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Table of contents :
CAPITOLO PRIMO......Page 9
CAPITOLO SECONDO......Page 16
CAPITOLO TERZO......Page 19
CAPITOLO QUARTO......Page 25
CAPITOLO QUINTO......Page 39
CAPITOLO SESTO......Page 45
CAPITOLO SETTIMO......Page 52
CAPITOLO OTTAVO......Page 61
CAPITOLO NONO......Page 75
CAPITOLO DECIMO......Page 93
CAPITOLO UNDICESIMO......Page 101
CAPITOLO DODICESIMO......Page 105
CAPITOLO TREDICESIMO......Page 115
CAPITOLO QUATTORDICESIMO......Page 125
CAPITOLO QUINDICESIMO......Page 140
CAPITOLO SEDICESIMO......Page 145
Una Modesta Proposta del Sig. J. Swift......Page 157
Indice......Page 169

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COSMO COLLANA DI FANTASCIENZA collezione a cura di SANDRO PERGAMENO

Scansione Marzo 2011 Titolo fuori catalogo e non ordinabile

nino filastò

LA PROPOSTA

EDITRICE NORD

COSMO Collana di Fantascienza. Volume n. 148 - Settembre 1984 Pubblicazione periodica registrata al Tribunale di Milano in data 5/2/73, n. 27 Direttore responsabile: Gianfranco Viviani © 1984 by Editrice Nord, via Rubens 25,20148 Milano Stampato dalla litografia AGEL, Rescaldina (Milano)

PRESENTAZIONE Niente mondi alieni per oggi. Via le astronavi, i robot e gli invasori spaziali. Abbiamo di fronte solo il nostro futuro, qui, sulla buona vecchia Terra, a Megalops Occidentale: un futuro grandioso e sordido. Le città sono cresciute in altezza, si sono stratificate come le formazioni di scisto o di arenaria e sono ora un'immensa realtà a molti livelli. In alto la pulizia, lo sforzo e naturalmente il potere. Giù, sempre più giù la miseria, la droga, la disperazione e qualche timida ondata di ribellione. Ma lo status quo è saldamente controllato dai manovratori di fili, e l'uomo è un animale adattabile: la sua forza è anche quella di arrangiarsi - sempre e comunque - a vivere. Ma è davvero un segno positivo? In questo panorama futuro agghiacciante un elemento nuovo viene a sconvolgere l'esistenza tranquilla della città a molti livelli: la Proposta. Una proposta che emerge dalle brume di un passato totalmente dimenticato, quello dell'illuminata Inghilterra «augustea» del 1729. Ma purtroppo la natura della proposta non va descritta nell'introduzione al libro; è necessario scoprirla a poco a poco, attendendo la rivelazione della lettura o magari frugando tra le proprie reminiscenze letterarie. Preferisco soffermarmi a descrivere l'autore, che è un personaggio nuovo nel mondo della fantascienza, al suo esordio assoluto come romanziere. Nino Filastò nasce a Firenze nel 1938. Dopo la laurea in Giurisprudenza svolge per quattro anni la professione di copy-writer, cioè del creatore di slogans, di frasi chiave, trovate di vendita, filmati pubblicitari. Parallelamente si occupa di quella che fino ad una decina di anni fa è stata la sua grande passione: il teatro. Dal 1959 al 1973 dirige il Centro Universitario Teatrale di Firenze e poi il Gruppo

Teatro Sperimentale di Firenze, e cura la regia di diverse pièces, scrivendone alcune egli stesso. Ma la fantascienza? Credo si tratti di un «primo approccio» tra i più inconsueti, L'autore lo racconta così: «Il professore di greco-latino pensò un giorno, con quell'humour un po' sadico che è tipico dei fiorentini di razza, di farci tradurre un brano dal greco tratto dal romanzo di Luciano ambientato sulla Luna e che è l'antenato della letteratura di SF. Evidentemente si voleva divertire a vedere che cosa ne sarebbe venuto fuori. Noi tutti durante i compiti in classe «si copiava», cioè ci si consultava scambiandoci le copie a carta-carbone del compito, in équipes di quattro, a seconda della disposizione dei banchi. Il Professore, un uomo intelligente e di spirito, lasciava fare, leggeva il giornale e si limitava a qualche sbuffo risentito quando le consultazioni diventavano troppo rumorose. Ma in quella occasione, nonostante che i febbrili consulti si intersecassero per tutta la classe e che avessero piuttosto il tono delle diatribe, la sua impassibilità fu quasi totale; solo che qualcuno di noi ebbe l'impressione che ghignasse. Il fatto è che la mancanza di pratica con qualsiasi cosa avesse un minimo di fantasia, secondo il clima burocratico della cultura scolastica, aveva precipitato tutti nella più nera disperazione: com'era possibile, se ricordo bene, che le foglie di quell'albero cantassero un motivo, o che si spostassero da un ramo all'altro cantando come uccelli? E cos'erano quelle numerose bocche ed eccentrici occhi degli animali appollaiati sulla suddetta pianta? Che specie di animali erano quelli? Per ciascuno di noi stava in agguato non soltanto l'errore di sintassi o di grammatica, ma si profilava l'ERRORE globale, il non aver capito un accidente, lo sbaglio di impostazione concettuale, perché probabilmente il tutto aveva un sottile significato filosofico,

sotto sotto c'era qualche metafora troppo complessa per le nostre limitate risorse nel campo della filologia greca. Il giorno in cui il professore riportò i compiti fu un giorno di risate amarognole, in cui l'ironia si accompagnava ad un tragico abbassamento della media trimestrale. Nessuno aveva avuto il coraggio civile di tradurre l'albero di Luciano come un albero. Chi ci aveva visto un tempio, chi una nave. Un 'équipe di intelligentoni aveva interpretato il tutto come una battaglia di semi-dei, le bocche erano diventate caverne, le foglie giavellotti e così via, razionalizzando e mitologizzando. Forse fu a causa di questa refrattarietà alla fantasia dell'ambiente scolastico - così intelligentemente messa in luce dal professore - e per naturale reazione, che durante una vacanza estiva mi innamorai del primo libro di SF che lessi. Si trattava di Cristalli Sognanti di Theodore Sturgeon.» Il tempo passa, ma la passione per la fantascienza è tenace. Oggi Filastò svolge la professione di avvocato penalista e da qualche anno si occupa di giornalismo, collaborando ad alcuni quotidiani. Dice che da oltre un secolo il periodo peggiore per fare il difensore è quello che viviamo, e che anche questa è una buona ragione per scrivere. E finalmente l'interesse per lo scrivere vede protagonista la fantascienza: lo spunto per il romanzo viene da una trasposizione teatrale del romanzo I Viaggi di Gulliver di cui Filastò si occupò personalmente e che in seguito lo stimolò ad iniziare uno studio su Jonathan Swift. Molti anni dopo il germe diventa un 'idea, e oggi un romanzo. In La Proposta trovano posto tutte le esperienze dell'autore: il teatro echeggia nei magnifici dialoghi, incalzanti e credibili come raramente capita di leggere; la professione di penalista si riflette nella figura dell'avvocato dei «vaganti»; il giornalista è presente con il suo stile

secco, essenziale, frizzante e piacevolissimo, e si ritrova soprattutto nella faticosa indagine che svolge il protagonista, alla caccia di una cospirazione addirittura paradossale nell'enormità del suo crimine. Infine il copywriter è padrone assoluto del campo quando si tratta di passare alla fase promozionale della Proposta in quello che è forse il brano più perfetto di tutta l'opera, con il suo cinismo mostruoso eppure assolutamente credibile. Abbiamo parlato dell'ambientazione, un futuro che può forse ricordare quello di Ranxerox 1, soffermiamoci un attimo sui personaggi. Ad un eroe pieno di incertezze, dal nome significativo di Degrado, un «insistente» di mezza tacca mezzo investigatore e mezzo leccapiedi del Palazzo, si contrappone un criminale che è tra le figure più memorabili del romanzo: il Signore dei Vetri, un colossale buongustaio, cinico, crudele e annoiato dei piaceri che gli offrono ricchezza e potere. Tra i due la storia si svolge parallelamente, il primo coinvolto in un'indagine più grande di lui ed il secondo che dispiega tutti i suoi mezzi per raggiungere uno scopo raccapricciante. Accanto a Degrado e al Signore dei Vetri una sequenza composita di uomini e donne rappresenta ogni strato sociale della Megalops: dal capo della Polizia, ai drogati di sbroscia, agli attori itineranti, ai vaganti, gli unici non integrati nel sistema. Chi sia poi a trionfare, se Degrado o il Signore dei Vetri, non ha poi molta importanza. Rimane comunque il quadro ammonitore di un'umanità degradata che subisce passivamente ogni abiezione senza neppure rendersi conto di quanto facilmente venga manovrata. Assurdo? Non dimentichiamo che quando Swift pubblicò la sua «Modesta 1

Personaggio a fumetti creato da Tamburini e Liberatore, pubblicato in Italia dalla rivista Frigidaire, Ranxerox è un androide impazzito che si innamora per una disfunzione dei circuiti di una ragazzina drogata, Lubna. (n.d.r.)

Proposta» nel 1729, ci fu chi la prese seriamente in considerazione. Ci sono più cose in Cielo e in Terra, Orazio, di quante ne possa sognare la tua filosofia, scrive Shakespeare. Ma forse più complesso del Cielo e della Terra è proprio l'animo umano. Per tutti i curiosi pubblichiamo in appendice al romanzo il testo swiftiano da cui Filastò prende le mosse per questo romanzo. Ricordiamo, cosa che sorprenderà i lettori più giovani, che già nel 1966 la rivista di fantascienza Gamma lo incluse in sommario (nel n. 8) accanto a cinque o sei racconti più ortodossi, presentando Swift come «uno dei più venerati precursori della fantascienza». Mauro Gaffo

CAPITOLO PRIMO Il vecchio sedeva sul divanetto e ogni tanto alzava lo sguardo, ma senza impazienza. In un qualsiasi ufficio del secondo livello non sarebbe andato al di là della segretaria. Bastava guardargli il vestito. Ma l'Insistente Degrado non aveva una segretaria. Tutto quello che aveva era una scrivania, una poltrona a schienale alto, una piccola scaffalatura piena di scartoffie, il divanetto e la patente incorniciata storta sul muro, tutto questo in uno dei settecento vani di un immobile adibito ad uffici del terzo livello. Comunque era già un miglioramento: ancora due anni prima di ricevere i clienti nei bar. Il suo mestiere, nuovo in apparenza, ha molte cose di diversi mestieri antichi. «Insistente» è la definizione ufficiale. Gli Insistenti non hanno nessuna specializzazione; gli avvocati li chiamano «sciacalli», i funzionari dei palazzi «inesistenti», la gente comune «raccattamerde». Non è una carriera brillante. Si tratta di grattare le rogne di chi non ha di che pagare un avvocato, o di che corrompere un poliziotto o un funzionario. Si viene pagati per attaccarsi alle costole di avvocati, poliziotti e gente dei palazzi e per non mollare finché non si ottiene qualcosa. Quando va bene. Quando non va, pazienza: la clientela non è danarosa e paga il risultato. Degrado spesso veniva pagato in natura, come molti nel suo ramo; il che andava bene quando si trattava delle prostitute del secondo e del terzo livello (quelle del primo non andavano da lui). Recentemente qualche poveraccio era stato costretto a sdebitarsi con una settimana di schiavitù, ma si era rivelato soltanto un ingombro, per sette lunghi giorni fra i piedi a

pasticciare negli spazi ristretti del residence e dell'ufficio, oppure dietro come un cane per la strada, a far da guardaspalle con una falsa faccia feroce. Lo scomodo non valeva lo spocchio. Per questo, da qualche tempo, aveva deciso di fare un po' di filtraggio. Di non seguire la vocazione di paladino degli oppressi. Degrado fingeva di studiare un inserto ed intanto cercava di capire qualcosa di questo vecchio, prima di occuparsi del suo caso. Che fosse un relitto della Città Bassa, era fuori di dubbio. Ma aveva qualcosa di speciale. «Di che vive» deduceva l'Insistente «non ha al braccio il cerchio giallo, quindi non è un assistito. Non guarda l'orologio, non si spazientisce: niente orari, non lavoro dipendente. A settant'anni del resto, chi lo farebbe lavorare. Nessun tatuaggio né sul viso né sulle mani: non è mai stato schiavo. Niente marchio e quindi non è mai stato dentro. Sembrerebbe uno che ha qualcosa di suo. Ma chi ha mai visto un vestito simile. Sembra uscito da un museo. Con che cosa può pagare uno che non può permettersi neppure una tuta termica?» La prima conclusione fu quella di liberarsene alla svelta. Poi guardò la borsa e cambiò idea. Era una borsa di cuoio animale con una chiusura in metallo cromato. Qualche tempo prima Degrado si era occupato di un furto di roba simile ed aveva un'infarinatura di quel mercato. Databile intorno al 1980. Un oggetto fatto interamente a mano, si vedeva dalle cuciture. Un discreto valore d'antiquariato. Sarebbe bastata la borsa per rifarsi delle spese. Degrado alzò la testa e guardò il vecchio con aria professionale. Attaccò il metronomo che prese subito a scandire i secondi: — Ha dieci minuti per esporre il suo caso. Mi riservo di accettare l'incarico. Dica.

Il Vecchio diede un'occhiata al quadrante fermo sul numero dieci e si alzò in piedi. — Ci vorrà un po' più tempo, prevedo — disse. — Posso pagare. Si avvicinò alla scrivania aprendo la borsa. Allineò sul tavolo, da sinistra a destra, una stilografica ad inchiostro, un oggetto che l'Insistente non riuscì ad identificare, un coltello a scatto con manico di madreperla, un rasoio elettrico a pila, una statuetta di bronzo raffigurante un uomo nudo nell'atto di lanciare una sfera, un'altra cosa sconosciuta e alla fine, con un'occhiata per valutare l'effetto, una rivoltella a pallottole che esibì, lucida e nera, in perfetto stato, svolgendola da un panno. Il Vecchio mise la mano a taglio fra gli altri oggetti e la rivoltella. — Fino a qua come anticipo per le spese. La rivoltella in caso di risultato positivo. Degrado non riusciva a staccare gli occhi dall'arma. — Anche la borsa in anticipo. Il Vecchio la poggiò sul tavolo, ci infilò dentro gli altri oggetti, riavvolse la pistola nel panno e se la mise in tasca. Si muoveva con molta lentezza, come uno che ha tempo a disposizione. Fece posto davanti a sé sul piano della scrivania, allontanando la borsa con una certa noncuranza, come se pulisse il tavolo. Un gesto da persona abituata agli oggetti di valore. Poggiò sullo spazio sgombro una vecchia foto bidimensionale in bianco e nero e l'avvicinò verso l'Insistente toccandola con la punta delle dita e dandole leggeri colpetti, come se avesse paura di sporcarla. — Deve ritrovare queste due — disse il Vecchio. Degrado guardò la foto. C'erano una donna e una bambina; sullo sfondo si intravvedeva la facciata di una vecchia casa e un albero. — Io abito fuori del territorio metropolitano — disse il vecchio, — queste due mi sono un po' parenti; avevano deciso di

stabilirsi con me. Erano in viaggio dirette verso la mia zona, nel settore delle Vecchie Miniere e sono sparite. Circa sei mesi fa. — Perché non chiede informazioni al dipartimento migrazioni interne? — chiese l'Insistente, — ci sarà il loro documento di viaggio. Se hanno avuto un incidente è registrato. — Se fosse così semplice non sarei venuto da lei. Non esiste nessun documento di viaggio. La ragazza, quella più grande voglio dire, è una vagante e la bambina è sua figlia. Degrado prese la borsa d'antiquariato ci mise sopra la foto e avvicinò il tutto verso il Vecchio. — Vagante, eh? — disse, — riprenda la sua roba. Sono un Insistente di terza, ma non mi sono ancora ridotto a rubare un onorario. — Troviamoci d'accordo sul risultato — disse il Vecchio, — mi basta sapere se devo rinunciare all'idea oppure no. Ho ricevuto una lettera della donna, qualche tempo fa. Mi ero abituato al pensiero che venissero a stare con me. Ho un sacco di posto. Queste due per me non sono nulla: non si faccia certe idee. Dalla lettera si capisce che la ragazza è stufa, che vuole fermarsi. Mi basta sapere se ci devo mettere una croce. Se accerta questo con una certa affidabilità, con qualche prova convincente voglio dire, la rivoltella è sua. Può ricavarci di che vivere un anno. Oppure può tenersela. Non è una cosa facile da ottenere un'arma efficiente senza registrazione. «Mi hanno detto che nel suo mestiere può risolvere molte situazioni, una cosa così. Se lo desidera posso impegnarmi per iscritto.» Degrado pensò che sul piano economico era il miglior incarico da almeno due anni. Prese la fotografia e si mise ad osservarla. La bambina stava a fianco della madre senza tenerla per mano. Guardava verso l'obiettivo con uno sguardo ironico e aggressivo. La donna era bella. Senza sorriso. Indifferente, l'aria un po' assonnata, senza trucco, come una prostituta di mattina.

Guardava nel vuoto; sembrava provvisoria persino nella fotografia. — Ha idea di quanta gente, di questo tipo, sparisce ogni giorno? — Si — rispose il Vecchio — ne ho sentito parlare. Anche di certi alberghi che non sono alberghi, dove la gente entra e non esce più. Di persone che hanno creduto di incontrare degli amici scomparsi da anni, che non erano più gli stessi, non avevano ricordi, ma una nuova identità ed una piccola cicatrice sulla fronte. «Non ho sempre abitato in campagna. L'efficienza del Dipartimento della Sicurezza Sociale la conosco. So anche cosa sono i vaganti e che non hanno la carta magnetica, che non sono registrati nel cervello elettronico del Palazzo delle Identità e che per questo possono sparire dolcemente, come se non fossero mai stati al mondo. «Sono venuto da lei per questa ragione, perché ne ho abbastanza dei sorrisi di compatimento dei funzionari e dei loro faccia - una - denuncia - di - scomparsa - questo - è-il modulo - le - manderemo - un - comunicato. La pago soltanto per sapere se devo aspettare ancora queste due, oppure no. Non chiedo molto e pago bene. » — Non ho ancora accettato — precisò l'Insistente — lo tenga presente. Mi dica come e quando ha perso i contatti. Il Vecchio fece il suo racconto senza fronzoli attento all'essenziale ed ai riferimenti obiettivi. A Degrado non fu necessario fare domande. Circa sette mesi prima la ragazza aveva annunciato, per lettera, la sua partenza da Megalops — Africa-Nord occidentale. Contava di arrivare in settembre, circa un mese dopo a far data dalla lettera. Viaggiavano, lei e la bambina, su una colombaia a ruote, un pidocchioso hotel-bus di vaganti. La lettera aveva sostato a lungo nell'Ufficio Censura della

Sicurezza, così quando il Vecchio finalmente l'aveva ricevuta, l'arrivo era imminente. L'hotel-bus era stato segnalato alla partenza e registrato in arrivo a Megalops-Mediterranea. Come al solito era illegale il viaggio, illegali i viaggiatori e illegali i vari colpetti che i vaganti facevano ad ogni tappa. Per questo, arrivata nell'area di Megalops-Mediterranea dove i posti di frontiera non sono un pro-forma come nelle aree africane, la colombaia a ruote si era defilata rifiutando i comandi automatici del Comprehensive trafic-control, infognandosi subito nel labirinto della Città Bassa al quinto livello inferiore. Da quel momento nessuno aveva saputo più nulla: né dell'hotel-bus né dei suoi vaganti, circa ottanta, compresi ventisette bambini. Degrado pensò che si trattava di un caso banale di pirateria stradale: a quell'ora le parenti del Vecchio erano state vendute come schiave e vai a sapere in quale angolo del vasto mondo erano finite. Oppure erano incappate in una spedizione punitiva dell'Associazione per la difesa dei cittadini integrati, nota per i suoi metodi sbrigativi contro i vaganti, donne-sole, pirati eccetera. In quest'ultima ipotesi avevano finito per sempre di accendere fiaccole sull'altare della libertà individuale. Difficile era fornire le prove di una cosa o dell'altra. Ma si poteva fare. L'Insistente contava su un amico al Dipartimento Sicurezza Stradale. Trattandosi di un intero hotel-bus, la faccenda non poteva essere passata del tutto inosservata. Doveva pur esserci un rapporto da qualche parte. — Mi faccia dare un'occhiata a quella rivoltella — disse Degrado. Il Vecchio gliela fece scivolare in mano. Nel palmo sembrava viva, perfettamente bilanciata: un animaletto coriaceo e lucido. — Naturalmente gliela darò con una fornitura di munizioni. —

Siamo d'accordo — disse l'Insistente. — Mi lasci esatte generalità e recapito. Quando avrò qualcosa in mano verrò io a trovarla. Pensava di risolvere tutto in una settimana. —

CAPITOLO SECONDO L'autista suonò due brevi colpi di clacson. Il Signore Dei Vetri fissava la porta attraverso il finestrino facendo molta attenzione a non esser visto da fuori. Pioveva a dirotto e la casa si distingueva a stento nella stradetta oscura. Sopra la porta chiusa al termine di una breve rampa di scale una lampadina nuda illuminava a malapena la scritta «CLUB» su di un'insegna vecchia e semicancellata, irraggiando sul muro grigio, su due piante simmetriche dalle foglie lucide ai lati dell'ingresso, e riflettendosi in una pozza d'acqua nel selciato sconnesso. Il Signore Dei Vetri sospirò e spostò il peso del corpo semisdraiato sui cuscini di velluto dell'auto che era una riproduzione esatta al minimo particolare di una Isotta Fraschini A.N.30 HP del 1909. Il ventre enorme rumoreggiò cupamente. L'autista suonò ancora il clacson. La porta si aprì e una figura in giacca bianca scivolò giù per i gradini. Il Signore Dei Vetri si mise una mano sul cuore che aveva accelerato i battiti, aprì il finestrino sporgendo ansiosamente la testa e gli occhiali scuri si imperlarono di pioggia. Il cameriere si piegò con rispetto verso di lui mentre gocce d'acqua gli colavano ordinatamente dai capelli impomatati. — Niente per stasera, Signore — disse il cameriere. — Ma come — si lamentò il grassone con voce piagnucolante, — sono due settimane... — È così — rispose il cameriere, — in questo periodo c'è poco movimento... — — Tornerò domani. — — Non posso darle alcuna speranza per domani — disse il cameriere.

Il Signore Dei Vetri abbassò la testa imbronciato. Il cameriere si protese verso il finestrino. — Ha altri ordini, Signore? L'uomo rifletteva, assorto, il labbro inferiore sporgente e una lacrima rotolante sotto gli occhiali. — Sono molto spiacente — sussurrò il cameriere. — La Direzione mi ha incaricato di esprimerle il rammarico più vivo. Il Signore Dei Vetri fu preso da un accesso di rabbia. Si asciugò gli occhiali con un fazzoletto viola, intonato al completo giallo canarino. — Non è con rammarico che si conserva una clientela — disse. — La Direzione ritiene che le attuali difficoltà... — cominciò il cameriere. — Quali difficoltà? — Il viso di luna piena apparve completamente fuori dal finestrino. — Non so se mi è permesso... — tergiversò l'altro. Due dita enormemente grasse con le unghie laccate di viola si protesero lasciando penzolare una banconota. Il cameriere fece sparire il danaro come un prestigiatore e si protese verso l'orecchio peloso del Signore Dei Vetri. — Non c'è niente di certo, naturalmente, ma sembra che una persona molto influente dell'amministrazione, che in passato ci ha onorato della sua amicizia, dopo quel disgustoso incidente che lei sa, si trovi, come dire, in un atteggiamento critico. Nel senso che, per essere più precisi, sembra abbia espresso dei dubbi sulla legalità del nostro piccolo commercio. In definitiva, quella protezione di cui godevamo, si è attenuata. «È per questo che nell'ambiente si è diffuso un certo allarme ed anche altri amici influenti si sono un poco raffreddati: alcuni di loro, come il Signore non avrà mancato di notare, non venivano da noi già da alcuni mesi. » «Qualche persona interessata si è presa la briga di far girare queste voci, della nostra, cioè, minore sicurezza, di

conseguenza i nostri fornitori hanno rallentato le visite finché, due settimane fa, hanno smesso del tutto di rifornirci. Sembra chiaro che, a questo punto, la merce ha preso la strada di altri mercati dove è possibile esercitare con un margine maggiore di tranquillità. » Il cameriere si diede una scossetta sulla giacca per far scolare l'acqua, si raddrizzò e tossicchiò imbarazzato, mentre il Signore Dei Vetri continuava a fissarlo impietrito. — Sei sicuro di quello che dici, ragazzo? — domandò. — Così almeno ho sentito in giro, Signore. — — Avreste dovuto avvertire i clienti, almeno. Fuori il nome di questo cagasotto. — — Questo poi mi è stato assolutamente proibito, assolutamente... — Questa volta il Signore Dei Vetri lasciò cadere due banconote che appesantite dall'acqua si incollarono sul selciato. Il cameriere le raccolse, infilò la testa dentro il finestrino, e sussurrò il nome. Il Signore Dei Vetri scivolò in avanti sui cuscini e afferrò il citofono: — Fila via subito da questo posto — disse all'autista.

CAPITOLO TERZO

Degrado trovò Gonzales davanti al «Don Jean», un locale di erotismo simulato nel quartiere-divertimenti del terzo livello. Fermo sotto la pioggia a cavalcioni della sua motocicletta, l'agente trascolorava e si confondeva con i riflessi dell'asfalto sotto le luci cangianti dell'insegna, lasciando smaltare dall'acqua la tuta di cuoio che lo ricopriva da capo a piedi. La radio di bordo gracchiava a tutto volume. — La setta del Sufi Pir Vilayat Khan che pratica il suicidio. Bello scherzo, questa volta. Venticinque defunti. Aula meditazione inondata di gas Ziclon B, mentre fedeli cantano inno. Giornalista della «Voce dello Spirito», presente per scrivere pezzo di colore, secco anche lui nonostante scarsa convinzione. Grossa grana per il dipartimento Chiese e Culti. Salterà qualcuno, è sicuro. — L'agente Gonzales si abbandonò all'indietro su quella specie di sofà a ruote che era la moto e fece la sua risata unendosi al coro allegro dei colleghi che commentavano l'episodio sghignazzando attraverso le ricetrasmittenti. Degrado aspettava che finisse il giro di ascolto e di comunicazioni, prima di farsi avanti e di chiedere aiuto per il suo problema. Dire in giro che gli era amico sarebbe stata una vanteria, perché l'agente ci teneva a mantenere le distanze dovute al ruolo, però in qualche occasione, mai gratuitamente, aveva avuto informazioni preziose. Non che Gonzales fosse qualcuno nell'amministrazione. Era soltanto un «orecchio», cioè un membro di quell'accozzaglia di girovaghi oziosi e alcolizzati che al Palazzo della Sicurezza chiamavano pomposamente Dipartimento per la Repressione dei Crimini stradali, ma che avevano soltanto il compito di spiare attraverso le radio su tutte le frequenze i messaggi clandestini dei pirati stradali, dei gruppi di donne sole, delle

gangs di ragazzini, dei solitari, dalla Zona Franca fino al terzo livello. Per questo Gonzales viveva in simbiosi con la moto, a cui parevano saldati, insieme con i plexiglas, i tubi cromati e le antenne complicatissime della ricetrasmittente, anche la sua gran pancia e il faccione incapsulato nel casco azzurro. Sempre in giro di qua e di là a piluccare tangenti dovunque fosse possibile in cambio di protezione, raramente sulle tracce di qualche lupo sdentato abbandonato dalle organizzazioni, ma sempre in ascolto, erano pochi i misteri di cui l'orecchioGonzales non avesse almeno sentore; del resto diceva di se stesso di essere il frate confessore della Megalops. La discrezione in persona, quando la merce scottava troppo per essere venduta. Degrado aspettava pazientemente sotto la pensilina accanto allo schermo TV che trasmetteva dall'interno, per attirare i gonzi del venerdì sera, gli equilibrismi impossibili di un gruppo di ambosessi che sguazzando in una piscina illuminata di rosa, si avviluppavano e si staccavano in un artistico mucchio tutti con l'identico sorriso cretino sul viso. Alla radio le risatacce si spensero, Degrado fece un passo in avanti fuori dalla pensilina e la sigaretta che stava fumando, già umidiccia, si bagnò del tutto. — Mi manca un dato per chiudere un caso — disse. — Aspetta — rispose Gonzales, poi si protese ad alzare il volume. — Precedenza! Precedenza! — stava gracidando la trasmittente. Un agente in tono concitato chiese agli orecchi in ascolto la decifrazione di un messaggio in codice. Gonzales afferrò rapidamente il microfono mandando a Degrado un'occhiata di superiore degnazione. — Svegliarsi, pivello! — urlò. — Come si fa a non capire? Il marchettaro cieco è un Supermercato. Secondo livello. Zona due zero-zero-tre. Black-out sul posto. Temporanea

interruzione corrente. Buio fitto. Le donne sole dell'Isola di Jezabel si chiamano a raccolta per un bel saccheggio. Parlano senza vocali, gergo elementare, roba da ragazzine. Suggerisco andarci in parecchi. Gatte arrabbiate. Graffiano e mordono. Auguri: più intimo lavorare al buio. Passo e chiudo. Per piacere Phelipe, sostituiscimi per qualche minuto. Ho qui un raccattamerde che chiede udienza. Chiudo. Spense la radio e voltò il viso, come un pesce luna dentro un acquario, verso Degrado. — Che mi dici di bello? — Si tratta di un hotel-bus. Roba di vaganti... Gonzales strinse le labbra poi alzò la mano guantata verso l'ingresso del locale. — Alt! —gridò. Due ombre rasentavano il muro cercando di intrufolarsi all'interno. — Ti ho riconosciuto, Pierre! — disse Gonzales — Avvicinarsi, prego. Dal cono d'ombra delle luci rutilanti, si staccarono una dama in abito lungo di velluto cremisi e la sagoma di una ragazza imbacuccata in un mantello e cappuccio che reggeva sulla parrucca della prima un ombrellino di seta già inzuppato di pioggia. — Buonasera signor Gonzales — disse la Dama. — I travestimenti sono consentiti nei nights; il secolo diciassettesimo va di moda, come lei sa, per le soirées di questa stagione. — Lascia perdere la moda — disse Gonzales. — Non sono mica scemo. Cosa vai a fare là dentro? Chi è la signorina al seguito? — Un po' di diversivo — rispose la Dama. — Di tanto in tanto. Perché no, signor Gonzales?

Causa ritiro autorizzazione, caro Pierre. Ti notificai l'interdetto una settimana fa. Per tre mesi. Affari troppo disinvolti. In aperto spregio della legge. Vedere, vedere. Gonzales con un gesto rapido si allungò sulla moto e fece cadere il cappuccio della ragazza: piuttosto carina, giovanissima, uno zuccottino di paillettes argentate che le fermava i capelli, ben tornita sotto l'abito leggero di foggia orientale. — Prevedo sequestro — rispose Gonzales. — Non puoi vendere schiavi ancora per novanta giorni. Il tatuaggio della signorina si vede benissimo, anche sotto il cerone. Non fare il furbo, con me, Pierre. — Sarò sincero, signor agente — disse Pierre — ho in corso una transazione molto vantaggiosa con un cliente che mi aspetta nel localuccio. «Ci sarà un utile anche per la Signoria Vostra, se mi userà la stessa cortesia di cui in passato. » «Osservi, prego — continuò — non è vile mercanzia. » La dama tirò a sé una catenella d'argento quasi invisibile e la ragazza venne a trovarsi proprio a fianco di Gonzales. — Almeno un due e cinquanta — disse questi, — per me il venti per cento. — Dio mio! — disse Pierre — Praticamente non resta margine! — — Prendere o lasciare. Preferisci rapporto ufficiale, sequestro e interdetto per altri tre mesi? — — Per carità — sospirò la Dama. — Vedrò di accomodarmi. Ma come è diventato duro il commercio, oggigiorno! — — Una parola ancora: concluso l'affaruccio, la faina porterà il mio pollo bello e spennato qui sull'unghia, e niente scherzi, intesi? — — Conosce il mio stile, Vostra Signoria — disse Pierre con aria offesa. —

La Dama e il suo seguito scivolarono dentro il «Don Jean» e Gonzales squadrò Degrado: — Discrezione, vero? Bisogna occuparsi di tutto. Che mi volevi dire? — Degrado espose il caso. Gli bastava un'informazione sicura. La registrazione autentica di un rapporto ufficiale avrebbe messo il cuore in pace al vecchio. Sufficiente per guadagnarsi l'onorario. Senza accennare alla rivoltella, l'Insistente precisò che qualcosa del suddetto sarebbe andato nelle mani di Gonzales. Mentre Degrado parlava, gli occhi dell'agente scorrevano di qua e di là, con aria annoiata e distratta e quando l'Insistente accennò al percento che gli sarebbe toccato, quello fece un gesto di disprezzo, riaccese la radio e ostentò interesse per le fasi della rissa furibonda che gli agenti di frontiera stavano sostenendo con le Amazzoni dell'Isola di Jezabel, là nel quartiere abbuiato duemilatre, dove le cose non si mettevano bene per i tutori dell'ordine. Degrado rimase ancora qualche minuto in disparte, poi, quando gli parve di aver fatto anticamera abbastanza, si riavvicinò all'agente. Ma Gonzales, prima che aprisse bocca, lo fermò scuotendo la testa e parandogli il palmo della mano davanti al viso. — Non roba per te, Degrado — disse, — proprio per niente. Non roba da raccatta-merde. Fatto male accettare incarico. Consiglio restituzione acconto. Oppure frega il vecchio, se te la senti. Racconta panzana qualsiasi. Proibito sprecare il mio nome. Chiudo. — Forse non mi sono spiegato bene — disse Degrado, — mi basta il rapporto. Non voglio altro. Ci deve essere una scartoffia da qualche parte. Gonzales si accigliò. Prese quell'espressione dura che Degrado conosceva fin troppo bene: la faccia del funzionario di Palazzo, che fa il riccio e che punge se insisti.

Ripeto comunicazione. Non roba da «inesistenti». Abbandonare, prego. Fine del rapporto riservato. Accusare ricevuta. Passo. — — Ricevuto — sospirò Degrado. Tentò il tono dimesso, implorante che riservava ai funzionari di grado molto superiore. — Mi basterebbe una piccola indiscrezione. Una traccia. Qualcosa per cominciare. Un punto di partenza. — La mano di Gonzales sfiorò paternamente il ginocchio dell'Insistente: — La tua patente dura almeno quindici anni, vero? Bravo ragazzo. Buon segno. Segno di intelligenza. Ecco in che modo posso aiutarti: tienti a questa corda. Mai deviare. Un Insistente di terza è un Insistente di terza. Non può seminare in campi alieni. Cosa faresti senza la patente? — «Non puoi fare altro: solo piagnucolare nei Palazzi dietro piccolissime faccende. » Gonzales piegò l'indice sull'unghia del pollice. — Piccole così. Preferiresti venderti come schiavo senza specializzazione? Parola da amico: lascia perdere. Ricevuto? — — Ricevuto. — — Un'altra cosa. Di questa faccenda io e te non abbiamo mai parlato. Abbiamo mai parlato di un hotel-bus di vaganti io e te? Rispondere. Passo. — — Mai. Non ne abbiamo parlato mai. — — Perfetto. Stammi bene. Chiudo. — Gonzales accese il motore, ingranò la marcia, fece impennare la moto e si avviò rombando verso un'altra direzione. —

CAPITOLO QUARTO Sulla gamba centrale della grande ypsilon che dalla costa porta verso l'interno, la freccia del controllo automatico sul monitor indicò una derivazione secondaria a sinistra, mentre la direzione di Degrado era a destra e verso l'imboccatura di un tunnel. Questo voleva dire di un altro giro sull'anello di raccordo, in attesa del suo turno. L'auto dell'Insistente, guidata a trenta chilometri l'ora dal cervello elettronico, si trascinava passivamente come un insetto. Tutto il nastro stradale era pieno di utilitarie elettriche, le macchinette ticchettanti e modeste delle mezze calze: venditori, programmatori, organizzatori, mediatori, generici, non specialisti, la gente esclusa dall'Amministrazione e dalla Produzione, quella che gli economisti definivano «fluido osmotico», mediocremente utile per una certa funzione di raccordo. Quella era la loro ora di punta, alla ricerca del contatto quotidiano. L'Insistente si era alzato presto, con la bocca ancora impastata di sapore dolciastro del «rosolio della casa», il miscuglio di vino di palma e rum che servivano al «Don Jean». Era rimasto un poco a fissare il soffitto basso come il coperchio di una scatola, ancora assonnato aveva atteso sotto la doccia per almeno due minuti prima di ricordarsi che la sua razione d'acqua era diminuita e che avrebbe avuto diritto ad un bagno completo il giorno dopo. In ascensore si era trovato stipato insieme agli operai del primo turno A.M. che scendevano alla «Frangipane» la fabbrica di alimenti sintetici del sottoterreno. Il puzzo di deodorante era insopportabile.

