guarigione. La perdita, sia pure temporanea, della paura, dell‟angoscia di ammalarmi, la sentii come la caduta di una protezione vitale, l‟abbandono di vecchie, familiari ringhiere. 13 I veri poveri La voce del Dreamer mi fece sussultare e mi riportò al mio compito di cronista. «Togliere ad un uomo che non è pronto un problema o una malattia è come disattivargli il sistema di allarme o eliminare un provvidenziale riduttore di velocità. Se non è preparato, le conseguenze sono imprevedibili. Potrebbe trovarsi in condizioni più gravi di quelle precedenti. Per questo un uomo non può essere aiutato dall‟esterno. Tolta una malattia o una preoccupazione, immediatamente la dovrà sostituire con un‟altra malattia o un‟altra preoccupazione, spesso acutizzate, ripristinando, come una perfetta macchina omeostatica, le condizioni che gli corrispondono nell‟Essere.» Il Dreamer mi stava svelando il segreto di un comportamento che riguarda la massa degli uomini. Un meccanismo psicologico di 233

Addio a New York estensione planetaria è sotto i nostri occhi da sempre eppure il suo funzionamento appare ancora inspiegabile. Gli uomini hanno difficoltà ad abbandonare le loro sofferenze, le paure, l‟incertezza. Ecco di che cosa sono ricchi. Sono questi i possessi cui essi sono attaccati come ai loro beni più preziosi e che impediscono di andare oltre. La ragione che mi diede il Dreamer è che l‟umanità li percepisce come scudi protettivi. “ … vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi. Udito questo il giovane se ne andò triste; poiché aveva molte ricchezze”. Finalmente, nella trama di quella storia, la parabola del giovane ricco, come attraverso una filigrana, vidi il brillio dell‟intelligenza che l‟aveva creata. Il tesoro custodito per venti secoli in quelle straordinarie parole si mostrava nel suo abbagliante splendore. La spiegazione di quanto era avvenuto al Veronica‟s arrivò improvvisa e mi folgorò. Quello che il Dreamer aveva veramente chiesto agli uomini e alle donne riuniti a quella cena non era di abbandonare le loro ricchezze ma la loro povertà. In realtà stava indicando loro come entrare in zone più alte dell‟esistenza. Mettete qualcuno al vostro posto, aveva detto. Ecco il significato del discorso al giovane ricco: „vendi quello che possiedi e dallo ai poveri‟. Ecco chi erano i poveri cui si riferiva il Vangelo. Date quello che avete a chi sta aspirando a prendere il vostro posto. Vi accorgerete che tutto quello che possedete, a cui siete attaccati più della vita, è povertà rispetto a quello che sta per arrivare. Per un particolare meccanismo che il Dreamer mi illustrò approfonditamente, nel nostro universo tutto quello che non si evolve degrada. Anche nelle nostre vite di uomini, ad ogni istante non ci sono che due possibili direzioni: o verso l‟alto o verso il basso. Il Dreamer chiamò questa „la legge dell‟evoluzione‟ e mi precisò che, applicandosi a singoli individui come ad organizzazioni, nazioni ed intere civiltà, la sua validità è universale. Senza una spinta verso l‟alto, senza l‟energia speciale dell‟aspirazione ad essere di più, la vita curva su se stessa e degrada. Mi fece riflettere sull‟emblematicità del caso della Chiesa che in certi periodi della sua storia, non riuscendo a trovare l‟energia per innalzarsi ad un ordine superiore, ha curvato e curvato su se stessa, discendendo di ottava in ottava fino al punto di prendere una direzione opposta a quella iniziale. Fu così che poté trasformarsi 234

La Scuola degli Dei nella negazione di se stessa, diventare idolatra, superstiziosa e perfino criminale; arrivare ad inventare la santa inquisizione, le auto da fé e le crociate, continuando paradossalmente a chiamarsi ed a credersi ancora cristiana. I ricchi del Vangelo, condannati a restare al di qua della cruna dell‟ago, fuori dalle porte del Regno, non sono i Paperon de‟ Paperoni che navigano nell‟oro dei loro forzieri, ma gli uomini appesantiti dalla zavorra delle emozioni negative, dai loro attaccamenti, dai sensi di colpa; curvi sotto il peso della paura, sia di vivere che di morire. Mi apparve con chiarezza il disastro prodotto dalla interpretazione a rovescio di questo messaggio che nei secoli ha alimentato in milioni di uomini il vittimismo e la propensione alla scarsità. Pensai all‟attitudine della Chiesa che commiserando, giustificando, e talvolta esaltando la povertà, l‟ha inconsapevolmente perpetuata, rendendo più difficile il suo sradicamento dalla coscienza dell‟uomo, e quindi dalle sue società. 14 La paura è amore degradato «La paura è una droga che circola da sempre nelle vene della tua esistenza. Non è paura di qualcosa. È paura e basta – affermò – Ormai ne sei assuefatto. Le condizioni che un uomo incontra nel mondo degli eventi, sono utili per rivelare quello che ha cercato di sfuggire, di non vedere dentro di sé. Il male, l‟accidentalità, per chi non ha una Scuola, sono disavventure. Per chi ha una Scuola sono strumenti di lavoro per riconquistare l‟integrità perduta, e capire. Allo stesso tempo, sono sintomi, bip di allarme sulla sua vera condizione. Contrariamente a quello che un uomo crede, prima viene la paura, poi scegliamo di cosa aver paura.» Dubbi, paura e dolore definiscono presto nella vita di un uomo comune i limiti delle sue possibilità; uno spazio ipnotico, irreale, entro i cui confini egli si sente sicuro come tra le pareti massicce di un bunker, metà rifugio, metà prigione. «L‟abbandono della paura è il primo passo verso l‟integrità, verso l‟unità dell‟Essere – completò il Dreamer – sulla paura non si costruisce niente né si può aggiungere intelligenza. L‟assenza di 235

Addio a New York paura è la prima legge del guerriero. La paura ti fa dipendere da un impiego e ti spinge a rifugiarti nella malattia, come hai già fatto in passato.» La voce del Dreamer assunse il tono di una burbera esortazione quando mi ordinò: «Trasforma la paura in opportunità!… L‟uomo ha due soli sentimenti: la paura e l‟amore. Essi non sono opposti tra loro… Sono la stessa realtà su piani diversi dell‟Essere… La paura è l‟amore degradato, l‟amore è la paura sublimata.» Mi diede il tempo di annotare queste ultime frasi e prima di continuare si accertò che le avessi riportate fedelmente. «La paura è la morte dentro. L‟eroe è l‟uomo in assenza di paura, in assenza di morti interne. Eroe, da eros, amore, a-mors, significano immortale. Chi non ha morte dentro non può incontrarla fuori. Eroe è un grado della scala umana che non si guadagna nel clamore della battaglia ma in solitudine, vincendo se stesso. La battaglia serve solo a rendere visibile quello che l‟eroe ha già conquistato nell‟invisibile. La sua invincibilità, l‟invulnerabilità, è semplicemente la prova del nove di qualcosa che è già accaduto nell‟Essere, la cartina di tornasole della sua vittoria sulla morte.» Il Dreamer lasciò trascorrere una lunga pausa. La utilizzai per completare e ritoccare gli appunti. Sentivo la preziosità del materiale raccolto e la grandiosità delle rivelazioni del Dreamer che proiettavano una luce abbagliante sui meccanismi più segreti e sulle zone più buie della nostra psicologia; su tutto quello che fa di noi una specie menzognera, paurosa, mortale. Quando riprese il Dreamer si allacciò alla questione del Kuwait, alle mie paure di lasciare il lavoro e trasferirmi. «Andare in Kuwait è importante per te. Esternamente è l‟inizio di una strada imprenditoriale, interiormente è un primo passo verso il superamento di uno stato di apnea, di una condizione stretta dell‟Essere in cui stai indulgendo da troppi anni.» «L‟imprenditore è già un uomo in cammino verso il Sogno – disse con voce vibrante, il tono era dolce – è un ribelle capace di mettere in gioco reputazione e mezzi per modificare la realtà, per rompere schemi ed equilibri preesistenti e crearne altri più vantaggiosi… Mettere insieme altri uomini, prendersene la responsabilità, trasmettergli entusiasmo, contagiarli con il proprio Sogno, possono chiamarsi caratteristiche imprenditoriali… esse 236

La Scuola degli Dei sono in realtà qualità dell‟Essere… per accedere ai gradini più alti nella scala della responsabilità umana.» Sentii l‟angoscia crescermi dentro senza controllo. Avvertii l‟inconfondibile malore di una colica renale, quando l‟Essere viene pervaso come da un‟ombra ed il mondo interno si oscura. Non c‟è un‟altra sensazione così precisamente a metà tra il dolore fisico ed il dolore psicologico. Istintivamente portai la mano sul rene destro. Avrei voluto farGli presente i miei timori sul ritorno di quel male che speravo fosse scomparso per sempre, ed avrei voluto dirgli degli esami medici cui stavo per sottopormi. «Smettila di essere un bugiardo – disse bruscamente – sei della specie peggiore, quella degli uomini che mentono a se stessi: gli ipocriti… La malattia non esiste. Il corpo non si ammala mai. Può solo mandare segnali, produrre sintomi, per informarci di che cosa manca nell‟Essere… Le malattie non esistono, esistono soltanto guarigioni…» Poi con premeditata lentezza, scandì: «All healing is a release from fear… Ogni guarigione è libertà dalla paura. Una volta libero dalla vera causa anche i sintomi scompariranno.» Caddi nel più completo sconcerto. L‟annuncio che la malattia come la salute dipendevano solo da me e che la dipendenza, la paura, erano i fabbricatori dei miei calcoli mi sprofondò in pensieri che si allargarono dentro in cerchi sempre più ampi fino a perdermi. «Finora hai vissuto da dipendente – disse in tono ruvido, sottraendomi a una rovinosa caduta nell‟autocommiserazione – ed hai la malattia degli irresponsabili. Chi si ammala di reni ha paura e per questo dipende… Ammalarsi di reni significa che ci sono problemi di comunicazione, innanzitutto con se stesso e poi con gli altri.» Al momento queste affermazioni del Dreamer mi apparvero oscure e mi lasciarono scettico. Solo molti mesi dopo avrei scoperto che culture ancestrali già sapevano che nel nostro cielo interno brillano e roteano stelle e galassie, che i pianeti che formano il sistema solare sono associati analogicamente agli organi corporei. L‟antichità classica associava il fegato a Giove, il cuore a Marte, la milza a Saturno, i polmoni a Venere. In quest‟ultima associazione trovai conferma che il respiro è connesso alle emozioni, all‟amore, inteso come a-mors, assenza di morte. 237

Addio a New York Attraverso il respiro ed i suoi organi si possono controllare le emozioni, si può combattere la paura. Nelle convinzioni della classicità trovai anche conferma di quanto mi aveva già anticipato il Dreamer: i reni sono connessi a Mercurio, l‟alato messaggero degli dei, e quindi alla comunicazione. Ma queste scoperte sarebbero arrivate solo dopo. Per il momento ostentavo un aperto scetticismo e chiesi: «Come mai allora la comunicazione mi è congeniale ed ho sempre lavorato in settori dove più intensa è questa attività?» «Proprio così – confermò il Dreamer tagliando corto – quelli che si ammalano di reni sono attratti dalle attività di comunicazione e si impegnano in esse proprio per bilanciare questa incapacità… questa assenza di connessione, di comprensione… di comunione.» Poi, col tono di passare a quello che più conta, disse: «Le tue paure hanno fatto dell‟azienda che ti paga un idolo mostruoso che riflette la tua dipendenza… hai trasferito fuori di te il Sogno... l‟hai barattato con uno stipendio e false sicurezze, riducendoti in uno stato di schiavitù… Chi dipende è già nella fossa fino al collo.» «La verità è che, come milioni di persone, hai già deciso di eliminarti» aggiunse con una stoccata finale. A quelle parole sentii un senso di feroce ribellione, un risentimento vicino all‟odio che, per il suo insorgere improvviso e per la sua violenza, spaventò me per primo. Le Sue parole avevano toccato una terminazione nervosa, avevano messo allo scoperto quella parte di me più nascosta che, nel buio, ciecamente, stava guidando la mia vita. D‟un tratto, com‟erano insorti, quel risentimento, quel senso di ribellione, sparirono come fantasmi dell‟Essere. Dietro di essi, più profondamente, trovai resa e gratitudine. Qualcosa in me, più vera e sincera di ogni altra, sapeva che chi incontra il Dreamer incontra la guarigione. «Vai in Kuwait – ordinò paternamente con inattesa dolcezza – Accetta quel lavoro e vivi la vita di un imprenditore... comincia a respirare le prime boccate di un‟aria più dolce… ti servirà ad abbattere le barriere che ti hanno impedito di accedere a stati superiori di responsabilità... Remove your inner obstacles to growth and all your personal, social and economic problems will dissolve. Paura e dipendenza sono la stessa cosa. Si dipende perché si ha paura e si ha paura perché si dipende. Non c‟è guerra più santa che combattere e vincere questo limite… sconfiggere la paura e strapparsela dall‟Essere…» 238

La Scuola degli Dei Qui si fermò; ebbi l‟impressione che stesse valutando l‟opportunità di fornirmi un‟ultima informazione. La sua immagine cominciava già a perdere i contorni, quando disse: «In Kuwait incontrerai uomini e donne che sono cellule preziose del Progetto.» 15 The solution comes from above Il giorno dopo annullai l‟esame radiologico e accettai la proposta di Yusuf Behbehani. Il Dr L., capo del personale dell‟ACO, fu molto sorpreso nel ricevere le mie dimissioni contenute in poche righe formali, e volle vedermi. L‟avevo già incontrato in più occasioni. L‟impressione che ne avevo ricavato era quella di un capo severo, altezzoso. Ma questa volta l‟incontro fu diverso. La sua vita mi si dispiegò davanti d‟emblée, come se il suo passato ed il suo futuro si comprimessero in quell‟istante. „Vidi‟ il suo rapporto con la moglie, con i figli, con l‟esistenza. Il Dr L. rappresentava l‟emblema stesso di una carriera orizzontale, apparentemente di successo ma in realtà guidata dalle stesse paure, dalla dipendenza e dall‟infelicità che avevano connotato la mia vita. Una volta presa la decisione, la visione si era fatta lucida, tagliente come una lama. „Vidi‟ negli occhi di chi era stato il mio capo il riflesso delle mie insicurezze, la pochezza della condizione impiegatizia, l‟asfissia di quella descrizione del mondo. „Vederlo‟ e sentirmi libero fu tutt‟uno. Ero libero perché „vedevo‟, „vedevo‟ perché ero libero. Riconoscermi in quest‟uomo, scrutare la mia immagine riflessa in ogni sua attitudine o parola, fu come poggiare il piede su un gradino e andare oltre. Non avrebbe mai più potuto essere il mio capo. Era bastato innalzarmi di un millimetro nella verticalità per „comprendere‟ in un istante tutta l‟esistenza di quell‟uomo: studi, carriera, relazioni. La sua vita affettiva, quella professionale, le apparenti vittorie e gli insuccessi, e tutto quello che poteva credere di sapere e quello che credeva di possedere, d‟un colpo fu contenuto. E fui libero. In tutto l‟Essere sentii l‟affrancamento dalle vecchie catene. Mi apparvero allora assurdi come credi idolatri la devozione alla scarsità di tutti gli uomini, la generale venerazione per tutto ciò che è sofferenza, la nostra affezione alla menzogna, la nostra fede incrollabile nella inevitabilità della morte. L‟incontro con il Dr L. 239

Addio a New York era stato un duello tra il vecchio ed il nuovo in me. Una sola esitazione e sarei stato disarcionato e ricacciato nell‟erebo della dipendenza. Ma come in una tenzone medioevale, nel mondo dell‟invisibile era registrata la mia vittoria. Fui pervaso da una felicità nervosa, selvaggia, di chi ha appena superato una sfida mortale. Quando ci lasciammo, sulla soglia del suo ufficio, ebbi l‟impressione che anche gli occhi del Dr L. esprimessero soddisfazione per il mio passaggio. Il nostro incontro aveva dato anche a lui un respiro di libertà e per qualche attimo l‟aveva fatto uscire dalla prigione del suo ruolo. Realizzai che tutta l‟umanità, come un unico organismo, sa e prova gioia per una sola cellula che guarisce e annuncia la nuova specie. Realizzai che in tutti quegli anni la ACO Corporation non aveva rappresentato soltanto un lavoro e una fonte di reddito, ma una protezione e la rappresentazione tangibile di una condizione di dipendenza. Era tempo di girare pagina. In pochi giorni chiusi la casa, mandai i bambini accompagnati da Giuseppona dai nonni materni per qualche settimana. Ero pronto a trasferirmi a Kuwait City, la città-stato galleggiante sul suo oro nero, ma ormai anche una frontiera del Business mondiale e uno dei centri finanziari del pianeta. Anche in questa circostanza ritrovai Giuseppona al mio fianco. I suoi occhi brillavano per l‟eccitazione. Ancora una volta era pronta. Stava accogliendo anche questo cambiamento, e la prospettiva di vivere per anni in Medio Oriente, con l‟entusiasmo di una bambina. «Fai presto, figlio!» disse abbracciandomi. I bagagli erano stati caricati e Giorgia e Luca erano già sull‟auto pronti a partire. «Trovaci una bella casa… Non sto nei panni di vedere il deserto… Me l‟immagino come una spiaggia un po‟ più grande di Licola… E poi ho voglia di incontrare qualche principe arabo… » Il buonumore di Giuseppona era insopprimibile e contagioso. Grazie a lei, quell‟addio ai bambini fu luminoso. La promessa di riunirci presto mi rese più forte e ancora più determinato nell‟affrontare questa svolta cruciale. Il Dreamer mi ricordava costantemente che il Sogno è la cosa più reale che ci sia e che l‟arte del sognare è un innalzamento dell‟Essere che permette di accedere al mondo delle soluzioni. 240

La Scuola degli Dei «Nel mondo degli eventi, nel mondo degli opposti, non puoi incontrarti con la soluzione. La soluzione non è sullo stesso piano del problema. Solution comes from above and not in time! Bisogna sapere come entrare nel mondo delle soluzioni. Quando ti innalzi nell‟Essere tutto quello che ti era apparso nebuloso diventa chiaro e gli apparenti problemi che sembravano montagne insuperabili si rivelano lievi gibbosità… » Queste parole mi fecero riflettere su una questione vitale, su un fatto che è sotto i nostri occhi eppure continua ad eludere ogni analisi, ogni nostra indagine: in tutta la storia del mondo i problemi non sono mai stati risolti! Al massimo sono stati trasferiti nel tempo o nella geografia, rinviati al futuro o spostati in un altro paese. I cambiamenti della storia dell‟umanità, e le soluzioni trovate nel tempo ai suoi immani problemi, sono perciò solo apparenti. Quei problemi sono ancora esattamente così com‟erano millenni addietro. L‟umanità non li ha risolti ieri con le mani nude e le selci e non riesce a risolverli oggi con le più avanzate tecnologie. «Ma certamente molti mali li abbiamo alleviati, siamo migliorati… » «Tra le abitudini più nocive ed inveterate dell‟uomo c‟è quella di parlare sempre di miglioramento, e crederci. Il linguaggio comune è infarcito di parole come evoluzione e progresso; ma tutto resta così com‟è. Migliorare è impossibile − concluse seccamente il Dreamer − Credere di potersi evolvere e migliorare fa parte delle superstizioni della vecchia umanità. È una fede bigotta e cieca.» Da millenni non succede nulla. I problemi planetari, dalla povertà alla criminalità, fino alla conflittualità e alle guerre, sono gli stessi di sempre, nell‟età della pietra come nell‟età digitale. «„Migliorare‟ è la parola d‟ordine di chi vuole lasciare tutto com‟è; di chi indulge in un modo di pensare obsoleto, privo di vitalità.» Credere che il mondo possa essere migliorato dall‟esterno è la convinzione fideistica di un‟umanità che non ha la forza di affrontare alla radice il suo male. Occorre una rivoluzione del pensiero. Un capovolgimento. Per cambiare la realtà bisogna cambiare il Sogno. Solo l‟individuo può farlo. Il tempo curva, e l‟uomo e tutte le civiltà da lui create curvano e degradano con una ciclicità che li riporta sempre al punto di partenza, al passato, mentre hanno l‟illusione di andare verso il futuro. La soluzione, nella vita di un uomo come nella storia di una 241

Addio a New York civiltà, non è quindi mai nel tempo ma in un „tempo verticale‟, in un tempo senza tempo, in un innalzamento della qualità del pensiero che può avvenire solo in questo istante. «Solo gestendo l‟attimo sospeso tra il nulla e l‟eternità l‟umanità potrà modellare il suo destino, creare eventi di ordine superiore.» Com‟era già accaduto in tutte le fasi della mia vita guidate dal Dreamer, da quel momento ogni cosa assunse le proporzioni più giuste e prese puntualmente il suo posto, come nell‟incastro dei pezzi in un gioco perfetto. La decisione, una volta presa, diede un taglio netto a situazioni che da troppo tempo stagnavano e nelle quali stavo indulgendo. «First thing first! Appena metti avanti a ogni altra la cosa più importante di tutte: il Sogno, la tua evoluzione… quando ricordi Me… un senso di discriminazione emerge... sai con certezza che cosa fare e che cosa non fare… Quando cominci ad autosservarti, a conoscerti, tutto quello che è giusto comincia ad accadere e tutto ciò che non fa parte del Sogno, tutto ciò che è inutile, superfluo o dannoso, inizia a dissolversi.» La veridicità di queste parole la riscontravo ogni attimo, la toccavo con mano. Quello che faceva parte del passato si stava semplicemente sgretolando, senza nessuno sforzo, e senza nessun rimpianto o tentativo da parte mia di trattenerlo. Come Noè, potevo portare con me solo i „semi‟ del mio nuovo mondo. Apparentemente stavo abbandonando la sicurezza dell‟impiego, un equilibrio familiare, la casa, per un‟avventura imprenditoriale in un paese lontano. Soltanto gli anni accanto al Dreamer, il lungo lavoro di autosservazione, la Sua presenza, mi facevano vedere che quello cui stavo veramente rinunciando erano la menzogna e la dipendenza che ancora mi spingevano a credere nelle certezze di un „lavoro sicuro‟, nella protezione, nell‟aiuto del mondo esterno. Gretchen incarnava in modo esemplare quella descrizione del mondo, ne era la rappresentate e la custode fedele, sempre attenta ad alimentarla ed a perpetuare quel modo di pensare, di sentire, di concepire la vita. Quando arrivò il momento, come prevedevo, non se la sentì di lasciare le Alpi per le sabbie del Medioriente. Quella donna e tutto ciò che rappresentava non potevano seguirmi. Si stava ripetendo esattamente quello che era avvenuto con Jennifer. Ogni volta che dicevo di sì al Dreamer era la morte di un mondo di falsità, 242

La Scuola degli Dei di compromessi e di ipocrisie. Le mie certezze erano per Lui vecchiume da barattare al più presto con qualcosa di prezioso, per me ancora invisibile. Quei cambiamenti così radicali, apparentemente improvvisi, erano solo l‟effetto di un millimetro di comprensione fatto in anni e anni di sforzi. Nonostante questo, ci sarebbero voluti altri anni di preparazione e la caduta in ancora tanti errori prima di poter andare oltre e fare entrare più in profondità le Sue parole. Dando più spazio ai princìpi del Dreamer, Gretchen non poteva che dissolversi insieme a tutte le insincerità e ai fantasmi della mia vita. Ritornò a New York, le sue lettere si diradarono e non ci vedemmo mai più. Gli idoli che avevo adorato, le cose in cui più fermamente avevo creduto stavano crollando. Ogni priorità fu sovvertita. La carriera, la famiglia, il denaro, l‟intero set dei valori, stavano prendendo forme nuove. Qualcosa di straordinario stava penetrando nella mia vita. Qualcosa di gentile, di sincero, di vero, si stava facendo spazio, con semplicità.

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La Scuola degli Dei CAPITOLO VI

A Kuwait City 1 Questa è economia! Mi appoggiai all‟indietro contro lo schienale della poltrona e stiracchiai le gambe sotto il lungo tavolo di mogano. Era stata una giornata intensa, piena di impegni, come accadeva ininterrottamente da mesi. Avevamo lavorato in un festoso disordine, con gli uffici ingombri di scatoloni con le nuove attrezzature e i mobili arrivati dall‟Europa. Le torri gemelle dell‟Al Awadi Center, dove avevo trasferito il quartier generale, erano silenziose a quell‟ora della sera. Il ronzio dei condizionatori era monotono e rassicurante come le fusa di un grosso gatto meccanico. Nel buio Kuwait City era una manciata di diamanti tra le spire delle Ring Roads, le sue tangenziali concentriche. L‟unica autostrada del paese allineava le sue luci verso i pozzi, poche miglia a nord-ovest. Lì ansimavano le grandi pompe estrattive, teste di sauri smisurati emergenti da oceani minerali vecchi di milioni di anni. Benché fosse sera la temperatura all‟esterno doveva essere ancora insopportabile; quel giorno aveva superato ogni record. Sorrisi al pensiero del decreto dell‟Emiro che aveva ordinato la sospensione immediata di ogni attività lavorativa a temperature superiori ai 40°. Da allora i termometri ufficiali smettevano di registrarle risolvendo così il problema del costo di quel divieto. Con il trasferimento degli uffici e dei reparti di assistenza tecnica nel complesso commerciale delle Al Awadi Towers, l‟impresa che avevo avviato in Kuwait era entrata nel pieno della sua operatività e stava diventando una delle attività più produttive tra i numerosi business della holding Behbehani. Avevo selezionato da ogni angolo d‟Europa, e qualcuno dagli States, i dirigenti e i tecnici più qualificati per questa impresa. Ed altri arrivavano, man mano 245

A Kuwait City che il continuo sviluppo delle attività lo richiedeva, nel clima eccitante che accompagna la conquista di nuove frontiere. Con ognuno di loro avevo sottoscritto un contratto che li impegnava a una permanenza in Medio Oriente di almeno tre anni. Non era stato facile trovarli, sceglierli, ma soprattutto motivarli a trasferirsi a Kuwait City. Questo piccolo esercito di expatriates aveva mille problemi e infinite necessità: dai visti all‟alloggio, dal trasferimento dei mobili all‟adattamento delle famiglie, all‟educazione dei figli, etc. Trascorrevo giorni e notti ad organizzare, a pianificare tutto il necessario per il buon andamento di quell‟impresa e per il benessere di tutti quegli uomini di cui mi sentivo responsabile; ma non riuscivo mai a soddisfarli. Ora che ero il capo, avrei voluto fare per loro quello che avrei desiderato per me quando occupavo il loro ruolo. Tra lingue, nazionalità e professioni avevo messo insieme una piccola torre di Babele, un corpo multiforme, felicemente eterogeneo, che ogni giorno cresceva seguendo il disegno di una gestazione perfetta. Ogni elemento ed ogni uomo si aggiungeva naturalmente andando ad occupare il posto giusto nella trama di quel tessuto a maglie fitte. Arrivai presto a sentire questo team come un‟estensione di me stesso. Mettersi al servizio di quegli uomini, lavorare per il loro benessere, significa ricordare costantemente i princìpi del Sogno… Il tuo cambiamento li farà più vivi, più responsabili, più liberi. L‟integrità del leader è la soluzione. Questa è economia! Ora, solo con i miei pensieri, ripassavo mentalmente quelle Sue parole. Un profumo d‟infanzia impregnò l‟aria. Sentii la leggerezza di una festa. Passai mentalmente in rassegna tutti gli uomini e le donne che lavoravano per me. Rividi i loro visi mentre riascoltavo le parole senza tempo del Dreamer: “Curarli, servirli e amarli è il compito di un vero leader. In una organizzazione anche la più lontana delle cellule deve essere curata perché evolva ed acceleri il suo progresso.” 2 Dimenticare il Sogno In quei mesi di costruzione, intensamente assorbito dalla mia nuova vita, dimenticai le raccomandazioni del Dreamer e persi la 246

La Scuola degli Dei miracolosità del gioco. Per periodi sempre più lunghi vissi in apnea, senza respirare l‟aria pura del Suo insegnamento, dimenticando la mia ricerca. Preoccupazioni ed affanni che allora scambiavo per indicatori ed effetti insopprimibili della responsabilità, mi ingabbiarono fino a credere che tutto dipendesse dalle mie decisioni, dalle mie scelte strategiche. «È già tutto fatto − tentò ripetutamente di avvertirmi il Dreamer, presagendo il cammino disastroso verso cui avviavo i miei passi − È già tutto fatto. Devi solo raccogliere…» Ma queste parole cadevano nel vuoto, anzi si infrangevano contro i bastioni della mia presunzione. Ero convinto che i successi crescenti delle attività che dirigevo fossero il risultato naturale di capacità e doti che mi appartenevano da sempre. Le mille situazioni del business, con tutte le sue apparenti trappole e agguati, le lotte per affermarsi e vincere, mi tenevano sempre più dolorosamente teso, preoccupato, triste. Ricordo che una sera, avviandoci a una cena al Riccardo, passammo lungo la corniche. Vi scorreva il traffico più fantasioso del mondo, con Bentley e Ferrari che procedevano accanto a vecchie Mercedes e pick-up bardati come cammelli da parata. Facevo fatica a sentire quello che mi stava dicendo il Dreamer. Improvvisamente ogni rumore cessò. Come a un comando invisibile, le macchine si accostarono al marciapiedi o si arrestarono nel mezzo della strada. Tappeti da preghiera si srotolarono in direzione dell‟Al-kaba ad accogliere le genuflessioni di centinaia di automobilisti trasformati per magia in un popolo di oranti. Sotto il cielo che si infittiva di stelle, il lungomare era diventato una immensa moschea. In quel silenzio la voce del Dreamer mi raggiunse con una intensità indescrivibile. «Questi uomini stanno facendo il tuo stesso cammino. Si genuflettono cinque volte al giorno e pregano per raggiungere il tuo stesso scopo. Ma il paradiso in cui credono non verrà mai. Il paradiso è uno stato d‟Essere… l‟aldilà è questo mondo in assenza limiti. La religione con i suoi rituali di massa è illusoria…» Più tardi quella sera, colsi il momento opportuno e Gli chiesi di dirmi di più. Mi spiegò che religioni, ideologie e scienze sono ponti da attraversare, da trascendere e abbandonare. Una volta esaurito il loro compito, dovremmo liberarcene; ma per il nostro indulgere, esse si trasformano in prigioni di dogmi e superstizioni, in trappole mortali. Per un‟umanità così com‟è, aggressiva, 247

A Kuwait City conflittuale, per gente che lasciata a se stessa si distruggerebbe, la religione è uno strumento di controllo sociale, di prevenzione e di contenimento della criminalità, insieme a tribunali, sceriffi e prigioni. «Ricorda il tuo scopo − concluse − Se veramente vuoi trasformare il tuo destino in una grande avventura ricorda i princìpi del Sogno… L‟indulgere dell‟umanità in emozioni negative e in pensieri distruttivi è la vera causa di tutti i suoi guai. Sii vigile! Non permettere internamente neppure un atomo di dolore. Usa qualsiasi mezzo ma chiudi all‟istante ogni tua ferita mortale!» Nonostante la presenza del Dreamer e le Sue raccomandazioni, immancabilmente mi trovavo a ripercorrere i vecchi solchi di un‟esistenza infelice. Ricordo che anche quella volta il Dreamer fu costretto a concludere il nostro incontro con una minaccia. «Fai la tua rivoluzione! − intimò − o un giorno ti ritroverai a genufletterti con questa folla sperando di propiziare una divinità fuori di te.» Poi in un sussurro, feroce come il soffio di un grosso predatore, aggiunse: «Cambia! O dovrò sostituirti con chi è più pronto di te.» La pressione del lavoro aumentava ogni giorno col crescere dell‟impresa e l‟espandersi delle sue attività. Di notte mi svegliavo con il cuore in tumulto e restavo a lungo insonne. Provvidenzialmente, ogni tanto, come un raggio di sole che penetra tra le grate di un carcere, il ricordo del Dreamer veniva a darmi respiro. Allora una breccia si apriva in quel muro di dimenticanza. Per qualche istante, riuscivo a riconnettermi al Sogno. Avrei voluto non abbandonare più quel luogo nell‟Essere, quell‟isola senza tempo dove non c‟erano preoccupazioni, incertezze né ansietà. Ma quello stato durava un battito di ciglia. Paure e dubbi, allontanati per poco, ritornavano ancora più forti di prima. Mi sentivo soffocare. Allora una nausea mi invadeva e la mente ritornava in balia di un esercito di pensieri oscuri. Quella sera, il silenzio e la solitudine propiziarono le mie riflessioni e aprii „a caso‟ il taccuino degli appunti. Queste parole del Dreamer emersero vive e possenti: «Ogni uomo è il solo unico artefice della realtà che gli tocca vivere. Il mondo è un grande schermo su cui proiettiamo i fantasmi della nostra vita… Al di fuori di noi non c‟è nessuna forza, nota o ignota, naturale o sovrannaturale, che possa influenzare il nostro 248

La Scuola degli Dei destino… Qualsiasi evento della nostra vita, prima di manifestarsi, deve avere il nostro consenso. Do not believe that this world exists outside of yourself. Try to realize that all that you believe to be coming from „out there‟ starts instead in yourself and nowhere else. Your recognition of an inner cause responsible for all that happens outside yourself makes evil, sufferings and death totally disappear from the earth.» Sollevai gli occhi e restai incantato dall‟oscurità incorniciata tra il marmo delle trifore moresche. Realizzai quanto diversa fosse ora la mia vita da quella del passato. Provai un intenso momento di gratitudine per quanto avevo ricevuto e per quanto stava accadendo nella mia esistenza. Una sola goccia di un mondo superiore basta a dissolvere le sciagure di una vita. Osservai quell‟ambiente e ogni particolare con una nuova lucidità. Rilevai l‟eleganza mediorientale, opulenta e vistosa, della meeting room. Attraverso l‟uscio socchiuso sbirciavo l‟allegro disordine degli scatoloni lasciati sui ricchi tappeti. L‟indomani i miei uomini avrebbero sballato apparecchiature e mobili e li avrebbero montati. Passai mentalmente in rassegna i loro visi sorridenti. Fu a questo punto che avvertii l‟inesprimibile sensazione di non essere solo. I battiti del cuore si fecero più intensi mentre lentamente facevo ruotare la poltrona verso quella presenza. 3 Preoccuparsi è animalesco A pochi passi da me, c‟era Lui, il Dreamer, elegantemente vestito nel Suo stile senza tempo. Sedeva in una posizione leggermente rovesciata all‟indietro, con le gambe accavallate e l‟espressione di chi è evidentemente a proprio agio. Sembrava assorto nella lettura di un piccolo libro finemente rilegato. Non mi guardò né diede segno di avermi notato. Da quanto era lì? Non ebbi il tempo di riprendermi dalla sorpresa che era già entrato in argomento, senza preamboli, come al solito. «Gli uomini come te, identificati con la descrizione del mondo, si preoccupano perché hanno dimenticato la miracolosità dell‟Essere» disse senza distogliere gli occhi dal libro. La pausa che seguì trascorse come se ponderasse tra sé e sé la Sua affermazione. 249

A Kuwait City Poi, senza nascondere un senso di disgusto al solo pensiero, aggiunse: «Preoccuparsi è animalesco!» Erano mesi che non Lo vedevo. Nel ritrovarmeLo davanti all‟improvviso, così vicino da poterlo toccare, provai sentimenti contrastanti. Superata la sorpresa, sentii la gioia, improvvisa e tumultuosa, di chi nel deserto scorge la cima di palme insperate. Ma quella gioia fu rapidamente oscurata da un nugolo di emozioni sgradevoli. Sentii il rimpianto a lungo represso venir fuori con l‟odoraccio di un materiale inquinato. Per lunghi mesi mi aveva lasciato solo a fronteggiare un compito superiore alle mie forze. Quante volte mi ero già pentito di avergli dato retta, di esserci venuto. Quante volte mi ero disperato sentendomi in trappola, senza la forza di andare avanti, senza la possibilità di tornare indietro. Avrei voluto la miserabile sicurezza di uno stipendio, rifugiarmi di nuovo in quel grembo oscuro di schiavitù. Perfino la sofferenza cieca, la dolorosità inconsapevole della mia vita prima del Dreamer era arrivata ad apparirmi preferibile a quella faticosa scalata. Nonostante lo sforzo per contenerla, non potei evitare una reazione aggressiva, quasi di aperta sfida. «Se preoccuparsi è animalesco − ribattei, mentre i muscoli facciali si irrigidivano e perdevo il controllo delle espressioni − allora cosa si deve fare? Se non mi preoccupo, se non ci penso, chi lo fa?» Il Dreamer non ebbe alcuna reazione. Restò assorto nella lettura del Suo libriccino, che teneva aperto nel palmo della mano sinistra, e non rispose. Appena pronunciate quelle parole, avrei voluto tornare indietro, poter riavvolgere il nastro del tempo e cancellarle. Ma troppo tardi. La loro violenza e l‟arroganza del tono usato mi tornarono contro; mi sentii schiacciare sotto il peso di un macigno. Notai che ero almeno riuscito ad evitare di dire „io‟. E questo, assurdamente, mi diede un po‟ di sollievo. Il silenzio continuò, si fece più denso e penoso. Rimasi immobile, tutto il tempo, a guardarLo leggere. Quando smise, un‟inquietudine mi assalì, come per un pericolo incombente e sconosciuto. Lentamente chiuse il libriccino mantenendo indice e medio tra le pagine, come un segnalibro, ed alzò gli occhi fino a fissarli nei miei con un‟intensità che non potei reggere. Per un attimo ebbi la percezione dell‟abisso che ci separava ed una vertigine di anni luce misurò la distanza tra i nostri esseri. 250

La Scuola degli Dei «Tu ancora appartieni a un mondo che crede di agire e scegliere… un mondo dove si fanno piani e programmi… e dove il respiro dell‟esistenza passa inosservato» mi accusò col tono di un padrone severo. Poi, addolcendolo impercettibilmente, disse: «L‟unica pianificazione che un uomo può fare è sviluppare se stesso, nutrire il proprio Sogno. Tutto il resto gli sarà aggiunto... L‟abbandono di un atomo di paura sposta montagne e ti proietta come un gigante nel mondo degli eventi.» «Com‟è possibile evitare di preoccuparsi del futuro?» chiesi con trepidazione. Temevo la dolorosità di un intervento del Dreamer. Poi, incoraggiato da uno spiraglio di benevolenza, aggiunsi: «Come si può vivere senza piani, senza fare programmi?» Nel tono della voce era riconoscibile lo sforzo di rimediare in qualche modo alla grossolanità del mio primo intervento. «La programmazione è una forma di esorcismo, una fuga dal reale − rispose il Dreamer − L‟uomo assopisce la sua paura del futuro con la falsa sicurezza delle previsioni, attraverso rituali fatti di pianificazioni e programmi. Di fronte all‟apparente incontrollabilità, all‟imprevedibilità dell‟esistenza, uomini come te hanno fatto ricorso a regole ed a formule, si sono illusi di curvare l‟universo attraverso le lenti deformanti della razionalità e lo hanno sostituito con una descrizione più rassicurante.» «Ma nulla di questo ha mai potuto alleviare la sensazione della propria precarietà, their sense of unsafety», concluse come osservando il risultato di un amaro bilancio. «Ma come si potrebbe fare a prevedere quello che sta per venire, ed a premunirsi, senza programmare?» «Fare programmi è come scavare un pozzo e credere di potervi contenere l‟immensità di un oceano. Questo scudo di debolezza, questa corazza illusoria che ti fa sentire protetto, il tenue diaframma mentale che hai frapposto tra te ed il reale, si lacera ed improvvisamente un uomo è messo di fronte all‟abisso, all‟immenso, alla vita così com‟è e non come gli è stata descritta.» Credenze e pratiche di anni trascorsi nelle organizzazioni, teorie decisionali, strategie d‟impresa, modelli, griglie e skill manageriali, e tutto l‟armamentario di teorie e tecniche apprese negli studi di economia e di business fatti in Italia, negli States o in Gran Bretagna, mi stavano ora crollando addosso come idoli di pietra. 251

A Kuwait City «Ma un manager per prendere delle decisioni dovrà pur programmare la sua attività e quella dei suoi collaboratori; dovrà pure fissare degli obiettivi da raggiungere?» chiesi, in un ultimo, flebile tentativo di salvare almeno un brandello delle sicurezze su cui avevo fondato la mia vita e l‟illusione di poter gestire una mia impresa in Kuwait. «Non nasconderti dietro la maschera di un ruolo! − tuonò il Dreamer in tono di nuovo aggressivo − Non dire „un manager‟, dì „io‟ come posso fare?Usalo intenzionalmente questo piccolo „io‟ e prendi responsabilità! L‟universo ti ascolta. Sempre!… e ti misura anche mentre fai una domanda.» Un‟antica ferita si riaprì dentro e la sentii bruciare per il risentimento, per l‟umiliazione, come la palma della mano percossa da una bacchettata barnabita. In un attimo fui tra le mura dell‟antico collegio incastonato come una perla bianca tra le viscere di Napoli e mi collegai a quella coscienza di bambino. Sentii la guarigione. Quando quelle immagini svanirono mi ritrovai davanti al Dreamer libero, innocente. Adesso potevo finalmente ascoltarLo. «Un vero leader pianifica e programma come fanno tutti ma senza crederci. La sua pianificazione è una recita che rispetta azioni e ruoli di un copione teatrale invisibile.» «Ogni attimo è un atto di creazione… ogni attimo è nuovo − completò il Dreamer − Non c‟è mai stato un momento prima né un momento dopo quest‟attimo… Né ci sarà mai! … Tutto quello che vedi… e tutto quello che non vedi, è creato in quest‟attimo… Tutto avviene adesso, in questo istante eterno, nell‟onnipotenza, nello spazio infinito del tuo Essere.» Il Dreamer accompagnò queste parole tirando dal cielo un filo invisibile tra indice e pollice, tracciando nell‟aria una verticale al mondo. «L‟attimo è territorio del Sogno… La pianificazione dell‟uomo ordinario avviene nel tempo e nello spazio... prima o poi curva e fallisce.» «Ma il „sognare‟ non è anch‟esso una forma di pianificazione?» chiesi con la dolcezza di una resa, sempre più affascinato dalla Sua visione. «Il Sogno è una pianificazione che avviene in assenza di tempo… nell‟eternità, in un tempo verticale… Io sono questo istante… Questo istante contiene tutto quello che andrò a raccogliere nel tempo… briciole, frammenti di me!… Per questo un 252

La Scuola degli Dei sognatore non fa piani, né si preoccupa. Egli lascia che il Sogno si esprima in tutta la sua libertà, in tutta la sua bellezza… sa che i risultati si producono per caduta, naturalmente, per quello che è il suo grado di impeccabilità e di integrità. Deep within you is a unified field of limitless possibilities. It is here that your dream takes place. It is here that whoever or whatever is necessary to create prosperity and success in your life, appears. It is here that your purpose in life becomes very clear to you.» Poi col tono di condurre una dimostrazione matematica, continuò: «Nelle imprese e in ogni piramide organizzativa più è basso il livello di responsabilità, più è necessario pianificare… Più scendi verso i ruoli sottostanti e più c‟è necessità di programmare ogni minimo dettaglio, di fissare e ricevere obiettivi precisi. Lì tutti i rituali di un processo decisionale sono scrupolosamente seguiti ma attraverso questi uomini e donne non succede niente.» L‟aria ancora vibrava di queste parole quando le luci della meeting room, dov‟eravamo, si smorzarono e uno schermo calò lentamente fino a coprire la parete di fondo. Ebbi l‟impressione che le mura ed il soffitto sparissero. Sentii la poltrona spostarsi e ricevere forti strattoni, come se ora fosse su una piattaforma mobile o su qualche straordinario, invisibile veicolo. 4 La fuga è per pochi Le immagini cominciarono a scorrere sullo schermo. Vidi masse umane brancolare nei corridoi delle organizzazioni, affollarne gli „open space‟ o vivere ingabbiate in uffici angusti come celle di insetti. «Queste sono ombre − mi disse − Niente ce l‟ha fatta finora a trasformare questa umanità, a traghettarla verso una nuova specie. Solo una „Rivoluzione Individuale‟ potrà capovolgere il modo di pensare e di sentire di milioni di uomini e donne intrappolati nel loro sonno ipnotico.» La Rivoluzione Individuale. Quelle due parole che avrebbero avuto un‟importanza decisiva nella mia vita, in quel momento non mi dissero nulla. Eppure erano l‟annuncio del Progetto per il 253

A Kuwait City quale il Dreamer mi stava preparando da anni. Ma allora era ancora troppo presto perché potesse rivelarmene la grandiosità. Visitai con il Dreamer i gironi più bassi delle organizzazioni. Con Lui mi addentrai in quei mondi densi, lenti, pullulanti di prigionieri. Con il fiato sospeso assistevo alla successione di quelle immagini. Guardavo uomini e cose fluttuare nel liquido verdastro di un immenso acquario poveramente illuminato da livide luci al neon. Vi avevo vissuto per tanti anni eppure solo adesso realizzavo quanto fosse doloroso appartenervi, e quanto dura fosse la condizione di quelle creature condannate a respirarne ogni giorno l‟aria che essi stessi avvelenavano. D‟un tratto il vetro che conteneva quell‟universo malato si fece specchio ed in esso vidi riflesse le immagini di due vecchi decrepiti, grigi, curvi. Notai la loro pelle raggrinzita, spaccata come una terra arsa. Le rughe dei loro visi erano talmente deturpanti da sembrare sfregi. Qualcosa nel loro aspetto era angosciosamente familiare. Li scrutai sforzandomi di scoprire la causa di quella inquietante sensazione. Finché li riconobbi, e raccapricciai... Quei vecchi eravamo noi... il Dreamer ed io! Mi voltai spaventato verso di Lui. Lo vidi in pieno controllo. Il Suo viso severo era più giovane che mai e stava incoraggiandomi con un sorriso. Mi sentii rasserenato, ma l‟animo restò graffiato da una disperazione muta, senza pianto. Vidi un numero sterminato di giovani attendere in fila. Nei loro occhi ancora si poteva scorgere qualche sprazzo di luce. Come un nastro umano, scorrevano davanti ad un esaminatore grifagno che, a uno ad uno, li scartava o li assegnava a un lavoro. Come Minosse con le spire della coda, a ciascuno indicava un ruolo di dolore, il „posto fisso‟ nei gironi infernali delle organizzazioni. Osservavo con commiserazione i loro pallori, gli sguardi ancora non completamente spenti. Sapevo che erano condannati all‟infelicità. «Essere scelti è al di sotto della dignità − disse il Dreamer − un uomo „sogna‟ il suo lavoro e lo sceglie seguendo il suo intento, la sua predilezione.» Si accorse del mio accoramento per la loro sorte. Colse nell‟aria la domanda che avrei voluto porGli e mi anticipò: «L‟evoluzione delle masse è impossibile! Nessuna rivoluzione o ideologia può riuscirci… La fuga è per pochi… Solo l‟individuo può farcela… » La mia espressione restò penosamente assorta. Mi sentivo il rappresentante di una specie alla sbarra che ascolta l‟annuncio di una sentenza avversa e inappellabile. 254

La Scuola degli Dei «Quella che stai osservando non è l‟umanità − disse, rilevando la mia incomprensione − La folla che vedi non è fuori di te!» Pensai che il Dreamer stesse mettendomi di fronte alla mia menzogna smascherando il mio falso altruismo e la presunzione di poter fare qualcosa per gli altri. Mi mortificai. Ma la lezione del Dreamer era ben lontana dall‟essere finita. Con un giro di vite rese più spietato il Suo esame e lo portò ancora più in profondità. «Quella moltitudine che stai guardando è la tua degradazione; quegli uomini avviliti dal dolore, dall‟ansietà del competere, sono frammenti sparsi del tuo Essere, il riflesso speculare della disperazione che ti porti dentro.» Il Dreamer stava colpendo in me il fariseo nel tempio. Sentii una parte deforme di me, messa a nudo ed esposta al mondo. La mortificazione si trasformò in un sentimento più onesto. Una vergogna incontenibile mi montò dentro e, come fuoco liquido, divampò sottopelle, divorandomi dalle unghie ai capelli. «Puoi fare solo per te stesso! − Gli sentii affermare in tono burbero, per scuotermi da quello stato − Loro sono te!… Il tuo cambiamento trasformerà l‟umanità intera… Se vuoi che questa sofferenza smetta, che l‟umanità cambi, guarisci te stesso!» Barcollai all‟annuncio di quella responsabilità. Una porta blindata stava sigillando ogni via di fuga alle mie spalle. Non avrei mai più potuto accusare né commiserare nessuno. Una morsa mi artigliò lo stomaco. Alla ricerca disperata di un rifugio, mi nascosi tra le pagine del taccuino. Con il naso tra gli appunti, cercai di raccogliere i pensieri in subbuglio e di concentrarmi su quello che stava dicendo. Secondo il Dreamer, l‟unica possibilità dell‟umanità, l‟unico modo per progredire è la costruzione di un uomo integro. «Questa è l‟unica salvezza delle masse» dichiarò. Continuò affermando che l‟uomo è ancora un Essere in transizione, dalla psicologia incompleta. L‟evoluzione della specie è un viaggio verso l‟integrità; deve compiersi dall‟interno all‟esterno attraverso un processo di unificazione che non si può imporre. Per questo tutti i vecchi sistemi hanno fallito. Guerre e rivoluzioni non ce l‟hanno fatta. Con la mente in tumulto, stavo prendendo appunti convulsamente sottolineando più volte queste affermazioni del Dreamer. «Il prossimo passaggio evolutivo dell‟uomo non può avvenire in un futuro storico, ma in un „tempo senza tempo‟, in un 255

A Kuwait City futuro verticale» mi disse. Come attraverso lo squarcio improvviso di una cortina, mi apparve chiaro il senso evolutivo delle organizzazioni umane e la ragione di tutta la loro apparente, insensata dolorosità. L‟aspirazione dell‟uomo a trascendersi, e la sua millenaria ricerca per dare un significato alla sua esistenza, si stavano trasferendo dal tradizionale terreno religioso e politico a quello delle imprese economiche, delle fabbriche, industrie, laboratori e uffici. A bordo delle organizzazioni, come su astronavi lanciate nello spazio, stava avvenendo l‟esodo dell‟uomo verso l‟integrità. Imprese e organizzazioni e la sterminata rete planetaria di templi e oracoli del business, stavano sostituendo conventi e chiese, trasformandosi in luoghi di aspirazione e di evoluzione. «Le organizzazioni del futuro saranno Scuole dell‟Essere» profetizzò il Dreamer coniando una delle Sue epigrafi fatte per essere scolpite nei cieli. Poi pronunciò le parole che mi sarebbero rimaste impresse per sempre: «Il Business sarà la religione planetaria, la religione delle religioni. È nel Business, più che nei conventi, più che nelle moschee o negli ashram, che gli uomini sono impegnati in uno sforzo titanico verso gradi più alti di responsabilità. È nel business che sta avvenendo la trasformazione di avversità e difficoltà in propellente per il viaggio verso la libertà. È nei grattaceli delle multinazionali, nei templi della finanza, più che nelle sinagoghe e nei monasteri, che gli uomini stanno tentando l‟impossibile: capovolgere la loro visione... cambiare il proprio destino.» La vastità di quella visione mi fece tremare le gambe. Anche soltanto l‟ascolto di quel presagio richiedeva una responsabilità che ancora non possedevo. Nella sua trama si intravedeva la rivoluzione che avrebbe divelto dai suoi cardini etici l‟intero sistema economico e decretato la fine del vecchio „capitalismo razionale‟. In questo messaggio del Dreamer c‟era il segreto del successo della Scuola di Economia che avrei fondato. Sapere con anticipo di decenni che tutte le imprese, grandi e piccole, sarebbero un giorno diventate scuole di aspirazione e di responsabilità, che il loro successo economico era tutt‟uno con l‟evoluzione di ognuno dei loro uomini e che al loro vertice ci sarebbero stati filosofi d‟azione, era un vantaggio competitivo immenso rispetto ad ogni altra università. Allora non potevo saperlo. Era come se, insieme alla richiesta di creare un‟industria di automobili, il Dreamer mi avesse anche dato il completo progetto del motore del futuro. Nel Suo 256

La Scuola degli Dei messaggio c‟era già il respiro della filosofia planetaria della ESE, la „European School of Economics‟ l‟unicità del Lavoro che la Scuola avrebbe portato avanti, la grandezza della sua missione: preparare uomini visionari e filosofi dell‟azione.. «Dreaming is the development of an internal world which stops you from being a function of life, a mechanical puppet of the external world of appearances. The object of the School is freedom: freedom from conflicts, suffering, division and death. Il Sogno è qualcosa che metti tra te stesso e la vita… L‟uomo ordinario pensa che la vita sia la causa e lui sia l‟effetto. Solo un lavoro sull‟Essere, il lavoro di una Scuola del capovolgimento, può produrre il sovvertimento di questa visione fallimentare del mondo. Il lavoro di una vera Scuola è un lavoro di scavo… un lavoro di eliminazione di scorie, stratificazioni e inquinamenti… alla ricerca di qualcosa che una volta possedevamo, che ci faceva integri, felici, immortali: la volontà. La Scuola e la Volontà sono una sola cosa. La Scuola è la Volontà fuori di noi. La Volontà è la Scuola dentro di noi. Quando la „vera volontà‟ emergerà, non avrai più bisogno della Scuola. Disseppellita la volontà saremo padroni di noi stessi… Padroni di noi stessi significa padroni dell‟universo. Underneath all and everything there is „something precious‟ that we should rightfully possess. It is the contact with this „very thing‟ that will take us to possess all and everything.» 5 Programmare senza crederci Qui cominciammo a risalire. Con Lui mi inerpicai lungo i sentieri che conducevano alle fasce più ricche e luminose del business. Il Dreamer mi mostrò che dietro le più grandi multinazionali, dietro i giganti della finanza mondiale e dell‟industria, dietro le avventure più coraggiose e le imprese impossibili, oltre ogni raggiungimento umano, c‟è sempre e soltanto un individuo e il suo Sogno. Risalendo le piramidi decisionali fino ai vertici, lì dove l‟organizzazione rivela la sua massima velocità, mi mostrò l‟immobilità da cui era nata tutta quell‟azione, e l‟invisibilità che aveva partorito quell‟idea luminosa. Il fondatore: l‟uomo visionario, 257

A Kuwait City il pazzo luminoso, l‟utopista pratico, lui, solo lui, aveva permesso a quel mondo di esistere e, come una termite regina, ancora lo nutriva. «La sua unica attività è la cura della sua integrità − mi rivelò − Ciò che lo rende speciale è l‟attenzione, uno spirito vigile che non permette a un dubbio o all‟ombra di un compromesso di incrinare la sua determinazione, che non permette ad un solo atomo opaco di entrare ad inquinare il Sogno.» Per la velocità psicologica di un leader programmi, e piani sono strumenti troppo lenti, troppo rigidi. Lì dove decidere richiede un sesto senso: l‟intuizione, ed un settimo senso: il Sogno, non c‟è in realtà nulla da decidere. «Un vero leader fa programmi, ma senza crederci – affermò – Lo guida la sua aspirazione, crede soltanto nella sua impeccabilità…» «Non ha obiettivi al di fuori di se stesso − continuò − perché l‟obiettivo è se stesso... la sua libertà!» Una volta raggiunto quel livello di integrità, sarà la sua visione a creare il cammino, sarà il suo passo a creare il sentiero. Non avrà bisogno di scegliere una direzione perché lui è la direzione, l‟inventore del Sogno che si sta svolgendo e che prende forma nel mondo degli eventi. «Commit yourself to integrity − mi ordinò il Dreamer scandendo lentamente queste parole a sottolinearne l‟importanza − Inner commitment is investment. It‟s your commitment that makes things happen! È l‟incorruttibilità del leader che attira tutte le opportunità e tutte le risorse necessarie… La solenne promessa che ha fatto a se stesso di onorare il Gioco fino in fondo. Il successo di ogni sua azione nel mondo esterno è solo il riflesso della sua integrità.» La realizzazione di imprese ai confini dell‟impossibile, la creazione di immense ricchezze, la fondazione di imperi economici, è solo una estensione della sua essenza, una certificazione del suo grado di libertà interiore, del suo livello di responsabilità. Se un uomo mantiene integro il suo commitment il successo è immancabile, ne è il prodotto naturale. «Un vero leader sa che il vero business è solo interno! Egli è il guardiano incorruttibile della propria promessa. È questa che deve mantenere intatta» culminò il Dreamer e tacque. Immagini di imperi finanziari e di sterminate fortune si susseguirono sullo schermo ancora per alcuni secondi, poi si 258

La Scuola degli Dei dissolsero e un profondo silenzio prese possesso di ogni angolo della meeting room. I Suoi occhi severi mi stavano scrutando, osservando l‟effetto di quelle rivelazioni. Sentivo l‟Essere letteralmente a soqquadro. Nel negozio interno prezzi e merci erano saltati in aria e ora si stavano ricomponendo. Nuove priorità stavano mettendo il prezzo giusto sulla merce giusta, e un nuovo ordine stava assegnando i posti sugli scaffali, relegando vecchie convinzioni e princìpi polverosi in magazzino. Chiusi gli occhi ed espressi con forza il desiderio che quella operazione arrivasse fino in fondo. Quando riprese a parlare affrontò l‟argomento dell‟immobilità. Per il leader l‟azione più potente a sua disposizione è un fare attraverso il „non fare‟, un agire senza agire. Il Dreamer la definì „an effortless action‟: uno stato poetico, sognante… «Per il leader la solitudine e l‟immobilità sono accumulatori di potere − concluse − lo stato in cui egli intuisce e attrae i preziosi messaggi di quella volontà che nell‟uomo è ormai sepolta… Sii serio, sii sincero e la sentirai forte e chiara… e saprai!» A quelle parole, la mia immaginazione partì per la tangente e visualizzai masse sterminate di dipendenti. Osservai dall‟alto il brulicame di migliaia di uomini e donne, il loro incessante andirivieni. Le immagini erano vivide e reali. Mentalmente le misi a fuoco. Vidi esseri patetici dai comportamenti esagitati, dai gesti accelerati, muoversi come nella gag di un film muto. Il Dreamer intervenne a questo punto delle mie fantasticherie, penetrò tra le mie riflessioni e le guidò. Dopo tanti anni vissuti nelle organizzazioni, solo ora, accanto a Lui, stavo realizzando che quelli che più si agitano, quelli che più sembrano preoccupati, indaffarati, occupano in realtà posizioni insignificanti e sono ai livelli più bassi di responsabilità e di retribuzione. «Dal vuoto, immobile, muovo la „ruota‟ dell‟universo intero... e gli esseri che si trovano sulla sua circonferenza, sui raggi, sul mozzo» declamò solennemente il Dreamer. «Quel vuoto al centro del mozzo è il vero creatore della „ruota‟… su quella invisibilità poggia tutta la piramide gerarchica degli esseri che ne fanno parte» completò, e tacque. Chi era quell‟Essere che stava sovvertendo la mia vita? Sentii la folla dei miei pensieri unirsi dentro, le emozioni e le parti sparse dell‟Essere raccogliersi. Un fiume di energia montò fino a rompere gli argini e dilagò portando via come detriti, dubbi, 259

A Kuwait City preoccupazioni e ogni morte. Accanto a Lui l‟economia ed il business sconfinavano nella poesia e ancora oltre, in un‟arte universale. Avrei voluto mantenere quello stato di intelligenza; la chiarezza, la lucidità di quel momento; quella sensazione di poter contenere tutto ed ogni cosa. Fu allora che mi indicò come vivere strategicamente e mi parlò dell„arte del recitare: the acting. «Un leader deve saper recitare tutti i ruoli alla perfezione − disse − Può simulare la distrazione, l‟ignoranza e perfino la negatività di un ruolo, ma… non deve crederci!» ammonì. Il tono che usò impresse a questa raccomandazione il carattere di una questione di vita o di morte. «Può irarsi e diventare violento, può trasformare il viso in una maschera di aggressività, ma internamente non deve sentirsi minimamente scalfito.» Questa recita della negatività la chiamò „right negative attitude‟. Aggiunse che, attraverso l‟acting un leader può programmare, fare piani e fingere di proiettarsi nel più lontano futuro. «Ma senza crederci!» ripeté nello stesso tono perentorio. Un uomo libero, un uomo reale, sa che ogni momento richiede una strategia, ogni attimo ha il suo statuto ed impone un copione che va recitato impeccabilmente. Il distacco di chi è consapevole di recitare, gli permette di scegliere tra diversi corsi di azione e tra possibili ruoli, come tra maschere da indossare per allinearsi perfettamente con le circostanze e gli eventi che incontra. «Solo un uomo reale può recitare! − mi rivelò in tono conclusivo − Un uomo ordinario, identificato nel suo ruolo, condizionato dalle sue paure, ipnotizzato dalla descrizione del mondo, ha dimenticato l‟arte del recitare, il potere dell‟acting e conosce soltanto la menzogna.» Più volte, nei punti cruciali del Suo discorso, avevo tentato di schermarmi da quelle idee sovversive. La capacità di recitare del leader mi sembrava molto vicina al mentire, all‟opportunismo. «Recitare consapevolmente non significa mentire − ruggì il Dreamer − Acting significa vivere strategicamente!» Il Dreamer aveva libero accesso ad ogni mio pensiero. La resa a questa evidenza disperse le ombre prima ancora che si addensassero. «Vivere strategicamente è l‟azione di un guerriero che compie intenzionalmente e impeccabilmente gli atti che la situazione 260

La Scuola degli Dei richiede. Esternamente risponde alle esigenze del ruolo… allo stesso tempo, internamente, si impossessa della responsabilità e del potere che si nascondono dietro quella maschera. Solo chi vive strategicamente può farcela!» Attese che questa affermazione producesse il suo effetto scrutandomi come un medico che avesse appena iniettato l‟antidoto ad un tossico. Il Suo discorso, quando lo riprese, aveva un tono grave, a metà tra l‟ammonimento e l‟annuncio solenne di un sapere vitale. «Quando ti pre-occupi, quando pianifichi e immagini negativamente, quando dimentichi cosa ti ha portato fin qui, ti riduci alle dimensioni di un insetto e il mondo prende il sopravvento. Migliaia di fotogrammi registrano nell‟universo la tua sconfitta e, non solo non potrai avere di più, ma ti sarà tolto anche quello che credi di avere.» Il Dreamer stava dandomi le ultime raccomandazioni prima di rigettarmi nelle fauci del mondo. La Sua voce si abbassò fino ad un sussurro. Stava per comunicarmi qualcosa che sarebbe diventato il cardine di tutto quello che avrei costruito nella mia vita ed il principio primo di ogni prosperità. «Il Sogno è la cosa più reale che ci sia!… Il Sogno è la realtà in assenza di tempo… Solo un uomo che sogna può creare ricchezza.» Per il Dreamer il Sogno è il mondo sublimato, la vera causa di tutto quello che vediamo e tocchiamo. «Il Sogno è una pianificazione verticale che solo un visionario può conoscere… Il dopo non esiste se non nell‟immaginazione… Internamente, ogni istante è un negozio che si apre e si chiude, ad ogni istante si guadagna o si perde, ogni attimo è un successo o un insuccesso. Tutto avviene adesso, in questo istante eterno.» 6 L‟Agenda «Un‟agenda zeppa di appuntamenti, che non ha spazi, come la tua − cominciò il Dreamer, indicando una delle pagine che era fittamente coperta di nomi, orari e riferimenti telefonici − è una dichiarazione di suicidio. Significa affermare la propria morte… Un uomo più è morto e più riempie la sua giornata di impegni.» 261

A Kuwait City Fu un pugno allo stomaco. La dolorosità che ormai ben conoscevo era il segnale più sicuro dell‟efficacia di quel nuovo attacco del Dreamer al mio sistema di convinzioni. Tentai di sfuggire all‟accelerazione impressa da parole così potenti e dirette. Sentimenti di avversione e pensieri violenti contro il Dreamer emersero dai recessi dell‟Essere e mi si arruffarono dentro in un crescendo incontrollabile. Mi ribellavo ad essere catalogato tra i morti solo per il fatto di avere un‟esistenza attiva ed intensa. «Ma è impossibile vivere nel contesto di una „società moderna‟ senza prendere impegni, senza appuntamenti o incontri» dissi astioso. Sottolineai la parola „società moderna‟ con sarcasmo, come a demarcare la differenza tra i nostri mondi. Ero convinto che quanto il Dreamer stava sostenendo non avesse alcun senso pratico. Una volta mi aveva detto: “Lascia che il gioco continui, che la commedia si svolga... permetti che collaboratori e professionisti facciano quello che il loro ruolo prevede. L‟impresa è una rappresentazione teatrale... con maschere e personaggi che seguono un copione… Tu non crederci! Non perderti!… non dimenticare che è un gioco.” Ero certo che il Dreamer non si rendesse conto di cosa significasse dirigere un‟impresa internazionale con centinaia di collaboratori e sentire ogni giorno sul collo il fiato degli azionisti. «E poi − dissi esasperato − non capisco!... Cosa c‟entra un‟agenda con l‟essere vivi o morti?… » Riuscii a malapena a pronunciare queste parole. Un nodo di pianto mi chiuse la gola. «Ogni appuntamento che fissi, ogni incontro che programmi − disse il Dreamer senza apparentemente rilevare quel segreto grido di aiuto che stavo lanciando, nascosto dalla mia aggressività − serve a rafforzare la tua illusione di essere vivo, a confermarti nei tuoi convincimenti insensati. Primo tra tutti quello di poter pianificare. Pianificare e crederci è morire. Solo ciò che è morto si può pianificare… La vera pianificazione è in questo istante, nel „qui ed ora‟. Un leader potrà avere eserciti di collaboratori che fanno piani e programmano in ogni dettaglio le attività future, ma le sue decisioni saranno sempre un frutto dell‟attimo. Fino a quel momento egli non sa, non agisce fino a quando l‟istante 262

La Scuola degli Dei dischiude la sua eternità. Solo allora saprà tutto quello che deve sapere. Tutto sarà a tua disposizione quando imparerai a vivere l‟attimo nella sua totalità. Piani e programmi si faranno naturalmente, senza sforzo, quando smetterai di crederci.» Il Suo sguardo si fece d‟acciaio. Continuando a fissarmi, spostò la testa prima a sinistra e poi a destra, come se volesse mettere a confronto i miei due profili. Entrai in uno stato di inquietudine. C‟era nei Suoi movimenti una minaccia silenziosa ed incombente come nelle mosse di un predatore che nasconde il suo feroce intento. «A uomini come te l‟agenda serve per dimenticare» disse sottovoce. L‟inquietudine rapidamente si trasformò in spavento. Dovevo trovare un modo per uscire da quello stato, ad ogni costo. Se avessi avuto la leggerezza necessaria, avrei potuto semplicemente chiedere la spiegazione di una visione così bizzarra e perfino umoristica. Come può un‟agenda servire a dimenticare? Mi sentivo rinchiuso come in un bozzolo psicologico che non riuscivo a bucare. Quell‟incontro col Dreamer si stava rivelando un duello mortale tra la parte di me che non voleva cedere e un‟altra, assetata, che „beveva‟ avidamente le Sue parole. Trovai appena il fiato per chiedere: «Dimenticare che cosa?» Lentamente, il Dreamer ridusse ancora di qualche millimetro la distanza tra noi. «Dimenticare te stesso» disse in un soffio. Lo spavento divenne paura, irragionevole, devastante, che traboccò e inondò l‟Essere. Un giorno avrei riconosciuto proprio in momenti come questo le tappe fondamentali della mia evoluzione; quando il Dreamer, penetrando la corazza delle mie certezze incrollabili, riusciva a depositare un po‟ della Sua sostanza preziosa, come fa un‟ape che impollina. Così mi avvicinavo al Sogno. «Il mondo è lo svolgimento nel tempo di ciò che sogniamo… Un appuntamento è sempre con te stesso… o meglio. con una parte di te che non conosci. Uomini ed eventi sorgono e si dissolvono seguendo un copione già scritto nell‟Essere… Quando pianifichi e ci credi… ti stai allontanando dal „mondo reale‟… Più ti convinci che appuntamenti e incontri avvengono come hai programmato, più si rafforza il tuo senso di morte… E così ti incontri con gente spenta che pianifica e 263

