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PATRICIA CORNWELL
Kay Scarpetta
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Abbandonato il suo lavoro di patologa forense a Charleston, in South Carolina, Kay Scarpetta viene convocata dal dipartimento di polizia di New York per esaminare un paziente dell'ospedale psichiatrico di Bellevue accusato di omicidio, il quale ha espressamente fatto il suo nome e non intende parlare con nessun altro. Quando entra nella cella, Kay si trova di fronte a un uomo affetto da nanismo, ferito ma ritenuto ancora così pericoloso da trovarsi ammanettato e incatenato. Tuttavia, Oscar Bane sostiene di non essere lui l'autore del delitto e racconta a Kay una storia incredibile, secondo la quale le ferite che ha sul corpo sarebbero sì state provocate durante il delitto di Terri Bridges, la sua ragazza, ma che il responsabile sarebbe qualcun altro. Qualcuno che lo ha spiato, seguito, studiato e che infine ha aggredito lui e Terri. Sembra una storia poco credibile, e Oscar potrebbe facilmente essere uno psicopatico, ma le torture e le mutilazioni che Terri ha subito sono altrettanto al limite dell'incredibile. E poco dopo, un nuovo terribile omicidio viene commesso. Così, assieme allo psicologo forense Benton, da poco suo marito, e Lucy, la nipote anch'essa trasferitasi a New York, Kay comincia un'indagine che attraversa le strade della città e le pieghe più buie di Internet, per scoprire che l'omicida potrebbe essere in realtà molto più vicino di quanto creda. Patricia Cornwell ritorna con una nuova indagine che scava nelle più profonde oscurità umane. Questo libro è un'opera di fantasia. Personaggi e luoghi citati sono invenzioni dell'autrice e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone, vive o scomparse, è assolutamente casuale.
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KAY SCARPETTA A Ruth (1920-2007) E come sempre, con gratitudine, a Staci Frammenti di tessuto cerebrale, simili a lanugine umida e grigia, punteggiavano le maniche del camice macchiato di sangue della dottoressa Kay Scarpetta. Si sentivano lo scroscio dell'acqua corrente nei lavabi d'acciaio e il ronzio della sega Stryker, e nell'aria aleggiava polvere d'osso fine come farina. Tre tavoli erano occupati, e si attendevano altri cadaveri. Era martedì 1 gennaio, il giorno di Capodanno. Kay Scarpetta non aveva bisogno di eseguire un esame tossicologico per capire che il suo paziente aveva bevuto parecchio, prima di spararsi premendo il grilletto del fucile con l'alluce. Nell'attimo in cui lo aveva aperto, era stata investita dall'odore putrido dell'alcol semidigerito. Agli inizi della sua carriera di anatomopatologa, si era chiesta se portare alcolisti e drogati a fare un tour in obitorio potesse essere un buon sistema per indurli a smettere. Chissà se vedendo un cranio aperto come un portauovo e sentendo la puzza dello champagne post mortem si sarebbero convertiti alla Perrier? Purtroppo, non era così che funzionava. Osservò il suo vice, Jack Fielding, che sollevava in blocco gli organi interni dalla cavità toracica di una studentessa universitaria rapinata e uccisa davanti a un bancomat. Si aspettava che desse in escandescenze da un momento all'altro. Durante la riunione mattutina dello staff, Fielding aveva 4
commentato rabbiosamente che la vittima aveva la stessa età di sua figlia, anche lei campionessa di atletica e iscritta al primo anno di medicina. Quando si lasciava prendere troppo da un caso diventava poco professionale. «Non si usa più affilare i bisturi?» urlò Fielding. La lama oscillante della sega Stryker strideva, e l'inserviente che stava aprendo un cranio replicò gridando: «Le pare che ne abbia il tempo?». Fielding gettò il bisturi sul carrello con un gesto rabbioso. «Non si può lavorare così, cazzo!» «Buon Dio, dategli uno Xanax o qualcosa del genere.» L'inserviente fece leva con uno scalpello per scoperchiare la calotta cranica. Kay Scarpetta posò un polmone sulla bilancia e ne annotò il peso su un DotPaper con una smartpen. Non usava più penne a sfera e fogli di carta: le nuove tecnologie le permettevano, quando tornava nel suo studio, di trasferire direttamente testi e disegni sul computer. Tuttavia non