Le finestre del «Buen Retiro», il residence di cui aveva in affitto la millesima parte, non sembravano finestre, ma una quadrettatura ornamentale per rendere più estetico il sostegno della Città Alta che vi sorgeva sopra. Degrado aveva gettato sul sedile a fianco del posto di guida l'acconto del Vecchio, aveva sistemato con più cura una bottiglia di whisky e si era avviato verso l'autostrada. Ancora davanti al tunnel. Questa volta era il suo turno. Lo attraversò. All'uscita apparve sul monitor il simbolo del pilota automatico. Gli impulsi del cavo elettromagnetico a pochi centimetri da lui, sotto l'asfalto, lo avrebbero guidato nella direzione presegnalata alla partenza. Degrado distese lo schienale del sedile, si sistemò più comodamente che poteva e si addormentò. — Qui controllo centrale. Avete superato il tempo consentito di sosta in corsia d'emergenza. Volete segnalare un guasto? Qui controllo Centrale. Avete superato... L'Insistente si svegliò, mentre la voce continuava a cadenzare il messaggio. Guardò il monitor. La freccia indicava verso l'incrocio con una vecchia strada a due sole corsie, piena di buche e in salita. Degrado bestemmiò sottovoce. La stradaccia si inerpicava su per le colline, tutta curve come un serpente. Da entrambi i lati alberi e cespugli, un bosco fitto. Accanto alla freccia direzionale, sul monitor, pulsava il segnale rosso del termine della zona di controllo. Guardò l'orologio. Era andato avanti per oltre quattro ore. Non passavano auto, né camions, non c'erano costruzioni in vista. Il silenzio era rotto soltanto dal monitor di comando: la voce aveva ceduto il posto ad un sibilo d'allarme.

Ebbe la tentazione di tornare indietro. La strada e il bosco erano più estranei e più minacciosi di un posto di frontiera della Città Bassa. L'Insistente bevve un sorso dalla bottiglia, premette l'acceleratore e sterzò verso il bivio. Appena imboccata la strada, il monitor si spense. Degrado si sentì abbandonato. Fece pochi metri, si fermò sul bordo della stradaccia e spense il motore. Da una macchia qualcosa frusciò, un uccello si lanciò in parabola come un sasso. La mattinata era limpida, il cielo azzurro carico sfrangiato da stracci bianchissimi. Il Vecchio gli aveva fatto una piantina: seguendo le indicazioni dopo il bivio con l'autostrada avrebbe dovuto percorrere dieci chilometri di strada asfaltata, attraversare un paese e imboccare la prima carreggiata sterrata a destra, poi doveva seguire le frecce per il «camping». Il paese, la strada sterrata, il camping. Ma esistevano ancora posti del genere? Su per la salita il motore elettrico arrancava faticosamente, cigolando e scuotendo tutta la carrozzeria. Proseguì per alcuni chilometri, sobbalzando e cercando di evitare le buche. Dopo ogni avvallamento più profondo si aspettava che la macchina andasse in pezzi. La strada adesso era rettilinea. Sullo sfondo il sole si rifletteva sui vetri di alcune costruzioni. In lontananza, dalla parte opposta, una grossa auto sopraggiungeva a tutta velocità. Si teneva sul centro della strada, ma quando fu alla distanza di cento metri, l'auto a turbina nera, con i vetri abbrunati, si buttò contro l'utilitaria di Degrado. L'Insistente sterzò completamente verso sinistra come per un'inversione di marcia. La turbo fu un lampo oscuro che sfrecciò di fianco, mancando l'utilitaria per lo spazio di una moneta metallica. Degrado si accorse dal contraccolpo dello sterzo di aver investito l'alzanella sul margine opposto della strada. Per un attimo balenarono nello specchio retrovisore i

rostri posteriori del turbo, che si allontanava in un gran fischiare di gomme. L'utilitaria, senza controllo, si diresse in picchiata giù per la scarpata erbosa. Degrado afferrò lo sterzo cercando con tutte le forze di tenere le ruote diritte. Ci fu un altro urto, poi il ticchettare del motore elettrico che girava a vuoto. Spense il motore. Scese: le ruote anteriori, sospese nel vuoto di un fossatello, giravano ancora. Aveva di fronte un sentiero sterrato, la strada era alle sue spalle, in alto, dopo un prato solcato da due righe parallele esattamente tracciate come da una falciatrice. A pochi metri da quei solchi sedeva una ragazza che lo guardava con gli occhi sbarrati. — Sei sempre stata seduta lì? — chiese Degrado. — No — rispose la ragazzina, — prima ero in piedi. L'Insistente sentì in bocca il gusto del sangue. Sputò: doveva aver sbattuto da qualche parte, il labbro inferiore gli si stava gonfiando. La ragazzina si alzò stirandosi il grembiule arancione. — Ti sei fatto male? — Niente di grave — rispose Degrado toccandosi il labbro. — Ci è andata bene. A tutti e due. — Vista da vicino non sembrava più tanto giovane; era vestita leggera per la stagione. L'Insistente si guardò in giro. In fondo al sentiero, ai lati di una piazza c'erano due edifici collegati fra loro, uno alto, come una specie di castello ed uno basso, a zampa di elefante. I vari elementi di cemento, vetro, acciaio e plastica erano accozzati insieme in un disordine studiato. Il luogo sembrava abbandonato. Il sottobosco invadeva le costruzioni, c'erano rovi dovunque. Si sentiva scrosciare dell'acqua. In uno spiazzo fra le due ali dell'edificio più basso, una fontana zampillava da un blocco di pietra. L'acqua si disperdeva nel fossatello; lo spreco faceva soffrire a guardarlo. Degrado si sciacquò la bocca, poi bevve a lungo. L'acqua era fresca e buona, senza sapore di disinfettante. Anche la ragazza

bevve chinandosi ad accostare la bocca allo zampillo. L'Insistente le guardò le gambe diritte, scoperte fino alla parte alta delle cosce, e il sedere che tendeva il grembiule. Accennò all'edificio. — Abiti qui? — Da queste parti. — La ragazza lo guardava con aria sospettosa. Intorno non si vedeva nessuno. — Sola? — No. Siamo in diversi. — E gli altri dove sono? — Stanno nel camping. Non sarai un poliziotto? — Conosci un vecchio che abita vicino al camping? — Ma tu chi sei? — Vengo dalla metropoli. Devo vedere un vecchio che abita vicino al camping. — Sei un poliziotto. — La ragazza gli voltò le spalle e si avviò verso il sentiero. — Ehi — le gridò dietro Degrado, — ti ho chiesto solo un'informazione! La ragazza si fermò in mezzo al sentiero: — Non conosco nessun vecchio. Si tirò il grembiule sui fianchi e si mise a correre. Era a piedi nudi e saltava sui sassi e sugli sterpi come una lepre. I capelli, che portava raccolti sulla nuca, le si sciolsero. Scomparve dove il sentiero spariva fra due ali di bosco. L'Insistente raggiunse l'edificio più alto. Bussò al portone. Dall'interno non venne nessun segno di vita. Sopra l'architrave c'era una scritta incisa su di una lastra di pietra: «MA GLI UOMINI SI AFFATICANO PERCHÉ PARTONO DA PRINCIPI SBAGLIATI. LA PARTE MIGLIORE DELL'UOMO È SUBITO ARATA NEL SUOLO, PER FARNE CONCIME. DA QUESTA COSA, CHE È COMUNEMENTE CHIAMATA NECESSITÀ, EGLI È COSTRETTO A RIPORRE TESORI CHE TIGNOLE E RUGGINE

CORROMPERANNO PRESTO E CHE LADRI VIOLERANNO O RUBERANNO. È UNA VITA DA PAZZI, COME CAPIRÀ EGLI STESSO QUANDO NE SARÀ GIUNTO ALLA FINE — SE NON PRIMA.» HENRY D. THOREAU. — Da pazzi, proprio — disse l'Insistente a voce alta, tirando un calcio a una pietra. Camminava da un'ora nella stessa direzione della ragazza. Nei rari spazi in cui il sentiero usciva dalla boscaglia si scorgeva il profilo di una montagna. L'Insistente si sentiva fuori-quadro come una mosca in un bicchiere di liquore di marca. Era a disagio in mezzo a tutti quegli alberi. L'aria sottile, che aveva uno strano odore pulito, gli provocava l'affanno. La borsa del Vecchio era molto pesante. Il sentiero sfociò in radura. Nello spiazzo erboso disseminato di rocce si distendeva una bidonville che a prima vista sembrava un deposito di rottami. In posizione centrale c'erano due mezze chiglie di barcone di legno, l'una di fronte all'altra come gusci di noce, collegate da un traliccio coperto di vetrate. A fianco c'era un camion vecchissimo trasformato in autohome, con le pareti verniciate di giallo intenso ed arabescate di disegni viola. Dal dislivello del prato apparivano le facciate di alcune baracche sotterranee i cui fumaioli sbucavano dai tetti erbosi. Un assemblaggio di tende a striscie rosa e verdi dribblava gli alberi e si saldava ad un vagone-letto la cui vernice turchina, in parte scrostata, cedeva il posto alla ruggine. Alcune carcasse di auto a benzina ammucchiate le une sopra le altre e mescolate con telai di finestre, pannelli e fiancate di roulottes, formavano una specie di torre. Si notava un'assonanza non casuale con le radici sporgenti degli alberi, i tronchi e le rocce che si inserivano in mezzo alle costruzioni.

L'odore di fuoco di legna era intenso. Il silenzio era rotto dal rumore di un trattore fermo a motore acceso, con un cappello di paglia abbandonato sul sellino. Al centro del passaggio fra le due mezze parti del barcone c'era una porta, aperta. Degrado entrò. Nella penombra urtò il piede contro un ostacolo: il pavimento era cosparso di oggetti, libri soprattutto, che erano stati gettati giù da alcuni scaffali adesso semivuoti. Sulla parete di destra a fianco della porta Degrado vide la ragazza vestita leggera di poco prima che, illuminata dalla fiamma, era intenta a scaldare qualcosa sul focolare. Dal vano contiguo veniva un brusio sommesso come quello di molti parenti che assistono un ammalato. Anche nella stanza successiva il pavimento era cosparso di oggetti. Un cassettone mostrava tutti i suoi cassetti aperti, alcuni dei quali era stati sfilati ed abbandonati per terra; due o tre sedie erano rovesciate. L'Insistente si avvicinò ad un letto in luce sotto l'unica finestra, perché aveva riconosciuto il vestito che qualsiasi segretaria avrebbe messo fuori della porta. Il Vecchio era malridotto, le palpebre gonfie e violacee, il viso pieno di lividi; stava sdraiato ed una ragazza, in hot-pants, gli sosteneva sulla fronte una borsa di ghiaccio. Un ragazzo piuttosto robusto si staccò da un gruppo di altri giovani che parlavano a bassa voce in un angolo della stanza, e si parò davanti all'Insistente. — Tu chi sei? — chiese con tono minaccioso, — chi ti ha fatto entrare? — La porta era aperta — rispose Degrado. — Venga pure avanti — disse il Vecchio, — è arrivato a proposito. — Ma che è successo, qui? — Degrado rimise in piedi una sedia e vi poggiò sopra la borsa. — Sono stati i tuoi amici — disse la ragazza vestita leggera entrando nella stanza, con in mano una tazza fumante, — hai

una bella faccia tosta a venire qui. Questo tizio — si rivolse agli altri — giù al Paese, mi ha chiesto del Sindaco. Il ragazzo robusto afferrò per il petto Degrado, che si accorse che gli altri si stavano spostando alle sue spalle, pronti ad intervenire. L'Insistente si irrigidì, se avesse reagito li avrebbe avuti tutti addosso. Si voltò verso il Vecchio mentre la stretta si faceva più decisa: — Gli dica qualcosa a questo zotico, mi sta rovinando il vestito. — Il Vecchio si era alzato a sedere sul letto. — Lascialo stare! — ordinò, — è un amico. — Se lo dice lei, Sindaco — disse il ragazzo robusto allontanandosi da Degrado e strofinandosi le mani sui jeans. — Fatemi un piacere — disse il Vecchio, — andate nell'altra stanza. Io e questo signore dobbiamo parlare. — Se ha bisogno di qualche cosa, ci chiami — disse il ragazzo robusto. Lasciarono tutti la stanza, dopo aver squadrato in cagnesco Degrado. — Deve scusarli — disse il Vecchio quando furono soli, — sono eccitati. È comprensibile. L'Insistente indicò la stanza a soqquadro: — Ma chi è stato? — Hanno detto che erano della Polizia. Hanno perquisito dappertutto. Ce l'ha ancora quella foto che le ho dato? — Gliel'ho riportata. Insieme a tutto il resto. Ma perché l'hanno picchiata? — Non lo so — rispose il Vecchio, — ma per fortuna erano solo in due. Se non fossero arrivati loro — accennò nella direzione dell'altra stanza — forse mi avrebbero ucciso. — Non voglio disturbarla a lungo — disse Degrado. — Del resto è tutto il giorno che sono in giro. — La palla rossa del sole tramontava dietro la finestra, accendendo il viso del Vecchio e i lividi. L'Insistente vuotò il contenuto della borsa sulla sedia. La statuetta finì sdraiata. L'uomo nudo sembrò cadere sotto il peso della sfera. — Le ho riportato il suo acconto. E la fotografia. È una faccenda troppo spigolosa per me. Ho fatto un solo passo

ed è andata male. Praticamente non ho altre strade. La borsa basta per le mie spese. Il Vecchio si adagiò di nuovo sul cuscino. Per un minuto ci fu silenzio. Uno dei ragazzi si affacciò alla porta. Il Vecchio gli fece cenno di andarsene, poi disse: — Va bene. Mi rivolgerò a qualcun altro. Lei di che cosa ha paura? — Mi è stato fatto capire, piuttosto chiaramente, che potrei rimetterci la licenza. E, se permette, visto quello che è successo oggi, anche per quanto la riguarda... — Tenga presente — lo interruppe il Vecchio, — che da questo momento non è più pagato, neppure per i consigli. — Va bene — disse Degrado, — faccia come le pare. La pelle è sua. Prese la borsa vuota e si avviò verso la porta. Il Vecchio aveva mandato con l'Insistente uno dei giovani perché lo guidasse attraverso una scorciatoia. Da qualche risposta scorbutica del suo accompagnatore Degrado apprese che il Vecchio aveva organizzato una comune di cani sciolti su quella montagna, per questo lo chiamavano Sindaco. Era stato un architetto a suo tempo. Piuttosto famoso, sembrava. Percorrevano un viottolo appena tracciato in mezzo ai rovi e molto scosceso. Dopo avere aggirato un grosso masso Degrado si fermò per togliersi un tralcio di spine che gli si era aggrovigliato ad una caviglia. Guardò in basso: si vedeva già la strada. La sua auto, mezza storta con il muso in bilico proteso sopra il fossato, faceva pena. L'Insistente si appoggiò alla roccia, mentre un pensiero gli attraversava la mente. — Ehi! — gridò al ragazzo che continuava a scendere quasi di corsa lungo il pendio, — quelli che hanno picchiato il Sindaco, sono arrivati con una turbo?

Sì. Li ha visti Donata. L'avevano parcheggiata là dietro. Una turbo nera. — Degrado si voltò verso il cammino appena percorso. Sospirò pensando alla salita. —

Quando rientrò nella casa-barca, il Sindaco era ancora a letto, mentre la ragazza leggeva un libro ed un'altra stava riordinando in giro. Degrado andò dritto verso il Vecchio. — Senta — disse, — a chi sta pestando i piedi, lei? La ragazza che leggeva lasciò cadere il libro e si precipitò fuori dalla stanza. Dall'esterno si sentì un fischio acutissimo. — Non perda tempo — disse il Vecchio. Accennò verso la finestra: la striscia rosata che seguiva la linea delle colline sfumava in un azzurro sempre più cupo. — Quella strada è molto brutta, di notte. — Se è per questo non so neppure se riuscirò a ripartire. Quei signori che sono venuti a farle visita hanno cercato di investirmi, me la sono cavata per un pelo. Non credo che sia stato un incidente. Ho il diritto di sapere qualcosa di più. Mi ci ha messo lei dentro questa storia, signor Sindaco. Io ne avrei fatto a meno. Conosco quelle auto. Sono del tipo in dotazione della D.I.D.A. Dipartimento Interni, Discrezionalità Assoluta. È gente con le mani lunghe, che non deve rendere conto a nessuno. «Gli agenti della D.I.D.A. non si scomodano soltanto per due Vaganti. » Degrado si sedette ed accese una sigaretta. — Non me ne vado di qui finché non mi ha detto tutto quello che sa. Entrarono tre giovani. Davanti a tutti stava quello ben piazzato, con una chiave inglese in mano. — Serve niente, Sindaco? — chiese. Degrado scattò in piedi. Aveva fame ed era stufo di tutto.

Non ci serve niente e levati dai piedi! — Questa volta era disposto a sfidarli, tutti quanti erano. Il ragazzo robusto si fece avanti bilanciando nella mano l'arnese di acciaio. Degrado afferrò una sedia. Il Vecchio si alzò con fatica e spinse indietro il giovanotto. — Non ci sono problemi, Luigi. Ve l'ho detto, è un amico. — Siamo nell'altra stanza — disse Luigi continuando a guardare fisso Degrado ed arretrando. — Sono un po' troppo premurosi con lei — disse l'Insistente. Il Sindaco si sdraiò di nuovo e chiuse gli occhi, come se volesse assopirsi. La stanza era quasi al buio, ora. — Molto tempo fa insegnavo all'Università. Un alto funzionario che era stato mio allievo adesso è il Presidente della Commissione urbanistica, in quell'ignobile guazzabuglio che chiamate metropoli. «Quando persi i contatti con la ragazza della foto andai da lui. Mi mise in contatto con un funzionario della Sicurezza. » «Da quest'ultimo seppi che ci sono stati molti episodi analoghi. La delinquenza comune non c'entra niente. Né i pirati, né le bande di donne-sole, né i fanatici delle società segrete rituali. Indagini non se ne fanno. Quel funzionario si era occupato di alcuni casi, ma per poco tempo: lo trasferirono in un altro settore. » «Dopo aver parlato con lui, la settimana successiva, ricevetti la visita di un signore, molto gentile, che si era scomodato ad arrivare fin qua e che me lo fece notare. Mi fece presente che era pericoloso, di questi tempi, andare in giro per le amministrazioni a fare domande. La cosa mi irritò. Presentai un esposto al Palazzo di Giustizia in cui raccontavo i fatti e chiudevo con una denuncia per minacce e tentativo di subornazione. » «Fu peggio che lasciar cadere un sasso in uno stagno: lì almeno si vedono i cerchi. » —

«Passarono un paio di mesi senza che avvenisse nulla, poi venni a trovare lei. Questo che le ho detto cambia qualcosa? » — Eccome — rispose l'Insistente, — non sarei qui se avessi saputo. Non avrei accettato l'incarico. Che cosa ha intenzione di fare ora? — Cercherò qualche altra strada. — Lasci perdere, invece. Non se la passa male, qui. C'è verde e aria buona. Faccia capire che la lezione le è servita. Ritiri il suo esposto. Io mi farò un giro, per qualche settimana. Mostriamo di aver mollato tutto. — Si regoli come crede, lei. Si è dimesso dall'incarico, no? — Non è così semplice. Le persone che hanno la possibilità di far muovere la DIDA si contano sulle dita di una mano, in città. Non hanno l'abitudine di lasciare nessuno sulla loro strada. Sono legato al suo carro. Se qualcuno qui ha sbagliato, è lei. «Faccio un mestiere, io: se rischio la pelle lo devo sapere in anticipo. A lei sembra normale impegnare qualcuno in un lavoro senza parlare del rischio? Adesso cerchi di rimediare. » — È quello che voglio fare, ma a modo mio. — C'è solo un modo. Lasciar perdere tutto. — Non sono d'accordo. — Caro Sindaco — l'Insistente tentava di trattenere la sua irritazione, — ha troppi vecchi romanzi, qui in giro. Lei non è aggiornato. Non c'è più nessuno disposto a rompersi la testa contro i muri. Anche perché sono di gomma, i muri. — La capisco. — disse il Vecchio, con il tono di chi vuole chiudere il discorso. — Non ha capito niente, invece! — Degrado smise di moderarsi, — se ne stava qua a giocare al Saggio sulla montagna, a un tratto parte da questo maledetto bosco con un bastone e lo viene a ficcare nell'alveare. Ha disturbato l'Ape Regina. Può dirsi fortunato di essersela cavata in questo modo!

Io non conosco il suo ambiente — disse il Sindaco alzandosi dal letto ed accendendo il lume a petrolio che stava su di un tavolo, — però mi rendo conto che possa sembrarle strano. Io voglio sapere quale carogna puzzolente si tiene nel nido, l'ape regina. — Non sono fatti suoi. — Purtroppo adesso sono fatti miei. Metà della vita l'ho trascorsa cercando tutti i modi possibili per tenermi fuori. «C'ero quasi riuscito: fingevo che non esistesse più nessuno, là in basso. Che una pestilenza vi avesse eliminato, tutti quanti siete, con il vostro frastuono e la vostra logica di assassini e di carcerieri. Fino ad oggi nessuno sapeva che quel sentiero porta in un posto abitato. Avete quasi disimparato a camminare, per fortuna. Ho fatto un passo falso e adesso hanno trovato la strada. Se voglio sapere qualcosa è per difendermi. Voglio avere nelle mani almeno un'informazione. Dietro la scomparsa di quella donna e della sua bambina c'è una storia che tiene sulle spine topi di rango, nella vostra fogna. Voglio avere della merce da scambiare per riconquistare la mia solitudine. Su un fatto, però, ha ragione. Senza volere ho coinvolto anche lei, mi dispiace. — Un corno, le dispiace. È un po' tardi per le scuse. Il Sindaco indicò gli oggetti sulla sedia: — Se li riprenda, e riprenda anche la foto. Lavorando per me, ha una possibilità di tirar fuori anche se stesso. Degrado si sentiva come una comparsa che conosce il finale del copione. Il Vecchio aprì un cassetto e tirò fuori la rivoltella. La bilanciò nella mano: — Prenda anche questa. Le sarà utile nella Città Bassa. È di là che deve cominciare. Lasci perdere le amministrazioni. Risalga all'inizio della storia; vada nella Zona Franca. Degrado si strinse nelle spalle: era il suo mestiere, dopotutto. —

Rimise gli oggetti dentro la borsa e si fece scivolare in tasca la foto e la rivoltella. Prima di uscire chiese al Sindaco: — Mi tolga una curiosità, chi è Thoreau? — Era — rispose il Vecchio, calcando sul verbo. — È morto da un pezzo. Un filosofo americano. L'Insistente pensò che per completare la giornata gli mancava solo di ricevere una lezione da un vecchio ostinato.

CAPITOLO QUINTO L'alto Commissario alla Sicurezza, Grande Ufficiale Falco, voltò la poltrona verso il cristallo antiproiettile della finestra al trentesimo piano e si dispose a godersi lo spettacolo della distribuzione delle eccedenze agli assistiti. Pensava a questo come alla sua «buona azione quotidiana», un modo sereno di cominciare la giornata. Si appoggiò allo schienale e regolò il fuoco del binocolo. I custodi aprirono i cancelli e il cortile interno del Palazzo di Giustizia si riempì di uomini e di donne che avevano un cerchio giallo cucito su una manica. Gli addetti formarono un cordone tenendo la folla a distanza dal centro dello spiazzo. Tre autotreni ribaltarono il carico in un grosso mucchio. Appena il cordone fu sciolto gli assistiti presero la corsa e si diressero verso la zona del deposito dove, in mezzo ad alcuni elettrodomestici di modello vecchio, luccicavano gli involucri in cellophan di tronconi di grossi pesci surgelati. Alcuni barattoli di una polvere rossa, forse paprika, si ruppero. Una nebbia scarlatta sollevata dai piedi fluttuava intorno agli assistiti che si respingevano a vicenda. Il Grande Ufficiale Falco sorrise notando che molti starnutivano. Si accigliò perché una donna era caduta a terra e non accennava a rialzarsi. «Calma,» sussurrò fra sé «ce n'è per tutti.» Il videofono emise un segnale luminoso. I frammenti di malachite e argento intorno agli occhi della Prima Segretaria sparavano bagliori che sullo schermo diventavano rosso cupo. Lampeggiando e suadentemente sussurrando la Segretaria disse: — Il Signore Dei Vetri chiede un'udienza personale. L'Alto Commissario sospirò. La giornata cominciava. Ripose il binocolo.

Fallo entrare — disse. La porta si spalancò per tutta la sua ampiezza e la mole enorme del Signore dei Vetri entrò nella stanza. Sbuffando, un passettino dietro l'altro, raggiunse un divano di fronte alla scrivania e vi si lasciò cadere con un sospiro. — Sei ancora ingrassato — disse malignamente il Commissario. Il Signore Dei Vetri si lisciò sul ventre il doppio petto di lino bianco, moda-rétro anni novecentotrenta. — Non è possibile — grufolò, — sono a dieta. Ancor più malignamente lo squadrò il Commissario, autocompiacendosi del suo personale tirato a pennello nella divisa blu carta da zucchero, sobriamente filettata d'oro all'altezza del cuore con i quattro segmenti dei funzionari di grado speciale. «Questo guitto» pensò con astio, «ci tiene a mostrarsi nel ruolo del gangster anche quando si veste. Come se non si sapesse abbastanza. » Si vergognava di certe amicizie degli anni ruggenti della sua giovinezza, una cerchia disdicevole per le sue funzioni, adesso che la carica lo sollevava al di sopra di qualsiasi possibilità di ricatto. Con il Signore Dei Vetri identificava appunto gli errori giovanili protrattisi più a lungo nel tempo, tanto da rendere molto difficile conservare il distacco dovuto al grado. — Da quando ti conosco sei a dieta — disse Falco, — e da quando ti conosco, continui lentamente, con metodo, ad ingrassare. Il faccione del Signore Dei Vetri si aprì in un ampio sorriso che mise in mostra i denti troppo perfetti per essere veri. — Bene, bene, bene, — disse prendendo una posa rilassata, — come va il nostro boy scout? Devo dire che assomigli alla tua immagine. È una grande idea quella trasmissione, sentinella della sera. —

«Ti seguo quasi tutti i giorni. Posso sapere chi è il tuo esperto di mass-media? Il mio non è abbastanza creativo; manca di idee. Sarei tentato di rubartelo. Ti ha impostato in modo perfetto: elegante senza ostentazione, severo e sereno, deciso, ma non autoritario. Esattamente quello che ci vuole per far sognare una casalinga. La guardia del romantico castello medievale: sono le dieci e tutto va bene. Il baluardo invalicabile contro le donne e gli uomini della Zona Franca; quelli che nei bassifondi celebrano il sabba di tutte le permissioni. La irresistibile seduzione dell'uomo d'ordine. » «Non ti eccita pensare a tutte quelle che si toccano sotto le coperte pensando alla sentinella? » Il Commissario Falco si precipitò sul videofono e spense tutti i contatti. — Finiscila! — s'infuriò, — siamo nel mio ufficio. Non in uno dei tuoi bordelli! — Ahi! — sospirò il grassone — da quando hai cominciato a prenderti sul serio? — Se hai qualcosa da dirmi, fai presto, e poi vattene. Ho una giornata pesante davanti a me. Il Signore Dei Vetri squadrò il viso del funzionario che aveva assunto un'espressione scostante. — Non avrai il coraggio di mettermi alla porta, non l'avrai. II Signore Dei Vetri protese la testa verso il commissario guardandolo fissamente. La bocca ridente ancora, ma gli occhi saettanti un avvertimento. Restarono a guardarsi per qualche secondo. Attutiti dall'altezza riempirono il silenzio alcuni ordini che provenivano dal cortile. L'espressione di Falco si distese. Nel suo sorriso apparve una nota di paura. — Nessuno vuol metterti alla porta. Ma veramente: ho moltissime cose da fare.

Così va meglio. Da quanto tempo manchi dal nostro piccolo locale? Il faccione del Signore Dei Vetri era la solita omelette cascante al formaggio, ma gli occhi diventarono più chiari, vitrei, quasi bianchi. La sua aggressività invase la stanza, come un purissimo tema musicale. Falco non riusciva a staccarsi da quello sguardo che esprimeva un programma di annientamento totale. La voce del Signore Dei Vetri diventò sussurrante, si faceva fatica ad udirlo, il tono era gentile, quasi dimesso: — Quale locale, dice lui. Il boy scout ha perso la memoria. Troppo lavoro. Responsabilità eccessive. Non credere che non me ne renda conto. Sono qua perché ti sono amico. Ti agiti troppo. «Per esempio: quando mai si è sentito dire che un funzionario abbia preso un'iniziativa importante senza consultare preventivamente gli amici? Non si è mai sentito, dico io. Non è mai successo niente di simile. Ecco perché quando me l'hanno riferito, io ho detto subito: ma volete scherzare? Falco ha fatto questo? Ma neppure se l'avessi visto. Non è il Falco che conosco io. E loro a insistere (senti, non fare l'ipocrita con me, è inutile che scuoti la testa) e loro a insistere, l'alt viene da lui, ha minacciato arresti, ci sono ordini scritti. «E allora io, sereno, tranquillo, come ora, Dio sa se l'avrei mai creduto: fatemelo vedere questo ordine scritto. Fatemelo vedere subito... non sono il tipo che permette che gli vengano a diffamare gli amici. E così... Ma dove l'ho messo? Con aria triste, sospirando, il Signore Dei Vetri prese a frugarsi in tutte le tasche. — Senti Vitt — disse il commissario, — non dipende da me... Il grassone lisciava adesso su un ginocchio un foglio di carta sgualcito. — Come no, come no. C'è la tua firma qua sotto, Falco. — Cerca di capire, Vitt... —

È da una settimana che sto cercando di capire come mai c'è la tua firma qua sotto, Falco. — È un atto dovuto. Sono quasi un esecutore, in questo caso. — Non fare il bugiardo con me, Falco. Te l'ho già detto. Il Commissario cercò di riprendere il controllo della situazione: — Ma insomma, come l'hai avuto? Farò un'inchiesta. Documenti segretissimi finiscono nelle mani più... più... — Nelle mani più come? — Sono stato costretto! Lo vuoi capire, sì o no? — Costretto da chi, Falco? Non hai che da dirmelo. Non devi far altro che dirmi un nome. Penso a tutto io. Il commissario Falco si alzò e voltando le spalle si mise a guardare dalla finestra verso l'azzurro-mare oltre il muro di cinta del Palazzo. Cercò di nascondere inutilmente un leggero tremore nella voce con il suo famoso tono metallico. — Ne ho abbastanza, Vitt. Non sono tenuto a dare spiegazioni. Sono l'alto commissario alla sicurezza, ho discrezionalità assoluta. Non sono uno dei tuoi scherani. Se ti dico che ho dovuto farlo, vuol dire che ho dovuto. «Sono nate situazioni complicate. C'è stata una denuncia formale. Qualcuno si è spaventato. «Ma cerca di ragionare: non è una cosa che poteva durare. È una faccenda troppo... troppo... come dire, troppo cruda, ecco. Una di quelle cose che se viene fuori, trova tutti d'accordo, cerca di rendertene conto. «Sforzati di vedere l'aspetto politico della cosa. Puoi immaginare un solo funzionario che ti appoggia il giorno in cui uno di quei maledetti ficcanaso ha formalizzato un'inchiesta? Ma neppure i liberisti più sfegatati! Neppure gli istintuali! Mi troverei solo in mano agli sciacalli! «Insomma ho deciso. Ho deciso di no e basta. E non me ne importa niente se mi vieni a dire che a Megalops Africa o a Vattelapesca vanno avanti tranquillamente. —

«Qui è diverso. Da noi c'è più civiltà. E ci sono io, qui. In questo posto. E la notte voglio dormire. — È così eh? — domandò con voce piatta il Signore dei Vetri. — È così e non ci torno sopra. Il commissario Falco si sedette di nuovo alla scrivania e spostò alcune carte con l'aria di volersi mettere a lavorare. Il grassone si alzò faticosamente e si avviò alla porta. Sulla soglia si voltò ed elargì un altro sorriso. — Sei un pauroso — disse, — ecco cosa sei. Ma non hai abbastanza paura. Non abbastanza. E questo ti danneggerà, prima o poi.

CAPITOLO SESTO Inserisca nella fessura la carta magnetica, prego. L'immagine tridimensionale dell'agente sul grande schermo TV riempie quasi per intero lo spazio della cabina di identificazione. Tutto quello che si vede dell'agente, triplicato rispetto al reale, è regolamentare; l'inclinazione del berretto, la lucentezza della visiera, il taglio dei capelli, il disegno dei baffi. Regolamentari anche il tono sprezzante e paternalistico: — Perché vuoi scendere nella Zona Franca? — Sono fatti miei — risponde l'Insistente, — la pagano per fare domande solo sull'identità personale. L'agente osserva con più attenzione la scheda personale di Degrado. — Come mai un Insistente è vestito come uno zombie? I travestimenti sono ammessi soltanto nei clubs. — Mi vesto come mi pare. Le ho detto che sono qui in transito per la Zona Franca. — Lasci qui il suo certificato sanitario. Lo riavrà al ritorno, dopo il controllo. Se riesce a tornare. Se non le capita qualcosa. Il cercello elettronico entra in sintonia, sullo schermo appaiono in sovraimpressione le generalità di Degrado. L'Insistente ritira la sua carta magnetica e si avvia verso la «Talpa»: — Grazie dell'augurio — dice. La «Talpa» scende con lentezza. Il manovratore è semisdraiato davanti ai comandi, nel vagone di testa; ha una tuta macchiata di nafta e la barba di una settimana; fuma un sigaro nero e sfoglia una rivista pornografica sgualcita e unta di morchia. Sulla piattaforma posteriore una ragazza bionda dorme sdraiata supina sul pavimento. Le palpebre e le guance gonfie tremano con le vibrazioni del vagone. Tiene le mani strette a pugno sotto i seni. La tuta rosa-carnacino è scolorita e cede in —

vari punti rivelando la decadenza del corpo. Anche il cane che è con lei dorme, con il muso appoggiato sulle gambe della ragazza. Non ci sono altri viaggiatori. Dopo una serie di gallerie la luce nebbiosa della mattina si riflette sulle scorie di soda di una fabbrica abbandonata di prodotti chimici ed entra nel vagone come un effetto di neve. Il «Lucomare» era una specie di ritrovo-bar nella cerchia sotterranea dopo tre chilometri di tunnel. Non si può fare il paragone fra un bar del genere squallido del terzo livello e un bar della Zona Franca. Né per l'atmosfera di canagliume e di disfatta, né per il puzzo, né per la roba che servono. Ci sono locali del terzo livello dove la gente non fa più caso ai topi, ma il Lucomare era uno di quei posti della Città Bassa dove i topi non fanno più caso alla gente. È pericoloso per chiunque avere un lavoro da fare nella Zona Franca. Il meno che possa capitare è di essere rapinato della carta magnetica. Ma per un Insistente è peggio perché un Insistente è come un poliziotto, ha un odore speciale, è questione di come cammina, di come guarda le cose. Per questo ogni volta che scendeva nella Zona Franca l'Insistente si sceglieva una parte, sempre la stessa. Si trasformava in un fatto di sbroscia. La sbroscia è una specie di lotteria: può essere tutto, persino roba buona, ma questo è rarissimo perché costa così poco che quasi te la regalano. Si tira giù lo sciroppo biancastro e si aspetta per un quarto d'ora. Se è andata bene è il paradiso per mezza giornata, ma nel novanta per cento dei casi, sei uno zombie per almeno una settimana. Degrado aveva imparato ad imitare Io sguardo fisso e stralunato, la camminata rigida e l'affabulazione perenne e sbavante dei fatti-di-sbroscia. La tuta inzaccherata, quasi

inamidata dal sudiciume, puzzolente di orina e di altre cose, l'aveva acquistata per un litro di sciroppo da uno zombie vero. Era capitato al Lucomare l'anno precedente per un appuntamento con un tale che gli aveva dato un'informazione. Nella Zona Franca ce l'aveva spedito un funzionario di mezza tacca. Cercava una ragazzina svelta smarritasi dietro l'avventura che era finita nelle mani di un ex-attore fallito che le faceva fare, in giro per la Bassa, certi spettacolini itineranti con un cane lupo e un serpente nerastro. Durante l'happening, una cosa forte anche per la Zona Franca, gli unici a non essere imbarazzati erano il cane e il serpente, mentre diversi spettatori erano costretti a guardare da un'altra parte. Il lavoretto era stato dei più tranquilli. Da una mano i soldi all'attore e dall'altra il guinzaglio della ragazza svelta (perché la teneva al guinzaglio); nel giro di tre giorni era tornato all'aria dei livelli superiori. Alla fine del tunnel si va giù per una scala a chiocciola che fiancheggia le pareti del pozzo che fu una stazione del mètro. Degrado scendeva con precauzione sui gradini corrosi e mangiati dalla ruggine. La vernice arancione della parete metallica un tempo brillante adesso era percorsa dalle scolature rosso-sangue della ruggine e dai graffiti che segnavano in orizzontale tutto lo spazio: Giulia B., se sei scesa anche tu, cercami. Sono al «Flamingo» tutti i giovedì. Sono sceso qui e lo devo a te, K..., maledetto strozzino. Se torno di sopra ti ucciderò. Mai stato così fatto. Sono veramente OK. Ci sono gli orchi, non lo sapevate? Attente agli orchi e alle orchesse, ragazze! Avevo un treno-living personale, una volta. Dormo qui dal 2007.

