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Italian Pages 317 [318] Year 2000
Giacomo Perego
LA NUDITÀ NECESSARIA Il ruolo del giovane di Me 14,51-52 nel racconto marciano della passione-morte-risurrezione di Gesù
SAN PAOLO
GIACOMO PEREGO, sacerdote della Società San Paolo, dopo gli studi teologici ha conseguito la Licenza in Scienze Bibliche presso il Pontificio Istituto Biblico di Roma. Ha frequentato corsi di specializzazione presso l'É-
cole Biblique et Archéologique Française di
Gerusalemme, dove nel gennaio 2000 ha conseguito il Dottorato in Scienze Bibliche. Collaboratore presso la redazione biblica delle Edizioni San Paolo, ha pubblicato l'Atlante Biblico2 Interdisciplinare (Cinisello Balsamo 1999 ) e l'Atlante Didattico della Bibbia (Cinisello Balsamo 2000).
In copertina: La cattura di Cristo. Cavalier d'Arpino (1558-1640). Roma, Accademia di San Luca. Foto SCALA.
La nudità necessaria
Giacomo Perego
La nudità necessaria li ruolo del giovane di Me 14,31-32 nel racconto marciano della passione-morte-risurrezione di Gesù
S A N FWOLO
Tesi di Dottorato in Scienze Bibliche Diretta dal p r o f . MARIE-EMILE BOISMARD, OP
École Biblique et Archéologique Française de JcruziLm
© EDIZIONI SAN PAOLO s.r.l., 2000 Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) http://www.stpauls.it/libri Distribuitone: Diffusione San Paolo s.r.l. Corso Regina Margherita, 2 -10153 Tosino
A don Umilio Cicconi, ssp don Venanzio Floriano, ssp e suor Leonarda Pompiglio, pddm con tanta riconoscenza
PREFAZIONE
Il presente studio è stato discusso come Dissertazione dottorale in Scienze Bibliche presso l'École Biblique et Archéologique Française di Gerusalemme, il 7 gennaio dell'anno 2000. Il testo attuale risulta arricchito dalle osservazioni e dalle indicazioni emerse nel corso della difesa accademica. Al termine di questo lavoro, ora consegnato al mondo dell'esegesi, mi sia permesso esprimere la mia riconoscenza al direttore di Tesi, il prof. M.-E. BoiSMARD, che ha saputo guidarmi con la sua competenza lungo le diverse fasi della ricerca, favorendo un'attenta analisi del testo e aiutandomi ad articolare con precisione le diverse parti del presente volume. Il tutto, perché il racconto di Marco potesse rimanere costantemente il vero protagonista delle mie considerazioni. È questa un'eredità preziosa che raccolgo con premura, cosciente di come essa possa progressivamente maturare solo attraverso anni di esperienza e di dialogo con i Testi Sacri, cosa che il prof. M.-E. BoiSMARD ha condotto con infaticabile dedizione. Devo molto alla qualità della relazione umana che ha caratterizzato gli scambi tra «maestro» e «discepolo», favorendo enormemente il clima del lavoro. Ringrazio vivamente anche il prof. P . GARUTI, contro-relatore, per i suggerimenti puntuali e preziosi con cui ha pazientemente accompagnato gli ultimi ritocchi della tesi, e i tre lettori che - in qualità di membri della giuria - hanno contribuito al chiarimento di alcuni passaggi significativi: il prof. J . M . POFFET, attuale direttore dell'École Biblique, il prof. J. T A Y L O R e il prof. A. M A R C H A D O U R . Un debito di profonda gratitudine mi lega a tutti i docenti e ricercatori di questa rinomata Scuola, in mezzo ai quali ho appreso quella sapida ricerca e quell'attento studio della Scrittura che, insieme al soffio dello Spirito, possono restituire alla Parola la ricchezza di cui è ripiena e la forza dinamica di cui è messaggera. La mia riconoscenza si estende anche alla mia famiglia religio-
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Prefazione
sa, la Società San Paolo: superiori e confratelli mi hanno sempre sostenuto e incoraggiato, manifestando nei miei confronti una disponibilità e una stima immeritate. Un debito particolare mi lega a don E. C I C C O N I , a don V. F L O R I A N O e a suor L. P O M P I G L I O , che non sono mai venuti meno nel delicato compito di accompagnare con la loro saggezza e la loro preghiera questo tempo di ricerca, perché l'esercizio della mente fosse in sintonia con la maturazione dello spirito e del cuore. È a loro che dedico il frutto di questi anni. Ringrazio infine i miei genitori, mia sorella e tutti i familiari che hanno sostenuto con l'affetto l'austerità di lunghe giornate trascorse nell'approfondimento minuzioso delle pagine del vangelo di Marco. G i a c o m o Perego, ssp 10 febbraio
2000, memoria
di Santa
Scolastica
ABBREVIAZIONI (le riviste s o n o indicate in corsivo)
ABR ABS A ACNT AGSU AJA AnBib AncB ARom ASTI BCNT BCultRel BETL BH Bib Bill BiRev BiTod BiTr BLE Supp BN7C BSNAF BSTo BTB BZ BZNW Carth
Australian Biblical Review Annual of the British School at Athens Augsburg Commentary on the New Testament Arbeiten zur Geschichte des Spätjudentums und des Urchristentums American Journal of Archaeology Analecta Biblica The Anchor Bible Analecta Romanica Annual of the Swedish Theological Institute Biblischer Kommentar zum Neuen Testament Biblioteca di cultura religiosa Bibliotheca Ephemeridum Theologicarum Lovaniensium Bibliothèque Historique Biblica Kommentar zum Neuen Testament aus Talmud und Midrasch Biblical Review Bible Today Bible Translator Bulletin de Littérature ecclésiastique. Supplément Black s New Testament Commentaries Bulletin de la Société Nationale des Antiquaires de France The Bible Speaks Today Biblical Theology Bulletin Biblische Zeitschrift Beihefte zur Zeitschrift für die neutestamentliche Wissenschaft Carthaginensia
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Abbreviazioni
CBC CBQ CBQ MS CCHS CdR CGTC CJ JC CNEB ComScS CRB CrCC CSpNT CSS CStB CTePa CTHP CTNT DACL DAGR DB DENT DStB EBC EHPhR EJ Em EstB ESW EtB EtB NS ETL ETR Eu Th Exp ExpB ExpT FRLANT
Collegeville Bible Commentary Catholic Biblical Quarterly Catholic Biblical Quarterly. Monograph Series Catholic Commentary on Holy Scripture Classici delle religioni Cambridge Greek Testament Commentary Collection Jésus et Jésus-Christ Cambridge Bible Commentary on the New English Bible Commentarla in Scripturam Sacram Cahiers de la Revue Biblique Crossway Classic Commentaries Commenti Spirituali del Nuovo Testamento Cursus Scripturae Sacrae Commenti e studi biblici Collana di testi patristici Collection de théologie Héritage et Projet Commentario teologico del Nuovo Testamento Dictionnaire d'archéologie chrétienne et de liturgie Dictionnaire des antiquités grecques et romaines d'après les textes et les documents Dictionnaire de la Bible Dizionario Esegetico del Nuovo Testamento Daily Study Bible Expositor's Bible Commentary Études d'histoire et de philosophie religieuses Encyclopaedia Judaica Emmanuel Estudios Biblicos Ecumenical Studies in Worship Études bibliques Études bibliques. Nouvelle Série Ephemerides Theologicae Lovanienses Études Théologiques et Religieuses Evangelische Theologie Expositor Expositor's Bible Expository Times Forschungen zur Religion und Literatur des Alten und Neuen Testaments
Abbreviazioni
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Grande Lessico del Nuovo Testamento Grande Lessico del Nuovo Testamento. Supplement! Gregorianum Hand-Kommentar zum Neuen Testament Handbuch zum Neuen Testament Homiletic and Pastoral Review International Critical Commentary The Interpreter's Dictionary of the Bible The Interpreter's Bible in Twelve Volumes Interpretation Irish Biblical Studies International Standard Bible Encyclopaedia Journal of the American Academy of Religion Journal of Biblical Literature Journal far the Study of the New Testament Journal for the Study of the New Testament. Supplement Journal for the Study of the Old Testament Journal for the Study of the Old Testament. Supplement Journal of Theological Studies Journal of Theologie for Southern Africa Kritisch-exegetischer Kommentar über das Neue Testament Kommentar zum Neuen Testament Loeb Classical Library Letture cristiane delle origini Letture cristiane del primo millennio Lectio Divina Lectio Divina Commentaires Linguistica biblica The Living Word Literature of the New Testament Meyer's Kommentar zum Neuen Testament Moffat New Testament Commentary Le monde de la Bible The New Century Bible Commentary Neue Echter Bible. Kommentar zum NT mit der Einheitsübersetzung
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Abbreviazioni
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Neutestamentliche Abhandlungen New International Biblical Commentaiy New International Commentary on the New Testament The New International Dictionary of New Testament Theology New International Dictionary of Old Testament Theology and Exegesis New International Greek Testament Commentary The New Interpreter s Bible in Twelve Volumes Nouvelle Revue Théologique Novum Testamentum New Testament Commentary Das Neue Testament Deutsch New Testament Message New Testament Studies Okumenisker Taschenbuchkommentar zum Neuen Testament Patrologiae cursus completus. Accurante J.-P. Migne. Series Graeca Pelican Gospel Commentaries Philologische Untersuchungen Patrologiae cursus completus. Accurante J.-P. Migne. Series Latina Perspectives in Religious Studies Publications of t he University of Manchester. Theological Series Revue Biblique Real-Encyclopädie der classichen Altertumwissenschaft in alphabetischer Ordnung Rivista Biblica Regensburger Neues Testament Recherches de Science Religieuse Revue Thomiste Review of Theology and Philosophy Religionsgeschichtliche Versuche und Vorarbeiten La Sagrada Escritura. Nuevo Testamento Sacra Pagina La Sainte Bible Society of Biblical Literature. Dissertation Series
Abbreviazioni
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Society of Biblical Literature. Semeia Series Stuttgarter Bibelstudien Studies in Biblical Theology. New Series Sources Chrétiennes Science et Esprit Scripture, Quarterly of the Catholic Biblical Association Scrittori Greci e Latini Studies in Judaism in Late Antiquity Scottish Journal of Theology Scritti delle origini cristiane Scripta Pontificii Instituti Biblici Supplementi alla Rivista Biblica Studia Anselmiana Studia evangelica Studies of the New Testament and its World Studia Taurinensia Sammlung Töpelmann Subsidia Biblica Thèmes bibliques Théologie Theologischer Handkommentar zum Neuen Testament Theological Inquiries Tyndale New Testament Commentaries Theologisches Wörterbuch zum Alten Testament Theologische Zeitschrift Verbum Domini Verbum Salutis Word Biblical Commentary Woodbrooke Studies. Christian documents in Syriac, Arabic and Garshuni Wuppertaler Studienbibel Wissenschaftliche Untersuchungen zum Neuen Testament Zeitschrift für die neutestamentliche Wissenschaft
INTRODUZIONE
«Un giovanetto ineamskos) però lo seguiva, rivestito soltanto di un lenzuolo, e lo fermarono. Ma egli, lasciato il lenzuolo, fuggì via nudo» (Me 14,51-52). Così la traduzione della Cei presenta la misteriosa scena che da sempre ha intrigato il mondo dell'esegesi, suscitando non pochi interrogativi: Chi è questo «giovanetto»? Perché l'evangelista presta attenzione a un particolare tanto curioso? Per quale motivo egli insiste sulla sua nudità? Fin dalle prime riflessioni sul secondo vangelo, questo episodio ha attratto l'attenzione di diversi commentatori, preoccupati per Io più di dare un nome al giovane o di decifrare la portata della scena che lo vede protagonista. La nostra ricerca si inserisce su questo sfondo, non tanto allo scopo di iicostruire la «carta d'identità» dell'enigmatico neaniskos (operazione che riteniamo poco conforme alla sensibilità di chi, redigendo il passaggio, ha preferito lasciare nell'anonimato il protagonista...), ma piuttosto per proporre una lettura che tenga conto dell'ampio contesto in cui l'episodio è inserito dall'evangelista. Il vangelo di Marco sarà preso in considerazione così come esso è giunto a noi, da Me 1,1 a Me 16,8 scorrendolo, come si farebbe con un grande affresco, dai particolari all'insieme; dalla breve pericope, a quelli che sono i temi teologici principali. È evidente che tale approccio non rifiuta e nemmeno si pone in opposizione ai risultati di una lettura diacronica del testo. Essi, al contrario, saranno preziosi in certi passaggi del nostro lavoro. È il caso, per esempio, di Me 16,1-8: di fronte a questa pericope è indispensabile tenere presenti i risultati dell'analisi storico-critica che, nella maggioranza dei suoi rappresentanti, considera Me 16,8 come la finale originale del secondo vangelo. Il nostro obiettivo, tuttavia, non sarà quello di risalire alle cause storiche che hanno motivato una simile finale (nella quale viene gettata una luce negativa
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Introduzione
sui discepoli), ma piuttosto quello di soffermarci sul «gioco» che viene a crearsi tra il redattore e il lettore, tra la provocazione dell'evangelista e la possibile risposta del fedele. Evidentemente, Marco ha un intento ben preciso quando sceglie di terminare la sua buona novella sotto il segno scandaloso della fuga e del silenzio delle donne, suscitando non pochi interrogativi nella mente del lettore. Riscontriamo un caso analogo in Le 15,11-32 dove la cosiddetta «parabola del figliol prodigo» termina senza comunicare una vera e propria conclusione della vicenda, provocando in tal modo la riflessione del lettore e obbligandolo a mettersi in discussione1. La nostra ricerca si accosta al testo di Me 14,51-52 con domande specifiche. Esse concernono il contesto in cui è inserita la pericope e il personaggio che ne è protagonista: In quale contesto è situata la scena? Che ruolo assume tale posizione? Che cosa il racconto ci dice circa il tteaniskos? Quali sono i tratti con cui viene presentato? Come la sua identità, le sue relazioni vengono modificate lungo la narrazione? Chi e che cosa provoca queste trasformazioni? Come e perché? Quale è il rapporto del protagonista con il suo passato? Quali sentimenti il racconto risveglia nei confronti del giovane2? Queste domande saranno rivolte al testo, dopo che quest'ultimo sarà stato solidamente «fissato» attraverso una minuziosa soluzione dei problemi testuali. Anche in questo caso, si deve ricorrere a un'operazione che si colloca all'interno di un'analisi diacronica del testo, in cui la pericope viene studiata tenendo presente la storia del testo e lo sfondo in cui esso è stato redatto. La complementarità dei diversi metodi di interpretazione si rivela, in tal senso, necessaria. Premesso questo, presentiamo in sintesi le parti in cui si snoda la nostra ricerca. Per motivi di chiarezza espositiva abbiamo preferito adottare un iter che va dal particolare al generale, dalla breve pericope al contesto in cui essa è inserita. Lo stile, a volte didattico e schematico, è decisamente voluto per favorire una trattazione chiara e progressiva delle conclusioni a cui perverrà lo studio. Esso si articola in sei parti. 1 Cfr. KLNGSBURY J.D, (ed.), Gospel Interpretation. hlanative-CrìticalandSoaaLSdentific Apptoaches, Harrisborg 1997,65-70. Cfr. anche il breve ma chiaro articolo di POWEU. M A , «Toward a Narrative-Critical Understanding of Mark», Interp 47 (1993) 341-346. ! Cfr. MARGUERAT D. - BOURQUIN Y„ La Bibte se raconte. Initiation à l'analyse narrative, Paris 1998,189-190.
19 Introduzione
1) Nella prima parte si propone uno sguardo generale alle diverse interpretazioni che, lungo la storia, hanno contribuito a illustrare il curioso episodio di Me 14,51-52. Ciò ci permette da un lato di notare come la questione possa essere affrontata partendo da prospettive molto diverse tra loro, e dall'altro di mettere a fuoco i due nodi che costituiranno anche per noi i problemi da risolvere alla radice, prima di procedere all'analisi stessa del testo: le questioni testuali e l'interpretazione dei termini. 2) A questi due problemi si dedica la seconda parte: nel primo caso affronteremo una questione maggiore di critica testuale e tre questioni minori, di più facile soluzione. Visto che tali questioni possono fortemente condizionare la lettura e l'interpretazione del testo proprio su aspetti chiave come la nudità e il concetto di sequela, è bene sottoporle fin dall'inizio alla nostra attenzione. Il secondo nodo da sciogliere è invece legato ai termini che compongono la pericope: spesso, infatti, le differenze nell'esegesi dei diversi commentatori nascono da una diversa interpretazione del vocabolario. Tra i vocaboli più discussi incontriamo •γυμνός, ν€ανίσκος, συυακολουθέω. Tutta la seconda parte, pertanto, è dedicata alla pericope di Me 14,51-52: i suoi problemi testuali, il suo vocabolario, la sua struttura. 3) La terza parte amplia l'orizzonte del nostro studio, inserendo la breve scena nel contesto più ampio della sezione narrativa che Marco dedica al mistero pasquale. Una volta delimitata la sezione, si tratta di stabilire lo snodarsi delle singole pericopi che la compongono, il significato del loro ordine e il ruolo che all'interno di esse riveste il nostro episodio. Si tratta di operazioni fondamentali in quanto ci permettono di notare come Me 14,51-52 non sia assolutamente una scena casuale ο conclusa in se stessa ma, al contrario, sia un testo ricco di richiami e di rimandi, soprattutto con la pericope conclusiva di Me 16,1-8. È qui che il nostro itinerario si dovrà dividere in due approfondimenti paralleli: in primo luogo quello di Me 14,51-52 collocato sullo specifico sfondo che lo caratterizza, e in secondo luogo quello di Me 16,1-8 anch'esso approfondito a partire dal contesto in cui l'evangelista lo ha collocato. Sono i due aspetti che saranno oggetto della quarta e quinta parte. 4) La quarta parte si interroga sul ruolo e sul significato del neaniskos che entra in scena nel momento in cui Gesù viene arrestato (Me 14,51-52). Evidentemente, ciò non è casuale e l'impor-
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Introduzione
tanza dell'episodio può emergere solo prendendo in considerazione i temi teologici che Marco sviluppa lungo tutto il ministero pubblico di Gesù e che giungono a un primo compimento nel momento in cui il Maestro viene «consegnato nelle mani degli uomini» (Me 9,31). 5) Il medesimo procedimento caratterizza l'analisi della quinta parte, dove la nostra attenzione si sposta sulla pericope di Me 16,18 nella quale un altro neaniskos entra in scena come testimone della risurrezione di Gesù. A lui si oppongono le donne, che si recano al sepolcro per ungere il cadavere del Maestro: il «faccia a faccia» tra il primo e le seconde costituisce uno degli aspetti più importanti che infonde alla chiusura del vangelo una forza di provocazione tutta particolare. 6) Il nostro itinerario si chiuderà con un breve excursus nel quale ci proponiamo di verificare alcune delle posizioni illustrate nella prima parte: se alcuni approcci si manifestano poco opportuni in vista di un chiarimento della scena, altri si rivelano al contrario suggestivi ma, non per questo, argomentabili fino in fondo. È il caso, per esempio, di chi suggerisce uno sfondo battesimale a tutto il secondo vangelo, ipotesi che necessita di essere presa in considerazione prima di passare alle conclusioni della ricerca. I frutti a cui condurrà la nostra ricerca permetteranno non solo di cogliere il ruolo e la portata del breve episodio che vede protagonista il giovane marciano, ma anche di rileggere sotto una diversa luce l'intero racconto della passione, morte e risurrezione di Gesù.
1 UN EPISODIO INTRIGANTE
Il curioso episodio a cui vogliamo dedicare il nostro studio nelle seguenti pagine ha concentrato su di sé, fin dall'epoca patristica, l'attenzione di molti esegeti e studiosi del Nuovo Testamento. Perfino uno scrittore e poeta laico come GABRIELE D ' A N N U N Z I O , di fronte a un simile episodio, si sentì in dovere di annotare: «Non avete mai pensato chi potesse mai essere quel giovane "amictus sindone super nudo", del quale parla il vangelo di Marco?... Chi era quel tredicesimo apostolo, che aveva assunto il posto di Giuda nell'ora dello spavento e della grande angoscia? Era vestito d'un vestimento leggero. Si fuggì ignudo, "reiecta sindone, nudus profugit ab eis". Nulla più si seppe di lui nel mondo»3. E pertanto opportuno, prima di inoltrarci nel pieno della nostra argomentazione, presentare una rassegna generale delle diverse interpretazioni che l'esegesi ha offerto circa la pericope di Me 14,5152. Per una maggior chiarezza espositiva, distingueremo tre aree principali di lettura: l'area che definiamo storica, in quanto si propone di identificare il neaniskos con una figura storica che ha vissuto in prima persona l'episodio narrato dall'evangelista (1.1); l'area che chiamiamo veterotestamentaria perché situa la breve pericope sullo sfondo di uno o più brani dell'Antico Testamento (1.2), e l'area che nominiamo simbolica dal momento che fa del giovane in fuga una figura paradigmatica messa in scena per evidenziare o anticipare un preciso messaggio teologico (1.3)4. Si tratta di una classificazione «sommaria» che si propone semplicemente di offrire uno schema di base a partire dal quale possa risultare più chiara la presentazione del problema ermeneutico legato alla pericope su cui ci soffermiamo. 1
D'ANNUNZIO G., Contemplazione della morte, XV, aprile 1912. Per questa prima parte della ricerca, ho valorizzato l'approfondito studio già condotto sull'argomento da NtlRYNCK F„ «La fuite du jeune homme en Me 14,51-52», ETL 55 (1979) 43-66.1 diversi ri erimenti ad autori e linee di interpretazione sono stati evidentemente approfonditi e completati con la bibliografia edita lungo gli ultimi 20 anni. 4
1.1 L'AREA DI INTERPRETAZIONE STORICA
Passando in rassegna le diverse posizioni che fm dai primi secoli hanno cercato di illustrare l'enigmatico episodio di Me 14,51-52, si resta stupiti di fronte all'ampio ventaglio di nomi che sono stati proposti nel tentativo di definire l'identità del protagonista: Giovanni (chiamato anche «il discepolo prediletto»), Giacomo fratello del Signore, Lazzaro, Pietro, Paolo, Marco, un testimone oculare conosciuto personalmente da quest'ultimo. Queste diverse identificazioni hanno dato di volta in volta consistenza a quell'anonimo personaggio che, lasciando un sommario abbigliamento nelle mani dei suoi aggressori, si diede alla fuga nudo. Passiamo ora brevemente in rassegna queste diverse identificazioni cercando allo stesso tempo di mettere in luce i limiti di un approccio che si propone di dare un nome preciso al misterioso neaniskos di Marco.
1.1.1 Giovanni, il discepolo prediletto Nei primi secoli dell'era cristiana, l'esegesi si è molto preoccupata di identificare la figura del giovane che fugge nudo. Tra i Padri della Chiesa, l'opinione più diffusa è quella che coglie nel neaniskos una «fotografia» di Giovanni, il discepolo prediletto. Al momento dell'arresto, infatti, sia Me 14,51-52.54 che Gv 18,15-16 mettono in scena due figure che tentano di restare al fianco di Gesù: da un lato Pietro (Me 14,54; Gv 18,15), dall'altro un «secondo discepolo» definito come un νεανίσκος τις da Me 14,51 e come un άλλος μαθητής da Gv 18,15. L'utilizzo in entrambi i casi dell'indefinito (τις e άλλος) sembra favorire l'accostamento. È a partire da questi dati che il neaniskos marciano diventa quel discepolo prediletto identificato dalla tradizione con Giovanni, figlio di Zebedeo. Ciò, secondo i Padri, sarebbe tra l'altro confermato dalla giovane età del protagonista. Questa tesi è sostenuta da AM-
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1. Un ep isodio intrigante
BROGIO, B E D A , GIOVANNI CRISOSTOMO, G R E G O R I O M A G N O e P I E -
TRO CRISOLOGO 5 .
Del resto, come fa notare NEIRYNCK, le analogie tra il neaniskos che segue Gesù dopo l'arresto e «l'altro discepolo» che, con Pietro, segue il Maestro in Gv 18,15-16 giocano ancora un certo ruolo anche nell'esegesi giovannea recente: J . B . GREEN ne fa menzione in uno studio dedicato alla passione e morte di Gesù, invitando il lettore a tenere presente l'accostamento tra i due testi, mettendo in rilievo come tanto il neaniskos quanto «l'altro discepolo» entrino in scena nello stesso momento della narrazione, costituendo entrambi una figura enigmatica presentata al lettore**. ' Cfr. AMBROGIO DI MILANO, In Psalmum XXXVI enarratio: «Novit Scriptura adolesceiitem Paulum jam proximum conversioni (Act VII,57); novit et Euthycum adolescemem, qui cum sermontbus Pauli internus haereret, somno victus de tritecto cecidit et resurrexit (Act. XX,9); novit et Joannem adolescentem inChristi pectore recumbentem (Joan, ΧΙΠ,23), qui tam iortis iuit, ut persecutionem non tiineret, malum vincerei. Hic est puer qui patrem genitalem reliquit (Matth. IV,20), secutus Patrem eum quem cognovit aeternum; adolescens amictus sindone, Dominum sequebatur tempore passionis, qui sua omnia dereliquerat (Marc. XIV,51)» (PL 14, 993). BEDA IL VENERABILE, In Marci Evangelium Expositio: «Quis autem fuerit iste adolescens, evangelista non dicit sed notandum solertius quod de hoc adolescente scribens evangelista, non alt quia fugit a comitatu, vel fugit a sequendo Domi um, sed, rejecta, i quit, sindone, nudusptofugit ab eis. Fugit enim ab hostibus, quorum et praesentiam detestabatur et facta; non fugit a Domino Salvatore ac magistio suo, cujus amorem etiam corpore abse s fixum in corde servavi t. Neque aiiquid vetat intelligi Joannem hunc fuisse adolescentem, dilectum prae caeteris magistro discipulum. Nam et ilium eo tempore fuisse adolescentem, longa post haec in carne vita ejus indicio est» (PL 92,278-279). GIOVANNI CRISOSTOMO, Commentariorum in joannem. Homilia LXXXIIÌ (commentando Gv 18,15): «Τις έστιν ó άλλος μαβητής; Αυτός ό ταύτα γράψας Κοά τίνος ένεκεν έαυτόν ού λέγει; "Ore μέν γάρ επί τό στήθος όνέπεσε τοΰ Ί η σ ο ϋ , είκότως ίαυτόν κρύπτει: ν ΰ ν δέ τίνος ένεκεν τ ο ύ τ ο ποιεί; Τής αΐιτής ένεκεν αΐτίος. Και γάρ και έ ν τ α ϋ θ α μέγα κ α τ ό ρ θ ω μ α διηγείται, ότι, ιιάντιον άποπηδησάντιον, αυτός έπηκολούθει» (PG 59,449). GREG ΟΡ ΙΟ MAGNO, Moralium Libri sive Expositio in Ubrum B. Job XIV, 49,57 (riferendosi agli episodi dell'arresto di Gesù): «Stetit equidem aliquandiu Petrus, sed tamen post territus negavit (Matth XXVI,70). Stetit etia Joannes, cui ipso crucis tempore dictum est: Ecce mater tua (Joan. XIX,27). Sed perseverare minime potuit, quia de ipso quoque scriptum est quod adolesce s quidam sequebatur illu amictus sindone super nudo, et tenuerunt eum; at ille rejecta sindone, nudus profugit ab eis (Marc. XIV,51)» (PL 75, 1068)PIETBO CRISOLOGO, Sermones. Sermo LXXVlll (commenta do la domanda di Gesù in Gv 21,4): «Ibi enim erat Petrus, qui negaverat (Matth. XXVI). Thomas, qui dubitaverat (Joan. XX); Joannes, qui fugerat (Me XIV)...» (PL 52,420). Cfr. anche - per una prima rassegna dei diversi Padii che condividono tale ipotesi - CORNELIUS A LAPIDE, In JJ. Matthaeum et Man um (ComScS XV), Parisiis 1868 (or. 1636), 714: «Quaerens quis fuit hic adolescens? (...) Beda et Glossa hic, et S. Chrysostomus, in Pshm. XÌII, et S Ambrosius, in Psalm. XXXVI, etS. Gregorius, lib. XIV Moral., cap. ΧΧΠΙ, ac Baroirius opmantur fuisse S. Joannem: hic eniin inter Apostolos erat adolescens et natu minimus. Verum non fuisse Joannem, necjacobum, nec aiiquem ex Apostolis liquet ex eo quod immediate praemisit Marcus, vers. 50, dicent: Tunc discipuli (Apostoli) ejus relinquentes eum, omnes fugerimt». 6 Cfr. GREEN J.B., The Death of )esus. Tradition and Interpretation in the Passion Narra-
1. Un episodio intrigante
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1.1.2 Giacomo, fratello del Signore Una seconda ipotesi coglie nel protagonista in fuga l'immagine di Giacomo, il fratello del Signore. Questa linea interpretativa viene segnalata da tre autori antichi: EUTIMIO, lo PSEUDO-GLROLAMO e TEOFILATTO 7 . Si tratta di una lettura per certi versi «originale», che partendo dal particolare abbigliamento del neaniskos vi intravede un riferimento a Giacomo così come egli viene descritto all· interno della letteratura apocrifa4. Tale interpretazione, del re2/33), Tubi gen 1988, 269-270. Le medesime osservazioni erano state fatte all'inizio del secolo da BACON B.W, nel suo articolo, «The Disciple whom Jesus loved», ExpT 8 (1907) 324-339 - soprattutto p. 327 - e nel suo studio, The Fourth Gospel in Research and Debate A Series of essays on problems concerning the origin and the value of the anonymous writings attributed to the Apostle John, London 1910, 308. Anche DiBELIUS M. vi fa acce no in Die Fotmgeschichte dei Evangeliums, Tubingen 1961 (or. 1919), 183-184.217-218, Lo stesso NEIKWCK F. lichiama l'accostamento in: « I t e "Other Disciple" in Jn 18,15-16», ETL 51 (1975) 113-141, soprattutto nelle pp. 135-136. ' Cfr. EUTIMIO, Commentar/US in quatuor evangelio. In Mattbaeum XXVI (commentando il v. 56): «Μάρκος δέ προσέθΐκεν ότι καί εις τις νεανίσκος ήκολούβησεν α ύ τ φ , περιβεβ>η|ιένος σ ι ν δ ό ν α ètti γυμνού. Και κ ρ α τ ο ϋ σ ι ν αύτόν ol νεανίσκοι: ό δέ «χταλιπών τήν σινδόνα, γυμνός ϊφν^εν άπ'αύτων. Τινές μέν ούν φασιν ά ι ώ της οικίας εκείνης είναι τον νεσνίσκον, έν ή τό πάσχα εφα>εν ό Χριστός; gispoi δέ λεγουσιν είναι χοϋτον Ί ά κ ω β ο ν τόν άδελφόν τοΰ Κυρίου, ό ς καί παρ'δλην τήν è α υ τ ο ύ ζωήν έν'ι κεριβολαίζο έκέχρπτο. Περιεβέβλητο δέ τήν σ ι ν δ ό ν α επί 7ο>ινοΰ, τοΰ σώματος δηλονότι» IPG 129,694). PSEUDO-GIROLAMO, Brevtarium in Psalmos Psalmus XXXVIl (commentando l'espressione salmica: «et vim faciebant qui quaerebant winmm meam): «Faciebant vim, non noti, sed Judaei: vel Petro, cum dicerent: nam et tu ex illis es (Luc. XII). Veljacobo: qui cum traheretur, relicta sindone, nudus aufugit ab eis (Marc. XIV)» (PL 26, 939). TEOFILATTO, Enarratio in evangelium S. Marci XIV: «Οντος δέ ό νεανίσκος εικός ΔΤΙ έκ ιί\ς οικίας έκείνης ην, έν η Ιφαγον τό πάσχα,.Τινές δέ φασι τούτον Ίάκωβον είναι τόν άδελφόθεον, τόν έπικληθέντα Δίκαιον. Ούτος γάρ évi περίβολαίω έκέχρητο πάσαν τήν αύτού ζωήν: δς καί τόν θρόνον των Ιεροσολύμων παρά ιών αποστόλων έλαβε μετά τήν τοΰ Κυρίου άνάληψιν. Καί ούτος τοίνυν καταλικών τήν σινδόνα, £φε\, τούς ήδη πεπληρωκότας τόν ώρισμένον καιρόν αύτοίς, καί ά π ο β α λ λ ο μ έ ν ο υ ς τήν άρχιερΛ*τίτνην» (PG 123, 658). Cfr. anche COFNELIUS A LAPIDE, In SS. Mattbaeum et Marcum..., 7 1 4 : «Ouaerens quis fuit adolescens? S. Epiphanius primo, haeresi 78, et S. Hieronymus (vel quisquis est auctor) in Psalm XXXVII, putant fuisse Jacobum, fratrem Domini...». 8 Nel libro VI dello Pseudo-Abdia, datato al II sec., leggiamo: «Costui (Giacomo) fu santificato fin dal seno di sua madre. Non bevve né vino, né altra beva da inebriante; non mangiò carne, ferro alcuno non toccò la sua testa, non si unse con olio e nemmeno frequentò mai i bagni. A lui solo era lecito di entrare nel Santo dei Santi. Non indossava vestito di lana, ma unicame te una sindone». Non manca chi pone in relazione l'abbigliamento del neaniskos con la veste sacerdotale di Giacomo in base a quanto è detto sempre nel libro VI dello Pseudo-Abdia; «Dopo l'aTA*? ( W U N T
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sto, nasce anche sullo sfondo di quei testi che presentano Giacomo come un abitante di Gerusalemme, nel periodo immediatamente successivo alla risurrezione (At 12,17; 15,13-21; 21,18; Gal 1,18-19; 2,9). Lo stesso Marco, parlando in 15,40 di Μαρία ή 'Ιακώβου τοΰ μικρού και Ίωσητος μήτηρ, può aver favorito l'accostamento tra la figura del neaniskos e quella di Giacomo: gli autori avrebbero interpretato l'aggettivo μ,ικρός come riferimento implicito alla giovane età del discepolo. 1.1.3 Lazzaro I diversi tentativi che si propongono di dare un nome preciso al misterioso giovane marciano non si limitano al periodo patristico. Nel XX secolo, egli è stato identificato prima con Lazzaro9 e poi con lo stesso Pietro15. Nel primo caso si adducono tre motivazioni di fondo: a) Lazzaro può essere colui che il quarto vangelo chiama «discepolo prediletto», l'unico che segue il Maestro fino ai piedi della croce; b) dal racconto giovanneo è facile intuire che Lazzaro sia stato un uomo alquanto ricco, particolare confermato dal tessuto di cui il giovane è ricoperto al momento dell'arresto di Gesù; c) Lazzaro abita a Betania, un villaggio vicino al Getzemani dove si svolge la scena narrata da Me 14,51-52. Questa ipotesi è stata recentemente ripresa da M.J. HAREN11, il quale, partendo dal fatto che il neaniskos venga strettamente associato a Gesù attraverso l'uso dei verbi συνακολουθέω e κρατέω, sottolinea la possibilità di accostare Me 14,51-52 a Gv 12,10. Secondo lo studioso, non solo la presenza di Lazzaro al Getzemani sarebbe del tutto plausibile dal punto di vista geografico (il Getzemani si trova sulla strada che da Betania porta a Gerusalemme), scensione di Cristo al cielo, egli (Giacomo) rimase con Pietro e Giovanni a Gerusalemme, predicando la parola del Signore ai Giudei. Egli poteva eseguire tale ministero ancora più facilmente, poiché officiava pubblicamente al tempio salomonico». I due testi sono tratti dalla traduzione commentata di ERBETTA M, (cur.), Gli Apocrifi dei Nuovo Testamento, voi. II, Casale Monferrato 1966, 554-556. * Cfr. ALEXANDER H.E., Lévangile selon Marc, Berne 1948, 136. 10 Cfr. SCHENK W„ Der Passionsberichtnacb Markus. Untersuchungen tur Oberlieferungsgeschicbte der Passionstraditionen, Berlin 1974, 209-212.263-264.268. " Cfr. HAREN M.J., «Ilie Naked Young Man: a Historian's Hypothesis on Mark 14,515 2 » , Bib 7 9 ( 1 9 9 8 ) 5 2 5 - 5 3 1 .
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ma ci sarebbero anche argomenti molto forti che sostengono l'identificazione con il giovane: a) prima di tutto egli non è uno dei Dodici, il che risolve il problema della fuga generale menzionata in Me 14,50 che esclude l'identificazione con uno dei discepoli; b) secondariamente, egli è «l'amico» di Gesù, espressione molto significativa nel quarto vangelo (Gv 11,3.11); c) in terzo luogo, egli è l'unico che viene ufficialmente minacciato di arresto (Gv 12,10); d) non va infine dimenticato che egli ha un grosso «debito» nei confronti del Signore, cosa che giustificherebbe questo suo rimanere in scena per restare al fianco di colui che gli aveva restituito la vita. In realtà tale ipotesi si rivela molto antica: essa affonda le sue radici in un'identificazione già operata, tra il II e il III secolo, all'interno del cosiddetto vangelo segreto di Marco12 dove Lazzaro, dopo la sua risurrezione, si presenta al Maestro nelle vesti di un giovanetto rivestito soltanto di un lenzuolo. 12 Cfr. SMITH Μ., Clement of Alexandria and a Secret Gospel of Mark, Cambridge 1973 ; IDEM, Il vangelo segreto, Milano 1977 (or. 1973). Nell'estate del 1958 l'autore scopri nel monastero di San Saba nel deserto di Giuda un manoscritto del XVIII sec. che riportava una lettera scritta da Clemente d'Alessandria alla fine del II secolo. Dopo aver dimostrato l'autenticità dello scritto, SMITH si dedicò allo studio di alcuni passaggi che, secondo la sua opinione, corrispondevano allo stadio di composizione del secondo vangelo. Clemente scriveva a un certo Teodoro per stabilire una linea di confine tra il vero vangelo di Marco e il falso vangelo in uso presso la comunità gnostica dei Carpocrati, distinguendo tre fasi di redazione: A) la prima redazione sarebbe stata scritta dall'evangelista a Roma a partire dagli eventi narrati dall'apostolo Pietro, tralasciando tuttavia alcuni dettagli «segreti» di particolare importanza; B) la seconda sarebbe stata stesa dopo il martirio di Pietro, ad Alessandria, quando fu composto «un vangelo più spirituale» per l'uso esclusivo di coloro che «stanno per essere iniziati ai più grandi misteri»; C) la terza corrisponderebbe a quella falsata dai Carpocrati che, venuti in possesso del vangelo segreto, ne avrebbero storpiato il contenuto. A questo punto Clemente cita due passaggi appartenenti al vangelo segreto autentico e non contenuti nella prima versione, corrispondente al vangelo di Marco in nostro possesso. Π primo passaggio si situa immediatamente dopo la sezione di Me 10,17-34 concernente le ricchezze. Ne riportiamo il testo: «K,2-16,18 (OTKNT 2.2), Würzburg 1979,650; PESCH R., Il Vangelo di Marco, 11. 8,27-16,20 (CTNT 2.2), Brescia 1982 (or. 1 9 7 7 ) ; BEST E . , Mark,
the Gospel
as Sto,y
( S t N T W ) , E d i n b u r g h 1 9 8 3 , 2 6 ; ANDERSON
H „ The Gospel of Mark (NCBC), Grand Rapids 1984, 324; SAUNDERSON B„ «Gethsemane: The Missing Wiwess», Bib 70 (1989) 224-233;JUEL D.H., Mark (ACNT), Minneapolis 1 9 9 0 , 2 0 0 - 2 0 1 ; KERTELGE K „ Markusevangelium
( N E B N T 2), W ü r z b u r g 1 9 9 4 , 147 148.
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1. Un ep isodio intrigante
per affrontare abbia interessato la riflessione dei commentatori della Sacra Scrittura. È evidente che, per quanto un autore si sforzi di dare un volto al neaniskos, la sua posizione non può mai essere sostenuta con certezza «scientifica», proprio per l'assenza di indizi precisi al riguardo. L'evangelista sembra non essere interessato a fornire il nome del giovane: forse è proprio questo il primo elemento che dovrebbe farci riflettere, orientando diversamente la ricerca.
1.2 L'AREA DI INTERPRETAZIONE VETEROTESTAMENTARIA
Sullo sfondo di un'area interpretativa totalmente diversa si collocano quegli studiosi che illustrano Me 14,51-52 a partire da un brano veterotestamentario. Due sono i testi maggiormente citati: quello di Am 2,16 e quello di Gn 39,12. Ad essi qualcuno aggiunge un possibile riferimento anche a lSam 17,51; 2Mac 7; Is 31,8-9; 40,30-31. Passiamo in rassegna questi diversi accostamenti. 1.2.1 B «giorno del Signore» di Am 2,16 Gli autori che propongono Am 2,16 come sfondo letterario della scena di Me 14,51-52 si rifanno normalmente ad A. LoiSY27, ma va precisato che tale interpretazione era già stata avanzata nel XIX secolo: verso il 1850, in un suo commentario, H.A.W. MEYER contesta a C.G. WlLKE di non aver tenuto presente il testo di Amos nell'interpretazione di Me 14,51-5228; nel 1869 anche G. VOLKMAR rimanda ad Am 2,16 pur evitando di negare del tutto una lettura più «storica» dell'episodio29. Molto più deciso al riguardo è T. KEIM secondo il quale non esisterebbe alcun dubbio: l'origine di Me 14,5152 va unicamente spiegata a partire dallo sfondo tratteggiato in Amos30. La tesi viene poi ripresa fino ai nostri giorni da un sostenuto numero di esegeti". Spesso questi ultimi accostano al testo di n Cfr. LoiSY A., Les¿vangile* synoptùjues, vol. II, Ceffonds 1908,591; IDEM, V¿vangile sehn Marc, Paris 1912, 424. 28 Cfr. MEYER H.A.W., Markus und Lukas (KEK 2), Göttingen 1857', 186. H rimprovero è fatto nei confronti del volume di V/ILKE C.G., Der Urevangelist oder exegetisch Kritische Untersuchung über das Venuandtschaftverhältniss der drei ersten Evangelien, Dresden
1838,492. 29
Cfr. VOLKMAR G-, Markus und die Synapse der Evangelium, Zürich 1869,578. Cfr. KEIM T„ Geschiebte Jesu von Natura in ihr er Verkettung mit dem Gesammtlehen seines Volkes, vol. III, Zürich 1872, 318-319. " Cfr. in ordine di tempo: WENDLING E., Die Entstehung des Markus-Evangeliums (PhU), Tübingen 1908, 183; MOWTOTORE G.C., The Synoptic Gospels edited with an Introduktion iö
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1. Un ep isodio intrigante
Am 2,16 anche quello di Gn 39,12: è il caso di
WENDLING,
MON-
TEFIORE e N I N E H A M .
L'idea di fondo che sta alla base dell'accostamento tra Am 2,16 e Me 14,51-52 è il forte nesso che si stabilisce tra i due testi alla luce del tema biblico del «giorno del Signore». In Me 14,49 è lo stesso Gesù a collocare il suo arresto sullo sfondo del compimento delle Scritture, compimento di cui i versetti successivi diventano il segno. Il curioso episodio del tteattiskos diventa in questo modo il segno di quel «giorno del Signore» profetizzato da Amos, che si compie in modo pieno nell'intero mistero pasquale di passione, morte e risurrezione. Gli argomenti avanzati dagli studiosi hanno un certo peso, ma sentiamo di precisare, insieme a J.M. ROSS, che non è tanto il testo greco di Am 2,16 (ό γυμνός διώξεται έν έκείνη τ η ήμερα) che dovrebbe essere considerato come il testo di riferimento dell'evangelista, quanto piuttosto il testo ebraico. Se, infatti, il testo della LXX non avalla l'ipotesi in quanto, oltre a problemi di interpretazione, non parla nemmeno di «fuga» ma solo di «persecuzione», tali incertezze scompaiono se si prende in esame il rispettivo testo ebraico: κιπγγότ? o?r oi-is o'-iiai? tab p m Secondo ROSS, tutto si spiegherebbe alla luce della storia redazionale dell'episodio, il quale sarebbe stato inserito nella trama del secondo vangelo solo tardivamente, su influsso di quei cristiani che and a Commentary, vol. ì, London 1909, 344; KLOSTERMANN E„ Das Markusevangelium ( H N T 3), Tübingen 1926 (or. 1907), 171; HOSKYNS E., The Ridde of the New Testament, London 1931, 68; FINEGANJ., Die Uber/iefetung der Leidem- und Auf ersteh un gs geschickte Jesu ÌBZNW 15), Glessen 1934,71; GRANT F.C. - LUCCOCK H.E., «The Gospel according to Mark» in: IntB 7,886; GRUNDMANN W„ Markus. -297, NINEHAM D.E, Saint Mark (PGC), London 1963,3%-397; HAENCHEN E., Der Weg Jesu. Eine Erklärung des Μarkus Evarigeliums und der kan on isek en Parallelen (STÖ2/6), Berlin 1966,503; LLNNEATAN E„ Studien zur Passionsgeschichte (FRLANT102), Göttingen 1970,52; SCHNETOER G., «Die Verhaftungjesu. Traditionsgeschichte von Mk 14:43-52», ZNW63 (1972) 188-209; KEE H.C., «TheFunction of Scriptural Quotations and Allusions in Mark 11-16» in; ELLIS E.E. - GRASSERE., Jesus and Paulus. Festschrift für W.G. Kümmel, Göttingen 1975, 165-188 in particolare p170; LANE W.L., The Gas pel according to Mark. The 'English Text with Introduction, Exposition and Notes (NICNT 2), Grand Rapids 1979,526-527; SCHMNHAIS L., Markus..., 650; DERRETT j.D.M., The Makin g of Mark. The Scriptural Bases of the Earliest Gospel\ vol. II, Waiwickshire 1985, 252-253; LOHRMANN D., Das Markusevangelium ( H N T 3), Tübingen 1987, 246; HURTADO L.W., Mark (NIBC 2), Peabody 1989,243,246; WAETIEN H , A Reiordering of Power. A Socio-Paliticd Reading cf Mark's Gospel, Minneapolis 1989, 217-218; BIANCHI E., Evan gelo secondo Marco. Commento esegetica-spirituale, Magnano 1990, 287288; Rizzi G., Da Gesù alla Chiesa. ¡¡Vangelo di Marco, Pessano 1990,311; RossJ.M., «The Young Who Fled Naked», IrBSt 13 (1991) 170-174; MAGGIOR B„ / racconti evangelici del la Passion e (CStB), Assisi 1994, 77-78.
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erano familiari con l'ebraico e che avevano interpretato la profezia di Amos come una prefigurazione degli eventi che accompagnarono l'arresto di Gesù".
1.2.2 La figura del patriarca Giuseppe A partire dalla similitudine che emerge dal contesto e dal vocabolario biblico, alcuni si pronunciano a favore di un altro brano veterotestamentario - Gn 39,12- così come esso viene presentato sia dalla LXX che dal testo apocrifo del Testamento di Giuseppe 8,3'3. Va notato, in tal senso, il parallelismo esistente tra i tre testi: Me 14,51-52: κρατοΰσιν αυτόν. Ó δέ καταλιπών την σινδόνα γυμνός έφυγεν. Gn 39,12: και κ α τ α λ ι π ώ ν τά Ιμάτια α ύ τ ο ϋ έν τ α ΐ ς χερσίν αύτης έφυτεν. TJos 8,3: κρατεί μ ο υ τον χιτώνα, καταλείψας αυτόν έφυγον γυμνός. È BEDA EL V E N E R A B I L E il primo autore che, commentando il passaggio marciano, coglie nel neaniskos non solo un'evocazione del discepolo prediletto, ma anche un richiamo alla storia di Giuseppe il quale preferisce restare fedele al suo Dio, dandosi alla fuga nudo, piuttosto che cadere nelle braccia della moglie del suo signore54. Come il patriarca Giuseppe, il giovane marciano fugge lasciando la veste nelle mani dei suoi aggressori. Se poi si considera anche la seconda menzione del neaniskos all'interno del vangelo di Marco ( 1 6 , 5 - 7 ) , il parallelismo con il patriarca sembra farsi ancora più serrato; i due passaggi concernenti il giovane marciano sembrano in" C f r . ROSSJ.M., «The Young ...», 170-174. " Cfr. in ordine di tempo: CAH1LL M. (ed.), The First Commentaiy on Mark. An Annotateti Translation, New York 1998, 109-110 (l'opera traduce un commentario del VII sec.); VORSTMAN J.M., Disquisitio de Testamentorum ΧΠ Patriarcharum origine etpretio, Rotterdam 1857, 109; WENDIJNG E., Die Entstehmg...,
183, MONTHLLORE C . G . ,
TheSynop
tic , 3 4 4 ; FARRER Α., Λ Glass of Vision, London 1948,144-145; A K C Y L E A . W„ «Joseph the Patriarch in Patnstic Teaching», ExpT 67 (1955-56) 199-201; ΝΓΝΕΗΛΜ D.E., The GcsfeL· , 396-397; WAETJEN H., «The Ending of Mark and the Gospel's Shift in Escatology», ASTI 4 (1965) 114-131; DeSRETTj.D.M., The Makng...,
253.
" Cfr. BEDA IL VENERABILE, In Marci...: «exemplum beati Joseph, qui, relitto in manibus adulterae pallio, foras exsilivit, malens Deo nudus, quam indutus cupiditatibus mundi meretrici servire» (PL 92,279).
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1. Un ep isodio intrigante
fatti corrispondere alla duplice condizione sperimentata dal patriarca: prima la prigionia e poi l'elevazione a maggiordomo del faraone. Il tutto assume un certo peso se si tengono presenti anche le omelie messianiche di stampo giudaico nelle quali il patriarca Giuseppe viene presentato come il Messia che tornerà a vincere la morte, per redimere, con la propria sofferenza, il popolo di Israele". Anche in questo caso il parallelismo è forte ma non manca chi fa notare che l'episodio di Me 1 4 , 5 1 - 5 2 e quello di Gn 3 9 , 1 2 si svolgono su scenari molto diversi, se non addirittura opposti: se, infatti, Giuseppe fugge dalla tentazione per restare fedele al suo padrone e al suo Dio, il neaniskos fugge dalle mani di chi vuole assimilare il suo destino a quello di Cristo, «tradendo» - per certi aspetti - il suo Signore e rinunciando alle esigenze della sequela36.
1.2.3 Altri possibili richiami biblici Nel volume citato di J.D.M. DERRETT, lo studioso si propone di ritrovare le basi scritturistiche utilizzate da Marco per narrare la «buona novella». In riferimento a Me 1 4 , 5 1 - 5 2 , oltre a citare Am 2,16 e Gn 39,12 egli rimanda ad altri brani che possono fare da sfondo. li primo è quello di ISam 17,51 nel quale viene menzionata la fuga dei Filistei di fronte alla vittoria di Davide su Golia (και είδον οί αλλόφυλοι, οτι τέθνηκεν ό δυνατός α ύ τ ώ ν , και εφυγον). L'autore, accostando i due testi, si domanda se i discepoli marciani non vadano considerati come i Filistei e come l'antico Israele (che non era migliore dei Filistei), oppure se la loro fuga non abbia lo scopo di rinviare il lettore a un altro momento della narrazione. La risposta propende verso la seconda possibilità. Il parallelismo, tuttavia, è molto «sommario» e non trova riscontri significativi nel vocabolario. È sempre D E R R E T T ad accostare il nostro inciso con il brano di Is 31,8-9. Sulla scia di Am 2,16 Isaia colloca l'avvento del «giorno del Signore» all'interno di una cornice che ha come tratti essenziali la fuga generale e la conversione di Israele (οί. δέ νεανίσκοι " L'omelia è contenuta nel testo della Pesata Kabbati. CFR. STRACK H.L. - BllXERBECK P, Das Evangelium nach Markus, Lukas und Johannes und die Apostelgeschichte erläutert aus Talmud und Midrasch (Bill 2), München 1956, 287-290; MOOKE G.F., iuddism, Cambridge 1954, 5 5 1 - 5 5 2 .
" Cfr. DERREITJ.D.M., The Making..., 253
41 1. Un ep isodio intrigante
έσονται εις ήττημα, πέτρμ γαρ περιλημφθήσονται ώς χάρακι και ήττηθιίσονταλ, ό δέ φεύγων άλώσειαι...). Secondo l'autore il tema della fuga e dello smacco dei giovani appartiene al genere letterario delle lamentazioni (Lam 1 , 1 8 ; 2 , 2 1 ) , evocato anche m alcuni passaggi profetici (Is 3 , 4 ; 3 1 , 8 - 9 ; Am 2 , 1 1 - 1 2 . 1 6 ) . Isaia lo impiega per esprimere lo smacco dei giovani dell'armata assira: essi scapperanno perché Dio, dopo che Israele avrà abbandonato l'idolatria, riprenderà a combattere al suo fianco. Andrebbe citato, secondo l'autore, anche il martirio dei sette fratelli riportato in 2Mac 7, dove i giovani affrontano la morte senza alcuna paura e senza darsi alla fuga57, presentando per certi versi il lato migliore del neaniskos. A queste citazioni E.L. S C H N E L L B Ä C H E R ne aggiunge un'altra: l'episodio marciano potrebbe chiarirsi evocando il testo di Is 40,30 (LXX) secondo il quale «πεινάσουσιν γαρ νεώτεροι, και κοπιάσουσιν νεανίσκοι, και εκλεκτοί, άνίσχυες έσονται...»' 8 . In esso la situazione di fatica dei più giovani viene controbilanciata dalla forza che dona il Signore a tutti coloro che ripongono la propria speranza in Lui. Infine, J.P. K E E N A N coglie un nesso tra l'episodio di Me 1 4 , 5 1 52 e la misteriosa profezia di Dan 12. L'uomo vestito di lino che annuncia gli eventi escatologici nel libro di Daniele sarebbe rievocato dal giovane vestito di lino di Me 1 4 , 5 1 - 5 2 , che cerca di accompagnare Gesù nell'ora escatologica e che, in tale tentativo, fallisce. Proprio tale fallimento diventa, tuttavia, un annuncio anticipato di quel tempo escatologico che raggiungerà la sua piena maturazio ne nella passione, morte e risurrezione del Maestro. Se poi la fuga del neaniskos sotto il segno della nudità rivela tutti i limiti di una escatologia puramente lineare, il suo ritorno in scena in 16,5 rivela la pienezza di quella escatologia che trova nello scandalo della croce e nel mistero della risurrezione la sua chiave di volta'9. *
*
*
Anche riguardo a quest'area interpretativa bisogna riconoscere che la collocazione dell'episodio sullo sfondo veterotestamentario 57 13
Cfr. OÈRFF.TT J.D.M., The Making..252-253. Cfr. SCHNELLBÄCHER E.L., «Das Rätsel des ν ε α ν ί σ κ ο ς bei Markus», ZNW 73 (1982)
W Cfr. KEENANj.P., The Gospel ofMark. A Mahayana Reading (Fai'th meets faith), New York 1995, 390-391.
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1. Un episodio intrigante
può certamente favorire una migliore comprensione del brano, ma non può essere posta alla base di una appropriata argomentazione in quanto rischia di appoggiarsi solo su riferimenti generici che hanno in comune un «vago» parallelismo con il testo marciano. È il caso dei diversi brani suggeriti da D E R R E I T . P U Ò essere interessante riportare l'osservazione di J . B . G R E E N il quale, passando in rassegna i diversi brani veterotestamentari suggeriti dai diversi autori, si dice sorpreso che tanti si siano concentrati sul rapporto tra ME 14,51-52 e l'AT, senza notare un parallelismo molto più ovvio all'interno dello stesso NT: quello con Ap 16,15 confermato da richiami espliciti nel vocabolario {μακάριος ό γρηγοραν καί τηράν τα ιμάτια αυτού, ίνα μή γυμνός π ε ρ ^ α τ η και βλέπωσιν τήν ασχημοσύνην αύτοΰ)'10.
40
Cfr. GREEN J.B., The Deatb..,, 269 (nota 164).
1.3
L'AREA D I INTERPRETAZIONE SIMBOLICA
Negli ultimi cinquant'anni si è verificato un deciso cambio di prospettiva nell'approccio esegetico a Me 14,51 -52, Alcuni autori, infatti, hanno tentato di delucidare l'episodio a partire dal contesto più ampio del vangelo, adottando per lo più la linea interpretativa simbolica. Tre sono le vie principali in cui ci si è incamminati: il simbolismo battesimale che coglie nel neaniskos la figura del catecumeno invitato a spogliarsi dell'abito vecchio per rivestirsi di Cristo; il simbolismo aistologico che fa del giovane un riferimento anticipato alla passione, morte e risurrezione di Gesù; e il simbolismo della sequela che vede concentrati nel misterioso personaggio gli at teggiamenti, le paure e le promesse dei discepoli, di cui il giovane costituirebbe, in qualche misura, la figura paradigmatica. Siamo coscienti che non tutti i commentatori si troverebbero d'accordo nel vedersi raccolti sotto il nome di «interpretazione simbolica»: la nostra è una generalizzazione finalizzata a rendere più chiaro lo stato della questione. Nella nostra analisi, adotteremo tutte quelle attenzioni necessarie per non snaturare il pensiero di chi coglie nel giovane una figura letteraria - più che un «simbolo» - attraverso la quale l'evangelista desidera sottolineare le incertezze e le esigenze della sequela.
1.3.1 II simbolismo battesimale L'ipotesi di uno sfondo battesimale venne avanzata per la prima volta nel 1 9 7 3 in un articolo di R. SCROGGS - K.I. G R O F F e nello studio già citato di M. SMITH dedicato al cosiddetto «vangelo segreto di Marco»41. Questi autori fissano la loro attenzione sul nea" Cfr. SCROGGS R - GROFF K.I, «Baptism in Mark: Dying and Rising with Christ», JBL 92 (1973) 531-548; SMITH M„ Clement cf Alexandria,.., 173-178.
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1. Un ep isodio intrigante
tiìskos presentato dall'evangelista «assiso alla destra e rivestito di una veste bianca» (Me 16,5): egli andrebbe identificato con il neofita appena battezzato, mentre l'episodio che lo concerne andrebbe contestualizzato sullo sfondo di una liturgia pasquale. Tale ipotesi è motivata a partire dal profondo legame che esisterebbe tra l'episodio di Me 14,51-52 e la pericope di Me 16,1-8. Se il primo inciso evoca la nudità del catecumeno e la sua immersione nell'acqua battesimale, segno della partecipazi one alla morte di Cristo, la seconda pericope richiama l'uscita del catecumeno dal fonte battesimale e il rivestimento della veste bianca, simbolo della sua partecipazione alla risurrezione di Cristo. L'ipotesi, ripresa successivamente da J.D. CROSSAN", viene attentamente argomentata in uno studio di B. STANDAERT dedicato alla composizione e al genere letterario del vangelo di Marco43. L'autore sostiene che il genere letterario del secondo vangelo sia quello di uribaggada cristiana da leggersi durante la veglia pasquale, al termine della quale veniva celebrato il sacramento del battesimo, A tal fine, l'esegeta spiega come in Marco non manchino indizi che sostengano tale ipotesi; ne sarebbe prova la continua ripresa dei due temi concernenti l'identità di Gesù e le esigenze implicite nella sua sequela. Alcune pericopi rivelerebbero poi un riferimento esplicito al battesimo: basti pensare al racconto del battesimo di Gesù nel prologo (Me 1,9-11), all'annuncio pasquale nell'epilogo (Me 16,1-8), alla menzione del calice che Gesù deve bere e del battesimo che deve ricevere in Me 10,38 o ancora alla guarigione del cieco di Gerico in Me 10,46-52. Nonostante queste puntualizzazioni, tale linea di lettura è stata ripresa da un numero molto ristretto di studiosi44 e, almeno fin'ora, non ha avuto un forte sostegno in campo esegetico. Uno dei suoi più espliciti oppositori, F. NEIRYNCK, contrario al possibile legame esistente tra Me 14,51-52 e Me 16,1-8, definisce la lettura di STANDAEKT poco attenta nei confronti del testo di Me 14,51-52 all'interno del quale egli fa rilevare alcuni problemi di critica testuale: a Cfr. CROSSAN J.D., «Empty Tomb and Absent Lord (Mark 16,1-8)» in: KSLBER W.H., The Passio» in Mark. Studes on Mark 14-16, Philadelpbia 1976,135-152. Cfr. STANOATIRT B., Uévangile selon Marc. Composition et gerire littéraire, Brugge 1978, 153-168; IDEM, Uévangile selort Marc. Commentane (Lire laBibleólbis), Paris 1983, 103104. " Cfr. LA VERJDIERE E.A., «Robed in Radiant White: the End, a Beginning», Em 90 (1984) 138-142; STOCK A„ TheMethodandMessage o/Mark Wilmingron 1989, 373-375; An'INC:LR D., Evangelo secondo san Marco. Il paradosso della debolezia di Dio, Roma 1991, 140141; LAMAKCHE P., Évangite de Marc (EtB NS 33), Paris 1996,340-341.
45 1. Un ep isodio intrigante
questi ultimi indurrebbero a optare per l'omissione di èrti yuja v o v , attenuando di conseguenza tutta l'enfasi presupposta circa il tema della nudità, tratto particolarmente importante per l'identificazione del neaniskos con il catecumeno. NEIRYNCK invita tra l'altro a rivedere l'interpretazione del verbo greco O\>vaKOA.oi)0éo), il cui im piego n o n avrebbe la finalità di enfatizzare la sequela del giovane, e suggerisce di fare altrettanto anche per la spiegazione circa l'abbigliamento portato dal neaniskoJ45.