A Kuwait City programma come te, e si illude di scegliere e di decidere senza mai riconoscere la propria impotenza.» Qui il Dreamer si fermò ed io credetti che il Suo lavoro di demolizione fosse finito. Avevo disperatamente bisogno di tirare il fiato. Ma il Dreamer non lasciava mai un lavoro a metà. Accuratamente calcolò i tempi, poi mi lanciò la punch-line di quella straordinaria lezione. «Un giorno la tua agenda sarà quella di un uomo libero, quella di un uomo che realmente fa perché sa che ha la soluzione sempre con sé… che è egli stesso la soluzione. Reciterai gli incontri e i ruoli e lascerai il mondo libero di accadere… nel miglior modo possibile. Il mondo diventerà il tuo capolavoro senza sforzi né costrizioni, solo allora la tua agenda sarà quella di un vero leader… avrà solo pagine bianche.» 7 “Pronto, chi sono?” La giornata era iniziata con un‟impennata fin dal mattino presto. Dal terrazzo della casa di Samìa avevo già risposto a diverse telefonate. Il Dreamer mi era accanto e mi osservava in silenzio mentre, preso dagli eventi e dalla foga delle conversazioni, a seconda dei casi, davo ordini, alzavo la voce, mi arrabbiavo e in un paio di casi ero uscito fuori dai gangheri. Di tanto in tanto mi volgevo verso il Dreamer cercando di scambiare con Lui uno sguardo di complicità, o di ricevere un cenno di solidarietà per la mole di lavoro che mi toccava smaltire fin dal mattino presto e per l‟ingrato compito di dover dirigere un team di pasticcioni ai quali bisognava ripetere le cose cento volte. Ma com‟era possibile essere così ottusi? Fraintendere anche gli ordini più semplici, più chiari? «Al telefono non devi rispondere: “Pronto, chi è?” ma “Pronto, chi sono?”» disse il Dreamer, a sorpresa, mentre ancora scambiavo a telefono le ultime battute di una lunga conversazione. Credetti di non aver capito bene. Aveva poco più che sussurrato quelle parole, come faceva quando voleva comunicarmi qualcosa di particolarmente importante, qualcosa per cui avrei dovuto all‟istante abbandonare ogni altra occupazione e concentrarmi sull‟ascolto. Entrai in uno stato vigile. Uno sguardo bastò ad informarmi che il Dreamer si era già trasformato in un predatore spietato. Un lungo 264

La Scuola degli Dei brivido mi percorse la schiena mentre sentivo l‟adrenalina entrare in circolo in dosi massicce. Con tutta la calma che potei mettere insieme, Gli chiesi di ripetere quello che aveva appena detto, ma la mia voce era già incrinata da una crescente apprensione. «Gli altri sono teee!» urlò con la Sua voce più terribile. Nei mondi interni, nell‟inferno dell‟Essere dove l‟accusa e la lamentela mi avevano precipitato, il Dreamer non era più un compìto ospite seduto al tavolo di casa mia, ma un terrificante capitano che urlava ordini nel pieno di una tempesta, mentre la nave era sul ciglio di un abisso d‟acqua. Raccapricciai. Sobbalzai di spavento ed il ricevitore quasi mi cadde sul tavolo rimbalzando da una mano all‟altra come un essere maliziosamente vivo e sgusciante. La scena dovette essere così comica che anche il Dreamer non poté fare a meno di riderne. D‟altra parte dietro la Sua maschera più severa, dietro la sua ira apparentemente incontrollata, c‟era in permanenza un oceano immobile; dietro la severità del suo sguardo si celava una serenità sfingea che mi sgomentava più delle Sue minacce. Fu questione di un attimo poi il Suo viso riprese la smorfia feroce del predatore. «Gli altri sono te!» disse. La Sua voce era ritornata calma ma questo non mi rassicurò. «The world is such because you are such and not viceversa. Non sfuggire… Il visibile serve per riconoscere l‟invisibile. Gli altri servono a rivelarti quello che non vuoi vedere in te stesso… Che cosa in me proietta tutto questo? Questa è la domanda che si rivolge una persona perbene!» «Ti ho ascoltato. Sei indeciso, prolisso… La confusione è in te, non negli altri − riprese il Dreamer protendendosi impercettibilmente attraverso il tavolo − Il mondo si manifesta dubbioso, caotico, irresponsabile, per certificare cosa sei, dove sei. Ad ogni telefonata, chiunque sia dall‟altra parte, immancabilmente, ti chiede: “disturbo?”» Ora che il Dreamer me lo faceva notare, mi rendevo conto che era proprio così. Tuttavia ancora non capivo che rilievo questo particolare potesse avere. „Disturbo?‟ era una domanda di circostanza. L‟avevo sempre ascoltata distrattamente e considerata niente di più che una espressione rituale di cortesia, un segno di rispetto per la privacy altrui, specialmente per quella di un superiore. «“Disturbo?” lo dicono perché ti sentono impreparato. Il mondo, gli altri, ti riflettono… sono uno specchio che riproduce 265

A Kuwait City l‟immagine di un uomo lento, che si parla addosso. “Disturbo?” è la tua mancanza di responsabilità! “Disturbo?” è perché non dai chiarezza! “Disturbo?” è il mondo che ti denuncia.» Driin! Il telefono squillò di nuovo. Sollevai il ricevitore e meccanicamente chiesi: «Chi è?» Non feci in tempo a completare quella domanda rituale che la voce del Dreamer risuonò ancora più terribile di prima. «“Pronto, chi sono?” devi dire, non “chi è?”» si infuriò. «“Chi sono io?” − insisté il Dreamer continuando ad urlare − Così risponde al telefono chi ha capito che dall‟altra parte trova sempre se stesso!» Ascoltavo il Dreamer ed allo stesso tempo cercavo di assicurare un minimo di normalità alla conversazione telefonica appena avviata. «“Pronto, chi sono?” significa ricordare che stai incontrando la tua confusione» continuò il Dreamer, sovrapponendosi senza riguardi alla mia conversazione, incurante di chi potesse esserci all‟altro capo del filo e di che cosa potesse sentire. Ascoltavo la voce del Dreamer e rispondevo a monosillabi al mio interlocutore mentre tentavo in ogni modo di accorciare e chiudere quella telefonata. «Il mondo vuole essere governato! Chi ti telefona ha bisogno di essere contenuto… ha bisogno di chiarezza… Ma gli bastano poche battute per scoprire che tu non hai una direzione… Sei ferito, sei saturo… » «Imponiti la leggerezza, entra in altre zone di intelligenza! − mi esortò il Dreamer con improvvisa benevolenza e ritornando ad un tono di voce normale − Un uomo attento sa che, nascosta sotto la crosta della determinazione e delle false sicurezze, c‟è sempre la stessa ferita, la stessa piaga… sa che non c‟è nulla che possa intraprendere o fare finché quella ferita non sarà guarita, cicatrizzata. E anche se tentasse di sfuggire, se si ritirasse in una caverna come un eremita, o in un convento a fare l‟asceta, lontano da ogni telefono e da ogni impegno… quella ferita, quella piaga ritornerebbe dolorosamente a denunciare la sua impreparazione.» «Ma tu, come tutti gli uomini ordinari, ormai quel dolore non lo senti più, o fai finta di niente.» Nella Sua voce c‟era l‟eco di un fallimento senza rimedio, il dolore di una sconfitta cosmica. Il telefono squillò di nuovo. A questo punto non sapevo più cosa fare. Non volevo contrastare il Dreamer ed allo stesso tempo 266

La Scuola degli Dei non sentivo la libertà, l‟umorismo, il senso del gioco, necessari per rispondere seguendo le Sue indicazioni. Gli squilli continuarono. Il Dreamer con un cenno mi invitò a rispondere ed accompagnò il Suo gesto d‟invito con queste parole: «Pensa che benedizione!… Il mondo ci telefona per dirci chi siamo e quello che ci manca… È come avere l‟oracolo di Delfi a portata di mano e poterlo interrogare a volontà.» Poi tra il serio ed il faceto aggiunse: «Tutti rispondendo a telefono sembrano chiedere chi è… in realtà sanno già… Tu sai già chi c‟è dall‟altra parte… perché sei tu che telefoni a te stesso…» Qualcosa scattò, si sbloccò; una sensazione di benessere mi pervase come per una vertebra che torna a posto. Il telefono continuò a squillare, ma ero troppo indaffarato a scrivere per poter rispondere. Ero in uno stato febbrile. Stavo per catturare e fare mio il segreto di quelle Sue parole che avevano in sé la forza di cambiare una vita, di trasformare il destino di un uomo. «Il mondo è puro riflesso del tuo Essere… Non dimenticarlo! − mi ammonì il Dreamer − Il mondo ti telefona per comunicarti chi sei… per farti conoscere quello che hai sempre evitato di sapere di te!Sei tu e solo tu a decidere chi deve esserci dall‟altra parte… Sei tu e solo tu a decidere che cosa ti dirà… Per ora dall‟altra parte del filo trovi un‟umanità che riflette la tua fragilità. Sei tu che chiedi aiuto, che chiedi di guarire…» Ascoltavo e registravo quello che il Dreamer mi stava dicendo con la certezza assoluta che le cose stessero esattamente così. Mi era tutto perfettamente chiaro. I tasselli sparsi di tanti insegnamenti del Dreamer stavano trovando posto in una composizione perfetta. Avrei voluto poter registrare in ogni dettaglio la mia comprensione di quell‟attimo per ritrovarla intatta in qualunque momento ne avessi avuto necessità, e per essere un giorno capace di trasmetterla. «Un uomo vivo invita la vita − incalzò il Dreamer, sfruttando la breccia che aveva aperto in me − Il tuo vittimismo invita l‟insuccesso. Like attracts Like.Intelligenza attrae intelligenza.Vuoi cambiare la gente dall‟altro capo del filo? Vuoi cambiarne le parole, il loro tono, la sostanza delle notizie di cui sono portatori?… Cambia te stesso! Diventa la soluzione ed il mondo sarà risolto per sempre.» 267

A Kuwait City Mi diede qualche secondo di respiro. Attese che registrassi tra gli appunti anche questa parte del Suo discorso, poi continuò. «Rispondere „pronto, chi sono?‟ è l‟attitudine di un uomo che sa e ricorda di essere l‟unico responsabile di tutto ciò che accade nella propria vita… Una telefonata ti permette di capire quello che finora ti sei rifiutato di vedere, di toccare, di affrontare.» In quel momento il telefono squillò ancora. Attesi qualche secondo prima di rispondere per ascoltare queste raccomandazioni del Dreamer: «Chiarezza… Dona chiarezza al mondo… e dall‟altra parte del filo ci saranno soltanto buone notizie.» «Hello, who am I?» dissi, e sorrisi al pensiero dell‟effetto che questa eccentrica risposta stava provocando nel mio interlocutore. Da quel momento alzare il ricevitore non sarebbe più stato l‟avvio di una comune conversazione, ma un viaggio di scoperta profetico ed avventuroso come gli antichi pellegrinaggi a Delfi, inebriante come i vapori alitati dalla fenditura nel pavimento del tempio e l‟incontro con la Pizia officiante. Il telefono squillò di nuovo. «Diventa la soluzione... dentro! − comandò il Dreamer dandomi con un cenno il permesso di rispondere − Sii libero!… Fuori, non c‟è nessun problema da risolvere… nessun cattivo da cui difendersi o nemico da combattere. Per dare una risposta al mondo devi diventare la soluzione… Entra in una sincerità, semplicità, leggerezza, nella luminosità dell‟Essere… Se sarai capace di guardare il „gioco‟ dall‟alto, scoprirai che il mondo dall‟altra parte del filo ti offrirà tutta la sua gratitudine e devozione. Allora scoprirai un giorno, che il vero lavoro di un uomo, l‟unico, è aggiustare il mondo. Realizzerai che tu, solo tu, sei la causa di ogni pazzia, conflitto, criminalità che avviene nel mondo; e che tu, soltanto tu, puoi guarirlo, proteggerlo, salvarlo e amarlo, se saprai come guarirti, proteggerti, salvarti ed amarti dentro.» Il telefono squillò ancora. «Pronto, chi sono?» risposi, sollevando il ricevitore. Sentii la chimica della gratitudine penetrare ogni mia cellula ed a stento trattenni un‟improvvisa, irresistibile, irrispettosa voglia di abbracciarLo.

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La Scuola degli Dei 8 Sgambetto alla meccanicità Più volte al giorno la voce del Muezzin invitava i fedeli alla preghiera. Come nelle antiche polis quella voce sembrava definire il perimetro di mura invisibili. Non c‟erano i drappelli della polizia religiosa, come in Arabia Saudita (dove salvarsi l‟anima è affare di stato) che pattugliavano il souk, né si sentivano i colpi di manganello sulle saracinesche dei negozi per assicurarsi che ogni attività profana fosse interrotta e che tutti fossero in moschea. Ma ugualmente i cantilenanti versi del corano, diffusi dagli esili minareti, sospendevano ogni attività e invitavano perentori ad una delle rituali genuflessioni giornaliere verso La Mecca. Tener presente la direzione della Città Sacra, per l‟orientamento interiore degli islamici, aveva la stessa importanza della stella polare per la navigazione. In ogni ufficio, camera d‟albergo, luogo pubblico, c‟era una freccia millimetricamente puntata verso La Mecca. In quella direzione milioni di tappeti da preghiera, cinque volte al giorno, si srotolavano insieme in tutto l‟Islam per accogliere gli oranti. Allo scoccare dell‟ora fissata, ogni altra attività passava in secondo piano. Una volta, in viaggio di ritorno dall‟Europa, trovai posto all‟ultimo momento su un aereo della Saudi che faceva scalo a Jeddah. Troppo tardi scoprii che si trattava di un volo haj diretto a La Mecca e che ero l‟unico „infedele‟ a bordo. La mia posizione si fece imbarazzante quando a metà strada tutti i passeggeri si spogliarono degli abiti della partenza e si cinsero del drappo bianco dei pellegrini islamici. Poi, a dispetto degli appelli e degli sforzi inumani del personale di bordo per rimetterli a sedere, presero a pregare a turno, occupando i corridoi del Tristar e genuflettendosi verso La Mecca. Mi domandai come riuscissero a trovarne la direzione. Fantasticai di uccelli mistici, di esseri dall‟istinto arcano, infallibilmente attratti verso il loro piccolo sole nero, al centro dell‟Al-Ka‟aba. Più volte mi era accaduto che nel mezzo di una negoziazione o di un meeting d‟affari, gli interlocutori islamici interrompessero ogni cosa per ritirarsi in preghiera. Avvertivo che quei pochi minuti di interruzione in qualche modo li rafforzava, ma non sapevo come. Tentai di indagare la ragione più profonda di quella pratica religiosa, l‟intelligenza celata dietro questo rituale, ma nessuno aveva saputo darmi una spiegazione che andasse oltre una visione bigotta, 269

A Kuwait City superstiziosa. Durante uno degli incontri col Dreamer colsi l‟opportunità per chiederGlielo. La spiegazione che ne ricevetti ebbe un peso speciale nella mia preparazione. L‟annotai fedelmente. « …Le tradizioni sapienziali, attraverso i millenni, hanno inventato e tramandato ogni sorta di „trucchi‟ per contrastare la rigidità, la ripetitività verso cui inevitabilmente tendono gli uomini − mi disse − Le genuflessioni rivolte a La Mecca cinque volte al giorno, il digiuno rituale del Ramadan nel nono mese dell‟anno lunare islamico, ed i rituali presenti in tutte le tradizioni religiose, si potrebbero definire „sgambetti alla meccanicità‟. La loro funzione è alimentare l‟intelligenza ormai assopita, latente, attraverso l‟interruzione di routine, spingendo gli uomini a deviare dai solchi di inveterate abitudini.» Il Dreamer continuò spiegandomi che esse sono norme di igiene fisica, mentale e spirituale di cui si è perduta l‟originaria intelligenza e che ormai sopravvivono larvatamente sotto forma di credenze religiose, di rituali ormai vuoti, o come pratiche superstiziose. Sarebbe stato sufficiente prestare un po‟ di attenzione ai nostri movimenti per scoprire quanto sia meccanica e ripetitiva la nostra vita. Fin dal mattino, avviamo con scrupoloso rigore una serie di azioni, sempre uguali: scendiamo dal letto poggiando lo stesso piede, cominciamo a raderci sempre dallo stesso lato, laviamo i denti ripetendo lo stesso numero di movimenti, nelle stesse direzioni con le stesse smorfie. Abbiamo abitudini scontate, esprimiamo le solite idee usando gesti, linguaggi e inflessioni di sempre. Perfino le nostre emozioni sono prevedibili, come riflessi condizionati dell‟anima. Nell‟uomo ordinario la volontà è sepolta. Il suo comportamento è il riflesso di una intelligenza artificiale e potrebbe più proficuamente essere studiato da scienze come l‟etologia o la robotica che non dalla psicologia. «Anche quando è convinto di prendere una decisione, di fare una scelta, di esprimere liberamente la sua volontà − continuò il Dreamer − con un minimo di autosservazione, ogni uomo potrebbe accorgersi di essere in realtà guidato da processi meccanici, di percorrere vecchi solchi mentali scavati da pregiudizi e luoghi comuni, o dall‟abitudine, emulando gli altri.» Ero sbalordito e allo stesso tempo affascinato dalle idee del Dreamer, dal Suo stile che rivelava le verità più crude sulla condizione umana senza lasciare ferite, e mi chiedevo da dove originassero la Sua autorità e la Sua saggezza. Dietro la severità del 270

La Scuola degli Dei viso e delle parole, c‟era un sorriso invisibile e costante, un senso di infinita compassion che mitigava la sua sistematica, spietata demolizione di idee, credenze ed illusioni radicate nell‟Essere. Avrei voluto sapere di più sugli „sgambetti alla meccanicità‟ ma il Dreamer sembrava aver chiuso l‟argomento. Insistendo, riuscii soltanto a ricavarne poche altre parole che riportai fedelmente sui miei appunti e che in qualche modo mi permisero di inquadrarli nel più vasto sistema filosofico del Dreamer. «Ogni sforzo intenzionale, anche il più piccolo, teso a modificare un‟azione ripetitiva, una reazione meccanica o a contrastare un‟abitudine, è uno „sgambetto alla meccanicità‟.» Il Dreamer aggiunse che questo „lavoro‟ permette ad un uomo di sfuggire alle leggi dell‟accidentalità, di scongiurare il verificarsi di incidenti e perfino di trovarsi coinvolto in disastri e calamità naturali. Da quel giorno provai a ricordarmene il più spesso possibile e cominciai ad osservare, ed a contrastare in me, automatismi incalliti, reazioni meccaniche rugginose e cigolanti, fissità, abitudini e routine di ogni tipo. Solo chi ha provato a farlo può capirne la difficoltà e realizzare quanto poco della nostra vita rimane fuori dalla tirannia degli automatismi e della ripetizione inconsapevole. Ma ne vale la pena. Lo sviluppo dell‟attenzione, di uno spirito vigile, estende la sua validità ben oltre la modifica intenzionale di una nostra routine, di una consuetudine o di un comportamento. In questo gioco interno di guardie e ladri, la capacità di tendere agguati alle nostre abitudini, di diventare il cacciatore implacabile di ogni vecchiume in noi, l‟attenzione ai nostri movimenti, la consapevolezza delle nostre reazioni, è un lavoro sull‟Essere che ha un riflesso ineguagliabile sulla qualità del pensare e del sentire, e quindi sulla nostra vita. 9 Vincere se stessi Gli incontri con il Dreamer divennero radi e gli eventi e le circostanze esterne sempre più soffocanti. Mi sentivo inadeguato, insoddisfatto. Il mondo ingigantiva e mi sovrastava minaccioso. La sua „forza ipnotica‟ diventava più pervasiva e travolgente a mano a mano che col passare dei mesi l‟impresa in Kuwait cresceva d‟importanza. 271

A Kuwait City “Mantieni l‟umorismo, non prenderti così stupidamente sul serio − mi aveva raccomandato più volte il Dreamer venendomi a salvare sull‟orlo della disperazione − Usa l‟autoironia. È un antidoto potente contro ogni forma di fissità e di identificazione.” Nel linguaggio del Dreamer „identificarsi‟ con il mondo indicava la nostra caduta in uno stato di mancanza di libertà, il nostro rimpicciolimento psicologico. “Tu diventi effetto ed il mondo diventa causa. Tu diventi piccolo ed il mondo grandeggia e ti ingoia”. Alle Sue parole, in un guizzo, mi aveva attraversato la mente la scena di Alice che rischia di annegare nelle sue stesse lacrime. Contro l‟identificazione, il Dreamer mi aveva insegnato tutta una serie di „trucchi‟ e strategie per non essere ingoiato da quel blob ipnotico di eventi che l‟uomo chiama „realtà‟. Uno dei modi era di interrompere ad un certo punto ogni attività, scegliendo intenzionalmente i momenti apparentemente meno adatti, i più intensi e cruciali. Nell‟angolo di una stanza, immobile, tentavo di sfidare la pressione che il tempo esercitava su ogni centimetro quadrato del mio Essere. In quei momenti, sentivo fisicamente la tirannia del mondo che veniva a riacciuffarmi per rimettermi nel tourbillon degli affanni e delle preoccupazioni; che veniva a ricattarmi col pensiero di tutti i danni che sarebbero potuti derivare da quei pochi secondi di distacco, da quel piccolo vuoto che stavo creando nel continuum degli eventi meccanicamente preordinati della mia vita. Quando mettevo in pratica queste Sue indicazioni sentivo accrescersi una capacità di distacco, di indipendenza dagli eventi, di padronanza sulle circostanze in cui mi trovavo. La vita ed il business perdevano la seriosità, la loro abituale gravità. Allora, libero dalla loro attrazione ipnotica, riuscivo a ritrovare la dimensione del gioco. Altre volte, per difendermi, tra gli altri stratagemmi, sceglievo di farmi le boccacce allo specchio. Osservando le mie smorfie beffarde mi sforzavo di non dimenticare quale fosse la vera posta in gioco. Quella in corso era una partita mortale. Quegli sforzi intenzionali aprirono un tunnel e mi misero in comunicazione con le grandi scuole dell‟antichità. Come colpi dati al diapason del tempo, mi fecero vibrare all‟unisono con ogni atomo del loro insegnamento. Furono sprazzi di lucidità. Li ricordo come rari momenti di grazia. 272

La Scuola degli Dei Fu in quel periodo che il Dreamer introdusse nel mio lessico l‟indimenticabile espressione: „vincere se stesso‟. Ricordo distintamente la prima volta che me ne parlò. Eravamo sull‟attico de Le Méridien, seduti intorno alla grande piscina del roof-garden. Indossava un abito di lino bianco, mocassini di lucertola ed occhiali scuri. Ogni più piccolo dettaglio ed attitudine congiurava a dargli l‟aria di un raffinato occidentale con lunga conoscenza di quei paesi. Discorrevamo osservando attraverso i vetri gli esili minareti e la distesa di terrazze e di palazzi polverosi di Kuwait City che scendevano digradando fino alle acque del Golfo color cobalto come le cupole delle Water Towers. Gli stavo confidando le mie difficoltà di imprenditore e la natura degli ostacoli che continuamente incontravo sulla mia strada. Gli domandai come si fa a possedere le chiavi della leadership. Avrei voluto conoscere la formula magica dell‟impavidità, della invulnerabilità, della vittoria, della gloria. «Un leader è prima di ogni altra cosa un manager dell‟Essere − affermò il Dreamer − sa riconoscere e circoscrivere in sé ogni negatività… sa che per vincere tutte le battaglie bisogna prima „vincere se stesso‟… „Vincere se stesso‟ significa non permettere alle emozioni negative di governarci, di prendere il sopravvento… significa vincere la distruttività dei nostri pensieri, il desiderio di danneggiarci, di suicidarci… significa il superamento dei nostri limiti e di ogni ostacolo creato dalle paure, dai dubbi e da ogni altra ombra nel nostro Essere… „Vincere se stesso‟ significa disseppellire la volontà, fare un viaggio a ritroso verso l‟integrità.» «Nella vita non c‟è null‟altro da fare! − affermò apoditticamente − Le prove che gli arrivano dall‟esistenza, gli impegni di lavoro, e ogni difficoltà che un uomo incontra sul suo cammino rappresentano altrettante opportunità di sedare la folla rissosa che si porta dentro e traghettarsi verso l‟integrità.» Sorrise vedendo la mia espressione smarrita mentre annotavo le Sue parole, ed attese un po‟ prima di aggiungere altro. Poi si protese impercettibilmente attraverso il tavolo. Come mi accadeva con Lui in queste circostanze, entrai in uno stato di ansietà. Presagii l‟imminenza di una informazione vitale, l‟enunciazione di uno di quei frammenti della Sua filosofia capaci da soli di accelerare di anni la mia comprensione. Abbandonai il libriccino degli appunti, aperto com‟era, sulle gambe, e mi drizzai sulla schiena per 273

A Kuwait City indicarGli che ero pronto ma anche per alleggerire un po‟ la pressione che sentivo crescere col Suo millimetrico avvicinamento. «„Vincere se stesso‟ − sussurrò − significa non lasciar trapelare la più piccola espressione di negatività… non permettere internamente alcun abbassamento, la più piccola smorfia di dolore.» Aspettò. Stava scrutando con un impercettibile sorriso la mia reazione a questa rivelazione. Poi, modulando la voce, cadenzò queste parole: Quando il tempo ti attacca ingoia il tempo quando il dolore ti attacca ingoia il dolore quando il dubbio ti attacca ingoia il dubbio quando la paura ti attacca ingoia la paura Rilevai come spesso il Dreamer esprimesse un concetto o evocasse un‟immagine, reiterandoli, riproponendoli a più riprese. Quella volta mi apparve chiaro che l‟uso che Lui faceva della reiterazione non era solo un mezzo pedagogico, come avevo creduto fino a quel momento, ma una forma di poesia ritmata sul parallelismo, sulla riproposizione di un concetto o di una immagine da diverse angolature. Come stavo sperimentando direttamente, questo Gli permetteva di superare sbarramenti psicologici e penetrare le dure stratificazioni della mia geologia interiore. Il Dreamer riprese a parlare e io accantonai temporaneamente quelle riflessioni. «„Vincere se stesso‟ significa non dipendere dal mondo − affermò il Dreamer − significa essere creatori, padroni di se stessi, dei propri stati d‟Essere e quindi padroni del mondo.» Aggiunse che questa capacità di distacco è del tutto naturale, è diritto di nascita di ogni uomo. Qui tacque e cominciò a fissarmi con insistenza. Sotto il Suo sguardo i ricordi affluirono alla mente dall‟oscurità, come zattere in carovana che discendono i fiumi del tempo. Quelle immagini si fecero sempre più vivide fino a delineare i contorni di un episodio della mia infanzia. Mi rividi bambino, nella camera di Carmela, mentre mi esibivo in uno dei miei frequenti capricci. Strillavo e versavo fiumi di lacrime circondato da adulti in apprensione. Perfino Giuseppona era incapace di calmarmi. 274

La Scuola degli Dei Sembravo disperato ma, sottecchi, li osservavo. Appena la loro distrazione me lo consentiva, e potevo essere certo che nessuno mi osservasse, mi guardavo nelle ante a specchio dell‟immenso armadio e nascostamente, maliziosamente ridevo, felice della mia libertà di recitare. Mi riappropriai di quel frammento dimenticato della mia infanzia. Riassaporai il piacere segreto di allora, il potere di entrare ed uscire a volontà da quello stato, senza che genitori ed adulti, ciechi, neppure potessero sospettare la mia capacità di distacco. Da quella posizione sentivo di controllarli e li tiranneggiavo senza rimorsi. «Ma un giorno il bambino smette di recitare. Dimentica. E quella maschera che una volta indossava a volontà, ora è diventata una smorfia permanente che governa tirannicamente la sua vita… − intervenne il Dreamer, inserendosi a quel punto nel flusso dei miei ricordi − e il bambino diventa „realmente‟ l‟essere capriccioso, permaloso, debole, che stava interpretando… diventa un adulto fragile che può soltanto dipendere da qualcuno o da qualcosa, da un impiego o da una droga, eleggendo il mondo a suo boss.» «La libertà − disse lievemente, ma lo sguardo aveva la durezza dell‟acciaio − ti costerà le maschere che hai indossato per così tanto tempo.» 10 Il Sogno è la cosa più reale che ci sia Nel corso dei due anni che trascorsi in Kuwait e nel Medio Oriente si creò in me una sorta di assuefazione alla miracolosità del Dreamer. La gratitudine per il benessere, la salute, il successo, per la possibilità di ricorrere per ogni difficoltà a quella Sua saggezza, misteriosa ed inesauribile, fu gradualmente sostituita da uno strisciante antagonismo, da una repressa ribellione alla Sua autorità. Dalle mille ferite che mi infliggeva il mondo, perdevo energia a rivoli, e con essa, la fiducia in me stesso, la voglia di vivere, la gioiosità. Anche il senso del miracoloso che con il Dreamer era entrato nella mia vita, stava evaporando, come un‟essenza preziosa lasciata all‟aria. Tutto il mio mondo si stava appannando. Come un riflesso della mia perdita di vitalità, anche i collaboratori non mettevano più nel lavoro l‟energia e l‟entusiasmo di una volta. Il mio ruolo di boss, dover risolvere i problemi che incessantemente mi assediavano, mi uccideva. 275

A Kuwait City Non può governare gli altri chi non governa se stesso Nei nostri incontri, ormai sempre più radi, ancora annotavo le Sue parole, riflettendovi poi a lungo; ma una spaccatura profonda da tempo stava separando in me il Sogno da ciò che credevo realtà. Ora so che l‟antico dramma dell‟uomo, la scacciata dall‟Eden, non è avvenuto una volta sola agli albori della sua storia e non è accaduto improvvisamente. L‟improvviso ha sempre bisogno di una lunga preparazione La favola di Adamo, incomprensibile, ingenuamente assurda perfino, stava riproducendosi e svolgendosi sotto i miei occhi. Un Essere senziente aveva ceduto il paradiso in cambio della paura e del dolore. Com‟era stato possibile? Chi avrebbe mai barattato la vita con la morte? Eppure l‟uomo l‟ha fatto, e continua a farlo. Lo stavo sperimentando sulla mia pelle. Il morso alla mela è credere che l‟esterno sia la causa, che il mondo fuori di noi abbia una volontà che ci possiede e ci controlla. Il teatro dell‟assurdo apre il suo proscenio e replica quel dramma ad ogni momento di morte, ad ogni nostro differimento dal qui ed ora. Peccare, per gli antichi greci, significava deviare; anche la mia peccabilità nella sua struttura fu una deviazione, un allontanamento dalla parte più alta di me. Atomi di dimenticanza, di disobbedienza, di divisione si moltiplicarono e penetrarono in paradiso, inquinandolo. Un po‟ per volta, relegai la filosofia del Dreamer nel mondo dell‟utopia. Quella visione, le Sue parole, ancora mi affascinavano ed ancora sentivo la potenza del loro respiro ma arrivai a convincermi che in fondo si trattava di pura teoria. Ben altra cosa erano le situazioni pratiche, le mille difficoltà che uno con le mie responsabilità doveva poi affrontare ogni giorno, con un‟impresa da dirigere, con centinaia di uomini e donne che ne dipendevano e con una famiglia da portare avanti. Circondato da collaboratori entusiasti, con una bella villa a Samia, il quartiere più esclusivo di Kuwait City, con domestici ed autista, dimenticai in quale inferno il Dreamer mi aveva trovato solo due anni prima, dimenticai la miracolosità che mi aveva condotto fin lì. Arrivai perfino a pensare che i princìpi e le idee del Dreamer fossero fatti apposta per complicarmi la vita, per accrescere inutilmente le mie difficoltà. 276

La Scuola degli Dei “Il Sogno è la cosa più reale che ci sia − mi aveva insegnato il Dreamer − legati al Sogno con un cavo d‟acciaio e non permettere a niente e a nessuno di separartene. Un uomo senza il Sogno è un frammento perduto nell‟universo.” Ma ormai da mesi stavo alimentando una divisione tra il Suo mondo e la realtà di ogni giorno. Quel millimetro di integrità che avevo guadagnato grazie al Dreamer, quell‟impercettibile movimento nell‟Essere che aveva spostato montagne nella mia vita, ora lo stavo perdendo. Il peccato imperdonabile, il peccato dei peccati, è credere che sia il mondo a creare noi. Lo commettiamo ogni istante nel nostro cuore, quando facciamo del mondo il nostro dio: un dio dolente, un dio ignorante. Dal Libro della Genesi al racconto di Frankenstein, dalla favola di Alice a Blade Runner, l‟uomo si racconta da sempre la storia infinita del creatore che diventa vittima della sua creatura. Nella nostra suggestione il mondo esterno prende il sopravvento e noi lo crediamo reale, lo mettiamo al di sopra di noi, lo idolatriamo. “Il mondo, quando lo vedi, è già fatto” mi disse una volta spiegandomi che è questa la ragione per cui si chiama „creato‟. Viene dopo. È effetto! C‟è una causa che viene prima. Solo pochi possono realizzare che il mondo non ha una direzione, non ha una propria volontà. “La volontà appartiene soltanto all‟individuo… governa il mondo. Se la volontà è assente, il mondo prende meccanicamente il sopravvento.” Fu una scoperta scioccante! Realizzare che il mondo, la massa, non possono avere una volontà è come accorgersi, mentre l‟aereo è in volo, che non c‟è pilota ed in pochi istanti dover capire tutta la strumentazione, impadronirsi della guida. “Il tuo preoccuparti è perciò inutile − osservò concludendo − serve soltanto a perpetuare la tua dipendenza dal mondo.” “Cosa significa dipendere dal mondo?” gli chiesi, sentendo la Sua filosofia confliggere più che mai con tutto quello in cui volevo ancora credere. “Significa che quando „dimentichi‟ ti rimpicciolisci e il mondo diventa il tuo boss − mi rispose secco il Dreamer – Gli uomini, in assenza di volontà, si riducono a nani psicologici e si aggirano nel proprio universo con la coda tra le gambe, curvi sotto il peso dei sensi di colpa, spaventati a morte dai fantasmi che loro stessi hanno creato.” 277

A Kuwait City Aggiunse che esseri ridotti in queste condizioni non potevano fare altro che accusare, lamentarsi, giustificare e compiangersi. Ed è ancora questa la condizione planetaria dell‟umanità; una condizione in cui stavo precipitando a capofitto, come Icaro, quando la cera del ricordo si scioglie e perdi le ali della gratitudine. Come il personaggio pirandelliano dell‟Enrico IV, mi trovai imprigionato nel ruolo che avrei dovuto soltanto recitare. “Diventare un businessman, entrare nel ruolo più ampio di un imprenditore, non significa diventare un uomo libero. Identificarsi con quel ruolo significa aver soltanto cambiato prigione. Sei solo entrato in una nuova cella… Libertà significa libero dalla identificazione con il mondo, significa cancellare per sempre quel canto di dolore che ha governato tutta la tua vita.” In cuor mio avevo già lanciato il martello di legno contro il grillo parlante, avevo già deciso di sopprimere in me quella Sua voce molesta. Con il passare dei mesi i contatti con il Dreamer diventarono radi e difficili, fin quasi a sparire. Ormai contavo sulle mie forze per periodi sempre più lunghi. Correvo e mi affannavo ad inseguire soluzioni che nel tempo, senza che me ne rendessi conto, si trasformavano a loro volta in problemi, formando un circolo perverso senza fine. Le batterie solari caricate dall‟energia del Dreamer si affievolirono. Apparentemente tutto ancora procedeva come prima ma quella energia, quella luminosità speciale che era entrata nella mia vita insieme al Dreamer, come un liquido vitale insostituibile, stava sprizzando da cento ferite nell‟Essere. Non mi allenavo più. Trascuravo il corpo. La stanchezza, le rughe e gli altri segni di invecchiamento e di decadimento fisico li giustificavo con l‟intensità del lavoro e la scarsità di riposo. In realtà, uscito dal Sogno, stavo ripercorrendo a ritroso la strada fatta col Dreamer. Anche la fiducia dei partner, la lealtà, talvolta l‟ammirazione dei collaboratori, che credevo mi fossero dovute per capacità personali, non erano che un riflesso del mio rapporto con il Dreamer. Queste relazioni si appannarono ed in alcuni casi scomparvero del tutto. Accusavo gli altri di questo cambiamento. Mi sembravano ingrati, avidi, profittatori. Intanto problemi ed antagonismi si facevano sempre più minacciosi e gli insuccessi sempre più frequenti. Eppure nella maggior parte dei casi, almeno all‟inizio, scivolare all‟indietro fu dolce, perfino piacevole. 278

La Scuola degli Dei Il diradarsi degli incontri e dei contatti col Dreamer fin quasi a sparire dalla mia vita l‟avvertii inizialmente come una maggior leggerezza, spensieratezza. Il mio abbigliamento divenne meno austero, le mie abitudini meno sobrie. Accettai più spesso gli inviti ai circoli, ai ricevimenti in ambasciate, ai parties in ville private. Diventai un habitué dei ristoranti e dei ritrovi più affollati della città. Il Dreamer aveva sempre suggerito l‟understatement; non essere troppo accessibile, partecipare solo a pochi eventi ufficiali, scegliendo attentamente e preparando strategicamente le occasioni. Alla vigilia di incontri importanti la disciplina indicatami dal Dreamer poteva richiedere di intensificare il lavoro su me stesso con un‟accresciuta attenzione al cibo, agli esercizi fisici, alle letture. Il rafforzamento di uno stato di alertness, di vigilanza, era rivolto a non lasciare aperta la più piccola feritoia al mondo, a non permettere che fosse inquinata quella ricchezza, la sostanza preziosa che avevo accumulato in mesi e mesi di „lavoro‟. Nel liberarmi da gran parte di tutto questo sentii il sollievo di uno spartiate che accoglie con gioia la notizia della guerra pur di interrompere la sua faticosa routine di pace, fatta di esercizi estremi e sforzi insopportabili. Intanto nel cielo del Kuwait si stavano addensando, come nembi gravidi di pioggia, le minacce di guerra. Gli incidenti di confine con l‟Iraq erano ormai quotidiani ed il mondo politico e del business internazionale mostrava segni di nervosismo e di incertezza sul futuro del minuscolo sceiccato. Alcuni fornitori internazionali aumentarono le precauzioni contrattuali nel rifornirci e in un paio di occasioni alcuni manager occidentali, che già avevano sottoscritto un contratto, rinunciarono all‟ultimo momento e decisero di non trasferirsi. Minimizzai questi sintomi e dedicai ogni impegno a sviluppare l‟impresa. Rinnovai gli sforzi e decisi il lancio di una nuova linea di prodotti dando il via ad una campagna di immagine per la quale mi rivolsi all‟agenzia locale della DBDO International. Il direttore, un giovane libanese di cultura europea, promise di affidare quel progetto a un nuovo manager di nazionalità inglese che egli riteneva il più adatto. Sarebbe venuto di lì a pochi giorni a trovarmi in ufficio alle Al Awadi Towers per presentarmi le sue idee. Fu così che conobbi Heleonore. Non ricordo molto delle idee che mi illustrò per la campagna pubblicitaria ma quel sorriso, la sua 279

A Kuwait City vitalità e la sua bellezza di origine andalusa mi lasciarono un‟impressione incancellabile. Mi ricordai delle parole del Dreamer e sperai che fosse lei una delle cellule preziose del Progetto che avrei dovuto incontrare in Kuwait. Concentrai ogni mio desiderio in uno solo e lo espressi forte nel mio cuore: “Dio, fa che sia lei.” 11 Heleonore Da quella volta la incontrai quasi ogni giorno. Le nuotate insieme, le partite a tennis nel club dell‟Hyatt, un appuntamento nella bolla gigante delle Water Towers, da cui ammiravamo le luci del golfo, una cena al Versailles del Mèridien, furono le istantanee del mio veloce corteggiamento. Heleonore divenne la mia migliore collaboratrice, l‟amica, la confidente dei miei due figli. Entrò nella nostra vita dolcemente ed inesorabilmente, occupandone un po‟ per giorno ogni angolo. Mai nessuna invasione fu meno contrastata. Giuseppona non si pronunciò ma sapevo di non avere il suo assenso. Non collegai la sua attitudine alla mia condizione di lontananza dal Dreamer, alla mia disobbedienza. Pensai ad una forma di gelosia. La giudicai una temporanea, comprensibile, reazione a una minaccia al suo ruolo. In realtà, Giuseppona intuiva che stavo entrando in un mare di guai. Era nata a Cuma e di quella civiltà più antica di Roma, fondatrice di Neapolis, aveva lo spirito profetico e il linguaggio sibillino. La sua intelligenza primordiale, non inquinata da istruzione, senza sovrastrutture né schemi mentali, aveva la lucidità dell‟essenza, la forza della semplicità, della sincerità, della purezza di chi sa senza sapere. Stavo riprovandoci ancora una volta. Dopo la morte di Luisa, non avevo smesso di credere di poter rimettere insieme una famiglia vera, felice. Ancora ero convinto che i naufragi familiari in cui si erano risolte le relazioni precedenti con Jennifer e con Gretchen fossero dipesi da condizioni esterne. Ero stato sfortunato in amore, come si dice. Ecco tutto! Prima o poi avrei incontrato la donna giusta ed allora ogni cosa sarebbe andata per il meglio. Ancora mi illudevo che un destino felice potesse toccarmi restando così com‟ero; che circostanze ed eventi diversi dal passato, potessero prodursi nella mia vita senza alcuna necessità di dover cambiare. 280

La Scuola degli Dei Il mondo esterno è la materializzazione della tua psicologia… Sei tu che hai dato assenso ad ogni tuo problema, a ogni difficoltà della tua vita… One day, when you will know yourself, you will understand why the world is as it is. Con l‟arrivo di Heleonore la voce del Dreamer era diventata ancora più remota. La mattina Jamil raccoglieva per noi datteri freschi dalle palme del giardino sabbioso e ci serviva la colazione a base di formaggio fresco, microscopiche olive nere e tabbouleh, dall‟intenso profumo di menta e prezzemolo. Furono mesi appassionati, ma non felici, venati com‟erano di una inesprimibile, sottile sofferenza. La stessa che oscurava la gioia di marinare la scuola e che rendeva difficile mandare giù i bocconi del panino che Carmela mi aveva messo in cartella. Così mi sembrava che il mondo avversasse la nostra unione. In realtà ero io che non riuscivo a perdonarmi la trasgressione ad un codice invisibile, alla coscienza che, ferita, stava informando il mondo della mia condizione di fuorilegge. Il Dreamer mi stava preparando per diventare un re ed io avevo di nuovo scelto la mediocrità. Soltanto dimenticando le Sue idee, le Sue parole, allontanandole dalla mia vita, avrei potuto incontrare una donna che mi avrebbe riportato negli inferni del passato, nei ghetti della dipendenza. Durante i primi mesi non posso dire che mi mancassero i Suoi insegnamenti. La mia presunzione aveva abbondantemente colmato quello spazio. Sentivo, tuttavia, un oscuro sentimento di malessere crescermi dentro, come una premonizione superstiziosa, la profezia di una incombente sventura. Tutta quella zavorra di emozioni, di immaginazioni negative e di sensi di colpa che credevo di aver ormai lasciato alle spalle, stava riprendendo possesso della mia vita. L‟idea di poter costruire la nostra felicità senza tener conto di null‟altro che del nostro egoismo, impallidiva di notte, come la luna di quel cielo islamico sotto il quale Heleonore ed io non avevamo più cittadinanza. Non solo per il Dreamer, ma anche per le leggi kuwaitiane, eravamo outlaws. Non erano da sottovalutare i rischi che correvamo in un paese che aveva eletto il Corano a legge assoluta per ogni aspetto della sua esistenza. Un paese dalla morale farisaica, tanto inflessibile nel pubblico quanto era licenziosa nel privato. 281

A Kuwait City Giorno dopo giorno si allentarono i legami con il paese, con quel lavoro, con lo stesso Yusuf Behbehani, mentre la casa in Piemonte, circondata dai laghi, ai piedi delle Alpi, e la vita in Italia esercitavano un richiamo sempre più irresistibile. Un‟esaltazione ci travolse dipingendo di nero la nostra situazione e tutto quello che avevamo in Kuwait ed esagerando l‟attrattiva di tutto quello che credevamo ci attendesse in Italia. Heleonore era entusiasta all‟idea di andare a vivere nella casa di Chià. Insieme facevamo progetti su come renderla più confortevole, su come completarne la ristrutturazione ed organizzare la famiglia. Nella mia immaginazione, ritornando in Italia, tutto sarebbe stato meraviglioso. I bambini sarebbero tornati alla „normalità‟. Perfino Soshila, la cockerina che, nascosta in una tasca della giacca, avevo portato da un recente viaggio in Italia, avrebbe potuto vivere da cane. 12 L‟adozione In Kuwait, paese islamico, i cani sono evitati dai musulmani come animali impuri; e difatti sono pressoché inesistenti. Bastava che Soshila, la nostra cockerina, sfiorasse una domestica, per vedere questa correre via per abluzioni e per i rituali di purificazione. Il piacere di vedere la gioia di Giorgia e Luca quando feci spuntare dalla tasca della giacca il musetto di quel cucciolo, lo pagai caramente. Il Dreamer fu particolarmente duro in quell‟occasione. Mi fece chiaro come la decisione di fare un dono ai bambini introducendo nel paese un animale inviso a quella cultura, nascondesse un egocentrismo tanto più pericoloso quanto più inconsapevole. “Una persona perbene, a qualunque latitudine si trovi, quali che siano gli usi, i costumi, il credo religioso del popolo che lo ospita, li rispetta. Una intelligenza del cuore guida le sue scelte. Oltre il tempo e la geografia, la sua etica gli permette di sentirsi sempre a casa, nella legalità e nella moralità, senza sforzo” mi disse il Dreamer. Pur non capendo, registrai fedelmente il Suo discorso, ed in particolare le esatte parole con le quali chiuse quell‟argomento: “Introdurre quel cane è la manifestazione di una vanità nascosta, di una divisione in te stesso e dagli altri che ti relega agli 282

La Scuola degli Dei ultimi gradini della scala dell‟Essere. Un giorno quando la riconoscerai in te potrai guarirla. Per ora, e fino a quando capirai, sforzati di non creare scandalo.” Dovetti attendere qualche tempo e il verificarsi di un‟occasione favorevole prima di cogliere il senso di quella lezione che al momento, per la verità, mi sembrò eccessivamente severa. Un giorno, aprendo a caso il Vangelo, ritrovai quella parabola in cui Gesù ordina a Pietro di pagare il tributo dovuto a Cesare, „per non creare scandalo‟. Avrebbe trovato le monete necessarie in un pesce appena pescato. La spiegazione che era già lì, racchiusa in una piega dell‟Essere, emerse in piena luce come al sollevarsi improvviso di una cortina. Quello che scoprii non chiarì soltanto l‟episodio del cucciolo di cocker ma anche situazioni apparentemente lontane, unite dal filo di uno stesso meccanismo psicologico. Apparve chiaro come la vanità e l‟egocentrismo, il desiderio di essere al centro e „creare scandalo‟, fossero la molla segreta e la spiegazione più profonda dei comportamenti più vari e meno comprensibili di tanti uomini e donne: dalla passione per gli sport estremi e per le avventure più rischiose, fino alle imprese umanitarie e benefiche, come l‟adozione di bambini di un‟altra razza o colore. Per vanità ed egocentrismo alcuni possono affrontare oceani su un guscio di noce o erigere cattedrali, fondare religioni. Capii che la polarità opposta di „creare scandalo‟ è il comportamento di chi è silenzioso, di chi fa senza alcun bisogno di sollevare onde contrarie, antagonismi ed avversioni inutili. C‟è chi nel silenzio, senza ostentazione, sostiene responsabilità che mille uomini non potrebbero toccare neppure con un dito. Mi ricordai di una coppia di amici, ginecologo lui e docente universitaria lei, che per umanitarismo volle adottare un bambino ecuadoriano. Affrontarono più volte il lungo viaggio in quel paese e superarono ogni difficoltà, pagando intermediari, ed infine la madre stessa, pur di riuscirci. “Quegli sforzi non sarebbero mai stati fatti, neppure lontanamente, per un bambino del proprio paese. Un bambino bianco sarebbe passato inosservato, lo avrebbero creduto veramente un figlio − commentò il Dreamer quando Gli raccontai questa storia − Sarebbe stato come pregare o digiunare senza mostrarlo, anzi, avendo cura che nessuno ne venisse mai a sapere nulla.” 283

A Kuwait City Il bambino di colore avrebbe invece „creato scandalo‟. Avrebbe fatto emergere avversioni, divisioni, rancori, li avrebbe occupati in liti apparentemente esterne ma in realtà creature della propria violenza repressa, materializzazioni del proprio razzismo inconsapevole, dei sensi di colpa che la scelta di quell‟adozione intendeva assopire o in qualche modo nascondere a se stessi. Raccontai al Dreamer che difatti, passati alcuni anni, avevo ritrovato quei miei amici oltremodo amareggiati ed invecchiati. Mi dissero delle mille angustie e dei soprusi, grandi e piccoli, che quel bambino e loro stessi dovevano subire ogni giorno da parte di gente intollerante e di un ambiente retrivo. Tanto che tra i genitori con lo stesso problema avevano dovuto costituire un‟associazione che si „battesse‟ per la difesa dei loro diritti e per l‟affermazione dei principi che avevano ispirato il loro „atto d‟amore‟. Riferii infine al Dreamer che, delusi e più infelici di prima, poco tempo dopo erano arrivati alla decisione di separarsi ed infine di divorziare. “L‟adozione decisa dai tuoi amici non è stata un atto d‟amore, come essi hanno voluto credere, ma il tentativo di riempire il vuoto del loro rapporto. Nothing is external. Nessuna cosa dall‟esterno, nemmeno l‟adozione di un bambino, può eliminare le morti interne, la paura, la solitudine, la sofferenza.” Gli chiesi perché quella coppia fosse attaccata, perché il loro atto, e quello di altre coppie come loro, avesse sollevato tante avversioni ed ostracismi. “Gli attacchi del mondo sono una benedizione... arrivano sempre per guarirci. Il mondo deve intervenire dall‟esterno, per denunciare quella mancanza, quella malattia che credi di non avere.” Mi spiegò che se fossero stati più sinceri avrebbero saputo che era stato quel bambino ad adottare loro e non viceversa; che in realtà era lui il benefattore. Quel piccolo era venuto a prendersi tutto il loro malessere, ad assorbire la loro solitudine, a tentare di guarirli dalle paure, dai loro sensi di colpa, dalla loro sterilità. Secondo il Dreamer, se avessero riconosciuto tutto questo non avrebbero avuto alcun bisogno di adottare quel bambino né di attirarsi contrasti ed avversioni. “Il mondo sa!” concluse il Dreamer. 284

La Scuola degli Dei Nell‟ascoltarLo, e conoscendo bene quella coppia, ora „vedevo‟ che nell‟adottare un bambino „diverso‟ essi erano stati mossi da motivazioni che mai avrebbero potuto sospettare, né avrebbero confessato neppure a se stessi. In verità, cosa avrebbe potuto appagarli di più, e per più anni, che vedere negli occhi degli altri l‟ammirazione per una generosità così straordinaria? Mentre scrivo so che scoprire la nostra falsità, l‟egoismo, la vanità nascosti dietro un atto così umano richiede un lungo lavoro di autosservazione. Sono consapevole della gravità di questa denuncia, e me ne assumo la piena responsabilità. Come cellula dell‟umanità, ho scoperto in me stesso che è questa ignoranza, apparentemente trascurabile, insignificante, che ci degrada e ci fa preda della paura sia di vivere che di morire. È quest‟ombra del nostro Essere, ignorata, l‟inconsapevolezza di questa criminalità interna, che si proietta sullo schermo del mondo e materializza tutti gli orrori, le atrocità, la violenza. Con l‟intensificarsi e l‟acuirsi dei segnali di una guerra incombente, le scuse per lasciare il Kuwait non mancavano certo, o, quantomeno, era così che volevamo credere. Una volta orientati a tornare in Italia, ogni giorno cercavamo e trovavamo nuove conferme alla giustezza di questa risoluzione. La decisione lungamente covata fu poi, apparentemente, presa in poche ore. Sheick Yusuf Behbehani non fu sorpreso né si mostrò troppo dispiaciuto. Liquidai i miei interessi nell‟impresa e di comune accordo nominammo a dirigerla il mio secondo. Negli occhi di Roger che brillavano di soddisfazione per quella elezione insperata alla posizione che il Dreamer aveva creato per me, lessi la mia condanna. Ma era troppo tardi per tornare indietro e preferii soffocare e spegnere quel barlume di lucidità. Anche Heleonore lasciò il suo lavoro alla DBDO International e con tutta la famiglia partimmo da Kuwait City, portando con noi la cockerina Soshila. Una breve sosta a Cipro, qualche giorno ad Atene, come in una camera di decompressione, e poi l‟Italia.

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La Scuola degli Dei CAPITOLO VII

Ritorno in Italia 1 La clausola Un pensiero molesto mi aveva destato d‟improvviso. Mi stropicciai gli occhi ripetutamente ma quell‟incubo non spariva. La stanza in cui mi ero svegliato era disadorna, ingombra di calcinacci. Alla luce di una penzolante lampadina, le mura mostravano squarci di pietra viva e mattoni ancora da intonacare. Per lunghi secondi, non riuscii a credere che quella casa avesse preso il posto della nostra elegante villa a Samìa. Percorsi con lo sguardo la base delle pareti ed osservai i ciuffi di fili elettrici colorati che spuntavano dalle canaline di plastica attaccate con calcina. Accanto a me, Heleonore dormiva e la sua presenza mi convinse con uno spasmo che era tutto vero. Era quella la casa di Chià che avevamo tanto sognato. Quando seguo il corso degli eventi e risalgo alle radici di quello che mi ha rigettato nelle fauci del passato, vado col pensiero a un fatto in particolare che per anni ho tenuto segreto e che non ho potuto perdonarmi, fino al giorno in cui ho trovato il coraggio di confessarlo al Dreamer. Prima della partenza per il Kuwait il Dreamer si era raccomandato: “Taglia! Taglia per sempre! Non portare con te neppure un atomo del tuo vecchio mondo.” Mentre mi parlava così, sentivo la morte nel cuore. Lasciando la ACO Corporation, nel sottoscrivere l‟accordo che poneva termine al mio rapporto di lavoro, avevo chiesto e ottenuto di inserire una clausola che tenni segreta. Era l‟assicurazione che entro due anni, se avessi deciso di ritornare, avrei potuto riprendere il mio vecchio lavoro. Quante volte ho ripensato alla volontà involontaria che aveva ordito quella trappola, a quella subdola previdenza che

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Ritorno in Italia aveva dettato quella clausola, lasciando aperte le porte che mi avrebbero riportato nel passato. I capi degli Sciti, i misteriosi abitatori della steppa euroasiatica, il popolo dormiente nel ghiaccio, meditavano a lungo intorno ai fuochi se intraprendere una migrazione verso sud o dare inizio ad una guerra di conquista ad occidente. Questa decisione poteva richiedere giorni o mesi; ma una volta presa, era irreversibile. Caricato sui carri le famiglie ed ogni avere, bruciavano ogni cosa alle loro spalle: ponti, case, raccolti e tutto quello che non potevano portare con sé. Quanto diversa era stata la mia attitudine nell‟andare verso il nuovo! «Sei guidato dalla paura − fu il commento del Dreamer alla mia confessione − Hai vissuto una vita conformandoti alla folla… anni e anni a dipendere… senza trovare il coraggio di rispettare il tuo Sogno, la tua unicità.» «Ulisse si fa legare all‟albero per non abbandonare, per non dimenticare la sua promessa, il Sogno − continuò − I lacci lo legano ai suoi princìpi. È l‟atto di un „uomo di Scuola‟, di un uomo impeccabile che, come tutti gli eroi, conosce se stesso!» «Non temere l‟obbedienza. Allineati ai princìpi della Scuola − disse, la Sua voce era dolce − Obbedire alla Scuola non è dipendere ma seguire quello che è più puro, più vero in te. Un giorno, quando ti avvicinerai a una maggiore onestà e sincerità, vedrai che non c‟è mai stato un gap. La Scuola che è apparentemente fuori di te, si fonderà con la Scuola che è dentro di te: la volontà.» Il lavoro alla ACO e la casa di Chià erano solo alcuni dei ponti che non avevo avuto il coraggio di tagliare; solo alcune delle sirene dal cui canto non avevo saputo proteggere la mia vita. Il loro richiamo si sarebbe rivelato fatale. La distanza tra me ed il mondo del Dreamer aumentò a dismisura finché diventò troppo grande per essere superata. 2 Un brusco risveglio Già dal nostro arrivo, la visione del giardino invaso dalle erbacce e la geometria sbilenca delle impalcature abbarbicate a uno dei muri esterni della casa, furono un brusco risveglio. Dopo poche 288

La Scuola degli Dei settimane dalla partenza dal Kuwait, sembrava remoto il tempo in cui ero stato a capo di una impresa e di un team internazionale. Anche Heleonore stentava a riconoscere in me l‟uomo che aveva seguito con tanta fiducia. Il Dreamer mi aveva indicato la via della prosperità, mi aveva risanato nel fisico e nello spirito, aveva capovolto la mia disperata descrizione del mondo aprendomi ad una visione intelligente e coraggiosa. Con Lui avevo provato il gusto della libertà: libertà dal dolore, dal dubbio, dalla paura. Accanto a Lui avevo avuto accesso ad un‟energia capace di trasformare la mia vita e di strapparmi al mio destino inesorabile. L‟avevo ripagato abbandonando quello che mi aveva affidato. E Gli avevo nascosto la mia relazione con Heleonore. Remotamente, le parole del Dreamer ancora echeggiavano, ma il filo d‟oro che mi legava a Lui sembrava essersi spezzato per sempre. Vision and reality are one and the same thing Ecco di cosa si era veramente innamorata Heleonore!… della filosofia del Dreamer, della Sua forza, di quelle Sue parole che, come il patetico personaggio di Rostand, ancora ripetevo, fingendo fossero mie. La presunzione, l‟incapacità di provare gratitudine per tutto quello che avevo ricevuto, mi avevano separato dal Dreamer. Ed ora stavo perdendo anche lei, la donna che mi aveva seguito con tanta fiducia. Dimenticata la promessa solenne fatta al Sogno, la mia vita stava mostrando le toppe della sua condizione. Quella frenata nell‟Essere stava rievocando tutti i fantasmi del passato e riportandomi nelle condizioni di quando vivevo a New York, prima dell‟incontro con il Dreamer. Anche fisicamente stavo riprendendo le sembianze e le attitudini dell‟uomo che ero stato. Nel corpo, nel viso, stavano propagandosi gli effetti di un decadimento psicologico. L‟uomo dinamico che il Dreamer aveva saputo risvegliare in me, il capo d‟impresa sicuro di sé, determinato, elegante, amato dai suoi uomini, stava tristemente trasformandosi nell‟ombra di se stesso. Mi aggiravo per casa preoccupato. Spendevo il tempo facendo conti domestici, discutendo con gli operai la messa in opera di un camino o di un pavimento, entrando in beghe con un vicino per qualche questione di confini o occupandomi dello scarico di una grondaia. 289

Ritorno in Italia Con i vicini avevo tentato di stabilire rapporti amichevoli, offrendo in dono qualche gadget elettronico portato dal Kuwait e invitandoli a casa. Ma ogni mio sforzo si era dimostrato incapace di placare la loro ostilità. Anche in quel piccolo paese, nascosto in una ruga del neozoico, Heleonore ed io eravamo dei fuorilegge. Era come se tutti sapessero della nostra trasgressione, come se il nostro arrivo fosse stato preceduto da una scomunica planetaria, da un ordine diramato di non accoglierci. E a quest‟ordine l‟intero paese aveva risposto con la rapidità e la precisione di un‟obbedienza ipnotica, rendendoci la vita difficile. Difatti ogni cosa, dall‟inserimento nella scuola di Giorgia e Luca ai permessi comunali per completare i lavori di ristrutturazione della casa, trovava ostacoli inverosimili. Recriminavo, mi lamentavo, accusavo la burocrazia, gli eventi, persone, circostanze e non capivo che il cambiamento era stato soltanto apparente. Lasciando aperta quella porta alle mie spalle avevo già deciso il mio fallimento, premeditato la mia sconfitta. Il più grande nemico dell‟uomo è se stesso! Tu sei l‟esempio più evidente di quanto sia impossibile per un uomo abbandonare le prigioni dell‟ordinarietà, sollevare le armi contro i propri limiti, capovolgere la descrizione del mondo. La dolorosità che stai vivendo, la tua fedeltà alla sofferenza ne è la prova... Può sembrare che la tua vita si sia inaridita, rattrappita, quasi ne fossero state infettate le radici, ma la verità è che non hai mai sognato null‟altro di diverso da questa povertà, da questa dolorosità, da questa prigionia. Giuseppona aveva perso il suo umorismo e la proverbiale loquacità che, da sempre, a qualunque latitudine ci fossimo trasferiti, aveva riempito la nostra casa come un canto. Non sentivo più quei suoi spassosi monologhi, vere e proprie pièces teatrali, che andavano dal brontolio al rondò, fino all‟epica, commento poetico a tutti i fatti famigliari, attuali e remoti. Quella donna che, da quando ero al mondo, era stata per me l‟emblema dell‟energia e del coraggio guerriero, il capo indiano indomito che aveva vegliato su di me e sui miei figli, stava invecchiando e curvando. Quella sua comica civetteria, l‟istrionica vanità che le faceva scegliere l‟abbigliamento 290

La Scuola degli Dei più fantasioso ed improbabile, si era spenta. La notte la sentivo tossire penosamente dalla sua cameretta. Ogni colpo mi stringeva il cuore e mi raggelava come un presagio di sventura. Finché vidi l‟impossibile: Giuseppona a letto e un medico che la visitava. Non l‟avrei mai creduto. Del suo motto „stai lontano dai medici‟ ne aveva fatto una legge ferrea, una regola infrangibile di vita. L‟abbassamento di luce di quei mesi evocava tristemente il periodo di malattia di Luisella e mi oscurava l‟anima. Anche Giorgia e Luca avevano perso vitalità. Per tenerli lontani da quell‟atmosfera infelice li iscrissi a un doposcuola dove restavano fino a tarda sera. 3 L‟ignoranza è sempre a un palmo di distanza Tempo prima, il Dreamer mi aveva messo in guardia con queste parole: “Finché non avrai riscoperto la tua volontà sepolta, finché non avrai raggiunto la piena libertà, la tua integrità, il passato sarà sempre in agguato per riportarti nel vecchiume. L‟ignoranza è sempre ad un palmo di distanza… Se smetti di vigilare e dimentichi il Sogno, ti riacciufferà in un attimo e con te ogni raggiungimento ed ogni comprensione, pur conseguiti con fatica, degraderanno. Non ha importanza quanto lavoro tu abbia fatto. Finché non hai raggiunto la totalità dell‟Essere, sarai sempre in bilico sull‟abisso della tua ignoranza… La totalità dell‟Essere significa padronanza di sé; è il risultato di un lungo „lavoro di scuola‟… fino a quel momento un uomo è un funambolo sospeso tra il nulla e l‟eternità.” Reagii a queste asserzioni in un modo esagerato. Ricordo che mi espressi sull‟intera questione in termini di „grave ingiustizia‟; mi appellai, perfino a princìpi universali di equità. In realtà stavo solo difendendo me stesso con anticipo di anni. Stavo giustificando la mia disobbedienza prima ancora che si verificasse. Il malessere che avvertivo, quel disagio che sceglieva le parole e ne determinava il tono e la foga, stavano rivelando il mio futuro disastro. La mia caduta era già lì, in grembo all‟invisibile, registrata e pronta in ogni dettaglio, come una pianta nel suo seme. “L‟ingiustizia non esiste!” dichiarò apoditticamente chiudendo l‟argomento. Sapeva che ogni altra spiegazione sarebbe 291

Ritorno in Italia stata inutile. Non ero pronto. Era ancora troppo presto per me per accettare l‟idea che nella vita di ogni uomo non c‟è mai stato nulla di più giusto, di più provvidenziale, di quello che egli ha considerato ingiusto. Sull‟argomento dell‟ingiustizia avrei avuto presto una dura lezione, quando circostanze dolorose, drammatiche mi avrebbero messo nella condizione di capire. A distanza di anni da quegli ammonimenti che avevo scambiato per „esagerazioni pedagogiche‟, stavo provando sulla mia pelle quanta sofferenza inutile nasce dal dimenticare. Il mio anacronistico ritorno mi aveva rigettato nell‟erebo dell‟esistenza da cui ero evaso. Quando la volontà è assente, il dubbio, la paura, i limiti, la descrizione del mondo prendono il sopravvento. Ora annaspavo nelle acque torbide di un passato che aveva continuato a scorrermi accanto, come una sciagurata vita parallela. Abbandonato il Kuwait senza l‟assenso del Dreamer, le fibre luminose che mi legavano al Sogno si erano assottigliate allo stremo. Stavo ricadendo nei gironi dell‟esistenza da cui provenivo. Il mio destino era sospeso a un filo. 4 Ritorno al passato La mia esistenza imbarcava acqua. Il denaro ricavato dalla cessione della quota di partecipazione nell‟impresa in Kuwait stava rapidamente esaurendosi e presto mi ritrovai nella necessità di cercare un lavoro. Come in una favola mediorientale, perso l‟oggetto magico, quel mondo che il Dreamer mi aveva fatto conoscere stava sparendo, sfuggendomi dalle dita, come sabbia. Ritornava nel grembo dell‟invisibile, come una nascita a rovescio. I ricevimenti con le tavole scintillanti di argenti, l‟elegante profilo delle Water Towers, lo spettacolo del deserto che si tuffa nel cobalto del mare, la casa di Samìa, i viaggi intorno al mondo, le sfide imprenditoriali, gli uomini e le donne che avevo scelto, furono risucchiati da un aspirapolvere cosmico. Non li rividi mai più; come se appartenessero ad un universo parallelo, senza passaggi né comunicazioni possibili con il mio. Quel varco, non più grande della cruna di un ago, miracolosamente attraversato con il Dreamer, si era richiuso per sempre. Il Progetto mi aveva abbandonato. Come Esaù, avevo 292

La Scuola degli Dei barattato la primogenitura di un regno per un misero piatto di lenticchie. Fu in quelle condizioni che, prima che i due anni scadessero, aggrappandomi a quella clausola che mi assicurava di poter rientrare, avviai i contatti per ritornare a lavorare alla ACO Corporation. In occasione dei colloqui che seguirono, entrai in vari uffici a fare visita a conoscenti e vecchi colleghi. Stavo per essere risucchiato da un vortice infernale. Alla ACO Corporation tutto era rimasto com‟era prima della mia partenza per il Kuwait. Fantasmi aziendali ancora aleggiavano esattamente lì dove li avevo lasciati, dietro le loro microscopiche scrivanie, nei corridoi o intorno ad un distributore automatico del caffè, con i discorsi, i pensieri e le attitudini di sempre. Vedendomi passare ammiccavano, si scambiavano occhiate di complicità. Sorrisi malati gli si disegnavano sulle labbra, incontrandomi. Più che guardarmi mi sbirciavano dai loro recinti invalicabili, attraverso le sbarre di gabbie invisibili, evidentemente soddisfatti di riavermi compagno di prigionia. Ritornando al mio posto gli stavo portando un soffio di vita artificiale, come una boccata di ossigeno a un ammalato. Cosa infatti avrebbe potuto farli sentire meglio? Ero la prova del nove della loro più radicata convinzione, la dimostrazione vivente e conclusiva che la fuga da quel girone dell‟esistenza era impossibile, e anche pericolosa. Immagino che, meccanicamente, provassero per me sentimenti confusi. Cattiveria, sarcasmo, gioia per il fallimento di quell‟evasione, erano bave emotive che si intrecciavano ed aggrovigliavano nel bozzolo delle loro anime. Il caso di quel compagno riacciuffato stava spazzando via dalla loro mente anche il più vago desiderio di fuga. Il mio ritorno offriva il sollievo che porta con sé l‟accettazione dell‟insormontabile, la dolcezza della resa che proviamo di fronte a ciò che ci appare irrimediabile, ineluttabile. Messo a tacere quel solitario strofinio di lima che aveva preceduto la mia fuga, era ritornato, sinistro e rassicurante, il silenzio del „carcere‟ e il suo ordine. Una forma di oblio stava accompagnando la mia reintegrazione nella condizione di dipendente mitigando la dolorosità altrimenti insopportabile. Ancora qualche giorno e l‟operazione di reinserimento in quel mondo sarebbe stata completa e irreversibile. Prima che questo potesse accadere, con gli ultimi sprazzi di lucidità, tentai in ogni modo di ritrovare il Dreamer. Ritornai a 293

Ritorno in Italia Londra, lo cercai al St James, al Savoy. Ritornai alla panchina di Roosevelt Island, al Café de la France a Marrakech. Setacciai palmo a palmo i luoghi dov‟ero stato con Lui e ripercorsi le strade che mi avevano visto al Suo fianco. Ma senza esito. Il Dreamer mi aveva abbandonato. Nell‟affanno che accompagnava quella conclusione, per il dolore di quella perdita, arrivai perfino a pensare che non fosse mai veramente esistito, se non nella mia immaginazione. 5 L‟inquinamento psicologico La mia richiesta di ritornare a lavorare li colse di sorpresa e fu accolta dal management della ACO Corporation più per rispettare l‟impegno preso contrattualmente che per una effettiva utilità. I capi non sapevano dove inserirmi, né cosa potessero affidarmi. Mi aspettavo un incarico di responsabilità ma con difficoltà mi trovarono un posto nel Dipartimento Marketing internazionale. Non mi fu assegnato un ruolo, né ricevetti alcuna indicazione su quali fossero le mie responsabilità. Ero in un limbo, senza collaboratori né boss. Senza segretaria. Unico arredo, una scrivania e un telefono che non squillava mai. Nei primi mesi tentai di mantenere uno stato di vigilanza e feci sforzi per non lasciarmi sfuggire una lamentela o l‟accenno di un‟accusa; tuttavia, avvelenamenti dell‟Essere sotto forma di invidia, gelosia, rabbia o frustrazione, si producevano in me a getto continuo. La ACO era una fabbrica di pensieri ed emozioni negative. Un contrattempo, o l‟errore di un collaboratore, bastava per riportare in superficie vecchie scorie. Tuttavia il lungo lavoro fatto col Dreamer non era stato inutile. Un filtro di attenzione mi permetteva di osservare quegli stati d‟Essere, di circoscriverli e controllarne la manifestazione. L‟unica cosa che mi dava vita erano le Sue parole che rileggevo dal taccuino. Quella condizione di isolamento mi aiutò a riprendere le tracce del Dreamer e a mantenere vivi in me i Suoi insegnamenti. La disobbedienza ai princìpi del Sogno significa autosabotaggio, significa uccidersi dentro. L‟esistenza fuori non può fare altro che rispecchiare quel suicidio interiore. 294

La Scuola degli Dei Per non respirare l‟atmosfera della ACO, vissi in una sorta di „apnea psicologica‟. Per periodi più o meno lunghi riuscii a mantenere un certo distacco; ma era un‟impresa disperata, come tentare di fare a meno delle branchie in un mondo liquido. Sapevo che senza il Dreamer non avrei potuto resistere per molto. Di quei mesi ricordo gli sforzi estenuanti di autosservazione e di vigilanza per non essere travolto dal fiume di negatività che mi circondava da ogni parte. Osservavo quelle acque limacciose ingrossarsi ogni giorno raccogliendo detriti psicologici e altro materiale inquinante. A fiotti scorreva lungo piani e corridoi, trovando impeto ed incanalandosi tra ripe fatte di fabbriche e uffici, sfociando infine all‟aperto, fuori, nei parcheggi esterni, arrivando fino alla piccola città, inondandone le strade, entrando nelle case e nelle vite di quella gente. Quel periodo di isolamento mi permise di studiare da vicino, ma con il minimo necessario distacco, il fenomeno che il Dreamer chiamava psychological pollution, l‟inquinamento psicologico nelle organizzazioni. Ritornare alla ACO significò avere a disposizione per mesi uno dei più sofisticati e completi laboratori scientifici per questo tipo di osservazioni. Risalgono a quel tempo lo studio e le mie prime verifiche di fenomeni connessi all‟espressione di preoccupazioni, pensieri, dubbi, paure ed in genere alla produzione e manifestazione di ogni sorta di zavorra emozionale. Scienziato e cavia allo stesso tempo, scoprii che pensieri distruttivi, emozioni negative, non solo inquinavano la persona ma, una volta manifestati, sprigionavano una sostanza sconosciuta alla nostra scienza, invisibile, eppure capace di inquinare l‟ambiente, le persone e tutti quelli che erano a contatto. Mi appassionò la scoperta della loro natura contagiosa, della capacità che hanno di propagarsi da persona a persona a velocità elevatissime, rivestendo talvolta i caratteri di vere e proprie endemie. Così centinaia, migliaia di persone possono essere inquinate da una stessa suggestione, da immaginazioni, da un‟unica emozione negativa, e sospinte a reazioni collettive, meccaniche, molto spesso violente, come riflessi psicologici condizionati. Per il Dreamer, la felicità, l‟amore, la gioia, la gratitudine, la serenità, ed in generale gli stati d‟Essere superiori, sono emozioni che l‟umanità così com‟è non può provare.

