La caverna
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Zitiervorschau

José Saramago

La caverna Traduzione di Rita Desti Titolo originale A Caverna © José Saramago e Editorial Catninho, SA, Lisboa By arrangement with Dr. RayGiide Mervin, Literarische Agentur Bad Homburg, Germany © 2000 e 2004 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino

Indice Note editoriali ...........................................................................1

Nota di Giulia Mozzato ........................................................................................ 1 Nota di Aldo Filosa .............................................................................................. 3 Nota di Alessandro Fanfoni .................................................................................. 3

LA CAVERNA .................................................................................... 4 1. ...........................................................................................4 2. ......................................................................................... 12 3. ......................................................................................... 19 4. ......................................................................................... 28 5. ......................................................................................... 36 6. ......................................................................................... 44 7. ......................................................................................... 54 8. ......................................................................................... 63 9. ......................................................................................... 70 10......................................................................................... 76 11......................................................................................... 85 12......................................................................................... 91 13....................................................................................... 100 14....................................................................................... 108 15....................................................................................... 116 16....................................................................................... 127 17....................................................................................... 138 18....................................................................................... 148 19....................................................................................... 156 20....................................................................................... 166 21....................................................................................... 177 Note editoriali Il mito platonico della caverna, rivisitato da Saramago e portato ai giorni nostri: la storia di un vasaio cui viene rifiutata la solita fornitura di stoviglie da parte del Centro – costruzione quasi infinita e maligna, come la Biblioteca di Borges, come il manicomio-lager di “Cecità”, come l’Archivio del Signor José in “Tutti i nomi”, simbolo del potere nell’età della globalizzazione. L’artigiano si troverà così costretto a inventarsi un altro prodotto e, soprattutto, a confrontarsi con il Centro stesso, a cercare di scoprirne il terribile, spaventoso segreto racchiuso nelle sue profonde viscere

Nota di Giulia Mozzato “Lì rimasero per più di due ore il cane e il suo padrone, ciascuno con i propri pensieri, ormai senza lacrime piante dall’uno e asciugate dall’altro, chissà, forse in attesa

che la rotazione del mondo rimettesse tutte le cose ai loro posti, senza dimenticarne qualcuna che fino ad ora non è ancora riuscita a trovare il proprio.” Si conclude con questo romanzo la trilogia iniziata nel 1995 con Cecità e proseguita nel 1997 con Tutti i nomi. Tre opere dure e drammatiche che indagano a fondo la natura umana, i sentimenti, la difficoltà di rapportarsi con un sistema sociale burocratico, insofferente, inattaccabile. Non un pessimismo universale pervade questo romanzo, con un finale aperto alla speranza, ma una critica decisa e diretta alla globalizzazione, all’omologazione, alla chiusura intellettuale che porta alla discriminazione, all’emarginazione, all’egoistica grettezza che purtroppo sappiamo quanto circondi tutti noi in questi anni. È un’opera dall’andamento sinuoso e rallentato, che svolge la storia tra dialoghi e descrizioni, tra pensieri e azioni. I protagonisti si presentano con discrezione al lettore, senza fretta: ci sarà molto tempo per tratteggiarli, per approfondire la conoscenza del loro animo. La scrittura fluida e armoniosa è quella che già conosciamo e che gli ha valso il Premio Nobel nel 1998. Un furgone viaggia ai margini della città. Emarginazione, miseria, degrado accompagnano lungo la strada i due passeggeri del piccolo camion: Cipriano Algor, il suocero, e Marçal Gacho, il genero. Parlano poco, osservano in silenzio i campi e le case, temono di essere assaliti da una banda di disperati intenzionati a rubare la merce che stanno trasportando. È un carico modesto, ma per loro prezioso. La Fornace Algor (costruita in un piccolo paese di campagna) produce vasellame da cucina che viene venduto al Centro, una struttura “privilegiata” autosufficiente che si trova all’interno della città. Il Centro è un luogo altamente controllato, organizzato e isolato, in cui abitano, lavorano, fanno gli acquisti necessari, si divertono e muoiono molte persone; Marçal Gacho vi svolge l’attività di guardiano. Vive lì molti giorni al mese, ma ogni tanto torna in campagna dalla moglie e dal suocero che nel frattempo mandano avanti il lavoro della Fornace. La moglie di Cipriano Algor è morta e la figlia ha deciso di non abbandonare il padre per trasferirsi al Centro, ma di aspettare. Ma aspettare quanto e cosa? Cipriano non vuole avere rapporti con il Centro se non di tipo commerciale. Se la figlia si trasferirà lì, lui non la seguirà. Eppure quel mattino, quando lo incontriamo sul suo camioncino, Cipriano ancora non lo sa ma il suo destino verrà cambiato da un fatto nuovo e grave. Pronto a scaricare come sempre la merce nel magazzino, viene avvisato che la sua produzione ha subito un arresto delle vendite e che di conseguenza il Centro (spietatamente legato alle indagini di mercato) sospenderà i suoi rifornimenti. Ancora mezzo carico potrà essere consegnato, ma sarà l’ultimo fino a nuovo ordine. Per Cipriano questo fulmine a ciel sereno è l’inizio di una ricerca fuori e dentro di sé che lo porterà a fare scelte fondamentali. Come intraprendere una nuova produzione (passando dalle stoviglie alle statuette) per tentare di non chiudere definitivamente la Fornace. Figura positiva del romanzo è il cane Trovato, un essere sensibile e intelligente, dotato di quell’“umanità” assente in tanti esseri umani. Saramago descrive intensamente anche i pensieri di questo cane eccezionale che si intersecano con quelli dei padroni in un miscuglio di incomprensioni e di tentativi di comunicazione, più efficaci e più soddisfacenti di quelli con molti altri compagni di strada. E quando si scoprirà che nel Centro non sono ammessi animali... Qui si vive e si muore, il Centro fagocita ogni cosa e ogni persona, trasformandosi agli occhi di Cipriano in un mostro enorme e pericoloso: “ogni qualvolta guardo il centro da fuori – pensa – ho l’impressione che sia più grande della stessa città, cioè, il centro sta dentro la città, ma è più grande della città, come parte è più grande del tutto”. La strumentalizzazione dell’essere umano, l’inquadramento in canoni predefiniti al di fuori dei quali nulla è possibile, che di contro fornisce sicurezza e certezze e difende dagli “imprevisti” della quotidianità e dai pericoli di una vita non strutturata, è la filosofia che sta alla base del Centro. “Ti venderemmo tutto quello di cui tu hai bisogno se non preferissimo che tu abbia bisogno di ciò che vendiamo” è scritto in un brillante cartellone sulla facciata. L’elogio dell’alienazione e la mercificazione dei sentimenti arriva sino a far fruttare le sensazioni più intime e profonde, le idee primordiali, la verità assoluta. Sino al punto di sfruttare commercialmente la Caverna di Platone, casualmente rinvenuta nelle fondamenta dell’enorme agglomerato urbano.

Potremmo concludere con una considerazione che Saramago scrive proprio in queste pagine: “Come in tutte le cose di questo mondo, e certamente di tutti gli altri, il giudizio dipenderà dal punto di vista dell’osservatore.”

Nota di Aldo Filosa A chi non abbia letto in precedenza nessun libro di Saramago e non si lasci guidare nelle sue scelte dai riconoscimenti letterari, per quanto prestigiosi essi siano, il nuovo romanzo dello scrittore portoghese si offre con una diversa credenziale: la ripresa del mito platonico della caverna e la dichiarata appartenenza alla tradizione culturale in cui si riconosce l’Occidente europeo. Accanto a questo tributo, che ormai proviene solo da scrittori di una certa levatura, il romanzo afferma un’altra esigenza, che ispira da sempre l’umanesimo occidentale: che la ragione non sia apologia del presente, delle sue contraddizioni e irrazionalità (Horkheimer). Il romanzo di Saramago restituisce alla letteratura il suo compito di critica del presente e delle sue contraddizioni; crea, come tutte le grandi opere narrative, un’utopia, un mondo possibile e diverso che rende più profondo il nostro sguardo sul mondo reale. Al centro del romanzo un’opposizione: da una parte Cipriano Algor, portatore di un’umanità minima ma sostanziale (sarebbe solo un vasaio, se il suo mestiere non fosse paragonato dall’autore, con benevola esagerazione, all’atto creativo di Dio, che plasmò l’uomo dal fango soffiandoci sopra lo spirito vitale) e dall’altra il Centro, un’entità disumanante, una città-centro commerciale non edificata per l’uomo ma contro l’uomo. Il primo sa attribuire valore all’attività umana, al lavoro e agli affetti; il secondo riconosce esclusivamente il profitto e sostituisce i bisogni e i sentimenti reali con bisogni ed esperienze artificiali. Saramago ricorda a tutti gli esaltatori delle magnifiche sorti e progressive dell’Occidente industrializzato e tecnologico che bisogna salvare la propria umanità da un mondo capace solo di produrre e consumare merci; che la realtà non è quella mostrata dai cartelloni pubblicitari; che la verità non è l’ombra proiettata dal fuoco sul fondo della caverna.

Nota di Alessandro Fanfoni La caverna, ecco l’ultimo capitolo di una trilogia “involontaria”, trilogia a posteriori. Perfetta solo alla fine, più forte di qualsiasi intenzione. Pienamente realizzata solo nella definitiva coincidenza di caso e ispirazione. Dopo i romanzi Cecità (1995) e Tutti i nomi (1997), ma soprattutto dopo il Premio Nobel (1998) che interrompe insidiosamente il corso normale della vita di uno scrittore, ecco La caverna, ultimo viaggio della scrittura di Saramago attraverso le sconfinate miserie dell’uomo moderno, l’automa in soccorso del quale giungono le parole di Saramago, originate da un’infaticabile speranza. Certo, il gioco di specchi – tra le verità e le apparenze – del mito di Platone, ma ancora di più, si può trovare nella teogonia di Saramago: la rivendicazione di altri miti, un’altra fondazione come il mito della creazione dell’uomo a partire dalla creta, con tutto il suo drammatico appello di giustizia. La caverna ovvero il centro del mondo, con le sembianze affatto casuali di un centro commerciale. Il Centro, orchestra dei destini dell’umanità, motore che tutto muove e tutto assorbe, irresistibile richiamo, buco nero, allettante promessa per una felice vita organizzata, alleviata da ogni esitazione. I tre protagonisti della vicenda, assillati dall’instabile rapporto con il Centro, in trappola: è il Centro che acquista i manufatti di creta di Cipriano Algor e Marta; è presso il Centro che Marçal Gacho lavora come guardiano; ma è sempre il Centro che rifiuterà il lavoro di Algor e Marta, e subito dopo però, darà a tutti e tre la possibilità di una nuova vita. La caverna come salvezza e fine dell’uomo moderno. Già, perché non c’è salvezza senza abbandono e obbedienza. E non c’è salvezza senza Legge né perdono ed è proprio questo che il Centro assicura: al di là di ogni morale, al di là del bene e del male: una nuova vita, dove tutto si può avere se a tutto si è disposti a rinunciare. “Il Centro, da perfetto distributore di beni materiali e spirituali qual è, ha finito per generare da se stesso e in se stesso, per pura necessità, qualcosa che partecipa della natura del divino”. Ancora una volta la tirannia del castello di Kafka e l’impenetrabilità de Il processo, l’illimitato della biblioteca di Borges e la cupa armonia del Grande Fratello orwelliano.

Il “centro”, parola debordante, inesauribile. Termine-soglia per indicare la catastrofe di senso subìta da ogni parola, sintatticamente e semanticamente vincolata al “centro”. Il Centro, “centro” di ogni frase, fuoco eccentrico sempre in movimento e proprio per questo sempre al centro, potentemente in agguato al termine di ogni frase. Termine naturale per ogni pensiero, per ogni emozione: desiderio speranza, disperazione malinconia. Il centro è meta e orizzonte di ogni azione. Presente anche quando non si vede. Mostruoso universo barocco in perenne espansione, che si ramifica in ogni direzione nello spazio, attraverso “pianerottoli... gallerie... negozi... corridoi... scalinate... scale mobili... caffé... ristoranti...” e in ogni direzione nella psiche, attraverso l’oceanica varietà di prodotti che possono soddisfare ogni desiderio, “una giostra coi cavalli... un poligono da tiro... una piramide d’Egitto... una muraglia cinese... pioggia vento e neve a discrezione... un fiordo... un cielo d’estate con nuvole bianche che si muovono...”. Vortice semantico e strutturale dell’opera. Parola ripetuta fino alla sordità, all’assuefazione. Cortocircuito labirintico: “Qualsiasi strada si prenda va a finire al Centro”. Tuttavia Saramago non rinuncia mai alla speranza, che qui assume le sembianze di un cane di nome Trovato, testimone misterioso ed innocente. La figura del cane è un vero e proprio enigma che si sposta da un capitolo all’altro di questa trilogia, portando ovunque la parola, fonte segreta di ogni residua umanità. Presenza mistica, insondabile, alla stregua di leggendarie creature, si oppone tenacemente alla divinità del Centro, lotta contro la malattia di questo tempo, insospettabile difensore di ciò che resta dell’uomo.

La caverna “Strana immagine è la tua – disse – e strani sono quei prigionieri”. “Somigliano a noi – risposi”. PLATONE, Repubblica, Libro VII.

1. L’uomo che guida il camioncino si chiama Cipriano Algor, fa il vasaio di mestiere e ha sessantaquattro anni, anche se a vederlo sembra meno anziano. L’uomo che gli sta seduto accanto è il genero, si chiama Marçal Gacho, e ancora non è arrivato ai trenta. In ogni modo, con la faccia che ha, nessuno glieli darebbe. Come si sarà notato, sia l’uno che l’altro hanno appiccicati al nome proprio dei cognomi insoliti di cui s’ignorano l’origine, il significato e la ragione. La cosa più probabile è che si dispiacerebbero se mai giungessero a sapere che algor, algore, significa freddo intenso del corpo, preannuncio di febbre, e che il gacho è né più né meno che la parte del collo del bue su cui poggia il giogo. Il più giovane veste l’uniforme, ma non è armato. Il più vecchio indossa una giacca borghese e un paio di pantaloni più o meno decorosi, ha il colletto della camicia sobriamente abbottonato, senza cravatta. Le mani che manovrano il volante sono grandi e forti, da contadino, eppure, forse per effetto del quotidiano contatto con la morbidezza dell’argilla a cui le obbliga il mestiere, promettono una certa sensibilità. Nella mano destra di Marçal Gacho non c’è nulla di particolare, ma il dorso della mano sinistra presenta una cicatrice che ha l’aspetto di una bruciatura, un segno in diagonale che va dalla base del pollice alla base del mignolo. Il camioncino non merita un tale nome, è solo un furgone di medie dimensioni, un vecchio modello, ed è carico di stoviglie. Quando i due uomini sono usciti da casa, venti chilometri fa, il cielo stava appena cominciando a rischiarare, ma adesso il mattino ha ormai diffuso nel mondo abbastanza luce perché si possa osservare la cicatrice di Marçal Gacho e immaginare la sensibilità delle mani di Cipriano Algor. Stanno

viaggiando a velocità ridotta per via della fragilità del carico, e anche per l’irregolarità del manto stradale. La consegna di merci non ritenute di prima o seconda necessità, come queste stoviglie rustiche, avviene, secondo gli orari fissati, a metà mattina, e se i due uomini hanno fatto una tale alzataccia è perché Marçal Gacho deve timbrare almeno mezz’ora prima che le porte del Centro siano aperte al pubblico. Nei giorni in cui non accompagna il genero, ma ha delle stoviglie da trasportare, Cipriano Algor non ha bisogno di alzarsi tanto presto. Tuttavia, ogni dieci giorni, è sempre lui che s’incarica di andare a prendere Marçal Gacho al lavoro per passare con la famiglia le quaranta ore di riposo a cui ha diritto, ed è lui che, dopo, con o senza stoviglie nel bagagliaio del furgone, puntualmente lo riconduce alle sue responsabilità e ai suoi doveri di guardiano interno. La figlia di Cipriano Algor, che si chiama Marta di nome, e di cognome Isasca per parte della defunta madre e Algor per parte di padre, gode della presenza di suo marito a casa e nel letto solo sei notti e tre giorni al mese. La notte precedente a questa è rimasta incinta, ma lei ancora non lo sa. Il paesaggio è fosco, sporco, non merita che lo guardiamo due volte. Qualcuno ha dato a queste vaste distese d’aspetto tutt’altro che campestre il nome tecnico di Cintura Agricola, e anche, per analogia poetica, quello di Cintura Verde, ma l’unico paesaggio che gli occhi riescono a cogliere ai due lati della strada, che copre senza soluzione di continuità percettibile molte migliaia di ettari, sono grandi fabbricati dal tetto piatto, rettangolari, costruiti con plastiche di un colore neutro che il tempo e la polvere hanno fatto digradare, a poco a poco, verso il grigio e il bigio. Sotto di essi, fuori dalla vista di chi passa, cresce la vegetazione. Da vie secondarie che vengono a sboccare nella statale, escono qua e là camion e trattori con rimorchi carichi di vegetali, ma il grosso del trasporto è stato fatto durante la notte, questi, o hanno un’autorizzazione espressa ed eccezionale a fare la consegna più tardi, oppure sono rimasti a dormire. Marçal Gacho ha scostato discretamente la manica sinistra della giacca per guardare l’orologio, è preoccupato perché il traffico si sta intensificando a poco a poco e perché sa che da qui in poi, quando entreranno nella Cintura Industriale, le difficoltà aumenteranno. Il suocero si è accorto del gesto, ma se n’è rimasto zitto, questo suo genero è un giovane simpatico, senza dubbio, ma nervoso, che appartiene alla razza degli esagitati per natura, sempre inquieto per il trascorrere del tempo, anche se ce ne ha d’avanzo, nel qual caso non sembra mai sapere cosa metterci dentro, dentro al tempo, intendiamoci, Come sarà quando arriverà alla mia età, ha pensato. Si sono lasciati la Cintura Agricola alle spalle, la statale, adesso più sporca, attraversa la Cintura Industriale passando proprio in mezzo a stabilimenti di tutte le dimensioni, attività e aspetto, con depositi sferici e cilindrici di combustibile, centrali elettriche, reti di canalizzazione, condotte d’aria, ponti sospesi, tubi di tutte le grandezze, alcuni rossi, altri neri, comignoli che lanciano nell’atmosfera spirali di fumi tossici, gru dalle lunghe braccia, laboratori chimici, raffinerie di petrolio, odori fetidi, amari o dolciastri, rumori stridenti di trapani, ronzii di seghe meccaniche, colpi bruschi di martelli pneumatici, di tanto in tanto una zona di silenzio, nessuno sa cosa mai vi si produca. È allora che Cipriano Algor ha detto, Non ti preoccupare, arriveremo in tempo, Non sono preoccupato, ha risposto il genero, mascherando l’inquietudine, Lo so, era tanto per dire, disse Cipriano Algor. Ha svoltato con il furgone imboccando una strada parallela

riservata al traffico locale, Da qui prenderemo una scorciatoia, ha detto, se la polizia ci domanda perché abbiamo lasciato la statale, ricordati cosa si è combinato, abbiamo un affare da trattare in una di queste fabbriche prima di arrivare in città. Marçal Gacho ha fatto un respiro profondo, quando il traffico sulla statale si complicava, il suocero, prima o poi, finiva per prendere una deviazione. Quello che lo infastidiva era la possibilità che si distraesse e prendesse la decisione troppo tardi. Per fortuna, malgrado i timori e gli avvertimenti, la polizia non li aveva mai fermati, Una volta dovrà pur convincersi che non sono più un ragazzino, ha pensato Marçal, e che non deve star lì a ricordarmi tutte le volte questa storia degli affari da trattare in qualche fabbrica, Non immaginavano, né l’uno né l’altro, che fosse proprio l’uniforme di guardiano del Centro che indossava Marçal Gacho il motivo della persistente tolleranza o della benevola indifferenza della polizia stradale, che non era il semplice risultato di molteplici casualità o di una ostinata fortuna, come probabilmente avrebbe risposto se li avessero interrogati sulla ragione per cui ritenevano di essersi risparmiati qualche multa. Se Marçal Gacho l’avesse saputo, forse avrebbe fatto valere con il suocero il peso dell’autorità che la divisa gli conferiva, se l’avesse saputo Cipriano Algor, forse avrebbe cominciato a rivolgersi al genero con meno ironica condiscendenza. È proprio vero che la gioventù non conosce ciò che può, e la vecchiaia non può ciò che conosce. Dopo la Cintura Industriale inizia la città, beh, non la città vera e propria, che s’intravede più oltre, sfiorata come una carezza dalla prima e rosata luce del sole, qui si vedono solo agglomerati caotici di baracche costruite con tutti quei materiali, per lo più precari, che potrebbero servire a difendere dalle intemperie, soprattutto dalla pioggia e dal freddo, i loro disagiati inquilini. A dire degli abitanti della città, è un luogo inquietante. Di tanto in tanto, da queste parti, e in nome dell’assioma classico per cui anche la necessità è legge, un camion carico di vettovaglie viene assaltato e svuotato in men che non si dica. Il metodo operativo, esemplarmente efficace, è stato elaborato e messo a punto dopo una perseverante riflessione collettiva sul risultato dei primi tentativi, falliti, com’è apparso subito ovvio, per una totale assenza di strategia, per una tattica, se così si può dire, antiquata, e infine per un carente ed erratico coordinamento di sforzi, in pratica, fini a se stessi. Essendo quasi continuo durante la notte il flusso di transito, bloccare la strada per fermare un camion, com’era stata la prima idea, aveva determinato che gli assalitori cadessero nella loro stessa trappola, visto che dietro a quel camion sopraggiungevano altri camion, e quindi rinforzi e aiuti immediati per il conducente nelle peste. La soluzione del problema, effettivamente geniale, come fu riconosciuto a denti stretti dalle stesse autorità di polizia, fu quella di dividersi gli assalitori in due gruppi, uno tattico, l’altro strategico, e costituire due sbarramenti invece che uno, con il gruppo tattico che iniziava con il bloccare rapidamente la strada dopo il passaggio di un camion abbastanza separato dagli altri, e il gruppo strategico che immediatamente dopo, un centinaio di metri più avanti, appositamente informato da un segnale luminoso, creava con altrettanta sveltezza il secondo sbarramento dove il veicolo condannato dal destino non poteva fare altro che fermarsi e lasciarsi derubare. Per i veicoli che provenivano in direzione contraria non era necessario nessun posto di blocco, erano gli stessi conducenti che s’incaricavano di fermarsi

quando capivano cosa stava succedendo più avanti. Un terzo gruppo, definito di pronto intervento, avrebbe avuto il compito di dissuadere con una pioggia di sassi qualsiasi audace solidale. Gli sbarramenti erano fatti con grossi pietroni trasportati con carriole, che alcuni degli stessi assalitori, giurando e spergiurando di non aver niente a che vedere con l’accaduto, venivano poi ad aiutare a trascinare sul ciglio della strada, È questa gente che rende malfamato il nostro quartiere, noi siamo persone oneste, dicevano, e i conducenti degli altri camion, ansiosi che gli sgombrassero la strada per non arrivare tardi al Centro, rispondevano solo Sì, sì. A tali incidenti di percorso, soprattutto perché circola da queste parti quasi sempre alla luce del giorno, è stato risparmiato il furgone di Cipriano Algor. Almeno fino ad oggi. In effetti, siccome le stoviglie di terracotta sono quelle che più generalmente sono destinate alla tavola del povero e più facilmente si rompono, il vasaio non è esente dal fatto che una donna, fra le tante che stentano in queste baracche, si ricordi uno di questi giorni di dire al capofamiglia, Abbiamo bisogno di piatti nuovi, al che lui di sicuro risponderà Ci penso io, a volte passa un furgone con una scritta che dice Fornace, è impossibile che non abbia dei piatti, E dei boccali, aggiungerà la donna, approfittando della luna buona, E dei boccali, non me ne dimenticherò. Fra le baracche e i primi palazzi della città, come una terra di nessuno a separare due fazioni contrapposte, c’è un ampio spazio privo di costruzioni, ma, guardando con un po’ più di attenzione, si scorge nel suolo una rete incrociata di solchi di trattori, certi spianamenti che possono essere stati causati solo da pale meccaniche, quelle implacabili lamine curve che, senza compassione né pietà, spingono avanti tutto, la casa antica, la radice nuova, il muro di sostegno, il luogo di un’ombra che non ci sarà mai più. Eppure, proprio come succede nella vita, quando credevamo di aver portato anche noi tutto avanti e poi ci accorgiamo che in definitiva ci era rimasto qualcosa, anche qui dei frammenti dispersi, degli stracci sudici, dei materiali di scarto, qualche lattina arrugginita, qualche tavola di legno marcia, un pezzo di plastica spinto avanti e indietro dal vento, ci mostrano che questo territorio era occupato prima dai quartieri di esclusi. Ben presto gli edifici della città avanzeranno in linea di tiro e si impadroniranno del terreno, lasciando fra i più avanzati e le prime baracche solo una stretta fascia, una nuova terra di nessuno che rimarrà tale fino al momento in cui si passerà alla terza fase. La strada principale, in cui erano rientrati, era adesso molto più larga, con una corsia riservata esclusivamente alla circolazione di veicoli pesanti, e benché il furgone potrebbe essere incluso in questa categoria superiore solo per una follia dell’immaginazione, il fatto che si tratti indiscutibilmente di un mezzo adibito al trasporto di merci dà al suo conducente il diritto di concorrere alla pari con le lente e mastodontiche macchine che ansimano, muggiscono e sputano nuvole soffocanti dal tubo di scappamento, e di superarle rapidamente, con una sinuosa agilità che fa tintinnare le stoviglie. Marçal Gacho guardò di nuovo l’orologio e sospirò. Sarebbe arrivato in tempo. Erano già alla periferia della città, dovevano ancora percorrere un certo numero di strade dal tracciato confuso, girare a sinistra, girare a destra, di nuovo a sinistra, di nuovo a destra, ora a destra, a destra, sinistra, sinistra, destra, diritto, e finalmente sarebbero sboccati in una piazza dopo la quale finivano le difficoltà, un viale in linea retta li portava a destinazione, là dov’era atteso il

guardiano interno Marçal Gacho, poco più avanti dove avrebbe lasciato la sua merce il vasaio Cipriano Algor. In fondo, un muro altissimo, scuro, molto più alto del più alto dei palazzi che fiancheggiavano il viale, tagliava bruscamente la strada. In realtà, non la tagliava, il crederlo era l’effetto di un’illusione ottica, c’erano strade che, da un lato e dall’altro, proseguivano lungo il muro, il quale, a sua volta, non era un muro, bensì la parete di una costruzione enorme, un edificio gigantesco, quadrangolare, senza finestre nella facciata liscia, uguale in tutta la sua estensione. Eccoci, disse Cipriano Algor, come vedi siamo arrivati in tempo, mancano ancora dieci minuti al tuo orario di entrata, Sapete bene quanto me perché non posso tardare, pregiudicherebbe la mia posizione nell’elenco dei candidati al posto di guardiano residente, Non è un’idea che entusiasmi poi tanto tua moglie, questa di voler diventare guardiano residente, E meglio per noi, avremo più comodità, migliori condizioni di vita. Cipriano Algor fermò il furgone all’angolo dell’edificio, parve sul punto di voler rispondere al genero, ma invece domandò, Perché stanno buttando giù quell’isolato di palazzi, Alla fine si è confermato, Confermato cosa, Da settimane si continuava a parlare di un ampliamento, rispose Marçal Gacho mentre scendeva dal furgone. Si erano fermati davanti a una porta sopra la quale c’era un cartello su cui si leggevano le parole Ingresso Riservato al Personale di Sicurezza. Cipriano Algor disse, Forse, Non forse, la prova ce l’avete davanti agli occhi, la demolizione è già iniziata, Non mi riferivo all’ampliamento, ma a quello che hai detto prima circa le condizioni di vita, quanto alle comodità non discuto, in ogni caso non possiamo lamentarci, non siamo tra i più sfortunati, Rispetto la vostra opinione, ma io ho la mia, e vedrete che Marta, quando arriverà il momento, sarà d’accordo con me. Fece due passi, si fermò, sicuramente aveva pensato che non era questa la maniera giusta per un genero di congedarsi dal suocero che lo ha accompagnato al lavoro, e disse, Grazie, vi auguro un buon viaggio di ritorno, Ci vediamo fra dieci giorni, disse il vasaio, Ci vediamo fra dieci giorni, disse il guardiano interno, mentre faceva un cenno di saluto a un collega che si stava avvicinando. Proseguirono insieme, entrarono, la porta si chiuse. Cipriano Algor avviò il motore, ma non partì subito. Guardò i palazzi che stavano radendo al suolo. Questa volta, probabilmente per via della ridotta altezza degli edifici da abbattere, non stavano usando gli esplosivi, quel moderno, sbrigativo e spettacolare procedimento che in tre secondi è capace di trasformare una struttura solida e organizzata in un caotico ammasso di cocci. Come c’era da aspettarsi la via che formava un angolo retto con questa era vietata al transito. Per fare la consegna della merce, il vasaio sarebbe stato costretto a passare dietro all’isolato in demolizione, aggirarlo, proseguire poi diritto, la porta a cui doveva andare a bussare si trovava nell’angolo più distante, e precisamente, rispetto al punto in cui si trovava, all’altra estremità di una retta immaginaria che attraversasse obliquamente l’edificio dove Marçal Gacho era entrato, In diagonale, precisò mentalmente il vasaio per farla breve. Quando, fra dieci giorni, verrà a riprendere il genero, di questi palazzi non resterà nessuna traccia, la polvere della distruzione che aleggia ancora nell’aria si sarà depositata, e può anche darsi che sarà già in via di scavo il grande fossato dove saranno aperti gli sterri e create le fondamenta della nuova costruzione. Poi alzeranno le tre pareti, una confinante con la via su cui fra

poco Cipriano Algor dovrà fare il giro, due che chiuderanno da un lato e dall’altro il terreno guadagnato a scapito della via intermedia e della demolizione dei palazzi, facendo scomparire la facciata dell’edificio per il momento visibile, la porta di accesso del personale di sicurezza cambierà posto, non ci vorranno molti giorni perché neanche la persona più perspicace sia in grado di distinguere, guardando da fuori, e tanto meno lo avvertirà se sarà all’interno dell’edificio, fra la recente costruzione e la costruzione precedente. Il vasaio guardò l’orologio, era ancora presto, nei giorni in cui accompagnava il genero era inevitabile dover aspettare due ore fino all’apertura del servizio di accettazione che era la sua meta, e poi fino al momento in cui non fosse giunto il suo turno, Ma ho il vantaggio che avrò un buon posto nella fila, potrei anche essere il primo, pensò. Non lo era mai stato, c’era sempre gente più mattiniera di lui, quasi sicuramente alcuni di quegli autisti dovevano aver passato una parte della notte nella cabina dei loro camion. Salivano su fino alla strada quando il giorno rischiarava per prendere un caffè, del pane e un po’ di companatico, un’acquavite nelle mattine più umide e fredde, poi se ne restavano lì, a conversare, fino a dieci minuti prima dell’apertura delle porte, a quel punto i più giovani, nervosi come apprendisti, si precipitavano giù per la rampa a occupare le loro posizioni, mentre i più vecchi, soprattutto se erano agli ultimi posti della fila, scendevano chiacchierando tranquillamente, dando un ultimo tiro alla sigaretta, perché nel sotterraneo, per via dei motori accesi non era permesso fumare. La fine del mondo, pensavano, non era ancora arrivata, non serviva a niente correre. Cipriano Algor avviò il furgone. Si era distratto con la demolizione dei palazzi e ora voleva recuperare il tempo perduto, parole, queste, insensate più di ogni altra, un’espressione assurda con la quale supponiamo di ingannare la dura realtà che nessun tempo perduto è recuperabile, come se, al contrario di questa verità, fossimo convinti che il tempo che credevamo per sempre perduto, avesse in definitiva deciso di restare immobile là dietro, aspettando, con la pazienza di chi ha tutto il tempo, che ci accorgessimo della sua mancanza. Stimolato dalla premura suscitata dai pensieri su chi è arrivato prima e chi arriverà dopo, il vasaio fece rapidamente il giro dell’isolato e imboccò la strada a destra che delimitava l’altra facciata dell’edificio. Com’era immutabile costume, c’era già gente in attesa che si aprissero le porte destinate al pubblico. Si spostò nella corsia sinistra di circolazione, nello svincolo di accesso alla rampa che scendeva al piano sotterraneo, mostrò al guardiano il suo tesserino di fornitore e andò a prendere posto nella fila di veicoli, dietro a un camioncino carico di scatole che, a giudicare dalle etichette degli imballaggi, contenevano merci di vetro. Scese dal furgone per vedere quanti altri fornitori aveva davanti a sé e calcolare così, più o meno approssimativamente, quanto tempo avrebbe dovuto aspettare. Erano in tredici. Li ricontò, non c’erano dubbi. Benché non fosse una persona superstiziosa, non ignorava la pessima reputazione di questo numero, in qualsiasi discorso sul caso, la fatalità e il destino, c’è sempre chi dice la sua per riferire casi vissuti dell’influenza negativa, e a volte funesta, del tredici. Tentò di rammentare se in qualche altra occasione gli fosse capitato questo posto nella fila, ma, senza meno, o non gli era mai accaduto, oppure semplicemente non se ne ricordava. Si rimbrottò da solo, che era uno sproposito, una fesseria

preoccuparsi di qualcosa che non ha esistenza nella realtà, giusto, non ci aveva mai pensato, ma in effetti i numeri non esistono nella realtà, alle cose è indifferente quale numero gli diamo, tant’è se diciamo che sono il tredici o sono il quarantaquattro, il minimo che se ne può concludere è che le cose, loro, non hanno nozione del posto che gli è capitato di occupare. Le persone non sono cose, le persone vogliono stare sempre ai primi posti, pensò il vasaio. E non solo vogliono starci, ma vogliono che se ne parli e che gli altri lo notino, mormorò. A eccezione dei due guardiani che controllavano, uno a ogni estremità, l’entrata e l’uscita, il sotterraneo era deserto. Era sempre così, gli autisti lasciavano il veicolo in fila a mano a mano che arrivavano e andavano sulla strada, al bar. Si sbagliano di grosso se credono che resterò qui, disse Cipriano Algor a voce alta. Spostò il furgone in retromarcia come se in fin dei conti non avesse niente da scaricare e uscì dall’allineamento, Così non sarò più il tredicesimo, pensò. Dopo qualche momento un camion scese giù dalla rampa e andò a fermarsi nel posto lasciato libero dal furgone. L’autista scese dalla cabina, guardò l’orologio, Ho ancora tempo, deve aver pensato. Quando scomparve in cima alla rampa, il vasaio fece manovra rapidamente e andò a piazzarsi dietro al camion, Ora sono il quattordici, disse, soddisfatto della propria furbizia. Si riappoggiò allo schienale, sospirò, sopra la testa udiva il ronzio del traffico nella strada, solitamente saliva anche lui come gli altri, per bere un caffè e comprare il giornale, ma oggi non ne aveva voglia. Chiuse gli occhi come se riandasse all’interno di se stesso ed entrò subito nel sogno, c’era il genero che gli stava spiegando che, una volta nominato guardiano residente, la situazione sarebbe cambiata dal giorno alla notte, che Marta e lui non sarebbero più vissuti alla fornace, ormai era tempo che iniziassero una vita indipendente dalla famiglia, Cercate di capire, quel che sarà sarà, dice quel detto, il mondo non si ferma, se le persone da cui dipendi ti promuovono, non devi far altro che alzare le mani al cielo e ringraziare, sarebbe una stupidaggine voltare le spalle alla fortuna quando si mette dalla nostra parte, e inoltre sono certo che il vostro maggior desiderio è che Marta sia felice, quindi dovreste essere contento. Cipriano Algor udiva il genero e sorrideva dentro di sé, Dici così perché credi che io sia il tredici, non sai che ora sono il quattordici. Si svegliò di soprassalto agli sportelli che sbattevano, segnale che stava per cominciare lo scarico. Allora, non ancora del tutto uscito dal sogno, pensò, Non ho cambiato numero, sono il tredici che sta al posto del quattordici. Proprio così. Quasi un’ora dopo, arrivò il suo turno. Scese dal furgone e si avvicinò al banco dell’accettazione con i soliti documenti, la bolla d’accompagnamento in triplice copia, la fattura relativa alle vendite effettive dell’ultima fornitura, la dichiarazione di qualità industriale che accompagnava ogni partita e in cui la fornace si assumeva la responsabilità per qualsiasi difetto di fabbricazione individuato all’ispezione a cui le stoviglie venivano sottoposte, la conferma di esclusività, altrettanto obbligatoria in tutte le forniture, in cui la fornace si impegnava, accettando le sanzioni in caso di infrazione, a non avere rapporti commerciali con altri stabilimenti per il piazzamento degli articoli. Come al solito, si avvicinò un impiegato per aiutare a scaricare, ma il vicecapo dell’accettazione lo chiamò e ordinò, Scarica metà di quello che c’è, verifica sulla bolla. Cipriano Algor, sorpreso e allarmato, domandò, Metà, perché, Le vendite sono calate di molto nelle ultime

settimane, probabilmente dovremo restituirle per mancanza di smercio quello che c’è in magazzino, Restituire quello che avete in magazzino, Si, c’è nel contratto, So bene che c’è nel contratto, ma c’è pure che non mi autorizzate ad avere altri clienti, mi dica quindi a chi venderò l’altra metà, Non è affar mio, io eseguo solo gli ordini che ho ricevuto, Posso parlare con il capoufficio, No, non ne vale la pena, non la riceverebbe. Cipriano Algor aveva le mani tremanti, guardava intorno, perplesso, chiedendo aiuto, ma lesse solo disinteresse sulle facce dei tre autisti che erano arrivati dopo di lui. Tentò, comunque, di fare appello alla solidarietà di classe, Ma che roba, uno se ne viene con il frutto del proprio lavoro, ha cavato argilla, l’ha impastata, ha modellato il pezzo che gli hanno commissionato, l’ha cotto nel forno, e adesso gli vengono a dire che prendono solo metà di quello che ha fatto e che gli restituiranno quello che c’è ancora in magazzino, voglio sapere se c’è giustizia in questo modo di procedere. Gli autisti si guardarono l’un l’altro, si strinsero nelle spalle, non erano sicuri di cosa sarebbe stato meglio rispondere né a chi sarebbe convenuta di più la risposta, uno tirò fuori persino una sigaretta per chiarire che si dissociava, poi si ricordò che lì non poteva fumare, allora voltò le spalle e se ne andò nella cabina del camion, lontano dagli eventi. Il vasaio capì che avrebbe avuto tutto da perdere continuando a protestare, volle buttare acqua sul fuoco che lui stesso aveva sollevato, in ogni caso vendere la metà era meglio che niente, le cose finiranno di sicuro per sistemarsi, pensò. Sottomesso, si rivolse al vicecapo dell’accettazione, Sa dirmi che cosa avrà provocato un tale calo delle vendite, Penso sia dovuto alla comparsa di certe stoviglie di plastica a imitazione terracotta, la imitano talmente bene che sembrano addirittura autentiche, con il vantaggio che pesano molto meno e sono molto più economiche, Non è un buon motivo per non comprare più le mie, la terracotta è sempre terracotta, è autentica, è naturale, Vada a dirlo ai clienti, non per darle un dispiacere, ma credo che d’ora in poi le sue stoviglie interesseranno solo ai collezionisti, e questi sono sempre più rari. Il conteggio era terminato, il vicecapo scrisse nella bolla, Ricevuta la metà, e disse, Non porti nient’altro finché non avrà nostre notizie, Pensa che potrò continuare a produrre, domandò il vasaio, Sarà una decisione sua, io non mi prendo nessuna responsabilità, E la restituzione, dovrete pur restituirmi quello che avete già, le parole tremavano per la disperazione ed erano talmente cariche di amarezza che l’altro cercò di essere conciliante, Vedremo. Il vasaio montò sul furgone, partì bruscamente, alcune casse, mal puntellate dopo il mezzo scarico, scivolarono e andarono a sbattere violentemente contro lo sportello posteriore, Che vada tutto in malora una volta per tutte, urlò irritato. Dovette fermarsi all’inizio della rampa di uscita, detta il regolamento che il tesserino sia presentato anche a questo guardiano, è la burocrazia, nessuno sa perché, teoricamente chi è entrato fornitore, fornitore uscirà, ma a quanto pare ci sono delle eccezioni, prendiamo il caso di Cipriano Algor, lo era ancora quando è entrato e adesso, se le minacce saranno confermate, è in procinto di non esserlo più. La colpa dovrebbe essere del tredici, il destino non lo ingannano i trucchetti di mettere dopo ciò che stava prima. Il furgone risalì la rampa, uscì alla luce del giorno, non c’è altro da fare che tornare a casa. Il vasaio sorrise tristemente, Non è stato il tredici, il tredici non esiste, se anche fossi stato il

primo ad arrivare la sentenza sarebbe stata uguale, per ora metà, poi si vedrà, che merda di vita. La donna delle baracche, quella che aveva bisogno di piatti e boccali nuovi, domandò al marito, Allora, hai visto il furgone della fornace, e il marito rispose, Si, l’ho fermato, ma poi l’ho lasciato andare, Perché, Se avessi visto la faccia dell’uomo che c’era dentro, scommetto che avresti fatto la stessa cosa. 2. Il vasaio fermò il furgone, abbassò i vetri da un lato e dall’altro, e attese che spuntasse qualcuno a derubarlo. Non di rado succede che certi avvilimenti d’animo, certi scossoni della vita spingano la vittima a decisioni drammatiche come questa, se non peggiori. Arriva un momento in cui la persona sconvolta o ingiuriata ode una voce urlare dentro la sua testa, Perduto per dieci, perduto per cento, e allora, secondo le peculiarità della situazione in cui si trova e del posto dove lei lo ha trovato, o spende gli ultimi soldi rimasti per un biglietto della lotteria, o lancia sul tavolo da gioco l’orologio che aveva ereditato dal padre e il portasigarette d’argento che gli ha dato la madre, o scommette ciò che possiede sul rosso malgrado abbia visto che il colore è uscito cinque volte di seguito, o esce da solo dalla trincea e corre con la baionetta abbassata contro la mitragliatrice del nemico, oppure ferma questo furgone, abbassa i vetri, poi apre gli sportelli e si mette ad aspettare che, con i randelli del solito, con i rasoi di sempre e le necessità del momento, vengano a saccheggiarlo dalle baracche, Se quelli non li hanno voluti, se li prendano questi, fu l’ultimo pensiero di Cipriano Algor. Passarono dieci minuti senza che nessuno si avvicinasse per commettere l’anelato latrocinio, un quarto d’ora trascorse senza che neppure un cane randagio fosse salito sulla strada a fare la sua pipì contro la ruota e fiutare il contenuto del furgone, e stava ormai per scadere la mezz’ora quando finalmente si avvicinò un uomo sudicio e di pessimo aspetto che domandò al vasaio, C’è qualche problema, ha bisogno di aiuto, forse una spintarella, potrebbe essere la batteria. Orbene, se perfino gli animi più forti hanno i loro momenti di irresistibile debolezza, come accade quando il corpo non riesce a comportarsi con la riservatezza e la discrezione che lo spirito ha impiegato anni a insegnargli, non dovremo stupirci che l’offerta di aiuto, partita per giunta da un uomo che ha tutto l’aspetto di un aggressore abituale, avesse toccato la corda più sensibile di Cipriano Algor al punto da fargli salire una lacrima all’occhio, No, grazie mille, disse, ma subito dopo, mentre il premuroso cireneo si stava allontanando, balzò giù dal furgone, corse ad aprire lo sportello posteriore, chiamando contemporaneamente Signore, signore, venga qui. L’uomo si fermò, Allora vuole che l’aiuti, domandò, No, non è questo, Allora, cosa c’è, Venga qui, mi faccia questo favore. L’uomo si avvicinò e Cipriano Algor disse, Prenda questa mezza dozzina di piatti, li porti a sua moglie, è un regalo, e prenda questi altri sei, che sono da minestra, Ma io non ho fatto niente, esitò l’uomo, Non importa, è come se lo avesse fatto, e se ha bisogno di una caraffa per l’acqua, eccola, Veramente, una caraffa mi farebbe comodo a casa, Allora se la prenda, tenga. Il vasaio impilò i piatti, prima i piani, poi i fondi, poi questi ultimi sui primi, li sistemò sulla curvatura del braccio sinistro dell’uomo, e, siccome la caraffa per l’acqua era già penzolante dalla sua mano destra, al beneficiato non rimase granché con cui ringraziare, solo la banale

parola grazie, che può essere sincera oppure no, e la sorpresa di un cenno del capo tutt’altro che in armonia con la classe sociale a cui appartiene, il che vuol dire che ne sapremmo assai di più delle complessità della vita se ci fossimo applicati a studiare con determinazione le sue contraddizioni, invece di perdere tanto tempo con le identità e le coerenze, le quali hanno il dovere di spiegarsi da sole. Quando l’uomo che aveva l’aspetto di un aggressore, ma che in definitiva non lo era, o che semplicemente non aveva voluto esserlo per questa volta, scomparve, alquanto perplesso, fra le baracche, Cipriano Algor mise in moto il furgone. Ovviamente, neanche la vista più acuta sarebbe capace di notare una certa differenza nella pressione esercitata sulle molle e i pneumatici del furgone, in materia di peso dodici piatti e una caraffa di terracotta significano tanto, in un mezzo di trasporto, ancorché di media dimensione, quanto significherebbero sul capo felice di una sposa dodici petali di rosa bianca e un petalo di rosa rossa. Non è un caso che sia venuta fuori la parola felice, infatti è il minimo che possiamo dire dell’espressione di Cipriano Algor che, a guardarlo adesso, nessuno crederebbe che gli hanno comprato solo metà del carico che aveva portato al Centro. Peccato gli sia tornato di nuovo in mente, quando, due chilometri più avanti, è penetrato nella Cintura Industriale, il brusco rovescio commerciale subito. L’ominosa visione delle ciminiere che vomitavano spirali di fumo lo spinse a domandarsi in quale di quelle fabbriche mostruose potessero essere prodotti quei menzogneri mostri di plastica, maliziosamente mascherati da terrecotte, È impossibile, mormorò, né il suono né il peso si possono uguagliare, e poi c’è anche il rapporto fra la vista e il tatto di cui ho letto non so dove, la vista che è capace di vedere tramite le dita che stanno toccando la terracotta, le dita che, senza toccarla, riescono a sentire quello che gli occhi stanno vedendo. E, come se ciò non fosse già un gran tormento, si domandò inoltre Cipriano Algor, pensando al vecchio forno della fornace, quanti piatti, boccali, brocche e vasi potevano sputar fuori al minuto quelle maledette macchine, quante cose a far le veci di orciuoli e quartini. Il risultato di queste e altre domande che non sono rimaste qui annotate fu che il sembiante del vasaio s’incupì di nuovo e, da quel momento in poi, il resto del viaggio fu, tutto, un continuo rimuginare sul futuro difficile che aspettava la famiglia Algor se il Centro avesse persistito nella nuova valutazione di prodotti di cui la fornace era stata forse la prima vittima. Sia reso onore, però, a chi se l’è ampiamente meritato, in nessun momento Cipriano Algor permise al suo spirito di farsi cogliere dal pentimento di essere stato generoso con l’uomo che avrebbe dovuto derubarlo, se fosse vero tutto quello che si continua a dire sulla gente delle baracche. Al limite della Cintura Industriale c’era una certa quantità di fabbriche modeste che non si capiva come fossero potute sopravvivere all’ingordigia di spazio e alla molteplice varietà di produzione dei moderni giganti manifatturieri, ma fatto sta che c’erano, e guardarle al passaggio era sempre stata una consolazione per Cipriano Algor quando, in qualche momento più inquieto della vita, gli capitava di pensare alle sorti future della sua professione. Non dureranno molto, ha pensato, questa volta si riferiva alle fabbriche, non al futuro dell’attività di vasaio, ma è stato solo perché non si è preso la briga di riflettere il tempo sufficiente, il che succede spesso, pensiamo di poter affermare che non vale la pena attendere le

conclusioni solo perché decidiamo di fermarci a metà della strada che vi ci condurrebbe. Cipriano Algor attraversò la Cintura Verde rapidamente, non diede neppure uno sguardo ai campi, lo spettacolo monotono delle distese di plastica, opache per natura e lugubri per la sporcizia, gli causava sempre un effetto depressivo, s’immagini cosa sarebbe oggi, nello stato d’animo in cui si trova, se si mettesse a contemplare questo deserto. Come chi avesse sollevato la tunica benedetta di una santa d’altare per sapere se ciò che la sostiene siano gambe umane o un paio di stecche rozzamente levigate, ormai da lungo tempo il vasaio non aveva bisogno di resistere alla tentazione di fermare il furgone e andare a spiare se era proprio vero che sotto quelle coperture e quei pannelli vi fossero piante reali, con frutti da poter odorare, palpare e mordere, con foglie, tubercoli e germogli da poter cuocere, condire e mettere nel piatto, o se la brumosa malinconia di ciò che si mostrava all’esterno contaminasse per incurabile artificio tutto quanto vi cresceva all’interno, qualsiasi cosa fosse. Dopo la Cintura Verde il vasaio imboccò una strada secondaria, c’erano squallidi resti di un bosco, campi a malapena coltivati, un torrentello di acque scure e fetide, poi comparvero dopo una curva le rovine di tre case senza finestre né porte, con i tetti mezzi diroccati e gli spazi interni per metà divorati dalla vegetazione che sempre irrompe dai ruderi, come se fosse già li, in attesa della sua ora, fin dall’apertura degli sterri. L’abitato cominciava un centinaio di metri più avanti, era poco più che la strada che l’attraversava, qualche viuzza che vi sboccava, una piazza irregolare che si apriva da un solo lato, con un pozzo chiuso, la sua pompa per l’acqua e la grande ruota di ferro, all’ombra di due alti platani. Cipriano Algor fece un cenno di saluto a un gruppetto di uomini che chiacchieravano, ma, contrariamente alla sua abitudine di quando tornava a casa dopo avere portato le stoviglie al Centro, non si fermò, in un momento del genere non aveva idea di cosa potesse aver voglia, ma non certo di una chiacchierata, anche se erano conoscenti. La fornace e la casa in cui viveva con la figlia e il genero si trovavano all’altra estremità dell’abitato, addentrate nella campagna, discoste dagli ultimi edifici. Entrando nel paese, Cipriano Algor aveva ridotto la velocità del furgone, ma adesso procedeva ancora più lentamente, probabilmente la figlia stava finendo di preparare il pranzo, ormai era l’ora, Che faccio, glielo dico subito, o dopo aver mangiato, si domandava, È meglio dopo, lascio il furgone sotto la tettoia della legna, lei non penserà di venire a vedere se ho riportato qualcosa, oggi non era giornata di acquisti, così potremo mangiare tranquilli, cioè, mangerà lei tranquilla, nonio, e alla fine le racconto cos’è successo, o forse dopo, verso metà pomeriggio, quando saremo al lavoro, venirlo a sapere prima di aver mangiato sarà altrettanto brutto che subito dopo. La strada faceva un’ampia curva dove terminava l’abitato, dopo l’ultima costruzione si vedeva in lontananza un grande gelso nero che non doveva essere alto meno di una decina di metri, lì c’era la fornace, Il vino è servito, ora bisognerà berlo, disse Cipriano Algor con un sorriso stanco, e pensò che sarebbe stato molto meglio se avesse potuto vomitarlo. Svoltò con il furgone a sinistra, imboccando un sentiero in leggera salita che conduceva alla casa, a metà strada mandò tre avvisi sonori annunciando l’arrivo, lo faceva sempre, la figlia si sarebbe stupita se non lo avesse fatto quest’oggi.

La casa e la fornace erano state costruite su un ampio spiazzo, probabilmente un’antica aia, o una corte, al cui centro il nonno vasaio di Cipriano Algor, che aveva anch’egli lo stesso nome, aveva deciso, un giorno remoto di cui non è rimasta nota né memoria, di piantare il gelso. Il forno, che rimaneva un po’ discosto, era già stata un’opera di ammodernamento del padre di Cipriano Algor, al quale avevano dato pure lo stesso nome, ed era andato a sostituire un altro forno, vecchissimo, per non dire arcaico, che, visto da fuori, aveva la forma di due tronchi di cono sovrapposti, quello di sopra più piccolo di quello sotto, e delle cui origini era rimasto altrettanto poco ricordo. Sulle sue vetuste fondamenta si era costruito il forno attuale, questo forno che ha cotto il carico di cui il Centro ha voluto prendere solo la metà, e adesso, ormai freddo, aspetta che lo carichino di nuovo. Con una cautela esagerata Cipriano Algor sistemò il furgone sotto la tettoia, fra due cataste di legna secca, poi pensò che poteva ancora passare per il forno e guadagnare così qualche minuto, ma gliene mancava il motivo, gli mancava la giustificazione, non era come le altre volte, quando rientrava dalla città e il forno era in funzione, in quei giorni andava a controllare la piastra e calcolare la temperatura in base al colore delle terrecotte incandescenti, a vedere se il rosso scuro si era già convertito in rosso ciliegia, o quest’ultimo in arancione. Rimase li fermo, come se il coraggio di cui aveva bisogno si fosse attardato strada facendo, ma fu la voce della figlia che lo costrinse a muoversi, Perché non entrate, il pranzo è pronto. Incuriosita dall’indugio, Marta si era affacciata, Venite, venite, che la pietanza si raffredda. Cipriano Algor entrò, diede un bacio alla figlia e si chiuse nel bagno, una comodità domestica installata quando era ormai adolescente e che, già da lungo tempo, necessitava di ampliamento e qualche miglioria. Si osservò nello specchio, non si trovò sul viso nessuna ruga in più, Ce l’ho dentro, di sicuro, pensò, poi aprì l’acqua, si lavò le mani e uscì. Mangiavano in cucina, seduti a un grande tavolo che aveva conosciuto giorni più felici e assemblee più numerose. Adesso, dopo la morte della madre, Justa Isasca, di cui forse non si parlerà molto in questo racconto, ma di cui si lascia scritto il nome proprio, ché il cognome già lo conosciamo, adesso mangiano tutti e due a una delle estremità, il padre a capotavola, Marta nel posto lasciato vuoto dalla madre, e di fronte a lei Marçal, quando c’è. Come vi è andata la mattina, domandò Marta, Bene, al solito, rispose il padre abbassando il capo sul piatto, Ha telefonato Marçal, Ah, davvero, e cosa voleva, Ha detto che aveva parlato con voi sul fatto di andare tutti a vivere al Centro quando sarà promosso guardiano residente, Si, ne abbiamo parlato, Era infastidito perché voi, babbo, avete ripetuto che non siete d’accordo, Nel frattempo ci ho ripensato, credo che sarà una buona soluzione per entrambi, Cosa vi ha fatto cambiare idea all’improvviso, Di sicuro non vorrai continuare a lavorare come vasaia per il resto della tua vita, Si, ma a me piace quello che faccio, Devi accompagnare tuo marito, un domani avrai dei figli, tre generazioni a mangiare argilla è più che sufficiente, E voi, babbo, siete d’accordo nel venire con noi al Centro, lasciare la fornace, domandò Marta, Lasciare tutto questo, mai, è fuori discussione, Volete dire che farete tutto da solo, cavare l’argilla, impastarla, lavorare al bancone e al tornio, accendere il forno, caricarlo, sfornare, ripulirlo, poi caricare tutto sul furgone e andare a vendere, vi rammento che le cose cominciano a essere già alquanto difficili

malgrado l’aiuto che ci dà Marçal nel poco tempo che sta qui, Dovrò trovare qualcuno che mi aiuti, in paese i ragazzi non mancano, Sapete benissimo, babbo, che nessuno vuol fare piú il vasaio, quelli che si stufano della campagna si trasferiscono nelle fabbriche della Cintura, non lasciano la terra per finire nell’argilla, Una ragione in piú perché te ne vada da questo posto, Non penserete che vi lascerò qui da solo, Verrai a trovarmi di tanto in tanto, Per favore, babbo, sto parlando sul serio, Anch’io, figlia mia. Marta si alzò per cambiare i piatti e servire la minestra, che la famiglia per abitudine mangiava dopo. Il padre la seguiva con gli occhi e pensava, Sto complicando tutto con questa conversazione, sarebbe meglio dirglielo subito. Non lo fece, improvvisamente la figlia aveva di nuovo otto anni e lui le diceva, Bada bene, è come quando la tua mamma impasta il pane. Faceva rotolare il blocco di argilla avanti e indietro, lo comprimeva e lo allungava con la parte posteriore del palmo delle mani, lo sbatteva con forza sul tavolo, calcava, spingeva, poi ricominciava dall’inizio, ripeteva tutta l’operazione, una volta, un’altra volta, e un’altra ancora, Perché fai così, gli aveva domandato la figlia, Perché non restino nella creta grumi e bolle d’aria, non sarebbe bene per il lavoro, Anche nel pane, Nel pane solo i grumi, le bolle non hanno importanza. Metteva da parte il cilindro compatto in cui aveva trasformato l’argilla e cominciava a impastare un altro blocco, Ormai è tempo che cominci a imparare, aveva detto, ma poi si era pentito, Che stupidaggine, ha solo otto anni, e aveva soggiunto, Vai a giocare fuori, vai, qui fa freddo, ma la figlia gli aveva risposto che non voleva andare, stava tentando di modellare un pupazzo da un rimasuglio di creta che le si appiccicava alle dita perché era troppo molle, Quello non va bene, prova invece con questo, vedrai che ci riuscirai, aveva detto il padre. Marta lo guardava inquieta, non era da lui chinare così il capo per mangiare, come se volesse fare in modo che, nascondendo il viso, si nascondessero anche le preoccupazioni, forse è per la discussione che ha avuto con Marçal, ma ne abbiamo già parlato e non ha fatto questa faccia, oppure sarà malato, lo vedo abbattuto, spento, quel giorno la mamma mi aveva detto, Abbiti cura, non tirare troppo la corda, e io le avevo risposto, Ci vogliono solo forza nelle braccia e movimento di spalle, il resto del corpo fa da leva, Non venirlo a dire a me, ché persino i capelli sulla testa mi fanno male dopo un’ora passata a impastare, Solo perché vi siete stancata un po’ troppo in questi ultimi tempi, O forse perché sto cominciando a invecchiare, Lasciate perdere queste idee, per favore, madre mia, non siete affatto vecchia, ma, ci credereste, non erano ancora trascorse due settimane da questa conversazione che lei era già morta e sepolta, sono le sorprese che la morte fa alla vita, A cosa state pensando, babbo. Cipriano Algor si pulì la bocca con il tovagliolo, prese il bicchiere come volesse bere, ma lo riposò senza portarlo alle labbra. Ditemi, parlate, insistette la figlia, e per agevolare lo sfogo domandò, Siete ancora preoccupato per via di Marçal, o avete qualche altro motivo di pena. Cipriano Algor afferrò il bicchiere, bevve d’un fiato il resto del vino e rispose rapidamente, come se le parole gli bruciassero la lingua, Mi hanno accettato solo metà del carico, dicono che ora ci sono meno acquirenti per la terracotta, che sono state messe in vendita certe stoviglie di plastica a imitazione e che i clienti le preferiscono, Non è nulla che non dovessimo aspettarci, prima o poi doveva succedere, la terracotta si crepa, si sbecca, si spacca al minimo colpo,

mentre la plastica resiste a tutto e non si lamenta, La differenza sta nel fatto che la terracotta è come le persone, ha bisogno che la trattino bene, Anche la plastica, ma certamente di meno, E il peggio è che mi hanno detto di non portare altre stoviglie finché non le ordineranno, Allora dovremo smettere di lavorare, Smettere no, quando l’ordine arriverà dovremo già disporre di stoviglie pronte per consegnarle lo stesso giorno, non dovremo mica andare di corsa ad accendere il forno dopo l’ordinazione, E nel frattempo cosa possiamo fare, Aspettare, avere pazienza, domani andrò a fare un giro, qualcosa venderò, Ricordatevi che lo avete già fatto due mesi fa, non troverete molte persone che avranno bisogno di comprare, Non essere tu a scoraggiarmi, Cerco solo di vedere le cose come stanno, lo avete detto voi stesso, babbo, proprio poco fa, che tre generazioni di vasai in famiglia sono più che sufficienti, Tu non sarai la quarta generazione, andrai a vivere al Centro con tuo marito, Si, dovrò andare, ma voi verrete con me, babbo, Ti ho già detto che non mi vedrai mai vivere nel Centro, È il Centro che ci ha dato da mangiare fino ad ora comprando il prodotto del nostro lavoro, continuerà a darci da mangiare quando saremo là e non avremo niente da vendere, Grazie allo stipendio di Marçal, Non è mica un’offesa che il genero mantenga il suocero, Dipende da chi è il suocero, Non è bello essere orgogliosi fino a questo punto, babbo, Non si tratta di orgoglio, Di cosa si tratta, allora, Non posso spiegarti, è più complicato dell’orgoglio, è un’altra cosa, una specie di vergogna, ma scusami, riconosco che non avrei dovuto dire ciò che ho detto, Ma io non voglio che viviate nell’indigenza, Potrò cominciare a vendere ai commercianti della città, basterebbe che il Centro lo autorizzasse, se comprano meno non hanno il diritto di proibirmi di vendere ad altri, Sapete meglio di me che i commercianti della città sono alle prese con difficoltà enormi per mantenersi a galla, vanno tutti a comprare al Centro, c’è sempre più gente che va a vivere nel Centro, Io non voglio, Cosa farete se il Centro non comprerà più le stoviglie e se le persone del paese cominceranno a usare utensili di plastica, Spero di morire prima, La mamma è morta prima, È morta al tornio, lavorando, magari potessi finire anch’io nella stessa maniera, Non parlate di morte, babbo, Della morte possiamo parlarne fintanto che siamo vivi, non certo dopo. Cipriano Algor si versò un altro po’ di vino, si alzò, si pulì la bocca con il dorso della mano come se le regole della buona educazione a tavola fossero scadute quando si era alzato, e disse, Devo andare a cavare un po’ di creta, quella che abbiamo sta finendo. Stava già per uscire quando la figlia lo chiamò, Babbo, mi è venuta un’idea, Un’idea, Sì, telefonare a Marçal perché parli con il capo dell’ufficio acquisti e tenti di scoprire quali sono le intenzioni del Centro, se questa riduzione degli ordini sarà per poco tempo o se dovrà durare, sapete bene che Marçal è molto stimato dai superiori, Almeno è quello che ci dice, Se lo dice è perché è vero, ribatté Marta, impaziente, e soggiunse, Ma se non volete, non telefonerò, Telefona, sì, telefona, è una buona idea, è l’unica che può servire ora, anche se ho qualche dubbio che un capoufficio del Centro sia disposto così, né più né meno, a render conto del proprio servizio a un guardiano di seconda classe, li conosco meglio di lui, non c’è bisogno di stare là dentro per capire di che pasta è fatta quella gente, sono pieni di sé, e inoltre un capoufficio non è altro che questo, un sottoposto, esegue degli ordini che gli vengono dall’alto, potrebbe anche darsi che ci inganni con qualche spiegazione

priva di fondamento, solo per darsi delle arie. Marta ascoltò la lunga tirata sino alla fine, ma non rispose. Se, come sembrava evidente, suo padre ci teneva ad avere l’ultima parola, non sarebbe stata certo lei a sottrargli questo piacere. Pensò soltanto, quando lui uscì, Devo essere più comprensiva, devo mettermi al suo posto, immaginare cosa significhi ritrovarsi all’improvviso senza lavoro, separarsi dalla casa, dalla fornace, dal forno, dalla vita. Ripeté le ultime parole a voce alta, Dalla vita, mentre la vista le si annebbiò repentinamente, si era messa al posto del padre e soffriva come stava soffrendo lui. Si guardò intorno e notò per la prima volta che tutto era come se fosse coperto di creta, non sporco di creta, ma solo del colore che ha la creta, il colore dai mille colori con cui è venuta fuori dalla cava, ciò che è rimasto di tre generazioni che tutti i giorni si sono macchiate le mani nella polvere e nell’acqua della creta, e poi, là fuori, il colore di cenere viva del forno, l’ultimo languido tepore di quando lo lasciavano vuoto, come una casa da cui sono andati via i padroni e che se ne resta, paziente, in attesa, e l’indomani, se tutto non è ormai finito per sempre, di nuovo la prima fiamma della legna, il primo alito caldo che circonderà come una carezza l’argilla essiccata, e poi, a poco a poco, il tremolio dell’aria, un rapido bagliore di brace, l’albeggiare dello splendore, l’irruzione abbagliante del fuoco vivo. Non lo vedrò mai più quando ce ne andremo, disse Marta, e il cuore le si strinse come se stesse prendendo congedo dall’essere più amato, che in questo momento non avrebbe saputo dire chi fosse, se la madre ormai morta, o il padre amareggiato, o forse il marito, si, poteva essere il marito, è la cosa più logica, essendo lei, appunto, la moglie. Udiva, come se salisse da sotto terra, il rumore sordo del maglio che rompeva la creta, ma il suono dei colpi oggi le sembrava diverso, forse perché non li spingeva la semplice necessità del lavoro, ma l’ira impotente di perderlo. Vado a telefonare, mormorò Marta fra sé e sé, con questi pensieri finirò per intristirmi come lui. Uscì dalla cucina e si diresse nella camera del padre. Lì, sopra il piccolo tavolino dove Cipriano Algor faceva il resoconto delle spese e delle fatture della fornace, c’era un telefono di modello antiquato. Compose uno dei numeri del centralino e chiese che le passassero la sicurezza. Quasi nello stesso istante risuonò una voce secca di uomo, Servizio di Sicurezza, la rapidità della risposta non la sorprese, lo sanno tutti che quando si tratta di questioni di sicurezza conta perfino il più insignificante dei secondi, Vorrei parlare con il guardiano di seconda classe Marçal Gacho, disse Marta, Chi lo desidera, Sono sua moglie, sto chiamando da casa, Il guardiano di seconda classe Marçal Gacho in questo momento è in servizio, non si può muovere, In questo caso la prego di trasmettergli un messaggio, Lei è sua moglie, Si, sono Marta Algor Gacho, può controllare, Allora non ignora che non accettiamo messaggi, prendiamo solo nota di chi ha telefonato, Dovrebbe solo dirgli di telefonare a casa appena può, È urgente, domandò la voce. Marta ci pensò due volte, sarà urgente, non sarà urgente, questione di vita o di morte non era, problemi gravi con il forno neanche, un parto prematuro tanto meno, ma alla fine rispose, Si, per la verità c’è una certa urgenza. Ne ho preso nota, disse l’uomo, e riattaccò. Con un sospiro di stanca rassegnazione Marta posò il ricevitore sul gancio, non c’era niente da fare, era più forte di loro, la sicurezza non poteva vivere senza buttare la sua autorità in faccia alla gente, anche in un caso così normale come questo, così banale, così quotidiano, una moglie che telefona al Centro perché ha bisogno di

parlare col marito, non sarà stata lei la prima né certamente sarà l’ultima. Quando Marta uscì nello spiazzo, il suono del maglio improvvisamente non parve più risalire dal suolo, veniva dal punto in cui doveva provenire, dall’angolo buio della fornace dove si conservava l’argilla estratta dalla cava. Si avvicinò alla porta, ma non oltrepassò la soglia, Ho telefonato, disse, hanno preso il messaggio per darglielo, Speriamo lo facciano, rispose il padre, e senza aggiungere altro attaccò con il maglio il più grosso dei blocchi che aveva davanti a sé. Marta gli voltò le spalle perché sapeva che non sarebbe dovuta penetrare in quello spazio scelto appositamente da lui per rimanere da solo, ma anche perché aveva, pure lei, il suo lavoro da fare, una dozzina di boccali grandi e piccoli che aspettavano i manici. Entrò nella porta accanto. 3. Marçal Gacho telefonò nel tardo pomeriggio, dopo avere concluso il turno di servizio. Rispose alla moglie con poche e brevi parole, senza dar mostra di fastidio, inquietudine o irritazione per la scortesia commerciale di cui era stato vittima il suocero. Parlò con voce assente, una voce che sembrava stesse pensando ad altro, disse Sì, ah, si, capisco, effettivamente, suppongo sia normale, andrò appena posso, a volte no, senza dubbio, infatti, ho capito, non c’è bisogno di ripetere, e concluse la conversazione con una frase finalmente completa, ma senza alcun nesso con l’argomento, Stai tranquilla, non mi dimenticherò della spesa. Marta capì che il marito stava parlando davanti a testimoni, colleghi di lavoro, forse un superiore che era passato a ispezionare la camerata, e perciò aveva dovuto tergiversare, per evitare curiosità inopportune, se non addirittura pericolose. L’organizzazione del Centro era stata concepita e attuata secondo un modello di rigida settorializzazione delle diverse attività e funzioni, che, sebbene non fossero né potessero essere totalmente monopolizzate, solo per canali unici, non di rado difficili da individuare e identificare, potevano comunicare fra loro. È chiaro che un semplice guardiano di seconda classe, sia per la natura specifica del suo incarico sia per il suo credito ridotto nel quadro del personale subalterno, l’una cosa derivante dall’altra per inappellabile conseguenza, non è dotato, genericamente parlando, di discernimento e percezione sufficienti per captare sottigliezze e sfumature di tale carattere, per la verità quasi volatili, ma Marçal Gacho, malgrado non sia il più astuto della sua categoria, conta a suo favore su un certo fermento di ambizione che, avendo come meta conosciuta il passaggio a guardiano residente e, in un secondo tempo, naturalmente, la promozione a guardiano di prima classe, non sappiamo dove lo potrà portare nel futuro prossimo e, ancora meno, in un futuro distante, se ce l’avrà. È proprio perché ha tenuto gli occhi bene aperti e le orecchie affinate fin dal primo giorno in cui ha cominciato a lavorare nel Centro che ha potuto apprendere, in poco tempo, quando e come fosse più conveniente parlare, o tacere, o fare finta. Dopo due anni di matrimonio, Marta crede di conoscere bene il marito che gli è capitato in questo gioco di togli e metti a cui si riduce quasi sempre la vita coniugale, gli dedica tutto il suo affetto di moglie, non sarebbe neppure riluttante, supponendo che l’interesse del racconto richiedesse di approfondire la loro intimità, ad adottare una estrema veemenza rispondendogli che lo ama, ma non è tipo da ingannare se stessa, e sarebbe

addirittura probabile, se fino a tal punto insistessimo, che finirebbe per confessare che a volte le sembra troppo prudente, per non dire calcolatore, se a un’area tanto negativa della personalità osassimo spingere l’indagine. Era sicura che il marito era stato contrariato dalla conversazione, che probabilmente era già preoccupato alla prospettiva di un incontro con il capo dell’ufficio acquisti, e non per timidezza o modestia da inferiore, in verità Marçal Gacho si è sempre piccato di proclamare che non gli piace richiamare su di sé le attenzioni a patto che non si tratti di questioni di servizio, soprattutto, aggiungerà chi pensa di conoscerlo, quando si dia il caso che tali attenzioni non gli portino beneficio. In definitiva, quella famosa buona idea che Marta credeva di avere avuto le era sembrata buona solo perché, in quel momento, come aveva detto il padre, era l’unica possibile. Cipriano Algor si trovava in cucina, non poteva aver udito i frammenti di quel discorso, isolati e sconnessi, emessi dal genero, ma fu come se li avesse letti tutti, e colmate le lacune, nel volto abbattuto della figlia quando, dopo un lungo minuto, lei uscì dalla stanza. E giacché non valeva la pena far lavorare la lingua per così poco, non perse tempo a domandarle Allora, e fu lei a dover comunicare l’ovvio, Parlerà con il capoufficio, ma anche per dire solo questo non c’era bisogno che Marta si affannasse, due occhiate sarebbero bastate. La vita è così, è piena di parole che non valgono la pena, oppure la valevano e non la valgono più, ognuna di quelle che pronunceremo toglierà il posto a un’altra più meritevole, che lo sarebbe non tanto di per sé quanto per le conseguenze di averla detta. La cena trascorse in silenzio, silenziose furono anche le due ore passate dopo davanti alla televisione indifferente, a un certo punto, come succede di frequente negli ultimi mesi, Cipriano Algor si addormentò. Aveva le sopracciglia aggrottate, con una espressione di rabbia, come se, mentre dormiva, si stesse recriminando per aver ceduto tanto facilmente al sonno, quando sarebbe stato giusto ed equo che l’irritazione e il dispiacere lo mantenessero sveglio di notte e di giorno, il dispiacere affinché soffrisse pienamente l’offesa, l’irritazione per rendergli sopportabile la sofferenza. Esposto così, disarmato, con la testa reclinata all’indietro, la bocca mezza aperta, smarrito, presentava l’immagine pungente di un abbandono senza salvezza, come un sacco che si fosse rotto e avesse lasciato scolare strada facendo quello che conteneva. Marta guardava il padre infervorata, con una intensità appassionata, e pensava, Questo è il mio vecchio padre, sono le esagerazioni scusabili di chi si trova ancora ai primi albori dell’età adulta, un uomo di sessantaquattro anni, benché d’animo un po’ avvizzito come si osserva in questo, non lo si dovrebbe, con tanta incosciente leggerezza, chiamare vecchio, sarebbe stato usuale in quelle epoche in cui i denti cominciavano a cadere a trent’anni e le prime rughe comparivano a venticinque, al giorno d’oggi la vecchiaia, quella autentica, inappellabile, quella da cui non potrà esserci ritorno, e neppure una sua finzione, sarà solo dopo gli ottant’anni che comincerà, di fatto e senza scuse, a meritare il nome che diamo al tempo del congedo. Che ne sarà di noi se il Centro deciderà di non comprare più, per chi ci metteremo a fabbricare stoviglie se sono i gusti del Centro a determinare i gusti di tutta la gente, si domandava Marta, non è stato il capoufficio a decidere di dimezzare gli acquisti, l’ordine gli è venuto dall’alto, dai superiori, da qualcuno per cui è indifferente che nel mondo vi sia un vasaio in più o in meno, quello che è successo potrebbe essere stato solo il primo

passo, il secondo sarà di interrompere definitivamente gli acquisti, dovremo essere preparati a questo disastro, si, preparati, ma quello che vorrei proprio sapere è come si fa a prepararsi a prendersi una martellata sulla testa, e quando Marçal sarà promosso guardiano residente, come farò con il babbo, lo lascerò da solo in questa casa e senza lavoro, impossibile, impossibile, figlia snaturata, direbbero di me i vicini, o cose ben peggiori direi di me stessa, sarebbe diverso se la mamma fosse ancora viva, perché, contrariamente a quanto si suole dire, due debolezze non fanno una debolezza maggiore, ma una forza nuova, probabilmente non è così e non lo è mai stato, ma ci sono delle volte in cui converrebbe che lo fosse, no, padre mio, no, Cipriano Algor, quando io me ne andrò via da qui tu verrai con me, anche se dovrò portarti con la forza, non ho alcun dubbio che un uomo sia capace di vivere da solo, ma sono convinta che comincia a deperire nell’istante in cui si chiude alle spalle la porta di casa sua. Come se lo avessero scosso bruscamente per un braccio, o come se avesse capito che parlavano di lui, Cipriano Algor aprì gli occhi all’improvviso e si raddrizzò sulla sedia. Si passò le mani sul viso e, con l’espressione un po’ confusa di un ragazzino colto in fallo, mormorò, Lasciatemi dormire. Diceva sempre queste parole, Lasciatemi dormire, quando si svegliava dai suoi sonnellini davanti alla televisione. Ma questa sera non era uguale alle altre, perciò dovette aggiungere, Sarebbe molto meglio se non mi fossi svegliato, mormorò, almeno, fintanto che dormivo, ero un vasaio con lavoro, Con la grande differenza che il lavoro che si fa sognando non ha mai lasciato nulla di fatto, disse Marta, Proprio come nella vita sveglia, lavori, lavori e lavori, e un giorno esci fuori da quel sogno o da quell’incubo e ti dicono che quello che hai fatto non è servito a niente, Sì che è servito, babbo, E come se non lo fosse, Oggi abbiamo avuto una brutta giornata, domani ci penseremo con più calma, vedremo come trovare una via d’uscita per questo problema che ci hanno creato, Infatti, vedremo, infatti, ci penseremo. Marta si avvicinò al padre, gli diede un bacio affettuoso, Andate a coricarvi, andate, e dormite bene, riposate questa testa. Sulla soglia della stanza, Cipriano Algor si fermò, si voltò all’indietro, parve esitare un momento e alla fine, come se decidesse di convincere se stesso, disse, Forse Marçal telefonerà domani, forse ci porterà una buona notizia, Chissà, babbo, chissà, rispose Marta, mi ha detto che se la sarebbe presa a cuore, era questa la sua intenzione. Marçal non telefonò il giorno seguente. Passò tutta quella giornata, che era mercoledì, passò il giovedì e passò il venerdì, passarono sabato e domenica, e solo il lunedì, quasi una settimana dopo la sciagura delle stoviglie, il telefono avrebbe squillato di nuovo a casa di Cipriano Algor. Al contrario di quanto aveva annunciato, il vasaio non uscì di casa per fare un giro nei dintorni in cerca di acquirenti. Occupò le sue lunghe ore con piccoli lavoretti, alcuni non necessari, come quello di ispezionare e ripulire meticolosamente il forno, da cima a fondo, dentro e fuori, fuga per fuga, mattone per mattone, come se lo stesse preparando per la più grande cottura della sua storia. Impastò un po’ di creta di cui la figlia aveva bisogno, ma, al contrario dell’attenzione scrupolosa che aveva dedicato al forno, lo fece con pochissimo zelo, tanto che Marta, di nascosto, si vide costretta a impastarla di nuovo per ridurre i grumi. Tagliò la legna, spazzò il piazzale, e nelpomeriggio, quando, per più di tre ore, cadde una di quelle pioggerelline sottili e monotone che un

tempo si definivano spolverate, se ne rimase sempre seduto su un tronco sotto la tettoia, a volte guardando davanti a sé con la fissità di un cieco consapevole che non vedrà di certo voltando la testa in un’altra direzione, altre volte contemplandosi le mani aperte, come se nelle loro linee, nei loro incroci, cercasse un cammino, il più breve o il più lungo, generalmente imboccarne uno oppure un altro dipende dalla molta o poca fretta che si abbia di arrivare, senza dimenticare, comunque, quei casi in cui qualcuno o qualche cosa vengono a spingerci per le spalle, senza che sappiamo perché né verso dove. Quel pomeriggio, quando smise di piovere, Cipriano Algor ridiscese per il sentiero che conduceva alla strada, non si era accorto che la figlia lo guardava dalla porta della fornace, ma né lui aveva bisogno di dire dove andava, né lei che lui glielo dicesse. Che uomo ostinato, pensò Marta, sarebbe dovuto andare con il furgone, da un momento all’altro può ricominciare a piovere. Era naturale, c’era da aspettarsela da una figlia, la preoccupazione di Marta, perché, in verità, per quanto storicamente si sia esagerato con dichiarazioni contrarie, del cielo non c’è mai stato molto da fidarsi. Questa volta, però, anche se la pioggerellina tornerà a scivolar giù dal grigio uniforme che copre e circonda la terra, non sarà certo di quelle che t’inzuppano, il cimitero del paese è molto vicino, è proprio li alla fine di una di queste vie trasversali alla strada, e Cipriano Algor, malgrado la sua età un po’ di qua e un po’ di là, conserva ancora quella falcata ampia e rapida di cui si servono i più giovani nella premura. Vecchio o giovane, che oggi nessuno glielo chieda. Come non sarebbe di buon avviso che Marta gli consigliasse di andare con il furgone, perché ai cimiteri, soprattutto al cimitero di questo paese, campestri, bucolici, dovremo sempre andare umilmente, non per via di qualche imperativo categorico o imposizione del trascendente, ma per rispetto alle convenienze semplicemente umane, in fin dei conti sono stati tanti quelli che vanno in pedestri peregrinazioni a venerare la tibia di un santo che non si capisce come si potrebbe andare altrimenti laddove sappiamo anticipatamente che ci aspettano la nostra memoria e forse una lacrima. Cipriano Algor andrà a passare alcuni minuti accanto alla tomba della moglie, non per recitare qualche preghiera che ormai ha dimenticato, né per chiederle che dall’alto, dall’empirea dimora, se così in alto l’hanno portata le sue doti, interceda a suo favore presso colui che alcuni dicono che possa tutto, protesterà solo che non è giusto, Justa, ciò che mi hanno fatto, si sono beffati del mio lavoro e del lavoro di nostra figlia, dicono che le stoviglie di terracotta non interessano più, che non le vuole nessuno, e quindi anche noi non siamo più necessari, siamo una scodella crepata a cui non vale la pena di perder tempo a mettere ganci, tu sei stata più fortunata finché hai vissuto. Nei vialetti di ghiaia del cimitero ci sono piccole pozze d’acqua, l’erba cresce dappertutto, non ci vorranno cent’anni perché non si sappia più chi è stato messo sotto questi monticelli di fango, e se comunque lo sapranno ancora c’è da chiedersi se il saperlo gli interesserà veramente, i morti, qualcuno lo ha già detto, sono come piatti crepati su cui non vale la pena agganciare quelle graffe di ferro, anch’esse desuete, che univano ciò che si era rotto e separato, o, nel caso in questione, spiegando il simile con altre parole, i ganci della memoria e della nostalgia. Cipriano Algor si è avvicinato alla tomba della moglie, sono ormai tre gli anni che lei si trova là sotto, tre anni senza farsi vedere da nessuna parte, né in casa, né alla

fornace, né a letto, né all’ombra del gelso nero, né sotto il sole cocente della cava d’argilla, non si è più seduta a tavola né al tornio, non toglie più le ceneri cadute dalla griglia né rivolta i pezzi che stanno essiccando, non sbuccia le patate, non impasta la creta, non dice, Così vanno le cose, Cipriano, la vita non ha che due giorni da dare, e c’è tanta gente che ha vissuto solo un giorno e mezzo, e altra neanche tanto, vedi dunque che noi non possiamo lamentarci. Cipriano Algor non rimase più di tre minuti, era abbastanza intelligente da non aver bisogno che gli dicessero che l’importante non era starsene li fermo, con o senza preghiere, a guardare una tomba, l’importante era l’essere venuto, l’importante è il cammino che si è fatto, il viaggio che si è percorso, se sei consapevole che stai prolungando la tua contemplazione è perché osservi te stesso o, peggio ancora, perché ti aspetti che ti osservino. A paragone con la velocità istantanea del pensiero, che prosegue in linea retta fino a quando sembra avere smarrito il nord, lo crediamo noi perché non capiamo che il pensiero, correndo in una direzione, sta avanzando verso tutte le direzioni, a paragone, dicevamo, la povera parola ha sempre bisogno di chiedere permesso a un piede per far avanzare l’altro, eppure inciampa continuamente, esita, s’intrattiene a girare intorno a un aggettivo, a un tempo verbale che gli si è presentato senza farsi annunciare dal soggetto, dev’esser questa la ragione per cui Cipriano Algor non ha avuto tempo di dire alla moglie tutto quello che aveva pensato, che non è giusto, Justa, ciò che mi hanno fatto, ma può anche darsi che i mormorii che stiamo udendo ora, mentre cammina verso l’uscita del cimitero, siano proprio ciò che era rimasto da dire. Era ormai silenzioso quando incrociò una donna vestita a lutto che entrava, è sempre andata così, alcuni arrivano, altri partono, lei ha detto, Buonasera, signor Cipriano, il trattamento rispettoso è giustificato sia dalla differenza di generazioni sia perché è un’abitudine della campagna, e lui ha ricambiato, Buonasera, non ha pronunciato il nome di lei non perché non lo conoscesse, ma perché ha pensato che questa donna, in lutto stretto per un marito, non avrà alcuna parte nei cupi avvenimenti futuri che si annunciano né nel resoconto che se ne possa fare, benché sia sicuro, comunque, che lei, almeno, intende recarsi l’indomani alla fornace per comprare una brocca, come annuncia, Domani verrò a comprare una brocca, ma speriamo sia migliore di questa, che quando l’ho sollevata mi è rimasto in mano il manico, è andata in pezzi e mi ha allagato tutta la cucina, può ben immaginare come sia andata, anche se, a dir la verità, aveva anche lei i suoi anni, e Cipriano Algor ha risposto, Non c’è bisogno che venga alla fornace, le porterò una brocca nuova in sostituzione di quella che si è rotta, non dovrà pagare nulla, è un regalo della fabbrica, Lo dice perché sono vedova, ha domandato la donna, No, che idea, è solo un pensiero, nient’altro, abbiamo tante di quelle brocche che forse non riusciremo neanche a venderle, In tal caso la ringrazio molto, signor Cipriano, Non c’è di che, Una brocca nuova è pur sempre qualcosa, Si, ma è soltanto questo, solo qualcosa, Allora a domani, l’aspetto, e ancora una volta mille grazie, A domani. Orbene, visto che il pensiero corre contemporaneamente in tutte le direzioni, come si è ben spiegato prima, e i sentimenti procedono al tempo stesso insieme a lui, non dovrà sorprenderci che la soddisfazione della vedova nel ricevere una brocca nuova senza aver bisogno di pagarla sia stata la causa per cui si sia attenuato da un istante all’altro il dispiacere che l’aveva fatta uscire da casa in un

