La religione americana
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Zitiervorschau

Harold Bloom

LA RELIGIONE AMERICANA

Garzanti

HAROLD

BLOOM

LA RELIGIONE AMERICANA

L’avvento della nazione post-cristiana

Garzanti

Grafica di Marco Volpati In sopraccoperta: America, America (1964) di Martial Raysse. Parigi, Centre Georges Pompidou. © by S.I.A.E., Roma 1994.

È possibile isolare, nel fiorire inces­ sante di chiese e sette che esprimo no altrettanti volti della spiritualità degli Stati U niti, i lineam enti com uni di una vera e p ro p ria Religione Americana? A questa domanda Harold Bloom risponde con il taglio imparziale e graffiarne del critico della religione e della letteratura. In una panoram ica ricca di informazioni e di sugge­ stioni, Bloom approfondisce e discute le creazioni più importanti della spiritualità americana: dalla Chiesa mormone ai Testimoni di Geova, dalle diverse congregazumi Battiste alle tendenze New Age, senza dim enticare l’im patto dei telepredicatori e l’influenza delle comunità religiose sulle scelte poli­ tiche. Analizzando questa com plicata fenomenologia, per noi quasi com­ pletamente inedita, Bloom ricono­ sce da una parte una spiccata con­ notazione nazionale; dall’altra indi­ vidua caratteri che, più che il cri­ stianesimo tradizionale, evocano le dottrine gnostiche: la mistica della rivelazione, il rapporto diretto fra l’individuo-comunità e la divinità, fino alla confusione fra uomo e Dio e a una irresistibile propensio­ ne messianica. L’idea di umanità e gli imperativi esistenziali che ne conseguono fanno da sfondo a comportamenti sociali descritti con lucida ironia, su un orizzonte che vede le avan­ guardie della Religione Americana avanzare anche in Europa, mentre con l’apporto delle com unità di colore già si affacciano nuove con­ fessioni sincretiste e multietniche, che annunciano la civiltà del xxi secolo.

Harold Bloom (New York 1930) è uno dei più autorevoli critici lette­ rari am ericani contem poranei. Insegna lettere all’università di Yale e letteratura inglese all’università di New York. Tra le sue opere, L ’angoscia dell’influenza. Una teorìa della letteratura (1973, tr. it. 1983), La Kabbalà e la tradizione critica (1975, tr. it. 1981), Una mappa della dislettura (1975, tr. it. 1988), Agone. Verso una teoria del revisionismo (1982, tr. it. 1985), Il libro di ] (1990, tr. it. 1992) e Rovinare le sacre verità (1989, Garzanti 1992).

L. 38.000 (prezzo di vendita al pubblico)

È possibile isolare, nel fiorire incessante di chiese e sette che esprimono altrettanti volti della spiritualità degli Stati Uniti, i lineamenti comuni di una vera e propria Religione Americana? A questa domanda Harold Bloom risponde con il taglio imparziale e graffiarne del critico della religione e della letteratura. In una panoramica ricca di informazioni e di suggestioni, Bloom approfondisce e discute le creazioni più im portanti della spiritualità americana: dalla Chiesa m orm one ai Testimoni di Geova, dalle diverse congregazioni Battiste alle tendenze New Age, senza dimenticare l’impatto dei telepredicatori e l’influenza delle comunità religiose sulle scelte politiche. A nalizzando questa com plicata fenom enologia, p er noi quasi completamente inedita, Iìloom riconosce da una parte una spiccata connotazione nazionale; dall’altra individua caratteri che, più che il cristianesimo tradizionale, evocano le dottrine gnostiche: la mistica della rivelazione, il rapporto diretto fra l’individuo-coinunità e la divinità, fino alla confusione fra uomo e Dio e a una irresistibile propensione messianica. L’idea di umanità e gli imperativi esistenziali che ne conseguono fanno da sfondo a comportamenti sociali descritti con lucida ironia, su un orizzonte che vede le avanguardie della Religione Americana avanzare anche in Europa, mentre con l’apporto delle comunità di colore già si affacciano nuove confessioni sincretiste e multietniche, che annunciano la civiltà del xxi secolo. Harold Bloom (New York 1930) è uno dei più autorevoli critici letterari am ericani contem poranei. Insegna lettere all’università di Yale e letteratura inglese all’università di New York. Tra le sue opere, L'angoscia dell'influenza. Una teoria della letteratura (1973, tr. il. 1983), La Kabbalà e la tradizione critica (1975, tr. it. 1981), Una mappa della dislettura (1975, tr. it. 1988), Agone. Verso una teoria d-el revisionismo (1982, tr. it. 1985), li libro d iJ (1990, tr. it. 1992) e Rovinare le sacre verità (1989, Garzanti 1992).

Harold Bloom

La Religione Americana U avvento della nazione post-cristiana

G arzanti

Prima edizione: maggio 1994

Traduzione dall’inglese di Serena Lauzi Titolo originale dell’opera: The American Religion. The Emergence o f the Post-Christian Nation © 1992 by Harold Bloom ISBN 88-11-73839-3 © Garzanti Editore s.p.a., 1994 Printed in Italy

La Religione Americana

a Richard Poirier

Ancora adesso, nel 1848, si ha l ’impressione che la politica sia ovun­ que; si vedrà tuttavia come la catastrofe (la Rivoluzione) abbia perfetta corrispondenza con noi, e sia opposto speculare della Riforma: allora tut­ tofaceva pensare a un movimento religioso, per poi rivelarsi politica; og­ gi tutto fa pensare a un movimento politico, che diverrà invece religione.

Soren Kierkegaard, Diario (a cura di Alexander Dru)

Invocazione: La Terra dell’Im brunire

Libertà, nel contesto della Religione Americana, significa essere soli con Dio o con Gesù, il Dio americano o il Cristo americano. Nella realtà sociale ciò si può interpretare come solitudine, per lo meno nel senso più intimo del termine. L’a­ nima si isola, e qualcosa di più profondo dell’anima, il Vero Io o il sé o la scintilla divina, divengono in tal modo liberi di esse­ re totalmente soli con Dio: un Dio che è a sua volta isolato e solitario, un Dio libero o, in altri termini, un Dio di libertà. Ciò che permette al sé e a Dio di entrare così liberamente in una comunanza spirituale è il fatto che il sé ha già attinenza con Dio; a differenza del corpo e perfino dell’anima, il sé ame­ ricano non è parte della Creazione, o dell’evoluzione nel susse­ guirsi delle età. Il sé americano non è l’Adamo della Genesi, bensì un Adamo ancora più primordiale, l’Uomo venuto pri­ ma che ci fossero gli uomini e le donne. Questo vero Adamo, che precede gli angeli nel tempo ed è loro superiore, è antico quanto Dio, è più antico della Bibbia ed è libero dal tempo e incontaminato dalla mortalità. Questa visione, quali che ne siano le conseguenze sociali e politiche, possiede una straordi­ naria forza immaginativa. Alla prova dei fatti, non c’è ameri­ cana che si senta libera se non quando è sola, e che in definiti­ va ammetta di essere parte della natura. La guerra contro l’Iraq è stata un’autentica guerra di reli­ gione, ma non per il fatto che la spiritualità islamica abbia avuto un qualche ruolo, né da una parte né dall’altra. E stata piuttosto la guerra della Religione A m ericanate della Religio­ ne Americana all’estero, persino fra i nostri alleati arabi) con­ tro tutto ciò che mette in discussione l’essenza e le prerogative del sé inteso come criterio universale di giudizio dell’essere e del suo valore. Non si tratta qui di un problema di democra­ zia, e neppure la difesa della proprietà privata è la principale posta in gioco. Il presidente George Bush, che non è mai stato 11

considerato una persona particolarmente devota, nel chiam a­ re al suo fianco Bill Graham quale emblema della Religione Americana ha semplicemente seguito l’esempio del presidente Reagan e di altri suoi predecessori (Nixon, Ford, Carter). Le apparizioni di Graham a fianco del presidente, la Bibbia pe­ rennemente in mano, hanno implicitamente garantito che la guerra aveva una legittimazione biblica. In questo libro avrò la temerarietà di affermare che mentre il giudaismo e il cristia­ nesimo tradizionale non sono religioni bibliche (nonostante tutte le loro asserzioni), la Religione Americana è veramente biblica, anche se la sua Bibbia si riduce generalmente agli scritti di san Paolo (per i battisti del sud) oppure a un insieme di scritture americane che l’affiancano o la sostituiscono (co­ me è il caso dei mormoni, degli avventisti del Settimo giorno, degli Scientisti cristiani e di altri ancora). Sydney Ahlstrom ha ripetutam ente affermato che non è mai esistita una specifica teologia americana, pur parlando esplici­ tamente di una «Religione Americana» (come del resto fece Tolstoj prima di lui). Se questa religione ha avuto un teologo, secondo Ahlstrom, questi è stato Emerson. Rispetto aU’America, Emerson si è espresso in questi termini: «Grande paese, menti limitate. L’America è informe, non ha nessuna terribile e magnifica sintesi». Era il giugno del 1847, e il grande saggio americano era ancora adirato per il coinvolgimento nella guer­ ra contro il Messico, che in quel momento della storia ameri­ cana aveva lo stesso ruolo che l’Iraq ha oggi. L’osservazione di Emerson resta vera anche oggi: noi siamo informi. La nostra letteratura, nonostante la successione di grandi poeti e rom an­ zieri - Hawthorne, Melville, W hitman, Dickinson, M ark Twain, Henry Jam es, Frost, Stevens, Eliot, Faulkner, Fitzgerald, Hemingway, H art Orane - non è ancora giunta a darci, del nostro carattere nazionale, una sintesi che sia terribile e magnifica insieme. Tutti costoro sono grandi autori, ma ten­ dono a tenersi a una certa distanza dal sé e dagli abissi gnosti­ ci e orfici del sé della nazione, per timore di dissolversi in esso. Se vogliamo trovare la nostra sintesi, spesso terribile, a volte magnifica, ho il sospetto che dobbiamo cercarla negli aspetti più legati alPinteriorità e meno definiti della nostra fede nazio­ nale, nelle bizzarie che stanno al fondo della religione afroa­ mericana così come dei battisti del sud, dei mormoni, dei pen­ 12

tecostali e delle altre varianti, tipicamente americane, dell’e­ sperienza spirituale. Nulla è più estraneo alla Religione Americana della celebre e bellissima osservazione di Spinoza nella sua Etica : chiunque ami Dio di amore sincero non deve aspettarsi di essere riamato da Dio. L’essenza del credo americano è la convinzione di es­ sere amati personalmente da Dio, e tale convinzione è condivi­ sa, secondo i sondaggi Gallup, da quasi nove americani su die­ ci. Vivere in un paese in cui la grande maggioranza della po­ polazione si sente beneficiata dell’affetto di Dio suscita una commozione profonda, e forse non è da escludere che un’inte­ ra società possa reggere il peso di questa predilezione così su­ blime, che dopo tutto nella Bibbia ebraica risulta essere stata concessa soltanto al re Davide. Il processo di democratizzazio­ ne e di americanizzazione del cristianesimo, delineato in modo così convincente da Nathan Hatch e da Jon Butler, potrebbe essersi originato con la Rivoluzione Americana, o viceversa potrebbe aver contribuito a provocarla. Non essendo uno sto­ rico, non mi sento di affermare con certezza né l’una né l’altra cosa. Come critico della religione, però, non cesso di provare un senso di stupore, e addirittura di sentirmi assediato dall’e­ lemento revivalistico tipico della nostra esperienza religiosa. Il revivalismo, in America, tende ad assumere per l’individuo la caratteristica della riscoperta perenne e traum atica di qualco­ sa che si è sempre saputo, cioè che Dio ci ama, uomini e don­ ne, in modo assolutamente personale e diretto. L’amore di Dio nobilmente disinteressato, ovvero puramente intellettuale, di Spinoza qui nella Terra delPImbrunire è assolutamente non­ americano, almeno a partire dagli inizi del x ix secolo.

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i. Origini

1 Cos’è la critica della religione?

/ Questo è un libro scritto da un critico letterario americano sullo spirito che permea in profondità la fede della sua nazio­ ne, e tuttavia il genere a cui appartiene il presente'studio non è la critica letteraria. Piuttosto è il caso di parlare di un tentati­ vo sperimentale di attuazione di quella che io chiamo critica della religione: una specifica modalità di descrizione, di analisi e di giudizio finalizzata a farci meglio comprendere i meccani­ smi interni che regolano l’immaginazione religiosa. La critica letteraria, così come ho im parato a conoscerla e ad applicarla, in ultima analisi ha per oggetto una dimensione irriducibil­ mente estetica tanto nel teatro come nella poesia e nella narrati­ va. Analogamente, la critica della religione dovrà istituire a proprio oggetto la dimensione irriducibilmente spirituale tanto delle questioni che dei fenomeni a carattere religioso, quali che essi siano. I valori estetici, a mio modo di vedere, trascendono il discorso sociale e politico, dal momento che sempre più spesso tale discorso trova un più efficace veicolo nella cattiva arte che non nell’arte vera. In modo non dissimile, i valori spi­ rituali trascendono le tematiche sociali e politiche, a quanto pare anch’esse meglio veicolate, oggi, da sistemi di rappresen­ tazione connotati non tanto dalPimmaginazione quanto piut­ tosto dalla sua assenza. Letteratura e religione non sono unite in società, se non per il fatto di essere entrambe orfane di un quadro concettuale organico e perché vagano senza meta nel vuoto cosmologico delimitato dai due poli opposti del signifi­ cato e della verità, tutti e due parimenti inaccessibili. A oggetto della critica della religione, ovvero di questa ri­ cerca incessante di una spiritualità capace di sopravvivere a qualsiasi forma di riduzione, ho posto quella che, per quanto non riconosciuta, è la nostra fede nazionale, a cui darò il nome 17

di Religione Americana, seguendo in tal senso le orme di Syd­ ney Ahlstrom (e di Tolstoj). I mormoni e i battisti del sud si definiscono cristiani pur essendo, come del resto la maggior parte degli americani, più vicini agli antichi gnostici che ai primi cristiani. In questo mio studio ho privilegiato i mormoni e i battisti del sud rispetto ad altre confessioni religiose (per ragioni di cui dirò più diffusamente in seguito), benché si pos­ sa dire che negli aspetti più istintivi e profondi della loro fede gran parte dei metodisti americani, al pari dei cattolici romani e persino degli ebrei e dei musulmani, siano anch’essi più vici­ ni allo gnosticismo che al cristianesimo normativo. La Religio­ ne Americana è pervasiva e soverchiante, quale che sia la m a­ schera sotto cui si cela: persino i presupposti del pensiero laico affondano le loro radici in un terreno più affine allo gnostici­ smo che alPumanesimo, e ciò vale financo per coloro che si professano atei. La nostra è una cultura ossessionata dalla re­ ligione, disperatamente alla ricerca dello spirito, ma ciascuno di noi è al tempo stesso soggetto e oggetto dell’unica ricerca che conta: quella del sé individuale originario, scintilla o spiri­ to insufflato in noi, risalente, secondo le nostre convinzioni più profonde, a un’epoca anteriore alla Creazione. U na nazione ossessionata dalla religione ha un bisogno quasi disperato di una critica della religione, che sia o meno preparata a recepire un discorso di qualunque sorta, su un te­ ma così personale e problematico come quello del rapporto tra l’individuo e le credenze religiose condivise dal gruppo: un paese che si ritiene cristiano difficilmente darà il benvenuto a un cacangelista, latore della cattiva novella che la fede profes­ sata dal paese non è affatto quella che il paese reputava. L’au­ torevolezza del critico diviene in tal caso questione della mas­ sima importanza, non meno dell’esplicitazione - senza indugi - della sua scelta di campo. Per certo costui non è un cristiano, bensì un ebreo gnostico, e dunque impegnato anch’egli in una sua personale battaglia contro il giudaismo normativo. Il ter­ mine «gnostico» nel suo caso sarà quindi ben lontano dall’assumere un significato denigratorio, e nel medesimo tempo gli gnostici cristiani non saranno per nessuna ragione preferibili ai protestanti tradizionali. Criterio di valore in questo libro sa­ rà piuttosto l’immaginazione religiosa, e la Religione Ameri­ cana, nelle sue formulazioni più compiute, sarà giudicata sulla 18

scorta di tale criterio un vero e proprio trionfo dell’immaginazione. T u tt’altra cosa sono invece le sue implicazioni politiche e sociali, la cui collocazione ai margini del discorso è comun­ que già intrinseca alla scelta tematica compiuta in questa se­ de. Negli Stati Uniti la maggior parte degli studi contempora­ nei sulla religione sono in realtà esercitazioni nel campo della sociologia o della storia; solo in casi rari essi attingono alla psi­ cologia e alla filosofia, e in casi ancor più rari alla teologia. Di contro, perseverando nella ricerca della differenza americana, che nel bene o nel male si è certamente costituita a differenza di non piccola entità, la critica della religione si pone nel solco tracciato da Emerson e da William James. Per quanto riguar­ da poi i precursori europei, è doveroso per la critica della reli­ gione rendere omaggio a Kierkegaard e a Nietzsche: a loro, ancor prima che a Carlyle e a M atthew Arnold, va attribuito il titolo di iniziatori del genere. L’operazione critica di Kierke­ gaard era volta a dar conto delle immense difficoltà che com­ porta il divenire cristiano in una società che si proclama uffi­ cialmente cristiana: Basti pensare a quel che significa vivere in uno stato cristia­ no, in una nazione cristiana, ove tutto è cristiano e cristiani sia­ mo noi tutti; ove un uomo, per quanto volga lo sguardo d’in­ torno, altro non veda che cristianesimo e cristianità, ovvero la verità e i testimoni della verità... Non si può escludere che ciò eserciti un’influenza sui più nobili tra gli animali domestici e per ciò stesso su quella che, a giudizio tanto del veterinario che del prete, è la cosa più importante, ossia l’umana progenie. Essendo un post-cristiano, Nietzsche ci ha sollecitati a risol­ vere questo dilemma facendo un ulteriore passo avanti, cioè concedendo a noi stessi il perdono tramite la nostra stessa gra­ zia, dopodiché il dram m a della caduta e della redenzione, tra­ sposto sulla scena deirinteriorità dello spirito di ciascun indi­ viduo, verrebbe qui recitato nella sua interezza. L’affermazio­ ne secondo la quale «tutte le religioni sono, a un livello più profondo, sistemi di crudeltà» è forse la più cupa tra le intui­ zioni di Nietzsche, in particolare se si pensa al fatto che egli ci insegna che solo il dolore, la sofferenza e la crudeltà sedimen­ tano una memoria tanto per gli esseri umani che per gli ani­ mali. Il cristianesimo dota di significato la sofferenza non tan­ 19

to per procurarcene sollievo, quanto piuttosto per permettere al significato di istituirsi come tale. Così la sofferenza di Gesù provvede il cristianesimo di una sua supposta verità e di un supposto significato, dal momento che il Cristo, ovvero il Diouomo, non viene a noi per farci partecipi della gioia divina, bensì per far partecipe Dio della nostra sofferenza. Noi peria­ mo a causa della verità, in Nietzsche, e a causa della sua as­ senza, in Kierkegaard. Questa è critica della religione, ma non è del tutto consona all5America: il che può forse spiegare come mai siano Emerson e William Jam es anziché Kierkegaard e Nietzsche i modelli strumentalmente più validi per una critica della religione di carattere americano. Il documento più significativo di questa critica resterà sem­ pre il Discorso alla facoltà di Teologia di Emerson, pronunciato nel 1838, con la sua visione straordinariam ente americana di Cristo: Gesù Cristo appartenne alla vera razza dei profeti. Egli ha visto con occhi aperti il mistero dell’anima. Attirato dalla sua severa armonia, rapito dalla sua bellezza, visse in essa, in essa fu. Egli solo in tutta la storia ha stimato la nobiltà dell’uomo. Un solo uomo fu fedele a ciò che è in voi e in me. Vide che Dio incarna se stesso nell’uomo, e sempre di nuovo procede a pren­ dere possesso del suo Mondo. Egli disse, nel giubilo di sublime emozione: «Io sono divino. Attraverso me Dio agisce; attraver­ so me parla. Se vuoi vedere Dio, guardami; o guardati, quando anche tu pensi come io penso adesso». Ma quale distorsione hanno subito la sua dottrina e la sua memoria nella sua stessa età, in quella che è seguita e nelle successive! Non c’è dottrina della Ragione che sopporterebbe di essere insegnata attraverso l’Intelletto. L’intelletto ha colto questo nobile canto dalle lab­ bra del poeta e nell’età seguente lo ha espresso: «Questo era Yahweh sceso dal cielo. Vi ucciderà, se direte che egli era un uomo». Gli stereotipi del suo linguaggio e le figure della sua re­ torica hanno usurpato il posto della sua verità, e le chiese non sono costruite sui suoi principi, ma sui suoi tropi. Il cristianesi­ mo è diventato un mito, come prima di esso l’insegnamento poetico della Grecia e dell’Egitto. Cristo parlò di miracoli, poi­ ché sentì che la vita dell’uomo è un miracolo, e tutto quello che l’uomo fa; e comprese che questo miracolo quotidiano risplen­ de via via che cresce la presenza divina nell’uomo. Ma la paro­ la «Miracolo», come viene pronunciata dalle chiese cristiane, dà una falsa impressione; è un Mostro. Non è tutt’uno con il fiorire del trifoglio e il cadere della pioggia. 20

Emerson, così come William Jam es dopo di lui, rende la Re­ ligione Americana splendidamente manifesta, tanto che a di­ stanza di oltre centocinquant’anni questo passo conserva in­ tatta la sua capacità di arrecare offesa, in particolar modo ai fondamentalisti, i quali non comprendono la versione che essi stessi hanno dato della Religione Americana. Quel che fa del passo di Emerson un modello insuperabile per la critica ame­ ricana della religione è condensato nella frase chiave: «Gli ste­ reotipi del suo linguaggio e le figure della sua retorica hanno usurpato il posto della sua verità, e le chiese non sono costruite sui suoi principi, ma sui suoi tropi». Sostituite Freud a Gesù come soggetto al quale è riferito il «suo» nella frase, e otterrete una visione illuminante di quella versione minore, ma non me­ no gravida di conseguenze, della Religione Americana che so­ no gli Istituti di psicoanalisi tristemente disseminati nelle no­ stre città. I fondamentalisti freudiani (della setta della Psicolo­ gia dell’Ego) sono appiattiti su di una interpretazione letterale non meno dei battisti del sud, altrettanto fondamentalisti, ed entrambi i gruppi credono che i loro testi sacri, rispettivamen­ te l’edizione standard delle opere di Freud e la Sacra Bibbia, in qualche modo li rappresentino e siano infallibili. Emerson sa che la religione è immaginazione che deve sempre essere reimmaginata, mentre i fondamentalisti di ogni dottrina si ri­ fiutano di vedere che le forme di adorazione che essi si sono dati provengono da narrazioni poetiche (per parafrasare Wil­ liam Blake invece di Emerson, in ogni caso molto vicino a Blake su questo punto). Il grande passo avanti compiuto successivamente dalla cri­ tica della religione in America si deve a William Jam es, il qua­ le non ha trovato ancora oggi un degno successore. Nell’intro­ duzione alle conferenze poi raccolte sotto il titolo di The Varieties o f Religious Experience (1902), Jam es ha mostrato in via defi­ nitiva come il senso religioso americano sia quasi integralmen­ te empirico: Per religione dunque, così come vi chiedo arbitrariamente di considerarla, si intenderà l’insieme dei sentimenti, delle azioni e delle esperienze dei singoli uomini nella loro solitudine} nel momento in cui percepiscono se stessi in relazione a qualunque entità cui essi attribui­ scano carattere divino. Dal momento che la natura di tale relazio­

ne può essere morale, fisica oppure rituale, risulta evidente che

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della religione, così come noi la intendiamo, possono essere prodotto secondario teologie, filosofìe ed organismi ecclesiali. Tuttavia in queste conferenze, come già ho avuto modo di dire, saranno le esperienze individuali nella loro immediatezza a co­ stituire il centro della nostra attenzione, mentre questioni di natura teologica o ecclesiale saranno per lo più escluse dalla trattazione. Le parole che Jam es evidenzia con il corsivo condensano l’emersonismo della sua visione e ci portano a più diretto contat­ to con i fattori cruciali che contraddistinguono la differenza americana: la solitudine, l’individualità e il pragmatismo di sentimenti, azioni ed esperienze anziché pensieri, desideri e ri­ cordi. Il «personale» condiziona le «esperienze» e prepara il terreno al Cristo americano del x x secolo, il quale diviene per il cristiano americano un’esperienza personale, in modo evidentis­ simo nel caso degli evangelici. Altrettanto vero, anche se meno palese, il fatto che questi è il Cristo per tutti coloro che voglio­ no definirsi cristiani negli Stati Uniti. Forse è addirittura il Cristo di tutti gli americani, siano essi mormoni o ebrei, mu­ sulmani o laici, dal momento che il Cristo americano è un americano, prima ancora di essere il Cristo. La coscienza, laddove ci si riferisca al sé individuale, per un americano si identifica con la fede: è forse questo il principale insegnamento della critica della religione così come l’hanno intesa e praticata Emerson e William Jam es. Habits o f thè Heart (1985), uno studio di Robert Bellah e altri quattro autori (con contributi di taglio sociologico, teologico e filosofico), ci intro­ duce nei dilemmi della coscienza religiosa dell’America con­ temporanea per quel tanto che la sociologia può fare. Nel capi­ tolo sulla religione, Bellah e colleghi sottopongono alla nostra attenzione lo «sheilaismo», così denominato da una giovane infermiera che gli autori chiamano Sheila Larson. Lo «sheilai­ smo», con il suo pressante invito all’amore e alla tollerante comprensione verso noi stessi, è senza dubbio una dottrina di benevolenza. Bellah e il suo gruppo assumono un atteggia­ mento critico verso una simile tolleranza, osservando che lo «sheilaismo» ci trasformerebbe in una nazione composta da duecentocinquanta milioni di sette: In ogni caso l’influenza delle sette sulla società americana è stata enorme. Esse sono uno dei principali elementi costitutivi 22

del nostro individualismo e dell’idea tipicamente americana, e largamente diffusa, secondo la quale tutti i gruppi sociali sono caratterizzati da una fragilità intrinseca che li rende bisognosi di un costante investimento di energie per mantenersi in vita. Il sé individuale come la setta sono fragili, al pari del grup­ po sociale americano: questa convinzione è certo largamente diffusa tra noi, e l’intuizione di tale dato occupa un posto cen­ trale in Habits o f thè Heart. Si tratta forse di una intuizione reli­ giosa, prodotto della critica della religione? Io penso di no, e ciò implica il riconoscimento di un limite indubbiamente es­ senziale della sociologia della religione. U na setta americana può essere nello stesso tempo sé individuale e gruppo sociale? Non esiste forse un sé mormone o battista del sud che sia in­ trinsecamente in contraddizione con le aggregazioni mormoni o battiste del sud? La fragilità di un sé individuale, non meno che di una setta formata da un singolo individuo, è qualcosa di molto diverso dalla fragilità della Convenzione dei battisti del sud. W alt W hitman è il nostro poeta nazionale ermetico, il celebratore del sé americano, ma nelle sue poesie sono cantati due sé contemporaneamente. Uno è W alt W hitman, l’ameri­ cano, l’uomo nudo che perennemente si fonde con il gruppo; l’altro invece è «l’io vero», il «vero me stesso», assolutamente fragile, sempre in latenza. Due sé americani (come minimo) sarebbero l’emendamento che la poesia americana, la critica letteraria e la critica della religione potrebbero offrire alla so­ ciologia della religione. Bellah e i suoi colleghi perseguono l’obiettivo di ricostituire il tessuto sociale, così da smussare, nella vita americana, l’a­ sprezza dello scontro tra individualismo e impegno sociale. Proposito, questo, senz’altro degno di ammirazione, anche se la critica della religione, praticata secondo modalità più incisi­ ve, finirebbe probabilmente per dimostrare che la nostra reli­ gione nazionale, fenomeno parzialmente sommerso, in realtà predica una libertà puram ente interiore. Habits o f thè Heart for­ ma un utile contrasto con un’opera violentemente polemica, Against thè Protestant Gnostics (1987) di Philip J. Lee. Americano del sud e presbiteriano per formazione, Lee è attualm ente mi­ nistro del culto in una parrocchia protestante del Canada e dal suo punto di vista, che è quello protestante tradizionale, pole­ mizza contro lo gnosticismo, giustamente individuato come 23

elemento pervasivo del protestantesimo americano. Questo autore vede la stessa cosa che vedo io, vale a dire la Religione Americana, ma ciò che per me è motivo di fascino per lui è causa di timore e di indignazione, indipendentemente dal fatto che gli oggetti considerati siano di volta in volta i protestanti di idee «liberal» oppure i protestanti fondamentalisti. Il suo atto d’accusa mi pare mal diretto, essendo chiaro che tutto ciò che è in sé profondamente americano ben si incontra con lo spirito religioso della nostra nazione, e non può essere estirpa­ to. In ogni caso a Lee va riconosciuto il merito di vedere con chiarezza quel che in effetti sta davanti ai nostri occhi, benché nascosto sotto le molteplici maschere di un protestantesimo che si suppone unitario. Ampio spazio nel prossimo capitolo sarà dedicato a una presentazione dello gnosticismo storico, a proposito del quale mi limiterò qui a fornire solo qualche notizia, sufficiente a spiegare quale sia il discorso portato avanti da Lee in Against thè Protestant Gnostics e a districare la sua misteriosa relazione con il discorso che fanno Bellah e colleghi in Habits o f thè Heart. Lee considera l’antico gnosticismo un’eresia cristiana, ma il suo è un giudizio altamente opinabile. Per quanto mi riguarda sono convinto che lo gnosticismo, come del resto il cristianesi­ mo, sia stato originariamente un’eresia dell’ebraismo, così co­ me le origini dell’islamismo vadano ricercate in un movimento volto a ripristinare la purezza della tradizione giudaico-cristiana, un tentativo da parte di M aometto di tornare a quella che egli riteneva la fede di Abramo e di suo figlio Ismaele, i progenitori tradizionali degli arabi. In senso stretto gli gnosti­ ci storici erano una setta protocristiana, diffusasi nel il secolo d.C., i cui principi generali di fede si traducevano in due fon­ damentali asserzioni: l’evento della Creazione - del mondo e dell’um anità nella sua forma presente - coincide con la Cadu­ ta del mondo e dell’uomo; tuttavia l’um anità porta dentro di sé la scintilla ovvero il soffio del non-creato da Dio, e questa scintilla può ritrovare il suo cammino a ritroso verso il non­ creato, il mondo non caduto, attraverso un’atto di conoscenza che si compie nella solitudine individuale. Quel che Lee non accetta del protestantesimo americano è l’esaltazione del sé in quanto ambito elitario in contrapposi­ zione all’ambito comunitario; un rifiuto che sul piano prag­ 24

matico si colloca in parallelo alPopinione di Bellah e colleghi, secondo i quali la società americana è sacrificata all’individualismo della vita spirituale. In contrapposizione a Lee e a Bel­ lah, la mia ipotesi è che sia piuttosto la vita spirituale delTAmerica contemporanea a essere sovradeterminata, e che le tendenze che su di essa agiscono e incidono siano ormai vec­ chie di circa due secoli. Quella di far valere il bisogno di uno spirito comunitario nel seguace della Religione Americana è un’impresa vana; l’incontro esperienziale con Dio o con Gesù ha un peso troppo preponderante perché le memorie della vita comunitaria possano reggerlo, quando il credente riemerge dall’abisso dell’estasi purificato nello spirito e immemore di ciò che lo circonda. Persino nella religione mormone, in cui si esalta come unità fondamentale la famiglia in luogo dell’indi­ viduo, il sacerdote, che è sempre un individuo di sesso maschi­ le, difficilmente giunge a considerare sua moglie e i suoi figli come qualcosa di radicalmente «altro» rispetto a se stesso. Co­ me possiamo dunque comprendere e giudicare questa spiri­ tualità americana che per difendere la propria autenticità sembra in ultima analisi destinata a fare del credente un citta­ dino peggiore di quel che potrebbe essere, nonostante tutte le chiacchiere della nostra ideologia?

Il Come ho già detto, il genere a cui appartiene questo libro è quella che io chiamo «critica della religione». Nella critica let­ teraria esiste necessariamente un momento in cui l’esperienza che si ha in merito alla materia studiata viene ricondotta a una dimensione irriducibilmente estetica. Senza la dimensione estetica quello che noi leggiamo non è una poesia, un dramma, un racconto o un romanzo, ma qualcosa d’altro. È necessario che un elemento altrettanto irriducibile sia presente quando facciamo della religione l’oggetto del nostro studio; la nostra esperienza è un a priori rispetto all’analisi, tanto che il conte­ nuto della nostra esperienza sia definito «il divino», «il tra­ scendentale» o, più semplicemente, «lo spirituale». Il lavoro della critica letteraria si applica ai testi, alle relazioni fra i testi e alle relazioni fra i testi e gli autori; nondimeno, pur facendo 25

in questo libro uno studio sui testi, dalla Bibbia alla Supreme Vision (Visione Suprema) di Elijah M uhamm ad, sono convin­ to che non siano i testi a rivelarci l’essenza della Religione Americana. E neppure le relazioni intertestuali, né le relazioni fra i testi e i credenti sono in grado di condurci più addentro nella nostra fede nazionale, sottilmente e misteriosamente pervasiva. La Religione Americana è talmente sguarnita di for­ mulazioni dottrinarie che la sua ricognizione può essere attua­ ta solo attraverso una disamina dei suoi frammenti, non certo dei suoi principi. Prima di scrivere questo libro ho letto e riletto tutti quelli che anche alla lontana potevano ritenersi testi religiosi ameri­ cani, oltre a tutti gli studi a carattere storico o filosofico che mi sia riuscito di trovare sulla religione in America. M a io non so­ no uno storico né un sociologo né uno studioso di psicologia della religione, e tanto meno un teologo. Non c’è bisogno di di­ re, poi, che il mio caso non è neppure quello del visionario reli­ gioso o del profeta. In quanto critico letterario ho seguito l’e­ sempio di W alter Pater privilegiando quelli che lui chiamava «apprezzamenti», e in quanto critico della religione la mia aspirazione è di trovare un modus operandi analogo. Non so­ no di fede cristiana né di sensibilità protestante, sicché non mi sconcerta scoprire che la Religione Americana è post-cristiana, nonostante le sue proteste in senso contrario, e neppure scoprire che essa sta ormai lasciandosi alle spalle il modo di pensare e di sentire tipico del protestantesimo. In quanto ame­ ricani siamo tutti in qualche misura compartecipi della Reli­ gione Americana, per inconsapevole o involontaria che sia tale condizione. Il critico della religione si adopera a cogliere e va­ lutare le molteplici manifestazioni dell’esperienza religiosa americana, ricalcando in tal modo le orme dei fondatori della nostra critica della religione: Emerson e William Jam es. Parlando in termini generali, le principali forme della Reli­ gione Americana sono due: una autoctona e l’altra di im porta­ zione. E senz’altro tipico della Religione Americana che que­ sta differenza si appiattisca notevolmente non appena si inizi a riflettere sulle nostre convinzioni religiose. La Convenzione dei battisti del sud, essendo filiazione della religione battista, ha una diretta derivazione dal Vecchio Mondo, e tuttavia il suo carattere non è meno profondamente indigeno di quello 26

della religione mormone, la quale non ha alcun debito nei con­ fronti dell’Europa. Quel che rende così americana la Religione Americana è il fatto che il processo di cristianizzazione del po­ polo americano, giunto a compimento durante la generazione successiva alla Rivoluzione, ha ridefinito in modo convincente il significato stesso di cristianizzazione, riconducendone la sto­ ria alle origini e all’essenziale. La domanda di esordio della critica della religione dovrebbe suonare così: in che cosa consiste l’essenza della religione? Se­ condo Freud essa consiste nel desiderio del padre; altri l’han­ no definita di volta in volta il desiderio della madre, il deside­ rio della trascendenza, il desiderio della realtà, il desiderio di un sé sepolto nelPinteriorità spirituale dell’individuo, innato e in ogni caso estraneo all’esperienza. Temo che tutte queste siano idealizzazioni, anche se a riprova di ciò posso soltanto affermare che esse svanirebbero tutte se solo non sapessimo che dobbiamo morire. All’origine della religione, che si tratti di sciamanismo o di protestantesimo, è il timore che ci ispira la morte. Dare un significato al vuoto di significato: questa è l’eterna aspirazione della religione. Nietzsche ha detto che ci siamo forgiati l’arte per non morire della verità. Non credo che Shakespeare sarebbe stato d’accordo. Mi pare chiaro che ci siamo forgiati la religione, se tale è stata la nostra volontà, proprio per stendere un velo sulla verità del nostro destino mortale. La tragedia della verità è la storia di Amleto e di Lear, e le loro non sono storie religiose. Le storie narrate dal­ l’autore J in quella che chiamiamo oggi la Bibbia erano espressione artistica, non religiosa. La morte non è pensiero dominante né fardello per J, così come non lo è per Shakespea­ re. Quando la morte diviene tema dominante, allora ha inizio la religione. Con ciò non voglio dire che la religione sia pura e semplice tanatologia, e neppure che, al pari delle sue rivali, la psicoana­ lisi e il marxismo, essa sia condannata in eterno a oscillare tra i due poli della sessualità e della morte. In confronto a Freud e a Marx, la religione è «più ricca di finestre, superiore per nu­ mero di porte», come ha detto Emily Dickinson a proposito del dominio della possibilità commisurato alla prosa narrati­ va; anche se è vero che la possibilità è più di casa nell’arte che nella religione, per lo meno da quando la religione ha cessato 27

di essere una semplice forma di sciamanismo. Non c’è stato bi­ sogno di Durkheim e di W eber per trasformare la religione in una branca della sociologia: essa si è sociologizzata da sola, nel momento in cui ha attuato il distacco dal magico. Gli studi sociologici sulla religione post-sciamanistica tendono a essere ridondanti, quando non addirittura narcisistici: lo specchio della sociologia ci rim anda riflesso il suo stesso viso. Le nostre università, sempre più orientate in senso multiculturale, do­ vrebbero sostituire i dipartimenti di sociologia con sciamani autentici, importati dalla Siberia. Esperimenti di levitazione e di trasformazioni varie ci insegnerebbero quel che la sociolo­ gia della religione è incapace di dire: l’importanza della morte nella nostra vita, l’importanza dell’aspirazione religiosa nella nostra morte. Con quale autorità può un non credente leggere san Paolo, Joseph Smith, M ary Baker Eddy o Hellen Harmon W hite ed esprimere un giudizio critico sul loro conto? Come può un non credente osservare le manifestazioni concrete dell’esperienza religiosa dei battisti del sud e formarsi un giudizio chiaro del loro significato, oppure interpretare i racconti dell’Armageddon dei testimoni di Geova cogliendone appieno il valore spiri­ tuale? Se il non credente non è sociologo né antropologo né storico né teologo, da dove può venirgli il potere di operare di­ stinzioni mentre vaga nel labirinto delle sette e delle diverse denominazioni religiose? Per quanto mi riguarda, sono un ebreo non credente con forti tendenze gnostiche, e di professio­ ne critico letterario. U na vera e propria fissazione per le varie­ tà americane di orfismo e di gnosticismo, di entusiasmo e di antinomianismo, costituisce probabilmente la ragione princi­ pale del mio interesse per quella che chiamo Religione Ameri­ cana. Nessuna nazione occidentale è così profondamente intri­ sa di religiosità come la nostra, dove nove persone su dieci amano Dio e ne sono riamate. Questa passione reciproca oc­ cupa un posto centrale nella società e necessita di spiegazioni, se si vuol giungere a comprendere qualcosa di una società fa­ talmente attratta dal catastrofismo come è la nostra. In quanto americani siamo ossessionati anche dall’informa­ zione, e ai nostri occhi la religione è in assoluto l’aspetto più importante dell’informazione. Riflettendo sono giunto a vede­ re lo gnosticismo, quello del passato e quello di oggi, come una 28

sorta di teoria delPinformazione: escluse in blocco, o quanto meno poste sotto il segno della negazione, m ateria ed energia, l’informazione assurge a emblema della salvezza. La falsa op­ posizione tra Creazione e Caduta concerne la materia e l’ener­ gia, mentre il Pleroma, vale a dire la Pienezza, l’Abisso origi­ nario, è tutto e solo informazione. Negli americani vi è sempre stata la tendenza a una ricerca incessante dell’introvabile Chiesa cristiana delle origini. In realtà ciò che essi desidere­ rebbero ricostituire non è la chiesa dei primi cristiani, ma l’A­ bisso primigenio, quello che gli antichi gnostici dicevano esse­ re la madre e il padre originari. Il millenarismo della nostra nazione, così diffuso nel x v m secolo e ancora oggi capace di scatenare tempeste tra fondamentalisti e pentecostali, ha una profonda affinità con i libri di Daniele e dell’Apocalisse e con­ duce alle nostre guerre di crociata, oltre che a fantasie malsane quale ad esempio il nuovo ordine mondiale auspicato da Bush. Solo una lettura gnostica della Bibbia può spingerci a m arcia­ re verso la terra della Promessa. L’ironia della storia am erica­ na contemporanea sta nel fatto che oggi combattiamo per fare del mondo un luogo sicuro per lo gnosticismo, ovvero il nostro modo profondo di sentire la religione. Ma cos’è la religione? U na nevrosi ossessiva universalmente diffusa, sarebbe la risposta di Freud, riduttiva ma indiscutibil­ mente ricca di suggestione. Ancor più suggestiva è la ben nota definizione marxista, secondo la quale la religione è l’oppio dei popoli. Entrambe si basano sul presupposto che la religione sia una fede, o per lo meno una profonda certezza, e in questo senso sia la definizione freudiana sia la marxista, per quanto riduttive, hanno un’apparente ragione d’essere applicate al cristianesimo, così come all’islamismo o al giudaismo. Il fatto di trovarle inadeguate nel caso della Religione Americana mi dice qualcosa sulla nostra fede nazionale, tanto poco ufficiale quanto pervasiva. Essa non ha credo e non ha certezze: essa sa, anche se vuole sapere sempre di più. La Religione Ameri­ cana si manifesta come un’ansia di informazione, e questo mi pare un modo di delinearne i contorni applicabile a quasi tutte le religioni e senz’altro preferibile alla tendenza a considerare la fede come una nevrosi compulsiva o una droga. Non è indi­ ce né di nevrosi ossessiva né di intossicazione chiedere «Da do­ ve siamo partiti?» e «Dove ci porta il nostro viaggio?»; o, anco­ 29

ra, «Cosa ci rende liberi?» Q uest’ultima domanda è sempre stata presente nella Religione Americana, ma la libertà politi­ ca ha ben poco a che fare con tale interrogativo. Che cosa ci rende liberi dalla presenza degli altri sé individuali? Che cosa ci rende soli, non nel creato, ma in ciò che precede l’atto stesso della creazione? Una qualche parte interna al sé individuale americano è persuasa del fatto che anch’essa preesisteva al creato. L’abisso interno al sé trova pace quando, in solitudine, si pone di fronte all’abisso preesistente al mondo creato da Dio. La libertà assicurata dalla Religione Americana non è quella che i protestanti chiamavano un tempo libertà cristia­ na; è una condizione di solitudine, nella quale la solitudine in­ teriore raggiunge una perfetta sintonia con la solitudine este­ riore. Di rado la Religione Americana autentica proclama aperta­ mente la pienezza della sua conoscenza, ossia la sua conoscen­ za della Pienezza. Del resto la Religione Americana, essendo stata fin dall’inizio caratterizzata dal sincretismo, possiede virtualmente la capacità di trovare una concretizzazione posi­ tiva di se stessa in qualsiasi forma esteriore passibile d’uso. Tra tutte le esotiche sette autoctone degli Stati Uniti solo cin­ que sono diventate segno indelebile della Religione America­ na: i mormoni, lo Scientismo cristiano, gli avventisti del Setti­ mo giorno, i testimoni di Geova e il pentecostalismo. La loro grande capacità di sopravvivenza, malgrado la sconcertante stravaganza delle dottrine, scaturisce essenzialmente dal noc­ ciolo orfico, gnostico e millenarista della Religione Americana che, per quanto misconosciuto, le caratterizza in profondità. Molte altre religioni ci hanno promesso la vita eterna, ma solo la Religione Americana promette quella che secondo Freud ci è per sempre negata: «un’infanzia migliore», come l’ha defini­ ta H art Crane. Sulla scia del pensiero di Van der Leeuw, tra gli studiosi di religione circola una vecchia ipotesi, secondo la quale gli dei (e Dio) sono sempre un passo indietro rispetto ai quesiti posti dalla religione. Alle origini vi è la manifestazione del sacro in quanto potere, e l’esperienza umana si dà in quanto oggetto di quel potere. Il potere può essere un destino cieco piuttosto che un Dio o un insieme di dei, oppure può essere una forza agen­ te, benigna o maligna, ma in ogni caso priva di una consape­ 30

volezza o di una personalità proprie. Qualunque cosa esso sia, rimanerne sorpresi significa non esserne stati colpiti o sfiorati, ammesso che ciò sia possibile. La consapevolezza della sua esistenza e l’attenzione guardinga necessarie per fronteggiarlo sono probabilmente antecedenti all’adorazione e alla reveren­ za, in quanto modalità propriamente umana di atteggiarsi di fronte a un potere più-che-umano. La tesi che intendo dimostrare in questo libro è che la Reli­ gione Americana, così preponderante tra noi, si nasconda sot­ to la maschera del cristianesimo protestante ma abbia di fatto cessato di essere cristiana. Essa ha mantenuto intatta la figura di Gesù, un Gesù alquanto solitario e confacente allo spirito americano, che oltre tutto è il Gesù risorto piuttosto che il Ge­ sù crocifisso o asceso nuovamente al Padre. Non penso invece che abbiamo mantenuto intatto il Dio cristiano, per quanto egli sia perennemente invocato dai nostri leader politici, e in particolare dal nostro presidente sventola-bandiera, il cui fer­ vore si intensifica quando siamo in guerra. Eppure questa for­ za, una volta invocata, si presenta come il destino delPAmerica, il Dio della nostra fede nazionale. L ’elemento più decisa­ mente gnostico della Religione Americana consiste in uno stu­ pefacente rovesciamento dell’antico gnosticismo: al demiurgo prestiamo l’adorazione dovuta a Dio, il più delle volte in nome della necessità, di per sé evidente. Per quanto riguarda invece il Dio lontano e irraggiungibile degli gnostici, egli è svanito nel nulla, a eccezione di qualche frammento o scintilla dispersi qua e là tra la sparuta schiera degli iniziati dello spirito, o per l’ombra che egli proietta sulla figura solitaria del Gesù ameri­ cano. Come critico della religione ho potuto constatare che due caratteristiche sono invariabilmente presenti in ogni versione autentica della Religione Americana, sia che si presenti nella forma pentecostale, battista del sud, mormone o in qualunque altra forma concreta (che qui non voglio definire, dal momen­ to che questo studio conosce i propri limiti e non può offrire una riflessione su tutte le varietà della nostra esperienza reli­ giosa all’approssimarsi del x x i secolo). Chi è americano sco­ pre Dio in se stesso, ma soltanto dopo aver scoperto la libertà di giungere alla conoscenza di Dio sperimentando una solitu­ dine interiore assoluta. Libertà, in senso molto specifico, è 31

quello stadio di preparazione in assenza del quale Dio non ac­ consente di rivelarsi entro il sé. E questa libertà è in se stessa duplice: la scintilla, vale a dire lo spirito, deve sapere di essere libera sia rispetto agli altri sé individuali sia rispetto al mondo della creazione. In perfetta solitudine, lo spirito americano ap­ prende ancora una volta la sua condizione di assoluto isola­ mento, di scintilla di Dio fluttuante in un mare di spazio. Ciò che gli sta intorno è stato creato da Dio, ma lo spirito è antico quanto Dio e pertanto non è parte della creazione divina. Ciò che è stato creato si è distaccato dallo spirito, in una caduta che coincide con la creazione. Dio o Gesù troveranno lo spiri­ to, poiché in esso vi è già qualcosa che è Dio o Gesù, ma il divi­ no ricercherà l’incontro con lo spirito soltanto in assoluto iso­ lamento. La salvezza, per gli americani, non può discendere dall’ap­ partenenza alla comunità o alla congregazione, poiché essa si dà solo come momento di confronto diretto, a due. Pur essen­ do eredità del protestantesimo, tale confronto diretto qui, nel­ la Terra delPImbrunire, ha subito un processo di americanizzazione. Persino nel protestantesimo tradizionale il revivali­ smo ha gradualmente dato vita a un senso della conversione decisamente lontano dal calvinismo; conversione che avver­ rebbe all’interno del sé individuale senza che il contesto ester­ no vi abbia parte alcuna. Nel suo libro The Protestant Temperament (1977) Philip Greven distingue entro il protestantesimo americano del x v n e del x v m secolo tre posizioni diverse in relazione al sé individuale: evangelica, moderata e gentile; a queste tre posizioni corrispondono, rispettivamente, il sé sop­ presso, il sé controllato, il sé proclamato. Agli inizi del x ix se­ colo, quando a Cane Ridge nasce la Religione Americana pro­ priamente detta, i progetti fra loro complementari di democra­ tizzazione e di re-cristianizzazione dell’America, ideati l’uno da N athan Hatch e l’altro da Jon Butler, avevano già prodotto il più notevole fra tutti i distillati americani: la posizione genti­ le del sé proclamato dilagò a Cane Ridge tra gli uomini e le donne della montagna, dando vita a una spiritualità che da al­ lora non ha più cessato di essere. Tutte le qualità singolarissi­ me lucidamente riconosciute da Greven alla proclamazione del sé tipica dei gentili si ritrovano oggi come tonalità emotiva comune ai pentecostali e ai battisti rurali a noi contemporanei, 32

i quali glorificano Dio e allo stesso tempo i loro sé magici e oc­ culti. Presumibilmente Greven non accetterebbe questa dilatazio­ ne della sua tesi; nondimeno la forza del suo libro consiste in buona parte proprio nella ricognizione, attraverso il tempo, del progressivo diffondersi in America di un senso del sé più assertivo e in ultima analisi più universale di quanto sia mai potuto accadere nella società europea. Perry Miller, nei suoi studi sulla temperie spirituale del New England, aveva identi­ ficato la religione puritana d’America con la sua teologia. Al contrario, Greven pone l’accento sull’esperienza religiosa, che è questione di temperamento piuttosto che di convinzioni sul piano intellettuale. E il temperamento, non la teologia, a de­ terminare la posizione del sé nell’ambito della religione, e quello che era il temperamento dei gentili nelPAmerica preri­ voluzionaria ha trovato massiccia diffusione in occasione della svolta apocalittica del x ix secolo. Nathan A. Hatch, nel suo li­ bro The Democratization o f American Christianity (1989), presta ancora credito alla fantasiosa teoria di un Secondo Grande Risveglio all’inizio del secolo, anche se la sua acutezza inter­ pretativa trascende queste fanfaronate da artigiani dell’erudi­ zione: Nel periodo successivo al Secondo Grande Risveglio molti americani hanno disgiunto la funzione della leadership religio­ sa dalla collocazione sociale del soggetto e, portando così a compimento un processo già in atto da un secolo, hanno confe­ rito autorità a predicatori privi dei requisiti necessari per rico­ prire funzioni pubbliche. In una nazione nuova, fondata sull’u­ guaglianza e ancora in lotta per liberarsi dal passato, la gente era pronta a vedere la mano di Dio sopra un Lorenzo Dow, un Joseph Smith o un William Miller. Poteva finalmente gioire del fatto che i deboli soverchiassero i forti, che gli ultimi diven­ tassero i primi, (p. 226) Un passo avanti rispetto alla tesi di Hatch è compiuto da Jon Butler nel suo Awash in a Sea o f Faith (1990) laddove i Grandi Risvegli sono giustamente considerati finzioni retro­ spettive e viene fortemente sottolineata l’unicità dell’aspetto di «culla spirituale» proprio deH’America nella prim a metà del x ix secolo. H atch e Butler sono storici della religione; il mio intento invece, in quanto critico della religione, è tracciare a 33

grandi linee un quadro della Religione Americana, pur ten­ tandone, nella terza parte del libro, una breve ricostruzione storica che copre il periodo da Cane Ridge a Billy Graham. Qui mi preme ritornare al sé americano, per sottolineare anco­ ra una volta che la sua solitudine e la sua libertà priva di ga­ ranti (non facendo esso parte della creazione) ne sono stati i fattori costitutivi, nella misura in cui hanno reso la Religione Americana non solo possibile ma addirittura inevitabile. Alle soglie del x ix secolo l’America ha inaugurato il senso della so­ litudine nello spazio, il senso della sublime coscienza di sé del­ lo spirito, e tutto ciò sullo sfondo di un vuoto cosmologico che non conosce, non può conoscere, lo spirito. Ili

L ’avvenire di un’illusione di Freud (1927) può essere annovera­ to fra i grandi fallimenti nella storia della critica della religio­ ne. Per una ragione molto semplice, cioè che sottovaluta l’av­ versario, nel suo discorso contro la religione Freud non risulta più convincente di T.S. Eliot nel suo discorso contro la psicoa­ nalisi. Si possono trarre utili insegnamenti sul modo di non fare critica della religione dalla lettura di Freud il quale in questo campo, e in questo soltanto, dimostra una sublime capacità di mancare il bersaglio, come si può vedere dal passo che segue: Se... ci volgiamo di nuovo alle dottrine religiose, possiamo affermare ancora una volta che sono tutte illusioni indimostra­ bili e che nessuno può essere costretto a tenerle per vere, a cre­ derci. Alcune di esse sono a tal punto inverosimili, talmente antitetiche a tutto ciò che faticosamente abbiamo appreso circa la realtà dell’universo... che possono venir paragonate ai deliri.

Per una volta, una sola volta, Freud ci lascia sconcertati per il suo candore. Dicendo che la resurrezione è un’illusione o un delirio, che cosa si è risolto rispetto al cristianesimo? La psi­ coanalisi è un’interpretazione del mondo, così come della na­ tura umana; lo stesso, anche se in termini molto più ampi, può dirsi del cristianesimo. Dopo una vita passata a leggere Freud, non avrei nessuna esitazione a sostituire il termine «psicoana­ litiche» a «religiose» nel passaggio succitato di L ’avvenire di 34

un'illusione. Dopo tutto, come abbiamo potuto constatare, le

dottrine psicoanalitiche certamente non recano prove, e se le interpretiamo alla lettera sono anch’esse illusioni o deliri. La nostra libido non sarebbe maggiore della nostra destrudo se solo Freud avesse sviluppato, anziché rifiutarla, una nozione che alimentava la pulsione di morte con una sua specifica energia negativa. E la pulsione di morte, pur splendida nella sua sug­ gestività, è anch’essa un’illusione o un delirio, alla stessa stre­ gua dell’inconscio e di tutti i principali tropi freudiani. M a non si risolve nulla relativamente alla psicoanalisi stilando un elenco delle sue illusioni o dei suoi deliri. La critica della religione può avere quindi inizio proprio dall’atto di spogliarsi di qualsiasi ambizione di por fine a illu­ sioni o deliri. La sua funzione, come per tutti i generi di criti­ ca, è di colmare vuoti di conoscenza, e più specificamente dare una spiegazione delle relazioni alquanto singolari che in gene­ re prevalgono nelle diverse fedi fra teologia e concretezza del­ l’esperienza religiosa. Laddove i fili si intrecciano attraverso molteplici confessioni, come è il caso della Religione America­ na, la funzione della critica della religione si fa più complessa: le teologie perdono peso, e la varietà dell’esperienza religiosa tende a suggerire linee di demarcazione più sfumate e suoni più penetranti di quelli che si sarebbero potuti cogliere in epo­ ca antecedente. U na delle tesi centrali di questo libro è che i battisti del sud e i mormoni, che sostengono posizioni fiera­ mente contrapposte, tradiscono configurazioni m arcatamente parallele per quanto concerne invece la temperie spirituale e quello che si potrebbe definire il senso di fondo della fede. Nel­ la mia analisi ambedue le confessioni si configurano come va­ rianti della Religione Americana, ed effettivamente i tratti gnostici, orfici ed entusiastici che le caratterizzano fanno sì che gli elementi che le accomunano siano molto più significativi di quelli che le dividono. Gran parte del territorio protestante americano è sovrastata da una forma dai contorni incerti, con­ figurazione di una religione non ancora pienamente palesatasi ai nostri occhi, eppure protesa davanti a noi come un’ombra lunghissima. Alcuni suoi aspetti sono evidenti tanto nelle fedi spiccatamente autoctone, la più notevole delle quali è il mor­ monismo, quanto nella Convenzione dei battisti del sud, an­ ch’essa formulazione originale americana, benché affermi la 35

propria continuità con la precedente tradizione del battismo. Posta di fronte alle visioni autoctone americane, la critica del­ la religione è costretta a farsi critica nazionale, nella consape­ volezza che la nostra è una nazione pericolosamente intrisa di religiosità, se non addirittura ossessionata dalla religione. Questo dato culturale costituisce il più solido presupposto di una critica americana della religione, oltre a essere la sfida più urgente che a essa si propone. Come si spiega il fatto che nove americani su dieci siano profondamente convinti di essere amati da Dio di un amore personale, strettamente individua­ le? Come si spiega il fatto che la Religione Americana si espor­ ti così bene all’estero, non soltanto in Asia, in Africa e in Ame­ rica latina, ma anche nell’Europa occidentale e orientale? I te­ stimoni di Geova, i pentecostali, gli avventisti del Settimo giorno, e insieme a loro i mormoni e i battisti del sud, conver­ tono milioni di persone alla loro visione tipicamente am erica­ na di Dio, della morte e del giudizio; eppure i convertiti sono persone che nella maggior parte dei casi non parlano nemme­ no l’inglese, e degli Stati Uniti sanno soltanto quel che gli vie­ ne detto dalla televisione o dai missionari. In che cosa consiste l’attrattiva della Religione Americana all’estero? Ho già espresso la mia personale convinzione che la critica della religione, per lo meno sotto un aspetto, debba riconosce­ re la propria analogia con la critica letteraria e prendere quest’ultima a modello, sostituendo un elemento irriducibilmente spirituale all’effetto irriducibile della dimensione estetica. La storia, la sociologia, l’antropologia e la psicologia nei loro sfor­ zi congiunti approdano quasi invariabilmente a una concezio­ ne riduttiva della religione, non dissimile dal riduzionismo che esse operano rispetto alla letteratura di finzione. U na poesia, indipendentemente da quello che può essere il suo valore per gli storici o per gli studiosi di scienze sociali, è solo secondaria­ mente documento politico e testimonianza sulla società nel contesto della quale è stata prodotta. Fine implicito della poe­ sia è una validazione che risieda unicamente nel suo valore in­ trinseco, per quanto sia indubitabile che le motivazioni del­ l’autore abbiano sempre un solido ancoraggio nella sfera del sociale. Le dottrine, ma anche le esperienze religiose, hanno in comune con la poesia l’istanza del superamento della morte o, per dirlo nel modo più semplice possibile, la categoria del «re­ 36

ligioso» si costruisce in antitesi alla morte, mentre quella del «poetico» persegue il fine del trionfo sull’oblio del tempo. La critica, così come la concepisco io, ricerca il poetico nella poe­ sia, e dovrebbe ricercare il religioso nella religione. Ancora una volta, dunque, qual è la disciplina a cui pertiene lo studio della religione? Non ho riscontrato nelle «scienze umane», ovvero nelle diverse varianti dello storicismo tanto nella politica che nella filosofia, l’esistenza di strumenti utili per stabilire quel che è poetico nella poesia. Mi pare perciò di capire che solo la religione potrebbe istituire a oggetto di stu­ dio la religione. La critica poetica, ovvero lo studio delle vie nascoste che portano da una poesia a un’altra poesia, ha il suo corrispondente analogico nella critica della religione, che svela i tortuosi sentieri grazie ai quali si dipana un filo di collega­ mento tra fedi pur così antitetiche fra loro, come quella dei mormoni e quella dei battisti del sud. Al pari della poesia, la religione è il punto culminante della crescita del sé interiore: solo che la religione è la poesia, e non l’oppio, delle masse. Nella religione, esattamente come nella poesia, sono le struttu­ re interiori dell’immaginazione a prevalere, anche se nella reli­ gione è più arduo individuarle, dal momento che essa innalza i suoi templi nel mondo esterno. A ciò si aggiunge il problema dell’affronto: solo una m anciata di persone (oltre ai poeti) ha interesse per la poesia, mentre negli Stati Uniti virtualmente tutta la popolazione sarebbe pronta a dirsi oltraggiata se rite­ nesse vilipeso il suo senso del sacro. A differenza di quasi tutti gli altri paesi, non abbiamo una religione ufficiale dichiarata, anche se un’unica religione, in parte sommersa, si è andata via via formando in questi ultimi due secoli. È, questa, una reli­ gione quasi esclusivamente esperienziale e a dispetto delle sue proteste può dirsi a malapena cristiana per quanto riguarda il complesso dei suoi aspetti tradizionali. Sotto una moltitudine di confessioni religiose differenti, una religione del sé germo­ glia e si adopera per conoscere, in perfetta solitudine, la pro­ pria intima essenza. Quel che il sé americano ha scoperto, a partire dal 1800 circa, è la sua libertà: dal mondo, dal tempo, dagli altri sé. Libertà paragonabile a un busto statuario reso assai dispendioso da tutte le parti che è costretto a lasciare fuori: la società, la temporalità, l’altro da sé. Le rimangono la solitudine e l’abisso. 37

Gli Stati Uniti d’America sono un paese ossessionato dalla religione, e sono ormai due secoli che questa passione li in­ fiamma. La ricerca statistica The People’s Religion, condotta nel 1989 su scala nazionale da George Gallup J r e Jim Castelli ha rivelato che l’88 per cento è convinto di essere amato da Dio, il 9 per cento è incerto e solo un 3 per cento dichiara che non esi­ ste alcuna relazione d ’affetto con il Signore. In ogni caso il 94 per cento crede in Dio e il 90 per cento dice le preghiere. Dati così sconcertanti formano un contrasto notevole con le idee sull’Ente Supremo diffuse nell’Occidente europeo, per non di­ re poi della considerazione in cui è tenuta presso gli europei la preghiera. Ciò nonostante suonerebbe assai poco credibile af­ fermare che il nostro sia un popolo più cristiano di quello del­ l’Occidente europeo, malgrado le tendenze devozionali emerse dai sondaggi. Questo libro propone una spiegazione diversa: noi pensiamo di essere cristiani, però non lo siamo. Il proble­ ma, in America, non è la religione, ma piuttosto quella che io chiamo Religione Americana. Al contrario, nell’Occidente eu­ ropeo si può parlare di religione, ma non certo in termini di Religione Europea: gli europei o sono cristiani o non lo sono. È vero che negli Stati Uniti vi sono milioni di cristiani, ma è an­ che vero che la maggior parte degli americani che si ritengono cristiani in realtà sono qualcos’altro, profondamente religiosi e tuttavia devoti alla Religione Americana, una fede che fra noi è antica, che si concretizza in forme e deformazioni molteplici, che sovradetermina larga parte della nostra vita nazionale. Pur essendosi dotato di un impianto in larga misura crono­ logico, questo libro difficilmente potrebbe proporsi come una storia della Religione Americana, e in nessun caso come una storia della religione in America. Io non sono né uno storico né quel che si dice un critico della cultura, e della Religione Ame­ ricana scrivo sia in termini negativi sia in termini elogiativi. Il mio intento è di identificare la nostra fede nazionale, di inter­ pretarne la spiritualità che la caratterizza e di profetizzarne il futuro. Concepisco quindi questo libro come un testo di criti­ ca, piuttosto che di storia o sociologia della religione. La criti­ ca, che riguardi la fede o la poesia, deve necessariamente pos­ sedere un’affinità con la natura della materia che ne costitui­ sce l’oggetto, se non altro perché modalità precipua del lavoro del critico è la contaminazione. La critica opera una contami­ 38

nazione, ma è a sua volta originata da uno stato di contamina­ zione: quel che cerco di dire in questo libro è frutto di un pro­ cesso di contaminazione iniziato molto tempo fa e poi gradual­ mente decantato dentro di me. Qualsiasi americano che studi un aspetto importante della cultura del suo paese, quale può essere la letteratura di finzione, ha subito l’influenza della no­ stra religione nazionale, tanto largamente diffusa quanto poco riconosciuta a livello ufficiale. Involontario credente io stesso, sento l’esigenza di conoscere meglio questa Religione Ameri­ cana che tutti avvolge e permea. La critica della religione è, come la critica letteraria, un mo­ dello di interpretazione del mondo, ma a differenza del critico della letteratura di finzione il critico della religione, almeno così come lo concepisco io, non è in primo luogo un interprete di testi. La funzione del critico consiste nella comparazione e nel giudizio delle percezioni e delle sensazioni; non solo di quelle che nella letteratura di finzione o nella religione vengo­ no rappresentate, ma anche di quelle che dalla poesia e dalla fede scaturiscono come prodotto. Se da un lato il critico lette­ rario ha il dovere di proteggere la letteratura dalle certezze di fede, di natura tanto sociale che trascendentale, dall’altro lato il critico della religione è impossibilitato a difendere le certezze di fede sia dalla società sia dai modelli interpretativi che riva­ leggiano con il suo, quali la psicoanalisi, la filosofia, la scienza e l’arte. La funzione della critica è di purgarci non tanto del­ l’individualità (sulla quale si fonda e trae alimento la Religio­ ne Americana) quanto piuttosto dell’ipocrisia farisaica, di tut­ te le virtù mortalmente morali, in altri termini di quelle che William Blake chiamava «le virtù egoistiche del cuore che se­ gue la propria natura». M entre propongo La Religione Americana come opera appar­ tenente al genere della critica della religione, mi viene natura­ le ricordare che nella sua fase più tarda questo modello di in­ terpretazione è stato utilizzato da figure profetiche: Emerson, Nietzsche, Freud. Critica della religione e profezia sono due nomi per un’unica attività dello spirito. Chiunque sia ameri­ cano e abbia un temperamento religioso, per quanto eccentri­ co o addirittura esoterico, avrà necessariamente una qualche forma di relazione con la Religione Americana: tesi centrale di questo libro è che tutti gli americani subiscano l’influsso della 39

fede nazionale, e che quest’ultima, nell’ima o nell’altra delle sue svariate forme, costituisca sovente la sostanza autentica di quelli che, negli Stati Uniti, a un primo sguardo possono pre­ sentarsi come fenomeni a carattere eminentemente laico. Il dato fondamentale della vita americana, ora che siamo entrati nell’ultimo decennio del secolo, è che la religiosità è dapper­ tutto. Persino nelle più concrete delle relazioni erotiche, m atri­ monio compreso, si sono impresse molte stimmate dell’intensi­ tà del sentimento religioso. Scrittori religiosi come il prote­ stante John Updike e il cattolico W alter Percy non solo rap­ presentano nei loro romanzi una trasposizione dei bisogni e degli obblighi religiosi dal terreno loro proprio a quello del­ l’erotismo, ma talvolta cadono essi stessi vittime del medesimo tipo di confusione. La religione in quanto vissuto esperienziale non può essere circoscritta entro limiti precisi, e per giunta so­ no assai pochi i segnali provenienti dalla Religione Americana di una disponibilità ad autoconfinarsi; a testimonianza di ciò basti citare la Chiesa mormone e la Convenzione dei battisti del sud, attualm ente dominata dai fondamentalisti, per non dire poi delle confessioni tipicamente americane, quali i testi­ moni di Geova e le Assemblee di Dio. L’ironica realtà per cui negli Stati Uniti il cattolicesimo romano è una fede relativa­ mente circoscritta va senz’altro attribuita a questa peculiarità americana in materia di religione. La relazione che i battisti americani intrattengono con la tradizione europea non è radicalmente diversa da quella che i mormoni e altre religioni originali americane intrattengono con i loro precursori inglesi e continentali, per quanto questi siano più remoti. Il potere àz\Y aspirazione religiosa sembra aver subito una notevole dilatazione negli Stati Uniti, all’interno di un processo per molti versi parallelo a quello della dilatazione dell’aspirazione creativa di cui Melville, W hitm an e Dickinson sono solo alcuni esempi. Forse tale parallelismo si presen­ ta nella sua forma più chiara nel caso di William e Henry J a ­ mes: infatti, gli elementi del desiderio di credere e della volon­ tà di penetrare lo spirito, così preponderanti in William J a ­ mes, trovano corrispondenza analogica negli intrecci dell’aspi­ razione creativa dei romanzi del fratello. Il romanzo sentimen­ tale americano è un genere letterario abbastanza sconcertante; ma suo cugino, cioè quel romanzo dei sentimenti che è la Reli­ 40

gione Americana, rappresenta un fenomeno ancora più singo­ lare. Laddove l’aspirazione religiosa è profonda e sovrana non può mancare l’angoscia religiosa, la cui definizione funzionale si riassume nel termine fondamentalismo, ineluttabile maledizio­ ne di tutta la Religione Americana e di tutte le religioni in que­ sto secolo americano. In senso stretto, il fondamentalismo è il tentativo di superare il terrore della morte mediante un’inter­ pretazione pedissequa della promessa cristiana dell’im m orta­ lità. La possibilità di rendere concretamente utilizzabile la cri­ tica della religione risiede nel fatto che essa è lo strumento più appropriato per dissezionare, comprendere e forse un giorno anche distruggere il fondamentalismo, lato oscuro della Reli­ gione Americana, antitetico al suo contenuto spiritualmente più elevato e più valido. Una delle grandi scoperte rese possibili dal parallelo istitui­ to fra critica letteraria e critica della religione è che l’aspirazio­ ne creativa e quella religiosa hanno tra loro più tratti in comu­ ne di quanti singolarmente possiedano con l’eros. L’elemento caratterizzante della poesia, come lo intendo io, muove innan­ zitutto dalla ribellione contro la morte, e dunque dalla convin­ zione che le sue origini non siano naturali ma risalgano piutto­ sto a un abisso preesistente alla nascita del mondo. All’origine del carattere di fondo della religiosità am ericana vi è qualcosa di molto simile. Anche se si accettasse per vero il tristissimo mito di Schopenhauer della relazione fra desiderio sessuale e volontà di vivere, infatti, non ci si avvicinerebbe molto né alla poesia né alla profezia, dal momento che nessuna delle due fa della natura pura e semplice il proprio oggetto del desiderio. La Religione Americana, così come la letteratura di finzione americana, è il romanzo profondamente e saldamente interio­ rizzato dell’eterna ricerca, nel quale talune versioni dell’im­ mortalità fungono da oggetto del desiderio. Proviamo a fare un paragone tra il crocifisso cattolico romano e la croce di tut­ te le chiese battiste e di tante altre chiese protestanti america­ ne, delle più svariate confessioni. I cattolici venerano il Cristo crocifisso, mentre i battisti rendono onore alla croce vuota, dalla quale Gesù è già resuscitato. La Resurrezione è il tema dominante e onnipresente della Religione Americana, che fa scendere Gesù dalla croce con la stessa rapidità di Milton (sol­ tanto un verso e mezzo del Paradiso perduto). 41

Uno dei grandi miti della Religione Americana è quello del ritorno alla Chiesa delle origini, che probabilmente non è mai esistita. In un certo senso i battisti del sud elevano a paradig­ ma un intervallo di tempo su cui il Nuovo Testamento non ci dice praticamente nulla, ovvero i quaranta giorni trascorsi in cammino da Gesù e dai suoi discepoli dopo la resurrezione. Personalmente ritengo che non solo i battisti, ma tutti i segua­ ci della Religione Americana, indipendentemente dalle speci­ fiche confessioni di appartenenza, siano perennemente alla ri­ cerca di una simile condizione. Quando cantano, pregano o narrano del loro cammino in compagnia di Gesù, essi non si riferiscono né all’uomo che sale la via crucis né al Dio asceso in cielo, ma piuttosto a quel Gesù che insieme ai discepoli ha camminato ancora una volta per quaranta giorni e quaranta notti. Quei giorni, per i mormoni, comprendono anche il sog­ giorno di Cristo in America, nella visione di Joseph Smith del suo sopraggiungere, poco dopo la Resurrezione, descritta in uno dei passi di più grande potenza immaginifica del Libro di Mormori. L’eresia più diffusa tra tutte quelle che formano il tes­ suto costitutivo della Religione Americana è appunto questa, la più sottaciuta e la più poetica di tutte le eresie: l’americano cammina, lui solo, in compagnia di Gesù, in un intervallo di tempo in perpetua espansione, alla cui origine sono i quaranta giorni del soggiorno terreno del Figlio di Dio risorto. Lo gno­ sticismo americano sfugge alle leggi del tempo, poiché parteci­ pa della vita terrena già vissuta dall’Uomo che è morto per vincere la morte. La critica della religione deve penetrare in questa zona, che si estende tra teologia ed esperienza spirituale ed è vicina a quello che i primi cristiani, gnostici compresi, avrebbero chia­ mato il pleroma, la pienezza, nella sua duplice dimensione spaziale e temporale. In questo senso la «competenza dell’ani­ ma», secondo la definizione di E.Y. Mullins, il grande saggio battista del sud, si configurerebbe come il dono che proviene a ciascun individuo dal cammino compiuto con il Gesù risorto: non confuso tra una folla di discepoli, ma assolutamente solo con Gesù. La testimonianza riguardante questa compagnia a due, totalmente individuale, accenna di frequente a una terza presenza dai contorni vaghi, talvolta identificata con lo Spirito Santo, talvolta con la figura stessa della morte, neutralizzata e 42

vinta. Si possono richiamare a questo proposito due visioni possenti di quest’umbratile terza presenza nella poesia ameri­ cana: quella di W alt W hitman e quella di T.S. Eliot, rispetti­ vamente in Quando i lillà per l'ultima volta e La terra desolata. En­ trambe sono romantiche visioni americane, e per sottili affini­ tà vicine alPinnodia battista ove si celebra l’esperienza del cammino a fianco del Cristo risorto. IV

D.H. Lawrence, meditando sulla figura di Natty Bumppo creata da Fenimore Cooper, osserva che il rovesciamento logi­ co e narrativo attuato da Cooper rispetto alle imprese del suo eroe (che si snodano a ritroso nel tempo, dalla vecchiaia alla giovinezza) rispecchia la storia della coscienza americana: l’A­ merica, nata europea e venerabile per tradizioni, aveva poi in­ trapreso un cammino a ritroso facendosi nuova e giovane. Questa osservazione di Lawrence si applica anche alla nostra religione, che nasce dal protestantesimo europeo ma al volgere del x ix secolo diventa una religione nuova e tuttora in via di trasformazione. Quando ho tentato di chiarire a me stesso, cri­ tico della religione ai suoi primi passi, quali fossero esattam en­ te i sentimenti che nutrivo nei confronti della Religione Ameri­ cana, mi sono venute in mente le osservazioni su Emerson scritte da Henry Jam es senior nel 1884, ovvero due anni dopo la morte del grande saggio. Jam es, la cui esasperazione nei confronti di Emerson, che peraltro adorava, si era già conden­ sata nella memorabile esclamazione - «Oh tu uomo senza ap­ pigli!» - in questa occasione cerca di non lasciarsi sfuggire l’appiglio, che egli chiama «innocenza»: Egli era... fondamentalmente un traditore della civiltà, sen­ za esserne, per quanto lo riguardava, assolutamente consape­ vole... Ai miei occhi egli appariva del tutto privo della coscien­ za del proprio essere buono o cattivo. Non aveva coscienza al­ cuna, infatti, e faceva dipendere la sua vita dalla percezione, la quale è una facoltà di livello indubitabilmente inferiore, ovvero meno spirituale. Maggiore è l’universalità della quale gode un uomo in virtù del genio o delle sue qualità innate, minore è il grado di individualizzazione della sua spiritualità, mentre la profondità che gli fa difetto viene compensata dall’abbondanza 43

di doti naturali. Era appunto questo il caso di Emerson. Nei suoi libri o nelle sue conferenze pubbliche egli ti elettrizzava sempre con parole di ispirazione divina... Nessun uomo poteva guardarlo mentre parlava (o quando taceva, il che è lo stesso) senza avere una visione della più divina bellezza... Egli altro non era che la rappresentazione vivente dell’onnipotenza divi­ na nella nostra natura... Ad ogni modo la cosa in lui incontestabilmente più grande, come ho già detto, era il potere inconscio di porti faccia a faccia con l’infinito dell’umanità... L’incontestabile virtù di Emerson, per chiunque ne sapesse riconoscere la grandezza, consisteva nel fatto che egli non riconosceva alcun Dio al di fuori di sé e del suo interlocutore, e riconosceva questa sua presenza solo in quanto liaison tra i due, avendo premurosa cura che lo scambio tra sé e l’altro fosse santo, di una santità sino ad allora inimma­ ginabile ad angelo o a uomo. Poiché non della santità traman­ data dai libri o dall’esempio di santi tediosi, malati e consape­ voli del proprio essere si trattava, ma semplicemente dell’uomo in carne ed ossa, nella sua redenzione. In breve, l’unica santità che Emerson riconosceva, e in coerenza alla quale ha vissuto, era l’innocenza. È questa un’innocenza tutta americana, e l’intero passo scritto da Henry Jam es senior mi riporta alla memoria la con­ siderazione espressa da Sydney Ahlstrom, secondo la quale «Emerson è invero il teologo di qualcosa che potremmo forse chiamare “la Religione Americana”». In Emerson lo swedenborghiano Jam es riconosceva molte delle stimmate che mi hanno persuaso dell’esistenza della Religione Americana: li­ bertà dalla coscienza intesa come istanza pura e a sé stante; fi­ ducia assoluta nella percezione derivante dall’esperienza; sen­ so della propria potenza; presenza di Dio in noi; innocenza di «carne e ossa dell’uomo redento». Quello che Freud ha chia­ mato il disagio della civiltà, ovvero la civiltà con il malessere a essa legato, qui appare più lontano che mai. E così, affatto in­ consapevole, Emerson era «fondamentalmente un traditore della civiltà», per quel che della civiltà restava, esclusa la fase europea. La critica della religione, posta di fronte alla spiritualità americana autentica, a tutta prima si trova disarmata, dato che Kierkegaard e Nietzsche hanno attinenza solo parziale al­ la novità rappresentata dalPAmerica. Il richiamo di Kierke­ gaard alla complessità dialettica inerente al fatto di divenire cristiani in una nazione ufficialmente cristiana non fa al caso 44

della situazione americana, ove coloro che si sentono intim a­ mente sospinti verso la fede non si muovono in direzione di qualcosa che possa essere assimilato al cristianesimo storico. A sua volta la critica nietzschiana delPascetismo sfiora appena gli ardori della spiritualità americana, ove quasi nulla è sacri­ ficato a favore del sé. Ritengo inoltre che nessun aiuto venga dalla posizione assunta sulla critica della religione da N orth­ rop Frye - recentemente scomparso - nell’ultimo libro da lui scritto, The Doublé Vision (1991), il cui sottotitolo è «Linguag­ gio e significato della religione». In quest’opera Frye tenta un passaggio dall’approccio critico alla letteratura a un approccio critico alla religione, ove tuttavia non è possibile operare una distinzione netta tra finezza delle sue percezioni e religiosità, come dimostra il passo seguente: Anche nel campo della religione è doveroso mantenere un atteggiamento critico, che respinga raccoglimento incondizio­ nato delle forme di rivelazione socialmente accettate. In caso contrario il nostro si configurerebbe come un ritorno all’idola­ tria, anche se questa volta meno verso un’idolatria della natura che verso un’autolatria, nella quale la devozione verso Dio sa­ rebbe sostituita dalla deificazione deH’intelligenza che di Dio abbiamo raggiunto. Secondo le parole di Paolo noi siamo i templi di Dio: se questo è vero, dovremmo essere abbastanza bravi da vedere la follia della proposta avanzata dall’imperato­ re Caligola per il Tempio di Gerusalemme, di collocare nel suo sacrario la statua che ci raffigura. Trovo questo passo particolarmente toccante, ma si tratta pur sempre di scrittura religiosa (non di critica della religione vera e propria), e in quanto tale incapace di farci scoprire al­ cunché di nuovo sui mormoni, i battisti del sud o la religione afroamericana. Quella che Frye, sulla scia della tradizione, chiama «idolatria» è, nella sua forma di autolatria, l’equiva­ lente di quel che Emerson chiamava «fiducia in se stessi», che è poi la premessa di fondo della Religione Americana. Frye, che per tutta la vita è stato ministro del culto della Chiesa uni­ ta del Canada, in The Doublé Vision dice che «sarebbe assurdo vedere nel Nuovo Testamento un’opera di valore esclusivamente letterario». Il che è indubbiamente vero, dal punto di vista di un ecclesiastico, anche se in questo enunciato non vi è nulla del punto di vista di un critico letterario. U n’espressione 45

come autolatria, infatti, non può essere funzionale alle perti­ nenze di un critico della religione: così come il critico letterario non può accettare la limitazione implicita in quel «di valore esclusivamente letterario», quasi fosse possibile parlare di sola letterarietà. Allo stesso modo, il giudizio morale sotteso alla nozione di «idolatria» non può rientrare nell’ambito del di­ scorso proprio della critica della religione. La critica morale, la critica politica e la critica sociale hanno oggi usurpato il po­ sto dell’estetica in quella che nelle accademie viene fatta pas­ sare per critica letteraria. Compito attuale della critica della religione è impedire che la dimensione spirituale della religio­ ne segua il destino della dimensione estetica della letteratura, finita nel dimenticatoio in nome del «politicamente corretto» invalso nella Scuola del risentimento. L’anti-intellettualismo pervade la vita politica, sociale e morale americana, e a fargli da eco c’è la «correttezza politica» sbandierata dalla pseudosi­ nistra accademica. Il fondamentalismo è, a sua volta, l’eterna e parodistica piaga della Religione Americana, e sul piano po­ litico, sociale, morale e persino economico le conseguenze del suo anti-intellettualismo sono certamente altrettanto deleterie. Tali conseguenze tuttavia non possono diventare materia di studio della critica della religione: al contrario, semmai, è la totale cancellazione della dimensione spirituale a opera e al­ l’interno del fondamentalismo che la critica della religione de­ ve svelare e porre come oggetto della sua analisi.