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Ritorno in Italia Le emozioni positive per prodursi hanno bisogno di una lunga preparazione e lavoro su se stessi. Occorrono anni di autosservazione per eliminare strati di ignoranza, di grossolanità, e tutto quello che impedisce questi stati d‟Essere. Forse l‟avevo sempre saputo. In ogni caso ora non potevo più fingere di ignorare una scoperta di tale importanza: le organizzazioni umane sono mortalmente tristi, vere e proprie industrie del dolore. Fabbriche ed uffici, e prima ancora, scuole ed Università, sembrano essere state disegnate, organizzate, per produrre ed alimentare sofferenze apparentemente inutili. Enormi quantità di energia sono spese in divisioni e conflitti tra gruppi e tra individui, in emozioni inutili e sgradevoli, in stati d‟angoscia, di ansietà, in condizioni di preoccupazione, di incertezza ed irritabilità. Ebbi modo di verificare la verità paradossale che mentre le materie prime escono dalla fabbrica nobilitate e trasformate, uomini e le donne ne escono avviliti. Osservandole dall‟interno, arrivai a chiedermi perché nelle organizzazioni sembrava esistere, pervicace, al di là di ogni sforzo scientifico e imprenditoriale, un meccanismo „perverso‟ che costantemente produce ed alimenta una condizione di attrito, una situazione penosa di tensione, di conflittualità, per quanti vi lavorano. Assurdamente, tutto indicava che fosse proprio questa la loro raison d‟être, la loro vera produzione ed allo stesso tempo il loro misterioso motore. 6 Nella pancia della balena Mentre dalla mia postazione facevo queste riflessioni, simulando di essere assorbito dallo studio dei documenti che ingombravano ad arte la mia scrivania, sentivo nell‟organismo che mi ospitava, la ACO, uno sforzo di assimilazione, che incessantemente mi sospingeva ad appartenere, che tentava di strapparmi quella scintilla di vita che ancora mi permetteva di „vedere‟. Era come se una legge ferrea, non conosciuta ma potente ed ineluttabile, una specie di forza di gravità, un‟entropia psicologica, non potesse consentire troppo a lungo l‟anomalia di una posizione di testimone, di osservatore. L‟attenzione, quello stato di 296

La Scuola degli Dei vigilanza che mi sforzavo di mantenere, mi rendevano alieno, l‟abitante di un universo governato da altre leggi. Gli anticorpi sarebbero presto entrati in azione. Mi avrebbero trovato e assorbito, oppure espulso, come si fa con un‟escrezione o un corpo estraneo. Sarebbe bastata una piccola disattenzione, una smorfia o una sommessa lamentela, un moto di stizza, di invidia, di gelosia o di antagonismo, per stabilire l‟appartenenza a quel mondo di tristezza, dove mi collocava la mia condizione di osservatore. Per certo un‟intelligenza istintiva sovrintendeva a tutto questo. Distintamente avvertii la sensazione di essere all‟interno di un immenso organismo vivente, come Giona nella pancia della balena; o in un supercarcere così evoluto da poter leggere i pensieri dei reclusi e sapere in tempo reale se qualcuno di loro sta meditando di evadere. Un giorno osservai la hall gremita a quell‟ora dalla transumanza di esseri famelici e salivanti che stavano spostandosi dagli uffici alla mensa. Ebbi la visione minacciosa di un‟organizzazione ipnotica, di un termitaio umano gremito di esseri tirannicamente indaffarati, proprio come quegli insetti arcaici e ciechi, così simili a noi. Fu allora che feci la scoperta mozzafiato che l‟essere vivente era lei, la ACO, quell‟organismo superordinato che ci conteneva. Noi tutti, dirigenti, impiegati e operai, eravamo solo organi, ghiandole, corpuscoli organici che scorrevano nelle sue arterie senza una volontà propria né un destino individuale. Inorridii vedendoli incollati a quel mondo come ad una carta moschicida, guidati dal misterioso influsso delle emozioni negative. Moltiplicai i miei sforzi. Feci ricorso ad ogni possibile stratagemma per non farmi scoprire e metabolizzare. Erigevo barricate psicologiche scrivendo pagine e pagine delle frasi del Dreamer e rileggendole poi tutte d‟un fiato, senza interruzioni. Allo stremo delle risorse, arrivai a recitare le preghiere imparate da bambino. Le ripetevo a fior di labbra, una dietro l‟altra. Istintivamente, sentivo che questo manteneva le porte chiuse; impediva, almeno temporaneamente, a quel fluido magnetico di penetrarmi. Nei momenti più difficili quando sentivo ogni difesa vacillare, ricordando l‟insegnamento del Dreamer, mi fermavo per lunghi minuti a fissare un punto, nel tentativo di raccogliere i frammenti sparsi del mio Essere e non differire dall‟attimo. Apparentemente, ancora nessuno all‟interno dell‟ACO sembrava essersi accorto del mio tentativo di fuga e degli 297

Ritorno in Italia stratagemmi che continuamente inventavo, oltre ogni razionalità, per tentare di mantenere uno stato di concentrazione e di distacco. Fino a quel momento ero riuscito a resistere, a recitare, e meglio di quanto io stesso avessi sperato; ma non mi facevo illusioni. Sapevo di avere ormai poco tempo, forse solo alcuni giorni; poi l‟allarme per il mio tentativo di restare estraneo alla condizione di tutti gli altri dipendenti sarebbe stato dato. La mia condizione di „fuorilegge‟ sarebbe venuta allo scoperto ed avrei subito la sorte di una termite rimasta troppo tempo lontana dall‟influsso della sua regina. Senza l‟aiuto del Dreamer non avevo nessuna probabilità di farcela. 7 L‟incidente Quella mattina ero occupato a seguire i lavori di ristrutturazione della casa di Chià, quando sentii uno stridio di freni provenire dalla strada. Il presagio di una sventura, oscuramente attesa, si raggrumò in evento e raggelò l‟aria. Attraversai il giardino nella direzione di quel suono ed infilai di corsa il cancello di casa precipitandomi nella strada. Nel tempo pur breve di quel tratto, il timore crebbe a dismisura; si trasformò in ansia e poi in una paura senza argini, che dilagò nell‟Essere colmandolo fino alla nausea. A Luca, in Kuwait, erano mancate la sue corse in bicicletta. Appena tornati in Italia ne aveva voluta una in regalo e non se ne era più separato, imperversando per le stradine del paese come un piccolo bolide. Ora lo scorgevo. Quel fagotto che sembrava abbandonato, dall‟altra parte della strada… era lui! Trascorsi la notte al capezzale di mio figlio in una camera d‟ospedale. L‟ansia, la paura, il dolore, divennero fisicamente insopportabili; finché, raggiunto il loro culmine, sparirono, come per l‟effetto di un anestetico. Rivolsi il pensiero al Dreamer. Qualcosa si sciolse dentro. Provai la leggerezza di un aerostato liberato di sacchi di zavorra. Non l‟avevo più incontrato da mesi, né sapevo come riprendere contatto con Lui. Decisi allora di fare ancora un tentativo: scriverGli una lettera, come avevo fatto anni prima; una lettera che fosse il testamento del falso in me, l‟ultimo atto di un uomo che aveva deciso di rinunciare per sempre all‟ipocrisia, all‟accusa e a tutto quello che aveva guidato fino a quel momento la sua vita. 298

La Scuola degli Dei Non c‟era più nessuno da accusare. Ora realizzavo di essere la sola causa di ogni mia sventura. Il mondo non può muovere uno spillo senza il nostro assenso. The world is as you dream it. Quella sera stessa, quando Heleonore venne a darmi il cambio, cominciai a mettere ordine nei miei pensieri e le sensazioni provate in quei momenti tremendi. Essi si composero nella forma di una lettera dedicata al Dreamer. Quel lavoro mi occupò strenuamente per giorni senza che ne potessi prevedere la fine. Ogni volta che mi sembrava di essere vicino a concluderla, rileggendola, mi accorgevo della sua inadeguatezza e di essere ben lontano dal risultato sperato. Apparentemente ero io a scriverla, in realtà la lettera mi rivelava. In essa scorgevo riflessa la mia immagine. Con un poco di sincerità „vedevo‟ imbarazzanti espressioni di un falso ego far capolino da questa o quella frase a denunciare la vanità, la menzogna, l‟assenza di gratitudine. Allora abbandonavo quello che avevo già scritto e ricominciavo daccapo. Le stesse frasi che fino a poco prima mi erano sembrate giuste, a una nuova lettura si rivelavano insoddisfacenti o arroganti, o senza senso. Spesso, a distanza di pochi minuti, scorrendo quello che avevo scritto, avevo la sensazione di leggere il lavoro di un altro, di uno sconosciuto. Allora sostituivo parole, scartavo intere frasi e concetti, rifacevo il lavoro, confrontandomi ogni volta con le mie resistenze, con una incomprensione che non riuscivo a rimuovere. Una voce dentro incessantemente mi chiedeva di smettere, mi criticava, mi derideva perfino, per l‟assurdità di un tale sforzo. “Infine − diceva − non sapresti neppure dove spedirla questa lettera!” Considerai questo assillo il segnale più sicuro che stavo facendo qualcosa di buono e di utile. Stavo imparando a diffidare di me, o meglio, di quello che fino a quel momento avevo creduto essere me. Cominciavo appena adesso a conoscere quella parte oscura, neghittosa, del mio Essere che aveva guidato la mia esistenza. Finalmente stava venendo allo scoperto. Dopo un giorno e una notte di sforzi frustranti, deluso dalla lettura di un‟ennesima versione, realizzai che comunque la rigirassi quella lettera non poteva che riflettere quello che ero. Il vecchio non 299

Ritorno in Italia poteva scrivere il nuovo! Non c‟era modo di tenere fuori da quella lettera il vecchiume e le mostruosità passate. Non c‟era alcuna idea, stile espressivo, costruzione, scelta di vocaboli, dietro cui potessi nascondere quella mia deformità che mi faceva inorridire. Il pensiero di Luca, le circostanze dell‟incidente, la stanchezza, mi soverchiarono. Dopo anni, riprovai di nuovo la terribile sensazione che fossimo in due nello stesso corpo. Il pensiero di essere intrappolato per sempre in un‟ambiguità senza vie d‟uscita mi atterrì. Avrei dato qualunque cosa pur di abbandonare la convivenza con questo estraneo, uscire dal grumo di dubbi e di paura, di compromessi e d‟ipocrisia, che mi tenevano prigioniero. La certezza che anche quest‟ultimo disperato tentativo di creare un contatto con Lui era naufragato, che il Dreamer non sarebbe arrivato a salvarmi, mi gettarono in uno sconforto senza fine. Non riuscii più a controllarmi. Raccolsi bruscamente i fogli delle ultime versioni della lettera che ancora ingombravano il tavolo, li ridussi a una palla e li gettai via con violenza. Con un gesto disperato, d‟impotenza, mi lanciai contro la parete e martellai il muro a pugni chiusi fino a farmi sanguinare mani e polsi. Poi, senza più forze, lentamente mi accasciai e caddi in ginocchio piangendo. In quell‟attimo, al colmo della disperazione, senza più difese né schermi, seppi che l‟incidente all‟essere più caro che avevo era un pagamento della mia disobbedienza. Gridai che Luca si salvasse. Mi offrii al suo posto. Il dolore era così forte che non lo sentivo più. Era scomparso ed era rimasto il dolore del dolore. Raccolsi di nuovo carta e penna e questa volta scrissi la lettera di getto. 8 La lettera. Un Re Mida al rovescio Al Dreamer Questa lettera sono io. Questo foglio vuoto è il riflesso del mio vuoto. Da parecchio tempo ormai sento una specie di nausea per tutto quello che vedo in me, per tutti i segnali che indicano un abbassamento di forza, un ritorno al passato. 300

La Scuola degli Dei Scavo e scavo in me ma non trovo nulla che abbia valore, neppure la consapevolezza di non valere nulla. Uno stato di infelicità, di insicurezza, di paura mi rende un estraneo a Te ed alla mia stessa vita. Cerco ogni stratagemma per venirne fuori, ma il loro effetto dura un battito di ciglia. La volontà è ancora profondamente sepolta Il lavoro di osservarmi mi conduce a maggiore sconforto. Dovunque volgo lo sguardo vedo sempre la stessa smorfia di sgradevolezza. Lo specchio del mondo, degli altri, non è mai stato più nitido, più chiaro. Alcune parti sono „magnifying glass‟ e mi mostrano con spietatezza ogni dettaglio. Altre, meno lucide, più dense e lontane impiegano più tempo a rimandarmi l‟immagine. Ma tutto il mondo sa. Mi difendo, cerco di schermirmi… mi faccio coraggio, ma sono esausto. Sto toccando le pareti. I limiti del mio Essere mi soffocano. So che mi hai dato opportunità immense. Ne ho preso solo le briciole. Questo mi fa soffrire… il pensiero di che cosa sarebbe potuto essere, di che cosa si sarebbe potuto fare… “Aggiustare il mondo significa guarire se stesso”. Queste tue parole mi stanno lavorando dentro. Più che il mio fallimento, mi avvilisce il pensiero di essere stato d‟impedimento al Tuo disegno. La mia presunzione, questo credere di sapere, mi ha fatto mancare il bersaglio. Ho messo a rischio l‟evoluzione di migliaia di uomini e donne che sono nel tuo Sogno, che attendono di fare il passaggio; ne ho compromesso il „viaggio‟ verso l‟integrità. So che ancora l‟opportunità è grande, a nche ora, anche in queste condizioni. So che tutto è riconquistabile e può essere portato oltre. 301

Ritorno in Italia Mi spaventa il pagamento. Il fatto è che dopo anni in cui mi hai dato l‟opportunità di esserTi vicino, a diretto contatto con le Tue idee, con le Tue parole, queste non sono ancora diventate carne della mia carne. Le scrivo, le rimugino, ma non le applico alla mia vita. Oggi più che mai, non so chi sono. Come hai detto Tu: non l‟ho mai saputo. Ma in passato più volte, più a lungo, ho potuto illudermi e confondere il mio egoismo, la paura e la preoccupazione di salvare me stesso, per aspirazione. Ho potuto credere di avere qualche capacità. Ora so che ogni cosa intorno a me prende l‟aspetto della menzogna che ancora governa la mia vita. Sono un re Mida a rovescio. Tutto quello che vedo e tocco diventa povero. Vorrei esprimerti la mia gratitudine, saperti dire grazie per tutto quello che hai fatto per me, per aver deragliato la mia vita dai suoi terribili solchi, per avermi dato un nuovo destino. Gratitudine per avermi mostrato la strada della dignità, per avermi offerto il Tuo oceano di libertà, anche se per i miei limiti ho potuto berne solo poche gocce. Gratitudine per avermi fatto provare l‟assenza di paura, di dubbio, di dolore… per avermi fatto intravedere, oltre l‟apparente invincibilità della morte, un frammento di eternità, il suo brillio ineffabile. 9 “Danza, perdio, danzaaa!” Entrai in punta di piedi. Lo vidi intento a leggere adagiato alla ricca testata. Il letto mi parve intatto. Il color cenere dei lunghi capelli risaltava contro il candore dei cuscini di lino impeccabilmente stirati ed inamidati. Sembrava un principe rinascimentale. Trattenni il fiato nella speranza assurda che non si accorgesse della mia condizione. Mi sentivo a disagio, eppure non avrei voluto essere in nessun altro posto al mondo. 302

La Scuola degli Dei Qualcosa di straordinario era accaduto in me, un cambiamento mi aveva portato da Lui. Ancora una volta. Gratitudine era la chiave di accesso. Mentre volgevo in me questi pensieri, sentivo l‟esilità del filo che mi connetteva a Lui. «Io sono venuto ad offrirti una scorciatoia − esordì in tono deciso, senza preamboli − Finché sarai governato dalla paura, dal dubbio, dalla conflittualità dei tuoi pensieri, dovrai dipendere da qualcuno o qualcosa fuori di te. Finché non te ne libererai sostituirai la dipendenza da qualcosa con la dipendenza da qualcos‟altro. Ma questa non è libertà e neppure evoluzione.» Mi scrutò e un‟ombra gli oscurò il viso. «Tutto denuncia la tua menzogna. Sei un essere finto. L‟ipocrisia ancora guida la tua esistenza. Ed ora, al capezzale di tuo figlio, vorresti sapere perché la vita sembra accanirsi contro di te… » Qui si fermò ed usò quella pausa per alzarsi dal letto. Quell‟improvviso riferimento a Luca mi aveva fatto trasalire. Di colpo avevo sentito tutta la dolorosità di quel frangente della mia vita. Intanto seguivo con ansia crescente i Suoi movimenti. Il Dreamer stava avanzando verso di me senza staccare lo sguardo, fissandomi minacciosamente negli occhi. Poi protese il viso avvicinandolo impercettibilmente al mio, ad accorciare le distanze psicologiche tra noi. Ogni molecola dell‟aria stava vibrando, anticipando una comunicazione vitale. Rapidamente, a più riprese, gli vidi dondolare la testa da un lato all‟altro, come un pugile che cerca un varco nella guardia dell‟avversario. Il viso prese l‟espressione feroce di chi sta per sferrare un colpo. Il fiato si spezzò per lo spavento e si sospese. Un‟eternità trascorse e il silenzio si fece ancora più profondo. Poi, in un sibilo, feroce come la minaccia di un nemico mortale, sussurrò: «Il mondo è come tu lo sogni.» Feci fatica a deglutire. Avrei voluto fuggire, ma non potevo muovere un muscolo. «Cambia il Sogno e il mondo cambierà» disse. Annuii lentamente, per indicare che avevo capito, che poteva tirarmi fuori da quell‟angolo di universo, denso e grave, in cui mi aveva stretto. Fu a questo punto che ricevetti da Lui l‟ordine più incredibile che si possa immaginare. Tanto inatteso e anacronistico che all‟inizio feci perfino fatica a credere che dicesse sul serio. 303

Ritorno in Italia «Danza! Danza!… Danza!!!» mi intimò a più riprese aumentando ogni volta il tono della sua voce fino a farlo diventare un grido possente. «Danza! Danza!» urlò vedendomi paralizzato dalla sorpresa, incapace di muovere un muscolo. «Danza… Danza, perdio… DANZAAAA!» continuò a gridare, finché mi fu orribilmente chiaro, senza possibilità di fraintendimenti, che mi stava letteralmente ordinando di mettermi a ballare, lì, in quel momento. La paura, lo sconcerto, si trasformarono in un‟improvvisa, irrefrenabile ribellione, frutto della vergogna di anni e dell‟anacronismo della richiesta. Innescata dall‟evidente assurdità della pretesa del Dreamer, l‟ipocrisia di sempre colse un‟occasione a buon mercato per sfoggiare sentimenti paterni, per manifestare dolore per il mio bambino. Nella lotta che mi lacerava dentro, vinse il vecchiume. Diedi così sfogo a quel grumo di falsità che ero. «Danzare?» chiesi, fingendo di accertarmi di aver capito bene, ma intanto caricando quella domanda di tutta la violenza di chi una volta tanto crede di avere ragioni da vendere e sa di avere tutto il mondo dalla sua parte. «Dovrei danzare mentre mio figlio è in pericolo di vita?» domandai in tono di sfida. Ebbi appena il tempo di vederlo balzare in avanti con la velocità di una tigre. Il Suo viso si era trasformato in una maschera di violenza. «Non è tuo figlio in pericolo di vita, ma tu! − disse − E non solo ora, ma da sempre.» 10 “ Sei vivo e sincero solo sotto minaccia!” Il Dreamer mi si avventò contro con i pugni sollevati, vibranti, gli occhi fuori dalle orbite, le vene della fronte gonfie di rabbia, come torrenti furiosi. Cercai di proteggermi alzando le braccia, ma quel movimento restò a metà e lasciò il viso scoperto. Ero paralizzato dallo spavento. Non potevo distogliere lo sguardo da quegli occhi minacciosi che intanto si erano avvicinati fino a pochi centimetri mantenendosi fissi nei miei. Immobile, inerme, li vedevo brillare come carboni accesi. Solo allora notai con raccapriccio che le sue pupille erano attraversate da un sorriso di arcana crudeltà. 304

La Scuola degli Dei Quando finalmente riuscii a interpretarlo come ferocia, non ebbi il tempo di inorridire. Vibrò due finte, alternando i pugni contro il mio viso come avrebbe fatto con un sacco da allenamento. Poi mi frugò negli occhi, a valutarne l‟effetto. Ero terrorizzato. «Non muovere quegli occhi!» tuonò, continuando a frugarmi nelle pupille come se vi cercasse un corpuscolo estraneo, pericoloso. Era un gesto che, nella interazione tra uomini, non avevo mai visto fare prima. «Non muoverliiii!» minacciò più volte, urlando e prolungando orribilmente la vocale finale, riscontrando la mia incapacità di ubbidire al Suo ordine. Così restammo, gli occhi negli occhi, predatore e preda, per un tempo che mi parve infinito. In un sibilo, più orribile delle Sue grida, disse: «Questa mostruosità deve uscire per sempre!» Non sapevo a chi, a che cosa, stesse parlando in me. Un attimo prima che venissi meno ritirò il viso con calcolata lentezza, ma continuò a tenermi sotto la minaccia implacabile del Suoi occhi. Quando riprese a parlare il tono era tornato normale, e per questo il suo effetto fu ancora più devastante. «Io non ho limiti! − disse con fredda ferocia − Sono qui per guadagnarti per sempre o per perderti!… » A sorpresa, sfoderò un sorriso radioso, come per il successo di un esperimento difficile, o la vincita di una scommessa impossibile. Quell‟Essere non aveva nulla di umano, o almeno, non aveva nulla di quello che fino a quel momento avevo considerato umano. Senza più riferimenti, vacillai sgomento. Sentii l‟orrore e lo sconcerto alitarmi sul collo; il mio corpo divenne un solo lungo brivido. Avrei preferito cento volte il Suo scatto d‟ira a quel Suo inumano, anacronistico sorriso. «Tu, come milioni di uomini, sei vivo e sincero solo sotto minaccia. Solo quando incontri qualcuno o qualcosa più violento di te viene fuori una parvenza d‟uomo… Per un attimo ti ho fatto da specchio e tu hai indietreggiato di fronte alla tua immagine riflessa, come hai sempre fatto nella vita. Hai avuto paura della tua stessa violenza. Sei inorridito perché non ti conosci» disse con un tono ritornato normale. Il Suo viso era ritornato sereno e pacato improvvisamente, senza fotogrammi intermedi. «Uomini come te si arruolano tra i pacifisti a oltranza, vanno ad ingrossare le file di tutte le Salvation Army del pianeta, 305

Ritorno in Italia diventano apostoli dell‟umanitarismo, propugnatori della non violenza, senza sapere di essere essi stessi violenti e, inconsciamente, i propagatori di lotte e contrapposizioni. L‟umanità crea istituzioni benefiche, organizzazioni umanitarie, movimenti filantropici che sono il riflesso incarnato della sua falsità, della sua degradazione… Altruismo, umanitarismo diventano modi per nascondere a se stessi la propria violenza, sono la forma che in alcuni prende la propria separazione, la distanza dagli altri. La benevolenza, la generosità, l‟amore, degradano e si materializzano in un animo elemosinante, nel fraintendimento più totale del vero senso di „fare per gli altri‟, nella degenerazione ultima e più estrema della carità.» Ora il Dreamer non stava più rivolgendosi a me. Nel mirino della Sua invettiva era entrata l‟umanità così com‟è. Un‟umanità decaduta che ha perso ogni connessione e perfino la memoria delle reali qualità di un uomo. Questo allargamento dell‟audience lo avvertii con un allentamento della pressione che mi diede un po‟ di respiro. Provai il sollievo, lo stordimento misto a felicità, di chi esce miracolosamente illeso da un incidente mortale. Il sapore di una libertà sconosciuta, da impercettibile si fece sempre più forte, fino a colmare l‟Essere. Era una nascita, era quello il mio primo respiro. Mi attraversò i polmoni, anch‟essi nuovi, come un fuoco liquido che li riempì a dismisura. Ma quella tregua durò poco. Il Dreamer mi riprese tra le sue fauci, spietatamente, come fa una fiera che, fermatasi per qualche istante a lambire la preda ancora palpitante, riprende il suo feroce pasto. «Il male non è essere violenti, ma il non sapere di esserlo. La violenza è il riverbero di una psicologia conflittuale, l‟effetto di un uccidersi dentro.» Quando riprese a parlare il Suo discorso aveva la solennità di un sermone. Pensai che raramente l‟umanità moderna è stata raggiunta da parole più spietatamente sincere, più insopportabilmente lucide, e così irriverenti. Chi avrebbe potuto pronunciarle? «Il primo lavoro da fare è costruire se stesso! L‟ignoranza di sé invita tutte le disgrazie e le miserie che puoi osservare nella vita degli uomini… La vittima crea meticolosamente, inconsciamente, le condizioni per attrarre il suo persecutore… Nel buio del suo Essere ha a lungo tessuto la terribile tela che catturerà il suo carnefice.» 306

La Scuola degli Dei 11 La guarigione può avvenire solo dall‟interno Il discorso stava facendosi più serrato e cominciò a stringersi intorno all‟incidente di Luca. Col Dreamer stavo esplorando alle radici il fenomeno dell‟accidentalità per arrivare a capire perché la vita sembrava mostrare un tale accanimento. Immaginai di risalire con Lui il corso di un mitico fiume fino alle sue remote scaturigini. Sapevo che quella ricerca, ansa dopo ansa, sarebbe arrivata fino a me. Provai dolore prima ancora che cominciasse. «L‟incidente non riguarda il bambino ma il tuo mondo… è l‟effetto della tua peccabilità» disse e continuò affermando che quando un uomo ha fatto una promessa interiore, quando ha intrapreso il cammino verso l‟unità dell‟Essere, verso l‟integrità, paga per ogni deviazione, per ogni macchia, per ogni „peccato‟. Qui sospese il Suo discorso e mi scrutò a lungo. «Un buon passato è come avere un buon capitale... Il tuo passato è un castigo di Dio − constatò con amarezza − È una barca di debiti!… finché non li avrai pagati tutti, dovrai attraversare innumerevoli sofferenze e confrontarti con gli antagonismi più crudeli… » «Quando ne sarai consapevole proverai gratitudine per tutte le sofferenze e benedirai ogni dolore ed ogni apparente ingiustizia… Un giorno saprai come essi siano arrivati per elevarti e migliorarti, e quanto siano stati necessari per la tua evoluzione… Difficulties and sufferings are tests on your way to integrity. When a man realizes this, life itself becomes his teacher. Ogni crisi, ogni caduta, ogni difficoltà è perfetta, insostituibile.» Notando la difficoltà che avevo ad accettare quella spiegazione e ad assumermi la piena responsabilità di ogni evento della mia vita, ricorse a un brusco monito. «Se non sono le Mie parole a cambiarti, sarà la vita a farlo. Quello che non puoi capire attraverso le Mie parole dovrai capirlo attraverso i tuoi errori.» Mi disse che tra queste due „opzioni‟ non c‟è differenza se non nel fatto che „capire attraverso i propri errori‟ è un percorso accidentato, molto più lento e doloroso. E concluse: «Dopo le Mie parole arriva la vita con le sue leggi ed i suoi strumenti di guarigione.» Il Dreamer mi spiegò che l‟umanità così com‟è, sigillata in un sonno ipnotico, non può che vivere permanentemente sotto la 307

Ritorno in Italia minaccia di antagonisti spietati. Attraverso le Sue parole, come altre volte mi era accaduto accanto a Lui, ebbi una visione: il pianeta mi apparve come un frantoio dalle immense macine di pietra sempre in funzione per molare i disobbedienti, chi si ostina a non capire. Vidi la serie infinita dei mali che da sempre affliggono il mondo; sentii lo schiantarsi di ossa sotto torchio ed il loro cricchiare; riconobbi la necessità di quell‟olocausto, di quell‟orrore senza fine, delle guerre, delle calamità e delle immani tragedie che da sempre piagano il pianeta. Seguii il corso serpeggiante della nostra millenaria vicenda finché, oltre la crosta di una descrizione ignorante, attraverso uno squarcio nella tela, „vidi‟ che quelle sventure erano le amare medicine per un‟umanità degradata, le atroci cauterizzazioni per quegli individui, nazioni e intere civiltà, che non hanno altra via per guarire. «La vita non è una macchina di trasformazione come stai immaginando − intervenne il Dreamer correggendomi − ma una macchina della verità. Eventi e circostanze non arrivano per guarirci; sono sintomi per farci vedere chi siamo… » «La vera guarigione può avvenire solo dall‟interno. Nessuna politica, religione o sistema filosofico può trasformare la società dall‟esterno. Solo una rivoluzione individuale, una rinascita psicologica, una guarigione dell‟Essere, uomo per uomo, cellula per cellula, potrà condurci verso un benessere planetario, verso una civiltà più intelligente, più vera, più felice.» 12 Elogio dell‟ingiustizia Fu in quelle circostanze che ascoltai dal Dreamer l‟apologia che riportai negli appunti sotto il titolo di „elogio dell‟ingiustizia‟. Mentre prendevo nota e la mano scorreva veloce sulle pagine per starGli dietro, sentivo concetti e schemi mentali sgretolarsi sotto i colpi d‟ariete delle Sue parole. Con una mano scrivevo e con l‟altra mi tenevo aggrappato ai miei vecchi pensieri, alle convinzioni di sempre, come a radici sporgenti da un abisso su cui ora penzolavo, sospeso agli ultimi appigli di razionalità. «Per ancora molti anni, per la massa umana sarà impossibile mandare giù questo boccone ed accettare l‟evidenza di una verità così semplice» disse e tacque. 308

La Scuola degli Dei Sapevo che questo preambolo e il tempo di quella pausa mi stavano dando il modo di prepararmi a quello che stava per dirmi. Ma questo non fece che aumentare la mia ansietà. Tentai di guadagnare un po‟ di compattezza. Convulsamente, in quei pochi secondi, provai a raccogliermi, a mettere insieme la moltitudine dei pensieri sparsi; ma quell‟improvvisata costruzione non stava su e quell‟unità fittizia si disfaceva dopo ogni mio tentativo di assembramento. Finché mi rassegnai alla mia impreparazione, ed ascoltai. «La vittima è sempre colpevole!» proclamò. Avevo già sentito questa paradossale affermazione del Dreamer durante la cena al Veronica‟s, ma questo non mi aiutò ad attutire la forza dirompente di quella dichiarazione e lo shock della sua insostenibile assurdità. «L‟ingiustizia è la giustizia più giusta! − rinforzò il Dreamer − Quella che l‟uomo ordinario chiama ingiustizia è una risorsa dell‟esistenza per permettergli l‟accesso a uno stato di completezza, a gradi più alti di comprensione. L‟ingiustizia è „compassion‟ che si manifesta.» Non potevo convincermi. Nella mente esplosero in rapida scansione le immagini di Luca rannicchiato sotto il muro, l‟arrivo dell‟autoambulanza, la corsa all‟ospedale, l‟affanno dei medici intorno al bambino. Provai un senso di ribellione incontenibile. Il Dreamer mi lesse nel pensiero. «L‟incidente di tuo figlio non è un incidente… L‟accidentalità non esiste… L‟incidente è un vero e proprio atto di volontà… l‟atto di una volontà inconsapevole… Eventi spiacevoli e sciagure ci colpiscono per guarirci… per completarci… L‟ingiustizia arriva agli uomini come opportunità per migliorare la propria vita, per risvegliare in ognuno il Sogno di essere un giorno liberi. L‟ingiustizia è la via verso la conoscenza di sé… verso la propria completezza. Non può esserci giustizia più giusta dell‟ingiustizia.» Il Dreamer parlava. Io continuavo a scuotere la testa e scrivevo, mentre lacrime cocenti mi rotolavano lungo le guance. La Sua voce si addolcì. «Sono disposto a spiegartelo scientificamente − disse con paziente comprensione − C‟è nell‟uomo, anche in quello più degradato, una volontà involontaria… una coscienza 309

Ritorno in Italia inconsapevole… una bellezza abbrutita… un‟unità spappolata che grida al risanamento… » «Il „male‟ è sempre al servizio del „bene‟. Il male non esiste!… Ciò che è apparentemente negativo… ogni avversità… quello che l‟uomo orizzontale chiama ingiustizia… è in realtà un „blessing‟ – disse concludendo – Gli eventi, le azioni e le circostanze più ingiuste arrivano per innalzare l‟Essere a livelli più alti di completezza, di integrità, di libertà... » Mi spiegò che anche i sintomi di una malattia sono segnali preziosi del corpo che denunciano una degradazione dell‟Essere, un abbassamento dell‟intelligenza. Ma l‟uomo non sa più leggerli e confonde la causa con l‟effetto. Per questo qualunque intervento sul sintomo diretto a sopprimerlo, come fa tutta la medicina istituzionale, ignora la vera malattia e la acutizza. Insieme al sintomo si elimina anche l‟opportunità di una guarigione superiore... «Non esiste alcun male fuori di noi ma solo indicatori visibili di guarigione, spie luminose d‟una vera salvezza che è in noi stessi.» «Anche le malattie più gravi?» «Anche le malattie apparentemente inguaribili sono soltanto sintomi, segnali che indicano la via verso la guarigione. Esse rivelano la colpa che è dietro ogni caduta, denunciano il desiderio suicida consumato attraverso le mille morti interne che sono la vera causa della morte fisica. Ma per riconoscerle è necessario seguirne il percorso a ritroso verso la vera causa!… Un giorno la scienza scoprirà che non esistono molte malattie. Dietro la loro apparente molteplicità, oltre la complessità delle manifestazioni, la malattia è una sola… è un pensiero, è un seme ferale…» «La causa di ogni male… è quindi… la nostra psicologia?» «No! Anche la psicologia è ancora un sintomo per risalire alla vera causa, alla causa delle cause, al male dietro il male: l‟idea della ineluttabilità della morte. L‟eliminazione di questa superstizione, mettere in discussione questa „self-fulfilling prophecy‟, questa profezia che si autoavvera, risolverà la psicologia e la psicologia risolverà ogni male.» «L‟uomo ha fatto della morte il suo limite ma in realtà anch‟essa è solo un segnale, un sintomo di guarigione… e, paradossalmente, la prova più evidente della nostra immortalità − aggiunse − La morte è il segno più evidente e tangibile della nostra onnipotenza, della capacità dell‟uomo di realizzare l‟impossibile: 310

La Scuola degli Dei distruggere il suo corpo. Alla radice di ogni disuguaglianza tra gli uomini, di ogni ingiustizia o assenza di libertà, c‟è la vera differenza da cui tutte le altre originano: il grado di responsabilità interiore. Being, understanding, responsibility, destiny are one and the same thing.» «Man is his under-standing − riaffermò il Dreamer − Gli uomini appartengono a livelli diversi di comprensione. È questa la vera disuguaglianza tra loro!» Pur apparendo simili, esistono tra gli uomini differenze di eternità, distanze di anni luce sul cammino verso l‟integrità. Come tra specie zoologiche a diversi stadi di evoluzione, essi appartengono nell‟Essere ad ere evolutive spesso smisuratamente distanti tra loro. «Ma allora − dissi esitante − tutte le affermazioni dell‟uomo, le sue più nobili dichiarazioni… e le lotte, le guerre e le rivoluzioni fatte in nome della libertà e della giustizia?… » «Sonostate invano ed hanno lasciato ogni cosa com‟era!» disse il Dreamer scandendo le parole e portando ordine nei miei pensieri in subbuglio. «Guerre, rivoluzioni ed ogni altro tentativo di dare agli uomini uguaglianza, giustizia, libertà, pace sono falliti perchè fondati sulla convinzione che ci fosse un cattivo da abbattere, che ci fossero ostacoli esterni da eliminare. Ricchezze, privilegi, disparità sociali, sono soltanto un effetto, il riflesso di una differenza molto più profonda. È nell‟Essere, nel nostro respiro, nel nostro sentire che avviene tutto. Our level of Being attracts our life. L‟umanità „così com‟è‟ ha bisogno del male! Un uomo riesce ad ascoltarsi solo attraverso il dolore… Per sentirsi vivo ha bisogno della sofferenza… dell‟Antagonista… del tempo… Finché questa condizione perdurerà, il dolore e tutto ciò che l‟uomo chiama ingiustizia, resteranno il solo motore del mondo e l‟unica forza capace di spingerlo verso stati superiori dell‟Essere.» 13 Il mondo è creato dai nostri pensieri «Tuo figlio non è morto perché c‟è ancora un filo che lo lega a Me!» Come una fiammella che crescendo scava l‟oscurità e si fa spazio, quella conclusione del Dreamer penetrò nella nebbia del mio 311

Ritorno in Italia Essere e la diradò. Ciò che vidi emergere era insostenibile. Sarei venuto meno se la voce del Dreamer non fosse arrivata a scuotermi con la sua ironica gravità. «Ora, al capezzale di tuo figlio ti chiedi perché… ti chiedi perché ha avuto un incidente… Vorresti sapere perché la tua vita è così disastrosa… » Per non incontrare il Suo sguardo, distolsi gli occhi; fissai i ceppi che bruciavano nel camino e finsi di essere assorto, inseguendo i riverberi della fiamma sulle trame d‟oro del Suo gilet. «Prendi un segmento della tua vita, un millimetro della tua esistenza. Vi troverai la mappa dei tuoi pensieri distruttivi, dei tuoi stati emozionali inquinati… Il dubbio, la paura hanno deciso fino ad oggi gli eventi della tua vita. Chi vive l‟inferno non può che creare l‟inferno! Il tuo dubbio diventa paura e la paura fabbrica pietre nel tuo rene… o trama incidenti e disastri nel mondo degli eventi. The world is such because you are such. Il mondo è una tua invenzione… L‟incidente è un tentativo da parte del mondo di rivelarti la tua assenza di attenzione, di amore e mostrarti la via della giustezza. Ma tu non ascolti te stesso.» Dunque, il pensiero crea… anche quello più distruttivo, più malato! «L‟orrore è aver trasferito Dio fuori di noi!» disse e preannunciò che quando l‟uomo si sarà riappropriato della sua dignità, della volontà, del suo diritto di artefice, le religioni scompariranno. «C‟era una volta l‟uomo senza religioni − affermò − Queste compaiono quando, per una caduta della sua religiosità, l‟uomo degrada e trasferisce la divinità fuori di sé.» Sentii il peso insostenibile di questa responsabilità. Le mie capacità vacillavano davanti a una visione così diversa da ogni interpretazione corrente, ad una spiegazione così impietosa della condizione umana e degli ingranaggi che la macinano. Insieme a me, l‟umanità intera era alla sbarra, nella gabbia dei criminali, inchiodata da quella sentenza che annunciava una legge generale, ferrea dell‟accidentalità, che non ci lasciava più vie di fuga. Lamentarsi, accusare, giustificare e mentire, apparivano ora l‟urlo ancestrale di esseri zoologici ancora ai primordi dell‟evoluzione, brancolanti nel buio delle loro coscienze. 312

La Scuola degli Dei Al centro della visione del Dreamer c‟era il capovolgimento del rapporto che crediamo esista tra stati ed eventi. La voce del Dreamer e l‟insegnamento della „School for Gods‟ di Lupelius si stavano fondendo in una sola concezione che sconvolgeva e sovvertiva la visione ordinaria del mondo. La convinzione più radicata nell‟uomo è che il mondo esterno sia la causa. È questo l‟architrave su cui poggia la sua allucinata cosmogonia: la superstizione che gli stati siano un effetto degli eventi. Come l‟immagine della realtà, che cade sulla retina dell‟occhio piatta e capovolta, così l‟uomo percepisce a rovescio il rapporto che esiste tra i suoi stati d‟animo, le sue emozioni, e gli eventi esterni. La prima educazione, dalla più tenera età, ci ha assolutamente convinti che la paura sia l‟effetto dell‟incontro con qualcosa di spaventoso, ed il dolore sia la reazione a qualcosa di doloroso. Il Dreamer mi spiegò con un esempio la necessità di una „seconda educazione‟, di una rivoluzione psicologica che nella storia umana assume le proporzioni titaniche di una fuga dal Tartaro, dagli abissi della zoologia. Man is profoundity-blind. Non percepisce la profondità. Il nostro apparato visivo di natura non è dotato della capacità di vedere oltre le due dimensioni. Le immagini cadono sulla retina piatte e capovolte. Nel corso di una lenta evoluzione l‟uomo ha imparato ad elaborare ed integrare l‟informazione visiva, capovolgendola e dandole profondità, aggiungendo una terza dimensione. Allo stesso modo dovrà riversare a 180 gradi la sua concezione del mondo aggiungendo una terza dimensione, tracciando una verticale alla sua psicologia. Questo gli permetterà di „vedere‟ che sono gli stati d‟Essere a precedere e determinare la natura e la qualità degli eventi e tutte le circostanze della sua vita. «States and Events are one and the same thing − culminò il Dreamer, sintetizzando in questa formula l‟elemento capitale della Sua visione − Stati ed eventi sono una sola cosa!… Il tempo che tra loro intercorre crea nell‟uomo l‟illusione che tra gli stati d‟Essere e gli accadimenti della sua vita non ci siano connessioni.» Il Dreamer a questo punto si fermò ed attese. Ebbi l‟impressione che raccogliesse nell‟aria un assenso prima di proseguire. Poi disse: «Se l‟uomo potesse sollevare la cortina del tempo, o comprimerlo, scoprirebbe che gli stati sono già eventi. Gli stati 313

Ritorno in Italia emozionali di un uomo sono in verità eventi in cerca dell‟opportunità per verificarsi.» A quelle parole il terreno che già tremava sotto i miei piedi, come per l‟effetto di un sisma, si squarciò d‟improvviso. Un baratro spaccò il mio universo personale in tutta la sua lunghezza separando per sempre il vecchio dal nuovo; tutto quello in cui avevo fino ad allora creduto, dalle nuove convinzioni che il Dreamer stava deponendo in me. Sull‟orlo di quel baratro, barcollavo. Il vecchio sistema, le sue idee esauste, consunte dai millenni, si stavano sbriciolando. Le certezze su cui l‟uomo fonda la sua vita, le cause stesse alle quali da sempre attribuisce la sua infelicità, e tutto quello che lo porta a lamentarsi e ad accusare il mondo, stavano mostrando tutta la loro irrealtà. Il fatalismo che lo spinge a credersi un essere inerme alla mercé di eventi incontrollabili, il vittimismo e l‟autocommiserazione che immancabilmente gli fanno trovare fuori di sé le cause di ogni sua sventura, stavano crollando come idoli polverosi. Esiste nell‟uomo la tragica difficoltà di percepire il rapporto di causa-effetto che esiste tra i suoi stati d‟Essere e gli eventi della sua vita. 14 Il passato è polvere «Thinking is Destiny… L‟umanità pensa e sente negativamente! − sentenziò il Dreamer nel tono di un inappellabile giudizio − Questo basta a spiegare la interminabile sequela di sciagure che l‟uomo si ostina a tramandare e che chiama Storia; e spiega perché, attraverso i millenni, la nostra civiltà sia stata costantemente segnata da un così terribile destino.» «Ma se non ricordiamo la nostra storia, come possiamo trarne insegnamento?» obiettai nel tentativo di salvare qualche brandello della vecchia visione. Un tremito nella voce, già vicina al pianto, preannunciava la sconfitta di ogni mia convinzione. Il Dreamer non parlava. Cercai di ammantare di razionalità il panico che sentivo crescere dentro senza controllo, e dissi: «Come potremmo evitare nel futuro gli errori fatti nel passato?» «Past is Dust! − dichiarò lapidariamente il Dreamer spazzando via d‟un colpo le mie ubbie − La storia dell‟uomo è il racconto di una visione criminale, la materializzazione della sua 314

La Scuola degli Dei parte più abietta… Ricordare questa serie infinita di crimini, come fanno tutte le scuole del mondo, può solo inquinarci… » Affermò che si tratta del millenario tentativo di questa parte infima dell‟uomo di sopravvivere e di perpetuare il passato, replicandolo e mettendocelo davanti come un falso futuro. Non è l‟esperienza né la memoria degli errori passati che possono trasformare l‟umanità, cambiarne la storia, il destino. Solo l‟individuo può farlo, attraverso la sua trasformazione. Capii l‟assurdità di riproporre ai bambini una storia di orrori, non governata dalla volontà ma dal caso e dalla criminalità. Guerre e rivoluzioni, crociate e persecuzioni, nascite e cadute di imperi, mi apparvero come sudiciume sfuggito ad una scopa cosmica. Dobbiamo cancellare quel passato di delinquenza e con esso la memoria di tutti i criminali e dei piccoli-grandi uomini che la vecchia umanità ancora mitizza e tramanda come benefattori ed eroi. Solo apparentemente la crudezza del messaggio del Dreamer sembrava presagire la inevitabilità di un fato avverso. In realtà quel coltello nelle nostre piaghe era un bisturi di luce. Dietro la Sua spietata analisi, che relegava l‟uomo nelle latebre di un mondo infernale, al di sotto dell‟Avello, il Dreamer stava indicando il modo di riscattarlo dalla colpa, dal dolore, dall‟ignoranza… dalla morte. Le Sue parole stavano tracciando una mappa luminosa per permetterci di ritornare ad uno stato di innocenza, di integrità, di potere. Ecco finalmente la scorciatoia, il passaggio... Le parole che seguirono mi consolarono. In esse c‟era l‟annuncio di una soluzione. «We should not remember the past, we should remember the above! Occorre sviluppare una „memoria verticale‟, perpendicolare al piano della Storia… Occorre innalzare l‟Essere dell‟uomo… Il mondo non è creato… il mondo è pensato... » Sentii ogni fibra del corpo percorsa dalla forza di quell‟autorità; la stessa che attraverso i millenni, nei momenti più bui della sua storia, aveva gettato all‟uomo codici e vangeli, favole e parabole, come fossero zattere o salvagenti. Capii la tragedia della nostra insanabile durezza di udito, la profondità del sonno che ci annebbia. Ecco perché gli angeli sono sempre stati rappresentati con trombe e tamburi, come una banda di musicisti chiassosi. «Una volta ti dissi che se tu fossi vigile, se fossi stato consapevole, attento a tutto quello che fabbrichi nel tuo Essere, la morte di tua moglie non sarebbe stata necessaria. Non avresti 315

Ritorno in Italia obbligato il mondo a rivelartelo con una tale violenza. Per guarire hai scelto il tempo, e il tempo è dolore… Tu non ci sei e la tua assenza dà spazio a tutti i disastri programmati dalla tua disattenzione.» La grandezza, l‟universalità di quella visione riscattava l‟uomo dalla condizione di un automa, di un burattino biochimico mosso dai fili di un fato prevaricatore, restituendogli la piena responsabilità di ogni accadimento della sua vita. Provai gratitudine per il dono che il Dreamer mi stava facendo. Alle mie vecchie idee stava subentrando una nuova, folgorante verità: Nothing is external. Tutto dipende da te. Non c‟è nulla che un uomo possa ricevere dall‟esterno: né successo, né denaro, né salute. Era questa la voce millenaria, la stessa delle antiche scuole di responsabilità, delle fucine di eroi e semidei, dove da sempre si forgiava un‟umanità guarita. Il nostro mondo, con tutti i suoi accadimenti, è creato dai nostri pensieri. Anche i pensieri distruttivi creano; noi siamo artefici anche della negatività. Invece di reagire al mondo che noi stessi abbiamo creato, dovremmo saper seguire la traccia ancora calda degli eventi e risalire agli stati che li hanno generati, circoscriverli e cancellarli. 15 Volontà e Accidentalità «La consapevolezza è luce − continuò il Dreamer − Sapere cosa avviene dentro di noi ci permette di intervenire nell‟attimo, che è il solo tempo reale, per proiettare un mondo nuovo libero dall‟accidentalità.» Dove c‟è questa consapevolezza, dove arriva questa luce, l‟accidentalità non ha ragione d‟essere. Incidenti e malattie, per poter entrare nella nostra vita, devono avere il nostro assenso; per potersi verificare bisogna che prima questa luce si abbassi. Ancora una volta, in modo sempre più stringente ed inoppugnabile, il Dreamer mi stava mettendo di fronte all‟evidenza che l‟accidentalità non esiste. L‟improvviso ha sempre bisogno di una lunga preparazione. «A man cannot hide. Tutto nella sua vita è regolato dalla Legge e dall‟Ordine» enunciò. «E gli incidenti, allora?» 316

La Scuola degli Dei «Esistono per l‟uomo così com‟è!… per la creatura degradata cui si è ridotto… per quell‟essere che, seppellendo la volontà, è diventato la caricatura di se stesso» rispose, e aggiunse che, per un‟umanità che non possiede la volontà, gli eventi e le circostanze della vita sono regolate dall‟esterno, dalla descrizione del mondo. Attraverso le parole del Dreamer realizzavo che una vita sventurata, flagellata da difficoltà e problemi, non è dovuta al caso, ma alla mancanza di vigilanza, all‟assenza di attenzione per tutto ciò che ci accade dentro. Era come guidare ad occhi bendati. L‟uomo così com‟è si rivelava un sonnambulo che attraversa incroci e strade nel sonno più profondo. Realizzai che sopravvivere per l‟umanità ordinaria è un miracolo quotidiano. Un brivido di paura mi percorse il corpo fino alla radice dei capelli. Non so esprimere l‟orrore che ora percepivo e la compassion per la precarietà di vite come le nostre, che brancolano nelle regioni più desolate della propria psicologia, in assenza totale di una volontà-guida. Poi le parole solenni di un‟epigrafe universale vibrarono nell‟aria ed io le raccolsi meticolosamente: «You are completely in charge of your life. You are completely responsible of your destiny. You must recognize that pain, sickness and poverty are not accidents but the products of your inner conflicts. It is you, and you only, who makes them up.» Per il Dreamer l‟accidentalità è sempre l‟indicazione di una guarigione, è sempre un pagamento, ma involontario. Quando la volontà non è presente il mondo prende il sopravvento e allora paghiamo con l‟accidentalità e la casualità. Gli stati d‟Essere guidati dalla volontà determinano gli eventi che incontreremo. Il pagamento volontario, anticipato, è la scelta di un‟umanità guarita. Il pagamento posticipato, involontario, è la scelta di un‟umanità decaduta che paga attraverso l‟accidentalità, la sofferenza, il tempo. La degradazione di questa comprensione, a tutte le latitudini ed in ogni tempo, ha generato una serie infinita di modalità, di forme di pagamento anticipato. Il loro denominatore comune è l‟autopunizione. Il tentativo di scongiurare future sciagure, il desideriodi cancellarle dal proprio destino, si è accompagnato nella storia di tutte le civiltà con il sacrificio e l‟espiazione attraverso sofferenze autoinflitte. Andai col pensiero ai fioretti, ai voti dei penitenti, ai martìri offerti a santuari e chiese; all‟autoflagellazione, ai cilici. Ripensai con questa nuova intelligenza ai riti tribali ed agli antichi sacrifici di 317

Ritorno in Italia bestie e di uomini immolati e offerti nei millenni a divinità, visibili ed invisibili. Dietro le apparenti differenze dei rituali e la scelta delle modalità, riconobbi la degradazione di una saggezza dimenticata. Dietro quelle manifestazioni era ancora possibile percepire lontani riverberi dell‟originaria comprensione, schegge della consapevolezza che la vera causa di tutto ciò che ci accade è dentro di noi. Come mi disse il Dreamer, esse sono un pallido ricordo del pagamento anticipato così com‟è percepito da un‟umanità che non conosce altro modo per perdonarsi dentro. Per il Dreamer il pagamento anticipato è la trasformazione di se stessi. È quindi la sintesi delle funzioni più alte in un uomo: l‟attenzione, la conoscenza di sé, la trasformazione delle emozioni negative, la libertà dalla zavorra interna. Ai livelli più bassi dell‟umanità, questa intelligenza degrada e il pagamento anticipato da lavoro interno si trasforma in autopunizione. Ricordai le processioni che avevo visto da bambino, i portatori che grondavano sudore e sangue sotto il peso di una statua, di una madonna o di un santo. Li osservavo a occhi sgranati. Prima di affrontare un nuovo tratto, si aggiustavano il panno sulle spalle piagate per proteggerle dal peso insopportabile delle stanghe. Attraversavano vicoli e rioni, facendosi spazio tra due ali di folla cenciosa che si segnava e si inginocchiava. Rivedo i loro visi paonazzi per lo sforzo e il volto dei santi, gli occhi rivolti al cielo e le dondolanti aureole di ottone dorato inchiodate alla nuca. Giuseppona mi sovrastava proteggendomi da quella febbre di corpi. “Si stanno guadagnando il paradiso” mi disse una volta. Giurai a me stesso che non sarei mai voluto andare in un posto abitato da quegli orribili buoni ceffi. Senza saperlo stavo osservando un‟allegoria vivente del pagamento. Solo il Dreamer un giorno mi avrebbe spiegato che questo è il tentativo di pagare in anticipo, di soffrire e usare il dolore per scongiurare future sofferenze, per esorcizzare le calamità e i disastri programmati dalla propria disattenzione e già in cammino per venirci incontro nel mondo degli eventi. Un‟umanità schiacciata dal peso delle sue superstizioni, povera, per pagare ha solo il denaro della sofferenza e quello dell‟accidentalità. «L‟accidentalità è sempre un pagamento, l‟indicazione di una guarigione, ma involontaria» ripeté il Dreamer, e sottolineò più volte il fatto che si trattava pur sempre di un pagamento, di un „male‟ al servizio del „bene‟, e mai di una punizione. Non voleva che la Sua visione potesse in alcun modo entrare tra quell‟infinità di 318

La Scuola degli Dei tradizioni che vanno dalla legge del taglione al karma, fino al contrappasso dantesco, inventate dall‟uomo per darsi una ragione delle proprie disgrazie. Si accertò che registrassi questa Sua precisazione nei miei appunti. Per il Dreamer, nel momento in cui la volontà non funziona, il mondo prende il sopravvento. Applicare la volontà ad ogni nostra scelta elimina il pagamento involontario, l‟accidentalità, la casualità. Attraverso la volontà possiamo guidare il nostro destino. «L‟accidentalità è una volontà degradata, dimenticata, sepolta − continuò il Dreamer − Paradossalmente, l‟accidentalità è una „volontà involontaria‟ che ha preso il posto della vera volontà.» Ricordai che il Vangelo parla di uomini di „buona volontà‟ e il Dreamer mi confermò che quell‟espressione indicava uomini che sono ritornati alla sorgente, che hanno fatto il cammino a ritroso per riconquistare la volontà dimenticata, sepolta. La „buona‟ volontà. «L‟uomo ha barattato la volontà con l‟accidentalità. Chi realizza questo cerca una Scuola per poter riconquistare l‟integrità perduta» disse, e affermò che questa è la vera ragione dell‟esistenza di ogni scuola: il ritorno all‟unità dell‟Essere. La sua missione è nelle radici, codificata nell'etimo latino della parola università, versus unum, che ha custodito il senso della completezza, la totalità, la direzione verso l'integrità. Ma le uni-versità hanno da lungo tempo dimenticato la loro raison d'etre. «Solo pochi realizzano la necessità di una Scuola speciale, solo pochi tra i pochi hanno le qualità per poterla incontrare.» Mi attraversò il pensiero di essere parte di quell‟umanità speciale. Non avevo fatto in tempo a fabbricare una molecola di presunzione che la voce del Dreamer mi stava già frugando dentro alla ricerca di quel ladro che avevo fatto entrare. «No! Tu non sei tra quei pochi!» disse. Il tono era grave, a metà tra la delusione ed uno sprezzante rimprovero. «Sono io che ho scelto te!» Mentre pronunciava queste parole, il Dreamer calò sul Suo viso affilato un‟espressione tra le più dure, come un guerriero che si appronta abbassando la visiera dell‟elmo. Mi raggelai. Mi pentii mille volte di quel pensiero. Avrei voluto fermare quello che stava per dire; ma era troppo tardi. «Ti ho scelto per dimostrare attraverso te che ogni uomo può farcela!» disse trafiggendomi senza remissione. 319

Ritorno in Italia «L‟umanità può rinnovarsi, può rigenerarsi, rinascere… può riacquisire la volontà sepolta. Non c‟è bisogno di una rivoluzione di massa. La vera trasformazione dell‟umanità avviene attraverso la trasformazione di un solo individuo che realizzi la propria integrità, la totalità di se stesso. Un uomo è colpito da un disgrazia, come l‟incidente accaduto a tuo figlio, per fargli capire che è ancora parte di quella fascia di uomini che pagano solo se costretti… attraverso l‟accidentalità. Se non saprai dare una direzione alla tua sofferenza farai parte di quella folla superstiziosa che vedevi da bambino, di un‟umanità che tenta di scongiurare gli eventi attraverso la propiziazione di una divinità esterna che nella sua immaginazione ne controlla la vita. Se non ti troverai in una processione, accadrà in uno stadio, tra la moltitudine vociante, unita da un fanatismo sportivo.» Mi disse che un altro modo popolare di pagamento è attraverso i ruoli. Una legge infallibile mirabilmente mette ognuno al posto giusto. Chi fa i lavori più ingrati, negli ospedali, nei tribunali, nelle carceri, crede di lavorare, di assistere gli altri, crede di aver scelto quel lavoro, di aver superato una selezione, di aver vinto un concorso per ricoprire quel ruolo; e crede di essere pagato per questo, ma in realtà sta pagando. «Quei ruoli sono pagamenti rateali − disse ironicamente il Dreamer mantenendo la sua espressione severa, con il Suo umorismo senza sorriso − Il ruolo che un uomo occupa è la sua espiazione e, un giorno, sarà la sua bara.» «Un‟umanità nuova sostituirà il pagamento involontario, la purificazione involontaria, con un pagamento anticipato − presagì − La guarigione verrà prima della malattia e la soluzione arriverà prima dei problemi.» «Ama te stesso con tutte le tue forze, in ogni circostanza e sotto ogni condizione… senza posa. Le cose accadono per caduta, per necessaria conseguenza e sono regolate tutte dalla nostra volontà.» Mi diede qualche secondo per completare le note che stavano riempiendo pagine e pagine del taccuino, poi, come se stesse rivolgendo un appello a tutti gli eroi in ascolto, disse: «C‟è da portare un frammento di eternità a chi come te vive nei gironi infernali delle organizzazioni.» Sperai che fosse affidata 320

La Scuola degli Dei a me quella straordinaria missione; ma su questo punto non si pronunciò. «Devi ricominciare da dove hai lasciato. Non posso evitartelo! − disse con un brusco riferimento alla mia condizione, ora che avevo ripreso il lavoro alla ACO Corporation − Quello che non è stato superato deve ripetersi!» La notizia che il Dreamer mi riprendeva a bordo e che il „viaggio‟ continuava fu una sferzata di energia. Sentii l‟estasi di chi riempie i polmoni di aria fresca dopo una lunga apnea. A seguito di quell‟incontro con il Dreamer mio figlio Luca si riprese e dopo una rapida convalescenza guarì completamente. Il cielo sopra Chià si liberò e si alleggerì, come per il dissolversi di una nebbia soffocante. Nei giorni seguenti mi disposi all‟ascolto attento dei segnali che mi indicassero il prossimo passo. Mi ripromisi che qualunque cambiamento mi riservasse la strada indicata dal Dreamer, questa volta non avrei dimenticato. Immaginavo che il nuovo lavoro avrebbe richiesto il trasferimento di tutta la famiglia in un paese lontano. In realtà, la mia base in Italia si spostò di appena qualche chilometro, ma il terreno d‟azione venne a trovarsi all‟altro capo del mondo. La lettera „inaspettata‟ di un head hunter di Via Larga mi invitava ad una selezione. In tre sole settimane da quell‟incontro con il Dreamer, mi ritrovai a capo dei mercati dell‟Estremo Oriente nell‟ambito della Divisione Commerciale Estera di un colosso multinazionale. Questa volta bruciai i ponti e sigillai alle mie spalle ogni possibile passaggio o via di comunicazione con il mio passato.