pomeriggio tanto triste per andare a visitare l’ultima dimora del marito. È chiaro che, nonostante la vediamo ancora lì ferma all’entrata del cimitero, sicuramente rallegrandosi nel proprio intimo di padrona di casa per l’inatteso regalo, non tralascerà di andare là dove l’hanno convocata il lutto e il dovere, ma forse, in definitiva, quando vi si troverà, non piangerà tanto quanto aveva pensato. Il pomeriggio sta scurendo lentamente, cominciano ad apparire luci smorte nelle case vicine al cimitero, ma il crepuscolo durerà ancora il tempo necessario perché la donna possa recitare senza paura dei fuochi fatui o delle anime in pena il suo padrenostro e la sua avemaria, che resti in buona pace e in buona pace riposi. Quando Cipriano Algor svoltò dopo l’ultima casa dell’abitato e guardò verso il punto in cui si trovava la fornace, vide accendersi la luce fuori, un’antica lanterna di metallo appesa sopra la porta della casa, e, benché non passasse una sola notte senza che l’accendessero, questa volta sentì che il cuore gli si riconfortava e l’animo si tranquillizzava, come se la casa gli stesse dicendo, Ti sto aspettando. Quasi impalpabili, portate avanti e indietro a piacimento dalle onde invisibili che spingono l’aria, alcune minuscole gocce gli hanno sfiorato il viso, non tarderà molto che il setaccio delle nuvole ricomincerà a spolverare la sua farina d’acqua, con tutta questa umidità non so quando riusciremo a far seccare tutti i pezzi. Vuoi per influsso della mansuetudine crepuscolare, vuoi per la breve visita evocativa al cimitero, o forse, il che sarebbe un’effettiva ricompensa alla sua generosità, per aver detto alla donna in lutto che le avrebbe regalato una brocca nuova, Cipriano Algor, in questo momento, non pensa né al disappunto di non guadagnare né alla paura di perdere. In un momento come questo, mentre calpesti la terra bagnata e hai così vicino al capo la prima pellicola del cielo, non è possibile che ti dicano cose tanto assurde come quella che te ne devi tornare indietro con metà delle stoviglie o che uno di questi giorni tua figlia ti lascerà da solo. Il vasaio arrivò in cima alla strada e tirò un profondo respiro. Stagliato contro l’opaca cortina di nuvole grigie, il gelso nero sembra tanto nero quanto l’obbliga il suo stesso nome. La luce della lanterna non ne raggiunge la cima, e non sfiora neppure le foglie dei rami più bassi, solo una debole luminosità comincia a tappezzare il terreno fin quasi a toccare il grosso tronco dell’albero. Il vecchio casotto del cane è ancora li, vuoto da anni, da quando il suo ultimo abitante è morto fra le braccia di Justa e lei ha detto al marito, Non voglio mai più un animale del genere a casa mia. All’ingresso scuro della cuccia si è mosso un bagliore e subito dopo è scomparso. Cipriano Algor voleva scoprire cosa fosse, si abbassò per sbirciare dopo aver fatto qualche passo avanti. Dentro, l’oscurità era totale. Capì che stava ostruendo con il corpo la luce della lanterna e si spostò un po’ di lato. Erano due i bagliori, due occhi, un cane. O un altro animale, ma è molto più probabile che sia un cane, pensò il vasaio, e sicuramente era nel giusto, della specie lupina non c’è più memoria credibile da queste parti, e gli occhi dei gatti, che siano gatti domestici o selvatici, come chiunque ha il dovere di sapere, sono comunque occhi di gatto, al massimo, e nel peggiore dei casi, potremmo confonderli, in piccolo, con quelli della tigre, ma è chiaro che una tigre adulta non potrebbe mai infilarsi in un casottino di questa dimensione. Cipriano Algor non ha parlato né di gatti né di tigri quando è entrato in casa, e non ha fatto neppure parola della visita al cimitero, e quanto

alla brocca che regalerà alla donna in lutto, capisce che non è argomento da affrontare in questo momento, ciò che ha detto alla figlia è stato solo questo, C’è un cane là fuori, ha fatto una pausa, come se aspettasse una risposta, e ha aggiunto, Sotto il gelso, nel casotto. Marta si era appena lavata le mani e cambiata d’abito, era venuta a riposarsi un minuto, seduta, prima di mettersi a preparare la cena, quindi non doveva essere nella disposizione migliore per preoccuparsi dei posti dove passano o si fermano i cani fuggiti o abbandonati nel loro vagabondare, Meglio lasciarlo stare, se non è un animale a cui piaccia viaggiare di notte, domani se ne andrà via, ha detto, Hai qualcosa da mangiare che gli si possa portare, ha domandato il padre, Avanzi del pranzo, pezzetti di pane, di acqua non avrà bisogno, ne è caduta tanta dal cielo, Vado a portarglielo, Come volete, babbo, ma ricordatevi che non se ne andrà più via, Immagino di si, se fossi al posto suo farei lo stesso. Marta versò i resti del cibo in un vecchio piatto che teneva sotto la pietra del camino, vi sbriciolò sopra un pezzo di pane duro e ammorbidì tutto con un po’ di brodo, Ecco, e tenete presente che è solo l’inizio. Cipriano Algor prese il piatto e aveva già un piede fuori dalla cucina quando la figlia gli domandò, Vi ricordate cosa disse la mamma quando morì Costante, che non avrebbe mai più voluto cani in casa, Me ne ricordo, certo, ma potrei anche giurare che se fosse ancora viva lei non sarebbe tuo padre, adesso, a portare questo piatto al famoso cane che non voleva, rispose Cipriano Algor, e uscì senza aver udito il mormorio della figlia, Forse non avete del tutto torto. La pioggia aveva ripreso a cadere, era lo stesso ingannevole piove-non-piove, lo stesso pulviscolo d’acqua che tremolava e confondeva le distanze, perfino la sagoma biancheggiante del forno sembrava decisa ad andarsene altrove, e il furgone, là, aveva più l’aspetto del carro fantasma che di un moderno veicolo con un motore a scoppio, ancorché di modello non recente, come sappiamo. Sotto il gelso nero, l’acqua scivolava giù dalle foglie a goccioloni isolati, ora uno, ora l’altro, poi un altro ancora, a caso, come se le leggi dell’idraulica e della dinamica dei liquidi, ancora regnanti fuori dal precario parapioggia dell’albero, lì non fossero applicabili. Cipriano Algor posò per terra il piatto con il cibo, fece tre passi indietro, ma il cane non uscì dal suo riparo, È impossibile che non abbia fame, disse il vasaio, o forse è uno di quei cani che si rispettano, forse non vuole far vedere la sua fame. Attese ancora un minuto, poi si ritirò ed entrò in casa, ma non chiuse completamente la porta. A stento si poteva vedere dalla fessura, ma lui riuscì comunque a distinguere una sagoma nera che usciva dal casotto e si avvicinava al piatto, e si accorse pure che il cane, era un cane, non un lupo né un gatto, guardò prima in direzione della casa e solo dopo abbassò la testa sul cibo, come se pensasse di dovere questo riguardo a chi era venuto, sotto la pioggia, sfidando le intemperie, ad ammazzare la sua fame. Cipriano Algor chiuse completamente la porta e si avviò in cucina, Sta mangiando, disse, Se aveva tanta fame, avrà già finito, rispose Marta, sorridendo, Non c’è dubbio, sorrise anche il padre, se i cani di oggi sono come quelli di un tempo. La cena era frugale, ci voleva poco a metterla in tavola. Solo alla fine Marta disse, Un altro giorno senza notizie di Marçal, non capisco perché non telefoni, almeno una parola, sarebbe bastata una semplice parola, mica gli si chiedeva un discorso, Forse non ha ancora potuto parlare con il capo, Allora poteva almeno dircelo, Beh, non è una cosa facile, lo sai bene, disse il vasaio,

inaspettatamente conciliante. La figlia lo guardò sorpresa, più per il tono della voce che per il significato delle parole, Non è davvero vostra abitudine scusare o giustificare Marçal, disse, Lui mi piace, Vi piacerà pure, ma non lo prendete sul serio, Se c’è qualcuno che non riesco a prendere sul serio è il guardiano in cui si è trasformato il ragazzo affabile e simpatico che conoscevo, Adesso è un uomo affabile e simpatico, e il mestiere di guardiano non è un modo di vivere meno dignitoso e onesto di qualsiasi altro, Non è come qualsiasi altro, Dove sta la differenza, La differenza sta nel fatto che il tuo Marçal, come lo conosciamo adesso, è tutto guardiano, guardiano dalla testa ai piedi, e ho il sospetto che lo sia anche nel cuore, Babbo, vi prego, non potete parlare così del marito di vostra figlia, Hai ragione, scusami, oggi non dovrebbe essere una giornata di censure e recriminazioni, Oggi, perché, Sono stato al cimitero, ho offerto una brocca alla vicina e abbiamo fuori di casa un cane, tutti avvenimenti di grande importanza, Cos’è questa storia della brocca, Le è rimasto il manico in mano e la sua brocca è andata in mille pezzi, Sono cose che capitano, niente è eterno, Ma lei ha avuto la decenza di riconoscere che la brocca era vecchia, e perciò ho pensato che avrei dovuto regalargliene una nuova, si fa finta che l’altra avesse un difetto di fabbricazione, o forse non c’è neanche bisogno di fare finta, se si regala si regala, senza spiegazioni, Chi è la vicina, Isaura Estudiosa, quella che è rimasta vedova qualche mese fa, È una donna giovane, Non ho intenzione di risposarmi, se è questo che stai pensando, Se l’ho pensato, non me ne sono resa conto, ma forse avreste dovuto farlo, così non rimarreste da solo qui, babbo, visto che vi ostinate a non voler venire a vivere con noi al Centro, Ti ripeto che non intendo sposarmi, e tanto meno con la prima donna che mi capiti davanti, quanto al resto, ti pregherei di non rovinarmi la serata, Non era mia intenzione, scusate. Marta si alzò, radunò i piatti e le posate, ripiegò la tovaglia e i tovaglioli, incorre in un grave equivoco chi ritenga che il mestiere di vasaio, anche se di prodotti rustici, come in questo caso, anche se esercitato in un paese piccolo e poco vivace, come si è immaginato sia questo, sia incompatibile con la delicatezza e le buone maniere che distinguono le attuali classi alte, ormai dimentiche o ignoranti fin dalla nascita della rozzezza dei loro avi e della bestialità dei bisavoli. Questi Algor sono gente che apprende bene ciò che le insegnano ed è capace di servirsene poi per apprendere meglio, e Marta, essendo dell’ultima generazione, e dunque più favorita dai sussidi del progresso, ha già avuto la grande fortuna di studiare in città, ché qualche vantaggio dovranno pure averlo, rispetto ai paesi, i grandi agglomerati di popolazione. E se alla fine ha fatto la vasaia, è stato in virtù di una consapevole e palese vocazione di modellatrice, sebbene abbia influito nella sua decisione anche il fatto che non c’erano in famiglia fratelli maschi che potessero continuare la tradizione familiare, senza dimenticare poi, terza e sovrana ragione, il forte amore filiale che non le avrebbe mai permesso di lasciare i genitori al come-vuole-iddio-poi-si-vedrà quando fossero diventati vecchi. Cipriano Algor aveva acceso la televisione, ma poco dopo l’ha spenta. Se in questo momento qualcuno gli chiedesse di ripetere ciò che aveva visto o sentito fra i gesti di accendere e spegnere l’apparecchio, non saprebbe cosa rispondere, ma semplicemente si rifiuterebbe di farlo se la domanda fosse un’altra, A cosa pensa con quell’espressione così distratta. Direbbe solo che no, che idea, non era mica distratto, solo per non dover confessare la puerilità di

sentirsi preoccupato per via del cane, se era al riparo nel casotto, se, dopo aver soddisfatto lo stomaco e recuperate le energie, aveva proseguito il suo viaggio, in cerca di miglior cibo o di un padrone che vivesse in un posto meno esposto ai temporali e alle pioggerelline. Vado nella mia stanza, ha detto Marta, ho rimandato alcune cose che avevo da cucire, ma ora dovrò farlo, E non mi tratterrò neanch’io, ha detto il padre, sono stanco senza avere fatto niente, Avete impastato, revisionato il forno, qualcosa l’avete fatta, Sai bene quanto me che quella creta sarà necessario impastarla di nuovo, e il forno non aveva bisogno di quel lavoro da muratore, e tanto meno delle cure da balia asciutta, I giorni sono tutti uguali, le ore invece no, quando i giorni arrivano alla fine hanno sempre le loro ventiquattr’ore complete, anche quando non abbiano avuto niente dentro, ma non è questo il caso delle vostre ore né dei vostri giorni, Marta filosofa del tempo, ha detto il padre, e le ha dato un bacio sulla fronte. La figlia ricambiò l’affettuosità e, sorridendo, disse, Non dimenticatevi di andare a vedere come sta il vostro cane, Per il momento è solo un cane che è venuto a finire qui e ha pensato che il casotto gli facesse comodo per ripararsi dalla pioggia, forse è malato, o ferito, forse ha nel collare il numero di telefono della persona che bisogna chiamare, forse appartiene a qualcuno del paese, magari lo hanno picchiato e lui è fuggito, in tal caso domani mattina non ci sarà più, sai come sono i cani, il padrone è sempre il padrone anche quando castiga, quindi non precipitarti a dire che è il mio cane, non l’ho neanche visto, non so se mi piace, Sapete che vi piacerà, è già qualche cosa, Adesso mi fai pure la filosofa dei sentimenti, disse il padre, Supponendo che vi terrete il cane, che nome gli metterete, domandò Marta, È presto per pensarci, Se domani il cane sarà ancora qui, dovrebbe essere il nome la prima parola che dovrebbe udire dalla vostra bocca, Non lo chiamerò Costante, era il nome di un cane che non tornerà dalla sua padrona e che non l’avrebbe trovata se fosse tornato, forse questo lo chiamerò Perduto, è un nome che gli sta bene, Ce n’è un altro che gli starebbe ancora meglio, Quale, Trovato, Trovato non è un nome da cane, Non lo sarebbe neanche Perduto, Sì, mi sembra un’idea, era perduto ed è stato trovato, si chiamerà così, A domani, babbo, dormite bene, A domani, non rimanere a cucire fino a tardi, abbiti cura degli occhi. Dopo che la figlia si fu ritirata, Cipriano Algor aprì la porta che dava all’esterno e guardò in direzione del gelso nero. Il pulviscolo persistente continuava a cadere e non si avvertiva segno di vita nel casotto. Ci sarà ancora, si domandò il vasaio. Si diede una falsa ragione per non andare a vedere, Ci mancherebbe altro, bagnarmi per un cane randagio, una volta è più che sufficiente. Si ritirò nella sua stanza e si coricò, rimase a leggere ancora una mezz’ora, poi si addormentò. Nel cuore della notte si svegliò, accese la luce, l’orologio sul comodino segnava le quattro e mezzo. Si alzò, prese la torcia a pile che teneva in un cassetto e aprì la finestra. Aveva smesso di piovere, si vedevano le stelle nel cielo scuro. Cipriano Algor accese la torcia e la puntò verso il casotto. La luce non era abbastanza forte da poter vedere cosa ci fosse dentro, ma Cipriano Algor non ne aveva bisogno, due bagliori gli sarebbero bastati, due occhi, e quelli c’erano.

4. Da quando lo hanno rimandato indietro con la metà delle stoviglie, che, fra parentesi, non sono ancora state scaricate dal furgone, Cipriano Algor ha cominciato, da un’ora all’altra, a demeritare la reputazione di operaio mattiniero guadagnata in una vita di molto lavoro e poche ferie. Si alza con il sole ormai sorto, si lava e si fa la barba con più lentezza dell’indispensabile per un viso spelacchiato e un corpo che si è abituato alla pulizia, fa una colazione frugale ma prolungata, e finalmente, senza alcun visibile aumento nello scarso animo con cui si è alzato dal letto, va a lavorare. Oggi, però, dopo un residuo di notte trascorso a sognare una tigre che gli veniva a mangiare in mano, ha lasciato le coperte quando il sole aveva appena iniziato a tingere il cielo. Non ha aperto la finestra, ha scostato appena lo scuro interno per vedere come poteva essere il tempo, è ciò che ha pensato, o ha voluto pensare di aver pensato, ma in realtà non era sua abitudine farlo, quest’uomo ha già vissuto più che a sufficienza per sapere che il tempo c’è sempre, con il sole, come promette oggi, con la pioggia, come ha fatto ieri, in realtà, quando apriamo una finestra e alziamo il naso verso gli spazi superiori lo facciamo solo per appurare se il tempo che fa è quello che desideravamo noi. Nello sbirciare fuori, Cipriano Algor voleva in realtà, senza ulteriori preamboli suoi o di chiunque altro, sapere se il cane era ancora iì ad aspettare che andassero a dargli un altro nome, o se, stanco dell’attesa frustrata, era partito in cerca di un padrone più diligente. Se ne vedevano solo il muso che riposava sulle zampe anteriori incrociate e le orecchie abbassate, ma non c’era motivo per temere che il resto del corpo non fosse ancora dentro il casotto. È nero, disse Cipriano Algor. Già quando era andato a portargli da mangiare gli era parso che l’animale fosse di quel colore, o, come pure c’è chi lo sostenga, di quella sua assenza, ma era di notte, e se di notte perfino i gatti bianchi sono bigi, lo stesso, o in senso più tenebroso, si potrebbe dire di un cane visto per la prima volta sotto un gelso nero quando una pioggerellina sottile e notturna dissolveva la linea di separazione fra gli esseri e le cose, avvicinandoli alle cose in cui, prima o poi, si dovranno trasformare. Il cane non è del tutto nero, è quasi arrivato a esserlo nel muso e nelle orecchie, ma il resto tende più verso un generico colore grigio, con una marezzatura di toni scuri, fino all’affiorare del nero più intenso. A un vasaio di sessantaquattro anni, con i problemi di vista che l’età genera sempre e che ha smesso di usare gli occhiali per il calore del forno, non lo si può rimproverare se ha detto, È nero, visto che prima era notte e pioveva, e la distanza, adesso, rende nebuloso il crepuscolo del mattino. Quando Cipriano Algor si avvicinerà finalmente al cane vedrà che non potrà mai più ripetere, È nero, ma che peccherebbe gravemente contro la verità anche se affermasse, È grigio, tanto più quando scoprirà che una sottile macchia bianca, come una delicata cravatta, scende giù dal petto dell’animale fino all’inizio del ventre. La voce di Marta risuonò al di là della porta, Babbo, svegliatevi, c’è il cane che aspetta, Sono sveglio, vengo subito, rispose Cipriano Algor, ma si pentì immediatamente di essersi fatto scappare quelle due ultime parole, era puerile, era quasi ridicolo, un uomo della sua età che si metteva in agitazione come un bambino a cui hanno portato il giocattolo sognato, quando sappiamo tutti, al contrario, che in posti come questi un cane è tanto più stimato quanto più dimostri la sua utilità pratica, una virtù di cui i

giocattoli non hanno bisogno, e per quanto si riferisce ai sogni, se si tratta di realizzarli, non basterebbe un cane per chi ancora la notte scorsa aveva sognato una tigre. Malgrado il rimprovero che si era fatto, questa volta Cipriano Algor non perse tempo con preparativi e pulizie, si vestì rapidamente e uscì dalla stanza. Marta gli domandò, Volete che prepari qualcosa per dargli da mangiare, Dopo, adesso il cibo servirebbe solo a distrarlo, Andate, andate a domare la fiera, Non è affatto una fiera, povera bestiola, l’ho osservato dalla finestra, L’ho visto anch’io, Cosa ne pensi, Non credo sia di qualcuno di queste parti, Ci sono cani che non escono mai dai poderi, ci vivono e ci muoiono, salvo nei casi in cui li portano nei campi per impiccarli al ramo di un albero o per finirli con una scarica di piombo in testa, Quello che sto sentendo non è un buon modo di cominciare la giornata, Non lo è davvero, vediamo di iniziarla in maniera meno umana, ma più compassionevole, disse Cipriano Algor uscendo nello spiazzo. La figlia non lo seguì, se ne rimase sulla soglia, a guardare, La festa è sua, pensò. Il vasaio avanzò di qualche passo e, con voce chiara, ferma, ma senza alzarla troppo, pronunciò il nome scelto, Trovato. Il cane aveva già sollevato la testa quando lo aveva visto, e adesso, udito finalmente il nome che aspettava, uscì con tutto il corpo fuori dal casotto, un cane né grande né piccolo, un animale giovane, snello, dal pelo crespo, veramente grigio, veramente tendente verso il nero, con quella sottile macchia bianca a dividergli il petto e che sembra una cravatta. Trovato, ripeté il vasaio, facendo altri due passi avanti, Trovato, vieni qui. Il cane rimase dov’era, teneva la testa alta e scuoteva lentamente la coda, ma non si mosse. Allora il vasaio si accovacciò per portare i propri occhi al livello degli occhi dell’animale e ripeté, questa volta con tono pressante, intenso, come se fosse l’espressione di una sua personale necessità, Trovato. Il cane avanzò di un passo, un altro passo, un altro ancora, senza più frenarsi, fino a mettersi a portata del braccio di chi lo chiamava. Cipriano Algor tese la mano destra, quasi sfiorandogli le narici, e attese. il cane fiutò un paio di volte, poi allungò il collo, e il suo naso freddo andò a sfiorare la punta delle dita che lo sollecitavano. La mano del vasaio avanzò lentamente verso l’orecchio e lo accarezzò. Il cane fece il passo che mancava, Trovato, Trovato, disse Cipriano Algor, non so quale nome avessi prima, ma d’ora in poi il tuo nome è Trovato. Solo in quel momento notò che l’animale non aveva un collare e che il pelo non era solo grigio, era sporco di fango e di erba, soprattutto le zampe e il ventre, segnale più che probabile di aspre traversate di coltivazioni e terreni incolti, non certo di chi fosse giunto viaggiando comodamente lungo la strada. Marta si era avvicinata, portava un piatto con un po’ di cibo per il cane, niente di eccessivamente sostanzioso, solo qualcosa per confermare l’incontro e celebrare il battesimo, Daglielo tu, disse il padre, ma lei rispose, Fatelo voi, non mancheranno le volte che glielo dia io. Cipriano Algor posò il piatto per terra, poi si alzò con difficoltà, Ah, le mie ginocchia, cosa non darei per tornare ad avere almeno quelle dell’anno scorso, Fanno tanta differenza, domandò la figlia, A questo punto della vita anche un giorno fa differenza, ciò che conta è che a volte sembra sia per il meglio. Il cane Trovato, adesso che ormai ha un nome non dovremmo usarne altri con lui, sia quello di cane, che prima si è intrufolato per forza d’abitudine, sia quelli di animale o di bestia, che servono per tutto quanto non faccia parte dei regni minerale e vegetale, ma ogni tanto non sarà possibile sottrarsi a queste

varianti, solo per evitare noiose ripetizioni, che è l’unica ragione per cui al posto di Cipriano Algor abbiamo scritto vasaio, ma anche uomo, vecchio e padre di Marta. Orbene, come dicevamo, il cane Trovato, dopo aver fatto scomparire il cibo dal piatto con due rapide leccate, chiara dimostrazione che ancora non considerava abbondantemente soddisfatta la fame di ieri, alzò la testa come se aspettasse una nuova porzione di pietanza, almeno fu così che Marta interpretò il gesto, e perciò gli disse, Abbi pazienza, il pranzo verrà dopo, accontentati di quello che hai già messo nello stomaco, ma è stato un giudizio affrettato, come tante volte succede nei cervelli umani, malgrado l’appetito rimasto, che non avrebbe mai negato, non era il cibo ciò che preoccupava Trovato in quel momento, lui voleva soltanto che gli dessero un segnale di cosa avrebbe dovuto fare dopo. Aveva sete, che ovviamente poteva soddisfare in una qualsiasi delle numerose pozze d’acqua che la pioggia aveva lasciato intorno a casa, ma lo tratteneva qualcosa che, se stessimo parlando di sentimenti umani, non esiteremmo a definire scrupolo o delicatezza di modi. Se gli avevano messo il cibo in un piatto, se non avevano voluto che grossolanamente lo prendesse dal fango del terreno, allora doveva essere perché anche l’acqua bisognava berla da un recipiente adatto. Deve avere sete, disse Marta, i cani hanno bisogno di molta acqua, Ci sono lì quelle pozze, rispose il padre, non beve perché non ne ha voglia, Se ce lo terremo, non dovrà mica continuare a bere l’acqua dalle pozzanghere come se non avesse un posto né una casa, i doveri sono doveri. Mentre Cipriano Algor si dedicava a pronunciare frasi isolate, un po’ senza senso, il cui unico obiettivo era quello di abituare a poco a poco il cane al suono della sua voce, ma in cui di proposito, con l’insistenza di un ritornello, la parola Trovato risuonava più volte, Marta portò una grossa scodella di terracotta piena di acqua limpida, che andò a mettere accanto al casotto. Sfidando scetticismi, altamente giustificati dopo migliaia di racconti letti e ascoltati sulle vite esemplari dei cani e dei loro miracoli, dovremo tuttavia dire che Trovato stupì ancora una volta i nuovi padroni rimanendo fermo dov’era, faccia a faccia con Cipriano Algor, in attesa, a quanto apparentemente sembrava, che questi concludesse ciò che aveva da dirgli. Solo quando il vasaio tacque e gli fece un gesto come a congedarlo, il cane si voltò e andò a bere. Non ho mai visto un cane comportarsi in questa maniera, osservò Marta, Dopo tutto, rispose il padre, sarebbe il peggio se qualcuno dei dintorni mi dicesse che il cane gli appartiene, Non credo possa capitare, giurerei proprio che Trovato non è di questi posti, i cani da gregge e i cani da guardia non fanno ciò che ha fatto questo, Dopo mangiato andrò a fare un giro e a domandare, Approfittatene per portare la brocca alla vicina Isaura, disse Marta senza neppure prendersi la briga di mascherare il sorriso, Ci avevo già pensato, lo diceva anche mio nonno, non rimandare a domani quello che puoi fare oggi, rispose Cipriano Algor mentre guardava altrove. Trovato aveva bevuto la sua acqua e, giacché nessuno dei due sembrava intenzionato a prestargli attenzione, decise di sdraiarsi davanti all’entrata del casotto, dove il terreno era meno bagnato. Dopo colazione, Cipriano Algor andò a scegliere una brocca nel deposito dei prodotti finiti, la sistemò accuratamente nel furgone, bloccandola, per non farla rotolare, fra le casse di piatti, poi montò, si sedette e accese il motore. Trovato alzò la testa, palesemente non ignorava che a un simile rumore

comincia sempre un allontanamento, seguito immediatamente da una scomparsa, ma le sue precedenti esperienze di vita dovevano avergli rammentato che c’è un modo che può impedire, almeno alcune volte, l’accadere di tali calamità. Si sollevò tutto sulle lunghe zampe, scuotendo la coda con forza, come se agitasse uno scudiscio, e, per la prima volta da quando era venuto qui a chiedere asilo, Trovato abbaiò. Cipriano Algor diresse lentamente il furgone verso il gelso nero e si fermò a breve distanza dal casotto. Credeva di aver capito cosa voleva Trovato. Aprì e tenne aperto lo sportello dall’altro lato, e, prima che avesse il tempo di invitarlo alla passeggiata, il cane era già dentro. Non aveva pensato, Cipriano Algor, di portarlo con sé, la sua intenzione era solo quella di andare da un abitante all’altro domandando se conoscessero un cane così e così, con questo pelo e questo aspetto, con questa cravatta e queste doti morali, e intanto che descriveva le diverse caratteristiche avrebbe implorato tutti i santi del cielo e tutti i demoni della terra che, per favore, con le buone o con le cattive, costringessero l’interrogato a rispondere che in vita sua una bestia simile non gli era mai appartenuta o ne aveva avuto la minima notizia. Con Trovato visibile dentro il furgone si evitava la descrizione monotona e si risparmiavano le ripetizioni, sarebbe stato sufficiente domandare, Questo cane è suo, o tuo, a seconda del grado d’intimità con l’interlocutore, e ascoltare la risposta, No, SI, nel primo caso passare senza ulteriori indugi al vicino seguente per non dare occasione a emendamenti, nel secondo caso osservare attentamente le reazioni di Trovato, che non doveva certo essere un cane da lasciarsi trascinare all’inganno da qualsivoglia menzognera rivendicazione di un falso padrone. Marta, che al rumore di partenza del furgone era comparsa, con le mani sporche di creta, alla porta della fornace, volle sapere se andava via anche il cane. Il padre le rispose, Sì, siì, e dopo un minuto lo spiazzo era talmente deserto e Marta era talmente sola come se per lui e per lei questa fosse stata la prima volta. Prima di arrivare alla via dove abita Isaura Estudiosa, un cognome di cui, proprio come quelli di Gacho e Algor, si ignorano la ragion d’essere e la provenienza, il vasaio bussò alla porta di dodici vicini ed ebbe la soddisfazione di udire da tutti la stessa risposta, Mio non è, Non so di chi sia. Alla moglie di un commerciante piacque a tal punto Trovato che fece una generosa offerta di acquisto, preliminarmente rifiutata da Cipriano Algor, e in tre case in cui nessuno rispose alla chiamata si udii l’abbaiare violento dei sorveglianti canini, il che permise al vasaio il ragionamento sinuoso che Trovato non apparteneva a quelli lì, come se in qualche legge universale degli animali domestici fosse scritto che dove ci sia già un cane non possa essercene un altro. Finalmente Cipriano Algor fermò il furgone davanti alla porta della donna in lutto, chiamò, e quando lei comparve, indossando la sua camicia e la sua gonna nera, le rivolse un buongiorno molto più sonoro di quanto avrebbe richiesto la naturalezza, le colpe del repentino sconcerto vocale le aveva Marta, essendo l’autrice della spropositata idea di un matrimonio fra vedovi attempati, designazione meritevole di severa censura, anticipiamolo subito, per lo meno per quanto riguarda Isaura Estudiosa, che non deve avere più di quarantacinque anni, e se per il conto esatto sarà necessario aggiungerne qualcuno in più, per la verità non li si nota. Ah, buongiorno, signor Cipriano,

disse lei, Sono qui per quanto le ho promesso, portarle la sua brocca, Grazie mille, ma davvero non avrebbe dovuto disturbarsi, dopo quello che ci siamo detti al cimitero ho pensato che non c’è grande differenza fra le cose e le persone, hanno la loro vita, durano un certo tempo, e ben presto finiscono, come tutto al mondo, Comunque sia, se una brocca può sostituirne un’altra senza doverci pensare più del tempo necessario per buttare i cocci e riempirla d’acqua di nuovo, lo stesso non accade con le persone, è come se alla nascita di ciascuna si spaccasse la forma da cui è uscita, ecco perché le persone non si ripetono, Le persone non vengono fuori dalle forme, ma penso di capire cosa voglia dire, È stato un discorso da vasaio, non vi presti importanza, ecco la sua brocca, e speriamo che il manico non si stacchi troppo presto. La donna tese entrambe le mani per prendere la brocca, se la strinse al petto e ringraziò di nuovo, Grazie mille, signor Cipriano, e solo in quell’istante vide il cane dentro il furgone, Quel cane, disse. Cipriano Algor sentì un colpo, non gli era neanche passata per la testa la possibilità che proprio Isaura Estudiosa fosse la padrona di Trovato, e adesso lei aveva detto Quel cane come se lo avesse riconosciuto, con una espressione di sorpresa che sarebbe potuta essere quella di chi finalmente aveva ritrovato ciò che cercava, immaginatevi con quanto poco desiderio di azzeccarci avrà domandato Cipriano Algor, È suo, immaginatevi anche il sollievo con cui udì la risposta, No, non è mio, ma ricordo di averlo visto gironzolare da queste parti due o tre giorni fa, l’ho anche chiamato, ma ha fatto finta di non sentirmi, è un bell’animale, Quando ieri sono arrivato a casa, tornando dal cimitero, l’ho trovato mezzo nascosto nel casotto che c’è sotto il gelso, quello che apparteneva all’altro cane che avevamo, Costante, stava facendo buio, gli brillavano solo gli occhi, Cercava un padrone che gli andasse bene, Non so se sarò io quel padrone, magari ce l’ha già, ma sono andato in giro a controllare, Dove, qui, domandò Isaura Estudiosa, e senza attendere risposta, aggiunse, Al posto suo non mi affannerei, questo cane non è di queste parti, viene da lontano, da un altro posto, da un altro mondo, Perché dice da un altro mondo, Non so, forse perché mi sembra così diverso dai cani di adesso, A stento ha avuto il tempo di vederlo, Quanto ho visto mi è bastato, e a tal punto che, se lei non lo vuole, mi offro io di tenerlo, Se fosse un altro cane forse non m’importerebbe di lasciarglielo, ma questo abbiamo ormai deciso di accoglierlo, se non si troverà il padrone, chiaro, Lo volete davvero, Gli abbiamo anche già dato un nome, Come si chiama, Trovato, Per un cane perduto è il miglior nome, Lo ha detto anche mia figlia, E allora, se vuole tenerlo, non cerchi più, Ho il dovere di restituirlo al padrone, anch’io vorrei che mi restituissero un cane se lo avessi perduto, Se lo farà, andrà contro la volontà dell’animale, si ricordi che ha voluto scegliere un’altra casa dove vivere, Da questo punto di vista, non dico che lei non abbia ragione, ma la legge ordina, il costume ordina, Non pensi né alla legge né al costume, signor Cipriano, si prenda quello che ormai è suo, Non sarà troppa fiducia, A volte bisogna abusarne un po’, Lei crede, Sì, lo credo, Mi ha fatto molto piacere chiacchierare con lei, Anche a me, signor Cipriano, Arrivederci, Arrivederci. Stringendo la brocca al petto, Isaura Estudiosa guardò dalla soglia il furgone che faceva il giro per riprendere la strada, guardò il cane e l’uomo che guidava, l’uomo fece un cenno di saluto con la mano sinistra, il cane stava probabilmente pensando alla sua casa e al gelso nero che gli faceva da cielo.

Così, molto prima di quanto avesse potuto calcolare, Cipriano Algor tornò alla fornace. Il consiglio della vicina Isaura Estudiosa, o Isaura e basta, per abbreviare, era sensato, ragionevole, flagrantemente appropriato alla situazione, e, se finisse per essere applicato al funzionamento generale del mondo, non ci sarebbe alcuna difficoltà nell’inquadrarlo nel piano di un ordine di cose a cui mancherebbe poco per essere considerato perfetto. Il lato sorprendente di tutto questo, però, è il fatto che lei lo avesse espresso con la massima naturalezza, senza troppe giravolte, come chi per dire che due più due fa quattro non ha bisogno di sprecare tempo a pensare, primo, che due più uno fa tre, e poi che tre più uno fa quattro, Isaura ha ragione, devo rispettare soprattutto il desiderio dell’animale e la volontà che lo ha trasformato in atto. Chiunque sia il padrone, o, prudente correzione, chiunque lo sia stato, non sarà più assistito dal diritto di venire a reclamare, Questo cane è mio, in quanto tutte le apparenze e le prove stanno a dimostrare che se Trovato fosse dotato dell’umano dono della parola, avrebbe solo una risposta da dargli, Ma io questo padrone non lo voglio. Quindi, benedetta sia mille volte la brocca spaccata, benedetta l’idea di omaggiare la donna in lutto con una brocca nuova, e, aggiungiamo come anticipazione di quanto avverrà in seguito, benedetto l’incontro avvenuto in quel pomeriggio umido e pioggerelloso, un pomeriggio carico d’acqua, un pomeriggio sconfortante per il materiale e lo spirituale, quando ben sappiamo che, salvo le eccezioni derivanti da una perdita recente, non è certo una condizione del tempo che predisponga i dolenti a recarsi al cimitero a piangere i propri defunti. Non c’è dubbio, il cane Trovato ha tutto a suo favore, potrà rimanere dove vuole per tutto il tempo che ne avrà voglia. E c’è anche un altro motivo che raddoppia il sollievo e la soddisfazione di Cipriano Algor, ed è il fatto di non dover più andare a bussare alla porta di casa dei genitori di Marçal, anch’essi abitanti del paese e con i quali non ha i migliori rapporti, che necessariamente peggiorerebbero se passasse davanti alla loro porta senza badarvi. Del resto, è convinto che Trovato non appartenga a loro, le simpatie dei Gacho in materie canine, fin da quando li conosce, sono sempre andate verso i molossi e altri cani da pastore. Ci è andata bene la mattinata, disse Cipriano Algor al cane. Di lì a pochi minuti erano a casa. Posteggiato il furgone, Trovato guardò fisso il padrone, capì di essere dispensato momentaneamente dai suoi doveri di navigatore e si allontanò, non in direzione del casotto, ma con l’inconfondibile atteggiamento di chi avesse appena deciso che era giunto il momento di fare il sopralluogo dei posti, Devo mettergli una catena, si domandò inquieto il vasaio, e poi, osservando le manovre del cane che fiutava e marcava il territorio con l’urina, ora qui, ora lì, No, non credo sia necessario tenerlo legato, se volesse sarebbe già fuggito. Entrò in casa e udì la voce della figlia, che parlava al telefono, Aspetta, aspetta, il babbo è appena arrivato. Cipriano Algor afferrò il ricevitore e, senza preamboli, domandò, C’è qualche novità. All’altro capo della linea, dopo un istante di silenzio, Marçal Gacho si comportò come se ritenesse che non era questa la maniera più adatta di iniziare una conversazione fra due persone, suocero e genero, che avevano trascorso una settimana senza notizie l’uno dell’altro, perciò rivolse pacificamente il buongiorno, domandò com’è andata, papà, al che Cipriano Algor rispose con un altro buongiorno, ma secco, e, senza pausa o altro tipo di transizione, Sono

rimasto ad aspettare, una settimana intera ad aspettare, vorrei proprio sapere come ti sentiresti tu se fossi stato al mio posto, Scusate, ma solo questa mattina sono riuscito a parlare con il capoufficio, spiegò Marçal rinunciando a far notare al suocero, sia pure in modo indiretto, l’immeritata durezza con cui lo stava trattando, E cosa ha detto, Che ancora non hanno deciso, ma che il vostro caso non è l’unico, merci che interessavano e non interessano più sono cose quasi quotidiane nel Centro, sono parole sue, cose quasi quotidiane, E tu, che idea ti sei fatto, Che idea mi sono fatto, Sì, il tono della voce, il modo di guardare, se ti è parso che voleva essere gentile, Dovete saperlo, per esperienza diretta, che danno sempre l’impressione di pensare ad altro, Sì, è vero, E se mi permettete di parlarvi con la massima franchezza, penso che non riprenderanno a comprare le vostre stoviglie, per loro queste cose sono semplici, o il prodotto interessa, o il prodotto non interessa, il resto è indifferente, per loro non ci sono mezzi termini, E anche per me, per noi, è semplice, anche per noi è indifferente, anche per noi non ci sono mezzi termini, domandò Cipriano Algor, Ho fatto quello che potevo, ma io non sono che un semplice guardiano, Non avresti potuto fare molto di più, disse il vasaio con una voce che si strozzò all’ultima parola. Marçal Gacho provò pena per il suocero quando si accorse del cambiamento di tono e tentò di alleggerire la cupa prognosi, In ogni modo, non ha chiuso completamente la porta, ha detto solo che stavano studiando la faccenda, fino ad allora dobbiamo mantenere la speranza, Non sono più in età di speranze, Marçal, io ho bisogno di certezze, e che siano immediate, che non aspettino un domani che potrebbe non essere più mio, Capisco, papà, la vita è un sali e scendi continuo, tutto cambia, ma non vi scoraggiate, voi avete noi, avete Marta e me, con o senza la fornace. Era facile comprendere dove Marçal volesse arrivare con questo discorso di solidarietà familiare, nella sua mente tutti i problemi, sia quelli momentanei, sia quelli che potessero sorgere in futuro, avrebbero avuto soluzione il giorno in cui tutti e tre si sarebbero trasferiti nel Centro. in un’altra occasione e con un altro stato d’animo, Cipriano Algor avrebbe risposto con asprezza, ma adesso, o perché lo aveva sfiorato la rassegnazione con la sua ala malinconica, o perché non si era definitivamente perduto il cane Trovato, o forse ancora, chissà, per via di una breve conversazione tra due persone obiettivamente separate da una brocca, il vasaio parlò con dolcezza, Giovedì, alla solita ora, ti verrò a prendere, se nel frattempo hai qualche notizia, telefona, e senza dare a Marçal il tempo di rispondere, concluse il dialogo, Ti passo tua moglie. Marta scambiò ancora qualche parola, disse Vedremo come andrà a finire, poi si congedò fino al giovedì e riattaccò. Cipriano Algor era già uscito, stava nella fornace, seduto a uno dei torni, a capo chino. Era lì che un arresto cardiaco fulminante aveva spezzato la vita di Justa Isasca. Marta andò a sedersi sullo sgabello dell’altro tornio e attese. Dopo un lungo minuto il padre la guardò, poi sviò lo sguardo. Marta disse, Non vi siete trattenuto molto a lungo in paese, Infatti, no, Avete domandato in tutte le case se conoscevano il cane, se qualcuno era il suo padrone, Ho domandato in alcune, poi ho pensato che non valesse la pena continuare, Perché, Questo è un interrogatorio, No, solo un tentativo di distrarvi., mi pesa vedervi triste, Non sono triste, Allora, scoraggiato, Non sono neanche scoraggiato, Benissimo, state come state, ma adesso raccontatemi perché avete pensato che non valesse la pena continuare

a domandare, Ho pensato che se il cane aveva un padrone in paese e ne era fuggito, e, potendovi tornare, non era tornato, evidentemente desiderava essere libero per cercarne un altro, quindi io non avevo il diritto di forzare la sua volontà, Da questo punto di vista, avete ragione, È quello che ho detto io, con queste stesse parole, Lo avete detto a chi. Cipriano Algor non rispose. Poi, visto che la figlia si limitava a guardarlo tranquillamente, si decise, Alla vicina, Quale vicina, Quella della brocca, Ah, si, siete andato a portarle la brocca, Se l’ho messa nel furgone era proprio per questo, Chiaro, Infatti, Allora, se ho ben capito, è stata lei a spiegarvi che non valeva la pena andare in cerca del padrone di Trovato, Si, lei, Non c’è dubbio che sia una donna intelligente, Sembra, E si è tenuta la brocca, Lo trovi sbagliato, Non arrabbiatevi, babbo, stiamo solo chiacchierando, come volete che trovi sbagliata una cosa tanto semplice come regalare una brocca, Si, ma abbiamo questioni molto più gravi, e tu lì a voler fingere che la vita ci va a gonfie vele, Proprio di queste questioni vorrei parlarvi, Allora non capisco perché ci sia stato bisogno di tante giravolte, Perché mi piace chiacchierare con voi come se non foste mio padre, mi piace far finta, come si dice, che siamo semplicemente due persone che si vogliono molto bene, padre e figlia che si amano perché lo sono, ma che comunque si vorrebbero bene di un amore da amici se non lo fossero, Mi farai piangere, bada che a questa età le lacrime cominciano a essere traditrici, Sapete che farei di tutto per vedervi felice, Ma tenti di convincermi a trasferirmi al Centro, sapendo che è la peggior cosa che potrebbe capitarmi, Credevo che la peggior cosa che potrebbe capitarvi sarebbe vedervi separato da vostra figlia, Questo non è leale, forse dovresti chiedermi scusa, E ve la chiedo, veramente non è stato leale, scusatemi. Marta si alzò e abbracciò il padre, Scusatemi, ripeté, Non ha importanza, rispose il vasaio, se fossimo meno infelici non parleremmo in questa maniera. Marta avvicinò uno sgabello accanto al padre, si sedette e, prendendogli la mano, cominciò a parlare, Mi è venuta un’idea mentre eravate in giro con il cane, Spiegati, Per adesso mettiamo da parte il problema del Centro, cioè, la vostra decisione di venire o non venire con noi, Va bene, Non è un problema da risolvere domani o il mese entrante, quando arriverà il momento deciderete voi, babbo, se venire o restare qui, la vita è vostra, Grazie di lasciarmi respirare, finalmente, Nient’affatto, Cos’altro abbiamo, Dopo che siete uscito sono venuta a lavorare qui, prima ero andata a dare un’occhiata al deposito e mi sono accorta che mancavano i vasi piccoli per i fiori, e mi accingevo quindi a farne qualcuno, ma all’improvviso, con la creta già sul tornio, ho capito fino a qual punto fosse assurdo continuare con questo lavoro alla cieca, Alla cieca, perché, Perché nessuno ci ha ordinato vasi di fiori, né piccoli né grandi, perché nessuno aspetta con impazienza che io li finisca per venire di corsa a comprarli, e quando dico vasi di fiori dico uno qualunque dei vari pezzi che fabbrichiamo, grandi o piccoli, utili o inutili, Capisco, ma dovremo comunque essere preparati, Preparati per cosa, Per quando gli ordini arriveranno, E cosa faremo nel frattempo se gli ordini non arriveranno, cosa faremo se il Centro smetterà di comprare, come vivremo, e di che cosa, ce ne resteremo forse ad aspettare che maturino i gelsi e Trovato riesca a cacciare qualche coniglio invalido, Tu e Marçal non avrete questo problema, Babbo, abbiamo concordato che non si sarebbe parlato del Centro, D’accordo, vai avanti, Orbene, supponendo che un miracolo porti il Centro a cambiare idea,

cosa a cui non credo, né ci credete voi, babbo, a meno che non vogliate ingannarvi da solo, per quanto tempo dovremmo starcene qui a braccia conserte o a fabbricare stoviglie senza sapere a che pro o per chi, Nella situazione in cui ci troviamo, non vedo cos’altro si possa fare, Io ho un’opinione diversa, E qual è questa opinione diversa, che idea meravigliosa ti è venuta, Quella di fabbricare altre cose, Se il Centro smetterà di comprare alcune cose, è molto dubbio che voglia comprarne altre, Forse no, forse, forse, Che cosa mi stai dicendo, donna, Che dovremmo metterci a fabbricare statuine, Statuine, esclamò Cipriano Algor con tono di scandalizzata sorpresa, statuine, non ho mai udito un’idea così balorda, Sì, caro babbo, figurine, statuette, feticci, scimmiette, cianfrusaglie, sempre in piedi, chiamateli come volete, ma non dite subito che è una sciocchezza senza aspettare un risultato, Parli come se avessi la certezza che il Centro ti comprerà queste cianfrusaglie, Non ho la certezza di niente, tranne che non possiamo continuare a stare qui fermi, in attesa che il mondo ci caschi addosso, Su di me è già caduto, Tutto quello che cade addosso a voi, cade addosso a me, aiutatemi, e io aiuterò voi, Dopo tanto tempo passato a fabbricare stoviglie, avrò perduto la mano a modellare, Anch’io potrei dire lo stesso, ma se il nostro cane si è perduto per poter essere trovato, come ha intelligentemente spiegato Isaura Estudiosa, anche le nostre mani perdute, la vostra e la mia, potranno, chissà, essere ritrovate dalla creta, È un’avventura che finirà male, È andato a finir male anche quello che avventura non era. Cipriano Algor guardò la figlia in silenzio, poi prese un pezzo di creta e gli diede un primo tratto di figura umana, Da dove cominciamo, domandò, Da dove bisogna sempre cominciare, dall’inizio, rispose Marta. 5. Autoritarie, paralizzanti, circolari, a volte ellittiche, le frasi a effetto, dette anche scherzosamente briciole d’oro, sono una piaga maligna, tra le peggiori che hanno infestato il mondo. Diciamo ai confusi, Conosci te stesso, come se conoscere se stessi non fosse la quinta e più difficile operazione delle aritmetiche umane, diciamo agli abulici, Volere è potere, come se le realtà bestiali del mondo non si divertissero a invertire tutti i giorni la posizione relativa dei verbi, diciamo agli indecisi, Comincia dal principio, come se quel principio fosse il capo sempre visibile di un filo male arrotolato che bastasse tirare e continuare a tirare per giungere all’altro capo, quello della fine, e poi, fra il primo e il secondo, avessimo fra le mani una linea retta e continua dove non c’era stato bisogno di sciogliere nodi né districare strozzature, cosa impossibile che accada nella vita dei gomitoli e, se ci è consentita un’altra frase a effetto, nei gomitoli della vita. Marta ha detto al padre, Cominciamo dal principio, e sembrava mancasse solo che si sedessero entrambi davanti al bancone a modellare statuine fra dita repentinamente agili e precise, con l’antica abilità recuperata dopo una lunga letargia. Puro inganno di innocenti e sprovveduti, il principio non è mai stato il capo nitido e preciso di una linea, il principio è un processo lentissimo, tardivo, che richiede tempo e pazienza perché si capisca la direzione in cui vuole andare, che tasta il cammino come un cieco, il principio è solo il principio, ciò che ha fatto vale tanto quanto niente. Ecco perché sarebbe stato molto meno categorico ciò che Marta

rammentò subito dopo, Abbiamo solo tre giorni per preparare la presentazione del progetto, è così che si dice in linguaggio d’affari ed esecutivi, credo, Spiegati, non ho testa per seguirti, disse il padre, Oggi è lunedì, andrete a prendere Marçal giovedì pomeriggio, quindi quel giorno dovrete portare al capo dell’ufficio acquisti la nostra proposta di fabbricazione di statuine, con disegni, modelli, prezzi, insomma, tutto quanto possa convincerli a comprare e li metta in grado di prendere una decisione che non vada alle calende greche. Senza notare che stava ripetendo le parole già dette, Cipriano Algor domandò, Da dove cominciamo, ma la risposta di Marta non fu la stessa, Dovremo concentrarci su una mezza dozzina di tipi, o forse meno, per non complicarci troppo il lavoro, calcolare quante statuine potremo fare al giorno, e questo dipende da come le concepiamo, se modellare la creta come chi scolpisce direttamente nell’impasto o se fare delle figure uguali di uomo e donna e poi vestirle secondo le professioni, mi riferisco, è chiaro, alle statuine in piedi, secondo me devono essere tutte così, sono più facili da lavorare, Che cosa intendi per vestire, Vestire significa vestire, incollare al corpo della figura nuda gli abiti e gli accessori che le caratterizzano e conferiscono individualità, credo che due persone che lavorino procedendo così potranno sbrigarsela più rapidamente. poi c’è solo da fare attenzione con la verniciatura, non possono esserci sbavature, Mi rendo conto che ci hai pensato a lungo, disse Cipriano Algor, Neanche per sogno, ci ho pensato alla svelta, E bene, Non fatemi arrossire, E molto, anche se dici di no, Guardate come sono già arrossita, Fortunatamente per me, sei capace di pensare in fretta, di pensare molto e di pensare bene, tutto allo stesso tempo, Occhi di padre, amore di padre, errori di padre, E quali figure credi che dovremmo fare, Non troppo antiche, molte professioni sono scomparse, oggi nessuno sa più a cosa servissero quelle persone, che utilità avessero, e credo che non debbano essere neanche figure attuali, per questo ci sono i pupazzetti di plastica, con i loro eroi, i loro rambo, i loro astronauti, i loro mutanti, i loro mostri, i loro superpoliziotti e superbanditi, e le loro armi, soprattutto le loro armi, Sto pensando, il fatto è che, di tanto in tanto, anch’io riesco a spremere qualche idea, anche se non altrettanto buona delle tue, Lasciate stare le false modestie, non vi donano, Stavo pensando di dare un’occhiata ai libri illustrati che abbiamo, a quella vecchia enciclopedia, per esempio, comprata da tuo nonno, se ci troviamo dei modelli che servano direttamente per le statuine avremo risolto nello stesso tempo anche il problema dei disegni che dovrò portare, il capoufficio non si accorgerà se abbiamo copiato, e quand’anche se ne accorgesse non vi darebbe importanza, Ma certo, ecco un’idea che meriterebbe un bel dieci nelle votazioni scolastiche di un tempo, Mi ritengo soddisfatto con un sei, che dà meno nell’occhio, Mettiamoci al lavoro. Come sarà facile immaginare, la biblioteca della famiglia Algor non è estesa in quantità né eccelsa in qualità. Da gente del popolo, e in un posto come questo, lontano dalla civiltà, non ci sarebbe da aspettarsi eccessi di sapienza, ma, comunque, si possono contare in due o tre centinaia i libri sistemati ordinatamente negli scaffali, alcuni vecchi, altri di mezza età, e questi sono la maggior parte, tutti i restanti più o meno recenti, anche se solo alcuni recentissimi. Non c’è in paese un locale che possa fregiarsi del nobile e vetusto titolo di libreria, esiste solo un piccolo negozio di cartoleria che s’incarica di

ordinare agli editori della città i libri di studio necessari, e molto raramente qualche opera letteraria di cui si sia parlato con insistenza alla radio o in televisione e il cui contenuto, stile e intenzioni corrispondano soddisfacentemente agli interessi medi degli abitanti. Marçal Gacho non è tipo da letture frequenti e raffinate, in ogni caso, quando si presenta a casa con un libro in regalo per Marta, bisogna riconoscere che ha saputo cogliere la differenza fra ciò che è buono e ciò che non è altro che mediocre, ancorché sia sicuro che su questi scivolosi concetti di buono e di mediocre i motivi su cui discutere e divergere non ci mancheranno mai. L’enciclopedia che padre e figlia hanno appena aperto sul tavolo della cucina era considerata la migliore all’epoca della sua pubblicazione, mentre oggi potrà servire solo per ricercare in campi del sapere fuori d’uso o che, all’epoca, stavano ancora articolando le loro prime ed esitanti sillabe. Messe in fila, una dopo l’altra, le enciclopedie di oggi, di ieri e dell’altroieri rappresentano immagini successive di mondi paralizzati, gesti interrotti nel loro movimento, parole alla ricerca del proprio ultimo o penultimo significato. Le enciclopedie sono come immutabili cinerama, prodigiosi proiettori i cui carrelli si sono bloccati ed esibiscono con una specie di maniaca fissità un paesaggio che, così condannato a essere solo, per sempre, ciò che era stato, diventerà al tempo stesso più vecchio, più caduco e meno necessario. L’enciclopedia comprata dal padre di Cipriano Algor è altrettanto magnifica e inutile di un verso di cui non riusciamo a ricordarci. Cerchiamo, tuttavia, di non essere superbi e ingrati, rammentiamo la sensata raccomandazione dei nostri antenati, quando ci consigliavano di conservare quanto non era necessario perché, prima o poi, vi avremmo ritrovato quello di cui, allora senza saperlo, avremmo sentito la mancanza. Chini sulle vecchie pagine ingiallite, respirando l’odore umido racchiuso per anni, senza il tocco dell’aria né il fiato della luce, nel morbido spessore della carta, oggi padre e figlia mettono a frutto la lezione, cercano ciò di cui hanno bisogno in quello che pensavano non servisse più. Hanno già trovato strada facendo un accademico con il bicorno piumato, spadino e camicia con le ruches, hanno trovato un pagliaccio e un equiibrista, hanno trovato uno scheletro con la falce e sono passati oltre, hanno trovato un’amazzone a cavallo e un ammiraglio senza nave, hanno trovato un torero e un uomo in casacca, hanno trovato un pugile e il suo avversario, hanno trovato un carabiniere e un cardinale, hanno trovato un cacciatore e il suo cane, hanno trovato un marinaio in licenza e un magistrato, un buffone e un romano in toga, hanno trovato un derviscio e un alabardiere, hanno trovato un finanziere e uno scriba seduto, hanno trovato un postino e un fachiro, hanno trovato anche un gladiatore e un oplita, un’infermiera e un giocoliere, un lord e un menestrello, hanno trovato uno schermidore e un apicultore, un minatore e un pescatore, un pompiere e un flautista, hanno trovato due fantocci, hanno trovato un barcaiolo, hanno trovato uno zappatore, hanno trovato un santo e una santa, hanno trovato un demonio, hanno trovato la santissima trinità, hanno trovato soldati e militari di tutti i gradi, hanno trovato un sommozzatore e un pattinatore, hanno visto una sentinella e un taglialegna, hanno visto un calzolaio con gli occhiali, hanno trovato uno che suonava il tamburo e un altro che suonava la tromba, hanno trovato una vecchia con cappa e fazzoletto, hanno trovato un vecchio con la pipa, hanno trovato una venere e un apollo, hanno trovato un cavaliere in

tuba, hanno trovato un vescovo con la sua mitria, hanno trovato una cariatide e un atlante, hanno trovato un lanciere a cavallo e un altro a piedi, hanno trovato un arabo in turbante, hanno trovato un mandarino cinese, hanno trovato un aviatore, hanno trovato un condottiero e un panettiere, hanno trovato un moschettiere, hanno trovato una cameriera in grembiule e un eschimese, hanno trovato un assiro con la barba, hanno trovato uno scambista delle ferrovie, hanno trovato un giardiniere, hanno trovato un uomo nudo con i muscoli in mostra e la mappa dei sistemi nervoso e circolatorio, hanno trovato anche una donna nuda, ma si copriva il pube con la mano destra e i seni con la sinistra. Ne hanno trovati tanti altri, ma non erano adatti ai fini che avevano in vista, o perché l’elaborazione delle figure sarebbe stata troppo complicata nella creta, o perché uno sconsiderato utilizzo delle celebrità antiche e moderne con i cui ritratti, veritieri, plausibili o immaginari, era illustrata l’enciclopedia avrebbe potuto essere interpretato malevolmente come una mancanza di rispetto, e addirittura dare adito, nel caso di famosi viventi, o di morti famosi con eredi interessati e vigili, a rovinosi processi giudiziari per offese, danni morali e abuso d’immagine. Chi scegliamo fra tutta questa gente, domandò Cipriano Algor, ricordati che a più di tre o quattro non potremo dare spazio, senza contare che, da ora fino al momento in cui il Centro deciderà se compra o non compra, dovremo esercitarci molto se vogliamo presentarci con un lavoro ben fatto, In ogni caso, babbo, credo che la cosa migliore sarebbe se ne proponessimo sei, disse Marta, così, o sono d’accordo e noi divideremo la produzione in due fasi, bisognerà solo combinare le scadenze per la consegna, oppure, e questa sarà la cosa più probabile all’inizio, saranno loro a scegliere due o tre statuine per sondare la curiosità e valutare la possibile risposta dei clienti, Potrebbero anche fermarsi lì, È vero, ma credo che se porteremo sei disegni avremo più possibilità di convincerli, il numero conta, il numero influisce, è una questione psicologica, La psicologia non è mai stato il mio forte, Neanche il mio, ma persino l’ignoranza è capace di avere intuizioni profetiche, Non trasmettere queste intuizioni profetiche al futuro di tuo padre, che ha sempre preferito conoscere ogni giorno ciò che ogni giorno, nel bene e nel male, ha deciso di portargli, Una cosa è quello che porta il giorno, e cosa ben diversa è quello che noi, da soli, portiamo al giorno, La vigilia, Non capisco cosa volete dire, È la vigilia che noi portiamo a ogni giorno che viviamo, la vita è un caricare e trasportare vigilie come chi trasporta carichi di pietre, quando non ce la facciamo più con il carico il trasporto è finito, l’ultimo giorno è l’unico che non si può chiamare vigilia, Volete rattristarmi, No, figlia mia, ma forse la colpevole sei tu, Colpevole di cosa, Con te finisco sempre per parlare di cose serie, Allora parliamo di qualcosa di molto più serio, scegliamo le nostre statuine. Cipriano Algor non è tipo da risate, e persino i sorrisi franchi sono rari sulla sua bocca, al massimo gli si notano fugacemente negli occhi come una sorta di bagliore che improvvisamente avesse cambiato posto, alcune volte gli si sono appena intravisti in un certo aggrottamento delle labbra, come se dovessero sorridere per impedirsi di sorridere. Cipriano Algor non è tipo da risate, ma si è appena visto che nella giornata odierna c’era in serbo un sorriso che non era ancora riuscito a spuntare. Allora procediamo, ha detto, io ne scelgo una, tu ne scegli un’altra, fino a quando ne avremo sei, ma attenzione, sempre tenendo conto della facilità del lavoro e del gusto noto o presunto delle

persone, D’accordo, cominciate voi, Il buffone, disse il padre, Il pagliaccio, disse la figlia, L’infermiera, disse il padre, L’eschimese, disse la figlia, Il mandarino, disse il padre, L’uomo nudo, disse la figlia, L’uomo nudo, no, non può essere, dovrai sceglierne un altro, l’uomo nudo al Centro non lo vogliono, Perché, Proprio per questo, perché è nudo, Allora scegliamo la donna nuda, Peggio ancora, Ma è coperta, Coprirsi in questa maniera è più che mostrarsi tutta, Sono sorpresa delle vostre conoscenze in queste materie, Ho vissuto, guardato, letto, sentito, Cosa c’entra leggere, Leggendo, si viene a sapere quasi tutto, Anch’io leggo, Qualcosa, dunque, dovrai pur saperla, Ora non ne sono più tanto sicura, Allora dovrai leggere in altra maniera, Come, Non serve per tutti la stessa, ciascuno inventa la propria, quella che gli sia più consona, c’è chi passa tutta la vita a leggere senza mai riuscire ad andare al di là della lettura, restano appiccicati alla pagina, non percepiscono che le parole sono soltanto delle pietre messe di traverso nella corrente di un fiume, sono lì solo per farci arrivare all’altra sponda, quella che conta è l’altra sponda, A meno che, A meno che, cosa, A meno che quei fiumi non abbiano due sole sponde, ma tante, che ogni persona che legge sia, essa stessa, la propria sponda, e che sia sua, e soltanto sua, la sponda a cui dovrà arrivare, Buona osservazione, disse Cipriano Algor, così è dimostrato ancora una volta che ai vecchi non conviene discutere con le generazioni giovani, finiscono sempre col perdere, beh, bisogna anche riconoscere che qualcosa la imparano, Tante grazie per la parte che mi riguarda, Torniamo alla sesta statuina, L’uomo nudo non può essere, No, E neanche la donna nuda, No, Allora scegliamo il fachiro, i fachiri, in genere, sono come gli scribi e i vasai, stanno seduti, un fachiro in piedi è un uomo uguale a uno qualsiasi, e seduto risulterebbe più piccolo degli altri, In tal caso, il moschettiere, Il moschettiere non andrebbe male, ma dovremmo risolvere il problema della spada e delle piume sul cappello, con le piume potremmo riuscire a cavarcela, ma quanto alla spada bisognerebbe attaccarla alla gamba, e una spada attaccata alla gamba sembrerebbe piuttosto una stecca, Allora l’assiro con la barba, Suggerimento accolto, faremo l’assiro con la barba, è facile, è compatto, Avevo anche pensato al cacciatore con il suo cane, ma il cane ci creerebbe complicazioni anche maggiori della spada del moschettiere, E pure il fucile, confermò Cipriano Algor, ma, a proposito di cane, cosa starà facendo Trovato, ce ne siamo completamente dimenticati, Dormirà. Il vasaio si alzò, scostò la tenda della finestra, Nel casotto non lo vedo, disse, Sarà in giro, a compiere il suo dovere di guardiano della casa, a sorvegliare i dintorni, A meno che non sia scappato, Tutto può capitare nella vita, ma non credo. Inquieto, timoroso, Cipriano Algor aprì bruscamente la porta e per poco non inciampò nel cane. Trovato era lì disteso sullo stuoino, mezzo di traverso sulla soglia, con il muso rivolto verso l’entrata. Si alzò quando vide spuntare il padrone e attese. È qui, annunciò il vasaio, Lo vedo, rispose Marta dall’interno. Cipriano Algor fece per chiudere la porta, Mi sta guardando, disse, Non sarà l’unica volta, Cosa faccio, O chiudete la porta e lo lasciate fuori, o gli fate cenno di entrare e chiudete la porta, Non scherzare, Non sto scherzando, dovrete decidere oggi se volete o non volete ammettere Trovato dentro casa, sapete bene che, se entra, entra per sempre, Anche Costante entrava quando ne aveva voglia, Si, ma in genere preferiva l’indipendenza del casotto, mentre questo, se non mi sbaglio, ha bisogno di

compagnia quanto di pane per i denti, Questa mi sembra una buona ragione, disse il vasaio. Spalancò la porta e fece un gesto, Entra. Senza staccare gli occhi dal padrone, Trovato fece un timido passo, poi, come per mostrare che non era sicuro di aver capito l’ordine, si trattenne. Entra, insistette il vasaio. Il cane avanzò lentamente e si fermò in mezzo alla cucina. Benvenuto a casa, disse Marta, ma ti avverto che è meglio se cominci subito a conoscere il regolamento domestico, i bisogni canini, tanto i solidi quanto i liquidi, si soddisfano là fuori, e anche il mangiare, durante il giorno puoi entrare e uscire ogni volta che ne hai voglia, ma la sera devi andare nel casotto, a sorvegliare la casa, e per questo non credere che io sia meno disposta del tuo padrone a volerti bene, prova ne sia che sono stata io a dirgli che sei un cane bisognoso di compagnia. Per tutto il tempo della prelezione, Trovato non sviò mai lo sguardo. Non poteva capire cosa Marta volesse da lui, ma il suo piccolo cervello di cane comprendeva che per sapere bisogna guardare e ascoltare. Attese ancora qualche istante dopo che Marta ebbe finito di parlare, poi andò ad aggomitolarsi in un canto della cucina, ma non arrivò neppure a scaldare il suo posticino, appena Cipriano Algor si sedette il cane cambiò posto per andare a stendersi accanto alla sua sedia. E perché non restassero dubbi nell’animo dei padroni sul chiaro significato che aveva dei suoi doveri e delle sue responsabilità, non era trascorso neanche un quarto d’ora e già si alzava per andare a sdraiarsi accanto a Marta. Un cane sa benissimo quando qualcuno ha bisogno della sua compagnia. Furono tre giorni di intensa attività, di nervosa eccitazione, di un continuo fare e disfare sulla carta e con la creta. Né l’uno né l’altra voleva ammettere che il risultato dell’idea e del lavoro che stavano facendo per concretizzarla sarebbe potuto essere un secco rifiuto, senz’altre spiegazioni se non che dicessero loro, Non è più tempo per queste statuine. Naufraghi, remavano verso un’isola senza sapere se si trattasse di un’isola reale o del suo fantasma. Fra i due, la più abile nel disegno era Marta, perciò fu lei che si assunse il compito di trasporre sulla carta i sei tipi scelti, ingrandendoli, con il classico procedimento della quadrettatura, all’esatta dimensione che avrebbero dovuto avere le statuine dopo la cottura, un buon palmo, non di lei, che ha la mano piccola, ma del padre. Seguì poi l’operazione di dare il colore ai disegni, complicata non per eccessive preoccupazioni di raffinatezza d’esecuzione, ma perché bisognava scegliere e combinare colori che non si sapeva se corrispondessero al colore naturale delle figure, visto che l’enciclopedia, illustrata secondo le tecnologie grafiche del tempo, conteneva solo stampe in bianco e nero, minuziose nel particolare, ma senz’altri effetti cromatici al di fuori delle variazioni di un apparente grigio dovute alla stampa dei tratti neri sul fondo invariabile della carta. Fra tutti, la più facile da dipingere è, ovviamente, l’infermiera. Cuffia bianca, blusa bianca, gonna bianca, scarpe bianche, tutto bianco bianco bianco, tutto di un impeccabile candore, come se si trattasse di un angelo caritatevole sceso sulla terra con l’incombenza di alleviare le sofferenze e attenuare i dolori fino a quando, prima o poi, non sarà chiamato in tutta fretta un altro angelo vestito tale e quale per attenuare e alleviare a lui i suoi dolori e le sue sofferenze. Neanche l’eschimese presenta grandi difficoltà, le pelli che lo rivestono possono essere dipinte di un colore a metà fra il beige e lo scuro, inframmezzato da macchiette biancastre, a

imitazione di una pelle d’orso rovesciata, l’importante è che l’eschimese abbia la tipica faccia da eschimese, che al mondo c’è venuto apposta per esserlo. Quanto al pagliaccio, i problemi saranno molto più seri, per il semplice motivo che è povero. Se invece del povero straccione che è, fosse un pagliaccio ricco, la questione sarebbe risolta con un qualunque colore vivace, brillante, picchiettato di lustrini distribuiti qua e là sul berretto a cono, sulla camicia e sui pantaloni. Ma il pagliaccio è povero, povero di povertà, indossa un abbigliamento senza gusto né criterio, eterogeneo, un capo così, un capo cosà, un panciotto che gli arriva alle ginocchia, un paio di calzoni col cavallo a metà gamba, un colletto che basterebbe abbondantemente per tre colli, un laccio che sembra una banderuola, una camicia delirante, un paio di scarpe tipo feluche. Il tutto potrà essere ampiamente variegato, poiché, trattandosi di un pagliaccio povero, nessuno andrà a perdere il proprio tempo a controllare se i colori di questo manufatto di terracotta abbiano la decenza di rispettare i colori con cui la realtà del povero pagliaccio si presenta, anche quando non eserciti il mestiere. Il male è che, a ben vedere le cose, questo tuttofare non sarà più facile da modellare rispetto al cacciatore o al moschettiere che tanti dubbi avevano sollevato. Già passare da qui al buffone sarà come passare dal simile all’uguale, dal somigliante all’identico, dal similare all’analogo. Diversamente applicati, i colori di uno possono servire per l’altro, e due o tre alterazioni vestiarie trasformeranno rapidamente il buffone in pagliaccio e il pagliaccio in buffone. A ben vedere, sono figure che tanto nell’abbigliamento quanto nella funzione quasi si ripetono l’un l’altra, l’unica differenza che si osserva fra di loro, da un punto di vista sociale, è che il pagliaccio di norma non va al palazzo del re. Anche il mandarino con la sua veste e l’assiro con la sua tunica non richiederanno attenzioni particolari, con due rapidi tocchi agli occhi la faccia dell’eschimese servirà per il cinese e le opulente e ondulate barbe dell’assiro renderanno più facile il lavoro sulla parte inferiore del volto. Marta ha fatto tre serie di disegni, la prima assolutamente fedele agli originali, la seconda con gli accessori abbozzati, la terza priva dei particolari superflui. In questo modo si faciliterà il rispettivo esame a chi nel Centro dovrebbe avere l’ultima parola sul destino della proposta, e, in caso di sua approvazione, forse sarebbe ridotta, per lo meno così ci si aspetterebbe, la possibilità di futuri reclami per differenze fra quanto mostrato dal disegno e quanto realizzato nella terracotta. Fino a quando Marta non passò alla terza serie, Cipriano Algor si era limitato a seguire l’andamento delle operazioni, impaziente di non poter aiutare, e ancor di più perché era consapevole che qualsiasi intromissione da parte sua sarebbe servita solo a ostacolare e ritardare il lavoro. Quando Marta, però, si mise davanti il foglio di carta su cui avrebbe iniziato l’ultima serie di illustrazioni, radunò rapidamente le copie iniziali e uscì per andare in fornace. La figlia fece ancora in tempo a dirgli, Non irritatevi se non verrà bene al primo colpo. Per ore e ore, durante il resto di quella giornata e parte del giorno seguente, fino all’ora in cui sarebbe dovuto andare a prendere Marçal al Centro, il vasaio fece, disfece e rifece statuine di infermiere e di mandarini, di buffoni e di assiri, di eschimesi e di pagliacci, quasi irriconoscibili ai primi tentativi, ma che acquistavano poi forma e senso a mano a mano che le dita cominciarono a interpretare per conto proprio e in accordo con le proprie leggi le istruzioni che arrivavano loro dalla testa. In verità, sono pochi coloro che sanno

dell’esistenza di un piccolo cervello in ciascuna delle dita della mano, in qualche punto tra falange, falangina e falangetta. Quell’altro organo che chiamiamo cervello, quello con cui veniamo al mondo, quello che trasportiamo nel cranio e che trasporta noi affinché noi trasportiamo lui, non è mai riuscito a produrre altro che intenzioni vaghe, generiche, diffuse, e soprattutto poco variate, riguardo a ciò che le mani e le dita dovranno fare. Se, per esempio, al cervello della testa è venuta l’idea di una pittura, o di una musica, o una scultura, o un brano letterario, o una statuina di terracotta, lui non fa altro che manifestare il desiderio e rimanere poi in attesa, a vedere cosa succede. Solo perché ha trasmesso un ordine alle mani e alle dita, crede, o finge di credere, che questo era tutto ciò di cui c’era bisogno perché il lavoro, dopo un certo numero di operazioni eseguite dalle estremità delle braccia, si presentasse fatto. Non ha mai avuto la curiosità di domandarsi per quale ragione il risultato finale di codesta manipolazione, sempre complessa persino nelle sue espressioni più semplici, assomigli tanto poco a quello che aveva immaginato prima di dare istruzioni alle mani. Si noti che, quando nasciamo, le dita non hanno ancora un cervello, che ci si va formando a poco a poco con il passare del tempo e l’aiuto di ciò che vedono gli occhi. L’aiuto degli occhi è importante, tanto quanto l’aiuto di ciò che da essi viene visto. Ecco perché quanto di meglio le dita hanno sempre saputo fare è stato proprio rivelare l’occulto. Quello che nel cervello potrebbe essere percepito come scienza infusa, magica o soprannaturale, qualsiasi cosa significhino soprannaturale, magico e infuso, sono state le dita e i loro piccoli cervelli a insegnarglielo. Perché il cervello della testa sapesse cos’era la pietra, prima c’è stato bisogno che le dita la toccassero, ne sentissero l’asperità, il peso e la densità, c’è stato bisogno che vi si ferissero. Solo molto tempo dopo il cervello ha capito che da quel pezzo di roccia si sarebbe potuta fare una cosa che avrebbe chiamato coltello e una cosa che avrebbe chiamato idolo. Il cervello della testa è sempre stato in ritardo per tutta la vita rispetto alle mani, e anche ai nostri giorni, quando ci sembra che le abbia oltrepassate, sono ancora le dita che devono spiegargli le investigazioni del tatto, il fremito dell’epidermide quando sfiora la creta, l’acuta lacerazione dello scalpello, la morsa dell’acido sulla piastra, la vibrazione sottile di un foglio di carta disteso, l’orografia delle tessiture, la trama delle fibre, l’abbecedario in rilievo del mondo. E i colori. Per dovere di verità bisogna dire che, di colori, il cervello se ne intende assai meno di quanto creda. Certo è che riesce a vedere più o meno chiaramente ciò che gli occhi gli mostrano, ma per lo più soffre di quelli che potremmo definire problemi di orientamento ogni volta che arriva il momento di convertire in conoscenza quanto ha visto. Grazie all’inconsapevole sicurezza di cui la durata della vita ha finito per dotarlo, pronuncia senza esitare i nomi dei colori che chiama elementari e complementari, ma immediatamente si perde, perplesso, dubbioso, quando tenta di formare delle parole che possano servire da etichette o distici esplicativi di qualcosa che tocca l’ineffabile, di qualcosa che sfiora l’indicibile, quel colore non ancora del tutto nato che, con l’assenso, la complicità e non di rado la sorpresa degli stessi occhi, le mani e le dita vanno creando e che probabilmente non arriverà mai a ricevere il suo giusto nome. O forse già lo possiede, ma soltanto le mani lo conoscono, perché hanno composto la tinta come se stessero scomponendo le parti costitutive di una nota musicale,

perché si sono sporcate nel suo colore e hanno serbato la macchia nel più profondo del derma, perché solo con quel sapere invisibile delle dita si potrà mai dipingere l’infinita tela dei sogni. Fidandosi di ciò che gli occhi hanno ritenuto di aver visto, il cervello della testa afferma che, secondo la luce e le ombre, il vento e la calma, l’umidità e la secchezza, la spiaggia è bianca, o gialla, o dorata, o grigia, o purpurea, o una cosa qualsiasi tra questo e quello, ma poi vengono le dita e, con un movimento di raccolta, come se stessero mietendo una messe, rialzano dal suolo tutti i colori che ci sono al mondo. Ciò che sembrava unico era plurale, ciò che è plurale lo sarà ancora di più. Non è men vero, tuttavia, che nell’esaltata folgorazione di un solo tono, o nella sua musicale modulazione, sono presenti e vivi tutti gli altri, tanto le tonalità dei colori che hanno già un nome quanto quelle di quei colori che ancora lo attendono, proprio come una distesa in apparenza liscia potrà coprire, nel mentre che le manifesta, le tracce di tutto il vissuto e accaduto nella storia del mondo. Tutta l’archeologia di materiali è un’archeologia umana. Ciò che questa creta nasconde e mostra è il transito dell’essere nel tempo e il suo passaggio negli spazi, i segni delle dita, i graffi delle unghie, le ceneri e i tizzoni dei fuochi spenti, le ossa proprie e altrui, i cammini che eternamente si biforcano e si vanno distanziando e perdendosi l’un l’altro. Questo granello che affiora alla superficie è una memoria, questa depressione il marchio che è rimasto di un corpo sdraiato. Il cervello ha domandato e chiesto, la mano ha risposto e fatto. Marta lo ha detto in altro modo, Avete già colto il verso. 6. Vado a una faccenda di uomini, questa volta devi rimanere a casa, disse Cipriano Algor al cane, che gli era corso incontro quando lo aveva visto avvicinarsi al furgone. È chiaro che Trovato non aveva bisogno che gli ordinassero di salire, bastava che gli lasciassero lo sportello della macchina aperto il tempo sufficiente per capire che non lo avrebbero cacciato via, ma la vera causa della sua corsa agitata, per quanto strano possa sembrare, è l’aver creduto, nella sua ansia da cane, che lo avrebbero lasciato solo. Marta, che era uscita nello spiazzo chiacchierando con il padre e lo accompagnava al furgone, teneva in mano la busta contenente i disegni e la proposta, e sebbene il cane Trovato non abbia le idee chiare su cosa siano e a cosa servano buste, proposte e disegni, conosce della vita, in ogni caso, che le persone che si accingono a entrare nelle macchine solitamente portano con sé certe cose che, in genere, ancora prima di salire, lanciano sul sedile posteriore. Edotto da queste esperienze, è comprensibile che la memoria di Trovato lo abbia portato a pensare che Marta avrebbe accompagnato il padre in questo nuovo viaggio del furgone. Malgrado sia qui soltanto da pochi giorni, non ha alcun dubbio che la casa dei padroni è anche la sua casa, ma il suo senso di proprietà, solo incipiente, non lo autorizza ancora a dire, guardandosi intorno, Tutto questo è mio. Del resto un cane, di qualunque taglia, razza e carattere, non si azzarderebbe mai a pronunciare parole tanto brutalmente possessive, al massimo direbbe, Tutto questo è nostro, e anche così, tornando al caso particolare di questi vasai e dei loro beni mobili e immobili, il cane Trovato neanche da qui a dieci anni sarà capace di vedere se stesso come un terzo proprietario. Al massimo potrà forse arrivare, quando sarà un cane vecchio,

all’oscuro e vago sentimento di essere partecipe di qualcosa di pericolosamente complesso e, per così dire, dai significati scivolosi, un tutto composto da parti in cui ciascuna parte è, al tempo stesso, la parte che è e il tutto di cui fa parte. Idee avventurose come questa, che il cervello umano, grosso modo, è più o meno capace di concepire, ma che ha subito un’enorme difficoltà nello scambiare coi particolari, sono il nostro pane quotidiano fra le diverse nazioni canine, sia da un punto di vista meramente teorico sia per quanto concerne le loro conseguenze pratiche. Non si creda, nondimeno, che lo spirito dei cani sia come una nuvola pacifica che passa lievemente, un’alba primaverile dalla luce soave, la vasca di un giardino con cigni bianchi, se così fosse Trovato non si sarebbe messo, all’improvviso, a guaire tanto addolorato, E io, e io, diceva lui. Per rispondere a questo smarrimento da anima in pena, Cipriano Algor, tant’era apprensivo per la responsabilità della missione che lo portava al. Centro, non aveva trovato parole migliori che Stavolta rimani a casa, ciò che valse all’infelice animale fu il vedere che Marta fece due passi indietro dopo avere consegnato la busta al padre, e così Trovato venne a sapere che non lo avrebbero lasciato senza compagnia, in verità, pur costituendo ciascuna parte, di per sé, il tutto a cui appartiene, come crediamo di avere dimostrato con a + b, due parti, purché siano unite, fanno una bella differenza nel totale. Marta rivolse un gesto stanco di saluto al padre e rientrò in casa. Il cane non la seguì subito, rimase ad aspettare che il furgone, dopo aver percorso il tragitto fino alla strada, scomparisse dietro la prima casa dell’abitato. Quando di li a poco entrò in cucina, vide che la padrona era seduta sulla stessa sedia su cui aveva lavorato negli ultimi giorni. Si passava le dita sugli occhi una prima e una seconda volta come se avesse bisogno di alleviarli da un’ombra o da un dolore. Certamente perché è ancora nel terreno verde della gioventù, Trovato non ha avuto tempo di acquisire opinioni costituite, chiare e definitive sulla necessità e sul significato delle lacrime nell’essere umano, eppure, considerando che quegli umori liquidi continuano a manifestarsi in quello strano brodo di sentimento, ragione e crudeltà di cui è fatto, ha pensato che forse non sarebbe stata una grossa sciocchezza avvicinarsi alla padrona in lacrime e posarle dolcemente la testa sulle ginocchia. Un cane più anziano, e per questa ragione, supponendo che l’età sia costretta a sopportare colpe duplicate, più cinico del cinismo che non può evitare di avere, commenterebbe con sarcasmo il gesto affettuoso, ma questo accadrebbe perché il vuoto della vecchiaia gli avrebbe fatto dimenticare che, in materie di cuore e sentimenti, è sempre stato meglio il troppo piuttosto che il poco. Commossa, Marta gli sfiorò leggermente la testa con la mano, accarezzandolo, e visto che lui non si sottraeva e continuava a guardarla fissa, prese un pezzo di carbone e cominciò a tracciare sulla carta le prime linee di un bozzetto. All’inizio, le lacrime non le consentivano di vedere bene, ma, a poco a poco, mentre la mano acquistava sicurezza, gli occhi cominciarono a schiarirsi, e la testa del cane, come se emergesse dal fondo di un’acqua torbida, le apparve in tutta la sua bellezza e forza, in tutto il suo mistero e interrogativo. Da oggi in poi Marta comincerà a voler bene a Trovato come sappiamo che già gliene vuole Cipriano. Il vasaio si era lasciato alle spalle l’abitato, le tre case isolate che nessuno ricostruirà dalle rovine, adesso sta costeggiando il torrente soffocato di putredine, attraverserà i campi abbandonati, il bosco trascurato, ha già fatto

tante di quelle volte questa strada che a stento nota la desolazione circostante, ma oggi ha due motivi di preoccupazione che giustificano la sua aria assorta. Uno di essi, la missione commerciale che lo porta al Centro, non ha bisogno, ovviamente, di menzione speciale, ma l’altro, che non si sa per quanto tempo ancora continuerà a colpirlo, è quello che maggiormente gli inquieta lo spirito, quell’impulso, davvero inatteso e inspiegabile, quando passa davanti all’imbocco della via dove abita Isaura Estudiosa, di andare a informarsi della brocca, se l’uso non ne abbia messo in evidenza qualche difetto occulto, se non perda, se mantenga la freschezza dell’acqua. Evidentemente non è da oggi né da ieri che Cipriano Algor conosce questa vicina, del resto sarebbe impossibile che ci fosse in paese qualcuno che lui, in virtù del mestiere, non conoscesse, e, benché non vi siano stati quelli che, a rigor di termini, si definiscono rapporti di amicizia con quella famiglia, gli Algor padre e figlia avevano accompagnato al cimitero il funerale del defunto Joaquim Estudioso, ché apparteneva a lui il cognome con il quale Isaura, che era venuta a sposarsi qui da un luogo lontano, era divenuta nota, come si usa nei paesi. Cipriano si ricordava di averle rivolto le condoglianze all’uscita dal cimitero, in quello stesso posto dove alcuni mesi dopo si sarebbero incontrati di nuovo per scambiarsi impressioni e promesse su una brocca spaccata. Non era che una semplice vedova nell’abitato, un’altra donna che avrebbe indossato il lutto stretto per sei mesi, seguiti da altri sei mesi a mezzo lutto, ed era anche fortunata, perché c’era un tempo in cui il lutto stretto e il mezzo lutto, ciascuno di essi, pesavano sul corpo femminile, e, vai a saperlo, magari anche sull’anima, per un intero anno di giorni e notti, per non parlare di quelle donne che, essendo vecchie, la legge del costume obbligava a vivere coperte di nero fino all’ultimo dei loro stessi giorni. Si domandava Cipriano Algor se nel lungo intervallo fra un incontro e l’altro al cimitero avesse mai parlato con Isaura Estudiosa, e la risposta lo sorprese, Se non l’ho mai neppure vista, ed era corretto, però non dobbiamo stupirci per l’apparente singolarità della situazione, nelle questioni in cui regna il caso tant’è che si viva in una città di dieci milioni di abitanti oppure in un paese di poche centinaia, accade solo ciò che deve accadere. A questo punto, il pensiero di Cipriano Algor tentò di deviare su Marta, sembrava che l’avrebbe responsabilizzata di nuovo per le fantasie che gli stavano frullando nella testa, ma la sua imparzialità, la sua onestà di giudizio, vigili, riuscirono a prevalere, Non ti nascondere, lascia in pace tua figlia, lei ha pronunciato solo le parole che volevi udire, adesso si tratta invece di sapere se hai qualcosa di più di una brocca da dare a Isaura Estudiosa, e, inoltre, non te lo dimenticare, se lei sarà disposta a ricevere ciò che immagini di avere da darle, ammesso che tu riesca a immaginare qualcosa. Il soliloquio si bloccò davanti a questa obiezione, per ora insormontabile, e della repentina fermata approfittò il secondo motivo di preoccupazione, tre motivi in uno, le statuine di terracotta, il Centro, il capo dell’ufficio acquisti, Andiamo a vedere cosa questo finirà per dare, mormorò il vasaio, una frase sintatticamente contorta che, a ben pensarci, potrebbe anche servire per arricchire coi panni di una distratta e tacita connivenza l’eccitante argomento di Isaura Estudiosa. È troppo tardi, stiamo già attraversando la Cintura Agricola, o Verde, come continuano a chiamarla coloro che adorano mascherare con le parole l’aspra realtà, questo colore di ghiaccio sporco che ricopre il suolo, questo interminabile mare di plastica dove le serre, tutte della

stessa misura, somigliano ad iceberg pietrificati, a gigantesche pietre di un domino senza figure. All’interno non fa freddo, al contrario, gli uomini che vi lavorano sono asfissiati dal caldo, si cuociono nel proprio sudore, si infiacchiscono, sono come dei cenci inzuppati e strizzati da mani violente. Se non è tutto lo stesso dire, è tutto lo stesso penare. Oggi il furgone viaggia vuoto, Cipriano Algor non appartiene più alla congrega dei venditori per la validissima ragione che la sua merce non interessa più, ha con sé una mezza dozzina di disegni sul sedile a fianco, lì dove li ha messi Marta, e non sul sedile posteriore come ha supposto Trovato, e questi disegni sono l’unica e fragile bussola di questo viaggio, per fortuna era già uscito da casa quando, per qualche istante, l’aveva perduta del tutto chi quei fogli li aveva dipinti. Si dice che il paesaggio è uno stato d’animo, che il paesaggio di fuori lo vediamo con gli occhi di dentro, sarà perché questi straordinari organi interiori della vista non hanno saputo vedere queste fabbriche e questi hangar, questi fumi che divorano il cielo, queste polveri tossiche, questi fanghi eterni, queste croste dli fuliggine, l’immondizia di ieri spazzata in superficie dall’immondizia di tutti i giorni, l’immondizia di domani spazzata dall’immondizia di oggi, qui basterebbero i semplici occhi del viso per convincere la più soddisfatta delle anime a dubitare della buona ventura in cui supponeva di rinfrancarsi. Al di là della Cintura Industriale, sulla strada, già nei terreni occupati dalle baracche, si vede un camion bruciato. Non c’è traccia della merce che trasportava, solo qua e là qualche residuo annerito di scatoloni senza indicazioni sul contenuto e la provenienza. O il carico era bruciato insieme al camion, o erano riusciti a portarlo via prima che il fuoco dilagasse. Il suolo è inzuppato tutt’intorno, il che dimostra che i pompieri erano accorsi al sinistro, ma a quanto pare sono arrivati tardi, giacché il camion è tutto bruciato. Parcheggiate davanti, ci sono due vetture della polizia stradale, al di là della strada un veicolo militare per trasporto di personale. Il vasaio ridusse la velocità per vedere meglio cos’era successo, ma i poliziotti, scorbutici, gli ordinarono immediatamente di proseguire, ebbe ancora il tempo di domandare se c’era stato qualche morto, ma non gli diedero retta. Vada, vada, urlavano, e facevano cenni frenetici con le braccia. Fu allora che Cipriano Algor guardò di lato e notò che c’erano dei soldati che si muovevano fra le baracche. Per via della velocità non riuscì a vedere molto di più, se non il fatto che sembravano tutti lì a sgomberare le case dagli abitanti. Era evidente che gli assalitori, questa volta, non si erano accontentati di saccheggiare. Per qualche motivo ignoto, prima non era mai successa una cosa del genere, avevano appiccato fuoco al camion, forse l’autista aveva resistito alla violenza con altrettanta violenza, o forse erano i gruppi organizzati delle baracche che avevano deciso di cambiare strategia, benché si stenti a comprendere che accidente di profitto si aspettino di trarre costoro da un’azione violenta come questa che, al contrario, servirà solo a giustificare azioni altrettanto violente da parte delle autorità. Che io sappia, pensò il vasaio, è la prima volta che l’esercito entra nei quartieri di baracche, fino ad ora le risse sono sempre state roba della polizia, e del resto nei quartieri se ne teneva conto, arrivavano gli agenti, a volte facevano domande, altre volte no, portavano via in arresto due o tre uomini e la vita continuava, come se niente fosse, prima o poi gli arrestati ricomparivano di nuovo. Il vasaio Cipriano Algor si è dimenticato della vicina