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2 Entusiasmo, gnosticismo, orfìsmo americano

Quali che siano i riconoscimenti che lo aspettano in futuro, il presidente George Bush sarà in ogni caso ricordato come il leader politico americano più profondamente legato ai due emblemi indissolubili della nostra religione nazionale: la ban­ diera americana e il feto, la nostra Croce e il nostro Figlio Di­ vino. Bandiera e feto insieme simboleggiano la Religione Ame­ ricana, fede nazionale in parte sommersa e tuttavia assai poco repressa. Definire la religione è sempre difficile, soprattutto perché la coscienza civile con le sue implicazioni sul piano pratico emerge in tutta la sua radicale diversità quando la si confronta con le concretizzazioni storiche delle fedi religiose tradizionali. La religione, in quel paese protestante che sono ufficialmente gli Stati Uniti, è qualcosa di leggermente diverso dal cristianesimo (s’intende in misura appena percettibile), anche se sarebbe fuorviante affermare, in ragione di ciò, che il nostro sia un paese post-cristiano. Si può dire piuttosto che siamo post-protestanti, e che stiamo vivendo una fase di pro­ fonda ridefinizione del cristianesimo, profonda al punto che ri­ fiutiamo di riconoscere di avere effettivamente modificato la reli­ gione tradizionale in modo da renderla una fede più consona al temperamento, alle aspirazioni e alle angosce della nostra nazione. Frutto di una m istura di antiche eresie e del malesse­ re tipico del x ix secolo, la Religione Americana si appresta a entrare nel x x i con un trionfalismo esasperato, facilmente convertibile nelle stravaganze politiche proprie del nostro pae­ se. In uno dei suoi scritti George Santayana asseriva che la reli­ gione è necessariamente particolare, esattamente come il linguaggio. Si parla una lingua alla volta, e non si pratica la reli­ gione in generale. U na religione viva, aggiungeva Santayana, deve essere idiosincratica, il suo potere derivando da uno scar­ to rispetto a una rotta prestabilita, ovvero da un pregiudizio 47

ben preciso. A parte quella spremuta d ’arancia che si chiama New Age, ciascuna delle religioni di cui tratta questo libro è ancora più idiosincratica di quanto ci si potrebbe attendere. Non tutte, invece, le definirei più vive di quanto ci si potrebbe attendere, benché tutte siano pericolosamente interessanti, quanto meno a confronto delle confessioni protestanti tradi­ zionali attualm ente diffuse negli Stati Uniti. Ciò che è spiri­ tualmente vivo nelle formazioni religiose tradizionali, consiste assai di rado in una rinnovata intensità del protestantesimo nella sua dimensione storica e dottrinale; più spesso si tratta, invece, di qualche nuova filiazione deirentusiasmo o dello gnosticismo, ovvero di varianti della Religione Americana. Questo si deve al fatto che gli impulsi originari che hanno dato vita ai mormoni o agli autentici battisti del sud, così come alle fedi afroamericane più significative, occupano, rispetto a noi, una posizione non meno centrale della lingua americana stes­ sa. La nostra spiritualità è uno dei nostri tanti idiomi. Le dot­ trine di fede non si confanno allo spirito americano: la libertà che respiriamo ricercando la solitudine e la natura selvaggia non può facilmente assimilare l’oggettivante estraneità delle dottrine di fede così come esse si sono storicamente concretiz­ zate. Essendo questo un saggio di critica della religione, il discor­ so si incentrerà sulle due fedi che ritengo più tipicamente ame­ ricane, vale a dire quella dei mormoni e quella della Conven­ zione battista del sud. Seguendo le orme del pragmatismo di William Jam es, il mio approccio si fonda sul presupposto che entrambe siano varianti della religione intesa come esperienza, sicché uguale peso sarà dato a questioni irriducibilmente spiri­ tuali e al temperamento del credente nel suo incontro diretto con Dio. A buon diritto i mormoni sottolineano la loro condi­ zione, peraltro indubitabile, di americani autentici, condizio­ ne geneticamente riconducibile alle visioni garantite al loro profeta, veggente nonché rivelatore Joseph Smith. I battisti, fedeli quanto i mormoni al carattere americano, fanno discen­ dere la loro origine da un grande mito americano, quello della Chiesa cristiana primitiva dell’antica Israele. Mi attengo alle indicazioni degli studiosi di storia della religione per quanto riguarda le origini del battismo del sud, attualm ente collocate in America ai primi del x ix secolo, mentre mi discosto dalle 48

loro teorie per quanto riguarda l’attribuzione della paternità autentica, seppure tardiva, del battismo del sud a Edgar Young Mullins (1860-1928), che attuò una ridefmizione glo­ bale dei principi di fede nell’importantissimo manifesto del 1908, denominato The Axioms o f Religion. A quanto mi è dato di sapere, è stato Mullins a coniare l’espressione «competenza dell’anima» per definire la libertà in assoluto più importante per il battismo quando ha ribadito che «la rilevanza storica dei battisti sta nella dottrina della competenza dell’anima in materia di religione, immediatamente al di sotto di Dio». Que­ sta posizione di Mullins ha prevalso fino a tempi recentissimi, prima che la Convenzione battista del sud cadesse nelle mani di ignoranti mascherati da fondamentalisti. Per ironia della sorte, buona parte dell’eredità spirituale di Mullins (vale a di­ re del pensiero moderato interno al battismo del sud) messa oggi seriamente a repentaglio dai sedicenti fondamentalisti, con tutta probabilità trae origine dal battismo afroamericano, come cercherò di dimostrare più avanti. Ciò rende ancor più inconfutabile il fatto che gli ignoranti del Texas stanno di­ struggendo la Convenzione battista del sud, cancellando in tal modo l’ultima forma organizzata di una religione della Luce Interiore rim asta negli Stati Uniti. Il sacerdozio del credente viene soppiantato da una gerarchia destinata a essere più dog­ matica e allo stesso tempo meno raffinata sul piano intellettua­ le della struttura autoritaria su cui si regge la Chiesa cattolico­ romana. U na religione entusiastica dell’esperienza altamente individualizzata, se non addirittura eccentrica, finirà così per ridursi a una brodaglia insipida. La Religione Americana è, sotto molti aspetti, la continua­ zione nel x ix e nel x x secolo di quello che in Europa si chia­ mava entusiasmo: in particolare durante i secoli x v n e x v m , quando cioè il termine tendeva a essere usato con una conno­ tazione dispregiativa. In senso letterale, il termine entusiasmo allude all’ispirazione e financo alla possessione divina, ma i cristiani gentili deH’illuminismo tesero a sottolineare la poten­ za figurativa dell’irrazionalità e persino del fanatismo inerenti al significato del termine. A questo punto io stesso devo rico­ noscere che l’idea di scrivere questo libro su La Religione Ameri­ cana risale al 1960, quando lessi Illuminati e carismatici di monsi­ gnor Ronald Knox (la prima edizione del libro risale al 1950). 49

Cappellano cattolico alPuniversità di Oxford dal 1926 al 1939, Knox, uomo di grande cultura che aveva tradotto la Bibbia nella prosa di George Moore, era approdato alla sua opera di maggior importanza appunto con Illuminati e carismatici: una storia dell''entusiasmo religioso. Questo libro, che ho appena riletto dopo trentanni, resta uno studio insuperato delle eresie e del revivalismo, oltre a essere scritto con una vivacità degna della persona a cui è dedicato, Evelyn W augh, il cui genio umoristi­ co deve molto alla più delicata ironia di Knox, suo mentore spirituale. T ra i protagonisti di Illuminati e carismatici troviamo la serie completa dei grandi eccentrici, da M ontano di Frigia del li se­ colo fino a John Wesley e i suoi seguaci della seconda metà del x v m secolo, passando per gli anabattisti, i quaccheri, i gian­ senisti e i quietisti. Degli entusiasti (che ama moltissimo e allo stesso tempo disapprova con tutto il cuore) Knox mette in ri­ lievo il fatto che erano tutti convinti assertori delPelitarismo spirituale, «ultrasoprannaturalisti» secondo i quali «la grazia ha distrutto la natura e si è sostituita ad essa», anziché infon­ dervi il suo spirito. Di qui la loro bram a di teocrazia, ovvero del governo dei Santi, e nel frattempo, aspettando Gesù, il cui Secondo Avvento era atteso di ora in ora, il loro abbandonarsi al revivalismo e all’estasi. Il grande momento dell’entusiasmo è stato il x v i i secolo: George Fox e i quaccheri, Pascal e i gian­ senisti cattolici in Francia, nonché il misticismo dei quietisti francesi alle soglie del x v m secolo, sotto la guida di M adame Guyon e Fénelon. Tuttavia nessuno di loro, neppure Fox, è stato un precursore della Religione Americana. Questo rico­ noscimento va tributato piuttosto a John Wesley, il quale ebbe il dono di vivere la sublime esperienza della conversione il 24 maggio del 1738. Poiché la conversione è un aspetto fondamentale di quella che diventerà poi la Religione Americana, qualche considerazione generale sulla sua natura si rende, a questo punto, necessaria. Conversione di A.D. Nock (1933) è un saggio ormai classico su questo tema specifico; pur circoscrivendo la trattazione al periodo che va da Alessandro Magno a sant’Agostino, que­ st’opera fornisce una visione di ineguagliata lucidità della psi­ cologia della conversione religiosa, utilizzando i validi presup­ posti teorici formulati da William Jam es, che in più di un’oc­ 50

casione ha ribadito che «il senso della nostra attuale condizio­ ne di errore» per la coscienza conta molto di più di qualsiasi ideale a cui il peccatore può tendere; proprio per questo, la conversione è sempre stata più una lotta «contro» che non «per» qualcosa. Nock condensa questa sua concezione in una formula: «rinuncia e nuovo inizio». M a in questo modo si ri­ schia di sottovalutare il revivalismo entusiastico che, divenuto già da tempo una modalità di conversione propria della Reli­ gione Americana, doveva poi culminare a Cane Ridge, nel Kentucky, in una modalità di esperire la religione della quale tratterò ampiamente nel prossimo capitolo. Knox attribuisce la paternità della «religione delPesperienza», ove la conversio­ ne deve essere sentita dentro di sé, a Wesley, che sotto questo aspet­ to sarebbe quindi un precursore della Religione Americana. Personalmente ritengo che il paradigma in questione sia piut­ tosto un prodotto dei primi battisti neri americani, nonostante Knox fornisca un vivido resoconto dell’innovazione wesleyana, pur riconoscendone la scarsa coerenza teorica, tanto in re­ lazione al grande fondatore del metodismo che in relazione ai suoi seguaci: Si può dire forse che la Rinascita sia sempre e necessaria­ mente un 'esperienza? Al fine di essere cristiani, e non invece cri­ stiani a metà, è necessario che abbiate sentito dentro di voi, a un certo momento, che i vostri peccati erano perdonati, oppure un cambiamento del vostro comportamento esteriore può essere prova sufficiente di ciò che è accaduto?... Si direbbe che We­ sley sia giunto ben presto a ritenere che la «grazia» fosse da identificare con la consolazione spirituale, cosa che gli autori religiosi ci mettono costantemente in guardia dal fare. Fin da­ gli esordi della sua attività di predicatore evangelico, troviamo in lui la persuasione che il battesimo dell’adulto fosse congiun­ to alla consapevolezza interiore di una Nuova Nascita, e quando ciò non accadeva lui restava deluso... Tanto profondamente radicata è la sua convinzione a proposito del vissuto esperienziale che egli si aspetta che questa consapevolezza del perdono sia non solo sentita interiormente, ma addirittura resa manife­ sta. (pp. 538-39) Ciò che qui appare ancora ipotetico si trasforma in certezza, consolidata, impetuosa e persino travolgente, nell’entusiasmo della Religione Americana: ad esempio presso i battisti del sud o i pentecostali la conversione è invariabilmente sentita dentro 51

di sé, resa manifesta e in più comunicata a gran voce. In una prospettiva specificamente americana Wesley va visto oggi co­ me figura di congiunzione tra la modalità inglese delPentusiasmo, moderata nei toni, e la virulenza tanto interna che ester­ na della Religione Americana. La fede esperienziale, segnata da una profonda divergenza dalla dottrina, avrebbe lasciato un grande vuoto in America se non fosse stato per qualcosa di più vivo e vibrante sostituitosi ad essa, quel sapere fuori del tempo che è, di per se stesso, salvezza. Wesley credeva ancora che Dio si fosse manifestato nella storia, ma il sapere america­ no elide la storia, addirittura la storia di Dio prima che sco­ prisse l’America. Lo gnosticismo, tanto quello antico che quel­ lo americano, ha una cattiva reputazione, da sant’Ireneo giù giù fino a Tom Wolfe, ma a questo proposito devo dichiarare il mio dissenso. Il presidente Eisenhower è famigerato perché sostenne a più riprese che gli Stati Uniti erano e dovevano re­ stare una nazione religiosa, e che a lui non importava di quale religione si trattasse, purché ve ne fosse una. La mia visione è meno ottimistica; noi siamo, ahimè, il paese più religioso che ci sia, e alla fin fine tra noi prospereranno soltanto le diverse varietà della Religione Americana, indipendentemente dal fat­ to che i loro seguaci le chiamino mormonismo, protestantesi­ mo, cattolicesimo, islamismo, ebraismo o in qualsiasi altro modo. E la Religione Americana, osservata nei due secoli della sua esistenza, a me pare irrimediabilmente gnostica. Il suo è un sapere di cui è allo stesso tempo soggetto e oggetto un sé non creato, ovvero un sé-interno-al-sé, che porta a una libertà pericolosa e incline al catastrofismo - libertà dalla natura, dal tempo, dalla storia, dalla collettività, dagli altri sé. Scuoto la testa con amarezza e stupore di fronte ai giovani intellettuali «politicamente corretti» i quali aspirano a sovvertire quanto ancora sono ben lontani dall’aver compreso: una società osses­ sionata e completamente succube di uno gnosticismo domi­ nante. Se avete un temperamento religioso, o comunque sentite un bisogno profondo di religione, e ciò nonostante non riuscite ad accettare la spiegazione che ebrei, cattolici, protestanti o mu­ sulmani danno del perché Dio Onnipotente permetta la perpe­ tua vittoria del male e della sventura, forse potreste essere ten­ tati dallo gnosticismo, persino nel caso che non abbiate mai 52

capito esattamente in che cosa consiste - o consisteva. La mia ' esperienza personale, unitamente a una meditazione sulla sto­ ria, mi rendono insofferente verso tutti i tentativi di giustifica­ re l’agire di Dio nei confronti dell’uomo. Apparentemente, il Dio di Mosè, il Dio di Gesù e il Dio di M aometto mostrano la stessa indulgenza nei confronti della schizofrenia e dell’Olo­ causto. Vi sono poi il Dio del pensatore gnostico Valentino di Alessandria e quello del rabbino cabalista Isaac Luria di Safed, entrambi estranei o comunque totalmente al di fuori del nostro mondo di allucinazioni e di campi di concentramento. Il Dio lontano e irraggiungibile della tradizione gnostica può essere considerato la proiezione di un’antica eresia, se lo si de­ sidera, oppure una realtà vivente, alla quale tuttavia né chiese né templi vengono ufficialmente dedicati. Mi pare che lo gno­ sticismo sia meno fossile delle nostre religioni tradizionali, con la loro struttura organizzata e tutta la relativa legittimazione sociale; ma non per questo intendo proporre il mio libro come un manifesto dello gnosticismo o un trattato sulla conversione. > Il libro di Bentley Layton The Gnostic Scriptures (1984) è la raccolta più completa di testi gnostici autentici, risalenti ai primi tre secoli d.C., a tutt’oggi disponibile. Grazie anche alle ottime introduzioni che precedono i testi, quest’opera costitui­ sce un punto di partenza imprescindibile per chiunque senta la necessità di farsi guidare attraverso i labirinti dello gnostici­ smo antico, indipendentemente dal fatto che quest’ultimo sia inteso come fenomeno puram ente storico o fondamento gene­ rale di un modo di vedere la religione che si sottrae a ogni de­ terminazione storica. La potenza evocativa di Layton conden­ sa in un’unica immagine complessa quella matassa straordi­ nariamente intricata che Hans Jonas chiamava il mito gnosti­ co: un grandioso vuoto cosmologico, il kenoma ove noi peregri­ niamo senza sosta versando lacrime di dolore, tiranneggiati dagli arconti, i signori del disordine a loro volta soggetti a un demiurgo, la divinità che ha creato il cosmo, i nostri corpi e le nostre anime in un unico atto arbitrario coincidente con la Ca­ duta. Un atto di creazione che di per sé costituisce una caduta catastrofica è lontanissimo dalla visione della creazione pro­ pria del giudaismo normativo, così come da tutte le ramifica­ zioni del cristianesimo. Sole e terra, Adamo ed Èva: tutto ha inizio come disastro in talune versioni del mito gnostico, che 53

* non ha nulla di positivo da dire sulla natura e non ha speranza né per i nostri corpi né per le nostre anime una volta liberate dal corpo; nessuna speranza, insomma, per tutto ciò che esiste entro i confini dello spazio e del tempo. Sicché lo gnosticismo, inteso come religione o quanto meno atteggiamento spirituale ben definito, altro non è che una visione nichilista, vale a dire priva di speranza, ed è forse proprio per questo che, oggi come in passato, esso è la religione nascosta degli Stati Uniti, la Re­ ligione Americana propriamente detta. Per quanto possa sem­ brare strano, chi volesse incominciare a capire lo gnosticismo non avrebbe che da porre a se stesso questa domanda: in che cosa consiste realmente il mio sé interiore? In questo luogo se­ greto Ronald Reagan e i personaggi creati dalla fantasia di Thomas Pynchon si confondono l’uno con l’altro. Prima di concludere questo discorso citerò senz’altro un certo numero di versioni contemporanee e americane dello gnosticismo, an­ che se una sua trattazione esauriente dovrebbe prendere le mosse dalla storia di un sé magico o occulto (quello che gli gnostici chiamavano «scintilla» o pneuma anziché anima o psi­ che), e una simile storia ha inizio molto prima degli gnostici, i quali ebbero la massima diffusione (se di diffusione si può par­ lare) nel mondo ellenistico del il secolo d.C. Le origini dello gnosticismo vanno ricercate in una forte op­ posizione, o se si vuole in un’interpretazione creativamente travisatrice, nei confronti di un precursore dalla forza schiac­ ciante: la Bibbia ebraica. La malvagità personificata era per gli gnostici il demiurgo, una divinità creatrice così detta a imi­ tazione del demiurgo del Timeo di Platone, il quale lo raffigura come l’artefice, il «fattore del mondo», che fa quanto gli è pos­ sibile per imitare le vere forme dell’eternità. Per gli gnostici in­ vece il demiurgo è Yahweh (e Elohim), ovvero la versione ebraica della divinità creatrice della Genesi; un dio che gli gnostici ritengono nel migliore dei casi un pasticcione insi­ piente, e nel peggiore uno spirito malevolo. Il dio antico degli ebrei non coincide dunque con il Dio vero, lontano e inaccessi­ bile, degli gnostici, che in effetti molti gnostici identificavano con l’Abisso primordiale, quello stesso vuoto smisuratamente profondo dal quale il dio degli ebrei, ossia il demiurgo, aveva rubato o comunque tratto indebitamente il materiale della sua _ falsa creazione. 54

Gli ebrei biblici, per quanto ne sappiamo, non credevano in ' un sé magico o occulto in qualche modo assimilabile all’anima; tale sé ontologico sembra avere origine invece da una con­ cezione sciamanistica originaria della Scizia e della Tracia, successivamente migrata a sud, nella Grecia, cinque secoli avanti Cristo. È presumibile che i primi ad accogliere e a riela­ borare questo sé-interno-airanim a siano stati, in Grecia, Pita­ gora ed Empedocle. Su questo tema la massima autorità mo­ derna resta E.R. Dodds, che nel suo capolavoro I greci e l'irra­ zionale (1951; ed. it. 1959) ricostruisce le fortune di questo sé occulto o daimon: Ed è significativo che Empedocle, a cui dobbiamo in massi­ ma parte le nostre cognizioni sull’antico puritanesimo greco, eviti di chiamere psyche é l’io indistruttibile. Sembra che Empe­ docle concepisse la psyche come calore vitale, che con la morte viene riassorbito nell’elemento igneo donde era venuto... L’io occulto, che persiste attraverso successive incarnazioni, lo chiamava non psyche ma «dèmone». E a quanto pare questo dè­ mone non aveva nulla a che vedere con la percezione o col pen­ siero, che Empedocle credeva determinati meccanicamente; la funzione del dèmone è quella di portatore della divinità poten­ ziale dell’uomo e della sua colpevolezza attuale. Sotto certi punti di vista si avvicina più allo spirito che abita nello sciama­ no, il quale lo eredita da altri sciamani, che non all’«anima» razionale in cui credeva Socrate; ma è stato poi moralizzato co­ me portatore di colpa, e il mondo dei sensi è diventato l’Ade in cui esso soffre tormento, (pp. 200-201 ed. it.) Questo sé magico e sciamanistico è assai vicino al pneuma di Paolo e degli gnostici, la scintilla, o sé trascendentale libero dal mondo del creato, ovvero dalla Caduta. Hans Jonas, cui si deve la più limpida ed esauriente trattazione dello gnosticismo scritta ai nostri tempi, presenta ne Lo gnosticismo (1958; ed. it. 1975) un affascinante parallelismo con la distinzione segnalata da Dodds: Nel Nuovo Testamento e soprattutto in san Paolo questo principio trascendente dell’anima umana è chiamato «lo spiri­ to» {pneuma), «lo spirito in noi», «l’uomo interiore» escatologi­ camente definito anche «l’uomo nuovo». Vale la pena di sottolineare che Paolo, il quale scrive in greco e certamente non ne ignora le sfumature lessicali, non usa mai in questo contesto il termine psyche, che a partire dall’orfismo e da Platone aveva si55

gnifìcato il principio divino interno a noi. Al contrario, egli con­ trappone, come dopo di lui fecero gli gnostici che pure scriveva­ no in greco, «anima» a «spirito», e «uomo psichico» a «uomo pneumatico». Appare evidente che il significato assunto nella lingua greca dal termine psyche, pur con tutta la dignità che gli va riconosciuta, non era adatto a esprimere la nuova concezio­ ne di un principio trascendente, quelPinsieme di associazioni con la natura e il cosmo che di un simile termine erano, nella lingua greca, elemento implicito. La parola pneuma in genere per gli gnostici greci sta come equivalente delle espressioni usate per indicare il «sé» spirituale, per il quale il greco, a diffe­ renza di certe lingue orientali, non possedeva un termine speci­ fico... Da alcuni gnostici cristiani esso è detto anche «la scintil­ la» e «il seme della luce», (p. 124) In realtà pare che il termine greco proprio sia stato daimon, considerando il fatto che Dodds e Jonas trattano della stessa distinzione, che in sostanza riguarda il sé {pneuma o daimon) e l’anima {psyche). Suppongo che questa distinzione sia penetra­ ta in America attraverso due canali molto diversi: da un lato l’eredità afroamericana del «piccolo me dentro il grande me», e dall’altro il potente influsso dell’orfismo entrato in circolo at­ traverso Emerson e anche, a livello di massa, attraverso le tra­ dizioni popolari. L’orfismo americano è il terzo elemento della triade che si completa con l’entusiasmo e lo gnosticismo, e tut­ ti e tre tendono a mescolarsi nel processo di fusione della Reli­ gione Americana. L’orfismo era un culto esoterico-misterico, il cui precetto fondamentale era la divinità potenziale del sé del­ l’iniziato. Religione caratterizzata da un’estasi quasi sciamanistica, Porfismo predicava la straordinaria nozione che la vita um ana passata attraverso la redenzione, ovvero la resurrezio­ ne, sarebbe consistita in uno stato perpetuo di ebbrezza. Nei capitoli che seguono incontreremo parecchie versioni di que­ sta nozione nella sua forma americanizzata, ma qui vorrei sof­ fermarmi in particolare sull’orfismo di Emerson, che forse non ne è la figura più rappresentativa, ma certamente è un veggen­ te iniziatico. Ralph Waldo Emerson, visitando la comunità mormone di Salt Lake City nel 1871, liquidò i Santi dell’Ultimo giorno de­ finendoli «l’ultimo colpo di coda del puritanesimo». Nato solo due anni prima del profeta mormone Joseph Smith, Emerson visse all’incirca trentotto anni più a lungo del suo concittadino del New England. Pur essendo contemporanei, i due non ave­ 56

vano nulla in comune e difficilmente si potrebbero trovare uo­ mini più lontani tra loro per caratura morale, personalità, estrazione sociale, educazione, cultura e addirittura per le doti intellettuali. La differenza più grande tra i due è la più sostan­ ziale che possa esistere: quella tra saggio e profeta. Emerson, il saggio di Concord, resterà sempre la voce oracolare della sag­ gezza e della cultura della nostra nazione. Smith, il profeta di Kirtland e Nauvoo, resterà sempre il creatore e il fondatore di quella che, iniziata come una scandalosa eresia, è oggi una Chiesa ufficialmente riconosciuta, rispettabilissima, ricca, va­ gamente cristiana e per lo più vicina alla destra repubblicana. Se nel corso della loro vita si fossero incontrati, il saggio tra­ scendentale e il profeta mormone non sarebbero riusciti a co­ municare. Le visioni e le profezie di Smith erano eminente­ mente letterali; il raffinato Emerson, maestro del linguaggio fi­ gurato, sapeva che tutte le visioni sono metafore e tutte le pro­ fezie retorica. E tuttavia Emerson e Joseph Smith furono en­ trambi, e in pari misura, pionieri della Religione Americana, della fede del e nel sé americano. Nel noto libro A History o f Christianity (1976) Paul Johnson asserisce che «le Chiese più tipiche d’America tendono a salta­ re direttamente dal x ix secolo al Nuovo Testamento, cercan­ do una conciliazione tra i due» (p. 429). Un salto che trova il suo corrispondente nella letteratura americana del x ix secolo, anche se in questo caso il punto di approdo anziché il Nuovo Testamento sono le origini adamitiche. Ralph Waldo Emer­ son è l’elemento cruciale di congiunzione tra letteratura e Re­ ligione Americana, entram be nel pieno del loro sviluppo pri­ ma di lui, eppure entram be da lui riplasmate in forme che an­ cora adesso traspaiono qua e là, a tratti. Chi crede nella Reli­ gione Americana non cessa mai di desiderare ardentemente una Chiesa pura, vale a dire primitiva, alla quale aderire con una fede e in uno stato perennemente primigeni. L’uomo e la donna americani di oggi sono convinti che Dio li ama (così af­ ferma P88 per cento degli interpellati) oppure presumono che sussista effettivamente un simile legame d’amore (9 per cen­ to), mentre pochissimi (il 3 per cento) ritengono di non essere l’oggetto d’amore dell’Eterno. Se poi si pensa al fatto che due evangelici su tre (ovvero il 31 per cento della popolazione americana) credono fermamente che Dio comunichi diretta­ 57

mente con loro, si ha la sensazione che la consapevolezza che gli americani hanno di Dio e della relazione fra Dio e il sé indi­ viduale sia molto diversa da quella del cristianesimo europeo, e forse di tutti i tipi di cristianesimo apparsi su questa terra. Questa consapevolezza, tutta incentrata sul sé, nella Religione Americana si traduce immediatamente in fede. Scrivendo que­ ste note nel suo diario nel 1831, Emerson ha fatto dono al suo paese della prima proclamazione ufficiale della singolare spiri­ tualità che lo caratterizza: Ricorda, dunque, le parole che hanno raggelato il sangue nelle tue vene, che hanno fatto affluire il sangue alle tue gote, che hanno infuso in te tremore e gioia immensa... - quelle pa­ role non suonavano forse antiche quanto te stesso? Non erano forse una verità che già conoscevi, oppure credi che a toccarti il cuore, dal pulpito o dall’uomo, possa esservi qualcosa d’altro che non la pura e semplice verità? No, mai. E Dio in te che ri­ sponde a Dio fuori di te, o imprime le sue parole sulle labbra tremanti di un altro. Non suonavano forse antiche quanto te stesso? Il sé è la verità, e al suo centro vi è una scintilla ancora più antica e nobile, poiché è Dio dentro di noi. Può dirsi cristiano, tutto ciò? Jon Butler, in queH5originale e importantissimo libro che è Awash in a Sea o f Faith: Christianizing thè American People (1990) adducendo va­ lidissime motivazioni ci invita a rinunciare all’idea che il puri­ tanesimo sarebbe stato la forza determinante per la formazio­ ne della religione in America, e che le origini del sé americano siano da ricercare nel puritanesimo. L’opinione di Butler è che un ruolo di prim aria im portanza rispetto al nostro sviluppo spirituale sia stato giocato dal x v m secolo, non dal x v n . L’entusiasmo, che non ha niente a che vedere con la concezio­ ne calvinista, è il cuore della Religione Americana. Butler sot­ tolinea inoltre la crescente complessità ed eterogeneità del processo di cristianizzazione dell’America a partire dal 1700. Sono perfettamente d’accordo con quanto Butler afferma, e tuttavia mi chiedo di nuovo: si è trattato veramente di cristia­ nizzazione, o quel che si è infine affermato, pur definendosi un processo di cristianizzazione, era qualcosa di radicalmente di­ verso? Negli Stati Uniti di oggi, il battismo del sud può effetti­ vamente dirsi una versione del cristianesimo? La sua teologia non si colloca nel solco della tradizione protestante, quanto 58

meno non nel senso che a quest’ultima si dà in Europa, e la ' sua è sostanzialmente una religione deiresperienza. Del resto il Cristo americano è quasi sempre stato, per il cristiano ame­ ricano, un’esperienza personale. Quando un battista del sud dei nostri giorni ode la voce di Gesù che chiama il sé, in che cosa consiste esattamente questo sé che viene chiamato? Si tratta del sé che è parte della Creazione, e in quanto tale nato due volte, oppure del sé che è già, nel momento del suo costituirsi, parte di Dio? E se è tanto antico quanto il richiamo che gli giunge, quali sono le implicazioni di questa condizione di an­ teriorità e originarietà rispetto al mondo, che è comune a en­ trambi? Si può essere cristiani nel senso tradizionale, europeo, quando la parte più originaria e più nobile del proprio essere non è opera di Dio, ma Dio stesso? Propongo questi interroga­ tivi come altrettanti problemi aperti, nella consapevolezza che vi confluiscono quelli che parrebbero due aspetti contrapposti della Religione Americana, ovvero da un lato il «pensiero po­ sitivo», che costituisce uno degli elementi centrali del nostro ottimismo, e dall’altro la totale sfiducia nella società, di deri­ vazione gnostica, della quale è intessuto il nostro ancor più ra­ dicato pessimismo. Quale collegamento esiste fra questi due aspetti? Donald Meyer, nel suo brillante studio intitolato The Positive Thinkers (1965, edizione riveduta 1988), delinea un quadro della psicologia religiosa popolare americana dalla signora Eddy al presidente Reagan. Nelle sue conclusioni, egli ci ram ­ menta utilmente che la destra religiosa di oggi trae molta forza dalla propria collocazione, tutta interna alla tradizione ameri­ cana: L’aspirazione alla conquista del potere politico da parte del­ la destra religiosa ha provocato, come era naturale, un’opposi­ zione, ma il fatto di non volerle neppure riconoscere questo di­ ritto si fonda su una lettura erronea della storia americana. La separazione tra stato e chiesa non ha mai significato che la reli­ gione dovesse essere relegata all’ambito puro e semplice della vita privata. La cosa più importante è che la separazione tra stato e chiesa, e il conseguente bando di qualsiasi forma di sta­ to confessionale, ha avuto storicamente un’implicazione positi­ va, consistente nel fatto che gli americani erano e si sentivano liberi di inventare nuove teologie, nuove chiese e nuove religio­ ni. Questa fertile inventiva non era un principio stabilito dalla 59

Costituzione, ma una realtà concreta della vita americana, (p. 388) L’intuizione più brillante di Meyer è quella che lo porta a stabilire un collegamento tra il fondamentalismo religioso del­ la destra e la tradizione dell’armonia, con il suo pensiero posi­ tivo: E tuttavia la rilevanza assunta dalla destra religiosa in rela­ zione alle problematiche economiche che andavano allora emergendo dipendeva, in ultima analisi, da fattori di ordine teologico. L’opuscolo Power fo t Living, pubblicato nel 1983, per quanto si spingesse fino al punto di chiedere un riconoscimento economico alla dottrina che predicava, non era realmente un trattato indirizzato alla cura dell’anima. Il suo intento era, semmai, quello di coniugare il successo individuale alla solita tesi fondamentalista che ne costituiva il nocciolo autentico, e man mano che tale intento si faceva più chiaro affioravano non tanto delle divergenze rispetto al pensiero positivo, quanto cer­ ti elementi che il pensiero positivo tende a soffocare. L’elemen­ to che contraddistingue il fondamentalismo è, naturalmente, il suo atteggiamento nei confronti dell’autorità: esso garantisce a un potere esterno un’autorità assoluta sulla mente. Lo stesso vale per il pensiero positivo. L’autorità esterna del fondamen­ talismo è la Bibbia: infallibile, completa, esaustiva rispetto a ogni bisogno umano; quella del pensiero positivo è invece una psicologia dell’automanipolazione. Nessuno dei due, pertanto, può tollerare un rapporto fra il sé e una realtà esterna nella quale il sé rimane perennemente allo stadio di progetto, di en­ tità incompiuta e sottoposta a una continua evoluzione. Allo stesso modo, entrambi rifuggono da un’apertura del sé a una nuova vita che non garantisca di innestarsi armoniosamente su quella vecchia. Inevitabilmente, ciò comporta una mistifica­ zione dell’idea stessa di Dio. (pp. 391-92) Power fo r Living è stato pubblicato per conto della Fondazio­ ne A rthur DeMoss della Georgia, una delle centrali dell’al­ leanza reaganiana fra pensiero positivo e fondamentalisti ignoranti, nonché ennesimo esempio degli strambi matrimoni combinati fra versioni parodistiche della Religione Americana e un Partito repubblicano convertito a posizioni anti-evoluzio­ nistiche e al tempo stesso antiabortiste. A questo proposito credo che sarebbe necessario rivedere la nostra interpretazio­ ne delle motivazioni più profonde che spingono i fondamenta­ listi alla loro crociata contro le teorie post-darwiniane dell’e­ 60

voluzione. I fondamentalisti americani si ergono a strenui di­ fensori del creazionismo e ne impongono i precetti (ovunque sia loro possibile) presumibilmente a causa della loro granitica certezza nella infallibilità della Bibbia. Sembra davvero che per loro non sia mai finito il grande «Monkey Trial» tenuto a Dayton, nel Tennessee, nell’estate del 1952, e che William Jennings Bryan non sia mai morto. La sm ontatura di Bryan attuata grazie al contraddittorio di Clarence Darrow, che a noi suona così divertente, a quanto pare non li ha sfiorati nem­ meno in questo punto, che riguarda la data dell’alluvione di Noè: D a r r o w : Ma secondo te la Bibbia, proprio la Bibbia, cosa dice? Non hai idea di come ci si arriva, alla data? B r y a n : N o n ho m ai fatto un calcolo preciso. D a r r o w : Un calcolo basato su cosa? B r y a n : Non saprei. D a r r o w : Forse sulle discendenze deH’uomo? B r y a n : Non mi sentirei di affermare una cosa del genere. D a r r o w : Tu cosa ne pensi? B r y a n : Non penso niente delle cose a cui non penso. D a r r o w : E invece pensi qualcosa delle cose a cui pensi? B r y a n : B e ’, sì, q u a lch e volta.

Questo scambio di battute è davvero divertente, né più né meno di allora, anche se oggi non abbiamo un Mencken che si ispiri ad esse. «Li si trova immancabilmente là dove im parare qualcosa è un fardello troppo pesante per essere tollerato dalla mente umana» era la definizione data da Mencken dei fonda­ mentalisti, e certamente il loro terrorismo psicologico contro l’uso dell’intelletto e lo studio non è cessato, ma il problema vero resta quello di un contrasto irriducibile fra due concezio­ ni opposte della conoscenza. Il fondamentalismo, come ripetu­ tamente affermo in questo libro, è una caricatura della Reli­ gione Americana, per quanto le sue ansie di difesa e la sua ag­ gressività derivante da frustrazione scaturiscano dal corpo più autentico della gnosi americana. Il vero problema è senza dubbio quello delPinfallibilità della Bibbia, dal momento che i fondamentalisti, che sono gnostici senza rendersene conto, non credono affatto che Dio abbia creato loro. Dentro di loro alberga la profonda certezza di non essere parte della creazio­ ne, poiché a quest’ultima essi preesistevano in forma di spiri­ 61

to, essendo perciò antichi quanto Dio. Per i fondamentalisti sentirsi dire che attraverso il processo evolutivo essi discendo­ no da un antenato comune a loro e alle scimmie non è né me­ glio né peggio che sentirsi assicurare che essi discendono tutti da un’unica donna africana. Ai loro occhi l’affronto imperdo­ nabile non è tanto l’idea dell’evoluzione in sé (in qualunque versione) ma piuttosto quella che ne è la conseguenza implici­ ta, ovvero il fatto che essi non sono mai stati Dio e neppure parte di Dio. La loro concezione della libertà dipende in ulti­ ma analisi dal fatto di sentirsi liberi non solo dal tempo e dalla natura, ma, a livello più profondo, anche da quello stesso crea­ zionismo che essi vogliono imporre al resto dell’umanità. Questa libertà ultima dei fondamentalisti mi riporta al pre­ sidente Bush e alla sua difesa di principio dei due simboli in­ dissolubilmente uniti della Religione Americana, la bandiera e il feto, entrambi ugualmente cari ai fondamentalisti e ai loro alleati. Coloro che si schierano in difesa del diritto di decidere della donna sulla questione dell’aborto sono spesso amareg­ giati dal fatto palese che tutte le preoccupazioni del presidente Bush e dei fondamentalisti riguardano il feto piuttosto che il neonato. Il feto non deve essere abortito, ma che il neonato possa morire di fame sembra essere, per Bush e i suoi consi­ glieri spirituali, una questione del tutto secondaria. Scrollia­ moci di dosso questa amarezza: in quanto seguaci della Reli­ gione Americana, il presidente Bush e i suoi pneumatici soste­ nitori sono visibilmente e devotamente in buona fede. Essendo gnostici (seppur in modo molto confuso) essi attribuiscono al non nato maggior valore che al nato, poiché per loro Creazio­ ne e Caduta costituiscono a tutti gli effetti un solo e unico evento. Il feto è innocente, mentre il piccolo appena nato è, per sua sventura, decaduto dalla libertà. Si vede bene il moti­ vo per cui feto e bandiera sono la medesima cosa; il bambino non è solo, e si mangerà tutte le risorse del pio contribuente, mentre il feto può sventolare libero sopra la terra degli uomini liberi, della quale i fondamentalisti rim arranno abitanti solita­ ri e simili a dei, sempre situati in un momento anteriore alla Creazione. Come critico della religione, non posso negare l’ammirevole coerenza spirituale dello gnosticismo bushiano. Nietzsche ci ha insegnato che il rapporto di causa ed effetto è una finzione, un elemento figurale impostoci dalla gram m a­ 62

tica. Siano esse sociologiche, politiche, economiche o financo antropologiche, tutte le riduzioni della religione sono pura (anche se talvolta utile) finzione, ma lo stesso può dirsi di qualsiasi interpretazione spirituale della società e delle sue di­ namiche politiche. Trovo che questo sia un dato confortante, perché se da un lato mi sento vicino allo gnosticismo america­ no sul piano religioso, dall’altro mi terrorizzano le conseguen­ ze che ne potrebbero derivare sul piano politico. Dal momento che i repubblicani di Reagan e di Bush sono diventati tutt’uno con la Religione Americana, il mio timore è che sempre più ra­ ramente, nel corso della mia vita, avrò occasione di vedere un democratico alla presidenza. La religione della scintilla ovvero del sé pneumatico conduce, coerentemente ai principi che la ispirano, alla negazione di qualunque preoccupazione per il bene della collettività e quindi, probabilmente, anche allo sfruttamento dei più deboli da parte di un’esigua minoranza di privilegiati. Vorrei potermi convincere che anche quest’ultima relazione di causa ed effetto sia soltanto una finzione, ma purtroppo si tratta di una finzione assai verosimile, che mi rat­ trista profondamente. Quello che ho chiamato orfismo ameri­ cano è indubbiamente all’origine di tutte le nostre più impor­ tanti realizzazioni nel campo culturale ed estetico, ma proba­ bilmente anche di ricadute decisamente infelici sulla morale che ispira il nostro agire politico. La Chiesa ha trionfato sullo gnosticismo antico grazie alla sua maggiore efficacia sul piano sociale. Lo gnosticismo americano, attualm ente indistinguibi­ le dal trionfalismo nazionale, continua a prosperare indistur­ bato nella sua assoluta mancanza di sensibilità sociale.

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3 Da Cane Ridge a Billy Graham

Pur avendo raggiunto la piena maturazione solo nella gene­ razione successiva alla nascita della nazione, ciò che in questo libro viene chiamato Religione Americana non avrà fine se non quando avrà fine la nazione. Ricordo l’estate del 1969 quando, trovandomi al festival rock di Woodstock, vi riconob­ bi alcune caratteristiche tipiche dei grandi raduni all’aperto propri della tradizione revivalistica americana. Il primo Woodstock, e in assoluto il più straordinario dei grandi raduni che siano mai stati organizzati, ebbe luogo a Cane Ridge, nel Kentucky, e durò una settimana intera a partire dal 6 agosto del 1801. Furono circa venticinquemila coloro che vissero in prima persona le estasi di Cane Ridge, una folla senz’altro pa­ ragonabile al mezzo milione di Woodstock se si considera l’e­ norme crescita registrata dalla popolazione a distanza di quasi due secoli. Allora i contadini e le loro famiglie, proprio come accadde a Woodstock ai giovani americani, vissero la singolare esperien­ za di fondersi in una totalità orfica, nella quale si dissolvevano tutte le differenze di confessione religiosa. Presbiteriani, batti­ sti e metodisti d’un colpo si trasformarono in seguaci della Re­ ligione Americana, rapiti nell’estasi. Barton Stone, all’epoca ministro del culto presbiteriano, quando riemerse da Cane Ridge era diventato un neo-restaurazionista, ancora una volta in cerca della Chiesa primitiva. Il suo intento era quello di da­ re vita a nuove confessioni religiose, quali i Discepoli di Cristo e le Chiese di Cristo, e grazie a ciò il suo lascito è ancor oggi una realtà viva in mezzo a noi. E tuttavia Stone predicò a C a­ ne Ridge non in veste di profeta di nuove religioni, e neppure come fondatore consapevole della Religione Americana, ma in primo luogo come transfuga del calvinismo. Nelle sue memo­ rie il resoconto degli avvenimenti di Cane Ridge è introdotto da una prefazione che suona come una veemente denuncia del calvinismo: 64

Il calvinismo è uno dei maggiori intralci al cristianesimo in tutto il mondo. È una montagna oscura che si erge fra cielo e terra, il più arduo degli ostacoli che si frappongono tra i pecca­ tori e la ricerca del regno di Dio, oltre ad essere causa di condi­ zionamenti negativi e di sconforto per i santi. La sua influenza si fa sentire in tutto il mondo cristiano, anche dove meno ce la si aspetterebbe. Il primo e principale veicolo della sua presa è la depravazione totale, eppure vi sono migliaia di santi degnis­ simi all’interno di questo sistema. ( Voicesfrom Cane Ridge, a cu­ ra di Rhodes Thompson, [1954], p. 63) Per salvare quei santi Stone, originario del M aryland, nella primavera del 1801 si recò nel Kentucky, dove lo attirava l’en­ tusiastico fervore suscitato da Jam es M cGready e da altri pre­ dicatori presbiteriani, i quali amministravano una Nuova N a­ scita e si allontanavano definitivamente dal calvinismo. De­ scrivendo il primo dei raduni a cui assistette, Stone dimostra piena consapevolezza dell’importanza dell’evento: Laggiù nel Kentucky, al limitare di una prateria nella con­ tea di Logan, le moltitudini si radunarono e restarono accam­ pate sul terreno per giorni e notti, durante i quali furono pra­ ticati riti religiosi. Ai miei occhi si presentava una scena come non mi era mai capitato di vedere, nuova e oltremodo strana; una scena che si sottraeva a qualsiasi tentativo di descrizione. A decine, a centinaia, cadevano a terra, come uomini uccisi in battaglia, e lì giacevano per ore uno vicino all’altro, apparen­ temente immoti - talvolta ridestandosi per un momento e dando segni di vita ora con un lamento cupo, ora con un gri­ do lacerante, ora con una fervida preghiera al cielo, invocan­ do il perdono. Dopo aver giaciuto per ore e ore essi otteneva­ no la remissione dei loro peccati. La tetra nube che aveva oscurato i loro volti si dissipava lenta ma sicura, la speranza che brillava nei loro sorrisi si tramutava in una luce di gioia, ed essi si levavano da terra gridando che erano liberi dal pec­ cato. (pp. 64-65) Il raduno di Cane Ridge ebbe il suo momento culminante in agosto, quando i predicatori metodisti e battisti si unirono a Stone e a tutti gli altri, che presto sarebbero divenuti ex presbi­ teriani. «Tutti insieme intonammo gli stessi canti di lode a Dio - tutti uniti in preghiera, tutti predicando le stesse cose - e la salvezza era alla portata di noi tutti, grazie alla fede e al penti­ mento». Nessuno dei presenti aveva mai visto una simile mol­ titudine riunita nello stesso posto: una folla di circa venticin65

quemila persone doveva suscitare negli abitanti del Kentucky una fortissima impressione, essendo dodici volte superiore per numero alla città più popolosa che a quel tempo sorgeva nel loro stato. Considerando poi che molti di loro erano gente di frontiera abituata a vivere in relativo isolamento, il fatto di ve­ dere tanta folla radunata insieme doveva essere un’esperienza davvero unica. Sydney Ahlstrom ci ricorda che si trattava di gente rozza e profana, oltre che di grandi bevitori inclini alla violenza, che non avevano mai partecipato, prima di allora, a raduni notturni. Le conversioni si mescolavano ai rapporti sessuali, mentre Stone annotava una memorabile esplosione di entusiasmo, con tutte le stramberie a esso peculiari: I movimenti del corpo o atti che si accompagnavano all’entusiasmo religioso all’inizio del secolo erano vari, e avevano nomi diversi: tra questi, l’atto del cadere, gli spasmi, l’atto del danzare, l’atto del latrare, l’atto del ridere e cantare, eccetera. L’atto del cadere era molto diffuso fra tutte le classi sociali, fra santi e peccatori di tutte le età e di ogni mestiere, dal filosofo al clown. Solitamente chi compiva questo atto cadeva sul pavi­ mento o sulla terra o sul fango come un albero abbattuto, mandando un grido lacerante, e pareva morto... Gli spasmi non sono facili da descrivere. Alle volte interes­ savano un solo membro del corpo del soggetto, altre volte il corpo intero. Quando era solo la testa a essere colpita, movi­ menti a scatto avanti e indietro oppure da destra a sinistra si susseguivano con una rapidità tale che diventava impossibile distinguere i lineamenti del volto. Quando era tutto il corpo a essere colpito, ho visto persone che, stando in piedi, si proten­ devano ora in avanti ora indietro, percorse da scosse in rapida successione, con la testa che si abbassava fin quasi a toccare il pavimento, avanti e indietro. Soggette a tali fenomeni erano persone di ogni condizione, i santi e i peccatori, i forti e i debo­ li. Ho interrogato coloro che ne andavano soggetti: non sape­ vano darmi una spiegazione, anche se alcuni mi hanno detto che quelli erano i momenti più felici della loro vita. Ho visto anche persone malvage toccate da questo fenomeno, che veni­ vano atterrate con violenza e intanto non smettevano di male­ dire gli spasmi. Benché terribili per chi li subiva, tra le mi­ gliaia di persone che ho visto non ho il ricordo di nessuna che ne avesse riportato danni fisici, il che era non meno strano del­ l’atto in sé. L’atto del danzare. Generalmente aveva inizio con degli spa­ smi, ed era tipico di coloro che professavano una religione. Do­ po essere stato scosso da spasmi per un certo tempo, il soggetto iniziava a danzare e gli spasmi cessavano. Quella danza aveva 66

un che di celestiale agli occhi degli astanti, non perché posse­ desse una leggerezza particolare, e neppure perché il danzatore acquistasse agile flessuosità nei suoi movimenti. Un sorriso pa­ radisiaco irradiava dal volto del soggetto, e il suo sembiante pareva in tutto e per tutto quello di un angelo. I movimenti erano talvolta lenti, talaltra veloci. Chi danzava continuava a muovere passi avanti e indietro, sempre lungo una stessa linea ideale, fino a quando le sue risorse interne si esaurivano del tutto, al che cadeva prostrandosi a terra o sul pavimento, a me­ no che non accorresse qualcuno degli spettatori a sorreggerlo. Mentre così si esercitavano, ho udito levarsi al cielo le loro lodi solenni e le loro preghiere a Dio. L’atto del latrare (come spregiativamente veniva denomina­ to da coloro che avversavano tutto ciò) non consisteva d’altro che di spasmi. La persona colpita dall’agitazione spasmodica, soprattutto se era la testa il punto interessato, spesso emetteva un grugnito, o se preferite un suono simile al latrato di un cane, a causa della repentinità dell’accesso. Pare che l’origine del termine «latrare» si debba a un anziano predicatore presbite­ riano del Tennessee. Costui si era addentrato nel bosco per adempiere in privato ai suoi esercizi devozionali, e qui era sta­ to colto dall’agitazione spasmodica. In piedi accanto a un albe­ rello, si era aggrappato ad esso per evitare di cadere, e ogni volta che la testa si contraeva all’indietro egli emetteva un gru­ gnito o una sorta di latrato con il viso rivolto verso l’alto. Qual­ che burlone lo vide in quella posizione e raccontò di averlo tro­ vato ad abbaiare su di un albero. L’atto del ridere era frequente, pur essendo esclusivo appan­ naggio dei religiosi. Era una risata sonora e di cuore, anche se sui generis: non muoveva gli altri al riso. Il soggetto appariva so­ lenne nella sua estasi, e la sua risata evocava la solennità tanto per i santi che per i peccatori. Una cosa davvero indescrivibile. L’atto del correre altro non era che questo: le persone, sen­ tendosi colpite da questi scuotimenti del corpo, prese dalla paura si mettevano a correre nel tentativo di sottrarvisi; gene­ ralmente però succedeva che non arrivassero molto lontano prima di cadere, o di farsi prendere da un’agitazione talmente spasmodica da non riuscire più a muovere nemmeno un pas­ so... Concluderò questo capitolo con l’atto del cantare, la cosa più difficile da descrivere tra tutte quelle che mi sia mai capita­ to di vedere. Il soggetto, provando una gioia intensa, cantava con straordinaria melodiosità, facendo uscire i suoni non dal naso o dalla bocca ma dal petto, poiché era lì che i suoni nasce­ vano. Una simile musica imponeva il silenzio tutt’attorno, e su di essa si appuntava l’attenzione generale. Nessuno, mai, si sa­ rebbe stancato di ascoltarla. Il dottor J.P. Campbell ed io ci eravamo recati a un raduno, e osservando una donna devota 67

occupata in tale esercizio concludemmo che un simile fenome­ no era di gran lunga più straordinario di tutti quelli visibili in natura. Se ho citato questo passaggio, l’ho fatto solo in parte per il divertimento che può derivarne; Barton Stone era chiaramen­ te persuaso della veridicità e dell’autenticità di quelle convul­ sioni, le quali conservano intatto il loro effetto grottesco. Su di un piano sostanziale, tuttavia, esse ci riportano indietro nel tempo rispetto ai più esuberanti seguaci di Ronald Knox: ai montanisti dell’antica Frigia, ai primi predicatori metodisti e a molti dei primi quaccheri; ai camisardi francesi alle soglie del x v iii secolo; ai convulsionari di Saint-M edard, che intor­ no al 1730 tanto imbarazzo crearono ai giansenisti; ai fratelli moravi di qualche anno più tardi; alle esplosioni wesleyane del x v iii secolo e infine agli shakers e agli irvinghiani del x ix , i cui soprassalti si prolungano ben oltre Cane Ridge. I fenomeni che Stone descrive in maniera tanto sobria erano endemici nella storia dell’entusiasmo, e sono tuttora elemento caratteri­ stico dei pentecostali e di altre religioni revivalistiche. Knox, guardando le convulsioni di Saint-M edard con il disdegno ti­ pico dell’oxfordiano cattolico, individua con grande precisione la m arcata presenza, in questi fenomeni, di una componente sessuale di tipo sadomasochista. Quantunque si cerchi di de­ purare e imbellettare il revivalismo, queste clamorose manife­ stazioni di entusiasmo ne costituiscono a tutti gli effetti la re­ gola, e non l’eccezione aberrante. Nelle stramberie di Cane Ridge c’era qualcosa di inquietante e allo stesso tempo di grot­ tesco, e ben si comprende perché la Chiesa presbiteriana si sia nettamente schierata contro il raduno. M entre scrivo queste pagine (nel luglio del 1991) Jim m y Swaggart e Marvin Gorman, i due televangelisti pentecostali delle Assemblee di Dio sospesi dagli uffici (ma non per questo meno attivi), non accennano a smettere di intentarsi recipro­ camente causa e di pubblicizzare le rispettive disavventure sessuali. M a tutto ciò è squisitamente fuori tema, dal momen­ to che non c’è modo di districare il pentecostalismo dalle pul­ sioni sessuali, così come è impossibile tracciare una separazio­ ne netta tra queste ultime e il revival entusiastico di Cane Rid­ ge. Quel che nasceva mentre Barton Stone e i predicatori suoi soci intonavano i loro canti era un principio fondamentale, an­ 68

che se a malapena riconosciuto, della Religione Americana: l’assenza di un credo vero e proprio, ossia la dottrina dell’espe­ rienza, per dirla con un ossimoro che io stesso avrei fatto fatica a immaginare. I comunicanti ubriachi e in preda alPeccitazione sessuale di Cane Ridge, al pari dei loro discendenti drogati e altrettanto eccitati di Woodstock un secolo e mezzo dopo, erano partecipi di una sorta di individualismo orgiastico ove tutto quel sacro fervore era il segno esteriore di una grazia in­ teriore che metteva traum aticam ente fine alla solitudine della frontiera proponendo in sua vece una dottrina dell’esperienza che quella stessa solitudine esaltava, trasformandola in un essere-soli-con-Gesù. U na solitudine che poteva essere concreta­ mente vissuta da due esseri soltanto non era affatto diversa dalla perpetua solitudine americana, pur istituendosi, sul pia­ no spirituale, come una diversità assoluta. Più semplicemente, il Gesù americano è nato a Cane Ridge ed è ancora in mezzo a noi nei quartieri di Nashville e di Salt Lake City, a New O r­ leans e a East Harlem. Si tratta di un Gesù la cui crocifissione perde rilevanza, mentre i quaranta giorni di Resurrezione tra­ scorsi su questa terra non hanno ancora avuto fine. Se è vero che è asceso al cielo, è anche vero che è ridisceso in terra, in un ritorno perpetuo irrorato dallo sgorgare dello Spirito. È un Gesù, questo, che non può essere avvicinato all’interno e per tramite di una chiesa, ma solo in un rapporto a due personale e diretto, nel quale può venire conosciuto veramente, con un’immediatezza superiore a quella che può caratterizzare un’esperienza sessuale, per quanto intensa, e persino a quella che può offrire la violenza della frontiera. Il revivalismo ame­ ricano, con i suoi perpetui Grandi Risvegli, è un fenomeno ri­ corrente, come la violenza. Abbiamo le ondate di criminalità come abbiamo i Grandi Risvegli: violenza criminale e revivali­ smo religioso sono una costante nell’intero arco della nostra storia. Le ondate di criminalità sono invenzioni dei giornali, i Grandi Risvegli sono invenzioni dei bollettini accademici, ed entrambi servono a nascondere il problema della quasi identi­ tà tra religione della violenza e violenza della religione. Cane Ridge ha fissato una volta per tutte la dose di droga necessaria agli americani per appropriarsi con la violenza del Regno dei Cieli. Che i rapimenti estatici dei raduni di Cane Ridge fossero 69

una sorta di autoipnosi, come hanno ipotizzato alcuni studio­ si, o che fossero di natura psico-sessuale, come personalmente sono propenso a credere, fa ben poca differenza quando la va­ lutazione dei fatti avviene a distanza di due secoli. In ogni ca­ so, tutto il sud fu ben presto inondato dal mare di una nuova fede, per usare l’espressione ironica con cui Jon Butler ha ribattezzato la «Spiaggia di Dover» di M atthew Arnold. In ogni luogo della regione i predicatori presbiteriani, metodisti e bat­ tisti, fino allora divisi da eterne rivalità, si unirono in quella che virtualmente fu una serie infinita di repliche di Cane Ridge, completa di schiere di peccatori ravvedutisi e di tutti gli spasmi attraverso i quali lo Spirito prendeva il sopravvento sulla carne. Probabilmente tutto ciò avveniva sotto l’influsso sottile quanto inconscio delle Chiese battiste nere (ma su que­ sto punto preferisco rim andare ulteriori considerazioni al ca­ pitolo 15, dedicato alla trattazione del tema della religione afroamericana). Mi sembra che rivesta un’importanza deter­ minante, a questo proposito, l’emergere di una fede pragm ati­ ca e fondata essenzialmente sull’esperienza; una fede che si di­ ceva cristiana pur essendo caratterizzata da elementi assai lontani dalle formulazioni dottrinarie dell’Europa o della Vec­ chia America. Il più famigerato dei nostri stereotipi, quello dell’individualismo rozzo, trova nell’atmosfera di Cane Ridge e nei successivi episodi di revivalismo uno dei pochi ambiti ca­ paci di restituirgli freschezza. La maggior parte degli studiosi della religione am ericana colloca le origini della spiritualità ti­ pica del sud nell’emorragia di fedeli subita dalla Chiesa angli­ cana, colpevole di antipatriottism o nel periodo post-rivoluzio­ nario. Eppure già nella generazione che precedette la Rivolu­ zione prevaleva tra gli schiavi di religione battista qualcosa di molto vicino al personalismo evangelico, e tutto il sud in gene­ rale era sin dagli inizi permeato da una particolare inclinazio­ ne alPinteriorità. A parte l’invisibile influsso esercitato dagli afroamericani, con le loro reminiscenze di immagini ancestrali del «piccolo me», ovvero del sé magico o occulto, interno all’io più grande, c’era nel sud una forte propensione alla religione di tipo orfico, intesa cioè come fatto esperienziale. La conver­ sione dalla morte alla vita era un fatto puram ente individuale ed emotivo, da cui la dimensione sociale pareva sistematicamente esclusa. Si potrebbe quasi affermare che il Gesù del sud 70

sia venuto a fissare i tratti fondamentali di quello che è oggi il Gesù americano, l’amico risorto, che cammina e parla, in un rapporto diretto e personale con il peccatore ravvedutosi. Questo Gesù viene al peccatore per sua propria volontà, non per volontà del peccatore: è lui a scegliere. I predicatori pote­ vano aprire il cuore del peccatore, ma solo Gesù poteva dare veramente inizio al processo della salvezza. Quel che andava perduto in questa illuminazione tanto personale era nienteme­ no che una fetta sostanziosa del cristianesimo storico. Mi af­ fretto ad aggiungere che queste mie considerazioni non hanno connotazione dispregiativa, bensì celebrativa. Per quel che posso dire, il Gesù del sud, vale a dire il Gesù americano, non è tanto un agente della redenzione quanto piuttosto un dispen­ satore di conoscenza, il che ci riporta all’analisi di quella gnosi americana di cui ho già trattato nel capitolo precedente. Più che rappresentare un evento storico, per il seguace della Reli­ gione Americana Gesù è colui che conosce i segreti di Dio e a sua volta può essere conosciuto dal singolo individuo. Conse­ guenza implicita di questa visione è la certezza che la deprava­ zione consista semplicemente nella m ancanza di conoscenza salvifica. La salvezza, conseguibile attraverso la conoscenza del Gesù che conosce, è un evento-limite di natura totalmente esperienziale, l’interiorizzazione di un sé già interiorizzato. Gesù non è un ebreo del i secolo, ma un americano del x ix o del x x secolo, la cui fondamentale diversità rispetto agli altri americani consiste nel fatto che egli si è già levato al di sopra dei morti. Perfettamente padrone di questa conoscenza, la tra­ smette a chi è da lui prescelto. Qualunque cosa sia tutto ciò (e personalmente devo ammettere di esserne profondamente toc­ cato) peccheremmo di approssimazione se pensassimo che una simile fede sia assimilabile al cristianesimo, così come sto­ ricamente si è determinato. Il sud era ed è un caso particolare, da un punto di vista spi­ rituale, come lo è anche la California in questo secolo. Per strano che possa apparire, la California del x ix secolo costi­ tuiva, per zelo e inventiva religiosa, la riserva occidentale dello stato di New York, ove sono fiorite molte confessioni religiose originali americane, la più importante e duratura delle quali è il mormonismo. Il revivalismo, che oggi siamo portati ad asso­ ciare alla California, al sud e al Midwest, era una fiamma ine­ 71

stinguibile nella cosiddetta Fucina della Spiritualità, ovvero il territorio compreso tra gli Adirondacks e le rive del lago O nta­ rio. Il mio saggio preferito sulla Religione Americana è il bel­ lissimo libro di W hitney R. Cross, The Burned-over District: The

Social and Intellectual History o f Enthusiastic Religion in Western New York, 1800-1850 (1950). In questo saggio Cross fornisce una

dettagliata descrizione del proliferare selvaggio della libertà spirituale americana in mezzo a una popolazione autoesiliatasi dal New England alla ricerca di nuove opportunità econo­ miche (molti di loro erano figli minori) e di un vitalismo reli­ gioso che il declino del congregazionalismo aveva tempora­ neamente oscurato. Eventi come Cane Ridge e i successivi ra­ duni organizzati nel Sud erano manifestazioni molto più spet­ tacolari di quelle del revivalismo individualistico della Fucina della Spiritualità; ma le popolazioni del sud erano di gran lun­ ga superate dai discendenti della tradizione puritana trapian­ tati nella Fucina della Spiritualità per l’intensità del loro gno­ sticismo, oltre che per lo zelo entusiastico con cui attendevano il grande rivolgimento millenaristico. I movimenti millenaristici nella Fucina della Spiritualità ebbero inizio con gli shakers, anch’essi trapiantati dal New England in quella che divenne la loro dimora d’elezione, ov­ vero la regione occidentale dello stato di New York. La loro fondatrice, l’inglese Ann Lee, moglie di un operaio, aveva avu­ to quattro gravidanze difficilissime e i suoi quattro figli erano morti tutti poco dopo essere venuti alla luce. Unitasi a un gruppo di quaccheri shaking (dissidenti rispetto alle posizioni ufficiali dei quaccheri) venne incarcerata a M anchester nell’e­ state del 1770 con l’accusa di disturbo della quiete pubblica. Quando ai suoi occhi ridesti apparvero Adamo ed Èva nell’at­ to primario della sessualità umana, improvvisamente compre­ se che l’atto sessuale costituiva, di per se stesso, la Caduta dal Paradiso. Nel 1774 Ann Lee e i suoi seguaci si rifugiarono in America; all’epoca della sua morte, avvenuta nel 1784 all’età di soli quarantotto anni, il suo movimento si configurava come una delle più singolari eredità spirituali della nostra travaglia­ ta storia religiosa. Al giorno d’oggi gli shakers non ci sono più, ma la loro esistenza si è protratta per quasi due secoli, un pe­ riodo di tempo impressionante se si considera che la setta era votata al celibato più stretto e quindi poteva sopravvivere solo 72

grazie ad adozioni e conversioni. Le uniche cose che le persone di media cultura (e in particolare quelle che hanno visitato un villaggio degli shakers in perfetto stato di conservazione) ri­ cordano degli shakers sono la loro abilità nei lavori artigianali e nella fattura dei mobili, la loro fama di danzatori eccentrici e la loro rigorosa astinenza sessuale. Tuttavia gli shakers hanno dato un piccolo ma illuminante contributo a quelPinsieme composito che chiamo Religione Americana, se non altro per la posizione di rilievo che grazie a loro ha assunto la compo­ nente sessuale del millenarismo americano. Per quel che mi è dato di capire della gnosi americana, essa tende a escludere il senso della comunità. La visione di Dio di Ann Lee, essenzialmente gnostica, aderiva all’antica concezio­ ne secondo la quale Dio è contemporaneamente madre e pa­ dre dell’um anità, maschio e femmina insieme. In America la fondatrice degli shakers proseguì nell’elaborazione della sua dottrina; ben presto considerata dai suoi seguaci una sorta di Gesù al femminile, divenne nota come M adre Ann Lee, appel­ lativo che alludeva a una relazione divina e m aterna allo stes­ so tempo. Benché tutti gli aderenti alla religione, e non solo M adre Ann Lee, incarnassero lo Spirito, gii shakers divennero una sorta di famiglia allargata nella quale tutti, indistinta­ mente, erano figli di M adre Ann. I doni dello Spirito discende­ vano quindi tanto sulla singola persona che sulla famiglia, e si veniva a creare un bizzarro miscuglio di individualismo e sen­ so comunitario. Ronald Knox, con la sua solita bonaria disap­ provazione, tipicamente cattolico-romana, della «malafede», dichiarò apertamente che la sua preferenza andava agli sha­ kers piuttosto che ai mormoni, una preferenza deliziosa se si pensa che oggi i primi sono estinti, mentre i secondi affollano i quartieri generali dell’FBi, della c i a e consociate varie, cosa che Knox non avrebbe potuto prevedere quarantanni fa: Sarei tentato di dire qualcosa anche sui mormoni in questo libro, ma chi può essere certo che i fondatori del movimento siano stati sempre in buona fede?... C’era più da divertirsi - voi capite - tra le penombre claustrali di Mount Lebanon. Gli sha­ kers, loro sì che fanno per noi! (p. 558) Votato anch’egli al celibato, Knox era naturalm ente porta­ to a preferire M adre Ann alla sana sensualità di Joseph il Pro­ 73

feta, ma proprio la sua apologia degli shakers rende evidenti le ragioni per cui essi si sono estinti, mentre i mormoni continua­ no a esistere e possono addirittura diventare una moltitudine, anche se in questo brano non erano certo i mormoni quelli che Knox aveva in mente: L’entusiasmo non si mantiene sempre al medesimo livello di temperatura: per quanto uno danzi e agiti le braccia, non gli riuscirà di far rivivere i vecchi tempi, quando la gente si rotola­ va per terra in un’agonia di convinzione e pronunciava strane parole che, per quanto se ne sapeva, avrebbero anche potuto appartenere alla lingua degli hotmatots. D’altro canto invece la teologia degli shakers nei suoi principi fondamentali era in larga misura una teologia negativa, al pari di quella dei quac­ cheri, dei quali erano discendenti diretti: ribellatisi alle propo­ sizioni teologiche delle sette preesistenti, gli shakers avevano fallito nel tentativo di dotarsi di un corpo dottrinario capace di resistere, in un’epoca dalle più complesse esigenze, al dilagare inarrestabile del razionalismo, (p. 565) Nonostante la mia quarantennale passione per Illuminati e carismatici di Knox, che è senza dubbio un gran bel libro, penso

che queste sue affermazioni siano decisamente erronee, e ne­ cessitino di una cospicua forzatura interpretativa se si vuole conservare loro un qualche valore applicativo. Anche la teolo­ gia dei battisti del sud è ampiamente im prontata alla negativi­ tà (come più avanti avrò modo di dimostrare) tanto nella ver­ sione m oderata che in quella fondamentalista, ma nonostante ciò questa confessione religiosa non ha cessato di espandersi, anche se tra non molto lo scisma che già l’attraversa si farà an­ cora più profondo. L’assenza di un credo vero e proprio è in­ fatti un elemento positivo per qualunque variante o versione della Religione Americana, e la teologia mormone è costruita con materiale talmente scadente che nessuno potrebbe farsi il­ lusioni a proposito di un intervento di risanamento strutturale (più avanti spiegherò anche questo). Anche nel momento del­ la loro maggior consistenza numerica gli shakers non sono mai stati più di cinquemila; i seguaci della Religione Americana sono tanto lascivi quanto violenti, e del resto perché non do­ vrebbero esserlo? Gli shakers non sono scomparsi a causa del dilagare del razionalismo, tant’è vero che la nostra povera ter­ ra scricchiola sotto il peso dei fondamentalisti ignoranti, e il razionalismo non li sfiora neppure. No, gli shakers sono scom­ 74

parsi perché non erano abbastanza americani, sebbene da noi siano durati più a lungo che in qualsiasi altro luogo dove Ann Lee avrebbe potuto scegliere di stabilirsi. Anche se la Chiesa cattolica degli Stati Uniti continua a non volerlo capire, il celi­ bato è un’opzione sempre meno proponibile in America. Ann Lee è importante perché è diventata una soluzione estrema della Religione Americana, come è accaduto anche a Mary Baker Eddy dopo di lei. Ancor più rappresentativi della spiritualità tipica della Fucina della Spiritualità erano i perfe­ zionisti, giovani uomini e donne animati da grande entusia­ smo e in cerca di quella che essi, con incantevole candore, defi­ nivano «perfetta santificazione», e che la tradizione chiamava invece «antinomianismo». Si colloca intorno all’anno 1830 l’a­ poteosi dei perfezionisti della Fucina della Spiritualità, de­ scritta da W hitney R. Cross in quelli che sono non soltanto i più bei passaggi del suo libro, ma anche, oserei dire, la più alta espressione della storiografia religiosa americana. Aggiungen­ do candore a candore, Cross ci dà una raffigurazione della splendida Lucina Umphreville, senza dubbio l’eroina autenti­ ca della Religione Americana: Fu nella primavera del 1835 che Lucina Umphreville si con­ vinse dell’idea «che la congiunzione carnale non doveva essere tollerata neppure nel matrimonio, mentre l’unione spirituale, tanto all’interno che all’esterno del matrimonio, rappresentava una tra le più elevate realizzazioni». Quasi in contemporanea a Brimfield, nel Massachusetts, Maria Brown decise di rendere noto che la sua devozione religiosa era tale da elevarla al di so­ pra dei desideri più bassi, dimostrando che poteva dormire ca­ stamente nello stesso letto del suo ministro del culto... Quando le prime notizie riguardanti il «gruppo di Brimfìeld» raggiunsero New York, i santi di quella regione ebbero un moto di orrore... Durante l’estate del 1836 si verificarono, ancora una volta in contemporanea, sensibili mutamenti tanto nella sfera dottrina­ ria che in quella pratica. Nella fattoria dei Chapman, situata sulla riva meridionale del lago Oneida, Maria Brown incontrò la signora Chapman e l’«incantevole» Lucina Umphreville... Ben presto anche Jarvis Rider e Charles Lovett furono della partita... I newyorkesi si limitarono a dimostrare a Maria che avreb­ bero potuto riuscire proprio lì dove lei aveva fallito, sottopo­ nendo allo stesso genere di prova le loro unioni altamente spiri­ tuali... 75

Ambedue le coppie, Rider e Lucina e signora Chapman e Lovett, provarono un senso di colpa invece che di orgoglio quando il signor Chapman fece ritorno a casa. Chapman inse­ guì Lovett con la frusta per il cavallo, ma rimase accecato men­ tre era in procinto di colpirlo. Questo «intervento divino» pro­ babilmente conferì una patente di autorità alla dottrina della purezza dal peccato, contribuendo alla sua diffusione nei culti della zona centrale dello stato di New York. (pp. 243-44) Qui Cross pare un eroico precursore di Edward Gorey, sino a oggi il solo capace di dare una rappresentazione adeguata di questi fatti. Le espressioni riportate tra virgolette sono tratte da un resoconto fornito da John Humphrey Noyes, un perfe­ zionista ancora più illustre, che racconta di aver posto brusca­ mente fine al suo soggiorno a Brimfield compiendo a piedi tut­ to il tragitto fino alla sua casa di Putney, nel Vermont, pur di non rischiare di essere associato al nome di M aria Brown. Con il famoso esperimento del «matrimonio complesso» Noyes scelse una via migliore, quella della Comunità di Oneida, che non ha la forza di turbare i nostri sonni nonostante il bel libro di Lawrence Foster, Religion and Sexuality (1981), che analizza questo esperimento mettendolo in relazione ai primi shakers e alla più nota dottrina mormone del matrimonio poligamo o celeste. Noyes fu un fondatore e un organizzatore straordina­ riamente capace di comunità di perfezionisti, prima a Putney e poi a Oneida, dal 1838 (quando aveva ventisette anni) al 1881, ovvero cinque anni prima della morte. Alle origini del suo perfezionismo era il fatto che gli erano stati rifiutati gli or­ dini (dopo il compimento degli studi di teologia a Yale) con la motivazione, del tutto comprensibile, che avesse ridotto il messaggio evangelico a dottrina della purezza dal peccato. Per Noyes non poteva darsi nessun’altra forma di fede, data la sua ferma convinzione che la distruzione di Gerusalemme e del Tempio da parte dei romani nel 70 d.C. avesse posto fine alla validità dei precetti biblici, poiché in quello stesso anno si era verificato anche il Secondo Avvento di Gesù Cristo. Sicura­ mente i padri della Chiesa avrebbero chiamato gnosticismo ascetico quel che predicava Ann Lee, mentre di Noyes, così come di Joseph Smith, avrebbero detto che era uno gnostico li­ bertino. Tuttavia, se è vero che Joseph Smith non mancò di godersi una bella fetta di gioia di vivere, è altrettanto vero che John Noyes non era affatto un libertino. Poiché la legge biblica 76

non era più in essere, i Santi dovevano vivere esclusivamente in funzione della perfezione, e allo stesso modo un rapporto puramente individuale con lo Spirito doveva ora cedere il pas­ so al bene comunitario, unico garante della purezza dal pecca­ to. Il rapporto sessuale, fondato sul possesso, doveva lasciare il posto a un bene superiore, quello delPeugenetica e di una limpida fratellanza universale. La «continenza maschile» o coitus reservatus (felicemente denominato karezza da Aldous Huxley in un suo saggio, peraltro favorevole a questa teoria) era prescritta in quanto metodo più appropriato per il control­ lo delle nascite, da utilizzare in tutti i casi, salvo quelli per cui valessero particolari prescrizioni eugenetiche. La cosa funzio­ nava molto bene, come ci segnala lo stesso Foster: Senza dubbio il basso tasso di natalità può ascriversi alla pratica da loro seguita, per cui le donne già entrate in meno­ pausa iniziavano i giovani alla continenza maschile, mentre l’i­ niziazione delle giovani donne era affidata agli uomini più an­ ziani e più esperti, (p. 95) Foster e altri studiosi non tentano di stabilire un collega­ mento tra gli aspetti concreti del program m a sessuale di Noyes e la sua teologia, mentre rispetto al tema che io tratto è proprio un tal genere di collegamento a proporsi come perti­ nente. Se interviene una legge nuova, la concezione del m atri­ monio propria della vecchia legge non è più valida. M adre Ann Lee, un secondo Gesù seppure al femminile, proclamava l’astinenza sessuale. Joseph Smith, profeta e re del Regno di Dio, proclamava invece il matrimonio celeste, ovvero poliga­ mo. John Noyes, che non era né un redentore né un profeta, bensì un riformatore religioso, annunciava a sua volta il m atri­ monio complesso e la continenza maschile. Per tutti loro, i vecchi tempi erano finiti, ma è facile capire come mai nel lun­ go periodo solo la proposta di Smith abbia potuto tradursi, nella pratica, in un successo. Gli shakers si sono estinti; Noyes e i suoi seguaci hanno resistito per secoli, ma alla fine si sono arresi alla disapprovazione sociale e alla psicologia dell’impre­ sa privata, tanto nel campo della sessualità che in quello del commercio. Nello U tah Brigham Young preservò l’integrità del sistema di Joseph Smith fino a quando morì, ma già nel 1890 era chiaro che il riconoscimento dello stato dello U tah 77

sarebbe stato revocato se non fosse stata abolita la poligamia. Persino allora i mormoni ebbero l’accortezza di concepire il Manifesto del 1890 come una semplice copertura rispetto al­ l’esterno, e i matrimoni poligami continuarono a essere tacita­ mente consentiti; a poco a poco però il perbenismo piccolo borghese, come lo definiva G.B. Shaw, ebbe la meglio, e il M a­ nifesto venne usato per espellere dalla comunità i poligami. Tuttavia, fino a quando non successero queste cose, lo scopo primario di Smith fu senza dubbio realizzato, e i mormoni vennero confermati come popolo eletto, separato e distinto da tutti gli altri. La ricerca di un nuovo ordinamento religioso è sempre asso­ ciata al millenarismo; era logico e inevitabile che quell’importantissimo fenomeno americano che è l’esplosione del millena­ rismo nel x ix secolo iniziasse proprio dalla Fucina della Spiri­ tualità; per aggiungere una nota piccante ricordo che il suo profeta avrebbe dovuto essere W illiam Miller, dal cui nome gli studiosi hanno tratto slogan del tipo «millerismo e millenari­ smo». A parte gli studiosi di storia della religione, oggi nessu­ no più ricorda William Miller; un destino che egli condivide con il suo omonimo, un deputato del Congresso dello stato di New York che sarebbe diventato il nostro vicepresidente se Barry Goldwater fosse stato eletto presidente. Il primo W il­ liam Miller merita di essere ricordato, se non altro per le im­ portanti conseguenze che la sua opera ha avuto sulla nostra storia della religione. In ultima analisi infatti sia gli avventisti del Settimo giorno sia i testimoni di Geova (seppur in modo meno diretto) traggono la loro origine dalla Grande Delusio­ ne, ovvero dalla reazione del movimento di Miller al mancato appuntam ento del mondo con la propria fine, che avrebbe do­ vuto verificarsi nel 1843. La fine del mondo fu posticipata al 22 ottobre del 1844, ma anche questa volta l’universo non se la sentì di finire, dato che Gesù Cristo, a dispetto della profezia di William Miller, non era ridisceso in terra. Alcuni studiosi affermano che i seguaci di Miller erano diecimila; altri calcola­ no che il loro numero superasse il milione, includendovi presu­ mibilmente anche gli occasionali compagni di viaggio. Il profeta Daniele aveva annunciato che il santuario sareb­ be stato purificato dopo duemilatrecento giorni (Daniele 8:14); secondo i calcoli di William Miller, predicatore laico 78

battista e agricoltore yankee dello stato di New York, la profe­ zia portava all’anno 1843, data in cui Gesù sarebbe certamen­ te venuto a noi per la seconda volta. Nel decennio antecedente la fine annunciata, Miller viaggiò da una parte all’altra del paese e tenne conferenze, illustrando i suoi calcoli mistico-ma­ tematici a un pubblico sempre più vasto. Fenomeno essenzial­ mente nord-orientale, il millerismo penetrò in seguito anche nel Midwest e in Canada, ma non si spinse mai più a sud di Washington, e venne generalmente rifiutato dalla gente del sud, che lo riteneva una tipica follia yankee. A volte ho l’im­ pressione che il movimento di Miller sia il fenomeno religioso più bizzarro del x ix secolo, poiché se anche i seguaci convinti di Miller fossero stati solo quarantam ila - una stima ragione­ vole - si tratterebbe comunque di un numero di persone straordinariamente elevato per l’America di centocinquant’anni fa. Nonostante le stravaganze dei fondamentalisti ame­ ricani di oggi, con le loro estemporanee aspettative di ascesa al Cielo in virtù del Rapimento estatico, sono piuttosto scettico rispetto all’eventualità che nel nostro paese possa oggi diffon­ dersi un nuovo millerismo; tuttavia, col volgere al termine del presente decennio, il mio scetticismo potrebbe anche diminui­ re: infatti, con quale spirito una nazione ossessionata dalla re­ ligione può disporsi ad attendere l’anno 2000? Come molti altri americani vissuti nello stesso periodo, M il­ ler studiò la Bibbia con zelo incessante e divenne un pre-millenarista, certo che l’Avvento di Cristo si sarebbe verificato pri­ ma del compimento dei mille anni di pace sulla terra. La diffe­ renza tra Miller e gli altri consisteva nel fatto che i suoi calcoli assunsero ben presto una puntigliosa precisione. Per lungo tempo stimò che l’Avvento si sarebbe verificato intorno al 1843; poi, arrendendosi a svariati stimoli, tanto interni che esterni, stabilì la data precisa al 22 ottobre del 1844. La sua assoluta buona fede (nonché l’errore di calcolo) è dimostrata dall’esattezza della sua profezia: a chi entra in questo tipo di gioco, infatti, conviene sempre pronunciarsi nel modo più ora­ colare e indefinito possibile. Invece Miller, animato da uno ze­ lo sempre crescente, finì per convincere anche se stesso, e dopo essere diventato pastore battista procedette all’istituzionaliz­ zazione del suo uditorio, sempre più numeroso. Ministri del culto e perfezionisti si unirono alle sue schiere e l’avventismo 79

divenne una comunità sospesa a metà tra movimento e confes­ sione religiosa vera e propria, pur non avendo una sua specifi­ ca dottrina, a parte l’esattezza con cui era prevista la fine. Per forza di cose, il grande momento dei milleristi fu l’estate del 1844. Il loro entusiasmo non scemò fino al 22 ottobre, nella certezza che non vi sarebbe stato un 23, alba che invece spun­ tò. Miller e i suoi sostenitori fecero approdare un certo numero di seguaci a quello che in seguito sarebbe divenuto l’avventismo cristiano; anche se i loro calcoli si erano dimostrati erro­ nei, avrebbero continuato ad aspettare la Fine, finché a poco a poco l’im pronta originaria del movimento si sarebbe perduta. M a coloro tra i milleristi che erano autentici seguaci della Re­ ligione Americana non potevano accettare una posizione del genere, e quindi o aderirono ad altre organizzazioni di entu­ siasti (alcuni diventando addirittura shakers) o persistettero neH’affermare che Cristo, per lo meno nello spirito, quel 22 ot­ tobre era effettivamente entrato nel santuario. Questi ultimi fi­ nirono per organizzarsi come avventisti del Settimo giorno di loro tratterò in un successivo capitolo - ma non rappresen­ tarono certo una soddisfazione personale per Miller, pur es­ sendo destinati a costituire i suoi soli eredi durevoli. Miller morì nel 1849, dopo aver svolto per alcuni anni la frustrante attività di pastore di una piccola congregazione di cristiani dell’avvento nel Vermont in quanto i battisti, infuriati, lo ave­ vano espulso. Eppure oggi egli ci appare più che altro come vittima inconsapevole dell’assenza di un credo vero e proprio unita al perfezionismo, elementi entrambi tipici della Fucina della Spiritualità. La religione entusiastica dispone di ben po­ chi strumenti per proteggersi da se stessa. Non poteva esistere un movimento più decisamente votato alla catastrofe del millerismo, che tuttavia differiva solo per grado di intensità, e non per qualità, da altre varianti della Religione Americana, più durature e più solidamente fondate. Un confronto illuminante può essere quello tra la sfortuna di William Miller e il brillante successo che arrise a Charles Grandison Finney, il più grande evangelista dell’era della Fucina della Spiritualità. Finney è universalmente noto come la pietra miliare del moderno revi­ valismo evangelico, il precursore di illustri perturbatori dei nostri sonni come Dwight Lyman Moody, William Ashley 80

Surrday e infine William Franklin Graham, la stella del mo­ mento. Attraverso la carriera di Finney, ancor più che quella di Graham, si vede bene come l’assenza tipicamente america­ na di un vero e proprio credo si sia arricchita di qualche al­ lusione alla Fine, pur evitando accuratamente di cadere nell’a­ bisso millerista. Finney era apparentemente presbiteriano, così come G ra­ ham è formalmente battista del sud, ma entrambi hanno ben presto travalicato i limiti delle rispettive appartenenze confes­ sionali. Abile sfruttatore del proprio carisma, Finley aveva la capacità di intuire che al peccatore della Fucina della Spiri­ tualità si confaceva solo una forma di salvezza puramente per­ sonale, violentemente emotiva e totalmente esperienziale. Ciò che a Cane Ridge era sgorgato spontaneo venne così sistema­ tizzato e trasformato in una vera e propria tecnica due genera­ zioni più tardi. Un revival organizzato da Finney poteva an­ dare avanti per dieci notti filate, perché lo scopo di questo am ­ biziosissimo predicatore non era esclusivamente quello di con­ vertire. Nelle campagne di Finney il perfezionismo divenne una modalità concreta di richiamo verso masse intere di ani­ me, a ciascuna delle quali veniva assicurato che poteva purifi­ carsi per sempre di tutti i peccati umani durante il tragitto verso il fine ultimo, quello della «santificazione completa». Per i neo-convertiti che si accostavano tremanti al «banco dell’an­ goscia» (meravigliosa invenzione di Finney) l’evangelista, so­ lenne e terribile nella sua franchezza, levava al cielo in pubbli­ co tali e tante preghiere che quelli alla fine erano felici di ar­ rendersi alla sua santificazione. All’epoca in cui diventò presi­ dente dell’Oberlin College, nel 1851, Finney era riuscito a creare una nuova forma americana di religione, a un tempo re­ vival religioso, spettacolo popolare e crociata sociale anim ata da serie intenzioni. A differenza di quelli che sono venuti dopo di lui, culminando in Billy Graham, Finney richiedeva ai suoi convertiti di operare attivamente per il bene, e in particolare a sostegno del movimento antischiavista. Ho qui delineato una breve storia di quella tendenza a rac­ cogliersi nel gruppo che io chiamo Religione Americana, dal tumultuoso revival di Cane Ridge alle esplosioni di settarismo dei primi decenni del x ix secolo, e più avanti proporrò alcune riflessioni sulla diffusione della chiesa afroamericana e battista 81

del sud dopo la guerra civile. Proseguendo nella storia si giun­ ge al fondamentalismo protestante e al suo revivalismo, ma ora preferisco concludere questo argomento con un discorso specifico sulla figura rappresentativa, nella sua bizzarria, di Billy Graham , che è diventato una specie di ministro del culto archetipico di questa parodia della Religione Americana. N a­ to nel 1918, Graham raggiunse la celebrità grazie al revival or­ ganizzato a Los Angeles nel 1949, poco prim a che lui compisse trentuno anni. Nel decennio che seguì Graham disse senza ri­ sparmiarsi tutto quel che aveva da dire, e da più di trentanni ormai il suo zelo originario non fa altro che riproporsi, sempre uguale. Il migliore saggio scritto su Graham rimane quello di William G. McLoughlin, intitolato Billy Graham: Revivalist in a Secular Age (1960), dal momento che a distanza di trentanni sono molto poche le cose che si potrebbero aggiungere. Oggi Graham ha ammorbidito la sua posizione; è stato istituziona­ lizzato sia a livello nazionale sia a livello internazionale, e in televisione fa miglior figura adesso di un tempo, sia che vi ap­ paia in compagnia del presidente degli Stati Uniti o in veste di predicatore, al cospetto di un pubblico moderatamente eccita­ to, in attesa di essere fatto rivivere da lui. Graham ben si ac­ coppia con Bush, perché Graham, pur restando fondamentali­ sta fino alla radice dei capelli, è meno esagitato ed estremista dei suoi principali precursori, e Bush un repubblicano dei grandi interessi affaristici. Ispirato da McLoughlin, mi sono letto Come ottenere la pace con Dio (1953; edizione italiana: 1975), che rimane il suo manifesto più importante. Scritto in modo chiaro nonostante la sua insulsaggine, Come ottenere la pace con Dio è un’esposizione tutt’altro che brillante della solita dottri­ na fondamentalista. Eppure, cosa piuttosto interessante, alla lettura non appare come un reperto inesorabilmente datato anni Cinquanta, anzi: a suo modo mostra una quieta atempo­ ralità. Invece lui, Graham, è rimasto un reperto degli anni Cinquanta, strettamente ancorato alla concezione di un’Ame­ rica prospera e senza macchia tipica di quel decennio. Per uno come me, che divide il suo tempo tra New York e New Haven, nel Connecticut, il punto davvero stridente arriva quando il primo Graham ci dice che in India questa sera oltre 100.000.000 di persone andranno a letto affamate, ammesso che abbiano un letto dove andare. E 82

domani mattina, percorrendo con i camion le strade di Calcut­ ta, raccoglieranno i cadaveri di quelli che sono morti di denu­ trizione, come ho visto fare in India con i miei stessi occhi. Questo passo fa parte di una perorazione in cui Graham ce­ lebra l’America per la sua opulenza, e ci ricorda che la Bibbia afferma che essere ricchi è cosa buona e giusta. Non ha nessun senso mettersi a discutere sulla Bibbia con un fondamentali­ sta, ma ora, mentre scrivo (maggio 1991), negli Stati Uniti ci sono più di due milioni di senza casa; nel paese di Graham cir­ ca cinque milioni di bambini (e un numero imprecisato di adulti) vanno a letto affamati e la città di New York è general­ mente considerata la nuova Calcutta. E davvero una strana fi­ gura quella di Graham, diventato addirittura oggetto ufficiale di culto e di ammirazione. Più o meno dal 1957 Graham non ha mai cessato di avvertirci che il comuniSmo è letteralmente opera del Diavolo, ma già dal 1950 va predicendo l’imminenza di Armageddon e del Secondo Avvento. Dopo che nel 1991 il Diavolo sembra aver abbandonato la Russia un Graham più stagionato la smette di profetizzare la fine; ma siccome cristia­ nesimo e patriottismo restano tutt’uno, gli è ancora possibile dare un’occhiata intorno e trovare per noi un’altra nazione che opera dietro istigazione del Diavolo. Nulla di tutto ciò avrebbe importanza, se non fosse per la posizione di icona nazionale che Graham si è assicurato in permanenza. Per più di quarantanni è stato il papa dell’America protestante, ruolo che conserverà sino alla morte. Non è causa di grandi mali, e neppure di bene; a livello personale è figura assolutamente insignificante sul piano religioso. In quanto esponente della cultura popolare, per la critica della religione non riveste maggior importanza di un Frank Sinatra o di un George Bush. Sono invece le parodie della spiritualità a rivestire un certo interesse, anche per quanto riguarda il loro possibile uso, e in questo senso Graham è altamente istruttivo. Nel gran circo del revivalismo non gli si può riconoscere la benché minima originalità come giocoliere; McLoughlin, con agile intuizione, lo collega in particolare a Dwight Moody. Vengono da Moody tutti i metodi e le accortezze di Graham nel campo organizzativo: pubblicità, pubbliche relazioni, campagne promozionali su vasta scala, assistenti ad alto livel­ lo di professionalità (consulenti, professionisti della preghiera, 83

cantanti e accompagnatori compresi), comitati composti da esponenti dell’alta finanza e della gerarchia ecclesiastica, pub­ blicizzazione attraverso i giornali dei bilanci di donazioni, rac­ colte di fondi e spese. Persino l’idea di un cantante solista ap­ partiene originariamente a Moody, il cui Ira Sankey era il pre­ cursore del mellifluo George Beverly Shea. Moody, come Finney prima di lui, non abbondava di elaborazioni teologiche, ma tutti e due oggi appaiono più ricchi di sostanza di quanto sia Graham con tutta la sua retorica. La parlantina e l’abile tecnica gli hanno consentito di diventare una sorta di papa della Religione Americana all’estero, ma un tocco finale di iro­ nia viene da una notizia ancora fresca di stampa mentre mi avvio alla conclusione di questo capitolo: tra il pubblico russo di Graham si mormora che sono in tanti a conoscere la Bibbia molto, molto meglio di lui.

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Originali americani: i mormoni

4 Una religione che si fa popolo: il Regno di Dio

Un grande poeta americano, qualcuno che probabilmente i Santi deirU ltim o giorno chiamerebbero un gentile, un giorno del futuro narrerà questa storia delle origini conferendole la veste epica che effettivamente merita. Penso che in tutta la sto­ ria americana non vi sia materia poetica capace di uguagliare, per la straordinaria impressione che essa suscita, i primi mor­ moni, Joseph Smith, Brigham Young e Orson Pratt, e tutti gli uomini e le donne che furono loro seguaci e amici. John Greenleaf W hittier, poeta quacchero e abolizionista, nel 1847 assistette a una funzione mormone a Lowell, nel M assachu­ setts, e ne rimase profondamente scosso: Ascoltando questi profeti moderni ho scoperto, o almeno co­ sì mi è parso, il segreto del loro successo nel fare proseliti. Quando parlano si rivolgono a un sentire comune, e quando officiano a un bisogno universalmente condiviso. Ripropongo­ no il potere miracoloso del Vangelo dei tempi degli apostoli, in netto contrasto con la situazione presente, in cui il nostro cri­ stianesimo è puramente nominale. Invocano a gran voce i se­ gni del potere divino, e quella fede che superando ogni ostacolo spalancò agli apostoli le porte delle prigioni, e diede loro un potere sulla materia tale da allontanare ogni malanno e financo la morte, rendendo a tutti manifesta la presenza del Dio vi­ vente. Chiedono dove, in quale passo, le Scritture affermino che questo potere miracoloso della fede debba essere circoscrit­ to ai primi confessori del cristianesimo. (Among thè Mormons [1958], a cura di William Muldur e A. Russell Mortensen, pp. 157-58) È diffìcile ricreare l’esatta natura delle emozioni di W hit­ tier, ma se non ce ne facciamo almeno un’idea approssimativa il mormonismo delle origini non può essere compreso. Fawn Brodie, autrice di quella che ancora oggi è la migliore biogra­ fia di Joseph Smith, malgrado l’ostilità con cui i mormoni l’hanno accolta, in apertura del suo libro No Man Knows M y 87

History: The Life o f Joseph Smith thè Mormori Prophet (1945; secon­

da edizione, 1971) osserva, con grande acume, che «Joseph Smith ebbe l’ardire di fondare una nuova religione nell’epoca della stampa». Tuttavia non bastano gli scritti di Joseph Smith a spiegare la grande emozione vissuta da W hittier, la stessa emozione che provo io, seppure a distanza di centocinquant’anni e pur essendo convinto che tutte le religioni siano una sorta di traboccamento di materiale poetico, buono o cat­ tivo che sia. In Smith e nella sua visione c’era un qualcosa che ancora oggi è intimamente legato al cuore del nostro paese e della sua spiritualità. La signora Brodie, tu tt’altro che immu­ ne da questo pathos post-mormone, ci offre, in un linguaggio forse un po’ crudo, una sintesi della grandezza spirituale del profeta: Joseph aveva una fantasia illimitata, un ardore rivoluziona­ rio e il genio dell’improvvisazione, e tutto ciò che passava per il loro stampo gli riusciva bene. Grazie a queste qualità creò un libro e una religione, ma non seppe dotare quella religione di un contenuto propriamente spirituale. Sapeva incanalare aspi­ razioni venute di lontano in forme completamente nuove, e sa­ peva trovare la veste rituale più adatta all’osservanza di nuove regole. Nel dogma della sua chiesa, però, non vi è nessun Di­ scorso della Montagna, nessuna nuova saga della redenzione, niente di cui Joseph stesso possa ergersi a simbolo. Il suo mar­ tirio fu un evento casuale, privo di qualsiasi rapporto con il credo a cui egli aveva dato vita. (p. 403) Secondo i criteri che ho illustrato nel primo capitolo, que­ sta è critica della religione, e in quanto tale risulta inadegua­ ta, per quanto non erronea. Utilizzare il Discorso della M on­ tagna come criterio di paragone significa infatti imporre un termine di riferimento obbligato, per quanto concerne il «con­ tenuto propriamente spirituale», paragonabile all’assunzione del Macbeth o del Paradiso perduto come termini obbligati ai quali riferire la valenza estetica della poesia americana. Qui la mia analogia fra critica della letteratura e critica della reli­ gione tocca inevitabilmente un limite, dal momento che per un mormone La perla di gran valore ha lo stesso statuto canoni­ co del Nuovo Testamento. M a solo pochissimi mormoni, nel passato o nel presente, hanno assunto una posizione autenti­ camente critica, sul piano religioso, della loro fede, e in tal ca­ 88

so sono stati per la maggior parte espulsi dalla loro chiesa (come la signora Brodie) oppure se ne sono allontanati di propria volontà. Joseph Smith era un genio della religione, pur essendo ibri­ do come oratore e piuttosto insignificante come scrittore. E quasi un secolo ormai che i suoi seguaci si sono allontanati dalla radicale novità che egli rappresentava per approdare a una posizione ufficiale talvolta difficilmente distinguibile da quella protestante, benché Smith non fosse assolutamente pro­ testante nel senso tradizionale del termine, e addirittura nem­ meno cristiano. La signora Brodie era nel vero quando asseri­ va che la religione dei suoi avi aveva con il cristianesimo lo stesso tipo di rapporto che il cristianesimo aveva con il giudai­ smo, o quello che l’islamismo aveva tanto con la religione del Libro quanto con la religione del Figlio dell’Uomo. Le due ra­ mificazioni principali della Religione Americana, a mio giudi­ zio, sono i mormoni e i battisti del sud, accesi avversari gli uni degli altri e tuttavia entrambi americani fino all’osso, oltre che privi di qualsiasi elemento che potrebbe effettivamente acco­ munarli a ciò che storicamente si è dato come cristianesimo. Tutti e due insistono su di un arco completamente diverso, ma ciò vale per quasi tutte le altre sette e confessioni religiose americane, per tutte le varietà americane della nostra religio­ ne pragmatica ed esperienziale. A una persona come me, un intellettuale ebreo americano che non aderisce al giudaismo normativo, niente di questo nostro paese suona più meravi­ gliosamente strano, più terribile e più splendido di questa stranissima identificazione con l’antica religione di Israele e con la Chiesa cristiana primitiva che in teoria ne scaturì. Il pa­ radosso più grande della Religione Americana è che essa è una religione veramente biblica, mentre il giudaismo e il cristiane­ simo non lo sono mai stati, malgrado tutte le loro appassionate proteste. Il giudaismo normativo è la religione della Legge orale, l’interpretazione forte della Bibbia imposta dai grandi rabbini del il secolo d.C. Il cristianesimo è la religione dei pa­ dri della Chiesa e dei teologi protestanti che hanno rotto con la Chiesa, e cattolici e protestanti insieme hanno fatto la stessa cosa dei saggi rabbinici, offrendo interpretazioni definitive che hanno soppiantato le Scritture. La Religione Americana, a dif­ ferenza del giudaismo e del cristianesimo, è realmente biblica, 89

persino nel momento in cui propone ed esalta testi alternativi alle Scritture. I testi alternativi di Joseph Smith - il Libro di Mormori, La perla di gran valore (opera composita, che raccoglie testi di di­ verso genere) e il Libro della dottrina e delle alleanze — sono tutte filiazioni povere della Bibbia. Se sento la necessità di usare un aggettivo come «povere» è perché quella che noi oggi chiamia­ mo Bibbia è il risultato di un complicato processo di canoniz­ zazione, i cui criteri erano, sorprendentemente, estetici, o quanto meno conciliabili con l’estetica. Il Cantico dei Cantici è parte della Bibbia perché il grande rabbino Akiba ne era ri­ masto incantato, e il suo incanto non è molto diverso dal fasci­ no che su di me esercita la poesia di W alt W hitman Quando i lillà per Vultima volta, che è poi il nostro Cantico dei Cantici. Tutte le Scritture mormoni, invece, sono opera di Joseph Smith, il cui talento come compositore di testi divini è decisa­ mente inferiore a quelle che furono la sua vita, la sua persona­ lità e le sue visioni. Oggigiorno il mormonismo non ¿Joseph Smith, però lo è stato tra il 1830 e il 1890, nei sessantanni del­ la sua grandezza spirituale, segnati dal martirio del profeta nel 1844. U na buona chiave di lettura della carriera di Joseph Smith è la lettera indirizzata da Joseph il Profeta a John W entworth, direttore di un giornale di Chicago, il Io marzo del 1842. Trentasettenne e ben lontano dal presagire la pro­ pria morte, che si sarebbe compiuta solo due anni e qualche mese più tardi, Smith scriveva da quello che era il suo regno, la città mormone di Nauvoo, nellTllinois, nel momento più al­ to della sua autorità e della fiducia nelle proprie capacità. Poi­ ché queste sono le migliori pagine di prosa che egli abbia mai scritto, e poiché in chiusura elencano i tredici punti che per i mormoni sono diventati un vero e proprio credo, ritengo che possa essere interessante sottoporle a un’attenta disamina, al fine di ricavarne una comprensione almeno iniziale della rive­ lazione di Joseph Smith. La lettera a W entworth, che consiste di sei pagine stampate, è caratterizzata dalla pacatezza di un’eloquenza semplice e dalla dignitosa compostezza di un innovatore religioso tal­ mente persuaso della verità della sua dottrina da saperne esporre la sostanza con una sinteticità che ha del miracoloso. La lettera è anche un buon punto di partenza per una critica 90

della religione che abbia per oggetto il personaggio Smith, poi­ ché solleva subito un interrogativo fondamentale, quello delle ragioni del successo del visionario mormone. Quali ne siano stati gli errori, Smith è un autentico genio della religione, l’u­ nico nella storia della nostra nazione. La lettera a W entworth prende le mosse dalla nascita del profeta, avvenuta il 23 di­ cembre del 1805 a Sharon, nel Vermont, e rapidamente si spo­ sta sulle sue prime visioni, che oggi giustamente sono conside­ rate dai mormoni assai più importanti dello stesso Libro di Mormori, ampiamente superato dagli scritti e dalle dichiarazio­ ni successive di Smith. Il pubblico non specializzato associa il mormonismo in primo luogo al Libro di Mormori, attuando così un curioso ritorno alle origini della religione a distanza di un secolo e mezzo. In realtà durante la fase principale della vita di Smith, ovvero nei cinque anni che precedettero la sua ucci­ sione per mano della milizia nazionale dell’Illinois, il Libro di Mormori perse la sua centralità. Ezra Taft Benson, un soprav­ vissuto del primo governo Eisenhower, che rimane il Profeta, Veggente e Rivelatore dei nostri giorni - per lo meno in linea teorica - ha profuso una quantità di energie nella pubbliciz­ zazione del Libro di Mormori, sebbene esso abbia un legame molto debole con la dottrina della Chiesa dei Santi dell’U lti­ mo giorno. Oggi Benson ha novantatré anni; il primo nella li­ nea di successione è Howard W. Hunter, di ottantatré anni, e dopo di lui viene Gordon B. Hinckley, ottant’anni. Dietro di loro c’è il potente Thomas S. Monson, che ha solo sessantadue anni. Quando il presidente Monson diverrà Profeta, Veg­ gente e Rivelatore, forse si farà meno affidamento sul Libro di Mormori inteso come chiave privilegiata di accesso alla religio­ ne mormone. Le prime visioni, nella lettera a W entworth, apparvero a un ragazzo di quattordici anni la cui famiglia aveva già ripudiato la religione puritana, eredità comune alla maggior parte degli abitanti del New England. Joseph Smith padre non aderì a nessun’altra fede finché suo figlio non fu abbastanza cresciuto da fondare una religione nuova per la sua famiglia. A quel tempo essi vivevano nella regione occidentale dello stato di New York, la ben nota «culla spirituale» ove le visioni non erano un fenomeno insolito. Pur presentando differenze anche notevoli fra loro, gli svariati resoconti che Joseph il Profeta ci 91

ha dato della sua Prima Visione mettono tutti in rilievo un’e­ sperienza che, come traspare anche dalla lettera a W entworth, era assolutamente unica: Mi ritirai in un luogo segreto nel bosco e incominciai a invo­ care il Signore. Intensamente concentrata nella supplica, la mia mente era completamente avulsa dalle cose che mi stavano attorno, e mi trovai avvolto da una visione celestiale e vidi due personaggi circonfusi di gloria che parevano due gocce d’acqua per fattezze e sembiante, circondati da una luce tanto brillante da oscurare il sole del mezzogiorno. Essi mi dissero che tutte le confessioni religiose seguivano dottrine erronee, e che Dio non riconosceva nessuna di esse come la sua chiesa e il suo regno. E mi fu espressamente ordinato di «non seguirne nessuna», e allo stesso tempo ebbi la promessa che un giorno la conoscenza del Vangelo in tutta la sua pienezza mi sarebbe stata rivelata. Non ha nessuna importanza fino a che punto questa Prima Visione sia retrospettiva e frutto di rimaneggiamenti: ogni re­ ligione è necessariamente soggetta a processi di revisione che riguardano la sacralità delle sue origini. Quel che mi colpisce, qui e in altri punti di Smith, è la sicurezza dei suoi istinti, il suo prodigioso sapere esattamente quali sono gli ingredienti ne­ cessari per l’inaugurazione di una nuova fede. Al pari di san Paolo (la cui teologia è quasi completamente ignorata dai mormoni), Smith conosceva istintivamente non solo i propri scopi, ma anche i requisiti pratici necessari a una religione nel suo farsi, ovvero ciò che avrebbe effettivamente funzionato nella sfera spirituale. Poiché questo rimane il punto nodale del suo successo: i mormoni esistono da centocinquant’anni; cambia­ no, ma non muoiono. Oggi nella nostra nazione e nel mondo i mormoni sono numerosi quanto gli ebrei, e come ho già detto prima, quella dei mormoni, come nel caso degli ebrei prima di loro, è una religione che si è fatta popolo. Ed è appunto que­ sto, mi è parso di capire, lo scopo eminentemente pratico che Joseph Smith ha sempre perseguito, poiché aveva la genialità di comprendere che i mormoni avrebbero potuto sopravvivere solo diventando un popolo. La lettera a W entworth è un docu­ mento religioso che celebra l’organizzarsi di un popolo sulla base di un’idea spirituale. Questa profonda intuizione poteva venire a Smith soltanto da una lettura eccezionalmente pene­ trante della Bibbia, e proprio in questo elemento individuerei 92

il segreto del suo genio religioso. Se non era certo un grande scrittore, egli era tuttavia un grande lettore, o quanto meno un lettore capace di forzature creative rispetto alla Bibbia. Il mormonismo è un profondo e splendido travisamento, ovvero una forzatura creativa, della storia degli ebrei delle origini. Questo atto di lettura ebbe tanta forza da spaccare trasversal­ mente tutte le ortodossie - protestante, cattolica, giudaica - e trovare una propria strada rifacendosi a elementi che, come intuì giustamente Smith, erano stati espunti dalle storie arcai­ che della religione ebraica. La radicalità della concezione di Smith di un teomorfismo dei patriarchi e di un antropomorfi­ smo degli dei è un autentico ritorno a J, lo Yahwista, il primo autore della Bibbia. La sua sfiducia pragmatica nella Bibbia in quanto frutto di successive redazioni del testo originario si manifesta in talune enunciazioni dottrinarie poste in chiusura della lettera a W entworth: Noi crediamo che la Bibbia sia la parola di Dio laddove essa è correttamente tradotta, così come crediamo che il Libro di Mormori sia anch’esso parola di Dio. Noi crediamo in tutto ciò che Dio ha rivelato un tempo, così come in ciò che rivela oggi; e crediamo che egli rivelerà ancora molte cose grandi e importanti che sono di pertinenza del re­ gno di Dio. Noi crediamo nella verità letterale del raccogliersi e farsi po­ polo di Israele e nella ricostituzione delle dieci tribù. Crediamo che Sion sarà costruita su questo continente. Crediamo che Cristo in persona regnerà su questa terra, e che questa terra sa­ rà rinnovata e riceverà in dono la gloria del paradiso. (Among thè Mormons, cit., pp. 16-17) Dietro la verità letterale del «raccogliersi e farsi popolo di Israele» c’è, in parte, il collegamento tutto americano tra gli indiani e le dieci tribù disperse, ma quel «letterale» vale so­ prattutto per il raccogliersi e farsi popolo dei mormoni - prima a Kirtland, nel Missouri, poi a Nauvoo, e dopo il martirio di Joseph Smith anche in quella che doveva diventare Salt Lake City. In questa estate del 1991, mentre scrivo, la visione di Smith non è più fantastica di quanto lo sia la realtà. Gli ultimi falascià (che potrebbero ben essere la tribù dispersa di Dan) si sono letteralmente raccolti in Israele, nel mezzo di un flusso di ebrei in arrivo dalla Russia e dalla Georgia. Gli ebrei hassidici lubavitcher, nei loro inserti pubblicitari a tutta pagina sul 93