Si deve ammettere che l'ipotesi di uno sfondo battesimale al secondo vangelo resta di difficile dimostrazione, ma si deve anche riconoscere che una sua radicale esclusione non può essere avanzata. Per quanto riguarda questa nostra ricerca, riprenderemo tale questione neìì'excursus conclusivo, tentando di verificare i diversi indizi battesimali che possono ulteriormente giustificare questa ipotesi. 1,3.2 D simbolismo cristologico Anche la via interpretativa che privilegia un simbolismo cristologico è recente. A. FARRER la rileva nel 194846, evidenziando quel filo conduttore che raccoglie in unità i testi di ME 14,51-52; 15,46 e 16,5; ma è soprattutto una nota dij. KNOX, pubblicata nel 1951, a intravedere nel giovane che fugge nudo un anticipo della risurrezione di Cristo che, lasciando la sindone nel sepolcro, sfugge alla presa della morte' 7 L'ipotesi viene ripresa e sviluppata da S.E. JOHN48 SON (I960), F . W . BEARE (1962) e H . WAETJEN (1965) . Tra il 1970 e il 1990 tale approccio trova il sostegno di A. VANHOYEe di M.-E. BOISMARD49. Se il primo coglie in ME 14,51-52 un anticipo sia del 15 Cfr. NHKVNCK E, «La fuite...», 43-66. Pur essendo molto discutibili (avremo modo di confrontarci più avanti con l'opinione di questo autore), tali osservazioni hanno il pregio di mettere in rilievo quea nodi problematici che non potranno essere trascurati nella nostra analisi del testo
C f r . FARRER A., The Gian...,
144-145.
47
Cfr KNOX].. «A Note on Mark 14,51-52» in: The Joy o/Study. Papers OH New Testameni and Retateci Sub jeets Presented to Honor Frederick Clifton Grani, N e w York 1951, * Cfr. JOHNSON S.E., A Commentati/ onthe Gospel according toSt Mark (BNTC), London 1960, 238; BEARE F.W., The Earliest Records of Jesus. A Companton to the Synopsis of the First Three Gospels by Albert Huck, Oxford 1962,231; WAETJEN H„ «The Knding..-», 120. " Cfr. VANHOYE A., «La fuite du jeune homme nu (Me 14,51 52)», Bib 52 (1971) 401 406; BOBMARD M.-E. - BENOIT P„ Synopse desquatre ivangUs en.franfais, voi. 11, Paris 1972, 442 (l'ipotesi è stata ripresa anche nel recente volume di BOJSMARD M.-E., Jesus, un homme de Nazareth, raconté par Marc l'évangéliste, Paris 1996, 162).
46
1. Un ep isodio intrigante
l'umiliazione che Gesù dovrà subire con la sua morte, sia dell'esaltazione gloriosa che questi raggiungerà sfuggendo alla sua presa, M . - E . BOISMARD rileva maggiormente i contatti letterari esistenti tra ME 14,51-52 e ME 16,1-8 insistendo sull'identificazione tra il neaniskos assiso alla destra e il Cristo glorioso assiso alla destra del Padre. Questo approccio interpretativo ancora non convince NEIRYNCK, secondo il quale gli indizi che permettono di cogliere un nesso tra Gesù e il giovane sarebbero troppo deboli. Ciò nonostante l'ipotesi godrà di un discreto sostegno da parte dei successivi commentatori di Marco50. Anche questa linea interpretativa, tuttavia, non è esente da rischi; il più forte è quello di rileggere l'episodio solo alla luce del «dopo», della risurrezione di Gesù, perdendo tutta la riflessione sviluppata dal secondo vangelo circa il tema del discepolato. Inoltre si rischia di enfatizzare a tal punto il nesso tra il nostro brano e Me 16,18 da dimenticare la centralità della morte di Gesù all'interno della struttura narrativa del mistero pasquale marciano.
1.3.3 Le incertezze e le esigenze della sequela Uipotesi che nell'ultimo trentennio del XX secolo ha avuto maggior successo è quella che rinuncia a una interpretazione strettamente simbolica e, nello stesso tempo, abbandona ogni tipo di argomentazione tesa a mettere in evidenza il legame tra Me 14,51-52 e Me 16,1-8. Qualora quest'ultimo dovesse sussistere, esso dovrebbe essere colto solo come un rapporto di contrasto, mirante a opporre il neaniskos in fuga da quello presente alla tomba vuota, assiso alla destra e annunciante la risurrezione. M Cfr. in o r d i n e di tempo: MOURI.ON BEERNAEBT P., « S t r u t t u r e littéraire et lecture théologique de Marc 14,17-52» in: SABBI. M. (ed.), V. ¿vangile seion Marc. Traditi on et ré daction (BETL 34), Leuven 1974, 241-267; RADCTMAICERS J.. Lettura pastorale del vangelo di Marco, Bologna 1981 (or. 1974), 307.335; KELBEB W.H. (ed.), The Passion in Mark. Studies or, Mark 14-16, Philadelphia 1976, 112.174-175; HARRINGTON W.J., Mark (NTMes 4), Wiimington 1979,226-227; SCHNKU.BÀCHER EX., «Das Ràtsel des vfiavioicos bei Markus», ZNW 73 (1982) 127 135; QUIISNEL M„ Commentine un évangile. Saint Marc, Paris 1984, 266-267; WAEIJEN H.C., A Re cor dering ..., 217-218; GAUZZI M., Vangelo secondo Marco. Commento esegetica-pastorale, Torino 1993, 273; GUNDi»' R E . , Mark A Commentary on His Apologyfar the Cross, Grand Rapids 1993,861-863.881-882; VAN IERSEI, M.F., Mark. A Reader-Respome Commentar,1 (JSNT Supp 164), Sheffield 1998, 441-442.
47 1. Un ep isodio intrigante
La fuga del giovane al momento dell'arresto non farebbe altro che evidenziare il comportamento dei Dodici, i quali hanno lasciato solo Gesù nel momento cruciale del suo ministero ( 1 4 , 5 0 ) . Lepisodio pone di fronte al lettore la paradossale tensione esistente tra l'inizio della sequela, quando i discepoli si mostrano pronti a lasciare ogni cosa ponendosi sulle orme del Maestro, e il momento dell'arresto, quando al contrario, abbandonandolo, si danno alla fuga La memoria di chi ascolta non può non evocare a questa punto l'espressione di Pietro in Me 1 0 , 2 8 : «Maestro, noi abbiamo lasciato ogni cosa e ti abbiamo seguito ('Ιδού ημείς άφήκαμεν πάντα και ήκολουθήκαμέν σοι)». Π neaniskos, come sottolinea R.E. BROWN, ha effettivamente lasciato ogni cosa..., ma per fuggire lontano da Gesù51. Secondo questa chiave interpretativa, il giovane diventa una figura letteraria tesa a sottolineare quanto sia esigente il cammino della sequela e quanto sia arduo esservi coerenti senza aver prima sperimentato personalmente e in profondità la forza del mistero pasquale. Essa si pone perfettamente m sintonia con la conclusione originaria del secondo vangelo (16,1-8), che chiude il sipario menzionando la fuga e il silenzio delle donne. Anche m questo caso si tratta di persone o, meglio, di discepoli (il vocabolario usato per indicare la sequela delle donne è il medesimo di quello usato per i Dodici) che vengono meno m un compito fondamentale: quello di trasformare la sequela in annuncio, il discepolato m apostolato. Già nel 1 9 2 8 M . SALES e nel 1 9 4 6 R . C . H . LENSKI colgono nel neaniskos una figura che mette in risalto la violenza degli arrestatoti di Gesù e la fatica del discepolato m simili circostanze52. G. SCHWFJZER nel 1967 ne riprenderà la portata simbolica sottolineando maggiormente il riferimento alla fuga dei discepoli e alle esigenze della sequela, tratti sui quali concorda anche E.J. MALLY nell'anno successivo53. In seguito, la teoria raccolse attorno a sé un gran numero di studiosi che si sentivano certamente più a loro agio nel 51 Cfr. BrOWN R.E., TheDeath of the Messiah. FromGethsemaneto the Grave. A commentary on the Pession narratives in thef ourGospels, voi, I, New York 1994, 303. " Cfr. SALES M., «Vangelo di Gesù Cristo secondo san Marco» in: Nuovo Testamento commentato, voi. I, Torino 1928, 192; LENSKI R.C.H., The Interpretation o/St Mark's Gospei, Wartburg 1946,651-654. * Cfr. SCHWEIZERG., Marco..., 337, MALLY E.J., «The Gospei according to Mark» in: BROWN R.E. (ed.), The Jerome Bibicai Commentar/, London 1968,42.88.
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1. Un episodio intrigante
vedere situato il breve e misterioso episodio nel contesto di una delle idee teologiche portanti di tutto il vangelo54. Ma anche questa ipotesi può presentare il suo lato debole. Essa tende infatti a cogliere nella pericope di Me 14,51-52 il punto in cui confluisce tutto il cammino di sequela dei discepoli, cammino che si sgretola sullo sfondo di una fuga generale, dimenticando che il breve episodio è anche (e oseremmo dire: soprattutto) un indice rivolto verso il «dopo», verso il pieno fallimento del discepolato nel rinnegamento di Pietro, verso la passione e morte di Gesù, verso l'annuncio della risurrezione in Me 16,1-8.
H Cfr in ordine d i tempo: LlNNEMAN E., Studien..., 51-52; SCHNEIDER G . , Vangelo secondo Marco., Roma 1973 (or. 1971), 205-209; SCHNEIDER G., «Die Verhaftungjesu. Traditionsgeschichte von Mk 14:43-52», ZNW 63 (1972) 208-209; SCHENKE L„ Der gekreuzigte Christus. Versuch einer literarkntischen und tradì tionsgeschichtlichen Bestimmung der vormarkinischen Passionsgeschichte (SBS 69), Stuttgart 1974,122; GNILKA J., Marco (CStB), Assisi 1987 (or. 1978), 817-819; FLEDDERMANN H., «The Flight of a Naked Young Man: Mark 14:51-52», CBQ 41 (1979) 412-418; KERMODE F., The Genesis of Seaecy. On the Interpretation of Narrative, Cambridge 1979,55-73; NETOTMCK F, «La fuite...», 43-66; ERNSI" J., Das Evangelium nach Markus (RNT)< Regensburg 1981,436; GÛURGUES M., «A propos d u symbolisme christologique et baptismal de Marc 16,5», N T S 27 (1981) 672-678; KEECAN T.J., A Commentary on the Gospel of Mark, New York 1981, 171; JENKINS A., « Young Man or Angel», ExpT94 (1983) 237-240; VAN LRNDEN PH., The Gospel according to Mark (CBC), Collegeville 1983, 932; WILLIAMSON L., Mark (IntB), Louisville 1983, 262; COSBY M.R., «Mark 14:51-52 and t h e Problem of Gospel Narrative», PRSt 11 (1984) 219-231; MONLOUBOU L., «L'étonnant destin d'un personnage évangélique», BLE Supp 85/1 (1984) 25-28; MANN C.S., Mark. A New Translation with Introduction and Commentary (AncB 27), N e w York 1986, 600-601; MAZZUCCO C , «L'arresto di Gesù nel vangelo di Marco: Me 14,43-52», RwBih 35 (1987) 257-282; MYERS C., Binding tbeStrongMan. A Politicai Reading of Markt s Story of Jesus, New York 1988,368-369; RILEY H „ The Making of Mark. An Exploration, Macon 1989,172; TOLBEKT M.A., Sowing the Gospel: Mark's World in Literary-Historical Perspective, Minneapolis 1989, 181.258.276; DSEWERMANN E., Das Markusevangelium, vol. II, Düsseldorf 1990, 498; MARIN HEREDJA F., «Un enigma en el arresto de Jesús (ME 14,51-52)», Carth 10 (1990) 269-281; HOOKER M.D., The Gospel according to Saint Mark (BNTC), Pcabody 1991, 352-353; COLLINS A.Y., The Beginning of the Gospel. Probings of Mark in Context, Minneapolis 1992, 108; HEILJ.P., The Gospel of Mark as a Model for Action. A reader-response Commentary, New York 1992, 308-310; MAGGIONI B„ I racconti..., 77-78; HESTER D., «Dramatic Inconclusion: Irony and the Narrative Rhetoric of the Ending of Mark»J^A/T57 (1995) 61-86; PERKINS P., « T h e Gospel of Marl«, in: NIntB 8,710; JACKSON H.M., «Why the Youth Shed his Cloack and Fled Naked: the Meaning and Putpose of Mark 14,51-52»,7ßL 116 (1997) 273-289; LÉGASSE S „L'évangile de Marc (LeDi'vC 5), vol. II, Paris 1997,907-910.
1.4 CONCLUSIONE
Questo breve percorso aveva l'intento di aiutarci a prendere visione del diversificato panorama offerto lungo i secoli dall'interpretazione di Me 14,51-52. È interessante rilevare come gli studiosi in genere abbiano prestato grande attenzione all'identità e al ruolo del giovane marciano, limitandosi invece a poche battute circa il tratto che lo caratterizza in modo peculiare: la nudità. E, infatti, a partire da esso che l'evangelista fa convergere sull'episodio l'attenzione sorpresa del lettore, suscitando tutta una serie di interrogati vi: Chi è questo personaggio? Perché l'evangelista lo pone sulla scena? Come mai questo strano episodio viene situato proprio nel momento in cui Gesù entra nel mistero della sua passione? Che senso assume la nudità su questo sfondo? Esiste un nesso tra questo episodio e quello di Me 16,1-8 in cui un altro neaniskos entra in scena rivestito di una veste bianca? Per rispondere a questi interrogativi valorizzeremo a fondo i risultati della ricerca di chi ha colto nel giovane un anticipo del destino di Gesù e di chi ne ha fatto un indice puntato sulla fuga dei discepoli e sull'inconsistenza della loro sequela. Nel nostro itinerario ci collocheremo pertanto all'interno della terza area interpretativa che, meglio delle altre, ci sembra possa schiudere il sen so del testo, anche perché essa tiene particolarmente presente il contesto globale del vangelo di Marco. Evidentemente il nostro obiettivo non consiste nel cercare un altro nome o un ulteriore volto a partire dai quali identificare la figura del neaniskos, ma piuttosto nel sondare la portata dell'episodio che fa del giovane il pro tagonista di uno dei momenti più importanti della vita di Gesù: il suo arresto.
2 ANALISI DEL TESTO
Dopo aver dato uno sguardo d'insieme alle diverse interpretazioni che tentano di illustrare il nostro brano, il primo passo da fare è quello di prendere in esame il testo in se stesso. Esso non si presenta senza problemi: alcune questioni di critica testuale esigono la nostra attenzione onde poi lavorare sulla base di un testo ben accreditato (2.1). Sarà poi opportuno procedere analizzando accuratamente il vocabolario, per fissare la corretta etimologia dei termini - spesso oggetto di vive discussioni da parte degli esegeti che sostengono interpretazioni diverse - e per mettere in rilievo le varie conseguenze sul piano ermeneutico ( 2 . 2 ) . A questo punto ci potremo soffermare sulla struttura della pericope, per verificare se dal testo di Me 1 4 , 5 1 5 2 , considerato in se stesso, emergano già alcuni indizi che ci permettono di orientare la nostra ricerca ( 2 . 3 ) .
il >1
9
2.1 PROBLEMI DI CRITICA TESTUALE
2.1.1 La questione più dibattuta La questione più discussa circa il testo di Me 14,51-52 è legata alla strana espressione greca: επί γυμνοΰ del ν. 51. Molti autori si sono pronunciati a favore della sua omissione, con evidenti conseguenze sull'interpretazione successiva del testo: infatti, nel momento stesso in cui l'espressione viene omessa, l'ipotesi di chi ritiene particolarmente significativa l'enfasi marciana sul tema della «nudità» ne risulta alquanto indebolita. Ma ricostruiamo l'itinerario e le motivazioni che hanno portato alla discussione di έπί γυμνοΰ. Il testo da un punto di vista grammaticale appare monco: la particella έπί sembra reggere il genitivo di un aggettivo - γυμνός - senza completare l'espressione con il corrispondente sostantivo. Già nel 1923 l'anomalia veniva spiegata da E. VON DOBSCHÜTZ55 come un tentativo (mal riuscito) da parte dei copisti di giustificare la presenza di γυμνός al v. 52. Nel 1932 l'idea viene parzialmente ripresa da M. GOGUEL56 il quale si propone di chiarire l'anomalia testuale e il senso preciso di γυμνός: circa la prima egli ne spiega la causa a partire dalla vicinanza del medesimo aggettivo nel v. 52; quanto a γυμνός egli sostiene che, nella maggioranza dei casi, tale aggettivo non indica persone «nude», prive di ogni capo di vestiario, ma semplicemente soggetti rivestiti della sola tunica ο dell'abbigliamento intimo. Nello stesso anno A. PALLIS57 propone una soluzione alternativa al problema. Secondo tale autore l'op inione comune che fa di έπί γυμνοΰ una correzione del testo dal quale sarebbe stato erroneamente cancellato il sostantivo τοΰ σώματος ο έν χ ρ φ ο anco" Cfr. DOBSCHÜTZ Ε. VON, Eberhard Nestle's Einführung in das Griechische Neue Testament, Göttingen 1923,7. 56 Cfr. GOGUEL M„ La vie de Jesus (BH), Paris 1932, 438. 57 Cfr. Pai.US Α., Notes on St Mark and St Matthew, Oxford 1932, 49-51.
56
2. Analisi del testo
ra έπΐ χρακός (cfr. Lv 16,4, LXX) è fuorviante. Essa implica infatti l'idea che il giovane circolasse nudo nella propria casa, cosa che non sembra decisamente degna dell'attenzione di un evangelista. Sarebbe invece più opportuno pensare a una corruzione del testo dovuta alla presenza dell'aggettivo γυμνός al v. 52. Tale corruzione va però intesa in questi termini: il copista ha colto nel suo senso letterale ciò che Marco riferiva alla semplice perdita di un mantello. Il fraintendimento è facilmente ricostruibile se si considera il testo maiuscolo che doveva avere sotto gli occhi il copista: il v. 51 riportava probabilmente ΣΙΝΔΟΝΑ ΑΠΑΕΓΥΙ1ΤΟΥ, e sarebbe stato confuso con l'attuale ΣΙΝΔΟΝΑ ΕΙΙΙΓΥΜΝΟΥ. Tre sono gli argomenti principali a partire dai quali PALLIS difende la sua ipotesi: a) la facile confusione di trascrizione a partire dal v. 52; b) la riconosciuta fama del fine e costoso lino proveniente dall'Egitto, che l'evangelista sembra voler mettere in luce impiegando lo specifico termine σίνδών; c) un probabile influsso sul copista di Gn 39,12 che menziona il patriarca Giuseppe che fugge nudo dalla moglie di Potifar, consigliere del faraone. Un'ipotesi simile è destinata a suscitare un'immediata risposta. Nel 1933 P.L. CHOUCHOUD la definisce con toni moderati «un peu surprenante»'8. Egli riprende l'idea di un errore del copista, ma abbandona la ricostruzione «fantasiosa» presentata da PALLIS. Secondo CHOUCHOUD il testo originale a disposizione del copista era il seguente: ΝΕΑΝΙΣΚΟΙ ΤΙΣΣΥΝΗΚΟΛΟΥΘΕΙΑΥΤΩ ΠΕΡΙΒΕΒΑΗΜΕΝΟΣ ΣΙΝΔΟΝΑ ΚΑΙ ΚΡΑΤΟΥΣΙΝ ΑΥΤΟΝ Ο ΔΕ ΚΑΤΑΛΙΠΟΝ ΤΗΝ ΣΙΝΔΟΝΑ ΓΥΜΝΟΣ ΕΦΥΓΕΝ Un copista sarebbe saltato dal primo al secondo σινδόνα iniziando a trascrivere la terza riga invece della seconda. Accortosi dell'errore, l'avrebbe segnalato attraverso un segno grafico perché l'errore fosse soppresso in un'eventuale trascrizione successiva, e avrebbe continuato la sua copia. Ne risultava il seguente testo: " CHOUCHOUD P.L., «Notes de critique verbale sur St Marc et St Matthieu»JTJ 34 (1933) 113-138. Vedi soprattutto p. 131.
57 2. Analisi del testo
ΝΕΑΝΙΣΚΟΣ ΤΙΣ ΣΥΝΗΚΟΛΟΥΘΕΙ ΑΥΤΩ ΠΕΡΙΒΕΒΛΗΜΕΝΟΣ ΣΙΝΔΟΝΑ ΓΥΜΝΟΣ ΚΑΙ ΚΡΑΤΟΥΣΙΝ ΑΥΤΟΝ Ο ΔΕ ΚΑΤΑΛΙΙΙΟΝ ΤΗΝ ΣΙΝΔΟΝΑ ΓΎΜΝΟΣ ΕΦΥΓΕΝ Da questo errore di trascrizi one sarebbero scaturite le diverse varianti testuali con le quali oggi dobbiamo confrontarci. a) La fonte del codice unciale W, rimarcando la segnalazione dell'errore, avrebbe ripreso il testo originale eliminando γυμνός seguito in questo da/ 1 , dai manoscritti latini c e k, dal testo siriaco del Sinaitico (Syr') e dal testo copto saidico (Cop"). b) La segnalazione sarebbe invece sfuggita alla fonte del codice unciale Θ, che avrebbe pertanto riportato il testo che aveva sotto gli occhi, seguito poi dai manoscritti minuscoli/13, 543 e 565, dal testo siriaco della Peshitta (Syrp) e dal testo etiopico (Eth). c) Ne risultava un testo grammaticalmente scorretto. Ecco allora il terzo intervento: quello apportato dalla fonte degli unciali Β e D che sostituiscono γυμνός con èm γυμνού, testo di cui si fanno portavoci anche altri unciali, diversi codici minuscoli, i manoscritti latini a, b , f f , q (che traducono «supra nudura»). i manoscritti latini l, r2, vg (che traducono «super nudo»), il testo siriaco della Philoxeniana (Syr^), il testo copto boairico (Cop1™) e i testi armeni {Arni). L'ipotesi di CHOUCHOUD troverà ampio consenso tra gli studiosi favorevoli all'emendazione del testo. Nel 1937 essa sarà ripresa da E. LOHMEYER59 e, a distanza di anni, nel 1952 da V. TAYLOR che là presenta in questi termini: «This suggestion is not only probable in itself, but is supported by the fact that the normal Gk expression for "over his naked body" is έν χ ρ ω or έτύ χρωτός. No difference is made to the meaning if έτύ γυμνοΰ is omitted»60. Con qualche esitazione anche C.E.B. CRANFIELD nel 1959 si dichiara a suo favore61. E questa l'ipotesi che E NEIRYNCK nel 1979 sostiene con vigore per riproporre all'attenzione dell'esegesi un testo «dépouillé de tout ce que l'imagination a pu construire autour»" E chiaro che egli si
" Cfr. LOHMEYEU E., Markus...,
323.
'-"TAYLOR V . . M a r k . . . , 5 6 1 , 61 U
Cfr CKANFIELD C.E.B., Mark..., 438. NEIKYNCK F., «La fuite...», 60.
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2. Analisi del testo
riferisce all'immaginazione di chi non solo sottolinea il tratto della «nudità», ma si dichiara anche a favore di una interpretazione simbolica dell'episodio. Riprendendo le argomentazioni precedenti, egli ritiene che il testo vada emendato almeno per quattro motivi: 1 ) i manoscritti greci che omettono l'espressione sarebbero testimoni del testo cesareense, la cui importanza per il vangelo marciano è riconosciuta da molti critici soprattutto quando essa, come nel nostro caso, è confermata da diversi testi antichi; 2) l'espressione è grammaticalmente scorretta e parlare di una tautologia tipica dello stile marciano sarebbe un tentativo alquanto sommario di risolvere il problema; 3) l'aggiunta di έπί γυμνοΰ si spiega perfettamente come un tentativo di anticipazione da parte dei copisti che hanno colto il γυμνός al v. 52 nel senso di «completamente nudo»; 4) il testo mantiene perfettamente il suo senso anche quando viene emendato: il giovane fugge γυμνός, cioè senza il suo mantello. Dopo aver preso atto di questa argomentazione, senz'altro interessante, ci sembra opportuno ricordare che esiste anche un «altro lato della medaglia». L'itinerario che genera le diverse varianti testuali può benissimo essere interpretato a partire da un punto di vista diametralmente opposto e, per certi versi, più obiettivo, in quanto cerca di spiegare il testo sullo sfondo della variante più attestata, non dell'opportunità ο meno di un emendamento. In questa prospettiva la lezione έπί γυμνοΰ emerge come la lezione da preferirsi e quattro ci sembrano le argomentazioni più rilevanti. 1) Prima di tutto, dal punto di vista della critica esterna, essa è ampiamente attestata, cosa che non si può affermare per i due emendamenti a cui si è fatto riferimento. L'argomentazione stessa di N E I R Y N C K ci sembra imprecisa. Affermare che «les manuscrits grecs qui ont Pomission (W, λ) ou la variante γυμνός (Θ,/", 565) sont les témoins du texte Césaréen» (p. 62) è semplificare in modo troppo sommario i dati della questione: èiri γυμνοΰ è omesso dall'unciale W, considerato un testimone del testo cesareense, ma anche dai manoscritti ce k della Vetus Latina, considerata testimone del testo occidentale, come pure dal testo siriaco del Sinaitico (5)>r') ugualmente testimone del testo occidentale. A un'attenta analisi, il testo cesareense più che proporre l'omissione di έπί γυμνοΰ, propone la sua sostituzione con γυμνός attestata in Q, nel gruppo dei manoscritti greci dif l } , e
59 2. Analisi del testo
nel manoscritto 565, tutti classificati come rappresentanti del testo cesareense. La medesima variante la ritroviamo, in ogni caso, anche nel testo siriaco della Peshitta ÌSyt*), testimone del testo occidentale. Come si può notare, la questione si presenta più complessa rispetto a quanto lascia intendere NEIRYNCK, che in questo modo si trova a porre l'intera sua argomentazione su basi alquanto incerte63. 2) In secondo luogo se affrontiamo la questione dal punto di vista della critica interna ci troviamo di fronte a un caso chiaro di lectio diffialior. È proprio la difficoltà della lezione originale επί γυμνοΰ a generare le diverse varianti testuali: visto che dal punto di vista grammaticale la preposizione έπί seguita dal genitivo dell'aggettivo γυμ νός fa problema, alcuni copisti tentano di intervenire emendando il testo. Del resto è certamente più facile pensare a una correzione di έπί γυμνοΰ in 'ριμνός ο, ancora, a una totale soppressione dei due termini che il contrario. Il fatto stesso che tale formula sia da tutti considerata come inusuale e grammaticalmente scorretta (particolare rilevato tra l'altro dallo stesso NEIRYNCK) rende ancora più improbabile l'ipotesi che essa costituisca un emendamento operato volutamente dal copista". 3 ) Ci chiediamo poi se έπί γυμνοΰ vada veramente inteso come un sintagma nel quale la preposizione έπί è seguita da un «aggettivo»: γυμνοΰ può benissimo essere considerato come il genitivo del sostantivo τό γυμνόν, il corpo nudo. Tale soluzione viene presentata e difesa nel 1830 da EA. FRITZSCHE6', ottenendo un certo credito e venendo successivamente ripresa dai lessici di G R I M M , T H A Y E R e BAUER 6 6 dove, a conferma, viene presentato un testo di LUCIANO 6 5 . 4) In quarto luogo ci sembra del tutto probabile quanto fa notare R.E. BROWN affermando che «the ancient textual omission " Perla dassificazione dei diversi' testimoni del testo occidentale e cesareense cfc GREEN LEE H., Introduciloη to New Testament Textual CtiHcism, Grand Rapids 1964, 87-90. " Ch,JACKSON H.M, «Why the Youth...», 278. " Cfr. FRITZSCHE F.A, Evangelium Marci (Quatuor N.T, Evangelia II), Lipsiae 1830, 644645. " Cfr. GRIMM C.L.W., Lexicon Graeco-Latinum in libros Novi Testamenti, Lipsiae 1903; THAYERJ.H., A Greek-Engltsh Lexicon of the New Testament being Grimms Wilkie's Clavis Novi Testamenti, Edinburgh 1908, 122; BAUER W., A Greek-English Lexicon ofthe New Testament and Other Early Christian IJterature, Chicago 1979, 167. "" Cfr. LUCIANO, N&rìgium, 33 IN: WARMINGTON E . H . (ed.), Luciani η etght volumes (LCL
6), Harvard 1%7>468.
60
2. Analisi del testo
(which does not have impressive support) is surely an attempt by early scribes to get rid of a difficulty... The fact that Matt and Luke omitted the passage and scribes emended it suggest strongly that it was understood to refer to complete nakedness and thus was a bit scandalous»68. Riteniamo tutte queste considerazioni sufficienti per stabilire la solidità del testo non emendato. E del resto significativo che in tutte le edizioni critiche del Nuovo Testamento la lezione testuale lunga sia riconosciuta come prioritaria69. Lo stesso METZGER, nell'ultima edizione del suo commentario di critica testuale, non ritiene nemmeno opportuno affrontarne la discussione70. Ma prima di procedere nell'analisi è opportuno affrontare altre questioni, a prima vista secondarie, ma che possono fortemente influenzare l'interpretazione del nostro brano. 2.1.2 Altre questioni minori Oltre al problema che abbiamo appena analizzato, il nostro testo presenta altre tre questioni minori, di più facile soluzione, che ci sembra opportuno chiarire in vista delle fasi successive del presente lavoro. In genere, su tali questioni le conclusioni dei critici sono concordi. 2,1.2.1 Me 14, M: cruvr|KoAxró6ei I codici unciali D, W, 0 e i codici minuscoli/ 1 , 565 e 700 insieme con la Koinè leggono Ì J K O X O ' U G E I . Gli stessi manoscritti della Vetus Latina e della Vulgata sembrano non tenere conto della par* BROWN R.E., The Death..., vol. 1,295. Cfr. anche GUNDRY R.E., Mark..., 882. " Cfr. GRIESBACH J.J., Novum Testamentum Graece, London 1796,242; TESCHENDORF G, Novum Testamentum Graece: ab anùqùssimo texto denuo recensuit apparatum criticum omni studio perfectum apposuit commentationem isagogeam, vol. I, Lipsi'ae 1869, 381-382; LEGG S.C.E., Evangelium secundum Marami- Novum testamentum Graece secundum Textum Westcotto-Hortianum, London 1935; MEKK A., Novum Testamentum Graece et Latine apparatu critico instructum (SPIB 65), Roma 1992, 176; NESTLE E - ALAND B. e K„ Novum Testamentum Graece, Stuttgart 1993", 140. 70 Cfr. METZGER B.M., A Textual Commentary on the Greek New Testament, Stuttgart 19942, 96.
612.Analisi del testo
ticokre sfumatura del greco traducendo con sequebatur e non rendendo in alcun modo la peculiarità del prefisso συν-. Lo stesso si dica per il testo siriaco attestato nel Sinaitico e nella Peshitta iSyr' e Syrp), come pure per il testo copto boairico ( C o p p e r i testi armeni e georgiani. Vedremo in fase di analisi come la resa del prefisso συν- abbia la sua importanza per la corretta interpretazione del verbo. La sua presenza non è indifferente ο di poco conto. Nel XIX sec. riscuote un certo successo una variante testuale, attestata in diversi codici unciali (A, Ν, Ρ, Χ,Υ, Γ, Π, Σ) e in diversi minuscoli i/15, 69, 124, 157...): essa corregge l'imperfetto con l'aoristo ήκολούθησεν. G R I E S B A C H , F R I T Z S C H E e S C H O L Z 7 1 si pronunciano a suo favore. Dopo gli studi di L A C H M A N N e T L S C H E N D O R F 7 2 , la solidità della lezione συνηκολούθει non è più messa in dubbio da nessun critico: essa ha il significativo sostegno degli unciali B, C, L, Ψ che ne assicurano l'antichità.
2.1.2.2 Me 14,51: κρατοΰσιν αυτόν Questa lezione testuale è solidamente attestata negli unciali Ν, B, C*, L, Δ, Ψ, dal minuscolo 892, da diversi manoscritti della Vetus Latina (tra i quali i manoscritti a e k molto antichi) e dalla Vulgata, come pure dal testo siriaco della Peshitta {Syr^) e dai testi copti saidico e boairico {Cop" e Cop*"). Una variante propone tuttavia di aggiungere ot νεανίσκοι specificando in questo modo il soggetto dell'azione: essa è attestata negli unciali A, C2, Ν, Ρ, Χ, Υ, Γ, Π, Σ, Φ, in molti codici minuscoli, nel testo q della Vetus Latina, nel testo siriaco harcleano {Syt*) e nei testi armeni ed etiopici. Un cambiamento nell'ordine dei vocaboli (ot δέ νεανίσκοι κρατοΰσιν αυτόν) è invece proposto dagli unciali W, Θ, dai minuscoli/ 1 , fn, 543,565, 700, dal testo siriaco del Sinaitico {Syr*) e dal testo georgiano. I critici spiegano le varianti testuali parlando di un caso evidente di lectio brevior: i diversi copisti sarebbero intervenuti per chiarire il passaggio mettendo maggiormente in rilievo i soggetti dell'azione. Anche in questo caso la presenza ο meno dei neaniskoi che intervengono nell'arresto del giovane non è di poco conto. Nel 71
C f r GRIESBACHJJ., Novum...,
230; FKITZSCHE F A . , Evangelium...,
645; SCHOLZJ.M.A,
Novum Testamentum Graece, Lipsia 1830, 190. 72 Cfr. LACHMANN K.K.F., Novum Testamentum Graece et Latine, voi. t Berolini 1842, 300; TlSCHENDORF A.F.C., Novum..204.
2. Analisi del testo
62
vangelo di Marco, infatti, la figura del neamskos assume un certo rilievo proprio perché viene menzionata due sole volte, e sempre in passaggi chiave della narrazione (14,51-52; 16,5-7).
2.1.2.3 Me 14,52: γυμνός έφυγεν Questa espressione posta a conclusione della nostra pericope è sostenuta dalla maggioranza dei codici unciali e minuscoli, da un rilevante numero di manoscritti latini e dal testo siriaco harcleano CSyrb). Un'inversione tra i vocaboli è attestata nei codici unciali L, Δ, Ψ, in alcuni minuscoli, nei manoscritti latini ς d, ff, k, nel testo siriaco delia Peshitta (Syrp), nei testi copti saidico e boairico {Cops\ Cope in quello etiopico. Un'ulteriore variante propone l'aggiunta di άπ'αύτών, secondo la quale il giovane fugge da coloro che vogliono arrestarlo, ο ancora di άπ'αύτοΰ che invece presenta la fuga come un abbandono del Maestro. Anche in questo caso è da preferirsi la lectio brevior. essa testimonia un testo più antico. L'aggiunta si può spiegare come una naturale espansione del testo che tenta di chiarire la direzione della fuga in riferimento al soggetto inespresso di κραΐοΰσιν". L'evangelista pone l'accento sulla fuga in sé, senza ulteriori specificazioni. È proprio il fatto che il giovane abbandona la scena a sorprendere. E su tale reazione che l'evangelista attira lo sguardo del lettore, enfatizzandola con la menzione dello stato di nudità. Dopo queste brevi osservazioni, volte a chiarire il testo che sarà oggetto del nostro studio, è opportuno citare per esteso la lezione testuale che prenderemo in considerazione: Me 14,51: Και νεαν'ισκος τις συνηκολούθει αύτφ περιβεβλημένος σινδόνα επί γυμνοΰ, και κρατοΰσιν αυτόν· Me 14,52: ό δέ καταλιπών την σινδόνα γυμνός εφυτεν.
"CFR. METZGER Β.Μ., A Textual..., Stuttgart 1971, 115.
2.2
PROBLEMI D I VOCABOLARIO
Stabilito il testo che sarà oggetto di questo studio, è ora necessario fare alcune puntualizzazioni circa la corretta interpretazione dei termini in esso impiegati. Si tratta di una tappa del nostro lavoro che riveste una certa importanza: la questione semantica ha, infatti, evidenti conseguenze sull'esegesi stessa del brano. Spesso le diverse posizioni dei commentatori nascono da una diversa interpretazione del vocabolario. Nella nostra presentazione seguiremo l'ordine in cui i vari termini compaiono nei due versetti, presentandone le diverse traduzioni con le conseguenze che esse implicano nell'esegesi della pericope.
2.2.1 «Un certo giovane...»: νεανίσκος τις L'approfondimento più esaustivo del sostantivo νεανίσκος ci sembra reperibile in un articolo di C. SPICQ apparso nel 196974. l'autore cerca di determinare il significato del termine alla luce della letteratura biblica ed extra-biblica, offrendo un'ampia documentazione e preziosi riferimenti bibliografici. Il primo aspetto che egli fa notare è la difficoltà a determinare l'età di un νεανίσκος: ciò non dipende dal fatto che i diversi documenti letterari facciano difetto, ma semplicemente dal fatto che questo vocabolo viene normalmente riferito a una tappa «metaforica» della vita umana. Gli autori antichi in genere distribuiscono le età della vita umana seguendo criteri filosofici a partire dai quali essi distinguono sette, otto, dieci, anche tredici fasce cronologiche. In queste liste si riscontra una costante: quando si parla di un neaniskos ci si riferisce in genere a quella fascia di età che segue l'adolescenza (xò 74 Cfr. SPÌCQ C., «Laplace ou le róle des jeunes dans certaxnes communautés néotesta meataires»,M 76 (1969) 508-527.
64
2. Analisi del testo
μειράκιον, dai 14 ai 21 anni) e che precede la maturità (ό τέλειος ά,νήρ). Se assumiamo un criterio abbastanza ampio, un neanhkos potrebbe avere un'età compresa tra i 18 e i 35 anni, fascia cronologica identificata come l'arco temporale in cui l'intelligenza, la capacità di giudizio e la parola raggiungono la loro manifestazione più matura. Va inoltre notato che nella letteratura extra-biblica il sostantivo νεανίας è considerato sinonimo del sostantivo νεανίσκος 75 . Anche nel Nuovo Testamento, conformemente a quanto detto, il termine designa più una serie di attitudini fìsiche e morali che non una precisa definizione cronologica. Esso compare due volte in Mt 19,20.22 per identificare il giovane ricco: è interessante notare al riguardo che nel parallelo marciano (Me 10,20) il ricco sottolinea che «fm dalla sua giovinezza» (έκ νεότητός μου) egli ha osservato la Legge, lasciando intendere che ha già superato l'età dell'adolescenza. Senza alcuna precisa determinazione temporale, il vocabolo appare ancora due volte in Me 14,51; 16,5 e una in Le 7,14 per indicare ilfigliodella vedova di Nain. Negli Atti degli Apostoli il termine ricorre quattro volte: in At 2,17 esso viene impiegato nel contesto della profezia di Gioele il quale presenta tra i tratti principali dei tempi escatologici l'effusione dello Spirito sui νεανίσκοι e sui πρεσβύτεροι evidentemente intesi come le due grandi fasce che fanno da estremi all'età matura; in At 5,10 qualifica i giovani che provvedono alla sepoltura di Anania e di Saffira; in At 23,18.22 descrive il nipote di Paolo. Questi due ultimi riferimenti sono di particolare interesse in quanto confermano come anche nella letteratura neotestamentaria i due termini νεανίας e νεανίσκος siano sinonimi: lo stesso nipote dell'Apostolo è infatti chiamato νεανίας in 23,17 (termine tra l'altro utilizzato per descrivere il giovane Paolo in At 7,58 e il giovane Eutico in At 20,9) e νεανίσκος in 23,18.22. Nella prima lettera di Giovanni νεανίσκος è ancora impiegato in due ricorrenze (2,13.14): i giovani a cui si riferisce il vocabolo sono persone che «hanno vinto il maligno», che «sono forti» e che «portano la Parola nel loro cuore», aspetti che denotano una certà maturità.
" Della medesima opinione BALZ Η . - SCHNEIDERG. (edd.), «νεανίσκος» in: DENTII, 465-466; WALKER W.L., «Young» in: ISBEIV, 1165-1166. È curioso rilevare come second o WALSCHJ.E. («The Two...», 66) il giovane, da identificare con Marco, avrebbe circa 10 anni (!) ο ancora come secondo JOHNSON L. («Who was...», 158) egli abbia quasi certamente un'età compresa tra i 18 e i 20 anni. A questi tentativi di fissare in maniera più ο meno esatta l'età del giovane si aggiunge anche quello di COLE R.A. (Mark.... 301) che ptopone un'età compresa fra i 13 e i 19 anni'.
652.Analisi del testo
Può essere irteressante dare anche uno sguardo all'uso che ne fa la LXX: il vocabolo traduce 25 volte l'ebraico Ίί2 e 37 volte l'ebraico "TTQ. Nella lingua ebraica il primo termine viene impiegato per coprire fasce di età alquanto diversificate: il bambino non ancora nato (Gdc 13,5.7.8.12), quello venuto da poco alla luce (lSam 4,21), il bambino di tre mesi (Es 2,6), quello non ancora svezzato (lSam 1,22), un ragazzo di 17 anni (Gn 37,2), un giovane di 30 (Gn 41,12). Non sembrano esserci casi in cui Ί ΰ ] identifichi un uomo sposato. Pertanto possiamo affermare che il termine ebraico può indicare l'ampia fascia di età che si estende dall'infanzia al matrimonio. Quando tuttavia si prendono in esame i 25 casi in cui la LXX traduce l'ebraico Ίϋ] con il greco νεανίσκος, ci si rende subito conto dal contesto che non si tratta di bambini ma di giovani, nel pieno delle loro forze76. La stessa osservazione può essere ribadita anche per il sostantivo *TfD. Questa analisi ci permette di comprendere meglio il senso del vocabolo utilizzato nel secondo vangelo. Presentiamo a titolo esemplificativo una tabella con tutte le ricorrenze neotestamentarie77:
Matteo 19,20 19,22
νε ανίσκος nel MT Atti Marco Luca 7,14 14,51 2,17 5,10 16,5 23,18 23,22
lGv 2.13 2.14
Siamo pienamente d'accordo con SPICQ nel concludere che «ce qui intéresse les écrivains bibliques, ce sont moins les conjonctures chronologiques et spatiales de l'existence que les éléments psychologiques, sociaux et spirituels qui définissent l'homme devant Dieu. Sous cet aspect moral et religieux, la jeunesse est d'abord l'âge où l'on reçoit l'éducation paternelle et où l'on imite l'exemple des anciens, on s'initie à la piété envers Dieu et l'on recherche la sagesse. C'est l'aurore de la vie»78. E l'età della scelta di vita, l'età che de76 Cfr. per esempio Gn 19,4; 25,27; 34,19; 41,12; Es 10,9; 24,6; Nm 11,27; Gs 6,21.23... Può essere anche interessante tener presente che lo stesso termine viene utilizzato per indicare i seni o coloro che sono sottopost a un'autorità superiore (cfr, Gn 18,7; 22,3.5.19). 71 Cfr. FUHS H.F., «"1U]>. in: TWAT V, 507-518; HAMILTON V„ «~1M» in: NLDOTThEx 3,124-127. Cfr. anche la voce «Bahut» in: EJIV, New York 1971, 102. ™ SPICQ C , «La place...», 512.
2. Anali si del testo
66
termina in modo forte i tratti futuri della personalità. Tutto ciò, come vedremo più avanti, rende altamente significativo l'uso che Marco fa del sostantivo in occasione dell'arresto (14,51-52) e della risurrezione di Gesù (16,5-7). Un ultimo accenno merita l'indefinito τις: contrariamente a quanti tentano di dare un volto ο un nome al neaniskos, la presenza dell'indefinito sembra esprimere una chiara volontà dell'autore a lasciare sfuocata l'identità del soggetto a cui si riferisce. «Qualcuno» sta seguendo Gesù, «qualcuno» di cui non si conosce il nome e la cui identità biologica non riveste alcuna importanza particolare per il lettore chiamato, al contrario, a soffermarsi sul senso di questa scena. L'aggettivo indefinito sembra avere proprio la funzione di far fermare il lettore, suscitando in lui l'interrogativo sul ruolo e sul messaggio della scena che viene proposta alla sua riflessione79.
2.2.2 «...lo seguiva...»: συνηκολούθει α ύ τ φ Questo verbo, composto dalla particella συν + άκολουθέο), nell'intero NT è usato solo in tre passaggi: in Me 5,37 per esprimere il privilegio riservato a Pietro, Giacomo e Giovanni di poter assistere al miracolo della risurrezione della figlia di Giairo (και ουκ άφήκεν ο ΰ δ έ ν α μ ε τ ' α ύ τ ο ΰ σ υ ν α κ ο λ ο υ θ ή σ α ι ει μή...); nel nostro brano per indicare il permanere in scena del giovane in un contesto di fuga generale e in Le 23,49 per esprimere la sequela di quelle donne che dalla Galilea restano al fianco di Gesù (al συνακολουθοΰσαι α ύ τ φ ano της Γαλιλαίας) fino a Geru salemme. Se si tiene presente che sia Marco che Luca conoscono la forma semplice del verbo άκολουθέο), impiegandola rispettivamente 17 e 18 volte, l'uso della forma preceduta dal suffisso non può essere del tutto casuale. συνακολυυθέοι nel NT Luca Marco 2J,49 5,37 14,51 " Cfr. BROWN R.E., TheDeatb298. 1637-1641.
i
Cfr. anche HottSTMANN Α., «τις,u» in: DENT O,
67 2. Anali si del testo
Circa la sua corretta interpretazione, gli esegeti manifestano posizioni discordanti: secondo G. K I T T E L il verbo non avrebbe alcuna sfumatura teologica particolare, indicando semplicemente l'atto fisico, esteriore, dell'accompagnare, cosa che definisce «certa» per i due passi marciani ( 5 , 3 7 ; 1 4 , 5 1 ) e «probabile» per quello di 81 LE 23,49 . Tale opinione è ripresa e difesa da F . NEIRYNCK il cui approccio appare tuttavia un poco «sospetto» in quanto deliberatamente teso a smentire una dopo l'altra le argomentazioni di chi interpreta la pericope di Me 1 4 , 5 1 - 5 2 in chiave simbolica. La sua argomentazione non ci sembra convincente: se l'evangelista avesse voluto indicare un puro atto «esteriore», «fisico», nella sequela del Maestro, avrebbe potuto benissimo usare il verbo άκολουθέω che, con tale significato, viene ampiamente usato sia per la folla (cfr Me 2 , 1 5 ; 3 , 7 ; 5 , 2 4 ; 1 1 , 9 ) sia per i discepoli (cfr. Me 6 , 1 ; 1 0 , 3 2 ; 1 4 , 1 3 ) . Ci sembra, al contrario, che l'uso della particella συν- vada inteso in modo diverso. 1) Nell'episodio della risurrezione della figlia di Giairo (Me 5,37) il verbo marca una forte distinzione tra coloro che hanno il privilegio di essere ammessi al miracolo e coloro che, al contrario, ne sono esclusi. Esprime pertanto una condizione di intimità e di vicinanza che non è applicabile a tutti82 2) Nel caso specifico dell'arresto di Gesù questo verbo sottolinea due aspetti importanti: in primo luogo la differenza tra la reazione del giovane e quella degli altri discepoli, di cui è stato appena detto che si sono dati alla fuga (Me 1 4 , 5 0 ) ; in secondo luogo presenta la sequela del giovane sotto una luce diversa da quella di Pietro il quale - viene precisato in Me 14,54 - «lo seguì (ήκολούθησεν) da lontano». Tra l'altro questa sottolineatura verrà ripresa in Me 15,41 per le donne delle quali viene detto che «lo seguivano (ήκολούθουν) e lo servivano» fin dai tempi del ministero in Galilea. In un momento in cui tutti i soggetti della sequela hanno «rinnegato» il loro Maestro (chi con la fuga, chi 8 0
M Cfr. KiTTEL G„ «συνκκολουθεω», in: GLNT1,582, Tale lettura è condivisa anche da SCHNEIDER G., «άκολουθέω» in: D E N T J, 129-138, il quale, tuttavia, esclude Le 23,49, e da LFICASSE S., Marc..., voi. II, 908, che solleva però qualche perplessità circa l'ident'ificazione con una sequela solo esteriore. Anche BAUER W., A Greek-Engtsh Lexicon..., 783 preferisce trattare a sé il passaggio di Le 23,49 affermando che in questo caso il verbo ha il senso preciso di «essere discepolo». iL C f r . NEIKVNCK E, «La fuite...»,52-55. a
C f r . VANHOYE Α . , « L a f u i t e . . . » , 4 0 4 ; MAZZUCCO C „ « L ' a r r e s t o . . . » , 2 7 4 ; GUNDKV R . H . ,
Mark...,
882.
2. Anali si del testo
68
con il tradimento, chi mescolandosi tra la folla degli arrestato« e accusatori di Gesù), uno continua a rimanere συν-, «vicino», «accanto», «con» il Maestro. Tutto ciò ci porta a non ritenere per niente incoerente l'ipotesi che il verbo possa avere in questo passaggio una rilevanza anche «teologica», sottolineando un intento di particolare intimità e vicinanza a Gesù. 3) Va infine rilevata anche la presenza del dativo αύτφ; esso specifica in modo chiaro verso chi si dirige l'azione del giovane: egli non segue la folla ο chi è giunto per arrestare Gesù, né tantomeno resta a osservare da lontano lo svolgersi degli eventi, ma, mescolandosi ai presenti, si propone di seguire il proprio Maestro da vicino. Queste tre osservazioni ci sembrano sufficienti per sostenere la particolare sfumatura teologica che ha spinto l'autore a optare per tale verbo in Me 14,51. Essa è tra l'altro confermata anche da due ricorrenze dello stesso verbo nella LXX: in Nm 32,11 e in 2Mac 2,4 συν + άκολουθέω è espressamente usato nel senso di «seguire fedelmente», «seguire da vicino». Per quanto concerne la sfumatura grammaticale da attribuire alla forma verbale, l'esegeta B. STANDAERT propone di considerarlo come un imperfetto di conatu: «egli cercava di seguirlo»85. Non ci sembra che tale traduzione sia strettamente necessaria alla comprensione del testo: l'imperfetto esprime normalmente un'azione duratura nel tempo e questo basta per mettere in evidenza il tratto che caratterizza il neaniskor. nel momento in cui tutti si sono dati alla fuga, egli «continua a seguire» il suo Maestro dando prova di una fedeltà che sembra assicurare un minimo sostegno umano a Gesù0". Vedervi un imperfetto di conatu rischia di attribuire al verbo una sfumatura aggiuntiva non necessariamente espressa dal testo.
2.2.3 «...avvolto da...»: περιβεβλημένος 11 verbo περιβάλλω è discretamente usato all'interno del NT. Se ne riscontrano 23 ricorrenze che presentiamo nel seguente prospetto:
Β ω
Cfr. STANDAEKT B., Marc. Composition..., Cfr. anche GUMDRY R.E., Mark 862.
157.
69 2. Analisi del testo
Matteo 6,29 6,31 25,36 25,38 25,43
Marco 14,51 16,5
περιβάλλω nel NT Giovanni Luca 19,2 12,27 19,43 23,11
Atti 12,8
Apocalisse 3,5.18 4,4 7,9.13 10,1 11.3 12,1 17,4 18,16 19,8.13
Nella LXX esso viene impiegato 75 volte. Il significato è quello di «indossare, vestire, avvolgersi in un mantello». Quest'ultima traduzione tiene conto del prefìsso περί- «attorno», che richiama l'idea di un articolo di abbigliamento che viene indossato avvolgendolo attorno al corpo. È questo un particolare che va rilevato, come sostiene lo stesso L A G R A N G E , affermando che il giovane «était revètu d'une de ces pièces d'étoffe légère dans lesquelles on s'enveloppe pour dormir», citando a titolo esemplificativo anche un testo di G A L L I E N O : μή γυμνός κοιμίζεσθαι αλλά περιβεβλημένος σινδόνα 85 . Il termine non pone problemi di interpretazione e gli studiosi sono pressoché unanimi nel definirne il senso. Per noi diventa particolarmente significativo sottolineare fin d'ora che il secondo vangelo lo impiega in soli due passaggi (Me 14,51 e 16,5) e sempre nella medesima forma verbale: un participio perfetto medio. 2.2.4 «... un tessuto di lino sul corpo nudo...»: σινδόνα επί γυμνοΰ Anche il termine σινδών ha fatto problema. Gli esperti divergono nello stabilire se σινδών sia un normale capo di vestiario da indossare sopra i capi intimi ο se, al contrario, esso rappresenti una sorta di tunica da notte, a diretto contatto con il corpo, A favore della prima ipotesi si schierano E . K L O S T E R M A N N 8 6 e F . NEIRYNCK* 7 . La questione è stata recentemente affrontata in un articolo da H.M. " LAGRANGE M.J., Marc..., 370. * Cfr, KLOSTERMANN E., DOS Markusevangelium..., Cfr.NEJKYNCKF.,«Lafuite...», 163.164.
153
2. Anali si del testo
70
JACKSON® che tenta di risolvere l'interrogativo a partire da un confronto con la letteratura greca. Il vocabolo oivòcòv designa prima di tutto un tessuto di manifattura egizia o sira, di lino o di cotone. Di forma rettangolare, ampia, esso veniva avvolto attorno al corpo e usato o come una cappa o come un mantello. Tale capo di vestiario si distingue dal più comune íjláTiov essenzialmente per due caratteristiche: il tipo di tessuto (non si tratta di lana ma di lino o cotone) e il prezzo (si tratta di un articolo «costoso»), aspetti che rendono il oivòcóv un capo «nobile», che non tutti si possono permettere89. Proprio a motivo del suo pregio esso veniva usato per la sepoltura dei defunti. R . SCROGGS e K J . G R O F F ritengono del tutto inutile soffermarsi su questi particolari. Secondo loro «it must be stressed that the synoptic tradition is not interested in such historical details. The meaning must rather be symbolic. The initiation garment of the Christians was at least sometimes made from linen, but the garment in vss, 51-52 symbolizes what the initiate take off, not the robe he will later put on. Possibly a relationship exists with the story wich contains the only other occurence of oivòcóv in Mark - the account of the burial of Jesus (15,46)»'°. L'osservazione è preziosa ma è importante anche non dimenticare che nel secondo vangelo è un uomo ricco, di buona posizione sociale (£Û0XT|J1(ÛV: 15,43) che fa acquistare il tessuto necessario alla sepoltura di Gesù. Come fa notare lo stesso NEIRYNCK: «Dans une culture qui considère le manteau comme un bien essentiel de l'homme (cf. 13,16; Le 6,29), il n'est pas exclu que le récit d'un jeune homme qui s'échappe en la issant son manteau commence par dire qu'il était vêtu d'un manteau d'un tissu fin et coûteux»91. Il termine nel NT ricorre solo sei volte di cui ben quattro in Marco: nel nostro brano (14,51-52) e nel racconto della sepoltura di Gesù (15,46 con due ricorrenze). La sepoltura resta il contesto delle altre due citazioni in Mt 27,59 e Le 23,53. Il nostro episodio ** Cfr. JACKSON H.M., «Why the Youth,.,», 273-289. Cfr. anche l'approfondimento di GHIBEKII G„ La sepoltura di Gesù. 1 Vangeli e la Sindone (StTau), Roma 1982,35-46. * Sul particolare pregio della stoffa insistono anche BLJNZERJ., «"Sindon" in Evangeli« (Rectificatio)», VÜ 34 (1956) 112-113; CHANTRAINE P , Dictionnaire Etymologique de la Langue Grecque. Histoire des Mots, vol. II, Paris 1968, 1005; LlDOFJ. H.G. - S C O r r R „ / l Greek-English Lexicon, Oxford 1968, 1600; MOULTON J.H. - MILLIGAN G., The Vocabulary of the Greek Testament, London 1929, 575. 50 SCROCGS R.- GKOKF K.I., «Baptism in M a r k . . 5 4 1 . " NEIRYNCK F . , « L a f u i t e . . . » , 6 5 .
2. Analisi del testo
71
costituisce pertanto l'unico ambito in cui il oiv5còv è menzionato come un capo di vestiario per un uomo vivo.
Matteo 27,59
oivStóv nel NT Marco 14.51 14.52 15,46 (2x)
Luca 23,53
Nella LXX il termine è raro e sembra evocare una tunica (cfr. Gdc 14,12-13; iMac 10,64; Pv 31,24). Nei testi extra-biblici il campo semantico è molto più vasto: il sostantivo può indicare un «tessuto di lino finissimo», un «drappo sottile», una «veste leggera», o ancora un velo, un lenzuolo, un vessillo92. La varietà dei significati è confermata anche dai testi apocrifi. P.A. GRAMAGLIA, passandoli in rassegna, rinviene i diversi significati di «veste diurna, perizoma, sottoveste, panno, tovaglia, coperta mortuaria»93. Ciò ci aiuta a comprendere la complessità della questione. Uno sguardo ai diversi dizionari può aiutarci a ipotizzare una soluzione al problema: secondo J . M , MYERS 94 si tratterebbe di un capo, indossato per lo più da uomini, a diretto contatto con il corpo nudo. L. G. RUNNING" aggiunge che questo capo di vestiario fine e costoso era usato o come abito da notte o come lenzuolo nel quale venivano avvolti i defunti. Nella letteratura extra-biblica esso viene usato anche per indicare le bende utilizzate neUa sepoltura delle mummie. E. S A G L I O precisa che solo nel periodo ellenistico il termine viene usato per indicare anche un capo di cotone: in origine il cnv5a)v era esclusivamente di lino*. Pur nella difficoltà di pervenire a una definitiva soluzione della questione semantica, ci sembra di poter trarre da questa breve analisi le seguenti conclusioni: l) nella notte dell'arresto la «sindone» era l'unico capo di abbi°2 Cfr. R o c a L., Vocabolario CrecO-ltaitano, Città di Castello 1983, 1668. " Cfr. GKAMAGLIA P.A., L'uomo della Sindone non è Gesù Cristo. Un'ipotesi storica finora trascurata, Torino 1978, 43-73. Una raccolta dei diversi documenti che menzionano il termine oiv&óv nei primi cinque secoli si può trovare in P. SAVIO, Ricerche sulla Santa Sindone, Torino 1957, 131-172. *a Cfr. MYERS J.M., «Dress and Ornaments» in: IDB 1,869-871. Della stessa opinione BAUER W . , A Greek-EnglishLexiton..., M
751.
C f r . RUNNING L G . , « G a r m e n t s » i n : I S B E I I , 4 0 1 - 4 0 7 .
" Cfr. SAGLIO E.. «Sindon» in: DAGR IV.2, 1346.
72
2. Anali si del testo
gliamento indossato dal giovane. Se Marco avesse voluto indicare un semplice mantello indossato sopra l'abbigliamento intimo (posizione difesa da NEIKÌ'NCK}, egli avrebbe certamente usato il vocabolo più comune di ijiaTtov da lui conosciuto e usato in ben 12 passaggi del vangelo (2,21; 5,27.28.30; 6,56; 9,3; 10,50; 11,7.8; 13,16; 15,20.24); 2 ) è senz'altro significativo che delle quattro ricorrenze marciane due si riferiscano al giovane (14,51-52) e due a Gesù calato dalla croce (15,46). Per ora ci limitiamo a non escludere l'ipotesi che l'evangelista abbia pensato a un nesso tra le due scene. È opportuno rilevare che anche in questa seconda circostanza il tessuto viene usato per avvolgere un corpo spoglio: stando infatti a quanto ci viene detto in Me 15,24, le vestì del Maestro erano state divise e tirate a sorte dai soldati (Me 15,24); 3) va infine tenuta presente la specificazione èra, yi)Jlvov a cui abbiamo dedicato la nostra attenzione nelle pagine precedenti; essa sembra volutamente specificare la condizione del giovane, togliendo ogni dubbio circa il nostro interrogativo: il giovane era rivestito solo ed esclusivamente di quel capo".
2.2.5 «... e lo arrestano»: και κρατοΰσιν αυτόν Il verbo κρατέω nella letteratura classica, come nell'AT, assume una varietà di significati («essere forte, avere potere su qualcosa, vincere, conquistare, afferrare, conseguire, arrestare»), molti dei quali vengono conservati anche all'interno del NT dove il termine ricorre 47 volte. Il secondo vangelo, pur nella sua brevità, è quello in cui il verbo appare maggiormente (15 ricorrenze), seguito da Matteo (12 ricorrenze). Luca sembra voler evitare il vocabolo che ha, infine, un'unica menzione in Giovanni. Il significato di κρατέω in Marco è generalmente quello di «arrestare» (6,17; 12,12; 14,1.44.46.49.51), senso con cui il verbo viene usato in tutto il cap. 14. Se nei racconti di guarigione esso descrive il gesto di Gesù che «prende per mano» i malati (1,31; 6,41; 9,27), in 7,3.4.8 indica «l'osservanza» della tradizione. Ulteriori sfu-
57 Riprenderemo la questione affrontando più avanti (al punto 2,2.7) l'etimologia del termine YUHV05.
73
2. Ardisi del testo
Matteo
Marco
1.13 9,25 12,11 3,21 5,41 14,3 6,17 18,28 7,3.4.8 21,46 9,10.27 22,6 26,4.48.50 12,12 14,1.44 26,55.57 14,46.49 28,9 14,51
Kpatéffl
nel NT
Luca
Giovanni
Aiti
8,54 24,16
20,23
2,24 3,11 24,6 27,13
:
.