esistevano ancora strumenti capaci di registrare il flusso dei pensieri, perciò Kay, una volta terminata l'autopsia e dopo essersi tolta i guanti, era costretta a dettarli a un registratore. Dirigeva un istituto moderno e dotato di tutto ciò che lei considerava essenziale in un mondo che ormai non riconosceva, dove la gente credeva che la medicina legale fosse quella mostrata negli sceneggiati televisivi e dove la violenza non era più un problema sociale, ma una guerra. Iniziò a sezionare il polmone e prese mentalmente nota del fatto che, come prevedibile, presentava una pleura viscerale liscia e luccicante e un parenchima rosa opaco, atelectasico, con una modesta quantità di 5
schiuma rosa. Oltre a questo, non si notavano grosse lesioni e la vascolarizzazione polmonare era nella norma. Si interruppe quando vide entrare Bryce, il suo giovane segretario amministrativo, con la faccia schifata. Non era un tipo schizzinoso e ormai si era abituato a quello che succedeva lì dentro; doveva solo essere risentito per qualche motivo. Bryce prese una manciata di fazzoletti di carta dal dispenser e se la avvolse attorno alla mano, prima di sollevare la cornetta del telefono nero appeso alla parete, sul quale brillava una lucina rossa. «Benton, ci sei ancora?» chiese. «E qui vicino a me, con un coltellaccio in mano. Di sicuro ti avrà accennato alle specialità del giorno. La studentessa della Tufts è la peggiore: l'hanno ammazzata per duecento dollari. Uno dei Bloods, dei Crips o di qualche altra banda di stronzi. È stato ripreso dalle telecamere di sorveglianza. Al telegiornale non passano altro. A mio avviso non dovrebbe occuparsene Jack: va fuori di testa. E poi il suicida, sì. Tornato dall'Iraq senza un graffio, in perfetta forma. Buone feste, e spassatela, mi raccomando...» Kay Scarpetta si scostò la mascherina dal viso e si levò i guanti insanguinati gettandoli poi nel bidone rosso dei rifiuti biologici. Si lavò con cura le mani nel profondo lavandino d'acciaio. «Tempo pessimo, su tutti i fronti» continuò Bryce ciarliero sempre rivolgendosi a Benton, che non amava le chiacchiere. «Siamo al completo, e Jack è depresso e irritabile. Te l'ho già detto? Forse dovremmo fare qualcosa. Magari offrirgli un weekend nel tuo ospedale di Harvard. Probabilmente avremmo diritto a uno sconto famiglia...» 6
Kay gli prese il telefono e gettò i fazzoletti di carta nella spazzatura. «Piantala di dare addosso a Jack» disse a Bryce. «Secondo me ha ricominciato a prendere steroidi: per questo è così di cattivo umore.» Kay voltò le spalle a lui e a tutto il resto. «Cos'è successo?» chiese a Benton. Si erano parlati all'alba. Il fatto che lui l'avesse richiamata poche ore dopo, mentre era in sala autopsie, non lasciava presagire nulla di buono. «Abbiamo un problema, temo» rispose Benton. Le stesse parole che aveva usato la sera prima, quando Kay era tornata a casa dalla scena del crimine del bancomat e lo aveva trovato che si metteva il cappotto per andare all'aeroporto a prendere il volo Boston - New York. Il dipartimento di polizia di New York aveva un problema e lo aveva convocato con urgenza. «Jaime Berger vorrebbe che ci raggiungessi.» Il solo sentire quel nome la innervosiva e le provocava un senso di soffocamento. Non tanto per il procuratore di New York in sé, quanto perché Jaime Berger era legata a un passato che Kay avrebbe preferito dimenticare. Benton aggiunse: «Prima arrivi, meglio è. Magari potresti prendere il volo dell'una». L'orologio appeso alla parete segnava quasi le dieci. Kay avrebbe dovuto portare a termine l'autopsia, farsi una doccia, cambiarsi e passare da casa. "Cibo" pensò. Minestra di ceci, mozzarella, polpette, pane. Cos'altro? La ricotta con il basilico fresco che a Benton piaceva tanto sulla pizza. Tutti manicaretti che aveva preparato il giorno prima, non potendo immaginare 7