«New York Times», fanno chiare allusioni al fatto che il rabbi­ no M enachem M. Schneerson sia il Messia, e che l’ora della mia redenzione sia finalmente giunta. Il Tempio sarà rico­ struito, dalla sua sommità il Messia eleverà il suo grido e l’era messianica calerà su di noi. Naturalmente, se il Tempio doves­ se essere ricostruito sulla Moschea della Roccia ci sarebbe sen­ za dubbio una guerra santa islamica contro Israele, com battu­ ta in tutto il mondo e seguita da una rappresaglia nucleare da parte di Israele, ma questo i lubavitcher nelle loro pagine pub­ blicitarie si dimenticano di dirlo. Parlo di questi argomenti so­ lo perché le suddette pagine pubblicitarie sono decisamente americane, piuttosto che giudaiche, come americani autentici sono Joseph Smith e gli altri profeti della Religione America­ na. I lubavitcher attribuiscono la loro estasi di volta in volta alla «vittoriosa» guerra del Golfo, alla ricostituzione di Sion, al novantesimo compleanno del rabbino Schneerson, ma il lo­ ro vero movente è l’America. Ancora una volta si vede chiara­ mente perché Joseph Smith non potesse essere altro che ame­ ricano, e perché in America possa tuttora sussistere un gran numero di mormoni, o forse una precaria alleanza fra mormo­ ni, battisti del sud fondamentalisti, pentecostali e altri evange­ lici. Così come si vedono chiaramente le ragioni del largo se­ guito inizialmente avuto dal Libro di Mormori, nonché della sua persistente attualità, garantita da un’etica tutta americana. Con il Libro di Mormori penetriamo al cuore della missione profetica di Joseph Smith, ma non certo al cuore del mormoni­ smo, vista la straordinaria capacità di elaborazione speculati­ va dimostrata da Smith nei quattordici anni che gli rimasero dopo la pubblicazione del libro. Il Libro di Mormori non è sol­ tanto la sua opera prima: è il ritratto di un uomo di ventiquat­ tro anni, e quindi ancora in giovane età, autodidatta ed estre­ mamente intelligente. Pur evidenziando una certa abilità tec­ nica per quanto riguarda la stesura, il libro è tendenzioso al di là di ogni dubbio e in ogni sua riga, e in diversi punti anche te­ dioso. Messo a confronto con la potenza immaginifica di Smith che traspare da La perla di gran valore e dal Libro della dot­ trina e delle alleanze, sembra opera di un altro scrittore, e non mi riferisco certo a Mormon o a Moroni. Il tormento della profe­ zia, incessantemente sofferto tanto all’interno che all’esterno del suo movimento, trasformò come per incanto l’acceso idea­ 94

lista che aveva scritto il Libro di Mormori. Il segno indelebile che Smith ha lasciato suirAm erica e sul mondo intero si deve ap­ punto al profondo e totale sconvolgimento che egli subì tra il 1832 e il 1844. Leggendo una qualsiasi biografia completa del­ la sua vita si è portati a sussurrare, come il Christopher Smart di Jubilate Agno , che «la fornace si è finalmente messa al lavo­ ro» - un riferimento ad Abramo e al suo tradimento di un’al­ leanza con Yahweh. Se ebrei, cristiani e musulmani sono i figli di Abramo, tutti i mormoni - passati, presenti e futuri - sono i figli del Giuseppe americano, affascinante profeta, sognatore dalle illimitate risorse e benvoluto da Dio, pur se destinato a una fine terribile. Abramo e Giuseppe morirono entrambi in tarda età e in pace; il Giuseppe americano fu assassinato al­ l’età di trentotto anni e sei mesi. Ho già detto nell’Invocazione iniziale che in esso vi sono soltanto due eroi: Joseph Smith, con la sua figura smagliante, e il placido Edgar Young Mullins, battista del sud e autore re­ ligioso del x x secolo. Per quanto io rispetti la religione mor­ mone, e nutra un sano timore per gli immensi orizzonti che le si aprono nel futuro, come critico della religione ritengo che Smith sia più grande e più interessante della fede attualm ente professata dal popolo che egli stesso ha creato. In parte ciò si deve al fatto che egli morì troppo presto, lasciando incompleta una notevole porzione della sua opera profetica, così profon­ damente innovativa; e in parte anche al fatto che la Chiesa mormone e i suoi seguaci ormai da un secolo si sono allontana­ ti dal suo insegnamento e dal suo esempio. Un patrimonio ric­ chissimo di immaginazione religiosa è stato compromesso (an­ che se non effettivamente tradito) da quelli che ne erano i di­ scendenti, anche se una visita a Salt Lake City difficilmente permetterebbe di cogliere un senso di consapevolezza da parte dei mormoni rispetto a questo loro distacco da Smith. Quale atteggiamento dovrà assumere un contemporaneo che non sia mormone e che si occupi della religione in Ameri­ ca, nei confronti del Libro di Mormori? Non mi sento di racco­ mandarne la lettura, né completa né accurata, poiché il libro stesso tende a scoraggiarla. Compendi del libro se ne trovano facilmente, e non è mia intenzione qui aggiungerne un altro al­ la serie. Semmai preferirei esaminare, in questa sede, quei po­ chi aspetti del libro che sopravvivono anche nella elaborazione 95

spirituale m atura di Joseph Smith. Naturalm ente se si dovesse credere che egli «tradusse» antiche iscrizioni su tavole d’oro poi svanite nel nulla, tutti gli aspetti della sua opera assume­ rebbero identica rilevanza. Quello che a me interessa non è però la genesi del Libro di Mormori (benché ritenga che siano in­ tervenuti stati prodigiosi di trance, e che pertanto le interpre­ tazioni letterali, sia che dichiarino vere le tavole d’oro sia che parlino di una consapevole ciarlataneria di Smith, possano ve­ nire definitivamente congedate). Come molti altri americani della sua generazione, Smith si era immerso completamente nella Bibbia, e ne era uscito in una condizione di quasi totale identificazione con gli antichi ebrei. E come tanti altri ameri­ cani, Smith era persuaso che far discendere gli indiani d’Ame­ rica dalle tribù disperse di Israele costituisse un’identificazio­ ne plausibile, anziché una finzione fantastica. Nel Libro di Mor­ mori la sua ipotesi di fondo è che l’America abbia sperimentato un millennio di cultura ebraica, dal 600 a.C al 400 d.C. Que­ ste popolazioni ebraiche, i nefiti di pelle bianca e i lamaniti di pelle nera (diretti progenitori dei nostri Indiani) erano cristia­ ni (in un certo senso) prima di Cristo, e mormoni (in un certo senso) prima di Joseph Smith. M a per due secoli essi erano stati anche cristiani dopo Cristo, perché Gesù risorto si era lo­ ro manifestato in America (luogo da lui prescelto per ripetere il Discorso della M ontagna). Sfortunatamente, l’effetto benefi­ co di quella replica dopo quei primi due secoli era andato via via scemando e le popolazioni di pelle nera avevano m assacra­ to quelle di pelle bianca, per poi dimenticare il loro stesso re­ taggio. Di tutto ciò, solo l’identità di origine tra ebrei e americani e l’epifania del Cristo risorto in America avevano un’im portan­ za cruciale nello sviluppo della religione di Joseph Smith, per­ ché proprio da questi due elementi derivò il suo piano di un nuovo Popolo Eletto, che pragmáticamente fece di Salt Lake City la sua Gerusalemme. Le successive fasi di trasformazione grazie alle quali una religione nuova finì per coincidere con un popolo nuovo (assicurandosi in tal modo la sopravvivenza) si possono riassumere, a grandi linee ma senza imprecisioni, nel­ la seguente tabella cronologica: 1. Primavera del 1820: La visione in cui a Joseph Smith ap­ paiono il Padre e il Figlio. 96

2. Marzo 1830: Il Libro di Mormori entra in commercio. 3. 6 aprile del 1830: A Fayette, nello stato di New York, vie­ ne fondata la Chiesa. 4. 1830-31: Migrazione di Smith e della sua gente a Kirt­ land, nelPOhio. 5. 24 marzo del 1832: A Hiram, nelPOhio, Joseph Smith vie­ ne ricoperto di pece e impiumato dalla folla. 6. 3 aprile del 1836: Il grande momento della consacrazione del tempio di Kirtland, con visioni di Gesù, Mosè ed Elia. 7. 1838: Esodo dei mormoni da Kirtland al Far West, e loro insediamento nel Missouri. 8. 1838-39: Guerre tra popolazioni del Missouri e mormoni, terminate con l’esodo di Smith e del suo popolo; fondazione di Nauvoo, nell’Illinois. 9. 1839-44: Gli anni di Nauvoo, fase del massimo splendore di Joseph Smith e del mormonismo delle origini: il movimento si espande al punto di contare circa 30.000 seguaci e viene in­ trodotto il matrimonio poligamo. La fase si chiude il 27 giugno del 1844 con l’assassinio di Joseph Smith e di suo fratello Hyrum, rinchiusi nel carcere di Carthago, per mano della milizia nazionale dell’Illinois. 10. 1846-47: Il Grande Esodo dei mormoni da Nauvoo alla valle del Grande Lago Salato, sotto la guida di Brigham Young, il secondo Profeta, Veggente e Rivelatore. Questa è evidentemente una cronologia di persecuzioni e di esodi, il cui andamento ha modellato un popolo con una fisio­ nomia tutta particolare e una grande fiducia in se stesso, ca­ ratteristiche che si ritrovano per molti versi inalterate ancora a distanza di un secolo e mezzo, malgrado la scalata alla conqui­ sta delPestablishment americano attuata in quest’ultimo seco­ lo dai mormoni con grande determinazione. Nel libro Religious Outsiders and thè Making o f Americans (1986) R. Laurence Moore compie uno sforzo encomiabile per comprendere in una gran­ de sintesi dialettica tutti i paradossi del mormonismo: Torniamo a Tolstoj, che sapeva bene quel che diceva. Sono i mormoni ad averci insegnato la religione americana, o quanto meno un suo aspetto vitale, ma non in virtù del fatto che le loro dottrine germogliavano spontaneamente dalla frontiera ameri­ cana, fornendo così un’alternativa nazionale alle fedi importa­ te dall’Europa. I mormoni, infatti, seguivano un percorso ben preciso, al loro tempo già consolidato all’interno dell’esperien­ za americana, secondo il quale uno dei modi per diventare americano consisteva nel costruire la propria identità a partire da un sentimento di opposizione. Questa è stata forse la conse­ 97

guenza più positiva del sistema americano della formazione re­ ligiosa, interamente basato sulla scelta volontaria del singolo. La tradizione americana e certamente anche la tradizione reli­ giosa non hanno mai avuto altro significato che quello attribui­ to loro di volta in volta da fazioni opposte, non essendo mai state un dato immutabile ma piuttosto un’area di conflitto. De­ finendo la propria identità come fatto separato dalla tradizio­ ne, i mormoni in realtà rivendicavano il diritto di intervenire su di essa e di plasmarla. Proprio nel momento in cui procla­ mavano la loro totale estraneità, essi si collocavano nel cuore stesso della tradizione, (pp. 45-46) Questo discorso non convince del tutto, o forse è meglio dire che la dialettica di Moore poteva reggere fino alla scorsa gene­ razione, mentre adesso il suo impianto scricchiola sotto il peso dell’effettivo consolidamento di una tradizione americana, e in particolare di una tradizione religiosa. È incredibile ma vero che nel 1991 i mormoni fanno parte della tradizione quanto voi, chiunque voi siate, per lo meno nei termini della religione della politica e della politica della religione. Sul piano concre­ to, i mormoni si sono schierati a favore di un patriottismo bel­ licista, contro l’aborto e per la rinuncia a chiedere giustizia economica e sociale ai loro nemici dottrinali: i battisti del sud fondamentalisti, i pentecostali delle Assemblee di Dio e gli evangelici di tutte le confessioni. E l’odierna retorica mormone delle invocazioni a Gesù Cristo ha forse una deliberata funzio­ ne di copertura, dietro alla quale una religione post-cristiana può proseguire indisturbata nella sua complessa evoluzione. L’intuizione più penetrante di Joseph Smith è consistita in un esercizio di ripetizione, derivante da una profonda assimi­ lazione della Bibbia e dall’aver colto intuitivamente il tema dominante della storia ebraica: la religione precedeva, e allo stesso tempo produceva, il popolo unico, distinto da tutti gli altri. Lo Yahwismo arcaico era divenuto la religione biblica, da cui si sviluppò il giudaismo, da cui emerse a sua volta il Po­ polo Eletto. Tema dominante della profezia di Joseph Smith era che il Regno di Dio fosse destinato a instaurarsi in Ameri­ ca, e che solo un Popolo Eletto potesse avere abbastanza fidu­ cia in se stesso per preparare l’avvento di quel Regno. Di tutti i titoli e le cariche di Joseph Smith, di tutte le sue ambizioni e aspirazioni, una sola, alla fine, ha prevalso: nel 1844, poco pri­ ma della sua morte, durante una cerimonia segreta Smith è 98

stato incoronato re del Regno di Dio. T rentanni più tardi an­ che Brigham Young si è probabilmente sottoposto allo stesso rituale esoterico prim a di morire, come certamente ha fatto John Taylor dopo di lui. La Chiesa mormone nega la veridici­ tà di queste asserzioni, e può darsi che i dieci successivi Profe­ ti, Veggenti e Rivelatori - oltre che primi presidenti - non ab­ biano avuto l’audacia di emulare Joseph Smith, Brigham Young e John Taylor, per lo meno fino ad oggi. E in ogni caso nessuno di questi dieci aveva una seppur vaga rassomiglianza con il carismatico Joseph, con il grande teocratico Brigham e con l’eroico John. Nella loro veste di precursori, costoro ave­ vano fissato un modello impossibile da eguagliare. L’attuale gruppo dirigente mormone dà l’impressione di es­ sere molto paziente; sono convinti che il futuro gli appartenga, soprattutto qui in America. Non abbiamo ancora avuto un presidente degli Stati Uniti mormone e forse non lo avremo mai, e tuttavia i nostri presidenti sono sempre più reattivi alla sensibilità mormone: più di quel che sarebbe lecito aspettarsi trattandosi di un movimento religioso che rappresenta solo il due per cento della popolazione. M a la sola preoccupazione del critico della religione dovrebbe essere la questione spiri­ tuale, ovvero quel che i mormoni intendono esattamente per Regno di Dio, indipendentemente dal fatto che esso debba sor­ gere negli Stati Uniti o altrove. Certamente nel 1843 Joseph Smith intendeva farsi dio con la sua assunzione delle preroga­ tive regali che gli conferivano il potere di presiedere agli ange­ li. Il 10 marzo del 1844 Joseph il Profeta tenne un discorso sul «sacerdozio» e parlò del Regno di Dio, stabilendo un collega­ mento tra quest’ultimo e la profezia di M alachia sul ritorno di Elia. Il Regno, in tutti i discorsi ufficiali successivamente tenu­ ti da Smith, divenne così un simbolo nel quale si condensava in tutti i suoi aspetti la visione degli uomini di Nauvoo e del lo­ ro farsi dei, e per ciò stesso anche una sineddoche del destino delPAmerica, una sorta di sublime teocratico. Non è chiaro in­ vece in quali termini esattamente il Regno di Dio potesse esi­ stere senza il matrimonio poligamico. Per quanto la Chiesa mormone oggi avversi decisamente i suoi fondamentalisti fa­ vorevoli alla poligamia, resta vero che essa non ha mai ripu­ diato il matrimonio poligamo in linea di principio. In Joseph Smith le due pluralità - di mogli e di dei - erano strettam ente 99

collegate, ed è difficile anche solo immaginare una separazione tra questi due principi. E così si torna di nuovo a un interroga­ tivo eminentemente astratto: che posizione assumerebbero i mormoni se negli Stati Uniti i loro seguaci fossero tanto nume­ rosi e il loro potere economico tanto forte e consolidato da ren­ dere impossibile il governo della nostra democrazia senza la loro collaborazione attiva? Quella che oggi può sembrare fan­ tascienza non sarà più tale nel 2020, se a quella data un ameri­ cano su otto sarà mormone. Nel 1860, proponendo la sua terribile interpretazione della «grande statua» del sogno di Nabucodonosor nel secondo ca­ pitolo di Daniele, Orson Pratt seguiva probabilmente le orme di Joseph il Profeta. Nella Bibbia la statua di un uomo gigan­ tesco fatto di metalli diversi ma con «i piedi in parte di ferro e in parte di creta» viene colpita al piede da una pietra. La sta­ tua crolla a terra, «mentre la pietra, che aveva colpito la sta­ tua, divenne una grande montagna che riempì tutta quella re­ gione». Nella sua profezia Daniele dà un’interpretazione del destino di quella grande montagna: Al tempo di questi re, il Dio del cielo farà sorgere un regno che non sarà mai distrutto e non sarà trasmesso ad altro popo­ lo: stritolerà e annienterà tutti gli altri regni, mentre esso dure­ rà per sempre. Questo significa quella pietra che tu hai visto staccarsi dal monte, non per mano di uomo, e che ha stritolato il ferro, il bronzo, l’argilla, l’argento e l’oro. Il Dio grande ha rivelato al re quello che avverrà da questo tempo in poi. Il sogno è vero, e degna di fede ne è la spiegazione. (Daniele 2:44-45) Per Joseph Smith quel sogno era indubbiamente vero, così come degna di fede ne era la spiegazione: la m ontagna era il Regno di Dio mormone, Joseph era la pietra profetica e la grande statua da distruggere erano gli Stati Uniti d ’America, che a tempo debito sarebbero stati seguiti da tutti gli altri re­ gni macchiati dal peccato, vale a dire da tutti i governi di tutti i paesi del mondo. Questa non è l’interpretazione corrente e ufficialmente adottata dalla Chiesa mormone, ma per il suo tramite possiamo avvicinarci ai paradossi fondamentalisti del popolo mormone. A giudizio dei presidenti Reagan e Bush, co­ me d e ll’FBi e della c i a (queste ultime brulicanti di mormoni), nelle nostre forze armate (ove molti mormoni ricoprono alte 100

cariche di comando) non vi sono americani dotati di maggior senso patriottico del popolo che chiamiamo mormone. Sul pia­ no concreto non avrebbe senso mettere in discussione questo giudizio, e del resto nelPAmerica di oggi non esiste nessuna categoria di persone più seria dei mormoni nell’applicazione della monogamia e più recisa nell’affermazione della propria fede cristiana. Eppure i mormoni, se ancora si può parlare di una loro fedeltà agli insegnamenti fondamentali di Joseph Smith e Brigham Young, non credono nella democrazia più di quanto credano nel cristianesimo storico o nella monogamia delle culture occidentali. Smith, Young e i loro seguaci crede­ vano nella teocrazia, ovvero nel governo dei santi ispirati da Dio, e la loro speranza era che ciascun profeta a turno gover­ nasse il Regno di Dio in quanto suo re, prima nel nostro paese e poi in tutti gli altri. Per quanto riguarda poi il loro essere cri­ stiani, non si possono certo prendere alla lettera le reiterate as­ serzioni dei Santi dell’Ultimo giorno: i mormoni in fondo non sono neppure monoteisti, e per loro Gesù è solo uno dei tanti nomi per indicare il Dio di questo mondo. Inoltre, pur conti­ nuando a operare per quello che essi chiamano il Regno di Dio, i mormoni non hanno negato, né potrebbero negare, la loro visione di una pluralità di dei, così come il principio della pluralità delle mogli. Nulla di tutto ciò mi pare degno di iro­ nia, né mi sognerei di utilizzare questi dati come altrettanti ca­ pi d’accusa verso i mormoni. Essi sono un sistema globale di fe­ de e di comportamenti, votati a specifiche speranze, sogni e in­ terpretazioni. Penso che soltanto la questione del Regno possa costituire, a livello potenziale, una sorta di imposizione vessa­ toria nei confronti della maggioranza degli americani, ma in ogni caso questo problema si presenterà in tutta la sua gravità soltanto tra una trentina di anni. Tuttavia esso, prima o poi, si presenterà davvero, e sarà un problema molto reale. Sulla scor­ ta di tali considerazioni, dedicherò la parte che resta di questo capitolo alla visione mormone del Regno di Dio. Il passo di Daniele che ho prima citato ispirò, il 12 maggio 1844, a Joseph Smith una dichiarazione di grande effetto: Ritengo di essere uno degli strumenti per l’instaurazione del regno di Daniele per voce del Signore, e intendo gettarne un fondamento che rivoluzionerà il mondo intero. 101

Il fondamento in questione era il Consiglio dei Cinquanta, costituito agli inizi del 1844, lo stesso anno in cui Smith, in modo piuttosto donchisciottesco, si autoproclamò candidato alla presidenza degli Stati Uniti, e anche l’anno del suo m arti­ rio. Sono parecchi i motivi per cui fino ad oggi il 1844 è stato l’anno cruciale della storia del mormonismo; un anno che for­ se sarà superato per importanza solo nel x x i secolo, se e quan­ do sorgerà un Regno di Dio mormone su un ampio territorio, se non in tutti gli Stati Uniti: ogni cosa che Joseph Smith era giunto a profetizzare si condensa inevitabilmente nella sua vi­ sione di una monarchia nel Regno di Dio. Nauvoo non era Gi­ nevra, e Joseph il Profeta, nella sua letizia, non era altro che una personalità repressa e repressiva. La sua visione del Re­ gno non era metaforica, sebbene il mormonismo moderno ab­ bia tentato, per ovvie ragioni, di darne un’interpretazione esclusivamente figurativa, quanto meno ad uso dei gentili. M a la Chiesa mormone ne sa indubbiam ente qualcosa, perché possiede la chiave di comprensione della visione del Profeta e da lui ha ricevuto l’insegnamento dell’interpenetrazione di materia e spirito. L’insistenza agostiniana sul fatto che l’asce­ sa di Cristo al cielo dopo i quaranta giorni della resurrezione aveva effettivamente inaugurato il Regno di Dio fu esplicita­ mente, oltre che saggiamente, ripudiata da Joseph Smith: il millennio era ancora di là da venire, e compito primo dei mor­ moni era la costruzione del Regno, poiché Gesù sarebbe ritor­ nato prima dell’inizio del millennio: credenza, questa, assai diffusa neH’America dei primi dell’Ottocento, come ho già detto nel capitolo 3. Lo studio più completo ed esauriente sul millenarismo mor­ mone è il libro di Klaus J. Hansen, Questfor Empire (1967), che ricostruisce le attività del Consiglio dei Cinquanta fondato da Joseph Smith allo scopo di instaurare un Regno di Dio nella sfera politica. Tanto in questo libro che nel suo lavoro succes­ sivo, Mormonism and thè American Experience (1981), Hansen as­ sume una posizione piuttosto elegiaca nei confronti della viru­ lenza del mormonismo delle origini. A distanza di un decen­ nio, le valutazioni che Hansen esprime nella prefazione al suo secondo libro suonano del tutto inadeguate di fronte all’ascesa al potere dei mormoni, che ancora adesso, mentre scrivo, avanza inarrestabile: 102

Al volgere del secolo era divenuto ormai chiaro che in una società pluralista come quella americana del xx secolo non vi era posto per un regno mormone tradizionale e antipluralista. Oggi, nella misura in cui i mormoni hanno trovato una forma di riconciliazione con l’America moderna e viceversa, essi sono diventati semplicemente una minoranza più tollerata, e con l’andare del tempo anche degna di grande rispetto. Ora che si sta approssimando il volgere di un altro secolo, viene spontaneo rileggere la frase una seconda volta là dove i mormoni sono definiti «semplicemente una minoranza più tol­ lerata, e con l’andare del tempo anche degna di grande rispet­ to». Chi si sentirebbe di affermare, oggi, che il potere economi­ co dei mormoni e la loro influenza politica sono «tollerati»? Il vero problema, per fare una trasposizione da Hansen, è: quale posto occuperà il Regno di Dio mormone in quell’oggetto im­ prevedibile che sarà la società americana del x x i secolo? Per rispondere a questo interrogativo con un’intuizione profetica, torno a rivolgermi al mormonismo tradizionale e antiplurali­ stico di Joseph Smith. In Quest fo r Empire Hansen cita Orson Pratt e la sua famosa dichiarazione sulla superiorità assoluta del Regno di Dio mormone: Il Regno di Dio è la forma di governo che discende direttamente dall’autorità divina. È l’unica forma legittima di gover­ no che possa esistere in qualsiasi parte dell’universo; tutti gli altri governi sono illegittimi e non autorizzati. A Dio, creatore di tutti gli esseri viventi e di tutti i mondi, spetta il diritto su­ premo di governarli secondo le sue proprie leggi, e per opera di funzionari da lui prescelti. Ogni popolo che voglia governarsi secondo leggi da lui stesso promulgate e per opera di funziona­ ri da lui stesso prescelti compie un atto di aperta ribellione contro il Regno di Dio. (pp. 184-85) Nella sua veste di teologo mormone Orson Pratt avrebbe fatto meglio a scrivere che Dio è 1’«organizzatore» anziché il creatore di tutti gli esseri viventi e di tutti i mondi, ma a parte questo le sue parole sono perfettamente in linea con l’ortodos­ sia dottrinaria, la stessa che fu di Joseph Smith e di Brigham Young e che oggi è dei dirigenti attuali della Chiesa, benché non rientri nel genere di cose che essi si curano di raccontare ai gentili. Non c’è alcun riferimento, nelle scritture mormoni, alla formazione del Consiglio dei Cinquanta nella primavera 103

del 1844, e nella History o f thè Church ufficiale manca qualsiasi documentazione relativa agli atti del Consiglio. M emoria e tradizioni mormoni sono reticenti sugli insegnamenti segreti impartiti da Joseph Smith al Consiglio, nonché sulla sua inco­ ronazione a re. Senza dubbio di questi insegnamenti facevano parte anche le leggi per la regolamentazione della poligamia e per l’espiazione nel sangue, leggi di cui si sa molto poco dal momento che tutti gli atti relativi al Consiglio dei Cinquanta finora sono stati tenuti segreti dalla Chiesa. Si può presumere che ne facciano parte anche le prove di quello che gli Stati Uniti avrebbero giudicato alto tradimento: negoziati con il Texas, allora indipendente, con il Messico, con la Francia e con la Gran Bretagna, tutti riguardanti la migrazione verso l’ovest dei mormoni e l’eventualità di un riconoscimento di­ plomatico della loro indipendenza. Forse negli archivi segreti del Consiglio dei Cinquanta, se ancora esistono e se mai sono esistite, sono nascoste faccende ancor più oscure; ma di tutto ciò non si saprà mai nulla al di fuori dei circoli più elitari della gerarchia mormone. Questi dettagli possono essere piacevolissimi, ma non ci aiutano molto a riflettere sul sogno mormone del Regno di Dio. Se ci si pone a una certa distanza dal mormonismo mo­ derno, in modo da vederlo in prospettiva, ciò che più colpisce è senz’altro la pulsione dei mormoni a espandere la loro Chie­ sa, sia attraverso la procreazione sia attraverso un’attività in­ stancabile di conversione, tanto nel nostro paese che all’estero. Lo zelo missionario non è raro tra le sette e le confessioni reli­ giose americane, ma tra i mormoni circola in tale abbondanza da fare di loro un caso unico. M a più importante ancora è, a mio avviso, la crescita graduale e quasi impercettibile del Re­ gno di Dio mormone in America, intesa non tanto come incre­ mento numerico dei seguaci anno per anno, ma piuttosto co­ me espansione del potere dei mormoni giorno per giorno. An­ cora una volta è il caso di sottolineare che questa non è una denuncia allarmata, poiché da un lato la realizzazione delle aspirazioni di Joseph Smith ha tutta la mia simpatia, e dall’al­ tro non mi pare di essere particolarmente versato per la politi­ ca. Per la critica della religione il Regno di Dio dei mormoni è un’ipostasi spirituale che riveste il massimo interesse, nella misura in cui solleva ancora una volta il problema del luogo in 104

cui collocare il mormonismo nella galleria dei quadri ove si snoda la storia figurativa della ricerca originale della Religio­ ne Americana. La croce, per i battisti del sud così come per al­ tri protestanti americani, è la croce vuota della Resurrezione. Per i mormoni invece la croce non esiste neppure: impossibile vederne una nei loro edifici. T utta la loro attenzione si concen­ tra sul Gesù che governerà il mondo durante il millennio, un Gesù americano in tutto e per tutto. Il Regno di Dio fornirà a quel Gesù Re tutta l’organizzazione che gli sarà necessaria per attuare il suo governo. Ancor più trionfanti del trionfalismo e assetati di vittorie, i Santi dell’Ultimo giorno annullano tutta la storia che non sia quella dell’antica Israele o la loro. La loro esistenza è una condizione perenne di originarietà, e il loro de­ stino è una condizione certa di divinità. Nel mezzo c’è il Regno di Dio, i cui re sono da loro incoronati. Da un secolo a questa parte i Santi sono obbligati a velare alcuni aspetti di questa vi­ sione, ma sospetto che via via che la loro forza cresce in pro­ porzione al resto della nazione essi potrebbero prendere in considerazione l’idea di revocare questa loro posizione di com­ promesso. Due aspetti della visione dei Santi mi sembrano assolutamente centrali: nessun altro movimento religioso americano è animato da ambizioni altrettanto forti, e nessuno dei loro riva­ li si avvicina, neanche lontanamente, a quell’audacia spiritua­ le che li spinge incessantemente a perseguire il loro titanico di­ segno. I mormoni vogliono veramente convertire la nazione intera e il mondo, passando da dieci milioni di anime a sei mi­ liardi. Questa è follia sublime, non tanto per le cifre da capogi­ ro, ma piuttosto perché ciò significa scontrarsi in tutto il mon­ do con antagonisti formidabili quali la Chiesa cattolica e l’I­ slam, oltre che con dottrine di intricata raffinatezza come il buddismo e l’induismo. Eppure i mormoni non arretreranno: se sarà necessario, e certamente lo sarà, si daranno tutto il x x i secolo come tempo necessario per arrivare al loro scopo. Colo­ ro che si occupano dei mormoni a livello di divulgazione per il largo pubblico restano profondamente impressionati dalla quantità enorme di cibi in scatola e altre provviste accatastati nei sotterranei di Salt Lake City in vista di una potenziale, me­ ravigliosa catastrofe millenniale nell’anno 2000, ma io sono abbastanza ottimista da credere in un’altra proiezione, che 105

mostra centinaia di milioni di mormoni intenti ad accumulare altrettante provviste in attesa dell’anno 3000. Non sono la per­ sona qualificata per sottoporre ad analisi gli altri aspetti del credo mormone, ma allo stesso tempo non ritengo sia possibile mettere in dubbio che Joseph Smith fosse un profeta autenti­ co. Dove troviamo, in tutta la storia americana, qualcuno ca­ pace di eguagliarlo? Joseph il Profeta ha dimostrato ancora una volta che non sono le forze economiche e sociali quelle che determinano il destino degli uomini. La storia della religione, come del resto quella della letteratura o di qualsiasi altra atti­ vità umana, è opera del genio, dei misteriosi segreti di qualche rara personalità. Non mi convincono gli studi sulla storia dei mormoni a sfondo sociologico o antropologico; la storia dei mormoni è Joseph Smith, è il suo perdurante effetto sui Santi. In proporzione all’importanza che egli riveste e alla comples­ sità della sua figura, Joseph Smith resta uno dei personaggi meno approfonditi e allo stesso tempo più attuali di tutta la nostra saga nazionale. Nell’aprile del 1844, poco più di due mesi prima del suo martirio, il profeta Joseph Smith pronunciò un’orazione fune­ bre per Elder King Follett, la cui morte violenta era dovuta a cause accidentali. Sebbene non sia canonico, e sopravviva solo grazie al resoconto manoscritto di quattro seguaci, il «discorso per King Follett» rappresenta l’approdo ultimo dell’esistenza e dell’opera di Smith, e in alcuni punti si eleva a toni di auten­ tica eloquenza. È certamente una delle più belle orazioni fune­ bri che siano mai state pronunciate in America, ed è tanto te­ meraria da occuparsi della natura di Dio: Così come è attualmente l’uomo, Dio era un tempo, ed è un uomo elevatosi, che ora siede nell’alto dei cieli! Questo è il grande segreto... Con arroganza potrei proclamare dall’alto dei tetti delle case che Dio non ha mai avuto, mai, il potere di creare lo spirito dell’uomo. E che Dio non poteva creare se stesso... Sono felice di udire la testimonianza dei miei amici anziani. Voi non mi conoscete, non avete mai penetrato i segreti del mio cuore. Nessun uomo conosce la mia storia, né io posso rac­ contarla. Non biasimo nessuno perché non crede nella mia sto­ ria: se non avessi vissuto personalmente quel che ho vissuto, non ci crederei nemmeno io. Questo è l’epitaffio che Joseph Smith dedicò a se stesso, nel­ 106

l’approssimarsi della fine della sua storia. Aveva creato una religione, e questa si era fatta popolo. Qual era, al fondo, l’es­ senza di un’immaginazione capace di dar vita a una nuova re­ ligione e a un nuovo popolo, e di incoronare un re del Regno di Dio?

5 L’immaginazione religiosa di Joseph Smith: creazione di una religione

È assurta ormai a luogo comune l’idea che il mormonismo moderno tenda a ridursi a una delle numerose sette protestan­ ti, a un’eresia come tante del cristianesimo, mentre la religione di Joseph Smith, di Brigham Young, di Parley e Orson Pratt e di altri mormoni che ebbero un ruolo importante all’inizio costituiva uno scarto molto più radicale rispetto alla tradizio­ ne protestante. Il mormonismo del x ix secolo, nei suoi risvolti più profondi, aveva con il cristianesimo lo stesso rapporto che il primo cristianesimo aveva con il giudaismo. Questa tesi, pe­ raltro condivisa da diversi studiosi della religione mormone, è inoppugnabile, ma non è mio desiderio, in questa sede, analiz­ zarne le complesse implicazioni. Piuttosto, vorrei riprendere il discorso suH’immaginario che è alle origini della religione mormone, sulle visioni e sulle concezioni di Dio vissute ed ela­ borate da Joseph Smith. Come ebreo gnostico non sono certo nella posizione adatta per giudicare Joseph Smith nella sua veste di rivelatore, ma come studioso delle forme dell’immagi­ nazione nella cultura americana posso senz’altro affermare che la sua grandezza di profeta e di veggente è indubbiamente unica nella nostra storia. Ralph Waldo Emerson e W alt Whitman erano grandi scrittori, Jonathan Edwards e Horace Bushnell eminenti teologi, William Jam es eccellente psicologo, e tutti sono figure importantissime nella storia spirituale del no­ stro paese. Joseph Smith non eccelleva come scrittore e teolo­ go, per non dire poi come psicologo e filosofo; però il suo era un autentico genio religioso, ed egli è superiore a tutti gli ame­ ricani venuti prima e dopo per padronanza e capacità espres­ siva di quella che potremmo definire immaginazione poietica religiosa. Senza quest’ultima neppure il grande talento politico-organizzativo di Brigham Young e la dedizione eroica del popolo mormone delle origini sarebbero stati sufficienti ad as­ sicurare la sopravvivenza della nuova religione: per sostenere 108

un’innovazione così sconvolgente era necessaria un’immagi­ nazione mitopoietica dotata di una forza immensa. U na forza che quando agisce si manifesta invariabilmente in quella for­ ma fenomenica che Max W eber ci ha insegnato a chiamare ca­ risma. Per dare una valutazione adeguata dell’immaginazione di Smith occorre quindi partire da un’analisi dell’elemento cari­ smatico della sua personalità, dell’aura tutta particolare che lo circondava. Dopo aver svalutato, inflazionandone l’uso, ter­ mini come «glamour» e «fascino», ci tocca inevitabilmente ri­ correre al carisma - che in inglese ha una curiosa derivazione mista, di origine in parte teologica e in parte sociologica quando serve un termine che indichi l’elemento distintivo di un profeta e veggente. Elemento nel quale uno straordinaria­ mente dotato Joseph Smith viveva e si muoveva con tanto agio da identificarvi l’intero suo essere, finché alla fine e inevitabil­ mente andò incontro al martirio: non tanto per l’offesa arreca­ ta alla democrazia americana o alla morale sessuale della na­ zione, quanto per la minaccia che il suo carisma rappresenta­ va. Sotto questo particolare aspetto Smith può essere accosta­ to ad Aaron Burr, leader altrettanto carismatico anche se esclusivamente nel campo della politica, la cui visione di un impero nell’ovest americano aveva una stretta analogia con il sogno di potere che per poco Brigham Young non riuscì a rea­ lizzare. M a mentre Burr ora è parte del pittoresco americano, una sorta di om bra romanzesca che si proietta in un passato ormai lontano, Joseph Smith è parte vitale e integrante del su­ blime della tradizione americana, ancora vivo nel presente mormone, anche se coloro che credono in lui hanno scelto, per il momento, una loro personale e diplomatica versione di quel­ la che si potrebbe definire l’opzione giapponese: la procrasti­ nazione del sogno imperiale in cambio del trionfo economico. Se una qualche versione autentica della Religione Americana è già nata, come aveva scommesso Tolstoj, questa è il mormo­ nismo, il cui futuro sarà forse decisivo per la nostra e per tutte le altre nazioni. Ciò ci riporta di nuovo alla personalità cari­ smatica di Joseph Smith, che indicò ai suoi seguaci la strada da percorrere nella loro ricerca, e al genio poietico religioso che fu la sua immaginazione. Max Weber ha definito carisma quel potere soprannaturale 109

o divino che il profeta manifestava nel compiere miracoli, ri­ prendendo l’antico significato cristiano del termine del dono o della grazia capace di guarire o di tradursi in parole di ispirata eloquenza. Camille Paglia, nel suo ottimo saggio Sexual Personae, recentemente pubblicato, mette in discussione il riferi­ mento di W eber alle azioni e alle manifestazioni esteriori, e identifica il carisma con quella carica attrattiva {glamour) pre­ cristiana, citando a sostegno di ciò l’affermazione di Kenneth Burke secondo il quale glamour, originariamente, era una paro­ la scozzese usata per significare la nebbiolina magica che cir­ condava le persone predilette dalla divinità. Ecco qui la defini­ zione che Paglia dà del carisma, lucida e allo stesso tempo al­ larmante nella sua m arcata connotazione sessuale: Il carisma è l’aura numinosa che circonda una personalità narcisistica. Essa fluisce all’esterno da una linearità coerente, o meglio ancora da un’unitarietà dell’essere associata alla padro­ nanza di sé e a una controllata energia interna, e si traduce al­ l’esterno in un atteggiamento di conciliante benevolenza, e allo stesso tempo in un’autorevolezza impersonale. Il carisma è la radianza prodotta dall’interazione tra gli elementi maschili e quelli femminili in una personalità spiccata. La donna cari­ smatica possiede una forza e un’autorità maschili; l’uomo cari­ smatico ha una bellezza incantevolmente femminile. Entrambi sono passionali e freddi insieme, risplendenti di quell’amore di sé che sottende l’attesa dell’incontro sessuale. La pregnante riduzione all’elemento sessuale che caratteriz­ za questa definizione è necessariamente destinata a produrre delle distorsioni quando venga applicata alla personalità di un profeta, chiunque egli sia. Eppure nessuno può studiare le bio­ grafie di Joseph Smith o leggerne le descrizioni fornite dai con­ temporanei senza provare la sensazione di un suo fascino mi­ sterioso. Quale che sia la definizione prescelta di carisma, si tratta pur sempre di una qualità che il profeta mormone pos­ sedeva a un livello insuperato nella storia americana. M algra­ do la sua mancanza di istruzione formale, questo grande auto­ didatta avrebbe potuto fare una sfolgorante carriera politica ed essere ricordato oggi allo stesso modo in cui ricordiamo il suo contemporaneo Stephen Douglas, se solo il suo genio non si fosse manifestato nel campo assai problematico della religio­ ne e del suo farsi creativo. Altri americani hanno fondato reli­ 110

gioni; l’ultimo, in tempi ancora recenti, è stato Elijah M uhammad. La differenza tra loro e Smith non riguarda il successo ottenuto: dopo tutto siamo circondati ancora adesso da testi­ moni di Geova, Avventisti del Settimo giorno e Scientisti cri­ stiani, oltre che da musulmani neri, entusiasti della New Age e amenità varie, come i teosofisti, gli scientologisti e i moonies. Si studiano queste fedi e si cerca di capire che genere di attra­ zione esercitino sulle persone che ne sono attratte; nessuna di esse però possiede l’inesauribile potenza immaginifica della ri­ velazione di Joseph Smith. Questo giudizio mi pare autorizza­ to da una vita intera trascorsa a studiare e ad analizzare le vi­ sioni dei grandi poeti e dei grandi pensatori. Con mia grande soddisfazione i ricercatori non hanno anco­ ra stabilito esattamente fino a che punto Joseph il Profeta co­ noscesse la tradizione esoterica ebraica, ossia la Cabala, e le eresie gnostiche della religione cristiana. Sarebbe interessante anche sapere quale sia stata l’influenza di tali fonti su Brigham Young, poiché certe sue speculazioni su Dio e Adamo hanno un’impressionante somiglianza con antiche suggestio­ ni. Quel che è chiaro è che Smith e i suoi apostoli ripristinaro­ no quel che Moshe Idei, il più eminente studioso vivente della Cabala, mi dice essere stata la religione arcaica e originaria degli ebrei, un giudaismo addirittura anteriore allo yahwista, l’autore delle storie più antiche di quelli che oggi chiamiamo i Cinque Libri di Mosè. Fare una simile affermazione significa non esprimere alcun giudizio, né positivo né negativo, sull’au­ tenticità del Libro di Mormori o della Perla di gran valore. L’osser­ vazione, tuttavia, trova sicura conferma nella ripresa creativa attuata da Smith rispetto a elementi cruciali della religione ebraica arcaica, elementi omessi dal giudaismo normativo e dalla Chiesa dopo di lui. Il Dio di Joseph Smith è un’audace riappropriazione del Dio di certi gnostici e cabalisti, saggi pro­ feti che, al pari dello stesso Smith, asserivano di essere tornati alla vera religione di Yahweh o Geova. Se Smith si è sbagliato, lo stesso vale per loro, ma non capisco proprio quale impor­ tanza possa avere affermare che i cabalisti o Joseph Smith era­ no in errore. Il Dio del giudaismo normativo e delle Chiese tradizionali, al giorno d’oggi, è alquanto più remoto del Dio dei testi più antichi della Bibbia, ovvero dei testi dello Yah­ wista, di quanto lo sia il Dio a tutta prima sorprendente di Jo ­ seph Smith. I li

La teologia non ha nessun ruolo nella Bibbia ebraica, ed è stata inventata da Filone e da altri ebrei alessandrini allo sco­ po di giustificare sul piano teorico l’abbandono del presunto antropomorfismo attribuito a Dio nella visione più antica del­ lo Yahwista. L’antropomorfismo, ossia l’idea che Dio possa essere umano, troppo umano, è in ogni caso una concezione primitiva e semplicistica, come intuitivamente comprese Jo ­ seph Smith. Noi siamo uomini e donne, non alberi; presumi­ bilmente il Dio degli alberi è dendromorfo. Quel che ai teologi spiace in uno Yahweh antropomorfo è in realtà la visione bi­ blica, ad essa necessariamente correlata, di uomini e donne teomorfi: Abramo, Giacobbe, Giuseppe, Tam ar, Davide. La genialità religiosa di Joseph Smith, profondamente america­ na, è stata l’unica capace di riprendere e fare proprio il senso biblico del teomorfismo, un atto che ha inevitabilmente porta­ to il profeta alla più audace delle sue restaurazioni, quella del­ la poligamia patriarcale. Dell’audacia di questa scelta per il momento non parlerò, dato che Smith, nel corso della sua attività, ne differì la non fa­ cile realizzazione pratica fino alla compiuta messa a punto dei suoi fondamenti religiosi, mentre noi siamo solo agli inizi della ricostruzione della visione teologica globale di Smith. Egli era perseguitato dalla figura di Enoc, che nei testi ebraici antichi era stato trasformato d’incanto nell’angelo M etatron, talvolta definito lo Yahweh minore. Di statura gigantesca, raggiante di luce, questo angelo-patriarca era noto per la sua perfetta cono­ scenza dei segreti di Dio. Se la distinzione tra Dio e l’uomo sfuma i suoi contorni un po’ ovunque nella Cabala, questo va­ cillare è senz’altro costante nella doppia figura di Enoc-Metatron. Enoc, che camminò con Dio, è chiamato da Dio al cielo e pertanto non muore. I cabalisti interpretavano l’ascesa al cielo di Enoc come la restaurazione dello stato adamitico: non quel­ lo di Adamo nel Paradiso terrestre, bensì quello di un preesi­ stente antropos cosmico, Dio angelo e uomo allo stesso tempo. Tra i mormoni è una verità insieme arcinota e im portantis­ sima il fatto che Joseph Smith abbia annullato la distinzione tra Antico e Nuovo Testamento, ed eliminato tutta la storia ecclesiastica che si frapponeva tra lui e i testi biblici. Volendo usare un termine strettamente retorico-letterario per definire l’attività del profeta in quanto creatore di una religione, po­ 112

tremmo dire che Joseph Smith ha realizzato una transunzione, accomunando i suoi Santi dell’Ultimo giorno alla condizione perennemente originaria dei grandi patriarchi e di Enoc in particolare. In una transunzione si verifica un’inversione tra stato iniziale e stato successivo o finale, e tutto ciò che sta nel mezzo viene annullato. Non è certo che Joseph Smith avesse letto una versione dell’apocalittico Libro di Enoc, ma non sono propenso a credere che dietro a tante creazioni dell’immagina­ zione di Joseph Smith debbano necessariamente stare delle fonti scritte. Semmai è stato Enoc a scegliere Joseph Smith, perché le tradizioni esoteriche lo avevano sempre celebrato co­ me l’archetipo dell’uomo che si fa angelo, e addirittura Dio. La rivelazione di Enoc è giunta a Joseph il Profeta esatta­ mente come era giunta ai cabalisti, cioè per dare a noi un Dio più umano e un uomo più divino. M a se l’Enoc della Cabala era una figura solitaria, salita al cielo per divenire M etatron, una versione dell’arcangelo Michele, è invece caratteristico di Joseph Smith che il suo Enoc abbia fondato una città, Sion, e qui abbia raccolto e unito un popolo, per poi portare città e popolo con sé in cielo. Al compiersi del tempo, profetizzò Jo ­ seph, Enoc e la sua città sarebbero ridiscesi in terra per fon­ dersi con la Sion di Joseph Smith, la Nuova Gerusalemme dei mormoni, dove i Santi dell’Ultimo giorno sarebbero giunti a raccolta da ogni parte del mondo. Il compiersi di questa profe­ zia avrebbe reso chiara la stretta relazione - o forse addirittura l’identità virtuale - tra Enoc e Joseph. Se la religione di Joseph è una storia sacra, in cui parole, eventi e cose sono tutt’uno, così come era per gli antichi ebrei, allora l’esistenza concreta di Joseph Smith deve necessariamente adeguarsi al modello fornito da Enoc, e la storia laica americana ricorderà Smith, e con lui Brigham Young, come un fondatore di città. Tuttavia sul piano pratico la differenza fondamentale tra i gentili e i Santi dell’Ultimo giorno consiste nel fatto che la storia di que­ sti ultimi è storia sacra, il che ci riporta di nuovo alla scelta di Enoc, caduta su Joseph il Profeta. Il genio religioso di Smith si manifestò sempre in quella che potremmo definire la sua perfezione carismatica, il suo istinto sicuro della coerenza intrinseca ai parallelismi tra Bibbia e mormoni. Posso attribuire solo al suo genio, o demone, il por­ tentoso recupero di elementi della teurgia ebraica antica che 113

avevano cessato di far parte del repertorio tanto del giudaismo normativo che del cristianesimo, sopravvivendo solo nelle tra­ dizioni esoteriche, alle quali è improbabile che Smith abbia avuto accesso diretto. La teurgia consiste di una serie di azioni volte a influenzare Dio non solo nella sua natura dinamica ma anche nelle sue relazioni con gli uomini. Il Dio di Joseph Smith, come giustamente ci dicono i teologi mormoni, era un Dio finito, essendo soggetto sia allo spazio sia al tempo, come necessariamente si dà per ogni essere materiale, e a maggior ragione per un essere dinamico e mosso dalle passioni. Essen­ do una persona di tal fatta, il Dio di Smith si scontra con tutta una serie di limiti e ha un grande bisogno che altre intelligenze cooperino con la sua. Smith non ha mai narrato le fatiche teur­ giche che per Dio si sono addossati gli altri dei, gli angeli o i credenti mormoni, ma la sua visione di Dio suggerisce proprio le linee essenziali di una simile teurgia. Il Dio di Smith, dopo tutto, agli inizi era un uomo e ha combattuto eroicamente con­ tro e dentro il tempo e lo spazio, in modo non dissimile da quello dei coloni e dei rivoluzionari americani. E anche ora, pur essendo asceso in gloria al cielo, Dio resta necessariamen­ te soggetto alla contingenza spazio-temporale. Mi viene spon­ taneo pensare per analogia al Dio di Joseph il Profeta ogni vol­ ta che leggo il testo dello Yahwista, o autore J, che ha scritto le narrazioni più antiche del Pentateuco: quello Yahweh che sce­ glie con le proprie mani l’arca di Noè, che scende sulla terra per fare un’ispezione sul luogo di Babele e di Sodoma, che consuma un pasto insieme a due angeli sotto i terebinti della tenda di Abramo a M amre, è molto vicino, per personalità e per la dinamica passionale del suo agire, al Dio di Joseph Smith: molto più vicino a lui che alla divinità platonico-aristotelica di sant’Agostino e di Mosè Maimonide. Il Dio di Smith non dichiarerebbe mai che può essere pre­ sente in ogni luogo e in ogni momento, a suo piacere, pur avendo assai poco in comune con la numinosità assente della teologia negativa. Più semplicemente, il Dio del profeta ameri­ cano non può essere in ogni luogo nello stesso tempo benché i suoi poteri siano, al pari dei nostri, continuamente perfettibili. In nessun altro momento il genio di Joseph è così profonda­ mente americano come quando dichiara che Dio ha organiz­ zato noi e il nostro mondo, pur non avendo creato né gli uni né 114

l’altro, dal momento che sia per antichità di origini sia per pe­ culiarità noi siamo pari a lui. Emerson ha acutamente antici­ pato David Brion Davis nelFintuire che il mormonismo era l’ultima espressione del puritanesimo, l’ultima filiazione della discendenza di Abramo. La differenza tra Smith e i suoi pre­ decessori puritani ed ebrei sta esattamente nel punto di mag­ giore affinità che un Emerson giovane avrebbe sentito nei suoi confronti sul piano dell’immaginazione, vale a dire nel fatto di avere creato l’immagine di un Dio dentro di noi, che opera in­ faticabilmente per dare maggior forza all’Uomo elevato al re­ gno dei cieli. Quel che W hitman cantava si fa concretezza in Joseph Smith: essere Adamo allo spuntare del giorno, al co­ spetto di un Dio che non lo ha creato e che ha bisogno di lui per divenire dio egli stesso. Ci addentriam o ulteriormente nel mistero del genio religio­ so di Smith quando cerchiamo di intuire il meccanismo attra­ verso il quale egli giunse a scoprire in Enoc i segni rivelatori del proprio carisma. D. Michael Quinn, nel suo eccezionale Early Mormonism and thè Magic World View (1987), collega la ri­ velazione del sacerdozio avuta da Smith nel 1832 alle tradizio­ ni esoteriche invece che a quelle cristiane ufficiali, passando poi ad analizzare gli insegnamenti impartiti da Smith tra il 1842 e il 1844, di cruciale importanza per la dotazione spiri­ tuale del tempio. Che si sia basato su William W arburton e George S. Faber o, come è più probabile, abbia operato una rielaborazione autonoma, è evidente che Smith era lucida­ mente consapevole di effettuare una vera e propria restaura­ zione degli antichi misteri associati a Enoc. Per una sorta di geniale intuizione, Joseph il Profeta faceva proprio, recupe­ randolo, quel che Moshe Idei definisce il mistero centrale del­ la Cabala, generalmente espresso nella formula criptica «Enoc è Metatron»: un’identificazione grazie alla quale l’ascesa al cielo di Enoc è anche un ritorno all’Adamo originale, assai dif­ ficilmente distinguibile dallo stesso Yahweh. Solo i mormoni sono nella posizione di definire l’essenza della loro religione, ma per un osservatore esterno come me nessuna rivelazione di Smith è più im portante e più centrale di questa identificazione stabilita dal profeta tra sé e l’Enoc cabalistico. L’unione di pa­ triarca e angelo in Enoc è uno dei tropi fondamentali della C a­ bala per significare l’estasi dell’unione con il principio divino, 115

della fusione completa di Dio e uomo. Penso che Smith avreb­ be capito immediatamente la grande sentenza delFantico rab­ bino cabalista Isacco di Accra, secondo la quale «Enoc è Metatron» poteva tradursi anche nella formula «fuoco che divora fuoco». M etatron, talvolta detto dai cabalisti il principe di questo mondo, un tempo era Enoc, un uomo che camminava su questa terra, e non a caso Enoc è stato assunto da Joseph Smith a paradigma del suo Dio finito, progredito da Adamo a Yeowah dalPumanità alla divinità. Quella che chiamo Religione Americana è un fenomeno as­ sai più ampio e diffuso di quanto non sia la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi delPUltimo giorno, e in quanto tale ritengo le si possano attribuire tre principi fondamentali. Il primo è che ciò che di più antico e più nobile esiste in noi risale a un tempo di gran lunga anteriore alla Creazione, con la quale pertanto non ha nulla da spartire. Il secondo è che ciò che ci rende libe­ ri è la conoscenza, intesa come storia di fatti e avvenimenti piuttosto che come accettazione supina di una fede. Il terzo è che questa libertà contiene in sé un elemento di solitudine, un elemento cioè impregnato della solitudine derivante dal ritar­ do storico del tempo americano, nonché dall’esperienza ame­ ricana dell’abissalità degli spazi. Fattore cementante di questi principi è la persuasione (anch’essa americana, pur nel varia­ re o velarsi delle sue forme) che noi siamo divinità mortali de­ stinate a ritrovarci un giorno in mondi ancora da scoprire. Nessuno di questi tre principi è assimilabile, per intero o par­ zialmente, alla religione mormone, così come non lo è questa bellissima e terribile persuasione; tuttavia sia i principi sia la persuasione hanno più di un collegamento con la personalità carismatica di Joseph Smith il Profeta. David Brion Davis, lo storico americano che mi ha aiutato a chiarire tanti aspetti del mormonismo, ha sottolineato che il fatto più importante della nostra storia religiosa delle origini è la tendenza tutta americana ad allontanarsi dall’idea di una Chiesa nazionale. Nella Fucina della Spiritualità della regione settentrionale dello stato di New York il proliferare dei revivalisti ebbe l’effetto di diffondere inquietudini e dubbi tra i nuovi abitanti del New England che, come gli Smith, si trovavano di fronte a una mescolanza incomprensibile di dottrine e di pre­ dicatori, mentre il loro desiderio era quello di una chiesa legit116

rimata dalla discendenza da un’autorità consolidata nel tem­ po. Un Dio personale, una storia punteggiata da interventi della provvidenza, una teocrazia di santi: questa era l’eredità puritana. In una sorta di anacronistico ritorno al puritanesi­ mo, due secoli dopo i mormoni sono divenuti dei convinti as­ sertori del monismo, nonché un gruppo culturale contraddi­ stinto da un’idolatria del lavoro senza pari in tutta la storia delle religioni. Come fa notare Davis, il loro vangelo del lavoro aveva valore collettivo più che individuale, ed essi partirono per la frontiera portandosi dietro un’organizzazione e un mo­ do di pensare che dovevano alienare loro qualunque simpatia da parte degli individualisti violenti ed egoisti che li avrebbero circondati. Se voi vi dirigeste verso ovest al seguito di un nuo­ vo Enoc per erigere una nuova Sion, non potreste fare a meno di vivere il vostro impegno a costruire una nazione in modo completamente diverso da quello delle popolazioni limitrofe, che consiste nel puro e semplice ampliamento dei confini della repubblica. U na volta garantite la lealtà di gruppo e l’autodi­ sciplina mormoni, le vostre potenzialità economiche e politi­ che diventerebbero abbastanza grandi da suscitare negli altri un certo allarme. M a se il vostro Enoc nella sua veste di Profe­ ta, Veggente e Rivelatore ripristinasse anche le antiche usanze matrimoniali dei patriarchi, allora il vostro potenziale di di­ sturbo rispetto all’ordine stabilito diventerebbe davvero straordinario. L’innovazione, o per meglio dire la restaurazione più note­ vole attuata da Joseph Smith, quella del matrimonio poliga­ mo, dovette essere abbandonata dai Santi dell’Ultimo giorno come prezzo da pagare in cambio delPammissione dello U tah all’unione federale. Si sente dire a volte che i mormoni avreb­ bero comunque scelto di abbandonare, prim a o poi, la poliga­ mia, ma chi abbia letto i racconti dell’eroismo mai celebrato del presidente John Taylor e di altri Santi, martirizzati dalla legge federale per essere rimasti fedeli a Joseph Smith, non si lascerà facilmente convincere da queste affermazioni. In que­ st’opera di restaurazione il genio di Smith si è dimostrato deci­ samente superiore a quello di Maometto, e la sincerità e la ne­ cessità religiosa della sua visione sono al di sopra di qualsiasi dubbio. Troviamo le formulazioni fondamentali della creativi­ tà religiosa di Smith nella straordinaria sequenza della dottri­ 117

na e delle alleanze che inizia con il battesimo per i morti nelle sezioni 127 e 128, per passare quindi alla resurrezione del cor­ po nella sezione 129, e di qui alla tangibilità dei corpi del Pa­ dre e del Figlio nella sezione 130. Im m ediatamente dopo, nella sezione 131, viene stabilita la perenne alleanza del matrim o­ nio, a cui fa seguito la più straordinaria tra tutte le rivelazioni del profeta, la famosa sezione 132 nella quale i principi essen­ ziali per l’acquisizione della natura divina sfociano direttamente nella pluralità delle mogli. Gli storici, tanto mormoni che gentili, hanno ricostruito la lunga e quasi impercettibile evoluzione del principio del matrimonio poligamo in Smith, collocandola nel periodo che intercorre tra il 1831 e il 12 luglio 1843, quando cioè venne completata la sezione 132. Questa evoluzione contiene al suo interno il corpo più originale delle speculazioni di Smith, che nemmeno lui osò formulare in mo­ do esplicito. Se il Dio di Smith era un uomo in carne e ossa poi elevatosi al cielo, padre di Gesù in senso letterale e generatore delle intelligenze nelle varie sfere, non era anch’egli poligamo? Il problema non è tanto quello di distinguere il Dio dei mor­ moni da Adamo (una distinzione, peraltro, non del tutto chia­ ra in Brigham Young), ma piuttosto quello di distinguere Dio da ciò che un leader teomorfo come Young avrebbe potuto progressivamente giungere a essere. È tipico dell’audacia del genio di Smith non aver mai stabilito con chiarezza questa di­ stinzione. L’infuocata retorica di Smith comunica all’intera sezione 132, come anche alla sezione 37, un’intensità tutta particolare, addirittura un’estasi mistica: Abramo prese le concubine ed esse gli partorirono dei figli e questa fu reputata una cosa giusta, poiché esse gli erano state mandate ed egli seguiva la mia legge; così anche Isacco e Gia­ cobbe, poiché non altro fecero che quel che era loro comandato di fare, sono giunti alla loro elevazione al cielo, secondo la pro­ messa, e siedono sul trono e non sono angeli, ma dei. Ciò che qui Joseph implica è palese: ricevere le concubine ha la funzione di far trascendere lo stato angelico per elevarsi a quello divino. Se Joseph ha dedicato tutta la sua esistenza alla lunga e difficile opera di restaurazione della religione arcaica, nella quale spirito e materia, Dio e uomo, potevano differire per grado ma non per qualità, il culmine di questo poderoso 118

sforzo non poteva essere che il matrimonio poligamo. M a si può andare anche oltre: il disegno di Joseph era di una radica­ lità al limite della tolleranza nella storia della religione. Il suo intento profetico era nientemeno che una modificazione della natura um ana nella sua totalità, ovvero l’attuazione nella sfe­ ra spirituale di ciò che la Rivoluzione Americana aveva inau­ gurato nella sfera del sociale e del politico. L’im portanza di re e nobili per gli americani era totalmente decaduta; il vecchio ordine gerarchico era stato abolito. Joseph Smith nell’ultima fase abolì concretamente la più intoccabile delle gerarchie del cristianesimo ufficiale: il matrimonio poligamo doveva essere la chiave segreta per aprire il cancello che separava il divino dall’umano. Vorrei sottolineare di nuovo la profonda affinità che lega Smith alla Cabala, poiché in entrambi la funzione del rappor­ to sessuale sacralizzato è essenzialmente teurgica. A questo proposito, o l’influenza della Cabala su Smith è stata molto più diretta di quanto noi sappiamo, o, cosa assai più probabi­ le, il suo genio ha reinventato la Cabala durante la faticosa opera di restaurazione del giudaismo arcaico. Prendiamo ad esempio questo passo, tratto da Moshe Idei, ove ho sostituito «mormonismo» o «mormone» a «Cabala» e «cabalistico», la­ sciando inalterato il resto: Al centro della prospettiva della teurgia mormone vi è Dio, non l’uomo; a quest’ultimo sono attribuiti poteri inimmagina­ bili, da usare allo scopo di restituire splendore alla gloria divi­ na o all’immagine divina; solo la sua iniziativa può rendere mi­ gliore la divinità... Il mormonismo teurgico fa propria una ca­ ratteristica basilare della religione ebraica in generale: dal mo­ mento che si concentra più sull’azione che sul pensiero, l’ebreo è responsabile di ogni cosa, Dio compreso, essendo il suo ope­ rato di cruciale importanza per il bene del cosmo in generale. La rilevanza data da Joseph Smith ai poteri umani raggiun­ se necessariamente l’apoteosi nella sua celebrazione del m atri­ monio poligamo, che per lui diventò la nuova e perenne al­ leanza tra Dio e i Santi delPUltimo giorno. Gli storici, mormo­ ni o gentili, hanno documentato che Smith si spinse tanto avanti da riconoscere una sorta di poliandria alle mogli di pa­ recchi mormoni che ricoprivano alte cariche. Anche qui esisto­ no dei precedenti nella religione arcaica, tra i quali per esem­ 119

pio la complessa storia di Shabbetaj Zevì, il Messia cabalisti­ co. Joseph Smith, a un livello molto più alto di qualsiasi altro innovatore religioso del suo secolo, ha veramente provocato una nuova e originale rottura dei vasi. Sottovaluteremmo il suo genio se non gli dessimo atto del desiderio di provocare nei suoi seguaci un cambiamento ontologico, un modo di essere interamente nuovo, per alto che fosse il prezzo da pagare. Il mormonismo di questo secolo e di oggi non è oggetto di questo mio studio, ma è palese che esso rappresenta solo un compro­ messo con l’America dei gentili, e non certo la visione autenti­ ca di Joseph Smith. La sacralità della sessualità umana, per Smith, era inseparabile dal sacro mistero dell’incarnazione, senza il quale non sarebbe possibile la condizione divina. Dio e Gesù sono uomini in carne e ossa, e coloro che si perfezioneranno al punto da eguagliarli non dovranno rinunciare al loro corpo. La teurgia di Smith, come quella dei cabalisti, è essen­ zialmente sessuale, e in quanto tale esige la piena soddisfazio­ ne dei desideri del profeta. Uno studioso, M ark Leone, ha posto l’accento sulla «com­ plessità virtualmente impenetrabile che le prime formulazioni e le prime attuazioni pratiche del matrimonio poligamo hanno in Joseph Smith». Certamente questa complessità è immensa­ mente intricata, né più né meno dell’andamento tortuoso delle dottrine e della vita di Shabbetaj Zevì, così come ce lo descrive Gershom Scholem. M a il Messia della Cabala aveva aderito alla modalità gnostica dell’antitetico; il suo profeta, il geniale Nathan di Gaza, sosteneva che Shabbetaj doveva compiere una discesa fino agli involucri rotti per liberare le scintille, se­ condo una modalità che Scholem definisce «redenzione attra­ verso il peccato». L’ascesa di Smith al matrimonio poligamo non ha nulla di antitetico: è un’esaltazione della vita, e addi­ rittura un’esaltazione di Dio. In parole più semplici, tutto ciò si può tradurre nella nozione che Joseph il Profeta cercava di seguire il modello ebraico, nel quale una religione si fa popolo. Segnati dalla gloria e dallo stigma del matrimonio poligamo, tra il 1850 e il 1892 i mormoni diventarono davvero un popolo a sé stante, una nazione vera e propria. Q uest’ultima espres­ sione tuttavia è riduttiva e inadeguata; il desiderio di Joseph Smith non era semplicemente di fare dei suoi Santi un gruppo a sé. Il suo desiderio era che diventassero dei, e stabilì che per 120

una simile apoteosi la poligamia era una necessità. Il mistero più profondo di quella che oserei definire la Cabala o tradizio­ ne segreta di Joseph Smith risiede nel perché e nel come egli sia giunto a stabilire un nesso tra natura divina e matrimonio poligamo. Qual era il contenuto immaginativo di quel nesso? Per gli antropologi Totem e tabù di Freud non merita maggior considerazione del Libro di Mormori, e né i freudiani né i mor­ moni gradirebbero vedere le due opere accomunate l’una al­ l’altra. M a Totem e tabù è un esempio di immaginazione poieti­ ca anti-religiosa, così come il Libro di Mormori è un esempio di immaginazione poietica religiosa. Nei suoi primi scritti Smith rigetta la poligamia, pur accennando al fatto che una successi­ va rivelazione avrebbe potuto imporne l’adozione. L’identifi­ cazione proposta da Freud tra Dio e il capo dell’orda tribale ucciso e cannibalizzato, assassinato dai suoi stessi figli perché monopolizzava tutte le donne, può essere letta come il riflesso, in uno specchio scuro, della successiva rivelazione giunta a Smith sulla poligamia. Il testo che i padri della Chiesa posero in chiusura del loro Antico Testamento, l’ammonizione finale del profeta M alachia sulla conversione del cuore dei padri ver­ so i figli e del cuore dei figli verso i padri, era per Joseph Smith una vera e propria ossessione. La visione di Smith del m atri­ monio poligamo è generativa di molti miti contemporanea­ mente. I Santi dell’Ultimo giorno che hanno l’autorità neces­ saria per sostenere la poligamia diventeranno dei, e i figli di quegli dei convertiranno i cuori ai loro padri, diventando dei a loro volta. Credo sia stato Orson Hyde, uno dei primi capi mormoni, a teorizzare che Gesù avesse sposato M aria, M arta e l’altra M aria, il che non è poi molto lontano dall’associare Dio stesso alla pratica del matrimonio poligamo. Si può presumere che Joseph Smith avesse pensato alla pra­ tica del matrimonio poligamo già molto prima del 1831, dato che la sua immaginazione è del tipo che dispiega a poco a poco un contenuto già formato, anziché procedere per accumulazio­ ne e nuovi sviluppi. Le particolari circostanze in cui versava la nazione, e insieme a queste la natura um ana, fecero sì che l’audacia della visione di Joseph Smith fosse oscurata nella sua grandezza quando la sua chiesa prese le distanze da lui, nel secolo che separa il 1890 dal 1990. Il mormonismo, nato dal puritanesimo, è oggi ritornato al puritanesimo e ha dovuto 121

dimenticare che Smith aveva in mente una rottura religiosa radicale quanto la nascita dellTslam. Le dottrine più originali di Smith hanno con il protestantesimo lo stesso rapporto che la Cabala ha con il Talmud. M a quale posizione occupano nel mormonismo odierno queste sue dottrine? Prima di subire il martirio, nel 1844, Joseph Smith si era fatto sicuramente inco­ ronare re del Regno di Dio, e la Chiesa dei Santi delPUltimo giorno nasconde questo momento cruciale della sua storia, co­ sì come sottace la tradizione che vuole Brigham Young emulo di Smith nella replica finale di questo atto di sublime audacia. Eppure tacere momenti così sublimi per i mormoni significa rinunciare, almeno per il momento, a un’affermazione di gran­ diosa potenza immaginativa, cioè presentarle come la vera Re­ ligione Americana, l’incarnazione spirituale del Sublime ame­ ricano. «Joseph il Profeta voleva veramente tutte le mogli degli uo­ mini a cui le chiedeva?» è la domanda retorica che durante un sermone pose Jedediah G rant nel 1844. A questa domanda G rant dava una risposta negativa, affermando che in quel modo Smith intendeva solo mettere alla prova il suo popolo, ma nessuno al giorno d’oggi dovrebbe considerare questo in­ terrogativo come un problema ancora aperto. Joseph Smith e Brigham Young condividevano una visione dell’autorità mol­ to lontana da quella che sarebbe ritenuta accettabile oggi dai loro discendenti. Gli studiosi, non importa se mormoni o gen­ tili, possono solo offrire un’interpretazione erronea della visio­ ne di Smith, sia che il contenuto dei suoi scritti sia travisato in senso debole o in senso forte. Il travisamento in senso più for­ te, e proprio perciò la migliore interpretazione, è necessaria­ mente quello fatto da Brigham Young, il quale fondò il suo re­ gno sulle aspirazioni al matrimonio poligamo di Joseph il Pro­ feta. Per trent’anni Young fu a capo della Chiesa, e quasi sem­ pre nell’accezione letterale del termine. Benché l’intera sua eredità sia stata svuotata di senso tredici anni dopo la sua morte, egli visse abbastanza a lungo da vedere realizzata al­ meno una parte del sogno di Smith. Il matrimonio celeste e il battesimo per i morti sono oggi teorie astratte, essendo ele­ menti di differenziazione ormai svuotati di significato, nel mo­ mento in cui non vi è più un sistema di matrimonio poligamo. Visionario e pragmatico al medesimo tempo, Joseph il Profeta 122

condivideva la preoccupazione tutta americana per il paradiso terrestre, sicché insegnò a Young, quanto meno attraverso l’e­ sempio, che i misteri del Regno andavano tradotti in pratica qui e subito, in privato quando erano malvisti dai gentili, e in pubblico - anche se mai in termini accessibili a tutti - quando finalmente una nuova Sion fosse stata fondata. Che le mogli di Brigham Young siano state ventisette oppu­ re cinquantacinque è uno di quegli interrogativi che fanno il paio con le speculazioni degli studiosi quando si chiedono se Joseph Smith abbia veramente contratto ottantaquattro m a­ trimoni nei tre anni precedenti la sua uccisione. Divertimento più o meno puro, questo affanno contabile degli eruditi testi­ monia comunque della serietà di una ricerca, profondamente sentita da entram bi gli uomini, ugualmente certi che nel m a­ trimonio celeste e nella progressiva elevazione alla divinità che ne conseguiva consistesse la vera essenza del Santo dell’U lti­ mo giorno, nonché il centro propulsivo della religione mormo­ ne nel suo farsi. Senza il matrimonio poligamo, inteso come modalità strumentale del matrimonio celeste, entrambi i veg­ genti avrebbero percepito la loro ricerca ideale come un Amleto senza principe. La vera e propria epifania del mormonismo non ha avuto luogo quando il profeta era ancora in vita, e va identificata con la proclamazione ufficiale del matrimonio po­ ligamo da parte della Chiesa, avvenuta nell’agosto del 1852: indubbiamente l’atto spirituale di sfida più coraggioso di tutta la storia americana. Il bellissimo discorso tenuto da Orson Pratt in quell’occasione ovviamente non è incorporato nelle scritture ufficiali dei mormoni, ma forse un giorno lo sarà, poi­ ché vi aleggia lo spirito di Joseph Smith. Il presupposto sincero e realistico dal quale muove Orson Pratt è che la differenza tra un gentile nel suo pieno vigore, do­ tato di talento, di intelligenza e di potere, e un Santo dell’U lti­ mo giorno sta nel fatto che il gentile è un ipocrita e un adulte­ ro, mentre il Santo non ha bisogno di esserlo e non lo è. Essen­ do la poligamia intrinseca alla natura maschile, la restaurazio­ ne di tutti i caratteri antichi richiedeva la santificazione della poligamia, non il rinnegamento di una natura impossibile da correggere. Joseph Smith aveva scoperto in se stesso una natu­ ra poligama, ed evidentemente era arrivato a pensare che le sue doti profetiche sarebbero venute meno se quella natura 123

fosse stata contrastata o addirittura soffocata. Quei mormoni che oggi sostengono che Smith istituì il matrimonio poligamo contro la sua volontà, solo perché un angelo m andato dal cielo lo minacciava con la spada sguainata, pena la cessazione del suo dono profetico, non colgono ciò che realmente si cela in questa metafora. Orson Pratt capì e disse a chiare lettere quel che la metafora stava a significare. O i nostri corpi, come il corpo di Joseph il Profeta, erano tabernacoli dedicati all’edificazione del Regno Celeste, oppure diventavano necessaria­ mente sepolcri per l’adulterio. L’America dei gentili si rifiutò di vedere in questo insieme di enunciati una religione, protetta in ciò dalla costituzione, ma l’America dei gentili, oggi più di allora, è diventata un paese nel quale la profezia ha cessato di esistere. Quando William Blake diceva che una legge identica per il bue e per il leone è sinonimo di ingiustizia, si faceva pro­ feta delle lotte che avrebbe dovuto sostenere Brigham Young e dell’esilio non ufficiale che avrebbe subito John Taylor. In America ci sono state tante altre creazioni religiose, pri­ ma, durante e dopo quella di Joseph Smith, ma nessuna può eguagliare la sua per coraggio, vitalità o globalità della visio­ ne, né tantomeno per l’onestà intellettuale con cui sono state affrontate le conseguenze derivanti dal possesso di doti cari­ smatiche. Retrospettivamente, appare abbastanza chiaro il motivo per cui Smith, Parley Pratt e tanti altri mormoni furo­ no assassinati, e i Santi sospinti sempre più a ovest, di stato in stato, di territorio in territorio, dall’incessante violenza perse­ cutoria della canaglia inferocita. Se davvero Joseph Smith era un profeta e la sua parola era autorevole, l’America non pote­ va essere che un’immensa Sodoma lanciata in folle corsa verso una distruzione inevitabile, in esilio da Dio e dalla discesa di Cristo sul suolo americano. Il mormonismo oggi è uno dei pi­ lastri del sistema politico-economico americano, un’ulteriore celebrazione dello stato delle cose nella migliore delle società possibili. M a Joseph Smith, proprio in virtù di quella sua na­ tura geniale e autorevole, profetizzava contro lo stato delle co­ se in una società caduta nel peccato e ingiusta. Quella dei pro­ feti biblici è una professione tra le più pericolose, e la loro vita trascorre nell’attesa di un m artirio tutt’altro che impossibile. Joseph Smith, il più autentico e il più ricco di doti tra tutti i profeti americani, aveva un senso delFumorismo troppo ame­ 124

ricano e troppo spiccato per non cogliere, se solo potesse tor­ nare su questa terra, tutta l’ironia insita nella mutazione subi­ ta dalla sua eredità spirituale. Se la profezia è un’opzione difficile, la fondazione di una re­ ligione è un’impresa tanto ardua e terribile che nessuno do­ vrebbe illudersi di poterla ancorare a param etri fissi. M isurato sulla scala gigantesca dell’immaginazione di Maometto, Smith parrebbe un nano; dopotutto nel Libro di Mormori è la voce di un angelo che parla, mentre la sola voce che udiamo nel Corano è quella di Allah in persona. I Santi di Smith sono sopravvissuti e prosperano, però costituiscono il due per cento circa dell’intera nazione, e una frazione minuscola della popo­ lazione mondiale. Parlo da una posizione egualmente distante dal cristianesimo e dall’islamismo quando dico che senza dub­ bio l’Islam è più fedele all’insegnamento di M aometto di quanto si possa dire del mormonismo attuale rispetto alla vi­ sione di Joseph Smith nella sua integrità. La storia, nel nostro paese, non si colloca né a un’origine né a una fine. La conti­ nuità materiale del prodotto dell’immaginazione di Smith è assicurata, e la sua durata coinciderà, più o meno, con la du­ rata della nazione. M a Joseph il Profeta ha assegnato un posto centrale alla legge della consacrazione: spirito e temporalità dovevano dimorare insieme. In virtù di ciò il mormonismo è una rivelazione a sé stante e originale, né più né meno di quanto lo furono il giudaismo, il cristianesimo e l’islamismo, e una rivelazione totalizzante è sempre una sorta di ammasso gigantesco, le cui dimensioni tendono a sfuggire alle nostre fa­ coltà di discernimento. Al pari delle rivelazioni che l’hanno preceduta, la religione dei Santi dell’Ultimo giorno è nel suo procedere talvolta visibile e talvolta invisibile, e di certo finirà per contraddire tutte le nostre aspettative. Ad eccezione di taluni visionari come i mistici cristiani, i ca­ balisti ebrei e i sufi islamici, nella religione occidentale si con­ tano ben pochi precedenti rispetto a un’impresa eroica come quella di Joseph Smith, volta ad abbreviare la distanza tra Dio e uomo. Ciò nonostante Smith scelse, saggiamente, di non vi­ vere una vita di continua estasi. La consacrazione del tempio di Kirtland, avvenuta nel marzo del 1836, nella storia di Jo ­ seph e dei Santi fu un episodio eccezionale, e il profeta non in­ seguì mai una replica dei rapimenti estatici e della grazia di al­ 125

lora. Si direbbe quasi che preferisse confidare più sulla propria autorità di rivelatore che su esperienze-limite, collettive o per­ sonali che fossero. Non accettando il dogma del peccato origi­ nale, Smith poteva considerarsi non corrotto dalla storia e pie­ namente degno di essere re del regno di Dio in terra. Personalmente ho il sospetto che sia Joseph Smith la fonte di Brigham Young quando quest’ultimo stabilisce un’identità quasi assoluta tra Dio, Adamo e Michele: quell’identità che nelle pagine precedenti ho ricondotto alle stesse tradizioni del­ l’ebraismo arcaico da cui la Cabala trasse la formula di Enoc uguale a M etatron o a Michele. Nell’immaginazione di Joseph Smith probabilmente cinque figure si sono mescolate a forma­ re un insieme composito: il Dio dei tempi remoti, Adamo, M i­ chele, Enoc e Smith stesso. Sebbene molti mormoni provino oggi un senso di disagio verso questo loro Dio così umano, il profeta ha sempre ribadito con forza che Dio agli inizi era un uomo su questa nostra terra, elevatosi poi alla condizione di divinità grazie ai suoi sforzi. Un Dio che si modifica e progre­ disce attraverso successive crisi ha molte cose in comune con lo Yahweh arcaico dello Yahwista o autore J, ma assai poche con la potenza trascendente e infinita di cui parla l’ortodossia, tanto ebraica che cristiana o islamica. È certo che in Israele il monoteismo ha avuto origine dall’evoluzione del culto di uno Yahweh circondato da molti altri dei a lui inferiori, al culto di Yahweh come solo e unico Dio. Smith, che studiando la Bib­ bia aveva acutamente intuito questo tipo di sviluppo, deside­ rava restaurare il politeismo arcaico, e ciò all’unico scopo di far divenire anche noi, noi americani, pari agli dei. I Santi dell’Ultimo giorno, per grande che sia stata la devia­ zione della loro chiesa dalla via tracciata da Joseph Smith, so­ no stati i soli a comprenderne la grandezza: un secolo intero è trascorso dal ripudio del matrimonio poligamo da parte dei mormoni, e la grandezza del loro profeta è ancora miscono­ sciuta dalla maggior parte dei suoi connazionali. M a se è vero che esiste una Religione Americana diffusa quasi universal­ mente tra noi, al di là delle nostre professioni di fede, è ancor più vero che Smith ne è stato in larga misura il precursore, benché misconosciuto. La sua immaginazione ha creato una religione particolare, ma i contorni della sua immaginazione delimitano il confine generale della spiritualità post-cristiana in America. 126

6 Battesimo per i morti, spirito per i non nati

Nessun aspetto della teologia mormone presenta quel carat­ tere enigmatico proprio della teologia battista del sud, e que­ sto perché i mormoni non diffidano, nel campo religioso, di tutto ciò che non possa dirsi esperienziale. Inoltre, essendo la componente gnostica del mormonismo palese, anche se chia­ mata in altro modo, le difficoltà che si incontrano nelPindividuare e nell’analizzare gli elementi propriamente americani di questa ambiziosa e complessa versione della Religione Ameri­ cana sono senz’altro di minore entità. M a da un secolo a que­ sta parte, ormai, la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi dell’U lti­ mo giorno si è andata via via allontanando dalla straordinaria originalità spirituale di Joseph Smith, il che rende problem ati­ co stabilire con esattezza in cosa consista, o non consista, la dottrina mormone. Se poi perduri, entro le cerehie più ristrette ed elitarie della Chiesa, ovvero tra coloro che attualm ente de­ tengono il potere, un’adesione a principi e a rituali oggi non più in voga tra la massa dei fedeli, ovviamente non è dato sa­ pere. La mia idea, però, è che gli eredi di Smith e di Brigham Young non abbiano rinunciato del tutto alla prospettiva di realizzare, in America, la visione mormone del Regno di Dio. Nessuno sa esattamente in quale misura il denaro liquido at­ tualmente circolante in America sia controllato dalla Chiesa dei Santi dell’Ultimo giorno; si sa con certezza, invece, che a W ashington i mormoni hanno un potere finanziario e politico di gran lunga superiore a quanto sarebbe legittimo aspettarsi, sapendo che essi rappresentano un elettore su cinquanta. I re­ gimi repubblicani di Reagan e Bush hanno sempre trovato nei mormoni un forte appoggio morale e finanziario, in cambio del quale la gerarchia di Salt Lake City ha ottenuto di far sen­ tire la sua voce alla Casa Bianca. La nazione non sarà sempre mormone al due per cento: i Santi vivono più a lungo di noi, fanno più figli di tutti gli altri gruppi sociali americani, salvo 127

qualche eccezione, e perseguono una massiccia opera di prose­ litismo, tanto in patria che all’estero. Non ho idea del tasso di incremento che si aspettano per la prossima generazione in base ai risultati delle loro proiezioni, ma la mia personale ipo­ tesi è che per l’anno 2000 (quando io non ci sarò più) essi co­ stituiranno il dieci per cento della popolazione, e forse ancora di più. Le prospettive che il futuro spalanca loro sono straordi­ narie: il popolo mormone è omogeneamente composto di lavo­ ratori instancabili, oltre a essere il blocco sociale dotato di maggior coesione interna di tutta la nazione; solo gli asiaticoamericani possono rivaleggiare con loro in quanto a zelo, am ­ bizione e coerenza di propositi. Non è da escludere che Salt Lake City possa un giorno diventare la capitale religiosa degli Stati Uniti. Questo capitolo cercherà di adempiere a una delle funzioni proprie della critica della religione (come io la concepisco), cioè dare una visione generale e in qualche modo conclusiva della forma interiore della spiritualità mormone, anche se al­ cune affermazioni potranno non essere approvate da coloro che attualmente occupano una posizione di vertice nella Chie­ sa. Ancora oggi i mormoni condividono con i loro nemici, i battisti del sud, l’avversione per qualsiasi formalizzazione compiuta e definitiva del credo religioso. Se è difficile dire esattamente in cosa credono i battisti del sud moderati, ovvero i battisti autentici, per il fatto che la traduzione in parole di una religione interamente esperienziale è impresa assai ardua, altrettanto difficile, anche se per motivi opposti, è dire esatta­ mente in cosa credono i mormoni, data la loro propensione a seguire dottrine molto differenti tra loro, se non addirittura in contraddizione l’una con l’altra. Per una scelta in parte delibe­ rata, la teologia mormone risulta in molti punti incompleta, la qual cosa incoraggia i mormoni, così come un tempo gli anti­ chi gnostici valentiniani, ad aggiungere del proprio per colma­ re in qualche misura i vuoti. C ’è poi da mettere in conto il fat­ to peculiare che i mormoni credono in una rivelazione intesa come processo continuo, e non dimenticano mai che Smith aveva detto, senza aggiungere spiegazioni o commenti, di ave­ re appreso solo lavorando al Libro di Abramo (1835, ora incluso ne La perla di gran valore) che il padre di Gesù, Dio stesso, aveva a sua volta un padre, il quale aveva un padre anche lui e così 128

via. In quel momento Smith era ormai pronto a formulare la dottrina che prende nome di «pluralità degli dei», dal momen­ to che la Chiesa mormone ancor oggi si rifiuta di essere defini­ ta per quello che in realtà è, ossia politeistica. Trovo che non ci sia nulla di male nel politeismo, una volta che si sia abban­ donato l’antico pregiudizio che gli ebrei avevano nei suoi con­ fronti. Chiaramente lo Yahwista usa il termine Elohim per ri­ ferirsi a una varietà di esseri divini, e Joseph Smith, come ho già avuto modo di osservare, possedeva una sorta di intuito geniale, capace di guidarlo con molta precisione sui passi del­ l’autore J, il cui Yahweh era soltanto uno degli Elohim, attor­ niato da tutti gli altri. Gli dei di Joseph Smith, vale la pena di ricordarlo, non solo erano plurimi, ma anche esseri in carne e ossa, come il materialissimo Yahweh dello Yahwista e il suo derivato Elohim. Come ho già osservato in precedenza, quello di Smith e di Brigham Young fu anche un ritorno alla specula­ zione cabalistica, in quanto entrambi partivano dall’assunto che gli dei fossero stati un tempo uomini di questa terra ov­ vero, secondo la felice sintesi di Young, che Dio, Adamo e l’ar­ cangelo Michele fossero un’unica persona. Con ammirevole lucidità Sterling M cM urrin sviluppa l’im­ portantissima questione del Dio mormone che non è un Dio creatore. Pragmáticamente, non lo è neppure il Gesù risorto dei battisti del sud moderati. M a tutto ciò mi porta a un nodo teorico che in questo libro è centrale: il Dio della Religione Americana non è un Dio creatore, perché l’americano non è mai stato creato, cosicché almeno una parte di Dio è contenuta in lui o in lei. Come ho ripetutamente affermato, libertà per un americano significa due cose: essere liberi dalla creazione ed essere liberi dalla presenza degli altri esseri umani. I mormoni godono della prim a libertà mentre sfuggono la solitudine della seconda, che consiste nell’essere soli con Gesù, una gioia che è invece concessa ai battisti del sud moderati. I mormoni hanno una libertà gnostica dal mondo della natura, una libertà che è necessaria a uomini che aspirano a farsi dei, ciascuno con il proprio pianeta, un mondo tutto per sé. Ritengo che su questo punto tra mormoni e battisti del sud non vi sia, nella realtà dei fatti, una vera e propria differenza, dal momento che per i bat­ tisti del sud ciò che è solo con Gesù è già, di per sé, una qual­ che parte dello spirito che non è mai stata creata. Il mormone, 129

invece, non potrà mai essere solo con Gesù, e tuttavia la sua aspirazione ultima è di governare senza rivali in un suo mon­ do, solo con la moglie (o le mogli) e i suoi svariati discendenti. L’impulso più oscuro e allo stesso tempo più autentico della Religione Americana è, in ultima analisi, patrimonio comune di quello che a prima vista potrebbe sembrare un trio assai male assortito: R.W. Emerson, Joseph Smith figlio ed E.Y. Mullins. Ognuno di loro sta sull’orlo dell’Abisso prima della Caduta nella Creazione, e ciascuno sperimenta quella libertà che è la N atura Selvaggia, la Solitudine perfetta (e già di per se stessa creativa) del visionario americano. Il linguaggio che sto adoperando è quello di Emerson, ma la metafora si attaglia perfettamente tanto al profeta mormone che al tardo fondato­ re del battismo del sud moderato. Qui Smith resta al centro del mio discorso, e riprendo la sua negazione della validità della narrazione tradizionale cristiana di una creazione dal nulla ad opera di un Dio assoluto, il Dio dell’autore della scuo­ la sacerdotale che scrisse quello che ora costituisce il primo ca­ pitolo della Genesi. Il Dio di Smith viene acutamente parago­ nato da Sterling M cM urrin al demiurgo di Platone, sul quale si è appuntata la satira degli gnostici antichi e di Blake, in quanto falsa deità. Lo gnosticismo di Smith inverte di segno l’antica varietà degli dei e celebra quello che M cM urrin dipin­ ge come un Dio alacre lavoratore, modello ideale per i mormo­ ni, i quali fin dalle origini sono stati forse il popolo più operoso che sia mai vissuto sul suolo americano: In quanto Dio costruttore o artigiano, non così dissimile dal demiurgo del Timeo di Platone, la deità mormone informa di sé gli ininterrotti processi di realtà e determina le configurazioni del mondo, senza però essere creatrice degli elementi primi, co­ stitutivi di quel mondo - le entità materiali fondamentali e lo spazio e il tempo entro i quali esse si collocano. L’ambiente esterno a Dio sono l’universo fisico, le menti e i sé che esistono pur senza identificarsi in lui, e inoltre i principi dai quali la realtà è strutturata, e forse anche i valori assoluti che governa­ no la volontà divina. In ogni caso, costituisce evidentemente un principio basilare della teologia mormone il fatto che Dio sia in rapporto a un ambiente fìsico della cui esistenza egli non è causa ultima, e dal quale pertanto è in qualche misura condi­ zionato. Ciò significa che Dio è un essere tra gli altri esseri piuttosto che l ’Essere che in sé contiene la causa propria e degli altri esseri, e che in quanto tale egli è finito anziché assoluto. ( The Theological Founaations of thè Mormori Religion [1965], p. 29) 130