Isaura Estudiosa, quella a cui ha dato una brocca, e del capo dell’ufficio acquisti del Centro, quello che non sa se potrà convincere dell’interesse estetico delle statuine, il suo pensiero è tutto rivolto a un camion che le fiamme hanno arrostito a tal punto da non essere rimaste neanche le tracce del carico che portava, se lo portava. Se, se. Ripeté la congiunzione come chi, dopo avere inciampato in un sasso, torni indietro per inciamparvi di nuovo, come se lo colpisse una prima e una seconda volta aspettandosi di vederne balzar fuori una favilla, ma la favilla non sembrava disposta a saltar fuori, Cipriano Algor aveva già sprecato in questo rimuginare quasi tre chilometri buoni e stava per desistere, Isaura Estudiosa si preparava già a disputare il terreno al capo dell’ufficio acquisti, quando all’improvviso scoppiò la scintilla, si fece luce, il camion non era stato bruciato dalla gente delle baracche, ma dalla stessa polizia, era un pretesto per l’intervento dell’esercito, Mi taglio la testa se non è andata così, mormorò il vasaio, e allora si sentì stanchissimo, non per aver sforzato troppo la mente, ma perché vedeva che il mondo è fatto così, che le menzogne sono tante e le verità nessuna, o qualcuna, si, ce ne sarà pure qualcuna, ma in continuo mutare, non solo non dà il tempo di pensarla come una verità possibile, ma dovremo anche, per prima cosa, appurare che non si tratti di una menzogna possibile. Cipriano Algor diede un’occhiata all’orologio, se quello che voleva sapere era l’ora, il gesto non gli è servito a nulla, perché, essendo stato fatto nell’immediata sequenza del dibattito fra la probabilità delle menzogne e la possibilità delle verità, era come se fosse in attesa di trovare la conclusione nella disposizione delle lancette, un angolo retto che avrebbe significato si, un angolo acuto che gli avrebbe anteposto un prudente forse, un angolo ottuso a dire smaccatamente no, un angolo piatto è meglio non pensarci. Quando, subito dopo, tornò a guardare il quadrante, le lancette indicavano ormai soltanto ore, minuti e secondi, si erano convertite nuovamente in autentiche, funzionali e obbedienti lancette di orologio, Sono in tempo, disse, ed era corretto, era in tempo, in fin dei conti è come siamo sempre, in tempo, con il tempo, nel tempo, mai fuori tempo, per quanto ci accusino di esserlo. Ora si trovava in città, procedeva lungo il viale che lo conduceva alla meta, davanti a lui, più veloce del furgone, correva il pensiero, capo dell’ufficio acquisti, capo dell’ufficio acquisti, capo dell’ufficio acquisti, Isaura Estudiosa, poverina, era rimasta indietro. In fondo, sull’altissima parete che tagliava la strada, si vedeva un enorme manifesto bianco, rettangolare, dove, a lettere di un azzurro brillante e intenso, si leggevano da un capo all’altro queste parole, vivi sicuro, vivi nel Centro. Sotto, posta all’angolo destro, si distingueva anche una breve riga, solo due parole, in nero, che gli occhi miopi di Cipriano Algor, a questa distanza, ancora non riescono a decifrare, eppure sono parole che non meritano minor considerazione di quelle del messaggio principale, volendolo, potremmo definirle complementari, ma mai puramente ridondanti, CHIEDI INFORMAZIONI, era quanto raccomandavano. Il manifesto compare lì di tanto in tanto, ripetendo le stesse parole, variabili solo nel colore, talvolta esibisce immagini di famiglie felici, il marito di trentacinque anni, la moglie di trentatre, un figlio di undici, una figlia di nove, e anche, ma non sempre, un nonno e una nonna dai capelli candidi, poche rughe ed età indefinita, tutti costringendo a sorridere le rispettive dentature, perfette, bianche e smaglianti. A Cipriano Algor gli si prefigurò di

malaugurio l’invito, già sentiva il genero annunciare per la centesima volta che sarebbero andati a vivere nel Centro appena fosse arrivata la promozione a guardiano residente, Andremo a finire tutti e tre in uno di quei manifesti, pensò, come giovane coppia ci sono già Marta e il marito, il nonno sarei io se riuscissero a convincermi, la nonna non c’è più, è morta tre anni fa, e per il momento mancano i nipoti, ma al loro posto potremmo mettere Trovato nella fotografia, un cane ci sta sempre bene negli annunci con famiglie felici, per quanto strano sembri, trattandosi di un essere irrazionale, gli conferisce un tocco sottile, ma facilmente riconoscibile, di superiore umanità. Cipriano Algor imboccò con il furgone la via a destra parallela al Centro, mentre pensava che no, che non poteva essere, che il Centro non accetta né cani né gatti, al massimo potrà accettare uccelli in gabbia, parrocchetti, canarini, cardellini, pettirossi, e sicuramente pesciolini d’acquario, soprattutto se tropicali, di quelli con le pinne in eccesso, ma gatti no, e tantomeno cani, ci mancherebbe altro, abbandonare di nuovo il povero Trovato, è bastata una volta, a questo punto è riuscita a intromettersi nel pensiero di Cipriano Algor l’immagine di Isaura Estudiosa accanto al muro del cimitero, poi con la brocca stretta al petto, poi salutando dall’uscio, ma così com’è apparsa, si è dovuta dileguare immediatamente, ecco là davanti l’entrata per il sotterraneo dove si lasciano le mercanzie e dove il capo dell’ufficio acquisti controlla le bolle di rimessa e le fatture e decide cosa resta e cosa non resta. Oltre al camion che stavano scaricando, ce n’erano solo altri due in attesa del proprio turno. Il vasaio calcolò che, a rigor di logica, considerando che non era venuto per consegnare merci, doveva essere esentato dal prendere posto nella fila dei camion. Il motivo che lo spingeva era di competenza esclusiva del capo dell’ufficio acquisti, non era da trattare con impiegati subalterni e per principio reticenti, quindi doveva solo presentarsi al banco e dichiarare il motivo per cui era lì. Posteggiò il furgone, prese i fogli e, con passo che voleva sembrare deciso, ma in cui qualunque osservatore modicamente attento avrebbe saputo riconoscere l’effetto di un tremore delle gambe nell’equilibrio del corpo, attraversò la corsia punteggiata di macchie d’olio antiche e recenti fino al banco della ricezione, rivolse educatamente il buon pomeriggio e chiese di parlare con il capoufficio. L’impiegato inoltrò la richiesta verbale, tornò subito dopo, Viene subito, disse. Dovettero passare dieci minuti prima che finalmente comparisse, non il capo richiesto, ma uno dei vice. A Cipriano Algor non piacque il fatto di dover raccontare la propria storia a qualcuno che, in genere, non ha altra utilità nell’organigramma e nella prassi che quella di fungere da paratia a chi stia gerarchicamente al di sopra. Meno male che a metà della spiegazione lo stesso vice si rese conto che il fatto di essere lui a seguire il caso sino alla fine gli avrebbe dato solo grane, e che, in una maniera o nell’altra, la decisione avrebbe dovuto prenderla chi era li apposta e che, proprio per ciò, guadagnava quello che guadagnava. Il vicecapo, come facilmente se ne concluderà, è uno scontento sociale. Tolse bruscamente la parola al vasaio, afferrò la proposta e i disegni e si allontanò. Tardò alcuni minuti a uscire dalla porta da cui era entrato, fece da lontano un cenno a Cipriano Algor perché si avvicinasse, non sarà necessario rammentare ancora una volta che, in situazioni del genere, le gambe tendono irresistibilmente ad accentuare il tremore che avevano già, e, dopo avergli

fatto strada, tornò alle sue occupazioni. Il capo teneva la proposta nella mano destra, i disegni erano allineati sulla scrivania, davanti a lui, come le carte di un solitario. Fece cenno a Cipriano Algor di sedersi, provvedimento che permise al vasaio di smettere di pensare alle gambe e lanciarsi nell’esposizione del problema, Buonasera, signore, scusi se la disturbo nel suo lavoro, ma è un’idea che abbiamo avuto, mia figlia e io, a dir la verità più lei che io. Il capo lo interruppe, Prima che continui, signor Algor, è mio dovere informarla che il Centro ha deciso di non comprare più i prodotti della sua ditta, mi riferisco a quelli che ci ha fornito fino alla sospensione degli acquisti, adesso è definitivo e irrevocabile. Cipriano Algor abbassò il capo, doveva fare molta attenzione alle parole, qualsiasi cosa succedesse non poteva dire o fare nulla che potesse mettere a rischio la possibilità di concludere l’affare delle statuine, perciò si limitò a mormorare, Me lo aspettavo, signore, ma mi consenta uno sfogo, è duro, dopo tanti anni come fornitore, dover udire dalla sua bocca simili parole, La vita è così, è fatta di cose che finiscono. Ma anche di cose che cominciano, Non sono mai le stesse. Il capo fece una pausa, smosse i disegni lentamente, come se fosse distratto, poi disse, Suo genero è venuto a parlarmi, Su mia richiesta, signore, su mia richiesta, per farmi uscire dall’indecisione in cui mi vedevo, senza sapere se avrei potuto o meno continuare a produrre, Ora lo sa, Sì, signore, lo so, Dovrebbe essere anche al corrente che è sempre stata una regola del Centro, che addirittura è un punto d’onore del Centro, non accettare pressioni o interferenze di terzi nella sua attività commerciale, e tanto meno se provenienti da impiegati della ditta, Non era una pressione, signore, Ma è stata un’interferenza, Chiedo scusa. Altra pausa, Cos’altro dovrò sentire, pensò il vasaio angosciato. Lo avrebbe saputo ben presto, il capo stava aprendo un registro, lo sfogliava, consultava una pagina, un’altra, poi addizionò cifre su una piccola calcolatrice, finalmente disse, Abbiamo in magazzino, ormai senza probabilità di smercio, nemmeno a prezzi di saldo, nemmeno al di sotto di quanto ci è costata, una grande quantità di articoli della sua fornace, articoli di ogni tipo che occupano uno spazio che mi serve, ragion per cui sono costretto a dirle di procedere al ritiro nel termine massimo di due settimane, avevo intenzione di farle telefonare domani, per informarla, Non so quanti viaggi dovrò fare, il furgone è piccolo, Con un carico al giorno risolverà il problema, E a chi andrò a vendere adesso le mie stoviglie, domandò il vasaio prostrato, Il problema è suo, non mio, Sono autorizzato, almeno, a trattare con i commercianti della città, Il nostro contratto è annullato, può fare affari con chi vuole, Se ne varrà la pena, Si, se ne varrà la pena, la crisi è seria là fuori, e oltre a questo, il capoufficio tacque, prese i disegni e li radunò, poi li fece scorrere lentamente, uno dopo l’altro, li guardava con un’attenzione che sembrava sincera, come se li stesse vedendo per la prima volta. Cipriano Algor non poteva domandare, Oltre a questo che cosa, doveva aspettare, mascherare l’inquietudine, in fin dei conti, o fin dal loro inizio, era sempre il capoufficio chi decideva le regole della partita, e quella che si sta giocando adesso è un gioco disuguale, in cui le carte ce le ha tutte uno e in cui, se sarà necessario, i valori dei semi varieranno secondo la volontà di chi li ha in mano, nel qual caso il re potrà valere più dell’asso e meno della donna, o il fante tanto quanto il cavallo, e quest’ultimo più di tutta la casa reale, ancorché si debba riconoscere che, per quanto gli possa servire, visto che sono sei le

statuine presentate, il vasaio ha, sia pur minimo, il vantaggio numerico a suo favore. Il capoufficio radunò di nuovo i disegni, li mise da parte con un gesto assente e, dopo aver dato ancora uno sguardo al registro, concluse la frase, Oltre a questo, voglio dire, oltre alla catastrofica situazione del commercio tradizionale, nient’affatto propizia a certi articoli che il tempo e i cambiamenti del gusto hanno screditato, alla fornace sarà proibito concludere affari all’esterno qualora il Centro dovesse commissionare i prodotti che in questo momento gli sono proposti, Credo di capire, signore, che non potremo vendere le statuine ai commercianti della città, Ha capito bene, ma non ha capito tutto, Non afferro dove vuole arrivare, Non solo non potrà vendere loro le statuine, ma non sarà autorizzato a vendere nessuno degli altri articoli della fornace, anche se, per un’ipotesi assurda, glieli ordinassero, Capisco, dal momento in cui mi accettate di nuovo come fornitore del Centro, non potrò esserlo di nessun altro, Esattamente, del resto non c’è motivo di sorprendersi, la regola è sempre stata questa, Eppure, signore, in una situazione come l’attuale, in cui determinati prodotti non interessano più al Centro, sarebbe giusto concedere al fornitore la libertà di cercarsi altri acquirenti, Siamo nel campo dei fatti commerciali, signor Algor, teorie che non siano al servizio dei fatti e li consolidino non contano per il Centro, e lasci che le dica fin da ora che noi siamo competenti anche per elaborare teorie, e qualcuna l’abbiamo anche presentata sul mercato, si, ma solo quelle che son servite a omologare e, se necessario, assolvere i fatti quando essi si siano comportati male. Cipriano Algor si disse fra sé e sé che non doveva rispondere alla sfida. Cadere nella tentazione di un dici-tu-dico-io con il capoufficio, io sostengo, tu neghi, io protesto, tu contesti, avrebbe finito per dare pessimi risultati, non si sa mai quando una parola male interpretata può avere come conseguenza disastrosa la distruzione della più sottile e laboriosa dialettica di persuasione, già lo diceva l’antica saggezza, col tuo padrone non competere a pere, che lui si mangia le mature e a te dà quelle nere. Il capoufficio lo guardò con un mezzo sorriso e soggiunse, Per la verità, non so perché le sto dicendo queste cose, In tutta franchezza, signore, anch’io me ne stupisco, non sono che un semplice vasaio, quel poco che ho da vendere non è tanto prezioso da giustificare che lei sprechi con me la sua pazienza e mi onori con le sue riflessioni, rispose Cipriano Algor, e immediatamente si morse la lingua, aveva appena deciso di non mettere altre carni al fuoco di una conversazione già di per sé palesemente tesa, e invece si era lanciato di nuovo in una provocazione, non solo diretta, ma anche inopportuna. Pensando di poter così evitare l’acida risposta che temeva, si alzò e disse, Le chiedo scusa per il tempo che le ho rubato, signore, le lascio i disegni per una valutazione, a meno che, A meno che, cosa, A meno che non abbia già preso la sua decisione, Che decisione, Non so, signore, non sono nel suo pensiero, La decisione di non ordinare le statuine, per esempio, domandò il capoufficio, Sì, signore, rispose il vasaio senza sviare lo sguardo, mentre mentalmente si accusava di essere uno stupido e imprudente, Ancora non ho preso nessuna decisione, Potrei domandarle se tarderà molto, ma sa, la situazione in cui ci troviamo, Sarò rapido, tagliò corto il capo, forse riceverà notizie domani stesso, Domani, Si, domani, non voglio che vada a raccontare in giro che il Centro non le ha dato un’ultima occasione, Credo di poter concludere da ciò che sento che la

decisione sarà positiva, Potrà essere positiva, è tutto quanto le posso dire in questo momento, Grazie, signore, Ancora non ha motivi per ringraziarmi, La ringrazio per la speranza che porto via con me, è già qualcosa, Della speranza non c’è mai stato molto da fidarsi, Lo penso anch’io, ma cosa dobbiamo farci, a qualcosa dovremo pure aggrapparci nei momenti critici, Buonasera, signor Cipriano Algor, Buonasera signore. Il vasaio posò la mano sulla maniglia della porta, stava per uscire, ma il capoufficio aveva da dirgli ancora qualcos’altro, Concordi con il vicecapo, quello che l’ha fatta entrare, il piano di ritirata delle sue stoviglie, si ricordi che ha solo due settimane a disposizione per portare via tutto, fino all’ultimo piatto, Sissignore. Questa espressione, piano di ritirata, non sta bene in bocca a un civile, suona più come un’operazione militare che non come routiniera restituzione di merci, e, se applicata alla lettera e alle posizioni relative dell’unità Centro e dell’unità fornace, tanto potrà risultare come un provvidenziale indietreggiamento tattico per radunare le forze disperse e poi, al momento propizio, cioè, una volta approvata la fabbricazione delle statuine, riprendere l’attacco, quanto, al contrario, significare la fine di tutto, la sconfitta su tutta la linea, la sbandata, il si salvi chi può. Cipriano Algor udiva il vicecapo dirgli senza pausa e senza volgere lo sguardo verso di lui Tutti i giorni alle quattro del pomeriggio dovrà sbrigarsela da solo o portarsi un aiuto, il nostro personale non può esser distolto neanche pagando extra, e si domandava se valeva la pena star lì a subire questa vergogna, a esser trattato come uno scemo, una nullità, e per giunta dover riconoscere che la ragione è dalla parte loro, che per il Centro non hanno importanza dei rustici piatti di terracotta vetrificata o delle ridicole statuine di infermiere, eschimesi e assiri barbuti, nessuna importanza, niente, zero, Ecco cosa siamo per loro, zero. Si sedette finalmente nel furgone, guardò l’orologio, avrebbe dovuto aspettare ancora quasi un’ora per andare a prendere il genero, gli passò per la testa l’idea di entrare nel Centro, è da molto tempo che non usa le porte del pubblico, né per guardare, né per comprare, gli acquisti li fa sempre Marçal per via degli sconti a cui ha diritto come impiegato, ed entrare solo per guardare non è, ci si conceda la ridondanza, ben visto, se qualcuno va a gironzolare là dentro a mani vuote può star certo che ben presto sarà oggetto di particolare attenzione da parte dei guardiani, addirittura potrebbe verificarsi la situazione comica che fosse il suo stesso genero a interpellarlo, Cosa fate qui, papà, se non comprate niente, e lui risponderebbe, Vado al settore delle stoviglie a vedere se hanno ancora in esposizione qualche pezzo della Fornace Algor, a scoprire quanto costa quell’orciuolo decorato con pezzettini di quarzo intarsiato, a dire Sissignore, è un bell’orciuolo, ormai sono pochi gli artigiani capaci di eseguire un lavoro così, con questa perfezione, forse l’incaricato del settore, stimolato dal parere del rinomato specialista, avrebbe raccomandato all’ufficio acquisti l’acquisizione urgente di un centinaio di orciuoli, di quelli con i pezzettini di quarzo, e in tal caso non dovremmo imbarcarci in avventure di pagliacci, buffoni e mandarini, che non sappiamo dove andranno a finire. Cipriano Algor non ha avuto bisogno di dire a se stesso Non vado, sono settimane che lo ripete alla figlia e al genero, una volta dovrebbe bastare. Era immerso in queste riflessioni inutili, con il capo appoggiato sul volante, quando si avvicinò il guardiano che sorvegliava l’uscita del sotterraneo e disse, Se ha già risolto quello che aveva da trattare, la prego di andarsene, questo non è un

garage. Il vasaio disse, Lo so, avviò il motore e uscì senza dire altro. Il guardiano annotò la targa del furgone su un foglio, non aveva bisogno di farlo, lo conosce quasi fin dal primo giorno che ha cominciato a lavorare come guardiano in questo sotterraneo, e se ostentatamente ha preso nota lo ha fatto perché non gli è piaciuto quel secco Lo so, le persone, soprattutto se sono guardie, devono essere trattate con tutto il rispetto e la considerazione, non gli si risponde con un secco Lo so, il vecchio avrebbe dovuto dire Sissignore, che sono parole simpatiche e obbedienti, servono a tutto, il guardiano, più che irritato, è sconcertato, perciò ha pensato che anche lui non avrebbe dovuto dire Questo non è un garage, soprattutto con il tono sdegnoso che gli è venuto fuori, come se fosse il re del mondo, quando non lo era nemmeno di quello sporco sotterraneo in cui passava le ore. Cancellò il numero e tornò al proprio posto. Cipriano Algor cercò una via tranquilla dove attendere l’ora di andare a prendere il genero davanti alla porta del servizio di sicurezza. Posteggiò il furgone vicino a un angolo da cui si scorgeva, a distanza di tre estesi isolati, una striscia di una delle enormi facciate del Centro, proprio quella corrispondente alla sua parte abitata. A eccezione delle porte che danno all’esterno, su nessuno degli altri prospetti ci sono aperture, sono teli impenetrabili di muro dove i grandi pannelli sospesi che promettono sicurezza non possono essere responsabilizzati di tappare la luce e rubare l’aria a chi ci vive dentro, Al contrario di quelle facciate lisce, il prospetto rivolto da questo lato è crivellato di finestre, centinaia e centinaia di finestre, migliaia di finestre, sempre chiuse per via del condizionamento dell’atmosfera interna, E noto che quando ignoriamo l’altezza esatta di un edificio, ma vogliamo dare un’idea approssimativa delle sue dimensioni, diciamo che ha un determinato numero di piani, che possono essere due, o cinque, o quindici, o venti, o trenta, e via così, di più o di meno di questi numeri, da uno all’infinito. L’edificio del Centro non è né tanto piccolo né tanto grande, si accontenta di esibire quarantotto piani al di sopra del livello stradale e nasconderne dieci al di sotto di questo. E fin da ora, dato che Cipriano Algor ha posteggiato il furgone in questo punto, siccome abbiamo cominciato a ponderare alcuni dei numeri che specificano il volume del Centro, diciamo che la larghezza delle facciate minori è di circa centocinquanta metri, e quella delle maggiori poco più di trecentocinquanta, non tenendo per ora conto, è chiaro, della costruzione di prolungamento cui si è fatto dettagliato riferimento all’inizio del racconto. Anticipando adesso un po’ di più i calcoli e prendendo come dato medio un’altezza di tre metri per ciascuno dei piani, incluso lo spessore del pavimento che li separa, troveremo, compresi anche i dieci piani sotterranei, un’altezza totale di centosettantaquattro metri. Se moltiplichiamo questo numero per i centocinquanta metri di larghezza e per i trecentocinquanta metri di lunghezza, avremo come risultato, salvo errore, omissione o confusione, un volume di nove milioni centotrentacinque mila metri cubi, palmo più palmo meno, punto più virgola meno. Il Centro, non c’è una sola persona che non lo riconosca con sgomento, è veramente grande. Ed è lì, ha detto Cipriano Algor a denti stretti, che il mio caro genero vuole che io vada a vivere, dietro una di quelle finestre che non si possono aprire, per non alterare la stabilità termica dell’aria condizionata., dicono loro, ma la verità è un’altra, le persone possono

suicidarsi, se vogliono, ma non lanciandosi da cento metri di altezza sulla strada, è una disperazione che dà troppo nell’occhio e stuzzica la curiosità morbosa dei passanti, che vogliono sapere perché. Cipriano Algor ha già detto, non una, ma tante volte, che non acconsentirà mai a venire ad abitare nel Centro, che non rinuncerà mai alla fornace che è stata di suo padre e di suo nonno, e perfino Marta, la sua unica figlia, pure lei, che, poverina, non potrà fare altro che accompagnare il marito quando sarà promosso guardiano residente, ancora due o tre giorni fa ha saputo comprendere, con grata franchezza, che la decisione finale potrà prenderla solo il padre, senza essere forzato da insistenze e pressioni di terzi, anche se dovessero giustificarle l’amore filiale, o quella piagnucolosa pietà che i vecchi, anche quando la rifiutano, suscitano nell’anima delle persone bene educate. Non ci vado, non ci vado, non ci vado, neanche se mi ammazzate, borbottò il vasaio, consapevole tuttavia che queste parole, proprio perché sembravano tanto radicali, tanto conclusive, potevano forse fingere una convinzione che in fondo non sentiva, mascherare una debolezza interiore, come una crepa ancora invisibile nella parete più sottile di una brocca. Ovviamente era questo il miglior motivo, giacché si è tornati a parlare di brocca, perché Isaura Estudiosa rispuntasse nel pensiero di Cipriano Algor, ed effettivamente così accadde, ma il cammino intrapreso da quel pensiero, o ragionamento, se ragionamento c’è stato, se non è stata solo la luce di un lampo istantaneo, lo spinse a una conclusione molto imbarazzante, formulata in un sussurro sognante, Così non dovrei più trasferirmi nel Centro. Il gesto contrariato di Cipriano Algor, subito dopo aver pronunciato queste parole, non ci consente di voltare le spalle all’evidenza che il vasaio, nonostante il piacere di pensare a Isaura Estudiosa che in lui si è osservato, non ha potuto evitare un moto di umore che sembra negarlo. Perdere tempo a spiegare perché gli piace sarebbe poco meno che inutile, ci sono cose nella vita che si definiscono da sole, un certo uomo, una certa donna, una certa parola, un certo momento, basterebbe che lo avessimo enunciato così e tutti capirebbero di cosa si tratta, ma ce ne sono altre che, e potrebbero essere lo stesso uomo e la stessa donna, la stessa parola e lo stesso momento, guardate da un angolo diverso, con una luce diversa, cominciano a suscitare dubbi e perplessità, segnali inquieti, un’insolita palpitazione, ecco perché a Cipriano Algor è venuto meno all’improvviso il piacere di pensare a Isaura Estudiosa, è tutta colpa di quella frase, Così non dovrei più trasferirmi nel Centro, come uno che dicesse, Se mi sposassi con lei, avrei qualcuno che si occuperebbe di me, dimostrandosi di nuovo ciò che di dimostrazione non ha bisogno, ossia, la cosa più penosa per un uomo è riconoscere le proprie debolezze e confessarle. Soprattutto quando si manifestano al di fuori dell’epoca giusta, come un frutto che il ramo trattiene a stento perché è nato troppo tardi per la stagione. Cipriano Algor sospirò, poi guardò l’orologio. Era ora di andare a riprendere il genero alla porta del servizio di sicurezza. 7. Al cane Trovato Marçal non è piaciuto. Era tanto ciò che aveva da raccontare, tante le novità, tanti gli alti e bassi di speranza e d’animo vissuti in questi giorni, che a Cipriano Algor non venne in mente, durante il percorso fra

il Centro e la fornace, di parlare al genero della misteriosa comparsa dell’animale e delle sue successive singolarità di comportamento. Detta, comunque, l’amore della verità, ravvivato dallo scrupolo del narratore, di non tralasciare almeno una menzione all’unico e rapido affioramento dell’inopinato episodio alla memoria omessa del vasaio che, però, non riuscì a svilupparsi perché Marçal, con piú che giustificata sorpresa, interruppe il racconto del suocero per domandare per quali diavolo di ragioni né a lui né a Marta era venuto in mente di informarlo su ciò che stava accadendo a casa, l’idea delle statuine, i disegni, le prove di modellatura, Sembra quasi che io non esista per voi, commentò con amarezza. Colto in fallo, Cipriano Algor rabberciò una spiegazione in cui concorrevano il nervosismo e la concentrazione propri di ogni creazione artistica, l’assoluta mancanza di amabilità con cui l’impiegato di servizio al telefono soleva rispondere alle chiamate dei parenti dei guardiani che vivevano fuori del Centro e, infine, un certo numero di parole decorative, mezzo raffazzonate, per finire di colmare e concludere il discorso. Fortunatamente, il passaggio vicino al camion bruciato contribuì a deviare le attenzioni da una divergenza che si sarebbe ben potuta convertire in querela familiare, la quale, anticipiamolo subito, non andrà oltre questa minaccia, benché Marçal Gacho abbia intenzione di riprendere l’argomento quando si troverà da solo con la moglie, in camera da letto e con la porta chiusa. Con evidente sfogo, Cipriano Algor tralasciò le statuine di terracotta per esporre i sospetti che l’incendio gli aveva fatto nascere nello spirito, una posizione, questa, che Marçal, ancora indisposto per la disistima di cui era stato vittima, contestò con una certa rudezza in nome della deontologia, della coscienza etica e della limpidezza di procedimenti che, per definizione, hanno sempre contraddistinto le forze armate, in generale, e le autorità amministrative e poliziesche, in particolare. Cipriano Algor si strinse nelle spalle, Dici così perché sei guardiano del Centro, se fossi un civile come me vedresti le cose altrimenti, Il fatto che io sia guardiano del Centro non mi ha certo reso un poliziotto o un militare, rispose Marçal seccamente, No, ma ci sei vicino, al limite, Ora avrete l’obbligo di dirmi se vi vergognate che un guardiano del Centro sia qui al vostro fianco, nel vostro furgone, a respirare la stessa aria. Il vasaio non rispose subito, si era pentito di aver ceduto di nuovo allo stupido e gratuito appetito di stuzzicare il genero, Perché lo faccio, si domandò fra sé e sé, come se non fosse ormai stufo di conoscere la risposta, quest’uomo, questo Marçal Gacho voleva portargli via la figlia, in verità l’aveva già portata via quando l’aveva sposata, gliel’aveva portata via senza rimedio né ritorno, A meno che, stanco di dire no, io non finisca per andare a vivere al Centro con loro, pensò. Poi, parlando lentamente, come se dovesse trascinarsi appresso ogni parola, disse, Scusami, non volevo offenderti, non volevo essere sgradevole con te, a volte non riesco a evitarlo, mi sembra più forte di me, e non vale la pena domandarmi perché, non ti risponderei, oppure ti direi una bugia, ma le ragioni ci sono, se le cerchiamo le troviamo sempre, ragioni che spieghino qualcosa non sono mai mancate, anche quando non sono quelle giuste, sono i tempi che cambiano, sono i vecchi che ogni ora invecchiano di un giorno, è il lavoro che non è più quello che era, e noi che possiamo essere soltanto ciò che siamo stati, all’improvviso ci rendiamo conto di non essere più necessari nel mondo, ammesso che mai lo siamo stati, ma credere di esserlo ci sembrava già tanto,

sembrava sufficiente, ed era in un certo senso eterno per il tempo in cui sarebbe durata la vita, perché l’eternità è questo, nient’altro che questo. Marçal non parlò, si limitò a posare la mano sinistra sulla mano destra del suocero, che teneva il volante. Cipriano Algor inghiottì a vuoto, guardò la mano che, dolce, ma decisa, sembrava voler proteggere la sua, la cicatrice contorta e obliqua che dilacerava la pelle da una parte all’altra, ultimo segno di una brutale ustione che non si sa per quale strabiliante caso non ha raggiunto le vene soggiacenti. Inesperto, incapace, Marçal aveva cercato di dare una mano nell’alimentazione del forno, di fare bella figura davanti alla ragazza con cui da poche settimane era fidanzato, e forse ancor di più davanti al padre di lei, dimostrargli che era un uomo fatto, quando in verità era appena uscito dall’adolescenza e l’unica cosa della vita e del mondo sulla quale riteneva di sapere tutto quanto c’è da sapere era che gli piaceva la figlia del vasaio. Chi un giorno è passato per queste certezze non faticherà a immaginare quali entusiastici sentimenti erano stati i suoi mentre trascinava, ramo dopo ramo, la legna dalla tettoia, che subito dopo infilava nel forno, quale eccelso premio dovevano essere stati per lui, in quei momenti, la sorpresa incantata di Marta, il sorriso benevolo della madre di lei, lo sguardo serio e riluttantemente approvatore del padre. E all’improvviso, senza che si riuscisse a capire perché, considerando che, a memoria di vasai, non era mai successa prima una tal cosa, una fiamma sottile, rapida e sinuosa come la lingua di un serpente aveva fatto irruzione ringhiando dalla bocca del forno ed era andata a mordere crudelmente la mano del ragazzo, prossima, innocente, sprovveduta. Era nata allora la sorda antipatia che la famiglia Gacho aveva cominciato a nutrire per gli Algor, non solo imperdonabilmente sbadati e irresponsabili, ma anche, secondo l’inflessibile giudizio dei Gacho, sfacciatamente sfruttatori per avere approfittato dei sentimenti di un giovane ingenuo per farlo lavorare gratis. Non è solo in paesi lontani dalla civiltà che le appendici cerebrali umane sono capaci di generare idee del genere. Marta medicò più volte la mano di Marçal, più volte la consolò e rinfrescò con il suo alito, e tanto perseverò la volontà di entrambi che, trascorsi due anni, poterono sposarsi, ma le famiglie non si unirono. Adesso il loro amore sembra sopito, che cosa dobbiamo farci, sembra sia un effetto naturale del tempo e delle angosce del vivere, ma se l’antica saggezza serve ancora a qualche cosa, se ancora può essere di una certa utilità per le moderne ignoranze, rammentiamoci, discretamente in modo da non farci ridere dietro, che finché c’è vita c’è speranza. Si, è vero, per quanto siano dense e nere le nuvole sul nostro capo, il cielo lassù in cima sarà perennemente azzurro, ma la pioggia, la grandine e i fulmini è sempre quaggiù che vengono, davvero non si sa cosa pensare quando bisogna farsi capire con scienze di questo genere. La mano di Marçal si è subito ritirata, fra gli uomini è questa l’abitudine, le dimostrazioni di affetto, per essere virili, devono essere rapide, istantanee, qualcuno sostiene che sia per il pudore mascolino, forse, ma bisogna riconoscere che molto più da uomo, nell’accezione completa del termine, sarebbe stato, e di certo non meno virile, se Cipriano Algor avesse fermato il furgone per abbracciare lì stesso il genero e ringraziarlo del gesto con le uniche parole meritevoli, Grazie per aver posato la tua mano sulla mia, ecco cosa avrebbe dovuto dire, e non approfittare della serietà del momento per lamentarsi dell’ultimatum che gli è stato imposto dal capo dell’ufficio

acquisti, Pensa, mi ha dato quindici giorni per portar via tutte le stoviglie, Quindici giorni, Proprio così, quindici giorni, e senza nessuno che mi aiuti, Mi spiace di non potervi dare una mano, Chiaro che non puoi, non hai tempo né sarebbe conveniente per la tua carriera se ti vedessero fare il facchino, e il peggio è che non so proprio come farò a liberarmi di quei cocci che non vuole più nessuno, Potrete ancora cercare di vendere un po’ di stoviglie, Per questo ce n’è d’avanzo con quelle che abbiamo alla fornace, In tal caso, sembra davvero complicato, Poi vedrò, forse le lascerò qui, per la strada, La polizia non lo permetterà, Se questo attrezzo, invece che un furgone, fosse uno di quei camioncini col ribaltabile, sarebbe facilissimo, un bottoncino elettrico e via, in meno di un minuto sarebbe tutto nella cunetta, Sfuggireste un paio di volte alla polizia stradale, ma finirebbero per cogliervi in flagrante, Altra soluzione sarebbe di trovare un fosso in campagna, non dovrebbe essere neanche molto profondo, e ficcarci tutto dentro, pensa che divertimento sarebbe assistere, fra mille o duemila anni, ai dibattiti degli archeologi e degli antropologi sull’origine e le ragioni della presenza di una tale quantità di piatti, boccali e pentole di terracotta, e la loro problematica utilità, in un posto disabitato come questo, Disabitato adesso, fra mille o duemila anni non è affatto impossibile che la città sarà arrivata nel punto in cui ci troviamo in questo momento, osservò Marçal Fece una pausa, come se le parole che aveva appena pronunciato gli avessero richiesto di ripensarci, e, con il tono perplesso di chi, senza capire come c’era riuscito, è arrivato a una conclusione logicamente impeccabile, soggiunse, O il Centro. Orbene, sapendo che, nella vita di questo suocero e di questo genero, l’infelice questione del Centro sarà stata tutto tranne che pacifica, c’è da stupirsi che le conseguenze dell’inattesa allusione del guardiano interno Marçal Gacho si fossero fermate li, che la pericolosa frase O il Centro non avesse fatto riscoppiare immediatamente una nuova discussione, con la ripetizione di tutti i già noti malintesi e la stessa litania di recriminazioni sorde o esplicite. La ragione per cui entrambi sono rimasti in silenzio, supponendo che sia possibile per chi, come noi, osserva dal di fuori, svelare ciò che, con ogni probabilità, non era chiaro neanche per loro, sarà stata il fatto che quelle parole costituivano, sulla bocca di Marçal, soprattutto tenendo conto del contesto in cui sono state pronunciate, una novità assoluta. Si dirà che non è così, che, al contrario, nell’ammettere la possibilità che il Centro potesse far scomparire in un futuro, per inarrestabile assorbimento territoriale, i campi che il furgone sta ora attraversando, il guardiano interno Marçal Gacho sta forse sottolineando, in cuor suo, e applaudendo nel proprio intimo, la potenza espansiva, sia nello spazio che nel tempo, dell’impresa che gli paga i modesti servizi. L’interpretazione sarebbe valida e sistemerebbe definitivamente la questione se non ci fosse stata quella pausa quasi impercettibile, se quell’istante di apparente interruzione del pensiero non corrispondesse, sia concessa l’audacia della proposta, alla comparsa di qualcuno semplicemente in grado di pensare altrimenti. Se è andata così, è facile da capire che Marçal Gacho non abbia potuto procedere sul cammino che gli si è aperto davanti, visto che tale cammino era destinato a una persona che non era lui. Quanto al vasaio, questi ha già vissuto anni in numero più che sufficiente per sapere che la maniera migliore di far morire una rosa è di aprirla a forza quando ancora è soltanto una piccola promessa in bocciolo. Serbò di conseguenza nella memoria le

parole del genero e fece finta di non essersi accorto della loro reale portata. Non parlarono più fino a quando non entrarono nell’abitato. Come al solito quando riportava a casa dal Centro il genero, Cipriano Algor si fermò davanti alla porta dei suoi discordi consuoceri, giusto il tempo che Marçal entrasse, desse un bacio alla madre, e al padre, se era in casa, s’informasse di come erano stati in salute dalla volta scorsa e uscisse dopo aver detto, Domani passerò con più calma. In genere, arrivavano e ci volevano cinque minuti perché la routine del sentimento filiale si compisse, il resto delle espansioni e l’essenziale dei discorsi si rimandavano all’indomani, a volte pranzando, altre no, ma quasi sempre senza la compagnia di Marta. Oggi, però, i cinque minuti non sono bastati, né i dieci, e furono quasi venti quelli che dovettero trascorrere prima che Marçal ricomparisse. Entrò nel furgone bruscamente e chiuse lo sportello con forza. Aveva la faccia seria, quasi cupa, un’espressione indurita da adulto per cui la giovanilità dei suoi lineamenti non era ancora pronta. Ti sei trattenuto molto, oggi, c’è qualcuno che sta male, qualche problema in famiglia, domandò il suocero, sollecito, No, non è niente di grave, scusatemi se vi ho costretto ad aspettare tanto, Sei un po’ scocciato, Non è niente di grave, ve l’ho detto, non vi preoccupate. Stanno quasi per arrivare, il furgone ha svoltato a sinistra per iniziare la strada in salita che conduce alla fornace, nel cambiare marcia a Cipriano Algor viene in mente che è passato vicino a dove abita Isaura Estudiosa senza averci pensato, ed è in questo momento che da lassù arriva un cane correndo e abbaiando, seconda sorpresa odierna di Marçal, o terza, se la visita ai genitori è risultata la seconda. Da dov’è uscito questo cane, domandò, È comparso qualche giorno fa e lo abbiamo fatto restare, è una bestia simpatica, lo abbiamo chiamato Trovato, anche se, a pensarci bene, i trovati siamo stati noi, e non lui. Quando il furgone arrivò alla fine della salita e si fermò, un certo numero di cose successero simultaneamente, o con intervalli di tempo minimi, Marta si affacciò alla porta della cucina, il vasaio e il guardiano interno scesero dall’auto, Trovato ringhiò, Marta andò incontro a Marçal, Marçal andò incontro a Marta, il cane ringhiò sordamente, il marito abbracciò la moglie, la moglie abbracciò il marito, poi si baciarono, il cane smise di ringhiare e attaccò uno stivale di Marçal, Marçal scosse la gamba, il cane non mollò la presa, Marta urlò, Trovato, il padre urlò pure lui, il cane mollò lo stivale e tentò con la caviglia, Marçal gli diede un calcio deciso ma senza troppa violenza, Marta disse, Non lo picchiare, Marçal protestò, Mi ha morso, Perché non ti conosce, A me non mi conoscono neanche i cani, queste parole terribili uscirono dalla bocca di Marçal come se piangessero, pena e gemito insopportabili ciascuna di esse, Marta buttò le braccia al collo del marito, Non ripeterlo, e chiaramente lui non lo ripeté, né del resto c’era bisogno, certe cose si arriva a dirle una volta e mai più, queste parole Marta le udrà nella sua testa fino all’ultimo giorno di vita, e quanto a Cipriano Algor, se pretendessimo di sapere cosa sta facendo in questo momento, la risposta più facile sarebbe, Niente, se non fosse per la rivelatrice circostanza che lui ha sviato rapidamente lo sguardo quando ha sentito ciò che ha detto Marçal, e quindi qualcosa l’ha fatta. Il cane si era allontanato in direzione del casotto, ma a metà strada si fermò, si voltò e rimase a guardare. Di tanto in tanto si faceva scappare una ringhiata di gola. Marta disse, Non sa cosa sono gli abbracci, avrà pensato che mi stavi facendo

del male, ma Cipriano Algor, per alleggerire l’atmosfera, intervenne con un’idea più banale, Potrebbe anche darsi che lui sia incompatibile con le uniformi, ce ne sono tanti di casi del genere. Marçal non rispose, si muoveva fra due coscienze intime, quella del pentimento di aver pronunciato parole che sarebbero rimaste ora e per sempre come la confessione pubblica di un dispiacere nascosto fino a questo momento nel più profondo di se stesso, e quella di una istintiva intuizione che averle lasciate uscire così poteva forse significare che era arrivato al punto di abbandonare un cammino per imboccarne un altro, anche se era ancora molto presto per sapere in quale direzione quest’ultimo lo avrebbe condotto. Baciò Marta sulla fronte e disse, Vado a cambiarmi. Il pomeriggio trascorreva rapidamente, in poco più di mezz’ora sarebbe stata sera. Cipriano Algor disse alla figlia, Ho poi parlato con il tizio degli acquisti, Per via della sciocchezza del cane, mi stavo quasi per dimenticare di domandare com’è andata la conversazione, Mi ha detto che forse domani darà una risposta, Così in fretta, Si stenta a crederci, veramente, e ancor più si stenterà a pensare che la decisione può essere positiva, per lo meno è quanto mi è parso di capire, Speriamo non vi sbagliate, L’unica bella senza ma che conosco sei tu, Cosa vuoi dire, cosa c’entrano le belle e i ma, È che dopo una buona notizia ne viene sempre una cattiva, E qual è adesso, Dovrò ritirare entro due settimane le stoviglie che hanno in deposito, Verrò con voi ad aiutarvi, Neanche per sogno, se il Centro ci farà l’ordinazione, il tempo sarà poco, bisogna modellare le statuine definitive, preparare gli stampi, lavorare alla modellatura, dipingere, caricare e scaricare il forno, vorrei consegnare il primo ordine prima di svuotare le scaffalature del magazzino, non sia mai che il tizio cambi idea, E cosa ne faremo di tutte quelle stoviglie, Non ti preoccupare, ho già combinato con Marçal, le lascerò in mezzo alla campagna, in qualche buca, se qualcuno ne ha voglia se ne serva pure, Con tanti trasferimenti, la maggior parte si romperà, Non c’è dubbio. Il cane si avvicinò e sfiorò con il naso la mano di Marta, sembrava stesse chiedendo spiegazioni sulla nuova composizione del nucleo familiare, come un tempo si usava dire. Marta lo rimproverò, Vedremo come ti comporterai d’ora in avanti, stai pur certo che fra te e il marito, scelgo il marito. L’ultima ombra del gelso nero si riduceva a poco a poco per cominciare a svanire nell’ombra più profonda della notte che si approssimava. Cipriano Algor mormorò, Bisogna fare attenzione con Marçal, quello che ha detto poco fa è stato come una coltellata, e Marta rispose, anche lei mormorando, È stata una coltellata, ha fatto molto male. Il lampione sopra la porta si accese. Marçal Gacho comparve sulla soglia, aveva cambiato l’uniforme con abiti comuni, da casa. Il carie Trovato lo guardò con attenzione, a testa alta avanzò di qualche passo verso di lui, poi si bloccò, in attesa. Marçal si avvicinò, Pace fatta, domandò. Il naso freddo andò a sfiorare lievemente la cicatrice della mano sinistra, Pace fatta. Disse il vasaio, Ecco, avevo ragione io, al nostro Trovato non piacciono le divise, Nella vita è tutto una divisa, e il corpo è civile veramente solo quando è spogliato, rispose Marçal, ma non si avvertiva più l’amarezza nella sua voce. Durante la cena si conversò a lungo su come era venuta a Marta l’idea di fare le statuine, anche sui dubbi, i timori e le speranze che avevano agitato la casa e la fornace in quegli ultimi giorni, e, passando a problemi pratici, si calcolarono i tempi necessari a ciascuna fase della produzione, nonché i relativi

fattori di sicurezza, differenti sia gli uni che gli altri dagli artefatti cui erano abituati, Tutto dipende dalla quantità che ci verrà commissionata, converrebbe piuttosto che non fosse né di più né di meno, sarebbe il sole per l’aia e la pioggia per il campo di rape, come quando non esistevano le serre di plastica, commentò Cipriano Algor. Dopo avere sparecchiato, Marta mostrò al marito i bozzetti che aveva fatto, i tentativi, le prove di colore, la vecchia enciclopedia da cui aveva copiato i modelli, all’apparenza sembrava pochissimo lavoro per delle ansie così grandi, ma bisogna comprendere che nelle circumnavigazioni della vita una brezza amena per alcuni può essere per altri una tempesta mortale, tutto dipende dalla stazza dell’imbarcazione e dallo stato delle vele. Nella stanza, con la porta chiusa, Marçal pensò che non valesse la pena star lì a chiedere a Marta spiegazioni sul fatto che non lo avesse informato sull’idea delle statuine, in primo luogo perché quell’acqua era passata sotto il ponte ormai da ore e quindi aveva trascinato via con sé nella corrente il dispetto e il malumore, in secondo luogo perché lo turbavano preoccupazioni molto più serie che non il sentirsi o immaginarsi offeso. Preoccupazioni più serie e non meno urgenti. Quando un uomo ritorna a casa e dalla moglie dopo una privazione di dieci giorni, se è giovane come lo è Marçal, o, casomai più vecchio, se l’età non è ancora riuscita ad afflosciare lo slancio amatorio, è naturale che voglia dare immediata soddisfazione al fremere dei sensi, rimandando a dopo le chiacchiere. Le donne, in genere, non sono d’accordo. Se il tempo non preme in particolare, se, al contrario, La notte è nostra, e quando si dice notte, si dice pomeriggio o mattina, è quasi certo che la donna preferisca che l’atto d’amore inizi con una chiacchieratina pacata, senza fretta, e per quanto possibile estranea a quell’idea fissa che, tale e quale a una trottola ronzante, rigira nella testa dell’uomo. Come una profonda brocca che lentamente si riempie, la donna si avvicina all’uomo a poco a poco, o, forse con più rigorosa esattezza, lasciando che lui le si avvicini, finché l’urgenza dell’uno e l’ansia dell’altra, ormai dichiarate, ormai coincidenti, ormai irrimandabili, facciano affiorare cantando l’unanime acqua. Vi sono alcune eccezioni, però, come nel caso di Marçal che, sia pur volendo attirare Marta verso il letto, non potrebbe farlo finché non avesse vuotato il pesante sacco delle preoccupazioni che trasporta, non dal Centro, non dalla conversazione avuta con il suocero durante il viaggio, ma dalla casa dei genitori. Eppure, anche questa volta la prima parola l’avrebbe detta Marta, È possibile che i cani non ti conoscano, Marçal, ma tua moglie ti conosce, Non voglio parlarne, Dobbiamo parlare di ciò che fa male, Sono stato stupido e ingiusto, Lasciamo perdere lo stupido, perché non lo sei, fermiamoci all’ingiusto, L’ho ammesso, Non sei stato neanche ingiusto, Non complichiamo le cose, Marta, per favore, quello che è stato, è stato, Le cose che sembrano passate sono quelle che non passano mai, gli ingiusti siamo stati noi, Noi, chi, Io e il babbo, soprattutto io, lui ha una figlia sposata e paura di perderla, non avrebbe bisogno di dare altra giustificazione, E tu, Io invece non ho scuse, Perché, Perché ti amo, e a volte, troppe volte, dò l’impressione di dimenticare, o forse lo dimentico davvero, che questo mio amore lo devo a una persona concreta, completa nel suo essere, e non a qualcuno che dovrebbe accontentarsi di un sentimento quasi vago che a poco a poco si andrebbe rassegnando, come se si trattasse di un destino inappellabile, alla propria mortale vaghezza, Il matrimonio è questo, le persone

vivono in questa maniera, mi basta guardare i miei genitori, Ho anche un’altra colpa, Non continuare, per favore, Arriviamo sino alla fine, Marçal, arriviamoci subito, Per favore, Marta, Non vuoi che continui perché indovini ciò che ho da dire, Ti prego, Quando hai detto che neanche i cani ti conoscono, tu stavi semplicemente dicendo a tua moglie che lei, non solo non ti conosce, ma non ha fatto niente per conoscerti, beh, diciamo quasi niente, Non è vero, tu mi conosci, nessuno mi conosce meglio di te, Solo quanto basta per comprendere il senso delle tue parole, ma in questo non sono stata più intelligente di mio padre, che le ha capite subito come me, Fra noi due, l’adulta sei tu, io non sono altro che un bambino, Forse hai ragione, o almeno stai dando ragione a me, questa meravigliosa adulta che sono, questa assennatissima moglie di Marçal Gacho non è stata capace di cogliere, quando avrebbe dovuto, cosa rappresenta una persona che avrà la semplicità e l’onestà di definirsi un bambino, Non sarò sempre così, Non sarai sempre così, perciò, fintanto che c’è tempo, dovrò fare tutto quanto sarà nelle mie possibilità per comprenderti come sei, e probabilmente giungere alla conclusione che, in te, essere bambino significa, in fin dei conti, un modo diverso di essere adulto, Di questo passo, non saprò più chi sono, Cipriano Algor ti direbbe che questa è una di quelle cose che ci accadono spesso nella vita, Credo di cominciare a intendermi con tuo padre, Non immagini, o forse si, quanto ciò mi renda felice. Marta prese le mani di Marçal e le baciò, poi se le strinse al petto, A volte, disse, dovremmo recuperare certi antichi gesti di tenerezza, Cosa ne sai tu, non hai vissuto al tempo degli inchini e baciamani, Leggo ciò che raccontano i libri, è come se ci fossi stata, in ogni modo non era a baciamani e inchini che pensavo, Erano abitudini diverse, modi di sentire e di comunicare che non ci appartengono più, Per quanto ti possa sembrare strano il paragone, i gesti, per me, sono piuttosto dei disegni fatti dal corpo di uno sul corpo dell’altro. L’invito era esplicito, ma Marçal fece finta di non aver inteso, benché comprendesse che era giunto il momento di attirare Marta verso di sé, di accarezzarle i capelli, di baciarla lievemente sul viso, sulle palpebre, dolcemente, come se non provasse desiderio, come se fosse solo distratto, sarebbe un grande equivoco pensarla così, ciò che succede in tali occasioni è che il desiderio s’impossessa totalmente del corpo per servirsene, ci si perdoni la similitudine materialista e utilitaristica, come se si trattasse di un attrezzo dall’uso molteplice, altrettanto adatto per scivolare come per arare, altrettanto potente per emettere come per ricevere, altrettanto minuzioso per contare come per misurare, altrettanto attivo per salire come per scendere. Cos’hai, domandò Marta, improvvisamente irresoluta, Niente d’importante, solo qualche piccola seccatura, Problemi di lavoro, No, Allora, cosa, È già tanto poco il tempo che abbiamo per stare insieme, per giunta vengono a intromettersi nella nostra vita, Non viviamo sotto una campana, Sono passato a casa dei miei genitori, Qualche incidente, qualche complicazione. Marçal fece cenno di no con il capo e proseguì, All’inizio si sono mostrati molto interessati a sapere se ho notizia di quando spero di essere promosso guardiano residente, e ho risposto di no, che non ci sono neppure ragioni sicure per affermare che avvenga, Quasi sicuro, lo sei, Sì, quasi sicuro, ma non si sa mai, sino alla fine, Certo, e dopo, Hanno fatto poi una serie di giri, e io lì senza capire dove volevano arrivare, e finalmente mi hanno annunciato la loro grande idea, E quale sarebbe questa grande idea, Né

più né meno che stanno pensando di vendere la casa per venire a vivere con noi, Con noi, dove, Al Centro, Ho sentito bene, i tuoi genitori vogliono venire a vivere al Centro, con noi, Proprio così, E tu, cosa gli hai detto, Ho cominciato facendogli notare che era ancora presto per pensarci, ma loro mi hanno risposto che anche vendere una casa non è cosa da farsi su due piedi, che non avrebbero certo cominciato a cercare un acquirente dopo che noi, tu e io, fossimo già installati, E tu cos’hai detto, Pensando di concludere l’argomento, gli ho detto che intendevamo portare con noi tuo padre quando ci fossimo trasferiti, per non farlo rimanere qui da solo, tanto più che la fornace è in un momento di crisi, Gli hai detto questo, Si, ma non mi hanno dato retta, per poco non si sono messi a urlare, a piangere, parlo di mia madre, chiaro, mio padre non ama i sentimentalismi, lui invece si è messo a protestare e imprecare, che razza di figlio sono io che antepongo le convenienze di persone che non sono del mio stesso sangue alle necessità dei miei progenitori, hanno detto proprio progenitori, non so dove siano andati a pescare questa parola, che non avrebbero mai potuto immaginare di dover udire un giorno dalla mia bocca che rinnego coloro a cui devo la vita, coloro che mi hanno allevato ed educato, che è proprio vero, moglie vuol dire doglie, ma il disprezzo proprio non erano disposti ad ammetterlo, che comunque non era il caso mi arrabbiassi, per il momento non avevano ancora bisogno di andare a chiedere l’elemosina per la strada, ma che non dovevo dimenticarmi che il rimorso finisce sempre per arrivare, e se non viene nel corso della vita, verrà dopo la morte, e quello è ancora peggio, e voglia il cielo che io non abbia dei figli che mi castighino per la mancanza d’umanità con cui oggi tratto i miei genitori, È stata questa l’ultima frase, Non so se è stata l’ultima, me ne sarò dimenticata qualcuna, più o meno dello stesso tono, Avresti dovuto spiegargli che non vale la pena preoccuparsi, sai bene che mio padre non vuole venire a vivere al Centro, Sì, ma ho preferito non farlo, Perché, Sarebbe stato come dargli modo di pensare che sono gli unici in gioco, Se insistono, non avrai altro rimedio, Basterà non accettare la promozione, dovrò solo trovare una ragione per riuscire a convincere il Centro, Dubito che la troverai. Erano seduti sul letto, potevano sfiorarsi, ma il momento delle carezze era passato, sembrava essere talmente lontano come il tempo del baciamano e della riverenza, oppure come quell’altro momento in cui due mani d’uomo sono state baciate, e subito dopo accostate al seno della donna. Marçal disse, So che non è bene che un figlio faccia una dichiarazione del genere, ma la verità è che con i miei genitori non ci voglio vivere, Perché, Non ci siamo mai capiti, né io ho capito loro, né loro me, Sono i tuoi genitori, Si, sono i miei genitori, quella notte sono andati a letto e ne hanno avuto voglia, per questo sono nato, quando ero piccolo rammento di averli uditi commentare, come se si divertissero a raccontare un buon aneddoto, che lui, quella notte, era ubriaco, Con vino o senza vino, nasciamo tutti così, Riconosco che è un’esagerazione, ma mi ripugna pensare che mio padre fosse ubriaco quando mi ha generato, è come se fossi figlio di un altro uomo, è come se quello che sarebbe dovuto essere realmente mio padre, non avesse potuto esserlo, come se il suo posto fosse stato occupato da un altro, quest’uomo a cui oggi ho sentito dire che voglia il cielo che vengano i miei figli a castigarmi, Non è esattamente così che si è espresso, Ma è esattamente questo che ha pensato. Marta prese la mano sinistra di Marçal, la

strinse fra le sue e mormorò, Tutti i genitori sono stati figli, molti figli diventano genitori, ma alcuni hanno dimenticato ciò che erano, e ad altri non c’è nessuno che possa spiegargli cosa saranno, Non è facile da capire, Non lo capisco neanch’io, mi è venuto così, non badarci, Andiamo a letto, Si, andiamo. Si spogliarono e si coricarono. Il momento delle carezze rientrò nella stanza, domandò scusa se si era trattenuto fuori così a lungo, Non trovavo la strada, si giustificò, e, all’improvviso, come a volte accade ai momenti, divenne eterno. Un quarto d’ora dopo, con i corpi ancora avvinghiati, Marta mormorò, Marçal, Cosa c’è, domandò lui, sonnolento, Ho due giorni di ritardo. 8. Nell’appartato silenzio della stanza, fra le lenzuola disfatte dall’amorosa agitazione di poc’anzi, l’uomo ha udito sua moglie comunicargli che ha un ritardo di due giorni nelle mestruazioni, e la notizia gli è apparsa come qualcosa di inaudito e decisamente stupefacente, una specie di secondo fiat lux in un’epoca in cui il latino non è più usato e praticato, un surge et ambula vernacolo che non ha idea di dove vada e proprio per ciò spaventa. Marçal Gacho, che appena un’ora fa, o neanche tanto, in uno slancio di commovente abbandono raramente riscontrabile nel sesso mascolino, si era confessato bambino, in definitiva, senza immaginarlo, era un padre in embrione già da qualche settimana, il che ancora una volta ci dimostra che non dovremmo mai sentirci sicuri di quello che pensiamo di essere perché, in quel momento, potrebbe benissimo succederci di essere già qualcosa di diverso. Quasi tutto ciò che Marta e Marçal si sono detti nel corso della notte, prima di addormentarsi stremati dalla stanchezza, è descritto in mille e una storia di coppie con figli, ma l’analisi concreta della situazione concreta in cui si trova questo matrimonio non ha sottaciuto l’esame di certe questioni che gli sono peculiari, come la ridotta possibilità di Marta di continuare a sopportare la durezza del lavoro in fornace, e, senza soluzione momentanea essendo dipendente dall’attesa nomina, il dubbio se il bambino nascerà prima o dopo il trasferimento al Centro. Addusse Marta, sul primo di questi problemi, che non credeva che sua madre, la defunta Justa Isasca, che aveva lavorato senza sosta fino all’ultimo giorno, avesse deciso di godere dei piaceri di un ozio totale solo perché era rimasta incinta, Io stessa ne sarei testimone, se recuperassi la memoria dei nove mesi che ho vissuto dentro di lei, Per un bambino che sta nella pancia della madre è impossibile sapere cosa succede fuori, rispose Marçal sbadigliando, Suppongo sia così, ma dovrai almeno riconoscere che sarebbe del tutto naturale che il bambino conoscesse intimamente ciò che va succedendo nel corpo della madre, il problema, secondo me, è tutto nella memoria, Se non ci ricordiamo neppure di ciò che soffriamo nel transito della nascita, È lì, probabilmente, che perdiamo la prima di tutte quelle memorie, Stai vaneggiando, dammi un bacio. Prima di questa delicata conversazione e di questo bacio, Marçal aveva espresso auspici veementi perché il trasferimento al Centro avvenisse prima della nascita, Avrai la migliore assistenza medica e infermieristica che potresti mai immaginare, non c’è niente che le possa assomigliare, neanche lontanamente, e sia in medicina che in chirurgia, Come sai tutto questo, se non sei mai stato all’ospedale del Centro, e probabilmente non ci sei neanche entrato, Conosco qualcuno che è stato ricoverato, un mio

superiore che è entrato quasi morto ed è uscito come nuovo, c’è addirittura gente da fuori che fa debiti per essere ammessa, ma le regole sono inflessibili, Se qualcuno ti sentisse, crederebbe che al Centro non muore nessuno, Si muore, ovviamente, ma la morte si nota di meno, È un vantaggio, non c’è dubbio, Vedrai quando saremo lì, Vedrò che cosa, che la morte si nota di meno, è questo che vuoi dire, Non stavo parlando della morte, Invece si, La morte non mi interessa affatto, stavo parlando di te e di nostro figlio, dell’ospedale dove lo avrai, Se la tua nomina non tarderà troppo, Se non mi promuoveranno in nove mesi, non mi promuoveranno mai, Dammi un bacio, guardiano interno, e andiamo a dormire, Eccoti il bacio, ma c’è un problema di cui dobbiamo ancora parlare, Quale, Che da oggi comincerai a lavorare di meno nella fornace e fra due o tre mesi smetterai del tutto, Pensi che mio padre possa fare tutto, specialmente se il Centro ci farà l’ordine delle statuine, Si assumerà qualcuno per aiutarlo, Sai bene che sono fatiche sprecate, nessuno vuole venire a lavorare nelle fornaci, Il tuo stato, Il mio stato, cosa, mia madre ha sempre lavorato quando era incinta di me, Come lo sai, Me lo ricordo. Risero entrambi, poi Marta propose, Per il momento non parliamone a mio padre, ne sarebbe contentissimo, ma è preferibile che non glielo diciamo, Perché, Non so, ci sono troppe cose che gli frullano in testa, La fornace, La fornace è solo una, Il Centro, Anche il Centro, l’ordinazione che verrà o non verrà, le stoviglie da ritirare, ma ci sono altre questioni, la storia di una brocca a cui si è staccato il manico, per esempio, poi te la racconterò. Marta fu la prima ad addormentarsi. Marçal non era più tanto spaventato, più o meno conosceva il cammino che avrebbe dovuto seguire dopo la nascita, e quando, dopo quasi mezz’ora, il sonno lo sfiorò con le sue dita di fumo, si lasciò trasportare via con lo spirito in pace, senza resistere. Il suo ultimo pensiero cosciente fu domandarsi se Marta gli avesse accennato veramente al manico di una brocca, Che sciocchezza, sicuramente sto sognando, pensò. Fu quello che dormì di meno, ma fu il primo a svegliarsi. La luce dell’albeggiare s’intrufolava dagli spiragli degli scuri interni. Avrai un figlio, disse fra sé e sé, e ripeté, un figlio, un figlio, un figlio. Poi, mosso da una curiosità senza desiderio, quasi innocente, se vi è ancora innocenza in quel luogo del mondo che chiamiamo letto, scostò le coperte per guardare il corpo di Marta. Era voltata verso di lui, con le ginocchia leggermente piegate. La parte inferiore della camicia da notte le si era arrotolata alla vita, il biancore del ventre a stento si riusciva a distinguere nella penombra e scompariva del tutto nella zona scura del pube. Marçal lasciò ricadere le coperte e comprese che il momento delle carezze non si era ancora ritirato, era rimasto ben saldo nella stanza per tutta la notte, ed era ancora li, in attesa. Sfiorata, probabilmente, dall’aria fredda che si era mossa con il movimento del lenzuolo, Marta sospirò e cambiò posizione. Come un passerotto che sonda soavemente il posto per il suo primo nido, la mano sinistra di Marçal, lieve, le sfiorava appena il ventre. Marta aprì gli occhi. e sorrise, poi disse scherzando, Buongiorno, signor papà, ma la sua espressione cambiò all’improvviso, aveva appena percepito che non erano soli nella stanza. Il momento delle carezze si era insinuato fra loro; si era infilato sotto le lenzuola, non sapeva dire esplicitamente cosa volesse, ma lo assecondarono. Cipriano Algor era già fuori in giro. Aveva dormito male domandandosi se avrebbe ricevuto quest’oggi la risposta del capo dell’ufficio acquisti, e quale

risposta sarebbe stata, positiva, o negativa, o reticente, o dilatoria, ma quello che gli aveva tolto il sonno definitivamente per alcune ore fu un’idea che gli era sbocciata nella testa nel cuore della notte e che, come tutte quelle che ci assalgono nelle ore morte d’insonnia, aveva trovato straordinaria, magnifica, e addirittura, in questo caso, un colpo di abilità negoziatoria meritevole di ogni plauso. Svegliandosi dopo un paio d’ore scarse di sonno inquieto che il corpo, disperato, era riuscito a sottrarre alla propria esasperazione, capì che l’idea, in definitiva, non valeva niente, che la cosa più prudente sarebbe stata di non continuare a nutrire illusioni circa la natura e il carattere di chi manovra il bastone del comando, e che qualsiasi ordine ricevuto da chiunque fosse investito di un’autorità al di sopra del comune avrebbe dovuto essere considerata come se si trattasse del più ineluttabile destino. In realtà, se la semplicità è una virtù, nessuna idea potrebbe essere più virtuosa di questa, come si avvertirà immediatamente, Signor capoufficio, direbbe Cipriano Algor, stavo pensando a quello che mi ha detto, che ho due settimane per ritirare le stoviglie che le occupano spazio nel magazzino, allora non ci ho pensato, probabilmente per via dell’emozione provata nel capire che c’era una. vaga speranza di continuare a essere fornitore del Centro, ma poi mi sono messo a pensare, a pensare, e mi sono accorto che non è facile, se non addirittura impossibile, rispettare al tempo stesso i due obblighi, cioè, ritirare le stoviglie e fare le statuine, si, so bene che non mi ha ancora detto che le ordinerà, ma, supponendo che lo farà, mi è venuto in mente, per puro spirito previdente, di proporle un’alternativa, e cioè lasciarmi libero la prima settimana per poter procedere nella fabbricazione delle statuine, ritirare la metà delle stoviglie nella seconda settimana, riprendere in mano le statuine nella terza e concludere il trasporto delle stoviglie nella quarta, lo so bene, lo so bene, non c’è bisogno che me lo dica, non sto facendo finta che non vi sia un’altra opzione, e cioè di cominciare con le stoviglie la prima settimana, e poi riprendere, in sequenza, ora le statuine, ora le stoviglie, ora le statuine, ma credo che nel caso specifico si dovrebbero prendere in considerazione i fattori psicologici, lo sanno tutti che lo stato d’animo del creatore non è lo stesso di quello del distruttore, di colui che distrugge, se potessi cominciare dalle statuine, e cioè, dalla creazione, tanto più nell’eccellente disposizione d’animo in cui mi trovo, accetterei con altro coraggio il duro compito di dover distruggere i frutti del mio stesso lavoro, che il fatto di non aver nessuno a cui venderli, e, peggio ancora, di non trovare nessuno che li voglia, neanche regalati, è come distruggerli. Questo discorso, che alle tre di notte sembrava al suo autore contenere una logica irrefutabile, gli divenne assurdo al primo chiarore del mattino, e definitivamente ridicolo all’accusatrice luce del sole. Insomma, quel che dev’essere, sarà, disse il vasaio al cane Trovato, il diavolo non sarà mica sempre dietro la porta. Per via della manifesta differenza di concetti e della distinta natura dei vocabolari. dell’uno e dell’altra, Trovato non poteva aspirare neppure a una mera comprensione preliminare di ciò che il padrone intendeva comunicargli, e in un certo senso meno male, perché, condizione indispensabile per passare al secondo grado d’intesa, avrebbe dovuto domandargli cos’era questa storia del diavolo, figura, entità o personaggio, come si suppone, assente dal mondo spirituale canino fin dal principio dei tempi, ed è evidente che, facendo una domanda del genere al principio, la

discussione non avrebbe avuto più fine. Con la comparsa di Marta e di Marçal, insolitamente sorridenti, come se questa volta la notte li avesse premiati con qualcosa di più del solito sfogo dei desideri accumulati nei dieci giorni di separazione, Cipriano Algor ha congedato gli ultimi residui di malumore e, subito dopo, grazie a percorsi mentali facilmente delineabili da chi conoscesse la premessa e la conclusione, si è ritrovato a pensare a Isaura Estudiosa, a lei come persona, ma anche al nome che usa, infatti non si capisce perché dovremo continuare a chiamarla Estudiosa, se quell’Estudioso le viene dal marito, e lui è morto, Alla prima occasione, pensò il vasaio, non mi dimenticherò di domandarle qual è il cognome, quello suo, di origine, il cognome di famiglia. Assorto nella grave decisione che aveva appena preso, un intervento tra i più temerari nel territorio riservato al nome, e infatti non è la prima volta che una storia d’amore inizia, per esempio, solo per dire di queste, con la fatale curiosità, Qual è il suo nome, aveva domandato lei, Cipriano Algor non si accorse subito che Marçal e il cane stavano fraternizzando e giocando come vecchi amici che non si vedessero da tempo, Era la divisa, diceva il genero, e Marta ripeteva, Era la divisa. Il vasaio li guardò con stupore, come se tutte le cose del mondo avessero cambiato all’improvviso di significato, forse perché aveva pensato alla vicina Isaura più per il suo nome che per la donna che era, veramente non è normale, anche in caso di pensieri distratti, scambiare una cosa per l’altra, a meno che non si tratti di una delle conseguenze di aver vissuto a lungo, magari ci sono cose che cominciamo a capire solo quando arriviamo là, Arriviamo là, dove, All’età. Cipriano Algor si allontanò avviandosi verso il forno e mormorando, come una cantilena priva di significato, Marta, Marçal, Isaura, Trovato, poi in ordine diverso, Marçal, Isaura, Trovato, Marta, e poi ancora, Isaura, Marta, Trovato, Marçal, e un altro ancora, Trovato, Marçal, Marta, Isaura, finalmente vi aggiunse il proprio nome, Cipriano, Cipriano, Cipriano, lo ripeté fino a perdere il conto, fino a sentire che una vertigine lo lanciava fuori di se stesso, fino a non comprendere più il senso di ciò che stava dicendo, allora pronunciò la parola forno, la parola tettoia, la parola creta, la parola gelso, la parola aia, la parola lampione, la parola terra, la parola legna, la parola porta, la parola letto, la parola cimitero, la parola manico, la parola brocca, la parola furgone, la parola acqua, la parola fornace, la parola erba, la parola casa, la parola fuoco, la parola cane, la parola donna, la parola uomo, la parola, la parola, e tutte le cose di questo mondo, quelle nominate e quelle non nominate, quelle note e quelle segrete, quelle visibili e quelle invisibili, come uno stormo d’uccelli che fosse stanco di volare e scendesse giù dalle nuvole, andarono a posarsi a poco a poco ai loro posti, colmando le assenze e riordinando i significati. Cipriano Algor andò a sedersi su una vecchia panchina di pietra che il nonno aveva fatto mettere accanto al forno, appoggiò i gomiti sulle ginocchia, il mento fra le mani giunte e aperte, non guardava la casa né la fornace, né i campi che si stendevano al di là della strada, né i tetti del paese alla sua destra, guardava soltanto il suolo disseminato di piccoli frammenti di terracotta, la terra biancastra e granulosa che spuntava sotto di essi, una formica smarrita che ergeva fra le mandibole potenti una resta due volte più grande di lei, il taglio di una pietra da cui spuntò la testa sottile di una lucertola, per scomparire subito dopo. Non aveva pensieri né sensazioni, era solo il più grande di quei pezzettini di creta, una

zolletta secca che una leggera pressione delle dita sarebbe bastata a sbriciolare, una resta che si era staccata dalla spiga ed era trasportata a caso da una formica, una pietra dove di tanto in tanto si riparava un essere vivente, uno scarafaggio, o una lucertola, o un’illusione. Trovato parve comparire dal nulla, non c’era e all’improvviso era lì, posò bruscamente le zampe sulle ginocchia del padrone, disturbando la sua postura di contemplatore delle vanità del mondo che perde il suo tempo, o crede di guadagnarlo, facendo domande alle formiche, agli scarafaggi e alle lucertole. Cipriano Algor lo accarezzò sul capo e fece un’altra domanda, Cosa vuoi, ma Trovato non rispose, era lì che ansimava e apriva la bocca, come se sorridesse all’inanità del problema. Fu a questo punto che si udì la voce di Marçal chiamare, Papà, venite, la colazione è pronta. Era la prima volta che il genero faceva una cosa simile, c’era qualcosa di strano che stava succedendo in casa e nella vita di quei due, e lui non riusciva a capire cosa fosse, immaginò la figlia che diceva, Chiamalo tu, oppure, evento ancora più straordinario, Marçal che la preveniva, Lo chiamo io, una spiegazione dovrà pur esserci. Si alzò dalla panchina, fece un’altra carezza al cane, e insieme si avviarono. Non ha notato Cipriano Algor che la formica non ripercorrerà lo stesso cammino che avrebbe dovuto condurla al formicaio, tiene ancora la resta valentemente stretta fra le mandibole, ma il suo viaggio è finito li, e la colpa è di quello spilungone di Trovato, che non vede dove mette i piedi. Mentre mangiavano, Marçal, come se stesse rispondendo a una domanda, ha comunicato di aver telefonato ai genitori per informarli che un lavoro urgente gli avrebbe impedito di andare a pranzo da loro, Marta, a sua volta, ha manifestato l’opinione che il trasporto delle stoviglie non bisognava cominciare a farlo subito, Così potremmo passare la giornata insieme, si suppone che in due settimane la differenza di un giorno non sarà poi così grave, Cipriano ha fatto notare che lo aveva già pensato pure lui, soprattutto per via del capoufficio, che potrebbe telefonare in qualsiasi momento, Bisogna che io sia qui per rispondere. Marta e Marçal si sogguardarono dubbiosi, e lui disse con cautela, Se fossi al vostro posto, sapendo come funziona il Centro non sarei tanto fiducioso, Ricordati che è stato lui stesso che ha ammesso la possibilità di darmi la risposta oggi, Comunque, potrebbero essere state solo parole dette tanto per parlare, di quelle che si pronunciano senza darvi troppa importanza, Non si tratta di essere fiducioso o no, quando il potere di decidere è nelle mani di altre persone, quando muoverle in un senso o nell’altro non dipende da noi, l’unica cosa che resta è aspettare. Non dovettero aspettare molto a lungo, il telefono squillò mentre Marta stava sparecchiando. Cipriano si precipitò, afferrò il ricevitore con una mano che tremava, disse, Fornace Algor, all’altro capo qualcuno, una segretaria o una centralinista, domandò, Parla il signor Cipriano Algor, Sono io, Un momento, le passo il capo dell’ufficio acquisti, per un lunghissimo minuto il vasaio dovette ascoltare la musica di violini con cui si colmavano con maniaca insistenza quelle attese, continuava a guardare la figlia, ma era come se non la vedesse, il genero, ma era come se lui non ci fosse, all’improvviso la musica cessò, la chiamata era stata passata, Buongiorno, signor Algor, disse il capo dell’ufficio acquisti, Buongiorno, signore, stavo proprio dicendo a mia figlia, e a mio genero, è il suo giorno di riposo, che lei, signore, come aveva promesso, non avrebbe mancato di telefonare oggi,

