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Italian Pages 401 Year 1973
Printed in Italy Proprietà letteraria ed artistica riservata A.G.A. EDITRICE « IL PORTICHETTO », © 1973 Cuneo - Corso C. Brunet 13-15 - Tel. 30.19 PROGETTAZIONE GRAFICA: LUIGI SOSTEGNI IMPAGINAZIONE: RINALDO VARRONE REVISIONE LETTERARIA: DANIELA FAVERO STAMPA PRESSO LA LITOGRAFIA A . G . A . ARTI GRAFICHE ASSOCIATE di C U N E O
CARLO BAGGIOLI
LA CERAMICA « V E C C H I A MONDOVI'»
Appunti per una storia delle ceramiche del monregalese.
A.G.A. ARTI GRAFICHE ASSOCIATE
EDITRICE « IL PORTICHETTO » CUNEO
L'autore è un collezionista e da questa prospettiva ha scritto un libro senza inutili preziosismi, chiaro, esauriente e di facile lettura, indispensabile per chi vuole saperne di più sull'arte ceramica del Monregalese. Appassionati e specialisti, hanno inoltre prestato con entusiasmo la loro opera, contribuendo così alla realizzazione di una ricerca unica nel suo genere. Particolarmente assidua ed affettuosa è stata la collaborazione del Dr. Marco Levi che, validamente ha arricchito questo lavoro con suggerimenti e consigli preziosi, frutto della sua non comune esperienza in questo settore. Particolare riconoscenza va alla signora Augusta Ammirati, impareggiabile conoscitrice della Ceramica Monregalese, al signor Michelangelo Giordano collezionista, all'avvocato Giuseppe Buscaglia per le ricerche d'archivio, al sig. Giovanni Ansaldi e al sig. Giovanni Doglione per la ricerca di documenti, al cavalier Guido Giorgi per la consulenza fotografica, al signor Rino Ceriolo per le riproduzioni in fotomeccanica dei marchi, al signor Angelo de Bon, al signor Mario Pentinella ed al signor Renzo Debernardi per le riprese fotografiche; un caldo, sentito ringraziamento va inoltre al Dr. Riccardo Crosetti appassionato studioso delle tradizioni monregalesi. Si ringraziano infine tutti coloro che direttamente o indirettamente hanno contribuito alla realizzazione di questa opera preziosa, che senz'altro darà una nuova dimensione al lavoro spesso oscuro ed alle intuizioni artistiche dei maestri ceramisti di Mondovì.
La pubblicazione di questa opera è stata realizzata con la partecipazione del Rotary Club di Mondovi, che nel 1967 presidente il dr. Marco Levi, aveva organizzato l'importante: « Mostra della ceramica monregalese dall'ottocento a oggi».
PRESENTAZIONE
OGGI LA CERAMICA HA CONQUISTATO UNO SPAZIO RILEVANTE NELLA VITA DI TUTTI I GIORNI ED È UNA VOCE IMPORTANTE NELLA PRODUZIONE INDUSTRIALE ITALIANA. NEI GRANDI MAGAZZINI VENGONO OFFERTI, IN UNA INFINITA GAMMA DI LINEE E COLORI, OGGETTI E FORME CHE SIAMO ORMAI ABITUATI A CONSIDERARE COME PRODOTTI COMUNI E DI POCO CONTO, AVENDO ASSUNTO UNA FUNZIONE PRETTAMENTE UTILITARISTICA ED ESSENDO STATI SVALUTATI DALLE INDEROGABILI LEGGI DEL CONSUMO. TALE PRODUZIONE È LA TESTIMONIANZA DI UN'OSCURA E REMOTA TRADIZIONE ARTIGIANALE CHE NON PUÒ ESSERE IGNORATA. L'INTENTO DI QUESTO LIBRO È APPUNTO QUELLO DI PORTARE ALLA LUCE CON AMORE E METICOLOSA PAZIENZA UNO SCONOSCIUTO MOMENTO DELL'ARTE CERAMICA: LA « VECCHIA MONDOVI' ... L'OPERA SI PUÒ PARAGONARE AD UN AFFRESCO STORICO IN CUI SI SNODA E TRAE MOTIVO LA VICENDA DEGLI UMILI ARTISTI MONREGALESI, RICOSTRUITA E RIVISSUTA ATTRAVERSO LA VIVA TESTIMONIANZA DI DOCUMENTI ED IMMAGINI. VIENE COSI' DELINEATA LA STORIA FINORA IGNORATA DELLE FAMIGLIE CHE FIN DAGLI INIZI DELL'800 OPERARONO NEL CAMPO DELLA CERAMICA NELLA ZONA DI MONDOVI'; NE EMERGONO PERSONAGGI ANCHE GENIALI, COMMOVENTI PER LA PASSIONE CHE TRASFUSERO IN ATTIVITÀ COSI' INCERTE, DI CUI SEPPERO PERO' INTUIRE L'ATTUALITÀ. IL TESTO SARÀ UN PREZIOSO STRUMENTO DI CONSULTAZIONE E DI RICERCA PER TUTTI COLORO CHE SVOLGONO LA LORO ATTIVITÀ NEL CAMPO DELL'ANTIQUARIATO ED ANCHE PER I COLLEZIONISTI E GLI AMATORI D'ARTE.
LA TERRAGLIA Già nel tardo periodo della maiolica stannifera la chiara argilla inglese della Contea di Devonshire, manipolata, avrebbe dato origine ad un nuovo genere ceramico: la terraglia. Il primo creatore di terraglia color crema fu John Astbury (1686-1743) la cui attività è databile intorno al 1725, ma lo sviluppo e la pratica delle « terre fini » si era già riscontrata nei prodotti dei fratelli John, Philips e David Elers (1). Costoro, di origine sassone, già residenti a Delft, verso il 1686 emigrarono in Inghilterra e nel 1690 fondarono a Bradwell (Staffordshire) una fabbrica di ceramiche, introducendo la produzione di quelle teiere in grès rosso che Arij Jansz de Milde già nella metà del Seicento fabbricava a Delft (2). Un primo passo fu perciò costituito dalla lavorazione della terra dura e fine ed all'inizio del Settecento John Astbury, che lavorava a Shelton (Staffordshire), ottenne prodotti di « terra bianca » adoperando argilla chiara e silice calcinata, e denominò il cotto « white stone ware ». Nel 1740 poi Enoch Booth, vasaio a Tunstall (Staffordshire), mise a punto una vetrina liquida composta di vernice piombifera e silice polverizzata atta a ricoprire il biscotto fine (5). Thomas Whieldon, che operò a Little Fenton nel 1740 (6), è considerato il più illustre precursore della « Cream-coloured earthenwars ». la ceramica crema Wedgwood - sec. XVIII
Wedgwood 1770-1775
Wedgwood 1812-16
Wedgwood 1840 circa
inglese. Lo stesso Whieldon, che in precedenza aveva scoperto l'«agatte» (coperta imitante l'agata), ottenne la «maiolica fine» vera e propria nel 1749 e cinque anni dopo (1754) si associò a Josiah Wedgwood, discendente da una vecchia famiglia di vasai, dei quali si trovano tracce già nel 1679 a Burslem (Staffordshire). La società fra Thomas Whieldon e Josiah Wedgwood durò dal 1754 al 1759, periodo in cui la terraglia inglese si sviluppò grandemente arricchendo l'arte ceramica di un prodotto nuovo. Nel 1762 la perfezione e la rinomanza raggiunte dai prodotti della fabbrica dì Josiah Wedgwood erano tali che Sua Maestà Carlotta, Graziosissima Regina d'Inghilterra, accordò al ceramista la sua protezione, attribuendogli l'ambita qualifica di « Queen's Ware » (7). Si deve tener presente che il successo dei ceramisti inglesi fu, in misura notevole, facilitato dalla generosità della natura, che mise a portata di mano degli sperimentatori e ricercatori inglesi tutti gli ingredienti necessari alla composizione del nuovo genere ceramico destinato, per le doti di resistenza e per il prezzo moderato, ad eclissare la maiolica e a rivelarsi, in certi casi, un serio concorrente dell'aristocratica porcellana. Non si possono tuttavia non considerare le straordinarie opere eseguite dai ceramisti di Saint-Porchaire in Francia, i cui prodotti dimostrano che, già nel sedicesimo secolo, essi adoperavano una terra bianca composta di silice e allumina, relativamente dura e ricoperta di smalto piombifero. Nel 1743, Gérin Claude-Imbert richiedeva un privilegio esclusivo per fabbricare e vendere a Parigi e in tutto il Reame una ceramica prodotta con l'impiego di terra bianca e fine. Gli veniva così accordato un privilegio di 10 anni per 6 leghe, poi per 80 leghe intorno a Parigi (23 gennaio 1744). Nel 1745, associatosi con un certo Serrurier, produceva nel sobborgo di St. Antoine a Parigi terraglia bianca (8). E perciò da sottolineare il fatto che dieci anni prima della Società Whieldon-Wedgwood in Francia si fabbricava già terraglia bianca. Ricordiamo le fabbriche di Orléans, Choisy-le Roi, Chantilly, Saint-Amand-les Eaux, Douai, Creil e Montereau, centri che, con Sarreguemines, acquisteranno notevole importanza nel corso del secolo XIX per la produzione della terraglia (9). In tutta l'Europa sorsero fabbriche che operavano col nuovo processo di lavorazione ceramico diffusosi dall'Inghilterra. In Italia, Lussemburgo, Spagna, Germania, Austria, Ungheria, Belgio, Olanda,, Danimarca e Svezia, a difesa di un artigianato secolare, contro l'inarrestabile forza nuova della macchina che lentamente invadeva anche questo campo, si svilupparono molteplici, commoventi iniziative.
7
Francesi si mostrarono altrettanto incerti in questa denominazione: essi infatti, per indicare il prodotto inglese, non coniarono un termine specifico, ma si servirono di un vocabolo di origine italiana con l'aggiunta di un aggettivo che parzialmente dà un'idea del nuovo genere ceramico: « faïence fine». Soltanto gli Inglesi ed i Tedeschi seppero con una sola parola dare risalto alle doti intrinseche del genere ceramico che doveva largamente diffondersi tra le classi più modeste: gli Inglesi lo denominarono «Stone» ed i Tedeschi « Steingut ». In Italia, nell'ultimo quarto del '700, la terraglia « all'uso inglese » si cuoce in tutti i grandi centri ceramici; ovunque la sua produzione vascolare e plastica è più che notevole, nonostante l'avarizia della natura che costringeva i primi produttori a far tesoro di terre e minerali locali, peraltro solo parzialmente rispondenti alla bisogna. Questo stato di inferiorità era ulteriormente aggravato dalle condizioni politiche del Paese (11), suddiviso in tanti minuscoli Stati, la cui economia protezionistica (12) non sempre favoriva il commercio delle materie prime più adatte alla composizione delle paste. Per di più il materiale, scarso e scadente, prima di essere convenientemente utilizzato, doveva essere sottoposto a laboriose e costose manipolazioni, superflue ai ceramisti inglesi. Nonostante ciò, numerosi furono i nostri primi produttori, fra i quali s'incontrano anche nobili figure di mecenati, che si accinsero alla difficile impresa senza alcun scopo di lucro, col solo intendimento di adeguare l'arte figulina italiana a quella straniera (13). Né si deve dimenticare che il nuovo genere ceramico veniva offerto in un periodo in cui gran parte della società elegante era dominata da quell'anglomania di cui ben seppe approfittare Josiah Wedgwood. Al suo primo apparire la terraglia italiana non celò le sue velleità signorili e aristocratiche, e a Napoli, Roma, Bologna, Venezia, Nove, Este, Milano, Lodi, Torino e Savona entrò in gara con la porcellana. A Napoli e nel Veneto la ricerca dell'eletto e del raffinato si spiega con la influenza tacitamente esercitata sul gusto degli acquirenti e sulla fantasia degli artigiani, dalle fabbriche locali di porcellana che, attraverso decenni di mirabile attività, avevano ormai creato una tradizione; a Faenza, a Bologna e a Venezia l'aspirazione all'aulico deriva dall'origine nobiliare dei promotori del nuovo genere ceramico che poterono così occuparsi di un'impresa industriale senza rinnegare la tradizione di signorilità tipica della loro classe sociale. Sia pure in proporzione più modesta anche per la terraglia si rinnovò allora quello entusiastico interessamento che, quasi un secolo pri-
In Italia però sembra che la sorte abbia avversato questo nuovo prodotto ceramico. Nella storia della nostra gloriosa arte figulina, questa pur nobile sorella minore della porcellana è quasi dimenticata: infatti le fabbriche ed i prodotti di terraglia, a cui forse si fa colpa delle origini recenti e della sua rapida e quasi completa industrializzazione, sono stati per anni volutamente ignorati. Eppure, anche in Italia, sin dalla sua prima comparsa, essa ebbe espressioni artistiche e decorative tutt'altro che volgari, manifestazioni tecniche complesse, varie e di notevole interesse scientifico. Non si può così giustificare l'ingiusto silenzio mantenuto su questo nuovo genere ceramico, le cui produzioni tecnico-artistiche dovrebbero venire segnalate subito dopo quelle illustri della porcellana e della maiolica Settecentesca.
Piatti per arredamento Napoli sec. XIX
Persino nella terminologia « terraglia » la fortuna si mostrò alquanto sospettosa: nelle carte ufficiali e private, ancora nella seconda metà del secolo XVIII, il termine « terraglia » si usava per indicare qualsiasi prodotto ceramico ottenuto dalla manipolazione e cottura di terre e argille, comprendendo così la maiolica fine e dozzinale, la boccaleria, le stoviglie ordinarie e le umili pignatte di terra rossa o gialla (10). Solo dopo i magnifici risultati ottenuti nel Veneto, a Napoli, a Roma, nella Romagna, in Emilia e in Liguria, il definitivo nome di « terraglia » veniva ufficialmente riconosciuto anche in atti pubblici. Del resto, anche i 8
tiene a quel ritorno al classico che si manifestò in Italia alla fine del Settecento, al quale aderì l'intera Europa e da cui attinsero largamente Josiah Wedgwood ed i suo numerosissimi concorrenti. Come in tutte le manifestazioni delle arti decorative destinate all'arredamento della casa, anche la terraglia nelle sue prime espressioni non conobbe l'accademismo di maniera, ma fu tutta permeata di vaga grazia settecentesca e interpretò la grande arte classica con una sua propria sensibilità che la liberò dalla copia pedissequa. Dalla sua libertà di interpretazione derivò la varietà degli accenti da cui era contraddistinta la produzione delle diverse regioni italiane, e che, specie nelle manifatture minori, resistettero anche quando gli eventi politici e l'evoluzione del gusto imposero quel freddo neoclassicismo accademico che la grande arte classica aveva degradato a mera calligrafìa (17). Questa nostra primitiva terraglia che, nonostante la scarsità dei mezzi, alla fine del Settecento si presentava ovunque con grazia discreta, in seguito a fatali e inevitabili eventi politici e sociali improvvisamente decadde. L'irreparabile crollo dell'antico regime aristocratico impoverì infatti e disperse la vecchia clientela
Piatto Ø cm 21 Savona fine sec. XVIII Jacques Boselli
ma, aveva spinto sovrani, principi, alti prelati e grandi feudatari ad occuparsi delia porcellana (14). A differenza di quanto avvenne in Inghilterra, in Francia, in Germania e in altri paesi europei, i pionieri della terraglia italiana, come del resto i loro predecessori nel campo della porcellana, non poterono giovarsi di un efficiente appoggio protezionistico dello Stato, perché da noi l'introduzione della terraglia coincise con l'accettazione delle nuove teorie, liberistiche in economia e liberali in politica, contrarie ad ogni sorta di protezionismo e monopolio (15). Scarso vantaggio ricavavano i fondatori delle nuove manifatture dai temporanei privilegi privativi e dalle modeste esenzioni daziarie, anche perché l'inaugurazione di fabbriche di terraglia era, quasi sempre, preceduta da lunghe e laboriose ricerche che comportavano ingenti spese d'impianto ed esigevano un paziente addestramento di maestranze quasi digiune di nozioni tecniche. Il tenue benefìcio del privilegio era così annullato per diversi anni (15). La qualifica « all'uso inglese », che accompagna il nome « terraglia », deve essere accettata, data l'origine, come qualìfica tecnica; per spirito e per forme appar-
Piatto Ø cm 21 - Savona Monocromia bianco bleu Marcenaro
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Piatto in rilievo - Ø cm. 20,5 Sarreguemines - metà sec. XIX
un grande orgoglio artistico che porta al fanatismo più che al culto: ecco le componenti individuali nello svolgimento di questo genere d'arte, unite ad un contorno di furto geniale o di genio mescolato al furto con sublime naturalezza. L'affermarsi della reazione al barocchismo, che aveva avuto inizio nella seconda metà del Settecento, portò a quei mutamenti stilistici che all'inizio del secolo vanno sotto il nome di Impero e Restaurazione. Al Neoclassicismo, impostosi verso la fine del Regno di Luigi XVI e sotto il Direttorio, subentra u n a nuova concezione che trovò l'apogeo della sua stilizzazione nel primo decennio del secolo decimonono. In Italia lo stile Impero non arrivò che di rimbalzo, ma quasi nessuna fabbrica impostò la propria produzione sui canoni estetici francesi. Moltissime avevano invece, senza soluzione di continuità, tradizioni secolari che affondavano nel Rinascimento, altre si ispirarono ad un neoclassicismo composito permeato di gusto popolare. Né il periodo della Restaurazione apportò grandi modifiche: la sua influenza, infatti, si risolse in uno scadimento d'interesse per le forme strettamente classiche, in favore di altre maniere meno canoniche, cosicchè nuovi elementi decorativi vennero accettati anche se meno eroici.
sostituendola con una borghesia in gran parte impreparata alla sua missione e, come ai nostri giorni, esterofila, rinnegatrice della tradizione, spesso troppo sollecita ad accogliere dallo straniero anche ciò che è deteriore. La situazione non migliorò con l'avvento di Napoleone, il quale scriveva ad Eugenio Beauharnais che l'Italia non poteva far calcoli prescindendo dalla prosperità della Francia a cui doveva subordinare i propri interessi. La decadenza della terraglia veneta e ligure, lo scarso sviluppo della terraglia emiliana si ebbero appunto con l'Impero. Né alla terraglia italiana giovò la Restaurazione degli antichi governi che, dal canto loro, abbandonarono il mercato alla facile conquista dei produttori inglesi e francesi: costoro, resisi conto dei mutamenti sociali imposti dalla Rivoluzione, trasformarono, con tempestiva rapidità, le casalinghe manifatture artigianali in industrie potenti ed aggressive In Italia questa metamorfosi si verificò con grande lentezza e attraverso contrasti ed incomprensioni. Tuttavia i produttori di terraglia italiani non rinunciarono alla difesa del loro mercato e sostennero u n a d u r a lotta che fece numerose vittime e si svolse tra l'indifferenza o addirittura l'ignoranza del pubblico. La vicenda delle nostre terraglie è quasi sempre una cronistoria di lotte e sconfitte, di speranze e disperazione, di scoperte stupende e di segreti carpiti, di tradimenti e di fallimenti, di onori e di privilegi di invidie, d'entusiasmi e di affari. Una sorta di coraggio nazionale, un desiderio di emancipazione e di libertà,
Mentre l'Impero, in Italia, gradiva solo le decorazioni a greche, a palmette, a bacche d'ulivo, a poco a poco si introdussero le rose e il tralcio vitineo stilizzato ed alle palmette si sostituirono le baccellature, gli ovoli ed il perlinato (18). Verso la metà del secolo, con il 10
Piatto in rilievo - Ø cm. 20 Policromia Germania fine sec. XIX
Sul finire del secolo Decimonono nacque uno stile caratteristico, indubbiamente originale, anche se discutibile: il «floreale». Anche le ceramiche rispecchiano allora lo stile crepuscolare che tramuta tutto in viluppi di campanule mostruosamente cresciute, di ireos e crisantemi dalla voluta interminabile degli steli. Le chicchere allungano il collo per vedere fin dove si arriverà, le tazze, i vasi, gli oggetti assumono le forme più strane e impensate, quasi dimentichi della loro funzione (19). In questo sogno decadente, in questa boreale interpretazione della natura, in questo mondo che pare riflesso in una bolla di sapone si estenuava così l'ultimo Romanticismo. Con la fine dell'Ottocento scompare pure l'artigianato ceramico.
Romanticismo apparvero i « deutsche blumen », falsamente realistici, che raggruppavano con simulata noncuranza fiori di campo e fiori di giardino. Anche le forme persero la loro stilizzazione classica, i canoni artistici tradizionali vennero sovvertiti, si crearono ibridismi di forme dominate da un nuovo barocchismo esasperato, ispirato al gotico, al romantico ed approssimativo medioevo di Walter Scott. E si arriva alle gozzaniane « cose di pessimo gusto ». Dal 1860 in avanti tutto divenne lecito, sia nella forma che nella decorazione. Tutti gli stili delle epoche precedenti, compresi i ritorni neoclassici, neogotici e neobarocchi, già impostisi nella prima metà dell'Ottocento, vennero rispolverati con variazioni strane, estremamente complicate e difficili. 11
NOTE Les
poteries,
faïences,
porcelaines
Européennes,
Paris,
1954
—
1954
—
Paris,
1954
—
Paris,
1954
—
1)
TARDY
2)
HENRY
3)
HENRY-PIERRE
4)
TARDY
5)
TARDY
Les poteries, faïences, p a g g . 278, 293;
porcelaines
Européennes,
8)
TARDY
Les poteries, faïences, p a g g . 293, 340, 342;
porcelaines
Européennes,
7)
N.B. H O N E Y
Wedgwood Ware, London, 1957 — p a g g . 8, 9, 10, 17;
8)
ADRIEN LESUR et TARDY
Les poteries et les faïences p a g g . 694, 721, 722;
9)
HENRY-PIERRE
La
maiolica
La
terraglia
p a g g . 255, 270; HAVARD FOUREST
FOUREST
MORAZZONI
Histoire de la faïence de Delft, P a r i s ,
La maiolica in Europa, N o v a r a , 1964 — p a g . 151; Les poteries, faïences, porcelaines Européennes, Paris, p a g g . 255, 270, 272, 327;
françaises,
GIUSEPPE
11)
AUGUSTO
12)
PIETRO VERRI
Meditazioni
13)
GIUSEPPE
MORAZZONI
La terraglia italiana, M i l a n o ,
14)
GIUSEPPE
MORAZZONI
La
15)
ANTONIO
GENOVESI
Lezioni di economia p a g g . 186, 197;
16)
GAETANO
FILANGERI
Delle
17)
GIUSEPPE
MORAZZONI
La
18)
VALENTINO
BROSIO
Porcellane
e
19)
VALENTINO
BROSIO
Porcellane
e
italiana,
Storia politica
Milano,
d'Italia,
1959
—
italiana,
1957 — p a g .
27;
M i l a n o , 1878 — p a g g . 52, 53, 75;
sull'econamia
terraglia
Paris,
in Europa, N o v a r a , 1964 — p a g . 153;
10)
FRANCHETTI
1878 — p a g . 240;
politica,
Milano, civile
ed
Torino,
1852
—
pagg.
578,
579;
1957 — p a g . 28; 1957 — p a g . opuscolï,
29;
Torino
1852
leggi politiche ed economiche, T o r i n o 1852 — p a g . 707;
terraglia italiana,
Milano,
1957
— pag.
maioliche dell'Ottocento, Milano, maioliche
dell'Ottocento,
Milano,
30; 1965 — p a g g . 1965
—
pag.
14, 16; 16
LA C E R A M I C A MONREGALESE NEI SECOLI XVII-XVIII
Delle origini storiche della produzione ceramica monregalese noi sappiamo, con assoluta certezza, soltanto questo: che non sappiamo quasi nulla, perché poche e incerte sono le notizie tramandateci e, nel loro complesso, non tali da confortare l'ipotesi che nel XVII e XVIII secolo siano esistite, quaggiù, fabbriche di ceramica di una certa importanza e relativa consistenza economica.
Nel secolo XVIII il Piemonte ha ritrovato, sia pure a prezzo di servitù e di oscurantismo, un po' di pace. È il momento in cui si definiscono i confini con la Francia e con gli altri Stati italiani e che si realizza un relativo equilibrio nel giuoco delle forze internazionali, equilibrio storicamente assai importante per la Italia avviata verso una unità che è più sentita economicamente che politicamente. Il nostro Paese, dopo aver toccato, nel Seicento, il livello più basso della sua storia dall'età dei Comuni, manifesta ora una lodevole volontà di ripresa, soprattutto evidente nell'aumento delle forze produttive nei settori dell'agricoltura, del commercio, dell'artigianato e delle manifatture. Il Piemonte, sconvolto dalle guerre combattute da eserciti invasori, si ritrova con le città e le campagne devastate, con l'agricoltura e le industrie distrutte e chiede soltanto pace e lavoro per la sua popolazione. La ripresa economica piemontese non si compie, peraltro, in forma omogenea perché è condizionata dal diverso grado di evoluzione civile degli abitanti delle varie province: infatti il progresso si era sviluppato e si sviluppava in modo ineguale, non soltanto per le differenti soggezioni politiche, ma anche per remote ragioni storiche. La ripresa economica piemontese, quindi, è di modeste proporzioni e di tipo quasi esclusivamente agrario, perché l'antica oligarchia, uscita dalle guerre con i patrimoni assottigliati e, per di più, oppressa dal fiscalismo eccessivo dei governi, preferisce ora dedicare alla terra, al lusso o alle spese di prestigio ciò che le è rimasto. Scomparsi i capitali liquidi,
Si rinnova quindi anche per questa antica e nobile forma di artigianato, quello che è il destino di molte altre espressioni dell'ingegno e delle attività umane, ideate non si sa bene quando e da chi, adottate e cresciute nell'ombra e nel silenzio dei secoli bui e improvvisamente balzate sulla ribalta della cronaca già adulte e, in qualche caso, già vecchie. Noi sappiamo, del resto, che almeno il novantotto per cento delle attività artigianali e artistiche mancano di precisi dati anagrafici e si presentano al fonte battesimale della storia come i trovatelli che, un tempo, venivano abbandonati sulle soglie dei conventi: « Abbiatene cura, in nome di Dio ». Ben più chiaro, al contrario, appare il quadro dei fattori politici, sociali, economici e, soprattutto, geologici che appoggiarono od ostacolarono il nascere e l'affermarsi di questa attività artigianale che ebbe, fin dagli inizi, il singolare destino di essere favorita dalla natura e contrastata dagli uomini. È perciò a questi fattori che noi dobbiamo rifarci per dare non già una impossibile paternità anagrafica, ma almeno un riferimento storico preciso sull'atto di nascita delle ceramiche monregalesi. 13
il poco denaro disponibile risulta del resto così gravato d'interessi da rendere antieconomica qualsiasi impresa. È strano che si debba parlare di mancanza di capitali in un Paese che, ancora qualche secolo prima, aveva accumulato enormi ricchezze; u n a così grande dovizia è però scomparsa, distrutta o nascosta. Aristocrazia fondiaria e nobiltà controllano ancora, questo è indubbio, notevoli capitali, ma la nobiltà non ama l'investimento industriale e gli imprenditori non hanno fiducia nella sua solvibilità (1). Il quadro generale della situazione non è, insomma, tale da incoraggiare facili ottimismi. Le sostanze delle grandi famiglie risultano gravate dai fedecommessi e sono quindi vincolate dall'obbligo — contratto per disposizione testamentaria — di trasmettere i propri beni, in tutto o in parte, a determinati istituti o persone. Vera o non vera, generalizzata o sporadica, questa faccenda dei fedecommessi trova ampio credito e determina una psicosi per la quale i nobili, nel commercio e nell'industria, non trovano credito e la loro ricchezza diventa inutilizzabile. Si delinea quindi l'esigenza di commerciare i beni terrieri per realizzare quel contante di cui hanno bisogno tanto la vecchia nobiltà, sempre più dissipatrice e indebitata, quanto soprattutto la borghesia che aspira al possesso della terra, anche per una questione di prestigio. Con l'abbandono della mezzadria, l'economia terriera tende ad affittare, intanto, delle terre per ottenere il pagamento del canone in denaro: si verifica così una relativa dilatazione della produzione agricola, che favorisce u n a certa accumulazione di capitali e incentiva l'aumento della produzione. L'incremento produttivo diventa causa ed effetto di un incremento demografico abbastanza notevole, che determina modificazioni sensibili nelle condizioni sociali, anche se limitate ad alcune classi. È doveroso notare, infatti, che, nel quadro delle modificazioni suddette, nessun beneficio, nessuna ascesa si rileva negli strati più bassi della popolazione assai aumentata, tuttavia, per la proletarizzazione di un sempre maggior numero di appartenenti a classi sociali superiori (2). Ci pare significativo il fatto che a partire dalla seconda metà del secolo XVIII, in seguito al grave aumento del prezzo dei generi alimentari, della conseguente svalutazione della moneta e del peggioramento dei patti colonici nei confronti dei contadini, molti mezzadri diventarono avventizi e la miseria dei lavoratori si accrebbe, dando la spinta a correnti migratorie continue.
erano state formalmente abolite, il vecchio, medievale ordine risultava superato e in molti casi anacronistico. Sebbene un gran numero di maestri lavorassero ancora nelle loro case o nelle caratteristiche botteghe, parecchi di essi già avevano perduto l'indipendenza economica, molti la stessa proprietà degli arnesi di lavoro e la loro opera si svolgeva per conto di imprenditori capitalisti. Il numero di compagni o di garzoni di cui il maestro poteva servirsi era minimo e, in qualche caso, addirittura nullo. Riguardo alla situazione economica generale, la scarsezza di capitali era causa e conseguenza della diffìcile industrializzazione. Infatti la predilezione che il capitale dimostrava per la terra determinava la povertà delle industrie, ma, al tempo stesso, era anche dovuta allo scarso rendimento industriale. Questa circostanza non accelerò la lenta agonia del chiuso regime delle corporazioni, risparmiato dall'assenza di grossi interessi superiori. Nelle campagne e nelle città il capitale commerciale e industriale aveva posto a frutto la capacità lavorativa delle donne, dei ragazzi e dei fanciulli. Si notava un predominio dell'artigianato e del lavoro domestico e, in parecchie sue forme, l'industria era ben lungi dallo svincolarsi dall'agricoltura, ma restava ancora in mano ai contadini, i quali la esercitavano nelle ore vuote della giornata o nei periodi di forzato riposo stagionale. Ciò che ostacolerà o ritarderà la trasformazione dalla manifattura artigiana o domestica in manifattura capitalistica, da industria a mano in industria meccanica, saranno alcune cause fondamentali, che poi, a loro volta, ne genereranno molte altre minori: il terreno perduto nell'applicazione di nuove tecniche industriali rispetto ad altre nazioni europee; la scarsezza di capitali, o almeno di capitali disponibili; il fiscalismo eccessivo; l'angustia talora soffocante dei mercati e, soprattutto, il diffuso pauperismo che obbligava molti lavoratori a offrire la loro opera per mercedi da fame. L'imprenditore, o gli imprenditori, erano tratti a cercare generici lavoranti, non già maestri iscritti nelle corporazioni, richiedendo loro, soltanto, la fornitura di determinate quantità di lavoro. Questo fenomeno, iniziatosi nel secolo XVIII, avrà un notevole sviluppo nel secolo XIX quando il lavoratore diventerà un proletario o un sottoproletario: tale fattore negativo ritarderà infatti oltre un secolo l'impiego della macchina nella maggior parte delle industrie piemontesi e monregalesi.
Addirittura più debole e contrastata di quella agraria risulterà la ripresa economica del vecchio Piemonte nel campo dell'artigianato e della manifattura. Le corporazioni, ormai, non avevano più la ferrea, intollerabile onnipotenza di un tempo e, anche se non
II fiscalismo era causa ed effetto della povertà economica dello Stato e motivo, anche, della ristrettezza dei mercati regionali, condizionati dai lucrosi dazi interni. La tassazione colpiva le pochissime industrie fiorenti e, al tempo stesso, impediva la creazione di 14
profondi di argilla figulina, banchi di quarzite e dolomia. Vincenzo Barelli (3) afferma che nella: « ...Provincia di Mondovì-Vico — Argilla figulina bianca trovasi nella regione dei Martini. Argilla figulina ottima, avendo molto nerbo, trovasi in abbondanza nella regione delle Moline... A Vico l'argilla figulina forma l'oggetto principale di due coltivazioni che somministrano le terre necessarie alle fabbriche di terraglie... Una di queste cave posta alla sommità della collina detta "Le Moline" si coltiva a galleria aperta, l'altra posta inferiormente... si coltiva a cava aperta. » « ...Provincia di Mondovì-Villanova — Argilla figulina bigia, più compatta dell'argilla figulina gialla con piccole fila di quarzo sita nel luogo detto "Il fossale". Le argille che costituiscono il terreno terziario di Vico si estendono verso Villanova e vanno a incontrare il terreno intermediario ai piedi del monte che separa questo territorio da quello della Chiusa. Ad un'ora di cammino da Mondovì verso Villanova e nella regione detta di San Teodoro trovasi l'argilla figulina la quale viene impiegata a fare stoviglie ordinarie; quest'argilla è di colore più o meno giallastra, di grana piuttosto grossolana ed ha tessitura cavernosa. Essa diviene più compatta, morbida al tatto e di colore giallo più chiaro presso la cascina detta "Stralla". Sul confine di Villanova verso Pianfei, nel luogo detto "Il fossale", l'argilla figulina trovasi mista di granelli di quarzo e vi forma anche piccolissimi strati, essa è però più ruvida al tatto e più facile a sfaldarsi, il suo colore è giallo vivace ed è accompagnata da altra figulina bigia, più compatta e più untuosa al tatto... ».
nuove fabbriche perché provocava il rincaro dei viveri e il conseguente aumento di paghe che, per quanto minime, dovevano consentire agli operai di sopravvivere. E questo non incoraggiava certo gli imprenditori. Le condizioni per le quali la borghesia potrà migliorare le sue posizioni, in tutto il Piemonte e soprattutto nel monregalese, si determineranno solo verso la fine del secolo XVIII. Fino a quel momento tutti i tentativi fatti dalla classe imprenditoriale erano rimasti circoscritti nello ambito provinciale, mancando la possibilità di creare un mercato più vasto. Parlare in termini di mercato italiano non era infatti possibile, poiché il Paese era frazionato in molteplici Stati, divisi non solo da confini politici, ma anche da munitissimi dispositivi fiscali. Tuttavia non si poteva neppure parlare di un mercato libero in Piemonte, vista la siepe di ostacoli daziari posti fra i mercati interni: una siffatta politica fiscale, instaurata entro i confini dello Stato, fra provincia e provincia, fra paese e paese, evidentemente non poteva che peggiorare la già asfìttica situazione economica. Si era poi scatenata una sleale concorrenza tra le varie fabbriche che invocavano proibizioni e protezioni daziarie ciascuna a proprio favore, in un conflitto di interessi ed egoismi nocivo al sistema industriale. Inoltre la mancanza di un mercato sufficientemente vasto e ricettivo ed il difficile e costoso reperimento di materie prime assottigliavano notevolmente gli utili ricavati dalle industrie. Rendeva poi faticoso l'approvvigionamento di materie prime ed il trasporto dei prodotti finiti una scarsa e dissestata rete di comunicazioni. Tutti questi motivi alimentavano la diffidenza per qualsiasi investimento che non fosse l'acquisto di beni fondiari. E non solo fra i nobili, ma anche fra i « civili », la mentalità dominante ne! basso Piemonte era casalinga, prudente, quieta e avversa ai rischi; una mentalità tutta letteraria, che ostentava disprezzo per la « ...turba al vil guadagno intesa... ». Si aggiungeva ancora, quale ultima pennellata, l'arretratezza sociale e il diffusissimo analfabetismo alla cui conservazione contribuiva, per ignoranza, oltre che per politica di classe, il clero delle città e delle campagne che, non di rado, agli occhi dei semplici, identificava il diavolo col progresso meccanico. E fin qui abbiamo parlato degli uomini, evidentemente ottusi nella individuazione e nella scelta delle vie del progresso. Parliamo ora della natura che, come dicevamo poc'anzi, opponeva alle riserve ed ai bizantinismi dell'uomo, la geografia di un territorio favorevole alla nascita di una industria ceramica che, per quanto limitata al territorio monregalese, prometteva confortanti risultati. Infatti il sottosuolo monregalese è ricco di strati
« ...Provincia di Mondonì-Pianfei — Argilla apira, d'un bigio sucido traente al bruno. Dopo le tante argille sopradescritte, si trova ancora nel territorio di Pianfei, o forse già sul vicino territorio della Chiusa, e subordinato al serpentino, questo strato di argilla apira della varietà litomarga, essa è tenera e ontosa al tatto e infusibile al cannello, viene adoperato alla vetraia della Chiusa nella pasta con cui si formano le padelle entro le quali si opera la fusione del vetro... ». Anche Lucrezia Carboneri (4), forse riprendendo ulteriori notizie da Goffredo Casalis (5), scrive: « ...nella regione di San Teodoro, sul confine fra i comuni di Mondovì e Villanova, fu aperta la prima cava di argilla figulina usata nella fabbricazione delle maioliche... nel territorio di Villanova fu pure scoperta dolomite e a Roccaforte quarzo... ». D. Giambattista Botteri (6) a sua volta scrive: « ...La quantità e la bontà dell'argilla che si scava a poca profondità, ed in molti luoghi della pianura elevata, principalmente verso Beinette... ». Durante l'occupazione napoleonica, l'illuminato Chabrod de Volvic (7), Prefetto delle Province di 15
illustri da essere ricordati nella storia, né del resto le sue tradizioni affondano nei secoli d'oro della ceramica italiana (9). Il primo cenno sulla più antica industria ceramica monregalese si trova in Emanuele Morozzo della Rocca (10), il quale affermava che nel secolo XV i confini o limite per l'applicazione delle gabelle speciali della Città di Monteregale, verso Vico, erano delimitati dalla fornace di Stefano Serveto. In uno scritto del secolo XVIII, Piero Nallino (11), asseriva che in Morozzo, sulla sponda di un campo davanti alla Chiesa di San Gioanni, esistevano le rovine di un forno ceramico. Scavando nelle adiacenze si trovarono frammenti di vasi e di stoviglie di colore nericcio, più sottili e leggieri del comune vasellame ordinario in uso nell'epoca del ritrovamento. Continuando nelle ricerche, in posti diversi, furono rinvenute pietre circolari con il tipico foro centrale per il ferro che sosteneva la ruota da tornio dei vasai. Sempre lo stesso autore (12) affermava che a Chiusa Pesio molti figuli producevano grandi quantità di stoviglie di buona qualità, molto resistenti al fuoco, tanto che, oltre la normale vendita sui mercati locali, molta parte della produzione veniva venduta in Provenza e in Francia. Il Botteri (13) a sua volta scriveva che, in base ad una statistica del 16 settembre 1763 (Archivio Comunale di Chiusa Pesio, Vol. n. 94), a Chiusa Pesio esistevano non meno di trentuno fabbriche di stoviglie, le quali sarebbero aumentate negli anni successivi, incrementando notevolmente la produzione e l'esportazione. Giuseppe Prato (14) confermava che all'epoca Chiusa Pesio era celebre per le sue manifatture di stoviglie che procuravano al paese un introito annuo di circa 25.000 lire. Meno apprezzati erano i prodotti della stessa industria praticata in Dogliani perché questi manufatti risultavano meno lisci, più pesanti e meno resistenti al fuoco di quelli fabbricati alla Chiusa. Altri autori trattavano l'interessante questione. Citeremo il monregalese G.F. Baruffi che scriveva: (15) « ...Il medico Perotti, quel dotto e attivo personaggio che fece rivivere in Mondovì, nell'anno 1808, questo ramo d'industria già ivi in voga un secolo fa... » e il saluzzese Goffredo Casalis (16): « ...Mondovì — (Provincia)... vi esistono due fabbriche di maiolica bianca e nera. Nel sobborgo di Carassone da circa trentacinque anni fu stabilita u n a fabbrica di maiolica bianca dal Signor Benedetto Musso, il quale vi fece rivivere questo ramo di industria che eravi molto in fiore un secolo innanzi.. ». Il monregalese Giovanni Vignola (17) confermava: « ...Se la tradizione non falla, questa arte della maiolica era già molto in fiore a Mondovì sul finire del Seicento o nei primi anni del secolo XVIII. Il Casalis stesso lo asserisce. Havvi anzi chi pretende
Oneglia, Savona, Acqui e parte della Provincia di Mondovì, notava che: « ...On y a introduit depuis quelque temps la fabrication des terres de pipe! On trouve la plus grande partie des matières premières dans le pays même; cependant on emploie de la terre de Vicence pour un tiers dans la fabrication. On trouve une terre parfaitement semblable dans le Piémont et notamment dans les environs de Mondovì. C'est dorénavant la seule que l'on emploiera. La différence du prix entre ces deux terres est de 11 à 19 francs le quintal; la vaisselle que l'on fabrique paroît très belle au moment où elle sort de la main du tourneur... ». Oltre all'argilla figulina, quarzite e dolomia, il territorio monregalese aveva una grande disponibilità di acqua, allora indispensabile per la forza motrice, e vastissimi boschi dai quali si potevano ricavare grandi quantità di legna da ardere. Ma l'impianto dì grandi fabbriche di ceramica, formidabili divoratrici di combustibile, avrebbe presto incontrato notevoli difficoltà: sia dirette, relative cioè all'approvvigionamento regolare in loco della legna per difficoltà di trasporto, che indirette, per avversione di tutta la popolazione verso gli stabilimenti, dovuta al notevole aumento dei prezzi della legna da ardere che inevitabilmente la vicinanza di fabbriche ceramiche determinava. Ma le difficoltà oppostesi alla nascita e alla vita di un'industria figulina veramente efficiente dovevano essere aggravate anche dal mancato aggiornamento delie maestranze le quali non conoscevano i procedimenti e le formule più progredite del tempo, cosicché i prodotti sarebbero apparsi antiquati o difettosi o comunque inferiori a quelli che si potevano acquistare da maiolicari già affermati. Non bastava, per una grande industria ceramica, la naturale intelligenza e operosità degli abitanti che, con un piccolo ed attivo artigianato, certamente contribuirono a creare la tradizione ceramica anche nel monregalese e a tramandarla fino ai nostri giorni (8). Ma, come s'è già detto, scarsi sono gli scritti economici e statistici che attestino in modo inconfutabile l'esistenza nel monregalese di fabbriche o forni da ceramica prima del XIX secolo. Mondovì, città famosa per le sue glorie antiche, già sede di una fiorente università, ricca di traffici, di opifici e di una florida agricoltura, che vanta cittadini illustri nella cultura e nelle scienze, nell'arte figulina non espresse un Mastro Giorgio, un Conte Ferniani, un Salomone o un Boselli, non ebbe prìncipi che stipendiassero ceramisti, né patrizi che, senza timore di sminuire il proprio blasone, ricercassero nuovi elementi di splendore nell'industria e nel commercio. L'industria ceramica monregalese non dispose di ascendenti così 16
Pietro Nallino: Il corso del fiume Pesio (pagg. 33-135) Pietro Nallino: Il corso del fiume Ellero (pagg. 107-112)
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Terracotta smalto bruno scuro Morozzo ? - Secolo XVI ?
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Piatto Ø cm. 30 Bruno, decorazione bianco Chiusa Pesio ? - Secolo XVIII
stagionali o occasionali e u n a parte da contadini che nella buona stagione attendevano ai lavori nei campi e nei mesi di stasi si dedicavano a questo artigianato, producendo piccole quantità di stoviglie, tegami, pentole e vasi da vendersi sui mercati viciniori con modesti benefici (20). Questi prodotti non potevano certo gareggiare in bellezza e finezza con le maioliche e le porcellane famose di altri paesi, né ambivano l'onore di comparire sulle mense dei ricchi: essi però assolvevano, umilmente e utilmente, il compito di servire la tavola del popolo minuto. I mezzi di lavorazione delle piccole fabbriche domestiche di Mondovì, Vico, Chiusa, Villanova, Frabosa, Morozzo, Ceva, Dogliani e via dicendo, erano assolutamente primitivi ed empirici. Certe stoviglie, fabbricate in modo grossolano, risultavano poco lisce e poco sottili, perché l'impasto di argilla greggia non subiva alcun processo di raffinamento e veniva lavorato dopo un sommario setacciatamento. L'argilla, infatti, veniva dapprima impastata e liberata dai sassolini, poi battuta con un'asta di ferro metà riquadra e metà rotonda sopra un menatoio di grosse tavole di noce (21). Un altro metodo di impastatura era quello di distendere la creta in ampie vasche e di batterla ripetutamente con grossi mazzuoli di legno, oppure di pestarla lungamente sotto i piedi come si faceva per la pigiatura dell'uva (22). Si riteneva che la terra, così trattata, conservasse tutto il suo nerbo naturale e fosse in grado di reggere più a lungo all'azione del fuoco. In talune fabbriche più evolute la prima fase del lavoro consisteva nella depurazione della pasta, la quale veniva alternativamente disseccata e posta a bagno. Il tornio
che, in quel turno di tempo, u n a fabbrica di maiolica sorgesse al Piano della Valle, e precisamente là ove trovasi ora l'Ospedale degli Infermi. Ma prove irrefragabili non riuscimmo ad ottenerle.. ». Anche L. De Mauri (18) riferiva che: « ...In Mondovì... sul finire del secolo XVII od ai primi anni del secolo XVIII si era aperta una fabbrica di maioliche. Pare che fosse stabilita al Piandellavalle ove ora è l'Ospedale degli Infermi... ». L'Ospedale degli Infermi fu edificato nel 1774 come affermava il Nallino (19). Escluse le poche notizie già riportate, null'altro si conosce circa le enigmatiche ceramiche monregalesi. Benché Casimiro Danna, che si diede a reperire documenti e prove fino dalla seconda metà del secolo scorso, non trovò assolutamente nulla. Questa attività, peraltro povera di capitali e di iniziative, non era legata alla città ma alla campagna, non era concentrata ma decentratissima, perché si svolgeva in gran parte attraverso l'artigianato rurale e il lavoro a domicilio. Anche nei centri urbani si verificava un certo incremento manufatturiero e qui, accanto alla piccola fabbrica dotata di pochi torni e di un forno, servita da un maestro e da pochi lavoranti, probabilmente operavano veri e propri opifìci, dotati di più torni e di alcuni forni, controllati da mercanti: piccoli stabilimenti che già rappresentavano un tentativo di industria in grande, con più ampio investimento di capitale e maggiore impiego di lavoratori. È perciò storicamente provato — anche se i documenti comprovanti il fatto non sono poi molti — che nel monregalese esistevano numerose piccole fabbriche, con una buona produzione e un discreto smercio. Una parte delle stoviglie veniva cotta da artigiani 19
usato era quello degli antichi figuli, le vernici erano macinate da piccoli mulini di legno messi in moto dalle acque di ruscelli o di torrenti (23). Un quadro, come si vede, naturale ed idillico, ma affatto pregevole sotto il profilo pratico, perché l'artigiano deve seguire le innovazioni del progresso per ottenere un prodotto relativamente perfetto ed utile. Gli umili stovigliai piemontesi ben presto capirono che le loro povere ceramiche avevano bisogno di migliorare in qualità (24). Chi di loro fosse riuscito a rendere la pasta più omogenea e più tenace, la cottura più uniforme, la vetrina più resistente e meno insalubre, chi fosse riuscito ad abbassare i prezzi e a migliorare la qualità, sarebbe stato meritevole della riconoscenza di coloro che nei successivi decenni avrebbero acceso forni e dato inizio a più prospere e famose industrie.
è a credersi sia stata negli Stati nostri, come in ogni parte del mondo, introdotta sin dai più remoti tempi, sebben non consti alcun legislativo provvedimento della sua esistenza prima del secolo scorso. La poca abilità richiesta nelle sue produzioni, il trovarsi quasi ovunque la materia prima, più o meno buona, la poca spesa richiesta per stabilire le occorrenti fabbriche e l'essere pure gran parte dei suoi prodotti oggetti di prima necessità, specialmente per le classi povere, fecero si che l'esercizio di questa industria poté avere origine e prospero incremento senza che fosse necessario che l'attività governativa vi cooperasse. Di qui dunque può credersi che dalla mancanza di relativi provvedimenti riguardanti quest'umile industria e dal poco loro numero possa trarsi argomento né della tarda sua introduzione nei Regi Stati, né di meschina estensione avutasi negli scorsi secoli, né infine di poca sollecitudine del Governo nel cooperare per parte sua all'incremento di essa...». Se gli stovigliai, il cui lavoro era destinato soltanto ai contadini poveri od ai più miseri sudditi di S.M. il Sovrano di Casa Savoia, non dovevano avere bisogno di protezione da parte delle autorità, ecco invece che, con Lettere Patenti del 10 settembre 1766, il Re di Sardegna Carlo Emanuele concedeva una privativa di anni dieci a Giovenale Novelli di Fossano... « che ha esposto d'aver trovato il modo di formare, con una terra che ha scoperto, i crociuolì o grisoli neri, di ugual bontà e perfezione di quelli d'Alemagna... » (26). Questi « crociuoli » servivano soprattutto per la fusione dei cannoni. Il marchese Birago, lo sfortunato fondatore della fallita fabbrica ceramica di Vische nel Canavese, fece opposizione rivendicando tale invenzione, ma dovette cedere e la vertenza venne composta con la Convenzione del 16 marzo 1767. Il Novelli, con Lettere Patenti del 22 agosto 1769, ebbe confermata per anni venti la privativa ottenuta nel 1766 (27).
Piatto Ø cm. 41,5 bruno, decorazione bianca Chiusa Pesio ? - Secolo XVIII
G.F. Baruffi (28) scriveva: « ...a chi brama indicazioni metallurgiche speciali sulla provincia le otterrà da un certo Stefano Olivero del luogo di Monastero presso Mondovì. Questo attivo contadino infaticabile cercatore di metalli, mescolando l'argilla di Mondovì con la piombaggine del Villar S. Costanzo (prov. di Cuneo) ottenne eccellenti crogiuoli alla foggia dei rinomati di Germania... », e Luigi de Bartolomeis (29) confermava: « ...Un villico di nome Olivero, mescolando argilla di Mondovì colla grafite granellare finissima che si rinviene nell'agro di Villar S. Costanzo, venne a capo di farne crogiuoli alla foggia di quelli d'Assia, ma non di tale qualità che possano pareggiare i crogiuoli che si fabbricano dal Signor Bonaventura Bocchiardi coll'argilla bigia che trovasi sulla montagna detta l'Oliva, e colla grafite del territorio di Cavour».
È interessante notare che la Direzione Tecnica della famosa vetreria « Società Reale per l'Esercizio della Fabbrica di Vetro di Torino e della Chiusa », in seguito denominata « Regia Fabbrica di Cristalli e Vetri del Piemonte», fondata in Chiusa il 23 luglio 1759, produceva i « padelloni » indispensabili per la fusione del vetro, adoperando terra refrattaria estratta nelle vicinanze di Chiusa di Pesio. A giustificare l'indifferenza delle autorità e di disinteresse degli studiosi di economia e di statistica per il piccolo, modesto artigianato degli stovigliai, il Duboin (25) scriveva: « ...L'industria della fabbricazione della cosiddetta terraglia, che i francesi appellano "poterle", 20
Zuppiera h. cm. 20 bruno, decorazione bianca Chiusa Pesio ? - Secolo XVIII
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NOTE 1) P. CUSTODI
Saggi di storia, di critica e di politica, Firenze, 1901 — pag. 283;
2) C. DAL PANE
Storia del lavoro in Italia, Milano, 1944 — pag. 15;
3) VINCENZO BARELLI
Cenni di statistica mineralogica degli Stati Sardegna, Torino, 1835 — pagg. 274, 275;
4) LUCREZIA CARBONERI
Carassone, culla dell'industria ceramica" da: « La Gazzetta di Mondovì» n. 30 del 29.7.1967;
5) GOFFREDO CASALIS
Dizionario geografico, storico, statistico e commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna, Torino, 1838;
6) GIAMBATTISTA BOTTERI
Memorie storiche della Chiusa di Pesio, Torino, 1884 — pag. 141;
7) CHABROL DE VOLVIC
Statistique des provinces de Savone, d'Oneille, d'Acqui et de la partie de Mondovì formant l'ancien département de Montenotte, Paris, 1824 — Vol. II — pag. 280;
8) CASIMIRO DANNA
Monografia intorno alla città e circondario di Mondovì — Torino, 1860 — pag. 43;
9) MICHE BERRA
Ceramiche monregalesi, da «Cuneo Provincia G r a n d a » , Cuneo, 1968 — n. 1, pag. 7;
10) E. MOROZZO DELLA ROCCA Le storie dell'antica Città di Monteregale monte, Mondovì, 1891 — pag. 540;
di
ora
S.M.
il
Re
di
Mondovì in Pie-
11) PIETRO NALLINO
Il corso del fiume Pesio, Mondovì, 1782 — pag. 135;
12) PIETRO NALLINO
Il corso del fiume Pesio, Mondovì, 1782 — pag. 33;
13) D. GIAMBATTISTA BOTTERI Memorie storiche sulla Chiusa di Pesio, Torino, 1884 — pag. 141; La vita economica in Piemonte a mezzo del secolo XVIII, Torino, 14) GIUSEPPE PRATO 1908, pag. 258; 15) G.F. BARUFFI
Pellegrinazioni autunnali, Torino, 1841 — vol. II — pag. 1307;
16) GOFFREDO CASALIS
Dizionario geografico, storico, statistico, commerciale degli stati di S.M. il Re di Sardegna, Torino, 1842 — vol. X — pag. 614;
17) GIOVANNI VIGNOLA
Sulle maioliche e porcellane del Piemonte. Fabbriche di maiolica in Mondovì, Torino, 1879 — pag. 575;
18) L. DE MAURI
L'amatore di maioliche e porcellane, Milano, 1962 — pagg. 148, 149 (la prima edizione è del 1881);
19) PIETRO NALLINO 20) CARLO GIULIO IGNAZIO
Il corso del fiume Ellero, Mondovì, 1788 — pag. 112; Giudizio della Regia Camera di Agricoltura e Commercio di Torino e notizie sulla patria industria, Torino, 1844 — Cap. III — pag. 99;
21) D. GIAMBATTISTA BOTTERI Memorie storiche sulla Chiusa di Pesio, Torino, 1884 — pag. 141; 22) EMILIO MARTINOTTI
Il ceramista, Milano, 1959 — pag. 30;
23)
Storia dell'industria ceramica di Mondovì, su «La Ceramica», Milano, 1940 — n. 6 — pag. 225;
ANONIMO
24) CASIMIRO DANNA
Monografia intorno alla Città e al circondario di Mondovì, Torino, 1860 — pag. 47;
25) FELICE AMATO DUBOIN
Raccolta per ordine di materie delle leggi cioè editti, patenti, manifesti, ecc. emanati nello Stato di Terraferma sino all'8 dicembre 1789 dai Sovrani della Real Casa di Savoia, Tomo 17 — Titolo XXXV (della manifattura di stoviglie ed altri oggetti inservienti agli usi domestici e delle arti con porcellana, maiolica e semplice argilla detta volgarmente terra), Torino, 1850 — pagg. 528, 529;
26) FELICE AMATO DUBOIN
Raccolta per ordine di materie delle leggi cioè editti, patenti, manifesti, ecc. emanati nello Stato di Terraferma sino all'8 dicembre 1789 dai sovrani della Real Casa di Savoia, Tomo 17 — Titolo XXXV (della manifattura di stoviglie ed altri oggetti inservienti agli usi domestici e delle arti con porcellana, maiolica e semplice argilla detta volgarmente terra), Torino, 1850 — pagg. 568, 569; La ceramica. (Le maioliche e le terraglie di Mondovì), Milano, 1885 — pag. 546;
27) GIUSEPPE CORONA
Pellegrinazioni autunnali, Torino, 1841 — Vol. II — pag. 1329;
28) G.F. BARUFFI 29) LUIGI DE BARTOLOMEIS
Notizie topografiche e statistiche sugli Stati Sardi. Vol. IV, Torino, 1840-1847 — pag. 261.
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LA CERAMICA MONREGALESE DALL'INIZIO DEL S E C O L O A D OGGI In conseguenza dell'occupazione napoleonica il monregalese, come del resto tutto il Piemonte, subì danni incalcolabili. Se la ventata antifeudale della Rivoluzione Francese aveva dato alla borghesia piemontese un notevole impulso sul piano culturale e civile, lo stesso non era avvenuto nel campo dell'iniziativa economica, la quale non seppe valersi del progresso meccanico. Ciò avvenne, indipendentemente dalle ragioni che impedivano e impediranno anche più tardi lo sviluppo industriale, perché ogni sia pur timido tentativo in tal senso urtava contro la politica francofila di Napoleone. A parte le iniziative indubbiamente positive per lo sviluppo legislativo, per l'organizzazione amministrativa, per la costruzione di strade, per lo sviluppo urbano, la politica economica di Napoleone -era concepita appunto solo in funzione degli interessi francesi. Dopo la annessione alla Francia del Piemonte — monregalese compreso —, Napoleone dispose ed ottenne: la confisca dei beni appartenenti agli ordini religiosi (a esclusivo vantaggio dell'erario francese come avvenne per i tributi ordinari e straordinari imposti ai Comuni); l'acquisto, a condizioni favorevolissime, di derrate alimentari e, soprattutto, di grano, cavalli, bestiame, foraggi e seta grezza; l'inquadramento nello esercito napoleonico del maggior numero possibile di soldati piemontesi, ottenuto attraverso leve in massa dei giovani. Contemporaneamente Napoleone faceva invadere i mercati piemontesi dai prodotti francesi che fruivano di un regime di monopolio, al riparo da ogni possibile concorrenza, sia straniera che interna. Le deboli proteste per una più giusta distribuzione degli oneri cadevano nel vuoto. Il Tarlè (4) scrive che: « ...indipendentemente dai buoni o cattivi lati del regime napoleonico, un elemento essenziale caratterizzava il disagio dei commercianti e degli industriali: il profondo senso di incertezza alimentato in loro dallo arbitrio del governo e dall'irriducibile assolutismo di Napoleone... ». In materia di tributi il governo francese mise sotto torchio tutto e tutti, con la conseguenza inevitabile che l'industria e l'artigianato monregalesi caddero in una gravissima crisi. Alle guerre pressoché continue, ai moti insurrezionali, agli sconvolgi-
Verso la fine secolo XVIII, malgrado lo stato di crisi in cui versava quasi tutta l'industria e l'artigianato piemontese, Mondovì godeva di una relativa floridezza. Numerose filande e fabbriche di panni, setifici e filature di lana, concerie e tintorie, vetrerie e fabbriche di falci, cappelli, dolci, eccetera, erano in buona attività e tali industrie, unite ad un artigianato assai vivo, assicuravano ai monregalesi un tenore di vita meno misero di quello degli altri abitanti del Piemonte. Anche l'agricoltura avrebbe potuto, in quell'epoca, dare più abbondanti redditi se le molteplici pastoie burocratiche non ne avessero ostacolato il libero sviluppo. Dei prodotti del suolo non si faceva grande commercio ed il Governo e le Autorità comunali, da parte loro, nulla facevano per aumentarne la produzione e migliorarne la qualità. Gran parte della proprietà terriera, fatta eccezione per alcune piccole zone, apparteneva alla classe privilegiata e questa non era in grado di intuire che la coltivazione intensiva avrebbe notevolmente aumentato il reddito agrario a beneficio sia del proprietario che del coltivatore. Gli arretrati sistemi di coltura applicati nel latifondo, gli impedimenti amministrativi che ostacolavano la libera espansione del commercio e dell'industria, costituivano altrettanti fattori di pauperismo che, allargando un sottoproletariato miserabile, ostacolavano lo sviluppo tecnologico dell'industria, permettendo all'imprenditore di sostituire vantaggiosamente l'uomo alla macchina (1). La « élite » della popolazione, rappresentata dai nobili, dal clero, dai magistrati e dall'alta borghesia, godeva del diritto di ricoprire cariche pubbliche e trovava nelle amministrazioni, sia statali che civiche, un'occupazione in rapporto al suo stato, un motivo per interessarsi e formarsi una pratica negli affari pubblici e soprattutto un mezzo per conservare la propria influenza aumentando la popolarità (2). Questa aristocrazia gretta e retriva, ligia a secolari tradizioni, per timore di perdere gli atavici privilegi, istigava il regio regime, assolutista e paternalistico, a negare una maggiore libertà alle popolazioni che dovevano essere socialmente rivalutate (3). 23
menti sociali e alla carestia fece così seguito il dissesto degli opifìci. La borghesia industriale e commerciale che, con umili petizioni, reclamava u n a maggiore libertà di commercio (riuscendo ad ottenere solo l'abolizione delle Corporazioni) si rivelò debole e inetta. Rimaneva la riserva dei campi ma anche questi non risultavano abbastanza produttivi sia per l'arretratezza dei metodi di coltivazione che per la relativa mancanza di coltivatori (5).
ra, trouver les causes qui n'ont jusqu'ajourd'hui fait regarder que comme secondaires ces branches de prospérité, et qui, sous l'ancien Gouvernement, languissaient dans une sorte de défaveur... ». Non si rilevano molte differenze fra le condizioni industriali illustrate dal Della Chiesa nella prima metà del secolo XVII (8) e quelle dell'inizio del secolo XIX sotto il regime francese. Solo un sognatore o un poeta poteva tentare di mutare questo stato di cose. Il dottor Francesco Perotti nato a Mondovì, fervente giacobino, imbevuto delle nuove teorie umanitarie proclamate dalla Rivoluzione, trasformatosi da medico in industriale ceramico, si associò con Giovanni Maria Tomba già fabbricante di ceramiche e Bartolomeo Randasso e tentò, nel 1807, di creare empiricamente u n a fabbrica di maiolica. L'audace esprimente non ebbe successo; dopo aver speso nella manifattura parte delle sostanze ereditate dal padre, abbandonò l'impresa che fu rilevata nel 1810 da S. Ubertinotti. Ma anche questo secondo tentativo naufragò. E pure u n a piccola fabbrica di ceramiche creata da Grandis e Berardengo alla Certosa di Pesio doveva chiudere, forse per difficoltà di comunicazioni e relativo reperimento delle materie prime oppure per difficoltà finanziarie. Con la Restaurazione le cose non cambiarono. All'assenteismo governativo si unirono pesanti gravami fiscali che peggiorarono le già misere condizioni della industria monregalese. Se si confronta lo sviluppo industriale di altri paesi con quello nostrano, si conclude che la nostra industria versava in grave crisi. Nella provincia di Cuneo e nel monregalese in particolare, tale situazione era ancora più sentita per il tradizionale predominio dell'agricoltura. La manifattura artigianale — ché di questo si trattava, più che di vera industria — non aveva segnato alcun progresso rispetto alle manifatture già esistenti nel primo Seicento (9). I giovani ripetevano, con indolenza, nelle varie fasi di lavorazione i rozzi procedimenti che avevano visto praticare dagli anziani (10). Questa involuzione provocava la perdita dei mercati e il relativo impoverimento delle imprese che non riuscivano a trovare finanziamenti per il rinnovo o l'ammodernamento degli impianti;» inoltre, la cristallizzazione del processo produttivo era causa di dissesti e di chiusure.