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La Scuola degli Dei CAPITOLO VIII

A Shanghai con il Dreamer 1 La perfezione non si ripete mai Dal Plaza Concert sul Bund osservavo con il Dreamer l‟intenso traffico delle imbarcazioni solcare lo Huangpu. In quel punto l‟immenso fiume scorre tra le due anime di Shanghai: quella del periodo coloniale europeo, dall‟architettura monumentale, e quella dei nuovi quartieri di Pudong, dall‟avvenieristica skyline. Qui, a perdita d‟occhio, la città è un immenso cantiere disseminato di grattacieli dall‟architettura visionaria, sognati per una megalopoli del futuro. Non avevo più incontrato il Dreamer dal tempo del mio ritorno dal Kuwait e dall‟inserimento nel mio nuovo lavoro nel Far East. In questi mesi infinite volte avevo letto e riletto gli appunti raccolti nel mio lungo apprendistato, e nelle diverse circostanze della vita avevo tentato di mantenere saldi i princìpi appresi da Lui. Avevo tanto desiderato questo momento eppure temevo quell‟incontro. Due questioni strettamente connesse erano ancora pendenti e restavano aperte come ferite non rimarginate: il modo in cui avevo abbandonato il Kuwait e la mia relazione con Heleonore. Erano faccende spinose che non avrei potuto più eludere. Quel pomeriggio era stato intenso e gli insegnamenti del Dreamer tra i più straordinari ricevuti fino a quel momento. Al Suo fianco, ascoltandolo, avevo attraversato i centenari giardini di Yu Yuan. Avevo poi camminato con Lui nella ragnatela di stradine intorno al tempio buddista, nella zona del vecchio mercato. Immerso nella densa folla di quell‟immensa città, con Lui sentivo lo stupore e lo stesso senso di protezione di quando, stretto alla mano di Giuseppona, sbirciavo le viscere scoperte di Napoli, ne attraversavo le vie brulicanti come ferite verminose. 323

A Shanghai con il Dreamer Il Dreamer conosceva Shanghai e la Cina come se vi avesse vissuto a lungo. Me ne illustrava la storia ed il pensiero attraverso i dettagli, commentando i più minuti eventi della vita di ogni giorno. Un artigiano al lavoro, l‟abbigliamento di un passante o le trattative che si tessevano fitte nei minuscoli negozi, diventavano squarci profondi attraverso cui penetravo nelle radici di una civiltà che era stata la culla del Confucianesimo. Il segreto di quella colla sociale capace di tenere insieme più di un miliardo di uomini, la saggezza compressa nelle sue sei virtù, mi fu rivelata dal Dreamer con l‟autorità dell‟intelligenza che l‟aveva generata. Una giovane artista era intenta a decorare microscopici vasetti di vetro. Li dipingeva dall‟interno con pazienza ed abilità incredibili. Ci fermammo davanti al banchetto e il Dreamer ne osservò i movimenti per un po‟ senza fare alcun commento. Poi, lentamente, dalle mani della ragazza il Suo sguardo si spostò sul mio viso. Il tempo si dilatò. Quel momento divenne un‟eternità e mi persi in quegli occhi che mi stavano penetrando come nessuno aveva mai fatto prima. La tenerezza di Carmela, la severità di Giuseppe, l‟affetto di un amico, la venerabilità di un maestro, si concentrarono in quell‟unico sguardo che mi rapì l‟anima. Quella decoratrice era Lui. Stava indicando il „lavoro‟, il processo di trasformazione dall‟interno che ogni uomo deve compiere e che nessuno al mondo potrà mai fare per lui: diventare l‟artefice della propria esistenza. Per il balenio di un istante, fui la creatura faccia a faccia con il suo creatore, senza più schermi, senza maschere né ruoli. In quell‟attimo assaggiai la vastità di quell‟Essere, ascoltai il Suo respiro senza tempo, senza frontiere, senza limiti, e bevvi una goccia della Sua libertà. Una vertigine prese il posto dei miei pensieri. Il primo fotogramma di cui ebbi coscienza, dopo quel momento, fu di essere seduto ad un tavolo d‟angolo in un locale pubblico. L‟ambiente era quello di un‟antica casa da tè. Dalla finestra, per quello che potevo vedere, l‟intera costruzione, in legno, mi sembrò eretta su palafitte al centro di un piccolo lago. Il pensiero corse al Dreamer. Girai intorno lo sguardo alla Sua ricerca. Lo trovai lì, seduto accanto a me. Rasserenato, osservai che il locale era frequentato esclusivamente da cinesi. Gli avventori, i loro visi, gli abiti, l‟arredamento, sembravano usciti da una stampa del periodo coloniale quando Shanghai, piccolo villaggio di pescatori, era agli inizi della sua scalata per diventare uno dei più grandi porti del mondo. La voce del 324

La Scuola degli Dei Dreamer, dapprima flebile e lontana, mi raggiunse facendosi spazio tra l‟intenso chiacchiericcio degli avventori diventando sempre più chiara. Dalle prime parole che percepii mi sembrò che continuasse un discorso già avviato. « …Ogni problema dell‟umanità… dalla criminalità del benessere alla povertà endemica di intere regioni del pianeta è perciò solo il sintomo di una malattia mentale.» Questa affermazione del Dreamer mi fiondò fuori dal mio stato di torpore. Quelle parole erano solo il preludio di un annuncio che un giorno avrei riconosciuto come una delle pietre angolari del Suo sistema di pensiero. Raddrizzai la schiena lentamente, quasi furtivamente, e mi disposi ad un ascolto ancora più attento. Dalla esposizione che seguì emerse che, dalla notte dei tempi, le sciagure dell‟uomo non sono che la materializzazione della sua incompletezza, il riflesso del suo essere frammentato. Quella frattura nella psicologia risale alla più lontana infanzia dell‟umanità… Ero completamente sveglio, dolorosamente lucido, quando affermò: «The world is such because you are such. Il mondo, la realtà che crediamo esterna a noi, è il riverbero fisico della nostra psicologia, del nostro Essere.» C‟era di che lambiccarsi il cervello. Intanto due giovani cameriere, nei costumi tradizionali, si erano avvicinate con il necessario per apparecchiare il nostro tavolo per il tè. Il Dreamer sospese il Suo discorso per dare attenzione a quell‟operazione che sembrò considerare della più grande importanza. Per lunghi minuti restò assorto a dirigere e curare ogni particolare di quel minuzioso rituale. Ero in ansia. Non vedevo l‟ora che continuasse. Il segreto dei millenari mali dell‟uomo, e forse la radice della mia stessa infelicità, stava per essermi rivelato... Ero stupito e deluso dal fatto che potesse interrompere un argomento di quella portata per dedicarsi a qualcosa di così futile. Naturalmente non osai dare voce a quelle mie considerazioni ma continuai a fomentarle. Allora ancora credevo che i pensieri fossero invisibili e che un uomo potesse nasconderli. «Non esiste nulla di troppo piccolo o di insignificante! » disse. La Sua affermazione aveva il tono aspro di un rimprovero. Stava parlando senza guardarmi, apparentemente ancora intento a seguire i dettagli di quel cerimoniale. Mi sentii colto con le mani nel sacco ed arrossii per l‟imbarazzo. «Fa che ogni tua azione sia impeccabile! − disse − 325

A Shanghai con il Dreamer Impeccability means not to performe a single unnecessary action.» Poi, mentre sceglieva da una sterminata lista le qualità di tè che avremmo degustato, disse: «Quando qualcosa è fatta bene è fatta per sempre! Tutto l‟universo ne è informato e non avrai mai più la necessità di ripeterla…» Dopo una breve pausa, aggiunse: «Solo l‟imperfezione si ripete. La perfezione non si ripete mai perché continuamente trascende se stessa. Una perfetta crisalide deve cessare di essere una crisalide perfetta e morire per poter accedere ad un essere di ordine superiore.» Continuò dicendomi che, attraverso l‟attenzione, regolando i meccanismi interni e gli ingranaggi più minuti della propria macchina, un uomo sta aggiustando il mondo, ne può cambiare la storia. «L‟evoluzione dell‟universo dipende dall‟evoluzione dell‟individuo, dalla sua trasformazione. L‟individuale e l‟universale sono la stessa ed identica cosa − affermò − Questa comprensione è all‟origine della civiltà e di ogni forma d‟arte... Essa deve ritornare ad essere l‟elemento centrale della educazione di ogni uomo.» Aggiunse che il teatro, le danze sacre e tutti i riti inventati dall‟umanità avevano avuto origine da questa realizzazione: everything is connected. Il più piccolo movimento nella verticalità, nel mondo della volontà, provoca i cambiamenti più vasti nel mondo degli eventi. «The universe is in our brain… is a seed within man which develops as he pleases − recitò, e aggiunse − Per questo, se un uomo intenzionalmente agisse sulla cosa più piccola o portasse alla perfezione anche la cosa più semplice…» « …come fare un tè? » mi sforzai di dire amabilmente nel tentativo di farmi perdonare le mie precedenti considerazioni, infelici benché non espresse. « …o anche soltanto imparare a servirlo impeccabilmente» completò il Dreamer con arguzia, facendo Suo quel gioco e rilanciandolo. Notai che a queste Sue parole le due ragazze si scambiarono uno sguardo e sorrisero. Immaginai una complicità rispettosa, un‟intesa riverente verso il Dreamer. Il pensiero che anche loro fossero „persone di Scuola‟ mi attraversò la mente come un lampo e mi lasciò senza fiato. 326

La Scuola degli Dei «Con l‟impeccabilità di quel gesto avrebbe aggiustato per sempre il suo universo personale… sarebbe uscito da una fascia accidentale dell‟esistenza, dove tutto è già programmato, dalla nascita fino alla morte, e avrebbe cambiato il suo destino… Il mondo è il riflesso, una risonanza dell‟Essere…» Come grani doro, accuratamente, raccolsi ogni parola di quell‟insegnamento sul mio taccuino e descrissi le speciali circostanze che lo avevano permesso. 2 La ragione dell'uomo è armata Intanto il nostro tavolo era stato sontuosamente imbandito. I candidi lini preziosamente ricamati accolsero il fine vasellame e arrivarono vassoi con dolci e pasticcini di ogni tipo. Quando anche questa parte del rituale fu compiuta e i Suoi ordini Gli sembrarono perfettamente eseguiti, riprese l'argomento lasciato sospeso. Protese il mento per attirare la mia attenzione su quello che ci circondava e disse: «Tutto quello che vedi e tocchi, quello che l'uomo chiama realtà, è psicologia… solidificata. Il pensiero dell'uomo si materializza e diventa „mondo‟. Facts are thoughts.» La Sua voce si fece profonda. Il tono roco tradì la dolorosità della rivelazione che stava per fare. «La più grave delle malattie dell‟uomo, la causa di tutti i suoi mali, individuali e sociali, è la divisione interna, la sua psicologia conflittuale.» A queste parole, un caleidoscopio di immagini mi esplose dentro con la voce dei miti che l‟uomo ha creato e raccontato a se stesso per migliaia di anni. Su questo sfondo fantastico, su ogni altra si stagliò la grandiosa scena della nascita della dea della ragione, di Atena che balza sfavillante di armi dalle cave pareti del cranio di Giove, figlia di una emicrania del dio, o di un suo incubo. «È un mito-monito» disse il Dreamer penetrando nel vortice di questi pensieri e catturando quell‟immagine. «La ragione dell'uomo è armata!» La pausa che seguì mi tenne col fiato sospeso. «Questa è la più lucida diagnosi che una civiltà abbia mai saputo fare del suo male.» 327

A Shanghai con il Dreamer «La Grecia antica dunque… sapeva quale sarebbe stata la sua fine!» esclamai eccitato da quella scoperta. La risposta del Dreamer non fu immediata. La gioia nervosa che avevo provato al Suo annuncio, giunta al colmo, si stava ora rapidamente trasformando in ansia. Sentivo il peso di quella rivelazione farsi più grave mano a mano che ne realizzavo la vastità. Mi dava dolore toccare il limite, scoprire l‟incapacità di contenere la bellezza, l‟intelligenza di quella scoperta. «No! La Grecia non seppe ascoltare i suoi saggi né i suoi oracoli. Riconoscere il proprio male, la propria colpa è già la guarigione.» Mentre annotavo la risposta del Dreamer, tentando di immaginare il parto mentale di Giove, realizzai il fatto stupefacente che del mito di Atena non esisteva una iconografia; di quella nascita, così tremendamente profetica, non c‟è traccia in tutta la storia dell‟arte. «L'uomo non vuole vedere la sua follia, riconoscere la distruttività del suo pensare − spiegò il Dreamer − Da secoli l'umanità è stata avvertita e sente incombere sul suo destino l'ombra di questa profezia. Non potendola accettare, non sapendo cosa fare, né come scongiurarla, ha tentato di rimuoverla e ignorarla. The recognition of the dark side within a man is the solution, the healing, the real salvation.» Mi annunciò che se le folle potessero riconoscere la causa delle loro sciagure uscirebbero dallo stato di schiavitù in cui vivono. Ma questo è impossibile. Soltanto l‟individuo può avere accesso a questa consapevolezza. La massa non vuole né cerca la conoscenza di sé. Ha paura di tutto ciò che è nuovo e sconosciuto. La schiavitù in cui vive l‟umanità, le sue mille sciagure, sono fondate sulla paura dell‟ignoto che la sconvolge e l‟acceca. I leader politici di tutti i tempi hanno alimentato e rafforzato questa fobia per il nuovo. La folla non può sognare. Quando una civiltà non sa più ascoltare il Sogno che l‟ha generata, la voce dei suoi uomini solari, decade. La loro assenza preannuncia la caduta di culture e civiltà; coincide con momenti di pazzia collettiva capace di distruggere tutto ciò che è stato creato nei secoli da individui che sognano, dai poeti del fare. «La massa è un fantasma − epilogò il Dreamer − un meccanismo influenzato da tutto e ogni cosa… Non ha fede, non ha una volontà propria… Non può creare… Può solo distruggere. 328

La Scuola degli Dei Questo è il vero ruolo della folla… Solo l‟integrità, chi possiede una volontà può sognare e dare concretezza all‟impossibile…» Tutto quello che avevo ascoltato dal Dreamer poteva essere applicato alle imprese e alle organizzazioni moderne. Capii che queste hanno vita limitata, non perché hanno difficoltà finanziarie, o problemi connessi a tecnologie e mercati, ma perché mancano di uomini responsabili, integri: uomini che amano. A un Suo cenno cominciarono ad arrivare le innumerevoli qualità di tè che Lui aveva ordinato una per una seguendo leggi olfattive e gustative antiche quanto la Cina stessa. Egli aspirò con piacere le volute aromatiche che salivano dalle varie teiere e Lui stesso provvide a versarne il contenuto nelle nostre minuscole tazze. Dopo la lunga passeggiata e le emozioni di quelle scoperte, feci onore alla tavola ed assaggiai dai vari piatti quel raffinato campionario di abilità pasticciera. Il Dreamer mi affascinò raccontandomi le origini leggendarie di alcuni dolci e mi illustrò ricette e tecniche di preparazione la cui tradizione risaliva alla civiltà Ming. Come sempre, fu un anfitrione gentilissimo ma non toccò cibo. «L'uomo attraversa oceani, scala le vette più alte, e rischia la sua vita nelle imprese più spericolate − riprese il Dreamer − Si ritira in templi, ashram e moschee… si raccoglie in preghiera o si unisce nel sesso… sceglie la via della penitenza o quella del libertinaggio... la cella del monaco o le sfide del business… sempre nello stesso tentativo di unirsi dentro… nell'infinita ricerca della sua completezza.» Anche le religioni laiche, dalla psicanalisi ai comunismi, sono state solo la versione novecentesca della stessa ricerca. Anch'esse, come le confessioni religiose, potevano essere considerate esperimenti, parte degli infiniti tentativi che in tutte le civiltà ed in tutti i tempi l'uomo ha condotto per riguadagnare la sua integrità: quello stato speciale di certezza che gli appartiene per diritto di nascita e che ancora, ancestralmente, ricorda come il paradiso perduto. «La storia dell'uomo è un viaggio di ritorno… la parabola del figliuol prodigo è la sua insuperata metafora − affermò il Dreamer − Ma tutte le religioni hanno dimenticato la loro ragione d'essere. Degradando, si sono trasformate nel loro opposto… macchine di promozione della morte e dell'idea della sua ineluttabilità… Piuttosto che guarirle, esse hanno alimentato la 329

A Shanghai con il Dreamer divisione e la conflittualità coltivando l'intolleranza, le guerre di principi ed ogni sorta di superstizione…» Anche il Cristianesimo, ricordò il Dreamer, in mano ad uomini dalla psicologia divisa, un po‟ per volta arrivò a trasformarsi nella Santa Inquisizione, senza neppure cambiare nome. Ed ancora oggi, i colpi di ariete dei paradossi evangelici che avrebbero la forza di sbriciolare le impalcature mentali della vecchia umanità, vanno a vuoto e la potenza gentile delle sue favole, la saggezza delle sue leggi economiche sono state relegate a materia di catechismo, roba per bambini. Il suo insegnamento è affidato a precettori inconsapevoli che insegnano se stessi e sono, assurdamente, addirittura i perpetuatori di quel sonno ipnotico che il Vangelo era venuto per abbattere. I miei appunti coprivano già fittamente pagine e pagine del taccuino quando Gli sentii annunciare: «Bisogna alimentare già nei bambini l'idea di immortalità… dell‟immortalità fisica.» Dietro l'apparente pacatezza del tono con cui pronunciò queste parole sentii la potenza, l'enfasi eroica di un grido di riscossa planetario. Un lampo squarciò il buio di secoli e vidi un vessillo sventolare sul clamore di mille battaglie combattute contro superstizioni, fanatismi e idolatrie. «Bisogna portare questa idea in tutte le scuole di ogni ordine e grado e nelle università... con la cautela di chi sa che appena accenni a mettere in discussione la morte, diventi il nemico di ogni ideologia e di tutte le religioni» completò in tono premonitore. 3 L‟animale che mente In quel momento le cose mi apparvero chiare. Come tessere che vanno ad occupare ciascuna il suo posto, ogni parte del Suo straordinario insegnamento trovò il suo incastro e divenne ai miei occhi l‟elemento coerente di una visione mozzafiato. Finalmente, la millenaria storia di disastri, di atrocità e sventure trovava una spiegazione. L‟assurdità di migliaia di conflitti, il paradosso tragico di moltitudini di poveri in un universo ricco fino all‟inverosimile, l‟atrocità di lasciar morire milioni di bambini che si potrebbero salvare con lo sforzo di un mignolo trovavano, infine, una ragione vera, una causa oltre il tempo, oltre ogni geografia, ogni etnia, ogni fede. L‟uomo così com‟è è un malato mentale! E le sue società, le 330

La Scuola degli Dei sue istituzioni, sono la materializzazione della sua psicologia divisa, della sua logica conflittuale, il riflesso speculare della sua fede nella morte. Mi chiesi come e quando questo danno mentale si fosse prodotto. Avrei dato qualunque cosa per saperlo! Sarebbe stata la scoperta più sensazionale della storia e certamente la più utile. La fantasia prese il volo. Immaginai di risalire con una spedizione scientifica il corso dei millenni alla ricerca dell‟evento che aveva ridotto l‟uomo nelle condizioni in cui è; una sorta di viaggio sulla luna alla ricerca del senno smarrito di Orlando. «La tradizione giudaico-cristiana ha denominato quel fatale capitombolo „caduta dal Paradiso‟ − intervenne il Dreamer con una vena di amabile umorismo nella voce − e l‟ha marchiato come il peccato dei peccati, il „peccato originale‟. The unforgivable sin.» Avrei avuto cento domande da porre al Dreamer. Era meraviglioso poter attingere a quella Sua conoscenza inesauribile, a quella speciale autorità che appartiene non a chi interpreta o fa supposizioni, ma a chi sa. Mi aveva sempre incuriosito il simbolismo del morso alla mela, del serpente, della foglia di fico, e soprattutto avevo sempre sentito una sorta di disagio intellettuale di fronte ad una tradizione così autorevole e che tuttavia da quattromila anni sosteneva che da un fatto così insignificante poteva originarsi una tale tragedia. E perché poi quel peccato era denominato mortale? «Il „morso alla mela‟ non è un fatto insignificante − mi spiegò il Dreamer − ma è la metafora decisiva di quello scivolone nell‟Essere dell‟uomo che abdica la sua natura e che da creatore si riduce a creatura. Addentare la mela significa credere in un mondo fuori di noi che ci contiene e ci governa, significa dare consistenza al fantasma di un‟alterità… Per l‟uomo è l‟inizio della dipendenza e di tutta la sua tragica storia.» Il Dreamer evocò le prime parole di Adamo ed esse risuoneranno per sempre come le stigmate e l‟autodenuncia di un essere caduto in disgrazia: “Mi sono nascosto… ho avuto paura… non sono stato io… è stata la donna che tu mi hai dato… ” Mi sentii lo spettatore unico di un disastro universale, di una tragedia senza rimedio. Il dramma della nostra degradazione stava rappresentandosi lì, in quel momento. Stavo ascoltando in diretta l‟apparire sulla scena del mondo di quell‟essere che il Dreamer mirabilmente definì „l‟animale che mente‟. 331

A Shanghai con il Dreamer «Le parole di Adamo segnano la nascita della dipendenza e sono il manifesto dell‟uomo ordinario, menzognero e irresponsabile − disse il Dreamer − il più antico di cui ‟tu‟ possa trovare traccia.» L‟uso di quel „tu‟, en passant, fu così magistrale da dispiegarmi davanti la visione di tradizioni vertiginosamente più antiche della Genesi. Immaginai tesori di conoscenze inaccessibili o perdute di cui non avrei mai potuto sapere nulla e di cui oramai solo il Dreamer era il custode immortale. Ancora una volta mi confrontavo con il mistero di quell‟Essere che poteva attraversare il tempo e le civiltà e conosceva il segreto di scuole scomparse, vanamente splendenti come gioielli sepolti. Incalzato da scoperte continue, mentre le parole del Dreamer mi esplodevano dentro e creavano terremoti nell‟Essere, continuavo freneticamente a prendere appunti con la mano che mi tremava. Notando il mio eccessivo pallore, il Dreamer intervenne per sollevarmi un po‟, e tra il serio ed il faceto, alludendo alla mia condizione lavorativa, mi prese blandamente in giro e disse: «È nelle parole di Adamo, nelle prime parole pronunciate da un uomo in disgrazia, che il pensiero impiegatizio, l‟identificazione con il mondo esterno e la dipendenza trovano le loro radici!» Il linguaggio, che per il Dreamer è la sintesi del pensiero e del respiro di un uomo, in Adamo denuncia l‟esistenza di una frammentazione psicologica, di un crack nell‟Essere. Se era una sola cosa con Dio, come ha potuto desiderare e credere di diventare più di Lui? È evidente che prima dell‟offerta di Eva, prima ancora di essere tentato, Adamo aveva perso la sua integrità. Prima si divise dentro poi apparve il serpente. «Mentire, nascondersi, accusare, giustificarsi, autocommiserarsi, sono da allora, e sempre saranno, le stigmate verbali, e prima ancora psicologiche, di un uomo scacciato dal paradiso; di un essere che ha tradito se stesso, che ha perduto la propria integrità.» Con il morso alla mela, Adamo baratta la vita con la morte, la libertà con la dipendenza, l‟integrità con la divisione. L‟immortalità che era diritto di nascita dell‟individuo, viene sostituita da un‟eternità frammentata, inconsapevole, mortale. Essa si riduce ad una perpetuazione zoologica fondata sull‟accoppiamento sessuale e sulla riproduzione vivipara... Mentre il Dreamer parlava sentivo una sensazione tra le più rare; 332

La Scuola degli Dei quell‟inconfondibile brivido a fior di pelle che accompagna una scoperta dell‟intelligenza. «Il peccato di Adamo è mortale perché è una „caduta nel tempo‟ − completò il Dreamer − la caduta in uno stato ipnotico: nella „convinzione‟ di poter morire… Ma l‟uomo non può morire, può soltanto uccidersi” enunciò in un soffio, recitando l‟atteggiamento guardingo e la cautela di chi sta trasferendo un insostenibile segreto. Il Suo anacronistico umorismo aggiunse pathos a quella affermazione già così intensamente drammatica: «La morte è sempre un suicidio!» «È tempo per l‟uomo di tornare a casa, di risvegliarsi dal suo sonno e di riprendersi ciò che è suo di diritto… l‟immortalità perduta.» Sentii l‟intelligenza di quella visione trasformarmi, la sua chimica attraversarmi gli organi e penetrare fin nelle molecole, nelle cellule, negli atomi. E mentre mi parlava del male dei mali, delle origini ancestrali della divisione dell‟uomo e del suo „peccato‟, mi guariva. Un senso di gratitudine senza precedenti mi colmò l‟Essere. 4 “Diventa un uomo libero!” I miei pensieri turbinavano intorno alle cose straordinarie che avevo ascoltato quel pomeriggio. Inutilmente tentavo di ricondurre quelle idee ad un ordine, di imbrigliarle o anche soltanto di soffermarmi su qualcuna di esse. A getto continuo si generavano l‟una dall‟altra. Si staccavano da me come foglie da un albero e senza più appartenermi si rincorrevano e vorticavano insieme nel mulinello generato dal soffio del Dreamer. La casa da tè dov‟eravamo si era ulteriormente affollata con l‟arrivo di nuovi avventori ed il brusio delle ali di cento conversazioni faceva vibrare piacevolmente l‟aria. Trasalii per la sorpresa quando sentii la Sua voce sussurrarmi all‟orecchio: «La religione planetaria è la divisione!… La divinità che l‟umanità venera sopra ogni altra è sempre la stessa: la paura!» La forza di quell‟affermazione si fece spazio nel fitto brulicame delle voci. In questo silenzio, in questo spazio, ogni mio pensiero si chetò e le Sue parole, taglienti come bisturi, scavarono e penetrarono in profondità. 333

A Shanghai con il Dreamer «La dipendenza è paura!… Anche tu hai fatto della paura il tuo idolo… Per questo dipendi ed ancora ti guadagni da vivere nascosto dietro un impiego…» Sapevo che prima o poi quel momento sarebbe arrivato ed ero anche preparato al fatto che non sarebbe stato piacevole; ma il tono del Dreamer e le parole che aveva usato per esordire, mi fecero presagire un seguito ancora più burrascoso. Tirai fuori il mio taccuino e finsi di affaccendarmi sulle sue pagine, per nascondermi, come facevo quando la severità del Dreamer arrivava al limite della sostenibilità. «Io sono venuto a liberarti! − disse in un sibilo − sono entrato nella tua vita perché un giorno hai sognato di essere libero… » La Sua voce si era trasformata in una vibrazione che stava rovistando ogni angolo dell‟Essere a caccia delle mie paure, dovunque si annidassero. Poi concluse: «Ma tu, dopo anni, ancora versi in condizioni di schiavitù!» Sentii una ferita interna riaprirsi a quel riferimento così diretto. La vena di delusione che c‟era nelle Sue parole mi indispettì e mi amareggiò, come se mi facesse un torto immeritato, un‟ingiustizia. «Per abbandonare la tua condizione, per uscire dalla prigione dei ruoli, devi capovolgere la tua visione» disse spostando appena la sedia all‟indietro. Raccolsi il segnale. Il momento di lasciarci era prossimo. Il mio viso dovette esprimere una dolorosa perplessità. Il Dreamer attese qualche secondo come a scegliere le parole che meglio potessero aiutarmi a capire, poi disse: «Libero significa libero dal mondo… » «Da dove si comincia?» chiesi con determinazione. «È un lavoro tenace di anni ed anni… se anche cominciassi in questo momento, la tua intera vita potrebbe non essere sufficiente…» A quelle parole vidi davanti pareti senza appigli, immaginai distanze siderali e target lontani da me eoni di tempo. Sentii lo scoraggiamento prendere il sopravvento ed invadermi. Il Dreamer proseguì senza apparentemente rilevare il mio stato d‟animo: «Libero significa libero da paure, da dubbi, ansietà ed emozioni negative… libero da pregiudizi, preconcetti, da una descrizione meschina del mondo… Libero da ogni limite... libero 334

La Scuola degli Dei dalla menzogna e dal lavoro che ancora è per gli uomini come te una condanna, l‟effetto perverso di una maledizione biblica… La convinzione che ci sia una realtà fuori di te ha fatto del mondo il tuo boss… Ipnotizzato dal riflesso nello specchio, ancora cerchi la sicurezza negli occhi degli altri.» Quelle parole mostravano l‟assurdità del mio tentativo di respirare nelle acque del Dreamer con le branchie di un essere primordiale. Ogni Sua frase era un attacco mortale al mio passato, alla falsità. Sapevo che quando il Dreamer mi investiva con tale forza la mia vita migliorava e si sgombrava di tanta zavorra, facendo spazio a stati di certezza, di chiarezza, di determinazione. Eppure sopportavo ogni colpo sperando che fosse l‟ultimo. Che si fermasse!… O almeno, che mi desse un po‟ di respiro, perdio!… Anche solo per essere ascoltate, quelle parole richiedevano una forza che solo a tratti sentivo di avere. Il mio livello di responsabilità fluttuava, andava e tornava, si alzava e si abbassava, senza che mi riuscisse di gestirlo. Erano vive quelle parole! Le sentii premere insostenibilmente contro i miei limiti finché li travolsero insieme a pregiudizi, convinzioni anacronistiche e idee superate… Ogni fibra dell‟Essere vibrava. «Libero dai ruoli… dalla paura… Libero dalla identificazione con il mondo…» Quelle parole stavano rimbalzandomi in petto come sfere di metallo sull‟asse inclinato della mia esistenza. Ad un tratto mi esplosero dentro in una girandola di luci, suoni, immagini… Avevo la testa in fiamme. Dal Dreamer stavo ricevendo un messaggio dal futuro, una profezia sul destino dell‟uomo così potente e straordinaria che non riuscivo a sostenerla, a contenerla. L‟idea di un‟umanità affrancata da ogni bisogno, sbalzata fuori dalla sua natura (o almeno da quella che fino a quel momento fermamente credevo fosse la sua natura, ma che in realtà era il suo inferno), mi sembrava pazzesca. Avrei potuto semplicemente accantonarla, gettarla via, ma era troppo tardi. La visione del Dreamer mi stava già scavando dentro divorando tessuti morti e vecchie descrizioni. Non riuscivo a metabolizzarla ma neppure potevo espellerla. Come cellula dell‟umanità, atomo di un corpo immortale, sapevo che il Dreamer stava indicando la strada su cui tutti, “eroi e semidei prima, gli altri dopo”, dovranno incamminarsi… e arrivare in fondo, fosse pure tra mille anni. Mentre me ne parlava sapevo che questo incredibile esodo 335

A Shanghai con il Dreamer dell‟umanità era già cominciato. Alcuni individui avevano già fatto il primo passo, il più ardito: mettere in discussione l‟invincibilità della morte, non accettarne più l‟inesorabilità. La Rivoluzione Individuale batteva alle porte… Riempii pagine e pagine di appunti, senza fermarmi, fino a sentire i crampi alla mano. Arrivai in fondo all‟ultimo foglio del mio taccuino e febbrilmente continuai a scrivere sul retro del menu della casa da tè. Non importava più se quello che mi stava dicendo fosse razionale, o accettabile, e neppure che mi fosse chiaro. L‟unica cosa che contava era scrivere, registrare tutto. Sapevo solo che non dovevo perdere una parola, né cambiare un accento… Un giorno, avrei riletto e capito; o, forse, avrei solo potuto trasmettere a nuove generazioni di ricercatori quello che ora il Dreamer mi stava donando a larghe mani e che io ero così impreparato a ricevere. Il Dreamer si alzò allontanando delicatamente la sedia e si avviò verso l‟uscita. Lasciai la casa da tè un po‟ a malincuore. Mi accorsi che mi sarei attaccato a tutto. Avrei messo le tende anche in un bar pur di non andare incontro al nuovo. Feci questa constatazione osservando la strana malinconia che mi oscurava mentre affrettavo il passo per raggiungere il Dreamer che era già sul ponticello di legno. Alcuni taxi sostavano non lontano. Senza poter chiedere altro, mi trovai seduto in una vecchia limousine pronta a riportarmi all‟Hotel. Quando la portiera si richiuse e Lo vidi dall‟altra parte del finestrino temetti di non rivederLo più. Ma il Dreamer mi tranquillizzò: ci saremmo incontrati il giorno dopo, lì, alla stessa ora. Mentre il taxi percorreva le strade di Shanghai e cavalcava i flyover di quella immensa città, ancora rimuginavo le Sue parole. Arrivai che ancora stavo tentando di mettere ordine nei miei pensieri in subbuglio. Quel giorno ogni mia convinzione era stata capovolta. Raggiunsi la devastante conclusione che, dopo quell‟incontro con il Dreamer, dei miei vecchi schemi mentali, come mura di una città sconfitta, non restava ormai pietra su pietra. 5 Il papà del Budda Arrivai all‟appuntamento in anticipo di ore. Qualche turista occidentale, pochi fedeli, entravano o uscivano dal tempio di Yufo Si dove è custodito il Budda di Giada bianco. Era quello il punto 336

La Scuola degli Dei indicato dal Dreamer per il nostro incontro. Ingannai il tempo girellando nel dedalo di stradine del vecchio mercato. Ripassando davanti all‟ampio portale, cercavo tra la folla il Suo viso nella speranza di vederLo spuntare. Quando Lo scorsi era ancora lontano. Camminava nella mia direzione accompagnato da tre vecchi alti più della media, dall‟aspetto austero. Uno di loro, capelli radi e occhialini sottili montati in oro, Gli consegnò un plico offrendolo a testa bassa, con tutt‟e due le mani. Li vidi poi accomiatarsi con inchini e segni di grande deferenza. Una volta solo, Gli andai incontro. Una rapida occhiata esaurì i convenevoli tra noi. In silenzio, prendemmo la strada che fiancheggia il muro di cinta. Quando rivolse i passi verso l‟ingresso del tempio e cominciò a salirne i gradini, dopo quello che gli avevo sentito dire sulle religioni, ne fui sorpreso; ma lo seguii ed entrai con Lui. Un gruppo di monaci stava mangiando a un tavolo in un angolo. Bruciammo i rituali bastoni di incenso nel grande falò acceso al centro del patio e ci raccogliemmo davanti all‟imponente statua del dio. I visitatori erano radi e dopo un po‟ restammo soli. «Long but never belong!» annunciò, dandomi con quell‟indimenticabile epigramma la risposta più completa e profonda all‟esitazione che avevo provato davanti al tempio. «Rispetta tutti i culti e tutte le religioni degli uomini − disse − ma non appartenere!» Stavo ancora riflettendo su queste parole quando Gli sentii dire a mezza voce: «Accanto a Me potrai cambiare la tua visione… e con essa il tuo destino.» Le fiammelle di mille candele assentirono ondeggiando tutte insieme, scavando bagliori negli ornamenti del dio. Col Dreamer era sempre Scuola. Tirai fuori taccuino e penna dal piccolo zaino e cominciai a prendere nota. «Invecchiare, ammalarsi e morire sono parte della descrizione del mondo − continuò, parlandomi all‟orecchio − Sono stati accettati come eventi naturali ed inevitabili senza che nessun uomo si sia ribellato. È il risultato di un sistema di convinzioni ed aspettative diventato universale…» «Ciò che ci aspettiamo, accade! − affermò in tono risoluto ed aggiunse − Ammalarsi, invecchiare e morire sono cattive abitudini mentali.» 337

A Shanghai con il Dreamer Quelle parole, pronunciate lì, davanti a quell‟idolo, circondati da divinità di cartapesta, emblemi di tutte le superstizioni e di tutti i pregiudizi dell‟uomo, forzarono le pareti dell‟Essere con la loro paradossalità. Per il Dreamer, come per Lupelius, ammalarsi, invecchiare e morire erano „cattive abitudini‟ di cui l‟uomo doveva liberarsi. Presi a scrivere e andai avanti per parecchi minuti senza fermarmi. Attese che completassi le mie annotazioni poi continuò affermando che solo un „lavoro di Scuola‟ avrebbe potuto permettere all‟uomo di spezzare quel sortilegio, di uscire da quel sonno ipnotico in cui è immerso da secoli. L‟avvento di una nuova educazione (che chiamò „seconda educazione‟) avrebbe permesso all‟uomo di abbandonare il solco mortale della ripetitività. Stava avvicinandosi il momento, mi disse, in cui morire non sarebbe stato più di moda; l‟uomo avrebbe cominciato a cambiare le sue convinzioni ed a ribellarsi all‟idea della morte e della sua inevitabilità. Mi lasciò meditare su queste affermazioni finché con un cenno mi comunicò che era tempo di andare. Voltammo le spalle alla statua del Budda e ci avviammo verso l‟uscita. Prima di arrivare al portale, il Dreamer inclinò impercettibilmente la testa e si avvicinò al mio orecchio, come per confidarmi un segreto. Nel Suo bisbiglìo e in quel gesto ritrovai il profumo delle domeniche della mia infanzia, la complicità con Elio e Rosaria, la chiesa di S. Antonio Abate odorosa di ceri e d‟incenso, e quell‟irriverente, insopprimibile gioiosità che dava alimento inesauribile alle risatine ed alle nostre ciarle infantili. Il Dreamer conosceva tutti i tasti della mia anima. Ostentando la massima segretezza, mi disse: «Nella storia del Budda il vero illuminato è il padre.» Quando fummo fuori dal tempio Gli chiesi di raccontarmi la storia di quel re. Appresi così dell‟idea del padre di Budda di proteggere il figlio da ogni messaggio di degradazione, da ogni concezione di limite. Personalmente si assicurava che il giovane principe fosse costantemente circondato dalla gioia, dalla bellezza e dalla ricchezza. Continuamente sostituiva i membri della corte ed i servi intorno al figlio. Egli stesso si truccava, si tingeva capelli e barba per non permettere alla malattia, alla vecchiaia ed alla morte di entrare nella visione del giovane Budda. «Questa è ancora oggi una delle favole più istruttive mai tramandate − fu la chiosa del Dreamer − Il padre del Budda sapeva 338

La Scuola degli Dei quanto fosse potente la descrizione del mondo e conosceva la forza delle convinzioni.» Egli seppe immaginare una Scuola per immortali e un training all‟immortalità. Lì il giovane Budda fu allenato al vivere per sempre. Il Dreamer concluse che quel re, per aver sognato un mondo che aveva bandito malattia e vecchiaia e per la sua attività rivolta a preservarne il figlio, dovrebbe essere riconosciuto come uno dei padri dell‟umanità e tra i più arditi ricercatori in tutta la storia dell‟uomo. «Non a caso la tradizione lo vuole re, un uomo regale/reale − disse − Nell‟Olimpo degli eroi il suo mito merita un posto accanto a quello di Prometeo.» 6 Ciò che dipende non è reale Era il crepuscolo. Dal lungofiume del Bund stavamo osservando Shanghai trasformarsi in un oceano di luci. Il Dreamer aveva appena messo mano ad uno degli argomenti più dolenti, soltanto sfiorato nel tempio, e rimasto in sospeso. Sapevo che questa volta sarebbe andato fino in fondo. Tirai un profondo respiro e mi preparai alla dolorosità del Suo intervento. La mancanza di integrità, l‟incompletezza psicologica, la divisione e la conflittualità che l‟uomo si porta dentro, erano state il filo conduttore dei Suoi insegnamenti a Shanghai. L‟uomo è mentalmente malato ed il mondo è il riverbero della sua follia. La storia del peccato originale racconta della frattura psicologica prodottasi nella sua infanzia. Ora il Dreamer stava conducendomi alla scoperta delle radici della dipendenza. «Solo un uomo integro può essere libero» disse il Dreamer a conclusione del Suo discorso. Lo ascoltavo ma non osavo guardarLo. Fingevo di essere intento ad osservare i tremuli riflessi delle luci che rivelavano la distesa del fiume, altrimenti invisibile. «Un uomo diviso in se stesso non può che dipendere!» Queste parole istantaneamente si saldarono a quelle formidabili ascoltate da Lui molti anni prima, durante il nostro primo incontro. “Essere impiegati è solo una manifestazione visibile del dipendere… questa condizione non è l‟effetto di un ruolo, non è la 339

A Shanghai con il Dreamer conseguenza di un contratto di lavoro… né nasce dall‟appartenenza ad una categoria sociale… Dipendere è assenza di volontà… denuncia uno stato di paura, l‟appartenenza ad un girone infernale dell‟Essere…” Per il Dreamer tutto ebbe inizio quando si cominciò a considerare il tempo come una merce; quando cioè si cominciò a comprare il tempo degli uomini e non più ciò che essi producono: idee, beni, servizi. Sottolineò che il formarsi di un esercito sterminato di milioni e milioni di lavoratori „dipendenti‟, operai e impiegati, disposti a vendere il proprio tempo a prezzo fisso, un tanto all‟ora o al mese, è un fenomeno del tutto moderno che non ha precedenti nella storia universale della civiltà. Collegai il discorso del Dreamer all‟avversione, anzi alla ripugnanza, che la Grecia classica e Roma nutrirono per ogni forma di lavoro, fisico o intellettuale. L‟età di Omero considerava la peggiore delle condizioni umane quella del thetes, l'operaio agricolo che per vivere doveva vendere il lavoro delle proprie braccia. Per i greci attaccatissimi alla libertà dipendere da qualcuno per la sopravvivenza quotidiana era una servitù intollerabile. Secondo Aristotele si sarebbe dovuto rifiutare la qualifica di cittadino a tutti quelli che avevano bisogno di lavorare per vivere. L‟esercizio della virtù politica era impraticabile ed impossibile per chi conduceva la vita di un salariato o praticava mestieri operai e lavori retribuiti che impediscono allo spirito ogni elevatezza ed ogni agio. Sentii crescere in me, ancor prima di una barriera mentale, un‟incontenibile animosità. Pensai che quella visione poteva forse reggere fino alla Grecia del IV secolo, ma non era neppure lontanamente proponibile in una società del terzo millennio. Questa scheggia di razionalità concorse a fomentare il mio risentimento per l‟attacco che sentivo imminente e che già faceva capolino dalle parole del Dreamer. Senza potermi contenere oltre, sbottai: «Tutti vorrebbero fare a meno di lavorare se solo potessero godere dei privilegi di un aristocratico… » Il Dreamer rovesciò la mia visione come un guanto. «È il grado di libertà raggiunto internamente − affermò con severità − È la vittoria sulla paura che fa appartenere un uomo alla classe degli eroi, degli uomini che amano, che sognano, e non a quella di chi deve lavorare per vivere… L‟uomo dovrebbe solo dedicarsi a mantenere uno stato alto dell‟Essere, una condizione di 340

La Scuola degli Dei serenità, e non smettere mai di sognare… tutto gli sarebbe aggiunto.» «Solo un‟umanità‟ educata alla bellezza, alla verità, al benessere… Solo un‟umanità sognante, intuitiva, contemplativa, può sopportare il potere del non-fare, la responsabilità dell‟ozio aureo. La vecchia umanità vuole continuare a lavorare… non saprebbe cosa fare se smettesse… Vuole dipendere, ha già deciso di vivere sotto l‟egida della paura… ha eletto il dubbio a suo patrimonio naturale e suo boss − commentò il Dreamer lasciando trapelare una vena di amarezza, come se stesse osservando l‟effetto desolante ed irreversibile di una sconfitta cosmica − Si suicida cercando di occuparsi e preoccuparsi, affannandosi... diventando schiava del tempo…» 7 Vision and reality are one «Vision and reality are one. Il mondo è la tua visione. Cambia te stesso e il mondo cambierà per sempre!… Questo è il più grande aiuto che puoi dare al mondo.» «Ma se anche cambiassi − chiesi col tono di una concessione − che cosa ne sarà di tutto l‟orrore, dell‟infelicità e del dolore in cui vive il mondo? Cosa potrà fermare le sue guerre?» «Il mondo sei tu! − esclamò il Dreamer, spazientito − Il mondo è in guerra perché tu sei in guerra…» «Un sognatore crede solo in se stesso, nella sua impeccabilità, e proietta il mondo che desidera. La realtà in cui vive è l‟esatta rappresentazione del suo paradiso portatile.» «Ma la realtà… » «La realtà è un chewing-gum: prende la forma dei tuoi denti…» «Ma quello che vedo e tocco…» «Il mondo che vedi e tocchi non è oggettivo e non potrà esserlo mai… Ti riflette… Impara ad essere brillante, elegante, sfarzoso, grandioso; impara ad usare propriamente l‟ingiuria e la rabbia; impara a recitare il ruolo che la circostanza comanda: comico, ironico, pungente, sognante e giocoso, sobrio e sincero, sereno e distaccato. Diventa un campione della libertà. Rivolgi la tua opera a migliorare l‟umanità liberandola da tirannie e da oppressioni di ogni genere: politiche, religiose, sociali, 341

A Shanghai con il Dreamer intellettuali ed emozionali… e vedrai costruirsi sotto i tuoi occhi un paradiso terrestre.» Questo dialogo, ogni volta che ci penso o lo rileggo, mi fa pensare alla favola geometrica di Abbott, all‟incontro a Flatland tra il quadrato e la sfera, tra una creatura piatta ed un essere tridimensionale. Il discorso del Dreamer, che comprendeva strati e livelli, che affermava l‟esistenza di tanti universi e tante realtà personali quanti sono gli uomini, non poteva essere compreso in una visione piatta, nella percezione bidimensionale, di un abitante di Flatland. 8 La razza da impiego Per il Dreamer l‟assenza di ogni ruolo può essere sopportata solo da chi ha raggiunto nell‟Essere il livello più alto di responsabilità. «Un giorno, quando li avrai superati e saprai recitarli perfettamente, anche tu ne sarai libero. Questa conquista potrà prenderti attimi o intere vite. Dipende da te!» Aggiunse che l‟uomo ordinario non può sostenere la responsabilità di una tale libertà. «Solo l‟uomo che ha colto un barlume di eternità, può farcela! – epilogò – Al di sotto del livello di un uomo integro l‟esistenza ti imprigiona nella fissità di un ruolo.» Per il Dreamer il ruolo ci misura e rivela il nostro grado di libertà. Agli albori della rivoluzione industriale, la specie „sapiens‟ si era trovata di fronte ad un bivio della sua evoluzione. Negli uffici e nelle fabbriche del mondo si stavano producendo trasformazioni somatiche, psicologiche e comportamentali tali da delineare il profilo di una nuova specie. «Una razza da impiego» la definì il Dreamer. «La sua principale caratteristica è la capacità di accettare stoicamente l‟insopportabile dolorosità del dipendere» annunciò tra il serio e il faceto. Aggiunse che nel tempo questa propaggine dell‟umanità è diventata vastissima fino a rappresentare il gruppo dominante, quello planetariamente più diffuso. Precisò che trasformazioni simili si producono negli animali a seguito dell‟addomesticamento. Con meditata lentezza, si mise ad elencarle: 342

La Scuola degli Dei il rilassamento dei muscoli, l‟adiposità, l‟inflaccidimento e l‟afflosciamento del ventre, l‟accorciamento della base cranica e degli arti, il pallore della pelle, l‟invecchiamento precoce, il rammollimento... Mentre procedeva in questa elencazione cominciò a scrutarmi da capo a piedi simulando un crescente stupore alla scoperta in me di tutte le caratteristiche di appartenenza alla „razza impiegatizia‟. Spinse quella pantomima fino a chiedermi con la massima serietà di potermi usare come prova vivente della Sua teoria. Di fronte al mio viso contratto in una smorfia di offesa e di vergogna, il Dreamer non poté più trattenersi dal ridere apertamente. Solo allora mi resi conto che mi aveva preso in giro. Restai come ingessato, con i muscoli del viso tesi e rigidi come quelli di un morto, e non riuscii ad unirmi a Lui in una delle rarissime risate che Gli abbia mai visto fare. «Un uomo che si osserva, ride di se stesso, ed è libero! – avrebbe commentato tempo dopo il Dreamer a proposito di questo episodio – Se sei confuso osserva la confusione in te e sarai libero. Self observation is self correction.» Quella volta mi disse che in effetti la vera religione dell‟uomo ordinario é l‟identificazione con il mondo esterno. L‟umanità è nelle condizioni in cui è perché non ha la capacità di autosservarsi. «Se tu fossi capace di osservare il tuo inferno questo sparirebbe, la tua guarigione sarebbe immediata e comunicata a tutto l‟universo.» Osservando ora quella mia reazione posso vedere la fragilità dell‟uomo che ero e quanto fossi lontano perfino da chi aveva appena iniziato il cammino verso l‟integrità. I malati del Nuovo Testamento, ciechi, zoppi, sordi, lebbrosi, erano metafore viventi di un‟umanità psicologicamente handicappata ma almeno consapevole della propria incompletezza, già pronta ad entrare in una zona di guarigione. Uno sparuto numero di uomini e donne, pochi tra i pochi, che chiedevano accesso all‟integrità. Fu doloroso scoprire ed ammettere che non avevo ancora raggiunto quella condizione; che ero della razza dei Nicodemo, della genia degli uomini invischiati nel mondo delle apparenze, legati a istituzioni e templi polverosi, a rituali inutili; incapaci di abbandonare le false certezze del vecchio per la grande avventura individuale. 343

A Shanghai con il Dreamer Per certo, non appartenevo all‟umanità dotata di fede, dotata di quella che il Dreamer chiama la volontà, il Sogno. Il Dreamer era, e rappresentò per lunghi anni, una minaccia alla mia visione del mondo, alle mie convinzioni e a tutto quello che volevo fosse la mia vita. Ora capisco che guarire significa andare alle radici di quella peccabilità. Nell‟Essere c‟è la vera causa di quell‟handicap, di tutte le miserie dell‟uomo, di ogni nostra sciagura. «Tu sei l‟origine e la fine di ogni evento. Controllalo alla fonte. Questo mondo di avversità e sofferenza l‟hai fatto tu e solo tu puoi cambiarlo. La guarigione è un processo inside-out, procede dall‟interno all‟esterno. Può avvenire solo se lo vuoi» completò il Dreamer, e mi rivelò che i miracoli del Nuovo Testamento erano in realtà „certificazioni‟. Neppure Lui poteva produrre una guarigione che non fosse già avvenuta dentro di noi. “Vai, è la tua „volontà‟ che ti ha guarito!” 9 “Fai solo ciò che ami!” «Lavorare è il riflesso di una psicologia incompleta. Il ruolo che un uomo occupa nel mondo è il sintomo più sincero di una incompletezza, il modo più semplice per risalire alla causa di ogni suo male. Tu puoi fare solo quello che sei. Quando questo ti sarà chiaro e diventerà carne della tua carne, saprai anche come intervenire sulla causa. Cambiare se stesso significa intervenire ogni attimo sul proprio modo di pensare e di sentire, significa portare luce nella propria vita. Più conosci te stesso più i ruoli che occupi si sublimano. Più sei responsabile interiormente e meno dipendi. Questo permette di abbandonare la sofferenza insita in ogni ruolo e trasformare il lavoro-fatica in Sogno. Il lavoro si sublimerà, finché un giorno sparirà dalle attività umane.» Aggiunse che per millenni lavorare è stato il riflesso di una maledizione… l‟effetto di una caduta. Attraverso lo studio e l‟osservazione di se stesso, un uomo accorcia le distanze tra sé ed il mondo che ha proiettato, guarendo così l‟incompletezza dei propri stati d‟Essere e, di conseguenza, la sua realtà. 344

La Scuola degli Dei Il Dreamer mi fece rilevare come in tutte le culture ed in tutti i tempi il lavoro sia sempre stato connotato da fatica fino a diventare sinonimo stesso di costrizione, di sforzo. Nelle varie tradizioni e lingue dei popoli le condanne bibliche al dolore − per l‟uomo attraverso la fatica del lavoro, per la donna attraverso il travaglio del parto − si intrecciano e rivelano la loro comune origine. Nel conio della parola francese travail, nel termine anglosassone labour, questa intelligenza è registrata e sigillata per sempre. Così nello spagnolo. Così negli antichi dialetti del Sud d‟Italia, diretti eredi ed invisibili continuatori della grecità. «Bisogna trasformare il lavoro in Sogno!» annunciò con forza il Dreamer. Le Sue parole risuonarono come un grido di guerra capace di infervorare gli animi e chiamare a raccolta sterminati eserciti sotto il vessillo di una stessa crociata. «Spendi tutta la tua forza, il tempo, l‟energia e tutto quello che hai, per realizzare quello che veramente vuoi!» Questa esortazione del Dreamer era rivolta a un‟audience planetaria, a milioni di uomini che come me, avevano dimenticato il volo magico, il Sogno. «Arte del sognare significa amarsi dentro − mi disse − occorrono anni di autosservazione e di attenzione per riscoprire la volontà, per riguadagnare l‟integrità perduta.» Affermò che per i giovani è più semplice riscoprire quello che veramente vogliono. La volontà, il Sogno, nei giovani non è ancora completamente sepolto. «Una vera scuola elimina tutto ciò che ostacola il Sogno. Più che imporre false, inutili nozioni, una vera scuola libera i giovani da paure, superstizioni e dal sonno ipnotico che li confina nel ghetto di un‟umanità che dipende.» Mio padre aveva a suo modo tentato di affidare la mia educazione ad una scuola dell‟Essere, cercando tra gli istituti religiosi; ma i Barnabiti, già a quel tempo, intrappolati dalla descrizione del mondo, avevano smesso di preparare uomini responsabili, un‟aristocrazia decisionale. Anch‟essi, avevano dimenticato. «Chi ama quello che fa non dipende. Chi ama non ha un tempo da vendere… Solo chi non ama può essere reclutato, retribuito. Un uomo che ama è impagabile.» «Tra le massime illusioni di chi lavora − disse − c‟è quella di percepire una retribuzione. In realtà quello che viene ritenuto un 345

A Shanghai con il Dreamer compenso, stipendio o salario, è solo un modesto, parziale, risarcimento dei danni prodotti dalla condizione di dipendenza.» Sottolineai più volte sul taccuino quella definizione che ci scagliava lontano anni luce da tutto quello che eravamo abituati a credere e a pensare; il dolore „buono‟ di una ferita che sta guarendo accompagnò la consapevolezza della degradazione fisica e morale che uomini e donne subiscono, o meglio si infliggono, lavorando senza creatività, senza amore, in ambienti psicologicamente inquinati. Nel suo insieme la visione del Dreamer anticipava l‟avvento di un‟umanità più responsabile, più libera e felice, riscattata dalla dipendenza, dedita solo a ciò che ama. Predisse che questo si sarebbe accompagnato inevitabilmente ad una economia più evoluta, ad una progressiva, inarrestabile riduzione del lavoro-fatica e ad un declino dell‟educazione tradizionale. L‟economia non è fondata sul lavoro, ma sulla felicità. La felicità è economia. Le scuole della vecchia umanità sono fondate su una concezione opposta. Esse sono la propaggine dell‟attitudine mentale di un‟intera civiltà che ancora concepisce il lavoro come dolore, come condanna; di una società che per funzionare una volta usava gli schiavi e oggi ha bisogno di educare un esercito di perdenti, uomini capaci di accettare la insopportabile dolorosità del dipendere. «A sette anni gli spartani smettevano di dipendere, erano inseriti in una scuola del coraggio, dove si forgiavano eroi, guerrieri luminosi, invincibili; oggi alla stessa età i bambini sono inquadrati nell‟esercito triste degli adulti. È osservabile la loro trasformazione. Il gusto del gioco, la freschezza delle impressioni, l‟entusiasmo, l‟adattabilità, il coraggio, vengono sostituiti giorno dopo giorno con l‟apprendimento di emozioni apparentemente umane: invidia, gelosia, rancore, ansietà, timore; con l‟acquisizione di abitudini insane: il lamentarsi, il parlare eccessivo, il nascondersi e il mentire; con l‟imitazione di quelle deformazioni del viso che sono le maschere della loro degradazione. L‟ingabbiamento della libertà del bambino, tarpargli le ali del Sogno, è un‟immoralità che l‟umanità così com‟è non riesce a 346

La Scuola degli Dei vedere e che paga con i mille mali sociali di cui è afflitta e con un‟economia fondata sul disastro.» Ci fu una lunga pausa. Il gigante Huangpu era stato assorbito dalla notte e soltanto il traffico dei battelli, ancora intenso a quell‟ora, le loro luci che si incrociavano, permettevano di indovinarne la presenza. In piedi, sotto un lampione sul lungofiume del Bund, completai le annotazioni di questa indimenticabile lezione registrando le parole che la conclusero. «Come lo sferragliare del treno, che dopo qualche tempo non avvertiamo più, così la dolorosità del dipendere diventa per noi tutt‟uno con l‟esistenza, una costante naturale e, per assurdo, una presenza rassicurante della vita. Abbandonarla sarà, da adulto, un‟impresa impossibile.» 10 La direzione terribile e meravigliosa… Quel tratto del Bund aveva intanto assunto l‟aria dolcemente oziosa di un elegante boulevard d‟altri tempi, con i grandi lampioni, le panchine di legno e ghisa, l‟intenso passeggio di una folla variopinta e cosmopolita. A piedi raggiungemmo il Peace Hotel il cui ristorante offriva una vista superba sul lungofiume e sulla Oriental Pearl TV Tower. Architettura e ambiance di inizio secolo, le note di un‟orchestra Jazz al piano terra, come una macchina del tempo, ci trasportarono indietro di cent‟anni. Tutto era perfetto ma io restavo taciturno e pensieroso. Le dure parole che avevo ascoltato quella sera dal Dreamer erano state soltanto un preludio. Sapevo che la parte più spinosa di quell‟incontro doveva ancora venire. Il direttore ci accolse come ospiti d‟onore, e ci accompagnò personalmente al tavolo, assistito da due impeccabili camerieri. Il maître sembrava conoscere il Dreamer molto bene. Il suo comportamento, i dati che fornì sull‟andamento della serata e sulle attività del ristorante e dell‟Hotel, insieme ad altri segnali colti all‟ingresso, mi fecero pensare che il Dreamer fosse più di un cliente di riguardo. Ero nervoso. Avrei voluto che la conversazione si prolungasse, che il maître si trattenesse, per rimandare quanto più possibile il momento in cui sarei rimasto solo con Lui. L‟espressione del Dreamer era terribilmente seria quando avviò l‟argomento con queste parole: 347

A Shanghai con il Dreamer «Ogni aspetto della vita di un uomo, ogni sua decisione, ogni scelta, corrisponde al suo livello di responsabilità interiore… È questo che determina il suo ruolo nel mondo e gli assegna il destino che merita. In Kuwait si stavano creando le condizioni per il tuo passaggio ad una fascia più alta dell‟esistenza... ma a un uomo come te, ancora vittima di dubbi e paure, l‟opportunità si presenta come una minaccia mortale… » «Apparentemente hai abbandonato. Credi di aver scelto una via più semplice, una vita più tranquilla; la verità è che eri impreparato a cogliere l‟opportunità che ti ho dato! − disse. Il Suo sguardo si fece ancora più severo − Il tuo livello di responsabilità non poteva contenere quella prosperità. A gente come te la libertà fa paura. Per l'ennesima volta il mondo della dipendenza ti ha risucchiato e rigettato nei gironi più bui dell‟esistenza, a ripetere i disastri del tuo passato.» «Se già sapevi che avrei abbandonato, perché… » accennai senza riuscire a completare quella domanda. Un nodo di pianto mi stringeva la gola. «È l‟unico modo per farti capire che nulla ti può essere donato! Un uomo deve pagare per tutto quello che riceve. E il pagamento avviene nell‟Essere. Un uomo può avere solo quello che la sua visione contiene, può possedere solo ciò di cui è responsabile.» La lezione che seguì fu una pietra miliare del mio apprendistato. «Nothing is external – riaffermò, la Sua voce suonava rauca e grave – Un uomo impreparato, anche se temporaneamente favorito da un evento o da circostanze esterne, viene ricacciato nell‟antica povertà se l‟avere eccede il suo livello d‟Essere.» La ricchezza, il benessere e la qualità della vita di un uomo, come quella di una intera civiltà, non dipendono dalla disponibilità e dalla dovizia di mezzi e di risorse materiali, ma dall‟ampiezza del loro Essere. Il modo di sentire, di pensare e di agire, l‟altezza delle aspirazioni e la profondità delle idee, quello in cui credono e ciò che sognano, decidono il destino degli uomini. «Be a King, the Kingdom will come – annunciò, registrando quella legge in ogni mia fibra – La regalità dell‟Essere precede sempre la nascita di un regno.» «Il Kuwait è stato un banco di prova per misurare la tua responsabilità, per farti toccare con mano come la paura in un 348

La Scuola degli Dei uomo crea l‟inferno nel mondo degli eventi. È la paura che ti fa dipendere da un impiego, da una donna, da una droga… È la paura che ti fa credere che uno stipendio possa proteggerti, darti sicurezza. Chi non conosce se stesso, chi non è padrone dei suoi stati, non può fare né per sé né per gli altri. Un uomo può scegliere solo se stesso! Il tuo innamoramento è ancora un modo per sfuggire alla responsabilità. La donna che credi di amare è anche lei una rifrazione della tua propensione a dipendere.» Avrei dovuto ormai sapere che l‟immediata e totale avversione che provavo per le idee del Dreamer era il segnale più sicuro della loro efficacia nello sconvolgere i miei schemi mentali, nel buttare all‟aria idee obsolete e programmi rovinosi. Eppure ogni volta resistevo, mi ribellavo a quella intollerabile pressione che sentivo accanto a Lui e che schiacciava ogni centimetro quadrato del mio Essere. Il Dreamer aveva sempre ragione. Seguendolo, o ricordando i Suoi insegnamenti, era impossibile fallire, sbagliare, danneggiarsi, deviare. Non si può immaginare quanto sia insopportabile la saggezza del Grillo Parlante per un Pinocchio che ha già deciso di restare di legno, mosso da fili invisibili. Quella sera le Sue parole furono ancora più sovversive, troppo rivoluzionarie per sostenerne il peso e l‟immensa energia. L‟accettazione, la comprensione, di idee di ordine superiore è ogni volta un‟operazione dolorosa per chi non è pronto e non vuole capire. Anche solo per ascoltarle, è necessario un ampliamento dello spazio psicologico, un‟accelerazione del pensiero, il cambiamento di convinzioni ed abitudini radicate. Ogni volta mi scoprivo assolutamente impreparato a recepirle e farle mie. Ogni volta la filosofia del Dreamer arrivava ad apparirmi non solo contraria a tutto ciò in cui avevo sempre creduto, ma blasfema, una vera e propria trasgressione alle leggi naturali, consacrate dalla storia e dalla ragione. Le idee del Dreamer mi aprivano davanti la voragine di un ribaltamento della visione del mondo e scoprivano il passaggio avventuroso ad una specie nuova che più nulla aveva in comune con la vecchia umanità. Nei momenti di grazia, quando la comprensione finalmente riusciva ad aprirsi uno spiraglio nell‟Essere, riconoscevo che la direzione indicata dal Dreamer era assurda e necessaria, terribile e meravigliosa, sofferta e gioiosa, come lo sforzo dei salmoni che 349

A Shanghai con il Dreamer risalgono il fiume verso la loro origine. Dietro il Suo linguaggio paradossale grandeggiava una rivoluzione psicologica, una rivoluzione dell‟individuo, grandiosa come un Esodo, visionaria ed epica come l‟impresa di Spartaco. 11 „To fall in love‟ Il Dreamer riprese il Suo discorso riferendosi al mio rapporto con Heleonore e a questo mio ennesimo tentativo di ricostruire una famiglia. Le prime parole che scelse, la loro intonazione, confermarono il timore che ascoltare quello che stava per dirmi non sarebbe stato gradevole e tantomeno facile da accettare. Accogliere la filosofia del Dreamer, fare spazio alle Sue idee, non era mai stato agevole; ma ora che stava toccando l‟argomento più spinoso, sentivo i bastioni della mia ostinazione rafforzarsi e antiche difese ergersi, ancora più aspre, per effetto del mio attaccamento. Temevo che mi chiedesse di separarmi da lei. Il mio apprendistato era a un punto cruciale. Nell‟oscura foresta di quelle mie inquietudini le parole che seguirono suonarono ancora più dure e minacciose, come un corno da caccia nella profondità di una tana. «La paura, la tua inclinazione a dipendere, ti fanno aggrappare a tutto quello che incontri, com‟è accaduto con questa donna. E menti a te stesso credendo di esserne innamorato… » Il Dreamer mi parlò a lungo. Qualche atomo di comprensione penetrò tra le scaglie della corazza e cambiò la mia attitudine. Impercettibilmente, anche il tono del Suo discorso si raddolcì pur conservando nella voce l‟iniziale severità. Rivelandomi il vero significato di quell‟alterazione d‟Essere che gli uomini chiamano innamoramento e mettendo allo scoperto la trappola mortale che nasconde, lapidariamente disse: «Dietro ogni innamoramento c‟è una caduta.» Nello sguardo passò un veloce ammiccamento quando in tono ammonitore aggiunse: «E dietro ogni caduta c‟è una colpa.» Dal Dreamer appresi che la denuncia di questa minaccia, la segnalazione della caduta in agguato dietro l‟innamoramento é rintracciabile nelle più diverse culture. Espressioni idiomatiche come „to fall in love‟ o „tomber amoureux‟, sono usate da milioni di 350

La Scuola degli Dei uomini senza che nessuno sia capace di ascoltare il loro grido di allarme. Esse agitano sotto il nostro naso un segnale di pericolo che oramai nessuno avverte più. Il Dreamer spinse oltre quell‟esame e lo portò più in profondità affermando che innamorarsi di qualcuno o qualcosa non è un avvertimento ma è già la caduta rispetto alla condizione di amare. «Nothing is external − riaffermò − il mondo, gli altri, sono te stesso distribuito nel tempo. Amare qualcuno è amare un frammento‟ di sé… significa rimpicciolirsi… significa frammentarsi.» Per il Dreamer amare qualcuno al di fuori di sé è paragonabile al tentativo di trasferire l‟oceano in un bicchiere o alla pretesa di prosciugare tutta l‟acqua del mare con un pugno di sabbia. «Amore (a-mors) significa assenza di morte. Amare significa amarsi dentro, eliminare da sé ogni forma di autosabotaggio.» Aggiunse che questo può avvenire solo intenzionalmente. Per il Dreamer „amarsi dentro‟ può essere soltanto l‟espressione di un vero e proprio atto della volontà. «Solo l‟integrità può amare − disse in tono conclusivo − e solo la totalità dell‟Essere in tutta la sua magnificenza può contenere l‟amore.» «Un uomo che ha raggiunto l‟integrità non potrà allora avere una compagna, dei figli, una professione, una vita sociale, relazioni, amici?» chiesi angosciato da quella prospettiva alla quale mi sentivo totalmente impreparato. «Sì − asserì il Dreamer − ma non dimenticare mai che tutto quello che accade al di fuori di te… è soltanto una rappresentazione scenica, il film del tuo Essere che per la sua grandiosità non può vivere che all‟interno di te stesso… L‟altro… gli altri… il mondo… sono la tua immagine riflessa… un bicchier d‟acqua... Un pugno di sabbia.» Per il Dreamer amare se stesso è il solo amore possibile. Amare se stesso è l‟arte suprema. Amare qualcuno al di fuori di sé è una idolatria che trova l‟apice della sua espressione nella sessualità. «Nella scelta di un partner, come in cento momenti in cui deve dare una direzione alla propria vita, un uomo è costantemente influenzato dal sesso» osservò il Dreamer. Il tono pacato di questo preludio aggiunse intensità a quella escalation del Suo discorso e acuì allo spasimo la mia attenzione. 351

A Shanghai con il Dreamer «L‟umanità ha posto il sesso al centro della sua esistenza senza neppure intuire che è soltanto un lontano barlume di un‟estasi dimenticata: l‟unità dell‟Essere!» Il Dreamer proseguì dicendo che il sesso, così come il cibo ed il sonno, richiede un attento management, una capacità di gestione che gli uomini hanno dimenticato. L‟attività sessuale, che dovrebbe servire come disciplina, una tecnologia al servizio dell‟umanità per raggiungere l‟unità dell‟Essere, è stata distorta. Chi è entrato in altre zone dell‟Essere usa la sessualità come propellente al servizio dell‟integrità. Continuò affermando che questa intelligenza si è perduta. La funzione sessuale si è degradata fino a diventare un‟attività effimera che ci lascia ancora più insoddisfatti, ancora più incompleti, ancora più distanti da quella condizione dell‟Essere che è diritto di nascita di ogni uomo e che ha abdicato. Mai prima, neppure lontanamente, avevo pensato al sesso nella prospettiva cui il Dreamer mi stava mettendo davanti e che mi teneva senza fiato. Immagini si avvicendarono rapide nella mente, come una sequenza di fotogrammi in fast motion. Vidi l‟umanità accanirsi nell‟accoppiamento, affannarsi nelle alcove. Osservavo questo planetario assillo dell‟uomo con il distacco di un etologo che studia il comportamento sessuale di una specie zoologica, i suoi rituali di corteggiamento, le sue tecniche riproduttive. Ebbi per un attimo l‟esatta percezione dello stato di degradazione in cui siamo caduti e della distorsione che in noi hanno subìto funzioni e organi creati per ricevere messaggi, barlumi dell‟unità dell‟Essere. Nella visione del Dreamer, il sesso è un filo d‟oro per permetterci di trovare le tracce e percorrere a ritroso il cammino alla ricerca della nostra integrità perduta. Un‟umanità frammentata ne ha distorto la funzione trasformando il rapporto con il partner in un‟assuefazione e la sessualità in un pretesto per dimenticare e dipendere. Mi sentii immensamente solo, come un essere alieno; unico testimone ammesso a sostenere la visione di quell‟ansimante ricerca d‟integrità, di completezza, destinata a fallire, perché non guidata dalla volontà e dall‟intelligenza. Una ricerca condannata a una perpetua infruttuosità, perché è il tentativo impossibile di un essere che vorrebbe amare fuori di sé, prima di amarsi dentro. Vedevo quegli amplessi accendersi e spegnersi, rapidi come battiti di ciglia, insignificanti come starnuti, e concludersi ogni volta 352

La Scuola degli Dei con una nuova delusione, con un‟altra piccola morte. E vedevo rinnovarsi negli umani quell‟aspettativa di felicità, quella ricerca di integrità, destinata ad essere ogni volta tradita ed a fallire, senza fine. Sullo schermo della mente apparvero immagini di lande ghiacciate. Vidi la corsa mortale di renne che inseguono quella fragranza di muschio che le fa impazzire e che vanamente cercano fuori di sé. Per un destino infelice non sapranno mai che quell‟essenza che le inebria è prodotta dalle loro stesse ghiandole. «L‟uomo cerca la libertà, la felicità, l‟amore, fuori di sé − disse, sospendendo il flusso di quelle immagini e penetrando a questo punto dei miei pensieri − ma il viaggio del figliuol prodigo non è esterno… è un‟avventura interiore, è il viaggio di ritorno all‟unità dell‟Essere.» «L‟uomo incessantemente tenta questa impresa: la riconquista della sua integrità; si congiunge alla donna, che è parte di sé, creata da una sua costola, per riguadagnare quello stato di unità interiore, il suo paradiso perduto.» Poi nel tono di un giudizio inappellabile, disse: «Nell‟algebra dell‟Essere due metà non formano un‟unità, ma un‟incompletezza al quadrato! Un vero sognatore esprime se stesso nella totalità. Non ha spazio per un mondo incompleto.» 12 “Io sono tu!” «Ma se tutto quello che succede è una mia creazione, una mia proiezione, allora Tu… chi sei?» «Io sono tu! − disse inaspettatamente, coniando un‟espressione che si sarebbe impressa a fuoco nella mente − Io accado dentro di te.» Il mondo mi stava mancando sotto i piedi. Niente era come prima né sarebbe mai più tornato ad esserlo. Notando la mia espressione di smarrimento, il Dreamer accorciò le distanze tra noi e disse: «Mi vedi fuori di te perché Io sono in te… Tutto quello che vedi e tocchi, dagli insetti alle galassie, è in te… o non potresti vederlo né toccarlo.» Provai una vertigine. Sentivo le tempie pulsare con i battiti del cuore. 353

A Shanghai con il Dreamer Qualcosa di insolito stava accadendo… qualcosa stava crescendo, si stava facendo spazio forzando dall‟interno, come un essere la cui gestazione si fosse accelerata in modo vertiginoso. «Tutto è connesso. Niente è separato. Se tu potessi trasformare un solo atomo di te, il tuo più piccolo pensiero, un‟abitudine, un atteggiamento, un‟inflessione della voce… questo cambiamento esploderebbe in tutto il tuo Essere ed il tuo universo cambierebbe per sempre… » «Ma trasformare questo atomo nell‟Essere – aggiunse − è come ingoiare oceani o spostare montagne nel mondo degli eventi.» Nella Sua voce vibrava una nota di afflizione, per la dolorosità di quell‟argomento che toccava la radice stessa della condizione dell‟uomo e la ragione della sua infelicità. Se modificare un atomo di noi stessi richiedeva lo sforzo di spostare una montagna, il pensiero arretrava di fronte all‟abisso di anni che sarebbero stati necessari alla nostra umanità per trasformarsi. Per ricondurre quella distanza a proporzioni umanamente concepibili, obiettai che, almeno nella mia storia, non erano mancate vere e proprie sterzate e sommovimenti. Ben più di un atomo era cambiato nella mia vita da quando Lo avevo incontrato. In effetti, negli ultimi anni, più volte avevo cambiato lavoro, partner, nazione; e più volte avevo spostato attività e famiglia da un continente all‟altro, prima di arrivare in Kuwait, e infine, trovarmi lì, a Shanghai. «Sono cambiamenti solo apparenti − rispose il Dreamer − Nell‟esistenza di uomo ordinario in realtà non cambia mai nulla. Il suo passato diventa il suo futuro. Tutto nella sua vita denuncia la sua incompletezza.» La Sua voce era ritornata ferma e severa. «Egli teme ogni cambiamento che potrebbe spingerlo all‟abbandono del solco confortevole e mortale della ripetitività. Al di là dell‟illusione di cambiare, anche nella tua vita tutto si ripete, tutto è sempre uguale a se stesso. I tuoi tentativi di rifare una famiglia, le donne che hai scelto, così come i ruoli che hai occupato, le case che hai abitato, gli amici che hai avuto, sono stati sempre e comunque il riflesso della tua rigidità… evidenziatori, al di sopra di ogni altra cosa, della ristretta fascia dell‟esistenza in cui hai confinato la tua vita. Ci sono mondi paralleli al tuo cui soltanto il Sogno può accedere. 354