che avrebbe passato la sera di Capodanno da sola. Nel loro appartamento di New York sicuramente non c'era niente da mangiare. Quando era solo, Benton comprava tutto in gastronomia. «Vieni direttamente al Bellevue» le disse. «Puoi lasciare i bagagli nel mio ufficio. Ho già la tua valigetta.» Kay riusciva a malapena a sentirlo sopra lo stridore ritmato di un bisturi che veniva affilato con ampi gesti aggressivi. Suonò il campanello e sullo schermo del sistema di sorveglianza a circuito chiuso apparve una manica scura appoggiata al finestrino di un furgone bianco di una ditta di consegne. «Qualcuno va ad aprire, per favore?» gridò Kay. Nel reparto detentivo del moderno Bellevue Hospital Center, Benton, con l'auricolare, parlava alla moglie, che si trovava a circa trecento chilometri di distanza. Le spiegò che la sera prima, molto tardi, nel reparto di psichiatria forense era stato ricoverato un uomo. Poi disse: «La Berger vuole che lo visiti tu». «Di cosa è accusato?» chiese Kay. In sottofondo, Benton sentiva voci indistinte e i rumori tipici di quello che spiritosamente definiva "il cantiere di decostruzione" di Kay. «Per ora, di niente» rispose. «Ieri sera c'è stato un omicidio molto insolito.» Fece scorrere un testo sul monitor del suo computer. «Vuoi dire che il mio intervento non è stato richiesto in maniera formale?» Kay scandiva le parole alla velocità del suono. «Non ancora. Ma è importante che tu veda immediatamente quell'uomo.» 8
«Avrebbero dovuto visitarlo subito, appena ricoverato. Qualsiasi prova materiale ormai si sarà persa, o quanto meno sarà contaminata.» Benton continuò a far scorrere le informazioni sul video, rileggendole e domandandosi in quale modo parlargliene. Dal tono, era chiaro che Kay era all'oscuro di tutto; Benton sperava che non lo venisse a sapere da qualcun altro e che Lucy lasciasse gestire a lui la faccenda, come le aveva chiesto, nonostante fino a quel momento non ci fosse riuscito granché bene. Jaime Berger era stata molto professionale quando gli aveva telefonato pochi minuti prima, e Benton aveva dedotto che non fosse a conoscenza dei meschini pettegolezzi apparsi su Internet. Non sapeva neppure lui perché le avesse taciuto la cosa: eppure non gliene aveva parlato, anche se avrebbe dovuto dirle la verità ormai da tempo. Avrebbe dovuto spiegarle tutto quasi sei mesi prima. «Ha solo ferite superficiali» spiegò a Kay. «È in isolamento, e si rifiuta di parlare e di collaborare finché non verrai tu. Jaime non vuole che gli si facciano pressioni e ha deciso di aspettare te, dato che è quanto lui ha chiesto...» «Da quando in qua si fa quello che vuole il detenuto?» «Pubbliche relazioni, motivi politici... E comunque non è un detenuto, come tutti gli altri ricoverati in questo reparto, del resto. È un "paziente".» Si rendeva conto che erano banalità, ma si sentiva agitato. Non era da lui, pensò. «Come ho detto, non è stato accusato di alcun crimine. Non c'è un mandato, non c'è niente di niente. È un semplice ricovero, e non 9
possiamo costringerlo a restare nemmeno per settantadue ore, perché non ha firmato il consenso. Al momento, non abbiamo ragioni di trattenerlo. Forse dopo il tuo intervento cambierà qualcosa, ma ora come ora è libero di andarsene quando gli pare.» «E ti aspetti che io trovi elementi che consentano alla polizia di accusarlo formalmente di omicidio? Come sarebbe a dire: "Non ha firmato il consenso"? Aspetta un attimo. Questo paziente è entrato di sua spontanea volontà in un reparto detentivo a condizione di potersene andare quando gli pare?» «Ti spiegherò meglio quando ci vediamo. E no, non mi aspetto che trovi qualcosa. Nessuno si aspetta nulla, Kay. Ti sto solo chiedendo di venire perché è una situazione molto complessa. E Jaime Berger ci tiene molto.» «Però al mio arrivo questo tizio potrebbe essersene già andato.» Benton intuì il commento inespresso di Kay: avrebbe voluto fargli notare che non si stava comportando come lo psicologo forense freddo e imperturbabile che conosceva da quasi vent'anni. Ma lei era sul lavoro e non era sola. Non gli avrebbe domandato cosa cazzo gli era preso. «Non se ne andrà prima del tuo arrivo» le disse. «Non capisco perché si trovi lì.» Kay non mollava. «Nemmeno noi l'abbiamo capito fino in fondo. In poche parole, quando gli agenti sono intervenuti sulla scena del crimine, ha insistito per essere trasferito al Bellevue...» «Come si chiama?» «Oscar Bane. Ha detto che l'unica persona da cui si sarebbe lasciato fare una valutazione psicologica ero io. 10