Non sarebbe tuttavia giusto addebitare esclusivamente alla guerra e alla esosa amministrazione francese le cause del tracollo economico manifestatosi in modo tanto drammatico all'inizio del secolo XIX. La crisi aveva invece radici profonde e lontane e derivava dall'assenteismo della classe dirigente, dalla mancanza di u n a « élite » imprenditoriale veramente efficiente, dalla mancanza di denaro a buon mercato e, soprattutto, dalla larga disponibilità di mano d'opera non qualificata che, per modestissima mercede, si adattava a qualsiasi lavoro. Ma i padroni delle fabbriche, evidentemente non paghi della grande disponibilità di operai, ne denunciarono « abusi » e « disordini », sottolinearono la loro « sfrenatezza » e la conseguente necessità di «tenerli a freno»: ottennero così che il governo napoleonico istituisse nel 1812 il « libretto di lavoro », applicando le norme poliziesche già contenute nelle leggi francesi del 1803 sul « livret ouvrier ». In tali condizioni di sfruttamento schiavista del lavoratore sembrava assurdo agli imprenditori sostituire l'uomo con la macchina, allora indubbiamente molto più onerosa del lavoro umano. Si capisce quindi perché, all'inizio dell'Ottocento, nel Dipartimento della Stura, comprendente anche buona parte del monregalese, non esisteva una sola industria concepita nel senso moderno della parola. Il Destombes nell'annuario pubblicato nel 1806 (6) scriveva: « ...On a pu dejà voir en examinant les notions rapides que j'ai donnée sur le département, les arrondissementes communaux et les villes, les limites étroites dans lesquelles se renferment l'industrie et les spéculations des habitans, on ne sera donc point surpris si cette partie de l'économie publique n'est point traitée avec plus de détails, mais on doit sentir que si elle a besoin d'encouragemens, les trois règnes ne peuvent être aussi intéressants qu'on pourrait le désirer... ». Il giudizio dell'annuario del 1809 (7) non poteva essere diverso: « ...Doit-on penser avec le savant Arthur Young, que l'industrie nuit à l'agricolture, et en conclure qu'un pays essentiellement agricole ne peut être manifacturier? On pourrais alors, par une solution affirmative, juger de l'état du commerce et de l'industrie du département de la Stu-
Bisognava coraggiosamente svecchiare le idee, abbandonare i sistemi tradizionali ed iniziare la grande accumulazione capitalistica. Ma il segreto, ancora a quel tempo, appariva uno solo: sfruttare fino al limite di rottura la forza del lavoro umano (11), attraverso il minimo dei salari e il massimo delle ore lavorative; così, restringendo il numero degli operai occupati ed 24
fino a 15-16 ore giornaliere anche per donne e fanciulli — e per il bassissimo livello dei salari. Per circa quindici anni dopo la Restaurazione, le tariffe doganali piemontesi si andavano facendo più irte di proibizionismi e sempre più invalicabili. La tariffa del 4 febbraio 1815 era moderatamente protezionistica; ma in quella di tre anni dopo, del 4 marzo 1818, venivano aumentati i dazi su quasi tutte le merci e nel 1823 i diritti doganali erano ancora inaspriti. Il Paese veniva così privato degli oggetti necessari al suo consumo quotidiano, ma, fatto ancora più grave, era pure privato delle materie prime e prodotti semilavorati indispensabili alle sue poche industrie. Questi inasprimenti successivi erano la conseguenza della comprovata inutilità degli inasprimenti precedenti, sia nel campo industriale, che in quello fiscale. Nessuna di queste tariffe, malgrado le speranze dei legislatori e salvo pochissime eccezioni, riusciva ad aumentare la produzione interna né incrementava le entrate dello Stato. Soltanto le industrie che consumavano esclusivamente materie prime locali, adoperando molta mano d'opera femminile e minorile, potevano sperare in un incremento produttivo abbastanza remunerato. Fra queste manifatture è da annoverare la nuova industria ceramica della terraglia; tuttavia nel monregalese, in quegli anni, si sviluppò solo l'industria di Benedetto Musso, non avendo notizie di altri tentativi abbastanza importanti.
aumentando, per logica conseguenza, l'offerta di lavoro, si otteneva u n a ulteriore diminuzione delle mercedi ed un più largo impiego, a paghe ancora più basse, di donne e fanciulli (12). Nel periodo immediatamente successivo alla Restaurazione l'economia monregalese è paralizzata da un generale immobilismo sociale ed economico. Due fatti sottolineano il grave regresso: il ripristino delle Corporazioni ed il ritorno al più rigoroso regime doganale, del resto comune a tutti gli altri Stati italiani. Il ritorno a Torino di Vittorio Emanuele I aggravava ulteriormente la situazione: il re sabaudo infatti insediò i gesuiti nelle scuole, ripristinò il foro ecclesiastico, rimise in vigore il maggiorascato, i fedecommessi e le leggi che proibivano al creditore plebeo di citare in giudizio il debitore nobile. Tali decisioni servirono solo a fossilizzare in un nuovo immobilismo feudale ogni attività economica. Fra le tante innovazioni napoleoniche, l'unica che il sovrano non soppresse fu quella del « libretto di lavoro », che costituiva u n a odiosa vessazione per l'operaio. Si pensi che, in base all'articolo 9 dello stesso era considerato.. sospetto l'operaio disoccupato. Già durante l'epoca napoleonica, la smobilitazione di alcune industrie tradizionali aveva favorito imprenditori coraggiosi e sagaci, che impiantarono in Mondovì nuove fabbriche e, fra queste, quella della terraglia. La crisi dell'industria serica infatti faceva chiudere una dopo l'altra le filande: alle bacinelle dei filatoi subentrarono i torni dei vasai. In Mondovì Benedetto Musso acquistava a prezzo fallimentare un opificio in disuso e lo trasformava in fabbrica ceramica, sfruttando convenientemente la forza motrice generata dalle acque del torrente Ellero ed utilizzando le materie prime giacenti a pochi chilometri dalla fabbrica. A questi elementi positivi si aggiungeva la possibilità di avere sul posto mano d'opera esuberante e bisognosa che si accontentava di modestissimi salari. Fra il 1823 e il 1826, in seguito ai favorevoli risultati ritenuti nella manifattura di Mondovì, veniva impiantata in Savona una succursale della casa madre e già nel 1830 questo nuovo opificio veniva considerevolmente ingrandito. Pochi anni dopo ne assumeva la direzione Antonio Musso, figlio di Benedetto (13). Nei due anni che vanno dal 1816 al 1817 la crisi economica si acuiva: venivano perciò rimandati a tempi migliori i progetti di impianto di nuove fabbriche. Intanto, manifestando sia nelle campagne che nelle città, la popolazione dava sfogo al suo malcontento: artigiani e operai infatti versavano nella più nera miseria e le condizioni del nascente proletariato industriale erano abbrutenti per la lunghezza di orari —
Già negli anni fra il 1820 e il 1840, qualche scrittore isolato cominciava a considerare la necessità che la industria fosse meno legata all'agricoltura, che essa fosse suscettibile di miglioramenti e in grado di costituirsi a fonte di primaria ricchezza (14). Se ancora non si poteva parlare di industria in senso moderno, si notava tuttavia un desiderio di fare, una volontà di aggiornarsi, di g u a r d a r fuori di casa e di tenere il passo (15). Un uomo eccezionale sotto questo aspetto per la industria monregalese, fu il conte Alessio Chiera del Vasco che, dotato di u n a cultura enciclopedica, profuse i tesori del suo sapere a favore di tutti coloro che avevano bisogno dei suoi lumi, insegnando gratuitamente elementi di geometria, meccanica, chimica, botanica e scienza applicata sia ai vari rami delle arti professionali che agli usi pratici della vita. Fu l'inventore dello « addometro » e del tornio per ovato e per tondo, necessario per far modelli precisi, indispensabili per le fabbriche ceramiche (16). Il primo fra gli Stati italiani a uscire decisamente dalla decadenza e dall'immobilismo in cui l'aveva portato la Restaurazione fu il Piemonte. Quando Carlo Alberto nel 1831 salì al trono, il collasso del Paese era grave. Proprio alla vigilia della morte, il 19 febbraio 25
Libretto di lavoro (raccolta Giovanni Doglione)
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Libretto di lavoro (raccolta Giovanni Doglione)
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glie comuni con 8 forni a una bocca, che occupavano 42 operai, producevano 636.000 pezzi (53.000 dozzine) per un valore complessivo di £ 21.200 (£ 0,40 la dozzina). Il compenso complessivo annuo dei 42 operai ammontava a £. 11.075,40 (calcolando una paga media giornaliera di £. 0,90 per 293 giorni) pari a £. 0,73 al giorno (0,73 X 365); n. 2 fabbriche di maiolica bianca con 2 forni e 4 ruote che occupavano 43 operai, producevano 516.000 pezzi (43.000 dozzine) per un valore complessivo di £. 60.200 (£. 1,40 la dozzina); il compenso annuo dei 43 operai ammontava a £. 12.599 (calcolando una paga media giornaliera di £. 1,00 per 293 giorni), pari a £. 0,80 al giorno (0,80 x 365). Per gli artigiani la situazione migliorava notevolmente, infatti 84 fornaciai guadagnavano in media, annualmente £. 436,90, mentre i vasai percepivano una media di £. 350 annue.
1830, Re Carlo Felice aveva promulgato una nuova tariffa doganale che, dopo i continui inasprimenti, aveva ormai toccato il massimo della sua elevazione: u n a media del 100% del valore delle merci. Il Piemonte era, non solo nell'economia europea, ma anche in quella italiana, un paese isolato. Carlo Alberto ed i suoi illuminati Consiglieri iniziavano l'opera loro reagendo al passato, abolivano tutti i divieti di esportazione, parecchi dei numerosi divieti di importazione e riducevano i dazi su tutte le merci più importanti. La politica economica piemontese era ormai indirizzata decisamente verso la libertà del commercio, che doveva essere il grande reagente dello sviluppo ulteriore del Paese e strumento soltanto, non il fine ultimo della vita industriale piemontese. Per tutte queste benefiche iniziative i progressi industriali del Piemonte saranno evidentissimi; nel monregalese vi sarà poi grande incremento nelle iniziative manifatturiere fin dal 1832. Il progresso industriale piemontese si rivelerà ampiamente con l'Esposizione di Torino del 1844. Il merito della rinascita del Piemonte in generale e del monregalese in particolare spetta in primo luogo al Governo di Carlo Alberto, ma anche all'azione di quell'illuminato e glorioso sodalizio economico-politico che fu l'«Associazione Agraria Piemontese». Il « boom » economico piemontese, che raggiungerà il suo vertice massimo fra il 1849 e il 1859, durante i governi d'Azeglio e Cavour, aveva avuto inizio, come s'è visto, nel 1831 coll'ascesa al trono di Re Carlo Alberto ed aveva avuto non piccola importanza nella formazione di quella classe sociale che si imporrà nei secoli XIX e XX: la grande borghesia commerciale, la nuova borghesia industriale e la piccola e media borghesia consumatrice di grandi quantità di manufatti a buon mercato. In questo periodo diversi opifici venivano convertiti in fabbriche di terraglia: Michele Giordana, architetto cuneense, acquistata nel 1833 u n a soppressa per olio di noci in Chiusa Pesio, la trasformava in fabbrica di terraglia, che tre anni dopo, cedeva a Giuseppe Barberis; Giovanni Battista Besio, forse negli stessi anni, accendeva i forni di u n a fabbrica ceramica in Mondovì nel sobborgo di Carassone; i fratelli Andrea e Sebastiano Tomatis nel 1840 iniziavano la cottura di terracotta e terraglia in un edificio già sede di u n a fabbrica ceramica in Carassone. Poco tempo dopo nel 1841 Giuseppe Besio, affittato un setificio in Mondovì al Pian della Valle, lo trasformava adattandolo a fabbrica di terraglia. Una statistica dell'Intendente Filiberto Vagina d'Emarese, pubblicata nel 1842 (17), rendeva noto che nella Provincia di Mondovì vi erano n. 8 fabbriche di stovi-
Piatto Ø cm 22 Monocromia stampata Magliano - Mondovì 1850-1859
Secondo Giovanni Allasia (18), nel 1834, una famiglia di un contadino o di un operaio, composta di padre, madre e due figli, nella Provincia di Cuneo o in quella di Mondovì, spendeva annualmente, per alimenti ed alloggio, £. 365. In tale spesa non venivano considerati gli altri bisogni quasi indispensabili e gli eventi straordinari della vita familiare, quali nascite, matrimoni, malattie e morte. Se si deve tener conto delle spese per 29
situazione di estrema indigenza della categoria stessa, è non potranno essere rimosse che con l'aumento del progresso tecnologico, apportatore di condizioni di vita più umane. Per lo scarso incremento tecnico, lento in generale e sporadico quando veniva applicato, ma soprattutto per il diffuso pauperismo, non si realizzavano quelle favorevoli condizioni che altrove contribuivano al grande ingresso della macchina nell'industria. Malgrado ciò la produzione aumentava per la diffusione di un'industria di tipo domestico-artigianale la quale, per la sua stessa produttività su piccola scala, quasi di autoconsumo, veniva a essere l'ostacolo principale per l'avvento in grande della macchina e della produzione in serie. Bisognerà giungere alle soglie del secolo XX perché il mutato rapporto tra domanda e offerta si faccia sentire e si avverta la necessità di qualificare quella mano d'opera agricola che alla terra ormai non può chiedere che un reddito misero o un sottoreddito. Si otterrà così un manufatto migliorato e, al tempo stesso, si creerà un più vasto mercato di consumo (20). Nella metà del secolo XIX, il costo del lavoro, pur con salari bassissimi, è nell'industria locale sempre troppo elevato e irrazionale, mentre si potrebbe definire « casuale » l'impiego del capitale, molto scarso, che automaticamente diventa troppo oneroso rispetto al valore relativo dei beni prodotti. Anche il rapporto fra capitale-lavoro e capitale-tecnica non è facilmente attuabile, data l'abbondanza e la disponibilità di mano d'opera che rende antieconomico l'impianto di macchinari (21). Con l'avvento dell'industria dovrebbe sorgere anche il problema sociale. Ma i moti e i primi movimenti operai, le « tragedie del progresso » che scuotevano molti paesi nella seconda metà del secolo XIX, non influenzeranno minimamente i dipendenti degli opifici locali perché mancano vere e proprie industrie. In Piemonte, la regione che pur sembrerebbe la più adatta a ricevere i fermenti delle agitazioni cartiste e francesi, non si può parlare del problema operaio prima del 1859-60. La previdenza sociale, in genere, non esisteva; si era ancora fermi al sistema di carità pubblica che aveva ormai fatto il suo tempo rispetto al più profondo senso dei « diritti dell'uomo ». Il « problema operaio » quindi non esisteva ancora, anzi, non esisteva l' « operaio come uomo ». Il problema era solo una questione di produzione a prezzi competitivi e l'operaio, ma soprattutto l'operaia e il ragazzo, erano sfruttati al massimo. Con graziosa benevolenza l'imprenditore addebitava loro una razione di polenta al prezzo di costo, oppure elargiva una minestra di riso (22): di più non poteva e non voleva dare, perché, non esistendo una vera industria,
Vaso h. cm 26,5 Policromia Magliano ? - Mondovì 1850-1859
il vestiario, le calzature e l'eventuale acquisto o rinnovo degli attrezzi per lavorare, non è difficile giungere alla conclusione che la paga percepita dal lavoratore era del tutto insufficiente. Perciò o il contadino e lo operaio vivevano in regime di sottoalimentazione, oppure ricorrevano a prestiti che difficilmente potevano essere saldati. Delle due congetture ci pare molto più probabile la prima, confermata del resto dallo studio di G. Eandi, che, trattando dello stesso argomento nel 1835 (19), scriveva: « ...è raro che il vitto comprenda qualche cosa di più della polenta, di un meschino tozzo di pane, di un pezzo di cacio, con bevanda di posca o vinello...». Il più delle volte, il lavoratore, stanco di lottare per una esistenza che non offriva alcuna prospettiva di miglioramento, decideva di seguire l'esempio dei suoi conoscenti: vendeva cioè le poche e misere suppellettili che ancora possedeva ed emigrava con la disperata speranza che i suoi discendenti potessero finalmente condurre una vita migliore. L'arretratezza economica, l'apatia e l'ottuso conservatorismo che per tanto tempo ancora caratterizzeranno il proletariato, trovavano profonde radici nella 30
I giornali monregalesi dell'epoca lamentavano la decadenza della maggior parte delle fabbriche cittadine e Casimiro Danna, in un opuscolo pubblicato nel 1860 (24), presentava un quadro negativo dell'industria del circondario la quale, dopo che il commercio aveva preso altre vie, era in condizioni «miserrime»: gli abitanti, solo a costo di molte economie, conservavano le loro fortune e il minimo infortunio poteva intaccare il loro patrimonio. Intanto cresceva la disoccupazione
per logica conseguenza, mancava una vera mentalità industriale (23). La inadeguatezza dei mezzi produttivi di numerose imprese artigianali monregalesi era causa di frequenti crisi, poiché le piccole industrie non reggevano alla concorrenza delle grandi che, favorite anche dai nuovi mezzi di trasporto ferroviario, immettevano con grande profitto sul mercato notevoli quantità di prodotti.
da documento di « Filiberto Vagina D'Emarese »
concerie di cuoi, fucine di ferro di prima lavorazione, filatoi e forni da calce, decadono le fabbriche di panni; si sostengono i filatoi e i torcitoi di seta, fornaci e forni da calce, rifioriscono da alcuni anni le fabbriche di stoviglie... ». L'Intendente seguitava augurandosi che tutti gli imprenditori seguissero lo esempio dei « fabbricatori di stoviglie... i quali allargando le loro operazioni, e giovandosi di metodi migliori, sono riusciti già a rialzare le loro industrie che andavano da tempo deperendo... ». Indubbiamente l'industria ceramica monregalese
e di conseguenza l'emigrazione, molti opifìci venivano chiusi, molte arti abbandonate, molte case si svuotavano. In realtà, se diminuiva il numero delle imprese, qualcuna si rafforzava, si ampliava e potenziava la propria attività. La situazione industriale in Mondovì alla metà del secolo XIX ci è illustrata dalla « Relazione » dell'Intendente Divisionale al Consiglio Provinciale nel 1852 (25): «Contasi nel Capoluogo e sparse nei Comuni, fabbriche di panni, di stoviglie bianche e nere, di vetri, 31
da documento di « Filiberto Vagina D'Emarese »
appieno le speranze della borghesia imprenditoriale. La classe dirigente italiana si era infatti illusa, o per lo meno aveva illuso gli italiani, che l'indipendenza, l'unità e la libertà politica avrebbero avuto, come conseguenza logica, lo sviluppo dei traffici e della produ-
era in fase di ascesa. Nel 1845 (26) esistevano in Mondovì: — Fabbriche di maiolica bianca n. 2 — operai 59 — operaie 9 — Fabbriche di maiolica nera n. 3 — operai 28 — operaie 5 — Fabbriche di stoviglie ordinarie n. 1 — operai 2 — operaie nessuna. La crisi del 1846-1847 colpiva nuovamente la già debole struttura economica monregalese; l'impazienza è sempre maggiore nella borghesia imprenditoriale, che va di pari passo con le speranze delle classi subalterne, dell'atteso rinnovamento politico che è intuito come apportatore di un miglioramento delle sempre più miserevoli condizioni di vita. Gli anni che seguirono il 1848 furono, sul terreno economico, e fino alla crisi del 1857, anni di rigoglioso sviluppo industriale, benché le nuove e le vecchie fabbriche ceramiche del monregalese denunciassero qualche periodo di inceppamento produttivo e commerciale. Le speranze di un probabile incremento economico derivante dalla liberalizzazione del commercio e dalla auspicabile annessione al Piemonte di vasti territori, si dimostrarono fallaci dopo le tristi giornate di Novara. Quegli avvenimenti frenarono il favorevole andamento congiunturale iniziato, come si è visto, alla fine del 1847, che potè riprendere, anche nel settore dell'industria ceramica, solo verso la metà del 1849. Ma la crisi del 1857 provocò u n a ulteriore, temporanea battuta di arresto nello sviluppo economico del paese, e anche il compimento dell'Unità italiana non valse a rafforzare 32
Nel 1860 i fratelli Giovanni, Giuseppe e Maria Messa trasformavano in fabbrica di stoviglie un filatoio situato in Mondovì Borgatto (27) e nel 1876 adattavano a fabbrica di terraglia u n a manifattura di zolfanelli sita in Mondovì Rinchiuso. Il 30 ottobre 1867 Giuseppe Besio, dopo una lunga causa promossa contro il Magliano, otteneva — per sentenza a lui favorevole — la proprietà dell'edificio sito in Pian della Valle (28). Il Magliano, il 19 gennaio 1859, aveva ceduto la gestione della fabbrica a Lorenzo Montefameglio e Luscaris i quali la condussero fino allo sfratto seguito al trapasso di proprietà degli immobili. Il Besio, rientrato nell'opificio da lui ideato e portato al massimo della produttività, dopo la parentesi forzata ne riprendeva la direzione e sagacemente riportava la produzione ai livelli del 1850, epoca in cui era stato estromesso. Lorenzo Montefameglio, trovatosi suo malgrado in questo frangente, spostava la sua attività a Mombasiglio, dove acquistava nel 1870 un edificio già adibito a filanda da seta e lo trasformava in fabbrica di terraglia. Ma la soluzione non doveva essere delle migliori, trovandosi il Comune di Mombasiglio decentrato dalle normali vie di comunicazione e dalla ferrovia. Nel 1866 i fratelli Salvatore e Giovanni Battista Gabutti acquistavano la fabbrica ceramica di Chiusa Pesio da Giuseppe Barberis, che l'aveva rilevata dallo architetto Michele Giordana nel lontano 1836. Nel 1871 a Savigliano veniva iniziata la cottura di prodotti ceramici da Pietro Dolci con un discreto successo. Questo « miracolo economico » nel settore ceramico, per lo più, non era dovuto esclusivamente alla abilità dei singoli imprenditori. Dice l'Omodeo (29) che nei primi anni del Ministero cavouriano i salari erano aumentati, in Piemonte, dal 20 al 30%, sia nelle industrie che nei lavori agricoli: non nel monregalese però, dove la mercede giornaliera era anzi diminuita. La paga annua di un operaio si aggirava ancora su una media di £. 365,70, mentre le operaie percepivano annualmente u n a media di £. 153,60. Per i fanciulli, impiegati in numero assai notevole, non esistevano indicazioni di sorta, ma evidentemente fruivano di u n a paga ancora più misera. La giornata lavorativa, nella buona stagione, poteva durare anche quindici ore, con una interruzione di un'ora per mangiare o per riposarsi. Ma davvero terribili dovettero risultare per le classi più povere gli anni delle crisi annonarie. Si consideri a tale proposito che nel 1853 il pane di frumento raggiunse il prezzo di centesimi 65 il chilogrammo e, quindi, costava più della normale retribuzione giornaliera di u n a operaia! (30). Nel 1869 i cittadini meno abbienti — contadini, operai, piccoli artigiani — acquirenti abituali delle ceramiche monregalesi, che già erano oppressi dal costo della vita, dalla tassa sul sale
zione, primo traguardo in vista di u n a futura e tanto necessaria prosperità. Ma purtroppo l'Unità d'Italia, invece che migliorare, aggravò le già misere condizioni del proletariato sia operaio che contadino, cioè la grande maggioranza della popolazione italiana, che vedeva distrutto il vecchio equilibrio economico a cui si sostituiva u n a condizione ancora più incerta e precaria. Né più favorevoli erano in generale le condizioni materiali della piccola e media borghesia. Il clima di euforia, suscitato dalla speranza d'una espansione del mercato nazionale in seguito alla eliminazione delle molteplici frontiere e alla relativa soppressione di tutti i dazi doganali, in cui gli imprenditori intravedevano un forte incremento nella vendita di prodotti destinati per la maggior parte alle classi meno abbienti, non aveva corrisposto alle aspettative. Tutti i calcoli fatti si rivelarono, alla lunga, fallaci. La stessa casualità dei salari miserrimi — che dava u n a relativa floridezza alle aziende che occupavano molta mano d'opera — si dimostrava negativa per lo smercio dei manufatti più poveri, mancando quasi completamente ai potenziali consumatori la possibilità di acquisto. Lo sforzo imprenditoriale in campo ceramico fu notevole fra il 1850 e il 1880. Si ebbero numerose iniziative, tuttavia sempre con i vecchi sistemi, ma anche in tale clima di empirismo e di pauperismo, si svilupparono e prosperarono alcune industrie ceramiche che vennero additate come esempio anche in campo nazionale. Alessandro Musso, succeduto al padre Benedetto nella proprietà e nella direzione della prima fabbrica, nel 1850 trasformava un altro opificio, sito in Mondovì Carassone, già adibito alla follatura della lana, in fabbrica di terraglia: nasceva il « Follone » Annibale Musso, figlio anch'esso di Benedetto, edificava nel 1851 in Villanova di Mondovì u n a fabbrica di ceramica che, in breve tempo, riscuoteva notevole successo. Nel 1850 Giuseppe Besio, con la fabbrica in piena attività, veniva sfrattato dal proprietario dello stabile Giovanni Battista Magliano che, a sua volta, continuava nello stesso opificio l'attività già svolta dal Besio. Questi, affittato nello stesso anno un vecchio filatoio sito in Mondovì Borgatto, lo adattava a fabbrica di terraglia riuscendo in poco tempo a portare la produzione a livelli quasi uguali a quelli raggiunti nello stabilimento di Pian della Valle. Nel 1858 Giovanni Baccelli cominciava a produrre in Villanova stoviglie in terra refrattaria, la cosiddetta « terra di Antibo ». Pochi anni dopo due suoi operai, Michele Tonelli e Giovanni Fenoglio, iniziavano anche essi, in Villanova, la stessa attività, mentre un terzo ex dipendente del Baccelli, Ambrogio Ambrosio, accendeva, un forno per produrre stoviglie in Mondovì. 33
e dalle gravose imposte indirette (31), subirono un ennesimo inasprimento fiscale con la « tassa del macinato », la più odiosa ed impopolare fra tutte le gabelle. Tumulti e sommosse scoppiarono un po' ovunque. Giuseppe Besio, che aveva da poco acquistato un mulino e stava demolendolo per trasformarlo in un efficiente opificio, rinunciò al primitivo disegno, anche per accondiscendere al desiderio delle Autorità, preoccupate per la serrata degli altri mugnai. Il ripristino del mulino placò gli animi ed evitò u n a sommossa che i più ritenevano ormai inevitabile. Il gesto di Giuseppe Besio non raccolse tuttavia tutti i consensi che l'Autorità si aspettava, infatti il Sottoprefetto dovette far presidiare dai bersaglieri tutte le proprietà del Besio, per risparmiargli rappresaglie da parte del popolo in subbuglio (32). Gli industriali monregalesi, ai quali non poteva sfuggire l'evidenza delle tristi condizioni in cui vivevano i loro operai, gradualmente aumentarono le retribuzioni, in modo da avvicinarle al costo, sempre crescente, della vita. Nel 1871, secondo quanto si leggeva sul giornale « Il Vasco », il lavoro veniva retribuito in misura quasi doppia rispetto ad un anno prima (33). Un altro problema non indifferente era costituito dal pericolo di incendi, dati i metodi empirici di illuminazione dell'epoca. Il 15 agosto 1861 bruciava la fabbrica di Alessandro Musso in Carassone (34), il 17 settembre 1863 la fabbrica dei fratelli Messa, il 26 aprile 1864 veniva distrutta da un incendio u n a non bene identificata fabbrica ceramica sita in via Fredda nel rione di Piazza, il 25 ottobre 1864 si sviluppava un principio di incendio nella fabbrica di Montefameglio al Pian della Valle, incendio presto domato, ma che provocò notevoli danni. Se le fabbriche poterono riprendersi dal danno in poco tempo, molti operai però rimasero senza lavoro e le loro famiglie furono ridotte alla più squallida miseria. Anche le calamità naturali rendevano difficile lo andamento aziendale delle varie industrie, ma soprattutto rendevano precarie le condizioni di vita di un certo numero di operai. A volte si verificavano alluvioni che provocavano danni lievi alle attrezzature, ma interrompevano temporaneamente il ciclo produttivo; altre volte piene disastrose danneggiavano gravemente le fabbriche impedendo per lunghi periodi di tempo una regolare produzione manufatturiera. Gli anni 1832, 1841, 1852, 1857 videro gli opifici allagati e, malgrado la ricostruzione migliorata degli argini e delle chiuse dell'Ellero, i gravi inconvenienti continuarono, come lamentava « Il Vasco » nel suo numero del 26 giugno 1868: « ...dacché come sempre u n a malaugurata piena dell'Ellero schiantò la superba chiusa che dà l'acqua alla bialera detta delle « concerie » anche questo anno
come tutti gli altri in questa stagione, ci tocca di trovarci senz'acqua. Conseguenze funeste di questo sono la mancanza di lavoro cui è soggetto un considerevole numero di operai capi di famiglia addetti alle diverse fabbriche ceramiche... nonché l'esalamento di gas-miamatici... ». Nell'estate del 1854 poi il « Cholera Morbus » irruppe dalla Liguria nella Provincia di Mondovì e ricomparve l'anno dopo. Ancora nel 1866 vi furono casi di colera. Il movimento associativo degli operai nacque in Mondovì, nel 1847, con la « Pia Unione Artistica di Mutuo Soccorso » fondata dai muratori a Breo, ma la vera Società di Mutuo Soccorso, laica di tipo moderno, nacque e si sviluppò dopo il 1848 con la proclamazione dello Statuto Albertino. Un certo grado di sviluppo dell'industria e quindi di concentramento operaio, il clima costituzionale che consente il diritto di associazione e la parte più illuminata della borghesia favorirono la diffusione dell'associazionismo operaio. Il 6 luglio 1851 la « Pia Unione Artistica di Mutuo Soccorso » si trasformò in « Società di Mutuo Soccorso e di Reciproca Istruzione » che riuniva tutti gli operai di Mondovì. Il Giornale « L'Alpe Mondovita » (35) informava che l'Associazione era bene avviata, anche se manifestamente osteggiata dall'Intendente Divisionale che non vedeva di buon occhio questo o qualsiasi altro
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umanistico. Gli industriali della ceramica, se volevano assumere operai specializzati, dovevano richiedere ex allievi alla « Scuola professionale di Arte e Mestieri » di Savona, dove si preparavano i giovani ad esercitare l'arte figulina e si tenevano corsi di specializzazione per gli operai già addetti a tale lavoro. Dopo molte discussioni, dilazioni, rinvii e lungaggini burocratiche, gli organi governativi, accogliendo l'unanime richiesta dei settori imprenditoriali interessati e delle Società Operaie, istituivano in Mondovì, con Regio Decreto Legge del 23 settembre 1877, una Scuola Professionale in cui si insegnavano la meccanica, la matematica, le costruzioni, il disegno e la modellazione in creta. Le spese annue per il funzionamento della scuola venivano così distribuite: lo Stato interveniva con lire 3000, il Comune con lire 3000, la Provincia con lire 4000 e la Camera di Commercio con lire 1000. Qualcosa si muoveva e, presto o tardi, la modernizzazione dell'industria monregalese, ma soprattutto dell'industria ceramica, sarebbe stata attuata. Ma soltanto dopo il 1880 cominciarono a delinearsi quegli eventi che col nuovo secolo avrebbero rinnovato e sviluppato l'industria. Il « risorgimento » industriale ed economico doveva necessariamente compiersi più lentamente del risorgimento politico. Come già si è detto, subito dopo la proclamazione del Regno d'Italia emersero grosse difficoltà: l'industria, piccola o grande che fosse, doveva trovare una sua dimensione nazionale. La situazione del Paese si aggravava però sempre più, seguita nei due decenni fra il 1866 e il 1883 dal corso forzoso; dopo il 1873 una grave crisi bancaria ed assicurativa colpiva duramente il risparmio ripercuotendosi sull'industria ed infine sull'agricoltura e disperdendo i potenziali consumatori di manufatti poveri. L'industria, più per i suoi limiti modesti che per la propria solidità, riusciva a risollevarsi rapidamente. Il 1879 segnava l'inizio della ripresa, mentre già nel 1878 il protezionismo, maggiormente accentuato negli anni seguenti, rilanciava l'economia (43). In questo periodo poco propizio per l'industria ceramica monregalese si hanno le prime timide conversioni d'impianti. Già alcuni anni prima del 1880 le fabbriche di terraglia avevano iniziato a cuocere i loro prodotti in forni alimentati con legna e carbon fossile. Era un enorme passo avanti. Il carbone fossile entrava così molto tardi nell'uso industriale ceramico e vetrario in Piemonte, anzi, strano a dirsi, il suo impiego fu ostacolato nel secolo XVIII ed ancora nella prima metà dell'Ottocento. Infatti risulta che a Nizza, nelle cui vicinanze (Lavegno) s'era stabilita una vetreria in attività solo per pochi anni, si sarebbe desiderato impiantare un opificio utilizzando carbone fossile; ma il Consolato di Nizza nel 1761 si oppose e, quando un industriale di nome D'Adonard inoltrò un'esplicita do-
movimento operaio. Malgrado questa resistenza, alla inaugurazione, avvenuta il 29 ottobre 1851, erano presenti oltre cinquecento soci. Nel 1860 sorgeva in Carassone la « Società Operaia di Carassone » presieduta dall'Avvocato Scalera e nel 1862 veniva fondata la « Società Operaia di Piazza » presieduta dal Causidico Celestino Calieri (36). A Chiusa Pesio nel 1860 veniva istituita la prima « Società Operaia di Mutuo Soccorso» (37) e, nel 1862, si inaugurava quella di Ceva (38). Il nascente ceto industriale moderno avvertì la necessità di concedere provvidenze sociali agli operai ritenendo la tattica riformistica più vantaggiosa al padrone di quella violenta. Dal momento che le coalizioni di classe dovevano essere senz'altro evitate, la Società di Mutuo Soccorso, offrendo la possibilità di immissione, direzione e controllo da parte dei padroni, rispondeva sufficientemente agli interessi del ceto dirigente. Gli industriali si fecero quindi « paterni » nei confronti degli operai anche se la Società di Mutuo Soccorso rappresentava il primo nucleo del movimento operaio italiano sotto il segno della previdenza, della assistenza e della filantropia padronale (39). Il 30 luglio 1860 gli operai di Torino promossero una agitazione per ottenere l'orario lavorativo di dieci ore (40) e tali manifestazioni si rinnovarono ancora a Torino nel 1863 e a Biella nel 1864 (41). Questi tumulti ebbero ripercussioni anche nel monregalese, dove gli operai, attraverso delegazioni, presentarono petizioni ai datori di lavoro, ma senza grandi risultati. Gli operai, infatti, ottennero soltanto vaghe promesse di un futuro miglioramento degli orari di lavoro, qualche lievissimo aumento nei salari e nulla altro. Già dal 1860 si era avvertita, in Piemonte, la necessità della istituzione di scuole speciali per operai. Diversi tentativi vennero fatti per risolvere il problema, finché alcune categorie di fabbricanti, interpellate dal « Comitato d'Inchiesta Industriale », furono unanimi nel dichiarare la « ...grave carenza di operai e capi officina, i quali uniscano alla pratica una certa cultura e cognizioni teoriche non affatto elementari rispetto all'arte che esercitano... » (42). Molti intervistati rilevarono che gli operai lavoravano empiricamente, seguendo alla cieca gli insegnamenti e i precetti dei vecchi maestri, dai quali avevano appreso meccanicamente il mestiere. Gli industriali, tutti quindi, affermavano che questa deficienza derivava dalla mancanza di scuole specializzate in grado di istruire convenientemente gli operai delle varie industrie e di formare i capi mastri. Mondovì, già sede universitaria e pertanto sensibile e aperta agli interessi dell'insegnamento, vantava un discreto numero di scuole elementari e superiori, che però impartivano soltanto una istruzione di carattere 35
manda nel 1779, ne ebbe un nuovo rifiuto (44). Il 7 luglio 1759 intanto il « ...parere del Congresso col quale si propongono i mezzi, lo sviluppo e il funzionamento della fabbrica di vetri... di portare la fabbrica di vetri alla Chiusa... per poter usufruire del legno della Certosa di Pesio... » era stato ascoltato e quindi il 23 luglio 1759 erano uscite le Lettere Patenti che, assieme alle Lettere Patenti del 10 settembre 1759, stabilivano la costituzione della « Società Reale per l'esercizio della fabbrica di vetro di Torino e della Chiusa » in seguito denominata « Regia Fabbrica di Cristalli e Vetri del Piemonte ». Il legno come combustibile fu usato ininterrottamente fino al fallimento del 1838. Nel 1854, alla riapertura della vetreria, i nuovi imprenditori, invece di modernizzare l'opificio sostituendo i vecchi forni a legna con altri nuovi funzionanti a carbone, affrontarono a cuor leggero l'insostenibile concorrenza fra il carbone e la legna, avviandosi verso un nuovo dissesto. Anche nell'industria ceramica, fino dai primi anni della sua attività, per alimentare i forni veniva adoperata esclusivamente legna. Il consumo eccessivo di questo combustibile aveva inevitabilmente portato al depauperamento della superficie boschiva, soprattutto nelle vicinanze delle fabbriche. La maggiore lontananza delle fonti di approvvigionamento aveva antieconomicamente fatto aumentare i costi; per di più, le dissestate carreggiate che si addentravano nei boschi, erano con fatica percorse da carrettieri, cavalli o buoi, che dovevano trainare carichi assai pesanti. Fra gli anni 1870 e 1875 si ripeteva per le piccole imprese addette al rifornimento della legna combustibile destinata alle industrie ceramiche, quello che era avvenuto nelle manifatture stesse. Finché l'uomo era sfruttabile al limite delle sue forze, con orari e alimentazione subumana, il consumo della legna era ancora economicamente vantaggioso; non appena si delineò un adeguamento dei salari a un tenore di vita più sopportabile anche per boscaiuoli e carrettieri, la speculazione si accorse che esistevano altri combustibili più adatti alla bisogna. Tali combustibili, adeguatamente sfruttati sia come fonte di calore che come forza motrice, porteranno inevitabilmente al rammodernamento delle industrie ceramiche. Solo verso il 1880 i vari fabbricanti di ceramica incominciarono a considerare favorevolmente l'impiego esclusivo del carbon fossile, dotato di maggiore potere calorifico e trasportabile tramite la ferrovia fino alle adiacenze delle fabbriche. L'unico inconveniente era il costo eccessivo della trasformazione dei forni già alimentati con la legna, spesa che sarebbe stata solo in parte compensata dall'economicità del trasporto del combustibile e dall'impiego di un minore numero di operai addetti al funzionamento e alla manutenzio-
ne dei forni. Nel 1883, primo nel monregalese, Andrea Salomone di Villanova inaugurava un forno funzionante esclusivamente a carbon fossile. Negli stessi anni Felice Musso, allo scopo di incrementare la produzione, impiantava al « Follone » un enorme forno circolare a fuoco mobile tipo Hoffman. Per timore della concorrenza tutti gli industriali ceramici della zona iniziavano timidamente il rinnovo dei forni onde migliorare la cottura dei loro prodotti. Verso il 1875 Giuseppe Besio, constatato che le cave di argilla di Vicoforte stavano esaurendosi, incominciò ad importare, primo nel monregalese, la cosiddetta « terra d'Olanda », che altro non era se non argilla tedesca del Westerwald imbarcata su velieri olandesi nel porto di Rotterdam. Egli ottenne così terraglie migliori senza cavillature, più uniformi nei colori e nei decori. Dopo pochi anni tutti i fabbricanti di terraglia della regione seguivano il suo esempio adottando la « terra d'Olanda ». Solo successivamente vennero impiegate altre argille, segnatamente inglesi e francesi. La scarsa entità delle manifatture locali non consentiva il nascere di una « questione operaia ». Gli scioperi, il cui numero e la cui portata costituiscono un buon indice d'industrializzazione, mancano quasi completamente nel periodo che intercorre fra il 1860 e il 1880: pure le condizioni della classe lavoratrice erano più che miserevoli. Solamente dopo il 1880, con il nuovo sviluppo dell'industria, anche i problemi operai si fecero sentire. La congiuntura economica, in seguito alla politica protezionistica del 1878, che aveva dato qualche frutto e aveva avuto una più decisa accentuazione nel 1887, dopo alcuni anni di discreto andamento fra il 1883 e il 1886, divenne nuovamente sfavorevole: la piccola e media industria, soprattutto negli anni 1893 e 1894, precipitarono perciò in un'altra crisi. I lavoratori vivevano ancora in condizioni talmente miserevoli da non poter sopportare nemmeno un piccolo aumento del prezzo del pane. L'arretratezza del paese, l'esosità della classe padronale, lo sperpero di denaro pubblico (soprattutto per spese militari ed imprese coloniali) con il conseguente carico tributario iniquamente distribuito, rendevano intollerabile un ulteriore abbassamento del tenore di vita. Perciò, quando nel 1898 il prezzo del pane aumentò, anche per effetto della guerra ispano-americana, di 35/50 centesimi il chilogrammo, scoppiarono agitazioni, tumulti e scioperi. Fu questo uno dei periodi più tristi per gli operai e i produttori di ceramica monregalesi. Dopo i dissesti della fabbrica di Federico Besio e di quella di Mombasiglio, spegneva i forni Pietro Dolci a Savigliano. Tutti 36
più rapidi. Lo smercio della terraglia tenera, malgrado l'impiego di qualche macchina e l'aumento della produzione, si faceva sempre più diffìcile sia per il migliorato tenore di vita della clientela abituale sia per le preferenze dei ceti più abbienti che si indirizzavano verso la terraglia forte o la porcellana, sostenuta da gruppi industriali potenti e bene organizzati. Lo smercio della produzione più corrente fu allora orientato verso le zone depresse del Centro-Sud, verso le isole e le colonie, con risultati abbastanza soddisfacenti. Nei primi anni del nuovo secolo i prezzi, che avevano toccato i limiti più bassi nel 1896, accentuarono la loro ascesa, in particolare nel decennio che va dal 1903 al 1913, escluso il 1907, anno in cui sopravvenne u n a lieve crisi. I sindacati operai, ormai coscienti della loro forza, organizzarono uno sciopero generale nel 1904, ottenendo la completa adesione della classe lavoratrice e conquistando il riconoscimento del diritto sia di organizzazione che di sciopero, servendosi poi di queste armi per strappare considerevoli miglioramenti nelle condizioni di lavoro e nei salari, finché, nel 1906, con un nuovo e massiccio sciopero, i sindacati coalizzati ottennero nuove migliorie salariali e diminuzione di ore lavorative.
i fabbricanti di terraglia tenera e di stoviglie ordinarie vedevano diminuire progressivamente le vendite mentre le tasse e le spese di esercizio avevano un incremento notevole. Sembrava imminente ed inevitabile un collasso generale. La fabbrica di Felice Musso, il « Follone » in Carassone, fu acquistata dalla più forte ed efficiente Società Ceramica Richard Ginori nel 1897. Anche la fabbrica Giuseppe e Federico Besio nel Borgatto, già rilevata da Felice Musso, fu ceduta alla Richard Ginori e da questa rivenduta e destinata ad ospitare altre attività. L'unica ditta che dimostrò un certo dinamismo fu la fabbrica già dei fratelli Messa, acquistata nel 1884 da Lorenzo Beltrandi in società con Felice Musso, società che venne sciolta nel 1898 quando il Beltrandi rilevò la quota del socio. Negli ultimissimi anni del secolo si notò però un certo incremento nella vendita dei manufatti e l'economia entrò in un nuovo periodo ascensionale, anche se il successo della ceramica monregalese ottenuto con le decorazioni a spugna, a pennello e a stampa incominciava a diminuire. Certe decorazioni venivano abbandonate man mano che cresceva il costo della mano d'opera e a causa della concorrenza di produzioni di qualità superiore realizzate con sistemi più moderni e
Piatto ovale largh. cm 27 Monocromia bianco bleu Giuseppe Barberis Chiusa Pesio - 1836-1866
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Senza dubbio il movimento sindacale, sfruttando abilmente la congiuntura favorevole dei primi anni del secolo, riuscì a forzare la mano al padronato spingendolo a ricercare nuove tecniche produttive, a introdurre macchinari più moderni, ad accrescere la produttività per far fronte ai richiesti aumenti salariali. Ormai i tempi erano mutati e anche gli industriali ceramici erano obbligati a svincolarsi dal quasi secolare immobilismo e dovevano, per forza di cose, o rinnovare gli impianti e le attrezzature invecchiate e sorpassate oppure chiudere gli opifici divenuti antieconomici. Iniziava questa nuova politica industriale la Società Ceramica Richard Ginori che, nella fabbrica recentemente acquistata, rimodernava o ricostruiva i vecchi edifici, sostituiva i forni vetusti con quelli circolari a fuoco intermittente, dava un assetto più razionale a tutti i locali delle lavorazioni. Timidamente seguirono questa azione rinnovatrice la Ceramica Vedova Besio & Figlio, con trasformazioni negli edifici e negli impianti, nei forni e nei magaz¬ zini; la fabbrica di Lorenzo Beltrandi, a sua volta, rimodernò l'opificio adottando nuovi macchinari; la Società Anonima Ceramiche di Mondovì, che Edoardo Barberis aveva rilevato da Benedetto Musso, migliorò anch'essa gli edifici e le attrezzature; gli altri fabbricanti, sebbene incerti e titubanti, introdussero anche
essi le migliorie ritenute ormai indispensabili. Le esportazioni aumentarono, anche se in molti Paesi il protezionismo ostacolava le importazioni. Con i nuovi metodi produttivi improvvisamente si profilò per l'economia delle ceramiche monregalesi la prospettiva di u n a crisi di sovrapproduzione (46). La prima guerra mondiale interruppe la favorevole congiuntura che stava trasformando l'economia monregalese. Nel 1917 il commercio e l'industria languivano per deficienza di materie prime, scarsità e lentezza dei trasporti, vincoli doganali, carenza di mano d'opera. L'instabilità monetaria ed il continuo e rapido elevarsi del costo della vita causarono una forte diminuzione del potere d'acquisto della nostra moneta: segni esterni di questo malessere furono le agitazioni operaie del 1919-20. Nel 1922 la diminuzione dei prezzi internazionali ed u n a relativa stabilità monetaria sembravano annunciare il superamento della crisi. La diversità e la complessità dei problemi interessanti la piccola e media industria avevano consigliato, sempre nel 1922, alle Autorità Economiche la creazione nell'ambito commerciale, di un « Comitato Provinciale per le Piccole Industrie » allo scopo di agevolare l'attività delle manifatture a carattere promiscuo industriale-artigianale. Il Comitato aveva istituito corsi speciali di addestramento professionale e organizzato
Anatra h. cm 12 Policromia Musso e Beltrandi Mondovì 1884-1890
Coniglietto h. cm 12 Monocromia azzurra I - Besio Mondovì
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affidandone la gestione alla Società Ceramica Richard Ginori. L' « Ufficio Unico Consorziale » (al quale aderirono la « Società Ceramica Italiana Richard Ginori » in Mondovì Carassone, la « S.A. Succ. Vedova Besio & Figlio » in Mondovì Pian della Valle, la « Ceramica Lorenzo Beltrandi » in Mondovì Rinchiuso e la « Ceramica Fe¬ lice Musso » in Villanova di Mondovì), iniziava la sua attività nell'aprile 1934 ed operava fino al 31 marzo 1943 raggiungendo, in parte, lo scopo che si era prefisso: incrementare le vendite, ridurre i rischi del credito ed evitare lo slittamento dei prezzi cui dovevano sottostare i produttori per accaparrarsi i clienti più solidi ed importanti (48). I profitti d'esercizio furono discreti, ma avrebbero potuto essere sensibilmente migliori se il mercato della terraglia tenera non fosse stato influenzato in modo determinante dalla politica commerciale dei grossi complessi operanti in Lombardia e in Toscana. In quel¬ le regioni infatti le fabbriche di terraglia forte, moder¬ namente attrezzate, erano in grado di immettere sul mercato notevoli quantitativi dei loro prodotti a prezzi pari o di poco superiori a quelli della terraglia dolce. Tale politica si rivelò anche più decisamente contraria agli interessi dei produttori di terraglia tenera allorché vennero imposti i « prezzi corporativi » (49). Il consorzio dei produttori di terraglia forte (C.PI.TI.)
mostre, cercando di incrementare la vendita con la pubblicità dei prodotti. Dal 1925 al 1929 l'industria si orientò verso moderni criteri di produzione che imponevano la trasformazione di molti impianti con il relativo ampliamento di alcuni stabilimenti, provvedimenti indispensabili per poter gareggiare con le imprese più evolute situate in località vicine (47). L'emigrazione, valvola di sicurezza dell'economia locale, per disposizioni governative fu quasi del tutto ostacolata. La stabilizzazione monetaria, intanto, attuata nel 1927 con il discorso di Pesaro, attribuiva alla nostra moneta un valore superiore a quello effettivo determinando ancora maggiori difficoltà nell'esportazione. Il fragile equilibrio raggiunto verso la fine degli anni '20 fra le economie dei vari Stati, fu violentemente sconvolto dalla « grande crisi » e, fra il 1930 e il 1932, ogni nazione creò u n a propria economia chiusa. Anche il Governo Italiano intervenne inventando l'autosufficienza economica, ossia l' « autarchia ». Questa congiuntura, che colpiva gravemente anche la ceramica monregalese, durò diversi anni e portò nel 1932-1935 al dissesto della « Ceramica La Vittoria ». Altre fabbriche del settore, dopo un'accanita concorrenza, si accordarono per costituire l '« Ufficio Unico Consorziale » per sviluppare e controllare la vendita dei prodotti,
Piatto Ø cm 20 Monocromia bianco manganese Giuseppe Barberis Chiusa Pesio - 1836-1866
Piatto Ø cm 23 Monocromia bianco bleu Alessandro Musso 1849-1879
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potè ottenere infatti l'autorizzazione ministeriale per variare convenientemente i prezzi, accampando il pretesto che la terraglia tenera, destinata alle classi popolari con minori possibilità economiche, doveva essere immessa al mercato a prezzi più accessibili (50). L'entrata in guerra dell'Italia cagionò notevole disagio a tutte le industrie non esclusivamente belliche, costringendo le fabbriche di ceramiche a ridurre la produzione e a ricorrere all'impiego della legna e della sansa per la cottura dei prodotti. La « Ceramica Beltrandi » licenziò tutti gli operai e chiuse lo stabilimento, le altre fabbriche ceramiche continuarono a ritmo ridotto fino all'esaurimento delle scorte. La quasi totalità delle maestranze dovettero essere gradatamente dimesse. Nel 1943 gli accordi per il funzionamento dell' « Ufficio Unico Consorziale » non vennero rinnovati a causa della particolare situazione. Dopo la parentesi bellica, le industrie del monregalese riprendevano la loro attività man mano che i rifornimenti di combustibile e materie prime ricominciavano a normalizzarsi. L'andamento favorevole del mercato dei prodotti ceramici ne consentì un facile collocamento a prezzi discretamente remunerativi. Lo sviluppo industriale e commerciale continuò per diversi anni, malgrado u n a diminuzione nella produttività delle maestranze. La valvola di sicurezza delle esportazioni, che aveva condotto alla ripresa di relazioni con i vecchi clienti e al reperimento di nuovi consumatori, venne progressivamente a mancare quando l'aumento dei costi di produzione accrebbe il prezzo di vendita. Nel contempo il favorevole mercato degli anni post bellici, la larga disponibilità di mano d'opera locale poco costosa (soprattutto donne e minori) unite a varie facilitazioni governative spinsero numerosi imprenditori a creare industrie ceramiche nel Veneto e nel Centro Sud. I produttori monregalesi non dettero peso all'influenza commerciale delle nuove fabbriche illudendosi, a torto, che i vecchi marchi, conosciuti ed apprezzati da oltre un secolo, fossero sufficienti a garantire in ogni circostanza il collocamento dei prodotti ai prezzi da loro fìssati (51). Alcune delle nuove industrie, benché realizzate da imprenditori senza alcuna esperienza nel ramo ma con imponenti mezzi finanziari, adottarono impianti continui e macchine automatiche, riuscendo a produrre dell'ottima terraglia forte a costi notevolmente inferiori a quelli delle aziende primarie. Nel 1952 la superproduzione che saturava il mercato delle ceramiche originò una guerra commerciale senza esclusione di colpi, provocando progressive e continue falcidie di prezzi. I ribassi praticati in periodi di costi crescenti della mano d'opera, delle assicurazioni sociali, dell'energia
elettrica, delle imposte e tasse e di altri oneri, vennero sopportati dalle aziende maggiori con relativa disinvoltura perché le perdite nel settore delle ceramiche per uso domestico erano compensate dai forti utili realizzati in altri settori — isolatori, sanitari, piastrelle, vitreus — favorite dalla domanda in aumento e senza eccessiva concorrenza. La terraglia tenera subì per contraccolpo ribassi notevoli senza aver modo di difendersi, perché il prezzo del prodotto doveva mantenere la tradizionale distanza rispetto alla quotazione della terraglia semiforte e forte, prodotto di qualità superiore. I tentativi rivolti a ridurre i costi o ad aumentare i redditi, si risolsero in spese ingenti di difficile ammortamento. I modesti risultati eventualmente ottenuti venivano annullati da nuovi aggravi fiscali, dal maggior costo delle materie prime, dal progressivo aumento dei salari e degli oneri sociali, assicurativi e previdenziali ad essi collegati (52). Un altro elemento di squilibrio nel prezzo della terraglia fu provocato dalla Società Ceramica Richard Ginori che, nel 1957, rinunziando alla produzione di terraglia tenera, indusse la direzione commerciale a ridurre i prezzi di vendita della residua produzione e delle scorte di magazzino. Ne derivò un disorientamento del mercato e una flessione di prezzi che perdurò fino al 1965, malgrado la minor produzione di terraglia tenera. Anche le nuove terraglie semiforti, per ragioni commerciali, vennero immesse sul mercato a un prezzo inferiore a quelli praticati da altre analoghe produzioni. La chiusura della Ceramica Beltrandi nell'aprile del 1963 e la cessazione della produzione di terraglia dolce da parte della Ceramica Felice Musso il 28 febbraio 1964, attrezzatasi modernamente per produrre supporti per resistenze elettriche di alta qualità, non ebbero sensibili ripercussioni sul mercato. Solo nel 1964 si rilevarono alcuni sintomi di ripresa e di adeguamento dei prezzi da parte delle principali fabbriche di terraglia forte. Negli ultimi anni del sessanta la domanda di articoli decorati a mano ed a colori vivaci, ricalcante i decori della « vecchia Mondovì » si accentuò. Purtroppo gli industriali monregalesi non potevano far fronte completamente alla forte richiesta del mercato per la carenza di mano d'opera specializzata. La situazione parve normalizzarsi verso il 1970; nello stesso periodo buona parte dei prodotti « standard » veniva collocato e facilmente smerciato nei grandi magazzini. Infine, nell'ottobre 1972, in seguito alla ristrutturazione delle fabbriche della Società Ceramica Richard Ginori, si decideva la chiusura dello stabilimento di Mondovì Carassone. 40
NOTE 1) G I A N M A R I A
ORTES
Dell'Economia nazionale, T o r i n o ,
1852 — p a g g . 958, 959,
2)
D O M E N I C O OCCELLI
Il monregalese nel periodo 1926 — p a g g . 14, 15;
3)
GIUSEPPE
La vita economica in Piemonte 1908 — p a g g . 168, 169;
4)
E.V. TARLE'
5)
AMEDEO MICHELOTTI
6)
D. D E S T O M B E S
7)
D. D E S T O M B E S
8)
A G O S T I N O DELLA C H I E S A
9) 10)
PRATO
La vita economica p a g . 78;
A G O S T I N O DELLA C H I E S A
Storia
storico
dell'Italia
napoleonico
a
mezzo
nell'età
del
1792-1815, secolo
napoleonica,
Annuaire statistique du Département Coni, 1806 — p a g . 157; Statistique du Département — p a g g . 146, 147;
de
la
de
Stura
la pour
l'an
Coni,
1809
Torino,
1635
—
Relazione dello p a g g . 42, 43;
stato
presente
del
Piemonte,
Torino,
1635
—
1862-1962: Un secolo di vita dell'economia provinciale, C u n e o ,
economica 1962 —
- Evoluzione p a g . 174;
GINO
15)
G.F. B A R U F F I
Pellegrinazioni autunnali, T o r i n o , 1841 — vol. 614; — vol. II, p a g g . 935, 1014, 1015, 1315;
16)
dal
« // Vasco », M o n d o v ì , 1870 — 7 e 14 m a g g i o ;
17)
F. V A G I N A D ' E M A R E S E
Cenni statistici sulla Provincia di Mondovì — M o n d o v ì , 1842 — p a g g . 48, 49, 50, 51, 52;
18)
GIOVANNI
Note di vita agricola nella Provincia di XIX, C u n e o , 1962 — p a g g . 16, 17, 18, 19;
19)
G.
20)
1862-1962: Un secolo P. CAMILLA - G. R A I M O N D I dell'economia provinciale,
21)
1862-1962: Un secolo di vita P. C A M I L L A - G. R A I M O N D I dell'economia provinciale, C u n e o ,
22)
A.
23)
1862-1962: Un secolo di vita P. C A M I L L A - G. R A I M O N D I dell'economia provinciale. C u n e o ,
24)
CASIMIRO
Lineamenti di una 1959 — p a g . 16; Storia della grande
storia
del
Storia economica — p a g . 162;
movimento
operaio
industria in Italia, B a r i ,
La ceramica savonese, S a v o n a ,
Statistica della p a g . 64;
DANNA
1809,
1806,
Piemonte,
14)
FOSSATI
dell'età
Provincia
Monografia intorno 1860 — p a g 26; al
alla
e
Saluzzo,
di vita Cuneo,
Consiglio
Città
sviluppo
italiano,
Milano,
1925 — p a g . 17;
moderna
di
e
1931 — p a g . 33;
contemporanea,
pagg.
8
luglio
Cuneo
Saluzzo
Padova,
I,
—
1860
570,
575,
1842
durante
1835
il
—
secolo
Vol.
II
—
economica - Evoluzione 1962 — p a g . 177;
e
sviluppo
economica 1962 —
e
sviluppo
- Evoluzione p a g . 173;
Lavoro e produzione in Italia dalla metà del seconda guerra mondiale, T o r i n o , 1951 — p a g .
secolo 17;
economica - Evoluzione 1962 — p a g . 180; e
Provinciale
Circondario di
di
Mondovì
XVIII
alla
e
sviluppo
Mondovì,
Torino,
25)
Relazione
26)
Da un quadro indicante le manifatture esistenti nel Comune Mondovì dell'8 luglio 1845. C a r t e l l a n e l l ' A r c h i v i o C o m u n a l e M o n d o v ì , scaffale F;
41
—
l'an
del
FILIPPO
EANDI
pour
presente
13)
ALLASIA
1950
stato
RODOLFO
giornale
Torino,
Relazione dello p a g g . 41, 42,
12)
LUZZATTO
XVIII,
Torino,
Stura
11)
NOBERASCO
Vigone,
di Mondovì, M o n d o v ì , 1921 — p a g . 217;
P I E R O CAMILLA e GIUSEPPE RAIMONDI G. T R E V I S A N I MORANDI
1009;
dell'anno
1852; di di
27)
EMILIA
BORGHESE
28)
Vita economica nel monregalese nel ventennio 1850-1870; su: Bollettino delle S o c i e t à S t u d i Storici A r c h e o l o g i c i ed Artistici n e l la P r o v i n c i a di C u n e o , n o v e m b r e , 1961 — n. 46; p a g g . 291, 292; Sentenza della Corte d'Appello di sentenza del Tribunale di Mondovì
Torino del 16 g i u g n o del 30 o t t o b r e 1867;
1884
e
parte
I,
29)
ADOLFO O M O D E O
L'opera politica del Conte 1848-1877 — p a g . 289;
30)
EMILIA
Vita sociale nel monregalese nel ventennio 1850-1870; su: Bollettino d e l l a S o c i e t à S t u d i Storici A r c h e o l o g i c i ed A r t i s t i c i n e l l a P r o v i n c i a di C u n e o — d i c e m b r e 1 9 5 7 / g e n n a i o 1958 — N. 39-40 — p a g g . 122, 123;
31)
GINO
32)
GIOVANNI
33)
EMILIA
BORGHESE
Vita sociale nel monregalese nel ventennio 1850-1870, su: Bollettino della S o c i e t à S t u d i Storici A r c h e o l o g i c i ed Artistici n e l l a P r o v i n c i a di C u n e o — d i c e m b r e 1 9 5 7 / g e n n a i o 1958 — N. 39-40 — p a g . 124;
34)
EMILIA
BORGHESE
Vita sociale nel monregalese nel ventennio 1850-1870, su: Bollettino d e l l a S o c i e t à S t u d i Storici A r c h e o l o g i c i e d A r t i s t i c i n e l l a P r o v i n c i a di C u n e o — d i c e m b r e 1 9 5 7 / g e n n a i o 1958 — N. 39-40 — p a g . 125;
35)
il g i o r n a l e
36)
EMILIA
BORGHESE
37)
AMATO
AMATI
Dizionario corografico p a g . 1060;
del
Regno
d'Italia,
Milano,
1875,
vol.
I
—
38)
A M A T O AMATI
Dizionario corografico p a g 973;
del
Regno
d'Italia,
Milano
1875,
vol.
I
—
39)
G. GIOLITO
Sviluppo industriale e forme di m e n t o o p e r a i o » 1953, n. 15;
40)
G. TREVISANI
Lineamenti di una 1959 — p a g . 242;
41)
NELLO ROSSELLI
Mazzini e Bakunin - Dodici anni di movimento operaio (1860-1872), T o r i n o , 1927 — p a g g . 118, 119, 120, 121;
42)
A. ERRERÀ
L'istruzione
43)
1862-1962: Un secolo di vita P. CAMILLA - G. R A I M O N D I dell'economia provinciale, C u n e o ,
44)
A. CAVALLARI M U R A T
/ vetri del Piemonte, da. Bollettino d e l l a S o c i e t à P i e m o n t e s e A r c h e o l o g i a e di Belle Arti, T o r i n o , 1947, N. 1-4 — p a g . 91;
45)
A. CAVALLARI M U R A T
/ vetri del Piemonte, d a : Bollettino d e l l a S o c i e t à P i e m o n t e s e di A r c h e o l o g i a e di Belle Arti, T o r i n o , 1947, N. 1-4 — p a g g . 95, 96;
46)
1862-1962: Un secolo di vita P. CAMILLA - G. R A I M O N D I dell'economia provinciale, C u n e o ,
BORGHESE
LUZZATTO BOSCO
di
Cavour,
Storia economica dell'età 1860 — p a g g . 166, 167;
Firenze,
moderna
e
1940
contemporanea,
Lettera del Beato Don Bosco del 6 d i c e m b r e « Il m o n r e g a l e s e » del 16-12-1888;
L'ape mondovita, n. 38 del 30 s e t t e m b r e
—
1870,
Padova,
dal
giornale
1851;
Vita sociale nel monregalese nel ventennio 1850-1870; su: Bollettino d e l l a S o c i e t à S t u d i Storici A r c h e o l o g i c i ed A r t i s t i c i n e l l a P r o v i n c i a di C u n e o — d i c e m b r e 1 9 5 7 / g e n n a i o 1958 — N. 39-40 — p a g . 129;
storia
industriale,
del
associazione movimento
Milano,
1881
—
operaia,
operaio
pag.
economica 1962 —
in
« Movi-
italiano,
Milano, in
Italia
256;
- Evoluzione p a g . 180;
e
economica - Evoluzione e 1962 — p a g g . 188, 189;
sviluppo di
sviluppo
1862-1962. Un secolo di vita economica - Evoluzione e sviluppo 47) P. CAMILLA - G. R A I M O N D I dell'economia provinciale, C u n e o , 1962 — p a g g . 139, 198, 199; Note 48)
M A R C O LEVI
49)
S. A R R I G O
50)
MARCO LEVI
51)
MARCO LEVI
52)
M A R C O LEVI
53)
M A R C O LEVI
54)
MARCO LEVI
ed
appunti,
Mondovì,
1964;
Principi di economia politica corporativa, Note
ed
appunti,
Mondovì,
1964;
Note
ed
appunti,
Mondovì,
1964,
Note
ed
appunti,
Mondovì,
1964;
Note
ed
appunti,
Mondovì,
1964
Mondovì,
1964
Note ed appunti,
42
Firenze,
1940 — p a g .