La Scuola degli Dei If you have nothing that at present satisfies you, it is because of the state of your Being. You will never get what you want as long as your Being remains as it is. You have to change yourself to get new understanding, new meaning, new life, and consequently attract events of a higher order. Changing yourself means, first of all, “getting rid of yourself”. In order to be born “at a higher level” you have to die “at a lower one.» Stavo annaspando. Il Dreamer si accorse della mia difficoltà e attese. Le Sue parole erano fasci di luce puntati verso zone sconosciute dell‟Essere, strali che stavano trapassando i miei organi con una dolorosità insopportabile. Il passato che avevo incautamente richiamato mi stava ora soffocando. La morte di Luisa e tutta l‟infelicità delle mie relazioni, i litigi, le incomprensioni, i tradimenti di tutta una vita, stavano ritornando a galla, ognuno con il suo carico di fiele. Luisa era stata lo slancio e l‟inconsapevolezza dei vent‟anni, bruciati come una candela accesa dai due estremi. Jennifer la riconoscevo ora come la personalizzazione stessa della mia vanità, della possessività e della paura della vita. Gretchen era stata la proiezione della mia aggressività, del tradimento che era sempre stato lì, nascosto dietro ogni mio sguardo, atteggiamento, parola. Era vero. Ognuna di quelle donne era stata l‟immagine speculare della mia condizione. Il Dreamer mi sottrasse a questa riflessione. «Quelle donne sono arrivate per rendere fisicamente visibile, per denunciare, quello che non hai mai voluto scoprire di te stesso.» Il tono era straordinariamente dolce, ed io sentii dolore al pensiero di cosa avrei potuto scoprire nascosto dietro l‟ultimo innamoramento, dietro la mia più recente „caduta‟. 13 Uni-verso. Verso l‟uno Restammo alcuni minuti in silenzio. Dal nostro tavolo godevamo di una vista straordinaria sul fiume. Il profilo d‟acciaio della Oriental Pearl TV Tower si stagliava luminoso come una cometa sullo sfondo della notte e del pulviscolo di luci della lontana Pudong. Il ristorante del Peace Hotel si era intanto affollato. La sua 355

A Shanghai con il Dreamer atmosfera démodé era accentuata dall‟abbigliamento dei clienti, per lo più coppie che sembravano uscite da una foto di inizio secolo. Il Dreamer stava ora introducendo un ultimo argomento, tra i più cruciali di quel nostro incontro. Fece una pausa per permettere ai camerieri di portare via i piatti. Quelli del Dreamer erano intatti. Mi resi conto che, catturato senza respiro dalle Sue parole, impegnato a prendere appunti, anch‟io non avevo quasi toccato cibo. «Il Progetto è scolpito a caratteri immortali nella stessa parola „universo‟» riprese a dire il Dreamer, ed evidenziò come da innumerevoli generazioni gli uomini pronuncino la parola „universo‟ senza rendersi conto della sconfinata potenza che un‟intelligenza eponima ha nascosto nel suo etimo, come una spada invincibile nella sua guaina. Uni-verso/verso l‟uno. Il senso dell‟esistenza, la direzione del mondo, degli eventi e degli uomini, dal tempo dei tempi, erano stati rivelati, annunciati e messi lì sotto i nostri occhi. Quel messaggio cosmico, antico come le stelle, potente come l‟energia compressa di milioni di soli, semplice come la verità, aveva attraversato eoni di tempo, e tuttavia solo pochi l‟avevano inteso. Le tradizioni religiose e sapienziali delle civiltà di ogni tempo sono tutte percorse da uno stesso potente messaggio di integrità, sono nate da quella insopprimibile pulsione verso l‟unità dell‟Essere che ancora le fa vibrare. Nell‟excursus del Dreamer vidi il tessuto connettivo di uomini e nazioni, la fitta trama di idee, filosofie e visioni attraversata da un filo d‟oro che le univa oltre il tempo e lo spazio, oltre ogni differenza di cultura, di razza o di geografia. «Il monaco, da monos, è un uomo solo verso l‟Uno, un uomo alla ricerca della sua integrità» affermò. L‟ombra di un sorriso, che in Lui spesso anticipava un‟arguzia, si disegnò sul Suo volto quando aggiunse: «È un essere in costruzione. Fuori della sua cella potrebbe esserci scritto „lavori in corso‟… Il saio e la disciplina che ha scelto sono al servizio del suo intento di diventare un „individuo‟…» Mi spiegò che „individuo‟ deriva da indivisibile ed indica la direzione dell‟uomo verso l‟unità. È una condizione di estrema rarità. Solo alcuni uomini, attraverso uno strenuo lavoro su di sé, la raggiungono e diventano a pieno titolo individui. Il riferimento era troppo diretto perché non lo cogliessi con tutta la dolorosità di un 356

La Scuola degli Dei confronto a me così sfavorevole. C‟erano stati e c‟erano uomini determinati, ricercatori instancabili della propria integrità. Ed io, dov‟ero? Inutilmente avrei cercato il mio viso in quel piccolo esercito di coraggiosi, di pazzi luminosi, che in ogni epoca hanno cercato, hanno fatto sforzi sovrumani, per uscire dalla condizione ordinaria. Ed io, cosa avevo fatto per uscire dai solchi della mia esistenza, per meritarmi un destino individuale, una grande avventura personale? Feci un veloce esame di coscienza e stesi subito sulla mia vita un velo pietoso. Allora nella mente mi esplose in tutto il suo bagliore la grandiosità del segreto nascosto dietro due umili racconti, passati pressoché inosservati per duemila anni; due storie immensamente potenti, metafore immortali camuffate da semplici favole: la parabola del pastore che lascia le novantanove pecore per cercare quell‟una smarrita, e quella della moneta d‟argento perduta dalla donna che, rimasta con nove monete, spazza e fruga in ogni angolo, si affanna e non si stanca di cercare finché non la trova. Quei rudimentali racconti si stavano rivelando i custodi millenari di un messaggio di integrità. In esse vive per sempre il ricordo del „progetto‟ e il segreto della incessante tensione dell‟uomo verso quell‟asintoto universale che è l‟unità dell‟Essere. È questo il grande raggiungimento, il target da colpire e la ragione stessa della nostra esistenza su questo pianeta. «In paradiso non può entrare neppure un granello d‟inferno − sintetizzò potentemente il Dreamer − Per un uomo verticale perdere anche un atomo della propria integrità significa perdere tutto. E „non si dà pace‟ fino a quando non ha ristabilito la propria completezza.» Aggiunse che santo, nel suo significato più profondo, al di là del dogmatismo ecclesiale cristiano, significa sano, guarito. Santo è in realtà un uomo integro, intero, che ha eletto la completezza, l‟unità dell‟Essere, a scopo della sua vita; è un uomo vigile sui suoi stati e sulle sue emozioni, perché sa che il più piccolo differimento dalla totalità di se stesso lo precipita negli inferni dell‟ordinarietà. Tutta l‟iconografia sacra che potevo ricordare mi attraversò la mente e riprovai lo stupore di quand‟ero bambino nell‟osservare le teste dei santi cinte da una corona di luce. Relegati nella penombra odorosa di ceri, in chiese senza vita, o nelle asettiche sale di musei e gallerie, li avevo sempre visti e poi ricordati come uomini del passato, patetici, anacronistici. Solo ora potevo vedere tutta 357

A Shanghai con il Dreamer l‟ignoranza e l‟assurdità di un immaginario collettivo che ha proiettato nei santi la propria sofferenza, la propria sconfitta, e di una folla che assurdamente ripone fede in una miracolosità „fuori di sé‟. «„Fuori di sé‟ è la vera pazzia, il male dei mali da cui l‟umanità dovrà guarire.» In verità santi erano gli uomini e le donne che avevano semplicemente osato „credere in se stessi‟; uomini comuni che, consapevoli della loro incompletezza, avevano fatto il viaggio a ritroso verso l‟integrità perduta. 14 Il Re è la terra, la terra è il Re «Questa è economia!» affermò inaspettatamente il Dreamer irrompendo tra quelle riflessioni venate di ricordi, prima che potessero immalinconire. Per qualche istante, sospesa nell‟aria, restò soltanto la visione di un esercito di uomini e donne vittoriosi, senza aureole né palme, sullo sfondo di un‟epopea senza tempo. Poi anche quell‟ultima immagine sparì, soffiata via dalla brezza di parole nuove. «Senza individui, senza la loro volontà in azione, non c‟è profitto né progresso, non c‟è business né ricchezza. Essi sono il sale della terra. Grandi imperi politici e fortune finanziarie si sfaldano e si disintegrano se essi mancano.» Improvvisamente trovai in quelle parole del Dreamer la soluzione di un enigma che da anni assilla gli studiosi di economia e che i centri di ricerca delle università e delle business school di mezzo mondo stanno inutilmente cercando di risolvere. Le imprese del pianeta muoiono giovani. La loro esistenza si dimostra sempre più precaria e la vita media si è progressivamente ridotta fino a raggiungere durate effimere. Anche i giganti dell‟economia e della finanza non vivono a lungo; basta pensare che la metà delle imprese che vent‟anni fa erano classificate tra le cinquecento più grandi del mondo oggi non esistono più. Ora sapevo che queste corporations erano la proiezione di leader incompleti. L‟unica, vera ragione della loro prematura scomparsa è stata l‟assenza di uomini e donne integri. Ne sarebbe bastato uno a scongiurare la perdita di immensi patrimoni di 358

La Scuola degli Dei conoscenze, di uomini e mezzi, o il dissolvimento di intere civiltà. Pensai a dove sarebbe Roma senza Scipione, e più tardi, Cesare; e cosa sarebbe stato della più grande multinazionale del mondo, senza manager del calibro di Francesco d‟Assisi. Uomini integri, sani… Chi li stava preparando? E dove? La voce del Dreamer venne a riprendermi nel limbo di quelle riflessioni. «Il Re è la terra, la terra è il Re − recitò, riallacciando i miei pensieri al Sogno − Una piramide organizzativa è legata al respiro del suo leader. Un filo d‟oro salda la sua immagine e il suo destino personale a quello della sua organizzazione e dei suoi uomini. Il suo sé corporeo coincide con la sua economia, come fu per gli antichi sovrani.» Il Dreamer si collegò alla tradizione cinese classica ed io pendevo dalle Sue labbra mentre mi raccontava che nei momenti di maggiore difficoltà per l‟impero, come una carestia o un‟invasione nemica, l‟imperatore cinese, il figlio del cielo, si ritirava nelle stanze interne del Palazzo per incontrare le porte del tutto. Immobile, rivolto verso il sud, provvedeva con le sue virtù superumane a che tutto l‟impero restasse in accordo con il Decreto del Cielo. Egli sapeva che le difficoltà che si trovava a fronteggiare rivelavano una sua perdita di integrità. Era consapevole che la battaglia andava prima vinta interiormente. When the dikes give way and the floods come, and the barbarian hordes and attacks rain down from every corner of the world, it means that the 'portable paradise' given to the leader has been lost, and only the regain of his own integrity can reverse that catastrophy. Per quell‟uomo, a quel livello di responsabilità, non c‟era separazione tra la propria integrità e quella dell‟impero. Vincere se stesso, reintegrare l‟unità dell‟Essere, era la reale vittoria. Solo allora sarebbe arrivata la soluzione, effetto e misura del suo grado di impeccabilità: si sarebbe manifestata sotto forma dell‟arrivo di un esercito alleato o della disgregazione dell‟esercito avversario, per lotte interne, per intemperie, per carestie. 359

A Shanghai con il Dreamer Con il Dreamer sentii viva e palpitante l‟intelligenza che percorre da sempre la storia delle civiltà, dalle più antiche tradizioni fino alla moderna storia del business. Dall‟impero cinese all‟impero mediatico di Maxwell, da Walt Disney al reame di Artù, nei secoli risuona una stessa, immutabile legge: Quando il Re si ammala, la terra si ammala. Perché il Re è la Terra, la Terra è il Re. Anche la storica asserzione di Luigi XIV mi appariva ora sotto la luce di una nuova intelligenza. “L‟Etat c‟est Moi” non era il grido di un despota, l‟affermazione di una sovranità senza limiti, come abbiamo creduto per secoli, ma la consapevolezza di un uomo della perfetta coincidenza tra il suo destino personale e quello di milioni di uomini, di un intero impero. «Un leader, un businessman, un uomo di responsabilità sa che il suo destino finanziario, la longevità e il successo delle sue imprese, e perfino la sua salute fisica, sono direttamente connesse al suo grado di integrità. La condizione per trasferirsi da un mondo diviso a un mondo unito è una sola! C'é una sola cosa che dobbiamo abbandonare… » La breve pausa che seguì mi sembrò interminabile. «La sofferenza» «Non dovrebbe essere troppo difficile − affermai prontamente − Chi non accetterebbe?”. «Eppure per l‟uomo ordinario è proprio questa la cosa impossibile» argomentò il Dreamer. «Prendi il tuo caso. Tu vorresti rinunciare alla sofferenza, ma questo comporterebbe la rinuncia a un mondo fatto di lotte, conflitti, divisioni, che è il tuo mondo, l‟unico mondo che conosci. Solo chi conosce se stesso può scoprire che „niente è fuori di sé‟... che egli è solo nell‟universo, unico responsabile delle situazioni in cui si trova e di tutto quello che gli accade.» Qui il Dreamer si raddrizzò sulla schiena e lentamente protese il collo verso l‟alto, come per avvicinarsi di qualche millimetro al cielo. Poi disse: «Per poter attirare qualcosa di miracoloso, per poter dare concretezza all‟impossibile, un uomo deve innalzarsi nell‟Essere, avvicinarsi a quella condizione di unità, di integrità, 360

La Scuola degli Dei che è suo diritto di nascita… È la parte più vera, più concreta di ognuno di noi: il Sogno.» Il Dreamer chiuse gli occhi e recitò queste parole che registrai fedelmente sul taccuino: «Il Sogno è la cosa più reale che ci sia… Tutto quello che vediamo e tocchiamo, e tutto quello che non vediamo, dagli atomi alle galassie più lontane, non è che il riflesso del nostro sognare…» 15 La Realtà è il Sogno più il tempo «Our future aim is to become one. Il goal è l‟unità dell‟Essere. Quando dentro di noi è avvenuta questa unificazione, quando abbiamo raggiunto uno stato di integrità, solo allora esistono le condizioni per essere „toccati dal Sogno‟. La realtà è il Sogno più il tempo.» Registrai questo aforisma in termini di equazione tra i miei appunti con la simbologia: S+T=R In questa forma un giorno l‟avrei comunicata agli studenti della ESE trasferendo l‟intelligenza di questa visione e il segreto dell‟immensa energia compressa nella sua formula. Tutto origina dal Sogno. Tutto quello che vediamo e tocchiamo, ogni cosa visibile, nasce nel grembo dell‟invisibile. Il tempo lo rivela. Questo è il culmine ed il nodo del pensiero del Dreamer, l‟architrave della Sua ferrea, coerente, sferica filosofia che ha nutrito le radici della futura università e ne ha forgiato il motto: Visibilia ex Invisibilibus. «Dream… Dream… Never stop dreaming… Sogna!… Vola!… E non smettere mai − mi incitò potentemente − Reality will follow.» Con questa esortazione il Dreamer sembrò concludere quella seconda giornata con Lui a Shanghai. Nel ristorante eravamo rimasti soli, il Dreamer ed io. Anche l‟orchestra jazz del foyer aveva smesso di suonare. Dalla nostra finestra, l‟Oriental Pearl TV Tower appariva come un immenso missile luccicante sulla sua rampa di lancio, pronto a divorare lo spazio. «Sogna… Sogna senza posa… La realtà seguirà!» 361

A Shanghai con il Dreamer «Perché in tutta la storia del mondo gli uomini con un Sogno sono stati così pochi?» «Per essere „toccato dal Sogno‟ un uomo deve aver raggiunto l‟unità dell‟Essere» rispose il Dreamer. Ricordo che quell‟espressione mi penetrò sottopelle. «Solo un individuo integro, indivisibile può sognare intenzionalmente e realizzare che il Sogno è la cosa più reale che ci sia.» «E chi non sogna?» chiesi compenetrandomi con quanti non sarebbero mai stati accettati nel ristrettissimo club dei sognatori. «Tutti gli uomini sognano, tutti hanno il potere di creare il proprio mondo ma solo pochi sono consapevoli e sanno che il loro Sogno è potente… ha la forza di arricchire ogni cosa intorno a sé o di alimentare l‟incubo del mondo. Solo pochi individui, attraverso la volontà e la propria impeccabilità possono sognare un mondo perfetto e dargli concretezza. È la condizione del guerriero, dell‟eroe, dell‟uomo che ama.» Il Sogno nella visione del Dreamer occupa il vertice nella scala del reale come la cosa più concreta che ci sia, anzi come la condizione stessa della concretezza. Sentivo la mente stretta d‟assedio. Cento domande si sovrapponevano e si accalcavano premendo per avere una risposta. Prima che potessi aprire bocca il Dreamer mi anticipò interrompendomi con un gesto deciso della mano. «La volontà non puoi trovarla nel mondo − disse col tono di provvedere un‟informazione risolutiva − la volontà esiste soltanto in te… ma è sepolta. Bisogna disseppellirla!» Non aggiunse altro e mi concesse qualche minuto per completare i miei appunti e per riflettere su quest‟ultima asserzione. Poi, riferendosi alla questione della impeccabilità, la definì come la capacità di essere univocamente puntati nella direzione del proprio Sogno, senza mai cedere, senza „peccare‟. «Un uomo che ha costantemente presente il suo Sogno non può essere corrotto… Tutto nella sua vita è impeccabilmente focalizzato sulla sua grande avventura.» Osservai che questa condizione mi sembrava piuttosto diffusa. «Apparentemente, tutti gli uomini fanno sforzi – argomentai, con l‟intento strategico di spingerLo a dirmi di più su quel tema così appassionante − tutti, o quasi, tentano di migliorare la propria vita, 362

La Scuola degli Dei fanno dei progetti, hanno dei programmi, sono impegnati a raggiungere qualche obiettivo.» Il Dreamer mi chiarì la differenza tra sognare e programmare. Gli uomini che nutrono un Sogno non hanno dubbi, non sentono incertezza o paura. Ogni volta che volgono la mente al loro Sogno, sentono rinnovarsi l‟entusiasmo, entrano in uno stato di libertà. Perché il Sogno è connesso alla volontà, è la „vera‟ volontà. Al contrario, chi ha un programma, chi si propone il raggiungimento di un obiettivo, ogni volta che ci pensa sente l‟ansia assalirlo e cade preda di paure e dubbi. «La paura ed il dubbio sono il cancro del Sogno» affermò laconicamente, coniando un‟altra delle Sue massime potenti e spietate. Fece una pausa. Ne approfittai per mettere in ordine gli appunti che già coprivano pagine e pagine del taccuino. Restai a lungo intento a quel lavoro quando sussultai al suono della Sua voce. «La gente lavora, progetta e accumula con una forza e un‟energia che potresti chiamare tenacia. Ma è solo paura… Scariche di adrenalina, come tempeste elettriche, continuamente attraversano guizzando l‟universo buio delle loro cellule. Questi uomini e donne sembrano vitalmente impegnati, idealisti convinti o businessmen determinati, ma in realtà sono gente leale alla morte e tutta sul proprio libro-paga.» La mia scrittura divorava il bianco delle pagine. Sentivo la preziosità della sostanza che le Sue parole, la Sua presenza, producevano. Le sentivo arricchire l‟aria e viaggiare instancabili fino agli angoli più remoti del pianeta, fino nelle pieghe più nascoste dell‟Essere di ogni uomo, per lenirne le ferite, per fugarne le ombre. Ero turbato. Una emozione irragionevole, una specie di pianto, dolcemente premeva contro le pareti dell‟Essere e ne faceva vibrare ogni fibra. Sollevai la testa dagli appunti e vidi il Suo viso avvicinarsi impercettibilmente al mio. «Lavora per un ideale. Mettiti al servizio dell‟umanità che sogna, che aspira, che chiede!» disse il Dreamer. Le parole che seguirono non avrei potuto più dimenticarle, né eluderle. «Strive constantly to perfect yourself. Try always to increase your understanding. Pay in advance for your existence. Help others in their efforts if there is a sincere request. Questo lavoro devi farlo tu dall‟interno. Non posso più farlo al tuo posto. Ho tentato l‟impossibile… Sono andato contro 363

A Shanghai con il Dreamer l‟inflessibilità del tuo destino che ti aveva già condannato… per darti un‟opportunità, per farti uscire dalla tua condizione. Solo un uomo che ama può essere libero e solo un uomo libero può amare. Libertà e amore sono le due facce della stessa realtà.» Le indimenticabili lezioni sulla dipendenza, sull‟innamoramento, e l‟ultima sull‟unità dell‟Essere iniziata al Peace Hotel, stavano trovando il loro epilogo sul lungofiume del Bund in quelle parole che ora mi echeggiavano in petto potenti come il grido di una grande rivoluzione. «Chiedi di diventare un giorno il Dreamer − mi consigliò con ferma dolcezza, ed aggiunse − Di tutti i possibili destini è il più grande… Chiedi di diventare l‟inventore, il creatore del tuo universo… Allora il mondo obbedirà ad ogni cosa che gli ordinerai e ti darà tutto quello che desideri...» A queste parole chiusi gli occhi. Mi sembrò che il cielo di Shanghai fosse attraversato dalla più luminosa e auspicale delle comete. Ebbi la certezza che quel desiderio poteva essere esaudito; sarebbe bastato esprimerlo con sincerità! Ora o mai più, pensai. Non avrei avuto una seconda chance. Ma ero come paralizzato. Il Dreamer, e con Lui il mondo intero, sembrava in attesa, sospeso al filo sottile del mio intento. Mai prima avevo percepito così chiaramente che tutto dipendeva da me e che perfino il Dreamer esisteva per me. Il lavoro di anni, il mio lungo apprendistato, e tutti gli sforzi speciali fatti, erano serviti a condurmi lì, a quel bivio cruciale. Ed ora finalmente la grande impresa per la quale mi stava preparando da tanto tempo sarebbe cominciata oppure sarebbe rimasta nel limbo dei mondi possibili. Era tempo di spiccare il volo. Sul ciglio di quell‟abisso senza ritorno, esitavo. Sentivo su di me il Suo sguardo, la nascosta trepidazione del Dreamer. Allora seppi con assoluta certezza che Lui era il solo Essere al mondo che mi avesse mai veramente amato. Sentii le lacrime montare irresistibilmente e gli occhi gonfiarsi nel tentativo di raccoglierle ed arginarle. Poi il mondo si velò e dovetti smettere di scrivere.

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La Scuola degli Dei 16 Essere toccati dal Sogno Da quando Lo avevo incontrato, incessantemente il Dreamer mi aveva spinto ad ampliare la visione, a cambiare le mie attitudini e con esse il mio destino. Attitudine ed eventi della vita sono inseparabili. L‟attitudine è l‟evento. Strategicamente, aveva usato ogni occasione, creato eventi, incontri e circostanze, per accelerare il mio passaggio ad una fascia più alta dell‟esistenza. Con l‟opportunità di guidare un‟impresa in Kuwait, immesso nel ruolo di un imprenditore internazionale, il Dreamer aveva perseguito quel disegno evolutivo che trovava forza ed origine nella mia promessa. Quello che era accaduto in Kuwait aveva segnato una brusca frenata ed era stato un vero e proprio scivolone negli stati più bassi dell‟Essere. Davanti all‟abisso tutto si trasformava in un pretesto per indietreggiare, per non volare: Heleonore, i bambini, una malattia, la casa... Ma ora non potevo più nasconderlo né mentire a me stesso. In Kuwait per l‟ennesima volta ero fuggito davanti al passaggio a un grado superiore di responsabilità, di comprensione! Avevo tradito la parte più alta di me. Heleonore era stata soltanto un pretesto. «Next step is always unknown and invisible − disse − Il passaggio agli stati superiori è sempre un salto nel vuoto. Per farlo devi „morire‟ a tutto quello che sei stato fino ad oggi.» «Percorrere anche un solo millimetro nell‟Essere, è un salto mortale, una capriola cosmica che solo pochi possono fare − disse il Dreamer entrando tra quei pensieri e cogliendo la vera essenza della mia condizione − La vera differenza tra due uomini è l‟ampiezza del loro Sogno. Un uomo costantemente preoccupato della sua sopravvivenza, che pensa solo a sé − tra l‟altro ad un falso sé, perché non si conosce − non può essere „toccato dal Sogno.» Solo alcuni anni dopo, in occasione di un mio viaggio in Macedonia, sul monte Olimpo, avrei scoperto che per l‟uomo così com‟è, per gli egoisti, i greci antichi avevano coniato il termine „idiotes‟. L‟idiota era per i greci l‟opposto del demiurgo, del leader, di chi fa per gli altri”. 365

A Shanghai con il Dreamer «Un imprenditore, dietro l‟apparente ricerca di un tornaconto, di un profitto, più profondamente di quanto lui stesso possa sapere, è al servizio di un progetto; è già un uomo che fa per altri uomini; sa che il loro miglioramento è il suo successo. La sua vita è dedicata. Non ha scelta. Come il capitano di un antico veliero, egli sa che dovrà tornare con la nave o affondare con essa.» Col Dreamer stavo scoprendo che solo il Sogno può farci liberi, sconfiggere in noi ogni limite. Solo il Sogno può trasformare la povertà in prosperità, le difficoltà in intelligenza, la paura in amore. Solo il Sogno può permetterci di varcare le soglie del paradiso perduto. «Il paradiso non è il mondo dell‟aldilà... Il paradiso è questo mondo… in assenza di limiti − mi disse − Essere toccato dal Sogno significa ricevere il dono di una grande avventura personale, significa incontrarsi faccia a faccia con la propria unicità.» «Gli uomini, devoti ad una descrizione del mondo fondata sulla scarsità e sulla paura, non possono essere toccati dal Sogno… perché il sogno è libertà ed essi sin da bambini, sorvegliati da sacerdoti della dipendenza e profeti di sventure, sono stati educati alla prigionia. È così che milioni di uomini dipendono per la loro sopravvivenza da altri. Essi sono riconoscibili per essere marchiati dall‟assenza più totale di gratitudine e dall'incapacità di amare.» «Giving is self giving… Per dare bisogna avere e per avere bisogna essere.» Stava per continuare, e le Sue labbra già si schiudevano forse per parlarmi del Progetto, quando si fermò per osservarmi meglio. Sentii il Suo sguardo penetrarmi fino in fondo all‟anima. L‟espressione che vidi formarsi sul Suo viso, come per la scoperta della mia irrimediabile inadeguatezza al compito che mi aspettava, mi fece sentire come un vagabondo che si fosse presentato per l‟ammissione al più aristocratico dei club. «Sai qual è la differenza tra noi?» chiese in tono secco, ruvido. Rimasi in silenzio, colto di sorpresa da un approccio così diretto da parte del Dreamer che, dopo anni di assoluto riserbo, sembrava ora puntare senza mezzi termini alla misteriosa questione della Sua natura. Chi era veramente il Dreamer? 366

La Scuola degli Dei Attese finché fu evidente che nessuna risposta Gli sarebbe mai arrivata da me, e disse: «La differenza tra noi è che i miei atomi danzano ubriachi di immortalità − “of the everlasting nectar of immortality” furono le Sue esatte parole − e tu sei attratto e governato da tutto ciò che è mortale… Io ho vinto la morte e tu hai investito tutto sulla sua ineluttabilità.» Annaspai, e non ne sarei venuto fuori se il Dreamer non fosse venuto in mio soccorso. Fu allora che gli sentii ripetere quelle tre indimenticabili parole. «Io sono tu!» disse, e il richiamo di questa espressione ebbe il potere di divorare distanze siderali tra i nostri esseri. Mi ritrovai vicino a Lui come non mai. Quando Gli sembrò che avessi assorbito almeno il primo impatto di quelle Sue parole, aggiunse: «Io sono stato te e tu sarai Me. Ci dividono eoni di tempo ed un abisso nella coscienza. Accelera! Mandandoti in Kuwait ti ho dato una goccia e tu l‟hai scambiata per l‟oceano. Ora che voglio darti l‟oceano, tu indietreggi.» Chiusi gli occhi, sentii la velocità insostenibile cui mi stava spingendo e temetti di non farcela. Mentre ancora parlava, mi rincantucciai in un angolo dell‟Essere e lì attesi che passasse la burrasca. Qui venne a stanarmi. Il cambiamento di tono fu improvviso e la Sua voce mi esplose in petto così potentemente che fui pervaso da un arcano terrore. «Prendi una decisione una volta e per tutte!» tuonò. Nella Sua voce c‟era la determinazione spietata e l‟eroica ferocia di un condottiero che grida ordini nel mezzo di una battaglia mortale. «Lavora notte e giorno al tuo miglioramento e non dimenticare mai più la tua promessa.» «Qual‟ è la promessa che ho dimenticato?» «La promessa di cambiare! − disse − Una promessa che non hai fatto solo a te stesso ma a tutti gli esseri luminosi, visionari, che vorranno intraprendere questo cammino.» «Come farò a cambiare?» «Sogna un nuovo Sogno. Sogna un nuovo mondo!… The world is as you dream it. Il mondo è come tu lo vuoi!...Tu l‟hai voluto violento, falso, mortale. Il mondo sarà diverso quando il tuo Sogno cambierà!» «Il tuo continuo rimpiangere il passato ti riporta sempre nel vecchiume… » riprese dopo una lunga pausa. 367

A Shanghai con il Dreamer «Abbandonalo! − ordinò − È tempo di dedicarti „full time‟ al Progetto.» Promisi con la massima sincerità e solennità che non avrei più mancato e che nulla avrei più anteposto alla mia evoluzione. Il Dreamer mi fissò negli occhi a lungo ed io sostenni quell‟esame. Sentii crescere l‟ansietà per il suo esito, finché il balenio di una benevolenza severa nel Suo sguardo mi diede un po‟ di sollievo. «Promettere nel „lavoro‟ non ha senso. La promessa di un uomo ordinario è già una menzogna. Cambia la tua attitudine, ora!… Questo è il vero agire. I fatti, le circostanze e gli eventi della vita cambieranno nel tempo. Lascia quel lavoro e trasferisciti a Londra. Lì incontrerai uomini e donne che sono pronti a lavorare con te. Saranno le colonne portanti di una grande rivoluzione: una rivoluzione individuale, psicologica, planetaria che cambierà dalle fondamenta il modo di pensare e di sentire di un‟umanità ormai incapace di affrontare le sfide che l‟attendono.»

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La Scuola degli Dei CAPITOLO IX

Il Gioco 1 Credere per vedere L‟influenza del Dreamer nella mia vita cominciava a dare risultati sorprendenti. In pochi giorni, e senza alcuna esitazione, avevo venduto la casa di Chià, lasciato il lavoro alla ACO Corporation e trasferito la famiglia a Londra in una elegante villa georgiana immersa nel verde di Hampstead. Seven Oaks era stata la residenza di un importante uomo d‟affari. Architettura, oggetti e arredi, dipinti e statue antiche, erano l‟espressione emblematica di un‟aristocrazia imprenditoriale sobria e potente. Seven Oaks era soprattutto uno straordinario laboratorio alchemico. Il „genio‟ di quella casa mi formava e mi trasformava, risvegliando in me una chiarezza, un‟attitudine coraggiosa e tanta forza di „fare‟. Lì, in quella residenza, guidato dal Dreamer, avrei dedicato tutti i miei sforzi ad estirpare la menzogna dalla mia vita, una volta per sempre. Lì avrei imparato a porre fine a quel canto di dolore, fatto di inquietudine e dubbi, e a rafforzarmi in quella potente disciplina che il Dreamer chiamava „arte del sognare‟: l‟arte di credere in se stessi, l‟arte di armonizzare gli opposti, di trasformare avversità e antagonismi in eventi di ordine superiore. Col Dreamer al mio fianco mi sentivo sicuro, invulnerabile. Accanto a Lui i cambiamenti più radicali, apparentemente più temerari, come quelli che stavano avvenendo in quei giorni, entrarono nella mia vita con semplicità e ne scompigliarono l‟ordine con dolcezza. Quel salto nel vuoto, anziché scombussolare la mia esistenza, ne raccolse a pugno i frammenti sparsi e li unì potentemente.

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Il Gioco Heleonore e i miei figli affrontarono quei cambiamenti senza difficoltà. Si sentivano protetti. La mia determinazione dava loro sicurezza. Eppure quella determinazione, la forza con cui avevo preso quelle decisioni, non erano possedute. La fiducia in me stesso che accanto al Dreamer non conosceva tentennamenti né dubbi, vacillava non appena deviavo dai Suoi insegnamenti. Quello che accadeva intorno al Dreamer, quella gestione dell‟Essere che governava eventi, fatti e circostanze, che rendeva il mondo ubbidiente, arrendevole e modellabile come creta, era per me ancora incomprensibile. Trascorsero mesi. Lontano dal Dreamer il Sogno cominciò a curvare; il passato prese il sopravvento. Col raffreddarsi in me dei princìpi del Sogno, l‟aria fuori si fece gelida e si oscurò. Nel mio universo, ora lento e denso, anche il più piccolo movimento era diventato difficile, penoso. Ogni aspetto della mia esistenza attraverso tanti sintomi cominciava a denunciare il mio guardarmi indietro, il dubbio, il rimpianto. Com‟era già accaduto al ritorno dal Kuwait, più curvavo e più sentivo la necessità di programmare e fare piani. I miei calcoli mi portarono alla convinzione che quel tenore di vita avrebbe prosciugato in poco tempo tutto quello che avevo. Il ritmo della vita accanto a Lui era insostenibile. Facevo fatica a starGli dietro. Per il Dreamer non c‟erano limiti e niente era troppo costoso. Tutto è alla nostra portata. Il limite è in noi. Quella vita mi parve troppo rischiosa. La paura di restare senza soldi mi spinse ad aprire un nuovo conto presso una banca di Londra. Depositai una buona parte del ricavato della vendita della casa di Chià, promettendomi di toccare quel denaro solo „in caso di necessità‟. Di questo non dissi nulla al Dreamer. La certezza di poter contare su quella somma se le cose si fossero volte al peggio mi confortava nei momenti di abbassamento quando l‟angoscia mi invadeva e padroneggiava la mia vita. Quel conto era diventato una protesi psicologica che aveva preso il posto della fiducia in me stesso e del coraggio. Ammantai di falsa responsabilità quella decisione; proprio come avevo già fatto anni prima inserendo la 370

La Scuola degli Dei clausola del rientro nel contratto con la ACO Corporation. Questa ricorrenza era un segnale certo della mia caduta nei solchi di una ripetitività mortale. Quando i sintomi di una mia imminente caduta si fecero più forti, confessai al Dreamer ogni cosa e chiusi quel conto prima che il passato potesse risucchiarmi, senza possibilità di ritorno. “Ogni uomo crede in qualcosa… credere non è difficile… ma disseppellire la volontà, scegliere la propria predilezione e perseguirla fermamente è solo per pochi... Obbligarsi a credere è più alto del credere…” A conclusione del Suo discorso il Dreamer coniò uno dei Suoi paradossi tra i più mirabili, ma anche tra i più enigmatici, il cui significato mi sarebbe stato rivelato solo molto tempo dopo. “'Credere senza credere' questo è il vero atto creativo − disse − È uno stato d'Essere accessibile solo a chi conosce e applica L'Arte del Recitare e ha raggiunto l'unità dell'Essere.” “Uomini speciali in ogni epoca hanno trovato i capitali per realizzare le loro imprese impossibili solo dopo aver eliminato dal loro Essere ogni forma di dubbio. Il vero capitale è dentro di noi. Le risorse che troviamo sono il riflesso materiale di una prosperità interna che, quali che siano le circostanze, sappiamo alimentare dentro di noi. Non separarti mai dai princìpi del Sogno. Mantienili sempre vivi. Non permettere che si raffreddino in te, e vedrai che ogni cosa si volgerà a tuo vantaggio; anche la storia, la parte più grossolana e superficiale dell‟esistenza, ti darà ragione.” Le Sue idee mi ispiravano ma non era facile metterle in pratica! La filosofia del Dreamer mostrava tutta l‟impervietà di un cammino riservato a pochi, quando arrivava il momento di applicarla. Eppure, sul crinale tracciato da questa Sua visione, come un immenso spartiacque, l'intera massa umana si divideva in due parti: l‟una, fatta di uomini fragili e incompleti, influenzati da tutto e da ogni cosa, che seguono e dipendono, anche quando credono di governare; l‟altra, fatta di un manipolo di uomini verticali, esseri integri, dotati di una fede incrollabile e determinazione. Sono questi che sostengono il mondo. Per il Dreamer solo apparentemente la vita di un paese, o di intere nazioni, è guidata dai suoi governanti; in realtà il loro destino è deciso dall‟integrità di pochi individui. Se essi mancano, la sorte di vaste regioni del pianeta e perfino di intere civiltà, è già segnata. 371

Il Gioco Dietro gli uomini che sembrano fare, dietro i capi riconosciuti delle organizzazioni mondiali, degli organismi politici e umanitari, dei grandi imperi del business e della finanza, dietro magnati, tycoon e leader, ci sono uomini semplici, sinceri, sobri che, immobili, invisibilmente guidano attraverso il „non fare‟. “Un uomo che crede in se stesso fa un passo apparentemente nel vuoto, e solo allora, immancabilmente, vedrà il terreno materializzarsi sotto il suo piede, per dar ragione alla sua pazzia luminosa… Credere per vedere e mai viceversa!” Ma a quel tempo le qualità per appartenere a questo club di uomini speciali erano per me ancora inaccessibili. Col crescere dei dubbi e della paura facevo e rifacevo i conti arrivando sempre allo stesso risultato: il denaro ricavato dalla vendita della casa di Chià sarebbe bastato solo per pochi mesi. Non avevo alcuna idea di cosa avrei fatto in futuro. Ero senza programmi e senza lavoro. Il vecchio mondo mi abbandonava e il nuovo non mostrava ancora i primi barlumi. 2 Cambia la tua vitaaa! Un episodio, all‟inizio di quella nuova avventura, fu particolarmente significativo, e decisivo. Quando ancora cercavo casa per trasferirmi a Londra, avevo avuto modo di illustrarGli varie soluzioni abitative. Preoccupato, guidato dal timore di non avere sufficienti mezzi ed incerto su cosa mi avrebbe riservato l'avvenire, anche le abitazioni meno pretenziose mi sembravano troppo care. Fu così che in quell'incontro caldeggiai la scelta di un appartamento non molto grande, ma a mio giudizio più che adeguato, ben arredato, situato in una tranquilla stradina tra Marylebone Road e Regents Park. Non potrò mai dimenticare la Sua reazione. Essa resterà per sempre tra gli insegnamenti più preziosi. Le Sue parole mi investirono come un getto d‟acqua gelida. «Tu puoi solo scegliere te stesso, i tuoi limiti, la tua mediocrità − fu la Sua reazione alla mia proposta, il tono era sprezzante − Passano gli anni ma la tua vita non cambia. The world is such because you are such… Entra nella visione di un dreamer e smettila di crederti un miserabile. Qualunque siano le condizioni che governano l‟esistenza di un uomo, esse corrispondono mirabilmente alle sue aspettative.» 372

La Scuola degli Dei Ricordo che tentai una difesa. Sostenni che le mie scelte erano da attribuire alle condizioni in cui Lui mi metteva. Nel caso specifico, giudicavo semplicemente assennato prendere decisioni ed assumermi impegni tenendo conto di possibili, future difficoltà. Ben altre sarebbero state le mie scelte se solo avessi potuto contare su adeguate risorse… «Ogni cosa deve essere guadagnata. Le difficoltà che metto sulla tua strada sono benedizioni mascherate. In realtà esse sono pietre miliari verso l‟integrità, l‟intelligenza.» Credevo che mi prendesse in giro. Dopo anni di lavoro con il Dreamer credevo di aver già sopportato ogni shock del pensiero, di essere pronto ad accettare il capovolgimento di qualunque idea o convinzione ordinaria e di saper persistere nonostante ostacoli e delusioni. Ma sbagliavo. «Non hai più tempo per indulgere. Trascendi, trascendi continuamente ogni raggiungimento, ogni apparente successo. Non rimanere neppure per un attimo nei vecchi solchi, nelle vecchie convinzioni. Trascendi te stesso. Il male è il bene di ieri non trasceso.» Avevo i muscoli del viso contratti e non sapevo più che faccia fare. Avrei voluto ribellarmi, gridare tutta la mia avversione per quella visione che non lasciava spazio a giustificazioni, ad accuse, lamentele o rimpianti… La frustrazione, l'impotenza, formarono un groppo unico che mi stringeva la gola. L'unica emissione che mi riuscì fu un suono inarticolato. Tentai di ricompormi, provai a ordinare le idee per dire qualcosa che avesse senso, ma... «Cambia la tua vitaaa!» gridò il Dreamer con tutta la potenza della Sua voce. Vidi le vene delle tempie e del collo gonfie come torrenti in piena ed ebbi paura. Quest'urlo vibrò nell'aria, e restò sospeso tra noi, per un'assordante eternità. La visione di un guerriero soffiante nel suo corno da guerra mi balenò davanti per la frazione di un istante. Non feci in tempo a registrare questa immagine che il Dreamer aveva già ripreso la sua tuonante invettiva. «Tu ancora proietti il tuo passato. Vendere la tua povertà non serve! Insieme alla casa di Chià hai ceduto la tua scarsità, la tua sofferenza. Stai attento a non portare con te il tuo passato, con le stesse miserie di sempre… Ricorda… Past is Dust.

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Il Gioco Non andare nel mondo proponendo te stesso… Sono ancora troppi i segnali di scarsità… Porta la Mia presenza… le Mie parole… Porta Meeee.» A questo nuovo urlo, ancora più insostenibile, un terrore senza confini mi scoppiò dentro. Sentii la sua chimica dilagare in ogni angolo dell'Essere e divorare le distanze immense che esistevano tra me e me. Sotto quel grido, mentre ancora assurdamente perdurava, ogni barriera interna cominciò a sgretolarsi e a cadere in rovina, come le mura di Gerico sotto i decibel dei corni di Giosuè. Mi sentii sano, unito, come non ero mai stato prima. Improvvisa com'era nata, quella tempesta si quietò e il Dreamer ritornò al Suo normale atteggiamento, come se nulla fosse accaduto. Seguì una pausa. In quei pochi secondi feci in tempo a illudermi che fosse finita. Stavo a malapena riprendendomi, quando gli vidi accostare lentamente gli indici verticalmente agli angoli della bocca. Osservai quel gesto prendere un tempo infinito per compiersi, come una sequenza in slow motion. Seguii con apprensione, poi con inquietudine, infine con una crescente angoscia ogni fotogramma di quel Suo movimento che sembrava far parte di un ignoto rito guerriero. La sua eccentricità, l'estrema lentezza con cui lo compì, caricarono quel gesto di un significato inspiegabilmente minaccioso... spaventoso. Ero senza fiato, le emozioni completamente in subbuglio. Quando finalmente capii che i due indici ai lati della bocca stavano simulando un megafono temetti un altro di quei formidabili urli capaci di registrare nella carne i Suoi insegnamenti. Ma questa volta il Dreamer non gridò. Avvicinò il viso ancora di qualche millimetro e poi, con voce appena percettibile, sibilò: «La casa che stai cercando a Londra non è per te, è per il Dreamer! Ricordatelo! Se porti te, quello che ti verrà incontro sarà fragile e scarso come il tuo mondo… Metti da parte le tue preoccupazioni e avvicinati a Me. Scoprirai che gli ostacoli non esistono, che l'unico vero ostacolo sei tu, la tua irriducibile fede nel limite.» Da quel giorno, le agenzie cominciarono a propormi soluzioni di tutt'altro livello. Il Dreamer come sempre aveva ragione. Modificata la mia attitudine il mondo seguiva come un‟ombra. Non cercai più una casa per me, ma per il Dreamer. Quando trovai Seven Oaks la riconobbi. Era quella la casa dove avrei continuato il 374

La Scuola degli Dei „lavoro‟. In pochi giorni Heleonore organizzò il trasloco dall'Italia e ci trasferimmo con i bambini. Allora non potevo saperlo, ma quella residenza fuori da ogni parametro ragionevole, era fatta per gettarmi nel baratro; era sicuramente una strategia del Dreamer per accelerare i miei tempi ma io non riuscivo a darmi una ragione di quella messa in scena. Senza il Suo aiuto non avrei neppure potuto immaginare di fare un tale passaggio. Seven Oaks rappresentava lo sfondamento di una barriera, lo strumento per sbriciolare una geologia interna, fatta di povertà e ignoranza stratificate negli anni. Era una carica di dinamite per far breccia nei bastioni che difendevano quell‟incubo, l‟identificazione con un mondo povero, limitato, infelice. 3 Il Pagamento «Il denaro non è reale. Ciò che è reale è la visione di un uomo, sono le sue idee. Le risorse e il denaro ne sono solo la conseguenza naturale… si allineano e prendono le proporzioni del suo Sogno…» «Ma se proprio sei convinto che il tuo problema è la mancanza di denaro − disse con serafico sarcasmo − allora va in banca e chiedi un prestito!» «Magari!» mentii d'impeto. La bocca dello stomaco si era stretta in un nodo al solo pensiero dell'incontro con un cerbero bancario e di ottenere un prestito impossibile. Internamente, accusavo il Dreamer di avermi messo in quelle difficoltà. La preoccupazione si trasformò in aggressività e sbottai: «E poi, su che basi me lo concederebbero?» «Il mondo sa!… La Banca sa! − affermò − La Banca come il mondo non è fuori di te. Ti può concedere solo ciò che già „possiedi‟.» Con un movimento rapido della testa, teatralmente, scrutò a destra e a sinistra, per accertarsi che fossimo soli e nessuno potesse carpire il segreto che stava per confidarmi. Poi, sottovoce, disse: «Nell‟universo non c‟è nulla che ti può essere donato. Un uomo può ricevere solo ciò che ha già pagato.» Quella pantomima mi colse di sorpresa; non feci in tempo a riadattare i muscoli facciali che il Dreamer era già rientrato nella Sua abituale severità. 375

Il Gioco «Il „pagamento‟ può avvenire nel tempo o in assenza di tempo!» enunciò. La lunga pausa che seguì ingigantì la portata di questa dichiarazione e preannunciò l‟intensità di quanto stava per dire: «Se c‟è una differenza tra gli uomini è nel modo che essi stessi hanno scelto per pagare… Un uomo che crede in se stesso ha già pagato per tutto quello che possiede. Il suo vero business, la sua sola occupazione, è mantenersi intatto e non permettere a niente e a nessuno di intaccare la sua totalità. Egli sa che è questa sua indivisibilità che crea ricchezza. Egli sa che il suo destino finanziario dipende dal suo grado di integrità. Ogni sforzo che farai per vincere il canto di dolore che hai dentro, si tradurrà in potere finanziario. Tutte le volte che viaggerai nella direzione opposta alla moltitudine, creerai ricchezza nel mondo degli eventi. Nothing is external. L‟autosservazione, la capacità di circoscrivere un‟emozione negativa, un dolore, un dubbio, è denaro che ti viene incontro. Il mondo degli eventi è troppo lento per riconoscere chi ha pagato anticipatamente, chi ha già saldato i suoi conti nell‟invisibile. Ha bisogno di tempo per registrare quei crediti, ma la sua amministrazione è infallibile.» Qui si fermò a guardarmi intensamente. Nei Suoi occhi lessi la gravità della rivelazione che stava per farmi e ne intuii la dolorosità. «Tu, come milioni di uomini che amano dipendere, hai scelto di pagare con il denaro del tempo: il dolore!» disse col tono di un amaro riscontro. «Credito e debito sono la stessa, identica cosa, divisi dal tempo... Il futuro sa! Ottenere credito è soltanto un segnale luminoso che indica che il pagamento è già avvenuto. Se ti è stato concesso significa che l‟hai già pagato.» Ero strabiliato. Il Dreamer mi stava comunicando un segreto che nessun economista aveva mai potuto scoprire e tantomeno formulare in una legge così importante per spiegare l‟ardire, la visionarietà, il senso di certezza di statisti, capitani d‟industria e sognatori del business; una teoria dell‟imprenditorialità e della pazzia luminosa di leader le cui imprese, scelte, decisioni, spesso cruciali per il futuro di tanti uomini, sono sempre apparse temerarie se non folli agli occhi dell‟uomo comune. 376

La Scuola degli Dei «E allora, come mai anche con a capo uomini di valore, grandi imperi finanziari o industriali sono caduti?» cercai di obiettare. Il Dreamer stava accelerando ed io affannavo a starGli dietro. «Nella vita come nel business c'è un solo modo per perdere: smettere di credere in se stessi!» Nell‟Istituto di Economia a Napoli, col mio maestro Palomba, sul sentiero tracciato prima di lui da Amoroso, avevamo avanzato i primi passi nel territorio del Sogno, delle idee universali che infiammano l‟uomo e costituiscono potenti forze economiche e di azione sociale. Ma era nulla paragonato a quanto stavo sperimentando col Dreamer. «Come può un uomo controllare eventi e fenomeni di dimensioni planetarie come l‟andamento dei mercati, le quotazioni di borsa, il clima politico, il quadro legislativo, le relazioni internazionali?» «Esiste un‟arte del sognare, l‟arte di credere e di creare, una capacità di innalzare l‟Essere a più alti livelli di responsabilità per attrarre nuove idee e possibilità più grandi di fare e di avere. L‟economia, la politica, e anche la storia, obbediscono alle leggi dell‟Essere. Una mente allenata al limite, al finito, non può capirlo. Devi solo sapere che l‟universo che ti circonda è un granello di sabbia nei confronti dell‟Essere. Più sei più hai. Un uomo che crede in se stesso riceve tutte le risorse per affrontare qualunque impresa, anche quelle impossibili. L‟economia di un uomo corrisponde perfettamente al suo grado di integrità. Più sei, più hai e mai viceversa.» Mi concesse una pausa ed io l‟occupai per riflettere sulla Sua risposta. “Più sei più hai. Più sei più hai”, mi ripetevo… ma quel concetto, così semplice eppure così potente, mi eludeva. Non riuscivo a contenerlo, a farlo diventare parte di me. Finalmente un pensiero si fece spazio... La qualità crea la quantità. Ecco il grande segreto. Un‟economia qualitativa avrebbe guidato l‟umanità futura ed avrebbe portato soluzione a tutti i suoi problemi, una guarigione planetaria. La qualità del pensiero di un uomo crea la sua economia. Soltanto un‟economia qualitativa può produrre una ricchezza reale, inalienabile, permanente. Era meraviglioso. La filosofia del Dreamer stava annunciando un nuovo modello economico, mi stava donando la formula di un 377

Il Gioco insegnamento totalmente sconosciuto alle scuole di economia e al mondo del business. «L‟economia non potrà essere guidata dagli economisti − disse, penetrando tra quei miei pensieri in subbuglio − Nel prossimo futuro ogni organizzazione, dalla più piccola impresa alla più grande multinazionale, sarà un‟impresa ideologica, una Scuola dell‟Essere. Dalla sua filosofia dipenderanno il suo successo, la sua longevità, il suo destino. Al vertice di ogni organizzazione ci saranno filosofi d‟azione, poeti e visionari, utopisti pragmatici, capaci di penetrare nell‟Essere e nutrirne le radici. Il più piccolo allargamento della visione, un innalzamento della comprensione, muove montagne nel mondo dell‟economia e della finanza.» 4 Noi siamo l‟arco, la freccia e il bersaglio Da quando risiedevo a Seven Oaks avevo ripreso a fare jogging ogni giorno. Mi bastava attraversare la strada per trovarmi in Hampstead Heath dove potevo correre lungo i suoi viali, intorno ai laghi e giù per i pendii erbosi di Parliament Hill. Quella mattina avevo corso con rabbia, senza risparmiarmi, per espellere l‟angoscia e i dubbi che crescentemente mi assalivano e tentavano di radicarsi. Erano passati mesi dall‟ultima volta che avevo visto il Dreamer. Lasciato il lavoro, venduta la casa di Chià, mi ero trasferito a Londra e in tutto questo tempo non avevo ricevuto da Lui alcun messaggio. Senza un ruolo né impegni di lavoro, senza incontri e senza programmi non sapevo dare un significato alla mia esistenza. Mai prima di allora avevo potuto riconoscere con tale evidenza quanto il rapporto con gli altri e con il mondo esterno, in tutte le sue caleidoscopiche manifestazioni, fosse importante per me. Soprattutto l‟ansia e le preoccupazioni, che allora identificavo con l‟idea stessa di responsabilità, il contrasto e le frizioni, che consideravo naturali, inevitabili effetti delle relazioni tra gli uomini, erano diventati una droga la cui privazione stava producendo gli effetti di una vera e propria crisi d'astinenza. Il dolore è tutto ciò che gli uomini conoscono… Dà senso alla loro esistenza. Li fa credere vivi. 378

La Scuola degli Dei Avevo avuto modo di riflettere a lungo su queste parole. Da mesi stavo sperimentando sulla mia pelle quanto paradossale fosse la condizione umana. Negli stati di serenità, di gioia, nell‟assenza di ogni dolore, un uomo si sente annullare. Una volta il Dreamer mi aveva detto che uno stato di gioia non può essere sperimentato dall‟umanità così com‟è; anche un solo attimo di felicità è insostenibile. “La gioia, la serenità, la gratitudine, l‟amore, sono stati d‟Essere che l‟umanità così com‟è non può provare. Semmai potessero entrare nella vita di un uomo ordinario, gli apparirebbero come inferno nel suo inferno. La felicità può appartenere solo a chi conosce l‟arte del sognare. Solo un uomo che ama, un uomo che sogna, può sostenere l‟energia che l‟assenza di dolore genera.” Al termine della corsa, avevo imboccato Courtney Avenue a tutta velocità. Come spesso facevo, negli ultimi metri avevo accelerato il passo. Il pensiero di una doccia calda mi dava fiato e metteva nuova forza nelle gambe. D'un tratto sentii la Sua presenza. Era una sensazione inconfondibile. Lui era lì. Il Dreamer era arrivato! Diedi un'occhiata al mio abbigliamento, alla tuta bagnata di sudore ed alle scarpe infangate. Decisi di fare il giro della casa ed entrare dal retro, dall‟ingresso che dava sul giardino. Da lì avrei potuto sgattaiolare in camera, lavarmi e rendermi presentabile. Questo, almeno, era quanto confessavo a me stesso. In verità, il pensiero di incontrare il Dreamer, specialmente quando non lo vedevo da tempo, produceva in me sentimenti contrastanti. VederLo, sentire la Sua voce, o anche soltanto ricordare le Sue parole, era un'accelerazione dell‟Essere, una compressione del tempo che mi metteva affannosamente al „lavoro‟. Amavo e detestavo lo sforzo improvviso di dover ricomporre i frammenti sparsi di un corpo che in assenza del Dreamer si era smembrato. Era come un brusco risveglio che mi obbligava a riconoscere che nella dimenticanza perdiamo la nostra identità e diventiamo folla, moltitudine. Non feci in tempo a poggiare il piede sul primo gradino della scala che portava alla mia camera, che la Sua voce, inconfondibile, mi raggiunse raggelandomi sul posto. «Stai rimpiangendo il passato!» esordì a voce alta dando un brusco avvio al nostro incontro. 379

Il Gioco Il Dreamer aveva sintetizzato in quelle poche parole tutto il travaglio degli ultimi mesi ed il mio stato d‟animo. Mi sentii colto in flagranza. Sì! Da mesi stavo rimpiangendo il passato! Come gli ebrei dell'esodo, pronti a barattare la loro libertà, avrei preferito la sicurezza delle vecchie costrizioni a quella solitudine, a quella vita senza senso. Avevo bisogno di adorare l‟idolo del mondo, avevo bisogno di ritornare nella mia abituale confusione. Se solo avessi potuto, sarei tornato nel grembo famigliare dell‟irresponsabilità, della dipendenza. Avrei mille volte preferito la villetta di Chià a quella ricca residenza londinese che ero impreparato a possedere, che mi faceva sentire piccolo, irreale. Nei momenti di lucidità capivo che il Dreamer mi spingeva verso limiti che non avrei mai varcato, mi metteva in situazioni che non avrei mai sperimentato. Accanto a Lui ero costantemente in bilico su un abisso, come un funambolo. Sotto, senza rete, lo Stige della mia vita, una gora di acque putride e dense di malessere e grossolanità. Fin dal primo incontro il Dreamer mi aveva premunito contro le insidie di questo deserto; contro gli agguati degli invisibili predatori che avrei incontrato nel suo attraversamento. Ricordai le parole della vigilia della partenza per Londra: “AIM... I AM... Noi siamo il nostro obiettivo… noi siamo l'arco, la freccia e il bersaglio… The aim, lo scopo, che sembra sempre fuori di noi, è in realtà l‟anagramma, l‟altro profilo di I am. Questo ci riporta all‟attimo, alla compressione del tempo, all‟eliminazione di ogni distanza da noi stessi. L‟arte suprema è il nostro cambiamento che può avvenire soltanto in quest‟attimo. L‟esistenza di un uomo ordinario, per quanto possa apparire intensa ed indaffarata, è soltanto un continuo indulgere in una ripetitività senza senso. Il goal della nostra vita è fare di noi un capolavoro… È un viaggio che tutti prima o poi, nel tempo di una vita o in cento vite, dovranno affrontare. Non c'è nessun altro obiettivo e non c'è niente di più eccitante al mondo…” Lentamente mi slacciai le scarpe e le lasciai lì dov'ero. Scalzo, seguii la direzione da cui mi era arrivata la voce del Dreamer e, silenziosamente, feci capolino dallo stipite della porta del soggiorno.

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La Scuola degli Dei 5 “Sono venuto a liberarti!” L‟ostentazione della mia stanchezza per la corsa fatta, sceneggiata da un esagerato bisogno di appoggiarmi allo stipite e da un respiro affannoso, irritò il Dreamer. «Raddrizzati sulla schiena e non appoggiarti a niente! − mi ordinò − Non permettere a nessuno di vederti stanco o indebolito.» Con un gesto imperioso mi zittì prima ancora che aprissi la bocca per giustificare. «Non accusare la corsa… Seppure avessi fatto una maratona completa non avresti il diritto di mostrarti sofferente o esausto. Dì a te stesso: avrei potuto fare molto di più!… » Quelle parole furono una sferzata che spazzò via d'un colpo i miei pensieri, insieme alla bugia della stanchezza. Quando mi vide dritto e discosto dallo stipite, riprese il discorso: «Stai rimpiangendo il passato» ripeté. La punta di sprezzo messa ad arte nella voce mi ferì crudelmente. «Rimpiangere ti riporta sotto le stesse leggi del tuo passato e cancella tutto il „lavoro‟ che hai fatto in questi anni… Sulla via dell‟integrità non c‟è spazio per nessun rimpianto. Una volta intrapreso il „viaggio‟ non voltarti indietro!» Poi il tono si trasformò. «Sei in cerca di etichette − disse recitando quell‟esagerata premura che gli adulti ostentano rivolgendosi ad un bambino − Senza ringhiere non sai a cosa aggrapparti. Questo stato di sospensione ti fa più paura della paura che ti porti dentro da sempre.» Il Dreamer mi stava parlando da una delle poltrone del soggiorno, accanto al camino acceso. Una fibbia d'argento del suo soprabito scintillò al riverbero del fuoco. Quel raggio di luce penetrò tra le pieghe dell‟Essere e mi scosse aprendomi a una nuova comprensione. Come tutti gli uomini comuni anch‟io amavo il dolore più della mia stessa vita. Il Dreamer mi avrebbe spiegato che più dello spavento di entrare in ciò che non conosce, la vera paura dell‟uomo è di perdere ciò che gli è famigliare: il dolore, la sofferenza. È questa fobia che crea una insuperabile barriera alla manifestazione della volontà, a ciò che possediamo di più vero, di più reale, e ci fa appartenere al mare buio della massa. Dopo la nascita fisica, con il taglio del cordone ombelicale, il bambino è affidato a due nuovi genitori: il dubbio e la paura. 381

Il Gioco Soltanto l‟incontro con la Scuola permette una nuova nascita ed il taglio di questo terribile funicolo. È un ritorno ai veri genitori: il Sogno e la volontà. L‟assenza di dubbio e di paura è uno stato di estasi, di libertà che solo un uomo integro può sostenere. «È questo che ti sto offrendo. La libertà è molto costosa ma non per questo irraggiungibile.» «Ancora cerchi tra le ombre del passato qualche vecchia maschera da indossare» denunciò. Nella Sua voce c‟era la compassione che si può provare per un essere incapace, indifeso. Nello stesso tono aggiunse: «Senti la mancanza dei ruoli… Un uomo non può essere guidato dal passato né dalle esperienze che ha vissuto. Past is dust. Sulla via dell‟integrità dovrà affidarsi a nuovi sensi: l‟intuito, ed un settimo senso, il Sogno. I ruoli sono prigioni… le loro sbarre sono invisibili ma più solide dell'acciaio…» «Ti ho dato retta… ho lasciato il lavoro, ho venduto la casa, cos'altro dovrei fare?» sbottai, sfogando la rabbia accumulata in tutti quei mesi di attesa. Sentii affiorare l'accusa, la lamentela, il risentimento per avermi intrappolato in quella nuova avventura che, da qualunque parte la rigirassi, non mostrava alcun senso. «Lasciare il lavoro, o cambiare paese, senza capire, non serve… né ti potrà rendere libero» replicò con burbera dolcezza, evitando per il momento di dare peso al mio stato. A distanza di anni posso riconoscere che ancora una volta il Dreamer era arrivato a salvarmi appena in tempo. «Per poter uscire dalla prigionia dei suoi ruoli un uomo deve sentirsi deluso dalla sterile ripetitività degli eventi e delle circostanze della propria vita.» Ci fu una lunga pausa. Ero in piedi. Lo stavo ascoltando dalla soglia del soggiorno. Mi sentivo a disagio. Ero ancora sudato ed infangato per la lunga corsa. Avrei voluto lavarmi ed indossare qualcosa di pulito. Il momento mi sembrò opportuno e chiesi di potermi allontanare. Il Dreamer era assorto. Interpretai un impercettibile movimento del capo come un assenso e mi avviai. Una doccia e una camicia pulita trasformarono la mia attitudine. Quando ritornai, a passi felpati andai ad occupare l'altra poltrona accanto al camino, ad una rispettosa distanza dal Dreamer. Avevo recuperato il mio taccuino. Inspirai una profonda boccata 382

La Scuola degli Dei d'aria e mi sentii pronto. Sentivo che quella sarebbe stata una lezione intensa. Il tono che il Dreamer scelse per proseguire cambiò: «Sui ponti non si costruiscono case, non si dimora − commentò analogicamente il Dreamer − i ruoli, come i ponti, servono per andare oltre, sono fatti per essere superati. Gli uomini indugiano ed invece di attraversarli vi restano intrappolati. Sul sentiero dell‟integrità ogni attimo deve essere nuovo… ogni istante deve servire a trascendere l'attimo precedente… ogni respiro deve essere un atto di gratitudine dedicato ad innalzare l'Essere verso nuove zone di libertà.» «Come si fa a vivere nel mondo, libero dai ruoli?» chiesi. «I ruoli sono maschere da indossare; vanno recitati intenzionalmente. Recitarli significa non crederci!» Mi spiegò che il primo passo nella direzione che stava indicando era capire a fondo il loro funzionamento. Nella visione del Dreamer i ruoli sono ordinati gerarchicamente in base alla complessità ed al livello di responsabilità che richiedono. Su un punto fu categorico: un uomo non può in alcun modo passare ad un ruolo superiore se prima non contiene nel proprio Essere tutta la piramide gerarchica sottostante. Dalla Sua esposizione dei ruoli ricavai l‟immagine di contenitori di diversa ampiezza impilati l'uno nell'altro, come scatole cinesi. «La libertà da un ruolo arriva solo quando avrai imparato a recitarlo alla perfezione» chiarì il Dreamer, e fece l‟esempio di un maestro d‟orchestra che deve conoscere le possibilità e le difficoltà di ogni singolo strumento. «Un ruolo recitato intenzionalmente non solo ci libera ma libera anche il mondo da quella grossolanità, da quella violenza − disse − Quando ti identifichi, quando ci credi, non solo ne sei schiavo, ma ti aggrappi al mondo come se fosse la cosa più reale, la tua sola certezza. Credere in un ruolo, qualunque esso sia, significa mentire a se stesso». Senza bisogno di fare calcoli accurati, mi apparve evidente che per fare un tale percorso non sarebbero bastate le esperienze né il tempo di dieci vite. «Proprio così − confermò il Dreamer − Per questo nessuno, seguendo un percorso ordinario, potrà mai liberarsi dai ruoli… né lo vorrebbe!» «Come può essere che nessuno vuole liberarsi dai ruoli? − chiesi − A chi non piacerebbe di svincolarsi dagli impegni e dalle 383

Il Gioco responsabilità che comporta essere padre, marito, manager… » Espressi infine la convinzione che solo un senso di responsabilità ci trattiene dall‟abbandonarli. «Al contrario − ribatté seccamente il Dreamer − Abbandonare i ruoli per un uomo ordinario è come chiedergli di rinunciare alla vita… di abbandonare i salvagenti in un mare sconfinato. Gli uomini sono legati ai loro ruoli, e soprattutto alle sofferenze che ne sono parte integrante, più che al loro stesso respiro.» Trascorse una lunga pausa ed io restai in silenzio. «I ruoli sono scudi dietro i quali gli uomini, fingendo di essere impegnati, difendono la loro mancanza di responsabilità. Prendi il tuo caso!» indicò nel tono di avviare una dimostrazione conclusiva. Stavo entrando direttamente nel Suo mirino. L‟annuncio non mi colse di sorpresa ma non fu per questo meno doloroso. Dopo anni di vicinanza al Dreamer, un segnale premonitore, sotto forma di una penosa pressione allo stomaco, mi preavvertiva quando il Suo discorso, da un piano generale, calava e si concentrava su di me. 6 Recitare i ruoli «È questo che devi trasformare… quello che senti adesso! − disse il Dreamer, catturando la mia smorfia di dolore − Osservati! Tu puoi continuare a credere che sia provocato da Me, dalle Mie parole; in realtà quel dolore stagna dentro di te… da sempre, come una gora d‟acqua morta! È il sintomo d‟una ferita ancora aperta che è la causa di tutti i tuoi guai… Contieni quel dolore… comprendilo… Amalo. Non sfuggire!» Stavo ancora tentando di capire, di riprendermi da quel Suo exploit, quando mi sono reso conto che il Dreamer si era già riallacciato al discorso iniziale, riprendendo da dove lo aveva interrotto. «Identificato con i ruoli, hai dimenticato il Gioco − disse − Non c'è recita nè teatralità. Un evento, una situazione o un incontro fanno scattare in te reazioni meccaniche, come la molla compressa di una trappola per topi. Immagini mentali, pensieri, emozioni, sensazioni si uniformano a schemi meccanicamente prestabiliti, i muscoli del viso 384

La Scuola degli Dei si contraggono per assumere certe espressioni, alle labbra affiorano quelle parole, e tu sei in ostaggio, fino a che nuove condizioni e nuovi incontri non ti catapultano in un'altra gabbia... » Mi spiegò che questo avviene quando un ruolo è imposto dall‟esterno, dal mondo. Quando invece viene recitato intenzionalmente non possiamo esserne schiavi; ne siamo liberi e rendiamo libero il mondo. «Un ruolo va recitato senza crederci. È possibile solo a chi ha conquistato conoscenza e padronanza di se stesso: un risultato che richiede ordine, disciplina, e un lungo lavoro di autosservazione.» Sottolineò come ogni ruolo, per fissarsi nella nostra vita, richiede l‟apprendimento di un linguaggio specifico: gesti, comportamenti, attitudini e tutta una gamma di espressioni facciali e verbali. Avere un ruolo presuppone l'accettazione di interi blocchi di idee, pacchetti completi di convinzioni attraverso cui pensare e sentire. Il loro apprendimento è una questione complessa. Spesso un solo ruolo può richiedere ad un uomo l‟applicazione di un'intera vita che può trascorrere senza che in lui maturi la volontà e la responsabilità sufficienti per superarlo e andare oltre. Mi disse che ogni uomo, per le necessità della sua esistenza ordinaria, apprende e gioca un numero limitato di ruoli, cinque o sei al massimo. Al modificarsi delle circostanze egli passa dall'uno all'altro come un automa, senza intenzionalità, condizionato dal cambiamento delle condizioni esterne. Contrariamente a quanto egli crede non ha in questo alcuna libertà di decisione. «Libertà significa recitare 'intenzionalmente' qualunque ruolo senza esserne imprigionato – enunciò – In un uomo ordinario questa capacità, già pressoché nulla, con l'età si riduce sempre più, fino a sparire. La conseguenza è che quando si presentano condizioni appena diverse da quelle solite, fuori da quei pochi ruoli che conosce, un uomo non sa più che maschera mettere.» Realizzai che questa è la ragione per cui ci sentiamo continuamente fuori posto, a disagio, minacciati. Non sapendo quale maschera indossare, non avendola nel nostro repertorio, mostriamo i nostri limiti, come il cane di Pavlov che incerto tra cerchio ed ellisse, impazzisce. Allora ogni nostra facoltà: mentale, emozionale e fisica va per conto proprio; pensieri, emozioni ed azioni entrano tra loro in un rapporto spastico e diventiamo una marionetta biologica. Ci sentiamo nudi e proviamo una vergogna terribile. Vorremmo 385

Il Gioco scappare via. Eppure sono questi i momenti in cui, attraverso un interstizio tra la pelle e la maschera, è possibile osservarci e riconoscere la nostra essenza, la nostra parte più vera. «Chi realizza di avere un limitato repertorio di ruoli ed avverte la tirannia dei vincoli che essi impongono alla sua azione, ha già avviato i primi passi verso la libertà.» Ma l'uomo ordinario, immerso in un sonno ipnotico, cullato da un canto di negatività, continuerà a mentire a se stesso e, per quanto terribile sia la sua vita, continuerà a indulgere e non troverà mai l'energia sufficiente per evadere. «Il ruolo è un gioco piacevole, se recitato. Identificarsi, dimenticare il Gioco, è fatale.» Il Dreamer si alzò e si avvicinò alla finestra. Per alcuni minuti restò in silenzio a guardare il giardino di Seven Oaks, il prato impeccabile, le piante lussureggianti sotto l‟ultimo sole. Quando riprese il Suo discorso il tono della voce era insolitamente dolce. «I ruoli sono i pioli di una scala. Non indulgere su nessuno di essi. Usali! − mi esortò − Usali per poggiare il piede e andare oltre!» Per il Dreamer ogni ruolo è la materializzazione di un modo di pensare. L‟abbandono di un ruolo, e il passaggio a un ruolo successivo, significa che il suo superamento è già avvenuto nell‟Essere; ogni gradino lasciato alle spalle è un avvicinamento alla guarigione. «Impara ad innalzare la qualità dell‟Essere ed ogni ruolo, velocemente, sarà abbandonato come un abito smesso − concluse − Questo si chiama „consumare‟ un ruolo e liberarsene definitivamente.» Questa nuova espressione mi colpì. Il Dreamer notò la mia perplessità e mi spiegò che „consumare' un ruolo significa impossessarsi dell‟essenza, della responsabilità che c‟è dietro ogni ruolo; significa liberarsene per sempre, non averne più bisogno. «Così libererai il mondo dal compito ingrato di rivelarti gli inferni che ti porti dentro, dalla fatica immane di riflettere ogni tua mancanza, ogni dolore, ogni morte.»