Paolo Col 2.19 2Ts2,15
—
Ebrei
Apocalisse
4,14 6,18
2,1.13 2,14.15 2,25 3,11 7,1 20,2
mature semantiche si colgono in altre due citazioni marciane: nella prima (3,21) il vocabolo esprime l'atteggiamento dei parenti di Gesù e della madre, i quali pretendono di avere su di lui una particolare autorità; nella seconda (9,10) indica la disposizione interiore dei discepoli invitati a mantenere il segreto sull'esperienza vissuta in occasione della trasfigurazione del Maestro. I diversi studi dedicati al vocabolo fanno notare come normalmente l'etimologia dipenda anche dal caso che viene retto dal verbo: K p a x é c o con il genitivo esprime sempre un'azione non violenta (ME 1,13; 5,41; 9,27; At 27,13...), mentre, al contrario, la presenza dell'accusativo esprime l'afferrare più o meno violento (è il caso di ME 14,52), il tenere stretto, il trattenere, l'aggrapparsi a qualcosa o a qualcuno (Le 24,16; Col 2,19; Ap 2,1)98. Come fa notare W. MLCHAELIS, è difficile definire se ci troviamo di fronte a un vocabolo tipicamente marciano o meno, anche se va riconosciuto che, nella brevità che caratterizza il secondo vangelo, il temine ricorre alquanto frequentemente". Può essere invece significativo rilevare il parallelismo esistente tra il racconto marciano dell'arresto e quello matteano. La diversa presentazione del materiale ci permette infatti di individuare la differente prospettiva in cui si collocano i redattori dei due vangeli:
vs
Cfr, OSTEN-SACKEN P. VON DER, «Kpaxsco» in: D E N T II, 92-94.
" C f r . M I A W A I S W . , « K p a r e c u » in: G L N T V, 9 9 1 - 9 9 6 . C f r , a n c h e BRAUMANN G , « K p o / t o ? ,
strenght» in: NIDNT III, 716-718; Lipp W., Der Kettende Glaube. Eine Untersuchung zu Wundergeschichten im Markusevangelium, Marburg 1984, 96-98.
2. Analisi del resto
74
Mt 26,56-57 Τότε οι μαθηταί πάντες άφεντες αύτόν εφυγον Οί δέ κρατήσαντες τόν Ίησούν άπήγαγον ιερός Καιάφαν τόν άρχιερέα
Me 14,50-53 και αφέντες αύτόν εφιηΌν πάντες * episodio del
neaniskos
*
και άπιητχγοντόν Ίησούν ΐφός τον άρχιερεα
La struttura è la medesima e il parallelismo nel vocabolario è molto stretto. La differenza chiave sta proprio nell'inserimento da parte di Marco dell'episodio concernente il giovane che fugge nudo. A prima vista, sembra che il redattore del secondo vangelo sia interessato a sviluppare il tema dell'arresto (κρατέ(θ) e lo faccia proprio redigendo l'episodio di 14,51-52. Il chiaro parallelismo tra i due testi ci spinge a tenere presente anche il forte legame esistente tra il giovane e Gesù. 2.2.6 «Egli, però, lasciando il tessuto di lino...»: ό δέ καταλυΐών τήν σινδόνα La particella avversativa δέ evidenzia un cambio di prospettiva all'interno della pericope. Il giovane che seguiva il Maestro è stato arrestato, bloccato, ma qualcosa interviene a spezzare il gesto, inserendo un imprevisto e una svolta inattesa all'interno della narrazione100. Il verbo non pone problemi di interpretazione: forma composta di λείπω, esso viene ampiamente usato sia nella LXX (circa 300 ricorrenze), che nel NT, dove si contano 24 presenze. Il significato più comune è quello di «lasciare», in riferimento sia a luoghi che a cose ο a persone. In alcuni casi è usato anche con il senso di «trascurare» (At 6,2), «lasciare in sospeso» (Eb 4,1) ο «riservarsi, tenere da parte» (Rm 11,4)101. Non appare come un termine tipicamente marciano. 100 Cfr. Ρ κ ι α κ K . H , «δέ» in D E N T I , 731-734; BI.ASS F. - DEBRUNNER Α., Grammatica del greco del Nuovo Testamento (GLNT Supp 3), Brescia 1982, § 447. Bl Cfr. GCNTHER W. - KRIENKE Η., «ί-ειμμα, rannant, leave» m: NIDNT 111,247-254. Cfr. a n c h e « κ α τ α λ ε ί π ω » i n : D E N T I , 1940.
75
2. Anali si del testo
Matteo 4,15 16.4 19.5 21,17
Marco 10,7 12,19 12,21 14,52
κπταλεΰι ω nel N' Luca Giovanni Atti 5,28 8,9 6,2 10,40 18,19 15,4 21,3 20,31 24,27 25,14
Paolo Ebrei Lett. Catt. Rm 11,4 4,1 2Pt 2,15 Ef 5,31 11,27 lTs 3,1
Nella nostra pericope il verbo viene espresso al participio aoristo: dal punto di vista grammaticale, quando un participio aoristo precede il verbo principale anch'esso all'aoristo, si crea una contemporaneità nell'azione che ha l'effetto di accentuare il ritmo con cui si svolgono i fatti102. Ciò diventa significativo nel contesto della nostra scena.
2.2.7 «...nudo...»: γυμνός Nel NT i termini impiegati per esprimere uno stato di nudità sono tre: γυμνός, aggettivo che ricorre 15 volte, molto usato anche nei testi della L X X e di FILONE; γυμνότης, sostantivo presente solo in 3 passaggi (Rm 8,35; 2Cor 11,27; Ap 3,18), raramente impiegato nel greco della LXX e in quello extra-biblico; γυμνηχεύω, forma verbale che ricorre una sola volta in lCor 4,11. Come abbiamo già avuto modo di notare, il dibattito sull'uso del termine in Me 14,51-52 consiste nel definire se l'aggettivo debba essere inteso nel senso di una nudità totale, fisica, ο se semplicemente esso rimandi a un senso più generico103, esprimendo non tanto l'assenza di vestiti quanto piuttosto un abbigliamento sommario ο una sfumatura metaforica 104 . In genere coloro che hanno apCfr. WALLACE D.B., Greek Grommar Beyond tbe Basici. An ExegeticalSyntax New Testament, Grand Rapids 1996,624-625. ιω
m
oftbe
C f r . MAZZUCCO C . , « L ' a r r e s t o . . . » , 2 9 6 .
Cfr. TAYLOR V., Mark.,., 561-562; NEIHYNCK F„ «La fuite.,.», 64. Vedi soprattutto gli studi specifici sul termine; BALZ Η., «γυμνός, γυμνότης» ini D E N T I, 702-704; EASTON B.S., «Naked» in: ISBEIV, 2111-2112; HECKENBACHJ., De Nuditate Sacra SacrisqueVwcu· lis ( R W 9.3), Giessen 1911; LECLERCQ H., «Nu» in: DACL ΧΠ/2, 1782-1801; LESÈTRÉ H., «Nudité» in: DB IV, 1712-1714; ΟΕΡΚΕ Α., »γυμνός, « λ . » UT G L N T I I , 685-692; PFISTER E, «Nacktheit» in: RECA 16.2,1541-1569; SMITHJ.Z., «The Garments ofShame» in: Map is not Terhtory. Studies in tbe History of Religioni (SJLA 23), I^iden 1978,1-23.
76
2. Analisi del testo
profondito il senso etimologico del termine distinguono il γυμνός in senso stretto dal γυμνός in senso figurato: 1. Nel primo caso vengono raccolte quattro diverse sfumature: a) «senz'abiti». A questo campo semantico viene in genere assegnato il nostro brano; b) «sommariamente vestito»: è il caso di Mt 25,36.38.43.44 come pure di Gc 2,15; c) «spogliato a forza, con violenza»: si rimanda ai passi di At 19,16 e Ap 17,16; d) «con il solo abbigliamento intimo»: senso tipico di Gv 21,7. 2. Alla seconda categoria vengono invece attribuiti tre diversi significati: a) «palese, manifesto» con rimando a Eb 4,13; b) «senza una forma corporea definita», tipico dei due passi paolini di lCor 15,37 e 2Cor 5,3 che si riferiscono alla risurrezione; c) «povero interiormente, impreparato spiritualmente», contesto che sembra applicarsi bene ad Ap 3,17 e 16,15. . . . . .
Matteo 25,36 25,38 25.43 25.44
γυμνός nel NT Marco Giovanni Atti' Paolo Ebrei Lett. Catt. Apoc. 21,7 14.51 19,16 lCor 15,37 4,13 Ce 2,15 3,17 14.52 2Cor5,3 16.15 17.16
Neil'AT l'espressione ebraica corrispondente - D i l l i - viene impiegata 26 volte, delle quali ben 13 nei testi profetici. Lo studioso B . V . SEEVERS fa rilevare che, se lo stato della nudità agli inizi non era vergognoso, esso divenne tale dopo la caduta. Usato occasionalmente per descrivere lo stato della persona bisognosa o la condizione umana della nascita o della morte, il sostantivo •'HU viene spesso usato dai profeti per indicare in maniera forte la vergogna e la destituzione che Israele soffrirà a motivo della sua infedeltà all'alleanza105. E. H A U L O T T E , in una monografìa dedicata al simbolismo biblico del vestire, fa notare come l'assenza di un abbigliamento e la condizione di nudità siano spesso il segno di una assenza di identità: non a caso questo concetto si applica in diversi testi ai prigionieri, agli schiavi, ai casi di prostituzione, di demenza, di maledizione e di empietà106. ,0! 106
Cfr. SEEVEES B.V., «Olii?» in; NIDOTThEx n i , 532 533. Cfr. HAULOTTI E., Symbolique du vêtement selon la htble (Thcol 65), Paris 1966, 72-
2. Anali si del testo
77
Ci sembra significativo citare anche quanto rileva L. BONFAN TE, a conclusione di un'approfondita ricerca circa il concetto di nudità nel mondo classico: «In Classical antiquity the contrast between the clothed and the naked human body was used to express some of the most basic contrasts of the human experience: God and man, human and animal, man and woman, public world and private life, wealth and poverty, admiration and pity, citizen and slave, civilization and barbarism, spirit and flesh, life and death, power and helplessness. At the same time, the sight of the naked body has a great magic power, wich the artist must use and guard carefully. Its meaning change over time, but not its power, wich remind us much as we would rather forget - of our own animal nature and our mortality»107. La scrittrice tra l'altro precisa che il termine γυμνός nel mondo classico si riferisce nella maggioranza dei casi a una nudità totale. Per un uomo, ad esempio, il termine non può venire impiegato nei casi in cui questi indossa anche solo un perizoma. Il senso figurato prevale solo in contesti militari dove il vocabolo indica l'assenza di armi o uno stato indifeso, disarmato, in cui il soggetto è esposto al pericolo di morte. Questa analisi, che evidentemente non ha la pretesa di essere esaustiva, rivela come sia in ambito biblico che extra-biblico il concetto di «nudità» sfugga a un uso strettamente «tecnico» per evocare tutta una serie di condizioni e di contrasti, di immagini e di situazioni, che superano la nudità fisica. Ciò diventa ancor più significativo se teniamo presente che in tutto il secondo vangelo il termine γυμνός ricorre solo due volte, all'interno di un medesimo episodio che, come vedremo più avanti, costituisce la grande porta di accesso al racconto della passione, morte e risurrezione di Gesù.
90; NIEKR H., « M A » in: TWAT VI, 369-375; «OTlJ?» in TWAT VI, 375-380; VoGELS W„ «Cham découvre les limites de son père Noé (Gn 9,20-27)», NRT109 (1987) 554 573; WAMEACQ B.N., «Or tous les deux étaient nus, l'homme et sa femme, mais ils n'en avai ent pas honte (Gn 2,25)», in: Mélanges Bibliques en hommage du RP Be da Rigaux, Gembloux 1970, 547-556. Per quanto concerne la concezione della nudità in contesto giudaico rimandi amo agli artico! di POUAKOFF M, «"They Should Cover Their Shame": Attitudes Toward Nudity in Greco-Roman Judaism», Source 12 (1993) 56-62, e di SATLOW M,L., «Jewish Constructions of Nakedness in Late Antiquity», JBL116 (1997) 429-454. 10J BONFANTE L„ «Nudity as a Costume in Classical Art», A]A 93 (1989), 543 570. La citazione è tratta dalle pp. 569-570.
78
2. Anali si del testo
2.2.8 «...si diede alla fuga»: £vyEv Nella LXX questo verbo traduce ben otto diverse radici ebraiche di cui le più ricorrenti sono 012 e mD, A differenza della letteratura extra-biblica, la LXX impiega spesso il termine in un contesto morale, richiamando la fuga dal peccato {Sir 21,2), l'atteggiamento opportunista di chi si finge amico {Sir 22,22), la forma estrema di appello di quanti, davanti alla morte, cercano rifugio presso Dio e il suo altare (lRe 2,29), l'atteggiamento di fondo degli empi di fronte alla vita (Pv 28,1). Tale sfumatura morale è di particolare interesse in quanto fa da sfondo a molti testi neotestamentari. Nel NT il senso più comune è infatti quello di «darsi alla fuga», «scappare», seguito da quello di «scampare», «sottrarsi a un pericolo», ma non mancano i casi in cui eiJ7C0 viene impiegato con il senso di «evitare», «stare lontano da» (uso tipico delle esortazioni paoline). In due ricorrenze dell'Apocalisse (16,20; 20,11) il verbo potrebbe essere tradotto anche con «scomparire»108.
Matteo 2,13 3,7 8,33 10,23 23,33 24,16 26,56
Marco 5,14 13,14 14,50 14,52 16,8
Qevyta nel Luca Giovanni Atti 3,7 6,15 729 8,34 10,5 27,30 21,21 10,12
NT Paolo Ebrei Leti. Can. Apocal. lCor6,l8 11,34 Gc4,7 9,6 lCor 10,14 12,6 iTm 6,11 16,20 2Tm2,22 20,11
L'uso che ne fa il secondo vangelo è particolarmente interessante: delle cinque ricorrenze (5,14; 13,14; 14,50.52; 16,8), ben quattro riguardano persone che si sono poste alla sequela di Gesù. Di queste menzioni, tre hanno un peso rilevante, in quanto descrivono la reazione dei discepoli di fronte all'arresto di Gesù (14,50: «tutti allora, abbandonatolo, fuggirono»; 14,52: «egli, lasciato il lenzuolo, fuggì via nudo») e la reazione delle donne di fronte all'annuncio che le investe della responsabilità di essere le prime testimoni 108 Cfr. CARSON D.A., «£\nttì, escape, flee» in: NIDNT 1,558 559; VUNDERINK R.W., «Escape» in: ISBEII, 130; cfr. anche la voce«i>evyoj» in; D E N T I I , 1782-1783.
79
2. Analisi del testo
della risurrezione del Maestro (16,8: «esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e di spavento. E non dissero niente a nessuno perché avevano paura»). Tali passaggi sorprendono il lettore: egli si sente deluso proprio da quelle persone sulle quali aveva spontaneamente riposto le sue speranze. Non è certo un caso che Matteo e Luca, riprendendo i diversi episodi concernenti il mistero pasquale, si sentano in dovere di attenuare un poco la deludente descrizione di cui sono oggetto i discepoli. 2.2.9 Osservazioni conclusive Dopo aver passato in rassegna i diversi termini che compongono la nostra pericope, tentando di precisarne il significato, è ora possibile dare uno sguardo d'insieme all'uso che ne fa il secondo vangelo. Lo specchietto di sintesi che segue può aiutare a visualizzare meglio alcuni risultati dell'analisi sopra effettuata, dalla quale scaturiscono alcune considerazioni significative. L'uso dei termini nel secondo vangelo V0IVKM>$ crwaKoXoD0Éti) mvoóv Kpaiéw Katateúco yi>|ivôç fòùp
14,51 14,51 14,51 14,51.52 15,46 1,13:3,21; 5,41; 6,17; 7 , 3 , 4 . 8 ; 9,10.27; 14,1.44.46,49 14,51 10,7; 12,19,21 14,52 14,51.52 14,52 5,14 13,14 14,50
16,5
5,37
16,5
16,8
Tre sono le osservazioni più importanti che ci sembrano significative per meglio orientare la nostra ricerca: 1. Il vocabolario che compone il breve racconto è in massima parte estraneo all'intero vangelo. Se escludiamo l'impiego del verbo Kpatéro, tutti gli altri termini si presentano in quantità decisamente esigua nel secondo vangelo. Ciò diventa ancor più significativo se si tiene presente che Marco è l'unico a riportare l'episodio del giovane che fugge nudo. 2- Tre dei termini usati in Me 14,51-52 ricorrono nella pericope conclusiva del vangelo (16,1-8). Anche in questo caso tali vocaboli
80
2. Anali si del testo
sono proprio quelli che caratterizzano il secondo vangelo e lo distanziano decisamente dagli altri racconti di risurrezione. Matteo non parla di un giovane (νεανίσκος) ma di un angelo (28,2.5: άγγελος κυρίου), il quale viene immediatamente seguito dall'apparizione dello stesso Gesù (28,9-10). Luca cita due uomini investì sfolgoranti (24,4: άνδρες δύο... έν έσθητι άστραπτσύση), seguiti anch'essi da un'apparizione personale del Maestro (24,15 34.36). Lo stesso Giovanni, dopo il racconto della tomba vuota (20,1-10), menziona una manifestazione esplicita di Gesù a Maria di Magdala (20,11-18) e ai discepoli (20,19.26). Nessuno, ad eccezione di Marco, menziona il giovane (νεανίσκος), nessuno fa uso del verbo περιβάλλω per indicare l'abbigliamento di chi porta la buona novella, nessuno parla di una «fuga» delle donne: secondo Matteo esse, al contrario, corrono a dare il lieto annunzio ai discepoli (28,8), particolare ripreso da Luca (24,9) e confermato anche dal quarto vangelo (20,18). Lo sfondo sul quale Marco colloca la scena è decisamente opposto: egli enfatizza la fuga, il silenzio e la paura delle donne, disposizioni che sembrano «soffocare» la lieta novella. Stando al secondo vangelo, i discepoli restano del tutto ignari dell'esperienza vissuta dalle donne al sepolcro e nessuna apparizione interviene a confermare la loro sequela. 3. Una terza osservazione concerne il particolare contatto letterario esistente tra il nostro episodio e la sezione dell'arresto di Gesù: vi ritroviamo i due termini chiave κρατέω (14,1.44.46.49.51) e φεΰτόρ ότι Ίιίσοΰν τον έσταυρωμένον ζητείτε. 6ούκ2στΐνό>&, ή(έρθη γάρ καθώς είπεν: δεΟτε Beri τόν τόπον ύπαυ εκείτο.
ΜήΙκβαμβεισθε: ΙησοΟν ζιτκίτε τον Ναζαρτ)νόντόν έσταυρωμένον: ή'/ί ρθΐ), ο ΐ κ εστίν δδε: ϊδε ό τόπος δπου ίθηκ«ν αυτόν.
Τί ζητείτε τόν ζδντα μετά τδν νεκρδν 6 ο ύ κ ί σ τ ι ν δ δ ε , ά λ λ ά ήγέρθΠ. Μνήσθητεώς έλάλιΐσεν ύ|ΐϊν έτι {¡ν έν .Tfi ΠΛιλαίρ 7 λίγων τόν υίόν τ® άνθρωπου &ιι Sei ππ{κώΛήνοα είς χΰρας ανθρώπων Αμαρτωλών καί σταυρωθίίνοα κοά τπ τρίτ5 ήμίρρ άναχττήνα».
7 και. ταχύ πορευθεϊσαι είπατε τοις μαθηταίς αύτοί Οτι ήτίέρθη άπό τών νεκρβν, και Ιδού προάι® ύΐώς είς τήν Γαλιλαίαν, έκεΐ αίτόν δψεσθε: ίδοϋ είπον ύ|ιίν.
7 όλλά ύπά νετε είπατε τοις μαθητκίς οώτοΟ lenii» Ππρρ&τι προά'ιΐι ύμδς εις "tt]v Γαλιλαίαν' Èiceì αύτόν δψεσθε, καθώς είπεν ύμίν.
g uni άπελθοίισαι ταχύ άπό το6 8 Καί έξελθοΟσαι èirurnv άπό μνημείου μετά φόβου και χάρος τοΟ μντιμείου, είχεν }άρ οντάς μεγάλης εδραμον άπαΤ/Έιλ αι τοις μαβιίταΐς αΰτοΟ. ουδέν flmtv έφοβοΟντογάρ.
8 Kai έμνήσθησαν τδν ρημ®«'»' αύτοΟ. 9 Και ϋποσιρέψασαι άπό τοΟ μνημείου άπήγ^ΐιλαν ταίτα κάντα το'ις Ινδεκα και wümv τοις λοιποΐς.
1. L'indicazione cronologica τη μιφ των σαββάτων di Me 16,2 ha una corrispondenza in tutti gli altri testi, ma il secondo vangelo sembra voler enfatizzare questo particolare aggiungendo due ulteriori precisazioni: λίαν πρωί, «molto presto», e άνατείλαντος του ήλιου, «al levar del sole». 2. Al v. 5 invece di parlare di un «angelo» (Mt 28,2.5) ο di due uomini dai tratti divini (Le 24,4), Marco parla di un νεανίσκος, A differenza dell'angelo matteano che è assiso sulla pietra che sigilla la tomba e dei due uomini lucani che appaiono all'improvviso accanto alle donne, il νεανίσκος di Marco è «assiso alla destra» (non si sa di che cosa ο rispetto a chi). Ma c'è di più. Mentre l'aspetto dell'angelo di Matteo «è come la folgore e il suo abito è bianco come la neve» (Mt 28,3), e mentre i due uomini lucani si presentano «in vesti sfolgoranti» (Le 24,4), il ν ε α ν ί σ κ ο ς è avvolto in una veste bianca (περιβεβλημένον στολην λευκήν) e la sua comparsa m scena non è enfatizzata
99 3. La sezi one di Me 14,51-16,8
né da un gran terremoto (Mt 28,2), né da una apparizione improvvisa finalizzata a dare una risposta agli interrogativi delle donne (Le 24,4). Egli è «semplicemente» assiso all'interno del sepolcro e viene notato dalle donne che ne restano fortemente meravigliate (έξεθαμβήθησαν). In poche parole, sembra che il secondo vangelo voglia evitare nel suo racconto un accumularsi di tratti che enfatizzino la straordinarietà dell'evento. 3. Le parole che il giovane rivolge alle donne contengono una sfumatura tipica di Marco: esse sono invitate a portare l'annuncio della risurrezione ai discepoli «e a Pietro (και τω Πέτρω)», una sottolineatura che sembra richiamare i due episodi in cui l'apostolo aveva espresso la sua ferma volontà a rimanere al fianco del Maestro qualunque cosa fosse successa (14,26-31 e 14,54), cosa che era stata purtroppo smentita dal rinnegamento in 14,66-72. 4. La pericope si conclude in modo alquanto strano: là dove Matteo parla di «timore e gioia grande» uniti a una corsa trepidante per recare l'annuncio agli altri discepoli (Mt 28,8), e là dove Luca sottolinea che le donne «si ricordarono» delle parole del Maestro (Le 24,8) e, «tornate dal sepolcro, annunziarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri» (Le 24,9), Marco presenta un finale dominato dalla fuga (εφυγον από του μνημείου), dalla paura (espressa con una variegata terminologia: τρόμος, έ κ στασις", φοβέω) e dal silenzio (ούδενί ουδέν είπαν). Ora, proprio in questi tratti in cui il racconto marciano si distingue dalle due narrazioni di Matteo e di Luca (la presenza del neaniskos, il suo abbigliamento, la reazione di paura e la menzione di Pietro), viene a crearsi un perfetto parallelismo tra la pericope di Me 14,51 52 e quella di Me 16,1-8, un parallelismo confermato sia dal vocabolario impiegato, sia dal contesto in cui i due episodi vengono inseriti. Lo possiamo notare a partire da questo semplice specchietto: Me 14.51-52.54
Μο ! 6,1-8 I Και δ ι α γ ε ν ο μ έ ν ο υ τ ο υ σ α β βάτου Μαρία ή Μ α γ δ α λ η ν ή και Μ α ρ ί α ή [του] 'Ιακώβου και Σ α λ ώ μ η ή γ ό ρ α σ α ν ά ρ ώ μ α τ α 'ίνα έλθοΰσαι άλείψωσιν αυτόν. 2 καί λ ί α ν π ρ ω ΐ τ η μιςχ τ ώ ν σ α β β ά των έρχονται έπί τό μ ν η μ ε ΐ ο ν
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3. La sezi one di Me 14,51-16,8 ME
14,51-52.54
M E 16,1-8
άνατείλαντος του ήλιου. 3 και ελεγον πρός έαυτάς' Τίς άποκυλίσει ήμίν τον λίθον έκ τής θύρας του μνημείου; 4 καί άναβλέψασαι θεοίροΰσιν δτι άποκεκύλισται ό λίθος' ήν γαρ μέγας σφόδρα. 51 Και νεανίσκοc τις συνηκο- 5 καί είσελθούσαι εις τό μνημείον λούθει αύτώ είδον νεανίσκο ν καθήμενον έν τοίς δεξιοΐς περιβεβλημένα σινδόνα έπί περιβεβλημένο ν στολήν λευκήν, γυμνού, και κρατοΰσιν αυτόν κ α ί έ ξ ε θ α μ β ή θ η σ α ν . 6 ό δέ λ έ γ ε ι αύταις' Μή έκθαμβεΐσθε' Ί η σ ο ΰ ν ζητείτε τον Ν α ζ α ρ η ν ό ν τον ε σ τ α υ ρ ω μ έ ν ο V ήγέρθη, ο υ κ εστίν ώ δ ε ϊδε ό τόπος ό π ο υ ε θ η κ α ν αυτόν.
(54 και ό Πέτρος άπό μακρόθεν ήκολούθησεν αιτώ εως εσω εις την αύλήν του άρχιερέως και ην συγκαθήμενος μετά των υπηρετών και θερμαινόμενος πρός τό φώς).
7 ά λ λ α υπάγετε είπατε τοις μ α θ η τ α ϊ ς α ύ τ ο ϋ κ α ι τ ώ Π έ τ ρ ω δτι π ρ ο ά γ ε ι υ μ ά ς εις τ η ν Γ α λ ι λ α ί α ν : εκεί α υ τ ό ν οψεσθε, καθώς ειπεν ύμίν.
52 ό δέ καταλιπών ττ|ν σινδόνα 8 καί έξελθοΰσαι έφι>γον άπό του γυμνός εφυγεν. μνημείου, είχεν γαρ αύτάς τρόμος καί εκστασις' καί ουδενί ουδέν είπαν- έφοβοΰντο γάρ. Questi richiami diventano altamente significativi in quanto rivelano come il nesso tra i due episodi non sia semplicemente qualcosa che si inserisce all'interno della narrazione in maniera casuale. Nei due brani Marco utilizza un vocabolario raro e specifico ai due episodi, dando chiaramente prova che il nesso fa parte del suo progetto narrativo'20. Per meglio mettere in luce questo aspetto, è bene analizzare il parallelismo tra i due brani nei dettagli. 120 Tale aspetto, del resto, emergeva già dall'analisi de! vocabolario della nostra pericope. Cfr quanto detto nelle pp. 79-81.
101 3. La sezi one di Me 14,51-16,8
3.1.2.2 II parallelismo tra Me 14,51-52 e 16,1-8 Sempre tenendo presente lo specchietto sopra riportato, è possibile segnalar e almeno quattro parallelismi che ci permettono di sostenere con una certa solidità l'ipotesi di un forte nesso tra Me 14,51-52 e Me 16,1-8 fino al punto da poter individuare in essi l'inclusione a tutta la sezione concernente il mistero pasquale: 1. In entrambi i brani il protagonista è un νεανίσκο?, termine che, come abbiamo visto al punto 2.2.1 della nostra ricerca, all'interno del secondo vangelo è impiegato in questi due soli passaggi. 2. La sua presentazione esterna è descritta a partire dal verbo περιβάλλω, un altro termine che ricorre due sole volte in tutto il vangelo, in questi due passaggi. In 14,51 il giovane è avvolto in un pezzo di stoffa pregiata (περιβεβλημένο? σινδόνα), mentre in 16,5 egli viene presentato avvolto in una veste bianca (περιβεβλημένο ν στολήν λευκήν). 3. In entrambi i brani, gli episodi narrati si concludono con la menzione della fuga: fugge il giovane (14,52: γυμνός εφυγεν), deludendo il lettore che aveva trovato in lui l'unico modello di autentico discepolo, disposto a rimanere al fianco di Gesù nonostante il precipitare degli eventi; fuggono le donne ( 16,8: εφυγεν άπό του μνημείου) deludendo il lettore che aveva trovato in loro le uniche testimoni dell'annuncio della risurrezione. Due fughe, entrambe enfatizzate dall'evangelista: nel primo caso con la menzione della nudità, nel secondo caso con la sottolineatura del silenzio e dello stato di paura vissuto dalle donne. Al riguardo va tenuto presente che il verbo φεύγω conta solo 5 ricorrenze in Marco, di cui le ultime tre proprio in 14,50.52 e in 16,8. 4. Sia la pericope di Me 14,51-52 che quella di 16,1-8 contengono un rimando sfumato alla figura di Pietro. In 14,54 egli entra in scena come era entrato in scena il νεανίσκος in 14,51, facendo sperare in una fedeltà al Maestro che sarà tuttavia delusa molto presto; in 16,7 il suo nome viene esplicitamente menzionato dal giovane che ne fa un particolare destinatario dell'annuncio della risurrezione. Gli indizi ci sembrano sufficientemente rilevanti per affermare che tra l'episodio del giovane che fugge nudo e l'annuncio della risurrezione l'evangelista abbia voluto tessere un legame, il cui significato si svela ancor meglio ai nostri occhi nel momento in cui teniamo presente l'intera struttura del mistero pasquale nel se-
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3. La sezi one di Me 14,51-16,8
c ondovangelo. Ad essa dedicheremo il prossimo passo della nostra ricerca. L'inclusione tra Me 14,51-52 e 16,1-8 può essere così visualizzata: 14,51: veavioKog
14,51: Jtepifìe(ÌA.TinÉvck; 14,52: IflivyEv
14,53-15,47: Passione e morte di Gesù
veavioicov: 16,5 JtepiPepA,iinévov: 16.5 fvyov: 16,8
3.2 MC 14,51-16,8 LA STRUTTURA DELLA SEZIONE
Dopo aver motivato la nostra delimitazione della sezione, ci sembra importante mostrare come la sua stessa composizione interna possa diventare un ulteriore indizio a favore di quanto detto. Marco sembra disporre il materiale concernente il mistero pasquale seguendo una struttura ben curata che riserva al centro le tre indicazioni orarie in cui Gesù resta esposto sulla croce. Scandire le diverse pericopi che compongono la sezione e tratteggiarne la sequenza ci permetterà non solo di comprendere la portata dell'episodio di Me 14,51-52, ma anche di mettere a fuoco il messaggio teologico che emerge dalla stesura finale del secondo vangelo. Prima di procedere, tuttavia, per facilitare la comprensione delle argomentazioni che seguono, ci sembra opportuno presentare schematicamente la struttura che guida la narrazione marciana del mistero pasquale e che argomenteremo nei successivi paragrafi. Visto che il parallelismo tra Me 14,51-52 (A) e 16,1-8 (Al)
B. 14,53-72 Gesù, le autorità religiose e Pietro
A. 14,51-52 11 t/amiskos a! Getzemani
C. 15,115 Gesù, Pilato e le autori tà religiose D. 15,16-24 Gesù, i soldati e Simone di Cirene
Bl. 15,38-41 Gesù, il centurione e le donne
E. 15,25-37 l'ora terza l'ora sesta l'ora nona
C I . 15,42-45 Gesù, Pilato e Giuseppe d'Arimatea D i . 15,46-47 Gesù, Giuseppe d'Arimatea e le donne
A l . 16J-8 11 ncaniskos al sepolcro
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3. La sezi one di Me 14,51-16,8
è già stato oggetto della nostra attenzione nelle pagine precedenti, la nostra ricerca procede ora con l'analisi delle diverse relazioni esistenti tra Me 14,53-72 (B) e 15,38-41 (Bl), tra Me 15,1-15 (C) e 15,42-45 (Ci), tra Me 15,16-24 (D) e Me 15,46-47 (Di) per poi soffermarsi sul ruolo occupato dalla pericope centrale di Me 15,25-37 (E). L'analisi si effettuerà sempre tenendo conto di alcune tappe che ci paiono importanti per arrivare a conclusioni che poggino su basi solide: a) la delimitazione delle pericopi; b) l'evidenziazione dei tratti tipicamente marciani; c) gli elementi letterari e teologici che ci permettono di stabilire il parallelismo.
3.2.1 Le due pericopi di Me 14,53-72 (B) e Me 15,3841 (Bl) Le prime due pericopi che dobbiamo prendere in esame sono quelle di Me 14,53-72 e Me 15,38-41. È importante tenere presente durante questa fase di analisi Io specchietto riportato sopra, che dispone al centro il momento chiave a partire dal quale riceve senso il rapporto tra i diversi brani: la morte in croce di Gesù (Me 15,25-37). 3.2.1.1 La delimitazione delle pericopi I diversi commentatori del secondo vangelo si trovano alquanto d'accordo nel considerare Me 14,53-72 un'unità letteraria"1. In essa l'evangelista svolge un tema unico - il processo davanti al Sinedrio - incorniciandolo nei due episodi concernenti l'apostolo Pietro: nel primo (14,54) viene narrato il suo tentativo di seguire il Maestro, nel secondo (14,66-72) il suo rinnegamento. I continui rimandi al sommo sacerdote (14,53.54.60.61.63.66) tessono in unità le tre scene che si svolgono attorno a un unico luogo: l'abitazione del sommo sacerdote. Il passaggio alla pericope successiva è scandito da Me 15,1 che attua un cambiamento di scena (si passa dalla residenza del sommo sacerdote a quella di Pilato) e un mutamento dei protagonisti della narrazione (la figura stessa del sommo sacerdote passa m secondo piano per cedere il posto a quella di Pilato). Più complessa si presenta invece la questione circa Me 15,38-41. 151
Cfr. ad esempio HUKTADO L .W., Mark..., 247; PESCH R., Marco..., voi. II, 595.
105 3. La sezi one di Me 14,51-16,8
J. GNILKA raccoglie in unità l'intera pericope di Me 15,20b-41 sotto il titolo di «Via Crucis, crocifissione e morte di Gesù»122; R P E S C H preferisce al contrario distinguere la morte di Gesù (15,33-39) dalla menzione delle donne ( 15,40-41)'". Secondo la nostra opinione è invece in Me 15,38 che va individuata la cesura che apre una nuova pericope. I motivi sono i seguenti: in primo luogo, a partire dal v. 38 il protagonista non è più Gesù in croce ma coloro che stanno ai suoi piedi (il centurione e le donne); in secondo luogo l'evangelista passa dalla descr izione della morte di Gesù a quella degli eventi che ne conseguono (la lacerazione del velo del tempio, la professione di fede del centurione, la presenza delle donne). L'unità di luogo e di tempo ne è conferma: tutti gli eventi vengono situati ai piedi del Golgota e nel preciso attimo che segue l'ultimo grido di Gesù. La cesura del v. 42 è più evidente: essa segna un ulteriore mutamento nel luogo (si passa dal Golgota alla residenza di Pilato), nei personaggi (Giuseppe d'Arimatea non è più affiancato alle discepole, ma a Pilato), nei tempi (Marco dice chiaramente che è ormai sopraggiunta la sera).
3.2.1.2 Gli elementi specifici della narrazione marciana Circa il processo davanti al Sinedrio (14,53-72), Marco sembra discostarsi di poco dalla sequenza dei fatti riportata nel brano parallelo di Matteo. Il secondo vangelo si limita semplicemente a enfatizzare il disaccordo tra gli accusatori ( 14,56) e a contrapporre il «santuario fatto da mani d'uomo» a «un altro non fatto da mani d'uomo» (14,57-59), dando particolare rilievo anche al silenzio di Gesù durante il processo (14,61). Molto diversa si presenta, al contrario, la narrazione lucana che dispone la sequenza dei fatti secondo un canovaccio totalmente mutato: prima di tutto Luca riporta il rinnegamento di Pietro focalizzando l'attenzione del lettore sullo sguardo tra il Maestro e il discepolo (Le 22,54-62); seguono gli oltraggi delle guardie (Le 22,63-65) e quindi l'interrogatorio davanti al Sinedrio (Le 22,66-71 ) durante il quale viene totalmente occultato il ruolo di primo piano del sommo sacerdote, viene taciuta la 12 l;
GMILKAJ., Marco..., 872.
> C f r . PESCH R., Marco...,
voi. II, 7 1 7 . 7 3 5 .
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3. La sezi one di Me 14,51-16,8
questione concernente il tempio e nessuno giunge a una sentenza di morte. La specificità marciana emerge nella drammaticità con cui vengono descritti i fatti e nell'insistenza circa il tema del tempio. I medesimi elementi emergono anche dal confronto sinottico delle pericopi legate agli eventi che seguono la morte di Gesù, La scissione del velo del tempio riveste in Me 15,38 un rilievo tutto particolare in quanto non fa parte di tutta quella serie di fenomeni «soprannaturali» che caratterizzano, al contrario, la narrazione di Matteo: l'unico sfondo in cui Marco colloca la lacerazione del velo è il grido di morte di Gesù, non un terremoto (Mt 27,51), ο un aprirsi di tombe (Mt 27,52), ο apparizioni straordinarie (Mt 27,53)- Spogliato di questi aspetti, il racconto marciano acquista una maggio re drammaticità. Lo stesso ritorno in scena di figure positive è molto più discreto nel secondo vangelo: Me 15,40 parla semplicemente di «donne che osservavano da lontano», non di «molte donne» (γυναίκες πολλοί) come fa Mt 27,55 e nemmeno delle folle (πάντες οί συμκαραγενόμενοι δχλοι) che si battono il petto insieme a tutti i suoi conoscenti («άντες οί γνωστοί αύτφ) e alle donne che lo avevano seguito dalla Galilea, come riporta Le 23,48-49.
3.2.1.3 I parallelismi tra le due pericopi I richiami esistenti tra le due pericopi possono essere evidenziati sia a partire dal vocabolario, che da alcuni aspetti teologici di rilievo. Dedichiamo a ognuno di questi aspetti un approfondimen to specifico. H parallelismo nel vocabolario. Per quanto concerne il vocabolario si possono fare tre puntualizzazioni; 1, In primo luogo a Pietro che segue da lontano (14,54: ά π ό μακρόθεν ήκολούθησεν) corrispondono le donne che da lontano osservano la morte di Gesù (15,40: a7tò μ α κ ρ ό θ ε ν θεωροΰσαι) e delle quali viene specificato che fin dalla Galilea seguivano e servivano (15,41: ήκολούθουν και διηκόνουν) il Maestro. Si tenga presente, al riguardo, che in tutto il vangelo, Marco utilizza 5 sole volte l'espressione άπό μακρόθεν 124 e solo in queste due ricorrenze essa viene applicata ai discepoli. 12
' Q r . Me 5,6; 8,3; 11,13; 14,54; 15,40.
107 3. La sezi one di Me 14,51-16,8
2. Il secondo termine comune alle due pericopi è ναός: a differenza di Matteo che impiega questo vocabolo ben 8 volte e di Luca che lo utilizza 4 volte, il secondo vangelo ne ha solo 3 ricorrenze collocate al momento della condanna a morte di Gesù (14,58), della crocifissione (15,29), e della morte in croce (15,38). Va inoltre considerata la differenza esistente tra il termine ναός, che ricorre 20 volte nei Vangeli e negli Atti, e il termine più comune ίερόν, del quale si contano, nei medesimi libri, ben 67 ricorrenze. Se per ίερόν si intende l'intera area sacra del tempio, con il sostantivo ναός si identifica «l'edifìcio centrale del tempio, composto dal vestibolo e dal Santo dei Santi che, essendo il luogo della Presenza, era topograficamente e teologicamente il centro dello ίερόν... La cura di distinguere i due vocaboli è tipica di Marco»125, soprattutto nel contesto del racconto della passione. 3. Il terzo elemento che pone in parallelo le due pericopi riguarda l'identità di Gesù. La domanda del sommo sacerdote: Σύ εί ό Χριστός ό υιός του εύλογητοΰ (14,61), che porta alla sentenza di morte per bestemmia, è ripresa nella confessione del centurione che in 15,39 dichiara: 'Αληθώς ούτος ò άνθρίύπος υίός Θεοΰ ήν. L'avverbio αληθώς sembra persino suggerire una risposta a ciò che dal sommo sacerdote era stato considerato come una bestemmia. Va notato che in tutta la sezione dedicata al mistero pasquale, questi costituiscono i due unici passaggi in cui l'evangelista affronta la questione dell'identità di Gesù in stretto rapporto con la sua figliolanza divina. D parallelismo nei temi teologici: i rilievi fatti circa il vocabolario sono confermati dalla ripresa di tre importanti idee teologiche presenti in entrambe le pericopi: il tema del discepolato, la questione relativa al tempio e il tema dell'identità di Gesù. 1. Il discepolato. Attorno a questo tema si crea il parallelismo tra la figura di Pietro in 14,54 e quella delle donne m 15,40-41.47. Il fatto che l'apostolo Pietro in Me 14,54 venga presentato come uno che «seguiva Gesù da lontano» (από μακρότεν ήκολούθησεν) getta una luce positiva sulla sua figura in quanto egli rap,2i Cfr. Bicuzzi G., «Me 14,58: un tempio ΑΚΕίΡΟΠΟΙΗΤΌΣ», RivBib 26 (1978) 226. Cfr. anche del medesimo autore il volume, «io distruggerò questo tempio», il tempio e il giudaismo nel vangelo di Marco, Roma 1987,112-113.
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3. La sezio n e di Me 14,51-16,8
presenta l'unico discepolo rimasto in scena dopo l'arresto del Maestro. Tale luce, tuttavia, è destinata a spegnersi molto in fretta, visto che poco dopo (14,66-72) egli rinnega Gesù abbandonandolo al suo destino, come hanno fatto tutti gli altri (14,50). Se Pietro è l'ultimo discepolo a uscire di scena prima della morte di Gesù, le donne sono le prime discepole a entrarvi dopo la sua morte. Che vengano presentate come le rappresentanti del discepolato, ne sono una prova i seguenti indizi: a) la loro descrizione, come abbiamo notato sopra, segue da vicino la descrizione di Pietro, fino al punto che l'evangelista impiega la medesima espressione από μακρόθεν (15,40) per qualificare la loro sequela in questo preciso momento della vita del Maestro; b) il loro discepolato viene presentato a partire da due verbi che esprimono i tratti essenziali della sequela: άκολουθέω 126 e διακονέω 127 (15,41); e) l'itinerario dellaloro sequela le ha por tate «dalla Galilea a Gerusalemme» (15,41), precisazione significativa in quanto la Galilea non costituisce solo la tappa iniziale del ministero di Gesù (1,14), ma anche il luogo della vocazione dei primi discepoli (1,16-20), la regione dove la sua fama si espande con estrema celerità (1,28), lo sfondo sul quale molta folla si appresta alla sequela (3,7)128. Nel contesto stesso dell'ultima cena, dopo aver predetto lo scandalo generale dei Dodici, Gesù riprende questi aspetti sottolineando che li precederà m Galilea (14,28)i29. Il fatto stesso che le donne siano salite con il Maestro a Gerusalemme spinge il lettore a una loro valutazione positiva: Gerusalemme è il luogo dove il ministero di Gesù giunge a compimento, è la città delle tensioni, dello scandalo, delle provocazioni (cfr. Me 10,32.33; 11,1.11.15.27); reggere alla sequela in un contesto simile è segno di un'autentica fedeltà. Queste corrispondenze tra la figura di Pietro e quella delle donne vanno tra l'altro colte all'interno di un sottile gioco di contrasti: là dove Gesù afferma la propria identità accettando di andare incontro alla morte (14,62-64), Pietro rinnega ogni rela-
Cfr. Me 1,18; 2,14.15; 3,7; 5 ¿ 4 ; 6,1; 8,34; 10,21.28.52; 11,9; 14,54. ' " C f r . Me 9,35; 10,43.45. Cfr. VAN CANGH J. M., «La Galilée dans L'évangile de Marc; un lieu théologique'» RB 79(1972) 59-76; FREYNE S„ Galilee, Jesus and the Gospels. Literary Approaches and Historical Investigations, Dublin 1988,33-68; HANNESSY A , The Galilee of Jesus Roma 1994 43-46. lM
^ Per le altre ricorrenze cfr. M e 1,9.39; 6,21; 7,31; 5,30; 16,7.
109 3. La sezione di Me 14,51-16,8
zione con il Maestro per timore di fare la stessa fine (14,66-72); là dove il centurione confessa il proprio riconoscimento del Maestro, le donne rimangono a distanza, come spettatrici passive che sembrano non volersi lasciare coinvolgere dagli eventi. Allo stesso modo, come il centurione con la sua professione di fede sembra rispondere indirettamente alla domanda del sommo sacerdote, suprema autorità religiosa, così le donne con la loro semplice presenza sembrano supplire indirettamente al vuoto lasciato dai Dodici e da Pietro. 2. Un secondo tema teologico presente in entrambe le pericopi è quello del tempio, che in parte abbiamo già affrontato, nel rilevare la sottolineatura particolare che esso riceve all'interno del secondo vangelo130. Attraverso l'immagine dello squarcio del velo del tempio, Marco esprime l'avvento di una nuova realtà che si schiude con la morte in croce di Gesù. Se lo Ιερόν sarà distrutto (καταλύω) nel corso di un fatto storico che non lascerà in esso «pietra su pietra» (Me 13,2.7-8.19-20), Gesù rivendica invece a sé l'intenzione e l'iniziativa di distruggere il ναός fatto da mani d'uomo (εγώ καταλύσω τον ν α ό ν τοΰτον), per edificare un nuovo «Santo dei Santi», un nuovo «luogo» che sia segno della presenza di Dio (14,58). Al Golgota diventa chiaro in che modo Gesù «distrugge» e «riedifica» (15,29: Ούά ό καταλύων τόν ναόν...): attraverso la sua morte in croce. Un nuovo «spazio sa ero» si apre nel momento in cui il velo del tempio si squarcia in due - «dall'alto in basso» (15,38: απ'άνωθεν 'έως κάτω) precisa Marco quasi a sottolineare l'irrimediabilità del fatto131. Proprio per questo, dopo la morte di Gesù non è possibile separare la lacerazione del velo del tempio dalla professione di fede del centurione, rappresentante del nuovo popolo di Dio a cui hanno ormai accesso tutte le genti.
cir LAMARCHE P „ «La mort du Christ et le voile d u tempie selon Marc», NT.R 96 (1974) 583-599-JACKSON H.M., «The Death of Jesus in M a r k and the M i r a d e from t h e Cross», NTS 33 '(1987) 16-37; M o r r a S., « I h e Rending of t h e Veli: a Markan Pentecoste, NTS 33 (1987) 155-157; GOURGUES M., Le Cruàfìé. Da somme d l exallation I.CJJ^ 38), Montréal 1989, 71-81. Secondo HAULOOTE E., Symbolique..., 117-118, esisterebbe anche un profondo legame tra la lacerazione delle vesti del sommo sacerdote in Me 14,63 e lo squarcio nel velo del tempio in M e 15,38. Tuttavia, la diversità nel vocabolario impiegato e la portata simbolica del gesto del sommo sacerdote non offrono che un fragile supporto a tale parali l'ismo. ^ \ t ,4 ·co 111 Circa la definitività sottolineata dal secondo vangelo cfr. BlCUZZ! U., « M e 14P»...», 236.
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3. La sezi one di Me 14,51-16,8
3. Il terzo tema teologico concerne l'identità di Gesù, Fin dal primo versetto del vangelo, Marco presenta Gesù a partire da due titoli: Gesù è il Χριστός e lo υιός Θεοΰ (cfr. Me 1,1: άρχή του ε ύ α γ ^ λ ί ο υ Ίησοΰ Χριστού υίοΰ Θεοΰ). Questo è il soggetto e il contenuto della sua buona novella. In effetti, tutta la prima parte del ministero pubblico di Gesù ha come obiettivo quello di far comprendere progressivamente tale identità del Maestro. Pietro era riuscito a percepirla parzialmente in 8,30 definendo Gesù come il Χριστός, ma manifestando allo stesso tempo un deciso rifiuto nelPaccettare il legame esistente tra questo titolo e il mistero della passione e morte. La scena della trasfigurazione (Me 9,2-8) aveva confermato e completato la professione di fede di Pietro: Dio stesso aveva dichiarato: «Questi è il Figlio mio prediletto (ο υιός μου ό άγαπητός), ascoltatelo!» (9,7). Da quel momento l'identità di Gesù non era stata più presentata con questi due titoli fino al processo davanti alle autorità religiose^ Il sommo sacerdote, infatti, lo interroga con queste parole: Σν ει ό Χριστός ό υίός του ευλογητοΰ? (14,61), e la risposta di Gesù è chiara: έγώ είμι. Καί όψεσθε τόν υΐόν του α ν θ ρ ώ π ο υ έκ δεξιών καθήμενον της δυνάμεως καί έρχόμενον μετά των νεφελών τοΰ ουρανού (14,62). Ritroviamo ancora i due titoli nel contesto della crocifissione di Gesù: in Me 15,32 Gesù viene deriso come Χριστός e in Me 15,39 viene riconosciuto come υιός Θεοΰ, il che assume un certo rilievo se si tiene presente che dopo il versetto di apertura del vangelo, le due uniche ricorrenze in cui tale titolo è posto sulle labbra di uomini sono Me 14,61 nella domanda del sommo sacerdote e Me 15,39 nell'atto di fede del centurione. In tutti gli altri casi esso è posto ο sulle labbra di Dio stesso (1,11; 9,7), ο su quelle dei demoni (3,11; 5,7). Il parallelismo si rivela pertanto in modo forte. Ci sembra a questo punto necessaria una breve puntualizzazione circa la professione di fede del centurione in 15,39: essa non va colta come un'affermazione anticipata della divinità di Cristo132. La sua portata si chiarisce alla luce dei testi veterotestamentari dove la relazione tra la paternità divina e la figliolanza
1» Cfr. LAMARCHE P-, «Cornmencement de l'évangile de Jesus Christ, Fils de Dxeu (Me 1 1)» NRT92 (1970) 1034; BOISMARD M. E., Jesus, unhomme..., 16-22. Cfr. del medesimo autore anche l'articolo: «Le titre de "Fils de Dieu" dans les évangiles. Sa portée salvtftque», Btb 72 (1991) 442-450.
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umana ricorre a più riprese. Tre sono gli sfondi principali alla luce dei quali possiamo chiarire il senso del titolo: VÌÒ£ ©eoi): a) lo sfondo della relazione Dio-popolo. La figliolanza è qui usata in senso collettivo per indicare tutto Israele che Dio ha generato e formato. Molto significativi sono al riguardo i testi di Es 4,22-23 e Nm 11,11-12; b) lo sfondo della relazione Dio-re. La categoria della figliolanza viene in questo caso applicata a figure di rilievo che Dio sceglie per condurre e guidare il suo popolo. E un rapporto che trova la sua originaria espressione in 2Sam 7, dove tale ca tegoria è applicata a Davide e alla sua discendenza. Tale promessa ha fortemente influenzato il pensiero dei successm' redattori dei testi biblici15' e ne è prova il fatto che essa sia presto sfociata in una delle principali attese messianiche134 che lo stesso Marco riprende in due passaggi, sottolineando la superiorità di Gesù rispetto al re Davide: 10,46-52 e 12,35-37; c) lo sfondo della relazione Dio-giusto. «Figlio» diventa, in questa terza linea interpretativa, il credente che aderisce alla legge divina esponendosi all'insulto degli empi. Il testo più significativo al riguardo è senz'altro quello di Sap 2,12-20. In tale contesto la «figliolanza» è legata alla protezione divina: nonostante la sconfitta che l'uomo giusto sembra subire agli occhi del mondo egli resta sotto l'ombra delle ali di Dio, oggetto della sua azione salvifica. È quest'ultimo lo sfondo che meglio illumina il testo di Me 15,39 dove l'evangelista pone sulle labbra del centurione pagano la confessione di fede: 'AA.r|0fSg ovxog ó ávOpowtog uíoí) 0£OÍ) r'jv. Il centurione pagano non proclama la divinità di Gesù, ma la sua «giustizia»; quell'uomo crocifisso, pur destinato a morire, resta sotto la protezione del Padre. Lo stesso Luca, forse vedendo il pericolo di una interpretazione in senso «divino», ha volutamen te chiarito il senso della frase con l'espressione: "Ovccog ó avOpomog oùxog Sùcaiog r|v (Le 23,47), ricollegando chiaramente il testo allo sfondo di Sap 2,18. Tutti questi elementi rivelano il chiaro legame esistente tra gli episodi narrati in Me 14,61-62 e Me 15,39. Non è certo per un puro Cfr. per esempio Is 55,3 ; Sai 2,7-11; 89,21-3.8; 132,10-12; Sir 47,11; IMac 2,57 Cfr. Is 11,1.10; Ger 23,5; 30,8-9; 33,14-18; Ez 34,23-24; 37,24; Os3,5; Am 9,11; Mi 5,1; 2c 12,8; Sai 110,1; Sir 47,22. Essa rrova paiticolare menzione nei testi apocrifi· Ps Sai 17,5.23; 4Esd 12,32-34; Targ.Jonathan a Is 11,1; a Ger 23,5; 33,15 e a Os 3,5.
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3. La sezione di Me 14,51-16,8
caso che l'affermazione che porta Gesù alla morte in 14,61-62 sia anche l'affermazione che segna la rinascita di una realtà nuova all'indomani del forte grido dell'ora nona (15,37). Viene spontaneo pensare che tutto questo faccia parte di un preciso piano narrativo, progettato dall'evangelista allo scopo di comunicare una particolare idea teologica. Conclusioni. Volendo raccogliere schematicamente i diversi india che, dal punto di vista sia del vocabolario che della teologia, rivelano il parallelismo esistente tra la pericope di Me 14,53-72 e quella di Me 15,38-41, si ottiene il seguente prospetto: Me 14,53-72 Voc.: άπό μακρόθεν ήκολούθησεν ναός ό υιός του εύλογητού TeoL Π discepolato (Pietro) Il nuovo tempio L'identità di Gesù
Me 15,38-41 Voc.: άπό μακρόθεν ήκολοΐθουν ναός ό υΙός τοΰ θεού Teol.: Il discepolato (le donne) D nuovo tempio L'identità di Gesù
Gli indizi ci sembrano abbastanza rilevanti da implicare un reciproco richiamo tra le due scene, cosa che rende ancora più probabile l'ipotesi di una strutturazione ben curata della narrazione all'interno del secondo vangelo. 3.2.2 Le due pericopi di Me 15,1-15 (C) e Me 15,42-45 (Ci) Anche nell'analisi di queste due pericopi, procederemo prima di tutto alla delimitazione di ogni brano, mettendo contemporaneamente in luce, attraverso un confronto sinottico, i temi che ricevono particolare attenzione nella narrazione marciana. Evidenzieremo quindi gli elementi che, sia dal punto di vista del vocabolario sia dal punto di vista della teologia, permettono di stabilire un parallelismo tra le due pericopi.
1133.La sezi one di Me 14,51-16,8
J.2.2.1 ha delimitazione delle peri copi Il processo di Gesù di fronte a Pilato e la scena concernente Barabba sono generalmente riconosciuti come parti di una medesima unità letteraria (15,1-15)135, anche se non manca chi propone di estendere la pericope inglobando anche la scena degli oltraggi (15,16-20)136 o chi propone una distinzione tra l'interrogatorio di Gesù di fronte a Pilato (15,1-5) e il confronto con Barabba (15,615)li7. Siamo d'accordo con J. G N I L K A nel non ritenere opportuna una cesura dopo il v. 5: il silenzio di Gesù e la meraviglia di Pilato non possono essere considerati come la conclusione del brano. Del resto, la pericope si apre con la consegna (15,1: rcapéikoKav) di Gesù a Pilato da parte delle autorità religiose e si chiude con la consegna (15,15:7tapéòOK£v) del condannato ai soldati. Sono le ultime ricorrenze del verbo 7tapa5i5(tì(ii che sembra fare da inclusione all'intera pericope. Essa è raccolta in unità anche dal confronto tra Gesù e Pilato, veri due protagonisti di tutto il brano. La questione affrontata lungo l'intero processo è una sola: Gesù deve essere o meno messo a morte? Sullo sfondo vengono menzionati i sommi sacerdoti (15,1.3.10.11) che continuano ad essere i veri responsabili della condanna a morte del Maestro. E v. 16 apre senza dubbio una nuova pagina della narrazione nella quale Pilato e i sommi sacerdoti escono di scena per lasciare il posto ai soldati e al «faccia a faccia» tra questi ultimi e Gesù. Più complessa risulta la questione concernente l'unità di Me 15,4245. Normalmente i diversi commentatori non pongono alcuna cesura tra Me 15,45 e Me 15,46, considerando i w. 42-47 come un'unità il cui protagonista principale è Giuseppe d'Arimatea e il cui tema unitario è quello della sepoltura di Gesù138. Tuttavia, a un'attenta analisi, non si può non rilevare la profonda differenza esistente tra Me 15,42-45 e Me 15,46-47: prima di tutto le due scene si svolgono su uno sfondo completamente diverso (la prima nella residenza di Pilato, la seconda nei pressi del Golgota); in secondo luogo i protagonisti non sono i medesimi (nella prima troviamo la triade Giuseppe d'Arimatea-Pilato-centurione, nella seconda Giuseppe Cfr. GNILKA J„Marco..., 854; TAYLOR V., Mark..., 577. Cfr. POPPI A., Sinossi dei quattro vangeli, Padova 1990,265. Cir. PESCH R., Marco..., voi. H, 666.673. " · C f r . GNILKAJ„Marco.... 902-903; HUKTADOH.W., Mark. ., 270; PESCH R,Marco..., voi. n , 7 4 3 ; TAYLOR V.,Mark..., 599.
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3. La sezi one di Me 14,51-16,8
d'Arimatea-Gesù-donne); inoltre il tipo di azione descritta è differente (nel primo caso viene narrata la richiesta del cadavere di Gesù, nel secondo la sua sepoltura); infine lo stesso vocabolario non sembra favorire l'unità tra le due parti (in 15,42-45 esso verte sulla richiesta del corpo di Gesù e sulla verifica della sua morte, mentre in 15,46-47 i termini sono quelli tipici della sepoltura: si parla di σινδών, di μνημείον, di λ.ίθος). Tali indizi ci sembrano sufficientemente forti per giustificare una cesura tra i due brani. 3.2.2.2 Gli elementi specifici della narrazione marciano Il processo davanti a Pilato (Me 15,1-15) ha una colorazione tutta particolare nel secondo vangelo: rispetto a Matteo, Marco non narra il rimorso di Giuda (Mt 27,3-10) e non riporta né il sogno della moglie di Pilato, né il gesto del procuratore che davanti a tutto il popolo lava le proprie mani in segno di innocenza (Mt 27,19,2425). Anche nei confronti di Luca le differenze sono notevoli: Marco non fa alcuna menzione dell'invio di Gesù da Erode (Le 23,612) e decisamente più attenuata è la colorazione positiva di Pilato il quale, stando al racconto lucano, non trova nessun motivo per condannare a morte Gesù (Le 23,4.14.22) e si prodiga per favorirne la liberazione (Le 23,16.20.22). Il secondo vangelo dà, al contrario, maggior rilievo alla scena concernente Barabba (Me 15,615). Tutto il racconto marciano è incentrato sulla domanda di Pilato: «Sei tu il re dei Giudei?» (15,2). Tale titolo ritorna a più riprese (15,2.9.12) acquistando tutta una colorazione teologica che è meno enfatizzata da Matteo e Luca. Notevolmente accentuata è anche la responsabilità dei sommi sacerdoti: sono loro a mettere in catene Gesù per consegnarlo ai pagani (15,1), sono loro a muovere molte accuse davanti a Pilato (15,3), sono sempre loro a sobillare la folla per chiedere la crocifissione del Maestro (15,11). Lo stesso procuratore ha intuito che i sommi sacerdoti stanno agendo contro Gesù per pura invidia (15,10). Anche nella narrazione degli episodi che precedono la sepoltura di Gesù, Marco rivela un'impostazione tutta particolare. Egli insiste sulla descrizione di Giuseppe d'Arimatea presentandolo non tanto come «un uomo ricco» (Mt 27,57) ο come «un membro del consiglio» (βουλευτής: Le 23,5), ma come una figura «rispettabile, autorevole del consiglio (εύσχημων βουλευτής), che aspettava anche
1153.La sezi one di Me 14,51-16,8
lui il regno di Dio» (Me 15,43) e che, prima di recarsi da Pilato, deve fare un atto di coraggio (τολμήσας). Il secondo vangelo sembra volersi attardare anche sulla scena che presenta la consegna del corpo di Gesù: Pilato è «meravigliato» (έθαύμασεν) e chiama in scena il centurione richiedendo la sua testimonianza. Se teniamo presente che la caratteristica di Marco è in genere quella della concisione, questo attardarsi sulla scena acquista un certo peso. Tre sono i temi che, in sintesi, assumono una certa importanza all'interno del vangelo di Marco: il legame tra la morte di Gesù e la comparsa in scena di un uomo autorevole che «attende il regno di Dio»; il ruolo giocato da Giuseppe d'Arimatea in quanto membro di rilievo del «consiglio»; la consegna del corpo di Gesù da parte di Pilato.