89;
LA TERRAGLIA V E C C H I A MONDOVÌ» Abbiamo visto nei precedenti capitoli che nei primi anni del secolo XIX si sviluppò in tutta Italia un nuovo genere ceramico, la terraglia, fino allora importata in forma massiccia dalla Francia e dall'Inghilterra, dove già si erano affermate industrie fortissime. Diversi fabbricanti italiani tentarono allora, sia pur timidamente, di combattere questa concorrenza spietata ed anche a Mondovì nacque l'industria della terraglia dolce. La crisi che aveva colpito il settore serico, faceva chiudere, una dopo l'altra, le filande; alle bacinelle dei filatoi subentrarono così i torni dei vasai. Gli opifici in un continuo alternarsi di passaggi di proprietà videro i cortili riempirsi di vasche di decantazione. I pionieri ceramisti savonesi, che nei secoli precedenti avevano avuto larga influenza in molte contrade italiane e avevano creato industrie figuline anche all'estero, dimostrarono la loro bravura inserendosi nell'ambiente piemontese, nel quale si amalgamarono dopo averlo conquistato, mostrando peculiari doti di intraprendenza e di ingegnosità (1). Infatti, per quanto plasmati dalle scuole e dalle influenze d'origine, accolsero senza esitare le vivaci motivazioni locali dei decori popolari, stilisticamente alquanto diversi dalla tradizionale decorazione dei maiolicari liguri. La loro solida affermazione riconfermava, una volta di più, l'efficacia dei metodi di lavorazione quando siano adeguati sia al reperimento dei mercati che alla popolarizzazione dei prodotti. Infatti ancor oggi le imprese sono sempre valide ed aperte a relazionichiave che ben si inquadrano in u n a realtà commerciale in grado di mantenere, pur fra inevitabili e momentanee difficoltà, cospicuo peso nel contesto economico della regione subalpina (2). Certamente non tutto procedette « nel migliore dei modi nel migliore dei mondi possibili » : infatti l'industria ceramica monregalese, pur nel suo susseguirsi di attività solerti e fervide, lega il suo sviluppo industriale alla prosperità stessa della zona, della città e delle sue valli. La terraglia monregalese ha avuto così periodi di particolare efficienza, ma anche, e più numerosi, anni di difficili e tristi vicissitudini. Le difficoltà erano dovute a molteplici fattori contingenti e alle particolari caratteristiche delle aziende, in prevalenza di piccola e media dimensione: esse infatti erano co-
strette ad operare in un mercato dominato da complessi maggiori, ubicati in zone più vicine ai mercati di consumo e in condizioni di lavoro meno oneroso. È difficile rendersi conto come e quante volte debba essere manipolato l'impasto ceramico prima di diventare prodotto finito e come sia arduo organizzare il lavorò per fronteggiare la concorrenza in un mercato difficile di per se stesso e condizionato dalla politica commerciale di forti industrie. Alcune aziende così chiuderanno, altre si trasformeranno nei limiti consentiti dalla loro struttura o dalla loro ubicazione. Il sorgere di numerose imprese, anche se spesso dalla breve attività, dà sufficientemente l'idea dei fermenti imprenditoriali nel campo ceramico, industria che diventò, con le fabbriche dei Musso e dei Besio, d'importanza nazionale (3). Molteplici sono le vicissitudini che, in centosessanta anni di vita, condizionarono la attività produttiva della ceramica monregalese. Sono vicende da « commedia u m a n a », avvenimenti e casi ispirati e creati da personaggi di varia estrazione e ben distinta individualità. Sulla ribalta di questa storia si alternano pionieri avventurosi e fracassoni ad artigiani circondati di silenzio e di umiltà; « outsider » spericolati e superficiali a liguri caparbi e ricchi solo di ingegnosità, intraprendenza e durezza, degni discendenti dei maiolicari sabazi. Ampio rilievo hanno poi le vicende familiari, di solito caratterizzate da contrasti, da liti, da piccole guerre combattute con le armi della carta bollata, da rogiti notarili e testamenti impugnati, con parcelle che ingoiavano patrimoni. E vi sono, infine, gli episodi di fortune mozzafiato, di dissesti clamorosi, di vicende sentimentali o materialistiche, boccaccesche o penose. Fra queste vicende « borghesi » si inseriscono le avventure dei « ciapasé », gli irresistibili magliari della terraglia, che, di fiera in fiera, di mercato in mercato, con i loro barocci, si spingevano fin nel più riposto e lontano angolo del meridione. Ma si inseriscono pure le miserie di operai sfruttati e mal pagati e peggio considerati, di bambini-garzoni che, scalzi, correvano dall'alba al tramonto per non far mancare il lavoro agli operai. Così non si può tacere dell'incredibile stanchezza delle ragazze dei torni, delle spugne, degli aerografi, della cernita del biscotto, in fabbrica per 14 43
la fiducia nel superamento di ostacoli sempre nuovi e numerosi. La « vecchia Mondovì » in terraglia tenera, pur nella sua minore consistenza rispetto alla terraglia forte feldspatica, ha veramente doti di bianchezza, di lucentezza, di vivacità inimitabili nella tavola cromatica e negli ornati, nelle figurazioni come nella scelta dei soggetti. Pur non essendo stata creata con pretese artistiche, rallegrava povere mense di povere case. La produzione era, per la maggior parte, venduta sui mercati e sulle fiere ed i suoi decori — fiori, galletti, casette, ecc. — gareggiavano fra loro in vivacità spon¬ tanea. La « vecchia Mondovì » non è nata propriamente come ceramica artistica, in quanto la sua produzione era quasi tutta destinata per uso domestico. Nonostante questo orientamento... « prosaico » non è raro scoprire in moltissima parte di essa una bellezza ed una freschezza di opera popolare che raggiunge, molte volte, i confini della poesia. La produzione più ricca e significativa è quella del secolo XIX, periodo in cui i colori venivano elaborati empiricamente in fabbrica, e si cuoceva in forni alimentati dalla legna. I ceramisti di allora si tramandavano di padre in figlio i segreti e gli accorgimenti del mestiere, ed il decoratore era anche un creatore che con pazienza e gusto trovava sempre varianti geniali al tradizionale uso di spugne, di tamponi a pizzo, di pennellate e di mascherine di stagnola (6). L'arte non ha confini precisi e limitati da canoni estetici indiscussi entro i quali si possa collocare una produzione di opere destinate unicamente ad un certo scopo di godimento visuale. Essa può sgorgare spontaneamente dall'espressione genuina e spesso ingenua di uomini che non si propongono alcun intendimento artistico, ma soltanto la libera spontaneità del loro sentire nel lavoro, spesso monotono e quotidiano, di una produzione cosiddetta artigianale (7). Ma una delle caratteristiche di questa ceramica, forse la più importante, è di essere amabile e congeniale all'uomo: non si tratta di grande ceramica, di ceramica aulica, anche se l'arte viene sfiorata, ma certamente i sentimenti cordiali e ingenui sono liberalmente interpretati (8). Queste stoviglie, dalla popolare funzione di arte povera unita alla tradizione folcloristica, hanno sempre mantenuto quella spontaneità semplice che non propone né agita problemi e non li inventa. Il contadino, cliente abituale della « vecchia Mondovì », vuole che i suoi oggetti usuali, e fra questi i suoi pochi piatti, siano sì di umile terraglia, ma ricchi di gioia decorativa. A rigor di logica, sembrerebbe che mangiare in un tondino bianco o mangiare in uno decorato sia la stessa cosa, ma per il popolano non è così: egli non capisce e non accetta il nudo funzionale, i piatti con i
o 15 ore giornaliere, e della formazione delle Società di Mutuo Soccorso, delle Società Operaie e il primo Socialismo, i cui aderenti dopo aver cantato « Bandiera Rossa » intonavano «....quel mazzolin di fiori ». Intanto altre vicende si sviluppano: le prime manifestazioni e i primi scioperi in provincia, gli scontri fra operai e carabinieri o soldati mandati per riconfermare la supremazia degli interessi padronali, l'antifascismo inflessibile degli operai delle fabbriche... (4). Ma nell'illustrare la storia della ceramica monregalese, occorre tener presente soprattutto quella che è la sua principale caratteristica: l'essere riuscita a mantenere uno stretto contatto con il consumatore. I piatti di Mondovì non sono mai stati un prodotto soltanto utilitario, cioè di esclusivo uso strumentale, ma hanno sempre posseduto, oltre alla notevole virtù del prezzo accessibile anche alle borse più povere, un valore decorativo reale, assolvendo perciò ad una funzione pratica e nello stesso tempo estetica (5).
Boccale h. cm 16,5 Policromia Alessandro Musso - Mondovì 1849-1879
La produzione, o almeno quella parte che con i suoi colori vivaci e continuamente rinnovati caratterizzava la « vecchia Mondovì », dimostra l'esperienza di una attività artigiana su scala industriale, cioè con oneri e problemi dell'industria; testimonia il tenace attaccamento ad una tradizione continuamente aggiornata e 44
Piatto Ø cm 22 Monocromia stampata Felice Musso Mondovì - 1879-1897
45
Piatto Ø cm 22,5 Monocromia stampata Benedetto Musso Mondovì - 1891
46
rie, per esempio, sono illustrati i momenti salienti di un avventuoroso viaggio attraverso le contrade della penisola per la prima volta « solcate » dalla nuova e veloce «strada ferrata», la più grande conquista del «secolo con i baffi». La «cineseria» ebbe poi notevole sviluppo, soprattutto nei marchi e monogrammi che tentavano ingenuamente di camuffare le terraglie monregalesi come fabbricate in lontane ed esotiche contrade straniere. Nei primi anni del '900 l'espandersi dei mercati e delle industrie avevano intanto costretto le aziende ad aumentare la produzione sia per sostenere la concorrenza, sia per diminuire il prezzo di costo, con il conseguente ricorso a decorazioni più semplici e di più rapida esecuzione. Le decorazioni, sempre meno elaborate e più meccanizzate, l'uso di colori di minor costo e acquistati da apposite industrie per una più rapida manipolazione, influirono sensibilmente sull'aspetto estetico della produzione. I primi lustri del secolo XX vennero caratterizzati anche dal diffondersi della decorazione a timbri e ad aerografo. L'attività industriale ceramica è stata ed è condizionata dalla necessità di vendere forti quantitativi a prezzi sempre più bassi relativamente ai costi di produzione, per affrontare concorrenze massicce vecchie e nuove. Fino alla vigilia della prima guerra mondiale lo sforzo produttivo fu intenso, le aziende monregalesi
galli gli danno più appetito, gli rallegrano la frugale mensa e poi, posti sulla piattaia, rendono allegro lo ambiente. Così, forse, sono nati i galletti (che per il contadino sono anche il simbolo di u n a virilità che ogni giorno ha sottocchio), anche se essi non sono esclusiva caratteristica della ceramica monregalese, ma di quasi tutte le fabbriche ceramiche dell'Ottocento e persino di alcune del Settecento. Così sono nati i fiori schizzati, come tutto il resto, alla brava, con pochi tratti essenziali, disegnati magari aiutandosi con la spugna, le casette che hanno la grazia delle creazioni dei bambini, i busti di soldati o di donne emancipate che fumano, di coppie agghindate come nei figurini di moda dell'epoca (9). Il sentimento popolare si manifesta anche nelle battute scherzose che ricordano ricorrenze familiari o tradiscono sentimenti segreti; la vita intima e di casa, i reconditi moti dell'animo, le tradizioni locali trovano tutte espressione decorativa in questa ceramica. Molti piatti ospitano così sul fondo battute allegre, spiritosi inviti, concrete ed inconsuete frasi d'affetto all'innamorato o all'amato bene, forse lontano per fare il soldato ©^migrato in terra straniera. Certe scritte ragg i u n g o n o , ^ volte, la carica emotiva di u n a odierna poesia visuale. Sono piatti che rivelano ottimismo, affabilità, gentilezza, tutto un mondo non ancora contaminato dalla nostra civiltà efficiente, asettica e spaventosamente fredda. Periodo particolarmente fecondo di risultati e di riconoscimenti in esposizioni e mostre è quello della seconda metà del secolo XIX quando si diffuse la decorazione a stampa, secondo la moda inglese. Essa era stata già introdotta in Italia nel lontano 1820, ma venne riscoperta dai figuli monregalesi, che la realizzarono in nero, in grigio azzurro, in blu, in bruno, in bruno violetto, in rosato, nonché in stampe accuratamente miniate. Nella serie « patriottica » e nei « piatti celebrativi » di avvenimenti nazionali, la Storia d'Italia, quella vera, quella sentita dal popolo, frammista di candore, passione e religione di Patria, trovò ingenue forme di celebrazioni in stemmi e bandiere, in profili dedicati al Maggiore Toselli e al Maggiore Galliano o alla bella Regina cantata dal Carducci, a Tripoli Italiana, ai Reali d'Italia e al Tricolore nazionale sul quale si alzano le insegne araldiche monregalesi — singolarissimi esempi di iconografia ceramica con inconsueti saggi di cartografie storico-militare (10) —. Una parte è riservata ad illustrare località turistiche o città importanti, oppure a reclamizzare prodotti con dignitosi comunicati commerciali. Anche la mitologia, gli usi e costumi di popoli lontani, fecero la loro apparizione. Anche i temi della rivoluzione industriale divennero dei soggetti ceramici stampati; in u n a interessante se-
Piatto Ø cm 22 - Policromia Andrea Salomone Villanova - 1881-1899
47
Brocca h. cm 21 - Policromia Giuseppe Besio - Mondovì 1841-1884
guati al costo della vita ed assicurare provvidenze sociali ai lavoratori dando loro un minimo di garanzia per la disoccupazione, la malattia e la vecchiaia. Tali oneri si ripercossero sui costi di produzione e le aziende dovettero, per forza di cose, produrre di più ad un prezzo minore. La terraglia monregalese, impostasi nell'Ottocento per la bellezza dei decori e la vivacità della scala cromatica, incominciò un lento declino quando si impose la necessità di adottare, in tutte le operazioni, metodi industriali che resero la decorazione uniforme e poco vivace. La decadenza, incominciata all'inizio della prima guerra mondiale, è continuata lentamente fino ai nostri giorni. Ma oggi, finalmente, si nota u n a svolta nella ricerca della decorazione... romantica, « vecchia Mondovì », indice di u n a vitalità, che era solo sopita, e mai estinta.
continuarono infatti ad immettere sul mercato grandi quantità di terraglia, grazie anche allo spirito di intraprendenza dei vari operatori: essi riuscirono a conservare quasi tutti i mercati acquisiti con decenni di laboriosità e di iniziativa (11). Fu nel periodo intercorrente fra le due guerre mondiali che il mercato della terraglia tenera cominciò a denunciare i primi sintomi di stanchezza ed il margine di profitto diminuì perché, se all'inizio le materie prime ed il combustibile erano facilmente reperibili nella regione monregalese — argilla, quarzo, calcare e legna di castagno —, successivamente i vari fabbricanti, anche per migliorare industrialmente la produzione, ricorsero a materie prime importate dall'estero — prima argilla tedesca, poi argille inglesi e francesi e carbone fossile per la cottura —. Anche il costo della mano d'opera aumentò: gli imprenditori dovettero corrispondere salari più ade48
NOTE 1) G.B. NICOLO' BESIO
La dinamica dei pionieri sabazi nell'affermarsi dell'industria ceramica monregalese. su: « Ponente d'Italia », Savona, 1967 — n. 9 — pag. 12
2) G.B. NICOLO' BESIO
La dinamica dei pionieri sabazi nell'affermarsi dell'industria ceramica monregalese. su: « Ponente d'Italia », Savona, 1967 — n. 9 — pag. 14;
3) G.B. NICOLO' BESIO
La dinamica dei pionieri sabazi nell'affermarsi dell'industria ceramica monregalese. su: « Ponente d'Italia », Savona, 1967 — n. 9 — pag. 14;
4) MICHE BERRA
Ceramiche
monregalesi.
da: « Cuneo Provincia Granda », Cuneo, 1968 — n. 1 — pag. 14; 5) MICHE BERRA 6) MARCO LEVI
7) BERTO RAVOTTI 8) NELLO FERRAUDO 9) MICHE BERRA
da: « Cuneo Provincia Granda », Cuneo, 1968 — n. 1 — pag. 14; L'opera dei pionieri nell'affermazione dell'industria ceramica monregalese su: « Gazzetta di Mondovì » — n. 34, Mondovì 9 settembre 1967; I freschi ingenui capolavori della ceramica del monregalese su: « La Vedetta » — n. 33 — Cuneo, 1967; Cara vecchia Mondovì su: « Secolo XIX » — Genova, 5 settembre 1967; Ceramiche monregalesi. da.- « Cuneo Provincia Granda », Cuneo, 1968 — n. 1 — pag. 14;
10) G.B. NICOLO' BESIO
La dinamica dei pionieri sabazi nell'affermarsi dell'industria ceramica monregalese. su; « Ponente d'Italia », Savona, 1967 — n. 9 — pag. 12;
11) MARCO LEVI
L'opera dei pionieri nell'affermazione dell'industria ceramica monregalese su: « Gazzetta di Mondovì » — n. 34, Mondovì, 9 settembre 1967;
E S E M P I DI DECORAZIONI SULLA TESA DEL PIATTO ESEGUITI N E L L E FABBRICHE MONREGALESI Andrea Salomone Villanova 1881-1890
Felice Musso Mondovì 1879-1897
Felice Musso Mondovì 1879 - 1897
Musso e Beltrandi Mondovì
Ved. Besio e Figli Mondovì 1884 - 1889
Fratelli Gabutti Chiusa 1866 - 1890
Fabbrica di 1880 - 1890
Andrea Salomone Villanova 1881 - 1890
1884 - 1898
Mombasiglio?
51
Vedova Besio e Figli Mondovì
Andrea Salomone Villanova
1884 - 1889
1881 - 1890
Lorenzo Montefameglio Mondovì 1859 - 1867
Fabbrica
Luigi Gribaudi Vicoforte 1890 - 1893
Fratelli Musso Mondovì
Ved. Besio e Figli
Ved. Besio e Figli Mondovì
1880
Mombasiglio?
1879
Mondovì 1884 - 1889
Fabbrica Mondovì
di
1890 (?)
1884 - 1889
Magliano
Fratelli Chiusa
1850 - 1859
Gabutti
1866 - 1890
52
Musso e Beltrandi Mondovì 1884 - 1895
Fratelli Messa Mondovì 1875 - 1878
Fratelli Gabutti Chiusa 1866 - 1890
Fratelli Gabutti Chiusa 1866 - 1890
Ved. Besio e Figli Mondovì 1884 - 1889
Felice Musso Mondovì 1879 - 1897
Ved. Besio e Figli Mondovì 1884 - 1889
Musso e Beltrandi Mondovì 1884 - 1898
Lorenzo Montefameglio Mombasiglio 1870 - 1877
Eredi Gribaudi Vicoforte 1890 - 1910
53
Benedetto Mondovì
Musso
Fratelli Chiusa
Gabutti
1879 - 1898
1866 - 1895
Andrea Salomone Villanova 1881-1890
Michele Chiusa
Ved. Besio e Figli
Andrea
1833 - 1836
Villanova
Mondovì
Salomone
1881 - 1890
1884 - 1889
Fabbrica Mondovì
Giordana
Magliano
Fratelli Gabutti Chiusa 1866 - 1900
1850 - 1859
Felice Musso Mondovì 1879-1897
Andrea Salomone Villanova 1881 - 1890
54
Giuseppe Barberis Chiusa 1836 - 1866
Giuseppe Besio Mondovì 1867 - 1884
Andrea Salomone Villanova 1879 - 1890
Ved. Besio e Figli Mondovì 1884 - 1889
Fabbrica Magliano Mondovì 1850 - 1859
Ved. Besio e Figli Mondovì 1884 - 1889
Giuseppe Besio Mondovì 1841 - 1884
Lorenzo Montefameglio Mombasiglio 1870 - 1877
Fratelli Gabutti Chiusa 1866 - 1890
Giuseppe Barberis Chiusa 1836 - 1866
55
Giuseppe e Mondovì 1884 - 1895
Federico
Besio
Giuseppe Barberis Chiusa 1836 - 1866
Fratelli Gabutti Chiusa 1866 - 1890
Alessandro Musso Mondovì 1849 - 1879
Felice Musso Mondovì 1879 - 1897
Eredi Gribaudi Vicoforte 1893 - 1898
Lorenzo Beltrandi Mondovì 1898 - 1900
Felice Musso Mondovì 1879 - 1897
Fratelli Gabutti Chiusa 1866 - 1890
Giuseppe Besio Mondovì 1867 - 1884
56
Felice Musso Mondovì 1879 - 1897
Fratelli Gabutti Chiusa 1866 - 1895
Alessandro Musso Mondovì 1849 - 1879
Luigi Gribaudi Vicoforte 1889 - 1893
Fratelli Gabutti Chiusa 1866 - 1890
Ved. Besio e Figli Mondovì 1884 - 1889
Fratelli Gabutti Chiusa 1866 - 1890
Fratelli Messa Mondovì 1880 - 1884
Giuseppe Besio Mondovì 1875 - 1884
La Vittoria Mondovì 1919 - 1927
57
Fratelli Chiusa
Fabbrica Mondovì
Gabutti
Magliano
1866 - 1890
1850 - 1859
Lorenzo Mondovì
Benedetto Mondovì
Beltrandi
Musso
1898 - 1913
1834 - 1849
Fratelli Chiusa
Fratelli Musso Mondovì
Gabutti
1866 - 1890
1879
Felice Musso Mondovì
Felice Musso Mondovì
1879 - 1897
1879 - 1897
Ved. Besio e Figli Mondovì
Lorenzo Mondovì
1884 - 1889
1898 - 1900
58
Beltrandi
Annibale Villanova
Musso
Fabbrica Mondovì
1851 - 1877
Benedetto Mondovì
Magliano
1350 - 1859
Musso
Giuseppe Chiusa
1879 - 1898
Barberis
c i r c a 1850 - 1870
Ved. Besio e Figli Mondovì
Musso e Mondovì
1884 - 1889
Beltrandi
1884 - 1895
Felice Musso Mondovì
Ved. Besio e Figli Mondovì
1879 - 1897
1884 - 1889
Ved. Besio e Figli Mondovì
Fratelli Musso Mondovì
1884 - 1889
1879
59
o
Fr.lli
Gabutti
Fabbrica Mondovì
Ved. Besio e Figli Mondovì
Magliano
1850 - 1859
1884 - 1889
Giuseppe Besio Mondovì
Ved. Besio e Figli Mondovì
1870 - 1884
1884 - 1889
Beltrandi e Musso Mondovì
Lorenzo Mondovì
1884 - 1898
1850 - 1867
Vedova Besio e Figli Mondovì
Ved. Besio e Figli Mondovì
1884 - 1889
1884 - 1889
Alessandro Mondovì
Montefameglio
Ved. Besio e Figli Mondovì
Musso
1884 - 1889
1849 - 1879
60
Giuseppe Mondovì
Felice Musso Villanova
Besio
1867 - 1884
1877 - 1890
Andrea Salomone Villanova
Giuseppe Chiusa
1881 - 1890
1836 - 1866
Mondovì
Ved. Besio e Figli
Benedetto Mondovì
1884 - 1889
1879 - 1884
Fratelli Chiusa
Giuseppe Chiusa
Gabutti
Barberis
Musso
Barberis
1836 - 1866
1866 - 1890
Felice Musso Villanova
Alessandro Mondovì
1877 - 1890
1849 - 1879
61
Musso
Luigi Gribaudi Vicoforte
Giuseppe Mondovì
1890 - 1895
1870 - 1884
Ved. Besio e Figli Mondovì
Ved. Besio e Figli Mondovì 1884 - 1889
1884 - 1889
Giuseppe Mondovì
Besio
Besio
Benedetto Musso Felice Musso Mondovì
1867 - 1884
1879 - 1898
Andrea Salomone Villanova
Annibale Villanova
1881 - 1890
1851 - 1877
Annibale Musso Villanova
Fratelli Chiusa
1851 - 1877
1866 - 1890
62
Musso
Gabutti
Giuseppe Mondovì
Besio
Fabbrica Mondovì
Magliano
1867 - 1884
1850 - 1850
Felice Musso Mondovì
Andrea Salomone Villanova
1879 - 1897
1879 - 1890
Felice Musso Villanova
Giuseppe Mondovì
1877 - 1899
1850 - 1867
Giuseppe Mondovì
Besio
Andrea Mondovì
Besio
Salomone
1867 - 1884
1881 - 1890
Giuseppe e Federico Besio Mondovì
Giuseppe Mondovì
1884 - 1805
1850 - 1867
63
Besio
Alessandro Mondovì
Musso
Fratelli Musso Villanova
1849 - 1879
Fratelli Chiusa
Gabutti
1866 - 1890
1877 - 1885
Fabbrica Magliano Lorenzo Montefameglio Giuseppe Besio Mondovì 1850 - 1859 1859 - 1867 1867 - 1884
Ved. Besio e Figli Mondovì
Giuseppe e Federico Mondovì
1884 - 1889
1884 - 1895
Ved. Besio e Figli Mondovì
Felice Musso Villanova
1884 - 1889
1877 - 1890
Giuseppe Besio Mondovì
Musso e Beltrandi Mondovì
1867 - 1884
1884 - 1898
64
Ved. Besio e Figli Mondovì
Ved. Besio e Figli Mondovì
1884 - 1889
1884 - 1889
Ved. Besio e Figli Mondovì
Ved. Besio e Figli Mondovì
1884 - 1889
1884 - 1889
Benedetto Mondovì
Musso
Vedova Besio e Figli Mondovì
1825 - 1849
1884 - 1889
Edoardo Mondovì
Lorenzo Mondovì
Barberis
Beltrandi
1898 - 1913
1898 - 1908
Giuseppe Mondovì
Annibale Villanova
Besio
1867 - 1884
Musso
1851 - 1877
65
Giuseppe Mondovì
e
Federico
Besio
Fratelli Chiusa
1884 - 1895
Fabbrica
di
Gabutti
1866 - 1890
Mombasiglio?
Ved. Besio e Figli Mondovì
1880 - 1890
1884 - 1889
Fratelli Messa Mondovì
Fratelli Chiusa
1875 - 1884
Gabutti
1866 - 1890
Fabbrica Magliano Lorenzo Montefameglio Giuseppe Besio Mondovì
Alessandro Mondovì
1850 - 1859 1859 - 1867 1867 - 1884
Musso
1849 - 1879
Ved. Besio e Figli Mondovì
Fratelli Musso Mondovì
1884 - 1889
1879
66
Fabbrica Magliano Mondovì
Lorenzo Montefameglio Mondovì
1850 - 1859
1859 - 1867
Ved. Besio e Figli Mondovì
Andrea Salomone Villanova
1884 - 1889
1881 - 1890
Giuseppe Mondovì
Felice Musso Mondovì
Besio
1867 - 1884
1879 - 1897
Fratelli Chiusa
Fratelli Chiusa
Gabutti
1866 - 1890
Gabutti
1866 - 1890
67
Lorenzo Mondovì
Beltrandi
Fratelli Chiusa
Gabutti
1898 - 1910
1880 - 1900
Ved. Besio e Figli Mondovì
Ved. Besio e Figli Mondovì
1884 - 1889
1884 - 1889
Ved. Besio e Figlio Mondovì
Benedetto Mondovì
1889-1899
1879 - 1898
68
Musso
Felice Musso Richard Ginori Mondovì
Felice Musso Richard Ginori Mondovì
1880 - 1897 1897 - 1915
1880 - 1897 1897 - 1915
Felice Musso Richard Ginori Mondovì
Felice Musso Richard Ginori Mondovì
1880 - 1897 1897 - 1915
1880 - 1897 1897 - 1915
Felice Musso Richard Ginori Mondovì
Felice Musso Richard Ginori Mondovì
1880 - 1897 1897 - 1915
1880 - 1897 1897 - 1915
Felice Musso Richard Ginori Mondovì
Felice Musso Richard Ginori Mondovì 1880 - 1897 1897 - 1915
1880 - 1897 1897 - 1915
69
Felice Musso Richard Ginori Mondovì
Felice Musso Richard Ginori Mondovì
1880 - 1897 1897 - 1915
1880 - 1897 1897 - 1915
Felice Musso Richard Ginori Mondovì
Felice Musso Richard Ginori Mondovì
1880 - 1897 1897 - 1915
1880 - 1897 1897 - 1915
Felice Musso Richard Ginori Mondovì
Felice Musso Richard Ginori Mondovì
1880 - 1897 1897 - 1915
1880 - 1897 1897 - 1915
Felice Musso Richard Ginori Mondovì
Felice Musso Richard Ginori Mondovì 1880 - 1897 1897 - 1915
1880 - 1897 1897 - 1915
70
IL D O T T O R E FRANCESCO PEROTTI IL CONTE GIUSEPPE ALESSIO C H I E R A DEL V A S C O
Abbiamo già sottolineato, in un precedente capitolo, che l'occupazione francese provocò nell'industria monregalese un serio tracollo, con gravi conseguenze per la stabilità delle aziende, e, di riflesso, un estremo disagio delle classi che da esse traevano il sostentamento. La Città di Mondovì si accasciò esausta ed in piena crisi economica. Alla guerra, ai moti, agli sconvolgimenti sociali ed alla carestia faceva ora seguito il collasso economico degli opifici che avevano costituito il maggior reddito industriale sulle rive dell'Ellero. Rimaneva la risorsa dei campi, ma anch'essi erano poco redditizi sia per l'arretratezza dei metodi di coltivazione che per la mancanza di braccia, comunque insufficienti a colmare un vuoto via via più evidente e drammatico (1). Allo scoramento pubblico, ben riflesso negli interventi dei vari Consiglieri nell'Arengo Comunale, tentò di reagire il Dottore Francesco Perotti, trasformandosi da medico in industriale ceramico (2). Francesco Perotti, nato in Mondovì il 28 maggio 1775, laureatosi in medicina all'Università di Torino l'8 aprile 1797, ebbe a sopportare atroci traversie per le sue idee egualitarie. Imprigionato per motivi politici il 15 maggio 1799 e liberato il 22 dello stesso mese, trovò sgozzati nella propria casa la madre, un fratello e lo zio (3). Nel 1805 o 1806 doveva già esistere e funzionare u n a
piccola manifattura di proprietà del Perotti, come si può desumere dal contratto stipulato il 10 maggio 1807 davanti al Notaio Giovanni Battista Rovere (conservato presso l'Archivio di Stato di Cuneo e ritrovato dallo illustre ceramologo Avvocato Giuseppe Buscaglia). In esso risulta che il medico Giuseppe Perotti si lega in società con Bartolomeo Randasso « ...proprietaire demeurant en cette ville... » e Giovanni Maria Tomba « ...fabriquant en fayence aussi demeurant en cette ville... qui... travaillera en qualité de fabriquant et aura la direction des ouvriers... » « ...dans la manufacture et fabrique de fayence appartenant au dit Sieur Perotti et située en cette ville faubourg de Rinchiuso... » e precisamente in un edificio sito nel viottolo Gherbiana dove ancor oggi esiste u n a proprietà detta Giardino dei Perotti. La fabbrica, proprio per la sua appartenenza ad u n a delle persone più in vista della città e più legate al regime napoleonico — il Perotti in un documento del 1803, presso l'Archivio del Comune di Mondovì, è indicato come il Capo di Stato Maggiore della Guardia Nazionale —, non poteva essere dimenticata dal Destombes che nella statistica inserita nell'«Annuaire Statistique du Département de la Stura pour l'an 1806 » la citava come già funzionante. D'altronde anche in un decreto del 3 marzo 1806, che provvedeva alla nomina di un Comitato per le Arti e le Industrie 71
72
Ø cm 27 Maiolica nocciola marrone F. Perotti - Mondovì 1808-1810
improvvisazione degli alchimisti, ormai superati col passaggio dall'artigianato all'industria, furono sostituiti da studi, preparazione, esperienza e senso degli affari (6). La congettura prospettata da Giovanni Vignola (7), Giuseppe Morazzoni (8) e dall'Anonimo estensore della piccola « Storia della Industria Ceramica di Mondovì » (9), secondo i quali il Dottor Perotti doveva avere conosciuto a Torino il medico e chimico Vittorio Amedeo Gioannetti, lascia molto perplessi. L'incontro fra i due personaggi appare poco probabile perché troppe sono le differenze fra i due, lontani per età, temperamento, estrazione sociale, idee politiche e perché, fra la porcellana del Gioannetti e la maiolica del Perotti esiste una differenza di procedimento sostanziale. La fabbrica, in dissesto, fu quindi rilevata da G. Ubertinotti (nel 1810?), ma anche questo tentativo non ebbe seguito, sempre per la mancanza di buone terre (10). Nel gennaio del 1814, il Dottor Perotti assunse la direzione di u n a piccola fabbrica ceramica, sita nella Certosa di Pesio, di proprietà di Grandis & Berardengo. Nel dicembre del 1815, per i soliti motivi politici, dovette fuggire precipitosamente prima a Cuneo, poi a Torino ed infine a Genova, da dove scrisse il 26 dicembre, quindi salpò, col fratello Andrea, per la Grecia. Il 27 gennaio 1816 scrisse dalla città greca di Psara, il 2
nel circondario di Mondovì, venne aggiunto, a documento stilato, anche il nominativo del medico Giuseppe Perotti (4). La fabbrica, sotto la direzione del Tomba e del Perotti, ottenne sorprendenti risultati facendo intelligentemente amalgamare l'argilla rossa e grossolana della vicina cava del Merlo con altre argille. Le maioliche, prodotte in quantità esigua, ma singolarmente belle, di colore marrone con i bordi a pizzo e venature del tutto simili a pietre preziose o legni pregiati dimostrano una tecnica raffinata e talmente progredita da far ritenere che nella regione allora agissero maestranze molto abili. Si direbbe che questa impresa, realizzatrice di ceramiche d'una così composta finezza, appartenga più al secolo della parrucca e del minuetto che all'Ottocento. Il fervore creativo dei Perotti e Tomba non bastò, tuttavia, a creare u n a azienda solida, in grado di superare il travaglio della crisi. L'argilla del Merlo, inoltre, non era molto buona e dava scarti talmente numerosi da determinare un costo di produzione troppo elevato. È presumibile che per questi motivi, in poco tempo, la romantica e pionieristica impresa si risolvesse quasi in un vano esperimento: il deficit della piccola azienda inghiottì la somma, allora notevole, di 10.000 lire (5). Con lo sfortunato esperimento del Dottore Francesco Perotti si chiuse il periodo romantico e avventuroso della ceramica monregalese. Infatti l'empirismo e la 73
biblioteca di Mondovì, fra i quali un « Trattato delle gemme e delle perle », « Poesie diverse » relative alla Rivoluzione greca, « Corrispondenza in lingua italiana e greca », « La storia della Rivoluzione della Grecia nel 1821 » (12).
maggio 1816 da Galata, quindi il 2 ottobre 1816 da Andros di ritorno da Costantinopoli, da dove era partito il 3 maggio 1816. Ritornato a Galata, si fece spedire terraglie dal monregalese, forse dalla fabbrica di Benedetto Musso, traendone modesto sostentamento (11). Nel 1820 si trovò al centro di una questione col Grandis per cause relative alla conduzione della fabbrica della Certosa di Pesio : da una parte il Grandis insisteva nel richiedere il pagamento di un credito di 6.000 franchi, dall'altra il Dottor Perotti esigeva la riscossione di due anni di stipendio (quale direttore della fabbrica di maioliche) e il riconoscimento di tutti gli esperimenti e studi compiuti nell'interesse della azienda stessa. Non si hanno notizie circa la definizione della questione. Soggiornò parecchi anni a Smirne esercitandovi nobilmente la medicina, ritornato in Grecia, nel maggio del 1838 fu nominato pro-console di S.M. il Re di Sardegna presso il Governo Greco. Morì in Metelino il 14 novembre 1853. Uomo amante della cultura, enciclopedico e dotto, lasciò alcuni volumi di manoscritti che si trovano nella
È indispensabile ricordare il Conte Giuseppe Alessio Chiera del Vasco nato a Mondovì nel 1756 dal Dottore Pietro Paolo e da Bianca Maria Cantatore di Pascomonte, che « ..Profuse i tesori del suo sapere in favore degli operai, degli artigiani, degli impresari, insegnando gratuitamente gli elementi di geometria, meccanica, chimica, botanica, ecc. ecc., applicata ai vari rami delle arti professionali e agli usi pratici della vita... » (13). Il figlio, in una lettera del 18.7.1838 così scriveva: « ...fu veramente mio padre uomo di molte cognizioni architettoniche e meccaniche, ed in queste, in ispecie, aveva facoltà di invenzione molta. Ne fanno fede l'addometro (ch'io vidi da lui eseguire), il torno per ovato e tondo a far modelli esattissimi per fabbriche di terraglie... » (13). Secondo il Morazzoni (14), il Conte Chiera del Vasco, poco tempo dopo il 1814 avrebbe svolto attività ceramica.
Vaso - h. cm 18 Dr. Francesco Perotti Mondovì - 1807-1810
Tazza - h. cm 6,5 Dr. Francesco Perotti Mondovì - 1807-1810
74
NOTE 1) AMEDEO MICHELOTTI
Storia di Mondovì, Mondovì, 1921 — pag. 217;
2) MARCO ANTONIO AIMO
Ceramiche monregalesi di ieri e di oggi da: « Ceramica Informazione », Faenza, 1967 — n. 10 — pagg. 50, 51;
3) DOMENICO
Il monregalese nel periodo storico napoleonico 1792-1815, Vigone, 1926 — pagg. 328,329;
OCCELLI
4) GIUSEPPE BUSCAGLIA
La ceramica di Mondovì nei suoi rapporti con quella di Savona, Savona, 1972 — pagg. 3, 4;
5) GIOVANNI VIGNOLA
Delle maioliche e porcellane del Piemonte - Fabbriche di maioliche in Mondovì, Torino 1879 — pag. 575;
GIUSEPPE CORONA
La ceramica - Le maioliche e le terraglie di Mondovì, Milano, 1885 — pag. 542;
CASIMIRO DANNA
Monografia intorno alla Città e il Circondario di Mondovì, Torino 1860 — pag. 69;
6) MICHE BERRA 7) GIOVANNI VIGNOLA
8)
ANONIMO
9) GIUSEPPE MORAZZONI
10)
ANONIMO
Ceramiche monregalesi, da « Cuneo Provincia Granda », Cuneo, 1968 — n. 1 — pag. 7; Delle maioliche e porcellane del Piemonte - Fabbriche di maioliche in Mondovì, Torino, 1879 — pag. 575; «...Il Perotti, laureatosi nel 1797 nella R. Università di Torino dove è supponibile che abbia conosciuto il Dottore Gioannetti, chimico esso pure e naturalista distinto... »; Storia dell'industria ceramica di Mondovì, da: « La Ceramica », Milano, 1940 — n. 6, pag. 225; « ...Il Perotti aveva conosciuto a Torino il chimico Dottor Gioannetti, continuatore della fabbrica di porcellane di Vinovo (fondata da Giovanni Brodel nel 1776), e forse questa amicizia contribuì non poco ad indirizzarlo verso tale genere di attività... » La terraglia italiana, Milano, 1957 — pag. 145; « ...consigliato e probabilmente aiutato dal collega Gioannetti, l'abile gestore della porcellana di Vinovo, il medico Perotti... »; La Gazzetta di Mondovì del 7.1.1871;
11) PROF. GOLA
Appunti
12) GIOVANNI VIGNOLA
Delle maioliche e porcellane del Piemonte - Fabbriche di maioliche in Mondovì, Torino, 1879 — pag. 577;
13) DOMENICO OCCELLI
Il monregalese nel periodo storico napoleonico 1792-1815, Vigone, 1926 — pagg. 334, 335;
AMEDEO MICHELOTTI
per
una
biografia
del
Dottor
Francesco
Perotti;
Storia di Mondovì, Mondovì, 1920 — pagg. 588, 589;
14) da: « IL VASCO »
Mondovì 7-14 maggio 1870;
15) GIUSEPPE MORAZZONI
La terraglia italiana, Milano, 1957 — pag. 145.
I MUSSO
BENEDETTO MUSSO Una vera industria ceramica, dalle solide basi e dalle prospettive durature, fu fondata in Mondovì dal pioniere Benedetto Musso, nato a Savona nel 1782. Égli discendeva probabilmente da quel Matteo Musso al quale, secondo Giuseppe Morazzoni (1), la moglie di Serafino Bartoli, nella seconda metà del secolo XVIII, aveva ceduto la fabbrica lasciatale dal marito, emigrato in Francia. Il Bartoli aveva tentato la fabbricazione della porcellana (e qualche rarissimo esemplare di bisquit esiste), ma non aveva avuto successo (2). Secondo G.B. Baruffi (3), Benedetto Musso era stato allievo del Dottore Francesco Perotti, mentre Aurelio Minghetti, l'Anonimo estensore di u n a piccola « Storia della ceramica di Mondovì » e Lucrezia Carboneri (4) lo indicano come allievo del grande ceramista savonese Giacomo Boselli. Altri studi più approfonditi sulla ceramica savonese, come quelli di Tommaso Torteroli, Filippo Noberasco, Giuseppe Morazzoni, Giovanni Pesce, Costantino Barile e Piero Torriti non accennano a Benedetto Musso né come allievo, né come collaboratore, né come operaio della manifattura del Boselli in Savona (5). Si presume, con un certo fondamento, che il Musso abbia iniziato l'attività di ceramista, forse come dipendente del Dottor Perotti, fra il 1801 e il 1806: certamente non anteriormente alla prima data perché nello
« Stato dei quotati esercenti professioni ed arte » dello anno 1800 — reperibile nell'Archivio Storico del Comune di Mondovì — non figura alcun maiolicaro o stovigliaio, e non successivamente alla seconda data perché nell'atto di matrimonio del Musso del 22 febbraio 1807 — esistente nel medesimo Archivio — risulta che lo sposo aveva già la residenza nel Comune ed è qualificato come « ...fabriquant en faience... ». La sposa Margherita Randasso, orfana di padre, ebbe come testimonio alle nozze lo zio Bartolomeo Randasso, socio del Dottore Francesco Perotti. Tale fatto avvalora l'ipotesi che fra quest'ultimo e il ceramista savonese siano intercorsi precisi rapporti; non si può neppure escludere, nonostante la qualifica di fabbricante attribuitagli nell'atto di matrimonio, che il Musso fosse un semplice collaboratore del Perotti, anche se il Baruffi lo indica come allievo (6). Da buon ligure previdente, non a caso egli aveva scelto Mondovì per gettarvi le basi di u n a manifattura ceramica; uomo di mestiere, scrupoloso, positivo, pratico, scelse Carassone perché vi si potevano ottenere, a prezzi fallimentari, vecchi opifici in disuso e perché, a poche miglia dalla fabbrica, si trovavano tutte le materie prime necessarie alla produzione ceramica. Inoltre grande era la disponibilità d'acqua del fiume Ellero che, convenientemente deviata con un piccolo sbarramento (7), avrebbe generato energia anche per un opificio molto grande. La mano d'opera poi, specie 77
razione non poteva colpire eccessivamente questa industria artigianale anche se era all'inizio della propria attività, perché la modestia delle proporzioni le permetteva di risentire poco dell'involuzione politica ed economica del governo di S.M. il Re di Sardegna. 11 mantenimento del poliziesco « libretto di lavoro » favoriva l'assunzione di operai, donne e ragazzi a salari da fame e, per un'industria basata quasi esclusivamente sul lavoro manuale, questo era indubbiamente un elemento fra i più positivi. Anche la crisi finanziaria del 1817-1818 passò senza danneggiare molto la giovane azienda.
quella femminile e minorile, era così esuberante e indigente da accontentarsi di salari da fame. A tutti questi elementi favorevoli il Musso seppe dare il giusto valore, determinando intelligentemente i vantaggi che ne sarebbero derivati alla nascente industria. Impiantò la fabbrica nei primi lustri del XIX secolo, per produrre prima maiolica e forse anche stoviglie comuni, poi terraglia tenera, con la certezza che nel Monregalese vi fossero in abbondanza ottime terre, già scoperte con successo dai figuli savonesi (8). La data esatta della fondazione della manifattura è controversa: Goffredo Casalis (9) la stabilisce nel 1807; un Anonimo (10) nel 1808; Giovanni Vignola e Giuseppe Buscaglia (11) nel 1810; Aurelio Minghetti, Giuseppe Morazzoni, Miche Berra e Marco Antonio Aimo (12) nel 1811; G.B. Baruffi, Giuseppe Corona, L. De Mauri, G.B. Nicolò Besio, Lucrezia Carboneri (13) nel 1814. È presumibile che la data del 1814 indichi l'affermazione di Benedetto Musso come grande ceramista che prende risalto impiantando la fabbrica in un grande edificio in Carassone definito dal Baruffi « ...molto atto ad u n a grande manifattura... » e che era localmente ben noto in quanto « ...dapprima fabbricato per il setificio fu trasformato sotto il governo francese in una manifattura d'indaco nazionale estratto dall'isatis tinctoria e venne ivi successivamente introdotta da un inglese una nuova manifattura di ferro fuso che per disgustosi incidenti dovette perire con grave danno per il paese... ». L'albero genealogico dei Musso non riguarda soltanto l'evolversi di una famiglia patriarcale, straordinariamente prolifica, ma è anche u n a pagina determinante nella storia della ceramica monregalese. Infatti i discendenti di Benedetto Musso, che fu il vero fondatore della ceramica di Mondovì, diedero vita a cinque industrie figuline. Il ceramista diresse subito la manifattura con grande oculatezza tanto da ampliarla notevolmente, offrendo verso la metà del secolo lavoro a moltissimi operai (14). Iniziava così la produzione della terraglia dolce « vecchia Mondovì », riconoscibile per il caratteristico azzurro dei decori sui bordi, la vivacità dei colori e delle figurazioni, nata senza alcuna pretesa d'arte, ma estremamente suggestiva. Questa tipica ceramica, la cui decorazione a pennello era affidata all'estro e alla abilità di valenti maestranze, era venduta, per la maggior parte, sulle piazze e nelle fiere e i suoi decori — fiori, galletti, uccelli e paesaggi — gareggiavano fra loro in vivacità spontanea. L'indirizzo produttivo ed industriale impresso dal Musso fu chiaro e ben definito fin dall'inizio e tale si mantenne anche negli anni successivi, senza che tentennamenti o sconfinamenti ne alterassero il progressivo e rapido sviluppo. La crisi causata dalla Restau-
Fiasca h. cm 22 Policromia Musso ? - Mondovì 1810-1834
Fra il 1823 e il 1826 veniva istituita in Savona una manifattura ceramica di modeste proporzioni, quale succursale dello stabilimento già funzionante in Mondovì. Nel 1830, in seguito all'andamento commerciale favorevole, questa nuova fabbrica veniva considerevolmente ingrandita e successivamente ne assumeva la direzione Antonio Musso figlio di Benedetto (15). Nel 1834, il primogenito Alessandro assumeva la direzione della fabbrica di Mondovì che malgrado abili e forti concorrenti, riusciva in breve tempo a incrementare ancor più il già notevole sviluppo dell'azienda. L'anno prima, nel 1833, l'architetto Michele Giordana di Cuneo aveva acceso i forni di u n a fabbrica di terraglia dolce in Chiusa Pesio, che cederà nel 1836 a Giu78
Il 1848, anno di transizione, che seguiva la crisi economica del 1846-1847, non portò quell'incremento produttivo e commerciale che imprenditori e operai avrebbero sperato. Solo nel 1849 ebbe inizio una lenta ripresa che sfociò, nel 1850, in un vero e proprio « boom » dell'industria ceramica monregalese. ALESSANDRO MUSSO — MONDOVÌ Alla morte del fondatore della « Ceramica Musso », Benedetto, avvenuta il 20 marzo 1849, l'azienda di Mondovì veniva ereditata dal figlio Alessandro, quella di Savona dal figlio Antonio, mentre un terzo figlio, Annibale, iniziava l'attività ceramica il 26 gennaio 1851, edificando nella vicina Villanova u n a fabbrica di terra-
seppe Barberis, proprietario delle cave di Vicoforte, pericoloso concorrente perché virtualmente monopolizzatore dell'argilla, la materia prima più importante. In Mondovì, dove già da anni nel sobborgo di Carassone si dedicava all'arte figulina, Giuseppe Besio, trasformava un filatoio affittato nel 1841 in Pian della Valle in fabbrica di terraglia tenera, ottenendo in pochi anni il più lusinghiero successo. I fratelli Andrea e Sebastiano Tomatis, nel 1840, tentarono l'avventura di produrre ceramica ma, malgrado la loro indiscussa abilità, dovettero cedere di fronte ai più forti concorrenti e, dopo due anni di attività, spensero definitivamente i forni.
Zuppiera h. cm 24 Policromia Benedetto Musso Mondovì - 1810-1849
Tazzone h. cm 10 Policromia Alessandro Musso - Mondovì 1849-1879
glia dolce. Le prospettive di un andamento favorevole del mercato permettevano un ulteriore sviluppo delia azienda di Mondovì; nel 1850 Alessandro Musso acquistava un opificio in disuso, ubicato nel medesimo rione Carassone ( denominato « il follone » — perché nella precedente attività vi veniva praticata la follatura della lana —) e lo trasformava in fabbrica di terraglia. Nello stesso anno 1850 era apparso un nuovo e temibile concorrente: Giovanni Battista Magliano — proprietario degli stabili in cui era allogata la fabbrica di Giuseppe Besio al Pian della Valle — che, sfrattato il locatario, continuava in proprio e con successo l'attività fino allora svolta dal Besio. Ma questi, rile-
I Musso intanto, per incrementare la vendita della loro ceramica, aprirono negozi, piccoli ma efficienti, in Alba, Alessandria, Bra, Ceva, Cuneo e Fossano; affidarono la loro merce anche ai « ciapasé », i magliari della epoca che, con i loro barocci, accorrevano su tutte le fiere e mercati del Piemonte, della Liguria e del Nizzardo, dove vendevano quantità incredibili di stoviglie. La famiglia però non diede alle fabbriche un vero e moderno sviluppo industriale perché era fautrice, come tutti gli altri imprenditori, del lavoro manuale. In quell'epoca sembrava assurdo sostituire all'economicissimo uomo la costosa macchina. 79
diede i frutti sperati. Benché il mercato si fosse enormemente dilatato, lo smercio dei prodotti industriali non seguiva l'espansione geografica perché mancava un'efficiente rete distributiva commerciale. Per di più l'aumento del costo della vita, ma soprattutto le tasse e le imposte, applicate dallo Stato indiscriminatamente per fronteggiare le spese della guerra, impoverivano i tradizionali clienti: le classi meno abbienti della popolazione. Dovranno passare anni prima che il potenziale d'acquisto di questi consumatori della terraglia di Mondovì riesca a ritornare a livello normale. Malgrado tanti fattori negativi, Alessandro Musso, con tenacia e volontà ferree, riusciva a far aumentare la produzione, migliorandone nel contempo la qualità: in questa periodo la terraglia dei Musso raggiunse traguardi estetici imprevedibili e inaspettati. Si nota, nelle creazioni del tempo, maggiore inventiva, disegni più variati, colori più smaglianti e decorazioni più belle e originali. Il 15 agosto 1861 bruciava il « Follone » e i danni furono notevoli, sia agli edifici che alle attrezzature; si salvarono i forni ma i prodotti finiti, che stipavano i magazzini, subirono deterioramenti tali da risultare invendibili (18). Anche altri inconvenienti concorrevano ad aumentare i disagi, sia degli imprenditori che degli operai.
vato un filatoio nel rione Borgatto, lo convertiva tempestivamente in fabbrica di terraglia, riuscendo in pochissimo tempo a produrre pressoché la stessa quantità di manufatti che nel precedente opificio. Da una statistica esistente nell'Archivio Comunale di Mondovì (16) risulta che nel 1858 Alessandro Musso nella fabbrica di Carassone aveva quattro forni, dei quali solo due erano in funzione: uno per la prima cottura contenente 3.000 dozzine di stoviglie, l'altro per la seconda cottura contenente 1.000 dozzine. L'opificio consumava 45.000 miriagrammi di legna di castagno al prezzo di £. 0,20 il miriagrammo; 10.000 miriagrammi di argilla a £. 0,60 il miriagrammo; 8.000 miriagrammi di silice al prezzo di £. 0,05 al miriagrammo; 9.000 miriagrammi di calcare al prezzo di £. 0,02 al miriagrammo. La produzione di stoviglie di la, 2a e 3a qualità si aggirava sulle 45.000 dozzine annue, per un valore complessivo di £. 56.500. Sessanta in media erano gli operai occupati (uomini, donne, ragazzi), dei quali dieci sempre addetti ai forni. La paga media di un operaio toccava le 366 lire annue, mentre una operaia percepiva circa lire 154. Non è indicata la paga dei ragazzi, ma è da presumere fosse ancora inferiore. Il lavoro, nella buona stagione, poteva prolungarsi per quindici ore giornaliere (17). Il 1860, anno dell'Unità, anno di grandi speranze anche per i fabbricanti di ceramica monregalesi, non
Archivio del Comune di Mondovì: Contratto di matrimonio di Benedetto Musso - 1807
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Dalle sorgenti del torrente S. Matteo, nel territorio di Frabosa Sottana, era stato scavato un canale detto delle « dosi », per deviarne l'acqua che, dopo aver percorso un chilometro e mezzo, s'immetteva nell'Ellero un po' prima della fabbrica dei Musso in Carassone (19). L'acqua del canale ed una parte di quelle dell'Ellero erano convogliate, per mezzo di uno sbarramento, in un secondo canale che dava il movimento alle ruote idrauliche della Ceramica Musso ed a quelle di altri opifìci situati sulla sponda dell'Ellero. Le disastrose alluvioni degli anni 1832, 1841, 1852, 1857 e 1868 (20) arrecarono danni cospicui alla diga e ai canali le cui sponde franarono. Le ruote idrauliche, dopo ogni piena, risultavano inutilizzabili per molto tempo provocando l'arresto di quasi tutta l'attività produttiva. Il danno, indubbiamente grave per il Musso, era maggiormente sentito dagli operai che improvvisamente si trovavano sul lastrico e senza la minima provvidenza sociale. Ma non passava molto tempo che la fabbrica risorgeva, riprendendo, sia quantitativamente che qualitativamente, la produzione anteriore alle catastrofi (21).
dovette dare i risultati sperati, poiché, dopo pochi anni, la produzione veniva sospesa. FELICE MUSSO — MONDOVÌ Deceduto Alessandro Musso il 2 febbraio 1879, le due manifatture passarono per eredità ai fratelli Benedetto e Felice. Quest'ultimo, divenuto unico proprietario della fabbrica il « Follone » il 12 settembre 1879, perfezionava la lavorazione e cercava di incrementarne la produzione impiantando un immenso forno circolare a fuoco mobile tipo Hoffman. Nel 1883, le due fabbriche Musso impiegavano complessivamente un centinaio di operai e producevano oltre 2.300.000 pezzi assortiti per un valore complessivo di £. 400.000. Gli operai guadagnavano giornalmente da £. 3,20 a £. 4,00, i manovali percepivano da £ 1,70 a £. 2,30, mentre le operaie fruivano di una paga da £. 1,30 a £. 1,60. i ragazzi dai dodici ai diciotto anni una mercede da £. 0,80 a £. 1,30 (22).
Verso il 1875, in ambedue le fabbriche, era stata ripresa, in via sperimentale, la lavorazione di stoviglie ordinarie e per cucina, già attuata all'inizio dell'attività aziendale da Benedetto Musso. Tale esperimento non
Dopo anni di alti e bassi economici, ma soprattutto in seguito all'andamento favorevole provocato dalla politica protezionistica del 1878, la fase positiva continuò fino al 1887, anno in cui le condizioni del mercato, subordinate a u n a situazione economica e finanziaria estremamente pesante, peggiorarono sempre più. Felice Musso, che impiegava ottantacinque operai fra uomini, donne e ragazzi, tentò di frenare la diminuzione delle vendite abbassando i prezzi, adottando la cottura a carbone e sostituendo la terra di Vicoforte con la « terra d'Olanda ». Ma né il miglioramento dello smalto, né l'introduzione di nuovi procedimenti nella tecnica della stampa, che aumentarono la produzione, si rivelarono utili. Mancavano le attrezzature e i macchinari moderni, i disagevoli locali erano posti in edifici non più rispondenti ai nuovi criteri di fabbricazione. Inoltre gli operai, che nel 1894 erano ancora cinquantacinque, esigevano un adeguamento della paga al costo della vita e non erano più disposti ad osservare orari massacranti. Tutti questi fattori incidevano troppo sui costi di fabbricazione, mentre i clienti tradizionali abbandonavano la terraglia tenera, ormai troppo costosa, per rivol-
Piatto Ø cm 23 - Policromia Alessandro Musso - Mondovì 1849-1879
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gersi ad altri prodotti, terraglia forte e porcellana comune o stampata, offerti a prezzi notevolmente bassi. Due erano le soluzioni: evitare il dissesto licenziando tutte le maestranze oppure cedere l'azienda ad imprenditori più dinamici, più forti e più organizzati. Venne scelto il male minore. Il 5 gennaio 1897 la « Società Ceramica Italiana Richard Ginori » di Milano rilevava da Felice Musso la fabbrica « Il Follone ». BENEDETTO MUSSO — MONDOVÌ Benedetto Musso, divenuto, il 12 settembre 1879, unico proprietario della casa madre in Carassone Via Nuova, iniziava la sua gestione lasciando quasi immutato l'opifìcio e la vecchia attrezzatura. Uniche sue innovazioni furono un nuovo sistema di cottura per cui si sostituì alla legna, come combustibile, legna e carbone, e la contemporanea adozione di nuovi metodi di decorazione incrementando in misura notevole la tecnica della stampa. Le stesse difficoltà organizzative incontrate dal fratello Felice erano avvertite pure da Benedetto Musso, aggravate maggiormente dalla vetustà degli edifici, disagevoli e irrazionali, nati per altri usi e trasformati in tempi diversi con adattamenti e ripieghi, ma sempre più inadeguati alle nuove esigenze industriali.
Dopo la fase positiva, d u r a t a fino al 1887, incominciò un periodo di recessione che mise in evidenza tutte le deficienze accumulatesi in settantacinque anni di esercizio. Gli operai, settantadue fra uomini e donne nel 1889, chiedevano infatti aumenti salariali e diminuzioni di orario che avrebbero inevitabilmente portato la azienda verso un deficit incolmabile. Le vendite sul mercato italiano diminuivano gradatamente malgrado i notevoli ribassi apportati al prezzo del prodotto finito, ribassi ottenuti accelerando la produzione con lavorazioni più veloci e meno costose. Era perciò indispensabile migliorare la qualità dei manufatti. Già verso il 1886 era stata attuata la conversione dei forni passando dalla combustione a legna e carbone a quella esclusivamente a carbone, era stata sostituita completamente l'argilla di Vicoforte con la « terra d'Olanda »
Piatto ovale h. cm 40 Monocromia stampata Felice Musso - Mondovì 1885-1897
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di piombo ed i colori in un primo tempo venivano prodotti in fabbrica, poi, per la maggior parte, importati dall'Inghilterra. Fino al 1878-1880 le fornaci erano alimentate con legna di castagno, ma da tale epoca si iniziò ad usare parzialmente il carbone fossile che, pochi anni dopo, sostituiva completamente la legna (22). I Musso di Mondovì smerciarono i loro prodotti in Piemonte, in Liguria, in Lombardia, in Toscana, nelle Romagne, nel Napoletano, in Sardegna, in Sicilia (23). Esportarono molto in Grecia, in Turchia, in Egitto, nel Medio Oriente, nelle Indie Olandesi, nell'America Settentrionale e Meridionale.
che dava prodotti meno cavillati, i colori e le vetrine erano stati opportunamente migliorati. Malgrado queste innovazioni, la flessione delle vendite continuò e le maestranze dovettero essere ulteriormente ridotte tanto che nel 1894 vi erano solo trentasei addetti (ventidue maschi e quattordici femmine). Con la situazione finanziaria sempre più pesante, Benedetto Musso considerò l'opportunità di cedere l'azienda a elementi più giovani, più intraprendenti, più ottimisti. Così il 20 gennaio 1898 l'azienda veniva ceduta a Edoardo Barberis. La migliore produzione delle fabbriche dei Musso di Mondovì aveva continuato per decenni a seguire la tipica tradizione monregalese: terraglia bianca deco-
ANTONIO
MUSSO
—
SAVONA
L'azienda di Savona, istituita come succursale della fabbrica di Mondovì fra il 1823 e il 1826 e ingrandita nel 1830 (24), alla morte di Benedetto Musso avvenuta il 20 marzo 1849, passava in eredità al figlio Antonio che già la dirigeva dagli anni successivi all'ampliamento e aveva dato un notevole impulso alla produzione tanto da rivelarsi un poderoso concorrente della stessa casa madre di Mondovì (25). All'Esposizione di Genova del 1846 « ...veniva dichiarato degno del premio della medaglia di r a m e per le sue stoviglie bianche da lui perfezionate... » (26). Antonio Musso, u n a volta divenuto unico proprietario dell'azienda di Savona poteva svolgere l'attività che gli era più congeniale. A lato delle stoviglie produsse ceramiche artistiche di notevole pregio; ebbe come collaboratrice la pittrice Veronica Murialdo, la quale impreziosì decorativamente le già belle terraglie. GIUSEPPE E FELICE MUSSO — SAVONA Nel 1876 Antonio Musso moriva: a lui succedettero i figli Giuseppe e Felice che, lasciata la carriera militare, si dedicarono allo sviluppo della già importante fabbrica del padre. Anch'essi, a lato della produzione normale, si dedicarono alla ceramica artistica fabbricando notevoli oggetti di forma, soprammobili, vasi, cornici, portali, ecc., tanto che furono premiati in numerose esposizioni (27). Nel 1883 lo stabilimento possedeva tre forni a sistema rotondo ed un quarto a volta con otto bocche esterne per il biscotto, che conteneva, in media, 4.000 dozzine di oggetti assortiti (i quattro forni producevano mediamente 6.000 dozzine al mese, ossia circa 860.000 pezzi annui); era dotato di sei muffole, presse per terra, macine per colori e aveva u n a ruota idraulica che produceva la forza motrice di 30 HP. L'argilla veniva importata dalla Germania (terra d'Olanda), il quarzo dalla Sardegna e la sabbia silicea dal Capo Noli, gli
Piatto Ø cm 26 Monocromia stampata Benedetto Musso - Mondovì 1867-1895
rata a mano e, dopo il 1860, anche terraglia a stampa all'uso inglese, assai pregevole. L'indirizzo essenziale rimase quello di realizzare u n a produzione buona, esteticamente bella ma di prezzo accessibile ad ogni borsa, perché anche il desco più modesto fosse migliorato sotto il profilo estetico. Per decenni si adoperò la terra di Vicoforte ma, essendosi questa quasi esaurita nella seconda metà dell'800, si incominciò ad usare, la « terra d'Olanda », la quale aveva anche il pregio di rendere le terraglie più omogenee e resistenti. La pietra calcarea veniva estratta dalle cave di Villanova, il quarzo dalle cave di Roccaforte. La vernice era a base 85
smalti venivano prodotti in fabbrica col quarzo, il litargirio e la soda. Le caselle per infornare erano ottenute con una terra molto refrattaria estratta nelle adiacenze della fabbrica. Gli operai erano circa sessanta con mercedi giornaliere che variavano per gli uomini da £. 3,20 a £. 4,25; per le donne da £. 1,20 a £. 1,70; per i manovali da £. 1,80 a £. 2,25; per i ragazzi da dodici a diciotto anni da £. 0,80 a £. 1,75. Le ore di lavoro erano da dodici a quindici secondo le stagioni. Il prezzo di vendita delle stoviglie andava da £. 1,25 per dozzina del bianco a £. 1,40 del decorato e lo stampato. La produzione veniva in grandissima parte venduta in Sicilia, Sardegna e Liguria ed esportata neill'America del Nord, in Argentina e nel Medio Oriente (28). La crisi che colpì l'industria ceramica negli ultimi anni dell'Ottocento ebbe anche influenza negativa sulla ceramica Musso di Savona che, dopo un rapido declino, chiudeva definitivamente la fabbrica nel 1894 (29), destinando gli edifici ad altra attività. ANNIBALE
MUSSO
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VILLANOVA
Annibale Musso, il 26 gennaio 1851 (30), dava inizio alla produzione della terraglia tenera in Villanova, regione Pradonio, Via dei Giardini e riusciva, in pochissimi anni, a dare un notevole incremento all'azienda. Nel 1859 con una produzione di 37.000 dozzine annue di stoviglie di l a e 2 a qualità, incassava circa lire 40.000 —; impiegava trentacinque operai che percepivano questi salari: gli uomini u n a media di lire 370 annue, le donne lire 170, mentre i ragazzi fruivano di una mercede presumibilmente inferiore (31). Anche Annibale passò le traversie dei fratelli, dovute agli alti e bassi della instabile vita economica monregalese. Nel 1871 gli addetti alla fabbrica erano quaranta. Nel 1872 o 1873 veniva sperimentata la produzione di stoviglie comuni e per cucina che non dava i risultati sperati tanto che, pochi anni dopo, veniva abbandonata in attesa di tempi migliori.