Organizzatevi! Sbatteteli di sotto a pezzi. Morte a quelli-disopra. Degrado distingueva a stento le scritte nella mezza-luce del sotterraneo; per la maggior parte erano una lunga teoria, dall'alto in basso, di nomi, date e luoghi della Zona Franca, appuntamenti e richiami, alcuni risalenti a dieci anni prima e malinconici come una lettera smarrita. Visto dall'alto della scala il Lucomare sembrava una medusa su una pattumiera. L'avevano costruito alla meglio sulla banchina della stazione utilizzando un tendone da circo; stava in piedi con archi metallici, pali, corde calanti dalla volta. In qualche punto si era afflosciato come gelatina andata a male. Di lato svettava come un campanile il traliccio dell' elettrogeneratore a vento che innalzava fino al boccaporto sulla volta, lassù in alto, la sua elica. Per tutto il pozzo risuonava con effetto di eco il soffio dell'aria. Dal bar salivano le percussioni cupe di una musica monotona. Davanti alla tenda cenciosa dell'ingresso sedeva un cieco enorme al punto da ostruire il passaggio. Degrado cercò di sfuggirgli passando di lato, ma il cieco lo abbrancò attirandolo a sé in mezzo alle ginocchia come un bambino. Le grosse mani sudaticce presero a perquisirlo per tutto il corpo. — Lascia perdere — disse qualcuno che stava nascosto dietro la tenda dell'ingresso — è uno zombie. — Appunto perché è uno zombie. Pestagli il mettimeloquà con un calcio e buttalo nella belletta. — Controllagli le tasche, invece — disse la voce, — e se ha il tantundem bastevole, lascialo stare. Non infierire, Gontrano. Degrado si irrigidì mentre l'omaccione prelevava da una tasca cinque eur-dollari: — Questi per l'ingresso — disse il cieco, allentando la stretta. Degrado respirò di sollievo perché il

guardiano non aveva messo le mani sulla stretta fascia aderente allo stomaco dove teneva la maggior parte dei soldi, la carta magnetica e la rivoltella. Sotto il tendone c'era tanto fumo che ci si vedeva a stento. La luce si alzava e si abbassava. Su un palco contro la parete di fondo quattro tamburi tenevano il ritmo ad una frase di tre note ripetuta in continuazione da un sax-tenore. Degrado, si fece strada fino al centro del locale dove una folla eccitata si stringeva intorno ad un punto. In mezzo al circolo c'era una grande vasca di metallo smaltato piena di scrostature. Immersi in una melassa lattiginosa che arrivava quasi fino all'orlo nuotavano una trentina di topi di fogna grigi e neri con la testa dipinta di vari colori. I topi si mordevano fra di loro e cercavano di arrampicarsi l'uno sull'altro per tirarsi fuori dalla vasca. Un book-maker percorreva il circolo degli spettatori raccogliendo le puntate. Tre o quattro topi morti galleggiavano a pancia all'aria e striavano di sangue il bianco della schiuma. Un topo con la testa rossa in equilibrio instabile sul corpo di un altro grattava con le unghie la parete della vasca. — Vieni fuori rosso! — strillava una donna obesa in calze di rete nere, con la faccia paonazza a pochi centimetri dagli occhi traslucidi a capocchia di spillo del topo. — Amore mio, forza! Ho messo dodici pezzi su di te, tesoro! Se ce la fai ti terrò al caldo finché vivi! Ci prenderemo la stanza più bella nel migliore albergo di Megalops-Alta se vinci! Ti farò fare una vita da Dio! — Il topo aveva agganciato una scrostatura dello smalto e con il muso già strisciava dove l'orlo si curvava verso l'esterno. Un sorcio dipinto di blu gli afferrò la coda con i denti. — Ahi! — gridò la donna. Un pezzo di coda restò in bocca all'aggressore. Con un ultimo spasimo, mentre i baffi vibravano come fili ad alta tensione, il topo dipinto di rosso scivolò oltre il bordo della vasca.

La donna lo raccolse e lo sollevò sopra la testa reggendolo con le due mani a conca, fece volteggiare le gambe gettandosi dentro la vasca mentre la broda schizzava dappertutto. Il liquido traboccò trascinando fuori un certo numero di bestiacce che si misero a scappare fra le gambe degli spettatori. . La donna sguazzava tenendo stretto il ratto che cercava di morderla. — Milleduecento cartoni da questa parte! Si era stanchi di nuotare, vero topo? Comincia la risalita, ora! Sedeva ad un tavolo in un angolo, muovendo di tanto in tanto i piedi per allontanare i topi che gli camminavano sulle scarpe. Quando cominciò la baraonda, Degrado era in attesa dell'informatore dell'altra volta, cliente abituale del ritrovo. Si aspettava una cosa del genere, prima o poi: le baraonde fanno parte del folklore locale, ma la cosa fu improvvisa e lui era talmente lontano da qualsiasi uscita che non gli restò che fare lo spettatore, immobile davanti al suo bicchiere. Sotto la luce violenta dei fari, che avvicinandosi diventavano sempre più grandi, il tendone di plastica diventò trasparente. Lo strepitio del diesel imballato coprì le percussioni dell'orchestra. Tutta la parete laterale si riempì dell'immagine sfocata dell'hotel-bus, torreggiarne e costellato di finestrini illuminati. Marciava con lentezza minacciosa finché la luce gialla dei fari non entrò in contatto con la copertura che si tese rivelando la forma del muso. Un urto, ed il traliccio che sosteneva il generatore di corrente si inclinò da un lato. La luce si abbassò fino ad una semioscurità diffusa. Diverse ombre si affollarono verso l'uscita. — Ci sono i vaganti! — urlò il padrone, — va' a chiamare la squadra! Un cameriere prese la rincorsa cercando di farsi largo. Uomini barbuti ed alcune ragazze strisciarono all'interno passando da

sotto i lembi allentati del tendone. Facevano scorrere i fasci di potenti torce elettriche. Il padrone venne issato di forza a sedere sul banco del bar; lo tennero fermo in due, puntandogli sotto il mento i coltelli. Ripulirono tutto con metodo e rapidità. La cassa, le bottiglie, le scatole di alimentari, le stecche di sigarette speciali: tutto quello che c'era e che si poteva avere in quella fogna pagandolo il doppio che ai livelli superiori. Gli uomini e le ragazze formavano una catena fino all'esterno dove sostava il bus tutto illuminato e a motore acceso. L'orchestra aveva accelerato il ritmo. Il sax si produceva in improvvisazioni acutissime e i tamburi gli andavano dietro; i suonatori sembravano non essersi accorti di nulla, si comportavano come se fossero sul transatlantico che affonda. Da dietro il loro palco una lama di coltello aprì uno squarcio nel tendone dall'alto in basso. Una ventina di bulli corazzati come giocatori di football, armati di catene, spranghe, e manganelli, si precipitarono dentro. I nuovi arrivati in formazione orizzontale setacciavano il locale, picchiando tutti quelli che capitavano a tiro, senza distinzioni. Degrado si alzò e facendosi piccolo cercò di arrivare all'uscita. Si trovò di fronte un tale sul metro e novanta, un casco rinforzato con sbarre arcuate di metallo che gli parava il viso. Il colosso lo colpì con un colpo di manganello alla base del collo. L'Insistente precipitò nel buio.

CAPITOLO SETTIMO Si sfondassero i cessi di quelli di sopra e affogassero tutti nella merda! Talpe fottute e impestate! Una voce femminile imprecava, monotona come una litania. L'oscurità era completa. Degrado sentì sbattere una portiera. La messa in moto singhiozzò ripetutamente. Il pavimento sul quale era disteso sussultò con uno strappo all'indietro. — Accidenti — si lamentò l'Insistente, — ferma! Il motore urlò al massimo dei giri. — Va meglio ora? — chiese la voce di prima, — quei maledetti mi hanno strappato una ciocca. Metti una mano qui, Jack. Degrado sentì che la destra gli veniva guidata in mezzo a capelli lunghi e fini in un punto dove si avvertiva la cute nuda; la mano venne allontanata bruscamente. — Ma questo qui chi è? Il pavimento sobbalzò ancora, Degrado avvertì che la velocità aumentava a strappi. — Dov'è finito Jack? Jack! Jack! — È rimasto a terra — disse un'altra voce, — ha avuto la sua razione questa volta. — E allora tu chi sei? — Non sono Jack. — E che ci fai qui sopra? — Ho preso una botta in testa, dentro il locale caratteristico. Non so altro. — Com'è che ci siamo tirati dietro questo tizio? Un'altra voce femminile disse da molto vicino: — L'abbiamo raccolto svenuto. Credevamo che fosse Jack, puzza come lui. Degrado sentì che lo toccavano a quattro mani sul viso e lungo il corpo e che lo annusavano, come tra i cani. — Hai ragione. Puzza come Jack. —

I freni cigolarono. Ci fu un urto e un arresto brusco. Degrado si alzò in piedi. — Voglio scendere — disse. — Non ti muovere — ringhiò qualcuno. — Se il tizio qui fa uno scherzo, picchiatelo. È pieno di talpe fuori. Siamo nascosti in un cimitero di autobus; se si accorgono che questo non è vuoto ci danno la scaldata. Zitte anche voi! Quattro mani afferrarono Degrado e lo costrinsero a sdraiarsi di nuovo bocconi. Gli occhi cominciarono ad abituarsi all'oscurità. L'Insistente si rese conto di trovarsi disteso sul pavimento di un corridoio strettissimo. C'erano molti altri corpi sdraiati, quasi immobili. L'odore di rancido era così spesso che si sarebbe potuto inscatolare. Davanti a lui, in fondo al corridoio, una luce tenue dall'esterno si specchiava sul vetro del parabrezza e rivelava la sagoma dello sterzo. Dopo circa un'ora, lunga a passare come una notte intera, Degrado vide un'ombra scivolare al posto di guida. L'avviamento, duro e lamentoso come può esserlo quello di un motore vecchio di trent'anni singhiozzò a lungo. Il bus riprese la marcia, lentamente. — Uno zombie! Saresti un morto che cammina, tu? — la ragazza gli sussurrava vicinissimo all'orecchio; Degrado avvertì il contatto delle labbra. — Per essere una spugna imbevuta di sbroscia stai benino, piuttosto in forma direi. Jack quando era in calo era tutto un brivido. Degrado fece finta di dormire. Si voltò in modo da dare le spalle alla ragazza. Il braccio sinistro che sosteneva il peso del corpo cominciò a intorpidirsi. — Pensavi di averci fregato? Se tu sei uno zombie io sono una che si fa di regina. A trecento cartoni il grammo. Che succederebbe se ora io mi mettessi a strillare che ho scoperto che sei un bugiardo? Che ti sei conciato in questo modo per venire qua sotto a ficcare il naso?

Passarono accanto ad alcune baracche illuminate. Nella luce istantanea Degrado vide la ragazza, semisdraiata, un braccio appoggiato sul gomito e la mano che sosteneva la testa. Lo stava studiando. — Ora chiamo gli altri. Magari sei delle squadre. Ci stiamo scaldando una serpe in seno. Degrado avvicinò la faccia a quella della ragazza. — Non ho niente a che fare con le squadre. Appena siete in comodo fatemi scendere. — Questa è da ridere. Vuole scendere. Credi di essere sul mètro del cerchio interno? Sei capitato in un covo mobile di vaganti, giovanotto, vaganti ladri e sanguinari. Ora chiamo gli altri, così ti spieghi. Avrai un sacco di grane, credo. L'Insistente si voltò di scatto afferrandola da dietro ed imprigionandole le gambe a forbice. Le torse un polso e le passò la piega del gomito sulla gola. — Nelle grane ci sei tu, ora. — Aumentò la stretta sul collo. — Mettiamoci d'accordo. Tregua — disse la ragazza con voce strozzata. Degrado allentò la pressione. — Io sto buona e tu mi paghi la corsa. Cento carte. Ti sta bene? — Non ho soldi — rispose Degrado. — Raccontalo un'altra volta — la ragazza ridacchiò, — a meno che tu non sia un po' eccentrico, come anatomia voglio dire, ho toccato qualcosa di interessante all'altezza dello stomaco. Degrado pensò che gli era capitato di rado di trovare una ragazza con quei numeri. — Fatti in là e non fare scherzi — disse liberandola. Si sollevò a mezzo per frugarsi nella borsa sotto la fascia elastica. Cercò a tasto un foglio da cento, lo appallottolò e lo passò alla ragazza.

È un po' caro, considerato il servizio. Funziona così l'ospitalità dei vaganti? — Ma è tutto compreso — protestò lei, — tutto l'emozionante bassifondi-tour-by-night. — Stirò la banconota sul ginocchio e se la fece sparire in seno. — OK, da questo momento sei aggregato. Benvenuto all'Hotel, signore. Il bus acquistò velocità. L'ombra al posto di guida da quasi rannicchiata contro il parabrezza che era, si sollevò in posizione normale. Stavano attraversando l'area abbandonata di un parcheggio sotterraneo. Un movimento collettivo riempì lo spazio ristretto, qualcuno diede sfogo ad una tosse a lungo repressa, si sentì parlottare e sospirare, le altre ombre distese lungo il corridoio si alzarono stiracchiandosi; Degrado le vide sparire come inghiottite dalle pareti. Anche la ragazza si alzò. — Faremo la gimkana per tutta la notte prima di uscire da questo pulciaio. Tanto vale metterci comodi. Vieni con me. Lo prese per mano e lo guidò lungo il corridoio perforato come un nido di vespe da file di cuccette. — Quinta fila. Come ospite pagante ti spetta il posto vicino all'oblò. Prima colazione alle sette e trenta. — Degrado intuì una smorfia nel buio, come se arricciasse il naso. — Spogliati, per piacere. Cosa fai nella vita, il guardiano dei cessi pubblici? Già, è per il ruolo di copertura. Comunque spogliati lo stesso, la sistemazione è scomoda anche senza l'odore della depravazione. L'Insistente si lasciò scivolare di dosso la tuta lacera e sporca e si sfilò le scarpe di gomma impiastrate di fanghiglia. Si arrampicò sulla scala ed entrò nella cuccetta. C'era lo spazio sufficiente appena per due corpi. —

La ragazza gli scivolò a fianco, anche lei si era spogliata e reggeva gli abiti fra i denti; mentre gli scivolava a fianco disse di chiamarsi Iskra. — Vuol dire qualcosa? — Non lo so di preciso: scintilla o stella rossa, credo. L'Insistente si mise a guardare fuori dall'oblò. L'hotel-bus marciava con lentezza. Fuori l'oscurità era quasi totale, a tratti interrotta dalle rare luci delle baracche. Nell'ex-parcheggio sotterraneo le baracche crescevano come una fungaia, costruite alla meglio con tutti gli scarti possibili senza preoccupazioni per le intemperie, dato che là sotto non piove, né tira vento né occorre proteggersi dal sole. L'hotel-bus si muoveva a fari spenti cercando gli spazi sgombri del labirinto; quando la via era impedita retrocedeva come un gambero davanti alle chele del granchio. Era come seguire un film vecchio e a tratti oscurato. Durante le brevi illuminazioni Degrado notò la chiarità del corpo di Iskra, le gambe lunghe e i seni piccoli ed eretti. Da quando gli si era sdraiata supina a fianco avvertiva una sensazione di calore. Cominciava a sentirsi nervoso e chiese una sigaretta. — Proibito — disse Iskra, — non è mica per fare gli sportivi che viaggiamo a fari spenti. Il mese scorso una squadra ha accerchiato un bus dei nostri mentre dormivano tutti, autista compreso. Hanno saldato le portiere con la fiamma ossidrica e sono andati a prendere un paio di taniche di kerosene. «Questo movimento lo chiamano la scaldata dei vaganti. Dentro erano in centocinquanta, più o meno. Li hanno sentiti urlare anche quelli di sopra. Non so se hai capito il problema. » — Come no. Li ho spesi bene, i miei cento. — Altroché — ridacchiò lei, — ambiente confortevole e riscaldamento se gira al freddo. Solo non si può fumare. Giova alla salute.

Ma questa non è la Zona Franca? Il regno della «nonlegge»? Che cosa sono queste squadre, polizia? — La Zona Franca è un grande business — disse Iskra. — Sono tutti contro di noi perché siamo fuori da ogni giro. Noi vaganti non vendiamo droga, non ci occupiamo di schiavi, né di prostituzione, niente pirateria stradale, siamo fuori da tutti i sindacati. Niente boss e nessuna protezione, solo qualche esproprio, di tanto in tanto, giusto il necessario. Pagano queste squadre per darci addosso. Organizzano dei safari. «Per questo siamo costretti a muoverci, quasi senza soste. «Tu sei fortunato, questa volta abbiamo fatto il pieno per almeno due mesi e stiamo raggiungendo il nostro rifugio. Arriveremo domattina, se tutto va bene. » — Vorrei sapere come fa quello là a trovare la strada con questo buio. — Gregorio è un asso — disse la ragazza, — le squadre le sente a distanza e sa sempre dove andare. Degrado chiuse gli occhi cercando di rilassarsi e di mantenersi indifferente. Che lo portasse dove voleva, l'asso Gregorio, con la sua scatola di sardine. —

Doveva aver dormito. Lo svegliarono dei gemiti e un rumore continuo che proveniva dalla cuccetta sottostante. Erano usciti dal sotterraneo, ma fuori era ancora notte. La strada, illuminata dalla luna e dal riverbero dei fari che Gregorio aveva messo in azione, segno di cessato pericolo, serpeggiava lungo un costone roccioso a strapiombo su lingue di mare che si incuneavano profondamente dentro la montagna. Una strada così piena di curve di buche e di avallamenti, perennemente in pendenza era sicuramente fuori dal traficcontrol. — Se avessi saputo che russavi così forte, avrei aumentato il prezzo — disse Iskra. — Che succede là sotto? — chiese Degrado. Il rumore era diventato ritmico e convulso.

Fanno l'amore — rispose la ragazza, — fanno sempre così quando la tensione si allenta. Lei è simpatica, lui è un po' troppo riservato, assomiglia in Jack, in questo. «Facevamo così anche noi, io e Jack voglio dire, quando il bus si toglieva dai guai, un festeggiamento. — Io non potrei — disse Degrado, — con queste curve e le scosse. — Tu non sei Jack. Devi essere molto più vecchio, così a occhio e croce. La ragazza si accorse che l'Insistente si era offeso e cercò di rimediare. — Del resto anche Jack non aveva voglia di nulla negli ultimi tempi. Solo della roba, quando ne trovava. Jack, prima di giocare alla roulette con lo sciroppo era arrivato a farsi dei tagli nelle braccia, tirava fuori un pezzo di vena ancora buono e soffiava dentro anfetamine diluite con l'acqua e mescolate alla calce grattata dai muri. Senza siringa, con una cannuccia. Cominciò a ingollare la sbroscia quando le vene gli erano diventate come tessuto di seta marcio. Toccò all'Insistente questa volta, ancora più offeso per quell'«anche», dire che non era Jack. — Potrei decidere di festeggiare, dopo tutto. — E con chi? — disse Iskra, — io non ti ho chiesto nulla. Quando mi andrà, se mi andrà, te lo farò sapere. Degrado si rimise a guardare fuori dall'oblò. Nei fiordi l'acqua era ferma, sotto la luna creava effetti di iridescenza, soffocata da uno strato oleoso, acqua morta. — A che pensi? — chiese Iskra più gentilmente. — Mi ricordo di un vecchio film. — Che film? — Im lauf der Zeit, Nel corso del Tempo. Racconta di un tale che vive su un camion. — Sono anni che non vedo un film — disse la ragazza, — certe cose mi fanno rimpiangere la metropoli. —

La ragazza sospirò voltando le spalle a Degrado e si mise a dormire. Cominciò a fare giorno. Iskra si era addormentata, Degrado la osservò; aveva il sonno leggero, un respiro quasi impercettibile, appariva più o meno come se l'era immaginata al buio, forse era un poco più bella. Un viso largo e un profilo netto. Che avesse la testa un po' grossa e leggermente sproporzionata rispetto al corpo, Degrado se n'era accorto quando le aveva toccato i capelli. Molto giovane, soprattutto rispetto a lui. Anche dalla voce si capiva che era giovanissima. Aveva il vezzo di parlare un po' rauco e nasale, come una bambina viziata. Pareva che stesse giocando a un gioco interminabile. Veniva in mente questo a sentirla parlare: che non esistessero drammi per lei, solo un presente movimentato. II bus aveva lasciato la strada, adesso marciava attraverso un terrain vague disseminato di bidoni arrugginiti e di rottami aggrovigliati e fusi insieme in forme fantastiche. L'hotel-mobile marciava lentamente e con precauzione lungo un leggero declivio che terminava dove in fondo si scorgeva l'acqua ferma di una laguna. All'interno si diffuse una certa animazione. I vaganti cominciarono a calarsi dalle cuccette parlando ad alta voce fra di loro con toni allegri. L'autista bloccò l'autobus facendo stridere come una sega il freno a mano; il suono, isolato dopo che il diesel aveva smesso di ronfare, ebbe, come le voci dei vaganti, il tono allegro della fine del viaggio. Gregorio si alzò dal posto di guida stiracchiandosi; era alto e massiccio, una faccia scura da zingaro tagliata con l'accetta, gli occhi cerchiati e arrossati. Anche Iskra si svegliò.

Fine del tour — annunciò, — giornata libera. Questa è Pesteville. Casa dolce casa. —

Sulla riva del lago chiazzato di ocra e di viola sotto il sole velato da una foschia diffusa, un gruppo di costruzioni di mattoni crudi, coperte da tralicci di canne, si distinguevano a stento dal fango. Una violenta sorgente di calore aveva devastato il paesaggio come un artista d'avanguardia che si fosse divertito a trasformare l'originale pasticciando con le dune e le rocce. Un'enorme vampata aveva mescolato i metalli dei manufatti con gli elementi naturali, trascinando il tutto in una colata verdastra fin dentro l'acqua della laguna. In lontananza gli spezzoni contorti di un castello di intelaiature sbucavano dalla nebbia. Un enorme pallone argenteo caduto da quei tralicci giaceva sull'orizzonte, sbilenco e squarciato da un lato. L'Insistente riconobbe una vecchia centrale nucleare esplosa. — Voi vaganti siete pazzi — disse, — io non vengo. — Quante storie — disse Iskra scendendo dalla cuccetta e cominciando a rivestirsi, — cosa pretendevi per cento carte, il Nuovo Hilton? C'è gente che ci abita da anni. Ci sono stata anch'io per diverso tempo, e non sono malata.

CAPITOLO OTTAVO Per un paio di giorni Degrado si sorvegliò attentamente aspettando che gli venissero nause e capogiri. Quando per la stanchezza o il sole, che in quel posto martellava dalle dieci del mattino fino alle cinque del pomeriggio, avvertiva un senso vuoto alla testa, il cuore cominciava a battergli e pensava che era fatta, che ormai era contaminato. Progettava anche vari modi di andarsene; avrebbe potuto raggiungere la strada e qui aspettare un passaggio verso una direzione qualsiasi. Pensò persino di rubare, magari servendosi dell'arma che teneva nascosta, l'unico mezzo di locomozione disponibile diverso dall'hotel-bus: una vecchia motocicletta che nessuno sapeva se funzionasse, neppure i proprietari, una coppia anziana che ne era gelosissima; i due facevano a turno a lustrarla, senza mai metterla in moto. Iskra gli disse che Pesteville si trovava a oriente, lontana almeno cinquecento chilometri dall'estrema periferia di Mediterranea-Megalops, in un'area dove non arrivava mai nessuno. Anche se la distanza sembrava eccessiva (in una sola notte l'hotel-bus non poteva aver percorso tanta strada), non era difficile credere che la maggior parte della gente si tenesse lontana da quella zona, a meno di non essere dei disperati come i vaganti. Poco per volta Degrado cominciò ad abituarsi. I vaganti sembravano sanissimi e facevano una vita pigra e allegra. La sera accendevano dei fuochi e si riunivano a gruppi per ascoltare musica e ballare; spesso facevano cerchio intorno ad un attore che recitava parodie e drammi antichi assegnando a soggetto varie parti agli spettatori. L'Insistente trovava che era un modo rudimentale di divertirsi, e spesso gli sfuggiva completamente il senso di quello che dicevano o facevano nel corso di quelle rappresentazioni improvvisate; invece loro, i

vaganti, si divertivano molto: talvolta erano costretti a ridere tutti quanti, animatore compreso. Si sganasciavano proprio, mentre la risata collettiva riempiva la solitudine e il silenzio di quella riva di lago contaminato. Iskra ospitò Degrado in uno di quei rifugi grigi che formavano il villaggio. La ragazza lo chiamava alternativamente la sua «spelonca» o la sua «conchiglia»; lo spazio era molto ristretto, tuttavia liberatosi in parte dal pensiero delle radiazioni, l'Insistente finì per non trovarsi male fra le pareti odorose di terra, col fuoco che accendevano quando al calare del sole saliva la nebbia dal lago. Non era rassicurante accorgersi che quella nebbia alcune volte aveva una tonalità azzurra e che qualche volta dava sul verde o sul rossastro; Degrado si impose di non farci caso e di prendere la cosa come una specie di vacanza. Due mesi in fondo passavano presto, il tempo che i vaganti, secondo Iskra, avrebbero impiegato a finire le provviste prima di ripartire per il prossimo rifornimento nella metropoli. Del resto non era male per lui starsene alla larga, considerate le complicazioni e la jella che perseguitavano il suo incarico più recente. Dopo una settimana una sera si scatenò una burrasca, preceduta da una calma piatta ed afosa e dai tonfi che facevano certi ranocchi grigi, che di giorno sembravano pietre, tuffandosi nell'acqua bassa fra i cannicci. Cominciò a piovere e il primo scroscio spense il fuoco; dal rettangolo della porta, in faccia al lago, quando la tenda si sollevava alle folate furiose del vento, si vedevano saette scaricarsi sulle onde quasi ininterrottamente. Il pallone argenteo della centrale scoppiata, sull'altra sponda, risplendeva percorso da serpentine azzurre. In quella settimana Degrado si era visto ben poco con Iskra, lui era occupato ad ascoltarsi i probabili sintomi della contaminazione ed era offeso per essere stato trascinato in quel

posto sperduto senza possibilità di fuga; lei invece aveva da fare con le varie attività della comunità: la distribuzione del ricavato degli espropri, e i trattenimenti collettivi. L'Insistente si stupiva del coraggio con cui i più giovani dei vaganti Iskra compresa e tutta nuda, facevano il bagno in quelle acque. Quando alla luce dei lampi la vide alzarsi dalla sua branda al lato opposto della baracca e raggiungerlo infilandosi sotto la sua coperta, per un tempo interminabile fu incapace di qualsiasi reazione. — Non è che abbia paura dei tuoni — gli disse la ragazza con la sua voce da vispateresa, — ho freddo. Per un poco rimasero fianco a fianco scaldandosi a vicenda, ma gli occhi chiari di Iskra che lo guardavano vicinissimi, leggermente ironici, aiutarono Degrado a superare il blocco. La sollevò; era molto leggera, e fece in modo che si trovasse sopra di lui. Entrò in lei delicatamente, senza baciarla, le labbra appena appoggiate alla base del collo, mentre lei tirava indietro la testa, come per una risata. Dopo il temporale fecero l'amore ogni sera con la stessa semplicità, come se fra di loro avessero fatto il patto di non darvi importanza e di ritenersi provvisori; Iskra mescolava un'indifferenza simulata ad alcuni slanci di tenerezza in cui appariva trasformata e come indifesa. Degrado accettava questa altalena senza alcuna illusione, aspettando una soluzione del gioco. Fu Iskra a cominciare con le confidenze personali. Riassumeva la sua vita come una serie di spazi che si muovono, raramente si fermano, ripartono, girano. — Per una ragione o per l'altra non sono mai riuscita a fare una sosta. Prendi Jack, per esempio, era un tipo a posto, prima di cominciare a bucarsi. Quando gli importava ancora di vedere quello che aveva intorno portava un paio di occhiali legati con lo

spago. Guardava diritto negli occhi. Parlava come se fosse a una riunione politica anche quando facevamo l'amore. Iskra aveva studiato in un college per signorine della Città Alta, a diciannove anni era finita in un quartiere di terza a due chilometri dalla Zona Franca e là si era messa a trafficare in vari modi, prostituzione compresa, con una banda di ragazzi e ragazze. — Questo perché ho avuto un padre sempre in bilico; poi qualcuno o qualcosa gli davano una piccola spinta e lui scendeva di un gradino. Finché non è morto. Quando ho conosciuto Jack ero già approdata nella Città Franca da qualche mese, dopo essere scappata da un istituto di rieducazione. Un posto tutto rose e fiori: tutti molto gentili, qualche predicozzo di tanto in tanto, terapie di gruppo, creatività di gruppo, tipo fare statuine con la creta, suonare il flauto dritto, dipingere maioliche. Cibo perfetto; c'era persino la piscina. Ma anche una grande cancellata esterna e molte sbarre alle finestre. Era scappata con la complicità di una custode quando una compagna più anziana le aveva chiarito che cosa c'era dietro la facciata. — Se dopo un certo periodo il Perito, che non conosci e che non hai mai visto (ti sorveglia e fa le sue valutazioni senza che te ne accorga), decide che qualcosa non funziona definitivamente, che sei asociale in modo irrecuperabile, ti trasferiscono in un altro reparto al secondo piano e qui ti fanno una operazione, una cosetta da niente, che lascia una piccolissima cicatrice qui sulla fronte, quasi non si vede, ma da quel momento sei una perla, un tantino imbambolata, ma una perla. A introdurla fra i vaganti era stato Jack. — Ha fatto la fine che mi aspettavo da un pezzo; negli ultimi tempi non gli importava più di nulla, era stanco, non se la sentiva più.