Delle promesse rispettate conviene parlare molto per far dimenticare le volte che non si sono rispettate, Certamente, Ho studiato la sua proposta, considerato i diversi fattori, tanto i positivi quanto i negativi, Scusi se la interrompo, mi pare di aver sentito parlare di fattori negativi, Non negativi nel senso stretto del termine, direi piuttosto fattori che, essendo in teoria neutri, potrebbero finire per presentare un’influenza negativa, Ho qualche difficoltà a intendere, se permette che glielo dica, Mi riferisco al fatto che la sua fornace non ha alcuna esperienza conosciuta nella fabbricazione dei prodotti che propone, È vero, signore, ma sia mia figlia che io sappiamo modellare e, posso dirlo senza vanità, lo facciamo bene, e se è vero che non ci siamo mai dedicati a questo lavoro a livello industriale è stato perché la fornace si è indirizzata fin dall’inizio alla fabbricazione di stoviglie, Comprendo, ma in tali condizioni non era facile appoggiare la proposta, Vuol dire, se mi autorizza la domanda e l’interpretazione, che l’ha appoggiata, Ma certamente, E la decisione, La decisione presa è stata positiva per una prima fase, Ah, grazie mille, signore, ma devo pregarla di spiegarmi cosa significa questa prima fase, Significa che le faremo un’ordinazione sperimentale di duecento statuine per ciascun modello e che la possibilità di nuovi ordini dipenderà ovviamente dal modo in cui i clienti accoglieranno il prodotto, Non so come ringraziarla, Per il Centro, signor Algor, il miglior ringraziamento consiste nella soddisfazione dei nostri clienti, se loro sono soddisfatti, cioè, se comprano e continuano a comprare, anche noi lo saremo, veda cosa è successo con le sue stoviglie, hanno smesso di esserne interessati, e siccome il prodotto, contrariamente a quanto è successo in alcune occasioni, non valeva il lavoro e la spesa di convincerli che erano in errore, abbiamo chiuso il nostro rapporto commerciale, è molto semplice, come vede, Sissignore, è molto semplice, speriamo che queste statuine non finiscano per avere la stessa sorte, Prima o poi ce l’avranno, come tutto nella vita, quello che non serve più si butta via, Comprese le persone, Proprio così, comprese le persone, io stesso sarò buttato fuori quando non servirò più, Lei è un capo, Sono un capo, infatti, ma solo per coloro che stanno sotto di me, sopra ci sono altri giudici, Il Centro non è un tribunale, Lei si sbaglia, è un tribunale, e non ne conosco di più implacabili, Per la verità, signore, non so perché sprechi il suo tempo prezioso a parlare di questi argomenti con un vasaio senza importanza, Le faccio notare che sta ripetendo le mie parole udite ieri, Credo di rammentarlo, si, più o meno, La ragione è che certe cose si possono dire solo a chi sta in basso, E io sto in basso, Non sono io ad avercela messa, ma ci sta, Almeno ho ancora questa utilità, ma se la sua carriera progredirà, come certamente succederà, molti altri si troveranno sotto di lei, In tal caso lei, signor Cipriano Algor, per me diventerà invisibile, Come ha detto lei stesso poco fa, così è la vita, Così è la vita, ma per il momento sono ancora io che le firmerò l’ordinazione, Signore, ho un altro problema da sottoporre al suo giudizio, Qual è questo problema, Mi riferisco al ritiro delle stoviglie, Si è già deciso, le ho dato una scadenza di quindici giorni., Ma nel frattempo ho avuto un’idea, Che idea, Visto che il nostro interesse, il nostro e quello del Centro, è quello di concludere l’ordinazione il più rapidamente possibile, gioverebbe molto se potessimo alternare, Alternare, Intendo dire, una settimana per ritirare le stoviglie, un’altra per lavorare alle statuine, e così di seguito, Ma questo significa che ci vorrebbe un mese per sgomberarmi il magazzino, invece

di quindici giorni., Si, però guadagneremmo tempo per portare avanti il lavoro, Ha detto una settimana stoviglie, un’altra statuine, Si, signore, Allora, facciamo diversamente, la prima settimana sarà per le statuine, la successiva sarà per le stoviglie, in fondo è una questione di psicologia applicata, costruire è stato sempre più stimolante che distruggere, Non osavo chiederle tanto, signore, lei è troppo buono, Io non sono buono, sono pratico, tagliò corto il capo dell’ufficio acquisti, Forse anche la bontà è una questione di pratica, mormorò Cipriano Algor, Ripeta, non ho capito bene ciò che ha detto, Non ci faccia caso, signore, non era importante, Comunque sia, ripeta, Ho detto che forse anche la bontà è una questione di pratica, È un’opinione da vasaio, Sissignore, ma non tutti i vasai ce l’avrebbero, I vasai si stanno estinguendo, signor Algor, Anche le opinioni del genere. Il capoufficio non rispose subito, stava forse riflettendo se valeva la pena continuare a divertirsi con questa specie di gioco del gatto col topo, ma la sua posizione nell’organico del Centro gli ricordò che le configurazioni gerarchiche si definiscono e si mantengono con il rispetto e se scrupolosamente rispettate, e mai oltrepassate o travisate, oltre al fatto che trattare gli inferiori o subalterni con eccessiva confidenza ha sempre finito col minare il rispetto e determinare licenziosità, o, volendo usare parole più esplicite, tutt’altro che ambigue, insubordinazione, indisciplina e anarchia. Marta, che già da alcuni istanti cercava di attirare l’attenzione del padre senza riuscirci, talmente questi era assorto nella disputa verbale, aveva scarabocchiato velocemente su un foglio due domande a grandi lettere e ora gliele metteva sotto il naso, Quali, Quanti. Nel leggerle, Cipriano Algor si portò la mano libera alla testa, la sua distrazione non aveva scuse, un mucchio di chiacchiere tanto per chiacchierare, un mucchio di discussioni tanto per discutere, e quello che veramente gli interessava sapere lo conosceva solo in parte, e comunque grazie al fatto che il capo dell’ufficio acquisti glielo aveva detto, cioè, che sarebbero state duecento per ciascun tipo le statuine commissionate. Il silenzio non è durato tanto quanto probabilmente vi sembrerà, ma bisogna rammentare di nuovo che in un attimo di silenzio, anche se più breve di questo, possono accadere molte cose, e quando, come in questo caso, è necessario enumerarle, descriverle, spiegarle per arrivare a comprendere qualcosa che meriti quel significato che avrebbero ciascuna di per sé e tutte insieme, ecco che compare qualcuno a controbattere che è impossibile, che nella cruna di un ago il mondo non c’entra, mentre invece è sicuro che c’entra pure l’universo, e anche molto di più, per esempio due universi. In ogni modo, adottando un tono circospetto perché il risveglio del drago addormentato non sia troppo brusco, è ormai tempo che Cipriano Algor mormori, Signore, ed è anche il momento che il capo dell’ufficio acquisti metta un punto e concluda una conversazione di cui domani, per le ragioni sopra esposte, forse potrebbe pentirsi e vorrebbe che non fosse avvenuta, Bene, siamo intesi, potete cominciare il lavoro, l’ordinazione partirà oggi stesso, e finalmente è tempo che Cipriano Algor dica che resta ancora un particolare da risolvere, E qual è questo particolare, Quali sono, signore, Quali sono, cosa, lei ha parlato di un particolare, non di vari, Quali delle sei statuine ordinerà, ecco cosa mi manca di sapere, Tutte, rispose il capo dell’ufficio acquisti, Tutte, ripeté stupefatto Cipriano Algor, ma l’altro ormai non lo ascoltava più, aveva riattaccato. Attonito, il vasaio guardò la figlia, poi il genero, Non me lo sarei

mai aspettato, ho udito quello che ho udito e non ci credo, Ha detto che ne ordinerà duecento di tutte, Di tutte e sei, domandò Marta, Penso di si, è quello che ha detto, tutte. Marta si precipitò verso il padre e lo abbracciò con forza, senza una parola. Anche Marçal si avvicinò al suocero, Le cose, a volte, vanno male, ma poi arriva un giorno che porta solo buone notizie. Se Cipriano Algor fosse appena un tantino più interessato a quello che si diceva, se non lo distraesse la gioia del lavoro adesso garantito, non mancherebbe certamente di voler sapere di quale altra o altre buone notizie questo giorno sia stato latore. Del resto, il patto di silenzio concordato appena poche ore fa tra i promessi genitori si ruppe all’istante, e se ne rese conto Marta nel muovere le labbra come per dire, Babbo, mi pare di essere incinta, ma riuscì a trattenere le parole. Non se ne accorsero né Marçal, fermo nell’impegno assunto, né Cipriano, innocente da qualsiasi sospetto. In realtà, una tale rivelazione potrebbe essere solo opera di chi, al di là del saper leggere sulle labbra, abilità relativamente comune, fosse anche capace di prevedere ciò che le labbra pronunceranno quando la bocca ha appena cominciato a socchiudersi. Altrettanto raro è questo magico dono di quell’altro, di cui si è parlato altrove, di vedere dentro i corpi attraverso il sacco di pelle che li avvolge. Malgrado la seducente profondità di entrambi i temi, propizia alle più succulente riflessioni, dobbiamo abbandonarli immediatamente per prestare attenzione a ciò che Marta ha appena detto, Babbo, fate i conti, sei per duecento fa mille e duecento, dovremo consegnare mille e duecento statuine, è un lavoro impegnativo per due persone e con pochissimo tempo per farlo. L’esagerazione del numero ha fatto impallidire l’altra buona notizia del giorno, la probabilità di un figlio di Marçal e Marta, data per certa, ha perso all’improvviso forza, è tornata a essere la semplice possibilità di tutti i giorni, l’effetto occasionale o intenzionale del fatto che si siano uniti sessualmente, per quelle vie che definiamo naturali e senza precauzioni, un uomo e una donna. Disse il guardiano interno Marçal Gacho, per metà serio e per metà scherzoso, Prevedo che da ora in poi scomparirò dal paesaggio, spero almeno non vi dimentichiate che esisto, Non sei mai esistito tanto, rispose Marta, e Cipriano Algor smise per un momento di pensare alle mille e duecento statuine per domandarsi cosa la figlia avesse voluto dire. 9. In definitiva, anche chi vive nel Centro muore, disse Cipriano Algor entrando in casa con il cane appresso dopo essere andato ad accompagnare il genero ai suoi doveri, Suppongo che mai nessuno avrà immaginato il contrario, rispose Marta, è noto a tutti che hanno là dentro il proprio cimitero, Il cimitero non si vede dalla strada, ma il fumo sì, Quale fumo, Quello dell’inceneritore, Nel Centro non c’è nessun inceneritore, Non c’era, ma adesso c’è, Chi ve lo ha detto, Marçal, quando abbiamo imboccato il viale si vedeva il fumo salire dal tetto, era una cosa di cui si parlava ed è vera, dice Marçal, al che cominciavano ad avere problemi di spazio, A me, quello che mi stupisce è il fumo, ci avrei scommesso che la tecnologia di oggi lo avesse eliminato, Forse stanno facendo esperimenti, bruciando altre cose, magari roba fuori moda, come i nostri piatti, Smettetela di pensare ai piatti, ci aspetta un mucchio di lavoro, Sono tornato più in fretta che ho potuto, il tempo di lasciare Marçal davanti alla porta e

tornare, rispose Cipriano Algor. Ometteva la piccola deviazione che gli aveva permesso di passare davanti alla casa di Isaura Estudiosa e non si accorgeva che le sue parole suonavano come una giustificazione improvvisata, oppure sapeva che lo erano e non era riuscito a evitarlo. Fatto sta che gli era mancato il coraggio di fermare il furgone e andare a bussare alla porta della vedova di Joaquim Estudioso, ma non era quella l’unica ragione per cui, per usare un’espressione forte, era stato vigliacco, ciò che soprattutto aveva temuto era il ridicolo di ritrovarsi davanti alla donna senza sapere cosa dirle, e, in mancanza d’altro, di finire per domandarle della brocca. Un dubbio importante rimarrà senza chiarimenti per sempre, e cioè, se Cipriano Algor, qualora avesse potuto parlare anche solo per due minuti con Isaura Estudiosa, sarebbe comunque entrato in casa a parlare di morti, fumi e inceneritori, oppure se, al contrario, il ristoro di un’amena conversazione sulla soglia avrebbe fatto sopraggiungere nel suo spirito qualche tema più gradevole, come il ritorno delle rondini o l’abbondanza di fiori che già si nota nei campi. Marta dispose sul tavolo della cucina i sei disegni dell’ultima fase preparatoria, in ordine di scelta, il buffone, il pagliaccio, l’infermiera, l’eschimese, il mandarino, l’assiro con la barba, del tutto simili a quelli che erano stati sottoposti al giudizio del capo dell’ufficio acquisti, un paio di differenze nei particolari, piccolissime, non bastano per considerarle versioni diverse delle stesse proposte. Marta avvicinò una sedia per far sedere il padre, ma lui rimase in piedi. Teneva le mani appoggiate sul ripiano del tavolo, guardava le figure una dopo l’altra, infine disse, Peccato non avere anche le figure di profilo, A che scopo, Ci darebbero una nozione più precisa di come dovremo fabbricarle, La mia idea, ve ne ricordate, era di modellarle nude e poi vestirle, Non credo sia una buona soluzione, Perché, Dimentichi che sono mille e duecento, Si, lo so, sono mille e duecento, Modellare mille e duecento statuine nude e poi vestirle, una per una, è come fare e disfare, è il doppio del lavoro, Avete ragione, sono stata stupida a non pensarci, Se vogliamo, sono stato stupido anch’io, credevamo che il Centro non avrebbe scelto più di tre o quattro statuine, e non ci è passato neanche per la testa che la prima ordinazione potesse essere così imponente, Dunque, c’è solo un modo, Proprio così, Modellare le sei statuine che serviranno per i modelli, cuocerle, fare gli stampi, decidere se vogliamo lavorare con barbotina di colaggio o con strati di creta, Per usare la barbotina non mi sembra che abbiamo sufficiente esperienza, sapere teoricamente come si fa non basta, qui abbiamo sempre lavorato con le dita, disse Cipriano Algor, Allora usiamo le dita, Quanto agli stampi, dovremo ordinarli a un carpentiere, Ma prima bisognerà disegnare i profili, disse Marta, e anche i dorsi, è chiaro, Dovrai inventare, Non sarà complicato, alcune semplici linee di orientamento per la base della modellatura. Erano due generali pacifici che studiavano la mappa delle operazioni, elaboravano la strategia e la tattica, calcolavano i costi, valutavano i sacrifici. I nemici da battere sono queste sei statuine, fra il serio e il grottesco, fatte di carta dipinta, bisognerà forzarle alla resa con le armi della creta e dell’acqua, del legno e del gesso, dei colori e del fuoco, e anche con la carezza instancabile delle mani, che non servono, la carezza e le mani, solo per amare. Fu allora che Cipriano Algor disse, A una cosa dovremo fare attenzione, che lo stampo abbia solo due tasselli, anche uno solo in piú ci complicherebbe il lavoro, Credo che due saranno sufficienti, queste statuine

sono molto semplici, avanti e dietro, e basta, non voglio neanche immaginare le difficoltà se mai dovessimo affrontare l’alabardiere e lo schermidore, lo zappatore o il flautista, o il lanciere a cavallo, o il moschettiere col cappello piumato, disse Marta, Oppure lo scheletro con le ali e la falce, o la santissima trinità, disse Cipriano Algor, Aveva le ali, A quale ti riferisci, Allo scheletro, Sì, le aveva, anche se non capisco perché diavolo l’abbiano raffigurata con le ali se è già dappertutto, persino nel Centro, come si è visto stamattina, Suppongo sia dei vostri tempi, notò Marta, quel detto per cui chi parla di barca vuole imbarcarsi, Non è dei miei tempi, ma dei tempi del tuo bisnonno, che non ha mai visto il mare, se il nipote parla tanto di barca è per non dimenticarsi che non vuole farci nessun viaggio, Facciamo una tregua, babbo, Non vedo la bandiera bianca, Eccola, disse Marta, e gli diede un bacio. Cipriano Algor radunò i disegni, il piano di battaglia era tracciato, non restava altro che suonare la tromba e dare l’ordine di assalto, Avanti, mettiamoci all’opera, ma all’ultimo momento vide che mancava un chiodo nel ferro di cavallo dello stato maggiore, insomma, l’esito della guerra sarebbe forse dipeso da questo cavallo, da questo ferro e da questo chiodo, si sa che un cavallo zoppo non porta messaggi, o, se li porta, c’è il rischio che li perda strada facendo. C’è un altro problema, e spero sia l’ultimo, disse Cipriano Algor, Cosa vi è venuto in mente, adesso, Gli stampi, Ne abbiamo già parlato, Abbiamo parlato delle madri degli stampi, solo delle matrici, e quelle sono da conservare, ora si tratta degli stampi da usare, non si può pensare di modellare duecento statuine con uno stampo solo, non resisterebbe per lungo tempo, inizieremmo con un pagliaccio rasato e finiremmo con un’infermiera barbuta. Marta aveva sviato lo sguardo nell’udire le prime parole, sentiva il sangue salirle al viso e non poteva fare niente per costringerlo a tornare allo spessore protettivo delle vene e delle arterie, là dove la vergogna e il pudore si celano di naturalezza e semplicità, la colpa era di quella parola, madre, e delle altre che da essa nascono, mamma, maternità, materno, la colpa era del suo silenzio, Per il momento non parliamone a mio padre, e adesso non poteva tacere, è pur vero che un ritardo di due giorni, o tre, se vogliamo contare anche questo, è niente per la maggior parte delle donne, ma lei era stata sempre precisa, matematica, regolarissima, un pendolo biologico, per così dire, se ci fosse stato il minimo dubbio nel suo spirito non lo avrebbe comunicato subito a Marçal, e adesso cosa fare, il padre è in attesa di una risposta, il padre la sta guardando con espressione stupita, non aveva neppure sorriso alla sua battuta sull’infermiera barbuta, semplicemente non l’aveva sentita, Perché stai arrossendo, impossibile rispondergli che non è vero, che non sta arrossendo, fra poco, si, glielo potrebbe dire, perché improvvisamente comincerà a impallidire, contro questo sangue denunciante e le sue maniere opposte di accusare non c’è altro che valga se non una confessione completa, Babbo, penso di essere incinta, disse, e abbassò gli occhi. Le sopracciglia di Cipriano Algor si aggrottarono di colpo, l’espressione del viso gli passò dallo stupore a una perplessità sorpresa, alla confusione, poi parve cercare le parole più adatte alla situazione, ma non trovò altro che queste, Perché me lo dici ora, perché me lo dici così, è chiaro che lei non risponderà, Me ne sono ricordata all’improvviso, basta con le finzioni, È perché avete pronunciato la parola madre, L’ho detta davvero, Sì, quando avete parlato degli stampi, Hai ragione, ora ricordo. Il dialogo stava scivolando

rapidamente nell’assurdo, nel comico, Marta aveva una voglia matta di ridere, ma all’improvviso le spuntarono le lacrime, i colori le tornarono palesemente sul viso, non è insolito che degli scossoni così opposti, così contrari come questi abbiano modi simili di manifestarsi, Credo di si, babbo, credo di essere incinta, Ancora non ne sei sicura, Sì, ne sono sicura, Perché allora dici credo, Non so, turbamento, nervosismo, è la prima volta che mi capita, Marçal lo sa già, Gliel’ho detto quando è arrivato, Ecco perché eravate tanto diversi dal solito ieri mattina, Ma no, è stata un’impressione vostra, eravamo come sempre, Se immagini che tua madre e io fossimo come sempre quel giorno, Certo che no, scusate. La domanda che Marta vedeva avvicinarsi fin dall’inizio della conversazione alla fine arrivò, E perché non me l’hai detto subito, Avevate già tante preoccupazioni, voi, fin troppe, Mi vedi con una faccia preoccupata, ora che lo so, domandò Cipriano Algor, Non sembrate neanche molto contento, osservò Marta, tentando di sviare il corso della fatalità, Sono contento dentro, davvero molto contento, ma certo non ti aspetterai che mi metta a ballare, non sono il tipo, Vi ho addolorato, Si, mi hai addolorato, se non avessi usato quella parola, madre, per quanto altro tempo avrei continuato a ignorare che mia figlia è incinta, per quanto tempo ti avrei guardato senza sapere che, Per favore, babbo, Probabilmente fino a quando non si fosse notato, fino a quando non avessi cominciato ad avere la nausea, allora sarei stato io a doverti domandare stai-forse-male-hai-la-pancia-gonfia, e tu avresti risposto che-sciocchezza-babbo-sono-incinta-non-ve-l’ho-detto-perdimenticanza, Per favore, babbo, ripeté Marta quasi piangendo, oggi non dovrebbe essere un giorno di lacrime, Hai ragione, mi sto dimostrando egoista, Ma no, Sì, egoista, ma per quanto mi sforzi non riesco a capire perché non me l’hai detto, hai parlato di preoccupazioni, le mie preoccupazioni sono le stesse che hai tu, la fornace, le stoviglie, le statuine, il futuro, chi condivide una cosa condivide anche l’altra. Marta si passò rapidamente le dita sulle guance bagnate, Una ragione c’era, disse, ma è stata una mia puerilità, immaginare sentimenti che molto probabilmente non esistono, e se non esistono non devo intromettermi dove non sono chiamata, Che storia è questa, cosa vuoi dire, domandò Cipriano Algor, ma il tono della sua voce si era alterato, l’allusione a certi sentimenti indefiniti della cui esistenza ora si dubita, ora si è convinti, lo aveva turbato, Sto parlando di Isaura Estudiosa, azzardò Marta come se stesse spingendosi verso un bagno d’acqua fredda, Cosa, esclamò il padre, Pensavo che se siete interessato a lei, come a volte mi è parso, venirvi a dire che state per avere un nipote poteva forse, capisco che è uno scrupolo assurdo, ma non ho potuto evitarlo, Poteva forse, cosa, Non so, farvi ricordare, forse farlo sembrare brutto ai vostri stessi occhi, Cioè, imbecille e ridicolo, Queste sono parole vostre, non mie, In altri termini, il vedovo vecchiardo che se ne va in giro sventolando la sua piuma, lanciando occhiatine tenere a una donna vedova come lui, ma giovane, e tutt’a un tratto compare la figlia del vecchiardo dandogli la notizia che sarà nonno, che sarebbe come dire piantala con questa storia ché non è più il tuo tempo, limitati a portare a spasso il nipotino e a ringraziare il cielo di aver vissuto tanto, Oh, babbo, Ti sarà molto difficile convincermi che non ci fosse qualcosa di molto simile a questo dietro alla tua decisione di tacere ciò che avresti dovuto dirmi subito, Almeno, non avevo cattive intenzioni, Ci mancherebbe altro, Vi chiedo scusa, mormorò Marta

vinta, e il pianto tornò irrefrenabile. Il padre le sfiorò lentamente i capelli con la mano, disse, Lascia stare, il tempo è un maestro di cerimonie che finisce sempre per metterci al posto che ci spetta, noi non facciamo che avanzare, fermarci e retrocedere secondo i suoi ordini, il nostro errore è immaginare che possiamo cambiare i suoi giri. Marta afferrò la mano che si ritraeva, la baciò, se la strinse con forza sulle labbra, Scusate, scusate, ripeteva. Cipriano Algor voleva consolarla, ma le parole che gli uscirono, Lascia stare, in fondo niente ha importanza, sicuramente non furono le più adeguate allo scopo. Uscì nell’aia confuso dall’inevitabile pensiero di essere stato ingiusto con la figlia., e, più ancora, consapevole di avere appena rivelato a se stesso ciò che fino ad oggi si era rifiutato di ammettere, che il suo tempo di uomo era ormai giunto alla fine, che negli ultimi giorni la donna di nome Isaura Estudiosa non era stata altro che una fantasia della sua testa, un inganno volontariamente accettato, un’ultima invenzione dello spirito per consolare la triste carne, un effetto abusivo della smorta luce crepuscolare, un soffio effimero che è passato senza lasciare traccia, la minuscola goccia di pioggia che è venuta e ben presto è seccata. Il cane Trovato si accorse che di nuovo il padrone non era del suo miglior umore, anche ieri, quando era andato a cercarlo nel forno, gli era parsa strana quell’espressione assente di chi considera piacevole pensare a cose che si fatica a capire. Gli sfiorò la mano con il naso freddo e umido, in verità qualcuno avrebbe già dovuto insegnare a questo animale primitivo ad alzare la zampa come sempre finiscono per fare con naturalezza i cani edotti sui precetti sociali, del resto, non si conosce altra maniera di evitare che l’amata mano del padrone rifugga bruscamente dal contatto, prova, in definitiva, che non tutto è risolto nel rapporto fra gli esseri umani e gli esseri canini, chissà che quell’umidità e quella freddezza non risveglino antiche paure nella parte più arcaica del nostro cervello, la viscosità incancellabile di una lumaca gigante, il gelido e sinuoso passaggio di un serpente, l’alito glaciale di una grotta popolata da esseri di un altro mondo. Tant’è che Cipriano Algor ritrasse veramente la mano, anche se il fatto che subito dopo abbia accarezzato la testa di Trovato, come un’ovvia richiesta di scuse, debba essere interpretato come indizio che forse, un giorno, smetterà di reagire così, supponendo, è chiaro, che il tempo di vita in comune di entrambi finisca per essere tanto dilatato da poter generalizzare in abitudine ciò che, per il momento, ancora si manifesta come istintiva repulsione. Il cane Trovato non può comprendere queste sottigliezze, l’uso che fa del suo naso è una cosa naturale, che gli deriva dalla natura, e dunque più sanamente autentica delle strette di mano fra gli umani, per quanto cordiali ci sembrino alla vista e al tatto. Quello che il cane Trovato vuole sapere è dove andrà il padrone quando si deciderà a uscire dall’immobilità mezzo assorta in cui lo vede. Per fargli capire di essere in attesa di una decisione, ripete il tocco con il naso, e visto che Cipriano Algor, subito dopo, ha cominciato a camminare verso il forno, lo spirito animale, che, per quanto si protesti, è il più logico di tutti gli spiriti che si trovino al mondo, ha portato Trovato a concludere che nella vita degli umani una volta non basta. Mentre Cipriano Algor si sedeva pesantemente sulla panchina di pietra, il cane si dedicò a fiutare il grosso masso sotto il quale era comparsa la lucertola, ma le trasparenti preoccupazioni del padrone ebbero più potere sul suo animo che non la seduzione di una dubbiosa battuta di caccia, perciò ben presto andò a

stendersi davanti a lui, pronto a un’interessante conversazione. Le prime parole che il vasaio pronunciò, È finita, precise e laconiche come una sentenza senza attenuanti, non sembravano annunciare ulteriori sviluppi, ma, in casi del genere, la cosa più produttiva per un cane è stata sempre quella di mantenersi in silenzio per tutto il tempo necessario finché il silenzio dei padroni si stanchi, i cani sanno benissimo che la natura umana è chiacchierona per definizione, imprudente, indiscreta, pettegola, incapace di chiudere la bocca e di tenerla chiusa. In realtà, non riusciremo mai a immaginare la profondità abissale cui può giungere l’introspezione di un animale di questo genere quando si mette a guardare verso di noi, crediamo che lui stia facendo semplicemente questo, che stia guardando, e non ci accorgiamo che sembra stia solo guardandoci, mentre è sicurissimo che ci ha visto e dopo averci visto se n’è andato via, ci ha lasciato a sbracciarci come degli idioti alla superficie di noi stessi, a punteggiare di spiegazioni fallaci e inutili il mondo. Il silenzio del cane e quel famoso silenzio dell’universo cui si è fatto in altra occasione teologico riferimento, pur sembrando un paragone impossibile talmente sono sproporzionate le dimensioni materiali e obiettive dell’uno e dell’altro, sono, in fin dei conti, tali e quali in densità e peso specifico a due lacrime, la differenza sta solo nel dolore che le ha fatte spuntare, scivolare e cadere giù. È finita, ripeté Cipriano Algor, e Trovato neanche batté ciglio, fin troppo bene lo sapeva, lui, che quanto era appena finito non era la fornitura di piatti al Centro, questa ormai è acqua passata, adesso si tratta di gonne, e non possono essere altro che quelle di Isaura Estudiosa che lui aveva visto dal furgone quando il padrone era andato a portarle la brocca, una donna bella sia di viso che di aspetto, anche se c’è da osservare che questa opinione non l’ha formulata Trovato, il bello e il brutto sono cose che per lui non esistono, i canoni di bellezza sono ideali umani, Anche se fossi il più brutto degli uomini, direbbe il cane Trovato del suo padrone se parlasse, la tua bruttezza non avrebbe alcun significato per me, mi stupirei veramente solo se cambiassi il tuo odore o se passassi la mano sulla mia testa in un altro modo. L’inconveniente delle divagazioni è la facilità con cui possono distrarre il divagante su cammini deviati, facendogli perdere il filo delle parole e degli avvenimenti, come è appena successo a Trovato, che ha colto la frase seguente di Cipriano Algor quando era già a metà, ed ecco il motivo per cui le manca la maiuscola, come si noterà., non la cercherò più, aveva concluso il vasaio, è chiaro che non si riferiva alla suddetta maiuscola, dal momento che quando parla non le usa, ma alla donna chiamata Isaura Estudiosa, con cui, da questo momento, ha rinunciato ad avere alcun tipo di rapporto, Mi stavo comportando come uno stupido ragazzino, d’ora in poi non la cercherò più, questa è stata la frase completa, ma il cane Trovato, sia pur non osando dubitare di quel poco che aveva udito, non poté fare a meno di notare che la malinconia sul viso del padrone contrastava apertamente la determinazione delle parole, ma noi sappiamo che la decisione di Cipriano Algor è ferma, Cipriano Algor non cercherà più Isaura Estudiosa, Cipriano Algor è grato alla figlia per avergli fatto vedere la luce della ragione, Cipriano Algor è un uomo fatto, rifatto e ancora non disfatto, non certo uno di quei ragazzotti tonti che, solo perché sono nell’età degli entusiasmi impulsivi, passano il tempo rincorrendo fantasie, fumi e immaginazioni, e non vi rinunciano neanche

quando sbattono con la testa e con i sentimenti che ritenevano di avere contro il muro degli impossibili. Cipriano Algor si alzò dalla panchina di pietra, sembrava che gli costasse issare il corpo, e non c’è da stupirsi, perché non è lo stesso il peso di ciò che l’uomo sente e quello che registrerebbe la meccanica della bilancia, a volte di più, altre volte di meno. Cipriano Algor ora entrerà in casa, ma, al contrario di quanto si è annunciato prima, non ringrazierà la figlia di avergli fatto vedere il lume della ragione, non si può chiedere tanto a un uomo che ha appena rinunciato a un sogno, sia pure così a portata di mano com’era questo, una semplice vicina vedova, dirà invece che andrà a ordinare al carpentiere le formette, non che sia questa la più urgente delle cose da fare, ma si guadagnerà pur sempre un po’ di tempo, ché in fatto di scadenze non c’è mai stato da fidarsi né di carpentieri né di sarti, almeno era così nel passato, col pronto a vestire e il fai da te il mondo è cambiato molto. Siete ancora arrahbiato con me, domandò Marta, Non mi sono arrabbiato, è stata solo una piccola delusione, ma non continueremo certo a parlarne per il resto della vita, tu e Marçal avrete un figlio, io avrò un nipote, e tutto andrà per il meglio, ogni cosa al suo posto, ormai era ora di finirla con le fantasie, quando tornerò ci siederemo a pianificare il lavoro, dovremo approfittare il più possibile di questa settimana, la prossima sarò occupato con il trasporto delle stoviglie, almeno per buona parte del giorno, Andate con il furgone, disse Marta, cercate di non stancarvi, Non ne vale la pena, la falegnameria non è lontana. Cipriano Algor chiamò il cane, Andiamo, amico, e Trovato lo seguì, Può darsi che la incontri, pensava. I cani sono così, quando ne hanno voglia pensano per conto dei padroni. 10. Le sentite ragioni di lamentela di Cipriano Algor contro l’impietosa politica commerciale del Centro, ampiamente presentate in questo racconto da un punto di vista di confessata simpatia di classe che tuttavia, crediamo noi, in nessun momento si è allontanata dalla più rigorosa imparzialità di giudizio, non potranno far dimenticare, ancorché rischiando di attizzare inopportunamente il sopito falò degli storici rapporti conflittuali fra capitale e lavoro, non potranno far dimenticare, dicevamo, che il tal Cipriano Algor si porta appresso in tutto ciò alcune colpe proprie, la prima delle quali, ingenua, innocente, ma, come tante volte è successo all’innocenza, all’ingenuità, radice maligna delle altre, è stata quella di pensare che certi gusti e necessità dei contemporanei del nonno fondatore, in materia di prodotti ceramici, si sarebbero mantenuti inalterati per omnia saecula saeculorum o, per lo meno, durante la sua vita, il che significa la stessa cosa, a ben notare. Si era già visto come la creta sia impastata qui nella più artigianale delle maniere, si era già visto come siano rustici e quasi primitivi questi torni, si era già visto come il forno là fuori conservi ancora tratti di un’antichità inammissibile in un’epoca moderna che, nonostante i flagranti difetti e le intolleranze che la caratterizzano, ha avuto la benevolenza di ammettere fino ad ora l’esistenza di una fornace come questa quando esiste un Centro come quello. Cipriano Algor si lamenta, si lamenta, ma non sembra comprendere che leterrecotte impastate non è più così che s’immagazzinano, che alle industrie ceramiche basilari di oggi manca ormai poco per convertirsi in laboratori con impiegati in camice bianco che prendono appunti e robot

immacolati che compiono il lavoro. Qui, per esempio, mancano clamorosamente gli igrometri per misurare l’umidità dell’ambiente e dispositivi elettronici competenti per mantenerla costante, correggendola ogni qualvolta ecceda o sia carente, non si può più lavorare a occhio né a palmo, per palpazione o fiutando, secondo gli antiquati procedimenti tecnologici di Cipriano Algor, che ha appena comunicato alla figlia con l’aria più naturale del mondo, L’impasto è buono, umido e plastico al punto giusto, facile da lavorare, orbene, ci domandiamo noi, come potrà essere tanto sicuro di ciò che dice se gli ha solo posato sopra il palmo della mano, se solo ha stretto e mosso un po’ d’impasto fra il pollice, da una parte, e l’indice e il medio dall’ altra, come se, a occhi chiusi, tutto concentrato sul senso interrogatorio del tatto, stesse valutando, non una mistura omogenea di argilla rossa, caolino, silice e acqua, ma l’ordito e la trama di una seta. La cosa più probabile, come uno di questi ultimi giorni abbiamo avuto modo di osservare e proporre alla riflessione, è che lo sappiano le sue dita, e non lui. In ogni caso, il verdetto di Cipriano Algor deve concordare con la realtà fisica della creta, visto che Marta, molto più giovane, molto più moderna, molto più di questo tempo, e che, come sappiamo, anche in queste arti non ha alcuna pecca, è passata senza obiezioni a un altro argomento, domandando al padre, Pensate che questa quantità sarà sufficiente per mille e duecento statuine, Penso di si, ma farò in modo di aumentarla. Passarono in quella parte della fornace dove si tenevano i colori e i materiali vari per le rifiniture, verificarono le quantità esistenti, annotarono le mancanze, Avremo bisogno di altri colori, oltre a questi che abbiamo, disse Marta, le statuine devono essere attraenti per l’occhio, E c’è bisogno di gesso per gli stampi, e saponaria ceramica, e petrolio per le vernici, aggiunse Cipriano Algor, andare a prendere tutto in una volta ciò che manca, così non dovremo interrompere il lavoro per correre a far spese. Marta aveva assunto all’improvviso un’aria pensierosa, Che c’è, domandò il padre, Abbiamo un problema molto serio, Quale, Avevamo deciso che si sarebbe fatto il riempimento delle formette a mano, Esattamente, Ma non abbiamo parlato della fabbricazione delle figure propriamente dette, sarà impossibile fare mille e duecento statuine a mano, gli stampi non reggerebbero, e il lavoro non procederebbe, sarebbe come voler vuotare il mare con un secchio, Hai ragione, Il che significa che saremo costretti a ricorrere al riempimento con barbotina, Non abbiamo grande esperienza, ma siamo ancora in tempo per imparare, Il problema peggiore non è questo, babbo, Allora, Mi ricordo di aver letto, il libro dev’essere ancora in giro, che per fare una barbotina di colaggio non è conveniente usare un impasto di cottura rossa in cui vi sia caolino, e nel nostro c’è, almeno nel trenta per cento, Questa testa non serve più a molto, come ho fatto a non pensarci, Non accusatevi da solo, noi non siamo abituati a lavorare con la barbotina, Infatti, ma sono le conoscenze basilari della ceramica, l’abbiccì del mestiere. Si guardarono l’un l’altra sconcertati, non erano né padre né figlia, né futuro nonno né futura madre, erano due semplici vasai a rischio di fronte al compito smisurato di dover estrarre dalla creta impastata il caolino e poi ridurne il grasso introducendovi dell’argilla magra di cottura rossa. Tanto più che una simile operazione di alchimia, semplicemente, non è possibile. Che facciamo, domandò Marta, andiamo a vedere sul libro, forse, Non ne vale la pena, non si può estrarre il caolino dalla creta e neppure neutralizzarlo, quello

che sto dicendo non ha alcun senso, come si potrebbe togliere o neutralizzare il caolino, mi domando, l’unica soluzione sarà di preparare dell’altra creta con i componenti giusti, Non c’è tempo, babbo, Credo tu abbia ragione, non c’è tempo. Uscirono dalla fornace, due figure prostrate cui Trovato non tentò neppure di avvicinarsi, e adesso stavano seduti in cucina, guardavano i disegni che guardavano verso di loro, e non vedevano come poter uscire da quel vicolo cieco, sapevano per esperienza che le terrecotte grasse tendono a rapprendersi troppo, si fendono, si deformano, sono eccessivamente plastiche, tenere, molli, ma ignoravano quale risultato ciò avrebbe potuto comportare per la barbotina e soprattutto quali conseguenze negative avrebbe avuto in seguito sul lavoro finito. Marta cercò e trovò il libro, c’era scritto che per preparare la barbotina non è sufficiente sciogliere la creta nell’acqua., bisogna usare dei deflocculanti, come ad esempio il silicato di sodio, o il carbonato di sodio, o il silicato di potassio, anche la soda caustica se non fosse tanto pericoloso maneggiarla, la ceramica è l’arte in cui è veramente impossibile separare la chimica dai suoi effetti fisici e dinamici, ma quello su cui il libro non dà informazioni è cosa succederà alle mie statuine se le fabbricherò con l’unica creta che possiedo, e non ci sarà altro rimedio, l’altro problema è la quantità, se fossero poche si riempirebbero gli stampi a mano, ma mille e duecento, madonna mia. Se ben intendo, disse Cipriano Algor, i requisiti principali cui deve rispondere la barbotina di colaggio sono la densità e la fluidità, Lo spiega qui, Allora leggi, dài, Sulla densità, l’ideale è uno virgola sette, in altre parole, un litro di barbotina usa mille e settecento grammi, in mancanza di un densimetro adeguato, se vuoi conoscere la densità della tua barbotina usa una provetta e una bilancia, togliendo, naturalmente, il peso della provetta, E quanto alla fluidità, Per misurare la fluidità si usa il viscosimetro, ce n’è di vari tipi, ognuno dei quali fornisce letture con scale basate su diversi criteri, Non aiuta molto, quel libro, Invece sì, state attento, Certo, Uno tra quelli di uso più frequente è il viscosimetro a torsione la cui lettura avviene in gradi Gallenkamp, Chi è costui, Qui non lo dice, Continua, Secondo questa scala, la fluidità ideale è situata fra i duecentosessanta e i trecentosessanta gradi, Non trovi niente alla portata del mio intelletto, domandò Cipriano Algor, Ora viene, disse Marta, e lesse, Nel nostro caso useremo un metodo artigianale, empirico e impreciso, ma in grado, con la pratica, di dare un’indicazione approssimativa, Qual è questo metodo, Immergere la mano profondamente nella barbotina ed estrarla, lasciando scivolare la barbotina lungo la mano aperta, la fluidità sarà ritenuta buona quando, nello scorrere, formerà fra le dita una membrana come quella delle papere, Come quella delle papere, Si, come quella delle papere. Marta mise da parte il libro e disse, Non abbiamo ottenuto granché, Abbiamo ottenuto pur sempre qualcosa, ormai sappiamo che non potremo lavorare senza deflocculante e che, fino a quando non otterremo le membrane da papera non avremo una barbotina di colaggio che funzioni, Meno male che siete di buonumore, L’umore è come le maree, ora sale, ora scende, il mio adesso è salito, vedremo quanto tempo durerà, Deve durare, questa casa è nelle vostre mani, La casa, si, ma non la vita, Sta già calando tanto in fretta la marea, domandò Marta, In questo momento esita, è in dubbio, non sa bene se deve salire o scendere, Allora rimanete con me, che mi sento fluttuare, come se non fossi sicura di essere quella che credo di essere, A volte penso che forse

è preferibile non sapere chi siamo, disse Cipriano Algor, Come Trovato, Si, immagino che un cane conosca meno di se stesso che del padrone che ha, non è neppure capace di riconoscersi in uno specchio, Forse lo specchio del cane è il suo padrone, forse soltanto in lui gli è possibile riconoscersi, suggerì Marta, Bella idea, Come vedete, anche le idee sbagliate possono essere belle, Se gli affari della fornace andranno male, alleveremo cani, Nel Centro non ci sono cani, Povero Centro, che non lo vogliono neanche i cani, È il Centro a non volerli, È un problema che potrà interessare solo a chi ci vive, tagliò corto Cipriano Algor con voce stizzita. Marta non rispose, avvertiva che qualsiasi parola avesse detto sarebbe potuta servire da appiglio per una nuova discussione. Mentre andava riordinando ancora una volta gli stanchi disegni, pensò, Se domani Marçal arriva a casa e dice che è diventato guardiano residente, che ci dobbiamo trasferire, quello che stiamo facendo non avrà più senso, tant’è che il babbo ci accompagni o no, in un modo o nell’altro la fornace sarà comunque condannata, anche se insistesse a rimanere non potrebbe lavorare da solo, lo sa anche lui. Quali, invece, siano stati i pensieri di Cipriano Algor, si ignora, e del resto non vale la pena mettersi qui a inventarne qualcuno che potrebbe non coincidere con quelli reali ed effettivi, tuttavia, supponendo che la parola, in definitiva, non sia stata data all’uomo per nascondere ciò che pensa, qualcosa di molto approssimativo ci sarà lecito dedurlo da ciò che il vasaio disse, dopo un lungo silenzio, Il male non è avere un’illusione, il male è illudersi, probabilmente aveva pensato la stessa cosa della figlia e la conclusione di una sarebbe dovuta essere, per forza di logica, la conclusione dell’altro. In ogni modo, soggiunse Cipriano Algor, senza rendersene conto, o forse si, forse nel preciso momento in cui le pronunciò si accorse delle sfumature sibilline di quelle tre parole iniziali, barca ferma non fa viaggio, qualsiasi cosa succederà domani oggi bisogna lavorare, anche chi pianta un albero non sa se ci finirà impiccato, Con un tale umor nero la nostra barchetta non uscirà davvero, disse Marta, ma avete ragione, il tempo non se ne rimane li seduto ad aspettare, dobbiamo metterci al lavoro, il mio compito, subito, è quello di disegnare i laterali e i dorsi delle figure e colorarle, conto di finirle prima di sera se nessuno verrà a distrarmi, Non aspettiamo visite, disse Cipriano Algor, mi occuperò io del pranzo, Basta solo scaldarlo, è sufficiente che prepariate un’insalata, disse Marta. Andò a prendere i fogli di carta da disegno, gli acquerelli, i vasetti, i pennelli, un vecchio straccio per asciugarli, dispose tutto in bell’ordine, metodicamente, sul tavolo, si sedette e avvicinò a sé l’assiro con la barba, Comincio da questo, disse, Cerca di semplificare più che puoi in modo che non vi siano inchiodature o ancoraggi al momento dell’estrazione dalla forma, due tasselli e basta, un terzo tassello sarebbe già fuori della nostra portata, Non lo dimenticherò. Cipriano Algor si trattenne alcuni minuti a guardare la figlia che disegnava, poi si avviò verso la fornace. Andava a misurarsi con la creta, a cimentarsi con i pro e i contro di un nuovo riapprendere, a rifarsi la mano intorpidita, a modellare un certo numero di figure di prova che non siano, apertamente, né buffoni né pagliacci, né eschimesi né infermiere, né assiri né mandarini, figure di cui qualsiasi persona, uomo o donna, giovane o vecchia, guardandole, potesse dire, Mi somigliano. E chissà che una di quelle persone, uomo o donna, giovane o vecchia, per il gusto e forse per la vanità di portarsi a casa una rappresentazione tanto fedele

dell’immagine che ha di se stessa, non venga alla fornace e domandi a Cipriano Algor quanto costa quella statuina là, e Cipriano Algor dirà che quella non è in vendita, e la persona domanderà perché, e lui risponderà, Perché sono io. Scendeva la sera, ben presto sarebbe stato l’imbrunire, quando Marta entrò nella fornace e disse, Ho finito, li ho lasciati ad asciugare sul tavolo della cucina. Subito dopo, avendo notato il lavoro eseguito dal padre, due figurine incompiute di quasi due palmi di altezza, erette, una maschile, l’altra femminile, entrambe nude, con la punta di un fil di ferro che usciva dalla spalla di una, commentò, Niente male, babbo, niente male, ma non c’è bisogno che le nostre statuine siano tanto grandi, ricordatevi che si era pensato a un palmo dei vostri, Converrà che siano un po’ più grandi, daranno più nell’occhio negli scaffali del Centro, e inoltre bisogna tener conto della riduzione delle dimensioni nel forno per via della perdita d’acqua, per il momento sono soltanto delle prove, Comunque mi piacciono, mi piacciono molto, e non somigliano a niente che abbia già visto, in ogni caso la donna mi ricorda qualcuno, Come la mettiamo, domandò Cipriano Algor, tu dici che non somigliano a niente che abbia già visto e aggiungi che la donna ti ricorda qualcuno, È un’impressione duplice, di estraneità e di familiarità, Forse non devo allevare cani, forse mi dedicherò alla scultura, che è una tra le arti più lucrose, a quanto ho sentito dire, Una esemplare famiglia di artisti, notò Marta con un sorriso leggermente ironico, Fortunatamente, si salva Marçal in modo che non sia tutto perduto, rispose Cipriano Algor, ma non sorrise. Questo fu il primo giorno della creazione. Il secondo giorno il vasaio si recò in città per comprare il gesso ceramico destinato agli stampi, più il carbonato di sodio, l’unica cosa che trovò come deflocculante, le vernici, alcuni secchi di plastica, tavolette nuove di legno e fil di ferro, spatole, sacchi per la spazzatura. Il problema delle vernici era stato oggetto di accesa discussione durante e dopo la cena di quel primo giorno, e il punto controverso era se i pezzi dovessero andare in forno una volta dipinti, o se, al contrario, fossero da dipingere dopo essere stati cotti e non tornare più nel forno. In un caso, ci sarebbero volute certe vernici, nell’altro ce ne sarebbero volute delle altre, pertanto la decisione andava presa subito, non si poteva rimandare all’ultimo momento, con il pennello già in mano, È una questione di estetica, sosteneva Marta, È una questione di tempo, ribatteva Cipriano Algor, e di sicurezza, Dipingere e infornare conferirà maggiore qualità e brillantezza al lavoro, insisteva lei, Ma se dipingiamo a freddo eviteremo spiacevoli sorprese, il colore che useremo sarà quello definitivo, non saremo dipendenti dall’azione del calore sui pigmenti, tanto più che il forno a volte è capriccioso. Prevalse l’opinione di Cipriano Algor, le tinte da comprare sarebbero state, quindi, quelle conosciute nel mercato della specialità come smalto per ceramica, di facile applicazione e rapida essiccatura, con una grande varietà di colori, e quanto al diluente, indispensabile visto che la densità originale della vernice è, normalmente, eccessiva, a meno che non si voglia usare un diluente sintetico, può servire anche il petrolio da illuminazione, o da lume. Marta riaprì il libro dell’arte, cercò il capitolo sulla pittura a freddo e lesse, Si applica sui pezzi già cotti, il pezzo sarà levigato con carta vetrata sottile, in modo da eliminare qualsiasi sbavatura o altro difetto di rifinitura, rendendone la superficie più uniforme e consentendo una migliore adesione del colore nelle zone in cui il

pezzo sia risultato eccessivamente cotto, Scartavetrare mille e duecento statuine sarà un lavoro che lèvati, Terminata questa operazione, proseguì Marta leggendo, bisogna eliminare tutte le tracce della polvere prodotta dalla scartavetratura, usando un compressore, Noi non abbiamo un compressore, la interruppe Cipriano Algor, O, quantunque più lento, ma preferibile, un raschiatoio dal pelo duro, I vecchi procedimenti hanno ancora i loro vantaggi, Non sempre, intervenne Marta, e proseguì, Come succede per quasi tutte le vernici del genere, lo smalto per ceramica non si mantiene omogeneo nella latta per lungo tempo, perciò bisogna mescolarlo bene prima dell’applicazione, Questo è elementare, lo sanno tutti, vai avanti, I colori potranno essere applicati direttamente sul pezzo, ma se ne migliorerà l’adesione se si comincerà con lo stendere un fondo, normalmente di bianco opaco, Non ci avevamo pensato, È difficile pensare quando non si sa, Non sono d’accordo, si pensa proprio perché non si sa, Rimandate questa appassionante questione a un altro momento, e ascoltatemi, Non faccio altro, La base di fondo può essere data a pennello, ma potrà risultare vantaggioso applicarla con la pistola al fine di ottenere uno strato più levigato, La pistola non ce l’abbiamo, O tramite immersione, Questa è la maniera classica, di tutta la vita, quindi immergeremo, Il procedimento avverrà a freddo, Benissimo, Una volta dipinto e asciutto, il pezzo non deve né può essere sottoposto ad alcun tipo di cottura, Te lo dicevo io, si risparmia un sacco di tempo, Ci sono ancora altre raccomandazioni, ma la più importante è che si deve lasciare asciugare bene un colore prima di applicare il seguente, salvo se non si desiderino effetti di sovrapposizione e fusione, Noi non vogliamo né effetti né trasparenze, vogliamo rapidità, non è mica pittura a olio, In ogni caso, la veste del mandarino meriterebbe un trattamento più meticoloso, ricordò Marta, badate come lo stesso disegno richieda maggiore diversità e ricchezza di colori, Semplificheremo. Questa parola pose fine alla discussione, ma rimase presente nello spirito di Cipriano Algor mentre faceva gli acquisti, prova ne sia che all’ultimo momento acquistò una pistola per verniciare. Data la dimensione delle statuine, non servirebbe a niente un fondo spesso, spiegò poi alla figlia, penso che la pistola renderà un miglior servizio, uno spruzzo intorno alla statuina, ed è fatta, Ci serviranno delle maschere, disse Marta, Le maschere sono care, non abbiamo soldi per i lussi, Non è un lusso, è una precauzione, respireremo in mezzo a una nuvola di vernice, Alla difficoltà c’è rimedio, Quale, Farò questa parte del lavoro fuori, all’aria aperta, il tempo è stabile, Perché dite farò, e non faremo, domandò Marta, Tu sei incinta, io no, che si sappia, Vi è tornato il buonumore, caro babbo, Faccio quello che posso, capisco che ci sono cose che mi stanno sfuggendo di mano e altre che minacciano di farlo, il mio problema è distinguere fra quelle per cui vale ancora la pena lottare e quelle che bisogna lasciar andare senza pena, O con pena, La pena peggiore, figlia mia, non è quella che si sente al momento, è quella che si sentirà dopo, quando non c’è più rimedio, Si dice che il tempo cura tutto, Non viviamo abbastanza per averne la prova, disse Cipriano Algor, e nello stesso istante si rese conto che stava lavorando al tornio sul quale la moglie si era accasciata quando l’attacco cardiaco l’aveva fulminata. Allora, costretto dalla propria onestà morale, si domandò se nelle pene generali di cui aveva parlato non fosse inclusa anche questa morte, o se fosse vero che il tempo aveva fatto, in

questo caso particolare, il proprio lavoro di curatore emerito, o, ancora, se la pena invocata non fosse in definitiva di morte, ma di vita, ma di vite, la tua, la mia, la nostra, o di chi altro. Cipriano Algor modellava l’infermiera, Marta era occupata con il pagliaccio, ma né l’uno né l’altra si sentivano soddisfatti dei tentativi, uno dopo l’altro, forse perché copiate, in fin dei conti, è più difficile che creare liberamente, o almeno così avrebbe potuto dire Cipriano Algor, che con tanta veemenza e scioltezza aveva concepito le due figure di uomo e di donna che sono là, avvolte in panni bagnati perché non gli si essicchi. e crepi lo spirito che le mantiene in piedi, statiche eppure vive. Per Marta e Cipriano Algor non finirà tanto presto questo sforzo, parte della creta con cui stanno modellando una statuina proviene da altre che hanno dovuto spregiare e impastare, così è con tutte le cose di questo mondo, persino le parole, che non sono cose, che si limitano a designarle al meglio che possono, e nel designarle le modellano, anche se hanno servito in maniera esemplare, supponendo che ciò possa avvenire, milioni di volte sono usate e altrettante buttate fuori, e poi noi, umili, con la coda fra le gambe come il cane Trovato quando si rannicchia per la vergogna, dobbiamo andare a cercarle di nuovo, creta pestata che sono anch’esse, impastata e masticata, deglutita e restituita, l’eterno ritorno esiste davvero, sissignore, ma non è quello, è questo. Il pagliaccio modellato da Marta forse può andare, anche il buffone si avvicina abbastanza alla realtà dei buffoni, ma l’infermiera, che sembrava tanto semplice, tanto scarna, tanto regolare, resiste a far apparire il volume dei seni sotto la creta, come se fosse avvolta anche lei in un panno bagnato di cui tenesse saldamente le punte. Quando la prima settimana di creazione starà quasi per concludersi, quando Cipriano Algor passerà alla prima settimana di distruzione, caricando le stoviglie dal deposito del Centro e abbandonandole come spazzatura senza utilità, allora sì che le dita dei due vasai, al tempo stesso libere e disciplinate, cominceranno finalmente a inventare e tracciare il cammino retto che li condurrà al volume esatto, alla linea giusta, al piano armonioso. I momenti non arrivano mai né tardi né presto, arrivano alla loro ora, non alla nostra, non dobbiamo ringraziarli per le coincidenze, quando capitino, tra ciò che avevano da proporre e ciò di cui necessitavamo. Per ben metà della giornata in cui il padre sarà occupato nell’assurdo lavoro di scaricare in quanto inutile ciò che ha caricato in quanto superfluo, Marta starà da sola in fornace con la sua mezza dozzina di statuine praticamente terminate, occupata adesso a ravvivare un angolo smussato e arrotondare una curva che un tocco involontario potrebbe aver depresso, appaiando altezze, consolidando basi, calcolando per ciascuna delle statuette la linea ottimale di divisione dei rispettivi tasselli. Le formette non le ha ancora consegnate il carpentiere, il gesso aspetta dentro i suoi grossi sacchi di carta spessa impermeabile, ma il tempo della moltiplicazione ormai si avvicina. Quando Cipriano Algor tornò a casa quel primo giorno della settimana di distruzione, più indignato per l’affronto che esausto per lo sforzo, aveva da raccontare alla figlia la ridicola avventura di un uomo che batteva i campi in cerca di un luogo ermo dove poter scaricare quel mucchio di cocci inutili che trasportava, come se si trattasse dei propri escrementi, Con i calzoni calati, diceva, è così che mi sono sentito, per due volte mi sono spuntate davanti delle persone domandandomi cosa stavo facendo li, in un terreno privato, con

un furgone stracolmo di stoviglie, ho dovuto impappinare qualche spiegazione, ho detto che dovevo imboccare una strada poco più avanti e avevo pensato fosse quello il cammino per arrivarci, che mi scusassero, per favore, e già che ci siamo, se c’è qualcosa che piace di quello che ho nel furgone, lo regalerò con il massimo piacere, uno di loro non ha voluto niente, ha risposto in malo modo che a casa sua cose del genere non le usa neanche per gli animali, ma l’altro ha trovato graziosa una terrina e se l’è presa, E alla fine dove le avete lasciate le stoviglie, Vicino al fiume, Dove, Avevo pensato che un fosso naturale sarebbe stata la cosa più adeguata, ma comunque c’era pur sempre l’inconveniente che rimanevano in vista di eventuali passanti, allo scoperto, avrebbero riconosciuto subito il prodotto e il fabbricante, e come vergogna e umiliazione ci basta già quella che abbiamo, Personalmente non mi sento umiliata né vergognosa, Forse ti ci sentiresti se fossi stata al mio posto fin dal principio, È probabile, si, e allora cosa avete trovato, Proprio il fosso ideale, Ci sono fossi ideali, domandò Marta, Dipende sempre da quello che ci si vuole mettere dentro, immagina in questo caso una buca grande, più o meno circolare, di circa tre metri di profondità e dentro la quale si scende con una rampa dolce, piena di alberi e arbusti, guardando da fuori è come un’isola verde in mezzo alla campagna, d’inverno si riempie d’acqua, c’è ancora una pozza nel fondo, Si trova a un centinaio di metri dalla sponda del fiume, disse Marta, Lo conosci anche tu, domandò il padre, Si, l’ho scoperto quando avevo dieci anni, era davvero il fosso ideale, ogni volta che ci entravo mi sembrava di attraversare una porta verso l’altro mondo, C’era già quando io avevo la tua età, E quando doveva averla mio nonno, E quando ce l’aveva il mio, Alla fine tutto si perde, babbo, per tanti anni quel fosso è stato solo un fosso, e anche una porta magica per alcuni bambini sognatori, e adesso, riempito di stoviglie, non è più né una cosa né l’altra, I cocci non sono poi così tanti, figliola, la vegetazione li coprirà in poco tempo, non si vedranno neanche, Allora ci avete lasciato tutto, Sì, Almeno sono rimasti vicino all’abitato, uno di questi giorni uno dei ragazzini del posto, ammesso che siano ancora frequentatori del fosso ideale, si presenterà a casa con un piatto crepato, gli domanderanno dove lo ha trovato, e vedrete che tutti andranno di corsa a prendere ciò che ora non vogliono, Siamo fatti così, non me ne stupirei. Cipriano Algor finì la tazza di caffè che la figlia gli aveva messo davanti quando era arrivato e domandò, Si è fatto vivo il carpentiere, No, Devo andare a sollecitarlo, Credo di si, che sia meglio. Il vasaio si alzò, Vado a lavarmi, disse, faccio due passi, e subito dopo si fermò, Cos’è questo, domandò, Questo, cosa, Questo, indicava un piatto coperto da un tovagliolo ricamato, E un dolce, Hai fatto un dolce, Non l’ho fatto io, ce lo hanno portato, è un regalo, Di chi, Indovinate, Non sono in vena di indovinelli, Guardate che questo è facile. Cipriano Algor si strinse nelle spalle come per mostrare che si disinteressava dell’argomento, disse di nuovo che andava a lavarsi, ma non si decise, non fece quel passo che lo avrebbe fatto uscire dalla cucina, nella sua testa si era acceso un dibattito fra due vasai, l’uno sosteneva che è nostro dovere comportarci con naturalezza in tutte le circostanze della vita, che se qualcuno è stato così amabile da portarci a casa un dolce coperto da un tovagliolo ricamato, la cosa più pertinente e normale è domandare a chi si debba l’inattesa generosità, e, se in risposta ci propongono di indovinarlo, più che sospetto sarà il fingere di non aver udito, questi piccoli

giochi di famiglia e di società non hanno grande importanza, nessuno si metterà a trarre conclusioni affrettate dal fatto che abbiamo indovinato, soprattutto perché le persone che credono di aver motivi per omaggiarci con un dolce non potranno mai essere molte, a volte è una sola, e questo era ciò che diceva uno dei vasai, ma l’altro rispondeva che non era disposto ad assumersi il ruolo di complice in falsi indovinelli da circo, che l’esser sicuro di conoscere il nome della persona che aveva portato il dolce era proprio la ragione per cui non lo avrebbe detto, e inoltre che, per lo meno in alcuni casi, la peggiore delle conclusioni non è tanto che siano occasionalmente affrettate, ma che siano, semplicemente, delle conclusioni. Allora, non volete indovinare, insistette Marta, sorridendo, e Cipriano Algor, leggermente irritato con la figlia e molto con se stesso, ma consapevole che l’unica maniera di fuggire dal buco in cui si era ficcato con i propri piedi sarebbe stata quella di riconoscere il fallimento e fare marcia indietro, pronunciò, agitato, e avvolgendolo con altre parole, un nome, È stata la vedova, la vicina, Isaura Estudiosa, per ringraziare della brocca. Marta negò con un lento movimento del capo, Non si chiama Isaura Estudiosa, corresse, il suo nome è Isaura Madruga, Ah, bene, fece Cipriano Algor, e pensò che non avrebbe più avuto bisogno di domandare all’interessata Qual è il suo nome da nubile, ma immediatamente rammentò a se stesso che, seduto sulla panchina di pietra accanto al forno e con il cane Trovato come testimone, aveva preso la decisione di considerare inutili e nulli tutti i detti e i fatti espressi e intercorsi fra sé e la vedova Estudiosa, non dimentichiamo che le parole pronunciate furono precisamente È finita, non si conclude in modo tanto perentorio un episodio della vita sentimentale per dare due giorni dopo il detto per non detto. L’effetto immediato di queste riflessioni fu che Cipriano Algor assunse un’aria distaccata e superiore, e con tale convinzione che, senza che la mano gli tremasse, poté andare ad alzare il tovagliolo, Ha un bell’aspetto, disse. Fu in quel momento che Marta ritenne di aggiungere, In un certo senso è un regalo di commiato. La mano si abbassò lentamente, lasciò cadere delicatamente il tovagliolo sul dolce a forma di corona circolare, Commiato, Marta udì domandare, e rispose, Sì, nel caso non trovi un lavoro qui, Lavoro, State ripetendo le mie parole, babbo, Non sono affatto un’eco, non sto ripetendo le tue parole. Marta non fece caso alla risposta, Abbiamo preso un caffè, io volevo iniziare il dolce, ma lei non lo ha permesso, è stata qui più di un’ora, abbiamo chiacchierato, mi ha raccontato un po’ della sua vita, la storia del suo matrimonio, non c’è stato tempo per sapere se quella era felicità o se stava per non esserlo più, sono parole sue, non mie, insomma, se non troverà un lavoro se ne tornerà al paese da cui è venuta e dove ha famiglia, Qui non c’è lavoro per nessuno, disse Cipriano Algor seccamente, Lo crede anche lei, ed ecco perché il dolce è come la prima metà di un commiato, Spero di non essere in casa al momento della seconda, Perché, domandò Marta. Cipriano Algor non rispose. Uscì dalla cucina e andò nella sua stanza, si svestì rapidamente, lanciò un’occhiata a ciò che lo specchio del comò gli mostrava del suo corpo e s’infilò sotto la doccia. Un po’ di acqua salata si mescolò all’acqua dolce che scorreva dalla cipolla.

11. Con piacevole e tranquillizzante unanimità sul significato della parola, i dizionari definiscono come ridicolo tutto quanto si mostri degno di riso e beffa, tutto ciò che meriti scherno, tutto ciò che sia irrisorio, tutto ciò che si presti al comico. Per i dizionari, la circostanza sembra non esistere, quantunque, obbligatoriamente chiamati a spiegare in che consiste, la definiscano stato o particolarità che accompagna un fatto, il che, fra parentesi, chiaramente ci consiglia di non separare dai fatti le loro circostanze e di non giudicare quelli senza ponderare queste. Sia dunque ridicolo in modo supino questo Cipriano Algor che si affanna a scendere il pendio del fosso trasportando a braccia le indesiderate stoviglie invece di lanciarle a caso dall’alto, riducendole all’istante in cocci, che è come spregiatamente le ha classificate quando ha descritto alla figlia i tramiti e gli episodi della traumatica operazione di trasporto. Al ridicolo, però, non vi sono limiti. Se un giorno, come ha immaginato Marta, un ragazzino del paese recupererà dalle macerie e porterà a casa un piatto crepato, potremo star certi che il fastidioso difetto c’era già in magazzino, o che, per via dell’inevitabile cozzare degli oggetti provocato dalle irregolarità della strada, doveva essere successo durante il trasporto dal Centro fino al fosso. Basta vedere con quante precauzioni Cipriano Algor scende ogni volta il declivio, con quanta attenzione deponga al suolo i vari pezzi di ceramica, come li disponga fratelli con fratelli, come li incastri quandoè possibile e consigliabile, basterà vedere la scena ridicola che si offre ai nostri occhi per essere autorizzati ad affermare che qui non si è spaccato un solo piatto, né ha perso il manico nessuna tazza, né alcuna teiera è rimasta senza il suo becco. Le stoviglie impilate coprono a file regolari quel canto di terreno prescelto, circondano i tronchi degli alberi, s’insinuano nella vegetazione bassa, come se in qualche libro dei grandi ci fosse scritto che solo in questa maniera dovrebbero restare ordinate fino al consumarsi del tempo e all’improbabile resurrezione dei resti. Si dirà che il comportamento di Cipriano Algor è ridicolo in assoluto, ma anche in questo caso sarebbe bene non dimenticare l’importanza decisiva del punto di vista, e stavolta ci riferiamo a Marçal Gacho che, tornato a casa nel suo giorno di riposo, e compiendo ciò che normalmente s’intende per doveri elementari di solidarietà familiare, non solo ha aiutato il suocero a scaricare le stoviglie ma anche, senza dar mostra di stupore o dubbiosa perplessità, senza domande dirette o tergiverse, senza sguardi ironici o compassionevoli, ne ha seguito tranquillamente l’esempio, spingendosi all’estremo di sistemare di sua iniziativa un equilibrio pericolante, di rettificare un allineamento difettoso, di ridurre un’altezza eccessiva. È dunque naturale attendersi che, qualora Marta finisca per ripetere quella peggiorativa e sfortunata parola che ha usato nella conversazione con il padre, suo marito in persona, grazie all’irrefutabile autorità di chi ha visto ciò che c’era da vedere con i propri occhi, la corregga, Non sono macerie. E se lei, che abbiamo avuto modo di conoscere come qualcuno che in tutte le cose ha bisogno di spiegazione e chiarezza, dovesse insistere che invece sì, sono macerie, che è questo il nome dato da sempre ai detriti e materiali inutili che vengono buttati nei fossi per riempirli, escludendo da tale designazione gli avanzi umani, che hanno un altro nome, certamente Marccal le dirà con voce seria, Non sono

macerie, io c’ero. E non sono ridicole, aggiungerebbe, se la questione si presentasse. Quando entrarono in casa c’erano, ciascuna nel suo genere, due grosse novità. Il carpentiere aveva finalmente fatto la consegna delle tormente, e Marta aveva letto nel suo libro che, in caso di colaggio, non è prudente aspettarsi da uno stampo più di quaranta copie soddisfacenti, Vuol dire, disse Cipriano Algor, che avremo bisogno di trenta stampi per lo meno, cinque per ogni duecento statuine, sarà un mucchio di lavoro prima e un mucchio di lavoro dopo, e non sono sicuro che con la nostra mancanza di esperienza le forme ci riescano perfette, Quando calcolate di aver finito di ritirare la merce dal deposito del Centro, domandò Marta, Credo che non avrò bisogno di tutta la seconda settimana, due o tre giorni forse saranno sufficienti, La seconda settimana è questa, lo interruppe Marçal, Si, la seconda di quattro, ma la prima del trasporto, la terza sarà la seconda di fabbricazione, spiegò Marta, Con tanta confusione di settimane no e settimane si, non c’è da stupirsi che tu e papà vi sentiate un po’ disorientati, Ciascuno di noi per le ragioni che gli sono proprie, io, per esempio, sono incinta e ancora non mi sono abituata del tutto all’idea, E papà, Lui parlerà per sé, se vorrà, Non soffro di peggior disorientamento che il dover fabbricare mille e duecento statuine di terracotta e non sapere se ci riuscirò, tagliò corto Cipriano Algor. Si trovavano nella fornace, allineate sul bancone le sei statuine sembravano quello che drammaticamente erano, sei oggetti insignificanti, alcune più grottesche di altre per ciò che rappresentavano, ma tutte uguali nella loro lancinante inutilità. Per farle vedere al marito, Marta aveva tolto i panni bagnati che le avvolgevano, ma quasi si pentiva di averlo fatto, era come se quegli ottusi feticci non meritassero il lavoro che avevano dato, quel ripetuto fare e disfare, quel volere e non potere, quello sperimentare e correggere, non è vero che solo le grandi opere d’arte siano partorite con sofferenza e dubbio, anche un semplice corpo e delle semplici membra di argilla sono capaci di resistere ad abbandonarsi alle dita che li modellano, agli occhi che li interrogano, alla volontà che li ha voluti. In un’altra occasione avrei chiesto che mi dessero le ferie, avrei potuto aiutarvi in qualche cosa, disse Marçal. Benché apparentemente completa nella sua formulazione, la frase conteneva prolungamenti emblematici che non avevano bisogno di enunciazione per essere avvertiti da Cipriano Algor. Ciò che Marçal aveva voluto dire, e che, senza averlo detto, comunque aveva detto, era che, essendo in attesa di una più o meno prevedibile promozione al grado di guardiano residente, i suoi superiori non sarebbero stati soddisfatti se si fosse assentato per ferie proprio in quel momento, come se la notizia pubblica della sua ascesa nella carriera non fosse altro che un episodio banale, di trascurabile importanza. Questo prolungamento, però, era ovvio e certo il meno problematico di quant’altri ve ne fossero. La questione essenziale, involontariamente soggiacente alle parole pronunciate da Marçal, continuava a essere la preoccupazione per il futuro della fornace, per il lavoro che vi si faceva e per le persone che lo eseguivano e che, meglio o peggio, fino ad ora ci avevano vissuto. Quelle sei statuine erano come sei punti interrogativi ironici e insistenti, ciascuno dei quali voleva sapere da Cipriano Algor se fosse tanto fiducioso da pensare di disporre, e per quanto tempo, caro signore, delle forze necessarie per badare da solo alla fornace

quando la figlia e il genero si fossero trasferiti nel Centro, se fosse tanto ingenuo da ritenere che avrebbe potuto rispondere con soddisfacente regolarità alle ordinazioni successive, nel caso provvidenziale che arrivassero, e, infine, se fosse sufficientemente stupido da immaginare che d’ora in avanti i suoi rapporti con il Centro e con il capo dell’ufficio acquisti, sia quelli commerciali che quelli personali, sarebbero stati una continua e perenne marea di rose, o, come con scomoda precisione e amaro scetticismo domandava l’eschimese, Credi forse che mi vorranno per sempre. Fu in quel momento che il ricordo di Isaura Madruga passò per la mente di Cipriano Algor, pensò a lei che lo aiutava nel lavoro della fornace, lo accompagnava al Centro seduta al suo fianco nel furgone, pensò a lei in diverse situazioni sempre più intime e pacificanti, che pranzavano allo stesso tavolo, conversavano sulla panchina di pietra, davano da mangiare al cane Trovato, raccoglievano i frutti del gelso, accendevano il lampione che sta sopra la porta, scostavano il lenzuolo, erano senza dubbio troppi pensieri e troppo avventurosi per chi non aveva neppure voluto assaggiare il dolce. È chiaro che le parole di Marçal non richiedevano una risposta, non erano state altro che una verifica di un fatto a tutti evidente, fu come aver detto semplicemente Vorrei aiutarvi, ma non è possibile, eppure Cipriano Algor ha pensato che avrebbe dovuto dare espressione a una parte dei pensieri con cui aveva occupato il silenzio successivo alla frase di Marçal, non dei pensieri intimi, che tiene ben chiusi nella cassaforte del suo patetico orgoglio di vecchio, ma quelli che, in un modo o nell’altro, sono comuni a coloro che vivono in questa casa, che li confessino o no, e che si possono riassumere in poco più di una mezza dozzina di parole, chi lo sa che cosa ci riserva il domani. Disse allora, È come se stessimo camminando nel buio, il passo successivo può servire tanto ad avanzare come a cadere, avremo un’idea di cosa ci aspetta quando la prima ordinazione sarà in vendita, dopo di che potremo fare i conti del tempo che richiederanno, se tanto, se poco, se niente, sarà come sfogliare una margherita per vedere cosa viene fuori, La vita non è molto diversa, osservò Marta, Infatti no, ma quello che abbiamo fatto in anni ora va fatto in settimane o in giorni, all’improvviso il futuro si è accorciato, se non mi sbaglio devo aver già detto qualcosa di simile. Cipriano Algor fece una pausa, poi aggiunse stringendosi nelle spalle, A riprova che è la pura verità, Qui ci sono solo due strade, disse Marta, risoluta e impaziente, o lavorare come abbiamo fatto sino ad ora, senza rompersi la testa più del necessario per la buona riuscita del lavoro, o sospendere tutto, informare il Centro che rinunciamo all’ordinazione e rimanere ad aspettare, Ad aspettare cosa, domandò Marçal, Che ti promuovano, che ci trasferiamo nel Centro, che il babbo decida una volta per tutte se vuole restare qui o venire con noi, ma non possiamo continuare in questa specie di tira e molla che dura ormai da settimane, In altre parole, disse Cipriano Algor, il padre non muore e noi non si mangia, Vi perdono per ciò che avete appena detto, rispose Marta, perché so cosa vi passa nella testa, Non litigate, per favore, chiese Marçal, quanto a mala esistenza già mi basta ciò che devo sopportare nella mia famiglia, Tranquillo, non ti preoccupare, disse Cipriano Algor, anche se agli occhi di qualcun altro potrebbe sembrarlo, fra tua moglie e me non sarebbe mai un litigio reale, Infatti no, ma ci sono volte in cui mi viene voglia di picchiarvi, minacciò Marta sorridendo, e guardate che d’ora in poi sarà peggio,

dovrete fare tutti e due molta attenzione con me, a quanto mi risulta le donne incinte passano facilmente per bruschi cambiamenti d’umore, hanno capricci, manie, vezzi, attacchi di pianto, scatti di cattivo umore, preparatevi dunque a quello che verrà, Quanto a me, sono rassegnato, disse Marçal, e subito dopo, rivolto a Cipriano Algor, E voi, papà, Io lo sono già da molti anni, da quando è nata, Finalmente, tutto il potere alla donna, tremate uomini, tremate e temete, esclamò Marta. Il vasaio non accompagnò questa volta il tono gioviale della figlia, anzi, parlò serio e sereno come se stesse raccogliendo una per una le parole che erano rimaste indietro, nel luogo in cui erano state pensate e lasciate a maturare, no, quelle parole non furono pensate, né dovevano maturare, emersero in quel momento dal suo spirito come radici salite improvvisamente alla superficie del suolo, Il lavoro proseguirà normalmente, disse, soddisferò i nostri impegni fintanto che mi sarà possibile, senz’altre lamentele né proteste, e quando Marçal sarà promosso considererò la situazione, Considererete la situazione, domandò Marta, che cosa vuol dire, Vista l’impossibilità di mantenere la fornace in funzione, la chiudo e smetto di essere fornitore del Centro, Benissimo, e di cosa vivrete dopo, dove, come, con chi, lo rimbeccò Marta, Accompagnerò mia figlia e mio genero a vivere nel Centro, se ancora mi vorranno con loro. L’imprevista e categorica dichiarazione di Cipriano Algor ebbe effetti diversi sulla figlia e sul genero. Marçal esclamò, Finalmente, e andò ad abbracciare con forza il suocero, Non potete immaginare la gioia che mi date, disse, era una spina che avevo conficcata qui dentro. Marta aveva guardato il padre prima scetticamente, quasi non credendo a ciò che udiva, ma a poco a poco il suo viso cominciò a illuminarsi di comprensione, era il proficuo lavoro della memoria che le portava al ricordo certe espressioni popolari correnti, certi residui di letture classiche, certe immagini centrali, è vero che non rammentò tutto quanto ci sarebbe stato da rammentare, per esempio, bruciare le barche, tagliare i ponti, tagliare per il sano, tagliare diritto, tagliare i giri, tagliare il male dalla radice, perso per dieci perso per cento, uomo perduto non vuole consigli, desistere in vista della meta, sono acerbi non vanno bene, meglio un piccione in mano che due a volare, queste e tante altre, e tutte in definitiva per dire una cosa sola, Ciò che non voglio è ciò che non posso, ciò che non posso è ciò che non voglio. Marta si avvicinò al padre, gli passò la mano sulla guancia con una lenta e tenera carezza, quasi materna, Sarà meglio così, se questo è ciò che realmente desiderate, mormorò, non mostrò altra soddisfazione se non la pochissima che parole tanto povere, tanto comuni, sarebbero capaci di comunicare, ma aveva la certezza che il padre avrebbe potuto comprendere che non le aveva scelte per indifferenza, ma per rispetto. Cipriano Algor posò le mani sulle spalle della figlia, dopo l’attirò verso di sé, le diede un bacio sulla fronte e, a bassa voce, pronunciò la breve parola che lei voleva udire o leggergli negli occhi, Grazie. Marçal non domandò Grazie perché, aveva appreso da lungo tempo che il territorio in cui si muovevano quel padre e quella figlia, più che solo familiarmente peculiare, era in qualche modo sacro e inaccessibile. Non lo toccava un sentimento di gelosia, solo la malinconia di chi si sa definitivamente escluso, ma non da questo territorio, che non avrebbe mai potuto appartenergli, bensì da un altro in cui, se loro vi si trovassero o se mai potesse trovarvisi insieme a loro, avrebbe incontrato e riconosciuto, infine, il proprio

padre e la propria madre. Si ritrovò a pensare, senza troppa sorpresa, che, visto che il suocero aveva deciso di vivere nel Centro, l’idea dei genitori di vendere la casa del paese e andare a vivere là sarebbe stata inevitabilmente messa da parte, per quanto potesse loro pesare e per quanto protestassero, in primo luogo perché è regola inflessibile del Centro, determinata e imposta dalle stesse strutture abitative interne, di non ammettere famiglie numerose, e in secondo luogo perché, non essendovi mai stato un rapporto d’intesa fra i membri di queste due, si può facilmente immaginare l’inferno in cui si trasformerebbe la vita se si vedessero riunite in uno stesso spazio ridotto. Malgrado certe situazioni e certi sfoghi che potrebbero indurre a un’opinione contraria, Marçal non meriterebbe che lo considerassimo un cattivo figlio, le colpe della divergenza di sentimenti e volontà nella sua famiglia non sono soltanto sue, e tuttavia, dimostrandosi così ancora una volta fino a qual punto l’anima umana è un pozzo infetto di contraddizioni, è contento di non dover vivere nella stessa casa con coloro che gli hanno dato l’esistenza. Ora che Marta è incinta, speriamo che l’ignoto destino non venga a confermare in lei e in lui quell’antica sentenza che recita severamente, Figlio sei, padre sarai, come hai fatto, così troverai. È ben vero, però, che, in una maniera o nell’altra, per una specie di infallibile tropismo, la natura profonda di figlio spinge i figli a ricercare genitori di sostituzione ogni volta che, per buoni o cattivi motivi, per giuste o ingiuste ragioni, non possano, non vogliano o non sappiano riconoscersi nei propri. In realtà, malgrado tutti i suoi difetti, la vita ama l’equilibrio, se fosse solo lei a comandare farebbe in modo che il color dell’oro fosse perennemente sul colore azzurro, che ogni concavo avesse il suo convesso, che non accadesse alcun commiato senza un arrivo, che la parola, il gesto e lo sguardo si comportassero come gemelli inseparabili, dicendo in tutte le circostanze la stessa cosa. Seguendo certe vie per la cui caratterizzazione particolareggiata non ci riconosciamo né atti né idonei, ma della cui esistenza e intrinseca virtù comunicativa abbiamo certezza assoluta, tanto quanto delle nostre, fu l’insieme di osservazioni che sono state appena presentate a far nascere in Marçal Gacho un’idea, immediatamente trasmessa al suocero con la filiale agitazione che s’immagina, È possibile portar via ciò che manca delle stoviglie in una sola volta, annunciò, Non sai neppure quante ne abbiamo, penso siano ancora un po’ di furgoni, obiettò Cipriano Algor, Non parlo di furgoni, voglio dire che la merce non sarà poi tanta che un normale camioncino non possa risolvere il problema con un solo carico, E dove lo andremo a trovare codesto prezioso camioncino, domandò Marta, Lo noleggiamo, Costa un mucchio di soldi, non ne avrò abbastanza, disse il vasaio, ma la speranza gli faceva già tremare la voce, Un giorno sarà sufficiente per questo lavoro, se raduniamo i nostri soldi, il nostro e il vostro, sono convinto che ci riusciremo, e inoltre, essendo io guardiano interno, forse mi faranno uno sconto, non ci perderemo nulla a tentare, Un uomo solo a caricare e scaricare, non so se ne sarò capace, ormai ce la faccio a stento con le braccia e le gambe, Non sarete da solo, verrò io con voi, disse Marçal, Questo no, possono riconoscerti, e non sarebbe bene per te, Non credo vi sia pericolo, sono stato una sola volta all’ufficio acquisti, se mi metto gli occhiali scuri e un berretto in testa sono uno qualunque, L’idea è buona, molto buona, disse Marta, potremmo dedicarci subito alla fabbricazione delle statuine, È quello che pensavo, disse Marçal,

Anch’io, confessò Cipriano Algor. Rimasero a guardarsi, silenziosi, sorridenti, fino a che il vasaio domandò, E quando, Domani stesso, rispose Marçal, approfittiamo del mio riposo, un’altra occasione ci sarà solo fra dieci giorni, allora non ne varrebbe la pena, Domani, ripeté Cipriano Algor, vuol dire che potremmo cominciare a lavorare a pieno ritmo subito dopo, Proprio così, disse Marçal, e guadagnare quasi due settimane, Mi hai dato un’anima nuova, disse il vasaio, poi domandò, Come faremo, qui in paese non credo ci siano camioncini da noleggiare, Lo noleggiamo in città, usciremo al mattino per avere il tempo di trovare chi faccia il miglior prezzo, Capisco che così è più conveniente, disse Marta, ma penso che dovresti pranzare con i tuoi genitori, l’ultima volta non ci sei andato e non saranno molto soddisfatti. Marçal si alterò, Non mi va, e inoltre, si rivolse al suocero e domandò, A che ora dovete presentarvi al magazzino, Alle quattro, Visto, pranzare con i miei genitori, poi andare in città, tutta la strada fino ad arrivarci, noleggiare il camioncino e trovarsi alle quattro a ritirare la merce, non si fa in tempo, Digli che hai necessità assoluta di pranzare più presto, Comunque non si farà in tempo, e inoltre non mi va, ci andrò al prossimo riposo, Almeno telefona a tua madre, Le telefonerò, ma non ti stupire se domanderà di nuovo quando ci trasferiamo. Cipriano Algor aveva lasciato la figlia e il genero a discutere la contingente questione del pranzo familiare dei Gacho e si era avvicinato al bancone dove c’erano le sei statuine. Con estrema cautela tolse loro i panni bagnati, le osservò con attenzione, una per una, avevano bisogno solo di alcuni leggeri ritocchi alle teste e ai visi, parti del corpo che, date le piccole dimensioni delle figure, poco più di un palmo di altezza, inevitabilmente avrebbero dovuto risentire della pressione dei tessuti, Marta si occuperà di rimetterle a nuovo, poi resteranno scoperte, per perdere un po’ di umidità prima di essere infornate. Per il corpo dolente di Cipriano Algor passò un fremito di piacere, si sentiva come se stesse per iniziare il lavoro più difficile e delicato della sua vita di vasaio, l’avventurosa cottura di un pezzo di altissimo valore estetico modellato da un grande artista che non si è preoccupato di abbassare il proprio genio alle precarie condizioni di questo luogo umile, e che non potrebbe ammettere, si sta parlando del pezzo, ma anche dell’artista, le conseguenze rovinose che risulterebbero dalla variazione di un grado di calore, vuoi per eccesso, vuoi per difetto. Di cosa realmente si tratterà qui, senza grandiosità né drammi, è di infilare nel forno e cuocere mezza dozzina di statuine insignificanti perché riproducano, ciascuna di esse, duecento loro insignificanti copie, c’è chi dice che tutti nasciamo con il destino tracciato, ma evidentemente solo alcuni sono venuti a questo mondo per fare della creta adami ed eve o per moltiplicare i pani e i pesci. Marta e Marçal erano usciti dalla fornace, lei per occuparsi della cena, lui per approfondire i rapporti iniziati con il cane Trovato, il quale, sia pure essendo ancora renitente ad accettare senza proteste la presenza di un’uniforme in famiglia, sembra disposto ad assumere un atteggiamento di tacita condiscendenza purché la suddetta uniforme sia sostituita, subito dopo l’arrivo, da un abito civile, moderno o antico, nuovo o vecchio, pulito o sporco, tant’è. Cipriano Algor è ora da solo nella fornace. Ha provato distrattamente la solidità di una formetta, ha cambiato posto, senza necessità, a un sacco di gesso, e, come se soltanto il caso, e non la volontà, gli avesse guidato i passi, si è trovato davanti alle

figure che aveva modellato, l’uomo, la donna. In pochi secondi l’uomo si è trasformato in un ammasso informe di creta. Forse la donna sarebbe sopravvissuta se alle orecchie di Cipriano Algor non risuonasse già la domanda che Marta gli farà domani, Perché, perché l’uomo e non la donna, perché uno e non tutti e due. La creta della donna si è ammassata sulla creta dell’uomo, sono di nuovo una sola creta. 12. Il primo atto dello spettacolo è terminato, gli addobbi di scena sono stati tolti, gli attori si riposano dopo lo sforzo dell’apoteosi. Nei magazzini del Centro non resta un solo pezzo di ceramica fabbricato nella fornace degli Algor, soltanto un po’ di polvere rossa qua e là sugli scaffali, non sarà mai di troppo rammentare che la coesione delle materie non è eterna, se il continuo sfiorare delle invisibili dita del tempo ha facilmente la meglio su marmi e graniti, che cosa non potrà mai fare la semplice argilla di composizione precaria e cottura probabilmente irregolare. All’ufficio acquisti Marçal Gacho non lo hanno riconosciuto, effetto sicuro del berretto e degli occhiali scuri, ma anche del viso da rasare, che lui aveva lasciato apposta così per completare l’efficacia del travestimento protettivo, visto che fra le varie caratteristiche che devono distinguere ogni guardiano interno del Centro è inclusa una perfetta e rifinita rasatura. In ogni caso, il vicecapo non tralasciò di stupirsi per il repentino miglioramento del veicolo da trasporto, comportamento logico in una persona che più di una volta si era permessa di sorridere ironicamente alla vista del vetusto furgone, ma già fu sorprendente, e questa è nella circostanza attuale la minima designazione possibile, l’accenno di mal repressa irritazione che gli salì allo sguardo e al gesto quando Cipriano Algor lo informò che era venuto per portare via il resto della merce, Tutta, domandò, Tutta, rispose il vasaio, ho portato un camioncino e un aiutante. Se a questo vicecapo di dimostrato pessimo carattere toccasse un certo futuro nel racconto che stiamo svolgendo, certamente ci ricorderemmo uno di questi giorni di chiedergli che ci svelasse il fondo dei propri sentimenti in quell’occasione, e cioè, la ragione ultima di una contrarietà, a ogni lume illogica, che non aveva voluto, o saputo, nascondere. È molto probabile che proverebbe a ingannarci dicendo, per esempio, che si era abituato alle visite quotidiane di Cipriano Algor e che, benché a onor del vero non potesse giurare che erano amici, in ogni caso lo aveva in una certa simpatia, soprattutto per via della poco auspicabile situazione professionale in cui il povero diavolo si trovava. Una falsità tra le più smaccate, è evidente, in quanto, se dopo aver svelato il fondo passassimo a scavare più profondo, ci accorgeremmo subito che, in definitiva, l’espressione di esasperazione del vicecapo aveva infine denunciato la frustrazione di vedere che gli era sfuggito dalle mani il godimento più che mai perverso di coloro che degustano le sconfitte altrui persino quando non possano trarne alcun profitto. Con il pretesto che ci sarebbero volute ore per compiere il lavoro e che stavano ostacolando lo scarico di altri fornitori, il pessimo uomo tentò ancora di impedirgli di caricare il camioncino, ma Cipriano Algor lo mise, come eloquentemente si suole dire, con le spalle al muro, gli domandò chi si sarebbe preso la responsabilità per la spesa del noleggio del veicolo nel caso dovessero tornare indietro, pretese il

libro dei reclami e, come colpo finale e disperato, protestò che non se ne sarebbe andato senza prima aver parlato con il capoufficio. Rientra nei manuali elementari di psicologia applicata, capitolo comportamenti, che le persone dal brutto carattere sono molto frequentemente codarde, perciò non dovrà sorprenderci che il timore di essere desautorato in pubblico dal suo superiore gerarchico abbia fatto cambiare da un istante all’altro l’atteggiamento del vicecapo. Si lasciò sfuggire di bocca un’insolenza per mascherare lo smacco e si ritirò nel fondo del deposito, da dove ricomparve solo quando il camioncino, finalmente carico, abbandonò il sotterraneo. Né in senso proprio né figurato cantarono vittoria Cipriano Algor e Marçal Gacho, erano troppo stanchi per sprecare il resto del fiato in gorgheggi e congratulazioni, il più vecchio disse solo, Ci renderà la vita amara quando porteremo l’altra merce, esaminerà le statuine con la lente d’ingrandimento e le rifiuterà a dozzine, e il più giovane rispose che poteva essere, ma che non era sicuro, chi se ne occupava era il capoufficio, stavolta ce la siamo cavata, papà, per l’altra poi vedremo, è così che dev’essere la vita, quando uno si scoraggia, l’altro si aggrappa alle proprie budella e ne fa un cuore. Avevano lasciato il furgone posteggiato all’angolo di una strada vicina, rimarrà li fino a quando torneranno dopo avere scaricato l’ultima stoviglia nel fosso che sta vicino al fiume, poi andranno a portare il camioncino in garage ed esausti, più morti che vivi, uno perché ha perduto nei corridoi piani del Centro la salutare abitudine allo sforzo fisico, l’altro per gli stranoti svantaggi dell’età, giungeranno finalmente a casa, quando il pomeriggio sarà ormai sul finire. Scenderà ad accoglierli sulla strada il cane Trovato, anche lui facendo i salti e i latrati della sua condizione, e Marta li aspetterà sulla soglia. Lei domanderà, Allora, è tutto risolto, e loro risponderanno Si, è tutto risolto, e subito dopo tutti e tre penseranno, o sentiranno, ammesso che vi sia disuguaglianza e contraddizione fra il sentire e il pensare, che questa parte appena finita è la stessa che è impaziente di cominciare, che i primi, i secondi e i terzi atti, tant’è che siano quelli degli spettacoli o delle vite, sono sempre un’opera sola. È vero che alcuni scenari sono stati tolti dal palco, ma la creta di cui saranno fatti gli scenari nuovi è la stessa di ieri, e gli attori, domani, quando si sveglieranno dal sonno delle quinte, poseranno il piede destro poco davanti al punto in cui avevano lasciato l’impronta del piede sinistro, poi appoggeranno il sinistro davanti al destro e, qualsiasi altra cosa facciano, non usciranno dalla strada. Malgrado la stanchezza di lui, Marta e Marçal ripeteranno, come se anche questa fosse la prima volta, i gesti, i movimenti, e i gemiti e sospiri dell’amore. E le parole. Cipriano Algor farà un sonno senza sogni nel suo letto. Domani mattina, come al solito, accompagnerà il genero al lavoro. Chissà che al ritorno non gli venga in mente di passare per il fosso vicino al fiume, per nessun motivo speciale, e neppure per curiosità, sa perfettamente cosa è andato a lasciarci, ma nonostante ciò, forse si avvicinerà al bordo del fosso, e se lo farà guarderà in basso, e allora si domanderà se non dovrebbe tagliare un po’ di rami dagli alberi per coprire meglio le stoviglie, è come se volesse che nessun altro sappia cosa c’è qui dentro, che le stoviglie rimangano così, nascoste, protette, fino al giorno in cui saranno nuovamente necessarie, ah, com’è difficile separarci da quello che abbiamo fatto, sia esso cosa o sogno, anche quando lo abbiamo già distrutto con le nostre stesse mani.