Felice Musso e Teresa Novelli
cellenti risultati sia artistici che commerciali; toccò pure senza attribuirvi carattere di produzione in serie, più per diletto perciò che per indirizzo produttivo, la ceramica artistica, scostandosi dalla produzione normale, per creare oggetti di forma di notevole pregio (32). Era questa, forse, u n a parentesi di svago e di riposo, come dimostrano i non moltissimi pezzi eseguiti. L'indirizzo essenziale rimaneva infatti la produzione di terraglia dolce per uso domestico, di qualità buona, esteticamente bella, ma di prezzo accessibile a tutti. Ed il mercato dimostrò tangibilmente il proprio favore a questo indirizzo positivo. Nel 1883, gli operai occupati nella fabbrica erano circa quaranta: i dodici operai percepivano u n a mercede giornaliera da lire 2,50 a lire 4,00; le quattro operaie u n a mercede da lire 1,25 a lire 1,70; gli otto manovali da lire 1,80 a lire 2,50 e i sedici ragazzi ( dai dodici ai diciotto anni) da lire 0,80 a lire 1,60 giornalieri. La produzione a n n u a si aggirava sui 650.000 pezzi per un valore di lire 105.000.
FELICE MUSSO — VILLANOVA Alla morte del fondatore, il 15 gennaio 1877, la fabbrica fu ereditata dal più giovane dei figli, Felice, che cambiò la ragione sociale in « Ceramica Felice Musso ». Coadiuvato dalla moglie Teresa Novelli, che si dimostrò preziosa collaboratrice, Felice Musso continuò la produzione monregalese di terraglia bianca, decorata a mano con i classici disegni e gli smaglianti colori che contraddistinguono la « vecchia Mondovì ». Anche egli volle produrre terraglia stampata ottenendo ec-
I prodotti della « Ceramica Felice Musso » si diffusero in tutta l'Italia e facilmente furono esportati in Egitto, in Siria, in Palestina, in Turchia, in Persia, nell'America Meridionale e nel Messico. 86
nuando la stessa produzione del nonno e del padre. Pochi anni di floridezza e nuovamente il caos economico — questa volta rappresentato dalla « grande crisi » — fece precipitare tutte le industrie in una gravissima depressione che si prolungò per lungo tempo. Le quattro più importanti fabbriche di terraglia del monregalese, fra cui la manifattura Felice Musso, nel 1934 si accordarono per costituire l'« Ufficio Unico Consorziale » onde agevolare la vendita dei loro prodotti. Non si può esattamente dire se fu un danno od un vantaggio far parte di tale « trust », ad ogni modo lo stato di crisi si prolungò per vari anni: solo nel 1936 la fabbrica riprese la normale attività che continuò fino allo scoppio della guerra. Dopo quel periodo quasi regolare, gli eventi bellici imposero numerose restrizioni: il carbone incominciò a scarseggiare e dovette essere sostituito con la legna o la sansa, le varie materie prime divennero introvabili, i trasporti si fecero sempre più precari. Malgrado il mancato rimpiazzamento degli operai specializzati, chiamati sotto le armi, la fabbrica continuò a funzionare, ma diminuì gradatamente la produttività fino all'esaurimento delle scorte. Furono allora dimesse tutte le maestranze con la conseguente chiusura totale. Dopo il 1945 l'attività riprese con rinnovato vigore, sollecitata dalle pressanti richieste della clientela vecchia e nuova e da un mercato che accusava le conseguenze di anni e anni di stasi produttiva.
Nel 1885 vi fu u n a sostanziale trasformazione dei forni, per adattarli al fuoco di carbone, le attrezzature furono modificate e, p u r continuando ad utilizzare il calcare di Villanova e il quarzo di Roccaforte, fu adottata definitivamente la « terra d'Olanda » affinché il prodotto fosse più uniforme, lo smalto più brillante e meno cavillato. Venne anche ripresa la produzione di stoviglie ordinarie e per cucina. La ennesima crisi che si abbatté sulle attività produttive e commerciali del monregalese nell'ultimo decennio del secolo, sorprese anche quest'impresa in un delicato momento ed in piena trasformazione: gli ambiziosi programmi dovettero perciò essere accantonati e rimandati a tempi migliori. Nel 1897 i trenta operai, uomini, donne e ragazzi, riuscivano a fabbricare annualmente circa 500.000 pezzi. Nello stesso anno era stata ripresa con successo la produzione di stoviglie comuni e per cucina (33) che ottennero, anche negli anni successivi, un facile smercio. Solo dopo il 1915 questi manufatti non vennero più fabbricati (34). Nei primi anni del '900, con il superamento della crisi e l'economia in fase ascensionale, fu possibile attuare notevoli modifiche sia agli impianti che alle attrezzature, la produzione così migliorò qualitativamente e quantitativamente trovando un buon mercato sia in Italia che all'estero. Nel 1907 gli addetti erano cinquantanove fra maschi e femmine e la produzione era di circa 1.100.000 pezzi. L'incremento produttivo della terraglia stampata, ottenuto con l'introduzione di metodi e sistemi nuovi, dava impulso alle vendite tanto che nel 1914 con lo stesso numero di operai furono prodotti 1.250.000 pezzi. La guerra gettò l'azienda in gravissima crisi: chiusi o perduti i mercati esteri, rimaneva la debole e precaria risorsa del mercato nazionale, che assorbiva soltanto articoli a basso prezzo, con margini di guadagno molto limitati o nulli. A ciò si dovevano aggiungere le complicazioni per il reperimento delle materie prime, la necessità di cambiare il combustibile essendo il carbone introvabile e la carenza di mano d'opera. Nel 1917 gli operai occupati erano trentuno. Con la fine della guerra la situazione divenne ancora più pesante: moti sociali con richieste di forti adeguamenti salariali, ribassi dei prodotti industriali stranieri, aumento degli oneri fiscali provocarono un'ulteriore rallentamento della ripresa industriale. Nel 1921 gli operai addetti alla produzione erano trentadue fra uomini e donne.
MARIO MUSSO — VILLANOVA Nel 1951, dopo la morte di Ferdinando Musso, il fratello Mario continuò a fabbricare la tradizionale ceramica monregalese ma, ormai, il mercato cominciava a « non tirare » e la clientela diminuiva gli acquisti. Nuovi imprenditori, con fabbriche modernissime, producevano inoltre enormi quantità di terraglia a prezzi notevolmente inferiori; la clientela, divenuta più esigente, acquistava sempre più articoli in porcellana o in terraglia forte offerti a prezzi bassissimi. Negli anni successivi le vendite subirono u n a ulteriore diminuzione, anche perché fabbriche più potenti, dovendo trasformare gli impianti per produrre terraglia dura, immettevano sul mercato la terraglia dolce a prezzi sempre più bassi. Il 28 febbraio 1964, la « Ceramica Felice Musso » cessava la produzione di terraglia tenera d'uso domestico, cambiando la ragione sociale in « Hellerval S.p.A. » con sede in Villanova, che fabbrica supporti per resistenze elettriche a filo metallico e resistenze elettriche di alta qualità. Nel 1968 vi erano occupati 50 operai e 3 impiegati. La produzione si aggirava su 30.000.000 di pezzi annui con un fatturato di lire 190.000.000.
FERDINANDO MUSSO — VILLANOVA Il 18 maggio 1921 decedeva Felice Musso ed il figlio Ferdinando, affiancato validamente dalla madre Teresa Novelli, assumeva la direzione della fabbrica conti87
CRONOLOGIA MUSSO MONDOVÌ 1782 settembre 21 1807~ 1808 1810 1811 1814 1823 o 1826 1830 1834 1834 (?) 1849 marzo 20 1850 1851 1879 1879 1879 1895
gennaio 26 febbraio 2 settembre 12 settembre 12 ottobre 3
1897 gennaio 5
1898 gennaio 20 1823 o 1826 1830 1834 (?) 1849 marzo 20 1876 1894
Nasce a Savona Benedetto Musso da Lorenzo e Varaldo Benedetta. Inizia la produzione della maiolica e della terraglia dolce Fonda la fabbrica di Savona. La fabbrica di Savona viene ampliata. La direzione della fabbrica di Mondovì viene assunta dal figlio Alessandro. La direzione della fabbrica di Savona viene assunta dal figlio Antonio. Morte di Benedetto Musso: Alessandro eredita l'opificio di Mondovì, Antonio quello di Savona. Alessandro Musso acquista u n a fabbrica nel sobborgo Carassone detta « Il Follone » e la trasforma in ceramica. Annibale Musso fonda la fabbrica di Villanova. Morte di Alessandro Musso: eredi Benedetto, Giacomo, Felice. Per suddivisione ereditaria Felice Musso ha la proprietà del « Follone ». Benedetto Musso ottiene la proprietà della casa madre in Via Nuova. Felice Musso rileva la fabbrica al Borgatto, già di Giuseppe Besio, dal figlio Federico Besio e Maddalena Bruno. Felice Musso cede alla S.A. Richard Ginori di Milano la proprietà degli immobili e delle attrezzature del « Follone » e la fabbrica Besio al Borgatto. Benedetto Musso vende la fabbrica di Via Nuova a Edoardo Barberis. MUSSO SAVONA Benedetto Musso istituisce u n a fabbrica in Savona quale succursale della casa madre di Mondovì. La fabbrica viene notevolmente ampliata. Antonio Musso assume la direzione della fabbrica. Morte di Benedetto Musso, Antonio eredita l'opificio di Savona. Morte di Antonio Musso, ereditano la fabbrica i figli Giuseppe e Felice. Chiusura della fabbrica perché risultata antieconomica. MUSSO VILLANOVA
1851 1877 1921 1951
gennaio 26 gennaio 13 maggio 18 marzo 17
1964 febbraio 28
Annibale Musso inizia la produzione della terraglia dolce. Morte di Annibale Musso, il figlio Felice eredita la fabbrica. Morte di Felice Musso, i figli Fernando e Mario ereditano l'opificio. Morte di Fernando Musso, il fratello Mario continua la produzione solita. Trasformazione della fabbrica che ora produce resistenze elettriche di alta qualità.
NOTE 1) GIUSEPPE MORAZZONI
La maiolica antica ligure, Milano, 1951 — pag. 38;
2) GIUSEPPE MORAZZONI
La maiolica antica ligure, Milano, 1951 — pag. 39;
3) G.B. BARUFFI
Pellegrinazioni autunnali, Torino, 1841 — vol. II — pag. 1307;
4) AURELIO MINGHETTI
Ceramisti, Milano, 1939 — pag. 307;
ANONIMO
Storia dell'industria ceramica di Mondovì, da: Milano, 1940 — n. 6 — pag. 226;
LUCREZIA CARBONERI
"Carassone culla dell'industria ceramica" Mondovì » — n. 30 del 29 luglio 1967;
5) PIERO TORRITI
da:
La maiolica antica ligure, Milano, 1951;
GIOVANNI PESCE
Maioliche liguri da farmacia, Milano, 1960;
COSTANTINO BARILE
Antiche ceramiche liguri, Milano,
FILIPPO NOBERASCO
La ceramica savonese, Savona 1925;
TOMMASO TORTEROLI
« La
gazzetta di
Giacomo Boselli, Genova, 1965;
GIUSEPPE MORAZZONI
6) GIUSEPPE BUSCAGLIA
« La Ceramica »,
1965;
Intorno alla maiolica savonese, Torino, 1856; La ceramica di Mondovì nei suoi rapporti con quella di Savona, Savona, 1972 — pag. 2, 3, 4;
7) E. MOROZZO DELLA ROCCA La storia dell'antica città di Monteregale monte, Mondovì, 1891 — pag. 579;
ora
Mondovì
in
Pie-
8) CHABROL DE VOLVIC
Statistique des provinces de Savone, d'Oneille, d'Acqui et de la partie de la province de Mondovì formant l'ancien département de Montenotte, Paris, 1824 — vol. II, pag. 280;
9) GOFFREDO CASALIS
Dizionario geografico, storico, statistico, commerciale degli stati di S.M. il Re di Sardegna, Torino, 1835-1842 — vol. X — pag. 614;
10)
ANONIMO
11) GIOVANNI VIGNOLA GIUSEPPE BUSCAGLIA 12) AURELIO MINGHETTI
Storia dell'industria ceramica di Mondovì, da: Milano, 1940 — n. 6 — pag. 226;
« La Ceramica »,
Sulle maioliche e porcellane del Piemonte fabbriche di maioliche in Mondovì, Torino, 1879 — pag. 576; La mostra della ceramica monregalese, da: « Letimbro », Savona, 1967 del 21 settembre 1967; Ceramisti, Milano, 1939 — pag. 307;
GIUSEPPE MORAZZONI
La terraglia italiana, Milano, 1956 — pag. 145;
MICHE BERRA
Ceramiche monregalesi, da: 1968 — n. 1 — pag. 7;
MARCO ANTONIO AIMO
Ceramiche monregalesi di ieri e di oggi, da: « Ceramica Informazione », Faenza, — n. 10 — pag. 50;
13) G B . BARUFFI
« Cuneo, Provincia Granda », Cuneo,
Pellegrinazioni autunnali, Torino, 1841 — vol. II — pag. 1307;
GIUSEPPE CORONA
La Ceramica, Milano 1885 — pag. 542;
L. DE MAURI
L'amatore di maioliche e porcellane, Milano, 1962 — pag. 149;
G.B. NICOLO' BESIO
La dinamica dei pionieri sabazi nell'affermarsi dell'industria ceramica monregalese, da: « Ponente d'Italia », Savona, 1967 — n. 9 — pag. 13;
LUCREZIA CARBONERI
"Carassone, culla dell'industria ceramica", da: Mondovì » — n. 30 del 29 luglio 1967;
« La gazzetta di
14) GIUSEPPE CORONA
La ceramica, Milano, 1885 — a pag. 131 « ...dello stabilimento posseduto a Mondovì ove impiegavasi più di 500 operai.. » (numero enorme di maestranze, certamente sbagliato);
15) FILIPPO NOBERASCO
La ceramica savonese, Savona, 1925 — pag. 17;
16)
Tabella dei forni e delle usine. Descrizione di tre fabbriche di stoviglie monregalesi nel 1858 — Archivio comunale dì Mondovì;
17) ADOLFO OMODEO
L'opera politica del Conte di Cavour, Parte I 1848-1877, Firenze, 1940, Vol. I — pag. 289;
18) EMILIA BORGHESE
Vita sociale nel monregalese nel ventennio 1850-1870, su: Bollettino della Società Studi Storici, Archeologici e Artistici della Provincia di Cuneo, Dicembre 1957 — Gennaio 1958 — pag. 123;
19) E. MOROZZO DELLA ROCCA Le storie dell'antica Città di Monteregale ora Mondovì monte, Mondovì, 1891 — pag. 575;
in Pie-
20) dal giornale
"Il Vasco", 26 giugno 1868;
21) EMILIA BORGHESE
Vita sociale nel monregalese nel ventennio 1850-1870, su: Bollettino della Società Studi Storici, Archeologici e Artistici della Provincia di Cuneo, Dicembre 1957 — Gennaio 1958 — pag. 123;
22) GIUSEPPE CORONA
La ceramica, Milano, 1885 — pagg. 544, 545;
23) GIUSEPPE CORONA
La ceramica, Milano, 1885 — pag. 544;
24) GIUSEPPE CORONA
La ceramica, Milano, 1885 — pag. 132;
25) FILIPPO NOBERASCO
La ceramica savonese, Savona, 1925 — pagg. 16, 17;
26)
Storia dell'esposizione dei prodotti e delle manifatture nazionali fatta in Genova nel settembre 1846, Genova 1847 — pag. 193;
27) FILIPPO NOBERASCO
La ceramica savonese, Savona, 1925 — pagg. 16, 17;
28) GIUSEPPE CORONA
La ceramica, Milano, 1885 — pagg. 132, 131;
29) FILIPPO NOBERASCO
La ceramica savonese, Savona, 1925 — pag. 17;
30)
Determinazione del Ministro Segretario di Stato per la l'Agricoltura ed il Commercio, Torino 16 gennaio 1851;
31) ADOLFO OMODEO
L'opera politica del Conte di Cavour, Parte I 1848-1877, Firenze, 1940 — vol. I — pag. 289;
32) MICHELE OLIVERO
Ceramica Musso — Villanova Mondovì 1851-1951, Borgo San Dalmazzo, 1951 — pag. 21;
33) FEDERICO BASSIGNANO
Annuario della Provincia di Cuneo, Cuneo, 1897 — pag. 346 B-
34)
Guida Oggero della Provincia di Cuneo, 1902 anno II pag. 422; 1909 anno VI pag. 566/15; 1914 anno XI pag. 807.
Marina,
I MUSSO MUSSO - MONDOVÌ 1807 o 1814-1897
BENEDETTO MUSSO - MONDOVÌ - 1807 o 1814-1849
ALESSANDRO MUSSO - MONDOVÌ 1849-1879
F.lli BENEDETTO, GIACOMO, FELICE MUSSO - 1879
91
FELICE MUSSO - IL FOLLONE - MONDOVÌ CARASSONE 1879-1897
(in bleu o marrone)
(in bleu o marrone)
(in nero o bleu o marrone)
(impresso
(in bleu)
(in
marrone)
(in nero o bleu o marrone)
(in grigio bleu o marrone)
(in
marrone)
92
in
pasta)
(in
(in
marrone)
nero)
FELICE MUSSO - IL FOLLONE - MONDOVÌ CARASSONE 1879-1897
(in bleu o marrone)
(in nero)
(in
marrone)
(in bleu o marrone)
(in bleu o marrone)
(in bleu o marrone)
(in bleu o marrone)
(impresso
in
pasta)
(in
marrone)
(in nero)
(in rosa)
93
FELICE MUSSO - IL FOLLONE - MONDOVÌ CARASSONE 1879-1897
(in bleu o marrone)
(in violaceo)
(in
(in bleu o marrone)
bleu)
(in bleu o nero)
(in bleu)
(in violaceo)
BENEDETTO MUSSO - MONDOVÌ (Via Nuova) 1879-1898
(impresso in pasta)
(in violaceo o bleu)
(in bleu o marrone o verde)
(in
(in bleu o marrone)
marrone o nero)
94
(impresso in pasta)
(in bleu o marrone)
ANTONIO MUSSO — SAVONA 1849-1876
(impressi
in
pasta)
F.lli GIUSEPPE E FELICE MUSSO — SAVONA 1876-1894
(in azzurro o marrone o nero)
(Ceramica artistica bleu o nero)
(in
(in nero
o azzurro)
(in rosso o azzurro)
95
marrone o nero)
ANNIBALE MUSSO - VILLANOVA 1851-1877
(impresso in pasta)
(in
bleu
o
marrone)
(impresso in pasta)
FELICE MUSSO - VILLANOVA 1877-1921
(impressi in pasta)
(in bleu o marrone)
(in bleu o nero)
(impressi in pasta)
(in bleu o marrone)
(in bleu o nero)
FERNANDO E MARIO MUSSO - VILLANOVA 1921-1964
(impresso in pasta)
(in nero o bleu o marrone)
96
(impresso
in
pasta)
I BESIO E I LEVI
di Ceva, per poi passare a lavorare — così pare — in Francia dove avrebbe conosciuto la sua futura moglie, Laura Bongiovanni, nativa di Dieppe. Quindi, dopo esperienze successive, nel 1834 avrebbe collaborato come socio o come tecnico nell'impianto di u n a modesta fabbrica di ceramiche in Mondovì nel sobborgo di Carassone, intestata al fratello Giovanni Battista. La circostanza appare documentata dal Registro dello Stato d'anime relativo al 1834, esistente nella Parrocchia di Carassone, dove al n. 351 viene censita la famiglia di Giovanni Battista Besio « fabbricanti di Majolica nera » in contrada S. Evasio nella casa del Cav. Andrea Viglietti (3). Sulla data d'inizio della attività industriale di Giuseppe Besio non tutti gli autori sono d'accordo: secondo Giovanni Vignola, Giuseppe Morazzoni e un Anonimo (4) l'anno sarebbe il 1834, mentre Giuseppe Corona, Nicolò Besio, Marco Antonio Aimo, Lucrezia Carboneri, Nelìo Ferrando e lo stesso Giuseppe Morazzoni in altra pagina del suo libro, parlano del 1842 (5). Vincenzo Barelli (6), in uno scritto del 1833 o 1834, cita u n a sola fabbrica in Mondovì (quella di Benedetto Musso); secondo Goffredo Casalis (7), nel 1839 o 1840 in Mondovì esistevano « ...due fabbriche di maiolica bianca e nera... » e, poiché lo scritto è senz'altro di parecchio anteriore alla pubblicazione, si deve dedurre che prima del 1838, un'altra fabbrica fosse in attività oltre a quella del Musso. Piero Camilla e Giuseppe Raimondi (8) riportano u n a tavola statistica di Attilio Zuccagni-Orlandini del 1838, in base alla quale a Mondovì esistevano « ...due fabbriche di maioliche e sette di vasellame ordinario... ». Se la data d'inizio dell'attività ceramica di Giuseppe Besio è molto controversa, è certo invece che (secondo u n a sentenza della Corte d'Appello di Torino del 16 giugno 1884 nella causa civile intentata da Delli Negro Andrea, Casati Antonio e Francesco Grilletti contro il
L'albisolese Giuseppe Besio, nato nella cittadina ligure il 21 aprile 1806, affittava il 15 novembre 1841 uno stabile in Mondovì, sito in Pian della Valle e già adibito a filatoio, per trasformarlo in fabbrica di terraglia. Egli era, probabilmente, discendente di maiolicari savonesi e presumibilmente di quel Gerolamo Besio che nel secolo XVIII aveva: « ...lavorato come decoratore con Stefano Brusco, fratello del grande Bruschetto, per Bernardo e Teresa Ferro, che cedettero la fabbrica a Giuseppe Rubatto il quale, in un secondo tempo, si associò a Giacomo Boselli... » ed era stato « ...pittore di maioliche di Savona per i Chiodo e i Boselli... », come affermano rispettivamente Giuseppe Morazzone e Mia Cinotti (1).
Anna Massimino Ved. Besio
Giuseppe Besio
Il Besio aveva fatto un lungo, faticoso noviziato: in uno scritto di Michelangelo Pellegrino (2) si legge infatti che il piccolo Giuseppe avrebbe iniziato, a sette anni, il suo apprendistato in una minuscola fabbrica 97
Besio) « ...in data 15 novembre 1841, Stefano Magliano concedeva in affìtto a Giuseppe Besio, l'intero fabbricato del filatoio del Conte di S. Quintino, con diritto di servitù dell'acqua della bealera dei mulini e con l'obbligo di costruire nell'antistante prato due fornaci ad uso di maiolica con macchine ad acqua... ». Dopo i primi mesi di esercizio regolare, in seguito ad una istanza presentata da cittadini abitanti nelle adiacenze dell'opificio, il Consiglio Ordinario della Provincia di Mondovì redigeva varie osservazioni sulle esalazioni e fumi della fabbrica del Besio (Estratto dell'Ordinato n. 88 registro n. 2 del Consiglio Ordinario il 15 dicembre 1842). Fra l'altro si legge « ...che.. dalla esistenza della fabbrica di stoviglie ebbe a rilevarsi che la medesima arreca vero incomodo agli abitanti e
gravi molestie a cagione degli odori che ne vanno esalando, del fastidiosissimo fumo che ne emana... » L'interessante documento è uno dei primissimi esempi della blanda ed inutile lotta della burocrazia contro l'inquinamento atmosferico. Il Besio, uomo forte e intraprendente, dalla notevole esperienza, si affermava subito, malgrado la presenza di altre fabbriche in Mondovì e nel Monregalese, diventando in breve tempo un temibile concorrente anche per la già affermata fabbrica Musso. La crisi del 1846-1847 passava senza colpire eccessivamente il Besio che, per incrementare le vendite, sull'esempio degli altri fabbricanti, apriva negozi in Alessandria, Alba, Ceva, Pieve di Teco ed organizzava una vasta rete di « ciapasé ». Ma proprio quando l'azienda usciva
98
uno quadrato per la prima cottura, contenente 3.000 dozzine, uno ovale per la seconda cottura (verniciato), contenente 1.000 dozzine; i forni attivi erano alimentati annualmente con 40.000 miriagrammi di legna di castagno per un costo di lire 8.000. Di argilla, estratta dalle cave di Vicoforte, ne venivano consumati 9.000 miriagrammi, con u n a spesa a n n u a di lire 5.400; di calcare, estratto dalle cave di Villanova, ne venivano consumati 5.500 miriagrammi con u n a spesa annuale di lire 110; mentre di quarzo, estratto dalle cave di Roccaforte, ne venivano consumati annualmente 5.500 miriagrammi con u n a spesa di lire 275. La produzione di prima e seconda qualità si aggirava su 550.000 — 600.000 pezzi per un valore di lire 47.500/60.000 l'anno. Gli operai occupati (uomini, donne e ragazzi) erano normalmente q u a r a n t a e percepivano singolarmente
dalla faticosa e onerosa fase d'impianto industriale e di organizzazione commerciale, Giovanni Battista Magliano nel 1850 sfrattava l'affittuario e subentrava nella gestione della fabbrica di terraglia. Giuseppe Besio non era uomo da lasciarsi prostrare da un simile colpo mancino; nello stesso anno, affittato un filatoio in disuso nel rione Borgatto in via del Molino, lo trasformava in fabbrica di terraglia tenera riuscendo, in poco tempo, a produrre nel nuovo opificio quasi quanto nello stabilimento di Pian della Valle. Sull'attività della fabbrica del Besio al Borgatto si possono avere indicazioni precise dal manoscritto esistente nell'Archivio Comunale di Mondovì, datato anno 1858 (9): « L'opificio del Borgatto era dotato di quattro forni, dei quali due inattivi temporaneamente;
Piatto Ø cm 23 Policromia Giuseppe Besio - Mondovì 1841-1850
Archivio del Comune di Mondovì Ordinato N. 88 del 15 Dicembre 1842 del Consiglio Ordinario della Città
99
Dopo u n a lunga lite, in seguito alla sentenza definitiva del 30 ottobre 1867, egli otteneva che gli stabili in Pian della Valle, già di proprietà Magliano, gli venissero aggiudicati, così è confermato dal lodo della Corte di Appello di Torino pronunciato il 16 Giugno 1884 « ...previa condanna e precetto ebbe luogo... il giudizio di espropriazione in cui il Cavalier Besio nel 1867 si rese deliberato di detta fabbrica con annessi caseggiati, terreni e forza motrice, sì e come erano tenuti e posseduti dal Magliano, e per questo dal suo fittabile Montefameglio, con tutti gli inerenti diritti attivi e passivi senza alcuna sorta di garanzia... ». Il Magliano, il 9 gennaio 1859, aveva affittato la fabbrica ai soci Lorenzo Montefameglio e Luscaris (10) i quali, in questa disavventura furono i più danneggiati. Giuseppe Besio, diventato finalmente proprietario dello stabilimento di Pian della Valle, vi sistemò definitivamente la fabbrica principale: forte della produzione di due opifici, poteva finalmente competere ad armi pari con i più forti concorrenti: i Musso.
una mercede media di lire 365 annue per gli uomini, lire 155 le donne mentre non è indicata la paga dei ragazzi, che presumibilmente, era notevolmente inferiore a quella degli adulti. Il lavoro, nella buona stagione, poteva prolungarsi per quindici ore giornaliere». La speranza di incrementare le vendite dopo il 1860, in seguito all'Unità italiana, si rivelò vana; le fabbriche infatti non avevano u n a adeguata e capillare organizzazione commerciale che facesse affluire tempestivamente le merci sui nuovi mercati. La clientela normale — operai, contadini e piccoli artigiani — acquistava poco perché aveva un reddito troppo misero ed era pesantemente tassata. Anche Giuseppe Besio seguiva così la sorte degli altri fabbricanti di ceramiche benché avesse dimostrato in difficili frangenti d'essere un ottimo organizzatore ed un operatore intraprendente. Aumentò ancora i punti di vendita aprendo altri negozi in Fossano e Albenga; incrementò opportunamente la vendita tramite i « ciapasé », mandati, con maggiori quantità di merce, in località sempre più lontane. Collezione Giovanni Doglione - Asti
100
Collezione Giovanni Doglione - Asti
101
L'azienda, inizialmente artigianale, si e r a ormai trasformata in u n a vera e propria industria la cui produzione oltrepassava gli angusti confini regionali. Anche i prodotti delle fabbriche Besio, seguendo l'esempio dei concorrenti, accoglievano le vivaci motivazioni locali dei decori popolari, commovente espressione di allegri, cordiali e ingenui sentimenti. Intorno al bordo del piatto era spesso disegnata quella festosa decorazione a palmette, a triangoli, a rombi, a greche, a lunette, a punte o a « lambrequins », quasi sempre di un azzurro inconfondibile, smagliante e attualmente irripetibile.
Piatto Ø cm 23 - Policromia Giuseppe Besio - Mondovì 1841-1850
Piatto Ø cm 22 - Policromia Giuseppe Besio - Mondovì 1850-1867
Giuseppe Besio, quasi d'istinto, creava terraglie raggianti di gioia decorativa; non seguiva canoni artistici, ma soggetti e decori nascevano spontaneamente, senza problemi estetici o paraocchi stilistici: lo scopo essenziale era u n a buona produzione industriale e commerciale. Uomo d'affari, soprattutto pratico, non volle mai correre il rischio di fabbricare prodotti di difficile smercio, infatti r a r e volte si permise il lusso di produrre ceramica artistica. Nei suoi forni cuoceva quasi esclusivamente vasellame da tavola di uso comune, decorato con u n a gamma infinita di colori, in un'ampia varietà di soggetti, dipinto festosamente, ma pur sempre vasellame. Nella seconda metà del secolo anche le terraglie del Besio si impreziosirono nei decori con la stampa su ra-
Piatto Ø cm 22 Monocromia bianco bleu Giuseppe Besio - Mondovì 1867-1884
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me, ad imitazione della terraglia inglese, e con stampe miniate. I risultati furono talmente lusinghieri che questa produzione continuò fino alla prima guerra mondiale. L'industria ceramica monregalese era cresciuta in modo abnorme fra il 1850 e il 1870 ed i diversi fabbricanti si facevano una concorrenza spietata per accaparrarsi i clienti migliori. Giuseppe Besio, da quella competizione commerciale, sembrò ottenere il maggior vantaggio perché seppe incrementare costantemente la produzione. I miglioramenti apportati alle stoviglie gli valsero poi cinque medaglie-premio in cinque diverse esposizioni: Torino 1858, Torino 1868, Asti 1869, Alessandria 1870, Cuneo 1870. Nel 1867, per rendere più agevole e spedito il transito dei veicoli e delle merci fra le sue fabbriche e nelle adiacenze delle stesse, concorse con propri mezzi alla costruzione della strada lungo il fiume Ellero, dal Pian della Valle al rione Borgatto e, secondo quanto scrive un cronista dell'epoca, « ...rendendo facile il cammino ai viaggiatori, ai carri, alle carrozze d'uso pubblico e privato... ». Gli anni più diffìcili, anche per la vita aziendale, furono quelli in cui fu imposta la « tassa del macinato ». In seguito all'aumento del costo della vita, le classi più povere della popolazione manifestarono tumultuando un po' dovunque. In u n a lettera del 6 dicembre 1870
San Giovanni Bosco scriveva al senatore Michelangelo Castelli (11): « ...infatti nel 1866 coll'opera sua e colla sua influenza sulle masse operaie poteva impedire che succedessero guai in u n a specie di sommossa fatta per il caso del Vicesi; e così potè impedirne un'altra quando si cominciò a mettere in esecuzione la tassa del macinato, infatti in allora tutti i mugnai (non solo nel Comune ma pur anco nel Circondario) avevano fissato di tenere chiusi i loro edifici, quando il Signor Sottoprefetto di Mondovì (l'attuale Signor Buscaglione) pregava il Signor Besio a nome del Governo perché volesse aprire al servizio pubblico il molino che aveva Egli da poco acquistato dal Demanio. Il Signor Besio, quantunque avesse già cominciato a demolire il molino, perché voleva, come infatti fece, ricostruirlo a imitazione degli anglo-americani, tuttavia accondiscendeva al desiderio del Governo, e apriva a servizio pubblico il proprio edificio, non ritirando che metà della tassa e ciò onde non colpire troppo la borsa e la suscettibilità degli accorrenti. E con tale fatto e con l'influenza che seppe guadagnarsi sugli operai, impediva che avesse luogo la sommossa da tutti ormai ritenuta come certa. E se tal suo fatto incontrò l'approvazione del Governo e dei buoni, procacciò pure al Signor Besio pericoli per la sua proprietà, talché lo stesso Sottoprefetto forniva per oltre trenta giorni u n a guardia di Bersaglieri agli edifici di sua proprietà... ».
Piatto Ø cm 30 - Policromia Giuseppe Besio - Mondovì 1867-1884
Piatto Ø cm 33 - Policromia Vedova Besio e Figli Mondovì - 1884-1889
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Collezione Giovanni Doglione Asti
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L'11 novembre 1870 Giuseppe Besio acquistava lo edifìcio nel quale dal 1850 era allogata la fabbrica ceramica del Borgatto, compresi i diritti per lo sfruttamento della forza idraulica. Con successivi atti del 6 maggio 1871 e del 23 novembre 1876, completava lo acquisto dei terreni circostanti l'opificio. Con il 1871 aveva inizio la ripresa economica nel monregalese, i salari erano stati aumentati in rapporto al maggior costo della vita e si notava una minore tensione tra gli operai e gli imprenditori. Nel 1874 u n a paternalistica iniziativa del « Circolo Commerciale » di Mondovì deliberava di consegnare ogni anno due libretti della « Cassa di Risparmio », con u n a somma in
vero spirito di carità fece la vistosa elargizione di franchi cinquemila.. ». Michelangelo Pellegrino (14) scrive: « ...nelle condizioni proprie ai tempi, Giuseppe Besio fu un capitano d'industria. Ebbe anche parte diretta nell'Amministrazione Civica, fu filantropo e concorse al rinnovamento edilizio della Città... ». Fra il 1872 e il 1875, nella fabbrica del Borgatto veniva ripresa la produzione di stoviglie ordinarie e per cucina — già effettuata nel piccolo opificio di Carassone nel '34 e sperimentata in quello di Pian della Valle nel '42 —. Buoni furono i risultati sia industriali che commerciali, così che i manufatti vennero prodotti per qualche anno. Giuseppe Besio, nel 1875, fu il primo fabbricante di ceramiche di Mondovì a servirsi di argille tedesche (15), imbarcate su velieri olandesi nel porto di Rotterdam — terra d'Olanda —. Fino allora tutti i fabbricanti monregalesi usavano l'argilla di Vicoforte, che però andava esaurendosi: vedendo gli ottimi risultati conseguiti dal Besio, i concorrenti vollero ottenere prodotti senza cavillature ed adottarono il nuovo sistema di impasto delle terre (16). Dopo tale innovazione le terraglie dolci prodotte in Mondovì risultarono assai più omogenee e resistenti. Nelle manifatture ceramiche del monregalese e, fra queste, anche in quelle del Besio, oltre alla terra d'Olanda si adoperava calcare estratto dalle cave di Villanova e quarzo delle cave di Roccaforte, la vernice era a base di piombo ed i colori, esclusi pochi ancora prodotti artigianalmente in fabbrica, venivano importati dall'Inghilterra. Le fornaci cuocevano nei primi tempi a legna, quindi a carbone e legna ed infine, verso il 1883, esclusivamente a carbone fossile. Nel 1884 (17) le due fabbriche di Giuseppe Besio producevano circa 1.200.000 pezzi l'anno per un fatturato che superava le lire 200.000; gli operai erano in media cento. Le paghe giornaliere erano così stabilite: operai da lire 3, —a lire 4,—; operaie da lire 1,20 a lire 1,70; manovali da lire 1,70 a lire 2,25; ragazzi dai dodici ai diciotto anni da lire 0,80 a lire 1,50. I manufatti venivano smerciati in Piemonte, Liguria, Emilia, Campania, Puglie, Calabria, Toscana, Sicilia e Sardegna e l'esportazione si indirizzava verso la Francia del Sud, Turchia, Egitto, Siria, Libano, America del Nord ed Argentina. All'Esposizione di Torino del 1884, Giuseppe Besio, ormai prossimo a morire, riceveva una medaglia di bronzo per gli esemplari esposti, mentre il concorrente Felice Musso otteneva solamente u n a menzione onorevole (18). Il 23 novembre 1884 moriva Giuseppe Besio; la proprietà della fabbrica in rione Borgatto, affittata nel 1850 e acquistata nel 1870, passava per successione ereditaria ai figli di primo letto Giuseppe, Luigi e Federico (19). Nel 1885, per la morte di Luigi Besio, la ditta diventava « Giuseppe e Federico Besio ». Quando
Piatto Ø cm 22 - Policromia Giuseppe Besio - Mondovì 1875-1884
essi iscritta, a due operai fra i più zelanti e buoni. Il primo anno toccò a due operai della fabbrica Besio, il quale volle aggiungere due altri libretti per conto suo, sicché quattro furono gli operai premiati della sua manifattura (12). Il paternalismo caritatevole di Giuseppe Besio ebbe modo di manifestarsi sovente, come scriveva San Giovanni Bosco (13): « ...non vi è chi possa dire di aver ricorso a lui invano; la miseria trovò sempre in lui soccorso; le malattie, le calamità un rimedio... avendo saputo che i giovanetti ricoverati nell'Oratorio di San Francesco di Sales si trovavano in gravi strettezze per saldare alcune fatture scadute, e per provvedere ai medesimi pane di cui totalmente difettavano, mosso da 105
Placca h. cm 25,5 Monocromia grigia Federico Besio - Mondovì 1892 - Angelo Bosio pittore
il 10 luglio 1892 moriva Giuseppe Besio jr., la fabbrica veniva ereditata da Federico Besio e Maddalena Bruno. Erano intanto cominciati gli anni più tristi per i produttori di ceramica monregalesi ed i fabbricanti meno avveduti venivano travolti dalla crisi iniziata nel 1887. In seguito alla sentenza di dichiarazione di fallimento del Tribunale di Mondovì, in data 3 ottobre 1895, la fabbrica del Borgatto veniva sequestrata, quindi passava in proprietà a Felice Musso, da cui il 5 gennaio 1897, era ceduta alla Società Ceramica Italiana Ri-
Piatto Ø cm 24 Decorazione a stampino Monocromia bleu Giuseppe Besio - Mondovì 1867-1884
chard Ginori di Milano. Questa, a sua volta, vendeva l'immobile alla Banca Jemina e Battaglia di Mondovì, che vi impiantava u n a fabbrica di tannino (14 luglio 1905). La proprietà della fabbrica più importante, sita in Pian della Valle, veniva ereditata il 23 novembre 1884 dalla Vedova Anna Massimino unitamente ai figli di secondo letto Eugenio ed Enrico (18). Nello stesso anno la ragione sociale ed il marchio di fabbrica venivano cambiati in « Vedova Besio & Figli ». Nel 1886 gli operai occupati erano circa settantuno: q u a r a n t a uomini e trentuno donne. Nel 1889, per recesso di Enrico, la ditta rimaneva di proprietà esclusiva di Anna Massimino Vedova Besio e del figlio Eugenio, mutando la ragione sociale in Vedova Besio & Figlio ». Gli addetti alla pro106
duzione erano circa sessanta fra uomini e donne (31 dicembre 1899). La grave crisi economica che colpì duramente la industria ceramica monregalese negli ultimi anni del secolo XIX, paralizzò tutte le iniziative volte a migliorare le attrezzature e la produzione. Ma anche nella favorevole congiuntura dei primi anni del nuovo secolo, poco o nulla fecero i Besio per rimodernare sostanzialmente gli impianti, trasformare gli edifìci, reperire nuovi mercati e tentare nuove produzioni. Unica innovazione degna di nota fu la installazione dì forni intermittenti a carbone — tre per la prima cottura e quattro per la seconda —, oltre a qualche miglioria nei locali delle lavorazioni. Nel 1901 gli operai erano ottantaquattro: cinquantadue uomini e trentadue donne. Nel 1908, alla morte di Anna Massimino, l'Azienda continuò a funzionare sotto la direzione del figlio Eugenio, coadiuvato dalla moglie Margherita Giustetti. Nel 1911, in seguito al decesso del proprietario, la fabbrica veniva ereditata dalla vedova. Nel 1912 gli addetti erano novantasette: sessanta uomini e trentasette donne. Il miglioramento della situazione economica negli anni che vanno dal 1908 al 1915 permise di riorganizzare i sistemi di vendita, migliorare qualche attrezzatura
e rimodernare certi edifìci finché, con il definitivo superamento della crisi interna, la fabbrica ritornava a funzionare come nei tempi migliori. Riprendeva pure la produzione di stoviglie comuni e per cucina. Gli operai occupati nei vari reparti erano centodieci: settantasette uomini e trentatre donne. La guerra 1915-'18 interruppe la congiuntura favorevole dell'industria ceramica monregalese. Nel 1917 la deficienza di materie prime, la scarsezza e lentezza dei trasporti, i vincoli doganali e la carenza di mano d'opera imposero alla fabbrica dei Besio una drastica diminuzione della produzione quasi fino alla chiusura dell'opificio. Gli operai rimasti più per la salvaguardia degli impianti che per un normale, anche se ridotto, andamento produttivo, erano trentadue: venti donne e dodici uomini. Le agitazioni politiche e salariali del 1919 e 1920 accentuarono il malessere diffuso in tutto il paese. Il 31 luglio 1919 Margherita Giustetti vedova Besio cedeva alla « Società in Accomandita Semplice Cesare Lisa & C. Successori Vedova Besio & Figlio » la proprietà della fabbrica sita in Pian della Valle. L'instabilità politica e la conseguente recessione economica creavano gravi difficoltà finanziarie alla nuova gestione, che forse non aveva le possibilità tecniche e il dinamismo necessario per mettersi al passo con le moderne esigenze industriali e commerciali. La
Zuccheriera h. cm 16 Policromia Vedova Besio e Figli Mondovì - 1884-1889
Piatto Ø cm 27 Vedova Besio e figli Mondovì - 1884-1889
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Piatto Ø cm 29 Policromia Vedova Besio e figli - Mondovì 1884-1889
Piatto Ø cm 23 Policromia Vedova Besio e figli - Mondovì 1884-1889
Piatto Ø cm 21 - Policromia Vedova Besio e Figlio Mondovì - 1889-1919
Piatto Ø cm 26,5 Rilievo bianco bleu Vedova Besio e figli - Mondovì 1884-1889
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stessi nominativi che erano favoriti dall'accanita concorrenza in atto tra le diverse ceramiche, ripartire le ordinazioni fra tutte le fabbriche aderenti, in base a quote convenute, impostando e sviluppando u n a nuova politica di vendita. I risultati raggiunti non furono brillanti, ma permisero u n a prosecuzione normale dell'attività produttiva. Nel 1936 sembrava che la crisi fosse definitivamente superata: la produzione e l'occupazione operaia erano aumentate, le vendite avevano avuto un soddisfacente incremento. Al 31 dicembre 1939 le maestranze erano salite a ben centosessantasette elementi, dei quali centoquattro uomini e sessantatre donne; tutti avevano diritto alle assicurazioni sociali. Gli stipendi erano stati aggiornati al costo della vita e gli orari erano molto meno pesanti rispetto a pochi anni prima. Anche se non si era ancora raggiunta l'agiatezza del ceto operaio, vi era la tendenza verso u n a vita meno dura. Malgrado la favorevole situazione di mercato, i redditi aziendali si mantenevano a livelli molto bassi. La guerra cagionò disagio, costringendo la direzione a ricorrere alla legna come combustibile e a ricercare terre nazionali per sostituire l'argilla precedentemente importata. Man mano che le scorte si esaurivano, la produzione andava progressivamente riducendosi, mentre le maestranze venivano gradatamente dimesse. L'adesione all' « Ufficio Unico Consorziale di Vendita » non aveva più ragione di sussistere e l'accordo, firmato nel 1934, decadde il 31 marzo 1943. Dopo il bombardamento massiccio del 12 aprile 1945, che provocò danni notevoli agli edifici lasciando indenni gli impianti e le attrezzature, l'attività industriale fu sospesa completamente. La fabbrica riprese gradatamente a funzionare qualche tempo dopo e già alla fine del 1945 gli operai occupati erano quarantotto, di cui ventinove uomini e diciannove donne. La produzione aumentò progressivamente per alcuni anni con buoni risultati sebbene la produttività media si mantenesse alquanto inferiore a quella degli anni precedenti il conflitto. Nel 1947, al 31 dicembre, gli uomini occupati erano ottantaquattro e le donne cinquanta per un totale di centotrentaquattro addetti. La ripresa commerciale era evidente, anche se non si poteva ancora parlare di ripresa economica. In quegli anni venivano svecchiati gli edifici con demolizioni, ricostruzioni, riattamenti, sopraelevazioni dei vari locali dello stabilimento in rapporto alle esigenze tecniche e organizzative moderne. Venivano migliorate anche le condizioni ambientali di lavoro dei vari reparti, ampliati e modernamente attrezzati i magazzini. La direzione non riusciva però a realizzare economia di mano d'opera per la conformazione dello stabilimento, sviluppato in altezza fino a tre piani oltre l'interrato e il pianterreno, con reparti situati in piani diversi di modestissima altezza, collegati soltan-
clientela esigeva articoli nuovi e di migliore qualità, mentre gli edifici e le attrezzature denunciavano tutta la loro vetustà. I lavoratori — ottantasette nel 1923: cinquantuno uomini e trentasei donne —, ormai coscienti dei loro diritti, anche se vessati dalla nuova legislazione fascista, reclamavano stipendi più adeguati al costo della vita. La produzione « pro capite » era nel frattempo diminuita perché gli operai avevano ottenuto di svolgere il lavoro con orari meno massacranti. L'economia aziendale era resa difficoltosa anche dall'efficienza concorrenziale delle due maggiori fabbriche ceramiche del monregalese, Richard Ginori e La Vittoria, che sfornavano, in gran numero, prodotti di ottima qualità, esteticamente pregevoli e a prezzi accessibili anche per la clientela più povera. Alla fine del 1928 gli operai occupati erano centotredici: settantun uomini e quarantadue donne. A salvare l'azienda dal collasso intervenne provvidenzialmente una nuova dinastia di imprenditori: i Levi. Intelligenti e attivi, sagaci e perseveranti, i Levi, ma soprattutto il Dott. Marco Levi, malgrado le difficoltà create dalla « grande crisi » e le pastoie della burocrazia, seppero salvare la ditta dal dissesto che la minacciava da anni. La « Società per Azioni Succ. Vedova Besio & Figlio » si costituiva il 12 febbraio 1929 per acquistare dalla « Società in Accomandita Semplice Cesare Lisa & C. Successori Vedova Besio & Figlio » lo stabilimento ceramico di Pian della Valle. Moise Ettore Levi, Presidente della Società, affidava la direzione della fabbrica a Bartolomeo Merlatto, già dipendente della Società Ceramica Richard Ginori di Mondovì e, successivamente, della Ceramica Lombarda di Milano (20). Dopo poco più di un anno, in seguito ai deludenti risultati di alcuni esperimenti e allo sfavorevole andamento produttivo e commerciale, il Merlatto preferiva ritornare a Milano presso l'industria da cui proveniva e che insisteva per il suo rientro. Nel 1930 la direzione veniva assunta dal presidente Moise Ettore Levi. Il 29 marzo 1931, nella riunione del Consiglio di Amministrazione veniva nominato Amministratore Delegato Moise Ettore Levi, Presidente Angelo Occelli, Consigliere Gabriele Segre. Il 1° aprile 1931 il Dottore Marco Levi assumeva la direzione, dedicandosi esclusivamente alla fabbrica che, al 31 dicembre dello stesso anno, occupava centoventi operai: settantaquattro uomini e quarantasei donne. La « grande crisi » colpì per vari anni tutta l'industria ceramica monregalese, tanto che varie aziende, e fra esse la S.p.A. Succ. Ved. Besio & Figlio, si associarono per costituire 1' « Ufficio Unico Consorziale di Vendita », affidato in gestione alla Soc. Ceramica Richard Ginori ». Scopo del nuovo organismo era quello di riorganizzare il settore commerciale, evitando gli slittamenti di prezzi e la concessione di eccessivi crediti agli 110
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Collezione Giovanni Doglione - Asti
dava le fondamenta in terreno alluvionale. Al momento dell'ordinazione l'energia elettrica costava poco più di L. 6 al KwO, al momento dell'entrata in servizio del forno il prezzo dell'energia elettrica era stato aumentato a oltre L. 10 il KwO. La difficoltà di eliminazione dei gas di cottura subito rivelatasi, rendeva il prodotto di colorazione non uniforme e tendente al giallastro. Dopo un anno di esercizio, anche per l'impossibilità pratica di introdurre materiale sufficientemente e uniformemente secco, costrinse a sospenderne il funzionamento. Per non demolire il forno, venne deciso di sperimentarlo per la cottura del vetrato. Malgrado la limitata altezza dei canali, il risultato fu abbastanza soddisfacente e l'esercizio venne continuato senza altri gravi inconvenienti tecnici fino al 1972. La terraglia dolce doveva essere venduta ad un prezzo sensibilmente inferiore a quello della terraglia forte, prodotto di qualità superiore, ma tutti gli sforzi per ridurre i costi si risolsero, come s'è visto, in spese ingenti e di ipotetico ammortamento. La necessità di accontentare la clientela, che richiedeva anche decorazioni in oro e decalcomania, indusse la direzione a installare nel 1957 un forno a due canali per la terza cottura e nel '58 u n a macchina automatica per la filettatura e la timbratura anulare della tonderia in oro essendosi rivelate troppo onerose la decorazione manuale e la cottura in muffola inter-
to da scale. I manufatti semilavorati potevano essere trasportati soltanto a mano o a spalla e, dopo l'adozione di alcuni montacarichi, con carrelli. A causa della conformazione e dell'altezza dei locali non erano realizzabili gli impianti di trasportatori con bilancini che nei moderni stabilimenti consentono un ritmo produttivo costante. La dislocazione irrazionale, non modificabile, dei depositi delle materie prime e dei prodotti semilavorati comportava spostamenti poco controllabili per il prelievo e la rimozione dei prodotti nelle diverse fasi di lavorazione (22). Nel 1948 e 1949, per sperimentare su base quasi industriale una nuova produzione, furono sistemati in un locale al terzo piano due forni a suola mobile di circa m3 2,40 per la cottura sino a 1200°, e successivamente una muffola per la decorazione in oro. I forni a suola mobile, sperimentati più volte per la cottura di prodotti in porcellana tenera e terraglie più forti, non diedero i risultati sperati per mancanza di esperienza tecnica del personale addetto e per l'impossibilità di ottenere ad alta temperatura u n a sufficiente uniformità di cottura in ogni punto del forno. La direzione rinunciò così alle produzioni speciali e utilizzo i due forni a suola mobile per la produzione in biscotto di prodotti complementari e per la cottura in vetrato e, al terzo fuoco, di articoli più riccamente decorati che richiedevano maggiori cure. I forni, che all'atto pratico comportavano un eccessivo consumo di energia, vennero fatti funzionare diversi anni con u n a certa continuità per produrre terraglia dolce (23). La situazione di mercato consentiva un facile collocamento della produzione a prezzi discretamente remunerativi; solo l'esportazione diminuì gradatamente quando l'aumento dei costi di produzione impose la maggiorazione dei prezzi. Per sopperire alle accresciute richieste di merce da parte della clientela, le maestranze impiegate vennero aumentate a centocinquantadue: novantotto uomini e cinquantaquattro donne (31 dicembre 1950). Nel 1952 la superproduzione determinò un progressivo ma inevitabile slittamento dei prezzi, mentre per cause molteplici i costi continuavano ad aumentare. I vari esperimenti fatti per adeguare la produzione alla nuova situazione congiunturale si risolsero in spese ingenti e di difficile ammortamento. La disposizione dello stabilimento non consentiva l'installazione di moderni forni a tunnel e la direzione dovette ripiegare sulla progettazione di un forno a passaggio o a canali, meno ingombrante, già sperimentato con successo in fabbriche di piastrelle o di terraglia forte. Nel 1953 venne ordinato un forno elettrico a 24 canali a senso inverso di marcia, destinato alla cottura del biscotto. Esso dovette essere ubicato al primo piano di apposita e costosa nuova costruzione che affon-
Piatto da parata Ø cm 39 - Policromia Richard Ginori - Mondovì 1927 - Angelo Bosio pittore
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mittente. Il forno, inizialmente sistemato nei locali della vecchia decorazione, nella seconda metà del 1960 venne allogato in un locale costruito a fianco della nuova decorazione. Questo reparto non potè mai funzionare in modo economico e con continuità per difficoltà pratiche e commerciali. Nel dicembre 1960 gli operai occupati erano centocinquantotto, dei quali novantotto uomini e sessanta donne. Per ottenere u n a ulteriore diminuzione del costo della mano d'opera, fu anche studiata la sostituzione dei forni intermittenti a carbone installati da molti decenni. Furono altresì fatti molteplici esperimenti per migliorare e rendere meno tenero rimpasto, passando alla produzione di u n a terraglia più forte e arricchendone la decorazione (24). Gli studi, già iniziati, dovettero essere interrotti, e poterono concludersi solo nel 1958 quando la Società Ceramica Richard Ginori di Carassone aveva già provveduto a convertire la produzione di terraglia tenera in terraglia dura. Installati i nuovi forni a passaggio, il costo di esercizio si rivelò molto più oneroso del previsto. Gli esperimenti effettuati per la produzione di terraglia semiforte o forte, non consentirono di prendere decisioni di sostanziali cambiamenti per l'elevato costo dell'energia elettrica e per diversi inconvenienti tecnici di difficile eliminazione, specie per l'impossibilità di contenere in limiti di sicurezza le differenze di temperatura tra canale e canale.
per molteplici fattori, lasciano sperare in un ampliamento dei mercati e in un maggior interessamento per ciò che viene immesso sul mercato come dipinto a mano « hand painted » dicitura inglese che, per ragioni non del tutto comprensibili rende più apprezzato il prodotto. Purtroppo le possibilità di sviluppo della produzione decorata a mano sono condizionate dalla scarsità di mano d'opera femminile, prevalentemente occupata in altri settori, anche se in essi il lavoro è più uniforme, monotono o legato a catene di produzione. Dobbiamo pertanto augurarci che la scuola media, fornendo un minimo di istruzione a tutti, induca anche le giovani ritenute meno idonee al proseguimento degli studi, ma dotate di gusto artistico, a non preferire Un impiego modesto e talora poco retribuito, al lavoro stabile e più divertente di decoratrici di ceramiche (26)... ». Ancora nel 1969 il Dr. Marco Levi affermava: « ...Le prospettive future non sono facilmente delineabili, perché troppi fattori influiscono sull'attività delle piccole e medie industrie. Oggi si svolge un'attività artigiana su scala semi-industriale, la richiesta del mercato interno supera le possibilità produttive, specie per la merce decorata in tinte vivaci, ma i prezzi sono eccessivamente bassi e non possono essere adeguati ai costi crescenti per la concorrenza sempre più attiva della terraglia forte e del vitreus che stentano a collocare la produzione di massa. Sono sorti diversi stabilimenti modernissimi nel Lazio che producono a costi inferiori e ve ne sono altri che fabbricano a prezzi incredibilmente bassi. La presenza attiva di tali produzioni sul mercato tradizionale potrebbe accusare u n a nuova crisi nel nostro settore. L'esportazione, fatta a periodi saltuari, è praticamente diventata impossibile perché non è in grado di fare la concorrenza ai prodotti stranieri e delle ceramiche del Centro-Sud ». In questi ultimi anni le vendite sono aumentate e, oltre alla merce normale, la clientela chiede articoli decorati a mano, con colori e decorazioni più vivaci. Si ritorna alla « vecchia Mondovì », un indirizzo « artistico» che, aperto da oltre un secolo e mezzo dai vecchi maiolicari sabazi e monregalesi, procurerà ancora molte soddisfazioni ai suoi cultori.
Dopo un fluttuante periodo, dovuto alla recessione economica del 1963-1964, si rimarcò u n a discreta ripresa commerciale. Per sopperire tempestivamente alle maggiori richieste da parte della clientela, furono ancora aumentate le forze del lavoro. Il 31 dicembre 1967 erano occupati novantadue uomini e sessantotto donne, per un totale di centosessanta operai. Quel romantico industriale che è il Dottor Marco Levi, nel 1967, scriveva: «... L'attività industriale ceramica è stata ed è condizionata dalla necessità di vendere forti quantitativi a prezzi sempre più bassi relativamente ai costi e di affrontare concorrenze vecchie e nuove. Oggi le prospettive, pur essendo incerte 113
Piatto Ø cm 30,5 Policromia Vedova Besio e Figli Mondovì - 1884-1889
Piatto Ø cm 28 - Policromia Vedova Besio e Figli Mondovì - 1884-1889
Piatto Ø cm 29 Policromia Vedova Besio e Figli Mondovì - 1884-1889
Piatto Ø cm 23 - Policromia Giuseppe Besio - Mondovì 1875-1885
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CRONOLOGIA 1806 aprile 21
Nasce ad Albisola Giuseppe Besio, di Luigi e Corrado Teresa.
1813
Besio Giuseppe lavora in qualità di apprendista in u n a piccola fabbrica di Ceva.
1834
Inizia l'attività ceramica in Mondovì Carassone come socio o collaboratore del fratello Giovanni Battista.
1841 novembre 15
Affìtta da G.B. Magliano un filatoio già del Conte di San Quintino, sito in Mondovì Pian della Valle e lo trasforma in fabbrica di terraglia
1850
Sfrattato dalla fabbrica di Pian della Valle, affìtta un altro filatoio nel rione Borgatto e nello stesso anno lo trasforma in fabbrica ceramica.
1867 ottobre 30
Giuseppe Besio ottiene la trascrizione a suo favore della proprietà degli edifìci e delle attrezzature della fabbrica del Pian della Valle già di Stefano Magliano fu Giovanni Battista (Vol. 7 art. 206 Vol. 9 N. 141). Sfratta l'affittuario Montefameglio Lorenzo e riprende subito la produzione della terraglia tenera.
1867
Costruzione a spese di Giuseppe Besio della strada che dal Borgatto porta al Pian della Valle.
1870 novembre 11
Acquisto degli edifìci e dei terreni in cui è posta la fabbrica del Borgatto (Vol. 19 Art. 366; Vol. 26 N. 166 note).
1884 novembre 23
Morte di Giuseppe Besio. La fabbrica del Borgatto viene ereditata dai figli di primo letto Giuseppe J r ., Luigi e Federico; la fabbrica del Pian della Valle viene ereditata da Anna Massimino vedova Besio, da Eugenio ed Enrico figli, assumendo la ragione sociale « Vedova Besio e Figli » (Atto N. 167 del Notaro Manassero N. 2445 Registro Atti Pubblici N. 2412 Vol. 82 pag. 65).
1885 maggio 20
Morte di Luigi Besio; ereditano la quota parte della fabbrica del Borgatto i fratelli Giuseppe J r . e Federico (Verbale della pretura di Mondovì P. 1867).
1892 luglio 10
Decesso di Giuseppe Besio J r .; ereditano la quota parte della fabbrica del Borgatto Federico Besio e Maddalena Bruno vedova Maccagni.
1895 ottobre 3
Dichiarazione di fallimento di Besio Federico e Bruno Maddalena. Per aggiudicazione la proprietà della fabbrica del Borgatto passa a Musso Felice fu Alessandro (reg. 5-12-1895 mod. 3 vol. 69 N. 171 — P. 1275).
1897 gennaio 5
Musso Felice vende la fabbrica del Borgatto alla Soc. Cer. Richard Ginori di Milano (Notaio Carandini - Milano Reg.to il 21-1-1897 vol. 233 N. 3099).
1905 luglio 14
La Soc. Cer. Richard Ginori di Milano cede la proprietà degli immobili della fabbrica del Borgatto alla Banca di Mondovì Jemina e Battaglia (Notaio Perotti di Mondovì Reg.to il 19-7-1905 N. 81) che adibiva l'edificio a fabbrica di tannino.