Quando Degrado le raccontò lo scopo del suo viaggio e che cosa stava cercando, Iskra rimase perplessa rimuginando qualcosa, poi disse quasi fra sé: — È pericoloso per noi vaganti viaggiare con dei bambini. «Questo lo sanno tutti, ma credo che pochi sappiano perché. Quando un bus imbarca molti bambini, prima o poi capita qualcosa, il più delle volte sparisce. Una volta ho conosciuto un tale giù nella Zona Franca, un tipo enorme che si faceva chiamare Gulliver, era un declassato, ma a suo tempo sembrava che contasse molto nel primo livello. Pesava più di duecento chili, aveva preso una malattia che lo costringeva a dormire quasi in continuazione, persino in piedi. Questo Gulliver diceva che se fosse venuta fuori la storia di questi bambini dei vaganti, dei bus spariti eccetera, sarebbe successo un bel pandemonio nelle alte sfere. Roba che in confronto lo scandalo dei vestiti blu diventa un furto in supermercato. « Un giorno tornerò di sopra e farò scoppiare la grana, diceva, ma non l'ha mai fatto. Credo che sia morto, deve aver dormito tanto che alla fine è morto. Secondo Iskra uno che doveva sapere quasi tutto sull'argomento era uno stanziale di Pesteville, un avvocato. — Come sarebbe un avvocato? — disse Degrado. — È un avvocato vero — disse Iskra — abilitato al patrocinio in tutte le Corti della Megalops Euro-Occidentale. «Si è messo con noi vaganti perché è disgustato di come vanno le cose con quelli di sopra. Dieci anni fa era sempre in movimento da una metropoli all'altra per togliere qualcuno di noi dai guai. Ora è invecchiato, si muove soltanto per casi eccezionali. «Anche oggi però se a qualcuno di noi capita una grana veramente grossa, si fa tagliare i capelli, si ripulisce tutto, si mette un vestito bellissimo, dovresti vederlo come si trasforma, va di sopra, si piazza in uno dei migliori alberghi, poi il giorno del processo piomba nella Corte di giustizia, in mezzo a tutta

quella spocchieria, con almeno cinquanta vaganti cenciosi che gli vanno dietro per fare il tifo. È bravissimo, parla cinque lingue e qualche volta la spunta. — Dovrei vedere questo avvocato — disse l'Insistente. — Ci vorrà un po' di pazienza, non è semplice ottenere un appuntamento — rispose Iskra. Io non avrei voluto riceverla, ma la ragazzina qui ha molto insistito, è molto simpatica questa ragazzina. Sono anni che non vedevo più la grinta di un Insistente, non ho mai avuto bisogno di Insistenti io e quelli che mi cercavano il più delle volte li ho messi alla porta, quando stavo di sopra. Iskra aveva guidato Degrado nel labirinto da città araba delle capanne di mattoni crudi in una abitazione un po' più alta delle altre. Avevano fatto una rampa di scale al buio fino ad una terrazza in pieno sole dove sotto una tettoia di stuoie, avviluppato in un gabliah che era stato bianco, semisdraiato su un tappeto di cuscini, l'avvocato mangiava pescando con le dita da una ciotola grande come un catino dei pezzetti di roba unta. — Così lei è uno che si consuma le scarpe sulle scale dei palazzi per guadagnarsi da vivere — continuò l'avvocato. — Come mai è arrivato a Pesteville? Non lo sa che è pericoloso? Che qui c'è radioattività superiore di tre punti rispetto al consigliabile? Salvo il movimento delle mascelle e il gesto di pescare il cibo l'avvocato era quasi immobile. E puzzava. Dietro un paio di lenti spesse e nerissime e sotto lo schermo di un cappellaccio altrettanto scuro non era possibile seguirne lo sguardo. Si faceva fatica a intenderlo perché parlando continuava a masticare. Tuttavia l'Insistente si sentiva a disagio come in uno di quegli studi faraonici della Megalops dove si affonda nella moquette fino alle caviglie. Era chiaro che quest'avvocato ci teneva ad accentuare l'enorme distanza fra la sua professione ed il ruolo di Degrado. —

Del resto non vedo perché dovrei aiutarla. Non è un vagante lei. Il suo caso non mi interessa. Degrado accennò ad una replica, ma fu bloccato da un gesto. — Per piacere stia zitto. Mi risparmi le sue perorazioni. So già quello che vuol dire: che si tratta comunque di un fatto che riguarda i vaganti. La ragazzina qui mi ha già accennato al problema e non mi meraviglia che non sia arrivato a capo di nulla. Non è una cosa all'altezza delle sue capacità e delle sue possibilità professionali. Lasci perdere tutto: è meglio per lei e per il suo cliente. Questa volta l'Insistente, offeso, si fece sentire: — Mi è già stato detto questo. E sempre per il mio bene. Ma anche quel tipo là credo che avesse paura, in fondo. L'avvocato restò a bocca aperta e ributtò nel catino con un gesto di stizza il boccone che aveva appena preso. Si asciugò i baffi e le dita a quella specie di lenzuolo a due piazze dal quale era mezzo affogato. — Stia attento a come parla, lei. — Guardò severamente dalla parte di Iskra. — Spero che prima di venire da me avrà preso qualche informazione sul mio conto. Avrà avuto questa accortezza, voglio sperare. — Sissignore — disse Degrado, — e mi è stato detto che lei sa qualcosa che mi potrebbe essere utile e non capisco perché non me ne debba parlare. Che le costa? Dal posto dove si trova non dovrebbe aver paura di nulla, almeno lei. — È così difatti. Una ragione per cui mi trovo qui è proprio questa. Posso evitarmi qualsiasi prudenza. Ma non mi interessano le sue utilità. Dica una sola ragione valida per cui io dovrei aiutarla a giustificare il suo onorario. Vi conosco voialtri. Conosco la categoria, voglio dire: il più delle volte vi fate pagare per pestare l'acqua del mortaio; tutto quello che siete capaci di fare è di allungare la lista delle spese. Perché non si comporta così anche lei? —

Anche questa soluzione mi è già stata suggerita. Ma non è il mio stile. Se fosse il mio stile non sarei arrivato fin qui. «L'ha detto anche lei che è pericoloso. Potrebbe riconoscermi un certo rischio, quanto meno. » Degrado stava bluffando nella speranza che Iskra non avesse detto all'avvocato le circostanze fortuite che l'avevano portato a Pesteville. Iskra era stata riservata sul punto, perché il legale parve raddolcirsi. — Vediamo un po' — disse con più garbo, — sarebbe una mosca bianca, lei? Un incontro con un Insistente onesto è un fatto eccezionale e merita di essere festeggiato. Volete una birra? Ma perché state in piedi, sedetevi! La terrazza era completamente spoglia; Iskra e Degrado si guardarono intorno. L'avvocato spostò il corpo sfilando un paio di cuscini che gettò ai due. L'odore pesante si avvicinò notevolmente; i visitatori si sistemarono. — Maometto! — chiamò l'avvocato. Dalla scala si affacciò la testa riccioluta di un ragazzo sui sedici anni, bellissimo, un sorriso largo sulla faccia scura, gli occhi umidi e brillanti. — Vieni qui, fatti vedere — il legale si era trasformato, senza gli occhiali mostrava due occhi appassiti e lacrimosi, sorrideva tutto tenero lisciandosi i baffi spioventi — Saresti così gentile da portarci tre birre, carino? «Molto fredde e non ti scomodare per i bicchieri, siamo amici, vero? » — Ma certo — disse il ragazzo voltandosi flessuoso verso la scala. — Impagabile, è semplicemente impagabile — commentò con aria sognante il principe del foro dei vaganti, — non so che cosa farei senza di lui. Il ragazzo portò le birre, di qualità eccellente e ghiacciate al punto giusto; ci furono sorrisi, sguardi teneri e ringraziamenti —

dell'avvocato che fece saltare i tappi e tirò giù una sorsata imbiancandosi i baffi di spuma, dopodiché si riadagiò sui cuscini inforcando di nuovo gli occhiali e riprendendo la posa regale di prima. — Vede — disse all'Insistente, — la sua, chiamiamola così, indagine, arriva in un momento molto, molto delicato. Se lei fosse venuto da me un mese fa, le avrei imposto di abbandonare, perché non si sa mai, una sua iniziativa avrebbe potuto essere di danno. «E mi avrebbe obbedito, non dubiti: avrei trovato degli argomenti che l'avrebbero costretta ad ubbidirmi. Ora le cose sono cambiate e non credo che lei possa peggiorare la situazione. Degrado fece per intervenire ma fu interrotto da un gesto perentorio. — Non mi faccia perdere il filo, per piacere. Mi sono occupato del problema molto prima che al suo cliente venisse la curiosità di sapere che cosa aveva provocato la sparizione di quelle sue parenti. Fra parentesi quel signore si è comportato molto ingenuamente, facendo affidamento su un antico prestigio di cui oggi nessuno si ricorda più. È mancato poco che il suo intervento non pregiudicasse il mio lavoro. «Non si può agire in modo dilettantesco in certi affari della metropoli. Si rischia di rimanere schiacciati prima ancora di aver fatto un passo. Per farla breve io ho atteso di avere tutte le informazioni necessarie e quindi mi sono mosso ai livelli giusti, una parola qui ed una là, cautamente, un contatto dietro l'altro, una segnalazione ufficiale a chi di dovere eccetera, insomma ero quasi riuscito a bloccare l'affaretto più disinvolto che siano mai riusciti a mettere in piedi quella manica di farabutti là sopra. Si tratta di una cosa molto, molto sporca capisce, difficile da riferire senza imbarazzo. Ancora una volta Degrado fece per dire qualcosa, ma l'avvocato lo zittì: — Le ho detto di tacere! Che ha da dire, lei?

Ci sta in mezzo, se non sbaglio, vero? E ha persino il coraggio di accennare ad una mia possibile connivenza! Per aver fatto questo gran tuffo dall'altra parte dello specchio, nel mondo alla rovescia le sembra di essere chissà che lottatore. «Cos'è un Insistente? Una sottospecie di mediatore, mi corregga se sbaglio. Anzi, direi un consolatore. Una mezza tacca che consola altre mezze tacche delle prepotenze di un gruppetto di buongustai. Questa volta Degrado riuscì a tirar fuori la voce, punto sul vivo. — Tenga presente che sono qui da un quarto d'ora e che tutto quello che sono riuscito a sapere è che qualcuno nella metropoli usa cuccioli di vaganti per affari poco puliti. Sono solo un raccatta-merde, una mezza tacca come dice lei, ma questo l'avevo capito da un pezzo. Un po' più recentemente sono stato informato che se l'ignoto movimento si risapesse fuori da una ristretta cerchia di persone che sanno tutto benissimo, ma che fanno i misteriosi, potrebbe venirne fuori un bello scandalo, con ripercussioni anche politiche. Facendo quello squallido mestiere con il quale mi guadagno da vivere da quindici anni, le sembrerà strano dato il mio scarso livello, ma una cosa l'ho imparata anch'io; che cioè di affarucci disinvolti nella Megalops se ne fanno a centinaia e tutti vanno avanti benissimo. Per la maggior parte sono stati legalizzati e molta gente, specialmente quelli che contano, se ne occupano con grande soddisfazione e non hanno nessun interesse a nascondersi. «Se questa faccenda è così grossa da tenere sulle spine qualche pezzo da novanta, quello che non capisco è perché una persona come lei abbia fatto i suoi passi con tanta cautela e così silenziosamente, soprattutto. Io non pretendo di essere un lottatore, su questo non si è sbagliato, non so bene neppure io perché mi sono fatto trascinare in questa storia, sono il primo ad ammettere di non essere all'altezza. Ma per l'esperienza che ho io neppure la sua è una categoria di lottatori. Non vi ho mai

visti combattere molto; almeno, gli avvocati che ho conosciuto considerano i giudici come degli intoccabili, salvo fare con loro transazioni di tutti i generi. » L'Insistente accennò verso Iskra che seguiva la conversazione con l'aria di non divertirsi molto, tanto che con gli occhi chiusi sotto il sole sembrava essersi addormentata. — Mi è stato detto che lei è diverso. Del resto è un fatto che si nota: lei ha fatto il salto, non ci sono dubbi. Si è messo in una posizione diversa; ho accennato alla paura molto genericamente, senza nessun riferimento alla persona. Sono stato frainteso. «Ma se è così, e non ho ragione di dubitarne, perché almeno lei non si mette a parlarne in giro di questo sporco affare? — A chi? La domanda prese l'Insistente di sorpresa. — Come sarebbe a chi? — Sì, mi dica a quali persone dovrei andare a raccontare quelle tre o quattro cosette che conosco. Dovrei cominciare da lei, per caso? Anche noi mezze-calze leggiamo i giornali e guardiamo la tv; di tanto in tanto ci chiamano per andare a votare. Se questa faccenda è quello schifo che dice lei... — Mi stia a sentire, le ho detto! La finisca con queste banalità da quattro soldi! — L'avvocato si era tolto gli occhiali e fulminava Degrado con lo sguardo che di norma dedicava ai giurati delle Corti Supreme. — Le mezze tacche e tutti quanti siete, là sopra, la capacità di scuotervi l'avete persa da un pezzo, compresi quei cinque o sei mandarini illuminati pieni di boria che da anni non sanno fare altro che piangere in greco! «Se penso a tutti i discorsi fatti all'epoca della legge sulla schiavitù! Salvo quei pochi che ebbero almeno il pudore di tacere, nel coro degli esegeti ci fu chi disse che la dichiarazione —

con la quale ciascuno può vendersi al miglior offerente rappresentava la massima manifestazione della libertà individuale! In tutti questi anni in cui si è fatto in quattro per leccare le scarpe a qualche funzionario di grado infimo, non è riuscito a rendersi conto di quanto sia enorme la spugna che usano quei signori: riescono ad asciugare le sudicerie più fetenti. Le denunce! Gli scandali! La pubblica riprovazione! Ma non ha capito che sono programmati! Servono a scremare, se ne renda conto! Ci rimette le penne qualcuno che è già bollito da un pezzo e tutto torna al suo posto. «L'unico meccanismo che funziona è quello del potere contro il potere. Dare uno strumentino in mano a qualcuno per aiutarlo a togliere di mezzo qualcun altro, ecco che cosa bisogna fare, e senza prendere il megafono. «È così che ho fatto io, fino a questo momento. «Si figuri che questa volta era bastata la paura. Quelle transazioni erano così esclusive da aver l'aria di un vizietto personale: qualcuno si sentiva un po' in colpa per questo. «Un po' bluffando, un po' facendo sul serio ero riuscito a mettere l'alt. L'avvocato si grattò la testa, sospirando, poi si lisciò i baffoni sotto il naso piccolo e a ballotta, da bambino. — Ma adesso la faccenda è passata di mano. Ho avuto questa informazione il mese scorso. L'affare è stato rilevato da un tale che conosco anche troppo bene. È stato mio cliente agli inizi della sua ascesa, quando avevo dei clienti nella metropoli, uno studio avviato e tutto quanto serve per essere rispettabile. «Questo Signore, quando ho cominciato ad occuparmi dei suoi affari, usciva fresco fresco dalla pensione dove era ospite a spese della metropoli. L'ho tirato fuori io di là. «Al suo attivo aveva un mucchietto di soldi nascosti da qualche parte, qualche lezioncina imparata là dentro e un pelo sullo stomaco così duro da farci le spazzole. Non è possibile

immaginare come fosse grezzo, ignorante e taccagno. Le regole necessarie per farsi largo gliel'ho insegnate io, una ad una. «Anch'io ho imparato qualcosa da lui, una lezione per cui il contatto diretto con persone come lui alla fine mi ha stremato. Cerchi di capirmi, non è una questione di morale. Quel tale, vede, fin da quando era un ragazzotto ed andava in giro a vantarsi delle sue origini modeste, è afflitto da una malattia mortale. «Si porta addosso la noia, quella assoluta, senza strappi: è come se fosse un macigno o un pezzaccio di ferro arrugginito. Il tragico è che si tratta di una malattia contagiosa, a lungo andare ho capito che ne sarei stato coinvolto. «Insomma adesso è lui che guida il ballo, con tutti i suoi mezzi, con la sua prepotenza e con il suo geniaccio, perché è intelligente, disgraziatamente. «E così ora non resta che affrontarlo testa contro testa. Trascinarlo in un processo, fare in modo che gli saltino addosso tutti i nemici e tutti gli avversari che ha, perché ne ha diversi. Ma non è una cosa facile. «Non credo molto alla sua specializzazione, come le ho già detto, e per quanto riguarda la sua persona, non ho il piacere di conoscerla. Ma se ci tiene, se è veramente interessato a guadagnare il suo onorario, qualcosa potrebbe fare anche lei. Negli ultimi tempi mi muovo con una certa difficoltà, potrei anche accettare la sua collaborazione... — La ringrazio dell'offerta, ma non ci tengo — disse Degrado, — sembra che io non sia neppure all'altezza di ricevere un'informazione, si immagini se posso inserirmi in un lavoro così complesso. Il legale guardò con un sorriso maligno verso Iskra che aveva aperto gli occhi e che sembrava attenta, ora. — Che ti avevo detto, ragazzina? Dice un poeta che la terra che ha bisogno di eroi è disgraziata, ma io resto del parere che quella che non ne ha affatto sta ancora peggio.

Fra l'avvocato e la ragazza c'era una latente complicità di casta. Degrado ancora una volta si sentì manovrato: si finiva sempre per tentare di fargli fare quello che non voleva. In questa occasione c'erano in più gli occhi di Iskra che lo fissavano ironici e delusi. — Non so ancora di che si tratta — disse, — e dovrei mettermi a fare il galoppino! Un processo! A chi? E su quali prove? E per quali reati? — Lei non farà il galoppino di nessuno e io non sarò l'informatore di un Insistente qualsiasi. Vorrà scusarmi, ma le ho già dedicato un tempo eccessivo. — Il tono dell'avvocato non ammetteva repliche. Degrado fece un ultimo disperato tentativo. — Ho capito. La musica non cambia neanche in questo villaggio: mai disturbare il manovratore. Ho avuto il piacere di conoscere un addetto ai lavori un po' più eccentrico degli altri. Tutto deve restare comunque nel Grande Giro. «Se lassù in Città ci fosse un orco che ruba i bambini di notte per mangiarseli nel suo antro, nessuno avrebbe il diritto di saper nulla... La risataccia dell'avvocato sorprese Degrado che tentava con fatica di tirarsi su dal cuscino fetente, e che ricadde a sedere, mentre il legale, abbandonato all'indietro, rideva a gola piena, con le lacrime che si appiccicavano sui peli della barba incolta. — Nell'antro, dice lui! — L'avvocato si strangolava dal ridere. — Una serie di ristorantini esclusivi, luci di candela, musica classica, camerieri impeccabili, li chiama antro! Com'è che ha detto? Se ci fosse un orco in città... ah! ah! ohi, ohi, ohi, c'è da morire dal ridere, accidenti a lei! Degrado sentì un groppo di nausea bloccargli lo stomaco. Iskra aveva spalancato gli occhi e fissava impietrita l'avvocato che continuava a ridere singultando.

CAPITOLO NONO Il Signore Dei Vetri distese le mani sul tavolo, si guardò le unghie curatissime, discretamente laccate di rosa, strizzò gli occhi, sbuffò cercando la concentrazione, fece girare per tutta l'assemblea uno sguardo gravido di serietà. — Per la prima volta mi sono imbarcato in un affare sballato. Ho fatto una transazione che è un passo falso per due motivi. Di che cosa si tratti, l'avete davanti a voi, in una cartella che vi prego di leggere, di memorizzare e di consegnare alla segretaria. Il Signore Dei Vetri socchiuse le grosse palpebre gonfie e rimase con pazienza ad aspettare che le teste chine si risollevassero. La segretaria fece il giro del tavolo, prelevò sei foglietti, poche righe dattiloscritte, le mise in un inserto di marocchino che portò al principale, il quale vi poggiò sopra le mani come un sigillo. — Per essere più esatti — continuò il grassone dopo la pausa, — le ragioni per le quali l'affare è il peggiore della mia vita, sono tre. «La prima è intuibile: si tratta di un movimento bloccato. Così com'è in questo momento, è come se avessi rilevato un purosangue da corsa sfinito, una miniera esaurita, il biglietto di una lotteria che non è stato estratto. «La seconda è che si tratta di un affare illegale: in questo modo ho tolto, senza alcuna prospettiva di utili, una patata bollente dalle mani di chi ce l'aveva e che stava cominciando a bruciarsi. «Rischio così di restare con la sola scottatura: credo che abbiate tutti presente lo scandalo dei vestiti blu. Quello che avete letto è sufficiente per farvi capire che questo può far nascere una situazione peggiore. Inoltre l'operazione contrasta con la mia linea.

«Voi tutti sapete che sempre, insisto, sempre, senza eccezioni, ho fatto in modo di superare l'ostacolo della illegalità prima di concludere l'affare. Intendo dire che in passato senza badare ai costi ho agito sull'istituzione modificandola, e solo successivamente mi sono imbarcato nell'operazione. «Posso dire che se la Megalops ha oggi certe leggi avanzate, questo si deve alla mia preveggenza. Quelli che sono con me da diversi anni sanno quel che intendo dire. Per gli altri sarà sufficiente ricordare il testo unico sui beni immobili degli anziani, la legge sul riciclaggio degli schiavi e dei cani, i regolamenti sulle scorie radioattive, il corpus legum sull'utilizzazione alimentare dei rifiuti solidi, il nuovo elenco delle droghe liberalizzate. «Questa volta è diverso. Non esagero se affermo che si tratta di un vero e proprio salto nel buio. «Il terzo motivo è il più grave. A questo punto il Signore Dei Vetri fece una lunga pausa e si guardò le unghie con imbarazzo, come se si vergognasse a proseguire. Sospirò e riprese. — Se in questo caso ho agito con precipitazione è perché mi sono lasciato guidare da motivi di carattere personale. Il che è l'errore più grave che si possa commettere in affari. «Fino a una settimana fa facevo parte di una ristrettissima cerchia di utenti. Soltanto da questo limitato punto di vista mi interessavo della cosa; devo dire che un certo margine di clandestinità contribuiva ad aumentarne il fascino. E questo è un motivo per il quale non avrei mai pensato di assumere la paternità del movimento. Non sarei arrivato dove sono arrivato se non avessi avuto il culto della pulizia negli affari. «Disgraziatamente qualcuno ha fatto valere la sua male attribuita autorità per mettere l'alt. Avete letto già a chi mi riferisco. Ma di questo problema, parleremo dopo. Il Signore Dei Vetri fece un breve gesto con la mano come se allontanasse una mosca. La sua voce aumentò di tono, lasciando trapelare il risentimento.

— Io disprezzo i piaceri che offre questa Città. Disprezzo la loro trivialità, la loro banalità. Non posso neppure dire di esserne assuefatto, perché non sono mai arrivato al punto di contrarre abitudini. «Salvo che per questo godimento innocuo, non dannoso alla comunità, anzi, persino utile, a ben guardare. Non avrei mai pensato che qualcuno, non so bene se per moralismo o per pusillanimità, arrivasse al punto di inibirmi l'unica distrazione che da anni ormai mi offre la vita noiosa di questa megalopoli. Che sciocchezza! Che totale imbecillità! «Ho perso la calma, ecco tutto. Ho avvicinato chi di dovere e ho comprato tutto. Ho comprato il brocco sfinito. Ora mi trovo in un'impasse. O abbandono e ci rimetto la faccia, oltreché quello che ho speso, o corro l'unico rischio serio della mia carriera. «È per questo che non sono sereno. Perché è la prima volta che mi trovo con le spalle al muro per una ragione personale. Dalla mancanza di freddezza deriva la mancanza di idee. Questa è la ragione per la quale vi ho convocati. Non come in passato, perché mettiate le gambe ad un mio geniale disegno. «Questa volta l'idea geniale deve nascere da voi. «Voglio sentire il vostro cervello TIC-CHET-TA-RE, letteralmente! Ho fatto chiudere a chiave questa camera di consiglio, nessuno uscirà di qui fino alla soluzione finale. Procedimento consueto, cioè idee libere, senza schemi, senza inibizioni, senza paura di salti logici, senza timore dell'assurdità o della gratuità. Mettiamoci al lavoro. Ci fu un lungo silenzio. Gli esperti a testa bassa, si lanciarono l'un l'altro di straforo sguardi imbarazzati. Il primo a rompere il ghiaccio con un sorriso maligno sul viso, fu l'esperto di economia. — Dico una banalità — esordì, — ma che ne pensa la nostra Turandot? Perché non affidare a lei il problema? Ne scriviamo i termini su una scheda, un paio di sibili musicali e stiamo ad aspettare la risposta.

L'abbiamo già fatto, naturalmente — rispose l'esperto di informatica. — Ah sì — finse di meravigliarsi l'esperto di economia, che invece lo sapeva benissimo. — E che è venuto fuori? — Be' — tergiversò l'esperto di informatica, visibilmente sulle spine, — la risposta c'è stata, ovviamente, ma non è chiara. — Come sarebbe — continuò l'esp-economico, girando il coltello nella piaga e dilatando il sorriso maligno. — È un po' singolare che un computer dia risposte non chiare, non trova? — Gli legga quello straccio di risposta, e facciamola finita! — intervenne il principale. L'esp di informatica si schiarì la voce mentre tirava fuori di tasca un talloncino di carta. — Bene, lei ha detto questo: PREGO IL LETTORE DI OSSERVARE CHE IO CALCOLO QUESTA MEDICINA PER QUESTO SOLO ED UNICO REGNO D'IRLANDA, E PER NESSUN ALTRO CHE SIA MAI ESISTITO, ESISTA O DEBBA MAI ESISTERE SULLA TERRA. PERCIÒ NON MI VENGANO A RACCONTARE ALTRI ESPEDIENTI: TASSARE QUELLI CHE SI ASSENTANO PER CINQUE SCELLINI LA STERLINA. (altri tossicchiamenti) NON USARE NÉ VESTITI NÉ MOBILI DI CASA, SE NON QUELLI CHE SIANO DI NOSTRA PRODUZIONE E FABBRICAZIONE; RESPINGERE DEL TUTTO I MATERIALI E GLI STRUMENTI CHE INCORAGGIANO IL LUSSO FORESTIERO; SANARE LA DISPENDIOSITÀ DERIVATA DALL'ORGOGLIO, DALLA VANITÀ, DALLA PIGRIZIA E DAL GIUOCO DELLE NOSTRE DONNE; INTRODURRE UNA VENA DI PARSIMONIA, PRUDENZA E TEMPERANZA; INSEGNARE L'AMOR PATRIO, IN CUI NOI DIFFERIAMO PERFINO DAI LAPPONI E DAGLI ABITANTI DI TOPINAMBÙ. — Molto edificante — disse l'economista, — ma che cosa c'entra? — Be' io credo che un senso ce l'abbia. Ho elaborato un'altra scheda, comunque. —

Basta! — s'infuriò il Signore Dei Vetri. — Non venite più a parlarmi di quella caffettiera! Occupa due piani di uno dei miei immobili più belli e meglio esposti. Non so quanti tecnici pago perché le stiano intorno a leccarla, a lustrarla, a bisbigliarle paroline come se fossero in Chiesa, tutti pieni di reverenza e di premure. E quando nasce un problema serio, se ne viene fuori con gli enigmi. Lei è già avvertito: se capita un'altra volta mi faccio sotto a quella specie di abbazia con un martello. E quanto agli abati, li mando tutti a spasso! — Mi permetta — obiettò timidamente l'informatico — ma le osservazioni di Turandot sono tutte ricavate da materiale storiografico. Tutte cose, intendo dire, improntate a una certa eticità, almeno per la maggior parte. Ora, la soluzione di certi problemi un po' spinosi, è affidata in linea di massima ad una tradizione orale, che ci è stato difficile farle memorizzare. «Perciò Turandot manifesta talvolta una certa inibizione, come una ragazzina beneducata, se mi è consentito rendere così l'idea... — E allora infilatele nel culo l'opera omnia del Marchese De Sade! — s'infuriò nuovamente il principale. — Che me ne faccio io di una ragazza di buona famiglia!? — Non andremo avanti molto, in questo modo, — disse l'esperto di marketing. — Mi dispiace di aver stuzzicato questo vespaio — sospirò ipocritamente l'economista. — Sembra una citazione — disse quasi fra sé l'esperto di storia, arte e letteratura. — Bene — riprese l'esp d'economia, — lavoriamo sul serio, ora: i rischi nascono da certi legami naturali che è difficile, se non impossibile, interrompere silenziosamente. Penso che siate tutti d'accordo su questo. «Allora io dico: perché non affrontare il problema alla fonte? Quando una materia prima è difficile da contrattare, o ha dei costi troppo alti, che cosa si fa in generale? Se ne gestisce la —

produzione, mi pare, non è vero? Non mi nascondo che nel caso particolare il problema presenti delle peculiarità. E qualche difficoltà, di notevole livello, ma non insormontabile. «Non manca neppure qualche esempio storico in materia. Potrà darne conferma il dottor Khann: nella Germania nazista se non sbaglio, vennero creati dei campi per la produzione della pura razza ariana. — Nel millenovecentotrentasette per l'esattezza, si sa dell'esistenza di un campo nei pressi di Monaco. Era organizzato in questo modo... L'esp di storia e letteratura stava per lanciarsi in uno sfoggio di erudizione. — È tutto chiaro — lo bloccò il Signore Dei Vetri — siamo qua per trovare un'idea, non per giocare ai topi di biblioteca. — Se ho ben capito — disse l'esp di marketing, — lei proporrebbe di mantenere dei riproduttori e delle fattrici, utilizzandone poi il prodotto. Ha calcolato il costo? — Non è soltanto una questione di costi — disse l'esperto legale, — il fatto è che una soluzione del genere non ci porta avanti di un passo nella direzione che ci siamo proposte, che è quella di risolvere il problema della legalità. — Forse ci sono — disse l'esperto di medicina e psichiatria, — è un'idea ancora informale, ma può funzionare, credo. Fatemi pensare. Tirò fuori dal taschino un fazzoletto e si mise a pulire energicamente gli occhiali. — Sputi! — esclamò il Signore Dei Vetri. — Non ho tempo! — Ecco qua: negli ultimi tempi sono stati scoperti nove virus che provocano altrettante malattie infantili. Tutte queste infezioni sono mortali: mi riferisco al virus di Ghinulfi, volgarmente detto neo-morbillo, che provoca la completa paralisi dei centri nervosi; poi al virus di Alan e Kadzin, che provoca una sintomatologia simile a quella dei cosiddetti

orecchioni e determina una improvvisa emorragia cerebrale con esito altrettanto infausto. — Lasci perdere gli altri sette virus — disse il Signore Dei Vetri, — venga al sodo. — Bene — rispose l'esp di medicina — potremmo scoprirne uno noi. Non veramente, intendo dire. In pratica il meccanismo potrebbe essere questo: la massima autorità della nostra Fondazione per la Sanità Pubblica accerta l'esistenza di questo virus, cioè, noi glielo facciamo scoprire. Dopodiché un altro sanitario illustre scopre che quello stesso virus provoca una alterazione del sangue: in questo campo non c'è che da scegliere, negli ultimi due anni nei soggetti al di sotto dei cinque anni ne sono state scoperte ben settantatre. «A questo punto facciamo risultare scientificamente che quella certa alterazione è prova sicura dell'affezione virale. È qui che agendo sulle nostre aderenze nel Servizio di Sicurezza Sanitaria, si tratterebbe di fare applicare la trecentosette. Cioè la legge detta del Vaccino integrale. «Sapete come funziona: per evitare il rischio del contagio, verrebbe applicata l'eutanasia a tutti i soggetti che risultassero portatori di quell'alterazione. Ed ecco risolto il problema della materia prima nella più totale legalità. — È un po' rischioso — disse l'esperto legale — ma con le debite precauzioni può funzionare. Se qualcosa andasse storta, anche il più serio dei clinici, può sbagliare. È piuttosto difficile dimostrare la colpa di un medico. La giurisprudenza costante li copre fino all'errore inscusabile. Quanto al dolo, ci sarebbero dei problemi di prova insormontabili. In linea di massima mi sembra una soluzione adeguata. — Un corno, adeguata — disse l'esp di marketing, — è un'idea assurda. Assolutamente irrealizzabile. Si tratterebbe di immettere nel mercato dei soggetti che si saprebbe colpiti da una malattia. E contagiosa, per giunta.

Ma che c'entra — disse l'esp di medicina, — avremo cura di informare che si tratta di una malattia infantile che lascia immuni gli adulti. — Ma cerchi di capire. Sto parlando di un problema di mercato. La mangerebbe lei una gallina morta di malattia? — Ha ragione lui — disse il Signore Dei Vetri indicando l'esp di marketing. — L'idea è da scartare. —

Siamo arrivati a un punto morto, mi pare. La battuta dell'esp di informatica esprimeva lo scoramento generale. A questo punto il legale tentò di superare l'impasse con qualche osservazione teorica. — Il nostro sistema, dirò meglio, la nostra civiltà, è basata sulle differenze sociali. Che nella nostra epoca hanno assunto un aspetto di tipo logistico. Voglio dire che l'alto e il basso non sono più una metafora, ma corrispondono ad una collocazione urbanistica reale. In breve la verticalità non è soltanto un principio geometrico o simbolico o architettonico, ma corrisponde anche ad un principio giuridico di applicazione piena o di attenuazione, se si scende in linea verticale nella dimensione della megalopoli, e dei diritti. «Non dobbiamo dimenticare, e mi sembra che finora sia stato fatto proprio questo, che abbiamo il compito di risolvere un problema giuridico. «Ebbene, nello sviluppo delle operazioni secondo i criteri della passata gestione, è appunto questo principio della verticalità che non è stato sufficientemente seguito. Si è preferito agire, almeno in parte, trasversalmente. «L'errore consiste nell'avere confuso il fatto che i vaganti per il loro perenne girovagare sfuggono a qualsiasi regola, con il fatto che essi sarebbero nella loro globalità e come categoria, totalmente privi di diritti. «È sì vero che l'estrazione sociale della stragrande maggioranza di loro, appartiene ai livelli più bassi, addirittura —

oltre il limite della Zona Franca (e sull'uso improprio di questa definizione ci sarebbe molto da dire), ma è altrettanto vero che, almeno in parte, essi sfuggono a qualsiasi classificazione. «È da questo equivoco che sono scaturiti quegli incresciosi incidenti che, a quanto ho letto nella relazione che ci è stata fornita, hanno provocato lo sfinimento del cavallo da corsa... Per usare il felice paragone di chi ci ha qui riuniti. Il legale rivolse un viscido sorriso al principale, cercandone il consenso. — Ecco: l'errore sta nel fatto che i prelevamenti della, diciamo così, materia prima, sono stati realizzati in modo esclusivo tra i vaganti. «La probabilità di incappare tra di loro in alcuni soggetti titolari di diritti sta in una percentuale infima, ma, sia pure in questa limitatissima misura, esiste. «Gli incidenti che sappiamo sono nati da questa incognita, da questa X che corrisponde sostanzialmente ad un errore giuridico. È dalla constatazione di questo errore che dobbiamo muoverci. Il Signore Dei Vetri evitò di soffocare uno sbadiglio. — Istruttivo — disse. — Molto. Ma cerchiamo di arrivare al nocciolo. Noi stiamo cercando il sistema per fare approvare una legge. Diciamo che questa legge non riguarderà i vaganti. Va bene, ci ha convinto. I vaganti sono una piaga, forse la peggiore. Si meriterebbero questo e altro, ma, qui ha ragione l'avvocato, sono sfuggenti. «Niente vaganti, allora. Una categoria diversa. Il problema, però, è soltanto spostato. Più ci penso e più mi convinco che da un punto di vista istituzionale la soluzione è quasi impossibile. C'è tutta una stupida retorica sui cuccioli. E più piccoli sono e più commovente è questo tipo di letteratura. «Ora, come si fa a convincere organi di stampa, amministratori, politici e tutto questo insopportabile genere di

persone, che dovrebbe essere dichiarato giusto e legale prendere dei bambini eccetera? Da un certo irrigidimento nell'uditorio il Signore Dei Vetri si rese conto dell'imbarazzo generale. Batté un pugno sul tavolo. — È di questo eccetera che dobbiamo parlare, no? Cercate di essere meno schizzinosi, ma più concreti. Non abbiamo cavato un ragno dal buco, finora. Da qualche tempo l'esperto di storia, arte e letteratura si stuzzicava il pizzetto debole da intellettuale, faceva ghirigori sul foglio che aveva davanti, guardava in alto, si toglieva e si rimetteva cento volte gli occhialetti tondi cerchiati di acciaio. Si dimostrava insomma molto più tormentato del consueto. L'ultima battuta del principale aveva creato una certa tensione. Ognuno sentiva approssimarsi una delle sue famose sfuriate culminanti in una minaccia di licenziamento in blocco. Anche per questo tutti sobbalzarono a un urlo emesso dall'esp di letteratura. — Ha ragione Turandot! Con aria ispirata si batteva il palmo della mano sulla fronte, come se volesse punirsi. — Mi sembrava di avere detto — cominciò il Signore Dei Vetri con la calma che precede la tempesta, — che se qualcuno mi rammentava ancora quel ferrovecchio... — Prego, prego, mi lasci finire — disse l'esperto letterario. — Non se ne pentirà. Di che cosa abbiamo bisogno, noi? Di qualcosa di confortante per il pubblico e per tutte quelle persone che ha menzionato dianzi. Per meglio dire di un'autorità che con la persuasione, il prestigio dell'esperienza, del consolidato ed indiscutibile valore intellettuale e morale, con quella saggezza e quella forza cioè che solo il passato e la storia possono dare e con la convinzione che viene dalla scienza, dica che ciò che stiamo per intraprendere è proprio quello che occorre, un toccasana

per risolvere molti problemi della comunità, altrimenti insormontabili. «Ebbene, questa autorità — continuò enfaticamente — esiste! E Turandot, poverina, ce l'aveva indicato! L'esperto letterario era lanciato. La sua presenza nello staff di cervelli riuniti dal Signore Dei Vetri avrebbe dovuto rappresentare il potere dell'immaginazione. Il suo momento era quello in cui si passava dalla logica e dalla tecnica scientifica alla fantasia. Ciò veniva considerato, ma soltanto molto astrattamente e molto ipoteticamente, produttivo di possibili risvolti positivi. In realtà non lo si riteneva capace di un apporto ed era tollerato perché insomma «non si sa mai». Questa era la prima volta che la sua voce si alzava con il tono trionfante e sicuro di chi domina la discussione. La sua uscita aveva rincuorato l'esperto di informatica che dopo l'inizio del dibattito si era trincerato in un silenzio cupo. Ma l'esperto di letteratura fu implacabile. Nessuno doveva dividere con lui la sua gloria. — E lei è inutile che faccia tutti quei segni di assenso — disse al computerista, — se avesse capito il significato della risposta di Turandot ce l'avrebbe detto subito e non avremmo perso tutto questo tempo! «Io mi resi subito conto che si trattava di una citazione; tuttavia mi è stato molto difficile localizzarla. «Questo perché l'inopportuno pudore di Turandot le ha fatto scegliere un brano in cui il significato generale del testo è nascosto. Un'annotazione cioè di tipo moralistico che intende in qualche modo temperare il cinismo del discorso. — Le do tre secondi per spiegarsi — (l'intonazione del Signore Dei Vetri faceva pensare a una miccia accesa che divora il percorso verso la bomba). — Questa riunione ha sempre più l'aria di un meeting di autoerotismo.