Il Dio mormone è certamente americano, e in quanto tale adeguatamente assoggettato allo spazio e al tempo. N atural­ mente è uno scandalo, dal punto di vista del giudaismo, del cristianesimo e delPislamismo, concepire un Dio così limitato e contingente. La sublimità che impone timorosa reverenza verso il divino scompare, ma con essa scompaiono anche tanti enigmi della teodicea, se Dio un tempo era umano e possiede tuttora un corpo. M cM urrin pone l’accento sulla sconvolgente novità rappresentata dall’immersione nella temporalità del Dio dei mormoni, ma personalmente sospetto che altrettanto sconcertante sia da ritenere la sua limitazione nello spazio. Il Dio di Joseph Smith, a differenza di Yahweh, non ha il potere di affermare che si troverà in qualsiasi luogo e in qualsiasi mo­ mento scelga di essere. Non vi può essere un Libro di Giobbe mormone, e i seguaci di Joseph Smith non hanno mai dovuto disperarsi perché Dio non è accorso a salvare il loro profeta dal martirio. Peccato originale e colpevolezza di Dio erano scomparsi insieme. Il Dio mormone può organizzare il mondo, ma non ne è il creatore. H a le stesse responsabilità di un padre umano e i suoi poteri non si differenziano per natura, ma solo per grado, da quelli di qualsiasi altro padre. Nella teologia mormone regna una confusione immensa, in parte perché Smith cambiava spesso idea, cosa del resto inevi­ tabile per un uomo che stava cercando di reimmaginare la re­ ligione occidentale nel suo complesso. Anche l’assassinio di Smith in un momento così inopportuno è necessariamente parte del problema: nella sua teologia, l’evoluzione dalle posi­ zioni iniziali a quelle successive non era ancora un processo compiuto. U n’ulteriore complicazione sopravviene anche dal­ le rivelazioni di Brigham Young: alcune si allontanano radi­ calmente dalle rivelazioni di Smith, e poche sono oggi accetta­ te dai mormoni. In più c’è la schiera dei teologi mormoni che da più di un secolo ormai cerca di riempire i vuoti strutturali della fede mormone, tentando allo stesso tempo di risolvere il più possibile le contraddizioni. L’effetto combinato di questi fattori è sbalorditivo: a un primo sguardo, tutto sembra artifi­ cioso e arbitrario. M a se ci si riflette sopra, due considerazioni si fanno strada pian piano. La prima è che il mormonismo, una religione che è davvero diversa dal cristianesimo quanto lo è l’Islam, dà la misura dell’artificiosità e dell’arbitrarietà di 131

tutte le teologie, e addirittura della stranezza e dell’imprevedibilità che devono necessariamente caratterizzare tutte le reli­ gioni. La seconda è che Tolstoj era nel giusto quando disse ad Andrew Dickson White (il primo presidente della Cornell University) che «il popolo mormone insegna qual è la religio­ ne americana». Il mormonismo dei nostri giorni parrebbe, sot­ to molti aspetti, solo una versione più esotica del protestante­ simo americano, ma in realtà esso non conserva più alcuna traccia di protestantesimo, e gran parte delle sue caratteristi­ che possono dirsi tipicamente americane. Gli dei mormoni in fondo sono una sequela di padri americani, ciascuno in evolu­ zione dall’umano al divino grazie a un lavoro infaticabile e al­ l’obbedienza alle leggi dell’universo, che risultano poi essere le massime a cui si ispira la Chiesa dei Santi dell’Ultimo giorno. L’organizzazione, che sostituisce la creazione, diventa un principio consacrato, e tutti i buoni mormoni sono in primo luogo donne e uomini organizzati. Chiunque visiti Salt Lake City è in grado, dopo solo quattro giorni, di individuare con chiarezza e a prima vista la differenza tra certi mormoni e la maggior parte dei gentili: c’è qualcosa di organizzato nell’e­ spressione dei volti di tanti mormoni che camminano per le strade. È tanto più rincuorante, allora, il fatto che chiunque tenti di organizzare la teologia mormone incontri difficoltà co­ sì grandi, anche se ciò indubbiamente spiega come mai Joseph Smith figlio e Brigham Young, espressionisti carismatici e pro­ feti appassionati, possano trovare scarso seguito nello U tah dei nostri giorni. La teologia mormone attualm ente identifica Gesù con Geova, inteso come il «Dio dell’Antico Testamento», mentre al padre di Geova dà il nome di Elohim. Questa stram beria non gode dell’approvazione né di Smith né di Young, e a me sem­ bra semplicemente una posizione erronea quanto arbitraria assunta dalla Chiesa. La sua storia ce la racconta Boyd Kirkland (che tuttavia preferisce non definirla una posizione erro­ nea) in un coraggioso saggio sulle origini e sull’evoluzione del concetto di Dio nella religione mormone (si veda Line by Line , a cura di G.J. Bergera, 1989). Kirkland ricostruisce la successio­ ne dei capi religiosi mormoni - Cannon, Richards, Talmage, Penrose - che si sono battuti con successo per far adottare alla Chiesa dei Santi dell’Ultimo giorno l’identificazione di Gesù 132

con Geova, e la nozione che Elohim fosse il padre di Geova. Dal momento che a sostegno di queste stranezze non si trova nulla né nella Bibbia né negli scritti di Smith, e neppure nei precetti tram andati oralmente da Smith e da Young, viene spontaneo domandarsi per quale motivo esse si siano trasfor­ mate in materia dottrinaria. Pare non esista alcuna risposta già pronta a questo interrogativo, e Kirkland non si arrischia a suggerirne una, pur non trascurando di accennare alla grande disperazione che coglierebbe i mormoni ogni volta che devono fare i conti con la sconcertante tortuosità della loro dottrina. Personalmente, la migliore spiegazione che mi riesce di dare è che la Chiesa stesse attuando una brusca sterzata rispetto alle posizioni di Brigham Young, un pensatore dalla fantasia anco­ ra più sfrenata di quella di Smith nelle sue teorizzazioni. In qualche modo Young si era tracciato un proprio percorso per­ sonale di ritorno alle antiche identificazioni gnostiche e cabali­ stiche per cui Yahweh, Michele (o Metatron-Enoc) e Adamo erano tre nomi per indicare la stessa persona. Moshe Idei ha sottolineato le affinità tra la Cabala e i più antichi testi rabbi­ nici, ove compaiono cenni a un’ermetica unità originaria di Dio, angelo e uomo. Young, autocrate brutale pur essendo sempre generoso di risorse per la sua gente, verso la quale in fondo nutriva sentimenti di benevolenza, era molto più simile a un patriarca teomorfo della Bibbia di quanto potesse esserlo il vivacissimo, sovente donchisciottesco e sempre incantevole Smith. Ambizioso al punto di farsi incoronare re del Regno di Dio in terra, Smith nonostante tutto era più incline a identifi­ carsi con M aometto che con Dio in persona. Brigham Young, dal canto suo, probabilmente si considerava l’Adamo ameri­ cano, e in quanto tale l’arcangelo Michele americano, se non addirittura un Dio americano. Quale candidato migliore di Brigham Young si riuscirebbe a trovare, anche oggi, per im­ personare il ruolo dell’Adamo americano del x ix secolo? Gli storici amano parlare di lui come del Mosè americano che gui­ da i mormoni nel loro esodo attraverso i territori selvaggi, per approdare infine a quello che oggi è lo U tah dei Santi. M a in realtà Young aveva ben poco del profeta riluttante e balbu­ ziente quale è invece il Mosè dell’autore J, torturato dai suoi stessi dubbi. Il Dio mormone è il grande Organizzatore, e così era anche Young. Per Brigham non poteva esistere un credo 133

più naturale della dottrina dell’identità tra Adamo e Dio, che corrispondeva perfettamente alla sua esperienza della vita e di se stesso. Mi spingerei addirittura ad affermare che Brigham Young è stato l’opera meglio riuscita di Joseph Smith, che tra mille difficoltà era giunto a profetizzare un uomo nuovo, un Adamo veramente americano, teomorfo e ricco di capacità, re­ so ontologicamente diverso dagli altri uomini grazie ai nuovi rituali, al matrimonio poligamo e a un lento ma sicuro percor­ so verso la divinizzazione. Sul piano pratico, Young è stato tanto audace da rendere manifesto tutto ciò, in una versione o nell’altra, più di quanto abbia fatto qualsiasi altro americano vissuto in quello stesso secolo, o addirittura in tutti i secoli. Al­ l’età di settantasei anni, poco prima di morire per una perfora­ zione dell’appendice, secondo quanto afferma la figlia Zina il suo ultimo grido fu l’invocazione «Joseph! Joseph! Joseph!», un meritato tributo al veggente che aveva saputo organizzare, nel senso che la parola ha per i mormoni: un autentico genio dell’organizzazione. Da un secolo ormai il mormonismo moderno manifesta una sorta di ansia di controdipendenza nei confronti dei suoi due grandi fondatori, che a livello conscio sono oggetto di venera­ zione, ma che tuttavia hanno imposto obiettivi e linee di con­ dotta che dovevano essere necessariamente mediati attraverso compromessi, e forse addirittura traditi. Dove opera un revi­ sionismo devastante nasce sempre l’ambivalenza, per quanto nascosta o inconscia, e gran parte della dottrina mormone contemporanea mi sembra appunto il risultato di un atteggia­ mento reattivo sia a Joseph Smith sia a Brigham Young, il che non è affatto eccezionale nella storia della religione, oltre natu­ ralmente a contare numerosi equivalenti in altri campi. Tanto per cominciare, c’è la semplice questione della diminuzione di scala man mano che si procede da Joseph Smith, che lo si ri­ tenga un gran ciarlatano o un profeta ispirato, a Brigham Young, quale che sia il giudizio espresso sul suo modo di eser­ citare il potere, e infine a Ezra Taft Benson, sul talento e sulle teorie del quale la Chiesa dei Santi dell’Ultimo giorno sembra aver calato un velo pietoso. Inoltre c’è il cambiamento lento ma profondo nella strategia mormone, ormai in atto da circa sessant’anni, che ha portato i Santi a rivaleggiare con i battisti del sud fondamentalisti e con altri evangelici americani nel 134

proporsi al sistema come baluardo della reazione, tanto sul piano sociale che su quello politico ed economico. L’attività missionaria svolta dai mormoni tra le popolazioni delPAmerica e dei paesi stranieri si è estesa anche al governo federale, co­ sicché oggi I’f b i , la c i a e altre organizzazioni simili possono dirsi molto, molto vicine al mormonismo. Quando le ambizioni di una fede raggiungono livelli così abnormi è giusto, a mio parere, che la critica della religione in­ dividui e analizzi la natura esatta di tali ambizioni, se le si chiede di dare il contributo più sostanziale che essa può offrire alla conoscenza. Il titolo di questo capitolo pone una accanto all’altra le due formulazioni che meglio caratterizzano, oggi, la spiritualità della Chiesa dei Santi dell’Ultimo giorno: il batte­ simo per i morti, e l’accesso alla vita eterna per gli spiriti dei non nati. Il primo è diventato un’attività condotta, al livello delle genealogie e dell’organizzazione, su scala talmente vasta da parere quasi incredibile, mentre il secondo ha preso il posto del sogno di Joseph Smith della perfetta poligamia, oggi irrea­ lizzabile. Entram bi testimoniano la sincerità assoluta, se non addirittura fanatica, del popolo mormone, che ha fatto della propria posizione rispetto alla morte e alla vita una sorta di ro­ manzo cavalleresco dell’eterna ricerca, una vistosa metafora che condensa tutte le sue ambizioni di dominio. Per quanto si sappia poco del Battista originario, quel Gio­ vanni che battezzò Gesù, possiamo stare certi che in quanto esseno, o forse indipendente vicino alle posizioni degli esseni, sarebbe rimasto sconvolto, se non inorridito, di fronte a un’i­ dea strana come questa del battesimo dei morti. Come si fa, terapeuticamente, a mondare, a rendere puri i morti? La rina­ scita è il tema dominante e necessario del battesimo, sia che esso venga amministrato ai neonati o agli adulti, e dev’essere questo il motivo per cui gli antichi gnostici commentavano con amarezza che molti «si immergono nell’acqua e ne escono sen­ za aver ricevuto nulla». Qui è il valentiniano Vangelo di Filippo a parlare, deplorando quello che gli gnostici condannavano come l’universalismo della Chiesa. M algrado la sua profonda immersione in una gnosi personale, Joseph Smith era forte­ mente attaccato a una visione del battesimo degli adulti. Nella sua «Versione Ispirata» della Genesi, fa coerentemente bat­ tezzare Adamo mediante immersione nell’acqua; inoltre pare 135

fosse convinto che tutti avrebbero dovuto essere battezzati alla m atura età di otto anni. Il 19 gennaio del 1841, durante la fase conclusiva e più audace della sua esistenza, sopravvenne a Jo ­ seph Smith la visione del battesimo per i morti, riportandolo a un passo alquanto singolare che si trova in Lettere ai corinzi, 1, 15:29: Altrimenti, che scopo avrebbero quelli che vengono battez­ zati per i morti? Se davvero i morti non risorgono, perché si fa­ rebbero battezzare per loro? A quanto pare san Paolo non approvava né disapprovava questa curiosa pratica, che in epoca più tarda, dal li secolo in poi, fu portata avanti da gruppi iniziatici di entusiasti e di gnostici, quali i montanisti, i marcioniti e i cerintiani. È carat­ teristico di Smith aver riportato in vita un rituale a suo tempo diffuso tra i precursori più autentici dei mormoni. Fu a Nauvoo, nelPIllinois, che gli giunse la rivelazione per la costruzio­ ne di un nuovo tempio dove le antiche cerimonie potessero es­ sere ripristinate: Poiché non vi è luogo al mondo ove lui possa giungere a re­ staurare ciò che a voi è andato perduto o che lui stesso vi ha tolto, persino la pienezza del sacerdozio. Poiché non vi è fonte battesimale ove essi, i miei Santi, pos­ sano essere battezzati per coloro che sono morti. (Libro della dottrina e delle alleanze, 124:28-29) Smith ritorna su questa questione nel Libro della dottrina e del­ le alleanze 127 e 128, ove specifica che «il fonte battesimale na­

sce come similitudine della tomba» dal momento che la ceri­ monia sta a significare la resurrezione. Il vero nocciolo della questione emerge là dove il profeta ribadisce che questo rito as­ sicura il ristabilirsi del possesso dell’antico santo sacerdozio. Al centro di questa elaborazione di Smith sta un testo che lo ha sempre ossessionato, le parole del profeta M alachia con le qua­ li i cristiani scelsero di concludere il loro Antico Testamento: Ecco, io invierò il profeta Elia prima che arrivi il giorno grande e terribile del Signore, perché converta il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei fi­ gli verso i padri; così che io giungendo non colpisca il paese con lo sterminio. (Malachia 3:23-24) 136

Per Smith e i mormoni la prima parte della profezia di M a­ lachia si era avverata il 3 aprile del 1836, quando Elia era ap­ parso al profeta mormone e a Oliver Cowdery nell’estasi della consacrazione del tempio di Kirtland. Q uattro figure in tutto si erano manifestate a Smith e a Cowdery, essendo Elia prece­ duto da Gesù, da Mosè e da un certo «Elias» (evidentemente Smith non conosceva l’equivalente greco di Elia). Nel Libro del­ la dottrina e delle alleanze 110 si trova la spiegazione di Elia, se­ condo la quale era apparso per dare a Smith e a Cowdery «le chiavi di questo nuovo ordinamento religioso». Poiché Elia aveva citato subito dopo la profezia di Malachia, era chiaro quel che Smith sottintendeva, il fatto cioè che il battesimo per i morti era lo strumento per convertire il cuore dei padri ai figli. Con tutta l’audacia che la caratterizza oggi come allora, questa rimane una delle innovazioni più straordinarie di Jo ­ seph Smith, dotata di una sua curiosa logica. In veste di pro­ feta che ripristina l’unica Chiesa autentica, Smith si trova an­ cora una volta di fronte al dilemma di essere in ritardo: in che modo può darsi la salvezza di milioni di esseri umani vissuti e morti nei molti secoli che separano Smith da Gesù? Questo in­ terrogativo, a cui si aggiunge il senso giudaico della famiglia che Smith possedeva, determinava l’urgenza di una dottrina in cui la salvezza individuale fosse strettam ente legata allo sforzo di procurare la salvezza dei propri avi, per quanto lon­ tani nel tempo essi fossero. Per i gentili la sincerità e l’intensi­ tà del sentimento religioso dei mormoni contemporanei trova­ no una prova tangibile soprattutto qui, nell’immenso sforzo che si concentra sul battesimo dei morti. Su questo tema Alex Shoumatoff ha scritto uno splendido saggio dal titolo The Mountain o f Names , apparso il 13 maggio del 1985 sul «New Yorker» nella serie «A Reporter at Large» e successivamente pubblicato in forma di libro. Nel novembre del 1990, trovan­ domi a Salt Lake City per tenere una conferenza su Joseph Smith all’Università dello Utah, sono stato portato da amici a vedere la M ontagna dei Nomi, e mi sono ritrovato a bocca aperta, incredulo, di fronte a quella che è sicuramente una delle meraviglie del mondo. La grande montagna di granito, nella cui volta sono conservati i documenti della Società ge­ nealogica dello U tah, si erge a circa trentacinque chilometri a sud di Salt Lake City. Si calcola che attualm ente contenga cir­ 137

ca due miliardi di nomi di morti, riposti al sicuro in un luogo dove né terremoti, né esplosioni nucleari, né alcun altro cata­ clisma che non sia l’impatto violentissimo di un asteroide, po­ trebbero lederne l’integrità. Shoumatoff ha sottolineato che «non esiste archivio genealogico paragonabile a questo, nep­ pure alla lontana. La raccolta di documenti dei mormoni è quanto di più simile possa esistere a un catalogo dei cataloghi della razza umana». Con un dispendio enorme di energie e di denaro, i mormoni procedono instancabilmente al battesimo dei morti, che siano antenati loro o di altri, poiché Smith aveva insistito sul fatto che i morti erano liberi di accettare o di rifiutare quello che per loro veniva fatto nei templi. Molti gentili (categoria che per i mormoni comprende anche gli ebrei) provano un forte senso di disagio, se non addirittura di sdegno, di fronte a questa con­ versione apparentemente forzosa dei loro antenati, e non ser­ vono a tranquillizzarli le assicurazioni dei mormoni, secondo i quali nel mondo dello spirito vige una totale libertà di scelta. A me risulta in ogni caso difficile non provare un senso di com­ mozione di fronte alla quantità enorme di immaginazione che muove tutta questa impresa, ennesimo esempio sia dell’opero­ sità dei mormoni sia dell’originalità spirituale di Joseph Smith, che ancora si riverbera sul suo popolo. Shoumatoff cita un passo del discorso tenuto nel 1974 da Spencer Kimball, al­ lora Profeta, Veggente e Rivelatore, in occasione della consa­ crazione del tempio mormone di Washington: Non siamo lontani dal giorno in cui tutti i templi di questa terra saranno aperti giorno e notte. Si faranno dei turni e ci sa­ rà chi viene di primo mattino e chi nelle ore del giorno... poiché vi è un gran numero di persone che dormono il sonno eterno e hanno bisogno e un desiderio ardente delle benedizioni che noi possiamo impartire loro. (p. 86) Nel 1990 la profezia di Kimball può dirsi avverata: i templi, per lo meno alcuni, sono aperti tutta la notte e sempre più nu­ merosi sono i fedeli che vi si recano al fine di svolgere la loro opera di intercessione per i morti. Forse l’approssimarsi del­ l’anno 2000 darà ulteriore impulso a questo processo, benché la Chiesa dei Santi dell’Ultimo giorno non abbia preso alcuna posizione ufficiale (almeno per quanto ne so io) sulla possibili­ 138

tà che l’avvento del millennio coincida con quella data. C ’è un gran numero di fondamentalisti mormoni, molti dei quali se­ guaci di Brigham Young e praticanti la poligamia, fermamen­ te convinti che l’anno 2000 d.C. segnerà l’inizio della fine del tempo, ma sarebbe eccessivo affermare che costoro rappresen­ tano la grande maggioranza dei mormoni, al di là del fatto che il battesimo per i morti è sentito indistintamente da tutti i mormoni come una necessità inderogabile. Si tratta di una dottrina e di una pratica che meritano approfondita riflessione da parte di chi sottopone a esame critico questa versione tanto originale e ambiziosa della Religione Americana. In quanto ri­ velazione, il battesimo dei morti ha inaugurato la fase più alta della funzione di veggente di Joseph Smith, nel gennaio del 1841. Il grande visionario sarebbe stato assassinato solo tre anni e mezzo più tardi, ma è stato proprio in quella fase che hanno visto la luce quasi tutte le principali innovazioni appor­ tate nel campo della fede: il matrimonio poligamo, le nuove «dotazioni» del tempio - stranamente simili a quelle massoni­ che - il sigillo del matrimonio eterno, sia monogamico sia poli­ gamico, e infine l’audacia delle audacie, l’incoronazione di Jo ­ seph Smith a re del Regno di Dio. È affascinante abbandonar­ si a congetture su quel che avrebbe potuto succedere se solo Joseph Smith fosse vissuto ancora e avesse guidato i mormoni all’ovest, come più tardi fece Brigham Young. Fino all’inter­ vento del governo federale Brigham Young governò quel de­ serto che era lo stato dei mormoni come una teocrazia prag­ matica, ma lui non era Joseph Smith, a cui Geova e Gesù era­ no apparsi e avevano parlato di persona. Se Smith fosse vissu­ to altri trent’anni o più, come poteva accadere, forse la storia americana sarebbe molto diversa. Quella dell’ovest forse sa­ rebbe oggi una cultura segnata da una propria diversità, come di fatto è quella del sud, perché buona parte, se non addirittu­ ra la maggior parte dell’ovest, avrebbe potuto diventare il Re­ gno di Dio di Smith in America. Nessuno dovrebbe sottovalu­ tare i mormoni: un popolo che aum enta a un tasso uniforme del sei per cento all’anno è ancora in tempo per trasformare l’ovest in questo Regno, diciamo entro l’anno 2020 o giù di lì. Il prossimo Profeta, Veggente e Rivelatore dei mormoni sarà Thomas S. Monson, un uomo di grandi capacità, potenzial­ mente il personaggio di maggior levatura nella Chiesa dai 139

tempi di Smith e Young. Quali sogni accarezzi non è dato sa­ pere, ma è certo che in lui si incarna buona parte del futuro del nostro paese. Quando Joseph Smith conferì una formulazione dottrinaria al battesimo per i morti, dentro di sé egli la interpretava come l’autentica ricezione, da parte sua, delle chiavi del Regno. Un critico della religione, che si sforza di comprendere fino in fon­ do la sconvolgente ambizione spirituale, se non addirittura la pulsione aggressiva, che porta i mormoni al battesimo dei morti, difficilmente troverà qualcosa di analogo nella storia della religione moderna. Jan Shipps, forse la più vicina al mor­ monismo tra gli studiosi gentili, riassume le sue conclusioni a proposito di questa «nuova tradizione religiosa» ponendo l’ac­ cento su quella che potrebbe definirsi una gnosi di tipo corpo­ rativo: Benché T«unità di salvezza» nel mormonismo resti l’indivi­ duo, la salvezza in quanto tale dipende dalla conoscenza di Cristo, conoscenza che si può ottenere mediante il riconosci­ mento del sacerdozio dei Santi dell’Ultimo giorno, e all’interno della struttura corporata della Chiesa dei Santi dell’Ultimo giorno. Per giunta, pur essendo i principi di fede attingibili a tutti, l’«unità di elevazione» è costituita dalla famiglia più che dall’individuo. Coerentemente a ciò, il fine ultimo dei Santi dell’Ultimo giorno non è la vita eterna, che in qualche modo sarà trascorsa in paradiso e alla presenza di Nostro Signore Gesù Cristo. Il mormonismo persegue uno scopo differente: la «progressione eterna» verso la condizione divina. (Mormonism, pp. 148-49) Che genere di «conoscenza» di Cristo è tuttavia questa? È la «conoscenza» salvifica ed effettiva «di» Gesù? Chi volesse adottare come punto di vista la grande metafora del «cammi­ nare e parlare con Gesù» del battismo del sud moderato si tro­ verebbe a una distanza infinita dal mormonismo. La funzione mediatrice della Chiesa dei Santi dell’Ultimo giorno, con la sua struttura corporativa, è così totalizzante che Gesù prag­ máticamente diviene elemento non necessario al fine della sal­ vezza. Il mormonismo, nella lucida analisi che ci è proposta da Jan Shipps, non è una variante del cristianesimo più di quanto lo sia l’Islam. Al contrario, anzi, il mormonismo è pu­ ra gnosi americana, la cui figura primaria è stata e continua a essere quella di Joseph Smith, e non quella di Gesù. Smith non 140

è soltanto «un» profeta, uno tra i tanti, ma il profeta che più conta in questi ultimi giorni che ci avvicinano alla fine del tempo, in qualunque momento essa sopraggiunga. Non ha senso parlare, nella religione mormone, di Gesù come del «sal­ vatore», mentre nessun battista del sud fondamentalista (nep­ pure uno del Texas) direbbe mai che la Convenzione battista del sud è elemento di mediazione rispetto alla salvezza, per il tramite della figura di Gesù. Come arrivare dunque a com­ prendere la posizione centrale che Joseph Smith continua a occupare ancora oggi in un mormonismo che si è visto costret­ to a rinunciare alla poligamia? E chi potrebbe mai credere che i mormoni si sarebbero allontanati dalla pratica del m atrim o­ nio celeste, se non fosse stato per le pressioni esercitate dal go­ verno federale? Non c’è nessuno, soprattutto a Salt Lake City, che sia propenso a prendere per buone le previsioni di un criti­ co della religione, ma tuttavia mi sento di profetizzare con tut­ to il cuore che un giorno, un giorno non lontano del x x i seco­ lo, i mormoni avranno un potere politico e finanziario tale da consentir loro di ripristinare, e in termini ufficiali, la poliga­ mia. Senza la sua reintroduzione, in una forma o nell’altra, la visione di Joseph Smith non potrà mai realizzarsi appieno, e nella sua globalità. Giunti a questo punto, però, è necessario passare dal batte­ simo dei morti a un frutto ancora più enigmatico del genio di Joseph Smith: la visione metafisica della nascita, intesa come costruzione di un tabernacolo redento ove dimori lo spirito, la quale si traduce a sua volta nella grande dottrina dell’infusio­ ne della vita spirituale nel non nato. Attribuisco questa visio­ ne a Joseph Smith solo in via ipotetica, perché la questione è controversa e su di essa Joseph Smith ci ha tram andato una tradizione quasi esclusivamente orale. Eppure proprio il fatto che la questione sia controversa costituisce, già di per sé, un segno manifesto della singolarità e dell’incompiutezza di una religione il cui profeta è stato ucciso proprio mentre sottopo­ neva tutta la sua opera a uno straordinario processo di revi­ sione. Ai mormoni oggi viene insegnato che tutto ciò che fa parte di noi scaturisce da uno stato anteriore alla nascita, nel quale un dio e sua moglie (oppure una delle sue mogli) fanno l’amore, generando così, nel senso letterale della parola, la no­ stra vita spirituale. Dopo la nostra morte e la nostra resurre­ 141

zione in un altro luogo, toccherà anche a noi lo stesso piacevo­ le compito di generare «figli nello spirito» per universi ancora da venire. La peculiarità di questa visione dal duplice aspetto consiste nel fatto che nessun teologo mormone è in grado di fare riferimento a scritti di Joseph Smith, canonici o meno, per sostanziare queste certezze di fede, oggi estremamente dif­ fuse. In realtà la convinzione profonda di Smith (interamente gnostica) secondo la quale il nostro spirito, ovvero il nostro in­ telletto, è antico quanto Dio e gli dei, e in quanto tale non ha mai dovuto essere generato, è in aperta contraddizione con la dottrina dell’infusione della vita spirituale nel non nato. Ci troviamo perciò di fronte all’anomalia di una dottrina della Nascita spirituale che non solo non trova conferma nelle scrit­ ture di Smith, ma costituisce anche una violazione dei suoi principi basilari. Van Hale, editore e pubblicista mormone contemporaneo, propone un interessante approfondimento di questa aporia nel saggio The Origin o f thè Human Spirit in Early Mormon Thought (pubblicato in Line by Line , a cura di G.J. Bergera, 1989). Do­ po aver osservato che per Smith «spirito», «anima», «intellet­ to» e «mente» erano sinonimi, Hale stende un elenco impres­ sionante delle affermazioni fatte dal profeta, da cui emerge che lo spirito umano è coevo a Dio, e quindi eterno. L’elenco si conclude con il discorso per King Follett, l’ultima frontiera dell’attività profetica di Smith prima del martirio. Come dice solennemente il profeta, «la mente dell’uomo è immortale, co­ me immortale è Dio». Questa mente, o spirito, non ha quindi nessun bisogno di essere generata a Dio da una moglie divina, eppure proprio questo era il precetto dottrinario insegnato da Orson Pratt quando Smith era ancora tra i vivi. Parley Pratt, a sua volta, riferisce di un insegnamento impartito a voce da Smith (nel 1840) secondo il quale dal matrimonio eterno avrebbero continuato a nascere figli anche dopo la Resurrezio­ ne. Su questo punto Hale lascia meditatamente intendere che Smith avrebbe chiarito la questione se solo fosse vissuto abba­ stanza a lungo da presiedere al completamento del tempio di Nauvoo la qual cosa avvenne invece sotto la supervisione di Brigham Young, che ne fece un mistico gesto di omaggio a Jo ­ seph prima del grande esodo verso l’ovest. A quanto pare dunque disponiamo soltanto di precetti tra­ 142

mandati oralmente, e forse anche in modo incompleto, che contengono contraddizioni irrisolte, e ciò solleva un interroga­ tivo affascinante, che dovrebbe tormentare ogni critico della religione che si occupa di mormonismo: è possibile ipotizzare che Smith abbia tram andato anche altri precetti, noti soltanto ai vertici più alti della gerarchia? Personalmente ritengo che questa sia un’ipotesi del tutto probabile, dal momento che la Chiesa non ha mai dichiarato ufficialmente di aver reso noto ai gentili, e neppure ai mormoni in generale, tutto ciò che per essa riveste maggiore importanza. Può darsi che io mi illuda, ma penso che in relazione alla dottrina dello spirito per i non nati debba pur esistere qualche insegnamento di Smith che non è mai stato reso pubblico. La persona più autorevole in materia è l’esimio B.H. Roberts, secondo la cui interpretazio­ ne il discorso per King Follett starebbe a significare che lo spi­ rito umano è generato in cielo mentre la mente o intelletto, che deve considerarsi entità separata, esistono da sempre. Hale di­ mostra che Roberts si è basato su un testo modificato (la cui elaborazione risale al 1855) del discorso per King Follett, e sulla scorta di ciò respinge fermamente le conclusioni di Ro­ berts: È vero che questo insegnamento è senz’altro consono al pen­ siero di Smith e costituisce l’interpretazione che probabilmente è destinata a prevalere tra i mormoni, ma personalmente non ritengo che rappresenti la dottrina di Joseph Smith su questo tema. (p. 123) Eccoci ancora una volta di fronte all’esistenza, probabile ma non certa, di un insegnamento segreto di Joseph Smith, impartito solo a pochi iniziati; un insegnamento che lui stesso non aveva compiutamente elaborato, visto che tra Orson Pratt e Brigham Young, nello Utah, si prolungò all’infinito la pole­ mica sulla preesistenza e sulla natura di Dio e dell’uomo, e vi­ sto che tutti e due, sia Pratt sia Young, godevano della confi­ denza di Smith. Essendo esterno al mormonismo, sono portato ad attribuire ancora una volta questa difficoltà alla straordi­ naria aspirazione ontologica che diede frenetico impulso al­ l’attività di Joseph il Profeta negli ultimi anni della sua breve vita. La grande speranza di Smith, ancor più grande di quella degli antichi veggenti gnostici come Valentino o Basilide, era 143

di dar vita a un uomo totalmente, radicalmente nuovo, proba­ bilmente a cominciare da se stesso. Nel capitolo precedente ho citato la tesi di Lawrence Foster, per cui la poligamia era lo strumento pratico mediante il quale Smith sperava di creare un popolo nuovo. Chiaramente esiste un legame necessario tra la poligamia, intesa come la forma più elevata di matrimonio celeste, e i due principi dottrinari apparentemente bizzarri del battesimo per i morti e dei corpi spirituali per i non nati. Se si negano il peccato originale e la funzione salvifica della grazia, e si attribuisce una corporeità e quindi delle limitazioni a Dio, ne conseguirà inevitabilmente l’attribuzione di un peso tutto particolare alle potenzialità religiose dello spirito umano. M i­ nimizzando, Sterling M cM urrin definisce questo peso «una dottrina liberale dell’uomo»; io invece sono del parere che bi­ sognerebbe trovare una definizione decisamente più forte, an­ che a costo di essere sconvolgenti. Inoltre M cM urrin classifica la teologia mormone come «una forma moderna di pelagianismo all’interno di una religione puritana», e questa è un’altra evidente sottovalutazione del problema. Lo gnosticismo ame­ ricano di Joseph Smith aveva prodotto una nuova Cabala, in cui il destino della divinità veniva a dipendere interamente da una teurgia sessuale e da un’estrema estensione della capacità umana di provare affetti familiari. Nel mormonismo la poliga­ mia era intesa non come elemento di rottura dell’unità fami­ liare, ma al contrario come fattore della sua espansione e del suo rafforzamento, un paradosso che evidentemente funziona anche oggi all’interno dei numerosi, ancorché illegali, m atri­ moni poligami diffusi tra alcuni gruppi di mormoni. La pro­ gressione alla divinità, per Smith, non poteva e non doveva es­ sere disgiunta dal matrimonio poligamo, ma si indovina un si­ gnificato ancora più ampio in questa visione, dove il matrim o­ nio celeste diventa a sua volta una sorta di metafora o di mito. È come se Smith avesse voluto portare tutti i suoi seguaci a partecipare della sua capacità preternaturale di rapimento estatico. Tornerò sui mormoni nell’ultimo capitolo di questo libro, per parlarne in relazione a una fede americana - quella dei battisti del sud moderati - che si propone come opposta, ma allo stesso tempo complementare alla loro. In questi tre capi­ toli mi sono soffermato, come si rendeva necessario, sul genio 144

poietico religioso di Joseph Smith. Che genere di valutazione complessiva si può dare di lui, dal punto di vista specifico di quella che chiamo critica della religione? Qui il problema principale nasce dallo scontro tra due prospettive diverse, quella dei mormoni e quella di noi altri. Smith pretendeva di essere riconosciuto come l’unico, vero profeta della sua reli­ gione, e per i mormoni egli effettivamente lo è stato, lo è e lo sarà sempre. In base alla sua stessa dottrina, egli era qualco­ sa di più che un profeta, o meglio ancora egli oggi è senza dubbio un dio, grazie alla progressiva elevazione avvenuta nei centocinquant’anni che hanno seguito la sua morte. Alla fine del x ix secolo alcuni mormoni hanno addirittura avan­ zato l’ipotesi che nella sua esistenza anteriore Joseph Smith fosse stato uno degli esseri che avevano aiutato Dio nella sua opera di organizzazione iniziale del mondo. Il modo di pensa­ re dei mormoni è accessibile solo ai mormoni, e a quei pochi che riescono a figurare se stessi come parte integrante di quel popolo. Se si decidesse che Joseph Smith non era affatto un profeta, e tantomeno il re del Regno di Dio, allora il sentimento domi­ nante nei suoi confronti dovrebbe essere di meraviglia: non vi è nessun’altra figura che sia anche lontanamente paragonabile a lui in tutta la storia della nostra nazione, ed è improbabile che sulla scena della storia torni a riaffacciarsi una personalità come la sua. La maggior parte degli americani non hanno mai sentito parlare di lui, e la maggior parte di coloro che ne han­ no sentito parlare lo ricorda come un truffatore affascinante o come un ciarlatano che si era inventato la storia dell’angelo Moroni e delle tavole d ’oro, per poi spacciarsi come traduttore del Libro di Mormori. Del Libro di Mormori esistono più copie ac­ quistate che copie effettivamente lette, in misura anche supe­ riore a quel che accade per la Bibbia di re Giacomo, e questa è una ben misera fama per un capo carismatico senza uguali nella nostra storia. Io stesso non riesco a pensare a nessun al­ tro americano, a parte Emerson e W hitman, capace di colpire e stimolare con altrettanta forza la mia immaginazione. Per chi non è mormone, quel che più conta nella figura di Joseph Smith è fino a che punto sia l’uomo sia la religione da lui idea­ ta posseggano caratteristiche specificamente americane. La fi­ gura di Smith è a tal punto opera della sua stessa creazione da 145

superare persino Emerson e W hitman per quanto riguarda le dinamiche che provoca nella mia immaginazione, e si colloca accanto alle grandi figure della nostra letteratura, in quanto appare a tratti di grandezza molto più che um ana, esattamen­ te come un personaggio shakespeariano. U na personalità così ricca e variegata, una scintilla di divinità così vitale, va quasi al di là dei limiti dell’umano, come noi comunemente ce li co­ struiamo. Per chi non crede in lui, ma lo ha studiato a fondo, Smith si trasforma quasi in una figura mitologica. M entre scrivevo queste pagine, mi sono concesso una pausa per rileg­ gere l’eccezionale libro di Morton Smith, Gesù mago (1978; ed. it. 1990), e man mano che procedevo nella lettura ho involon­ tariamente incominciato a riscrivere il libro, sostituendo Jo ­ seph Smith a Gesù, e le circostanze e i personaggi relativi a Jo ­ seph Smith a quelli di Gesù. Nessun mormone (presumibil­ mente) approverebbe un atto così sacrilego, che tuttavia è sommamente istruttivo. Joseph Smith Mago non è né più né meno arbitrario, come figura, del persuasivo creatore di miti di cui parla M orton Smith. Finisco così come ho iniziato, con un sentimento di meravi­ glia. Noi non conosciamo Joseph Smith, il quale aveva profe­ tizzato che nemmeno le persone a lui più vicine avrebbero mai potuto sperare di conoscerlo. Per raccontare la sua storia oc­ corrono poeti forti, grandi romanzieri, dram m aturghi di talen­ to, che ancora non si sono accostati a lui. Smith è enigmatico come lo era Abraham Lincoln, a lui contemporaneo; ma nel caso di Lincoln, pur non conoscendolo, per lo meno possiamo farci un’idea un po’ più chiara di ciò che in lui non riusciamo a comprendere. Con Joseph Smith, invece, non possiamo nep­ pure dire con certezza quali siano le cose che ci sfuggono. In quanto non credente, contemplo con meraviglia la sua capaci­ tà di intuire quali siano gli eterni dilemmi religiosi del nostro paese. Il cristianesimo tradizionale si confa agli Stati Uniti quanto la cultura europea, cioè poco o niente. Il nostro biso­ gno profondo di originalità ci ha dato Joseph Smith, così come ci ha dato Emerson ed Emily Dickinson, W hitman e Melville, Henry e William Jam es, e come ci ha dato Lincoln, il fondato­ re della nostra presidenza, potentissima e impotente nello stes­ so tempo. In ogni manifestazione della Religione Americana c’è qualcosa dello spirito di Joseph Smith. Joseph sapeva di non 146

essere parte della creazione, sapeva che ciò che vi era in lui di più nobile e antico era già Dio. E malgrado la sua vocazione profetica e la sua visione comunitaristica sapeva anche, come uomo, di essere essenzialmente solo, e di poter vivere la pro­ pria libertà spirituale solo in profetica solitudine.

in. Originali americani: i rivali

7 Scienza cristiana: la Fortunata Caduta di Lynn, M assachusetts

Fra tutti i dualisti americani, la signora Eddy era sicura­ mente la più confusa, tanto che presentò la sua scienza come una forma di monismo. D ’altra parte, tuttavia, era una figura dotata di un pathos eroico, e si è conquistata un suo spazio nella storia della religione senza l’aiuto di una grande intelli­ genza e neppure di un vasto sapere. La sua forza di volontà è stata sufficiente; e la sua religione, benché ai nostri giorni ri­ guardi a malapena un americano su mille, vive ancora tra noi con una sua tenace vitalità. Dal momento che in questo libro mi sono assunto l’onere di fare della critica della religione, è necessario che tenga sempre presente la massima di William Blake: «Tutto ciò che può essere creduto è un’immagine della verità». La Scienza cristiana, per quanto possa mettere a dura prova la pazienza di un empirista^ contiene tuttavia un ele­ mento irriducibilmente spirituale. E la religione di coloro che rifiutano di accettare la prova dei fatti, che rifiutano quel sape­ re illuminato che ha la sua massima espressione nel principio di realtà di Sigmund Freud, un principio a noi deterministicamente necessario per venire a patti con l’ineluttabilità della nostra morte. È tutto qui il pathos della Scienza cristiana, de­ cisamente meno eroico del pathos della caparbia volontà della signora Eddy. Lo stile della prosa di M ary Baker Eddy, ironicamente elo­ giato in passato da M ark Twain, rappresenta una delle più grandi torture della Religione Americana. Da lettore accanito e direi addirittura ossessivo quale io sono, sono riuscito a com­ pletare la lettura di quasi tutta l’edizione corrente di Scienza e salute con chiave alle Scritture, ma non mi sentirei di raccoman­ darla a nessuno. Tuttavia è possibile leggerla tutta fino in fon­ do, mentre ogni volta che provo ad affrontare un’opera d’ispi­ razione New Age devo dichiararmi sconfitto. In questa sede l’argomento che mi interessa toccare è solo quello della nozio­ 151

ne che la signora Eddy ha di Dio, e qui l’uso del termine «no­ zione» è frutto di una mia scelta deliberata. Non si può parla­ re, infatti, di una sua «visione», né di un suo «concetto» o «idea» di Dio, poiché il Dio della signora Eddy è il prodotto fi­ nale di un lungo processo nel quale l’originario Yahweh del­ l’autore J, un Dio caratterizzato da una personalità esuberan­ te, è stato progressivamente fatto «evaporare» fino a divenire un’entità gassosa. Filone di Alessandria, il padre della teologia occidentale, non è uno dei miei autori preferiti ma sarebbe sta­ ta una giusta punizione la sua, se in qualche cerchio dantesco avesse dovuto incontrarsi con la fondatrice della Scienza cri­ stiana. Il platonismo diffuso a livello popolare, perennemente in fermento, non ci ha dato nulla di tanto idealizzato (parola inadeguata!) quanto il Dio di M ary Baker Eddy: nell’intero corso della storia religiosa dell’Occidente non c’è figura che sia stata più atterrita dall’idea di un Dio antropomorfo della signora Eddy. Il peccato, la malattia, la morte stessa erano di­ scese nel mondo, secondo le sue ripetute affermazioni, a causa della «credenza che lo Spirito si fosse materializzato in un cor­ po, che l’infinito si fosse trasformato nel finito, ovvero nell’uo­ mo, e che l’eterno fosse entrato nella dimensione della tempo­ ralità». Questa affermazione è contenuta in un saggio da lei intitola­ to The People’s Idea o f God: Its Effect on Health and Christianity nel quale la priorità accordata alla «salute» è molto evidente ben­ ché, per correttezza nei confronti della signora Eddy, si debba ammettere che per lei salute e cristianesimo erano termini pra­ ticamente equivalenti. Dopo la Fortunata Caduta sul ghiaccio avvenuta a Lynn, nel M assachusetts, all’inizio del febbraio del 1866, la signora Eddy non ebbe una rivelazione, ma piuttosto conseguì una comprensione scientifica di Dio. La scienza in questione era di origine piuttosto antica, dal momento che il suo postulato fondamentale era che Dio non avesse creato il mondo naturale. In ogni caso la signora Eddy, rifiutando l’empirismo, si spinse anche più in là degli gnostici: non sol­ tanto la m ateria era assolutamente irreale, ma lo erano la vi­ sta, l’udito, il tatto, il gusto e l’olfatto, dal momento che anch’essi partecipavano all’essenza della morte. Con grande si­ curezza la signora Eddy proclamò il suo nuovo credo: «La Scienza cristiana rigetta il valore della testimonianza dei sensi, 152

che sono prova solo di se stessi - in quanto malattia, infermità, morte». Se oggi, negli Stati Uniti, la Scienza cristiana è una setta in declino, la ragione va forse ricercata in questo: la sua presuntuosa forzatura che consiste nel voler assimilare ogni evidenza di prova - tutto ciò che vediamo e udiamo, tutto ciò che tocchiamo, gustiamo o annusiamo - alla morte. In ogni caso, benché attraversi ora una fase di profonda cri­ si, la Scienza cristiana è stata per più di un secolo un fenome­ no di cruciale importanza per la Religione Americana. Le sue origini non vanno attribuite alla figura della sua antiempirista fondatrice ma, sebbene spesso gli Scientisti cristiani lo neghi­ no, a un uomo dal nome meraviglioso: Phineas Parkhurst Quimby (1802-1866), che nel 1862 ebbe in cura e guarì M ary Baker Eddy (1821-1910). Quimby, che era un ex mesmerista, professava la sua fede in un Gesù inteso come guaritore, e pare che sia stato lui a coniare il termine «Scienza cristiana». Non fu lui, però, a inventare M ary Baker Eddy; questo fu compito di lei stessa, che a esso dedicò tutta la vita. La personalità di M ary Baker Eddy, tuttavia, risulta incomprensibile se non si fa riferimento a Quimby, periquanto sia lei sia i suoi seguaci abbiano negato di avere alcun debito nei suoi confronti. Quimby era un orologiaio del Maine autodidatta, una persona molto um ana e gentile che aveva curato le proprie nevrosi con l’autoipnosi e in seguito si era generosamente dedicato a cura­ re il suo prossimo. Ben presto Quimby smise di praticare l’ip­ notismo, preferendogli la suggestione mentale. La «Terapia mentale», nome con cui questa pratica divenne popolare, era un aspetto della «scienza della salute» di Quimby, una dottri­ na molto più spirituale che psicologica. Sebbene sia stato sem­ pre molto attento nel distinguere se stesso da Gesù, Quimby ha accomunato le sue cure a quelle praticate da Gesù, e sem­ bra abbia postulato l’esistenza di una sorta di mente um ana universale, a sua volta manifestazione della mente di Dio. Al momento del suo incontro con Quimby, M ary Baker era un autentico relitto, un monumento all’isteria nelle sue forme classiche, una specie di compendio di tutti i disturbi nervosi del x ix secolo. Dopo essere stata curata da Quimby, M ary Baker entrò in una nuova fase, quella della discepola, e la sua dedizione perdurò sino alla morte del maestro. La perdita di Quimby annientò gli effetti della cura; un mese dopo la sua 153

morte, M ary Baker scivolò sul ghiaccio a Lynn, nel M assa­ chusetts, e tornò a essere la m alata che era stata prima di in­ contrarlo. Questo singolare evento accaduto il 1° febbraio del 1866 e ancora oggi ricordato dagli Scientisti cristiani come la «Caduta di Lynn», può essere considerato la versione ameri­ cana della Fortunata Caduta. La mela comunque, per questo nuovo redentore, non era associata ad Adamo, bensì a New­ ton: La mia immediata guarigione dalle conseguenze di una feri­ ta provocata da un incidente, una ferita alla quale né la medi­ cina né la chirurgia avevano trovato rimedio, fu come la mela caduta dall’albero, e mi condusse alla scoperta del modo per stare bene e far stare bene gli altri. M ark Twain, con il suo libro sulla Scienza cristiana, ha reso superfluo ogni ulteriore tentativo di umorismo sull’argomento. La figura della signora Eddy è priva del fascino noncurante di Joseph Smith, ma come eresiarca americana è seconda soltan­ to a lui. In questa sede il mio intento non è di delineare un profilo della Scienza cristiana: ne esistono già molti, e tutti fa­ cilmente reperibili. La critica della religione, se applicata ai battisti del sud o ai mormoni, si deve confrontare con forme enigmatiche di fede la cui irriducibile spiritualità non può tut­ tavia essere negata. La Scienza cristiana afferma di essere pu­ ra spiritualità, e invero non sembra essere nient’altro che que­ sto, ma la sua recisa negazione della realtà empirica la rende a volte simile a Scientology, quasi che la fantascienza si insi­ nuasse all’interno della sfera religiosa. Il Dio di M ary Baker Eddy è il Dio vero e supremo degli gnostici, nonostante tutte le affermazioni contrarie dei creden­ ti e degli studiosi, dal momento che, ancora una volta, ci tro­ viamo davanti a un Dio irraggiungibile ed estraneo, che dimo­ ra al di fuori del nostro cosmo irreale, al di là di qualunque di­ mensione puram ente materiale. In luogo di quest’ultima, la Scienza cristiana ci dà quelli che essa stessa definisce i «sette sinonimi deificanti», così riassunti dalla signora Eddy con la sua abituale enfasi aforistica: «Dio è incorporeo, divino, M en­ te infinita, Spirito, Anima, Principio, Vita, Verità, Amore». In questa definizione il termine che m erita il maggior interesse è «Vita», da non intendersi certo nel senso della vita che noi tut­ 154

ti viviamo in modo naturale, nella gioia o nella sofferenza. Nel pensiero della signora Eddy la «Vita», così come P«Amore», deve essere qualcosa di misterioso, dal momento che il suo Dio non è una persona né tantomeno una personalità. Qualunque cosa Dio ami in noi, certamente non si tratta dei nostri corpi, troppo imperfetti per essere opera sua. Nel corso delle mie ri­ petute e faticose letture di Scienza e salute con chiave delle Scritture non ho mai individuato alcun riferimento a un Dio Scientista; è invece il Gesù Cristo della signora Eddy a essere notoria­ mente descritto come uno Scientista piuttosto che come un profeta o un mago. In quanto Scientista, a Gesù viene conces­ so il privilegio del Primo Avvento, rispetto a quello della si­ gnora Eddy, che sarebbe il Secondo, come se la Crocifissione fosse un antecedente della «Caduta di Lynn». Dal momento che non vi è alcun elemento di realtà nel male o nella sofferen­ za, nel dolore o nella m alattia, e neppure nella morte, la Crocifissione è stata necessariamente una prova meno impegnativa del fecondo scivolone sul ghiaccio di quel mese di febbraio. La morte, secondo la signora Eddy, non può distruggere la vita in nessuno di noi e pertanto diventa difficile parlare di ecceziona­ lità della figura di Cristo. Se non vi è morte non vi è neppure Resurrezione, e né Lazzaro né Gesù resuscitano dalla tomba. Vi è soltanto un ridestarsi da un sonno profondo: cosa che, ahimè, non è ancora riuscita alla signora Ecrdy né a nessun al­ tro Scientista cristiano, pur restando il fondamentale elemento di speranza che questa dottrina continua a prometterci. Senza dubbio questo è lo zoccolo duro non tanto della fondazione della Scienza cristiana, quanto piuttosto della sua inesorabile autodistruzione. Come possono i defunti imparare a non cre­ dere nella morte se non ci sono riusciti (finora) nemmeno Ge­ sù e la signora Eddy? La sofisticata risposta che a questo interrogativo dà la Scienza cristiana nell’adagio proposto dalla signora Eddy la­ scia intravedere una certa disperazione: «La resurrezione dal­ la morte (vale a dire dalla credenza nella morte) arriverà per tutti, presto o tardi». L’espressione «presto o tardi» garantisce una notevole estensione temporale a ciò che la signora Eddy ha definito «avanzamento e prova», con riguardo particolare alla morte come fatto compiuto. Eppure l’Apocalisse di M ary Baker era già arrivata: 155

... qui e subito possiamo renderci conto della cessazione della morte, della sofferenza e del dolore. Questa è una vera antici­ pazione della Scienza cristiana assoluta. Rincuorati, o tu che soffri e mi sei caro, poiché questa nuova realtà dell’essere sicu­ ramente apparirà in qualche tempo e modo. La «Scienza cristiana assoluta» è comunque qualcosa che nemmeno la signora Eddy è stata in grado di raggiungere dal momento che anche lei si è am m alata ed è (apparentemente) morta. Il corpo spirituale era, per lei, «l’idea incorporea», ma secondo i suoi seguaci lei era sopraggiunta troppo presto per attingere all’Assoluto. E tuttavia l’Assoluto è già qui, attingi­ bile dalla nostra conoscenza, e suppongo che ogni Scientista cristiano sia libero di credere che proprio lui potrà riuscire là dove la signora Eddy ha fallito, giungendo a penetrare l’Asso­ luto. Il sogno dell’immortalità possiede, in un grande poeta o in un genio religioso, una straordinaria capacità di generare pathos. La signora Eddy ha composto versi per tutta la vita, e ciò che di suo è stato pubblicato mi induce immancabilmente a rammentare la desolata e lucida riflessione di Oscar Wilde: «Tutta la cattiva poesia è sincera». C ’era del genio religioso, nella signora Eddy ? Formulo questo interrogativo in tutta sin­ cerità, anche perché costituisce un tema legittimo di quella critica della religione che sto cercando di sviluppare. In defini­ tiva, quali sono stati e quali sono gli aspetti che hanno permes­ so e ancora permettono alla Scienza cristiana di avere una sua dignità, in quanto setta evidentemente capace di perdurare? Benché rifiuti la natura e financo la natura umana, la Scien­ za cristiana, paradossalmente, è una religione della volontà. Nel pensiero della signora Eddy la distinzione più importante (e anche la più confusa) è quella tra «mente mortale» e «men­ te divina», la quale ultima si identifica con il principio della guarigione. La mente mortale, fonte di tutti i mali, è l’origine del temutissimo m m a , il «Malefico Magnetismo Animale». La signora Eddy qui dimostra di essere in una condizione m enta­ le perennemente sull’orlo della follia, come appare chiaramen­ te dalla lettura della prima edizione di Scienza e salute (p. 123) : Negli anni a venire la persona o la mente che odia il suo vici­ no non avrà la necessità di attraversare i suoi campi per di­ struggergli le greggi e le mandrie e per devastargli le vigne, e neppure il bisogno di entrare nella sua casa per offendere chi 156

ne fa parte, e tutto ciò perché la mente malvagia potrà raggiun­ gere questo scopo grazie al mesmerismo; non essendo per giun­ ta visibile in propria persona, e non essendo quindi obbligata ad ammettere il fatto. A meno che la Scienza, in questo momento supremo e terribile, non sia in grado di fronteggiarlo e contra­ starlo, il mesmerismo, questo flagello delPumanità, non lascerà nulla di inviolato, nel momento in cui la mente prende ad agire sotto l’influsso di un potere conscio. La paranoia, stando alle parole del saggio William Burroughs, consiste semplicemente nel voler conoscere tutti i fatti; intuizione, questa, che Thomas Pynchon ha ulteriormente svi­ luppato, trasformandola nell’acuta osservazione che persino i paranoici hanno dei nemici. Stephen Gottschalk, nel suo libro The Emergerne o f Christian Science in American Religious Life , pur essendo generalmente molto contenuto nei suoi giudizi, è co­ stretto ad ammettere un certo numero delle ossessioni della fondatrice di questa religione: un numero comunque sufficien­ te a infondere nel lettore una sensazione di incredulità. Ci vie­ ne raccontato di uno studente a lei molto vicino, Richard Ken­ nedy, che avrebbe deliberatamente cercato di procurarle sof­ ferenze personali, ricorrendo appunto al malefico magnetismo animale. Poi viene la morte del marito, Asa Gilbert Eddy, «assassinato mentalmente» da Edward J. Arens, un altro ex studente malato di mente. M a Gottschalk non mostra di tene­ re nel giusto conto l’importanza che riveste tutto questo male­ fico magnetismo. Su questo punto è necessario consultare Mrs Eddy (1929) di Edwin Franden Dakin, upa: biografia che gli Scientisti cristiani hanno cercato con tjd/tti i mezzi di togliere dalla circolazione. Gran parte del libro di Dakin tratta, come è giusto e doveroso, del timore ossessivo che la signora Eddy aveva del Malefico Magnetismo Animale. Il m m a alla fine era divenuto una forza del male dai molteplici volti a cui Scienza cristiana si opponeva con tutte le sue forze. M a cos’era in defi­ nitiva questo m m a ? Semplicemente una volontà malvagia, op­ pure qualsiasi volontà che non fosse quella della signora Eddy e dei suoi fedeli seguaci? Gli studenti avevano la consegna di occupare dei posti pre­ stabiliti, così da proteggere la signora Eddy mentre parlava dal Malefico Magnetismo Animale... Quando la signora Eddy si alzava al mattino, era in grado di accertare, dal tipo di depres­ 157

sione che l’attanagliava o dall’umore e dai pensieri che aveva, quale tipo di m m a fosse stato lanciato contro di lei, e chi tra i suoi nemici - Kennedy, Spofford oppure Arens - stesse cercan­ do quel giorno di imporre il proprio controllo su di lei. A volte tutti e tre la aggredivano contemporaneamente e allora la bat­ taglia, per quella giornata, era persa. In queste terribili emer­ genze era necessario poter disporre dell’aiuto di ogni studente disponibile, (p. 159) Il magnetismo animale, sia malefico sia benefico, è un’in­ venzione del tedesco Friedrich Mesmer, medico e artista che fece molto parlare di sé nella Parigi di fine Settecento. M e­ smer, il Jacques Lacan (piuttosto che il Freud) del suo tempo, riteneva che il magnetismo animale costituisse il canale di co­ municazione fra corpo e mente. Pur essendo un ipnotizzatore di indubbia genialità, Mesmer ha largamente contribuito a screditare gli usi terapeutici dell’ipnotismo. È stato soltanto verso la fine del x ix secolo che i precursori di Freud - Charcot, Janet, Breuer - hanno restituito al «mesmerismo» la posi­ zione che propriamente gli spetta nella storia della medicina. Quimby, l’unico ispiratore della signora Eddy, ha avuto in­ dubbiam ente del coraggio mettendo a punto le sue «cure men­ tali» in un’epoca in cui l’ombra di un ciarlatano come Mesmer si proiettava ancora sul ricorso alle tecniche di suggestione in psichiatria. La signora Eddy, scindendo dualisticamente il magnetismo animale da un lato nella volontà malvagia degli uomini e dall’altro nella propria mente divina, simile per na­ tura a quella di Gesù, ha apportato un contributo assai esiguo all’opera di Quimby. D ’altra parte, non è certo come guaritri­ ce che la signora Eddy fornì il suo apporto più significativo. Il suo eroismo consisteva interamente nello sfruttamento della sua forza di volontà, malgrado abbia sempre dichiarato il con­ trario. In virtù di questa sua forza, essa è riuscita a compiere uno straordinario percorso che partendo da un protestantesi­ mo d’importazione l’ha portata a una versione della Religione Americana nuova rispetto alle altre. M ark Twain era divertito dall’idea della Scienza cristiana che M ary Baker Eddy potesse essere praticam ente identificata con la Vergine Maria: un parallelo ancora considerato «chia­ ro» dagli attuali esegeti della Scienza cristiana, tra cui Gottschalk (p. 167). La stessa signora Eddy, seguendo la tradizio­ ne di M adre Ann Lee degli shakers, a volte si è trastullata con 158

la fantasia di vedersi come la donna «vestita di sole» dell’Apo­ calisse 12:1-5. In quest’ultimo decennio del x x secolo possia­ mo ben aspettarci che qualche Scientista cristiano si decida a ripensare una tale apocalittica visione della sublime fondatri­ ce. Benché non fosse profeta, veggente e rivelatore al modo di Joseph Smith, la signora Eddy era ugualmente incline a di­ chiarazioni intrise di divina autorità: «Dio parla a questa no­ stra epoca attraverso di me». Dal momento che in virtù di ciò la sua volontà di guarigione coincideva necessariamente con la Volontà di Dio, la signora Eddy è stata protagonista di un trionfo della volontà che non ha uguali nel contesto della ri­ flessione religiosa del x ix secolo, se si eccettua Thomas Carlyle (che ritengo fosse la sua segreta fonte di ispirazione). Certo la signora Eddy non aveva mai letto Carlyle né altri pensatori vittoriani, quanto meno in modo approfondito: tuttavia da Carlyle (e da John Ruskin) ha preso ciò che le serviva, spigo­ lando qua e là da un unico libro, una popolare raccolta antolo­ gica del pensiero filosofico del suo tempo intitolata Philosophic Nuggets (1899), a cura di una certa Joanne G. Pennington. In una appendice al suo libro Dakin fornisce una m appa accura­ ta dei suoi plagi, a partire da Carlyle e Ruskin, ma personal­ mente essi mi paiono meno rilevanti del suo evidente debito nei confronti di Carlyle per quanto riguarda l’eroica esaltazio­ ne della volontà. L’ossessiva certezza dell’esistenza del m m a e i plagi di Tho­ mas Carlyle non concorrono certo a fare della signora Eddy un’eroina della Religione Americana, ma nonostante ciò non esito a ritenerla degna di un simile appellativo. In mancanza dei suoi insegnamenti, ayremmo soltanto un’idea vaga di alcu­ ni aspetti della s m u ra ta volontà americana. Sebbene l’idea di una fede capace di guarire sia, nel contesto della Religione Americana, una caratteristica tutt’altro che esclusiva della Scienza cristiana - essa è condivisa infatti da molti battisti fondamentalisti, dai pentecostali, dagli avventisti del Settimo giorno (seppur con qualche differenza), e perfino da alcuni mormoni - l’aspetto taumaturgico della Scienza cristiana con­ tinua a essere un indizio rivelatore di quella che potremmo de­ finire la volontà americana. Come sempre, su questo punto i migliori teorici risultano essere Emerson e William Jam es. La Volontà di Energia Vitale di Emerson e la Volontà di Credere 159

di Jam es sono tutt’altra cosa rispetto alla M ente Divina della signora Eddy, la quale tuttavia, pur servendosi di un registro meno elevato, opta anch’essa per la possibilità, terreno più no­ bile di quanto non sia la prosa. Il suo testo probatorio fondamentale, quello che le restituì la salute dopo la Fortunata Ca­ duta di Lynn, è Matteo, 9:1-5: Salito su una barca, Gesù passò all’altra riva e giunse nella sua città. Ed ecco, gli portarono un paralitico steso su un letto. Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: «Coraggio, figlio­ lo, ti sono rimessi i tuoi peccati». Allora alcuni scribi cominciarono a pensare: «Costui be­ stemmia». Ma Gesù, conoscendo i loro pensieri disse: «Perché mai pen­ sate cose malvage nel vostro cuore? Che cosa dunque è più facile, dire: “Ti sono rimessi i pecca­ ti”, o: “Alzati e cammina?”. La signora Eddy si alzò e camminò, e la stessa cosa cerca di fare ai nostri giorni lo 0,25 per cento dei suoi compatrioti, don­ ne e uomini: alzarsi e camminare con lei, alzarsi e camminare con quella volontà che secondo l’insegnamento della signora Eddy altro non è che la mente di Dio. Dal momento che nega ogni evidenza empirica, da un punto di vista formale la Scien­ za cristiana finisce per essere la formulazione religiosa più idealistica che l’Occidente abbia mai conosciuto. Joseph Smith aveva una potente e creativa immaginazione religiosa, mentre la signora Eddy virtualmente non ne possedeva alcu­ na. E vero che Smith è stato ciò che erroneamente W.B. Yeats pensava di William Blake, cioè un interprete letterale della propria immaginazione, ma dal momento che la signora Eddy negava in modo assoluto tutto ciò che è naturale, anche la sua naturale immaginazione in lei era morta. La sua dottrina non è né letterale né figurata: è pura volontà. Nella signora Eddy la volontà svolge il ruolo che l’immaginazione aveva in Joseph Smith, consegnandoci in tal modo a un mondo privo di colori, di luci e di suoni. Stephen Gottschalk stranam ente conclude la sua apologia della Scienza cristiana con un capitolo dove si sforza di inseri­ re la dottrina della signora Eddy nel contesto di quello che egli definisce «l’orientamento pragmatico americano». Invocando 160

lo spirito di William Jam es, Gottschalk ribadisce che «la Scienza cristiana rivendica l’idea di un assoluto passibile di esperienza» (p. 282). Questa decisa sottolineatura lo conduce a un’affermazione ancora più sorprendente: «la sua concezio­ ne del male come non-essere si traduce, sul piano pragmatico, neH’affermazione secondo la quale l’esperienza, intesa come condizione del vivere, rende effettivamente possibile ridurre il male al non-essere in particolari situazioni». Avendo così sra­ dicato il male, per lo meno pragmaticamente, Gottschalk si sente autorizzato a proclamare che la Scienza cristiana ha tra­ sceso il protestantesimo: ... La signora Eddy ha affermato che l’uomo e la creazione, se­ condo la visione della Scienza, sono espressione di Dio, e per ciò stesso che la fede in un universo materiale e in un uomo creati da Dio è il prodotto di una concezione completamente erronea della vera essenza dell’essere. Per la Scienza cristiana, pertanto, salvezza significa pieno dispiegamento del dato spiri­ tuale e si manifesta nella comprensione della verità dell’essere nella Scienza, contrapposta alla rappresentazione mortale del­ l’essere, quale si manifesta ai nostri sensi. Il protestantesimo, invece, riconosce per vera proprio quell’idea di uomo e di uni­ verso che la signora Eddy ritiene una concezione erronea del­ l’essere; reputa la materialità dell’uomo un fatto connaturato alla sua condizione di essere creato, e concepisce la salvezza come trasformazione morale dell’uomo caduto in errore piutto­ sto che come dimostrazione della perfezione che è inerente al­ l’uomo, in quanto figlio di Dio. (pp. 286-87) In questo passo, presumibilmente senza rendersene conto, Gottschalk presenta un’antica alternativa gnostica al cristia­ nesimo. Ritenere che una religione che nega il mondo naturale e la naturalità di uomini e donne sia pragmatica ed esperienzi#fe^significa aver ridefinito in tutt’altri termini ciò che è pragmatico ed esperienziale, e aver abbandonato William J a ­ mes di H arvard in favore di Basilide di Alessandria. Gott­ schalk è tuttavia nel giusto quando asserisce che la posizione assunta dalla signora Eddy non si può definire protestante. In essa echeggiano semmai le grandi proposizioni della Religione Americana: la parte migliore e più antica della signora Eddy non è parte della Creazione, e la sua libertà, il suo sottrarsi al Malefico Magnetismo Animale, m aturano soltanto nella per­ fetta solitudine o nel solipsismo in cui la sua quasi sacra perso­ 161

na poteva essere protetta dai suoi discepoli, le menti dei quali erano attivamente e apertamente impegnate a difenderla dalle aggressioni di discepoli eretici o sicari. In opposizione allo gnosticismo, i seguaci della signora Ed­ dy tendono a enfatizzare il suo monismo idealistico, la sua fede appassionata nell’unico vero principio, la Mente di Dio. C ’è gnosticismo e gnosticismo, e alla signora Eddy si può concede­ re una sua personale variante, come una sorta di macedonia di tutti i gusti dello spirito. È una definizione di gnosticismo troppo restrittiva quella che sottende le considerazioni di M a­ ry Farrell Bednarowski su affinità e differenze tra Scienza cri­ stiana e antiche eresie, nel suo New Religions and thè Theological Imagination in America (1989): Mentre lo gnosticismo e Scientology sono sistemi dualistici, che postulano la realtà, se non addirittura l’uguaglianza, di spirito e materia, l’elaborazione teologica della Scienza cristia­ na è di natura monistica. Nello studio della Scienza cristiana non ci si imbatte mai nel concetto di un demiurgo che abbia creato il mondo materiale inteso come una trappola per il ge­ nere umano. Se qualcosa di malvagio esiste, secondo la Scienza cristiana, questo qualcosa è la mente mortale; ma la mente mortale è da intendersi come un falso modo di pensare piutto­ sto che come un’entità cosmica in antagonismo a Dio. E inoltre il Dio della Scienza cristiana non è un Dio completamente tra­ scendente, «inconoscibile» come il Dio degli gnostici. E neppu­ re un Dio immanente, (p. 34) Questo passo trascura l’entità demiurgica costituita dal Malefico Magnetismo Animale, oltre a fornire una rappresen­ tazione impropria della sconcertante varietà delle formulazio­ ni gnostiche. Certamente il Dio della signora Eddy non è più trascendente o più immanente della signora Eddy in persona; se nel suo sistema concettuale il demiurgo è il m m a , allora il suo Dio può essere definito come il b m a , cioè il Benefico M a­ gnetismo Animale. A questo punto ci stiamo finalmente acco­ stando a ciò che rappresenta l’essenza autentica dell’originali­ tà della signora Eddy in quanto profetessa della Religione Americana. La guarigione è un atto di volontà, e si compie nel momento in cui la volontà si scinde completamente dalla na­ tura. L ’arte di guarire, ovvero la Scienza cristiana, è uno gno­ sticismo che ripropone l’antica disciplina della separazione della propria mente dalla natura. E il Dio della signora Eddy, 162

e non la natura, l’autentico specchio del nostro narcisismo. Dio è perfetto e buono, e lo stesso vale per la signora Eddy, che ne riflette l’immagine più vera. Quando percepiremo noi stessi allo stesso modo della signora Eddy, allora anche noi saremo perfetti e buoni, e completamente guariti. Non saremo più es­ seri mortali e tutte le nostre sofferenze, da quelle della testa a quelle del ventre, scompariranno per sempre. Il fatto di essere liberi dalla m alattia ci permetterà di prosperare anche da un punto di vista materiale, cosicché diventeremo molto ricchi, e per giunta anche immortali. E qui fa capolino una certa ironia, dovuta al fatto che la mortalità e la m aterialità affliggono il linguaggio, e il modo in cui di esso ci serviamo. Sicché la signora Eddy, maestra della Scienza cristiana, ha avuto notevoli problemi di linguaggio, essendo quest’ultimo sin troppo affetto da disturbi di natura empirica. Al cospetto della perfezione, che si tratti di quella della signora Eddy o di quella del suo Dio, è probabile che il lettore di Scienza e salute avverta un qualche senso di incomple­ tezza. Ciò che più caratterizza il Dio della signora Eddy è la sua perfetta rifinitura: questo lui-lei, ovvero il Padre-M adre, non ha nulla in sé o di sé che sia incompiuto. L’incompiutezza deriva dal peccato, dall’errore, dal dolore, dalla malattia, dal­ la sofferenza, dalla morte, e anche dall’amore carnale, dal sen­ so dell’umorismo e dalle arti. L’autrice di Scienza e salute, che non era neppure sfiorata dal senso dell’ironia, ci insegna que­ ste verità con un fervore entusiastico che è quasi senza pari nella storia della spiritualità occidentale. La sessualità, il sen­ so delPumorismo e le arti erano al di fuori della sua sfera di in­ teressi, né avrebbe potuto essere altrimenti. Scienza e salute è l’antitesi dell’umorismo e dell’eleganza nello scrivere, così co­ mete l’antitesi della pulsione erotica. Più di ogni altra versione dellaNReligione Americana dall’epoca degli shakers in avanti, essa assurge alla perfezione omettendo di considerare, oppure negando, la realtà e l’importanza del corpo umano. Secondo la Scienza cristiana tutti i travagli collegati alla sessualità um ana derivano dalla nostra incapacità di vederci come esseri spirituali piuttosto che come individui sessuati. Nel capitolo di Scienza e salute dedicato al matrimonio, la signo­ ra Eddy prefigura un futuro nel quale i bambini potranno es­ sere generati facendo a meno di quella contaminazione con la 163

pura materialità che è il rapporto sessuale. Leggendo gli scritti della signora Eddy o le sue biografie, si ha frequentemente l’impressione che il Malefico Magnetismo Animale costituisse per lei una minaccia di tipo eminentemente sessuale. Forse per la Scienza cristiana il m m a è l’equivalente del temuto ritorno del rimosso freudiano, o forse per la signora Eddy fisicità e ses­ sualità avevano finito per diventare sinonimi. Dal momento che, per lei, noi siamo l’immagine riflessa di Dio e lo splendore divino in se stesso preclude la sessualità, la nostra sessualità non può in nessun modo essere parte della verità. Il sesso è so­ lamente illusione, come il cancro, la guerra e la morte. Erano ben pochi gli aspetti della vita, per non dire dell’amore, che non fossero considerati un’illusione da M ary Baker Eddy. An­ cora un passo o due e il pensiero della signora Eddy avrebbe finito per confondersi con la visione religiosa di M adre Ann Lee, nel qual caso gli Scientisti cristiani, al pari degli shakers, oggi non esisterebbero più. Questa esposizione dei fatti potrebbe sembrare poco indul­ gente nei confronti della signora Eddy e del suo credo, ma non è affatto questa la mia intenzione. Passerò ora a esaminare la signora Eddy da vicino, nel vivo dell’azione, per analizzare in modo più dettagliato l’autentico trionfo della sua volontà, ov­ vero di quella che Blake ha definito la volontà femminile, da cui la sua organizzazione e la sua dottrina erano permeate. U n’analisi più circostanziata non renderà certamente meno bizzarro il materiale esaminato; d’altro canto costituisce un particolare elemento di forza della Religione Americana il fat­ to che le sue modalità appaiano sempre eccessive ed eccentri­ che in rapporto a più antiche e consolidate istituzioni spiritua­ li. E certo che la stessa signora Eddy fa mostra di una certa au­ dacia in queste sue affermazioni: Persino le scritture non hanno dato un’interpretazione uni­ voca delle basi scientifiche necessarie a dimostrare il principio spirituale della guarigione, fino al giorno in cui il nostro Padre celeste non ha ritenuto opportuno, attraverso la Chiave alle scrit­ ture in Scienza e salute, disvelare questo «mistero della devozio­ ne». A volte il suo coraggio si tram uta in qualcosa d’altro, non facile da definire, come in questa ritrattazione apparentem en­ te venata di modestia:

Nessuna persona può prendere il posto della Vergine Maria. Nessuno può comprendere appieno né farsi continuatore della missione individuale di Gesù di Nazareth. Nessuna persona può prendere il posto deH’autrice di Scienza e salute, scopritrice e fondatrice della Scienza cristiana. Ogni individuo deve occu­ pare il posto che gli compete nel tempo e nell’eternità. Generalmente gli eresiarchi generano quelli che saranno i loro rivali; gli scismi provocano scismi e i culti proliferano in sottoculti. La signora Eddy aveva ragione di temere chi avreb­ be preso il suo posto: non tanto la triade del m m a composta da Daniel Harrison Spofford, Richard Kennedy e Edward Arens, i tre ex allievi da lei espulsi, quanto piuttosto due sue straordi­ narie discepole: la signora Augusta Stetson e la signora Jo ­ sephine Curtis Woodbury. La signora W oodbury, fra le due il personaggio più appariscente ma anche il meno coerente, osò sfidare la signora Eddy a Boston, sede della Chiesa madre. Fa­ mosa per il suo fascino e la sua esuberanza sessuale, la signora W oodbury esagerò decisamente quando, nel 1890, annunciò di aver fatto esperienza di un concepimento verginale dando alla luce un figlio che non apparteneva altro che a lei. Benché proclamasse che tale miracolo era avvenuto sotto l’influenza delle profezie spirituali della signora Eddy, quest’ultima non ne fu affatto entusiasta. L’azzardata impresa successivamente compiuta dalla W oodbury, di far navigare una struttura in le­ gno azionata da un «motore ad aria», indusse alla fine la si­ gnora Eddy a espellere la turbolenta quanto avvenente signo­ ra dai ranghi della Scienza cristiana. Nella mente angosciata della fondatrice, la signora Woodbury andò così ad aggiunger­ si a quella temibile combriccola che giorno e notte emanava il Malefico Magnetismo Animale contro la sua casa e la sua per­ sona. La vicenda della signora W oodbury costituisce una salutare parentesi comica nelle grigie cronache della Scienza cristiana, mentre un personaggio di effettivo rilievo è la signora Augusta Stetson, che da discepola prediletta della signora Eddy si tra­ mutò nella persona più tem uta e più avversata dalla fondatri­ ce della Scienza cristiana. Edwin Dakin, nella sua convincente biografia della signora Eddy, attribuisce sia l’ascesa sia la ca­ duta della valente signora Stetson al suo intenso amore per la signora Eddy. Invero, la signora Stetson credette fino all’ulti­ 165

mo nella divinità della signora Eddy essendo, da mistica inve­ terata, l’autentica entusiasta del movimento. Dakin cita un passo di una lettera inviata dalla signora Stetson alla signora Eddy (in data 1° novembre 1906), un passo la cui esemplarità è forse senza eguali nel variegato panoram a delle esperienze estatiche della Religione Americana: I miei studenti, riuniti oggi per l’annuale raduno della loro associazione, si associano a me nell’inviarle i sensi del nostro più sincero affetto. Le confermiamo ancora una volta la nostra assoluta e perpetua fedeltà. Ognuno di noi vigila su di lei e la­ vora al suo fianco, nella consapevolezza che anche noi ci ele­ viamo assieme a lei nella misura in cui comprendiamo e se­ guiamo i suoi insegnamenti, impartiti mediante precetti ed esempi, riguardanti l’eterna legge che governa e regola tutte le cose del creato. Poiché, in quest’ora sacra, dalla sua comunio­ ne monastica nel luogo segreto dell’altissimo lei sta dimostran­ do la manifesta immortalità della vita nell’individuo, noi atten­ diamo nel frattempo l’apparizione dell’uomo ideale, fatto a im­ magine e somiglianza di Dio, che non debba mai scomparire e rifletta per sempre la presenza, il potere e la pace della mente eterna. (Dakin, p. 336) I termini lei e noi sono scritti in corsivo dalla signora Stetson e rendono con grande efficacia l’autenticità degli accenti di questa entusiastica seguace. Ma, ahimè, ciò non servì a salva­ re la Stetson dall’inevitabile eliminazione che colpiva chiun­ que facesse intrusione nell’aura della signora Eddy. Come guaritrice, insegnante, organizzatrice e raccoglitrice di fondi, la signora Stetson si rivelò più capace della sua divina mae­ stra. Ciò che la signora Stetson aveva intuito, persino in modo più acuto della signora Eddy, era una delle grandi verità della Religione Americana, cioè l’equazione tra povertà ed errore, e la convinzione che l’errore porti con sé la malattia, il peccato e la morte. Persona molto volitiva, la signora Stetson superò tut­ ti gli altri capi della Scienza cristiana nell’esercizio del Malefi­ co Magnetismo Animale. M a finì con l’andare troppo oltre quando spinse i suoi allievi a «curare» i membri del consiglio di amministrazione della Chiesa madre della signora Eddy, poiché lo scopo di tale terapia, centrata sul magnetismo ani­ male, era di farli dipartire da questo mondo. Pur avendo perso le sue credenziali in seguito all’intervento della signora Eddy, 166

la Stetson, con una scelta suicida, accettò la scomunica finale e continuò ad adorare la divinità della signora Eddy. Persino da un’esposizione così rapida finiscono per affiorare aspetti che possono apparire grotteschi, ma ancora una volta voglio negare con forza qualunque intenzione di fare del facile umorismo. Pare che la signora Eddy, che aveva condotto una vita da semi-invalida fino a quando era stata guarita da Quimby, dopo la morte del suo guaritore sia diventata para­ noica. Molti capi religiosi carismatici (forse la maggior parte), se visti da una prospettiva laica, possono apparire degli squili­ brati psichici. L’unica grande dote della signora Eddy consi­ steva in una forte volontà religiosa, che in ultima analisi si è tradotta nella volontà di negare il principio di realtà, ovvero la necessità della morte. I suoi poteri di guaritrice, come del re­ sto quelli di Quimby, si basavano su quello che possiamo tran­ quillamente definire magnetismo animale, sia negativo sia po­ sitivo. Lo sdegno appassionato con cui Scienza cristiana (dall’epoca della signora Eddy fino ai nostri giorni) ha sempre denunciato e combattuto il mesmerismo è un segnale rivelato­ re di come questa confessione sia, nella sua essenza, la versio­ ne americana spiritualizzata e tardiva delle fantasticherie di quel gran ciarlatano di Mesmer. J.H . Van den Berg, nella sua magnifica «Introduzione alla psicologia della storia», in The Changing Nature o f Man (1961), ci propone una sottile disquisi­ zione sulle «mutevoli caratteristiche dei miracoli»: I miracoli del nostro tempo sono miracoli vaghi e indefiniti. Apparentemente a Dio non è consentito mostrarsi in nessun’altra maniera che nell’apparenza delle cose, non nelle cose in sé. E la ragione è abbastanza evidente: le cose hanno sofferto un tale processo di deterioramento con il succedersi delle epoche che il danno subito non può essere sanato, nemmeno da Dio. Soprattutto da Dio, anzi, perché causa vera del danno è la sua assenza. L’unica cosa che Dio può fare è porsi «contro» il sub­ strato delle cose; egli può fìngere, e fìngendo può riattualizzare per le nostre menti un passato più glorioso e più reale. Un pas­ sato in cui la realtà era giustizia e tolleranza di Dio, nella quale egli poteva entrare e uscire a piacimento, (p. 207) La signora Eddy, forse poco sagacemente, si rifiutò di crede­ re che «il danno non può essere sanato, nemmeno da Dio». D’altro canto, la Scienza cristiana preferisce non fare distin­ 167

zioni fra donne e uomini e tra loro e Dio, il supremo padremadre, anche quando rifiuta un Dio antropomorfo che possa entrare e uscire dalla realtà a suo piacimento. M a tutto ciò è dovuto al fatto che la signora Eddy negava in primo luogo la nostra facoltà di entrare e uscire dalla realtà: per lei noi siamo mente divina, oppure non siamo. Qualunque cosa si possa pensare delle conseguenze, sia sul piano umano sia sul piano medico, di così radicate convinzioni, la sua resta comunque un’audacia fuori del comune e tipicamente americana. Nella prassi quotidiana la mente divina non è altro che il magneti­ smo animale, che opera beneficamente per guarire dall’irreal­ tà della m alattia e del dolore. Il fatto stesso di estendere un si­ mile potere alla suggestione, o al magnetismo animale, signifi­ cava dare via libera a quei malefici influssi che tanto terroriz­ zavano la signora Eddy. Il sogno religioso americano, come del resto le fantasticherie laiche, è imperniato sul concetto di libertà e di vittoria; non la grande sconfitta (come la definì Emerson) del Golgota, ma il trionfo dei sensi e dell’anima (ancora Emerson). Le opinioni della signora Eddy sono una parodia, inevitabile, del nostro sogno religioso. Il suo narcisismo è assoluto: «Tutto ciò che è possibile a Dio, è possibile all’uomo in quanto immagine riflessa di Dio». Sebbene questa potenzialità potesse non essersi tradotta in atto nel caso di Gesù, secondo l’opinione della signora Eddy ciò si era senz’altro verificato in lei stessa. Il contenuto stesso delle divergenze tra Gesù e lei finisce con l’assegnarle un certo vantaggio, dal momento che il suo rifiuto totale del corpo su­ pera di gran lunga ogni genere di rifiuto che lei potesse ascri­ vere a Gesù. A differenza dei principali culti americani, come quelli dei mormoni, dei testimoni di Geova, dei pentecostali e degli av­ ventisti del Settimo giorno, la Scienza cristiana non si esporta in modo altrettanto universale. M entre quelli hanno fatto pro­ seliti tra popoli di razza e lingua diverse, la Scienza cristiana, all’estero, resta confinata principalmente all’interno dei paesi di lingua inglese, riscuotendo appena qualche simpatia nel mondo tedesco. Perché, a differenza di altre nostre fedi indige­ ne altrettanto durevoli, la Scienza cristiana è rimasta un feno­ meno circoscritto al mondo anglosassone? Questo fatto ha sen­ za dubbio poco a che vedere con l’intraducibilità di Scienza e 168

salute della signora Eddy, che secondo M ark Twain necessita­

va di una traduzione inglese. Non si può affermare neppure che la Scienza cristiana sia in qualche modo più am ericana dei mormoni o dei battisti del sud. La ragione sembra piuttosto le­ gata alla differenza di classe: le masse urbane e rurali non si convertono alla Scienza cristiana. Per negare la realtà della m ateria e del corpo bisogna essere ben puliti, ben nutriti, ben vestiti, oltre ad alloggiare in case confortevoli e poter agevol­ mente ricorrere a tutte le cure mediche necessarie quando il Benefico Magnetismo Animale si rivela insufficiente. La Scienza cristiana si è scelta come data di nascita il 23 agosto del 1879, giorno in cui è stata fondata a Boston la Chie­ sa di Cristo (Scientista). La funzione della Chiesa, secondo il Manuale ecclesiastico, era quella di «commemorare la parola e l’opera del nostro maestro, che ha il compito di ristabilire il cristianesimo primitivo e quel potere di guarigione che nel tempo è andato perduto». È senza dubbio una costante della cultura e dello spirito americano questa ricerca di una Chiesa primitiva, una caratteristica che risale al primitivismo biblico dei puritani, e che dopo aver lasciato ampie tracce sia tra i me­ todisti sia tra i battisti tocca il culmine, per quanto in modi di­ versi e complessi, nel restaurazionismo dei mormoni, dei primi pentecostali e delle tre organizzazioni religiose che hanno ori­ gine dai Campbell e da Barton Stone: le Chiese di Cristo, i Di­ scepoli di Cristo, le Chiese Cristiane Indipendenti. La signora Eddy, tuttavia, non può essere effettivamente annoverata tra i fautori di una restaurazione, e la sua concezione di un cristia­ nesimo primitivo non andava al di là della sua componente miracolistica. La sua non era una ricerca della «vera antichi­ tà» o della «libertà dell’anima», né di qualunque altro ideale del protestantesimo americano. Da vera americana, la signora Eddy cercava e trovò se stessa, e non aveva nessun’altra fede o saggezza da offrire se non quella che lei stessa incarnava. An­ zi, in realtà, non offriva nemmeno questo, dal momento che ri­ fiutava incarnazioni o personificazioni di qualunque sorta. Tutto ciò che aveva era la sua volontà di potere, che esercitava sulla propria salute e su quella di chi si fosse rivolto a lei. M a in lei esisteva anche il lato oscuro di questa volontà. Infatti, se da una parte viveva in virtù della volontà di guarigione deri­ vante dal Benefico Magnetismo Animale, dall’altra aveva 169

paura di morire a causa del magnetismo animale malefico dei suoi discepoli ribelli o di coloro che lei stessa aveva allontana­ to. La sua vita e la sua Chiesa ora in via di dissoluzione ci inse­ gnano che persino in America la volontà da sola non è suffi­ ciente a creare una fede. La Religione Americana, ardente e feconda, continua a dare nuovi frutti, ma la Scienza cristiana pare costituirne in misura sempre crescente solo un epifeno­ meno tra i tanti.

8 L’avventismo del Settimo giorno: salute, profezia ed Ellen Harm on White

È possibile che Ellen Harm on W hite (1827-1915), cresciuta nel M aine con una formazione religiosa metodista, possa aver attinto ulteriore forza e determinazione per la sua vocazione profetica da una disgrazia che la colpì quando aveva nove an­ ni. Un giorno, tornando a casa da scuola, fu colpita in pieno volto da una pietra scagliata da una ragazza più grande; il col­ po le fece perdere i sensi. Ebbe il naso fratturato e il viso com­ pletamente sfigurato, ma seppe superare il lungo periodo trau­ matico che seguì e dal quale emerse come esempio vivente del­ la nota massima di Nietzsche: «Ciò che non mi distrugge mi rafforza». Sedicente profetessa, sebbene i suoi scritti siano a stento leggibili, rimane senza dubbio la fondatrice di una fede americana molto originale e duratura che in America, tutta­ via, ha una posizione che sarebbe difficile definire di monopo­ lio. Sebbene gli avventisti del Settimo giorno non condividano il rifiuto del patriottismo proprio dei testimoni di Geova, la lo­ ro nascita è segnata infatti da un’opposizione al sogno ameri­ cano del tutto simile a quella di questi ultimi. Ciò che in pas­ sato ha accomunato le due sette è stato il fatto di essere en­ trambe frutto della grande delusione millerista, ma oggi esse hanno veramente pochi punti di contatto. L’aspetto più strano e contraddittorio dell’avventismo del Settimo giorno è la sua evoluzione da un atteggiamento di netta opposizione alla Reli­ gione Americana a una condizione di totale assorbimento al­ l’interno del nostro sciamanismo nazionale. Oggi gli avventisti rivaleggiano con i testimoni di Geova e i mormoni nel proselitismo all’estero, mentre in patria sono di­ venuti una chiesa che, razzista alle origini, conta tra i suoi fe­ deli un numero sempre crescente di afroamericani e di ispani­ ci. È un’ironia divertente che le due figure di maggior rilievo tra gli avventisti del Settimo giorno non siano più la profetessa Ellen W hite e il suo discepolo di un tempo, il dottor John Har171

vey Kellogg, inventore dei Corn Flakes, ma piuttosto due cele­ bri cantanti, Little Richard e Prince, proprio come il testimo­ ne di Geova attualm ente più conosciuto è il cantante-ballerino Michael Jackson. L’avventismo, a differenza dei testimoni di Geova, non è diventato parte integrante della mitologia popo­ lare americana, né ci ha dato delle figurazioni fantasiose quali gli Jonadabs o il Malefico Magnetismo Animale della signora Eddy. Il grande pubblico associa gli avventisti al sabato, ov­ vero al sabbath ebraico, e a una rete di servizi sanitari privati largamente diffusa e socialmente utile. A volte sembra che gli avventisti, proprio come i mormoni, corrano realmente il peri­ colo di diventare semplicemente un’altra confessione prote­ stante, oppure una nuova versione tra le tante del fondamen­ talismo. Eppure gli avventisti hanno una teologia che è loro peculiare e che rivela una spiritualità americana molto diversa da qualunque altra. Lo studio più aggiornato sulPavventismo, Seeking a Sanctuary (1989) di Malcolm Bull e Keith Lockhart, ci mette in guardia da qualsiasi spiegazione semplicistica dei paradossi di questa fede: L’avventismo si è definito attraverso la negazione del sogno americano di un progresso materiale e spirituale illimitato. Il millennio non avrebbe mai avuto luogo sul suolo americano, dato che la nazione era in combutta con il demonio e tutte le sue conquiste erano destinate alla distruzione. Il modo per ot­ tenere la salvezza e godere di un millennio paradisiaco consi­ steva nel dare vita a una chiesa che fosse santuario per le schie­ re degli osservanti del sabbath, in cammino verso la perfezio­ ne. Fin dall’inizio l’awentismo si è proposto come il modo più efficace per realizzare quegli obiettivi spirituali che il resto del­ la società si sforzava di raggiungere. Può essere interessante notare, a questo proposito, come l’avventismo si sia dimostrato uno strumento altrettanto efficace per la conquista di quei be­ nefìci materiali e sociali che molti americani desiderano arden­ temente. Ma la notevole mobilità sociale verso l’alto di cui go­ dono gli avventisti dipende dal loro distacco dal modo di vita tradizionale americano: è precisamente per il fatto che l’avventismo ha sviluppato una rete alternativa di scuole e di isti­ tuzioni che si rende possibile una così rapida ascesa al suo in­ terno. L’ideologia avventista, costituendo una deviazione ri­ spetto al tracciato, ha fornito una giustificazione teorica alla creazione di tutta una serie di istituzioni parallele a quelle sta­ tali, e questo fatto, a sua volta, ha permesso di conseguire con 172

maggior celerità l’obiettivo della prosperità materiale. Proprio mentre lo negava, l’avventismo ha tradotto in realtà il sogno americano, (p. 268) Come si ricorderà, la causa principale della disgregazione della Comunità di Oneida fu il fatto che Noyes era invecchia­ to, e di conseguenza non più in grado di continuare a dirigerla, ma un altro fattore che contribuì a tale esito fu la rilevanza economica che il gruppo aveva acquistato (costruendo e ven­ dendo trappole per animali!): causa costante, questa, del disfacimento delle sette americane. Ciò che Bull e Lockhart con­ siderano caratteristica esclusiva degli avventisti è piuttosto una caratteristica storica americana, che si ripresenta sistema­ ticamente e riguarda anche i quaccheri, gli shakers e i fondato­ ri del moderno mormonismo. Può darsi che i nuovi apporti afroamericani e ispanici riportino gli avventisti alla loro critica apocalittica del sogno americano, ma è più probabile che la lo­ ro spiccata propensione per la disciplina, la salute e l’organiz­ zazione finisca per favorire l’ascesa dei loro seguaci ai ranghi del ceto medio. Bull e Lockhart possono forse sbagliare riguar­ do all’unicità del fenomeno dell’avventismo ma il loro studio dimostra, in modo inequivocabile, quanto poco dell’avventismo delle origini sopravviva oggi. D ’altra parte, questo vale anche e soprattutto per i mormoni, superbi pilastri del Partito repubblicano negli stati del nord-ovest e nel sud della Califor­ nia. Resta oggi qualcosa, negli avventisti, che non si collochi nel solco della tradizione del fondamentalismo protestante? Nei mormoni resiste ancora una irriducibilità sufficiente a farli persistere nel loro sciamanismo americano, ma che dire dei se­ dicenti seguaci di Ellen White, profetessa perennemente in estasi? Nelle ricerche preliminari alla stesura di questo libro, ho cercato di leggere in modo approfondito i testi di Ellen White, anche se, devo dire, con alterni risultati. Sono riuscito a ulti­ mare la lettura de II gran conflitto (1888), ma mi sono perso fra i vari volumi di cui si compongono sia Doni spirituali (1858-64) sia Lo spirito della profezia (1870-84). Ellen W hite è più leggibile della signora Eddy o degli autori New Age, ma è tutto quello che le si può concedere. Bull e Lockhart definiscono «semplice e irresistibile» lo stile narrativo dei suoi scritti giovanili; ma sarebbe più appropriato dire «semplicistico e insostenibile». 173

Come nel caso della signora Eddy, è evidente che alla redazio­ ne delle sue opere hanno partecipato più autori e che il plagio è abbondantem ente praticato, ma neanche questo riesce ad al­ leviare l’arzigogolata monotonia della sua scrittura. La fonda­ trice di questa duratura setta americana aveva una terribile carenza di competenze tecniche, per quanto riguarda la stesu­ ra di testi religiosi. Se questo giudizio dovesse sembrare impie­ toso, propongo la lettura di un passo culminante di II gran con­ flitto, di straordinaria importanza per i seguaci di Ellen White, che qui vive uno dei suoi momenti di più alta ispirazione: Bisogna interrogare la documentazione ufficiale per poter determinare chi, in seguito al pentimento dei propri peccati e in virtù della fede in Cristo, ha il diritto di ricevere i benefici derivanti dalla sua espiazione. La purificazione del santuario implica dunque un lavoro di investigazione, un’attività di giu­ dizio. Queste operazioni vanno eseguite prima che Cristo ven­ ga a redimere il suo popolo; poiché quando lui verrà, la sua ri­ compensa sarà elargita a ciascuno in rapporto alle proprie ope­ re. (p. 422) «Interrogare la documentazione ufficiale», «diritto di rice­ vere i benefici», «un lavoro di investigazione»: sebbene Ellen W hite fosse solita scrivere durante i suoi frequenti stati di trance e nel corso delle sue esperienze estatiche, il suo linguag­ gio rimane quello tipico di uno studio legale del Maine. Gesù qui ci appare come il Grande Contabile, che porta a termine la purificazione del Tempio in modo che Dio possa disporre delle cifre esatte su pentimento e fede (vendite e profitti). Il Gran Conflitto tra Cristo e Satana assomiglia sempre meno a un ap­ passionato dibattito e sempre più a una disputa su questioni di contabilità in partita doppia. «Chi ha manomesso i registri?» si sentirà chiedere anche in terra, dopo che già lo aveva sentito in cielo. Non c’è fede americana, nemmeno quella dei testimoni di Geova, che abbia una teologia tanto involuta quanto quella dell’avventismo del Settimo giorno. Le mie osservazioni sono dettate da ammirazione, non da irriverenza. Benché limitata quanto a capacità espressive, Ellen W hite possedeva un’im­ maginazione religiosa oscura e ingarbugliata, ispirata com’era dalla grande delusione millerista del 22 ottobre 1844. A quel­ l’epoca aveva diciassette anni e la sua risposta alla delusione 174

che il mondo continuasse a esistere fu di cominciare ad avere visioni, a distanza di soli due mesi dal giorno fatidico. Le sue visioni sono continuate per circa un terzo di secolo, a una me­ dia approssimativa di mezza dozzina all’anno. A differenza di san Paolo e di Joseph Smith, di Ellen W hite si può dire che ha addomesticato le sue visioni, rendendole fatti di ordinaria am ­ ministrazione. Eppure esse rispondevano a un bisogno urgen­ te da parte degli avventisti, che accordarono loro lo status di testimonianze. Il fatto di accettare che le testimonianze siano ispirate dallo Spirito della Profezia è anzi la condizione prima per diventare un avventista del Settimo giorno, in stretta ana­ logia con il mormonismo, che assegna la stessa funzione al ri­ conoscimento incondizionato dell’autenticità delle prime vi­ sioni di Joseph Smith, più ancora che alla fede nelle verità del

Libro di Mormori.