3.2.2.3 1 parallelismi tra le due pericopi Anche in questo caso distinguiamo i parallelismi che concernono il vocabolario dai parallelismi legati al contesto e alla teologia del secondo vangelo. D parallelismo nel vocabolario: quattro sono i rimandi principali che legano, sul piano del vocabolario, la pericope di Me 15,1-15 con quella di 15,42-45: 1. Come Me 15,1-15 si apre con una considerazione di carattere temporale - και ευθύς πρωί - , così il racconto di Me 15,42-45 specifica che ήδη όψίας γενομένης. Da un lato Gesù viene consegnato all'autorità pagana, dall'altro il suo cadavere viene richiesto a Pilato. Ciò assume un certo rilievo se si tiene presente che l'intero capitolo 15 è ricco di indicazioni temporali che marcano la scansione della narrazione in periodi di tre ore ciascuno: le autorità religiose consegnano Gesù a Pilato «il mattino presto», il che fa pensare alle 6 del mattino (15,1); all'ora terza, cioè alle 9, Gesù viene crocifisso ( 15,25); dall'ora sesta all'ora nona le tenebre ricoprono la terra, cioè dalle 12 alle 15 (15,33); all'ora nona, cioè alle 15, Gesù muore sulla croce (15,34-37); quando scende la sera, vale a dire verso le 18, Giuseppe d'Arimatea si presenta a Pilato richiedendo il corpo di Gesù (15,42 45) 1 ". Cfr. MATERA F.J., Passion Narratives and Gospel Theologies Interpreting the Synopticι thfough their Passion Storie; (Thlnq), New York 1986. 35,
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3. La sezi one di Me 14,51-16,8
2. Un secondo richiamo pone in stretta relazione i sommi sacerdoti, gli anziani, gli scribi e tutto il Sinedrio che tengono consiglio in 15,1 (συμβούλιον ποιήσαντες) e Giuseppe d'Arimatea descritto come un εύσχημων βουλευτής (15,43), un membro autorevole del «consiglio». Luca, che insieme a Marco è l'unico evangelista a utilizzare il termine βουλευτής (23,50), precisa che Giuseppe non aveva aderito τη βουλή και τη πράξει αυτόν (Le 23,51). Il termine βουλευτής non è di facile interpretazione: secondo alcuni esso rinvierebbe a un consiglio locale ο provinciale distinto dal Sinedrio140, mentre, secondo altri, Giuseppe d'Arimatea sarebbe qui descritto come autentico membro del Sinedrio. D'accordo con R . E . B R O W N e con R . H . G u N D R Y 1 4 1 , ci sembra che la seconda ipotesi sia da preferirsi non solo perché in 15,1 Marco ha precisato che tutto il Sinedrio si è raccolto per consegnare Gesù a Pilato, ma anche perché lo stesso Luca interpreta Γ episodio in questi termini. A tutto ciò si aggiunge anche una testimonianza esterna al NT di G I U S E P P E FLAVIO, il quale utilizza il termine βουλευταί per designare i membri del Sinedrio142. Come dopo la condanna a morte di Gesù (14,64) troviamo l'intero consiglio delle autorità religiose che consegna il corpo di Gesù al procuratore (15,1), così dopo la morte di Gesù ritroviamo «un membro autorevole del consiglio» che lo richiede (15,43), mentre al centro è collocato il racconto della crocifissione e morte di Gesù. 3. Il terzo richiamo è sempre legato alla presentazione di Giuseppe d'Arimatea come un uomo che era in attesa del regno di Dio, ήν προσδεχόμενος την βασιλείαν του Θεοΰ (15,43), espressione che acquista un ceito significato se si tiene presente che tutto il processo dell'autorità romana contro Gesù si è giocato sul titolo di Gesù «re dei Giudei» (15,2.9.12: ό β α σ ι λ ε ύ ς των Ιουδαίων) m Cfr. RlTZ H.-J., «βουλευτής» in: DENT I, 594; MATERA F.J., The Kingship o/Jesus. Composilion and Tbeology in Mark 15 (SBL DS 661, Chico 1982, 55l4 'Cfr. BROWN RE., «The Burial of Jesus. Mk 15:42-47», CBQ 50 {1988} 233-245, in particolare le pp. 23.8-239; GUNDRY R.H., Mark.. , 984-985. Cfr. anche TAYLOR V., Mark..., 600; CRANFIEI.DC.E.B., Mark..., 462; JEPJEMIASJ., Jemsalem in the Timeo/Jesus. An ìnvestigation into Economie and Social Condì ions during the New Testament Period, Philadelphia 1975, 76; SENIOR D.. The Passion ofjesuson the Gospelo/Mark (ThePassion Sen'es 2), Wilminjiton 1984, 133; LÉGASSE S„Marc..., voi. II, 988-989. Per un approfondimento lessicale cfr. BAUER W., A Greek-English Uxtkon .., 145.
Cfr. FLAVIO GIUSEPPE, La guerra giudaica, II.17.1, s 4 0 5 .
117 3. La sezi one di Me 14,51-16,8
4 Un ultimo termine che troviamo in entrambi i brani concerne la meraviglia di Pilato. Come in 15,5 il governatore si era mera\agliato di fronte al silenzio di Gesù (θαυμάζειν), così in 15,44 egli si meraviglia di fronte all'annuncio della sua morte (έθαύμασεν). Marco è l'unico evangelista che menziona tale particolare attribuendogli una certa importanza: è da tale atteggiamento di meraviglia che scatta la decisione di convocare il centurione per accertarsi della effettiva morte di Gesù. Il verbo, tra l'altro, è impiegato solo 4 volte in tutto il secondo vangelo (5,20; 6,6; 15,5.44), diversamente da Matteo che lo usa 7 volte e da Luca che lo impiega in 13 ricorrenze. Β parallelismo nei temi teologici: colte nella loro portata teologica, le due pericopi hanno in comune almeno tre temi di particolare rilevanza: il tema della regalità di Cristo, il rapporto tra i diversi protagonisti del racconto (autorità pagana, autorità religiosa, Gesù) e il «gioco» che precede la sua consegna. 1. È evidente che la descrizione peculiare di Giuseppe d'Arimatea come un uomo che «era in attesa del regno di Dio» favorisce nel lettore l'accostamento tra la sua figura e la predicazione di Gesù che in Marco si apre proprio con la proclamazione della vicinanza del Regno di Dio (Me 1,15: ήγγικεν ή βασιλεία του Θεοΰ). Probabilmente è a partire da questo sfondo che il primo e il quarto vangelo sentono di poter descrivere Giuseppe d'Arimatea come un «discepolo» di Gesù (cfr. Mt 27,57: αυτός· έμαθητεύθη χφ Ίησοϋ; Gv 19,38: ών μαθητής του 'ίησοϋ κεκρυμμένος δέ διά ι ό ν φόβον τάν Ιουδαίων). In questa figura continua a essere riproposto il tema chiave della regalità di Gesù e del regno da lui inaugurato, oggetto di tutto il processo davanti a Pilato (Me 15,1-15) e della umiliante farsa organizzata dai soldati (Me 15,16-20). La ripresa di tali temi, all'indomani della morte in croce, diventa il segno che il seme gettato continua a crescere. Tra l'altro Giuseppe d'Arimatea è descritto come «un» rappresentante di coloro che aspettano il regno di Dio: Marco precisa infatti che και αύτός - «anche lui» - aspettava il regno di Dio, lasciando intendere che Giuseppe non è l'unico a coltivare tale attesa. Proprio come il centurione apre uno spiraglio luminoso all'interno del cinismo dei soldati e come le donne aprono uno spiraglio di fedeltà nella fuga generale dei discepoli, così anche Giù-
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3. La sezi one di Me 14,51-16,8
seppe d'Arimatea apre uno spiraglio di luce nella serrata e concorde condanna a morte di tutte le autorità religiose, ribadita in Me 14,64 e in 15,1. C'è un gioco di colpi di scena che accompagna tutti gli episodi successivi alla morte di Gesù: la croce emerge come il momento fecondo della rinascita di una nuova forma di «discepolato» che già coinvolge tutti i gruppi principali della società (un centurione pagano, le discepole, un'autorità religiosa)143. 2. Un secondo parallelismo concerne i protagonisti delle due pericopi. In entrambi i casi Pilato è il soggetto che deve prendere una decisione: in Me 15,1-15 egli deve stabilire se Gesù debba essere o meno messo a morte; in Me 15,42-45 Pilato deve decidere se consegnare o meno il corpo di Gesù a Giuseppe d'Arimatea. Da un lato abbiamo l'intermezzo concernente Barabba (15,6-15), dall'altro quello concernente la chiamata in causa del centurione (15,44, evocata solo dal secondo vangelo): entrambe le volte la decisione viene per un attimo sospesa e l'intermezzo è sempre preceduto da uno strano «stupore» di Pilato (15,5.44). Il parallelismo si fa ancora più evidente quando si rileva che in entrambi i casi i protagonisti costituiscono una triade di persone: Pilato, autorità religiose e Barabba da un lato; Pilato, Giuseppe d'Arimatea (un'autorità religiosa) e il centurione dall'altro. La composizione narrativa dell'evangelista continua a celare una sottile ironia: come la professione di fede del centurione (15,39) aveva costituito una sorta di velata risposta alla domanda del sommo sacerdote (14,61), così ora la presentazione di Giuseppe d'Arimatea, che «aspettava anche lui il regno di Dio» (15,43), risponde velatamente alla domanda di Pilato: «Sei tu il re dei Giudei?» (15,2). Come un pagano diventa «maestro» delle autorità religiose, così un'autorità religiosa diventa «maestra» dell'autorità romana. 3. Un terzo parallelismo è costruito attorno al tema della consegna di Gesù. Abbiamo già avuto modo di rilevare come la pericope di Me 15,1-15 si apra e si chiuda con l'impiego del verbo 7tapaòu5&)(.u. Le autorità religiose «consegnano» Gesù a Pilato (15,1), il quale a sua volta lo «consegna» ai soldati (15,15). NelCfr. KLNGSBURY J.D., «The Religious Authorities in the Gospel of Mark», (1990) 42-65, soprattutto le pp. 48-50.
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3 Lasezionedi Me 14,51-16,8
la pericope di Me 15,42-45 il verbo non viene impiegato, ma la questione è sempre la stessa e la sequenza è inversa: dopo aver ricevuto la testimonianza del centurione (un soldato), Pilato restituisce il corpo di Gesù a Giuseppe d'Arimatea, rappresentante dell'autorità religiosa. L'esegeta G. S C H O L T Z , avanza al riguardo l'ipotesi che i due racconti concernenti Barabba e Giuseppe d'Arimatea non siano altro che sviluppi narrativi legati proprio al verbo jcapa5i5óvou. La cosa si spiegherebbe alla luce della normale tendenza degli evangelisti a trasformare alcune formule kerigmatiche in pericopi narrative144. Conclusioni. Volendo raccogliere schematicamente i diversi indizi che, sia dal punto di vista del vocabolario sia da quello della teologia, rivelano un forte legame tra la pericope di Me 15,1-15 e quella di Me 15,42-45 si ottiene il seguente prospetto: Me 15,1-15 (C) Voc.: Kcà ευθύς πρωί συμβοΰλιον ποιήσαντες βασιλεύς των Ιουδαίων θαυμάζειν Teol.: Il regno di Dio I protagonisti La consegna di Gesù
Me 15,42-45 (CD
Voc.: ήδη όψίας γενομένης εύσχημων βουλευτής τήν βασιλείαν τοΰ Θεοΰ ρθαΰμασεν Teol.: H regno di Dio I protagonisti La consegna di Gesù
Anche in questo caso l'analisi dei testi conferma l'attenzione e la cura con cui l'evangelista presenta il mistero pasquale di Gesù. Le diverse tappe che hanno accompagnato la sua morte sono riprese una dopo l'altra per dimostrare che tale morte è all'origine di quella fecondità che progressivamente schiude lo scenario: è proprio tale fecondità a riportare sulla scena una serie di figure positive che riscatta la presentazione negativa dei diversi personaggi che hanno accompagnato la passione di Gesù.
1+1 C f t SCHOLTZ G„ «Joseph von Arimathäa und Barabbas. Beobachtungen zur narrativen Ausgestaltung der Auslieferungs- und der Stellvertretungstheologie», LmgBiblUJ (1985) 81-94.
3. La sezione non fa altro che esplicitare in chiave simbolica la preziosità dell'identità acquisita. La rottura dell'alleanza e l'allontanamento dal Signore saranno ancora espressi attraverso la spogliazione degli abiti ricevuti in dono e l'abbandono in uno stato di nudità ancor più grave, perché vergognosamente esposta agli occhi di tutti gli amanti: essi ne abuseranno fino all'infamia totale (Ez 16,35-41). Il tema non è estraneo nemmeno al Nuovo Testamento. Citiamo a titolo di esempio due brani tratti dall'Apocalisse: Ap 3,17 e Ap 16,15. Nel primo, la nudità esprime la condizione di mediocrità vissuta dalla Chiesa di Laodicea alla quale viene consigliato di acquistarsi presso lo stesso Cristo «vesti bianche», simbolo della perduta e autentica identità cristiana. Nel secondo, l'uomo viene invitato a essere vigilante e a «conservare le proprie vesti», simbolo del proprio legame a Cristo, «per non andar nudo e lasciar vedere le sue vergogne», cosa che implicherebbe l'apostasia e la conseguente morte. Tutti questi brani ci permettono di cogliere la portata dell'immagine presentata in Me 14,52: dire «nudità» significa dire esperienza di frattura, perdita di identità, spogliazione interiore e ciò può essere benissimo lo sfondo evocato anche dal verbo άρνέομαι in 8,33. Ciò di cui il neaniskos e Pietro fanno esperienza non consiste forse in questo passare attraverso la dolorosa esperienza della nudità interiore, a cui viene esposta tutta la loro fragile sequela? Se la fuga del neaniskos è di per sé un fatto biasimevole, non bisogna forse riconoscere che in quella spogliazione che l'accompagna viene espressa anche una necessità implicita alle esigenze della sequela? 4.2.3.2 Prendere la croce (Me 8,34: άράτω τόν σταυρόν αντοί)) Il rinnegamento di sé e l'esperienza della lacerazione interiore che lo accompagna non sono fini a se stessi. Essi hanno come obiet"* «Ti lavai con acqua, ti ripulii del sangue e ti unsi con olio; ti vestii di ricami, ti calzai di pelle di tasso, ti cinsi il capo di bisso e ri ricoprii di seta; ti adornai di gioielli; ti misi braccialetti ai polsi e una collana al collo; misi al tuo naso un anello, orecchini agli orecchi e una splendida corona sui tuo capo. Così fosti adorna d'oro e d'argento; le tue vesti erano di bisso, di seta e ricam i».
4. Ruolo e s ignificato di M e 14,51-52
156
rivo l'assunzione di una nuova «logica»: quella della «croce». II mondo dell'esegesi si è a lungo interrogato circa il senso dell'espressione di Me 8,34, offrendone tre diverse spiegazioni180. 1. Secondo alcuni, «prendere la croce» significherebbe assumere fino in fondo le sofferenze, i processi, le umiliazioni che la fede cristiana può implicare nella vita del credente. Tale espressione sarebbe nata all'indomani della morte di Gesù, sotto la penna dello stesso evangelista, per sostenere i fedeli che vivevano in una situazione di tensione e di opposizione. 2. Un secondo gruppo di studiosi vede nell'espressione un'anticipazione profetica della morte in croce da parte dello stesso Gesù. U Maestro avrebbe progressivamente preso coscienza che per lui si delineava una fine violenta e ne avrebbe personalmente messo in guardia i discepoli, invitandoli a reggere fino in fondo nel loro cammino di sequela. Pur tenendo presente il naturale orrore che i giudei avevano nei confronti della croce, questo gruppo di studiosi ritiene che Gesù abbia ugualmente ripreso la forte immagine della croce nel suo insegnamento. Che la pratica della crocifissione fosse conosciuta ai tempi di Gesù181 è ormai provato: ne abbiamo una testimonianza nelle opere di G I U S E P P E F L A V I O . In esse egli ci presenta il resoconto di tutta una serie di crocifissioni che ebbero luogo in Palestina tra il II sec. a.C. e il periodo immediatamente successivo alla distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C.: Alessandro Janneo verso l'88 a.C. avrebbe crocifisso ben 800 farisei a Gerusalemme'82 e anche ai tempi di Archelao (4 a.C. - 6 d.C.), in occasione di una ribellione di Giuda il Galileo, ben 2.000 uomini sarebbero stati condannati alla morte di croce183. Senz'altro all'epoca di Gesù si conservava nella memoria l'orrore di questi fatti. 3. Un terzo gruppo di commentatori ritiene, infine, che questa espressione, posteriore alla morte di Gesù, inviti semplicemente chiunque voglia essere discepolo a una sequela radicale, lungo la quale deve essere tenuta presente la possibilità di assumere su di ltD Cfr. la chiara sintesi di FLETCHER D.R., «Condemned to Die. The I,ogion on CrossBearing: What Does It Mean?», Interp 18 (1964) 156 164; e, più recentemente, quella di
GUNDKVR.H., Mark..., 1S1
435-436.453-454.
Cfr. tutta la documentazione fornita al riguardo nello studio di HENGEL M „ Crocifissioneed espiazione (BCultRel 52), Brescia 1988 (or. 1976). 1 °Cfr. FLAVIO GIUSEPPE, Antichità giudaiche, XIII, 380·, La guerra giudaica, I, 97. •"Cfr. FLAVIO GIUSEPPE, La guerra giudaica, II, 75.
157 4. Ruolo e s ignificato di Me 14,51-52
sé fino in fondo anche la logica vergognosa e umiliante assunta dal Maestro: quella della croce. Qualunque sia la lettura più corretta, questa seconda esigenza rimanda esplicitamente a una condizione di pubblico ludibrio espressa nella cruda immagine della croce. Che legame si può stabilire con il brano di Me 14,51-52? La fuga del neaniskos in 14,52 sembra porsi in totale contrasto con tale esigenza, in quanto, nel momento stesso in cui viene arrestato (14,51: και κρατοΰσιν αυτόν), la sua immediata reazione è quella di darsi alla fuga per non essere coinvolto nell'umiliante destino del Maestro. Non va tuttavia dimenticato che Marco è l'unico evangelista che affianca l'immagine della fuga a quella della nudità: con questo tratto l'autore del secondo vangelo sta probabilmente ribadendo che il discepolo non può in nessun caso sottrarsi allo stato di vergogna, di umiliazione, di opposizione, di rifiuto, che la sequela esige, nemmeno nel momento in cui si dà alla fuga. La nudità del giovane non implica forse quella condizione di vergogna e di pubblico ludibrio impliciti nella croce? Che tale accostamento sia possibile, emerge da tutta una serie di citazioni bibliche che vale la pena menzionare. In Gn 9,20-27, Cam, uno dei figli di Noè, vede il padre scoperto in uno stato di ebbrezza e ne riferisce la notizia ai fratelli. Tale atto gli vale una maledizione (Gn 9,25), in quanto ha esposto all'infamia e al pubblico ludibrio colui che lo ha generato. 2Sam 10,1-5 presenta il caso degli ambasciatori inviati da Davide al re degli ammoniti. Quest'ultimo, per esprimere la sua sfiducia e il suo discredito, fa radere metà della loro barba e fa tagliare le loro vesti fino alle natiche. Giunto a conoscenza dell'accaduto, Davide manda alcuni suoi uomini incontro agli ambasciatori, invitandoli a trattenersi per un po' di tempo a Gerico, onde non essere esposti alla pubblica vergogna (10,5). In Ez 16,38-42 come in Os 2,5 e in Na 3,5-7, il popolo infedele viene paragonato a una prostituta che Dio punirà alzandone le vesti fino alla faccia ed esponendone la nudità alle genti. La medesima immagine in Lam 1,8 è applicata a Gerusalemme, la quale, perdendo ogni dignità, è divenuta «un panno immondo; quanti la onoravano la disprezzano, perché hanno visto la sua nudità». Anche il Nuovo Testamento riprende l'associazione tra l'immagine della nudità e la condizione di vergogna ο di discredito. Ne citiamo anche in questo caso due testi: nel primo - A t 19,13-17-
158
4. Ruolo e s ignificato di Me 14,51-52
un gruppo di esorcisti giudei tenta di invocare su quanti sono posseduti da spiriti immondi «il nome di Gesù che Paolo predica»; lo spirito immondo non ne riconosce il mandato e li scredita pubblicamente aggredendoli e costringendoli a fuggire «nudi e coperti di ferite» (At 19,16). Il secondo è tratto dal libro dell'Apocalisse, nel quale la miserabile fine della «città grande» è descritta proprio attraverso l'immagine della spogliazione e della nudità: «le dieci corna e la bestia odieranno la prostituta, la spoglieranno e la lasceranno nuda, ne mangeranno le corna e la bruceranno col fuoco» (Ap 17,16). Sullo sfondo di questi brani, nei quali la nudità evoca quella condizione di totale discredito e di pubblico ludibrio impliciti anche nella seconda esigenza della sequela, è possibile accostare la nudità del neaniskos di Me 14,52 al paradossale compimento di tale esigenza. Il giovane si dà alla fuga - e questo è biasimevole - , ma la sua nudità sembra esprimere anche quell'esperienza di umiliazione e di vergogna pubblica a cui resta esposto chiunque voglia misurarsi fino in fondo con la sequela. 4.2.3.3 Perdere la vita (Me 8,35: δ ς
δ'αν α π ο λ έ σ ε ι την
ψυχήν
αυτού... )
Ai due principi esposti sopra, Gesù ne aggiunge un altro: «Chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà» (8,35). Il verbo impiegato è άπόλλυμι. Secondo A. KRETZER 1 8 4 , in questo passaggio il verbo assume una duplice sfumatura: una più negativa che implica la perdita definitiva della vita («rimetterci la vita») e una più positiva che indica piuttosto la perdita di ogni sicurezza umana in vista di una scelta superiore («sacrificare la vita»). Nelle diverse ricorrenze marciane del verbo, sembra che sia la sfumatura più negativa a prevalere (cfr. 1,24; 2,22; 3,6; 4,38; 8,35; 9,22; 11,18; 12,9; con la sola eccezione di Me 9,41). Questo conferma quanto abbiamo già rilevato: la «causa del vangelo» esige da parte del discepolo l'esperienza di una «perdita radicale». Non è certo un caso che nel 154 Cfr. IIAHN H,C„ «απώλεια, destroy, perish, ruin» in: N I D N T 1 , 4 6 1 465; KRETZER Α., «άπόλλυμι, άπώλεια» in: DENT1,359-361; ΟΕΡΚΕ Α., «άπόλλυμι, απώλεια» in: GLNT1,1051-1061.
159 4. Ruolo e s ignificato di Me 14,51-52
vangelo di Marco le stesse persecuzioni diventino parte integrante di quel «centuplo» promesso a coloro che, lasciando ogni cosa, si mettono sulle orme di Gesù (Me 10,28-31): nei passi paralleli di Mt 19,27-30 e di Le 18,28-30 una simile idea non viene per nulla ripresa. Quando poniamo a confronto questa esigenza della sequela con il breve episodio di Me 14,51-52, la prima osservazione che nasce spontanea concerne il contrasto tra i due passaggi: il giovane, pur di non esporsi e di non perdere la sua vita, lascia il suo prezioso indumento nelle mani di chi lo arresta e si dà alla fuga. Tuttavia, a una lettura più minuziosa, il particolare della nudità invita a scorgere l'altro lato della medaglia: il neaniskos si sottrae all'arresto, ma la sua nudità sembra evocare proprio quella perdita di ogni protezione suggerita dal verbo à7ióM.D|Xt in 8,35. Abbiamo notato sopra come tale verbo conservi la duplice sfumatura semantica di «perdere la vita» e di «perdere ogni protezione». Entrambi i significati sono legati all'immagine della nudità, che nella letteratura biblica può esprimere sia la perdita di ogni protezione estema e interna che la perdita della dignità umana. Per mostrare questo, passiamo in rassegna alcuni passaggi biblici. E ancora Gn 3 a offrirci l'esempio più chiaro al riguardo: in Gn 3,21, Dio, dopo il peccato delle origini, si rivolge all'uomo per fargli dono di tuniche di pelli. Vestendolo, egli garantisce in qualche modo la dignità perduta a motivo del peccato. Tale gesto va colto sullo sfondo della mentalità antica in cui l'abito rappresenta una protezione non solo contro le intemperie naturali, ma anche contro tutto ciò che può ferire la dignità dell'essere umano (Gn 28,20-22; Dt 10,18). E certamente significativo che fin dai tempi antichi l'uomo si senta in dovere di pronunciarsi chiaramente su tale questione anche in ambito giuridico: Es 22,25-26 e Dt 24,12-14, per esempio, esigono che il creditore di un uomo povero restituisca a quest'ultimo il mantello ricevuto in pegno, prima del tramonto del sole. Un altro significativo episodio che merita di essere menzionato è quello di iSam 24: in esso Davide, all'interno di una caverna, taglia di nascosto un lembo al mantello di Saul (ISam 24,6). L'autore annota che dopo aver compiuto tale gesto, Davide «si sentì battere il cuore per aver tagliato il lembo del mantello di Saul» (ISam 24,7). Asportare anche solo una parte dell'indumento, equivaleva ad attentare alla vita e alla dignità della persona, in questo caso di un «unto del Signore» ( 1 Sam 24,7.11).
1 0 U
4. Ruolo e significato di Me 14,51-52
Anche nel Nuovo Testamento troviamo passaggi in cui il concetto di nudità rimanda alla perdita di ogni protezione: nel giudizio finale, uno dei criteri a parare dal quale saranno distinte le «pecore» dai «capri» sarà la trepidazione con cui l'uomo si è preoccupato di rivestire la nudità del proprio fratello, sprovvisto di ogni protezione (Mt 25,36.38.43.44). Paolo stesso, nell'elogio del suo ministero, all'interno dell'elenco dei diversi pericoli che hanno esposto la sua vita alla morte, menziona la «nudità» (2Cor 11,27: èv yù^ei tcod yu|j.vórr)Xi). Ma al riguardo l'Apostolo precisa che per tutti coloro che sono sotto la protezione dell'amore di Dio, «la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità (yu|ivónig), il pericolo e la spada» (Rm 8,35) restano senza effetto, non riuscendo a spezzare la relazione con il Padre. Anche in questo caso la sfumatura legata al particolare di Me 14,52 è sottile: certo, il giovane si sottrae all'arresto che pone in pericolo la sua vita, ma, perdendo il suo indumento, resta totalmente esposto a quella nudità che implica la perdita di ogni protezione esterna e interna. Proprio perché il neaniskos si era posto in un atteggiamento di particolare vicinanza al Maestro, tale passaggio non poteva essere evitato.
4.2.3.4 Essere agli ultimi posti (Me 10,44: εσται πάντων δούλος) Nel momento in cui i discepoli tornano a non comprendere la logica del mistero pasquale annunciata dal Maestro (9,32), si fa necessario un secondo intervento chiarificatore, che inserisce un'ulteriore necessità all'interno dell'esperienza di discepolato: «se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo (έσχατος) di tutti e il servo (διάκονος) di tutti» (9,35). La scena, nel secondo vangelo, viene particolarmente enfatizzata: né Matteo, né Luca menzionano il «silenzio colpevole» dei discepoli riportato da Me 9,34 e nessuno dei due accenna all'invito di Gesù di mettersi agli ultimi posti (έσχατος). Che Marco dia particolare rilievo all'espressione di 9,35 emerge chiaro da alcuni indizi: a) in primo luogo la frase è introdotta dal verbo έφώνησεν, il che indica una dichiarazione a voce alta (non dimentichiamo che stando a quanto scritto in 9,33 - siamo all'interno di una casa, dove normalmente non c'è alcun bisogno di «gridare»); b) in secondo luogo il contrasto tra il fatto di «essere primo» e quel-
4, Ruolo e significato di Me 14,51-52
161
lo di «essere ultimo» viene ulteriormente enfatizzato dalla ripetizione del genitivo πάντων; e) infine il senso dell'espressione: «se uno vuol essere il primo sia ultimo fra tutti» (9,35) è illustrato da una seconda immagine, quella del servizio (διάκονος). Ciò che il Maestro dichiara in 9,35 viene ripreso in un'altra circostanza, a causa della medesima fatica da parte dei discepoli di entrare nella logica del mistero pasquale loro annunciato per la terza volta (10,32-34). Dopo la sfacciata richiesta di Giacomo e Giovanni, desiderosi di rivestire il ruolo dei «primi ministri» nel futuro regno che il Cristo inaugurerà, scatta lo sdegno degli altri dieci. Gesù deve nuovamente convocare a sé l'intero gruppo e chiarire che la sua logica non corrisponde a quella del mondo (10,42). Al contrario, se uno vuole essere grande (μέγας) deve farsi servo (διάκονος), e se uno vuole essere il primo (ΐφώτος), deve farsi schiavo (δούλος). Si noti al riguardo il passaggio dal concetto di servizio espresso nel termine greco διάκονος al concetto di schiavitù espresso con il termine δούλος: come fa giustamente notare K. S T O C K , il primo termine indica un servizio personale libero, mentre il secondo un servizio obbligato, alle dipendenze di qualcuno, fatto che si colloca su un gradino decisamente inferiore185. Unico punto di riferimento resta il Maestro, che «non è venuto per essere servito (διακονηθήναι) ma per servire (διακονήσαι) e dare (δούναι) la propria vita in riscatto (λύτρον) per molti» (10,45). Come sullo sfondo del primo annuncio della passione era stato richiesto ai discepoli di far propria una logica di rottura e di perdita nei confronti di se stessi e della propria vita, ora, sullo sfondo del secondo e terzo annuncio della passione, viene loro chiesto di rinunciare a ogni sogno di grandezza e di primato, per collocarsi invece all'interno di una logica di servizio, pronti a chinarsi fino al gradino più basso, quello degli schiavi. Anche questa esigenza della sequela sembra avere un nesso con l'immagine del neaniskos γυμνός di Me 14,52: nella Scrittura parlare di nudità equivale spesso a parlare di uno stato di schiavitù ο di una condizione sociale molto screditata. Vengono a conferma alcuni brani biblici che ora citiamo. 185 Cft STOCK K„ Bolen aus dem Mit-AmSein. Das Verhältnis zwischen Jesus und der Zwölf nach Markus (AnBib 70), Roma 1975, 140. Cfr. anche BEST E., FoUowingJesus. disdpleship in the Goipel ofMatk (JSNT Supp 4), Sheffield 1981,125-126.
162
4, Ruolo e significato di Me 14,51-52 162
In Is 20,1-6 il Signore invita il profeta a camminare nudo e scalzo per ben tre anni per annunciare la futura schiavitù del popolo: «Come il mio servo Isaia è andato nudo e scalzo per tre anni come segno e simbolo per l'Egitto e per l'Etiopia, così il re d'Assiria condurrà i prigionieri d'Egitto e i deportati dell'Etiopia, giovani e vecchi, spogli e scalzi e con le natiche scoperte, vergogna per l'Egitto» (20,3-4). È storicamente provato che ai prigionieri ridotti in schiavitù venivano strappate le maniche della tunica e il suo rivestimento inferiore186. Anche Amos, nella visione in cui viene tratteggiato il castigo di Israele, preannuncia la schiavitù dichiarando che «anche il più coraggioso tra i prodi fuggirà nudo in quel giorno» (Am 2,16). Il medesimo scenario di miseria si riscontra in Mi 1,8 dove il profeta dichiara: «Farò lamenti e griderò, me ne andrò nudo e scalzo..., perché la sua piaga è incurabile ed è giunta fino a Giuda». In alcuni passi biblici l'immagine della nudità è legata alle condizioni più umilianti sul p iano sociale: quella dell'empietà, della maledizione e della demenza. Nel libro di Giobbe gli empi vengono descritti come uomini che «nudi passano la notte, senza panni..., rapiscono con violenza l'orfano e prendono in pegno ciò che copre il povero. Nudi se ne vanno, senza vesti, e affamati portano i covoni» (Gb 24,7-10). Nel libro del Deuteronomio la maledizione divina si esprime in questi termini: «Poiché non avrai servito il Signore tuo Dio con gioia e di buon cuore in mezzo all'abbondanza di ogni cosa, servirai i tuoi nemici, che il Signore manderà contro di te, in mezzo alla fame, alla sete, alla nudità e alla mancanza di ogni cosa» (Dt 28,47-48). La stessa divisione delle vesti evocata dall'orante in Sai 21,19 è considerata come una prova della lontananza di Dio, nella quale si esprime lo stato interiore più spoglio che un uomo possa mai augurarsi. Circa lo stato di delirio si può citare il passaggio di ISam 19,2324 in cui Saul, investito dallo spirito di Dio, togliendosi gli abiti comincia a profetizzare, per poi crollare e restare nudo «tutto quel giorno e tutta la notte» (19,24). Il Nuovo Testamento menziona il caso dell'indemoniato geraseno «che da molto tempo non portava vestiti, né abitava in casa, ma nei sepolcri» (Le 8,27). La prova della sua guarigione sta nel rista186
Cfr. HAU LOTTE E., Symbolique..., 80-82.
4, Ruolo e significato di Me 14,51-52
163
bilimento pieno della sua dignità: dopo l'intervento di Gesù egli viene descritto sullo sfondo di tre tratti: «vestito, sano di mente e assiso ai piedi di Gesù» (Le 8,35). Il suo passaggio da uno stato di nudità alla riassunzione piena della propria dignità viene descritto con le medesime immagini in Me 5,15: i mandriani, giungendo sul luogo del miracolo, vedono l'indemoniato seduto (καθήμενον), vestito (ίματισμένον) e sano di mente (και σωφρονοΰντα). Il brano di At 12,1-19 riprende invece l'associazione tra la nudità e la condizione di prigionia: l'angelo, presentandosi a Pietro in catene, lo invita ad avvolgersi nel mantello, a rimettersi la cintura e a legarsi i sandali, indumenti di cui era stato probabilmente spogliato prima di essere gettato in prigione (12,7-8). Il nesso tra questa sfumatura simbolica legata al concetto di nudità e la nostra pericope di Me 14,51-52 è alquanto chiaro: proprio quel giovane che più di tutti gli altri discepoli era rimasto strettamente associato al Maestro (συνηκολούθει), ora non solo si trova a dover fuggire, ma a dover fuggire nudo, coprendo della massima vergogna la sua reazione. Chi, per un attimo, era stato giudicato come il migliore, ora passa all'ultimo posto. E ciò diventa tanto più significativo se si tiene presente che il neaniskos anticipa in questo la vicenda successiva di Pietro: anche in questo caso proprio colui che era sempre stato presentato come il portavoce dei Dodici e che anche dopo l'arresto di Gesù e la fuga generale non si era dato per vinto (Me 14,54), alla fine è destinato allo «smacco» più grave sotto il segno di un triplice rinnegamento (14,66-72). Del resto queste osservazioni si inseriscono perfettamente nel piano narrativo e teologico del secondo vangelo. Basti anche solo considerare come finiscono i due discepoli che aspiravano ai posti di «primi ministri» (10,37: εις σου έκ δεξιών και εις έξ αριστερών) : al momento della crocifissione di Gesù, l'evangelista osserva ironicamente che imposto alla destra e alla sinistra è occupato da due ladroni (15,27: ένα έκ δεξιών καΐ ένα έξ εύωνύμων αύτοΰ), mentre i due discepoli non hanno lasciato alcuna traccia della loro presenza. I primi posti sono occupati dagli ultimi. La medesima cosa avviene al Getzemani: i tre discepoli prediletti, Pietro, Giacomo e Giovanni, testimoni dei momenti più forti della vita del Maestro come la risurrezione della figlia di Giairo (5,21-24.35-43) e la trasfigurazione (9,2-8) -, si rivelano totalmente incapaci di vivere uno dei momenti più delicati della vita del Maestro (14*32-42). Per tre volte Gesù torna presso di loro trovandoli addormentati e incapa-
164
4. Ruolo e significato di Me 14,51-52
ci di dire una sola parola (14,37.40.41). Più forte è la vicinanza dei discepoli al Maestro, più grave si rivela la loro fragilità al momento dell'arresto. I «primi» si rivelano effettivamente gli «ultimi», i più «spogli», coloro la cui vita resta maggiormente in contrasto con un atteggiamento di fedeltà al Maestro. 4.2.3.5 Essere consegnati ai Sinedri (Me 13,9: icapaScòao'Ucnv Ì^OQJ Le esigenze della sequela si fanno ancora più chiare e pesanti nel contesto del discorso escatologico. Coloro che avanzano la domanda che fa scattare il discorso di Gesù sono i primi quattro discepoli: Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea (13,3; cfr. anche 1,16-20). La domanda verte sul «segno» che permetterà di discernere il sopraggiungere degli ultimi tempi, ma il Maestro sposta l'attenzione dei suoi: «Voi badate a voi stessi. Vi consegneranno ai sinedri ( j t a p a 5 o b a o u c n v uj.ia?), sarete percossi ( 6 a p i i o e o 0 e ) nelle sinagoghe, starete (oxaGtioeoGe) davanti a governatori e re a causa mia (EVEKEV è|io·!)) per rendere loro testimonianza (eìg p a p x ù p i o v aivtotg)» (13,9). Il tono di Gesù è quello dell'annuncio profetico, il che non lascia alcuno spazio di reclamo da parte dei discepoli: ancora una volta essi sono confrontati con una sorta di «necessità» che tocca da vicino la loro sequela, rivelandone il lato più esigente. Il verbo è il medesimo che viene impiegato per descrivere il tradimento e la consegna del Maestro in 1,14; 4,29; 9,31; 10,33 (2x); 14,10.11.18.21.42.44; 15,10: Jtapa8tòco|ii. L'indumento lasciato nelle mani di chi si è fatto avanti per arrestare Gesù e per consegnarlo alle autorità religiose ci dice che anche il neaniskos ha per un attimo sperimentato sulla propria pelle tale esigenza della sequela. È ciò che esprime il verbo K p a t é o ) in 14,51. Attorno a questo verbo avviene il «colpo di scena»: accorgendosi che la sua sequela lo espone al medesimo destino del Maestro, il giovane si dà alla fuga, sgusciando fuori dal proprio indumento. La sua «nudità» richiama pertanto anche in questo caso sia il rinnegamento della propria identità di discepolo, sia una delle esigenze legate alla sequela del Cristo. Pur sotto il segno della fuga e del conseguente rifiuto di prendere parte al destino di Gesù, in 14,51-52 si compie per la prima volta quanto il Maestro aveva predetto in 13,9-13.
165 4 . Ruolo e significato di M e 14,51-52
4.2.3.6 Lo scandalo e la dispersione (Me 14,27: π ά ν τ ε ς σκανδαλισθήσεσθε.) Quanto detto potrebbe bastare, ma il tema viene ripreso ancora una volta dopo l'ultima cena, quando il gruppo dei discepoli si sta dirigendo verso il-Monte degli Ulivi (14,26). È Gesù stesso che prende l'iniziativa, questa volta per annunciare ai suoi l'ormai imminente scandalo e la conseguente dispersione (14,27): «Tutti rimarrete scandalizzati (σκανδαλ,ισθήσεσθε), poiché sta scritto: percuoterò (πατάξω) il pastore e le pecore saranno disperse (διασκορπισθήσονται)». Sia per il primo come per il secondo vangelo, questo è il primo atto compiuto da Gesù dopo l'ultima cena. II fatto di collegare la predizione con la citazione profetica di Zac 13,7 conferisce all'insieme un tono di «necessità», di fronte alla quale servono a poco le proteste di Pietro e degli altri discepoli che vi si associano (Me 14,29.31). Luca disporrà il materiale su uno sfondo totalmente diverso. Nella sua narrazione il tono del Maestro è più «positivo»: egli si congratula con i discepoli che hanno perseverato con lui nella prova (Le 22,28-30) e mette in guardia gli Undici (Pietro in modo particolare) dagli attacchi di Satana. Anche la predizione del rinnegamento assume un tono più positivo: Pietro è infatti sostenuto dalla preghiera del Maestro ed è invitato fin d'ora a confermare i propri fratelli dopo il suo ravvedimento (Le 22,31-32). Il racconto marciano si presenta più austero e tutto viene fatto ruotare attorno ai due verbi: σκανδαλίζω e διασκορπίζω, evocanti rispettivamente lo scandalo e la dispersione. Per quanto concerne il primo verbo, nel suo significato generico esso può essere tradotto con «inciampare, cadere, peccare», ma quando viene usato in senso assoluto, come nel nostro caso, può anche evocare la perdita totale della fede, e normalmente tale è il suo significato quando viene menzionato in un contesto di tribolazione e di persecuzione187. Nell'insieme del Nuovo Testamento, quando la formula σκανδαλίζεσθαι έν έμοί è riferita a figure in aperta tensione con il Maestro, essa esprime un rifiuto assoluto di aderire alla volontà di Dio (cfr. Mt 13,57; Me 6,3), mentre quanw Cfr. GlESEN Η., «σκανδαλίζω, σ κ ά ν δ α λ ο ν » in: D E N T I I , 1345-1350; GUHRTJ., «σκάνδαλον, ofience» in: N I D N T Π, 707-710; STAHLIN G„ «σκάνδαλον, σκανδαλίζω»
i n : G L N T X N , 3 7 3 4 2 6 . C f r . a n c h e BROWN R . E . , The Death..
„ voi. 1 , 1 2 7 .
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4. Ruolo e s ignificato di Me 14,51-52
do rimanda a coloro che hanno creduto, evoca l'apostasia (cfr. Mt 26,31.33). Nella sua forma attiva, σκανδαλίζείν può indicare anche l'uccisione della fede nel cuore dei credenti. Tale senso «forte» non sempre appare in maniera esplicita, ma i diversi passaggi in cui il verbo ricorre lasciano trasparire l'idea che la fede in Cristo sia decisamente messa in questione ο da un atteggiamento di rifiuto, ο da una esitazione interiore, ο ancora da sentimenti di delusione e di dubbio (Mt 11,6; 14,27-29; 15,12; 26,31-33; Me 4,17; 6,3; Le 7,23). In altri passi il verbo enfatizza l'influsso negativo di fattori che distruggono e provocano un crollo nell'esperienza di fede del prossimo (Mt 17,27; 18,6; Me 9,42; Le 17,2)18S. Per quanto concerne il secondo verbo, διασκορπίζω (disperdere), esso illustra la fuga e la dispersione dei discepoli, che troverà pieno compimento in 14,50. Luca sembra voler evitare il termine: nel suo racconto della passione, i discepoli non fuggono, né tantomeno si disperdono, ma restano a osservare da lontano lo svolgersi degli eventi (Le 23,49). Anche il quarto vangelo adotta una linea teologica diversa da quella marciana: pur riprendendo il tema della dispersione in 16,32, l'obiettivo di Gesù e della sua morte è quello di «raccogliere» i figli di Dio dispersi perii mondo. Da qui la presentazione della croce come punto di riunione dell'intera umanità attorno all'unico pastore (cfr; Gv 1,12-13; 10,16; 12,32; 17,21)189. Come giustamente hanno rilevato molti commentatori negli ultimi trent'anni, la pericope di Me 14,51-52 costituisce la concretizzazione e la sottolineatura in una piccola scena dello scandalo e deh la dispersione sperimentata dai discepoli all'indomani dell'arresto del loro Maestro (Me 14,43-50) e preannunciata da Gesù in Me 14,27. Nudità e fuga diventano in questa scena i tratti principali per descrivere un momento doloroso, ma nondimeno necessario, vissuto dall'intera comunità dei discepoli: «così sta scritto (ότι γέγραπται)...».
18! Cfr. HUMBERT A,, «Essai d'une théologie du scandale dans les synoptiques», Btb 35 (1954) 1-28. ' " C f r . Busse U., «ôicMTicopTti^ctï» in: D E N T 1,821-822; M i c h e l O., «okoptiî^o), ki/..»
in: G L N T XII, 579-590; TRJTES A.A., «AKOPMYÛ, scatter, disperse, distribute» in: N I D N T II, 33-35.
167 4. Ruolo e s ignificato di Me 14,51-52
4.2.4 Osservazioni conclusive Le considerazioni esposte sopra ci hanno permesso di mettere in rilievo i profondi richiami esistenti tra la nostra pericope e l'esperienza dei discepoli. Come abbiamo notato, ai diversi richiami letterari si aggiunge tutta una serie di rimandi teologici più sottili, alla luce dei quali la fuga e la nudità del neaniskos manifestano non solo l'inconsistenza dei discepoli, ma anche quella tappa necessaria di passaggio in cui si compiono le esigenze della sequela. Come rappresentante dei discepoli che tentano di seguire Gesù «più da vicino», il giovane diventa il segno di quella «nudità necessaria» evocata dallo stesso Maestro più volte lungo il suo ministero pubblico: in fondo, rinnegare se stessi (8,34), assumere nella propria vita la logica della croce (8,34), essere disponibili a perdere ogni cosa per Cristo (8,35), scegliere gli ultimi posti in un'ottica di totale servizio (9,35; 10,43-44), essere disponibili all'umiliazione e al rifiuto (13,9-13), passare attraverso lo scandalo e la fuga (14,27) sono tutte esperienze che possono essere sintetizzate in un'unica espressione: fare esperienza della propria nudità. Certo, a un primo impatto, verrebbe spontaneo distinguere i primi cinque atteggiamenti dall'ultimo (14,27): mentre quelli sono nell'ottica del vangelo, questo (il passare attraverso lo scandalo e la fuga) sembra piuttosto implicare una valenza negativa e anti-evangelica. E i discepoli se ne rendono conto: non per niente si ribellano all'idea (14,29.31). Ma «così sta scritto» (14,27), e anche questo sembra proprio costituire una «tappa obbligata». Le stesse osservazioni possono essere fatte circa il neaniskos di Me 14,52: la sua fuga e la nudità che l'accompagnano non possono non essere considerate come biasimevoli, ma sono anche il segno di quello «smacco» necessario a cui conduce la via di chi si è posto sulle orme di Gesù. La forte immagine che l'evangelista presenta ai suoi lettori, sottolineando due volte (al v. 51 e al v. 52) - le uniche in tutto il vangelo - che il giovane è ywiuvóg, ne rende chiaramente l'idea. La salvezza si schiude gratuitamente solo all'interno del profondo abisso che separa le attese del discepolo dal dono del Maestro e all'interno del contrasto che oppone la fuga del primo all'obbedienza del secondo, un'obbedienza che si spinge fino alla morte e alla morte di croce.
4.3 IL NEANISKOS E GESÙ
Diversi indizi ci hanno permesso di mettere in luce nel secondo vangelo il profondo legame esistente tra l'episodio di Me 14,51-52 e tutto il tema del discepolato ma, a una lettura minuziosa, ci si rende conto che questo costituisce solo un lato della medaglia: in realtà la nostra pericope è posta all'inizio dell'intero mistero pasquale anche come anticipo del destino che coinvolgerà Gesù in prima persona. A differenza dei discepoli, quest'ultimo si sottopone alia volontà del Padre fino all'obbedienza più radicale (14,36), che passa attraverso l'esperienza della spogliazi one (15,24) e della morte in croce (15,37). In questo paragrafo, la nostra argomentazione sarà suddivisa in quattro tappe successive: prima di tutto cercheremo di mettere a fuoco i diversi richiami letterari esistenti tra l'episodio di Me 14,5152 e l'esperienza vissuta dal Maestro (4.3.1); affronteremo quindi la questione del rapporto tra la nudità del neaniskos e la spogliazione del Maestro (4.3.2), per fare infine emergere come anche per Gesù si possa parlare di una «nudità necessaria», anticipata nel breve episodio di Me 14,51-52 (4.3.3). 4.3.11 richiami letterari tra Me 14,51-52 e il destino di Gesù I tentativi esegetici di mettere in rilievo il nesso esistente tra la figura del neaniskos di Me 14,51-52 e quella di Gesù sono alquanto recenti. Come abbiamo notato nella prima parte del nostro lavoro190, tale rapporto cominciò a essere sottolineato intorno agli anni '50, trovando un discreto supporto nell'esegesi successiva191. Basta scorrere gli articoli e i commentari che si dichiarano a favore di questa interpretazione cristologica, per fare una sorta di «inventaCfr. le pp. 45-46 dedicate allo stato della questione. Riproponiamo all'attenzione del lettore gli articoli di KNOXJ., MOURLON BERNAERT P, VANHOYE A. e i commentari di BoiSMARD M.-E. e di GUNDKY R.E. 1,1
169 4. Ruolo e significato di Me 14,51-52
rio» dei diversi richiami letterari che ci permettono di cogliere nel neaniskos una prefigurazione del destino che coinvolgerà il Maestro all'indomani dell'arresto al Getzemani. Gli indizi fondamentali sono essenzialmente cinque: 1. In primo luogo in Me 14,51 il verbo συνακολουθέω associa strettamente l'esperienza del giovane a quella di Cristo: tale verbo, come abbiamo visto, conta solo tre ricorrenze in tutto il Nuovo Testamento (Me 5,37; 14,51 e Le 23,49) e, in ciascuna di esse, viene impiegato per evidenziare la differenza esistente tra la vicinanza del soggetto in questione e la distanza (o la differente relazione) degli altri presenti. E esattamente ciò che avviene in Me 14,51: nel momento in cui tutti si danno alla fuga (14,50), il neaniskos resta al fianco di Gesù (συν-) dando l'impressione di associare il suo destino a quello del Maestro e suscitando la speranza del lettore192. 2. Il secondo verbo che riveste un ruolo significativo è κρατέω, verbo chiave lungo tutto il cap. 14 dove esso viene impiegato per designare l'arresto di Gesù (cfr. 14,1.44.46.49). Solo in 14,51 esso viene applicato a una persona che segue il Maestro193. Su questo sfondo assume un certo peso il parallelismo esistente tra Mt 26,56-57 e Me 14,50-53 : dopo aver menzionato la fuga generale dei discepoli (Mt 26,56 / / Me 14,50), il primo evangelista impiega il verbo κρατέω applicandolo a Gesù (ot δέ κρατήσαντες τον Ίησουν), diversamente da Me 14,51 che lo applica al neaniskosIl racconto di entrambi continua quindi nello stesso modo menzionando la consegna di Gesù al sommo sacerdote (Mt 26,57 / / Me 14,53). Riproponiamo di seguito lo schema del parallelismo: M t 26,56-57
M e 14,50-53
Τότε οί μ α θ η τ α ί πάντες άφέντες a ù t ó v έφυγον
κ α ι ά φ έ ν τ ε ς ανιόν έφυγον πάντες
Οί δέ κ ρ α τ ή σ α ν τ ε ς τ ο ν Ί η σ ο ύ ν απήγαγον προς Καϊάφα ν τόν αρχιερέα
1,2 m
* episodio del
neaniskos *
κ α ι απή-ytryov τ ό ν Ί η σ ο ϋ ν προς τόν αρχιερέα
Cfr. l'approfondimento del termine alle pp, 66-68. Cfr. l'approfondimento del termine alle pp. 72-74.
170
4. Ruolo e s ignificato di Me 14,51-52
Queste differenze tra i due testi ci permettono di notare l'effettivo accostamento tra il giovane e Gesù all'interno degli stessi vangeli: la scena dell'arresto del giovane in Me 14,51 è perfettamente in parallelo con la scena dell'arresto di Gesù in Mt 26,57. Il nesso viene ulteriormente confermato dal sottile parallelismo antitetico che in 14,52 si stabilisce tra il neartiskos e il Maestro: se il primo, dopo essere stato arrestato, si dà alla fuga rifiutandosi di condividere fino in fondo il destino del suo Signore, quest'ultimo, una volta arrestato e consegnato alle autorità, si abbandona all'umiliante fine di una condanna a morte per crocifissione. 3. Un terzo vocabolo che contribuisce a rafforzare il rapporto è il termine σινδών. Nel secondo vangelo, come abbiamo già sottolineato, tale termine compare solo quattro volte: due volte nel nostro breve episodio (14,51.52), e due volte nel contesto della sepoltura di Gesù (15,46). Se l'abbandono dell'indumento in Me 14,52 segna la fine della sequela e la rinuncia a un percorso di fedeltà nei confronti del Maestro, l'avvolgimento del cadavere di Gesù nella sindone è al contrario l'ultimo atto che sigilla la condivisione del Maestro con la vita di ogni uomo destinata a terminare con la morte e la sepoltura. L'infedeltà da un lato, la fedeltà spinta fino all'ultimo atto della vita dall'altro, l'esegeta A. V À N H O Y E si spinge ancora più lontano nello stabilire il nesso esistente tra il giovane e Gesù, affermando che «le présage devient plus net lors de la mise au tombeau. Jésus se trouve alors dans la même tenue que le jeune homme: il n'a qu'un drap pour se couvrir. Il semble "arrêté" pour de bon: la mort le tient. Mais comme le jeune homme, il laissera le drap et s'échappera»1*4. 4. A questi richiami vanno aggiunti quelli esistenti tra 14,51-52 e 16,1-8, a cui abbiamo già prestato La nostra attenzione nella terza parte del presente lavoro. Anche in quella circostanza entra in scena un neartiskos (16,5) strettamente associato al Signore Risorto: la sua posizione (καθήμενον έν τοις δεξιοΐς), il suo abbigliamento (περιβεβλημένον στολήν λευκών), il suo annuncio (Μή έκθαμβεΐσθε... ήγέρθη, ουκ εστίν ώδε) si fanno portavoce di un unico messaggio: la risurrezione del Maestro. Il tutto viene confermato dal parallelismo antitetico che oppone il giow L'autore riconosce che Marco non precisa tale aspetto che, tuttavia, appare in modo chiaro nel racconto di Gv 20,5-7. La citazione è tratta da VANHOYE A., «La fuite...», 406.
171 4. Ruolo e s ignificato di Me 14,51-52
vane che fugge nudo al giovane presente nel sepolcro: il primo, dopo essere stato presentato strettamente associato al destino di Gesù, si dà alla fuga, abbandonando il palcoscenico in uno stato di nudità ( 14,52), mentre il secondo resta assiso all'interno del sepolcro, manifestando nella stia posizione, nel suo abbigliamento e nelle sue parole la forza della buona novella della risurrezione (16,5-7). Un contrasto enfatizzato ancor più dalla finale della pericope (16,8) in cui le donne si danno alla fuga (proprio come il neaniskos di 14,52), non riportando il messaggio loro affidato e tacendo la buona novella di cui esse sono le uniche testimoni. 5. A questi elementi che emergono dall'analisi del vocabolario ne possiamo aggiungere un altro di carattere più generale. Esso concerne proprio il tema della «nudità». Se nel breve episodio di Me 14,51-52 la nudità è la conseguenza del desiderio di fuga del giovane e, pertanto, del suo allontanamento dalla fedeltà al Maestro, in Me 15,24 la spogliazione di Gesù e la conseguente nudità diventano il segno della sua piena sottomissione alla volontà del Padre, con l'assunzione della condizione umana fino alla sua forma più umiliante (cfr. Fil 2,6-8)"'. Sono questi i cinque elementi letterari che ci permettono di affermare che la breve pericope di Me 14,51-52 non viene posta all'inizio del mistero pasquale solo per enfatizzare l'infedeltà o la fuga dei discepoli, ma anche per dare rilievo alla fedeltà del Maestro verso la missione ricevuta, fedeltà che si spingerà fino alla spogliazione estrema. l'evangelista si propone tuttavia di condurre il lettore ancor più in profondità, offrendogli tutti gli indizi indispensabili per riconoscere anche nel caso di Gesù quella «nudità necessaria» che abbiamo rilevato circa il neaniskos. Ma in che senso possiamo parlare di «nudità» in relazione al Maestro? E so prattutto perché definire tale nudità «necessaria»?
4.3.2 La «nudità» in riferimento a Gesù Questo termine può sembrare inappropriato di fronte a un testo che non utilizza mai l'aggettivo yu|.ivóf per parlare del Maestro. Eppure cinque indizi ci spingono verso questa lettura: prima di tut155
C f r . BOISMARD M . - E . - BENOIT P., Synopse.
v o i II, 4 4 2 .
172
4, Ruolo e significato di Me 14,51-52 172
to il fatto che l'intero racconto della passione venga presentato come il dramma umano della spogliazione morale e interiore del Maestro (4.3.2.1); al centro di tale dramma - e questo è il secondo indizio - Marco sembra mettere in particolare evidenza il gesto dei soldati i quali, a più riprese, spogliano e rivestono Gesù (4.3.2.2); in terzo luogo è la stessa documentazione antica che ci orienta verso tale direzione, soprattutto quando si passano in rassegna i testi di alcuni autori che descrivono la condanna alla morte in croce (4.3.2.3); una quarta testimonianza proviene dall'archeologia che, come vedremo, ha sottoposto alla nostra attenzione tre significative rappresentazioni della croce (4.3.2.4). Il quinto indizio si situa infine sullo sfondo della letteratura dei primi secoli che non esita a soffermarsi sulla nudità di Cristo per farne un importante motivo di riflessione (4.3.2.5). Dedichiamo qualche istante ad approfondire questi diversi aspetti.
4.3.2.1 Una nudità morale La desolazione che accompagna la morte di Gesù nel racconto marciano è già stata oggetto della nostra attenzione: non è il caso di riprendere in questa sede quanto abbiamo già sviluppato nella terza parte del presente lavoro. Ricordiamo solo che nelle tre indicazioni orarie che scandiscono la permanenza di Gesù sulla croce egli viene progressivamente privato di ogni solidarietà con gli uomini (15,25-32), con la creazione (15,33), con Dio stesso (15,34-37). Gesù appare come l'uomo completamente rigettato, che vive il totale smacco di un annuncio deriso e frainteso, e che sperimenta fino m fondo l'amarezza dell'abbandono. Questa nudità morale, collocata su uno sfondo dominato dalle tenebre e caratterizzata dalla totale assenza di ogni figura positiva, permette al lettore di gettare uno sguardo sullo stato d'animo che accompagna la morte del Maestro. Non va, tuttavia, dimenticato che esso è ulteriormente aggravato da una particolare condizione fisica: quella della concreta nudità.
4.32.2 Una nudità fisica Tutti gli evangelisti raccontano l'episodio della divisione delle vesti: Matteo e Marco ne parlano immediatamente dopo la crocifis-
4, Ruolo e significato di Me 14,51-52
173
sione di Gesù (Mt 27,35; Me 14,24), Luca vi antepone la crocifissione dei due malfattori (23,23-24), mentre Giovanni attribuisce alla scena un'enfasi particolare distinguendo le vesti (τα ιμάτια) che i soldati dividono in quattro parti, e la tunica (ó χιτών) che viene invece tirata a sorte ( 19,23-24). Tutti e quattro hanno un esplicito riferimento al Sai 21,19 (attinto direttamente dalla LXX: διεμερίσαντο τ ά ίμάτιά μου έαυτοίς και έπί τον ίματισμόν μου εβαλον κλήρον) parafrasato nei Sinottici e citato letteralmente nel quarto vangelo. Stando alla pratica romana, Gesù doveva venire condotto nudo al luogo dell'esecuzione, cosa che, secondo la testimonianza dei vangeli, non si verifica, non si sa se per rispetto a Gesù, a Gerusalemme ο ai giudei. Marco e Matteo precisano che egli indossa i suoi propri indumenti (Me 15,20a; Mt 27,31a)l%. Gli evangelisti sono molto «discreti» al riguardo e sembrano evitare volutamente il termine γυμνός, tuttavia, nessuno di loro tace l'episodio della spogliazione delle vesti, situandolo dopo che il Maestro è stato condotto fuori dalla Città Santa. Anzi, secondo il racconto giovanneo, che presta grande attenzione alla scena e ai singoli indumenti di Gesù, non sembra esserci alcun dubbio che il Maestro sia stato totalmente spogliato. Un simile spettacolo non era certamente senza conseguenze. Solo su questo sfondo è possibile comprendere l'esitazione degli evan gelisti nell'utilizzare il termine γυμνός in riferimento al Maestro. Esposto nudo agli occhi del mondo, Gesù manifestava quanto Paolo afferma nella lettera ai Galati: «Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della Legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno...» (Gal 3,13). Il legame tra la nudità e lo stato di maledizione ο di empietà è ben attestato. E. H A U L O T T E spiega che, nel contesto della condanna a morte, attraverso la spogliazione degli abiti si voleva privare l'anima del condannato di tutto ciò che ancora garantiva un suo legame con la comunità dei vivi. Privato del diritto delle vesti, egli era dichiarato pubblicamente estraneo a ogni relazione con la comunità, rigettato da Dio ed espulso dal popolo dell'alleanza. L'individuo sospeso al patibolo era indegno di quella libertà di cui l'abito era testimonianza e garanzia, e veniva esposto, sotto il segno della
' * CFR BRQWN RE.» TheDealh-.., voi. II, 952.
174
4. Ruolo e significato di Me 14,51-52
spogliazione, al regno delle tenebre e della maledizione197. Il richiamo al testo di Dt 21,23 doveva sorgere spontaneo. In base ad esso il condannato non cadeva solamente sotto i colpi della crudeltà umana e dell'infamia pubblica, ma anche sotto la maledizione di Dio, Tale testo che non si riferisce in origine alla sospensione di una persona viva, ma piuttosto all'esposizione, su un albero, del cadavere di un «uomo che ha commesso un delitto degno di morte» (Dt 21,22), era ampiamente conosciuto ai tempi di Gesù. Fu la trasmissione orale ad applicarlo molto presto anche alle persone condannate alla crocifissione, cosa accertata da diverse prove198. Come fa n o t a r e J . V A L E T T E , la nudità a cui il Maestro viene esposto è un modo attraverso il quale viene negata tutta la sua dignità personale e la coscienza della sua identità. Nudo (o vestito degli abiti di un re fantoccio), egli non è più niente, egli non è più nessuno. Sul Golgota, si arriva al vertice di questa impresa: gettando la sorte sui suoi vestiti, i soldati registrano non solo la sua morte fisica, ma anche l'annientamento totale della sua persona199.