Vengo subito al punto — riprese l'esperto letterario un po' smontato. — Turandot ha citato un brano tratto da un breve pamphlet satirico di un autore del millesettecento. Un inglese, un certo Jonathan Swift. Non mi aspetto che l'abbiate mai sentito nominare. Non sono molte le persone che oggi leggono ancora dei libri, meno che mai quelle che leggono autori del settecento inglese. «I libri di Swift appartengono all'antiquariato. Per lui, come per altri, è avvenuto come per certe località che ancora cinquanta anni fa erano frequentate, ma che ora si trovano fuori dai circuiti del Trafic Control. La strada è andata a pezzi, in certi casi si è persino interrotta e oggi sono deserte. Dico questo, perché si tratta di un grosso vantaggio per noi. In breve, questo grande umorista, potrei citarvi molte sue opere importanti ma non mi sembra la sede adatta, nel testo che ci ha ricordato Turandot formula la proposta, modesta, come la definisce nel titolo, di risolvere il problema della miseria, della sovrappopolazione, delle ragazze madri, della delinquenza minorile nella sua seconda patria, cioè l'Irlanda di quell'epoca, commerciando come carne commestibile i bambini al di sotto dei quattro anni, appartenenti alle classi povere. — E questo l'avrebbe scritto un autore del millesettecento? — domandò con tono incredulo l'esperto di economia. — Esattamente. — Come hai detto che si chiama? — Jonathan Swift. — Non è un economista. — No — riprese l'esperto di letteratura. — È un letterato, un umorista, ve l'ho già detto. Ma niente ci impedisce di presentarlo come un grande scienziato di economia dell'epoca. Ce lo consente il fatto che oggi è totalmente dimenticato. Mi meraviglia che Turandot sia stata in grado di citarlo così a proposito e così esattamente. —

Adesso che mi ricordo — disse l'addetto al computer, — tempo fa comprammo un grosso stock di vecchi libri, da una di quelle biblioteche che dovevano essere demolite, laggiù nella Zona Antica e li facemmo memorizzare tutti a Turandot. Se mi fosse stato consentito di proporre una nuova scheda, sicuramente avremmo avuto una seconda risposta che ci avrebbe chiarito... — Invece di fare discorsi inutili per giustificare la sua incompetenza — lo interruppe il Signore Dei Vetri facendo segno alla segretaria di riaprire la porta, — corra a controllare se quello che dice il dottore corrisponde. Se penso che questo prezioso suggerimento poteva sfuggirci, mi vien voglia di licenziarla insieme a tutta la sua banda di pretini. Vada avanti, lei — aggiunse rivolgendosi al letterato, mentre l'esp di informatica si precipitava fuori della stanza. — Per noi sarà agevole — continuò trionfante l'esp di letteratura — trasformare il testo letterario in un vero trattato di economia. Lo faremo diventare la proposta inascoltata di un grande economista dell'epoca. Fra parentesi, in realtà, Swift fu anche un politico considerevole, consigliere della Regina Anna di Inghilterra. «Ne faremo risaltare l'alta levatura morale (era un ecclesiastico, un parroco) la profondità del pensiero che arricchisce la grande corrente filosofica che va sotto il nome di Illuminismo. «La voce di uno scienziato che ci raggiunge, attraverso il tempo, dal secolo dei lumi! «Qualsiasi scalzacane troverebbe, c'è da scommetterlo, da criticare aspramente una proposta che venisse da qualche luminare della nostra Fondazione; ma chi se la sentirebbe di dissentire di fronte al recupero di un'idea che anticipa i tempi di quattro secoli? L'addetto al computer rientrò nella stanza, gli occhi fissi su un altro elaborato e l'aria perplessa. —

Sembrerebbe una nuova citazione — disse. — Anche questa non è molto chiara, però in compenso è menzionato l'autore. — E sarebbe? — chiese il Signore Dei Vetri. — Jonathan Swift. — Legga! — comandò il Signore Dei Vetri. — POICHÉ, AVENDO RIGOROSAMENTE ESAMINATO TUTTI I PERSONAGGI DI MAGGIOR NOME ALLA CORTE DEI PRINCIPI, PER UN CENTINAIO D'ANNI ALL'INDIETRO, SCOPRIVO QUANTO IL MONDO FOSSE STATO TRAVISATO DA SCRITTORI PROSTITUITI, CAPACI DI ATTRIBUIRE LE PIÙ GRANDI IMPRESE DI GUERRA AI VIGLIACCHI, I PIÙ SAGGI CONSIGLI AI PAZZI, LA SINCERITÀ AGLI ADULATORI, LA VIRTUS ROMANA AI TRADITORI DEL LORO PAESE, LA PIETÀ AGLI ATEI, LA CASTITÀ AI SODOMITI, LA VERITÀ ALLE SPIE. L'esp di informatica guardò spaventato il principale aspettandosi un'altra sfuriata. Il Signore Dei Vetri scoppiò a ridere. Rise a lungo, tenendosi la pancia e facendo tremare la pesantissima tavola di quercia. — Prostituiti, eh? — disse quando si fu ripreso, asciugandosi gli occhi, — ah! ah! ah! accidenti se questo non vi riguarda! Tutti quanti siete! Lei, come al solito, non aveva capito, eh? «Accidenti se è chiaro, invece! È il vostro programma, invece. I miei complimenti a Turandot. Ha trasformato questa riunione in una seduta spiritica. Dopo quest'ultima battuta si diffuse un certo imbarazzo e qualcuno cominciò a guardarsi intorno con apprensione. La segretaria sobbalzò, impallidendo, quando un robusto mobile di rappresentanza, stile antico, emise, chissà perché, un lungo scricchiolio. L'esperto di economia si alzò in piedi, rosso in viso. — Con tutto il rispetto — disse rivolgendosi al Signore Dei Vetri — lei non ha il diritto di offenderci... —

Io che c'entro? — rispose continuando a ridacchiare malignamente il principale — presenti le sue rimostranze al Signor Swift. — Comunque — riprese, diventando improvvisamente serissimo — se qualcuno si è sentito offeso, le mie scuse. Si rimetta a sedere, prego. Abbiamo da lavorare. — Fece un segno alla segretaria che si precipitò a prendere appunti. — Istruzioni: dodici orchidee a Turandot. Rintracciare e distruggere tutti gli scritti di questo Swift, commenti, biografie, tutto, insomma. Salvo quello che ci serve per la nostra linea e che resterà in possesso, sotto chiave. Istruzioni per il mio editore: stampare due milioni di copie di questa «Modesta Proposta» corredata con un profilo critico e biografico dell'autore e, questo riguarda lei, — si rivolse all'esp di economia — di un'analisi sotto l'aspetto economico. Una serie di saggi, per intendersi; voglio i nomi migliori, per questa introduzione scientifica. «Mi serve l'immagine di questo Swift. Metterete un suo ritratto a grandezza naturale dietro la mia scrivania. Un altro a grandezza doppia nelle sale di ricevimento e rappresentanza. «Deve avere ben visibile in una mano il trattato. A proposito: da questo momento il titolo è cambiato. Da adesso si chiama: Antica proposta risolutiva. Di questo testo, con il nuovo titolo, manderete in omaggio a nome mio una copia in edizione rilegata e numerata ad ogni funzionario, ogni manager, ogni politico, militare, giornalista, piedipiatti, puliscicessi dei palazzi, ogni mezza-calza che conti un'unghia in questa megalopoli. «Istruzioni per le mie catene/TV: trenta servizi giornalistici da mettere in onda tutti i giorni per un mese; per il seguito, si vedrà. Argomenti, da sviluppare secondo varie angolazioni: la condizione e i problemi delle ragazze-madri nei livelli bassi, dal quarto in giù, la delinquenza minorile in aumento, voglio scene dal vivo di stupri, aggressioni a vecchie signore, pestaggi, rapine, scontri tra bande rivali; il reclutamento e l'istruzione alla delinquenza dei ragazzi minori di dodici anni: voglio vedere —

bambini che piazzano bombe, che sabotano treni, che si allenano al tiro al bersaglio. Ricordate ai signori cronisti quello che è il mio principio fondamentale in tema di giornalismo: le notizie non si falsificano. Quando un fatto che ci serve da raccontare non esiste, non lo si inventa, né si fanno sceneggiate. «Lo si provoca nella realtà e poi lo si filma. Niente trucchi con me, me ne accorgo dei trucchi, io. Altro argomento da trattare a fondo: la densità di popolazione a Megalops Africa (dovrebbe essere il quadruplo rispetto a qui, secondo le cifre ufficiali, se non sbaglio). «Voglio gente che dorme sui tetti, per le scale, sui marciapiedi, per le strade in mezzo al traffico, che vive negli ascensori, sugli alberi, nei cessi pubblici... e più che altro, bambini, bambini che spuntano fuori dappertutto, fra le gambe della gente, aggrappati alle spalle, appesi sulle pance delle madri, sdraiati nei rigagnoli, nelle fogne, accatastati negli orfanotrofi, nelle baracche, nei lazzaretti, elemosinanti, malati, pidocchiosi, tignosi, morti. «Cosa diceva lei — si rivolse all'esperto sanitario — poco fa, delle malattie infantili? Mi metta insieme un'inchiesta generale su queste infezioni, specificando che si contraggono sotto i quattro anni e che potrebbero trasmettersi agli adulti. Il materiale raccolto lo passerà alla mia catena TV. «Senta lei — si rivolse allo scialbo esperto di mass-media — in questa riunione ha brillato per non aver aperto bocca. Si dia da fare, ora. Le affido un budget illimitato. Come si chiama quell'attore grassoccio che va forte in questo momento: Oliver... e poi? — Oliver Oliver — rispose l'esp di mass media. — Benissimo. Faccia un contratto a questo Oliver Oliver. Sarà Jonathan Swift. Voglio tre sceneggiati TV e un film colossal di quattro ore. Regia di quel ragazzotto, quello bravo, quello esperto di rievocazioni storiche, ho visto «La Caduta della Torre

di Babele» e mi è piaciuto, nonostante ci faccia la fronda; come si chiama, questo tizio? — Giovanni Cicciocicco — rispose pronto il mass-media man. — Ah sì, che nome impossibile! Dunque, i tre sceneggiati per la TV: uno sulla vita, uno sull'attività di politico e di economista, uno sulla genesi del trattato. Il film: l'ambientazione si intuisce, un parallelo fra l'Irlanda del settecento e questa megalopoli, qui. Bambini-flagello, naturalmente. Il vecchio Jonathan che si preoccupa, che studia, che fa la proposta, che quasi convince la Regina, un sacco di pessimi soggetti che lo ostacolano, che tramano nell'ombra, che lo mettono male con la Regina Anna, il povero Swift che muore inascoltato in solitudine una cosa molto patetica, insomma una cosa così, porca miseria, non è il mio mestiere, alla fine. Comunque questo è importante: deve essere un personaggio simpatico, allegro, amante della buona tavola, delle donne, dei fiori, degli animali e dei bambini di buona famiglia. «Istruzioni per la Fondazione scientifica: tre convegni: uno sulla sovrappopolazione, uno sui rischi degli anticoncezionali e degli aborti, (a proposito, tre inchieste TV su questo argomento e una serie di articoli sulle mie riviste femminili), uno sulla scarsità delle risorse naturali: la crisi energetica, la crisi dei cereali, la crisi dei fertilizzanti, la crisi dei pesci... la crisi di ogni cosa, insomma. Il Signore Dei Vetri a questo punto sorrise, compiaciuto, umettandosi le labbra. — Per l'aspetto gastronomico, me ne occuperò personalmente io. È il mio hobby. Ho in mente una pubblicazioncina di ricette inedite... ma c'è tempo, per questo. Sospirò tristemente, gli occhi umidi: — C'è ancora tempo, per questo. Disgraziatamente. Signorina! Convochi una riunione con i miei politici, tutti quanti. Diciamo fra tre ore. Che cosa mi sto dimenticando? Ah sì. Una faccenda sgradevole.

Si rivolse all'esp di mass-media, puntandogli contro il dito a salsicciotto. — Mi cucini a dovere l'Alto Commissario Falco. Un'inchiesta a tappeto, che riguardi la sua inefficienza, codardia, divismo, scarsa capacità decisionale. Qualche vizietto, magari, e sospetti di corruzione a manciate. Il materiale non dovrebbe mancare. Spende un sacco di soldi con i giovanottelli, mi pare? Che schifo. «Qualche fotografia piccante non guasterebbe. Questo per preparare il terreno a qualcosa di più radicale — aggiunse quasi tra sé. — La riunione è finita. Grazie a tutti quanti. Mandatemi Salvatore. Gli esperti raccolsero gli appunti e uscirono dalla stanza. L'atmosfera era febbrile. Dopo qualche minuto entrò un uomo, gli occhi scuri e duri di tormalina, il profilo affilato a lama di coltello. Scivolò nella stanza silenzioso come un gatto e il Signore Dei Vetri si accorse della sua presenza soltanto quando se lo trovò accanto, la testa china a raccogliere sommesse istruzioni.

CAPITOLO DECIMO La porta della camera comunicava direttamente con la spiaggia attraverso una breve rampa di scale. L'Insistente accese una sigaretta e uscì. Dal delta del fiume il vento gettava sul viso una nebbiolina salmastra che quasi impediva di vedere. Le onde si arrotolavano sulla battigia appesantite da stracci e brandelli di cellophane. Degrado si sedette sulla sabbia. A due passi da lui, dove si notava la traccia di un falò, oggetti rossi e azzurri di plastica si erano cementati insieme in un viluppo repellente come le interiora di una carogna. Il vento accorciava la sigaretta facendo volare le faville. «Che cosa ci sarebbe da fare, esattamente?» Con questa domanda aveva permesso all'avvocato di legarlo mani e piedi. Se ne rendeva conto adesso che esistevano poche possibilità di tornare indietro. L'avvocato non aveva scoperto subito le sue carte, l'aveva tenuto sulle spine per un pezzo, con una quantità di domande sui trascorsi professionali, sulle operazioni svolte, su chi erano stati i suoi clienti e quali le conoscenze nella Megalops, se era sposato o se conviveva con un'amica o con un amico, insomma l'aveva rovesciato come un calzino, ogni tanto interrompendosi per ridacchiare ancora per quella faccenda dell'orco e dell'antro. Alla fine si era sbottonato: a «Nuova Gerico», una delle esclusive città Alte, c'era una clinica psichiatrica per persone nate bene. Dietro la facciata che la faceva assomigliare ad un convento orientale, in verità era una mezza prigione. Una cliente dell'avvocato, la figlia di un funzionario di palazzo discretamente potente, era stata rinchiusa lì, dopo un periodo di tempo molto movimentato trascorso insieme ai vaganti, durante il quale aveva trovato il modo di fare un figlio ed anche di perderlo. — In quel modo che avete capito... rubato,

insomma, da quei golosi... Come sia riuscita a scoprire il traffico — aveva detto il legale dei vaganti, — in questo momento non interessa. Fatto sta che sa tutto; è per questo che l'hanno internata, abbiamo fatto una transazione, non è necessario saperne i termini. Bisognava trovarla, eludere la sorveglianza (in questo stava il rischio) e farle fare una dichiarazione videoregistrata che poi l'avvocato avrebbe saputo come utilizzare. Dietro la facciata di sudiciume e di sciatteria il legale si era rivelato pieno di risorse: erano comparsi soldi e documenti falsificati perfettamente che avrebbero consentito all'Insistente di trasformarsi in un ufficiale della DIDA. L'avvocato doveva avere santi in paradiso perché a Degrado era stata affidata persino una delle auto a turbina in dotazione di quella organizzazione di polizia, uno strumento velocissimo, doppi cristalli blindati, gomme a prova di proiettile, praticamente invulnerabile, capace di farsi largo ovunque. L'Insistente sarebbe arrivato al «Villaggio della Pace Interiore», l'hashram nel quale era rinchiusa la ragazza, apparentemente per accompagnarvi Iskra che avrebbe fatto la parte della solita ragazza di buona famiglia traviata dalle cattive compagnie e bisognosa di cure speciali. — Le fornirò anche la scorta di due agenti — aveva detto l'avvocato, — non veri agenti, naturalmente. Lui ed Iskra stavano aspettando questi due assistenti, da molti giorni ormai, in quello sfascio di motel sul delta del fiume. — Presentano qualche singolarità — lo aveva avvertito l'avvocato, — ma reggeranno la parte benissimo. Non si formalizzi per i loro modi antiquati, sono due messianisti. Seguono le regole di una setta religiosa molto antica e molto severa; bisogna saperli prendere, in fondo sono dei bravi figlioli. Aspettano la fine del mondo, capisce, per questo sono un po' cupi. Secondo loro è proprio alle porte e per quello che posso capire io non è detto che non abbiamo ragione.

Opportunamente l'avvocato aveva aspettato che Degrado si assumesse l'incarico prima di tirar fuori il mister della squadra avversaria. Quando dal suo cappello a cilindro era spuntato il nome del Signore dei Vetri era un po' tardi per tirarsi indietro, con Iskra che si era impegnata anche lei e che aveva l'aria di divertirsi. Nel suo mestiere aveva cercato fino a quel momento di introdursi fra i passaggi di vari labirinti senza farsi troppo male. Del resto non erano sue né le decisioni né le azioni che modificavano la vita del prossimo. Quando lui entrava in scena i guai già esistevano. Non doveva far altro che tentare di fare intravvedere la mano che tirava il colpo, rendere meno misterioso il meccanismo che c'era dietro, tanto che spesso anche il cliente finiva per riconoscerlo più minaccioso e più irraggiungibile che mai. Veniva persino pagato per questo. In modo mediocre, ma pagato. Quello che doveva fare adesso era molto diverso. Tanto diverso da far girare la testa. Poteva filarsela. «I soldi dell'avvocato basteranno per qualche mese in un posto fuori mano» pensava Degrado, «il tempo di farmi dimenticare. Una volta tanto la vacanza lunga mi farà bene. Un posto più pulito di questo. Insieme a Iskra, naturalmente. Ma non si può andare in giro con una vagante senza documenti e senza residenza. Nella stanza del Buen Retiro non c'è posto neppure per un gatto, senza contare il capo-scala, il capo-fabbricato, la commissioneinquilini.» Iskra gli sembrò lontana, già appartenente al passato. «Aspetterà... Un giorno, massimo due, poi capirà che me ne sono andato.» Ma era troppo. Iskra che lo aspettava due giorni nella stanza del motel era troppo.

Questa volta il mondo era proprio rivoltato a gambe in su e non c'era modo di far finta di non vedere le sue sconcezze all'aria come il sotto-schiena di una vecchia puttana. Capì che se l'era voluta, che questa volta non c'era scampo. Pensò a quanto erano lunghe le mani del Signore dei Vetri e si sentì rabbrividire. — E va bene — disse a voce alta, le parole suonarono false nel deserto della spiaggia, — vuol dire che questa volta finirò male. Si accorse di avere i capelli ed il viso bagnati. Anche la camicia era umida. Si alzò e si avviò verso la scritta «MOTEL». Del Motel non era rimasta che una costruzione in legno verniciato, un tempo le cucine e gli alloggi del personale. L'incuria e la salsedine avevano mandato in malora il resto. Il corpo centrale si era ridotto ad una intelaiatura di ferrocemento arrugginito in mezzo alla quale brillavano sotto il sole pochi vetri superstiti. Anche la località, molti anni prima centro balneare alla moda, si era declassata ad un sobborgo dove abitava un gruppo di cercatori vecchi e cenciosi che stentavano la vita raccogliendo sulla spiaggia detriti portati dal mare e dal fiume per venderli ad un deposito di materie di recupero che con le sue gru ed alcune chiatte occupava una spianata sul delta. Nella palazzina sbilenca, perché il mare in un angolo aveva raggiunto e scavato fino alle palafitte di fondazione, due donne anziane vestite di nero, silenziose come gatte, affittavano le tre stanze del primo piano, quando capitava qualche viaggiatore di passaggio. Nella camera l'odore di umidità delle lenzuola si mescolava ad un sentore di vecchiume e di polvere. Dalla finestra con il telaio a saliscendi bloccato si vedeva il mar color ocra e i gabbiani che sembravano avventarsi come falene contro il vetro rotto in un angolo.

Quando Degrado rientrò, Iskra dormiva ancora. Si tolse le scarpe e si buttò sul letto. Per un poco rimase a fumare e a guardare le chiazze di umidità sul soffitto, il mare era un sottofondo di rumore vischioso sullo stridere dei gabbiani. L'Insistente fece appena in tempo a spegnere la sigaretta prima di calarsi in un sonno di piombo. Si svegliò di soprassalto incerto se continuasse il sogno di una fuga in cui lui scavalcava una serie di muri. — Sventura! Sventura! Babilonia, città grande, città putrida e potente, in un attimo è arrivato il tuo giudizio! In un sol giorno si abbatteranno su di te i colpi: morte lutto e fame. «E piangeranno e si dispereranno i re della terra che con lei si sono dati alla lussuria e alla molle vita quando vedranno il fumo del suo incendio. Piangeranno e si dispereranno le sue femmine indecenti! Pentitevi! Invocate i nomi del Signore! La voce continuava a ronzare come una litania. Due uomini sottili, inguainati nel blu metallico delle tute di ordinanza della DIDA, gli occhi mascherati da un paio di lenti rotonde di un intenso colore verde, guardavano severamente Iskra che sedeva sul letto a gambe incrociate, soltanto il pube coperto da un lembo di lenzuolo. Il più alto puntava un dito accusatore. — È vicino anche per te il momento! È vicino! Non senti il fiato della Bestia sul collo? Iskra rideva. — Ma guardali! Fanno sul serio! Ce l'hanno con me. Sono entrati e tutt'a un tratto si sono messi a fare la predica! — Ma chi sono? — chiese Degrado. — Sono i messianisti: li manda l'avvocato — rispose Iskra. — Quella donna è impura — disse quello più alto, — ed anche l'uomo che giace con lei è impuro. — Impuri entrambi — rincarò l'altro. Degrado scese dal letto; andò al lavandino aprì il rubinetto e si gettò un po' d'acqua sul viso.

D'accordo, siamo impuri. Non serve a niente discutere. Dobbiamo fare un lavoro insieme. — Gli agnelli non berranno alla stessa fonte contaminata dai porci. — Chi sarebbero i porci? — Iskra scese dal letto, completamente nuda. — Si comincia bene — disse l'Insistente, — perché non ti vesti? — Per far dispetto a loro — rispose Iskra, — non li sopporto questi tipi. — Succubi del capro! — Il messianista più alto era rosso di rabbia. — Leccatori del suo immondo didietro! — Un momento — disse Degrado, — non esageriamo. Bussarono alla porta. — Il Signor Ufficiale è desiderato al telefono — cantilenò la voce di una delle due vecchie. — Aspettatemi senza picchiarvi, possibilmente — disse l'Insistente. La hall era in penombra, sul banco del centralino il ricevitore acustico sembrava il fossile di un animale estinto. Al telefono c'era l'avvocato. — I messianisti — chiese, — sono arrivati? Dovete partire subito. Ci sono altre istruzioni. — Senta — disse Degrado, — qualsiasi cosa debba fare con quei due io non ci sto. Anche se si trattasse soltanto di andare door to door a consegnare stampati religiosi, io non ci sto. Nella squadra avversaria ci sono dei professionisti, non mi va di finire la vita in una fabbrica di prodotti chimici, a respirare senza pensieri esalazioni cancerogene. — Non è il caso di fare obiezioni! — L'avvocato gridava. — Compri un giornale, uno qualsiasi! — Non arrivano giornali in questo posto — disse Degrado, — dovrebbe saperlo dove mi ha mandato. E la tivù è guasta. —

Allora l'informo io — disse l'avvocato, — mi stia a sentire e non interrompa. Il Grand'Uomo si è mosso, in grande stile! «In tutta la Megalops non si parla d'altro: c'è una proposta della sua Fondazione scientifica! Una proposta di sviluppo economico, non so se mi capisce. Sono andati a pescare un precedente storico, un elaborato antichissimo. Insomma è riuscito a creare un dibattito quella vecchia volpe! Si è già creata un'atmosfera molto dotta in città; è diventato un argomento da trattare sul terreno scientifico. Sono arrivato qua e ho trovato che la canzone si suonava già da un paio di mesi, e in quest'ultimo periodo a grande orchestra, l'avevo sottovalutato, accidenti. Apra bene gli orecchi: per come stanno procedendo non gli ci vorrà molto per far approvare una legge. L'ha già fatto altre volte, ma in questa occasione sta giocando il tutto per tutto. Dovrebbe essere qua a vedere che razza di martellamento! Dunque: lei ha il massimo una settimana per raggiungere quell'ashram, tre giorni per restare e tre giorni per tornare con la ragazza. Non è più il caso di portarmi soltanto una dichiarazione, mi occorre la persona! Non abbiamo tempo! Devo presentarla in carne ed ossa davanti a un magistrato. Abbiamo una sola possibilità: dimostrare che il movimento è cominciato da un pezzo e che la legge sarebbe la ratifica di un'illegalità precedente! — Un momento! — disse l'Insistente, — lei mi sta incaricando di un rapimento, se ne rende conto? O di un'evasione, nel migliore dei casi! A quanto ne so quella è una prigione, le sembra facile portar via una persona di là. — Non mi interrompa — disse l'avvocato, — per tirarsi indietro è troppo tardi. Ha presente contro chi ci siamo messi? Quello arriva dappertutto, ci scoverebbe dovunque, compreso lei; è molto vendicativo con chi gli ha attraversato la strada. L'aspetto fra quindici giorni nel palazzo degli avvocati: si ricordi, entro quindici giorni! Poi sarà troppo tardi per trovarmi, ha —

capito? Non mi cerchi neppure e faccia in modo di sparire anche lei, se le cose andassero male. L'avvocato riattaccò bruscamente. Mentre Degrado risaliva la scala per tornare in camera gli tornarono in mente i due messianisti: la loro presenza non gli consentiva nessuna fuga. Ne avrebbe fatto a meno, ma ormai era entrato nel campionato di prima serie, dove durante le eliminatorie non è possibile far finta di nulla e riprendere il ruolo di spettatore. Troppi occhi addosso: è il giro grosso che non lascia spazio né per defilarsi, né per le iniziative personali, ma tutti sono controllati a catena.

CAPITOLO UNDICESIMO L'ex Commissario alla Sicurezza, Grande Ufficiale Falco, temporaneamente dimissionario per gravi motivi di salute, ma secondo un'altra versione che circolava nell'ambiente (e nemmeno Falco avrebbe saputo dire quale fosse la versione ufficiale), temporaneamente a riposo per un forte esaurimento, occupava ancora la sua stanza nel Palazzo ed anche le stanze contigue di tutto il piano erano rimaste a sua disposizione. Ma il personale si era ridotto soltanto alla segretaria ed ad un paio di sottufficiali, tutti e tre spersi in quello spazio inutile, fra divani, poltrone, sedie vuote, scrivanie, una volta sommerse da dispacci e ora sgombre e lustre. L'Alto Ufficiale sedeva inerte sull'ampia poltrona dietro il tavolo, tormentando con la destra l'angolo di una cartella di pelle, gonfia di documenti, che per questo si era sciupata al punto di dare al suo posto di lavoro un'aria sciatta. Sul piano dell'alta scrivania di mogano il portacenere, già alle dieci del mattino, era pieno a metà, parte della cenere sparsa tutto intorno. Davanti a sé l'Alto Ufficiale aveva una lettera ammezzata, scritta con una grafia che via via appariva sempre più trascurata e che si chiudeva con una cancellatura per tutto un rigo. «Ai miei elettori», cominciava la lettera. «Miei» era stato cancellato e «ai» sostituito con «agli». «Nel momento in cui», proseguiva la bozza (c'era un «grave» inserito sopra il rigo), «oscure e subdole manovre anno scatenato contro la mia modesta persona («modesta» era stato cancellato) la canea ignobile infame (i due aggettivi coesistevano, uno sopra l'altro) di calunnie (cancellato) di voci tendenziose uscite dalla morbosa fantasia di mestieranti dell'informazione (cancellato) giornalisti prezzolati, sento il bisogno di esternare a voi e a voi soltanto («voi soltanto»

era sottolineato), che per sei anni mi avete voluto a questo posto, che sempre (sempre sottolineato) io tenni con l'onore che deriva all'uomo, ma che si riverbera sull'istituzione, e con la coscienza del perfetto dovere compiuto (qui a causa di un frego che poteva sembrare un richiamo, non si capiva se era perfetto il dovere compiuto o perfetta la coscienza), sento il bisogno di comunicarvi non solo la profonda amarezza dell'uomo, ma e soprattutto (sottolineato) la preoccupazione del funzionario al servizio della collettività. L'attentato difatti non è alla persona. Da un pezzo si assiste ad un tentativo eversivo di portare, attraverso le persone dei singoli funzionari, che subiscono un vero e proprio linciaggio morale (cancellato) un attacco alle loro persone, alle estreme conseguenze il già grave discredito sulle istituzioni, ciò in base a notizie che quando non sono gratuite sono fondate sulla più assoluta menzogna. Non è ancora tardi per scoprire ed additare questa trama e per indicare quali forze sostengano, e a quali scopi, questo ignobile disegno». Qui cominciava la lunga cancellatura e qui si fermava la lettera. Il Grande Ufficiale Falco si riscosse dal torpore che a tratti lo invadeva togliendogli ogni energia. Premette il tasto del videofono. Parlò allo schermo bianco. — Signorina, sto ancora aspettando quel dossier. Non posso neppure immaginare che qualcuno abbia messo le mani nel mio archivio personale. Se è avvenuto qualcosa del genere... Si accorse che stava parlando a vuoto e azionò ripetutamente il pulsante. — Signorina! — Nessuno rispose, sul video continuava a salire e scendere un'impassibile riga gialla e l'audio emetteva un'unica nota bassa. Falco si alzò con fatica dalla poltrona. Mentre si avviava verso la porta il suo viso solcato da rughe nuovissime esprimeva la tensione, le spalle rilassate per la posizione comoda che negli

ultimi mesi di inattività teneva al tavolo di lavoro si erano incurvate, camminava come i vecchi, avanzando le gambe e trascinando dietro il corpo. Nella stanza della segretaria la prima cosa che vide fu il segnale rosso del videofono, pulsante e ticchettante come un piccolo cuore. La segretaria aveva appoggiato la testa sul tavolo, fuori della portata della videocamera, e dormiva sorridente con i lunghi capelli biondo-cenere esteticamente sparsi sul piano della scrivania, il viso poggiato su un braccio e rivolto verso l'alto. Una mano stendendosi aveva urtato il vasetto di mughetti, che si era rovesciato e qualche goccia d'acqua continuava a cadere sulla moquette. Più forte del profumo di mughetto che emanava dalla ragazza e dai fiori sparsi sulla scrivania, si avvertiva un odore non sgradevole, ma penetrante, che dava alla testa. Falco scosse la ragazza per una spalla. Le labbra della segretaria si dischiusero lasciando uscire un lieve sbuffo. Il Grande Ufficiale si mise a percorrere a passi concitati l'ufficio. Nella stanza successiva a quella della segretaria, anche il primo sottufficiale dormiva, appoggiato con una spalla allo stipite della porta, il berretto d'ordinanza di sghimbescio. Il secondo sottufficiale lo trovò nella penultima stanza, sdraiato sulla moquette in posizione fetale e sonoramente russante. Quell'odore aleggiava ovunque e già faceva girare la testa all'ex-commissario, che aveva voglia di stendersi sul pavimento per dormire. Premendosi sulla bocca e sul naso il fazzoletto imbevuto della sua colonia, Falco tornò a precipizio nel suo ufficio. Chiuse la porta, girò la chiave fino ad esaurimento della serratura, sentendo alleggerirsi la tensione ad ogni scatto. Si voltò con l'intenzione di precipitarsi sul telefono per chiamare una linea esterna, ma si bloccò subito mentre il terrore lo invadeva dalla

testa ai piedi. Sul piano della scrivania due piedi calzati di lucidissime scarpe nere, ruotavano bilanciandosi lentamente come due marionette. L'aria fresca del mattino entrava dalla finestra spalancata. Falco per qualche attimo rimase incantato a fissare il cielo azzurro e terso, invitante come l'abisso, sul quale scorreva per tutta l'ampiezza della finestra, lentamente, da destra verso sinistra il nastro regolare di un residuo di nube. Dietro il tavolo da lavoro, le spalle alla finestra, comodamente appoggiato all'alto schienale, sedeva un uomo piccolo di statura; il cappello, l'abito e la carnagione scuri davano di lui, contro la luminosità del cielo, la consistenza di un'ombra. — Se lo desidera — disse l'uomo, — posso narcotizzarla. — Non importa — gli rispose Falco, procedendo verso la finestra come in stato di ipnosi, — non si disturbi. Quando fu in piedi sul davanzale della finestra, l'exCommissario si voltò verso l'interno della stanza, volgendo le spalle al vuoto. — Mi aiuti — disse. L'uomo, protendendosi dalla poltrona, allungò una mano che colpì seccamente Falco sul ginocchio sinistro. Lo spazio inquadrato dalla finestra tornò ad essere completamente azzurro. L'uomo vestito di scuro fece un numero sul videofono della linea esterna. — Pronto — disse all'apparecchio — parla Salvatore. Tutto in ordine.

CAPITOLO DODICESIMO Nel punto dove si biforcavano due nastri di asfalto screpolato, pieni di crateri e invasi dalle erbacce, secondo la carta avrebbe dovuto esserci l'autostrada. Il sole non si era ancora alzato e avevano percorso pochi chilometri. Degrado fermò la macchina sotto il cartello che conservava di leggibile solo un numero. Iskra si era addormentata; i due messianisti che facevano la meditazione del mattino rivolti verso il finestrino posteriore, ogni tanto si curvavano bisbigliando in direzione del sorgere del sole. Degrado scese; era necessario chiedere la strada. Alla sua destra da sotto la scarpata a perdita d'occhio fino alla laguna del delta si stendeva il «Cimitero», in mezzo al quale, mimetizzate nel labirinto, c'erano le capanne dei cercatori. L'Insistente lasciò la strada e si avviò per un sentiero che tagliava il groviglio delle carcasse delle automobili. In quella zona c'era stato lo snodo nel quale confluivano le quattro autostrade che dalla Megalopoli a monte del fiume conducevano alla costa. Vent'anni prima la RUBRAF, la più attiva delle organizzazioni di guerriglia urbana, aveva sabotato il cervello elettronico che guidava il Trafic Control dando il via libera in tutte le direzioni e programmando una velocità pazzesca. Mentre le quattro fiumane d'auto si davano addosso come gatti arrabbiati, crollò il viadotto. Per tutta l'estiva notte del sabato i vacanzieri del fine settimana continuarono a cadere gli uni sugli altri. Il fumo denso e nero delle gomme incendiate rimase sul posto come una cappa di piombo per un mese. Nello stesso arco di tempo le squadre dei soccorritori si erano sforzate di portar fuori i feriti ed i cadaveri, ma dopo i primi casi di peste le autorità chiusero la zona in un recinto e lasciarono tutto come stava.