1884 novembre 23
Anna Massimino vedova Besio e i figli Eugenio ed Enrico ereditano la fabbrica sita in Pian della Valle, cambiando la ragione sociale in: « Vedova Besio e Figli »
1889 aprile 16
Per recesso di Enrico Besio la proprietà della fabbrica del Pian della Valle passa ad Anna Massimino vedova Besio e del figlio Eugenio. La ragione sociale diventa « Vedova Besio e Figlio ».
1908 gennaio 30
Morte di Anna Massimino Vedova Besio; l'azienda continua a funzionare sotto la direzione di Eugenio Besio coadiuvato dalla moglie Margherita Giustetti. La ragione sociale rimane invariata.
1911 settembre 2
Decesso di Eugenio Besio; eredita Margherita Giustetti che continua l'attività sempre con la stessa ragione sociale.
1919 luglio 31
Margherita Giustetti vedova Besio cede la fabbrica del Pian della Valle alla « Soc. in Acc. Semplice Cesare Lisa e C. Successori Vedova Besio e Figlio ».
1929 febbraio 12
La « Soc. in Acc. Semplice Cesare Lisa e C. Successori Vedova Besio e Figlio » cede lo stabilimento alla « S.A. Successori Vedova Besio e Figlio » Presidente Moise Ettore Levi, Amministratore Delegato Bartolomeo Merlatto.
1931 marzo 29
Amministratore Delegato Moise Ettore Levi, Presidente Angelo Occelli, Consigliere Gabriele dott. Segre.
1931 aprile 1
Marco Dott. Levi direttore.
1936 settembre 20
Amministratore Delegato e Direttore Marco Dott. Levi.
1939 marzo 19
Presidente Dott. Camino Matteo, Amministratore Delegato Occelli Angelo, Musso ing. Guido Consigliere.
1940 dicembre 15
Presidente ing. Guido Musso, Amministratore Delegato Angelo Occelli, Consigliere Bevilacqua Giovanni.
1945 maggio 1
Il dott. Levi Marco riassume la direzione della Società.
1946 marzo 31
Presidente Occelli Angelo, Amministratore Delegato dott. Marco Levi, Consigliere dott. rag. Gabriele Segre. Presidente dott. rag. Gabriele Segre, Amministratore Delegato dott. rag. Marco Levi, Consigliere dott. Mario Occelli.
1947 gennaio 26
NOTE 1) GIUSEPPE MORAZZONI MIA CINOTTI 2) MICHELANG. PELLEGRINO 3) GIUSEPPE BUSCAGLIA 4) GIOVANNI VIGNOLA GIUSEPPE MORAZZONI ANONIMO 5) GIUSEPPE CORONA NELIO FERRANDO LUCREZIA CARBONERI G.B. NICOLÒ BESIO MARCO ANTONIO AIMO GIUSEPPE MORAZZONI 6) VINCENZO BARELLI 7) GOFFREDO CASALIS 8) PIERO CAMILLA e GIUSEPPE RAIMONDI 9) TABELLA DEI FORNI E DELLE USINE 10) 11) 12)
EMILIA BORGHESE
13) 14) MICHELANG. PELLEGRINO 15) GIUSEPPE CORONA LUCREZIA CARBONERI ENRICO BELTRANDI GIUSEPPE CORONA MICHE BERRA
20) 21) 22) 23) 24) 25) 26)
MARCO MARCO MARCO MARCO MARCO MARCO MARCO
LEVI LEVI LEVI LEVI LEVI LEVI LEVI
La maiolica antica ligure, Milano, 1960 — pag. 19; Dizionario della ceramica, Milano, 1967 — pag. 29; La ceramica monregalese, da: « Ponente d'Italia », Savona, 1962 — n. 11 — pag. 10; La ceramica di Mondovì nei suoi rapporti con quella di Savona, Savona, 1972 — pag. 7; Sulle maioliche e porcellane del Piemonte, fabbriche di maioliche in Mondovì, Torino, 1879 — pag. 576; La terraglia italiana, Milano, 1956 — pag. 145; Storia dell'industria ceramica di Mondovì, da: « Ceramica », Milano, 1940 — n. 6 — pag. 226; La ceramica, Milano, 1885 — pag. 543; Cara vecchia Mondovì, dal: « Secolo XIX » di Genova del 5-9-1967; "Carassone, culla dell'industria ceramica", da « Gazzetta di Mondovì » — n. 30 del 29 luglio 1967; La dinamica dei pionieri sabazi nell'affermarsi dell'industria ceramica monregalese, da: « Ponente d'Italia », Savona, 1967 — n. 9 — pag. 13; Ceramiche monregalesi di ieri e di oggi, da: « Ceramica informazione », Faenza, 1967 — n. 10 — pag. 50; La terraglia italiana, Milano, 1956 — pag. 146; Cenni di statistica mineralogica degli Stati di S.M. il Re di Sardegna, Torino, 1835 — pag. 274; Dizionario geografico, storico, statistico, commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna, Torino, 1835-1842 — vol. X — pag. 614; Evoluzione e sviluppo dell'economia provinciale dal 1862 al 1962, « 1862-1962 un secolo di vita economica », Cuneo, 1962 — pag. 176; Descrizione di tre fabbriche di stoviglie monregalesi nel 1858, Archivio Comunale di Mondovì; Sentenza pronunciata dalla Corte d'Appello di Torino del 16 giugno 1884 nella causa formale civile Delli Negro, Casati Antonio, Grilletti Francesco contro Besio Cav. Giuseppe; Lettera di San Giovanni Bosco, indirizzata al Senatore Michelangelo Castelli il 6 dicembre 1870, da: « Unione Monregalese » del 12 dicembre 1938; Vita sociale nel monregalese nel ventennio 1850-1870, da: « Bollettino della Società Studi Storici Archeologici ed Artistici nella Provincia di Cuneo », Dicembre 1957 - Gennaio 1958 — n. 39-40 — pag. 129; Lettera di San Giovanni Bosco, indirizzata al Senatore Michelangelo Castelli il 6 dicembre 1870, da: « Unione Monregalese » del 12 dicembre 1938; La ceramica monregalese, da: « Ponente d'Italia », Savona, 1962 — n. 11 — pag. 10; La ceramica, Milano, 1885 — pag. 543; "Carassone, culla dell'industria ceramica", da « Gazzetta di Mondovì » — n. 30 del 29 settembre 1967; Note ed appunti, Mondovì 1966; La ceramica, Milano, 1886 — pag. 544; Ceramiche monregalesi, da: « Cuneo Provincia Granda », Cuneo, 1968 — n. 1 — pag. 11; Testamento del Signor Besio Cav. Giuseppe, Atto n. 167 Notaro Giovanni Manassero del 24 ottobre 1881; Note ed appunti, Mondovì, 1965; Note ed appunti, Mondovì, 1965; Note ed appunti, Mondovì, 1965; Note ed appunti, Mondovì, 1965; Note ed appunti, Mondovì, 1965; Note ed appunti, Mondovì, 1965; L'opera dei pionieri nell'affermazione dell'industria ceramica monregalese, da: « Gazzetta di Mondovì » — n. 34 del 9 settembre 1967.
I BESIO E I LEVI GIUSEPPE BESIO MONDOVÌ
1841-1884
(impressi
(impresso in pasta)
in
pasta)
(in violaceo o marrone)
(impresso
in
pasta)
(impressi in pasta)
(impressi
(in bleu o marrone)
in
Scala 1:3 (in nero)
pasta)
(in marrone o nero)
118
(in bleu o nero)
VEDOVA BESIO E FIGLI
MONDOVÌ
1884-1889
(impressi
(in
(in violaceo o marrone)
in
pasta)
marrone o nero)
(in nero o bleu o marrone)
(in bleu o marrone)
(in bleu o marrone)
119
(in
violaceo
o
marrone)
VEDOVA BESIO E FIGLIO MONDOVÌ
1889- in funzione
(in bleu o marrone o violaceo o nero)
(in bleu o marrone o violaceo)
GIUSEPPE & FEDERICO BESIO MONDOVÌ BORGATTO 1884-1895
(impressi
(in bleu o marrone o violaceo)
in
pasta)
(in rosso o verde)
120
(in bleu o nero)
ALTRE FABBRICHE IN MONDOVÌ TOMATIS MAGLIANO MONTEFAMEGLIO & LUSCARIS MESSA MUSSO & BELTRANDI BELTRANDI & FIGLI BARBERIS GIORGIS & SIBILLA MASSIERA LA VITTORIA
Anche per questa importante ordinazione le opinioni sono controverse. G.B. Baruffi (6), in una lettera del maggio 1840, scriveva: « ...vedendo tant'abbondanza di acque fresche e limpide scorrere pei prati e per tutte le vie di Cuneo, domandai perché fra tante utili e belle innovazioni che si vanno ideando, non si era ancora pensato ad u n a pubblica fontana, genere di abbellimento utilissimo, e così frequente nel resto dell'Italia e nella Svizzera specialmente, dove il più meschino villaggio è abbellito da u n a magnifica fontana. E qui devo notarvi, tra parentesi, aver udito che questa idea di pubblica utilità non era sfuggita al Municipio, e che anzi si erano diggià spese buonamente parecchie migliaia di franchi nella provvista dei tubi opportuni, senza avere ancora però determinato il luogo e il modo di derivarne poi l'acqua... ». L'Anonimo (7) già citato scrive: « ... quando la Città di Cuneo, necessitando di u n a conduttura per acqua della lunghezza di 7-8 chilometri, ordinò ai fratelli Tomatis circa dodicimila tubi di terracotta... ». Giovanni Vignola (8) non fa invece cenno alcuno a questi famosi tubi. È anche da tener presente l'autorevole parere di Miche Berra (9) e di Michele Olivero (10), entrambi cuneesi e profondi studiosi della ceramica monregalese, i quali affermano che le condutture di Cuneo furono poste in opera un po' prima della metà del secolo scorso. Malgrado l'abilità dei proprietari, la fabbrica ebbe un successo limitato e nel 1842 cessò ogni attività. La produzione di terraglia dolce dei fratelli Tomatis, a causa anche della breve attività, dovette essere relativamente limitata. Dei pochissimi pezzi reperibili, molti assomigliano a quelli di Chiusa Pesio della stessa epoca, altri sono molto simili alla « vecchia Mondovì » nella composizione della pasta e della vernice, benché i colori molto più tenui diano a queste cera-
ANDREA E SEBASTIANO TOMATIS Nella prima metà del secolo XIX i fratelli Andrea e Sebastiano Tomatis rilevarono u n a fabbrica ceramica in Mondovì nel rione Carassone. Si trattava, probabilmente, della piccola manifattura che Giovanni Battista Besio aveva creato e dove Giuseppe Besio aveva collaborato. La data di nascita di questa industria è molto controversa. Il Morazzoni (1) scrive: « Il nuovo tipo ceramico si afferma solidamente coll'arrivo da Savona dei Musso seguiti, nel 1814, dai fratelli Tomatis... », data confermata dall'Anonimo estensore della piccola « Storia dell'industria ceramica di Mondovì (2) ». « ...nel 1814, in Mondovì Carassone i fratelli Tomatis costruiscono u n a fornace per cuocere materiale di terracotta... ». Altri Autori, fra i quali Giuseppe Corona (3) e Giovanni Vignola (4), affermano al contrario che la fabbrica dei Tomatis ebbe vita dal 1840 al 1842. Il Vignola, monregalese, certamente conobbe o, almeno, sentì parlare dei Tomatis perché era loro contemporaneo. La data più verosimile è quella citata dal Corona e dal Vignola anche perché il Morazzoni (5), in altra parte, scrive: « ...per la cronaca ricordiamo i fratelli Tomatis che ebbero u n a piccola fabbrica durata solo due anni, dal 1846 al 1848... ». I Tomatis dovevano essere molto abili e rinomati se la Città di Cuneo, avendo necessità di u n a conduttura per acqua della lunghezza di 7-8 chilometri, ordinò a questa fabbrica ceramica circa 12.000 tubi di terracotta. Con i metodi allora in uso occorreva il lavoro di quattro uomini per dodici ore per approntare venti tubi. Ma uno dei titolari della ditta, forse Andrea, ideò e costruì un geniale meccanismo che, con lo stesso numero di operai, produceva, nello stesso tempo, centoventi tubi. 121
Piatto Ø cm 28,5 - Policromia Fratelli Tomatis - Mondovì 1840-1842
122
i forni attivi erano alimentati annualmente con 45.000 miriagrammi di legna di castagno del costo complessivo di lire 9.000. D'argilla, estratta dalle cave di Vicoforte, ne venivano consumati 8.000 miriagrammi, con una spesa annua di lire 120; di silice, estratta dalle cave di Roccaforte, ne venivano consumati 6.000 miriagrammi con una spesa annua di lire 300. La produzione di prima e seconda qualità si aggirava su 550.000 -600.000 pezzi per un valore di lire 52.000-62.000 l'anno. Gli operai occupati (uomini, donne e ragazzi) erano normalmente sessanta ». Un piccolo reparto della fabbrica era destinato alla ceramica artistica: oggetti di forma o vasi riccamente decorati.
miche un aspetto più raffinato della comune terraglia monregalese. Dopo il 1842 dei fratelli Tomatis come fabbricanti di ceramiche non si sentì più parlare.
GIOVANNI BATTISTA E STEFANO MAGLIANO Il 15 novembre 1841 Giovanni Battista Magliano concedeva in affitto a Giuseppe Besio « ...l'intero fabbricato del filatoio del Conte di S. Quintino, con diritto di servirsi dell'acqua della bealera dei molini e coll'obbligo di costruire nell'antistante prato due fornaci ad uso maiolica con macchine ad acqua... » (11). Il Besio pochi anni dopo era un fabbricante affermato, con u n a industria in piena attività. Ma allo scadere della convenzione, il 14 novembre 1850, il Magliano non rinnovava il contratto d'affitto ed intimava lo sfratto al Besio il quale, affittato un filatoio in disuso nel rione Borgatto, lo convertiva opportunamente e tempestivamente in fabbrica di terraglia dolce. Giovanni Battista Magliano, subentrato nella conduzione dello stabilimento in Pian della Valle, continuò l'attività iniziata e sviluppata brillantemente dal Besio; riuscì a mantenere e anche ad aumentare la già grande quantità di merce prodotta dal precedente proprietario. Gli anni che vanno dal 1850 fino alla crisi del 1857 sono anni di rigoglioso sviluppo industriale nel campo della ceramica. Giovanni Battista Magliano, coadiuvato dal figlio e socio Stefano, produceva terraglia dolce simile, se non uguale, a quella del Besio, facendo sia a questi che ad Alessandro Musso, u n a concorrenza accanita. Anch'egli apriva negozi per la vendita della propria produzione ad Asti, Cuneo, Fossano e Ceva, organizzava una vasta ed efficiente rete di « ciapasé » per non perder terreno rispetto ai due temibili concorrenti e per smerciare u n a sempre maggiore quantità di stoviglie. Sull'attività della fabbrica Magliano al Pian della Valle si possono avere indicazioni precise dal manoscritto esistente nell'Archivio Comunale di Mondovì, datato 1858 (12): « L'opificio del Pian della Valle era dotato di quattro forni; uno a cilindro non utilizzato, uno quadro per la cottura delle stoviglie senza vernice contenente 3.000 dozzine, due ovali per la cottura della terraglia verniciata contenente ognuno mille dozzine;
LORENZO MONTEFAMEGLIO & LUSCARIS. Il 19 gennaio 1859, forse temendo che la crisi economica del 1857-1858 si prolungasse ancora, il Magliano cedeva la gestione dello stabilimento, dando in locazione gli edifici ed i terreni annessi ai soci Lorenzo Montefameglio e Luscaris, i quali si impegnavano a far funzionare razionalmente la fabbrica. Le speranze riposte in u n a rapida espansione del mercato italiano, u n a volta cadute le barriere doganali, si rivelarono ben presto vane. Lo slancio imprenditoriale dei due soci diminuì, le vendite calarono sensibilmente ed i vari negozi, già organizzati dal Magliano, vennero gradatamente chiusi. La situazione economica fu ulteriormente aggravata da un incendio che, sviluppatosi nella notte del 25 ottobre 1864, produsse danni notevoli alle attrezzature e soprattutto alla merce che stipava i magazzini. Molti operai dovettero essere licenziati. La produzione dei soci Montefameglio e Luscaris ricalcava pedissequamente, negli impasti e nei decori, quella dei concorrenti Musso e Besio. Molta merce non contrassegnata può essere facilmente confusa con quella dei vari fabbricanti del monregalese. Solo una piccola parte di questa produzione si distacca dal tipico decoro « vecchia Mondovì » : piccoli paesaggi, schizzati con rapide pennellate di colore vivacissimo, sorprendentemente moderni come se fossero stati eseguiti da pittori della nostra epoca. Anche le stoviglie stampate nei colori verde, marrone e violaceo erano molto belle ed accuratamente rifinite. Il 3 ottobre 1867, in seguito ad u n a lunga e costosa azione giudiziaria, Giuseppe Besio si aggiudicava la 123
bassorilievo, nei colori bianco, marrone o policromi; piastrelle, placche, maniglie per mobili decorate in modo pregevole, statuine, vasi, ecc. ecc. Verso il 1880, seguendo l'esempio degli altri fabbricanti monregalesi, la ceramica Messa cominciava a miscelare il quarzo di Frabosa Sottana e il calcare di Villanova con la « terra d'Olanda », ottenendo prodotti migliori anche perché faceva funzionare i forni con legna e carbone. Gli operai occupati erano circa q u a r a n t a (17) secondo le stagioni, così suddivisi: uomini dodici, donne quattro, manovali otto, ragazzi — dai dodici ai diciotto anni — sedici. Le paghe giornaliere degli addetti erano stabilite: per operai da lire 3 a lire 4,50; per operaie da lire 1,25 a lire 1,80; per manovali da lire 1,80 a lire 2,20; per ragazzi da dodici a diciotto anni da lire 0,90 a lire 1,60. Fra ceramica artistica e stoviglie la produzione annuale si aggirava su 450.000 pezzi, per un valore di lire 70.000. Il prodotto veniva venduto in Piemonte, Liguria, Toscana, Lazio, Campania e Sicilia e veniva esportato in Francia e nel Nord Africa.
definitiva proprietà degli immobili in cui era allogata la fabbrica di terraglia da lui creata, con annessi i terreni e le acque della bealera, indispensabili per la forza motrice. Sfrattò i soci Montefameglio e Luscaris e rientrò nella manifattura tanto agognata. Lorenzo Montefameglio, acquistato il 19 maggio 1870 un filatoio nel Comune di Mombasiglio, lo trasformò — con scarso successo economico — in u n a fabbrica di terraglia tenera.
GIOVANNI, GIUSEPPE E MARIA MESSA Nel 1860 (13) i fratelli Giovanni, Giuseppe e Maria Messa, acquistato un filatoio in disuso in Mondovì, nel rione Borgatto (14), lo ridussero in fabbrica di terraglia e vasellame rustico (15). Erano gli anni della Unità d'Italia, caratterizzati da un clima di euforia e dalla aspettativa, presto delusa, di u n a forte espansione del mercato nazionale. La fabbrica, in attesa del « miracolo economico », continuava a produrre articoli via via più poveri, al punto che la terraglia dolce rappresentava u n a produzione marginale, mentre le stoviglie rustiche venivano immesse sul mercato in quantità sempre maggiore. Il 17 settembre 1863 un incendio danneggiava gli edifici e le attrezzature, rendendo invendibile molta merce. Ma poco tempo dopo la ricostruzione era compiuta e la produzione riprendeva con il ritmo di prima. Nel 1876, chiusa la fabbrica del Borgatto, i fratelli Messa rilevavano u n a vecchia fabbrica di zolfanelli nel rione Rinchiuso (16) e la trasformavano in fabbrica di terraglia dolce. Nello stesso anno, in società con Salomone Andrea ed i fratelli, avviavano anche nel Comune di Villanova u n a impresa ceramica che, nel 1879, cedevano ai soci. Nel 1878, in seguito alla morte del fratello Giuseppe, la proprietà della fabbrica passava totalmente a Giovanni Messa. Il favorevole andamento economico, provocato dalla politica protezionistica iniziata nel 1878, dava una notevole spinta industriale e commerciale a tutte le aziende ceramiche monregalesi. Di questa favorevole congiuntura seppe approfittare il Messa dando un notevole incremento alla produzione. Oltre al vasellame « vecchia Mondovì », questa fabbrica si era indirizzata, in parte, alla produzione di ceramica artistica: notevoli « piatti da p a r a t a » in
FELICE MUSSO & LORENZO BELTRANDI Il 27 dicembre 1884, Giovanni Messa cedeva l'azienda a Lorenzo Beltrandi (18) per tre quarti ed a Felice Musso fu Alessandro per un quarto, i quali creavano una società la cui ragione sociale era « Beltrandi Lorenzo & C. ». Per il C. s'intende Felice Musso, anche avallante un debito contratto dal Beltrandi presso la Banca di Mondovì, per pagare in parte l'acquisto della fabbrica dei Messa. La nuova ditta iniziava la propria attività manufatturiera nel periodo più sfavorevole per la ceramica monregalese, perché la crisi si andò facendo sempre più acuta negli anni che intercorsero fra il 1890 ed il 1898. Lorenzo Beltrandi, uomo abile ed intraprendente, sostenuto dal consiglio di Felice Musso, malgrado lo stato di crisi affrontava decisamente la situazione ed apportava notevoli migliorie alle attrezzature, trasformava i forni, prima alimentati solo a legna e carbone, facendoli funzionare esclusivamente a carbone e, nel limite del possibile, faceva importanti innovamenti agli edifici. 124
Zuccheriera - h. cm 17 Monocromia bianco-bleu Lorenzo Montefameglio ? Mondovì - 1859-1867
125
Piatto Ø cm 23 Policromia Magliano - Mondovì 1850-1859
Vaso per tè h. cm 17 Monocromia bleu Magliano ? - Mondovì 1850-1859
Piatto Ø cm 22 Policromia Lorenzo Montefameglio Mondovì - 1859-1867
Piatto Ø cm 33 Policromia Lorenzo Montefameglio Mondovì - 1859-1867
126
oltremodo insalubre, determinava ritardi e perdite di tempo; inoltre, per salvaguardare la salute e il rendimento degli operai addetti a questo lavoro, bisognava ritardarne di un'ora l'entrata e anticipare di altra ora l'uscita dalla fabbrica, contrariamente a tutti gli orari e regolamenti vigenti nell'epoca. Enrico Beltrandi ideò un procedimento nuovo, semplice ed economico, ma soprattutto igienico: u n a miscela in parti uguali di gomma arabica e glucosio, uniti alla stessa percentuale di « colandine », permetteva di stampare a freddo (21). Dopo alterne vicende, nei primi lustri del secolo XX, caratterizzati da u n a vivace spinta ascensionale nella produzione e nelle vendite, la direzione della Ceramica Lorenzo Beltrandi iniziava lo studio di varie innovazioni e trasformazioni, che avrebbero definitivamente convertito la vecchia fabbrica in un moderno opificio. La parentesi bellica però non soltanto arrestò ogni progetto di rinnovamento, ma rese problematico perfino la normale attività della fabbrica. L'approvvigionamento delle materie prime incontrava sempre nuovi ostacoli, le remore burocratiche, la lentezza dei trasporti e la carenza di mano d'opera, per il richiamo alle armi di operai specializzati, pesavano negativamente sul già ridotto andamento aziendale. Neppure con la fine della guerra le difficoltà diminuirono in conseguenza dei disordini di ordine politico e sociale e, solo alla fine del 1922, la situazione accennò a stabilizzarsi. Poche e timide trasformazioni furono effettuate fra il 1923 e il 1931, anni di non facile andamento aziendale e commerciale. È in questo periodo che la concorrenza fra le due maggiori ditte ceramiche di Mondovì, « Richard Ginori » e « La Vittoria », si faceva sempre più decisa, portando questa ultima al dissesto. Le altre ditte monregalesi operanti nel ramo non potevano far altro che assistere passivamente a questa lotta concorrenziale, cercando di subire il minor danno possibile. Anche la « Ceramica Beltrandi » diminuì gli impegni, non attuò che poche migliorie indispensabili, iniziò lavorazioni meno costose, dimise molti operai finché, ad aggravare la situazione, sopravvennero le conseguenze della « grande crisi » che pose in forse la vita stessa dell'azienda. Per diminuire il danno della gravissima recessione, la Ceramica Beltrandi, unitamente ad altre ditte produttrici di terraglia tenera, si accordava per costituire, nel 1934, l'« Ufficio Unico Consorziale » onde ottenere tangibili risultati commerciali ed economici. L'esercizio dell'« Ufficio » fu abbastanza soddisfacente, le vendite ebbero un discreto incremento, ma i profitti furono modesti, anche per l'imposizione autoritaria di bassissimi prezzi nella vendita della terraglia dolce. In questo periodo gli operai impiegati erano circa trentacinque e la produzione, che si aggirava annualmente sui
LORENZO BELTRANDI E FIGLI Il 19 marzo 1898, il Beltrandi, riscattava la quota sociale del Musso, rimaneva unico proprietario della fabbrica ceramica e la ragione sociale m u t a v a in « Ceramica Lorenzo Beltrandi ». Alla sua morte, avvenuta il 19 maggio 1908, la proprietà passava ai figli Margherita, Giovanni, Alessandro ed Enrico. L'andamento economico favorevole aveva dato u n a notevole spinta ascensionale alla produzione. In quella epoca (1908) la fabbrica sfornava 750.000 pezzi assortiti l'anno per un valore di lire 120.000 circa. Gli operai occupati erano circa sessanta. Mercati di notevole smercio erano la Sicilia, la Calabria, il Napoletano, oltre quelli normali della Liguria e del Piemonte, mentre le correnti esportatrici volgevano principalmente verso l'America del Nord, l'Argentina, l'Uruguay, lo Egitto, la Turchia ed il Medio Oriente. Il 2 settembre 1908, per acquiescenza, la fabbrica rimaneva del solo Alessandro Beltrandi (19). Oltre alla normale e tipica produzione di terraglia « vecchia Mondovì », i Beltrandi si dedicarono, con successo, alla ceramica artistica producendo vasi di notevoli dimensioni e decorati da pittori di grido, oggetti di forma, formaggiere a foggia di a n a t r a illegia¬ drite con i più smaglianti colori. Ebbe p u r e un notevole incremento la produzione di servizi da tavola stampati in azzurro, marrone, nero, verde, manganese e nero miniato. Come produzione marginale venivano fabbricate anche stoviglie ordinarie e per cucina. Nobile figura di filantropo ed artista, il dottore Enrico Beltrandi, che dirigeva la fabbrica per conto del fratello Alessandro, apportava u n a modifica essenziale nel procedimento della stampa sulle ceramiche. La vecchia ricetta indicante il sistema della stampa su ceramiche adottato nelle fabbriche monregalesi, è trascritta da Miche Berra (20): « ...I disegni che vedensi sulle stoviglie ordinarie si ottengono a stampa. Onde praticare questa operazione si incide anzitutto sul rame il disegno che vuolsi poi avere sulla majolica; si applica sul r a m e la sostanza colorante e se ne ricava l'impianto su la carta velina, come per le incisioni ordinarie; subito dopo si applica quella carta sul piatto o sulla parete del vaso che vuoisi ornare e la si comprime con un pezzo di flanella. La sostanza colorante aderisce tosto, ed in parte viene assorbita dalla terra cotta, e vi lascia il disegno bello e stampato. Levata la carta e lavato il piatto o il vaso, si distende sul disegno una vernice vitrea che dopo la sua condensazione lo lascia apparire perfettamente sulla superficie dell'oggetto... ». Fino all'inizio del nuovo secolo gli operai stampatori del « colandine » dovevano operare con u n a miscela di colore stemperata in olio di lino cotto e posto sul rame ad u n a temperatura di 80°. Tale procedimento, 127
L'andamento iniziale fu decisamente buono anche perché la crisi economica e produttiva degli anni precedenti era stata superata e l'economia delle fabbriche ceramiche monregalesi entrava risolutamente in un nuovo periodo ascensionale. Il Barberis apportava ulteriori migliorie agli impianti e gli edifici venivano adeguati alle nuove esigenze tecniche. Gli operai già nel 1901 erano ottantadue (quarantanove uomini e trentatre donne) (24). La produzione della terraglia tenera si orientava verso decorazioni di più veloce esecuzione e, mentre si ricercavano altri mercati, soprattutto stranieri, si incrementavano quelli tradizionali; contemporaneamente veniva immesso nel ciclo produttivo lo stovigliame comune e per cucina, ottenendo discreti risultati industriali e commerciali. Il 20 ottobre 1901 Edoardo Barberis aumentava il capitale costituendo la « Società Anonima per le Ceramiche di Mondovì » con sede in Torino. Venivano ampliati i locali della decorazione e i magazzini, e sistemato un nuovo forno intermittente. Dopo l'aumento del personale, nel 1912 gli operai occupati erano centoquattro di cui sessantasei uomini e trentotto donne (25).
600.000 pezzi, veniva venduta principalmente nel Meridione e nelle Isole ed esportata nelle Colonie Italiane (22). La seconda guerra mondiale diede uno scossone terribile a tutte le fabbriche monregalesi e la Ceramica Beltrandi fu tra le maggiormente colpite. Priva di grandi depositi di materie prime, dovette inizialmente lavorare a ritmo ridotto, quindi quando le scorte furono esaurite, licenziare tutte le maestranze e chiudere lo stabilimento. Gli accordi per il funzionamento dell'« Ufficio Unico Consorziale » al 31 marzo 1943 non furono rinnovati a causa della particolare situazione. Con la fine delle ostilità vi fu u n a buona ripresa commerciale e industriale, malgrado la diminuita produttività delle maestranze. Il 23 dicembre 1953 decedeva Alessandro Beltrandi ed il fratello Enrico ereditava la fabbrica che già da lungo tempo dirigeva. L'andamento aziendale non subiva alcuna interruzione ed alcune migliorie, già progettate da vari anni, potevano essere attuate. Ma la concorrenza si faceva sempre più pesante, nuovi fabbricanti producevano a costi notevolmente inferiori e per sopravvivere la ditta doveva produrre più merce, migliorarne la qualità ed abbassarne il costo. Furono rinnovati alcuni impianti, adottati nuovi sistemi di produzione; ma il vecchio edificio era ormai inadatto ai nuovi metodi, non abbastanza alto e ampio per l'installazione di nuovi forni, privo di montacarichi, articolato in reparti situati in piani diversi, di modestissima altezza e collegati solo da scale. Impossibile era installare quei moderni impianti trasportatori che impongono un costante ritmo produttivo. Mancavano, quindi, quasi tutte le attrezzature necessarie per ottenere economie tangibili di mano d'opera e di tempi di lavorazione (23). In queste condizioni, decisamente sfavorevoli per il normale andamento economico dell'azienda, la fabbrica tirò avanti bene o male, anzi più male che bene finché, nel 1963, u n a delle solite crisi ricorrenti della industria ceramica indusse il Dottore Enrico Beltrandi a chiudere l'azienda diventata troppo antieconomica.
ERNESTO, BIAGIO, GIOVANNI, GIUSEPPE GIORGIS & ALBERTO SIBILLA MASSIERA Il 10 novembre 1913 lo stabilimento, in piena attività, veniva acquistato per la metà da Ernesto, Biagio, Giovanni e Giuseppe Giorgis e per l'altro 50% da Alberto Sibilla Masiera. La produzione e la vendita seguivano un andamento sostanzialmente favorevole e alla fine del 1914 gli addetti erano aumentati al numero, mai raggiunto precedentemente, di centoquindici (settantadue uomini e quarantatre donne) (26). La guerra procurò u n a forte diminuzione della produttività per deficienza di materie prime e mancanza di combustibile. I forni, nati o adattati per la cottura a carbone, dovettero essere trasformati per funzionare a legna, peggiorando la qualità dei prodotti studiati e sperimentati per la cottura col fossile. Anche la mano d'opera maschile, indispensabile per certi lavori, incomincia a scarseggiare causando nuove difficoltà organizzative; le maestranze specializzate, richiamate per il servizio militare, non poterono essere tempestivamente sostituite perché i nuovi assunti dovevano essere lungamente istruiti. Nel 1918 gli operai occupati erano settantuno: quarantaquattro uomini e ventisette donne (27).
EDOARDO BARBERIS Il 20 gennaio 1898 Edoardo Barberis rilevava la fabbrica di Benedetto Musso in Carassone Via Nuova, riorganizzava l'azienda con criteri moderni dando immediatamente un vigoroso impulso alla produzione. 128
Vassoio cm 24x19 Policromia su rilievo Musso e Beltrandi Mondovì - 1884-1898
Pesce largh. cm 25 Policromia Edoardo Barberis - Mondovì 1898-1901
129
Vasi - h. cm 13,5 - 21,5 - 15,5 La Vittoria - Mondovì 1919-1925
Piatto da parata Ø cm 31 Policromia La Vittoria - Mondovì 1927 Piero Siccardi pittore
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cambiando le attrezzature, modificando o sostituendo i forni, assumendo capi reparto qualificati, sia per la parte artistica che per la parte industriale e commerciale. Dopo poco tempo queste energiche iniziative davano i loro frutti. I prodotti migliorarono qualitativamente e artisticamente e la clientela, a sua volta, dimostrava tangibilmente le proprie preferenze — come si ripeterà anche dopo il secondo dopoguerra —. Ricercava infatti anche nella terraglia tenera, prodotti finiti accuratamente, esteticamente pregevoli, decorati e dipinti a mano con colori vivaci. Già nel 1925 gli operai occupati risultavano centoventiquattro (settanta uomini e cinquantaquattro donne) (28). Questo ottimistico dinamismo continuava ininterrotto fino al 1927. La nuova stasi economica, provocata dal « discorso di Pesaro », che attribuiva alla nostra moneta un valore superiore al reale, gravava negativamente sulla vendita dei manufatti delle piccole e medie industrie, mentre la situazione finanziaria diventava sempre più pesante. La clientela italiana diminuiva considerevolmente gli acquisti e quella straniera li interrompeva completamente per la sopravvenuta mancanza di competitività dei nostri prodotti con quelli di altre nazioni. Altro fattore negativo era costituito dal fatto che molti consumatori abituali, avendo aumentato il proprio reddito, si rivolgevano verso prodotti più ricchi, segnatamente terraglia forte e porcellana. Gli operai, che il 2 gennaio 1927 erano ancora centotrentacinque (settantasei uomini e cinquantanove donne), il 30 giugno 1929 erano ridotti a novantadue (cinquantaquattro uomini e trentotto donne) (29). Ad aggravare maggiormente la salute economica dell'azienda sopravvenne la « grande crisi » che travolse tutte le iniziative economicamente e finanziariamente meno forti. Il 31 gennaio 1931 l'Assemblea dei Soci decideva di trasformare la « S.A. Industrie Ceramiche e Refrattari La Vittoria » in « S.A. Industrie Ceramiche di Mondovì», deliberava di dimettere buona parte delle maestranze lasciando in fabbrica solo gli elementi indispensabili per la salvaguardia e la conservazione degli impianti. Poi, per l'aggravarsi ulteriore della crisi, lo stabilimento veniva definitivamente chiuso e, in seguito a dissesto, il 9 febbraio 1935 veniva venduto alla asta pubblica. Acquirenti furono le Ditte: « Ceramica Beltrandi » di Mondovì, « Società Anonima Successori Vedova Besio & Figlio » di Mondovì, « Società Ceramica Italiana Richard Ginori » di Milano, che si ripartivano le attrezzature finché il 17 luglio 1937, il complesso degli edifici veniva ceduto ai signori Carlo, Luigi e Felice Manfredi che lo destinavano ad altre attività.
« LA VITTORIA » Il 19 giugno 1919 la « Società in Accomandita Semplice La Vittoria », trasformata successivamente in « Società Anonima Industrie Ceramiche e Refrattari La Vittoria » con sede in Mondovì, rilevava lo stabilimento dai soci Giorgis e Sibilla Massiera. Il segreto intendimento dei nuovi imprenditori era, forse, la concorrenza diretta con la Richard Ginori di Carassone che primeggiava, per la qualità e la bellezza dei decori e per la quantità dei manufatti, su tutte le fabbriche di terraglia tenera. La nuova direzione dava all'azienda, fino dai primi giorni di esercizio, un nuovo indirizzo economico e produttivo, rinnovando i vecchi locali,
Ovale h. cm 27 - Policromia La Vittoria - Mondovì 1925 Agostino Bosio pittore
131
CRONOLOGIA FRATELLI TOMATIS 1840
Andrea e Sebastiano Tomatis iniziano la produzione di stoviglie ordinarie e terraglia dolce nel sobborgo di Carassone.
1842
Chiusura definitiva della fabbrica. CERAMICA IN PIAN DELLA VALLE
1850 novembre 14 1859 gennaio 19 1864 ottobre 25 1867 ottobre 30
Giovanni Battista Magliano subentra a Giuseppe Besio nella conduzione della manifattura ceramica del Pian della Valle. Affitto della fabbrica a Lorenzo Montefameglio e Luscaris soci. Incendio della fabbrica. Passaggio di proprietà della Manifattura a Giuseppe Besio, sfratto dei soci Montefameglio e Luscaris. MESSA — BELTRANDI
1860 1863 settembre 17 1875 1878 1884 dicembre 27 1898 marzo 19 1908 maggio 9 1908 settembre 2
Giovanni, Giuseppe e Maria Messa iniziano la produzione di vasellame rustico al Borgatto. Incendio della fabbrica. Chiusura della manifattura al Borgatto ed inizio della produzione ceramica in un edificio sito nel rione Rinchiuso (P. 712). Morte di Giuseppe Messa, il fratello Giovanni rimane l'unico proprietario della fabbrica. Beltrandi Lorenzo fu Giovanni e Musso Felice fu Alessandro acquistano l'opificio rispettivamente per 3/4 Beltrandi, 1/4 Musso (P. 1672). Beltrandi Lorenzo rileva la quota parte di Musso Felice e rimane unico proprietario (P. 2981). Per successione la proprietà passa a Beltrandi Margherita, Giovanni, Alessandro ed Enrico figli. Per acquiescenza la proprietà passa ad Alessandro Beltrandi solo (Reg.to M o n d o v ì 21-9-1908 N. 362).
1953 dicembre 23 1963 — 1964
Eredita Beltrandi Enrico fu Lorenzo (N. 679). Chiusura della fabbrica. FABBRICA CERAMICA IN CARASSONE VIA NUOVA
1898 gennaio 20 1901 ottobre 21 1913 novembre 10 1919 giugno 19
1931 gennaio 4 1935 febbraio 9
1937 luglio 17
Edoardo Barberis rileva da Benedetto Musso la fabbrica sita in Mondovì, Via Nuova. Costituzione della « S.A. per le Ceramiche di Mondovì » con sede in Torino (S.A.C.M.). Cessione a Giorgis Ernesto, Biagio, Giovanni e Giuseppe per il 50% e Sibilla Massiera Alberto dell'altro 50%. Costituzione della Società in Acc. Semplice « La Vittoria » con sede in Mondovì, trasformata successivamente in « S.A. Industrie Ceramiche e Refrattari La Vittoria » con sede in Mondovì. Decisione dell'Assemblea dei Soci di trasformare la « S.A.I.C.R. La Vittoria » in « S.A. Industrie Ceramiche Mondovì » (S.A.I.C.M.). Lo stabilimento viene acquistato all'asta pubblica, in seguito a dissesto, dalle Ditte: « S.A. Richard Ginori » di Milano; « S.A. Succ. Vedova Besio & Figlio » di Mondovì; « Ceramica Beltrandi » di Mondovì che si ripartiscono le attrezzature. Il complesso degli edifìci viene ceduto a Manfredi Luigi, Carlo, Felice che lo destineranno ad altre attività.
NOTE 1) GIUSEPPE MORAZZONI
La terraglia italiana, Milano, 1957 — pag. 145;
2)
Storia dell'industria ceramica di Mondovì, da: Milano, 1940 — n. 6 — pag. 226;
ANONIMO
« La ceramica »,
3) GIUSEPPE CORONA
La Ceramica, Milano, 1885 — pag. 545;
4) GIOVANNI VIGNOLA
Delle maioliche e porcellane del Piemonte, Torino, 1879 — pag. 575;
5) GIUSEPPE MORAZZONI
La terraglia italiana, Milano, 1957 — pag. 146;
6) G.B. BARUFFI
Pellegrinazioni autunnali, Torino, 1841 — vol. II, — pag. 1175;
7)
Storia dell'industria ceramica di Mondovì, da: Milano, 1940 — n. 6 — pag. 226;
ANONIMO
« La ceramica »,
8) GIOVANNI VIGNOLA
Delle maioliche e porcellane del Piemonte. Fabbriche di maiolica in Mondovì, Torino, 1879 — pag. 575;
9) MICHE BERRA
Studi sulla ceramica di Mondovì, 1967 (appunti)
10) MICHELE OLIVERO
Note
11)
Sentenza della Corte d'Appello di Torino, in data 16 giugno 1884, nella causa civile Delli Negro Andrea, Casati Antonio e Grilletti Francesco contro Besio Giuseppe;
12)
Tabella dei forni e delle usine. Descrizione di tre fabbriche di stoviglie monregalesi nel 1858, Archivio comunale di Mondovì;
13) GIOVANNI VIGNOLA
Sulle maioliche e porcellane del Piemonte. Fabbrica di maiolica in Mondovì, Torino, 1879 — pag. 576;
14) EMILIA BORGHESE
Vita economica nel monregalese nel ventennio 1850-1870, da Bollettino della Società Studi Storici Archeologici ed Artistici nella provincia di Cuneo, Cuneo, 1961 — n. 46 — pag. 292;
15) MICHE BERRA
Ceramiche monregalesi, da: 1968 — n. 1 — pag. 7;
16) GIUSEPPE CORONA
La ceramica, Milano, 1885 — pag. 545;
17) GIUSEPPE CORONA
La ceramica, Milano, 1885 — pag. 545;
18) AURELIO MINGHETTI
Ceramisti, Milano, 1939 — pag. 57;
19)
Annuario dell'Industria Italiana Milano, 1939 — pag. 121;
20) MICHE BERRA
Ceramiche monregalesi, da: 1968 — n. 1 — pag. 14;
21) ENRICO BELTRANDI
Note ed appunti, 1966;
22)
Annuario dell'Industria Italiana Milano, 1939 — pag. 121;
23) ENRICO BELTRANDI
Note ed appunti, 1966;
ed appunti,
« Cuneo Provincia Granda », Cuneo,
della
Ceramica
e
dei
Laterizi,
« Cuneo Provincia Granda », Cuneo,
della
Ceramica
e
dei
Laterizi,
24) EDOARDO BARBERIS
La manifattura Barberis di Mondovì, Mondovì, 1915 — pag. 4;
25) EDOARDO BARBERIS
La manifattura Barberis di Mondovì, Mondovì, 1915 — pag. 7;
26) FRATELLI GIORGIS
Note aziendali, 1919;
27) FRATELLI GIORGIS
Note aziendali,
28)
La manifattura ceramica « La Vittoria », Mondovì, 1929 — pag. 10;
29)
La manifattura ceramica « La Vittoria », Mondovì, 1929 — pag. 12.
1919;
ALTRE FABBRICHE IN MONDOVÌ ANDREA E SEBASTIANO TOMATIS MONDOVÌ
1840-1842
(impressi
in
pasta)
GIOVANNI BATTISTA E STEFANO MAGLIANO MONDOVÌ
(impressi
LORENZO MONTEFAMEGLIO
(impresso
in
MONDOVÌ
in
1850-1859
pasta)
1859-1867
(impresso
pasta)
(in verde
(impressi
o
in
134
violaceo)
pasta)
in
pasta)
FRATELLI MESSA
MONDOVÌ
1860-1884
(impressi in pasta)
LORENZO BELTRANDI E FELICE MUSSO
(impressi in pasta)
LORENZO BELTRANDI
MONDOVÌ
MONDOVÌ
1884-1898
(in nero o bleu o marrone)
(impressi in pasta)
1898-1963
(in bleu o marrone o verde)
(in marrone)
(impressi in pasta)
(in marrone)
135
EDOARDO BARBERIS MONDOVÌ CARASSONE 1898-1913
(in nero o bleu o marrone)
(in bleu o marrone)
F.lli GIORGIS E ALBERTO SIBILLA MASSIERA MONDOVÌ
(in bleu o marrone)
1913-1919
(in marrone o nero)
SOCIETÀ CERAMICA LA VITTORIA MONDOVÌ
(in marrone o nero)
(in bleu o marrone)
1919-1935
(in bleu o nero)
(in bleu o marrone)
(in
(in marrone o verde)
(in nero o bleu o marrone)
136
nero)
SOCIETÀ C E R A M I C A ITALIANA R I C H A R D GINORI CARASSONE Nei primi anni di esercizio la Società Ceramica Italiana Richard Ginori volle portare la fabbrica di Carassone al massimo della produzione raggiungibile con i mezzi che aveva a disposizione, cercando, nel medesimo tempo, di non avventurarsi in una lotta di tariffe con i fabbricanti minori. Tale lotta infatti avrebbe provocato fatalmente u n a superproduzione, risultando dannosa per tutti. La direzione, allo scopo di ottenere miglioramenti nei trasporti e, conseguentemente, una diminuzione del costo dei prodotti, chiese, senza ottenerlo, alle Ferrovie dello Stato che venisse istituito nei pressi dello Stabilimento uno smistamento sulla linea ferroviaria Bastia-Mondovi-Cuneo: si sarebbe così evitato di far percorrere tre chilometri di strada disagevole ai carri e di effettuare vari carichi e scarichi alla stessa merce. La Richard Ginori, pur attuando un graduale rimodernamento dei macchinari e dei forni, si manteneva fedele alle paste studiate e composte dai Musso, che venivano sempre più raffinate e migliorate, continuando a produrre la tipica terraglia « vecchia Mondovì ». La decorazione seguiva la moda ed il gusto dell'epoca, le stoviglie erano ornate a colori decisi ma con disegni gentili; continuava pure, anche se in tono minore, la produzione di ceramica stampata. In quel tempo la terraglia tenera era un prodotto abbastanza pregiato, sebbene il prezzo fosse talmente basso da poter essere venduto anche nei più modesti mercati di campagna. La necessità di incrementarne il già notevole smercio, per ottenere prezzi sempre più com-
Il 5 gennaio 1897 la Società Ceramica Italiana Richard Ginori di Milano (1) rilevava da Felice Musso la fabbrica di terraglia tenera detta « Il Follone », sita in Mondovì-Carassone, unitamente alla fabbrica ceramica del Borgatto, già di Giuseppe e Federico Besio e aggiudicata, dopo il dissesto del 3 ottobre 1895 a Felice Musso, con sentenza del Tribunale Civile di Mondovì (2). Erano i tempi più tristi per la malata economia della ceramica monregalese e tutti i fabbricanti avevano difficoltà economiche e finanziarie. Avevano spento i forni molti produttori di stoviglie « all'uso di Antibo »; Federico Besio si era visto sequestrare la fabbrica; la Ceramica Salomone aveva notevolmente ridotto la produzione; la Ceramica Vedova Besio e Figlio e la Ceramica Beltrandi lottavano contro la crisi; la manifattura di Mombasiglio si dimostrava più asfìttica che mai, mentre i Fratelli Gabutti in Chiusa Pesio facevano funzionare la fabbrica a ritmo sempre più ridotto. La Società Ceramica Italiana Richard Ginori, probabilmente, aveva voluto entrare competitivamente fra i produttori di terraglia tenera per poter calmierare il mercato ed ottenere che i prezzi fossero mantenuti bassi a tutto vantaggio delle sue più importanti fabbriche di terraglia feldspatica e di porcellana. Sotto la direzione del primo Direttore Signor Curti furono apportate le ormai indispensabili modifiche agli edifici ed agli impianti; vennero rinnovate sostanzialmente le attrezzature per conferire a questa azienda quasi artigianale u n a efficienza industriale tale che le permettesse di inserirsi concorrenzialmente fra le altre fabbriche produttrici della stessa merce, sia in Italia che all'estero (3). 137
guito a lunghi esperimenti, dimostrò di dare risultati sensibilmente migliori nella produzione della terraglia tenera. La dolomite di Villanova e il quarzo di Roccaforte venivano estratti da cave di proprietà della Società Ceramica Italiana Richard Ginori, sottraendo la ditta all'imperio di eventuali speculatori (7). Il prodotto finito veniva smerciato per due terzi in tutto il territorio nazionale, il resto veniva esportato in America nelle Indie Olandesi, in Egitto, in Asia Minore, in Grecia e nelle Isole del Dodecanneso. Alcune produzioni destinate al Levante, in particolar modo le caratteristiche tazzine per bere il caffè turco, necessitavano di decorazioni in oro, esperimento che dal punto di vista ceramico ebbe ottimo risultato (8). La prima guerra mondiale interruppe il favorevole andamento industriale e commerciale che stava trasformando la piccola industria della terraglia dolce in impresa grandiosa. La deficienza di materie prime, la mancanza di combustibile che impose la sostituzione del carbone con la legna, la scarsità e la lentezza dei trasporti, le remore burocratiche, la mancanza di mano d'opera maschile congiurarono a frenare per anni la spinta ascensionale dell'industria della terraglia. Con la fine della guerra la situazione economica per molto tempo non cambiò: le agitazioni politiche e salariali del 1919-1920, alle quali fece seguito il tracollo dei prezzi internazionali, aumentarono il disagio anche in u n a azienda sana e forte come il Follone. Solo verso la fine del 1922 e l'inizio del 1923 u n a relativa stabilità monetaria sembrava annunciare il superamento della crisi. Gli operai occupati erano risaliti a quattrocento fra uomini e donne, la produzione riprendeva il ritmo normale, tanto che, già nel 1923, ogni giorno partiva dal Follone un carro ferroviario di vasellame d'uso domestico; l'esportazione era quasi nulla, assorbendo il mercato nazionale tutti i manufatti prodotti. Nel 1929, quando il fatturato aveva brillantemente superato ogni precedente e le vendite sul mercato nazionale con le esportazioni continuavano ad aumentare permettendo l'assunzione di nuovi operai a ritmo costante, sopravvenne, imprevista, la « grande crisi ». L'esportazione che, con grandi sacrifici sia economici che organizzativi, aveva sorpassato di molto i massimi dell'anteguerra, nel 1932 si arrestava quasi completamente, mentre il mercato internazionale non poteva assorbire che u n a piccola parte della produzione globale la quale, improvvisamente, risultava eccessiva. I clienti acquistavano meno della metà di quanto avevano complessivamente consumato nel 1928. In quegli anni calamitosi assunse la direzione il Geometra Luigi Madruzza, che mantenne l'incarico dal 1930 al 1942. Per ovviare in parte ai danni provocati dalla crisi che minacciava di travolgere il preca-
petitivi, obbligava i nuovi proprietari a demolire quanto di romantico era rimasto degli edifici della quasi artigianale industria dei Musso. Nel 1902, gli operai occupati erano già trecento fra uomini e donne. La fabbrica del Borgatto, rimasta inattiva, nell'attesa di u n a decisione della Direzione Centrale sulla destinazione produttiva e ancora senza attrezzature, in seguito alla constatata impossibilità di trasformare razionalmente il vecchio edificio in u n a moderna manifattura, veniva venduta alla Banca di Mondovì, di Jemina e Battaglia, che la destinava ad altri usi (4). Scaduto il mandato del Signor Curti, la direzione veniva assunta dal Geometra Luigi Massimino che, all'inizio del 1906, era a sua volta sostituito dall'Ingegnere Giulio Madruzza. La congiuntura favorevole degli ultimi anni dell'ottocento e dei primi del nuovo secolo, fece aumentare la produzione e le vendite e la direzione del Follone decise di rifare ed ampliare gli edifìci che, in pochi anni, furono quasi raddoppiati nella loro estensione. Nei primi anni del secolo era stato spento definitivamente il gigantesco forno Hoffmann, orgoglio degli ultimi Musso e in sua sostituzione erano stati costruiti sette forni circolari a fuoco intermittente — ognuno dei quali misurava, internamente, sei metri di diametro —, mentre altri quattro forni biscottavano il crudo. Una sensibile economia nelle spese di esercizio era ottenuta nella produzione delle caselle che servivano alla cottura del crudo e del verniciato, poiché si utilizzavano gli stessi forni della terraglia che a meraviglia trasformavano e solidificavano la terra refrattaria. Contemporaneamente venivano fabbricate stoviglie ordinarie per cucina (5) con discreti risultati sia industriali che commerciali. Tale produzione continuò ed aumentò fino all'inizio della guerra (6), quando venne interrotta, forse perché antieconomica. Il macchinario, macine e torni, tutto rinnovato, era messo in moto da u n a ruota idraulica mossa dall'acqua del torrente Ellero, che forniva u n a potenza di 100 HP, azionando tre turbine elettriche. Nei periodi di magra, l'energia occorrente veniva generata da un motore Diesel a nafta. Di preziosissimo ausilio erano i millesettecento metri di funivia che, impiantati fra il 1914 e il 1915, collegavano i vari reparti dislocati e disseminati nei diversi edifici che componevano lo stabilimento, trasportando i materiali fra reparto e reparto, rendendo pressoché inutile la presenza di numerosi manovali e facchini che potevano svolgere utilmente altre mansioni. Gli operai occupati nel 1914 erano circa quattrocento fra uomini e donne. Nel 1915, l'argilla tedesca (terra d'Olanda) veniva sostituita con quella di provenienza inglese che, in se138
rio equilibrio raggiunto con anni di preparazione, le più forti Ditte monregalesi produttrici di terraglia decidevano nell'aprile 1934 di costituire l' « Ufficio Unico Consorziale ». Compito dell'istituzione era incrementare le vendite, ridurre i rischi del credito e evitare la disastrosa concorrenza che, inevitabilmente, provocava un continuo slittamento dei prezzi per accaparrarsi i migliori clienti. I risultati che la Società Ceramica Italiana Richard Ginori ottenne dall' « Ufficio Consorziale » furono sostanzialmente migliori di quelli realizzati dagli altri associati: la grossa Società infatti, operando nel « trust » della terraglia tenera, determinò la politica commerciale dei suoi grandi opifici che producevano terraglia forte. Questi complessi, modernamente attrezzati, erano in grado di immettere sul mercato notevoli quantitativi di prodotti a prezzi pari o di poco superiori a quelli della terraglia tenera. Tale politica commerciale si rivelò anche più decisamente favorevole alla Società Ceramica Italiana Richard Ginori, allorché vennero imposti i « prezzi corporativi »; il Consorzio dei produttori di terraglia forte (C.PI.TI.) riuscì ad ottenere maggiorazioni di prezzo con il pretesto che la terraglia tenera, destinata al consumo delle classi popolari con minime possibilità economiche, doveva essere immessa sul mercato ai prezzi più bassi. La Società Ceramica Italiana Richard Ginori, che operava con tre fabbriche di terraglia forte, ciascuna di dimensioni più che doppie del suo unico stabilimento di terraglia tenera in Carassone, ebbe da questa politica economica tutto il vantaggio, ammesso che abbia dovuto produrre in perdita nell'opificio di Mondovì. L'entrata in guerra dell'Italia cagionò nuove difficoltà e moltissimi inceppi nel buon andamento della fabbrica, ostacolandone la produzione. La difficoltà di reperire le materie prime, la mancanza di combustibile, le restrizioni nel consumo dell'energia elettrica e la carenza di mano d'opera specializzata costrinsero la direzione a ridurre sensibilmente la produzione e dimettere buona parte delle rimanenti maestranze. Gli accordi per il funzionamento dell' « Ufficio Unico Consorziale » furono lasciati decadere il 31 marzo 1943 per la particolare situazione commerciale e industriale. Nel 1942 la direzione dello stabilimento era stata assunta, come facente funzione, da Ovidio Pollastri che la tenne fino all'agosto del 1944, anno in cui veniva sostituito, sempre come facenti funzione, da Pietro Tomatis e Luigi Quaranta. Dopo la parentesi bellica, man mano che i rifornimenti di materie prime e di combustibile si normalizzavano, la fabbrica riprendeva a funzionare con un ritmo produttivo sempre più intenso. La direzione veniva assunta, nell'ottobre del 1946, dal Dottore Gino Campana che promuoveva varie iniziative atte a dare
Bomboniera h. cm 6 Policromia Richard Ginori - Mondovì 1905
Bomboniera h. cm 6 Policromia Richard Ginori - Mondovì 1905
139
Placca cm 25 x cm 20,5 Policromia Richard Ginori - Mondovì 1934 - Agostino Bosio pittore
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tazione delle terraglie è da vari anni assai ridotta perché i costi risentono in misura maggiore che non in altri settori industriali l'incidenza della mano d'opera. Il mercato interno dimostra attualmente un minore interessamento per la produzione di massa, che costituisce forzatamente la quota principale dei prodotti fabbricati. Un notevole incremento di richieste si nota invece nei prodotti decorati sottovernice a colori vivaci a spugna, a pennello ed a fasce contrastanti. Purtroppo le difficoltà maggiori sono da ricercarsi nella scarsità di mano d'opera femminile e di istruire apprendiste, data la tendenza delle giovani di cercare sistemazioni negli uffici, anche con retribuzioni notevolmente inferiori,... il progressivo ampliamento dei mercati, lo sforzo continuo di aggiornamento degli industriali; varrà a mantenere efficienti gli attuali stabilimenti operanti dando ad essi nuovi spunti di vitalità... ».
nuovo impulso alla produzione e alle vendite. Per diversi anni il mercato rispose alle aspettative: la produzione superò limiti mai raggiunti in precedenza e la clientela richiese u n a sempre maggiore quantità di merce. Si verificava, contemporaneamente, u n a piccola ripresa nell'esportazione. Ma ormai la modernizzazione dell'industria ceramica aveva accelerato il passo e, nello stesso tempo, maggiori diventavano le esigenze qualitative e selettive dei mercati. La fabbrica di Carassone, ormai invecchiata e superata a confronto dei nuovi complessi industriali sorti un po' dovunque, doveva affrontare due problemi: il rinnovamento dei metodi di fabbricazione e, soprattutto, il miglioramento del tipo di ceramica prodotto. Questi problemi erano stati affrontati ma non risolti compiutamente dall'Ingegnere Luciano Morganti che, assunta la direzione il 1° gennaio 1953, la lasciava nel maggio del 1962, anno in cui veniva sostituito dal Cavaliere Ufficiale Giorgio Mori. Questi affrontava decisamente la situazione riuscendo, nel volgere di poco tempo, a trasformare l'opificio. Nei diversi reparti dello stabilimento venivano meccanicizzate e razionalizzate le varie fasi del ciclo produttivo, si provvedeva ad un cambio radicale dei mezzi di cottura passando dai forni intermittenti a quelli continui; infine, abbandonata la produzione della terraglia dolce calcarea, si adottava la terraglia d u r a feldspatica (9). Pazienti prove e particolari impieghi di colori e di vernici permisero di conservare, alla nuova produzione, quei caratteri piacevolmente decorativi di colore, di disegno e di gusto che davano tanto pregio alla terraglia « vecchia Mondovì », senza togliere la fresca brillantezza della terraglia tenera alle più consistenti e pregevoli caratteristiche della terraglia forte.
Dopo il 1969 l'incremento continuo dei costi — particolarmente ingente quello relativo alla mano d'opera — non trovò copertura sufficiente nell'adeguamento dei prezzi di vendita. La situazione di mercato era infatti aggravata dalla sempre più attiva concorrenza delle fabbriche laziali, specie di quelle che si preoccupavano di conquistare gli importanti gruppi di acquisto, i grossisti del nord, e di assicurarsi il rifornimento dei grandi magazzini. La riduzione delle ore lavorative e l'impossibilità pratica di realizzare l'aumento di produttività, indispensabile per riportare un equilibrio fra costi e ricavi, contribuì ad aggravare la passività della fabbrica di Carassone. La Società Ceramica Richard Ginori, passata sotto il controllo della Società Sviluppo che ha programmato la ristrutturazione del complesso aziendale riversando gli investimenti sulle fabbriche dalle migliori prospettive, decideva di non includere lo stabilimento di Mondovì nei programmi di rinnovamento. Successivamente, il 31 ottobre 1972, la fabbrica veniva chiusa.
Il cambiamento di produzione produsse un « terremoto » nel mercato della terraglia dolce. Per smaltire le scorte della merce che non sarebbe stata più prodotta, la fabbrica di Carassone immise sul mercato tutte le giacenze di terraglia tenera, provocando il tracollo dei prezzi che arrecò gravi difficoltà commerciali a molti concorrenti. D'altra parte non era possibile agire in modo diverso essendo indispensabile eliminare tutti gli articoli che non sarebbero stati più fabbricati. Quando, dopo l'esperienza di vari anni, con l'immissione sul mercato dei nuovi manufatti si confermò la simpatia della clientela per la nuova terraglia feldspatica « di Mondovì », il direttore dello stabilimento, cav. uff. Giorgio Mori, in u n a intervista concessa a Miche Berra (10) nel 1968, poteva affermare «...È difficile, in un periodo in cui l'attività economica è influenzata da troppi fattori estranei alla iniziativa diretta degli imprenditori, fare previsioni sulle prospettive di lavoro delle aziende ceramiche del monregalese. L'espor-
DIRETTORI Signor Curti dal 5 gennaio 1897 al 1902 Geom. Luigi Massimino dal 1902 al 31 dicembre 1905 Ing. Giulio Madruzza dal 1 genn. 1906 al 30 nov. 1929 Geom. Luigi Madruzza dal 1 genn. 1930 al 1942 Signor Ovidio Pollastri (fac. funz.) dal 1942 al 31.8.1944 Cav. Pietro Tomatis dal 1 sett. 1944 al 30 sett. 1946 Sig. Luigi Q u a r a n t a (facenti funzione) Dottore Gino Campana dal 1 ott. 1946 al 31 dic.1952 Ing. Luciano Morganti dal 1 genn. 1953 al 31 mag. 1962 Cav. Uff. Giorgio Mori dal 1 giugno 1962 al 31 ott. 1972 141
NOTE 1)
Atto di compravendita 5.1.1897, Notaio Carandini in Milano e ivi registrato il 21.1.1897 — Vol. 233 — N. 3099
2)
Sentenza del Tribunale Civile di Mondovì 30.10.1895 registrata in Mondovì il 19.10.1895 — Mod. 3 — Vol. 69 — N. 171, Ditta Musso Felice fu Alessandro;
3)
da: « Il trentennio della Società Italiana Ceramica Richard-Ginori », Milano, 1903 — pagg. 71, 72, 73, 74;
4)
Atto di compravendita 14.7.1905, Notaio Perotti in Mondovì e ivi registrato il 19.7.1905 al n. 81;
5)
Guida Oggero della Provincia di Cuneo, Cuneo, 1904 IV — pag. 352;
6)
Guida Oggero della Provincia di Cuneo, Cuneo, 1914 XI — pag. 678;
7)
La Società Ceramica Richard-Ginori nel suo primo cinquantenario — MDCCCLXXIII — MCMXXIII, Milano, 1923 — pag. 76;
8)
La Società Ceramica Richard-Ginori nel suo primo cinquantenario, MDCCCLXXIII — MCMXXIII, Milano, 1923 — pagg. 74, 75, 76, 77
9)
da: « Rivista Richard-Ginori», Milano, giugno 1961 — pag. 17;
10) MICHE BERRA
Ceramiche monregalesi, da : « Cuneo Provincia Granda », Cuneo, 1968 — n. 1 — pag. 12.