Così mi hanno convocato e, come ben sai, sono partito subito per New York. I medici lo spaventano. Soffre di attacchi di panico.» «Come mai ti conosce?» «Perché conosce te.» «Me?» «Ha consegnato i vestiti alla polizia, ma dice che se vogliono cercare prove materiali sul suo corpo - e, ripeto, non c'è un mandato - dovrai essere tu a esaminarlo. Speravamo che dopo un po’ si calmasse e accettasse di farsi vedere da un medico legale di qui. Invece è irremovibile. Sostiene di essere terrorizzato dai medici. Soffre di odinofobia e disabiliofobia.» «Cioè ha paura del dolore e di spogliarsi davanti a qualcuno?» «Soffre anche di calliginefobia. È intimorito dalle belle donne.» «Ora capisco perché ha chiesto di me.» «Ovviamente, voleva essere una battuta. Pensa che tu sia bellissima e sicuramente non ha paura di te. Sono io che dovrei averne.» Era la verità. Benton non voleva che Kay lo raggiungesse né che mettesse piede a New York. «Ricapitolando, Jaime Berger vuole che prenda un aereo nel bel mezzo di una bufera di neve per venire a visitare in un reparto detentivo un paziente che non è stato accusato di nessun reato...» «Se riesci a partire da Boston, il tempo qui è bello. Fa solo un gran freddo.» Benton guardò fuori dalla finestra: il cielo era grigio. «Lascia che finisca di occuparmi del mio sergente riservista, che è rimasto vittima della guerra in Iraq 11
ma lo ha capito solo dopo essere tornato a casa. Ci vediamo a metà pomeriggio» replicò. «Fai buon viaggio. Ti amo.» Benton chiuse la comunicazione e ricominciò a far scorrere il testo sul monitor, su e giù, leggendo e rileggendo; come se, a furia di guardarlo, quell'articolo anonimo potesse diventare meno offensivo, meno brutto, meno odioso. "Ferisce più la spada che la lingua" diceva sempre Kay. Forse era vero all'Istituto di medicina legale, ma non nella vita. Le parole erano in grado di far male, molto male. Quale mostro poteva avere scritto una cosa del genere? Come era riuscito a scoprire tutte quelle informazioni? Benton riprese il telefono. Durante il tragitto verso il Logan International Airport, Kay non prestava molta attenzione a quanto diceva Bryce. Il suo assistente non aveva smesso un momento di parlare da quando era passato a prenderla a casa. Per lo più si lamentava del dottor Jack Fielding e sosteneva che chi vive nel passato si comporta come i cani che mangiano il proprio vomito, o come la moglie di Lot, che si guardò alle spalle e fu trasformata in una statua di sale. Le similitudini bibliche di Bryce, numerose e irritanti, non avevano nulla a che vedere con il suo credo religioso, sempre che ne avesse uno: erano perle tratte da una tesina sulla Bibbia come testo letterario che aveva scritto al college. In realtà, stava cercando di dirle che non è opportuno assumere persone appartenenti al proprio passato, come Jack Fielding. Aveva avuto dei problemi, d'accordo, ma chi non ne ha? Quando Kay aveva accettato di dirigere l'Istituto di medicina legale a 12
Boston e si era messa alla ricerca di un vice, si era domandata cosa stesse facendo Fielding; lo aveva cercato e aveva scoperto che non stava combinando niente di eccezionale. Benton era stato insolitamente arrendevole al riguardo, forse addirittura condiscendente: solo adesso Kay capiva perché. Le aveva fatto notare che spesso, quando si ha bisogno di stabilità e ci si sente sopraffatti dai cambiamenti, si torna indietro anziché andare avanti. Era comprensibile che lei avesse voglia di assumere qualcuno che conosceva sin dall'inizio della sua carriera, le aveva detto. Quando guardiamo indietro, però, rischiamo di vedere solo quello che vogliamo, quello che ci fa stare tranquilli. Benton si era ben guardato dal parlare dei motivi per cui Kay aveva bisogno di sicurezza. Aveva preferito non sfiorare neppure la questione se lei fosse felice della loro vita insieme, caotica e disordinata come non mai. Da quando, più di quindici anni prima, si erano conosciuti e amati, all'inizio clandestinamente, non avevano mai abitato nella stessa città e non avevano idea di cosa fosse la convivenza quotidiana. Questo fino all'estate precedente, quando si erano sposati nel giardino della casa di Kay, a Charleston, nel South Carolina, dove lei aveva installato un laboratorio privato che in seguito era stata costretta a chiudere. Da lì si erano quindi trasferiti a Belmont, nel Massachusetts, per essere vicini al McLean, l'ospedale psichiatrico in cui lavorava Benton, e a Watertown, dove aveva sede l'istituto di medicina legale del Commonwealth" s Northeastern District in cui operava Kay. Dato che New York era vicina, entrambi avevano 13