E questo era stato l'inizio della fine per le allegre città di vacanze della riviera. Degrado camminò per mezz'ora; non poté impedirsi di guardare nell'interno delle auto che conservavano le tracce della vacanza finita male; si notavano ancora i colori di quelle cose inutili che la gente si porta al mare. Dentro una carcassa, sul sedile di fianco a quello di guida, vide uno straccio di vestito femminile turchese e, mescolate ad esso, delle ossa bianchissime. Trovò un ricovero dentro la cella frigorifero di un camion, scavato come una grotta in una torre di carcasse annerite dal fumo. Scrutò nella penombra: c'erano un materasso di gomma ed alcuni utensili da cucina accanto alle tracce di un focolare spento. Ritto sopra una coperta lacera, un cane piccolo e nero ringhiava nella sua direzione con il pelo irto, gli orecchi bassi e la coda tesa. Degrado urlò un richiamo, ma non gli rispose che il cane ringhiando più forte e facendo un movimento minaccioso verso di lui. Arretrò e prese la strada del ritorno, il silenzio metteva i brividi. Se avesse udito un rumore qualsiasi si sarebbe messo a correre. Camminò con la paura di perdersi dentro il ginepraio di spazi molti dei quali senza uscita e quando si trovò all'aperto l'auto era più lontana rispetto al punto dal quale si era introdotto nel «Cimitero». Intorno all'auto c'era movimento; nonostante la distanza e la nebbia leggera vide che sotto l'altezza del finestrino laterale strisciava una groppa oscura troppo esitante per essere un cane. Rientrò fra i rottami e si avvicinò tenendosi al coperto. Accanto alla turbo, un vecchio cercatore accucciato in corrispondenza di una ruota armeggiava in silenzio. Degrado tirò fuori la rivoltella, alzò il cane e liberò il tamburo per esaminarlo, dato che usava l'arma per la prima volta. Nelle

cellette i cinque cerchi dei proiettili luccicarono sotto il sole. Degrado uscì allo scoperto, alzò il braccio più in alto che poté sopra la testa e sperando che non scoppiasse tutto tirò il grilletto: lo sparo fu deludente, un crack che il silenzio circostante ingoiò subito. Sparò una seconda volta. Al di là della scarpata le facce attonite di altri cercatori si voltarono nella sua direzione; quando si accorsero che l'arma si abbassava i vecchi scattarono in piedi e presero la rincorsa. Correvano tutti curvi lungo il bordo del «Cimitero» dove restavano tracce dell'antica recinzione di filo spinato. L'Insistente li vide risalire sulla scarpata e gettarsi a capofitto in mezzo ai rottami dove sparirono come topi; si avvicinò all'auto sotto la quale sporgevano un paio di piedi come se vi stesse lavorando un meccanico; i piedi erano nudi e coperti di sudiciume, le unghie intorcigliate come artigli. Degrado afferrò le caviglie e tirò; spuntò fuori un vecchio pallidissimo, fermo come un morto e con gli occhi chiusi, ma le palpebre tremavano in mezzo alle ciocche di capelli bagnati di sudore. — Smetti di fare la commedia e tirati su — disse Degrado. Il vecchio aprì gli occhi. — Non mi fare nulla — disse, — sono un povero cercatore. — Già — disse l'Insistente. — Cosa cercavi là sotto con quella chiave inglese? Il vecchio alzò l'arnese tremando: — Sta' attento, i miei compagni sono ancora qui intorno. — Chissà dove sono i tuoi compagni a quest'ora. — Degrado indicò il bivio: — Da che parte per la frontiera? — Il posto più vicino è il Serbatoio — disse il cercatore, — almeno un giorno di strada, con questa macchina. Prendete a destra. — Se è sbagliato torno indietro — disse Degrado, — e sta' sicuro che ti ritrovo. — Si avvicinò di un passo e menò un colpo

di taglio sulla mano del vecchio facendogli cadere la chiave, poi lo afferrò torcendogli il polso. — Ripensaci con più attenzione: da che parte? Il vecchio piagnucolò: — Lasciami andare! Prendi a sinistra! L'Insistente lasciò la presa: — Corri più forte che puoi, e spera di non aver fatto danni. Il vecchio cominciò a scappare all'indietro, incespicando. Dentro l'auto i due messianisti fissavano il disco rosso del sole con aria ispirata, Iskra dormiva. Degrado avviò il motore. Quando arrivarono al «Serbatoio», nonostante ormai fosse buio da un pezzo, il mercato era in pieno svolgimento alla luce dei riflettori. Il grande hangar sotto le volte vertiginose che sostengono il livello superiore era pieno di gente. Gli ascensori erano occupati dai mercanti che portavano di sopra gli acquisti della giornata e bisognava aspettare il turno. Degrado lasciò la macchina in fila di attesa e scese a sgranchirsi le gambe. Una piccola folla ascoltava un mercante che parlava in modo suadente protetto dalla gabbia di vetro a prova di proiettile, la bocca incollata al microfono miniaturizzato. Mentre gli altri facevano risuonare le voce come in una cattedrale, lui non forzava i toni, impeccabile nel suo abito da professionista arrivato. — Se avete fatto una scelta, tanto vale non tornarci sopra. A che serve un piccolo esperimento di un mese? — diceva, ammiccando verso il box a fianco dove un anziano reclutatore offriva contratti a breve termine. — Se avete fatto la strada fin qui, è segno che ci avete riflettuto. Fra voi c'è gente che ci pensa da un pezzo. Quante mattine vi siete svegliati con l'idea di venire al Serbatoio? Se oggi l'idea ha messo le gambe vuol dire che non volete essere incerti del famoso domani. Può darsi che qualcuno di voi sia del

parere che è meglio non impegnarsi troppo, che conviene fare una prova. È sbagliato. Vi ritrovereste qui fra un mese per fare un altro esperimento pieni di dubbi come prima. «Il mio contratto minimo dura cinque anni. Ma offro anche contratti di dieci e di quindici anni. «Chi vi dice che cinque anni di schiavitù sono lunghi da passare è in malafede e non ha mai avuto a che fare con me. C'è gente che è pagata apposta per portare in giro il bla-bla sulla dignità del lavoro libero eccetera. Provate a dire sicurezza: sentite come suona meglio. Voi vi affidate a me e per cinque anni non dovete pensare a nulla. Alloggio decente, aria pulita fuori dalla bassa, cibo garantito, divertimenti sani e in più un discreto capitale quando avrete finito, che cresce al venticinque per cento nella Banca della mia organizzazione. «Chi ha già fatto la transazione con me sa bene che i miei sono lavori puliti; poca fatica, il massimo dell'automazione. Da questa parte si sale, amici, si migliora. — Ce l'ho stampato sulla faccia, il tuo lavoro pulito, bugiardo! Accanto a Degrado, fra la folla che cominciava a farsi avanti, un uomo mostrava una piaga dall'angolo della bocca all'orecchio, più accesa al centro. — In tutti questi anni non è cambiato. Ne fregò un centinaio insieme a me con la sua «occupazione creativa». Ci sballarono in una fabbrica di coloranti dove il cancro si attacca come le mosche. Ehi, vecchia volpe! — urlò l'uomo con tutto il fiato per farsi sentire al di là dei vetri corrazzati, — digli dove li manderesti, invece di far chiacchiere! Il mercante piegò con degnazione la testa per ascoltare meglio e sorrise cordialmente mostrando una chiostra di denti finti. — Lo farei, se potessi, amico. Ma è contro la legge, lo sai bene. Se vuoi sapere in anticipo dov'è che andrai, fatti prendere qui a destra, fra un mese sarai libero di andartene — abbassò la voce ammiccando, — e libero di accorgerti al momento di

ricevere gli scudi che l'impresina è fallita. Io non lavoro per pidocchierie del genere. Rappresento una Holding: lavoro per un impero, io. Domandate in giro, amici, sono George Breféle. Mi conoscono tutti nella Zona Franca. — Io, ti conosco! — l'uomo si era scaldato, — meglio di tutti ti conosco! Ti ho tenuto in mente per cinque anni; me l'hai dato eccome il percento, mi sta mangiando per la metà, se è per questo! Allargò le braccia per arginare la folla: — Levatevi dalle palle più presto che potete, massa di scemi! È un porco questo qui: vi darà in pasto ai cani, fatevelo dire da uno che c'è già passato! Degrado sentì che una mano lo tirava da parte senza complimenti: — Ehi, Bagonghi, il numero ha stufato tutti! — A fianco dell'ex-contrattista spuntò un colosso con la S degli schiavi a vita tatuata sulla fronte, sfavillante di maglia d'acciaio. La luce bianca di un coltello balenante all'improvviso fece il vuoto intorno all'uomo segnato dal cancro, lasciandolo isolato; Degrado si buttò in avanti urtandolo nella schiena e gettandolo in mezzo al gruppo che si aprì e si richiuse subito. Anche l'Insistente si fece inghiottire dal mucchio, mentre il mercante aveva abbandonato il fair-play e gridava: — Erano in due! Avete visto? Erano due compari! Non ci fate caso, amici, sono i trucchi della concorrenza! Allora? Chi vuole farsi avanti per primo? Ho venti posti nell'ascensore, per una risalita che vi cambierà la sorte! Degrado seguitò a correre fin tanto che vide luccicare la maglia d'acciaio in mezzo al gruppo delle facce spaventate; si fermò soltanto quando fu fuori dalla luce dei riflettori. Si voltò a guardare: il mercante continuava a sbracciarsi dentro la sua gabbia di vetro, ma lo spazio davanti a lui era vuoto. Che tu sia dannato in eterno! — disse Giona, uno dei due messianisti, — stiamo per perdere il turno. — Una piattaforma dell'elevatore vibrava in movimento. Le altre auto della fila strombazzavano in coro. Degrado si infilò nel posto di guida, —

chiuse lo sportello. Iskra si svegliò, mise il naso fuori dalla coperta, si guardò intorno e si rimise a dormire. L'Insistente lanciò la turbo in avanti. L'auto superò in volo il dislivello già alto, atterrò sulla piattaforma continuando la corsa nonostante i freni bloccati e si fermò a pochi centimetri dalla parete di fondo. La piattaforma, salendo lentamente, entrò nel pozzo. In un attimo furono nel buio. Degrado spense il motore. Sul piazzale d'arrivo dell'elevatore furono circondati dalle guardie di frontiera. Un ufficiale controllava i documenti, mentre altri agenti stavano con le armi spianate. — E quello chi è? — chiese l'Ufficiale indicando i piedi nudi di Iskra che sporgevano dalla coperta. — Non sono autorizzato a dare spiegazioni — rispose Degrado. — Devo sapere chi è e dove siete diretti. L'Insistente si accorse che gli altri poliziotti entravano in tensione. — Obiezione — disse, — faccio rilevare discrezionalità assoluta. Non avete diritto di interrogatorio su nessuno di noi. — Chiedo di esaminare la persona — disse l'Ufficiale. — Istanza respinta — disse Degrado — del resto non può rispondervi, è sedata. L'Ufficiale spalancò la portiera, con un gesto rapido tirò via la coperta, apparve Iskra raggomitolata sul sedile, profondamente addormentata. — Ho capito — disse l'Ufficiale. — Eccone un'altra con i Santi Protettori. Scommetto che la state portando in qualche decorosa pensione di famiglia. Con questi teppistelli saprei io come fare. Sono bravissimi a sparare, anche la settimana scorsa ho perduto uno dei miei agenti. Quando riusciamo a mettergli le mani addosso, spuntate voi della DIDA e li portate a fare la cura del sonno. Vorrei trovare qualcosa di irregolare nella comitiva. L'Ufficiale stuzzicava il cane della rivoltella di ordinanza.

Vorrei che qualcuno di voi facesse una mossa falsa... — Se continua su questo tono sarò costretto a farle una segnalazione negativa — disse l'Insistente. — Saresti capace di farlo, stronzo. — L'Ufficiale ripose l'arma nella fondina. — Saresti capace eccome, siete dei bocchinari voi della DIDA. — Protesto — disse Degrado. — Questo è un richiamo formale. Se ci insulta ancora segnalo alla Centrale: le faccio avere un biasimo. L'Ufficiale guardò i suoi agenti disposti nell'arco di penombra dei riflettori; uno di essi si mise a ghignare e alzò la canna della mitraglietta. Ci fu un rombo sordo, un grosso camion a due piani apparve all'imboccatura dell'elevatore, poi cominciò a scendere lentamente dalla rampa. L'Ufficiale si rilassò. Alzò la testa verso la garitta sul traliccio punteggiato di proiettori; fece un gesto con la mano come se scacciasse una mosca. La sbarra irta di punte di acciaio nello stretto passaggio fra i reticolati cominciò a sollevarsi. Costeggiavano le finestre degli ultimi piani all'altezza dei grattacieli del primo livello. Dopo un'ultima spirale la sopraelevata immetteva sulla parentesi aerea di un ponte, alla cui estremità c'era «Nuova Gerico» la Città Alta alla quale erano diretti. Qui si trovava l'Istituto che avrebbe ospitato Iskra: «Il Villaggio della Pace Interiore», un posto che lasciava immaginare poliziotti travestiti da guru, con qualche infarinatura di filosofia orientale. All'inizio del ponte scoppiò un temporale. I fulmini si scaricavano intorno ai pinnacoli delle torri, zigzagavano lungo il garde-rail della sopraelevata dove le auto in lontananza erano scarabei lucidi su uno stelo d'erba. Il ponte sfiorava le cime degli alberi di un giardino pensile lussureggiante come un frammento di foresta equatoriale. —

Iskra aveva aperto il finestrino e respirava l'odore di muschio che saliva dal basso insieme al fruscio della pioggia sulle foglie; aveva l'aria di chi assapora un profumo di lusso. La freccia sul monitor indicò la bocca di un tunnel sotto una torre elicoidale dipinta di rosso. All'improvviso come era venuta la pioggia cessò; il vento disperdeva le nubi, e i colori erano più decisi. Il sole saliva dal panorama nebbioso dei livelli inferiori. C'era il traffico rado della mattina presto. Mentre Iskra si godeva l'aria cristallina dopo la nottataccia, il messianista di nome Barnaba la guardava. — Dopo il bagno di sangue — disse — raderemo al suolo questa fungaia e spargeremo sale sulle sue fondamenta: e cosi faremo di tutte queste fortezze della corruzione. Il deserto invaderà questi luoghi che furono la marcita di ogni perversione. Iskra sbuffò: — Ecco — disse. — Ora se la prendono col panorama. Barnaba indicò i grattacieli della megalopoli. — Secondo gli ipocriti tutto questo avrebbe dovuto essere l'utopia, la logica dell'assurdo. Invece hanno fatto nascere la concretezza dell'assurdo. — Ma quali ipocriti — disse Iskra. — I servi-architetti di cinquant'anni fa — disse Barnaba. — Guarda Gerico! Sette volte sette essa sale dalle sue ceneri! I farisei conoscevano in anticipo le depravazione alla quale sarebbero approdati, ma parlavano di utopia mentre preparavano progetti particolareggiati! Dissertavano falsamente di differenziazione funzionale del suolo. Promettevano colline artificiali, lo sviluppo sul piano orizzontale al quale avrebbe fatto seguito la integrazione delle funzioni sul piano verticale: parole contorte per nascondere la paura dei loro cuori! — Io non ci starei male, quassù — disse Iskra. — Solo che un affitto costa mille eur-dollari. A settimana.

È il tuo spirito arido che parla — disse Giona, — la tua avidità e la tua lascivia! — Accidenti a voi, che noia — si lamentò Iskra. — Tu non sai vedere quello che c'è dietro i vetri colorati. Quando hanno tirato su queste torri — riprese Barnaba, — nelle false parole di quei servi le megastrutture avrebbero dovuto portare al recupero del suolo agricolo, promettevano di sostituire allo sfruttamento irrazionale dei fattori climatici l'aria pura, la luce, il panorama totale. Ma in verità costruirono roccaforti. — Guarda Gerico! — disse Giona. — Essa si erge colorata e snella, elegante come un abito di gran prezzo, ma la prostituta che l'indossa è piena di rughe. Essa nasconde sotto il vestito il terrore dell'età decrepita. Quando nei vecchi centri ingorgati e inabitabili cominciò a fiammeggiare la rabbia degli uomini, i Signori della Terra pensarono di prendere le distanze. Gerico rinasce come la Fenice, salendo sempre più in alto: è una fuga, capito? Una ritirata strategica. — Preparate i documenti — disse Degrado, — in fondo al ponte c'è un altro posto di blocco. —

CAPITOLO TREDICESIMO La vista del super-attico del «Babele» dicono sia splendida. Dal mare fino ai ghiacciai, nei giorni di sereno. Ma il super-attico del «Babele» è in restauro. Il direttore è sempre cortesissimo, ma implacabile. — Sono spiacente — dice, — ma stiamo sostituendo le moquettes. Un'altra volta è l'impianto anti-incendio che ha bisogno di un collaudo, oppure devono essere riguardati gli infissi, o il condizionatore d'aria. La verità è che nessuno deve sapere che il duecentesimo piano dell'albergo più prestigioso della Megalopoli è la residenza privata del proprietario. E nessuno deve sapere chi è il proprietario. Anche il più provinciale degli imprenditori diffiderebbe se venisse a sapere chi è che possiede la totalità del pacchetto azionario. Perché non c'è angolo del vasto mondo dove non siano noti i metodi del Signore dei Vetri. Da quando persino le toilettes del personale e i separés più intimi sono una centrale di ascolto e il campo sperimentale di attrezzature videofoniche sofisticate, in certi ambienti si è diffusa la voce che il «Bab» porta male, perché in occasione di alcuni suicidi, la gente ha collegato la crisi di sconforto finale con un soggiorno nell'hotel. Ma per chi ha raggiunto una posizione non è pensabile non scendere al «Bab». Sarebbe il primo sintomo della decadenza; e si sa com'è inesorabile la scala per chiunque sia sceso di un solo gradino. Nel super-attico del «Bab» il panorama è una merce senza valore. Le grandi finestre hanno sempre le serrande chiuse, non entra mai un raggio di sole, l'aria sa di rinchiuso. Nella serie di corridoi, camere e salotti oscuri i mobili accatastati sono coperti da lenzuola.

C'è silenzio perché la moquette è molto spessa e tutti i vani sono foderati di pannelli e di stoffe isolanti; pochi misteriosi visitatori vi arrivano direttamente dall'eliporto sulla terrazza, di essi non si sentono né i passi, né le voci; si aggirano, talvolta per mesi, senza far nulla da una stanza all'altra, sporcano il pavimento di cenere e di mozziconi, lasciando piatti e bicchieri dappertutto. Dopo queste visite appare un anziano cameriere, che fa un ripulisti sommario. In un paio di occasioni gli ospiti del piano sottostante hanno sentito nelle stanze di sopra un certo trambusto, grida soffocate e qualche sparo. Il giorno successivo un elicottero si è librato sulla terrazza trasportando in sospensione un imballo verso il mare aperto. L'ascensore si fermò al centonovantesimo piano. Il Sig. Affilati premette un pulsante a fianco del tasto dell'allarme. Attese trenta secondi mentre scattavano vari flash, finché nella parete della cabina si aprì un varco. Il visitatore salì su un montacarichi, di assito grigio in mezzo a un pozzo di cemento, che lo portò al super-attico. Le persone della megalopoli che conoscevano il percorso per raggiungere l'abitazione segreta del Signore dei Vetri si contavano sulle dita di una mano. Una fenditura si aprì nel muro di cemento e Affilati entrò nella stanza. Le pareti grigie erano nude, c'era soltanto una branda più ampia del normale, un tavolino con le gambe di metallo ed il piano di plastica, una sedia di tela ed un vecchio televisore non tridimensionale. Il pavimento era ingombro di giornali, di pile di documenti, di lattine piene e vuote della kolkolk, una bibita analcolica. Il Signore dei Vetri si era rinchiuso da una settimana in quello stambugio. Protestava in questo modo contro le avversità della vita.

Giaceva supino sul letto, il lenzuolo tirato sopra la testa. — Relazione — disse il Signore dei Vetri. — Su cosa? — chiese impassibile l'Affilati. — In questo momento mi interessa una cosa sola. Lo sai benissimo. Il Visitatore fece una smorfia. — Ho capito. Quell'affaruccio da quattro soldi. — Non è un affaruccio. Sto già abbastanza male anche senza il tuo sarcasmo. Come vanno le cose? — Al solito. Discutono. — Non finiranno mai, maledetti. Ognuno vuol dire la sua, anche se non ne capiscono nulla. Logorroici, cacastecchi. — Si stanno un po' scaldando, per la precisione. Il Signore dei Vetri mise fuori la testa dal lenzuolo, guardò spaventato il collaboratore. — Come sarebbe, scaldando? — Un tale, un radical-moderato, dice che ci dovrebbe essere un criterio, una selezione, che si dovrebbero formare degli elenchi, con riferimento ad orfanotrofi, ospedali, famiglie in condizioni speciali, dal quinto livello in giù, naturalmente. Personalmente mi sembra che abbia ragione. — Un corno ha ragione. Come si chiama questo sovversivo? — Se tu avessi fatto conservare in un congelatore tutti gli avversari che hai, diciamo così, superato dialetticamente avresti una provvista per dieci anni. — Questa è una volgarità gratuita. Gli adulti non mi interessano. — Per farla breve, questo qui ha fatto lievitare la discussione. È riuscito a tirarne diversi dalla sua parte. Perché ha torto, secondo te? — È chiaro, perché. In quel modo tutto avrebbe il carattere di una sopraffazione. La gente si farebbe in quattro per essere esclusa dalle liste. Ci sarebbe un'ondata di amore materno e paterno senza precedenti. Non faremmo altro che aprire spazi

ai rompiscatole fanatici e leggittimisti. Perché nessuno mi capisce? Bisogna fare esattamente come dice Jonathan. Esattamente. Mercato libero. Nessuna limitazione. Libera offerta, libera domanda. L'Amministrazione non deve entrarci. «Facciano una leggina in bianco. Un paio di articoli per rimuovere un ostacolo e basta. Per dire che chi vuole può fare questo e quest'altro, che rientra nei suoi diritti di capofamiglia disporre anche nel senso... detto in modo tecnico e beninteso, corretto, e senza fronzoli. Bisogna che il dibattito si raffreddi. Altrimenti li avremo tutti addosso: dalla lega internazionale per la protezione dei dugonghi, ai comitati di pianerottolo, tutti con la smania di controllare e di organizzare. Come si chiama questo cacadubbi? — È uno famoso. È quello che l'anno scorso... — Non importa. Passa il nome direttamente a Salvatore. Non ho tempo per la dialettica. E adesso vattene, per favore, non me la sento di lavorare. Sto male. Ti incarico di dire a tutti i nostri amici che li prego umilmente di fare presto, di affrettare i tempi. Devi dire così, che io li prego umilmente e che saprò essere riconoscente. — Ti abbatti troppo. Guarda che ti trovo giù. Dovresti mangiare qualcosa. — Sei un mascalzone — disse il Signore dei Vetri tornando a coprirsi il viso con il lenzuolo per mascherare la smorfia di dolore sul faccione, — sei un perfetto farabutto. — La carne è debole — sospirò il visitatore cercando sul muro il pulsante di chiamata. — Ho bisogno di vedere Frederick — disse il Signore dei Vetri, — avverti di là, per piacere. Si udì lo stantuffo del montacarichi che si fermava, sulla parete bianca si aprì la fenditura scura nella quale Affilati scomparve. Il Signore dei Vetri continuò a lamentarsi sommessamente sotto il lenzuolo.

Di nuovo si udì il suono del cicalino e una spia si accese su un quadro elettronico; su uno schermo a capo del letto apparve un viso lungo e magro. Il Signore dei Vetri gettò via il lenzuolo, si asciugò gli occhi, si riassettò sul corpaccione lo stazzonato pigiama color canarino, si sedette sul letto raccogliendo le gambe sotto il ventre e azionò il pulsante di apertura. Dalla parete comparve un uomo non più giovane, alto e magro, impeccabilmente vestito di scuro. — Buona sera, Signore — disse il nuovo arrivato, — ha ordini per me? — Caro Frederick — disse il Signore dei Vetri, — non ho ordini, per lei, purtroppo. E comunque non si danno ordini agli artisti. Ma si sieda la prego, si metta comodo, parliamo un poco. — Lei è veramente cortese — disse Frederick un po' freddamente, sedendosi sull'unica sedia. — Come si trova da noi, caro Frederick? — Bene, Signore, grazie. Sono tutti gentili con me, soltanto... Il Signore dei Vetri si accigliò. — Mi dica, la prego. Se qualcuno si permette di non trattarla con il rispetto che le è dovuto... — Per carità, niente di questo. Il fatto è che mi pesa l'inattività, ecco. Il Signore dei Vetri sospirò. — La capisco perfettamente. Ma non durerà a lungo, glielo garantisco. — Se mi è permessa una proposta. Signore. Ieri ho ricevuto una coppia piuttosto mal messa, molto povera, voglio dire. Famiglia numerosa e via dicendo. Sono venuti a trovarmi conoscendo la mia passata attività. — Passata? Perché passata, caro Frederick? Non dica cosi, la prego. — Ho detto passata? Mi scuso: del resto sono trascorsi tanti mesi che qualche volta temo di aver perso le mie capacità.

Questo periodo di astinenza non può fare altro che affinare il suo talento. — Può darsi, Signore. Comunque, le dicevo di questa famigliola. Bene, in poche parole, mi hanno fatto un'offerta e si presterebbero anche a fare da mediatori per occasioni analoghe. Abitano nella Città Bassa, vi sono possibilità illimitate in quell'ambiente. Per il mio vecchio ristorante il prezzo sarebbe proibitivo, del tutto antieconomico, veramente. Ma per lei... Si tratta di due soggetti, al terzo anno di età, due gemelli. Mi hanno mostrato le foto e sarebbero disposti a farmi visionare la merce dal vivo. Niente male. Davvero. Mi vergogno a dirle la cifra perché si tratta di una speculazione triviale. Si conoscono le sue attuali difficoltà... Il Signore dei Vetri si era preso il viso fra le mani ed era scosso da un tremito. — Non me ne parli, Frederick — disse a bassa voce, — le sarò riconoscente se smetterà di parlare di questo. — Ma perché? Ma non è questo che vuole? Lei non sta lavorando per questo? Che male c'è ad anticipare? Che danno può fare una piccola trattativa? — Frederick, lei è come tutti gli artisti. I geni sono come bambini, non se n'abbia a male. C'è di mezzo la politica, Frederick. Ho messo in moto un meccanismo delicato, basterebbe un granello di sabbia per farlo inceppare. So con certezza che c'è chi sta lavorando per fare scoppiare uno scandalo. È necessario batterli sul tempo, fare approvare la legge. Prima di tutto la legge, capisce Frederick? Nessuna iniziativa prima della legge. Questi due per esempio, che si sono presentati a lei e che le hanno fatto questa offerta. Saranno sicuramente due brave persone, ma io come faccio ad escludere che siano invece dei provocatori? — Garantisco io, per loro. Si tratta di persone fidatissime che hanno già avuto dei rapporti commerciali con la passata ditta. Non si tratta solo di me. L'ozio mi opprime, è vero, ma non —

perderò la mano, non credo, almeno. Non mi preoccupo per l'avvenire, mi dà pensiero il suo aspetto. Mi rammento la sua floridezza quando veniva a visitarci nel nostro piccolo locale. Non sono un medico, ma vedo che Lei si trasforma giorno per giorno. Non voglio allarmarla, ma c'è qualcosa di speciale nella nostra distrazione. Qualcosa che entra nel sangue, e che se si interrompe di colpo... Ebbene possono insorgere complicazioni. Anche piuttosto gravi. Pensi alla crisi depressiva che ha colto quel nostro ex-cliente... Quello che ci aveva creato tutte le difficoltà e che di recente... — So benissimo com'è il fatto e ne sono rimasto sconvolto, come tutti, del resto. Ma non credo che mi capiterà la stessa cosa. — Tuttavia — riprese Frederick, — nell'attesa che si realizzi il suo programma grandioso, questa occasione sarebbe una boccata di ossigeno per lei. Ho qui con me le foto... — Frederick si frugò in una tasca. Il Signore dei Vetri si prese la testa fra le mani e la sua voce si fece udire soffocata. — Metta via subito quella roba. — E se la legge non venisse approvata? — chiese Frederick. — Lei non ha fiducia in me, e questo mi dispiace. Se non faremo errori la legge sarà approvata e lei potrà riprendere la sua attività con pienezza, con dovizia di mezzi e soprattutto con la serenità che deriva dall'approvazione della società. Lei non lavorerà più a beneficio di un'organizzazione semiclandestina, esposto ai rischi della illegalità. Lavorerà per conto di un Imprenditore onesto, alla luce del sole, in piena libertà. Nel frattempo lei può esercitare il suo eccezionale talento teoricamente, non le pare? — È quello che sto facendo, difatti. — Questo sì che va bene! — disse il Signore dei Vetri, — mi parli di questo, la prego.

Bene — disse Frederick sospirando rassegnato, — ho in mente alcune importanti innovazioni. In particolare nei tagli e nelle salse. «L'aspetto dei tagli è stato dominato finora dalla necessità di mantenere la mia... posso permettermi di chiamarla arte? — Quando si è al suo livello si ha il dovere di chiamarla arte — disse severamente il Signore dei Vetri. — Di mantenere l'arte — riprese Frederick, — nell'ambito della segretezza. E perciò i tagli erano mascherati e si era costretti ad eliminare molte parti. Ricorda «l'Agnello Sacrificale di Samarcanda?» Il Signore dei Vetri si passò la mano sulla gola socchiudendo le labbra umide. — Come posso aver dimenticato un simile capolavoro? Lei si fa torto, caro Frederick. — Ecco, fui costretto a dare a quel capolavoro, come lo definisce lei, l'aspetto di un volgare spezzatino. Eppure lei sa bene fino a che punto la presentazione sia fondamentale. Gli antichi maestri insegnano che il pavone deve comparire a tavola con tutte le sue piume e penne intatte. — Lasci perdere i pavoni — disse il Signore dei Vetri con una smorfia, — mi disgusta sentir parlare di volatili. Da cinque mesi mi nutro soltanto di tapioca. Non voglio contaminare il palato. Sto soffrendo come un frate mistico nei giorni di digiuno e continuerò a soffrire fino al giorno della liberazione. Questo martirio mi nobilita, caro Frederick, mi rende più degno del suo talento. Frederick accostò la sedia al letto e avvicinò le labbra all'orecchio del Signore dei Vetri che si protese ad ascoltarlo socchiudendo gli occhi, il viso flaccido percorso da un tremito. — Si immagini «l'Agnello Sacrificale di Samarcanda» presentato intero su un piatto di portata — Frederick sussurrava, — tratteggiato dovunque da una fitta rete di piccole —

incisioni nelle quali far colare la salsa bollente. Naturalmente il piatto è su un fornello da tavola, a fiamma viva. — La salsa — ansimò il Signore dei Vetri, — quale salsa? — La salsa «delle Isole Figi», una nuova salsa. L'ho elaborata in questi giorni. È qualcosa di esaltante. Si prende il cucchiaio della salsiera e si asperge dovunque, lentamente, e mentre il composto bollente sfrigola e fuma, si fa attenzione che penetri, irrori, che intrida profondamente. Si raccoglie la salsa dal piatto, ancora si asperge. Si aspetta, non bisogna aver fretta; mentre dal contatto, esaltato dal calore, con gli ingredienti si sprigiona l'aroma, bisogna fare attenzione al colore. Il «Samarcanda» da bianchissimo che era, slavato da quarantotto ore di marinata, deve diventare prima rosa, poi rosso vivo, infine sul dorato e intanto si assisterà al formarsi di una crosta, consistente come pergamena, che si screpola e si arriccia in corrispondenza delle incisioni. È a questo punto che si può prendere il più affilato dei coltelli... Il Signore dei Vetri con le palpebre serrate, pallidissimo, si abbandonò lentamente all'indietro, un po' di traverso, finché il muro al quale il letto era accostato non ne arrestò la caduta. — Silenzio — disse con voce strozzata, — silenzio. Non lo vede che sto male? — Me lo ha chiesto lei — disse Frederick offeso. — La salsa delle Figi — il Signore Dei Vetri parlava come fosse in sogno, — come si fa? — Questo non glielo posso dire. Il Signore dei Vetri si alzò in piedi sul letto con insospettata agilità. Ballonzolava per il peso come una marionetta, i piedi affondati nel materasso, accennò un passo in direzione di Frederick. — Sono circondato da traditori! — urlò alzando i pugni verso il soffitto, — gente che pago e che mi pugnala alla schiena! Che cosa crede di essere! Lei è un mio dipendente! Mi dica subito come si fa la Figi!

Mai. So benissimo che mi ha fatto spiare, che si è frugato fra le mie carte. Non rivelerò mai a nessuno né questo né altri segreti, e meno che mai a un dilettante! — Dilettante? Chi sarebbe il dilettante? — Il dilettante è Lei, in questo ramo, ovviamente. Il Signore dei Vetri si lasciò cadere sul letto, affondò la faccia nel cuscino e cominciò a piangere. — Non mi abbandoni anche lei, Frederick — diceva fra i singhiozzi, — sono un povero vecchio solo. Mi lasciano morire, mi vogliono uccidere lentamente, non ho che nemici. Sussultava pronunciando parole smozzicate, soffocato dai singulti. Si aprì il passaggio nella parete e comparve una donna alta e muscolosa come un facchino, vestita da infermiera. Si fece largo allontanando Frederick dal letto con una spallata. — C'era da aspettarselo — disse l'infermiera alzando nella grossa mano la siringa ipodermica, — da un pezzo lo controllavo dal video. Ormai ha una crisi al giorno. Fa vergogna vedere un uomo come lui ridursi così. Anche lei, però: viene qui a provocarlo. Se non fanno presto, quelli là, è spacciato. Il suo metabolismo è sconvolto. Si sdraiò sul corpo del Signore dei Vetri in preda a fremiti convulsi, lo bloccò con il suo peso, e gli infilò con un gesto rapidissimo l'ago in una spalla. Si rialzò e fece ruotare il corpo del paziente, mettendolo supino. Il volto contratto del Signore dei Vetri, impiastricciato di lacrime, cominciò a distendersi. —

CAPITOLO QUATTORDICESIMO Prima che ci arrivassi io, qui tutti si annoiavano a morte — disse la Direttrice. — C'era uno schifo di giardino una volta: ciliegi, laghetti e boschetti di bambù. Gli ospiti stavano sparsi in mezzo al fogliame a guardarsi l'ombelico. Tutti i giorni sedute collettive di analisi, meditazioni trascendentali, filosofia zen e tiro con l'arco. Tutti lì a concentrarsi sul grande nulla. La Direttrice liberò dalla custodia di alluminio un grosso sigaro e se lo accese accavallando le gambe sul bracciolo della poltrona, dalla vestaglia corta e unta uscirono rotoli di carne, un seno enorme straripò fuori completamente. — Sono di un'altra scuola, io, mi va il vecchio, vizioso occidente. L'odore dell'aria aperta mi fa venire il vomito. — Sbadigliò stiracchiandosi. — Ho fatto venire su questo albergo pidocchioso. Molto tempo fa era l'animazione di una cittadina tedesca sull'estuario dell'Elba. Poi lo misero in una stronzata di museo all'aperto insieme alle case rurali e ad una stazione ferroviaria del ventesimo. È là che l'ho visto, la prima volta. L'ho fatto sollevare fin quassù con tutte le sue cose, appeso ad una gru. Fece un gesto circolare con la mano grassoccia. — Eccolo qua completo delle sue camere piene di stucchi, le specchiere, i tappeti, i cessi con le maioliche e i water che perdono. Le sole cose verdi che si vedono in giro sono le palme in vaso, ma stanno ingiallendo per fortuna, perché si dimenticano di annaffiarle. «Della vecchia gestione è rimasto solo il nome: «Villaggio della pace interiore». Si può dare la pace in tanti modi. Io sono per la terapia ludica. Si balla tutte le sere; abbiamo una bella orchestrina, tutta femminile. — Guardò attentamente Iskra. — Carina, direi. Suoni qualche strumento tu? No? Peccato. Qui non avrai il tempo di pensare a quelle cose odiose che fate —

voi ragazzi. — Sbuffò il fumo nella direzione dell'Insistente e dei messianisti. — Non abbiamo bisogno di poliziotti della DIDA, qui. Lo sapete anche voi che siete dei rompiscatole. Perciò mi farete il favore di andarvene subito dopo il tempo regolamentare. Tre giorni perché la ragazza si ambienti sono più che sufficienti. E ricordatevi che io dei vostri rapporti negativi me ne sbatto. Sono due anni che sono qui e non se ne è mai andato nessuno: l'avete notato, non si può uscire. Ma anche se la sicurezza è totale, non so se hai capito carina, è proprio inutile fare tentativi, perdiamo tempo tutti quanti, non c'è bisogno di stare tutto il giorno a piangersi addosso. Perciò cercate di sistemarvi un po' meglio, specialmente voi due — sorrise acida ai messianisti, — vestiti a codesto modo sembrate due sgombri appena si apre la scatola. Bene. Ora sono stanca. Giovanni vi mostrerà le camere. I due ragazzi che le stavano a fianco, vestiti di cuoio, pieni di borchie di acciaio e con i capelli a criniera, la sollevarono con la poltrona e la portarono fuori dalla stanza. Giovanni in giacchetta a righe bianche e nere, si alzò dal divano dove sonnecchiava in attesa, si diede una grattata all'interno degli ampi pantaloni e li scortò su per le scale di legno scricchiolanti e piene di polvere. La camera destinata ad Iskra sembrava abbandonata da secoli, la vasca da bagno era quasi accanto al letto, separata da un paravento di cotonina a fiori. In fondo alla vasca un geco giallo disturbato dalla luce guizzò oltre il bordo e ricadde sul pavimento con un tonfo. Alle spalle della Direttrice una ragazza nuda in bronzo si abbaruffava dolcemente con un giaguaro di ceramica a chiazze gialle e nere. La Signora riempiva della sua sovrabbondanza una nicchia a mosaico nella parete di fondo della sala da ricevimento.