R I C H A R D GINORI SOCIETÀ CERAMICA ITALIANA RICHARD GINORI
(in marrone)
MONDOVÌ
(in bleu o marrone o verde)
1897-1972
(in marrone)
(in bleu o marrone o verde)
(in grigio o azzurro)
(in bleu o nero)
(in bleu o marrone)
(in bleu o marrone)
(in bleu)
(in bleu o marrone)
(in bleu o marrone) (questo contrassegno si ritrova anche su articoli prodotti nella fabbrica di Mondovì nei colori grigio azzurro e nero)
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SOCIETÀ CERAMICA ITALIANA RICHARD GINORI MONDOVÌ
(in nero o bleu o marrone)
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1897 -1972
SOCIETÀ CERAMICA ITALIANA RICHARD GINORI
MONDOVÌ
1897-1972
(in nero o bleu o marrone) (in nero)
(in bleu o marrone)
(in nero o bleu o marrone)
(in marrone)
(in bleu o marrone) (in nero o bleu o marrone)
(in nero)
(in marrone) (in nero)
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LE FABBRICHE DELLA CERTOSA DI PESIO, CHIUSA PESIO E VILLANOVA GRANDIS & BERARDENGO GIORDANA BARBERIS GABUTTI S. A. CERAMICA PIEMONTESE SOC. AN. ESERCIZIO DELLA CERAMICA PIEMONTESE Dal secolo XVIII si h a n n o notizie certe dell'esistenza di fabbriche di stoviglie nel territorio di Chiusa. Pietro Nallino (1), nel 1782, scriveva che « ...molti vasai formano colà continuamente tanta quantità di ogni sorta di vasi, che ne fanno un negozio lucroso; mentre per la qualità, e bontà della terra resistendo al calore del fuoco, incontrano dappertutto un copioso smaltimento, e vengono condotte fino nella Provenza, e nella Francia... ». D. Giambattista Botteri (2) scriveva che la bontà dell'argilla che si scavava a poca profondità in molti luoghi verso Beinette ed il tenue prezzo della legna di castagno, avevano aiutato il sorgere di piccole industrie domestiche che producevano tegami e pentole per cucina e stoviglie ordinarie per tavola, vendute, in parte, sui vicini mercati. Giuseppe Prato (3), a sua volta, confermava che « ...Chiusa Pesio va celebre per le sue manifatture di terra che procurano al paese un introito annuo di Lire 25.000... ». Tale fabbricazione era esercitata da molti contadini che nella buona stagione attendevano alla coltura dei campi e, nei mesi di meno intenso lavoro, si dedicavano in contro proprio all'industria figulina producendo piccole quantità di stoviglie, tegami e pentole (4). Da una statistica dell'anno 1763 (5), citata dal Botteri, si rileva che nel territorio di Chiusa Pesio esistevano 31 fabbriche di stoviglie e che, successivamente, aumentarono ancora. Nel 1879, anno in cui il Botteri scriveva, le piccole industrie domestiche erano ridotte a cinque, o a causa dell'aumento dell'argilla, della legna da ardere e della mano d'opera, oppure per la concorrenza fatta dai fabbricanti di stoviglie all' « uso di Antibo » situati nelle vicinanze. Nella valle del Pesio esisteva dunque già da molto tempo u n a tradizione unita ad u n a notevole esperienza nell'arte di lavorare e plasmare l'argilla figulina. 147
S.p.A. CERAMICA PIEMONTESE DELL'ANESE SALOMONE & F.lli MESSA SALOMONE N.I.C.E. SILVESTRINI & PIANETTA « N.I.C.E. »
GRANDIS & BERARDENGO
Agli inizi del secolo XIX, il Dottore Francesco Perotti diresse per due anni, dal 1814 alla fine del 1815, u n a piccola fabbrica ceramica, sita nella Certosa di Pesio, di proprietà di Grandis e Berardengo. Questa manifattura era allogata nel fabbricato che precedentemente era adibito a mulino del convento (6). La fabbrica aveva tutte le prerogative per un buon funzionamento tecnico ed economico: facilità per ottenere molta energia generata dall'acqua del fiume Pesio, legna da ardere in quantità enorme a pochi passi dai forni, argilla nelle immediate adiacenze cui si poteva accedere con u n a buona strada carrabile e, soprattutto, facilità di trovare mano d'opera specializzata nell'arte del fuoco proveniente dalla vicina Vetreria della Chiusa. Malgrado tutti questi elementi favorevoli l'opifìcio, poco tempo dopo che il Dottore Francesco Perotti ne aveva lasciata la direzione, cessava ogni attività, forse per difficoltà di ordine commerciale causate dagli inceppi burocratici e dai gravami fiscali che la Restaurazione aveva imposto, forse per complicazioni finanziarie. MICHELE GIORDANA Il 17 ottobre 1833 (7), Michele Giordana architetto di Cuneo acquistava in Chiusa Pesio un edificio già adibito a soppressa per olio di noci, per trasformarlo in fabbrica di maiolica bianca. Questo edificio aveva u n a curiosa storia. Nella prima metà del settecento vi abitava il proprietario, notaio Lorenzo Viale Guglielmetti che, morendo il 29 aprile 1756, lo lasciava in eredità alla famiglia Arimondi. Il II termidoro dell'anno 13° della Repubblica Francese e I dell'Impero (23 luglio 1806) Giuseppe Arimondi chiedeva ed otteneva dal Consiglio del Comune il permesso di adattare l'edifìcio a mulino « a tre palmenti » nello stesso luogo do-
si accentuava maggiormente dopo la Restaurazione, facendo precipitare l'azienda verso il dissesto. Molti operai, abili conoscitori dell'arte del fuoco, molatori, decoratori e pittori passavano alle dipendenze della nuova industria dando tutta l'esperienza che avevano acquisito nella vetreria; riuscirono così a creare pezzi ceramici che, nel loro genere, sono di notevole bellezza.
ve successivamente vennero allogate le macine della fabbrica di ceramica. Non appena rimpianto fu finito, il Marchese di Ceva fece opposizione appellandosi al Regio Senato di Torino, il quale stabiliva e dava ordine che il mulino fosse immediatamente demolito. Arrivarono ad un compromesso ed il mulino venne sostituito con una soppressa per spremere olio dai gherigli di noce. Gli Arimondi vendettero l'opificio a Francesco Tomatis di Mondovì che a sua volta lo cedette all'Architetto Michele Giordana; questi diede agli edifici quella definitiva sistemazione che, grosso modo, hanno ancora attualmente. Restaurato e modificato opportunamente l'opificio, il Giordana, nel 1833, incominciò a produrre terraglia tenera. Il suo calcolo non era sbagliato perché la già « Regia Fabbrica di Cristalli e Vetri del Piemonte », fondata con Lettere Patenti del 23 luglio 1753 (8), dopo un progressivo incremento sia industriale che artistico, durante l'occupazione francese aveva denunciato i primi sintomi di crisi con una forte diminuzione produttiva. La crisi
GIUSEPPE BARBERIS Nel 1836 acquistava la fabbrica ceramica Giuseppe Barberis, presumibilmente lo stesso Barberis citato dal Barelli (9) che, nel 1834, scriveva: « ... A Vico l'argilla figulina forma l'oggetto principale di due coltivazioni che somministrano le terre necessarie alle fabbriche di terraglie ...e quella del Signor Giordana di Cuneo ultimamente stabilita alla Chiusa. Una di queste cave... coltivata da un certo Barberis, carrettiere di Vico... ». L'essere proprietario di cave d'argilla lo
Piatto Ø cm 22,5 Monocromia manganese Giuseppe Barberis Chiusa Pesio - 1836-1866
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Piatto ovale largh. cm 33 Monocromia bianco bleu Giuseppe Barberis Chiusa Pesio - 1836-1866
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Collezione Giovanni Doglione - Asti
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palmente in Piemonte, Liguria, Toscana, Campania, Sicilia e Sardegna; l'esportazione era diretta verso i paesi del Levante, l'Argentina e l'America del Nord.
poneva in u n a condizione privilegiata nei confronti degli altri fabbricati di ceramiche. La vetreria, la cui proprietà era passata alla famiglia Avena, falliva nel 1838 (10). Tutte le maestranze licenziate potevano trovare lavoro solo nella fabbrica ceramica: era u n a fortuna insperata per un imprenditore poter scegliere fra tanti operai specializzati, disposti a lavorare per qualsiasi mercede. Ora la produzione ceramica di Chiusa Pesio poteva sostenere competitivamente la concorrenza delle fabbriche di Mondovì. La crisi economica del 1846-1847, che colpì tutto il Monregalese, ebbe gravi ripercussioni anche sulla fabbrica del Barberis: i consumatori abituali di terraglia diminuirono gli acquisti, i pagamenti da parte dei clienti divennero più lenti e, per carenza di denaro liquido, molti operai dovettero essere licenziati. Gli anni che vanno dal 1848 fino al 1857 furono anni di rigoglioso sviluppo economico, la merce veniva smerciata sempre più facilmente e Giuseppe Barberis come già avevano fatto i concorrenti Musso e Besio, creava punti di vendita fissi nelle Città di Cuneo, Sa¬ luzzo, Alessandria, Alba e organizzava u n a vasta rete di « ciapasé » affinché andassero a vendere le sue terraglie sulle fiere e sui mercati più lontani. Il 6 aprile 1858, Giuseppe Barberis presentava al Comune « ...un progetto di derivazione d'acqua dal torrente Pesio pel moto di meccanismi della fabbrica di maiolica... » per far funzionare 36 mulinetti per macinare il quarzo. Il tecnico ceramista Bartolomeo Ansaldi vide funzionare questi mulinetti ancora nel 1922. Gli anni dell'Unità d'Italia avevano creato un clima di euforico ottimismo per l'allargamento del mercato nazionale, ma le speranze si dimostrarono vane. La crisi, sempre più grave, frenava l'espansione industriale, impedendo le pur necessarie migliorie all'opificio.
Fra il 1875 ed il 1877 la manifattura fabbricò, sperimentalmente e come prodotto marginale, stoviglie ordinarie e per cucina, non ottenendo i risultati previsti. L'idea venne accantonata in attesa di tempi migliori. Nel 1880, essendo la terra di Vico quasi esaurita, incominciarono ad importare « terra d'Olanda », il quarzo veniva da Roccaforte e il calcare da Villanova. L'importazione di « terra d'Olanda » ammontava a 2.700 quintali l'anno. La concorrenza degli altri fabbricanti monregalesi si faceva sempre più accanita, diversi punti di vendita, ormai passivi, erano stati chiusi; i consumatori abituali chiedevano altri articoli ed anche sui mercati e sulle fiere gli acquirenti si diradavano. Già nel 1884 si notava un calo molto forte nella produzione e nelle vendite. Giuseppe Corona (12) dava queste cifre: operai occupati circa quaranta, con la paga giornaliera: uomini da L. 2,20 a L. 3,50; donne da L. 1,10 a L. 1,40; manovali da L. 1,60 a L. 2,20; ragazzi da dodici a diciotto anni da L. 0,65 a L. 1,25. La produzione a n n u a si aggirava sui 400.000 pezzi per un valore di L. 50.000, che veniva venduta in Piemonte, Liguria, Toscana, Campania, Sicilia e Sardegna, ed esportata in America e nei paesi del Levante. Seguendo l'esempio degli altri fabbricanti monregalesi, segnatamente quello di Andrea Salomone in Villanova, i Fratelli Gabutti trasformarono i loro forni alimentandoli prima con legna e carbone, quindi con solo carbone. Nel 1886 adottarono un forno a carbone progettato, come quello dei Salomone, dall'Ingegnere Del Mastro Calvetti di Torino, ed attuato con notevoli
SALVATORE E GIOVANNI BATTISTA GABUTTI Il 7 marzo 1866, Giuseppe Barberis vendeva ai fratelli Salvatore e Giovanni Battista Gabutti gli edifici e tutte le attrezzature della fabbrica di terraglia. Essi incominciarono lavori di trasformazione ingrandendo la fabbrica, cambiando la disposizione degli edifici esistenti, rimodernando i forni, migliorando le attrezzature ed i magazzini. Nel 1876 gli operai impiegati erano circa ottanta e producevano annualmente circa 1.000.000 di pezzi assortiti per un valore di L. 140.000. Il consumo di legna da ardere per alimentare i quattro forni era di 2.000 tonnellate (11). I manufatti venivano venduti princi151
lente (decorazioni a mano) per adottare tecniche più veloci e meno costose (decorazione a stampa). Nei primi anni del nuovo secolo la forte richiesta di prodotti in terraglia tenera permise ai Gabutti di ottenere un discreto andamento aziendale. Se nel 1895-1896 gli operai erano stati ridotti a ventidue con una produzione annua di circa 280.000 pezzi, già nel 1901 gli addetti erano aumentati a q u a r a n t a con una produzione di 550.000 pezzi e nel 1910 erano rispettivamente sessantacinque e 950.000. Dal 1899 era stata notevolmente incrementata la produzione di stoviglie comuni e per cucina che trovavano u n a facile collocazione. Le attrezzature e gli impianti, ormai sorpassati, dovevano essere rinnovati, i forni trasformati. I lavori, iniziati nel 1904, furono proseguiti lentamente negli anni successivi, dando scarsi risultati. I locali non erano sufficientemente alti per allogarvi i nuovi forni ed i gas generati dalla combustione non potevano venire facilmente eliminati. I prodotti finiti dovevano essere portati a braccia nei magazzini relativamente distanti dai locali di fabbricazione. Malgrado ciò la produzione aumentava e lo smercio risultava piuttosto facile. La metà dei manufatti era venduta in Italia mentre il rimanente veniva facilmente esportato in Asia Minore, in Egitto, in Turchia, in Argentina e Uruguay. Anche le Colonie Italiane assorbivano discrete quantità di prodotti ceramici. Nel 1914 gli operai occupati erano centoventisette e la produzione si aggirava su 1.800.000 pezzi. Con la guerra l'attività aziendale diminuì gradatamente per carenza di mano d'opera e per mancanza delle materie prime essenziali. I forni, che erano stati ideati per essere alimentati esclusivamente a carbone, dovettero essere trasformati per la cottura a legna o a sansa per mancanza di combustibile fossile. Nel 1917 gli operai erano quarantaquattro e la produzione era di 660.000 pezzi. La merce era sempre più scadente e la richiesta aveva subito un calo notevole. Con la fine della guerra l'aumento del prezzo delle materie prime e del costo del lavoro causarono un nuovo ristagno nella produzione e nelle vendite. Le agitazioni salariali del 1920-1921 aumentarono le difficoltà. La ripresa, lentissima, si svolgeva fra sempre maggiori ostacoli. I Gabutti, coadiuvati dal Signor Priola (14), costatando che i loro sforzi non approdavano a risultati concreti, decisero di immettere nella azienda elementi giovani e con nuove direttive e, nel 1927, cedettero l'intero complesso alla « S.A. Ceramica Piemontese » — Amministratore Delegato Bruno Nazzari, Consiglieri Andrea Marocco e Giovanni Battista Nepote (15) —.
migliorie: fu così ottenuta u n a sensibile economia nel consumo di combustibile ed un miglioramento nel prodotto finito. Da qualche anno era stata ripresa la produzione di stoviglie comuni e per cucina (13). Dopo il discreto incremento produttivo e commerciale negli anni 1883-1887, l'andamento sfavorevole del mercato poneva in crisi le aziende con gli impianti più invecchiati, mentre la posizione geografica di Chiusa Pesio, relativamente lontana dalla ferrovia, aggravava le difficoltà contingenti provocando l'aumento dei costi delle materie prime e dei prodotti finiti. Infatti la mancanza della ferrovia e l'inadeguatezza delle strade accrescevano le spese e causavano intoppi e ritardi nella consegna delle merci. I vantaggi che avevano determinato la creazione della fabbrica ceramica non esistevano più: il combustibile e l'argilla dovevano essere importati dall'estero e buona parte del trasporto di queste materie prime indispensabili doveva essere effettuato con carri su strade estremamente disagevoli. Gli anni più duri della crisi furono superati faticosamente riducendo al massimo le spese, dimettendo molti operai e abbandonando in parte lavorazioni più
Piatto Ø cm 22 Monocromia bianco bleu Giuseppe Barberis Chiusa Pesio - 1836-1866
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SOC. AN. PER L'ESERCIZIO DELLA CERAMICA PIEMONTESE In quel periodo fu chiamato come consulente tecnico e finanziario l'Ingegnere Eugenio Savasta-Fiore che nel 1933-1934 veniva nominato liquidatore dei due maggiori creditori, il Dottore Michele Falda di Torino e il banchiere Carlo Battaglia di Mondovì. Nel corso della faticosa liquidazione veniva considerata la possibilità di continuare la gestione della fabbrica, addivenendo alla costituzione della « S.A. per l'esercizio della Ceramica Piemontese », che prese formalmente in affitto la manifattura dal liquidatore. E' doveroso notare che sia Carlo Battaglia che Michele Falda intervennero filantropicamente al solo scopo di evitare la disoccupazione di circa centocinquanta dipendenti che con l'acuirsi della crisi difficilmente avrebbero trovato un altro lavoro (18). Il banchiere Battaglia mise a disposizione dell'Ingegnere Savasta-Fiore, il quale aveva già impegnato nell'impresa tutti i propri risparmi, i capitali necessari per far funzionare a pieno ritmo tutti i reparti della fabbrica e per evitare il licenziamento dei dipendenti (19). In quel periodo, pur continuando a fabbricare notevoli quantità di articoli comuni, la produzione si indirizzò anche verso oggetti artistici e di forma: furono confezionati servizi da tavola pregevoli fra i quali divenne molto richiesto il servizio in barocco piemontese « vecchio Piemonte ». Le vendite si effettuarono in Liguria, Lombardia, Emilia, Veneto, Toscana e Piemonte. Scarsa l'esportazione. Superate le crisi e chiusa definitivamente la liquidazione, l'azienda si consolidò nei tre soci: Battaglia, Falda e Savasta-Fiore; quell'ultimo fu nominato Dirigente Procuratore — praticamente il titolare —; l'Ingegnere Andrea Battaglia, figlio del banchiere Carlo, divenne l'Amministratore Delegato per conferire col proprio nome lustro alla Società e garanzia ai terzi. In questo periodo i manufatti migliorarono notevolmente soprattutto sotto il profilo estetico, specialmente nei colori e negli impasti e i clienti non mancarono di dimostrare tangibilmente la loro preferenza. Con la guerra, ma più ancora con la guerra civile, l'economia della regione venne sconvolta. La mancanza di materie prime essenziali, le difficoltà nei trasporti, la penuria di mano d'opera specializzata causavano notevoli disagi. Per la carenza di combustibile fossile i forni furono trasformati per il funzionamento a legna o a sansa, con rese notevolmente inferiori al previsto. Malgrado tutte queste difficoltà la direzione volle mantenere al massimo l'impiego degli operai, adoperandosi per la difesa della libertà e dignità dei propri dipendenti e di tutti gli abitanti della Valle nei confronti degli occupanti tedeschi. In quel periodo l'Ingegnere Eugenio Savasta-Fiore, per non subi-
S.A. CERAMICA PIEMONTESE I nuovi amministratori apportarono alcune modifiche alle attrezzature, ridimensionarono la produzione e sperimentarono, con successo, nuove caratteristiche del prodotto per migliorarlo e trasformarlo da terraglia tenera in terraglia semiforte. Gli addetti alla fabbrica erano circa novanta. Nel 1932 la situazione finanziaria della Società divenne critica per la gravissima crisi che aveva colpito tutta l'economia mondiale, ma, soprattutto, per le conseguenze economiche e commerciali di u n a causa intentata dalla « Società Ceramica Italiana » di Laveno per « concorrenza sleale ». La lite verteva sulla priorità di un marchio — un'aquila con le ali piegate su un semicerchio, il tutto di colore verde — che, secondo le affermazioni della Società di Laveno, la « S.A. Ceramica Piemontese » avrebbe plagiato ed apposto illecitamente sui propri prodotti. La difesa non dimostrò sufficientemente che tale marchio era già stato adoperato per anni dai Gabutti e che anche altre fabbriche di Mondovì e di Vicoforte usavano da decenni un marchio molto simile. La « S.A. Ceramica Piemontese », persa la causa, dovette pagare alla Ditta avversaria, oltre le spese di giudizio, la somma, allora notevole di Lire 100.000 (16) per danni morali e materiali.
Piatto Ø cm 22 Policromia Giuseppe Barberis Chiusa Pesio - 1836-1866
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Piatto Ø cm 29 Monocromia bianco bleu Fratelli Gabutti Chiusa Pesio - 1866-1929
Piatto Ø cm 27 Monocromia stampata Fratelli Gabutti Chiusa Pesio - 1866-1890
Piatto Ø cm 22,5 Policromia Andrea Salomone Villanova - 1879-1895
Piatto Ø cm 22 - Policromia Andrea Salomone Villanova - 1881-1900
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Pesio che avrebbe provveduto a far eseguire dalle proprie maestranze la decorazione e la cottura della vernice. Nel 1968 la fabbrica di Vicoforte che produceva 360.000 pezzi in biscotto l'anno, veniva affittata dalla « S.p.A. Ceramica Piemontese » e dichiarata stabilimento aggregata. I manufatti della « S.p.A. Ceramica Piemontese » vengono venduti, per la maggior parte, ai grandi magazzini.
re ulteriori rappresaglie da parte delle autorità di occupazione, lasciava temporaneamente la direzione che veniva assunta, quale « facente funzione », dal cognato Giovanni Battista Nepote. Anch'egli, in contrasto palese od occulto con le autorità, ebbe a subirne le conseguenze, ricevendo e angherie e percosse (20). Tornata la pace, dopo un breve periodo di incremento commerciale, dovuto più che altro alla richiesta di merce distrutta e alla ricostruzione delle scorte presso i grossisti, le vendite incominciarono a diminuire. Ormai l'azienda dimostrava tutta la vetustà dei suoi edifìci e delle sue attrezzature. Ma erano soprattutto i forni, ancora funzionanti a legna o a carbone, a denunciare tutte le insufficienze della manifattura e della produzione proprio nel periodo in cui la concorrenza si faceva più agguerrita, operando con impianti modernissimi dislocati in località commercialmente molto più favorevoli. Gli operai che nel 19491950 erano aumentati a circa centocinquanta, nel 1952-1953 erano nuovamente diminuiti a ottanta. Nel 1954 fra gli amministratori della Società maturò una grave crisi dovuta a divergenze sulla conduzione della fabbrica: si sciolse così la « S.A. per l'esercizio della Ceramica Piemontese » con lo specioso motivo della mancanza di capitale. Con il raggiungimento di un compromesso — in seguito all'arbitrato amichevole di S. Ecc. Eula e dell'Onorevole Bertone — l'Ingegnere Savasta-Fiore rassegnava le dimissioni mentre la manifattura continuava la normale produzione fino alla nomina del nuovo Consiglio di Amministrazione (21).
LORIS E WALTER DELL'ANESE Negli anni fra il 1950 ed il 1960, in Chiusa Pesio, Loris Dell'Anese, utilizzando le terre e il cotto della « S.A. Ceramica Piemontese » ed usufruendo dei forni della stessa fabbrica, incominciava a produrre piccole quantità di ceramica artistica. Dopo il 1960 anche il figlio Walter dava la sua valida collaborazione alla piccola azienda artigiana che otteneva sempre maggiori attestazioni dagli amatori e dalla clientela per le qualità estetiche e commerciali dei suoi manufatti. La produzione decorata è artisticamente indirizzata verso la « vecchia Mondovì », ma soprattutto i galletti ed i fiori, dipinti con smaglianti colori, pongono questa ceramica completamente al di fuori della pedissequa copia industriale. Anche pezzi di forma o piastrelle in rilievo dimostrano l'inesauribile buon gusto di questi artigiani. Buona anche la produzione in monocromia su vasi, piatti, placche, ecc. ecc. FRATELLI SALOMONE E FRATELLI MESSA Andrea Salomone ed i fratelli, associatisi con Giovanni, Giuseppe e Maria Messa, fondavano nel 1876 una fabbrica in terraglia in Villanova, regione Pasquero (24). L'epoca scelta per l'avvio della nuova iniziativa imprenditoriale non era certo la più favorevole: infatti i più forti concorrenti erano dislocati in tutto il monregalese e la grave crisi bancaria ed assicurativa, iniziatasi nel 1873, stava colpendo duramente il risparmio, ripercuotendosi sull'agricoltura e soprattutto sull'industria che perdeva sistematicamente i potenziali clienti. I rapporti fra i soci, in quel clima di depressione economica si fecero ben presto difficili, finché nel 1879 la società veniva sciolta ed i fratelli Salomone, rilevando la quota dei Messa, rimanevano i soli proprietari della manifattura, assumendo la ragione sociale « Ceramica Salomone Villanova ». La ripresa economica, iniziata nel 1879, dava alla industria ceramica monregalese un nuovo periodo di sviluppo determinando un accentuato incremento della produzione e delle vendite.
S.p.A. CERAMICA PIEMONTESE Nel 1955 la nuova Società composta da Andrea Battaglia, Pier Carlo Rovea, Antonio Caraglio, Annibale Bussi e Signora Grandi continuava la gestione attiva della fabbrica; il 22 marzo 1956 l'Assemblea dei Soci, presieduta dall'Amministratore Unico Andrea Battaglia, deliberava l'aumento del Capitale Sociale da lire 1 milione a lire 30 milioni, per cui l'11 gennaio 1958 la « S.p.A. Ceramica Piemontese » emetteva 30 000 obbligazioni da lire 1000 al 6% (22). Il 3 gennaio 1964 il Consiglio di Amministrazione deliberava di ridurre il Capitale Sociale da lire 30 milioni a lire 15 milioni, trasferiva la Sede Sociale da Mondovì a Chiusa Pesio nominando Presidente l'Ingegner Pier Carlo Rovea e Consiglieri Paolo Battaglia e Antonio Caraglio (23). Gli operai erano circa ottanta e la produzione, terraglia forte, veniva quasi tutta venduta nei grandi magazzini. Nel 1965 la « Società Gestione Ceramica delle Moline » si accordava con la « S.p.A. Ceramica Piemontese » per cedere annualmente circa 450.000 pezzi in biscotto — esclusivamente piatti — alla manifattura di Chiusa 155
Piatto Ø cm 31 - Policromia Andrea Salomone - Villanova 1879-1890
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alle attrezzature, sperimentati nuovi impasti onde migliorare il prodotto ed adeguarlo alle nuove esigenze della clientela. Nel 1912 gli operai occupati ammontavano a trenta-trentacinque e la produzione annuale era aumentata a circa 600.000 pezzi assortiti, per un valore di lire 65.000. La merce veniva venduta in Piemonte, Liguria, Lombardia, Toscana ed esportata nelle Colonie Italiane ed in tutti i paesi del bacino Mediterraneo. Erano stati iniziati studi per u n a nuova sistemazione della fabbrica e per migliorare gli impianti al fine di incrementare maggiormente la produzione; contemporaneamente si cercavano nuovi sbocchi commerciali immettendo sul mercato merce di buona qualità. Ma tutte queste iniziative venivano bruscamente interrotte dallo scoppio della prima guerra mondiale. La produzione peggiorava e diminuiva gradatamente per la difficoltà di reperimento delle materie prime per la relativa mancanza di combustibile, che causò il ritorno all'alimentazione a legna. Inoltre la mano d'opera maschile decresceva per i richiami sotto le armi, mentre i trasporti diventavano sempre più lenti e precari. Ad aggravare la situazione sopravvenne, il 27 luglio 1917, la morte del proprietario e fondatore Andrea Salomone che aveva accentrato nella sua persona tutte le mansioni direttive. Per successione ereditaria la ditta passava per 4/6 a Michele Salomone, per 1/6 a Caterina Salomone in Ellena e per 1/6 a Rosetta Salomone. Per acquiescenza, il 23 ottobre 1917, diventava unico proprietario Michele Salomone. Nel 1925 la ditta passava, per successione testamentaria, a Giovanni, Bartolomeo, Andrea, Michele Ellena e Clementina Fechino ved. Salomone. Nel 1928, per divisione giudiziale, diventava unica proprietaria Clementina Fechino ved. Salomone. Tra la fine della guerra e la « grande crisi » gli eredi di Andrea Salomone non avevano saputo o potuto riportare l'azienda nello stato di floridezza in cui la aveva lasciata il fondatore. Certamente avevano congiurato contro la ripresa industriale e commerciale le difficoltà economiche determinate dalla perdita dei tradizionali mercati stranieri e nazionali, la concorrenza delle fabbriche più organizzate, la penuria di credito e la povertà del prodotto che dava sempre meno utile. A tutti questi fattori negativi si aggiunse il crollo economico-finanziario causato dalla « grande crisi » che impose la chiusura della fabbrica.
ANDREA SALOMONE Nel 1881 i fratelli Salomone procedevano alla divisione dei beni e Andrea Salomone diventava unico proprietario della fabbrica, cambiando la ragione sociale in « Salomone Andrea Villanova ». Incominciava con questo atto notarile, l'ascesa della manifattura. Poiché la congiuntura favorevole continuava e accresceva la necessità di produrre maggiormente e bene, Andrea Salomone nel 1883 inaugurava, primo nel monregalese, un forno ceramico funzionante esclusivamente a carbone, ideato e costruito dall'ingegnere Delmastro-Calvetti di Torino, lasciando in funzione anche il precedente forno alimentato a legna. Nel 1884, secondo il Corona (25), essendosi quasi esaurite le cave d'argilla di Vicoforte, il Salomone miscelava « terra di Olanda » tratta dalle cave del Westerwald di proprietà Molemback & Schenwold con quarzo di Frabosa Sottana e calcare di Villanova; per la triturazione delle terre adoperava un mulino mosso da u n a ruota idraulica di venti macine. Normalmente venivano occupati una ventina di addetti, così suddivisi: sei operai che percepivano u n a paga giornaliera da lire 2,00 a lire 3,25; due operaie da lire 1,00 a lire 1,20; quattro manovali da lire 1,50 a lire 2,00 e otto ragazzi, dai dodici ai diciotto anni, da lire 0,60 a lire 1,20. La produzione annua si aggirava su 330.000 pezzi per un valore di lire 40.00 circa, che veniva venduta in Piemonte, Liguria, Lombardia ed Emilia. La terraglia tenera della « Ceramica Salomone Andrea » seguiva anch'essa il gusto tipico della « vecchia Mondovì » : nei decori primeggiava il colore manganese sul solito smagliante azzurro; gli smerli sui bordi dei piatti e dei vasi erano più semplici, diciamo più funzionali e moderni. Poca era la produzione di ceramica artìstica o di oggetti di forma. Dopo il buon andamento industriale e commerciale negli anni che vanno dal 1878 al 1887, la diminuzione delle vendite denunciava lo stato di crisi che colpiva nuovamente l'industria ceramica monregalese, crisi che si accentuava maggiormente negli anni fra il 1893 e il 1897. Per la « Ceramica Andrea Salomone », relativamente piccola, con impianti più artigianali che industriali, la recessione non provocava squilibri molto gravi, anzi dava una nuova spinta alla sagacia imprenditoriale del Salomone. Iniziava in questo periodo la produzione di stoviglie comuni « all'uso di Antibo », ottenendo buoni risultati. Questi manufatti vennero fabbricati con alterno successo commerciale per vari anni (26). Con l'avvento del nuovo secolo u n a schiarita si aprì nella malata economia italiana ed u n a nuova floridezza si manifestò nelle varie industrie manifatturiere. Nella Ceramica Salomone, con le nuove necessità aziendali determinate dall'aumento dello smercio, vennero apportate piccole migliorie agli edifici e
NUOVA INDUSTRIA CERAMICA SULL'ELLERO di PRIMO SILVESTRINI « N.I.C.E. » Il 19 gennaio 1932, Primo Silvestrini (27), già occupato con mansioni direttive presso la ceramica « La Vittoria » di Mondovì, dimostrando uno spirito di intra157
INDUSTRIA CERAMICA SILVESTRINI PIANETTA « N.I.C.E. » Nel 1966, alla morte di Primo Silvestrini, la fabbrica passava per successione ereditaria ed acquisto a Vittorio Silvestrini, figlio, e Armando Pianetta, genero, assumendo la nuova denominazione sociale « Industria Ceramica Silvestrini Pianetta NICE » (30). Dal 1945 la produzione è sempre la tipica « Mondovì », irrobustita e migliorata negli impasti e nei decori e viene venduta in tutto il territorio nazionale e nei paesi del bacino Mediterraneo. Dal '45 al '68 il numero degli operai impiegati si aggirava sui 45/55, di cui la metà donne.
prendenza non comune, malgrado la congiuntura avversa, osò prendere in affitto e gestire proficuamente la fabbrica degli Eredi Salomone. L'impresa si dimostrava irta di difficoltà e solo l'audacia e la tenacia del nuovo imprenditore riuscirono a superare i primi, più duri ostacoli. Primo Silvestrini, che aveva trovato la fabbrica non solo inattiva, ma in pieno sfacelo, cambiò la ragione sociale in « Nuova Industria Ceramica sull' Ellero di Primo Silvestrini "N.I.C.E." » (28) e iniziò il lavoro apportando al complesso le prime, indispensabili migliorie. Infatti sistemò il fabbricato, riparò e integrò la rudimentale attrezzatura esistente. La concorrenza, continua e massiccia, dei complessi maggiori dislocati nelle vicinanze e la creazione dell' « Ufficio Unico Consorziale » — che riuniva le maggiori manifatture di ceramica nel monregalese — resero certamente più difficile l'attività della nuova impresa, ma la capacità organizzativa di Primo Silvestrini salvò l'azienda da un possibile nuovo collasso. Anzi, quasi a dimostrare la propria intraprendenza, sfidando l'opinione di coloro che giudicavano avventato ogni tentativo concorrenziale nel campo della terraglia dolce, nel 1938 acquistava gli edifici e gli impianti diventandone unico proprietario. In quell'epoca la manifattura produceva, in terraglia dolce, tutti gli articoli da tavola, da camera e da cucina ed era specialmente attrezzata per l'esportazione che si indirizzava verso la Libia, la Palestina, la Africa Orientale e le due Americhe (29); occupava circa 25 operai, dei quali metà donne e aveva u n a produzione di circa 400.000 pezzi annui. La guerra impedì, come in tutte le altre aziende similari, un ulteriore sviluppo industriale e commerciale perché l'approvvigionamento delle materie prime si fece difficile, il combustibile e la forza motrice scarseggiarono in modo tale che la produzione dovette essere interrotta dal 1942 al 1945. Alla ripresa dell'attività, nella primavera del 1945, vennero apportate nuove migliorie agli edifici e, nel 1946, venne installato un forno circolare di concezione nuovissima, funzionante a legna e carbone con un unico focolaio centrale. Nel 1948 fu installato un moderno forno elettrico a tunnel — il primo della zona — per la cottura del verniciato, unitamente ad u n a batteria di trasportatori aerei a catena, con funzione di essiccatoi e convogliatori del crudo alla bocca dei forni. Successivamente vennero montate altre catene ed altri trasportatori nel reparto foggiatura; qualche anno dopo veniva installato un altro forno elettrico a più canali ed a piastre striscianti, per la cottura contemporanea del biscotto e del verniciato.
Piatto Ø cm 32 Policromia verde e marrone Ceramiche Piemontesi Chiusa Pesio - 1948
Piatto Ø cm 32 Policromia Ceramica Piemontese Chiusa Pesio - 1958
158
CRONOLOGIA CHIUSA PESIO 1756 aprile 29
Muore Lorenzo Viale Guglielminetti. Eredita Arimondi Giuseppe.
1806 luglio 23 (2° termidoro Giuseppe Arimondi fu Giovanni Battista chiede e ottiene dal Consiglio Comunale di mettere un mulino a tre palmenti nei locali in cui. 13° R.F. e 1° Imp.) nel 1870, giravano le macine della maiolica. Il Marchese di Ceva fa opposizione dinanzi al R. Senato di Torino il quale delibera che il mulino venga distrutto. Con un accordo bilaterale al mulino fu sostituita u n a soppressa per olio di noci. Questo opifìcio passò, successivamente, in proprietà a Francesco Tomatis di Mondovì. 1833 ottobre 17
L'Architetto Michele Giordana di Cuneo acquista l'opifìcio e lo trasforma in fabbrica di maiolica bianca (terraglia tenera).
1836
Giuseppe Barberis acquista la fabbrica.
1858 aprile 6
Giuseppe Barberis fa progettare dal Geometra Pietro Giordana un « ...progetto di derivazione dell'acqua dal torrente Pesio pel moto di meccanismi della fabbrica di maiolica del Signor Giuseppe Barberis e de molino da grano di Pinetto... ».
1866 marzo
Salvatore e Giovanni Battista Gabutti acquistano l'opifìcio.
1927
Cessione della manifattura alla « S.p.A. Ceramica Piemontese ». Amministratore Delegato Bruno Nazzari, Consiglieri Andrea Marocco e Giovanni Battista Nepote;
1932
Causa con la « Società Ceramica Italiana » di Laveno per concorrenza sleale.
1933
Nomina dell'Ingegnere Eugenio Savasta-Fiore a liquidatore della « S.p.A. Ceramica Piemontese ».
1934
Costituzione della « S.A. per l'esercizio della Ceramica Piemontese ». Soci; Carlo Battaglia, Michele Falda ed Eugenio Savasta-Fiore che fu nominato Dirigente Procuratore, Amministratore Delegato Andrea Battaglia.
1944
Giovanni Battista Nepote viene nominato « facente funzione » direttore.
1945
Ritorno alla direzione dell'Azienda di Eugenio Savasta-Fiore.
1955
Scioglimento della « S.A. per l'esercizio della Ceramica Piemontese ». Costituzione della « S.p.A. Immobiliare Ceramica Piemontese », Amministratore Unico Dott. Andrea Battaglia e della « S.p.A. Gestione Ceramica Piemontese » sede in Chiusa Pesio, Presidente Ing. Pier Carlo Rovea, Consiglieri Ferrari Iolanda, Annibale Bussi, Antonio Caraglio.
1956 marzo 22
L'assemblea dei Soci, presieduta dall'Amministratore Unico Andrea Battaglia delibera l'aumento del Capitale Sociale da Lire 1.000.000 a Lire 30.000.000. Emissione di N. 30.000 obbligazioni da lire 1000 cadauna. Interesse 6 per cento.
1958 gennaio 11
La « S.p.A Immobiliare Ceramica Piemontese » ha assorbito la « S.p.A. Gestione Ceramica Piemontese » con la nuova Ragione Sociale: « S. p.A. Ceramica Piemontese » aumentando il Capitale Sociale a L. 50 milioni. Presidente Ing. Pier Carlo Rovea, Consiglieri: Bessone Rag. Giuseppe. Bussi Annibale, Caraglio Antonio. Consiglio di Amministrazione: Presidente Ing. Pier Carlo Rovea, Amministratore Delegato Caraglio Antonio 1968
1876 1879
Affitto della fabbrica ceramica « Le Moline » in Vicoforte adibendola alla produzione di 360.000 pezzi in biscotto che verranno decorati e verniciati nello stabilimento di Chiusa Pesio. SALOMONE — SILVESTRINI a VILLANOVA Regione Pasquero Andrea Salomone e Fratelli con Giovanni, Giuseppe e Maria Messa fondano la ceramica. I fratelli Messa cedono la loro quota ai fratelli Salomone.
1881 settembre 25
Andrea Salomone diventa unico proprietario della fabbrica ceramica in seguito alla divisione dei beni.
1917 luglio 27
Decesso di Andrea Salomone ereditano: Michele Salomone 4/6; Caterina in Ellena 1/6; Rosetta Salomone 1/6.
1917 ottobre 10
Per rinuncia la proprietà rimane del solo Michele Salomone.
1925 marzo 24
Decesso di Michele Salomone ereditano: Fechino Clementina vedova Salomone e Ellena Giovanni, Bartolomeo, Andrea, Michele.
1928 giugno 16
In seguito a divisione giudiziaria la proprietà della fabbrica Ceramica viene assegnata a Fechino Clementina vedova Salomone.
1932 gennaio 19
Primo Silvestrini affitta la ceramica Salomone, ragione sociale è « Nuova Industria Ceramica sull'Ellero di Primo Silvestrini » o « N.I.C.E. ».
1938 giugno 12
Acquisto degli immobili da parte di Primo Silvestrini.
1966 maggio 23
Morte di Primo Silvestrini. Successione ereditaria Vittorio Silvestrini, acquisto quota Pianetta Armando, ragione sociale « Industria Ceramica Pianetta Silvestrini « N.I.C.E. ».
NOTE 1) PIETRO NALLINO
2) D. GIAMBATT. BOTTERI 3) GIUSEPPE PRATO 4) C. IGNAZIO GIULIO 5) 6) 7) 8)
ARCHIVIO COMUNALE BIAGIO GARANTI ARCHIVIO COMUNALE FELICE AMATO e DUBOIN
9) VINCENZO BARELLI 10) A. CAVALLARI MURAT 11) 12) 13) 14) 15) 16) 17) 18) 19) 20) 21) 22) 23) 24) 25) 26) 27)
D. GIAMBATT. BOTTERI GIUSEPPE CORONA FEDERICO BASSIGNANO ETTORE SCHEDA ETTORE SCHEDA GIOVANNI ANSALDI EUGENIO SAVASTA-FIORE EUGENIO SAVASTA-FIORE EUGENIO SAVASTA-FIORE EUGENIO SAVASTA-FIORE EUGENIO SAVASTA-FIORE Notaio CARPANI Rogito Avvocato GIACCONE GIUSEPPE CORONA GIUSEPPE CORONA FEDERICO BASSIGNANO
28) ARMANDO PIANETTA 29) 30) ARMANDO PIANETTA
Il corso del fiume Pesio, Mondovì, 1782 — pag. 33; ...Molti vasai formano colà continuamente tanta quantità d'ogni sorta di vasi, che ne fanno un negozio lucroso; mentre per la qualità, e bontà della terra resistendo al calore del fuoco, incontrano dappertutto un copioso smaltimento, e vengono condotti fino nella Provenza, e nella Francia... Memorie storiche della Chiusa di Pesio, Torino, 1884 — pag. 141; La vita economica in Piemonte a mezzo del secolo XVIII, Torino, 1908 — pag. 258; Giudizio della Regia Camera di Agricoltura e Commercio di Torino e notizie sulla patria industria, Torino, 1844 — pag. 99; di Chiusa Pesio, Volume 94 — Statistica del 16 settembre 1763; La Certosa di Pesio, Torino, 1900 — vol. I, pag. CXI; di Chiusa Pesio, Foglio n. 460 del Catasto (Libro dei Trasporti); Raccolta per ordine di materia delle leggi, cioè editti, patenti, manifesti, etc. emanati negli stati di terraferma fino all'8 dicembre 1798 dai Sovrani della Real Casa di Savoia, Tomo 17 — titolo XXXIV — pagg. 412, 413, Torino, 1850; Cenni di statistica mineralogica degli stati di S.M. il Re di Sardegna, Torino, 1835 — pagg. 274, 275; Cristalli e vetri del Piemonte, da: « Bollettino della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti », Torino, 1947, n. 1-4 — pag. 96; Memorie storiche della Chiusa di Pesio, Torino, 1884 — pag. 141; La Ceramica, Milano, 1885 — pag. 546; Annuario della Provincia di Cuneo — 1897 — pag. 137-B; Note ed appunti, Chiusa Pesio, 1970; Note ed appunti, Chiusa Pesio, 1970; Note, Chiusa Pesio, 1965; Note ed appunti, Torino, 1970; Note ed appunti, Torino, 1970; Note ed appunti, Torino, 1970, Note ed appunti, Torino, 1970; Note ed appunti, Torino, 1970; 11 Gennaio 1958 Rep. 13619 Fasc. 6797; 3 gennaio 1964 Rep. 16162/5373; La Ceramica, Milano, 1885 — pag 545; La Ceramica, Milano, 1885 — pag. 546; Annuario della Provincia di Cuneo, 1897 — pag. 347/B; Annuario dell'Industria Italiana della Milano, 1939 — pag. 264; Note ed appunti, Villanova 1968; Annuario dell'Industria Italiana della Milano, 1939 — pag. 264; Note ed appunti, Villanova, 1968;
Ceramica
e
dei
Laterizi,
Ceramica
e
dei
Laterizi,
CERTOSA DI P E S I O CHIUSA P E S I O E VILLANOVA MICHELE GIORDANO
CHIUSA PESIO
1833-1836
(impressi in pasta)
GIUSEPPE BARBERIS CHIUSA PESIO 1836-1866
(impressi in pasta)
SALVATORE E GIOVANNI BATTISTA GABUTTI CHIUSA PESIO
(impressi in pasta)
(in bleu o marrone o verde)
(in bleu o nero)
(impressi in pasta)
161
1866-1927
SALVATORE E GIOVANNI BATTISTA GABUTTI CHIUSA PESIO
1866-1927
(impresso in pasta) (in bleu o marrone)
(in bleu o marrone)
(in violaceo o marrone)
(in nero o bleu o marrone)
(in violaceo o marrone) questo contrassegno è unito a FRATELLI GABUTTI impresso in pasta
CERAMICA PIEMONTESE
CHIUSA PESIO
1927 in funzione
(in bleu o marrone o verde o nero)
(in bleu o marrone o verde o nero)
(in bleu o marrone o verde)
162
LORIS E WALTER DELL'ANESE CHIUSA PESIO 1950 in funzione
(in nero)
ANDREA SALOMONE VILLANOVA
(impressi in pasta)
1876-1928
(in bleu o marrone)
PRIMO SILVESTRINI N.I.CE. VILLANOVA 1932-1966 VITTORIO SILVESTRINI & ARMANDO PIANETTA N.I.CE.
(impressi in pasta)
VILLANOVA 1966 in funzione
(in nero o bleu o marrone)
(in bleu o marrone) (in bleu)
(in bleu)
163
Piatto Ø cm 31 Policromia Fratelli Gabutti Chiusa Pesio - 1866-1890
164
LE FABBRICHE DI V I C O F O R T E MONBASIGLIO CEVA Nel 1840 Goffredo Casalis (6) scriveva: « ...Nella regione dei Martini si rinvengono argilla figulina bianca e compatta,... argilla colorata in giallo traente al rosso... e argilla figulina ottima avente molto nerbo: questa trovasi nella regione delle Moline. La fabbrica di stoviglie del Signor Benedetto Musso esistente in Carassone e quella dei Signori Dortu, Richard & Comp. in Torino, valgonsi specialmente di quest'argilla nella formazione delle loro stoviglie. A Vico l'argilla figulina... somministra la materia necessaria alle fabbriche di stoviglie esistenti non solo in Torino, ma ben anche nella Chiusa... ».
Già nel secolo XVII i figuli savonesi conoscevano e adoperavano la terra di Vicoforte (1). Nel secolo XVIII a Vicoforte si producevano i « crusi », bottiglie un po' tozze, con un'ansa laterale vicina al collo, contenenti un po' più di mezzo litro di liquido, verniciate sia allo interno che all'esterno nei colori ocraceo e manganese. Erano prodotti in terra rossa, ma molto più grésificati delle normali stoviglie ordinarie per cucina che si producevano nei paesi vicini (2). La loro fattura denota l'indubbia abilità degli operai addetti alla miscela delle terre e alla modellazione. Nell'impiantare la sua fabbrica in Carassone, Benedetto Musso aveva ben considerato l'esigua distanza delle cave dalle quali estraeva gran parte della materia prima che gli occorreva. Nel 1835 Vincenzo Barelli (3) scriveva: « ...A Vico, nella regione dei Martini, trovasi argilla figulina bianca; altra argilla figulina ottima, avente molto nerbo, trovasi in abbondanza nella regione delle Moline. La fabbrica di terraglia stabilita in questa capitale (Torino) dai Signori Dortu, Richard e C. e quella del Signor Benedetto Musso esistente in Carassone, sobborgo di Mondovì, valgonsi specialmente di quest'argilla nella formazione delle loro terraglie., ».
Ancora nella prima metà del secolo XIX i fratelli Clarotti producevano i tradizionali « crusi ». Luigi Gri¬ baudi, nel 1849 o nel 1850, visti i successi di tanti stabilimenti relativamente distanti dai luoghi ove si estraeva la materia prima, lusingato dal fatto di avere la argilla figulina quasi sulla porta della fabbrica, acquistava il piccolo opifìcio dei fratelli Clarotti e fondava la « Ceramica delle Moline » iniziando la lavorazione della stoviglieria unitamente alla terraglia tenera. Stranamente alcuni marchi di questa fabbrica, apposti sulle ceramiche di sua produzione, portano chiaramente impresso o stampato il nominativo « GREBAUDI » anziché « GRIBAUDI »; ricerche fatte su atti notarili e nell'Ufficio di Stato Civile del Comune di Vicoforte hanno confermato che la dizione giusta è « GRIBAUDI ».
« ...A Vico l'argilla figulina forma l'oggetto principale di due coltivazioni che somministrano le terre necessarie alle fabbriche di terraglia di Torino, Carassone e a quella del Signor Giordana di Cuneo ultimamente stabilita alla Chiusa (4). Una di queste cave, posta alla sommità della collina detta delle Moline, si coltiva a galleria coperta; l'altra, posta inferiormente è coltivata da un certo Barberis (5), carrettiere di Vico, e si coltiva a cava scoperta... ».
Nel 1889 la piccola fabbrica risultava di proprietà di Luigi Gribaudi fu Giuseppe e Giovanni Benso fu Francesco, coadiuvati da Lorenzo Gribaudi, figlio di 165
intera proprietà della ditta che, nel '21, veniva consolidata nel solo Lorenzo Gribaudi. Un operaio, Cesare Martini, che in quell'anno lavorava in fabbrica, ricorda che la produzione era composta di piatti, scodelle, insalatiere, tazze, tazzoni, pitali, brocche e catini. Nel forno, funzionante ancora a legna, cuocevano circa 1400 « conti » di articoli ceramici (un conto equivaleva a 20 piatti).
Luigi. Producevano piatteria in un forno « circolare » a due piani con u n a sola bocca da fuoco. Nel fondo del forno era ricavata u n a cavità a forma di ciotola che serviva per la fusione della « fritta » per la vernice. A raffreddamento avvenuto, un operaio s'introdu¬ ceva nel fornaciotto ed a colpi di mazza e scalpello estraeva le scaglie di vernice che, successivamente sminuzzate, venivano macinate in due mulini a pietre piatte. Adiacente v'era un forno a « riverbero » per la preparazione del litargirio. Il fornacino a riverbero, per la riduzione del piombo, era costituito da una vasca quadrata di ghisa di m. 1,30 per 1,30 e di 20 cm d'altezza, a forma di padellone che veniva posto in una specie di forno con tiraggio. Sotto il padellone veniva mantenuto il fuoco, mentre nella sua cavità veniva situato il piombo metallico a fondere. La pellicola di piombo ossidato (litargirio) veniva prelevata per essere usata nella composizione della fritta. La macinazione dell'impasto avveniva in dieci mulini a pietra piatta, di cui due, per la macinazione dei prodotti destinati alla vernice, erano mossi da u n a ruota idraulica. L'argilla veniva miscelata in uno scioglitore, unitamente alla silice e alla dolomite preventivamente macinate nei mulini a pietra piatta, per farne u n a barbotina omogenea; questa era lasciata rassodare in vasche all'aperto, che nella buona stagione venivano vuotate mentre il materiale, travasato in ciotole, era esposto al sole per l'indurimento. La pasta veniva « battuta » molte volte con u n a sbarra di ferro perché fosse più omogenea quindi foggiata col primitivo tornio a pedale.
Gli operai occupati erano, normalmente, quindici, la metà dei quali donne. Nel 1927, per ragioni di ordine commerciale la fabbrica veniva chiusa; nel 1929 riprendeva a funzionare, solo temporaneamente, per poter mantenere il diritto allo sfruttamento della forza motrice generata dall'acqua che, non utilizzata entro tre anni, sarebbe scaduto. In quel periodo veniva prodotta u n a sola fornaciata. Questo piccolo tentativo di riprendere la produzione venne seguito dalle conseguenze della catastrofica « grande crisi » e la fabbrica, anche per vari altri motivi, rimaneva inattiva fino al 1939. Nel '37, in seguito al decesso di Lorenzo Gribaudi, la proprietà della ditta passava per successione ai figli Paolina per 4/6, Luigi per 1/6 e Giovanna per 1/6, rimanendo usufruttuaria Rosa Caterina vedova Gribaudi. Nel 1939 gli eredi Gribaudi cedevano la fabbrica a Cesare Imassi, il quale, coadiuvato dal Signor Briatore, iniziava la produzione di vasetti per unguenti unitamente a quella delle stoviglie. Secondo notizie fornite dal signor Cesare Martini, nel primo anno vennero prodotte due fornaciate e nel secondo quattro, ma la guerra provocava l'arresto totale della produzione per mancanza di materie prime.
Le periodiche crisi che colpivano l'industria ceramica non avevano che un effetto marginale sull'andamento di questa piccola industria artigiana a conduzione prettamente familiare. Nel 1893 con la morte di Luigi Gribaudi, la fabbrica passava in proprietà per successione a Lorenzo, Maddalena, Stefano Gribaudi e alla vedova Paola Sevega, rimanendo usufruttuario Giovanni Benso, già socio di Luigi Gribaudi. Nel 1898, superata la più grave crisi della industria ceramica monregalese, Lorenzo, Maddalena e Stefano, figli di Luigi Gribaudi, estinguevano l'usufrutto acquistando le quote mancanti e diventavano gli unici proprietari della fabbrica. Da pochi anni era stata ripresa la produzione di stoviglie ordinarie e per cucina, ottenendo buoni risultati sia tecnici che commerciali, tanto che questi manufatti vennero fabbricati fino al 1915.
Nel 1943 la fabbrica veniva acquistata da Paolo Cuniberti e Armando Malleolo che, successivamente, iniziavano piccole migliorie atte ad incrementare la produzione acquistando, fra l'altro, un mulino a doghe di legno del diametro di m. 1,40, già in uso presso la S.p.A. La Vittoria di Mondovì. Nel 1946 costruivano il primo forno circolare a fiamma rovescia a otto bocche e la relativa ciminiera quadrata; nel 1947 riprendevano la produzione di stoviglie con scarso rendimento industriale e commerciale perché la merce prodotta risultò invendibile essendo di qualità scadente o imperfetta. Per tentare di porre rimedio a questo stato di cose, Cuniberti e Malleolo, nel 1948, ingaggiavano il tecnico ceramista Bartolomeo Ansaldi che studiava nuovi piani di lavorazione. Veniva ricostruito il fornacino per fondere la fritta attrezzandolo per la cottura a nafta; nel 1949 veniva acquistata una filtropressa e costruito un nuovo scioglitore; nel 1950 la ditta Beltrandi di Mondovì cedeva un'impastatrice che funzionava con ruota idraulica e il mulino a doghe di legno veniva sostituito con un altro in ferro. Con que-
Con alterne vicende, la piccola fabbrica superava le traversie dovute allo stato di guerra: difficoltà nel reperimento delle materie prime, scarsità di combustibile, inceppi nella distribuzione del prodotto finito. Nel 1918 Lorenzo e Stefano Gribaudi assorbivano la 166
le veniva ulteriormente ridotto a cinque unità e la produzione riservata al solo biscotto. Gli articoli prodotti, in seguito alla convenzione con la « S.p.A. Ceramica Piemontese », erano esclusivamente piatti piani, fondine e fruttiere, mentre la decorazione veniva eseguita nello stabilimento di Chiusa Pesio, al pari della cottura della vernice. Si doveva adottare questo ripiego perché la fabbrica, ormai troppo piccola per le moderne esigenze, non poteva produrre merce finita: infatti si sarebbe dovuto installare un forno continuo e tutte le attrezzature per poter ottenere una produzione di verniciato talmente alta da competere validamente con la concorrenza. Ciò avrebbe però determinato u n a maggiore produttività con conseguente difficoltà di collocamento per la mancanza di adeguata organizzazione di smercio. La realizzazione di una fabbrica a ciclo completo avrebbe anche richiesto un investimento non indifferente di capitale che non sarebbe stato abbastanza remunerato.
ste piccole, indispensabili migliorie, la lavorazione procedeva un po' più veloce, anche perché l'essiccazione della pasta non dipendeva esclusivamente dalle condizioni atmosferiche. Nello stesso anno la quota di Armando Malleolo veniva acquistata da Felicita Bruno, moglie di Cuniberti. Nel 1951 nella lavorazione della terraglia dolce veniva introdotta la decorazione ad aerografo, la produzione così migliorò e le vendite, per diretta conseguenza, aumentarono. Nel 1952 veniva acquistato un mulino di cm 80 per macinare le vernici, mentre nel 1954, per ottenere maggior spazio, Paolo Cuniberti acquistava e demoliva un portico prospiciente la fabbrica e, inoltre, copriva un canale di scarico per ricavarne una piazzetta. La produzione, nel frattempo, aveva raggiunto i 50.000 pezzi mensili e il personale occupato risultava di 16 persone, delle quali 10 donne. Nel 1955 il tecnico ceramista Bartolomeo Ansaldi abbandonava la consulenza tecnica della « Ceramica Le Moline », per assumere altro incarico direttivo in una fabbrica ceramica all'estero. Nel '61 l'azienda veniva ceduta ad Alceste e Maria Braida per il 50% e a Renato e Giorgio De Giovannini per l'altro 50%; costoro, sperando in u n a rapida ripresa commerciale, costruivano un nuovo forno a fiamma rovescia ad otto bocche, demolivano le volte a botte che impedivano la circolazione dell'aria e provocavano il ristagno dei gas generati dai forni, e infine installavano un'impastatrice per preparare il tufo. Ma nuove difficoltà economiche, dovute in gran parte alla forte concorrenza dei complessi maggiori, imponevano nuove soluzioni tecniche per migliorare il prodotto e diminuirne il costo.
La produzione, nel 1965, si aggirava sui 35.000 pezzi mensili. Per la prima volta la lavorazione si svolgeva tutto l'anno, mentre precedentemente si interrompeva nei mesi invernali. Nel '68 l'Ingegnere Pier Carlo Rovea scioglieva la « Società Gestione Ceramica Moline » e la fabbrica veniva affittata dalla « S.p.A. Ceramica Piemontese » di Chiusa Pesio. Il personale, ridotto a sole quattro unità, di cui due donne, faceva parte integrante di quello di Chiusa Pesio, essendo la piccola fabbrica di Vicoforte stabilimento aggregato. La produzione di soli piatti piani e fondi, era di 30.000 pezzi mensili in biscotto. Il tecnico ceramico Bartolomeo Ansaldi preparava un nuovo impasto, il 138/8, in terra semiforte, che aveva tutte le qualità dell'impasto duro, ma con bi¬ scottatura di 80° in meno degli abituali 1200°. La decorazione e la verniciatura venivano fatte sempre nello stabilimento di Chiusa Pesio. Solo l'unificazione della amministrazione e la nuova tecnica di lavorazione consentiva di mantenere in vita la piccola industria, benché poco redditizia: era infatti posta in posizione disagiata rispetto alle vie di grande comunicazione, aveva perduto l'economicità nell'impiego della legna come combustibile e non era più sufficiente l'energia idraulica che doveva e deve essere integrata con quella elettrica.
Nel 1962 Bartolomeo Ansaldi, assumendo la direzione tecnica della « S.p.A. Ceramica Piemontese » assieme all'Ingegnere Pier Carlo Rovea, suggeriva alcune importanti innovazioni nelle attrezzature della fabbrica delle Moline. Venivano acquistati torni raggianti per gli stampatori, adottato un motore elettrico per l'impastatrice e installata u n a macchina automatica per decorare. Con questi suggerimenti e consigli, uniti ad un discreto sostegno finanziario, aveva inizio la collaborazione tecnica e industriale con la « Ceramica Moline », costituita dall'Ing. Pier Carlo Rovea e dalla moglie Alena, che affittavano la fabbrica dei soci Braida e De Giovannini. Da quest'epoca aveva inizio la lavorazione con l'impasto 136, sempre in terraglia dolce ma di una composizione particolare, che lo rendeva più duro, evitando le sbocconcellature sui bordi. Il persona-
Ormai non sussistono più i presupposti economici atti a continuare la produzione ceramica in Vicoforte: solo l'appoggio e la collaborazione di una manifattura che assorba tutto il prodotto semilavorato può consentire la sopravvivenza di questo piccolo opificio. 167
MOMBASIGLIO Lorenzo Montefameglio, che il 19 gennaio 1859 aveva affittato da Stefano Magliano la fabbrica di terraglia in Mondovì, nel rione Pian della Valle, veniva sfrattato nel 1867 dal nuovo proprietario Giuseppe Besio quando questi, dopo u n a lunga lite con il Magliano stesso, ottenne, in seguito a giudizio favorevole, la proprietà dell'immobile adibito a manifattura ceramica. Il 19 maggio 1870, Lorenzo Montefameglio acquistava dalla Marchesa Antonietta Carrega, vedova ed erede del Conte Vittorio Vianson Ponte (7), un edificio sito nel Comune di Mombasiglio (già filanda e filatoio da seta, uno dei più grandi del Piemonte, che dava lavoro a più di un centinaio di operai (8), per trasformarlo in fabbrica di terraglia tenera, Pur non avendo dimostrato di possedere grandi doti di organizzatore, egli aveva già diretto per sette anni la fabbrica di Mondovì acquistando una esperienza non irrilevante; con il trasferimento a Mombasiglio, dove sorgeva un edificio di grandi dimensioni e dove poteva utilizzare maestranze già abituate al metodico lavoro di fabbrica, concludeva un affare finanziariamente buono. Tuttavia si accingeva ad organizzare una manifattura economicamente non promettente: il territorio di Mombasiglio infatti è posto relativamente lontano dalla strada nazionale, non è servito dalla rete ferroviaria, non possiede materie prime nelle immediate adiacenze, mentre i mercati erano, dati i tempi, troppo decentrati. Inoltre doveva necessariamente istruire le maestranze che cambiavano modi e metodi di lavorazione.
Piatto Ø cm 22,5 Policromia Luigi Gribaudi - Vicoforte 1885-1893
L'azienda funzionò, con produzione decrescente, fino al 15 maggio 1878, giorno in cui la fabbrica fu posta sotto sequestro in seguito ad una sentenza del Tribunale di Mondovì in favore della Marchesa Antonietta Carrega (9). La vita di questa manifattura, nata sotto cattivi auspici — proprio nel periodo in cui si facevano sempre più violenti i subbugli e le proteste per l'applicazione della « tassa del macinato » — si annunciò subito irta di difficoltà. Nel 1871, per un tutt'altro che insolito giuoco di valori economici, mentre i salari erano stati aumentati, i prezzi di vendita della terraglia dovevano mantenersi entro limiti molto bassi per consentirne l'acquisto ad una clientela che fruiva di un reddito molto modesto. Si verificarono, poi, il ristagno degli affari causato dal periodo del corso forzoso, e la stasi del commercio, aumentata ancora di più nel 1873 in seguito alla grave crisi bancaria ed assicurativa che accentuava
Piatto Ø cm 22,5 Policromia Luigi Gribaudi - Vicoforte 1889-1899
168
Nel 1893, intravedendosi u n a schiarita nel commercio della terraglia, la fabbrica veniva riattivata da Emanuele Garelli di Lisio che, due anni dopo la cedeva, forse per difficoltà economiche. Nel 1895 il nuovo gestore Casimiro notaio Ambrosio (11) tentava fortunosamente il rilancio dell'opificio affiancando alla produzione della terraglia tenera, stoviglie comuni e per cucina, ma già nel 1902 (12) malgrado la congiuntura economica favorevole, la fabbrica veniva chiusa e le maestranze licenziate. Dopo un lungo periodo di inattività l'edificio, venduto, veniva destinato ad altri usi.
la mancanza di denaro liquido, indispensabile per le ditte prive di riserve. Nel 1878, quando qualche schiarita si notava all'orizzonte della malata economia monregalese, la fabbrica di Mombasiglio falliva. La produzione, malgrado tutte queste vicissitudini, era buona: pur ricalcando lo stile « vecchia Mondovì », in certi pezzi se ne staccò dimostrando inventiva e originalità, mentre i prodotti decorati a mano o stampati si confondono con quelli dei migliori concorrenti monregalesi. Gli operai occupati, agli inizi del funzionamento della fabbrica, erano circa venticinque e percepivano una paga giornaliera da L. 1,90 a L. 3,50 per gli operai; da L. 0,90 a L. 1,15 le operaie; da L. 1,40 a L. 1,90 i manovali; da L. 0,70 a L. 1,20 per i ragazzi da dodici a diciotto anni. L'argilla veniva tratta dalle cave di Vicoforte, il quarzo da Frabosa Sottana e il calcare da Villanova. La fabbrica era dotata di due forni che venivano alimentati con legna di castagno. I colori e la vernice venivano in parte prodotti in fabbrica e in parte importati. La produzione annua si aggirava sui 350.000 pezzi per un valore di L. 44.000, che veniva smerciata in Piemonte, Liguria e Lombardia.