43.2,3 La nudità nelle descrizioni della crocifissione Il legame tra la crocifissione di Gesù e la sua nudità trova sostegno in documenti molto antichi, reperibili sia dalle descrizioni concernenti la condanna al patibolo, sia dalle prime rappresentazioni della croce. La pratica romana, secondo la quale i criminali venivano crocifissi nudi, trova conferma in autori antichi come A R I E MIDORUS DALDIANUS . M . H E N G E L , nella sua monografia dedicata interamente alla pratica della crocifissione, riprende tale aspetto sottolineando che «a motivo dell'esposizione del condannato nudo in un luogo ben visibile - su una piazza pubblica, in un teatro, su un'altura, sul luogo del crimine - , la spogliazione rappresentava l'ultima delle profanazioni inflitte alle vittime»201. Nonostante l'orrore 200
" ' Cfr. l'associazione del concetto di nudità ai temi della maledizione e dell'empietà in E., Symbolique..84-85. Cfr, GOURGUES M., Le cructfié..., 80-82. Cfr, anche la documentazione riportata da FLFZMYEK J.A., «Crucifìixion in Ancient Palestine, Qumran literature and the New Testament» in: To Advance the Gospel. New Testament Studies, New York 1981, 126-146. IW Cfr. VALETTE J„ L'évangìle de Marc. Parole de pmssancc, message de vie. Commentaires, voi. II, Paris 1986,278. Cfr. Oneirokritika 2.53. L'autore precisa che i condannati «7t>Mv(X- ctctvpOWTCtt». HAULO ITE
HENGELM.,
Crocifissione...,\\0.
175 4. Ruolo e significato di Me 14,51-52
che i giudei avevano nei confronti della nudità202, l'usanza non era loro sconosciuta: la Misbna, riferendosi alla condanna a morte per lapidazione, esige che ti condannato sia esposto nudo o con la sola fronte coperta203. Un midrash di Dt 32,21 definisce come una delle cose più vergognose al mondo l'essere sottoposti alla pubblica punizione in uno stato di nudità20''. Alla documentazione letteraria si aggiunge quella archeologica che ci ha restituito tre preziose rappresentazioni del Cristo crocifisso. 43.2.4 La nudità nelle rappresentazioni della croce È lo studioso H. LECLERCQ 2 0 5 che in un documentato articolo fa riferimento alle tre testimonianze archeologiche tra le più antiche e rare in materia: la prima è una pietra preziosa, incisa sulle due facce, la quale mostra in tutta la sua brutalità il supplizio antico: il crocifisso è nudo, con la testa inclinata e il corpo contorto. Questo documento sembra risalire agli inizi del II sec. Purtroppo non è stato possibile decifrare la scritta sul retro, ma l'autore è propenso nel cogliervi una rappresentazione gnostica che ironizza sulla fede ortodossa dei cristiani che credono realmente alla morte del figlio di Dio206. Una seconda testimonianza è costituita da una gemma di cornalina rappresentante il Cristo in piedi, nudo, con le braccia stese lungo un asse, sotto il quale stanno i dodici apostoli. L'incisione IX0YC non lascia alcun dubbio circa l'interpretazione. Anche questa pietra è stata datata al II sec.207. Il medesimo soggetto appare su una seconda gemma di comalina: le proporzioni tra Gesù e i discepoli sono meglio rispettate: il Maestro è sempre nudo e innalzato su una vera e propria croce. Sotto di essa stanno i Dodici. La scritta EHCOXPECTOC è di *> Cfr. Libro dei Giubilei, 3,30-31; 7,20. Cfr. anche i dueartieoli di POIIAKOFF M , «Tbey Should...», 56-62 e di SATLOW M.L., «Nakedness...», 429-454. Cfr. Sanhedrin 6.3. m Cfr. Sipre 320. , o r « Cfr, LECLERCQ H„ «Goix et Crucifix», DACLIII/2,3045-3131. Cfr. soprattutto 30483050.3065-3079. Cfr. anche l'articolo di TÉZÉJ.M., «Les première? images de la croix», MoBt97 (1996) 20-25. ** Cfr. LONGPÉRIER A. DE, «Pierre basilidienne offrant la plus ancienne représentauon de la m crucifixi'on», BSNAF 30 (1867) 111. Cfr SMITH C., «The crucifixion on a greek gem», ARSA 3 (1896.1897) 201-206.
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4. Ruolo e s ignificato di Me 14,51-52
chiara interpretazione: si tratta dell'espressione greca Tnaoijg Xpeotóg. Giudicata posteriore alla precedente, la gemma è datata al III sec.208. Si tratta di tre testimonianze di altissimo valore in quanto incontestabilmente anteriori alla pace tra l'impero romano e la Chiesa. Se teniamo presente che le rappresentazioni della croce si moltiplicarono solo all'indomani del viaggio nei luoghi santi dell'imperatrice Elena e dopo che si diffuse la notizia del ritrovamento del «santo legno», queste tre testimonianze assumono un rilievo enorme. Lo studio dell'arte cristiana dei primi secoli riscontra una certa esitazione nel tratteggiare il Cristo sulla croce. H fatto che in queste tre pietre egli venga rappresentato addirittura nudo, è decisamente sorprendente. È solo tra il IV e il V sec. che si diffonde l'immagine di un Gesù crocifìsso rivestito di una lunga tunica. Ne è prova un'altra gemma preziosa: accanto al crocifìsso stanno due piccoli personaggi, uno dei quali brandisce la lancia destinata a trafiggere il costato di Cristo20'. Altre importanti testimonianze, come un bassorilievo in avorio del V sec. conservato al British Museumm e un pannello del portale d'ingresso della chiesa di Santa Sabina a Roma (V-VI sec.}211, ripropongono la scena della crocifissione, presentando Gesù rivestito solo di un subiigaculum2i2.
4.3.2.5 La nudità nei testi dei padri della Chiesa Alle testimonianze archeologiche, vanno aggiunti alcuni testi dei padri della Chiesa, nei quali il tema della «nudità» diventa un motivo teologico per sottolineare la portata dell'azione salvifica di Ge™ Cfr. GARKDCQ R , Storia dell'arte cristiana nei primi otto secoli della Chiesa, voi. VI, Prato 1872,479. ** Cfr. MLDDLETON J.H., The Lewis colleciion ofgems and rings in the possessori of Corpus Christi College- Cambridge, London 1892,84. JH> Cfr. VENTURI A„ Storia dell'arte italiana, voi. I, Milano 1901,435-439. 211 Cfr. GRISAR H., «La più antica immagine della crocifissione scolpita sula porta di Santa Sabina in Roma», ARom 1 (1899) 427-461. H testo apocrifo delle Memorie di Nicodemo (recensione greca A) 10,1 sembra confermare tale rappresentazione: «Quando giunsero al luogo stabilito, lo spogliarono dei suoi abiti, gli misero un perizoma di lino, posero sul suo capo una corona di spine e lo crocifissero». Va tuttavia rilevato quanto afferma L. MORALDI commentando il testo: «è noto che secondo l'uso romano i crocifissi erano nudi; è molto probabile che la rappresentazione di Gesù in croce con questo perizoma sia stata originata, o almeno sostenuta, da questo testo». Cfr. Apocrifi del Nuovo Testamento, voi. I, Torino 1971,552.
4. Ruolo e significato di Me 14,51-52
sù. Alla fine del Π sec. omelie pasquali:
M E L I T O N E DI SARDI
1' '
scrive in una delle sue
«O ingiustizia mai vista! Il Signore è stato trasformato nel suo aspetto, il suo corpo è stato messo a nudo (γομνω τφ σώματι) ed egli non è stato nemmeno ritenuto degno di un vestito per non essere visto. Per tale motivo gli astri si occultano e con loro il giorno si oscura per nascondere colui che è stato spogliato sul legno (έπί ξύλου γεγυμνωμένον), per oscurare non il corpo del Signore, ma gli occhi di questi uomini». Due testi di E F R E M I L S I R O (ca. 3 0 6 - 3 7 3 ) sono altrettanto espliciti al riguardo. Commentando Mt 27,51 egli osserva: «Dal momento che essi lo avevano spogliato dei suoi abiti, questi lacerò il velo..., dal momento che lo Spirito vide il Figlio, che era sospeso e nudo, questi (lo Spirito) squarciò e strappò il velo, abito del suo decoro»214. L'immagine viene ripresa in un inno pasquale: «Poiché la creazione non aveva un velo per coprire il suo volto, come attraverso un abito, ella stese le tenebre, come Sem e Iafet, per non vedere la vergogna del suo puro Signore»215. C I R I L L O D I G E R U S A L E M M E (ca. 3 1 5 - 3 8 6 ) , in una delle sue catechesi mistagogiche, in riferimento alla spogliazione dei catecumeni, spiega:
«Appena entrati, avete deposto la tunica (άπεδυάσθε τόν χΐτόΛ/α) a significare che vi spogliavate dell'uomo vecchio e delle sue opere; e, deposte così le vesti, siete rimasti nudi (γυμνοί ή(ΐε) anche per imitare il Cristo nudo sulla croce, la nudità che spogliò i Principati e le Potestà liberamente trionfando dal legno della croce»216. m Sur la Piqué etfragments, 97 (SC 123), Paris 1966, 119. La traduzione italiana dal testo greco riportato nel volume è mia. LELODIL. (ed.), Saint Ephrent. Commentane de févangile concordarti. Texte syriaque (manuscrit Chester Beatty 709), 21,4.6, Dublin 1963, 211. Tradotto dalla versione latina riportata nel volume. Il riferimento all'episodio di Gn 9,23 in cui Sem e Jafet ricoprono la nudità del padre è alquanto esplicito. Cfr. «De Azymis ΧΙΠ, 16-17» in: ROUWHQRST G.A.M., Les hymnes pascales d'Ephrem de Ntsibe. Analyse théologique et recherche sur l'évolution de la fète pascale dire'Henne à Nisi'be et à Edesse et dans quelques Eglises voistnes au quatrième siécle, voi. Π, Lei'den 1989,25-26. La traduzione dal francese è mia. Le catechesi XX.2 (CTePa 103), Roma 1993,443 444.
4. Ruolo e s ignificato di Me 14,51-52
178
Commentando la crocifissione di Gesù, aggiunge:
AMBROGIO
(ca. 340-397)
«Il solo trionfo del Signore, la croce di Cristo, ha già fatto trionfare quasi tutti gli uomini. Ma è importante considerare come egli ascende, Io lo vedo nudo inudum video): così ascende colui che si prepara a vincere il secolo, senza cercare il soccorso del secolo. Adamo Ri vinto, lui che cercava un abito (Gn 3,7); il vincitore è colui che ha deposto le vesti'»21'. Tale immagine viene evocata anche da G I O V A N N I C R I S O S T O M O (ca. 344-407) il quale riferendosi a Mt 27,31 commenta: «Lo condussero alla crocifissione, e dopo averlo spogliato (yopvcóaaV Te^) presero le vesti, e sedutisi osservavano quando sarebbe spirato. E si divisero le sue vesti, cosa che normalmente si fa con i condannati vili, abietti e rinnegati da tutti»218. ROMANO
IL M E L O D E
agli inizi del VI sec. riflettendo sullo stato
di Gesù in croce scrive: «Steso sulla croce, nudo, egli ha spogliato ('JUjJ.VÒg èiù o t a o p o ù TaOeig àjtéSuce) gli avversari della vita, facendo di loro la derisione dei morti e dei viventi. Egli è stato deposto dalla croce, avvolto in un lenzuolo, affidato alla tomba per l'esultanza di Adamo»219. Se teniamo sempre presente la forte esitazione dei primi secoli a rappresentare Cristo in croce, a motivo del sentimento di ripulsa e di vergogna che tale immagine ancora evocava nella mente di chi la osservava, tali documenti assumono un forte peso. Essi ci spingono a ritenere che, descrivendo l'episodio della divisione delle vesti, i quattro evangelisti non si siano soltanto proposti di richiamare l'attenzione del lettore sul compimento di un testo veterotestamentario (Sai 21,19), ma anche di richiamare una delle umiliazioni legate alla morte di Gesù in croce: la nudità.
5 " Traiti sur i'éimntfie de S. JMC. LivresX, 110 (SC 52), Paiis 1958, 192-193. La traduzione è mia. 2,8 Homiliae in Mattbaeum. Homilta LXXXVII (PG 58,770). La traduzione dal testo greco è niia. VHymxesXXXVI,22 (SC 128), Paiis 1967,231. La traduzione dal testo greco è mia.
179 4. Ruolo e s ignificato di Me 14,51-52
Ma c'è ancora un interrogativo che esige una risposta: perché definire questa nudità «necessaria»? 4.3.3 La nudità «necessaria» di Gesù Se, nel loro cammino di sequela, i discepoli si sono dovuti misurare con alcune condizioni «necessarie» alla loro scelta, lo stesso vale per il Maestro e per il ministero che il Padre gli ha affidato. Il tema trova il suo maggior sviluppo nella seconda parte del vangelo dove viene sottolineato a più riprese che il mistero della passione e della morte costituisce una tappa necessaria. Quattro gli indizi fondamentali: il frequente impiego del verbo δει (4.3.3.1), i ripetuti annunci della passione (4.3.3.2), la combattuta preghiera nel Getzemani (4.3.3.3) e il costante riferimento alle Scritture (4.3.3.4). Dedichiamo alcune considerazioni a ciascuno di questi aspetti.
4.3.3.1 L'uso del verbo δει Il verbo ricorre 6 volte nel secondo vangelo (8,31 ; 9,11; 13,7.10.14; 14,31). Esso esprime una necessità incondizionata, spesso inscritta all'interno della volontà divina220. Per la nostra ricerca è altamente significativa la prima ricorrenza che si riscontra in 8,31 : per la prima volta Gesù manifesta ai suoi discepoli il destino che lo attende. Esso viene loro rivelato come «necessario»: l'evangelista sembra non trovare formula migliore per esprimerlo se non utilizzando il verbo δεν. Da esso dipendono tutti gli infiniti della frase: παθείν, άποδοκιμασθήναν, άποκτανθηναι, άναστηναι. Il mistero pasquale, colto nel suo svolgersi tripartito di passione, morte e risurrezione, costituisce una vera e propria necessità. Tale concetto viene ripreso in termini simili nel passaggio relativo a Elia in 9,11 quando i discepoli interrogano Gesù circa la «necessità» (δει) della venuta del profeta. Rispondendo, Gesù conferma la necessità di tale venuta, ma sposta sottilmente l'accento su un 220 Cfr. GRUNDMANN W„ «δεί, δέον έσ-ti» in: G L N T II, 793-804; POPKES W„ «δει» in: DENT1,734-737. Cfr, anche BENNETT WJ„ «The Son of Man must...», NT 17 (1975) 113129; STEVENS B.A., «Why "must" the Son of Man suffer? The Divine Warrior in the Gospel of Marie», BZ)1 (1987) 101-110; 1ÌEDTKE E.-LINK H.-G., «Sei, necessity, must, obligation»
in: N I D N T Π , 6 6 4 - 6 6 6 .
180
4. Ruolo e significato di Me 14,51-52
altro argomento: «Sì, prima viene Elia e ristabilisce ogni cosa; ma come sta scritto del Figlio dell'Uomo? Che deve soffrire molto ed essere disprezzato (9,12: ϊνα πολλά πάθη και εξουδενηθη)». La missione di Elia viene collocata sul medesimo sfondo della missione del Figlio dell'Uomo, il che dà l'occasione per ribadirne i tratti: la sofferenza e il disprezzo. La «necessità» diventa qu indi duplice: Elia «deve» ritornare ma, allo stesso tempo, Elia «deve» soffrire proprio come il Figlio dell'Uomo. I due passaggi (8,31 e 9,11) acquistano ancor più rilevanza se teniamo presente che essi sono collocati esattamente prima e dopo la grande manifestazione di Gesù ai discepoli prediletti nel contesto della trasfigurazione (9,2-8). La forte portata che tale «necessità» ha su Gesù e sui discepoli emerge in modo chiaro nel passaggio di Me 14,31 dove il primo annuncio della passione (8,31) sembra essere ripreso dalla sfida che Pietro lancia a nome di tutti i Dodici: 8,31: δει τον υίόν του άνθρωπου... άποκτανθηναι... 14,31: έάν δέη με συναποθανεΐν σοι... Tale necessità condurrà il Maestro alla nudità della croce e il discepolo alla nudità della fuga e del rinnegamento. 4.3.3.2 Gli annunci della passione Ciò che l'uso del verbo δει comunica in maniera esplicita costituisce il messaggio implicito di tutti gli annunci della passione (8,31 ; 9,31; 10,33-34), e di altri brani significativi come la parabola dei vignaioli omicidi in 12,1-11 ο la predizione dello scandalo generale in 14,27-28. In tutti questi passaggi l'evangelista non usa la formulazione che abbiamo riscontrato in 8,31 ma esprime la medesima idea attraverso l'uso del futuro ο attraverso una sorta di «profezia» legata al destino di Gesù. Quest'ultimo «deve» passare attraverso il mistero della passione e della morte, che i discepoli lo vogliano ο meno. Anzi, la categoricità con cui il Maestro annuncia tutto questo, è ulteriormente messa in evidenza proprio dalla reazione dei Dodici, continuamente in tensione con la prospettiva tratteggiata nell'insegnamento del loro Maestro: in 8,32 è solo Pietro che si oppone, ma in 9^32 sono tutti i discepoli che non comprendono le sue parole e che addirittura temono di chiedere qualche spiegazione.
181 4. Ruolo e significato di Me 14,51-52
Similmente in 10,35.41 è ancora l'intera comunità dei Dodici a non trovarsi per nulla in sintonia con quanto il Maestro ha appena annunciato. Le stesse osservazioni possono essere avanzate nel momento in cui Gesù predice lo scandalo e la dispersione (14,27): tutti si uniscono nel reclamare un'unica e grande promessa di fedeltà (14.31), la quale, se da un lato sembra riconoscere la necessità di una fine umiliante per il Maestro, dall'altro è destinata a rimanere totalmente disattesa. Nessuno dei Dodici reggerà di fronte alla morte umiliante e spoglia di Gesù sulla croce. 4.3.3.3 La preghiera al Getzemani Le nostre considerazioni si chiariscono ancora meglio alla luce di uno dei passaggi più importanti che precedono il racconto della passione: la preghiera di Gesù nel Getzemani (14,32-42). Il calice della passione (14,36; 10,38) di fronte al quale Gesù è «triste fino a invocare la morte» (14,34: περίλυπος έστιν ή ψυχή μου εως θανάτου) si rivela allo stesso tempo in tutta la sua amarezza e in tutta la sua necessità. Da un lato il Maestro prega perché passi da lui quell'ora (14,35) e perché sia allontanato da lui quel calice (14,36), dall'altro egli si china di fronte alla volontà del Padre: «non ciò che io voglio ma ciò che vuoi tu» (14,36: άλλ'ού τι έγώ θέλω άλλα τί σύ). Il succedersi degli eventi rivelerà quale sia quest'ultima, inscrivendo la misteriosa necessità annunciata in 8,31 all'interno di un preciso disegno divino. È la preghiera stessa di Gesù che spinge il lettore ad associare quanto accadrà al Maestro con una precisa volontà divina. Del resto, nel momento di massima desolazione che precede la morte, è lo stesso Dio al quale Gesù si è abbandonato nel Getzemani che viene chiamato in causa con un grande grido e una disperata domanda (15,34). È opportuno citare al riguardo la significativa tesi di R. F E L D MEIER che fa di questo passaggio la chiave per comprendere tutto il racconto della passione secondo Marco. Secondo tale esegeta, la preghiera al Getzemani segna il forte momento di crisi nella vita del Figlio di Dio. Fino a quella notte egli avrebbe vissuto in una comunione pressoché continua con il Padre, anche nelle cir221
CFR. FfìX)WEIER R., Die Krisis des Gottessohnes. Die Gethsemaneerzählung als Schlüssel der Markuspassion (WUNT11/21), Tübingen 1987.
182
4. Ruolo e sign ificato di Me 14,51-52
costanze più critiche durante le quali si era dovuto confrontare con l'atteggiamento ostile delle autorità religiose o con la minaccia sempre più forte di essere messo a morte. In Me 14,32-42 la situazione si capovolge: improvvisamente e inaspettatamente Gesù è privato di tale comunione. Ne sono prova tutti quegli stati d'animo che l'autore prende in attenta considerazione nella terza parte del suo studio: la paura e l'angoscia (14,33: και ήρξατο έκθαμβεΐσθαι και άδημονεΐν); la tristezza interiore che assume i tratti di una invocazione di morte (14,34: περίλυπος έστιν ή ψυχή μου εως θανάτου); il suo gettarsi a terra (14,35: επιπτεν επί της γης); la preghiera rivolta al Padre di allontanare il calice della passione (14,36: παράνεγκετόποτήριον τοΰτο άπ' εμού); l'assenza di ogni risposta da parte di Dio; la triplice ricerca di una solidarietà da parte dei discepoli (14,37.40.41); 1 απέχει del v. 41 che F E L D M E T E R interpreta come costatazione dell'allontanamento di Dio, il quale ha ormai deciso di lasciare che il Figlio sia consegnato nelle mani dei peccatori ( 14,42)222. Tutto ciò non farebbe altro che preparare il grande grido di Gesù sulla croce (15,34), nel quale l'amara condizione di nudità e di spogliazione raggiunge il suo livello più estremo. La lettura di F E L D M E I E R non solo si inserisce perfettamente nel quadro della teologia del secondo vangelo, ma interviene ulteriormente a confermare la prospettiva di fondo sulla quale l'evangelista colloca il racconto della passione: consegnato nelle mani dei peccatori, Gesù viene progressivamente spogliato di ogni forma di comunione con gli uomini, con il creato e con Dio. Tale tratto emerge in tutta la sua peculiarità se si pongono in sinossi con il testo marciano i passi di Mt 26,36-46 e di Le 22,39-46: nessuno sottolinea quanto il secondo vangelo la desolazione dell'ora che Gesù sta vivendo, iscrivendola nel mistero della volontà di un Dio che proprio in un simile momento si rivela lontano e nascosto225.
222 Cfr. anche l'analisi di tutti i termini che descrivono l'angoscia provata da Gesù nello studio di GALIZZI M., Gesti nel Getsemani (Me 14.32A2; Mt 26,16 46, Le 22,39-46), Roma 1972,27-60.73-78. m Cfr. le osserva2Ìoni di FEUILLET A., L'agonie de GetbsémanL Enquête exégétique et tbéologique suivie d'une étude du «Mystère de Jésus» de Pascal, Paris 1977,77-l6l.
183 4. Ruolo e significato di Me 14,51-52
4-3-3.4 li riferimento alle Scritture La «necessità» della passione e morte è sottolineata da un ultimo tratto che caratterizza tutta la seconda parte del vangelo di Marco: il compimento delle Scritture. Secondo Marco, Gesù deve soffrire, essere rigettato ed essere messo a morte perché «così sta scritto». Tale idea emerge in modo chiaro in almeno quattro passaggi: 9,12; 12,10; 14,27 e 14,49. Essa si fa strada a partire da ME 9,12, quando Gesù, rispondendo alla domanda dei discepoli sulla venuta di Elia, dichiara: «Sì, prima viene Elia e ristabilisce ogni cosa, ma cosa sta scritto (πώς γέγραπται) del Figlio dell'Uomo? Che deve soffrire molto ed essere disprezzato (ϊνα πολλά πάθη και έξουδενηθη)»224. Questa espressione, che può essere considerata come un ulteriore annuncio della passione, ha il suo testo parallelo in Le 17,25 quando, sempre in riferimento al Figlio dell'Uomo, Gesù afferma che «è necessario (δει) che egli soffra molto (πολλά παθειν) e venga ripudiato (άποδοκιμασθήναι) da questa generazione». Se è vero che il secondo verbo è diverso nei due evangelisti, va tuttavia notato che ai due testi sembra fare da sfondo la medesima citazione del Sai 117,22 (nella LXX: λίθον, δν άπεδοκίμασαν ol οίκοδυμοΰντες δυτος έγενήθη εις κεφαλήν γωνίας). Luca ne adotterebbe la versione attestata nella LXX, mentre Marco impiegherebbe una diversa traduzione, attestata anche in At 4,11 (ò λίθος, ò έξουθενηθείς ύφ'ύμών των οικοδόμων, ò γενόμενος εις κεφαλήν γωνίας). Come viene giustamente rilevato da M.-É. B O I S M A R D , l'idea centrale in Marco come in Luca è che il Figlio dell'Uomo debba molto soffrire. Non a caso in Le 17,25 questo annuncio della passione comincia con il verbo δεΐ che riveste un senso forte: esso rimanda a una necessità che scaturisce dalle Scritture e che pertanto corrisponde a una volontà di Dio ben espressa nelle antiche profezie225. II medesimo concetto teologico è ripreso in Me 12,10-11 a conclusione della parabola dei vignaioli omicidi, quando il destino del figlio prediletto, inviato per ultimo, viene riletto sullo sfondo del Adottiamo al riguardo la puntuazione del testo proposta da TisCHENDOKF il quale considera il v. 12b non come un'intera frase interrogativa, ma come una domanda a cui Gesù stesso risponde. Cfr. al riguardo anche lo studio di HOOKER M.D., TheSon of Man inMark A Study of the Background of the Term "Son of Man" and its Use in St Mark's Gospel London 1967,122-134. M
C f r . BOISMAKD M.-E. - B E N O I T P „ S y n o p s e . . . . voi. Π , 2 5 4 - 2 5 5 .
184
4. Ruolo e s ignificato di M e 14,51-52
medesimo passaggio veterotestamentario (12,10: ουδέ την γραψήν ταύτην άνέγνωτε): il Sal 117,22-23. In questo caso la citazione viene introdotta per rivendicare il ruolo del figlio che i vignaioli non hanno rispettato, ma attraverso di essa l'evangelista continua a ribadire la «necessità» che la pietra venga «scartata» (άπεδοκίμασαν) prima di divenire la «testata d'angolo». E interessante notare come nei' passi paralleli di Mt 21,33-46 e di Le 20,9-19 il riferimento al Sai 117 venga subito riletto e applicato alle autorità religiose presenti (Mt 21,43-44; Le 20,18), cosa che, non avvenendo in Marco, permette a quest'ultimo di insistere maggiormente sull'accostamento tra il destino di Gesù e la necessità della sua passione inscritta misteriosamente nei testi sacri. Un altro passo della Scrittura che si muove in tal senso viene introdotto da Gesù in Me 14,27: lo sfondo è ancora quello dell'annuncio del mistero pasquale nel suo triplice aspetto di passione, morte (14,27: «Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse») e risurrezione (14,28: «ma dopo la mia risurrezione vi precederò in Galilea»). Il Maestro dichiara ai suoi che tutti rimarranno scandalizzati (πάντες σκανδαλισβήσεσθε), ma tutto ciò fa parte delle cose che stanno scritte (δτι γέγραπται). Anche in questo caso la citazione di Zac 13,7 entra in scena per ribadire che tutto si sta svolgendo seguendo una linea tracciata nelle Scritture, cosa che rende totalmente vana l'opposizione di Pietro e di tutti gli altri discepoli (14,31) che, con insistenza, assicurano al Maestro la loro fedeltà. Di nuovo, il contrasto tra l'assicurazione di fedeltà dei discepoli e la necessità di uno scandalo generale si rivela come un tratto fortemente enfatizzato da Marco, evidenziando ulteriormente quella tappa obbligata alla quale né i discepoli, né il Maestro possono sottrarsi. Un ultimo brano che richiede la nostra attenzione è quello di Me 14,49. Esso è situato proprio nel momento in cui si chiude il ministero pubblico di Gesù e questi cade nelle mani dei suoi arrestatoti. Gesù dichiara: «Si adempiano dunque le Scritture» (άλλ"ίνα πληρωθωσιν a l γραφαί). Secondo alcuni commentatori, tale espressione illuminerebbe tutti gli avvenimenti precedenti collocandoli sotto il segno della volontà di Dio" 6 . Altri ne vedono un rimando alla dispersione e alla fuga dei discepoli menzionata di seguito in **Cfr. COLE R . A . , M a r k . . 3 0 0 ; LACKANGE Μ.J,Marc...,395-396;PESCHR,Marco..., voi. II, 591-592.
185 4. Ruolo e s ignificato di Me 14,51-52
14 50227. Quanto esposto sopra ci spinge tuttavia a considerare l'espressione come un indice puntato verso tutto il mistero pasquale, tale e quale esso viene annunciato a partire da 8,31. Le Scritture trovano il loro compimento non solo nei fatti che precedono l'arresto di Gesù e non solo nella fuga generale dei discepoli, ma anche in tutte quelle tappe che porteranno il Maestro dal Getzemani al Calvario e dal Calvario al Sepolcro228. Lungo la narrazione, l'evangelista ha avuto cura di segnalare come il destino di Gesù fosse legato a quanto previsto nelle Scritture. Ora che Gesù si accinge a entrare nel mistero pasquale, il tema viene ripreso perché tutto quello che sarà vissuto dal Maestro sia attentamente riconosciuto come un «compimento delle Scritture». Va in tal senso rilevato come il secondo vangelo dia all'espressione di 14,49 un senso totalmente diverso da quello che le attribuisce Mt 26,56. Quest'ultimo infatti, riprendendo la medesima terminologia, modifica il senso della frase scrivendo: «tutto questo è avvenuto (si noti l'aggiunta di: τούτο δέ δλον γέγονεν) perché si adempissero le Scritture dei profeti (iva πληρωθώσιν a i γραφαί των προφητών)». Facendo questo, egli orienta lo sguardo del lettore su ciò che è appena successo a Gesù (γέγονεν), diversamente da Marco che, al contrario, orienta l'attenzione anche verso ciò che gli sta per succedere. Da qui anche la strana costruzione grammaticale da lui adottata (αλλ' ϊνα π λ η ρ ο θώσιν αί γραφαί), che attraverso la particella avversativa distingue l'espressione da quanto precede e attraverso l'uso di iva seguito da un congiuntivo, orienta l'attenzione verso ciò che segue229. Come fa notare E. S C H W E I Z E R «è interessante che il riferimento alla Scrittura sia in termini molto generali, come in 14,21 e in lCor 15,3s.; è dunque sufficiente la confessione che qui si compie la volontà di Dio decisa da tempo immemorabile... Essenziale è soltanto che attraverso la colpa degli uomini proceda la via voluta da Dio e si compia la rivelazione che effettua la salvezza del mondo»" 0 . La nudità è necessaria. ™ Cfr. ENGLISH D „ The Menage o/Mark. 2 2 2 ; HOOKER M . D . , 3is
The mystery o f f é t h (BSTo), London 1992,
Mark..352.
Cfr. RYLEJ.C., Mark. Expository Tbougbts on the Gospels (CrCC 2), Wheaton 1993,
237. 228 Non ci sembra corretto interpretate il v. 49 come una sorta di ellissi in cui Marco avrebbe omesso l'espressione: «tutto ciò è avvenuto», originariamente presente tra l'avvetsativo άλλ' e la costruzione ϊ ν α π λ η ρ ω θ ώ σ ι ν αί γραφοιί. Cfr. GUNDRY R H „ Mark. ., 880. Cfr. anche lo studio di MORRICE W.G., «The imperao'val Iva», BiTr 2} (1972) 326-330. ™ Marco..., 337.
186
4, Ruolo e significato di Me 14,51-52 186
4.3.4 Osservazioni conclusive Queste osservazioni ci permettono di cogliere la portata dell'episodio di Me 14,51-52 con maggior profondità. Se da un lato esso esprime l'esperienza di «smacco» con la quale i discepoli si devono misurare, dall'altro, esso anticipa quello che sarà il destino di Gesù: afferrato ( K p a x é c o ) e consegnato ( 7 c a p a < x 5 o ) f i i ) alle mani dei peccatori (14,41), egli sarà condannato a morte, spogliato e crocifisso. La nudità del giovane, destinata a catturare l'attenzione del lettore (14,52), anticipa in tal senso anche la nudità di Gesù esposto sulla croce, segno di maledizione e di empietà per tutti coloro che lo vedono (15,25-37). Stando alle accurate precisazioni temporali di Marco, egli resterà esposto in tale condizione a lungo: innalzato sulla croce all'ora terza (15,25), il suo corpo verrà calato e avvolto in un lenzuolo solo quando sarà «ormai sopraggiunta la sera» (15,42). Si possono contare ben 9 ore. Nei confronti di Gesù, l'evangelista è ancora più esplicito nel dichiarare che tutto ciò costituisce un «passaggio obbligato». Se per i discepoli la «necessità» dello smacco è sottintesa nelle parole del Maestro, per Gesù la passione e la morte costituiscono una «direzione obbligatoria», «necessaria», palesemente menzionata all'interno delle Scritture (9,12; 12,10-11; 14,27.49) e chiaramente espressa dalla volontà del Padre (14,36). L'«ora» non viene risparmiata (14,35), il «calice» non viene allontanato (14,36) e a tutto Gesù, liberamente, si sottopone (14,36).
4.4 CONCLUSIONE
In questa quarta parte della nostra ricerca abbiamo chiarito il ruolo e il significato dell'episodio di Me 14,51-52 nel contesto della narrazione marciana del mistero pasquale. In essa non trova solo espressione l'esperienza di totale smacco vissuta dai discepoli, ma anche l'esperienza di totale spogliazione di fronte alla quale Gesù liberamente si china, in totale obbedienza alla volontà del Padre. Pur trovandosi su posizioni diametralmente opposte rispetto al medesimo mistero pasquale, i discepoli e Gesù sperimentano entrambi una «tappa necessaria» legata alla loro missione: per i discepoli è la tappa dello «smacco», della «frattura», della percezione totale circa la loro inadeguatezza; per Gesù è la tappa della «spogliazione», della condizione di «maledizione», del fallimento totale. Due «nudità necessarie» che scaturiscono dal medesimo mistero pasquale, fuggito e respinto dai discepoli, accolto e vissuto fino in fondo dal Maestro. E proprio da questo «faccia a faccia» tra le due nudità - quella del discepolo che rinnega e abbandona il Maestro e quella del Maestro che assume su di sé tutte le conseguenze del peccato umano - che è possibile una rinascita. Con il grido di morte di Gesù (15,34.37) il fondo è toccato, le tenebre si sciolgono (15,33) e si apre una nuova pagina della storia salvifica che inaugurerà l'avvento di un mondo rinnovato. Su tale sfondo, la nudità, pur costituendo un passaggio obbligato, non può essere considerata come l'ultima parola dell'evangelista sull'esperienza del discepolato e sul ministero di Gesù. Essa acquista tutta la sua portata solo nell'orizzonte di quel «rivestimento» verso il quale viene ora orientata tutta la narrazione del mistero pasquale e che si concretizza nell'immagine tratteggiata da Marco nella scena conclusiva del suo vangelo: 16,1-8.
RUOLO E SIGNIFICATO DI Mc 16,1-8
5.1 INTRODUZIONE
Per comprendere fino in fondo la portata dell'episodio di Me 14,51-52 nel contesto del racconto del mistero pasquale, è necessario entrare nei dettagli di una seconda pericope: Me 16,1-8. Essa non costituisce solo la conclusione dell'intero vangelo231, ma presenta anche la «controfigura» del giovane che in Me 14,51-52 fugge nudo. La nostra analisi procederà in quattro tappe successive: in primo luogo collocheremo la pericope sullo sfondo che le è proprio, risolvendo alcune questioni preliminari che condizionano la sua interpretazione (5.2); secondariamente metteremo in luce come il ruolo del neatiiskos in 16,5-7 si chiarisca all'interno di un gioco di contrasti che oppongono la sua figura a quella delle donne, facendo del primo l'icona del perfetto discepolo. Ai tratti delle donne - la fuga, il silenzio e la paura - si oppongono, infatti, quelli del giovane - la sessione alla destra, la veste bianca e l'annuncio della risurrezione - (5.3). Prenderemo quindi in esame i nessi esistenti tra il giovane e il Cristo Risorto, notando come la posizione, l'abbigliamento, le parole e lo sfondo generale in cui viene collocato il neaniskos abbiano un unico obiettivo: quello di fissare l'attenzione del lettore sull'annuncio pasquale della risurrezione di Gesù (5.4). Infine illustreremo il messaggio che viene proposto al credente a partire dalla conclusione a sorpresa di Me 16,8 destinata a lasciare sul palcoscenico della narrazione un solo protagonista: il giovane in vesti bianche (5.5). 251 La finale canonica di Me 16,9-20 costituisce una chiara aggiunta che tenta di risolvere i problemi suscitati dalla brusca chiusura di Me 16,8. La trad izione manoscritta attesta che tale finale era già conosciuta nel II sec. La diversità di stile, le differenze nel vocabolario, l'impiego di mutati temi teologici e la difficile integrazione con l'intero piano narrati vo ne assicurano la posteriorità. Va, tra l'altro, osseivato che la finale di Me 16,9-20 è omessa dai due test imoni più autorevoli della tradizione manoscritta alessandr ina: il codice Vaticano e il codice Sinaitico. Ad essi si aggiungono un'antica versione africana (k) e un'antica versione siriaca Questo accordo è decisivo per affermare l'impossibile attendibilità marciana di un epilogo che, del resto, mal si accorda con la precedente trama narrativa.
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5. Ruolo e significato di Mc 16,1-8
Come abbiamo già avuto modo di notare per la breve pericope di Me 14,51-52, anche in 16,1-8 il neaniskos entra in scena con una duplice valenza simbolica: da un lato evoca la vera identità del discepolo, e dall'altro la nuova condizione vissuta dal Cristo, risorto e assiso alla destra del Padre. Il fatto che Marco non narri le apparizioni del Maestro ai discepoli diventa, su questo sfondo, altamente significativo: l'evangelista ribadisce in questo modo che non può esistere annuncio di risurrezione se non all'interno di un'esperienza personale dell'intero mistero pasquale, dove ogni singolo discepolo è chiamato a vivere, sulla propria pelle, la nudità e la dignità che provengono dalla croce e dalla risurrezione di Gesù.
5.2 LO SFONDO DELLA PERICOPE
Prima di passare all'analisi dettagliata del neaniskos di Me 16,57 è opportuno sottolineare alcuni tratti costitutivi della pericope di Me 16,1-8 che assumono un ruolo non indifferente nella sua interpretazione. Ne rileviamo almeno tre: a) l'evangelista presenta la scena come parte integrante della narrazione concernente la passione, morte e sepoltura di Gesù (5.2.1); b) l'annuncio della risurrezione non viene recato da un angelo ο da una figura dai tratti «soprannaturali» ma da un neaniskos (5.2.2); c) la pericope si apre con un gioco di contrasti che anticipa e segna l'intero svolgimento del brano (5.2.3). Osserviamo da vicino questi tre elementi.
5.2.1 Me 16,1-8 parte integrante del mistero pasquale È solo collocando la pericope di Me 16,1-8 sullo sfondo dell'intero mistero pasquale - raccontato a partire da Me 14,51 - che la scena presso la tomba vuota acquisisce tutta la sua ricchezza, contribuendo a farci cogliere la portata del passaggio conclusivo dell'intero vangelo. Alcuni indizi ci permettono di evidenziare il legame con quanto precede: 1. La menzione delle tre donne in 16,1 (Μαρία ή Μαγδαληνή και Μαρία ή τοώ 'Ιακώβου και Σαλώμη) costituisce una chiara ripresa della loro presentazione in 15,40 dove ritroviamo i tre nomi (Μαρία ή Μαγδαληνή και Μαρία ή 'Ιακώβου του μικρού και Ίωσήτος μήτηρ και Σαλώμη). Secondo l'esegeta R. VlGNOLO, tra l'altro, Me 16,1 rimanda esplicitamente a Me 15,43: è chiaro, infatti, che Γ αυτόν posto alla fine di 16,1 si riferisca a Gesù, menzionato per l'ultima volta proprio in 15,432i2. Cfr. VlGNOLO R„ «Una finale reticente: interpretazione narrativa di Me 16,8», RipBtiì 38 (1990) 139.
194
5. Ruolo e significato di Me 16,1-8
Ciò stabilisce un nesso molto stretto tra l'episodio della morte di Gesù, al quale le donne hanno assistito da lontano, e l'annuncio della sua risurrezione. La cosa si fa ancora più evidente in Me 15,40 e in Me 16,1, dove la descrizione delle discepole presenta una certa ambiguità: se, infatti, esse costituiscono le uniche rappresentanti del discepolato a essere rimaste in scena, non si può tuttavia negare che il ruolo loro assegnato in 15,40 è un ruolo «passivo», di osservazione a distanza (από μακρόθεν θεωροΰσαι), fatto che si ripresenta in 16,1-4 dove la loro descrizione resta prigioniera della morte, in contrasto con tanti indizi che annunciano la risurrezione del Maestro. 2. In Me 16,3 le discepole si interrogano circa la pietra che sigilla l'ingresso del sepolcro: Τις άποκυλίσει ήμϊν τον λί,θον έκ της θύρας του μνημείου? Tale domanda riprende alla lettera il gesto di Giuseppe d'Arimatea a cui le donne hanno presenziato: in 15,46 egli προσεκύλισεν λίθον επί, τήν θύρα.ν του μνημείου. Il legame tra l'episodio della sepoltura e l'annuncio pasquale è confermato dalle stesse parole del tieatiiskos che in 16,6 rivolgendosi alle donne sottolinea: ϊδε ò τόπος δπου εθεκαν αύτόν, un'espressione che ricalca da vicino la precisazione tipicamente marciana di 15,47 in cui le donne έθεώρουν πού τέθειχαι 2 ". 3. In 16,5 entra in scena il neaniskos, figura che in tutto il vangelo non viene menzionata che due volte, sempre accompagnata da una descrizione circa l'abbigliamento: qui è rivestito di una veste bianca (περιβεβλημένον στολήν λευκή']ν), mentre in 14,51 è rivestito di un tessuto pregiato (περιβεβλημένος σινδόνα). Un ulteriore indizio che permette all'evangelista di evocare l'apertura del racconto del mistero pasquale. 4. Le parole del neaniskos costituiscono un esplicito richiamo alla vicenda che ha coinvolto Gesù il Nazareno: 'Ιησοΰν ζητείτε τον Ναζαρηνόν τον έσταυρωμένον (16,6). La croce, sulla quale la vicenda del Maestro si è conclusa in modo umiliante, viene chiaramente richiamata, tessendo in unità la pericope di 16,1-8 con il racconto della crocifissione (15,24-37). 5. Il mandato che il giovane affida alle donne è un richiamo esplicito a 14,28 quando, poco prima dell'arresto, Gesù aveva assiMt 27,61 si limita a precisare che le donne stanno davanti al sepolcro al momento della sepoltura, mentre Luca sottolinea che ie discepole osser^no ii sepolcro e come il Maestro viene deposto; ώς έτέβη. L'enfasi sul luogo - ο που in Me 16,6 e π ο ύ in Me 15,47 - è tipicamente marciana.
5, Ruolo e significato di Mc 16,1-8
195
curato: μετά τό έ^ρθήνοά με προάξω υμάς εις την Γαλιλοάαν, promessa che 16,7 riprende alla lettera: προάγει υμάς εΐ£ την Γαλιλαίαν. Anche in questo caso non bisogna lasciarsi sfuggire il tratto tipicamente marciano: il secondo vangelo è l'unico a sottolineare che la buona novella va annunciata ai dis cepoli e a Pietro (diversamente dal passo parallelo di Mt 28,7). E evidente che l'insistenza sulla figura dell'apostolo non riprende solo la pericope in cui è stata menzionata la promessa (Me 14,27-31), ma anche tutto il ruolo che Pietro ha avuto durante il racconto della passione: il suo tentativo di sequela (14,54) e il suo triplice rinnegamento (14,66-72). 6. La pericope si conclude con la menzione inattesa della fuga e del silenzio delle donne, ulteriore indizio che tesse la fine di tutto il racconto concernente il mistero pasquale con il suo inizio. Quest'ultimo era collocato sul medesimo sfondo: la fuga dei discepoli in 14,50 (εφυγον πάντες) e la fuga del neaniskos in 14,52 (γυμνός εφυγεν). Ora sono le donne a fuggire dal sepolcro (εφυγον άπό τοΰ μνημείου). L'immagine del discepolato resta fortemente ancorata a un atteggiamento di fuga, il che acquisisce un certo peso se si tiene presente che anche in quest'ultimo passaggio siamo di fronte a un tratto tipicamente marciano assente negli altri vangeli. Tutti questi richiami ci permettono di affermare che la pericope di Me 16,1-8 non è stata inserita nella narrazione come un brano a sé stante: essa è, al contrario, il risultato di un attento lavoro redazionale, il cui obiettivo è probabilmente stato quello di far convergere in questa pericope conclusiva i diversi temi affrontati lungo il racconto del mistero pasquale. In tal modo l'evangelista non solo costringe il lettore a considerare 16,1-8 come l'epilogo dell'intero vangelo, ma lo obbliga anche a tenere presente che tale epilogo è strettamente connesso al mistero della passione e morte di Gesù. Tale messaggio, del resto, è stato chiaramente messo in rilievo nei tre annunci del mistero pasquale (Me 8,31; 9,31; 10,33-34).
5.2.2 Un angelo o un giovane? Esaminando i commenti dei diversi esegeti a Me 16,1-8 non è raro imbattersi in autori che di fronte al neaniskos dei w . 5-7 lo in-
196
5. Ruolo e significato di Me 16,1-8
terpretano automaticamente come fosse un angelo2". Secondo W. L. LANE non ci sarebbe alcun dubbio al riguardo, in quanto lo studio attento del vocabolario e del contesto renderebbe «l'angelofania» alquanto esplicita235. Non sentiamo di condividere tale interpretazione e, prima di fare un ulteriore passo, ci sembra opportuno indicare come gli argomenti normalmente addotti per sostenere l'ipotesi di un'angelofania siano in fondo deboli e facilmente confutabili nel contesto del racconto marciano. 1. Chi coglie nel neaniskos un angelo, si appoggia ai testi paralleli di Matteo e di Luca, i quali sono alquanto espliciti al riguardo: di fatto, la figura che reca l'annuncio della risurrezione è un angelo nel primo (Mt 28,2; άγγελος γάρ κυρίου καταβάς έξ ουρανού και προσελθών άπεκύλισεν τον λίθον), due uomini dai tratti soprannaturali nel secondo (Le 24,4: ιδού άνδρες δύο επέστησαν αύταΐς έν έσθήτι άστραπτούση). Abbiamo tuttavia avuto modo di rilevare la profonda differenza del racconto marciano rispetto ai testi di Matteo e di Luca, cosa che rende alquanto rischiosa ogni interpretazi one del primo alla luce de gli altri due. 2. Si adduce inoltre l'uso del termine neaniskos che verrebbe impiegato per designare un angelo sia nella letteratura biblica che in quella extra-biblica: in Tb 5,5.7.10 l'angelo che accompagna Tobia nella Media è presentato come un neaniskos; in 2Mac 3,26.33 il castigo divino inflitto a Eliodoro viene eseguito da due giovani (neaniai) «dotati di gran forza, splendidi di bellezza e con vesti meravigliose», cosa che prova la loro identità di messaggeri divini. Anche nell'opera II Pastore di E R M A si narra di una visione di sei neaniskoi236 che vengono poi descritti come «santi angeli di Dio, i primi creati»237; nelle Antichità Giudaiche di GIUS E P P E F L A V I O si descrive l'apparizione di «un angelo di Dio, nei
231 Tale opinione è molto diffusa. Cfr. BULTMANM R , Die Geschichte der synoptischen Tradition (FRLANT 29), Göttingen 1921,311.314. Tra i recenti commentar: cfr. GUNDKY RH., Mark..., 990-991; LÉGAS.SE S., Marc..., vol. II, 1000-1001. Per ulteriori riferimenti bibliografici vedi NËKYNCK F., «Les femmes au tombeau. Étude de la rédaction matthéenne (Matt, XXVÏU.1-10)», NTS15 (1968-69) 168^190; «Marc 16,1-8. Tradition et rédaction», ETL 56 (1980) 56-88. Nei due articoli l'autore si dichiara a favore dell'angelofania, 215 Cfr, LANE W.L., Mark..., 587. Cfr. ERMA, Il Pastore, Vis. Ili 1.6.8; 2,5. JI7
ERMA, Il Pastore, V i s I I I 4,1.
197 5. R u o l o
e
significato di M e 16,1-8
tratti di un giovane bello (veavujt καλφ)»2>Β. Se tali riferimenti biblici ed extra-biblici effettivamente testimoniano un uso del termine per identificare la figura angelica, ciò tuttavia non può automaticamente implicare che tale sia anche l'uso del secondo vangelo, dove il sostantivo viene impiegato in un altro passaggio (14,51-52) senza alcun tratto angelico. Va inoltre tenuto presente che in tutte le ricorrenze neotestamentarie del termine non si riscontra un solo accostamento tra il vocabolo e una figura angelica2". Lo stesso parallelismo tra Me 14,51-52 e 16,1-8 è abbastanza evidente per escludere anche nel secondo testo (16,57) l'ipotesi di un'angelofania. 3. L'origine celeste del neaniskos di 16,5-7 sarebbe ulteriormente provata dalla sua posizione e dal suo abbigliamento. Si argomenta l'associazione affermando che la «sessione alla destra», al tempo dell'evangelista, costituiva un riferimento esplicito alla figura di Gesù, assiso alla destra di Dio, ed esprimeva quella particolare autorità proveniente dall'alto, evocata in un salmo molto utilizzato all'interno delle prime comunità cristiane: il Sai ΙΙΟ,Ι240. Anche in questo caso è bene precisare che tanto il tratto della «sessione alla destra», quanto quello della veste bianca, sono segni che rimandano al Cristo Risorto, il quale va distinto dagli «angeli». Un'analisi attenta del sostantivo σχολή esclude decisamente l'accostamento con una figura angelica: nella traduzione greca dei LXX tale vocabolo descrive i paramenti sacerdotali di Aronne, dei suoi figli ed eredi e dei leviti241; traduce la veste che il faraone dona a Giuseppe in Gn 41,42; l'abito di lino che Davide indossa mentre introduce festante a Gerusalemme l'Arca dell'Alleanza (2Re 6,14); indica la veste dei guerrieri (Is 63,1; IMac 14,9). Dei circa 100 casi in cui la στολή è citata nell'Antico e nel Nuovo Testamento, solo in due passaggi essa è riferita agli angeli: il primo - in Ez 10,2.6.7 - menziona un «angelo vestito di lino» (LXX: τον άνδρα τον ένδεδυκότα τήν στολήν) presentato tuttavia nelle sue funzioni sacerdotali; il secondo - in 2Mac 5,2 - parla di cavalieri celesti che indossano «auree vesti» (LXX: διαχρύσους στολάς έχοντας). Anche in questo caso l'abito è M
FLAVIO GIUSEPPE, Antichità giudaiche V, 277. " Cfr. Mt 19,20.22; Le 7,14; At 2,17; 5,10; 23,18.22: lGv 2,13.14. Cfr. COUFFIGNAL R., «Les femmes au tombeau et le jeune hotnme en blanc. Approches nouvelles d e Marc XVI,1-8», RTbom 87 (1987) 642-654, soprattutto 646-647. Cfr. Es 28,2; 29,5.2129; 2Cr 5,12; IMac 10,21; Sii 45,7.10; 50,11. 2
240
198
5. Ruolo e significato di Me 16,1-8
più connesso ai guerrieri che agli angeli. Il caso di Me 16,5 costituirebbe tra l'altro l'unica ricorrenza neotestamentaria in cui un angelo indossa una tunica. L'identificazione è pertanto molto improbabile242. Va, infine, osservato che i due tratti della veste bianca e della sessione alla destra sono spesso applicati anche ai credenti per esprimere la nuova condizione legata all'identità cristiana243. 4. Un ultimo indizio che viene elencato a sostegno dell'angelofania nel testo di Me 16,1-8 è la reazione di timore delle donne, seguita dall'invito del giovane a non aver paura. Al riguardo vengono addotte tutta una serie di considerazioni secondo le quali il timore delle donne non andrebbe interpretato in chiave negativa (paura), ma andrebbe inteso come un «timore reverenziale» di fronte a una manifestazione divina54'1. Tale interpretazione «funziona» fino a quando non si conduce una minuta analisi del vocabolario utilizzato da Marco. Egli, infatti, utilizza termini precisi che pongono la reazione delle donne su uno sfondo negativo di disobbedienza, di fuga e di silenzio245. Queste osservazioni potrebbero bastare per mettere in luce come la paventata sicurezza di chi vuole identificare il neaniskos con un angelo possa essere messa totalmente in discussione, ma riteniamo opportuno aggiungere ulteriori indizi che ci sembrano sostenere in modo signif icativo la posizione contraria. In primo luogo va ribadito che lo stile marciano, in tutta la narrazione del vangelo, presenta una certa reticenza nel presentare tratti ο fenomeni soprannaturali. Come fa notare J. KREMER, Marco, a differenza di Matteo e Luca, non menziona alcuna angelofania in tutto il suo testo. In linea di principio, pertanto, sarebbe complesso spiegare la presenza di un'angelofania in 16,1-8: ciò, secondo lo studioso, costringerebbe a ipotizzare la provenienza della pericope pasquale da una tradizione pre-marciana, con tutta una serie di ulteriori comLI! CFR Ammassabi Α., La risurrezione nell'insegnamento, nella profezia, nelle apparizioni di Gesù, Roma 1976, 129-131; LAMPE S.W., A Patrìstic..., 1261 1262. Cfr. anche l'analisi di WlLCKENSU, «στολή» in: GLNT XII, 1275-1286, della quale, tuttavia, non condividiamo l'interpretazione circa Me 16,5, e quella di mlchaelis W„ «λευκός, λευκοάνω» in; GLNT VI, 657-682. M Vedi l'approfondimento al riguardo nelle pagine successive. Cfr, Gn 28,10-17; Dn 8,16-27; 9,20 27; Tb 12,6-22; Mt 1,20-21; 2,13.19-20; Le 1,1117.26-38; 2,8-14; At 5,19 20; 8,26; 10,3-6; 12,7-10; 27,23 24. 2 " Vedi, anche in questo caso, l'approfondimento nelle pagine successive circa la reazione delle donne e il vocabolario utilizzato dall'evangelista per descriverne la paura.
199 5. Ruolo e significato di Me 16,1-8
plicazioni246. In secondo luogo va notato, come suggerisce l'esegeta A.K. J E N K I N S , che se l'evangelista avesse avuto l'intenzione di fare del neantskos un angelo, avrebbe usato il termine adeguato, a lui ben noto come provano le ricorrenze in 1,13; 8,38; 12,25; 13,27.32, in cui l'evangelista si presenta alquanto esplicito sull'argomento2"17. Approfondiremo queste osservazioni quando, più avanti, metteremo in parallelo il neantskos di 16,5-7 con la figura dei discepoli e con la persona di Gesù. Ora passiamo all'analisi dettagliata dell'intera pericope per decifrare il ruolo e il significato che il secondo vangelo attribuisce al giovane presente al sepolcro. 5 . 2 . 3 U n a p e r i c o p e c h e si a p r e c o n u n c o n t r a s t o
Poniamo prima di tutto in sinossi i versetti di apertura dei racconti di risurrezione. A partire da questo specchietto è possibile rendersi subito conto come il secondo vangelo presenti alcuni tratti a esso propri di particolare rilevanza: 1. Me 16,1 è l'unico a menzionare tre donne, le medesime che hanno assistito da lontano alla morte di Gesù (15,40). Il particolare Me 1 6 , 1 - 2 Και διαδομένου τού σαββάτου
Mt 2 8 , 1 Oy« δε σοψβάτων
Μαρία ή Μαγδαληνή και Μαρία ήχου 'Ιακώβου καίΣαλώμη
Μαρία ή Μαγδαληνή και ή άλλη Μαρία
ifjòpatrav άρώμ«τα iva ελθαΰσαι άλείψωσιν αύτον και λίαν πρωί tf| fui? ιών σαββατων
τη έπιφωσκούση
έρχονται έπί το μνημεϊον
ηλθεν
θεωρήσαι τόν τπφον
«νατΕίλαντος του ήλιου
2 "' Cfr. KREMER J., «Zur Diskussion über "das leere Grab"» irr Resurrexit. Actes du symposium international sur la résurrection de Jésus, Rome 1974, 137-168, soprattutto 152-153. 1,1
C f c JENKINS A . K . , « Y o u n g M a n . . . » , 2 3 7 - 2 4 0 . C f r . a n c h e SCROGGS E . - GROFF K . I . ,
«Baptism in Mark...»,533-536.
200
5. Ruolo e significato di Me 16,1-8
Μ ς 16,1-2
Le 2 4 , 1
Και διαδομένου ΐοΰ σαββάτου Μαρία ή Μαγδαληνή και Μαρία ή του Ιακώβου καίΣαλώμη ήϊόρασαν αρώματα ινα έλ&οΰσαι άλείψωσιν αίιτόν
φέρουσαι α ήτοίμασαν αρώματα
και λίαν πρωί τη μφ των σαββάτων
πι 6έ μιφ ίων σαββάτων όρθρου βαθέως
έρχονται επί χΰ μνημεΐον
Επίτό μνήμα ηλθον
άνατείλαντο; του ήλιου
non è da trascurare in quanto diventa un invito ad associare l'episodio di Me 16,1-8 con gli altri due episodi in cui le donne sono state esplicitamente menzionate: la morte di Gesù (15,40-41) eia sua sepoltura (15,47). In essi, come abbiamo visto, le donne avevano la funzione di rappresentare il discepolato disertato dai Dodici. In Me 16,1-8 questo assume un rilievo decisivo. 2. Me 16,1 menziona l'acquisto da parte delle donne di olii aromatici al fine di ungere il corpo di Gesù. Tale dettaglio, ignorato da Matteo, è presente m Luca, che tuttavia lo colloca alla sera stessa della sepoltura del Maestro (Le 23,56). Nel secondo vangelo il particolare si integra malamente con il resto della narrazione: prima di tutto non è facile spiegare come le donne abbiano potuto acquistare gli oli aromatici il mattino presto, in secondo luogo l'evangelista sembra aver dimenticato quanto scritto in 14,2-9 dove Gesù aveva già interpretatoli gesto della donna di Betania come un'unzione anticipata del corpo in vista della sepoltura. Queste tensioni testuali si possono però fare portavoce di un preciso messaggio teologico: le donne entrano in scena con un atteggiamento che è in contrasto con le parole e le vicende del Maestro. In un contesto che già annuncia la risurrezione, le donne restano in qualche modo «prigioniere» della morte (Me 15,4041) e della sepoltura del loro Maestro (Me 15,47). 3. Me 162 aggiunge una terza indicazione temporale assente negli altri racconti. Tutti gli evangelisti hanno un riferimento espli-
201 5. Ruolo e significato di Me 16,1-8
cito al giorno successivo al sabato {in Mt: Ό ψ έ δέ σαββάτων; in Me e in Le: τη μιφ x w σαββάτίΰν) e, allo stesso modo, tutti sentono importante ribadire che la scena si svolge «molto presto» (in Mt: τ η έπιφωσκούση ; in Me: κ α ι λ ί α ν πρωΐ; in Le: όρθρου βαθέως), ma il secondo vangelo è il solo ad aggiungere la terza precisazione: άνατείλαντος του ηλίου. Questo tratto è di particolare importanza in quanto «illumina» improvvisamente lo sfondo sul quale si svolge la scena. Già a questo punto della nostra analisi è possibile notare come la pericope di Me 16,1-8 si apra alla luce di un contrasto che oppone le donne «prigioniere» della morte di Gesù all'indizio che ne annuncia la sua risurrezione, il sorgere del sole. Prima di passare all'interpretazione del dettaglio è bene dedicare alcune considerazioni all'espressione tipicamente marciana: ά ν α τ ε ί λ α ν τ ο ς του ηλίου. Essa ha intrigato a lungo il mondo dell'esegesi, che ha cercato di spiegarne il senso partendo da diverse prospettive. Possiamo individuare quattro aree principali di lettura248: a) Un primo gruppo di commentatori vede nell'inciso una specificazione cronologica di λίαν πρωί, che illustrerebbe il vago «di buon mattino» come il momento in cui sorge il sole. b) Altri autori, al contrario, sottolineano la contraddizione che emerge tra l'espressione «di buon mattino» e «al sorgere del sole», soprattutto se si tiene presente quanto specifica il quarto vangelo, secondo il quale le donne si sarebbero recate al sepolcro «quando era ancora buio» (Gv 20,1). II problema viene risolto sul piano redazionale: il redattore avrebbe voluto distinguere il momento in cui le donne sono partite da casa («di buon mattino», «quando era ancora buio») dal momento in cui esse sono arrivate alla tomba («al sorgere del sole»), ο - ancora - il redattore avrebbe semplicemente aggiunto l'espressione per rendere più plausibile la visione della pietra rimossa dall'ingresso della tomba ο l'atto dell'unzione, operazione che richiedeva evidentemente un po' di luce. c) Un terzo gruppo di studiosi ritiene l'espressione un indizio di carattere «liturgico» che farebbe pensare ο a una celebrazione do-
u8
Per una presentazione approfondita della quest'ione e per i riferimenti bibliografici ve-
d i : NEIKVNCK E , « A N A T E I A A N T O Z . . . » , 7 0 - 1 0 3 .