La festa si trascinava stancamente fra valzer e mazurche. Le quattro coppie al centro della sala parevano addormentarsi addosso. Per chi aveva gli occhi esercitati data la semioscurità, più interessante era guardare negli angoli della sala, dietro i divani e sopra i divani sulla traccia di odori conturbanti e di rumori furtivi, sospiri, risatine, schiocchi e movimenti frenetici e bruschi. Bisognava stare attenti a dove mettere i piedi in mezzo alle gambe e alle pance, agli abiti sparpagliati, i bicchieri, i posacenere, le chiazze scivolose di umidità. Degrado si era affondato in una frau diroccata con una bottiglia di vino bianco niente male. Iskra era sparita, i messianisti anche. — Tutti nel mezzo, ora — la Direttrice si alzò nella sua nicchia sostenuta dai soliti giovanotti, protendeva il mento in avanti in posa arringatoria mentre il trombone dell'orchestra si produceva in catarrosi doremifà. — Sospendete il pilùn-pilùn per un momentino, prego. Lasciate il pezzo, ripeto, solo per poco. Abbiamo la nostra piccola seduta collettiva. Ragazzi, avvicinatevi, per piacere. Dov'è quella nuova? Dal cerchio d'ombra uscì a precipizio una figura bianca, l'Insistente ebbe l'impressione che fosse stata spinta. Iskra in abito lungo una specie di camicia da notte, comparve accanto alla Direttrice. — Ecco, bellina, mettiti qui vicino a me. Accucciati qui sotto come una cagnolina, brava. Va bene va bene va bene, niente inno 'sta volta. Almeno lo stacco musicale, forza ragazze, un po' di taratatà. Mentre l'orchestra attaccava una marcetta si andò a stravaccare sugli stremati tappeti polverosi al centro della sala, una popolazione di ragazzotti e ragazzotte, tutti poco vestiti, scarmigliati e sudati come gli ospiti di un bagno turco.

Allora, dico io — intonò la grassona alzandosi sulle punte e facendosi rossa nello sforzo di riempire la sala con la voce: — Chi è che vi vuole bene, qui? — LA NOSTRA DIRETTRICE! — rispose il coro misto, ma senza molto entusiasmo. — E chi è che pensa a tutti voi, nel vasto mondo? Forse la vostra cara mammina? — NO! — rispose il coro, — LA MAMMA FUORI DALLA PORTA! — Il vostro papà, allora? — FUORI DALLA PORTA IL PAPÀ! — Fratelli zii nipoti cugini l'amica della mamma la fidanzata di papà la tata, chi pensa a voi? — NE-SSU-NO! — cadenzò il coro, — FUORI TUTTI QUANTI! U-NO, PER U-NO! — Ma allora chi vi nutre, carini miei, chi vi dà il minestrone per tenervi su, chi ve lo dà? — La Metropoli — dissero in quattro o in cinque, ma senza convinzione. La Direttrice fece un gesto con la mano per fermare l'accompagnamento dell'orchestra e si bloccò per un attimo con due dita della destra premute contro gli occhi. — Va mica molto bene così: proviamo un'altra volta. Metteteci un po' più di elettricità bambini sennò vi faccio passare uno a uno dal carica-batterie. È già un mesetto che non facciamo il trattamento, vero? Allora chi è che pensa a voi, chi ve lo dà il becchime il ricovero le piume e le penne come agli uccelli del cielo? — LA METROPOLI! — rispose, questa volta a gran voce, il coro. — E chi vi ama, voi? — LA METROPOLI! — La Metropoli e poi? — LA METROPOLI E LA DIRETTRICE! —

Seguirono un altro paio di partiture per coro e orchestra: i ragazzi ringraziarono la Metropoli e la Direttrice che li tenevano fuori dai guai e quindi fluttuarono di nuovo negli angoli. Le suonatrici attaccarono un blues-jazz, dolce e malinconico, la Direttrice ricadde a peso morto, sbuffante, nell'ombra della nicchia dove i due ragazzi in cuoio e criniera gialla e rosa ripresero a pasticciare con le trine sfatte del suo déshabillé. Erano le quattro del mattino quando Degrado trovò Iskra. Stava sdraiata sulla moquette bianca di un corridoio fuori mano, completamente nuda, e sembrava più che addormentata. La festa continuava: o almeno le suonatrici continuavano a suonare, qualche coppia continuava a ballare e le altre sardine continuavano ad inscatolarsi nel buio. Dopo il rituale terapeutico per un poco l'Insistente aveva visto Iskra acciambellata sotto la poltrona della Direttrice, poi la ragazza era sparita. Si era messo a cercarla con ritardo perché il vino bianco sotto un'apparenza dolciastra e innocua arrivava alle gambe eccome. Respirava appena ed era freddina, la ragazza, coperta da uno strato di sudore come una trota appena pescata. Degrado se la caricò sulle spalle e prese le scale. In quell'ala dell'albergo il suono dell'orchestra arrivava appena e l'hotel sembrava addormentato. Nel corridoio in cima alle scale era buio. L'Insistente trovò la porta della camera a tentoni, accese la luce e scaricò Iskra di traverso sul letto. Con un asciugamano umido le soffregò il corpo finché riaffluì il sangue. Anche il polso adesso era più pieno e le guance cominciavano a farsi rosee. Mentre l'acqua caldissima riempiva la vasca e il vapore annebbiava la stanza, l'Insistente, sostenendola per la vita e sotto un'ascella, la fece passeggiare. Quando l'acqua fu all'altezza giusta la sollevò e la tuffò nella vasca reggendole il capo fuori con le mani a conca. Iskra sbuffò, dimenò le gambe e spalancò gli occhi. — E così impari a imboscarti — disse Degrado.

Perché sto facendo il bagno? — chiese la ragazza. — Domandalo a chi ti ha fatto il servizio — rispose Degrado, — ti ho ripescata al volo, eri vispa e calda come un semifreddo alla crema. La tua circolazione si stava per bloccare come un ingorgo sotto il tunnel. Tempo mezz'ora, parola d'onore. — Ma per fortuna arriva l'eroe... un po' passato d'età e un po' soprappeso. Eccolo che mi cerca per tutti i ripostigli di questo lugubre albergo. Mi raccoglie: un soffio dei suoi potenti polmoni e l'angelo della morte vola via! — Sfotti quanto ti pare, ma è proprio così che è andata. Quella specie di sudario che avevi — disse Degrado avviandosi verso la porta, — cercatelo. Quando ti ho raccolto eri come adesso. — Aspetta — disse Iskra, — l'ho trovata! — Trovato chi? — chiese l'Insistente. — La cliente dell'avvocato! Le ho parlato per un'ora, mi ha raccontato tutto: era su un bus con il figlio di tre anni. Portarono via tutti i bambini ambosessi sotto i quattro. Un gruppetto di adulti riuscì a scappare, fra cui lei. Per mesi non si è data pace, tanto ha frugato che ha trovato una traccia; allora è tornata con quelli di sopra, perché nasce bene, la gentildonna. Insomma si è data da fare, è riuscita ad entrare nel giro. Per arrivarci ha fatto la puttana di lusso. Alla fine entra nel giro alto, perché è piuttosto messa bene, tra parentesi. Trova il friend giusto e riesce a farsi portare in uno di quei ristoranti. Ascolta, perché viene il bello: dopo i cocktails e una sviolinata propiziatoria e dopo che si è fotografata in testa a tutti gli avventori più eminenti, compreso il nostro amico con quell'enorme culo flaccido che si ritrova al posto della faccia, avrebbe dovuto mangiare, no? O al massimo fare finta o dire che era indisposta, che ne so? Insomma starsene tranquilla e poi uscire al braccio dell'amico che ce l'aveva portata e dopo con calma alzare il casino. E invece non ce l'ha fatta. Appena è arrivato il cameriere con... con la portata, insomma con il piatto clou, quella scema è —

scoppiata a piangere, ha fatto saltare per aria ogni cosa, le candele accese, le cristallerie, i piatti, si è avventata addosso al cameriere e gli ha quasi staccato un orecchio con un morso. Insomma ha mandato tutto all'aria. E meno male che l'avvocato era al corrente di tutto: in questo modo sono scesi a patti. Altrimenti avrebbero cucinato anche lei, probabilmente: in casi di emergenza non si può essere ultra-raffinati. Per questo l'hanno rinchiusa qui dentro. Come una specie di ostaggio. Lei qua, viva. È l'avvocato, fuori, ma zitto. Adesso hanno deciso di rompere la tregua tutti quanti, e lei è disposta a scappare con noi. — Già — disse l'Insistente, — ma dov'è ora? — Davvero — disse Iskra, — bisogna ritrovarla. Eravamo ancora insieme quando quel ragazzo con la spazzola in testa è venuto a portarci da bere. Abbiamo brindato alla prossima partenza. Adesso mi ricordo: tutt'a un tratto mi è sembrato di aver sonno, un sacco di sonno. I messianisti entrarono nella camera e poggiarono a terra la borsa che adesso appariva più gonfia. — Sarà meglio andare, allora — disse Iskra. — Renderai loro la mercede secondo il merito — disse Giona. — Ma insomma che intenzioni hanno — chiese Degrado. — Per quello che mi riguarda, non importa niente — disse Iskra, — hanno ripescato la principessa e mi basta. Se loro vogliono sganciarsi tanto di guadagnato per noi. L'Insistente guardò con una smorfia la carrozzella da paralitici sulla quale la cliente dell'avvocato infagottata in una vecchia pelliccia dormiva completamente abbandonata. — Sarà meglio andare — ripeté Iskra, — la turbo ci aspetta in cortile. — Un momento — disse l'Insistente, — per cominciare quella è ridotta in uno stato peggiore di come avevano sistemato te. Secondo: questo posto è una fortezza, praticamente. La parete

nord dell'albergo poggia direttamente sul più alto pilone di sostegno della Città-Alta. Le finestre che c'erano le hanno murate. Sono riuscito a dare un'occhiata da una bocca d'areazione ed è come stare sospesi in cielo; si vede in basso la nebbia dei livelli inferiori. I lati est ed ovest dell'albergo confinano con le strutture più alte della Città, ma per arrivarci bisognerebbe volare, perché c'è un salto di cinquanta metri nei punti più stretti. «A sud c'è il ponte, la porta d'entrata e quattro ragazzi robusti che sono infermieri come io sono un ufficiale della DIDA: sembrano bene imbottiti sotto il camice. — È di là che passerete voi, a bordo del vostro arnese infernale. Anche noi siamo felici di interrompere l'ambiguo sodalizio — disse Giona, — gli agnelli cesseranno di bere alla stessa fonte inquinata... — Lo so già codesto — disse l'Insistente, — ma chi apre il portone? E cosa ne faccio dei guardiani, li saluto graziosamente al passaggio con il fazzoletto? Barnaba guardò l'orologio: — Mancano tre minuti e sette secondi. — Avranno da fare fra poco, i guardiani — disse Giona. Iskra afferrò a precipizio la carrozzella. — Corri — disse, — hanno minato l'albergo, non l'hai capito? L'Insistente afferrò lo schienale della carrozzella e si mise a spingere con Iskra verso il corridoio, mentre Barnaba ispirato alzava le mani al cielo. — Avranno la mercede che si meritano, i lascivi, gli impuri, gli incestuosi, i pervertiti, i dannati. Non più sabba sconci fra queste mura. Sarà il fuoco a detergere... Dopo i primi scalini la carrozzella si ribaltò, Degrado con un calcio la fece ruzzolare e si caricò la ragazza come un sacco sulle spalle.

In fondo alla penombra delle scale, illuminata dal paralume verde sul banco della reception la Direttrice li aspettava con i soliti ragazzi-puledri al fianco ed una piccola rivoltella in mano. — Niente tour in città, stamani — disse la Direttrice. — Non è previsto nel programma. — Fece un cenno con la pistola a Iskra: — Prendi la ragazza — disse, — e allontanati dal granduomo. Non mi va quello che volevate fare. La persona alla quale state cercando di mettere rogna guarda caso è quella che mi paga e che tiene in piedi questa baracca. E poi a me piacciono le storie gotiche e non ho niente contro le diete variate. In quel momento una vampa gialla che proveniva dal sottoscala vinse la luce scialba della vetrata all'ingresso: ci fu un boato e il lume verde volò chissà dove: anche le chiavi appese al quadro della reception presero improvvisamente il volo e si misero a sciamare come calabroni verso la porta di fondo. Ci fu un attimo di buio e di silenzio mentre un odore penetrante faceva pizzicare il naso, poi nell'apertura della porta sfondata scoppiò un altro sole, rosso questa volta, e si sentì il fuoco crepitare. Degrado sbattuto da un destro professionale contro la ringhiera era riuscito a reggersi in piedi nonostante il peso della ragazza; volò in fondo alle scale dove Iskra imbambolata, scalza, mutandine e reggiseno si guardava i piedi. — Ehi! — disse Iskra, — sono scalza! L'Insistente l'afferrò per un braccio. — Non c'è tempo — disse, — vieni via! Nella corsa scavalcarono la mole della Direttrice, un filo di sangue le scorreva dalla radice dei capelli fino al centro dei seni, gli occhi azzurro-chiaro spalancati. Qualcuno si mise a urlare, rompendo un silenzio che pareva fosse durato ore, e tutt'a un tratto ci fu un baccano infernale in tutto l'albergo mentre un fumo spesso e nero arrivava ad ondate sempre più intense.

Trovarono la turbo dopo che l'incendio li aveva costretti a cambiare rotta varie volte. Degrado gettò la ragazza come uno straccio sul sedile posteriore e mise in moto mentre Iskra si precipitava al suo fianco. Davanti a loro il grande portone che immetteva nel cortile interno era spalancato: molte ombre continuavano a buttarsi nella luce che a tratti traspariva dietro il sipario di fumo. Degrado ingranò la marcia e gettò l'auto a tutta velocità dentro quella pozza chiara. Un paio di volte la turbo sobbalzò mentre le ruote incontravano ostacoli misteriosi: improvvisamente si trovarono all'aria della mattinata chiara; una sirena stava ululando. L'Insistente respirò per la prima volta quando avvertì sotto le ruote il liscio dell'asfalto regolare. Iskra rabbrividì e si rannicchiò sul sedile. — Ho freddo — disse. — Ma senti: a un tratto mi sono trovata ritta in fondo alle scale, mezza nuda e senza le scarpe. — Si mise a ridere nervosamente: — Ma le scarpe, dove sono finite? — Non lo so — disse Degrado, — sei ferita? — No. Ma ogni tanto qualcuno si diverte a spogliarmi in questo film. Iskra si voltò a guardare la ragazza sul sedile di dietro, scoprendola sotto la pelliccia. — Sto bene — disse, — e anche la principessa, qua, sembra tutta intera. Abbiamo avuto una bella fortuna, non c'è che dire. — Fortuna un corno. Come hai fatto a sapere che quei due pazzi volevano far saltare l'hotel? Iskra ridacchiò. — Ce n'è voluta per farti muovere. Li conosco quei due, fra i vaganti sono famosi per il metodo. Scattano in un modo un po' radicale quando gli gira storto. — Rise ancora. — Là dentro c'era un'aria un po' troppo disinvolta per i loro gusti. Ma alla fine ci sono stati utili, non ti pare? Abbiamo la

ragazza, la vita ci sorride ancora, siamo con le vele al vento e mi sto divertendo come una matta. — — Con le vele al vento — disse Degrado, — proprio. Sotto il sedere ho un'auto della DIDA che per quanto ne so dovrebbe essere rubata. I miei documenti sono falsi. Dietro di me ho lasciato un rogo e fra poco avrò tutte le polizie della megalopoli addosso. Viaggio con una ragazza drogata evasa da un riformatorio e con una matta in combinazione trasparente. Meno male che non piove. L'ufficiale della Polizia urbana girava fra le mani i documenti con aria sospettosa. Due agenti lo proteggevano con i mitra puntati verso la macchina. Era rimasto impressionato dall'intestazione e dalle firme, ma dopo aver letto scrupolosamente tutto, aveva preso un'aria incerta. — Dove sono gli altri due? — chiese. Parlava con il linguaggio ufficiale dei servizi di polizia senza mansioni specializzate. — A quanto risulta dalla documentazione ufficiale offertami in visione, rilevasi che gli occupanti dell'Auto Zadar 15, adibita a servizio speciale, in transito attraverso la Zona Alta, Ripartizione ottava, Quartiere delle telecomunicazioni e Servizi di Informazione, dovrebbero essere cinque. Per l'esattezza un ufficiale, due agenti e due rieducande di stretta sorveglianza. Notasi presenza di due individui di apparente sesso femminile privi della regolamentare tenuta, nonché del sedicente ufficiale della DIDA, conducente della suddetta auto. Avendo su richiesta dello stesso ufficiale di Polizia Urbana rapportante, il menzionato sedicente graduato della DIDA tolto i dispositivi di oscuramento speculare dai finestrini posteriori, potevo notare che i sedili della parte retrostante dell'abitacolo sono vuoti. E pertanto domando: dove sono gli altri due? — Per i fatti loro — rispose l'Insistente, — li ho comandati ad un altro servizio. Osservi il Nota-Bene sul nostro lasciapassare, c'è scritto S.M.U., servizio di massima urgenza. Bloccandoci qui lei si sta tirando addosso un sacco di grane.

Continua registrazione rapporto — riprese l'Ufficiale di Polizia parlando al microfono che teneva appuntato al bavero della giacca, — domandato risponde: per i fatti loro. L'interrogato faceva quindi riferimento alle grane alle quali il rapportante potrebbe andare incontro bloccando l'auto. Osservo che due rieducande in transito per accompagnamento coatto, sorvegliate da un solo agente, in duplice funzione di accompagnatore e di conducente dell'auto, costituisce grave irregolarità sotto il profilo della violazione dell'art. 26 delle disposizioni di attuazione del Regolamento della Legge n. 410 per gli Istituti di Rieducazione e Risocializzazione delle Persone Pericolose; le due suddette appaiono discinte. Invito quindi occupanti auto a fornirmi documentazione personale costituita da singole carte di identificazione elettroniche per controllo radio-televisivo presso Stazione Centrale, Ripartizione Identità Personali. — Poteva dirlo subito — disse l'Insistente. Premette il pulsante per aprire il finestrino laterale. L'Ufficiale di Polizia Urbana si avvicinò e allungò una mano verso il vetro corazzato che si stava aprendo lentamente. L'Insistente fece scattare il dispositivo di apertura automatica dello sportello. La portiera colpì con violenza l'Ufficiale all'altezza delle ginocchia gettandolo sull'arma spianata dell'agente che gli stava alle spalle. L'altro agente fece un passo indietro alzando la canna della sua mitraglietta e cercando lo spazio libero per sparare. L'Insistente inserì il cambio automatico sulla marcia avanti e schiacciò a tavoletta l'acceleratore. L'auto saettò fischiando e ruggendo sulla transenna a strisce bianche e rosse che sbarrava la strada, i frammenti di metallo volarono in tutte le direzioni con uno schianto al quale seguì la botta secca dello sportello che si chiudeva. Le pallottole del mitra rimbalzarono sulla carrozzeria blindata con un rumore di chicchi di grandine su una tettoia di metallo. Iskra si piegò portandosi le braccia sulla testa. —

Tranquilla — disse l'Insistente, mentre l'auto sfrecciava a centocinquanta all'ora, — dovrebbero dotarli meglio. Quegli arnesi retrò non graffiano la vernice. Un proiettile di mortaio esplose a fianco della macchina disperdendo un fumo giallo e denso. L'auto sobbalzò e andò ad urtare contro il garde-rail, lateralmente. L'Insistente guidò a contatto con la striscia di metallo mentre scintille salivano oltre i finestrini laterali di destra e si riversavano ricadendo come un bengala sul parabrezza. La macchina incollata al garde-rail strisciò per tutto l'arco di una curva al termine della quale forò la densa coltre di fumo. — Mai sottovalutare l'Amministrazione — disse l'Insistente, mentre premeva l'acceleratore lanciandosi su di un rettilineo ad oltre duecento all'ora. Mentre percorrevano a tutta velocità la serpentina che portava verso la Città Bassa, l'Insistente accese la radio. Sulla frequenza d'onda riservata alle urgenze il centralinista conversava con un amico senza curarsi dei segnali che ad intervalli regolari reclamavano la linea. — Se continuano a dar la colpa all'arbitro ogni volta che, giustamente, lo buttano fuori dal campo — stava dicendo, — non lo inquadreranno mai. La colpa è del Mister. Trap non è un giocatore da tenere a stecchetto come gli altri: ha bisogno di fare la sua vita. Se durante la settimana lo lasciassero scopare quando vuole, la domenica non entrerebbe in campo così nervoso. È come con i cavalli... — Qualcuno sta chiamando — disse l'interlocutore. — Lascialo chiamare — ribatté il centralinista, — questo rompiscatole. Me ne frego io: mi mancano tre mesi alla pensione. Nella partita contro il Titanic... La voce fu coperta da una serie di fischi acuti. — Senti — disse l'altro, — lasciagli la linea. Per te è diverso, ma se mi pescano a far conversazione sulla frequenza delle —

chiamate urgenti e per giunta in servizio... Passo e chiudo. Ci vediamo. Il forte accento del Capitano della Polizia Urbana fece sobbalzare Degrado e Iskra, come se fosse stato seduto sul sedile posteriore. Aveva un tono drammatico, da grandi occasioni. — Segnalo forzatura del posto di blocco settore secondo ripartizione dodicesima ingresso di «Nuova Gerico» all'incrocio con strada statale numero venti. Auto Zadar 15 presumibilmente trafugata, appartenente dipartizione informazioni discrezionalità assoluta. Probabilmente trafugata, ma dotata apparecchiature speciali: corazzata, dispositivi oscuramenti speculari, priva limitazioni velocità, colore bruno metallico. Occupanti numero tre; resisi responsabili seguenti reati: resistenza a pubblico ufficiale, oltraggio, uso di documentazione falsa, eccesso di velocità. Segue connotati: conducente sesso maschile età circa quaranta anni, statura normale (difficilmente apprezzabile perché seduto), capelli biondo-castani, naso lievemente aquilino, bocca regolare, nessuna inflessione dialettale. Trattasi di persona molto decisa, grado di pericolosità massimo, probabilmente armato. Passeggeri apparente sesso femminile. Prima passeggera: aspetto attraente, capelli lunghi oltre il collo biondi con sfumature rossastre, occhi verde grigio, statura media, ma difficilmente apprezzabile per la ragione sopra-detta, lineamenti regolari, piccola cicatrice violacea alla regione del mento. Seconda passeggera capelli bruni con sfumature rossastre, lunghi riccioluti. Impossibile rilevazione altri connotati perché dormiente sdraiata sul sedile, con viso coperto. Conducente indossa abito grigio di taglio classico ma visibilmente sporco, macchiato e bruciacchiato. Prima passeggera (tossicchiò) ehm... in mutandine e reggiseno. Seconda passeggera avvolta in pelliccia scura. Ripetesi, massima pericolosità. Probabile collegamento con incendio del «Villaggio della Pace Interiore».

Direzione su statale numero venti verso Città Bassa. Nostra pattuglia moto-trasportata già in inseguimento ma distanziata data potenza auto sospetta. — Grazie per l'aspetto attraente — disse Iskra, — formale, ma carino. — Vai sul sedile dietro, per piacere — disse l'Insistente — e copriti con qualche cosa. Sei una mosca bianca, in questo modo. — Adesso sì che siamo inguaiati — disse Iskra, — tre coglioni qualsiasi su un destriero della DIDA. Cominciavano già le prime bicocche della Zona Franca. — Tanta strada per tornare al punto di prima — disse l'Insistente.

CAPITOLO QUINDICESIMO I sorci correvano in fila addossati ai binari. Erano sorci neri che si confondevano con le longarine perché avevano il dorso chiazzato di un colore rugginoso. Il tracciato dell'antica ferrovia finiva per imbucarsi nei tunnel sotto la città dove si disperdeva nei rivoli del mètro. Al posto delle motrici e dei vagoni ora scorrevano i topi neri, ordinati in file per uno, pazienti nelle soste e metodici nella corsa. A migliaia verso la Città Bassa, qualcuno più grosso degli altri ritto sulle zampe posteriori percorreva il tragitto nella direzione opposta per sorvegliare il flusso. La casa dell'amico di Degrado era stata a suo tempo una cabina di segnalazione a cavallo di un fascio di scambi; assomigliava ad un trampolino, ma il tempo che aveva eroso i piloni di sostegno lasciandone l'anima di ferro, l'aveva trasformata in una specie di ragno. Dalle finestre che la percorrevano in cerchio, guardando in basso, sembrava che i binari e non i topi fossero in corsa e questo dava una vertiginosa impressione di movimento. Erano arrivati a notte alta. L'Insistente che aveva guidato per ventiquattr'ore filate nei meandri della Città Bassa, prima di abbandonare l'auto della DIDA, si era buttato su una branda addormentandosi di colpo. L'amico di Degrado era molto vecchio. Da giovane aveva fatto il mestiere dell'attrezzista teatrale, all'epoca in cui si faceva ancora teatro con attori in carne ed ossa, una cosa da vagabondi, disperati e persino ridicola, ora che sui palcoscenici della metropoli si muovevano le immagini-laser, più vere del reale. Da moltissimo tempo ormai l'Attrezzista viveva ospitando nel suo ricovero persone che avevano bisogno di defilarsi. Per nascondersi non c'era posto nella metropoli che valesse la sua piattaforma, solitaria come un'isola in mezzo ad una

spianata di binari, con le finestre in circolo di vedetta su tutti i lati, la vista che poteva spaziare per chilometri, a breve distanza un gran numero di tunnel, sottopassaggi, depositi sotterranei in comunicazione con la Città Bassa e con i livelli superiori. Finalmente l'Insistente si svegliò ed Iskra gli disse che aveva dormito per quello che rimaneva della notte dell'arrivo, più un altro giorno intero e più un'altra notte. — Con il Vecchio siamo ai ferri corti — gli disse. — Si è chiuso in un ripostiglio e non vuole uscire. Ha cominciato col farmi una scenata perché ho buttato la cenere della sigaretta in un coccio di bottiglia: a sentir lui era il cimelio prezioso di un prodotto famoso, ne parla come di una reliquia, ma era proprio il fondo sbrecciato di una bottiglietta. Qui non ci si può muovere, si rischia di mettere sotto i piedi qualche gioiello di latta arrugginita o di scatola di fiammiferi. Il Vecchio ha fatto un terzo grado alla duchessa: voleva sapere di tutto il ciarpame che c'era nel «Villaggio», ci ha fatto parlare delle lampadine, dei rubinetti, delle vestaglie della Direttrice. L'Ereditiera, per chiudere il discorso, gli ha detto che era inutile raccontare perché avevamo dato fuoco a tutto e a quest'ora era tutto in cenere. Allora ci ha maledetto e si è chiuso nel ripostiglio. È talmente arrabbiato, che secondo me potrebbe anche denunciarci. — Non lo farà — disse l'Insistente, — Io conosco da un pezzo. È sempre stato leale. Però non avreste dovuto offenderlo. È un collezionista: tutto ciò che gli ricorda il passato è prezioso per lui. Conto sul Vecchio per risalire: conosce un passaggio per la Città Alta evitando i posti di frontiera. Non fu facile per Degrado rabbonire il vecchio, che per un pezzo continuò a gridare da dietro la porta del suo bugigattolo che se ne andassero subito, lui e quelle «ragazze vandaliche». Alla fine l'Insistente fu costretto ad offrirgli quella rivoltella a pallottole che aveva usato una volta sola in cambio delle

informazioni necessarie per arrivare al passaggio non sorvegliato verso i livelli delle città alte. Di fronte alla prospettiva dello scambio, la porta si spalancò di colpo e apparve il vecchio eccitato, gli occhi luccicanti di cupidigia. Dopo aver accarezzato, smontato, lucidato l'arma e averla messa al sicuro dentro una cassaforte antidiluviana, il vecchio cavò fuori il grafico rappezzato e logoro dell'antica rete fognaria di quella zona della Megalops. Mentre indicava sulla carta un percorso tortuoso come un labirinto, l'attrezzista obbligò i fuggiaschi ad ascoltare una lunghissima spiegazione di come erano efficienti e razionali quelle fogne, quando non esistevano ancora gli impianti di riciclaggio delle acque e delle scorie, e come costituissero una città sotto la città e che ad ogni via della Megalops del piano superiore corrispondevano un fiume o torrente sotterranei che ancora oggi conservavano le denominazioni di allora, anche se le targhe erano coperte dalla melma o distrutte dalla ruggine, e che i nomi erano di grandi scrittori, scienziati, artisti, di battaglie, di cose curiose, di monasteri, di chiese e di religioni e che adesso era tutto cambiato, le strade erano in verticale e spesso non avevano nomi, ma numeri inespressivi, era finito il piacere di ricordare camminando per la città. — Quando sarete sotto la grande volta, con questa forma irregolare — concluse il vecchio — sarete quasi arrivati al passaggio: è una delle poche zone rimaste al livello di una volta. Eppure è proprio da questo spazio che è cominciata la grande rovina. Distrussero il grande mercato che c'era disopra e continuarono nel modo grandioso che sapete — mandò un'occhiataccia alle due ragazze. — Maledetti vandali! — concluse. Al momento di allontanarsi dal rifugio dell'attrezzista, Iskra commentò:

Sarà meglio andarcene prima che gli venga in mente di imbalsamarci per i posteri. La cliente dell'avvocato scivolò un'altra volta, Iskra cercò di sostenerla, ma la mano slittò sulla fanghiglia che ricopriva la superficie del cunicolo e tutt'e due caddero nell'acqua lurida che scorreva sul fondo. — Se penso che gli hai dato la pistola a quel vecchio maniaco! — disse Iskra mentre si rialzava. Afferrò sotto le ascelle l'altra ragazza, che aveva anche i capelli incollati dalla melma e l'appoggiò come una sacco alla parete. — Dobbiamo fermarci — aggiunse Iskra, — l'Infanta di Spagna non ce la fa più. Bell'affare abbiamo fatto: in cambio di quel pezzo che per noi voleva dire mesi di vita a rivenderlo, lui ci ha spedito nella spelonca più sudicia che abbia mai visto. Chissà dove si va a finire. Degrado cercò con la torcia un posto per sedersi, ma tutto era ugualmente fradicio e melmoso. Illuminò fino al termine del fascio di luce della torcia elettrica là dove le pareti sembravano congiungersi mentre il pendio diventava più scosceso. Insieme allo sciabordio dell'acqua arrivava dal fondo uno stridio continuo come un fischio corale. — Che cos'hanno questi topi? — disse Iskra indicando la teoria di sorci neri che procedeva lentissima verso l'alto, lungo uno stretto terrapieno addossato alla parete opposta. — Sembra che seguano un funerale. I topi erano quasi fermi, con le teste all'aria, i baffi tremanti e tutta la fila sembrava percorsa da un brivido. Ripresero la marcia. Dai cunicoli che si immettevano sul loro percorso aggettando dall'alto delle pareti, cominciarono a cadere con tonfi sordi dei corpi guizzanti. Improvvisamente fu la guerra. I topi grigi attaccarono la fila dei sorci neri lanciandosi contro di loro da tutti i lati. Tutta la spelonca brulicava di forme che si —

avviluppavano nel rigagnolo schizzando belletta. A Degrado cadde la torcia e il buio fu subito riempito di punti rossi in rapido movimento, le due ragazze si misero ad urlare. Degrado si gettò in ginocchio tuffando le braccia nel fango fino al gomito, si rialzò con ribrezzo perché qualcosa lo aveva morso a sangue su una spalla. Notò un chiarore alla sua destra. Afferrò Iskra per la mano e lei a sua volta prese per un lembo dell'abito la cliente dell'avvocato, trascinandosela dietro come un sacco. Corsero a perdifiato, scivolando, cadendo, rialzandosi, senza fare attenzione al tappeto morbido di cose vive che calpestavano nella corsa, attraverso una galleria più stretta delle altre. Il cunicolo sboccava in un atrio amplissimo; da una lunga crepa sul soffitto pioveva una luce scialba. Si avvertiva l'odore fresco dell'aria aperta. Cominciarono a percorrere il perimetro della grande caverna. Dopo circa un chilometro Degrado notò un cartello di metallo smaltato, che conservava ancora, nonostante le scrostature, la maggior parte delle lettere: «L.S HAL...S». — È quel posto che ha detto l'attrezzista — disse Iskra. Dovettero girare ancora per quattro ore, ma tornavano sempre sotto la scritta semicancellata che ogni volta appariva meno visibile con l'affievolirsi e poi con il cadere della luce esterna. Quando infine trovarono il collettore in disuso che portava all'esterno, era già caduta la notte. Sbucarono in una grande piazza buia e deserta.

CAPITOLO SEDICESIMO Erano arrivati al terzo livello ormai molto dentro la linea di confine dopo la Zona Franca, nella piazza del Museo circondata dalle torri delle Città Alte, che sembravano una cinta di mura. Spossati per il sonno e per l'ultima marcia affannosa, si erano trascinati sotto uno dei grandi tubi dipinti che sostenevano i piani superiori del Palazzo delle Esposizioni ed erano caduti in un sonno di piombo. Furono svegliati dalla musica. Ai lati di un cartello due ragazze suonavano la tromba e due giovani, già con gli abiti dello spettacolo, preparavano lo spazio scenico. Disposero sul lastricato della piazza un tappeto logoro, ci misero sopra un seggiolone dipinto di grigio, e alzarono un fondale con un tendaggio rosso. «LA VISITA», diceva il cartello, «VERA COMMEDIA CON ATTORI VERI». La piazza si animava di venditori e giocolieri, a poca distanza dai teatranti un uomo con un mantello rosso attorniato da una folla scettica tentava un esperimento di ipnosi sospendendo una ragazza fra le spalliere di due sedie. Degrado e le due ragazze si trovarono accanto ad un gruppetto di giovani venuti ad appoggiarsi alla base del cilindro azzurro sotto il quale avevano trascorso la notte. Erano ragazze e ragazzi molto giovani e allegri, che dettero uno sguardo frettoloso e perplesso alla barba lunga di Degrado e gli abiti sporchi di fango dei tre nottambuli che si tiravano su a stento. Dopo un ultimo squillo di tromba lo spettacolo cominciò. Una coppia (lei portava un cappellino con la veletta e lui un paio di baffoni posticci) si avanzò sul tappeto mimando grande timidezza e ritrosia. La donna che teneva in braccio un fagotto voluminoso, si sedette in attesa; poi con un gesto rapido sollevò lo scialle che copriva il fagotto ed apparve un burattino

riproducente un bambino mostruoso, il mento snodato che mostrava il foro nero della bocca. — Oh, mammina! — Il burattino spalancava e chiudeva la bocca, mentre l'attrice imitava una vocetta piagnucolante. — Non mi piace quel Signore! Ha le mani con le dita così lunghe! Ed è così bianco in faccia. Andiamo via per piacere! — Ma no! È ta-anto gentile il Signore! È così educato! Ed anche la signora è molto raffinata. Vedrai come ti troverai bene, da loro; non ti devi lamentare, non è bello. — Fallo stare zitto subito! — L'attore che faceva la parte del padre aveva una voce cavernosa: — Non deve piangere! Assolutamente! È proibito! Il bambino si mise a frignare a dirotto. Dagli occhi sprizzarono due zampilli d'acqua. La piccola folla ridacchiò qua e là. Il padre si alzò in piedi, batté i piedi per terra e dimenò le braccia come un grosso uccello. — Deve smettere! Immediatamente! Basta piangere! Basta piangere! Da un varco nel tendaggio il Signore e l'Infermiera fecero il loro ingresso. L'attore che impersonava il Signore indossava sotto l'ampio grembiule celeste pallido un giubbotto gonfiato che lo faceva sembrare enorme e sproporzionato sotto la testa minuta ed un poco calva. Aveva il viso coperto di cerone bianchissimo con forti occhiaie bluastre sopra gli zigomi. Sul grembiule una lunga scolatura di vernice rossa partendo dalla base del collo arrivava fino ai piedi. Camminava mimando una grande spossatezza e si appoggiava alla spalla della Signora che lo sosteneva con un braccio girato intorno alla vita. II Signore si lasciò cadere sul seggiolone grigio e rimase per un pezzo ad ansimare, mentre l'attrice con un camice bianco da infermiera, anch'esso imbrattato di tintura rossa, gli faceva vento con un fazzoletto. Il pianto del burattinobambino aumentava di intensità. Il Signore digrignò i denti.