Smith era un personaggio carismatico; Hellen W hite decisa­ mente no. Prophetess o f Health di Ronald L. Numbers è la mi­ gliore biografia scritta su di lei, ed è un lavoro senz’altro utile, ma non riesce a sciogliere l’enigma costituito dall’ascendente da lei esercitato sui suoi seguaci, ascendente che perdura an­ cora ai nostri giorni. La spiegazione migliore ci viene da Bull e Lockhart, e la cito con gratitudine, ma soltanto per fornire un’interpretazione diametralmente opposta degli argomenti che essi adducono: A differenza del profeta mormone Joseph Smith, Ellen Whi­ te non proclamò a gran voce la sua rivelazione né radunò un suo seguito; piuttosto, visse un’esperienza religiosa di tipo par­ ticolare che giunse a essere accettata come autorevole all’inter­ no di un gruppo già esistente. Il ministero profetico di Ellen White fu un aspetto dell’esperienza sociale avventista, non semplicemente l’esperienza psicologica di un singolo indivi­ duo. (p. 25)

Si potrebbe controbattere osservando che gli avventisti non avevano visioni di gruppo; quella di Ellen W hite fu un’espe­ rienza psicologica eminentemente individuale, che lei replicò duecento volte o più. Rimanevano esperienze sue, ma diventa­ vano comunitarie nella misura in cui coloro che erano andati incontro alla grande delusione avevano bisogno di una fede spirituale costantemente rinnovantesi. Quel che Bull e Lock­ hart intendono qui affermare è che a Ellen W hite era stata 175

conferita un’autorità dall’esterno, perché inizialmente lei era troppo timida per conquistarsela da sé. Il marito Jam es White (e dopo la sua morte il figlio) erano i veri autori di molte sen­ tenze a lei attribuite. M a chiunque abbia letto II gran conflitto non può pensare a Ellen W hite come a una persona afflitta dalla minima insicurezza. E risolutamente e irriducibilmente dogmatica, anche nel caso in cui il dogma sia particolarmente strano e idiosincratico. La sua caratteristica principale è la te­ nacia: può darsi che non riesca ad avere la meglio sul suo av­ versario, ma dà l’impressione di essere una persona che co­ munque non desisterà, a meno che non venga bloccata, e ciò non accade mai. Benché il dogma abbia inizio come eredità di gruppo e sembri costantemente presentato in termini imperso­ nali, in realtà è plasmato, nel suo insieme, da una sensibilità lontana dalla natura ed estranea alla cultura degli Stati Uniti d’America della metà del x v m secolo e di quello successivo, la grande era della Religione Americana. Dal momento che l’avventismo del Settimo giorno, in questi anni Novanta, è una religione decisamente terrena e tutta im­ perniata sulla salute, continua a destare meraviglia il fatto che l’impianto teologico del movimento sia incentrato sull’idea di un santuario celeste. Il mondo non ha avuto termine il 22 otto­ bre 1844, ma quel giorno Gesù Cristo è entrato nel Sancta sanctorum lassù in paradiso, e ha incominciato a spazzare via i no­ stri peccati. Ahinoi, sono passati centocinquant’anni ed egli è ancora intento nella sua opera di pulizia, tanti sono i nostri peccati. Se gli avventisti volessero usare questa visione come testimonianza profetica a carico dell’America contemporanea, essa avrebbe quanto meno una finalità precisa: ma essi hanno cessato di intenderla come una denuncia delle reali ingiustizie e dell’amoralità del modo di vivere americano. Cristo non fa opera di purificazione rispetto a ll’A IDS, a l crack, ai senza-casa, nonostante la costante preoccupazione degli avventisti per la propria salute personale e, entro certi limiti, per quella della nazione. La salute, un’ossessione a cui Ellen W hite non seppe mai sottrarsi, è divenuta la teologia pragmatica degli avventisti. Da un programma iniziale contrassegnato da una netta prefe­ renza per i Corn Flakes di Kellogg rispetto alla m asturbazio­ ne, la priorità assegnata dagli avventisti all’impegno sui pro­ 176

blemi sanitari ha finito con il trasformarsi in una specie di cro­ ciata a livello mondiale, di cui hanno beneficiato milioni di africani e di asiatici e che ha permesso ai medici di guadagna­ re, alPinterno della gerarchia avventista, una posizione di maggior prestigio rispetto ai ministri del culto. Si potrebbe di­ re che il vantaggio di Ellen Harmon White su M ary Baker Ed­ dy consiste in un paradosso, ovvero nel fatto che la profetessa avventista ha contribuito a un miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie a livello mondiale pur sostenendo che la sua unica aspirazione era il paradiso, mentre la sacerdotessa della Scienza cristiana ha messo a repentaglio la salute di molti pur aspirando con tutto il suo cuore alla prosperità materiale, an­ che se poi negava l’esistenza stessa della realtà materiale. Non vi può essere esitazione alcuna nell’assegnare alla signora W hite la palma della vittoria sulla signora Eddy, ma bisogna aggiungere che la signora Eddy non era certo un modello del sublime religioso. L’avventismo del Settimo giorno, nonostan­ te la sua crociata iniziale contro l’America del secolo scorso, resta parte integrante della Religione Americana, uno straor­ dinario miscuglio di cristianesimo, orfismo, gnosticismo, non­ ché del nostro imperituro sciamanismo. Il vero termine di con­ fronto per gli avventisti sono i mormoni e i battisti del sud, os­ sia gli apporti più vitali e originali del nostro paese all’imma­ ginazione religiosa del mondo. M a prima di tutto voglio ritor­ nare sulle straordinarie caratteristiche delle testimonianze spi­ rituali della signora White, il cui motivo ispiratore comune è la visione di Cristo intento alla purificazione del santuario. Tale visione, in realtà, non era di Ellen W hite ma di un cer­ to Hiram Edson, che con altri devoti milleristi aveva parteci­ pato alla lunga veglia conclusasi nella non fatidica notte della grande delusione, il 22 ottobre del 1844, in una località non lontana da Rochester, nello stato di New York, a quell’epoca fucina delle più svariate esperienze religiose. Il mattino del 23 ottobre, dopo aver consumato una mesta colazione post-apocalittica, Edson stava facendo quattro passi per un campo di grano allorché, alzando lo sguardo, vide il cielo aprirsi sopra di lui. In quello stesso istante seppe con chiarezza e precisione in che cosa William Miller aveva sbagliato. Cristo non era disce­ so sulla terra per purificare il santuario terreno, ma si era limi­ tato a entrare nella «seconda anticamera» del Sancta sanctorum 177

celeste. Benché Miller non ritenesse persuasiva questa spiega­ zione e continuasse a essere un deluso, Ellen W hite si assunse il ruolo di propagatrice della visione di Edson presso gli altri avventisti. Fra costoro vi era Joseph Bates, un comandante di vascello del M assachusetts in pensione, che si era avventurato fra gli avventisti con lo scopo di far loro adottare la celebrazio­ ne del sabato come sabbath, sul modello dei battisti del Setti­ mo giorno. Ellen White alPinizio accolse questa innovazione con una certa freddezza, ma in seguito la fece propria, consi­ derandola come il sigillo di Dio sul suo movimento. Numbers, nel suo Prophetess o f Health , fa notare che seppure un solo e specifico angelo accompagnasse costantemente Ellen White durante le sue trance, la profetessa non ha mai fatto il nome della sua guida celeste. La tradizione che dai Vangeli apocrifi giunge a Joseph Smith passando per gli studiosi della Cabala è sempre stata molto precisa per quanto riguarda Pattribuzione del nome agli angeli; Ellen White, invece, tiene ben stretto il suo segreto. Questo anonimato contribuisce a dare un tono particolare alle sue testimonianze, accrescendone ul­ teriormente l’anomala impersonalità. Le sue peregrinazioni nei luoghi eterni sono esattamente l’opposto di quelle di Swedenborg, la cui personalità prorompente e bizzarra trasmette l’impronta a tutto ciò che vedeva. Quello che segue è un ritrat­ to di Satana che la White ci ha lasciato (descritto da Numbers a p. 20), dove il diavolo viene visto come una sorta di farabut­ to americano della metà dell’Ottocento, decaduto dallo stato di borghese rispettabile: Notai in modo particolare la fronte, che un tempo gli con­ feriva un’aria così nobile. Partiva all’altezza degli occhi e poi diventava sfuggente. Osservai che aveva accettato la sua de­ cadenza morale da tanto tempo ormai che ogni buona qualità era umiliata e ogni tratto indicante malvagità accentuato. Gli occhi avevano un’espressione astuta, cattiva, ed erano molto penetranti. Era di corporatura robusta ma il volto e le mani erano flaccidi e cascanti. Mentre lo osservavo teneva il mento poggiato sulla mano sinistra, apparentemente immerso in pro­ fonda meditazione. Il ghigno che aveva dipinto in faccia mi fece tremare di paura, così pieno di cattiveria, di satanica ma­ lignità. «Che tipo di malignità, signora White?», ci si chiede, e la ri­ 178

sposta è «malignità satanica». Non c’è aspetto della spirituali­ tà americana tanto sfuggente quanto le testimonianze di Ellen White. Il loro fascino, temporaneo o duraturo che sia, resta in­ spiegabile, anche per molti credenti avventisti. La delusione richiedeva qualche consolante testimonianza sul mondo ultraterreno, e le sue visioni erano le uniche disponibili. M a la White era priva dell’immaginazione religiosa di Joseph Smith; audacia e senso delPumorismo non le erano propri. Al loro po­ sto vi era qualcos’altro, qualcosa di ostinato e complesso che ancora permane, anche se lo si può considerare più l’arm atura esterna della teologia degli avventisti del Settimo giorno che la manifestazione di ciò che in teoria si dovrebbe definire lo spiri­ to della profezia. Chiamiamolo la disperata volontà-di-salvez­ za di Ellen White, una ricerca faticosa di sopravvivenza a de­ lusioni di ogni tipo, sia materiali sia spirituali. È l’esercizio di tale volontà, ancora vivo presso molti avventisti in ogni angolo del mondo, che consente alla sua chiesa di essere un culto a sé stante piuttosto che una setta protestante evangelica come tante, quale è per molti aspetti divenuta. Anthony A. Hoekema, nel suo The Four Major Cults (1963), elenca gli elementi della teologia avventista inaccettabili in un’ottica protestante tradizionale. T ra questi: il ricorso, negli scritti di Ellen White, a fonti diverse dalle Scritture; un’esita­ zione nell’accettare il potere salvifico della grazia, dal momen­ to che atti successivi possono annullare una santificazione pre­ cedente; il Giudizio investigativo, nel corso del quale Cristo stima le buone e le cattive azioni; l’imposizione del Segno della Bestia su coloro che non rispettano il sabbath del Settimo gior­ no; varie limitazioni poste alla figura di Cristo; l’assegnazione alla Chiesa avventista di un ruolo particolare durante l’Apo­ calisse, in quanto rappresentante dei sopravvissuti che posso­ no essere salvati. Questo elenco parla da sé e non mi permette di concordare con Bull e Lockhart, apologeti della Chiesa av­ ventista, quando liquidano Hoekema accusandolo di avere la rigidità mentale tipica degli «evangelici nella tradizione della riforma» e pertanto di dare «un’immagine di una minoranza americana dal punto di vista di un’altra minoranza». L’altro elemento addotto da Bull e Lockhart a difesa degli avventisti è il fatto che vi sarebbe una «pluralità di opinioni» al loro inter­ no, con la conseguente mancanza di un corpo dottrinario uni­ 179

co e chiaramente definito, principalmente a causa della loro origine così peculiare: L’avventismo del Settimo giorno non è il figlio misconosciu­ to del protestantesimo americano tradizionale, bensì l’orfano di un accordo temporaneo fra diversi gruppi protestanti. Di conseguenza non c’è una particolare dottrina e neppure uno specifico evento storico che allontanino gli avventisti dal solco della tradizione, così come non c’è alcun gruppo tradizionale con il quale gli avventisti possano riunificarsi dimenticando le differenze... L’identità avventista non si basa su pochi elementi dottrinali eterodossi rispetto alla tradizione... ma su una vicen­ da storica tutta particolare e irripetibile, (p. 86) Eccezion fatta per la prima affermazione, questo passo po­ trebbe riferirsi ai mormoni ancor più che agli avventisti. Come nel caso degli ebrei, i mormoni sono una religione che si è fatta popolo; al contrario gli avventisti erano un popolo molto parti­ colare, quello dei milleristi delusi, che si era fatto religione. Dal momento che ormai gli avventisti americani che discendo­ no direttamente dai loro antenati milleristi sono molto pochi, soltanto la religione resta, e mi sembra che l’intuizione di Hoekema, secondo cui l’avventismo del Settimo giorno sotto molti aspetti può dirsi a m alapena cristiano e in nessun caso prote­ stante (per non dire cattolico), sia molto giusta. L’avventismo è una Religione Americana della salute venata dal sogno post­ apocalittico di una fine dei tempi destinata a non avverarsi mai. La delineazione di un quadro della teologia avventista coincide esattamente con l’individuazione delle fasi attraverso le quali le profezie di Ellen W hite passano dal Giudizio inve­ stigativo celeste al giudizio investigativo di stetoscopi e trasfu­ sioni, di chirurghi e infermiere. Al giorno d’oggi gli avventisti contendono ai mormoni il primato della longevità tra gli ame­ ricani: curioso destino per dei credenti i cui precursori pensa­ vano di non sopravvivere al 22 ottobre del 1844. Attualmente i nuovi convertiti alPavventismo apprendono una versione per certi versi modificata dei precetti originari, ma quel che più conta è che apprendono i Sette Principi che li aiuteranno a vi­ vere almeno sei anni di più rispetto alla media nazionale: aria pura, acqua pura, elementi nutritivi, ritmo di vita regolare, ri­ poso, esercizio fisico, moderazione nel mangiare. Tutto cominciò con una visione che Ellen White ebbe nel 180

1863, in piena guerra civile. In America la riforma sanitaria fu una vera e propria crociata lungo tutto l’arco del x ix secolo, ma Ellen White, malgrado le sue condizioni di salute costantemente cattive, approdò sorprendentemente tardi a questa te­ matica a lei così cara. Forse fu la guerra a renderla più consa­ pevole del significato religioso della salute, oppure, il che è più probabile, fu il suo intramontabile disgusto per la sessualità umana a provocarle la visionaria intuizione che il sesso, da lei considerato un fenomeno dannoso per la salute e contrario alla religione, potesse essere trasceso in nome di una preoccupazio­ ne mista per il benessere del corpo e per quello dello spirito. I suoi riferimenti estemporanei al corpo come tempio di Dio (sulla scia di san Paolo, ma a considerevole distanza) rivesto­ no per il moderno avventismo del Settimo giorno un significa­ to molto più importante di quello che lei si sia mai sognata di attribuirgli, e in ogni caso sono stati determ inanti per quel che riguarda l’astensione degli avventisti dall’alcol, dal tabacco, dalle droghe, dal caffè, dal tè, da molti tipi di carne e perfino da certi forti condimenti. La stessa signora W hite riuscì solo di rado a evitare certe ricadute nell’errore, come per esempio mangiare il pollo fritto, benché si dica che alla fine si sia rare­ fatta nel vegetarianesimo. Si ritorna sempre, ragionando su Ellen White, al tema centrale, ossia al mistero del fascino che esercitava sui suoi seguaci. Non era certamente una leader do­ tata di particolare carisma, né una scrittrice avvincente, così come è fuori di dubbio che non fosse un’organizzatrice né un genio creativo, e tuttavia è ancora oggi presente a livello mon­ diale. Pur essendo l’autore della sua biografia più valida, Numbers non può molto al cospetto dei paradossi della sua vi­ ta. Era una persona buona e gentile: di notevole nella sua figu­ ra vi era soltanto la tendenza ad avere visioni, che in generale erano scialbe e monotone. Conviene, in conclusione, tornare a riflettere sulla sua costruzione teologica, poiché solo in questo contesto si possono trovare le ragioni della sua strana forza e della sua capacità di persuasione. Gli aspetti più importanti della teologia avventista consisto­ no senza dubbio nelle sue eresie tipicamente americane, se considerate nella prospettiva del protestantesino normativo. Perciò, a questo punto, tralascerò tutti quegli aspetti (peraltro assai numerosi) che esse hanno in comune con il fondamenta­ 181

lismo americano contemporaneo, per iniziare invece dal pro­ blema della loro decisa negazione dell’assioma per cui si nasce dotati di un’anima immortale. Pur mantenendo fermo il duali­ smo cosmologico di Ellen White, ovvero il gran conflitto tra Cristo e Satana, gli avventisti la seguono anche nel rifiuto di considerare gli individui esclusivamente in termini di unitarie­ tà. Senza dubbio la passione di Ellen W hite per la riforma del­ la salute agisce qui come principio operativo: corpo e anima costituiscono un’entità monistica, e in tal modo il corpo viene salvaguardato da qualunque tipo di svalutazione. Questo sa­ lutare ripudio del dualismo cristiano trova purtroppo il suo li­ mite nel dogma, fondamentale per gli avventisti, del Giudizio investigativo. A partire dal 1844 Gesù Cristo è impegnato a spazzare via i nostri peccati, il che si rivela molto diverso dal perdonarli. Per dare solo un esempio, gli avventisti si differen­ ziano dalla corrente fondamentalista dei battisti del sud per il concetto che pentimento e perdono sono estremamente prov­ visori. Si può morire dopo essersi pentiti fino in fondo, ed esse­ re così apparentemente perdonati, e tuttavia il nostro influsso negativo, che perdura a lungo dopo la morte, continuerà a pe­ sare su di noi come capo di imputazione. La salvezza si darà soltanto quando tutti i nostri peccati verranno cancellati da Cristo che li addosserà al povero Satana, capro espiatorio uni­ versale; dopodiché Cristo discenderà nuovamente sulla terra, come inizialmente si sperava che avrebbe fatto il 22 ottobre del 1844. Non mi viene in mente nessun’altra dottrina americana, nemmeno i testimoni di Geova, che assegni a Satana un ruolo così determinante. Se solo questo spirito maligno dovesse esse­ re eliminato prematuramente, per gli avventisti del Settimo giorno non vi sarebbe più alcuna salvezza. Il Gesù di Ellen W hite sembra più l’avvocato difensore dell’um anità che non colui che si addossa i peccati del mondo, espiandoli. In questa interpretazione irragionevolmente letterale dei rituali del Levitico si vanifica la necessità dell’espiazione di Cristo. Satana, ovviamente contro la sua volontà, accoglie su di sé i peccati del mondo, sicché a noi viene offerta quella che in realtà sareb­ be giusto definire un’espiazione satanica. Forse questa è la vendetta finale di coloro che hanno subito la grande delusione millerista del 1844. Le gravi frustrazioni patite da Ellen Whi182

te, alla fine, vengono risarcite a spese delPultimo e definitivo capro espiatorio. Per quanto Ellen W hite fosse una persona gradevole, in questa dottrina vi è qualcosa di molto sgradevole e pericoloso, e non occorre essere un teologo cristiano per ac­ corgersi di quanto poco cristiana essa sia. Nei fatti la funzione vicaria dell’espiazione viene trasferita da Cristo a Satana, con conseguenze psicologiche piuttosto inquietanti per i credenti avventisti. Si può citare, a questo proposito, il romanziere afroamericano Richard W right, che nella sua eloquente autobiografia, Ragazzo negro, ricorda i terrori infantili provocatigli da un vangelo tutto intriso di immagini d’immensi laghi di fuoco eterno, di mari prosciugantisi, di valli piene di ossa calcinate, di un sole che inceneriva, di una luna sanguigna... una salvez­ za brulicante di bestie fantastiche, con molteplici teste, corna, occhi e piedi. Fare di Satana il capro espiatorio porta a terrificanti raffigu­ razioni della fine dei tempi, superate per tetraggine soltanto dalle fantasie dei testimoni di Geova. Se si insegna ai bambini che la m ancata osservanza del sabbath del Settimo giorno li condannerà a ricevere il Segno della Bestia, si corre il rischio di far diventare loro dei capri espiatori. L’avventismo ufficiale di oggi sorvola su questo punto affermando che soltanto coloro che non rispetteranno il vero sabbath, quello che precede il ri­ torno di Cristo, saranno perduti, ma questa sottile distinzione frequentemente scompare tra gli avventisti. Il fatto di essere una «chiesa sopravvissuta» esaspera nell’avventismo l’orgo­ glio proprio della condizione di emarginazione, che nemmeno l’alleanza con il fondamentalismo ha cambiato in modo signi­ ficativo, e che è molto simile a quella dei testimoni di Geova. Ma, ahimè, la visione del Giudizio Finale che hanno gli av­ ventisti è sorprendentemente analoga a quella dei testimoni di Geova, forse a causa della comune origine millerista. Come i fanatici anabattisti del x v i secolo, sia gli avventisti sia i testi­ moni di Geova credono in un «sonno dell’anima» dopo che corpo e anima sono morti. T ra la morte e la resurrezione noi ci troveremmo in uno stato di incoscienza, e in mancanza della salvezza ci risveglieremmo solo per scoprirci dannati per l’e­ ternità. Nelle visioni apocalittiche degli avventisti il piacere 183

sadico e il desiderio di un bagno di sangue sono di gran lunga inferiori a quelli che troviamo nelle versioni delPapocalisse dei testimoni di Geova, ma in ogni caso gli aspetti salutistici e igienistici dell’avventismo sembrano difficilmente conciliabili con gli scenari apocalittici di Ellen W hite e dei suoi seguaci, scenari che ancora ai nostri giorni conservano intatta tutta la loro inumanità. Bull e Lockhart contestano seccamente questo genere di conclusioni: Nel mondo del dopoguerra il Secondo Avvento si è fatto più remoto, e si sono rese necessarie delle modifiche alla dottrina di fronte a credenti la cui aspettativa di un’assunzione in cielo si è fatta meno urgente di quella dei loro progenitori, (p. 90) Quel «meno urgente» è certamente l’espressione più impor­ tante di tutto il passaggio. Al pari dei mormoni, benché su sca­ la più ridotta, anche gli avventisti della vecchia guardia si so­ no guadagnati una rispettabilità alto-borghese, ma la loro fede religiosa, così come l’hanno descritta Bull e Lockhart, subirà un graduale processo di degenerazione, fino a trasformarli in una setta puramente salutista, se tali «modifiche alla dottrina» si spingeranno troppo oltre. Il paradosso di fondo delle profe­ zie di Ellen White non può venire sciolto grazie a una qualche forma di appiattimento in quel deserto fondamentalista che è la moralità della classe media. O l’avventismo tornerà a essere una versione dello sciamanismo, che è uno dei filoni interni al­ la Religione Americana, oppure si estinguerà come religione, lasciando dietro di sé soltanto un ricco patrimonio di strutture mediche. Il tocco finale di ironia, per questo residuo del movi­ mento millerista, consiste nel fatto che la sua sopravvivenza, in patria e all’estero, è ormai strettam ente ancorata agli aneliti apocalittici di africani e asiatici, il cui zelo e il cui entusiasmo sono l’eco remota della predicazione paziente e ostinata di El­ len White.

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9 I testimoni di Geova: l’antitesi della Religione Americana

Ogni fede nazionale è destinata a evocare il proprio antago­ nista, e la nostra ha trovato la sua antitesi nella peculiare rigi­ dità del fenomeno religioso costituito dai testimoni di Geova, una setta che poteva avere origine soltanto negli Stati Uniti e che rappresenta l’onda lunga - e probabilmente ultima - dell’avventismo americano del x ix secolo. Il fiasco dei milleristi del 1843-44, quando la profezia della fine del mondo non si era avverata, aveva generato l’avventismo del Settimo giorno di Ellen Harmon White, che come abbiamo visto era, nonostante le sue origini, una versione autentica della Religione America­ na. M a i testimoni di Geova, che pure nascono dal medesimo ceppo, erano e rimangono un movimento completamente di­ verso, in violento contrasto con tutto ciò che è autenticamente americano, che si tratti del governo, della religione, o delle questioni economiche. Tutti questi aspetti sono considerati opera di Satana e in quanto tali completamente tralasciati, nell’attesa che si compia la fine di tutte le cose. I testimoni di Geova prendono le mosse da Charles Taze Russell (1852-1916), che dopo essere stato presbiteriano e congregazionalista aveva finalmente trovato se stesso nell’incon­ tro con la predicazione avventista. Convinto, però, che il Se­ condo Avvento sarebbe stato di natura spirituale anziché car­ nale, Russell abbandonò l’avventismo e profetizzò un periodo di quarant’anni di prosperità, dal 1874 al 1914, al termine del quale il tempo dei gentili sarebbe finito. Il mondo non finì nel 1914, ma scoppiò la prim a guerra mondiale e il movimento fu salvo. Russell, pur essendo uno sfacciato impostore, non as­ sunse mai un atteggiamento tirannico nei confronti dei suoi se­ guaci, gli Studiosi della Bibbia (così venivano chiamati). Alla sua morte, nel 1916, il movimento passò sotto la guida del suo consulente legale, Joseph F. Rutherford, una specie di Tamerlano millenarista, che lo diresse dal 1917 al 1938. Oggi ci sono, 185

come minimo, tre milioni di testimoni di Geova sparsi negli Stati Uniti e un po’ in tutto il mondo, senza calcolare un nu­ mero quasi uguale di simpatizzanti. A differenza dei mormoni, degli avventisti del Settimo giorno, nonché di molti penteco­ stali e fondamentalisti, i testimoni di Geova persistono nell’at­ tesa della fine del tempo, che con incrollabile fede ritengono imminente. Con il 2000 alle porte è improbabile che il loro en­ tusiasmo venga meno, nonostante le loro incessanti mistifica­ zioni rispetto alla datazione dell’Apocalisse. Il Geova dei testimoni è una maestà solitaria, più che la pri­ ma persona di una Trinità; in contrasto con lui, Gesù è un dio, ma non Dio. Benché sia il padre universale, nostro come di Gesù, Geova non può dirsi un padre particolarmente amore­ vole. Il potere, non l’amore, è il suo vero attributo. Ciò che Geova persegue è la supremazia, nonché il riconoscimento universale del suo dominio. Il Geova dei testimoni ricorda molto da vicino lo Yahweh che gli antichi gnostici criticavano e facevano bersaglio della loro satira, ma è proprio sugli aspet­ ti che suscitavano il dissenso degli gnostici che si incentra il culto dei testimoni di Geova. Il fine ultimo di questo Dio è la vittoria definitiva nella battaglia di Armageddon, che sancirà per sempre la sua preminenza. La missione di Cristo non con­ siste tanto nel redimere l’umanità, quanto nel contribuire a ce­ lebrare e a difendere il potere di Geova. Il potere di Geova è infatti per i testimoni una vera e propria ossessione; nei loro scritti l’esaltazione di questo potere è talmente m arcata che mi sentirei di etichettarla come patologica. In base ai criteri da me proposti per la critica della religione, quella dei testimoni di Geova è certamente la più ambigua fra tutte le fedi religiose originali del nostro paese. La sua ricerca di una dimensione ir­ riducibilmente spirituale è estenuante. Gli scritti della signora Eddy hanno bisogno di essere tradotti per acquisire una loro coerenza, ma offendono soltanto il senso individuale della realtà; quelli di Russell e di Rutherford, invece, offendono il senso della dignità umana, sempre che tale senso esista. Essi propongono un fascismo teocratico nient’affatto mitigato dal­ l’assegnazione di un ruolo dittatoriale a un tiranno che chia­ mano Geova. Come mai i testimoni di Geova sono nati negli Stati Uniti? E per quale ragione questo movimento mantiene un’aura tipi­ camente americana? Questo culto millenarista, il più radicale 186

fra tutti, poteva emergere solo dalla più apocalittica delle na­ zioni: da un paese, come il nostro, che continua a considerarsi il redentore del mondo. Violentemente antipatriottici, i testi­ moni di Geova hanno espunto dal millenarismo americano soltanto l’America. Ahlstrom considera i testimoni di Geova il più importante esempio di ciò che egli definisce «avventismo radicale». Per i testimoni di Geova la fine del tempo è già arri­ vata nel 1975, quando sono scaduti i seimila anni di esistenza dell’umanità, ma il loro avventismo è così radicale che conti­ nuano a vivere nella speranza, anche se quella che loro chia­ mano così molti di noi la definirebbero in tutt’altro modo. Con queste parole non voglio criticare la fede nel «rapimento esta­ tico» comune a tanti fondamentalisti americani, ma piuttosto suggerire che il rapimento estatico dei testimoni di Geova non sarebbe necessariamente considerato tale da chiunque altro. Le tortuosità delParitmetica apocalittica sono troppo astru­ se per le ali dello spirito; la mente vi si smarrisce. A voler trat­ tare questo aspetto dei testimoni di Geova si cadrebbe inevita­ bilmente in qualche travisamento, poiché il movimento in m a­ teria non ha fornito né un’unica versione, né versioni omoge­ nee. Il miglior libro sull’argomento, quello di M. Jam es Penton (1985), si intitola molto opportunamente Apocalypse Delayed. La maggior parte di noi, senza dubbio, condivide l’idea che un’apocalisse rinviata sia sempre la migliore, ma su un piano puramente teorico i testimoni di Geova non si direbbero d’accordo. Le delusioni, per il movimento, sono iniziate nel 1878 e si sono regolarmente ripetute fino a quella, straordina­ ria, del 1975. Il cambiamento, dato per imminente, non arriva mai e i testimoni di Geova non hanno esattamente lo stesso temperamento del rabbino del proverbio, intento a piantare un fiore quando un discepolo, tutto agitato, accorre a comuni­ cargli che il Messia è giunto. Da saggio qual è, il rabbino fini­ sce di piantare il suo fiore prima di andare a controllare la ve­ ridicità della notizia. I testimoni di Geova si pongono agli an­ tipodi del più ebreo fra tutti gli scrittori ebrei, Franz Kafka: Il Messia verrà quando non sarà più necessario; verrà sol­ tanto il giorno successivo al suo arrivo; verrà non l’ultimo gior­ no, ma il giorno ancora più in là. Kafka continua a piantare il suo fiore; i testimoni di Geova 187

oggi credono che l’esistenza dell’um anità sia term inata nel 1975. Ancora una volta voglio ricordare che non è negli intenti di questo libro gettare discredito nemmeno sulla più strava­ gante espressione delle convinzioni religiose americane. La notte prima di scrivere queste pagine (13 marzo 1991), entrato nella cucina della mia casa di New Haven, senza nessuna ra­ gione particolare ho acceso il televisore e con grande sbalordi­ mento mi sono ritrovato nel bel mezzo di una discussione tra rappresentanti del clero, ove si sosteneva che esistesse una precisa correlazione tra le conseguenze della guerra del Golfo e i testi di Daniele e dell’Apocalisse. Il reverendo Pat Robert­ son e un altro sacerdote ospite erano impegnati a spiegare la caduta di Babilonia (Saddam Hussein) in termini di aritm eti­ ca sacra. Parecchi milioni di americani, appartenenti alle con­ fessioni religiose più varie, sono stati e ancora oggi sono in at­ tesa delPArmageddon, immaginata come un’aggressione russo-araba contro lo stato di Israele. La fede assoluta nell’infalli­ bilità della Bibbia comporta tutta una serie di conseguenze, e i testimoni di Geova non rappresentano nient’altro che l’espres­ sione più estrema di un atteggiamento mentale prevalente presso una notevole percentuale di americani. Quel che rende i testimoni di Geova diversi dagli altri non è la loro aspettativa della distruzione, ma piuttosto il loro odio violento per ciò che sarà distrutto, vale a dire il nostro paese, il nostro mondo, il nostro pianeta. La passione per la distruzione può essere una passione creativa, come asseriva l’anarchico Bakunin, ma quella dei testimoni di Geova non crea nulla. Non vi sono ele­ menti positivi dell’esistenza che i testimoni di Geova cerchino di salvare; si augurano che tutti si scompaia, e il più rapida­ mente possibile. U na riflessione sui testimoni di Geova per ciò che sono, qui e ora, si rivela un’esperienza intellettuale per molti versi spia­ cevole. L’anti-intellettualismo è una caratteristica costante dei movimenti millenaristi e di coloro che si attengono a un’inter­ pretazione letterale della Bibbia, ma nessun altro movimento religioso in America si è posto programmaticamente in antite­ si alla ragione quanto i testimoni di Geova. La componente maggioritaria fondamentalista della Convenzione dei battisti del sud è costituita da cultori devoti della ragion pura, se li mettiamo a confronto con i testimoni di Geova. Il disprezzo 188

per la ragione o per la conoscenza, in nome dell’infallibilità della Bibbia, è qualcosa di molto diverso dall’odio per l’intel­ letto: è un odio che supera persino la repulsione che gli stessi testimoni di Geova provano nei confronti del governo, delle al­ tre religioni e del mondo degli affari. Può darsi che il movi­ mento americano più teocratico debba per forza aver timore della razionalità e odiarla. Si può anche supporre che il disap­ punto per un’Apocalisse continuamente rinviata induca i te­ stimoni di Geova a non voler mai vedere, in termini razionali, le proprie contraddizioni. M a il mio sospetto è che la vera ra­ gione di questa loro aggressività e ostilità vada piuttosto ricer­ cata nella Rivelazione di San Giovanni il Divino, il loro testo fondamentale. L’influenza che l’Apocalisse ha esercitato è sempre stata sproporzionata rispetto ai suoi pregi letterari o al suo valore spirituale. Se è vero che ha ispirato i più grandi poeti, da Dante e Spenser fino a Blake e Shelley passando per Milton, è anche vero che ha eccitato la fantasia dei ciarlatani e degli impostori di tutte le epoche fino alla presente, qui in ter­ ra americana. L’Apocalisse di san Giovanni è un’opera sini­ stra e priva di umanità, letterariamente scadente nella versio­ ne originale, che giustamente è stata definita dallo scomparso Northrop Frye uno degli «incubi d’angoscia e trionfo». In ef­ fetti è un libro da incubo: senza alcuna saggezza, senza bontà, senza dolcezza, senza amore. D.H. Lawrence ne dà un giudi­ zio pungente: «L’Apocalisse non venera il potere. Vuole ucci­ dere il potente, impadronirsi direttam ente del potere, proprio in ragione della sua debolezza». È in questo che possiamo rin­ venire, a mio giudizio, il cuore delle aspirazioni dei testimoni di Geova. Allo stesso modo del libro che studiano senza posa, anch’essi desiderano annientare il potente: nelle chiese, nel go­ verno, nell’economia. Questa loro necessità psichica è un aspetto che Lawrence associa a Giovanni di Patmo, archetipo di tutti i lividi sacerdoti del risentimento. Fragili intellettual­ mente, vacui spiritualmente, i testimoni di Geova sognano di impadronirsi direttamente del potere, in modo da poter parte­ cipare della maestà del grande teocrate, Geova. Gli elementi costitutivi della dottrina di questo movimento religioso di così forte connotazione apocalittica sono limitati nel numero e rozzi nella formulazione, e non si può dire che costituiscano una teologia, in quanto una tale costruzione di 189

pensiero richiede una elaborazione concettuale e un certo sfor­ zo per superare le contraddizioni interne. Il dogma centrale, secondo Penton nel suo Apocalypse Delayed, è quello dello «schiavo fidato e prudente», figura che coincide sempre con quella del teocrate regnante, colui che, secondo i testimoni di Geova, è più potente del pontefice. Il presidente della Società della Torre di Guardia, per chiamarlo con il suo titolo forma­ le, è l’interprete autorizzato della Bibbia, mentre ai testimoni di Geova, a livello individuale, è recisamente negata la libertà di leggerla e interpretarla per proprio conto. Non sono nem­ meno liberi di chiedersi e chiedere come mai il rapimento esta­ tico venga continuamente rinviato. Russell lo profetizzò prima per il 1878, poi per il 1881, e infine per il 1914. Rutherford pro­ clamò come anno fatidico il 1925, e dal 1965 in avanti la Socie­ tà della Torre di Guardia ha puntato sul 1975. Nessun altro anno sublime è stata fissato in sostituzione del 1975 e forse non si oserà farlo fino al 2000. Uno dei compiti del servo fidato e prudente di Geova consiste nel tacitare speculazioni e conget­ ture, presumibilmente fino al momento in cui lo schiavo po­ tente non avrà compiuto un passo ulteriore nella sua rivelazio­ ne. U n’altra questione cruciale, su cui è autorizzata a riflettere soltanto l’autorità, è l’autentica identità del servo fidato. Nella visione dogmatica dei testimoni di Geova si pone in relazione un brano tratto da M atteo 24:45, nel quale Gesù parla del «servo fidato e prudente che il padrone ha preposto ai suoi do­ mestici con l’incarico di dar loro il cibo al tempo dovuto», con due passaggi dell’Apocalisse (7:4-8 e 14:1-3) nei quali il popo­ lo redento d ’Israele am monta esattamente a 144.000 anime, ovvero 12.000 per ciascuna delle dodici tribù. Il che sembra alludere al fatto che soltanto 144.000 testimoni di Geova sa­ rebbero prescelti mentre diversi milioni di devoti resterebbero esclusi. Russell aveva identificato nei suoi primi seguaci il nu­ cleo originario dei 144.000 re-sacerdoti che avrebbero servito Gesù Cristo nel corso del millennio, assicurando nel contempo che il grosso dell’um anità sarebbe risorto in un nuovo paradi­ so terrestre. Successivamente i veggenti della Torre di Guardia avevano indicato una terza classe di individui, l’«immensa moltitudine» (Apocalisse 7:9), la cui esistenza sarebbe conti­ nuata, anche se in modo meno glorioso. Costoro sarebbero state le «pecore» di cui parla M atteo (25:31-46), separate dal­ 190

la quarta classe, quella dei «capri» senza nessuna speranza. Il presidente Rutherford, con una delle sue intuizioni più pitto­ resche, individuò il prototipo della «pecora» in Jonadab, figlio di Recab, che aiutò leu di Israele nell5annientamento dei sa­ cerdoti di Gezabele, seguaci di Baal (2 Re 10:15). Nel 1935 Rutherford ridiede vigore allo slancio missionario dei testimo­ ni di Geova, che peraltro non si era mai spento, affermando che tutti coloro i quali costituivano la «immensa moltitudine», tutti coloro che facevano parte della classe delle «pecore», era­ no dei «jonadab» e, come tali, avrebbero ottenuto la vita eter­ na in questo mondo come ricompensa per la loro obbedienza alla Società della Torre di Guardia. Dal momento che Ruther­ ford, nel 1935, aveva anche proclamato che tutti i 144.000 elet­ ti erano già stati scelti, e che quindi sarebbero state possibili solo poche «sostituzioni» al posto di coloro che si erano persi, sembrava che la maggioranza degli jonadab fosse per sempre relegata in una posizione di subordine. Nella prassi, comun­ que, i testimoni di Geova sono stati molto astuti e nella realtà quotidiana si è rivelato molto meglio essere un jonadab che non un eletto. Fino al 1973 i leader del movimento confidava­ no nel fatto che la «rimanenza» degli eletti si sarebbe ridotta di numero man mano che Armageddon si avvicinava. M a tra il 1973 e il 1975 i nuovi convertiti che annunciavano di essere stati chiamati alla Cena del Signore per l’eletto «unto», furono così numerosi da rendere evidente che il numero di coloro che reclamavano lo status di eletto eccedeva senz’altro la mistica cifra di 144.000! La reazione, molto pragmatica, della Società, è stata quella della semplice cattiveria nei confronti di ogni te­ stimone di Geova che, non ancora anziano, asserisse di essere un eletto. Un nuovo convertito è dunque accolto con simpatia se di categoria jonadab, mentre viene quasi fatto oggetto di ostracismo se si considera un eletto: non importa quanto la sua certezza mistica sia intensa. È la Torre di G uardia a insegnare che la selezione degli elet­ ti è iniziata in occasione della Pentecoste, sicché la maggior parte dei membri della congregazione sono stati prescelti, so­ no morti e a partire dal 1918 sono stati ridestati alla vita cele­ ste. Per questa ragione restano tra noi soltanto pochi «eredi del regno», che oggi ammontano a poco più di 9.000 individui. La grande moltitudine degli jonadab non è realmente parte 191

della Nuova Alleanza di Cristo, e quindi non dispone di alcun intermediario. Per questa ragione essi non sono santificati, bensì giustificati dalla fede, e questo solamente dopo che l’av­ vento delPArmageddon avrà dato inizio al millennio del regno di Cristo in terra. D urante quei mille anni i fidati e fortunati jonadab dovranno superare due grandi prove a cui saranno sottoposti da Satana e dalle sue legioni. Se le supereranno sa­ ranno salvati e in questo modo risulterà giustificato quello che adesso potremmo definire il pragmatico motto dei testimoni di Geova: «Non andare superbo di essere uno dei 144.000; accon­ tentati di essere un jonadab!». Dal momento che gli esseri umani hanno comunque cessato di esistere nel 1975, siamo tutti postumi, ed essere uno jonadab è certamente un passo avanti rispetto a essere una specie di fantasma. I jonadab, oserei dire, rappresentano per i testimoni di Geo­ va ciò che il Malefico Magnetismo Animale rappresenta per la Scienza cristiana: sono un superbo apporto alla mitologia americana, entrambi parto di una fantasia che si può accosta­ re a quella di un Herman Melville o di un Thomas Pynchon. Una sommaria delineazione della cronologia attuale della So­ cietà della Torre di Guardia costituisce un altro notevole ar­ ricchimento deirimmaginazione mitica: 607 a.C. Caduta di Gerusalemme e inizio del «tempo dei gentili» 455 a.C. Decreto di ricostruzione delle mura di Gerusalem­ me e inizio delle 70 settimane di Daniele, 9:24 29 d.C. Battesimo di Cristo 33 d.C. Morte di Cristo 36 d.C. Fine delle 70 settimane di Daniele 1914 d.C. Fine del tempo dei gentili e inizio del tempo della fine 1918 d.C. Cristo sale nel suo Tempio per il giudizio 1919 d.C. Caduta di Babilonia la Grande e nascita della nuo­ va nazione dei testimoni di Geova 1975 d.C. Fine dei 6000 anni dell’esistenza umana Nel Libro di Daniele (9:24) vi è l’annuncio dell’angelo G a­ briele il cui messaggio è che settanta settimane saranno suffi­ cienti a ricostruire Gerusalemme. Nella tradizione dei testimo­ ni di Geova, le settanta settimane vanno dal 455 a.C. al 36 d.C., il che equivale a quattrocentottantuno anni, un numero non facilmente divisibile per sette. Non c’è nessuno però, nem­ 192

meno tra i più prestigiosi teocrati della Società della Torre di Guardia, che abbia pienamente compreso la cronologia dei te­ stimoni di Geova. A cronologia è seguita cronologia, e altre ne verranno ancora. Tuttavia non sembra che siano le date esatte o gli schemi cronologici a essere importanti, quanto piuttosto l’idea stessa di una cronologia. L’esattezza delle date costitui­ sce uno straordinario elemento di conforto e di rassicurazione per i millenaristi; esse danno un’illusione di forza e di cono­ scenza e sembrano offrire una sorta di scudo protettivo nei confronti della realtà. Non c’è nessuna altra setta che si sia de­ dicata in egual misura alle speculazioni numerologiche sulla città celeste o che abbia dato risposte altrettanto gratificanti all’avidità di congetture che è tipica degli americani. Il dubbio che non vi siano date immutabili, così come dottrine non mo­ dificabili, sembra non turbare la maggior parte dei testimoni di Geova. Nella capacità del movimento di assorbire e fare propri i cambiamenti a livello dottrinale non manca una sorta di capacità di immaginazione, per quanto un po’ semplicisti­ ca. Si potrebbe supporre che la resurrezione dei morti debba essere un evento cruciale, e in ogni caso tale da suscitare preci­ se aspettative; tuttavia nessuno sarebbe in grado di superare un esame nel quale gli fosse rivolta la seguente domanda: «Mi fornisca un resoconto storico delle posizioni assunte dai testi­ moni di Geova sulla resurrezione dei morti». Russell riteneva che i 144.000 eletti sarebbero risorti, ascesi in cielo e divenuti immortali a partire dal 1878, data che adesso è stata spostata al 1918. Per quanto riguarda la grande massa degli jonadab, Russell aggiunse che anch’essi sarebbero risorti, ma solo in un secondo tempo. Infine anche tutti gli altri sarebbero tornati in vita durante il millennio; in particolare i «degni dell’antichità» dell’Antico e Nuovo Testamento. M a negli anni ruggenti Rutherford espresse un’opinione diversa, e incominciò a far risor­ gere i degni perfino prima dei 144.000 santi. Dopodiché, verso la fine degli anni Trenta, in un’epoca meno sfavillante, Rutherford negò che i degni dell’antichità sarebbero risorti, per non parlare poi di chi era morto nel peccato. Soltanto i Santi e gli jonadab avrebbero vissuto una nuova vita. Nel 1950 un al­ tro teocrate, Frederick Franz, nelle sue ponderazioni sull’Armageddon stabilì che le persone giuste e devote dell’antichità potevano risorgere, una volta che la grande battaglia fosse sta­ 193

ta combattuta. Durante gli anni Sessanta, all’epoca della con­ trocultura, il movimento reagì al nuovo clima venutosi a in­ staurare privilegiando i peccatori del passato rispetto a quelli contemporanei. Coloro che erano morti a Sodoma sarebbero risorti mentre tutti i sacerdoti americani venivano consegnati per sempre alla Geenna. È indiscutibile che i testimoni di Geova hanno avuto la ca­ pacità, come movimento, di durare nel tempo, e ciò ripropone uno degli interrogativi fondamentali a cui questo libro cerca di dare risposta: quali elementi della civiltà americana e degli americani in quanto popolo favoriscono la nascita di sette tan­ to fuori dal comune, e da dove attinge la sua forza, sia in Ame­ rica sia all’estero, una visione così priva di um anità come quella di Russell, Rutherford e i loro epigoni? La caratteristica saliente dei testimoni di Geova consiste nella loro netta con­ trapposizione alla Religione Americana, derivante dall’impe­ gno che essi profondono nell’estendere immensamente la di­ stanza fra il celeste teocrate-dei-teocrati, Geova, e i suoi suddi­ ti americani. Il Dio di Joseph Smith e di Brigham Young era un uomo che in seguito a un percorso di perfezionamento inte­ riore si era elevato fino al cielo, mentre la signora Eddy era co­ sì sprofondata nella M ente Divina da non dover far altro che seguire la propria volontà per agire in conformità a quella di Dio. I battisti del sud sperimentano un mistico isolamento, in solitaria compagnia di Gesù nel giardino, mentre i pentecosta­ li possono essere salvati dalla discesa di Paraclito. Gli avventi­ sti del Settimo giorno, come prima di loro gli shakers, condivi­ dono le esperienze estatiche di donne che arrivarono fino al punto di considerarsi incarnazioni femminili di Cristo, e quasi tutti i fondamentalisti americani hanno intravisto un qualche segno della divinità grazie alla loro esperienza della Seconda Nascita. Soltanto i testimoni di Geova dissentono e persistono nella loro speranza spaventosamente umile di essere conside­ rati servi fidati e prudenti di un Geova completamente intossi­ cato dalla sua stessa maestà. Nell’opinione pubblica è diffuso un certo imbarazzo a pro­ posito dei testimoni di Geova, dal momento che essi sembrano infrangere molte delle norme condivise dalla società america­ na. La loro mancanza di patriottismo offende in modo partico­ lare in tempo di guerra; nei periodi di pace, invece, non desta 194

maggior dispetto della loro avversione alla celebrazione dei compleanni, perfino nel caso dei bambini piccoli. Assai più se­ ria è la loro intransigente opposizione alle trasfusioni di san­ gue, dal momento che il loro agire in nome di una volontà di santificazione della vita spesso finisce, nei fatti, per provocare la morte. Il loro rancore più profondo si indirizza contro lo stato, la Chiesa, il mercato, l’università e tutte le altre istitu­ zioni che regolano la nostra vita. Se agissero in nome di qual­ che utopia um anitaria, allo scopo di ingentilire la durezza dei nostri cuori, potremmo considerarli alla stregua di profeti un po’ confusi, scevri dal riduzionismo che un’interpretazione let­ terale della Bibbia comporta. Ma, ahimè, la loro critica della realtà americana è la più disperante che mai ci sia stata propo­ sta. Vorrebbero fare di noi una nazione di jonadab, di santi as­ sassini che eliminano i sacerdoti di Baal, cioè i preti cattolici, i pastori protestanti, i rabbini e tutte le altre guide spirituali di qualunque confessione religiosa. Sono le brave persone colme d’odio che terrorizzavano D.H. Lawrence, gli am anti dell’A­ pocalisse in quanto tale. E tuttavia quale superba conquista dell’immaginazione sa­ rebbero se fossero un frutto della fantasia americana, anziché una realtà fattuale. Nemmeno i nostri scrittori più apocalittici avrebbero potuto concepire un Russell, un Rutherford e i loro seguaci. Se questo movimento fosse nato dalla penna di H er­ man Melville, di Nathanael West o di Thomas Pynchon, esso rappresenterebbe l’invenzione più grandiosa di questi tetri vi­ sionari della nostra cultura. M ark Twain si sentiva sincera­ mente oltraggiato dalla tenace volontà della signora Eddy di negare la realtà della morte e tuttavia avrebbe potuto sentirsi oltraggiato, seppure a livello inconscio, dalla stessa esistenza della signora Eddy, che costituiva la prova evidente della sua incapacità di crearla, nonostante tutto il suo talento satirico. Nella realtà la dottrina dei testimoni di Geova è offensiva ver­ so l’umanità, ma sarebbe tutt’altra cosa se si trattasse soltanto di una finzione edificante. Per rendere più esplicito questo concetto cercherò di parafrasare, in modo semplice e con la maggior accuratezza possibile, la versione fornita dai testimo­ ni di Geova dell’evento che prediligono: la battaglia di Armageddon. Ciò che il povero Saddam Hussein non è riuscito a farci vivere, ossia la madre di tutte le battaglie, ci viene pro­ messo dai testimoni di Geova. 195

Nathan Knorr, il teocrate in carica nel 1953, quando si ten­ ne l’assemblea dei testimoni di Geova allo Yankee Stadium, disse che Armageddon sarebbe stato l’evento più catastrofico nell’intera storia dell’uomo. Il compiacimento insito in tale af­ fermazione è palpabile, e oserei dire che la caratteristica pecu­ liare dei testimoni di Geova in generale è proprio questo piace­ re collettivo nel contemplare la fine. Per spiegare le ragioni di questo fascino esaminiamo in primo luogo la sua fonte scritta originaria, l’Apocalisse (16:14-16), che su Armageddon ci dice il meno possibile: Sono infatti spiriti di demoni che operano prodigi e vanno a radunare tutti i re di tutta la terra per la guerra del gran giorno di Dio Onnipotente. Ecco, io vengo come un ladro. Beato chi è vigilante e conser­ va le sue vesti per non andar nudo e lasciar vedere le sue vergo­ gne. E radunarono i re nel luogo che in ebraico si chiama Arma­ geddon. Su questa fragile base si fonda la complessa mitologia dei te­ stimoni di Geova su Armageddon, vista come la battaglia cru­ ciale di Geova contro tutto ciò che gli si oppone, naturale o so­ prannaturale che sia. La più celebre descrizione letteraria di una battaglia, che si possa in un certo qual modo accostare a questa, è la visione della guerra celeste che John Milton dà in Il paradiso perduto. Tutto ciò che Milton e questi fanatici violen­ temente anti-intellettuali e antiletterari hanno in comune è il ruolo di Gesù Cristo come comandante delle legioni di Geova contro quelle di Satana. Armageddon, per i testimoni di Geo­ va, conserva ancora un curioso legame con la prima guerra mondiale, dal momento che secondo loro il primo confronto fra Cristo e Satana avrebbe avuto luogo tra il 1914 e il 1918. La seconda e decisiva battaglia (anche se non l’ultima) sarà quella di Armageddon, e coloro che verranno uccisi non risor­ geranno durante il millennio. M a ai testimoni di Geova, siano essi eletti o jonadab, viene promesso che non moriranno ad Armageddon. Per quanto riguarda Armageddon in particola­ re, il conflitto non sarà tra America e Russia o tra America e Iraq, e non sarà nemmeno una guerra nucleare su scala plane­ taria: saranno invece tutte le nazioni (dato che tutte apparten­ gono a Satana) a combattere contro i testimoni di Geova, in 196

ogni luogo, in un futuro prossimo ma avvolto in un’affascinan­ te indefinitezza. Nel 1952 i testimoni di Geova affermarono che questo avvenimento si sarebbe verificato entro una gene­ razione, e nel 1958 riaffermarono con forza che molti di coloro che erano vivi nel 1914 lo sarebbero ancora stati all’epoca di Armageddon. Dal momento che sono passati settant’anni (ri­ spetto a oggi, mentre scrivo), Armageddon non può essere ri­ m andata ancora per molto. In qualche tempo, nel futuro, ci troveremo ad Armageddon, che sarà lì dove noi siamo, in qualunque luogo. Che cosa ve­ dremo? Se faremo parte dei testimoni di Geova, ovvero della Nuova Israele, saremo numericamente molto inferiori: un re­ siduo di alcune migliaia di individui, rispetto al mistico nume­ ro di 144.000, più qualche milione di sconcertati jonadab, do­ vranno combattere contro le Nazioni Unite, contro tutte la fal­ se religioni del mondo e miliardi di capri, per la maggior parte umani. M a l’esiguità del nostro numero non avrà importanza perché, in ogni caso, non saremo noi a combattere. Cristo e le sue schiere di angeli combatteranno al nostro posto, attingen­ do all’arsenale di Geova dispiegato in tutta la sua potenza: in­ cendi, inondazioni, valanghe, terremoti, tempeste di grandine, uragani e terribili pestilenze. Per contrastare tutto ciò, Satana e le Nazioni Unite (comprese le forze arm ate americane) avranno a disposizione soltanto un povero, se pur anacronisti­ camente sublime, miscuglio di lance e di bombe all’idrogeno, di gas venefici e di archi e frecce. Sia che i capri vengano pas­ sati per le armi o bruciati vivi, più di due miliardi di persone verranno trucidate, compresi tutti gli intellettuali di ogni sor­ ta. M a i sopravvissuti, santi e jonadab compresi, come conse­ guenza della carneficina avranno una m acabra incombenza: dovranno prima radunare le ossa di tutti i morti e poi battere le lame delle spade usate nel combattimento, per ricavarne al­ trettanti vomeri da utilizzare durante il millennio. Per quanto riguarda Satana e i diavoli più importanti, essi sopravviveran­ no al massacro ma verranno gettati da Cristo in fondo a un abisso predisposto alla bisogna, un luogo del non-essere dove dimoreranno nell’inedia e nella passività finché non torneran­ no utili per tormentare e mettere alla prova gli jonadab. Sulla terra del millennio in tal modo restaurata nessuno più morirà, 197

e il Giudizio finale si baserà non più sul bene o sul male fatti in questa vita, qui e ora, ma soltanto sulle azioni compiute du­ rante il millennio. L’ultima battaglia di Satana avverrà alla fi­ ne del millennio, e si tradurrà nella tentazione di tutti gli esseri umani. Coloro che lo seguiranno saranno gettati da Geova in un grande lago sulfureo avvolto dalle fiamme, dove saranno annientati per sempre insieme a Satana. Coloro che ubbidi­ ranno a Geova, invece, saranno per sempre padroni di una terra paradisiaca. Così si conclude la storia, come ci viene nar­ rata dai discepoli di Russell e Rutherford. Ho trascurato tutta una serie di dettagli che però non sono tali da alterare il quadro finora descritto. Cosa può farsene la maggior parte di noi di un tale racconto? Spettrale e sanguina­ rio, esso costituisce una ben misera alternativa agli elementi apocalittici del mormonismo delle origini o alle aspettative escatologiche delPavventismo del Settimo giorno. Benché tra i fondamentalisti americani siano in auge scenari apocalittici piuttosto feroci, sono convinto che nulla sia più privo di um a­ nità delle descrizioni dei testimoni di Geova sulla Fine del Tempo. Vi è qualcosa di peculiarmente infantile in queste aspirazioni della Torre di Guardia: mi fanno pensare al moti­ vo per cui i bambini molto piccoli non possono essere lasciati soli in presenza di animali domestici feriti o sofferenti.

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10 II pentecostalismo: Swaggart posseduto nello spirito

Lingue infiammate da strane parole e da suoni ancora più strani e incomprensibili: questo fenomeno è antico quanto il cristianesimo; o forse più, come si può aver motivo di immagi­ nare. Per quasi un secolo, quella dei pentecostali si è caratte­ rizzata come una setta indigena americana e ora, in competi­ zione con i battisti del sud e i mormoni, si pone come uno dei tre movimenti religiosi più vitali nell’ambito di quella che ho deciso di chiamare la Religione Americana. E difficile negare la forza spirituale che muove le Assemblee di Dio, ovvero i raggruppamenti più numerosi dei pentecostali, qualunque sia l’origine che attribuiam o loro. Partecipare a una cerimonia pentecostale, nel corso della quale lo Spirito discende sui fedeli e si mescola a loro, equivale ad ascoltare e ad assistere allo sprigionarsi di forze primigenie che sembrano emergere dai re­ cessi più profondi dell’essere. Un non credente che sieda tra loro si trova nel mezzo di una folla agitata dall’esperienza estatica, e tale spettacolo può fargli tornare in mente l’efficace metafora usata da John Bunyan per rappresentare chi non crede: «Egli dorme in cima all’albero maestro della nave». Si sta seduti, con gli occhi socchiusi, come il protagonista di The Unbeliever di Elizabeth Bishop, splendida variante della m eta­ fora di Bunyan, mormorando: «Non devo cadere». La mia personale esperienza di una funzione religiosa pentecostale ispanica è stata un’occasione per im parare molte cose, con umiltà. Il profeta Gioele può essere considerato il precursore della Pentecoste con la sua straordinaria visione della «pioggia di primavera». Voi, figli di Sion, rallegratevi, gioite nel Signore vostro Dio, perché vi dà la pioggia in giusta misura, per voi fa scendere l’acqua, la pioggia d’autunno e di primavera, come in passato. 199

Dopo questo, io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie; i vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni. (Gioele 2:23, 28) L’apostolo Pietro, nel secondo capitolo degli Atti, cita le pa­ role di Gioele interpretandole come la profezia della discesa dello Spirito Santo: Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovarono tutti insieme nello stesso luogo. All’improvviso dal cielo venne un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si divisero e si posa­ rono su ciascuno di loro. Ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo, e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. (Atti 2:1-4) San Paolo rimase fedele alla sua educazione farisaica con­ dannando con eloquenza di accenti questo parlare con il dono delle lingue (1 Lettere ai corinzi, 14). C ’è tutto l’allievo del grande rabbino Gamaliel, nel Paolo che ricorda ai corinzi che «le ispirazioni dei profeti devono essere sottomesse ai profeti». A differenza di quanto viene descritto a proposito della discesa dello Spirito durante la Pentecoste, nel secondo capitolo degli Atti degli Apostoli, dove il chiacchierio sembra essere sia glos­ solalia (vocalismi privi di significato), sia xenoglossia (parole e frasi di una lingua effettivamente esistente ma sconosciuta), ciò di cui Paolo si occupa è esclusivamente la glossolalia. Per quanto ne so, non esistono resoconti attendibili, antichi o re­ centi, di episodi di xenoglossia; dunque il secondo capitolo de­ gli Atti sarebbe unico nella tradizione cristiana, a meno che, ovviamente, non se ne abbia una comprensione errata. Paolo polemizzava con gli entusiasti corinzi, ossia con gli gnostici, e tuttavia mi chiedo come mai le sue critiche non abbiano sco­ raggiato i pentecostali americani più di quanto apparente­ mente sia accaduto. La questione è soltanto marginalmente di natura teologica; riguarda piuttosto l’autorità. I pentecostali privilegiano l’esperienza carismatica su ogni altro aspetto del cristianesimo. Sebbene le Assemblee di Dio non abbiano alcu­ na intenzione di onorare, come loro fondatori, gli entusiasti montanisti della Frigia del il secolo, hanno in realtà molte più 200

affinità con M ontano, Maximilla e Prisca di quanta ne abbia­ no con l’apostolico autore delle lettere ai corinzi. Sebbene poi persistano nel ritenersi gli eredi di una tradizio­ ne ininterrotta che dall’originaria Pentecoste si tram anda fino ai nostri giorni, in realtà i pentecostali sono un fenomeno qua­ si autenticamente americano, la cui vera ascendenza inizia a Cane Ridge. Gli shakers di M adre Ann Lee e i primi mormoni parlavano con il dono delle lingue, ma questo è l’unico aspetto che avessero in comune con il nostro pentecostalismo. Oggi forse ci parrà strano, eppure le Assemblee di Dio discendono, in ultima analisi, dai metodisti e dal movimento per la santifi­ cazione che si sviluppò in seguito alla celebrazione del cente­ nario del metodismo americano, avvenuta nel 1866. Verso la fine degli anni 1870, il movimento per la santificazione inco­ minciò ad allontanarsi dalla Chiesa metodista, sia al sud sia al nord, e nel 1890 era divenuto una religione del tutto autono­ ma. L’essenza del movimento per la santificazione, e in segui­ to del pentecostalismo, rimase la dottrina della Perfezione cri­ stiana, un’eredità wesleyana che aveva subito tali e tante mo­ difiche da essere quasi irriconoscibile. John Wesley aveva pro­ clamato che non soltanto gli eletti, ma tutti coloro a cui erano stati rimessi i peccati, potevano aspirare a una completa santi­ ficazione. U na visione più calvinista, emanazione del movi­ mento Keswick, diffusosi in Gran Bretagna a partire dal 1870, modificò in senso restrittivo questo atteggiamento magnanimo da parte di Wesley culminando nella formulazione di un con­ cetto fondamentale per i pentecostali: quello di una terza be­ nedizione, ovvero di un atto della grazia divina, un Battesimo nello Spirito Santo, reso manifesto dal parlare con il dono del­ le lingue. Il x x secolo fu inaugurato il 1° gennaio 1901 a Topeka, nel Kansas, dove Charles Fox Parham guidò i suoi seguaci della Scuola biblica della santificazione a un’estatica celebrazione del Battesimo nello Spirito Santo. Agnes Ozman, che non ave­ va alcuna conoscenza della lingua cinese, affermò di aver par­ lato cinese nei tre giorni successivi, e di aver anche scritto usando i caratteri cinesi. Questo fatto spinse il resto del grup­ po a emulare la Ozman mettendosi a parlare in molti altri idiomi sullo sfondo di bianche lingue di fuoco. Lo stesso Par­ ham glorificò Dio in una lingua che ritenne essere lo svedese; 201

questo episodio, però, si esaurì senza provocare conseguenze di rilievo. M a nel 1906, a Houston, Parham reclutò tra le sue file William Seymour, un predicatore afroamericano che diffu­ se la nuova visione a Los Angeles. Il terremoto di San Franci­ sco (18 aprile 1906) stimolò la sensibilità religiosa in tutta la nazione, ma in particolare nella California orfica. Nella mis­ sione di Azusa, a Los Angeles, William Seymour portò i suoi seguaci a vivere uno stato di ininterrotta eccitazione penteco­ stale. NelPautunno del 1906, il parlare con il dono delle lingue aveva cominciato a propagarsi da Azusa a tutta la nazione e, in seguito, a tutto il mondo. A breve distanza dal convegno di Hot Springs, nell’Arkansas (aprile 1914), i pentecostali inizia­ rono a fondare le Assemblee di Dio, che rappresentavano la componente bianca dominante all’interno di un movimento che andava rapidam ente facendosi segregazionista. Il pente­ costalismo afroamericano non è mai morto, ed è un’ironia del­ la Religione Americana il fatto che l’autentico fondatore del nostro pentecostalismo sia stato William Seymour, il quale era riuscito là dove il suo maestro, Parham, aveva fallito. Le As­ semblee di Dio, per quanto ne so, non onorano la memoria di Seymour, ma se non fosse stato per lui non esisterebbero. Il pentecostalismo è una delle cinque sette che senza dubbio accompagneranno la nazione americana per tutto l’arco della sua esistenza, ma ha veramente molto poco in comune con i mormoni, con la Scienza cristiana, con gli avventisti del Setti­ mo giorno e con i testimoni di Geova. In un certo senso ha più affinità con certi aspetti della maggioranza fondamentalista della Convenzione dei battisti del sud che con le nostre sette indigene. Come i battisti del sud, i pentecostali hanno una fe­ de quasi totalmente esperienziale, ma le modalità dell’espe­ rienza pentecostale sono molto più limitate, tanto che le si po­ trebbe definire «specializzate». L’esperienza dell’estasi è stata trasformata dai pentecostali in fatto di ordinaria am m inistra­ zione: essi in fondo tendono a presentarsi come gli umiliati e offesi, qualunque sia la razza e l’origine dei loro seguaci. Quel­ la dei battisti del sud è una sorta di religione confessionale e di chiesa cattolica negli stati americani del sud e del sud-ovest, mentre le Assemblee di Dio e i pentecostali afroamericani e ispanici non costituiscono in nessun modo una forma di reli­ gione istituzionalizzata a livello nazionale. I battisti del sud 202

sono noti all’opinione pubblica per le lotte intestine tra mode­ rati e fondamentalisti, mentre le Assemblee di Dio devono la loro notorietà in primo luogo a Jim m y Swaggart e a Jim e Tammy Bakker. In ogni caso, è decisamente improbabile che sui pentecostali possa mai calare un’aura di rispettabilità. Essi si propongono legittimamente come i continuatori dell’antica tradizione dell’entusiasmo, più in senso evangelico che misti­ co, se vogliamo applicare la distinzione proposta da Ronald Knox. L ’entusiasmo evangelico, qualunque ne sia la forma istituzionalizzata, rimane comunque un fenomeno che ha in sé una certa quota di irriducibile violenza, efficacemente simbo­ leggiata dalle fiamme della Pentecoste. Il miglior lavoro sul pentecostalismo americano dalle origi­ ni fino agli anni della depressione è quello di Robert Mapes Anderson, eloquentemente intitolato Vision o f thè Disinherited (1979). Anderson considera il pentecostalismo socialmente funzionale agli interessi del sistema americano: «I pentecostali sono stati dei lavoratori e dei cittadini ideali sotto ogni aspet­ to, eccezion fatta per il loro culto dell’estasi» (p. 239). Ander­ son ha certamente ragione, ma questa sua osservazione po­ trebbe riferirsi altrettanto appropriatam ente a quasi tutte le forme di organizzazione religiosa degli Stati Uniti. In nome della sua superiorità, l’esperienza estatica dei pentecostali provoca una rimozione delle questioni sociali così completa da non avere uguali tra gli aderenti ad altri movimenti religiosi, e tuttavia i pentecostali non rappresentano necessariamente l’a­ la più «di destra» tra i seguaci della Religione Americana. E certo però che in ogni nazione ove siano presenti in modo or­ ganizzato essi sono i cittadini più estremisti sul piano spiritua­ le, il che costituisce la ragione della loro particolare forza di at­ trazione nei confronti dei diseredati (per dirla con le parole di Anderson). Se si condivide la potenza dello Spirito Santo, che permette di parlare lingue diverse e procura guarigioni m ira­ colose, diventa facile disprezzare qualunque altra manifesta­ zione di potere, che risulterà sempre inferiore. I pentecostali sono partecipi della natura del miracoloso; natura, ragione e società annichiliscono al confronto con le realtà apparenti del culto pentecostale. Per le Assemblee di Dio l’elemento cari­ smatico non è semplicemente una funzione del comando: ogni uomo e ogni donna hanno in sé questo elemento. L’estasi na­ 203

sce direttamente dalle labbra, e dove c’è il Battesimo nello Spirito Santo devono esserci anche la profezia, la guarigione, il miracolo. Cosa c’è di americano nel pentecostalismo? La domanda può sembrare assurda, dal momento che l’estasi (di qualun­ que natura essa sia) è chiaramente patrimonio universale. M a ancora una volta, se si rifiuta il riduzionismo sociologico e an­ tropologico della religione, che io adotto, qualunque ricerca di un carattere nazionale proprio dei movimenti spirituali andrà probabilmente incontro a un fallimento. E poi, per quale moti­ vo il pentecostalismo ha dovuto attendere l’inizio del x x seco­ lo per nascere, per poi impiantarsi a Topeka e a Los Angeles? Quelle dei mormoni e dei battisti del sud sono forse le religioni più americane, come sto cercando di dimostrare in questo li­ bro, ma non ritengo che il pentecostalismo si collochi a una grande distanza da loro. Nell’estasi pentecostale vi è qualcosa di pervicace e di violento insieme, e anche qualcosa di profon­ damente sotterraneo e lontano dalla vita quotidiana, così co­ me dalla luce del sole. I fenomeni in questione sono casi di possessione o di volontà-di-essere-posseduti, naturalm ente sovradeterminati. Posseduti da che cosa? Quello dello Spirito Santo è uno dei nomi che si possono attribuire a ciò che gli sciamani evocano attingendo al loro vasto repertorio di tecni­ che atte a indurre stati di estasi. Il pentecostalismo è lo scia­ manismo americano, anche se Jim m y Swaggart non è in stato di trance quando fa le sue puntate nel sottobosco m etropolita­ no o in qualche paradiso del nord, e anche se Jim Bakker non è in grado di sfuggire al carcere trasformandosi in un uccellino o ricorrendo al dono dell’ubiquità. I leader carismatici penteco­ stali possono anche non essere dei maghi o degli incantatori, ma certo hanno in comune con gli sciamani alcune stimmate, sia arcaiche sia moderne, come la trance, le voci degli spiriti, le guarigioni attraverso esorcismi, le apparizioni di luce o di fuoco e soprattutto lo slancio visionario o «profezia», come amano definirlo le Assemblee di Dio. Vi sono elementi sciamanistici evidenti in talune attività pentecostali, come la marcia di Gerico (recitando preghiere ad alta voce e cantando inni), le danze dello Spirito (durante le quali si ritiene che lo Spirito si impossessi del corpo) e l’essere «posseduti nello Spirito» (si­ tuazione nella quale una persona crolla a terra, solitamente al­ 204

l’indietro, mentre è attorniata dai fedeli in preghiera). Piutto­ sto che cogliere indizi di tipiche qualità americane in queste si­ tuazioni di estasi, preferisco cercarli direttam ente nelPesperienza fondamentale del pentecostalismo, ovvero nella capaci­ tà di parlare con il dono delle lingue, e nella relazione che sus­ siste tra questo e il Battesimo nello Spirito Santo. Entro la centralità di questo nodo l’elemento in discussione è l’esperien­ za del potere, e non qualche particolare livello di santificazione. Come in Emerson, il teologo della Religione Americana (e qui, di nuovo, sono d’accordo con Sydney Ahlstrom), estasi e pote­ re sono intimamente correlati. Quella dello Spirito Santo è un’esperienza che si dà solo in virtù di un influsso esterno, e il turbam ento che deriva dalla sua ricezione si manifesta nella glossolalia. Ritorniamo momentaneamente ad Agnes Ozman, che aiutò il x x secolo a nascere parlando con il dono delle lingue alla Scuola biblica di Charles Fox Parham nel Kansas. Parham e il suo discepolo William Seymour, della missione di Azusa, rite­ nevano che la glossolalia fosse prova evidente del compiersi del Battesimo nello Spirito Santo. Quel parlare in cinese, co­ me racconta la signorina Ozman, era dunque una testimo­ nianza autentica della discesa della colomba, del fiammeg­ giante avvento del consolatore. Ciò che le Assemblee di Dio definiscono «investitura di potere per la vita e per il servizio», si è trasfuso in Agnes Ozman, anche se quest’ultima può esser­ si sbagliata sulla vera identità della lingua straniera che affio­ rava alle sue labbra. M argaret M. Poloma, nel suo esauriente saggio intitolato The Assemblies o f God at thè Crossroads (1989), riflette su alcuni degli aspetti più strani della glossolalia. Ben­ ché un americano su cinque asserisca di essere pentecostale, soltanto uno su venticinque ha l’audacia di affermare di avere il dono delle lingue. Forse è un problema di timidezza, oppure di una sorta di timore ansioso; fatto sta che la maggior parte dei fedeli che partecipano a una funzione pentecostale si ac­ contentano di ascoltare le testimonianze altrui, solitamente dei loro pastori. Si deve quindi presumere che lo Spirito Santo abbia una certa predilezione per personaggi come Jim m y Swaggart, ovvero per quei leader carismatici che non hanno vergogna della violenza dei loro sentimenti. L’estasi, da Cane Ridge ai giorni nostri, è sempre stata l’es­ 205

senza della Religione Americana. Come potrebbe essere altri­ menti? Sapere che il proprio spirito è parte dello Spirito Santo e che esisteva già prima della creazione del mondo costituisce un’esperienza di immensa gioia. In più, la consapevolezza di godere di una libertà completa - l’identificazione emersoniana con la primitività della natura - che è il portato di una solitu­ dine condivisa con lo Spirito Santo, fa sì che il rapimento del­ l’estasi si elevi al sublime. Benché la teologia delle Assemblee di Dio sia ufficialmente trinitaria, nella prassi il pentecostale ri­ conosce soltanto l’unicità, e chiama lo Spirito Santo con il no­ me di Gesù: non il Gesù dei Vangeli o il Cristo di Paolo, bensì un Gesù americano, anche lui pentecostale. U na prova imme­ diata dell’influsso dello Spirito ci viene offerta nelle situazioni in cui si parla con il dono delle lingue, sia che si ascoltino le nostre stesse parole, sia che si ascolti il nostro pastore. Il senso della mortalità svanisce, come quando si è posseduti dallo Spi­ rito, poiché là dove alberga lo Spirito non vi può essere niente altro. E per un pentecostale americano lo Spirito Santo altro non è che il potere di negare tutto ciò che è estraneo al sé oc­ culto e alla sopravvivenza di quel sé. Qui, nel ritardo storico della Terra delPImbrunire, lo Spirito Santo ha certamente trovato la sua nuova dimora. Il pentecostalismo si diffonde con molta più facilità all’estero che non negli Stati Uniti, per­ ché lo sciamanismo è più universalmente accettato in Asia, Africa e America Latina di quanto lo sia qui. Il pentecostali­ smo, tuttavia, doveva trovare la sua origine proprio qui, per­ ché la sua estremistica fede nel soprannaturale era una reazio­ ne in qualche modo necessaria al naturalismo trionfante, a una società nella quale il potere era espressione di un eccesso di materialismo. A ragione gli studiosi insistono sul fatto che la prim a diffusione del pentecostalismo vada letta in termini di reazione all’età dell’oro, mentre la seconda ondata della sua diffusione si innesta nel generale sommovimento carismatico degli anni Sessanta. Senza la vistosa arroganza dei successi del materialismo americano, sarebbe venuto a mancare un impul­ so determinante alla reazione pentecostale e alla sua forza di contrapposizione. Con il passare del tempo le Assemblee di Dio si sono guada­ gnate l’accesso alla classe media americana (e al suo benesse­ re), perdendo la loro radicalità originaria, finché siamo entrati 206

nell’era di Reagan e Bush, nella quale un Jam es W att, espo­ nente laico di primo piano delle Assemblee di Dio, poteva fun­ gere da apocalittico ministro degli Interni della presidenza Reagan. Se l’ineffabile W att si opponeva alle idee conservatri­ ci era soltanto perché questo mondo, come si affannava a spie­ gare al paese, sarebbe scomparso entro una o due generazioni. Ma quelle di W att erano stravaganze di poco conto in con­ fronto alle esibizioni pubbliche dei due più celebri pastori del­ le Assemblee di Dio, il meraviglioso Jim m y Swaggart (delle cui telepredicazioni del Vangelo resto un sincero e ardente so­ stenitore) e il meno interessante Jim Bakker. Swaggart, attore superbo, è l’archetipo del predicatore pentecostale vecchio sti­ le, apparentemente posseduto dallo Spirito e notoriamente convinto del suo rapporto diretto con lo Spirito Santo. I suoi articoli scritti per «The Evangelist» (pubblicato a Baton Rouge da thè Voice of Jim m y Swaggart Ministries) mancano del ritmo incalzante delle sue frenetiche esibizioni a viva voce, ma guadagnano in forza ossessiva, a furia di m artellare contro «l’aborto, l’ateismo, l’evoluzione, il comuniSmo, il liberalismo, l’infanticidio, l’eutanasia, 1’ e r a , l’omosessualità, il lesbismo e la perversione». Evidentemente Swaggart non conosce le diffe­ renze tra questi undici «peccati», anche se è lecito suppore che non fosse propriam ente il «liberalismo» quel che andava cer­ cando in certi suoi vagabondaggi. Strenuo avversario di «psi­ cologia, psichiatria, psicoanalisi» (per lui non tanto una bestia a tre teste, ma piuttosto tre termini diversi per indicare lo stes­ so male), Swaggart ha vissuto la catastrofe immaginaria, vera­ mente da giornalino a fumetti, del truffatore truffato. Il profe­ ta pentecostale infatti è rimasto vittima della sua stessa osses­ sione per la pornografia, e la sua vicenda è culminata nella più straordinaria e sapiente delle sue esibizioni televisive quando, davanti a un pubblico di spettatori semiipnotizzati (me com­ preso), ha confessato: «Io ho peccato!». Swaggart, primo cugi­ no di Jerry Lee Lewis, rivaleggia con il suo parente in quanto a capacità istrioniche, nonostante il predicatore evangelico di­ sapprovi la rock star. Si potrebbe arguire che la genialità di Swaggart risieda proprio in questo suo presentarsi come eter­ no antagonista, in questa aggressività tanto forte da spingerlo a distruggere i suoi stessi colleghi delle Assemblee di Dio, Jim Bakker e M arvin Gorman. Sebbene (temporaneamente) ripu­ 207

diato dalle Assemblee di Dio, Swaggart continua a predicare con più foga di prima e io cerco di non perdermi nessuna delle sue trasmissioni televisive. Ironia a parte, bisogna riconoscere che Swaggart, quali ne siano gli errori e le avidità, è un pro­ dotto puro della tradizione pentecostale. Al suo confronto Bakker, con il suo vangelo nuovo stile traboccante di affetti domestici, risulta solo banale. Come americani non possiamo fare a meno di vedere in Jim m y Swaggart l’incarnazione del pentecostalismo e delle Assemblee di Dio. E un autentico sim­ bolo nazionale, quanto Bill Graham, e al pari di quest’ultimo riflette qualcosa che è parte di tutti noi. Il catastrofismo di Swaggart racchiude l’essenza del pentecostalismo in quanto religione popolare americana; le sue emozioni così esibite e co­ sì estreme sono l’equivalente della manipolazione del serpente a sonagli e dell’ingestione del «cocktail della salvezza» (stric­ nina) in uso presso certi adoratori dello Spirito Santo nella re­ gione degli Appalachi. A questo proposito vorrei citare un passo di Peter W. Williams, esemplificativo nella sua nitidez­ za, tratto da Popular Religion in America (1980): A una prima analisi, queste pratiche possono considerarsi semplicemente un’interpretazione letterale spinta all’estremo dei versetti di Marco (16:17-18), dove questi promette che chi seguirà Gesù sconfìggerà i demoni, parlerà lingue sconosciute e non subirà alcun danno dal maneggiare serpenti o dal bere po­ zioni letali. Ciò non spiega, comunque, come mai la scelta di un’adesione letterale sia ricaduta su questo brano, e non su al­ tri brani delle Scritture che pure sollevano problemi di una cer­ ta serietà quando siano assunti nel loro valore nominale. Un suggerimento a tale proposito ci viene offerto da Wayne Elzey, che afferma che aH’origine di simili pratiche stia una sorta di simbolismo dell’inversione. Cose come bere, giocare d’azzardo o avere rapporti sessuali extra-coniugali, che sono dei tabù nel­ la vita quotidiana, diventano sacre quando le si pratichi in un contesto di sacralità. Così l’ubriachezza e l’estasi sessuale, ben­ ché proibite nella dimensione secolare dell’esistenza, divengo­ no segni della possessione da parte dello Spirito quando è il partecipante a una funzione religiosa pentecostale a rimanerne preda. Allo stesso modo il gioco d’azzardo - in questo caso con la propria vita, maneggiando dei serpenti a sonagli, del veleno o del fuoco - si carica di un’analoga «valenza positiva» quando è praticato nell’ambito del sacro, (p. 145) Tanto Elzey che Williams scrivevano molto prima del giu208

dizio di Dio a cui si è sottoposto Swaggart, ma la dialettica della sua caduta e del suo ravvedimento è delineata con gran­ de esattezza in questo loro passo. Swaggart che va da una pro­ stituta è l’equivalente di un adoratore dello Spirito Santo che si passa una torcia accesa sul viso o sulle mani. Siamo cioè al­ l’interno di quello schema che Gershom Scholem, meditando su alcune figure della tradizione cabalistica come Nathan di Gaza e Jacob Frank, definì «redenzione attraverso il peccato». Il colpo di genio di Swaggart è stato tram utare la sua rovinosa caduta (perché tale fu) in una folgorazione dello Spirito, e in tal modo ricollocarsi in seno ai suoi fedeli, ai suoi telespettato­ ri. Il pentecostalismo, come osserva giustamente Williams, sconfina nello sciamanismo ogni volta che molti fedeli danza­ no e cantano pervasi dallo Spirito, in preda a un’estasi che po­ co si differenzia dall’orgasmo sessuale. Fra tutte le espressioni della Religione Americana, il pente­ costalismo è la più audace sul piano esperienziale per la quan­ tità di tabù che vi vengono trasgrediti. Si dice che taluni pen­ tecostali cerchino persino di resuscitare i morti, il che, in fon­ do, è conseguenza del potere salvifico della fede portato agli estremi. Versione autentica dello sciamanismo americano, il pentecostalismo sfugge a tutte le trappole predisposte dalla struttura (si suppone) razionale della nostra società. Jim m y Swaggart, quali che ne siano i limiti, si muove sullo schermo televisivo con l’energia carismatica dell’ultimo sciamano ame­ ricano, che si scaglia contro tutto ciò che ci vincola e non ci vincola. Ricordo la meravigliosa recitazione di Burt Lancaster nel ruolo di Elmer Gantry nel film tratto dal romanzo di Sin­ clair Lewis. Nel ruolo di Gantry, Lancaster era animato dal­ l’energia derivante da una sessualità irrequieta e deviata, la stessa del santo Swaggart quando esibisce con foga il suo desi­ derio di dissolvimento, i suoi giochi con i serpenti e con le re­ pressioni e le brame del pubblico. Non c’è immaginazione narrativa capace di dare una rap­ presentazione compiuta del pentecostalismo americano; pro­ prio per la sua estensione e la sua irrequietezza esso non ha ancora trovato, all’interno della tradizione americana, alcuna forma narrativa che sappia darne una rappresentazione ade­ guata. Gli americani non smetteranno mai di cercare la Chie­ sa primitiva, che già di per sé costituisce una possente trasfi­ 209

gurazione operata dalla fantasia americana. I pentecostali sa­ ranno fra noi fino alla fine del mondo, o per lo meno fino alla fine della repubblica. Su un registro molto più alto, la poesia americana si configura come una sorta di pentecostalismo, un parlare con il dono delle lingue, da W alt W hitman ai giorni nostri. L’impulso che ha animato tanta parte della spiritualità americana da Cane Ridge a Woodstock, è lo stesso che anim a­ va Parham e che mantiene saldo il legame tra le Assemblee di Dio. Vi è un’enorme distanza fra l’ermetismo depurato del no­ stro padre W alt W hitman (come lo definì Jam es Wright) e le cantilene, i sussurri violenti, le grida scomposte e i mistici pianti di Jim m y Swaggart, ma i due estremi condividono una singolare affermazione del sé, che aspira soltanto a dissolversi in un’estasi universale. Libertà per il seguace della Religione Americana significa solitudine, essere soli con lo Spirito, ma pur sempre un tipo di solitudine che sottende la nostra tenden­ za sciamanistica a fonderci l’uno nell’altro. Il pentecostalismo afferma con forza il sentimento americano dell’abisso primige­ nio, la pienezza che precedeva la creazione. Resistendo agli aspetti apparentem ente dionisiaci di una cerimonia penteco­ stale, l’uomo e la donna americani in realtà erigono una difesa contro la possibilità di riscoprire in se stessi due antiche cer­ tezze orfiche sepolte in profondità: quella di essere fondamen­ talmente precedenti e superiori alla Creazione, e quella di es­ sere veramente liberi soltanto in una sublime solitudine, soli con lo Spirito Santo.

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11 New Age: Porfìsmo californiano

La California, per la maggior parte di questo secolo, è stata la nostra nuova Fucina della Spiritualità, prendendo il posto della parte occidentale dello stato di New York che era stata la culla della religione nel x ix secolo. Benché i culti New Age non contino più di trentam ila aderenti, coloro che a questi guardano con simpatia sono una moltitudine sterminata. V ir­ tualmente tutte le nostre librerie hanno una sezione dedicata ai testi New Age, che spaziano dai ricordi delle precedenti in­ carnazioni di Shirley M acLaine alle memorie di guerrieri prei­ storici, gli Schwarzkopf di 35.000 anni fa. Ai nostri giorni, in America, tra gli accademici del «politicamente corretto» ap­ partenenti alla scuola del risentimento la New Age si va dif­ fondendo a reticolo, e lo stesso accade tra gli ambigui ed esal­ tati aderenti all’ormai datata Cospirazione delPAcquario, che cercano di lanciare il nostro pianeta verso la consapevolezza cosmica. La critica della religione non si può applicare a Scientology, o alla Chiesa delPunificazione moonie, più di quanto la critica letteraria possa cimentarsi sui testi di Alice W alker o di D a­ nielle Steel. La New Age è un caso limite, come Alien Ginsberg o John Updike. Gli stregoni e i medium delPorfismo ca­ liforniano non sono personaggi della levatura di Emanuel Swedenborg o di M adame Helena Petrovna Blavatsky, della quale ci resta un sublime giudizio di W.B. Yeats: «Senza dub­ bio compie dei falsi miracoli, ma cos’altro resta da fare a una donna di genio nel x ix secolo!». I falsi miracoli della New Age sono i risvolti comici della Religione Americana, e potrebbero offrire piacevoli spunti interpretativi a una critica della religio­ ne adeguatamente depurata di interessi particolari. Il modo più semplice per non fare una critica della New Age è quello di scriverne in termini di denuncia, che è poi la pratica general­ mente seguita dagli apologeti cristiani come Kerry D. McRo211

berts, nel suo New Age or Old Lie (1989), un trattato traboccan­ te di evangelica ferocia: Le preoccupazioni manifestate da alcuni scrittori cristiani, relative al fatto che un sistema gravido di pericoli come la New Age possa favorire l’avvento del regno dell’Anticristo, hanno un loro fondamento e tuttavia si prestano a un facile sensazio­ nalismo. Il testo biblico espone con chiarezza che noi uomini viviamo in un universo teista, non in un universo lasciato in balia di una consapevole quanto arbitraria riorganizzazione su scala mondiale per mano di diabolici cospiratori estranei al «piano» da Dio predisposto. Un facile sensazionalismo? Non direi proprio, dal momento che le fantasie della New Age vanno già al di là di qualunque sensazionalismo. Il più remoto antenato americano dei segua­ ci della New Age è Emerson, che avrebbe trovato in loro moti­ vo di grande divertimento, senza tuttavia avere molto di che rallegrarsi di questa sua variegata progenie. Un conto è averci dato W alt W hitman e Wallace Stevens; tutt’altra cosa è aver contribuito a fornire ispirazione e incoraggiamento a un Nor­ man Vincent Peale e agli scatenati apostoli della Religione deH5armonia. La definizione data da Sydney Ahlstrom di que­ sta religione è ormai classica: La Religione dell’armonia comprende tutte quelle forme di devozione e di fede secondo le quali la serenità spirituale, la sa­ lute fìsica e perfino il benessere economico sono considerati qualcosa che fluisce dal rapporto instaurato dall’individuo con il cosmo. L’umana beatitudine e l’immortalità si ritiene di­ pendano, in larga misura, dal fatto di essere «in sintonia con l’infinito». L’ultima frase è poi il titolo del libro di Ralph Waldo Trine, pubblicato nel 1897, nel quale si predicava una religione uni­ versale in cui Dio e l’uomo vengono considerati diversi per grado ma non nella sostanza. Salutando il suo omonimo Emerson come il profeta della nuova età dell’armonia, Trine ha aperto la strada a una lunga teoria di divulgatori, simili a lui, del pensiero del saggio di Concord. L’ex presidente di Ya­ le, Bart Giamatti (in seguito commissario per il baseball), una volta mi ha fatto giustamente notare che l’Emerson reale era 212

«delicato quanto il filo spinato», una verità che i seguaci della Religione delParmonia hanno dimenticato. Tra i grandi della Religione della salute e delParmonia, do­ po Trine, troviamo personaggi memorabili come Emmet Fox, Norman Vincent Peale, Anne Morrow Lindbergh, Thomas Merton, e tutti i nostri attuali profeti, veggenti e sciamani del­ la New Age. Sono legioni intere, e tuttavia sono sorprendente­ mente omogenei, nonostante discendano da predecessori mol­ to diversi tra loro come Swedenborg, M adame Blavatsky e lo scienziato gesuita Pierre Teilhard de Chardin. Senza dubbio è dal clima di grande fermento culturale caratteristico delPAmerica degli anni Sessanta che si è sviluppata la New Age, ma il movimento ha poi trovato nuovo vigore nella California de­ gli anni Settanta, raggiungendo infine l’apice del suo sviluppo e della sua diffusione negli anni O ttanta. La sua più entusia­ stica (e acritica) cronista continua a essere Marilyn Ferguson, che ne ha esaltato le promesse nel suo The Aquarian Conspiracy (1980). Il suo elenco di guru si apriva con Teilhard de C har­ din, Jung, Aldous Huxley e J. Krishnamurti, e proseguiva con una straordinaria mescolanza di personaggi, che includevano (tra gli altri) Tillich, Buber, Gregory Bateson, vari Swamis, M arshall M cLuhan, Buckminster Fuller, e persino W erner Erhard. La California - proclamava la Ferguson - era un grande «laboratorio della trasformazione», e il luogo ideale per far scoccare la scintilla del ritorno al «Dio dentro di noi». Se contempliamo l’orfismo californiano, ci ritroviamo al co­ spetto di una tardiva riproposizione di quello che ho preceden­ temente definito orfismo americano. Dopo aver superato lo scoglio della lettura di una signora Eddy, di una signora W hite o del Libro di Mormori, il critico del­ la religione va incontro a un’inevitabile disfatta tra le pagine di M atthew Fox, David Spangler, David Toolan, Chogyam Trungpa e degli altri autori più noti della New Age. Si legge e rilegge lo stesso brano più volte e si teme di non averne colto il significato, ma alla fine si scopre che il significato è interno a uno schema mentale completamente distorto. Cito qui un pas­ saggio da Trungpa, scelto in modo assolutamente casuale: A volte se i tuoi vestiti ti vanno bene senti che sono troppo aderenti. Se ti vesti in modo elegante, puoi sentirti a disagio per il fatto di portare una cravatta o di indossare un completo 213

oppure una camicia o un vestito stretti. L’idea di invocare il drala interiore non ha il significato di cedere agli allettamenti della noncuranza nel vestire. L’ irritazione che ogni tanto senti all’altezza del collo, al cavallo dei pantaloni o in vita è in gene­ re un segnale positivo. Significa che i tuoi vestiti ti stanno bene, ma che la tua nevrosi non si adatta ai tuoi abiti. (Shambhala. La via sacra del guerriero [1984; ed. ital.: 1985], p. 85) Ci viene detto (p. 79) che il drala è «la profonda magia della realtà», ma questa definizione non mi aiuta nel difficile compi­ to di capire se dei vestiti più comodi mi avvicineranno o meno a questa profonda magia. La prosa New Age ha un suo stile tutto particolare, e il grande portento della New Age, nell’ora del suo avvento, consisterà nel fatto che gli autori New Age riusciranno a districarsi tra le pagine dei testi edificanti che es­ si stessi hanno scritto. Piuttosto che cercare di rintracciare la quintessenza della loro dottrina in specifiche fonti autorevoli, cercherò di dare un’idea del tema ricorrente di questo movi­ mento, che con eroici sforzi sono riuscito a ripescare da grandi profondità. A fare da sfondo alla New Age si pone, in qualche modo, la bella e chiara antologia pubblicata da Aldous H ux­ ley, The Perennial Philosophy (1945). Sul piano spirituale, le au­ torità cui Huxley faceva riferimento erano i grandi veggenti e i mistici del passato, tra i quali William Law, Thomas Traherne, il Bhagavadgita, Meister Eckhart e sant’Agostino. La pro­ fondità di pensiero di Law e di Eckhart, in particolare, acqui­ sta un notevole risalto se inserita nella brillante cornice della prosa contemplativa di Huxley. Facendo ricorso ad Huxley è talvolta possibile ricostruire qualche passaggio dei discorsi New Age e formulare ipotesi rispetto a ciò che qualche gran saggio della California contava, più o meno, di voler dire. Al­ trimenti chi studia il pensiero New Age dovrà rassegnarsi a fa­ re come nel famoso picnic del proverbio, nel quale gli autori portano le parole (qualcuna, se non proprio tutte) e i lettori portano i significati. L’espansione della coscienza sembra essere il fine comune a tutti gli entusiasti della New Age, inclusa la signora Shirley MacLaine, che tra gli esponenti del movimento noti al grande pubblico è certamente la più bella. Ecologi monastici dello spirito proclamano che è arrivato il momento adatto per un grande balzo in avanti dei paradigmi, nonostante la cupa sen­ sazione, che qualcuno potrebbe provare, che questa epoca ap­ 214

partenga in realtà a Reagan, a Bush e a pilastri consimili della Old Age. M a se proprio ci devono essere degli apocalittici, molto meglio che si tratti della variante orfica californiana piuttosto che della folta schiera dei fondamentalisti, interpreti letterali dell5Apocalisse e del Libro di Daniele. Certamente non tutte le apocalissi californiane hanno un carattere bonario e indulgente: qualunque lettore de II giorno della locusta di Nathanael West ricorderà la descrizione del furore che si abbatte su Los Angeles, e si stupirà di quanto possa rivelarsi infausta e sinistra una profezia. M a in genere l’apocalisse secondo la New Age ha un aspetto umano, talvolta addirittura rom anti­ co. Il nostro pianeta non è in procinto di slanciarsi verso una «greenpeace» cosmica, ma se non altro è confortante che gli orfici della New Age sognino una conclusione così simpatica delle vicende umane. Il Dio della New Age è, a mio parere, fin troppo depurato degli aspetti antropomorfi, e ritengo che la responsabilità di questa disumanizzazione di Dio, così poco caratteristica della California, vada attribuita all’eredità teosofica. Un Dio imma­ nente sia alla natura che ci circonda sia alla coscienza si sot­ trae allo spazio entro il quale può avvenire l’incarnazione. Il cristianesimo è pertanto decisamente irrilevante per la New Age, se non quando si sia già trasformato nella Religione Americana, di cui la New Age è a volte un’incantevole paro­ dia. Si potrebbe affermare che la New Age sta alla Religione Americana come L ’importanza di chiamarsi Ernesto di Oscar Wilde sta alla dram m aturgia shakespeariana: l’ultimo bagliore di una luce lontana. L ’aspirazione mormone di ascesa al divino, oppure l’esperienza dei battisti del sud di un sé libero dalla creazione dentro di noi, vengono sostituite dalla divertente idea che la propria coscienza sia Dio. L’ambizione mormone di popolare il pianeta di una sola, grande famiglia, o l’anelito battista alla solitudine con Gesù si deformano in una delirante apoteosi, ove lo spirito che guida ciascun individuo è connatu­ rato all’ecologia della sua mente. Lo gnosticismo e l’entusia­ smo americani diventano in tal modo oggetto di una splendida parodia da parte dell’orfismo californiano, di un metamorfico incantesimo che dissolve le ultime costrizioni empiriche eserci­ tate dall’universo della morte nei confronti della nostra pulsio­ ne alla spiritualità. 215

Aldous Huxley, nella sua introduzione a The Perennial Philosophy, mette sull’avviso gli entusiasti seguaci della New Age

dicendo che, come chiunque altro, non riceveranno nulla in cambio di nulla: Oggetto primario di studio della filosofìa perenne è la sola e unica realtà divina che sostanzia il multiforme mondo della materia, dei viventi e della mente. Ma la natura di questa real­ tà assoluta è tale che non può essere appresa direttamente e immediatamente se non da coloro che hanno scelto di sottosta­ re a certe condizioni, facendosi creature amorevoli, pure di cuore e povere di spirito. L’orfismo californiano, incurante delle ammonizioni di Huxley, penetra la realtà direttamente e immediatamente, senza alcuno sforzo interiore. M arilyn Ferguson, con un atteg­ giamento candidamente consumistico, si affannava a rassicu­ rare i suoi cospiratori dell’Acquario che persino la morte si era arresa davanti alle loro aspirazioni: Un buon numero di coloro che hanno compilato il questio­ nario diffuso dalla Cospirazione dell’Acquario ha risposto che le loro stesse esperienze li avevano portati ad abbandonare la precedente convinzione che la morte del corpo ponesse fine an­ che alla coscienza. Nonostante la loro estraneità a religioni uf­ ficiali, il 53 per cento degli interpellati si è detto fermamente convinto della sopravvivenza della coscienza e un altro 23 per cento ha risposto che ne era «parzialmente convinto», per un totale pari al 75 per cento. Gli scettici erano solo un 5 per cen­ to, le persone che non ci credevano affatto erano il 3 per cento, (pp. 383-84) Ciò che il Dio della California ha in comune con il Dio della Religione Americana, e invero anche con il Dio del cristianesi­ mo, consiste nel fatto di essere la realtà da contrapporre al principio freudiano di realtà, alla necessità del morire, del mo­ rire veramente, una volta per tutte. La differenza del Dio della California, invece, sta nel fatto che lo si può paragonare a un giardino degli aranci pubblico, al quale si può attingere come e quando si vuole, soprattutto per il fatto che è un giardino de­ gli aranci interiore. La sua perpetua e universale immanenza rende difficile a un seguace della New Age distinguere tra Dio e una qualunque esperienza; ma perché poi un orfico califor216

niano dovrebbe sentire il bisogno di ricorrere a una tale distin­ zione? M atthew Fox, che formalmente è un sacerdote cattoli­ co, ha elaborato una curiosa dottrina «panenteista» proprio per evitare di scivolare nel panteismo, ma Fox rappresenta una delle mie personali sconfitte. Diversi miei tentativi di leg­ gere The Corning o f thè Cosmic Christ (1988) sono miseramente falliti perché non mi sono mai im battuto in una scrittura che possa essere paragonata, per la sua beata vacuità, a quella di Fox: una prosa nella quale tutto sembra fluire in tutt’altro, co­ me i fiumi che finiscono al mare. La ragione delPimmanenza assoluta del Dio della New Age va ricercata, a mio parere, nell’imprescindibile poesia del cli­ ma della California, ove il cosmo è un’unica grandissima aran­ cia e la coscienza è il suo succo. «La coscienza sacramentale del panenteismo si trasforma in una coscienza trasparente e diafana che ci fa vedere eventi ed esseri sotto forma di divini­ tà». Se si sostituisce quel «divinità» che è la parola finale della frase di Fox con «arance», dopo aver messo «succo» al posto di «coscienza» le due volte che appare, forse la logica del discorso potrebbe essere meglio compresa: Il succo sacramentale del panenteismo si trasforma in un succo trasparente e diafano che ci fa vedere eventi ed esseri sot­ to forma di arance. Per rendere giustizia a Fox e a buona parte dei seguaci della ' New Age, bisogna dire che sia il primo sia i secondi limitano questa ossessiva immanenza di Dio con un tocco di trascen­ denza. Ed ecco allora esistere, da qualche parte, una sorta di arancia celeste o archetipica, e in aggiunta a questa un’aran­ cia cosmica che tutto avviluppa. M a questa differenza costi­ tuisce uno scarto talmente poco rilevante rispetto all’impianto generale della teoria da non reggere alla prova pratica: Fox ha nostalgia per i sacramenti della Chiesa, ma, come tutti gli ade­ renti alla New Age, non ne ha un reale bisogno. Il sommo concentrato della coscienza è il Graal, che costi­ tuisce l’oggetto dell’infaticabile ricerca della New Age; un Graal che sorprendentemente viene identificato con le espe­ rienze di pre-morte, che al giorno d’oggi danno impulso a un’industria americana in considerevole espansione. A questo punto, di nuovo, devo confessare a denti stretti la mia disfatta, 217

dal momento che non riesco a capire come le esperienze di pre-morte, di qualunque tipo siano, possano fornire la prova della sopravvivenza della coscienza dopo la morte. Carol Zaleski, nel suo utile saggio Otherworld Journeys: Accounts o f NearDeath Experience in Medieval and Modem Times (1987), segnala l’acquisizione di sempre maggior prestigio da parte della i a n d s (Associazione internazionale di studi sulle esperienze di pre-morte). La i a n d s è una stupefacente congerie di ricerche sulle esperienze di pre-morte che traggono indirizzo e ispira­ zione dall’ideologia della New Age, con in più le immancabili «magliette color ruggine, con un logo che combina l’immagine del tunnel al simbolo taoista dello yin e dello yang», e un noti­ ziario trimestrale speranzosamente intitolato «Vital Signs». Come dimostra Zaleski, ciò non rappresenta nulla di nuovo e anzi ha avuto il suo inizio fin dal 1903, a opera dell’inglese F.W .H. Myers, studioso della psiche umana, che ha esercitato una notevolissima influenza sul critico letterario moderno che personalmente prediligo, G. Wilson Knight, recentemente scomparso. La fase attuale di interesse e di entusiasmo per le esperienze di pre-morte incomincia tuttavia soltanto con Nuove ipotesi su «la vita oltre la vita» (1975; 1982 ed. ital.), di Raymond Moody, un lavoro relativamente accurato, un’opera «di so­ glia», che si spinge fino al limitare dell’esuberanza della New Age, senza però entrare in essa e confondervisi. Chi vi si av­ ventura è, invece, Kenneth Ring, un discepolo di Moody, che ha fatto il grande salto e ha visto l’arancia: Le esperienze alle soglie della morte rappresentano nel loro insieme un balzo evolutivo verso una più profonda consapevo­ lezza per l’intera umanità... Sia le persone che hanno avuto esperienze alle soglie della morte, sia le molte altre le cui vite sono state trasformate da una o più esperienze spirituali pro­ fonde, nella loro totalità rappresentano, nei fatti, un esempio di essere umano molto più avanzato... A mio avviso, l’emergere di questo nuovo tipo di essere umano sul pianeta, in questa no­ stra epoca, segnala la possibilità che l’alba della New Age sia veramente spuntata su di noi. (Citato in Zaleski, pp. 107-8) Le misurate conclusioni di Zaleski sono completamente di­ verse: Al momento attuale non vedo alcuna giustificazione nel con218

siderare le testimonianze contemporanee di esperienze di pre­ morte come i fondamenti di una nuova escatologia o di un nuo­ vo movimento religioso. La letteratura sorta intorno a queste esperienze dà il meglio di sé quando mantiene un carattere aneddotico e un tono moderato; laddove sia invece piegata a fi­ ni filosofici o profetici, suona insulsa e priva di interesse, (p. 204) Tuttavia gli apostoli della New Age ignorano tale avverti­ mento, e si ispirano non soltanto a Moody e a Ring, ma anche a Elisabeth Kubler-Ross, autrice di La morte e il morire (1969, 1975; ed. it. 1976), e a opere dello stesso tipo. La Kubler-Ross, in qualche modo, è di conforto sia per i defunti sia per chi è lo­ ro sopravvissuto, poiché garantisce a tutti noi che un evento come quello della morte non esiste e che il morire è in sé una cosa piuttosto positiva. Non si può certo dire che un limite del­ la New Age sia dato dal fatto che il suo fascino deriva intera­ mente dalla tanatologia. Dopo tutto il cristianesimo fa della Resurrezione l’evento centrale del proprio messaggio; se Gesù Cristo non è resuscitato dalla morte, in aperta sfida alle leggi naturali, allora tutta la dottrina cristiana si rivela un’impostu­ ra. La Religione Americana, come ho ribadito più e più volte, è supernaturalistica a oltranza, e le sue diverse varianti richie­ dono miracoli molto più eclatanti di quelli che può permettersi il cristianesimo istituzionale e storico. Nella sua stravaganza, la New Age è soltanto la più appariscente tra tutte le sette ori­ ginali americane che hanno dato voce alla nostra esuberanza spirituale.