deciso di accettare l'invito a insegnare al John Jay College of Criminal Justice. Tale incarico comportava anche un certo numero di consulenze gratuite al dipartimento di polizia di New York, all'Istituto di medicina legale di New York e ai reparti di psichiatria forense come quello del Bellevue. «... So che non è il genere di cose che leggi e che probabilmente non gli dai importanza, ma a costo di farti imbestialire te ne voglio parlare.» La voce di Bryce si insinuò tra le elucubrazioni di Kay. «Scusa. A cos'è che non do importanza?» «Ehi, pronto? Non mi ascoltare, lasciami pure parlare da solo...» «Scusa. Riavvolgi il nastro.» «Dopo la riunione dello staff non ho detto niente perché non volevo distrarti da tutto il casino di stamattina. Ho pensato fosse meglio aspettare che avessi finito e discuterne a quattr'occhi. Nessuno vi ha fatto cenno, quindi credo che gli altri non l'abbiano visto. Meglio così, no? Jack era già abbastanza arrabbiato. Certo, lo è sempre, tant'è che ha l'eczema e l'alopecia. A proposito, hai notato la crosta che ha dietro l'orecchio destro? È stato a casa durante le feste. Vacanze in famiglia: una cura miracolosa per i nervi.» «Quanti caffè hai bevuto oggi?» «Perché te la prendi sempre con me? Ambasciator non porta pena, ti ricordo. Parlo, parlo, e tu non mi ascolti, finché quello che sto cercando di dirti raggiunge la massa critica. Allora ecco che te la prendi con me. Se ti fermi a New York per più di una sera, fammelo sapere il prima possibile, per favore, così mi organizzo. Devo fissarti una serie di appuntamenti con quel personal trainer che ti piace tanto? Com'è che si 14
chiama?» Bryce si mise a riflettere toccandosi le labbra con un dito. «Kit» si rispose da solo. «Magari la prossima volta che hai bisogno di me a New York prendo un appuntamento anch'io. Ho le maniglie dell'amore.» Si diede un pizzicotto sui fianchi. «Anche se ho sentito dire che, dopo i trenta, l'unica cosa che funziona è la liposuzione» aggiunse. «È l'ora del siero della verità?» Le lanciò un'occhiata. Gesticolava come se le mani avessero vita propria e non facessero parte del suo corpo. «Ho letto di lui in Internet» confessò. «Mi sorprende che Benton gli permetta di starti vicino. Mi ricorda... come si chiamava il tizio di Queer as Folk? Il campione di football... quello che aveva un Hummer ed era omofobo, finché non si è messo con Emmett, che tutti dicono mi assomigli da matti. O viceversa, visto che è lui quello famoso. Bè, probabilmente tu non lo guardi, Queer as Folk.» «In che senso, "ambasciator non porta pena"? E, per favore, tieni almeno una mano sul volante, dal momento che stai guidando in una bufera di neve. Quanti caffè hai bevuto?» gli chiese di nuovo Kay. «Ho visto due bicchieri di Starbucks sulla tua scrivania. Spero che non siano entrambi di stamattina. Ricordi il nostro discorso sulla caffeina? Che è una droga e quindi crea dipendenza?» «E tutto incentrato su di te» continuò Bryce. «Non era mai successo. E strano, di solito non parla di una sola persona, sai? L'autore, che è anonimo, va in giro a curiosare come una cazzo di spia, e in genere copre di merda un sacco di personaggi famosi alla volta. L'altra settimana è toccato a Bloomberg e a... come si 15
chiama quella modella che arrestano sempre perché lancia oggetti contro le persone? Bè, stavolta è stata lei a essere stata lanciata fuori da Elainé s a calci nel culo: pare che abbia fatto una battutaccia a Charlie Rose. Barbara Walters? No, mi confondo con The View. Aspetta... forse la modella di cui non ricordo il nome se l'è presa con il cantante di American Idol. No, era in Ellen, non da Elainé s. E non era Clay Aiken né Kelly Clarkson. Chi è l'altro? Il TiVo mi sta ammazzando. È come se il telecomando facesse zapping tra i canali per conto suo. Ti è mai successo?» I fiocchi di neve si spiaccicavano sul parabrezza come moscerini bianchi; i tergicristalli, con il loro movimento ipnotico, erano