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La Scuola degli Dei 7 Il cammino a ritroso «Tutto quello che è fuori di noi, il mondo che vediamo e tocchiamo, le persone, le circostanze e gli eventi che incontriamo, sono una rivelazione dell'Essere, una verifica del nostro modo di pensare… I ruoli in cui ancora siamo intrappolati ci mostrano le ferite che ancora non abbiamo rimarginato.» Fece una lunga pausa. Invece di comprendere e fare mia l'energia di quel momento, mi rifugiai tra le pagine del taccuino fingendo di rileggere e ritoccare gli appunti. Quegli angoli in cui mi stringeva il Dreamer erano penosi. Anche quella volta cercai di sfuggire. Feci la muta richiesta di avere dell'altro tempo... ancora tempo... Il Dreamer apparentemente distolse la Sua attenzione ed io, che per pochi attimi con Lui avevo assaporato la vita vera, ritornai a prendere posto tra gli oggetti inanimati della stanza, finalmente a mio agio, ombra tra le ombre del mondo. «Gli eventi servono a rivelare gli stati che li hanno originati… Solo una Scuola dell‟Essere conosce il loro linguaggio simbolico e può tracciare il cammino a ritroso, attraverso labirinti, deserti, inferni interni, fino agli stati più interni, fonte vera di ogni accadimento.» L'ombra della sera incipiente assediava Seven Oaks e premeva alle grandi finestre pronta ad infiltrarsi e prendere possesso del soggiorno dov'eravamo. Il viso del Dreamer risplendeva al riverbero del fuoco mentre adagiava nuovi ciocchi sulla brace. Era un momento perfetto. Nella semioscurità era ormai difficile prendere appunti. Poggiai la testa allo schienale della poltrona e chiusi gli occhi per concentrarmi meglio. «Togliti da quella posizione − ordinò seccamente il Dreamer − saresti capace di addormentarti anche davanti a Me… » Fu come una bacchettata improvvisa. Un nugolo di pensieri e sentimenti, autocommiserazione, accusa, risentimento, eruppero con violenza e si intrecciarono nell'Essere, fino a formare un senso solo, il più bruciante ed insopportabile di tutti: il senso d'ingiustizia. In quell‟istante, con un salto improvviso, da insetto, mi trovai al posto del Dreamer. Osservai me stesso. Vidi la vita che osservava la morte morire. Furono pochi attimi, infiniti, di una lucidità impressionante; poi mi ritrovai in uno stato di allerta, gli occhi sbarrati e la schiena perfettamente ritta. Una sensazione di formicolio sottopelle, a 387

Il Gioco tingling vibrating sensation, permase ancora per qualche minuto. Poi si spense. Mi ripromisi di non abbassare mai più la guardia. Riporto questo episodio per dare un'idea delle strategie cui il Dreamer inesauribilmente faceva ricorso per portarmi in quelle zone dell'Essere dove il Suo insegnamento, la Sua energia, diventavano carne della mia carne. Quando questo avveniva, sapevo di avere pochi istanti per rafforzare le doghe del mio contenitore, le costole di rovere che gemevano e rischiavano di cedere sotto la spinta di quel vino nuovo e forte. 8 “Non sei pronto!” Sentii le mie resistenze insorgere ed il sangue pulsare sotto la pressione delle Sue parole. «Per troppi anni hai rinunciato alla tua volontà, hai affidato la tua vita nelle mani del mondo. Il mondo esterno ha rappresentato per te la sola realtà, ne hai fatto una divinità… un idolo di pietra che ha guidato tirannicamente la tua esistenza. In realtà il mondo è solo un riflesso… Pensieri, emozioni, attitudini prendono forma nel mondo degli eventi e rispondono ad ogni tua richiesta. Per troppi anni hai creduto che il mondo fosse reale, che avesse una sua volontà. L‟hai eletto a padrone e signore della tua vita. Per troppi anni hai dato potere a un‟ombra che tu stesso hai proiettato.» Era arrivato il momento temuto... Era tempo di abbandonare le vecchie ringhiere, di morire al vecchiume… Sentivo sotto i piedi alitare l'abisso di un universo a rovescio. «Things do not change and cannot change… Only you can change.» Qui si sospese. Quella pausa si dilatò in me a dismisura. Un'inquietudine, poi un senso di paura, allargò i suoi cerchi fino ad toccare i confini dell'Essere. Apparentemente non c'era nulla che giustificasse questo mio allarme, eppure presentivo che dietro le Sue parole, ma soprattutto dietro quel silenzio, si stava preparando qualcosa di imprevedibile. Tentai di tranquillizzarmi ma non ci riuscii. Finalmente, come se avesse raggiunto una difficile risoluzione, il Dreamer annunciò la successiva fase del „lavoro‟ che avrebbe permesso il prossimo passaggio. In quel momento stava 388

La Scuola degli Dei avendo inizio l'avventura che avrebbe strenuamente impegnato ogni momento della mia vita. Con il tono di comunicarmi una decisione a lungo ponderata, disse: «Ci sono voluti anni di preparazione per farti realizzare la frammentarietà del tuo Essere… anni e anni per farti riconoscere il sonno ipnotico che tirannicamente governa l‟esistenza di ogni uomo. Ho portato ordine nella tua vita… Ti ho liberato da impegni e programmi perché tu possa dedicarti a mettere insieme i princìpi di un sistema educativo che indichi la via per uscire dagli inferni dell‟ordinarietà.» Il Dreamer restò assorto a lungo. Poi in tono risoluto annunciò: «Ci sono uomini e donne che dovrai incontrare... » «Chi sono?... Dove sono?… Perché dovrei incontrarli?» incalzai con apprensione. «Non c'è una finalità − rispose il Dreamer con insolita dolcezza − È questo che rende il „gioco degli incontri‟ interessante, unico… efficace. Dovrai fare centinaia di incontri senza nessuno scopo… se non quello di riconoscere in ognuno di quegli uomini e donne un frammento di te… Se ricorderai Me, la tua promessa, ogni incontro che farai sarà l'opportunità di confrontarti con una parte sconosciuta, irrisolta, di te stesso.» «Centinaia di incontri?… Ma ci vorranno anni!… » esclamai spaventato da quella prospettiva. «Il tempo che questo richiederà dipenderà solo da te… Il „gioco degli incontri‟ avrà la durata della tua incomprensione e la durezza delle tue resistenze. Attraverso il 'gioco degli incontri' realizzerai che il mondo è una tua creatura e che gli altri sono il tuo riflesso… E se anche questo risultato dovesse richiederti anni di lavoro, almeno indebolirai dentro di te la vecchia convinzione che il mondo abbia il potere di eleggerti o di abbatterti, che gli altri possano amarti o combatterti… che ci sia fuori di te una volontà ostile che controlla e governa la tua vita.» «Il mondo esiste perché tu esisti. Il mondo é vivo perché tu sei vivo − declamò il Dreamer, e continuò − Il mondo è la tua ombra... L'uomo vorrebbe trovarci l'intelligenza che sente dentro.. e così passa la sua esistenza a cercare la vita tra i fantasmi… E crede in una realtà al di fuori di sé… Spreca il suo tempo a scavare tra le ombre!… Ma, scavando e identificandoti con le ombre per te esse diventano sempre più reali 389

Il Gioco ed il mondo esterno un feticcio... un dio da idolatrare, da temere, da propiziare… perché hai dimenticato la tua vera identità, hai abdicato il tuo diritto di artefice… » Poi scandì queste parole: «Non dimenticare… gli altri sono te fuori di te… gli altri sono il riflesso di tutto ciò che non vuoi vedere, sentire e toccare dentro di te.» «Ma allora… io, e quelli che ti sono più vicini − Gli chiesi − cosa siamo per te? » Appena pronunciate queste parole, dall‟accelerazione dei miei battiti, capii di aver osato oltre i limiti di quello che potevo ascoltare e contenere. Il Suo sguardo mi soppesò per interminabili istanti forse per valutare la mia capacità di sostenere quello che stava per comunicarmi. Allora ricordai le Sue parole: Nothing is external… Nothing is external… La loro forza mi scagliò nella solitudine di un universo di cui ero l‟unico abitante, l‟artefice, il signore e padrone assoluto di tutto e di ogni cosa. Ero gelido, sgomento. Avrei dato chissà cosa per poter tornare indietro e non aver mai fatto quella domanda. Le pareti dell'Essere stavano vibrando sotto la pressione di quel momento cruciale. «Voi siete Me − disse − frammenti di Me… apparentemente in esilio.» 9 La scorciatoia Ero in uno stato di abbattimento. Il Dreamer mi aveva messo di fronte ad un'impresa impossibile, tanto che mi sentii svuotato di ogni energia ancora prima di cominciare. « …Il 'gioco degli incontri' ti permetterà di comprimere il tempo… conoscerai di te quello che un uomo ordinario non riuscirebbe a mettere insieme neppure in dieci vite… » disse in tono esortativo, ma la prospettiva di incontrarmi con tanti illustri sconosciuti, di lavorare per mesi o anni a questo scopo, continuava ad apparirmi assurda. Possibile che non ci fosse un altro modo? «Per te il mondo è troppo reale. Solo il „gioco‟ ti libererà da questa descrizione pietrificata, rigida, e ti permetterà l‟accesso a una visione più fluida, più liquida, del mondo.» 390

La Scuola degli Dei «Il mondo è un‟emozione» disse, e attese che la sostanza preziosa di questa chiosa penetrasse in ogni mia fibra. «Gli incontri ti serviranno a misurare il tuo grado di responsabilità, ti insegneranno a conoscerti in profondità… Realizzerai che ogni uomo o donna che incontri è una parte sconosciuta di te, un‟opportunità per vedere una tua ferita, una tua malattia nascosta e poterla guarire.» «Come li sceglierò? Di che cosa parlerò?» incalzai, senza neppure tentare di nascondere la mia apprensione. Speravo con tutte le mie forze che quell'impresa mi fosse risparmiata. «Non ha nessuna importanza di che cosa parlerai − tagliò corto il Dreamer − Fai questa domanda perché ancora indulgi nel credere che gli altri sono fuori di te. In realtà gli altri sono stati d‟Essere che si realizzano nel mondo degli eventi… Gli altri sono tempo.» «E chi rinuncia alla propria vita per gli altri? Chi li incontra per aiutarli, per guarirli? E i missionari?» «Anche il missionario va ad incontrare se stesso, i suoi dubbi, le sue paure, la sua divisione. Va tra i superstiziosi per vincere la sua superstizione. Va nel mondo della sofferenza per guarire le sue piaghe, per risalire alla fonte, alla vera causa. E anche se ne è inconsapevole e crede di fare per gli altri, in realtà sono gli altri che stanno facendo per lui, che si stanno prendendo cura di lui. Una volta capito quali stati in se stesso hanno reso necessario quella sua missione, sarà guarito e smetterà di fare il missionario. Metterà qualcun altro al suo posto e passerà oltre.» Ero sottosopra. Quella risposta del Dreamer mi aveva rovesciato come un guanto. Stavo ancora tentando di riprendermi quando mi accorsi che aveva abbandonato l‟argomento e stava rispondendo alla mia domanda iniziale. «In quanto a chi incontrerai, per ora ti basti sapere che sarò Io stesso ad individuarli e indicarteli. L'importante per te è imparare a „vedere‟. Se „vedi‟ avrai fatto tua la storia di quell'uomo o di quella donna e d'un colpo ti accrescerai del risultato di anni di esperienze, di sforzi, di sacrifici, di successi e cadute. „Vederli‟ significa riconoscerli dentro di te come ferite da cicatrizzare, organi da guarire. „Vedere‟ significa perdonarsi dentro. Allora ogni incontro diventa un gradino su cui poggiare il piede e andare oltre.» 391

Il Gioco Al Dreamer non era sfuggito il mio crescente interesse per quello che mi stava rivelando. Questa storia degli incontri cominciava a prendere l'aspetto di un‟arte marziale, sconosciuta e misteriosa. Il mondo, con continenti e città, e il caleidoscopio infinito delle attività umane, come docile argilla, stava prendendo l'aspetto sbalorditivo di un immenso agone dove ad ogni istante si svolgevano milioni di duelli invisibili. Il loro esito avrebbe deciso di volta in volta chi doveva dare la direzione e chi invece doveva seguire. «Ovunque si incontrino, per pochi istanti o per anni, nel deserto o in un business, due uomini formano inevitabilmente una piramide, si dispongono a livelli diversi di una scala invisibile rispettando un ordine interiore, matematico, una gerarchia planetaria fatta di luminosità, di orbite, di massa e di distanza dal loro sole.» Continuai a prendere appunti e un rigo dopo l'altro, abbandonate le mie resistenze, entrai in una nuova attitudine. Dal discorso che seguì la vita emerse come un tracciato lungo un sistema di ruoli a complessità crescente, fino al raggiungimento del suo apice: il superamento di ogni ruolo. «L‟umanità così com‟è non cerca la sua guarigione. Non la vuole. È costretta a progredire meccanicamente, sotto la spinta di forze ignote… La sofferenza ed il dolore sono la forza motrice della sua evoluzione. E anche se sembra che la maggior parte degli uomini abbia barattato il proprio progresso per le apparenti sicurezze di una carriera, o per il miraggio di una ricchezza economica o di un successo artistico, in realtà anche l'uomo più ordinario non può sfuggire ad un involontario, meccanico, impercettibile processo di guarigione. Il lavoro nelle organizzazioni, l'affanno dei ruoli, gli antagonismi, la sofferenza e i problemi che la vita immancabilmente gli presenta, formano nel loro insieme una disciplina necessaria che lo migliora e lo proietta verso zone più alte di libertà… » «È un sistema molto lento − concluse il Dreamer − una vita intera potrebbe non bastare per fare un solo millimetro nella verticalità dell'Essere… » Per contro, il 'gioco' mi fu ulteriormente illustrato dal Dreamer come il modo più veloce per scalare la piramide dei ruoli umani e trascenderli a velocità elettronica. Infine ricapitolò a mio beneficio le informazioni più importanti e concluse: 392

La Scuola degli Dei «Sei ancora intrappolato in quello che credi di essere. Per questo quello che veramente osserverai negli incontri non è chi sei ma chi non sei, l‟uomo che hai creduto di essere. Potrei dire che lo studio di te stesso, l‟autosservazione, è luce. Quando arriva la luce le ombre spariscono e tutto quello che in te è vero e reale rimane e tutto quello che non sei o che hai creduto di essere, scompare…» Il nostro incontro stava volgendo al termine. Provai la stretta al cuore di quando Padre Nuzzo mi chiamava alla lavagna; quando, lasciato il banco, l'anonima irresponsabilità e la calda complicità del gruppo, dovevo contare solo su me stesso. La mia nuova avventura stava per avere inizio. Avrei voluto sapere di più sulle persone che avrei incontrato, sugli argomenti da affrontare, ma… «Nel „gioco‟ non c‟è niente da pianificare. Dovrai inventare all‟istante e recitare intenzionalmente ruoli e linguaggi di esistenze mai vissute. L‟attimo ti suggerirà la strategia, le parole da usare e tutto quello che devi sapere per „soddisfare‟ l‟incontro.» Mi raccontò di uomini e donne speciali che nel loro ambito sono dei veri e propri maestri. Come macchine perfette, altamente specializzate, essi hanno raggiunto nei limiti del loro mondo-ruolo un'assoluta impeccabilità… Senza sollevare il capo dal taccuino, avevo raccolto pagine e pagine di appunti. Rileggerli mi faceva ritrovare tutta la forza e la determinazione che ora sentivo accanto a Lui. Incominciava a diventar chiaro che dietro ogni incontro, oltre l‟apparente superficialità di un rapporto, c‟era qualcosa di speciale: l‟incontro con una moltitudine di tipi umani tracciava il sentiero verso una guarigione che il Dreamer chiamava „integrità‟. «Gli altri ti rivelano, ti misurano e riflettono impeccabilmente il tuo grado di responsabilità.» Apparentemente gli uomini si incontrano per prendere decisioni, per concludere affari, ma sono inconsapevoli di ciò che realmente succede nelle loro relazioni. Incontrarsi è un pretesto. Il vero rapporto avviene ad un altro livello. Oltre la superficie, quando due uomini si incontrano, la posta in gioco è ben più alta. «Ogni uomo che incontri è una porta. Può impedire l'accesso o trasformarsi in un gradino per andare oltre. Ogni incontro ti misura e determina il tuo posizionamento sulla scala della responsabilità umana» mi informò il Dreamer con il tono di indicare precauzioni vitali alla vigilia di un‟impresa rischiosa; ed aggiunse: 393

Il Gioco «Ricorda! Gli altri sono te!… Nel 'gioco' non potrai incontrare nessun altro che te stesso... Nello spazio di pochi secondi dovrai sapere quale parte di te ti è davanti, e dovrai all'istante capire lo scopo di quell'incontro, quale maschera indossare, e sostenere il ruolo che l‟altro, uomo o donna che sia, vuole che tu interpreti. La differenza tra voi, nel „gioco‟, è che tu sai di recitare e l‟altro recita non sapendo. È una distanza infinita, una differenza di eternità. Una differenza che ti permetterà di scalare verticalmente, a velocità elettronica, la piramide dei ruoli umani conquistando posizioni che nel mondo orizzontale richiederebbero anni o intere generazioni per essere raggiunte.» Qui il Dreamer mi parlò della „scorciatoia‟, di una via verticale che comprime il tempo e ci avvicina rapidamente alla cosa più reale in noi: il Sogno. 10 Comprimere il tempo Dall'insegnamento del Dreamer stavo ricavando la percezione di un mondo dove impera una sfida senza tregua e dove non ci sono spazi per tentennamenti. Due uomini si incontrano. Senza simboli o divise, nudi nel deserto, inevitabilmente, uno decide la direzione e l'altro segue. Come due animali in una regione selvaggia, attraverso un linguaggio zoologico, essi si trasmettono, i segnali di razza, di forza, di territorio, di rango. Una reazione, un'attitudine, una postura, l'espressione di un‟emozione, uno sguardo, una parola, la più piccola smorfia, sta denunciando la posizione che ciascuno occupa nella scala evolutiva. Quel grado di comprensione è registrato nell'universo e decide gli eventi della nostra vita, il sapere, il fare, l'avere, ed infine il nostro destino finanziario. Il Suo tono si fece impercettibilmente più familiare e disse: «Quando due uomini si incontrano, inevitabilmente, uno contiene e l'altro è contenuto… » «Che cosa significa 'contenere' una persona?» chiesi. «Significa essere responsabile di tutto il suo mondo, dei suoi ruoli, della sua vita e di tutte le vite che ne dipendono. Significa conoscere la soluzione di ogni sua difficoltà, la risposta ad ogni sua richiesta. Se non ci riuscirai dovrai andare attraverso i percorsi 394

La Scuola degli Dei ordinari: il tempo e l'esperienza. Per accedere a zone superiori dell‟Essere, verso l‟intelligenza, l‟integrità, quell‟opportunità che non hai saputo cogliere in quell'incontro, potrà richiederti anni ed anni per ripresentarsi. In ogni caso, quell'esame dovrai ripeterlo, se sarai tanto fortunato da avere un‟altra occasione.» Sentivo fisicamente la mia visione ampliarsi. Mi disposi ad un ascolto ancora più attento mentre il Dreamer stava per comunicarmi un altro tassello di quell'insegnamento che stava cambiando la mia vita. «È un gioco difficile e pericoloso − ammonì − uno sguardo, una parola, il più piccolo movimento o pensiero può tradirti e farti cadere in una trappola mortale! Un uomo senza Scuola è in balia. Va attraverso il „gioco degli incontri‟ ma non conosce le regole, non ha la minima consapevolezza della vera posta in gioco e neppure sa che è un gioco. Chi „vede‟ il gioco lo conduce, chi non lo vede ne è vittima.» «Come farò a sapere se ho superato la prova, qual è stato l‟esito di un incontro?» chiesi con voce troppo alta, come se già Lo vedessi allontanare all'orizzonte. «Le cose nella vita di un uomo si mettono insieme nell‟unico modo possibile e riflettono il suo grado di comprensione, la sua impeccabilità. Se 'conterrai' l'altro non potrai sbagliarti: sentirai una gioia immensa per aver portato luce, guarigione, in un altro angolo del tuo Essere. Quando questo avviene in un uomo, l‟intero universo sa.» «Come fanno tutti a sapere di un incontro che si è svolto in privato e senza testimoni?» chiesi. «Gli uomini e le cose fanno parte di un unico tessuto connettivo… Un sistema nervoso planetario collega tra loro tutte le cellule dell'umanità. Solo, nell'angolo di una stanza, un uomo comunica a tutto l‟universo la sua condizione, il proprio livello di responsabilità, il suo intento. Non c'è modo di barare, né c'è spazio per interpretazioni.» 11 Gli altri ti rivelano Il Dreamer mi aveva lasciato con la promessa di rivederci una settimana dopo a Spaniards Inn, l'antico Pub di Hampstead. Trascorsi quei giorni e le ore che mi separavano dal nostro incontro 395

Il Gioco ripensando a tutto quello che avevo ascoltato da Lui sul `gioco'. Il pensiero che più mi assillava era di trovarmi impegnato per chissà quanto tempo a portare avanti quello che ancora mi appariva come il più stravagante dei compiti: incontrare centinaia di persone per arrivare a scoprire che... non esistono. «Non ho detto che gli altri non esistono» mi avrebbe corretto ruvidamente il Dreamer nel corso del nostro incontro, con una smorfia di commiserazione che mi trafisse come una lama. Poi scandì: «Ho detto che gli altri non esistono fuori di te! … Quando questo ti sarà veramente chiaro saprai a cosa servono gli altri…» Sapevo per 'certezza analogica' che il Dreamer stava offrendomi un'opportunità unica e che il 'gioco degli incontri' si sarebbe rivelato uno strumento evolutivo insostituibile. Eppure ero assediato da una selva di dubbi e di preoccupazioni di cui non riuscivo a liberarmi. A parte la complessità e lo sforzo di organizzare tanti incontri, una domanda mi assillava più di ogni altra: come avrei fatto fronte alle spese se il 'gioco degli incontri' mi avesse occupato tutto il tempo, se mi avesse richiesto viaggi e prolungate permanenze in Gran Bretagna e in ogni punto del pianeta. In aggiunta, c'era un aspetto che trovavo particolarmente inquietante: l‟idea che quegli incontri fossero in realtà veri e propri duelli. Una volta mi aveva detto “non c'è un solo momento in cui tutta la tua vita non sia messa in gioco”. E il ricordo di queste parole rafforzava questa convinzione e accresceva l‟ansia competitiva che mi assaliva al pensiero di incontrare degli sconosciuti, senza un perché. Intravedevo nel „gioco‟, come attraverso una filigrana, una spietatezza che me ne oscurava l'immagine e me lo dipingeva a tinte fosche. In sostanza mi sembrava che i suoi termini fossero questi: o sei tu a lanciare un messaggio di forza, di coraggio, di dignità, e a essere promosso sul campo al prossimo livello, o sarà l'altro a stringerti alle caviglie i ceppi delle zone più basse dell'esistenza. Allora nell'agone della vita lascerai sul campo le spoglie di un guerriero sconfitto. Non avevo osato parlarne subito al Dreamer, anche perché non mi era ancora chiaro se questa sensazione originasse dalla mia preoccupazione di non essere all'altezza del compito o da una filantropica apprensione per chi sarebbe uscito „sconfitto‟ dall'incontro. 396

La Scuola degli Dei Erano questi i pensieri che mi accompagnavano mentre a piedi raggiungevo l'antica locanda. L'atmosfera che trovai non doveva essere troppo diversa dal tempo in cui la frequentavano artisti e poeti, tra cui Shelley, Keats e Byron. Ero in anticipo. Il Dreamer non era ancora arrivato. Guardandomi intorno, cercai di scoprire quale posto avrebbe strategicamente scelto. Alla fine decisi per un tavolo nell‟angolo più tranquillo. Alla parete, un trofeo d‟archibugi ricordava le gesta di un leggendario brigante. Intanto, non avevo smesso di rimuginare i pensieri che mi preoccupavano. L'arrivo del Dreamer mi colse in flagrante. Prima che potessi prevenirla, sentii scattare nel corpo la prigionia dell'imbarazzo, e provai la confusione di chi viene colto impreparato o disattento dal proprio superiore. Era bastata la vista del Dreamer per 'ricordare' la giusta attitudine. Tentai rapidamente di recuperare un atteggiamento più dignitoso e raccogliere i frammenti sparsi dell‟Essere prima che mi arrivasse più vicino. Ma, mentre era ancora sulla soglia, il Dreamer mi fece col capo un leggero cenno di seguirLo. Lasciai il tavolo che avevo scelto per noi e salii con Lui al primo piano. Mi sentii contrariato dall'affollamento di quella sala, dalla rumorosità degli avventori, dal tanfo di birra e di rancidume. Per la conversazione privata che avevo in mente il tavolo al piano terra sarebbe stato ben più adatto; ma il Dreamer ne adocchiò uno nel bel mezzo della sala, dove era più fitto il brusio delle conversazioni, e mi invitò a sedere. Non lasciò passare inosservata la condizione in cui mi aveva trovato al Suo arrivo, ma rilievi e ammonizioni li fece en passant, usando un tono faceto, quasi canzonatorio. Pensai di approfittare di quella buona disposizione, ma con cautela. Avevo imparato a mie spese, e più volte, quanto improvviso poteva essere il cambiamento di umore del Dreamer e terribile la Sua ira. Bastava una parola, un accento o il più impercettibile movimento fuori posto per farla scattare. Avrei voluto rivolgerGli la domanda che compendiava il mio stato d'animo e tutto quello che pensavo riguardo al „gioco‟. Cosa accade a chi perde? La vicinanza fisica al Dreamer portava di per sé chiarezza. Mi resi conto che quello che avrei voluto veramente chiedere era cosa sarebbe accaduto se fossi uscito sconfitto già dai primi incontri. «Non farti idee sbagliate − disse, anticipandomi − Te l'ho già detto… Nel 'gioco' non ci sono né vincitori né vinti.» 397

Il Gioco Quelle parole mi arrivarono chiare e distinte come se ogni vocìo si fosse improvvisamente sospeso e nel pub non ci fossimo che noi. La Sua voce non attraversava quella folla, non doveva sovrastarne il brusio, ma mi arrivava dall‟interno. Come se ne risalisse il corso, da quei pensieri arrivò alla loro radice, alle vecchie convinzioni e ai pregiudizi da cui originavano, e aggiunse: «La tua visione è ancora il frutto di una separazione interna, di una descrizione del mondo che legge solo attraverso opposti e antagonismi… In realtà il duello avviene sempre e solo in te stesso. La relazione con l'altro è solo l'aspetto più superficiale e visibile di quello che realmente avviene in un incontro. E anche se puoi temere che l'altro ti tolga d‟un colpo tutto quello che hai accumulato in anni di preparazione, in realtà è in te, e solo in te, che si decidono le sorti.» Continuò riprendendo un concetto centrale. 'Contenere' qualcuno non voleva dire soltanto comprenderlo nella propria responsabilità, ma eleggerlo. «L‟incontro con un uomo di responsabilità superiore è sempre un un'accelerazione − confermò − anche se non ne siamo consapevoli.» «Incontrare un uomo che ti 'contiene' è una benedizione. Chi poggia il piede e va oltre non abbandona l'altro al suo destino. Al contrario, ne diventa responsabile. Egli sa che la propria evoluzione è anche l'evoluzione dell'altro. L'avanzamento di un uomo, la guarigione di una sola cellula, accelera il progresso di tutta l'umanità… Pensa a quanto materiale di studio e quante opportunità gli altri ti offrono per realizzare che non c‟è limite al successo; perché la vera vittoria è vincere se stessi, attraverso l‟armonizzazione degli opposti dentro di noi, in questo preciso istante. In mancanza di questa intelligenza, di questa vigilanza interna, gli uomini si incontrano nel sonno, cioè affannati da preoccupazioni, oscurati da dubbi e paure, perduti nella quotidianità. Si incontrano per conseguire obiettivi o vantaggi insignificanti, esterni, vani.» Con umorismo sottolineò che per quanto possano darsi da fare, discutere affari o prendere decisioni apparentemente importanti, dal punto di vista di un uomo evoluto, essi appaiono poco più che selvaggi indaffarati a negoziare e barattare perline di vetro, specchietti e cianfrusaglie. 398

La Scuola degli Dei «Hanno smarrito il vero obiettivo − annunciò riprendendo un tono severo e grave − Manca in loro la consapevolezza del „gioco‟… hanno dimenticato… non recitano più e sono diventati oramai il ruolo stesso!» Si accertò con un'occhiata che fossi nell'attitudine giusta per comprendere, poi concluse con questo commento: «Sulla via della impeccabilità, nel mondo di un uomo di responsabilità, c'è spazio solo per vincere se stesso, la propria mediocrità, la menzogna, l‟identificazione col mondo.» 12 Recitare intenzionalmente „The Art of Acting‟. «C‟è una maschera giusta da indossare per ogni occasione − disse − La capacità principale nel „gioco degli incontri‟ è l‟arte del travestimento che devi sviluppare.» Il tono che usò e l‟espressione del viso indicarono che stava per affrontare una parte decisiva del Suo insegnamento. Dall‟antico manoscritto „The School for Gods‟ e dalle ricerche che avevo condotto sulla vita e sul pensiero di Lupelius, avevo appreso della sua leggendaria abilità nel camuffarsi. Nella sua Scuola l‟arte del travestimento era parte integrante della preparazione di un guerriero. Per Lupelius i ruoli erano abiti psicologici che egli indossava e che faceva indossare ai suoi discepoli insegnando loro come „diventare‟ quel ruolo, come esplorare e conoscerne ogni angolo, ogni segreto; ma senza dimenticare il gioco, senza mai restarne invischiati. L‟approccio burbero scelto dal Dreamer mi comunicò velocemente l‟importanza di questo elemento nella mia preparazione al „gioco‟. «„The Art of Acting‟ è la capacità di un guerriero di vivere strategicamente − precisò − È questa capacità che gli permette di essere „puntuale‟, di assumere di volta in volta l‟attitudine più giusta per ogni circostanza.» Riconobbi nelle parole del Dreamer l‟insegnamento di Lupelius. Le loro voci si fusero, le loro immagini si sovrapposero nella mia mente fino a diventare un essere solo. Mille anni si stavano comprimendo in quel momento. «Impara a vivere strategicamente, impara a recitare intenzionalmente, e saprai sempre quale immagine offrire in ogni situazione… Solo chi recita può tener presente le mille peculiarità 399

Il Gioco che rendono un incontro unico, diverso da ogni altro incontro mai accaduto prima o che mai accadrà, in tutta la storia del mondo… » Lasciò trascorrere una pausa, poi la Sua voce echeggiò ancora più imperiosa ed intensa. «Impara a recitare − disse − solo chi recita può governare la propria vita e quella degli altri, vincere ed essere libero!» Sentii un‟istintiva ripugnanza per quei precetti. Tutto quello che mi era stato insegnato mi spingeva a vedere le cose da un punto di vista esattamente opposto. Un uomo era libero se poteva „essere se stesso‟ e non se doveva recitare e fingersi qualcun altro. Glielo dissi e al termine della mia argomentazione adombrai la convinzione che incontrare gli altri recitando un ruolo, indossando una maschera, era un modo insincero, falso, di gestire un rapporto. Tra gente ordinaria, comune, le mie sarebbero passate per giuste obiezioni. La mia attitudine sarebbe apparsa quella di chi nella vita ha regole di correttezza e principi etici inderogabili, e sa difenderli con coraggio, anche di fronte ad un superiore; ma nel mondo del Dreamer le mie parole fecero scattare tutti i sistemi d‟allarme, come se fosse entrato un ladro. «Taci!» mi aggredì il Dreamer, con un improvviso scatto d‟ira, senza neppure lasciarmi finire. «Essere se stesso… essere se stesso… − ripeté imitando la mia saccenteria − Uno come te che ha vissuto nella falsità, nella prigione dei ruoli per tutta la sua vita, non sa neppure da che parte si comincia ad essere se stesso.» Nella voce percepii la ripugnanza e un aperto disprezzo. Il Dreamer non stava rispondendo alle mie parole ma faceva da specchio alla mia arroganza, alla mia divisione. Dietro quelle argomentazioni, e più in profondità di quanto potessi vedere, correvano le mie resistenze a cambiare. Il mio pentimento dovette essere totale e immediato se il Dreamer poté riprendere il Suo discorso, ed il normale tono di voce come se non si fosse mai interrotto. Ancora una volta osservai quella Sua capacità di entrare ed uscire da uno stato d‟Essere, modificando tono, linguaggio, gesti, espressione del viso, reazioni… Il tutto senza lasciare residui, senza strascichi. «Vivere strategicamente non è opportunismo e non significa mentire, ma è un atto del guerriero che prende le sembianze e compie gli atti che la situazione richiede e che il mondo è pronto a 400

La Scuola degli Dei ricevere. Solo chi vive strategicamente può sopravvivere… Recitare è libertà.» Recitare „perfettamente‟ un ruolo significa aver superato quel ruolo nella vita, significa „comprendere‟, avere accesso a zone superiori di responsabilità. Il teatro era in origine una scuola dell‟Essere, una scuola di libertà, dove i discepoli-attori imparavano a recitare i ruoli e a superarli, ad acquisire la capacità di entrare ed uscirne senza restarne imprigionati. Recitare significava quindi imparare a liberare l‟Essere dai propri pensieri distruttivi e dalle emozioni negative. E questa azione catartica, purificatrice, esercitata dal teatro, pur svolgendosi a principale beneficio degli attori, si estendeva al coro, al pubblico, alla città, fino alla nazione, saldandola, unificandola, creando le condizioni della sua libertà e della sua ricchezza. Questa funzione ha assicurato al teatro il ruolo centrale che ha sempre avuto in tutte le culture e che ancora affascina l‟uomo e dà ragione della sua magia. La Grecia dell‟età classica aveva scoperto la centralità dell‟Essere; sapeva che il segreto della prosperità economica, della concordia civile, della maturità e della longevità delle istituzioni, era nell‟innalzamento dell‟Essere di ogni uomo, nell‟arricchimento di ogni cellula della città. Questa visione concepì e produsse una civiltà dell‟Essere, una civiltà emozionale, senza tempo. Arte, bellezza, musica, sport, ricerca della verità, erano colonne portanti della polis ed i grandi regolatori della sua vita. Con l‟autorità di un testimone diretto, di un essere misterioso senza geografia né tempo, il Dreamer mi raccontò che civiltà più antiche di quella Greca e di quella Romana, nel fondare una nuova città, prima ancora di tracciarne le mura, eleggevano i luoghi per erigere due edifici pubblici: il teatro, per purificare le emozioni, le terme, per purificare il corpo. Essi erano le due ghiandole vitali di depurazione, i reni di quella società. Come in un essere vivente, a questi due organi era affidato il compito vitale di filtrare e purificare la linfa della città, di depurare e arricchire ogni cellula. «Il teatro non è un luogo fisico, ma uno stato dell‟Essere, un luogo della psicologia dove si armonizzano le grandi facoltà dell‟uomo… dove la parola, che è fusione di pensiero e respiro, incontra il gesto.» Stavo viaggiando in una macchina del tempo alla volta di mondi scomparsi, alla ricerca di civiltà sepolte. Accanto a Lui ancora potevo sentirne il palpito, il respiro. 401

Il Gioco 13 Il „Gioco degli Incontri‟ Fu così che, accanto al Dreamer, iniziai quel periodo del mio apprendistato che doveva rivelarsi uno dei più intensi. Come un padre guerriero, mi consegnò corazza e scudo, e le armi che avrei portato con me. Me le affidò con queste raccomandazioni: «Sii vigile, attento ad ogni attimo, ad ogni tuo abbassamento. Osservati! Occupa ogni parte di te con il ricordo della tua promessa. Chi non ha presente il Sogno, la forza reale, misteriosa e invisibile che guida il mondo, è un frammento perduto nell‟universo.» Il „gioco‟ mi impegnò duramente per oltre due anni. Per tutto questo tempo non ebbi altro impegno che viaggiare ed incontrare gli uomini e le donne che il Dreamer mi indicò, o mise sul mio cammino, secondo scelte strategiche note a Lui solo. Oggi riconosco che ogni incontro è stato il frutto di una scelta precisa, il tassello di un disegno lucido, consapevole, provvido. Ogni incontro ha seguito un‟ammirevole progressione pedagogica. Quegli incontri, oltre ad aiutarmi a scoprire e guarire le ferite più nascoste dell‟Essere, crearono nel mondo degli eventi i presupposti insostituibili per la creazione e lo sviluppo della nuova università. Seven Oaks fu il punto focale di incontri memorabili, un cenacolo che raccolse l‟intellighenzia mondiale; uomini e donne ai vertici della cultura, del business, della politica, dell‟arte. Seven Oaks fu un peana che chiamò a raccolta tutti quelli che si sarebbero rivelati poi così necessari a realizzare la grande impresa. La bellezza, lo stile di quella casa, che per mesi mi erano sembrati optionals costosi e non necessari, si rivelarono gli elementi portanti dell‟intera strategia, la cornice unica che avvolse e impresse caratteri insostituibili a tutta la storia. Seven Oaks diede il colpo di diapason a quelle componenti di imprenditorialità, stile di vita, responsabilità e leadership che avrebbero accompagnato come una costante la nascita di ogni nuovo campus dell‟università e tracciato le linee dei suoi insegnamenti. Seven Oaks fu casa, alleato, headquarter, scrigno e custode prezioso delle mie gioie famigliari. Lì crebbero i miei figli e l‟affetto per Heleonore. Il „gioco degli incontri‟ occupò una parte fondamentale nella generale economia del mio apprendistato e in questi due anni non furono rari i momenti di sconforto, quando la Sua disciplina e le sue 402

La Scuola degli Dei austerità diventavano troppo duri per il mio grado di tolleranza. Il Dreamer era un master of blame. Usava il biasimo e l‟accusa per estirpare dai meandri dell‟Essere quel canto di dolore che da sempre mi affliggeva e mi uccideva dentro. Nulla gli sfuggiva e la più piccola inosservanza, la più piccola deviazione dal Progetto, faceva scattare la Sua collera, terribile. Allora sapeva entrare nelle pieghe, nelle piaghe più nascoste dell‟Essere e cauterizzarle con un ferro rovente. Auguro ad ogni uomo che voglia uscire dai solchi del proprio destino di incontrare il Dreamer, di avere un guardiano così attento e così spietato. Ogni passo al Suo fianco ha il respiro dell‟eternità. Ora che ne scrivo, riconosco che ogni movimento fatto con Lui è stato unicamente, mirabilmente, disegnato per me e, attraverso me, dedicato all‟evoluzione di ogni uomo che ha realizzato il proprio stato di schiavitù. Accanto a Lui l‟esistenza intera si è rivelata una Scuola dell‟Essere, una School for Gods, aperta a chi vuole cambiare e fare della sua vita il proprio capolavoro. Soprattutto durante i primi mesi, il ‟gioco degli incontri‟ mi parve una stravaganza e mise a dura prova la mia determinazione. Prima delle rivelazioni del Dreamer, non avrei mai immaginato che si potessero incontrare gli „altri‟ senza uno scopo „pratico‟. «Una volta mi hai chiesto in base a quale criterio avrei scelto le persone da incontrare» disse. Stava connettendosi ad una mia domanda alla quale non aveva ritenuto di dare risposta. «La loro caratteristica fondamentale è che devono essere impeccabili e spietate. Un giorno saprai che nessun incontro può avvenire fuori di te. Gli uomini e le donne che incontrerai si riveleranno frammenti di te che dovrai connettere, come tessere di un unico mosaico. Ognuno di loro rappresenta una delle tue vite possibili... Nell‟oceano dell‟umanità ognuno di essi è una goccia che riflette un aspetto della tua psicologia… Ricorda: gli altri sono soltanto specchi. Non c‟è nessuno da accusare, né da biasimare. Un uomo incontra sempre e solo se stesso!» Seguendo le Sue indicazioni, mantenendo come base Seven Oaks, viaggiai intensamente. In più occasioni dovetti lasciare l‟Inghilterra, e molte volte anche il vecchio continente, per entrare nelle situazioni più varie ed approcciare le persone più diverse per posizione sociale, per età, per intelligenza, per origini familiari o per capacità economica, con l‟unico, assurdo, meraviglioso scopo di osservarmi, di „leggermi‟, di conoscermi. 403

Il Gioco Passai così in rassegna un campionario umano più vasto di quanto sia possibile immaginare: artisti, registi, industriali, consulenti, guaritori dell‟umanità e Padri della Chiesa, politici, imprenditori, filosofi e professori, medici, grandi avvocati e banchieri, premi Nobel e vagabondi; uomini all‟apice del successo ed uomini caduti in disgrazia, guru della finanza ed imprenditori decaduti; nelle loro case o nei loro uffici, per strada o sui loro yatcht, in alberghi di lusso o in modeste pensioni, al lavoro o in vacanza. Centinaia di incontri ognuno dei quali richiese attitudini, un linguaggio, comportamenti, perfino un abbigliamento, „puntuali‟. Ognuno sfidò la ristrettezza della mia visione, la rigidità di schemi mentali, mise a nudo una malattia nascosta, scoprì un punto molle dell‟Essere, allenò una qualità interiore o cauterizzò una piccola piaga dell‟anima, permettendomi di osservarmi nelle più diverse circostanze, di fronte a tutti gli specchi possibili. Ricordo l‟attenzione che il Dreamer dava ad ogni più piccolo dettaglio, specialmente alla vigilia di un incontro particolarmente importante. Le Sue direzioni non erano diverse da quelle di un regista sul set prima delle riprese o di un coach prima di una gara decisiva. Il mio abbigliamento, gli argomenti che avrei trattato, perfino la dizione di alcune parole chiave che avrei usato, tutto passava attraverso il setaccio della Sua attenzione. «Cura te stesso… in tutto… sii attento! Cura minuziosamente ogni angolo della tua vita − mi diceva il Dreamer − Look within!… Sii consapevole di tutto quello che entra ed esce dall‟Essere... Our Being creates our Life… L‟essere crea il mondo… Un uomo attento sa che attraverso il più piccolo gesto sta aggiustando l‟universo.» 14 Il nuovo paradigma Una volta, a seguito di un paziente lavoro, arrivai finalmente a fissare a Parigi l‟incontro con il fondatore di una multinazionale, leader nel settore della moda e dell‟industria del lusso. Il pretesto che dovetti creare per quel meeting fu l‟acquisto di un immobile di sua proprietà. La trattativa che avevo avviato da Londra già da settimane era ora giunta nella sua fase conclusiva e richiedeva appunto il nostro incontro. Il nome di quell‟imprenditore francese era nella lunga lista di personaggi, „maestri‟ del business nel proprio settore, che il Dreamer mi aveva chiesto di contattare e di incontrare. 404

La Scuola degli Dei Era quello un periodo in cui ero strenuamente impegnato a trasformare il mio cattivo rapporto con il denaro. Secondo il Dreamer era necessario che imparassi a negoziare con i più „duri‟ businessmen senza timori o sudditanza. Alla vigilia della mia partenza per quell‟incontro che si sarebbe svolto a Parigi nel sancta santorum di una delle griffe più famose del mondo, ero esasperato all‟idea di non sapere minimamente che cosa avrei detto. Sentivo crescere la mia ansietà e con essa anche una forma di risentimento nei confronti del Dreamer „colpevole‟ di mettermi in situazioni così critiche. Chiesi di poterLo incontrare con la segreta speranza di farmi esonerare da questo viaggio e di cancellare quell‟incontro già fissato a Rue de la Paix. Eravamo insieme da pochi minuti quando questo stato d‟animo sfociò in una domanda aggressiva senza che potessi fare nulla per controllarmi. «Ma a cosa serve negoziare un palazzo o un‟industria − sbottai ad un certo punto, cercando di nascondere il mio malessere dietro un inattaccabile buon senso − a cosa serve discutere in ogni dettaglio l‟acquisto di un‟auto di lusso o di un aereo privato se poi non si ha il denaro per comprarli?» «Se saprai recitare „impeccabilmente‟ − mi rispose il Dreamer con insolita cortesia e ignorando le condizioni in cui mi stavo presentando davanti a Lui − se all‟esame del tuo interlocutore apparirai credibile, allora vuol dire che quel denaro è già nelle tue tasche.» Non capivo. Secondo me „fare sul serio‟ era tutt‟altra cosa. Ero certo che se avessi veramente avuto il denaro per comprare quella proprietà a Parigi non avrei avuto ansie, avrei saputo cosa dire e cosa fare. «Ti sbagli di grosso − ribatté tagliente il Dreamer − la prima educazione ti ha abituato a credere che se avessi denaro e mezzi sufficienti potresti fare tutto quello che desideri e quindi ti sentiresti sicuro, saresti ricco, felice, rispettato. Avere-Fare-Essere è il paradigma dominante, l‟epitome della mitologia di un‟umanità degradata, e la causa di tutti i suoi mali e delle sue disgrazie.» Pronunciate queste parole sollevò gli occhi e mi fissò intensamente. Poi, senza abbandonarmi con lo sguardo, con l‟indice ed il medio della mano destra distesi ed uniti si colpì lentamente e ripetutamente l‟orecchio destro. Il Dreamer mi stava ammonendo per la mia durezza di comprensione e stava chiedendo un ascolto 405

Il Gioco assoluto, senza divisioni o distanze. Quella Sua strana mimica mi inquietò; sotto la vernice di normalità di quel suo movimento sentii l‟imperio, l‟autorità di un gesto tragico, teatralmente magico, e questo impresse una tale accelerazione che dovetti lavorare sul respiro per non entrare in uno stato di agitazione. «Questo schema mentale è comune a miliardi di esseri − disse − devi rovesciarlo! Il paradigma di una nuova umanità è: Essere-Fare-Avere. Più sei, più fai, più hai. Avere ed Essere sono la stessa cosa ma su piani diversi dell‟esistenza.» La scoperta che Essere è già Avere, e che l‟Essere guida l‟Avere e ne è la vera causa, ebbe l‟effetto di una esplosione che buttò all‟aria, per sempre, idee e convizioni di una vita. Questo fu uno di quegli shock del pensiero che hanno avuto la forza di modificare il mio destino. Il discorso del Dreamer si fece denso, intenso. Tirai fuori il mio taccuino e lì, per la strada, cominciai a prendere appunti. Mentre la mano scorreva veloce sui fogli, raccogliendo ogni Sua parola, memorizzavo e ripetevo a mente le frasi che non riuscivo a riportare per tempo sul taccuino. Temevo di perdere anche una sola molecola della comprensione di quel momento. Sarebbe stato irrimediabile. Riallacciandosi al discorso iniziale, mi disse che l‟incontro che stavo per avere a Parigi poteva equipararsi alla visita ad un elegante negozio di abbigliamento o a una famosa gioielleria. L‟importante non era comprare gli abiti che abbiamo provato né i gioielli più preziosi che ci hanno mostrato, ma essere „riconosciuti‟ dall‟Essere, dall‟invisibile di quel negozio... Mi spiegò che l‟importante era che quel mondo... che quella fascia dell‟esistenza ci dicesse „sì‟. «È vero, non uscirai con quell‟orologio prezioso al polso, e quel capo non sarà nel tuo guardaroba, ma avrai allenato le capacità per possederli… Lo stile è coscienza… Allena l‟Essere… Ogni tuo sforzo per entrare in fasce più ricche dell‟esistenza ti serve a sconfiggere il tuo senso di scarsità. Esercitati all‟abbondanza, innalza la visione e sogna l‟impossibile, crea una „prosperity consciousness‟ che è la vera origine di ogni ricchezza e la condizione per poterla mantenere.» «Il denaro si fabbrica dentro − disse quella volta il Dreamer − Sogna, visualizza costantemente l‟armonia e il successo, e li otterrai. Il denaro sarà solo una conseguenza naturale.Allora arriva senza sforzo… Allora non avrai mai paura di perderlo… Il denaro 406

La Scuola degli Dei deve arrivare da solo, naturalmente, per effetto della tua prosperità interna… allora lo sentirai crescere e scoppiettare in tasca, come popcorn…» Dovendo incontrare questa volta un maestro dello stile, oltre che businessman, il Dreamer si raccomandò particolarmente che il mio abbigliamento fosse all‟altezza dell‟occasione. «Il gusto è coscienza» mi disse mentre insieme camminavamo in Via dei Condotti e ascoltavo le istruzioni per quell‟incontro a cui il Dreamer dava un‟importanza straordinaria. Dovevo scegliermi un vestito e mentre passavamo davanti alle vetrine delle più prestigiose griffe del mondo, il Dreamer mi fece osservare la bellezza, l‟eleganza, lo stile, la cura di ogni dettaglio che faceva di quei negozi, di quelle imprese e dei fondatori che le avevano create l‟epitome planetaria dell‟arte del vivere. «Solo apparentemente lo scopo di entrare in un negozio è quello di comprare un oggetto o un vestito − disse il Dreamer − È soltanto un alibi. In realtà quello che veramente compri è coscienza.» Entrammo nelle boutique più eleganti, visitai con Lui le agenzie immobiliari più importanti, gioiellerie e negozi esclusivi. Ci presentarono le proprietà, le collezioni di abiti, gli oggetti più preziosi; ed ogni volta il Dreamer mi fece notare che le attività che avevano raggiunto il top a livello mondiale avevano tutte un denominatore comune: l‟attenzione. L‟attenzione al più piccolo particolare, dall‟arredo alla qualità delle persone che vi lavoravano, la gioiosità di queste, la luminosità del loro aspetto, l‟amore che mostravano per il loro lavoro. «Quello che vedi concentrato in questa strada è la materializzazione di un grado della coscienza umana − disse, e completò con una raccomandazione − non comprare neppure uno spillo al di sotto di questo livello di cura, di attenzione, di amore.» Gli assicurai che non avrei chiesto di meglio ed osservai che a tutti avrebbe fatto piacere di servirsi soltanto in quei negozi, di circondarsi di quella bellezza, di quella ricchezza. Fu allora che ricevetti una delle Sue più memorabili lezioni. «Like attracts Like − enunciò il Dreamer − un uomo incontra sempre se stesso e sceglie se stesso. Tutto corrisponde perfettamente al suo grado di attenzione.» «Ed il denaro? − chiesi − non è questo che fa la differenza tra quello che si può avere e non avere?» 407

Il Gioco «La coscienza è denaro! − affermò il Dreamer − È l‟Essere che decide l‟avere. Un uomo può avere solo il denaro che è capace di sognare, di visualizzare, di immaginare… Quando avrai fatto un lavoro sull‟Essere, quando l‟avrai semplificato, arricchito, sublimato in ogni angolo, l‟abbondanza, la prosperità, la bellezza, ti corrisponderanno. Questo si chiama „coscienza di prosperità‟. Il denaro per permetterti tutto questo verrà da solo, per caduta, come una semplice conseguenza del tuo innalzamento.» «Gli oggetti hanno un‟anima − continuò il Dreamer − Apparentemente siamo noi a sceglierli, ma in realtà sono gli oggetti che scelgono chi può possederli. Le cose sanno con chi andare e chi abbandonare… Puoi possedere solo ciò di cui sei responsabile… Non essere distratto dalla scarsità. Dai tutta la tua attenzione, al Sogno, ai beni inalienabili che sono diritto di nascita di ogni uomo: integrità, bellezza, libertà, felicità, intelligenza, amore, verità. Disegna dentro di te la ricchezza, l‟eleganza, il gusto, lo stile.» Intanto il nostro shopping continuava ed io cominciavo ad essere molto più disteso. L‟incontro di Parigi non mi preoccupava più. Ero un bambino in un grande Luna Park. Notai che dovunque entrasse il mondo s‟inchinava. Un clima di leggerezza si diffondeva intorno. Il Dreamer arricchiva l‟aria di generosità, di potere, e tutti lo sentivano. Con Lui accanto il mondo celebrava ed offriva il meglio di sé. «Chi è padrone di se stesso governa il mondo. Il mondo lo riconosce ed è felice di servirlo. Ognuno di questi negozianti è in realtà un guardiano dell‟invisibile» mi rivelò il Dreamer avvicinandosi al mio orecchio mentre un nugolo di commessi partiva in tutte le direzioni per soddisfare le Sue richieste. Quando avrai superato i limiti e gli ostacoli interni... quando avrai eliminato il dubbio e la paura che ancora te ne separano, tutto il mondo sarà informato del tuo passaggio a quella fascia dell‟esistenza. Il mondo sa tutto di te!» Un fiume di gente ci scorreva accanto; da un braccio di cielo, racchiuso tra i cornicioni di palazzi patrizi ed il verde dei terrazzi, un raggio di sole, sottile come un laser, tra tutti scelse noi. Imitai il Dreamer e sollevai il volto, per accoglierlo. Con gli occhi socchiusi restai lì, con Lui, per attimi eterni, ad ali spiegate, come farfalle trafitte da un ago d‟oro. 408

La Scuola degli Dei 15 Il Replay Scoprii presto che la parte più interessante del „gioco degli Incontri‟ veniva dopo. Mi spiego. Una volta avvenuto un incontro c‟era da lavorare per giorni sull‟infinito materiale che ne era scaturito. Il Dreamer sceglieva accuratamente sequenze di immagini, frammenti di colloqui; come spezzoni del film della mia vita, me ne mostrava poi i fotogrammi, uno ad uno, sotto la luce di una sincerità spietata. Pensieri, emozioni, atteggiamenti avuti in quell‟occasione, ogni più piccolo dettaglio finiva sotto la Sua lente di ingrandimento. Una smorfia del viso, una inflessione nella voce, un‟accelerazione del cuore, un sussulto dell‟anima, un movimento del corpo, una reazione meccanica, una smorfia ricorrente, una meschinità nascosta nel linguaggio, nel comportamento, nelle emozioni; il modo in cui mi ero presentato, come mi ero seduto, un dettaglio del mio abbigliamento... Nulla Gli sfuggiva. Ed anche a distanza di mesi, o di anni, se la Sua impeccabile pedagogia l‟avesse ritenuto necessario, era capace di ritrovare e proiettare il frammento più remoto di un incontro. Allora lo ingrandiva al microscopio per farmi vedere la pericolosità, ed a volte la catastrofe, nascosta dietro un‟inezia. Con Lui scoprivo la trappola mortale tesa dietro la tranquilla, apparente normalità di un gesto o di una parola, e ne vedevo i crudeli meccanismi pronti a scattare per imprigionarmi. Questo lavoro straordinario non fu indolore; fu anzi, spesso, insopportabilmente penoso, ma ebbe la forza di far deragliare il mio destino dai binari tracciati dalla ripetitività e dalla disattenzione, e lo cambiò per sempre. Devo dire che nel corso di queste operazioni, regolarmente affioravano le mie resistenze ed i pregiudizi più inveterati, insieme alla zavorra psicologica accumulatasi per anni. Tutte le volte mi aggrappavo a qualche brandello del passato, a qualche fantasma, e lo difendevo, temendo di vederlo sparire. Qualcosa in me non voleva venire allo scoperto, si nascondeva. C‟era ancora tanto marciume che non volevo vedere. E tutte le volte il Dreamer si trasformava in un cacciatore implacabile, capace di braccare un‟ombra dell‟Essere per mesi, fino a stanarla e a eliminarla per sempre. Una volta mi trovavo all‟Hotel Maurice di Rue de Rivoli. Attraversavo la hall per andare incontro ad un uomo d‟affari che mi 409

Il Gioco attendeva. Per un attimo tra noi si interpose una donna, giovane ed attraente, che catturò la mia attenzione. Fu un attimo. Quel movimento della testa, il mio sguardo che per una frazione di secondo aveva accarezzato il corpo di quella donna, Il Dreamer me lo fece rivedere da centinaia di angoli diversi, a distanza ravvicinata e da lontano, dall‟alto e dal basso, fino alla nausea. «Quell‟uomo − disse il Dreamer riferendosi a me e mettendomi una ennesima volta di fronte a quelle immagini − non ce la può fare. È già fallito, ancor prima di cominciare... con quel movimento ha messo la testa sul ceppo…» «La questione non è se sia giusto o sbagliato apprezzare una bella donna − continuò il Dreamer, le cui osservazioni non si intrecciavano mai con valutazioni etiche e principi morali, né potevano essere ricondotte ad un tempo o a un luogo − quel movimento della testa, l‟indulgere dello sguardo sono rivelatori di un‟assenza di determinazione… sono sintomi di una corruttibilità… Quel gesto è l‟epitome di tutta la tua vita; esso affonda le sue origini in strati e strati di disattenzione, di confusione emozionale sedimentati nei secoli.» L‟ultima delle preoccupazioni del Dreamer era di poter ferire la mia sensibilità, di mortificarmi o di produrre in me stati di frustrazione. Mi passava sull‟ego con la gentilezza di un cingolato; ma col tempo imparai a benedire questa Sua spietatezza. Scoprii che il Dreamer non era soltanto il mentore, la guida preziosa, ma anche il giustiziere inflessibile di ogni mediocrità... Egli rappresentava la totalità. «Impara a non distogliere l‟attenzione dal target da colpire… Sii vigile, impeccabile, non deviare… Chi riesce a fissare un punto senza deviare mai, né con lo sguardo né con la mente, può tutto! Ogni attimo ha un suo bersaglio da colpire… Do not miss the mark − enunciò il Dreamer − Deviare è il vero, unico peccato.» Quella volta in particolare mi sorprese in Lui un‟insolita eccitazione. Era uno scienziato di fronte all‟esito finalmente favorevole di lunghe ricerche e di innumerevoli esperimenti. Mi disse che aveva tra le mani, visibile ed osservabile, ancora guizzante, un virus dell‟anima... uno di quei crack nell‟Essere che erano la causa vera di ogni nostro fallimento... Avrei potuto vedere in faccia uno dei miei „nemici‟, uno dei sabotatori, uno dei killer che mi portavo dentro. Gli sentii aggiungere in un sussurro: 410

La Scuola degli Dei «Puoi credere che questo sia esagerato, ma in un solo movimento un uomo rivela la sua vita e il suo destino. Quell‟uomo sta denunciando la sua inaffidabilità!» Era come se stesse parlando di qualcun altro; di una spoglia che nel corso della mia mutazione mi stavo lasciando alle spalle. «L‟esistenza non punta nulla su uomini del genere… non solo non avranno di più ma perderanno anche quello che credono di avere.» Qui le Sue parole si sospesero. Ebbi l‟impressione che la Sua visione non fosse più esterna ma interna a me. Attraverso i Suoi occhi, ero io che osservavo me stesso. Ero l‟osservatore e l‟osservato, lo scienziato e la cavia, allo stesso tempo. Ebbi una vertigine del pensiero. Non so come, ma fui certo, certissimo, che quella donna, apparsa improvvisamente tra me e l‟uomo che stavo per incontrare, non si trovava a passare di là per caso ma era frutto della Sua regia. Questo pensiero, che mi aggirassi in una realtà virtuale, in una specie di film diretto dal Dreamer, mi fece tremare le gambe per lo sbigottimento. Quella che chiamavo vita era in realtà un ambiente di apprendimento totale, una Scuola a 360°. 16 Aspettarsi dal mondo Per mesi, come nell‟allenamento di un pugile che si prepara per un grande match, il Dreamer mi mandò alla ricerca di chi mi sferrasse i colpi più subdoli, di chi mi aiutasse a scoprire i punti deboli, di chi potesse farmi da specchio per riconoscere i limiti che inconsapevolmente avevo imposto alle mie possibilità e scoprire che cosa aveva guidato fin lì tutta la mia vita. Commentando ogni incontro, esaminando ogni sua fase, ogni minuzia, il Dreamer mi aiutò a focalizzare l‟attenzione, a sviluppare l‟autosservazione, e a conoscermi. Penetrando sempre di più nelle regole del „gioco‟, smisi di vedere gli altri come una realtà separata da me e cominciai a percepirli come i gradini luminosi, insostituibili, di una scala invisibile, di una via verticale all‟unità dell‟Essere. Incontro dopo incontro, verificai qualcosa di incredibile, qualcosa che il Dreamer mi aveva svelato ma che era troppo lontano dalla visione ordinaria per poterlo accettare. 411

Il Gioco «Cerca, cerca qualcuno che sa − disse − e scoprirai che nessuno sa nulla!» Mi sconcertò scoprire che uomini rispettati, leader acclamati, signori dall‟aspetto grave, intelligente, con titoli e cariche prestigiose, non avevano alcuna idea di dove stessero andando; guidavano gli altri come il cieco immortalato da Brueghel. In alcune occasioni caddi nell‟inganno di crederli felici, consapevoli o liberi, e mi convinsi che qualcuno di quegli ammalati dell‟ego, di quei prigionieri dei ruoli, avesse una vita invidiabile. Dimenticato il reale, il mondo delle apparenze mi corrompeva, mi comprava; allora venivo affascinato dal potere di quegli uomini o donne, dalla loro ricchezza, dalle loro capacità. Allora la descrizione del mondo prendeva il sopravvento e restavo invischiato con tutto il mio Essere. Una volta ritornai da un lungo viaggio, scoraggiato, senza un briciolo d‟energia e con addosso un senso di sconfitta. Ricordo che quell‟incontro mi aveva fatto toccare con mano i miei limiti e mostrato la corruttibilità, la disattenzione, e quanto poco ancora bastava per sentirmi umiliato, offeso, avvilito. Il Dreamer mi spiegò che mi sentivo così perché ancora incontravo gli altri con un‟aspettativa; ancora nutrivo in qualche angolo della mia immaginazione l‟illusione che qualcuno potesse aiutarmi, eleggermi. Ancora troppo spesso, specialmente all‟inizio di quel „lavoro‟, provavo ad aggrapparmi a qualcuno; ancora incontravo gli altri cercando in loro quella fiducia che mancava in me. Per il Dreamer questo era il segno più evidente della mia vulnerabilità e la ragione per cui non poteva ancora affidarmi nulla. «Queste non sono sconfitte − talvolta mi incoraggiava il Dreamer − sono soltanto indicazioni di cosa e quanto c‟è ancora da fare… Il „gioco‟ è diretto a farti realizzare che non c‟è nessuno da invidiare o a cui chiedere aiuto; che non sei tu a dipendere dal mondo, ma è il mondo che chiede a te chiarezza e direzione. La realtà è una creatura del Sogno.» Annotai accuratamente le avvertenze del Dreamer sull‟aspettativa e per mesi ci lavorai su. Osservai e studiai i momenti in cui scattava, le forme che assumeva, ed i mille trucchi che escogitava per sfuggire alla mia osservazione. «Mantieniti libero interiormente! − mi suggeriva instancabilmente − Smettila di essere reattivo! Reagire al mondo significa diventarne vittima… Chi si „aspetta‟ dal mondo ha già 412

La Scuola degli Dei perso. Il più grande segreto è sapere che tutto il mondo è al tuo servizio per migliorarti; è realizzare che ogni cosa, evento o circostanza, è cibo, nutrimento, propellente per il tuo viaggio. Solo apparentemente eventi e uomini sono lì per ostacolarti ed impedirti di andare oltre. Chi „vede‟ sa che il mondo è una palestra dell‟Essere dove agire e recitare, dove provare e riprovare, finché la recita dell‟esistenza non risulterà impeccabile; dove allenare i muscoli della responsabilità fino a diventare più integro, più libero. Prima o poi ogni uomo dovrà incontrarsi con tutto quello che serve a bilanciarlo e completarlo.» «Accelera! − il Dreamer non si stancava di spronarmi − Cerca altri incontri, crea ogni occasione per tamponare le falle, per eliminare le incomprensioni, per „saldare i conti‟ con il passato.» 17 “Questo libro è per sempre!” «Scrivi! − mi ordinò bruscamente il Dreamer − Se scrivi la tua vita non sarà stata inutile... » «Ascolta!… e scrivi!… − mi ordinò nuovamente, irrompendo nei miei pensieri e spazzando via d'un colpo la melma emozionale che aveva portato a galla − Scrivi un libro che sia per sempre… un giorno saprai che la tua vita ha avuto significato solo per questo… Un libro che può essere letto solo da chi è già pronto, da chi è già in cammino verso uno stato di guarigione, da chi ha già messo in discussione la vecchia descrizione del mondo, conflittuale, mortale. Scrivi un libro coraggioso, che racconti fedelmente tutto quello che hai vissuto accanto a Me. Che faccia capire al mondo che il Sogno è la cosa più reale che ci sia. Un libro che elimini tutta la superficialità e la menzogna, e scuota dalle fondamenta le convinzioni più radicate dell'umanità. Scrivi un libro che porti alla luce le leggi universali seppellite nell'Essere di ogni uomo.» Ripresi di corsa il mio taccuino e nella semioscurità, senza quasi vedere nulla, cominciai a scrivere freneticamente le parole che conclusero la Sua visita a Seven Oaks. «Questo Libro sarà avversato ed incontrerà nell‟establishment e nella moltitudine i più feroci antagonisti. Eppure, allo stesso tempo, devi credere che raggiungerà quella 413

Il Gioco parte dell‟umanità dell‟ordinarietà.»