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La Convenzione battista del sud

12 I battisti: da Roger Williams a E.Y. Mullins

U na nazione religiosamente frammentata come gli Stati Uniti non si rassegnerà facilmente a qualsiasi predizione (per poco azzardata che sia) riguardante gli sviluppi futuri delle sue confessioni religiose. In costante e rapida crescita, la no­ stra popolazione ispanica, attualm ente oscillante tra un catto­ licesimo romano in declino e un pentecostalismo che si fa pre­ potentemente strada, tenderà senza dubbio a una maggiore diversificazione dei propri orientamenti spirituali man mano che aumenterà il suo peso economico e politico. Per quanto ri­ guarda invece le comunità asiatico-americane, il cui ruolo sarà determinante e dalle cui file uscirà una quota consistente, se non la totalità, degli intellettuali progressisti e dei professioni­ sti più qualificati della prossima generazione, è difficile fare previsioni, quanto meno nella sfera religiosa. Quel che mi sembra certo è che i due paradigmi da me individuati della Religione Americana - i battisti del sud e i mormoni - costitui­ ranno il perno centrale degli sviluppi futuri, in quanto porta­ tori, più di ogni altro raggruppamento religioso, dell’ambivalente vitalismo tipico della nostra fede nazionale. M entre scrivo queste pagine (fine settembre 1990) i battisti del sud stanno chiaramente andando incontro a una profonda frammentazione interna, o addirittura a una scissione definiti­ va, tra la componente fondamentalista, maggioritaria, e la componente moderata, minoritaria ma non esigua. A queste due opposte correnti del battismo del sud si devono aggiunge­ re i due gruppi battisti del nord e del Canada, oltre al consi­ stente gruppo dei battisti afroamericani, sicché i diversi rag­ gruppamenti interni al battismo assommano a cinque. Nel lo­ ro insieme i battisti costituiscono la confessione protestante di maggior consistenza numerica nel nostro paese, oltre a essere la fede più decisamente caratterizzata in senso esperienziale. Per i battisti è difficile capire esattamente in cosa credono, e ri­ 223

sulta immensamente difficile comprenderlo a chi non appar­ tiene alla loro confessione; ma se la tesi che discuto in questo libro ha un qualche fondamento di verità, dalla comprensione che la loro fede coincide con quella che io chiamo la Religione Americana, anziché essere una forma di protestantesimo o di cristianesimo storico, i battisti trarrebbero una chiarezza nuo­ va, un diverso modo di guardare ai loro dilemmi fondamentali e alla loro forza. La Convenzione battista del sud è sorta nel 1845; a distanza di un secolo e mezzo, potrebbe essere chiamata a buon diritto la Religione Americana del sud, così come al mormonismo spetterebbe l’appellativo di Religione Americana dell’ovest. A differenza dei metodisti e dei presbiteriani, i battisti del sud sono andati molto vicini a costituirsi come Chiesa ufficiale del­ la vecchia confederazione, il che conferisce al loro atteggia­ mento spirituale un’aura tutta particolare, quella di chi ha sa­ puto salvaguardare la propria continuità culturale a dispetto della sconfitta politica e militare. Questo specifico aspetto del­ la Convenzione battista del sud non rientra nel tema trattato in questa sede, ma poiché senza un’idea almeno approssimati­ va della storia dei battisti non potrei condurre fino in fondo un’analisi dei dilemmi religiosi ad essi peculiari, cercherò di tracciare un abbozzo a grandi linee della storia dei battisti americani, risalendo alle origini lontane del successo apparen­ temente arbitrario di quella che è stata definita la Chiesa cat­ tolica degli stati confederati. E una storia che inizia con una contraddizione interna, dal momento che il suo punto d’avvio è la straordinaria figura di Roger Williams, che per certo non è riconosciuto dai battisti come il loro padre fondatore, e nemmeno come lontano pre­ cursore. U na delle tante peculiarità dei battisti (e in particola­ re dei battisti del sud) consiste nel fatto che essi non hanno avuto un Lutero o un Calvino, né un George Fox o un John Wesley: nessuna grande personalità originale, insomma, a cui riferire la propria nascita. E tuttavia Roger Williams, pur non essendo onorato dalla loro memoria, è una figura chiave per comprendere gli aspetti più sostanziali del loro ethos. Suppon­ go che tutti i battisti del sud, fondamentalisti o moderati, non avranno difficoltà a riconoscersi in questo passo dello storico Edm und S. Morgan, ove sono sintetizzate le posizioni di Wil­ liams sulle funzioni del governo: 224

Se anche il governo con le sue fruste le sue sferze e le sue pri­ gioni non poteva nulla per rendere gli uomini cristiani, Wil­ liams non gli negava totalmente la possibilità di agire a favore del regno di Cristo. C’era una cosa che il governo poteva fare, e che ben pochi governi avevano mai fatto: erigersi a garante della libertà di coscienza nella sfera religiosa. Già nel 1638 Williams aveva disconosciuto la validità del proprio battesimo, e pur non cessando mai di dirsi puritano fi­ nì anche lui, come John Milton, per formare una setta di cui era l’unico componente. C ’è una famosa lettera indirizzata a George Fox da Richard Scott, che era stato membro della chiesa di Williams a Providence, da taluni ritenuta la nostra prima chiesa battista. Scott, che in seguito sarebbe divenuto quacchero, dipinge in questo suo scritto il classico tipo che non aderirebbe mai a un gruppo che lo accetta tra i propri membri: Ho camminato al suo fianco sulla via del battismo per tre o quattro mesi, nel qual tempo egli si è distaccato dalla congre­ ga, dando ampie spiegazioni sui motivi vicini e lontani di quel­ la scelta, e dicendo che il loro battesimo non poteva essere giu­ sto perché non era amministrato da un apostolo. Ciò fatto, si è dedicato alla ricerca di un’altra via (insieme a due o tre di quelli che si erano uniti al suo dissenso) tramite la predicazio­ ne e la preghiera; così ha seguitato a fare per un anno o due, finché due dei tre seguaci lo hanno abbandonato. Se fra i battisti resta una pur vaga traccia di questo formida­ bile individuo, questa è senz’altro il suo genio scismatico. La tradizione battista in America, così vibrante di sentimento, ha ben poco a che vedere con Roger Williams, e tantomeno con gli anabattisti tedeschi del x v i secolo, la cui cupa e sanguino­ sa storia fa inorridire i battisti del sud dei nostri giorni. I batti­ sti americani discendono dalle due sette rivali in cui erano di­ visi i puritani inglesi della Luce Interiore agli inizi del x v n se­ colo: i battisti generali, sostenitori di una redenzione univer­ salmente accessibile, e i battisti particolari, che si attenevano alla concezione calvinista secondo la quale solo gli eletti avrebbero ottenuto la salvezza. Al di là del rifiuto del battesi­ mo dei neonati, questi due gruppi avevano assai poco in co­ mune. M a nel 1801, l’anno del revival di Cane Ridge, che eb­ be un ruolo decisivo nella storia dei battisti americani, le due 225

sette si riunificarono sulla base di una dichiarazione di fede che annacquava i termini dello scontro su salvezza generale o particolare. Questa fusione instabile fu comunque funzionale alPenorme espansione dei battisti, che offrivano alla frontiera quella che già si presentava come una religione esperienziale, ove particolare importanza assumeva il rapporto individuale con Gesù. Con grande perspicacia Sydney Ahlstrom ha colto gli elementi di vantaggio che i battisti avevano rispetto ai loro rivali metodisti e presbiteriani, ai quali contendevano il predo­ minio sulle genti della frontiera: I battisti non superavano i presbiteriani in quanto a zelo missionario, ma se non altro non erano ostacolati nella loro azione evangelica da una severa osservanza dei titoli compro­ vanti la preparazione effettiva del predicatore, né da un rigido ordinamento presbiteriale. Rispetto poi all’insistenza metodi­ sta sull’ordine e sull’autorità, il genio dei battisti li portò a col­ locare il loro evangelismo al polo opposto: per loro il prototipo dell’eroe della frontiera non era il predicatore ambulante, ma il predicatore-contadino, che muoveva verso territori nuovi in­ sieme al resto della popolazione, (p. 323) Questa valutazione di Ahlstrom trovava fondamento e con­ ferma nel ricchissimo materiale documentario raccolto da W. W. Sweet in Religión on thè American Frontier: The Baptists, 17831830 (1932). L’antologia di fonti di Sweet dimostra tutta la dif­ ficoltà incontrata dai battisti nel processo di istituzionalizza­ zione della loro fede, essenzialmente esperienziale, negli anni precedenti a Cane Ridge. Nelle minute delle riunioni si legge sistematicamente dell’accettazione dei nuovi membri subordi­ nata all’esame di «una relazione sulla loro esperienza», dove gli auditori probabilmente giudicavano la veridicità del rac­ conto per comparazione, ovvero commisurandolo ai ricordi delle proprie esperienze di conversione. I seguaci dei Cam p­ bell e di Barton Stone non facevano che attribuire a Gesù tutto il merito della loro salvezza, senza bisogno di aggiungere det­ tagli personali alle confessioni rese. In modo analogo, i pecca­ tori battisti venivano riammessi alla comunità dei fedeli sem­ plicemente in base alla loro dichiarazione di essersi pentiti per aver fatto a botte con qualcuno, giocato d’azzardo, trasgredito nel comportamento sessuale, bestemmiato, nonché per aver preso parte a «balli immorali» o ad attività massoniche. 226

Partendo da quel che i battisti sono diventati oggi, è virtual­ mente impossibile stabilire con esattezza in quale momento della loro storia essi siano approdati alla forma che li caratte­ rizzava all’epoca di E.Y. Mullins. Partendo invece dal passa­ to, dai documenti di Sweet, si colgono le tracce di un processo cumulativo che sfocia infine nell’elaborazione della loro fede così poco dottrinaria, priva di un credo vero e proprio. Questa osservazione trova ulteriore conferma nell’obiezione alle atti­ vità missionarie sollevata da tanti battisti americani agli inizi del x ix secolo. Benché tra questa gente della frontiera avesse un certo peso l’avversione nei confronti degli indiani, il motivo dominante del loro rifiuto delle missioni era la sfiducia pro­ grammatica nei predicatori appositamente selezionati per questo tipo di attività evangelica. I battisti del Kentucky non avrebbero mai accettato che un missionario potesse essere qualcosa di diverso o di più di un semplice uomo che aveva udito dentro di sé la chiamata di Dio: solo Gesù può chiamarti al compito di chiamare altri a lui, e il carisma non si prende in prestito, né può essere insegnato. C ’era e c’è qualcosa di inten­ so e profondo in questa sensibilità battista, che dubita del­ l’effettiva possibilità di comunicare ad altri l’esperienza della conversione. Se il modo per veicolarla fosse il contagio, allora una persona potrebbe fare propria l’esperienza di un’altra, e in tal caso cesserebbe di essere sola con Gesù. I battisti mistici, illuminati dalla luce interiore della candela del Signore, tende­ vano a mostrarsi scettici nei riguardi della predicazione evan­ gelica. È proprio qui che a mio parere si trovano i semi, per quanto remoti, di quella che oggi la Convenzione battista del sud chiama la controversia, cioè la battaglia in atto tra mode­ rati e fondamentalisti. Si tratta però di semi malamente ger­ mogliati, e Tanti-intellettualismo intrinseco a quella crociata contro l’attività missionaria ha finito per trasformarsi in una sorta di risentimento persistente, ma essenzialmente umorale, tra i fondamentalisti attualm ente predominanti nella Conven­ zione dei battisti del sud. L’interiorità mistica ha preso una di­ rezione, e la paura di conoscere è andata nella direzione oppo­ sta. M a di questa storia si dirà più avanti. E un grande salto in avanti quello che separa il movimento contro l’attività missionaria del battismo del sud nei primi de­ cenni del x ix secolo daH’effettivo assurgere di questa religione 227

a Chiesa ufficiale del vecchio sud prima, della confederazione e della ricostruzione poi, e così via fino ai nostri giorni. Sono sufficientemente persuaso, come ho già detto in precedenza, che il mormonismo diverrà la religione dominante di tutto l’o­ vest americano, grazie a un processo già ampiamente in atto. La Convenzione battista del sud, a sua volta, è già ora la fede più largamente diffusa nel sud e nel sud-ovest. Queste due for­ me di religione esperienziale sono antitetiche; in quanto aspet­ ti rivali tra loro dello gnosticismo americano, giungeranno probabilmente a contendersi il futuro spirituale della nostra nazione. Su entrambe le religioni pesa però un’ombra, un’om­ bra che tutte e due hanno tentato di dissipare. Gli afroameri­ cani non sono numerosi tra i mormoni, ma almeno tecnicamente oggi sono bene accolti al loro interno. I battisti del sud hanno una storia talmente lunga e torm entata in rapporto an­ zitutto alla schiavitù, e poi anche alla grandiosa lotta per i di­ ritti civili degli afroamericani, che è d’obbligo rifuggire, in questa sede, da qualsiasi tentativo di esposizione sommaria. È una storia triste, anche se ovviamente non unica tra le chiese cristiane degli Stati Uniti. Vi sono però degli elementi di uni­ cità e almeno questi devono essere presi in esame qui, dal mo­ mento che proprio dal mito della causa persa provengono le caratteristiche più enigmatiche delle convinzioni religiose dei battisti del sud, peraltro comuni a fondamentalisti e a modera­ ti. Il disperato bisogno dei fondamentalisti di disfarsi di quasi tutta la storia del pensiero occidentale in nome di un’icona in­ fallibile (la Bibbia nella sua rilegatura in pelle, più ancora che come Scrittura Sacra da leggere e da capire) alle sue radici ha un profondo sentimento di rivalsa verso un grande tradimento della storia: la morte di una nazione indipendente del sud nel 1865. Pur se in modo meno appariscente, l’orientamento dei moderati tutto incentrato sull’interiorità, su una conoscenza di Gesù che avviene per contatto diretto, è anch’esso frutto di una reazione eccessiva al mancato intervento salvifico di Dio nella storia, affinché al suo popolo fosse risparm iata una scon­ fitta catastrofica. Dei tre autentici popoli eletti americani - i mormoni, i battisti del sud e gli afroamericani delle più svaria­ te confessioni - sono i battisti del sud quelli che hanno subito una sconfitta totale: proveniva dalle loro file, infatti, più che da quelle dei presbiteriani e dei metodisti del sud, il grosso de­ 228

gli uomini arruolatisi con i confederati. E la loro grande scon­ fitta brucia ancora, ed è grazie ad essa che si è m antenuta per più di cent’anni l’unità all’interno di un’aggregazione alta­ mente instabile come la Convenzione dei battisti del sud. La coalizione sorta nel 1845 si è quasi completamente disintegra­ ta nel 1991, e ben presto al suo posto vi saranno due organiz­ zazioni separate. I battisti del sud hanno i loro miti, uno dei quali narra che la Convenzione, nata per l’appunto nel 1845, era solo seconda­ riamente uno strumento per la difesa dell’istituto della schia­ vitù. U na simile affermazione suona, a chiunque non sia del sud, falsa e sconcertante, oltre che in evidente contrasto con la realtà dei fatti; e tuttavia moderati e fondamentalisti insieme persistono nel dichiarare che la loro confessione è sorta essen­ zialmente allo scopo di svolgere un’attività missionaria. E questo nonostante il fatto che il primo presidente della Con­ venzione, quando dovette motivare l’espulsione dal gruppo degli aderenti del nord, dicesse a chiare lettere che «questi no­ stri fratelli hanno agito spinti da un sentimento della cui giu­ stezza non sono riusciti a convincerci; il sentimento che lo schiavismo sia, in qualsiasi circostanza, un peccato». Nelle lo­ ro particolari circostanze lo schiavismo non si configurava co­ me un peccato, anche se era raro che i grandi proprietari di schiavi fossero i battisti nativi del sud. Agli inizi i ricchi agrari proprietari di schiavi erano soprattutto episcopaliani, ma a partire dal 1845 anche tra i battisti, lavoratori infaticabili e gruppo sociale in rapida ascesa, iniziò a diffondersi la grande proprietà schiavistica. Un ulteriore consolidamento della dife­ sa di questa istituzione veniva poi, ai battisti, da un’accresciuta consapevolezza di essere i soli veri cristiani; una convinzio­ ne, questa, alim entata dallo strano movimento, o controver­ sia, come talvolta viene chiamata, dei confini antichi. Questo nome derivava da una sentenza contenuta nei Proverbi (22:28), interpretata in modo alquanto stravagante come se­ gno di una tradizione ininterrotta che da Giovanni Battista e dalla Chiesa cristiana primitiva, in teoria quella di Gerusa­ lemme, culminava negli anabattisti del continente dopo aver lasciato il segno tra i diversi gruppi gnostici e tra gli entusiasti. Il che dimostra una notevole capacità di inventiva, per un pro­ verbio assai mite che diceva semplicemente: «Non spostare il 229

confine antico, posto dai tuoi padri». J.R . Graves, che nel 1848, all’età di ventotto anni, entrò a far parte della redazione del «Tennessee Baptist», proclamava che i battisti godevano di piena autonomia nelle loro rispettive chiese, e allo stesso tempo erano i soli degni di abitare il Regno di Dio, nonché i soli legittimi discendenti dell’antica tradizione cristiana. Di fatto, Graves è stato il precursore della destra texana che at­ tualmente controlla la Convenzione attraverso la componente maggioritaria dei fondamentalisti, perché a lui si deve il capovolgimento della dottrina della Luce Interiore in quella del­ l’autonomia dello spirito. Ciascuna chiesa locale, secondo l’o­ pinione di Graves, doveva essere autorizzata a imporre ai fe­ deli il suo particolare credo. Il movimento dei confini antichi, che era ancora forte dopo la guerra civile, ha lasciato un’eredi­ tà di dogmatismo e di trionfalismo decisamente nemica della libertà dell’anima professata dai battisti: un’eredità che oggi è stata fatta propria dai fondamentalisti. Sicché la disfatta della confederazione per mano di una for­ za soverchiante ha provocato un traum a nello spirito dei batti­ sti del sud, con conseguenze evidentemente più gravi di quelle subite da altre confessioni religiose attive nel sud. Perché mai le cose siano andate proprio in questo modo è un mistero, del quale non sono riuscito a trovare nessuna spiegazione convin­ cente. M a a questo punto vorrei riproporre quanto notavo pri­ ma, e cioè che i battisti del sud sono gli unici a non avere nel loro passato né un fondatore, né un visionario, né un leader degno di nota. M entre i presbiteriani del sud avevano Calvino e i metodisti del sud Wesley, i battisti del sud identificavano i loro eroi nei grandi generali della confederazione, in Stonewall Jackson e in Robert E. Lee, che pur non essendo battisti erano considerati quasi degli esseri soprannaturali. Una nostalgia struggente si unì quindi al rifiuto di tutta la storia successiva, facendo sì che gran parte delle nuove idee emerse negli ultimi trent’anni del x ix secolo venissero rifiutate dai battisti del sud, con una conseguenza alquanto negativa: nessun’altra re­ ligione americana si affacciava alle soglie del x x secolo con un pregiudizio altrettanto radicato nei confronti dell’intellettualismo. Tale pregiudizio ha sovradeterminato la natura dei fon­ damentalisti nella Convenzione battista del sud, oltre a provo­ care l’attuale disperazione, più che giustificata, dei moderati. 230

La crociata indetta dai fondamentalisti capeggiati dal gruppo texano si è trasformata in una battaglia contro il pensiero in quanto tale, una sorta di vendetta ultima contro la storia per il rifiuto di Dio a concedere la vittoria al sud. Dal canto loro i moderati, che sono un esempio del «popolo quasi eletto» di cui parlava Lincoln, sono stati incapaci di arginare e contrastare il fanatismo di un popolo eletto, animato da grande zelo e da collera perenne. Un simile culto della causa perduta suona invero più romantico-faulkneriano che cristiano, ma di questa immagine letteraria non sono io l’artefice. Sentiamo cosa dice a tale pro­ posito Bill J. Léonard, la maggior autorità contemporanea per quanto riguarda la storia della chiesa battista del sud: In cosa consisteva dunque il grande mito del battismo del sud? La confessione religiosa degli sconfìtti, nata essa stessa dallo scisma e dal razzismo, era divenuta l’«ultima» e «unica speranza» di Dio per l’evangelizzazione del mondo in accordo ai principi del Nuovo Testamento. La sua crescita numerica, finanziaria e spirituale, insieme al suo zelo evangelico, era pro­ va evidente della benedizione divina sul suo ministero, sulla sua missione e sui suoi metodi. Poiché uno scisma avrebbe comportato necessariamente la morte di un tale mito, lo scisma andava evitato a tutti i costi. Non si poteva permettere ad al­ cunché di distogliere la confessione religiosa più sudista del sud dalla sua lotta per redimere se stessa e vincere così la bat­ taglia decisiva contro il male. Questa passione dei battisti del sud per il trionfo su tutti, per il predominio numerico e spiri­ tuale, non può essere compresa appieno senza tener conto della / resa di Appomattox. ( God’s Last and Only Hope [1990], p. 13) M a il fatto di evitare a tutti i costi lo scisma, come già era accaduto con il movimento dei confini antichi, è stato un erro­ re che ha contribuito molto alla situazione disperata, priva di sbocco, in cui oggi si trovano i moderati (come Léonard) al­ l’interno della Convenzione battista del sud. Il pensiero batti­ sta è andato incontro a un lungo processo di sviluppo, culmi­ nato nell’opera di E.Y. Mullins. I battisti, che nel x v n secolo erano l’espressione del radicalismo puritano del New England, concordavano con i congregazionalisti nel dare grande rilievo alla sovranità assoluta, ma rifiutavano in blocco l’ideo­ logia del Popolo Eletto dei loro affini. I primi battisti america­ ni, infatti, si dichiaravano «desiderosi di rispettare - o meglio 231

ancora, di accettare - qualunque chiesa cristiana fondata sul­ l’osservanza autentica del Vangelo» (Philip F. Gura, A Glimpse o f Sion’s Glory [1984], p. 125). Fu proprio questa disponibi­ lità ad accettare le altre chiese che incominciò a svuotarsi di contenuto con il movimento dei confini antichi, per poi venire completamente obliterata con il fondamentalismo dei nostri giorni. Da allora a oggi, tuttavia, nella storia del battismo si contano diverse dimostrazioni di questo desiderio di primeg­ giare su tutte le altre chiese. L’antimissionarismo dei primi del x ix secolo, per esempio, aveva dato origine allo squallido mo­ vimento degli intransigenti battisti, capeggiato da uno gnosti­ co anomalo, Daniel Parker, che aveva convinto alla sua ideo­ logia dei «due semi nello spirito» molti dei suoi seguaci intran­ sigenti. Questa dottrina, che di fatto costituisce un incredibile regresso allo gnosticismo settiano del il secolo (di cui Parker non sapeva assolutamente niente), consisteva essenzialmente in un culto assoluto quanto primitivo della predestinazione. Dio aveva impiantato in Èva un seme, e un altro era stato im­ piantato in quella sventurata madre delPumanità da Satana. Dal seme buono, dicevano gli antichi gnostici, era nato Seth, che aveva preso il posto del povero Abele, mentre dal seme cattivo era nato Caino. Dal momento che ciascun essere um a­ no è il prodotto dell’uno o dell’altro seme, il lavoro e l’impegno missionario sono irrilevanti: ciascuno porta dentro di sé il se­ me che di lui farà un eletto o un dannato. Fino alla fine del x ix secolo i battisti primitivi di Parker hanno conservato in­ tatta la loro forza, che sommandosi a quella del successivo mo­ vimento dei confini antichi ha fatto della conflittualità interna alla Convenzione battista del sud un fenomeno endemico. Questa turbolenza non ha fatto che salire di livello fino alla pubblicazione, nel 1896, del libro di W illiam H. W hitsitt, inti­ tolato A Question in Baptist History. Nel suo libro W hitsitt riget­ tava in blocco, ritenendola assolutamente falsa, l’idea del mo­ vimento dei confini antichi che una tradizione battista del sud si snodasse ininterrotta a partire dal più grande battista del sud, colui che aveva battezzato Gesù. I seguaci del movimento risposero obbligandolo a dimettersi dalla carica di presidente del principale seminario della confessione. Mullins accettò di subentrare a W hitsitt, e una nuova fase della storia del batti­ smo del sud ebbe così inizio. 232

Di Edgar Young Mullins mi sentirei di dire che è stato il Calvino o il Lutero o il Wesley dei battisti del sud, ma solo nel contesto più generale del ritardo storico deirAmerica, perché Mullins non è stato il fondatore della religione battista del sud ma il suo rifondatore, colui che ne ha definito con precisione la natura esperienziale della fede. Profondissimo e originale pen­ satore religioso, Mullins è il più misconosciuto tra i grandi teo­ logi americani. Sul piano concreto, la sua importanza è mag­ giore di quella di Jonathan Edwards, di Horace Bushnell e dei Niebuhrs, poiché è opera sua la riformulazione (se non addi­ rittura la formulazione) della fede della principale confessione religiosa esistente in America. Di lui Léonard dice che fu la personificazione di quel grande compromesso che solo ora si sta sfaldando alPinterno della Convenzione battista del sud. Mullins è morto nel 1928 e le sue idee hanno influenzato i bat­ tisti del sud ancora per un cinquantennio, per essere poi sop­ piantate non da altre idee, ma dal disprezzo verso qualsiasi idea che ha caratterizzato la conquista della maggioranza da parte dei fondamentalisti, avvenuta nel 1979. Come osserva Léonard, Mullins sul piano teologico non era liberale, ma piuttosto un difensore del battismo evangelico che ciò nondi­ meno non percepiva la scienza o la filosofia come un pericolo per la religione. Fermo assertore del pragmatismo e profonda­ mente influenzato da William Jam es, Mullins ancorava la sua fede alP «esperienza» intesa appunto nel senso di Jam es. Alla base della forza intellettuale e spirituale di Mullins vi era un soggettivismo assai radicato e fecondo, non disgiunto dall’in­ tuizione, altrettanto profonda, che la fede per i battisti fosse inscindibile da una relazione eminentemente personale di cia­ scun individuo con Dio. Non credo sia casuale che Mullins co­ noscesse a memoria tanti versi del Paradiso perduto di Milton, perché Milton si era fatto seguace di una setta composta solo da lui, e la sua posizione sul piano teologico è a malapena di­ stinguibile da quella di Mullins. La devozione verso la Luce Interiore di M ilton è al cuore della dottrina di Mullins, di cui passerò a occuparmi ora, per tentare di sciogliere l’enigma del contenuto di fede dei battisti del sud moderati.

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13 L’enigma: in cosa credono i battisti del sud?

La migliore esposizione degli autentici contenuti di fede del­ la religione battista del sud ci è offerta da The Axioms o f Religión (1908) di Mullins. In questo libro l’accento posto sulla portata storica della religione battista trova il suo fulcro in una dottri­ na particolare, quella della «competenza» dell’anima in m ate­ ria di religione: Non sfuggirà quindi che l’idea della competenza delPanima in materia religiosa esclude necessariamente ogni attività uma­ na che con questa interferisca, come l’episcopato e il battesimo dei neonati, oltre a qualunque forma di religiosità mediata. La religione è una questione personale tra l’anima e Dio. Da que­ sto principio generale discendono automaticamente gli enun­ ciati particolari... compreso quello della dottrina della separa­ zione tra stato e Chiesa, perché le chiese di stato si reggono sul presupposto che l’attività di governo sia un fattore necessario nella vita di un uomo che intenda realizzare appieno il suo de­ stino religioso, e che l’uomo senza il sostegno dello stato sia in­ competente in religione. Ne discende anche la giustificazione per fede, perché questa dottrina è semplicemente un caso par­ ticolare dell’eredità religiosa dell’anima, lasciata da Cristo. Il principio della giustificazione per fede dichiara che l’uomo è competente a rapportarsi in modo diretto a Dio in quello che costituisce l’atto iniziale della vita cristiana. Anche il principio della rigenerazione discende dal principio più generale della competenza dell’anima, perché è la benedizione che segue im­ mediatamente la giustificazione, quando non si verifica con­ temporaneamente ad essa, come risultato del rapporto diretto che sussiste tra l’anima e Dio. La competenza delPanima è tutt’uno con l’esperienza che l’anima ha dell’autorità di Gesù Cristo; al fine di chiarire ulte­ riormente questo concetto Mullins pone i battisti in contrap­ posizione ai cattolici romani. I sacramenti della Chiesa catto­ lica romana, secondo la visione battista, si fondano interam en­ te sulla mediazione, e pertanto sull’incompetenza delPanima 234

in materia di religione. Ancora più importante, per Mullins, è il fatto che coloro che professano la fede cattolica non sono li­ beri di dare la propria interpretazione della Bibbia: Il dogma deirinfallibilità del papa, che si aggiunge all’auto­ rità della tradizione, vieta qualsiasi interpretazione delle Scrit­ ture personale o estranea alla tradizione. Dopo questo preambolo, Mullins procede speditamente a enunciare i sei «assiomi della religione» battista: 1. L’assioma teologico: il Dio santo e amorevole ha diritto ad essere Dio sommo. 2. L’assioma religioso: tutte le anime hanno ugual diritto al­ l’accesso diretto a Dio. 3. L’assioma ecclesiastico: tutti i credenti hanno diritto a uguali privilegi all’interno della Chiesa. 4. L’assioma morale: per essere responsabile l’uomo deve esse­ re libero. 5. L’assioma civico-religioso: libera Chiesa in libero stato. 6. L’assioma sociale: ama il tuo prossimo come te stesso. Per quanto associati alla competenza delPanima, questi as­ siomi sono talmente interni al protestantesimo in senso lato da costituire una caratterizzazione alquanto debole del battismo o di qualche suo particolare aspetto. Mullins, la voce più chia­ ra che si sia mai levata tra i battisti del sud, non riesce a illu­ strare adeguatamente quel che differenzia i battisti dagli altri protestanti. Come tutti i battisti egli afferma che solo in Gesù è la verità: una dichiarazione che ha il senso di rendere irrile­ vante ogni ulteriore principio dottrinario. Ben si comprende come mai i battisti possano andare orgogliosi di professare una religione fondata su un credo assai poco definito. Il reve­ rendo John Doe, che mi ha fatto da guida in questo tentativo di comprendere a fondo la fede tutta esperienziale dei battisti, rileva che la competenza delPanima può essere definita soltan­ to in termini negativi, per ciò che essa non è. Vedere nel batti­ smo del sud una modalità essenzialmente americana di teolo­ gia negativa mi sembra di vitale importanza per giungere a una comprensione effettiva della confessione protestante più diffusa nel nostro paese. Lo gnosticismo, ovvero la più negati­ va tra tutte le teologie negative dell’antichità, torna così ad af­ fiorare anche tra i battisti del sud, seppur investito della diffe­ 235

renza pragmatica americana. Bentley Layton interpretava il termine gnosis come «contatto» anziché come «conoscenza», una forzatura decisamente im prontata a William Jam es, che ben si addice alla concezione battista del sud dell’incontro con Gesù. Ogni battista del sud è alla fine solo nel giardino con Gesù, per citare uno dei più noti inni battisti. Herschel H. Hobbs, molto vicino alla scuola moderata di E.Y. Mullins, si è eroicamente cimentato nel tentativo di defi­ nire in termini non puram ente negativi la fede battista nel suo The Baptist Faith and Message (1971), un’opera tuttora conside­ rata canonica. Dopo aver preso le mosse dal principio della competenza dell’anima e dai sei assiomi della religione di Mullins, Hobbs approda rapidamente a una rassicurazione ansiosa, affermando che i battisti del sud non andranno incon­ tro a uno scisma poiché «la loro è una fede vivente, e non im­ mobilizzata nei principi dottrinari». M a come si fa a dare la descrizione di una fede vivente, anche riempiendo centocin­ quanta pagine? Al pari di tante altre confessioni religiose (mormoni compresi) i battisti del sud proclamano il sacerdo­ zio di tutti i credenti, lasciando ai predicatori solo la funzione iniziale dell’esortazione alla fede. La competenza dell’anima è straordinariamente affine alla competenza erotica (se mi si consente questo paragone così splendidamente offensivo) dal momento che non vi è posto per una terza persona quando il battista è solo con Gesù; e così come spetta a ciascuno di noi definire il proprio eros, allo stesso modo spetta a ciascun batti­ sta definire la propria competenza dell’anima. Come arguta­ mente osserva John Doe, «Ciascuno possiede la competenza necessaria per interpretare la competenza dell’anima nel mo­ do che più gli aggrada». Le sue ulteriori riflessioni in proposito costituiscono l’esegesi più brillante e chiarificatrice della com­ petenza delPanima come la intendono i battisti del sud, che mi sia riuscito di trovare: Mi riesce di pensare alla competenza delPanima soltanto in termini pratici. Per me essa significa che la singola individuali­ tà cristiana è inappellabile sia nell’interpretazione delle Scrit­ ture sia nell’intelligenza della volontà di Dio riguardo alla sua vita. Significa che quando qualcuno dice «Questo è per me il significato della Bibbia», io non posso dire che si sbaglia; posso solo dire che la sua comprensione a me risulta vuota di signifi­ cato. Solo la comprensione delle Scritture che ha il predicatore 236

dovrebbe essere condivisibile da tutta la comunità, e spetta a ciascun individuo stabilire se le parole di chi predica siano utili o no. Competenza dell’anima per me significa che qualsiasi co­ noscenza utile ad avvicinarmi ancora di più a Gesù è vera, e non può essermi tolta, poiché la mia vita è soltanto mia ed esi­ ste una modalità di comprensione delle Scritture che è soltanto mia. Competenza dell’anima per me significa che posso trova­ re la verità nel punto di massima distanza dalle distrazioni e da persone, cose e autorità contingenti, di nuovo, quando la verità si veste di forme che hanno una loro unicità per me e per la mia comprensione della Bibbia. La competenza delPanima, in questa descrizione vivida e toccante, ha in sé un elemento di isolamento e una m arcata in­ dividualizzazione. E una versione molto rudimentale della fi­ ducia in se stessi emersoniana, in quanto connaturato ad essa è anche l’elemento dell’origine prima. E, come in Emerson, vi è un tocco di teologia negativa, rim arcata da Doe. Con grande acume, Doe fa notare che la competenza delPanima è ritenuta un elemento intrinseco alle Scritture, benché non esistano testi a comprova di ciò. Tutto il materiale che i battisti possono ad­ durre a prova sono il presunto agone di Gesù con i farisei e l’a­ spra lotta tra san Paolo e i giudaisti, a capo dei quali era Gia­ como, il fratello di Gesù. Come afferma Doe, i battisti tendono a identificare i giudaisti e i farisei con i cattolici romani e con tutti gli altri seguaci di religioni fondate su un ben definito cor­ po dottrinario. Con abile mossa, Doe passa quindi ad affermare la rigorosa distinzione tra competenza delPanima e sacerdozio del cre­ dente. La competenza delPanima è cosa che pertiene agli in­ duisti, ai musulmani e ai seguaci di tutte le religioni, oltre che ai cristiani, ma solo i cristiani hanno lo Spirito Santo che li guida nell’interpretazione delle Scritture, una guida che costi­ tuisce di per sé il sacerdozio del credente. Pertanto, conclude Doe giustamente, con un altro passaggio che avrebbe scorag­ giato persino Mullins e Hobbs, questa competenza delPani­ ma, che è poi l’essenza stessa della fede battista, non può rife­ rirsi in nessun caso a una relazione non mediata con Gesù: Una relazione non mediata può essere il fine autentico, lo scopo per cui Dio ci ha concesso la competenza delPanima, ma quest’ultima è pienamente operante nell’ateo e nel mormone, né più né meno che nell’episcopaliano o nel battista. Resta pe­ 237

rò il fatto che i battisti concepiscono la vita cristiana come un contatto non mediato con Dio, e la Bibbia come strumento in­ dispensabile a tale contatto, pur non costituendosi a effettivo elemento di mediazione. E, al contrario, proprio l’immediatez­ za dello Spirito a dotare di significato la Bibbia, anche se ciò vale solo per coloro che hanno aperto i loro cuori. L’idea qui è che la Bibbia sia fatto personale, interiore, e non invece esterio­ re come i sacramenti di Lutero. La Bibbia è dentro la persona, insieme allo Spirito Santo. Doe è un intellettuale battista del sud moderato, ovvero quello che Knox avrebbe definito un entusiasta mistico in con­ trapposizione a un entusiasta evangelico, ossia a un battista del sud fondamentalista. Tutti i battisti del sud - tanto fonda­ mentalisti che moderati - sono entusiasti tardivi che credono in una luce interiore, anche se solo i moderati cercano di ser­ virsene per leggere le Scritture. La luce interiore, ovvero lo Spirito Santo dentro ciascuno di noi, tanto criticato dall’anglo-cattolico T.S. Eliot, è il cuore vero della fede battista del sud, nonché l’enigma degli enigmi di tutta la Religione Ameri­ cana, senza eccezioni. L’elemento più vitale del credo senza credo dei battisti del sud è eminentemente personale, soggetti­ vo, esperienziale e, da ultimo, assolutamente indefinibile, o quanto meno definibile solo per ciò che non è. La conversione, vale a dire l’«essere salvati» o il «nascere a nuova vita», è il cuore pulsante della vita spirituale, tutto centrato sull’interio­ rità. Ed è proprio il terrore che incute questa interiorità a far sì che il battista del sud si aggrappi con tutte le sue forze alla Bibbia. Gesù, così come i miracoli, appartengono al passato; la Bibbia invece si dilata nel presente, e promette una qualche forma di controllo sul futuro. Privo della presenza reale del corpo di Cristo nel rito della comunione, il battista è solo con la sua Bibbia. Per essere più precisi, dal momento che la Bib­ bia non si legge né si interpreta da sola (al di là della stupefa­ cente convinzione dei fondamentalisti), il battista è solo di fronte all’interpretazione della Bibbia, che sarà la sua se è un moderato, e una riduzione al minimo comun denominatore se è un fondamentalista. In entrambi i casi, niente più che un’in­ terpretazione viene a occupare il posto di quella che i cattolici ritengono essere una presenza reale, ancorché simbolica, del Cristo. Mullins, il più fine tra i teorici battisti del sud, cercò di risol­ 238

vere questa difficoltà ponendo l’accento sulla personalità del di­ vino. Nel suo The Christian Religion ricorse a una formulazione senza dubbio più accettabile per gli gnostici, antichi e moder­ ni, che per i cattolici tradizionalisti: «Quel che ci è dato di co­ noscere senza alcun margine di dubbio sono i fatti dell’espe­ rienza interiore» (p. 73). Doe, pur essendo molto vicino al pensiero di Mullins, ci fa notare che questa affermazione viene contraddetta, almeno in parte, in un passo successivo di The Christian Religion : Persino la nostra fede, che è principio vitale di tutto il nostro vivere cristiano, è suscettibile a variazioni... Non è sulla nostra esperienza soggettiva, in nessuna delle sue molteplici forme, che noi possiamo fare affidamento, poiché è solo grazie all’in­ tervento misericordioso e buono di Dio che la nostra mutevole esperienza viene sorretta nel travaglio di tutti i suoi mutamenti e delle sue lotte, (p. 396) Quella dell’intervento di Dio nella storia è una concezione protestante piuttosto che gnostica, ma qui l’atto divino si eser­ cita sulla «nostra mutevole esperienza», e non su un’anima o una volontà immutabili. Ho il sospetto che ciò avvenga perché le varietà dell’esperienza religiosa culminano, secondo M ul­ lins, nell’esperienza dell’incontro con il Gesù risorto. In un’a­ nalisi critica della teologia di Mullins, Ahlstrom sottolinea la centralità dell’«esperienza cristiana», mettendo in rilievo an­ che il relativo disinteresse per l’etica sociale. La risposta defi­ nitiva di Mullins alla domanda: «In cosa credono i battisti?» si condenserebbe in questa semplice affermazione: «Gesù è la Resurrezione e la Vita». Hans Frei, discutendo del problema dell’identità di Gesù Cristo, osservava acutamente che mentre dovrebbe essere Dio a far risorgere Cristo, i Vangeli sono stra­ namente silenziosi su una questione di così vitale importanza, e in quanto tali non possono venire utilizzati per confutare la teoria per cui sarebbe Gesù stesso l’artefice della resurrezione, esattamente come era accaduto con Lazzaro. Gli gnostici del li secolo credevano che nel momento stesso in cui Gesù attua­ va la propria resurrezione avesse avuto luogo una resurrezione spirituale universale, una certezza religiosa inevitabile per chi identificava la «scintilla» interiore, vale a dire il pneuma o sé ve­ ro con il Gesù risorto; il quale, anzi, a loro giudizio non era mai stato neppure crocifisso, dato che a soffrire sulla croce era 239

stato un sostituto, un suo fantasma. Se ciò che è più antico e più nobile dentro di noi risale a un tempo anteriore alla crea­ zione, è naturale che non possa morire, né più né meno di quanto possa morire Gesù. In questo senso, la Resurrezione è un evento già compiuto che si ripropone perennemente, nella nostra armoniosa compenetrazione con Gesù. L’esperienza battista della conoscenza di Gesù, in un incon­ tro solitario e sempre rinnovantesi, diviene quindi prioritaria rispetto alla partecipazione alle funzioni religiose, alla dottri­ na e agli atti di carità. E dal momento che ciò che può cono­ scere Gesù è in certa misura già partecipe della sua natura, il battista che ha ottenuto la salvezza partecipa qui e ora alla Re­ surrezione e alla Vita. L’entusiasmo mistico (nel senso di Knox) è la linfa vitale della Religione Americana, e i battisti del sud moderati che vengono dopo Mullins si affiancano ai mormoni del x ix secolo nel riconoscere in questa estasi la Re­ surrezione. Certamente sussiste una relazione tra questa espe­ rienza e quella che Mullins chiamava «competenza dell’ani­ ma», ovvero il diritto e la facoltà dell’individuo di fede battista di instaurare una relazione eminentemente personale con Ge­ sù. Se il nostro spirito non mortale accetta l’amore di Gesù, cammina al fianco di Gesù, e sa cosa significa corrispondere all’amore di Gesù, solo con lui nell’unica forma perfetta e per­ manente di comunione che possa esistere, allora non vi potrà essere sopra di noi alcuna autorità ecclesiastica. Per quanto ri­ guarda poi l’autorità delle Scritture, anch’essa dovrà cedere il passo all’incontro diretto con il Gesù risorto. Questo incontro, dispiegato in tutta la sua intensità, potrà verificarsi solo una o due volte nel corso di un’intera esistenza, e forse mai più di no­ ve o dieci nel corso di un’esistenza particolarmente lunga, ma nel momento in cui si verifica si presenta come un’esperienza totalizzante. Tra i battisti del sud troviamo dunque una delle poche manifestazioni della Religione Americana che interessa­ no un folto gruppo di persone e le coinvolgono in un’esperien­ za mistica. Benché democratica (essendo aperta a tutti) que­ sta continua estasi è per forza di cose accessibile solo a un gruppo ristretto di persone. L’entusiasmo mistico ancora vivo tra i battisti del sud «moderati» dei nostri giorni trova un pa­ rallelo, qui in America, solo nelle brevi estasi vissute da Jo ­ seph Smith e dalla sua élite durante la consacrazione del tem­ pio di Kirtland. 240

M a tutta l’esperienza spirituale del battismo del sud, così come ce la presenta Mullins, ha il suo perno in un’unica dot­ trina, che tornerò ad esaminare ora in tutti i suoi aspetti: la competenza dell’anima in solitudine di fronte al Gesù risorto. Gli elementi che si presentano come unici nella spiritualità battista del sud si ricollegano sempre, in qualche modo, alla competenza delPanima. Ho cercato, con la preziosa assistenza del reverendo John Doe, di rintracciare altri esempi dell’e­ spressione «competenza dell’anima» prima di Mullins, ma a nessuno dei due è riuscito di trovarne, né nei testi scritti della religione battista né altrove. E stato Mullins a inventare que­ sta espressione, evitando accortamente di farsene un vanto e utilizzandola piuttosto come se fosse un’espressione tradizio­ nale e antica quanto il battismo, se non addirittura quanto il cristianesimo stesso. Essa coincide con quella che John Milton chiamava libertà cristiana, ed è tratteggiata da Mullins con tanta leggerezza da apparire come un’originale fusione di na­ tura e grazia, ossia di nascita nell’immagine di Dio e rinascita attraverso il dono divino della rigenerazione. Certamente l’as­ soluta competenza dell’anima in m ateria religiosa trasmette una visione dell’individuo priva di qualsiasi limite e immune da ogni possibile sovradeterminazione. Nessuno può dire al­ l’anima libera come va interpretata, o come non va interpreta­ ta, la Bibbia. Legittimando una serie infinita di interpretazio­ ni possibili, questa dottrina è distruttiva del fondamentalismo, in quanto l’assurda metafora di una lettura «letterale» o «in­ fallibile» della Bibbia viene in tal modo completamente annul­ lata. Giustamente Mullins non cita alcun testo specifico della Bibbia a sostegno del principio della competenza dell’anima, poiché la sua tesi di fondo è che in questa dottrina si riassuma e si esaurisca tutto il significato della collocazione di Gesù: tut­ ti i suoi atteggiamenti, tutte le cose che dice, tutte le azioni che compie. Questa collocazione è, nell’interpretazione che ne dà Mullins, antagonista a qualsiasi religione fondata su un credo vero e proprio, e viene da lui identificata con la veemente de­ nuncia che i battisti del sud compiono dell’im palcatura dottri­ naria del cattolicesimo romano. Di tutto l’infaticabile insegui­ re americano di quella mitica entità che è la Chiesa primitiva, mi sembra che la caccia dei battisti abbia fruttato la finzione più convincente. U na finzione pericolosa, come pericolose so­ 241

no tutte le versioni americane del primitivismo protestante, sia perché le finzioni che si autorappresentano come fatti reali co­ stituiscono di per sé un pericolo, sia perché in tal modo gli es­ seri umani, persone viventi, sono indotti a farsi portatori di credenze sostanzialmente morte. Eppure i battisti, prendendo le distanze da qualunque forma di credo religioso dai contorni definiti, secondo Mullins possono aggirare tali pericoli, m al­ grado il dogmatismo del movimento dei confini antichi e dei fondamentalisti. Come critico della religione (per autoproclamazione, d’ac­ cordo, ma come potrebbe essere altrimenti?) sarei intenziona­ to a porre alcune domande alla fede confezionata da Mullins per i battisti del sud. Persino lui tendeva a definire la compe­ tenza dell’anima in negativo, solitamente per contrapposizio­ ne alla sua antitesi, cioè la gerarchia dell’autorità in materia spirituale propria della Chiesa cattolica romana. Se la compe­ tenza dell’anima si riduce semplicemente a una descrizione di una relazione assolutamente non mediata e intima con Gesù, quale ruolo spetta allora alla lettura e all’interpretazione delle Scritture? Ponendosi nella prospettiva battista, non dovrebbe forse essere possibile un dialogo non mediato con Gesù, che dopo tutto con la propria figura pare sostituirsi alla Bibbia stessa? Se si respinge l’idea cattolica che la Chiesa sia il corpo mistico di Cristo, perché non liberarsi anche dell’idea della congregazione, della predicazione e del testo, ed essere così to­ talmente soli con Gesù, camminando e parlando con lui, spiri­ to con spirito, spirito a spirito? Se la competenza spetta in via ultimativa alPanima, l’anima nella sua nudità dovrebbe essere di per sé sufficiente. Mullins ha ribadito con forza che i battisti non sono dualisti, nel preciso senso che coloro che battezzano i neonati si dichia­ rano automaticamente tali. M a come si può avere una religio­ ne dell’esperienza e al tempo stesso non sacramentale senza che vi sia un dualismo, una divisione tra chi conosce e chi è cono­ sciuto, indipendentemente dal fatto che la conoscenza di Gesù avvenga grazie a un incontro diretto o per il tramite delle Scritture? L’anima del battista e Gesù, nel loro atto di recipro­ ca presa di contatto, rinnovano una gnosi antica, con tutti i problemi che questo rinnovamento comporta. In una gnosi di questo genere, come si spiega che l’assoluzione dai peccati del242

l’anima redenta non divenga uno stato perpetuo? Ripensiamo a Kierkegaard e al suo tormentoso insistere sul fatto che diveni­ re cristiani era una lotta che impegnava la vita intera. Se si è ot­ tenuta la salvezza una volta per tutte, in modo esperienziale, cosa ci impedisce di diventare antinomiani, al di là del bene e del male? Tutti questi interrogativi si fondono in un’unica do­ manda: come può una donna battista del sud salvaguardare il confine tra se stessa e Gesù, in modo da non fondersi con lui, con le conseguenze piuttosto spiacevoli che ciò comporterebbe tanto sul piano sociale che su quello psichico? Ronald Knox, parlando di Wesley ma pur sempre entro il contesto più generale del suo splendido Illuminati e carismatici, sottoscrive la classica accusa che i cattolici muovono alle reli­ gioni esperienziali: E osserviamo ora, per prima cosa, che il cristianesimo tradi­ zionale è un equilibrato composto di dottrine, e oltre che di dottrine anche di accenti posti su di esse. Non bisogna esagera­ re né in un senso né nell’altro, altrimenti l’equilibrio rischia di spezzarsi. Idea eccellente quella di abbandonarvi senza riserve nelle braccia di Dio; se poi la vostra retorica vi conduce a espressioni fantasiose di quest’idea, non succede niente di ma­ le. Ma provate ad affermare in linea di principio che è un segno di miscredenza chiedersi se si è salvati o dannati, e l’intero vo­ stro impianto devozionale risulterà sbilanciato: tutto un genere di espressione religiosa del proprio essere risulterà automaticamente escluso. Allo stesso modo, è cosa sacrosanta avere fede nel potere di redenzione di Cristo. Ma provate a dire che tale fede è un segno insopprimibile della predilezione di Dio, e al­ lora qualsiasi uomo, a meno che e fino a che non sia consape­ vole del contrario grazie alla sua propria esperienza, si sentirà perduto, e l’equilibrio sarà turbato all’estremo opposto: tutto un genere di mentalità religiosa sarà stato condannato alla di- f sperazione. (pp. 580-81) Come tutti gli entusiasti, mistici o evangelici che siano, an­ che i battisti del sud hanno un loro equilibrato composto di dottrine, e questa situazione di equilibrio è antitetica al modo cattolico di intendere la religione. Knox condanna quelli che egli chiamava perfezionismo mistico e rigenerazione evangeli­ ca, ciascuno dei quali era il risultato di tendenze diverse al­ l’interno della Religione Americana. M a la sua condanna più aspra Knox la pronuncia contro tutti coloro che non vedono che la nave dell’autorità sta affondando: 243

La religione si era identificata, nella mentalità popolare, con una serie di atteggiamenti attraverso i quali il credente, oppor­ tunamente predisposto a ciò dal revivalista, assaporava il gu­ sto della pace spirituale. Non vi era bisogno né di una liturgia né di una teologia; non occorreva più darsi pena di indirizzare il proprio intelletto alla ricerca, né di sentirsi parte integrante di una tradizione storica di culto. Si galleggiava, in relativa si­ curezza, sulla piccola zattera della propria fede, pronti a getta­ re un’ancora di salvezza al prossimo che, in pericolo di affoga­ re, era pronto ad aggrappatisi; e intanto la nave colava a pic­ co. (p. 589) Questo brano è sempre una lettura gradevole, se si tiene a mente che Knox era il mentore di Evelyn W augh a Oxford. Dal punto di vista dei battisti, gli atteggiamenti di cui si parla in questo brano sono le emozioni direttamente condivise con il Gesù risorto, e la piccola zattera è la competenza dell’anima. La disapprovazione dei cattolici non può nemmeno sfiorare la competenza dell’anima, la cui funzione è appunto di negare la dottrina cattolica. M a le domande che ho posto, e alle quali ora ritorno, mi obbligano a formularne un’altra ancora: «Vi è dialetticità nelle teorizzazioni di Mullins, o vi è solo una serie di contraddizioni interne?». L’esperto di storia della chiesa battista, B. J. Léonard, osserva con molto tatto che lo stesso Mullins si rifiutava di vedere la contraddizione insita nel con­ ferire identico primato all’autorità della Bibbia e alla compe­ tenza dell’anima, nell’autonomia interpretativa del credente: I battisti del sud dovrebbero cercare di conciliare l’autorità oggettiva della Bibbia con l’esperienza soggettiva dell’indivi­ duo, mentre spesso presentano ciascuna di esse come la singola dottrina più importante in tutta la loro storia. Mullins per esempio, con il suo richiamarsi indifferentemente alle Scritture e alla coscienza individuale, ha portato molti battisti a servir­ sene come sostenitore della loro posizione nell’attuale contro­ versia interna alla confessione: sicché esiste un dottor Mullins sostenitore dell’infallibilità della Bibbia, e un dottor Mullins Ì)rofeta della libertà dell’anima... A quanto pare lo stesso Mulins non vedeva alcuna contraddizione nel sostenere la validità di entrambe le dottrine contemporaneamente, contribuendo in tal modo a dar vita a una confessione nella quale i fautori di posizioni diverse potessero trovare un comune terreno di in­ contro. Oggi una riconciliazione tra questi due schieramenti opposti all interno del battismo appare sempre più inattuabile. Invece di battersi per un riequilibrio o per creare le condizioni per una coesistenza pacifica nella casa confessionale comune ai 244

gruppi che accentuano diverse sfumature della dottrina, en­ trambe le fazioni si trovano obbligate a scegliere una dottrina a totale discapito dell’altra, (p. 76) Ci troviamo così ricondotti alPenigma centrale: in cosa cre­ dono i battisti del sud, e c’è contraddizione in ciò che essi cre­ dono? Ci vorrebbe una dialettica sottile come quella di Valen­ tino, lo gnostico del li secolo, per portare quel che lui avrebbe chiamato la «scintilla» o pneuma dell’individuo al punto di massima vicinanza al Dio vero e irraggiungibile senza azzera­ re entrambi in una virtuale identità. Accentuata pur senza for­ zature, la competenza dell’anima rende il Gesù risorto e il bat­ tista del sud moderato o seguace di Mullins talmente vicini l’uno all’altro da fondere due diverse eresie in una sola. Crea­ tore e creatura diventano indistinguibili, e il dualismo tra cor­ po e anima si elide totalmente, tanto che il battista mistico sa già che cosa è stato fatto risorgere. Vediamo a questo proposi­ to quanto scrive Mullins nel 1904 facendo la recensione di un libro del filosofo Border P. Bowne (pragmatista e seguace di William Jam es): Se l’uomo è fatto a immagine di Dio, vuol dire che possiede la facoltà di elevarsi al divino. L’agnosticismo filosofico, che di­ chiara l’intelletto dell’uomo incompetente nel dominio della teologia, in realtà degrada l’uomo a un piano dell’essere infe­ riore a quello che spetta all’umanità. E caratteristica propria dell’uomo essere fatto a immagine e somiglianza di Dio, e que­ sta affinità profonda è la base del rapporto e della comunanza, intellettuale e generale, tra Dio e uomo. («Review and Expositor», luglio 1904, p. 249) Come tutti gli gnostici, cabalisti compresi, Mullins va letto tra le righe, poiché la sua scrittura religiosa spesso suona mol­ to più convenzionale di quanto non sia in realtà. «Agnostici­ smo filosofico» è, nel linguaggio di Mullins, il cattolicesimo ro­ mano. A conferma di ciò, John Doe cita un passo significativo degli Axioms o f Religion: L’agnosticismo, che nega la competenza dell’intelletto uma­ no, è il cattolicesimo romano della filosofia, è una concezione retriva delle abilità umane nella sfera intellettuale, (p. 66) In questo passaggio della recensione di Bowne troviamo 245

dunque un attacco diretto al cattolicesimo romano, visto come degradante delle qualità teomorfe dell’uomo, del suo possesso di «facoltà capaci di elevarlo a Dio». L’affinità profonda tra il battista e Gesù viene poi celebrata, con una sottile venatura di ambiguità, come «base del rapporto e della comunanza, intel­ lettuale e generale». Quel «generale» dischiude ampi spazi al­ l’interscambio mistico, grazie ai quali la competenza dell’ani­ ma si arricchisce di una nuova gamma di riflessi. La comu­ nanza non mediata con il Gesù risorto riconduce ai quaranta giorni vissuti dai discepoli tra la Resurrezione e l’Ascensione e dà una chiara idea dell’audacia di Mullins, che peraltro non è sua prerogativa, appartenendo a tutti i battisti del sud capaci di emularla. Che collocazione può rivendicare allora l’esperienza di let­ tura delle Scritture entro questa comunanza non mediata con il miracolo? Mullins evita di affrontare direttamente questo in­ terrogativo, ma allude più volte alla risposta, che costituisce di per sé una negazione dell’irragionevolezza del fondamentali­ smo. Il battista ridestato, o meglio ancora risorto nello spirito, leggerà la Bibbia guidato dalla luce interiore che la comunan­ za esperienziale con Gesù tiene accesa in lui. Tale lettura, in base al principio economico della competenza dell’anima, sarà un’interpretazione giustificata, indipendentemente dal fatto che si accordi o meno con l’infallibile, arrogante dislessia dei predicatori fondamentalisti del Texas. Avendo un dialogo di­ retto con Gesù il battista, chiunque egli sia, ha nell’interpreta­ zione delle Scritture la stessa competenza, né più né meno, del reverendo W. A. Criswell o del reverendo Bailey Smith, e financo del giudice Paul Pressler, il papa di Houston. Poiché nella sua immediatezza lo Spirito può farsi intermediario della Bibbia, precludendole qualsiasi possibilità di situarsi all’ester­ no del battista, dalla lettura nello Spirito scaturirà un’ispira­ zione non differente, sul piano qualitativo, da quella speri­ m entata dagli stessi autori biblici. Non c’è dubbio che il termine «competenza» venisse a M ul­ lins dall’uso, invalso nel x ix secolo, del concetto più ampio di autosufficienza economica, anche se non è da escludere che Mullins avesse in mente l’etimo originario della parola, deri­ vante dal latino competere, «ricercare insieme». Per competenza deH’anima si intende un ricercare, un inseguire, ma quell’«in­ 246

sieme» è riferito a Gesù e non ai compagni di fede. Invero, la competenza dell’anima non può essere monopolio di un parti­ colare gruppo o di una setta: essa è una qualità puramente in­ dividuale, e per definizione una dote comune a tutti gli esseri umani, applicabile tanto ad Arjuna sul suo carro con Krishna quanto a Saul di Tarso sulla strada di Damasco. Riformulan­ do con parole mie il concetto di competenza dell’anima, e chiamandola libertà da ogni forma di sovradeterminazione sociale, economica, e persino psicologica - andrei più in là di quanto si sia spinto Mullins, ma pur sempre (credo) nel ri­ spetto del suo intendimento. La libertà, per Mullins, è neces­ sariamente anche libertà dalla Chiesa. Il prototipo della com­ petenza dell’anima è Giovanni Battista, in quanto il battista solitario che con Gesù ha camminato e parlato e che legge la Bibbia in questa luce ispirata non ha bisogno di una Chiesa battista del sud per essere assolto dai suoi peccati meritando così la salvezza. Mullins, sempre vigile e pronto a ricordare che il suo vero nemico spirituale è l’insistenza della Chiesa cattolica romana sulla sua funzione mediatrice, non discono­ scerebbe la mia riformulazione, per quanto estrema, dell’ani­ ma assolutamente estranea alla mediazione. La competenza è la versione pragmatica di Mullins della fiducia in se stessi di Emerson, la via per accedere a una fede autenticamente esperienziale. Il modello della fede esperienziale dei battisti del sud lo for­ nisce quella che viene da loro chiamata la «Via Romana», una collazione di sei passi tratti dalla Lettera ai romani di san Pao­ lo. Ecco la Via Romana: Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. (5:8) Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio. (3:23) Come sta scritto: Non c’è nessun giusto, nemmeno uno. (3:10) Perché il salario del peccato è la morte; ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù nostro Signore. (6:23) Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato. (10:13) 247

Poiché se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha resuscitato dai morti, sarai salvo. (10:9) Nessuno studioso è riuscito a stabilire chi sia stato il primo a imboccare la Via Romana, e non è neppure certo che la sua origine sia effettivamente interna alla religione battista del sud; sta di fatto che la Via Romana, presumibilmente impron­ tata al modello paolino di esperienza della conversione, è dive­ nuta l’essenza stessa della fede battista del sud. Come lettura della Lettera ai romani è decisamente molto selettiva, ed è inoltre confutata in modo convincente da Krister Stendhal, che dimostra quale profondo travisamento abbia subito Paolo ad opera di Lutero, e di Agostino prima di lui. Wayne Meeks, ricapitolando le argomentazioni di Stendhal, commenta ironi­ camente che «Paolo non era né un pietista luterano né un revivalista americano. Paolo non aveva ridotto il messaggio evan­ gelico alla remissione dei peccati, e tanto meno all’alleviazione dei sensi di colpa». Bisogna dire però che il san Paolo di Mullins, e in generale il san Paolo dei battisti del sud, ha tutti i tratti del revivalista americano. I sei passi della Via Romana non ci portano propriamente alla visione di Karl Barth della Lettera ai romani: Dio non ha bisogno di noi. Se egli non fosse Dio, anzi, si ver­ gognerebbe di noi... Dio è il Dio sconosciuto, e proprio in virtù di questo suo essere sconosciuto egli ci dona la vita e il respiro e tutte le cose. Della potenza divina non possono essere pertanto colti i segni né nel mondo naturale né neiranima degli uomini. Questo non è il Dio dei battisti del sud, mentre può dirsi senz’altro il Dio di san Paolo. M a quando si personalizza il Gesù risorto, come fanno i battisti, sarà proprio nell’anima de­ gli uomini che potranno essere colti i segni del Gesù-Dio. Barth conosce bene la differenza tra fede riformata e gnosi, ma appunto questa differenza non è ammissibile per i battisti, la cui fede si definisce quasi per intero come conoscenza diretta e personale di Gesù. Se si taglia la Lettera ai romani al punto di ridurla alla Via Romana, la salvezza diventa una cosa immen­ samente semplice, per quanto sentita nel profondo della pro­ pria interiorità. Quella del trionfalismo è l’unica chiave di let­ tura che Mullins e i battisti hanno della Lettera ai romani. Co­ 248

me i mormoni, i battisti non sentono il bisogno della crocifis­ sione e la guardano con scarso interesse. Il loro muoversi è, in concreto, circoscritto tra Incarnazione e Resurrezione, e il punto in cui si trovano più a loro agio è quello alla fine del pa­ ragrafo 8 della Lettera ai romani: «Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati». John Doe, commentando l’interpretazione battista della Lettera ai romani, si attiene a Mullins nel considerare il pro­ blema della colpa risolvibile «attraverso l’esperienza cristia­ na», ma poi avanza delicatamente l’ipotesi che il san Paolo della Lettera ai romani fosse un tantino meno ottimista di Mullins riguardo alla complessità interna della colpa. Mullins dimostra tutta la sua sottigliezza e tutta la sua natura di ame­ ricano facendo una netta distinzione tra «portata storica» dei battisti e «credo battista», il quale ultimo è, tutto sommato, abbastanza simile a quello di altre confessioni evangeliche. Battista fino in fondo in questa sua sfiducia verso tutte le for­ me definite di credo, compresa quella battista, Mullins fa della sua sottolineatura della «portata storica» del battismo il cen­ tro della tendenza m oderata del battismo del sud. Ecco un Mullins al meglio delle sue capacità, che ci spiega quali cose superano, per importanza, il credo: A condensare tutta la portata storica dei battisti basti questo enunciato: la competenza delPanima nella sfera religiosa. Na­ turalmente con ciò si intende una competenza subordinata a Dio, non una competenza assimilabile all’autosufficienza uma­ na. Non si fa alcun riferimento, qui, alla questione del peccato e alle capacità umane nel senso teologico e morale, e neppure nel senso dell’indipendenza delle Scritture... Non è mia inten­ zione qui enunciare il credo battista... Non sfuggirà quindi che l’idea di competenza dell’anima in materia religiosa esclude necessariamente ogni attività umana che con questa interferisca, come l’episcopato o il battesimo dei neonati, e ogni forma di religione per interposta persona. La religione è una questione personale tra l’anima e Dio... (The Axioms of Religion, pp. 53-54) Questo far consistere la religione unicamente in una relazio­ ne personale con Gesù ha conseguenze molteplici, meraviglio­ samente distruttive, nei loro effetti ultimi, di tutte le chiese cosa della quale Mullins era ben consapevole. L’ammirazione entusiastica di Mullins per Roger Williams non ha mai avuto 249

fine, e mi pare straordinario che Mullins abbia potuto accetta­ re la presidenza della Convenzione battista del sud: ma questo fatto, dopo tutto, appartiene a tempi migliori. Oggi come oggi la sua comparsa davanti alla Convenzione rischierebbe di su­ scitare un tumulto, nonostante la posizione privilegiata che egli occupa in quanto unico teologo (per quanto tardivo) della confessione. Secondo Mullins (.Axioms , p. 261) «i battisti han­ no fatto dono alla civiltà americana delPinterpretazione più spirituale del cristianesimo che il mondo abbia mai avuto»: una dichiarazione talmente temeraria che non si può fare a meno di chiedersi, ancora una volta, fino a che punto Mullins fosse consapevole dell’altissimo livello di provocazione che po­ teva toccare il suo linguaggio pacato e disteso. Quella di istitu­ zionalizzare un sentimento religioso nella forma eminente­ mente personale e spirituale che Mullins gli attribuiva è un’impresa quasi disperata e questo ci riporta all’enigma irri­ solto del contenuto di fede della religione battista del sud, ov­ vero alla sua sensibilità contraddittoriamente pragmatica per la quale «con la dottrina si deve parlare e camminare», per ci­ tare un detto battista che il mio amico reverendo John Doe ri­ corda di avere imparato al college. Privi come sono di un cre­ do dai contorni definiti, i battisti del sud restano purtuttavia credenti fino all’eccesso, se li si paragona a William Jam es, ma ritengo che Doe sia nel giusto quando coglie un’affinità tra J a ­ mes e il battismo del sud per quanto riguarda l’esaltazione dell’esperienza religiosa. L’anima-attività del battismo del sud nei confronti di Gesù è una palese analogia con il rilievo attri­ buito da Jam es alla volontà razionale di credere. In modo dav­ vero singolare, tanto Mullins che Jam es esemplificano l’auten­ tico significato della volontà di potenza nietzschiana, che è pulsione allo stesso tempo ricettiva e attivamente operante sulla realtà. Gesù non discende sull’anima passiva del batti­ sta, ma vi è chiamato dalla tensione e dall’anelito di quella spiritualità perennemente aperta alla ricerca cui Mullins ha dato il nome di esperienza personale della religione. Si com­ prende bene, allora, il senso deH’affermazione di Mullins, a tutta prima sbalorditiva, secondo la quale William Jam es «spiega il fatto della rigenerazione in termini affini a quelli delle Lettere paoline». La prim a volta che ho letto questa frase sono trasalito, ma in realtà i termini affini si riferiscono a Mul250

lins, non a Paolo. Pragmatico, esperienziale e americano qual era, Mullins quasi senza volerlo ha tradotto Paolo in termini jamesiani. Il primato del sentimento umano non è il principio dinamico dell’opera di Paolo, ma lo è senz’altro nelle opere di Jam es e di Mullins. Quale posto viene a occupare, allora, la rigenerazione? Qui sta il nodo: la rigenerazione dei battisti è for­ se una sorta di spiritualità pragmatica, una funzione delle at­ tese, della tensione e del desiderio dell’anima? Mullins, così come io lo interpreto (con l’aiuto di Doe), si inoltra qui in quella che dovrei chiamare una teurgia mistica: in questo ca­ so, una fortificazione di Gesù attuata grazie al bisogno e al­ l’amore che l’anima ha per lui. Abbiamo già rinvenuto un ele­ mento teurgico nella visione di Joseph Smith del matrimonio celeste, e ora se ne fa strada un altro, nella visione battista del sud moderata di una rigenerazione quale la intendeva Edgar Mullins. Nel suo Christian Religion in Its Doctrinal Expression (p. 378) Mullins definisce la rigenerazione come «il cambiamento operato dallo Spirito di Dio... in virtù del quale l’anima si rin­ nova nell’immagine di Cristo». Negli Axioms questo cam bia­ mento si amplifica, precisandosi come «intelligenza della rive­ lazione della verità da persona a persona», ove una delle per­ sone è Gesù: Questa fede eleva l’intero essere, l’intelletto, le emozioni, la volontà e la natura morale. L’intelletto si appropria della veri­ tà, le emozioni sono ravvivate dalla fiducia e dall’afFetto, la vo­ lontà si arrende alla volontà superiore dell’altro e la natura morale, grazie all’intuizione di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato, appone il marchio della sua approvazione sull’atto di fede compiuto dall’anima. Il Cristo è l’oggetto della fiducia assoluta dell’anima, e in virtù di questa la introduce nel regno e le rivela la paternità di Dio. Si noti ora come il primo e più immediato risultato dell’atto di fede, ovvero la circostanza a esso concomitante, siano la rigenerazione e la redenzione. Lo Spirito immanente di Dio ado­ pera parole di verità come suo strumento, e l’anima, elevata in ogni sua parte, viene consegnata a nuova vita - costituita spiri­ tualmente a figlio di Dio, e assunta nell’ordinato dominio spiri­ tuale del regno di Dio. (Axioms, p. 33) Dietro l’andamento pacato di questa retorica si nasconde l’intensità estrema di questa rigenerazione entusiastica. Quel­ lo che Mullins ci descrive è l’innamoramento dell’anima per 251

Gesù, il nostro diventare quel che vediamo al fondo di noi, ele­ vandoci allo stesso piano della sua relazione con Dio. M a co­ s’ha in mente Mullins? Questa conversione è da intendersi co­ me «processo di crescita» o come «evento drammatico»? Fac­ cio qui uso dei termini coniati da Bill J. Léonard in Getting Saved in America: Cornersion Event in a Pluralistic Culture («The Review and Expositor», inverno 1985). In questo saggio, che de­ nota grande sensibilità, Léonard punta ancora una volta il dito sulFambiguità della fede battista del sud, che sembra ve­ dere nella conversione sia un processo sia un evento, entro una grande confusione teologica. Mullins, io credo, intendeva la conversione come un evento altamente drammatico, un im­ provviso innamoramento, e non come un processo di lenta cre­ scita airam ore. L’immagine analoga sul piano erotico è quella della passione, non delPaffetto familiare, e lo scopo pratico è ancora una volta una sorta di teurgia. Mullins è uno scrittore religioso la cui pacatezza distesa inganna; il tema di fondo dei suoi Axioms è un misticismo pragmatico, per quanto tale defi­ nizione possa apparire una contraddizione in termini. In quanto religione entusiastica dell’esperienza americana il battismo del sud moderato si avvicina molto al paradigma orfico emersoniano che ho brevemente delineato nel capitolo 2. Mullins non poteva risolvere contraddizione più evidente della fede battista del sud, ove la realtà suprema, capace di su­ bordinare a sé sul piano empirico ed emozionale persino la dottrina delPIncarnazione, era costituita da una vita spiritua­ le sempre più concentrata sulla dimensione deH’interiorità. L’enunciato più sbalorditivo di Mullins è questo: «Quel che ci è dato di conoscere senza alcun margine di dubbio sono i fatti dell’esperienza interiore», dichiarazione superba ma più adat­ ta al M acbeth di Shakespeare che al san Paolo della Lettera ai romani. Più oltre, nello stesso libro (si veda The Christian Reli­ gión , p. 73 e p. 396), Mullins ricordava che vi erano stati inter­ venti salvifici di Dio nella storia, ma è chiaro che questi gli in­ teressavano solo in quanto il loro destinatario immediato era la nostra capacità di vivere esperienze soggettive. Splendido nel suo tardo-romanticismo, Mullins era, soggettivamente parlando, uno gnostico, e solo in subordine un cristiano prote­ stante. Spero sia chiaro che le ipotesi e le valutazioni che pro­ pongo hanno un risvolto elogiativo e non mai svalutativo. 252

Mullins ha giurato fedeltà spirituale all’esperienza battista del sud della conversione in quanto tale, e a questo punto devo concludere adeguandomi pienamente alla sua scelta, se si vuo­ le che la sua versione della fede battista sia rispettata e com­ presa fino in fondo. In che modo il battista del sud autentico (leggi: moderato) può conciliare un’insistenza fanatica sulla necessità assoluta di una conversione (intesa come incontro personale ed esperienziale col Gesù risorto) con una devozione totale alle Scrit­ ture? Entram bi i termini della questione appartengono alla sfera esperienziale, e in quanto tali non stanno in rapporto dialettico. Si può avere l’esperienza, ma quel che si conosce è la propria interpretazione di quella esperienza; si possono leg­ gere le Scritture, ma quel che si ha è la propria interpretazione delle Scritture. Queste cose le ho già dette in precedenza, ma le riprendo ora ponendole al centro dell’enigma della fede bat­ tista del sud. In tutti e due gli approcci, l’esperienza è pura­ mente interiore; si parla con Gesù, lo si sente, e se ne trae sicu­ rezza sul piano emotivo, ma a differenza di Joseph Smith, non si vede Gesù né si sente il suono della sua voce. E tuttavia si ottiene la salvezza, una volta per sempre; è una certezza asso­ luta quella che si ricava dall’incontro con Gesù. Nemmeno i primi mormoni sono stati capaci di eguagliare Mullins in que­ sta garanzia assoluta di libertà, e nell’altrettanto certa colloca­ zione dell’immagine di Dio così ottenuta nello scenario ameri­ cano: A simbolo del suo continuo avanzare in direzione dell’obbiettivo finale si può prendere lo scultore che intaglia la sua vi­ sione nel marmo, contemplandola con gioia per un certo tempo e poi distruggendola o mettendola da parte per passare a scol­ pire un altro blocco di marmo, allo scopo di ricavarne una sta­ tua ancora più bella; sempre giungendo a compiere la sua ope­ ra e sempre ripudiando il suo operato, finché non sopraggiunge il compimento perfetto, l’immagine di Dio intagliata dentro di lui in virtù della grazia divina. Tutto ciò e altro ancora è impli­ cito nella nostra visione della competenza dell’anima in religio­ ne. L’America è il luogo prescelto da Dio per l’attuazione libe­ ra e piena del principio, che di qui è destinato a diffondersi fino a coprire tutta la terra. ( The Axioms of Religion, p. 68) George Bush, nel discorso celebrativo della vittoria ameri­ cana nella guerra del Golfo tenuto alla Convenzione battista 253

del sud, non ha certo promesso di fare del mondo un territorio sicuro per la competenza dell’anima, ma essendo un episcopa­ liano probabilmente non era più edotto su questa dottrina di quanto lo fossero i fondamentalisti trionfalisti suoi ospiti. In altri passi degli Axioms l’idealista mistico Mullins si spinse tan­ to avanti da assicurare che Gesù fa di coloro che credono in lui altrettanti re. La questione su cui meditare sono, ancora una volta, gli elementi che Mullins aveva in comune con Joseph Smith, nonché gli elementi che li differenziavano entrambi dalla tradizione delle Chiese riformate. Chiamiamola diviniz­ zazione dell’uomo, teomorfìsmo o in qualunque altro modo ci pare, ma è certo che tanto in Mullins che in Smith vi è una for­ te esaltazione dell’immagine dell’uomo. La libertà battista, come la libertà mormone del Vangelo restituito alla purezza delle origini, è la libertà di essere vicinissimi alla divinità, complementare all’um anità di Gesù. Smith offrì se stesso co­ me mediatore: Mullins, nella sua fiera magnanimità, rifiutava invece qualsiasi mediazione, vecchia o nuova che fosse. Il battista del sud moderato, in quella che è considerata (a torto o a ragione) un’imitazione di Saul di Tarso sulla via di Damasco, attende con impazienza l’incontro della sua anima con Gesù. La competenza dell’anima di Mullins è la bandiera che celebra e accompagna, facilitandola, l’attuazione dell’in­ contro; sospetto però che essa sia anche il vessillo che segna la postazione strategica dei battisti, il loro essere partecipi della Resurrezione. Nessun battista del sud, di qualunque tenden­ za, mi crederebbe se gli dicessi che egli è soggetto e oggetto al­ lo stesso tempo della sua ricerca spirituale. U na forma così ag­ gressiva di protestantesimo in realtà non ha niente da spartire con il protestantesimo, essendo piuttosto il riaccendersi di un’antica gnosi. Il Gesù che è cercato è già principio e parte dell’anima che lo cerca. Fra tutte le immagini della Religione Americana, nessuna è più persuasiva di quella del battista del sud, solo nel giardino con Gesù. Anche se, come è doveroso concludere, in ultima analisi è sola con se stessa, la credente battista conosce le due verità spirituali che più delle altre me­ ritano di essere conosciute. Al di là della conoscenza razionale, essa sa di non essere parte della Creazione, e possiede anche l’altra conoscenza americana, quella che afferma che libertà è deserto, solitudine spirituale totale. 254

14 La controversia: il fondamentalismo

Nel suo studio dal titolo Illuminati e carismatici, uno dei punti di partenza di questo libro, Knox distingueva due tipi di entu­ siasmo, quello «mistico» e quello «evangelico»: Proporrei una distinzione tra entusiasmo «mistico» ed «evangelico». Il primo, avendo come punto di riferimento fon­ damentale PIncarnazione anziché l’Espiazione, salta a piè pari tutta la teologia della grazia, concentrandosi sul Dio interio­ re... Il secondo, più acutamente consapevole della caduta del­ l’uomo, ragiona sempre in termini di redenzione: sapere che in un modo o nell’altro i peccati sono stati perdonati e che si è una creatura rinata agli occhi di Dio è Punica cosa che conta. Per parte sua Knox preferiva il supernaturalismo a oltranza alP«entusiasmo», nella convinzione che il tratto più saliente e caratteristico dell’entusiasta risiedesse «nel suo aspettarsi dal­ la grazia di Dio risultati più evidenti di quanto faremmo noi altri». Ho più volte espresso l’opinione secondo la quale la ver­ sione am ericana dell’«entusiasmo» religioso è stata talmente preponderante all’interno della Religione Americana da finire per identificarsi con essa, tanto che si manifesti nel mormoni­ smo o nel metodismo, nelle Assemblee di Dio o nel battismo, nel protestantesimo conservatore oppure in quello liberale. M a la distinzione proposta da Knox tra entusiasti mistici ed entusiasti evangelici si attaglia perfettamente alle due tenden­ ze, fra loro molto diverse, presenti nella Religione Americana in qualunque confessione o setta essa si traduca. Attualmente la scissione interna alla Convenzione battista vede schierata da una parte la maggioranza fondamentalista (entusiasti evangelici) e dall’altra la minoranza moderata (entusiasti mi­ stici). Prima di prendere in esame la natura del conflitto tra i due schieramenti, propongo che le due definizioni utilizzate da Knox siano messe alla prova confrontandole con i termini so­ ciologici adoperati da Robert Bellah e dagli altri autori di Ha255

bits o f thè Heart: Individualism and Commitment in American Life

(1985). Nella terminologia di Knox, quello che Bellah chiama «interno» corrisponde alla definizione di «mistico» e quello che Bellah chiama «esterno» corrisponde alla definizione di «evangelico», ma tra analisi sociologica e analisi teologica sus­ siste una notevole somiglianza, anche se in generale il linguag­ gio di Habits o f thè Heart è molto lontano da quello di Knox, co­ me risulta evidente da questo passo: La religione radicalmente individualistica, soprattutto quando assume la forma del credo in un’essenza cosmica del sé interiore, può dare l’impressione di situarsi in un mondo com­ pletamente diverso da quello della religione conservatrice o fondamentalista. Eppure sono proprio questi i due poli entro cui si svolge quasi per intero la vita religiosa americana. Per il primo di essi, Dio non è altro che il sé individuale in versione ingrandita; per il secondo, invece, Dio fronteggia l’uomo dal di fuori dell’universo del creato. Una ricerca un sé che in ultima istanza è identico al mondo, mentre l’altra ricerca un Dio esterno al mondo, al quale tuttavia impone un ordine. Entram­ be, infine, assumono l’esperienza personale come base fondan­ te del loro credo. I sé cosmici di Bellah sono gli entusiasti mistici di Knox, e naturalm ente quelli che per lui sono conservatori o fondamen­ talisti coincidono con gli entusiasti evangelici di Knox. Anche considerata sotto questo aspetto, la minoranza moderata dei battisti del sud discende dai mistici della Luce Interiore, che leggono la Bibbia in modo radicalmente individualistico, men­ tre i conservatori della Convenzione insistono nelPafTermare che la Bibbia parla da sola, che non richiede alcuna interpre­ tazione e che in ogni suo versetto si manifesta una verità lette­ rale e infallibile. Ci avviciniamo molto al cuore della Religione Americana quando istituiamo a oggetto del nostro esame que­ sta scissione tra un’essenza del sé isolata, di per se stessa già immagine e porzione di Dio, e coloro che a tutti i costi voglio­ no l’autorità divina saldamente im piantata in una riduzione dottrinale della Bibbia protestante. Qualunque altra cosa si possa dire a proposito di questa di­ visione, ritengo sia importante sottolineare che non si tratta, malgrado le apparenze, di un conflitto tra una soggettività e un’oggettività presunta tale. Non vi è alcuna autentica dialet­ tica tra quelle che sono, necessariamente, due modalità di ap­ 256

proccio entrambe profondamente soggettive: la prima intesa come un’illuminazione che proviene dai recessi più profondi della psiche, la seconda come un’antologia ricchissima, oltre che complessa e immensamente difficile, di testi antichi ai quali viene applicata un’interpretazione ristretta e univoca, contraddittoria al suo interno e palesemente inadeguata. T an­ to i battisti moderati che i battisti fondamentalisti sono Entu­ siasti, e quindi soggettivisti fino all’estremo, e la loro disputa non ha nulla a che vedere con un grado maggiore o minore di oggettività. I moderati affermano, giustamente, che i battisti hanno una fede priva di un credo vero e proprio, mentre i fon­ damentalisti cercano disperatamente di imporre un credo. L’«infallibilità» della Bibbia è il punto di partenza del credo dei fondamentalisti, ed è una nozione assai difficile da afferra­ re, dal momento che «Infallibilità della Bibbia» non significa automaticamente che i battisti del sud fondamentalisti siano lettori accaniti e agguerriti della Bibbia stessa. Da una disami­ na dei loro sermoni più largamente pubblicizzati, anzi, emerge un livello stupefacente di ignoranza del testo biblico. Ellen M. Rosenberg, nel libro intitolato The Southern Baptists: A Subcultu­ re in Transition (1989) dà una descrizione molto precisa di que­ sto singolare fenomeno: In assenza di un credo vero e proprio, o comunque di un in­ sieme di regole interpretative tale da costituirsi a punto di rife­ rimento obbligato per la risoluzione di questioni teoriche, i battisti del sud possono preservare la loro unità solo grazie a una strutturazione estremamente generica e ambigua delle lo­ ro certezze religiose di fondo. La Bibbia soddisfa questa neces­ sità, diventando una sorta di test proiettivo, un Rorschach pro­ teiforme. E proprio mentre la parola chiave è diventata «l’in­ fallibilità della Bibbia», la Bibbia stessa è meno oggetto di let­ tura che di propaganda, meno interpretata che brandita come un’arma. Sempre più spesso succede che i pastori lascino a or­ namento del pulpito, andandosene dopo la predica, un libro a rilegatura flessibile. I membri della congregazione si portano dietro la loro Bibbia alle funzioni religiose; il pastore segnala il lungo passo della Bibbia a cui si ispirerà il sermone di quel giorno e aspetta che i fedeli lo trovino; dopodiché si limita a leggere i primi versetti, per poi lanciarsi nella sua predica. Il li­ bro è diventato un talismano, (p. 134) «Infallibilità» è diventato sinonimo del «soprannaturale a 257

oltranza» di Knox e per una terribile ironia i battisti, che stori­ camente si sono sempre ribellati al credo cattolico, episcopa­ liano, metodista e presbiteriano, oggi sventolano una Bibbia ridotta a compendio di un credo che non è sostanziato da alcu­ na lettura. Ecco qui W.A. Criswell, ritiratosi di recente dalla sua decennale attività di pastore della prima Chiesa battista di Dallas, che dichiara la sua fede nella virtuale identità tra Bib­ bia e Dio: Fratello mio, se la Bibbia non fosse esatta anche dal punto di vista scientifico non potrebbe essere, almeno per me, la Parola di Dio. Dico questa cosa per una ragione assai semplice. Il Dio nostro Signore che ha creato questo mondo e tutte le meravi­ glie scientifiche che vi andiamo scoprendo - quel Dio nostro Si­ gnore conosceva tutte queste cose fin dall’inizio... Pertanto se la Bibbia è la Parola del Signore, da Dio ispirata, deve essere scevra da qualsiasi errore scientifico, poiché a Dio erano note tutte le verità e tutti i fatti della scienza fin dall’inizio. (Citato in Baptist Battles [1990], di Nancy Tatom Ammerman, pp. 8384) Questa nozione criswelliana della Bibbia come Parola di Dio piuttosto che cristiana può dirsi musulmana, dal momen­ to che si attaglia più al Corano che alla Bibbia. Il Corano ci fa udire una sola voce, la voce di Dio in persona, che detta l’inte­ ro testo al suo messaggero, Maometto. Nella forza irremovibi­ le del fondamentalismo battista del sud c’è qualcosa di simile al fondamentalismo islamico, e questo è un dato molto interes­ sante. L’«infallibilità» costituisce, per entrambi i movimenti, la metafora attraverso la quale viene significata, inconscia­ mente, la repressione di qualsiasi aspetto dell’individualità. La struttura mentale propria di chi segue questi movimenti presenta una singolare somiglianza con l’atteggiamento grega­ rio dei lemming che attualm ente dominano nelle università americane: la nozione di «infallibilità della Bibbia» si può age­ volmente assimilare a quella del «politicamente corretto», poi­ ché gli opposti si incontrano. La verità più profonda che si possa scoprire a proposito del grido di guerra della «infallibili­ tà della Bibbia» dei fondamentalisti è che questo grido non ha nulla a che vedere con l’esperienza concreta della lettura della Bibbia. Quella della lettura è un’abilità, o quanto meno un’at­ tività cosciente, e poche imprese sono demoralizzanti quanto 258

la lettura di testi sulla Bibbia scritti dai battisti del sud fonda­ mentalisti, come per esempio The Battle for thè Bible (1976) di Harold Lindsell. Quel che i fondamentalisti non riescono a capire è che la lo­ ro interpretazione letterale delle Scritture è di per se stessa una gigantesca metafora: la conversione della Bibbia in una statua o in un’icona. E ciò si traduce in un’interpretazione in­ trinsecamente restrittiva della Bibbia, senza la benché minima relazione con il suo testo reale. U na delle ironie più pungenti della storia protestante è che quello stesso inneggiare alle Scritture, che nel x v n secolo per i battisti e per gli altri prote­ stanti si era tradotto positivamente in un’affermazione dell’au­ tonomia spirituale e nella libertà dai vincoli dell’ortodossia, oggi, al volgersi del x x secolo, si è trasformato in un modo per espropriare i battisti e gli altri protestanti della Libertà Cri­ stiana e della competenza deH’anima nel leggere e nell’interpretare la Bibbia, ciascun credente guidato dalla propria Luce Interiore. Nella Old Baptist Meeting House di Providence, nel Rhode Island, c’è un leggio grande quanto un altare ove i bat­ tisti dell’America coloniale avevano posto la loro Bibbia, em­ blema della libertà spirituale. Il fondamentalismo nelPAmerica degli anni Novanta è un modo per tradire, umiliandolo, il sogno battista del x v n secolo di una dignità um ana e di una libertà nella comunanza con Gesù, la Parola di Dio. Il fanatismo esasperato (e la ferocia) del fondamentalismo battista del sud supera di gran lunga tutte le altre incarnazioni americane della stessa fallibilità, tanto da renderlo dram m ati­ camente simile al fondamentalismo sciita iraniano o ai peggio­ ri eccessi del Neturei K arta in Israele. È doloroso constatarlo, ma proprio la forza e l’unicità della tradizione battista del sud moderata, così come è stata codificata da Mullins, hanno in­ volontariamente contribuito a produrre il furioso anti-intellettualismo di Criswell, di Pressler e di altri noti leader della fa­ zione fondamentalista attualm ente dominante nella Conven­ zione battista del sud. La diffidenza mistica dei moderati nei confronti del linguaggio, con il ripudio della teologia che ne costituisce il corollario, è infatti ridotta dai fondamentalisti a una svalutazione totale di tutto il linguaggio, e in generale del pensiero. T ant’è vero che i fondamentalisti, mentre da un lato insistono sull’infallibilità della Bibbia, dall’altro rinunciano a 259

qualsiasi lettura della Bibbia stessa, il cui linguaggio risulta invero troppo remoto e difficile per essere capito. Ciò che resta è perciò la Bibbia come puro oggetto fisico, nella sua rilegatu­ ra e nella sua copertina, icona definitiva o talismano magico. Leggere ciò che Criswell o qualunque altro ecclesiastico fonda­ mentalista scrivono sulla Bibbia è quasi letteralmente impos­ sibile, almeno per me, in quanto l’oggetto del loro discorso non è mai il testo: né un testo in senso generale, né quel testo specifico. Quel che si legge sono le loro convinzioni dogmati­ che su questioni sociali, politiche, culturali, morali e persino economiche, e i testi biblici fungono semplicemente da fonte a cui attingere con frenetico abbandono per le citazioni, indi­ pendentemente dal fatto che queste ultime illustrino effettiva­ mente, o anche solo sfiorino, gli argomenti che fanno da con­ torno alle loro tesi. Per di più, le citazioni vengono utilizzate come se non necessitassero di alcuna interpretazione esterna, e fossero perfettamente trasparenti nel loro significato. Può sembrare impietoso muovere dei rimproveri ai battisti moderati per qualsiasi risvolto di queste assurdità, ma di fatto nessun battista del sud (in quanto tale) dà l’impressione di es­ sere a proprio agio con il linguaggio. La teologia è indissolu­ bilmente legata ad analogie, metafore e argomentazioni, tutti elementi atti a sottolineare con forza il divario esistente tra le parole e la realtà che esse vorrebbero rappresentare. I battisti fondamentalisti non paiono neppure rendersi conto del fatto che la Bibbia è in primo luogo un linguaggio; i battisti mode­ rati, invece, essendo entusiasti sinceri e pragmatici nella loro relazione non mediata con Gesù, tendono a non credere che la loro esperienza diretta di Gesù possa mai trovare espressione fedele nel linguaggio. Siamo così di fronte a un paradosso, per cui i fondamentalisti sono ostili al linguaggio (quando addirit­ tura non lo ignorano), mentre i moderati nel migliore dei casi hanno un atteggiamento ambivalente nei suoi confronti e pro­ babilmente lo temono anche, perché non vogliono che si inter­ ponga tra loro e Gesù, costituendosi a elemento di mediazione. Il fondamentalismo cristiano è essenzialmente un fenomeno nord-americano; a parte gli Stati Uniti e il Canada, è prolife­ rato spontaneamente solo nell’Ulster, e tutte le altre sue mani­ festazioni a livello mondiale tendono a essere un prodotto d ’e­ sportazione degli Stati Uniti. Eppure non mi riesce di vederlo che come una parodia di quella che chiamo la Religione Ame­ 260