inutili. Il traffico avanzava lento ma regolare e mancavano pochi minuti per arrivare al Logan. «Bryce?» disse Kay nel tono che usava sempre quando voleva zittirlo per avere una risposta. «A cos'è che non do importanza?» «A quel blog di gossip, Gotham Gotcha.» Kay l'aveva visto pubblicizzato sugli autobus e i taxi di New York. Il suo autore, anonimo, era famoso per la velenosità. Tutti ne parlavano e cercavano di indovinare chi fosse: alcuni sostenevano che si trattasse di un emerito sconosciuto, altri di un giornalista vincitore del Pulitzer che si divertiva a denigrare il prossimo facendoci un mucchio di soldi. «Cattivo» aggiunse Bryce. «Bè, è così che dev'essere, però stavolta ha esagerato. Io non leggo quella robaccia, ma per ovvie ragioni ho predisposto un Google Alert con il tuo nome, così mi arriva comunicazione di tutti i siti in cui compari. C'è una foto, ed è la parte peggiore: non è molto lusinghiera.» 16
Benton si appoggiò allo schienale e fissò il muro di mattoni fuori dalla finestra del suo studio nell'opaca luce invernale. «Mi sembri raffreddata» disse al telefono. «Non mi sento molto bene. Altrimenti ti avrei richiamato prima. Non mi chiedere cosa abbiamo fatto ieri sera per ridurci così. Gerald non si vuole alzare da letto. E non per lussuria» replicò la dottoressa Thomas. Oltre che una collega del McLean, era anche la psichiatra di Benton. Non c'era niente di strano in questo. Come amava dire lei stessa, che era nata nel distretto minerario della Virginia occidentale: "Gli ospedali sono più incestuosi delle comunità rurali". I medici si curavano l'un l'altro e assistevano i rispettivi parenti e conoscenti. Si prescrivevano reciprocamente farmaci e facevano ricette a parenti e conoscenti. Andavano a letto assieme, ma per fortuna non con parenti e conoscenti. A volte si sposavano. Il marito della dottoressa Thomas era un radiologo del McLean che aveva in cura la nipote di Kay Scarpetta, Lucy Farinelli, e lavorava nel laboratorio di neuroimaging funzionale dove Benton aveva lo studio. La Thomas sapeva tutto di lui, o quasi. Era la prima persona a cui Benton aveva pensato alcuni mesi prima, quando si era reso conto di sentire la necessità di parlare con qualcuno. «Hai aperto il link che ti ho mandato?» le chiese. «Sì, e la domanda è: per chi sei più preoccupato? Io ho l'impressione che la risposta sia: per te stesso. Cosa ne pensi?» «Penso che se così fosse sarei estremamente egoista» rispose lui. 17
«Sarebbe normale che ti sentissi cornuto e umiliato. La gelosia è un mostro dagli occhi verdi...» replicò la donna. «Dimenticavo che in una vita precedente eri un'attrice shakespeariana» ribatté Benton. «Comunque no, non mi sento cornuto. Non è che Kay si sia gettata fra le braccia di un altro. Lei non ha fatto niente, poveraccia. Se mai mi fossi dovuto sentire geloso, sarebbe accaduto all'epoca dei fatti. Ma così non è stato. Ero troppo preoccupato per lei. E non dirmi che sto negando l'evidenza.» «No, ti informo però che, all'epoca dei fatti, la faccenda non era di dominio pubblico» osservò la dottoressa Thomas. «Non è più difficile, se lo sanno tutti? Le hai detto dell'articolo in Internet? L'ha già visto?» «Non gliene ho parlato e sono sicuro che non l'ha visto. Mi avrebbe chiamato per avvertirmi. È buffo, ma è fatta così.» «Già. Kay e i suoi fragili eroi di carta velina. Perché non gliel'hai detto?» «Non era il momento giusto» rispose Benton. «Per te o per lei?» «Stava lavorando, era in sala autopsie» spiegò. «Ho preferito aspettare. Voglio farlo di persona.» «Spiegami, Benton. Le hai parlato stamattina presto, immagino. Non vi sentite sempre all'alba?» «Sì, stamattina presto.» «E sapevi già dell'articolo in Internet, dal momento che Lucy ti aveva chiamato... a che ora, all'una di notte? Perché la tua ipomaniaca nipote acquisita ha programmato il computer in modo che emetta un segnale di allarme che la svegli non appena uno dei 18