Non voglio che pianga. Non posso sentire piangere. Esigo che smetta! — Non ti alterare, caro — disse la Signora-Infermiera, — lo sai che ti fa male. E voi, come osate presentarvi qui con quel coso piangente? Uno dei giovani che sedeva accanto all'Insistente, un tipo con gli occhiali, ben vestito, si alzò in piedi. — Che roba! — disse a voce alta. — Non capisco chi è che si dovrebbe divertire con questa roba! Questi guitti di strada sono dei sovversivi! Stanno sempre a piantare grane contro qualche cosa. Andiamo via! — Aspetta — disse una ragazza della comitiva, — vediamo come va a finire. — Neanche per sogno. Andiamocene, è perfino pericoloso restare! I ragazzi si alzarono e cominciarono ad allontanarsi. Degrado li seguiva con lo sguardo. — Guardalo da vicino — stava dicendo il Signore sulla scena — secondo me non è adatto! L'infermiera si avvicinò al pupazzo. L'attore con i baffoni si alzò in piedi, fece un profondo inchino. — Mi consenta — recitò con tono ansioso, — lei non può immaginare quanti sacrifici abbiamo fatto! E quante spese! Da mesi lo nutriamo esattamente come ci è stato detto! Niente grassi, molte proteine, vitamine, ricostituenti, ci siamo dissanguati, veramente! «Non possiamo riportarcelo indietro! Non possiamo assolutamente! Scusi l'immodestia, ma secondo noi è adattissimo! Non ce n'è uno in tutta la Città Bassa adatto come lui! L'Infermiera si avvicinò al pupazzo, cominciò tutta una pantomima in cui lei lo squadrava, lo soppesava, gli guardava la bocca, scrutava gli occhi. —

Forse può andare — disse, — se almeno smettesse di piangere! — Non piangere! — gridò il padre. — Ma sta piangendo — gridò ancora più forte il Signore, — è così che ce lo avete preparato? Degrado era sulle spine. Si guardò intorno: al suo fianco la cliente dell'avvocato seguiva con gli occhi fissi e spalancati, si era irrigidita, aveva il viso livido. Lì con loro erano rimaste solo cinque o sei persone. Per uno spazio amplissimo la piazza intorno era sgombra. Molto in lontananza alcune persone guardavano rigide nella loro direzione. L'Insistente credette di riconoscere il giovane distinto che aveva parlato poco prima. Lo osservò mentre si fermava a parlottare con un uomo che aveva il casco e una lunga fondina nera alla cintura. — Forse può andare — disse l'Infermiera con una smorfia di degnazione, — ho visto di meglio, ma fisicamente è a posto. — Allora portalo di là — recitò il Signore, — fa presto! E di' a Federico che voglio il silenzio assoluto. Che non voglio sentire nessun rumore! Degrado vide che l'uomo con il casco bianco si muoveva nella loro direzione. Notò che cominciava a correre e che sotto la tuta chiara sfavillava una maglia d'acciaio. Lo vide estrarre la pistola che poi nella corsa reggeva lungo un fianco, come per nasconderla. L'Insistente scattò in piedi e tirò verso di sé la cliente dell'avvocato imbambolata. — Forza! Ci siamo un'altra volta! Vide Iskra che già correva, tutta curva in avanti. Una sottile saetta azzurra tagliò in orizzontale la scena. L'attrice che impersonava la madre cadde di schianto, con una macchia bruna sul dorso; il burattino, infilato nel braccio disteso, giacque a bocca spalancata. —

Nello slancio della corsa Degrado e la Cliente si trovarono assorbiti dalla folla che saliva con la scala mobile dall'esterno ai piani superiori del Museo. Davanti a sé in mezzo al gruppo compatto l'Insistente vide il camice bianco dell'attriceinfermiera. In cima alla scala mobile all'ultimo piano del Palazzo i visitatori venivano ospitati dentro le gabbie di vetro chiuse ermeticamente che poi scorrevano lungo il percorso espositivo: gli atti di vandalismo sempre più frequenti avevano imposto questa specie di giostra da luna-park. Degrado vide davanti a sé Iskra che sbarrava con il corpo la stretta apertura di una delle gabbie e che gli faceva cenno chiamandolo. Lavorò di gomiti e tirandosi dietro la Cliente si precipitò dentro. Prima che la porta automatica della cabina si chiudesse altre tre persone si infilarono con furia all'interno, spingendo Degrado in avanti. Lo spazio era angusto: la cabina destinata ad accogliere soltanto quattro persone li conteneva a stento. Oltre ad Iskra dentro il box si erano precipitati gli attori di poco prima stravolti e sudati. Tutti e tre erano occupati a togliersi la truccatura dalla faccia. La cabina cominciò a marciare, lentamente. Si trovavano ancora all'esterno, sospesi nel vuoto, la piazza sotto di loro si stendeva a perdita d'occhio, il selciato chiaro era punteggiato dalle teste scure della gente. Dopo il frastuono di prima il silenzio era incrinato da una musica seria diffusa discretamente. Ci fu un attimo di oscurità, poi alla luce solare si sostituì il riverbero dei riflettori che illuminavano le opere esposte. La cabina cominciò a girare lentamente intorno ad una grande forma di marmo bianco levigato, morbida come un seno di donna e bucata al centro da un foro arrotondato.

Ma voi perché siete scappati? — chiese l'attore che recitava il ruolo del padre, mentre con un ultimo strappo e con una smorfia di dolore si toglieva i baffi da sotto il naso. — Sono fatti nostri — rispose Iskra. — Cos'è quel pasticcio che stavate facendo là sotto? — Teresa — disse la ragazza-Infermiera con voce rotta, mentre si sfilava l'abito bianco, — l'hanno colpita. L'ho vista cadere. Degrado la guardava mentre lei si passava un fazzoletto sul viso cancellando le occhiaie e le rughe false, e come per magia appariva un viso freschissimo, molto giovane. — Non è un pasticcio — disse l'attore con la faccia bianca, che adesso, chiazzata qua e là di cerone sembrava più malata di prima. — Non voleva dir questo — disse la Cliente, — ci interessa il significato. È molto importante per noi. — Non è il momento, avete visto cos'è successo là in basso, no? —Voi chi siete? Non ho capito se siete scappati o se ci avete seguito. — La ragazza che aveva recitato la parte dell'Infermiera guardava Degrado fissamente. Adesso la cabina era ferma davanti ad un pannello molto esteso, diviso in grandi campate blu cobalto, verde, nero e ocra. Nella parte blu due ragazze nude accennavano una danza, un bambino conduceva un aratro tirato da un cavallo alato. Degrado osservava il quadro pensando ad altro, ma avvertiva un richiamo lontanissimo, come quando per strada ci si ferma con l'impressione che qualcuno ci stia chiamando per nome. — Quello che vorrei sapere — disse — è perché vi sono saltati addosso. Ho visto bene: casco-bianco non era uno qualsiasi, aveva la divisa di un'Organizzazione. — Sentite — disse il giovane chiazzato di biacca, — quando si aprirà il coperchio di questo barattolo, noi ce la daremo a —

gambe e tanti saluti. Anche la pièce, abbiamo capito che non è più il caso. In questo momento l'ho tolta dal repertorio. Perciò è inutile parlarne. — Non sono d'accordo — disse Iskra, — lo spettacolo è stato disturbato, ma il pubblico siamo noi e siamo insoddisfatti. Perciò abbiamo il diritto di sapere come va a finire. La cabina riprese a scorrere. Si trovarono di nuovo all'aperto. Degrado vide il casco-bianco che si allontanava di spalle verso il fondo della piazza. La cabina rientrò nell'oscurità. Cominciò a fiancheggiare una tela dove su un fondale bianco un graffito di catrame mostrava un uomo che reggeva nella destra un mitra e con la sinistra indicava uno strumento a ruote; il becco rosso di uno sparviero si ergeva minaccioso al centro. — Credo che abbia rinunciato a cercarvi — disse Degrado. — L'idea era questa — la ragazza che interpretava l'Infermiera guardò l'attore in bianco cercandone l'approvazione, — quando loro hanno cominciato a discutere alla tivù, sui giornali e dappertutto, facevano scivolare la cosa in modo molto astratto, un sacco di statistiche, diagrammi, discorsi storti tipo la congiuntura inquadrata prospetticamente eccetera, di quel genere, insomma. Allora noi pensammo, veramente fu un'idea sua — indicò il giovane che aveva interpretato il ruolo del Signore e che la stava a sentire corrucciato come fosse una scolara che ripete la lezione, — volevamo far vedere come sarebbero andate le cose davvero, cioè, in concreto. — In questo modo è impreciso — disse l'attore, che si era tolto l'imbottitura e l'abito di scena venendone fuori allampanato come un attaccapanni. — Doveva essere una provocazione, capite? Quando un certo fatto è trattato dai media, sembra che si svolga nella nebulosa di Andromeda. Alla tivù anche i cadaveri sembrano pittoreschi. Ma fra la gente, con attori veri, le cose si avvicinano.

L'attore si animava, riempiva lo spazio con gesti larghi. — Avete mai fatto caso a come guardano? Sembra che non vedano nulla, che tutte le cose siano dentro una confezione di cellophane e che a loro interessi solo la marca. — Qualche volta riuscivamo a scuoterli, con quello spettacolo, quei pochi che ci venivano a vedere. C'erano trucchi forti, senza mezzi toni. Facevamo scorrere il sangue da dietro la tenda. Qualcuno si guardava intorno con un po' di nausea: cominciava a pensare qualcosa. «Una volta una donna si è messa a piangere. «A un certo punto hanno cominciato ad andare via. Appena capivano l'argomento, ci lasciavano in mezzo alla piazza come pali e se ne andavano. Ma non credevo che sarebbero arrivati a spararci addosso. — Non credevi, eh? — parlò l'attore che interpretava il padre. — Ti ricordi quando hanno cominciato a piantarci in asso? Esattamente il giorno dopo che la tivù aveva annunciato l'approvazione della legge numero eccetera di sviluppo produttivo. Un minuto di bla-bla sbrigativo, la notizia che gli affari di questa nuova lesvip sono esentasse per anni tre, e subito dopo il silenzio. Dopo quel casino di discussioni, servizi speciali, sceneggiati, a un tratto tutti zitti: il sasso è piombato nell'acqua e, per piacere, basta con i cerchi. Solo noi in giro a fare gli scemi. «Così è andata: hanno sparato a Teresa e Teresa è morta. Accidenti alla stronzata del teatro, alla stronzata di fare i furbi,... Accidenti a noi, campagnoli scemi... Ingenui... L'attore si zittì dopo un colpo di tosse e guardò all'esterno con gli occhi lucidi. Degrado si mise le mani in tasca e abbassò la testa. Diede un'occhiata di sbieco a Iskra che lo fissava con una smorfia buffa, le labbra strette e le guance gonfie. — Ci vorrebbe una battuta — disse l'Insistente. Iskra sbuffò.

No comment. Siamo arrivati al capolinea. Non serve più molto andare in cerca dell'avvocato, credo. La cabina percorreva il perimetro di una sala quadrata molto vasta. Lungo le pareti c'erano diverse statue bianche di uomini e donne in vari atteggiamenti, seduti al tavolino di un bar scalcinato, o davanti allo specchio di una finta finestra che inquadrava un cielo nerissimo sul quale brillavano le luci colorate di una città. Al centro della sala stava in sosta di sbieco un furgone di marca molto antiquata, corroso e coperto da una patina opaca come un fossile. Dalla portiera posteriore semiaperta si snodavano in una fila che ingombrava il resto del pavimento oggetti assemblati insieme in modo arbitrario, gli slittini con le lampade subacque, le bottiglie di plastica legate ai rasoi. Quando la cabina scivolando silenziosamente fu in fondo alla teoria di oggetti il portello posteriore del vecchio Volkswagen si aprì completamente e apparve l'acciaio argentato di un fucilelaser, e dietro il fucile un casco nero che rifletteva la luce. Degrado afferrò Iskra abbrancandola per le spalle e si gettò con lei sul fondo della cabina. Ci fu un lampo giallo-azzurro, e immediatamente dopo un odore terribile di bruciato e un calore insopportabile. Il vetro non esisteva più, soltanto da un angolo una materia filamentosa colava lentamente a terra. Degrado, pigiato al suolo, contorto, piegato in due, non muoveva un muscolo. Bloccava Iskra sotto il proprio corpo impedendole ogni movimento: sentì un cigolio che proveniva dal lato del vecchio furgone, poi i passi pesanti di qualcuno che si stava avvicinando. In quel momento il Museo cominciò ad agitarsi. Improvvisamente attaccò il lamento di una sirena, un rumore insolito saliva dalle altre sale. I passi, divenuti precipitosi, si allontanarono. —

Degrado si alzò in piedi. Cominciava ad avvertire sulla faccia e sul collo un bruciore violento. Anche Iskra si sollevò con fatica, portò le mani al volto e le allontanò bruscamente. Gli altri quattro giacevano a terra abbandonati come stracci polverosi e logori. La vampata li aveva ammucchiati l'uno con l'altro, gli abiti erano bruciacchiati. Il viso della Cliente era devastato, quasi nero. Degrado la riconobbe dal colore dell'abito. I due uscirono dalla cabina con gli occhi abbacinati. Fuggirono verso il fondo della sala dove si intravedeva un'apertura e Iskra, nella corsa, urtò una scala sulla quale stava arrampicata una di quelle statue bianche. La sagoma di gesso piombò a terra con un tonfo soffocato e si sbriciolò. Più tardi, mentre sostavano nel magazzino polveroso del museo, dopo una corsa interminabile, inframmezzata di scivolate lungo un toboga di lamiera che serviva da canale di scarico, Iskra disse: — Quella ragazza, la Cliente dell'avvocato. Non so neppure come si chiamava. Non c'è stato tempo. Da quando l'ho incontrata non abbiamo fatto altro che correre. Degrado guardava una tela antica, abbandonata in un angolo, che mostrava sullo sfondo, accanto ad una carta geografica, l'immagine di una ragazzina sorridente con una corona di foglie azzurre sulla testa, un libro in mano ed una tromba nell'altra. Accennava ad uscire verso un lato del quadro, dalla parte in cui pioveva una luce esterna molto chiara ed intensa. Le altre parti della pittura erano troppo scure per distinguere qualcosa. Il bosco era bruciato per un'estensione di diversi ettari. Gli scheletri degli alberi anneriti cominciavano molto prima di arrivare al Camping.

Il fuoco aveva distrutto le abitazioni della radura. Della casa a guscio di noce non rimaneva che l'ossatura delle chiglie, corrosa e smozzicata. Si aggirava fra i resti quella ragazzina che Degrado aveva incontrato per prima giù al paese. Con lei c'era il ragazzo robusto che faceva da guardaspalle al Sindaco e che si era scontrato con l'Insistente il giorno in cui quest'ultimo era deciso a lasciare l'incarico. Tutti e due frugavano nella cenere con un bastone, prendevano quello che era rimasto di utilizzabile e lo caricavano su un carretto tirato da un asino, che rosicava con aria triste. La ragazzina disse: — Quando sono arrivati con i lanciafiamme, il Sindaco e tutti gli altri se n'erano già andati da due giorni. Erano diretti a nord, più a nord possibile come ha detto il Sindaco. Noi li raggiungeremo, partiamo oggi. Sappiamo la strada. Se volete potete venire con noi. L'Insistente guardò Iskra. — Per me va bene — disse la ragazza. In direzione sud la megalopoli usciva dalla megalopoli per gettarsi nel mare speculare e metallico, dopo la vastità fumante della pianura, e tutto era ingorgato, brulicante. Verso nord si sapeva vagamente che c'erano le montagne, durissime, ma piene di boschi. E dopo le montagne, procedendo ancora a nord, si stendevano le foreste, fino al confine del gelo, dove il colore pallido dei muschi prendeva il posto del verde cupo.

FINE

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Una Modesta Proposta del Sig. J. Swift

Per chi passeggi per questa grande città, o viaggi in questo paese, è un triste spettacolo vedere le strade, le vie e le porte delle casupole gremite di mendicanti di sesso femminile, seguite da un codazzo di tre, quattro e financo sei bambini, tutti coperti di stracci, che importunano ogni passeggere con richieste di elemosine. Queste madri, invece di essere in grado di lavorare per guadagnarsi onestamente da vivere, sono costrette a occupare tutto il loro tempo nel vagabondare, a chiedere sostentamento per i loro piccoli derelitti i quali, crescendo, diventano dei furfanti per mancanza di lavoro, oppure abbandonano il loro amato paese natio per combattere a favore del Pretendente al trono di Spagna o farsi schiavi alla Barbados.2 Ritengo si sia tutti d'accordo sul fatto che questo strabiliante numero di bambini, tra le braccia, sulle spalle ovvero alle calcagna delle proprie madri, e spesso anche dei padri, costituisce, nell'attuale deplorevole condizione del regno, un ulteriore e profondo motivo di scontento; e, di conseguenza, chiunque fosse in grado di escogitare un metodo onesto, facile e non dispendioso per fare di codesti fanciulli dei sani e utili cittadini dello stato, renderebbe un tal servizio al bene pubblico da meritarsi che gli venga eretta una statua, come salvatore della nazione. Ma sono ben lontano dal volermi limitare a provvedere soltanto ai figli dei mendicanti di professione; vado molto più in 2 Per sfuggire alla miseria, al tempo in cui Swift scriveva, molti irlandesi si arruolavano nelle armate francesi e spagnole oppure emigravano nell'isola di Barbados (n.d.r.).

là di tanto e includo anche tutti quegli infanti di una certa età, nati da genitori altrettanto impossibilitati a sostenerli di quelli che chiedono la nostra carità per le vie. Per quanto mi riguarda, avendo io per molti anni portato i miei pensieri su questo importante argomento, accuratamente soppesando i diversi schemi di altri progettisti, ho sempre appurato che i loro calcoli erano grossolanamente errati. È vero che un bambino appena partorito dalla fattrice può esser nutrito con il di lei latte per un intero anno solare con scarsi altri alimenti, per lo più di un valore non superiore ai due scellini, che la madre è certo in grado di procacciarsi, anche sotto forma di rimasugli, mediante la sua legale occupazione del mendicare. Ed è proprio all'età di un anno che io propongo di provvedere a loro in guisa tale che, invece di essere un onere per i loro genitori o per la parrocchia, o pretendere vitto e vestiario vita natural durante, essi possano, al contrario, contribuire a nutrire e, in parte, a vestire molte migliaia di persone. Il mio progetto arrecherebbe parimenti un altro grande vantaggio, giacché impedirebbe gli aborti volontari e quell'orribile pratica delle donne di uccidere i propri bastardi, fatto, ahimè, fin troppo frequente tra noi, sacrificando le povere creature innocenti, a me pare, più per evitare le spese che per vergogna, cosa tale che moverebbe a lacrime e a pietà anche il petto più inumano e selvaggio. Poiché risulta che in Irlanda il numero di anime ammonta a un milione e mezzo, io calcolo possano esserci tra queste all'incirca duecentomila coppie in cui la moglie genera figli; da questo numero detraggo trentamila coppie in grado di mantenere i propri figli, per quanto io tema che difficilmente ve ne possano essere tante, nelle attuali ristrettezze che affliggono il regno. Ma, dando ciò per scontato, ne restano pur sempre centosettantamila genitrici. Ne detraggo ancora cinquantamila, considerando le donne che abortiscono o i cui figli muoiono per incidenti o per malattia entro l'anno. Rimangono quindi soltanto

centoventimila bambini all'anno nati da genitori poveri. Il problema è dunque il seguente; come sarà possibile allevare e provvedere a tutti questi bambini, cosa che, come ho già detto, nell'attuale situazione degli affari è del tutto impossibile secondo i sistemi sinora proposti, dato che non siamo in grado di servirci di costoro nell'artigianato o nell'agricoltura; noi non costruiamo case (cioè in questo paese), e nemmeno coltiviamo la terra. È piuttosto raro che essi riescano a guadagnarsi di che vivere rubando prima di aver toccato i sei anni, a meno che non vi abbino già propensione, per quanto, devo confessare, ne apprendano i rudimenti assai prima. Ma nel frattempo essi giustamente non possono essere considerati altro che apprendisti, come mi ha cortesemente spiegato un esperto gentiluomo nella Contea di Cavan; costui affermava di non aver mai conosciuto più di un paio di esempi del genere sotto i sei anni, persino in una parte del regno ch'è tanto rinomata per il rapido profitto in quest'arte. I nostri commercianti mi assicurano che un bambino o una bambina prima dei dodici anni non è merce conveniente e che, persino a quell'età, non renderebbero più di tre sterline, o al massimo tre sterline e mezza corona in Borsa, quotazione che non può essere di vantaggio né ai genitori né al regno, poiché la spesa per il nutrimento e gli stracci sarà stata di almeno quattro volte superiore. Perciò ora proporrò umilmente una mia idea che voglio sperare non abbia a suscitare la minima obiezione. A Londra ho ricevuto assicurazione da un esperto americano di mia conoscenza che un bimbo giovane, sano e ben nutrito è, all'età di un anno, il più delizioso, nutriente e sano dei cibi sia stufato, arrostito, al forno oppure bollito e non ho alcun dubbio sul fatto che potrebbe egualmente servire in una fricassea o un ragù. Offro pertanto umilmente alla pubblica considerazione la proposta che sui centoventimila bambini già calcolati, ventimila

siano riservati per la riproduzione, di cui soltanto la quarta parte costituita da maschi, il che è già più di quanto non concediamo per le pecore, per il bestiame gallese e per i suini. La ragione che adduco è che raramente questi bambini sono frutto di matrimonio, circostanza non tenuta in eccessiva considerazione dai nostri indigeni, ragion per cui un solo maschio sarebbe sufficiente per quattro femmine. I rimanenti centomila, al compimento di un anno d'età, potranno essere offerti in vendita alle persone di qualità e di beni in tutto il regno, sempre consigliando la madre di lasciare che succino in abbondanza nell'ultimo mese, in modo da renderli grassotelli e appetitosi per una buona tavola. Un bambino basterà per due portate in un pranzo tra amici, e quando la famiglia non ha ospiti, il quarto posteriore o anteriore sarà un piatto ragionevole e poi, condito con un po' di pepe e di sale sarà ottimo come bollito il quarto

giorno, soprattutto in inverno. Ho fatto un calcolo di media, considerando che un neonato pesi cinque chili e che, in un anno solare, con un nutrimento normale, possa aumentare fino a dodici chili.

Ammetto che questo cibo costerà un po' caro ma, appunto per questo, molto adatto per i possidenti, i quali avendo già divorato la maggioranza dei genitori, godono di un buon diritto sui loro figli. La carne di neonato sarà di stagione tutto l'anno ma più abbondante in marzo, nonché un poco prima e poco dopo, poiché, come ci apprende un serissimo autore, 3 eminente fisico francese, essendo il pesce una dieta altamente prolifica, nei paesi cattolico-romani nascono assai più bambini circa nove mesi dopo la Quaresima che in ogni altra stagione; ne consegue che, un anno dopo la Quaresima, i mercati saranno più saturi del solito, poiché in questo regno il numero dei neonati papisti è di almeno tre a uno. E poi si offre un altro vantaggio collaterale nella diminuzione del numero dei papisti tra noi. Ho già calcolato la spesa per allevare il bimbo di un mendicante (e in questa categoria racchiudo i contadini, gli operai e i quattro quinti degli agricoltori) che è di circa due scellini per annum, stracci inclusi, e credo che alcun gentiluomo si lagnerà di dare dieci scellini per la carcassa di un bimbo bello grasso che, come ho detto, sarà sufficiente per quattro eccellenti e nutrienti portate, quando si abbia a cena un amico particolare o soltanto la propria famiglia. I Cavalieri impareranno cosi ad essere dei bravi possidenti e ad accrescere la loro popolarità tra i loro affittuari, la madre avrà un guadagno netto di otto scellini e potrà dedicarsi al lavoro fino a che produca un altro figlio. Coloro che sono più economi (come i tempi attuali richiedono, devo confessare) possono scuoiare la carcassa; la cui pelle, abilmente trattata, potrà servire per fare bellissimi guanti per signora, e fini stivali estivi per i gentiluomini raffinati. Quanto alla nostra città di Dublino, si possono costruire allo scopo dei mattatoi nelle zone più adatte, e possiamo essere certi che i macellai non mancheranno, anche se io 3 Rabelais (n.d.A.) — cfr. Gargantua e Pantagruele, libro V, cap. 19 (n.d.r.).

raccomanderei piuttosto di acquistare i bambini vivi, cucinandoli appena uccisi come quando si arrostiscono i porcellini. Una ben degna persona, un vero amante del proprio paese, le cui virtù io tengo in alta considerazione, si è ultimamente compiaciuto, discorrendo di questo argomento, di proporre un raffinamento per il mio progetto. Ha detto che, essendosi molti gentiluomini di questo regno dedicati in questi tempi alla distruzione dei cervi, la richiesta di selvaggina potrebbe essere soddisfatta con i corpi di giovinetti e pulzelle non oltre i quattordici anni e non sotto i dodici, di cui un gran numero di entrambi i sessi stanno morendo di fame in tutte le contee per mancanza di lavoro e di assistenza: questi dovranno essere venduti dai genitori, se ancora sono vivi, o altrimenti dai parenti più prossimi. Ma, con tutto il rispetto dovuto a un eccellente amico e a un patriota tanto meritevole, non posso condividere il suo pensiero. Perché, per quanto riguarda i maschi, il mio conoscente americano mi ha assicurato, basandosi su frequenti esperienze, che la loro carne è generalmente dura e asciutta, come quella dei nostri ragazzi in età scolastica, per i continui esercizi, e il sapore sgradevole, e che farli ingrassare non varrebbe la spesa. Infine, quanto alle femmine, penso con umile sottomissione, sarebbe una perdita per il pubblico, perché diventerebbero fattrici ben presto. Non è inoltre improbabile che qualche persona di scrupolo avesse a censurare simile pratica (seppur davvero molto ingiustamente), giudicandola un lieve sconfinamento nella crudeltà, cosa che confesso è stata sempre per me la più forte obiezione a ogni progetto, per quanto bene inteso. Ma, al fine di giustificare il mio amico, dirò che mi ha confessato anche come questo espediente gli fosse stato suggerito dal famoso Psalmanazar, 4 originario dell'isola di Formosa, stabilitosi a Londra una ventina d'anni fa e che in una 4 George Psalmanazar (1679-1763), impostore letterario, autore di una Descrizione Storica e Geografica di Formosa, edita nel 1704 (n.d.r.).

conversazione aveva detto al mio amico che, al suo paese, quando una persona giovane veniva messa a morte, il carnefice vendeva la carcassa a persone di qualità, come eccellente prelibatezza, e che ai suoi tempi, il corpo di una quindicenne grassottella, crocifissa per aver tentato di avvelenare l'imperatore, era stato venduto per quattrocento corone al Primo Ministro di Stato di Sua Maestà Imperiale e ad altri grandi Mandarini della Corte, dopo esser stato squartato sul patibolo. Né posso davvero negare che, ove lo stesso uso fosse introdotto anche in questa città, per certe nostre fanciulle grassocce che, senza neppure un soldo, non possono andare in giro senza portantina né apparire al teatro e ai ricevimenti senza vistose acconciature straniere, che non pagheranno mai, il regno non sarebbe peggiorato. Alcune persone di spirito pessimista sono in grande ansietà per il gran numero di poveri che sono ormai in età, infermi e storpi, e si è desiderato che io impiegassi il mio pensiero su quale provvedimenti potessero esser presi per sollevare la nazione da un sì penoso imbarazzo. Ma questo è un problema che non mi angustia minimamente perché è ormai risaputo che costoro muoiono e imputridiscono ogni giorno per la fame, il freddo, la sporcizia e i parassiti, con la rapidità che ci si può ragionevolmente aspettare. In quanto agli operai più giovani, essi sono ora nella stessa promettente condizione. Non riescono a ottenere lavoro e, di conseguenza, s'indeboliscono per mancanza di cibo al punto che, se per mero caso dovessero trovar modo di svolgere un lavoro qualsiasi, non avrebbero la forza di eseguirlo; e cosi il paese e loro stessi sono sulla buona strada per essere presto liberati dai mali a venire. Ho fatto una digressione troppo lunga e devo tornare pertanto al mio progetto. Penso che i vantaggi della proposta che ho fatto sono molti ed evidenti, nonché della massima importanza.

Per prima cosa, come ho già fatto notare, diminuirebbe grandemente il numero dei papisti, dai quali siamo di anno in anno soverchiati, essendo i più prolifici della nazione, nonché i nostri nemici più pericolosi, e che rimangono in patria a bella posta, col disegno di consegnare il regno all'Usurpatore, sperando di trar vantaggio dall'assenza di tanti buoni protestanti, i quali hanno preferito di abbandonare il proprio paese, anziché rimanere in patria a pagare le decime contro coscienza a un idolatra curato episcopale. In secondo luogo, gli affittuari più poveri possiederanno qualcosa di valore, che per legge potrà esser reso passibile di confisca, e servirà per pagare l'affitto al possidente, il grano e il bestiame essendo già stati confiscati ed essendo il denaro cosa sconosciuta. In terzo luogo, dal momento che il mantenimento di un centomila bambini dai due anni in poi non può calcolarsi a meno di dieci scellini al capo per annum, la riserva nazionale potrà godere di un aumento di cinquantamila sterline per annum, oltre al profitto di un nuovo piatto, introdotto sulle mense di tutti i signori d'alto rango del regno, dotati di un palato raffinato; e il denaro circolerà fra di noi essendo i beni interamente di nostro allevamento e manifattura. In quarto luogo, le fattrici regolari, oltre a guadagnare otto scellini di sterlina per annum dalla vendita dei loro bambini, saranno alleviate dal peso di mantenerli dopo il primo anno. In quinto luogo, questo cibo parimenti porterebbe molta clientela alle taverne, dove gli osti avranno certo l'avvedutezza di procurarsi le migliori ricette per la sua perfetta preparazione e, di conseguenza, avere le loro case frequentate da tutti i distinti gentiluomini che giustamente si valutano fra di loro dalla conoscenza del buon mangiare; e un abile cuoco che sa come obbligare i suoi ospiti, sarà abile a farlo tanto costoso quanto a loro piaccia.

In sesto luogo, questo costituirebbe un grande incentivo al matrimonio, che tutte le nazioni accorte hanno incoraggiato con ricompense, o imposto con leggi e penalità. Le cure e la tenerezza delle madri verso i figli aumenterebbero quando avrebbero la certezza di una sistemazione a vita per i poveri infanti, provveduta in qualche modo dal pubblico, con un loro profitto annuo, invece che una spesa. Assisteremmo ben presto a un'onesta emulazione tra le donne sposate, su quale di loro porterebbe al mercato il bambino più grasso. Gli uomini diventerebbero affezionati alle mogli, durante il periodo della gravidanza, come lo sono ora alle proprie giumente o vacche pregne, o alle scrofe quando stanno per figliare; e neppure si azzarderebbero a picchiarle o ingannarle (com'è pratica troppo frequente), per tema di farle abortire. Si potrebbero enumerare parecchi altri vantaggi. Per esempio l'aggiunta di qualche migliaio di carcasse alle nostre esportazioni di carne conservata; la diffusione della carne suina e un miglioramento nell'arte di fare del buon bacon, tanto richiesto tra noi e, a giudicare dalla grande distruzione di maiali, troppo frequente sulle nostre mense, non sono in nessun modo comparabili, per gusto e splendore, a un bambino di un anno grasso e ben nutrito, che arrostito intiero farà una considerevole figura a una festa del Sindaco o a un festeggiamento pubblico. Ma ometto questo ed altro, essendo io amante della concisione. Supponendo che mille famiglie in questa città fossero assidue consumatrici di carne di bambino, oltre a quelle che potrebbero mangiarne in allegre occasioni, particolarmente matrimoni e battesimi, calcolo che Dublino avrebbe un consumo annuo di circa ventimila carcasse, e il resto del regno (dove probabilmente sarebbero vendute un poco più a buon mercato) delle rimanenti ottantamila. Non riesco a pensare a nessuna obiezione che possa essere sollevata contro questa proposta, a meno che non si adduca che il numero delle persone sarebbe di molto diminuito in tutto

il regno. Questo io lo ammetto spontaneamente, ed è stato in effetti uno degli scopi principali per cui l'ho proposto al mondo. Desidero far osservare al lettore che io stimo il mio rimedio utile solo per questo unico e singolo Regno d'Irlanda e per nessun altro che mai sia stato, sia o credo possa mai esservi sulla terra. Pertanto che nessuno mi parli di altri sistemi: Di tassare i nostri assenti di cinque scellini a sterlina; Di non usare abiti né mobili eccetto quelli da noi prodotti e fabbricati; Di rifiutare categoricamente materiali e strumenti che incoraggiano prodotti esteri di lusso; Di sanare la dispendiosità dell'orgoglio, della vanità, della pigrizia e del giuoco nelle nostre donne; Di introdurre una vena di parsimonia, prudenza e temperanza; Di imparare ad amare il nostro paese, cosa in cui ci differenziamo persino dai lapponi e dagli abitanti di Topinambu; Di metter da parte le animosità e le fazioni e di non comportarci più a simiglianza degli ebrei, i quali si uccidevano vicendevolmente nello stesso momento in cui la loro città veniva presa; Di essere un poco cauti e di non vendere il nostro paese e le nostre coscienze per nulla; Di insegnare ai possidenti ad avere un minimo di pietà verso i loro affittuari. E infine, di instillare uno spirito di onestà, industriosità e abilità nei nostri negozianti i quali, se venisse ora approvata la legge di acquistare solo i nostri prodotti nazionali, si unirebbero immediatamente per truffarci e vessarci sul prezzo la qualità e la quantità, né potrebbero mai venire indotti a negoziare onestamente, sebbene spesso lealmente invitati a farlo. Ripeto dunque, nessuno mi venga a parlare di questi e analoghi sistemi, fino a che non avrà un barlume di speranza che si possa mai compiere un tentativo coraggioso e onesto per metterli in pratica. Quanto a me, essendomi stancato per molti anni a offrire idee considerate vane, inutili, visionarie, e disperando ormai del

successo, ho fortunatamente trovato questa proposta che, essendo affatto nuova, ha di conseguenza qualcosa di solido e di reale, è di nessuna spesa e di poca fatica, è nei pieni nostri poteri e pertanto non ci mette in pericolo di scontentare l'Inghilterra. Infatti questo genere di mercanzia non tollera l'esportazione, essendo la carne di consistenza un po' troppo tenera per potersi mantenere prolungatamente sotto sale, anche se forse potrei fare il nome di un paese che sarebbe felice di divorare l'intera nostra nazione anche senza. In fin dei conti non sono poi tanto violentemente deciso a non mutare opinioni, al punto di rifiutare altre soluzioni, proposte da uomini savi, che siano ritenute altrettanto oneste, a buon mercato, semplici ed efficaci. Ma prima che qualcosa del genere sia contrapposto al mio progetto e offra di meglio, desidero che l'autore, o gli autori, vogliano considerare in piena consapevolezza due punti. Primo, stando ora così le cose, come riusciranno a trovare vitto e vestiario per centomila bocche e schiene inutili? E, in secondo luogo, essendovi in tutto il regno circa un milione di creature in sembianze umane, le cui sostanze messe in comune li lascerebbero in debito di due milioni di sterline; aggiungendovi i mendicanti di professione al grosso dei contadini, allevatori e operai, con mogli e figli, tutti mendicanti in effetti; io desidero che quei politicanti, ai quali è riuscita sgradita la mia proposta e che sarebbero forse così temerari da arrischiare una risposta, richiedano prima ai genitori di questi mortali se oggi non si riterrebbero oltremodo fortunati di esser stati venduti come cibo a un anno di età nel modo da me consigliato, evitando di conseguenza una tale catena di perpetue disgrazie come quelle che hanno passato da allora, per l'oppressione dei possidenti, l'impossibilità a pagare affitto senza denaro e senza nulla da barattare, privi di qualsiasi sostentamento, senza casa e senza indumenti per ripararsi dall'inclemenza del tempo, e con la prospettiva quasi inevitabile

di tramandare per sempre queste, o più grandi miserie, alla loro prole. Dichiaro con tutta sincerità che non ho il benché minimo interesse personale nel cercar di promuovere questa misura necessaria, non avendo altro motivo che il bene pubblico del mio paese, aumentando i nostri commerci, avendo cura dell'infanzia, assistendo i poveri e dando qualche soddisfazione ai ricchi. Non ho figli dai quali potermi riproporre di ricavare anche un solo penny: il minore ha nove anni e mia moglie ha ormai passato l'età delle gravidanze.

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