ricana. Il suo contenuto spirituale, per il critico della religione, è assai arduo da localizzare. Non è sempre stato così, tuttavia: tra la fine del x ix secolo e l’inizio del x x al suo interno vi sono stati anche dei pensatori di tutto rispetto. Oggi non ce n’è nemmeno uno, ma nonostante ciò il fondamentalismo, nell’America contemporanea, rischia di diventare quasi sinonimo di evangelismo. Almeno in parte, ciò è causato dall’eccesso di in­ teresse e di notizie nel campo dei media, nonché dallo choc che subisce il nostro pubblico di ceto medio-alto ogni volta che ri­ scopre la sua alleanza con i fondamentalisti del ceto medio­ basso nell’appoggiare Reagan, Bush e il loro partito. Sul piano morale, le finalità che i fondamentalisti si propongono sono piuttosto misere, riducendosi generalmente a un festoso sbandieramento del feto e della bandiera nazionale come se fossero un’unica entità. Ernest Sandeen sosteneva che le origini del fondamentali­ smo andavano ricercate in una forma di millenarismo angloamericano manifestatasi nel periodo anteguerra, tra il 1875 e il 1914. La spiegazione non è ritenuta soddisfacente da Bruce Lawrence, il quale fa notare tutta l’ambiguità di una parola come «fondamentalismo», che essendo un termine invalso nel linguaggio giornalistico intorno al 1920 risulta tra l’altro ap­ plicato a posteriori. I presbiteriani, ora ben lontani dal poter essere definiti fondamentalisti (o in qualunque altro modo, se non come esperti in dibattiti sulla morale sessuale), prima del­ la prima guerra mondiale avevano adottato «cinque principi fondamentali», che però trovarono scarso seguito tra quelli che attualm ente ci risultano essere i fondamentalisti. Lawren­ ce caratterizza pertanto il nostro fondamentalismo come un malessere più generale: Nonostante i pionierìstici sforzi di Sandeen, il fondamentali­ smo non può essere indissolubilmente legato a origini e tenden­ ze millenaristiche. Il fondamentalismo, che è più di un puro e semplice movimento sociale, non è la diretta conseguenza né di una simbiosi dottrinale né di dispute settarie, ma innanzitutto una protesta religiosa contro il modernismo, che incorpora for­ ze superiori a quelle del millenarismo e combatte una schiera di nemici più folta di quella della critica sul piano intellettuale. (.Defenders of God [1989], pp. 168-69) A parte la stranezza di parlare del millenarismo come di 261

una forza, questa definizione è un po’ troppo generica, dal mo­ mento che esiste una grande varietà di proteste religiose con­ tro il modernismo, comunque lo si voglia intendere, e molte di esse rifiutano il fondamentalismo. Il fondamentalismo ameri­ cano, dichiaratamente protestante, costituisce il principale ca­ nale di sbocco della Religione Americana nel Partito repubbli­ cano (la versione secolare specifica della nostra fede), e in par­ te anche in talune formazioni collegate al Partito democratico. A questo punto si rende opportuna una disamina dei principi fondamentali. Per quanto variamente articolati e interpretati, essi si riducono sostanzialmente a cinque: 1. La Bibbia ha sempre ragione. 2. Gesù è frutto deH’Immacolata Concezione. 3. La sua espiazione si sostituisce alla nostra. 4. Gesù risuscitò dai morti. 5. Gesù discenderà di nuovo su questa terra, in un rinnovarsi del miracolo, per governare su un nuovo ordine di mille an­ ni di pace, prima del Giudizio finale. Dal momento che i punti 2, 3 e 4 sono tutti parte delPantica dottrina cristiana, non c’è da stupirsi se i principi fondamenta­ li 1 e 5 sono quelli che assumono, pragmáticamente, maggiore importanza. L’infallibilità della Bibbia protestante intesa in senso letterale e il premillenarismo sono le stimmate autenti­ che del fondamentalismo, lo zoccolo duro del loro anti-intellettualismo dogmatico. Che la Bibbia non si interpreti da sola li interessa assai poco, mentre il nostro ingresso nel decennio conclusivo del ventesimo secolo costituisce attualm ente la loro più sincera preoccupazione. Le analisi più brillanti del fondamentalismo si devono a j a ­ mes Barr, a partire dal suo libro del 1977 (intitolato appunto al fondamentalismo), le cui conclusioni restano l’ultima paro­ la sull’argomento. Iniziando a esporle Barr osserva, senza tan­ ti preamboli, che: Per la chiesa e per la teologia nel loro insieme, il fondamen­ talismo costituisce un problema sul piano ecumenico piuttosto che su quello intellettuale, (p. 338) Non c’è nessun problema di natura intellettuale per il sem­ 262

plice fatto che la questione non si pone assolutamente su quel piano: Il problema ecumenico deriva dalla preoccupante, pericolo­ sa alienazione del fondamentalismo dalla tradizione della vita ecclesiastica e dalla teologia. La base di questa alienazione è religiosa, e alla sua radice vi è il fatto che i fondamentalisti, di fronte alle difficoltà reali date dalle differenze di fede e di vita, reagiscono bollando come non cristiani gli individui e gli orga­ nismi che non sono in accordo con loro. Al cuore del problema vi è pertanto un giudizio di natura religiosa ed esistenziale piuttosto che dottrinale o biblica; sicché il problema è dato dal­ la certezza assoluta e arrogante con cui i fondamentalisti di­ chiarano che la loro fede è l’unica indiscutibilmente giusta, (p. 338) Come soggiunge lo stesso Barr, questo anti-intellettualismo conduce necessariamente alPinabilità pura e semplice alla let­ tura: Contrariamente a quel che si potrebbe pensare leggendo i lo­ ro scritti polemici, i conservatori spesso ignorano il significato letterale della Bibbia, spesso minimizzano i miracoli e il so­ prannaturale, spesso ipotizzano sostanziali corruzioni del te­ sto. (p. 341) Il principio dell’infallibilità dice, in pratica, che il significa­ to letterale del testo è dichiarato valido o meno a seconda che in esso trovino conferma o smentita gli elementi costanti di tutte le «interpretazioni» fondamentaliste. Per quanto riguar­ da poi l’«errore», non si tratta (come fa notare Barr) di un problema di ordine critico ma semplicemente di un’ossessione dei fondamentalisti. A partire dagli anni Sessanta, in quello che è stato un decennio di rivolgimenti in ogni campo, l’ossessività si è andata sempre più evidenziando come il tratto ca­ ratteristico dei battisti del sud fondamentalisti, ed è esplosa clamorosamente nella Convenzione battista del sud tenuta a Denver nel 1970. M a si potrebbe prendere come inizio anche il 1925, quando i battisti del sud giunsero molto vicini alla scis­ sione sul tema delPevoluzionismo. Tuttavia, intorno al 1970 ha preso forma tra i battisti fondamentalisti qualcosa di nuovo e di sinistro: nientemeno che una cospirazione - poi riuscita per assumere il controllo sulla confessione nel suo insieme, allo 263

scopo di purgarla dal suo «liberalismo». Quel che in realtà è stato purgato è l’intera eredità spirituale di E.Y. Mullins, con conseguenze molto probabilmente fatali per tutto ciò che que­ sta fede ha di unico e di grande. Negli ultimi dodici anni la Convenzione battista del Sud ha cessato di essere un organismo religioso, nel senso vero e pro­ prio della parola, per trasformarsi in un fenomeno americano piuttosto spaventoso, una sorta di macchinario peggio che orwelliano. Mullins seguiva e al tempo stesso arricchiva la tradi­ zione battista stabilendo un legame tra competenza dell’ani­ ma e sacerdozio del credente, di ogni credente. La Convenzio­ ne adesso ha ripudiato tutto ciò che rendeva la fede battista un fatto unico e distintivo, e sta facendo del suo meglio per tra­ durre in realtà il sarcastico appellativo di «Chiesa cattolica del sud» affibbiatole da M artin M arty. M entre ai pastori fonda­ mentalisti è stata riconosciuta l’autorità di sacerdoti, per quanto riguarda i fedeli laici è stata decretata l’incompetenza dell’anima in materia spirituale. Non è soltanto scherzosa l’af­ fermazione secondo la quale i battisti del Sud oggi come oggi potrebbero dirsi, a ragione, soli nel giardino con Wally Amos Criswell, oppure liberi di camminare e di parlare con Bailey Smith (che ha attirato su di sé l’attenzione del paese, dichia­ rando candidamente: «Dio non ode le preghiere dell’ebreo»). Nessun autore satirico americano, neppure il Nathanael West di A Cool Million e Signorina Cuorinfranti avrebbe avuto l’auda­ cia di scrivere il testo della risoluzione n. 5 della Convenzione battista del sud («Sul sacerdozio del credente»), approvata nel 1988: premesso che il Sacerdozio del Credente è un termine soggetto sia ad equivoci sia ad abusi; e premesso che la dottrina del Sacerdozio del Credente è stata er­ roneamente usata per giustificare la possibilità che un cristia­ no, pur credendo qualunque cosa voglia credere, sia pur sem­ pre considerato un devoto seguace del battismo del Sud; e premesso che la dottrina del Sacerdozio del Credente può esse­ re usata per giustificare l’erosione dell’autorità pastorale nelle chiese locali, si risolve che la Convenzione battista del sud (...) riafferma la sua fede nella dottrina biblica del Sacerdozio del Credente (1 Pietro 2:9 e Apocalisse 1:6); e si risolve inoltre di ribadire che tale dottrina non dà in alcun modo licenza di interpretare in modo erroneo, di banalizzare, 264

di demitizzare o di estrapolare elementi del soprannaturale dalla Bibbia; e si risolve altresì che la dottrina del Sacerdozio del Credente non contraddice in alcun modo il senso attribuito dalla Bibbia al ruolo, alla responsabilità e alPautorità del pastore, al quale è data suprema autorità sulla chiesa locale nella Lettera agli ebrei 13:17, «Obbedite ai vostri capi e siate loro sottomessi, perché essi vegliano per le vostre anime, come chi ha da ren­ derne conto», e si risolve infine di riaffermare la verità che gli anziani, o pasto­ ri, sono chiamati da Dio per dirigere le chiese locali (Atti 20:28) Ci sarebbe da ridere se non si è un battista del sud modera­ to, per il quale una risoluzione del genere equivale all’improv­ viso annuncio, da parte della Chiesa cattolica romana, che ogni credente, donna o uomo che sia, è un sacerdote, e che i preti veri e propri non hanno più autorità spirituale di quanta ne abbiano i loro parrocchiani. In definitiva, non vi è un solo principio, tra quelli enunciati da Mullins in The Axioms o f Religion o dal suo discepolo Herschel H. Hobbs in The Baptist Faith and message (1971) che non sia stato distorto o abrogato dalla Convenzione fondamentalista. Hobbs apre il suo libro ripor­ tando per intero una mozione approvata dalla Convenzione battista del sud durante il convegno tenutosi nel 1962 a Sodo­ ma, ovvero a San Francisco (dove è certo che la Convenzione post-fondamentalista non si riunirà mai più). La mozione, av­ viandosi alla conclusione, sintetizzava la «fede vivente» dei battisti con una frase nello stile di Mullins, che oggi ha tutto l’amaro sapore del pathos di una gloria perduta: I battisti danno la massima importanza alla competenza dell’anima dinanzi a Dio, alla libertà in religione e al sacerdo­ zio del credente, (p. 4) I battisti danno la massima importanza alla competenza di W.A. Criswell dinanzi a Dio, alPautorità in religione e al sa­ cerdozio dei predicatori del Texas. La storia di come, in dodici brutti anni, la Convenzione bat­ tista del sud sia stata tram utata in un incubo orwelliano è sta­ ta raccontata, con perizia e acume, da Nancy Tatom Ammerman nel suo libro intitolato Baptist Battles (1990) e da Ellen M. Rosenberg nel suo The Southern Baptists: A Subculture in Transi265

tion (1989). La Ammerman è una sociologa della religione e la Rosenberg un’antropologa. In questa sede vorrei aggiungere, di mio, solo quelle osservazioni che possano essere rilevanti nell’ambito della critica della religione. La morte di una delle due versioni originali e più vitali della Religione Americana è un argomento triste, e le conseguenze politiche, socio-econo­ miche e antropologiche di una perdita così immensa vanno al di là della mia competenza e del mio specifico campo di inte­ ressi. Solo sul piano spirituale questa perdita può essere tema­ tizzata nelle pagine che restano di questo capitolo, che sono poi un modesto lamento per Edgard Young Mullins e la sua visione: un modo di pensare che, dopo tutto, è stato anche di John M ilton e di Roger Williams. Se questa visione abbando­ nerà gli Stati Uniti per sempre, ad essere in pericolo non sarà solamente la nostra democrazia spirituale. Ritorno dunque all’ipotesi che ho già avanzato in questo li­ bro, secondo la quale i fondamentalisti americani degli ultimi due decenni in realtà non sono affatto fondamentalisti e do­ vrebbero essere chiamati altrimenti. La storia americana for­ nisce un esempio molto utile: quello del partito politico che, sorto ad opera di fanatici intolleranti nel x ix secolo, prese il nome di partito degli ignoranti, un appellativo molto appro­ priato per i reazionari che attualm ente hanno il predominio tra i battisti del sud. Appropriato perché davvero non sanno e non conoscono niente, compresa la Bibbia, che si portano sempre appresso, a quanto pare, senza averla mai letta. I veri fondamentalisti riconoscerebbero il loro archetipo nel formi­ dabile J. Gresham Machen, brillante studioso presbiteriano del Nuovo Testamento a Princeton, che nel 1923 pubblicò un’appassionata difesa del cristianesimo tradizionale, dal tito­ lo aggressivo di Christianity and Liberalism. Ho appena term ina­ to questo suo libro, senza trovare nella lettura né piacere né motivi di approvazione, e tuttavia provando un’ammirazione crescente, benché riluttante, per l’intelligenza di Machen. Non mi ero mai im battuto in un’esposizione tanto documenta­ ta e ricca di esempi della tesi per cui il cristianesimo istituzio­ nale dovrebbe necessariamente guardare alla cultura liberale come a un nemico della fede. Nella recensione del libro di Mullins, Christianity at thè Cross Roads (1924), M achen lancia un attacco molto empirico e violento contro l’intimismo e il 266

misticismo caratteristici di Mullins. La visione battista del sud moderata della Resurrezione, di questo rapporto di grande in­ tensità emotiva tra l’anima battista e il Gesù risorto, veniva condannata da M achen come un’evasione, un aggiramento dei problemi. O Gesù era risorto, e questo era un fatto corpo­ reo, oppure non lo era. Definito da George M. M arsden un se­ guace non particolarmente originale di sir Francis Bacon, a me personalmente Machen ricorda il realismo a tutti i costi di Samuel Johnson. Pare di vedere M achen che confuta Mullins nello stesso stile in cui Johnson confutava il vescovo Berkeley, con M achen che rimbalza all’indietro dopo aver dato un cal­ cio alla grossa pietra rotolata ai suoi piedi dalla tomba di Ge­ sù. M a se Machen, che era uno studioso e un uomo di grande intelligenza, viene definito a ragione un fondamentalista, non si può fare a meno di ribadire che Wally Amos Criswell e le frotte dei suoi seguaci dovrebbero essere chiamati in qualche altro modo, e il termine ignoranti nel loro caso è veramente il più adatto. I retroscena del colpo di mano attuato dagli ignoranti alla Convenzione battista del sud del 1979 hanno origini lontane, ma cercherò ugualmente di ricostruirli, almeno nelle loro linee essenziali, partendo dallo stesso punto di vista di Marsden, ovvero utilizzando come chiave d’analisi i temi che agitavano la discussione tra premillenaristi e postmillenaristi nell’Ameri­ ca del secolo precedente. Il postmillenarismo era stato Patteg­ giamento religioso dominante nel paese fino alla conclusione della guerra civile, e si identificava in modo particolare con il nostro più eminente teologo, Jonathan Edwards. Secondo tale concezione, nella nostra epoca si sarebbero avverate le profe­ zie àz\Y Apocalisse di Giovanni, e alla fine sarebbero soprav­ venuti i mille anni nel segno dello Spirito Santo, terminati i quali Gesù sarebbe tornato in terra. M a intorno al 1870 ebbe inizio una grande attesa premillenaristica, accompagnata dal­ la sensazione sempre più diffusa dell’imminenza di un nuovo ordinamento religioso, che criticava radicalmente la nostra era, denunciava il cosiddetto progresso e riaffermava l’oltran­ zismo soprannaturalista. Furono proprio questi fautori di un nuovo ordinamento religioso, che sarebbero diventati in segui­ to i veri fondamentalisti, a far circolare per primi il termine «infallibilità» riferito alla Bibbia. Adesso gli Ignoranti di 267

Nashville e Dallas si sono impadroniti della parola, che tutta­ via alle origini aveva un significato fattuale, se non addirittura empirico: Dio aveva creato sia il cosmo sia le Scritture, per cui entrambi dovevano essere immuni, quanto meno nel loro dise­ gno generale, da ogni errore. La Bibbia, al pari delPuniverso, avrebbe rivelato qualsiasi cosa a una ricerca dei fatti condotta secondo il metodo baconiano. Gresham Machen ha fatto di questa tesi di allora il proprio punto di partenza, sviluppando­ la a sua volta con argomentazioni di grande efficacia. La sua adesione alla dispensazione, vale a dire la condanna premillenaristica della cultura americana, assimilata al liberalismo della corrotta Babilonia, aveva una base molto concreta negli Stati Uniti degli anni Venti. Qualunque cosa si possa pensare oggi di questa teoria, non dovremmo mai commettere l’errore di confonderla con gli Ignoranti che se ne proclamano i legitti­ mi eredi mentre non lo sono affatto. M arsden giustamente sot­ tolinea che il fondamentalismo era in primo luogo un movi­ mento religioso, e solo marginalmente un fenomeno politico e sociale. Tuttavia, come lui stesso tiene a precisare, ciò vale per quello che è stato il fondamentalismo fino al 1925, e non per il fondamentalismo degli anni O ttanta, epoca in cui è stato pub­ blicato il suo libro. La tragedia della Convenzione battista del sud è il frutto di una cospirazione esclusivamente politica e so­ ciale, che però insiste nel voler vestire i panni del movimento religioso. Il suo anti-intellettualismo riduttivo fa pensare al fa­ scismo spagnolo di Franco: i battisti ignoranti sono gli eredi della crociata indetta da Franco contro il pensiero, e non gli eredi di Gresham Machen. M a il termine fascismo non ha mai trovato una reale integrazione nella cultura americana, per cui continuerò a parlare di ignoranti, usando l’etichetta che in questo caso risulta più adatta. Il pietismo, ovvero il quasi misticismo della fede esperienziale battista del sud, non è in grado di difendersi m aterial­ mente dalla crociata degli ignoranti. Di fatto, nessun tipo di religione che gioca tutta se stessa su un legame personale di amicizia con Gesù sarebbe in grado di mettere in guardia i suoi seguaci di fronte a una cospirazione. Mullins era uno scrittore religioso di grande statura, ma non aveva nulla del profeta; non aveva previsto il vero e proprio declino che avreb­ be subito la cultura americana, e quella del sud in particolare: 268

un declino che ha reso un Criswell non solo possibile, ma addi­ rittura inevitabile. La Bibbia è il più difficile tra tutti i libri dif­ ficili. Nell’era televisiva lo scadimento generale della lettura relativamente a qualunque tipo di testo ha fatto sì che la Bib­ bia oggi risulti praticamente impossibile da leggere, eccezion fatta per un’élite. Si può immaginare quindi il senso di sollievo provocato dai battisti Ignoranti quando hanno preso d’assalto la Convenzione, nel 1979 e negli anni seguenti. Veniva a ces­ sare l’impegno gravoso della lettura individuale della Bibbia: ci avrebbe pensato Criswell a leggerla anche per gli altri, for­ nendo per giunta la sicurezza che il significato primario della Bibbia risiedeva nella sua infallibilità. U n’operazione del ge­ nere non richiedeva nessuna interpretazione ma soltanto un consenso, un consenso al di là della grammatica, della com­ prensione e financo della coerenza. Ellen Rosenberg, la cui trattazione sempre serissima e mai irrispettosa di questo tema sfocia inevitabilmente nel sarcasmo, riporta una frase che sa­ rebbe stata pronunciata da un burocrate della chiesa battista del sud: «Noi ci riuniamo nello Spirito, non nelle parole». E proprio qui il nodo della questione: ogni volta che si ascolta un programma del venerabile Criswell, nel quale egli fa finta di interpretare un testo biblico, quello che si sente parlare non è un esegeta, ma una persona che non ha ancora capito che la Bibbia è scritta con le parole. La tipica diffidenza battista nei confronti del linguaggio, già abbastanza sconcertante in Mullins, tra i battisti ignoranti si tram uta in un atteggiamento di vera e propria ostilità, in una sorta di odio del linguaggio in quanto tale. La paura e l’antipatia del linguaggio, mai del tut­ to spiegata e forse destinata a durare per sempre, che si riscon­ tra in tanti battisti del sud provenienti dalla classe operaia non fa che rendere costoro le vittime predestinate dei seguaci texa­ ni di Criswell. La Bibbia infallibile, viene loro assicurato, più che essere stata scritta da Dio o da profeti ispirati, è creazione di Dio. Il creazionismo, ne sono ormai convinto, è giocato solo secondariamente in opposizione al fantasma di Charles Dar­ win, perché viene utilizzato in primo luogo contro tutti coloro che potrebbero negare che la Bibbia è un oggetto grande e so­ lido, né più né meno di uno scoglio o di una prima Chiesa bat­ tista di qualche città del Texas. I neo-fondamentalisti voglio­ no un’infallibilità solida e consistente, una verità al di sopra 269

del linguaggio, al di sopra dell’ambiguità e di qualsiasi possi­ bilità di confutazione. I loro progenitori erano intrisi della Bibbia fino alla radice dei capelli, due volte battezzati a ogni immersione nelle sue pagine. T ra i fondamentalisti di oggi, ben pochi sarebbero in grado di superare anche il più banale dei quiz sulla Bibbia, poiché oggi il significato reale di «infalli­ bile» è «illeggibile». Tutto ciò si traduce in una situazione intollerabile per i pa­ stori moderati che partecipano alle riunioni della Convenzione battista del sud. Come si può discutere con dei ministri del culto ignoranti, molti dei quali rasentano una condizione di analfabetismo funzionale? Frustrati dalle infallibili votazioni che per undici volte ne hanno sancito la sconfitta all’interno della Convenzione, la maggior parte dei moderati si è limitata a non partecipare alla Convenzione del 1991 ed è improbabile che in futuro scelga di cambiare il proprio orientamento. Una volta che sia stata eliminata la parola «fondamentalismo», con tutti gli equivoci ai quali può dare luogo, il vero dilemma dei moderati appare in tutta la sua chiarezza. Si può aprire una disputa contro il dogmatismo, che nelle vesti della dottrina cattolica rom ana è il nemico tradizionale dei battisti del sud; ma come è possibile mettersi a discutere quando si ha di fronte un’ignoranza caparbiamente orgogliosa di essere tale? Com­ petenza dell’anima, libertà religiosa, sacerdozio del credente: che significato può avere tutto ciò per un texano seguace del­ l’infallibilità, il cui retroterra culturale è fatto solo di dispensazionismo e di idee premillenariste? Per chi ritiene che il Regno di Gesù non sia raggiungibile con il progredire della storia na­ turale dell’umanità, essendo soprannaturale e totalmente pri­ vo di continuità rispetto all’epoca attuale, i principi di Mullins sono al di là della pura e semplice capacità di comprensione. M a il dispensazionismo degli ignoranti sta cancellando ancora altri aspetti della fede battista del sud, nella misura in cui l’at­ tenzione viene spostata dal Gesù risorto al Gesù che si sacrifi­ ca per noi e poi ascende al cielo. L’intuizione geniale e feconda che ha reso la spiritualità dei battisti un fatto unico viene loro strappata con la forza. L ’amico che essi hanno in Gesù viene a perdere gran parte della sua diversità dal Gesù agostiniano della Chiesa cattolica. Per un’altra am ara ironia, la Chiesa cattolica del sud si è avvicinata di un altro passo alla sua ne­ mica storica. 270

Molti moderati si rimproverano di non essere stati abba­ stanza vigili, previdenti, uniti e combattivi, ma a mio avviso la catastrofe che incombeva su di loro non avrebbe potuto essere evitata, in nessun caso e in nessuno dei suoi aspetti. Uno spa­ ventoso meccanismo di sovradeterminazione ha governato la dinamica degli eventi che tra il 1979 e il 1991 hanno portato alla rovina della Convenzione battista del sud, rendendola un microcosmo perfetto del decadimento generale delPAmerica durante gli anni del duo Reagan-Bush. Paradossalmente, Pemancipazione delPegoismo in tutti gli aspetti della vita nazio­ nale ha portato alla distruzione della religione del sé. Ellen Rosenberg assegna il ruolo della colpevole alla cultura del sud, ma anche in questo caso le spiegazioni sociologiche o antropologiche di questa sovradeterminazione mi trovano piuttosto scettico. Bill Léonard e Nancy Ammerman, entrambi schierati dalla parte moderata, si muovono con estrema cautela nel ri­ cercare spiegazioni teoriche della loro sconfitta, forse perché hanno bisogno di tutte le loro energie per continuare la lotta, anche se in campi di battaglia diversi dalla Convenzione, che ormai è un territorio perduto. Come spettatore esterno, posso solo dire della grande amarezza, e talvolta anche della dispe­ razione dei giovani battisti del sud, sia laici sia ecclesiastici, che studiano alla facoltà di Teologia di Yale. Vedersi strappa­ re di mano da un altro la propria confessione religiosa, come avviene nelle agguerrite scalate delle multinazionali per im pa­ dronirsi di questa o quella società, è un’esperienza decisamen­ te fuori dal comune. Torno al non semplice interrogativo al quale ho già accennato: che cosa, nella posizione spirituale di E.Y. Mullins e dei suoi seguaci, ha lasciato scoperta e inerme la loro tradizione di fronte a questo irragionevole attacco, che cosa Pha resa vulnerabile agli ignoranti, pur entro i confini del suo stesso territorio? Pare purtroppo che sia stata la forza spirituale della religio­ sità battista del sud, nella sua autenticità e nella sua unicità, a lasciare i moderati completamente indifesi di fronte ai loro ne­ mici. Una religione della Luce Interiore che ha rifiutato qual­ siasi mediazione e forma di autorità non aveva eretto nessun muro di protezione intorno alla sua Torah, per usare questa bella espressione di un trattato sul Talmud. L’intimismo ro­ mantico pervade Mullins, tanto quanto informa di sé il genio 271

di un Faulkner. L ’esaltazione della competenza dell’anima e la grande importanza attribuita al sacerdozio del credente hanno necessariamente comportato una struttura organizzati­ va a maglie larghe. Quando gli ignoranti della cricca di Pressler e Criswell hanno elaborato il loro piano di conquista, han­ no messo in conto, a ragione, di incontrare una resistenza mol­ to debole da parte della struttura organizzativa. Dove tutti o quasi erano privi di un credo vero e proprio, si è dimostrato re­ lativamente semplice imporre a poco a poco delle forme di cre­ do, dando loro altri nomi. A ciò si deve poi aggiungere la pecu­ liarità della tradizione della Convenzione, per cui l’unità veni­ va sempre riaffermata a qualunque costo, pur di evitare lo sci­ sma: prodotto a loro volta di uno scisma dai battisti del nord, i battisti del sud hanno sempre avuto una paura ancestrale del­ le conseguenze di una nuova divisione al loro interno. Benché rappresentino quasi la metà dei membri della Con­ venzione, i moderati sono ben consapevoli di quanto sarebbe difficile creare una confessione interamente nuova. Dopo otto sconfitte consecutive, nel 1986, hanno dato vita a un raggrup­ pamento provvisorio, la Southern Baptist Alliance. Nel 1991, constatato con amarezza che ciò non era sufficiente, ci hanno provato di nuovo, questa volta con la Cooperative Baptist Fellowship. A meno che quest’ultima non stringa per tempo dei legami di alleanza con i battisti del nord (le Chiese battiste americane) o con qualcuno dei gruppi battisti afroamericani, la sua scomparsa sarà solo questione di tempo. Il distacco de­ finitivo dalla Convenzione battista del sud sarebbe un vero e proprio traum a, ma si può supporre che sia destinato a cresce­ re il numero dei moderati ormai convinti che la Convenzione si vada sempre più trasformando in una fede totalmente diver­ sa da quella proposta da Mullins. Dal momento che gli igno­ ranti non hanno ereditato nulla dalla tradizione, a eccezione del suo trionfalismo, la loro intolleranza e la loro politica plu­ tocratica, così come il razzismo, l’anti-femminismo e l’antiintellettualismo che li caratterizzano potranno soltanto au­ mentare, costringendo tanti altri moderati ad allontanarsi dal­ la Convenzione. Tuttavia il dilemma dei moderati non cesse­ rà. Sono gente del sud e del sud-ovest, una nazione a sé stante, molto restia a rinunciare alle proprie tradizioni specifiche. E, quel che più conta, il loro personalismo mistico ha molti più 272

punti in comune con i battisti afroamericani che con i battisti del nord. La mia ipotesi è che dovrà passare un’intera genera­ zione prima che si verifichi un esodo veramente di massa dalla Convenzione battista del sud. Esso comunque dovrà avvenire, prima o poi, anche se più che i moderati di oggi riguarderà i loro figli. Dopo la tragedia, la farsa: giunge il momento di fare qual­ che profezia anche sul futuro degli ignoranti. La loro crociata contro l’aborto si concluderà con una vittoria, m eritata ricom­ pensa al valoroso sostegno garantito a Reagan e a Bush. Inve­ ce le crociate contro il pensiero alla fin fine si concludono sem­ pre in un fallimento, dal momento che la nostra società se le può permettere solo in tempi di grande prosperità economica. La Convenzione battista del sud, seguendo questa traiettoria che da E.Y. Mullins la porta direttamente a W.A. Criswell, ri­ schia di diventare un invito irresistibile a una colossale risata da parte di tutta la nazione. Vorrei qui concludere con una piccola digressione aneddotica. Il 27 dicembre del 1989 il «New York Times» riportava le rivelazioni del comandante in capo delle truppe di Panama, quell’inesauribile fonte di sba­ lordimento che è il generale Maxwell Thurm an (di sicuro una creazione di Stanley Kubrick), secondo le quali la reazione del generale Manuel Noriega di fronte all’invasione era stata una telefonata alla sua amante, non a sua moglie, e la biancheria intima - sempre del generale Noriega - era di colore rosso per tenere lontano il malocchio. In precedenza Thurm an aveva raccontato che Noriega aveva l’abitudine di sniffare cocaina mentre invocava gli spiriti vudu. Circondando con i suoi sol­ dati il rifugio offerto dal papa a Noriega e al suo entourage di ribaldi, Thurm an aveva valorosamente guidato l’assedio a for­ za di rock strombazzato a tutto volume da impianti e apparec­ chiature varie: uno sbarramento di tale portata da indurre il nunzio papale, amante della musica, a convincere Noriega a levare le tende. M a tutta questa vicenda si conclude (nel senso spirituale) solo il 15 maggio del 1990, quando Noriega viene convertito, nel carcere della Florida ove è rinchiuso, da due predicatori battisti del sud, le cui esortazioni morali inducono il signore della droga di Panama a rinunciare per sempre al­ l’amante e al rosso della biancheria intima. Un simile trionfo per la Convenzione battista del sud è stato un perfetto prelu­ 273

dio alla riunione del giugno del 1991, dove Oliver North ha sventolato la bandiera nazionale e il feto, affiancato da un George Bush commosso fino alle lacrime e assorto in preghiera dinanzi ai suoi elettori. Di tal genere è il regno premillenaristico, secondo questa nuova religione.

La Religione Americana: una profezia

15 La religione afroamericana: un paradigma

Gli studiosi della religione afroamericana tendono a concor­ dare sul fatto che la Chiesa nera ha generato ciò che C. Eric Lincoln definiva il «sacro cosmo nero», un’immagine spiritua­ lizzata delPintero universo. Non c’è niente di più distante dal­ la visione gnostica di un siffatto cosmo nero, in quanto que­ st’ultimo costituisce l’antitesi di ciò che gli gnostici chiamava­ no kenoma, il vuoto cosmologico nel quale vaghiamo. Il fatto di considerare la Chiesa nera come un paradigma per il futuro della Religione Americana è da parte mia un nuovo atto di te­ merarietà, anche se non bisogna dimenticare che la spirituali­ tà afroamericana non soltanto ha costituito il punto di parten­ za del pentecostalismo, ma ha anche influenzato alcuni tra gli aspetti più tipici dell’esperienza battista. La storia dei battisti neri del sud prende avvio intorno alla metà del x v m secolo, periodo in cui si manifesta una molteplicità di nuove tendenze, molte delle quali troveranno il più alto compimento un secolo e mezzo più tardi nella figura di E.Y. Mullins, benché sia chia­ ro che questi fosse in larga misura inconsapevole di tale debito spirituale. L ’ideologia manifesta delle Chiese nere è sempre stata di tipo comunitario, come sottolinea Lincoln, ma sovrap­ posta e compenetrata con questa aspirazione comunitaria vi era anche la tendenza a un rapporto altamente individualizza­ to con Gesù. Nella Chiesa nera, inoltre, si riscontra la presen­ za costante di due divergenti concezioni della libertà spiritua­ le, che definirei da un lato libertà per il sé e dall’altro libertà dal sé. Si trovano altri esempi, nella storia del protestantesi­ mo, di una simile compresenza di posizioni contraddittorie, ma è raro il caso che due modi diversi di concepire la libertà siano vissuti con un’intensità di investimento affettivo e ideale pari a quella che caratterizza la religione afroamericana. Le ramificazioni sottili e intricate della spiritualità della Chiesa nera ovviamente vanno ben oltre la mia capacità di compren­ 277

sione, ma scopo di questo capitolo è la trattazione di quello che si potrebbe considerare un singolo elemento dialettico di tale spiritualità: la rivendicazione di una libertà collettiva per poter essere liberi di fronte a Dio, unita a un più indefinibile anelito a una libertà individuale, di nuovo per essere liberi di fronte a Dio, ma in modo più impalpabile, in un altro senso ancora. Il romanziere e saggista Jam es Baldwin è stato il clas­ sico interprete di questo secondo tipo di ricerca, che in ogni caso è un tema comune a gran parte della produzione lettera­ ria afroamericana. Esso diviene tema ricorrente nell’opera di due dei più grandi poeti appartenenti a questa tradizione, Jay W right e Thylias Moss, e dominante, anche se in forma impli­ cita, nel romanzo di Ralph Ellison, Invisible M an , che si può senz’altro annoverare tra i classici della letteratura moderna. In questa sede vorrei analizzare il tema in questione in qualità di critico della religione, non di critico letterario: perciò mi oc­ cuperò soltanto di alcuni momenti specifici delja lunga storia della Chiesa nera in America. Gli studi che riguardano la religione degli schiavi non han­ no mai risolto in via definitiva una grande controversia: si trattava di una religione tutta interna a elementi residui di au­ tentiche fedi africane, oppure di una religione sorta come ri­ sultato dell’imposizione del cristianesimo a una popolazione di schiavi privi di ogni speranza? Eugene Genovese ha obietta­ to che a un tale interrogativo non è possibile dare risposta, in mancanza di fonti e informazioni adeguate. Mi pare tuttavia convincente la complessa ipotesi avanzata da Jon Butler nel suo brillante saggio, Awash in a Sea o f Faith , nel quale viene messo a punto un modello interpretativo della prassi spirituale degli schiavi articolato in tre momenti: 1. 1680-1760: Nelle colonie inglesi (con la collaborazione della Chiesa anglicana) viene perseguita una sistematica distru­ zione di tutti i sistemi religiosi di origine africana diffusi tra gli schiavi, senza però cancellare completamente certi parti­ colari rituali. 2. 1760-1800: Il ricostituirsi di una vita familiare tra gli schia­ vi consente lo sviluppo di una vita religiosa collettiva cri­ stiana, improntata al modello inglese. 3. Dal 1800 in avanti: Si sviluppa un’autonoma religione afroamericana, contemporaneamente a quella che Butler definisce la Culla Spirituale dell’America del xix secolo, prima della guerra civile. 278

Ritengo che questo modello dia ulteriore conferma alla mia intuizione, secondo la quale la Religione Americana nasce in­ torno al 1800, e la religione afroamericana costituisce un ele­ mento fondamentale di tale nascita. Le estasi di Cane Ridge, in tal caso, hanno attinto a una misteriosa corrente di sensa­ zioni e percezioni che emanava dagli schiavi. Mechal Sobel, nel suo Trabelin’ On: The Slave Journey to an Afro-Baptist Faith (1979), dimostra in modo convincente che quella che sarebbe divenuta in seguito la religione dei battisti del sud traeva in­ consapevole alimento da formulazioni spirituali africane. Sen­ za ombra di dubbio, le indicazioni di Sobel sono il solo argo­ mento razionale che io conosca in grado di dare ragione della profonda differenza esistente tra il credo battista, sia della Gran Bretagna sia della Nuova Inghilterra, e la turbolenta re­ ligione esperienziale dei battisti del sud. L’immediatezza emo­ tiva che caratterizza il rapporto diretto, non mediato, che i battisti intrattengono con Gesù va letta all’interno di un para­ digma afroamericano. Se ci spostiamo dalla seconda alla terza fase del modello di Butler, possiamo notare come vi sia, tra i battisti afroamericani, un’evoluzione da un’esperienza spiri­ tuale collettiva a un altro tipo di esperienza, eminentemente individuale: nel momento in cui la loro visione della sacralità del cosmo viene cancellata, al suo posto può subentrare l’idea di un rapporto individuale con un Gesù interiorizzato. Sulla base di questo schema (di natura puram ente specula­ tiva e tuttavia prolettico rispetto a tanti tratti caratteristici e permanenti della Chiesa nera americana), la libertà dal pro­ prio sé all’interno di un’identità collettiva cedeva il passo a una nuova libertà per il sé, una libertà prettam ente interiore nella quale il sé conosceva ed era conosciuto da un Gesù nero. Entrambe le libertà erano inficiate da una schiavitù assimilata e fatta propria dal cristianesimo; e in una certa misura anche oggi su queste due diverse possibilità di libertà pesano le mol­ teplici conseguenze di uno stato di asservimento a suo tempo legittimato e santificato. Eugene Genovese fa una distinzione tra le principali chiese cristiane nel sud e il cristianesimo in sé, che ha fornito la motivazione ideologica di fondo agli abolizio­ nisti, quanto meno nelle loro interpretazioni della Bibbia. E evidente che il paradigm a religioso afroamericano è totalmen­ te sradicato in un contesto come quello della religione battista 279

del sud o delle università americane degli anni Novanta, vitti­ me di un ossessivo senso di colpa. Al pari dei battisti del sud dopo la guerra civile e dei mormoni, anche i credenti afroame­ ricani hanno un’immagine di sé come di un nuovo Popolo Eletto, ancora una volta sulla base del modello fondamentale fornito dalla Bibbia ebraica. Il concetto di libertà contiene tali e tante ambiguità quando è inserito nel contesto dell’elezione di un popolo intero da parte di Dio, che tutti dovremmo valu­ tare con molta cautela qualunque definizione-inequivocabile di ciò che significa libertà per o dal sé per chi a tale pòpolo ap­ partiene. Nell’autore J, il concetto di libertà riguardo al popo­ lo di Israele aveva una forte connotazione ironica, essendo questa intesa come libertà di morire dopo quarantanni di pe­ regrinazioni e di sofferenze in una terra selvaggia e inospitale. La libertà di soffrire è un’ironia orrenda ed è proprio nel rifiu­ to di questo concetto di libertà che risiede l’aspetto più sano della spiritualità della religione afroamericana. Il sacro cosmo africano è stato oggetto di innumerevoli stu­ di, ma gli aspetti fondamentali del concetto di spirito che lo in­ forma trovano ancora adesso la loro migliore esposizione, al­ meno rispetto a quanto mi propongo di esaminare, nelle opere di Geoffrey Parrinder {West African Religion [1961]) e di Marcel Griaule (Dio d'acqua [1965; ed. ital. 1968]). Mechal Sobel, che cita queste due opere come sue fonti privilegiate, ha individua­ to nella religione battista afroamericana chiare sopravvivenze, rispetto alla visione dello spirito, delle religioni dell’Africa oc­ cidentale. A mio parere queste sopravvivenze, che presentano strane analogie con alcuni aspetti dell’antico gnosticismo, pos­ sono essere considerate a ragione le radici lontane delle diver­ se concezioni di spirito presenti nella Religione Americana. Parrinder dà una descrizione di una mitologia (se così voglia­ mo chiamarla) nella quale ogni individuo e ogni oggetto han­ no un loro doppio o un loro gemello, che è poi il loro spirito, o il loro vero sé. Come afferma Parrinder: «L’uomo africano po­ trebbe dire che “ in ogni cosa c’è un’altra cosa” e che “in ogni uomo c’è un piccolo uomo”». Il «piccolo uomo» non nasce né muore mai, e quindi non è parte della natura. Questo dualismo radi­ cale e decisamente gnostico, come ha notato Sobel, sopravvive nelle esperienze di conversione proprie della religione battista afroamericana: 280

I neri americani, nei loro racconti e nelle narrazioni scritte delle loro esperienze di conversione al cristianesimo hanno tra­ mandato una tradizione che, a un primo esame, appare per molti versi analoga all’esperienza della conversione tra i bian­ chi. C’è però un elemento di stridente contrasto, che si riscon­ tra soltanto nella tradizione orale dei neri e ha una sua notevo­ le coerenza. Si tratta del riferimento all’«uomo nell’uomo», al «piccolo io nel grande io», alla «piccola Mary dentro la grande Mary», al «piccolo John dentro il grande John». Per i neri vi era una duplice partecipazione spirituale all’esperienza con­ creta della conversione, e questa duplicità era ignota ai bian­ chi; in ogni caso era il «piccolo io» interno al «grande io» che si innalzava in cielo fino a incontrare Dio nel corso delle espe­ rienze estatiche, (p. xix) Sobel fa giustamente notare, inoltre, come tra gli schiavi il fenomeno sciamanistico del viaggio in stato di trance abbia fi­ nito per trasformarsi in un fatto individuale piuttosto che col­ lettivo. Mi sentirei di affermare che il traum a evangelico così caratteristico delPesperienza religiosa americana trae origine proprio da questa trasformazione subita dalla spiritualità afroamericana: Quella della trance è diventata un’esperienza molto più in­ dividuale e privata di quanto fosse in Africa, sebbene in Ameri­ ca avesse una funzione revivalistica e spesso i neri ascoltassero i loro tamburi e le loro grida da soli, nell’isolamento dei boschi o nel chiuso delle loro capanne. Ma l’aspetto ancora più im­ portante è che in queste occasioni essi non venivano posseduti o «coperti» da Dio, a differenza degli africani che vengono pos­ seduti o usati dalla divinità come suoi portavoce; al contrario, essi si incontravano e conversavano con Dio, che poi si insedia­ va stabilmente nei loro cuori, (pp. x x i i

-i i i )

Questo nucleo centrale delPesperienza religiosa dei battisti neri è divenuto, a loro insaputa, il paradigm a delPesperienza della conversione tra i battisti bianchi. L’«io autentico», o «il vero io» dei dogon, quello stesso che gli antichi gnostici chia­ mavano «spirito» o pneuma , diventa così indistinguibile dallo Spirito che illumina san Paolo e lo innalza alle regioni celesti. Ha continuato invece a costituire un elemento di netta dem ar­ cazione tra l’esperienza battista bianca e quella nera il duali­ smo, molto più radicale, inerente al concetto afroamericano di cosmo sacro. Senza dubbio le principali ragioni di questa dif­ 281

ferenziazione vanno ricercate nell’esperienza della schiavitù, ma bisogna anche tener conto del sopravvivere delle credenze dei dogon nel doppio o nel gemello se si vuole spiegare la ten­ denza, ancora prevalente fra gli afroamericani, a credere nella realtà del «piccolo uomo» interiore, un concetto che si è poi trasformato nel corrispondente cristiano della salvifica presen­ za di un Gesù interiore. La mitologia dogon, quale viene narrata a Marcel Griaule dall’anziano Ogotemmeli, è una visione gnostica della creazio­ ne-caduta altrettanto complessa di quella elaborata nel li se­ colo dai discepoli di Valentino di Alessandria, al quale si deve la versione storicamente più im portante del pensiero gnostico. Amma è il Dio supremo, ma è un Dio lontano, separato quasi quanto il «Dio irraggiungibile» o «estraneo» di Valentino: il C ip della maggior parte delle religioni africane era infatti un Dio^,eparato, o comunque estraneo a molti aspetti dell’esi­ stenza quotidiana. Nella religione dei dogon, Amma si con­ giunge sessualmente con la terra; da questa unione nasce uno sciacallo che, a sua volta, intrattiene con la terra una relazione illecita dalla quale deriveranno tutti i mali del mondo. M a do­ po aver dato alla luce lo sciacallo, Amma genera una serie di Nommi, cioè le parole dello spirito di Dio, i doppi o gemelli del padre. Il settimo Nommo, immolando se stesso, rimette ordine nell’universo dopo la caduta. Questo settimo e ultimo Adamo, che possiede facoltà demiurgiche, venne facilmente assimilato dai battisti afroamericani alla figura del Cristo secondo la con­ cezione paolina. Tuttavia il termine «assimilato», in questo contesto, potrebbe essere fuorviante, dal momento che nel pensiero di Paolo permane, nonostante alcuni aspetti gnostici, una radicale distinzione tra il Vecchio Adamo e Gesù inteso come il Nuovo Adamo. I primi battisti afroamericani potreb­ bero aver trascurato di distinguere fra il piccolo uomo o la pic­ cola donna interiore e la figura di Gesù risorto, e da qui nasce­ rebbe appunto quella particolare retorica battista afroameri­ cana su un Gesù visto come un amico: una retorica senza la quale la religione battista del sud non sarebbe stata possibile. Se si ritenesse, come avviene nel contesto della spiritualità africana, che lo spirito è la parte più nobile e più antica del­ l’individuo, si assegnerebbe inevitabilmente un grande valore al passato, inteso come tempo autentico, e si tenderebbe a in­ 282

dividuare la piena realizzazione dello spirito non nel futuro, bensì in un ritorno a ciò che è stato. Questa profonda nostalgia che la religione africana ha per il passato costituisce il limite della spiritualità afroamericana in quanto paradigm a della Religione Americana. Alcune valutazioni espresse da Mechal Sobel sollevano in me delle perplessità: Nel nuovo Sacro Cosmo dei battisti neri la conoscenza ha soppiantato la fede. I neri convertiti erano stati in paradiso, avevano conosciuto Dio e Gesù, e sapevano di essere stati salvati. Il tempo africano era diventato un tempo afro-cristiano; il passa­ to era divenuto il futuro, (p. 245) Personalmente ritengo che in buona parte sia vero il contra­ rio. La conoscenza dello spirito o del «piccolo uomo» è stata in parte sostituita da una versione africanizzata del credo paolino. Se il nero convertito alla fede battista conosceva Gesù in seguito a un viaggio in paradiso, ciò avveniva per il fatto che l’individuo, uomo o donna, si era ispirato a un passato sciamanistico e aveva compiuto quel viaggio secondo le modalità di ricerca proprie dei suoi antenati africani. Il tempo afro-cristia­ no restava eminentemente un tempo africano, dato che i neri non erano disposti ad accettare le versioni bianche del dispensazionalismo. Nel pentecostalismo delle origini, quando a ca­ po della setta vi era l’ex predicatore battista W J . Seymour, un afroamericano, gli elementi africani più evidenti vennero elusi o soppressi, tanto che oggigiorno sono pressoché scomparsi anche se Jim m y Swaggart lancia delle urla ogni volta che lo spirito cala su di lui. Il nucleo centrale della spiritualità afroa­ mericana, di qualunque confessione o setta si tratti, continua a essere la conoscenza spirituale di Dio, che non è necessaria­ mente diversa da quella del sé. Il che mi riporta a quello che potrebbe sembrare un puro e semplice gioco di parole, ma in realtà è strettam ente connesso alle tensioni di natura religiosa e culturale cui sono sottoposti in modo particolare gli afroamericani. La loro visione religiosa implica infatti un’aspira­ zione contemporaneamente comunitaria, ovvero di libertà dal sé, e individualisticamente isolata, ovvero di libertà per il sé. La spiritualità africana esigeva e il cristianesimo americano implora di non scindere le due libertà, e la coscienza degli es­ seri umani è a stento in grado di contemplarle tutte e due in­ sieme. 283

Albert J. Raboteau, avvicinandosi alla conclusione del suo

Slave Religión (1978), afferma che questa contraddizione è in

realtà una posizione dialettica molto chiara, ma se ciò è stato vero fino alPemancipazione, a mio avviso non lo è più al gior­ no d’oggi: L’esperienza della conversione conferiva allo schiavo una sensazione di valore individuale e di personale capacità che contrastava gli effetti disumanizzanti e lesivi della dignità umana che erano propri della condizione di schiavitù. Negli in­ contri di preghiera, nei sermoni, nelle orazioni e nei canti, ap­ pena lo Spirito stimolava i fedeli a gridare, a battere le mani e a danzare, gli schiavi godevano del senso di solidarietà e di co­ munanza, e ciò aveva il potere di alleviare le loro sofferenze in­ dividuali. (p. 318) Quando si è liberi? In solitudine o all’interno di una comu­ nità? Nel corso della storia americana, è stata la necessità a imporre agli afroamericani la risposta comunitaria. Così come la libertà di essere soli con Gesù doveva necessariamente esse­ re la risposta di un battista, nero o bianco, ma con quale Ge­ sù? Jaroslav Pelikan, nel suo Gesù nella storia (1985, ed. ital. 1987), ricorda che la concezione di M artin Luther King del Gesù liberatore corrispondeva a «un’etica dell’amore che ri­ pudiava la violenza e si spingeva al di là dell’individualismo». E quest’ultima proposizione che potrebbe costituire un pro­ blema, dato che un amore che si spinge «al di là dell’indivi­ dualismo» forse non è alla portata degli americani, così come la sua etica è forse preclusa alla Religione Americana. Quella che Mechal Sobel chiama «coerente visione afroamericana del mondo», intendendo con ciò l’affermazione secondo la quale «nessuno, se non Gesù, è in grado di conoscere», si fonda su un concetto di amore che trascende assai poco l’individuali­ smo. La questione cruciale, resa apocalitticamente pregnante dalla condizione di schiavitù, era quella dell’identità, e l’amo­ re assolutamente personale di Gesù per l’individuo era tale da conferire identità. Gesù conosce l’essere umano individuale e ovviamente anche il «piccolo io» interno alla persona. W.E.B. DuBois ha dato una definizione divenuta ormai classica di questa complessità, descrivendo la doppia coscienza afroame­ ricana come «due anime in lotta dentro al nero di un unico corpo». Questa tensione dialettica viene analizzata da C. Eric 284

Lincoln e Lawrence H. M amiya nel loro recente saggio sulla Chiesa nera. La profonda e personale esperienza di conversio­ ne, anche se a un Gesù comunque nero, da parte di un indivi­ duo afroamericano, costituisce un evento molto diverso da ciò che Lincoln e M amiya definiscono «catarsi di massa» o estasi collettiva. E tuttavia questa può essere l’autentica essenza del­ la Religione Americana e della profezia afroamericana sul fu­ turo della fede nella nostra nazione. Non si potrebbe certo chiedere agli afroamericani di essere loro a risolvere un conflit­ to così diffuso tra chiunque viva, in America, un’intensa vita spirituale; è più che sufficiente che gli afroamericani riescano a esprimere questo conflitto più apertamente di tanti altri che sono in mezzo a noi. La palese alterità degli afroamericani per quanto riguarda specificamente la Religione Americana potrebbe essere spie­ gata dalla loro concezione della temporalità, che è radical­ mente diversa. Era una caratteristica della religione dell’Afri­ ca occidentale quella di avere una percezione molto chiara del dinamismo del tempo presente, e una convinzione altrettanto radicata del perdurare del passato. Gli afroamericani hanno parzialmente restituito alla visione escatologica del Nuovo Te­ stamento la sua forza originaria, dal momento che grazie a questa loro nozione del tempo il Secondo Avvento di Gesù non poteva essere considerato lontano nel tempo. Questa può esse­ re una spiegazione del motivo per cui il pentecostalismo ame­ ricano si è sviluppato essenzialmente tra i neri, e di come esso continui a soddisfare le aspettative spirituali di coloro che non sono disposti ad attendere il ritorno di Gesù per un tempo in­ definito. L’idea di un futuro indeterminato non fa parte della spiritualità dell’Africa occidentale, e ciò si accorda con l’inter­ pretazione che gli afroamericani danno ancor oggi del Salmo 68:31. Verranno i grandi dall’Egitto, l’Etiopia tenderà presto le mani a Dio. Quella parola, «presto», ha assunto un’importanza fondamentale e non ha smesso di tener desta la coscienza religiosa afroamericana. Si potrebbe pensare che proprio il fatto che i neri non fossero gravati dalle aspettative di una apocalisse continuamente rinviata nel tempo abbia risparmiato alla 285

Chiesa nera tutte quelle paralizzanti controversie che invece infuriano tra i battisti bianchi e gli altri protestanti. L ’incapa­ cità di reggere alla metafora, che tante cose spiega del fonda­ mentalismo, non è certo un problema degli afroamericani. Ge­ nerazione dopo generazione i neri hanno imparato a interpre­ tare la Bibbia come se fosse un manuale di sopravvivenza, e perciò tocca loro la benedizione di essere liberi dall’incubo delPinfallibilità. Il Gesù nero dei grandi spiritual è una pre­ senza immediata, oltre a essere un retore che insegna a trasfor­ mare la sopravvivenza in liberazione. Dal momento che il «piccolo io» è sempre sopravvissuto, non è mai nato e non può morire, allora anche il Dio del «piccolo io» ha sconfitto la mor­ te e può essere raggiunto presto, tendendo le mani. Oggi appa­ re piuttosto sconcertante che alla religione afroamericana sia­ no sempre state attribuite caratteristiche precipuamente cri­ stiane, nell’accezione europea del termine. La religione afroa­ mericana non è la religione agostiniana e non esalta la Chiesa. Si aggrappa con forza, invece, a due realtà basilari: un «picco­ lo io» che si ribella alla schiavitù e un Gesù inteso come libera­ tore. In questi ultimi decenni molti si sono pronunciati netta­ mente a sostegno della tesi che il cristianesimo per gli afroa­ mericani sia stata un’imposizione. Invero il cristianesimo, nel­ la sua forma storica e istituzionale, si è certamente dimostrato, sotto molti aspetti, privo di rilevanza o addirittura dannoso nei confronti di un popolo schiavizzato, ma allo stesso modo si può dire che si è rivelato inadeguato anche quando si trattava di rispondere ai bisogni e alle situazioni concrete dei coloniz­ zatori bianchi della frontiera. Cane Ridge e ciò che ne seguì fu­ rono gli inizi di una nuova religione più tipicamente america­ na: un processo che, inconsapevolmente, procedeva parallelo al diffondersi della fede battista nera nel corso del x v m seco­ lo. Così, mentre ancora ai nostri giorni i battisti del sud mode­ rati restano i lontani eredi di una religione afroamericana vec­ chia di due secoli, chi prende posizione a favore di una «teolo­ gia nera» deve subire l’ironia della storia, quella cioè di essere al di fuori della propria tradizione più antica. L’ironia più grande della storia spirituale americana è che l’autocoscienza, tanto in materia di religione o di relazioni uomo-donna che su questioni educative, tende sempre ad assumere il carattere del 286

tifo di squadra. La religione dell’Africa occidentale esaltava l’immagine di un Dio lontano, prevedendo tuttavia una zona intermedia affollata da una moltitudine di divinità minori frammiste agli spiriti degli antenati. Questa atmosfera, vi­ brante della presenza di poteri soprannaturali, si può respira­ re ancora oggi nelle congregazioni afroamericane e ha molti aspetti in comune con la sua rivale, quella visione magica del mondo che non è mai venuta meno nella religiosità popolare americana. La differenza africana non sembra consistere tanto nella quota relativa di potere assegnata a qualcosa che si trova sia all’interno sia al di là dello spirito dell’individuo, quanto nel rapporto (relativamente non mediato) che lo spirito inter­ no intrattiene con gli spiriti esterni. Le divinità africane sono state per la maggior parte distrutte dal cristianesimo; non così è stato, invece, per il rapporto diretto che lo schiavo poteva in­ staurare con lo spirito. Essendo l’episcopalismo un sistema ri­ gorosissimo di mediazione tra uomini e divinità, la versione del cristianesimo che esso offriva agli africani soggiogati era assolutamente incapace di dare conforto, e il richiamo più po­ tente esercitato dai battisti si spiega proprio in virtù del loro rapporto quasi interamente privo di mediazione con Gesù: gli africani tolsero quel «quasi», e nel porsi in relazione a Gesù senza mediazione alcuna si crearono un Gesù nero. Sta forse in questo il colmo dell’ironia di tutta la storia religiosa ameri­ cana: nel fatto cioè che i battisti del sud, pilastro della Confe­ derazione, abbiano finito per adorare un Gesù essenzialmente nero, senza nemmeno comprendere i meccanismi attraverso i quali egli era stato depurato degli ultimi aspetti legati alla tra­ dizione cattolica, in cui l’elemento della mediazione è centrale. Il cristianesimo, così come il giudaismo che lo precede, no­ nostante molti affermino il contrario non è una religione bibli­ ca, dal momento che le sue costruzioni teologiche sono greche anziché ebraiche; allo stesso modo anche il giudaismo norm a­ tivo, prodotto della speculazione religiosa del n secolo d.C., è stato costretto ad appoggiarsi a forme di pensiero tipicamente greche. Uno dei paradossi della Religione Americana consiste appunto nel suo essere una religione molto più biblica dei suoi precursori. L’ironia insita in una simile paradosso è ancora più evidente nella religione afroamericana, che è fondamental­ mente biblica. Nat Turner, predicatore, galvanizzatore e vi­ 287

sionario battista, riteneva che le sue carneficine di uomini, donne, bambini e neonati fossero in perfetta armonia con l’in­ segnamento biblico, nel senso che obbedivano al comando di­ vino di annientare l’oppressore affinché il popolo eletto potes­ se essere liberato. Questo è il punto estremo e assai poco pia­ cevole che si può toccare in nome dell’ossessione biblica, in netto contrasto con la straordinaria um anità che traspare da­ gli spiritual afroamericani, che costituiscono ancor oggi il più straordinario esempio di poesia popolare prodotta in questa nazione. Negli spiritual ricorre di frequente il senso del tempo caratteristico dell’Africa occidentale, ove il futuro è avvertito come una sorta di gigantesca onda in procinto di abbattersi su coloro che sono schiavi, e che saranno riportati in un mitico passato africano. Per quanto riguarda il retaggio africano de­ gli spiritual del periodo della schiavitù, il giudizio più equili­ brato sembra ancora essere quello espresso da Alan Lomax: Le principali tradizioni della canzone afroamericana, e in particolare degli spiritual religiosi dei vecchi tempi, derivano dal modello di stile canoro più diffuso in Africa. È vero che lo stile canoro europeo ha influenzato la tradizione africana in America nello specifico campo della forma melodica e, ovvia­ mente, nel contenuto testuale, ma per molti altri aspetti la can­ zone afroamericana si è mossa nel solco della principale e più dinamica tradizione africana. (Citato in Raboteau, pp. 340-41) Queste parole hanno un loro peso, dal momento che senza dubbio Lomax faceva riferimento alla Bibbia in quanto fonte di ispirazione di ciò che egli chiama «contenuto testuale», ed è importante notare come negli spiritual si accorci il senso bibli­ co del futuro. Negli spiritual il futuro è sempre qualcosa che corre verso di te a travolgerti, e quasi ci riesce, dato che non vi è nessun futuro che sia distante più di alcuni mesi al massimo. Che impressione farebbe cantare questo spiritual essendo in­ tuitivamente certi che la sua promessa si avvererà molto, mol­ to presto? Una di ’ste mattine, a mezzogiorno circa ’sto vecchio mondo comincerà a oscillare e a vibrare Voglio essere pronto Voglio essere pronto Voglio essere pronto 288

A camminare per Gerusalemme, proprio come Giovanni Sarà un gran giorno! Un gran giorno quando i giusti [marceranno Sarà un gran giorno! Quando Dio costruirà le mura di Sion Il mattino di un grande giorno, certamente, se sarà il m atti­ no del giorno dopo o di quello successivo. I primi battisti neri d’America devono aver percepito gli spiritual con una imme­ diatezza che oggi non siamo più in grado di far rivivere. Gayrand Wilmore, nel suo libro Last Things First (1982), interpreta questo e altri spiritual alla maniera di John Mbiti, la cui opera sulla religione africana è im perniata appunto sul problema della temporalità. Mbiti, nel suo utilissimo African Religions and Philosophy (edizione riveduta, 1990), propone una modalità di comprensione della religione africana che tenga conto della differenza africana rispetto alla filosofia del tempo: Nelle società occidentali o tecnologiche, il tempo è conside­ rato un bene di consumo che deve essere utilizzato, venduto e comprato; nella cultura tradizionale africana, invece, il tempo deve essere creato o prodotto. L’uomo non è schiavo del tem­ po; al contrario, è lui a «fare» il tempo, tanto quanto ne vuole. Quando gli stranieri, specialmente europei e americani, vengo­ no in Africa e vedono gente seduta qui e là, che sembra non far nulla, spesso esclamano: «Questi africani non fanno altro che starsene pigramente seduti a perdere tempo!». Un altro rim­ provero molto comune è: «Oh, questi africani, sono sempre in ritardo!». È facile lanciarsi in giudizi di questo tipo, ma sono giudizi viziati dall’ignoranza di ciò che il tempo significa per le genti africane. Le persone che vediamo sedute, in realtà non stanno perdendo tempo, ma piuttosto stanno aspettando il tempo oppure lo stanno «producendo». Questa conclusione mi trova piuttosto scettico, in quanto l’autore sembra darci un’immagine dell’Africa abitata soltan­ to da personaggi come sir John Falstaffe W alt W hitman. T ut­ tavia Mbiti porta a sostegno della sua tesi una nutrita serie di osservazioni sulla religione africana. In questa chiave, l’esca­ tologia afroamericana, passata e presente, assume una forza tale da superare i molti limiti imposti dalla teologia cristiana tradizionale. La teologia della liberazione, così come le opere di Gustavo Gutierrez e altri ancora, sono palesemente affini alle modalità di pensiero degli africani per quanto riguarda il 289

concetto di tempo e di storia. Il millenarismo americano, che ho illustrato nel capitolo 3 seppure con qualche approssima­ zione, appare molto diverso se lo si guarda dalla prospettiva africana. Non è azzardato affermare che qui da noi soltanto tre gruppi hanno effettivamente una visione del Regno di Dio in America: i mormoni, i battisti del sud fondamentalisti e molte Chiese afroamericane. Sono tre visioni non conciliabili, sebbe­ ne le prime due trovino una rappresentazione, o per meglio di­ re una iper-rappresentazione, nel regno bush-reaganiano, da cui gli afroamericani sono esclusi in massa. Gayrand Wilmore descrive gli afroamericani come «uno dei tanti popoli escatolo­ gici», il che mi fa immediatamente scattare un collegamento con i mormoni, nel contesto del nostro tempo e del nostro pae­ se. Orm ai anche tra i mormoni i neri possono accedere al sa­ cerdozio, eppure tutto lascia presagire un futuro conflittuale tra costoro e la religione afroamericana, in un’America dove, sempre più, la politica e la religione rifiutano di occupare am ­ biti separati. Nel suo libro Mbiti racconta la storia assai significativa di alcuni devoti africani che si erano convinti che Gesù avesse cambiato idea e non sarebbe più tornato. Wilmore collega questo fatto al richiamo ancora potente del pentecostalismo nero, capace di vincere questo tipo di angoscia fornendo una prova immediata a garanzia dell’attualità dello Spirito Santo. A mio avviso l’aneddoto di M biti sembra piuttosto un prelu­ dio alla complessa storia della nazione dellTslam, con le sue eccezionali personalità: il misterioso Wali Fard, Elijah Muhammad, Malcolm X, W arith Deen M uham m ad e Louis Farrakhan. Più di centomila seguaci della nazione dellTslam di Elijah M uham m ad hanno seguito suo figlio W arith Deen M u­ hammad, abbracciando l’islamismo sunnita, secondo il quale non vi è alcuna distinzione tra bianchi e neri; mentre i circa ventimila seguaci irriducibili di Farrakhan, ciò che resta del precedente movimento dei musulmani neri, costituiscono una setta troppo limitata nel numero per poter esercitare un’in­ fluenza palpabile sul futuro corso della religione afroamerica­ na. M a nessuna riflessione sulla Religione Americana, sulle varianti nostrane dello gnosticismo e dell’entusiasmo orfico, può prescindere da una seria considerazione delle visioni co­ municate a Elijah M uham m ad, che in quanto a tenacia e a 290

fervore spirituale avrebbe potuto essere il Joseph Smith del x x secolo, se non fosse stato per la svolta provocata in tutta la na­ zione dalla predicazione e dal martirio di M artin Luther King JrAll’inizio vi era un uomo dai molti appellativi: Wali Fard, l’Onorevole M aestro Fard M uhamm ad, Wallace D. Fard Muhammad, il Professor Fard, il signor Wali Farrad o anche, semplicemente, il Profeta. La sua prima apparizione, che risa­ le all’estate del 1930, ce lo mostra nei quartieri neri di Detroit sotto le sembianze di un ambulante arabo; in breve tempo, grazie al suo fascino e alla sua saggezza misteriosa, raduna at­ torno a sé una schiera di seguaci. Per quanto ne so, la sua vera identità non è stata ancora accertata: non si sa con precisione quali fossero la sua nazionalità, la sua razza, l’estrazione so­ ciale né il grado di istruzione; persino sull’età vi sono dei dub­ bi. Il suo magistero profetico durò appena quattro anni, dopo­ diché sembra che Wali Fard sia sparito senza lasciare traccia, non prima di aver affidato la guida del movimento a un suo di­ scepolo, cui aveva imposto il nome di Elijah M uham mad. Co­ stui era dotato di geniali capacità organizzative, mentre insi­ steva, a quanto pare a ragione, ad attribuire ogni elaborazione dottrinale al suo maestro Fard, senza dubbio una figura profe­ tica di spicco nel panoram a americano, che si apprezzi o meno la sua opera. Fard andava ripetendo che era arrivato dalla Mecca, la città santa, allo scopo di recuperare i «cosiddetti ne­ gri» alPIslam, ovvero alla fede degli antenati. Aggiungeva an­ che che la sua vera natura e il suo rango sarebbero stati rivela­ ti solo più avanti nel tempo, e questa epifania ebbe luogo sol­ tanto dopo la sua definitiva dipartita, quando Elijah M uham ­ mad proclamò che il suo maestro, non più presente, era stato lo stesso Allah. Il documento più notevole che mi sia capitato di leggere su Fard è opera di Wallace D. M uham mad, così chiamato in onore del maestro, il quale ha cercato di smitizzare sia la figu­ ra sia la dottrina del maestro di suo padre. Il documento con­ siste in una dichiarazione rilasciata il 19 marzo del 1976, circa un anno dopo la morte di Elijah M uhammad. Ne riporto qui soltanto alcuni passaggi: Gli insegnamenti dell’Onorevole Maestro Elijah Muham­ mad sono molto vaghi riguardo alla persona dell’Onorevole 291

Maestro Fard Muhammad. Egli diceva che era «salvatore», che era «Dio», che era «Dio nella persona del Maestro Fard Muhammad»... La maggior parte degli uomini di chiesa odiava la propria identità senza nemmeno esserne consapevole... E in queste condizioni che il Maestro Fard Muhammad ci trovò all’inizio degli anni Trenta, quando venne in America... Il Maestro Fard Muhammad non è morto, fratelli e sorelle, egli è vivo nel corpo e io parlo con lui ogni volta che mi ritengo pronto a farlo. Non gli parlo in alcun modo misterioso, vado semplicemente al telefono e chiamo il suo numero. Quando si rese conto che il nostro problema consisteva nel­ l’essere già troppo spirituali (troppo assorbiti dalla Bibbia), escogitò un piano. Sapeva che non ci avrebbe convinto se fosse venuto tra noi citando le Sacre Scritture. Qualunque cosa ci fosse stata portata, poco importava da chi, non avrebbe potuto essere più grande della forza spirituale che già noi possedeva­ mo... Quando si trova un popolo che è completamente morto, non ci si accosta a esso con argomenti spirituali. Ci si può accostare a una società socialmente ed economicamente vitale per edu­ carla ai valori spirituali («il paradiso»), ma non si può parlare di «paradisi» a una società che ancora concretamente non esi­ ste. Prima di tutto le si dovrà insegnare la concretezza e la ma­ terialità della vita... Il Maestro Fard offrì l’amicizia perché sapeva che l’unico amico nel quale ci identificavamo era l’amico «Gesù». Ci iden­ tificavamo in quell’amico perché le nostre sofferenze erano si­ mili alle sue. Il Maestro Fard volle distogliere la nostra mente da quel Gesù, perché si rendeva conto che fino a quando non fossimo stati in grado di vedere veramente le nostre sofferenze non avremmo potuto fare niente di serio per eliminarle: e fu co­ sì che incomincò a parlarci delle nostre sofferenze. [Afro-Ameri­ can Religious History, a cura di Milton C. Sernett [1985], pp. 414-16) Wallace D. M uham m ad fornisce quindi una sintesi molto chiara degli obbiettivi che Fard era riuscito a raggiungere: «Ci ha formato fisicamente e poi ha instillato in noi il desiderio» (evidente allusione alla natura divina o semi-divina di Fard). Tutto questo costituisce un preambolo all’invito di Wallace M uham m ad a operare una revisione; la grande opera di Fard ed Elijah è compiuta: «Bisogna rimuovere la centralità attri­ buita alla rivoluzione». Queste parole sanciscono la fine dei musulmani neri in quanto movimento di massa, nonché il ri­ torno in seno all’islamismo ortodosso o alla sua variante sun292

nita della maggior parte dei seguaci di Fard e di Elijah Muhammad. Nel nuovo movimento furono ammessi i bianchi, venne esposta la bandiera e l’idea di rivoluzione, che si poteva ancora associare al nome di Malcolm X, fu consegnata ai libri di storia nonostante certe incursioni sui media di Louis Farrakhan in nome di una sua battaglia di retroguardia. Forse Fard era ancora vivo nel 1976, come diceva M uhammad; era­ no passati quarantadue anni dalla sua sparizione, e nessuno sapeva che età avesse nel 1934. Può darsi che il misterioso e sfuggente Fard sia tuttora in vita, in chissà quale luogo, anche se ciò appare poco probabile. Ai tempi circolavano voci che fosse morto nel 1934, nel corso di un sacrificio rituale volonta­ rio compiuto per dare inizio al regno di Elijah: ma anche que­ sta sembra una fantasticheria barocca. Quel che più conta è che il progetto religioso di Fard ha avuto successo: secondo le stime attuali, l’Islam conterebbe negli Stati Uniti quasi sei mi­ lioni di devoti, il che significa che i musulmani sono più nume­ rosi degli ebrei e perfino dei mormoni (sebbene il loro tasso di incremento non sia alto, se lo si paragona all’incessante diffon­ dersi della religione mormone). Da alcune indagini statistiche risulta che un milione di afroamericani, per la maggior parte maschi, sono musulmani sunniti, più o meno vicini alla Mis­ sione musulmana americana dell’imam W arid Deen M uham ­ mad (perché sono questi i nomi attuali del movimento e del suo capo). Fard è senza dubbio rivendicato come il profeta, anche se l’interpretazione estremizzante dei suoi insegnamenti da parte di Elijah M uham m ad conserva importanza soltanto per Farrakhan e i suoi neanche ventimila seguaci all’interno della nazione dellTslam. L’islamismo, nella versione ortodossa sunnita così come in quella fondamentalista sciita, non può essere certo considerato una delle versioni della Religione Americana e non sarebbe entrato nella mia sfera di interesse se non fosse per una specifi­ ca tendenza riscontrabile nel pensiero di Fard e di Elijah: una forma estrema di gnosticismo, che ancora domina nelle posi­ zioni dell’irruente Farrakhan, senza che egli le sappia conferi­ re toni moderati. Farrakhan afferma di aver incontrato nuova­ mente il profeta a bordo di un’astronave nel 1985, dieci anni dopo la morte di Elijah M uham m ad, al preciso scopo di rinno­ vare il suo legame spirituale con il Maestro. Questa afferma­ 293

zione ha contenuto religioso e senza dubbio merita di essere interpretata come tale; manca tuttavia di quell’im pronta case­ reccia che caratterizzava l’immagine di un W arid Deen Muhamm ad nell’atto di sollevare il ricevitore e chiamare Fard. Quel che Farrakhan è deciso a preservare è il mito cosmologi­ co di Elijah, un mito che potrebbe risalire agli insegnamenti di Fard (anche se mai se ne potrà avere la certezza), ma che in ogni caso è stato abbandonato dalla Missione musulmana americana. Il mito, già di per sé antiquato, costituisce una pa­ rodia della Religione Americana né più né meno delle grotte­ sche visioni dei testimoni di Geova o del succo d’arancia della New Age, e merita di essere esaminato in questa luce, pur es­ sendo estraneo al corpo centrale della spiritualità afroamerica­ na, quello che ne fa un paradigm a fortemente attuale per la nazione. Come testo si può scegliere Message to thè Blackman in America (1965) di Elijah M uhammad, una revisione e rielaborazione di un suo lavoro precedente, intitolato The Supreme Wisdom. Il malvagio che troviamo in questi scritti è impersonato da Yakub, padre di tutti i demoni e creatore della razza bianca: I grandi arcingannatori (la razza bianca) furono istruiti da loro padre Yakub, seimila anni fa, affinché andassero predi­ cando che Dio è uno spirito (uno spettro) e non un uomo. Per migliorare il suo popolo (la razza bianca), il signor Yakub inse­ gnò loro a disputare con noi sulla realtà di Dio, rivolgendoci domande sul dove e sul come di quella Prima Entità (Dio) che ha creato i cieli e la terra, cosa che noi, dice Yakub, non siamo capaci di fare. Bene, noi tutti sappiamo che all’inizio c’è stato un Dio che ha creato tutte queste cose, e sappiamo per certo che Lui, oggi, non esiste. Ma sappiamo anche che da quel Dio la persona di Dio è continuata fino a oggi nel Suo popolo, e adesso un’Entità Suprema (Dio) è apparsa tra noi, con la stes­ sa infinita saggezza che occorre per portare un radicale cam­ biamento. (p. 9) L’Entità Suprema è Fard, ai cui insegnamenti Elijah ascrive la storia di Yakub. A proposito di Fard, Elijah dice, per motivi che restano tuttora misteriosi (pp. 24-25), che era stato pro­ cessato e incarcerato nel 1932, espulso da Detroit nel 1933 e successivamente incarcerato a Chicago. Nient’altro ci viene detto sulla sorte del M ahdi, che era Dio. Quel che rimane, co­ me essenza della Suprema Saggezza, è il terrificante elenco 294

delle malefatte del diavolo Yakub, elenco che si sottrae a qua­ lunque tentativo di sintesi. Sarebbe oltremodo difficile citare opere positive o benintenzionate di Yakub, i cui exploit, per come sono descritti nei testi di Elijah M uham m ad, alle volte mi fanno pensare alle ridicole prodezze del Barabba di Chri­ stopher Marlowe, l’eroe negativo di L ’ebreo di Malta. Yakub, la cui vita di malvagità inizia alla Mecca e termina centocin­ quanta anni dopo a Patmo, l’isola di san Giovanni il Divino, possiede quella sorta di superba vitalità demoniaca propria di Barabba, che è stranam ente contagiosa, tanto da informare di sé persino la descrizione di Yakub fornita da Elijah: In Yakub c’erano cose che ti attraggono e cose che ti respin­ gono, e questo anche se il signor Yakub era un membro della nazione nera. Era andato a scuola a quattro anni. Aveva una testa molto più grossa di quelle che si vedono di solito. Quando diventò grande gli altri gli diedero il soprannome di «scienziato testa grossa». All’età di diciotto anni aveva finito di studiare in tutte le scuole e in tutte le università della sua nazione e l’hanno visto predicare e convertire gente per le strade della Mecca... Studiando al microscopio il germe dell’uomo bianco, capì che dentro di lui c’erano due persone, e una era nera, l’altra marrone. Diceva che se fosse riuscito a separarli l’uno dall’altro, avrebbe potuto innestare l’embrione marrone nel suo ultimo stadio, cioè quando è bianco. Grazie al suo sapere poteva fare in modo che il bianco, che aveva scoperto che era più debole del germe nero (che era completamente diverso), governasse per un certo tempo la nazione nera (finché non fosse nato uno più grande di Yakub). (p. 112) Fard, nel caso sia lui l’autore di questa favola assurda, pos­ sedeva un’autentica immaginazione religiosa, del tipo che sempre si ritrova alle origini della religiosità popolare. Yakub è memorabile allo stesso modo irritante e fastidioso del rozzo ma vivacissimo demiurgo gnostico, che bega e imbroglia con la sua falsa creazione. I suoi diavoli popolano l’Europa produ­ cendo tutti quei maschi europei bianchi come la morte tipici della cultura occidentale, che ora appaiono così inaccettabili agli studenti (non-studiosi) del politicamente corretto. Fard (o Elijah) è stato il primo a concepire un embrione di quei miti tanto cari alla marmaglia che popola le accademie e segue la moda del risentimento. Anche al di là delle sue doti di mistifi­ 295

catore, si può capire come mai Farrakhan abbia oggi un suo seguito negli ambienti universitari. M a emerge anche in tutta evidenza il saggio pragmatismo di Walid Deen M uhamm ad, che ha risparmiato ai suoi seguaci i racconti di Yakub. Ritorniamo però alla consolidata tradizione della religione afroamericana nel suo ruolo di paradigma rispetto alla nostra spiritualità in generale, con in più il vantaggio del contrasto, reso possibile dalla ribellione contro la tradizione afro-battista da parte della nazione dellTslam e il suo successivo incanala­ mento nelPislamismo sunnita. Se mi venisse chiesto in quale ambito, nell’America di oggi, si può rinvenire un esempio di autentica poesia devozionale, indicherei i più grandi poeti che ci ha dato la cultura afroamericana, Jay W right e Thylias Moss. Concluderò questo capitolo con qualche breve riflessio­ ne su un componimento di ciascuno dei due, e (intendendo queste riflessioni come prodotto dell’attività di un critico della religione anziché di un critico letterario) mi limiterò a mettere in luce l’interesse che rivestono dal punto di vista spirituale, tralasciando il loro straordinario valore estetico. Nella splen­ dida «The W arm th of Hot Chocolate», inclusa in Rainbow Remnants in Rock Bottom Ghetto Sky (1991), Thylias Moss esordi­ sce presentando se stessa come un angelo al quale sono state appena tagliate le ali: Tutti pensano che spuntino sulla schiena, alcuni arrivano a pensare che le scapole sono tutto quello che rimane all’uomo di una gloria passata, ma a me le ali crescono tra i capelli, una chioma folta che si fa ritta per il volo grazie alla secrezione di sostanze chimiche attivata ogni volta che mi getto da un ponte. Molti angeli si scoprono quando la gente che ha provato il sui­ cidio torna su in alto e sfreccia nell’aria. Anch’io sono uno di questi casi. Siamo semplicemente una specie diversa, non intrinsecamente santa, solo intrinsecamen­ te volante. Chiarita senza ombra di dubbio la sua identità di angelo, l’io narrante di Moss passa alla teurgia, vale a dire al rafforza­ mento di un Dio che ne ha molto bisogno, ancora adesso, dopo una lunga tradizione che contempla un rapporto eminente­ mente personale tra lo spirito angelico, o «calore della ciocco­ lata calda» e un Dio umanizzato, che forse ha bisogno di esse­ re salvato da se stesso: 296

... Non pensa che siano molte le possibilità aperte a lui. Ri­ tengo saggio da parte sua aspettare il momento buono, sebbe­ ne sotto la luna impallidisca fino a farsi tenue riverbero, come il calore della cioccolata calda che si spande nel corpo, una sor­ ta di alone sottocutaneo. Ma confidare in lui implicitamente sarebbe un errore perché così non dovrebbe più meritarsi di es­ sere Dio. Anche la dose di dubbio più piccola, più leggera di una piuma impone a Dio di dimostrare che merita la fede im­ plicita che non posso mai accordargli perché io lo proteggo dal­ la corruzione, da queirautocompiacimento che a volte monta dentro di lui, fratello indistinto e sempre proteso verso di me. Questa bella rivisitazione del Dio afroamericano, audace nella sua figurazione, è l’antitesi del tifo di squadra, e costitui­ sce un autentico atto di conoscenza, degno di rientrare nel no­ vero della migliore poesia religiosa americana, o per meglio di­ re nel novero della poesia della Religione Americana, quella di W alt W hitman, Emily Dickinson, H art Crane. Thylias Moss trasfigura in modo sottilmente elusivo quell’intimo legame con Dio che è stato elemento dominante della tradizione afroame­ ricana, dai tempi dei primi battisti neri fino a Gridalo forte di Baldwin. Consapevole della grande agitazione che vive la no­ stra epoca, la Moss si preoccupa di proteggere il suo Dio dalla corruzione dell’autocompiacimento: problema che affligge quasi tutte le religioni organizzate, siano esse tradizionali o fondamentaliste. Tanto dal punto di vista spirituale che da quello estetico, mi sembra una poesia di cui noi tutti abbiamo bisogno. Concluderò il capitolo con uno dei canti più intensi di Jay Wright, un poeta difficile e di grande potenza immaginifica, la cui arte trae nutrimento da approfonditi studi sulla religione africana. In particolare è la mitologia dogon a far sentire la sua influenza sulla spiritualità di W right, come ora vedremo in «The Eye of God, thè Soul’s First Vision», tratto da Dimensions o f History (1976): Come il signore della fiocina ora io attraverso il mio fiume, per far ritorno sempre ad un inizio, che può essere uno oppure nessuno, sotto le braccia legate strettamente e lo spirito della maschera, io torno a te, 297

per dare un nome, per possedere, per essere posseduto e ricevere un nome, seguendo il movimento dell’occhio di Dio, che sulle vostre più grandi richieste abbasserà le palpebre. La sconsolante possibilità che l’inizio possa «non esserci» oppure le palpebre dell’occhio di Dio che si abbassano sulle grandi rivendicazioni sono due esempi, molto simili tra loro, di quella che DuBois definisce la «doppia coscienza»: la scis­ sione del sé che è elemento integrante dell’eredità culturale afroamericana. L’«io» e il «tu» di W right sono aspetti dello stesso sé, e qui ritorniamo al dilemma centrale della ricerca afroamericana della libertà, che a mio parere oggi, in Ameri­ ca, funge inevitabilmente da paradigm a per ogni operazione analoga. Il sé deve essere libero da se stesso, oppure dagli altri sé? La meta ultima è quella di essere liberi per Dio, qualunque interpretazione si dia di questa libertà, ma il sé va negato den­ tro e per una comunità, del passato o del presente, o viceversa affermato ponendosi al di fuori della comunità? Come DuBois, Jay W right rende più esplicita la domanda e ci lascia soli nella ricerca della risposta. «The Eye of God, thè Soul’s First Vi­ sion» si chiude infatti con una eloquente serie di interrogativi che evocano la grande profondità del legame esistente tra gli afroamericani e il loro retaggio religioso. Chi ha bruciato questa terra? Chi mi ha inviato, a cranio rasato, a sanguinare per i miei signori? Chi ha scelto me per ricostruire quest’occhio di Dio, per decifrare i segni di questa espropriazione? Per infilare, al di là del dolore, questa chiave nella serratura e oggettivare questa gioia?