suoi motori di ricerca scova qualcosa di importante nel cyberspazio.» La dottoressa Thomas non scherzava. Lucy aveva realmente attivato una serie di segnali sonori che l'avvisavano se un motore di ricerca trovava qualcosa di importante. «In realtà, mi ha chiamato a mezzanotte. Quel dannato articolo era appena apparso in rete» rispose Benton. «Ha chiamato te, non Kay.» «Sì, per fortuna. Le ho detto che volevo parlargliene io, e lei ha capito.» «Ma poi non lo hai fatto» osservò la dottoressa Thomas. «Siamo di nuovo al punto di partenza: quando hai telefonato a Kay sapevi già da diverse ore cosa c'era in Internet, ma glielo hai taciuto. Non credo sia perché vuoi dirglielo di persona. Purtroppo, è molto probabile che lo scopra da qualcun altro. Magari è già successo.» Benton fece un profondo respiro, strinse le labbra e si domandò quando aveva iniziato a perdere fiducia in se stesso e nella propria capacità di inquadrare le persone, e a reagire di conseguenza. Era sempre stato molto abile a capire al volo con chi avesse a che fare. Kay lo prendeva addirittura un po’ in giro per questo. Gli presentavano qualcuno, oppure ne coglieva un frammento di conversazione, e sapeva delineare che tipo fosse. Peraltro, si sbagliava di rado. Quella volta, invece, aveva clamorosamente sottovalutato il pericolo. Non riusciva a capacitarsi di come avesse potuto essere così ottuso. Aveva visto la rabbia e la frustrazione crescere in Marino anno dopo anno, intuendo che sarebbe stata solo questione di 19
tempo e la sua furia autodistruttiva avrebbe preso il sopravvento. Ma non si era preoccupato. Non gli aveva mai dato abbastanza peso per temerlo. Non l'aveva nemmeno mai considerato un uomo, prima che la sua mascolinità diventasse un pericolo. Era stato stupido. Tutti vedevano quanto Marino fosse maschilista e lunatico, e a lui invece era sfuggito. Eppure era un professionista e nella sua carriera aveva avuto a che fare con molti criminali e stupratori. «Quando penso a lui, nutro fantasie omicide» disse alla dottoressa Thomas. «Ovviamente, non le metterei mai in pratica. Sono solo pensieri. Credevo di averlo perdonato ed ero fiero di me stesso per come avevo superato la cosa. Dove sarebbe andato a finire, senza di me? Ma dopo tutto quello che ho fatto per lui, adesso mi piacerebbe ucciderlo. Anche Lucy lo vorrebbe morto. Quell'articolo in Internet, che rievoca l'accaduto, non aiuta. Adesso che lo sanno tutti, è come se fosse successo di nuovo...» «O forse per la prima volta. Perché ora ti sembra reale.» «Oh, sì che mi sembra reale. Ma è sempre stato così» replicò Benton. «Però la faccenda cambia quando lo vedi in Internet e sai che lo leggono anche milioni di altre persone. È un diverso livello di realtà. Finalmente hai una reazione emotiva. Prima era solo razionale. Per difenderti, hai elaborato l'accaduto a livello mentale. Credo che questo sia un enorme passo avanti, Benton. Doloroso, ma importante.» «Marino, probabilmente, non sa nemmeno che Lucy è a New York. Se lo incontrasse...» Benton si 20
interruppe. «No, esagero. Non credo che lo farebbe fuori; ha superato quella fase da un bel po’ di tempo. No, non lo ucciderebbe. Lo dico perché tu lo sappia.» Benton guardò il cielo grigio fuori dalla finestra: la luce era diminuita e il muro di mattoni sembrava lievemente più scuro di prima. Si mosse sulla sedia e si grattò il mento. Avvertì il proprio odore e si rese conto di avere la barba un po’ lunga. "Ruvida come sabbia" diceva sempre Kay. Era stato in piedi per tutta la notte senza mai uscire dall'ospedale. Aveva bisogno di farsi una doccia, di radersi, di mangiare qualcosa e di dormire qualche ora. «A volte mi sorprendo da solo» proseguì. «Quando mi lascio scappare certe affermazioni su Lucy, per esempio, mi rendo conto di quanto sia assurda la vita che faccio. L'unica persona che non ha mai provato l'istinto di far fuori Marino è Kay. Pensa ancora di essere stata in qualche modo responsabile di quanto è successo, e questo mi fa arrabbiare da morire. Evito di parlarne con lei, e probabilmente è la ragione per cui non le ho detto niente. Tutto il mondo sta leggendo la storia in Internet. Sono stanco. Sono rimasto tutta la notte con una persona di cui non posso parlarti e che sta per diventare un grosso problema.» Smise di fissare fuori dalla finestra, senza però guardare nient'altro. «Finalmente ci stiamo arrivando» commentò la dottoressa Thomas. «Mi chiedevo quando avresti smesso di contar balle su quanto sei buono e puro. Sei incazzato come una iena e non sei un santo. A proposito, ti informo che i santi non esistono.» «Incazzato come una iena. Sì, è corretto.» «Incazzato con lei.» 21