Vado a pulire il forno, disse Cipriano Algor quando arrivò a casa. Le precedenti esperienze di cane, a Trovato fecero pensare che il padrone si accingeva a sedersi di nuovo sulla panchina delle meditazioni, che il poverino avesse ancora lo spirito turbato da conflitti, che la vita gli stesse andando alla rovescia, sono queste le occasioni in cui si sente maggiormente la mancanza dei cani, quando si vengono ad appostare davanti a noi con l’infallibile domanda negli occhi, Vuoi aiuto, e, pur essendo vero che, a prima vista, non sembra essere alla portata di un animale del genere dare rimedio alle sofferenze, angosce e altre pene umane, potrà anche succedere che la causa stia nel fatto che siamo noi a non esser capaci di cogliere ciò che si trovi al di là o al di qua della nostra umanità, come se le altre pene del mondo potessero acquistare una realtà percepibile solo se calcolate in base ai modelli delle nostre personali pene, o, per usare parole più semplici, come se solo ciò che è umano avesse esistenza. Cipriano Algor non si sedette sulla panchina di pietra, vi passò accanto, poi, dopo aver smosso una dopo l’altra le tre grosse chiusure di bronzo situate ad altezze diverse, in alto, a metà, in basso, aprì la porta del forno, che cigolò pesantemente sui cardini. Dopo i primi giorni di indagini sensoriali che avevano soddisfatto la curiosità immediata di chi era appena giunto in un luogo nuovo, il forno non attirava più così tanto l’attenzione del cane Trovato. Era una costruzione in muratura vecchia e rustica, con una porta alta e stretta, dalla finalità sconosciuta e dove non viveva nessuno, una costruzione che aveva nella parte superiore tre cose simili a comignoli, ma che certamente non lo erano, visto che non ne era mai fuoriuscito nessuno stuzzicante odore di cibo. E ora la porta si era aperta inaspettatamente e il padrone ci era entrato con tanta disinvoltura, come se pure quella fosse casa sua, quasi quanto quella laggiù. Deve un cane, per cautela e per principio, abbaiare a tutte le sorprese che gli si presentino nella vita, perché non potrà sapere in anticipo se le buone finiranno per diventare cattive e se le cattive non saranno più ciò che erano, e quindi Trovato abbaiò e abbaiò, dapprima con inquietudine quando la figura del padrone parve svanire nell’ultima penombra del forno, subito dopo felice nel vederlo riapparire tutto intero e con altra espressione, sono i piccoli miracoli dell’amore, anche voler bene a ciò che si fa dovrebbe meritare tal nome. Quando Cipriano Algor rientrò nel forno, ora con la scopa in pugno, Trovato non si preoccupò, un padrone, a ben vedere le cose, va a fasi alterne come il sole e la luna, dobbiamo essere pazienti quando scompare, aspettare che il tempo passi, se poco, se tanto, non potrà dirlo un cane, che non distingue le durate fra l’ora e la settimana, fra il mese e l’anno, per un animale del genere non c’è altro che presenza e assenza. Durante la pulizia del forno, Trovato non fece cenno di entrare, si mise da una parte perché non gli cadesse addosso la pioggia dei piccoli frammenti di terracotta, dei cocci delle stoviglie rotte che la scopa spingeva fuori, e si sdraiò lungo disteso per terra, con la testa fra le zampe. Sembrava estraneo, quasi addormentato, ma perfino il meno esperto conoscitore di trucchi canini sarebbe capace di comprendere, non foss’altro che per il modo dissimulato con cui di tanto in tanto il tipo apriva e chiudeva gli occhi, che il cane Trovato era semplicemente in attesa. Terminato il lavoro di pulizia, Cipriano Algor uscì dal forno e s’incamminò verso la fornace. Fino a quando il padrone rimase in vista, non si mosse, poi si alzò lentamente, avanzò allungando il collo fino all’entrata

del forno e guardò. Era una casa strana e vuota, con il soffitto a volta, senza mobili né ornamenti, piena di parallelepipedi biancastri, ma la cosa che più impressionò il tartufo del cane Trovato fu l’estrema secchezza dell’aria che vi si respirava e anche l’intenso pizzicorio dell’unico odore che vi si percepiva, l’odore finale di un infinito arrostimento, che non vi sorprenda la flagrante e accettata contraddizione tra finale e infinito, giacché non era di sensazioni umane che stavamo trattando, ma di ciò che umanamente ci è stato fattibile immaginare su cosa avrebbe potuto sentire un cane quando è entrato per la prima volta nel forno vuoto di una fornace. Al contrario di ciò che, per natura, ci sarebbe da aspettarsi, Trovato non lasciò marcato d’urina il nuovo posto. È vero che all’inizio stava per obbedire all’ordine dell’istinto, è vero che giunse ad alzare minacciosamente la zampa, ma si vinse, si trattenne all’ultimo ed estremo istante, chissà se spaventato dal silenzio minerale che lo circondava, dalla rustica rudezza della costruzione, dalla tonalità bianchiccia e fantasmagorica del suolo e delle pareti, chissà se, molto più semplicemente, solo perché sospettava che il padrone avrebbe usato violenza contro di lui se avesse trovato lordato da un piscio infame il regno, il trono e il baldacchino del fuoco, il crogiolo dove ogni volta l’argilla sogna di trasformarsi in diamante. Con il pelo del dorso increspato, con la coda fra le zampe come se arrivasse di corsa da lontano, il cane Trovato uscì dal forno. Non vide nessuno dei padroni, la casa e il campo erano come abbandonati, e il gelso nero, sicuramente per effetto dell’angolo di incidenza del sole, sembrava proiettare un’ombra strana, che si spandeva sul suolo come se venisse da un albero diverso. Al contrario di ciò che in genere si pensa, i cani, per quanto siano bersaglio di attenzioni e smancerie, non hanno la vita facile, in primo luogo perché ancora non sono riusciti, fino ad oggi, a giungere a una comprensione almeno soddisfacente del mondo in cui li hanno portati, in secondo luogo perché tale difficoltà è aggravata continuamente dalle contraddizioni e dalle instabilità di condotta degli esseri umani con cui condividono, per così dire, la casa, il cibo, e a volte il letto. Il padrone è scomparso, la padrona non compare, il cane Trovato sfoga la malinconia e la ritenzione della vescica sulla panchina di pietra che non ha altra utilità se non quella di servire per le meditazioni. Proprio in quel momento Cipriano Algor e Marta sono usciti dalla fornace. Trovato è corso loro incontro, in momenti come questo, si ha l’impressione che finalmente comprenderà tutto, ma l’impressione non è durata, non dura mai, il padrone gli ha lanciato un urlo, Fuori di qui, la padrona ha gridato allarmata, Buono, chi riuscirà mai a capire questa gente, solo fra poco il cane Trovato si accorgerà che i padroni portano alcune figure di creta in equilibrio su piccole assi, tre per uno e su ciascuna, s’immagini che disastro se non avessero bloccato in tempo le effusioni. Si dirigono gli equilibristi verso le grandi tavole di essiccatura che ormai da settimane sono nude di piatti, boccali, tazze, piattini, scodelle, buccheri, orciuoli, brocche, vasi, e altre suppellettili da casa e da giardino. Queste sei statuine, che resteranno a essiccare alla brezza, protette dall’ombra del gelso nero, ma sfiorate di tanto in tanto dal sole che si insinua e muove tra le fronde, sono l’avanguardia di una nuova occupazione, quella di centinaia di figurine uguali che a battaglioni serrati copriranno le lunghe tavole, mille e duecento figurine, sei per duecento, secondo i conti fatti all’epoca, ma i conti erano sbagliati, la gioia della vittoria non sempre è buona consigliera, questi

vasai, malgrado tre generazioni di esperienza, sembravano aver dimenticato che è indispensabile riservare sempre, perché persino la forbice mangia il tessuto che taglia, un margine per le perdite, una statuina che cade e si rompe, una che si è deformata, una che si è alterata o in più o in meno, una che il calore ha spaccato perché era mal fabbricata, una che è uscita mal cotta per la difettosa circolazione dell’aria calda, e a tutto questo, che ha a che vedere direttamente con le contingenze fisiche di un lavoro in cui c’è molto dell’arte alchimistica, la quale, come sappiamo, non è una scienza esatta, a tutto questo, dicevamo, ci sarà da aggiungere l’esame rigoroso a cui, come al solito, il Centro sottoporrà ognuna delle statuine, tanto più con quel vicecapo che sembra avergliela giurata, Cipriano Algor si è ricordato delle due minacce, quella certa e quella latente, solo mentre spazzava il forno, ecco cos’hanno di buono le associazioni di idee, una tira l’altra, in fila indiana, l’abilità sta nel non lasciar perdere il filo a metà, nel comprendere che un coccio per terra non è solo il suo presente di coccio per terra, è anche il suo passato di quando non lo era, è anche il suo futuro di non sapere che cosa diventerà. Si narra che anticamente ci fu un dio che decise di modellare un uomo con l’argilla della terra che prima aveva creato, e subito dopo, perché avesse respiro e vita, gli soffiò nelle narici. Alcuni spiriti contumaci e negativi insegnano a denti stretti, quando non osano proclamarlo ai quattro venti, che, dopo quell’atto creativo supremo, il famoso dio non tornò mai più a dedicarsi alle arti della ceramica, una maniera contorta di denunciarlo per avere, semplicemente, smesso di lavorare. La questione, per la trascendenza di cui si riveste, è troppo seria per essere trattata semplicisticamente, richiede ponderazione, molta imparzialità, molto spirito obiettivo. È un fatto storico che il lavoro di modellatura, a partire da quel memorabile giorno, non è più stato un attributo esclusivo del creatore per passare alla competenza incipiente delle creature, le quali, inutile dirlo, non sono attrezzate di sufficiente soffio ventilatore. Il risultato è che si è demandata al fuoco la responsabilità di tutte le operazioni sussidiarie capaci di dare, tanto per il colore come per la brillantezza, e addirittura per il suono, una ragionevole somiglianza di cosa viva a quanto uscisse dai forni. Sarebbe un giudicare dalle apparenze. Il fuoco fa molto, e questo nessuno lo nega, ma non può fare tutto, ha serie limitazioni, e persino qualche grave difetto, come sarebbe, per esempio, l’insaziabile bulimia di cui soffre e che lo porta a divorare e ridurre in cenere tutto quanto si trova davanti. Tornando, però, al tema che ci occupa, alla fornace e al suo funzionamento, sappiamo tutti che la creta umida infilata nel forno è creta crepata in men che non si dica. Una prima e irrevocabile condizione la stabilisce il fuoco, se vogliamo che faccia ciò che da lui ci aspettiamo, ed è che la creta entri nel forno essiccata, e ben essiccata. Ed è qui che umilmente torniamo al soffio nelle narici, è qui che dovremo riconoscere fino a qual punto eravamo stati ingiusti e imprudenti quando abbiamo delineato e fatta nostra l’empia idea che il tale dio avrebbe voltato le spalle, indifferente, alla sua stessa opera. Sì, è vero, dopo di ciò nessuno lo ha più rivisto, ma ci ha lasciato quello che forse era il meglio di se stesso, il soffio, il venticello, l’arietta, la brezza, lo zefiro, quelli che già stanno entrando dolcemente nelle narici delle sei statuine di creta che Cipriano Algor e la figlia hanno appena collocato, con ogni cura, sopra una delle assi a essiccare. Uno scrittore, insomma, non solo

vasaio, il suddetto dio sa anche scrivere bene su righe torte, non essendo presente per soffiare personalmente, ha fatto fare il lavoro per suo conto, e tutto affinché la vita ancora fragile di queste terrecotte non debba finire per estinguersi domani nel cieco e brutale abbraccio del fuoco. Parlare di domani, però, è solo un modo di dire, perché se è pure vero che un soffio solo è stato sufficiente all’inaugurazione perché l’argilla dell’uomo acquistasse respiro e vita, dovranno essere tanti i soffi necessari perché dai buffoni, dai pagliacci, dagli assiri con la barba, dai mandarini, dagli eschimesi e dalle infermiere, da questi che sono qui e da quelli che in file serrate si allineeranno su queste tavole, evapori, a poco a poco, l’acqua senza la quale non avrebbero potuto essere ciò che sono, e possano entrare sicuri nel forno per trasformarsi in quello che dovranno essere. Il cane Trovato si era alzato sulle zampe posteriori e aveva appoggiato le anteriori sul bordo della tavola per vedere più da vicino i sei feticci allineati davanti a lui. Fiutò una, due volte, e subito dopo se ne disinteressò, ma non a tempo per evitare la secca e dolorosa manata che il padrone gli mollò sul capo né la ripetizione delle dure parole già udite prima, Fuori di qui, come potrà spiegare che non avrebbe fatto niente di male alle statuine, che voleva solo vederle meglio e annusarle, che non è giusto che mi hai picchiato per così poco, sembra che tu non sappia che i cani non si servono solo degli occhi della faccia per indagare il mondo esterno, il naso è come un occhio complementare, vede quello che fiuta, almeno questa volta lei non ha urlato Buono, fortunatamente si trova sempre qualcuno capace di comprendere le ragioni altrui, anche quelle di chi, muto per natura o carente nel vocabolario, non ha saputo o non gli è bastata la lingua per spiegarle, Non c’era bisogno di picchiarlo, babbo, era solo curioso, disse Marta. La cosa più probabile è che lo stesso Cipriano Algor non abbia voluto far male al cane, gli è venuto così per forza dell’istinto che, al contrario di quanto generalmente si pensa, gli esseri umani non hanno ancora perduto né sono sul punto di perdere. Convive strettamente con l’intelligenza, ma è infinitamente più rapido di questa, perciò la poverina ci resta tante volte così male ed è trascurata in tante occasioni, è quanto è successo in questo caso, il vasaio ha reagito alla paura di veder distrutto ciò che tanto lavoro gli aveva dato nella stessa maniera in cui la leonessa reagisce all’ansia di vedere in pericolo il suo cucciolo. Non tutti i creatori si distraggono dalle proprie creature, siano esse cani o statuine di creta, non tutti se ne vanno via e lasciano al proprio posto l’incostanza di uno zefiro che spira di tanto in tanto, come se noi non avessimo avuto questa necessità di crescere, di andare nel forno, di sapere chi siamo. Cipriano Algor chiamò il cane, Vieni qui, Trovato, vieni qui, di fatto non c’è nessuno che riesca a comprendere queste bestie, picchiano e subito dopo vanno ad accarezzare chi hanno picchiato, le picchiano e subito dopo vanno a baciare la mano che le ha picchiate, magari tutto questo non è altro che una conseguenza dei problemi che abbiamo sempre avuto, fin dall’inizio remoto dei tempi, per riuscire a intenderci gli uni con gli altri, noi, i cani, noi, gli umani. Trovato ha già dimenticato la botta ricevuta, ma il padrone no, il padrone ha memoria, dimenticherà domani o fra un’ora, ma per ora non può, in casi del genere la memoria è come quel tocco istantaneo di sole nella retina che lascia una bruciatura in superficie, una cosa leggera, senza importanza, ma che molesta fintanto che dura, sarà meglio chiamare il cane, dirgli, Trovato, vieni qui, e

Trovato andrà, lui va sempre, se sta leccando la mano che lo accarezza è perché questa è la maniera di baciare dei cani, fra poco la bruciatura scomparirà, la vista si normalizzerà, e sarà come se nulla fosse accaduto. Cipriano Algor andò a occuparsi della legna e la trovò scarsa. Per anni si era compiaciuto all’idea che sarebbe arrivata l’ora in cui il vecchio forno a legna sarebbe stato abbattuto per fare posto a un forno nuovo, di quelli moderni, che lavorano a gas, in grado di offrire temperature altissime, rapidi nel riscaldamento e con eccellenti risultati nella cottura. Nel proprio intimo, però, sapeva che non sarebbe mai successo, in primo luogo per via del costo elevato che l’opera richiedeva, fuori dalla sua portata, ma anche per altre ragioni meno materiali, come sapere in anticipo che gli avrebbe arrecato dolore abbattere quello che il nonno aveva costruito e in seguito il padre perfezionato, se lo avesse fatto sarebbe stato come cancellarli di nuovo, in senso vero e proprio, dalla faccia della terra, poiché proprio sulla faccia della terra si trova il forno. C’era anche un’altra ragione, meno confessabile, che si riassumeva in cinque parole, Ormai sono vecchio per questo, ma che obiettivamente implicava l’uso dei pirometri, dei tubi, delle valvole di sicurezza, dei bruciatori, cioè altre tecniche e altre cure. Non c’era dunque altro rimedio che continuare con il vecchio forno alimentato alla vecchia maniera, con legna e legna e altra legna, forse è questa la cosa più penosa da sopportare nei mestieri della creta. Proprio come il fuochista delle antiche locomotive a vapore, che passava tutto il tempo a lanciare palate di carbone nella bocca della caldaia, il vasaio, almeno questo Cipriano Algor, che non può pagare un aiutante, si affatica per ore a infilare nel forno l’arcaico combustibile, frascame che il fuoco avvolge e divora in un istante, rami che la fiamma va mordicchiando e lambendo a poco a poco fino a frammentarli in braci, meglio ancora quando possiamo rallegrarlo con pigne e segatura, che ardono più lentamente e danno più calore. Cipriano Algor va a rifornirsi nei dintorni del paese, a ordinare a legnaioli e agricoltori un certo numero di carrate di legna da ardere, a comprare nelle segherie e falegnamerie della Cintura Industriale un certo numero di sacchi di segatura, preferibilmente di legni duri, come la quercia, il noce e il castagno, e tutto questo dovrà farlo da solo, ovviamente non gli passa neanche per la testa di chiedere alla figlia, tanto più ora che è incinta, di accompagnarlo e di aiutarlo a caricare i sacchi nel furgone, porterà con sé solo Trovato, per concludere la pace, il che sembra significare che la bruciatura nella memoria di Cipriano Algor non era ancora, in definitiva, del tutto guarita. La legna che si trova sotto la tettoia sarebbe più che sufficiente per la cottura delle sei statuine che serviranno per gli stampi, ma Cipriano Algor ne dubita, trova assurda, spropositata, una disfatta senza scuse, l’enorme sproporzione dei mezzi da impiegare in rapporto ai fini da raggiungere, e cioè che, per cuocere quell’inezia materiale di una mezza dozzina di statuine sarà necessario usare il forno come se si trattasse di un carico fino al soffitto. Lo ha detto a Marta, che gli ha dato ragione, e mezz’ora dopo il rimedio, Qui il libro spiega come si può risolvere il problema, c’è persino un disegno per far capire meglio. È ben possibile che il bisnonno di Marta, da uomo d’altri tempi qual era, avesse magari usato, ai primordi della sua professione di vasaio, il procedimento di cottura in fossa già antiquato a quell’epoca, ma l’installazione del primo forno doveva in seguito aver dispensato e in qualche modo fatto cadere nell’oblio la

rustica pratica, che non si era tramandata al padre di Cipriano Algor. Fortunatamente ci sono i libri. Possiamo dimenticarli su uno scaffale o in un baule, lasciarli in preda alla polvere e ai tarli, abbandonarli nel buio delle cantine, possiamo non posarvi lo sguardo sopra né toccarli per anni e anni, ma a loro non importa, aspettano tranquillamente, chiusi su se stessi perché nulla di ciò che contengono si perda, il momento che arriva sempre, quel giorno in cui ci domandiamo, Dove sarà quel libro che insegnava a cuocere la creta, e il libro, finalmente convocato, compare, è qui fra le mani di Marta mentre il padre scava a lato del forno una piccola fossa di mezzo metro di profondità e altrettanto di larghezza, per la dimensione delle statuine non è necessario di più, poi dispone sul fondo della buca uno strato di ramoscelli e vi appicca il fuoco, le fiamme salgono, accarezzano le pareti, ne riducono l’umidità superficiale, ben presto il falò si smorzerà, rimarranno solo le ceneri calde e un po’ di scarse braci, ed è su queste che Marta, dopo aver passato al padre il libro aperto alla pagina, fa scendere, posandole con estrema cautela, una dopo l’altra, le sei statuine di prova, il mandarino, l’eschimese, l’assiro con la barba, il pagliaccio, il buffone, l’infermiera, dentro la fossa l’aria calda è ancora tremolante, sfiora le epidermidi grigie da cui, e dall’interno massiccio dei corpi, quasi tutta l’acqua era già evaporata per opera della brezzolina e del venticello, e adesso, sopra l’imboccatura della cavità, in mancanza di una griglia più adatta allo scopo, Cipriano Algor colloca, non troppo vicine, né troppo separate, come insegna il libro, alcune strette sbarre di ferro, attraverso cui dovranno cadere le braci prodotte dal falò che il vasaio ha già cominciato ad attizzare. Tant’erano felici della scoperta del libro salvatore da non aver notato, né padre né figlia, che l’ora quasi crepuscolare in cui hanno iniziato il lavoro li costringerebbe ad alimentare il falò fino a sera, finché le braci non abbiano riempito completamente la fossa e la cottura sia terminata. Cipriano Algor ha detto alla figlia, Tu vai a coricarti, resto io a guardare il fuoco, e lei ha risposto, Non me lo perderei per tutto l’oro del mondo. Si sono seduti sulla panchina di pietra a contemplare le fiamme, di tanto in tanto Cipriano Algor si alza e va a mettere altra legna, rami non troppo grossi perché le braci cadano fra gli intervalli dei ferri, quando giunse l’ora della cena Marta andò a casa a preparare un pasto frugale, poi consumato alla luce vagante che si muoveva sulla parete laterale del forno come se anche lui stesse ardendo all’interno. Il cane Trovato condivise quanto c’era da mangiare, poi si sdraiò ai piedi di Marta, guardando fisso le fiamme, nella sua vita si era trovato accanto ad altri falò, ma nessuno come questo, probabilmente avrebbe voluto dire un’altra cosa, i falò, più grandi o più piccoli, si assomigliano tutti, sono legna che arde, faville, tizzoni e ceneri, ciò che pensava Trovato è che non era mai stato così, ai piedi di due persone alle quali aveva consegnato per sempre il proprio amore di cane, accanto a una panchina di pietra propizia a meditazioni serie, come lui stesso, da oggi in poi e per esperienza personale diretta, potrà testimoniare. Riempire mezzo metro cubo di braci richiede il suo tempo, specialmente se la legna, come sta succedendo, non era del tutto asciutta, prova ne sia che se ne vedono fervere gli ultimi umori all’estremità dei tronchi opposta a quella da cui stanno bruciando. Sarebbe interessante, se fosse possibile, guardarci dentro, vedere se le braci sono già salite all’altezza della vita delle statuine, ma si può solo immaginare come dovrà essere l’interno

della fossa, vibrante e risplendente alla luce delle molteplici fiammelle che stanno consumando i piccoli ciocchi di legna incandescente che continuano a cadere. Visto che la sera iniziava a rinfrescare, Marta andò a prendere dentro casa una coperta, sotto la quale, mettendosela sulle spalle, padre e figlia si ripararono. Davanti non ne avevano bisogno, era come quando, in passato, ci avvicinavamo al focolare per riscaldarci nelle notti d’inverno, le spalle erano intirizzite dal freddo mentre la faccia, le mani e le gambe si scaldavano. Le gambe soprattutto, perché stavano più’ vicine al fuoco. Domani comincerà il lavoro duro, disse Cipriano Algor, Vi aiuterò io, disse Marta, Mi aiuterai, senza dubbio, né del resto puoi far altro, per quanto mi dispiaccia, Vi ho sempre aiutato, Ma adesso sei incinta, Di un mese, al massimo, ancora non fa differenza, mi sento benissimo, Temo che non riusciremo a portarlo a buon fine, Sì che ce la faremo, Se almeno potessimo trovare qualcuno che ci aiutasse, Lo avete detto voi stesso, babbo, nessuno vuole lavorare nelle fornaci, inoltre sprecheremmo tutto il tempo a insegnare se venisse qualcuno e i risultati sarebbero tutt’altro che compensatori, Chiaro, confermò Cipriano Algor, improvvisamente distratto. Si era ricordato che Isaura Estudiosa, o Isaura Madruga, come pare si chiami adesso, era in cerca di lavoro, che se non lo avesse trovato sarebbe andata via dal paese, ma questo pensiero non arrivò a turbarlo, in effetti non avrebbe potuto né voluto immaginare la suddetta Madruga a lavorare in fornace, immersa nella creta, gli unici lumi che la donna mostra di avere del mestiere sono quella maniera di stringersi al petto una brocca, ma questo non è di nessun aiuto quando si tratta di fabbricare bambolotti, e non di cullarli. Per cullare, chiunque serve, pensò, ma sapeva che non era la verità. Disse Marta, Potremmo piuttosto chiamare qualcuno per le faccende di casa, in modo da lasciarmi libera per la fornace, Non abbiamo soldi per pagare una cameriera, o una domestica, o una donna a ore, o come la vuoi chiamare, tagliò corto bruscamente Cipriano Algor, Qualcuno che abbia bisogno di un’occupazione e a cui non dispiaccia guadagnare qualcosina per un certo tempo, insistette Marta. Spazientito, il padre si scostò la coperta dalle spalle, come se stesse soffocando, Se quello che stai pensando è ciò che immagino, penso sia meglio concludere il discorso, Resta da sapere se lo avete immaginato perché l’ho pensato, disse Marta, o se lo avevate già pensato prima che lo immaginassi io, Non giocare con le parole, per favore, tu hai questa abilità, ma io no, non l’hai ereditata da me, Qualcuna delle nostre cose dovrà pur essere di produzione propria, in ogni caso, quello che avete definito giocare con le parole è semplicemente un modo di renderle più visibili, Allora quelle puoi coprirle di nuovo, non mi interessano. Marta rimise la coperta al suo posto, l’accomodò sulle spalle del padre, Sono già coperte, disse, se un giorno qualcuno le metterà di nuovo in vista, vi garantisco che non sarò io. Cipriano Algor si liberò della coperta, Non ho freddo, disse, e andò a mettere altra legna sul falò. Marta si sentì commossa notando la meticolosità con cui lui collocava i tronchi nuovi sui tizzoni che ardevano, attento e scrupoloso come chi si costringe, per scacciare pensieri scomodi, a concentrare tutto il proprio potere di attenzione su un particolare senza importanza. Non avrei dovuto riprendere l’argomento, si disse fra sé e sé, tanto meno adesso, che ha già detto che verrà con noi al Centro, e inoltre, supponendo che s’intendessero al punto di voler vivere insieme, ci ritroveremmo con un problema di difficile se

non addirittura impossibile soluzione, una cosa è trasferirsi al Centro con la figlia e il genero, un’altra è portarsi la moglie, invece di una famiglia saremmo due, sono convinta che non ci accetterebbero, Marçal mi ha già detto che gli appartamenti sono piccoli, quindi dovrebbero rimanere qui, e di cosa vivrebbero, due persone che a stento si conoscono, quanto tempo durerebbe l’intesa, più che giocare con le parole, io sto giocando con i sentimenti degli altri, con i sentimenti di mio padre, che diritto ho io, che diritto hai tu, Marta, prova a metterti al posto suo, non puoi, ovvio, allora se non puoi stai zitta, si dice che ogni persona è un’isola, e non è vero, ogni persona è un silenzio, questo si, un silenzio, ciascuna con il proprio silenzio, ciascuna con il silenzio che è. Cipriano Algor tornò alla panchina di pietra, si tirò da solo la coperta sulle spalle malgrado avesse ancora sugli abiti il calore del falò, Marta gli si avvicinò, Babbo, babbo mio, disse, Che c’è, Niente, non fateci caso. Era passata da un pezzo l’una quando la fossa fu completamente piena. Ormai non serviamo più qui, disse Cipriano Algor, domattina, quando si saranno raffreddati, tireremo fuori i pezzi, vedremo come saranno. Il cane Trovato li accompagnò fino alla soglia di casa. Poi tornò vicino al fuoco e si sdraiò. Sotto la finissima pellicola di cenere, irradiando una luce tenue, il braciere ancora palpitava. Fu solo quando le braci si spensero del tutto che Trovato chiuse gli occhi per dormire. 13. Cipriano Algor sognò di stare dentro al suo nuovo forno. Si sentiva felice perché era riuscito a convincere la figlia e il genero che il repentino aumento dell’attività della fornace richiedeva cambiamenti radicali nei procedimenti di lavorazione e un pronto aggiornamento dei mezzi e delle strutture di fabbricazione, a cominciare dalla sostituzione urgente del vecchio forno, rimasuglio arcaico di una vita artigianale che neppure come rovina da museo all’aria aperta meriterebbe di essere conservato. Basta con le nostalgie che pregiudicano e ritardano soltanto, aveva detto Cipriano Algor con inusitata veemenza, il progresso avanza inarrestabile, bisogna che ci decidiamo ad accompagnarlo, peggio per chi, per paura di possibili inquietudini future, se ne rimane seduto sul ciglio della strada a piangere un passato che non era neppure stato migliore del presente. Tant’era stata incisiva, perfetta e compiuta che la frase aveva sbaragliato i giovani riluttanti. In ogni caso, bisogna riconoscere che le differenze tecnologiche tra il forno nuovo e il forno vecchio non erano state niente dell’altro mondo, quello che nel primo c’era di antiquato, di moderno c’era adesso nel secondo, l’unica modifica che realmente balzava agli occhi consisteva nella sua dimensione, nella sua capacità due volte maggiore, anche se per la verità, benché non si notasse tanto, erano diversi, e anche un po’ anormali, i rapporti di proporzione che l’altezza, la lunghezza e la larghezza del rispettivo vano interno stabilivano fra loro. Giacché si tratta di un sogno, non c’è da stupirsi per quest’ultimo punto. Stupefacente, invece, per quante libertà ed esagerazioni la logica onirica possa autorizzare al sognatore, è la presenza di una panchina di pietra all’interno del forno, esattamente uguale a quella delle meditazioni, e di cui Cipriano Algor può vedere solo la parte posteriore dello schienale, in quanto, insolitamente, questa panchina è rivolta verso la parete di fondo, da cui dista non più di cinque palmi. Dovevano

avercela portata i muratori per riposare all’ora del pranzo, poi si erano dimenticati di portarla via, pensò Cipriano Algor, ma sapeva che non poteva essere vero, ai muratori, e questo dato è rigorosamente storico, è sempre piaciuto mangiare all’aria aperta, anche quando hanno dovuto lavorare nel deserto, per un mucchio di ragioni in più in un luogo tanto piacevolmente campestre come questo, con le tavole per l’essiccatura sotto il gelso nero e l’arietta di mezzogiorno che spira. Da qualsiasi parte tu venga, andrai a fare compagnia a quella che sta fuori, disse Cipriano Algor, il problema sarà farti uscire da qui, per portarti in braccio pesi troppo, e a trascinarti mi rovineresti il pavimento, non capisco come gli sia venuto di infilarti in un forno e piazzarti in questa maniera, se qualcuno ci si siede si ritroverà con il naso appiccicato alla parete. Per dimostrare a se stesso di avere ragione, Cipriano Algor scivolò lievemente fra una delle estremità della panchina e la parete laterale corrispondente e si sedette. Dovette ammettere che il suo naso, in definitiva, non correva il minimo rischio di scorticarsi sui mattoni refrattari, e che pure le ginocchia, benché più avanzate sul piano orizzontale, erano in salvo da fastidiose sbucciature. La mano, invece, poteva avvicinarsi alla parete senza nessuno sforzo. Orbene, nell’istante preciso in cui le dita di Cipriano Algor stavano per toccarla, una voce proveniente da fuori disse, Non vale la pena che accendi il forno. L’ordine inatteso era di Marçal, come sua fu pure l’ombra che per un secondo attraversò la parete di fondo per scomparire subito dopo. A Cipriano Algor parve un abuso e un’assoluta mancanza di rispetto quel. tu usato dal genero, Non gli ho mai dato questa confidenza, pensò. Fece un movimento per voltarsi e domandare per quale motivo non valesse la pena accendere il forno e cos’è questa storia che mi dài del tu, ma non riuscì a voltare la testa, succede spesso nei sogni, vogliamo correre e avvertiamo che le gambe non obbediscono, in genere sono le gambe, questa volta fu il collo che si rifiutò di girarsi. L’ombra non c’era più, a lei non poteva fare domande, nella vana e irrazionale supposizione che un’ombra abbia la lingua per articolare le risposte, ma le sfumature nelle parole che Marçal aveva pronunciato continuavano a risuonare ancora fra la volta e il pavimento, fra una parete e l’altra. Prima che le vibrazioni si estinguessero del tutto e la dispersa sostanza del silenzio spezzato avesse il tempo di ricostituirsi, Cipriano Algor voleva scoprire le misteriose ragioni per cui non valeva la pena accendere il forno, se effettivamente era stato questo che la voce del genero aveva detto, ora gli sembrava addirittura che le parole fossero state altre, e ancora più enigmatiche, Non vale la pena che vi sacrifichiate, come se Marçal ritenesse che il suocero, a cui, a quanto pare, non aveva dato del tu, avesse deciso di provare sul proprio corpo i poteri del fuoco, prima di consegnargli il frutto delle proprie mani. È matto, mormorò fra sé e sé il vasaio, questo mio genero dev’essere proprio matto per immaginare cose simili, se sono entrato nel forno l’ho fatto solo perché, la frase dovette interrompersi, in effetti Cipriano Algor non sapeva perché si trovasse li, e non c’è da stupirsi, se tante volte ci capita quando siamo svegli, il non sapere perché facciamo o abbiamo fatto questo o quello, figurarsi quando, dormendo, sogniamo. Cipriano Algor pensò che la cosa migliore, piú facile, sarebbe stata semplicemente quella di alzarsi dalla panchina di pietra e uscire fuori a domandare al genero che diavolo di discorso era mai quello, ma sentì che il corpo gli pesava come

piombo, o forse neppure questo, ché in verità non sarà mai tanto il peso del piombo che una forza maggiore non riesca a sollevarlo, fatto sta che era legato allo schienale della panchina, legato senza corde né catene, ma legato. Provò di nuovo a voltare la testa, ma il collo non gli ohbedì, Sono come una statua di pietra seduta su una panchina di pietra a guardare un muro di pietra, pensò, benché sapesse che non era rigorosamente così, il muro, almeno, come i suoi occhi da intenditore in materie minerali potevano percepire, non era stato costruito con pietre, ma con mattoni refrattari. Fu in quel momento che l’ombra di Marçal tornò a proiettarsi sulla parete, Vi porto quella buona notizia che aspettavamo ansiosamente da molto tempo, disse la voce di lui, sono stato promosso, finalmente, guardiano residente, sicché non vale la pena continuare con la produzione, si spiega al Centro che abbiamo chiuso la fornace e loro capiranno, prima o poi doveva succedere, quindi uscite da lì, il camioncino è già qui davanti per portare via i mobili, peccato per i soldi già spesi per quel forno. Cipriano Algor aprì la bocca per rispondere, ma l’ombra era già andata via, quello che il vasaio voleva dire era che la differenza fra la parola dell’artigiano e un comandamento divino sta nel fatto che per quest’ultimo c’è stato bisogno di metterlo per iscritto, e malgrado ciò con gli incresciosi risultati che si conoscono, e inoltre, che se aveva così tanta fretta poteva pure cominciare ad andare, un’espressione alquanto grossolana che contraddiceva la solenne dichiarazione fatta ancora non molti giorni prima, quando aveva promesso alla figlia e al genero che sarebbe andato a vivere con loro se Marçal fosse stato promosso, visto che il trasferimento di entrambi al Centro avrebbe reso impossibile mantenere in funzione la fornace. Mentre Cipriano Algor si stava rimproverando da solo per avere assicurato ciò che l’onore non gli avrebbe mai permesso di rispettare, una nuova ombra comparve sulla parete di fondo. Alla debole luce che riesce a entrare dalla stretta porta di un forno di queste dimensioni, due ombre umane sono molto facili da confondere, ma il vasaio seppe subito di chi si trattava, né l’ombra, più scura, né la voce, più corposa, appartenevano al genero, Signor Cipriano Algor, sono qui solo per informarla che il nostro ordine di statuine di terracotta è stato appena cancellato, disse il capo dell’ufficio acquisti, non so né voglio sapere perché si è infilato là dentro, se è stato per atteggiarsi a eroe romantico in attesa che una parete le riveli i segreti della vita, a me sembra semplicemente ridicolo, ma se la sua intenzione va oltre, se la sua intenzione è di immolarsi col fuoco, per esempio, sappia fin da ora che il Centro rifiuterà di assumersi qualsiasi responsabilità per il decesso, ci mancherebbe altro che incolpassero noi dei suicidi commessi da gente incompetente e giunta al fallimento per non essere stata capace di comprendere le regole del mercato. Cipriano Algor non voltò la testa verso la porta, benché avesse la certezza che ormai avrebbe potuto farlo, sapeva che il sogno era finito, che nulla gli avrebbe impedito di alzarsi quando voleva dalla panchina di pietra, soltanto un dubbio ancora lo turbava, assurdo, certo, stupido, certo, ma comunque comprensibile se prendiamo in considerazione lo stato di perplessità mentale in cui lo ha lasciato questo sogno in cui sarebbe dovuto andare a vivere in quello stesso e identico Centro che aveva appena disprezzato il suo lavoro, e quel dubbio, ora ci arriviamo, non ce n’eravamo dimenticati, ha a che vedere con la panchina di pietra, Cipriano Algor si domanda se per caso non si era portato una panchina di pietra a letto

o se si sveglierà coperto di rugiada sull’altra panchina di pietra, quella delle meditazioni, i sogni umani sono così, a volte prendono cose reali e le trasformano in visioni, altre volte mettono il delirio a giocare a nascondino con la realtà, ecco perché tanto frequentemente confessiamo di non sapere dove ci troviamo, il sogno che ci tira da un lato, la realtà che ci spinge dall’altro, a onor del vero la linea retta esiste solo in geometria, e anche lì non è che un’astrazione. Cipriano Algor aprì gli occhi. Sono a letto, pensò con sollievo, e in quell’istante avvertì che la memoria del sogno gli stava sfuggendo, che sarebbe riuscito a trattenerne solo alcuni pezzi, e non seppe se rallegrarsi per quel poco o rattristarsi per quel troppo, tante volte succede anche questo dopo aver sognato. Era ancora buio, ma il primo cambiamento del cielo, preannuncio dell’alba, non avrebbe tardato a manifestarsi. Cipriano Algor non si riaddormentò. Pensò a tante cose, pensò che il suo lavoro era ormai definitivamente inutile, che l’esistenza della sua persona non aveva più giustificazione sufficiente o mediamente accettabile, Per loro sono un impiccio, mormorò, in quell’istante un frammento di sogno gli apparve in tutta la sua nitidezza, come se fosse stato ritagliato e incollato su una parete, era il capo dell’ufficio acquisti che gli diceva, Se la sua intenzione è di immolarsi col fuoco, caro signore, buon pro le faccia, io l’avverto, però, che non fa parte delle stravaganze del Centro, ammesso che ne abbia, mandare rappresentanti e corone di fiori ai funerali dei suoi ex fornitori. Cipriano Algor era ripiombato nel sonno per qualche momento, si registri, a proposito, e prima che ci sia fatta notare l’apparente contraddizione, che ripiombare nel sonno per qualche momento non è lo stesso che essersi addormentati, il vasaio non aveva fatto altro che sognare di sfuggita il sogno che aveva avuto; e se le seconde parole del capo dell’ufficio acquisti non son venute fuori esattamente uguali alle prime è per la semplice ragione che non è solo nella vita da svegli che le parole che pronunciamo dipendono dall’umore del momento. Quell’antipatico e del tutto fuori luogo riferimento a un’ipotetica immolazione sul fuoco ebbe però il merito di sviare il pensiero di Cipriano Algor sulle statuette di creta lasciate a cuocere nella fossa, e subito dopo, per cammini e traverse del cervello che ci sarebbe impossibile ricostruire e descrivere con sufficiente precisione, sull’improvviso riconoscimento dei vantaggi della statuina vuota rispetto alla statuina massiccia, vuoi nel tempo da perdere, vuoi nell’argilla da consumare. Questa frequente riluttanza delle evidenze a manifestarsi senza farsi troppo pressanti dovrebbe essere oggetto di una profonda analisi da parte degli studiosi, che certamente ci sono, sulle distinte, ma sicuramente non opposte nature del visibile e dell’invisibile, al fine di appurare se nell’interno più intimo di quello che si fa vedere esista, come sembra vi siano forti motivi di sospettare, qualcosa di chimico o fisico tipo una tendenza perversa alla negazione e alla cancellazione, un minaccioso scivolare verso lo zero, un sogno ossessivo di vuoto. Comunque sia, Cipriano Algor è soddisfatto di se stesso. Ancora pochi minuti fa si considerava un impiccio per la figlia e per il genero, un impiccio, un intralcio, un inutile, una parola questa che esprime tutto quando dobbiamo classificare ciò che ipoteticamente non serve più a niente, ed ecco che è stato capace di produrre un’idea la cui bontà intrinseca è dimostrata in anticipo dal fatto che altri l’abbiano avuta prima e spesso messa in esecuzione. Non sempre è possibile avere idee originali, già basta l’averne di semplicemente

praticabili. A Cipriano Algor piacerebbe prolungare il tepore del letto, approfittare del buon sonno del mattino che, forse perché ne abbiamo una vaga coscienza, è, fra tutti i sonni, il più riparatore, ma l’eccitazione causata dall’idea che gli era sovvenuta, il ricordo delle statuette sotto le ceneri certo ancora calde, e anche, perché non confessarlo, quell’affrettata conclusione precedente che non si era riaddormentato, tutto questo insieme gli fece scostare le coperte e scivolare rapidamente a terra, fresco e agile come nei suoi verdi anni. Si vestì senza fare rumore, uscì dalla stanza tenendo gli stivali in mano e, in punta di piedi, si diresse in cucina. Non voleva svegliare la figlia, ma la svegliò, o forse lei era già desta, intenta a incollare frammenti dei suoi stessi sogni o con l’orecchio in ascolto al cieco lavorio che la vita, un secondo dopo l’altro, eseguiva nel suo utero. La voce risuonò nitida e chiara nel silenzio della casa, Babbo, dove andate così presto, Non riesco a dormire, vado a vedere com’è riuscita la cottura, ma tu resta pure, non ti alzare. Marta disse solo, Va bene, non era affatto difficile, conoscendolo, pensare che il padre desiderasse stare da solo durante la grave operazione di estrarre le ceneri e le statuette dalla fossa, proprio come un bambino che, nel cuore della notte, tremando di paura e di eccitazione, avanza a tentoni nel corridoio buio per andare a scoprire quali giocattoli sognati e quali doni gli siano stati messi nella calza. Cipriano Algor infilò le scarpe, aprì la porta della cucina e uscì. Il fogliame compatto del gelso nero tratteneva la notte saldamente, non l’avrebbe lasciata andar via da lì tanto presto, il primo chiarore dell’alba avrebbe tardato ancora una buona mezz’ora. Guardò verso il casotto, poi volse gli occhi intorno, sorpreso di non veder comparire il cane. Fischiò piano piano, ma Trovato non comparve. Il vasaio passò da una sorpresa perplessa a un’inquietudine esplicita, Non credo sia andato via, non ci credo, mormorò. Poteva urlare il nome del cane, ma non lo fece perché non voleva allarmare la figlia. Sarà in giro, sarà in giro a fiutare qualche bestia notturna, si disse per tranquillizzarsi, ma la verità è che, mentre attraversava l’aia diretto al forno, era a Trovato che pensava più che alle tanto agognate statuette di creta. Si trovava ormai a pochi passi dalla fossa quando vide il cane uscire da sotto la panchina di pietra, Mi hai fatto prendere un accidente, birbone, perché non sei venuto quando ti ho chiamato, lo rimproverò, ma Trovato non gli diede risposta, era occupato a stiracchiarsi, a rimettere i muscoli a posto, prima distese con forza le zampe in avanti, abbassando a piano inclinato la testa e la colonna vertebrale, subito dopo eseguiì quello che si suppone sia, nel suo intendimento, un indispensabile esercizio di aggiustamento e compensazione, ribassando e stendendo a tal punto i lombi posteriori che sembrava piuttosto volersi separare dalle zampe di dietro. Tutti quanti ci sanno dire che gli animali hanno smesso di parlare tanto tempo fa, ma ciò che non si potrà mai dimostrare è che non abbiano continuato a far uso segreto del pensiero. Si veda, per esempio, il caso di questo cane Trovato, come malgrado lo scarso chiarore che a poco a poco comincia a scendere dal cielo gli si possa leggere in faccia quello che sta pensando, né più né meno che questo, A parole sceme, orecchie da mercante, volendo intendere che Cipriano Algor, con la lunga esperienza di vita che ha, anche se poco variata, non dovrebbe aver bisogno che gli spiegassero che i cani conoscono i doveri di un cane, è noto che le sentinelle umane vigilano sul serio solo se all’uopo vien dato loro un ordine

categorico, mentre i cani, e questo in particolare, non stanno ad aspettare che gli dicano Resta lì a guardia del fuoco, potremo stare certi che, fintanto che le braci non si saranno estinte, loro rimarranno a occhi aperti. In ogni caso bisogna rendere giustizia al pensiero umano, la sua risaputa lentezza non sempre gli impedisce di giungere alle conclusioni giuste, com’è appena successo nella testa di Cipriano Algor, gli si è accesa una luce all’improvviso ed è grazie a questa luce che ha potuto leggere e subito dopo pronunciare a voce alta le parole di riconoscenza di cui il cane Trovato era giustamente meritevole, Mentre io dormivo nel caldo delle lenzuola, tu stavi qui di sentinella, non importa che la tua sorveglianza non servisse per niente alla cottura, ciò che veramente conta è il gesto. Quando Cipriano Algor concluse l’elogio, Trovato corse ad alzare la zampa e alleviare la vescica, poi tornò indietro scuotendo la coda e si sdraiò a poca distanza dalla fossa, pronto ad assistere all’operazione di sfornatura delle statuine. In quel momento si accese la luce della cucina, Marta si era alzata. Il vasaio voltò la testa, non vedeva chiaramente nel suo spirito se preferisse stare solo o se desiderasse la compagnia della figlia, ma lo seppe un minuto dopo, quando capì che lei aveva deciso di lasciargli il ruolo principale fino all’ultimo momento. Simile al bordo di una volta luminosa che a poco a poco spingesse la cupola buia della notte, la frontiera del mattino si muoveva lentamente verso occidente. Un’improvvisa folata rasoterra fece vorticare, come un mulinello, le ceneri sulla superficie della fossa. Cipriano Algor s’inginocchiò, scostò le sbarre di ferro e, servendosi di quella stessa piccola pala con cui la fossa era stata aperta, cominciò a tirar fuori le ceneri, mescolate con piccoli ciocchi di carbone non consumati. Quasi imponderabili, le bianche particelle gli si appiccicavano alle dita, alcune, leggerissime, aspirate dal respiro, gli salirono fino al naso e lo costrinsero a starnutire, proprio come a volte fa Trovato. A mano a mano che la pala si avvicinava al fondo della fossa, le ceneri si facevano più calde, ma non tanto da bruciare, erano semplicemente tiepide, come pelle umana, e altrettanto soffici e soavi. Cipriano Algor mise da parte la pala e affondò le due mani nelle ceneri. Sfiorò la sottile e inconfondibile asperità delle terrecotte. Allora, come se stesse aiutando qualcuno a nascere, afferrò tra il pollice, l’indice e il medio la testa ancora occulta di una statuina e tirò verso l’alto. Per caso era l’infermiera. Ne scosse le ceneri dal corpo, le soffiò sul viso, sembrava le stesse dando una specie di vita, che le stesse passando il fiato dei propri polmoni, il pulsare del proprio cuore. Poi, a una a una, anche le altre statuine, l’assiro con la barba, il mandarino, il buffone, l’eschimese, il pagliaccio, furono tirate fuori dalla fossa e messe accanto all’infermiera, più o meno ripulite dalle ceneri, ma senza il beneficio supplementare del soffio vitale. Non c’era nessuno presente per domandare al vasaio i motivi della diversità di trattamento, determinati, a prima vista, dalla differenza di sesso, a meno che l’intervento demiurgico sia risultato semplicemente dal fatto che l’infermiera era stata la prima a uscire dalla buca, succede sempre così, da che mondo è mondo, che della creazione si stanchino i creatori nel momento in cui non sia più una novità. Rammentando, però, i complessi problemi di modellatura con cui Cipriano Algor ha dovuto cimentarsi quando lavorava il petto dell’infermiera, non sarà troppo temerario presumere che la ragione ultima del soffio si ritrovi, ancorché in modo oscuro e impreciso, in quel suo sforzo immenso per raggiungere ciò

che la stessa duttilità dell’argilla gli lasciava intravedere. Vai a sapere. Cipriano Algor riempì di nuovo la buca con la terra che per diritto naturale le apparteneva, la calcò bene affinché non ne restasse fuori neanche un pugno e, con tre statuine per mano, si avviò verso casa. Curioso, con il muso alzato, Trovato gli saltellava accanto. L’ombra del gelso nero si era ormai congedata dalla notte, il cielo cominciava ad aprirsi con il primo azzurro del mattino, il. sole sarebbe spuntato ben presto su un orizzonte che da lì non si riusciva a cogliere. Come sono venute, domandò Marta quando il padre entrò, Sembra bene, ma bisogna ripulirle dalla cenere che è ancora appiccicata. Marta versò dell’acqua in un piccolo bacile di coccio, Lavatele qui, disse. Prima a entrare nell’acqua, prima a uscire dalle ceneri, casualità o coincidenza, questa infermiera potrà magari avere in futuro qualche ragione di lamentela, ma non per mancanza di attenzioni. Come va quella lì, domandò Marta, estranea al dibattito sui generi che si è svolto fin qui, Bene, ripeté il padre brevemente. In effetti andava bene, con la cottura tutta uniforme, un bel colore rosso, senza la minima crepa, ed erano altrettanto perfette le altre statuine, a eccezione dell’assiro con la barba, che comparve con una macchia nera sulla schiena, effetto fortunatamente contenuto di un incipiente processo di carbonizzazione provocato da un’indesiderata entrata d’aria. Non ha importanza, non ne soffrirà, disse Marta, e ora fatemi il favore di sedervi a riposare mentre vi preparo la colazione, che avete già fatto un’alzataccia, Mi è venuta l’insonnia, non sono riuscito a riaddormentarmi, Le statuine potevano aspettare che si facesse giorno, Ma io no, come dice il vecchio detto, chi ha preoccupazioni non dorme, o dorme per sognare delle sue preoccupazioni, E forse per non sognare che vi siete svegliato così presto, domandò Marta, Da certi sogni sarebbe meglio uscire rapidamente, rispose il padre, Come stanotte, Sì, come stanotte, Volete parlarne, Non ne vale la pena, In questa casa le preoccupazioni di uno sono sempre state le preoccupazioni di tutti, Ma non i sogni, Eccetto che non siano di preoccupazioni, Con te non si può discutere, Se è così, non perdete altro tempo, raccontate, Ho sognato che Marçal era stato promosso e l’ordinazione cancellata, La cosa più probabile non sarà la cancellazione dell’ordine, Lo credo anch’io, ma le preoccupazioni si agganciano come le ciliegie, una tira l’altra, e due un cesto pieno, quanto alla promozione di Marçal, sappiamo che potrà avvenire da un momento all’altro, E vero, Il sogno è stato un avviso per lavorare in fretta, I sogni non avvisano, Tranne quando chi li sogna si sente avvisato, Vi siete svegliato sputasentenze, caro babbo, Ogni età ha i suoi difetti, e questo mi si è aggravato negli ultimi tempi, Meno male, mi piacciono le vostre sentenze, imparo tante cose, Anche quando non sono che puri e semplici giochi di parole, come adesso, domandò Cipriano Algor, Penso che le parole siano nate solo per poter giocare le une con le altre, che addirittura non sappiano fare altro, e che, al contrario di quanto si dice, non esistano parole vuote, Sputasentenze, È una malattia di famiglia. Marta mise la colazione in tavola, il caffè, il latte, uova strapazzate, pane tostato e burro, qualche frutto. Si sedette davanti al padre, a guardarlo mangiare. E tu, domandò Cipriano Algor, Non ho appetito, rispose lei, Brutto segno, nello stato in cui sei, Dicono che queste inappetenze siano molto comuni nelle donne incinte, Ma hai bisogno di alimentarti bene, secondo la logica dovresti

mangiare per due, O per tre, se porto dei gemelli, Sto parlando sul serio, Non vi preoccupate, devono ancora venirmi le nausee e chi sa quanti altri fastidi. Ci fu un silenzio. Il cane si è rintanato sotto il tavolo, si finge indifferente agli odori del cibo, ma è solo rassegnazione, sa bene che il suo turno tarderà ancora di qualche ora. Vi rimettete subito al lavoro, domandò Marta, Appena ho finito di mangiare, rispose Cipriano Algor. Altro silenzio. Babbo, disse Marta, immaginate che Marçal telefoni oggi comunicando che è stato promosso, Hai qualche motivo per pensare che succederà, Nessuno, è solo un’ipotesi, Benissimo, immaginiamo allora che il telefono stia squillando in questo momento, che tu ti alzi e vada a rispondere, che sia Marçal che ci informa di essere passato al grado di guardiano residente, Cosa fareste in questo caso, Finirei di mangiare, porterei le statuine nella fornace e comincerei a fare gli stampi, Come se nulla fosse successo, Come se nulla fosse successo, Credete che sarebbe una decisione sensata, non vi parrebbe più coerente rinunciare alla fabbricazione, voltare pagina, Figliola cara, è ben possibile che la dissennatezza e l’incoerenza siano per i giovani un dovere, per i vecchi sono un diritto assolutamente rispettabile, Prendo nota per la parte che mi riguarda, Anche se tu e Marçal dovrete trasferirvi al Centro prima, io rimarrò qui fino a quando avrò terminato il lavoro che mi hanno commissionato, poi vi raggiungerò, come ho promesso, È una follia, babbo, Follia, incoerenza, dissennatezza, hai di me una bassa opinione, È una follia voler fare da solo un lavoro del genere, ditemi come immaginate che mi sentirò sapendo cosa avviene qui, E come immagini tu che mi sentirei io se abbandonassi il lavoro a metà, non capisci che a questo punto della vita non ho piú molte altre cose a cui aggrapparmi, Avete me, avrete vostro nipote, Scusami, ma non basta, Dovrà bastare quando verrete a vivere con noi, Suppongo di si, ma almeno avrò terminato il mio ultimo lavoro, Non siate tragico, babbo, chissà quale sarà, e quando, il vostro ultimo lavoro. Cipriano Algor si alzò da tavola. Avete perduto l’appetito all’improvviso, domandò la figlia, vedendo che era rimasto del cibo nel piatto, Faccio fatica a inghiottire, ho un nodo in gola, Sono i nervi, Si, forse si. Anche il cane si era alzato, pronto a seguire il padrone. Ah, fece Cipriano Algor, dimenticavo di dirti che Trovato è rimasto tutta la notte sotto la panchina di pietra a sorvegliare il fuoco, A quanto pare anche dai cani si può imparare qualche cosa, Sì, si impara soprattutto a non discutere ciò che deve essere fatto, qualche vantaggio il semplice istinto dovrà pure averlo, Volete forse dire che è anche l’istinto che vi ordina di terminare il lavoro, che negli esseri umani, o in certuni, esiste un fattore di comportamento simile all’istinto, domandò Marta, Io so soltanto che la ragione avrebbe un solo consiglio da darmi, Quale, Di non essere stupido, che non finirebbe il mondo se io non finissi le statuine, Davvero, che importanza potrebbero avere per il mondo un certo numero di statuine di argilla in piú o in meno, Scommetto che non mostreresti tanta indifferenza se invece che di statuine di argilla si trattasse di none o di quinte sinfonie, purtroppo, figlia mia, tuo padre non è nato per essere un musicista, Se davvero credete che stavo dimostrando indifferenza, me ne rattristo, Certo che no, scusa. Cipriano Algor stava per uscire, ma si fermò ancora un momento sulla soglia della porta, In ogni caso, bisogna riconoscere che la ragione è capace di produrre anche idee vantaggiose, stanotte, quando mi sono svegliato, mi è venuto in mente che si potrà

risparmiare molto tempo e un po’ di materiale se faremo le statuette vuote, seccano e si cuociono piú in fretta, e si risparmia sulla creta, Evviva la ragione, finalmente, Guarda che non lo so, anche gli uccelli fanno i nidi vuoti e non vanno mica in giro a vantarsene. 14. Da quel giorno, Cipriano Algor interruppe il lavoro in fornace solo per mangiare e dormire. La sua poca esperienza delle tecniche gli fece erroneamente calcolare le proporzioni di gesso e acqua nella fabbricazione delle formette, peggiorare tutto quando si sbagliò nelle quantità di creta, acqua e deflocculante necessarie a una mistura equilibrata per la barbotina di colaggio, versare con troppa rapidità la broda ottenuta, creando bolle d’aria all’interno dello stampo. I primi tre giorni furono spesi a fare e rifare, a disperarsi per gli errori, a maledire la propria goffaggine, a rabbrividire di gioia ogni volta che riusciva a cavarsela bene in una operazione delicata. Marta andò a offrirgli aiuto, ma lui la pregò di lasciarlo in pace, un modo di esprimersi in verità tutt’altro che confacente alla realtà di ciò che si stava vivendo in quella vecchia officina, fra gessi che indurivano troppo presto e acque che arrivavano tardi all’incontro, fra impasti che non erano sufficientemente essiccati e misture troppo dense che si rifiutavano di farsi versare, molto più azzeccato sarebbe stato se avesse detto Lasciami in pace con la mia guerra. La mattina del quarto giorno, come se i folletti maliziosi e schivi, che erano i diversi materiali, si fossero pentiti del modo crudele in cui avevano trattato l’inatteso principiante nella nuova arte, Cipriano Algor cominciò a ritrovare morbidezze dove prima aveva affrontato solo asperità, docilità che lo colmavano di gratitudine, segreti che si svelavano. Teneva il manuale di soccorso sopra il bancone, umido, pieno di ditate, gli chiedeva consiglio ogni cinque minuti, a volte capiva male ciò che aveva letto, altre volte una improvvisa intuizione gli illuminava una pagina intera, non sarà fuor di luogo affermare che Cipriano Algor oscillava fra l’infelicità più lacerante e la più completa beatitudine. Si alzava dal letto al primo albeggiare, si sbrigava a far colazione e s’infilava nella fornace fino all’ora del pranzo, poi lavorava per tutto il pomeriggio e tutta la serata, facendo appena un rapido intervallo per cenare, con una frugalità che non doveva nulla agli altri pasti. La figlia protestava, Finirete per ammalarvi, a lavorare in questo modo e mangiare tanto poco, Sto bene, rispondeva lui, non mi sono mai sentito tanto bene in vita mia. Era vero e non lo era. La sera tardi, quando finalmente si andava a coricare, lavato dagli odori dello sforzo e dalle sporcizie del lavoro, sentiva che le articolazioni gli stridevano, che il suo corpo era tutto un dolore. Non ce la faccio più come un tempo, si diceva fra sé e sé, ma, nel più profondo della sua coscienza, una voce che pure era la sua gli ribatteva, Non ce l’hai mai fatta tanto, Cipriano, non ce l’hai mai fatta tanto. Dormiva come s’immagina che dovrà dormire un sasso, senza sogni, senza brividi, addirittura quasi senza respirare, deponendo sul mondo tutto il peso della sua fatica infinita. Qualche volta, come una madre inquieta, anticipando, ma senza averci pensato, inquietudini future, Marta si alzò nel cuore della notte per andare a vedere come stava il padre. Entrava silenziosamente nella stanza, si avvicinava piano piano al letto, si chinava ad ascoltare, poi se ne usciva con le stesse cautele. Quell’uomo grande, dai capelli bianchi e il viso

castigato, suo padre, era anche lui come un figlio, ben poco ne saprà della vita chi si rifiuti d’intenderlo, le tele in cui s’intrecciano i rapporti umani in generale, e quelli di parentela in particolare, soprattutto quelli stretti, sono più complesse di quanto ci sembrino a prima vista, diciamo genitori, diciamo figli, crediamo di sapere perfettamente di cosa stiamo parlando, e non c’interroghiamo sulle cause profonde dell’affetto che vi sia, o dell’indifferenza, o dell’odio. Marta esce dalla stanza e pensa Dorme, ecco una parola che apparentemente non ha fatto altro che esprimere la verifica di un fatto, eppure in cinque lettere, in due sillabe, ha saputo tradurre tutto l’amore che in un certo momento è riuscito a rientrare in un cuore umano. Conviene dire, a delucidazione degli ingenui, che, in materia di sentimenti, quanto più grande sia la parte di magniloquenza, tanto più piccola sarà la parte di verità. Il quarto giorno fu quello in cui doveva andare a prendere Marçal al Centro per il suo giorno di riposo, che naturalmente chiameremmo settimanale se non fosse, come sappiamo, decimale, cioè ogni dieci giorni. Marta disse al padre che sarebbe andata lei, così non avrebbe dovuto lui interrompere il lavoro, ma Cipriano Algor rispose che no, che non ci pensasse neanche, I furti lungo la strada sono diminuiti, è vero, ma c’è sempre qualche rischio, Se c’è pericolo per me, ci sarà anche per voi, In primo luogo, io sono un uomo, in secondo luogo non sono incinto, Ragioni del tutto rispettabili, che fanno onore, Manca ancora la terza ragione, che è quella importante, Dite, Non potrei lavorare finché non fossi tornata, perciò il lavoro non sarà pregiudicato, e inoltre il viaggio mi servirà per schiarirmi le idee, ché ce n’è davvero bisogno, riesco solo a pensare a stampi, formette e misture, Anche a me servirà per schiarirmi, e dunque andremo insieme a prendere Marçal, a guardia del castello resterà Trovato, Se è quello che vuoi, Lasciate perdere, stavo scherzando, siete voi, babbo, che di solito andate a prendere Marçal, solitamente io resto a casa, evviva dunque l’abitudine, Sul serio, andiamo, Sul serio, andate. Sorrisero tutti e due e il dibattito sulla questione principale, e cioè le solite ragioni oggettive e soggettive, fu rimandato. Nel pomeriggio, giunta l’ora, e senza neppure essersi cambiato d’abito per non perdere tempo, Cipriano Algor si mise in cammino. Quando stava già per uscire dal paese si rese conto che non aveva girato la testa nel passare davanti alla via dove abita Isaura Madruga, e quando si dice girare la testa, s’intende sia da una parte sia dall’altra, poiché Cipriano Algor, nei giorni scorsi, alcune volte aveva guardato per vedere se vedeva, altre volte verso il lato dov’era sicuro che non avrebbe visto. Gli venne in mente di domandarsi come interpretava la sconcertante indifferenza, ma una pietra che stava in mezzo alla strada lo distrasse, e l’occasione andò perduta. Il viaggio verso la città si svolse senza difficoltà, subì solo un ritardo causato da un posto di blocco della polizia che faceva fermare una macchina sì e una macchina no per esaminare i documenti dei conducenti. Mentre aspettava che glieli restituissero, Cipriano Algor ebbe il tempo di osservare che il limite delle baracche sembrava essersi spostato un po’ verso la strada, Prima o poi li spingeranno di nuovo indietro, pensò. Marçal era già in attesa. Scusami per il ritardo, disse il suocero, sarei dovuto uscire più presto da casa, e poi ci si è messa anche la polizia, Come sta Marta, domandò Marçal, ieri non ho potuto telefonare, Penso stia bene, in ogni caso dovresti parlarle, mangia poco, senza appetito, lei dice che nelle donne

incinte è normale, può anche darsi, di queste cose non me ne intendo, ma se fossi in te, non mi fiderei, Le parlerò, state tranquillo, magari sta così perché è l’inizio della gravidanza, Non sappiamo niente, davanti a queste cose siamo come un bambino smarrito, devi portarla dal medico. Marçal non rispose. Il suocero tacque. La cosa più sicura è che probabilmente stavano pensando tutti e due la stessa cosa, che all’ospedale del Centro la visiterebbero meglio che in qualsiasi altro posto, almeno è questa la voce che circola, del resto, essendo la moglie di un dipendente, la residenza non è neppure una condizione per essere competentemente visitata. Trascorso un minuto, Cipriano Algor disse, Quando vuoi posso accompagnare Marta. Erano usciti dalla città, potevano procedere più velocemente. Marçal domandò, Come va il lavoro, Siamo ancora all’inizio, abbiamo cotto le statuette che avevamo modellato, ora sono alle prese con gli stampi, E come va, Ci s’illude, si crede che la creta sia tutta uguale, che se uno fa una cosa fa anche l’altra, e poi si capisce che non è così, che dobbiamo apprendere tutto dall’inizio. Fece una pausa, per poi aggiungere, Ma sono contento, è un po’ come se fossi nato un’altra volta, a parte l’esagerazione, Domani vi darò una mano, disse Marçal, ne so meno che poco, ma a qualcosa dovrò pure servire, No, starai invece con tua moglie, uscite, andate a fare un giro, Un giro no, ma domani dovremo andare a pranzo a casa dei miei genitori, loro non lo sanno ancora che Marta è incinta, fra poco si comincerà a notare, immaginate cosa mi toccherebbe sentire, E a ragione, bisogna essere giusti, disse Cipriano Algor. Altro silenzio. Il tempo è buono, osservò Marçal, Speriamo si mantenga così per due o tre settimane, disse il suocero, le statuine devono andare in forno il più essiccate possibile. Nuovo silenzio, ma prolungato. La polizia aveva ormai tolto il posto di blocco, la strada era libera. Per due volte Cipriano Algor fece per parlare, alla terza parlò davvero, C’è qualche novità sulla tua promozione, domandò, Niente, per il momento, rispose Marçal, Credi che avranno cambiato idea, No, è solo questione di tramiti, l’apparato burocratico del Centro è altrettanto arzigogolato di questo qui fuori, Con tutte queste pattuglie della polizia a controllare patenti, polizze di assicurazione e attestati sanitari, Più o meno, Sembra che non sappiamo vivere in altra maniera, Forse non c’è un’altra maniera di vivere, O forse che è troppo tardi perché ci sia un’altra maniera. Non parlarono più fino a quando entrarono in paese. Marçal pregò il suocero di fermarsi a casa dei genitori, Solo il tempo di avvisarli che verremo a pranzo domani. L’attesa, infatti, non fu lunga, ma, ancora una volta, Marçal non sembrava soddisfatto quando montò sul furgone, Cosa è successo adesso, domandò Cipriano Algor, È successo che mi va sempre tutto storto con i miei genitori, Non esagerare, ragazzo mio, la vita delle famiglie non è mai stata quel che si potrebbe dire rose e fiori, viviamo alcune ore buone, alcune ore cattive, e siamo ancora molto fortunati quando siano tutte così così, Sono entrato, a casa c’era solo mia madre, mio padre non era arrivato, le ho spiegato il motivo per cui ero lì e, per animare un po’ il discorso, ho assunto un’aria solenne e insieme allegra per anticiparle che domani avrei fatto loro una grande sorpresa, E dopo, Riuscite a immaginare quale sia stata la risposta di mia madre, A tanto non arrivano le mie doti divinatorie, Mi ha domandato se la grande sorpresa era che venivano a vivere con me nel Centro, E tu, cos’hai detto, Che no, che in definitiva non valeva la pena riservare la sorpresa per domani, ve la comunico subito, ho detto, Marta

è incinta, avremo un figlio, È stata contenta, no, Certo, non la smetteva di abbracciarmi e baciarmi., Di cosa ti lamenti, allora, È che con loro dev’esserci sempre qualche nuvolone in cielo, adesso è quell’idea fissa che vogliono venire ad abitare nel Centro, Sai bene che non m’importerebbe di cedere il mio posto, Non ci pensate nemmeno, è fuori questione, e non perché io scambi i genitori con il suocero, ma perché ognuno di loro ha l’altro, mentre il suocero resterebbe da solo, Non sarei l’unica persona al mondo a vivere da sola, Per Marta, sì, ve lo garantisco, Mi lasci senza sapere cosa rispondere, Certe cose sono tanto ciò che sono da non avere bisogno di una nostra spiegazione. Davanti a una manifestazione di saggezza elementare tanto categorica, il vasaio si ritrovò per la seconda volta senza risposta. Anche un altro motivo doveva aver contribuito alla repentina mutezza, il fatto che stessero passando, proprio in quell’istante, davanti alla via di Isaura Madruga, per la qual cosa la coscienza di Cipriano Algor, al contrario di quanto era successo all’andata, non trovò modo di restare indifferente. Quando arrivarono alla fornace, Marçal ebbe l’inatteso piacere di vedersi accolto da Trovato come se al posto della sua uniforme intimidatoria di guardiano del Centro avesse indosso gli abiti più pacifici e borghesi di tutti. Al sensibile cuore del giovane, ancora sofferente per la malaugurata conversazione con la progenitrice, tanto lo commossero le effusioni dell’animale che se lo abbracciò come se fosse l’essere più amato. Sono momenti particolari, non ci sarà bisogno di ricordare che la persona che Marçal ama di più nella vita è sua moglie, questa che aspetta accanto a lui con un tenero sorriso il suo turno di essere abbracciata, ma così come ci sono occasioni in cui una semplice mano sulla spalla ci fa sciogliere in lacrime, può anche capitare che la gioia disinteressata di un cane ci riconcili per un minuto breve con i dolori, le delusioni e i dispiaceri che il mondo ci ha causato. Siccome Trovato ne sa ben poco di sentimenti umani, la cui esistenza, sia in positivo che in negativo, è sufficientemente dimostrata, e tanto meno Marçal di sentimenti canini, sui quali sono poche le certezze e miriadi i dubbi, qualcuno dovrà spiegarci prima o poi per che diavolo di ragioni, comprensibili da un lato e dall’altro, questi due qui si siano abbracciati, quando non appartengono neanche alla stessa specie. Visto che la fabbricazione degli stampi era nella fornace una novità assoluta, Cipriano Algor non avrebbe potuto sottrarsi a mostrare al genero ciò che aveva fatto in questi giorni, ma il suo amor proprio, che gli aveva già fatto rifiutare l’aiuto della figlia, soffriva all’idea che lui si sarebbe potuto accorgere di qualche errore, di qualche inezia mal corretta, di uno qualsiasi degli innumerevoli segnali che facilmente avrebbero denunciato l’agonia mentale in cui aveva vissuto all’interno di quelle quattro pareti. Benché Marçal fosse troppo occupato con Marta per prestare attenzione a crete, silicati di sodio, gessi, formette e stampi, il vasaio decise di non lavorare dopo cena, di far loro compagnia per la serata, la qual cosa finì per dargli la possibilità di dissertare con molta esattezza teorica su una materia in cui, meglio di chiunque altro, sapeva fino a qual punto e con quali disastrose conseguenze gli era fallita la pratica. Marçal avvisò Marta che il giorno seguente avrebbero pranzato con i genitori, ma non accennò neppure di sfuggita al penoso dialogo che aveva scambiato con la madre, il che faceva pensare al suocero che si trattasse di una questione che era passata al foro privato, un problema da analizzare nell’intimità della camera matrimoniale, e

non da riprendere e vagliare in una conversazione a tre, a meno che Marçal, con la più lodevole delle prudenze, non intese semplicemente evitare che si ricadesse ancora una volta sulla spinosa questione del trasferimento al Centro, che abbiamo già visto come inizia e dove solitamente va a finire. La mattina seguente, mentre Cipriano Algor era già intento al suo lavoro, Marçal entrò nella fornace, Buongiorno, disse, ecco il praticante. Marta lo accompagnava, ma non si offrì di lavorare, anche se era quasi sicura che stavolta il padre non l’avrebbe mandata via. La fornace era come un campo di battaglia dove una sola persona avesse combattuto per quattro giorni contro se stessa e contro tutto ciò che la circondava. È un po’ in disordine, si scusò Cipriano Algor, è tutta un’altra cosa rispetto a prima, quando facevamo stoviglie, avevamo una norma, una routine prestabilita, È solo questione di tempo, disse Marta, con il tempo le mani e le cose finiscono per abituarsi le une alle altre, e da quel giorno le cose non s’ingarbugliano più, né le mani si fanno ingarbugliare, La sera mi sento talmente stanco che mi cadono le braccia al solo pensiero che dovrei dare una riordinata a questo caos, Me ne incaricherei io con il massimo piacere se non mi fosse proibito di entrare, disse Marta, Non te l’ho proibito, protestò il padre, Con queste esatte e precise parole, no, È che non voglio farti stancare, quando sarà il momento di cominciare a dipingere sarà diverso, lavorerai seduta, non dovrai fare sforzi, Vedremo se allora non vi verrà in mente di dirmi che l’odore delle vernici danneggia il bambino, È evidente che con questa donna non è possibile conversare, disse Cipriano Algor a Marçal come chi si è rassegnato a chiedere aiuto, La conoscete da più tempo di me, abbiate pazienza, ma che qui ci sia bisogno di una pulizia di quelle serie e di una bella riordinata, non c’è dubbio, Posso avere un’idea, domandò Marta, mi autorizzano lorsignori ad avere un’idea, L’hai già avuta, scoppieresti se non la tirassi fuori, borbottò il padre, Qual è, domandò Marçal, Questa mattina la creta riposa, rimettiamo tutto in condizioni decenti, e visto che il mio caro padre non vuole farmi stancare, io darò gli ordini. Cipriano Algor e Marçal si guardarono l’un l’altro, studiando chi dei due avrebbe parlato per primo, e siccome né l’uno né l’altro si decidevano a prendere la parola, finirono per dire in coro, Va bene. Prima dell’orario in cui Marçal e Marta dovevano uscire per andare a pranzo, la fornace e tutto quello che c’era dentro era lindo e pulito quanto ci si sarebbe potuti aspettare da un posto di lavoro in cui il fango è la materia prima del prodotto fabbricato. In verità, se uniamo e mescoliamo acqua e creta, acqua e gesso, o acqua e cemento, potremo far volteggiare quanto vorremo l’immaginazione per inventare un nome meno grossolano, meno prosaico, meno ordinario, ma finiremo sempre, prima o poi, per arrivare alla parola giusta, alla parola che esprime ciò che deve esprimere, fango. Tanti dèi, tra i più noti, non vollero altro materiale per le proprie creazioni, ma è dubbioso se tale preferenza rappresenti oggi per il fango un punto a favore o un punto contro. Marta lasciò pronto il pranzo per il padre, C’è solo da scaldarlo, disse mentre usciva con Marçal. Il rumore debole del furgone diminuìi e svanì rapidamente, il silenzio si rimpossessò della casa, per poco più di un’ora Cipriano Algor si ritroverà da solo. Alleviato dall’eccitazione nervosa degli ultimi tempi, non tardò molto a notare che lo stomaco cominciava a dare segni di insoddisfazione. Andò a portare prima il cibo a Trovato, poi entrò in cucina,

tolse il coperchio e annusò. Aveva un buon odore ed era caldo. Non c’era nessun motivo di aspettare. Quando ebbe finito di mangiare, ormai seduto nella sua sedia da riposo, si sentì in pace. È fin troppo noto che la soddisfazione dello spirito non è del tutto insensibile a un’alimentazione sufficiente del corpo, però, se in questo momento Cipriano Algor si sentiva in pace, se provava una specie di trasporto quasi giubilante in tutto il suo essere, ciò non era dovuto solo al fatto materiale di aver mangiato. Nell’ordine, contribuivano a un tale felice stato d’animo anche il suo innegabile progresso nel dominio delle tecniche di modellatura, la speranza che d’ora in poi siano finiti i problemi o comincino a mostrarsi meno intrattabili, l’eccellente intesa tra Marta e Marçal che, come si suole dire, salta agli occhi di chiunque, e, infine, ma non per ciò di minore importanza, la pulizia a fondo della fornace. Le palpebre di Cipriano Algor calarono lentamente, si alzarono ancora una volta, poi un’altra con maggior sforzo, la terza volta non fu che un tentativo del tutto sprovvisto di convinzione. Con l’anima e lo stomaco in stato di pienezza, Cipriano Algor si lasciò scivolare nel sonno. Là fuori, all’ombra del gelso nero, anche Trovato dormiva. Sarebbero potuti rimanere così fino al ritorno di Marçal e Marta, ma all’improvviso il cane abbaiò. Il tono non era né di minaccia né di paura, ma solo di allarme convenzionale, uno che lo fa per dovere d’ufficio, Anche se conosco la persona che sta arrivando, devo abbaiare perché così ci si aspetta che io faccia. Non furono, tuttavia, i latrati infastiditi di Trovato che svegliarono Cipriano Algor, bensì una voce, una voce di donna che chiamava da fuori, Marta, e subito dopo domandava, Marta, sei in casa. Il vasaio non si alzò dalla sedia, si limitò a raddrizzare il corpo, come se stesse preparandosi a fuggire. Il cane non abbaiava più. La porta della cucina era aperta, la donna era già lì, si avvicinava sempre di più, stava per comparire, se questo nuovo incontro non è l’effetto di un caso fortuito, di una mera e casuale coincidenza, se era previsto e annotato nel libro dei destini, neanche un terremoto potrà ostacolarle il cammino. Scuotendo la coda, Trovato fu il primo a entrare, subito dopo comparve Isaura Madruga. Ah, fece lei, sorpresa. Non fu facile per Cipriano Algor alzarsi, la sedia bassa e le gambe improvvisamente molli ebbero la colpa della trista figura che sapeva di star facendo. Disse lui, Buon pomeriggio. Disse lei, Buon pomeriggio, buongiorno, non so bene che ora è. Disse lui, È già mezzogiorno passato. Disse lei, Pensavo fosse prima. Disse lui, Marta non c’è, ma la prego, si accomodi. Disse lei, Non voglio disturbarla, verrò in un altro momento, ciò che mi ha portato qui non è urgente. Disse lui, E andata con Marçal a pranzo a casa dei suoceri, non dovrebbe tardare. Disse lei, Venivo solo per dire a Marta che sono riuscita a trovare un lavoro. Disse lui, Davvero, e dove. Disse lei, Proprio qui, in paese, per fortuna. Disse lui, E dove andrà a lavorare. Disse lei, In un negozio, al banco, poteva andare peggio. Disse lui, Le piace il lavoro. Disse lei, Nella vita non sempre possiamo fare quello che ci piace, l’essenziale, per me, era rimanere qui, ma a questo Cipriano Algor non rispose, rimase in silenzio, confuso dalle domande che, quasi senza pensare, gli erano uscite dalla bocca, balza agli occhi di chiunque che se uno domanda è perché vuole sapere, e che se vuole sapere è perché qualche motivo dovrà pure averlo, ora la questione di principio che Cipriano Algor deve districare nel disordine dei suoi sentimenti è il motivo di certe domande che, letteralmente intese, e non si vede come possa esistere in

questo caso altro modo di intenderle, dimostrano un interesse per la vita e per il futuro di questa donna che va ben oltre ciò che sarebbe naturale aspettarsi da un buon vicino, un interesse che, d’altro canto, come ormai ben sappiamo, è in contraddizione radicale e inconciliabile con decisioni e pensieri che, nel corso di queste pagine, lo stesso Cipriano Algor ha assunto e prodotto nei confronti di Isaura, dapprima Estudiosa, e attualmente Madruga. Il problema è serio e richiederebbe un’estesa e ponderata riflessione, ma la logica ordinativa e la disciplina del racconto, anche se talvolta possano essere trascurate, o addirittura, quando ciò convenga, debbano esserlo, non ci permettono di lasciare per altro tempo Isaura Madruga e Cipriano Algor in questa penosa situazione, imbarazzati, taciturni l’uno davanti all’altra, con un cane che li guarda e non capisce cosa sta succedendo, con un orologio a parete che si starà domandando, nel suo tic-tac, perché mai vorranno questi due il tempo se poi non ne approfittano. Bisogna, dunque, fare qualche cosa. Si, fare qualche cosa, ma non una cosa qualsiasi. Potremo e dovremo mancare nei confronti della logica ordinativa e della disciplina del racconto, ma mai e poi mai a quello che costituisce il carattere esclusivo ed essenziale di una persona, e cioè, la sua personalità, il suo modo di essere, il suo tratto personale e inconfondibile. Si ammettono nel personaggio tutte le contraddizioni, ma non le incoerenze, e insistiamo particolarmente su questo punto perché, al contrario di ciò che solitamente dettano i dizionari, incoerenza e contraddizione non sono sinonimi. E all’interno della propria coerenza che una persona o un personaggio si contraddicono, mentre l’incoerenza, essendo ben più che la contraddizione, una costante di comportamento, respinge da sé la contraddizione, la elimina, non s’intende a viverci insieme. Da questo punto di vista, ancorché rischiando di cadere nelle tele paralizzanti del paradosso, non dovrebbe escludersi l’ipotesi che la contraddizione sia, in definitiva, proprio uno tra i più coerenti contrari dell’incoerenza. Poveri noi, queste speculazioni, magari non del tutto defalcate di interesse per coloro che non si soddisfano con l’aspetto superficiale e consuetudinario dei concetti, ancor più ci hanno distratto dalla difficile situazione in cui avevamo lasciato Cipriano Algor e Isaura Estudiosa, adesso soli l’uno con l’altra, giacché Trovato, capendo che lì non si cavava un ragno dal buco, ha ritenuto bene allontanarsi e ritornare all’ombra del gelso nero per proseguire il sonno interrotto. È dunque tempo di ricercare una soluzione per questo inammissibile stato di cose, facendo pronunciare, per esempio, a Isaura Madruga, più risoluta perché è una donna, poche parole solo per vedere cosa ne viene fuori, queste o altre andranno altrettanto bene, Beh, allora vado, tante volte non c’è bisogno d’altro, basta rompere il silenzio, muovere leggermente il corpo come facendo cenno di ritirarsi, almeno in questo caso è stato un rimedio benedetto, benché al vasaio Cipriano Algor, deprecabilmente, non gli sia poi sovvenuto niente di meglio che farsi scappare una domanda che in seguito gli farà dare i pugni in testa, che giudichi ciascuno di noi se sia stato o meno il caso, Che notizie mi dà della nostra brocca, domandò lui, continua a rendere un buon servizio. Cipriano Algor s’infliggerà i pugni come castigo per ciò che ha considerato una stupidaggine imperdonabile, ma speriamo che più tardi, quando gli sarà passata la furia autopunitiva, si rammenti che Isaura Madruga non è scoppiata in una risata di scherno, non ha riso impietosamente, non ha neppure accennato quel minimo sorriso d’ironia che la situazione

sembrava richiedere, e che, al contrario, ha assunto un’aria molto seria, ha incrociato le braccia sul petto come se ancora stesse abbracciando la brocca, quella che Cipriano Algor, senza rendersi conto dello scivolone verbale, aveva definito nostra, forse stasera, fintanto che il sonno non arriva, questa parola lo interrogherà su quale intenzione effettiva avesse avuto quando l’ha detta, se la brocca era nostra solo perché un giorno era passata da una mano all’altra e perché se ne stava parlando in quel momento, oppure nostra perché era nostra, nostra senza giravolte, nostra soltanto, nostra di noi due, nostra e basta. Cipriano Algor non risponderà, borbotterà come altre volte, Che stupidaggine, ma lo farà in maniera automatica, con tono assai veemente, certo, ma senza vera convinzione. Ora che Isaura Madruga ormai si è ritirata dopo aver detto sussurrando Arrivederci, ora che è uscita da quella porta come un’ombra sottile, ora che Trovato, dopo averle fatto compagnia fino all’inizio del sentiero che conduce alla strada, è appena rientrato in cucina con un’espressione chiaramente interrogativa nell’inclinazione del capo, nel movimento della coda e nelle orecchie alzate, solo ora Cipriano Algor si è accorto che nessuna parola aveva risposto alla sua domanda, né un si, né un no, solo quel gesto di abbracciare il proprio corpo, forse per ritrovarvisi, forse per difenderlo o difendersene. Cipriano Algor si guardò intorno perplesso, come se fosse smarrito, aveva le mani umide, il cuore che batteva all’impazzata, l’ansia di chi è appena sfuggito a un pericolo della cui gravità non è arrivato ad avere una nozione chiara. E allora si diede il primo pugno in testa. Quando Marta e Marçal rientrarono dal pranzo, lo trovarono nella fornace, che versava gesso liquido in uno stampo, Siete stato bene senza di noi, domandò Marta, Non sono ancora morto di nostalgia, se era questo che volevi dire, ho dato da mangiare al cane, ho pranzato, ho riposato un po’, ed eccomi di nuovo qui, e là, come sono andate le cose, Niente di particolare, disse Marçal, visto che gli avevo già comunicato di Marta, non ci sono stati grandi festeggiamenti, i baci e gli abbracci che sono di prassi. in queste occasioni, del resto non si è parlato, Meglio così, disse Cipriano Algor, e continuò a versare la mistura di gesso nello stampo. Gli tremavano un po’ le mani. Vengo subito ad aiutarvi, vado a cambiarmi, disse Marçal. Marta non seguì il marito. Un minuto dopo, Cipriano Algor, senza guardarla, le domandò, Vuoi qualcosa, No, non voglio niente, stavo solo guardando il vostro lavoro. Passò un altro minuto, e stavolta fu Marta a domandare, Non vi sentite bene, Certo che mi sento bene, Vi trovo strano, diverso, Sono i tuoi occhi, In genere, i miei occhi sono d’accordo con me, Sei fortunata, io non so mai con chi sono d’accordo, rispose il padre seccamente. Marçal non avrebbe tardato molto. Marta domandò di nuovo, Vi è successo qualcosa in nostra assenza. Il padre posò il secchio per terra, si pulì le mani con uno straccio e rispose guardando la figlia in faccia, È venuta Isaura, quella Estudiosa, o Madruga, o come si chiama, voleva parlare con te, Isaura è venuta qui, Con più parole, è quello che credo di avere appena detto, Non tutti abbiamo le vostre capacità analitiche, e cosa voleva, si può sapere, Darti la notizia che aveva trovato lavoro, Dove, Qui, Sono contenta, molto contenta, presto andrò a trovarla. Cipriano Algor era passato a occuparsi di un altro stampo, Babbo, cominciò a dire Marta, ma lui la interruppe, Se l’argomento è questo, ti prego di non continuare, quello che mi hanno chiesto di comunicarti ormai lo sai, altre