414

pronta

ad

evadere

dagli

inferni

La Scuola degli Dei CAPITOLO X

La Scuola 1 La Visione verticale «Una specie umana del tutto trasformata sta per apparire sulla scena», annunciò il Dreamer. Nei Suoi occhi brillava la vita nella sua pienezza. Provai un‟eccitazione insolita. Per raggiungerLo avevo fatto un lungo viaggio con scalo a Buenos Aires e poi a Bogotà. Da qui un minuscolo aereo mi aveva trasferito in una piccola città annidata su un altipiano, a 2300 metri. La Casa del Pensamiento, la solitaria costruzione di bambù dove stava avvenendo il nostro incontro, era circondata a perdita d‟occhio dal verde intenso di cime maestose. Nessun luogo avrebbe potuto sostenere con più assorta partecipazione parole così intense. Arcani organi di civiltà perdute erano in ascolto. Nell‟aria ancora palpitavano i loro miti: la leggenda di Eldorado, le storie di guerrillas, di cocaina e di smeraldi, fino ai misteri della Ciudad Perdida. La Sua voce mi sottrasse alle mie fantasticherie etnografiche. «L‟uomo nuovo ha infranto il vecchio involucro, ha bucato il bozzolo mentale che da millenni imprigiona la vecchia umanità» disse con l‟enfasi di uno scienziato che vede dimostrata l‟ipotesi a cui ha lavorato per anni, ed in cui egli solo ha creduto. L‟elemento distintivo, la caratteristica evolutiva della nuova specie era un evento nuovo sotto il sole, una vera rarità cosmica: la nascita nell‟uomo di un apparato psicologico libero dalla paura e dalla conflittualità. Questa caratteristica senza precedenti, come uno spartiacque mentale, stava producendo nell‟Homo Sapiens una vera e propria speciazione. Il genere umano era di fronte ad un bivio della 415

La Scuola sua evoluzione e due umanità, fortemente distinte, stavano delineandosi e allontanandosi l‟una dall‟altra. Gli uomini avrebbero continuato a chiamarsi uomini per chissà quanto tempo ancora ma da questa scoperta in poi sarebbero per «La vecchia umanità, intrappolata in una visione piatta della realtà, vede solo attraverso il gioco degli opposti… percepisce e sente solo attraverso polarità, antagonismi e contrapposizioni», recitò il Dreamer rivolgendosi verso un punto dell‟orizzonte. Ebbi l‟impressione che, più che parlare a me, stesse assolvendo un rito noto a Lui solo. Seguii il Suo sguardo e mi sembrò che individuasse tra tutte una valle dove più profondamente precipitava il giogo dei monti lontani. Là, da civiltà più antiche dei Maya e degli Aztechi, era nata la scintilla intelligente che ora faceva brillare gli occhi scuri del Dreamer. «Vision and reality are one and the same thing» enunciò, richiamando uno degli statement più emblematici, forse l‟abbreviazione stessa della Sua filosofia. «L‟uomo orizzontale ha una visione conflittuale del mondo e questa è la causa prima di ogni sua sciagura… La storia della sua civiltà è il riflesso fedele di una psicologia frammentata… una storia di guerre e distruzioni… Perfino la sua scienza, l‟attività di cui più è orgoglioso, non è che il prodotto della frizione tra due concetti antagonisti… bene e male, vero e falso, bello e brutto… come una scintilla che ancora nasce dallo strofinio di due selci tra le mani di un selvaggio.» Il Dreamer continuò spiegandomi che l‟umanità ordinaria ancora usava un apparato visivo arcaico. Come rane, che non possono percepire il mondo se non come un movimento di ombre, così gli uomini della vecchia specie non possono conoscere che attraverso il contrasto, attraverso la comparazione di elementi contrapposti. La loro logica è conflittuale, la loro visione del mondo è tuttora il rudimentale risultato di un gioco dei contrari. «La caratteristica distintiva dell‟uomo nuovo è la consapevolezza dell‟illusorietà degli opposti − affermò il Dreamer − Quelli che la vecchia umanità considera opposti sono in effetti le due facce della stessa realtà, come le due estremità dello stesso bastone… Bene e male, vero e falso, bello e brutto, non sono opposte modalità dell‟esistenza, ma gradi, livelli del reale… Dietro gli apparenti antagonismi agisce incessantemente una forza 416

La Scuola degli Dei armonizzatrice capace di fonderli e ricondurli ad un ordine superiore.» Il fatto antropogenetico, la caratteristica rivoluzionaria che il Dreamer stava rivelandomi, era la comparsa in alcuni individui di un senso nuovo e sovversivo che chiamò „visione verticale del mondo‟. Provai una vertigine del pensiero. Mi strinsi forte alla balaustrata di bambù finemente levigata dal vento dei Muiscas ed incisi nel cuore il Suo incredibile racconto. «A questi primi esemplari, campioni di una nuova umanità, la realtà non appare più univoca, illusoriamente definita da polarità e contrapposizioni, ma fatta di livelli. Al loro nuovo senso, l‟universo non si presenta più diviso in opposti ma risulta fatto di livelli, strati di realtà. Qualcosa non è vera o falsa ma allo stesso tempo vera e falsa, né vera né falsa, né non vera né non falsa… » Annotai accuratamente le Sue parole, anche se la loro comprensione tardava a farsi strada in me. Mi soccorse un Suo esempio sulla più classica delle antinomie, quella che contrappone il bene al male. Diversamente da quanto appare ad una visione ordinaria, orizzontale del mondo, non esiste qualcosa che di per sé, oggettivamente e permanentemente, sia bene o male. «Il male di oggi è il bene di ieri che non è stato trasceso» dichiarò, e restò ad osservarmi mentre trascrivevo le Sue parole, come faceva quando voleva essere certo che fossero riportate con assoluta precisione. Prolungò quella pausa ancora un poco, poi scandì: «Quello che un uomo nella sua vita indica come male, è il suo indulgere nel bene di ieri. Yesterday‟s perfection is but a stepping stone towards a new perfection.» «Ma bisogna ammettere − sostenni, nel tentativo di mantenere in piedi qualche brandello delle mie certezze − che almeno un‟antitesi c‟è di sicuro… la vita e la morte sono realtà antitetiche… due veri opposti.» «Così le vede l‟uomo orizzontale», concesse il Dreamer. Poi abbassando il tono della voce ed avvicinandosi, come per confidarmi un segreto, disse: «In realtà la morte non esiste… Siamo fatti per vivere per sempre! La prova più evidente dell‟onnipotenza dell‟uomo è nel suo potere di rendere possibile l‟impossibile: la morte… Il corpo è indistruttibile. Soltanto l‟assenza di volontà… una volontà 417

La Scuola involontaria, un‟onnipotenza inconsapevole, può distruggerlo. La morte è l‟immortalità vista di spalle!» Ascoltavo e tremavo. Ero una creatura sospesa sul ciglio dell‟abisso nell‟attimo che precede il salto che è allo stesso tempo la sua fine e la sua rinascita. Fu allora che pronunciò le parole che avrebbero guidato ed impegnato ogni attimo della mia vita. «Occorre educare le cellule di questa nuova umanità, una per una. L‟armonizzazione deve avvenire in ogni uomo − disse con intensità − In economia come in politica, occorre preparare una nuova generazione di leader, un‟aristocrazia decisionale… uomini e donne che conoscano „l‟Arte del Sognare‟, l‟Arte del Credere e del Creare.» 2 Una Scuola per sognatori pragmatici «Occorrono fucine di uomini visionari» annunciò deciso il Dreamer. Dalla stretta che sentii allo stomaco seppi che quelle parole stavano imprimendo un‟ulteriore accelerazione al nostro incontro. Il tono era quello di un comando senza replica rivolto non a me ma ad un invisibile esercito pronto a marciare ai Suoi ordini. «Occorrono scuole nuove − continuò il Dreamer trasmettendomi quella chimica febbrile che accompagna i grandi eventi quando il loro tempo è arrivato − Occorrono scuole di preparazione per uomini capaci di portare soluzione… scuole per uomini solari, „Sognatori pragmatici‟… » Questa espressione mi penetrò nella carne con la forza di un paradosso evangelico. In futuro, negli anni che avrebbero visto la costruzione della nuova università, l‟avrei adottata in tutti i documenti ufficiali e nelle conferenze, per annunciarne la missione. Ma già da quella prima volta, ascoltandola, fui certo del suo misterioso potere… „Sognatori pragmatici‟… Ecco la definizione più sintetica e potente di quell‟esercito luminoso che il Dreamer mi stava chiedendo di mettere insieme: migliaia di ragazzi e ragazze, studenti speciali, innamorati del loro Sogno senza frontiere. „Pragmatic Dreamers‟. Per lunghi momenti indugiai su queste due parole, opponendole mentalmente e gustando la complicità che faceva capolino dietro il loro apparente antagonismo. Poi il sottile solletico della loro 418

La Scuola degli Dei razionalità paradossale smise, ed esse si fusero in una unità senza tempo. . « …Essi saranno i leader di un nuovo esodo − proseguì il Dreamer − un „esodo psicologico‟ di proporzioni planetarie… Migliaia di uomini e donne abbandoneranno la schiavitù della loro logica conflittuale in cambio di una visione verticale del mondo fondata sulla capacità di armonizzare gli antagonismi interni… » Scrivevo le Sue parole tenendo il taccuino appoggiato alla ringhiera di bambù. La Casa del Pensamiento era un‟arca perduta nell‟oceano vegetale che si estendeva a perdifiato, fino ad infrangersi lontano, ai piedi di andini giganti di pietra. «Solo leader visionari… uomini liberi da ogni ideologia o superstizione − disse − potranno traghettare l‟umanità dalla sponda psicologica dell‟uomo ordinario, debole, irascibile e bigotto, a quella dell‟uomo nuovo, integro, ispirato ai princìpi di una spiritualità laica.» Qui il Dreamer arrestò il Suo discorso ed io ne approfittai per riordinare gli appunti raccolti. Ero chino sulle pagine quando sentii su ogni centimetro quadrato del mio corpo una crescente pressione, come l‟abbraccio verde e pericoloso delle acque del Castello Aragonese, dopo un tuffo, nella mia infanzia ischitana. Lentamente sollevai il capo. Il Dreamer si era avvicinato fino a pochi centimetri. Mi trovai prigioniero, catturato dai Suoi occhi, come un asteroide entrato nell‟orbita di due lune nere. Il silenzio tra noi si fece solenne… Il Dreamer stava avvicinandosi ancora… e ancora… Ogni pensiero si sospese. Vidi teorie di navate gotiche rincorrersi senza fine ed ascoltai la musica di organi secolari. Una commozione incontrollabile mi serrò la gola mentre risuonavano le parole che avrebbero dato significato alla mia vita. «Fonderai una Scuola dell‟Essere − annunciò − un‟università per chi ha un sogno da realizzare… dove si insegna che il Sogno è la cosa più reale che ci sia… che ciò che l‟uomo chiama realtà non è altro che il riflesso del suo Sogno.» Mi sentii perduto come all‟aprirsi della botola sotto i piedi di un condannato. Semmai avessi avuto bisogno di un test per scoprire i limiti del mio Essere, per toccarne le pareti, quelle parole del Dreamer sarebbero state più che sufficienti. La vastità di quel compito mi stava schiacciando ancora prima di cominciare. Stavo venendo meno solo al pensiero di una tale impresa. 419

La Scuola «Creerai una Scuola della responsabilità, una Scuola per sognatori pragmatici, filosofi d‟azione, dove si apprende che la felicità è economia… che la ricchezza, l‟armonia e la bellezza sono diritto di nascita di ogni uomo… Creerai una Scuola che non avrà fine… A School for Gods… Essa avrà il Mio passo, il Mio respiro. Non temere nessun attacco. Ogni attacco, anche il più feroce, è un dono prezioso per chi vuol capire e cambiare. Un attacco dal mondo esterno può solo arrivare come un processo di guarigione che tu stesso hai sognato e messo in atto» Il Dreamer tacque ed attese. Da buon musicista, stava dandomi lo spazio per esprimermi. In quella nostra solitaria jam session era tempo di suonare qualcosa di mio. Il tempo scorreva ed io tergiversavo nell‟irragionevole speranza di poter eludere il Suo invito. Ma il silenzio del Dreamer si fece ancora più stringente. Avrei voluto gridare la mia insufficienza di fronte alla vastità di quel disegno ed allontanarlo da me. Mi feci forza, ma la voce non andò oltre un balbettio: «Mi sembra una Scuola di filosofia» riuscii a dire, implicando che era al di fuori delle mie capacità. «E allora? − mi schernì familiarmente, il Suo tono era divertito, benevolmente ironico − Una scuola di economia è una scuola di filosofia!… Tu „dovresti‟ saperlo!» C‟era nelle Sue parole, nel Suo sorriso, nel tono, un ammiccamento, una innocente malizia che ispirava complicità. Qualcosa di importante era lì, ai confini della memoria, ed io non riuscivo a catturarla. Intanto il Dreamer si avvicinò ancora, impercettibilmente, lo sguardo fisso nei miei occhi, senza battere ciglio. D‟improvviso, come al rompersi di una membrana, il passato si sgravò dei ricordi. Il nastro del tempo si riavvolse; sullo schermo della mente cominciarono a scorrere fotogrammi lontani… Rividi gli anni di studio e di lavoro all‟Università di Napoli al fianco di Giuseppe Palomba, il maestro amato che mi aveva introdotto alla scoperta dei valori morali e delle idee come i grandi motori dell‟economia; e mi aveva stimolato a ricercare nel loro inaridimento la vera causa di ogni scarsità e le ragioni del sottosviluppo di intere regioni del pianeta. Anche gli anni trascorsi alla Cattolica di Milano ed alla London Business School mi attraversarono la mente, non in successione, ma in un‟unica esplosione di immagini, di visi, di sensazioni, di odori, di stati d‟animo. La sede della facoltà di Economia, il cubo di travertino 420

La Scuola degli Dei affacciato sul mare di Santalucia, si trasferì sul prato inglese della LBS in Regent‟s Park… Lo studio disperato di quegli anni riunì in una sola tutte le Scuole del passato… i maestri… i compagni… l‟aula magna, la lode. Rividi la commozione di Giuseppe e Carmela, il Tissot d‟oro… la gioia per la borsa di studio della Fondazione Giordani che mi apriva le porte della Columbia University… Poi, improvviso così com‟era insorto, quel caleidoscopio di immagini cessò; lo scenario cambiò. Mi rividi in una pausa delle lezioni alla LBS: ero poco più di un ragazzo. Fantasticavo, sdraiato sotto un albero, osservando le nuvole che solcavano il cielo del campus. Un sogno dimenticato cominciò lentamente a riaffiorare… Quella Scuola senza frontiere… l‟Università di cui mi stava parlando il Dreamer… le sue sedi aperte in tutto il mondo, ed i volti di migliaia di studenti che vi avrebbero studiato… li avevo già sognati… La voce del Dreamer mi distolse: «Ricordi quel sogno ad occhi aperti? È tempo di realizzarlo! È tempo di creare una Scuola per sognatori, dove i giganti dell‟economia ameranno insegnare.» Quelle parole, che negli anni seguenti avrei letto mille volte, stavano contagiandomi, conquistandomi, innamorandomi. Esse mi avrebbero sostenuto e dato forza nei tanti momenti di difficoltà che avrei incontrato nel corso di quell‟impresa. «Tutto ciò che conta ed è reale in un uomo è invisibile . Così in economia. C‟è una verticale all‟asse dell‟economia, un piano di ordine superiore, un mondo delle idee e dei valori morali da cui i fatti economici dipendono.» Mi fece rilevare come, ancora oggi, condizioni di sottosviluppo e di stagnazione economica sono associate a un sistema di valori di tipo arcaico. Queste condizioni di sottosviluppo sono soltanto l‟altra faccia di un problema che nelle economie evolute si manifesta attraverso fatti patologici e malattie sociali. «È quindi nel mondo invisibile delle idee, dei valori ideologici e morali, della filosofia e del linguaggio, che troviamo l‟origine, il motore dei fatti che si proiettano visibilmente nel mondo dell‟economia e del business. …Oltre le piramidi dell‟industria… oltre i grattacieli della finanza… dietro tutto quello che vedi e tocchi, dietro tutto quello che di utile, di bello, di vero ha conquistato l‟umanità… all‟origine di 421

La Scuola ogni intuizione, di ogni raggiungimento scientifico… c‟è sempre il Sogno di un uomo… di un individuo… All‟individuo, alla sua preparazione, dedica ogni tuo respiro! Mettilo al centro di ogni attenzione. La massa è un fantasma… un meccanismo influenzato da tutto ed ogni cosa… Non ha fede, non ha una volontà propria… non può creare… E, difatti, non ha mai creato nulla. La sua funzione, la ragione della sua esistenza, è distruggere. L‟individuo e la folla sono le due facce di una stessa realtà, i pistoni di uno stesso motore. L‟individuo crea, la folla distrugge. Sta a te decidere a cosa appartenere. L‟individuo è l‟unica realtà… è il sale della Terra.» Per il Dreamer le uniche limitazioni sono nell‟Essere. Povertà e guerre sono il riflesso di una coscienza di scarsità, di una logica conflittuale. Saranno cancellate dal pianeta solo quando le avremo sradicate dall‟individuo. «Fonda una Scuola per individui, una Scuola senza confini… Raccogli i sognatori di tutto il mondo… senza distinzione di nazionalità, di colore, di credo, di censo… Una Scuola dove il soggetto più importante da studiare è se stesso, dove la capacità di fare e di agire sono il risultato più concreto dell‟amarsi dentro.» Le Sue parole fluivano veloci ed io stentavo a registrarle. Più che parlare, il Dreamer stava dettando. Quando me ne accorsi, sentii aprirsi una ferita. Mi sentii umiliato… mi stava trattando come un amanuense. Una punta di risentimento, il brontolio di una lamentela cupa e muta, montarono dalla melma dell‟Essere senza che potessi farci nulla. Più di ogni cosa, mi esasperava quella Sua totale mancanza di riguardo per lo sforzo cui mi stava obbligando per tenerGli dietro. Sembrava che lo facesse apposta… «Smettila e scriviii!» ordinò con voce terribile il Dreamer, interrompendo all‟istante quel corso di pensieri e la sequela di stati d‟animo in cui stavo avvitandomi. Quell‟urlo del Dreamer arrivò provvidenzialmente ad afferrarmi sull‟orlo della china, mentre già scivolavo nella acque stigie dell‟autocommiserazione, dell‟accusa, della lamentela. «Scrivi!» ripeté. La Sua voce si era ridotta ad un sibilo ancora più terrificante dei Suoi urli. «Questo libro è per sempre! Un giorno saprai che la tua vita ha avuto un senso solo perché hai incontrato Me, che scrivere le Mie parole è la sola ragione per cui sei nato.» 422

La Scuola degli Dei Questo intervento del Dreamer ebbe la forza di liberarmi. In un istante mi sentii terso e leggero, come un cielo d‟estate spazzato dal maestrale. Come sempre, le bacchettate del Dreamer erano terapeutiche; avevano il potere di eliminare la zavorra, di spazzare via dall‟Essere ogni inquinamento. Intanto aveva ripreso il Suo discorso, in un normale tono di voce. «Le scuole e le Università della prima educazione, anch‟esse insegnano a sognare» disse, e lasciò trascorrere una breve pausa. Poi in tono amaramente ironico aggiunse: «Ma il Sogno che proiettano è la scarsità… il loro insegnamento è la dipendenza, il dubbio, la paura, il limite… Dietro la maschera della loro presunta erudizione, nascondono il dolore ed un canto incessante di sconfitta.» Ora non stava più rivolgendosi a me, ma a generazioni di futuri studenti, oltre l‟illusoria barriera del tempo. Le sue idee potenti e rivoluzionarie stavano plasmando la missione della Scuola, il suo destino, scorrendo come linfa nelle sue radici. «Ogni conoscenza proveniente dal mondo esterno, dagli altri, qualunque teoria o metodo, può essere una base di partenza, ma dovrà essere abbandonato per poter andare oltre e raggiungere un più alto livello di intelligenza. È tempo di lasciarsi alle spalle ogni insegnamento, ideologia, disciplina, libro o idea, ogni parola scritta, e tuffarsi nelle acque profonde del Sé, alla ricerca della verità, della propria unicità. Solo in questo modo potrai superare ogni ostacolo, liberarti da ogni ipnotismo, diventare padrone di tutto e ogni cosa.» 3 Il sogno del Sogno Il Suo discorso andò ancora avanti ed io non lo interruppi se non per qualche breve chiarimento. Pensieri portanti, pietre angolari di una costruzione straordinaria, come tessere di un mosaico, stavano connettendosi davanti ai miei occhi configurando una visione di respiro planetario. Mi disse che le Scuole dell‟Essere sono sempre esistite ma sono rimaste sconosciute. Il clima politico, il momento storico, quasi sempre non ne ha consentito la manifestazione. Fra le altre storie, mi affascinò il racconto della Fabbrica di Notre Dame e della sua vera 423

La Scuola missione nascosta dietro il „pretesto‟ di realizzare quella meraviglia. Pendevo dalle sue labbra mentre mi raccontava che architetti, artisti e scultori, le maestranze e perfino i manovali, erano tutti studenti di quella straordinaria Scuola. Sognai ad occhi aperti di quell‟impresa fatta da uomini in cammino verso l‟integrità; studiosi, ricercatori della propria indivisibilità. «In quella costruzione, ogni dettaglio, ogni pietra parla della Scuola e ne rivela le leggi» compendiò il Dreamer. Realizzai che Notre Dame, e i grandi capolavori di tutti i tempi, erano la materializzazione dell‟eternità, la punta dell‟iceberg del vero „lavoro‟ di Scuole immortali. Progressivamente, come per gli scatti in successione di uno zoom, quella visione si dilatò e realizzai che il compito che il Dreamer mi stava affidando era solo il tassello di un più vasto progetto. La creazione di un‟Università che avrebbe sovvertito dalle fondamenta l‟educazione tradizionale del pianeta, era soltanto il frammento di un disegno straordinariamente più grande. Qual‟ era dunque il Sogno del Dreamer? Non riuscivo neppure a concepirlo… Cosa poteva essere? La mia immaginazione raggiunse il suo limite e si arrestò davanti alla spada fiammeggiante di un Cherubino… Io sogno, Io sono… Se, come Lui mi aveva insegnato, il Sogno ci misura; e se nessuno può nutrire un Sogno più grande di sé, chi era allora il Dreamer? Se portare una rivoluzione capace di incendiare il pianeta da un capo all‟altro, sovvertendone la visione, e l‟annuncio dell‟uomo „verticale‟, erano soltanto un passo del Suo cammino, chi era quell‟Essere? Qual era il Suo Sogno? «Che cos‟è?» domandai, senza neppure precisare cosa. Il Dreamer lasciò trascorrere un tempo interminabile. Ancora trattenevo il respiro quando, accostatosi al mio orecchio, sussurrò: «Il „sogno del Sogno‟ è sconfiggere la morte… e prima ancora ciò che l‟ha resa possibile, l‟idea della sua invincibilità…» A quelle parole sentii una leggera vibrazione sottopelle, un‟estasi. Quel Sogno abbatteva confini millenari e si sospingeva laddove l‟uomo non aveva mai osato arrivare, neppure con l‟immaginazione. Anche soltanto per sostenerne l‟annuncio, dovetti dare fondo ad ogni mia capacità e far ricorso alla preparazione di anni trascorsi alla Scuola del Dreamer.

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La Scuola degli Dei 4 Il paradiso portatile Intanto il Dreamer aveva mantenuto la Sua posizione e mi era così vicino che potevo sentirne il respiro. Ad un tratto Gli vidi annusare l‟aria intorno a me. Lo fece prima discretamente e poi sempre più platealmente. Finché non potei nascondermi oltre l‟evidenza: il Dreamer mi stava fiutando. Un imbarazzo incontenibile mi invase quando sul Suo viso vidi disegnarsi una smorfia di disgusto, come se avesse scoperto in me la fonte di un odore nauseante. Sentii come una fiamma divorarmi fino alla radice dei capelli. Finché dal sorriso malizioso che sostituì sul Suo viso quella smorfia capii che stava prendendomi in giro. Era una delle Sue trovate pedagogiche. Quella pantomima sulla maleodoranza dell‟Essere marchiava a fuoco l‟inaccettabile facilità con cui ancora cadevo preda di pensieri ed emozioni negative. Parlando di paradiso, quella Sua magistrale lezione sottolineò la mia opposta inclinazione a creare ed alimentare un inferno portatile. Chissà per quanto tempo ancora l‟uomo sarebbe rimasto un essere permaloso, irascibile, rissoso; per quanto ancora avrebbe coltivato e trasmesso alle generazioni quella fragilità e vulnerabilità. Queste riflessioni mi distrassero. Il Dreamer era già andato oltre. Con uno sforzo abbandonai quella zavorra e a grandi bracciate superai la distanza di luce liquida che ci separava. «Life is as you dream it. We always meet what we dream of… È inevitabile che incontriamo tutto ciò che sogniamo − disse appassionatamente − La vita è già un paradiso terrestre per chi ha costruito e alimenta costantemente in sé un paradiso portatile.» Fece una lunga pausa, poi affrontò in modo risoluto la parte conclusiva del nostro incontro. «L‟umanità afflitta dalla povertà, dalla criminalità, da infiniti conflitti, può essere guarita solo cellula per cellula… È una trasformazione alchemica che deve prodursi in ogni uomo per effetto di un capovolgimento delle convinzioni, e diffondersi per trasfusione di volontà, di luce… Solo un‟educazione individuale può farlo.» Sostenne che una tale impresa non può essere realizzata dall‟educazione di massa, da quella che orgogliosamente la nostra civiltà ancora considera come una delle più importanti conquiste della modernità. 425

La Scuola «Una Scuola per uomini liberi, dedita a scoprire l‟unicità di ogni individuo, una Scuola della responsabilità, non può essere di massa. L‟educazione di massa è una contraddizione in termini: se è di massa non è educazione, se è educazione non può essere di massa. Fai in modo che la Scuola sia accessibile a chiunque abbia un Sogno vero, sincero… Il vero passaporto per l‟ammissione è crederci follemente, con tutte le proprie forze.» 5 La verità economica più grande Il sole adorato dai Quimbaya e dai Muiscas stava scalando le vette delle lontane Cordilleras dalle cime rotonde e verdi come nei disegni di un bambino. La voce del Dreamer si librò calma e solenne su quello spazio sacro agli dei. «Crea una Scuola fondata su princìpi senza fine − mi ordinò con la solennità di un viatico − Crea una Scuola vera, viva, che non sia libresca. Al centro del suo insegnamento avrà l‟Arte del sognare.» Stava per lasciarmi. Provai una sensazione di smarrimento. L‟impresa continuava ad apparirmi immensa, al di sopra di ogni mia capacità. Sentii un pianto montarmi alla gola, muto e disperato, inconsolabile. Nell‟affidarmi quel compito stava rivelandomi la cosa che avrei più amato. Dopo una vita di egoismo, il Dreamer mi svelava che potevo fare qualcosa di speciale… una scuola per sognatori… Il Dreamer mi rivelò che l‟avventura di Ulisse, il viaggio di Dante, la spedizione di Giasone, le imprese degli eroi di ogni tempo, sono il percorso di una Scuola di trasformazione. Ulisse si lega all‟albero di maestra con i lacci della Scuola, per mantenerne saldi i princìpi e Dante abbandona l‟Inferno seguendo Virgilio „capovolgendosi‟. Anche questo è un movimento di Scuola… «Occorre preparare uomini decisi a conquistare la propria integrità, ad affrancarsi dal dolore, dalla paura, dall‟angoscia che ognuno si porta dentro. Questa è l‟unica speranza dell‟umanità.» Il Dreamer preannunciò che nel prossimo futuro, tutte le organizzazioni, dalle grandi corporation alla più piccola impresa, diventeranno Scuole dell‟Essere, Scuole d‟Integrità. In esse gli uomini impareranno a trascendere continuamente se stessi eliminando ogni divisione, ogni ombra e ogni degradazione 426

La Scuola degli Dei dell‟Essere. Negli organi di quelle imprese dovrà risuonare quel colpo di diapason che le ha fatte nascere, la nota che ancora unisce e fa vibrare all‟unisono ogni loro cellula. «Vedo migliaia di studenti… » disse profeticamente il Dreamer, mostrandomi con un gesto largo e lento il sagrato verde tutt‟intorno alla Casa del Pensamiento, un campo infinito di girasoli ed il piccolo lago al suo centro. «Essi saranno i giganti dell‟economia, i comunicatori globali del futuro. La loro capacità di creare ricchezza sarà solo l‟effetto di uno stato interiore di libertà.» «Ma una tale impresa potrebbe richiedere un periodo molto lungo» obiettai, non sapendo in quale altro modo dare sfogo all‟ansia e alla pressione di quell‟esercito di dubbi che stava già mettendo sotto assedio i miei buoni propositi. Il Dreamer mi stava invitando a volare e, come sempre, stava incontrando le mie resistenze. «L‟uomo è già pronto! − annunciò facendo ruggire i motori del Sogno e spazzando via d‟un colpo la mediocrità di quel mio esordio − l‟intelligenza e l‟amore sono già in ogni uomo.» Quelle parole non le avrei mai più dimenticate. Oggi le vedo avverarsi in ogni mio studente e so che non c‟è nulla da insegnare ai giovani tranne che scrostare un poco la superficie e far venir fuori la vera conoscenza, la forza della loro unicità, la loro vera natura di „esseri alati‟. Di esseri re-ali. Gli insegnamenti esterni sono solo un pretesto. Il vero lavoro di una Scuola è l‟eliminazione di ogni compromesso, limite, pregiudizio, ipocrisia, paura e dubbio accumulati fin dall‟infanzia e che sono il frutto della vecchia educazione, un‟educazione che appare unicamente intesa a sopprimere la cosa più reale che ci sia: il Sogno. Una vera scuola non pretende di poter dare nulla ai suoi studenti… sa che non può aggiungere nulla a ciò che già posseggono nell‟Essere… Bisogna solo portarlo alla luce… È un lavoro di eliminazione di tutto ciò che ostacola l‟intelligenza. La vera educazione è „ricordare‟ la propria unicità, la propria originalità, il Sogno. «Economy is a way of thinking.» Il Dreamer annunciò che solo chi è realmente vivo può creare ricchezza. «La ricchezza materiale è solo una metafora della vera ricchezza, la prova del nove di uno stato di integrità, di intelligenza, di prosperità interiore.» 427

La Scuola Soltanto una Scuola fondata su questi princìpi può preparare economisti capaci di eliminare la povertà da intere regioni del pianeta, di rimuovere dall‟Essere stratificazioni di ignoranza che hanno gettato intere nazioni, e civiltà una volta opulente, nella scarsità e nel sottosviluppo. Mi parlò delle favolose ricchezze naturali della Colombia, delle sue inesauribili miniere d‟argento, dei giacimenti di smeraldi, delle sue immense foreste e sconfinate pianure, delle grandi piantagioni di caffè, di tabacco. «Eppure è uno dei più poveri al mondo − affermò − L‟Essere di questo paese si è ridotto a livelli tali da non poter sostenere il suo avere… come accade ad un uomo che si trova a possedere una ricchezza più grande del suo livello di responsabilità.» Mi fece rilevare che i paesi economicamente più sviluppati spesso sono totalmente sprovvisti di risorse naturali ma hanno un capitale di idee, di cultura, di storia, d‟arte. «Economy is a state of Being» proclamò, e diede ad una lunga pausa il compito di sottolineare la portata di quella legge. «L‟economia di un paese, il grado di benessere materiale da esso raggiunto, è il riflesso del modo di pensare e di sentire di quella società. Il sistema dei valori, la qualità del pensiero, è la causa. L‟economia è l‟effetto. La qualità crea la quantità, e mai viceversa.» «Venuto meno il Sogno, inariditi i valori, viene meno anche la ricchezza» sostenne il Dreamer, e affermò la necessità di educare uomini responsabili, capaci di connettersi al Sogno del loro paese, di nutrirne le radici. La vita di un‟intera civiltà dipende dall‟esistenza di questi uomini. L‟ampiezza della loro visione si riflette illimitatamente nell‟universo economico e ne espande i confini. Senza di essi nessun progresso è possibile. L‟ostacolo principale contro cui si infrangono i progetti più ambiziosi, non sono le risorse finanziarie o naturali, ma la penuria di uomini capaci di sostenerne la responsabilità interiore, di contenere quell‟idea luminosa, di crederci con tutte le proprie forze. «La Scuola porterà nelle sue radici una verità mai espressa nel mondo dell‟economia: Visibilia ex Invisibilibus. La ricchezza economica è soltanto il riflesso dell‟invisibilità di un‟organizzazione, di una nazione. Prosperity comes from within. È 428

La Scuola degli Dei un processo che, come ogni guarigione, procede dall‟interno all‟esterno.» 6 Avere è Essere «Avere e Essere sono un‟unica realtà ma su piani diversi dell‟esistenza − annunciò − Avere è Essere.» Per il Dreamer l‟Avere è l‟Essere che si manifesta nel tempo e nello spazio. Questa scoperta apre le porte ad una immensa rivoluzione nella percezione ordinaria del mondo ed è uno di quegli shock del pensiero capaci di modificare il corso di un‟intera civiltà. Il Dreamer mise in evidenza il fatto straordinario che ogni passaggio epocale nella storia dell‟umanità è sempre stato preceduto dal capovolgimento di ideologie, da una rivoluzione del pensiero che da un individuo si è poi trasmessa alle masse. L‟idea eliocentrica fece saltare i cardini del pensiero medioevale, ricollocando l‟uomo dal centro ai margini dell‟universo e schiudendo l‟età moderna. Il Protestantesimo modificò radicalmente la visione del lavoro, da condanna biblica a strumento di evoluzione dell‟uomo, realizzando le condizioni psicologiche della rivoluzione industriale e del Capitalismo razionale. «Oggi ci troviamo di fronte ad una nuova rivoluzione. Una rivoluzione psicologica fondata sull‟idea che Essere e Avere sono due facce della stessa realtà − annunciò il Dreamer − Tutto ciò che vediamo e tocchiamo, tutto ciò che percepiamo, tutto ciò che noi chiamiamo „realtà‟, non è altro che la proiezione di un mondo invisibile ai nostri sensi, di un mondo delle idee e dei valori che corre verticalmente al piano della nostra esistenza: il mondo dell‟Essere.» L‟Essere non è contrapposto ma sovrapposto all‟Avere, ne è la causa. Questo spiega perché i paesi più ricchi di risorse naturali sono spesso anche i più poveri e come mai l‟arricchimento di un uomo non è condizione sufficiente per sottrarlo al suo destino se non corrisponde ad un innalzamento nell‟Essere. È riconoscibile difatti l‟esistenza di un circuito regolatore, una sorta di meccanismo di omeostasi che ineluttabilmente riconduce l‟Avere al livello dell‟Essere. Un uomo impreparato, anche se temporaneamente favorito da un evento o da circostanze esterne, viene ricacciato nell‟antica povertà se l‟avere eccede il suo livello d‟Essere. Questo è 429

La Scuola vero anche per le nazioni. Dopo oltre mezzo secolo di insuccessi dei programmi di aiuti internazionali ai paesi del terzo mondo, dovrebbero ormai averlo capito anche gli economisti dello sviluppo: non è possibile aiutare dall‟esterno un paese che non sia già pronto nell‟Essere, che non abbia già raggiunto un adeguato grado di ricchezza nella propria invisibilità, nel suo patrimonio di idee (etiche, estetiche, religiose, filosofiche, scientifiche) e nel suo sistema di valori. A molti di questi paesi basterebbe riconnettersi alla loro antica saggezza, all‟essenza delle loro origini e riportare linfa nel sistema dei valori più antichi per innalzare le loro condizioni di vita. La comprensione che „Avere è Essere‟ sradica uno dei più antichi pregiudizi dell‟uomo e ne rivoluziona gli schemi concettuali. Non è l‟Avere che permette di fare e di Essere, ma è l‟Essere che permette di Fare e poi di Avere. Il superamento di questa forma di ipnosi collettiva significa lasciarsi alle spalle una visione piatta del mondo e accedere a un pensiero verticale: esistono strati del reale e infiniti livelli dell‟Essere. „Avere è Essere‟ è la chiave per la comprensione delle questioni più complesse e vitali riguardanti la vita dell‟uomo e dei sistemi organizzativi, di ogni ordine e complessità e spiega la diversità del loro destino. La storia dell‟uomo è una ricerca incessante di fare e di possedere di più; l‟avanzamento della civiltà coincide con lo sviluppo di capacità sempre maggiori di produrre, di comunicare, di viaggiare, e anche di distruggere, in società ipnotizzate dal desiderio di possesso, guidate da istinti predatori mai sopiti, eco di una nostalgia animale. Perpendicolarmente a questa storia corre la dimensione invisibile delle idee, il mondo delle cause. Ogni conquista nel visibile, ogni incremento della capacità di fare e di avere dell‟umanità è sempre stato anticipato da una conquista nell‟Essere. Le conoscenze scientifiche e il progresso tecnologico seguono nel tempo la conoscenza che l‟uomo ha di sé e il livello di consapevolezza raggiunto. Scienza e Coscienza procedono di pari passo. «Che si tratti di un individuo, di una organizzazione, di una nazione o di una intera civiltà, la capacità di conoscere, di fare e di avere dipende dal livello d‟Essere raggiunto da quella civiltà, da quella nazione, da quell‟organizzazione, da quell‟individuo.» Il Dreamer concluse queste riflessioni con un epigramma semplice e potente. 430

La Scuola degli Dei «Più Sei, più Sai, più Fai, più Hai. Fare e Avere dipendono dall‟Essere come l‟ombra dipende, per dimensione e forma, dall‟oggetto che la proietta.» Il Dreamer mi fece rilevare che osservando un uomo o una organizzazione, tutti ne possono percepire la dimensione dell‟avere, pochi e con più difficoltà quella dell‟Essere: la profondità e l‟ampiezza delle idee, la qualità dei valori, il Sogno. Ciò che impedisce di vedere il perfetto equilibrio che esiste tra Essere ed Avere è il fattore tempo che, come una cortina fumogena, illusoriamente li separa. Se riuscissimo a comprimere il tempo, gli anni della vita di un uomo, o i secoli di una civiltà, vedremmo la perfetta corrispondenza tra Essere ed Avere. Essi sono la stessa, identica realtà su piani diversi dell‟esistenza. L‟Essere materializzato diventa Avere e l‟Avere sublimato diventa Essere. La scoperta della identità tra Avere ed Essere segna profondamente anche il pensiero economico. Se l‟avere, e quindi anche la produzione della ricchezza, obbedisce all‟Essere, i concetti fondamentali di Essere, degli stati d‟Essere e tutto il lavoro di studio, di autosservazione dell‟uomo, dovranno di diritto rientrare tra i legittimi soggetti della ricerca scientifica, insieme all‟etica, al sistema delle convinzioni, al sistema dei valori morali e, soprattutto, all‟intuizione e al Sogno. «Più larga la visione di un uomo, più ricca la sua economia. Questo vale per un‟organizzazione, per un paese come per una intera civiltà.» 7 Università significa „verso l‟uno‟ Università significa verso l‟uno, mi aveva rivelato il Dreamer. Nell‟etimo scoprii un‟indicazione preziosa sulla natura di quelle istituzioni che mai prima era emersa da alcun incontro né avevo trovato in alcun libro. «Nel suo nome è ingenita la sua missione: portare avanti il lavoro di integrazione dell‟uomo... guidare il suo viaggio verso l‟unità dell‟Essere.» Nella visione del Dreamer, le università del futuro avranno il compito di continuare, in versione laica, quel lavoro che conventi, sinagoghe, eremi e moschee, hanno svolto per millenni e 431

La Scuola abbandonato incompiuto, diventando ricettacoli di irresponsabili, rifugi per uomini e donne spaventati dall‟esistenza. Molte università scompariranno e solo a poche tra poche sarà affidato il compito vitale di preparare i nuovi leader: leader visionari, monaci laici, guerrieri impeccabili, invulnerabili, capaci di vincere le sfide che fronteggiano la nostra civiltà attraverso nuovi sensi: l‟intuito, la volontà, il Sogno. Il progetto educativo di un uomo „bilanciato‟ dalle qualità apparentemente paradossali, è antico di migliaia di anni. Un uomo che armonizza in sé scaltrezza ed innocenza, ragione ed intuito, potere finanziario e amore. «L‟Università deve proporre un sistema di idee vitali capace di interpretare il mondo, di rivelare la reale condizione dell‟uomo e indicare la via di una sua possibile evoluzione. L‟Università deve preparare le cellule di una nuova umanità, individui ispirati dai princìpi del Sogno: visionary men, utopisti pragmatici, uomini solari capaci di nutrire il sogno di un‟economia globale e di una politica di responsabilità planetaria.» Una conoscenza libresca, imposta dall‟esterno, uguale per tutti, è un soffocamento dell‟essenza… è falsa, è illusoria… La conoscenza „vera‟ è già in ogni individuo. Conoscere significa ricordare… è un viaggio a ritroso nella „memoria verticale‟. Per il Dreamer la nuova educazione, la seconda educazione, è lontana anni luce da quella tradizionale. Il suo compito non è di aggiungere nozioni ma „ricordare‟ agli studenti la loro unicità, l‟originalità, l‟innocenza che essi già posseggono. «Non appoggiarti a nessuna istituzione − raccomandò il Dreamer in tono solenne, come se stesse chiedendomi un giuramento − Non prendere denaro, non chiedere sovvenzioni di qualunque genere a nessun ente o istituzione pubblica o assistenziale. Il sistema tradizionale universitario non è soltanto obsoleto, ma estremamente suscettibile, delicato, fragile, perché dipende.» «Per questo dovrai battere strade nuove con l‟animo di un ribelle, di un rivoluzionario. La vera educazione è un‟attività sovversiva agli occhi dell‟Establishment. Per questo non potrai accettare l‟autorità della tradizione e non potrai aderire ad alcuna delle concezioni educative esistenti. L‟università che fonderai sarà una tale rivoluzione nel mondo dell‟educazione che vecchie convinzioni e mentalità spariranno per sempre e con esse istituzioni e scuole obsolete. Solo quelle pronte ad 432

La Scuola degli Dei un cambiamento totale, capaci di accettare questa rivoluzione potranno sopravvivere. Bada alla tua integrità! Non permettere a nulla e a nessuno di intaccarla. Rimani intatto! Il successo è una naturale conseguenza dell‟integrità.» Mi illustrò, a questo punto, quella straordinaria idea per la quale avremmo coniato il termine „Università distribuita‟, il modello organizzativo che tanta parte avrebbe avuto nel successo della Scuola, nell‟affermazione del suo modello educativo nello scenario accademico mondiale. «Le battaglie del futuro non si sarebbero vinte impiegando grandi navi ma una flottiglia di agili imbarcazioni» ebbe a dire. Questa concezione non solo avrebbe permesso di dare attenzione ad ogni singolo studente, accogliendolo in piccoli atenei, ma avrebbe realizzato la condizione, ideale e paradossale, di un‟istituzione grande e piccola allo stesso tempo. La nuova Università sarebbe stata di dimensioni planetarie ma organizzata in college e campus distribuiti nelle capitali del mondo, dimensionati per accogliere e preparare un piccolo numero di studenti che credono in se stessi, nel proprio Sogno e sanno che solo in una „Scuola dell‟Essere‟ potranno realizzarlo. La nuova Scuola, ispirata dai princìpi del Dreamer, indicò il modello di un‟università del futuro, e precorse l‟avvento di un Ateneo senza frontiere, non più aristotelico, radicato su un territorio o vincolato ad una città, ad una lingua, ad una nazionalità e ad un fuso orario, ma articolato in college distribuiti in più continenti, fortemente uniti tra loro da una stessa filosofia. «Come le città greche erigevano le loro mura là dove poteva giungere la voce di un oratore, ed erano contenute nel raggio di quella comunicazione − mi ispirò il Dreamer − così gli atenei che fonderai dovranno essere contenuti in dimensioni che consentano di conoscere le aspirazioni, il Sogno, di tutti quelli che ne fanno parte.» 8 La nascita della Scuola Dal giorno dell‟incontro con il Dreamer e dell‟investitura ricevuta nella Casa del Pensamiento era trascorso poco più di un anno. In questo tempo avevo dedicato tutto me stesso al Progetto. 433

La Scuola L‟Università era nata ed aveva aperto il suo primo ateneo in Belgravia, nel cuore di Londra. I primi studenti erano stati reclutati e stavano felicemente completando il primo anno accademico. La Scuola si stava realizzando, ed ogni giorno cresceva in modo prodigioso. Nella sua evoluzione, sembrava sfuggire, e difatti ignorava, gli ordinari vincoli ed i limiti di tempo e di spazio. La sua formula aveva gli ingredienti del futuro. In essa il rigore accademico inglese ed il solido pragmatismo americano erano mirabilmente fusi con lo stile e la cultura italiana, la millenaria ricerca della bellezza e della perfezione della civiltà classica. Un intenso programma di internship in azienda, che gli studenti affrontavano fin dal primo anno, li portava a lavorare, giovanissimi, nelle maggiori imprese del mondo. Forti della filosofia della Scuola, essi avrebbero dato buona prova di sé, dimostrandosi impeccabili ed invulnerabili come i monaci-guerrieri di Lupelius, i giovani che dieci secoli prima li avevano preceduti nei banchi della School for Gods. I caratteri della nuova Università, armonizzati e retti dalla filosofia del Dreamer, le davano il corpo scintillante di un‟astronave in volo ed il cuore antico delle più venerande scuole dell‟Antichità. Quello stesso che aveva battuto in seno alle fucine di guerrieri ed eroi della Grecia classica. Il Dreamer mi aveva messo al comando di una starship che stava attraversando un mondo universitario arcaico, polveroso; un vecchiume allegoricamente ammantato di ermellino che trovava sempre più difficile nascondere il vuoto delle sue false conoscenze e delle sue anacronistiche concezioni. L‟apparizione della Scuola nello scenario accademico inglese ed internazionale, ed ancor più in quello italiano, poteva compararsi alla scoperta del libriccino di Plutarco sull‟educazione. La traduzione in latino di quest‟opera creduta scomparsa mise bruscamente a confronto il modello educativo greco, proiezione dello spirito di quella civiltà, con l‟oscurantismo dogmatico delle scuole religiose medioevali. Allora, come stava accadendo ora, entrarono in comunicazione due mondi non divisi dai secoli, ma da anni luce nella coscienza. L‟Università del Sogno, come la battezzarono i media, era l‟erede unica degli ideali educativi della Grecia classica. Sua ferma convinzione e architrave della sua filosofia pedagogica era che l‟uomo può evolversi solo attraverso un lavoro di innalzamento della responsabilità, la sua costante tensione verso l‟unità dell‟Essere. Gli studenti arrivavano da ogni parte del mondo attratti dal pensiero della Scuola, dal suo messaggio nuovo ed antico. Le parole 434

La Scuola degli Dei del Dreamer, echeggiate dal materiale illustrativo, erano note di un flauto magico. I giovani sognatori di tutto il mondo le ascoltavano e si mettevano in marcia. Ho sognato una rivoluzione. Ho sognato una Scuola che „ricordi‟ che il Sogno è la cosa più concreta che ci sia. Ho sognato una nuova generazione di leader capaci di armonizzare gli apparenti antagonismi di sempre: Etica ed Economia, Azione e Contemplazione Potere finanziario e Amore Fin da quei tempi pionieristici della nuova Università, uomini, avvenimenti e circostanze si connettevano prodigiosamente. Non smetterà mai di meravigliarmi il modo in cui le risorse necessarie arrivavano: nei modi più giusti, sempre straordinariamente puntuali; con la miracolosità di una gestazione dove tutto, dagli organi più complessi fino ai più remoti neuroni, obbedisce ad uno stesso progetto di vita. 9 La Missione della Scuola Quella mattina mi svegliai che non era ancora l‟alba. In mente avevo gli impegni di quella intensa giornata e le difficili situazioni che mi attendevano. In particolare, la riunione plenaria con il corpo docente e soprattutto gli incontri fissati con le banche si prospettavano piuttosto difficili. Sentii l‟impulso di attingere ispirazione dalle parole del Dreamer. Scelsi a caso uno dei taccuini e mi immersi a lungo nelle pagine fitte di appunti raccolti negli anni del mio apprendistato. Mentre leggevo avvertii l‟inconfondibile vibrazione sottopelle di quando ero in presenza del Dreamer, mi sentii svuotare scoprendo di aver dimenticato qualcosa di vitale. Da troppo tempo non mi nutrivo dei Suoi aforismi, di quell‟intelligenza che dava senso all‟insensatezza del mondo e non mi avvicinavo alla forza immensa della Sua visione capace di capovolgerlo e riportarlo alle dimensioni 435

La Scuola di un atomo. Non c‟era luogo al mondo dove potessi vedere il fremere degli stendardi al vento e ascoltare i corni di guerra della Sua solitaria battaglia, della titanica sfida contro quella che Egli chiamava la bugia della morte, contro il pregiudizio della sua invincibilità. Il Dreamer aveva illuminato la mia vita e forse non avrei mai colto appieno l‟eccezionale fortuna di averLo incontrato. Annotai alcune frasi e le tenni con me avviandomi alla European School of Economics per il primo incontro. Gli uomini e le donne che trovai già lì ad aspettarmi li conoscevo personalmente: erano ottimi professori, con i migliori background accademici ed esperienze maturate in prestigiose università anglosassoni e del mondo. Li avevo scelti uno per uno, eppure, nonostante tutti i miei sforzi, ancora una volta, quella riunione plenaria avrebbe confermato la difficoltà di avvicinarli alla filosofia della Scuola e fargli adottare i princìpi su cui era fondata. Avevano tutti studiato in università tradizionali, per lo più statali, e l‟idea di cambiare le loro convinzioni per accettare la pedagogia visionaria di questa giovane università era come chiedergli di abiurare la religione avita o di attraversare una soglia biologica e diventare esseri di un‟altra specie. «La missione della ESE, il Sogno da cui è nata, è la creazione di una generazione di leader liberi dalla paura e dal dubbio, cellule di una nuova umanità. Per realizzare questo Sogno non basta avere buoni programmi è buoni insegnanti. Questo lo fanno già migliaia di istituzioni» dissi, dando avvio a quel difficile incontro. Dalle ampie finestre della sala entrava il verde dei giardini reali di Buckingham Palace. Pensai che anche un impero potente come quello britannico si dissolve quando i princìpi sono dimenticati e i re smettono di sognare. Le parole ascoltate dal Dreamer nell‟antica casa da tè, a Shanghai, arrivarono alle labbra, forti e chiare: “La ESE è una Scuola dell‟Essere. Dobbiamo alimentare nei nostri studenti l‟idea di immortalità, abbattere il pregiudizio della invincibilità della morte.” Until now all economic systems have dealt with survival, with peoples' basic needs: food, shelter, clothing and reproduction. The economics of the coming decades deals not anymore with survival, 436

La Scuola degli Dei but with immortality. «Mi può spiegare come l‟idea di immortalità può interessare una Scuola di Economia e soprattutto studenti di Business?» La domanda rivoltami da una giovane, brillante docente di International Strategic management aveva il tono di evidente scetticismo di chi non crede alla possibilità di ricevere una risposta convincente. Poi aggiunse con cortese ironia: «Forse vuole annunciarci la creazione al nostro interno di una facoltà di Filosofia?» Era lo stesso dubbio che avevo posto al Dreamer quando per la prima volta mi rivelava quelli che sarebbero stati i principi della Scuola. Stavo già „reagendo‟ ed avrei voluto rispondere a tono alla presunzione di quella donna quando venni interrotto dal Dreamer: “Stop!” La Sua voce, come un grido di battaglia esplose silenziosamente dentro di me, salvandomi dall‟inesorabile caduta negli inferni dell‟identificazione. Fu la morte istantanea di una mentalità decrepita e l‟avvento di un nuovo essere, il vagito di una neonata comprensione. Una chiarezza nuova mi permise di risponderle e sapevo che quelle parole erano dirette alle radici e al cuore dell‟intera umanità. «Vision and reality are one and the same thing» risposi con il motto del Dreamer che mi era più caro che era apparso negli appunti letti quel mattino, e: «L'economia è un riflesso dell'Essere. » Continuai con una calma per me insolita. Affiorarono i concetti del discorso che avevo tenuto qualche anno prima a Bruxelles al Parlamento Europeo, ricordai che il Dreamer me ne aveva dettato parola per parola il testo rivoluzionario, infatti il solo pensiero di poter parlare di Economia dell‟Immortalità mi sembrava a quel tempo non solo paradossale ma assurdo e al di là di ogni immaginazione. «L‟idea dell‟Immortalità fisica, da sola è sufficente a sradicare convinzioni e credenze millenare» dissi. La voce del Dreamer in un sussurro potente si amplificò in me. «La morte è una cattiva abitudine.» quelle parole vennero fuori fluide come se fossero sufficienti da sole a spiegare una tale affermazione e in quel preciso istante una delle 437

La Scuola verità più inconfutabili in cui l‟umanità avesse mai creduto venne minata per sempre. «L‟autorità dell‟idea che la morte sia inevitabile è tale perché nessuno mai l‟ha messa in discussione! Mettere in in discussione l‟inevitabilità della morte cambia il destino di un individuo , di un‟organizzazione e di un‟intera nazione. » «Ciò che ci limita è la convinzione che la morte sia qualcosa di ineluttabile, è la radice di ogni nostro limite, è ciò che incatena la nostra creatività! L‟idea dell‟immortalità è ciò di cui abbiamo bisogno per liberarci dalla morsa del tempo.» «A man of integrity, a visionary leader lives totally in a state of Nowness, free from the hypnotic notions of past and future. Il mondo del business ha bisogno di una nuova generazione Leaders, imprenditori visionari capaci di armonizzare gli apparenti antagonismi di sempre: Economia ed Etica, Azione e Contemplazione, Potere Finanziario e Amore.» Mentre parlavo, Chris H. scuoteva lentamente la testa in segno di perplessità e crescente dissenso. Quel movimento faceva ondeggiare leggermente i riccioli bianchi della sua imponente capigliatura. Era uno dei docenti più influenti. Finsi di non accorgermi di quel silenzioso commento, certamente non isolato, e proseguii. «Quella che chiamiamo realtà non è altro che il riflesso del nostro Sogno, lo specchio dei nostri stati d‟Essere. La mente dell‟uomo è conflittuale, la sua logica funziona per concetti contrapposti, la sua ragione è armata. Per questo noi conosciamo solo un‟economia della sopravvivenza che crede nel limite e che ha fatto della morte la grande industria del pianeta, l‟architrave su cui poggia la ricchezza delle nazioni. Dall‟industria delle armi all‟inquinamento ambientale, dalla produzione di medicinali alla criminalità organizzata, paesi e uomini sono al servizio dell‟economia del disastro, dell‟economia del conflitto. L‟umanità è tutta sul libro-paga della morte.» Conclusi con una citazione di una frase del Dreamer: True education is freedom from every form of hypnotism, dependence, superstition. True education is the abandonment of one‟s inner conflicts. 438

La Scuola degli Dei This will liberate the world from all opposites, will free the world from all contradictions, violence and wars. «Ma Lei vive in questo mondo o in un altro? Sbottò – Chris H. una volta ottenuta la parola – Con le guerre e le rivoluzioni, gli attentati, i cento focolai di guerriglia, le persecuzioni razziali e il genocidio di cui sono pieni i giornali ed i media ogni giorno, come è possibile essere morali in un mondo governato dall‟immoralità? » Anch‟io avevo fatto al Dreamer la stessa domanda … Chris H. era la personificazione del mio dubbio, il riflesso nello specchio del mondo che denunciava la mia incapacità di diventare quelle parole, di farle entrare nella carne, lo stesso rifiuto interno che mi impediva di diffondere il messaggio del Dreamer al mondo intero. «La prego di non prendere le mie parole personalmente, ma quello che sto per dirLe non Le piacerà… » “Ma di quali guerre parli? – mi aveva risposto il Dreamer – non c'è nessuna guerra al mondo tranne quella che proietti tu, in questo preciso istante. The conditions of the world correspond exactly to your inner states. So don' t worry about the world, worry about yourself. This is the only way you can help.” “Ma in tutto il mondo ci sono industrie che in questo momento stanno producendo armi capaci di devastare il pianeta, perfino di distruggere l‟umanità…” replicai, e a nome di ogni uomo avrei voluto chiederGli cosa possiamo fare, come possiamo proteggerci da un tale potere distruttivo. Il Dreamer mi interruppe bruscamente, ad impedirmi anche solo di pronunciare quella profezia di sventura. “Non c‟è nessun potere „fuori di te‟ capace di distruggerti – disse con parole incancellabili – „Fuori di te‟ niente può accadere senza il tuo consenso. Sii vigile! Butta via la tua ignoranza, fuga ogni oscurità. È la tua visione che ha bisogno di essere corretta e non l‟umanità. Le condizioni del mondo corrispondono esattamente ai tuoi stati. If you integrate yourself, if you become a unity, then the entire world is safe.” Ero di nuovo nella Conference Room, il volto del mio interlocutore in quei pochi istanti si era fatto più attento e ricettivo, sentii che ogni parola mi stava caricando del peso di una responsabilità insostenibile. Dopo averle ascoltate sarebbe stato impossibile continuare a lamentarsi, ad accusare poteri ignoti e forze 439

La Scuola incontrollabili o rifugiarsi tremante di paura, nell‟oblio di una rassegnata impotenza. Continuai: «L‟unica immoralità che esiste, è dentro di te e non nel mondo. Immoralità è „dimenticare se stessi‟, immoralità è una frammentazione dell‟Essere che produce disastri nel mondo degli eventi. Solo tu puoi essere immorale o farti del male quando dimentichi di chi sei. Quando ricordi te stesso, tutte le preoccupazioni e le difficoltà scompaiono dal pianeta. Il mondo è a tua immagine e somiglianza, è il riflesso del tuo Essere ed obbedisce ad ogni tuo comando, qualunque esso sia. Quando smetti di soffrire, il mondo intero cessa di essere immorale.» Voltai la testa dietro di me, a cercarla. Sapevo che sarebbe stata lì. Il suo sguardo ammirato, la sua fede incrollabile nella Scuola, nel Sogno. Solo ora realizzavo che Lucia, la mia assistente mi era stata data da Lui, dal Dreamer. Fosse crollato il mondo, il mattino dopo avrebbe ripreso il suo lavoro, instancabile, prima di tutti, profondendo le sue premure schive, spesso invisibili. Con la sua umile austerità considerava la Scuola come il suo bene più prezioso. Era l‟unica persona a cui avevo parlato del Dreamer. Continuamente mi chiedeva di Lui e si nutriva di ogni Sua parola. Era lei che curava le pagine del manoscritto e nelle sue notti lo stavano trasformando nella bozza del Libro. Colsi un cenno fugace di incoraggiamento e la sua complicità per preziosi momenti mi riportò alle parole del Dreamer. «È possibile cambiare il nostro destino – dissi citando ancora le parole del Dreamer – Bisogna cambiare la psicologia dell‟uomo, il racconto ipnotico del mondo radicato nel suo sistema di convinzioni e di credenze. Bisogna cambiare il Sogno. Solo l‟individuo può farlo. Per questo c‟è bisogno di una Scuola. Una Scuola dell‟Essere con la forza di portare una rivoluzione planetaria nell‟educazione, di capovolgere programmi e metodi di insegnamento. È questo il percorso scientifico su cui siamo incamminati e in cui crediamo.» Affermai che tutti noi dovevamo essere pronti al cambiamento. «L‟umanità così com‟è non può insegnare alle nuove generazioni a liberarsi dal pensiero conflittuale, da pregiudizi e idee obsolete, ad abbattere ogni recinzione, ogni barriera e a coltivare in sé una indomabile aspirazione alla grandezza. Non sono le risorse ad essere limitate, ma è l‟uomo che proietta i propri limiti nel mondo 440

La Scuola degli Dei esterno ed è la sua “inconscia propensione” alla scarsità a prendere forma.» Mi accingevo a concludere quel lungo incontro con queste parole del Dreamer ascoltate dalla Sua voce. «The wealth of a nation, the power of its economy, the level of prosperity it can achieve, is equal to the quality of its system of values and above all its capacity to produce highly emotional individuals. La vita di una nazione, il futuro di una intera civiltà dipendono dall‟esistenza di questi uomini. Essi saranno a capo delle organizzazioni del futuro, porteranno intelligenza successo e longevità alle imprese del mondo.» Sentivo la voce vibrare per la grandezza di questa profezia che avevo ricevuto dal Dreamer. «La nostra missione è crearli.» Più che perplessi, li vidi sconcertati ma incuriositi. La scoperta che il mondo funziona dall‟interno all‟esterno andava ben oltre lo shock della rivoluzione annunciata da Copernico oltre mezzo millennio prima. Quel discorso sovvertiva non solo le leggi dell‟economia, ma tutto quello in cui avevano creduto fino a quel momento. Sentivano la forza minacciosa di idee capaci di deragliarli dal triste destino di Sisifo, di ripetersi fino alla morte insegnando ai giovani la paura, la noia, la loro stessa assenza di vita. Mentre mi congedavo salutandoli uno per uno, potevo leggere sui loro volti il desiderio di prolungare quell‟incontro. Con un‟ affettuosa stretta di mano li lasciai e le parole del Dreamer vibrarono ancora nell‟aria illuminando i loro volti attoniti. «Non arrendetevi se l‟Arte del Sognare ancora non si manifesta nelle vostre vite. Voi, ed io, essendo figli del tempo, non possiamo capire la differenza tra sognare e desiderare. Nel desiderare, proiettiamo nella nostra vita stati di incertezza, paura, dubbio, e che tale esperienza si rivela „nel tempo‟ l‟esatto opposto di ciò che desideriamo. Sognare è un‟esperienza cosi potente che bastano pochi secondi della sua azione per creare tutto quel che hai desiderato per anni ma che non hai mai potuto realizzare. Remember! only Dreams can come true ..... desires, never.» Appena li lasciai, i miei pensieri si raccolsero ancora nelle parole del Dreamer, apparentemente furono il riepilogo del nostro incontro, ma per motivi a me sconosciuti, sortirono l‟effetto un monito silenzioso. 441

La Scuola

Un individuo, un'organizzazione, un paese può svilupparsi solo se tale individuo, organizzazione o paese è puntato ad accrescere la qualità e il valore delle sue persone. Ogni scuola e università o impresa ed azienda deve diventare una scuola di Essere, una Scuola della responsabilità, solo allora sarà possibile affrontare e superare le sfide della vita ed espandersi. Ricorda! Si può possedere solo ciò di cui si è responsabili. 10 Credere senza credere La creazione di uno spazio accademico senza frontiere con filiali nelle più importanti capitali del business del mondo era stata un colpo di genio. La Scuola che il Dreamer aveva sognato era stata fondata su principi immortali, le cui idee rivoluzionavano non solo il sistema educativo, ma l'umanità stessa. Le banche avevano appoggiato subito il progetto della European School of Economics, assistito alla sua crescita e si erano impegnate a concedere il credito ancora per lungo tempo, ma non erano pronte a sostenere gli investimenti necessari per la crescente espansione internazionale, non solo in Europa ma anche oltreoceano. Era un‟ impresa ambiziosa di proporzioni tali che nemmeno le più grandi università inglesi avevano mai affrontato. Recentemente le pressioni da parte della M Bank, il nostro più importante istituto di credito erano aumentate e aveva già fatto sapere che non avrebbe più sostenuto l‟affidamento finora concesso. Lucia mi aiutò ad infilare il trench e mi consegnò alcuni documenti mentre ero già sulla porta. Camminai per alcuni isolati verso l‟incrocio dove ero sicuro di prendere un taxi, seguivo il flusso meccanico dei miei pensieri che come una sorta di nuvolaglia oscurava il successo di quell‟incontro appena concluso. Grazie alle parole del Dreamer le difficoltà del meeting con i professori si erano trasformate, vincendone l‟ostinazione ed attraversando la spessa crosta delle loro convinzioni. Ma ora i dubbi su come uscire dalla difficile condizione finanziaria mi attanagliavano, ero così lontano da Lui da non riuscire a riconoscere che quei compiti 442

La Scuola degli Dei apparentemente insormontabili erano i gradini di una scala luminosa preparata dal Dreamer per la mia crescita. Camminai fino alla stazione della metropolitana di Green Park, avevo le braccia pesanti a forza di agitarle, nell‟inutile sforzo di richiamare l‟attenzione di un‟intera flotta di taxi che come uno sciame di coleotteri correva rapido verso il completamento di qualche importante missione. Arrivai di fronte all‟edicola ed assieme al „Newsweek‟ comprai un biglietto della lotteria nazionale. Mi girai e un taxi si fermò al mio cenno ero visibilmente in ritardo. Quel pomeriggio gli avvocati mi attendevano per celebrare il funerale del mio matrimonio. Da tempo le cose tra me e Heleonore non funzionavano; ormai vivevamo insieme solo a periodi alterni, sempre più distanti l‟uno dall‟altra. Un giorno, parlandomi dal telefono dalla casa materna, giunse all‟unica conclusione possibile: lasciarci per sempre. Il peggio era però che da una separazione consensuale, e un divorzio apparentemente semplice, progressivamente l‟atteggiamento di Heleonore era diventato sempre più aggressivo e rapace, mostrando un‟avidità che non conoscevo in Lei. Come se, smessa la recita del coniuge, eliminata la leggera mano di vernice che aveva coperto la nostra relazione, uscisse fuori una mostruosità con cui avevo convissuto senza neppure sospettarla. “Hai mentito a te stesso fingendo di esserne innamorato e l‟hai usata come pretesto per abbandonare il Kuwait e ritornare nei tuoi inferni” mi aveva detto una volta il Dreamer, quando ancora credevo di amarla. Quel giudizio mi fece male e pensai che, per quello che riguardava il mio sentimento, il Dreamer si sbagliava. Allora con Heleonore lavoravamo insieme, instancabilmente, al progetto della Scuola, e avrei scommesso tutto sulla solidità del nostro matrimonio. “La vostra unione è nata dalla disubbidienza e dalla bugia. È nata senza vita. In queste condizioni non c‟è nulla che può esserti dato e perderai anche quello che credi di avere.” Una volta sull‟auto mi immersi di nuovo nel nugolo delle mie preoccupazioni, ma adesso „gli inferni‟ della mia vita, con tutto il loro corredo di afflizioni, difficoltà e amarezze, non avevano alcuna consistenza temporale, racchiusi in una goccia di tempo senza un prima né un dopo. Essi si presentavano alla mente non come situazioni ed eventi separati, ma in blocco, colti nel loro insieme, come un‟unica, costante sconfitta, senza rimedio. 443

La Scuola Un senso di impotenza mi assalì. Quel taxi era la compressione della mia esistenza, la trappola fisica in cui la sentivo imprigionata, con la sola differenza che nella mia vita non c‟era nessuna portiera da aprire per sfuggire… Il dubbio, la paura di essere sopraffatto, il bisogno irresistibile di abbandonare, li conoscevo bene; erano come vecchi amici con i quali anche la cattiva sorte diventa lieve. Erano stati compagni indivisibili di tutti i miei anni e solo accanto al Dreamer ero stato capace di riconoscerli, trasformarli e vincere. A uno dei semafori sul nostro percorso, mentre la luce rossa durava da una infinità di tempo e sembrava non doversi più spegnere, diedi un‟occhiata dal finestrino e sulla fiancata di un bus, all‟altezza del mio naso, vidi scorrere uno slogan dell‟atheism campaign: “La cattiva notizia è che Dio è morto. La buona notizia è che non ne hai bisogno.” Ritornai a riflettere sull‟argomento e mi vennero in mente le parole che una volta il Dreamer mi aveva detto: “Il tentativo di eliminare Dio da parte di quelli che si definiscono atei è il tentativo, nascosto a loro stessi, di esorcizzare la paura della morte. Una paura che li attanaglia e li assilla più degli altri.” Il Dreamer capovolgeva il pregiudizio comune che l‟ateo sia una persona forte, che rifiuta di appoggiarsi alla gruccia illusoria di Dio, come fa il resto dell‟umanità, e affermava che proprio la debolezza in realtà era il denominatore comune e la spiegazione di quella dottrina. “Per un uomo ordinario, per chi non ha raggiunto una compattezza interiore, credere e il non credere sono la stessa bugia… L‟ateo ha prima trasferito il divino fuori di sé, e poi l‟ha negato. Il peccato mortale dell‟ateismo quindi non è il non credere in Dio, negarne l‟esistenza, ma il non credere in se stessi.” Queste parole richiamarono qualcos‟altro che avevo ascoltato dal Dreamer su quell‟argomento, qualcosa di una tale vastità che stentai a credere di averlo dimenticato per così tanto tempo. Non riuscivo a visualizzare dove, in quale dei nostri incontri avevo sentito da Lui quelle parole, ma esse si erano incise profondamente ed ora stavano tornando alla memoria. “Credere non è difficile…. Tutti credono in qualcosa…. Ma obbligarsi a credere è per pochi…” aveva detto il Dreamer, esprimendo un concetto capace di spingere il pensiero ad altezze oltre la ragione. Il paradosso che coniò, „credere senza credere‟, sotto ali di farfalla nascondeva l‟architettura possente di una cattedrale. 444

La Scuola degli Dei Allora non ero riuscito a cogliere la grandezza di quel messaggio, che ora mostrava sotto una luce spietata quanta apologia retorica fosse legata al credere e quale fosse la sua pericolosità come radice di ogni fanatismo. “Al di fuori di te, ogni credo, qualsiasi fede, ti fa appartenere all‟esercito della bugia. Believing makes you a follower of the doctrine of lying.” Nella visione del Dreamer credere ti fa appartenere alla massa dei credenti, alla moltitudine di persone che vivono uno stato di identificazione, di appartenenza, che li incolla alla carta moschicida del tempo. Anche „non credere‟ in Dio, come affermano gli atei, è un credere che parimenti li sprofonda nel mare magnum dei fondamentalisti, dei dogmatici, degli intolleranti e ideologi di ogni genìa. Di fatto il Dreamer non aveva mai voluto incontrare, o in qualsiasi modo avere contatti con quanti si definiscono persone spirituali o „ricercatori della verità‟. Una volta mi disse: “Quanto meglio sarebbe per loro, e quanto maggior beneficio ne ricaverebbero, se invece di cercare la verità fuori, scoprissero la bugia dentro di sé.” Non all‟opposto, ma in una dimensione verticale alla supina piattezza del credere, c‟è „credere senza credere‟, la liberatoria visione del Dreamer per affrancare l‟individuo da ogni superstizione e credenza. “There is no fault, no sin, no karma or punishment. There is no life beyond and no universal judgement, no heaven and no hell. There is only this instant, sacred, infinite and omnipotent. Use it well! For this is your only chance. „Credere senza credere‟ significa scegliere il proprio intento e perseguirlo fino in fondo, incrollabilmente. È uno stato alto dell‟Essere che richiede l‟eliminazione della bugia, ed è raggiungibile solo da uomini integri che conoscono ed esercitano impeccabilmente the Art of Acting, l‟Arte del Recitare. Adesso mi chiedevo se avevo mai toccato quello stato di libertà, se ero mai stato capace di credere in un‟idea, dottrina o principio, o occupare un ruolo, senza identificarmi, senza appartenervi pedissequamente. Gli slogan degli ateisti stavano in realtà denunciando proprio il credere al racconto ipnotico del mondo più che in se stessi. Ero io l‟ateo, l‟uomo che aveva chiesto di abbandonare l‟ordinarietà, ogni dipendenza, di essere vicino al 445