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16 La religione delle nostre latitudini

Come si presenterebbe una forma pura e internamente coe­ sa della Religione Americana? Nelle pagine di questo libro ho già spiegato che a mio parere le più ammirevoli versioni di questa religione sono quella lasciata incompiuta da Joseph Smith al momento della sua uccisione e quella formulata da Edgar Young Mullins sul finire del x ix secolo. La religione originaria di Joseph Smith è stata piegata dalla Chiesa mor­ mone a un compromesso con la società americana attuale; i battisti del sud moderati, invece, opponendosi alla componen­ te egemonica interna alla Convenzione — i fondamentalisti del Texas — cercano in qualche modo di salvaguardare la no­ zione di competenza delPanima. Qualunque cosa ci riservi il futuro, queste due modalità religiose tipicamente americane continueranno a esistere, però con caratteristiche diverse ri­ spetto agli inizi: indebolita e offuscata quanto a immagine la prima; arroccata sulla difensiva la seconda. Ho cercato di di­ mostrare che entrambe sono degli ibridi molto originali, nei quali motivazioni tradizionali cristiane si sono frammiste a elementi propri dello gnosticismo, dell’entusiasmo e dell’orfismo americani. M a torniamo ora alla domanda cruciale: esi­ sterà, un giorno, quella che potrebbe essere definita la religio­ ne delle nostre latitudini? Porsi un simile interrogativo signifi­ ca addentrarsi in un terreno speculativo che trascende la cono­ scenza storica e nondimeno ne sente la nostalgia. La critica della religione, anche se cerca di bandire ogni no­ stalgia per le certezze religiose, finisce ugualmente per farsi at­ trarre nell’orbita dello spirituale e della sua esperienza, così come la critica letteraria, che non può sfuggire al rischio di far­ si attrarre nell’orbita del testo. Io stesso, che sono uno gnosti­ co senza speranza, sento tutto il fascino dalla gnosi americana che alla speranza non rinuncia, anche là dove il prezzo da pa­ gare sono le fantasticherie aggressive dei mormoni, la solitudi­ 299

ne della componente moderata dei battisti del sud o la doppia coscienza degli afroamericani. Il passaggio da un determinato genere di critica alla critica della religione evoca le ombre e le incertezze di una revisione profonda, un passaggio mentale che fa sorgere in ognuno di noi un interrogativo: Come fare per stabilire un rapporto libero da pregiudizi, o quantomeno individuale, con la verità e con Dio? Come fare per aprire la mia esperienza alle tradizioni della religione? Pochissimi, tra noi, risponderanno a questi interrogativi con la radicalità di Joseph Smith, e ciò è un bene perché nemmeno un paese come gli Stati Uniti potrebbe permettersi un altro Joseph Smith. Al­ la nostra nazione, dal 1800 ai nostri giorni, le nuove religioni non hanno mai fatto difetto. Ce ne saranno sempre troppe, an­ zi, così come ci sarà sempre una sovrapproduzione incessante di evangelisti, affamati di rinascite e revival sempre nuovi. Nessun’altra nazione occidentale, come ho già detto più vol­ te, può essere paragonata alla nostra quanto a ossessione reli­ giosa. La stragrande maggioranza degli americani crede in un Dio, e quasi tutti coloro che di questa maggioranza fanno par­ te sono fermamente convinti che Dio li ami d’un amore perso­ nale e individuale. Sono pochi, tra noi, quelli che credono che la morte sia la fine di tutto, e forse non c’è altra nazione che abbia respinto l’idea della morte con una fermezza compara­ bile alla nostra. La morte, nella letteratura, è la madre della bellezza; la morte, nella vita, è il padre della religione. Chi vo­ lesse negare la validità di questa formulazione, potrebbe ope­ rare un’immediata verifica pratica cercando di dare risposta a questa domanda: se la scienza medica, un giorno, arrivasse a garantire l’im mortalità (di fatto, solo a coloro che potrebbero permettersela), tu, certamente, continueresti a essere una per­ sona religiosa; ma cosa mi dici del tuo vicino di casa? Il mondo e l’Europa in particolare hanno una lunga e dram m atica tra­ dizione di popoli costretti con la violenza ad abbracciare una fede; noi ci siamo comportati meglio, per lo meno fino a poco tempo fa. Quando i popoli fanno delle loro paure una fede, co­ me succede a milioni di americani, in che rapporto con quelle paure dovrà porsi il critico della religione? Come si spiega che nel nostro paese siano così pochi i capolavori nel campo della letteratura di palese ispirazione religiosa? T ra noi quasi non esistono esempi di poesia devozionale, di narrativa o di dram ­ 300

maturgia religiosa che abbiano un qualche valore estetico o una qualche profondità spirituale. Il fondamentalismo, come ho dimostrato, è pervicacemente anti-intellettuale, ma, ahimè, altrettanto si può dire della Religione Americana, in qualun­ que versione essa si presenti. Paura e stupidità possono dare origine a parodie della religione, ma quale sarà il valore intrin­ seco di una fede che in realtà è essenzialmente politica? Pochi enunciati sono altrettanto ambigui di un «Io credo in Dio» o di un «Io amo Gesù», dal momento che il significato generale ad essi sotteso è «Non riesco a vivere perché ho paura di mori­ re», oppure «Il mio vicino non voterà per me» o ancora «Se non otterrò una raccomandazione da parte del Tempio, perde­ rò il mio lavoro» (angoscia, questa, tipicamente mormone). L’antico gnosticismo, con le sue venature di entusiasmo, è stata la più elitaria e negativa delle teologie. La democratizza­ zione dello gnosticismo costituisce il dubbio successo delle ver­ sioni più oscure della Religione Americana. I battisti del sud fondamentalisti e molti mormoni si sono uniti ai pentecostali, agli avventisti del Settimo giorno, ai testimoni di Geova e alla Scienza cristiana nella chiassosa esaltazione di un sé mancan­ te della scintilla, che deride quel che nacque a Cane Ridge. Nella convinzione che molte delle cose descritte in questo libro si possono rinvenire anche nel cattolicesimo e nel giudaismo americanizzati, oltre che in gran parte del protestantesimo tradizionale, mi sento di affermare che la religiosità americana soffre di un’evidente carenza di spessore spirituale. Si possono osservare ovunque, nelle periferie delle nostre metropoli come nella desolazione delle nostre campagne, le conseguenze che paga la società per questa degradazione del sé gnostico a sé egoista e individualistico, e della libertà del credente dagli al­ tri a libertà di asservire gli altri. E tuttavia la paura della morte può essere il prodotto non soltanto della viltà e dell’autoesaltazione, ma anche di una vi­ talità fuori dell’ordinario. Gli Stati Uniti, come ben sanno i nostri scrittori più grandi, sono una nazione viva e vitale al di là di ogni immaginazione, sempre protesa nella ricerca della Benedizione di Yahweh, oppure della Resurrezione e della Vi­ ta di Gesù. Sia la visione di Joseph Smith di un’um anità che procede verso la perfezione fino a diventare essa stessa divina, sia l’esperienza battista di un cammino in compagnia del Gesù 301

risorto, hanno quella profondità di spessore umano e quel pa­ thos spirituale che rendono la Religione Americana un’espres­ sione necessaria della nostra Terra delPImbrunire. La spiri­ tualità afroamericana, nei suoi punti di maggiore intensità, è la più profetica evocazione di quello che potrebbe essere il fu­ turo religioso della nazione. La figura di Gesù si adatta, al­ l’infinito, a incarnare qualunque (o quasi) bisogno o desiderio, sia collettivo sia individuale. Secondo il Vangelo di Giovanni, che è m arcatamente anti-ebraico, la salvezza, se ci sarà, sarà una salvezza dagli ebrei; in gran parte della storia della Reli­ gione Americana, sia bianca sia nera, si assiste alla sostituzio­ ne dell’antica Israele con il Nuovo Mondo. Se davvero esiste, come ho ipotizzato, una Religione Ameri­ cana, allora deve esistere anche una peculiare diversificazione del Dio Americano. Nel corso della storia della civiltà occiden­ tale sono state elaborate concezioni di Dio molto diverse tra loro, e non mi riferisco qui soltanto alle differenze esistenti tra giudaismo, cristianesimo e islamismo, ma anche alle diversità interne a queste stesse religioni. Il Dio antropomorfo dello Yahwista, il primo grande autore della tradizione ebraica, ha molto poco in comune con il Dio della Torah, opera composita risultante dal lavoro di raccolta e di revisione compiuto da un redattore ai tempi di Ezra lo Scriba. I cattolici romani cono­ scono un Dio che ha ben poco da spartire con la nozione di di­ vinità di Giovanni Calvino, e a sua volta il concetto calvinista di deità, che i puritani furono i primi a diffondere in America, ha decisamente poco a che vedere con le concezioni di Dio proprie di quello che oggi, negli Stati Uniti, si definisce prote­ stantesimo. Il Dio della Religione Americana è un Dio esperienziale, co­ sì profondamente interno al nostro essere da giungere a una vir­ tuale identificazione con la parte più autentica (quella più an­ tica e più nobile) del sé. Molto del primo Emerson si muove attorno a questa visione di Dio: È dentro di te che Dio, senza ambasciatore alcuno, ti parla... È Dio in te che risponde a Dio fuori di te, o imprime le sue pa­ role sulle labbra tremanti di un altro. Nella nostra particolare spiritualità, riconoscimenti di que­ sto tipo sono divenuti un luogo comune e hanno suscitato mol­ 302

te critiche, la più illustre delle quali è il lamento innalzato da un tormentato Dietrich Bonhoeffer: «Dio ha concesso al cri­ stianesimo americano di non temere alcuna riforma». Questo mi sembra sostanzialmente vero, ma non lo considero un mo­ tivo di afflizione. Se è vero che la Religione Americana compie duecento anni da Cane Ridge, mi pare sia troppo presto per pensare a una riforma. Il problema teorico non è tanto quello dell’adorazione del sé, bensì della conoscenza di un Dio inter­ no al sé. Non conoscere questo Dio significa vivere il sonno di una vita solo esteriore, nella quale tutto il Nordamerica tra­ scorre il suo tempo sonnecchiando. Un revival neo-ortodosso della riforma protestante è proprio ciò di cui non abbiamo bi­ sogno: ci farebbe ricadere in un dualismo ancora più rigido di quello che abbiamo già sviluppato per nostro conto, e noi sia­ mo particolarmente inadatti a qualsiasi ulteriore accentuazio­ ne del dualismo. Nel libro Tree o f Gnosis (1991) Ioan Couliano, recentemente scomparso, analizza le tendenze dualiste nella religione e nella cultura, dall’antico gnosticismo fino ai tempi nostri. Né la reli­ gione in America, né tanto meno la Religione Americana, for­ mano oggetto di studio in quest’opera, e tuttavia la ricerca di Couliano sul dualismo assume un’immediata e necessaria rile­ vanza per l’oggetto del mio studio. Possono dirsi essenzial­ mente dualisti i principali pensatori religiosi americani? Noi abbiamo avuto pochi pensatori religiosi davvero originali: Jo ­ nathan Edwards, Emerson, Horace Bushnell, William Jam es, e i Niebuhrs. Edwards è vissuto prima della travagliata genesi della Religione Americana a Cane Ridge e tutti gli altri, in modo non sempre coerente, hanno ostentato preferenze mono­ teistiche, quando in realtà erano profondamente dualistici poi­ ché condividevano la convinzione, diffusa a livello popolare e paradigm atica della Religione Americana, che ciò che vi era in loro di più antico e più nobile risalisse a un tempo di molto an­ teriore alla creazione del mondo e delle genti nella loro forma attuale. Questa è la mia accezione del termine dualismo, che non coincide con quella di Couliano in quanto quest’ultimo sottolinea, della posizione dualista, l’idea di una superiorità spettante o al cosmo o al suo creatore. Gli americani invece identificano la superiorità con la priorità, senza dubbio perché siamo l’ultima nata tra le nazioni occidentali, la Terra del­ l’Im brunire della cultura occidentale. 303

A un primo esame, applicando i criteri interpretativi di Couliano, il dualismo religioso americano appare molto poco dualistico. Emerson e i suoi epigoni non ritengono che il mon­ do e il corpo siano il male, non sono degli asceti e in genere si astengono dal vegetarianismo: ci si ricorderà del pasticcio di carne che Emerson soleva consumare a colazione, preparato dalla sua «Asia», la formidabile seconda signora Emerson. Molto emersoniano, invece, è un garbato antinomianismo, e lo stesso vale per quelPimpulso orfico che Couliano postula come una delle fonti del dualismo occidentale. L’orfismo americano o emersoniano, ripeto, si spoglia della nozione che il corpo rappresenti il male e nel contempo ritiene che il Cosmo sia non tanto imperfetto, quanto semplicemente inferiore all’Adamo americano. Quello della Religione Americana pertanto non è un dualismo vero e proprio: si limita a svalutare il contesto, forse in segno di sfida alla grandezza sublime degli spazi ame­ ricani. I seguaci della Religione Americana, siano essi battisti del sud o mormoni, pentecostali o musulmani neri, attribui­ scono un singolare prestigio alle origini, come ben si addice a una religione che ha come principale preoccupazione la priori­ tà o l’assenza di quest’ultima. Ed è appunto qui che troviamo la chiave per comprendere il dualismo religioso americano: l’origine del sé nascosto, quella parte del proprio essere che non ha bisogno della salvezza, è prioritaria rispetto alla natura e risale a Dio, è prioritaria rispetto alla Creazione e risale al Creatore. Gnosticismo e orfismo sono quindi forme di religione analo­ ghe alla Religione Americana, seppur in modo imperfetto, ed è improbabile che si possa scoprire altrove una più stretta ana­ logia. Gli americani hanno da ridire sulla natura, sul tempo, sulla storia, ma mai su Dio o su se stessi. Ciò non è un fatto to­ talmente negativo, come molti moralisti di varie tendenze vor­ rebbero farci credere, dal momento che un simile modo di pensare continua a fare dell’America una repubblica della speranza, almeno sul piano della pura astrazione teorica. Ho già avuto l’ardire di affermare che la Religione Americana, in quanto gnosi, ha molto in comune con il romanzo americano, un genere letterario peculiare che comprende esempi di narra­ tiva assai diversi tra loro, come La lettera scarlatta di Hawthorne e L ’incanto del lotto 49 di Pynchon. Lo gnostico americano in­ 304

traprende una ricerca che ha come finalità quella di trovare il Gesù americano, ed è necessariamente una ricerca interiore. Questo viaggio interiore è destinato ad avere un successo ben maggiore della ricerca senza fine del Gesù storico, che è senza dubbio esistito (anche se su questo abbiamo soltanto la garan­ zia delle fonti cristiane, non essendo a mio parere affidabile nessuno dei passi attribuiti al venerabile storico ebreo Giusep­ pe, che tradiscono interpolazioni cristiane). In ogni caso sulla figura storica di Gesù, a parte la questione della sua effettiva esistenza, abbiamo ben poche certezze, dal momento che tutte le informazioni di cui disponiamo sono palesemente tenden­ ziose. Le meditazioni di Paolo rivestono una grande im portan­ za per la Religione Americana, soprattutto per il fatto che l’at­ tenzione dell’autore non si concentra tanto sulla vita di Gesù, quanto sulla sua morte e presunta resurrezione. La figura del Gesù risorto, per la scarsità di accenni al riguardo contenuti nei Vangeli così come negli Atti degli Apostoli, rimane avvolta nel mistero. Che rivelazioni fece sul Regno dei Cieli in quei quaranta giorni e quaranta notti trascorsi insieme ai suoi di­ scepoli? I testi gnostici, per lo più appartenenti alla scuola valentiniana, e quindi fortemente trasfigurati dall’immaginazio­ ne hanno cercato di dare una risposta a questo interrogativo. La lettura di opere come II Vangelo di Filippo , Il trattato sulla Re­ surrezione, oppure L ’esegesi dell’anima, ci riporta al Nuovo Testa­ mento e alla sua canonica denuncia di quelle idee e opinioni fantasiose secondo le quali la nostra Resurrezione avrebbe già avuto luogo: Evita le chiacchiere profane, perché esse tendono a far cre­ scere nell’empietà. La parola di costoro infatti si propagherà come una cancre­ na: fra questi ci sono Imeneo e Fileto; I quali hanno deviato dalla verità, sostenendo che la resurre­ zione è già avvenuta; così sconvolgono la fede di alcuni. (2 Ti­ moteo, 2:16-18) Ibn Khaldun, morto nel 1406, così riassume le opinioni di Maometto il Legislatore sulla Resurrezione e sul suo nesso con la potenza creatrice di Dio: Egli sarà l’artefice della nostra resurrezione dopo la morte. E questo sarà l’atto finale, a compimento della Sua prima crea­ 305

zione. Se le cose create fossero destinate a dissolversi compietamente, la loro creazione sarebbe stata un capriccio. Esse sono destinate alla vita eterna dopo la morte. Il Corano potrebbe quasi essere chiamato il Libro della Re­ surrezione, tanto era certo M aometto che la creazione non fos­ se stata un capriccio. M a l’autore delPoriginale testo J, lo Yahwista, non sapeva nulla di dottrina, e anche la Bibbia ebraica non è da meno, fino all’apocalittico Libro di Daniele, l’ultima delle Scritture ebraiche. Mosè e i grandi profeti non erano ossessionati dal problema della sopravvivenza indivi­ duale. C ’è però Enoc, assunto in cielo e tram utato nell’angelo M etatron, e poi c’è Elia, ma entrambi non sono stati resuscita­ ti, perché non erano mai morti. C ’era un’Ade ebraica, lo Sheol, dove si finiva se si era rimasti senza una adeguata se­ poltura, e dove i reprobi venivano inghiottiti vivi se avevano osato ribellarsi a Mosè nel deserto. Oppure ci si finiva comun­ que, chiunque si fosse, secondo il lamento di Giobbe. M a nel Libro di Daniele, all’epoca della rivolta dei Maccabei, il biso­ gno di una giustizia ultima diede origine a una profezia estra­ nea all’ebraismo: «Molti che giacciono nella polvere si deste­ ranno, alcuni alla vita eterna». Questa divenne la visione fari­ saica della resurrezione della carne, e anche la visione di quel fariseo che sarebbe divenuto san Paolo. Nel Vangelo di Marco Gesù si schiera con i Farisei e, affermando che Dio è il Dio dei vivi, non dei morti, ispira in san Paolo la fede nella resurrezio­ ne del corpo, inteso come corpo spirituale. In un passaggio particolarmente suggestivo delle Lettere ai corinzi (1, 15:5153) Paolo svela il mistero: Non tutti moriremo [prima del ritorno di Cristo] ma tutti sa­ remo trasformati, in un istante, in un batter d’occhio, al suono dell’ultima tromba; suonerà infatti la tromba e i morti risorge­ ranno incorrotti e noi saremo trasformati. È necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità, e que­ sto corpo mortale si vesta di immortalità. In La città di Dio , Agostino acutamente interpreta il concetto paolino di «corpo spirituale» in termini di corpo individuale, ma «soggetto allo spirito, pronto a offrire un’obbedienza totale e meravigliosa». In questa luce l’immortalità spirituale diven­ ta una questione di autorità, e l’umana riluttanza a obbedire a 306

Dio non costituisce più un impedimento. Qui (come altrove) il pensiero di Agostino risulta particolarmente congeniale a Gio­ vanni Calvino e a tutti coloro che, nel corso dei secoli, ne han­ no seguito gli insegnamenti: ma, come abbiamo visto, la Reli­ gione Americana non è calvinista. Sia E.Y. Mullins, il teologo di tutti i battisti del sud autentici, sia Joseph Smith, hanno so­ stenuto e proposto un’interpretazione di tipo più mistico. En­ trambi questi spiriti eroici hanno infatti associato la figura del Gesù risorto, e insieme a questa la resurrezione del corpo spi­ rituale di tutti gli uomini, all’America. Così facendo si sono in­ seriti nel solco di una lunga tradizione ancora lontana dalPaver raggiunto il suo apice, persino nel caso del calvinismo di­ storto di Woodrow Wilson: «L’America ha avuto l’immenso privilegio di compiere il proprio destino e di salvare il mon­ do». Il nuovo ordine mondiale di George Bush è una ulteriore riproposizione dell’immagine di una Resurrezione promossa dall’America, anche se noi tutti resteremmo stupefatti qualora il nostro non visionario presidente dovesse pronunciare la sconvolgente frase di Wilson: «L’America è stata concepita per essere spirito tra le nazioni del mondo». Lo gnosticismo antico era una religione elitaria, ovvero una semi-religione, mentre l’anomalia della gnosi americana con­ siste nel suo essere fenomeno di massa. Contrasta profonda­ mente con i fondamenti normativi del cristianesimo storico l’i­ dea ossessiva di libertà spirituale propria di decine di milioni di americani, i quali tuttavia non riescono a rendersi conto di quanto poco condividano quella che un tempo era considerata la dottrina cristiana. Persino i mormoni, la cui distanza dal cristianesimo non è meno radicale di quella dell’Islam, si con­ siderano la legittima Chiesa di Gesù Cristo. M a almeno i mor­ moni riconoscono il loro palese elitismo; soltanto a loro, infatti, è riservato il percorso di progressivo perfezionamento che con­ duce alla divinità. Più approfondisco lo studio dei mormoni e rifletto sulla loro peculiare consonanza con la temperie spiri­ tuale americana, più mi convinco che in un futuro non lontano diventeranno la Chiesa istituzionale dell’ovest americano, un po’ come i battisti del sud, che negli stati del sud sono l’equi­ valente della Chiesa cattolica. Independence, nel Missouri, se­ condo Joseph Smith era il luogo ove edificare Sion, ovvero la Nuova Gerusalemme, che sarebbe stata costruita appena pri­ 307

ma del Secondo Avvento di Gesù. Per colmo di ironia Independence è divenuta la Salt Lake City della fazione rivale, quella dei mormoni della «Chiesa riorganizzata», che in ter­ mini numerici sono circa quaranta volte inferiori ai mormoni dello Utah. Quando Brigham Young si mise alla testa della carovana diretta a ovest verso il Grande Lago Salato, Emma, la moglie del profeta, si rifiutò di seguirlo. Con i figli e una mi­ noranza dei seguaci del marito si portò, procedendo a piccole tappe, a Independence, dove Joseph Smith in divenne Profe­ ta, Veggente e Rivelatore e dove i discendenti del profeta, da allora, hanno mantenuto una posizione di prestigio. Se la Nuova Gerusalemme sarà mai costruita, in qualche ameno luogo vicino alla non molto biblica Kansas City, si troverà cir­ condata dai mormoni della «Chiesa riorganizzata» che ancora prestano fede alle dichiarazioni di Emma, secondo la quale Jo ­ seph Smith non avrebbe mai praticato la poligamia, non avrebbe mai proclamato l’esistenza di una pluralità di dei, né mai affermato che i morti dovessero essere battezzati e che noi possiamo diventare degli dei. L’aspetto più paradossale di tutto ciò è che la Religione Americana, che non è altro che un processo di conoscenza, non co­ nosce se stessa. Forse qui sono le ragioni di quell’ironia che, senza soluzione di continuità, accompagna il nostro essere americani, e che sarebbe stata molto apprezzata da Nietzsche: forse siamo una nazione in cui coloro che conoscono non sono nella condizione di conoscere se stessi. Il «Canto di me stesso» di W alt W hitman è il nostro maggiore poema, l’epica della no­ stra nazione: ebbene, in quest’opera il «me stesso» si rivela in­ conoscibile, perché i suoi modelli sono sia l’antico orfismo sia la spiritualità afroamericana, dove il «vero me» o il «me stes­ so» (il «piccolo me» degli africani) occupa un posto a sé e non può mai essere conosciuto. E con grande tristezza che Joseph Smith, nel suo discorso per King Follett, si rivolge ai suoi di­ scepoli e seguaci dicendo che loro non lo conoscono, poiché si è reso conto, nel suo inesorabile procedere verso il martirio, di quanto sia limitata la conoscenza che lui stesso ha del suo spi­ rito interiore. La Religione Americana non trova la sua sintesi nel cristiano «credere che», e nemmeno nel giudaico «aver fe­ de in»; è un processo di conoscenza, e come tale ha giustamen­ te scandalizzato la coscienza protestante di D.H. Lawrence, 308

che giudicava osceno un simile processo cognitivo quando lo incontrava in autori rappresentativi dello gnosticismo ameri­ cano come Poe e Melville. Suppongo che sia la sensazione di un ritardo culturale, sto­ rico e religioso, inevitabile in questa Terra dellTm brunire che è l’America, a costituire uno stimolo a conoscere, piuttosto che a credere o ad avere fede. L ’urgenza del nostro comune impul­ so di conoscere, rendendo inautentico il protestantesimo euro­ peo nel contesto della nostra cultura, che pure si professa pro­ testante, in questi due ultimi secoli ci ha spinti incessantemen­ te verso la gnosi. Ancora mi meraviglio di come questo cam­ biamento abbia riguardato un numero di individui molto maggiore di quanti potesse fornirne una qualsiasi élite. Già una generazione prim a che Emerson raggiungesse la m aturità spirituale gli uomini della frontiera vivevano una colossale epifania della gnosi a Cane Ridge. La loro estasi non fu più collettiva dei rapimenti estatici vissuti a Woodstock; sia nell’a­ bitante del Kentucky che si mette a latrare, sia nell’hippy che manifesta una gioiosa armonia con il cosmo, vi è una forte componente di individualismo e di solitudine. L’estasi orfica americana non ha mai avuto tratti dionisiaci, in quanto la li­ bertà propria dei rituali bacchici è libertà di fondersi comple­ tamente con gli altri. L’estasi orfica americana è solitaria, per­ sino quando richiede la presenza degli altri a fare da cornice plaudente al trionfo del sé. Il nostro padre W alt W hitman, no­ nostante tutta la pubblicità che di se stesso ha fatto e nono­ stante le dogmatiche rivendicazioni degli ambienti gay, sem­ bra non aver mai abbracciato altri che se stesso. Sul piano umano la religione delle nostre latitudini è carat­ terizzata da una certa freddezza. I nostri deliri mistici sono centrati su noi stessi o sul Gesù risorto; la Religione America­ na assume la croce solo in quanto emblema del Dio risorto, non dell’uomo crocefisso, quando addirittura non la rifiuta (i mormoni, per esempio, non accettano il simbolo della croce). I pentecostali e molti altri seguaci di varie sette, bianchi e neri, sentono una sorta di mistica violenza quando lo Spirito entra in loro: una violenza che in America può essere assimilata con molta facilità alla violenza quotidiana, che è l’aspetto tutto sommato prevalente della vita sia nelle nostre città sia nelle nostre campagne. La Religione Americana non è di per sé vio­ 309

lenza, ma accade di frequente che i due termini si confondano, e senza dubbio il nostro è un processo di conoscenza più spes­ so violento che pacifico. È improbabile che una religione del sé sia una religione di pace, dal momento che il sé americano ten­ de a definirsi attraverso il suo antagonismo rispetto agli altri. Se il tuo processo di conoscenza in ultima analisi sancisce che sei al di là della natura, avendola preceduta nel tempo, i tuoi atti naturali non avranno alcuna implicazione negativa né po­ sitiva sul tuo essere. Non c’è da stupirsi, allora, se i seguaci della Religione Americana ritengono che la salvezza, una vol­ ta conseguita, non possa più loro sfuggire, indipendentemente dalle azioni compiute. Noi esportiamo all’estero la nostra cul­ tura, quella popolare e quella alta, e lo stesso vale in modo sempre più evidente per la nostra Religione Americana. Se si dimostrerà che Woodrow Wilson era nel vero, e che la missio­ ne degli Stati Uniti è incarnare lo spirito tra le nazioni del mondo, il x x i secolo assisterà a un ritorno su larga scala delle guerre di religione.

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Coda: un nugolo di testimoni

Lo scomparso Walker Percy e il suo illustre esegeta Cleanth Brooks hanno individuato nello gnosticismo la maledizione dell5America protestante. Personalmente non condivido la lo­ ro valutazione; d’altronde non sono nemmeno interessato a so­ stenere la tesi opposta, cioè che il nostro peculiare sincretismo di gnosticismo, entusiasmo e orfismo abbia di per sé un inesti­ mabile valore spirituale. D ’altra parte, mi sembra che la cele­ brazione della nostra fede nazionale, invadente, esuberante e soltanto parzialmente dissimulata, non sia poi più utile di una critica svalutativa. Un assioma fondamentale della critica del­ la religione dev’essere il seguente: Non esiste l’accidentale. U na generazione dopo la Rivoluzione Americana, la Religione Americana ha dato i primi gioiosi segni di vita a Cane Ridge, dopodiché per tutto il secolo successivo non ha smesso di di­ versificarsi nelle sue innumerevoli forme. Sebbene nella mia trattazione mi sia limitato alle confessioni e alle sette originali americane (i mormoni, i battisti del sud - sia quelli della cor­ rente moderata o «senza credo», sia quelli della corrente fon­ damentalista più rozza -, i culti afroamericani in generale, e poi ancora i pentecostali, gli avventisti del Settimo giorno, i te­ stimoni di Geova e la Scienza cristiana), molti degli elementi costitutivi di quella che io definisco Religione Americana assu­ mono, tra i metodisti, i presbiteriani, i congregazionalisti, gli episcopaliani e le altre confessioni tradizionali, la stessa rile­ vanza che possiedono per i battisti del sud e i mormoni. In America tra cattolici, luterani ed ebrei vi possono essere delle divergenze in merito alle convinzioni fondamentali riguardo al rapporto tra l’umano e il divino, ma quasi tutti gli altri cre­ denti sono in realtà seguaci della Religione Americana, che ne siano coscienti o meno. Certe convinzioni di fondo, radicate ma inconsapevoli, sono molto più interne a un discorso di fede di quanto non lo siano dei chiari precetti dottrinari, quanto 311

meno tra la grande massa dei protestanti del nostro paese, che essi rappresentino o no un nugolo di testimoni. Un paese popolato da fanatici religiosi che si accinge a en­ trare nelPultimo decennio del x x secolo è destinato, senza al­ cun dubbio, a vivere un’epoca densa di avvenimenti prima che il secolo abbia termine e il futuro si trasformi in presente. Le elezioni politiche dell’anno 2000 daranno spunto a tutta una serie di previsioni e presagi di natura religiosa, forse la più nu­ trita dell’intera storia americana. La suggestione millenaristica è sempre stata, fin dalle origini, molto forte nel nostro pae­ se; una volta avevamo un antesignano di George Bush che profetizzava profondi sconvolgimenti sociali, ma quello era un amabile swedenborghiano di centocinquanta anni fa, un uomo che leggeva libri. La lettura non è un’attività consona all’era di Reagan e Bush, e l’estemporaneo entusiasmo dimostrato da Reagan per l’estasi falwelliana non mi convince ad augurarmi che il presidente Bush passi le sue nottate a leggere l’Apocalis­ se. La Religione Americana, da sempre millenaristica, ben presto coinvolgerà noi tutti in un clima di trepidante attesa della fine. Gli aneliti millenaristici più autentici e agghiaccianti si sono manifestati dopo la Rivoluzione, e perdurano ormai da più di duecento anni. Il millenarismo non è mai stato una piacevo­ lezza, come la lettura di The Pursuit o f thè Millennium (seconda edizione, 1961) di Norman Cohn dimostra ampiamente. I pro­ testanti del x v i secolo erano fermamente convinti, in ogni par­ te d’Europa, che il corso della storia um ana era già stato pro­ fetizzato, in modo oscuro ma definitivo, nel Libro di Daniele e nell’Apocalisse. All’inizio del x v n secolo i pensatori prote­ stanti ritornarono al credo dei primi cristiani, secondo i quali Cristo sarebbe ritornato non solo per porre fine ai tempi, ma anche per dare inizio al millennio, una terrena età dell’oro che avrebbe preceduto l’apocalisse, ovvero il giudizio finale. Con il diffondersi dell’illuminismo europeo quest’aspettativa prote­ stante finì per identificarsi con l’idea di progresso (un procedi­ mento analizzato da Ernest Lee Tuveson nel suo Millennium and Utopia [1949]). I profeti ebraici avevano lasciato in eredità ai protestanti tutta una serie di visioni della fine, la più importante delle quali tratta dal Libro di Daniele (7:13-14), dove si legge che 312

«uno simile a un figlio di uomo» discenderà dal cielo sulla ter­ ra per esercitare «un potere eterno che non tram onta mai». Il Nuovo Testamento ha ipotizzato invece un potere più limitato nel tempo, dal momento che, come predica l’Apocalisse, Cri­ sto imprigionerebbe il dragone soltanto per mille anni, passati i quali esso sarebbe di nuovo libero di combattere ad Arm a­ geddon e di venire annientato, rendendo così possibile la re­ surrezione dei morti e il Giudizio Finale. Un nuovo paradiso, una nuova terra e una nuova Gerusalemme, sposa dell’Agnel­ lo di Dio, verrebbero dunque a prendere il posto della realtà della Caduta per l’eternità. Se da un lato una tale visione è stata congeniale al temperamento protestante, dall’altro essa ha costituito un problema particolare per la Chiesa cattolica romana, almeno fino a quando sant’Agostino non ha dato del millennio una interpretazione allegorica che lo trasformava nel regno spirituale già istituito dalla Resurrezione di Gesù. La soluzione proposta da Agostino aveva il pregio di eliminare un’infelice conseguenza di questa visione, secondo la quale Roma, definita nell’Apocalisse come la meretrice Babilonia, avrebbe persistito nel suo ruolo: ruolo che da quel momento solo la visione degli eretici non ritenne cancellato. M algrado ciò la fioritura di eresie non si è mai interrotta, finché la rifor­ ma non ne ha sancito il trionfo. Non fu un eretico, ma Gioacchino da Fiore, un dotto mona­ co cistercense, ad assumere temerariamente, nel x n secolo, il testo dell’Apocalisse come base di una nuova profezia incen­ trata sul succedersi di tre fasi storiche distinte: quella del Pa­ dre (da Adamo alPIncarnazione), quella del Figlio (cioè il pre­ sente), e quella della perfezione futura, quando cioè si sarebbe instaurato il regno dello Spirito Santo. I discepoli di Gioacchi­ no, dopo la sua morte, incominciarono a immaginarsi questa terza età come un regno di purezza spirituale, redento sia sul piano sociale sia sul piano politico, e pertanto mondato dagli errori della Chiesa romana stessa. M a gli incitamenti dei gioachimiti, sebbene non siano mai cessati, non sono stati abba­ stanza forti da spingere i cattolici su posizioni millenaristiche. Esse sono rimaste prerogativa dei movimenti ereticali o della tradizione protestante, dagli anabattisti tedeschi del x v i seco­ lo fino alla rivoluzione di Cromwell in Inghilterra, per poi tro­ vare la loro espressione più compiuta nella Rivoluzione Ame­ 313

ricana. La profezia del Nuovo Mondo, da Colombo fino agli odierni entusiasti della New Age, identifica l’America con la terra del millennio. Di fronte a Ferdinando e Isabella Colom­ bo asserì di essersi ispirato a Isaia (11:10-12) nel tracciare l’iti­ nerario del suo viaggio, e questa dichiarazione del navigatore viene riproposta in II ponte (1930; ed. ital. 1966), il romanzo dell’epica americana scritto da H art Crane. Amerigo Vespucci, scrivendo a Lorenzo de’ Medici, parlava delle terre che da lui avrebbero avuto il nome di America come di un Nuovo Mondo. Le implicazioni più profonde di questo elemento di novità rappresentato dalPAmerica riceveranno piena consa­ crazione intellettuale solo grazie a Emerson, ma sul piano teo­ logico e politico le si ritrova già nelle tendenze millenaristiche che percorrono le confessioni protestanti che appoggiarono con più vigore la causa dei ribelli nel corso della Rivoluzione Americana: i battisti, i congregazionalisti e i presbiteriani, più che gli anglicani, i quaccheri, i metodisti e i luterani. Nono­ stante gli sforzi di Lutero e Calvino, volti a conservare agli aspetti millenaristici di cui si era appropriato sant’Agostino la loro funzione di baluardo dell’ortodossia, nello schieramento di sinistra della rivoluzione cromwelliana si iniziò a esaltare la Luce Interiore che guidava il lettore individuale della Bibbia e, in virtù di quella luce, il Libro di Daniele e l’Apocalisse fa­ cevano presagire una nuova età settaria in un Nuovo Mondo. Quella del Grande Risveglio degli anni intorno al 1740 può essere benissimo una finzione degli storici costruita su di una interpretazione retrospettiva: tuttavia pare che qualcosa di si­ mile si sia effettivamente verificato facendo affiorare in super­ ficie le aspettative millenaristiche americane, e probabilmente contribuendo a fomentare lo scoppio della Rivoluzione Ameri­ cana. Quando Jonathan Edwards, che rimane il nostro più eminente teologo, nel 1740 invitò l’evangelista inglese George Whitefield a Northampton, lo fece in un clima di grandi spe­ ranze: il Millennio sarebbe iniziato molto presto, e con ogni probabilità in America. Indipendentemente da quali e quanti aspetti revivalistici si possano cogliere nella Rivoluzione Ame­ ricana, è fuor di dubbio che gran parte della retorica pre-rivoluzionaria, negli anni intorno al 1770, fosse di natura millenaristica. E tuttavia non possiamo definire la Rivoluzione Ame­ ricana una guerra di religione, dal momento che la Religione 314

Americana propriamente intesa non era ancora nata, e forse non avrebbe mai visto la luce se non fosse stata preceduta dal­ la democrazia e dalla repubblica. Le nostre guerre di religione hanno avuto inizio con la guerra civile e ancora non sono fini­ te, trasformando le nostre sette e i nostri culti, che avrebbero potuto essere «un gran nugolo di testimoni», qualcosa di mol­ to diverso da ciò che essi continuano a sperare di essere. Alcune di queste confessioni nutrono aspettative e speranze molto diverse da quelle professate apertamente, almeno di fronte al resto della nazione. Torno ancora una volta a riflette­ re, in queste pagine conclusive, sull’alleanza strana, e certamante tacita, stabilitasi tra due istituzioni molto lontane tra loro quanto a ispirazione religiosa: la maggioranza fondamen­ talista dei battisti del sud, che controlla la Convenzione, e la Chiesa mormone. Nessuna delle due sarebbe disposta ad am ­ mettere l’esistenza di questo accordo, che tuttavia costituisce il nucleo di una coalizione instabile ma potenzialmente perico­ losa di seguaci della Religione Americana, grazie alla quale viene garantita la continuità del potere di dinastie come quella di Reagan e Bush. Proprio mentre scrivo (metà agosto 1991) il Dipartimento di Giustizia del presidente Bush si è schierato a fianco dei militanti (dei violenti, anzi) intruppati nella cosid­ detta Operazione salvataggio che nel Kansas, a W ichita, ha portato all’assalto di diverse cliniche dove si pratica l’aborto. E vero che il presidente Bush ha esortato i manifestanti a esse­ re più civili e garbati nelle loro proteste, ma è altrettanto vero che il suo intervento (denunciato dal giudice della Corte fede­ rale di distretto, che la folla sfida apertamente) se non è in li­ nea con la Costituzione, lo è però con la Religione Americana. Ancora una volta il presidente Bush sventola la bandiera da una parte e il feto dall’altra, riproponendo in tal modo alcune delle più oscure conseguenze derivanti dalla tendenza gnostica della religione delle nostre latitudini. I manifestanti di W ichita sono il consueto miscuglio di aficionados delle Operazioni salvataggio: pentecostali «diretti emissari dello Spirito Santo», suore e preti cattolici, fonda­ mentalisti di varie tendenze nonché seguaci di nuove sette an­ cora tutte da scoprire. Sul «New York Times» del 12 agosto 1991 è riportata in prima pagina la dichiarazione di una mani­ festante: «Sono sorpresa che Dio non abbia ancora permesso a 315

un’altra nazione di prendere il nostro posto», naturalm ente come punizione divina per i nostri crimini contro il feto. Q ue­ sti «guerrieri della preghiera», indipendentemente da quelli che saranno i provvedimenti adottati nei loro confronti dalla Corte federale di Wichita, sanno che il presidente Bush, il lea­ der spirituale della nazione, è schierato al loro fianco. Non vorrei che queste mie parole suonassero ironiche, dal momen­ to che il Dipartimento di Giustizia ha fatto causa comune con loro, e in questa luce le proteste di W ichita assumono un signi­ ficato da non sottovalutare. Siamo molto vicini a essere gover­ nati da una religione istituzionalizzata a livello nazionale, da una parodia suprema della Religione Americana quale è stata delineata in questo libro. La Chiesa ufficiale del sud e del sudovest, cioè la Convenzione dei battisti del sud, e i mormoni, che sempre più si avviano a divenire la Chiesa ufficiale del­ l’ovest, sono soltanto due componenti di una multiforme coali­ zione che entro il 2000 cambierà il volto della nostra nazione, grazie alla leadership di un Partito repubblicano che, a partire dal 1979, si è proposto come la versione vagamente laica della Religione Americana. La crociata anti-abortista raggiungerà i suoi scopi, a dispetto della volontà del sessanta per cento degli americani, grazie alle decisioni della Corte Suprema, docile strumento nelle mani di presidenti come Reagan e Bush, e questo potrebbe essere solo l’inizio di una trionfale e grottesca mobilitazione delle coscienze nel nome della Religione Ameri­ cana, nell’ultimo decennio del x x secolo. Come mai tanti americani, in modo particolare dal 1980 a oggi, hanno votato contro i loro stessi interessi economici, an­ che quando erano molto palpabili? Vi è certo una motivazione patriottica, come hanno palesato le vittorie su Grenada e la Libia durante l’amministrazione di Reagan, e su Panam a e l’Iraq durante quella di Bush. M a la dimensione religiosa di quelle campagne militari era sufficientemente chiara, e non sono state certo le imprese eroiche di Bush a provocare la sua successiva caduta di prestigio presso l’opinione pubblica. So­ no incline ad attribuire alle intuizioni politiche del segretario di stato Jam es Baker, il grande stratega dei repubblicani fin dal 1979, il merito di avere reso a tutt’oggi imbattibile il Parti­ to repubblicano di cui è membro l’attuale presidente: coglien­ do al volo il parallelismo tra la conquista dell’egemonia al­ 316

l’interno della Convenzione dei battisti del sud da parte dei suoi amici texani e la presa del potere, di poco successiva, dei reaganiani all’interno del Partito repubblicano, Baker si è as­ sociato a questi ultimi per la campagna presidenziale del 1980. Nel contesto della Religione Americana il potere non è che una forma alternativa di gnosi, una diversa modalità di cono­ scenza, il cui dato più immediato è la necessità di superare quel potere prettam ente laico che è il portato della Rivoluzio­ ne Americana. Se è vero quel che ho ipotizzato, cioè che la Re­ ligione Americana ha avuto origine durante la generazione immediatamente successiva alla Rivoluzione, il fatto che due secoli più tardi una versione tardiva della nostra fede naziona­ le si ponga l’obiettivo di cancellare le nostre origini laiche co­ stituirebbe una inquietante ironia della storia; e noi, il nugolo di testimoni, faremmo fede al trionfalismo dei nostri sciamani della politica.

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Ringraziamenti

Ho un debito di riconoscenza verso Robert Bender e An­ drew Attaway, rispettivamente direttore editoriale e redattore di Simon & Schuster che si sono occupati del mio libro; verso Glen Hartley e Lynn Chu, agenti letterari, e verso coloro che mi hanno assistito in questa ricerca: Joy Beth Lawrence, M i­ chael Dietz, Anne Blue, David Daily, Daryl Calkins, Jennifer Wagner, Scott Gunn e M artha Serpas. Il mio debito di riconoscenza più grande non può essere di­ chiarato. Il ministro del culto battista del sud che mi ha assi­ stito nella stesura dei tre capitoli riguardanti tale confessione religiosa ha preferito, senza dubbio saggiamente, non far com­ parire il suo nome in questo libro. Le affermazioni da me attri­ buite alla persona che ho scelto di chiamare reverendo John Doe, tuttavia, non sono frutto di una mia elaborazione. Mie sono le interpretazioni dei suoi giudizi, non sempre da lui con­ divise. Harold Bloom 1° settembre 1991

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Glossario

Anabattisti. Designazione collettiva di vari gruppi che rifiutavano di far battezzare i loro bambini e ristabilirono il battesimo dei cre­ denti, ossia degli adulti consapevoli. I principali gruppi anabattisti, quelli di Thomas Münzer e dei profeti di Zwickau, comparvero a Wittenberg nel 1521. Gli anabattisti subirono poi forti persecuzioni. Alcune comunità, guidate da Jacob Hutter, trovarono asilo in Mo­ ravia e più tardi negli Stati Uniti. Attualmente, discendenti degli anabattisti possono essere considerati i mennoniti, che prendono il nome da Menno Simons (1496-1561), che riunì gli anabattisti «mo­ derati». I mennoniti sarebbero oggi alcuni milioni, di cui 350.000 negli u s a . Antinomismo. Concezione secondo la quale i cristiani sono liberati dalla Grazia dalla necessità di seguire una legge morale. Assemblee di Dio. Cfr. pentecostalismo. Avventisti. Questa denominazione riunisce diversi gruppi religiosi caratterizzati: 1) dal condizionalismo (che nega l’immortalità del­ l’anima ma ammette la resurrezione finale per i soli giusti); 2) dal sa­ batismo (che considera il sabato, e non la domenica, il giorno del Si­ gnore); 3) dalla posizione da loro assunta rispetto al significato da attribuirsi alla grande delusione del 1844. Fra questi gruppi si distin­ guono gli avventisti evangelici (che ritengono la data del 1844 frutto di un errore di calcolo), i cristiano-avventisti (condizionalisti ma non sabatisti) e gli avventisti del Settimo giorno. Avventisti del Settimo giorno. Gli avventisti del Settimo giorno, condizionalisti e sabatisti (cfr. avventisti), sono gli eredi di William Miller. Hanno adottato la denominazione attuale nel 1861 per indi­ care l’osservanza del sabbath (il Settimo giorno). Hanno il culto del­ le testimonianze ispirate a Ellen White dallo Spirito della profezia. La loro dottrina è esposta nelle Trentasei tesi del 1957. La Chiesa avventista contava nel 1985 cinque milioni di membri ed era impegna­ ta in una vasta attività di proselitismo nel Terzo Mondo. Bates, Joseph (1792-1872). Comandante di vascello in pensione, nel 321

1861 fece adottare agli avventisti del Settimo giorno il sabbath, sul mo­ dello dei battisti del Settimo giorno. Battisti. Uno dei più grandi raggruppamenti protestanti; i battisti sono organizzati in circa 120 convenzioni o unioni di chiese indipen­ denti, che raccolgono più di 30 milioni di battezzati, in grande mag­ gioranza negli u s a . Si considerano una denominazione e non una Chiesa e si possono suddividere in cinque raggruppamenti principa­ li: battisti del sud fondamentalisti, battisti del sud moderati, battisti del nord, battisti del Canada, battisti afroamericani. Credono nella «Competenza dell’anima», ossia nella sua possibilità di accesso di­ retto a Gesù senza mediazioni di sorta, e fanno risalire la loro origine più antica alla Chiesa cristiana primitiva dell’antica Israele, ossia a Giovanni Battista, mentre per le loro origini in epoca moderna si ri­ fanno a John Smyth. In America la prima chiesa battista fu stabilita da Roger Williams a Providence, Rhode Island, nel 1639. Furono per­ seguitati fino al 1691 per il loro rifiuto di battezzare i bambini. Battisti del sud. La prima Chiesa battista del sud fu eretta nel 1714; quanto ai battisti del sud come denominazione, la loro origine risale agli insegnamenti di Edgar Young Mullins. La Convenzione dei batti­ sti del sud è sorta nel 1845 anche per difendere l’istituto della schia­ vitù, che poteva venire considerato una calamità ma non un peccato. Sono diffusi soprattutto nel sud e nel sud-ovest degli Stati Uniti. Battisti neri del sud. La prima Chiesa nera battista fu fondata a Sil­ ver Bluff, South Carolina, nel 1773-75. I battisti costituiscono la più numerosa denominazione nera. Nel 1895-97 ci fu un tentativo di uni­ re tutti i battisti neri. Cane Ridge (Kentucky). In questa località si tenne nel 1801 un cele­ bre raduno cui parteciparono Barton Stone, James McGready insieme a 25.000 fra presbiteriani, battisti e metodisti, che in stato di estasi revivalista superarono le divisioni reciproche. Cerintiani. Seguaci dello gnostico Cerinto (i secolo d.C.), secondo il quale il mondo non è stato creato dal Dio supremo, ma da un de­ miurgo, e Gesù era soltanto un uomo, finché il Cristo non discese su di lui durante il battesimo per abbandonarlo subito prima della Crocefissione. Congregazionalismo. Forma di organizzazione ecclesiastica, di ori­ gine protestante, fondata sull’autonomia delle chiese locali. Convenzione dei battisti del sud. Cfr. battisti del sud. Criswell, Wallie Amos (1909-). Ministro della Convenzione dei bat322

tisti del sud. Dal 1937 al 1941 è stato pastore della prima Chiesa bat­ tista deirOklahoma. Dal 1944 è pastore della Chiesa battista di Dal­ las. Eddy, Mary Baker (1821-1910). Nata a Bow (New Hampshire), ha fondato la Scienza cristiana nel 1866, dopo aver sperimentato il 4 feb­ braio una guarigione istantanea da una caduta sul ghiaccio avvenuta a Lynn, Massachusetts. La sua concezione religiosa parte dal postu­ lato che Dio è Mente Divina, mentre la materia e tutto ciò che è per­ cepibile coi sensi pertiene a una sostanza imperfetta che oscura la co­ noscenza della realtà suprema dello Spirito. Il suo Scienza e salute (1875) costituisce insieme alla Bibbia il corpo scritturale dei suoi se­ guaci. Edson, Hiram (1806-1882). AlPindomani della grande delusione del 1844 ebbe una visione di Cristo grazie alla quale comprese l’errore di Miller. Cristo non sarebbe sceso sulla terra per purificare il santuario terreno, era solo entrato nella «seconda anticamera» del Sancta sanctorum celeste, per spazzare via i peccati dell’umanità che sarebbe toc­ cato a Satana espiare. Ellen White propagandò la sua visione, fondan­ do il movimento awentista del Settimo giorno. Entusiasti. «Entusiasmo» era un termine molto diffuso nel Seicento, e indicava uno stato in cui si è posseduti da Dio. Gli entusiasti sono assertori dell’elitarismo spirituale, convinti che la Grazia abbia di­ strutto la Natura e vi si sia sostituita, ragion per cui è necessario, nel­ l’attesa dell’imminente avvento di Cristo, instaurare una teocrazia, o governo dei santi, e abbandonarsi all’estasi e al revivalismo. Evangelici. La Chiesa evangelica è una piccola setta protestante, no­ ta anche come «Fratellanza di Albright» dal nome di Jacob Albright (1759-1808) che nel 1803 ruppe con la Chiesa metodista episcopale per fondare in Pennsylvania, nel 1816, l’Associazione evangelica, ribattezzata nel 1922 Chiesa evangelica al fine di riunire all’Associa­ zione evangelica la Chiesa evangelica unita, nata da una scissione nel 1894. Nel 1946 la Chiesa evangelica si è poi unita ai Fratelli uniti in Cristo per fondare la Chiesa dei Fratelli uniti evangelici. Fard, Wallace (Fard Muhammad) (m. nel 1934). Emerge come fi­ gura pubblica nel 1930, dichiarandosi una reincarnazione di «Noble Drew Ali» (Timothy Drew), afroamericano della North Carolina, considerato il padre dei musulmani in America per aver fondato nel 1886 il «Moorish American Science Tempie». Nel 1930 Fard stabili­ sce un tempio a Detroit e nel 1934 a Chicago. In quello stesso anno la leadership musulmana passa a un suo convertito, Elijah Muham­ mad (Robert Poole). Finney, Charles Grandison (1792-1875). La sua attività ha inizio 323

come predicatore presbiteriano. Tra il 1824 e il 1850 è alla guida del revivalismo evangelico in Pennsylvania, movimento di cui viene ri­ conosciuto come una delle figure di maggior spicco. Fondamentalisti battisti. Punto di partenza del loro credo è l’infalli­ bilità della Bibbia. Vedi anche ignoranti del Texas. Fox, George (1624-1691). Fondatore dei quaccheri. Fucina della spiritualità (Burned-over District). Viene così denomi­ nata la regione situata fra i monti Adirondack e il lago Ontario, tea­ tro di vari movimenti revivalisti: dagli shakers ai perfezionisti. Gorwan, Marvin. Televangelista pentecostale. Graham, Billy (1918). Detto il «papa dell’America protestante», è un ministro battista che ha attuato campagne evangeliche mondiali. E diventato celebre col revival da lui organizzato a Los Angeles nel 1949; predica l’imminenza di Armageddon e del Secondo Avvento. Ha tenuto molti programmi radiofonici e televisivi ed è autore di nu­ merosi libri di successo. Grande delusione millerista. Cfr. Miller, William. Ignoranti del Texas (Know-Nothing). Gruppo fondamentalista convinto dell’infallibilità della Bibbia, distaccatosi alla Convenzione battista del sud del 1979, in Texas, e guidato da W.A. Criswell, pa­ store della prima Chiesa battista di Dallas. Kellogg, John Harvey (1852-1943). Inventore dei fiocchi d’avena (che dovevano facilitare l’osservanza delle esigenze dietetiche vege­ tariane della Chiesa avventista) e discepolo di Ellen White, nel 1907 fu espulso della Chiesa avventista per quelle che furono ritenute ten­ denze teologiche panteistiche. Knorr, Nathan (1905). Successore di Rutherford come leader dei te­ stimoni di Geova, in carica dal 1953, quando fu tenuta l’assemblea allo Yankee Stadium. Anche Knorr profetizzò una data per l’Apocalisse, il 1975. Lee, Ann (1736-1787), detta anche Madre Anna. Inglese, fondatrice degli shakers. Dopo la visione del 1770 nel carcere di Manchester, prese a predicare l’astinenza sessuale. Riteneva di incarnare il «prin­ cipio femminile in Cristo», in cui si era avverato il Secondo Avvento. Nel 1774 si trasferì nel New England con i suoi seguaci. 324

Lubavitcher. Ebrei hassidici seguaci del rabbino Menachem M.

Schneerson, da loro ritenuto il Messia.

Marcioniti. Seguaci delPeretico Marcione (il secolo d.C.), secondo il quale il Vangelo predicava soltanto l’Amore, e non la Legge, ragion per cui rifiutava l’Antico Testamento. McGready, James (1758-1817). La sua predicazione ha come sfondo la situazione creatasi dopo la Rivoluzione Americana, con la dissolu­ zione delle Chiese di stato. Preparandosi a diventare un ministro presbiteriano, McGready ebbe una conversione mistica che lo tra­ sformò in un predicatore evangelista. Predicando rigenerazione, fede e penitenza all’inizio dell’Ottocento diede vita al revivalismo. Metodisti americani. Movimento fondato dall’anglicano John Wesley (1703-1791); i metodisti restarono nella Chiesa d’Inghilterra fi­ no al 1797; a questo scisma ne seguirono altri all’interno del movi­ mento metodista. La Chiesa metodista è organizzata in modo presbi­ teriano: l’autorità riposa in una Conferenza composta in misura uguale di laici e religiosi. I primi metodisti arrivarono in America in­ torno al 1760. Nell’Ottocento c’erano una Chiesa metodista del sud e una del nord, che si riunirono nel 1939. Nel 1968 questa si unì ai fra­ telli evangelici, formando la Chiesa unita metodista, che conta oltre 50 milioni di membri nel mondo, di cui 14 negli u s a . Miller, William (1782-1849). Predicatore laico battista dello stato di New York; dalla grande delusione per la mancata fine del mondo (da lui prevista e annunciata prima per il 1843 e poi per il 22 ottobre 1844, quando era stata attesa nei pressi di Rochester) emersero gli avventisti e i testimoni di Geova. Montano di Frigia. Cfr. montanisti. Montanisti. Nel il secolo d.C., insieme a Prisca e Maximilla, Mon­ tano predicò in Frigia l’imminente discesa dello Spirito Santo, dando origine a un movimento di rigoroso ascetismo. Moonies. Seguaci del coreano Sun Myung Moon (1920) che nel 1946 fondò la Broad Sea Church in Corea e fu poi incarcerato per anticomunismo (1946-50). Nel 1954 fondò la Chiesa dell’unificazio­ ne basata sui dogmi della Creazione, Caduta e Restaurazione, quan­ do Gesù salvatore tornerà a compiere la sua opera. Dal 1971 risiede negli Stati Uniti. Mormoni. La setta dei Santi dell’Ultimo giorno venne fondata da Jo­ seph Smith a Fayette, New York, nel 1830. La loro sede fu spostata a Salt Lake City, Utah, nel 1847, al termine di un leggendario esodo 325

(immortalato tra l’altro dal film di John Ford, La carovana dei mormo­ ni). Segnati dallo stigma del matrimonio poligamico, i mormoni di­

vennero un vero e proprio popolo a sé. Col manifesto del 1890 rinun­ ciarono formalmente alla poligamia e a tutto quanto li mettesse in conflitto con la legge dello stato federale. Si sono scissi in centinaia di sette minori. Nel 1985 la Chiesa mormone contava quasi sei milioni di membri e 30.000 missionari a tempo pieno. Mullins, Edgar Young (1860-1928). Teologo, esponente del battismo del sud, autore di lhe Axioms of Religion (1908) in cui ha formula­ to la dottrina della «competenza dell’anima», che rifiuta qualsiasi in­ terferenza nel rapporto diretto fra Dio e l’individuo. Musulmani neri. Movimento che deve le sue origini a W.D. Fard, che fondò a Detroit il primo Tempio dell’Islam, al suo seguace Elijah Muhammd (1896-1975) ed ebbe fra i suoi leader Malcolm X (19251965), che fondò la Moschea di Filadelfia e predicò la separazione fra i bianchi e neri. Neorestaurazionismo. Movimento nato all’inizio dell’Ottocento sulla frontiera americana, ebbe come leader Barton Stone (1772-1 1844) e Thomas Campbell (1773-1834). I suoi seguaci rifiutano ogni etichetta più specifica, e si definiscono semplicemente cristiani. Si prefìggono un ritorno alle origini e una restaurazione del cristianesi­ mo dei tempi apostolici. L’unico testo da loro riconosciuto è il Van­ gelo, e praticano il battesimo per immersione. All’inizio di questo se­ colo si sono divisi in tre branche principali. New Age. Con questo termine viene indicata una corrente di pensie­ ro genericamente religiosa diffusa soprattutto in California. Si rifa alle personalità più disparate: Shirley MacLaine, Ralph Waldo Tri­ ne, Norman Vincent Peale, Emmet Fox, Anne Morrow Lindbergh, Thomas Merton, Pierre Teilhard de Chardin, Aldous Huxley, J. Khrishnamurti, Cari Gustav Jung. Noyes, John Humphrey (1811-1886). Organizzatore di comunità di perfezionisti simile a quella di Oneida, New York, del 1848 (dissolta nel 1880). Riteneva che il Secondo Avvento si fosse già verificato nel 70 d.C., anno della distruzione del Tempio di Gerusalemme ad ope­ ra dei romani, e che i Santi dovessero quindi vivere nella perfezione praticando rapporti sessuali improntati alla continenza maschile e alla poligamia vista come rifiuto della possessività monogamica che limita l’amore. Ozman, Agnes. Cfr. Parham, Charles Fox. Parham, Charles Fox (1873-1929). Nel 1898 lasciò la Chiesa meto­ dista episcopale per fondare, il 1° gennaio 1901, una comunità a To326

peka, Kansas, dove guidò i suoi seguaci della Scuola biblica della santificazione a una celebrazione estatica del Battesimo nello Spirito Santo. In questa occasione Agnes Ozman prese a parlare speditamente in cinese, lingua che ignorava. Dopo questo evento Parham diffuse il pentecostalismo e nel 1905 fondò una scuola biblica a Hou­ ston, Texas. Il nome di Parham ha cessato di essere pronunciato nel­ le storie dei pentecostali a partire dal 1906, anno in cui, deluso da quanto aveva visto nella comunità di Los Angeles, aveva rotto con

Seymour:

Pentecostalismo. Le origini del movimento risalgono al raduno di Cane Ridge, all’opera di Charles Fox Parham e di William Seymour e al convegno di Hot Springs, Arkansas, dell’aprile 1914, dove i pentecostalisti cominciarono a fondare le Assemblee di Dio. Centrale è l’e­ sperienza della conversione e dt\Yentusiasmo evangelico. Attendono la salvezza dalla discesa del Paraclito, e nelle loro cerimonie lo Spirito discende sui fedeli mescolandosi a loro. È molto diffuso fra i neri. Perfezionisti della Fucina della Spiritualità. Nel 1835 una perfezio­ nista, Lucina Umphreville, teorizzò l’astensione dai rapporti carnali anche all’interno del matrimonio. Pratt, Orson (1811-1881). Teologo mormone che nel 1860 interpretò la grande statua del sogno di Nabucodonosor (Daniele, 4). Pratt, Parey Parker (1807-1857). Teologo mormone. Presbiterianismo. Forma di organizzazione ecclesiastica in cui la chiesa è governata da un gruppo di presbiteri, o anziani. Quaccheri. Così soprannominati in Inghilterra per avere dichiarato di tremare (quake) davanti a Dio, i quaccheri erano riuniti nella So­ cietà degli amici fondata in Inghilterra da George Fox, che enfatizza­ va l’immediatezza degli insegnamenti di Cristo per seguire i quali non c’era bisogno né di chiese né di un clero. Nel 1682 William Penn fondò la Pennsylvania su base quacchera. Per il loro rifiuto di pagare tasse, prestare giuramenti e mostrare deferenza ai superiori i quac­ cheri furono perseguitati fino all’Atto di tolleranza del 1689. Centra­ le alla loro dottrina è la «Luce Interiore», secondo cui Cristo si rivela per guidare ciascun fedele. I quaccheri non si considerano né cattoli­ ci né protestanti, bensì una terza via indipendente. In America, dove si ritiene risiedono poco più di 100.000 quaccheri, sussistono quattro raggruppamenti, non rigidamente divisi fra loro. Quaccheri shakers. Cfr. shakers. Quietismo. Movimento che nel Seicento raccolse i seguaci delle dot­ 327

trine di Madame Guyon e di Fénelon. I quietisti condannano qual­ siasi sforzo umano e ritengono che la perfezione possa venire rag­ giunta solo nella più totale passività, annullando la volontà e abban­ donandosi a Dio. Questo stato viene raggiunto attraverso una forma di preghiera interiore. Quimby, Phineas Pankhurst (1802-1866). Popolare guaritore di Portland, Maine, che nel 1862 curò con l’ipnotismo Mary Baker Eddy. Credeva in un Gesù guaritore e coniò il termine «Scienza cristiana». Tuttavia i seguaci della Eddy, che rifiutò in un secondo tempo il ma­ gnetismo come cura, negano debiti nei suoi confronti. Russell, Charles Taze (1852-1916). Tappezziere di Pittsburgh che nel 1878, dopo una fase presbiteriana e una congregazionalista, as­ sunse il titolo di pastore e fondò i testimoni di Geova. Sosteneva che il Secondo Avvento sarebbe stato non carnale, ma spirituale, e che do­ po un periodo di prosperità, dal 1874 al 1914, il tempo dei gentili sa­ rebbe finito. I seguaci di Russell si definiscono Studiosi della Bibbia. Rutherford, Joseph F. (1869-1941). Secondo leader dei testimoni di Geova, dal 1917 al 1938, istituì una Società della Torre di Guardia, costituita dai 144.000 eletti cui sono subordinati i non eletti, o jonadab. Nel 1921, con L ’arpa di Dio, iniziò a sostituire agli scritti di Rus­ sell i propri, in cui modificava la dottrina di Armageddon vista non più come una lotta anarchica, ma come una guerra universale. Rifiu­ tò il simbolo della croce, ritenendo che Gesù fosse morto appeso a un palo. Santi delPUltimo Giorno. Cfr. mormoni. Schneerson, Rabbi Menachem (1902). Genero di Rabbi Isaac Schneerson, il quale fu protagonista della rinascita della Lubavitch Hassidism (movimento sorto in Lituania nel 1773) a New York intor­ no al 1940. Scienza cristiana. Si tratta di una Chiesa di laici, priva di sacerdo­ zio, fondata il 23 agosto 1879 a Boston da Mary Baker Eddy. La Chie­ sa di Cristo scientista si pone il fine di ristabilire la chiesa primitiva e il suo potere di guarigione. A Boston viene pubblicato dal 1908 an­ che il quotidiano «Christian Science Monitor». I suoi seguaci riten­ gono che la malattia nasca dall’errore e dal peccato, per questo le lo­ ro cure sono a base di preghiere e meditazioni. I loro testi canonici sono la Bibbia e Scienza e salute della Eddy; il movimento non diffonde alcun dato sulla propria consistenza numerica. Seymour, William J. Predicatore afroamericano che nel 1906, a Houston, fu reclutato da Parham e ne diffuse a Los Angeles la visione. 328

Nella missione di Azuza Street, a Los Angeles, Seymour portò i se­ guaci a vivere in uno stato di perenne eccitazione pentecostale. Shakers. Gruppo fondato dalla quacchera Ann Lee (1736-1784) che nel 1770 fu arrestata a Manchester per disturbo della quiete pubbli­ ca, e nel 1774, dopo una visione in cui comprese che la Caduta consi­ steva nell’atto sessuale di Adamo e Èva, si rifugiò in America con al­ cuni seguaci, e fondò una comunità ad Albany, New York. Gli sha­ kers sono votati al celibato più stretto e devono il loro soprannome alle danze estatiche da loro praticate. Smith, Joseph (1805-1844). Profeta dei mormoni. Educato al di fuori di qualsiasi confessione, nel 1820, ebbe una visione che lo convinse della necessità di restaurare il Vangelo. Ha predicato il matrimonio celeste, ossia poligamico, e annullato la differenza fra Antico e Nuo­ vo Testamento. E autore del Libro di Mormon, che svela l’origine ebraica degli antichi popoli dell’America, di La perla di gran valore e del Libro della dottrina e delle alleanze. Il 27 giugno del 1844, lo stesso anno in cui si era autoproclamato candidato alla presidenza degli Stati Uniti e aveva fondato il Consiglio dei Cinquanta, fu ucciso a Nauvoo, Illinois. Smyth, John (m. nel 1612). Predicatore anglicano che nel 1602 ri­ nunciò al vescovato per farsi pastore di un piccolo gruppo di separa­ tisti, e nel 1606 si trasferì ad Amsterdam, dove nel 1609 stabilì il bat­ tesimo dei credenti consapevoli. Stone, Barton (1772-1844). Ministro di culto presbiteriano che emerse neorestaurazionista dal raduno di Cane Ridge del 1801. Studiosi della Bibbia. Seguaci di Charles Taze Russell, fondatore dei testimoni di Geova.

Swaggart, Jimmy. Televangelista pentecostale, protagonista di un clamoroso scandalo a sfondo sessuale nel 1988; tra l’altro Swaggart fu denunciato da Jim Baker, un altro telepredicatore che un anno prima era stato protagonista di un analogo scandalo. Teosofisti. In senso generico è teosofo chiunque creda in una cono­ scenza intuitiva di Dio. In senso stretto, la teosofia risale a madame H.P. Blavatsky (1837-1891) che, insieme a H.C. Holcott, fondò nel 1875 la Società teosofica a New York. Nel 1882 i teosofisti stabilirono la loro sede a Adyar, vicino a Madras. I teosofisti credono nella tra­ smigrazione delle anime e nella fratellanza degli uomini; negano un Dio personale e l’immortalità personale. Sono suddivisi in numerose società. 329

Testimoni di Geova. Movimento nato dalla grande delusione. Fondato da Charles Taze Russell, dopo la sua morte nel 1916 il movimento fu guidato, fino al 1938, da Joseph F . Rutherford, cui si deve, nel 1931 a Columbus, Ohio, l’adozione del nome «Testimoni di Geova» (prima si definivano studenti biblici). Continuano ad attendere la fine del tempo, ritenuta imminente. Il loro Dio trionferà con la battaglia di Armageddon. Sono unitari, ossia negano la Trinità e la divinità di Cristo, ma riconoscono la Bibbia. Non credono nell’immortalità del­ l’anima e dividono i fedeli in 144.000 unti destinati a regnare in cielo con Geova, e il resto delle «pecore». I testimoni di Geova sono at­ tualmente poco meno di tre milioni; un quarto di loro vive negli u s a . Young, Brigham (1801-1877). Teologo mormone, presidente del Concilio dei dodici apostoli al tempo di Joseph Smith, gli succedette come leader del movimento. Da Nauvoo, Illinois, condusse i mormo­ ni a Salt Lake City, Utah, dove perseguì l’ideale di un Regno di Sion in cui le autorità religiose svolgevano funzioni spirituali, politiche, giudiziarie ed economiche. Wesley, John (1703-1791). Fondatore del movimento metodista. Visse l’esperienza della conversione il 24 maggio del 1738. Riteneva che non solo gli eletti, ma tutti coloro cui siano stati rimessi i peccati possono aspirare a una santificazione completa. White, Ellen Harmon (1827-1915). Fondatrice d elVavventismo del Set­ timo giorno. Autrice di II gran conflitto (1888), Doni spirituali (1858-64), Lo spirito della profezia (1870-84). Williams, Roger (1604-1683). Ministro puritano fautore della tolle­ ranza religiosa. Nel 1630 andò in America, alla ricerca della libertà religiosa, e nel 1636 fondò a questo fine Rhode Island. Nel 1639 creò a Providence la prima chiesa dei battisti, che in seguito abbandonò.

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Indice analitico

Aborto, 62, 99, 273, 315, 316 Abramo, 24, 53, 95, 112 Adamo, 11, 282, 111, 112, 118, 126, 129, 133 Africana, religione, 279-288 African Religions and Philosophy (Mbiti), 289 Afroamericana, religione, 12, 56, 70, 81, 277-298, 311 Afro-American Religious History (Sernett), 292 Against the Protestant Gnostics (Lee), 23-24 Agostino, 114, 214, 306, 307, 313 Ahlstrom, Sydney, 12, 18, 44, 66, 187, 205, 212, 226, 239 Akiba, 90 Alessandro Magno, 50 Amma, 282 Ammerman, Nancy Tatom, 258, 265, 271 Among the Mormons (Muldur e Mortensen), 87, 93 Anabattisti, 49, 183, 225, 229, 313 Anderson, Robert Mapes, 203 Antico Testamento, 112, 136 Antinomianismo (perfetta santi­ ficazione), 75, 304 Antropomorfismo, 112, 152 Apocalisse, 189, 196, 266, 312, 314 Apocalypse Delayed (Penton), 187, 190 Aquarian Conspiracy, The (Fergu­ son), 213 331

Arens, Edward, 157, 165 Armageddon, 28, 83, 196, 313 Arnold, Matthew, 19, 70 Arthur DeMoss Foundation, 60 Asiatico-americane, comunità, 223 Assemblee di Dio, 40, 98, 199208, 210 Assemblies of God at the Crossroads, The (Poloma), 205 Atei, ateismo, 18 Autocoscienza, 22, 58 Autoidolatria, 24, 58 Autoipnosi, 69, 70, 153 Avvenire di un’illusione, U (Freud), 34-35 Awentismo, avventisti del Setti­ mo giorno, 12, 30, 78, 79, 159, 168, 171-184, 301, 311 Awentismo cristiano, 80 Awash in a Sea of Faith (Butler), 33, 58, 278 Axioms of Religion, The (Mullins), 49, 234, 245, 249-254, 265 Azusa, missione, 202 Baker, James, 316, 317 Bakker, Jim, 203, 204, 207, 208 Bakker, Tammy, 203 Bakunin, Mikhail, 188 Baldwin, James, 278, 297 Bandiera americana, 47, 62, 261, 274, 316 Baptist Battles (Ammerman), 258, 265

Baptist Faith and Message, The (Hobbs), 236, 265 Barr, James, 262, 263 Barth, Karl, 248 Bates, Joseph, 178 Bateson, Gregory, 213 Battesimo per i morti, 122, 135141, 143, 307 Battisti, 41, 49, 70, 79, 80, 169, 223-254, 255-274, 277, 279, 280, 281, 285, 286, 287, 295, 311, 314 Battisti del nord, 223, 229, 272, 279 Battisti del Settimo giorno, 178 Battisti del sud e Convenzione dei battisti del sud, 12, 18, 26, 35,42, 49-52, 59, 89, 128, 129, 130, 134, 140, 141, 144, 154, 155, 176, 182, 194, 202, 215, 223-254, 255-274, 299, 300, 307, 311 Battisti generali, 225 Battisti intransigenti, 232 Battisti particolari, 225 Battle for the Bible (Lindsell), 259 Bednarowski, Mary Farrell, 162 Bellah, Robert, 22-25, 255, 256 Benefico Magnetismo Animale ( b m a ), 162, 169 Benson, Ezra Taft, 91, 134 Bergera, G J., 132, 142 Bhagavadgita, 214 Bibbia, 12,21,27, 29, 54, 60,61, 83, 84, 89, 90, 93, 113, 126, 189, 191, 199, 200, 238, 239, 241, 244, 247, 257-260, 263, 266, 267, 268, 269, 270, 306 Billy Graham (McLoughlin), 82 Bishop, Elizabeth, 199 Blake, William, 21, 39, 124, 151, 160, 164 Blavatsky, Helena Petrovna, 211, 213 332

Bonhoeffer, Dietrich, 303 Bowne, Borden P., 245 Breuer, Josef, 158 Brodie, Fawn, 89 Brooks, Cleanth, 311 Brown, Maria, 75-76 Bryan, William Jennings, 61 Bull, Malcolm, 172, 173, 175, 179, 184 Bunyan, John, 199 Burke, Kenneth, 110 Burned-over District, The (Cross), 72 Burr, Aaron, 109 Burroughs, William, 157 Bush, George 11-12, 29, 47, 62, 82, 83, 100, 127, 253, 261, 271, 274, 307, 312, 315 Bushnell, Horace, 108, 233, 303 Butler, Jon, 13, 32-33, 58, 70, 278, 279 Cabala, 111-116, 119, 120, 121, 126, 130, 133 Calvinismo, 65, 201, 225, 302, 307 Calvino, Giovanni, 230, 233, 302, 307, 314 Camisardi francesi, 68 Campbell, J.P., 67-68 Cane Ridge, raduno di, 32, 34, 51, 64-70, 81-82, 201, 225, 278, 286, 310, 312 descrizione di Stone, 65-69 Cannon, 132 Canto di me stesso (Whitman), 308 Carisma di Smith, 110-111, 145147 Carlyle, Thomas, 19, 159 Carter, Jimmy, 12 Castelli, Jim, 38 Cattolicesimo romano, 18, 41, 75, 89, 223, 234, 237, 238, 242, 243, 244, 270, 301, 312, 313, 316

Celibato, 72-75, 77 Cerintiani, 136 Changing Nature of Man, The (van den Berg), 167 Charcot, Jean-Martin, 158 Chiesa nera, vedi Afroamericana, religione Chiesa primitiva, 42, 48, 64, 89, 169, 230, 241 Chiese Cristiane Indipendenti, 169 Christianity and Liberalism (Machen), 266 Christianity at the Cross Road (Mullins), 266 Christian Religion9 The (Mullins), 239, 252 Christian Religion in Its Doctrinal Expression (Mullins), 251 c ia (Central Intelligence Agen­ cy), 100, 135 Città di Dio, La (Agostino), 306 Cohn, Norman, 312 Colombo, Cristoforo, 314 Come ottenere la pace con Dio (McLoughlin), 82 Coming of the Cosmic Christ, The (Fox), 217 Competenza dell’anima, 43, 48, 234-237, 239-242, 245, 246, 259, 263-265, 272, 299 ComuniSmo, 82 Congregazionalismo, 185, 232, 311, 313 Consiglio dei Cinquanta, 102, 104 Controversia dei confini antichi, 229-233, 242 Convenzione battista del sud, ve­ di Battisti del sud Conversione (Nock), 50 Conversione, 51, 52, 81 avventisti del Settimo giorno e, 171, 172 333

battisti e, 226, 227, 238 mormoni e, 104, 105, 138 testimoni di Geova e, 190, 191 Cooper, James Fenimore, 43 Cooperative Baptist Fellowship, 272 Corano, 125, 258, 305-306 Corpo spirituale, 306 Coscienza, 215, 218 Couliano, Ioan, 303 Cowdery, Oliver, 138 Crane, Hart, 12, 30, 297, 314 Creazionismo, 61, 62, 269 Cristianesimo, 11, 12, 13, 19, 24, 26, 27, 28, 29, 33, 34, 71, 89, 131, 214, 215, 216, 286, 287, 307, 308 Criswell, Wally Amos, 246, 258, 259, 264-269, 272, 273 Critica della religione, 17-46, 311 condizioni culturali e, 34-37 definizione, 17 di Freud, 33-36 e critica letteraria, 18, 25, 3642, 45, 46, 88, 299-300 necessità della, 18 precursori americani della, 18-22 precursori europei della, 1820 usi della, 40, 45-46 Crocifìssi, 41 Cross, Whitney R., 72, 75-76 Daimon, 55-56, 71, 304 Dakin, Edwin Franden, 157, 159, 165, 166 Darrow, Clarence, 61 Davide, 112 Davis, David Brion, 115, 116, 117 Defenders of God (Lawrence), 261 Demiurgo, 31, 53, 54, 129, 130, 295

Democratization of American Chri­ Ebrei, antichi, 54, 55, 96, 97 stianity, The (Hatch), 33 hassidici lubavitcher, 93

Desiderio religioso, 40, 41, 42 Dickinson, Emily, 12, 27, 40, 146, 297 Dimensions of History (Wright), 297-298 Dio, 30-31 amore e, 12-13, 29, 37, 300 concenzione battista di, 236 e Emerson, 20-21 e mormoni, 128-134, 194, 307 e New Age, 215-217 e testimoni di Geova, 186, 194 nella religione afroamericana, 282, 287, 294, 297, 298 nella Religione Americana, 302-303 nello gnosticismo, 52-53, 7273, 155, 162 nozione di Eddy di, 152, 154 visione evangelica di, 57-58 Dio d’acqua (Griaule), 280 Discepoli di Cristo, 64, 169 Discorso alla facoltà di Teologia (Emerson), 20 Discorso della Montagna, 96 Dispensazionismo, 268, 269-270, 283 Dodds, E.R., 55-56 Doe, John, 235-239, 241, 245, 251 Dogon, 281, 297 Doni spirituali (White), 173 Dottrina e alleanze (Smith), 136137 Double Vision, The (Frye), 45 Douglas, Stephen, 110 Dualismo, 303-304 DuBois, W.E.B., 284, 298 «Due semi nello spirito», 232 Durkheim, Emile, 28

Eckhart, Meister, 214 Eddy, Asa Gilbert, 157 Eddy, Mary Baker, 28, 75, 151170, 173, 177, 194 Edson, Hiram, 177 Edwards, Jonathan, 108, 233, 267, 303, 314 Eisenhower, Dwight D., 52 Eliot, T.S., 12, 34, 43, 238 Ellison, Ralph, 278 Elohim, 54, 129, 132, 133 Elzey, Wayne, 208

Emergence of Christian Science in American Religious Life} The

(Gottschalk), 157 Emerson, Ralph Waldo, 12, 1922, 26, 43-44, 56-57, 108, 115, 116, 130, 146, 159, 168, 205, 212, 237, 247, 253, 302, 303 Empedocle, 55 Empirismo, 151, 152 Enoc (Metatron), 112-117, 126, 133, 307 Entusiasmo (o entusiasti), 4853, 56, 58, 65-68, 202, 229, 238, 239, 240, 241, 243, 252, 255-258, 299, 311, 313, 314 Episcopalismo, 229, 278, 287, 311, 314 Etica (Spinoza), 13 Evangelismo, 57-58, 98, 134, 261 «Evangelist, The», 207 Evoluzione, 62-63 «Eye of God, the Soul’s First Vi­ sion, The» (Wright), 298 Ezra lo Scriba, 302 Faber, George S., 115 Famiglia di mormoni, 25, 137 di schiavi, 278 Early Mormonism and the Magic World View (Quinn), 115 shakers come, 73 334

Fard, Wali, 290-295 Farrakhan, Louis, 290, 293, 294, 296 Fascismo, 268 Faulkner, William, 12 FBI (Federai Bureau of Investi­ gation), 100, 135 Fénelon, François de Salignac de La Mothe, 50 Ferdinando, 314 Ferguson, Marilyn, 213, 216 Feto, 47, 62, 261, 274, 316 Fiducia in se stessi, 45, 237, 246, 247 Filone di Alessandria, 112, 152 Finney, Charles Grandison, 8081, 85 Fitzgerald, F. Scott, 12 Folle«, King, 106, 142, 143, 308 Fondamentalismo, 29, 41, 59-63, 80 di Graham, 81-84 e avventisti del Settimo gior­ no, 172, 173, 181, 182, 183 e la Bibbia, 60-63, 83, 84 freudiano, 17 islamico, 258, 259 mormone, 138, 139, 144 origine del, 261 Fondamentalismo dei battisti del sud, 41, 160, 188, 229, 230, 238, 239, 241, 246, 255274, 289, 290, 301, 314-316 analisi di Barr del, 263-264 fondamenti del, 263 ignoranti e, 49-50, 61, 266274, 311 moderati contro il, 49, 202, 223, 227-231, 256-258, 260261, 263, 269-272, 299 mormoni contro il, 97 ruolo politico del, 261, 262, 270-274 Ford, Gerald R., 12 335

Foster, Lawrence, 76-77, 144 ma), 179 Fox, Emmet, 213 Fox, George, 50, 225 Fox, Matthew, 213, 217 Franco, Francisco, 268 Frank, Jacob, 209 Franz, Frederick, 193 Frei, Hans, 239 Freud, Sigmund, 17, 21, 30, 3435, 39, 44, 121, 151 Frost, Robert, 12 Frye, Northrop, 45, 189 Fucina della Spiritualità, reviva­ lismo, 72, 75 Fuller, Buckminster, 213 Gallup, George Jr, 13, 38 Genealogia, 135, 137, 138 Genovese, Eugene, 278, 279 Gesù Cristo, 20, 21, 22, 31, 32, 41, 42, 69, 70, 71, 96, 140, 141, 242, 301, 302, 305 e i battisti, 226, 227, 234-246, 250-254, 268, 270 e i mormoni, 41, 42, 96, 101, 132-133 e i scientisti, 155 e i testimoni di Geova, 186 e la religione afroamericana, 277, 279, 282-287, 292 Secondo Avvento di, 76, 79, 83 Gesù mago (Smith), 146 Gesù nella storia (Pelikan), 284 Getting Saved in America (Leo­ nard), 252 Giacobbe, 112 Giamatti, A. Bartlett, 212 Giansenisti, 50, 51, 68 Gioacchino da Fiore, 313 Giorno della locusta, Il (West), 215 Giovanni, 266, 302 Four Major Cults. The (Hoeke-

Giovanni Battista, 135, 136, 229, 246, 267 Giovanni di Patmo, 189 Giudaismo, giudei, 12, 18, 24, 29, 89, 131,287, 293, 301,312 legge orale del, 89 tradizione esoterica del, 110115, 119, 120, 121, 125, 130, 133 Giudizio investigativo, 182 Giuseppe, 112, 305 Glimpse of Sion’s Glory, A (Gura), 232 Gnosticismo, Lo (Jonas), 55 Gnosticismo, 18, 24, 29, 31, 5156, 59-63, 229, 277, 299-302, 305, 307, 311 ascetico, 76 Creazione-Caduta, 24, 29, 53, 62 dei battisti, 18, 228-229, 236, 242, 244 dei mormoni, 127, 129-131, 136, 139-141, 144 dei settiani, 232 e fondamentalismo, 62-63 e Scienza cristiana, 155, 161163 e testimoni di Geova, 186 libertino, 76-78 mito dello, 53 nella religione afroamericana, 280, 293 nel protestantesimo america­ no, 23-25 origini dello, 24, 54 resurrezione nello, 240 Gnostic Scriptures, The (Layton), 53 God’s Last and Only Hope (Leo­ nard), 231 Goldwater, Barry, 78 Golfo, guerra del, 11, 12, 94, 188, 253 336

Gorey, Edward, 76 Gorman, Marvin, 68, 207 Gottschalk, Stephen, 157, 161 Graham, Bill, 12, 34, 81-84, 208 Gran conflitto, II (White), 173174, 176 Grande compromesso, 233 Grande controversia, 182 Grande Delusione, 78, 171, 174, 177, 178, 179, 182, 185, 314 Grandi risvegli, 33-34, 71 Grant, Jedediah, 122 Graves, J.R., 230 Greci e l’irrazionale, I (Dodds), 55 Greven, Philip, 32-33 Griaule, Marcel, 280, 282 Guarigione attraverso la fede, 158-160, 162, 163, 209 Guerra civile americana, 229, 230, 315 Guerra messicana, 12 Gura, Philip F., 232 Gutierrez, Gustavo, 289 Guyon, Madame, 50 Habits of the Heart (Bellah et al.), 22-24, 255-256 Hale, Van, 142, 143 Hansen, Klaus J., 102, 103 Hatch, Nathan A., 13, 33 Hawthorne, Nathaniel, 12, 32, 304 Hemingway, Ernest, 12 Hinckley, Gordon B., 91 History of Christianity, A (John­ son), 57 History of the Church, 104 Hobbs, Herschel H., 236, 237, 265 Hoekema, Anthony A., 179, 180 Hunter, Howard W., 91 Hussein, Saddam, 188, 195 Huxley, Aldous, 77, 213, 214, 216

Hyde, Orson, 121 ia n d s (International Associa­ tion of Near-Death Studies), 218 Ibn Khaldun, 305 Idei, Moshe, 111, 115, 119, 133 Ignoranti, 48-50, 61, 266-274, 311 Illuminati e carismatici (Knox), 4950, 74, 243, 255 Immaginazione religiosa, 18, 19, 36, 95 di Smith, 108-126 di White, 174 Importanza di chiamarsi Ernesto} L ' (Wilde), 215 Incanto del lotto 49, U (Pynchon). 304 India, 83 Individualismo, 22, 23, 24, 25 a Cane Ridge, 68-70 e shakers, 73 Introduzione alla psicologia della sto­ ria (Van den Berg), 167 Invisible Man (Ellison), 278 Ipnotismo, 157, 159 Iraq, guerra con T, vedi Golfo, guerra del Irvinghiani, 68 Isabella, 314 Isacco di Accra, 116 Islam, vedi Musulmani Ismaele, 24 Israele, 93-95, 188, 259 Jackson, Michael, 172 Jackson, Thomas Jonathan «Stonewall», 230 James, Henry, 12, 40, 146 James, Henry Sr, 43, 44 James, William, 19-22, 26, 40, 48, 50-51, 108, 146, 159, 160, 233, 251, 303 337

Janet, Pierre-Marie-Félix, 158 Johnson, Paul, 57 Johnson, Samuel, 267 Jonadab, 172, 191-196 Jonas, Hans, 53, 55-56 Jubilate Agno (Smart), 95 Jung, Cari Gustav, 213 Kafka, Franz, 187 Kellogg, John Harvey, 171, 172 Kennedy, Richard, 157, 165 Kenoma, 53, 277 Keswick, movimento, 201 Kierkegaard, Soren, 9, 19-20, 44-45, 243 Kimball, Spencer, 138 King, Martin Luther Jr, 284, 292 Kirkland, Boyd, 133, 134 Kirtland, tempio, 125, 137, 240 Knight, G. Wilson, 218 Knorr, Nathan, 196 Knox, Ronald, 49-51, 68, 73-74, 202, 238, 240, 243, 244, 255, 256, 258 Krishnamurti, J., 213 Kübler-Ross, Elisabeth, 219 Kubrick, Stanley, 273 Lamaniti, 96-97 Lancaster, Burt, 209 Larson, Sheila, 22 Last Things First (Wilmore), 289 Law, William, 214 Lawrence, Bruce, 261 Lawrence, D.H., 43, 189, 193, 308 Layton, Bentley, 53, 236 Lee, Madre Ann, 72-74, 158, 159, 164 Lee, Philip F., 23-25 Lee, Robert E., 230 Leonard, Bill J., 231, 232, 233, 244, 252, 271

Leone, Mark, 120 Lettera ai romani, 247-248 Lettera scarlatta, La , 304 Lettere ai corinzi, 136 Levitico, 182 Lewis, Jerry Lee, 207 Lewis, Sinclair, 209 Liberalismo e cristianesimo, 267, 268 Libertà, 11, 30, 31, 34, 38, 44, 48, 52, 130, 147, 151, 210, 247 battisti e, 247, 254, 258-260 fondamentalisti e, 62 nella religione afroamericana, 277, 278, 279, 280, 283, 284 Libro della dottrina e delle alleanze, 90, 94, 136, 137 Libro di Abramo, 128 Libro di Daniele, 29, 306, 312, 314 Libro di Enoc, 113 Libro di Mormon, 42, 90-91, 9497, 111, 121, 125, 145, 175, 213 Lincoln, Abraham, 146, 230 Lincoln, C. Eric, 277, 285 Lindbergh, Anne Morrow, 213 Lindsell, Harold, 259 Line by Line (Bergera), 132, 142 Little Richard, 172 Lockhart, Keith, 172, 173, 175, 179, 184 Lomax, Alan, 288 Lovett, Charles, 75 Luce interiore, dottrina della, 230, 233, 238, 256, 259, 314 Luria, Isaac, 53 Luteranesimo, 312, 315 Lutero, Martin, 233, 314 Machen, J. Gresham, 266, 267, 268 MacLaine, Shirley, 211, 214 338

Magnetismo animale, 157, 158, 168 Malachia, 136, 137 Malcolm X, 290, 293 Malefico Magnetismo Animale ( m m a ), 157, 159, 161, 162, 165, 166, 170, 192 Mamiya, Lawrence H., 285 Manifesto del 1890, 78 Manuale ecclesiastico, 169 Maometto, 24, 117, 125, 133, 258, 305, 306 Marcioniti, 136 Marlowe, Christopher, 295 Marsden, George M., 267 Marty, Martin, 264 Marx, Karl, 27 Marxismo, 27, 28 Matrimonio poligamico (Cele­ stiale), 76, 77, 98-100, 116124, 126, 138-141, 143-145, 250-252 Mbiti, John, 289, 290 McGready, James, 65 McLoughlin, William G., 82-83 McMurrin, Sterling, 130, 131, 144 McRoberts, Kerry D., 211, 212 Medici, Lorenzo de’, 314 Melville, Herman, 12, 40, 146, 192, 195, 309 Mencken, H.L., 61 Mente divina, 160, 167, 195 Merton, Thomas, 213 Mesmer, Friedrich, 158, 167 Mesmerismo, 158 Message to the Blackman in America (Elijah Muhammad), 294 Metatron, vedi Enoc Metodismo, metodisti, 18, 51, 168, 201, 311, 315 battisti e, 224, 226, 229 Meyer, Donald, 59-60 Michele (arcangelo), 126, 129, 133

Millenarismo, 29, 77-80, 289, 312-315 dei mormoni, 102-107, 138139 dei testimoni di Geova, 185, 186, 187 fondamentalismo e, 261 Millennium and Utopia (Tuveson), 312 Miller, Perry, 33 Miller, William, 78-80, 177, 178 Millerismo, 78-80, 171, 174, 175, 177, 178, 179, 182, 185 Milton, John, 41, 196, 225, 233, 241, 266 Missione musulmana america­ na, 294 Mitologia dei battisti del sud, 230-232 gnostica, 53 nella religione afro-america­ na, 281, 282, 293-296 «Monkey Trial», 61 Monson, Thomas S., 91, 139 Montagna dei nomi, 137, 201 Montanisti, 68, 136, 200-201 Montano di Frigia, 50 Moody, Dwight Lyman, 80, 8384 Moody, Raymond, 218, 219 Moore, George, 50 Moore, R. Laurence, 97, 98 Moravi, 68 Morgan, Edmund S., 224 Mormoni, mormonismo, 12, 18, 25, 30, 35, 40, 48, 57, 72, 73, 74, 75, 77-147, 153-155, 158, 159, 160, 168, 169, 173, 174, 175, 177, 180, 201, 215, 227, 228, 236, 254, 290,299-302, 307, 308, 309, 311, 314, 315, 316 Mormoni riorganizzati, 307 Mormonism (Shipps), 140 339

Mormonism and the American Expe­ rience (Hansen), 102

Morte, 23, 36, 40, 216-219 e pentecostalismo, 209 e Scienza cristiana, 151, 154, 155, 156 paura della, 300-301 Morte e il morire, La (KùblerRoss), 219 Mortensen, A. Russell, 87 Mosè Maimonide, 114 Moss, Thylias, 278, 296-298 Mountain of Names, The (Shoumatofï), 137 Mrs. Eddy (Dakin), 157 Muhammad, Elijah, 26, 111, 293, 294 Muhammad, Warid Deen (Wal­ lace D.), 290, 291-294 Muldur, William, 87 Mullins, Edgar Young, 42, 49, 95, 130, 227, 231-242, 244, 245, 246, 247, 259, 265, 266, 267, 271, 272, 273, 277, 299, 307 Musulmani e Islam, 18, 24, 29, 89, 121, 125, 131, 291-296 Musulmani neri, 291-295 Myers, F.W.H., 218 Nabucodonosor, sogno di, 100 Nathan di Gaza, 120, 209 Nazioni Unite, 197 Nefìti, 96 Neturei Karta, 259 New Age, 48, 201, 211-219, 314 New Age or Old Lie (McRoberts), 212 New Haven, 82 New Religions and the Theological Imagination in America (Bednarowski), 162 New York, 74 «New Yorker, The», 137

«New York Times, The», 94, 273, 315 Niebuhrs, famiglia, 233, 303 Nietzsche, Friedrich W., 19-20, 27, 39, 44-45, 62-63, 171,250, 308 Nixon, Richard M., 12 Nock, A.D., 50-51 No Man Knows My Story (Brodie), 87-88 Noriega, Manuel, 273 North, Oliver, 274 Noyes, John Humphrey, 76-77, 173 Numbers, Ronald L., 175, 178 Nuova Gerusalemme, 307 Nuove ipotesi su «la vita oltre la vita» (Moody), 218 Nuovo ordine mondiale, 29, 307 Nuovo Testamento, 42, 45, 55, 57, 112, 285, 305, 313 Ogotemmeli, 282 Old Baptist Meeting House, 259 Oneida, comunità, 76, 173 Operazione salvataggio, 315 Orfismo, 56, 57, 63, 64, 213, 253, 299, 304, 311 Orfìsmo californiano, vedi New Age Origin of the Human Spirit in Early Mormon Thought, The (Hale), 142 OtherworldJourneys (Zaleski), 218 Ozman, Agnes, 201, 205 Paglia, Camille, 110 Panteismo, 217 Paolo, 12, 55, 92, 136, 175, 181, 200, 237, 247-251, 281, 282, 305, 306 Paradiso perduto (Milton), 41, 88, 186, 233 Parham, Charles Fox, 201, 205, 210

340

Parker, Daniel, 232 Parrinder, Geoffrey, 280 Partito democratico, 62-63, 262 Partito repubblicano, 47, 59-63, 100, 127, 173, 261, 262, 272, 315-317 Pascal, Blaise, 50 Pater, Walter, 26 Patriottismo, 316 dei mormoni, 98, 101, 133 di Graham, 82 testimoni di Geova e rifiuto del, 171, 195 Peale, Norman Vincent, 213 Pelikan, Jaroslav, 284 Pennington, Joanne G., 159 Penrose, 132 Pensiero positivo, 59, 60 Pentecostalismo, pentecostali, 12, 29, 30, 40, 68, 98, 160, 169, 194, 199-210, 277, 283, 286, 290, 301, 309, 311, 316 Penton, M. James, 187, 190 People’s Idea of God, The (Eddy), 152 People’s Religion, The (Gallup e Castelli), 38 Percy, Walker, 40, 311 Perennial Philosophy, The (Hux­ ley), 214, 216 Perfetta santificazione, 75, 304 Perfezionisti, perfezionismo, 7678, 79, 80, 81 Perla di gran valore, La (Smith), 88-90, 111, 128 Philosophic Nuggets (Pennington), 159 Pitagora, 55 Platone, 54, 130 Pleroma (Abisso originario), 29, 42, 55 Pluralità degli dei, 129 Pneuma, 54-56, 239-240, 281 Poe, Edgar Allan, 309

Poesia, 36, 37 afroamericana, 287-288, 295298 morte e, 36, 42 pentecostalismo e, 210 Poliandria, 120 Poligamia, 76, 77, 99, 100, 104, 116-124, 139, 141, 144, 308 Politeismo, 99, 101, 126, 128 Politica, mormoni e, 100, 129, 135, 141, 173 Poloma, Margaret M., 205 Ponte, Il (Crane), 314 Popular Religion in America (Wil­ liams), 208 Positive Thinkers, The (Meyer), 59 Power of Living, 60 Pragmatismo, 22, 92, 233, 236, 250 Pratt, Orson, 100, 103, 108, 123, 142, 143 Pratt, Parley, 100, 108, 142 Premillenialismo, 267, 268, 269 Presbiterianesimo, 64, 68, 185, 224, 226, 229, 261, 311, 314 Pressler, Paul, 246, 259, 272 Prince, 172 Principio di realtà, 152, 217 Prophetess of Health (Numbers), 175, 178 Protestantesimo, 24, 25, 26, 30, 32, 47, 48, 58, 89, 121, 161, 169, 173, 174, 235, 303, 309, 311, 312-315 Protestant Temperament (Greven), 32 Psicanalisi, 21, 27, 35, 36, 207 Psyche, 55-56 Puritanesimo, 32, 58, 117, 121, 169, 225, 303 Pursuit of the Millennium, The (Cohn), 312 Pynchon, Thomas, 54, 157, 192, 195, 304 341

Quaccheri, 50, 68, 72, 173, 315 Quando i lillà per Vultima volta (Whitman), 43, 90 Quest for Empire (Hansen), 102, 103 Question in Baptist History9 A, (Whitsitt), 232 Quietisti, 50 Quimby, Phineas Parkhurst, 153, 158, 167 Quinn, D. Michael, 115 Raboteau, Albert J., 284, 288 Ragazzo negro (Wright), 183 Rainbow Remnants in Rock Bottom Ghetto Sky (Moss), 296 Razionalismo, Religione Ameri­ cana e, 74-75 Reagan, Ronald, 12, 54, 100, 127, 261, 271, 273, 312, 316 Regno di Dio, mormone, 98-107, 122, 125, 127, 139, 290 Religion and Sexuality (Foster), 76 Religione dell’armonia, 60, 212, 213 Religione dell’esperienza, 22, 33, 38, 43, 44, 48, 51, 52, 59, 68, 128, 223-228, 233, 234-236, 242-245, 246, 251 Religione ispanica e avventismo del Settimo gior­ no, 172, 173, 174 pentecostale, 199, 202, 223 Religion on the American Frontier (Sweet), 226 Religious Outsiders and the Making of Americans (Moore), 97-98 Resurrezione, 33, 42, 69, 142, 155, 239, 244-247, 254, 266, 305, 306, 307, 308, 313 «Review and Expositor», 245, 252 Revivalismo, 13, 32, 33, 69, 7182, 116, 211

Richards, 132 Rider, Jarvis, 75 Ring, Kenneth, 219 Rivoluzione Americana, 13, 313314, 317 Roberts, B.H., 143 Robertson, Pat, 188 Rosenberg, Ellen M., 257, 265, 269, 271 Ruskin, John, 159 Russell, Charles Taze, 185, 186, 190, 193, 194, 195, 198 Rutherford, Joseph F., 185, 186, 190, 193, 194, 195, 198 Saint-Medard, 68 Salute, 173, 175-184 Salvezza, 32, 71, 141, 143, 182, 226, 302 Sandeen, Ernest, 261 Sankey, Ira, 84 Santayana, George, 47-48 Satana, 178, 183, 185, 196, 197, 198 Schiavismo battisti e, 229, 230 religione e, 278-285 Schneerson, Menachem M., 94 Scholem, Gershom, 120, 209 Schopenhauer, Arthur, 41 Sciamanismo, 27, 28, 55, 204, 209 Scientismo o Scientisti cristiani, 12, 30, 151-170, 301, 311 Scienza e salute con chiave delle Scrit­ ture (Eddy), 151, 155-156, 163170 Sciiti, 259, 293 Scott, Richard, 225 Sé, comunità contro il, 23, 24, 25, 32, 63, 117, 277-282 doppio o gemello («piccolo me dentro il grande me»), 56, 342

70, 280-286, 309 fragilità del, 23 nella Religione Americana, 21-25, 29-34, 37, 38, 59, 311 occulto, vedi Daimon relazione fra Dio e, 12-13, 29, 37, 58 religione afroamericana e, 277-283 secondo i protestanti, 33 Secondo Grande Risveglio, 33 Seeking a Sanctuary (Bull e Lock­ hart), 172 Senzacasa, 83 Separazione tra stato e chiesa, 61 Sernett, Milton C., 292 Sessualità, 72-78 avventismo del Settimo gior­ no e, 180 Cane Ridge e, 66, 68, 69, 70 concezione di Noye, 76, 77 pentecostalismo e, 209-210 Scienza cristiana e, 164 Sette, 23-24 Sexual Personae (Paglia), 110 Seymour, William J., 202, 205, 283 Shakers, 68, 72-78, 80, 158, 164, 173, 194, 201, 202 Shakespeare, William, 27, 215 Shambhala, the Sacred Path of the Warrior (Trungpa), 214 Shaw, G.B., 78 Shea, George Beverly, 84 Sheilaismo, 22 Shipps, Jan, 141 Shoumatoff, Alex, 137, 138 Simboli, 47 Slave Religion (Raboteau), 284, 288 Smart, Christopher, 95 Smith, Bailey, 246, 264 Smith, Emma, 308 Smith, Hyrum, 97

Smith, Joseph, 28, 42, 48, 57, 7678, 87-147, 154, 159, 160, 175, 178, 179, 240, 250-254, 299, 300, 301, 307, 308 Smith, Joseph Sr, 91 Smith, Joseph h i , 308 Smith, Morton, 146 Sobel, Mechal, 284 Società della Torre di Guardia, 190-192 Società genealogica dello Utah, 137 Sociologia della religione, 22, 23, 28 Socrate, 55 Solitudine, 11, 21, 30, 31, 48, 68, 147, 161, 194, 210, 254, 299300, 309 Southern Baptist Alliance, 272 Southern Baptists, The (Rosen­ berg), 257, 265-266 Spangler, David, 213 «Spiaggia di Dover», 70 Spinoza, Baruch, 13 Spiriti non nati, 134, 142-143 Spirito della profezia. Lo (White), 173 Spirituals, 288-290 SpofFord, Daniel Harrison, 165 Stendhal, Krister, 248 Stetson, Augusta, 165 Stevens, Wallace, 12, 212 Stone, Barton, 65-69, 169, 226 Sunday, William Ashley «Billy», 80-81 Sunniti, 291, 293, 296 Supreme Wisdom, The (Elijah Mu­ hammad), 26, 294 Swaggart, Jimmy, 68, 203, 204, 207-210, 283 Swedenborg, Emanuel, 178, 211 Sweet, W.W., 226, 227 Talmage, 132 343

Tamar, 112 Taylor, John, 99, 117, 124 Teilhard de Chardin, Pierre, 213 Tempo, temporalità, 283, 284, 285, 289 «Tennessee Baptist», 230 Teocrazia, 99, 101, 139 Teologia della liberazione, 289 Terapia mentale, 153 Terra desolata, La (Eliot), 43 Testimoni di Geova, 30, 40, 78, 79, 169, 171, 172, 174, 175, 182, 183, 185-198, 301, 311 Teurgia, 114, 296 Theological Foundations of the Mor­ mon Religion, The (McMurrin), 130 Thompson, Rhodes, 65 Thurman, Maxwell, 273 Timeo (Platone), 54, 130 Tolstoj, Lev Nikolaevic, 12, 18, 109 Toolan, David, 213 Torre di Guardia, 190-191 Totem e tabu (Freud), 121 Trabelin3 On (Sobel), 279 Traherne, Thomas, 214 Trance, 281, 282 Tree of Gnosis (Couliano), 303 Trine, Ralph Waldo, 213 Trungpa, Chogyam, 213 Turner, Nat, 287 Tuveson, Ernest Lee, 312 Twain, Mark, 12, 151, 154, 158, 169, 195 Umanesimo, 18 Umphreville, Lucina, 75-76 Unbeliever, The (Bishop), 199 Updike, John, 40, 211 Utah, 77, 118, 139 Valentino di Alessandria, 53, 245, 282, 305

Van den Berg, J.H., 167 Van der Leeuw, Gerardus, 30 Vangelo di Filippo, 135 Varieties of Religious Experience, The (James), 21 Vespucci, Amerigo, 314 Via Romana, 247 Vision of the Disinherited (Ander­ son), 203 «Vital Signs», 218 Voices from Cane Ridge (Thomp­ son), 65 Warburton, William, 115 Warmth of Hot Chocolate, The (Moss), 296-297 Watt, James, 207 Waugh, Evelyn, 50, 124 Weber, Max, 28, 109 Wentworth, John, 90, 91, 92 Wesley, John, 50-52, 68, 201, 230, 243 West, Nathanael, 195, 214, 264 West African Religion (Parrinder), 280 White, Andrew Dickson, 132 White, Ellen Harmon, 171-184 White, James, 176 Whitefield, George, 314 Whitman, Walt, 12, 23, 40, 43,

344

90, 108, 145, 210, 212, 297, 308 Whitsitt, William H., 232 Whittier, John Greenleaf, 87 Wilde, Oscar, 156, 215 Williams, Peter W., 208 Williams, Roger, 224, 225, 250, 266 Wilmore, Gayrand, 289-291 Wilson, Woodrow, 307, 310 Wolfe, Tom, 52 Woodbury, Josephine Curtis, 165 Woodstock, festival di, 64, 69 Wright, Jay, 278, 295-298 Wright, Richard, 183 Yahweh, 20, 54, 126, 130, 131, 152 Yakub, storia di, 254 Yeats, William Butler, 160, 211 Young, Brigham, 77-78, 97, 101, 103, 108, 109, 111, 118, 122, 123, 126, 129, 131, 133, 134, 139, 142, 308 Young, Zina, 134 Zaleski, Carol, 218 Zevi, Shabbetaj, 120

Indice generale

Invocazione: La Terra dell’Imbrunire I.

ORIGINI

1 Gos’è la critica della religione? 2 Entusiasmo, gnosticismo, orfìsmo americano 3 Da Cane Ridge a Billy Graham

II.

4 5 6

ORIGINALI AMERICANI: I MORMONI

Una religione che si fa popolo: il Regno di Dio L’immaginazione religiosa di Joseph Smith: creazione di una religione Battesimo per i morti, spirito per i non nati

11 17 47 64 87 108 127

III. ORIGINALI AMERICANI: I RIVALI

7 8 9 10 11

Scienza cristiana: la Fortunata Caduta di Lynn, Massachusetts L’avventismo del Settimo giorno: salute, profezia ed Ellen Harmon White I testimoni di Geova: l’antitesi della Religione Americana II pentecostalismo: Swaggart posseduto nello spirito New Age: l’orfìsmo californiano

IV.

LA CONVENZIONE BATTISTA DEL SUD

V.

LA RELIGIONE AMERICANA: UNA PROFEZIA

12 I battisti: da Roger Williams a E.Y. Mullins 13 L’enigma: in cosa credono i battisti del sud? 14 La controversia: il fondamentalismo

15 La religione afroamericana: un paradigma 16 La religione delle nostre latitudini Coda: un nugolo di testimoni Ringraziamenti Glossario Indice analitico

345

151 171 185 199 211 223 234 255 277 299 311 319 321 331