parole sono inutili, Anche le sementi si interrano, e loro finiscono per nascere, scusate se l’argomento è lo stesso. Cipriano Algor non rispose. Fra l’uscita della figlia e il ritorno del genero si sarebbe dato un altro pugno in testa. 15. Che molti dei miti antropogenici non abbiano potuto fare a meno della creta nella creazione materiale dell’uomo, è un fatto già menzionato qui e alla portata di chiunque sia mediamente interessato ad almanacchi io-so-tutto ed enciclopedie quasi-tutto. Non sarà questo, di norma, il caso dei credenti delle diverse religioni, visto che proprio dalle vie organiche della chiesa di cui fanno parte ricevono e incorporano quella e tante altre informazioni di uguale o analoga importanza. C’è tuttavia un caso, un caso almeno, in cui ci fu bisogno che la creta andasse al forno per considerare l’opera compiuta. E comunque dopo vari tentativi. Questo singolare creatore a cui ci stiamo riferendo e di cui abbiamo dimenticato il nome ignorerebbe probabilmente, o non avrebbe sufficiente fiducia nell’efficacia taumaturgica del soffio nelle narici a cui un altro creatore è ricorso prima o sarebbe ricorso poi, come del resto ha fatto, ai nostri giorni, anche Cipriano Algor, sia pure senz’altra intenzione se non quella, modestissima, di ripulire dalle ceneri la faccia dell’infermiera. Tornando, però, al famoso creatore che ebbe bisogno di mettere l’uomo nel forno, l’episodio avvenne nel modo che ora spiegheremo, da cui si vedrà che i tentativi frustrati di cui dicevamo prima furono piuttosto il risultato dell’insufficiente conoscenza che il suddetto creatore aveva delle temperature di cottura. Cominciò col fare con la creta una figura umana, di uomo o di donna è un particolare trascurabile, la mise nel forno e attizzò il necessario fuoco. Trascorso il tempo che gli parve giusto, la tirò fuori e, mio Dio, ebbe un colpo al cuore. La figura era uscita nera come il carbone, nient’affatto somigliante all’idea che lui si era fatta di come sarebbe dovuto essere il suo uomo. In ogni caso, forse perché era ancora all’inizio dell’attività, non se la sentì di distruggere il prodotto fallato della sua mancanza di abilità. Gli diede vita, si suppone con un buffetto sulla testa, e lo mandò via. Tornò a modellare un’altra figura, la infilò nel forno, ma stavolta ebbe cura di cautelarsi con il fuoco. Ci riuscì, è vero, ma troppo, poiché la figura gli si presentò bianca come la più bianca di tutte le cose bianche. Non era ancora quello che voleva lui. Malgrado il nuovo fallimento, tuttavia, non perse la pazienza, avrà addirittura pensato, indulgente, Poverino, non è stata colpa sua, insomma, diede vita anche a questo e lo fece andare. Nel mondo c’erano già dunque un nero e un bianco, ma il maldestro creatore non aveva ancora ottenuto la creatura che sognava. Si accinse all’opera ancora una volta, un’altra figura umana andò a prendere posto nel forno, il problema, pur non esistendo ancora il pirometro, doveva essere più facile da risolvere d’ora in poi, in altre parole, il segreto era di non riscaldare il forno né di più né di meno, né tanto né poco, e, visto che non c’è due senza tre, questa doveva essere la volta buona. Invece no. Vero è che la nuova figura non venne fuori nera, vero è che non venne fuori bianca, ma, cielo, venne fuori gialla. Chiunque altro avrebbe forse desistito, procurato alla svelta un diluvio per fare fuori il nero e il bianco, avrebbe spezzato il collo al giallo, il che si potrebbe addirittura considerare come la conclusione logica del pensiero che gli passò per la mente in forma di domanda, Se io stesso non sono capace di creare un

uomo atto, come potrei un domani chiedergli conto dei suoi errori. Per un po’ di giorni il nostro improvvisato vasaio non ebbe il coraggio di entrare nella fornace, ma dopo, come si suol dire, il tarlo della creazione si rimise al lavoro e in capo a qualche ora la quarta figura era modellata e pronta per il forno, Supponendo che al di sopra di questo creatore ci fosse allora un altro creatore, è molto probabile che dal minore al maggiore si fosse levato qualcosa tipo un’implorazione, una preghiera, una supplica, qualcosa sul genere, Non farmi restare male. Insomma, con mani ansiose introdusse la figura di creta nel forno, poi scelse con meticolosità e pesò la quantità di legna che gli parve necessaria, eliminò quella verde e quella troppo secca, tolse qualche ciocco che ardeva male e senza brio, ne aggiunse qualche altro che dava una fiamma viva, calcolò con l’approssimazione possibile il tempo e l’intensità del calore, e, ripetendo l’implorazione, Non farmi restare male, avvicinò un fiammifero al combustibile. Noi, gli esseri umani di oggi, che siamo passati per tante situazioni di ansia, un esame difficile, un’innamorata che non è venuta all’appuntamento, un figlio che si faceva aspettare, un impiego che ci è stato negato, possiamo immaginare cosa debba aver sofferto questo creatore mentre attendeva il risultato del suo quarto tentativo, i sudori che probabilmente solo la vicinanza del forno impedì che fossero gelati, le unghie smangiucchiate fino all’osso, ogni minuto che passava si portava via con sé dieci anni di esistenza, per la prima volta nella storia delle diverse creazioni dell’universo fu lo stesso creatore a conoscere i tormenti che ci aspettano nella vita eterna, perché è eterna, non perché è vita. Ma ne valse la pena. Quando il nostro creatore aprì la porta del forno e vide cosa c’era dentro, cadde in ginocchio estasiato. L’uomo non era né nero, né bianco, né giallo, era, invece, rosso, rosso come sono rossi l’aurora e il ponente, rosso come l’ignea lava dei vulcani, rosso come il fuoco che lo aveva reso rosso, rosso come lo stesso sangue che già gli scorreva nelle vene, perché a questa figura umana, che era proprio quella desiderata, non ci fu bisogno di darle il buffetto sulla testa, bastò averle detto, Vieni, e quella uscì dal forno con i suoi propri piedi. Chi ignori ciò che avvenne nelle età posteriori dirà che, nonostante una tale abbondanza di errori e angosce, o, per la virtù istruttiva ed educativa della sperimentazione, grazie a essi, la storia finì per avere un lieto fine. Come in tutte le cose di questo mondo, e certamente di tutti gli altri, il giudizio dipenderà dal punto di vista dell’osservatore. Coloro che il creatore rifiutò, coloro che, sia pure con la benevolenza di ringraziarli, allontanò da sé, e cioè, quelli di pelle nera, bianca e gialla, prosperarono in numero, si moltiplicarono, ricoprono, per così dire, tutto l’orbe terracqueo, mentre quelli dalla pelle rossa, coloro per i quali si era sforzato tanto e per i quali aveva sofferto un mare di pene e angosce, sono, al giorno d’oggi, le prove impotenti di come un trionfo abbia potuto infine trasformarsi, con il passare del tempo, nel preludio ingannevole di una sconfitta. Il quarto e ultimo tentativo del primo creatore di uomini che mise le sue creature nel forno, quello che apparentemente gli portò la vittoria definitiva, venne a essere, in fin dei conti, il definitivo sbaraglio. Cipriano Algor, anch’egli lettore assiduo di almanacchi ed enciclopedie io-so-tutto-o-quasitutto, aveva letto questa storia quand’era ancora un ragazzo e, pur avendo dimenticato tante cose nella vita, questa non se l’è scordata, chissà mai perché. Era una leggenda india, dei cosiddetti pellerossa, per essere più esatti,

con la quale i remoti creatori del mito dovevano aver inteso provare la superiorità della loro razza su qualsiasi altra, ivi comprese quelle della cui effettiva esistenza non avevano allora notizia. Su quest’ultimo punto, si anticipi l’obiezione, sarebbe vano e inutile l’argomento che, visto che loro non avevano conoscenza di altre razze, neanche avrebbero potuto immaginarle bianche, o nere, o gialle, o cangianti. Puro errore. Chi lo sostenesse dimostrerebbe solo di ignorare che qui abbiamo a che fare con un popolo di vasai, anche di cacciatori, a cui il penoso lavoro di trasformare la creta in un vaso o in un idolo aveva insegnato che dentro a un forno tutto può accadere, tanto il disastro quanto la gloria, tanto la perfezione quanto la miseria, tanto il sublime quanto il grottesco. Chissà quante volte, per quante generazioni, avranno dovuto estrarre dal forno dei pezzi accartocciati, crepati, ridotti a carbone, crudi o mezzo crudi, tutti inservibili. In verità, non c’è grande differenza fra ciò che avviene all’interno del forno di una fornace e del forno di una panetteria. L’impasto di pane non è altro che una creta diversa, fatta di farina, lievito e acqua, e, tale e quale all’altro, uscirà dal forno cotto, o crudo, oppure bruciato. Là dentro forse non c’è differenza, si sfogava Cipriano Algor, ma, qui fuori, vi garantisco che darei qualsiasi cosa per essere panettiere. I giorni e le notti si susseguivano, e i pomeriggi e le mattine. È nei libri e nella vita che i lavori degli uomini sono sempre stati più lunghi e pesanti di quelli degli dèi, si veda il caso già menzionato del creatore dei pellerossa che, in tutto, non fece più di quattro immagini umane, e per quel poco, ancorché con scarso successo di pubblico interessato, ha fatto il suo ingresso nella storia degli almanacchi, mentre Cipriano Algor, cui certamente non sono riservati i tributi di una nota biografica e curricolare in bella lettera, dovrà sviscerare dalle profondità della creta, solo in questa prima fase, centocinquanta volte in più, e cioè, seicento statuine con origini, caratteristiche e situazioni sociali diverse, di cui tre, il buffone, il pagliaccio e l’infermiera, più facilmente definibili anche per le attività che esercitano, il che non vale per il mandarino e l’assiro con la barba che, malgrado la discreta informazione raccolta nell’enciclopedia, non è stato possibile appurare cosa abbiano fatto nella vita. Quanto all’eschimese, si suppone che continuerà a cacciare e a pescare. Certo è che per Cipriano Algor fa lo stesso. Quando le statuette cominceranno a uscire dagli stampi, uguali in dimensione, attenuate dall’uniformità del colore le differenze d’abbigliamento che le distinguono, avrà bisogno di fare uno sforzo di attenzione per non confonderle e mescolarle. Talmente è concentrato nel lavoro che a volte si dimenticherà che gli stampi di gesso hanno un limite d’uso, qualcosa tipo una quarantina di utilizzazioni, dopo di che i contorni inizieranno a smussarsi, a perdere vigore e nitidezza, come se la figura si stancasse a poco a poco di esistere, come se fosse attratta a uno stato originale di nudità, non solo la propria come rappresentazione umana, ma la nudità assoluta della creta prima che la prima forma espressa da un’idea avesse cominciato a vestirla. Per non perdere tempo, all’inizio aveva buttato le statuine inutilizzabili in un canto, ma dopo, mosso da uno strano e inspiegabile sentimento di pietà e di colpa, andò a riprenderle, quasi tutte deformate e confuse dalla caduta e dalla botta, e le sistemò premurosamente su uno scaffale della fornace. Avrebbe potuto impastarle di nuovo per concedere loro una seconda possibilità di vita, avrebbe potuto appiattirle senza compassione

come quelle due figure di uomo e donna modellate al principio, la loro creta è ancora qui, secca, crepata, informe, e invece è andato a riprendere dai rifiuti i prodotti mal riusciti, li ha protetti, li ha messi al riparo, quasi tenesse più agli errori che non aveva saputo evitare che non a quelli azzeccati. Queste statuine non le metterà nel forno, sarebbe male utilizzata la legna da bruciarvi, ma le lascerà lì finché la creta si spacchi e disaggreghi, finché i frammenti si distacchino e cadano, e, se a tanto basterà il tempo, finché la polvere che saranno si trasformi di nuovo in argilla risorta. Marta gli domanderà, Cosa ci fanno lì quei pezzi difettosi, e lui risponderà solo, A me quelle piacciono, non dirà A me quelli piacciono, se lo avesse detto le avrebbe scacciate definitivamente dal mondo per cui erano nate, non le riconoscerebbe più come opera sua per condannarle a un ultimo e definitivo abbandono. Opera sua, e faticosa, sono anche le decine di statuine finite che tutti i giorni vengono trasferite sulle assi a essiccare, là fuori, all’ombra del gelso nero, ma quelle, che sono tante e a stento si distinguono le une dalle altre, non chiedono altre cure e attenzioni se non quelle indispensabili perché non si deformino all’ultimo momento. Quanto a Trovato, non c’è stato altro rimedio che legarlo per non farlo salire sulle assi, dove senza alcun dubbio farebbe il maggior danno mai visto nella turbolenta storia della fornace, prodiga, come si sa, di cocci e amalgame indesiderabili. Rammentiamo che quando le prime sei statuine, le altre, i prototipi, sono state messe qui a essiccare, e Trovato ha voluto appurare, per contatto diretto, di cosa si trattava, l’urlo e la manata istantanea di Cipriano Algor sono bastati affinché il suo istinto di cacciatore, per giunta eccitato dall’insolente immobilità degli oggetti, si ritraesse senza arrivare a causar danni, ma dobbiamo riconoscere che, ora, sarebbe irragionevole aspettarsi che un animale del genere resistesse impavido alla provocazione di un’orda di pagliacci e mandarini, di buffoni e infermiere, di eschimesi e assiri con la barba, tutti malamente mascherati da pellerossa. È durata un’ora la privazione della libertà. Colpita dall’espressione rattristata, e persino dal pudore, con cui Trovato si era lasciato sottoporre al castigo, Marta è andata a dire al padre che a qualcosa dovrà pur servire l’educazione, anche quando si tratta di cani, Il problema è adattare i metodi, ha dichiarato, E come ci riuscirai, La prima cosa da fare è scioglierlo, E dopo, Se tenta di salire sulle assi, lo si lega di nuovo, E dopo, Lo si scioglie e lo si lega tutte le volte che saranno necessarie, finché non avrà imparato, A prima vista, potrebbe funzionare, in ogni caso non t’illudere se ti sembra che abbia appreso la lezione, è chiaro che non si azzarderà a salire se sei presente, ma quando si ritroverà da solo, senza nessuno a sorvegliarlo, temo che i tuoi metodi educativi non siano sufficientemente forti per disciplinare gli istinti del nonno sciacallo che sta in agguato nella testa di Trovato, Quel nonnino sciacallo di Trovato non si prenderebbe neanche la briga di annusare le statuine, passerebbe alla larga e proseguirebbe per la sua strada, in cerca di qualcosa da poter veramente mangiare, D’accordo, ti chiedo solo di pensare a cosa succederà se il cane salirà sulle assi, la quantità di lavoro che perderemo, Sarà tanto, sarà poco, si vedrà, ma, se dovesse accadere, m’impegno a rifare le statuine che andranno rovinate, forse sarebbe la maniera per convincervi a farvi aiutare, Non ne parliamo, procedi con il tuo esperimento pedagogico. Marta uscì dalla fornace e, senza dire una parola, staccò la catena dal collare.

Poi fece qualche passo verso casa, si fermò come se fosse distratta. Il cane la guardò e andò a sdraiarsi. Marta avanzò di qualche passo, si fermò di nuovo, e subito dopo, decisa, entrò in cucina, lasciando la porta aperta. Il cane non si mosse. Marta chiuse la porta. Il cane aspettò un po’, dopo si alzò e, lentamente, cominciò ad avvicinarsi alle assi. Marta non aprì la porta. Il cane guardò in direzione della casa, esitò, guardò di nuovo; poi appoggiò le zampe sul bordo dell’asse su cui erano messi a essiccare gli assiri con la barba. Marta aprì la porta e uscì. Il cane mise giù rapidamente le zampe e rimase immobile, in attesa. Non aveva motivi per fuggire, non lo accusava la coscienza di aver fatto niente di male. Marta lo afferrò per il collare e, di nuovo senza dire una parola, andò a legarlo alla catena. Poi rientrò in cucina e chiuse la porta. Ci scommetteva che il cane si sarebbe messo a pensare a quanto era successo, a pensare, o a qualunque cosa sia ciò che suole fare in una situazione del genere. Trascorsi due minuti, andò a liberarlo di nuovo dalla catena, era meglio non dare all’animale tempo di dimenticare, bisognava che il rapporto tra causa ed effetto gli si fissasse nella memoria. Il cane impiegò un po’ di tempo in più a posare le zampe sull’asse, ma alla fine si decise, si sarebbe detto con minor convinzione di prima. Poco dopo era di nuovo legato. Dalla quarta volta in poi cominciò a dar segni di capire cosa si voleva da lui, ma continuava ad alzare le zampe sull’asse, come per essere definitivamente certo che non avrebbe dovuto mettercele. Durante tutto questo legare e slegare, Marta non aveva pronunciato una parola, entrava e usciva dalla cucina, chiudeva e apriva la porta, a ogni movimento del cane, sempre lo stesso, rispondeva con un proprio movimento, sempre lo stesso, in una catena di azioni successive e reciproche che si sarebbe interrotta solo quando una di loro, grazie a un movimento distinto, avrebbe spezzato la sequenza. L’ottava volta che Marta si chiuse alle spalle la porta di cucina, Trovato avanzò di nuovo verso le assi, ma, arrivato vicino, non alzò le zampe per fingere di voler raggiungere gli assiri con la barba, rimase a guardare la casa, immobile, in attesa, come se stesse sfidando la padrona a essere più audace di lui, come se le domandasse Che risposta hai, adesso, da contrapporre a questa mia mossa, che a me darà la vittoria e a te ti sconfiggerà. Marta, soddisfatta, mormorava fra sé e sé, Ho vinto, avevo l’assoluta certezza che avrei vinto. Si avvicinò al cane, gli fece qualche carezza sulla testa, disse gentilmente, Bravo Trovato, simpatico lui, il padre si era affacciato sulla porta della fornace per assistere al felice epilogo, Benissimo, resta solo da sapere se è definitivo, Ci metto le mani sul fuoco che non cercherà più di salire sulle assi, disse Marta. Sono pochissime le parole umane che i cani riescono a incorporare nel proprio vocabolario di ringhi e latrati, ed è solo per questo, non perché non le capiva, che Trovato non ha protestato contro l’irresponsabile soddisfazione di cui stavano dando mostra i suoi padroni, mentre qualsiasi persona competente in queste materie, e capace di apprezzare in maniera imparziale ciò che è accaduto, direbbe che il vincitore della contesa non è Marta, la padrona, per quanto lei ne sia convinta, bensì il cane, anche se dobbiamo pur riconoscere che direbbero esattamente il contrario quelle persone che sanno giudicare solo dalle apparenze. Che ciascuno si vanti, dunque, della vittoria che suppone di avere ottenuto, perfino gli assiri con la barba e i loro colleghi, tutti felicemente scampati alle aggressioni. Quanto a Trovato, non ci rassegneremo a lasciargli addosso

quell’ingiusta reputazione di perdente. La prova evidente che la vittoria è toccata a lui è il fatto che, da quel giorno, si sia convertito nel più attento dei guardiani che abbiano mai protetto dei pupazzetti di creta. Sarebbe valsa la pena sentirlo abbaiare chiamando i padroni quando un colpo di vento inatteso fece crollare una mezza dozzina di infermiere. La prima infornata fu di trecento statuette, o meglio, di trecentocinquanta, contando già la probabilità di qualche danno. Di più non ce n’entravano. Capitò che coincidesse con il giorno di riposo di Marçal, che, guarda caso, fu per Marçal una dura giornata di lavoro. Paziente, servizievole, aiutò il suocero a disporre le statuine sulle scaffalature interne, s’incaricò dell’alimentazione del forno, un lavoro per gente robusta, sia per lo sforzo fisico di trasportare e introdurre la legna nel forno, sia per le ore che doveva durare, giacché un forno come questo, antico, rudimentale alla luce di nuove tecnologie, necessita di molto tempo per raggiungere la temperatura ottimale di cottura, senza dimenticare che, una volta ottenuta, bisognerà mantenerla il più possibile stabile. Marçal lavorerà fino a tarda sera, fino all’ora in cui il suocero, terminato il lavoro che si è imposto di accelerare in fornace, potrà venire a sostituirlo. Marta ha portato la cena al padre, poi l’ha portata a Marçal, e, seduti tutti e due sulla panchina che è servita per le meditazioni, ha mangiato insieme a lui. Nessuno dei due aveva appetito, ciascuno per i suoi motivi. Non ti vedo mangiare, devi essere molto stanco, disse lei, Abbastanza, sì, ho perso l’abitudine allo sforzo, perciò mi costa di più, disse lui, L’idea di fabbricare queste statuette è stata mia, Lo so, È stata mia, ma in questi ultimi giorni mi tormenta una specie di rimorso, mi domando continuamente se ne è valsa la pena metterci a fabbricare statuine, se non sarà tutto pateticamente inutile, In questo momento, la cosa più importante per tuo padre è il lavoro che fa, non la sua eventuale utilità, se gli togli il lavoro, qualsiasi lavoro, gli toglierai, in un certo senso, una ragione di vita, e se gli dirai che quello che sta facendo non serve a niente, sarà molto probabile, pur avendocelo ben evidente davanti agli occhi, che non ti creda, semplicemente perché non può, Il Centro ha smesso di comprarci le stoviglie e lui è riuscito ad assorbire il colpo, Perché subito dopo hai avuto l’idea di fare le statuine, Ho l’impressione che stiano per arrivare dei brutti giorni, anche peggiori di questi, Il mio passaggio a guardiano residente, che ormai non dovrebbe tardare, sarà un brutto giorno per tuo padre, Ha detto che sarebbe venuto a vivere con noi al Centro, È vero, ma lo ha detto in quella stessa maniera in cui tutti diciamo che un giorno dovremo morire, c’è una parte della nostra mente che si rifiuta di accettare quello che tutti sappiamo essere il destino degli esseri viventi, fa finta che non lo riguardi, e così tuo padre, ci dice che verrà a vivere con noi, ma, in fondo, è come se non ci credesse, Come se fosse in attesa che gli si presenti all’ultimo momento una deviazione che lo conduca su un’altra strada, Dovrebbe sapere che per il Centro c’è solo una strada, quella che conduce dal Centro al Centro, io ci lavoro, so di cosa parlo, C’è pure chi dice che la vita nel Centro sia tutte le ore un miracolo. Marçal non rispose subito. Diede un pezzo di carne al cane, che fin dall’inizio aveva atteso pazientemente che un po’ di cibo avanzasse per lui, e solo dopo rispose, Sì, proprio come a Trovato sarà parsa l’opera di un miracolo, a quest’ora di notte, la carne che gli ho appena dato. Passò la mano sul dorso dell’animale, due, tre volte, la prima per semplice e solito affetto, le

altre con insistenza angosciata, come se fosse indispensabile acquietarlo senza perder tempo, ma in realtà aveva bisogno di tranquillizzare se stesso, allontanare un’idea che gli era spuntata fuori all’improvviso dal luogo della memoria dove si era nascosta, Al Centro i cani non li ammettono. Certo, i cani al Centro non li ammettono, né i gatti, solo uccelli in gabbia o pesci d’acquario, e anche questi si usano sempre di meno da quando sono stati inventati gli acquari virtuali, senza pesci che abbiano odore di pesce né acqua che sia necessario cambiare. Ci nuotano dentro graziosamente cinquanta esemplari di dieci specie diverse che, per non morire, dovranno essere accudite e alimentate come se fossero esseri viventi, la qualità dell’acqua inesistente bisogna controllarla, come del resto c’è da sorvegliare la temperatura, e, perché non debbano essere solo obblighi, non solo il fondo dell’acquario potrà essere decorato con vari tipi di rocce e di piante, ma il felice possessore di questa meraviglia avrà a sua disposizione una gamma di suoni che gli permetterà, mentre contempla i suoi pesci senza interiora né spine, di circondarsi con i più diversi ambienti sonori, tipo una spiaggia caraibica, una foresta tropicale o una tormenta sul mare. Al Centro i cani non li vogliono, pensò di nuovo Marçal, e notò che questa preoccupazione gli aveva fatto sparire, per qualche istante, l’altra, Glielo dico, non glielo dico, all’inizio parve propendere per il si, poi pensò che sarebbe stato meglio rimandare il problema a dopo, al momento giusto, quando non ci sarebbe stato altro rimedio. Prese la decisione di tacere, ma, è proprio vero che la volontà fluttua incostante nell’acquario virtuale della nostra testa, meno di un minuto dopo stava dicendo a Marta, Mie appena venuto in mente che non potremo portare Trovato nel Centro, i cani non li accettano, sarà un problema, povera bestia, doverlo abbandonare. Forse si riesce a trovare una soluzione, disse Marta, Ne deduco che ci avevi già pensato, si stupì Marçal, Si, è vero, un po’ di tempo fa, E questa soluzione, quale sarebbe, Ho pensato che a Isaura non dispiacerebbe prendersi cura di Trovato, anzi, penso che per lei sarebbe una grande gioia, e poi già si conoscono, Isaura, Si, Isaura, quella della brocca, ti ricordi, quella che ci ha portato una torta, quella che è venuta qui per parlare con me l’ultima volta che siamo andati a pranzo a casa dei tuoi genitori, Mi sembra una buona idea, Credo che per Trovato sarà la migliore, Resta da sapere se tuo padre darà il suo consenso, Già si sa che una metà di lui protesterà, dirà che nossignore, che una donna sola non è una buona compagnia per un cane, immagino che sia capace di inventarci una teoria sulle disaffinità come questa, che ci saranno certamente altri a cui non dispiacerà accogliere l’animale, ma sappiamo anche che l’altra sua metà desidererà, con tutte le forze del desiderio, che la prima non prevalga, Come vanno questi amori, domandò Marçal, Povera Isaura, povero babbo, Perché dici povera Isaura, povero babbo, Perché è chiaro che lei gli vuole bene, ma non riesce a oltrepassare la barriera che lui ha alzato, E lui, Lui, è di nuovo quella storia delle due metà, ce n’è una che probabilmente non pensa che a questo, E l’altra, L’altra ha sessantaquattro anni, l’altra ha paura, Le persone sono davvero molto complicate, È vero, ma se fossimo semplici non saremmo delle persone. Trovato non c’era, si era ricordato all’improvviso che in casa non c’era nessun altro che andasse a fare compagnia al padrone vecchio, solo soletto nella fornace e già alle prese con le seconde trecento statuine della prima consegna di seicento, queste cose un

cane le vede e gli procurano una confusione enorme, le avverte ma non riesce a comprenderle, tanto lavoro, tanto sforzo, tanto sudore, e ora non mi riferisco alla quantità di denaro che si guadagnerà con l’affare, sarà poco, sarà così così, molto non sarà certamente, è soprattutto per quello che ha detto Marta poco fa, a meno che non sarà tutto pateticamente inutile. Come si era già visto prima, e ora, grazie all’esteso e profondo dialogo intercorso fra Marta e Marçal, abbiamo avuto modo di vedere confermato, la panchina di pietra giustifica ampiamente il grave e ponderoso nome che le abbiamo messo, la panchina delle meditazioni, ma ecco che adesso interviene la necessità, bisogna rivolgere le attenzioni al forno, infilargli dell’altra legna nella bocca, con prudenza, però, Marçal, non ti dimenticare che la fatica intorpidisce i riflessi di difesa, gli aumenta il tempo che impiegano ad agire, non sia mai che di nuovo ti balzi fuori da là dentro, com’è successo quel malaugurato giorno, la vipera di fuoco ululante che ti ha marchiato per sempre la mano sinistra. Anche questo, più o meno, fu ciò che Marta disse, Vado a lavare i piatti e a coricarmi, fai attenzione, Marçal. Il giorno seguente, di buon mattino, come sempre, Cipriano Algor accompagnò Marçal al Centro con il furgone. Gli aveva detto mentre uscivano da casa, Non so come ringraziarti per l’aiuto che mi hai dato, e Marçal gli rispose, Ho fatto del mio meglio, speriamo che tutto continui ad andare bene, Sono convinto che le prossime statuine daranno meno da fare, ho scoperto alcuni trucchi per semplificare il lavoro, è il vantaggio di acquistare esperienza, credo che le trecento della nuova infornata potranno essere sulle assi di essiccatura entro una settimana, Se fra dieci giorni, al mio prossimo riposo, saranno già in condizioni di andare in forno, contate su di me, Grazie, vuoi sapere una cosa, tu e io, se non fosse per questa maledetta crisi della creta, avremmo potuto formare una bella coppia, tu potevi lasciar perdere il lavoro al Centro e dedicarti alla fornace, Si, forse, ma è tardi per pensarci, d’altro canto, ricordatevi che se lo avessimo fatto, ora saremmo tutti e due senza lavoro, Io ancora un lavoro ce l’ho, D’accordo. Più avanti, ormai sulla strada per la città, e dopo un lungo silenzio, Cipriano Algor disse, Mi è venuta un’idea, voglio sapere cosa ne pensi, Dite, Portare al Centro, non appena saranno pitturate, queste prime trecento statuine, così il Centro vedrebbe che stiamo lavorando sul serio, e comincerebbe a vendere prima della data prevista, sarebbe buono per loro e ancora meglio per noi, ci eviteremmo di stare tanto tempo ad aspettare i risultati, e, se tutto andasse come si spera, potremmo preparare con più tranquillità i prodotti futuri, non con l’acqua alla gola, com’è successo questa volta, cosa te ne pare dell’idea, Si, penso che sia una buona idea, disse Marçal, e in quel momento gli venne in mente che aveva trovato buona anche l’idea di Marta di lasciare il cane alle cure della vicina della brocca, Dopo averti lasciato in servizio, andrò a parlare con il capo dell’ufficio acquisti, sono sicuro che sarà d’accordo, disse Cipriano Algor, Speriamo, rispose Marçal, e di nuovo notò che aveva ripetuto una parola già pronunciata poco prima, è quello che succede sempre alle parole, le ripetiamo continuamente, ma in certi casi, non si sa bene perché, si nota di più. Mentre il furgone entrava in città, Marçal domandò, Chi dipingerà allora le statuine, Marta insiste nel volerlo fare lei, sostiene che non potrò, contemporaneamente, dire la messa e suonare la campana, non lo ha detto proprio con queste parole, ma il senso era lo stesso,

Papà, le vernici sono tossiche, Infatti, sono tossiche, E nello stato in cui si trova Marta non mi sembra opportuno, Io mi occuperò del fondo, con la pistola, è vero, disperde la vernice nell’aria ma, in compenso, è rapida, E dopo, Dopo viene la pittura a pennello, non è dannosa, Bisognava comprare almeno una maschera, Era cara, mormorò Cipriano Algor, come se si vergognasse delle sue stesse parole, Se siamo riusciti a trovare il denaro per noleggiare il camioncino con cui portare via dal Centro quanto restava delle stoviglie, si troverà anche quello necessario a comprare la maschera, Non ci abbiamo pensato, disse Cipriano Algor, poi soggiunse, contrito, Non ci ho pensato. Erano già nel viale che conduceva in linea retta al Centro, malgrado la distanza si potevano leggere le parole del gigantesco annuncio che vi era affisso, Tu SEI IL NOSTRO MIGLIOR CLIENTE, MA, PER FAVORE, NON DIRLO AL TUO VICINO. Cipriano Algor non fece commenti, Marçal fu sorpreso da un pensiero, Si divertono a nostre spese. Quando il furgone si fermò davanti alla porta del servizio di sicurezza, Marçal disse, Dopo aver parlato con il capo dell’ufficio acquisti, ripassate, vedrò se vi trovo una maschera, Per me non c’è bisogno, te l’ho già detto, e Marta userà solo i pennelli, La conosco bene quanto me stesso, alla prima occasione vi coglierà distratto in fornace e quando vi accorgerete dell’accaduto sarà tardi, Non so quanto tempo mi tratterrò all’ufficio acquisti, poi chiedo di te, oppure entro e ti cerco, Non entrate, non ne vale la pena, lascerò la maschera al mio collega alla porta, Come vuoi, Ci rivediamo fra dieci giorni, Ci rivediamo fra dieci giorni, Abbiate cura di Marta, papà, Lo farò, certo, stai tranquillo, guarda che non le vuoi bene più di me, Se è di più o di meno, non lo so, le voglio bene in un’altra maniera, Marçal, Cosa c’è, Abbracciami, per favore. Quando Marçal scese dal furgone aveva gli occhi umidi. Cipriano Algor non si diede nessun pugno in testa, si disse solo fra sé e sé con un mezzo sorriso triste, A questo può arrivare un uomo, ritrovarsi a implorare un abbraccio come un bambino carente di affetto. Mise in moto il furgone, fece il giro dell’isolato, ora più esteso dopo l’ampliamento del Centro, Fra poco nessuno si ricorderà più di cosa c’era prima, pensò. Quindici minuti dopo, estraneo come qualcuno che, tornato in un luogo dopo una lunga assenza, non vi ritrova quei cambiamenti che obiettivamente giustifichino questo sentimento, ma che nonostante ciò non può sottrarsene, scendeva la rampa del sotterraneo. Dopo avere avvisato il guardiano all’ingresso che era lì per un’informazione, e non per scaricare, posteggiò il furgone nella via laterale. C’era già una lunga fila di camion in attesa, alcuni enormi. Mancavano ancora quasi due ore perché il servizio di accettazione merci aprisse. Cipriano Algor si accomodò sul sedile e tentò di dormire. L’ultimo sguardo che aveva dato per controllo, prima di avviarsi in città, aveva mostrato che il processo di cottura era terminato, ormai dovevano solo lasciar raffreddare il forno a suo piacimento, senza fretta, pacificamente, come uno che se ne va per proprio conto. Per addormentarsi, si mise a contare le statuine come se stesse contando le pecore, iniziò dai buffoni e li contò tutti, poi passò ai pagliacci e riuscì ad arrivare alla fine, cinquanta di questi, cinquanta di quelli, del resto che avanzava, quelli di scorta per eventuali danni, non s’interessò, volle subito passare agli eschimesi, ma gli si misero davanti, senza spiegazione, le infermiere, e, nella lotta che dovette intraprendere per respingerle, si addormentò. Non era la prima volta che veniva a concludere il suo sonno

mattutino nel sotterraneo del Centro, non era la prima volta che lo svegliava, amplificato e moltiplicato dall’eco, il frastuono dei motori dei camion. Scese dal furgone e si avvicinò al banco della ricezione, disse chi era, spiegò che era lì per un chiarimento, per parlare con il capo, se possibile, È una questione importante, aggiunse. L’impiegato lo guardò con aria dubbiosa, era piú che evidente che non potevano essere importanti né la questione né la persona che gli stava davanti, scesa da un misero furgone che annunciava Fornace, perciò rispose che il capo era occupato, In riunione, precisò, e occupato sarebbe stato per tutta la mattina, che gli dicesse dunque cosa desiderava. Il vasaio spiegò quello che aveva da spiegare, non si dimenticò, per impressionare l’interlocutore, di alludere alla conversazione telefonica che aveva avuto con il capoufficio, e finalmente udì l’altro dire, Vado a domandare a un vicecapo. Temette Cipriano Algor che gli spuntasse quel malvagio che gli aveva amareggiato la vita, ma il vicecapo che si presentò era educato e attento, concordò che era un’eccellente idea, Ben fatto, signore, è buono per lei e ancora meglio per noi, intanto che fabbricate la seconda consegna di trecento e preparate la produzione dei rimanenti seicento esemplari, sia che lo facciate in due consegne, come nel caso attuale, o in una volta sola, noi potremo osservare l’accoglienza del pubblico acquirente, le reazioni al nuovo prodotto, i commenti espliciti o impliciti, ci darà addirittura il tempo di promuovere delle indagini, orientate su due versanti, in primo luogo, la situazione precedente all’acquisto, cioè, l’interesse, l’appetenza, la volontà spontanea o motivata del cliente, in secondo luogo, la situazione derivante dall’uso, cioè il piacere ottenuto, l’utilità riconosciuta, la soddisfazione dell’amor proprio, tanto da un punto di vista personale quanto da un punto di vista collettivo, sia esso familiare, professionale o qualsiasi altro, la questione, per noi essenzialissima, consiste nell’appurare se il valore d’uso, elemento fluttuante, instabile, soggettivo per eccellenza, si situa troppo al di sotto o troppo al di sopra del valore di scambio, E quando succede, che fate, domandò Cipriano Algor tanto per domandare, al che il vicecapo rispose in tono condiscendente, Mio caro signore, suppongo non si aspetti che le riveli adesso il segreto dei segreti, Ho sempre sentito dire che il segreto dei segreti non esiste, che è una mistificazione, un falso mistero, una favola ancora da inventare, un racconto che poteva essere stato fatto e non lo è stato, Ha ragione, il segreto dei segreti non esiste, ma noi lo conosciamo. Cipriano Algor si ritrasse come se fosse stato vittima di un’aggressione inattesa. Il vicecapo sorrideva, insisteva compiacente che l’idea era buona, davvero molto buona, che rimaneva in attesa della prima consegna e che poi gli avrebbe fatto sapere. Oppresso, sotto l’impressione di un’inquietante minaccia, Cipriano Algor montò sul furgone e uscì dal sotterraneo. L’ultima frase del vicecapo gli rigirava nella testa, Il segreto dei segreti non esiste, ma noi lo conosciamo, non esiste, ma lo conosciamo, lo conosciamo, lo conosciamo. Aveva visto cadere una maschera e aveva capito che dietro ce n’era un’altra esattamente uguale, capiva che le maschere successive sarebbero state fatalmente identiche a quelle già cadute, è vero che il segreto dei segreti non esiste, ma loro lo conoscono. Non avrebbe potuto far parola di questo suo turbamento a Marta e Marçal perché non avrebbero capito, e non avrebbero capito perché non erano stati lì con lui, al di qua del banco, a udire un vicecapoufficio spiegare cosa significa valore di scambio e

valore d’uso, probabilmente il segreto dei segreti sta nel creare e favorire nel cliente stimoli e suggerimenti sufficienti affinché i valori d’uso si elevino progressivamente nella sua valutazione, passo a cui farà seguito dopo poco tempo l’ascesa dei valori di scambio, imposta dall’arguzia del produttore a un compratore a cui siano state tolte a poco a poco, sottilmente, le difese interiori derivanti dalla consapevolezza della propria personalità, quelle che prima, ammesso che sia mai esistito un prima intatto, gli hanno offerto, ancorché precariamente, una certa possibilità di resistenza e autodominio. La colpa di questo laborioso e confuso chiarimento è tutta di Cipriano Algor che, essendo quello che è, un semplice vasaio senza titolo di sociologo né preparazione di economista, si è azzardato, nella sua rustica testa, a correre appresso a un’idea, finendo per riconoscersi, come risultato della mancanza di un vocabolario adeguato e a causa delle gravi e lampanti imprecisioni nella proprietà dei termini che ha dovuto utilizzare, incompetente a trasporla in un linguaggio alquanto scientifico che forse ci potrebbe consentire, finalmente, di comprendere cosa avesse voluto dire nel suo. Resterà nei ricordi di Cipriano Algor quest’altro momento di sconcerto di vita e sbaglio suo nell’intenderla, quando, essendo andato un giorno all’ufficio acquisti del Centro a fare la più semplice delle domande, ne è tornato con la più complessa e oscura delle risposte, ed era talmente tanto tenebrosa e oscura che nulla sarebbe potuto essere più naturale del fatto di perdersi nei labirinti del proprio cervello. Almeno si salva l’intenzione. A suo discapito Cipriano Algor potrà sempre addurre di aver fatto tutto quanto era nelle possibilità della sua condizione di vasaio per tentare di districare il significato occulto della frase sibillina del vicecapo sorridente, e se perfino a se stesso era evidente che non c’era riuscito, almeno aveva lasciato ben chiaro a chiunque venisse dopo che, per la strada che aveva imboccato lui, non si arrivava da nessuna parte. Queste sono cose per chi sa, pensò Cipriano Algor, non riuscendo a far tacere la propria inquietudine interiore. In ogni caso, diciamo noi, altri hanno fatto meno e presunto di più. Il pacco che Marçal aveva lasciato al guardiano della porta conteneva due maschere, non una. Nel caso si guasti il meccanismo di purificazione dell’aria in una delle due, diceva il biglietto. E di nuovo la richiesta, Abbiate cura di Marta, per favore. Era quasi l’ora del pranzo. Una mattinata perduta, pensò Cipriano Algor, ricordandosi degli stampi, della creta che aspettava, del forno che perdeva calore, delle file di statuine là dentro. Poi, a metà del viale, mentre guidava dando le spalle alla parete del Centro dove la frase, Tu sei il nostro miglior cliente, ma non dirlo al tuo vicino, tracciava con ironica sfacciataggine il diagramma relazionale in cui si consumava la complicità inconsapevole della città con l’inganno cosciente che la manipolava e assorbiva, gli passò per la mente, a Cipriano Algor, l’idea che non soltanto questa mattina era andata perduta, ma che la frase oscena del vicecapo aveva fatto scomparire ciò che restava della realtà del mondo in cui aveva imparato e si era abituato a vivere, che da oggi in poi tutto sarebbe stato poco più che apparenza, illusione, assenza di significato, interrogativi senza risposta. Viene voglia di lanciarsi con il furgone contro un muro, pensò. Si domandò perché non lo faceva e perché mai, probabilmente, lo avrebbe fatto, poi si mise a enumerare le sue ragioni. Malgrado questa si trovasse dislocata nel contesto dell’analisi, almeno

teoricamente è proprio perché si trovano ancora in vita che le persone si suicidano, la prima delle vigorose ragioni di Cipriano Algor per non farlo era il fatto di essere vivo, subito dopo comparve sua figlia Marta, e così vicina, così avvinghiata alla vita del padre, che fu come se fosse entrata nello stesso tempo, poi venne la fornace, il forno, e anche il genero Marçal, chiaro, che è davvero un bravo ragazzo e vuole tanto bene a Marta, e Trovato, ancorché a tanta gente sembri scandaloso dirlo, e obiettivamente non sia possibile spiegarlo, perfino un cane è capace di farti aggrappare alla vita, e poi, e poi, e poi cosa, Cipriano Algor non trovava nessun’altra ragione, eppure aveva l’impressione che gliene mancasse ancora una, che sarà, che non sarà, all’improvviso, senza avvisare, la memoria gli lanciò in faccia il nome e il volto della moglie scomparsa, il nome e il volto di Justa Isasca, perché, se in realtà Cipriano Algor era alla ricerca di ragioni per non lanciarsi con il furgone contro un muro e se le aveva trovate in numero e sostanza più che sufficienti, e cioè, se stesso, Marta, la fornace, il forno, Marçal, il cane Trovato, e persino il gelso nero, prima non citato per dimenticanza, era assurdo che l’ultima, quell’inattesa ragione della cui esistenza inquietamente egli si era accorto come un’ombra o un richiamo, fosse qualcuno che non apparteneva più a questo mondo, è vero che non si tratta di una persona qualunque, è pur sempre la donna con cui è stato sposato, la compagna di lavoro, la madre di sua figlia, ma, comunque, per quanto talento dialettico si riesca a usare, sarà difficile sostenere che il ricordo di un morto possa essere una ragione per cui un vivo decida di continuare a vivere. Un amante di proverbi, adagi, detti e altre massime popolari, uno di quegli eccentrici ormai rari che immaginano di sapere più di quanto gli hanno insegnato, direbbe che qui c’è un gatto nascosto con la coda di fuori. Chiedendo scusa per lo sconveniente e irrispettoso paragone, diremo che la coda del felino, in questo caso, è la defunta Justa, e che per trovare il resto del gatto non si dovrebbe far altro che svoltare l’angolo. Cipriano Algor non lo farà. Eppure, arrivando in paese, lascerà il furgone davanti alla porta del cimitero, dove non era più rientrato da quel giorno, e si avvierà verso la tomba della moglie. Vi si tratterrà qualche minuto a pensare, forse per ringraziare, forse per domandare, Perché sei comparsa, forse a sentirsi domandare, Perché sei comparso, poi alzerà il capo e si guarderà intorno come cercando qualcuno. Con questo sole, all’ora di pranzo, non sarà probabile. 16. La prima mezza centuria a uscire dal forno fu quella degli eschimesi, quelli che erano più a portata di mano, li all’entrata. Una fortunata casualità, nella pronta opinione di Marta, Come allenamento non poteva esserci migliore inizio, sono facili da dipingere, di più facili ci sono solo le infermiere, che sono vestite di bianco. Quando le statuette si raffreddarono del tutto, furono trasferite sulle assi di essiccatura dove Cipriano Algor, armato di pistola a spruzzo e riparandosi dietro il filtro della maschera, metodicamente si mise a ricoprirle con il biancore opaco del fondo. Fra sé e sé, borbottò che non valeva la pena starsene lì con quella roba che gli tappava la bocca e il naso, Bastava mi mettessi sottovento e la vernice si sarebbe allontanata, non mi avrebbe sfiorato, ma subito dopo pensò che si stava dimostrando ingiusto e ingrato, per

non dire che con il bel tempo che sta facendo non mancheranno i giorni in cui non ci sarà un filo d’aria. Terminata la sua parte di lavoro, Cipriano Algor aiutò la figlia a sistemare le vernici, il recipiente del petrolio, i pennelli, i disegni a colori che erano serviti da modello, portò lo sgabello su cui lei si sarebbe dovuta sedere e, appena la vide dare la prima pennellata, osservò, Non è ben pensato, con le statuine messe in fila, così come stanno, dovrai spostare continuamente lo sgabello lungo l’asse, ti stancherai, Marçal ha detto, Cos’ha detto Marçal, domandò Marta, Che devi aver cura, evitare le fatiche, A me quello che mi stanca davvero è il dover udire tante volte la stessa raccomandazione, È per il tuo bene, Guardate, se mi metto davanti una dozzina di statuine, vedete, ce le avrò tutte a portata di mano e dovrò spostare lo sgabello solo quattro volte, e anzi, mi fa pure bene muovermi, e ora che vi ho spiegato il funzionamento di questa catena di montaggio al contrario, vi ricordo che non c’è nulla di più dannoso per chi lavora della presenza di gente che non fa niente, come ora mi sembra giust’appunto il vostro caso, Non dimenticherò di dirti la stessa cosa quando starò lavorando io, Lo avete già fatto, anzi, avete fatto di peggio, mi avete cacciata via, Me ne vado, con te non si può parlare, Due cose prima che andiate via, la prima è che se c’è qualcuno con cui potete parlare, sono proprio io, E la seconda, Datemi un bacio. Giusto ieri Cipriano Algor ha chiesto al genero un abbraccio, ora è Marta a chiedere un bacio al padre, in questa famiglia sta per succedere qualcosa, ci manca solo che comincino ad apparire in cielo comete, aurore boreali e streghe a cavalcioni sulle scope, che Trovato ululi tutta la notte alla luna, anche senza luna, che di punto in bianco il gelso nero diventi sterile. A meno che tutto ciò non sia altro che un effetto di sensibilità eccessivamente impressionabili, quella di Marta perché è incinta, quella di Marçal perché Marta è incinta, quella di Cipriano Algor per tutte le ragioni che conosciamo e qualcun’altra di cui è al corrente solo lui. Insomma, il padre ha baciato la figlia, la figlia ha baciato il padre, e a Trovato hanno concesso un po’ delle attenzioni che chiedeva, non potrà lamentarsi. Come si suole dire, non sarà niente. Cipriano Algor entrò nella fornace per dare avvio alla modellatura delle trecento statuine della seconda consegna, e Marta, all’ombra del gelso nero, sotto lo sguardo coscienzioso di Trovato che era tornato alle sue responsabilità di guardiano, si preparò a portare avanti la verniciatura degli eschimesi. Non poteva, si era dimenticata che prima bisognava scartavetrare le statuine, appianare le sbavature, le irregolarità della superficie, i difetti di rifinitura, poi ripulirle dalla polvere, e, visto che una iella non viene mai da sola e una dimenticanza in genere ne fa ricordare un’altra, non avrebbe neppure potuto dipingerle come aveva pensato, passando da un colore all’altro, successivamente, senza interruzione, fino all’ultima pennellata. Rammentava la pagina del manuale, in quel punto in cui insegnava chiaramente che solo quando un colore sarà bene asciutto si dovrà applicare il seguente, Ora si che mi farebbe comodo una catena di montaggio sul serio, disse, con le statuine che mi passano davanti una volta per ricevere l’azzurro, un’altra volta per il giallo, poi per il viola, poi per il nero, e il rosso, e il verde, e il bianco, e poi la benedizione finale, quella che porta con sé tutti i colori dell’arcobaleno, Che Dio ti conceda virtù, quanto a me, ho fatto ciò che potevo, e non sarà tanto per la virtù addizionale con cui Dio, soggetto come un qualsiasi comune mortale a dimenticanze e

imprevidenze, contribuisca al coronamento degli sforzi compiuti, ma per l’umile consapevolezza che se non siamo arrivati a far di meglio è solo perché non ne eravamo capaci. Discutere con ciò che dev’essere è sempre stata una perdita di tempo, per ciò che dev’essere le discussioni non sono altro che raggruppamenti più o meno casuali di parole che aspettano di ricevere dall’ordine sintattico un senso che esse stesse non sono sicure di possedere. Marta lasciò Trovato a sorvegliare le statuine e, senza ulteriori dibattiti con l’inevitabile, andò in cucina a prendere l’unico foglio di carta vetrata sottile di cui sapeva dell’esistenza in casa, Si consumerà in un attimo, pensò, dovrò comprarne degli altri. Se avesse sbirciato dalla porta della fornace, avrebbe visto che anche lì le cose non stavano andando lisce. Cipriano Algor si era vantato con Marçal di avere inventato certi trucchi per accelerare il lavoro, il che, da un punto di vista, per così dire, globale, era vero, ma la rapidità non aveva tardato a dimostrarsi incompatibile con la perfezione, col risultato di un numero di statuine difettose molto maggiore di quello verificatosi nella prima serie. Quando Marta tornò al suo lavoro i primi storpi erano già stati tolti dalla scaffalatura, ma Cipriano Algor, fatti i conti fra il tempo che guadagnava e le statuine che perdeva, decise di non rinunciare ai suoi fecondi ma non irreprensibili né mai spiegati trucchi. E così trascorsero i giorni. Agli eschimesi fecero seguito i pagliacci, poi uscirono le infermiere, ed ecco i mandarini, e gli assiri con la barba, e finalmente i buffoni, che erano quelli vicini alla parete di fondo. Marta era scesa il secondo giorno in paese per comprare due dozzine di fogli di carta vetrata. Proprio in quel negozio Isaura aveva cominciato a lavorare, come Marta sapeva fin dal giorno in cui era andata a trovarla dopo l’incontro perturbante, emotivamente parlando, intendiamoci, che la vicina aveva avuto con suo padre. Le due donne non si vedono molto, ma ci sono fin troppi motivi di credere che diverranno grandi amiche. Con discrezione, in modo che le parole non giungessero alle orecchie del padrone del negozio, Marta domandò a Isaura se si trovasse bene in quel posto, e lei rispose di si, che si trovava bene, Ci si abitua, disse. Lo aveva detto senza contentezza, ma con determinazione, come se volesse mettere bene in chiaro che il piacere, qui, non c’entrava niente, che era stata la volontà, e solo lei, a pesare nella sua decisione di accettare l’impiego. Marta ripensava a cosa le aveva sentito dire tempo addietro, Qualsiasi lavoro, purché possa continuare a vivere qui. La domanda che fece Isaura dopo, mentre arrotolava i fogli di carta vetrata, un po’ lenti com’è consigliabile, Marta la colse come un’eco, distorta ma comunque riconoscibile, di quelle parole, E voi, come andate, Stanchi, con un mucchio di lavoro, ma per il resto bene, Marçal, poverino, ha dovuto lavorare al forno nel suo giorno di riposo, immagino che avrà ancora la schiena dolorante. I fogli di carta vetrata erano arrotolati. Mentre prendeva il denaro e dava il resto, Isaura, senza alzare gli occhi, domandò, E tuo padre. Marta riuscì solo a rispondere che il padre stava bene, un pensiero angoscioso le aveva attraversato all’improvviso la mente, Che ne sarà della vita di questa donna quando ce ne andremo via. Isaura la stava salutando, doveva servire un altro cliente, Portagli i miei saluti, disse, se in quel momento Marta le avesse domandato, Che ne sarà della tua vita quando ce ne andremo via, forse avrebbe risposto come poco fa, tranquillamente, Ci si abitua. Si, tante volte sentiamo dire, o lo diciamo noi stessi, Ci si abitua, lo diciamo, o lo dicono, con

una serenità che sembra autentica, perché in realtà non esiste, o ancora non si è scoperto altro modo di manifestare all’esterno con tutta la dignità possibile le nostre rassegnazioni, quello che invece nessuno domanda è a costo di cosa, ci si abitua. Marta uscì dal negozio quasi in lacrime. Con una specie di rimordimento disperato, come se si stesse accusando di avere ingannato Isaura, pensava, Ma lei non sa niente, non sa nemmeno che stiamo per andarcene via. Per due volte si dimenticarono di dare da mangiare al cane. Ricordandosi dei suoi tempi d’indigenza, quando la speranza nell’indomani era l’unico companatico che gli restava nelle lunghe ore in cui lo stomaco desiderava ardentemente un po’ di alimento, Trovato non reclamò, trascurando i suoi doveri di sorvegliante, si distese accanto al casotto, è antica saggezza che un corpo sdraiato sopporti meglio la fame, in attesa, pazientemente, che uno dei padroni si desse una manata sulla fronte ed esclamasse, Diavolo, ci siamo dimenticati del cane. Non è il caso di stupirsi visto che, in quei giorni, si erano dimenticati persino di se stessi. Ma fu proprio grazie a questa totale dedizione ai rispettivi compiti, rubando ore al sonno, ancorché Cipriano Algor non avesse mai smesso di protestare con Marta, Devi riposarti, devi riposarti, fu grazie a questo sforzo parallelo che le trecento statuine uscite dal forno erano li, scartavetrate, spazzolate, verniciate e asciutte, tutte e trecento, quando arrivò il giorno in cui Cipriano Algor doveva andare a prendere il genero al Centro, e che le altre trecento, sgocciolate e pimpanti nella loro creta cruda, senza pecche visibili, erano, anch’esse, con l’aiuto del caldo e della brezza, prive di umidità e pronte per la cottura. La fornace sembrava riposare dopo una grande fatica, il silenzio si era messo a dormire. All’ombra del gelso nero, padre e figlia guardavano le seicento statuine allineate sulle assi e avevano l’impressione di aver fatto un buon lavoro. Cipriano Algor disse, Domani non lavorerò in fornace, Marçal non dovrà cavarsela tutto da solo con il forno, e Marta disse, Penso che dovremmo prenderci qualche giorno di riposo prima di attaccare con la seconda parte dell’ordinazione, e Cipriano Algor domandò, Che ne dici di tre giorni, e Marta rispose, Sarà meglio di niente, e Cipriano Algor domandò di. nuovo, Come ti senti, e Marta rispose, Stanca, ma bene, e Cipriano Algor disse, Infatti, io mi sento come non mai, e Marta disse, Dev’essere quello che solitamente definiamo la soddisfazione del dovere compiuto. Contrariamente a quanto sarebbe potuto sembrare, non c’era alcuna ironia in queste parole, vi risuonava solo una stanchezza tale che si vorrebbe dire infinita se non fosse tanto palese e sproporzionata l’esagerazione qualificativa. In ogni modo, non era tanto nel corpo che lei si sentiva stanca, ma di assistere impotente, senza rimedio, all’amaro sconforto e alla malcelata tristezza del padre, ai suoi alti e bassi d’umore, ai suoi patetici slanci di sicurezza e di autorità, all’affermazione categorica e ossessiva perfino dei dubbi, come se credesse di riuscire così a toglierseli di mente. E c’era quella donna, Isaura, Isaura Madruga, la vicina della brocca, a cui l’altro giorno non aveva risposto altro che Sta bene alla domanda che lei le aveva mormorato, a occhi bassi, mentre contava le monete, E tuo padre, quando in realtà avrebbe dovuto portarla via da li tenendola sottobraccio, accompagnarla alla fornace, entrare insieme a lei dove il padre lavorava e dire, Eccola, e poi chiudere la porta e lasciarli soli fino a quando le parole non fossero servite a qualche cosa, visto che i silenzi, poveri

loro, sono soltanto questo, silenzi, nessuno ignora che, spesso, persino quelli apparentemente eloquenti hanno dato adito, con le più serie e a volte fatali conseguenze, a interpretazioni errate. Siamo troppo timorosi, troppo codardi per avventurarci a un’azione del genere, pensò Marta contemplando il padre che sembrava essersi addormentato, siamo troppo imprigionati nella rete delle cosiddette convenienze sociali, nella ragnatela del proprio e dell’improprio, se si sapesse che ho fatto una cosa del genere subito verrebbero a dirmi che buttare una donna fra le braccia di un uomo, sarebbe questa l’espressione, è un’assoluta mancanza di rispetto per l’identità altrui, e per giunta un’imprudenza irresponsabile, non si sa mai cosa potrà succedergli in futuro, la felicità delle persone non è una cosa che si costruisce oggi e si può star certi che durerà anche domani, magari un giorno t’incontriamo, da solo, uno di quelli che avevamo unito e rischiamo che ci dica È colpa tua. Marta non voleva cedere a questo discorso del buonsenso, frutto conseguente e scettico delle dure battaglie della vita, È una stupidaggine tralasciare il presente solo per paura di non ottenere il futuro, si disse, e subito dopo aggiunse, Del resto, non dovrà mica succedere tutto domani, certe cose solo dopodomani, Cos’hai detto, domandò il padre prontamente, Niente, rispose, sono rimasta buona e zitta per non svegliarvi, Non dormivo, Ah, mi sembrava di si, Hai detto che certe cose solo dopodomani, Che strano, ho detto veramente questo, domandò Marta, Non ho sognato, Allora ho sognato io, devo essermi addormentata e svegliata poco dopo, i sogni sono così, senza capo né coda, o meglio, hanno capo e hanno coda, ma quasi sempre il capo arriva da un lato e la coda dall’altro, il che spiega perché i sogni sono tanto difficili da interpretare. Cipriano Algor si alzò, Si sta avvicinando l’ora di andare a prendere Marçal, ma stavo pensando che forse varrebbe la pena andare un po’ prima e passare dall’ufficio acquisti, potrei avvisarli che le prime trecento sono pronte e organizzare la consegna, Mi sembra una buona idea, disse Marta. Cipriano Algor andò a vestirsi, si mise una camicia pulita, cambiò le scarpe, e in meno di dieci minuti entrava nel furgone, Arrivederci, disse, Arrivederci, babbo, fate attenzione, E tornate facendo ancora più attenzione, è inutile dirlo, Si, con più attenzione, perché sarete in due, E quello che dico e ripeto sempre, con te non si può parlare né discutere, hai una risposta per tutto. Trovato si avvicinò a domandare al padrone se stavolta poteva andare con lui, ma Cipriano Algor gli disse di no, di avere pazienza, le città non sono davvero quanto di meglio ci sia per i cani. Un altro dopo tanti, il viaggio non avrebbe avuto storia se non fosse stato per l’inquieto presentimento del vasaio che stava per succedere qualcosa di brutto. Casualmente si era ricordato di aver sentito dire alla figlia, Certe cose solo dopodomani, parole isolate, senza motivo né senso apparenti, che lei non aveva saputo o non aveva voluto spiegare, Dubito che stessi dormendo, ma non capisco cosa mai l’avrà spinta a suggerire che avevo sognato, pensò, e subito dopo, proseguendo la frase rammentata, lasciò che il pensiero proseguisse su quello stesso cammino e intonasse nella sua testa una litania ossessiva, Certe cose solo dopodomani, certe cose solo domani, certe cose oggi, poi riprendeva la sequenza invertendola, Certe cose oggi, certe cose solo domani, certe cose solo dopodomani, e continuò a ripeterlo e a ripeterlo tante di quelle volte che finì per perdere il suono e il senso, il significato di domani e

di dopodomani, in mente gli rimase solo, come una lampadina d’allarme che si accende e si spegne, Solo oggi, solo oggi, solo oggi, oggi, oggi, oggi. Oggi, che cosa, si domandò con violenza, tentando di reagire contro l’assurdo nervosismo che gli faceva tremare le mani sul volante, sto andando in città a riprendere Marçal, vado all’ufficio acquisti per informare che la prima parte dell’ordinazione è pronta per la consegna, tutto questo che sto facendo è abituale, normale, logico, non ho alcun motivo per essere inquieto, e sto guidando con attenzione, c’è poco traffico, gli assalti sulla strada non ci sono più, o almeno non se n’è avuta notizia, quindi non potrà succedermi nulla che non sia la monotonia di sempre, gli stessi passi, le stesse parole, gli stessi gesti, il banco degli acquisti, il vicecapo sorridente o l’altro maleducato, oppure il capo, se non è in riunione e gli viene il ghiribizzo di ricevermi, poi lo sportello del furgone che si apre, Marçal che monta, Buonasera, papà, Buonasera, Marçal, come ti è andato il lavoro questa settimana, non so se dieci giorni si possono chiamare una settimana, ma non conosco altra maniera, Al solito, dirà lui, Noi abbiamo finito la prima serie di statuine, ho già organizzato la consegna con l’ufficio acquisti, dirò io, Come sta Marta, domanderà lui, Stanca, ma bene, risponderò io, e anche queste parole le pronunciamo continuamente, non mi stupirei affatto che nel passare da questo all’altro mondo riuscissimo ancora a trovare le forze per rispondere a qualcuno che se ne fosse uscito con l’idea imbecille di domandarci come ci sentiamo, Morenti, ma bene, ecco cosa diremo. Per distrarsi dalla compagnia degli infausti pensieri che si ostinavano a importunarlo, Cipriano Algor provò a dare attenzione al paesaggio, lo faceva in mancanza d’altro perché sapeva benissimo che niente di tranquillizzante gli poteva essere offerto dallo spettacolo deprimente delle serre di plastica distese a perdita d’occhio, da un lato e dall’altro, fino all’orizzonte, come si distingueva meglio dall’alto della collinetta su cui il furgone si stava in questo momento arrampicando. E questa la chiamano Cintura Verde, pensò, questa desolazione, questa specie di accampamento lugubre, questa manciata di blocchi di ghiaccio sporco che sciolgono in sudore quelli che ci lavorano dentro, per molta gente queste serre sono macchine, macchine per fare vegetali, e realmente non hanno alcuna difficoltà, è come una ricetta, si mescolano gli ingredienti adatti, si regolano il termostato e l’igrometro, si spinge un bottone e di lì a poco viene fuori una lattuga. Chiaro che il disappunto di Cipriano Algor non gli impedisce di riconoscere che proprio grazie a queste serre ora nel piatto la verdura può avercela tutto l’anno, ma quello che non riesce a sopportare è che sia stato battezzato con la designazione di Cintura Verde un posto dove questo colore, giusto questo, non si trova, salvo che in qualche ciuffo d’erba lasciato crescere al di fuori delle serre. Saresti forse più felice se i teloni di plastica fossero verdi, gli domandò di botto il pensiero che sgobba nel pianerottolo inferiore del cervello, quel pensiero irrequieto che non si riterrà mai soddisfatto di ciò che ha pensato e deciso quello del piano di sopra, ma Cipriano Algor, a questa domanda pertinentissima, preferì non dare risposta, fece finta di non aver udito, forse per via di quel certo tono impertinente che le domande pertinenti, solo per il fatto di essere state formulate, e per quanto si cerchi di mascherarle, automaticamente prendono. La Cintura Industriale, somigliante, sempre di più, a una costruzione tubolare in espansione continua, a un’armatura di tubi progettata da un forsennato ed eseguita da un allucinato,

non gli arrecò alcun beneficio all’umore, anche se, vabbè, tra due mali il minore, il suo inquieto e torvo presentimento si era messo a bofonchiare in sordina. Notò che l’allineamento visibile dei quartieri di baracche era ora molto più vicino alla strada, come un formicaio che si rimettesse in fila dopo la pioggia, pensò, stringendosi nelle spalle, che ben presto sarebbero ripresi gli assalti ai camion, e finalmente, facendo uno sforzo enorme per allontanare l’ombra che era venuta a sedersi al suo fianco, si immise nel traffico confuso della città. Non era ancora l’ora di riprendere Marçal, aveva un bel po’ di tempo per andare all’ufficio acquisti. Non chiese di parlare con il capo, sapeva bene che la questione per cui era lì non era altro che un pretesto per farsi ricordare, un messaggio di sfuggita perché non si dimenticassero della sua esistenza, che a una trentina di chilometri da lì c’era un forno che cuoceva creta diligentemente, e una donna che dipingeva, e il padre di lei che modellava, tutti con gli occhi fissi sul Centro, e non mi venga a dire che i forni non hanno occhi, certo che ce li hanno, eccome, se non ce li avessero non saprebbero cosa stanno facendo, occhi, dunque, solo che non assomigliano ai nostri. Lo ricevette il vicecapo dell’altro giorno, quello simpatico e sorridente, Allora, cosa la porta qui oggi, domandò, Le trecento statuine sono pronte, sono venuto a domandare quando vuole che le porti, Quando vuole lei, anche domani, Domani non so se potrò, mio genero sarà a casa per il suo giorno di riposo, ne approfitta per aiutarmi a infornare le altre trecento, Allora dopodomani, il prima possibile, mi è venuta un’idea che voglio mettere in pratica rapidamente, Si riferisce alle mie statuine, Proprio così, si ricorda che le avevo parlato di un’indagine, Certo che me ne ricordo, signore, quella sulla situazione previa all’acquisto e sulla situazione derivante dall’uso, Complimenti, ha buona memoria, Per l’età che ho non è male, L’idea, dunque, peraltro già applicata ad altri casi con risultati molto apprezzabili, consisterà nel distribuire fra un determinato numero di potenziali acquirenti, a seconda dell’universo sociale e culturale che sarà definito, una certa quantità di statuine e appurare in seguito che apprezzamento hanno riservato all’articolo, dico così per semplificare, lo schema delle nostre domande è più complesso, come lei può immaginare, Non ho esperienza, signor vicecapo, non ho mai domandato, né mai hanno domandato a me, Sto addirittura pensando di utilizzare nell’indagine queste sue prime trecento, seleziono cinquanta clienti, fornisco gratis a ciascuno la collezione completa di sei, e in pochi giorni sarò al corrente dell’opinione che si sono formati sul prodotto, Gratis, domandò Cipriano Algor, vuol dire che non me le pagherete, Tutt’altro, caro signore, l’esperimento è a nostro carico, saremo noi, pertanto, ad assumerci i costi, non vogliamo arrecarle pregiudizio. Il sollievo provato da Cipriano Algor fece ritrarre, momentaneamente, la preoccupazione che bruscamente aveva fatto irruzione nel suo spirito, e cioè, Cosa succederà se il risultato dell’indagine mi sarà sfavorevole, se la maggior parte dei clienti interpellati, o tutti, sintetizzerà tutte le domande in un’unica e definitiva risposta, Non interessa. Udì se stesso mentre diceva, Grazie, non solo per educazione, anche per giustizia doveva dirlo, infatti non è da tutti i giorni che spunti qualcuno a tranquillizzarci con la benevola informazione che non vuole arrecarci pregiudizio. L’agitazione gli rimordeva di nuovo lo stomaco, ma adesso era lui che non si sarebbe fatto uscire di bocca la domanda, se ne sarebbe andato come se portasse via una lettera sigillata da aprire solo in alto

mare e in cui il suo destino era ormai segnato, tracciato, scritto, oggi, domani, dopodomani. Il vicecapo aveva domandato, Cosa la porta qui oggi, poi aveva detto, Domani stesso, infine avrebbe concluso, Allora vada per dopodomani, è proprio vero, le parole sono così, vanno e vengono, e vanno, e vengono, e vengono, e vanno, ma perché queste stavano aspettando me, perché sono uscite da casa con me e non mi hanno abbandonato per tutto il cammino, non domani, non dopodomani, ma oggi, in questo istante. All’improvviso, Cipriano Algor detestò l’uomo che aveva davanti a sé, questo vicecapo simpatico e cordiale, quasi affettuoso, con cui l’altro giorno aveva potuto conversare praticamente da pari a pari, fatte salve, è chiaro, le ovvie distanze e differenze di età e condizione sociale, nessuna delle quali, però, a quanto gli era parso allora, d’impedimento a un rapporto fondato sul rispetto reciproco. Se ti piantano un coltello in pancia, che almeno abbiano la decenza morale di mostrarti una faccia che sia adeguata all’azione assassina, una faccia che trasudi odio e ferocia, una faccia di furore demente, addirittura di freddezza disumana, ma, per amor di Dio, che non ti sorridano mentre ti stanno squarciando le budella, che non ti disprezzino a tal punto, che non ti diano false speranze, dicendo per esempio, Non si preoccupi, non è niente, con una mezza dozzina di punti si ritroverà come prima, oppure, Le auguro sinceramente che il risultato dell’indagine le sia favorevole, poche cose mi darebbero maggior soddisfazione, mi creda. Cipriano Algor fece un vago cenno col capo, in un gesto che poteva significare tanto un si quanto un no, che forse non aveva neanche un significato, poi disse, Devo andare a prendere mio genero. Uscì dal sotterraneo, fece il giro intorno al Centro e andò a posteggiare il furgone in vista della porta del servizio di sicurezza. Marçal tardò più del solito, sembrava nervoso quando montò a bordo, Buonasera, papà, disse, e Cipriano Algor disse, Buonasera, come ti è andato il lavoro questa settimana, Al solito, rispose Marçal, e Cipriano Algor disse, Noi abbiamo finito la prima serie di statuine, ho già organizzato la consegna con l’ufficio acquisti, Come sta Marta, Stanca, ma bene. Non si parlarono più fino all’uscita dalla città. E fu solo quando erano ormai all’altezza delle baracche che Marçal disse, Papà, mi hanno appena informato che sono stato promosso, da oggi sono guardiano residente del Centro. Cipriano Algor voltò il capo verso il genero, lo guardò come se lo vedesse per la prima volta, oggi, non dopodomani, né domani, oggi, aveva ragione il presentimento. Oggi che cosa, si domandò, la minaccia che si nasconderà nelle domande dell’indagine, oppure questa, finalmente compiutasi dopo averlo promesso per tanto tempo. Si è visto, benché meno nella vita reale che non nei libri in cui si raccontano storie, che una sorpresa repentina può lasciare per qualche istante senza voce la persona strabiliata, ma una mezza sorpresa che se n’è rimasta in silenzio, magari fingendo, magari desiderando che la prendano per una sorpresa completa, non dovrà, in teoria, essere tenuta in considerazione. Attenzione, solo in teoria. Sappiamo da sempre che quest’uomo che guida il furgone non aveva alcun dubbio che un giorno la temuta notizia sarebbe arrivata, ma è comprensibile che oggi, posto come lo hanno messo tra due fuochi, si sia visto all’improvviso senza forze per decidere a quale dei due accorrere per primo. Riveliamo, però, fin da ora, sia pur sapendo che pregiudicheremo la regolarità dell’ordine a cui gli avvenimenti

devono sottomettersi, che Cipriano Algor non comunicherà, nei prossimi giorni, vuoi al genero vuoi alla figlia, una sola parola circa l’inquietante conversazione avuta con il vicecapo dell’ufficio acquisti. Ne parlerà, si, ma più avanti, quando tutto sarà perduto. Ora dice al genero solo, Auguri, immagino sarai soddisfatto, parole banali e quasi indifferenti che non avrebbero dovuto aver bisogno di tanto tempo per manifestarsi, e Marçal non lo ringrazierà, né confermerà se è soddisfatto come ha immaginato il suocero, o un po’ di meno, o un po’ di più, quello che dice lui è tanto serio quanto una mano tesa, Per voi non è una buona notizia. Cipriano Algor comprese lo scopo, guardò di lato con un mezzo sorriso che pareva burlarsi della propria rassegnazione e disse, Nemmeno le notizie migliori sono buone per tutti quanti, Vedrete come tutto si risolverà nel modo migliore, disse Marçal, Non ti preoccupare, si è risolto il giorno in cui vi ho detto che sarei venuto a vivere con voi al Centro, è parola data, una volta detta non torna indietro, Vivere al Centro non è mica una deportazione, disse Marçal, Non so come sarà vivere al Centro, lo saprò quando ci andrò, ma tu, si, tu già lo sai, e dalla tua bocca non si è mai udita una spiegazione, un racconto, una descrizione che mi facesse percepire, nel vero senso della parola, questa che, con tanta sicurezza, hai affermato non essere una deportazione, Nel Centro ci siete già stato, papà, Poche volte, e sempre di passaggio, solo come un acquirente che sapeva cosa voleva, Credo che la migliore spiegazione del Centro sarebbe ancora di considerarlo come una città che vive dentro un’altra città, Non so se sarà la spiegazione migliore, comunque non è sufficiente a farmi percepire cosa c’è dentro al Centro, Ci sono le stesse cose che si trovano in qualunque altra città, negozi, persone che passano, che comprano, che chiacchierano, che mangiano, che si distraggono, che lavorano, Vuoi dire, esattamente come nel paesino arretrato in cui viviamo, Più o meno, in fondo si tratta di una questione di dimensioni, La verità non può essere tanto semplice, Suppongo che delle verità semplici esistano, Può darsi, ma non credo che le possiamo riconoscere dentro al Centro. Ci fu una pausa, poi Cipriano Algor disse, E giacché stiamo parlando di dimensioni, è curioso che ogni qualvolta guardo verso il Centro da fuori ho l’impressione che sia più grande della stessa città, cioè, il Centro sta dentro la città, ma è più grande della città, come parte è più grande del tutto, probabilmente sarà perché è più alto dei palazzi che lo circondano, più alto di qualsiasi palazzo della città, probabilmente perché fin dall’inizio ha continuato a inghiottire strade, piazze, isolati interi. Marçal non rispose subito, il suocero aveva appena dato espressione quasi visiva alla confusa sensazione di smarrimento che s’impossessava di lui ogni volta che rientrava nel Centro dopo il riposo, soprattutto durante le ronde notturne con l’illuminazione ridotta, percorrendo le gallerie deserte, scendendo e salendo negli ascensori, come se sorvegliasse il nulla perché continuasse a essere nulla. All’interno di una grande cattedrale vuota, se alziamo gli occhi alle volte, alle opere superiori, abbiamo l’impressione che sia più alta dell’altezza a cui vediamo il cielo in aperta campagna. Dopo un silenzio, Marçal disse, Credo di comprendere la vostra idea, e lì si fermò, non voleva alimentare nello spirito del suocero una catena di pensieri che avrebbe potuto condurlo a chiudersi dietro una nuova linea di resistenza disperata. Ma le preoccupazioni di Cipriano Algor si erano incamminate in un’altra direzione, Quando fate il trasferimento, Il prima

possibile, ho già visto l’appartamento che mi è stato destinato, è più piccolo di casa nostra, ma è comprensibile, per quanto il Centro sia grande lo spazio non è infinito, dev’essere razionalizzato, Pensi che ci entreremo tutti, domandò il vasaio desiderando che il genero non si accorgesse del tono di malinconica ironia che all’ultimo momento si era intromesso nelle parole, C’entriamo, state tranquillo, per una famiglia come la nostra l’appartamento è più che sufficiente, rispose Marçal, non ci sarà bisogno di dormire a turno. Cipriano Algor pensò, L’ho irritato, sarebbe stato meglio non fargli questa domanda. Fino a quando non arrivarono a casa non dissero altro. Marta accolse la notizia senza manifestare alcun sentimento. Quello che si sa dovrà accadere, in un certo senso è come se fosse già accaduto, le aspettative fanno più che annullare semplicemente le sorprese, attenuano le emozioni, le banalizzano, tutto ciò che si desiderava o si temeva era già stato vissuto mentre lo si è desiderato o temuto. Fu durante la cena che Marçal diede un’importante informazione di cui si era dimenticato, e questa spiacque francamente a Marta, Vuoi dire che non potremo portarci le nostre cose, Alcune si, le decorazioni della casa, per esempio, ma non i mobili, né le stoviglie, né i bicchieri, né le posate, né gli asciugamani, né le tende, né la biancheria da letto, l’appartamento ha già tutto quello di cui c’è bisogno, Quindi un trasferimento, un trasferimento, quello che definiamo un trasferimento, non ci sarà, disse Cipriano Algor, Si trasferiscono le persone, è questo il trasferimento, Lasceremo questa casa con tutto quello che c’è dentro, disse Marta, Vedi bene che non c’è altro da fare. Marta ci pensò un po’, poi dovette accettare l’inevitabile, Verrò di tanto in tanto ad aprire le finestre, arieggiare le stanze, una casa chiusa è come una pianta che si sono dimenticati di innaffiare, muore, si secca, deperisce. Quando ebbero finito di mangiare, e prima che Marta si alzasse per togliere i piatti, Cipriano Algor disse, Ci ho pensato. La figlia e il genero si sogguardarono, come se si trasmettessero parole di allarme, Non si sa mai cosa può venirne fuori quando si mette a pensare. La mia prima idea, proseguì il vasaio, era stata che Marçal mi aiutasse domani nel lavoro del forno, Mi permetto di rammentarvi che si era combinato di prenderci tre giorni di riposo, ricordò Marta, I tuoi cominciano già domani, E i vostri, Anche i miei non tarderanno, solo che dovranno aspettare un po’, Bene, questa era la prima idea, e la seconda qual è, o la terza, domandò Marta, Sistemiamo nel forno, domani mattina presto, le statuine ancora da cuocere, ma non lo accendiamo, dopo ci penserò io, poi voi mi aiutate a caricare sul furgone le statuine già pronte, e mentre io le porto al Centro e torno, ve ne state tranquilli qui, senza un padre e un suocero che s’intromette dove non è chiamato, È così che vi siete accordato con l’ufficio acquisti, consegnare le statuine domani, domandò Marçal, non era questa l’impressione che avevo avuto, pensavo che le avremmo portate dopo, quando andavamo tutti e tre, Così è meglio, rispose Cipriano Algor, si guadagna tempo, Si guadagna da un lato e si perde dall’altro, le rimanenti statuine andranno in ritardo, Non ritarderanno molto, accenderò il forno appena sarò di ritorno dal Centro, chi sa se non sarà l’ultima volta, Ma cosa dite, abbiamo ancora seicento statuine da fare, disse Marta, Non ne sono tanto sicuro, Perché, In primo luogo, il trasferimento, il Centro non è tipo da aspettare che il suocero del guardiano residente Marçal Gacho abbia finito un’ordinazione, benché ci sia da dire che,

con un po’ di tempo, supponendo di avercelo, potrei completarla da solo, e in secondo luogo, In secondo luogo, cosa, domandò Marçal, Nella vita c’è sempre qualcosa che viene dopo quello che appare in primo luogo, a volte abbiamo l’impressione di sapere cosa sia, ma vorremmo ignorarlo, altre volte non immaginiamo neanche cosa potrà essere, ma sappiamo che c’è, Smettetela di parlare come un oracolo, per favore, disse Marta, Benissimo, che l’oracolo taccia, limitiamoci allora a quello che veniva in primo luogo, intendevo dire solo che se il trasferimento dovrà essere fatto entro breve non ci sarà tempo per risolvere il problema delle seicento statuine che mancano, Bisognerebbe parlarne con il Centro, disse Marta rivolgendosi al marito, tre o quattro settimane in più non farà per loro grande differenza, parlaci tu, se ci hanno impiegato tanto tempo a decidere la tua promozione, ora potrebbero anche aiutarci in questo frangente, e peraltro sarebbe come aiutare se stessi perché si ritroverebbero con l’ordine completo, No, non ne vale la pena, disse Marçal, abbiamo dieci giorni esatti per fare il trasferimento, non un’ora di più, è il regolamento, il prossimo giorno di riposo dovrò passarlo già nell’appartamento, Potresti anche venirlo a passare qui, disse Cipriano Algor, nella tua casa di campagna, Sembrerebbe brutto, essere promosso guardiano residente e assentarmi dal Centro subito al primo riposo, Dieci giorni è poco tempo, disse Marta, Forse sarebbe poco tempo se dovessimo portarci i mobili e il resto, ma le uniche cose che veramente dovremo trasferire sono i corpi con gli abiti che abbiamo indosso, e questi potrebbero entrare nell’appartamento in meno di un’ora se fosse necessario, In tal caso, cosa ne faremo del resto dell’ordinazione, domandò Marta, Il Centro lo sa, e lo comunicherà quando riterrà che sia il momento, disse il vasaio. Aiutata dal marito, Marta sparecchiò la tavola, poi andò alla porta a scuotere la tovaglia, si trattenne a guardare fuori e, quando tornò, disse, C’è ancora un problema da risolvere e non so se si potrà rimandare all’ultimo momento, E quale sarebbe, domandò Marçal, Il cane, rispose lei, Trovato, rettificò Cipriano Algor, e Marta proseguì, Visto che noi non siamo tipi da ammazzarlo, o abbandonarlo, bisogna pensare a una sua destinazione, affidarlo a qualcuno, Il fatto è che nel Centro non si accettano animali, chiarì Marçal rivolgendosi al suocero, Neanche una tartaruga domestica, neanche un canarino, neanche una tenera tortorella, volle sapere Cipriano Algor, Sembra che all’improvviso abbiate smesso di interessarvi alle sorti del cane, disse Marta, Di Trovato, Del cane, di Trovato, è la stessa cosa, l’importante è decidere cosa ne faremo, quanto a me, ho già una proposta, E io un’intenzione, tagliò corto Cipriano Algor, e immediatamente dopo si alzò e andò nella sua stanza. Ricomparve dopo alcuni minuti, attraversò la cucina senza dire una parola e uscì. Chiamò il cane, Vieni, andiamo a fare un giro, disse. Scese il sentiero insieme a lui, giunto nella strada svoltò a sinistra, nella direzione opposta al paese, e s’infilò nel campo. Trovato non mollava le calcagna del padrone, forse si ricordava del tempo del suo infelice vagabondare, quando lo cacciavano dai giardini e persino un filo d’acqua gli negavano. Benché non abbia nulla di pauroso, benché non lo spaventino le ombre della notte, ora preferirebbe trovarsi sdraiato nel casotto, o, meglio ancora, accoccolato in cucina, ai piedi di uno di loro, e non dice uno di loro per indifferenza, come se fosse la stessa cosa, ma perché anche gli altri due li avrebbe a portata di vista e di olfatto, e perché potrebbe cambiare posto a suo

piacimento senza che l’armonia e la felicità del momento soffrissero per il cambiamento. Non è andata molto lontano la passeggiata. Il sasso su cui Cipriano Algor si è appena seduto farà le veci della panchina delle meditazioni, è questo il motivo per cui è uscito di casa, se fosse andato a ritirarsi su quella autentica la figlia lo avrebbe visto dalla porta della cucina e ben presto sarebbe accorsa a domandargli se stava bene, sono premure delle quali ovviamente si è grati, ma la natura umana è fatta in una maniera talmente strana che persino i più sinceri e spontanei moti del cuore possono diventare importuni in certe circostanze. Che cosa Cipriano Algor pensò non vale la pena dirlo perché lo aveva già pensato in altre occasioni e di quei pensieri si è data informazione più che sufficiente. Se qualcosa di nuovo è accaduto fu il fatto che l’uomo si è lasciato scorrere sul viso qualche penosa lacrima, già da un bel po’ di tempo si erano raccolte là, sempre sul punto di riversarsi fuori, alla fin fine erano lacrime promesse per questo triste momento, per questa notte senza luna, per questa solitudine che non si è rassegnata. La cosa che non fu affatto una novità, perché era già successa un’altra volta nella storia delle favole e dei prodigi della popolazione canina, fu che Trovato si avvicinò a Cipriano Algor per leccargli le lacrime, un gesto di consolazione suprema che, in ogni caso, per quanto commovente ci sembri, capace addirittura di toccare i cuori meno propensi a manifestazioni di sensibilità, non dovrebbe farci dimenticare la cruda realtà che il sapore di sale che in esse è tanto presente è apprezzato al massimo grado dalla maggioranza dei cani. Una cosa, però, non tira l’altra, se domandassimo a Trovato se il viso di Cipriano Algor lo ha leccato per via del sale, probabilmente ci risponderebbe che non meritiamo il pane che mangiamo, che siamo incapaci di vedere al di là della punta del nostro naso. Lì rimasero per più di due ore il cane e il suo padrone, ciascuno con i propri pensieri, ormai senza le lacrime piante dall’uno e asciugate dall’altro, chissà, forse in attesa che la rotazione del mondo rimettesse tutte le cose ai loro posti, senza dimenticarne qualcuna che fino ad ora non è ancora riuscita a trovare il proprio. 17. La mattina seguente, come avevano deciso, Cipriano Algor portò le statuine finite al Centro. Le altre si trovavano già nel forno, in attesa del loro turno. Cipriano Algor si era alzato presto, la figlia e il genero dormivano ancora, e quando finalmente Marçal e Marta, un po’ insonnoliti, comparvero alla porta della cucina, metà del servizio era fatto. Fecero colazione insieme scambiando qualche frase di circostanza, vuoi dell’altro caffè, passami il pane, c’è un altro po’ di marmellata, poi Marçal andò ad aiutare il suocero per quanto restava, impegnandosi subito nel delicato lavoro di sistemare le trecento statuine pronte nelle scatole che prima erano usate per il trasporto delle stoviglie. Marta disse al padre che sarebbe andata con Marçal a casa dei suoceri, bisognava informarli del prossimo trasferimento, vedremo come accoglieranno la notizia, comunque non si sarebbero fermati a mangiare, Probabilmente saremo già qui quando tornerete dal Centro, concluse. Cipriano Algor disse che avrebbe portato con sé Trovato, e Marta gli domandò se pensava a qualcuno della città quando ieri sera ha detto di avere anche lui un’idea per risolvere il problema del cane, e lui rispose che no, ma che ci si