202
5. Ruolo e significato di Me 16,1-8
menicele presso la tomba di Gesù o alla celebrazione annuale della Pasqua. d) Un quarto gruppo, infine, interpreta il sintagma in chiave simbolica, facendo della formulazione άνατείλαντος του ήλιου un tratto che anticipa la risurrezione di Gesù. Tenendo presente la forte portata simbolica dell'intera pericope, ci sembra che quest'ultima linea di lettura sia quella che meglio illustri la portata di 16,1-8 e il ruolo dei protagonisti che vi prendono parte. Tale lettura è confermata dal legame esistente tra Me 16,2 e tre citazioni veterotestamentarie: Nm 24,17; Mal 3,20; Sai 110,3. Nel primo testo si legge: άνατελει άστρον έξ 'Ιακώβ και άναστησεται άνθρωπος έξ "Ισραήλ. Effettivamente non è difficile cogliere un nesso tra il concetto dell'aurora e quello della risurrezione espresso dal verbo άνίστημι 249 . L'uso stesso del verbo άνατέλλω in concomitanza con la risurrezione di Gesù è ben accreditato25w. Il secondo testo - Mal 3,20 - evoca quel contrasto tra luce e tenebre che ben si integra con l'apertura della pericope marciana: in essa l'evangelista sembra voler evidenziare il contrasto tra il mistero della risurrezione evocato dall'aurora, di cui le donne restano ignare, e la realtà della morte che accompagna la loro intenzione di portare a compimento il rituale della sepoltura. Il contatto letterario tra Me 16,2 e Mal 3,20 si stabilisce, tra l'altro, proprio attorno all'immagine del sorgere del sole: και άνατελει ύμΐν τοις φοβουμένοις τό δνομά μου ήλιος δικαιοσύνης 2 5 '. Il passaggio del Sal 110,3 viene invece indicato da B. S T A N D A E R T , il quale ritiene di dover tenere in considerazione l'enorme importanza che ha assunto questo Salmo nella rilettura cristiana della risurrezione di Gesù. Il parallelismo che legherebbe Me 16,2 al Sai 110,3 si porrebbe più sul piano del contesto che non su quello del vocabolario, visto che entrambi i passaggi hanno un riferimento esplicito all'aurora (Sal 110,3: έκ γαστρός πρό έΐύσφόρου έξεγέννησά σε). Il nesso sarebbe tra l'altro ulteriormente confermato dal tema della sessione alla destra presente sia in Me 16,5 che in Sai 110,1252. Cfr. BENOIT R . BOISMAIÌD M.-E., Syrnpse..voi.
II, 442.
C f r . SCHLIEK 11„ « ά ν α τ έ λ λ ω , ά ν α τ ο λ ή » in: G L N T 1 , 9 4 7 - 9 5 2 . 2.1
Cfr. HEBKRT G.. «The Resurrection-Nari-AT ve in St. Mark's Gospcl», SJT 15 (1962)
66-73. 2.2
Cfr. STANDAEKT B„ Marc. Compoútion.
,580-581. Cfr. anche DUPONTJ., «Assis À la
2035.R u o l oe significato di Me 16,1-8
Ognuno di questi testi permette di «collegare» l'immagine del sorgere del sole alla risurrezione di Gesù. Da qui il contrasto a cui abbiamo fatto cenno: da un lato, la descrizione delle donne introdotte sulla scena resta fortemente condizionata dalle due scene a cui esse hanno assistito - la morte del Maestro (15,40-41) e la sua sepoltura (15,47) - , dall'altro il tutto viene collocato sullo sfondo del sorgere del sole, particolare che preannuncia la risurrezione e il compimento delle antiche profezie. Cogliere questa tensione» m Me 16,1-2 è fondamentale, m quanto essa costituisce la tensione di fondo a partire dalla quale è pos sibile penetrare il senso dell'intera pericope e il messaggio teologico che essa comunica al lettore, In effetti, come avremo modo di vedere, Me 16,1-8 si presenta come un gioco di contrasti m cui l'immagine della morte si oppone alla buona novella della risurrezione e la figura delle donne all'icona trasfigurata del neaniskos.
droite de Dieu. L'interprétation du Bs 110,1 dans le Nouveau Testament» in: Resunexit Actes au symposium international sur la résurrection de Jésus, Rome 1970, 340419.
5.3 IL NEANISKOS E I DISCEPOLI
La tensione esistente tra l'atteggiamento delle donne e il sorgere del sole si estende a tutta la perieope conclusiva del secondo vangelo, marcando il contrasto tra le discepole e il giovane che queste scorgono all'interno del sepolcro. Le donne - come il neantskos sono la controfigura dei discepoli. Circa le prime abbiamo già avuto modo di notare come fin dalla loro presentazione in 15,40-41 i tratti con cui esse vengono descritte le assimilano decisamente alla presentazione dei Dodici"3; quanto al neaniskos esso continua a essere valorizzato nella sua duplice valenza simbolica che abbiamo notato circa la perieope di Me 14,51-52, dove rimandava sia alla figura dei discepoli che a quella di Cristo. Alla fine del suo vangelo, Marco riprende il tema della sequela nel suo nucleo vitale, presentando al lettore i due atteggiamenti di fondo con cui il discepolato si trova a misurarsi: un atteggiamento «irredento» che, anche all'indomani del mistero pasquale di passione, morte e risurrezione resta dominato dalla fuga, dal silenzio e dalla paura, e un atteggiamento «redento» che esprime nei gesti e nelle parole l'identità trasfigurata del discepolo. Le donne (come del resto i discepoli durante la passione) rappresentano il primo atteggiamento, mentre il neaniskos il secondo. Ma passiamo all'analisi dettagliata della perieope: dopo aver mostrato come essa si strutturi attorno a un gioco di contrasti (5.3.1), passeremo in rassegna i tratti che costituiscono il discepolato «irredento» delle donne (5.3.2) e quello «redento» del neantskos (5.3.3).
Cfr. il recente articolo di COKLEY E.K., «Women and theCrudfixion and Buriai d J e sus», Forum 1/1 (1998) 181-225, soprattutto 214-217.
2055.Ruolo e significato di Me 16,1-8
5,}.l Un gioco di contrasti Se si legge con attenzione la finale di Marco (16,1-8) si noterà che l'annuncio pasquale è, per certi aspetti, come chiuso, incorniciato, all'interno di due scene che oppongono il neaniskos alle donne: la prima scena sottolinea l'opposizione tra l'attesa delle donne descritta in 16,1-4 e ciò che esse trovano giungendo al sepolcro in 16,5; la seconda scena enfatizza il contrasto tra il comando che il giovane affida alle donne in 16,7 e la loro reazione descritta in 16,8. Al centro dei due contrasti viene collocato l'annuncio della risurrezione (16,6). La caratterizzazione delle donne in Me 16,1-4 è dominata da un vocabolario legato alla morte: le tre discepole comprano oli aromatici per ungere il corpo di Gesù (gesto legato alla sepoltura dei cadaveri), i loro discorsi vertono sul sepolcro (il sostantivo μνημείον viene menzionato ben tre volte in Me 16,2.3.5) e sulla pietra che ne sigilla l'ingresso (menzionata due volte in Me 16,3.4). L'immagine tratteggiata nei loro pensieri è quella di un sepolcro sigillato, con all'interno il cadavere (τό πτώμα, cfr. Me 15,45) del Maestro, avvolto in una sindone, steso nel sepolcro. Ma la scena che si delinea davanti ai loro occhi è totalmente opposta: la pietra, nonostante le sue dimensioni, è stata rimossa e all'interno del sepolcro non c'è un cadavere ma un neantskos; non c'è il corpo senza vita di un uomo disteso e avvolto in una sindone, ma il corpo vivo di un giovane, assiso, avvolto in una veste bianca, il quale risponde al linguaggio di morte delle donne con un annuncio di risurrezione. Il contrasto è forte. Le medesime osservazioni possono essere fatte per i vv, 7-8. Il giovane consegna alle donne un preciso mandato: esse devono recarsi dai discepoli (da notare l'imperativo υπάγετε) e annunciare loro (un secondo imperativo: είπατε) che il Maestro li attende in Galilea secondo la promessa loro rivolta in Me 14,28. A tale mandato le discepole rispondono in modo sorprendente: invece di recarsi dai discepoli, escono dal sepolcro dandosi alla fuga (έφυγον), immagine che evoca ormai nel lettore il tipico atteggiamento dei discepoli (Me 14,50.52); invece di portare l'annuncio esse si chiudono nel silenzio (και ούδενι ουδέν είπαν); invece di essere fortemente confermate nella loro fede, esse restano scosse dalla paura, descritta con tre diverse espressioni: τρόμος, έκστασις, φοβέω. Fuga, silenzio, paura: tre atteggiamenti totalmente inadeguati per
206
5. Ruolo e significato di Me 16,1-8
chi si propone di essere testimone della buona novella. Riassumendo graficamente il contenuto di quanto abbiamo appena esposto, otteniamo il seguente schema: Annuncio della risurrezione Sorpresa del
Mandato del
neenùkos
neanhkos
Attesa delle disctpole
Reazione delle disccpole
Questi contrasti non fanno altro che riprendere e sviluppare il contrasto di apertura tra il sorgere del sole, che annunciava simbolicamente la risurrezione e la disposizione interiore delle donne, prigioniere di pensieri legati alla morte. Sullo sfondo di tali contrasti l'evangelista può presentare al lettore le due figure con le quali confrontare la propria adesione a Cristo e la propria identità di discepolo. 5.3.2 Q discepolato «irredento»: le donne In Me 16,1 le donne entrano in scena ancora come prime protagoniste: testimoni oculari della morte di Gesù (15,40-41) e della sua sepoltura (15,47), diventano ora anche le uniche testimoni dell'annuncio pasquale (16,6-7). Effettivamente - come fa notare M. PERRONI - ci sarebbero tutti i motivi per affermare che «il ruolo che esse giocano all'interno dell'ordito kerigmatico dell'intera narrazione è molto forte»254, ma non bisogna avere fretta di tirare le conclusioni. Basta scorrere tutta la pericope per trovarci confrontati con una serie di contraddizioni che mettono in seria questione il «protagonismo» delle donne. In Me 16,8 la loro reazione al mandato del giovane è marcata da un triplice tratto: la fuga, il silenzio e la paura. È necessario prendere singolarmente in esame questi tratti per notare come essi, più che presentare una teofania di cui Cfr. PERRONIM., «L'annuncio pasquale alle/delle donne (ME 16,1-8): alle origini della tradizione kerygmatica» in: Patrimonium Videi. Traditionsgescbicbtlicbes Verslehen am Ende? Festscbri/tfur Magnus Lohrer und Pius Ramon Tragan (StAns 124), Roma 1997, 414,
207 5. Ruolo e significato di Me 16,1-8
le donne costituirebbero le prime testimoni, descrivono il rischio a cui resta esposto, anche all'indomani dell'annuncio pasquale, chiunque voglia mettersi sulle orme Gesù.
5.3,2.1 La fuga Il fatto che l'evangelista utilizzi il verbo φεύγω per descrivere la reazione delle donne all'annuncio pasquale è significativo. Il verbo ricorre 18 volte nei vangeli, di cui ben 10 hanno una chiara connotazione negativa255. Quando viene usato con un senso positivo, il verbo esprime ο la fuga dei tempi escatologici2'6 ο la necessità di mettersi in salvo da qualche imminente pericolo257. Il secondo vangelo - se si eccettua la ricorrenza di 13,14 collocata sullo sfondo del «giorno del Signore» in cui la fuga diventa una sorta di necessità - utilizza tale verbo per indicare una chiara defezione da parte dei discepoli: è questo lo sfondo che abbiamo già avuto modo di analizzare, per esempio, in Me 14,50.52. La stessa interpretazione viene confermata dalla prima menzione del termine in 5,14 dove a darsi alla fuga sono i mandriani dei' duemila porci che si precipitano nel lago di Galilea. L'esegeta S.R. J O H N S O N , che intravede un parallelismo tra la scena di Me 5,1-20 e quella di Me 16,18, pone, a ragione, entrambe le fughe sotto una connotazione negativa: nel primo caso la fuga dei mandriani anticipa la reazione negativa al miracolo che condurrà all'esplicita richiesta rivolta al Maestro di abbandonare la regione (5,17); in 16,8 la fuga è il primo tratto negativo di una chiusura nei confronti dell'annuncio pasquale che sarà seguita dal silenzio e dalla mancata obbedienza al mandato ricevuto258. Tutto ciò ci porta a concludere che la fuga delle donne non si differenzia dalla fuga di tutti gli altri discepoli. Che Marco associ la figura delle donne a quella dei discepoli, è chiaro fin dalla loro prima presentazione in 15,40. come Pietro (14,54), esse osservano gli eventi da lontano (15,40: α π ό μακρόθεν); come i discepoli, esse 2,1
Cfr. Mt 3,7; 8,33; 23,33; 26.56; Me 5,14; 14,50.52; Le 3,7; 8,34; Gv 10,12. Cfr. Mt 24,16; Me 13,14; Le 21,21. " Cfr. Mt 2,13; 10,23; Gv6,15; 10,5, Cfr. anche l'articolo di CARSON D.A., «φεύγω..,», 558-559. ί5β Cfr.JOHNSON S.R.,«The Idcntity and Signifìcance ofthe Neaniskos in Mark», Forum 8 (1992) 123-139, soprattutto 129-132. 2
208
5. Ruolo e significato di Me 16,1-8
sono alla sequela (T|K0ÀDX>60T>v) del Maestro fin dalla Galilea salendo con lui a Gerusalemme (15,41); come il neaniskos in 14,51 e Pietro in 14,54 esse restano in scena suscitando un'attesa positiva nel lettore, che coglie in tale presenza un segno di fedeltà al Maestro, ma alla fine anche per loro l'itinerario di sequela si conclude allo stesso modo: con la fuga. Il luogo che parla della risurrezione viene abbandonato, l'annuncio che proclama la risurrezione viene taciuto. Secondo M. HENGEL la fuga delle donne porta a pieno compimento la profezia dello scandalo e della dispersione di 14,27239. Anche per le donne lo smacco sembra inevitabile. Ma esistono altri due indizi che ci permettono di affermare che si tratta di un vero e proprio smacco: il silenzio e la paura.
5.3.2.2 II silenzio Il silenzio delle discepole è il tratto che pone maggiormente problema nella logica del racconto, non solo in quanto si pone in contraddizione con l'esplicito invito ricevuto dal neaniskos (16,7), ma anche perché solleva l'interrogativo su come sia stata possibile la diffusione della buona novella se le uniche destinatarie che ne sono state testimoni si sono chiuse nel silenzio Di fronte a tale «disagio» il mondo dell'esegesi ha tentato di riscoprire il valore positivo del silenzio, fino a dichiarare che «Marco non poteva trovare motivo letterariamente più efficace del silenzio delle donne per concludere il suo vangelo e moti vo teologicamente più pregnante della loro paura per far risaltare la forza della missione cristiana. Il silenzio e il terrore delle donne non fanno che confermare la novità del discepolato cristiano. Si tratta di un silenzio kerigmatico che, in senso del tutto analogo al silenzio della donna di Betania che apre il racconto della passione, impone di riconoscere che l'annuncio della risurrezione impegna ormai i discepoli nell'elaborazione τοΰ ευαγγελίου Ί η σ ο ΰ Χριστού» 260. c f r . HENGEL M„ «Maria Magdalena und dieFrauen a s Zeugen»in: Festschrift far O. Michael, Ahraham unser Vater Juden und Christen im Gespräch über die Bibel (AGbU 51, Leiden 1963,243-256. , ., 240 PEKRON iM., «L'annuncio pasquale,. » , 430. E interessante notare come ! esegesi temminile rinunci a fatica a una presentazione m chiave negativa delle donne m Me 16,1 8, i>i veda al riguardo MAISON E.S., «Fallible Followera Women and Men in the Gospel ot Mark», Semeia 28 (1983) 29-48; SCHUSSLER FIORENZA E., In memoria di lei. Una ricostruzione fern
209 5. Ruolo e significato di Me 16,1-8
Tale linea di lettura è «sospetta» e - c o m e osserva J.T. GRASSI , r quanto si dia da fare nello spiegare positivamente la reazione Selle donne, «there d o e s remain a lingering d o u b t a b o u t the w o men's behavior» 2 6 1 , tanto più se t e n i a m o presente il g i o c o di contrasti c h e f a da s f o n d o all'intera scena. In effetti l'ipotesi di un «silenzio kerigmatico» si sfuoca se estendiamo la nostra ricerca a com e viene trattato il t e m a del silenzio nel s e c o n d o vangelo. Fin dai primi capitoli, è G e s ù s t e s s o a i m p o r r e il silenzio: ai d e m o n i egli proibisce di rivelare la sua identità (Me 1,25.34; 3,12); a coloro c h e vengono guariti ο a chi assiste ai miracoli ordina severamente di n o n dir n i e n t e a n e s s u n o (Me 1,44: " Ο ρ α μ η δ ε ν ί μ η δ έ ν ε ΐ π η ς ; 5,43: διεστείλατο αυτοί ς κολλά i v a μη δεις γνοί τούτο; 7 , 3 6 : διεστείλατο α ύ τ ο ί ς ί ν α μηδενί λ έ γ ω σ ι ν ) ; gli stessi d i s c e p o l i d e v o n o mantenere il silenzio in ciò c h e concerne la c o m p r e n s i o n e dell'identità di G e s ù (Me 8,30: έπετίμησεν α ύ τ ο ϊ ς ί ν α μ η δ ε ν ί
λέγωσιν περί αύτοΰ; 9,9: διεστείλατο α υ τοις ίνα μηδενί ά είδον δ ι η γ ή σ ω ν τ α ι ) . L o s t e s s o s f o n d o si riflette a volte anche nell'atteggiamento d e l Maestro: p i ù di u n a volta, prima di operare un miracolo, egli si ritira, p e r e s e m p i o , lontano dalla folla ( M e 5,44; 7,33; 8,23). Nella maggioranza dei passi citati, tuttavia, l'invito di G e s ù n o n sembra avere effetto: i d e m o n i continuano a gridare la sua iden tità e i miracolati narrano o v u n q u e c i ò che egli ha c o m p i u t o ( M e 1,45; 7,35-36). In 16,7-8 avviene e s a t t a m e n t e il contrario: davanti al s e p o l c r o vuoto, nell'ora del p i e n o c o m p i m e n t o di tutta la b u o n a novella, nel t e m p o in cui bisogna annunciare e proclamare c h e il Maestro attende i suoi in Galilea, le d o n n e t a c c i o n o e ο ύ δ ε ν ί ο υ δ έ ν ε ί π α ν . N o n è difficile riconoscere in q u e s t o b r u s c o passaggio lo stile marminista delle orìgini cristiane (Sola Scriptura 14), Torino 1990,353-355. Più sfumato è il pen-
siero di L. SCHCXRNTOFF: ella riconosce in Me 1 6 , 1 - 8 «una storia kerigmatica concernente gli inizi della proclamazione di Gesù Risorto», ma allo stesso tempo sottolinea la portata negativa della reazione delle donne che può essere tuttavia spiegata a partire da uno sfondo storico di persecuzione. Cfr. «Maria Magdalena und die Frauen am Grabejesu», EvTh 42 ( 1 9 8 2 ) 3 - 2 5 ; «Women as Followers of Jesus in New Testament Times; An Exercise in SocialHistorical Exegesis of the Bible» in: The Bible and Liberation. Political and Social Hermeneutics, New York 1 9 8 3 , 4 1 8 - 4 2 7 . Sulla medesima questione cfr. LICHTPOOT R.H., The Gospel Message of St. Mark, London 1 9 5 0 , 8 8 - 9 1 ; CATCIIPOLE D „ «The Fearful Silence of the Women at the Tomb: A Study in Marcan Theology», jTSA 18 ( 1 9 7 7 ) 3 - 1 0 ; MAGNESSJ.L., Sense and Absence. Structure and Suspension in the Ending of Mark's Gospel (SBL SS 15),
Atlanta
1986, 98-102.120; O'COLLINS
G., «The Fearful Silence ofThree Women (Mark
16:8c)», Greg 6 9 ( 1 9 8 8 ) 4 8 9 - 5 0 3 ; GRAHAM S.L., «Silent Voices. Women in the Gospel of Mark», Semeia 5 4 ( 1 9 9 1 ) 145-158. Vedi soprattutto 154-155. «The Secret Heroine of Mark's Drama», B7B 18 (1988) 14.
210
5. Ruolo e significato di Me 16,1-8
ciano che gioca sul paradosso e sull'inversione delle attese. Secondo T. B O O M E R S H I N E in 16,1-8 l'evangelista non fa altro che utilizzare la medesima struttura narrativa che aveva già impiegato per raccontare l'arresto di Gesù (14,26-52) e il processo davanti al Sinedrio (l4>53-72): anche in questi passaggi Marco aveva condotto il lettore prima di tutto a prendere coscienza del compimento di una parte del mistero pasquale, poi a identificarsi con una figura positiva che sembrava garantire la continuità del discepolato (il neam'skos nel primo caso, Pietro nel secondo, le donne in 16,1-8) e infine a esserne profondamente deluso2". Secondo l'esegeta, «in the silences surrounding the climatic short statements of 16,8 and the surprising ending, Mark invites his audience to reflect on their own response to the dilemma which the women f aced»2". J.D. CROSSAN m un suo articolo è ancora più radicale e interpreta il silenzio delle discepole a partire da una chiave di lettura totalmente negativa: il significato della disobbedienza conclusiva delle donne sarebbe maturato all'interno di una tensione storica tra la comunità di Gerusalemme, di cui le donne insieme ai discepoli sarebbero le rappresentanti, e la comunità di Marco che si fa portavoce di una buona novella incentrata sul Cristo glorioso che non trova il supporto della Chiesa madre 2 ". Queste considerazioni, tra l'altro, sembrano trovare il sostegno dello stesso evangelista, il quale commenta il silenzio delle donne con un È0o(3ol3vto ytip, specificazione decisamente significativa in quanto ci dice che il silenzio delle donne non scaturisce dalla visione del giovane nel sepolcro, né tantomeno da una epifania angelica, ma da un atteggiamento di paura. Siamo pertanto in pieno accordo con N. PERR1N nel concludere che, come i discepoli prima di loro, anche le donne alla fine vengono meno sia nei confronti del loro Maestro, che nei confronti della loro stessa identità265. Il van gelo di Marco si conclude con la dura provocazione di uno smacco che colpisce il discepolato in tutti i suoi rappresentanti. ^ Cfr. BOOMERSHINE T„ «Mark 16:8 and the Apostoiic Commission», JBL I00'2 (1981) 225-239. -63 BOOMER-SHINbT.. «Mark 16:8 .»,237, Cfr. CROSSAN J.D., «Mark and the Relatives of Jesus», NT 15 (197 3) 81-113, soprattutto 105-113. "·• Cfr. PERRIN N„ The Resurrection Narratwes. A Ne > Approach, London 1977, 32-33. Cfr. anche MuNRO W-, «Womcn Disciples in Maik», CBQ 44 (1982) 225-241, soprattutto 239. Per ulteriori indicazioni bibliografiche sul silenzio delle donne cfr. NEÌKVNCK È , «Marc 16,1-8...», 64-68.
2115.Ruolo e significato di Me 16,1-8
53.2.3 La paura La pericope conclusiva del secondo vangelo è uno dei passaggi neotestamentari in cui si nota la più forte concentrazione di vocaboli che esprimono uno stato di paura: la reazione delle donne alla visione del neaniskos viene espressa attraverso il verbo έκθαμβέομαι, mentre altri tre termini - τρόμος, εκστασις e φοβέομαι - descrivono il loro stato d'animo nel momento in cui abbandonano il sepolcro. L'esegesi che fa del silenzio delle donne un «silenzio kerigmatico» opera una rilettura di tutti questi termini mostrando come essi indichino l'esperienza di una epifania divina266. Ciò rende necessarie alcune puntualizzazioni. Prima di tutto va ribadito che le donne giungendo al sepolcro non si trovano confrontate né con l'apparizione di un angelo (come in Mt 28,2), né con quella di due uomini in vesti sfolgoranti, dai tratti trascendenti (come in Le 24,4). Ciò che esse vedono è un giovane, avvolto in una veste bianca; in secondo luogo abbiamo già notato come ponendo in sinossi i diversi racconti della risurrezione, il secondo vangelo si differenzi per la sua particolare sobrietà nel presentare, lungo la sua narrazione, fenomeni «straordinari», estranei alla portata comune dell'uomo (come il terremoto di Mt 28,2; l'aspetto dell'angelo in Mt 28,3; l'improvvisa apparizione dei due uomini celesti di Le 24,4); in terzo luogo il vocabolario della paura in Me 16,1-8 esprime piuttosto uno stato d'animo negativo di angoscia e di terrore, che non un timore reverenziale conseguente a una manifestazione divina. E proprio quest'ultimo tratto che ne cessita un approfondimento che conduciamo prendendo in esame i singoli termini usati dall'evangelista, 1. έκθαμβέομαι: non è difficile trovare autori che, analizzando il termine, dichiarino: «il verbo e il sostantivo indicano lo sbigottimento profondo che coglie l'uomo nella sfera della rivelazione di Dio»267. E opportuno chiedersi se tale generalizzazione non sia rischiosa. Il verbo έκθαμβέομαι nel Nuovo Testamento ricorre solo quattro volte, tutte nel secondo vangelo (9,15; 14,33; 16,5.6). Esso viene considerato come una forma intensiva del ver-
Cfr il recente studio di DWYiìR T„ The Motifof fonder in the Gospel o/Mark (JSNT Supp 128), Sheffield 1996, 185-195. „ r. CFC GRIMM W„ «θαμβέ«,, θάμβος» in: D E N T I , 1581-1583; VIGNOLO R., «Una finale reticente... », 160.161.
212
5-Ruolo e significato di Me 16,1-8
bo θαμβέομαι che ricorre solo in 3 passaggi sempre all'interno del vangelo di Marco (1,27; 10,24.32). Se prendiamo in esame queste diverse ricorrenze, in nessuna di esse l'evangelista descrive il timore reverenziale conseguente a una epifania straordinaria della divinità: si può forse nutrire qualche incertezza circa il passaggio di Me 1,27, ma anche in questo caso l'evangelista associa il verbo allo stupore dei presenti per l'autorità che Gesù manifesta nei confronti delle forze del male, più che a una straordinaria manifestazione di Dio. In Me 10,24.32 θαμβέομαι viene ugualmente usato per esprimere lo sbigottimento dei discepoli, uno stato d'animo che l'evangelista associa alla loro incomprensione circa l'insegnamento del Maestro. Se poi prendiamo in esame la forma intensiva έκθαμβέομαι perveniamo al medesimo risultato: W. G R I M M si spinge un po' troppo in là nel commentare il passaggio di Me 9,15 affermando che «quando Gesù scende dal monte della trasfigurazione, la gente resta profondamente intimorita (έξεθαμβήθησαν) evidentemente dal residuo riflesso del suo splendore»268. Il verbo ci sembra esprimere lo stato di angoscia con cui la folla si presenta davanti al Maestro: egli, infatti, entra in scena in un momento particolarmente delicato in cui i discepoli e gli scribi si trovano a discutere e a lottare con le forze del male, senza riuscire a vincerle. La medesima forma intensiva viene usata anche in 14,33 per sottolineare lo stato di profonda angoscia e desolazione interiore vissuta dal Maestro durante la preghiera del Getzemani. Tutti questi passi illuminano il senso del verbo in 16,5-6: più che un timore reverenziale, le donne vengono descritte in preda al turbamento e allo stupore per aver trovato il sepolcro aperto e al suo interno un giovane. E senz'altro significativo che Matteo e Luca (i quali, al contrario, fanno del loro racconto una vera e propria epifania divina) preferiscano rinunciare all'uso di tale verbo per sostituirlo con φοβέομαι (Mt 2 8 , 4 . 5 . 1 0 ; Le 2 4 , 5 ) . Come fa notare T. D W Y E R , la stessa risposta del neatiiskos in 1 6 , 5 non segue la formulazione classica dell'angelofania ο della teofania: Marco preferisce il μή έκθαμβείσθε (che non ricorre in nessun altro passaggio del Nuovo Testamento) al «classico» μή φοβοΰ 269
!Ί
* Gkimm W„ «θαμβέω...», 1582. C f r . gli a r t i c o l i d i BERTRAM G . , « Θ ά μ β ο ς , κ τ λ . » in: G L N T I V , 147 1 5 8 ; MUNDLE W ,
« Θ α ϋ β α , miracle, wonder, sign» in: N I D N T I I , 620-626.
213 5-Ruolo e significato di M e 16,1-8
o al μή φοβάσθε (cfr. Me 6,50; Le 1,1229; At 27,24; Ap 1,17)270 più usati nella descrizione di una vera e propria epifania. 2 τρόμος: associato al sostantivo εκστασις, il termine τρόμος ha la sua unica ricorrenza all'interno dei quattro vangeli in Me 16,8. Nelle lettere paoline ricorre frequentemente nella formula ste reotipata φόβος και τρόμος (lCor 2,3; 2Cor 7,15; Ef 6,5; Fil 2,12. Cfr. anche Me 5,33) esprimendo una condizione di timo re colmo d'ansia" 1 . P. C H A N T R A I N E precisa che il sostantivo è spesso associato all'atto fisico del tremare272, mentre L I D D E L L S C O T T fanno notare che esso viene in genere utilizzato per descrivere tre fenomeni: la paura, il tremore conseguente al freddo, il tremore provocato da un terremoto273. In ogni caso siamo lontani da poter ritenere che il termine nel Nuovo Testamento sia espressivo di una manifestazione divina. 3. εκστασις: di più difficile interpretazione, il vocabolo nei testi neotestamentari assume una duplice sfumatura: quella di un for te senso di stupore e di meraviglia (Me 5,42; Le 5,26; At 3,10) e quella di rapimento, uscita di sé, esperienza mistica (At 10,10; 11,5; 22,17). Secondo M. L A T R K E , «un aspetto un po' diverso, ri ferito al timore, assume εκστασις nella connessione con τρόμος nella molto discussa finale di Me 16,8. È incerto a che cosa si riferisca la reazione delle donne (tomba vuota? rivelazione dell'angelo?) e anche se nel loro terrore si riflettano esperienze storiche ο soltanto temi della letteratura sapienziale»274. L'interrogativo permane quando si passa all'analisi del verbo corrispondente έξίστημι all'interno del secondo vangelo: esso è ancora usato per esprimere un forte senso di stupore di fronte alle opere del Maestro (2,12; 5,42; 6,51), ma anche uno stato di pazzia e di perdita di buonsenso in 3,21"'. W. B A U E R associa il termine di 16,8 con un senso di confusione, stupore, terrore276. Gli studiosi manifestano, in ogni caso, una certa esitazione nell'associare il sostantivo di Me 16,8 a una rivelazione divina277. Cfr. DWYERT., The Moti/..., 187-188. Cfr. MUNDLE W , «φόβος, fear, awe» in: N I D N T I, 622. m
Cfr. CHANTRAINE P , Dictionnaire.... 1131-1132. Ζ Cfr. LIDDELX H . G . - SCOTT R , A Greek-Engìhb .., voi. II, 1826. LATTKE Μ . , « £ κ σ τ α σ ι ς » I N : D E N T I , 1 1 2 1 - 1 1 2 3 .
575
Cfr. MONDLE W., «έκστασις, ecstasy, aston'ishraent, distraction, horror, madness»in
N I D N T 1 , 5 2 6 528. R >
" BAI/ER W., A Greek-Engiish Lexicon of the New Testament and OtberEarly Literature, London 1979,245. 3 " Cfr. ΟΕΡΚΕ Α., «Εκσ-τασίς, έξίστημι» in: G L N T Ι Π , 323-354.
Christian
214
5. Ruolo e significato di M e 16,1-8
4. φοβέομαΐ: tale verbo ricorre 12 volte nel secondo vangelo e la nostra attenzione all'uso che ne fa l'evangelista può aiutarci a meglio comprendere il suo significato in Me 16,8. Nei diversi passaggi in cui esso è riferito ai discepoli (Me 4,41; 6,50; 9,32; 10,32) il verbo esprime una condizione interiore di timore, legata alla fatica di comprendere il comportamento e l'insegnamento del Maestro. Con un senso negativo, esso viene utilizzato per descrivere il timore delle folle da parte delle automa religiose (Me 11,18.32; 12,12), stato d'animo che ostacola l'arresto di Gesù. Il verbo richiama ancora un atteggiamento di paura e di disagio in Me 5,15.33,36. In un solo caso esso assume una sfumatura positiva: in Me 6,20, quando descrive il sentimento provato da Erode nei confronti di Giovanni Battista che il primo «temeva sapendolo giusto e santo». Queste osservazioni ci portano a concludere che, se da un lato è vero che tale verbo viene spesso utilizzato per esprimere la reazione dell'uomo di fronte all'incontro con il divino278, dall'altro questo non sembra proprio essere il contesto favorito da Marco. Lo stesso H . B A L Z , che dedica al termine un'approfondita ricerca, ritiene opportuno nel caso di Me 16,8 effettuare un'analisi distinta concludendo che «lo spavento delle donne in Me 16,8 dipende dal sepolcro vuoto e dall'incomprensibile messaggio dell'angelo. Esso è ancora effetto della passione e della morte di Gesù, fatti inconcepibili e terrificanti. Infatti, la promessa della risurrezione non è stata ancora sperimentata come attualità salvifica del Risorto»279. Un ultimo indizio che conferma tale analisi è lo stretto legame che la particella γάρ stabilisce tra il timore e il silenzio; le donne tacciono perché hanno paura: la paura è posta in relazione al silenzio, non alla manifestazione del giovane. Siamo quindi lontani dal condividere l'opinione di W.C. A l l e n che riferendosi alle donne afferma: «Their fear was not fright or terror but the solemn awe of human beings who felt that they stood at the gate of heaven and had just received a message from the Master they loved; who was after all not dead and buried beyond recall, but now finally transfigured and changed into the conqueror of hell and of death»2*1. 278 2
Cfr. MUNDLE W, «Fear, Awe, φόβος» in: N I D N T I, 621-624. " Cfr. BALZ Η., «φοβέω, κτλ.» in: G L N T X V , 47-132. La citazione è tratta da p. 108,
M
ALLEN W . C , «St. M a r k X V I . 8 : " T h e y W e r e A f r a i d " W h y ? » , / R 5 4 7 (1946) 46-49. Q u i
215 5. Ruolo e significato di Me 16,1-8
Sotto l'ombra della fuga, del silenzio e della paura, le donne come del resto i discepoli durante la passione - restano l'icona di quel discepolato «irredento» da cui il lettore deve guardarsi. All'indomani del mistero pasquale, questi tre tratti rappresentano la costante minaccia per i credenti a cui Marco si rivolge, una minaccia che rischia di soffocare la forza e il dinamismo della buona novella. Chi ha accettato di seguire il Maestro fino in fondo deve misurarsi con un'altra immagine: quella del neaniskos. 5.3.3 D discepolato «redento»: il
neaniskos
Alla figura delle donne si oppone la figura del giovane. Ribadiamo che Marco non parla di una figura angelica, ma di un neaniskos, termine destinato a richiamare nella mente del lettore 0 curioso episodio di Me 14,51-52. Il nesso è ancora una volta favorito da un gioco di contrasti: il neaniskos di 14,51 era avvolto (περιβεβλημένος) in una sindone, quello di 165 è avvolto (περιβεβλημένον) in una veste bianca; al momento dell'arresto il giovane di 14,51-52 si era dato alla fuga, mentre quello di 16,5 resta assiso all'interno del sepolcro; se la fuga del primo tradisce il suo timore di essere coinvolto fino in fondo nel mistero pasquale del Maestro, la posizione, l'abbigliamento e le parole del secondo non fanno altro che evocare lo stesso mistero pasquale in tutta la sua forza; se infine il neaniskos di 14,51-52 nel suo smacco enfatizza lo smacco dei discepoli e anticipa quello di Pietro (14,50.54.66-72), l'annuncio del neaniskos di 16,5-7 anticipa la reintegrazione dei discepoli e dello stesso Pietro a cui si rivolge in modo particolare. Osserviamo da vicino i tratti con cui viene descritto il giovane e cerchiamo di coglierne la portata all'interno della teologia del discepolato. 5.3 31 Assiso alla destra Normalmente l'espressione icaOtÌpevov èv xoi? 5ec,ioig viene considerata come una chiara allusione marciana al Sai 110,1 che viene citata un'espressione di p. 49, Ugualmente non ci sembra sostenibile l'interpretazi one proposta da LUZZAHAGA J„ «Ketraducción semitica de IFXIFIÉOM-OA eri Me 16,8», iHb 50 (1969) 497-510, secondo il quale il verbo evocherebbe la corsa colma di trepidazione delle donne. Il silenzio ne sarebbe la conseguenza. L'opinione è ripresa anche da M GNESSJ.L., Seme and Absence..., 121-122.
216
5 . Ruolo e significato di Me 16,1-8
nella versione dei LXX riporta: Είπεν ό κύριος τφ κυρίω μου· Κάθου έκ δεξιών μου281. Il secondo vangelo ne ha del resto due riferimenti espliciti in 12,36 e in 14,62 e altri due impliciti in 10,37.40. L'espressione di Me 16,5 presenta, tuttavia, alcune strane anomalie: la prima è la sottolineatura del plurale δεξιοΐς, la seconda è l'inserimento dell'articolo τοις e la terza è la sostituzione della particella έκ con la particella έν. Evidentemente, ognuno di questi interventi sul testo non è casuale: secondo G U N D K Y , tali anomalie enfatizzerebbero sia la posizione del giovane che si viene a trovare nel luogo del favore e della protezione di Dio, sia la stretta relazione esistente tra il neaniskos e il Cristo esaltato. In altre parole, il giovane parteciperebbe alla condizione gloriosa vissuta dal Cristo262. Ma c'è un altro tratto da osservare, come rileva M. G O U R G I J E S : in tutto il Nuovo Testamento il Sai 110,1 è regolarmente riferito a Cristo. Le uniche due eccezioni sono costituite dal passaggio marciano di Me 10,37 - dove viene presentata la richiesta di Giacomo e Giovanni - e dal passaggio di Me 16,5 dove viene descritto il giovane che annuncia alle donne la buona novella della risurrezione. Evidentemente, questo ci obbliga a riconoscere in tale qualifica, non solo un tratto che rimanda al Cristo glorioso, ma anche una caratteristica strettamente connessa con l'identità del discepolo che ha attraversato il mistero pasquale. In tal senso, può essere utile ripercorrere l'itinerario marciano in riferimento a questo tema, un itinerario che si rivela essenzialmente scandito in tre passi: a) In 10,37 Giacomo e Giovanni avanzano una richiesta esplicita al Maestro: (Δός ήμίνΐνα σου είς έκ δεξιών και. εις έξ αριστερών καθίσωμεν...), a cui Gesù risponde in modo chiaro in 10,40 (καθίσαι έκ δεξιών μου ή έξ ευωνύμων ουκ εστίν έμόν δούναι...). b) In 15,27 l'evangelista osserva che il posto tanto ambito dai figli di Zebedeo è occupato da due briganti, crocifissi ενα έκ δεξιών καί ενα έξ ευωνύμων αύτοΰ. I due discepoli non hanno retto al paradosso della logica di Dio. 283
s ' Cfr. BoiSMAJtD M.-E. - ΒΕΝΟΓΓ P„ Synopse..., voi. II, 442; GUNDRY R.H., Mark..., 990991; STANDAEKT B., Marc. Composition..., 581. 2,2 Cfr. GUNDRY R . H . , M a r k . ., 991 eGRUNDMANN W „ «δεξιός» in: G L N T I I , 833842. ^ Cfr. GOURGUES M., À ladroitedeDieu. Résurrection dejésus et actualisation du Psaume 110:1 dans leNouveau TestamentiEtB70),Paris 1978, 43.
217 5. Ruolo e significato di Me 16,1-8
c) In 16,5 il tema viene ripreso nel momento stesso in cui viene annunciata la risurrezione. Strettamente associato al Cristo, un neaniskos è descritto καθήμενο ν έν τοις δεξιοΐς, qualifica che viene presentata come il primo tratto della sua identità. Ora ci chiediamo: quale valenza simbolica può avere il tratto della sessione alla destra per il discepolo? Ci basiamo ancora sullo studio di M. G O U R G U E S secondo il quale la sessione alla destra esprime qualcosa circa l'identità, le relazioni e le funzioni del soggetto a cui si riferisce. Circa l'identità, la sessione alla destra esprime la partecipazione a una condizione di trascendenza e di vicinanza a Dio che può essere bene spiegata attraverso la categoria paolino-giovannea della «figliolanza» (cfr. Gv 1,12; 20,17; Rm 8,14-17; Gal 4,47); ciò implica relazioni caratterizzate dal favore, dalla comunione e dalla grazia divina. Circa la funzione, esprime uno stato di autorità e di partecipazione alla sovranità di Dio sulla storia, con la conseguente capacità di leggerne gli eventi, identificarne la portata salvifica e divenirne comunicatore264. In contrasto con la scena di Me 14,51-52 il neaniskos di 16,5 è pertanto un individuo che vive una condizione di stabilità e di identità personale chiara, definita e matura. In tal senso possiamo parlare di «discepolato redento». 5JJ.2 Rivestito di una tunica bianca Alla nudità che aveva concluso l'episodio di Me 14,51-52 si oppone il simbolismo della veste bianca (16,5: περιβεβλημένο ν στολήν λευκην) che interviene a rinforzare il tratto della sessione alla destra. Il verbo περιβάλλω ricorre 24 volte nel Nuovo Testamento, ma l'uso simbolico di Marco si avvicina soprattutto alle ricorrenze che troviamo nel libro dell'Apocalisse265 dove il particolare assume una forte valenza simbolica legata all'identità dei soggetti286. Circa il sostantivo στολή esso ricorre solo 9 volte in tutto il Nuovo Testamento, di cui 4 associate al colore bianco. Il «bianM c f r . GoiJRGUES M„ A ladroite.. , 213-217.223-225. Vedi anche DarONTJ„ «Assis à la droite...», 347-358.383-383.404-411; HHNOEI. M„ «Setze dich zu meiner Rechren! Die Inthronisation Chris ti zur Rechten Gottes und Psalra 110,1» in: PHILONENKO M. (ed.), Le Ttófte de Dieu (WUNT 69), Tiib'ingen 199 3,119-122. i " ' C f r . A p 3 , 5 . J 8 ; 4,4;7,9.13; 10,1; U,3; 12,1; 17,4; 18,16; 19,8.13. C f r Mt 6,29.31; 25,36.38.43; Le 12,27; 19,43; At 12,8. Un rilievo particolare assume invece il gesto ironico del rivestimento di e s ù i n L c 2 3 , l l e G v l 9 , 2 .
218
5 - Ruolo e significato di Me 16,1-8
co» viene espresso attraverso una forma aggettivale in A ρ 6,11; 7,9,13 e attraverso una forma verbale in Ap 7,14. Particolare rilievo assumono i due passaggi di Ap 7,9.13 in quanto si presentano in perfetto parallelismo con Me 16,8: la grande folla che non è possibile calcolare è avvolta in bianche vesti' (Ap 7,9: περιβεβλημένους στολάς λευκός) e quando viene sollevata la domanda circa la loro identità (Ap 7,13: Ούτοι οι περιβεβλημένοι τ ό ς στολάς τός λευκός τίνες είοίν) la risposta non lascia alcun dubbio: si tratta di coloro che hanno seguito il Cristo fino ad assumere su di sé il mistero della sua passione e morte. La loro identità è ulteriormente chiarita in Ap 7,14: essi sono coloro che hanno lavato le loro vesri (Ap 7,14: στολάς αυτών) e le hanno rese bianche (έλεύκαναν) nel sangue dell'Agnello. A queste ricorrenze ne possiamo aggiungere altre due: ai martiri che chiedono fino a quando Dio non vendicherà il loro sangue, viene donata una veste bianca (Ap 6,11: στολή λευκή) chiedendo loro di pazientare ancora un poco; allo stesso modo, nel dialogo conclusivo, rievocando il passaggio di 7,14 vengono dichiarati beati «coloro che lavano le loro vesti» (Ap 22,14: οί πλύνοντες τάς στολάς αυτών). U. V A N N I mette in guardia dal rischio di interpretare questi brani solo come un iiferimento alla condizione trasfigurata di chi è già passato a miglior vita287. Essi concernono l'intera comunità dei credenti nella sua duplice configurazi one di comunità terrena e di comunità celeste: «le vesti bianche dei salvati indicano la reciprocità della salvezza nella presa di coscienza gioiosa che se ne ha vedendola realizzata»288. Applicata al neaniskos, la veste bianca non esprime tanto il tratto di una figura angelica proveniente dalla sfera celeste, ma qualifica la figura del discepolo pienamente immerso nel mistero pasquale di Cristo. 5.3.3.3 Annunciatore della risurrezione Nella sua nuova condizione segnata dalla piena immersione nel mistero pasquale del Maestro, il neanùkos diventa annunciaJW È l'ipotesi di LOHMEVEK H-, Die Qffenbarung des Johannes ( H N T 1 6 ) , Tiibingen 1 9 5 3 , 34, a sostegno della quale viene portata un'ampia documentazione della letteratura apocalittica, Cfr. anche CHARLES C H., A Critiailand Exegettcal Commentar? on the Rsvehtion of St. John (ICC 14), voi. I, Edinburgh 1920, 184-188. ^ VANNI U„ L'Apocalisse. Emjer.eutka, esegesi e teologia (SRivBib 17), Bologna 1988, 44. Cfr. al riguardo tutta l'esposizione circa il simbolismo antropologico e cromatico nelle pp. 40-52.
2195.Ruolo e significato di Me 16,1-8
tore della risurrezione schiudendo il senso degli eventi concernenti la passione e morte di Cristo e spalancando gli ambiti soffocanti del timore e della paura delle donne. Egli si rivolge loro invitandole a lasciar cadere ogni inquietudine: Μή έκθαμβείσθε (16,5). Questo è il passo necessario per aprirsi alla rivelazione racchiusa nel sepolcro vuoto: Ί η σ ο ϋ ν ζητείτε τον Ν α ζ α ρ η ν ό ν τόν ¿σταυρωμένον (16,6). La specificazione «il Nazareno» richiama il Gesù della storia terrestre, storia terminata e inabissatasi nella morte e nel sepolcro, un cadavere a cui le donne sono venute a rendere gli ultimi onori; l'aggiunta «il crocifisso» evoca, invece, le pagine della passione appena narrata con il suo culmine nell'obbrobrio della croce28'. Questa è la visione parziale di cui le donne sono ancora prigioniere e che il giovane dischiude proclamando la risurrezione e indicandone il segno più evidente nel sepolcro vuoto: ήγέρθη, ουκ εστίν ώδε, 'ιδε ό τόπος δπου εθηκαν αυτόν (16,6). Da questo annuncio la storia umana rinasce proprio dal punto in cui era iniziata, in Galilea, e le donne sono invitate a divenirne le annunciatrici presso i Dodici, per iniziare insieme a loro un modo nuovo di vivere la sequela. Dopo la fuga e il silenzio delle donne, il lettore resta faccia a faccia con il neaniskos. Questa è l'unica figura che rimane in scena nel momento in cui l'evangelista chiude il suo racconto. Il mandato che costituisce il fulcro di tutta la storia della salvezza e che racchiude tutto il dinamismo della buona novella è lasciato alla responsabilità di coloro che lo hanno ascoltato. Essi possono chiudersi m un atteggiamento di timore, di silenzio e di fuga come le donne, ο ritrovarsi m pieno nella figura del giovane, assumendone i tre tratti principali: la sessione alla destra, simbolo della piena partecipazione alla figliolanza di Cristo; la veste bianca, espressione del dinamismo della salvezza operante qui e ora; l'annuncio della risurrezione, manifestazione di un mandato che scaturisce dalla personale esperienza del mistero pasquale290.
289
2,0
C f r . LÉGASSE S., Marc....
vol, II, 1002.
Cfr. PETERSEN N . R , «When is the End not tbe End? Literary Reflexions on the Ending of Mark's Narrative», Interp 34 (1980) 151-166; ViCNOLO R., «Una finale reticente...», 186-187; HESTERJ.D., «Dramatic Inconclusion...», 61-86, soprattutto 83-86. Secondo tali autori, io 16,8 Marco imiterebbe il lettore a sai in: sul palcoscenico della narrazione e ad assumere il ruoli) lasciato incompiuto dalle donne, «riscattando» la finafe del vangelo.
5.4 IL NEANISKOS E GESÙ
Il fatto che il neantskos di Me 16,5-7 vada identificato con la figura di un discepolo e non con quella di un «angelo» o di un «essere soprannaturale», non relativizza né diminuisce la portata del suo annuncio e l'esplicito rimando alla figura di Gesù. Anzi, proprio il contrasto che si viene a creare tra le donne e il giovane fa di quest'ultimo un indice puntato verso tutto il dinamismo salvifico die scaturisce dalla tomba vuota. Marco, da questo punto di vista, si presenta di una concretezza impressionante: non esiste annuncio di risurrezione né proclamazione della buona novella se non a partire dalla forte esperienza personale che di essa possono fare i discepoli. Ma in che senso il giovane di Me 16,5-7 può rinviare alla nuova identità di Gesù? In che senso egli è icona della risurrezione di Gesù? La risposta a tali interrogativi va ricercata ripercorrendo i tratti che qualificano il giovane (5.4.1) e le parole poste sulle sue labbra (5.4.2).
5.4.1 La presentazione del neattiskos
(16,5)
Se i tratti della sessione alla destra e della veste bianca ci dicono qualcosa circa la nuova identità del discepolo, a maggior ragione essi diventano un indice puntato verso la nuova identità del Maestro. Senza questo sfondo sarebbe veramente arduo tentare di spiegare come colui che in Me 14,51-52 è stato chiamato in scena dall'evangelista come simbolo della fragilità generale del discepolato possa ora diventare il simbolo di un'immagine «redenta» della sequela, con la quale ogni cristiano è chiamato a confrontarsi.
f,„
5 4.1.1 Assiso alla destra
È l'esegeta H . W A E T I E N a sottolineare con decisione il legame che viene a stabilirsi tra il giovane e Gesù a partire dall'espressione καθήμενο ν έν τοις δεξ'ιοις: il neaniskos è in tal senso il riflesso dell'elevazione di Cristo alla destra del Padre, particolare che riceve una significativa attenzione da parte di diversi redattori neotestamentari"1. La sua posizione compie le parole che Gesù, in risposta alla domanda del sommo sacerdote, aveva pronunciate in Me 14,62: «Vedrete il Figlio dell'Uomo seduto alla destra della potenza (έκ δεξιών καΟήμενον της δυνάμεως) e venire con le nubi del cielo»292. Questo testo unisce due oracoli veterotestamentari: quello del Sai 110,1 che la tradizione cristiana ha ritenuto compiuto e realizzato nella risurrezione di Gesù accompagnata dalla sua ascensione alla destra del Padre, e quello di Dn 7,13 che descrive l'ascesa del Figlio dell'Uomo al trono di Dio: «Guardando ancora nelle visioni notturne ecco apparire, sulle nubi del cielo, uno simile a un Figlio d'Uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui che gli diede potere, gloria e regno». Il Figlio dell'Uomo ascende per ricevere l'investitura regale295. Del resto - come viene fatto notare nell'articolo di R. SCROGGS e K.I. GROFF - il cristianesimo delle origini ha sovente compreso la risurrezione di Gesù non tanto sullo sfondo delle apparizioni, ma piuttosto su quello dell'intronizzazione del Cristo alla destra del Padre, per ricevere la definitiva investitura regale ed essere il principe cosmico ed escatologico294. È proprio a partire da questi elementi che è possibile cogliere nel giovane assiso alla destra non solo il discepolo che partecipa alla condizione vissuta dal Cristo, ma anche un indice chiaro puntato verso la risurrezione del Maestro. Questa duplice possibilità interpretativa emerge in modo chiaro nella lettera di Paolo agli Efesini dove l'immagine della sessione alla destra viene applicata prima a Cristo e poi ai credenti:
Cfr. At 2,33-34; 7,55-56; Rm 8,34; Ef 1,20, Col 1,13; Eb 1,3; 8,1; 10,12; 12,2; lPt3,22; Ap5,1.7. Cfr. WAEIJEN H„ «The Ending...», 114-131, soprattutto 120-121. 2,5 Cfr. BoiSMAKD M.-E. - BENOITP., Synopse..., vol. il, 404-406. Cfr. SCROCGS R - GROFF K.I., «Baptism in Mark...», 535-536. Per i riferimenti bibliografici vedi la nota 14 dello stesso articolo.
222
5. Ruolo e significato di Me 16,1-8
Ef 1,20; έγείραζ αυτόν έκ νεκρών και καθίσας έν δεξιφ αύτοΰ έν τοις έ7εουρανίοις Ef 2,6; και συνήγειρεν και συνεκάθισεν έν τοις έπουρανίοις έν Χριστφ Ί η σ ο ΰ Il parallelismo tra i due passaggi è evidente. L'idea di una stretta relazione tra Cristo e i credenti in Ef 2,6 è ribadita non solo dal prefisso συν- ma anche dall'espressione έν Χριστφ Ίησοΰ. È possibile che quest'ultima significhi semplicemente: «attraverso l'azione salvifica di Gesù Cristo»2 , ma secondo alcuni autori è molto più probabile un'altra traduzione più intensa: «essendo stati incorpo rati in Cristo»296. In ogni caso, l'autore della lettera sta ribadendo che ciò che Dio ha operato in Cristo, quest'ultimo lo attua nei credenti. Riteniamo opportuno citare, al riguardo, l'autorevole com mento dell'esegeta R. P E N N A : «Il Cristo della lettera... è sostanzialmente il Glorioso, colui che è salito al di sopra di tutti i cieli (4,10). A lui il battezzato è conformato, al punto di essere detto egli stesso non solo risorto, ma anche asceso (...). Una simile prospettiva teologica, tutt'altro che indurre i lettori ad atteggiamenti di di sincarnazione ο di disprezzo del contesto storico, tende solo a ricordare loro la nuova dignità acquisita, interiore, ma profondamente reale, che conferisce al battezzato (come al Risorto: cfr. 1,21) una libertà radicale nei confronti di qualsivoglia forma terrena di potenza mortificante»2*7. 5,4.1.2 Rivestito di una tunica bianca Considerazioni simili possono essere avanzate circa la tunica bianca. È ancora U. VANNI a esprimersi con maggior chiarezza sull'argomento, sottolineando il forte nesso esistente tra il bianco degli abiti e il Cristo risorto. Il bianco appartiene a quest'ultimo ed esprime le molteplici implicazioni della trascendenza tipica del risorto sul quale si radica la nuova identità del credente298. E proprio questo richiamo alla trascendenza che ha indotto molti commentatori a identificare il giovane con un angelo. Abbiamo ™ Cfr. AUAN J.A., «The "In Christ" Formula in Ephesians», NTS5 (1958-59) 58. ** Cfr. LINCOLN A.T., Ephesians (WBC 42), Dallas 1990, 105. ™ PENNA R., lettera agli Efesini (SOCr 10), Bologna 1988, I H . ® e cfr. VANNI U„ L Apocalisse..., 51. Cfr. anche MicHAEUS W., «λευκός...», 657-682.
223 5. Ruolo e significato di Me 16,1-8
gjà avuto modo di sottolineare nelle pagine precedenti come il sostantivo στολ,ή sia decisamente inutilizzato nella descrizione di figure angeliche. È invece significativo il fatto che il termine nella letteratura patristica sia stato presto impiegato sia per indicare la natura umana di Cristo ο il suo corpo, sia per descrivere l'abito consegnato ai battezzati, nel quale veniva espressa esteriormente la configurazione a Cristo attuatasi mediante il sacramento299. Su questo sfondo merita senz'altro un cenno il racconto marciano della trasfigurazione di Gesù, nel quale Marco (9,3: και τά ιμάτια αυτού έγενετο στίλβοντα λευκά λίαν, ο ί α γναφεύς έίά της γης ού δύναται ούτως λευκαναι) con l'aggettivo e il verbo sottolinea il biancore delle vesti del Maestro molto più che i passi paralleli di Mt 17,2 (τά δέ Ιμάτια αυτού έγενετο λευκά ώς τό φως) e di Le 9,29 (και ό Ιματισμός αυτού λευκός έξαστράπτων).
5.4.1.3 Un neaniskos A Gesù rimanda anche lo specifico termine usato dall'evangelista in 1 6 , 5 : neaniskos. Secondo E . P E T C R S O N , tale vocabolo suscita nella mente del lettore del primo secolo un possibile accostamento con la figura del Risorto. Ne sarebbero prova i diversi passaggi della letteratura apocrifa dove i termini π αίς, νεανίσκος, νεανίας, e ιιαιδίον sono spesso utilizzati per descrivere le apparizioni del Signore agli apostoli e agli altri discepoli500. Il termine ricorre negligi«/ di Giovanni (150 ca. d.C.) dove Drusiana dichiara che il Signore è apparso sotto le sembianze di un giovane (ώς νεανίσκος). Nello stesso testo egli si manifesta a Giacomo come un adolescente imberbe (άρχεγενειος νεανίσκος)501. Negli Atti di Tommaso, 27 (250 ca.) il Cristo è un giovane che reca tra le mani un cero molto luminoso (νεανίας λαμίϋάδα άνημένην
m
C f r . LAMPE S . W . , A Patristic...,
1 2 6 1 1 2 6 2 . C f r . a n c h e l ' a n a l i s i d i WN.CKENS U . ,
«στολή...», 1275-1286 della quale, tuttavia, non condividiamo l'interpretazione circa ME 16,5 e quella di MICHAEUS W.( «λευκός...», 657-682. Per quanto riguarda i testi battesim a l i cfr. CIRILLO DI GERUSALEMME, Le catechesi.
., X X , 2 ; X X I I , 8 ; GIOVANNI CKISOSTOMO,
Le catechesi battesimali (CTePa 31), VI, 24.27. Vedi anche l'articolo di SMIIHJ.Z., «The Garment...», 1-23. Cfr. FEtekSON E., Friihkìrcbe, ]udentum undGnosis. Stud ten und Vntersucbmgen, Rom e 1959, 191-196. 501
Cfr. CORSARO F , Le ΠΡΑΞΕΙΣΣ Giovanni, Catania 1968,69.71.
5. Ruolo e significato di Me 16,1-8
224
κατέχων) 302 ; nei panni di un giovane lo ritroviamo anche nel testo apocrifo del Martirio di Matteo, 17 (400 ca.) dove l'imperatore dei Medi afferma che Gesù è apparso sfolgorante come un giovane uomo (νεανίσκος) di bell'aspetto303 Come osserva A . A M M A S S A R I esiste tutta una tradizione andea che associa i termini νεανίσκος e νεανίας alle apparizioni personali di Gesù. Se a questo particolare aggiungiamo anche le annotazioni dell'evangelista che colloca l'episodio all'alba, all'interno di una tomba, con il giovane assiso alla destra, rivestito di un abito bianco, il rinvio al Risorto non può più essere messo in dubbio, anche se non si può parlare di una identificazione tra i due"*.
5,4.2 Le parole del neaniskos
( 16,6-7)
Se la descrizione del giovane è un indice puntato verso la nuova condizione vissuta dal Cristo, a ciò orientano ancor più le sue parole. Il suo annuncio alle donne riassume il ministero pubblico di Gesù (Ίησοΰν ζητείτε τόν Ναζαρηνόν) e la sua passione (τον έσταυρωμένον), trasformando il luogo che dovrebbe testimoniare la sua morte (ΐδε ó τόπος οπού εθηκαν αυτόν) nel segno della sua risurrezione (ήγερβιΐ, ουκ εστίν ώδε). La stessa evocazione della promessa di Me 14,28 diventa garanzia della fedeltà del Maestro alle sue promesse e all'appello dei suoi discepoli. E.L. SCHNELLBACHER dà particolare rilievo alle parole del giovane mettendo in luce come esse riprendano i due momenti salienti di cui lo stesso neaniskos è simbolo: l'umiliazione della croce, anticipata nell'episodio di 14,51-52, e la buona novella della risurrezione evocata da 16,5-73M. Come è stato notato da diversi commentatori, le parole del neaniskos ripropongono il kerygma fondamentale dell'antica formula di fede di iCor 15,3-5 rispetto alla quale sono riconoscibili analogie di vocabolario e di struttura: in entrambe viene menzionata la morte del Maestro, la sua risurrezione e l'annuncio distinto ai discepoli e a Pietro. Proprio per tale motivo Cfr, BONNET Μ (ed.), «Acta Thomae» in: Acta Aposlolorum Apocrypha, vol. III, Lipsiae 1903,143. ,M Cft. BONNET M, (ed.), «Martyrium Matthaei» in: Acta Aposlolorum Apocrypha, vol. I, Lipsiae 1898,238. "" Cfr. AMMASSARI Α., La risurrezione..., 131-132. m Cfr. SCHNELLBÄCHERE.L., «Das Rätsel.. .», 130.134.