CEVA Nel comune di Ceva esistevano certamente fabbriche ceramiche. Michelangelo Pellegrino, in uno scritto su Giuseppe Besio (14) notava che questi nel 1813, a sette anni, lavorava come apprendista in una fabbrica di stoviglie di Ceva. Anche in Giovanni Olivero (15), che scriveva nel 1858, è affermata l'esistenza di tre fabbriche di stoviglie. A conferma di ciò Gustavo Strafforello. nella sua « Geografia d'Italia » (16) notava che in Ceva vi erano « ...fabbriche di stoviglie... ». Tutto questo è quanto si sa e quanto è stato accertato sulle fantomatiche manifatture ceramiche di Ceva.
Con il fallimento di Lorenzo Montefameglio, dichiarato il 15 maggio 1878, l'edifìcio in cui era ospitata la manifattura ceramica ritornava di proprietà della Marchesa Antonietta Carrega che, nel 1882, lo affittava a Giovanni Pecollo, Antonio Viglione e Giovanni Boffano, soci. La nuova gestione faceva funzionare la fabbrica a ritmo ridotto, ma i motivi strutturali e contingenti, che già avevano portato al dissesto il fondatore della manifattura, permanevano e, anzi, si aggravavano per l'accentuarsi della concorrenza e per il disagio commerciale conseguente alla crisi economica. Il nuovo dissesto, avvenuto nel 1887, fu perciò inevitabile. Vari pezzi, datati 1884 e firmati « Giovanni Pecollo », dimostrano che questa produzione era indubbiamente inferiore a quella normale già fabbricata in Mombasiglio da Lorenzo Montefameglio e a quella tipica di Mondovì per u n a decorazione molto più semplice e, in certi prodotti, per una qualità assai più dozzinale.
E' indubbio che la posizione geografica di questa città era estremamente favorevole all'insediamento di fabbriche di ceramiche, considerando la vicinanza di cave di argilla figulina, l'abbondanza d'acqua per muovere mulini adatti a macinare e miscelare le terre, e l'eccezionale copiosità di legna da ardere. Inoltre la produzione poteva essere facilmente smerciata, poiché Ceva è posta alla confluenza di strade e vallate, al centro di una zona dove l'agricoltura era fiorente: ampio era quindi il mercato di generi indispensabili alla vita familiare. Dopo il 1860 non si hanno notizie di fabbriche di ceramiche di qualsiasi genere.
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CRONOLOGIA FABBRICA CERAMICA « LE MOLINE » IN VICOFORTE 1849 0 1850
Luigi G r i b a u d i a c q u i s t a la f a b b r i c a c e r a m i c a dei Fratelli C l a r o t t i e f o n d a la « C e r a m i c a delle M o l i n e ».
1889
La f a b b r i c a r i s u l t a di p r o p r i e t à di Luigi G r i b a u d i e G i o v a n n i Benso.
1893 s e t t e m b r e 28
Decesso di Luigi G r i b a u d i , e r e d i t a n o : Lorenzo, M a d d a l e n a e S t e f a n o G r i b a u d i ; P a o l a S e v e g a ved. G r i b a u d i e G i o v a n n i Benso u s u f r u t t u a r i o .
1898 agosto 13
P e r a c q u i s t o e successione la p r o p r i e t à della « C e r a m i c a delle Moline » p a s s a i n t e r a m e n t e a Lorenzo, M a d d a l e n a e S t e f a n o G r i b a u d i . Paola Sevega usufruttuaria.
1918 ottobre 4
Lorenzo e Stefano G r i b a u d i a s s o r b o n o l ' i n t e r a p r o p r i e t à della ditta.
1921 ottobre 15
Lorenzo G r i b a u d i d i v e n t a u n i c o p r o p r i e t a r i o p e r r i n u n c i a del fratello Stefano.
1937 m a g g i o 7
M o r t e di Lorenzo G r i b a u d i , e r e d i t a n o i figli P a o l i n a 4/6, Luigi 1/6, Giov a n n i 1/6; u s u f r u t t u a r i a Rosa C a t e r i n a ved. G r i b a u d i .
1939 gennaio 2
C e s a r e I m a s s i e B r i a t o r e affittano la f a b b r i c a .
1942 gennaio 2
R i n u n c i a dei Soci I m a s s i e B r i a t o r e alla p r o s e c u z i o n e della i m p r e s a .
1943 m a r z o 3
V e n d i t a dell'Azienda a C u n i b e r t i Paolo e Malleolo A r m a n d o .
1950 m a g g i o 13
L a q u o t a d i Malleolo A r m a n d o v i e n e a c q u i s t a t a d a B r u n o Felicita, m o glie di C u n i b e r t i Paolo.
1961 gennaio 22
L a d i t t a viene a c q u i s t a t a d a B r a i d a Alceste, B r a i d a M a r i a , G i o v a n n i n i R e n a t o e G i o v a n n i n i Giorgio.
1965
La g e s t i o n e della F a b b r i c a viene a s s u n t a d a l l a « Società C e r a m i c a Moline » c o s t i t u i t a d a l l ' I n g e g n e r e Pier C a r l o R o v e a e d a l l a m o g l i e Allena.
1968
La « Società C e r a m i c a Moline » v i e n e sciolta e la f a b b r i c a v i e n e affitt a t a d a l l a « S.p.A. C e r a m i c a P i e m o n t e s e » di C h i u s a Pesio c o m e stabilimento aggregato. M A N I F A T T U R A DI MOMBASIGLIO
1870 maggio 19
Lorenzo M o n t e f a m e g l i o a c q u i s t a d a l l a M a r c h e s a A n t o n i e t t a C a r r e g a un f a b b r i c a t o in M o m b a s i g l i o g i à filanda e filatoio da s e t a A t t o N o t a io Drochi. t r a s c r . e s e g u i t a il 14-6-1870 Vol. 43 Cas. 2345; Vol. 18 A r t . 246; Vol. 24 N. 46.
1878 maggio 15
F a l l i m e n t o . S e q u e s t r o a f a v o r e della M a r c h e s a A n t o n i e t t a C a r r e g a degli stabili in Mombasiglio. T r a s c r i z i o n e 15-4-1880 Vol. 118; cas. 1435; Vol. 58; A r t . 292; Vol. 104 N. 92.
1882
La M a r c h e s a A n t o n i e t t a C a r r e g a affitta a G i o v a n n i Pecollo, A n t o n i o Viglione e G i o v a n n i Boffano la f a b b r i c a c e r a m i c a .
1887
Dissesto e c h i u s u r a dell'opificio.
1893
E m a n u e l e Garelli di Lisio r i a t t i v a la m a n i f a t t u r a .
1895
Il n o t a i o C a s i m i r o A m b r o s i o r i l e v a e r i a t t i v a la m a n i f a t t u r a .
1902
I n t e r r u z i o n e della p r o d u z i o n e e c h i u s u r a dell'opificio.
1913
L'edificio, v e n d u t o , v i e n e d e s t i n a t o ad a l t r i usi.
NOTE 1) CHABROL DE VOLVIC
Statistique des Provinces de Savone, d'Oneille, d'Acqui et de la partie de la province de Mondovì formant l'ancien Département de Montenotte, Paris, 1824 — vol. II — pag. 280;
2) BARTOLOMEO ANSALDI
Note ed appunti;
3) VINCENZO BARELLI
Cenni di statistica mineralogica degli Stati di S.M. il Re di Sardegna, Torino, 1835 — pag. 274;
4) G.B. BOTTERI
Memorie storiche sulla Chiusa di Pesio, Torino, 1884 — pag. 140;
5)
Nel 1836 acquista la fabbrica di terraglia di Chiusa Pesio il Sig. Giuseppe Barberis che si presume sia lo stesso citato dal Vincenzo Barelli;
6) GOFFREDO CASALIS
Dizionario geografico, storico, statistico, commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna, Torino, 1835-1842 — vol. XXV — pagg. 91 e segg.;
7) Atto NOTAIO DROCHI
del 19.5.1870, trascrizione eseguita il 14.6.1870;
8) GIOVANNI OLIVERO
Memorie storiche della città e marchesato di Ceva, Ceva, 1858 — pag. 354;
9) SENTENZA del TRIBUNALE
di Mondovì del 15.5.1878, trascrizione eseguita il 15.4.1880;
10) EMILIA BORGHESE
Vita sociale nel monregalese nel ventennio 1850-1870, da: « Bollettino della Società Studi Archeologici ed Artistici della Provincia di Cuneo, Dicembre 1957 - gennaio 1958 — nn. 39-40 — pag. 124;
11) FEDERICO BASSIGNANO
Annuario della Provincia di Cuneo, Cuneo, 1897 — pag. 398 B;
12)
Guida Oggero della Provincia di Cuneo, Cuneo, 1902 — pag. 382;
13)
Guida Oggero della Provincia di Cuneo, Cuneo, 1914 — pag. 395;
14) MICHELANG. PELLEGRINO
La ceramica monregalese, da: — n. 11 — pag. 10;
15) GIOVANNI OLIVERO
Memorie storiche della città e marchesato di Ceva, Ceva, 1858 — pag. 23;
16) GUSTAVO STRAFFORELLO
Geografìa d'Italia, "La Provincia di Cuneo", Torino, 1891 — vol. IV — pag. 105.
« Ponente d'Italia », Savona, 1962
VICOFORTE MONBASIGLIO CEVA GRIBAUDI
VICOFORTE
1850-1939
(in bleu o marrone o verde o nero)
(in bleu o marrone o verde)
(impresso in pasta)
MANIFATTURA DI MOMBASIGLIO
1870-1902
(impressi in pasta)
(in bleu o marrone)
(impresso in pasta) (in rosso)
(in rosso o verde)
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STOVIGLIE C O M U N I E ORDINARIE O P P U R E «ALL'USO DI ANTIBO» DETTE A N C H E «TIPO A L P I MARITTIME»
CEVA CHIUSA PESIO DOGLIANI MONDOVÌ MOROZZO SAVIGLIANO VICOFORTE VILLANOVA
FELICE AMATO DUBOIN: Raccolta per ordine di materie delle leggi cioè editti, patenti, manifesti, ecc. emanati nello Stato di Terraferma sino all'8 Dicembre 1789 da Sovrani della Real Casa di Savoia. Tomo 17 — Titolo XXXV (della m a n i f a t t u r a di stoviglie ed altri oggetti inservienti agli usi domestici e delle arti con porcellana, maiolica e semplice argilla detta volg a r m e n t e terra). Torino, 1850 — pagg. 528, 529. « ...L'industria della fabbricazione della cosiddetta terraglia, che i francesi appellano « poterie », è a credersi sia stata negli Stati nostri come in ogni p a r t e del mondo, introdotta sin dai più remoti tempi, sibben non consti alcun legislativo provvedimento della sua esistenza p r i m a del secolo scorso. La poca abilità richiesta nelle sue produzioni, il trovarsi quasi ovunque la m a t e r i a prima, più o meno buona, la poca spesa richiesta per stabilire le occorrenti fabbriche e l'essere p u r e g r a n p a r t e dei suoi prodotti oggetti di prima necessità, specialmente per le classi povere, fecero sì che l'esercizio di questa industria potè avere origine e prospero incremento senza che fosse necessario che l'attività governativa vi cooperasse. Di qui d u n q u e può credersi che dalla m a n c a n z a di relativi provvedimenti r i g u a r d a n t i quest'umile industria e dal poco loro numero possa trarsi argomento né della t a r d a sua introduzione nei Regi Stati, né di meschina estensione avutasi nei scorsi secoli, né infine di poca sollecitudine del Governo nel cooperare per p a r t e sua all'incremento di essa... ».
fornaci, i cui proprietari erano più evoluti o più esigenti, la prima fase del lavoro consisteva nella razionale preparazione della pasta, che veniva alternativamente disseccata e posta a bagno per la sua epurazione. Era credenza generale che meno l'argilla venisse elaborata e lavorata, più il prodotto finito, ben verniciato, avrebbe conservato tutto il suo nerbo naturale e retto meglio all'azione del fuoco. Il tornio usato era quello degli antichi figuli, le vernici venivano macinate da piccoli mulini messi in moto dalle acque di ruscelli o torrenti o, in mancanza di questi, da qualche animale da tiro. La prima notizia certa su queste fabbriche artigianali è in Pietro Nallino (4) che, nel 1786, scriveva: « ...in Morozzo... anticamente era una fornace. Scavandosi in essa per servirsi di terra, si trovarono frammenti ben sottili di diversi lavorati vasi assomiglianti alcuni a tazze di colore nericcio, più sottili delle tazze di oggidì, il che indica essere state in Morozzo fabbriche di questa sorta di vasi. Avendovi io in diversi posti trovate pietre vive con un buco piccolo formato dal ferro che sostiene la ruota agitata dal vasaio nel formare i vasi... ». D. Battista Botteri (5) afferma che, secondo u n a statistica esistente nell'Archivio Comunale di Chiusa Pesio, nel territorio della Chiusa, il 16 settembre 1763, operavano ben trentuno fabbriche di stoviglie che, negli anni successivi, aumentarono ancora. A conferma di questa
La produzione delle stoviglie comuni in terra rossa o gialla, antichissima, doveva essere ancor molto diffusa nel secolo XVIII, per far fronte al bisogno di una popolazione che, in gran parte, fruiva di un reddito molto basso. Nel monregalese erano proprio i consumatori più poveri a produrre autarchicamente questo manufatto modesto, talvolta rudimentale ma indispensabile. Come si è visto in un precedente capitolo, molti contadini del basso Piemonte, impegnati durante la buona stagione nel lavoro dei campi, nei mesi di stasi si dedicavano, con maggiore o minor successo, alla produzione di stoviglie ordinarie (1), sia per uso familiare che per vendere l'eccedenza sui vicini mercati. I mezzi e i sistemi con i quali fabbricavano le loro stoviglie erano, ovviamente, molto grossolani: i tegami e i piatti da loro prodotti risultavano così molto pesanti, poco lisci e ancor meno sottili. I volenterosi contadini, inoltre, adoperavano un'argilla piuttosto grezza che, non raffinata nel truogolo e poi colata, era liberata dai sassolini e quindi battuta con una asta di ferro metà riquadra e metà rotonda sopra un menatoio di grosse tavole di noce (2). Altre volte veniva distesa in grandi vasche e battuta a lungo con mazzuoli di legno, se non addirittura pestata sotto i piedi come per la pigiatura dell'uva (3). In altre 173
notizia, Pietro Nallino (6), sempre nella monografia edita nel 1786, aggiungeva che questi fabbricanti producevano grandi quantità di stoviglie di buona qualità, molto resistenti al fuoco, per cui, oltre alla vendita sui mercati vicini, gran parte veniva esportata in Provenza ed in Francia. Giuseppe Prato (7) conferma: « ...a mezzo del secolo XVIII Chiusa Pesio va celebre per le sue manifatture di terra che procurano al paese un introito annuo di Lire 25.000; meno apprezzati sono i prodotti della stessa industria praticata a Dogliani... ». In Vicoforte vi era u n a grande produzione di « crusi », tozze bottiglie in terracotta smaltata, con una piccola ansa alla base del collo contenenti normalmente poco più di mezzo litro di liquido. Questo non dimostra che in piccola parte quale fervore di iniziative vi fosse nel ramo delle stoviglie comuni e per cucina. Certamente, nei luoghi ove esistevano depositi di argilla figulina e legna da ardere, dovevano esservi stati forni che producevano stoviglie anche per le comunità vicine. Economicamente sarebbe stato troppo oneroso ricorrere ai mercati di Albisola, Savona e Chiusa Pesio, la povertà del prodotto che non avrebbe mai compensato le spese di trasporto, per il peso e la fragilità dei manufatti e, soprattutto, per la impraticabilità delle strade. La crisi industriale e commerciale subentrata alla occupazione francese causò la cessazione dell'attività di molte delle piccole manifatture artigianali Altre si camuffarono per sfuggire alla feroce voracità del fisco; altre ancora, per la loro piccola entità, non vennero nemmeno censite nella pur minuziosa ricerca statistica dell'efficiente Prefetto del Dipartimento dello Stura D. Destombes (81. L'unica fabbrica di cui si ha notizia, e indirettamente per vicissitudini giudiziarie, è quella di Grandis e Berardengo alla Certosa della Chiusa, che fu diretta per due anni dal Dottore Francesco Perotti. Con la Restaurazione le vecchie manifatture artigianali ripresero gradatamente a funzionare ma sempre con antiquati sistemi. Non vennero adottati nuovi metodi nella miscelatura delle terre e nella verniciatura introdotti in Italia con la volgarizzazione scientifica-industriale francese e inglese. Tutto continuava a procedere come prima e la vendita del prodotto si svolgeva esclusivamente nell'ambito del comune o del villaggio. Ormai non si parlava più di mercato provinciale e tanto meno di esportazione. Solo qualche piccola quantità di stovigliame, richiesto da clienti tradizionalmente affezionati a produzioni locali, poteva ancora prendere la strada della Provenza quando, nel 1820, avvenne il fatto determinante per la decadenza definitiva delle fabbriche di stoviglie comuni: il governo francese imponeva un dazio doganale del cento
per cento sulla importazione di questa ceramica. Cesso così immediatamente la pur misera esportazione dei prodotti del basso Piemonte ove, per di più, vennero immesse a prezzi fallimentari notevoli quantità di stoviglie comuni e per cucina prodotte ad Albisola — che voleva smaltire l'eccedente non più esportabile in Francia —. Per un decennio, malgrado la buona volontà degli imprenditori, per le povere manifatture di stoviglie comuni fu la crisi o il dissesto. Questo stato di cose si prolungò fino ai primi anni susseguenti il 1830. Nel 1834 in Mondovì, nel sobborgo di Carassone, Giovanni Battista Besio iniziava l'attività ceramica e, molto probabilmente, la sua produzione era composta in gran parte da stoviglie ordinarie per cucina. Nel 1835, nel territorio di Chiusa Pesio le fabbriche di stoviglie erano quindici (9), mentre in Ceva, qualche anno dopo, se ne contavano tre (10). Da u n a statistica del 1838 (11) risulta che nella provincia di Cuneo le fabbriche di vasellame ordinario erano sedici, nella Provincia di Mondovì sette, nella Provincia di Alba sette e otto nella Provincia di Saluzzo. Da u n a successiva statistica del 1840 (12) si desume che nella Provincia di Cuneo vi erano tredici fabbriche di stoviglie comuni nelle quali erano occupati trentanove operai, mentre nella Provincia di Mondovì le fabbriche erano otto con quarantadue addetti. Le cifre rilevate dalle statistiche sopra esposte dovrebbero essere accettate come minime nella determinazione numerica delle minuscole aziende che operavano nel ramo della stoviglieria. Infatti buona parte degli operatori avrà tentato di mimetizzarsi o nascondersi per sfuggire ad ogni indagine nel timore, ancora invalso oggi, che la burocrazia fiscale tragga profitto anche dalle più innocenti dichiarazioni per intervenire pesantemente, come era — o come è — nelle sue abitudini. Nel 1840 i fratelli Andrea e Sebastiano Tomatis impiantarono, nel sobborgo di Carassone in Mondovì, u n a fabbrica ceramica (13). Dovevano essere molto abili e rinomati se la città di Cuneo, avendo necessità di u n a conduttura per acqua della lunghezza di 7-8 chilometri, ordinò a questi fabbricanti 12.000 tubi di terracotta smaltata (14). Oltre a questa fornitura, i fratelli Tomatis produssero vasellame ordinario e terraglia dolce, ma con poca fortuna. Nel 1842, per difficoltà economiche ed organizzative, questi valentissimi ceramisti dovettero interrompere la produzione e spegnere definitivamente i forni. Nel 1842, da u n a statistica data alle stampe dall'Intendente Filiberto Vagina d'Emarese (15), si rileva che nella Provincia di Mondovì le fabbriche di stoviglie erano otto, con otto forni ad u n a bocca, e producevano complessivamente 636.000 pezzi occupando quarantadue operai. Il valore dei manufatti ammonta174
Zuppiera - h. cm. 26 Manifatture Monregalesi del sec. XIX
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a seconda delle stagioni, da dieci a quaranta, e guadagnavano da L. 3,00 a L. 4,00 al giorno, mentre i manovali avevano u n a paga da L. 1,50 a L. 2,25. Il ceramista produceva 200.000 pezzi l'anno, per un valore di Lire 25.000, che smerciava in Piemonte, Liguria, Lombardia ed Emilia. L'esportazione era quasi nulla, tenendo conto della concorrenza di Albisola ma soprattutto di Vallauris che, grazie ai minori gravami fiscali e alla buona qualità delle terre, produceva stoviglie migliori e a prezzi inferiori. Pochi anni dopo l'inizio dell'attività ceramica di Giovanni Baccelli, due suoi operai, Michele Tonelli e Giovanni Fenoglio, fondavano in Villanova, nel 1860, altre due fabbriche per la produzione di stoviglie. I nuovi opifici, nel 1881, producevano complessivamente circa la stessa quantità di stoviglie della fabbrica del Baccelli, con un numero quasi uguale di operai. La terra impiegata veniva tratta da cave poste nel Comune di Villanova e di Beinette, il combustibile era costituito da legna di castagno e la produzione era venduta in Piemonte, Lombardia, Emilia e Veneto. Un altro operaio di Giovanni Baccelli, Ambrogio Ambrosio, nel 1862, apriva in Mondovì, nella Roata Soprana, un'altra piccola fabbrica di stoviglie all'« uso di Antibo ». In essa si adoperava argilla di Vicoforte e si cuocevano i prodotti con legna di castagno. Nel 1880 vi lavoravano da cinque a dieci operai e la produzione a n n u a era di circa sessantamila pezzi per un valore di L. 7.000. Le stoviglie dell'Ambrosio venivano smerciate in Piemonte ed in Liguria. Nel 1860, i fratelli Giovanni, Giuseppe e Maria Messa, rilevato un filatoio in disuso, sito nel rione Borgatto, lo trasformavano in fabbrica di stoviglie rustiche, all'« uso di Antibo ». La produzione si basava quasi esclusivamente sullo stovigliame, mentre una piccolissima parte era composta da terraglia tenera. Il 17 settembre 1863 scoppiava un violento incendio che danneggiava gli edifici e le attrezzature; buona parte del prodotto finito depositato nei magazzini risultò talmente deteriorato da essere invendibile. Il danno fu assai rilevante. Poco tempo dopo, ultimata la ricostruzione, la fabbrica riprendeva la produzione di stovigliame che continuava a dare un discreto reddito. La merce veniva venduta nel Piemonte, in Lombardia e Veneto. Nel 1867 i fratelli Messa acquistavano un edificio, sito nel rione Rinchiuso, già adibito a fabbrica di zolfanelli, e lo trasformavano in manifattura di terraglia dolce, abbandonando la produzione del vasellame rustico dell'opificio del Borgatto, destinato ad altri usi.
va a Lire 21.200. Ogni fabbrica era costituita da un locale nel quale era allogata u n a fornace, da truogoli per la decantazione o per la lavorazione delle terre, da terrai o buche indispensabili per la maturazione dell'argilla, da un locale molto aerato e rivestito di mattoni assorbenti per asciugare la terra, e da un cortile, possibilmente coperto, per ottenere la massima disidratazione dei manufatti grezzi prima di introdurli nel forno. Quattro o sette operai, compreso il maestro erano più che sufficienti per il buon funzionamento di questi opifici. La pasta che serviva per fabbricare queste stoviglie era composta da una mescolanza di sabbia silicea e argilla plastica estratta dalle cave di Villanova, Beinette, Vicoforte, Roccaforte, Frabosa, Dogliani, ecc. La vernice nera era composta essenzialmente di galena, ossia solfuro di piombo, comunemente chiamato « arcifullo » che veniva estratto in Sardegna o a S. Dalmazzo di Tenda. Il solfuro di piombo si combinava con il piombo e il manganese in sospensione acquosa. La vernice gialla era composta da piombo calcinato nei forni a riverbero, litargirio, quarzo, calcare e ossido di ferro. Con piccole quantità di manganese venivano eseguite le decorazioni. Dopo il 1850, in seguito allo sviluppo economico di tutto il Piemonte, lo sforzo imprenditoriale fu notevole; anche la produzione delle stoviglie ordinarie riprese vigore ed ebbe una rilevante espansione. Giovanni Baccelli, uomo intraprendente, indubbiamente dotato di molto spirito di iniziativa, nel 1858, di ritorno da Vallauris in Francia dove aveva lavorato ed appreso nuovi metodi nella miscelatura dell'argilla, incominciò a fabbricare in Villanova di Mondovì stoviglie per cucina in terra refrattaria all'« uso di Antibo ». Egli fu il primo ad introdurre in Italia questo genere ceramico adoperando terre che aveva imparato a miscelare nelle fabbriche di Vallauris (16). La lavorazione delle stoviglie, dette anche del tipo « Alpi Marittime », iniziò, circa nella medesima epoca, anche ad Albisola per iniziativa dell'industriale francese Nicola Panéry e dello stovigliaio Angelo Maccary; rapidamente la produzione di questo nuovo manufatto si estese ad altre venticinque fabbriche locali di tondi e stoviglie gialle e nere (17). L'iniziativa di Giovanni Baccelli ebbe successo, soprattutto perché buona parte delle materie prime occorrenti era reperibile nelle vicinanze della sua fabbrica. Estraeva l'argilla da una cava di sua proprietà situata nella regione « Gat » nel Comune di Villanova. Adoperava, altresì, quarzo, cloruro di sodio, manganese, piombo, ossido di ferro, ossido di rame e zaffera. Nel 1882 aveva funzionanti due fornaci rettangolari a doppia camera, l'una sovrapposta all'altra, usava come combustibile legna di castagno. Gli operai erano,
Si ha notizia della distruzione di u n a fabbrica di stoviglie comuni in Mondovì-Piazza, Via Fredda (18), per un incendio scoppiato nella notte del 25 ottobre 1864. 176
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A Savigliano, nel 1865, funzionava una piccola industria ceramica di proprietà di Pietro Dolci che produceva anche stoviglie all' « uso di Antibo » in un forno rettangolare a doppia camera l'una sovrapposta all'altra. L'argilla veniva estratta da cave poste nei dintorni e per combustibile era usata legna di castagno. La manifattura impiegava da cinque a venti operai secondo la stagione e produceva, per un valore di L. 12.500 circa 120.000 pezzi all'anno, che venivano smerciati in Piemonte ed in Lombardia. Dopo il 1872 le grandi fabbriche di terraglia tenera del monregalese, sperando in un buon incremento commerciale del mercato delle stoviglie « all'uso di Antibo », incominciarono a produrre, sia pure marginalmente, grandi quantità di questi manufatti. All'inizio della loro carriera come fabbricanti ceramici, molti avevano attrezzato i loro opifìci per produrre anche stoviglie rustiche, di cui avevano fatto buona vendita per qualche anno; ne abbandonarono poi la fabbricazione dedicandosi esclusivamente alla produzione della terraglia tenera, molto più remunerativa e di più facile smercio. La ripresa industriale di questo prodotto molto povero e con minimo margine di guadagno dava inizio a una crisi di sovrapproduzione che doveva necessariamente sfociare in u n a accanita concorrenza e provocare l'inaridimento della piccola fonte di reddito. I Fratelli Messa e i Fratelli Salomone, associatisi per la produzione di terraglia tenera in Villanova, fabbricarono anche stoviglie « all'uso di Antibo » e, quando Andrea Salomone rilevò la fabbrica, continuò per anni a produrre questi manufatti. Così pure Lorenzo Montefameglio a Mombasiglio e successivamente i suoi continuatori fabbricarono per lungo tempo stovigliame. Se nel 1863 (19) le fabbriche specializzate nella produzione di stoviglie comuni nel territorio di Mondovì erano otto, nel 1875 erano ridotte a cinque. Anche in Chiusa Pesio le fabbriche erano cinque (20). Gli imprenditori, piccoli o grandi che fossero, avendo a disposizione molta mano d'opera a basso costo, non avevano ritenuto opportuno attuare quelle migliorie agli impianti che da tempo erano indispensabili. I locali dove si effettuavano le lavorazioni erano malsani, le macchine primitive o inesistenti, i forni vecchi e tecnicamente sorpassati. Tutto il lavoro si svolgeva a braccia ed i manovali, fra i quali primeggiavano i minori, erano in numero superiore agli operai cosiddetti qualificati. L'argilla, le altre materie prime, la legna per far funzionare i forni e i trasporti erano talmente aumentati di prezzo che l'esercizio delle manifatture era diventato un problema economicamente insolubile. La clientela, sempre più esigente, ormai rifiutava le stoviglie fabbricate in modo grossolano, alle
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la Società Ceramica Mondovì, gli Eredi Beltrandi e un nuovo fabbricante, P. Lucchino che, nel rione Rinchiuso, in un piccolo opifìcio, produceva stoviglie in colore. In Villanova Giovanni Tonelli subentrava a Michele Tonelli (25). Fino al 1914 la situazione rimaneva immutata ma, dal 1915, lo stato di guerra creava enormi difficoltà nell'approvvigionamento delle varie materie prime, nell'alimentazione dei forni che, da poco trasformati per la cottura col carbone, dovevano essere riconvertiti per la cottura con legna o sansa. La produzione subiva un calo notevole e il consumo ristagnava tanto che, dopo vari e vani tentativi per una sollecita ripresa nel primo dopoguerra, la maggior parte delle ditte che producevano stoviglie comuni o per cucina — sia i grossi fabbricanti di terraglia tenera per i quali lo stovigliame era un prodotto marginale che le piccole manifatture specializzate nel genere — interrompevano la produzione rivolgendo l'attenzione ad altri prodotti o dedicandosi ad altra attività. Dopo l'inizio della crisi del 1929-1931 le poche ditte rimaste in Mondovì interrompevano definitivamente ogni attività, così in Villanova e in Vicoforte. La seconda guerra dava il colpo di grazia alle manifatture che ancora operavano nel settore. Nel 1946 in Chiusa Pesio rimanevano attivi solo due opifici: quello dei Fratelli Grosso che occupavano saltuariamente cinque o sei operai e quello di Maria Baudino con due operai. Nel 1949 rimaneva la sola ditta dei Fratelli Grosso che, poco tempo dopo, cessava ogni attività (26). Considerazioni non se ne possono trarre. Si può solamente osservare che il prodotto, molto povero e quindi poco remunerativo, è ormai richiesto pochissimo e solo da u n a clientela culinariamente raffinata, eminentemente circoscritta in limitate regioni italiane, che chiede dei manufatti adeguati ai tempi, esteticamente belli, smaltati con colori vivaci, verniciati alla perfezione, non suscettibili dell'antigienica cavillatura e, soprattutto, di prezzo notevolmente inferiore a tutto l'altro pentolame. Era molto difficile ottenere tutto ciò nei piccoli opifici, tecnicamente sorpassati, troppo limitati per una produzione massiccia e con u n a organizzazione commerciale inesistente. Questi elementi negativi facevano prevedere la loro fine, anche se, romanticamente, ci può rammaricare la loro scomparsa.
quali preferiva manufatti più aggraziati, più lisci, meglio verniciati e più resistenti al calore. La crisi, che si manifestò negli ultimi anni del secolo, diede il colpo di grazia a queste piccole industrie artigiane, divenute antieconomiche per l'impossibilità di sostituire con macchinari la mano d'opera che aveva assai aumentate le esigenze salariali. Fisco e carenza di denaro liquido avevano impedito e impediranno la razionalizzazione degli impianti, indispensabile soprattutto dopo l'introduzione massiccia sul mercato dei nuovi prodotti industriali in rame, ferro e ferro smaltato che venivano smerciati a un prezzo talmente basso da far concorrenza anche alle umili stoviglie comuni. Durante la crisi del 1886-1896 le ditte operanti nel settore delle stoviglie all' « uso di Antibo » erano più che dimezzate, mentre la produzione delle fabbriche ancora funzionanti era calata paurosamente. Nel 1896 (21), in Mondovì operavano ancora Ambrogio Ambrosio al Rinchiuso, Battista Bonada con due piccolissime aziende, una al Rinchiuso e l'altra a Breo, mentre i Musso e i Besio avevano abbandonato da tempo questa produzione per loro troppo onerosa. In Villanova operavano ancora Giovanni Battista Costanzo, Antonio Costanzo, Michele Tonelli, Felice Musso e Andrea Salomone; in Chiusa Pesio agivano Baudena padre e figlio nel Rione San Sebastiano, Francesco Baudino in Via Maestra, la Società Anonima in Via Valpesio ed i Fratelli Gabutti. In Mombasiglio Casimiro Ambrosio tentava anch'egli la produzione di stovigliame ma con scarso successo, mentre i Gribaudi, in Vicoforte, ottenevano buoni risultati. Malgrado il superamento della crisi, con il relativo miglioramento economico generale, già nel 1902, tutte le fabbriche di Mondovì specializzate nella produzione di stoviglie all' « uso di Antibo » avevano cessato ogni attività (22). Anche in Villanova aveva spento i forni Giovanni Battista Costanza; in Chiusa Pesio i Fratelli Vassallo con un piccolo opifìcio nel Cantone Paschero tentavano l'avventura iniziando u n a nuova attività nel ramo delle stoviglie comuni e per cucina (23). Con l'incremento del consumo dovuto alla migliorata situazione economica fra il 1903 e il 1910 (24), riprendevano la produzione delle stoviglie comuni la S A . Ceramica Richard Ginori, la Vedova Besio e Figlio, 179
NOTE 1) CARLO IGNAZIO GIULIO
Giudizio della Regia Camera di Agricoltura e Commercio di Torino e notizie sulla Patria Industria, Torino, 1844 — cap. III — pag. 99;
2) D. GIAMBATT. BOTTERI
Memorie storiche della Chiusa di Pesio, Torino, 1884 — pag. 141;
3) GIULIO MARTINOTTI
Il ceramista, Milano, 1959 — pag. 30;
4) PIETRO NALLINO
Il corso del fiume Pesio, Mondovì, 1782 — pag. 135;
5) D. GIAMBATT. BOTTERI
Memorie storiche della Chiusa di Pesio, Torino, 1884 — pag. 142;
6) PIETRO NALLINO
Il corso del fiume Pesio, Mondovì, 1782 — pag. 79;
7) GIUSEPPE PRATO
La vita economica in Piemonte a mezzo del secolo XVIII, Torino, 1908 — pag. 258;
8) D. DESTOMBES
Annuaire statistique du Département de la Stura pour l'an 1806, Coni, 1806 — pag. 157;
D. DESTOMBES
Annuaire statistique du Département de la Stura pour l'an 1809, Coni, 1809 — pagg. 146, 147;
9) GOFFREDO CASALIS
Dizionario geografico, storico, statistico, commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna, Torino, 1839 — vol. II — pag. 30;
10) GIOVANNI OLIVERO
Memorie storiche della città e Marchesato di Ceva, Ceva, 1858 — pag. 23;
11) A. ZUCCAGNI-ORLANDINI
Corografia fisica, storica e statistica dell'Italia e delle sue isole, Firenze, 1842 — pag. 131;
12) CARLO IGNAZIO GIULIO
Giudizio della Regia Camera di Agricoltura e Commercio di Torino e Notizie sulla Patria Industria, Torino, 1844 — pag. 38;
13) GIUSEPPE 14)
MORAZZONI
ANONIMO
15) F. VAGINA D'EMARESE
La terraglia italiana, Milano, 1957 — pag. 145; Storia dell'industria ceramica di Mondovì, da: Milano, 1940 — n. 6 — pag. 226;
« La Ceramica »,
Cenni statistici sulla Provincia di Mondovì, Mondovì, 1842 — pag. 48, 49; La Ceramica, Milano, 1885 — pag. 545;
16) GIUSEPPE CORONA 17) TULLIO MAZZOTTI 18) EMILIA BORGHESE
La ceramica popolare ligure, Milano, 1964 — pag. XXII;
19) MUNICIPIO DI MONDOVÌ
Supplica al Ministero nel giugno 1863 perché Mondovì sia nuovamente Capoluogo di Provincia, Mondovì, 1863;
20) D. GIAMBATT. BOTTERI
Memorie storiche sulla Chiusa di Pesio, Torino, 1884 — pag. 142;
21) FEDERICO BASSIGNANO
Annuario della Provincia di Cuneo, Cuneo, 1897 — pag. 56 B, 57 B, 135, 137 B, 242 B, 298 B, 346 B, 347 B;
Vita sociale nel monregalese nel ventennio 1850-1870, su: « Bollettino della Società Studi Storici Archeologici ed Artistici nella Provincia di Cuneo » dicembre 1957 - gennaio 1958 — N. 39-40 — pag. 124;
Guida Oggero della Provincia di Cuneo, Cuneo, 1902 — pag. 338;
22)
Guida Oggero della Provincia di Cuneo, Cuneo, 1902 — pagg. 153,
23)
422; 24)
Guida Oggero della Provincia di Cuneo, Cuneo, 1903-1904 — pagg. 179, 180, 352, 438, 440;
25)
Guida Oggero della Provincia di Cuneo, Cuneo, 1909 — pagg. 246, 479, 566/12, 566/15; Guida Oggero della Provincia di Cuneo, Cuneo, 1914 — pag. 382, 678, 804, 807;
26)
ETTORE SCHEDA
Note ed appunti, Chiusa Pesio, 1970.
LA T E C N I C A PRODUTTIVA N E L L ' A N N O 1860
RELAZIONE DI UN IGNOTO AUTORE SULLA TECNICA PRODUTTIVA DEI PRODOTTI CERAMICI FABBRICATI NEL MONREGALESE NELL'ANNO 1860. (manoscritto in possesso del tecnico ceramista Bartolomeo Ansaldi di Chiusa Pesio)
sarà d'uso igienico, laddove l'altra in breve tempo diverrà sozza e insalubre. Descriveremo la fabbricazione delle terraglie comuni, come si usa nel nord dell'Italia e particolarmente dai vasai dei dintorni di Mondovì. La pasta che serve a fabbricare le terraglie comuni si compone d'una mescolanza di sabbia silicosa e d'argilla plastica, estratta dai terreni quaternari di Villanova, Beinette, Vicoforte e Frabosa. L'argilla è la materia plastica, la sabbia la materia disgregante ossia atta a rendere la pasta più porosa. Queste sostanze sono mescolate nella proporzione seguente: Argilla 80 Sabbia 20
La classe di ceramiche che comprende la terraglia ordinaria per stoviglie comuni e per cucina, si può qualificare nel modo seguente: « Terraglia di pasta omogenea, tenera, di screpolatura terrosa, d'un tessuto poroso; pasta opaca, colorata, ricoperta d'una vernice translucida, piombifera ». Questa classe di terraglia per stoviglie comuni, essendo la più grossolana, venne fabbricata per prima anticamente, e si trova in tutti i paesi. Di questo genere di pasta si componevano le antiche terraglie greche, campane, etrusche, romane, galliche, e gallo-romane. E' notevole che le opere più belle dal lato dell'arte sono state composte con la pasta più rozza di tutte quelle che noi conosciamo. Ma negli antichi il sentimento dell'arte e la purezza dello stile si valevano dei mezzi materiali più elementari e più grossolani. I celebri vasi greci di pareti sottili e tanto considerabili per la leggerezza, per la purezza delle forme, e pel tipo perfettamente contraddistinto dei disegni e delle loro decorazioni, sono composti della medesima sostanza onde sono formate le nostre pentole, le nostre scodelle, i piatti grossolani dei nostri contadini e delle cucine dei nostri poveri. Soggiungiamo che le terraglie dei popoli selvaggi di tutto il mondo si compongono della medesima sostanza. Le terraglie americane antiche, quelle degli antichi Messicani e Peruviani appartengono ugualmente a quel gruppo. L'unico vantaggio del genere di stoviglie, che noi stiamo descrivendo, è il suo tenuissimo prezzo, e la proprietà di andare al fuoco senza rompersi. Una dozzina di piatti di terraglia comune non supera il prezzo di L. 1,20 o tutt'al più 1,50. I suoi inconvenienti son noti ad ognuno. I corpi grassi la penetrano con facilità, e le danno un puzzo di bruciaticcio che non si può più togliere perché il grasso penetrò nella sostanza della pasta. La resistenza di codeste ceramiche è così debole e la tessitura così fragile che al minimo urto si rompono, la loro vernice di piombo è così tenera che col coltello si riga; e non va esente da pericoli, perché gli acidi per poco che stiano in contatto con essa, l'investono, la sciolgono e possono comunicare agli alimenti ed alle bevande funeste proprietà. Il prezzo tenue di questa terraglia fa sì che il popolo la preferisca alla maiolica, anche a prezzo uguale, perché la maiolica non offre quei colori vivaci e quella vernice lucente, che attirano e incantano quelli che s'innamorano delle apparenze esterne. Una massaia posporrà sempre u n a maiolica inverniciata d'ossido di stagno, resistente e salubre a u n a terraglia comune verde o rossa e rilucente all'occhio. Eppure la prima avrà u n a lunga durata, non puzzerà mai e
100 Si mescolano queste materie in u n a botte fornita d'un agitatore in legno, simile a quello che usano i mattonieri, o semplicemente col pigiamento, cioè impastando coi piedi le due terre con l'aggiunta di una certa quantità d'acqua. Quando la pasta è ben rimesticata, bene impastata, si procede alla modellatura. Il tornio da vasaio, l'antica macchina, conosciuta dai vasai dell'antico Egitto (2000 anni prima di G.C.), è noto a tutti. Si sa che si compone di un disco piatto, o ruota piena, messa in moto sul suo asse dall'operaio col piede. Questo gran disco ne fa girare con rapidità un secondo più piccolo, infilzato su d'un asse comune all'uno e all'altro. La pasta cui l'operaio deve dare u n a forma, si mette sul disco piccolo. Comprimendo fra le sue dita la terra molle e plastica mentre che gira con rapidità sul disco piccolo, facendola sollevare sopra o sotto la sua mano, secondo la forma che vuol darle, allungando o raccorciando il garbo del vaso o dell'oggetto qualunque che modella, il vasaio riesce a dare u n a forma all'argilla in pochi minuti e a tutto suo talento. E' uno dei più belli spettacoli il vedere quella terra ubbidiente, che sotto le dita dell'operaio piglia forme eleganti, e sembra che riceva la vita. La prima operazione del vasaio, quando vuol dare la forma a un vaso, si chiama la sbozzatura, perché dà all'oggetto u n a forma preparatoria. Alla sbozzatura segue u n a seconda operazione, la tornitura, che si fa sopra un tornio consimile, per mano di un altro operaio. La tornitura, che dà al vaso d'argilla la sua forma definitiva, si fa con ponzoni, con scalpelli, ecc. L'operaio fa girare il disco piccolo mercé del grande, messo in moto dal suo piede, e presenta al vaso già sbozzato dal suo compagno, l'utensile metallico che deve modificare la sua forma primitiva oppure disegnare sulla sua superficie alcune linee regolari. 182
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Per la vernice bruna: Minio 64 Argilla 15 Sabbia 15 Manganese 6 Per la vernice verde: Minio 6 Argilla 16 Sabbia 16 Protossido di r a m e rosso polverizzato 3 Queste materie sono macinate insieme sotto modelli in grès, poi stemperate nell'acqua, e se ne asperge il vaso. Le terraglie per stoviglie comuni si cuociono in un forno semplicissimo. Alcuni forni da terraglie comuni sono a due piani, cioè divisi in due parti da una volta traforata; ma questa disposizione è eccezionale. E questo avviene soltanto quando la cottura delle terraglie comuni deve farsi in due fuochi. Nel primo si cuoce la pasta, nel secondo si fa fondere la vernice sui vasi cotti. E siccome la seconda operazione, cioè l'applicazione della vernice non richiede molto calore, così i vasi che devono solamente essere verniciati, sono posti nella parte inferiore del forno, che è la meno calda. Le terraglie per stoviglie comuni sono messe nel forno senza precauzioni contro le ceneri o le impurità che, derivando dal fuoco, possono alterarle o imbrattarle: si sovrappongono semplicemente le une alle altre. Si empie intieramente il forno, e si accende il fuoco. Dopo ventiquattr'ore di fuoco si estraggono i vasi, e si pensa a dar loro la vernice. Ciò fatto, si riportano nel forno stesso per la fusione della vernice. Il forno, in cui si cuociono le terraglie comuni, quando è a due piani, ha circa 5 metri di altezza totale, misurando dal suolo della prima capacità fino alla volta della seconda, su 2 metri e 3 decimetri di lato. In questo modo si concentra il calore, lo si costringe a spandersi nelle officine che circondano il forno, e in cui lavorano gli operai. Il laboratorio inferiore ha 2 metri e 3 decimetri, e l'altro superiore 2 metri. Esso va a finire in una tramoggia e in un tubo di camino, che si può chiudere a volontà, mercé d'una lastra di metallo che scorre in u n a scanalatura. Il focolare, laterale e inferiore, ha 1 metro e 2 decimetri di altezza. Si collocano abbasso i vasi più pesanti e solidi. Si procura di formare file e livelli a un di presso regolari, di non far posare i vasi verniciati che in pochissimi punti e sulle parti che offrono una minore su-
Per tornire il vaso bisogna che sia già quasi asciutto. Dunque non potrà sottoporsi alla tornitura se non dopo alcuni giorni dalla sbozzatura. Per intendere questa operazione bisogna immaginarsi che colui il quale opera è un tornitore, con la sola differenza che invece di tornire un oggetto di legno, tornisce un oggetto d'argilla quasi asciutta e assai più morbida del legno o del metallo. Su d'un altro tornio consimile un altro operaio tornirà il medesimo oggetto, quando avrà u n a maggiore consistenza per via della essiccazione. Il vasaio per la terraglia comune, oltre del tornio a piedi, fa uso d'un altro apparecchio destinato agli oggetti di gran dimensione, e che si chiama arcolaio ossia ruota del vasaio. Non si crede che questa sia l'ordigno specialmente usato dai vasai dell'antico Egitto. In tutti i casi è l'ordigno ordinario del vasaio di villaggio. Qui il disco del tornio non è pieno. Ha circa 1,40 di diametro, ed è composto di quarti riuniti obliquamente all'asse mercé di raggi di ferro. L'operaio non lo fa girare con i suoi piedi. Seduto su d'uno scanno inclinato verso la ruota, ha le gambe discoste e i piedi sopportati su due traverse inclinate verso lo scanno, e guernite di tacche per tener fermi i piedi. Due ragazzi pigliano ciascuno un lungo bastone che si chiama calcola, e spingendo i raggi della ruota con l'estremità aguzza di quel bastone, le imprimono abbastanza di movimento perché il vasaio possa sbozzare la palla di pasta che depose sul piccolo disco del tornio. Il vasaio forma con la mano i vasi ovali, essendo impossibile, come ognuno sa, che un tornio qualsiasi produca la forma ovale. Quanto alle guarnizioni delle terraglie comuni, cioè anse di vasi, manici di casseruole, orecchie di marmitte, ecc., si fanno egualmente a mano senza modelli, e s'applicano immediatamente al vaso. La vernice delle terraglie comuni è sempre a base di piombo. Il litargirio o il minio sono gli ossidi di piombo di cui si fa uso. Qualche volta a questi si sostituisce la galena (solfuro di piombo) meno cara degli ossidi di piombo. L'argilla e la sabbia aggiunte all'ossido di piombo, sotto l'azione del fuoco danno un vero smalto, un silicato di piombo che si fonde e si estende sul vaso e ne ricopre tutta la superficie Le proporzioni d'ossido di piombo e di sabbia o di argilla variano, secondo il colore che si vuol dare alla vernice. Ecco le ricette: Per la vernice di colore giallo si usano: Minio o litargirio 70 Argilla plastica 16 Sabbia silicosa 14 185
si scagliano con forza contro il muro. La pasta così lavorata non si usa immediatamente, ma la si conserva nelle cantine dove si migliora ancora. Giunto il tempo di adoperarla si pigia, cioè la s'impasta lungamente con i piedi, poi se ne fanno delle palle di circa 25 chilogrammi, le quali si consegnano ad operai capaci di dar loro u n a forma. Per dare la forma ad un oggetto, l'operaio piglia tanta pasta quanta si crede necessaria per formarlo. La pasta si mette sul tornio ed è modellata dalla mano dell'operaio, poi si lascia seccare qualche tempo; ed allora un secondo operaio la tornisce, cioè con un utensile d'acciaio finisce di dare all'oggetto le forme e le impronte che deve poi conservare. Gli oggetti che non sono rotondi, come le guarnizioni e le anse, non possono farsi al tornio. Si ottengono colando in uno stampo di gesso la terra di majolica stemperata in u n a quantità d'acqua conveniente. Questa poltiglia liquida non tarda a disseccarsi in parte al contatto dello stampo di gesso. La si cava da questo per applicarla nel momento opportuno sul vaso che deve riceverla. Ora si tratta di cuocere gli oggetti lavorati. Prima di portarli al forno si lasciano essiccare un poco tenendoli alcuni giorni in u n a officina dove passano i tubi dal camino dei forni, poi si procede alla cottura. Per la majolica ordinaria, come per la maggior parte delle terraglie, ci vogliono due cotture; la prima per cuocere la pasta, la seconda per applicare alla terraglia cotta o biscotta, secondo il termine volgare, la coperta, ossia vernice. Queste due operazioni si fanno nel medesimo forno, che a tal fine è composto di due piani. Nella parte superiore, che è la più calda, si mettono i vasi da cuocersi per la prima volta, nella inferiore, che è meno calda, si mettono i vasi già cotti o le biscotte e ricoperti della vernice, che all'azione del calore deve fondersi e involgere tutta la superficie. Nel forno da majolica a due piani il focolare occupa un lato di quello spazio d'edificio. Per infornare gli oggetti, si collocano in scaffali di terracotta, orizzontali o verticali. Il fuoco dura circa 24 ore. Nella maggior parte dei forni attuali si adopera la legna, ma in Francia si comincia anche ad usare il carbon fossile; ma quando si può disporre di grandi quantità di legna, è da preferirsi, perché con questo combustibile si regola meglio il calore, moderandosi o rinforzandosi in questo o in quel punto del forno secondo i bisogni. La condotta del fuoco è sempre difficile, perché si è sempre esposti a scaldare certe parti del forno a scapito delle altre. L'abitudine in questi casi serve di regola all'operaio. Per seguire i progressi della cottura si hanno orologi. Sono tazze in biscotta coperte da u n a polvere di
perfìcie. Ove si facesse altrimenti, la vernice li farebbe aderire al sostegno. Malgrado tutte le precauzioni, dopo la cottura di ciascun vaso, rimangono sempre delle parti poco estese che si chiamano tocchi e da cui la vernice fu portata via dall'adesione al sostegno o al vaso che la toccava. La durata di questa seconda cottura è, come la prima, di 24 ore. I forni dei vasai di terraglia per stoviglie comuni si alimentano con legna, ma oggidì in Francia si comincia a utilizzare il carbon fossile, che risulta molto più economico. LA MAJOLICA COMUNE BIANCA O NERA « La majolica comune è una ceramica di pasta opaca, colorata o biancastra, di tessuto debole, di fattura terrosa, ricoperta d'uno smalto opaco, ordinariamente stannifero ». La fabbricazione della majolica comune varia un poco secondo le località. Nel Monregalese si produce la majolica comune, bianca che non va al fuoco, e la majolica comune bruna che va al fuoco senza rompersi. Per fare la majolica bruna si prendono le materie seguenti nelle proporzioni qui descritte: Argilla plastica 30 Marna argillosa verdastra (superiore al gesso) 32 Marna calcarea bianca dei terreni gessosi 10 Marna sabbiosa o sabbia impura, marnosa e giallastra 28 La majolica bianca si compone di: Argilla plastica Marna argillosa verdastra . . . Marna calcarea bianca . . . . Sabbia impura e marnosa giallastra
110 8 56 28 28
100 Queste terre sono mescolate, in u n a cassa rettangolare che si chiama madia (gâchoir). La pasta risultante da questa mescolanza, è stemperata in u n a quantità d'acqua conveniente. Si separano i corpi terrosi estranei mercé della decantazione e con la stacciatura. La pasta stemperata in maniera da formare una pappa molto densa, viene allora introdotta in una fossa di grande dimensione, scavata in prossimità della madia e delle officine. Essa sta parecchi mesi in quella fossa; esposta alle intemperie atmosferiche, che la rendono positivamente migliore. In capo a qualche tempo si piglia quella pasta e si lavora spappolandola su d'una tavola, e facendone delle palle che 186
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mersioni in acqua che tiene sospeso lo smalto polverizzato, e parte per aspersione. Si applica la vernice per semplice immersione quando l'oggetto è tutto bianco, e per immersione e per aspersione ad un tempo stésso, quando l'oggetto è bruno fuori e bianco internamente. Diremo come fa l'operaio per applicare la vernice per immersione. Egli ammolla prima l'oggetto nello smalto della parte esterna tuffandolo fino all'orlo; allora lo tiene dentro. Lascia che lo smalto esterno si rassodi, e poi, ripigliato l'oggetto, vi mette lo smalto bianco interno versandovelo con u n a cucchiaia o una tazza. Con un movimento adattato stende lo smalto in tutto l'interno. Importa che sia tolto lo smalto disotto al piede dello oggetto per impedire che si appiccichi al sostegno quando verrà cotto. Lo si toglie con una spazzola dagli operai. Diremo di volo che questa operazione, che per effetto di staccare e di far volare per l'aria una polvere silicosa e piombifera, è nocivissima alla salute degli operai. Le operazioni dell'applicazione della vernice mediante l'immersione si fanno nel seguente modo: un operaio tuffa prestamente un oggetto di maiolica già cotto in u n a tinozza contenente la vernice stemperata e sospesa nell'acqua; nel mentre le operaie tolgono la vernice al pié dell'oggetto che deve posare sul sostegno affine d'impedire che l'oggetto si attacchi al sostegno nel momento della fusione della vernice nel forno. Quando gli oggetti sono così coperti dell'intonaco fusibile che deve dare alla superficie della maiolica la vernice preservatrice, si riportano al forno per sottometterli al secondo fuoco che deve fondere lo smalto e farlo aderire. Questa seconda cottura ossia la cottura della biscotta verniciata si fa, come dicemmo, nella parte superiore ossia al secondo piano del forno. Nell'infornare la biscotta verniciata bisogna usare u n a speciale precauzione, che non era necessaria nell'infornata della biscotta. Dicemmo che si mettono nel forno le biscotte semplicemente sopra scaffali orizzontali di terra cotta. Ma quanto agli oggetti da verniciarsi, è indispensabile ch'essi chiudansi in una cassetta di argilla, ossia in termine tecnico in u n a casella. Le caselle sono smaltate internamente e si ammonticchiano le une sopra le altre nel forno. All'azione del calore lo smalto si fonde, penetra in parte nella sostanza del vasellame, e si ottiene u n a coperta lucente, dura e non soggetta a fondersi ove lo smalto sia di buona qualità e applicato con tutta la diligenza. La maiolica ordinaria riceve talvolta ornamenti ed anche pitture. Queste, che solitamente sono rozze (per-
smalto, contenute in una piccola capacità chiusa, le quali si possono ritirare dal forno con una verga di ferro. Dallo stato della vernice su quegli orologi si giudica dei progressi della cottura. Un forno che contenga 140 dozzine di pezzi di maiolica, in una sola infornata brucia circa 14 steri di legna mista di querce e di faggio o di castagno. In capo a 36 ore si può sfornare. Dopo questo primo fuoco si ritirano dal forno raffreddato gli oggetti cotti, e si pensa ad applicarvi la coperta ossia vernice. La coperta della maiolica ordinaria si compone di uno smalto fusibilissimo. Questa spalmatura vitrea varia nella sua composizione secondo che dovrà applicarsi alla maiolica bianca o alla maiolica bruna. Lo smalto bruno della maiolica bruna è composto a un di presso come segue: Minio (ossido di piombo) . . 52 Ossido d i manganese . . . 7 Polvere di mattone 41 oppure: Minio Ossido d i manganese Polvere di mattone
100 .
.
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100 Si riducono queste materie in polvere, e con acqua se ne fa una pappa chiara. Lo smalto bianco della maiolica bianca è composto di ossido di stagno, d'ossido di piombo, d'arena quarzosa, di sal marino o di soda. Si mescolano gli ossidi di stagno o piombo, e si calcinano in un piccolo forno da laboratorio. In tal modo si ottiene una polvere gialla, detta calcino che è la base dello smalto bianco. Per ottenere questo smalto, si mescola la calcina con sabbia, con sal marino e un po' di carbonato di soda. Questa mescolanza fusa dà lo smalto bianco. Lo smalto bianco di cui si fa uso nel forno da maiolica, è composto come segue: Calcino 47 Sabbia 47 Carbonato di soda 3 Sale marino 3 100 Lo smalto bianco si fonde a circa 70° del pirometro di Wedgwood. Ed ecco come lo smalto delle maioliche si applica sugli oggetti, ossia sulla biscotta ritirata dal forno dopo la prima cottura. Lo smalto bruno o bianco è prima polverizzato finissimamente, poi si applica agli oggetti parte per im189
Diremo primamente quale sia la composizione della pasta della terraglia bianca. La terraglia bianca si compone di: Argilla plastica 86 Silice 13 Calce 1
ché codeste stoviglie di pochissimo valore non potrebbero pretendere pitture preziose) si fanno sulla coperta. Dopo si espongono gli oggetti al calore di un forno particolare di una temperatura moderata. La composizione di questi colori, la loro applicazione e cottura non si differenziano dai processi della pittura sulla terraglia dolce. Perciò descriveremo come si fanno quelle pitture e la loro cottura in seguito, dove si parlerà della fabbricazione e della decorazione della terraglia vera e propria. Tali sono i processi particolari alla fabbricazione della maiolica ordinaria da noi presa come tipo. Coi medesimi processi è fabbricata la maiolica ordinaria in moltissimi luoghi non solo nella nostra regione ma di altri luoghi e paesi, semplicemente modificati quanto alla composizione delle paste e degli smalti in ragione della differenza delle terre e argille.
100 La coperta di questa maiolica o terraglia bianca si compone di: Sabbia 31 Minio 30 Litargirio 27 Feldispato calcinato . . . . 7 Borace 3 Cristallo 2 100 La pasta della maiolica fina silicea contiene: Argilla plastica 87 Silice 13
LA MAIOLICA FINA, DETTA TERRAGLIA ALL'USO INGLESE La maiolica fina o terraglia viene contraddistinta nel modo seguente: « Pasta bianca, opaca, di tessuto fino, tenera o dura, sonora, coperta da una vernice cristallina trasparente ». La bianchezza della pasta di codeste ceramiche, lo splendore della sua vernice, assicurano un posto importante fra i prodotti dell'industria ceramica moderna. Essa si diversifica dalla maiolica comune perché la sua pasta è bianca o appena giallastra, la sua coperta è trasparente e lascia vedere la pasta che la ricopre, laddove quella della maiolica comune è resa opaca dallo ossido di stagno, e nasconde sotto uno smalto lattifero la colorazione del « subjectile ». La pasta della maiolica fina, che è sempre plastica assai, si compone d'argilla plastica lavata e di silice macinata finissimamente. Talvolta alla misura si aggiunge un po' di creta. La composizione della vernice varia molto, ma può dirsi che sia fatta di silice unita a quarzo o anche a feldispato, a carbonato di soda e minio. Questa vernice, stemperata nell'acqua a guisa di densa pappa, si applica per immersione, ben di rado per infusione. La cottura si fa in due volte. La pasta si cuoce prima in biscotta; la vernice si cuoce poi separatamente a una temperatura elevatissima. L'incasellatura si fa dentro caselle ossia involucri di terra. Si distinguono tre varietà di maiolica fina: l a - la terraglia bianca, ossia maiolica calcarifera, cioè contenente della creta; 2 a - la maiolica silicea; 3 a - la maiolica feldispatica.