poteva riflettere, così Trovato sarebbe stato più vicino a loro, avrebbero potuto vederlo ogni volta che avessero voluto. Marta osservò che non risultava dalle sue conoscenze che il padre avesse amici intimi in città, persone di tanta fiducia da meritare, e pronunciò intenzionalmente la parola meritare, di occuparsi di un animale che in quella casa si teneva in considerazione come una persona. Cipriano Algor rispose che non ricordava di avere mai detto che aveva amici intimi in città, e che si portava il cane solo per distrarsi da pensieri che non voleva avere. Marta gli disse che se aveva pensieri di quel genere avrebbe dovuto condividerli con la figlia lì presente, al che Cipriano Algor rispose che parlarle di quei suoi pensieri sarebbe stato come buttare acqua sul bagnato, perché lei li conosceva altrettanto bene, se non meglio, di lui, non certo parola per parola, è chiaro, come una registrazione su nastro, ma nel più profondo ed essenziale, e allora lei ribatté che, nella sua umile opinione, la realtà era esattamente al contrario, che di essenziale e profondo non sapeva nulla e che molte delle parole che gli aveva udito erano solo cortine di fumo, una circostanza peraltro nient’affatto sorprendente perché le parole, molte volte, servono solo a questo, ma può esserci anche di peggio, ed è quando tacciono deltutto e si convertono in un muro di silenzio compatto, davanti a quel muro non si sa cosa fare, Ieri sera sono rimasto qui ad aspettarvi, dopo un’ora Marçal è andato a letto, e io ad aspettare, ad aspettare, mentre il mio caro babbo se ne andava in giro con il cane chissà dove, Là, per la campagna, Certo, per la campagna, non c’è davvero niente di più piacevole che andarsene in giro per la campagna di notte, senza vedere dove mettiamo i piedi, Avresti dovuto coricarti, Alla fine l’ho fatto, naturalmente, prima di trasformarmi in una statua, Allora è tutto a posto, non ne parliamo più, Non è tutto a posto, nient’affatto, Perché, Perché mi avete rubato quello che più desideravo in quel momento, E cioè, Vedervi tornare, solo questo, vedervi tornare, Un giorno capirai, Spero proprio di si, ma non a parole, per favore, sono stufa di parole. Gli occhi di Marta brillavano colmi di lacrime, Non fateci caso, disse, a quanto pare noi, donne fragili, non sappiamo comportarci altrimenti quando siamo incinte, viviamo tutto in maniera esagerata. Marçal urlò dall’aia che aveva finito di caricare, che poteva andare quando voleva. Cipriano Algor uscì, montò sul furgone e chiamò Trovato. Il cane, a cui non era neanche passata per la testa la possibilità di una simile fortuna, balzò come un fulmine a fianco del padrone e li rimase, seduto, sorridente, con la bocca aperta e la lingua di fuori, felice per il viaggio che cominciava, in questo, come in tante altre cose, gli esseri umani sono come i cani, ripongono tutte le loro speranze in quello che c’è dietro l’angolo, e dopo dicono che poi si vedrà. Quando il furgone scomparve dietro le prime case del paese, Marçal domandò, Hai litigato con lui, È il solito problema di sempre, se non parliamo siamo infelici, e se parliamo non ci comprendiamo, Bisogna avere pazienza, non è necessaria un’acutezza di vista eccezionale per capire che tuo padre, in questo momento, vede se stesso come se vivesse in un’isola che sta diventando sempre più piccola ogni giorno che passa, un pezzo, un altro pezzo, bada, è appena andato a portare le statuine al Centro, poi tornerà a casa per accendere il forno, ma queste cose le sta facendo come se dubitasse della ragion d’essere che potrebbero avere avuto in passato, come se desiderasse che gli si presenti un ostacolo impossibile da superare per poter dire finalmente è finita, Credo tu abbia

ragione, Non so se ho ragione, ma tento di mettermi al suo posto, nel giro di una settimana tutto ciò che vediamo qui perderà gran parte del significato che aveva, la casa continuerà a essere nostra, ma non ci vivremo, il forno non manterrà il suo nome di forno se non ci sarà qualcuno a darglielo tutti i giorni, e il gelso nero continuerà a generare le sue more, ma non avrà nessuno che venga a raccoglierle, se anche per me, che non sono nato né sono cresciuto sotto quel tetto, non sarà facile separarmi da tutto questo, cosa dire di tuo padre, Ci torneremo spesso, Si, alla casa di campagna, come l’ha definita lui ironicamente, C’è forse altra soluzione, domandò Marta, rinunci al lavoro di guardiano e vieni a lavorare con noi nella fornace, a fare stoviglie che nessuno vuole, o statuine che nessuno vorrà per lungo tempo, Da come stanno le cose, anche per me c’è solo una soluzione, quella di essere guardiano residente del Centro, Hai quello che volevi, Quando pensavo che fosse questo ciò che volevo, E adesso, Negli ultimi tempi ho imparato da tuo padre qualcosa che mi mancava, forse non te ne sei accorta, ma ho il dovere di avvisarti che l’uomo con cui sei sposata è molto più vecchio di quanto sembra, Non mi dài nessuna novità, ho avuto il privilegio di assistere all’invecchiamento, disse Marta sorridendo. Ma dopo l’espressione le si fece seria, È vero, ci si stringe il cuore pensando che bisognerà lasciare tutto questo, disse. Erano sotto il gelso nero, seduti, vicini, su una delle assi per l’essiccatura, guardavano la casa, con accanto la fornace, se avessero girato un po’ la testa avrebbero visto tra le foglie la porta del forno aperta, è una bella mattinata, di sole, ma fresca, forse il tempo cambierà. Si sentivano bene, nonostante la tristezza, si sentivano quasi felici, in quello stato malinconico che la felicità, non di rado, sceglie per manifestarsi, ma tutt’a un tratto Marçal si alzò dall’asse ed esclamò, Me n’ero dimenticato, i miei genitori, dobbiamo andare a parlare con i miei genitori, ci scommetto quello che vuoi che riprenderanno il discorso che dovrebbero essere loro a venire a vivere nel Centro, e non tuo padre, In mia presenza, è molto probabile che non lo diranno, è una questione di delicatezza, di buon gusto, Spero di si, spero tu abbia ragione. Non la ebbe. Mentre Cipriano Algor, di ritorno dopo aver portato le statuine al Centro, attraversava il paese diretto a casa, vide la figlia e il genero che camminavano poco più avanti. Lui aveva messo un braccio sulle spalle di lei e sembrava consolarla. Cipriano Algor fermò il furgone, Salite, disse, non mandò Trovato sul sedile posteriore perché sapeva che loro avrebhero voluto stare insieme. Marta tentava di asciugarsi le lacrime mentre Marçal le diceva, Non ti arrabbiare, sai come sono fatti, se avessi immaginato che sarebbe accaduto non ti avrei portato, Cosa è successo, domandò Cipriano Algor, La stessa cosa dell’altro giorno, che vogliono venire a vivere nel Centro, che lo meritano più di altre persone, che ormai è tempo che si godano la vita, non si sono curati che ci fosse anche Marta, è stata una scena veramente deplorevole, chiedo scusa per loro. Questa volta Cipriano Algor non ripeté che era disposto a fare lo scambio, sarebbe stato come rimestare un nuovo dolore su una vecchia ferita, si limitò a domandare, E com’è finita la discussione, Gli ho detto che l’appartamento che mi è stato assegnato è, di base, per una coppia con un figlio, che al massimo si potrà ammettere la presenza di un’altra persona della famiglia, purché per alloggiarla si usi un piccolo locale che all’inizio era destinato a sgabuzzino, ma due persone mai, perché non ci

entrerebbero, E loro, Hanno voluto sapere cosa succederebbe se dovessimo avere altri figli, e io ho detto la verità, che in tal caso il Centro ci trasferirebbe in un appartamento più grande, e loro mi hanno domandato per quale motivo, allora, non potevano farlo subito, tenendo conto che anche i genitori del guardiano residente intendono vivere insieme a lui, E tu, Ho detto che la richiesta non era stata presentata a tempo debito, che ci sono regole, scadenze, regolamenti da rispettare, ma che forse un po’ più in là sarà possibile riprendere in considerazione la faccenda, Sei riuscito a convincerli, Non credo, in ogni caso l’idea che in seguito potranno forse trasferirsi nel Centro ha leggermente migliorato il loro umore, Fino alla prossima occasione, Sì, prova ne sia che non hanno tralasciato di dirmi che non era colpa loro se la faccenda non era stata trattata in tempo, I tuoi genitori non sono affatto scemi, Soprattutto mia madre, in fondo questa guerra è molto più sua che di mio padre, è sempre stata un osso duro. Marta aveva smesso di piangere, E tu, come ti senti, la domanda era di Cipriano Algor, Umiliata e vergognosa, prima per l’umiliazione di dover assistere a una discussione che andava contro di me direttamente, ma nella quale non potevo intervenire, adesso è per la vergogna che sento, Spiegati, Che lo vogliamo o no, il loro diritto è uguale al nostro, siamo noi che vogliamo storcere le cose in modo che non possano trasferirsi nel Centro, Noi no, io, tagliò corto Marrcal, sono io che non voglio vivere con i miei genitori, tu e tuo padre non c’entrate niente, Ma siamo complici di un’ingiustizia, Lo so che il mio atteggiamento sembrerà censurabile visto da fuori, ma l’ho preso con libera e cosciente volontà per evitare mali maggiori, se io stesso non voglio vivere con i miei genitori, tanto meno vorrei che dovessero sopportarli mia moglie e mio figlio, l’amore unisce, ma non tutti, e può addirittura capitare che i motivi di unione per alcuni siano proprio i motivi di disunione per altri, E come potrai essere sicuro che i nostri motivi tenderanno verso il lato dell’unione, domandò Cipriano Algor, C’è solo una ragione per cui sono felice di non essere vostro figlio, rispose Marçal, Lasciami indovinare, Non è difficile, Perché se lo fossi non saresti sposato con Marta, Proprio così, avete indovinato. Risero entrambi. E Marta disse, Spero che a questo punto mio figlio abbia preso la saggia decisione di nascere figlia, Perché, domandò Marçal, Perché la sua povera mamma non avrebbe le forze per sopportare da sola e senza appoggio la sufficienza del padre e del nonno. Si ripeté la risata, per fortuna non c’erano i genitori di Marçal, avrebbero pensato che gli Algor se la ridevano alle loro spalle, ingannando il figlio a tal punto da fargli deridere anche coloro che gli avevano dato l’esistenza. Le ultime case del paese erano ormai rimaste indietro. Trovato abbaiò di contentezza quando vide comparire in cima al pendio il tetto della fornace, il gelso nero, la parte superiore di una parete laterale del forno. Dicono gli intenditori che viaggiare è importantissimo per la formazione dello spirito, eppure non c’è bisogno di essere un luminare dell’intelletto per capire che gli animi, per quanto viaggiatori siano, hanno bisogno di tornare di tanto in tanto a casa perché solo lì riescono ad acquisire e conservare un’idea discretamente sufficiente circa se stessi. Marta disse, Noi ce ne stiamo qui a parlare di incompatibilità familiari, di vergogne, di umiliazioni, di vanità, di monotone e meschine ambizioni, e non abbiamo un solo pensiero per questa povera bestia che non può immaginare che da qui a dieci giorni non sarà più con noi. Io ci

penso, disse Marçal. Cipriano Algor non parlò. Liberò la mano destra dal volante e, come si farebbe con un bambino, la passò sulla testa del cane. Quando il furgone si fermò accanto alla tettoia della legna, Marta fu la prima a scendere, Vado a preparare il pranzo, disse. Trovato non aspettò che gli aprissero lo sportello dalla sua parte, sgusciò fra i due sedili anteriori, saltò sopra le gambe di Marçal e partì in direzione del forno, con la vescica che improvvisamente reclamava soddisfazione urgente. Marçal disse, Ora che siamo soli, raccontatemi com’è andata la consegna delle merci, Senza novità, nella solita maniera, ho consegnato le bolle d’accompagnamento, ho scaricato le scatole, si è fatto il conteggio, l’impiegato all’accettazione ha esaminato le statuine una per una e non ha trovato niente, non ce n’era nessuna rotta e le vernici non avevano un graffio, hai fatto un eccellente lavoro quando le hai imballate, Nient’altro, Perché lo domandi, È da ieri che ho l’impressione, papà, che stiate nascondendo qualcosa, Ti ho raccontato com’è andata, non ho nascosto niente, In questo momento non mi riferivo alla consegna delle merci, è un’idea che ho in mente da quando siete venuto a prendermi al Centro, A cosa ti riferivi, allora, Non lo so, sto aspettando che mi spieghiate, per esempio, gli enigmatici sottintesi della conversazione di ieri sera, a cena. Cipriano Algor rimase in silenzio, tamburellava con le dita sulla corona del volante come se stesse decidendo, a seconda se venisse pari o dispari il numero finale della conta, quale risposta dare. Finalmente disse, Vieni con me. Scese dal furgone e, seguito da Marçal, si avviò verso il forno. Aveva già messo la mano su una delle serrature, ma si trattenne un istante e gli chiese, Non dirai a Marta una sola parola di quello che sentirai, Lo prometto, Neanche una parola, L’ho promesso. Cipriano Algor aprì la porta del forno. Il chiarore del giorno fece apparire bruscamente le statuette raggruppate e allineate, accecate dall’oscurità prima, accecate dalla luce ora. Cipriano Algor disse, È possibile, anzi, è molto probabile che queste trecento statuine non escano mai da qui, Ma no, perché, domandò Marçal, L’ufficio acquisti ha deciso di fare un’indagine per valutare il grado d’interesse dei clienti, le statuine che ho portato oggi serviranno a questo, Un’indagine per un po’ di statuine di creta, domandò Marçal, Così mi è stato spiegato da uno dei vicecapi, Quello che s’incavolava con voi, No, un altro, uno con un’aria simpatica, sorridente, uno che ci parla come se volesse darci il cuore. Marçal ci pensò un po’ e disse, In fondo, è indifferente, per noi è lo stesso, comunque sia ci saremo già trasferiti al Centro fra dieci giorni, Credi davvero che sia indifferente, che per noi sia lo stesso, domandò il suocero, Sentite, se il risultato dell’indagine sarà positivo, ci sarà ancora tempo per finire queste statuine e consegnarle, quanto al resto dell’ordine, ovviamente, sarà automaticamente cancellato per il fatto irrefutabile che la fornace cesserà di funzionare, E se il risultato sarà negativo, In tal caso viene voglia di dire tanto meglio, vi risparmiate, voi e Marta, il lavoro di dover cuocere le statuine e dipingerle. Cipriano Algor chiuse lentamente la porta del forno e disse, Dimentichi alcuni aspetti della faccenda, di sicuro insignificanti, Quali, Dimentichi lo schiaffo di vedere che ti rifiutano il frutto del tuo lavoro, dimentichi che se non fosse per la casualità che questi nefasti avvenimenti coincidono con il trasferimento al Centro ci ritroveremmo nella stessa situazione in cui ci trovavamo quando hanno smesso di acquistare le stoviglie, e in quel momento senza l’assurda speranza che un po’ di ridicole

statuine di creta potrebbero ancora salvarci la vita, E come faremo a vivere, non certo con quello che sarebbe o potrebbe essere stato, Ammirevole e pacifica filosofia, la tua, Scusatemi se non sono capace di andare oltre, Neanch’io vado molto lontano, ma sono nato con una testa che soffre dell’incurabile malattia di preoccuparsi proprio di ciò che sarebbe o di ciò che potrebbe essere stato, E cosa ci avete guadagnato con questa preoccupazione, domandò Marçal, Hai ragione, niente, come tu mi hai rammentato molto bene com’è che faremo a vivere, non certo con le fantasie di ciò che sarebbe potuto essere se fosse stato. Ormai alleviato dall’urgenza fisiologica e con le gambe sgranchite dopo le folli corse fatte nei dintorni, Trovato si avvicinò scuotendo la coda, dimostrazione abituale di contentezza e di cordialità, ma che stavolta, tenendo conto dell’avvicinarsi dell’ora del pranzo, significava un’altra pressante necessità del corpo. Cipriano Algor lo accarezzò, tirandogli leggermente un orecchio, Dobbiamo aspettare che Marta ci chiami, giovanotto, non sembra bello che il cane di casa mangi prima dei padroni, bisogna rispettare la gerarchia, disse. Poi, rivolgendosi a Marçal, come se l’idea gli fosse sovvenuta in quell’istante, Accenderò il forno oggi, Avevate detto che lo accendevate domani, di ritorno dal Centro, Ci ho ripensato, servirà a stare occupato mentre voi riposate, o, se preferite, prendete pure il furgone e andate a farvi una passeggiata, probabilmente, dopo il trasferimento, non avrete voglia di uscire dalla nuova casa tanto presto, e meno ancora per venire da queste parti, Se ci verremo, oppure no, e quando, si vedrà in seguito, voglio però che mi diciate se davvero credete che sia tipo da andarmene a fare una passeggiata con Marta e lasciarvi qui da solo a mettere legna nel forno, Posso farlo senza aiuto, Certo che si, ma per ora, se non vi dispiace, anch’io vorrei essere parte attiva quest’ultima volta che il forno viene acceso, se davvero sarà l’ultima volta, Cominceremo dopo pranzo, se è questo che vuoi, D’accordo, Ricorda, per favore, neanche una parola sulla faccenda dell’indagine, State tranquillo. Con il cane appresso, s’incamminarono verso casa, ed erano a pochi metri quando Marta si affacciò alla porta della cucina, Venivo a chiamarvi, disse, il pranzo è pronto, Prima vado a dare da mangiare al cane, il viaggio deve avergli stuzzicato l’appetito, disse il padre, Il suo cibo è lì, indicò Marta. Cipriano Algor prese il tegame e disse, Vieni con me, Trovato, per tua fortuna non sei una persona, se lo fossi avresti già cominciato a diffidare delle cure e delle attenzioni con cui ultimamente ti stiamo trattando. La scodella di Trovato era, come sempre, accanto alla cuccia, ed è li che Cipriano Algor si diresse. Ci versò dentro il contenuto del tegame e rimase un momento a guardare il cane che mangiava. In cucina, Marçal diceva, Dopo pranzo accenderemo il forno, Oggi, si stupì Marta, Tuo padre non vuole rimandare il lavoro a domani, Non c’era fretta, avevamo tre giorni di riposo, Avrà le sue buone ragioni, E, come al solito, le ragioni che ha lui, solo lui le conosce. Marçal ritenne preferibile non rispondere, la bocca è un organo che sarà tanto più di fiducia quanto più silenzioso si manterrà. Poco dopo Cipriano Algor entrò in cucina. Il cibo era già in tavola, Marta serviva. Fra poco il padre dirà, Oggi accenderemo il forno, e Marta risponderà, Lo so, Marçal me lo ha detto. Con queste o con altre parole si è già ricordato che tutti i giorni passati sono vigilie e tutti i giorni futuri sono ciò che sarà. Tornare a essere vigilia, almeno per un’ora, è il desiderio impossibile di ogni ieri che è passato e di ogni

oggi che sta passando. Nessun giorno è mai riuscito a essere vigilia per tutto il tempo che sognava. Ancora ieri, Cipriano Algor e Marçal Gacho stavano mettendo la legna nel forno, se qualcuno fosse passato da quelle parti e non fosse stato al corrente della realtà dei fatti, avrebbe potuto benissimo pensare, ritenendo di azzeccarci, Sono di nuovo lì, ci passeranno tutta la vita, e ora eccoli nel furgone che ha ancora la parola Fornace scritta sui due lati della carrozzeria, diretti in città e al Centro, e con loro c’è Marta, seduta accanto al guidatore, che stavolta è suo marito. Cipriano Algor è da solo sul sedile posteriore, Trovato non è venuto, è rimasto a custodire la casa. È mattina, ma molto presto, il sole non è ancora sorto, la Cintura Verde non tarderà ad apparire, poi sarà la Cintura Industriale, poi i quartieri di baracche, poi la terradinessuno, poi i palazzi in costruzione nella periferia, infine la città, il grande viale, e finalmente il Centro. Qualsiasi strada si prenda va a finire al Centro. Nessuno dei passeggeri del furgone aprirà bocca durante tutto il viaggio. Persone in genere tanto loquaci, come lo sono queste, sembra che ora non abbiano niente da dirsi. In effetti, è comprensibile, non vale la pena parlare, perdere tempo e sprecare saliva ad articolare discorsi, frasi, parole e sillabe quando quello che sta pensando uno lo staranno pensando anche gli altri. Se Marçal, per esempio, dicesse, Andiamo al Centro a vedere la casa dove verremo a vivere, Marta direbbe, Che curiosa coincidenza, stavo pensando la stessa cosa, e anche se Cipriano Algor lo negasse, Io invece no, io stavo pensando che non entrerò, resterò fuori ad aspettarvi, anche così, per quanto più perentorio ci risuonasse il tono alle orecchie, non dovremmo badargli granché, Cipriano Algor ha sessantaquattro anni, ha ormai passato l’età dei capricci da bambino e ne ha ancora abbastanza da vivere prima che gli arrivi il tempo dei capricci da vecchio. In realtà, Cipriano Algor sta pensando che non avrà altro rimedio se non accompagnare la figlia e il genero, fare buon viso il più possibile ai commenti di entrambi, dare opinioni se gliele chiedono, insomma, come si diceva negli antichi romanzi e drammi, bere il calice dell’amarezza fino alla feccia. Grazie all’ora mattutina, Marçal ha trovato un posto per lasciare il furgone a un paio di centinaia di metri appena dal Centro, sarà un’altra vita quando ormai ci vivranno, i guardiani residenti hanno diritto all’usufrutto di sei metri quadrati di garage all’interno. Siamo arrivati, disse senza che ve ne fosse la necessità Marçal quando tirò il freno del furgone. Da lì il Centro non si vedeva, ma gli comparve subito davanti quando svoltarono l’angolo della strada dove avevano lasciato la vettura. Volle la casualità che fosse il lato, la parte, la faccia, l’estremità, la zona in cui abitano i residenti. La vista non era una novità per nessuno dei tre, ma c’è una grande differenza tra guardare solo per guardare, e guardare mentre qualcuno ci sta dicendo, Due di quelle finestre sono nostre, Solo due, domandò Marta, Non possiamo lamentarci, ci sono appartamenti che ne hanno solo una, disse Marçal, per non parlare poi di quelli che ce l’hanno sull’interno, L’interno di cosa, L’interno del Centro, chiaro, Vuoi dire che ci sono appartamenti le cui finestre si affacciano all’interno del Centro, Sappi che molte persone li preferiscono, ritengono che la vista sia infinitamente più gradevole, varia e divertente, mentre dall’altro lato sono sempre gli stessi tetti e lo stesso cielo, Comunque sia, chi vive in quegli appartamenti riuscirà a vedere solo il piano del Centro che coincida con l’altezza a cui abita, notò Cipriano Algor, ma non tanto perché realmente

interessato quanto, piuttosto, per non dare l’impressione di essersi ritirato ostentatamente dalla conversazione, Il piedritto dei piani commerciali è alto, gli spazi sono estesi e ampi, e io ho sentito dire che le persone non si stancano dello spettacolo, soprattutto le più anziane, Non ho mai notato l’esistenza di queste finestre, si affrettò a dire Marta per impedire il prevedibile commento del padre sulle distrazioni più convenienti per i vecchi, Sono mascherate dalla pittura, disse Marçal. Procedevano lungo la facciata principale dove si trovava l’entrata riservata al personale di sicurezza, Cipriano Algor camminava due riluttanti passi indietro, quasi fosse tirato da un filo invisibile. Sono un po’ nervosa, disse Marta a bassa voce per non farsi sentire dal padre, Vedrai come sarà tutto facile quando saremo qui, è questione di abituarci, rispose Marçal anche lui a bassa voce. Un po’ più avanti, ora con naturalezza, Marta domandò, A che piano è l’appartamento, Al trentaquattresimo, Così alto, Ci sono altri quattordici piani sopra di noi, Un uccello in una gabbia appesa alla finestra potrà immaginare di essere libero, Queste finestre non si possono aprire, Perché, Per via dell’aria condizionata, Ovviamente. Erano arrivati alla porta. Marçal entrò per primo, rivolse il buongiorno ai due vigilanti di piantone, disse di sfuggita, Mia moglie, mio suocero, e aprì il battente che dava accesso all’interno. Entrarono in un ascensore, Andiamo a prendere le chiavi, disse Marçal. Uscirono al secondo piano, percorsero un corridoio lungo e stretto, dalle pareti grigie, intervallato da porte da un lato e dall’altro. Marçal ne aprì una. Qui c’è la mia sezione, disse. Salutò i colleghi di picchetto, presentò nuovamente, Mia moglie, mio suocero, poi soggiunse, Siamo venuti a vedere l’appartamento. Si avviò a un armadietto su cui c’era scritto il suo nome, lo aprì, prese un mazzo di chiavi e disse a Marta, Sono queste. Entrarono in un altro ascensore. Ha due velocità, spiegò Marçal, cominceremo con la lenta. Premette il pulsante corrispondente, poi quello con il numero venti, Andremo prima al ventesimo piano così avrete il tempo di godervela, disse. La parte dell’ascensore rivolta all’interno era tutta a vetrata. L’ascensore attraversava lentamente i piani, mostrando successivamente i pianerottoli, le gallerie, i negozi, le scalinate, le scale mobili, i punti d’incontro, i caffè, i ristoranti, i terrazzi con tavoli e sedie, i cinema e i teatri, le discoteche, alcuni enormi schermi televisivi, arredi infiniti, i giochi elettronici, i palloni, gli zampilli e altri effetti d’acqua, le piattaforme, i giardini pensili, i manifesti, le banderuole, i pannelli pubblicitari, i manichini, i salottini di prova, la facciata di una chiesa, l’entrata alla spiaggia, una tombola, un casinò, un campo da tennis, una scuola, una montagna russa, un giardino zoologico, una pista di automobiline elettriche, un cinerama, una cascata, tutto in attesa, tutto in silenzio, e altri negozi, e altre gallerie, e altri manichini, e altri giardini pensili, e cose di cui probabilmente nessuno conosce i nomi, tipo un’ascensione al paradiso. E questa velocità a cosa serve, a godersi la vista, domandò Cipriano Algor, A questa velocità gli ascensori sono usati solo come mezzo complementare di vigilanza, disse Marçal, Non bastano i guardiani, i rivelatori, le videocamere, e tutti quegli altri attrezzi impiccioni, domandò di nuovo Cipriano Algor, Qui passano tutti i giorni molte decine di migliaia di persone, è necessario mantenere la sicurezza, rispose Marçal con il viso teso e un tono di biasimo contrariato nella voce, Babbo, disse Marta, smettetela di punzecchiare, per favore, Non ti preoccupare, disse Marçal, noi ci capiamo sempre, anche quando

non sembra. L’ascensore continuava a salire lentamente. L’illuminazione ai piani è ancora ridotta al minimo, si vedono poche persone, qualche impiegato che si è alzato presto per necessità o per gusto, manca almeno un’ora perché le porte siano aperte al pubblico. Gli abitanti che lavorano nel Centro non hanno bisogno di affrettarsi, quelli che devono uscire non attraversano gli spazi commerciali e di svago, scendono direttamente dai loro appartamenti ai garage sotterranei. Quando l’ascensore si fermò, Marçal spinse il pulsante rapido, qualche secondo dopo erano al trentaquattresimo piano. Mentre percorrevano il corridoio che conduceva alla zona residenziale, Marçal spiegò che c’erano alcuni ascensori riservati esclusivamente agli inquilini, e che oggi avevano usato questo solo perché dovevano passare a ritirare le chiavi. D’ora in poi, le chiavi le terremo noi, sono nostre, disse. Al contrario di quanto Marta e il padre si sarebbero aspettati di trovare, non c’era solo un corridoio a separare i blocchi di appartamenti con vista all’esterno da quelli che avevano la vista all’interno. C’erano, invece, due corridoi, e, fra di essi, un altro blocco di appartamenti, ma di una larghezza doppia rispetto a quegli altri, il che vuol dire, spiegandolo in termini spiccioli, che la parte abitata del Centro è costituita da quattro sequenze verticali parallele di appartamenti, disposte come elementi di batterie o di arnie, le interne collegate spalle a spalle, le esterne collegate alla parte centrale tramite le strutture di passaggio. Marta disse, Queste persone non vedono la luce del giorno quando stanno in casa, Neanche quelle che vivono negli appartamenti rivolti verso l’interno, rispose Marçal, Ma almeno, come hai detto tu, quelle si possono sempre distrarre con la vista e il movimento, mentre queste qui sono praticamente in clausura, non dev’essere niente facile vivere in questi appartamenti, senza la luce del sole, a respirare aria inscatolata per tutto il giorno, Ma guarda che c’è chi li preferisce così, li trovano molto più comodi, più attrezzati, solo per farti qualche esempio, possiedono tutti apparecchi a raggi ultravioletti, rigeneratori atmosferici, e regolatori di temperatura e di umidità talmente precisi da poter avere in casa, di notte e di giorno, in qualsiasi stagione dell’anno, un’umidità e una temperatura costanti, Per fortuna che non ci è capitato uno di questi appartamenti, non so se riuscirei a viverci per molto tempo, disse Marta, I guardiani residenti devono accontentarsi di un appartamento normale, di quelli con le finestre, Non avrei mai immaginato che essere il suocero di un guardiano residente del Centro fosse la miglior fortuna e il più grande dei privilegi che la vita mi aveva riservato, disse Cipriano Algor. Gli appartamenti erano identificati come se fossero abitazioni d’albergo, con la differenza dell’introduzione di un trattino fra il numero del piano e il numero della porta. Marçal infilò la chiave, aprì e si scostò di lato, Accomodatevi, prego, siamo arrivati a casa, disse a voce alta, fingendo un entusiasmo che non sentiva. Non erano contenti né eccitati dalla novità. Marta si trattenne sulla soglia, poi fece tre passi incerti, guardò intorno. Marçal e il padre rimasero dietro di lei. Dopo alcuni momenti di esitazione, come se avesse qualche dubbio sulla cosa più conveniente da fare, si diresse da sola verso la porta più vicina, guardò dentro e proseguì. La sua prima conoscenza della casa si svolse così, passando rapidamente dalla camera da letto alla cucina, dalla cucina al bagno, dal soggiorno che servirà anche per il pranzo al piccolo locale destinato al padre, Non c’è posto per il bambino, pensò, e subito dopo, Finché sarà piccolo starà

con noi, poi vedremo, probabilmente ci passeranno in un’altra casa. Tornò all’ingresso, dove Marçal e Cipriano Algor erano rimasti ad aspettare. L’avevi già visto, domandò al marito, Sì, Che te ne pare, Per me, va bene, avrai notato che i mobili sono nuovi, è tutto nuovo, come ti avevo detto, E a voi, babbo, cosa ve ne pare, Non posso dare un’opinione su ciò che non ho visto, Allora venite, vi faccio da guida. Era visibilmente tesa, nervosa, talmente al di fuori del suo abituale stato d’animo che si mise ad annunciare le designazioni degli ambienti come se ne proclamasse le lodi, Qui c’è la stanza matrimoniale, qui c’è la cucina, qui c’è il bagno, qui c’è il soggiorno che servirà anche da sala da pranzo, qui c’è l’alloggio comodo e spazioso in cui dormirà il mio caro babbo e godrà un meritato riposo, non c’è un posto dove sistemare la bambina quando sarà cresciutella, ma nel frattempo si troverà una soluzione. La casa non ti piace, domandò Marçal, È la casa che avremo, non serve a niente discutere se ti piace molto, o poco, o per niente, come chi sfoglia margherite. Marçal si rivolse al suocero chiedendogli aiuto, non disse niente, si limitò a guardarlo, Bisogna riconoscere che la casa non sembra niente male, disse Cipriano Algor, è come nuova, la mobilia è di buon legno, era ovvio che i mobili sarebbero stati diversi dai nostri, ora si usano così, sui toni chiari, non sono come quelli che abbiamo noi, che sembrano essere passati nel forno, quanto al resto ci si abitua sempre, ci si abitua sempre. Marta aggrottò le sopracciglia mentre udiva l’arringa del padre, atteggiò le labbra a un mezzo sorriso e andò a rifare il giro della casa, questa volta aprendo e chiudendo cassetti e armadi, esaminando i contenuti. Marçal fece un gesto di ringraziamento al suocero, dopo guardò l’orologio e li avvisò, Si sta avvicinando l’ora di presentarmi in servizio. Marta disse da là dentro, Sto arrivando, vengo subito, sono i vantaggi dei piccoli appartamenti, si emette con ogni cautela un sospiro che ci si teneva dentro e immediatamente qualcuno all’altra estremità della casa rivela, Hai sospirato, non negarlo. E poi c’è chi si lamenta dei guardiani, delle telecamere, dei rivelatori e di tutto il resto. La visita alla casa era fatta, e, dalla differenza tra l’espressione con cui erano entrati e l’espressione con cui stavano uscendo, senza voler pretendere di indagare nel segreto dei cuori, sembrava ne fosse valsa la pena. Scesero direttamente dal trentaquattresimo piano al pianterreno perché, dato che Marta e il padre non erano ancora provvisti dei documenti che li avrebbero qualificati come residenti, Marçal doveva accompagnarli all’uscita. Non avevano ancora fatto i primi passi dopo che le porte dell’ascensore si erano richiuse che Cipriano Algor disse, Che sensazione strana, mi sembra di sentire il suolo vibrare sotto i piedi. Si fermò, affinò l’udito e aggiunse, E ho l’impressione di udire qualche cosa simile a un rumore di scavatrici, In effetti sono scavatrici, disse Marçal affrettando il passo, lavorano a turni successivi di sei ore, senza fermarsi, si trovano a un bel po’ di metri sotto la superficie, lavori, domandò Cipriano Algor, Sì, corre voce che saranno creati nuovi depositi frigoriferi, e qualcos’altro probabilmente, forse altri parcheggi, qui i lavori non finiscono mai, il Centro cresce tutti i giorni anche quando uno non se ne accorge, se non è ai lati, è sopra, se non è sopra, è sotto, Immagino che fra poco, quando tutto comincerà a funzionare, non ci si accorgerà del rumore delle scavatrici, disse Marta, Con la musica, gli annunci degli articoli negli altoparlanti, i rumori delle conversazioni della gente, le scale mobili che salgono e scendono senza sosta, sarà come se non ci fossero. Erano arrivati

alla porta. Marçal disse che avrebbe telefonato appena ci fossero state novità, che nel frattempo conveniva cominciare a preparare il necessario per il trasferimento, scegliendo solo quello che era strettamente indispensabile portare, Ormai avete visto lo spazio di cui disponiamo, avrete capito che non c’è posto per molte cose. Erano sul marciapiede, stavano per salutarsi, ma Marta disse ancora, In realtà, è come se non facessimo un trasferimento, la casa della fornace è sempre nostra, quello che ci possiamo portare qui è praticamente niente, è come se ci stessimo togliendo un abito per indossarne un altro, una specie di carnevale mascherato, Sì, osservò il padre, apparentemente è così, ma, al contrario di ciò che in genere si affermava e senza pensarci si credeva, l’abito fa veramente il monaco, l’individuo è fatto anche dall’abito che indossa, potrà non notarsi subito, ma si tratta solo di dare tempo al tempo. Arrivederci, arrivederci, disse Marçal mentre salutava la moglie con un bacio, avete tutto il viaggio per filosofeggiare, approfittatene. Marta e il padre si avviarono verso il punto dove avevano lasciato il furgone. Nella facciata del Centro, al di sopra delle loro teste, un nuovo e gigantesco cartellone proclamava., TI VENDEREMMO TUTTO QUELLO DI CUI TU HAI BISOGNO SE NON PREFERISSIMO CHE TU ABBIA BISOGNO DI CIO CHE VENDIAMO. 18. Durante il ritorno a casa, o, come aveva detto Marta per differenziarla dall’altra, alla casa della fornace, padre e figlia, malgrado l’istigazione un po’ canzonatoria e un po’ affettuosa di Marçal, parlarono poco, pochissimo, benché il più semplice esame delle molteplici probabilità derivanti dalla situazione suggerisca che abbiano pensato molto. Anticiparci, con temerarie supposizioni, o con avventurose deduzioni, o, peggio ancora, con sconsiderate immaginazioni, ciò che hanno pensato non sarebbe, teoricamente, se consideriamo la prontezza e l’impudenza con cui nei racconti di questa natura si manca di rispetto al segreto dei cuori, non sarebbe, dicevamo, un compito impossibile, ma visto che questi pensieri, prima o poi, finiranno per esprimersi. in azioni, o in parole che alle azioni conducano, ci è parso preferibile passare oltre e aspettare tranquillamente che siano le azioni e le parole a manifestare i pensieri. E per il primo non abbiamo neanche dovuto aspettare tanto. Padre e figlia avevano pranzato in silenzio, il che significherà che nuovi pensieri si stavano aggiungendo a quelli del viaggio, e all’improvviso lei decise di rompere il silenzio, Quella vostra idea di prenderci tre giorni di riposo era eccellente, ed era non solo gradita, ma anche pienamente giustificata al momento, però la promozione di Marçal ha modificato del tutto la situazione, badate, non abbiamo più di una settimana per organizzare il trasferimento e dipingere le trecento statuette già cotte che sono nel forno, almeno queste abbiamo l’obbligo di consegnarle, Anch’io ci ho pensato, ma sono giunto a una conclusione diversa dalla tua, Non capisco, Il Centro ha già un anticipo di trecento statuine, per ora dovranno essere sufficienti, le statuette di creta non sono mica giochi di computer o braccialetti magnetici, la gente non farà certo a gomitate urlando voglio il mio eschimese, voglio il mio assiro con la barba, voglio la mia infermiera, Benissimo, immagino che i clienti del Centro non faranno a botte per il mandarino, o per il buffone, o per il pagliaccio, ma ciò

non vuol dire che non dobbiamo finire il lavoro, Certo che no, però non mi sembra neanche che valga la pena precipitarci, Vi rammento di nuovo che abbiamo solo una settimana per tutto, Non me n’ero dimenticato, Allora, Allora, proprio come hai detto tu stessa all’uscita dal Centro, in fondo è come se non dovesse esserci nessun trasferimento, la casa della fornace, come l’hai chiamata, è qui, e se c’è la casa, ovviamente c’è anche la fornace, Lo so che siete un grande amante degli enigmi, Non sono un amante degli enigmi, mi piacciono le cose chiare, Va bene, non amate gli enigmi, ma siete enigmatico, per cui vi sarei molto riconoscente se mi spiegaste dove volete arrivare, Voglio arrivare proprio dove stiamo in questo momento, dove staremo per un’altra settimana e spero, poi, per molte altre ancora, Non fatemi perdere la pazienza, per favore, Per favore lo dico io, è tanto semplice quanto due più due fa quattro, Nella vostra testa, due più due ha sempre fatto cinque, o tre, o un numero qualsiasi, tutto tranne quattro, Te ne pentirai, Ne dubito, Immagina allora che non dipingiamo le statuette, che ci trasferiamo al Centro e le lasciamo nel forno così come sono, Già fatto, Vivere al Centro, come ha spiegato Marçal con molta chiarezza, non e un esilio, mica la gente è incarcerata là dentro, è libera di uscire quando vuole, di passare tutta la giornata in città o in campagna e tornare la sera. Cipriano Algor fece una pausa e guardò curiosamente la figlia sapendo che avrebbe assistito al risveglio della sua comprensione. E infatti, Marta disse sorridendo, Vi concedo la vittoria, nella vostra testa due più due può anche fare quattro, L’ho detto che era semplice, Verremo a finire il lavoro quando sarà necessario, e così non dovremo annullare l’ordine delle seicento statuette che ancora mancano, si tratta solo di combinare con il Centro delle scadenze di consegna convenienti per entrambe le parti, Proprio così. La figlia applaudì il padre, il padre ringraziò per l’applauso. Anzi, disse Marta, di colpo entusiasmata dall’oceano di possibilità positive che le si era aperto davanti, supponendo che il Centro continui a essere interessato alle statuine, potremo proseguire con la lavorazione, non dovremo chiudere la fornace, Proprio così., E dico statuine per dire qualsiasi altra idea che ci sovvenga e li convinca, o aggiungere altre figure alle sei che abbiamo, Infatti. Mentre padre e figlia assaporano le carezzevoli prospettive che ancora una volta ci hanno appena dimostrato che non sempre il diavolo sta dietro la porta, approfittiamo della pausa per esaminare il reale valore e il reale significato dei pensieri dell’uno e dell’altra, di quei due pensieri che, dopo un silenzio tanto prolungato, finalmente si sono espressi. Avvertiamo, però, fin da ora, che non sarà possibile giungere a una conclusione, ancorché provvisoria, come lo sono tutte, se non cominceremo con l’accettare una premessa iniziale certamente scioccante per gli animi retti e ben formati, ma non per questo meno vera, la premessa che, in molti casi, il pensiero manifestato è stato, per così dire, scagliato in prima linea da un altro pensiero che non ha ritenuto opportuno manifestarsi. Quanto a Cipriano Algor, non sarà affatto difficile percepire che alcuni dei suoi insoliti procedimenti sono motivati dalle preoccupazioni che lo tormentano sul risultato dell’indagine, e che pertanto, quando ha rammentato alla figlia che, pur vivendo nel Centro, potevano venire a lavorare in fornace, ha voluto semplicemente dissuaderla dal dipingere le statuine, casomai dovesse giungere domani o in seguito un ordine del vicecapo sorridente o del suo superiore al vertice annullando la consegna, e

lei debba soffrire il dispiacere di lasciare il lavoro incompiuto o, se compiuto, inutilizzabile. Più sorprendente sarebbe il comportamento di Marta, quell’impulsiva e in un certo qual modo inusuale gioia di fronte alla dubbiosa supposizione di mantenere la fornace in attività, se non fosse possibile stabilire un rapporto fra questo comportamento e il pensiero che gli ha dato origine, un pensiero che l’ha perseguitata tenacemente fin da quando è entrata nell’appartamento del Centro e che lei ha giurato a se stessa di non confessare a nessuno, neanche a suo padre, nonostante lo abbia qui tanto vicino, né, pensate, a suo marito, malgrado tutto il bene che gli vuole. Quello che è passato per la testa di Marta e vi ha messo radici nel varcare la soglia della porta della sua nuova casa, in quell’altissimo trentaquattresimo piano con mobili chiari e due vertiginose finestre a cui non aveva avuto il coraggio di avvicinarsi, fu che non avrebbe sopportato di trascorrere lì dentro il resto della propria vita, senz’altre certezze se non quella di essere la moglie del guardiano residente Marçal Gacho, senz’altro domani se non la figlia che crede di avere dentro di sé. O il figlio. Ci aveva pensato durante tutto il viaggio fino all’arrivo alla casa della fornace, aveva continuato a pensarci mentre preparava il pranzo, ancora ci pensava quando, per mancanza di appetito, spostava con la forchetta, da una parte all’altra, il cibo nel piatto, continuava a pensarci quando ha detto al padre che, prima di trasferirsi al Centro, avevano l’obbligo di terminare le statuette che erano in attesa nel forno. Terminare le statuette significava dipingerle, e dipingerle era proprio il lavoro che spettava a lei, che le fossero dati almeno tre o quattro giorni ancora per starsene seduta sotto il gelso nero, con Trovato disteso al suo fianco, a ridere con la bocca aperta e la lingua di fuori. Come se si trattasse di un’ultima e disperata volontà dettata da un condannato, non chiedeva nient’altro che questo, e tutt’a un tratto, con una semplice parola, il padre le aveva aperto la porta verso la libertà, in fondo sarebbe potuta tornare qui dal Centro ogni volta che lo avesse voluto, avrebbe potuto aprire la porta di casa sua con la chiave di casa sua, ritrovare negli stessi posti tutto quanto vi avesse lasciato, entrare nella fornace per controllare se la creta era convenientemente umida, poi sedersi al tornio, affidare le mani all’argilla fresca, solo adesso comprendeva di amare questi posti come un albero, se potesse, amerebbe le radici che lo nutrono e lo fanno crescere. Cipriano Algor guardava la figlia, leggeva sul suo viso come sulle pagine di un libro aperto, e il cuore gli doleva per l’inganno con cui la stava illudendo se i risultati dell’indagine fossero stati talmente negativi da indurre l’ufficio acquisti del Centro a rinunciare alle statuine definitivamente. Marta si era alzata dalla sedia, era venuta a dargli un bacio, un abbraccio, Cosa succederà fra qualche giorno, pensò Cipriano Algor, ricambiando le carezze, ma le parole che pronunciò furono altre, furono quelle di sempre, Come più o meno credevano i nostri nonni, finché c’è vita, avremo garantita la speranza. Il tono rassegnato con cui se le lasciò sfuggire avrebbe forse fatto riflettere Marta se non fosse stata tanto assorta nelle sue personali e felici aspettative. Godiamoci allora in pace i nostri tre giorni di riposo, disse Cipriano Algor, ce li siamo davvero meritati, non li stiamo rubando a nessuno, poi cominceremo a organizzare il trasferimento, Date l’esempio e andate a fare un riposino, disse Marta, ieri siete stato tutto il santissimo giorno a lavorare nel forno, oggi dovete esservi alzato presto, anche per un padre come il mio la resistenza ha

dei limiti, quanto al trasferimento, poi ci penseremo, questo riguarda la padrona di casa. Cipriano Algor si ritirò nella sua stanza, si spogliò con i lenti gesti di una fatica che non era solo del corpo e si distese sul letto sospirando profondamente. Non rimase così per lungo tempo. Si sollevò sul guanciale e si guardò intorno come se fosse la prima volta che entrava in questa stanza e avesse bisogno di fissarla nella memoria per qualche oscura ragione, come se questa fosse anche l’ultima volta che ci veniva e volesse che la memoria potesse servirgli in futuro a qualcosa di più che non rammentargli quella macchia sulla parete, quella striscia di luce sul pavimento, quella fotografia di donna sul comò. Fuori, Trovato abbaiò come se avesse udito uno sconosciuto risalire il sentiero, ma tacque subito dopo, molto probabilmente aveva solo risposto, senza particolare interesse, all’abbaiare di qualche cane distante, oppure ha voluto semplicemente farsi ricordare, deve intuire che nell’aria c’è qualcosa che non riesce a capire. Cipriano Algor chiuse gli occhi per convocare il sonno, ma la volontà degli occhi fu un’altra. Non c’è niente di più triste, di più miserevolmente triste di un vecchio che piange. La notizia giunse il quarto giorno. Il tempo era cambiato, di tanto in tanto arrivava un violento piovasco che in un minuto allagava l’aia e rullava tra le foglie increspate del gelso nero come diecimila mazzuole di tamburo. Marta aveva fatto una lista di cose che teoricamente si sarebbero dovute portare nell’appartamento, ma con la coscienza vivissima, in ogni istante, della contraddizione fra due impulsi che si scontravano dentro di lei, uno che le diceva la più autentica delle verità, e cioè che un trasferimento non sarà un trasferimento se non c’è qualcosa da trasferire, un altro che semplicemente le consigliava di lasciare tutto come stava, Tanto più, ricorda, che qui ci tornerai molto spesso per lavorare e respirare l’aria di campagna. Quanto a Cipriano Algor, per togliersi dalla testa quella tela di inquietudini che durante il giorno gli facevano guardare l’orologio decine di volte, si era impegnato a spazzare e lavare la fornace da cima a fondo, rifiutando di nuovo l’aiuto che Marta era venuta a offrirgli, E poi sarei io che dovrei dar retta a Marçal, disse. Trovato è stato appena mandato nel suo casotto dopo avere sporcato deprecabilmente il pavimento della cucina con il fango che aveva riportato appiccicato alle zampe alla prima incursione che ha deciso di fare approfittando di una schiarita. L’acqua non sarà mai tanta da entrargli dentro casa, ma, per precauzione, il padrone ci ha messo sotto quattro mattoni, trasformando in palafitta preistorica un attuale e banale rifugio canino. Si era a questo punto quando la suoneria del telefono squillò. Marta rispose, in un primo momento, quando udì la voce dire Qui parla il Centro, pensò che fosse Marçal, pensò che le stessero passando la chiamata, ma non furono queste le parole che seguirono, Il capo dell’ufficio acquisti desidera parlare con il signor Cipriano Algor. In genere, una segretaria conosce l’argomento che il suo superiore tratterà quando le chiede di fare una chiamata telefonica, ma una centralinista nel senso stretto della parola non sa un bel niente, ecco perché ha quella voce neutra, indifferente, di chi non appartiene più a questo mondo, in ogni caso rendiamole la giustizia di pensare che potrebbe aver versato qualche lacrima di dolore se avesse mai potuto immaginare ciò che successe dopo aver detto meccanicamente, Parlate prego. All’inizio, Marta ha immaginato che il capo dell’ufficio acquisti volesse manifestare la propria contrarietà per il ritardo nella consegna delle trecento

statuette mancanti, chissà, magari anche delle seicento che non sono ancora neppure cominciate, e quando, dopo aver detto alla centralinista, Un momento, corse a chiamare il padre nella fornace, aveva intenzione di dirgli rapidamente due parole di critica sull’errore che si era commesso non proseguendo il lavoro subito dopo aver terminato la prima serie di statuine. La parola recriminatoria, tuttavia, le rimase sulla punta della lingua quando vide come si scombussolava il viso del padre nel sentirla annunciare, E il capo dell’ufficio acquisti, vuole parlare con voi. Cipriano Algor non ritenne di dover correre, già si dovrebbe riconoscere merito abbastanza nella fermezza dei passi che lo conducevano alla sbarra del tribunale dove sarebbe stata letta la sua sentenza. Prese il telefono che la figlia aveva posato sul tavolo, Sono io, Cipriano Algor, la centralinista disse, Benissimo, le passo la comunicazione, ci fu un silenzio, un tenue fruscio, uno schiocco, e la voce del capo dell’ufficio acquisti, sonora, possente, risuonò dall’altra parte, Buonasera, signor Cipriano Algor, Buonasera, signore, Suppongo immagini il motivo per cui le sto telefonando oggi, Si, signore, dica pure, Ho qui davanti a me i risultati e le conclusioni dell’indagine circa i suoi articoli, che uno dei vicecapi dell’ufficio, con la mia approvazione, ha deciso di promuovere, E quali sono questi risultati, signore, domandò Cipriano Algor, Sono spiacente di informarla che non sono tanto buoni quanto avremmo desiderato, In tal caso, nessuno potrà essere più spiacente di me, Temo che la sua partecipazione alla vita del Centro sia giunta al termine, Tutti i giorni si cominciano delle cose, ma, prima o poi, tutte finiscono, Non vuole che le legga i risultati, Mi interessano di più le conclusioni, e quelle son già venuto a saperle, il Centro non comprerà più le nostre statuette. Marta, che aveva ascoltato con ansia sempre maggiore le parole del padre, si pigiò le mani sulla bocca come per reprimere un’esclamazione. Cipriano Algor le fece dei gesti chiedendole calma, mentre rispondeva a una domanda del capo dell’ufficio acquisti, Comprendo il suo desiderio che non resti alcun dubbio nel mio spirito, sono d’accordo con ciò che ha detto poco fa, che presentare conclusioni senza l’esposizione previa dei motivi che le hanno determinate potrebbe essere inteso come una maniera poco abile di mascherare una decisione arbitraria, il che non avverrebbe mai, ovviamente, nel caso del Centro, Meno male che è d’accordo con me, È difficile non esserlo, signore, Allora prenda nota dei risultati, Dica pure, L’universo dei clienti sul quale avrebbe inciso l’indagine è stato definito in partenza escludendo quelle persone che per l’età, per la posizione sociale, per l’educazione e per la cultura, nonché per le loro note abitudini di consumo, sarebbero state prevedibilmente e radicalmente contrarie all’acquisto di articoli di questo tipo, è bene lei sappia che se abbiamo preso questa decisione, signor Algor, è stato per non danneggiarla fin dall’inizio, Mille grazie, signore, Le faccio un esempio, se avessimo selezionato cinquanta giovani moderni, cinquanta ragazzi e ragazze del nostro tempo, può star certo, signor Algor, che neanche uno avrebbe voluto portarsi a casa una delle sue statuine, o se lo avesse fatto sarebbe stato per utilizzarle per il tiro al bersaglio, Capisco, Abbiamo scelto venticinque persone di ognuno dei due sessi, di professioni e redditi medi, persone con precedenti familiari modesti, ancora legate a gusti tradizionali, e nelle cui case la rusticità del prodotto non avrebbe stonato troppo, E comunque, È vero, signor Algor, comunque i risultati sono stati negativi,

Pazienza, signore, Venti uomini e dieci donne hanno risposto che le statuine di terracotta non gli piacevano, quattro donne hanno detto che forse le avrebbero comprate se fossero state più grandi, tre avrebbero potuto comprarle se fossero state più piccole, dei cinque uomini che restavano, quattro hanno detto che non avevano più l’età per giocare e l’altro ha protestato per il fatto che tre delle statuette rappresentavano degli stranieri, per giunta esotici, e quanto alle otto donne che restano da menzionare, due si sono dichiarate allergiche alla creta, quattro avevano brutti ricordi di questa specie ‘di oggetti, e solo le ultime due hanno risposto ringraziando per la possibilità che era stata loro offerta di decorare gratuitamente la propria casa con delle figurine tanto simpatiche, c’è da aggiungere che si tratta di persone anziane che vivono da sole, Mi piacerebbe conoscere i nomi e gli indirizzi di queste signore per ringraziarle, disse Cipriano Algor, Sono spiacente, ma non sono autorizzato a rivelare i dati personali degli intervistati, è condizione inflessibile di qualsiasi indagine di questo tipo rispettare l’anonimato delle risposte, Forse mi potrebbe dire, comunque, se vivono nel Centro, A chi si riferisce, a tutte le persone, domandò il capo dell’ufficio acquisti, No, signore, solo alle due che hanno avuto la bontà di trovare simpatiche le nostre statuine, disse Cipriano Algor, Trattandosi di un dato non particolarmente sostanziale, non ritengo di venir meno alla deontologia che presiede alle indagini se le dico che queste due donne vivono fuori del Centro, in città, Mille grazie per l’informazione, signore, Le serve a qualcosa, Purtroppo no, signore, Allora perché voleva saperla, Poteva darsi che avessi l’opportunità di incontrarle e ringraziarle personalmente, ma se vivono in città sarà quasi impossibile, E se vivessero qui, Quando, proprio all’inizio di questa conversazione, mi ha detto che la mia partecipazione alla vita del Centro era giunta al termine, stavo quasi per interromperla, Perché, Perché, al contrario di ciò che pensa, e malgrado non vogliate più vedere le stoviglie e le statuine di questo vasaio, la mia vita continuerà a essere legata al Centro, Non capisco, la prego di spiegarsi meglio, Fra cinque o sei giorni verrò a risiedere li, mio genero è stato promosso guardiano residente e io andrò a vivere con mia figlia e con lui, Mi rallegro per la notizia e le faccio i miei auguri, alla fin fine lei è un uomo molto fortunato, non potrà lamentarsi, ha appena guadagnato tutto quando riteneva di avere perso tutto, Non mi lamento, signore, Sarà il caso di dichiarare che il Centro scrive diritto su righe storte, se talvolta gli capita di dover togliere con una mano, subito dopo accorre a ricompensare con l’altra, Se ben ricordo, questa delle righe storte e di scriverci diritto si diceva di Dio, osservò Cipriano Algor, Al giorno d’oggi è praticamente lo stesso, non ho esagerato affatto affermando che il Centro, da perfetto distributore di beni materiali e spirituali qual è, ha finito per generare da se stesso e in se stesso, per pura necessità, qualcosa che, ancorché ciò possa scioccare certe ortodossie più sensibili, partecipa della natura del divino, Anche là si distribuiscono beni spirituali, signore, Si, e non può neanche immaginare fino a qual punto, i detrattori del Centro, peraltro sempre meno numerosi e sempre meno combattivi, sono assolutamente ciechi per il lato spirituale della nostra attività, mentre la verità è che proprio grazie a essa la vita può acquistare un nuovo senso per milioni e milioni di persone che erano infelici, frustrate, abbandonate, e questo, che lo si voglia o no, mi creda, non è stata opera della materia vile, bensì dello spirito sublime, Sissignore, Mi

preme dirle, signor Algor, che ho trovato nella sua persona qualcuno con cui, persino in situazioni difficili come l’attuale, mi ha sempre dato piacere conversare di queste e altre questioni serie, le prendo molto a cuore per la dimensione trascendente che, in qualche modo, aggiungono al mio lavoro, spero che dopo il suo prossimo trasferimento al Centro avremo la possibilità di vederci altre volte e continuare il nostro scambio di idee, Lo spero anch’io, signore, Buonasera, Buonasera. Cipriano Algor posò il telefono sul gancio e guardò la figlia. Marta stava seduta con le mani in grembo, come se all’improvviso avesse avuto bisogno di sostenere la prima e ancora a stento percettibile rotondità del ventre. Non comprano più, domandò, Si, hanno fatto un’indagine tra i clienti e il risultato è stato negativo, Non compreranno neanche le trecento statuine che sono già in forno, No. Marta si alzò, si avvicinò alla porta della cucina, guardò la pioggia che continuava a cadere e da li, girando leggermente la testa, domandò, Non avete niente da dirmi, Sì, rispose il padre, Allora parlate, sono tutta orecchi. Cipriano Algor andò ad appoggiarsi allo stipite della porta, tirò un profondo respiro, poi iniziò, Non mi ha colto alla sprovvista, sapevo che poteva succedere, è stato proprio uno dei vicecapi dell’ufficio a dirmi che avrebbero fatto un’indagine per valutare la disposizione dei clienti nei riguardi delle statuette, la cosa più probabile, anzi, è che l’idea sia venuta al capo in persona, E quindi sono stata ingannata in questi tre giorni, ingannata da voi, da mio padre, sognando una fornace in funzione, immaginando noi che uscivamo dal Centro la mattina presto, arrivavamo qui e ci rimboccavamo le maniche, respiravamo l’odore della creta, io che lavoravo al vostro fianco, insieme a Marçal nel suo giorno di riposo, Non volevo farti soffrire, Sto soffrendo due volte, la vostra buona intenzione non mi ha risparmiato niente, Ti chiedo perdono, E, per favore, non perdete tempo a chiedermi di perdonarvi, sapete bene che da me sarete sempre perdonato, qualsiasi cosa facciate, Se la decisione fosse stata al contrario, se alla fine il Centro avesse deciso di comprare le statuine, non saresti mai venuta a sapere del rischio che avevamo corso, Ora non è più un rischio, è una realtà, Abbiamo la casa, potremo venirci quando vorremo, Si, abbiamo la casa, una casa con vista sul cimitero, Che cimitero, La fornace, il forno, le assi di essiccatura, la catasta di legna, quello che era e non è più, può forse esserci cimitero più grande, domandò Marta, sull’orlo delle lacrime. Il padre le posò la mano sulla spalla, Non piangere, riconosco che è stato un errore non averti raccontato cosa stava succedendo. Marta non rispose, rammentava a se stessa che non aveva il diritto di rimproverare il padre, che anche lei aveva un segreto che nascondeva al marito, che non glielo avrebbe mai raccontato, Come farai ora, dopo aver perso la speranza, a vivere in quell’appartamento, si domandava. Trovato era uscito dalla cuccia, gli cadevano addosso i goccioloni d’acqua che scorrevano giù dal gelso nero, ma non si azzardava. Aveva le zampe sporche, il pelo gocciolante e la certezza di non essere bene accolto. E, tuttavia, era proprio di lui che si parlava alla porta della cucina. Quando lo aveva visto spuntare e fermarsi a guardare, Marta aveva domandato, Che ne faremo di quel cane. Tranquillamente, come se si trattasse di un argomento già mille volte discusso e che non valeva la pena riprendere, il padre rispose, Domanderò alla vicina Isaura Madruga se vuole tenerlo, Non so se sto sentendo bene, ripetete, per favore, avete proprio detto che domanderete alla

vicina Isaura Madruga se vuole tenere Trovato, Hai sentito benissimo, è esattamente ciò che ho detto, A Isaura Madruga, Se proprio ci tieni, risponderò A Isaura Madruga, allora mi domanderai di nuovo A Isaura Madruga, e continueremo così per il resto del pomeriggio, È stata una sorpresa enorme, Non potrà essere una sorpresa così grande, è la stessa persona a cui pensavi di lasciarlo tu, La sorpresa non è la persona, per me la sorpresa è che siate stato voi, babbo, ad avere l’idea, Non c’è nessun altro nel paese, magari neanche nel mondo, a cui lascerei Trovato, preferirei ammazzarlo. In attesa, scuotendo la coda lentamente, l’animale continuava a guardare da lontano. Cipriano Algor si abbassò e lo chiamò, Trovato, vieni qui. Spruzzando acqua ovunque, il cane cominciò con lo scuotersi tutto, come se solo decente e presentabile fosse autorizzato ad andare dal padrone, poi fece una rapida corsa per ritrovarsi, un attimo dopo, col testone appoggiato al petto di Cipriano Algor, con tanta forza che sembrava volesse infilarglisi dentro. Fu allora che Marta domandò al padre, Perché tutto sia perfetto, perché non sia solo tenere abbracciato Trovato, ditemi se avete parlato a Marçal della faccenda dell’indagine, Gliene ho parlato, Non mi ha raccontato niente, Per la stessa ragione per cui non te l’avevo raccontato io. Giunto il dialogo a questo punto, forse ci si aspetta che Marta risponda, Davvero, babbo, sembra impossibile, lo avete detto a lui e avete lasciato me nell’ignoranza dei fatti, in genere si reagisce così, non piace a nessuno essere messo da parte, ignorato nel proprio diritto all’informazione e alla conoscenza, eppure, molto di rado, ancora ci si scontra con qualche rara eccezione in questo fastidioso mondo di ripetizioni, come avrebbero potuto chiamarlo i saggi orfici, pitagorici, stoici e neoplatonici se non avessero preferito, con poetica ispirazione, dargli il nome più bello e sonoro di eterno ritorno. Marta non protestò, non fece scene, si limitò a dire, Sarei arrabbiata con voi se non lo aveste raccontato a Marçal. Cipriano Algor si staccò dal cane, gli ordinò di tornare a cuccia, e disse, Ogni tanto ci azzecco. Rimasero a guardare la pioggia che non cessava, a udire il monologo del gelso nero, e allora Marta domandò, Che potremmo farne di quelle statuine che stanno nel forno, e il padre rispose, Niente. Secca, tagliente, la parola non lasciò dubbi, Cipriano Algor non proferì, al suo posto, una di quelle frasi correnti che, volendosi assumere come definitivamente negative, non si preoccupano di portare con sé due negazioni, il che, secondo la limitata opinione dei grammatici, la convertirebbe in affermazione decisa, come se una di tali frasi, questa per esempio, Non possiamo fare niente, si stesse prendendo il disturbo di negare se stessa per significare che, in fin dei conti, sarebbe ancora possibile fare qualche cosa. Marçal telefonò dopo cena, Ti sto parlando da casa, disse, oggi ho lasciato la camerata del personale di sicurezza e stanotte dormirò nel nostro letto, Meglio così, sarai soddisfatto, certo, Si, e ho notizie per voi, Anche noi, disse Marta, Da quali iniziamo, dalle mie o dalle vostre, domandò lui, La cosa migliore sarebbe forse cominciare dalle cattive, e lasciare le buone, se ci sono, alla fine, Le mie non sono né buone né cattive, sono notizie, semplicemente, Allora comincerò da quelle nostre, questo pomeriggio ci hanno comunicato dal Centro che non comprano le statuette, hanno fatto un’indagine e la conclusione è stata negativa. Ci fu un silenzio all’altro capo. Marta aspettò. Poi Marçal disse, Sapevo di questa indagine, Lo so che lo sapevi, il babbo me l’ha

raccontato, Temevo che il risultato fosse questo, Il timore si è confermato, Ce l’hai con me perché non ti ho detto cosa succedeva, Né con te né con lui, le cose stanno così, bisogna fare uno sforzo per comprenderle e accettarle, la cosa che più mi è dispiaciuta è aver perduto l’illusione che, pur vivendo nel Centro, avremmo potuto continuare a lavorare nella fornace, Non ho mai pensato a questa possibilità, Non è un’idea nata dalla mia testa, è uscita fuori parlando con il babbo, Ma lui non poteva essere sicuro che le statuine sarebbero state accettate, Ha voluto risparmiarmi, come te, il risultato dell’inganno è che sono stata felice come un uccellino in questi giorni, è il caso di dire che non tutto è andato perduto, insomma, non piangiamo sul latte versato che tante lacrime ha fatto scorrere nel mondo, parlami delle notizie che avevi da darci, Mi hanno concesso tre giorni per il trasferimento, incluso quello di riposo, che stavolta capiterà di lunedì, quindi partirò venerdì nel tardo pomeriggio, in tassì, non vale la pena che tuo padre mi venga a prendere, prepareremo tutto sabato e domenica mattina issiamo le vele, Ho già messo da parte le cose da portare, disse Marta con voce distratta. Ci fu di nuovo silenzio, Non sei contenta, domandò Marçal, Si, si, lo sono, rispose Marta. Poi ripeté, Si, sono contenta. Fuori, il cane Trovato abbaiò, un’ombra della notte doveva essersi mossa. 19. Il furgone era carico, le finestre e le porte della fornace e della casa erano state chiuse, mancava solo, come aveva detto Marçal qualche giorno prima, di issare le vele. Contratto, con l’espressione tirata e l’aspetto improvvisamente più vecchio, Cipriano Algor chiamò il cane. Malgrado il tono d’angoscia che un orecchio attento avrebbe potuto distinguervi, la voce del padrone fece modificare al meglio l’animo di Trovato. Era stato lì a gironzolare, perplesso, inquieto, correndo da una parte all’altra, annusando le valigie e i pacchi che venivano portati fuori da casa, abbaiava con forza per attirare l’attenzione, e ora era lì con i suoi presentimenti che si erano rivelati fondati, qualcosa di singolare, al di fuori della norma, era stato in preparazione negli ultimi giorni e adesso era giunto il momento in cui la sorte, o il destino, o il caso o l’instabilità delle volontà e costrizioni umane avrebbero deciso della sua esistenza. Si era sdraiato accanto al casotto, con la testa protesa sulle zampe, in attesa. Quando il padrone disse, Trovato, vieni, credette che lo stessero chiamando per farlo salire sul furgone com’era successo altre volte, segnale che in definitiva non sarebbe cambiato nulla nella sua vita, che quell’oggi sarebbe stato uguale a ieri, com’è il sogno costante dei cani. Si stupì che gli mettessero il guinzaglio, non era solito quando viaggiavano, ma lo stupore aumentò, divenne confusione, quando la padrona e il padrone più giovane si avvicinarono ad accarezzarlo sulla testa, mentre mormoravano parole incomprensibili e nelle quali il suo stesso nome, Trovato, risuonava in maniera inquietante, benché ciò che gli stavano dicendo non fosse poi tanto male, Verremo a trovarti. Un leggero strattone gli fece capire che doveva seguire il padrone, la situazione era di nuovo chiara, il furgone serviva agli altri padroni, con questo sarebbe andato a fare una passeggiata a piedi. Il guinzaglio, comunque, continuava a sorprenderlo, ma si trattava di un particolare senza importanza. Una volta giunti in aperta campagna, il padrone lo avrebbe

lasciato libero per rincorrere qualsiasi bestia vivente gli fosse spuntata davanti, non foss’altro che un’insignificante lucertola. La mattinata è fresca, il cielo annuvolato, ma non minaccia pioggia. Arrivati sulla statale, invece di svoltare a sinistra, verso l’aperta campagna, come si aspettava, il padrone svoltò a destra, e quindi sarebbero andati in paese. Per tre volte, strada facendo, Trovato dovette bloccare bruscamente il passo. Cipriano Algor camminava come in genere procediamo tutti in circostanze simili a questa, quando ci mettiamo a discutere oziosamente con il nostro essere intimo se vogliamo o non vogliamo ciò che ovviamente è ormai chiaro che in effetti vogliamo, si comincia una frase e non si conclude, ci si ferma all’improvviso, si corre come se si dovesse salvare il proprio padre dalla forca, ci si ferma di nuovo, anche il più paziente e dedito dei cani finirà per domandarsi se non gli converrebbe un padrone più risoluto. Questo, però, a stento sa quanto sia categorica la risoluzione che lo spinge. Cipriano Algor è già davanti alla porta di Isaura Madruga, tende la mano per bussare, esita, la tende di nuovo, in quell’istante la porta si apre come se fosse stata lì ad aspettare, e non era vero, ovviamente Isaura Madruga ha udito il campanello ed è venuta a vedere chi era. Buongiorno, signora Isaura, disse il vasaio, Buongiorno, signor Algor, Scusi se la disturbo a casa, ma ho una faccenda che vorrei discutere con lei, un grande favore da chiederle, Si accomodi, Potremmo parlarne anche qui, non c’è bisogno di entrare, Si figuri, avanti, non faccia cerimonie, Può entrare anche il cane, domandò Cipriano Algor, ha le zampe sporche, Trovato è come se fosse di famiglia, siamo vecchie conoscenze. La porta si chiuse, la penombra della saletta si chiuse su di loro. Isaura indicò con un gesto la sedia, si sedette anche lei. Ho l’impressione che sappia già il motivo per cui sono venuto, disse il vasaio mentre faceva sdraiare il cane ai suoi piedi, Può darsi, Forse mia figlia le ha accennato qualcosa, A proposito di che, Di Trovato, No, non abbiamo mai parlato di Trovato nel senso che dice lei, Quale senso, Quello a cui si riferiva, abbiamo avuto una conversazione, certamente si è parlato di Trovato più di una volta, ma non abbiamo avuto una conversazione specifica su di lui. Cipriano Algor abbassò gli occhi, Sono venuto a chiederle di tenere Trovato in mia assenza, Andate via, domandò Isaura, Fra poco, e come immagina non possiamo portare il cane, nel Centro non ammettono animali, Lo tengo io, So che lo tratterà come se fosse suo, Lo tratterò meglio che se fosse mio, perché è suo. Senza pensare a quello che faceva, forse per distendere i nervi, Cipriano Algor aveva tolto il guinzaglio al cane. Credo che dovrei chiederle scusa, disse, Perché, Perché non sempre sono stato gentile con lei, La mia memoria rammenta ben altro, quel pomeriggio quando l’ho incontrata al cimitero, cosa ci siamo detti a proposito del manico della brocca che si era staccato, la sua venuta a casa mia apposta per portarmi una brocca nuova, Si, ma poi sono stato scorretto, maleducato, e non è accaduto solo un paio di volte, Non aveva importanza, invece si, La prova del contrario è che ora lei si trova qui, Ma sul punto di non trovarmici più, Si, sul punto di non trovarcisi più. Qualche nuvolone scuro doveva aver coperto il cielo, in casa la penombra si fece più densa, sarebbe naturale che a questo punto Isaura si alzasse dalla sedia per andare ad accendere la luce. Eppure non lo ha fatto, non per indifferenza o per qualche ragione sotterranea, solo perché non si era accorta che riusciva a stento a distinguere i lineamenti di Cipriano Algor, seduto lì proprio davanti a

lei, a breve distanza dal suo braccio se si fosse inclinata un po’ in avanti. E la brocca, continua a comportarsi bene, a mantenere l’acqua fresca, domandò Cipriano Algor, Come il primo giorno, rispose Isaura, e solo in quel momento capì quanto fosse buia la stanza, Dovrei accendere la luce, disse a se stessa, ma non si alzò. Non le avevano mai detto che a tanta gente nel mondo è cambiato radicalmente il destino per un gesto tanto semplice come quello di accendere o spegnere la luce, vuoi che si trattasse di un antico candelabro, o di una candela, o di un lume a petrolio, o una di quelle lampade moderne, avrà sicuramente pensato che doveva alzarsi, che lo imponevano le convenienze, ma il corpo si negava, non si muoveva, si rifiutava di eseguire l’ordine della testa. Era giusto la penombra che mancava perché Cipriano Algor osasse finalmente dichiarare, Vi amo, Isaura, e lei rispose con una voce che sembrava addolorata, E me lo viene a dire proprio il giorno in cui se ne va, Sarebbe stato inutile averlo fatto prima, come lo è, in fin dei conti, farlo adesso, Eppure lo ha appena detto, Era l’ultima occasione, lo prenda come un commiato, Perché, Non ho niente da offrirle, sono una specie in via di estinzione, non ho futuro, non ho neppure presente, Un presente ce l’ha, quest’ora, questa stanza, sua figlia e suo genero che la condurranno via, questo cane sdraiato lì ai suoi piedi, Ma non questa donna, Non l’ha chiesta, Né voglio farlo, Perché, Lo ripeto, perché non ho niente da offrire, Se ciò che ha detto poco fa è sentito e pensato, ha l’amore, L’amore non è una casa, né abiti, né cibo, Ma cibo, abiti e casa, da soli, non sono amore, Non giochiamo con le parole, Un uomo non va a chiedere a una donna di sposarlo se non ha mezzi per guadagnarsi da vivere, È il suo caso, domandò Isaura, Sa bene che lo è, la fornace ha chiuso e io non ho imparato a fare altro, Ma vivrà a carico di suo genero, Non ho altro rimedio, Potrebbe anche vivere di ciò che guadagnasse sua moglie, Quanto tempo durerebbe l’amore in tal caso, domandò Cipriano Algor, Fin quando sono stata sposata non ho mai lavorato, ho vissuto di ciò che guadagnava mio marito, Nessuno lo trovava sconveniente, si usava così, ma metta un uomo in questa situazione e poi mi dica come andrà, Ed è questo, allora, il motivo per cui l’amore dovrebbe morire per forza, domandò Isaura, è per ragioni tanto semplici che l’amore finisce, Non sono in grado di risponderle, mi manca l’esperienza. Discretamente, Trovato si alzò, a suo parere la visita di cortesia ormai si stava prolungando un po’ troppo, ora voleva tornare alla sua cuccia, al gelso nero, alla panchina delle meditazioni, Cipriano Algor disse, Devo andare, mi stanno aspettando, Ci salutiamo così, domandò Isaura, Verremo di tanto in tanto, per sapere come sta Trovato, per vedere se la casa è ancora in piedi, non è un addio per sempre. Riagganciò il guinzaglio e lo consegnò nelle mani di Isaura, Glielo lascio, è solo un cane, però. Non sapremo mai quali ontologiche considerazioni Cipriano Algor si accingeva a sviluppare dopo la congiunzione lasciata a mezz’aria, perché la sua mano destra, quella che teneva il capo del guinzaglio, si perse o si lasciò trovare fra le mani di Isaura Madruga, quella donna che lui non aveva voluto includere nel proprio presente e che, nonostante ciò, ora gli diceva, Vi amo, Cipriano, sapete bene quanto vi amo. Il guinzaglio scivolò a terra, sentendosi libero Trovato si allontanò per annusare uno zoccolo e quando, poco dopo, voltò la testa, capì che la visita aveva cambiato rotta, che non è di semplice cortesia quell’abbraccio, né lo sono quei baci, né quel respiro mozzato, né quelle parole che, anche se per

una ragione ben diversa, cominciano anch’esse ma non riescono a concludersi. Cipriano Algor e Isaura si erano alzati, lei piangeva di gioia e di dolore, lui balbettava, Tornerò, tornerò, è davvero un peccato che la porta di casa non si spalanchi perché il vicinato possa verificare e passar parola di come la vedova di Estudioso e il vecchio della fornace si amino di un vero e finalmente confessato amore. Con una voce che aveva un po’ recuperato il suo tono naturale, Cipriano Algor ripeté, Tornerò, tornerò, ci sarà pure una soluzione per noi, L’unica soluzione è che tu resti, disse Isaura, Sai bene che non posso, Saremo qui ad aspettarti, Trovato e io. Il cane non comprendeva come mai fosse la donna a tenere il suo guinzaglio, visto che stavano avviandosi tutti e tre verso la porta, segno evidente che il padrone e lui sarebbero finalmente usciti, non comprendeva come mai il guinzaglio non fosse ancora passato nella mano di chi, per diritto, glielo aveva messo. Il panico gli saliva dalle budella in gola, ma, nello stesso tempo, le membra gli tremavano per l’eccitazione dovuta al piano che l’istinto gli aveva all’improvviso delineato, liberarsi con un violento strattone quando la porta si fosse aperta e, subito dopo, trionfante, aspettare fuori che il padrone gli andasse incontro. La porta si aprì solo dopo altri abbracci e altri baci, altre parole mormorate, la donna, però, lo teneva saldamente mentre diceva, Tu resti, tu resti, ecco come sono le cose del parlare, quel verbo che non era riuscito a trattenere Cipriano Algor era lo stesso che ora non consentiva a Trovato di fuggire. La porta si chiuse, l’animale si separò dal suo padrone, ma, ecco come sono le cose del sentire, l’angoscia dell’abbandono di uno non poteva, almeno in questo momento, attendersi simpatia o corrispondenza nella lacerante felicità dell’altro. Non è lontano il giorno in cui sapremo come gli è andata la vita a Trovato nella sua nuova casa, se gli è stato facile o faticoso adattarsi alla sua nuova padrona, se il buon trattamento e l’affetto sconfinato che lei gli ha offerto sono bastati a fargli dimenticare la tristezza di essere stato abbandonato ingiustamente. Ora, però, dovremo seguire Cipriano Algor, nient’altro che seguirlo, andargli dietro, accompagnare la sua andatura sonnambula. Quanto a immaginare come sia possibile che si riuniscano in un individuo sentimenti tanto contrapposti come, nel caso che abbiamo esaminato, la gioia più profonda e il più pungente dei dispiaceri, per poi scoprire o creare quell’unico nome con cui verrebbe designato quel sentimento particolare derivante da tale giunzione, è un compito più volte intrapreso nel passato e che ogni volta si è rassegnato, come un orizzonte che si continua a spostare incessantemente, a non raggiungere neppure la soglia della porta di quelle ineffabilità che attendono di non esserlo più. L’espressione verbale umana non sa, e probabilmente non lo saprà mai, conoscere, riconoscere e comunicare tutto quanto è umanamente sperimentabile e sensibile. C’è chi afferma che la causa principale di questa serissima difficoltà risiede nel fatto che gli esseri umani sono fondamentalmente fatti di argilla, la quale, come proficuamente ci spiegano le enciclopedie, è una roccia sedimentaria detritica formata da frammenti minerali minuscoli, della dimensione di uno/duecentocinquantasei micron. Fino a oggi, per quanto si rigirino i linguaggi, non si è ancora trovato un nome per questo. Nel frattempo, Cipriano Algor è arrivato alla fine della strada, ha svoltato diretto a quella che divideva il paese a metà e, né camminando né trascinandosi, né correndo né volando, come se stesse sognando di volersi

liberare da se stesso e urtasse continuamente nel proprio corpo, giunse in cima al sentiero dove il furgone lo aspettava con il genero e la figlia. Sembrava, prima, che il cielo non fosse da acquazzoni, ma ora aveva iniziato a cadere una pioggia indecisa, indolente, che forse non sarebbe durata, ma che esacerbava la malinconia di queste persone a un giro di ruota appena dal separarsi dai luoghi amati, persino Marçal sentiva come se gli si contraesse lo stomaco per l’inquietudine. Cipriano Algor montò sul furgone, si sedette accanto al conducente, nel posto che gli era stato lasciato, e disse, Andiamo. Non avrebbe pronunciato altre parole fino a che arrivarono al Centro, fino a che entrarono nel montacarichi che li portò con le valigie e i pacchi al trentaquattresimo piano, fino a che aprirono la porta dell’appartamento, fino a che Marçal esclamò, Eccoci qua, solo in quel momento aprì la bocca per emettere alcuni suoni organizzati, e tuttavia non gli uscì niente che fosse di sua fattura, si limitò a ripetere, con una piccola aggiunta retorica, la frase del genero, È vero, eccoci qua. A loro volta, Marçal e Marta si erano scambiati poche frasi durante il viaggio. Le uniche parole meritevoli di annotazione in questa storia, e comunque di sfuggita, in modo puramente accidentale, in quanto riferite a persone di cui abbiamo appena sentito parlare, furono quelle che si scambiarono mentre il furgone stava passando davanti alla casa dei genitori di Marçal, Li hai avvisati che andavamo oggi, domandò Marta, Sì, l’altroieri, mentre tornavo dal Centro, mi sono trattenuto qualche minuto, c’era il tassì che aspettava, Non ti vuoi fermare, domandò ancora, Sono stufo di discussioni, ne ho fin sulla punta dei capelli, Ma comunque, Ricordati di come si sono comportati quando siamo venuti, non vorrai certo che la scena si ripeta, disse Marçal, È un peccato, comunque sia sono i tuoi genitori, È un’espressione alquanto curiosa, questa, Quale, Comunque sia, Si dice così, Infatti, parole che a prima vista sembrano non essere altro che un ornamento di frase in tutti i sensi dispensabile, finiscono per far paura quando ci proponiamo di rifletterci sopra e comprendiamo fin dove vogliono arrivare, Comunque sia, disse Marta, è un modo celato di dire che ci vuoi fare, giacché dev’essere così, o semplicemente di esprimere rassegnazione, che è la parola forte, Insomma, dovremo sempre vivere coi genitori che abbiamo, disse Marçal, E non dobbiamo dimenticarci che qualcuno andrà a vivere con i genitori che saremo, concluse Marta. Fu allora che Marçal guardò alla sua destra e disse, sorridendo, Chiaro che questo discorso di genitori e figli in disaccordo non ha niente a che vedere con voi, ma Cipriano Algor non rispose, si limitò a fare un leggero cenno col capo. Seduta dietro al marito, Marta vedeva il padre quasi di profilo. Che sarà successo con Isaura, pensò, sicuramente non è solo arrivato, ha lasciato Trovato ed è tornato indietro, dal ritardo dovranno pur essersi detti qualcos’altro, non so che darei per sapere cosa sta rimuginando, il viso sembra sereno, ma, insieme, è quello di qualcuno non del tutto in sé, di qualcuno che è scampato a un pericolo e si stupisce di essere ancora vivo. Verrebbe a saperne molto di più se potesse guardare il padre di fronte, allora forse direbbe, Conosco quelle lacrime che non scendono e si consumano negli occhi, conosco quel dolore felice, quella specie di felicità dolorosa, quell’essere e non essere, quell’avere e non avere, quel volere e non potere. Ma sarebbe ancora presto perché Cipriano Algor le rispondesse. Erano usciti dal paese, si erano ormai lasciati alle spalle le tre case in rovina, ora stavano attraversando il ponte sul

torrente di acque scure e maleodoranti. Più oltre, in piena campagna, dove si scorge quel gruppo di alberi, nascosto dai cespugli, c’è il tesoro archeologico della fornace di Cipriano Algor. Chiunque direbbe che sono passati mille anni da quando vi furono scaricati gli ultimi resti di un’antica civiltà. Quando, la mattina successiva al suo giorno di riposo, Marçal scese dal trentaquattresimo piano per presentarsi in servizio come guardiano ormai a tutti gli effetti residente, l’appartamento era stato sistemato, pulito, rimesso in ordine, con gli oggetti portati dall’altra casa ai loro posti, in attesa che anche gli abitanti comincino, senza resistenza, a occupare i propri posti che nell’insieme gli spettano. Non sarà facile, un individuo non è come una cosa che si lascia in un punto e se ne resta lì, un individuo si muove, pensa, domanda, dubita, indaga, vuole sapere, e se è vero che, forzato dall’abitudine ad adattarsi, finisce prima o poi per dare l’impressione di essersi sottomesso agli oggetti, non si creda che tale sottomissione sia, in tutti i casi, definitiva. Il primo problema che i nuovi abitanti dovranno risolvere, a eccezione di Marçal Gacho che proseguirà il suo noto e routiniero lavoro di vegliare sulla sicurezza delle persone e dei beni istituzionalmente o occasionalmente correlati con il Centro, il primo problema, dicevamo, sarà di trovare una risposta soddisfacente alla domanda, E ora che cosa faccio. Marta ha su di sé il governo della casa, quando arriverà il momento avrà un figlio da allevare, e questo sarà più che sufficiente a tenerla occupata per molte ore del giorno e qualcuna della notte. Tuttavia, visto che le persone sono, come si è sottolineato prima, oltre che soggetti di un fare, soggetti anche di un pensare, non dovremo sorprenderci se finirà per domandarsi, nel bel mezzo di un lavoro che l’avesse già occupata per un’ora e ancora dovesse occuparla per altre due, E ora che cosa faccio, In ogni caso, è Cipriano Algor a confrontarsi con la situazione peggiore, quella di guardarsi le mani e sapere che non servono a niente, quella di guardare l’orologio e sapere che l’ora successiva sarà uguale alla presente, quella di pensare al domani e sapere che sarà altrettanto vuoto dell’oggi. Cipriano Algor non è un adolescente, non può stare tutto il giorno disteso su un letto che nella sua piccolissima stanza ci entra a stento, a pensare a Isaura Madruga, a ripetere le parole che si sono detti, a rivivere, ammesso che sia possibile dare un nome tanto ambizioso alle immateriali operazioni della memoria, i baci e gli abbracci che si erano scambiati. Non mancherà chi pensi che la miglior medicina per i mali di Cipriano Algor sarebbe di scendere all’istante nel garage, infilarsi nel furgone e andare a fare una visita a Isaura Madruga che, piú che sicuramente, starà attraversando, laggiù, le stesse ansie del corpo e dello spirito, e che per un uomo nella situazione in cui si trova lui e a cui la vita non riserva più trionfi industriali e artistici di prima o seconda importanza, l’avere ancora una donna che ami e che ha confessato di ricambiarlo è la più eccelsa delle benedizioni e delle fortune. Significherebbe non conoscere Cipriano Algor. Proprio come ci aveva già detto che un uomo non va a chiedere a una donna di sposarlo se non ha neppure i mezzi per garantirsi la propria sussistenza, ora ci aggiungerebbe che non è nato per approfittare delle circostanze favorevoli e comportarsi come se un ipotetico diritto alle soddisfazioni derivanti da tale profitto, oltre che giustificato dalle qualità e virtù che lo decorano, gli fosse altrettanto dovuto per il fatto di essere un uomo e di aver posto la sua attenzione di uomo e i suoi desideri su una