2255.Ruolo e significato di Me 16,1-8
Me 16,6-7 è spesso considerato come l'anello di congiunzione tra il più antico «vangelo orale» centrato sul mistero pasquale e il succ e s s i v o «vangelo scritto» che recupera tutta la vicenda terrena di Gesù506. U messaggio del giovane dovrebbe provocare un capovolgimento nell'atteggiamento delle donne, una conversione che l'evangelista sottolinea utilizzando al v. 7 la particella άλλα: non è questo il momento in cui esse si devono attardare a osservare la tomba ο a cercare il cadavere di Gesù; al contrario, le donne sono invitate a partire per annunciare il compimento della sua promessa: μετά TÒ έτερθήναί με προάξα) υμάς εις την Γαλιλαίαν (14,28). Il futuro è ora divenuto un presente (16,7: προάγει ύ μ α ς είς την Γαλιλαίαν), segnalando un ulteriore indice puntato verso la realtà della risurrezione507. La stessa Galilea, luogo della prima vocazione al discepolato (Me 1,14-20), diventa ora il contesto di una nuova sequela illuminata dalla pienezza del mistero pasquale. Le parole del giovane, poste sullo sfondo della sua posizione e del suo abbigliamento, collocate all'interno di una cornice che ha come primo tratto il sorgere del sole e come secondo la rimozione della pietra che sigilla l'ingresso del sepolcro, rimandano così verso la nuova condizione vissuta da Gesù e verso il compimento del terzo aspetto menzionato negli annunci del mistero pasquale: la risurrezione (8,31; 9,31; 10,34)5β8. Come il giovane, ogni discepolo è chiamato a farsi portavoce della buona novella, manifestando nei suoi gesti e nelle sue parole la forza dinamica e operante della salvezza.
m
Cfr. GNUKA]., Marco
16; POKORNY P., «Zur Entstehung der Evangelien», NTS 32
(1986) 3 9 3 - 4 0 3 ; VIGNOLO R „ « U n a f i n a l e r e t i c e n t e . . » , 1 5 3 - 1 5 4 . w C f r . LÉGASSE S„ Marc.,., vol. I I , 1 0 0 3 - 1 0 0 4 ; KREMEKJ., Die
OsterevangeUen-Geschichten
um Geschichte, Klostemeuburg 1977, 39. ,oe Come fa notare COMKBT-GALLAND C, la pericope conclusiva del secondo vangelo è un invito pressante a elevare lo sguardo verso una nuova dimensione che coinvolge il Maestro e i discepoli: ad esso contribuiscono i verbi impiegati dall'evangelista che evocherebbero un costante movimento verso l'alto. L'esegeta ne menziona tre: il levarsi del sole (àvateiï.avzoç), lo sguardo delle donne ( à v t x P W y a a a i ) e la rimozione della pietra (àvaKEKVÀiotai). Cfr. «Qui roulera la peur? Finales d'Evangile et figures de lecteur (A partir du chapitre 16 de l'évangile de Marc)», ETR 65/2 (1990) 171-189, soprattutto 188.
5.5 UNA CONCLUSIONE A SORPRESA
II vangelo di Marco si chiude lasciando sulla scena un solo personaggio: il neaniskos assiso alla destra e vestito di bianco. L'annuncio che ha affidato alle donne non è stato riferito ma, nonostante ciò, la «buona novella» ha potuto raggiungere il lettore. Due interrogativi si impongono: come è possibile che dopo aver insistito tanto sulla fragilità e sul fallimento dei discepoli, Marco concluda il proprio vangelo esattamente con il neaniskos, personaggio a cui resta legato l'episodio della fuga generale dei discepoli (14,50) e l'immagine della nudità (14,52)? Come ha potuto la buona novella raggiungere il lettore se le donne, uniche testimoni, l'hanno soffocata sul nascere nel silenzio e nel timore (16,8)?
5.5.1 Dalla nudità alla veste bianca Chiudere il vangelo lasciando sulla scena la solitaria figura del neaniskos assiso alla destra e avvolto in una tunica bianca, diventa altamente significativo quando si colloca questo episodio all'interno della grande sezione dedicata al mistero pasquale (14,51-16,8). Tre le considerazioni principali che meritano di essere evidenziate: 1. E ormai evidente il nesso che lega l'episodio di Me 14,51 52 a quello di Me 16,1-8. In entrambi i casi la figura del giovane è un indice puntato sia verso l'esperienza di sequela dei discepoli che verso il mistero pasquale vissuto dal Maestro. Il primo brano anticipa la passione e la morte di Gesù sotto il segno della spogliazione umana e spirituale più estrema: tale momento della sequela coinvolgerà in prima persona tutti i discepoli mettendo in luce tutte le ambiguità della loro disponibilità al Maestro e spogliandoli interamente da ogni forma di sicurezza e di slancio. Il secondo brano rimanda invece alla risurrezione di Gesù, intronizzato alla destra del Padre, una posizione che è destinata a
227 5. Ruolo e significato di Me 16,1-8
coinvolgere, uno dopo l'altro, tutti i discepoli sotto ii segno del r j t r o vamento di una dignità piena e di una rivisitazione della sequela secondo una prospettiva del tutto nuova: alla luce del mistero pasquale è necessario ripartire dalla Galilea. 2. La spogliazione e l'esperienza della propria nudità non sono pertanto fine a se stesse. Se colte in se stesse esse rischiano di essere biasimevoli; in vista di qualcosa d'altro di ben più grande esse possono diventare «necessarie». Per i discepoli la nudità costituisce la condizi one necessaria che li espone totalmente al dono di Cristo in croce, ponendoli di fronte ad esso con la piena consapevolezza dei limiti e delle ambiguità della loro sequela e della sproporzione esistente tra il dono del Maestro e la loro risposta. Per Gesù la nudità è necessaria al fine di compiere la volontà del Padre e inaugurare la sua regalità sul mondo. Tale regalità si manifesta in tutta la sua potenza proprio nel momento in cui egli assume su di sé tutto il male dei peccatori e la logica di morte che lo caratterizza, facendone i luoghi abitati da Dio. Ma tale esperienza non è e non può essere fine a se stessa. Per i discepoli la nudità diventa la tappa necessaria per rivestire la nuova dignità dei figli di Dio, di cui il neaniskos di 16,5-7 è icona; è così che per Gesù la croce diventa l'esperienza necessaria per essere intronizzato alla destra del Padre. 3. Chiudendo la sua buona novella con la pericope di 16,1-8, Marco costringe il lettore a riflettere sulle due possibilità a cui si può aprire la sua sequela del Cristo: la possibilità o - meglio - il rischio di soffocare la forza del vangelo nella paura, nella fuga e nel silenzio delle donne (atteggiamenti che, in fondo, poco si diversificano dalla fuga generale dei discepoli in Me 14,50, dalla delusione suscitata dal neaniskos in 14,52 e dal tradimento di Pietro in 14,66-72), o la possibilità di assumere fino in fondo la potenza salvifica del mistero pasquale, varcando lo scandalo della croce e facendo propria la dinamica della risurrezione, come il neaniskos di 16,5-7. Come si può notare, il neaniskos resta ai due poli dell'esperienza che costituisce la prova del fuoco della sequela cristiana: il mistero pasquale. Sta a ognuno decidere se fermare il proprio itinerario di fede sull'orizzonte del primo (14,51-52) o se estenderlo fino a inoltrarsi nell'orizzonte del secondo (16,5-7).
228
5. Ruolo e significato di Me 16,1-8
5.5.2 E vedeva a distanza ogni cosa... Per rispondere al secondo quesito, con il quale ci si chiedeva come la buona novella avesse potuto raggiungere i lettori se effettivamente le donne non hanno riferito nulla, è necessario tenere presente l'intera trama narrativa del vangelo. In tutta la prima parte (Me 1,1-8,30), uno dei temi principali sviluppati da Marco è stato quello dell'identità di Gesù: l'evangelista sottolinea a più riprese - e con una certa insistenza - che i discepoli non capiscono, non comprendono, non riescono a penetrare tino in fondo le parole e l'identità del Maestro (1,27; 4,13.40-41; 5,42; 6,49-52-, 7,18; 8,17-21). Tale contrasto, come già rilevavamo, è ancora più evidente se si tiene presente la premurosa «catechesi» che Gesù espone unicamente per i discepoli dichiarandoli come gli unici a cui il mistero del Regno viene rivelato e affidato (4,11-12). In disparte, essi vengono continuamente istruiti e aiutati a comprendere (4,10-20.34; 6,30-32; 7,12-23). A un certo punto, tuttavia, lo stesso Maestro prende coscienza della loro totale distanza e ciò fa scattare quel duro ri riproverò in cui viene radicalmente messa in questione la dichiarazione di Me 4,11-12. Lo schema qui riportato può aiutare a mettere in luce il contrasto tra le due affermazioni: 4,11-12 A voi è stato confidato il mistero del Regno a quelli di fuori invece perché guardando, guardino (pXéTwaaiv) ma non vedano (iSftxnv) ascoltando, ascoltino (àvxrÙGxnv) ma non intendano (crovicocnv)
8,17-21 Non intendete (νοείτε) e non capite (συνίετε) ancora? Avete occhi e non vedete (βλέπετε) avete orecchi e non udite (άκούετε)? Non capite (συνίετε) ancora?
L'incomprensione dei discepoli è pertanto forte. Eppure, in 8,29 il lettore si trova confrontato con la risposta chiara e lineare di Pietro: «Tu sei il Cristo». Che cosa è successo perché uno dei Dodici arrivi bruscamente a riconoscere la vera iefen tità di Gesù? Marco non lo precisa. L'esegeta M.-E. BoiSMARD suppone un vero esproprio intervento divino perché Pietro «veda» in Gesù il Cristo. E ciò che esplicherebbe in seguito Matteo riprendendo l'episodio: «Bea-
2295.Ruolo e significato di Me 16,1-8
te, Simone, figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli» (16,17)309. Nella seconda parte del vangelo (8,31-16,8) il procedimento narrativo è lo stesso. In questione non è più l'identità del Maestro ma il tema della sequela. Anche in questo caso, Marco sottolinea con una certa insistenza la fatica dei discepoli di far proprie tutte le esigenze legate al discepolato, a cominciare da Pietro (8,32; 9,32; 10,24.26.32); anzi, propn'o nei momenti in cui il Maestro è più esplicito nel descrivere il compimento della sua missione, i discepoli appaiono stranamente «assenti» e immersi in pensieri di tutt'altra natura (9,33-37; 10>35-45). Tali segni anticipano una conclusione umiliante dove la sequela emerge in tutta la sua inconsistenza: uno tradisce (14,20); i discepoli prediletti che avrebbero dovuto vegliare insieme al Maestro si addormentano (1432-42); tutti si danno alla fuga (14,50); un giovane sembra restare fedele al Maestro, ma poi abbandona anche lui la scena nudo (14,51-52); Pietro fa un tentativo di seguire il Maestro da lontano, ma alla fine cede e lo rinnega tre volte (14,54.66-72); le donne, uniche a reggere davanti alla croce e uniche testimoni dell'annuncio pasquale, si danno anch'esse alla fuga tacendo il messaggio che racchiude il nucleo della salvezza (15,40.41.47; 16,1-8). L'inconsistenza dei discepoli è, pertanto, anche qui forte. Eppure in 16,5-7 il lettore si trova confrontato con l'annuncio chiaro e lineare di un neaniskos, l'unico che sembra aver colto il senso di tutto il mistero della passione e morte di Gesù. Che cosa ha provocato questo ribaltamento nella vicenda del neaniskos? Pure in questo caso Marco non lo dice, ma siamo propensi a supporre, ancora una volta, un intervento divino che ha fatto in modo che la potenza del mistero pasquale toccasse in profondità i discepoli, comunicando loro quel coraggio e quell'intelligenza di cui erano privi. È ciò che espliciterebbe in seguito Luca negli Atti degli Apostoli3'0. Verso tale lettura ci spinge del resto un episodio significativo narrato unicamente da Marco e situato proprio sulla linea di confine che accosta la prima metà del vangelo dedicata all'identità di Gesù, alla seconda incentrata sulle esigenze della sequela: si tratta dell'episodio di Me 8,22-26. In esso viene narrato l'unico intervento to
l ' h a n n o
m
Cf.c BOISMARD M. E., Jesus, unhomme...,
106-109.
il
° c f r . BOISMARD M . E . , Jesus, un homme...,
175-176.
230
5. Ruolo e significato di Me 16,1-8
di guarigione di tutto il Nuovo Testamento, in cui Gesù non riscuote successo al primo colpo. E.S. JOHNSON, commentando questo brano, ritiene che esso non sia preservato da Matteo e da Luca, non tanto a motivo dell'iniziale insuccesso del Maestro, ma piuttosto a motivo della stretta ed evidente associazione tra la pericope e il tema della cecità dei discepoli3". Marco inserirebbe, pertanto, questo episodio all'interno della narrazione, per sottolineare un insegnamento chiave: chi si pone alla sequela di Gesù non potrà penetrare con chiarezza la forza della buona novella fino al momento in cui non si porrà di fronte all'incontro con il Risorto: «Their myopia will be turned to sight when they understand Jesus' logos about the meaning of Christian discipleship and his teaching about his own suffering, death and resurrection. They will "see clearly" when they experience the presence of the risen Christ more fully in their own lives»"2. Il vangelo si è potuto diffondere, nonostante il silenzio delle donne, perché una persona - il neaniskos - , grazie a un intervento del Risorto, ha fatto esperienza in modo pieno di tutto il mistero pasquale. Proprio per tale motivo in lui tutto diventa annuncio di risurrezione: la sua posizione, il suo abbigliamento e le sue parole.
^ " ' C F C J A INSON E.S., «Mark Vm.22-26. The Blind Man from Bethsaida», NTS 25 (1979) 3 7 1 M 8 3 . C f r . a n t - h e STANDAEKT B„ Marc. Composition JLI JOHNSON E . S . , « M a r k V I N . 2 2 - 2 6 . . . » , 3 8 3 .
. . 112-118
5.6 CONCLUSIONE
La pericope di Me 16,1-8, posta come epilogo di tutto il vangelo e come conclusione della sezione dedicata al mistero pasquale, è indispensabile per comprendere il significato e il ruolo del neaniskos di Me 14,51-52. Le motivazioni che, al termine di questa parte, possiamo addurre sono almeno tre: 1. in primo luogo, Me 16,1-8 viene a confermare la duplice valenza simbolica legata alla figura del giovane in Me 14,51-52: questi è un indice puntato verso l'esperienza di sequela dei discepoli, ma anche verso l'identità profonda di Gesù; 2. il tratto della nudità presentato in Me 14,52 non costituisce un particolare curioso che l'evangelista menziona en passarti ma, al contrario, richiama quella spogliazione necessaria che anticipa una profonda esperienza del mistero pasquale, indispensabile per tradurre in annuncio autentico la forza della buona novella; 3. anche all'indomani della Pasqua, il discepolo resta fortemente esposto al rischio di non assumere su di sé i tratti della novità pasquale che possono essere perfettamente contemplati nel giovane che le donne incontrano all'interno del sepolcro. Non varcare lo scandalo della croce o temere di recare l'annuncio di un Messia crocifisso e risorto equivale a restare prigionieri di quella paura, di quel silenzio e di quella fuga destinati semplicemente a soffocare la buona novella e ad abbandonare il discepolo in uno stato di nudità, con tutto ciò che questo può evocare. Tale rischio è particolarmente enfatizzato dall'evangelista attraverso il forte gioco di contrasti che caratterizza tutta la pericope di Me 16,1-8. Ogni discepolo è invitato a «lasciare il proprio mantello» per rivestirsi della pienezza del mistero pasquale. La nudità è, sì, una tappa «necessaria», ma solo se colta nel contesto di un cammino che dallo scandalo della croce porta all'esperienza profonda e viva della morte e risurrezione di Gesù.
232
5. Ruolo e significato di Me 16,1-8
Lo stretto nesso che lega Me 14,51-52 e Me 16,1-8, e che si è andato approfondendo lungo il nostro lavoro, rende ora opportuni alcuni cenni circa un'altra questione. Se l'immagine della spogliazione evocata da Me 14,52 non è fine a se stessa, ma costituisce una tappa necessaria in vista del «rivestimento» di cui è icona il giovane di Me 16,5-7, questo non costituisce, forse, un motivo in più per dare ragione a quegli studiosi che leggono nell'episodio un indizio di una liturgia battesimale513? Allo stato attuale della ricerca, cosa possiamo affermare circa la stretta associazione tra il tema della spogliazione-rivestimento e il contesto di tale sacramento? A questi interrogativi abbiamo pensato di dedicare un breve excursus conclusivo che ci permetterà di tirare le fila di tutto il nostro lavoro.
I n o r d i n e di t e m p o c f r . SCROGGS R . - GROFF K . I . , « B a p t i s m in M a r k . . . » , 5 3 1 - 5 4 8 ; SMITH M . , Clement of Alexandria..., 1 7 3 - 1 7 8 ; CSOSSAH J . D . , « E m p t y T o m b . . . » , 1 3 5 - 1 5 2 ; STANDAEFXB„Marc Composition..., 1 5 3 - 1 6 8 ; I D E M , M a r c . . . , 1 0 3 - 1 0 4 ; L A VERDIEREE.A., « R o b e d in R a d i a n t W h i t e . . . » , 138-142; STOCK A . , The Method..., 3 7 3 . 3 7 5 ; ATTINGER D „ Marco..., 1 4 0 - 1 4 1 ; LAMAR£H£ P., Marc..., 340-341.
6 EXCURSUS DALLA NUDITÀ ALLA VESTE BIANCA Uno sfondo battesimale al secondo vangelo?
6.1
INTRODUZIONE
Dopo aver messo in luce l'importanza dell'episodio di Me 14,5152 nel contesto del mistero pasquale di passione, morte e risurrezione (presentato in Me 14,51-16,8), ci sembra opportuno prendere in considerazione l'ipotesi di una possibile interpretazione battes'tmale del breve episodio. Le conclusioni a cui siamo pervenuti lungo la nostra ricerca ci obbligano a chiederci: il fatto che il racconto del mistero pasquale si apre con la spogliazione del neamskos e si chiude con il medesimo personaggio avvolto in una veste bianca non rende forse plausibile una simile interpretazione? Tenteremo di rispondere a questo interrogativo verificando, prima di tutto, se esistono altri indizi all'interno del secondo vangelo che permettano di evocare un contesto battesimale. Approfondiremo quindi la portata della duplice immagine concernente la nudità (spogliazione) e la veste bianca (rivestimento), mettendone soprattutto in rilievo la sua presenza in alcuni testi biblici ed extrabiblici. Questa operazione ci permetterà di individuare un termine cronologico a partire dal quale il gesto della spogliazione e del rivestimento assume una particolare portata teologica all'interno della celebrazione del battesimo. Questa parte della nostra ricerca si dividerà, pertanto, in due sezioni: nella prima affronteremo i testi marciani esplicitamente legati al tema del battesimo (6.2), mentre nella seconda tenteremo di ricostruire lo sviluppo storico della simbologia legata al rito della deposizione delle vesti, partendo dalle antiche testimonianze battesimali a noi pervenute attraverso la letteratura patristica, apocrifa ed extra-biblica e risalendo nel tempo fino alle testimonianze lasciateci dall'epistolario paolino (6.3). L'obiettivo di questa parte della nostra ricerca non è tanto quello di riprendere in considerazione alcune osservazioni già avanzate da altri studiosi al fine di ribadire la possibilità di uno sfondo battesimale al secondo vangelo, ma piuttosto quello di verificare i diversi indizi da loro offerti sullo sfondo di tutto lo studio condotto finora.
6.2 I L T E M A
D E L
B A T T E S I M O
I N
M A S C O
II secondo vangelo presenta tutta una serie di indizi che fanno supporre uno sfondo battesimale alla sua stesura. Essi sono stati oggetto di un particolare studio da parte dell'esegeta B. S T A N D A E R T , secondo il quale il vangelo di Marco dovrebbe essere identificato come un'haggada pasquale: esso sarebbe stato redatto con il preciso scopo di venire letto durante la grande veglia notturna che segnava il passaggio dal sabato alla domenica di risurrezione, dopo il 14 di Nisan, per introdurre i catecumeni al rito del battesimo, conferito all'aurora314· Ma quali sono gli indizi che sostengono tale ipotesi? In che senso si può affermare che il battesimo riveste un ruolo centrale all'interno del secondo vangelo?
6.2.1 Indizi di un contesto battesimale B. STANDAERT non rappresenta l'unico studioso che si è proposto di leggere il racconto di Marco come un testo iniziatico. La medesima prospettiva è adottata da G. D A M B R I C O U R T , il quale dedica un intero capitolo del suo studio per far emergere le tracce di uno sfondo battesimale al secondo vangelo5". Dopo la scena al Giordano (Me 1,9-11), secondo l'autore, Marco si propone di sviluppare tutti i benefici recati dal battesimo: la liberazione dal male, la guarigione, la purificazione, la remissione dei peccati, l'unione con Cristo, l'accesso al vero Shabbat, la salvezza...; tutti temi a cui viene dato spazio nella sezione iniziale del vangelo: Me 1,1-3,12. Gli stessi eventi che circondano l'episodio della trasfigurazione (Me 9,2-9) costituirebbero una presentazione del battesimo, qui descritto III
Cfr. STANDAERT B„ Marc. Composition..,, 496-515. Cfr. DAMBWCOURrG., Cimitati onchéti enne selon Saint Marc (ThB 4), Paris 1970, 31-53. 115
237
(j. Excursus
una prospettiva più «positiva»: non si tratta più di «purificazione» ma di «illuminazione». In tal senso un'espressione come quella in cui Gesù invita i suoi a caricarsi della croce (Me 8,34) evocherebbe l'imposizione sulla fronte del segno della croce; una benedizione come quella rivolta ai bambini in Me 10,13-14 diventerebbe un indice puntato verso il battesimo dei più piccoli; un gesto come quello del cieco che getta via il mantello (Me 10,50) evocherebbe il rito della spogliazione degli abiti. Il tutto è, a nostro parere, decisamente discutibile, ma l'ipotesi di fondo non va sottovalutata. Non a caso essa viene ripresa anche in un testo di C.M. M A S T I N I , il quale definisce il vangelo di Marco «un manuale per il catecumeno. Il vangelo di Marco è, cioè, un vangelo fatto per quei membri delle primitive comunità che cominciano l'itinerario catecumenale. Per Marco si può senz'altro parlare di vangelo del catecumeno»316. Ma quali sono gli argomenti più convincenti che ci spingono in questa direzione? 1. Il vangelo di Marco è l'unico che apre il suo sipario con un grande afflusso di popolo che si reca da Giovanni nel Giordano per chiedere il dono del battesimo: έγένετο Ιωάννης ό βαπτίζων έν τη έρήμφ και κηρύσσων βάπτισμα μετανοίας εις άφεσιν αμαρτιών (1,4). Nel solo prologo (1,2-13) il vocabolario legato al battesimo ricorre sei volte517, aspetto che assume un certo peso se si tiene presente che il prologo offre al lettore le chiavi per schiudere il senso dell'intera narrazione. Non solo. Al centro del prologo, Marco situa il battesimo di Gesù: esso segna una sorta di passaggio tra la condizione «irredenta» vissuta dall'uomo peccatore (bisognoso di purificazione), descritta in 1,2-8, e il ristabilimento della condizione paradisiaca da parte di Gesù descritta in 1,12-133IS. 2. In Me 1,8 Giovanni Battista presenta la figura di Gesù, anticipando un'azione che sembra non trovare compimento all'mtersecondo
514 MARTINI C.M., Litinerario iptnUtale dei dodici nel Vangelo di Marco (Letture bibliche), Roma 1987,7. iI? Due volte in 1,4; una volta in 1,5; due volte in 1,8 e una volta in 1,9. " ' S i tenga presente che il racconto delle tentazioni di Gesù nel vangelo di Marco ha effettivamente un tono totalmente diverso rispetto ai passi paralleli di ME 4,1-11 e Le 4,1-13. L'elemento portante che l'evangel ista vuole sottolineare è il ritomo alla condizione delle origini sotto due punti di vista: da un lato la vittoria sulle forze del male, espressa nella rinnovata possibilità di convivere pacificamente con le fiere, dall'altro la restaurazione della comunione tra l'uomo e Dio, espressa nel servizio degli angeli. Si confronti BOEMARD M.-E.
- BENOIT P „ Synopse...,
voi. II, 84.
238
6.Excursu»;1
no della narrazione: «egli vi battezzerà in Spirito Santo». Tale aspetto merita la nostra attenzione. Lungo tutto il vangelo diverse sono le predizioni concernenti il Maestro e tutte trovano il loro compimento: basti pensare ai tre annunci del mistero pasquale (8,31; 9,31; 10,33-34), alla predizione circa il tradimento (14,17), all'esplicita previsione della dispersione e dello scandalo dei discepoli (14,27), come pure alla promessa da parte di Gesù di precedere i suoi in Galilea all'indomani della risurrezione (14,28). Il fatto che la predizione circa il battesimo nello Spirito Santo non trovi il suo esplicito compimento all'interno della narrazione, induce a pensare che tale sia il contesto in cui il vangelo veniva letto alle origini. 3. Il tema del battesimo emerge in primo piano nella seconda parte della buona novella, là dove l'evangelista sviluppa il tema della sequela (8,31-10,45). In 10,38 Gesù si rivolge ai figli di Zebedeo con la seguente domanda: «Potete bere il calice che io bevo ο ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?». Calice e battesimo diventano in questo brano un richiamo al mistero della passione e morte a cui Gesù deve sottoporsi" 9 . Nel contesto della preghiera al Getzemani l'associazione tra il calice e la sofferenza del Maestro viene ripresa, non lasciando alcun dubbio circa tale rapporto: Αββα ό πατήρ, π ά ν τ α δυνατά σοι· παρένεγκε τό ποτήριον τούτο άπ'έμοΰ (14,36). Si noti come, in entrambi i passaggi, Marco tenga a sottolineare la necessità (o l'incapacità) da parte dei discepoli di condividere tale sofferenza: in 10,38 Gesù si rivolge a Giacomo e Giovanni con un'esplicita domanda riguardo a ciò, mentre in 14,31 è Pietro che enfatizza tale tema assicurando di essere disposto a morire con il Maestro (συναποθανεΐν σοι), promessa che viene subito condivisa da tutti gli altri. Sia i primi che il secondo lasceranno tuttavia completamente disattese le loro promesse. 4. Il quarto indizio va individuato nella struttura generale del vangelo di Marco che si snoda a partire da due temi chiave: la conoscenza dell'identità di Gesù e le esigenze legate alla sua sequela. La prima tematica viene sviluppata soprattutto nella prima parte920, mentre il tema della sequela viene approfondito nella "" Cfr. F e u i l l e t Α., «La coupé et le baptème de la passion (ME, X,35-40: cfr. Mt, XX,2023; Le, ΧΠ,50)», RB14 (1967) 356-391. iì0 Anche in seguito il tema non viene abbandonato. Basti tft 10,46-52; 11,27-12,12; 12,35 37; 14,61-62.66-72; 15,2.31-32.39; 16,6.
(j. Excursus
239 1
metà d e l vangelo" . In modo alquanto evidente la prima preoccupazione dell'evangelista è quella di far percepire fino in fondo cosa voglia dire essere discepolo di Gesù, aspetto che contribuisce a infondere al testo un tono «iniziatico». seconda
Questi indizi, uniti evidentemente ai diversi tratti che abbiamo lungo la nostra ricerca (l'abbandono del mantello, la nec e s s i t à dell'esperienza della spogliazione, la veste bianca...), sembrano confermare l'alta probabilità di uno sfondo battesimale nel secondo vangelo. C'è tuttavia un ulteriore segno che merita di essere approfondito: è il parallelismo che lega il battesimo di Gesù al Giordano in Me 1,9-11 agli eventi che accompagnano la sua mor te in croce in Me 15. rilevato
6.2.2 II battesimo come immersione nella morte di Gesù Se poniamo a confronto la pericope marciana del battesimo di Gesù (1,9-11) con gli eventi che accompagnano la sua morte (15,3437-38-40) ci rendiamo immediatamente conto che esiste una cena similitudine narrativa tra le due descrizioni. La cosa non è sfuggita agli studiosi che, analizzando i due passaggi, ne hanno messo in luce i parallelismi e ne hanno illustrato il significato322. Le corri spondenze più evidenti sono le seguenti: 1. Alla lacerazione dei cieli in Me 1,10 (είδεν σχιζομένους τους ουρανούς) corrisponde la lacerazione del velo del tempio in 15,38 (τό καταπέτασμα του ν α ο ΰ έσχίσθη είς δύο). Sono le due uniche ricorrenze marciane del verbo σχίζω. Il nesso tra le due immagini diventa ancora più evidente se si tiene presente la descrizione che G I U S E P P E F L A V I O fa del velo del tempio: secondo Io storico, su di esso era tratteggiata tutta la volta cele-
Anche in questo caso esso viene già anticipato nella prima parte. Basti cfr. 1,16-20; 2,13-15; 3,13-19; 6,1.7-13. Lo studioso C. FOCANT nella sua tesi di dottorato, Les disciples dans le second ¿vangile Tradition et rédaction, Louvain 1974, sottolinea come l'aspetto dell' insego amento e del discepolato riceva un rilievo tutto particolare nel secondo vangelo, che ne rafforza indirettamente il carattere iniziatico, sostenendo l'ipotesi di un contesto battesimale. m Cfr. JACKSON H.M., «The Death ofJesus...», 16 37; MOTYIÌR S., «The Rending...», 155-157; ULANSEY D„ «The Heavenly Veil Tom: Mark's Cosmic Inclusici», JBL 110 (1991) 123-125.
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ste525. In entrambi i passaggi marciani l'immagine ha una forte portata teologica: se nel primo brano la lacerazione dei cieli è simbolo dell'irruzione di Dio nella storia, nel secondo lo strappo del velo del tempio «dall'alto in basso» apre l'accesso di ogni uomo a Dio. i| 2. Sia in 1,10 che in 15,37-38 l'immagine che descrive la lacerazione dello spazio sacro è posta in stretta connessione con il dono dello Spirito: uscendo dalle acque del Giordano Gesù vede τό jcveù| ta ώς περιστερά ν καταβαίνον είς αυτόν, mentre in 15,37 la morte del Maestro è descritta attraverso il verbo έξέπνευσεν. · L'importanza di tale verbo risalta se teniamo presente che l'è- | vangelista conosce il termine normalmente usato per esprimere l'atto del morire - άποθνέσκο) - da lui impiegato in ben otto passaggi (5,35.39; 9,26; 12,19.20.21.22). Il fatto che egli decida di narrare la morte di Gesù sullo sfondo del verbo έκπνέω è pertanto significativo. Ci sembra quindi riduttivo considerarlo come un semplice eufemismo per descrivere la morte di Gesù524. Tra l'altro nell'interpretazione del termine vanno tenuti in considerazione anche i seguenti aspetti: a) in Marco la morte di Gesù segna lo schiudersi di una nuova realtà accompagnata dalla comparsa in scena di tutta una serie di figure positive (il centurione, le donne e Giuseppe d'Arimatea); b) il verbo έκπνέω si pone in contrasto con il violento grido che, di per sé, implicherebbe un verbo più «forte» nella descrizione della morte; c) se consideriamo i passi paralleli degli altri evangelisti, ci rendiamo conto che la morte è stata da tutti compresa come il momento in cui Gesù dona lo Spirito: ciò vale soprattutto per Mt 27,50 (άφήκεν το πνεύμα, ricordiamo che il primo vangelo è quello che manifesta un maggior parallelismo con Marco) e p e r G v 19,30 (παρέδωκεν το πνεύμα). Le 23,46 fa del verbo έξέπνευσεν il termine che esprime l'abbandono dello spirito di Gesù nelle mani del Padre (πάτερ, εις χ ε ί ρ ά ς σ ο υ παρατίθεμαι τό πνεύμα μου);
« La questione viene trattata nell'articolo di PEÌLETÌEA A., «La Tradition synoptique du "voile déchiré" à i a lumière des réalités archéologiques», RSR 46 (1958) 161-180. w Tale è l'opinione di B r o w n R E . , The Death. , ., vol. II, 1Q81.
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d) se la prima menzione dello Spirito in 1,8 apre il ministero di Gesù, l'ultima menzione in 15,37 lo chiude'25, 3. Il terzo evidente richiamo è legato al riconoscimento dell'identità di Gesù: colui che in 1,11 viene dichiarato dal Padre come ó xtìóg |iou ó ctTtxJOlTÓg, in 15,39 viene riconosciuto come tale per la prima volta da un uomo, un centurione: à>.r[0(ijg oittog ò &v0pCO7[Og m ò g ©eoù r|V. In 15,39 tutto il tema concernente l'identità di Gesù - enunciato a partire dal titolo del vangelo in 1,1 - raggiunge la sua tappa più significativa: nonostante l'obbrobrio e lo scandalo della morte in croce, un centurione riconosce in Cristo il Giusto che, come un figlio, resta sotto la protezione di Dio (cfr. Sap 2,16-20; 3,1 -4)316. Lo scandalo viene superato, divenendo il luogo a partire dal quale la storia si schiude sotto una luce totalmente nuova, 4, L'accostamento tra i due episodi è reso ancora più plausibile dai tratti che fanno da sfondo alle due scene. In entrambi i casi viene menzionata la figura di Elia: nella scena del battesimo il profeta viene evocato da Giovanni Battista, associato a Elia dallo stesso Gesù in Me 9,12-13; mentre al momento della morte il grido di desolazione del Maestro (15,34) viene frainteso come un appello estremo al profeta (15,36)377. A ciò si aggiunge ancora il fatto che i due episodi nella narrazione marciana aprono e chiudono il ministero di Gesù, sullo sfondo del medesimo movimento di ketiosi: in 1,9-11 Gesù si allinea con i peccatori che si presentano a Giovanni per ricevere il battesimo di purificazione328, mentre in 15,37 Gesù fa propria la morte più infamante, sottoponendosi alla croce. ^ La descrizione della mone di Gesù come sottolineatura di colui che porta lo Spirito è condivisa anche da Gundky R.H., Mark..., 949 e da pesch r . , // Vangelo.vol. II, 727728,
Cfr. boismakd M.-E., «Le titre...», 442-450. Cfr. BfiOWER K„ «Eb'ja in the Markan Passion Narrative», jSNT 18 (1983) 85-101. Si tenga presente che la descrizione marc iana ha due tratti ad essa propri·, da un lato Gesù in 1,9 non si distingue dalla folla dei peccatori menzionata in 1,5: nessuno dei presenti lo riconosce, nemmeno Giovanni il Battista. I passi paralleli di Mt 3,13-14 e di Gv 1,29-31 parlano al contrario di un esplicito riconoscimento da parte del Battista. Dall'altro lato, gli stessi «cieli aperti», come pure la discesa dello Spirito Santo e la voce divina vengono presentati da Me 1,10-11 come rivelazioni indirizzate e percepite dal solo Gesù, mentre la folla e Giovanni ne restano all'oscuro. Cfr. F e u i l l e t A„ «Le Baptême de Jésus d'après l'évangile selon saint Marc (1,9-11)», CBQ 21 (I959) 458-490; Idem. «Le Baptême dejésus», RB 71 (1964) 321 -352; boismaud M.-E.. Benoit P., Synopie..vol. H, 79-80. yr
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Questi rimandi tra l'inizio e la fine del ministero di Gesù evidenziano un messaggio importante: come all'inizio, la missione affidatagli dal Padre si era aperta con l'assunzione della condizione umana e con il dono dello Spirito, cosi ora essa si compie su questo medesimo sfondo. La condizione umana è assunta fino alla morte di croce e il dono dello Spirito accompagna tale morte costituendo il primo tratto a partire dal quale si schiude tutta la narrazione. La lacerazione del velo del tempio dall'alto in basso (15,38), la scomparsa delle tenebre (15,33), il riconoscimento del centurione (15,39), il ritorno dei discepoli sulla scena nella rappresentanza delle donne (15,40-41), sono tutti segni che indicano la rinascita della storia proprio ai piedi della croce. Ma tale rinascita è possibile solo per chi accetta di bere fino m fondo il calice della passione e di essere immerso con Gesù nella morte più ignobile. La nudità è necessaria, come necessaria è l'immersione fino in fondo nello scandalo della passione e morte del Maestro. Se l'ipotesi di uno sfondo battesimale si rivelasse corretta, questa sarebbe la concezione del battesimo che si delinea all'interno del secondo vangelo. Quando prendiamo m esame la narrazione del mistero pasquale, tale concetto teologico è rinforzato da un'altra immagine che apre e chiude la sezione; quella della spogliazione del neaniskos in 14,51-52 e quella del suo rivestimento in 16,5-7. È a questi gesti che ora presteremo attenzione, tentando di ritracciarne lo sviluppo storico.
6.3 SPOGLIAZIONE E RIVESTIMENTO
Quando si dispongono in parallelo i due brani di Me 14,51-52 e l6,1-8 ciò che balza immediatamente agli occhi del lettore è la presenza in entrambi i brani del neaniskos, anche ¿e si è subito portati a rilevare che mentre in 14,51-52 questi è TtEpipEptoijjivov aivSóva (tessuto prezioso che in 15,46 viene associato alla sepoltura di Gesù), in 16,5-7 il giovane è Jtepi(3e(3A,Tmévov O T O À T J V ^£DKr|V. Non solo. Mentre il primo viene spogliato del suo abito dandosi alla fuga nudo (14,52), il secondo è presentato assiso alla destra e strettamente legato alla risurrezione del Maestro (16,5). Da un lato abbiamo l'immagine della spogliazione legata all'esperienza della morte, dall'altro la veste bianca legata all'esperienza della risurrezione. È ragionevole pensare che tali immagini richiamino una prassi battesimale già conosciuta nel momento m cui Marco stende il suo vangelo? Per rispondere a tale interrogativo procederemo nel modo seguente: in primo luogo prenderemo in esame alcuni testi patristici compresi tra il II e il IV sec. per verificare in che misura il rito della deposizione delle vesti e la consegna dell'abito bianco fossero attestati nella letteratura patristica e fossero intesi come partecipazione al mistero della morte e risurrezione di Gesù (6.3.1); passeremo quindi in rassegna alcuni indizi provenienti dalla letteratura apocrifa che sembrano avere sullo sfondo un contesto battesimale (6.3.2); ci dedicheremo poi ad alcuni testi extra-biblici altrettanto significativi (6.3.3), per soffermarci, infine, su alcuni passaggi delle lettere di Paolo. In questi ultimi avremo modo di notare come l'Apostolo favorisca a più riprese un nesso molto forte tra il battesimo e la duplice immagine della deposizione delle vesti e della novità dell'abito (6.3.4). Diversi sono gli studi che si sono proposti di ricostruire la pras-
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6. Excursus
si battesimale agli inizi del cristianesimo3;!V. La documentazione circa il duplice gesto resta tuttavia alquanto frammentaria ed è solo alla fine del Π secolo che appaiono testi più espliciti su questo specifico tema. È per tale motivo che abbiamo preferito procedere presentando prima i testi più ciliari e poi quelli in cui c'è un rimando implicito al gesto, per giungere infine ai testi dell'epistolario paolino in cui l'Apostolo richiama la duplice immagine della spogliazione e del nvestimento. 6.3.11 testi dei Padri Nella sesta Catechesi battesimale di G I O V A N N I C R I S O S T O M O , datata tra il 388 e il 390, l'associazione tra la sepoltura e la risurrezione di Cristo con il duplice gesto della spogliazione e del nuovo abito è molto chiara: «Il battesimo è sepoltura e risurrezione, poiché il vecchio uomo è sepolto insieme con il peccato e il nuovo risorge, rinnovato, ad immagine del Creatore. Ci spogliamo (άποδυόμεθα) e ci rivestiamo (ένδυόμεθα): ci spogliamo del vestito vecchio (άποδυόμεθα μεν tò παλαιόν ιμάτιον) insozzato dalla moltitudine dei peccati e ci rivestiamo di quello nuovo (ένδυόμεθα δε τό καινόν) libero da ogni macchia. Ma che dico mai? Ci rivestiamo (ένδυόμεθα) dello stesso Cristo; dice infatti: quanti foste battezzati in Cristo, vi rivestiste di Cristo»530. Risalendo nel tempo ritroviamo la medesima immagine in CIvescovo della Città Santa dal 350 al 387 circa. Le sue Catechesi mistagogiche vengono generalmente datate all'inizio di tale ministero, verso l'anno 350. Nella seconda catechesi leggiamo: RILLO DI G E R U S A L E M M E ,
«Appena entrati, avete deposto la tunica (άπεδυάσθε ròv χιτώνα) a significare che vi spogliavate dell'uomo vecchio e delie sue opere; e deposte così le vesti, siete rimasti nudi (γυμνοί ήτε) anche per imitare Rimandiamo alle opere citate da S t a n o a e r t B., Marc. Composition..., 515, e da LÉGASSe s„ Naissancedu Baptéme (LeDiv 153), Paris 1993, 149-153. GIOVANNI CRISOSTOMO, Le catechesi..., VI. 11. La stessa attestazione è chiara nelle Omelie sul Battesimo (Π1, 8.26) di TKODORO Μ MOPSUE.STIA (350-428 circa) e anche nella Lettera a Fabiola 19 di GIROLAMO.
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il Cristo nudo sulla croce, la nudità che spogliò i Principati e le Potestà liberamente trionfando dal legno della croce»331. La consegna della veste bianca viene menzionata più avanti, nella quarta catechesi: «Ora che sei approdato alla grazia, hai deposto i vecchi abiti (άποδυσόψενος τά παλαιά Ιμάτια) e indossato bianche vesti, candide in senso spirituale (ένδυσάμενος τά πνευματικός λευκά), tutto in te deve essere candore (λευκά περιβεβλήσται): non che tu debba continuare a indossare sempre abiti tutti bianchi, ma perché devi sempre esibire nella tua vita abiti di immacolato candore e splendore»552. Nella Tradizione Apostolica di IPPOLITO (fine II - inizio III sec.) i due gesti vengono ancora menzionati, senza però essere posti in stretta connessione con il mistero pasquale. IPPOLITO non ne esplicita la portata simbolica ο teologica e il lettore ha come l'impressione che la spogliazione e il rivestimento siano semplicemente la conseguenza dell'immersione del catecumeno nell'acqua. Si noti tuttavia come l'autore ribadisca a chiare lettere l'importanza della deposizione dei gioielli per le donne, e della spogliazione di ogni oggetto estraneo per ogni fedele che sta per essere immerso nell'acqua: «I battezzati depongano le loro vesti (ponent autem vestes). Battezzate prima i bambini,., Battezzare poi gli uomini e quindi le donne, dopo che avranno sciolto i loro capelli e deposto (deposuerunt) i gioielli d'oro che portano addosso. Nessuno scenda nell'acqua portando oggetti estranei... Il presbitero lo unga con l'olio dell'esorcismo dicendogli: "Ogni spirito si allontani da te". Così lo affidi, nudo, al vescovo ο al presbitero che sta vicino all'acqua per battezzarlo... Quando sarà uscito (dall'acqua) il presbitero lo unga con l'olio del rendimento di grazie dicendo: "Ti ungo dell'olio santo nel nome di Gesù Cristo". Quindi si asciughino, si rivestano (se induantur) ed entiino in chiesa (in ecclesia» ingrediantur)·»* Un'altra preziosa testimonianza ci è stata lasciata dal Dialogo con Trifone di GIUSTINO databile verso la metà del 160 d.C. In esso il 5,1
CIRILLO DI GERUSALEMME, Le catechesi..., XX.2. CIRILLO DI GERUSALEMME, Le catechesi..XXII.8,
PSEUDO-IPPOLITO, Tradizione Apostolica (CTePa 133) 21, Roma 1996, 123-125.
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rito della spogliazione e del rivestimento riacquista tutta la sua portata simbolica e teologica, cosa che ci permette di risalire nel tempo di oltre un secolo: «Noi che eravamo nell'impudicizia e in ogni tipo di sordida condotta, per la grazia che ci viene dal nostro Gesù, secondo la volontà del Padre suo, ci siamo spogliati (άηεδυσάμεθα) di ogni perversa sozzura di cui eravamo rivestiti (ήμφιέσμεθα)... Siamo stati come sottratti al fuoco, essendo stati purificati dai nostri precedenti peccati, e quindi sottratti alla vessazione e alla vampa con cui ci infiamma il diavolo e tutti i suoi servitori; ai quali ci sottrae Gesù, il Figlio di Dio. Egli ha promesso di rivestirci (ένδΰσαι) di abiti (ενδύματα) rifiniti... Noi, che per il nome di Gesù, come un sol uomo, abbiamo creduto nel Dio che ha fatto ogni cosa, per mezzo del nome del suo Figlio primogenito, ci spogliammo (άπημφιεσμένοι) delle vesti immonde, cioè dei peccati, infiammati dalla parola con cui ci ha chiamati»334. Questi testi ci conducono fino alla metà del II secolo. Oltre non è possibile andare. Va, infatti, ricordato che i due testi patristici più antichi che menzionano il battesimo - la Didachè3i5 e la Prima Apologia di G I U S T I N O 3 3 6 - non fanno alcun riferimento al duplice gesto. Gli stessi risultati si ottengono prendendo in esame i testi appartenenti alla letteratura apocrifa. 6.3.2 La letteratura apocrifa Anche la letteratura apocrifa ci offre documenti preziosi che testimoniano la portata teologica della spogliazione e del rivestimento all'interno del conferimento del battesimo. La nostra analisi si estenderà ai diversi passaggi compresi all'interno della letteratura apocrifa dei primi cinque secoli. Procediamo sempre partendo dai testi più recenti, generalmente più espliciti sull'argomento, per poi risalire verso l'epoca apostolica. Negli Atti di Barnaba composti tra il 485 e il 488, l'apostolo - rispondendo a due greci che gli si avvicinano per chiedere alcune informazioni circa la sua provenienza - fa un esplicito riferimento al battesimo in questi termini: GIUSTINO. Dialogo con Trifone (LCPM 5)116, Roma 1988,333-334. Didachè. Dottrina dei Dodici Apostoli 1 (LCOr5), Roma 1984, 115. "«GIUSTINO, Le due apoìogiel, 61 (LCOrlO), Roma 1983,118.
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« _ Se volete sapere donde veniamo e chi siamo, gettate via il vestito che avete e vi metterò addosso una veste che non si insudicia, che è senza alcuna macchia e che è sempre splendida - . Meravigliati per quelli frasi, ci chiesero: - E che vestito ci volete dare? - . Barnaba a loro: Se confesserete i vostri peccati e vi schiererete al comando de S'igno re nostro Gesù Cristo, voi riceverete questo vestito eternamente intatt o - »35?-
Il testo apocrifo che riporta il Martirio di Matteo, datato attorno al 400, narra la conversione del re Fulbano. Questi, dopo aver ordinato che l'evangelista fosse arso vivo nel fuoco, notando che le fiamme non intaccavano minimamente il suo corpo, si precipita ai piedi del vescovo chiedendo il conferimento del battesimo. Il rac conto prosegue hi questi termini: «Il vescovo allora pregò e lo fece spogliare; lo esorcizzò a lungo mentre confessava e piangeva il male fatto; gli impresse il sigillo e un tolo con l'olio, lo immerse nel mare nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Quando risalì, gli ordinò di vestirsi di vesti splen dide»338
Tra il IV e il V sec. incontriamo il testo siriaco degli Atti di Giovanni dal quale è possibile ricostruire i diversi gesti che componevano il rito battesimale della chiesa siriaca di questo periodo Lo studio di A . F . J . K L I J N è significativo al riguardo339. Esso riporta tra l'altro un testo in cui la duplice immagine della spogliazione e della veste bianca emerge in modo chiaro: «Allora il procuratore si avvicinò e si prostrò con la faccia a terra davanti a Giovanni e gli disse: "Cosa è necessario che io faccia?". Giovanni gli disse: Togliti gli abiti". Quando egli si fu spogliato, il sant'uomo si avvicinò e prese dell'olio nella sua mano e tracciò una croce sul la sua fronte e unse l'intero suo corpo, poi lo fece avvicinare alla cisterna e gli disse: "Scendi, fratello mio"... Il procuratore stese le sue mani al cielo e gridò piangendo e dicendo: "Io credo nel Padre e nel Figlio e nello Spirito di santità" e scese nel fonte. Allora il sant'uomo si avvicinò e pose la sua mano sulla testa e lo immerse una volta gridando: ™ Atti del martirio di Barnaba, 12-13 in: ΕΚΒΕΤΤΑ M. (cur.), Gli Apoaifi del Nuovo Testamento, vol II, Casale Monferrato 1966, 598. Martirio di Matteo, 27 in: ERBETTA M. (cur.), Apocrifi,.,, vol. II, 16. K l i j n A.F.J., « A n Ancient Syriac Baptismal Liturgy in the Syriac Acts of John» in: Κ Α Ρ Ι Σ Κ Α Ι Σ Ο Φ Ι Α , Festschrift
fur Κ,Η. Rengstorf,
L e i d e n 1964, 2 1 6 - 2 2 8 .
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"Nel nome del Padre". Una seconda volta: "Nel nome del Figlio", Una teiza volta: "Nel nome dello Spirito di santità" E quando fu uscito dall'acqua egli lo rivestì di bianche vesti e gli diede il bacio di pace»340.
Risalendo nel tempo, merita di essere menzionato il Vangelo di Filippo, testo la cui prima redazione viene fissata attorno al III secolo. Anch'esso riprende in maniera chiara la duplice immagine della spogliazione e del rivestimento: «È necessario che indossiamo l'uomo vivo. Per questo (il battezzando) stando per discendere nell'acqua si denuda: per indossare quello» 341 .
Al medesimo periodo appartengono gli Atti di Tommaso, che secondo L. M O R A L D I riflettono il cristianesimo gnostico della Siria del III secolo. Tre sono i passaggi interessanti per la nostra indagine. Nel primo viene narrato il battesimo di una certa Migdonia: «Versato l'olio sul di lei capo, ordinò alla nutrice di ungerla e di cingerle i fianchi con un abito, mentre Giuda, afferrata la bacinella della loro fontana, salì e battezzò Migdonia nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Dopo che fu battezzata e che si rivestì delle sue vesti, egli prese e spezzò l'Eucaristia, riempì la coppa e fece partecipare Migdonia alla mensa del Messia e alla coppa del Figlio di Dio» .
Un secondo testo narra il battesimo del generale Sifur, di sua moglie e di sua figlia, riproponendo la medesima struttura della precedente celebrazione: « - Questo è il battesimo per la remissione dei peccati. Questo genera l'uomo nuovo... - . Mentre parlava essi portarono un'ampia vasca ed egli li battezzò nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Sana l i testo è tradotto dall'inglese. Cfr. WRICW W. (ed.), ApocrypbalActs of tbeApostles editedfrom syriac manuscripts in tbe Biitisb Museum and otber libranes witb englisb translaitons and notes, Amsterdam 1968,39-40. Ml Vangelo diFilipno, 101 in: ERBETTA M. (cur.), Apocrifi..voi. 1,237. Per la datazione cfr. 220. Di per sé, tale passaggio è già anticipato a! n. 77 quando, ή una esposizione concernente il battesi mo, viene detto; «Coloro che si sono rivestiti della luce perfetta non sono visti dalle potenze e non posson ο essere trattenuti dalle stesse. Questa luce viene però rivestita con il mistero, cioè con l'unione» (p. 233). Β battesimo viene descritto come un'unione sponsale: nel «sacramento del talamo» lo gnostico si unisce all'uomo interiore, al proprio angelo, rivestendosi della luce perfetta e divenendo invulnerabile agli attacchi del male. Att idi Tommaso, 121 In: MORALDI L. (cur.), Apocrifi del Ν uovo Testamento, voi. II, Tonno 1971,1324. Per le questioni concernenti la datazione cfr. 1234-1235.
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to. Quando furono battezzati ed ebbero indossati i loro vestiti, egli fece portare pane e vino, lo pose sulla tavola e cominciò a benedirlo»343.
Nel terzo testo Migdonia è presente come assistente al battesimo delle sue sorelle. Terminata la preghiera, Giuda si rivolge a lei ordinandole di procedere alla spogliazione: « - Figlia mia, svesti le tue sorelle-, Lei le svestì, pose su di loro delle cinture e le fece avvicinare a lui»'*".
Il testo quindi prosegue menzionando l'unzione, l'immersione nell'acqua, la formula trinitaria e il banchetto eucaristico. Questi tre passaggi non attribuiscono esplicitamente una solenne portata teologica al rito della deposizione delle vesti, che sembra piuttosto costituire un atto necessario legato all'immersione nel fonte battesimale. La medesima osservazione può essere fatta per il testo degli Atti di Xanthippe e Polyxena, opera generalmente datata nella prima metà del III secolo. In essa viene narrato il battesimo di un certo Probo: «H mattino presto, levatosi, si recò da Paolo e trovandolo mentre battezzava molti nel triplice nome di vita disse: - Se sono degno, o Signore mio Paolo, di ricevere il battesimo, ecco l'ora - . Gli risponde Paolo: - Figlio, ecco pronta l'acqua per la purificazione di coloro che si presentano a Cristo - . Subito, dunque, deposte con prontezza le sue vesti, sotto la mano di Paolo entrò nell'acqua dicendo: - O Gesù Cristo, figlio di Dio e Dio vero, sia cancellato dall'acqua ogni mio peccato - . Allora Paolo disse: - l ì battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo -» 3 4 3 .
Più delicata è la questione riguardante il Vangelo segreto di Marco citato e commentato in una lettera che dovrebbe datare tra la fine del II secolo e gli inizi del IH e che viene attribuita a C L E M E N T E A L E S S A N D R I N O . Il testo fu scoperto da M. S M I T H nel 1958 all'interno del monastero di San Saba nel deserto di Giuda. Si tratta di una serie di pagine manoscritte la cui grafia sembra risalire al XVITI ì4
' Atti di Tommaso, 131-133 in; MORALDIL, (cur.), Apocrifi... voi. II, 1329. Atti di Tommaso, 137 in: MORALDI L. (cur.), Apocrifi..., voi. II, 1343-1344. ·" Cfr, ARMITAGE ROBINSON]., A Study of CotkxBezae, the Testament of Abraham, Apocrypba Anecdota, Cambridge 1893, 73. Circa la datazione cfr. pp. 53-54. S4i
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secolo346. L'elemento interessante legato a questo documento è l'accostamento tra i due passaggi concernenti il neaniskos (Me 14,5152; 16,5-7) in relazione al rito del battesimo. Dallo studio dello scritto emerge alquanto chiara una lettura in senso iniziatico dei due passaggi con una sottolineatura particolare (e anche ambigua) circa il concetto della nudità. Una cosa sarebbe comunque evidente: ad Alessandria, alla fine del II secolo, il vangelo di Marco era interpretato in rapporto alla iniziazione cristiana. Di particolare rilievo è il testo apocrifo del Vangelo di Tommaso con il quale possiamo risalire fino al 150 circa. Questa data viene generalmente ammessa come termine massimo per la stesura dell'opera che, secondo L. M O R A L D I , andrebbe ancora anticipata al 140, nel contesto della Chiesa sira di Edessa. II loghion in questione non solo riprende l'immagine della spogliazione, ma restituisce a tale immagine tutta la sua portata simbolica. Lo studioso J.Z. S M I T H fa notare come i quattro motivi elencati dal testo - spogliazione, nudità senza vergogna, calpestare gli abiti, percepirsi come bambini piccoli - possano essere profondamente compresi solo all'interno di un contesto battesimale, nel quale era probabilmente ripresa anche la tipologia di Gn 1-3347. Ecco il testo: «I suoi discepoli domandarono: - In che giorno ti manifesterai a noi e in che giorno ti vedremo? - . Gesù rispose: - Quando vi spoglierete del vostro pudore, quando deporrete i vostri abiti e li metterete sotto i vostri piedi, come fanno i ragazzi piccoli, e li calpesterete, allora vedrete il Figlio del Vivente senza alcun timore - >>348. * e M . DE JONGE aggiungono a questi testi della letteratura apocrifa neotestamentaria anche quella che viene considerata come un'interpolazione cristiana del Testamento dei Dodici Patriarchi. La sua datazione varia secondo gli studiosi: PinterpolaJ . DANIÉLOU
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Cfr. SMITH M„ Clement of Alexandria... ; vedi anche le considerazi oni di STANDAEFT B„ Marc Composition. ., 531-537. Il testo del Vangelo segreto a cui ci riferiamo è riportato alla nota 13 a p. 18. 547 Cfr. SMITHJ.Z., «The Garments...», 1-23. H * Vangelo dt Tommaso, 37 in; MORAI.DI L. (cur), Apocrifi..., voi. 1,489-490. Circa le questioni relative alla cronologia del testo cfr, p, 478. lw Cfr. DANIÉLOUJ., La teologia del giudeo^ristianesimo (Collana di studi religiosi), Bologna 1974 (or. 1964), 326. "°Cfr. DEJONGEM., The Testament of theTwelvePatriarchs, Assen 1953,44-45.
251
6. Excursus
zione sarebbe da attribuire secondo alcuni a un giudeo-cristiano che visse tra il70 e il 135, secondo altri a un cristiano che conosceva già l'intero Nuovo Testamento come un corpus ben costituito, cosa che costringerebbe a posticipare la datazione verso la fine del II secolo. Il passaggio in questione presenta l'azione dei diversi angeli che recano l'investitura sacerdotale a Levi: «Il primo mi unse con l'olio sacro e mi dette un bastone. Il secondo mi lavò con acqua pura e mi fece mangiare pane e bere vino sacro; mi rivesti della stola sacra e gloriosa. H terzo mi mise una veste di lino simile a un efod...»"'. Anche la letteratura apocrifa non sembra permetterci di risalire più lontano nel tempo, se non alla metà del li secolo. Tuttavia, bisogna notare che per i testi più recenti come l'interpolazione del Testamento dei Dodici Patriarchio il loghion 37 del Vangelo di Tommaso il contesto battesimale resta alquanto incerto. Si tratta ora di verificare se la nostra immagine fosse conosciuta anche al di fuori della letteratura più strettamente associata ai testi biblici.
6.3.3 Le testimonianze extra-bibliche Secondo E. LoHSE l'immagine della spogliazione e del rivestimento era molto diffusa nel mondo antico e particolarmente usata nei riti iniziatici delle religioni misteriche"2. A titolo di esempio egli cita il racconto di APULEIO il quale, nelle Metamorfosi, descrive come l'iniziato, durante le celebrazioni, ricevesse una veste particolare, decorata con immagini tratte dal mondo animale. Rivestendola, egli riceveva tutti i poteri del cosmo e sperimentava nella propria interiorità una profonda trasformazione che lo poneva in comunione con la divinità*". Lo stesso OEPKE commentando Gal 3,27 riprende la convinzione di LOHSE menzionando altri casi in cui l'iniziato veniva rivestito delle vesti delle divinità, gesto che esprimeva l'unione tra l'uomo e gli dèi. Nel culto del dio Mitra, ad esemTestamento di Levi, 8,4-6 in: SACCHI P„ Apocrifi dell'Antico Testamento, voi. I, Tonno 1981, 797-798.
Cfr. LOHSE E., Die Briefean die Kolosser und an Philemon (KEK 9), Gottingen 1968, 204. C f r . ATULEIUS, Metamoiphoses
XI. 23-24.
252
6.Excursu»;1
pio, il fedele credeva di essere ciò che la maschera indossata rappresentava3*4. Anche i testi gnostici attribuiscono al gesto del rivestire un significato particolare: esso esprimerebbe il sopraggiungere della redenzione attraverso la quale l'uomo viene condotto nella sfera celeste, condividendo la luce e il potere degli esseri superiori3". A motivo di tali testimonianze, molti commentatori ritengono che l'immagine utilizzata da Paolo nelle sue lettere circa la spogliazione dell'uomo vecchio e il rivestimento dell'uomo nuovo sia in qualche modo attinta da questo contesto extra-biblico. Tuttavia, se il peso di questi testi sembra rilevante, non bisogna dimenticare quanto già faceva osservare in un suo articolo V A N D E R H O R S T ' , sottolineando tre cose essenziali: prima di tutto, nessuno dei riferimenti citati dai diversi autori come possibili testi paralleli all'immagine paolina è anteriore all'epoca cristiana; secondariamente molti di questi testi appartengono a uno sfondo simbolico che non ha niente a che vedere con l'immagine della morte e risurrezione della divinità; in terzo luogo non è stato ancora trovato alcun parallelismo letterale che associ i gesti della spogliazione e del rivestimento all'uomo vecchio e all'uomo nuovo di cui parla l'Apostolo in Ef 4 , 2 2 - 2 4 e in Col 3 , 9 - 1 0 . V A N D E R H O R S T , nel suo articolo, cita quindi una serie di testi della letteratura rabbinica ed ellenistica, riprendendo anche diversi passaggi di G I U S E P P E F L A V I O , mostrando come essi possano avere certamente influenzato alcune espressioni di Paolo, ma ribadendo allo stesso tempo che l'Apostolo riprende il tutto all'interno di uno sfondo teologico totalmente differente. L'interrogativo sul valore di questi testi, pertanto, rimane interamente aperto. La testimonianza più preziosa resta quella del Nuovo Testamento che, al riguardo, fornisce indizi particolarmente interessanti. Se ne fanno portavoce soprattutto le lettere di Paolo, dove la menzione della deposizione delle vesti e l'immagine del rivestimento sono chiaramente associate al tema del battesimo. 3
6
Cfr. OEPKE A., Der Brief des Paulus und die Galater ( T H N T 9). Leipzig 1937, 89. Tale è l'ipotesi di KÀSCMANN E„ Leib undLeib Chrisli, Tub mgen 1933,147 149. L'autore dietro l'immagine di Col 3,5ss vede concezioni gnostiche. Anche PirrA A., nel suo commento Lettera ai Galatt (SOCr 9), Bologna 1996,224, definisce «suggestivo» il rapporto che la metafora rivela «sia con le religioni misteriche, sia con lo gnosticismo attestato soprattutto a Nag Hammadi». ™ Cfr. Van DTiR H o r s t P.W., «Observations on a Pauline Expression», NTS19 (197273) 181-187.
6. Excursus 249 6 . 3 . 4 L e lettere d i P a o l o I n tutto l ' e p i s t o l a r i o p a o l i n o il b a t t e s i m o v i e n e e s p l i c i t a m e n t e menzionato in o t t o passaggi: R m 6 , 1 - 1 1 ; i C o r 1 , 1 0 - 1 7 ; 1 0 , 1 - 6 ; 1 2 , 1 3 ; 1 5 , 2 9 ; G a l 3 , 2 6 - 2 8 ; E f 4 , 4 - 6 ; C o l 2 , 1 1 - 1 2 » 7 . D i tutti questi b r a n i , tre u t i l i z z a n o l ' i m m a g i n e della s p o g l i a z i o n e e d e l r i v e s t i m e n t o p e r esprimere l ' a z i o n e interiore dell'atto sacramentale: G a l 3 , 2 6 - 2 7 ; E f 4 , 4 - 6 ; C o l 2 , 1 1 - 1 2 . A d e s s i n o i a g g i u n g i a m o a n c h e l'analisi di R m 13,11-14.