100 La coperta di questa maiolica s'ottiene prendendo: Sabbia d i feldispato alterato . . . 42 Minio 26 Borace 21 Carbonato di soda 11 100 La pasta della maiolica fina feldispatica si forma con: Argilla plastica 62 Caolino 15 Silice 19 Feldispato alterato 4 100 L'invetriamento per la maiolica feldispatica si prep a r a con: Ossido di piombo 52 Caolino siliceo 25 Silice 13 Cristallo 10 100 Le argille e i caolini che devono servire per comporre la pasta, sono macinate finissimamente in modelli mercé della intromissione dell'acqua. Si mescola questa pasta con u n a quantità maggiore d'acqua, e si staccia per separare le parti silicose. Poi si mette la pasta stacciata in madie dove si rimesta ben bene in tutte le sue parti. 190
Generalmente si trova la convenienza nel conservare le terre argillose in cantine umide prima di adoperarle. Esse pigliano, non si sa bene, quale trasformazione positiva, poiché in tutti i tempi questa trasformazione è stata giudicata necessaria dagli artefici. Quando ebbe il tempo necessario di marcire (il che varia dai sei agli otto mesi), allora la pasta può adoperarsi, essendo divenuta fina, lunga lunga e di facile lavorazione, qualità che non possedeva prima d'essere stata tanto tempo in riposo. (Si sa solamente che l'ossido di ferro deve sciogliersi col tempo, passare allo stato di solfato solubile, che scompare e lascia la pasta più bianca e più duttile). La lavoratura dei capi di maiolica fina o terraglia si fa, come in tutte le altre stoviglie, al tornio mercé della sbozzatura e della tornitura. I pezzi vengono terminati sul tornio con calibri. Per i pezzi piani, che si fabbricano in grandissimo numero, come i piatti, si ha u n a forma di gesso che rappresenta la parte inferiore del piatto. Si colloca la forma sul tornio, e su quella si applica un pezzo di pasta, che si comprime e si dilata uniformemente mentre che il tornio è in moto. Quando in tal modo si ottenne un piatto grossolano, s'intaglia a poco a poco e regolarmente con uno strumento fisso d'ottone o d'acciaio, il cui taglio è conforme al profilo da darsi alla superfìcie esteriore del piatto. Quest'istrumento si chiama calibro, sagoma o gaborit. Quest'istrumento si compone di u n a specie di coltello di ottone o d'acciaio, fisso a un sostegno di legno immobile, e posto vicino al disco girante del tornio a piedi. Il taglio del coltello del gabarit rappresenta la metà del profilo della parte esterna del piatto. Si fa discendere questo coltello progressivamente in guisa da intagliare il piatto, e si ferma quando il piatto ha ottenuto la grossezza conveniente. Sul coltello si mettono dei segni per riscontrare quando si è toccato quel punto. Per lavorare i pezzi, analoghi per la loro forma ai tondi e ai piatti, si usano calibri o gabarit che rappresentano il profilo deciso da darsi al pezzo. Ma bisogna che la forma del pezzo sia circolare. I pezzi ovali, quadrati, rettangolari, ecc., non possono lavorarsi al tornio, il quale non dà che forme circolari. Per gli altri pezzi si ricorre ai modelli. La pasta della maiolica si cola, quando è come u n a pappa liquida, entro modelli di gesso. Il gesso assorbisce l'acqua e la pasta mezzo essiccata rimane nell'interno del modello, donde si toglie in capo a pochi minuti. La terraglia o maiolica fina si cuoce in forni alimentati con legna o legna e carbone. I forni sono simili e quelli dove si cuoce la maiolica comune. La biscotta di maiolica fina, i pezzi cioè che hanno
già avuto u n a prima cottura, si porta nell'officina per ricevere la coperta o vernice. Generalmente la coperta si applica per immersione. Lo smalto ben diviso dalla macinazione sul porfido è stemperato nell'acqua contenuta in un tino di legno, e l'operaio tuffa rapidamente il pezzo in esso. La pasta assorbente della biscotta contiene u n a certa quantità della polvere di smalto che resta sulla superficie del pezzo. Alle volte il deposito della coperta si fa per semplice infusione cioè versando sul pezzo da inverniciare un po' d'acqua che tiene in sospensione lo smalto macinato sul porfido. Il pezzo inverniciato si riporta al forno, men riscaldato che nella prima cottura, ed è sottoposto ad una seconda cotta affine di far fondere e penetrare la coperta nella parte superficiale del pezzo. Se il forno di prima cottura è scaldato alla temper a t u r a di 30 a 100 gradi del pirometro di Wedgwood, la temperatura del forno per l'inverniciatura non oltrepassa dai 10 ai 30 gradi del medesimo strumento. Parleremo qui della terraglia bianca. Per la maiolica ciottolosa ossia silicea, il forno di prima cottura è scaldato a 60 gradi del pirometro Wedgwood, e la seconda cottura non ne richiede più di 12 del medesimo pirometro. Finalmente la maiolica fina feldispatica si cuoce a 100° per la biscotta e a 20° o 30° per la inverniciatura. La cottura d'una infornata di biscotta dura circa quarant'ore. I pezzi tanto per la biscotta come crudi si mettono sempre in caselle. L'incasellatura del forno a biscotta non presenta nulla di diffìcile o notabile. Un forno racchiude ordinariamente ottanta pile di caselle, ciascuna delle quali contiene, da quindici a sedici piatti. Ci vuole maggior precauzione a disporre nel forno le caselle piene di pezzi da verniciare. Le pile di caselle si metton in guisa da lasciar libera la circolazione della fiamma del fuoco che le circonda. Il sito occupato dai pezzi nel forno è determinato dalla correlazione esistente tra la fusibilità della loro vernice e la temperatura della parte del forno, dove si collocano. Per esempio, si mette nelle parti più calde quella sorta di maiolica, che partecipa alquanto della porcellana tenera detta dagli Inglesi Maiolica di ferro (ironstone China). Le caselle, poste tra le bocche del fuoco (alandiers) contengono i gran pezzi, come brocche e catinelle ornate di disegni. Nella parte inferiore e mezzana del forno, che è la parte men calda, si mette la maiolica detta color di latte. In alcune fabbriche le maioliche verniciate non si cuociono nel medesimo forno della biscotta. Per inverniciare le maioliche si hanno forni più piccoli di quelli 191
che servono a cuocere la biscotta. Un forno ordinario da biscotta ha metri 4,70 di altezza su 4 di diametro; un forno da vernice non ha che metri 4,20 di altezza su 3,50 di diametro. In generale un forno da vernice contiene 60 pile di caselle, ciascuna delle quali ha 18 piatti, supposto che non vi siano altri oggetti. Terminato l'infornare, si m u r a la bocca del forno con due file di mattoni. Se vi si applica il fuoco alle cinque pomeridiane, si deve aumentare a poco a poco fino alle ore dieci; allora i due fuochi, i quali, come dicemmo, sono posti in basso e da ciascun lato del forno, si riempiono di combustibile. Fino a quel momento le bocche e il regolatore dell'estrazione stavano aperte; ora si chiudono, ma non del tutto, la bocca superiore del forno spingendo il regolatore, cioè un disco mobile che può chiudere il tubo del camino. Da mezzanotte alle sei del mattino si aggiunge ad ogni ora u n a certa quantità di combustibile. Dalle sei alle sette lo smalto comincia a fondersi. Alle otto e mezza la cottura è già inoltratissima; alle nove è terminata. La cottura della vernice di maiolica fina dura dunque quindici ore dal momento in cui s'appicca il fuoco a quello in cui si smorza. Quando la vernice comincia a fondersi, bisogna fare in modo che la temperatura non s'abbassi, ma resti a un di presso uguale fino a perfetta cottura. Per giudicare della temperatura del forno si servono di orologi fatti di pallottoline di pasta di maiolica rinchiuse in una casella, e che di quando in quando si ritirano per giudicare dell'effetto del calore sulla biscotta o sulla vernice.
La pratica consigliò di fare una gran distinzione tra i colori che si applicano sulla ceramica. Si distinguono i colori a gran fuoco e i colori di muffola. I primi si ottengono a temperatura estremamente elevata dei forni che servono alla cottura della porcellana, e sono poco numerosi. I secondi si ottengono in muffole cioè in grandi caselle scaldate da piccoli fuochi a u n a temperatura che non oltrepassi l'arroventamen¬ to e che a un di presso rappresenta il punto di fusione dell'argento. I colori a gran fuoco sono pochissimi perché poche sostanze possono resistere all'enorme temperatura dei forni da porcellana ed all'ossigeno dell'aria che s'esercita a quella temperatura elevata. Questi colori resistenti, o colori a gran fuoco sono l'azzurro, composto d'ossido di cobalto, il verde, composto d'ossido di cromo, e il bruno, che risulta dalla mescolanza dell'ossido di manganese e dell'ossido di ferro. I colori a gran fuoco sono destinati a formare i fondi, Il feldispato è la sostanza adoperata come fondente di quei colori, perché il feldispato è fusibile alla temper a t u r a dei forni da porcellana. I colori a gran fuoco sono composti nella maniera seguente: Azzurro: ossido di cobalto, 4 parti, feldispato, 7 parti; Azzurro pallido: ossido di cobalto u n a parte, feldispato, 30 parti; Verde: ossido di cromo puro; Verde azzurrognolo: ossido di cobalto, 3 parti, ossido di cromo, 1 parte, feldispato, 1 decimo; Bruno: ossido di ferro, 1 parte, manganese, 1 parte, feldispato, 1 decimo. Quando si tratta di comporre un colore, si macinano questi diversi ossidi, si stacciano parecchie volte per mescolarli, e si mettono in un crogiuolo sotto il fuoco del forno da porcellana. La mescolanza si fonde e dà il color buono da adoperarsi. Quando s'è cavata dal crogiuolo la mescolanza calcinata, si polverizza, affine di poterla applicare col pennello sulla porcellana da decorarsi. I colori di muffola, che sono poco resistenti, non si applicano, come abbiam detto, sulla terraglia se non a u n a temperatura che non oltrepassa il punto di fusione dell'argento. Si cuociono gli oggetti ricoperti di quei colori in muffole, cioè in grandi capacità di terracotta, somiglianti alle caselle, e destinate a preservare gli oggetti dall'azione delle ceneri e del gas del fuoco. È un peccato che non si possa portare ad un grado più elevato la temperatura della cotta di quei colori; le pitture vi guadagnerebbero in lucentezza e in solidità. Disgraziatamente la porpora di Cassio, che fa parte di molti colori, si altera a u n a temperatura più elevata. Bisognò dunque che si calcolasse la composi-
APPLICAZIONE DEI COLORI SULLE STOVIGLIE COMUNI, SULLA MAIOLICA BIANCA E NERA E SULLA TERRAGLIA ALL'USO INGLESE I colori, che si applicano sulle stoviglie in generale (terraglia comune, maiolica, terraglia e porcellana) sono veri vetri, cioè silicati trasparenti; e qualche volta sono borati. L'ossido metallico destinato a produrre il colore, è misto con quel vetro fusibile, e forma con esso un colore che non è omogeneo se non apparentemente, perché è composto dell'ossido metallico misto con un fondente che è la silice. Per dipingere sulla terraglia, si riduce questo colore in polvere, si stempera nell'essenza di spigo, e con un pennello si applica questo colore sulla terraglia o maiolica già ricoperta della sua vernice. L'oggetto così decorato viene esposto all'azione del fuoco in un forno particolare. Il colore silicaceo entra in fusione, penetra in parte nella coperta, e si ottiene in tal modo una pittura indistruttibile, poiché diviene parte integrante della stoviglia stessa. 192
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parati, per servirsene si mescolano col fondente che loro è più conforme, si macina quella mescolanza su d'una lastra di vetro appannato, con essenza di spigo o di trementina, e con questi colori si dipingono gli oggetti di terraglia mercé d'un pennello, come se si trattasse d'una pittura ad olio. Generalmente i colori si modificano poco all'azione del fuoco. La pratica d'altra parte insegna presto all'artista modificazioni dell'azione del fuoco su quelle pitture da prevedersi. Per cuocere le pitture sulla terraglia, si chiude, come abbiam detto, l'oggetto dipinto in u n a grande casella o muffola, e si scalda questa in un forno particolare. Gli oggetti essendo imbevuti d'essenza di spigo, bisogna procurare nella muffola e nel forno una uscita ai vapori che emanano da quegli oli o dai prodotti della loro decomposizione. La muffola è dunque aperta nella sua parte superiore, quest'orifìzio non si chiude che negli ultimi momenti dell'operazione. La temperatura conveniente per la cotta delle pitture si regola mediante orologi e il colore del fuoco. Questi orologi che s'introducono e si tiran fuori dal forno consistono in piccole lastre di porcellana, sulle quali col pennello s'è deposto un po' di carminio. Affinché il fuoco sia buono, bisogna che il carminio pigli bel colore e sia ben fissato sulla lastra. Infatti, il carminio mal cotto è giallastro e non aderisce alla porcellana. Quanto al color del fuoco, è un segno più difficile, e che esige molta pratica; ed è tuttavia il solo di cui si contentino nella maggior parte delle fabbriche. La fissazione dei colori sulla terraglia si fa in due operazioni o cotte. Nella prima si ottiene uno sbozzo, l'artista lo ritocca e lo finisce con nuovi colori. Ritoccato lo sbozzo, si sottopone a una seconda cottura. Se rimane qualche difetto sulla pittura dopo questa seconda cotta, si può correggere e cuocere la pittura u n a terza volta. Ma un quarto fuoco guasterebbe tutto e non vi si ricorre mai. Le sole porcellane permettono di esporre impunemente parecchie volte una pittura all'azione d'un gran numero di fuochi. Le coperte piombifere della porcellana tenera soltanto possono bravare molti riscaldamenti.
zione degli altri colori in maniera che, per la loro fusione, non esigono il grado di calore che distruggerebbe la porpora di Cassio. Il fondente che si mescola coi colori di muffola non è il feldispato, che serve a vetrificare i colori a gran fuoco; è un vero cristallo, cioè u n a mescolanza di rena e di minio che per mezzo del calore dà un cristallo fuso. Il borace serve egualmente di fondente ai colori di muffola, e dà pure un vetro, cioè un borate. Ecco qua la composizione dei fondenti pel bigio, per i carmini e i verdi e per i rocailles: FONDENTE PEL BIGIO Borace fuso 1 parte Fondente rocaille . . . . 2 parti FONDENTE PER I CARMINI E I VERDI Borace fuso 5 parti Silice piromaca . . . . 3 parti Minio 1 parte FONDENTE PER I ROCAILLES Minio 5 parti Rena 1 parte Questa mescolanza, per mezzo della fusione in un crogiuolo, dà un vetro verdastro che si fa in polvere e si conserva per l'uso. L'ultimo di quei fondenti è il meno, e il secondo il più fusibile. I colori di muffola sono forniti da differenti ossidi metallici, fra i quali figurano l'ossido di manganese, di zinco, di cobalto, la porpora di Cassio, l'ossido di cro¬ mio, di rame, d'antimonio, il litargirio (ossido di piombo), l'ossido di ferro, ecc. La tavolozza del pittore sulla terraglia è svariatis¬ sima per i colori di muffola. Diremo solo che, in questi ultimi anni nella manifattura di Sèvres s'è fatta u n a scoperta importante per la pittura ceramica; vogliamo parlare dei colori a mezzo gran fuoco. Sembra che quei prodotti offrano vantaggi importanti all'artista, che può conseguire invetriamenti ed effetti tanto splendidi sulla porcellana dura quanto quelli che si ottengono sulla terraglia tenera. Frattanto l'industria non ha ancora adottato questi nuovi colori. Quando i colori a gran fuoco e di muffola sono pre-
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MARCHI NON B E N I D E N T I F I C A T I
(impresso in pasta) Musso - Mondovì ? (in bleu) Clarotti - Vicoforte ?
(in marrone o nero) Barberis - Chiusa ? (inciso in pasta) Montefameglio ?
(impresso in pasta) Musso - Villanova ?
(in marrone o bleu) Salomone - Villanova ?
(impresso in pasta) Barberis - Chiusa ?
(in marrone) ? (in bleu o verde) Gribaudi - Vicoforte ?
(impresso in pasta) ?
(in bleu) Musso - Villanova ? (in bleu o marrone) G. e F. Besio - Mondovì ? Mombasiglio ?
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(inciso in pasta) ?
PITTORI, DECORATORI, MODELLATORI L'ELENCO E' MOLTO RISTRETTO NON ESSENDOSI TROVATI DATI CERTI NEGLI ARCHIVI Aimo Elisa Aimo Paolo Astengo Giovanni B. Basso Katia Belmondo (specialista in galli) Bertola Domenico (specialista in galli) Bevilacqua Giovanni Bianchi Ego Bianchi Dada Bertero Francesco Blengino Vittorio Boetto Antonio Bongiovanni Antonio Bosio Agostino Bosio Angelo Calosso Virgilia Colombatto Arnaldo Dardanelli Emilio Dardanelli Piero Dardanelli Pietro De Ambrosio Pietro Dell'Anese Loris Dell'Anese Walter Ellena Valente Ferro Angelo Fracchia Nino Gibello Prof. Giovanni Giraudo Tommaso Gramondo Antonio Lattes dr. Marco Marengo Giovanni Martinengo Luigi Martini Cesare
Massa Giovanni Montesi Mario Montrone Antonietta Montrone Giovanni Montrone P.G. Neppi Madona Lola Occelli Maria Grazia Oliveri Francesco Pardi Giovanni Passarmi Angelino Passarmi Arnaldo Passarini Gino Passarmi Giovanni Pecollo Giovanni Pasetto A.Maria Parola Mario Peano Giacomo Ravotti Berto Revello G. Battista Reviglio Romano Rossetto Giacomo Salurro Giovanni Soma Giovanni Scheda Ettore Sciolli Beppe Sciolli Gioacchino Severi Giacomo Severi Oreste Severi Vincenzo Siccardi Davide Siccardi Luigi Siccardi Pietro Sostegni Luigi Varrone Rinaldo Tarchi Romolo
Richard Ginori - Mondovì Ceramista occasionale Besio - Mondovì Besio - Mondovì ? ? Besio - Mondovì Ceramista occasionale Ceramista occasionale Gabutti - Chiusa Pesio Musso - Villanova Beltrandi - Mondovì Gabutti - Chiusa Pesio Richard Ginori - Mondovì Musso - Mondovì Musso - Villanova Besio - Mondovì Richard Ginori - Mondovì ? ? La Vittoria - Mondovì Ceramista - Chiusa Pesio Ceramista - Chiusa Pesio Gabutti - Chiusa Pesio Gabutti - Chiusa Pesio Besio - Mondovì Ceramista - Mondovì Salomone - Villanova Besio - Mondovì Besio - Mondovì Beltrandi - Mondovì Salomone - Villanova Le Moline - Vicoforte
197
Messa - Mondovì Richard Ginori - Mondovì Besio - Mondovì Besio - Mondovì Besio - Mondovì Ceramista occasionale Besio - Mondovì Besio - Mondovì Musso - Villanova ? ? La Vittoria - Mondovì La Vittoria - Mondovì Ceramica Mombasiglio Beltrandi - Mondovì Besio - Mondovì Gabutti - Chiusa Pesio Ceramista occasionale Gabutti - Chiusa Pesio Ceramista occasionale Ceramista occasionale Gabutti - Chiusa Pesio Musso - Villanova Gabutti - Chiusa Pesio Besio - Mondovì Richard Ginori - Mondovì Besio - Mondovì Besio - Mondovì Besio - Mondovì Besio - Mondovì Musso - Mondovì Beltrandi - Mondovì Ceramista occasionale Ceramista occasionale Musso - Villanova
PITTORI, DECORATORI, MODELLATORI
Agostino Bosio
Piero De Ambrosis
?
Agostino Bosio
Angelo Bosio
Pardi Giovanni ?
?
?
Marengo Giovanni
Garelli?
Billò ?
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Angelo Bosio
Agostino Bosio
Pietro Siccardi
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Ferrari ?
PITTORI DECORATORI MODELLATORI
MARCHI
Agostino Bosio Neppi Madona Lola
Sciolli Gioacchino
Beppe Sciolli
Montrone
A. Montrone
Maria Grazia Occelli
?
?
Scala 1:2
Scala 1:3 Ego Bianchi
Scala 1: 4 Ego Bianchi
Giovanni Bevilacqua Siccardi Pietro
Scheda Ettore
Messa Giovanni ?
Marco Lattes
199
MARCHI E CONTRASSEGNI
molteplicità di contrassegni, apposti su articoli molto simili se non uguali l'uno all'altro, che favorivano la vendita con la cervellotica credenza di trovarsi di fronte a manufatti prodotti in paesi diversi e quindi in concorrenza fra loro. Ognuno in sostanza aveva seguito, inconsciamente o meno, l'esempio ancora vicino di Giacomo Boselli, uno fra i più grandi maiolicari savonesi, che aveva creato, modificato o imitato un'infinità di prodotti stranieri e nostrani contrassegnandoli moltissime volte con il proprio nome e cognome francesizzato in JACQUE BOSELLI, JACQUE BOSELLY, JACQUE BOSELLI — SAVONNE, JACQUE BORELLY, unendolo qualche volta a quello del socio Giuseppe Robatto opportunamente trasformato in JOSEPH RAIBAUD; aveva così simulato origini transalpine in un ben preciso momento storico aprendosi, con insospettata facilità, il mercato italiano che anelava merce straniera e conquistando la difficilissima clientela francese. Anche i figuli monregalesi, con l'apporre marchi con nomi arieggianti a origine forestiera o con scritte francesi o inglesi oppure con approssimativa grafia cinese o giapponese, avevano ottenuto risultati stupefacenti vendendo, sia sul nostro mercato che presso clienti stranieri, manufatti che difficilmente avrebbero trovato un così facile smercio. I medesimi articoli immessi sugli stessi mercati con i contrassegni cosiddetti regolari o senza marca avevano registrato vendite notevolmente inferiori. Questa regola da allora è sempre stata applicata e ancora oggi si ottengono risultati che sorprendono i più smaliziati tecnici commerciali del nostro tempo.
I marchi e i contrassegni che distinguono le ceramiche monregalesi sono numerosissimi. Se poi si considera che molti pezzi ne sono privi, sia perché di rapida esecuzione e quindi economicamente negativa la apposizione del relativo marchio oppure perché nei servizi da tavola o da toilette venivano contrassegnati solo pochi esemplari, si arriva alla conclusione, statisticamente confermata, che la quantità di pezzi ceramici messi in commercio nei centosessant'anni di vita delle fabbriche monregalesi deve essere stata enorme. Nei primi decenni la produzione, o almeno u n a parte della produzione, era contrassegnata con ben precisi marchi impressi nella pasta ed indicante il nominativo del fabbricante e, non sempre, il luogo in cui era posto l'opifìcio. Potevano anche essere indicati con le sole iniziali — il che genera sovente confusione nelle attribuzioni — oppure, il massimo delle libertà concesse, anagrammare il cognome trasformando MUSSO in OSSUM e BESIO in OISEB. Della stessa epoca si conosce anche qualche marchio fatto a mano o inciso nella pasta. Nella seconda metà dell'ottocento con lo affermarsi della tecnica con decalcomanie o timbri, più economica perché di esecuzione veloce, i fabbricanti si distinguono per la varietà e l'esoticità dei marchi dimostrando di possedere uno spiccatissimo senso di immaginazione. E allora eccoli a immatricolare i loro prodotti, oltre che con il normale marchio di fabbrica, con diciture strane e stravaganti, dettate da esigenze di tattica commerciale o per assecondare il gusto della clientela italiana caratterizzata da un inguaribile atteggiamento esterofilo che non ha mai abbandonato i nostri connazionali di ogni tempo e di ogni regione, oppure perché l'esportazione era agevolata da questa 201
FAC SIMILE DEI MARCHI E CONTRASSEGNI DISPOSTI IN ORDINE ALFABETICO SCALA 1:2,25
(i numeri a fianco di ogni marchio indicano la pagina a cui si riferiscono)
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212
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Richard Ginori - Giugno 1961, Milano, 1961 Relazione del Consiglio Provinciale di Mondovì dell'anno 1842 (Arch. Com. Mondovì) Quadro indicante le manifatture esistenti nel Comune di Mondovì dell'8 luglio 1845 (Arch. Com. Mondovì) Determinazione del Ministro Segretario di Stato per la Marina, l'Agricoltura e il Commercio, Torino, 16-1-1851 Relazione fatta al Consiglio Provinciale di Mondovì nell'apertura della sua tornata per il 1852 dall'Intendente Conte Augusto di Cossilia, Mondovì, 1852 Tabella dei forni e delle usine, descrizione di tre fabbriche di stoviglie monregalesi nel 1858 (Arch. Com. Mondovì) Municipio di Mondovì — Supplica al Ministero nel giugno 1863 perché Mondovì sia nuovamente Capoluogo di Provincia, Mondovì, 1863 Consiglio Provinciale di Cuneo — Atti del Consiglio Provinciale — Anni 1860-18611862, Cuneo, 1863 idem — Anni 1863-1864-1865, Cuneo, 1865 idem — Anni 1866-1867-1868, Cuneo, 1869 Consiglio Provinciale dell'Economia di Cuneo — Catalogo degli esportatori della Provincia di Cuneo, Cuneo, 1930 idem — Cuneo, 1935 idem — Cuneo, 1947 idem — Cuneo, 1955 Annuario economico statistico dell'Italia per l'anno 1853, Torino, 1854 Camera di Commercio e Arti - Cuneo - Relazione sulla condizione economica della Provincia nell'anno 1870, Cuneo, 1871 Guida Oggero della Provincia di Cuneo 1899 I Guida Oggero della Provincia di Cuneo 1900 II Guida Oggero della Provincia di Cuneo 1902 III Guida Oggero della Provincia dì Cuneo 1903 - 1904 IV Guida Oggero della Provincia di Cuneo 1906 V Guida Oggero della Provincia di Cuneo 1909 VI Guida Oggero della Provincia dì Cuneo 1910 VII Guida Oggero della Provincia di Cuneo 1911 VIII Guida Oggero della Provincia di Cuneo 1912 IX Guida Oggero della Provincia di Cuneo 1913 X Guida Oggero della Provincia di Cuneo 1914 XI Guida Oggero della Provincia di Cuneo 1915 XII Guida Oggero della Provincia di Cuneo 1920 - 1921 XIII Guida Oggero della Provincia di Cuneo 1923 XIV Guida Oggero della Provincia di Cuneo 1925 XV L'Almanacco di Mondovì 1877, Mondovì, 1877 O cannocciale de Savona: anno 1844 O cannocciale de Savona: anno 1845 O cannocciale de Savona: anno 1846 Il regolamento della Società Economica di Savona istituita nel 1834 e riformata nel 1851 ecc. ecc., Savona, 1852 Triennale pubblica esposizione, Torino, 1829-1832 Storia dell'esposizione dei prodotti e delle manifatture nazionali fatta in Genova nel settembre 1846, Genova, 1847 Esposizione Industriale e Belle Arti, Torino, 1850 Esposizione Agraria, Industriale e Artistica di Cuneo, 1870 Esposizione di Torino del 1878, Torino, 1878 Esposizione di Torino del 1883, Torino, 1883 Esposizione di Milano del 1880, Milano, 1880 Esposizione di Milano del 1885, Milano, 1885 Esposizione Agraria Industriale in Mondovì 1878, Mondovì, 1878 Esposizione Circondariale di Cuneo 1895, Cuneo, 1895
213
GIORNALI MONREGALESI
IL MONDOVITA IL VASCO L'APE MONDOVITA GAZZETTA PIEMONTESE L'APE L'ELLERO IL MONREGALESE LA GAZZETTA DI MONDOVÌ UNIONE MONREGALESE L'ALPINISTA
214
TAVOLE A C O L O R I
217
1 Piatto Ø cm 22,5 Policromia Giuseppe Besio - Mondovì 1875-1884
3. Piatto Ø cm 26,5 Policromia Alessandro Musso - Mondovì 1849-1879
2. Piatto Ø cm 32 Policromia Vedova Besio e Figli Mondovì - 1884-1889
4. Piatto Ø cm 22 Policromia G. Besio - Mondovì 1875-1884 (collezione Giordano)
5. Piatto Ø cm 31,5 Policromia Felice Musso - Villanova 1877-1885
7. Piatto Ø cm 22 Policromia su rilievo Vedova Besio e Figli Mondovì - 1884-1889
6. Piatto Ø cm 34 Policromia Giuseppe Barberis Chiusa Pesio - 1836-1866
8. Piatto Ø cm 30 Policromia Lorenzo Montefameglio (collezione Giordano)
218
219
9. Piatto Ø cm 28,5 Policromia Alessandro Musso - Mondovì 1849-1879
11. Piatto Ø cm 22 Policromia Giuseppe Besio - Mondovì 1867-1884
10. Piatto Ø cm 22,5 Policromia Fratelli Gabutti Chiusa Pesio - 1866-1880
12. Piatto Ø cm 22,5 Policromia Felice Musso - Mondovì 1879-1897
13. Piatto Ø cm 22 Policromia Fratelli Salomone - Villanova 1879-1881
15. Piatto Ø cm 33 Policromia Richard Ginori - Mondovì 1897-1920
14. Piatto Ø cm 22,5 Policromia Fratelli Gabutti Chiusa Pesio - 1866-1880
16. Piatto Ø cm 31 Policromia Richard Ginori - Mondovì 1920-1940
220
17. Piatto Ø cm 34 Policromia Edoardo Barberis Mondovì - 1898-1901 18. Piatto Ø cm 28,5 Policromia Vedova Besio e Figli Mondovì - 1884-1889 19. Piatto Ø cm 30,5 Lorenzo Beltrandi Mondovì - 1898-1908
221
20. Piatto Ø cm 34,5 Policromia Alessandro Musso - Mondovì 1849-1879
22. Piatto Ø cm 37 Policromia Lorenzo Montefameglio Mondovì - 1859-1867
21. Piatto Ø cm 30,5 Policromia Alessandro Musso - Mondovì 1849-1879
23. Piatto Ø cm 31 Policromia F.lli Gabutti - Chiusa Pesio 1880-1890 (collezione Giordano)
222
24. Piatto largh. cm 44 Policromia Alessandro Musso - Mondovì 1849-1879
223
25. Piatto Ø cm 34,5 Policromia Fratelli Gabutti Chiusa Pesio - 1866-1890
26. Piatto da parata Ø cm 45 - Policromia De Ambrosis pittore La Vittoria - Mondovì 1919
27
27. Piatto Ø cm 31 Policromia P. Siccardi pittore La Vittoria - Mondovì 1921 28. Piatto largh. cm. 44 Policromia Benedetto Musso - Mondovì 1810-1849 28
224
29
30
29. Piatto Ø cm 39 Policromia Giuseppe Besio - Mondovì 1875-1884 30. Piatto da parata 0 cm. 33,5 - Policromia Edoardo Barberis - Mondovì 1898-1901
225
31. Piatto Ø cm 26 Policromia Alessandro Musso - Mondovì 1849-1879
33. Piatto largh. cm 35 Policromia Alessandro Musso - Mondovì 1849-1879
32. Piatto Ø cm 33 Policromia ? - Mondovì 1860 circa
31
32
33
226
34. Piatto Ø cm 28 Policromia F.lli Gabutti - Chiusa Pesio 1880-1890 (collezione Giordano) 35. Piatto da parata Ø cm 28 - Policromia D.C. pittore - Felice Musso Mondovì - 1879-1897
227
36
36. Piatto h. cm 52,5 Policromia Fratelli Messa - Mondovì 1875-1884 37. Piatto Ø cm 22,5 Policromia Fratelli Gabutti Chiusa Pesio - 1866-1890 38. Piatto Ø cm 27 Policromia G.B. Magliano - Mondovì 1850-1859 (collezione Giordano) 38
37
228
39. Piatto Ø cm 22 Policromia Fratelli Gabutti Chiusa Pesio - 1866-1890 40. Due piatti Ø cm 21 Policromia Ved. Besio e Figli - Mondovì 1884-1890 (collezione Giordano)
229
41. Piatto da parata Ø cm 43 - Monocromia in rilievo bianco-bleu Fratelli Messa - Mondovì 1860-1878 42. Piatto da parata Ø cm. 52 - Policromia in rilievo - Benedetto Musso Mondovì - 1810-1849 43. Piatto Ø cm. 22 Celadon in rilievo Felice Musso - Mondovì 1879-1897 44. Piatto largh. cm 21 Policromia in rilievo Francesco Perotti - Mondovì 1808-1810 45. Piatto Ø cm 22 Policromia su rilievo Felice Musso - Mondovì 1879-1897
230
231
232
46. Piatto ovale largh. cm 37,5 Policromia Alessandro Musso - Mondovì 1849-1879 47. Piatto ovale largh. cm 50 Policromia Giuseppe Besio - Mondovì 1841-1850 48. Piatto Ø cm 21 Policromia Andrea Salomone - Villanova 1879-1890 49. Piatto Ø cm 36 Policromia Richard Ginori - Mondovì 1898 50. Piatto Ø cm 27,5 Policromia Vedova Besio e Figli Mondovì - 1884-1889
233
51. Piatto Ø cm 28 Policromia Richard Ginori - Mondovì 1919-1925 52. Piatto Ø cm 30 Policromia P.A. Renaudi - Ceramica P. Chiusa Pesio - 1950-1960
234
53. Madonna h. cm 41 Monocromia bleu ? - Mondovì - 1850 circa
235
54. Gallinella h. cm 11 Policromia Giuseppe Besio - Mondovì 1867-1884 55. Anatra h. cm 12 Policromia Musso e Beltrandi - Mondovì 1884-1898
236
56. Placca h. cm 27,5 Policromia Felice Musso - Villanova 1877-1890
237
57. Zuppiera h. cm 21 largh. cm. 28,5 Francesco Perotti - Mondovì 1808-1810
58. Zuppiera h. cm 20 Policromia Vedova Besio e Figlio Mondovì - 1884-1889
238
59. Zuppiera h. cm 27 Policromia Giuseppe Besio - Mondovì 1850-1870
239
240
60. Zuppiera h. cm 24 Monocromia bianco bleu Michele Giordana Chiusa Pesio - 1833-1836 61. Zuppiera h. cm 28 Policromia Giuseppe Besio - Mondovì 1850-1870 62. Zuppiera h. cm 26 Policromia Lorenzo Montefameglio Mondovì - 1859-1867 63. Ragazza alla fonte h. cm 23,5 - Policromia ? - Mondovì - 1850 circa 64. Strillone h. cm 18,5 Policromia Felice Musso ? - Mondovì 1881 circa 65. Il moro e Gianduia h. cm 21 - Policromia Benedetto Musso - Mondovì 1810-1849
241
66. Vassoio h. cm 22,5 Policromia Lorenzo Montefameglio Mondovì - 1859-1867
242
67. Tazzoni h. cm 8,5 Policromia Giuseppe Besio - Mondovì 1867-1884 68. Tazzone h. cm 9 Policromia Giuseppe Besio - Mondovì 1841-1850 69. Tazzone h. cm 10 Policromia Felice Musso - Villanova 1877-1890
243
70. Zuccheriera h. cm Policromia Vedova Besio e Figli Mondovì - 1884-1889
15,5
72. Tazzine h. cm 6 Piattini 0 cm. 12,5 Policromie Lorenzo Montefameglio Mondovì - 1859-1867
71. Boccale h. cm 27 Policromia Alessandro Musso - Mondovì 1849-1879
244
73. Composizione in sette pezzi largh. cm 75 Policromia Benedetto Musso - Mondovì 1810-1849 74. Terrina h. cm 22 Policromia Giuseppe Besio - Mondovì 1875 circa 75. Terrina Ø cm 27,5 Maiolica polìcroma Benedetto Musso ? Mondovì - 1810-1820
245
246
76. Vaso globulare h. cm 14 Celadon Felice Musso - Villanova 1877-1890 77. Vasetti h. cm 12,5 Policromia Giuseppe Besio - Mondovì 1850-1867 78. Vaso h. cm 20,5 Policromia Vedova Besio e Figlio Mondovì - 1889-1895 79. Vaso h. cm 19 Policromia Benedetto Musso - Mondovì 1810-1849 80. Vaso h. cm 19 Policromia Richard Ginori - Mondovì 1897-1899 81. Vaso h. cm 18 Policromia Alessandro Musso - Mondovì 1849-1879
247
82. Vaso h. cm 17 Policromia Giuseppe Besio - Mondovì 1841-1867 83. Vasi h. cm 30,5 Policromia Giuseppe Besio - Mondovì 1867-1884
248
TAVOLE IN B I A N C O E N E R O
1. Piatto Ø cm 22 Policromia Giuseppe Barberis Chiusa Pesio - 1836-1866 2. Alzatina Ø cm 27 Monocromia bianco bleu Michele Giordana ? Chiusa Pesio - 1833-1836 3. Piatto Ø cm 26 Monocromia bianco bleu Giuseppe Barberis Chiusa Pesio - 1836-1866
251
4. Piatto Ø cm 21,5 Policromia bleu e marrone Giuseppe Barberis Chiusa Pesio - 1836-1866
252
5. Piatto Ø cm 31 Policromia Fratelli Gabutti Chiusa Pesio - 1866-1880 6. Piatto Ø cm 29 Policromia Richard Ginori - Mondovì 1897-1905 7. Piatto Ø cm 21,5 Monocromia marrone Giuseppe Barberis Chiusa Pesio - 1836-1866
253
8. Piatto Ø cm 23 Monocromia bianco bleu Giuseppe Besio - Mondovì 1875-1884 9. Piatto Ø cm 23 Policromia Andrea Salomone Villanova - 1879-1895
254
10. Piatto Ø cm 22,5 Policromia Manifattura Gribaudi Vicoforte circa il 1880 11. Piatto Ø cm 23 Policromia Fratelli Tomatis - Mondovì 1840-1842
255
12. Piatto Ø cm 29 Policromia Luigi Gribaudi Vicoforte - 1889-1900 13. Piatto Ø cm 29 Policromia Fratelli Gabutti Chiusa Pesio - 1866-1890
256
14. Piatto Ø cm 31 Policromia Benedetto Musso - Mondovì 1879-1895
257
15. Piatto Ø cm 21,5 Policromia Giuseppe Barberis Chiusa Pesio - 1836-1866 16. Piatto Ø cm 23 Monocromia bianco bleu Fratelli Gabutti Chiusa Pesio - 1866-1890
258
17. Piatto Ø cm 22 Policromia Fratelli Musso - Mondovì 1879 18. Piatto Ø cm 22 Monocromia bianco bleu Giuseppe Barberis Chiusa Pesio - 1836 1866 19. Piatto Ø cm 24 Policromia Magliano - Mondovì 1850-1859 20. Piatto Ø cm 23 Policromia Giuseppe Besio - Mondovì 1841-1850
259
21. Piatto Ø cm 20,5 Policromia Giuseppe Besio - Mondovì 1841-1850
260
22. Piatto Ø cm 22 Policromia Giuseppe Besio - Mondovì 1867-1884 23. Piatto Ø cm 23 Monocromia bianco bleu Benedetto Musso - Mondovì 1810-1834
261
24. Piatto Ø cm 23 Policromia Lorenzo Montefameglio Mondovì - 1859-1867
262
25. Piatto Ø cm 27 Monocromia bianco bleu Benedetto Musso - Mondovì 1810-1849 26. Piatto Ø cm 31 Policromia Andrea Salomone - Villanova 1881-1890
263
27. Piatto ovale h. cm 39 Policromia Federico e Giuseppe Besio Mondovì - 1885-1895
264
28. Piatto Ø cm 28,5 Policromia Fratelli Gabutti Chiusa Pesio - 1866-1890 29. Piatto largh. cm 39,5 Policromia Lorenzo Beltrandi - Mondovì 1898-1908
265
30. Piatto Ø cm 23 Policromia Giuseppe Besio - Mondovì 1875-1884
266
31. Piatto largh. cm 39,5 Policromia Alessandro Musso - Mondovì 1849-1879
267
32. Piatto Ø cm 22,5 Policromia Felice Musso - Mondovì 1879-1884
268
33. Piatto Ø cm 22 Policromia Luigi Gribaudi - Vicoforte 1860-1865
35. Piatto Ø cm 30 Policromia Michele Giordana Chiusa Pesio - 1836-1866
34. Piatto Ø cm 22 Policromia Felice Musso - Mondovì 1879-1897
36. Piatto Ø cm 21,5 Policromia Lorenzo Beltrandi Mondovì - 1915-1919
269
37. Piatto Ø cm 23 Policromia Vedova Besio e Figli Mondovì - 1884-1889 38. Piatto Ø cm 31 Policromia Fratelli Gabutti Chiusa Pesio - 1866-1890
270
39. Piatto Ø cm 22 Policromia Giuseppe e Federico Besio Mondovì - 1885-1892
41. Piatto Ø cm 22 Policromia Giuseppe Besio - Mondovì 1867-1884
40. Piatto Ø cm 22 Policromia ? - Mondovì - 1850-1860 ca.
42. Piatto Ø cm 22 Policromia Alessandro Musso - Mondovì 1849-1879
271
43. Piatto da parata Ø cm 28,5 - Policromia Felice Musso - Mondovì 1895 - Angelo Bosio pittore
272
44. Piatto Ø cm 21 Policromia Agostino Bosio pittore Richard Ginori - Mondovì 1927 45. Piatto Ø cm 23 Policromia Lorenzo Montefameglio Mondovì - 1859-1867
46. Piatto Ø cm 24 Policromia Magliano - Mondovì 1850-1859 47. Piatto Ø cm 22,5 Policromia Felice Musso - Mondovì 1879-1897
273
48. Piatto Ø cm 33 Policromia Giuseppe Besio - Mondovì 1867-1884 49. Piatto Ø cm 22,5 Policromia Lorenzo Montefameglio Mombasiglio ? - 1870-1876
274
50. Piatto Ø cm 28 Policromia Fratelli Gabutti Chiusa Pesio - 1866-1900
275
51. Piatto Ø cm 27 Policromia Vedova Besio e Figlio Mondovì - 1884-1889 52. Piatto Ø cm 26 Policromia Felice Musso - Mondovì 1879-1897
276
53. Piatto Ø cm 32 Policromia Richard Ginori - Mondovì 1926
277
54. Piatto Ø cm 28 Policromia Felice Musso - Mondovì 1879-1897 55. Piatto Ø cm 28 Policromia Felice Musso - Mondovì 1879-1897
278
56. Piatto Ø cm 24 Policromia Andrea Salomone - Villanova 1881-1917 57. Piatto Ø cm 29 Policromia Lorenzo Beltrandi - Mondovì 1898-1908
279
58. Piatto Ø cm 38,5 Policromia Alessandro Musso - Mondovì 1849-1879 59. Piatto Ø cm 21 Policromia Alessandro Musso Mondovì - 1849-1879
280
60. Piatto Ø cm 29 Monocromia bianco bleu Fratelli Gabutti Chiusa Pesio - 1866-1895
281
61. Piatto Ø cm 22 Policromia Lorenzo Montefameglio Mondovì - 1859-1867 62. Piatto Ø cm 22 Policromia Lorenzo Montefameglio Mondovì - 1859-1867
282
63. Piatto Ø cm 21 Policromia Lorenzo Montefameglio Mondovì - 1859-1867 64. Piatto Ø cm 22 Policromia Lorenzo Montefameglio Mondovì - 1859-1867
283
65. Piatto Ø cm 22 Monocromia bianco bleu Giuseppe Besio - Mondovì 1841-1850 66. Piatto Ø cm 24 Policromia bleu e marrone Lorenzo Montefameglio Mondovì - 1859-1867
284
67. Piatto Ø cm 33 Policromia Fratelli Tomatis ? Mondovì - 1840-1842
285
68. Piatto Ø cm 24 Policromia Lorenzo Montefameglio Mondovì - 1859-1867 69. Piatto Ø cm 22 Policromia Michele Giordana Chiusa Pesio - 1833-1836
286
70. Piatto Ø cm 32,5 Monocromia bianco bleu Alessandro Musso - Mondovì 1849-1879 71. Piatto Ø cm 38 Monocromia bianco bleu Benedetto Musso - Mondovì 1810-1849
287
72. Piatto largh. cm. 36 Policromia Alessandro Musso - Mondovì 1849-1879
288
73. Piatto Ø cm 34 Policromia Benedetto Musso - Mondovì 1834-1849 74. Piatto Ø cm 28 Policromia Vedova Besio e Figli Mondovì 1884-1889
289
75. Piatto Ø cm 30 Monocromia bianco bleu Benedetto Musso - Mondovì 1810-1834 76. Piatto Ø cm 40 Policromia ? - Mondovì circa 1860
290
77. Piatto Ø cm 19 Policromia ? - Mondovì circa 1860 78. Piatto Ø cm 35,5 Policromia Alessandro Musso - Mondovì 1849-1879
291
79. Piatto Ø cm 21 Policromia Alessandro Musso - Mondovì 1849-1879
292
80. Piatto Ø cm 37 Monocromia bianco bleu Benedetto Musso - Mondovì 1819-1849 81. Piatto Ø cm 28 Monocromia bianco grigio Benedetto Musso - Mondovì 1810-1834 82. Piatto Ø cm 21 Monocromia bianco bleu Giuseppe Barberis ? Chiusa Pesio - 1836-1866
293
83. Piatto Ø cm 29 Policromia Vedova Besio e Figli Mondovì - 1884-1889
294
84. Piatto Ø cm 23 Policromia Fratelli Messa - Mondovì 1875-1884 85. Piatto Ø cm 28,5 Policromia Fratelli Gabutti Chiusa Pesio - 1866-1890
295
296
86. Bacile largh. cm 32 Policromia Vedova Besio e Figli Mondovì - 1884-1889 87. Piatto largh. cm 32 Monocromia bianco bleu Felice Musso - Mondovì 1879-1897 88. Piatto Ø cm 22 Policromia Fratelli Gabutti Chiusa Pesio - 1866-1890 89. Piatto Ø cm 22,5 Policromia Vedova Besio e Figli Mondovì - 1884-1889
297
90. Piatto Ø cm 23 Policromia Fratelli Gabutti Chiusa Pesio - 1866-1890 91. Piatto Ø cm 33 Monocromia bianco bleu Vedova Besio e Figli Mondovì - 1884-1889
298
92. Piatto Ø cm 22 Monocromia bianco bleu Luigi Gribaudi - Vicoforte 1889-1893
299
93. Piatto Ø cm 23 Monocromia bianco bleu Musso e Beltrandi Mondovì - 1884-1895 94. Piatto Ø cm 24 Monocromia bianco bleu Giuseppe Besio - Mondovì 1875-1884
300
95. Piatto Ø cm 27 Monocromia bianco bleu Giuseppe Barberis Chiusa Pesio - 1836-1866 96. Piatto Ø cm 22 Policromia Lorenzo Montefameglio Mondovì 1859-1867
301
97. Piatto Ø cm 22 Monocromia bianco bleu Magliano - Mondovì 1850-1859 98. Piatto Ø cm 28 Policromia Lorenzo Montefameglio Mondovì - 1859-1867
302
99. Piatto Ø cm 24 Monocromia bianco bleu Giuseppe Besio - Mondovì 1875-1884
99
100. Piatto Ø cm 23 Monocromia bianco bleu Giuseppe Besio - Mondovì 1867-1884
100
303
101. Piatto Ø cm 22,5 Monocromia bianco bleu Benedetto Musso - Mondovì 1810-1834
101
102. Bacile Ø cm 27 Policromia Giuseppe e Federico Besio Mondovì - 1884-1892
102
304
103. Piatto Ø cm 31 Monocromia bianco bleu Fratelli Gabutti Chiusa Pesio - 1866-1890
103
104. Piatto Ø cm 23 Policromia Giuseppe Besio - Mondovì 1867-1884
104
305
105. Piatto Ø cm 22 Andrea Salomone Villanova - 1879-1895 106. Piatto Ø cm 21 Policromia Andrea Salomone Villanova 1879-1895
107. Piatto Ø cm 22 Policromia Andrea Salomone ? Villanova 1881 1899 108. Piatto Ø cm 28 Policromia Felice Musso - Mondovì 1879-1897
105
106
107
108
306
109. Piatto Ø cm 22,5 Policromia Andrea Salomone Villanova - 1879-1895
109
110. Piatto Ø cm 36 Policromia Felice Musso - Mondovì 1879-1897
110
307
111. Piatto Ø cm 20 Policromia Felice Musso - Mondovì 1879-1897
111
112. Piatto Ø cm 22 Policromia Giuseppe Besio - Mondovì 1875-1884
112
308
113. Piatto Ø cm 22 Policromia Lorenzo Montefameglio Mondovì - 1859-1867
309
114. Piatto da parata h. cm 39 - Policromia Federico e Giuseppe Besio Mondovì - 1895 Angelo Bosio pittore
114
310
115. Piatto Ø cm 28,5 Policromia - pittore Angelo Bosio Felice Musso - Mondovì 1890 circa
115
116. Piatto Ø cm 24 Monocromia grigia Angelo Bosio pittore Felice Musso - Mondovì 1890-1897
116
311
117. Piatto Ø cm 32 Policromia Lorenzo Beltrandi - Mondovì 1898-1908
119. Piatto Ø cm 23,5 Policromia Fratelli Gabutti Chiusa Pesio - 1866-1890
118. Piatto Ø cm 23 Policromia Alessandro Musso - Mondovì 1849-1879
120. Piatto Ø cm 23 Policromia Felice Musso - Mondovì 1879 1897
117
118
119
120
312
121. Piatto Ø cm 22 Policromia Vedova Besio e Figlio 1911
121
122. Piatto Ø cm 22 Monocromia stampata Vedova Besio e Figlio Mondovì - 1911-1912
122
313
123. Piatto Ø cm 27 Monocromia stampata Vedova Besio e Figlio Mondovì - 1911-1912
123
124. Piatto Ø cm 27 Monocromia stampata Vedova Besio e Figlio Mondovì - 1918-1919
124
314
125. Piatto Ø cm 23 Monocromia stampata Benedetto Musso - Mondovì 1879-1895
125
126. Piatto Ø cm 27 Monocromia stampata Luigi Gribaudi - Vicoforte 1893-1910
126
315
127. Piatto Ø 26 Monocromia stampata Giuseppe Besio - Mondovì 1875-1884
127
128. Piatto Ø cm 23 Monocromia stampata Fratelli Messa ? - Mondovì 1875-1884
128
316
129. Piatto Ø cm 24 Monocromia stampata Felice Musso - Mondovì 1885 130. Piatto Ø cm 24 Monocromia stampata Felice Musso - Mondovì 1885 131. Piatto Ø cm 23 Monocromia stampata Richard Ginori - Mondovì 1900
129
130
131
317
132. Piatto Ø cm 21 Monocromia stampata Magliano - Mondovì 1850-1859
132
318
133. Piatto largh. cm 38 Monocromia stampata Felice Musso - Mondovì 1879-1897
133
319
134. Piatto Ø cm 22 Monocromia stampata Lorenzo Montefameglio Mondovì - 1859-1867
134
135. Piatto Ø cm 22 Monocromia stampata Magliano - Mondovì 1850-1859
135
320
136. Piatto Ø cm 22 Monocromia stampata Magliano - Mondovì 1850-1859
136
321
137. Piatto Ø cm 22 Monocromia stampata Alessandro Musso - Mondovì 1849-1879
137
322
138. Piatto Ø cm 22 Monocromia stampata Giuseppe Besio - Mondovì 1867-1884
138
139. Piatto Ø cm 21 Monocromia stampata Magliano - Mondovì 1850-1859
139
323
140. Vassoio cm 21x21 Monocromia stampata Lorenzo Montefameglio Mondovì - 1859-1869
140
324
141. Piatto Ø cm 22 Monocromia stampata Fratelli Gabutti Chiusa Pesio - 1866-1870
141
325
142. Piatto Ø cm 35,5 Monocromia bianco bleu Giuseppe Besio - Mondovì 1867-1884
142
143. Piatto Ø cm 29 Policromia Agostino Bosio pittore La Vittoria - Mondovì 1927
143
326
144. Piatto Ø cm 21,5 Policromia su rilievo Vedova Besio e Figli Mondovì - 1884-1889
144
145. Piatto Ø cm 22 Policromia su rilievo Vedova Besio e Figli Mondovì - 1884-1889
145
327
146. Piatto Ø cm 26 Policromia su rilievo Giuseppe Besio - Mondovì 1867-1884
146
328
147. Piatto Ø cm 19,5 maiolica marrone nocciola Francesco Perotti - Mondovì 1808-1810
147
148. Alzatina largh. cm 23 maiolica marrone nocciola Francesco Perotti - Mondovì 1808-1810
148
329
149. Piatto Ø cm 24 Monocromia bianco-verde Felice Musso - Mondovì 1879-1897
149
150. Piatto Ø cm 22 Celadon Felice Musso - Mondovì 1879-1897
150
330
151. Piatto da parata Ø cm 35 Monocromia in rilievo Richard Ginori - Mondovì 1897-1899
151
152. Piatto da parata Ø cm 33 - Policromia in rilievo Fratelli Messa - Mondovì 1875-1884
152
331
153. Piatto da parata Ø cm 28 Policromia in rilievo Fratelli Messa - Mondovì 1875-1884
153
154. Tondino Ø cm 17,5 Rilievo policromo Fratelli Messa - Mondovì 1875 - Giovanni Messa scult.
154
332
155. Piatto Ø cm 23 Celadon Felice Musso - Mondovì 1879-1897
155
156. Piatto Ø cm 25 Celadon Musso - Mondovì 1860 ca.
156
333
157. Piatto a giorno largh. cm 21 bianco applicazioni policrome Alessandro Musso - Mondovì 1849-1879
157
334
158. Piatto a giorno Ø cm 25 - Bianco Giuseppe Besio - Mondovì 1867-1884
158
159. Piatto a giorno largh. cm 30 - bianco con applicazioni policrome Giuseppe Besio - Mondovì 1867-1884
159
335
160. Vassoio largh. cm 28,5 bianco Musso Alessandro - Mondovì 1849-1879
160
336
161. Placca cm 36,5 x 28,5 Rilievo policromo Fratelli Messa - Mondovì 1875-1884
161
337
162. Placchetta in rilievo h. cm 16 - Policromia Felice Musso - Mondovì 1890
162
338
163. Piastrella cm 20x10 Monocromia bianco bleu Felice Musso - Villanova 1877-1900
163
339
164. Piastrella cm 23x12 Policromia Edoardo Barberis - Mondovì 1898-1913
164
340
165. Placca cm 27,5 x 38,5 Policromia Edoardo Barberis - Mondovì 1898-1901
165
341
166. Medaglione Ø cm 65 Policromia a rilievo Giuseppe Besio - Mondovì 1880 circa 167. Vassoio largh. cm 25 Policromia in rilievo ? Mondovì 1850 circa
167
342
168. Vassoio h. cm 22 Policromia Giuseppe Besio - Mondovì 1841-1850
343
169. Vassoio Ø cm 26,5 Policromia Felice Musso - Mondovì 1879-1897
169
344
170. Fruttiera Ø cm 31 Policromia - Stampa miniata Giuseppe Besio - Mondovì 1880 circa
170
171. Vassoio largh. cm 24 Monocromia bianco marrone Alessandro Musso - Mondovì 1849-1879
171
345
172. Vassoio cm 24,5x24,5 Monocromia bianco marrone Benedetto Musso - Mondovì 1810-1849
346
173. Cestino h. cm 26 Policromia a pennello Giuseppe Besio - Mondovì 1880 circa
173
174. Vasetti traforati h. cm 8 Celadon Magliano ? - Mondovì 1850-1859
174
347
175. Zuppiera h. cm 34 Monocromia bianco bleu Fratelli Gabutti Chiusa Pesio - 1866-1900
175
348
176. Zuppiera h. cm 12 Monocromia grigio-azzurra Giuseppe Besio - Mondovì 1880 circa
176
177. Zuppiera h. cm 23 Monocromia bianco bleu Lorenzo Montefameglio Mombasiglio - 1870-1878
177
349
178. Zuppiera h. cm 26 Monocromia bianco bleu Giuseppe Besio - Mondovì 1867-1884
178
350
179. Zuppiera h. cm 27 Monocromia stampata Felice Musso - Mondovì 1879-1897
179
351
180. Zuppiera h. cm 28 Monocromia bianco bleu Giuseppe Barberis C h i u s a Pesio - 1836-1866
180
352
181. Catino e mesciacqua Policromia, stampa miniata Giuseppe Besio - Mondovì 1880 circa catino Ø cm 37 brocca h. cm 20
181
182. Vaso da notte h. cm 24 Policromia Magliano ? - Mondovì 1850-1859
182
353
183. Fiasca h. cm. 19 Policromia Giuseppe Besio - Mondovì 1841-1850
183
354
184. Fiasca h. cm 16 Monocromia bianco verde M a g l i a n o ? - Mondovì 1850-1859
184
185. Fiasca h. cm 22 Policromia Musso ? - M o n d o v ì 1810-1834
185
355
186. Boccale h. cm 11 Policromia Andrea Salomone Villanova - 1879-1890
186
356
187. Bottiglia h. cm 29 Policromia Felice Musso - Villanova 1877-1890
187
357
188. Bottiglia h. cm 20 Maiolica policroma Francesco Perotti o G. Ubertinotti - Mondovì 1808-1810
188
358
189. Caffettiera e tazzina h. cm 21 e cm 6,5 Monocromia bianco bleu Giuseppe Barberis Chiusa Pesio - 1836-1866
189
359
190. Tazzina h. cm 7 Monocromia bianco bleu Alessandro Musso - Mondovì 1849-1879
190
191. Tazzone h. cm 10 Policromia Vedova Besio e Figli Mondovì - 1884-1889
191
360
192. Zuccheriera h. cm 17 Monocromia bianco bleu Lorenzo Montefameglio Mondovì - 1859-1867
192
193. Zuccheriera h. cm 14 Policromia Giuseppe Besio - Mondovì 1867-1884
193
361
194. Bomboniera h. cm 4,5 Policromia Richard Ginori - Mondovì 1905
194
362
195. Acquasantiera h. cm 38 Monocromia bianco bleu Giuseppe Besio - Mondovì 1841-1884
195
363
196. Acquasantiera h. cm 21 Policromia Fratelli Messa ? - Mondovì 1875-1884
196
364
197. Calamaio h. cm 15 Policromia Fratelli Gabutti Chiusa Pesio - 1866-1890 198. Calamaio h. cm 9,5 bianco Felice Musso - Villanova 1877-1890
198
365
199. Calamaio h. cm 19 Policromia Giuseppe Besio - Mondovì 1841-1884
199
366
200. Bacinella Ø cm 26 Brocca h. cm. 19 Monocromia stampata Giuseppe Besio - Mondovì 1850-1875
200
367
201. Potiches h. cm 35 Monocromia bianco bleu Benedetto Musso - Mondovì 1810-1825
201
368
202. Vaso h. cm 18,5 Policromia Felice Musso - Mondovì 1879-1897
202
369
203. Vasi h. cm 23,5 Policromia Giuseppe Besio - Mondovì 1867-1884
203
370
204. Vaso h. cm 23 Policromia s Edoardo Barberi Mondovì - 1898 1913
204
371
205. Vaso h. cm 19 Policromia Lorenzo Beltrandi - Mondovì 1898-1908
205
372
206. Vasi h. cm 32 Maiolica marrone nocciola Francesco Perotti o G. Ubertinotti - Mondovì 1808-1810
206
373
207. Vaso h. cm 16 Policromia Richard Ginori - Mondovì 1900
207
374
208. Brocca h. cm 21 Monocromia bianco bleu Lorenzo Montefameglio Mondovì -
1859-1867
208
375
209. Brocchino h. cm 26,5 Policromia Alessandro Musso - Mondovì 1849-1879
209
376
210. Brocchino h. cm 24,5 Bianco Felice Musso - Villanova 1877-1890
210
377
211. Brocchetta h. cm 18 Policromia Vedova Besio e Figli Mondovì - 1884-1889
211
378
212. Brocca h. cm 23,5 Bianco Felice Musso - Villanova 1877-1890
212
379
213. Brocca h. cm 16 Maiolica marrone nocciola Francesco Perotti - Mondovì 1808-1810
380
214. Brocca h. cm 21 Maiolica in manganese rilievi bianchi Francesco Perotti o G. Ubertinotti Mondovì - 1808-1810
381
215. Scaldino h. cm 24 Maiolica marrone nocciola Francesco Perotti - Mondovì 1808-1810
215
382
216. Cremiera h. cm 24 Maiolica marrone-nocciola Francesco Perotti - Mondovì 1808-1810
216
383
217. Cornicetta cm 19,5x15,5 Maiolica marrone nocciola Francesco Perotti - Mondovì 1808-1810
217
384
218. Bottiglie marrone o crema Fabbriche di Vicoforte ? Secolo XVIII
218
385
219. Cestello h. cm 10,5 Policromia Francesco Perotti o G. Ubertinotti - Mondovì 1808-1810
219
386
220
220. Vasi h. cm 17 Monocromia marrone Fabbrica sconosciuta sec. XVIII 221. Cestelli h. cm 24,5 Monocromia bianco bleu Benedetto Musso - Mondovì 1810-1849
221
387
222. Vasi h. cm 10,5 h. cm. 14,5 Monocromia bianco bleu Manifattura Gribaudi Vicoforte circa 1880
222
388
223. Vaso h. cm 19 Policromia La Vittoria - Mondovì 1919-1920
223
389
224. Suonatore h. cm 14 Policromia Benedetto Musso - Mondovì 1890-1895
225. Contadino h. cm 22 Monocromia marrone Fabbrica sconosciuta sec. XIX
226. Ranocchia h. cm 17,5 Policromia Benedetto Musso - Mondovì 1890-1895
227
390
227. Gallinelle h. cm 9,5 Policromia Felice Musso - Villanova 1877-1900
228. Madonna h. cm 29 Bianco Annibale Musso - Villanova 1851-1857
228
391
229. Testa di negro h. cm 22,5 Policromia Ved. Besio e Figlio Mondovì - 1945-1965 230. Leoni h. cm 6,5 Maiolica policroma Benedetto Musso - Mondovì 1810-1815
230
392
231
231. Bambino con uccello h. cm 11 - Policromia Felice Musso - Villanova 1877-1890 232. Cacciatore h. cm 24 Policromia Benedetto Musso - Mondovì 1810-1849 233. Paggetto h. cm 25 Policromia Benedetto Musso - Mondovì 1810-1849
232
393
234. Anatra h. cm 14 Policromia Musso e Beltrandi Mondovì - 1884-1898 235. Capretta h. cm 14 Monocromia bianco marrone Benedetto Musso - Mondovì 1810-1849 (collezione Jolanda Marrone)
394
236. Cane h. cm 27 Monocromia bianco bleu Giuseppe Besio - Mondovì 1867-1884 237. Cane h. cm 26 Policromia Giuseppe Besio - Mondovì 1867-1884
395
238. Gatto h. cm 8,5 Monocromia bianco-marrone Benedetto Musso - Mondovì 1810-1834
396
INDICE
LA TERRAGLIA
pag.
7
LA CERAMICA MONREGALESE NEI SECOLI XVII - XVIII
«
13
LA CERAMICA MONREGALESE DALL'INIZIO DEL SECOLO AD OGGI
«
23
LA TERRAGLIA «VECCHIA MONDOVÌ» ESEMPI DI DECORAZIONI SULLA TESA DEL PIATTO ESEGUITI
«
43
NELLE FABBRICHE MONREGALESI
«
51
IL CONTE GIUSEPPE ALESSIO CHIERA DEL VASCO
«
71
I MUSSO
« « « « « « « « « « « «
77 77 79 83 84 85 85 86 86 87 87 91
IL DOTTORE FRANCESCO PEROTTI
Benedetto Musso — Mondovì Alessandro Musso — Mondovì Felice Musso — Mondovì Benedetto Musso — Mondovì Antonio Musso — Savona Giuseppe e Felice Musso — Savona Annibale Musso — Villanova Felice Musso — Villanova Ferdinando Musso — Villanova Mario Musso — Villanova Marchi e Contrassegni I BESIO E I LEVI Marchi e Contrassegni ALTRE FABBRICHE IN MONDOVÌ Andrea e Sebastiano Tomatis Giovanni Battista e Stefano Magliano Lorenzo Montefameglio e Luscaris Giovanni, Giuseppe e Maria Messa Felice Musso e Lorenzo Beltrandi Lorenzo Beltrandi e Figli Edoardo Barberis Ernesto, Biagio, Giovanni, Giuseppe Giorgis e A Sibilla Massiera La Vittoria Marchi e Contrassegni
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97 118
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SOCIETÀ CERAMICA ITALIANA RICHARD GINORI — CARASSONE Marchi e Contrassegni
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LE FABBRICHE DELLA CERTOSA DI PESIO, CHIUSA PESIO E VILLANOVA « Grandis e Berardengo « Michele Giordana «
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Giuseppe Barberis « Salvatore e Giovanni Battista Gabutti « S.A. Ceramica Piemontese « Soc. An. per l'Esercizio della Ceramica Piemontese « S.p.A. Ceramica Piemontese « Loris e Walter dell'Anese « F.lli Salomone e F.lli Messa « Andrea Salomone « Nuova Industria Ceramica sull'Ellero di P. Silvestrini « N.I.C.E. » « Industria Ceramica Silvestrini Pianetta « N.I.C.E. » « Marchi e Contrassegni «
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LE FABBRICHE DI VICOFORTE, MOMBASIGLIO, CEVA Vicoforte Mombasiglio Ceva Marchi e Contrassegni
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201
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206
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Finito di stampare nell'ottobre 1973 presso lo Stabilimento Litografico AGA
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