La Scuola Dreamer, e aveva invece continuato a credere nel limite; l‟uomo che aveva promesso di restare fedele al Sogno, ma da anni aveva „dimenticato‟. Era un boccone amaro da ingoiare. In tempi diversi, raccolsi sull‟argomento molti appunti di tale interesse da ricavarne un pamphlet. Alla fine decisi di tenerli riservati per evitare di fare rivelazioni che potessero andare oltre la capacità di accettazione del lettore. E anche per quanto riguarda i contenuti di questo Libro ho talvolta titubato nel raccontare taluni episodi, fatti e circostanze, rivelazioni del Dreamer, che potessero andare troppo oltre e sollevare l‟antagonismo di istituzioni politiche, accademiche o religiose, e fondamentalismi di ogni specie. Ho quindi cercato di scegliere quei contenuti che, benché rivoluzionari, potessero rientrare nella comprensione dell‟umanità nel suo stato attuale. “Un giorno scriverai le pagine immortali che nessuno ha mai scritto prima… Le Mie parole, quelle più inaccettabili, scorreranno dalla tua penna e come un fiume in piena travolgeranno ogni ostacolo, fino a raggiungere quelli che stanno cerca coloro che già sanno.” 11 Il Segreto del fare Assorto in queste riflessioni non avevo neppure dato un‟occhiata al conducente fino a quando mi rivolse la parola. «Lei è italiano, vero?» mi chiese con il suo accento cockney e il sorriso soddisfatto di chi ha fatto una scommessa con se stesso e l‟ha vinta. «Mio padre era italiano – continuò senza attendere la mia risposta – È stato lui che ha voluto chiamarmi Fiorello.» E mentre il taxi procedeva lento nel traffico della city mi raccontò la storia della sua famiglia. Il nonno, analfabeta, emigrante in Australia prima e in Inghilterra poi, creò una fabbrica di calzature e divenne ricchissimo. Il padre fu persuaso da tre amici di squash ad investire tutto quello che aveva nello stock market e in poche settimane restò senza un penny. Fiorello mi confidò del risentimento verso il padre, della delusione mai dimenticata di aver dovuto abbandonare il canto e mettersi a lavorare giovanissimo per guadagnarsi da vivere. Mi disse della licenza di taxi, unico bene che 446

La Scuola degli Dei aveva ereditato da lui, della speranza per suo figlio di poter realizzare quel Sogno che lui aveva dovuto abbandonare, e dei nipotini, gemelli, uguali come due gocce d‟acqua, che mostravano a scuola e in casa i segni di un‟intelligenza straordinaria, e che certamente erano destinati a cose grandi. Loro avrebbero ricostruito l‟impero dell‟avo industriale. La voce del tassista andò a smorzarsi sullo sfondo della mia attenzione, e mentre il suo racconto continuava mi rividi bambino nel vecchio negozio odoroso di talco di Don Saverio il barbiere, arredato da una specchiera appannata di polvere racchiusa tra margini dorati. In quello specchio, dell‟antico nitore restavano ormai solo tracce, isole lucenti, galleggianti sulla scura superficie del fondo. In esso la mia fantasia leggeva una mappa sconosciuta di continenti e arcipelaghi dai confini graffiati. Da bambino in essa potevo osservare il lavoro di Don Saverio e la teoria di infinite immagini della mia nuca spietatamente tosata, secondo le inflessibili istruzioni di mia madre. Quella processione di me nella specchiera leggermente angolata alle mie spalle, come la ripetizione delle generazioni nella storia del tassista, sembrava scaturire da una ferita del tempo. Quel susseguirsi di vite senza senso, passate da padre in figlio, la miseria di quell‟immortalità a rate mi diede la nausea. Provai il rifiuto di esistere a quelle condizioni. Fu allora che realizzai con impressionante vividezza l‟incessante rincorrersi di immagini e di accadimenti, sempre gli stessi, nelle esistenze di uomini impauriti stretti dall‟ansia, che si dibattono tra programmi e conteggi, preda di emozioni negative. Uomini condannati ad invecchiare, ad ammalarsi e morire, uno dopo l‟altro, di padre in figlio, inesorabilmente. Riconobbi il labirinto della mia esistenza, quella subdola prigione che io stesso avevo creato, di cui ero paradossalmente il carcerato e il carceriere e che, per definizione, è senza uscita. Le difficoltà e i problemi che credevo di aver risolto, di aver lasciato alle spalle per sempre, erano invece ancora lì, e ricorrevano ancora più dolorosi e apparentemente insolubili. Osservai in me il vergognoso ripetersi delle mie fughe ogni volta che avvertivo la dolorosa sensazione di procedere in salita, quando ero messo di fronte a sfide e problemi che apparivano sempre più grandi di me e pronti a sopraffarmi. Una frase del Dreamer a sprazzi portava luce in quello sconforto. 447

La Scuola “Only those who are forced to face their own horror and can bare to contemplate their impotence and incompleteness, can succeed.” Non ce la feci ad andare oltre e dovetti interrompere quell‟analisi. Mi accorsi che quello scrutare interno era in realtà l‟osservazione di una cavia, un essere animalesco, grottesco, un consanguineo che mai avrei voluto vedere né conoscere. Provocato dal racconto di Fiorello, partorito da una parte ignota di me, provai l‟impulso di rileggere un appunto che avevo scelto quella mattina: “Memory creates destiny… Destiny creates memory... Finché crederai nei tuoi ricordi, e continuerai a raccontarti dentro la storia immaginaria della tua vita, la proietterai avanti a te e ti convincerai di avere un futuro che in realtà è il passato che ripete se stesso. Memoria e destino, passato e futuro, sono illusioni. Riconoscili come null‟altro che simultanee proiezioni di questo istante, dell‟Adesso, e sarai libero. Nell‟Adesso non ci sono sconfitte ma solo vittoria.” Fu a questo punto che Fiorello cominciò a cantare sfoggiando una bella voce tenorile. L‟aria era quella dell‟atto finale della Turandot di Giacomo Puccini, quando il principe ignoto innamorato della bella ma crudele Turandot afferma la sua vittoria. “Tramontate, stelle! All‟alba vincerò… Vincerò… Vincerooooò…” Fiorello cantava e ogni tanto si girava a sorridermi godendo della mia sorpresa e aspettandosi il mio plauso. Ma la singolare coincidenza che quel canto di vittoria arrivasse così puntuale con le parole del Dreamer, e facesse da contrappunto ai miei pensieri di sconfitta, mi aveva invece messo in uno stato di agitazione. Osservai che questo uomo corpacciuto dal nome gentile era incastrato tra il sedile e il volante del suo taxi, e tanto lo colmava in ogni spazio con la massa gelatinosa del suo corpo che sembrava fosse parte integrante dell‟auto e non potesse più uscirne. Quando lo guardai più attentamente attraverso lo specchietto e lo vidi osservarmi, sentii il sangue gelarsi nelle vene. Quegli occhi non avevano niente in comune con quel viso obeso, come se un alieno si fosse impossessato del corpo di quel bonaccione e ora mi stesse scrutando. La fronte madida di sudore, tentai di deglutire ma la saliva era diventata una sostanza gommosa che mi stava soffocando. In quegli occhi scorsi una oscura minaccia… esprimevano astuzia e una calma ferocia… Quegli occhi ai quali non potevo sottrarmi, che mi penetravano… quegli occhi erano quelli del Dreamer. Questo 448

La Scuola degli Dei produsse l‟effetto di un brusco risveglio, come se interrompesse un sonno ancestrale. Presi una decisione repentina. «Lasci perdere quell‟indirizzo» ordinai a Fiorello che intanto aveva smesso di cantare, e con mio sollievo anche di osservarmi. Non era più il caso di incontrare nessuno, tantomeno l‟avvocato e affrontare le questioni del mio divorzio. In un turbinio di pensieri, mentre il taxi stava procedendo senza più una destinazione, stavo mettendo febbrilmente insieme i tasselli di quella giornata. Riconobbi che a partire dall‟alba, da quella vibrazione sottopelle leggendo le parole del Dreamer, e fino a quel momento, era stato un susseguirsi di passi, dove ogni evento, incontro o pensiero, anche il più piccolo dettaglio, era stato il gradino di una invisibile scala per arrivare fino a Lui. Non avevo mai sentito così intensamente il desiderio di rivederLo. Sarei andato in capo al mondo se avessi saputo dove trovarLo. Con il folgorìo di una luce improvvisa, tra il caleidoscopio dei cento luoghi dove avevo incontrato il Dreamer, mi esplose dentro una immagine. Ora sapevo dove avevo ascoltato le parole che avevano segnato quella giornata. «Mi porti a Spaniards‟ Road! » Dissi con l‟urgenza di chi ha preso una decisione di vita o di morte. Fiorello compivamo un‟inversione a U così veloce che le ruote del taxi fischiarono e si alzarono per pochi istanti dall‟asfalto. In quell‟arco di tempo cambiammo la destinazione e scivolammo verso un nuovo destino. Mi accompagnavano nuovamente le parole del Dreamer sullo sgambetto alla meccanicità, riecheggiò lo „Stooop‟ di quel pomeriggio durante il meeting con i professori e fui certo che ancora una volta il Dreamer era intervenuto a salvarmi appena in tempo. Stavo inseguendo il repentino pensiero di cercarLo dove c‟eravamo visti l‟ultima volta a Londra. Verso quella destinazione, seguendo quell‟unico, flebile indizio, cresceva l‟assurda certezza che quella sera l‟avrei trovato, proprio lì, in quell‟antica locanda di Hampstead. Dal Dreamer avevo appreso che è diritto di nascita di ogni uomo sognare, credere e creare. E ora sentivo nella carne, nelle articolazioni, nel respiro, nel cuore, quel senso di certezza che stava trasformando quella remota eventualità nel più preciso degli appuntamenti, e il tenue filo che mi legava a Lui, quella bava di Sogno, in un cavo d‟acciaio. Era quella l‟integrità in azione che il 449

La Scuola Dreamer aveva cercato di trasmettermi; il seme dell‟arte del sognare che per tanti anni aveva trovato in me il più difficile dei terreni. Se quella era la completezza, la vitalità, allora ero stato morto per mesi e anni. Uno stato in cui non avrei mai potuto incontrarLo. Stavo realizzando che quella giornata aveva funzionato come una camera iperbarica; i suoi vari momenti erano stati tappe di decompressione per permettermi di risalire dagli abissi delle morti quotidiane fino a Lui, all‟integrità, alla vita. Stavo trattenendo il fiato nel tentativo di fissare in me quella grandiosa scoperta. Mantenersi lì, vigili, vivi, senza permettere a un solo atomo di morte di penetrare l‟Essere, era il segreto del fare. Quando il taxi mi lasciò davanti all‟ingresso di Spaniards Inn ero ormai certo che il Dreamer sarebbe arrivato, o che fosse già dentro, puntuale con il mio intento e la fervente richiesta di averlo accanto in quei frangenti della mia vita. 12 The past is a lie Sulla soglia mi fermai a calmare i battiti del cuore e prendere fiato prima di entrare. Il „gioco degli incontri‟, con gli indimenticabili insegnamenti ricevuti dal Dreamer, aveva avuto inizio lì, tra quelle pareti di quercia impregnate di birra, tra il tanfo di rancido e le rumorose, oziose conversazioni degli avventori. La food room che mi accolse con la sua calda semioscurità mi apparve più piccola di come la ricordavo. Nella sala scorsi pochi clienti, alcuni seduti ai tavoli, i più in piedi, appoggiati al banco, silenziosamente intenti a bere da smisurati boccali. Esplorai rapidamente con lo sguardo ogni angolo di quell‟ambiente nella speranza che fosse già lì, poi mi avviai decisamente su per le scale da dove arrivava più alto il brusio delle conversazioni e la rumorosità degli avventori. Questa volta, ricordando il nostro precedente incontro e la preferenza del Dreamer, scelsi un tavolo nel mezzo della sala più affollata di quel piano, dove più si concentrava il vocìo del pubblico fomentato dall‟alcool. Pensai di lasciar detto al padrone o a qualcuno dei camerieri di avvertirmi semmai fosse arrivato, e solo allora mi accorsi che non avrei saputo descrivere il Dreamer né prevedere il Suo aspetto, né l‟età. Rinunciai rapidamente a quell‟idea. 450

La Scuola degli Dei Lupelius si travestiva da schiavo, da vagabondo, da politicante, da banchiere, da ricco mercante, e usava strategicamente questi ruoli. Fosse la corona di un re o il saio di un monaco, Lupelius li indossava, e li faceva indossare ai suoi discepoli, insegnando loro come „diventare‟ quel ruolo, per esplorarne e conoscerne ogni angolo, ogni segreto, ma senza dimenticare il gioco, senza mai restarne prigionieri. Presi posto in modo da poter vedere dalla finestra la strada e il verde di Hampstead Heath e mi disposi a un‟attesa di cui non potevo prevedere la durata. Socchiusi gli occhi per quietare un po‟ le emozioni di quel giorno e mi ritrovai ad aprirli nella Sala Maggiore della Scuola. Il Dreamer stava attraversandola tra due ali di monaciguerrieri. Era vestito d‟un saio, a metà tra la tonaca monacale e una cotta d‟arme, i lunghi capelli nascosti dal largo cappuccio. In fondo a questa cerimonia vidi la figura di Lupelius venirgli incontro e fondersi con Lui. A distanza di mille anni, la Scuola degli Dei aveva trasmesso il baton dei suoi princìpi immortali, il testimone della sua corsa senza tempo. Mi sembrò che fossero trascorsi solo pochi minuti, ma in realtà fuori era già buio, quando un allampanato cameriere dai capelli rossi attraversò la sala strascicando pesantemente i piedi sull‟intavolato sconnesso: un signore era arrivato e mi attendeva al piano terra. Lo vidi seduto nell‟angolo più appartato del locale; aveva ancora addosso il soprabito, leggero e morbido, corto, dal taglio impeccabile. Gli andai incontro a passi brevi, resi incerti dall‟emozione. Notai che il tavolo che aveva scelto era il più lontano dal banco del bar, sovrastato da un trofeo di archibugi incrociati, settecentesche vestigia dei moti di Kenwood. Avevo tanto desiderato incontrarLo ma ora, come spesso era accaduto in passato, mi sentivo diviso tra la gioia di rivederLo e l‟ansia di trovarmi di fronte a quello specchio impietoso che avrebbe denunciato la mia dimenticanza, ogni mio limite. Il nostro incontro si avviò senza bisogno di parole né preamboli; e mentre il silenzio continuava, sentivo ogni distanza annullarsi e il tempo comprimersi fino a sparire. Ora, accanto a Lui, mi sembrava che dal nostro incontro latino-americano, nella Casa del Pensamiento, fosse trascorso solo un battito di ciglia. Quante cose avrei voluto raccontarGli, ma il Dreamer mi zittì con un cenno prima ancora che potessi aprire bocca e mi apostrofò senza indugio: 451

La Scuola «Se il successo dovesse accadere, „accidentalmente o per caso‟ nella tua vita, e questo vale per la maggior parte di chi ha raggiunto la fama nel mondo, allo stesso modo, „per caso o accidentalmente‟, vedresti che prima o poi altrettanto dolorosamente sparirebbe. Pensa a quanto è precaria la posizione di un uomo che ha accidentalmente raggiunto fama e successo, prima di tutto la paura el‟incertezza nei confronti di qualsiasi decisione lo paralizzerebbero. Non saprebbe cosa fare né come accrescere la sua fortuna ma ancor più egli non sarebbe in grado di né salvare, né difendere ciò che di diritto crede di possedere. Il successo reale è il risultato di un lungo lavoro, basato principalmente sull‟auto osservazione e sulla consapevolezza di se . Una lotta senza tregua contro l‟auto sabotaggio, le immaginazioni negative e le emozioni spiacevoli.» Il Vero successo è la scoperta di un tesoro seppellito nei meandri di noi stessi, che è la radice di tutte le vittorie: la Volontà.» Ero sopraffatto dalla nausea, la denuncia spietatata della mia condizione era lì sotto i miei occhi senza che avessi nemmeno pronunciato una parola. Il Dreamer aveva creato una opportunità dietro l‟altra per permettermi di raggiungere quel tesoro sepolto di cui parlava ma inutilmente. Ero ancora un uomo senza la Volontà. «Quello che è accaduto in Kuwait, quando hai abbandonato, barattando un regno per l‟illusoria protezione di un impiego, si sta ripetendo. E ancora oggi abbandoneresti tutto quello che ti è stato affidato per salvare te stesso» disse il Dreamer. Il tono scelto era severo senza durezza, ma le parole pesavano come macigni. «Circostanze ed eventi della tua vita si stanno riproducendo, uguali a se stessi in ogni minimo dettaglio, con perversa perfezione, seguendo il disegno di una ricorrenza immaginaria, un destino circolare inesistente, ma in cui tu credi e di cui non riesci a liberarti.» In realtà, non avevo bisogno di dirGli nulla dei cento assilli che tribolavano la mia esistenza. Il Dreamer sapeva. La mia vita era la stessa perché nulla era veramente cambiato in me. Credevo di essere venuto a sentirmi dire questo, ma le parole del Dreamer arrivarono invece a liberarmi, spazzando via l‟oppressione del pensiero della ricorrenza, così vicino alla superstizione del Karma, e 452

La Scuola degli Dei con essa, il rimpianto e l‟autocommiserazione che stavano già oscurando l‟Essere. «Solo apparentemente il passato ripete se stesso. In realtà non esiste un passato né nella vita di un uomo né nella storia di una civiltà. Il passato è una bugia. Non c'è nessun karma e nessuna vita precedente, nessuna colpa, nessun peccato e nessun castigo. Non c' è nessun aldilà o giudizio universale, nessun inferno o paradiso. C'è solo questo Istante, sacro, infinito, onnipotente. Usalo bene! Perché non avrai nessun' altra chance. Fuori dall' Adesso si è in balia del tempo - limitati, vulnerabili, mortali. The past is a lie. And all that which belongs to memory is a fiction. Whatever you believe has happened in the past, has never really happened. All that you believe to have happened in the past is just happening in this very instant. There is no moment before and none after. Everything happens Now because nothing is outside of Now. Now is the timeless beginning and endless end of every cicle, from electron to God.» 13 State is Place In quell‟incontro a Spaniards Inn, annotai parole senza tempo sui fogli del menu e sui tovaglioli che ancora conservo come cimeli preziosi. Quando mi sembrò che una pausa e un‟atmosfera più leggera potesse permetterlo, espressi al Dreamer la mia sorpresa per aver scelto per il nostro incontro quella locanda fuori mano. Il Dreamer viveva strategicamente. Sapevo che ogni Sua scelta, anche quella apparentemente meno importante, era al servizio del Suo intento. Una placida risata anticipò la Sua risposta. Celiando, mi spiegò che la ragione principale era la qualità della birra; quello era ancora uno dei pochi posti a Londra che poteva vantarsi di offrire da quattro secoli la migliore birra scura, ancora fermentata artigianalmente. Per qualche istante, prima di continuare, indugiò portando alle labbra il boccale di metallo, ma, come faceva col cibo, non ingerì nulla, neppure un solo sorso; poi mi raccontò che Spaniards Inn era stato un famoso „covo‟ e che intorno a quei tavoli si erano succedute generazioni di briganti e ladri di strada. Alcuni, processati sommariamente, erano finiti impiccati a un albero a pochi passi da lì. 453

La Scuola Ancora non capivo il nesso tra la mia domanda e questa storia finché sulla parola „ladri‟ il Dreamer si soffermò intenzionalmente, continuando poi a fissarmi in silenzio. Il sorriso era scomparso, e dalla durezza del Suo sguardo seppi che stavo per attraversare un momento difficile. Trafitto dai Suoi occhi, sentii il respiro farsi più breve e veloce. Quando riprese a parlare, disse: «Tu sei il ladro di te stesso. Ti rubi dentro. In business o in amore, i tuoi collaboratori e partner rifletteranno sempre e perfettamente la tua condizione, i tuoi stati d‟Essere. Un uomo può possedere solo ciò che è, e può scegliere ed essere scelto solo da chi merita.» Il riferimento all‟andamento della mia vita non poteva essere più esplicito. La dolorosità di quello che stavo ascoltando era già insopportabile quando il Dreamer portò il suo affondo. «Il peggiore dei partner non potrebbe mai ingannarti o rubare più di quanto tu possa ingannare o rubare a te stesso.» Pur sotto il martellare di quei colpi, stavo annotando ogni Sua parola. Una pausa mi diede il tempo di ritornare sugli eventi della giornata, dall‟incontro con i docenti, alla rinuncia all‟incontro con gli avvocati, la fede folle, irrazionale e gioiosa di riuscire a trovarmi lì con lui, in quella taverna. Infine capii. L‟infamia e l‟ignominia scattarono ai miei polsi con un suono metallico, ero proprio io il ladro sorpreso a rubarmi dentro. Il Dreamer inspiegabilmente „sapeva‟ dell‟acquisto del biglietto della lotteria. Sotto il Suo sguardo, potevo sentire quel ticket fisicamente bruciare nel taschino del mio cappotto, quasi volesse marchiarmi a fuoco con la lettera del disonore destinata ai ladri della peggior specie... Il Dreamer riprese a parlare: «Un uomo integro non crede nelle lotterie e non gioca, mai! Chi compra un biglietto, chi gioca d‟azzardo, ha già abdicato il potere dentro di sé di fare quel denaro, di attirare quella fortuna. Credere negli eventi esterni è barattare la vittoria certa per un fallimento sicuro. Chi compra un biglietto della lotteria è a caccia della sfortuna. Allo stesso modo chi gioca d‟azzardo o in Borsa soggiace alle stesse regole. Chi, attraverso un lavoro di integrità, ha costruito dentro di sé il potere di avere quel denaro, non ha bisogno di vincerlo.. Quel potere interno costruirà il potere finanziario fuori... Se non hai il potere e giochi, puoi vincere soltanto per sfortuna, per lack of luck. 454

La Scuola degli Dei Comprare il biglietto di una lotteria è l‟azione di un debole che non ha i muscoli per sostenere la ricchezza... tu non puoi meritarti di essere ricco. Stai denunciando la tua mancanza di generosità... di responsabilità... di amore. Persone come te, un giorno, tradiranno e ruberanno a se stesse credendo di poter rubare dal mondo del Dreamer, e tu sei tra quelli... Noi possiamo avere solo quello di cui siamo responsabili. Il vero avere è quello che corrisponde esattamente al nostro essere. Il potere finanziario è soltanto una conseguenza, la rappresntazione visibile di una prosperity consciousness. Quello che esternamente corrisponde ad Investment internamente, psicologicamente, si chiama Commitment.» Una pausa mi diede il tempo di completare i miei appunti e di assorbire la durezza di quella lezione. Poi in tre sole parole compresse l‟intelligenza di quell‟istante: «State is Place – annunciò – Un uomo occupa nello spazio fisico il posto che gli corrisponde nell‟Essere. Il luogo in cui è, l‟ambiente che lo circonda, le persone che incontra corrispondono mirabilmente ai suoi stati, alla qualità delle sue emozioni, dei suoi pensieri.» Il silenzio che ci aveva avvolto fino a quel momento, sigillando il nostro incontro in una bolla di riservatezza, si spezzò e la vita in quel pub riprese a scorrere come nei fotogrammi di un vecchio film liberato da un proiettore inceppato. Mi guardai intorno, percorsi con lo sguardo persone e oggetti come se avessero appena fatto irruzione nel mio universo e il Dreamer li avesse inventati per me, in quell‟istante. La sala si era affollata di una umanità improbabile, un universo alla Toulouse-Lautrec, deforme come il suo creatore. Esseri troppo magri, o esageratamente grassi, parlottavano o avevano lo sguardo perso nel silenzio e nel vuoto. Camicie sgualcite pendevano malinconiche dalle scarne spalle di alcuni, come da grucce, o erano tese allo spasimo sui corpi obesi di altri. Labbra truccate, aperte come ferite, imitavano sorrisi. Vite giovani, già avvizzite di uomini e donne, senza alito. Essi erano lì per cercare un attimo di sospensione dal loro inferno, in bilico tra due dolori, passato e futuro. Un uomo tarchiato stava portando alla bocca il pesante boccale da cui ingollava un liquido schiumoso ad occhi socchiusi con un‟espressione beota, come se si drogasse. Il suo ventre gonfio lo manteneva a distanza dal banco. Quei caratteri da cui fino a quel 455

La Scuola momento mi sentivo diviso come da un vetro, attraverso cui li vedevo fluttuare, sparsi nella liquidità della vita; quelle presenze che incrociavo da lontano, fugacemente, che credevo di poter dimenticare e lasciarmi alle spalle in qualsiasi momento, ora sapevo che mi appartenevano. Vidi fibre opache, partite dal mio corpo, connettersi a ognuno di quegli esseri, a ogni dettaglio di quell‟ambiente, e intrecciarsi tra loro fino a formare un fitto sistema arterioso che ci nutriva come un unico organismo, che ci univa in una orribile, indissolubile simbiosi. Ebbi la sensazione che il Dreamer non fosse più accanto a me. Non potevo muovere un solo muscolo, ma di sottecchi accertai che si era allontanato dalla mia vista… Una pressione dietro la nuca rovesciò i miei cinque sensi che ora non solo percepivano ma emanavano quel mondo, come se persone e cose, e tutti gli atomi dell‟universo si mettessero insieme e si dissolvessero ad ogni mio battito di ciglia. Qui l‟assenza del Dreamer si fece respiro, suono, voce. «Quella che vedi è la moltitudine, la legione che ti porti dentro – disse – Essi sono il tuo Essere reso visibile, la rappresentazione fisica della tua condizione…» In quella folla senza volto, in quella smorfia di dolore senza tempo, vidi fondersi le distinzioni sociali, le differenze razziali e religiose, e tutte le divisioni tra gli uomini che nei millenni sono state pretesto a guerre ed eccidi, e vidi i ruoli sciogliersi sotto i miei occhi, come maschere di cera. Restavano semplicemente uomini e donne senza altro scopo che rappresentare la mia dimenticanza. Quel circo variopinto e rumoroso, quello spettacolo, era stato allestito per permettermi di osservare quello che in tutto questo tempo non avevo voluto vedere né toccare in me. „State is Place‟ ripetei, penetrando nelle profondità di quel motto che abbatteva l‟illusione di un mondo esterno, estraneo, separato da me, e mi sentii perduto. Attraverso una nuova lucidità, collegai l‟allestimento teatrale del pub, quel mercato della disperazione, a quanto avevo potuto osservare nelle aule di scuole e università. Quell‟umanità spenta che veniva ad affogare nell‟alcool la propria degradazione, era del tutto uguale alla genìa di pedanti, maestri di sventura, vecchi, obesi, e ripetitori meccanici che perpetuano l‟educazione che hanno ricevuto. Essi pretendono di insegnare ai giovani quello che non sanno e di spiegare loro quello che non hanno capito né applicato a se stessi. Un teatro dell‟assurdo dove imbonitori calvi vendono lozioni per 456

La Scuola degli Dei capelli, ed economisti con le toppe nell‟Essere, worshippers of scarcity, insegnano l‟arte di creare ricchezza. «La Scuola che ti ho affidato non sta diventando niente di diverso da questo luogo di ozio e noia – disse il Dreamer – Cambia o questa umanità la riprodurrai dovunque tu vada perché non è fuori di te. Elimina questo marciume dall‟interno e vedrai questo mondo disperdersi come polvere sotto il tuo soffio. The world that you see and touch is a product of your dream. Your thoughts and emotions, beliefs and actions, history and destiny, the events and the people that surround you, are all produced and shaped by your inner Being. If you indulge in negative states like fear and doubt, you will be defeated by the very same world that you dream and project. » «Fai piazza pulita. Questa degradazione si può cancellare in questo istante. Puoi farlo solo ora – incalzò il Dreamer – L' adesso è il solo tempo esistente ed il solo mondo in cui tu possa agire. Se ci fosse un altro 'adesso', un istante prima, sarebbe un mondo totalmente diverso da questo e totalmente dimenticato l'istante dopo.» Rinnovai la mia promessa al Dreamer. La nuova università non sarebbe mai caduta in questo baratro, né soffocata in questo blob mortale. Sarebbe stata una scuola dell‟Essere, un organo planetario capace di generare le cellule nuove di un‟umanità guarita dalla conflittualità, dalla paura, dal dubbio, i filosofi d‟azione, i sognatori pragmatici, i leader visionari che il Dreamer sogna e di cui la nostra civiltà ha bisogno. «All existing ideologies of left and right are outdated and obsolete. Powerful forces coming from the individual and not from the mass are steadily rewriting the fundamentals of life. You as an individual are called to create through your integrity a new humanity, and redesign within yourself a new economics, project a brand new era and remember a new destiny.» 14 Be a King, the Kingdom will come Fu il Dreamer ad introdurre il discorso sulla Scuola ed io colsi l‟occasione per parlarGli estesamente dei numerosi aspetti della sua gestione, del suo sviluppo, delle sue necessità. Cercai per quanto possibile di attenermi ai fatti e di mantenere un sano distacco 457

La Scuola dal racconto ma poi le parole e il tono inavvertitamente scivolarono verso la lamentela. ParlandoGli in particolare degli aspetti finanziari del progetto e di quanto fosse urgente la necessità di trovare nuovi capitali, Gli raccontai delle difficoltà nel rapporto con le banche. A questo punto, il Dreamer intervenne a interrompere quel cahier de doleances, il mio indulgere nel lamentare problemi e ostacoli. «The School is already done. Non c‟è nulla che tu debba fare o aggiungere, se non obbedire al disegno dettato dal Sogno!» gridò con voce così alta e irata che temetti che tutti gli avventori si sarebbero voltati verso di noi. Ma nessuno sembrò aver sentito. «L‟università non è che un frammento del Sogno. Per te, come per tutti quelli che ne fanno parte, la sua realizzazione non è lo scopo finale ma uno strumento di cambiamento, una guida, un percorso verso una più alta visione dell‟esistenza.» Quindi lanciandomi uno sguardo deluso, come uno scienziato che osserva un esperimento fallito, disse: «Ti ho messo al timone della Scuola, una starship capace di viaggiare alla velocità del Sogno, ma il tuo non voler capire la sta trasformando in qualcosa che non mi appartiene ed io non posso permetterlo! Tu tradirai e sarai il peggiore degli altri, nei miei confronti ….. ma non importa ….. l‟esperimento continua.» Quelle profetiche parole mi portavano verso un ineluttabile destino, avrei voluto sapere di più, chiedere, ma il Dreamer continuò: «Our Being is the true Creator of all that happens to us. Innalza il tuo livello di responsabilità, rinnova la tua promessa e vedrai come l‟economia e il business obbediscono alle leggi dell‟Essere. Questa è la soluzione! Non accusare il mondo, le circostanze, gli altri, cercando colpe fuori di te; piuttosto, riguadagna il terreno perduto e rimetti insieme i frammenti sparsi della tua integrità. This is the solution. L‟integrità è uno stato d‟Essere, un senso di certezza, di completezza, di assenza di paura, di vitalità. La senti nella carne, nel respiro, nel cuore. Governi e nazioni, organizzazioni e imprese guidate dall‟integrità sono prospere, e hanno vita lunga e felice.» «Be a King, the Kingdom will come» disse, pronunciando le parole che sarebbero diventate un emblema nella mia vita e in quella degli studenti. 458

La Scuola degli Dei «La regalità dell‟Essere precede sempre la nascita di un regno. Essere prima di Avere e mai viceversa. Non augurarti mai che il regno possa precedere la regalità, ne saresti schiacciato, diventeresti polvere.» Quelle parole risuonarono chiare come rintocchi nella semioscurità del Pub, e mi sembrò che sollevassero scudi per proteggermi da un pericolo imminente. «Quando ti trovi di fronte a qualcosa che ti appare insormontabile, impossibile da affrontare… Ricorda Me!... le Mie parole, i princìpi del Sogno. Tutti i limiti vanno individuati nei tuoi stati interiori. Se ne sei consapevole, spariscono! Non preoccuparti per la mancanza di denaro. C‟è mancanza di denaro perché ti preoccupi! Osservati e non differire da quest‟attimo. Tutto è già fatto. C‟è un solo ostacolo: e questo sei tu» 15 La Banca «Il tuo commitment, la tua promessa interiore, ti procurerà tutte le risorse di cui hai bisogno − fu la risposta del Dreamer alla domanda che più mi premeva – Commitment is Investment… Commitment is Fortune… Punta tutto… Non lasciare un solo atomo fuori dal tuo impegno… Scommetti tutto quello che hai, e anche quello che ancora non hai, su te stesso, sulle tue idee, e il mondo intero scommetterà su di te.» Ricordai quello che mi aveva detto nella Casa del Pensamiento. L‟ostacolo principale contro cui si infrangono i progetti più ambiziosi non sono le risorse finanziarie ma la mancanza di uomini capaci di contenere un‟idea luminosa, di sostenere la responsabilità di un grande Sogno, di credere nell‟impossibile, di impegnare ogni energia nella sua realizzazione e di saperne pagare il prezzo anticipatamente. «When you find yourself facing a financial problem, don‟t be discouraged…. Still yourself…. Straight ten up your backbone…. Breathe deeply…. Turn all your attention toward your Inner Being… Take command of your wavering, quivering feelings and then affirm what you most want achieve with steadfast determination and certainty. This will bring infinite resource to your business and justice to your life. Focus all your attention on your Being, and be aware of 459

La Scuola your inner deaths, which are the very cause of all your misfortune…and win! You will see help and prodigious resources come abundantly and punctually with your every request. In stillness, secretly and silently, victory reveals.» L‟aria fresca di fine Agosto ci avvolse quando Lo seguii nel giardino per una breve pausa prima di salutarci. Era ormai notte. Osservai il chiarore della luna illuminare i rami del ciliegio già spogli e la candida camicia del Dreamer che spiccava sotto il soprabito scuro. Avrei voluto che quel momento, quella sospensione, quello stato di libertà, per me così raro, che stavo sentendo accanto a Lui, non avesse fine. La Sua voce sovrastò senza sforzo il fitto brusio proveniente dall‟interno del pub. «Usciamo − disse, avvolgendosi nel Suo morbido soprabito − questo giardino sa di vomito!» Sapevo che quel commento non riguardava il giardino ma in esso era compresso l‟amaro giudizio sulla mia esistenza. Mentre Gli camminavo accanto per i pochi metri che ci separavano dalla conclusione di quell‟incontro, il Dreamer completò il discorso di quella sera e andò dritto alla sua essenza. «Il denaro non è reale. Rende visibile nel tempo quello che un uomo ha già conquistato nell‟Essere, attraverso il suo commitment, la responsabilità, le vittorie che ha riportato su se stesso. Allo stesso modo, il più piccolo crack nel Sogno può scuotere dalle fondamenta un impero finanziario.» Poi aggiunse: «Vai in banca e chiedi quello che ti serve − furono le ultime parole che mi disse − Dall‟altra parte della scrivania troverai Me!» Quelle parole ora le vedevo scorrere nella mente come caratteri elettronici su uno schermo, mentre salivo le scale della M Bank. Ad un certo punto mi accorsi che le stavo recitando come un mantra per contenere l‟assalto di schiere di dubbi pronti a penetrare il Sogno e ad inceppare il potente ma delicato motore del meraviglioso. Il Dreamer mi aveva indicato la cifra da chiedere «Parla dei principi del Sogno, che faranno della Scuola una tra le istituzioni più importanti a livello planetario. La banca sa!» Non riuscivo ad immaginare come la stessa banca, che a stento ancora sosteneva il credito concesso, potesse decidere d‟emblée di ampliarlo a dieci volte tanto per permettere i nuovi investimenti richiesti dall‟espansione della Scuola. 460

La Scuola degli Dei Ancora una volta la mia ragione lottava contro la miracolosità che immancabilmente, giorno dopo giorno, aveva accompagnato la crescita del progetto e la trasformazione della mia vita in tutti quegli anni. Al Suo fianco avevo visto giganti abbattersi, sollevando la polvere di un nano, e montagne spostarsi o prendere le proporzioni di leggere gibbosità semplici da scalare. Quante situazioni intricate, irrimediabilmente perdute, avevo visto risolte dal Dreamer e sciogliersi come nodi tra le dita di un nocchiero. E quanti duelli impossibili avevo vinto con Lui accanto. Eppure, ancora dubitavo. Gli ostacoli che trovi fuori sono i limiti che ti porti dentro. Investi tutto sulla cosa più reale che hai: il Sogno Ricononosci te stesso come il solo creatore della tua realtà Ed i tuoi sogni diventeranno realtà Investi tutto ciò che hai E tutto ciò che non hai, rinuncia al gioco delle possibilità e ritorna alla realtà che è la mia volontà…. scommetti sulla cosa più reale che hai – il Sogno Quando dimenticherai „i princìpi del Sogno‟ sparirai dalla mia Visione e con te tutto ciò che credi di aver realizzato. Ispirato da questi princìpi, nell‟imminenza di quel difficile meeting con la M Bank, sentii crescere in me la potente arrendevolezza che il Dreamer chiamava „yes attitude‟. Quando dimentichi „i princìpi del Sogno‟ puoi solo arrenderti, e sparire dalla mia Visione. Mettiti in uno stato di integrità! Il pensiero di poter venir meno, di tradire la fiducia del Dreamer, era insopportabile. Mentre raccoglievo il mio coraggio e rafforzavo il mio intento, ricordai queste parole: Il banchiere che stai per incontrare sono Io. Io ti mando, Io ti riceverò ed Io ti ascolterò. 461

La Scuola Se piacerai a Me, piacerai anche alla banca. Se ricorderai la Mia presenza, le Mie parole, ti dirà di sì. La crosta sottile dell‟esistenza quotidiana si spaccò e fugacemente sbirciai la fonte, la lanterna magica che proietta le ombre della vita, fatti e circostanze che gli uomini chiamano realtà. La soglia che stavo per attraversare non era quella di una banca, ma la „porta stretta‟ dell‟invisibile che può essere varcata solo da un‟umanità libera dalla descrizione del mondo e dal suo ipnotismo, la biblica cruna dell‟ago attraverso cui passa più facilmente un cammello che un uomo „ricco‟ di ignoranza, di superstizioni, dubbi e paure. L‟ultima esitazione prima di entrare e poi con un gesto risoluto bruciai le navi dietro di me e distrussi i ponti con il passato. Presi il biglietto della lotteria dal mio taschino, lo strappai in mille pezzi che si dispersero nel vento e attraversai la soglia dell‟Infinito. Quella volta il Dreamer fu estremamente veloce, quasi brusco, nell‟indicarmi che cosa si attendeva da me. «È tempo di portare la Scuola in Italia, – disse in tono lapidario – è lì che incontrerai l‟Antagonista più arcigno e spietato che ti puoi augurare. Con il suo insostituibile aiuto avrai le migliori chance di affrontare i tuoi limiti e vincere te stesso.» Fin dall‟inizio il Dreamer mi aveva annunciato che la Scuola sarebbe stata uno spazio accademico senza frontiere, con sedi nelle grandi capitali del business mondiale, ma non avrei mai immaginato che accanto ai due palazzi in stile georgiano nel cuore di Londra, la prossima sede sarebbe stata un castello nel mezzo del nulla. La proprietà indicata dal Dreamer era splendida ma solitaria. Più che un‟aristocratica residenza di campagna, la Villa del Ferlaro si mostrava come una vera reggia. Essa era stata un dono di Napoleone I a sua moglie, Maria Luigia d‟Austria, erede d‟imperi. Da anni quella proprietà, ultimo lembo di una fortuna industriale finita in frantumi per un crack finanziario, era oggetto di aste giudiziarie che puntualmente andavano deserte. Per quanto la Villa del Ferlaro fosse bellissima e disponibile ad un prezzo di volta in volta più basso, da anni nessuno osava acquistarla. In parte per una superstizione locale legata all‟infelice destino di quanti si erano succeduti come proprietari, ma di fatto a causa della potente cosca a capo di quella città. Come seppi in seguito, essa da tempo 462

La Scuola degli Dei manovrava perché le aste andassero deserte, in attesa di trovare l‟accordo su come spartirsi quella ricca spoglia. Nell‟imminenza della mia partenza per l‟Italia, preparandomi a partecipare all‟asta, avevo raccolto e studiato tutte le immagini della Villa, tanto da conoscere in ogni dettaglio gli interni finemente affrescati, i grandi terrazzi, il giardino all‟inglese disegnato da Barvitius due secoli prima, e l‟immenso parco in cui era immersa. Quella proprietà mi affascinava ma era anche diventata il mio assillo. Se la formula accademica della nuova università, accanto al rigore accademico inglese e alla internazionalità, doveva avere tra le sue componenti fondamentali la cultura e lo stile italiano, non poteva essere immaginata una sede più confacente, ma allo stesso tempo anche più difficile da conquistare. La visione della sua bellezza, le sale, i dipinti, gli stucchi, venivano oscurati da una nebbia di paura e di ansietà al pensiero di diventare il successore di tante vite di uomini e donne, delle loro storie effimere, di quelle esistenze fragili e dei disperati naufragi che in due secoli si erano intrecciati con la Villa del Ferlaro. Quando appresi che, dopo la caduta di Napoleone, in quella villa Maria Luigia aveva vissuto e allevato i figli avuti in seconde nozze dal colonnello Neipperg, realizzai ancora più profondamente che vincere l‟asta non significava solo acquisire l‟acquisizione di una proprietà prestigiosa e dei terreni, ma contenere una storia di nobiltà e di stile, che aveva schiacciato chi incautamente aveva preteso di possederli senza averne la responsabilità. Più che una residenza regale essa era un simbolo, l‟abbreviazione stessa della storia di un‟intera città. Arrivare da Londra e conquistarla era un‟impresa tra le più ardue che il Dreamer potesse affidarmi. Un‟impresa la cui riuscita mi apparve subito impossibile. Non solo per la dimensione finanziaria dell‟operazione, già di per sé ardua da superare, ma per la venerazione ancora così forte per ogni vestigia di questa principessa imperiale che amò i suoi sudditi e ne fu profondamente riamata. Fu lei a creare le basi dell‟economia e della cultura di quella regione, attirandovi le maggiori influenze scientifiche e artistiche del suo secolo. «L‟impossibile è il possibile visto dal basso» mi disse quella volta il Dreamer esortandomi. «Alza il tiro, eleva l‟Essere. Capirai che l‟arte del sognare, l‟arte di credere e di creare, è proprio questo: la capacità di 463

La Scuola trasformare l‟impossibile in possibile e infine in inevitabile. È questa la condizione prima per la tua integrazione.» Le parole che seguirono le scandì con calcolata lentezza per attraversare la durezza della mia comprensione e farle penetrare in profondità. «You do not need money to purchase that property. You need commitment, an inner promise! Your commitment has to be total. Your inner responsibility and integrity, determine the extent of your financial means and produce all the necessary resources. Il denaro non è reale. Ciò che è reale è il commitment di un uomo, la forza delle sue convinzioni. Le risorse e il denaro ne sono solo la conseguenza naturale… essi si allineano e prendono le proporzioni del suo Sogno.» Quelle parole del Dreamer mi stavano rivelando qualcosa di straordinario che non si trova in nessun libro di testo e non può essere appreso in nessuna scuola di economia. Per la prima volta realizzavo che non c‟era mai stata conquista sociale, scientifica o economica, o impresa umana, tra quelle poi riconosciute come emblemi stessi del successo, che fosse stata realizzata col denaro. Il denaro era arrivato naturalmente, come conseguenza. Dietro ogni vittoria apparentemente impossibile c‟è sempre stato il Sogno di un solo uomo, di un individuo, e la forza delle sue certezze senza crepe, della sua capacità di crederci totalmente. La mente vagò poi si sospese, come un respiro che non torna, al pensiero di tutte le grandi imprese e avventure condotte apparentemente senza altra risorsa se non la forza visionaria di un uomo, la sua fede incrollabile. Queste riflessioni stavano relegando in soffitta, come totalmente obsoleti, i princìpi del capitalismo razionale e le teorie decisionali fondate sul calcolo economico e sul ritorno dell‟investimento. «All things are possible to the one who is whole. If you bet on yourself and your ideas, the entire world will bet on you – intervenne il Dreamer raggiungendomi nel turbinio di questi pensieri − Commitment to your ideas has to be total. The quality and success of your life depend upon your level of commitment.» «The Art of Dreaming, l‟arte di credere e di creare, è uno stato di libertà, uno stato di certezza, di assenza totale da ogni dubbio – continuò il Dreamer − Inner commitment is investment, it‟s the real money. It‟s your commitment that makes things happen! It‟s your commitment that attracts all opportunities and necessary 464

La Scuola degli Dei resources… The success of your actions in the external world is only a reflection of your commitment..» Nonostante la chiarezza con cui Egli illustrava questi principi, ero incapace di assimilarli, di farli miei. 17 Il Digiuno, alla vigilia della Battaglia Al pensiero di quell‟impresa provavo un insopportabile spasmo allo stomaco. La lucidità, l‟impavida certezza che emanava dalle Sue parole, lo alleviava. Ma il dolore, allontanato per qualche attimo, si riformava immediatamente, ancora più acuto. La mia mente andò indietro nel tempo, alla denuncia spietata che il Dreamer ebbe per il mio attaccamento a quella bottiglia d'acqua, il dolore e la sofferenza per quella forma di attaccamento che essa rappresentava. Tornai alle Sue preziose istruzioni nell'arte del digiuno come strumento per curare il corpo e per sollevare l'essere ad un livello superiore. Queste le parole che trascrissi e che portai con me in quel difficile momento di raccoglimento: “Attraverso il digiuno puoi ridare al tuo corpo giovinezza e salute a volontà, il sangue svolge il suo lavoro di pulizia nel corpo, inoltre il digiuno rappresenta il riposo fisiologico e ha il potere di far emergere tutti i rifiuti, sia fisici che psicologici. Ricorda! Qualsiasi tecnica o disciplina venga usata, essa resterà solo un mezzo per raggiungere l‟obbiettivo. La meta è il riposo, non lo sforzo, il goal non è il dolore ma la libertà dal dolore.” La politica, attraverso il continuo dialogo e la sua dialettica rappresenta un sistema di purificazione, il sesso, i films la televisione, sono tutti metodi di purificazione. Anche il lavoro fisico e tutte le tipologie di sports sono tecniche di purificazione. Il matrimonio stesso è un'altra pratica di purificazione, sia che abbia successo o meno. Tutti gli eventi della mia vita erano stati attentamente pianificati per prepararmi e per farmi arrivare a questo punto, questo era la misura del mio impegno. Richiamai alla mente tutti i miei colloqui con il Dreamer, i Suoi insegnamenti e i Suoi precetti. Fui grato per la mia guarigione attraverso la condivisione della Sua 465

La Scuola visione illuminata in ogni avvenimento della mia vita, dalle mie relazioni fallite ai miei problemi finanziari e nel ricordo dei Suoi principi, trascorsi insonne la notte precedente all‟asta e digiunai. Durante le ore di veglia lessi ancora i miei appunti. Compagni illustri di quel viaggio erano Pitagora, socrate, Platone e Lupelius, tutti loro digiunavano alla vigilia di importanti imprese e per evitare disastri imminenti. “Tutto quello che fai è meccanico, ma se fai attenzione anche ad uno solo dei tuoi movimenti, questo raddoppierà i suoi benefici perché tutto quello che è intenzionale, conscio e che proviene dalla tua volontà, ti arricchisce più di quanto tu possa immaginare. Il digiuno insieme alla respirazione intenzionale, elimina tutta la spazzatura psicologica, scioglie le cause delle emozioni negative e guarisce alla radice ogni malattia più velocemente di quanto abbiano impiegato a manifestarsi. Mangiare, digiunare camminare, ridere, se fatti intenzionalmente, sono modi efficaci per moltiplicare i benefici di un‟attenzione interiore. Tutto ciò che accade non intenzionalmente e senza una presenza consapevole presenza, non dovrebbe essere giudicato né contrastato ma compreso, studiato e padroneggiato.” Pur con tutto il mio impegno, anche questi rituali si dimostrarono inefficaci, e sentivo l‟ansia crescere in me insieme alle preoccupazioni per l‟esito di quella impresa. Il solo deposito cauzionale pagato per poter partecipare alla gara aveva prosciugato buona parte del credito che avevo ottenuto dalla M Bank. Ma il pensiero più tormentoso era che se avessi vinto e mi fossi aggiudicato l‟asta, avrei dovuto pagare l‟intera cifra residua in contanti entro pochi mesi. “„Credere per vedere‟ è la legge ineluttabile dei re, è la legge di chi governa se stesso… Avere fede, credere, appartiene all‟Arte del Sognare ed è la qualità intima del Sognatore. Un uomo fa un passo nell‟abisso e deve credere senza un solo attimo di dubbio che il terreno si formerà sotto il suo piede per dare ragione a quella sua mossa temeraria, alla sua pazzia luminosa.” Erano queste le straordinarie parole che avevo ascoltato dal Dreamer nell‟imminenza della mia partenza. Eppure non smetteva la 466

La Scuola degli Dei sensazione di essere tra due vertigini. Se avessi vinto avrei dovuto trovare tutto il denaro rapidamente, ma se non avessi partecipato avrei mancato un‟opportunità irripetibile, tra le più grandi create per me dal Dreamer, nel mondo del Dreamer perdere un‟opportunità significava tornare inesorabilmente al punto di partenza. Invidiai la forza dei monaci-guerrieri di Lupelius, l‟assenza di paura che assicurava invulnerabilità nelle imprese più rischiose e mortali. Per anni avevo studiato La Scuola degli Dei, il manoscritto di Lupelius, alla ricerca del segreto capace di trasformare l‟uomo fragile e insicuro che ci portiamo dentro in un eroe, un semidio che vede il mondo come la sua creatura e gli dà ordini. Così vivevo, come un funambolo sospeso tra abissi e vette. Da una parte mi attraeva il mondo dell‟audacia e della libertà, dove la voce del Dreamer risuonava con la forza di un grido guerriero, e dall‟altra ero risucchiato in uno stato di impotenza, di prigionia, in cui mi relegavano la paura e il dubbio e in cui languivo in una condizione di penosa incertezza. “La certezza che cerchi puoi trovarla solo in te − mi disse il Dreamer, leggendo i miei pensieri in rotta − The sense of feeling safe is an inner victory which cannot come from anything or anybody out there, but only from yourself.” Le Sue parole mi ispiravano. Ascoltandole mi sentivo innalzato sopra il piano dell‟ordinarietà, oltre i limiti ristretti delle mie possibilità. Poi, ma solo per un istante sentii la libertà del „volo‟ e vidi un barlume di luce alla fine del tunnel dei miei pensieri negativi e disperati. Ma tutta la mia determinazione, il coraggio raccolto a due mani, venne meno in un attimo quando, arrivato nell‟aula del tribunale, la trovai gremita di gente, e soprattutto scoprii che c‟era una fitta schiera di partecipanti all‟asta laddove mi attendevo di essere solo. Un nodo di disperazione mi strinse la gola mentre il giudice faceva l‟appello e uno dopo l‟altro annunciava il nome dei concorrenti. Dovetti lottare con quel senso di sconfitta che conoscevo così bene e che ora stava invadendo l‟Essere come un veleno che gelava ogni fibra e ammalava ogni cellula, svuotandomi di ogni energia. Nonostante fosse un‟informazione coperta da segreto d‟ufficio, la città aveva impiegato poco a sapere che un intruso, da 467

La Scuola Londra, aveva inviato la cifra prevista per concorrere. E per la prima volta in anni, invece di andare deserta, l‟asta si era affollata di undici concorrenti interessati all‟acquisto e che, come me, avevano versato la cauzione prevista. Naturalmente i veri pretendenti all‟acquisto erano nascosti dietro quei prestanome. L‟Unione degli Industriali, l‟Università statale, le due maggiori Banche, e tutti i poteri forti erano presenti; ognuno era una testa dell‟Idra, occhi e fauci di un unico animale che vigilava sullo status quo e governava ogni respiro di quella città. Una mostruosa creatura a nove teste con cui avrei presto dovuto fare i conti. Tentai di calcolare mentalmente quante potessero essere le probabilità di battere tutti quei concorrenti. Mi indebolii immaginando che avessero, rispetto a me, capacità economiche senza limite, che il prezzo sarebbe lievitato sotto la spinta delle loro offerte al rialzo, che mi avrebbero costretto ad abbandonare… L‟insicurezza, la paura di non farcela mi stavano riducendo alle proporzioni di un nano mentre il mondo esterno, per contro, si faceva smisuratamente grande e minaccioso. 18 L‟asta Lanciai l‟offerta decisiva. La cifra echeggiò nell‟aula gremita di pubblico e l‟audacia di quel rilancio riaccese le voci e infervorò i commenti. Poi il brusio si ridusse fino a cessare. Il tempo si sospese. In quell‟atomo di universo sottratto al tempo, i gesti rituali del giudice si stavano producendo lenti, solenni. Gli vidi spegnere la prima candela, poi la seconda… Prima che il colpo di martelletto segnasse l‟aggiudicazione di quella storica proprietà e la conclusione dell‟asta, l‟attimo cadde come una goccia di infinito. Tutta la mia vita mi apparve davanti… Rividi ogni mio abbassamento, ogni caduta e le impossibili vittorie che avevano costellato il procelloso viaggio alla scoperta di un varco attraverso cui evadere, che dimostrasse a ogni uomo che cambiare il suo destino è possibile. La condanna a invecchiare, ammalarci e morire, non è ineluttabile. Provai una gratitudine infinita per il Dreamer, per avermi accompagnato per mano nel mondo del coraggio e dell‟impeccabilità, dove il tempo e la morte non esistono, dove la ricchezza non conosce „ladri né ruggine‟. 468

La Scuola degli Dei Al silenzio che seguì il mio rilancio, quando sembrò che ogni altro concorrente si fosse arreso, provai l‟esultazione dell‟egocentrismo e già mi attribuivo il merito di quella vittoria che ormai credevo sicura. Bastarono quei pochi atomi di vanità perchè dubbio e paura irrompessero nei miei pensieri. Un‟eclisse dell‟Essere oscurò ogni certezza e annullò il senso di onnipotenza che mi aveva sostenuto fino a quel momento. Il mio rilancio mi apparve l‟atto di un irresponsabile, e maledissi il mio coraggio giudicandolo temerario, sconsiderato. La cifra che avevo offerto per aggiudicarmi l‟asta ingigantì fino ad apparirmi enorme. E mentre ero a un soffio dal vincere e conquistare quella proprietà così aspramente contesa, sentii le ginocchia cedere e la nausea invadermi. Arrivai a maledire l‟incontro con il Dreamer e la decisione a partecipare a quell‟impresa sconsiderata. Una sostanza collosa impiastrò la bocca e provai l‟inconfondibile dolore che da sempre aveva governato la mia vita. La paura di perdere si era trasformata nella paura di vincere senza cambiare il suo gusto dolciastro, la sua afflizione. Sentii il mio mondo minacciato dal panico, dal terrore, dalla desolazione. Sentii le membra spossate, dissanguate da una malattia mortale. Avrei voluto abbandonare il corpo, lasciarlo lì come una spoglia e andarmene. “Tu puoi credere che la paura sia una naturale reazione a qualcosa che ti minaccia dall‟esterno, ma non è così – mi disse il Dreamer, in altre circostanze – in realtà, è la tua paura che è la fonte, la vera causa di ciò di cui hai paura.” Accusai dentro di me il Dreamer di avermi messo ancora una volta di fronte a un‟impresa insuperabile, a un altro oceano da attraversare un‟altra vetta da scalare. Rimpiansi di esserci venuto, mi pentii di avere ostentato una sicurezza che non mi apparteneva. Il “Sogno” che mi aveva condotto fin lì si stava dissolvendo. Vidi quell‟istante infinito spirare, la sua eternità scivolarmi tra le dita e dissolversi come una goccia nello Stige del tempo. Ripiombai nel girone di quel tribunale, tra le ombre che affollavano l‟aula, attore inconsapevole del mio stesso dramma. Girai la testa per dare un‟occhiata furtiva alla porta. Era ancora socchiusa, provai un palpito di sollievo. 469

La Scuola Il mio viso deformato dalla paura messo alla gogna, si proiettò su un‟immensa piramide di cristallo un attimo prima che esplodesse col fragore di un mare in tempesta. La pioggia di schegge riempiva ancora l‟aria quando la voce del Dreamer superò quel boato e mi arrivò più vicina del mio stesso respiro. Here there is no time, no death. In My world there is no space to turn back, to accuse or regret. Here, close to the Dreamer, there is no space to indulge in any weakness, doubt or fear. Queste Sue parole stavano ancora vibrando, quando la voce di uno degli ultimi concorrenti ancora in gara si levò alta e sicura rilanciando con una cifra che superava di molto la mia, quella piaga dell‟Essere mai rimarginata, stava materializzandosi, ancora una volta… la frazione di un istante e avrei definitivamente perso quell‟asta. Il gesto del giudice impiegò un tempo infinito per compiersi e vidi il martelletto sollevato, pronto ad abbattersi. Non era l‟asta che stava per concludersi ma l‟inappellabile giudizio che sigillava la mia condanna a una perpetua schiavitù. Un dolore improvviso, inspiegabile mi ghermì dal lato sinistro del collo con artigli d‟acciaio. Mai prima d‟ora avevo provato un dolore così atroce che mi costrinse a voltare la testa verso l‟alto e prendere un respiro profondo. Il Dreamer mi aveva appena sfiorato. L‟unica ragione per essermi accanto è la vittoria sulla morte io sono la minaccia letale a tutto quello che in te ha deciso di morire e a tutto quello che in te vive della morte. L‟aria si rabbuiò. Sul viso dei concorrenti all‟asta scorsi un ghigno di ferocia e di scherno; erano la prima schiera di una falange nemica pronta ad annientami. Le pareti dell‟aula si abbatterono e mi trovai in campo aperto tra il clamore delle armi e dei corni di guerra, mentre il suolo tremava per il calpestio possente degli eserciti e degli zoccoli di mille destrieri impazziti. Nell‟orrore di quel carnaio, tra braccia e gambe che saltavano falciate, mi ritrovai tra i monaci guerrieri di Lupelius. Erano armati di spade, ma senza corazza né scudo, come la Scuola 470

La Scuola degli Dei richiedeva. Essi passavano tra le file delle milizie invisibili agli occhi mortali del nemico, protetti dal credo incorruttibile nella propria invulnerabilità. Le avverse falangi erano onde di un mare in tempesta dagli urlanti colori. L‟aria greve dell‟odore di sangue e delle grida dei feriti, era irrespirabile. Una immensa nuvola di frecce, orrendamente sibilante, si era sollevata e stava oscurando il cielo… In quel momento supremo il Dreamer mi apparve accanto. «Non indietreggiare!» urlò, superando il fragore dell‟infrangersi delle avverse armate. C‟era nella Sua voce la determinazione e la spietatezza del guerriero che conosce solo la vittoria. «Muoviti da quello stato di morte, o sarai eliminato. Ritorna alla totalità dell‟Essere, ritorna all‟uno, solo così sarai invulnerabile. Non indulgere neppure per un attimo, perché l‟esito di questa battaglia, la sconfitta o la vittoria, dipende solo da te.» Mi ricordai della disciplina dell‟invulnerabilità di cui avevo letto nel manoscritto „La Scuola degli Dei‟: “Lupelians were not battling for supremacy, control or power over the others. Lupelius called his monk-worriors to fight not for the poor, the needy or the oppressed, but as a litmus test to express on the battlefield their inner achievement as real conquerors of death. Lupelius' discipline was not preparing people to lay down their lives and become martyrs or heroes in the name of some ideology or faith, but for the sole purpose of opening a gateway to immortality, first in their hearts and consequently, in their physical bodies.” Nugoli di frecce stavano abbattendosi su di noi, a ondate micidiali, ed io osservavo il miracolo della nostra incolumità mentre a centinaia cadevano intorno a noi soldati e cavalieri trafitti. Giunta al suo parossismo, la battaglia non dava ancora segni di sfebbramento. Con il nerbo dell‟esercito, tra il garrire di mille vessilli vittoriosi, stavo attraversando le acque impetuose del Granico, alle porte dell‟Asia, all‟inseguimento del nemico in rotta. In ogni fibra sentii il coraggio, la certezza, il senso di vittoria che ha pulsato nelle vene degli eroi in tutta la storia del mondo, e per una frazione di attimo conobbi la gioia ineffabile di un immortale. Fu allora che una freccia più veloce del vento, affilata come un rasoio, mi colpì tranciando via il lobo dell‟orecchio e lasciando la traccia di un dolore bruciante. La sentii come un memento della mia 471

La Scuola vulnerabilità, un annuncio di morte. Il vento cambiò, improvvisamente. Il calpestio pesante di un cavallo lanciato al galoppo, si distinse da ogni altro suono e precedette la visione di un‟immensa figura di cavaliere che emerse dalla bruma. L‟armatura mandava bagliori alla luce dei fuochi di campo. Quando mi arrivò davanti fece impennare l‟animale tanto vicino che sentii gli zoccoli sfiorarmi il viso. Feci un movimento all‟indietro, appena in tempo a scansarli. Sentii l‟ineluttabilità della sconfitta e la mia rassegnazione prima ancora che un urlo muto di terrore mi echeggiasse dentro. Con un gesto rapido, si tolse l‟elmo e lo lanciò lontano facendolo volare come un uccello meccanico, mentre sfoderava la spada. La lunga chioma color cenere, sprigionata, ondeggiò al vento e lo riconobbi. Quel nemico mortale era Lui, il Dreamer. Il Suo viso non aveva espressione, appena uno scintillio nei Suoi occhi, quando alzò la spada per colpirmi. Sentii la lama penetrare in profondità nella mia carne. La miriade di frammenti che era stata la mia vita fino a quel momento si fuse e quei brandelli di me gridarono all‟unisono, a fronte della loro estinzione certa. Con un urlo di orrore mi compressi il collo a due mani, nel tentativo disperato di tenere uniti i lembi di quello squarcio mortale e arrestare lo sbotto di sangue. Da quel mondo pulsante di epos e morte, di eroismo e tragedia, ricaddi nell‟irrealtà di quell‟aula. Avevo tutti gli sguardi puntati su di me, in attesa della mia mossa. Sentii la coltre ipnotica del mondo sollevarsi, come un sipario sul dramma esternamente simboleggiato da quell‟asta, ma in realtà un dramma solo interno. Ora sapevo qual‟era la vera posta in gioco. Feci appena in tempo a rilanciare un‟offerta finale, imbattibile, che lasciò alle mie spalle anche l‟ultimo rivale, insieme a paura e dubbi. La Villa del Ferlaro e il suo immenso parco, avevano ora un nuovo proprietario: The European School of Economics. Era la fine dei lunghi anni di oblio in cui era stata lasciata quella residenza regale e l‟inizio del suo nuovo destino. Uno scroscio di applausi lungo, intenso, accompagnò l‟aggiudicazione di quella proprietà così aspramente contesa. Generazioni di filosofi e asceti, scuole esoteriche, monasteri e ashram avevano svolto il loro lavoro per secoli per portare il Sogno fin lì, per riportare la Scuola in Italia. Era l‟unica cosa che ora contava. Vidi i giornalisti fendere la folla per primi e sfrecciare fuori per portare la notizia alla città, al Paese; sarebbe apparsa nella 472

La Scuola degli Dei pagina di apertura dei notiziari di tutti i media e dei giornali che per anni avevano seguito le alterne fortune di quella proprietà e le sventure di quanti l‟avevano posseduta. E mentre il pendolo si avviava verso il punto più alto della sua oscillazione, già si caricava la forza contraria e l‟Antagonista iniziava il suo cammino apparentemente avverso. La sua azione sarebbe stata spietata e insostituibile, come aveva previsto il Dreamer. «Everything happens for your final victory» mi disse quando nei mesi successivi all‟asta. Gli raccontai dei potenti antagonismi che stavo fronteggiando, della lotta con l‟Idra dalle nove teste e dei crescenti ostacoli che trovavo sul cammino, sollevati come scudi e barricate contro il crescente successo della Scuola in Italia. “Even those who appear to be against you, occupy a purposeful part for the realization of the Dream and a very meaningful opportunity for your growth and understanding. There is no Antagonist, enemy or demon outside of yourself. Scova il nemico nei recessi più nascosti dell'Essere e vincilo. Non esistono migliaia di nemici, ne esiste uno solo e una sola è la vittoria, quella sulla morte. » Qualche tempo dopo, il Dreamer, riferendosi ai concorrenti di quell‟asta, avrebbe commentato: «Quegli uomini sono venuti, o sono stati mandati, a comprare il visibile, ipnotizzati dal denaro, dal valore della proprietà, dall‟avidità di possederla. Il desiderio è tempo e tutto quello che appartiene al tempo è falso. Non c‟è nulla che si possa possedere nel tempo, né c‟è una soluzione o una guarigione. Questo potrai comprenderlo solo quando in te governerà l‟Adesso, il tempo reale.» «Quando sostituisci al Sogno vanità e il desiderio – disse, facendomi rivivere quel momento di eclisse dell‟Essere che mi aveva rimpicciolito e tolto ogni forza nel momento più cruciale della gara – diventi uno di loro e questo ti farà subire lo stesso destino di tutti quelli che hanno cercato di possederla senza averne la responsabilità. Un crack economico è sempre preceduto da un crack nell‟Essere. A man can only possess what he is responsible for.» «Connettiti al Sogno – disse – Il Sogno è assenza di tempo, è assenza di morte… Tu non sei qui per soddisfare un tuo desiderio o la tua possessività o per acquistare una sede. Tu sei qui 473

La Scuola per vincere la più terribile delle superstizioni dell‟uomo, la sua bugia più radicata.» Il Dreamer qui si fermò e mi scrutò, come a cercare un segnale per andare avanti prima di trasferirmi un messaggio così potente. Il Dreamer stava per rivelare il fine ultimo del mio lungo apprendistato, il senso degli infiniti sforzi richiesti per vivere accanto a Lui e l‟essenza della Sua visione. Un‟onda dolorosa si gonfiò nella regione del cuore. Trascrissi fedelmente il Suo messaggio per poterlo un giorno trasferire a tutti quelli che cercano e sono pronti ad ascoltare il respiro dell‟infinito, dell‟immortalità. Quando continuò il Suo tono era solenne, la voce vibrante. «Tu sei qui per deragliare dal tuo destino inflessibile, per cambiare l‟impossibile: the unchangeable you! Qui hai l‟occasione di sconfiggere il tempo ed affermare la tua vittoria sulle morti interne che preludono e sono la sola causa della morte fisica. You are here for the sole purpose of opening a gateway to deathless life, to infinity. When you stop dying within, there will be no longer a „time‟ outside of yourself… a time that puts a cadence to your life, makes you age, get sick and die. When you stop dying within, real life will overwhelm you and occupy any atom of your Being. Non ci sono centinaia di problemi da risolvere, ma solo te stesso! La vera vittoria, la soluzione, è una: ritorna a te stesso! Ritorna a essere integro, completo, unico… Un guerriero non può permettersi di perdere neppure un atomo della sua integrità… può essere solo completo! Amati dentro con tutte le tue forze ed ogni cosa al mondo sarà perfetta. Tutto, dico tutto, compreso il passato, prenderà le tue sembianze e sarà ricreato a tua immagine e perfezione.» «Be very careful! You asked to be closer to the Dreamer and this doesn‟t allow you to do anymore what you used to do, not even think or feel what you used to think and feel. Living closer to the Dreamer is for few and it is very risky. Living closer to the Dreamer is the most difficult task you could ever undertake. Here if you forget yourself you will be instantly catapulted in your infernal past and get lost. 474

La Scuola degli Dei Here, closer to the Dreamer there is no space for you to indulge in any weakness, regret, doubt or fear. Here, you have to be strong. Here, closer to the Dreamer you can only be pure and whole. Dovevo avere un‟aria allarmata, la Sua voce divenne paterna e incoraggiante prima di dissolversi Il Dreamer che è in te ti parlerà sempre, sii consapevole di questo! Ricorda la Sua voce, segui le Sue istruzioni. Essere attenti alle Sue lezioni, fedele ai Suoi principi, obbediente al Suo comando, fai della tua vita l‟espressione della Sua intelligenza e del Suo amore. Il Sogno è la cosa più reale che ci sia. Dream is the most real thing there is. Its timeless action will create all that you have desired for years and failed to achieve.» Promisi a me stesso che non avrei mai più dimenticato.

Dream, dream, dream… never stop dreaming. Reality will follow. Sogna, sogna, sogna senza posa… La realtà seguirà.

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Sesta Edizione italiana 2011

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