6,3.4.1
II brano di
Gal3,26-28
Si tratta d e l p r i m o b r a n o p a r t i c o l a r m e n t e significativo: «Tutti voi infatti siete figli di D i o per la fede in Cristo G e s ù , poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, v i siete rivestiti di C r i s t o ( X p t o x ò v é v e 6 i t a a o 0 e ) . N o n c'è p i ù giudeo, né greco; n o n c'è p i ù schiavo, né libero; non c'è p i ù uomo, né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù». I l fatto d i aver rivestito il C r i s t o v i e n e presentato c o m e la p r o v a della nostra figliolanza. L a forte p o r t a t a s i m b o l i c a d e l v e r b o ε ν δ ύ ω nelle lettere d i P a o l o è stata o g g e t t o d i p a r t i c o l a r e a t t e n z i o n e n e l m o n d o dell'esegesi fin d a i pr imi d e c e n n i del n o s t r o secolo 5 5 8 : è certo c h e attorno a q u e s t o v e r b o l ' A p o s t o l o c o s t r u i s c e una d e l l e i m m a g i n i p i ù v i v e c h e espr i m o n o la p r o f o n d a t r a s f o r m a z i o n e o p e r a ta n e l c r e d e n t e d a l battesimo. I n tutto il N u o v o Testamento, ε ν δ ύ ω v i e n e i m p i e g a t o i n 2 8 passaggi, m a v a s u b i t o distinta la p a r t i c o l a re p o r t a t a s i m b o l i c a e teologica c h e il t e r m i n e a s s u m e nelle lettere d i P a o l o , d o v e r i s c o n t r i a m o 1 2 ricorrenze. H . P A U L S E N insiste n e l r i b a d i r e c h e il contesto e v o c a t o da P a o l o è q u e l l o b a t t e s i m a l e e, a m Ad essi andrebbero aggiunti altri passaggi che vengono generalmente ritenuti come menzioni implìci te del battesimo; G.R. BEASLEY-MURRAY cita al riguardo I C o r 6,11; 7,14; 2Cor 1,22; Ef 1,13; 4.30, lTm6,12-13;2Tm2,11-12; Tt3,5-7. Cfr. Baptism in the New Testament, London 1 9 6 2 , 127 -216. Cfr. anche MAK.SH H.G., The Origin and Significance of the New Testament Baptism (PUMT5), Manchester 1941; WIUTER.E O., The Biblical Doctrine of Initiation, London 1960. !5S Cfr G r a i l A., «Le baptéme dans l'épitre aux Galates (IM,26.IV,7)», Rß 58 (1951) 503520; DellagiACOMA V., «Inducre Christum (Gal 3,27; Rom 13.14)», RwBtb 4 (1956) 114142; QUESMEL M., Baptises dans l'Esprit. Baptéme et Esprit Samt dans Us Actes des Apótres (LeDiv 120), Pan's 1985,163.
254
6.Excursu»;1
suo parere, c i ò n o n costituirebbe solo lo s f o n d o d e i testi che noi stiamo analizzando ( R m 1 3 , 1 4 ; G a l 3,27; E f 4,24; C o l 3 , 1 0 . 1 2 ) , m a a n c h e l o s f o n d o delle f o r m u l e p a r e n e t i c h e d i l T s 5 , 8 e d i E f 6 , 1 1 . 1 4 c o m e pure, c o n u n a certa p r o b a b i l i t à , d e l b r a n o di 2 C o r 5 , 1 - 5 d o v e P a o l o usa il c o m p o s t o έ π ε ν ΰ ύ σ α σ θ ο α 3 " . L'uso metaforico del verbo ε ν δ ύ ω secondo F . E B R U C E 3 6 0 potrebbe avere presto originato il rito della spogliazione dei p r o p r i abiti p r i m a dell'immersione battesimale, per rivestirne di n u o v i subito dopo 3 6 1 . C e r t a m e n t e il d u p l i c e atto d e l l a s p o g l i a z i o n e e d e l rivestimento, riletto sullo s f o n d o d i u n rifiuto d e l l ' u o m o v e c c h i o per acq u i s i r e u n a n u o v a identità, è già presente i n a l c u n i testi veterotestamentari c o m e Is 6 1 , 1 0 ; 64,6; E z 1 6 , 1 - 1 4 ; Z a c 3 , 1 - 7 ; Sai 1 3 2 , 9 . J. L E I P O L D T v i coglie u n nesso c o n i riti iniziatici del m o n d o grec o - r o m a n o , d o v e il d o n o della veste è il segno della partecipazione del credente all'immortalità divina 3 6 2 . D i v e r s a è la sfumatura c h e viene data all'espressione d a E . D E W I T T B U R T O N : rivestirsi d i C r i sto significherebbe interpretare la « p a r t i t u r a » di C r i s t o , assumere l'identità di figli c o m e lui stesso è F i g l i o . P a o l o avrebbe i n m e n t e la trasformazione della p e r s o n a l i t à o p e r a t a attraverso l ' i m m e r s i o n e n e l m i s t e r o pasquale, d o v e il credente assume u n a n u o v a identità animata dallo Spirito 3 4 3 . V o l e n d o trarre una c o n c l u s i o n e da queste diverse interpretazion i p o t r e m m o citare la s p i e g a z i o n e p r o p o s t a da A . J . M . WEDDERBURN, s e c o n d o il quale « t h e b a c k g r o u n d to t h e P a u l i n e a n d d e u t e r o - P a u l i n e language o f "putting o n " C h r i s t , language w i c h i n its turn may have h a d its p l a c e already i n early C h r i s t i a n baptismal traditions, p e r h a p s a i d e d b y the reclothing necessary after the act o f b a p t i s m . T h e C h r i s t i a n w h o puts o n C h r i s t does not thereby b e c o m e Christ, but does share the character a n d consecration to G o d Cfr. p a u l s e n η . , «ένδύω» in: D E N T I, 1204-1206. Cfr. an ie w e i g e l t η . , «δύω, clothe, naked, dress, garment» in: N I D N T 1,314-316. "" Cfr. BRUCE F.E, The Epistle of Paul to the Galatians. A Commentary on the Greek Text ( N I G T O , Oxford 1982,186-187. 561 Cfr. anche DUNN J.D.G., Baptism in the Holy Spirit A Re-examination of the New Testament Teaching on the gift of the Spirit in relation to Pentecostahsm today (SB Τ NS 15), London 1970,110; f l e m i n g t o n w . f . , The New Testament Doctrine of Baptism, London 1957, 57-58; M o l i l e C.F.D., Worship in the New Testament (ESW 9), London 1963, 52-53. >ω Cfr. L e i p o l d t J., Die Urchristliche Taufe im Lichte der Religionsgescbichte, Leipzig 1928,60. A questa ipotesi f l e m i n g t o n si oppone con decisione. 545 Cfr. B u r t o n E. D e W i t t , A Critical and Exegetical Commentary on the Epistle to the Galatians (ICC), Edinburgh 1921,203-206.
255
6. Excursus
of C h r i s t ( R o m 1 3 . 1 4 ; cf. E p h 4.24; C o l 3 . 1 0 , 1 2 ) a n d does belong to C h r i s t ( G a l 3 . 2 7 f ) a n d is p a r t of that new h u m a n i t y created by G o d in Christ» 3 6 4 . Si tratta i n ogni caso di u n linguaggio c o m p r e n sibile sia per il m o n d o greco-romano che per il m o n d o giudaico dove la medesima i m m a g i n e veniva utilizzata c o n altre sfumature religiose.
6.3.4.2
II brano di Col
2,11-12
I n questo testo il battesimo è nuovamente associato, in m o d o forte, al gesto della spogliazione: « I n L u i voi siete stati anche circoncisi di una circoncisione non fatta da mani d'uomo, mediante la spogliazione (έν τπ άπεκδύσει) del corpo di carne, ma nella vera circoncisione di Cristo, venendo sepolti insieme con L u i mediante il battesimo, venendo anche risuscitati con L u i per la fede nella potenza di D i o che lo ha risuscitato dai morti». C o m e sottolinea BEASLEY-MuRRAY, Paolo in questo passaggio usa l'immagine della circoncisione p e r esprimere la differenza tra il battesimo cristiano e la circoncisione giudaica: in G e s ù il fedele si spoglia del s u o c o r p o di carne, per essere sepolto c o n L u i e per esse re reso p a r t e c i p e d e l l a sua risurrezione 3 6 5 . I n questo caso è L O H S E c h e ritiene l'espressione u n richiamo ai riti di iniziazione dei culti misterici d o v e il neofita r i n u n c i a v a ai p r o p r i vestiti 366 . Tale i m m a gine si chiarisce a n c o r meglio se teniamo presente u n s e c o n d o passaggio all'interno della stessa lettera c h e ha sullo s f o n d o la m e n zione i m p l i c i t a del battesimo. Si tratta d i C o l 3 , 8 - 1 2 : «Ora, invece, deponete (άποθέσθε) anche voi tutte queste cose: ira, passione, malizia, maldicenze e parole oscene dalla vostra bocca. N o n mentitevi gli uni gli altri. V i siete infatti spogliati dell'uomo vecchio (άπεκδυσάμενοι τόν π α λ α ι ό ν άνθρωπον) con le sue azioni e avete rivestito il nuovo (ένδυσάμενοι τόν νέον), che si rinnova, per una piena conoscenza a immagine del suo creatore. Q u i non c'è più Greco ο Giudeo, circoncisione ο incirconcisione, barbaro ο scita, schiavo ο li-
«* w e d d e r k j r n A.J.M., Baptism and Resurrection. Studies in Pauline Tbeology against Iis Graeco-Roman Background (WUNT 44), Tübingen i987,338-339. 565 Cfr. b e a s l e y - m u r r a y G.R., Baptism.... 152-160. 566 Cfr. L o h s e E., Die Briefe. ., 204.
256
6.Excursu»;1
bero, ma Cristo è tutto in tutti. Rivestitevi (âvôiiOcxcGe), dunque, come amati di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine...», L a p r o v a c h e tale testo a b b i a sullo s f o n d o u n a riflessione c o n cernente il battesimo, viene d a i d u e passi paralleli d i l C o r 1 2 , 1 3 e G a l 3 , 2 7 - 2 8 , n e i quali l ' a n n u l l a m e n t o di ogni distinzione u m a n a i n C r i s t o è esplicitamente m e s s o i n relazione c o n il sacramento. A n che solo d a l p u n t o d i vista del vocabolario i l parallelismo c o n questi due passaggi è m o l t o stretto. Particolare attenzione merita l'uso del verbo àJCOTÌftejii, verbo c h e ricorre anche i n E f 4,22.25; E b 1 2 , 1 ; G c 1 , 2 1 ; l P t 2 , 1 ; 3 , 2 1 i n passaggi c h e s e m b r a n o evocare u n c o n testo battesimale. M . - E . BoiSMARD c o m m e n t a n d o l P t 3 , 2 1 si esprim e i n m a n i e r a molto chiara al riguardo: « l a depositio de toute souillure morale à laquelle fait allusion I P e t r 3 , 2 1 serait à mettre en relation avec la c é r é m o n i e de la depositio des vêtements p r é c é d a n t i m m é d i a t e m e n t l ' i m m e r s i o n baptismale, et q u i symbolisait l ' a b a n d o n d e toute v i e m o r a l e dépravée»' 6 7 . L a m e d e s i m a i d e a la ritrov i a m o n e l c o m m e n t o di E . G . SELWIN, il quale si spinge a n c o r a p i ù i n là m e t t e n d o i n stretta relazione l P t 2 , 1 - 2 c o n i passaggi di R m 1 3 , 1 2 - 1 4 ; G a l 3 , 2 7 ; C o l 3 , 5 - 1 2 ; E f 4 , 2 2 - 3 2 ; l T s 5,8; E b 1 2 , 1 ; G c 1 , 2 1 e riconoscendo in tutte queste citazioni u n richiamo al rito della d e p o s i z i o n e e del rivestimento che p r e c e d e v a e seguiva i m m e diatamente l'immersione nel f o n t e battesimale' 68 . I n u n recente studio dedicato alla r i c o s t r u z i o n e della lettera di P a o l o ai L a o d i c e s i , M . - E . BoiSMARD c o n f e r m a il p r o f o n d o nesso della spogliazione e d e l rivestimento c o n la c e l e b r a z i o n e del battesimo. S e c o n d o l'esegeta tali gesti «évoquent sans a u c u n d o u t e la cérémonie d u b a p t ê m e ancien. C ' e s t ce que p r o u v e aussi le texte
"*' BoiSMARD M.-E., Quatre hymnes baptismales dans la première Éptlre de Pierre (LeDiv 30), Paris 1961,106. La medesima posizione viene condivisa da KELLY J.N.D., A Commentary on the Epistles of Peter andofjude (BNTC), London 1969,84; D o n a l d S e n i o r C.P., 1 and 2 Peter (NTMes 20), Wìlmmgton 1980, 25. w Cir. s e l w i n E.G., The First Epistle o/St. Peter, London 1947, 393-400. Lo stesso b o i s m a r d M.-E. sottolinea in due articoli il forte rapporto esistente tra i temi battesimali della prima Petri e i testi della lettera ai Colossesi, a Tito, della prima lettera a Giovanni e della lettera di Giacomo: di. «Une liturgie baptismale dans la prima Petri: son influence sur Tit, I J o . et Col.», RB 63 (1956) 182-208; «Une liturgie bapt ismale dans la prima Petri: son influence sur Pépitre de Jacques», RB 64 (1957) 161-183. A favore di un esplicito riferimento al rito della spogli azione e del rivestimento anche B a k t h M - B l a n k e H., Colosstans. A New Translation with Introduction and Commentary (AncB 34b), New York 1994, 409.
6. Excursus
257
de G a l 3,27: " V o u s tous qui avez été baptisés dans le Christ, vous avez revêtu (ève&ùoaoGe) le C h r i s t " . E t a n t d o n n é ces textes, o n peut penser que P a u l connaissait déjà le rite baptismal lorsqu'il écrivait aux Thessaloniciens, vers l'an 5 0 : " C a r tous, vous êtes fils de lumière (4K0TÔÇ) et fils d u jour. N o u s n e sommes p a s de la n u i t ni des ténèbres ( o t c ô t o v ç ) . . . N o u s donc, étant du jour, soyons sobres, ayant revêtus (èvôUOaMSVOi) la cuirasse de la f o i . . . " ( l T h e s s 5 , 5 8). O n peut d è s lors affirmer que L a o d 8 - 1 1 ( C o l 3 , 8 - l i ) , q u i offre les deux mêmes verbes que R o m 1 3 , 1 2 - 1 4 , " déposer" et "se revêtir", fait allusion lui aussi au rite baptismal»' 6 9 C o n c l u d e n d o la sua r i c o s t r u z i o n e d e l l a lettera ai L a o d i c e s i M . - E . BoiSMARD dà p e r certo che, già allora, «avant de recevoir le baptême, le néophyte "déposait" tous ses vêtements, p o u r revêtir u n vêtement nouveau u n e fois la cérémonie terminée. Tout ceci avait une valeur symbolique. L e s vêtements que T o n quittait s y m b o l i saient le "vieil h o m m e " avec son cortège de vices. C e u x q u e l'on revêtait ensuite symbolisaient la vie nouvelle que l'on était censé mener. G r â c e au baptême, toutes les distinctions ethniques, religieuses, sociales, sont abolies, et donc tous les conilicts qu'elles provoquent. C'est ce que P a u l explique dans la troisième partie de sa lettre ( 3 , 8 - 1 1 ) » " ° . Tale lettura, per quanto affascinante, resta tuttavia u n a semplic e ipotesi: nessun testo di P a o l o ci permette di affermare c h e fin dall'epoca apostolica il rito battesimale era associato al d u p l i c e gesto e a tutta la valenza teologica con cui esso verrà riletto dai P a dri della C h i e s a . D e l resto, c o m e a b b i a m o notato sopra, già l ' A n tico Testamento presenta l'immagine del rivestimento associandola all'assunzione d i alcune q u a l i t à m o r a l i c o m e la forza (is 5 1 , 9 ; 5 2 , 1 ) , la giustizia ( G b 2 9 , 1 4 ; Sai 1 3 2 , 9 ) , e i n tale direzione si m u o ve a n c h e la letteratura r a b b i n i c a . P r o p r i o p e r tale m o t i v o resta delicato dichiarare con sicurezza che l'espressione di C o l 3 , 8 - 1 2 richiami u n o d e i riti esplicativi della celebrazione battesimale. S u l piano del vocabolario, tra l'altro, l'espressione resta senza u n definito parallelismo, se si esclude il passaggio di G a l 3 , 2 6 - 2 8 " ' . L ' u n i •>6' BOismarD M.-E., La lettre de saint Paul aux Laodicéens retrouvée et commentée (CRB 42), Pans 1999,69. BoiSMARD M..£„ La lettre..., 79. Cfr. O'BbìEN P.T„ Colossians, Pbilemon (WBC 44), Waco 1982, 189-194. Dello stesso parere WEDDtKBURN A.J., Baptism..., 363-371.
258
6.Excursu»;1
ca conclusione che possiamo trarre è che tale associazione n o n p u ò essere esclusa. C h e cosa v u o l d i r e allora s p o g l i a r s i d e l l ' u o m o v e c c h i o e rivestirsi d e l n u o v o ? S e c o n d o l'esegeta J . - N . ALETTI l'espressione i m plica il m o r i r e alle p r a t i c h e a n t i c h e per rinascere a q u e l l a u m a n i t à n o b i l e c h e v i v e n e l a giustizia e d è dedita alla virtù, tratti c h e s o n o possibili solo per c h i è i n C r i s t o : i n l u i è nascosto il senso profond o di ogni novità di vita ( C o l 3 , 3 ) " 2 .
6.3.4.3
II brano di Ef
4,4-5.22-24.30
O l t r e alla lettera ai G a l a t i e ai Colossesi, il nesso tra battesimo e spogliazione ritorna nella lettera agli Efesini, d o v e sullo sfondo dell ' u n i t à operata dal sacramento, l ' A p o s t o l o invita i f e d e l i ad assumere tutte le conseguenze di questa rinascita: « U n solo corpo, un solo Spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo... Per k verità che è in Gesù, dovete deporre l'uomo vecchio (â7to8éa8ai itfiâç xòv Ttodcaòv avBptoitov), con la condotta di prima, l'uomo che si corrompe dietro le passioni ingannatrici, e dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente e rivestire l'uomo nuovo ( è v 5 i ) 0 a 0 6 a i xòv tccavòv àvOpawtov), creato secondo D i o nella giustizia e nella santità vera... E non vogliate rattristare lo Spirito Santo di D i o con il quale foste segnati per il giorno della redenzione» (Ef 4,4-5.22-24.30). Si noti la c h i a r a o p p o s i z i o n e tra « u o m o v e c c h i o » e « c o n d o t t a di p r i m a » e « u o m o n u o v o » che evoca l'uomo «creato secondo D i o » . I l primo deve essere deposto, spogliato, il secondo al contrario deve essere rivestito. I l battesimo è evocato esplicitamente in 4,5 e i m plicitamente in 4 , 3 0 nella m e n z i o n e dello Spirito Santo c o n il quale i fedeli sono stati «segnati (èo (¡ipaTÌaOrixe) per il giorno della redenzione». S e c o n d o M . - E . BoiSMARD, « P a u l pense à la liturgie baptismale d o n t il e x p r i m e la symbolique. D a n s u n e première partie ( 4 , 1 7 - 1 9 et 5 , 5 ) , i l c o n s i d è r e l'aspect négatif d e notre v i e chrétienne: i l n e faut plus marcher c o m m e marchent les G e n t i l s , il faut a b a n d o n n e r ™ Cfr. ALETTJJ.-N., Lettera ai Colossesi (SOCr 12), Bologna 1994, 194-198.
259
6. Excursus
tous leurs vices. C ' e s t c e q u e s y m b o l i s a i t le rite d e la depositio des v ê t e m e n t s c o m m e le r a p p e l l e P a u l a u d é b u t d u v e r s e t 2 5 » ' " . I n r i f e r i m e n t o a q u e s t o testo, tuttavia, i c o m m e n t a t o r i p r e f e r i s c o n o adottare u n a l i n e a « p r u d e n z i a l e » : se è v e r o c h e nella m e n t e d e l lettore m o d e r n o l a p r i m a a s s o c i a z i o n e c h e n a s c e s p o n t a n e a è q u e l l a legata a l rito b a t t e s i m a l e d e l l a s p o g l i a z i o n e e d e l r i v e s t i m e n t o , « s i n c e o u r e v i d e n c e that early C h r i s t i a n b a p t i s m a l p r a c t i c e i n c l u d e d derobing a n d then robing in a new garment afterward can be d a t e d n o earlier t h a n the s e c o n d c e n t u t y C.E., it is p r o b a b l y safer t o say that t h i s i m a g e r y is entirely a p p r o p r i a t e to w h a t w e k n o w o f l a ter b a p t i s m a l rites»" 4 .
6.3.4,4
librano
di Km
13,11-14
U n altro testo che esige l a nostra attenzione è quello d i R m 1 3 , 1 1 1 4 . I n esso l ' A p o s t o l o invita a d e p o r r e {cmo0tò(i£0(x) l e o p e r e d e l le tenebre, p e r i n d o s s a r e (evòuCTÓ)p£0a) le a r m i d e l l a luce, i m m a gine u l t e r i o r m e n t e enfatizzata dall'invito a rivestirsi d i G e s ù C r i s t o ( è v S ù a a a O e t ò v K Ù p i o v ' I t | a o i > v X p i a x ó v ) . Q u e s t ' u l t i m a espressione h a u n s o l o p a s s a g g i o p a r a l l e l o - q u e l l o d i G a l 3 , 2 7 - d o v e il battesimo viene esplicitamente menzionato. Tale particolare unito al c o n t e s t o b a t t e s i m a l e della l e t t e r a ai R o m a n i , al c o n t r a s t o tra le t e n e b r e e la l u c e , a l l ' i m m a g i n e d e l l a s p o g l i a z i o n e e d e l r i v e s t i m e n t o , s e m b r a costituire u n i n d i z i o assai forte p e r s p i n g e r c i a p e n s a r e c h e P a o l o stia f a c e n d o r i f e r i m e n t o a i g e s t i c h e a c c o m p a g n a v a n o la l i t u r g i a battesimale' 7 5 . E c c o il passaggio: « E ormai tempo di svegliaivi dal sonno, perché la nostra salvezza è p i ù vicina ora di quando diventammo credenti. L a notte è avanzata, il giorno è vicino. Gettiamo via (CtTto8tO|i£0a) perciò le opere delle tenebre e indossiamo (£v8i>aa)^£6a) le armi della luce. Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: n o n in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze, n o n fra impurità e licenze, n o n in contese e gelosie. R i vestitevi invece d e l Signore G e s ù C r i s t o ( è v Ò ù o a o O e t ò v tcùpiov 'Iliao-Ov X p i a x ó v ) e n o n seguite la carne nei suoi desideri'».
BoiiìMARD M..E., Lemgme de la lettre aux Ephésiens (EtB NS 39), Paris 1999,59. " 4 LINCOLN A.T., Epbeskns.285. Della medesima opinione H a u l O t t e E , , Symbolique..., 221-225; B y r n e B . , Romans (SaPa 6), Collegeville 1996, 398-401.
260
6. Excursus
T a l e i n t e r p r e t a z i o n e è r e s p i n t a c o n d e c i s i o n e d a DUNN. E g l i v i coglie piuttosto la trasformazione interiore a c u i si e s p o n g o n o i credenti nel m o m e n t o in cui aderiscono a Cristo, u n «indicativo» che h a b i s o g n o d i essere c o s t a n t e m e n t e sostenuto d a u n « i m p e r a t i v o » , p e r c h é l ' o p e r a i n i z i a t a d a l l a G r a z i a sia p o r t a t a a c o m p i m e n t o 3 7 6 . C o n c l u d e n d o , v a r i c o n o s c i u t o c h e le lettere d i P a o l o c o s t i t u i s c o n o la t e s t i m o n i a n z a p i ù a n t i c a i n n o s t r o possesso i n c u i il battes i m o è a s s o c i a t o al d u p l i c e gesto d e l l a s p o g l i a z i o n e e d e l rivestimento. N o n o s t a n t e ciò, n o n è possibile affermare c h e tali gesti foss e r o già p a r t e d e l l a c e l e b r a z i o n e d i tale s a c r a m e n t o . P e r t r o v a r e p r o v e concrete d e l d u p l i c e atto n e l contesto del rito battesimale b i s o g n a attendere il I I secolo. U n e l e m e n t o m e r i t a tuttavia d i essere p r e s o i n c o n s i d e r a z i o n e : n e i p a s s a g g i p a o l i n i d a n o i a n a l i z z a t i , la d u p l i c e i m m a g i n e h a l'obiettivo di « i m m e r g e r e » il credente n e l m i stero della m o r t e e r i s u r r e z i o n e d i G e s ù (cfr. soprattutto R m 6 , 4 - 5 e C o l 2 , 1 2 ) . Si tratta d i u n ' a s s o c i a z i o n e m o l t o forte c h e n o n è p e r n i e n t e e s t r a n e a al neaniskos tratteggiato d a M a r c o i n a p e r t u r a e c h i u s u r a della s e z i o n e d e d i c a t a al m i s t e r o p a s q u a l e ( 1 4 , 5 1 - 1 6 , 8 ) 3 7 7 .
Cfr. DUNN J.D.G., Romans 9-16 (WBC 38b), Dallas 1988, 790-791. " 7 Questo punto meriterebbe un ulteriore lavoro di ricerca che ci auguriamo possa essere preso in considerazione da qualche esegeta. La questione del rapporto tra Marco e Paolo (e dell'influsso del secondo sul primo), è già stata affrontata in alcuni articoli e studi. Citiamo tra i più significativi: BoiSMARD M.-E. - B e n o i t P., Synopse..., voi. II, 23-24; Romaniuk K., «Le problème des paulinismes dans l'Évangile de Marc», NTS 23 (1976-77) 266-274; J o h n s o n D.W., The Conciliatory Role for the Gospel of Mark in Relation to the Background of the Epistle to the Romans, Fort Worth 1990.
CONCLUSIONE
Q u e s t o breve excursus ci h a condotti a u n a d u p l i c e presa di coscienza: 1) I l v a n g e l o d i M a r c o p r e s e n t a tutta u n a serie d i i n d i z i c h e effettivamente n o n ci permettono di escludere u n o s f o n d o battesimale: il fatto che il n u c l e o portante della b u o n a novella - v a le a d i r e il r a c c o n t o del m i s t e r o p a s q u a l e - si a p r a c o n la deposizione delle vesti da parte del neaniskos ( 1 4 , 5 1 - 5 2 ) e si c h i u d a c o n il suo ritorno in scena sotto il segno della veste b i a n c a (16,5) ne è u n i n d i z i o assai forte. E s s o viene ulteriormente enfatizzato dall'esplicita trattazione del tema del battesimo all'interno di tutto il s e c o n d o vangelo: a) sul battesimo si apre il sipario della n a r r a z i o n e in M e 1 , 2 ; b) il battesimo costituisce la p e r i c o p e centrale del p r o l o g o i n M e 1 , 9 - 1 1 ; c) il battesimo è l ' i m m a g i n e che lega strettamente il destino del discepolo che vuole mettersi alla sequela d i G e s ù a q u e l l o del M a e s t r o i n M e 1 0 , 3 8 - 3 9 ; d) la promessa di G i o v a n n i Battista circa il battesimo nello S p i r i to Santo che G e s ù conferirà (1,8) suppone u n c o m p i m e n t o strettamente c o n n e s s o all'ascolto o alla lettura del vangelo. Q u e s t i i n d i z i sono a loro volta sostenuti da u n a serie di i m m a g i n i sparse l u n g o la n a r r a z i o n e : a) p i ù volte M a r c o insiste s u l l ' i m p o r tanza di lasciare il mantello; b) a p i ù riprese viene messa i n evid e n z a la fatica dei d i s c e p o l i nel c o m p r e n d e r e l'identità di G e sù; c) u n a certa insistenza a c c o m p a g n a la d e s c r i z i o n e c i r c a le esigenze della sequela; d) i n u n o dei passaggi chiave della n a r r a z i o n e , l'evangelista c o n f r o n t a il lettore c o n u n g i o v a n e c h e fugge n u d o , i m m a g i n e c h e n o n p u ò certamente lasciare i n d i f ferenti. Se è vero che questo insieme d i dati n o n p u ò fornirci la certezza dell'ipotesi avanzata dagli esegeti c h e sostengono u n a simbologia battesimale all'interno del secondo vangelo 378 , va an178
Per i riferimenti bibliografici rimandiamo alla trattazione fatta nelle pp. 43-45.
262
6.Excursu»;1
c h e r i c o n o s c i u t o c h e tali elementi n o n ci p e r m e t t o n o di escluderla. 2) D i fatto, l ' i m m a g i n e evocata dalle d u e p e r i c o p i d i M e 1 4 , 5 1 - 5 2 e M e 1 6 , 5 - 7 si colloca sullo s f o n d o d i tutta una letteratura b i b l i c a e d e x t r a - b i b l i c a nella quale la presentazione d e l battesimo o dell'atto iniziatico i n connessione c o n il d u p l i c e atto della spogliazione e d e l r i v e s t i m e n t o è tutt'altro c h e sconosciuta. I passaggi paolini che abbiamo analizzato ci costringono a risalire lungo la sorgente della storia fino all'epoca che ha accompagnato la stesura delle lettere ai G a l a t i e ai R o m a n i , e p o c a a b b a s t a n z a antica p e r poter fare d a sfondo alla stesura del secondo vangelo. D a u n lato - è v e r o - s i a m o costretti a d a m m e t t e r e c h e n o n è possibile dimostrare i n m a n i e r a definitiva che il rito della spogliazione e d e l rivestimento fosse associato fin dal I secolo - c o n tutta la portata teologica che riscontriamo nei testi posteriori dei P a d r i della C h i e s a - alla celebrazione d e l battesimo nelle p r i m e c o m u n i t à cristiane; dall'altro, tuttavia, questi stessi testi neotestamentari ci o b b l i g a n o a lasciare completamente aperta la questione.
CONCLUSIONE
A l termine d i questa nostra ricerca è o p p o r t u n o fare u n b i l a n c i o generale d i tutti i risultati raggiunti. I l nostro itinerario d i studio si è s n o d a t o s e g u e n d o u n tracciato scandito i n sei tappe, o g n u n a delle quali ci ha permesso di cogliere i n m o d o sempre p i ù c h i a r o la portata e il significato dell'episodio di M e 1 4 , 5 1 - 5 2 . I l nostro p u n t o d i partenza è consistito i n u n o sguardo generale allo stato della questione, c h e ci ha dato m o d o di p r e n d e r e visione delle diverse possibilità interpretative legate alla p e r i c o p e e dei problemi presenti nel testo; siamo q u i n d i passati alla soluzione delle questioni d i critica testuale e al c h i a r i m e n t o dei d i v e r s i termini, o n d e fondare i passi successivi del nostro studio su basi solide. L a terza parte si p r o p o n e v a d i definire il contesto i n c u i il b r a n o è stato inserito dall'evangelista, o n d e favorire il p i ù possibile u n a lettura che tenesse c o n t o dell'insieme della narrazione marciana, d e i suoi obiettivi, dei temi teologici che p i ù stavano a cuore all'autore. È stata questa una tappa decisiva per poter p o i effettuare i d u e passi successivi, i n c u i si è tentato di i l l u m i n a r e la scena sullo s f o n d o d e l l'intero m i s t e r o p a s q u a l e , preferendo dedicare d u e distinte trattaz i o n i al m o m e n t o iniziale ( M e 1 4 , 5 1 - 5 2 ) , caratterizzato dall'arresto di G e s ù e dalla f u g a d e i suoi, e al m o m e n t o finale ( M e 1 6 , 1 - 8 ) , segnato d a l l ' a n n u n c i o della risurrezione e dalla fuga d e l l e donne. A q u e s t o p u n t o si è i m p o s t a u n a r i f l e s s i o n e c i r c a la p o s s i b i l i t à d i u n a rilettura battesimale d e l s e c o n d o vangelo, d i c u i M e 1 4 , 5 1 - 5 2 costituirebbe u n o degli indizi, ipotesi che è stata oggetto di u n breve excursus conclusivo. O g n u n a d i queste sei tappe ci h a permesso di trarre a l c u n e considerazioni che, sommate alle altre, sono andate via via i l l u m i n a n d o la nostra piccola scena. Q u a l i sono le c o n siderazioni a c u i siamo giunti nelle sei parti del nostro l a v o r o ? 1) L a p r i m a parte ci h a condotti alla presa di coscienza della sterilità d i u n a p p r o c c i o c h e a b b i a c o m e p r i m o o b i e t t i v o la r i c o -
Conclusione
266
struzione di una «carta d'identità» per il neaniskos. P e r quanto interessanti, le diverse soluzioni proposte sono l u n g i dall'essere verificabili c o n certezza: G i o v a n n i , G i a c o m o , L a z z a r o , Pietro, Paolo, Marco, sono semplicemente dei « n o m i » ipotizzati dai comm e n t a t o r i per d a r e rilievo a una figura che l'evangelista ha l a sciato volutamente nell'anonimato. S e b b e n e l'esegesi n o n si sia ancora rassegnata all'idea di n o n poter dare u n n o m e e u n volto preciso al misterioso personaggio 1 7 9 , ciò ci ha s p i n t o a orientare la nostra ricerca prestando maggiore attenzione al contesto i n c u i si è svolta la scena e alle idee teologiche che l'evangelista p o n e sullo sfondo. C o n questo n o n v o g l i a m o escludere a p r i o ri, da parte dell'evangelista, u n possibile r i f e r i m e n t o a u n epis o d i o a c c a d u t o , a un'esperienza vissuta o riferita, m a semplicem e n t e r i b a d i r e c h e i l « n o c c i o l o della q u e s t i o n e » n o n sta q u i . 2) O g n i tipo di analisi deve poggiarsi s u basi solide e p r o p r i o questo è stato l'obiettivo della seconda parte. E m i n e n t i studiosi com e E . L O H M E Y E R , F . N E I R Y N C K , V . T A Y L O R , basandosi su a l c u ni punti incerti di critica testuale, hanno tentato di attutire l'impatto della n u d i t à d e l giovane all'interno della trama narrativa del secondo vangelo, fino al p u n t o di eliminarla del tutto afferm a n d o che « n u d o » significa « p a r z i a l m e n t e vestito» 1 8 0 . C i ò ci ha o b b l i g a t i a passare i n rassegna c o n attenzione le diverse questioni testuali, completandone la soluzione attraverso u n a m i n u ziosa analisi d e l vocabolario. Q u e s t e operazioni si sono rivelate p r e z i o s e per due m o t i v i : p r i m a di tutto ci h a n n o p e r m e s s o di mettere u n p u n t o fermo sul testo i n questione, e in s e c o n d o luogo h a n n o indirizzato il nostro s g u a r d o verso la p e r i c o p e di M e 1 6 , 1 - 8 nella quale ritroviamo b e n tre d e i termini presenti i n M e 1 4 , 5 1 - 5 2 . C o n s i d e r a n d o l i da vicino, questi sono proprio i termini tra i p i ù rari di tutto il N u o v o Testamento. 3 ) L a terza parte della nostra ricerca è stata senz'altro quella p i ù ricca di frutti, che h a n n o iniziato a venire alla l u c e n e l m o m e n t o in cui la scena è stata collocata n e l l ' a m p i o contesto di M e 1 4 , 5 1 1 6 , 8 dedicato dall'evangelista all'unico e grande mistero pasquale di passione, morte e risurrezione di G e s ù . L e linee guida per d e m
Cfr. il recente aro'coio di M.JL HAKIÌN.
^ C F R NEERYNCK R , « L a l u i t e . . . » , 64.
267
Conclusione
limitare la sezione ci v e n g o n o offerte dai tre cosiddetti « a n n u n ci della passione» che n o i a b b i a m o preferito chiamare, p i ù correttamente, «annunci del mistero pasquale». Sullo sfondo di questo a m p i o contesto, è balzata subito agli occhi la forte relazione esistente tra il vocabolario e la struttura di M e 1 4 , 5 1 - 5 2 e il vocabolario e la struttura di M e 1 6 , 1 - 8 , cosa c h e ha implicato u n a c o n s e g u e n z a immediata: l ' e p i s o d i o d e l neaniskos di M e 1 4 , 5 1 5 2 n o n p u ò essere colto i n tutta l a sua profondità se s i p e r d e i l nesso c h e lega le d u e scene. L a fuga del p r i m o va vista i n relazione a l l ' a n n u n c i o del secondo; la n u d i t à d e l p r i m o va colta i n rapporto alla veste bianca del secondo; la stretta associazione del p r i m o c o n la figura dei discepoli e del M a e s t r o va vista sullo sfondo d e l l a stretta associazione con e n t r a m b i del s e c o n d o . T u t t o questo trova una forte c o n f e r m a nella trama narrativa di M a r c o , che ha nella croce la chiave di volta di tutto il racconto: al G o l gota la n a r r a z i o n e raggiunge il vertice i n cui la vita di G e s ù e quella dei discepoli sono esposte al fallimento p i ù estremo, alla s p o g l i a z i o n e p i ù radicale, m a è a n c h e il l u o g o i n c u i si attua, n e l m o m e n t o stesso i n c u i G e s ù m u o r e , i l r i t r o v a m e n t o p i ù profondo dell'autentica identità umana. U n centurione, G i u s e p p e d ' A r i m a t e a e le d o n n e sono presenti per «riscattare» i tre g r u p p i u m a n i c h e s e m b r a n o t o t a l m e n t e p e r s i p r i m a della m o r t e d i G e s ù : i pagani, le autorità religiose e, soprattutto, i discepoli. 4) A questo p u n t o l'episodio h a cominciato a chiarirsi nei suoi tratti mentre, u n a d o p o l'altra, sono cadute le considerazioni di c h i aveva colto i n M e 1 4 , 5 1 - 5 2 « u n e petite scène..., insignifiante en e l l e - m ê m e » 1 8 1 , u n a p e r i c o p e « d i e fiir den G a n g u n d G e i s t des G e s c h e h e n s vòllig bedeutungslos ist» 182 , e di c h i aveva g i u d i c a to il tutto affermando che « t h e e p i s o d e here reported is tr ivial i n the light o f its surroundings» 3 8 1 . A l contrario, q u e s t ' u l t i m a si è rivelata c o m e l'icona d i quella esperienza necessaria d i spogliaz i o n e e d i s m a c c o a c u i n o n p u ò sottrarsi c h i u n q u e opta per la sequela d i G e s ù . L a spogliazione p r o f o n d a di sé costituisce la tappa dolorosa d i passaggio a c u i viene sottoposta l'adesione a C r i s t o di ogni discepolo. I n tal senso, tale n u d i t à è «necessaria» LAGRANGEJ.M., Mare.,.,
397.
L o h m e y e r E , Markus..., 324. B u n d y W.E., Jesus and the First Tbree Gospels. An Introduction to the Synoptic Tradition, Cambridge 1955,512.
268
Conclusione
e l'evangelista lo r i b a d i s c e a p i ù riprese, legando ad essa le esigenze della sequela e p o n e n d o la totale spogliazione esteriore e interiore d i G e s ù sulla croce sotto il segno d i u n a chiara volontà divina. Se queste sono state le c o n c l u s i o n i della quarta parte d e l nostro studio, n o n va tuttavia dimenticato c h e l'esperienza della n u d i t à n o n si presenta fine a se stessa. 5) L'analisi d e l l a p e r i c o p e di M e 1 6 , 1 - 8 , oggetto della q u i n t a parte di questo lavoro, ha confermato la duplice valenza simbolica del neaniskos: i n 1 6 , 5 - 7 egli è l ' i c o n a n o n solo d e l l a n u o v a c o n d i z i o n e vissuta d a l R i s o r t o , intronizzato alla destra d e l P a d r e per essere il Signore della storia, m a anche della piena identità che la sequela conferisce ai discepoli q u a n d o questi ultimi hanno il coraggio di passare attraverso la totalità del mistero pasquale. L a spogliazione c o n d u c e p r o p r i o a questo, è « n e c e s s a r i a » p r o p r i o in vista dell'assunzione di un'identità totalmente trasfigurata che è il p u n t o cruciale dell'esperienza della croce. I l rischio del d i scepolo, i n tal senso, è p r o p r i o quello d i n o n riuscire a varcare 10 scandalo del G o l g o t a o, u n a volta superato questo, di n o n riuscire a eliminare l'incertezza davanti al sepolcro vuoto. L a fuga, 11 silenzio e la p a u r a c o n c u i si c h i u d e il secondo vangelo costituiscono i rischi a c u i resta esposta l'esperienza cristiana q u a n d o si f e r m a alla reazione d e l neaniskos d i M e 1 4 , 5 1 - 5 2 . T a l e esperienza d e v e invece giungere a maturazione fino all'assunzione di q u e i tratti espressi d a l neaniskos d i M e 1 6 , 5 - 7 . S u questo gioco di contrasti si c h i u d e la b u o n a novella annunciata da M a r c o , mentre a tutto il s u o uditorio questi r i p r o p o n e l'importante d o v e r e d i u n a scelta. 6) T u t t o questo itinerario ha fatto c h i a r a m e n t e riemergere la q u e stione di u n possibile s f o n d o battesimale: se, c o m e si è d i m o strato nella terza parte della ricerca, il giovane costituisce una figura chiave posta i n apertura e a c h i u s u r a del mistero pasquale e se, c o m e si è argomentato nella quarta e nella quinta parte, questi è strettamente associato alla morte e risurrezione di G e s ù , per r e n d e r n e m qualche m o d o attuali i n sé i frutti, n o n è forse tutto questo una p r o v a dello sfondo battesimale? Il fatto p o i che l'evangelista adotti l ' i m m a g i n e della spogliazione i n M e 1 4 , 5 2 e della veste bianca i n M e 1 6 , 5 n o n è u n i n d i z i o forte che c i spinge i n tale direzione? L'analisi delle fonti b i b l i c h e e d extra-bibli-
269
Conclusione
che n o n ci permette di dirimere in m o d o definitivo la questione. C e r t a m e n t e p r e n d i a m o le d i s t a n z e da c h i , c o m e N E I R Y N C K , si presenta c o n la sicurezza d i poter escludere c o n decisione tale ipotesi 584 : essa resta sullo sfondo, senza la possibilità per ora di essere provata nei dettagli, m a anche senza la possibilità d i essere esclusa. Se, i n futuro, essa verrà provata, i frutti d e l nostro lav o r o n e saranno confermati; se invece dovesse v e n i r e esclusa, i risultati d e l l a n o s t r a r i c e r c a n o n n e s a r a n n o i m p o v e r i t i . U n a cosa è certamente significativa: l'esperienza che M a r c o p r o p o n e a c h i u n q u e vuole mettersi alla sequela di G e s ù è m o l t o simile a q u e l l a c o n c u i P a o l o d e s c r i v e il battesimo d e i credenti. I n e n t r a m b i i c a s i il d i s c e p o l o f a l ' e s p e r i e n z a di u n a s p o g l i a z i o n e e d i u n rivestimento, v e n e n d o strettamente associato al Maestro. S i a p r i r e b b e a questo p u n t o la questione del rapporto tra P a o lo e M a r c o , dell'influsso d e l l ' A p o s t o l o sull'evangelista, che m e riterebbe u n a p p r o f o n d i t o studio che affidiamo al m o n d o della ricerca. C o m e si p u ò rilevare, il messaggio c h e scaturisce d a l b r e v e epis o d i o d i M e 1 4 , 5 1 - 5 2 è u n messaggio forte e articolato. O r a p o s siamo a n c h e capire perché l'evangelista abbia scelto proprio u n nea niskos per impersonarlo: n e s s u n o q u a n t o u n neaniskos p u ò essere il segno concreto di quella scelta di vita a c u i M a r c o p r o v o c a c o n tinuamente i suoi lettori, c o n il preciso obiettivo d i c o n d u r l i a una sequela m a t u r a e autentica d e l C r i s t o crocifisso e risorto. I n caso contrario, la b u o n a novella rischia di essere mortificata dai tre tratti che, fin dalle origini, n e h a n n o soffocato l ' a n n u n c i o : la fuga, il silenzio e la paura.
CFR.NF.OCYNCK F.,
«La fuite...»,
65-66.
B I B L I O G R A F I A
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I N D I C I
A) Indice degli autori Aletti J . - N . 2 5 8 Alexander H . E . 28 Allan J. A. 2 2 2 Alien W.C. 3 2 , 2 1 4 Alonso D i a z J. 3 2 Ambrogio di Milano 2 5 , 2 6 , 1 7 8 Ammassari A . 1 9 8 , 2 2 4 Anderson H . 35 Apuleio 2 5 1 Argyle A.W. 3 9 Armitage Robinson J. 249 Attinger D . 4 4 , 2 3 2 Bacon B.W. 2 7 Balz H . 64, 75, 1 5 2 , 2 1 4 Barclay W. 32 Barth M. - Blanke H . 2 5 6 Bauer W. 5 9 , 6 7 , 7 1 , 1 1 6 , 2 1 3 Beare F.W. 45 Beasley-Murray G . R . 2 5 3 , 2 5 5 Beda il Venerabile 2 5 , 3 9 Bennett W.J. 1 7 9 Bertram G . 3 5 , 2 1 2 Best E., 3 5 , 1 6 1 Bianchi E . 38 Biguzzi G . 1 0 7 , 1 0 9 Blass E - Debrunner A. 74, 84 Blinzer J. 70 Boismard M . - E . 45, 46, 92, 94, 97, 110,129,168,171,183,202,216,
221,228,229,237,241,256,257, 258,259,260 Bolkestein M . H . 35 Bonfante L . 7 7 , 1 5 2 Bonnet M. 224 Boomershine T. 2 1 0 Branscomb B . H . 3 2 , 3 5 Braumann G . 73 Brower K . 2 4 1 Brown R.E. 4 7 , 5 9 , 6 0 , 6 6 , 1 1 6 , 1 2 0 , 123,125,126,130,132,149,173, 240 Bruce F.F. 254 Bultmann R. 196 Bundy W.E. 267 Burkitt F.C. 32 Burton E . D e Witt 254 Busse U . 166 Byrne B.J. 259 Cahill M. 3 9 Caietanus 34 Calmet A. 35 Carrington Ph. 3 2 Carson D . A . 7 8 , 2 0 7 Catchpole D . 209 Caza L . 1 3 0 Chadwick G . A . 32 Chantraine P. 7 0 , 2 1 3 Charles C . H . 2 1 8 Chouchoud P.L. 5 6 , 5 7
Indice degli autori
292
C i r i l l o di G e r u s a l e m m e 1 7 7 , 2 2 3 , 244,245 Clemente Alessandrino 2 4 9 Coenen L . 92 Cole R.A. 32, 6 4 , 1 8 4 Collins A . Y . 48 Combet-Galland C. 225 Corley E . K . 204 Cornelius a L a p i d e 2 6 , 2 7 , 34 Corsaro E 2 2 3 C o s b y M . R . 48, 1 4 2 CouffignalR. 197 Crampon H . 35 Cranfield C . E . B . 3 5 , 5 7 , 1 1 6 Crossan J . D . 4 4 , 2 1 0 , 2 3 2 Culpepper R A . 1 4 6 D'Annunzio G . 23 D a Silva A . 1 5 4 Dambricourt G . 2 3 6 Daniélou J. 2 5 0 D e Carrières 3 5 D e Jonge M . 2 5 0 Dellagiacoma V. 2 5 3 Derrett J . D . M . 38, 3 9 , 4 0 , 4 1 Dibelius M . 3 5 Dobschutz E . von 3 5 D o e v e J.W. 3 2 D o n a l d Senior C.P. 2 5 6 Dormeyer D . 3 5 Drewermann E . 48 Drioux M. 35 D u n n J . D G . 254,260 D u p o n t J. 202, 1 1 1 DwyerT.211,212,213 Easton B.S. 7 5 , 1 5 2 Eaton R. 3 2 E f r e m il Siro 1 7 7 English D . 1 8 5 Erbetta M . 2 4 7 , 2 4 8 Erma 196 Eusebio di Cesarea 33
Eutimio 2 7 , 34 Farrer A . 39, 45 Feldmeier R. 1 8 1 Ferrato G . 1 2 6 Feuillet A . 1 8 2 , 2 3 8 , 2 4 1 Fillion L . C . 3 5 Filone 7 5 Finegan J. 3 8 Fitzmyer J . A . 1 7 4 Flavio Giuseppe 1 1 6 , 1 5 6 , 1 9 7 , 2 5 2 Fleddermann H . 48, 1 4 2 Flemington W.F. 2 5 4 Fletcher D . R . 1 5 6 Focant C . 1 5 0 , 2 3 9 Frankemòlle H . 92 Freyne S. 1 0 8 Fiitzsche F.A. 5 9 , 6 1 F u h s H . F . 65 G a l i z z i M . 46, 1 8 2 Gallieno 69 G a r r u c c i R. 1 7 6 Ghiberti G . 70 Giansenio 34 Giesen H . 165 G i o v a n n i Crisostomo 2 5 , 1 7 8 , 2 2 3 , 244 G i r o l a m o 244 Giustino 2 4 5 , 2 4 6 GnilkaJ. 4 8 , 1 0 5 , 1 1 3 , 1 2 0 , 1 4 8 , 2 2 5 Goguel M. 55 G o u l d E.P. 3 2 Gourgues M . 4 8 , 1 0 9 , 1 7 4 , 2 1 6 , 2 1 7 G r a h a m S.L. 2 0 9 Grail A. 253 Gramaglia P.A. 7 1 Gràndez R.M. 128 Grant C. - Luccock H . E . 38 Grassi J . A . 2 0 9 G r e e n J.B. 2 6 , 4 1 Greenlee H . 5 9 Gregorio Magno 2 6
293 Indice degli autori Griesbach J J . 60, 6 1 G r i m m C . L . W. 5 9 G r i m m W. 2 1 1 , 2 1 2 Grisar H . 1 7 6 Grotius H . 3 5 G r u n d m a n n W. 3 2 , 1 7 9 , 2 1 6 G u h r t J . 165 G u n d r y R . E . 46, 60, 67, 68, 1 1 6 , 120,123,125,126,156,168,185, 196,216,241 G ü n t h e r W. - Krienke H . 7 4 Haenchen E. 38 Hahn H . C . 158 H a m i l t o n V. 65 Hanhart K . 3 0 Hannessy A . 1 0 8 Haren M J . 2 8 , 2 6 6 Harrington W.J. 46 H a u c k F. 3 2 Haulotte E . 7 6 , 1 0 9 , 1 4 7 , 1 5 2 , 1 5 3 , 154,162,173, 174,259 H a w k i n D.J. 1 5 0 Hebert G . 2 0 2 H e c k e n b a c h J. 7 5 , 1 5 2 H e i l J.P. 48 Hendriksen W. 3 2 Hengel M . 1 7 4 , 2 0 8 Hester D . 4 8 , 2 1 9 Holtzmann H.J. 32 Hooker M . D . 4 8 , 1 8 3 , 185 Horstmann A . 66 H o s k y n s E . 38 H u b y J. 32 Humbert A. 166 Hurtado L.W. 3 8 , 1 0 4 , 1 1 3 Jackson H . M . 4 8 , 5 9 , 7 0 , 1 0 9 , 1 3 2 , 142,239 Jenkins A . K . 48, 1 9 9 Jeremias J. 1 1 6 Johnson D . W . 2 6 0 Johnson E.S. 2 3 0
Johnson L . 3 2 , 64 Johnson S.E. 4 5 Johnson S.R. 2 0 7 Jones A . 3 2 Juel D . H . 3 5 Käsemann E . 2 5 2 Kee H . C . 38 Keegan T.J. 48 Keenan J.P. 4 1 K e i m T. 3 7 Kelber W . H . 46 Kelly J . N . D . 2 5 6 Kermode F. 48 Kertelge K . 3 5 Kingsbury J . D . 18, 1 1 8 Kittel G . 67 K l i j n A.F.J. 2 4 7 Klostermann E . 38, 69 Knabenbauer J. 3 5 K n o x J. 4 5 , 1 6 8 Kremer J. 198, 1 9 9 , 2 2 5 Kretzer A . 1 5 8 Lachmann K.K.F. 6 1 Lagrange J . M . 3 2 , 6 9 , 1 3 6 , 1 8 4 , 2 6 7 Lamarche P. 44, 109, 1 1 0 , 2 3 2 L a m p e P. 1 9 8 L a m p e S.W. 2 2 3 Lane W.L. 3 8 , 1 9 6 Lattke M . 2 1 3 L a Verdiere E . A . 4 4 , 2 3 2 Leclercq H . 7 5 , 1 5 2 , 1 7 5 Legasse S. 4 8 , 6 7 , 1 1 6 , 1 9 6 , 2 1 9 , 2 2 5 Legg S . C . E . 60 Leipoldt J. 2 5 4 Leloir L . 1 7 7 L e n s k i R . C . H . 47 Lesetre H . 7 5 , 1 5 2 L i d d e l l H . G . - Scott R. 6 9 , 2 1 3 Lightfoot R . H . 2 0 9 Lincoln A.T. 2 2 2 , 2 5 9 L i n k H . G . - Tiedtke E . 1 5 2
294
Linneman E . 3 8 , 4 8 L i p p W. 73 Lohmeyer E . 3 5 , 5 7 , 2 6 7 Lohmeyer H . 1 3 6 , 2 1 8 Lohse E . 2 5 1 , 2 5 5 Loisy A . E 37 Longpérier A . de 1 7 5 Lowrie W. 32 Lucas Brugensis 34 Lührmann D . 38 Luzzaraga J. 2 1 5 Maggioni B. 3 8 , 4 8 Magness J . L . 2 0 9 , 2 1 5 Malbon E.S. 208 Maldonat J. 34 Mally E.J. 47 Mann C.S. 48 Marguerat D . - Bourquin Y. 1 8 Marin Heredia F. 48, 142 Marsh H . G . 253 Martini C . M . 237 Matera F.J. 1 1 5 , 1 1 6 , 1 5 0 Matthews V . H . 154 Mazzucco C . 4 8 , 6 7 , 7 5 , 1 4 2 Mclndoe A . 32 McKinnis R. 93 Melitone di Sardi 1 7 7 Merk A . 60 Metzger B.M. 6 0 , 6 2 , 9 2 , 1 3 1 Meyer E . 35 Meyer H . A . W . 37 Meyer M.W. 3 0 Michaelis W. 7 3 , 1 9 8 , 2 2 3 Michel 0 . 1 6 6 Middleton J . H . 1 7 6 Monloubou L . 48 Montefiore G . C . 3 7 , 3 9 Moore G.F. 40 Moraldi L . 1 7 6 , 2 4 8 , 2 4 9 , 2 5 0 M o m e e W . G . 185 Motyer S. 1 0 9 , 2 3 9 Moule C . F . D . 3 2 , 2 5 4
Indice degli autori
Moulton J . H . - Milligan G . 70, 83, 84 Mourlon Beernaert P. 4 6 , 1 6 8 Mundle W. 2 1 2 , 2 1 3 , 2 1 4 Munro W. 2 1 0 Myers C . 4 8 , 7 1 Neirynck F. 2 3 , 2 7 , 4 5 , 4 6 , 4 8 , 5 7 , 5 8 , 5 9 , 67, 69, 70, 7 2 , 7 5 , 196, 201,210,266,269 Nestle E . - Aland B . e K . 6 0 Niehr H . 77, 1 5 2 Nineham D . E . 3 8 , 3 9 Nolle L . 32 Nösgen C.F. 3 5 O'Brien P.T. 2 5 7 O'Collins G . 209 O ' F l y n n J.A. 32 O e p k e A . 7 5 , 1 5 2 , 158, 2 1 3 , 2 5 1 , 252 Olshausen H . 3 1 Osten-Sacken P. von der 7 2 Pallis A . 5 5 , 5 6 Paulsen H . 2 5 3 , 2 5 4 Pelletier A . 2 1 9 , 2 4 0 Penna R. 2 2 2 Perkins P. 48 PerrinN. 2 1 0 Perroni M. 2 0 6 , 2 0 8 Pesch R . 3 5 , 104, 1 0 5 , 1 1 3 , 1 2 0 , 121,134,148,184,241 Peterson E . 223 Pfister F. 7 5 , 1 5 2 Pietro Crisologo 2 6 Pirot L . 3 2 Pitta A . 2 5 2 Pokorny P. 1 2 9 , 2 2 5 Poliakoff M. 7 7 , 1 7 5 Popkes W. 1 7 9 Poppi A . 1 1 3 , 124 Powell M . A . 18
295 Indice degli autori
Prete B. 32 Pridik K . H . 74 Pseudo-Girolamo 2 7 Pseudo-Ippolito 245 Quesnel M. 4 6 , 2 5 3 Radermakers J. 46 Rawlinson A. 32 Ricciotti G . 32 Rienecker E 32 Riley H . 48 RitzH.-J. 1 1 6 Rizzi G . 38 Robinson G . 3 2 Rocci L . 7 1 Romaniuk K . 260 Romano il Melode 178 Rose V. 32 Ross J.M. 3 8 , 3 9 Rouwhorst G . A . M . 1 7 7 Running L . G . 7 1 RyleJ.C. 185 Sacchi P. 2 5 1 Saglio E . 7 1 Sales M. 47 Satlow M . L . 7 7 , 1 7 5 Saunderson B. 35, 83 Savio P. 7 1 Schalz P. 32 Schenk W. 2 8 , 3 0 , 1 5 2 Schenke L . 48 Schlier H . 1 5 2 , 2 0 2 Schmidt T . E . 123 Schmithals W. 3 5 , 3 8 Schnackenburg R. 35 Schneider G . 3 8 , 4 8 , 6 4 , 6 7 Schnellbächer E . L . 4 1 , 4 6 , 2 2 4 Schniewind J. 32 Scholtz G . 1 1 9 Scholz J . M . A . 6 1 Schottroff L . 209
Schreiber J. 1 2 9 Schussler Fiorenza E . 208 Schweizer E . 3 5 , 4 7 Scroggs R. - Groff K . 1 . 4 3 , 7 0 , 1 9 9 , 221,232 Seevers B.V. 76, 1 5 2 Selwin E . G . 2 5 6 Senior D . 1 1 6 Smith C . 1 7 5 Smith J.Z. 75, 1 5 2 , 2 2 3 , 2 5 0 Smith M. 29, 3 0 , 4 3 , 2 3 2 , 2 4 9 , 2 5 0 Spicq C . 62, 65, 152, 153 Stählin G . 165 Standaert B. 44, 6 8 , 2 0 2 , 2 1 6 , 2 3 0 , 232, 2 3 6 , 2 4 4 Stevens B.A. 174 Stock A. 4 4 , 2 3 2 Stock K . 1 6 1 Strack H . L . - Billerbeck P. 40 Strecker G . 93 Swete H . B . 3 2 Taylor V. 3 5 , 5 7 , 7 5 , 1 1 3 , 1 1 6 , 1 2 0 , 132 Teodoro di Nopsuestia 244 Teofila tto 2 7 , 3 4 TézéJ.M. 175 Thayer J . H . 59 Tiedtke E . - L i n k H . - G . 1 7 9 Tischendorf C . 60, 6 1 , 1 8 3 Tolbert M . A . 48 Trites A.A. 166 Trocmé É . 3 2 Ulansey D . 2 3 9 Uricchio F.M. - Stano G . M . 35 Valette J. 174 Van Cangh J . - M . 108 Van Der Horst P.W. 2 5 2 Van Iersel M.F. 46 Van Linden Ph. 48 Vanhoye A. 45, 6 7 , 1 6 8 , 170
Indice delle citazioni bibliche
296
Vanni U. 2 1 8 , 2 2 2 Venturi A . 1 7 6 Vignolo R. 1 9 3 , 2 1 1 , 2 1 9 , 2 2 5 Vogels W. 7 7 , 1 5 2 Volkmar G . 37 Vorster W.S. 145 Vorstman J.M. 3 9 Vunderink R.W. 78 Waetjen H . 3 8 , 3 9 , 45, 4 6 , 2 2 1 Walker W.L. 64 Wallace D . B . 7 5 Walsch J . E . 3 2 , 6 4 Wambacq B . N . 7 7 , 1 5 2
Warmington E . H . 59 Wedderburn A.J.M. 2 5 4 , 2 5 5 , 2 5 7 Weigelt H . 254 Weiss J. 3 2 Wellhausen J. 32 Wendling E . 3 7 , 3 9 White R . E . O . 253 WilckensU. 198,223 W i l k e C . G . 37 Williamson L . 48 Wohlenberg G . 32 Wright W. 248 Zahn Th. 3 2
B) Indice delle citazioni bibliche Gn
1-3 250 3 154, 159 3,7 154 3 , 1 0 154 3 , 2 1 159 9,20-27 157 9,25 157 18,7 65 19.4 65 22,3 65 22.5 65 2 2 , 1 9 65 25,27 65 2 8 , 1 0 - 1 7 198 28,20-22 259 3 4 , 1 9 65 37.2 65 37.3 254 37,23 154 3 7 . 3 1 154 37.32 254 37.33 1 5 4 3 9 , 1 2 37, 3«, 39, 40, 56 4 1 , 1 2 65 41,42 2i>7
Es
2,6 65 4,22-23 111 10,9 65 22,25-26 146, 159 22,26 146 24,6 65 28,2 197 29,5 197 2 9 , 2 1 197 29,29 197
Lv
16,4 56
Nm
1 1 , 1 1 - 1 2 ¿22 1 1 , 2 7 65 2 4 , 1 7 202 3 2 , 1 1 6