donna. In altre parole, più franche e dirette, quello a cui Cipriano Algor non è disposto, anche se dovrà costargli tutte le pene e le amarezze della solitudine, è di rappresentare di fronte a se stesso il ruolo di chi periodicamente va a trovare l’amante e poi se ne va via senz’altri ricordi sentimentali che non siano un pomeriggio o una notte passati ad agitare il corpo e scuotere i sensi, lasciando all’uscita un bacio distratto su un viso ormai senza trucco e, nel caso particolare di cui ci occupiamo, una carezza sulla testa di un cane, Allora arrivederci, Trovato. Tuttavia, Cipriano Algor ha ancora due risorse per sfuggire alla prigione in cui di colpo ha visto convertirsi l’appartamento, per non dire del mero e poco duraturo palliativo che sarebbe l’avvicinarsi di tanto in tanto alla finestra e guardare il cielo dietro i vetri. La prima risorsa è la città, e cioè, Cipriano Algor, che ha sempre vissuto in quel paese insignificante che abbiamo conosciuto appena e che della città conosce solo quello che gli rimaneva di strada, ora potrà trascorrere il suo tempo passeggiando, vagabondando, arieggiando le sue piume, un’espressione figurata e caricaturale che probabilmente verrà da un tempo passato, quando i nobiluomini e i signori della corte avevano le penne sui cappelli e uscivano a prendere una boccata d’aria con questi e quelle. A sua disposizione ha anche i parchi e i giardini pubblici della città dove solitamente si riuniscono nel pomeriggio gli anziani, uomini che hanno la faccia e i gesti tipici dei pensionati o dei disoccupati, che sono due modi distinti di dire la stessa cosa. Potrà unirsi a loro e fare comunella, ed entusiasticamente giocare a carte fino all’imbrunire, fino a quando non sia più possibile ai suoi occhi miopi distinguere se i semi sono ancora rossi o sono ormai diventati neri. Chiederà la rivincita, se perderà, la concederà, se vincerà, al giardino le regole sono semplici e si apprendono alla svelta. La seconda risorsa, inutile dirlo, è proprio quel Centro in cui vive. Lo conosce, ovviamente, fin da prima, in ogni caso meno bene di quanto conosca la città, perché non è mai riuscito a tenere a mente i percorsi delle poche volte che ci è entrato, sempre con la figlia, per fare alcuni acquisti. Ora, per così dire, il Centro è tutto suo, gliel’hanno messo su un vassoio di suono e luce, può gironzolarci quanto gli va, ricrearsi con musica facile e voci invitanti. Se quando sono venuti qui per conoscere l’appartamento, avessero usato l’ascensore del lato opposto, avrebbero potuto ammirare, durante la prolungata salita, oltre alle nuove gallerie, ai negozi, alle scale mobili, ai punti d’incontro, ai bar e ai ristoranti, molti altri locali che quanto a interesse e varietà non sono affatto da meno rispetto ai primi, come ad esempio una giostra coi cavalli, una giostra con missili spaziali, un centro per i più piccini, un centro per la terza età, un tunnel dell’amore, un ponte sospeso, un treno fantasma, lo studio di un astrologo, una sala di scommesse, un poligono di tiro, un campo da golf, un ospedale di lusso, un altro meno lussuoso, un bowling, una sala da biliardo, una serie di calcetti, una mappa gigante, una porta segreta, un’altra con un’insegna che dice prova sensazioni naturali, pioggia, vento e neve a discrezione, una muraglia cinese, un tajrnahal, una piramide d’Egitto, un tempio di karnak, un acquedotto das àguas livres che funziona ventiquattr’ore al giorno, un convento di mafra, una torre dos clérigos, un fiordo, un cielo d’estate con nuvole bianche che si muovono, un lago, una palma autentica, un tirannosauro a scheletro e un altro che sembra vivo, un himalaya con il suo everest, un rio delle amazzoni con indios, una zattera di

pietra, un cristo del corcovado, un cavallo di troia, una sedia elettrica, un plotone d’esecuzione, un angelo che suona la tromba, un satellite, una cometa, una galassia, un nano grande, un gigante piccolo, insomma, una lista talmente estesa di prodigi che neanche ottant’anni di vita oziosa basterebbero per goderseli con profitto, anche per chi fosse nato nel Centro e non ne fosse mai uscito per metter piede nel mondo esterno. Esclusa per manifesta insufficienza la contemplazione della città e dei suoi tetti dalle finestre dell’appartamento, eliminati i parchi e i giardini non essendo ancora giunto Cipriano Algor a uno stato d’animo da potersi classificare come di disperazione a bocca chiusa o di nausea assoluta, messe da parte, per le validissime ragioni già esposte, le seducenti ma problematiche visite di sfogo sentimentale e fisico a Isaura Madruga, ciò che restava al padre di Marta, se non voleva passare il resto della vita a sbadigliare e a sbattere, in senso figurato, la testa contro le pareti del suo carcere interiore, era lanciarsi alla scoperta e all’investigazione metodica dell’isola meravigliosa dove lo avevano portato dopo il naufragio. Tutte le mattine, dunque, dopo colazione, Cipriano Algor lancia alla figlia un affrettato Ci vediamo, e, come chi va al lavoro, alcune volte salendo all’ultimo tetto, altre volte scendendo a livello del suolo, utilizzando gli ascensori, secondo le sue necessità di osservazione, ora a velocità massima, ora a velocità minima, procedendo per corridoi e passerelle, attraversando saloni, aggirando enormi e complicati insiemi di teche, vetrine, scansie e bacheche con tutto ciò che esiste da mangiare e da bere, da vestire e da calzare, per i capelli e per la pelle, per le unghie e per i peli, per il sopra e per il sotto, da appendere al collo, da appendere alle orecchie, da infilare nelle dita., da tintinnare ai polsi, per fare e per disfare, per cuocere e per cucire, per verniciare e per sverniciare, per aumentare e per diminuire, per ingrassare e per dimagrire, per estendere e per ridurre, per riempire e per svuotare, e dir questo è come non aver detto nulla, visto che ugualmente non sarebbero sufficienti ottant’anni di vita oziosa anche per leggere e analizzare i cinquantacinque volumi di mille e cinquecento pagine di formato a quattro ciascuno che costituiscono il catalogo commerciale del Centro. Evidentemente, non sono gli articoli esposti ciò che più interessa a Cipriano Algor, del resto, comprare non è materia di sua responsabilità e competenza, per questo c’è chi il denaro lo guadagna, cioè il genero, e chi poi lo gestisce, lo amministra e applica, cioè la figlia. Lui, invece, se ne va in giro con le mani in tasca, fermandosi qua e là, domandando la strada a un guardiano, mai però, anche se ci s’imbatte, a Marçal, perché non traspaiano i legami familiari e, soprattutto, profittando del più prezioso e invidiato dei vantaggi di abitare nel Centro, che è quello di poter godere gratis o a prezzi ridotti delle molteplici attrazioni che sono a disposizione dei clienti. Abbiamo già fatto di tali attrazioni due sobri e condensati resoconti, il primo su quello che si è visto dall’ascensore al di qua, il secondo su quello che si sarebbe potuto vedere dall’ascensore al di là, rammenteremo però, per scrupolo di obiettività e di rigore informativo, che, tanto in un caso come nell’altro, non ci siamo mai spinti oltre il trentaquattresimo piano. Al di sopra di questo, come ricorderete, poggia ancora un universo di altri quattordici. Trattandosi di persona dallo spirito ragionevolmente curioso, quasi non sarebbe necessario dire che i primi passi dell’indagine di Cipriano Algor si diressero alla misteriosa porta segreta, che

però deve continuare a restare misteriosa, visto che, nonostante gli insistenti squilli di campanello e alcune bussate con le nocche delle dita, non è comparso nessuno dall’interno a chiedere cosa voleva. A chi dovette dare pronte e complete spiegazioni fu a un guardiano che, attratto dal rumore o, più probabilmente, guidato dalle immagini del circuito video interno, andò a domandargli chi era e cosa ci faceva li. Cipriano Algor spiegò che abitava al trentaquattresimo piano e che, trovandosi lì a far due passi, si era sentito risvegliare l’attenzione dalla targa sulla porta, Semplice curiosità, signore, semplice curiosità di chi non ha nient’altro da fare. Il guardiano gli chiese la carta d’identità ufficiale, il documento che lo accreditava come residente, confrontò la sua faccia con la foto inserita in ciascuno di essi, esaminò con la lente d’ingrandimento le impronte digitali impresse sui documenti e, per finire, gli prese un’impronta del dito, che Cipriano Algor, dopo essere stato debitamente istruito, premette contro quello che doveva essere il lettore di un computer portatile che il guardiano aveva estratto da una borsa che aveva a tracolla, mentre gli diceva, Non si preoccupi, sono formalità, in ogni caso accetti un consiglio, non si faccia più rivedere da queste parti, potrebbe ritrovarsi con qualche complicazione, essere curioso una volta basta, e del resto non ne vale la pena, non c’è niente di segreto dietro questa porta, in passato, si, c’era, ma ora non più, Se è come dice, perché non togliete la targa, domandò Cipriano Algor, Serve da richiamo per farci sapere chi sono i curiosi che abitano nel Centro. Il guardiano aspettò che Cipriano Algor si allontanasse di una decina di metri, poi lo seguì fino a quando incontrò un collega, a cui, per evitare di essere riconosciuto, passò la missione, Che ha fatto, domandò il guardiano Marçal Gacho, mascherando la preoccupazione, Stava bussando alla porta segreta, Non è grave, capita varie volte tutti i giorni, disse Marçal con sollievo, Sì, ma bisogna che imparino a non essere curiosi, a passare alla larga, a non ficcare il naso dove non sono chiamati, è questione di tempo e di abilità, O di forza, disse Marçal, La forza, salvo in casi del tutto estremi, non è più necessaria, chiaro che avrei potuto trattenerlo per un interrogatorio, ma mi sono limitato a dargli qualche buon consiglio, usando la psicologia, Devo andargli dietro, disse Marçal, non vorrei che mi sfuggisse, Se noti qualcosa di sospetto, informami, per allegarlo al rapporto, lo firmeremo in due. L’altro guardiano se ne andò via, e Marçal, dopo avere accompagnato da lontano il girovagare del suocero fino ai due piani superiori, lo lasciò andare. Si domandava cosa sarebbe stato più opportuno, se parlargli e raccomandargli la massima prudenza nel suo gironzolare per il Centro, o simulare di non essere al corrente del piccolo incidente e augurarsi che non ne succedessero di più gravi. La decisione che prese fu questa, ma siccome Cipriano Algor, a cena, gli raccontò, ridendo, cos’era successo, non poté fare altro che assumere il ruolo di mentore e pregarlo di comportarsi in modo da non attirare le attenzioni di chicchessia, guardiani o non guardiani, È l’unica maniera corretta di procedere per chi vive qui. Allora Cipriano Algor trasse di tasca un foglio, Ho copiato queste frasi di alcuni manifesti esposti, disse, spero di non avere richiamato l’attenzione di nessuna spia o osservatore, Lo spero anch’io, disse Marçal di malumore, È sospetto copiare frasi che sono esposte perché i clienti le leggano, domandò Cipriano Algor, Leggerle è normale, copiarle no, e tutto ciò che non sia normale è, per lo meno, sospetto di anormalità. Marta, che fino a

quel momento non aveva preso parte alla conversazione, chiese al padre, Leggete un po’ queste frasi. Cipriano Algor distese il foglio sul tavolo e cominciò a leggere, Sii audace, sogna. Guardò la figlia e poi il genero, e visto che loro non sembravano disposti a fare commenti, proseguì, Vivi l’audacia di sognare, questa è una variante della prima, e ora vengono le altre, uno, acquista operatività, due, senza uscire da casa i mari del sud a tua disposizione, tre, questa non è la tua ultima opportunità ma la migliore, quattro, pensiamo continuamente a te è il tuo momento di pensare a noi, cinque, porta i tuoi amici purché comprino, sei, con noi non vorrai mai essere altra cosa, sette, tu sei il nostro miglior cliente ma non dirlo al tuo vicino, Questa stava là fuori, sulla facciata, disse Marçal, Ora sta dentro, ai clienti dev’essere piaciuta, rispose il suocero. Cos’altro avete trovato in questa vostra avventurosa esplorazione, domandò Marta, Finiresti per addormentarti se mi metto a parlare, Allora, fatemi addormentare, La cosa che più mi ha divertito, attaccò Cipriano Algor, sono le sensazioni naturali, E cosa sono, Prova a immaginare, Ci proverò, Entri in una sala di accoglienza, paghi il tuo biglietto, a me hanno chiesto solo il dieci per cento, mi hanno fatto uno sconto del quarantacinque per cento perché sono residente e un altro sconto uguale perché ho più di sessant’anni, Sembra che sia stupendo avere più di sessant’anni, disse Marta, Proprio così, quanto più sei vecchio, tanto più ci guadagni, quando muori sei ricco, E cosa è successo dopo, domandò Marçal impaziente, Non ci sei mai entrato, si stupì il suocero, Sapevo che esisteva, ma non ci sono mai entrato, non ho avuto tempo, Allora non hai idea di cosa ti sei perduto, Se non cominciate a raccontare me ne vado a letto, minacciò Marta, Va bene, dopo che hai pagato il biglietto e che ti hanno dato un impermeabile, un berretto, un paio di stivali di plastica e un ombrello, tutto colorato, puoi anche avere tutto nero, ma devi pagare un supplemento, passi in un guardaroba dove una voce nell’altoparlante ti fa mettere gli stivali, l’impermeabile e il berretto, e subito dopo entri in una specie di corridoio dove le persone si allineano in file di quattro, ma con abbastanza spazio fra la gente per potersi muovere agevolmente, eravamo una trentina, alcuni erano lì per la prima volta, come me, altri, a quanto credo di aver capito, ci venivano di tanto in tanto, e almeno cinque dovevano essere dei veterani, a uno gli ho pure sentito dire Questo è come una droga, si prova e si rimane agganciati. E dopo, domandò Marta, Dopo ha cominciato a piovere, prima solo qualche goccia, poi un po’ più forte, abbiamo aperto tutti gli ombrelli, e a quel punto la voce dell’altoparlante ci ha dato l’ordine di avanzare, e non si può descrivere, bisogna averlo vissuto, la pioggia ha cominciato a venire giù a torrenti, e tutt’a un tratto una tempesta, prima una raffica, poi un’altra, ci sono ombrelli che si rigirano, berretti che volano via dalle teste, le donne che urlano per non ridere, gli uomini che ridono per non urlare, e il vento aumenta, è come un tifone, c’è chi scivola, chi cade, si alza, ricade, la pioggia si trasforma in un diluvio, ci abbiamo impiegato dieci minuti buoni a percorrere, direi, un venticinque o trenta metri, E dopo, domandò Marta sbadigliando, Dopo siamo tornati indietro e poi ha cominciato a nevicare, all’inizio qualche fiocco qua e là tipo batuffoli di cotone, e poi sempre più grossi, ci cadevano davanti come una cortina che a stento ci lasciava vedere i compagni, alcuni tenevano ancora gli ombrelli aperti, il che serviva solo a creare maggiore intralcio, finalmente siamo arrivati

al guardaroba e li c’era un sole che era una meraviglia, Un sole nel guardaroba, domandò dubbioso Marçal, A quel punto non era più un guardaroba, ma una specie di campo pianeggiante, E sono queste le sensazioni naturali, domandò Marta, Si, Niente che non si veda tutti i giorni là fuori, È stato proprio questo il mio commento mentre stavamo restituendo il materiale, ma avrei fatto meglio a restarmene zitto, Perché, Uno dei veterani mi ha guardato con sdegno e ha detto, Lei mi fa pena, non potrà mai capire. Aiutata dal marito, Marta cominciò a sparecchiare la tavola. Domani o dopodomani vado alla spiaggia, annunciò Cipriano Algor, Li una volta ci sono stato, disse Marçal, E com’è, Sul tropicale, fa molto caldo e l’acqua è tiepida, E la sabbia, Non c’è sabbia, il pavimento che ne fa le veci è di plastica, da lontano sembra addirittura autentico, Ma le onde non ci sono, naturalmente, E invece vi sbagliate, c’è all’interno un meccanismo che produce un’ondulazione tale e quale al mare, Non mi dire, Invece si, Che cosa non sono capaci di inventare, gli uomini, Davvero, disse Marçal, è un po’ triste. Cipriano Algor si alzò, fece un paio di giri, chiese un libro alla figlia e mentre stava per entrare nella sua stanza disse, Sono stato giù da basso, il suolo non vibra piú, e non si sente il rumore delle scavatrici, e Marçal rispose, Avranno terminato il lavoro. 20. Marta aveva proposto al marito di approfittare del primo giorno di riposo dopo il trasferimento nel Centro per andare a prendere nella casa della fornace alcune cose che, secondo lei, mancavano, In un normale trasferimento si porta via tutto ciò che si possiede, ma non è il nostro caso, del resto, sono convinta che dovremo andarci altre volte, e in fondo sarebbe anche un po’ divertente, potremo passare la notte nel nostro letto e tornare qui la mattina dopo, come facevi prima. Marçal rispose che non gli sembrava una buona cosa star lì a creare una situazione in cui avrebbero finito per non sapere dove abitavano realmente, Tuo padre sembra volerci dare l’impressione che si stia divertendo un mucchio a scoprire i segreti del Centro, ma io lo conosco, dietro quella faccia la testa gli continua a lavorare, Non mi ha detto una sola parola su com’è andata a casa di Isaura, si è chiuso completamente, e questo non lo ha mai fatto, in una maniera o nell’altra, anche irritato, anche con modi sgarbati, finiva sempre per aprirsi con me, penso che se ora andassimo a casa forse gli sarebbe di aiuto, sicuramente vorrebbe vedere come sta Trovato, potrebbe parlare di nuovo con lei, Benissimo, se è questa la tua idea, andremo,, ma ricordati di quello che ti dico, o abitiamo qui o abitiamo alla fornace, pretendere di vivere come se i due posti fossero uno solo sarà come non abitare da nessuna parte, Forse per noi dovrà essere così, Così, come, Non abitare da nessuna parte, Tutti hanno bisogno di una casa, e noi non facciamo eccezione, La casa che avevamo ci è stata tolta, Continua a essere nostra, Ma non come lo era prima, Ora la casa è questa. Marta si guardò intorno e disse, Non credo che lo sarà mai. Marçal si strinse nelle spalle, ha pensato che questi. Algor sono gente difficile da capire, ma che, comunque, non li cambierebbe con niente di questo mondo. Lo diciamo a tuo padre, domandò, Solo all’ultimo momento, così non starà a rodersi dentro per lungo tempo e a farsi il sangue amaro.

Cipriano Algor non arrivò a sapere che la figlia e il genero avevano dei progetti per lui. Il giorno di riposo di Marçal fu cancellato, e lo stesso accadde ai suoi colleghi di turno. In segreto assoluto, ai guardiani residenti, e solo a loro, in quanto considerati più degni di fiducia, fu comunicato che i lavori per la costruzione dei nuovi depositi frigoriferi avevano messo allo scoperto nel piano zerocinque qualcosa che avrebbe richiesto un’indagine minuziosa e prolungata. Per ora, l’accesso al posto è interdetto, disse il comandante ai guardiani, fra qualche giorno ci si metterà al lavoro una équipe mista di specialisti, ci saranno geologi, archeologi, sociologi, antropologi, medici legali, tecnici pubblicitari, mi hanno detto che faranno parte del gruppo persino due filosofi, non domandatemi perché. Fece una pausa, passò lo sguardo sui venti uomini allineati davanti a sé e proseguì, Vi è proibito parlare con chicchessia di ciò che vi ho appena comunicato o di quanto possiate venire a conoscenza in futuro, e quando dico chicchessia intendo chicchessia, moglie, figli, genitori, quello che pretendo da voi è il segreto totale e assoluto, intesi, Sissignore, risposero in coro gli uomini, Benissimo, l’entrata della grotta, avevo dimenticato di dirvi che si tratta di una grotta, sarà sorvegliata giorno e notte, senza interruzione, a turni di quattr’ore, su questo quadro potete vedere l’ordine con cui sarà effettuata la sorveglianza, sono le cinque del pomeriggio, noi cominciamo alle sei. Uno degli uomini alzò la mano, voleva sapere, se possibile, quando era stata scoperta la grotta e chi era rimasto a sorvegliarla da allora, La responsabilità della sicurezza, disse, sarà nostra a partire dalle sei, quindi non ci si potrà responsabilizzare per qualcosa di scorretto avvenuto prima, L’entrata della grotta è stata scoperta stamattina, mentre si stava smuovendo manualmente la terra, il lavoro è stato interrotto immediatamente e l’amministrazione informata, da quel momento tre ingegneri della direzione dei lavori sono rimasti presenti sul posto per tutto il tempo, C’è qualche cosa dentro la grotta, volle sapere un altro guardiano, Si, rispose il comandante, avrete occasione di vedere di cosa si tratta con i vostri occhi, È pericoloso, conviene andare armati, domandò lo stesso guardiano, A quanto si sa, non c’è alcun pericolo, tuttavia, per precauzione, non dovete toccare né avvicinarvi troppo, ignoriamo le conseguenze che potrebbero derivare da un contatto, Per noi o per quello che c’è là dentro, si decise a domandare Marçal, Per gli uni e per gli altri, Ce n’è piú d’uno nella grotta, Si, disse il comandante, e il suo viso cambiò espressione. Poi, come se facesse uno sforzo su se stesso, proseguì, E ora, se non avete altre questioni da sollevare, prendete nota di quanto segue, primo, quanto al dubbio se andare armati o no, ritengo sufficiente che portiate il manganello, non perché pensi che abbiate necessità di usarlo, ma perché vi sentiate più fiduciosi, il manganello è come un capo di abbigliamento fondamentale, senza di lui il guardiano in divisa si sente nudo, secondo, chi non è di sorveglianza dovrà vestirsi da civile e circolare per tutti i piani al fine di ascoltare eventuali conversazioni che abbiano o sembrino avere qualche rapporto con la grotta, nel qual caso, benché le probabilità siano praticamente inesistenti, il servizio centrale dovrà essere informato all’istante, prenderemo i provvedimenti necessari. Il comandante fece una pausa e concluse, È tutto quanto avevate bisogno di sapere, e, ancora una volta, attenzione alla parola d’ordine, segreto assoluto, è in gioco la vostra carriera. I guardiani si avvicinarono al quadro in cui erano stabiliti i turni di sorveglianza, Marçal vide

che il suo era il nono, quindi sarebbe stato di guardia fra le due di notte e le sei del mattino del secondo giorno a partire da questo. Laggiù, a trenta o quaranta metri di profondità, non si sarebbe notata la differenza fra il giorno e la notte, sicuramente non ci sarebbero state altro che tenebre inframmezzate dalla luce cruda dei proiettori e dei riflettori. Mentre l’ascensore lo portava al trentaquattresimo piano, pensava a cosa poter dire a Marta senza venir meno eccessivamente all’impegno che aveva preso, la proibizione gli sembrava assurda, una persona ha, più che il diritto, l’obbligo di fidarsi della propria famiglia, ma queste sono teorie, per quanto giri e rigiri l’argomento non potrà fare altro che rispettare il mandato, gli ordini sono ordini. Il suocero non era in casa, doveva essere in giro nelle sue esplorazioni da bambino curioso, alla ricerca dei sensi delle cose e con sufficiente astuzia per scovarli quand’anche fossero ben nascosti. Disse a Marta che aveva cambiato temporaneamente di servizio, ora doveva andare in borghese, ma non per sempre, solo per qualche giorno. Marta domandò perché e lui rispose che non era autorizzato a dirlo, che era confidenziale, Ho dato la mia parola d’onore, si giustificò, e non era vero, il comandante non gli aveva richiesto di impegnarsi sull’onore, sono formule d’altri tempi e d’altri costumi che di tanto in tanto ci vengono fuori senza pensare, come capita con la memoria, che ha sempre da darci di più di quel pochissimo che reclamiamo. Marta non rispose, aprì l’armadio e prese dalla stampella uno dei due abiti che il marito possedeva, Suppongo che questo andrà bene, disse, Andrà benissimo, disse Marçal, soddisfatto che fossero d’accordo su questo punto importante. Pensò che sarebbe stato meglio avvisarla subito anche del resto, risolvere la questione una volta per tutte, se fosse al posto del collega che fra poco sarà di sorveglianza in questo preciso momento starebbe comunicando a Marta, Sono in servizio dalle sei alle dieci, non mi domandare niente, è un segreto, la stessa frase va bene, bisogna solo cambiare l’orario e il giorno, Sono in servizio dopodomani, dalle due di notte alle sei del mattino, non mi domandare niente, è un segreto. Marta lo guardò incuriosita, A quell’ora il Centro è chiuso, perciò non sarà proprio nel Centro, Allora sarà fuori, È dentro, ma non è nel Centro, Non comprendo, Preferirei non mi facessi domande, Sto solo dicendo che non capisco come una cosa può avvenire, contemporaneamente, dentro e fuori un certo posto, È negli scavi destinati ai depositi frigoriferi, ma non dirò altro, Hanno trovato il petrolio, una miniera di diamanti o la pietra che segna l’ombelico del mondo, domandò Marta, Non so cos’abbiano trovato, E quando lo verrai a sapere, Quando sarà il mio turno di guardia, O quando lo domanderai ai tuoi colleghi che ci sono stati prima, Ci è stato proibito di toccare fra noi l’argomento, disse Marçal, sviando lo sguardo perché queste non erano certo parole che meritassero il termine di vere, bensì una versione interessata degli ordini e delle raccomandazioni del comandante, liberamente adattata alle sue difficoltà oratorie del momento, Un gran mistero, a quanto pare, disse Marta, Pare di si, acconsentì Marçal, mentre tentava di sistemarsi con eccessiva preoccupazione i polsini della camicia perché uscissero della giusta misura dalle maniche della giacca. Vestito da civile mostrava più età di quanta ne aveva realmente. Vieni a cena, domandò Marta, Non ho nessun ordine contrario, ma, se non posso, telefono. Uscì prima che alla moglie venisse in mente di fare altre domande, sollevato per essere riuscito a sfuggire alla sua insistente curiosità, ma anche dispiaciuto perché la

conversazione non era stata, da parte sua, un modello raccomandabile di lealtà, Invece sono stato leale, protestò con se stesso, l’ho avvisata subito che si trattava di un segreto. Nonostante la veemenza e la ragione che assisteva alla sua protesta, Marçal non riuscì a convincersi. Quando, dopo più di un’ora, Cipriano Algor, che non si era ancora ben ripreso dallo spavento del treno fantasma, rientrò a casa, Marta gli domandò, Avete visto vostro genero, No, non l’ho visto, Probabilmente, anche se lo vedeste, non riuscireste a riconoscerlo, Perché, È venuto a cambiarsi d’abito, ora va a fare sorveglianza vestito da civile, Questa è una novità, Sono gli ordini che ha ricevuto, Sorveglianza in borghese non è sorveglianza, è spionaggio, sentenziò il padre. Marta gli raccontò quello che sapeva, e cioè quasi niente, ma fu quanto bastò perché Cipriano Algor sentisse che gli sfumava l’interesse per il rio delle amazzoni con indios dov’era sua intenzione viaggiare il giorno seguente, È strano, fin dall’inizio ho avuto come un presentimento che c’era qualcosa in preparazione, Cosa volete dire con questo, fin dall’inizio, domandò Marta, Quel suolo che ho sentito tremare, vibrare, il rumore delle scavatrici, ti ricordi, quando siamo venuti a vedere l’appartamento, Saremmo ben sistemati se avessimo presentimenti ogni volta che udiamo una scavatrice in funzione, come quel ticchettio di una macchina da cucire che credevamo di udire sulla parete della cucina e che la mamma diceva fosse il segnale della condanna di una sarta, poverina, per il peccato di aver lavorato di domenica, Ma questa volta sembra aver colto nel segno, Pare di sì, disse Marta, ripetendo le parole del marito, Vedremo cosa avrà da raccontare lui quando tornerà, disse Cipriano Algor. Non vennero a sapere altro. Marçal si chiuse nelle risposte già date, le ripeté una prima e una seconda volta, e alla fine decise di mettere un punto finale all’argomento, Sarò il primo, se insistete, a ritenere che l’ordine sia una sciocchezza, ma è quello che ho ricevuto, e su questo non c’è da discutere, Almeno dicci perché tutt’a un tratto avete cominciato a pattugliare in borghese, chiese il suocero, Noi non pattugliamo, vegliamo sulla sicurezza del Centro, nient’altro, Benissimo, sarà così, Non ho altro da aggiungere, non fate domande, per favore, tagliò corto Marçal, irritato. Guardò la moglie come a domandarle per quale motivo stesse zitta, perché non lo difendesse, e lei disse, Marçal ha ragione, babbo, non insistete, e, rivolgendosi a lui, mentre lo baciava sulla fronte, Scusaci, noi, gli Algor, siamo un po’ grezzi. Dopo cena, videro un programma alla televisione trasmesso dal canale interno del Centro, esclusivo per i residenti, poi si ritirarono nelle stanze. Ormai con le luci spente, Marta gli chiese di nuovo scusa, Marçal le diede un bacio, e se non proseguì con i secondi e i terzi fu perché avvertì in tempo che, su quella strada, avrebbe finito per raccontarle tutto. Seduto sul letto, con la luce accesa, Cipriano Algor ci aveva pensato e ripensato, per giungere alla conclusione che doveva scoprire cosa stava accadendo nelle profondità del Centro, che, se lì c’era un’altra porta segreta, almeno questa volta non avrebbero potuto dirgli che al di là non c’era niente. Tornare alla carica con Marçal non valeva la pena, inoltre era un’ingiustizia che stavano facendo a quel povero ragazzo, se aveva ordini di non parlare e li eseguiva, doveva piuttosto essere complimentato per questo, e non sottoposto alle svariate e impudiche modalità di piaggeria sentimentale in cui le famiglie sono eccelse, io sono tuo suocero, tu sei mio genero, raccontami tutto, Marta aveva ragione, pensò, noi, gli Algor, siamo

alquanto grezzi. L’indomani avrebbe lasciato perdere il rio delle amazzoni con indios e si sarebbe dedicato a percorrere il Centro da un capo all’altro ascoltando le conversazioni della gente. In fondo, un segreto è più o meno come la combinazione di una cassaforte, anche se non la conosciamo sappiamo che è composta di sei cifre, che può anche darsi che una o più di una si ripetano, e che per quanto numerose siano le sequenze possibili, non sono infinite. Come in tutte le cose della vita è questione di tempo e di pazienza, una parola qui, una parola lì, un’altra parola là, un sottinteso, uno scambio di sguardi, un silenzio improvviso, piccole crepe sparse che si aprono nel muro, l’arte dell’inquisitore sta nel saperle avvicinare, nell’eliminare gli spigoli che le separano, arriverà sempre un momento in cui ci domanderemo se il sogno, l’ambizione, la speranza recondita dei segreti non saranno, in definitiva, la possibilità, ancorché vaga, ancorché lontana, di non esserlo più. Cipriano Algor si spogliò, spense la luce, pensò che avrebbe avuto una notte d’insonnia, ma nel giro di cinque minuti dormiva già di un sonno tanto spesso, tanto opaco, che neppure Isaura Madruga era riuscita a venire a sbirciare all’ultima porta in cui si serrava. Quando Cipriano Algor uscì dalla stanza, più tardi del suo solito, il genero era già andato a lavorare. Ancora mezzo insonnolito, diede il buongiorno alla figlia, si sedette per fare colazione, e in quell’istante il telefono squillò. Marta andò a rispondere e tornò subito indietro, È per voi. Il cuore di Cipriano Algor fece un balzo, Per me, chi mai può voler parlare con me, domandò, sicurissimo che la figlia gli avrebbe risposto, È Isaura, ma lei disse invece, È dall’ufficio acquisti, un vicecapo. Indeciso fra la delusione che la chiamata non fosse di chi avrebbe voluto e il sollievo di non dover spiegare alla figlia la ragione di queste intimità con la vicina, anche se non dobbiamo dimenticare che si sarebbe potuto semplicemente trattare di qualcosa riguardante Trovato, la tristezza dell’assenza, per esempio, Cipriano Algor andò al telefono, si presentò e poco dopo aveva all’altro capo della linea il vicecapo simpatico, È stata una sorpresa per me venire a sapere che lei era venuto a vivere nel Centro, come vede, non sempre il diavolo sta dietro la porta, è un vecchio detto, ma assai più vero di quanto s’immagini, Infatti è così, disse Cipriano Algor, Il motivo di questa chiamata è per pregarla di passare qui oggi pomeriggio, così le pagheremo le statuette, Quali statuette, Le trecento che ci aveva consegnato per l’indagine, Ma quelle statuine non sono state vendute, quindi non c’è niente da pagare, Mio caro signore, disse il vicecapo con inattesa severità nella voce, ci consenta di essere noi a giudicare sull’argomento, in ogni modo sappia fin da ora che anche quando un pagamento rappresenta un danno superiore al cento per cento, com’è successo in questo caso, il Centro liquida sempre i suoi conti, è una questione di etica, visto che ora vive con noi potrà cominciare a comprendere meglio, Benissimo, solo non capisco come un danno arrivi a più del cento per cento, È proprio perché non pensano a queste cose che le economie familiari vanno in malora, Peccato non averlo saputo prima, Prenda nota, in primo luogo pagheremo le statuette all’esatto importo che ci è stato addebitato, non un centesimo di meno, Fin lì almeno ci arrivo, In secondo luogo, ovviamente, dovremo pagare anche l’indagine, cioè, i materiali usati, le persone che hanno analizzato i dati, il tempo che tutto ciò ha richiesto, orbene, se si pensa che tali materiali, tali persone e tale tempo avrebbero potuto

essere impiegati in compiti fruttuosi, non avrà bisogno di essere dotato di grande intelligenza per giungere alla conclusione che si è trattato di fatto di una perdita superiore al cento per cento, considerando quello che non si è venduto e quello che si è sprecato per concludere che non avremmo dovuto venderlo, Sono spiacente di avere arrecato tanto danno al Centro, Sono gli intoppi del mestiere, a volte si perde, a volte si guadagna, comunque sia non è stato grave, si trattava di un affare minuscolo, Anch’io potrei, disse Cipriano Algor, invocare i miei personali scrupoli etici per ricusarmi di ricevere per un lavoro che hanno rifiutato di comprare, ma il denaro mi fa comodo, È una buona ragione, la migliore, Passerò nel pomeriggio, Non c’è bisogno che chieda di me, vada direttamente alla cassa, questa è l’ultima operazione commerciale che facciamo con la sua estinta ditta, vogliamo che serbi i migliori ricordi, Mille grazie, E adesso si goda il resto della vita, si trova nel luogo ideale, M’è parso anche a me, signore, Approfitti della buona sorte, È quello che sto facendo. Cipriano Algor posò il telefono, Ci pagano le statuine, disse, non abbiamo perso tutto. Marta fece un gesto con il capo che poteva significare qualsiasi cosa, adattamento, discordanza, indifferenza, e si ritirò in cucina. Non ti senti bene, domandò il padre, affacciandosi sulla porta, Solo un po’ stanca, sarà la gravidanza, Ti trovo apatica, estranea, dovresti distrarti, fare un giro, Come voi, babbo, Sì, come me, Vi interessa molto tutto quello che c’è là fuori, domandò Marta, pensateci due volte prima di rispondermi, Mi basta pensarci una, non m’interessa affatto, fingo, Con voi stesso, chiaro, Sei già abbastanza cresciuta per sapere che non c’è altro modo, anche se può sembrarlo, non è con gli altri che fingiamo, è sempre con noi stessi, Mi rallegra sentirlo dalla vostra bocca, Perché, Perché conferma ciò che pensavo di voi nella faccenda di Isaura Madruga, La situazione si è modificata, Me ne rallegro ancor di più, Se ci sarà occasione ne parlerò, ora sono come Marçal, una bocca chiusa. La spedizione auricolare di Cipriano Algor non ottenne alcun risultato, poi, durante il pranzo, per una sorta di tacito accordo, nessuno dei tre osò toccare il delicato argomento degli scavi e di cosa era stato ritrovato. Suocero e genero uscirono contemporaneamente, Marçal per riprendere il suo lavoro di ascolto e spionaggio, tanto infruttuoso, probabilmente, com’era stato, per l’uno e per l’altro, quello del mattino, e Cipriano Algor per domandare, per la prima volta, come si facesse ad arrivare dall’interno del Centro all’ufficio acquisti. Capì che il suo distintivo di residente, anche questo con foto e impronta digitale, gli avrebbe offerto certe facilitazioni nella circolazione, quando il guardiano a cui rivolse la domanda gli indicò la strada come se si trattasse della cosa più naturale del mondo, Vada per questo corridoio, sempre diritto, quando arriverà alla fine dovrà solo seguire le indicazioni, non c’è da sbagliarsi, disse. Si trovava a piano terra, in qualche punto del percorso sarebbe dovuto scendere a livello del sotterraneo dove, in tempi più felici, un giudizio che di sicuro il vicecapo simpatico non avrebbe condiviso, si presentava per scaricare i suoi piatti e i suoi boccali. Una freccia e una scala mobile gli dissero dove andare. Sto scendendo, pensò. Sto scendendo, sto scendendo, ripeteva, e subito dopo, Che stupidaggine, è evidente che sto scendendo, le scale servono proprio a questo quando non servono per salire, su una scala, quelli che non scendono, salgono, e quelli che non salgono, scendono. Sembrava aver raggiunto una conclusione irrefutabile, di quelle per cui non esiste alcuna

possibilità di contestazione logica, ma all’improvviso, con la folgorazione e l’istantaneità del lampo, un altro pensiero gli attraversò la mente, Scendere, scendere fino là. Si, scendere laggiù. La decisione che Cipriano Algor ha appena preso è che stanotte tenterà di andare dove Marçal starà facendo la sua guardia, fra le due di notte e le sei del mattino, non dimentichiamolo. Il buonsenso e la prudenza, che in queste situazioni hanno sempre da metter bocca, gli hanno già domandato come immagina di riuscire ad arrivare, senza conoscere i percorsi, in un luogo tanto recondito, e lui ha risposto che le combinazioni e le composizioni delle casualità, pur essendo effettivamente moltissime, non sono infinite, e che sarà sempre più valido avventurarci a salire sull’albero per tentare di cogliere il fico piuttosto che sdraiarci alla sua ombra e aspettare che il frutto ci cada in bocca. Il Cipriano Algor che si presentò alla cassa dell’ufficio acquisti dopo essersi perso per ben due volte, malgrado l’aiuto delle frecce e delle insegne, non fu quello che ormai ci eravamo abituati a conoscere. Se le mani gli tremavano tanto non fu per la meschina eccitazione di ricevere per il suo lavoro del denaro su cui non aveva fatto conto, ma perché gli ordini e gli orientamenti del cervello, ora occupato in questioni di più trascendentale importanza, arrivavano sconnessi, confusi, contraddittori ai rispettivi terminali. Quando tornò nell’area commerciale del Centro sembrava un po’ più tranquillo, l’agitazione gli era passata all’interno. Dispensato dal preoccuparsi per le mani, il cervello tramava successivamente astuzie, scaltrezze, furberie, stratagemmi, trame, sottigliezze, arrivava al punto di ammettere la possibilità di ricorrere alla telecinesi per trasportare in un istante, dal trentaquattresimo piano al misterioso scavo, questo corpo impaziente che tanto gli sta costando governare. Benché avesse ancora davanti lunghe ore di attesa, Cipriano Algor decise di andare a casa. Voleva dare alla figlia il denaro ricevuto, ma lei disse, Serbatelo per voi, a me non serve, e dopo domandò, Volete un caffè, Ma sì, è una buona idea. Il caffè è stato fatto, versato in una tazzina, bevuto, tutto indica che per ora non ci sarà altro scambio di parole fra di loro, sembra, come Cipriano Algor ha pensato varie volte, benché di questi suoi pensieri non abbiamo lasciato annotazione al momento giusto, che la casa, questa dove vivono adesso, abbia il dono maligno di far tacere le persone. Eppure, al cervello di Cipriano Algor, che ha già dovuto mettere da parte, per carenza di addestramento sufficiente, il ricorso alla telecinesi, è indispensabile una certa e determinata informazione senza la quale il suo piano per l’incursione notturna andrà, puramente e semplicemente, a rotoli. Perciò lancia la domanda, mentre, come se fosse distratto, mescola con il cucchiaino il residuo di caffè rimasto in fondo alla tazzina, Sai a che profondità si trova lo scavo, Perché volete saperlo, Semplice curiosità, nient’altro, Marçal non lo ha detto. Cipriano Algor mascherò meglio che poté la contrarietà e disse che andava a riposarsi un po’. Passò tutto il pomeriggio in camera e ne uscì solo quando la figlia andò a chiamarlo per mangiare, Marçal era già seduto a tavola. Sino alla fine della cena, proprio com’era successo a pranzo, non si parlò dello scavo, fu solo quando Marta ricordò al marito, Dovresti dormire fino all’ora di scendere, passerai la notte in bianco, e lui rispose, È troppo presto, non ho sonno, che Cipriano Algor, approfittando della battuta inaspettata, ripeté la sua domanda, A che profondità si trova questo scavo, Perché volete saperlo, Per avere un’idea, per

pura curiosità. Marçal esitò prima di rispondere, ma gli parve che l’informazione non doveva far parte di quelle strettamente confidenziali, Si accede dal piano zerocinque, disse infine, Pensavo che le scavatrici avessero lavorato molto più in profondità, In ogni caso sono sempre quindici o venti metri sotto terra, disse Marçal, Hai ragione, è una bella profondità. Non si parlò più dell’argomento. Marçal non aveva dato l’impressione di essere contrariato per via di quella breve conversazione, al contrario, si direbbe addirittura che era stato un po’ sollevato di aver potuto, senza entrare in materie pericolose e riservate, parlare un po’ di una questione che lo preoccupa, come facilmente gli si nota. Marçal non è più pauroso di tanta altra gente, ma non gli piace affatto la prospettiva di passare quattr’ore infilato in una buca, in assoluto silenzio, sapendo cos’ha dietro di sé. Non siamo addestrati per situazioni del genere, gli aveva detto uno dei colleghi, speriamo che gli specialisti di cui ha parlato il comandante si facciano vedere presto, così saremo esonerati da questo servizio, Hai avuto paura, domandò Marçal, Paura, paura nel senso stretto del termine, forse no, ma ti avverto subito che ti sentirai, in ogni momento, come se qualcuno dietro di te ti mettesse una mano sulla spalla, Non sarebbe il peggio che potrebbe accadere, Dipende dalla mano, se vuoi che ti parli con tutta franchezza, sono quattr’ore a lottare con un desiderio folle di fuggire, di scappare, di scomparire da quel posto, Uomo avvisato mezzo salvato, almeno così so cosa mi aspetta, Non lo sai, lo immagini soltanto, e a stento, gli ribatté il collega. Ora è l’una e mezzo di notte, Marçal sta salutando Marta con un bacio, lei lo prega, Non tardare dopo la fine del turno, Tornerò di corsa, domani ti racconto tutto, promesso. Marta lo accompagnò alla porta, si baciarono ancora una volta, poi rientrò, riordinò prima alcune cose e se ne andò a letto. Non aveva sonno. Si ripeteva che non c’era motivo di preoccuparsi, che altri guardiani erano già stati di piantone al locale e non era successo niente, era già capitato tante volte che per una bazzecola si erano creati dei misteri terribili, come se fossero autentiche bestie a sette teste, e quando si era andato a vedere da vicino c’erano solo fumo, vento, illusione, voglia di credere nell’incredibile. I minuti passavano, il sonno era lontano, Marta si era appena detta che avrebbe fatto meglio ad accendere la luce e mettersi a leggere un libro quando le parve di udire la porta della camera del padre che si apriva. Visto che lui non aveva l’abitudine di alzarsi durante la notte, tese l’orecchio, probabilmente voleva andare in bagno, ma i passi, di lì a poco, cominciarono a risuonare, cauti ma percettibili, nella saletta d’ingresso. Forse va in cucina a bere un po’ d’acqua, pensò. Il rumore inconfondibile del chiavistello la fece alzare rapidamente. S’infilò in fretta la vestaglia e uscì. Il padre aveva la mano sulla maniglia della porta. Dove andate a quest’ora, domandò Marta, In giro, disse Cipriano Algor, Avete il diritto di andare dove volete, siete maggiorenne e vaccinato, ma non potete uscire senza dire niente, come se in casa non ci fosse nessun altro, Non farmi perdere tempo, Perché, avete paura di arrivare dopo le sei, domandò Marta, Se già sai dove voglio andare, non hai bisogno di altre spiegazioni, Riflettete almeno che potreste creare dei problemi a vostro genero, Come hai detto tu stessa, sono maggiorenne e vaccinato, Marçal non può essere responsabilizzato per le mie azioni, Forse i suoi superiori saranno di un’altra opinione, Non mi vedrà nessuno, e nel caso spuntasse qualcuno ordinandomi di tornare indietro dirò

che soffro di sonnambulismo, Le vostre battute sono totalmente a sproposito in questo momento, Allora parlerò sul serio, Spero bene di si, Laggiù sta succedendo qualcosa e io devo saperlo, Qualunque cosa ci sia non potrà rimanere segreta per tutta la vita, Marçal mi ha detto che ci avrebbe raccontato tutto, di ritorno dal turno, Benissimo, ma a me una descrizione non basta, voglio vedere con i miei occhi, In tal caso, andate, andate, e non tormentatemi più, disse Marta, piangendo. Il padre le si avvicinò, le cinse le spalle con un braccio, l’abbracciò, Per favore, non piangere, disse, la cosa peggiore di tutte, lo sai, è che non siamo più gli stessi da quando ci siamo trasferiti qui. Le diede un bacio, poi uscì chiudendo la porta lentamente. Marta andò a prendere una coperta e un libro, si sedette su uno dei divanetti del salotto, si coprì le ginocchia. Non sapeva quanto tempo sarebbe durata l’attesa. Il piano di Cipriano Algor non poteva essere più semplice. Si trattava di scendere con un montacarichi fino al piano zerocinque e poi abbandonarsi alla sorte e al caso. Con molte meno armi si sono vinte pure delle battaglie, pensò. E con molte di più si sono perse, aggiunse per scrupolo d’imparzialità. Aveva notato che i montacarichi, probabilmente perché destinati quasi esclusivamente al trasporto di materiali, non erano provvisti di telecamere, almeno visibili, e se qualcuna ci fosse stata, di quelle minuscole e nascoste, quasi sicuramente l’attenzione dei sorveglianti della centrale doveva essere concentrata sugli accessi esterni e sui piani commerciali e di attrazioni. Se si era sbagliato, lo avrebbe saputo ben presto. In primo luogo, supponendo che i piani di abitazione al di sopra del livello del suolo formassero un blocco con i dieci piani sotterranei, gli conveniva usare il montacarichi più vicino alla facciata interna per non perdere tempo a cercare una via fra i mille contenitori di ogni tipo e dimensione che immaginava custoditi sotto terra, in particolare in quel famoso piano zerocinque che gli interessava. Tuttavia, non fu troppo sorpreso quando si ritrovò in uno spazio ampio, aperto, privo di merci, che ovviamente era destinato a facilitare l’accesso al luogo dello scavo. Un muro maestro, fra due pilastri, era stato demolito, da lì si entrava. Cipriano Algor guardò l’orologio, erano le due e quarantacinque. Benché ridotta, l’illuminazione permanente del piano sotterraneo non lasciava intuire se qualche luce all’interno dello scavo attenuasse il buio pesto della fauce che lo avrebbe inghiottito. Avrei dovuto portare una torcia, pensò. Allora si ricordò di aver letto una volta che il modo migliore di accedere in un luogo al buio, se si vuole vedere immediatamente cosa c’è dentro, è chiudere gli occhi prima di entrare e aprirli dopo. Si, pensò, devo fare proprio così, chiudo gli occhi e ci cado dentro, fino al centro della terra. Non ci cadde. Quasi rasente al suolo, alla sua sinistra, c’era una tenue luminosità che non tardò a materializzarsi, dopo qualche passo, in una fila di torce disposte a semicerchio. Illuminavano una rampa di terra che in fondo formava un pianerottolo da cui partiva un’altra rampa. Talmente spesso, talmente denso era il silenzio che Cipriano Algor poteva udire il battito del proprio cuore. Andiamo, pensò, Marçal si prenderà lo spavento peggiore della sua vita. Cominciò a scendere la rampa, arrivò al pianerottolo, scese la rampa successiva, un altro pianerottolo, lì si fermò. Più avanti, due fari posti a un’estremità e all’altra, in modo che la luce non convergesse all’interno, mostravano la forma oblunga dell’entrata di una

grotta. Su un terrapieno a destra c’erano due piccole scavatrici. Marçal stava seduto su uno sgabello, accanto a lui un tavolo su cui c’era una torcia. Non aveva ancora visto il suocero. Cipriano Algor uscì dalla semipenombra dell’ultimo pianerottolo e disse a voce alta, Non ti spaventare, sono io. Marçal si alzò precipitosamente, tentò di parlare ma la gola non fece uscire le parole, e ce n’era ben donde, che gli scagli la prima pietra chi pensa che avrebbe detto con tutta la calma del mondo, Salve, come mai da queste parti. Fu solo quando il suocero gli era ormai davanti che Marçal, sia pure a fatica, riuscì ad articolare, Cosa fate qui, che stupida idea avete avuto di venire quaggiù, ma, contrariamente a ciò che detterebbe la logica, non c’era rabbia nella sua voce, vi si notava piuttosto, oltre al naturale sollievo di chi alla fin fine non si ritrova minacciato da uno spettro nefasto, una specie di soddisfazione un po’ vergognosa, qualcosa tipo un commosso sentimento di gratitudine che forse un giorno sarà confessato, Cosa fate qui, ripeté, Sono venuto a vedere, disse Cipriano Algor, E non avete pensato ai problemi che mi piomberanno addosso se si verrà a sapere, non avete pensato che potrebbe costarmi l’impiego, Dirai che tuo suocero è un perfetto idiota, un irresponsabile che dovrebbe stare ricoverato in un manicomio, infilato in una camicia di forza, Certo che ci guadagnerei un sacco con queste spiegazioni, non c’è dubbio. Cipriano Algor volse lo sguardo verso la cavità e domandò, Hai visto cosa c’è dentro, Si, rispose Marçal, Cos’è, Giudicate voi stesso, qui c’è una torcia, se volete, Vieni con me, No, anch’io sono entrato da solo, C’è una pista tracciata, un qualche passaggio, No, si deve solo proseguire sempre a sinistra e non perdere il contatto con la parete, giù in fondo troverete ciò che siete venuto a cercare. Cipriano Algor accese la torcia ed entrò. Ho dimenticato di chiudere gli occhi, pensò. La luce indiretta dei fari consentiva di vedere ancora un tre o quattro metri di suolo, il resto era nero come l’interno di un corpo. C’era un declivio non molto pronunciato, ma irregolare. Prudentemente, sfiorando la parete con la mano sinistra, Cipriano Algor cominciò a scendere. A un certo punto gli parve di avvertire che c’era alla sua destra qualcosa che poteva essere una piattaforma o un muro. Si disse che, tornando indietro, avrebbe appurato di cosa si trattava, Probabilmente è qualcosa che hanno fatto per trattenere la terra, e continuò a scendere. Aveva l’impressione di aver già camminato molto, forse una trentina o una quarantina di metri. Guardò indietro, verso l’imboccatura della grotta. Stagliata contro la luce dei fari, sembrava davvero lontana, Non ho camminato tanto, pensò, è che mi sto disorientando. Intuiva che il panico aveva cominciato, insidiosamente, a graffiargli i nervi, si era immaginato tanto coraggioso, tanto superiore a Marçal, e adesso era quasi sul punto di fare dietrofront e risalire di corsa su per il pendio. Si accostò alla roccia, respirò profondamente, A costo di morirci, disse, e riprese a camminare. Tutt’a un tratto, come se avesse girato su se stessa ad angolo retto, la parete si presentò davanti a lui. Aveva raggiunto la fine della grotta. Abbassò il fascio di luce della torcia per accertarsi della solidità del suolo, fece due passi e stava per fare il terzo quando il ginocchio destro urtò contro qualcosa di duro che gli fece emettere un gemito. Con l’urto la luce oscillò, davanti agli occhi gli comparve, per un istante, quella che sembrava una panchina di pietra, e subito dopo, nell’istante successivo, allineate, alcune sagome indistinte apparvero e scomparvero. Un violento tremore scosse le

membra di Cipriano Algor, il suo coraggio vacillò come una corda di cui si stessero spezzando gli ultimi fili, ma dentro di sé udì un urlo che lo richiamava all’ordine, Rammenta, a costo di morirci. La luce tremula della torcia percorse lentamente la pietra bianca, sfiorò leggermente delle stoffe scure, risalì, ed era un corpo umano seduto quello che stava lì. Accanto a lui, coperti con le stesse stoffe scure, altri cinque corpi seduti, tutti eretti come se uno spiedo di ferro avesse loro trapassato il cranio e li tenesse avvitati alla pietra. La parete liscia del fondo della grotta era a dieci palmi dalle orbite scavate, dove i globi oculari dovevano essersi ridotti a un granello di polvere. Cos’è questa roba, mormorò Cipriano Algor, cos’è mai questo incubo, chi erano queste persone. Si avvicinò di più, passò lentamente il fascio di luce sulle teste scure e risecchite, questo è un uomo, questa è una donna, un altro uomo, un’altra donna, e un altro uomo ancora, e un’altra donna, tre uomini e tre donne, vide resti di funi che sembravano esser servite per immobilizzare i loro colli, poi abbassò la luce, altre funi uguali tenevano le gambe legate. Allora, lentamente, molto lentamente, come una luce che non avesse fretta di apparire, ma che si avvicinasse per mostrare la verità delle cose fino ai loro angoli piú scuri e reconditi, Cipriano Algor si rivide alla fornace mentre entrava nel forno, vide la panchina di pietra che i muratori avevano dimenticato e vi si sedette, e di nuovo udì la voce di Marçal, ma stavolta le parole sono diverse, chiamano e richiamano, inquiete, da lontano, Papà, mi sentite, rispondetemi. La voce rimbomba nell’interno della grotta, gli echi rimbalzano da una parete all’altra, si moltiplicano, se Marçal non starà un minuto zitto non ci sarà possibile udire la voce di Cipriano Algor che dice, distante, come se anch’essa fosse un’eco, Sto bene, non ti preoccupare, ora vengo. La paura era scomparsa. La luce della torcia accarezzò nuovamente i miseri volti, le mani ridotte a pelle e ossa incrociate sulle gambe, e, soprattutto, guidò la stessa mano di Cipriano Algor quando andò a sfiorare, con un rispetto che sarebbe religioso se non fosse semplicemente umano, la fronte secca della prima donna. Non c’era altro da fare li, Cipriano Algor aveva capito. Come il cammino circolare di un calvario, che andrà sempre a incontrare il calvario successivo, la salita fu lenta e dolorosa. Marçal era sceso per andargli incontro, gli tese la mano per aiutarlo, quando uscirono dall’oscurità verso la luce erano abbracciati, e non sapevano da quando. Esausto, Cipriano Algor si accasciò sullo sgabello, posò il capo sul tavolo e, senza rumore, a stento gli si notava Il tremore delle spalle, cominciò a piangere. Via, papà, ho pianto anch’io, disse Marçal. Poco dopo, più o meno ripresosi dall’emozione, Cipriano Algor guardò il genero in silenzio, come se in quel momento non avesse un modo migliore di dirgli che lo stimava, poi domandò, Sai cos’è, Si, ho letto qualcosa in passato, rispose Marçal, E dunque saprai che quello che c’è lì, essendo ciò che è, non ha realtà, non può essere reale, Lo so, Eppure io ho toccato con questa mano la fronte di una di quelle donne, non è stata un’illusione, non è stato un sogno, se ci tornassi ora troverei gli stessi tre uomini e le stesse tre donne, le stesse corde che li legano, la stessa panchina di pietra, la stessa parete davanti, Se non sono gli altri, visto che loro non sono esistiti, chi sono questi, domandò Marçal, Non lo so, ma dopo averli visti ho ripensato che forse ciò che realmente non esiste è quello a cui diamo il nome di non esistenza. Cipriano Algor si alzò lentamente, ancora gli tremavano le gambe, ma, in generale, le forze del corpo gli erano

tornate. Disse, Mentre scendevo ho avuto l’impressione di vedere a un certo punto qualcosa tipo un muro o una piattaforma, se potessi modificare la direzione di uno di quei fari, non ebbe bisogno di concludere la frase, Marçal si mise a girare un volante, ad azionare una manopola, e immediatamente la luce si allungò sul terreno fino a colpire la base di un muro che attraversava la grotta da parte a parte, ma senza arrivare alle pareti. Non c’era nessuna piattaforma, solo un passaggio lungo il muro. Manca soltanto una cosa, mormorò Cipriano Algor. Avanzò di alcuni passi e di colpo si bloccò, È qui, disse. Sul suolo si vedeva una grande macchia nera, in quel punto il terreno era bruciato, come se per lungo tempo ci fosse stato ad ardere un falò. Non vale piú la pena continuare a domandarci se siano esistiti oppure no, disse Cipriano Algor, ecco qui le prove, ciascuno ne trarrà le conclusioni che riterrà giuste, io ho già tratto le mie. Il faro tornò al suo posto, e anche l’oscurità, poi Cipriano Algor domandò, Vuoi che rimanga a farti compagnia, No, grazie, disse Marçal, tornate a casa, Marta starà in pena, pensando al peggio. Arrivederci, allora, Arrivederci, papà, fece una pausa, e subito dopo, con un sorriso un po’ forzato, come quello di un adolescente che nell’istante in cui si concede si ritrae, aggiunse, Grazie per essere venuto. Cipriano Algor guardò l’orologio quando arrivò al piano zerocinque. Erano le quattro e mezzo. Il montacarichi lo portò al trentaquattresimo piano. Nessuno lo aveva visto. Marta gli aprì la porta silenziosamente, con le stesse cautele la richiuse, Come sta Marçal, domandò, Sta bene, non ti preoccupare, hai davvero un grand’uomo, te lo dico io, Cosa c’è là sotto, Prima fammi sedere, mi sento come se avessi preso una scarica di botte, non ho più l’età per questi sforzi, Cosa c’è là sotto, domandò di nuovo Marta dopo che si erano seduti, Là sotto ci sono sei persone morte, tre uomini e tre donne, Non mi sorprende, era proprio ciò che pensavo, che doveva trattarsi di resti umani, succede spesso negli scavi, solo non capisco il perché di tutti questi misteri, tanto segreto, tanta sorveglianza, le ossa mica fuggono, e non credo che rubarle meriterebbe il lavoro che ci vorrebbe, Se fossi scesa con me comprenderesti, anzi, sei ancora in tempo per andarci, Lasciate perdere queste idee, Non è facile lasciar perdere certe idee dopo aver visto ciò che ho visto, E cosa avete visto, chi sono quelle persone, Siamo noi, disse Cipriano Algor, Cosa volete dire, Che siamo noi, io, tu, Marçal, tutto il Centro, probabilmente il mondo, Spiegatevi, per favore, Prestami attenzione, ascolta. Ci volle mezz’ora per raccontare la storia. Marta l’ascoltò senza interrompere neanche una volta. Alla fine, disse solo, Si, credo abbiate ragione, siamo noi. Non parlarono piú fino a che non arrivò Marçal. Quando lui entrò, Marta gli si buttò fra le braccia, Cosa faremo, domandò, ma Marçal non ebbe il tempo di rispondere. Con voce decisa, Cipriano Algor diceva, Voi deciderete per la vostra vita, io me ne vado via. 21. Ecco le vostre cose, disse Marta, non era molto, entrano comodamente nella valigia più piccola, sembra addirittura che sapevate di venire solo per tre settimane, Arriva un momento nella vita in cui dovrebbe bastare essere ancora capaci di trasportarsi sulle spalle il proprio corpo, disse Cipriano Algor, È una bella frase, non c’è dubbio, ma vorrei proprio che mi diceste di cosa vivrete,

Guardate i gigli di campo, che non filano né tessono, Anche questa è una bella frase, ecco perché non sono mai riusciti a essere altro che gigli di campo, Sei una scettica rabbiosa, una ripugnante cinica, Per favore, babbo, sto parlando sul serio, Scusa, Capisco che per voi sia stato un colpo, come del resto, anche senza esserci andata, lo è stato per me, capisco che quegli uomini e quelle donne sono molto di più che semplici persone morte, Non dire altro, proprio perché sono molto di più che semplici persone morte io non voglio continuare a vivere qui, E noi, e io, domandò Marta, Deciderete della vostra vita, io ho già deciso della mia, non rimarrò per il resto dei giorni legato a una panchina di pietra a guardare una parete, E come vivrete, Ho il denaro che hanno pagato per le statuine, servirà per un paio di mesi, poi vedrò, Non mi riferivo al denaro, in un modo o nell’altro non vi mancherà il necessario per mangiare e vestirvi, volevo dire come farete a vivere da solo, Ho Trovato, e voi mi farete qualche visita di tanto in tanto, Babbo, Cosa c’è, E Isaura, Cosa c’entra Isaura con questo, Mi avete detto che la situazione fra voi due era cambiata, non avete spiegato come né perché, ma lo avete detto, Ed è vero, In tal caso, In tal caso, che, Potreste vivere insieme, direi. Cipriano Algor non rispose. Afferrò la valigia, Allora vado, disse. La figlia lo abbracciò, Verremo al primo riposo di Marçal, nel frattempo dateci notizie, quando arrivate telefonatemi per dirmi come avete trovato la casa, e Trovato, non dimenticatevi di Trovato. Con un piede fuori della porta, Cipriano Algor disse ancora, Dài un abbraccio a Marçal, Glielo avete già dato voi, lo avete salutato, Si, ma dagliene un altro. Quando arrivò alla fine del corridoio, si voltò indietro. La figlia era laggiù in fondo, fra le porte, gli faceva un cenno di saluto con una mano mentre con l’altra si premeva la bocca per non scoppiare in singhiozzi. A presto, disse, ma lei non lo udì. Il montacarichi lo portò fino in garage, ora bisognava scoprire dove avevano posteggiato il furgone e se si metteva in moto dopo tre settimane di immobilità, a volte partono le batterie, Ci mancherebbe altro, pensò, inquieto. Non accadde ciò che temeva, il furgone fece il suo dovere. È vero che non riuscì a mettersi in moto alla prima, né alla seconda, ma alla terza partì con un rumore degno di ben altro motore. Qualche minuto dopo, Cipriano Algor si trovava nel viale, non che avesse la strada libera davanti a sé, ma avrebbe potuto essere molto peggio, malgrado la lentezza era la stessa corrente di transito a trasportarlo. Non c’era da meravigliarsi che il traffico fosse intenso, alle automobili piacciono immensamente le domeniche e per il padrone di una macchina diventa quasi impossibile resistere alla cosiddetta pressione psicologica, all’automobile basta esserci, non ha bisogno di parlare. Finalmente, la città è rimasta alle spalle, ora arrivano i quartieri di periferia, fra poco compariranno le baracche, fra tre settimane saranno arrivate alla strada, no, mancano ancora una trentina di metri, e subito dopo c’è la Cintura Industriale, quasi tutto fermo, solo poche fabbriche che sembrano fare del lavorio continuo la propria religione, e ora la triste Cintura Verde, le serre opache, grigie, livide, ecco perché le fragole avranno perso il colore, ci manca poco che siano bianche fuori come ormai cominciano a esserlo dentro e abbiano il sapore di qualsiasi cosa che non sappia di niente. Svoltiamo adesso a sinistra, laggiù in fondo, dove si vedono quegli alberi, si, quelli raggruppati come se fossero un mazzetto, c’è un importante sito archeologico ancora da esplorare, lo so da fonte sicura, non capita tutti i giorni di avere la fortuna di

ricevere un’informazione del genere direttamente dalla bocca del fabbricante. Cipriano Algor si è già domandato come gli sia stato possibile lasciarsi rinchiudere per tre settimane senza vedere il sole e le stelle, a meno di non torcere il collo da un trentaquattresimo piano con le finestre che non si potevano aprire, quando aveva qui questo fiume, sia pure maleodorante e scarso, questo ponte, sia pure vecchio e malandato, e queste rovine che un tempo erano abitazioni, e il paese dov’era nato e cresciuto, dove aveva lavorato, con la sua strada nel mezzo e la piazza sbilenca, quelli che stanno camminando, quell’uomo e quella donna, sono i genitori di Marçal, ancora non li avevamo visti in tutto il tempo di questa storia, dal loro aspetto nessuno direbbe che hanno quel brutto carattere che gli si attribuisce e di cui hanno dato notevoli prove, ecco qual è il pericolo delle apparenze, quando ci sbagliamo è sempre al peggio, Cipriano Algor aveva sporto il braccio fuori dal finestrino del furgone e li salutava come se fossero i suoi migliori amici, sarebbe stato meglio non lo avesse fatto, ora la cosa più probabile è che pensino si sia preso gioco di loro, e invece non è vero, non era questa l’intenzione, fatto sta che Cipriano Algor è contento, fra tre minuti vedrà Isaura e avrà Trovato fra le braccia, a meno che non accadrà esattamente il contrario, e cioè, Isaura fra le braccia e Trovato che saltella, aspettando che gli prestino attenzione. La piazza è superata, all’improvviso, senza avvisare, a Cipriano Algor gli si è stretto il cuore, lui sa della vita, lo sanno entrambi, che nessuna dolcezza di oggi sarà in grado di alleviare l’amarezza di domani, che l’acqua di questa fonte non potrà ammazzarti la sete in quel deserto, Non ho lavoro, non ho lavoro, mormorò, ed era questa la risposta che avrebbe dovuto dare, senz’altri fronzoli né sotterfugi, quando Marta gli ha domandato di che sarebbe vissuto, Non ho lavoro. Su questa stessa strada, in questo stesso punto, come il giorno in cui tornava dal Centro con la notizia che non gli avrebbero più comprato le stoviglie, Cipriano Algor ridusse la velocità del furgone. Non voleva arrivare, voleva essere già arrivato, e tra una cosa e l’altra ecco li la svolta per la via dove abita Isaura Madruga, la casa è quella laggiù, all’improvviso il furgone ebbe una gran fretta, all’improvviso frenò, all’improvviso ne balzò fuori Cipriano Algor, all’improvviso salì i gradini, all’improvviso suonò il campanello. Suonò una volta, due, tre volte. Nessuno venne ad aprire la porta, nessuno diede alcun segno da dentro, Isaura non spuntò, Trovato non abbaiò, il deserto previsto per l’indomani si era anticipato a oggi. Eppure dovevano esserci tutti e due, oggi è domenica, non si lavora, pensò. Sconcertato, ritornò al furgone, incrociò le braccia sul volante, la cosa normale sarebbe andare a parlare con i vicini, ma a lui non era mai piaciuto far conoscere i fatti propri, in realtà, quando domandiamo di qualcuno riveliamo di noi stessi molto più di quanto si potrebbe immaginare, per nostra fortuna le persone interrogate, per la maggior parte, non hanno l’udito preparato a cogliere ciò che si nasconde dietro parole apparentemente tanto innocenti come queste, Ha visto per caso Isaura Madruga. Due minuti dopo riconosceva che, a ben rifletterci, doveva essere altrettanto sospetto starsene lì fermo ad attendere davanti casa quanto andare, con fare di falsa naturalezza, a domandare al primo vicino se, casualmente, non avesse visto uscire Isaura. Vado a cercarli, pensò, può darsi che li incontri. Il giro per il paese risultò inutile, Isaura e Trovato sembravano essersi dileguati dalla faccia della terra. Cipriano Algor decise di andare a casa,

avrebbe ritentato nel tardo pomeriggio, Saranno andati da qualche parte, pensò. Il motore del furgone intonò la canzone del ritorno a casa, il conducente vedeva già le fronde più alte del gelso, e all’improvviso, come un lampo nero, Trovato si precipitò dall’alto, abbaiando, correndo all’impazzata giù per il viottolo, il cuore di Cipriano Algor si ritrovò a una pulsazione dallo svenimento, ma non fu per via dell’animale, questo amore, per quanto grande sia, non arriva a tanto, fu per aver pensato che Trovato non doveva essere da solo, e che, se non stava da solo, c’era solo una persona al mondo che poteva stare con lui. Aprì lo sportello del furgone, d’un balzo il cane gli saltò in braccio, era pur sempre vero che sarebbe stato lui il primo, e gli leccava la faccia e non gli faceva vedere la strada, quel viottolo in cima al quale compare attonita Isaura Madruga, e ora, per favore, si blocchi tutto, che nessuno parli, che nessuno si muova, che nessuno s’intrometta, questa è la scena commovente per eccellenza, la macchina che risale il sentiero, la donna che ha fatto due passi e di colpo non è riuscita più ad avanzare, guardate come si stringe le mani sul petto, Cipriano Algor che è sceso dal furgone come se entrasse in un sogno, Trovato che gli va appresso e s’intrufola fra le sue gambe, però non accadrà niente di male, ci mancherebbe altro, che si facesse cadere inesteticamente uno dei personaggi principali nel momento culminante dell’azione, questo abbraccio e questo bacio, questi baci e questi abbracci, quante volte bisognerà rammentarvi che quello stesso amore che divora sta supplicando di essere divorato, è sempre stato così, sempre, ma ci sono occasioni in cui ce ne accorgiamo di più. Fu in un intervallo fra due baci che Cipriano Algor domandò, E come mai sei qui, ma Isaura non rispose subito, c’erano altri baci da dare e da ricevere, urgenti quanto il primo, finalmente riprese fiato abbastanza per dire, Trovato è scappato il giorno stesso in cui sei andato via, ha aperto un buco nella siepe del giardino ed è venuto qui, non c’è stato modo di costringerlo a tornare, era deciso ad aspettarti non so fino a quando, l’unico rimedio era lasciarlo qui, portargli da mangiare e da bere, fargli un po’ di compagnia, anche se penso non ne avesse bisogno. Cipriano Algor cercava nelle tasche la chiave di casa, mentre pensava e immaginava, Entreremo tutti e due, entreremo insieme, e ce l’aveva finalmente in mano quando vide che la porta era aperta, che è come devono essere le porte per chi, venendo da lontano, arriva, non ebbe bisogno di domandare perché, Isaura gli diceva tranquillamente, Marta mi ha lasciato una chiave perché venissi di tanto in tanto ad arieggiare la casa, a togliere un po’ di polvere, così, con la scusa di Trovato, sono venuta tutti i giorni, la mattina, prima di andare al negozio, e nel tardo pomeriggio, dopo aver finito di lavorare. Parve che avesse ancora qualcos’altro da aggiungere, ma le labbra le si chiusero saldamente come per bloccare il passaggio alle parole, Non uscirete, ordinavano, però loro si radunarono, unirono le forze, e il massimo che il pudore riuscì a ottenere fu di fare abbassare la testa a Isaura e ridurle la voce a un mormorio, Una notte mi sono fermata a dormire nel tuo letto, disse. Intendiamoci, quest’uomo è un vasaio, dunque un lavoratore manuale, senza raffinatezze di formazione intellettuale e artistica, a parte quelle necessarie all’esercizio della sua professione, di un’età già più che matura, è cresciuto in un’epoca in cui normalmente le persone dovevano reprimere, ciascuna in se stessa e tutte in tutti quanti, le manifestazioni del sentimento e le ansie del corpo, e se è vero

che non sarebbero molti quelli che nel suo ambiente sociale e culturale potrebbero stargli davanti in materia di sensibilità e di intelligenza, sentir dire così di colpo, dalla bocca di una donna con cui non era mai stato tanto in intimità, che ha dormito, lei, nel letto di lui, per quanto energicamente stesse camminando in direzione della casa dove l’equivoco caso si è dato, per forza doveva bloccare il passo, guardare con sgomento l’audace creatura, gli uomini, confessiamolo una volta per tutte, non finiranno mai d’intendere le donne, per fortuna questo qui è riuscito, senza sapere come, a scoprire nel bel mezzo della sua confusione le parole giuste che il momento richiedeva, Non dormirai piú nell’altro. Veramente, questa frase doveva essere proprio così, si sarebbe perso tutto l’effetto se lui avesse detto, per esempio, come chi appone la sua firma su un accordo di convenienze, Bene, giacché tu sei venuta a dormire nel mio letto, io andrò a dormire nel tuo. Isaura aveva di nuovo abbracciato Cipriano Algor dopo quello che lui aveva detto, e non è affatto difficile immaginare con quanto entusiasmo lo facesse, ma lui ebbe un improvviso sussulto in cui, a quanto pare, i sentimenti della passione non c’entravano, Mi sono dimenticato di prendere la valigia dalla macchina, disse solo questo. Senza prevedere ancora le conseguenze del prosaico atto, con Trovato che gli saltellava appresso, aprì lo sportello del furgone e afferrò la valigia. Ebbe la prima intuizione di cosa sarebbe accaduto quando entrò in cucina, la seconda quando entrò nella stanza, ma la certezza assoluta la ebbe solo quando Isaura, con una voce che si sforzava di non tremare, gli domandò, Sei venuto per restare. La valigia era per terra, in attesa di qualcuno che l’aprisse, ma questa operazione, benché necessaria, poteva aspettare. Cipriano Algor chiuse la porta. Ci sono momenti così nella vita, perché il cielo si apra bisogna che una porta si chiuda. Mezz’ora dopo, ormai pacificato, come una spiaggia su cui la marea va calando, Cipriano Algor raccontò cos’era successo nel Centro, la scoperta della grotta, l’imposizione del segreto, la sorveglianza, la discesa nello scavo, il negrum all’interno, la paura, i morti legati alla panchina di pietra, le ceneri del falò. All’inizio, quando lo aveva visto risalire il sentiero con il furgone, Isaura aveva pensato che Cipriano tornasse a casa perché non riusciva a sopportare più la separazione e l’assenza, e quest’idea, com’è pensabile, aveva confortato il suo ansioso cuore d’amante, ma ora, con il capo abbandonato nella concavità della spalla di lui, sentendo la mano di lui sulla sua vita, le due ragioni le sono parse altrettanto giuste, e inoltre, se ci prendiamo la briga di osservare che c’è almeno un aspetto, quello dell’insopportabilità, in cui l’una e l’altra si toccano e si accomunano, automaticamente non esiste più alcun motivo serio per affermare che le due ragioni sono contraddittorie fra di loro. Isaura Madruga non è particolarmente versata in storie antiche e invenzioni mitologiche, ma le sono bastate solo due semplici parole per comprendere il nocciolo della questione. Anche se noi le conosciamo già, non c’è niente da perdere nel metterle per iscritto di nuovo, Eravamo noi. Il pomeriggio, com’era stato combinato, Cipriano Algor telefonò a Marta per dirle che era arrivato bene, che la casa stava come se l’avessero lasciata il giorno prima, che per poco Trovato non era impazzito di felicità, e che Isaura le mandava un abbraccio. Da dove parlate, domandò Marta, Da casa, ovviamente, E Isaura, Isaura è qui accanto a me, le vuoi parlare, Si, ma prima

ditemi cosa sta succedendo, A cosa ti riferisci, A questo, al fatto che Isaura è li, Ti dispiace, Non dite sciocchezze e smettetela di girare a vuoto, rispondetemi, Isaura rimane con me, E voi con chi restate, babbo, L’uno con l’altra, se era questo che volevi sentire. All’altro capo, ci fu un silenzio. Poi Marta disse, Mi date una grande gioia, Dal tono non si direbbe, Il tono non ha niente a che vedere con queste parole, ma con altre, Quali, Il domani, il futuro, Avremo tempo di pensare al futuro, Non fingete, non chiudete gli occhi alla realtà, sapete perfettamente che per noi il presente è finito, Voi state bene, noi qua ci arrangeremo, Io non sto affatto bene e non sta bene neanche Marçal, Perché, Se li non c’è futuro, non ci sarà neanche qui, Spiegati meglio, per favore, Ho un figlio che mi cresce nella pancia, se, quando sarà padrone delle proprie azioni, vorrà vivere in un posto come questo, avrà fatto la sua volontà, ma che io lo partorisca qui, questo no, Avresti dovuto pensarci prima, Non è mai troppo tardi per correggere un errore, anche quando non c’è più rimedio per le conseguenze, e per queste potrà ancora esserci, Come, Per prima cosa, dovremo parlare a lungo, Marçal e io, poi si vedrà, Pensaci bene, non essere precipitosa, L’errore, caro babbo, può anche essere la conseguenza di averci pensato bene, e inoltre, che io sappia, non sta scritto da nessuna parte che il fatto di precipitarsi debba condurre per forza a cattivi risultati, Spero tu non debba sbagliarti mai, Non sono tanto ambiziosa, vorrei solo non sbagliarmi questa volta, e ora, se mi permettete, chiudiamo il dialogo tra padre e figlia, passatemi Isaura, che devo dirle tante cose. Cipriano Algor passò il telefono e uscì nell’aia. Ecco la fornace dove un residuo solitario di creta si sta seccando, ecco il forno dove trecento statuine si domandano perché diavolo le avranno fatte, ecco la legna che aspetterà inutilmente che la portino in fornace. E Marta che dice, Se qui non ci sarà futuro, non c’è neanche lì. Oggi Cipriano Algor ha conosciuto la felicità, il cielo aperto dell’amore che dichiarato si è consumato, e ora ci sono di nuovo le nuvole di tempesta, le ombre maligne del dubbio e del timore, basta pensare che quello che il Centro gli ha pagato per le statuette, sia pure stringendo la cinghia fino all’ultimo buco, non basterà per più di due mesi, e che la differenza fra ciò che guadagna la commessa Isaura Madruga al negozio e lo zero dev’essere praticamente un altro zero. E dopo, domandò, guardando il gelso nero, e lei rispose, Dopo, un vecchio amico, come sempre, il futuro. Quattro giorni dopo Marta ritelefonava, Verremo domani pomeriggio. Cipriano Algor fece dei rapidi conti, Ma il riposo di Marçal non dovrebbe essere adesso, Infatti no, Allora, Serbate le domande per quando arriveremo, Vuoi che vi venga a prendere, Non ne vale la pena, prenderemo un tassì. Cipriano Algor disse a Isaura che gli sembrava strana quella visita, A meno che, aggiunse, la distribuzione dei riposi non sia stata modificata per via di qualche confusione burocratica provocata dalla scoperta della grotta, ma in tal caso sarebbe stato più naturale dirlo e non farmi rimandare le domande al loro arrivo, Un giorno passa in fretta, disse Isaura, domani sapremo. In definitiva, il giorno non passò tanto rapidamente quanto pensava Isaura. Ventiquattr’ore a pensare sono tante, e si dice ventiquattr’ore perché il sogno non è tutto, di notte, probabilmente, ci sono altri pensieri nella nostra testa che tirano una tenda e continuano a pensare senza che nessuno lo sappia. Cipriano Algor non si era dimenticato delle parole categoriche di Marta riferite al figlio che sta per

nascere, Che io lo partorisca qui, questo no, una frase decisamente esplicita, senz’ambagi, non uno di quegli insiemi di suoni vocali più o meno organizzati che perfino quando affermano sembrano dubitare di se stessi. La conclusione, pertanto, a rigor di logica, poteva essere soltanto una, Marta e Marçal andavano via dal Centro. Se lo faranno, sarà una sciocchezza, diceva Cipriano Algor, di cosa vivranno poi, La stessa domanda ci si potrebbe fare a noi, disse Isaura, e non per questo mi vedi preoccupata, Tu credi nella divina provvidenza che veglia sui poveracci, No, credo piuttosto che ci siano occasioni nella vita in cui dobbiamo lasciarci portare dalla corrente di ciò che accade, come se le forze per resistere ci mancassero, ma all’improvviso percepiamo che il fiume si è messo a nostro favore, nessun altro se n’è accorto, solo noi, chi guarda crederà che stiamo per naufragare, e la nostra navigazione non è mai stata tanto salda, Speriamo che l’occasione in cui ci troviamo sia una di queste. Fra non molto si saprà. Marta e Marçal scesero dal tassì, scaricarono dal portabagagli un certo numero di colli, meno di quelli che si erano portati nel Centro, Trovato sfogò l’emozione facendo due giri forsennati intorno al gelso nero, e quando il tassì ridiscese il sentiero per tornare in città Marçal disse, Non sono più un dipendente del Centro, ho dato le dimissioni. Cipriano Algor e Isaura non ritennero di dover manifestare alcuna sorpresa, che per giunta sarebbe suonata falsa, ma almeno una certa domanda erano obbligati a farla, una di quelle domande inutili senza le quali sembra che non possiamo vivere, Sei sicuro che sia stata la cosa migliore per voi, e Marçal rispose, Non so se sia stata la cosa migliore o peggiore, ho fatto ciò che dovevo, e non sono stato l’unico, hanno dato le dimissioni anche altri due colleghi, un esterno e un residente, E al Centro, come hanno reagito, Chi non si adatta non serve e io non mi adattavo più, le ultime due frasi furono pronunciate dopo cena, E quand’è che hai sentito che non ti adattavi più, domandò Cipriano Algor, La grotta è stata l’ultima goccia, come lo è stata anche per voi, E per quei tuoi colleghi, Si, anche per loro. Isaura si era alzata e aveva cominciato a sparecchiare la tavola, ma Marta disse, Lascia stare, poi rigoverniamo insieme, dobbiamo decidere cosa fare, Isaura, disse Cipriano Algor, è dell’opinione che dovremmo lasciarci portare dalla corrente di ciò che accade, che arriva sempre un momento in cui percepiamo che il fiume è a nostro favore, Io non ho detto sempre, lo corresse Isaura, ho detto che ci sono delle occasioni, in ogni modo non fateci caso, è solo una fantasia che mi è passata per la mente, A me serve, approvò Marta, almeno è molto simile a quello che ci è accaduto, Cosa faremo allora, domandò il padre, Marçal e io cercheremo di trovare una sistemazione lontano da qui, è deciso, con il Centro è finita, con la fornace era già finita, da un momento all’altro ci siamo ritrovati come degli estranei in questo mondo, E noi, domandò Cipriano Algor, Non vi aspetterete che sia io a consigliarvi cosa dovrete fare, Intendo bene se penso che ci stai proponendo di separarci, Intendete male, dico piuttosto che le ragioni di alcuni possono non essere le ragioni di tutti, Potrei esprimere un’opinione, suggerire un’idea, domandò Isaura, in realtà non so se ne ho il diritto, faccio parte della famiglia da neanche una mezza dozzina di giorni, eppure mi sento come se fossi venuta in prova, come se fossi entrata dalla porta nel retro, C’eri già da mesi, da quella famosa brocca, disse Marta, quanto al resto delle parole che hai pronunciato, che sia mio padre a rispondere, A parte il fatto che lei sembra

avere un’opinione da dare, un’idea da suggerire, non ho sentito altro, e dunque qualsiasi apprezzamento mio in questo momento sarebbe di sicuro fuori discussione, disse Cipriano Algor, Qual era la tua idea, domandò Marta, Ha a che vedere con quella fantasia della corrente che ci porta via, disse Isaura, Spiegati, Ed è la cosa più semplice del mondo, So già qual è l’idea, interruppe Cipriano Algor, Qual è, domandò Isaura, Andiamo via anche noi, Esatto. Marta tirò un profondo respiro, Per avere delle idee fattibili, non c’è niente come una donna, Ci conviene non essere precipitosi, disse Cipriano Algor, Cosa vuoi dire, domandò Isaura, Hai la tua casa, il tuo lavoro, E allora, Abbandonare tutto così, voltare le spalle, Già prima avevo abbandonato tutto, già prima avevo voltato le spalle, quando mi sono stretta quella brocca al petto, bisognava proprio che fossi uomo per non capire che stavo stringendo te, le ultime parole quasi si persero in un’improvvisa irruzione di singhiozzi e di lacrime. Cipriano Algor tese timidamente la mano, le sfiorò un braccio, e lei non riuscì a evitare che il pianto s’intensificasse, o forse c’era bisogno che andasse coìi, a volte non sono sufficienti le prime lacrime, dobbiamo pregarle, per favore, di continuare. I preparativi occuparono tutto il giorno successivo. Prima da una casa, poi dall’altra, Marta e Isaura scelsero quanto ritennero necessario per un viaggio di cui non si conosce la meta e che non si sa come né dove si concluderà. Il furgone fu caricato dagli uomini, con l’aiuto dei latrati stimolanti di Trovato, oggi tutt’altro che inquieto per quello che era, con la massima chiarezza, un nuovo trasferimento, perché nella sua testa di cane non poteva neppure entrare l’idea che lo stessero per abbandonare una seconda volta. La mattina della partenza spuntò col cielo grigio, aveva piovuto durante la notte, nell’aia c’erano, qua e là, piccole pozze d’acqua, e il gelso nero, per sempre aggrappato alla terra, gocciolava ancora. Andiamo, domandò Marçal, Andiamo, disse Marta. Montarono sul furgone, i due uomini davanti, le due donne dietro, con Trovato in mezzo, e quando Marçal stava per mettere la macchina in movimento, Cipriano Algor disse bruscamente, Aspetta. Scese dal furgone e si diresse al forno, Dove va, domandò Marta, Cosa andrà a fare, mormorò Isaura. La porta del forno venne aperta, Cipriano Algor entrò. Quando poco dopo ne uscì era in maniche di camicia e si serviva della giacca per trasportare qualcosa di pesante, delle statuine, non poteva essere altro, Vuole portarsele per ricordo, disse Marçal, ma si sbagliava, Cipriano Algor si avvicinò alla porta di casa e cominciò a disporre le statuette per terra, in piedi, fissate nel terreno umido, e dopo averle disposte tutte tornò nel forno, a quel punto anche gli altri viaggiatori erano scesi dal furgone, nessuno fece domande, a uno a uno entrarono anche loro nel forno e portarono fuori le statuine, Isaura corse al furgone a prendere un cesto, un sacco, qualsiasi cosa, e a poco a poco le statuine andavano occupando lo spazio davanti casa, e allora Cipriano Algor entrò nella fornace e prese dagli scaffali le statuette difettose che aveva radunato lì, e le riunì alle loro sorelle ben fatte e sane, con la pioggia si trasformeranno in fango, e poi in polvere quando il sole le asciugherà, ma questo è il destino di ognuno di noi, ora le statuette non sono più di guardia solo davanti alla casa, ma difendono anche l’entrata della fornace, alla fine ci saranno più di trecento statuine che guardano fisso, pagliacci, buffoni, eschimesi, mandarini, infermiere, assiri con la barba, fino ad ora Trovato non ne ha ancora buttata giù nessuna, Trovato è un cane coscienzioso, sensibile,

quasi umano, non c’è bisogno di spiegargli cosa sta succedendo. Cipriano Algor andò a chiudere la porta del forno, disse, Ora possiamo andare. Il furgone fece manovra e scese giù per il sentiero. Arrivato alla strada, svoltò a sinistra. Marta piangeva con gli occhi asciutti, Isaura l’abbracciava, mentre Trovato si rannicchiava in un canto del sedile perché non sapeva da chi accorrere. Dopo alcuni chilometri, Marçal disse, Scriverò ai miei genitori quando ci fermeremo per pranzare. E subito dopo, rivolgendosi a Isaura e al suocero, C’era un manifesto, di quelli grandi, sulla facciata del Centro, riuscite a indovinare cosa diceva, domandò, Non ne abbiamo idea, risposero entrambi, e allora Marçal disse, come se recitasse, ENTRO BREVE, APERTURA AL PUBBLICO DELLA CAVERNA DI PLATONE, ATTRAZIONE ESCLUSIVA, UNICA AL MONDO, ACQUISTA SUBITO IL BIGLIETTO.