«Sì» disse Benton, e quell'ammissione lo spaventò. «So che non è giusto. Buon Dio, lei è la vittima. E non se l'è certo andata a cercare. Lavorava con lui da un sacco di anni, quindi perché non avrebbe dovuto lasciarlo entrare in casa sua, sebbene fosse ubriaco e fuori di testa? È a questo che servono gli amici, no? Anche se sapeva che lui la desiderava, che cosa poteva farci?» «Lui la desiderava da sempre, fin dal primo incontro. Come te» replicò la dottoressa Thomas. «Ed era innamorato di lei. Come te. Mi chiedo chi dei due si sia innamorato per primo. L'avete conosciuta più o meno nello stesso periodo, no? Nel 1990.» «Sì, bè, Marino aveva un debole per lei da molto tempo, è vero. Kay faceva finta di niente e cercava di non ferire i suoi sentimenti. Potrei stare qui ad analizzare la questione per ore, ma che senso ha?» Benton guardò di nuovo fuori dalla finestra come se parlasse ai mattoni. «Kay non poteva agire in modo diverso» aggiunse. «Non è colpa sua. E, per certi aspetti, non è nemmeno colpa di Marino. Da sobrio non lo avrebbe mai fatto. Nemmeno per scherzo.» «Mi sembri convinto» commentò la dottoressa Thomas. Benton distolse gli occhi dalla finestra e fissò lo schermo del computer. Poi tornò a guardare fuori, come se il cielo plumbeo e gelido fosse un messaggio indirizzato a lui, una metafora. Tolse una graffetta a un articolo che stava correggendo e, con un gesto d'ira improvviso, pinzò le pagine con la cucitrice. Molto probabilmente l'American Psychological Society non avrebbe accettato l'ennesimo pezzo sulle risposte emotive verso i gruppi sociali minoritari. Uno studioso 22
di Princeton aveva appena pubblicato un articolo molto simile a quello che stava per presentare lui. Cominciò ad armeggiare con la graffetta. Era difficile raddrizzarla completamente senza romperla. «Sono stato così poco razionale...» ammise. «Così distante. Fin dal primo giorno. Irrazionale su tutto, e ora ne pago le conseguenze.» «Paghi perché gli altri sanno cosa le ha fatto il tuo amico Marino?» «Non è amico mio.» «Credevo che lo fosse. Credevo che tu lo ritenessi tale» ribatté la dottoressa Thomas. «Non ci siamo mai frequentati. Non abbiamo nulla in comune. Bowling, pesca, moto, football, birra... Bè, la birra no di certo. Non più, almeno per Marino. Ora che ci penso, non ricordo di essere mai uscito a cena con lui, noi due da soli, in vent'anni. Siamo e saremo sempre troppo diversi.» «Marino non è di buona famiglia? Non viene dall'élite del New England? Non è andato al college? Non ha fatto il profiler nell’FBI? Non lavora nella clinica universitaria di Harvard? È questo che intendi?» «Non lo dicevo per snobismo» replicò Benton. «Avete Kay in comune.» «Non proprio. Non è arrivato fino a quel punto» precisò lui. «Quale punto?» «Kay mi ha detto che non è arrivato fino in fondo. Le ha fatto delle cose, certo. Quando mi ha permesso di vederla nuda, me ne sono reso conto. Per un paio di giorni non aveva voluto che la guardassi, trovava delle scuse. Mentiva. Ma io sapevo benissimo che non si era chiusa il portellone dell'auto sui polsi.» 23
Ricordava i lividi, scuri come nubi temporalesche, tipici di quando qualcuno ti stringe i polsi dietro la schiena e ti spinge contro un muro. Quando Benton alla fine le aveva visto il seno, Kay non gli aveva dato spiegazioni. Nessuno le aveva fatto niente di simile prima di allora, e lui non aveva mai visto una cosa del genere, se non sul lavoro. Si era seduto sul letto, l'aveva fissata e aveva provato sgomento, come di fronte a una colomba a cui un mostro spietato abbia spezzato le ali. Non riusciva a togliersi dalla testa l'immagine di Marino che cercava di mangiarla. «Ti sei mai sentito in competizione con lui?» La voce della dottoressa Thomas sembrava distante, mentre Benton immaginava stigmate che non voleva ricordare. Rispose: «La cosa peggiore è che non ho mai provato granché per lui». «Ha passato con Kay molto più tempo di te» gli fece notare lei. «In alcuni, questo potrebbe scatenare un istinto di competizione, o paura.» «Kay non ha mai provato attrazione per Marino, e non la proverebbe nemmeno se fosse l'ultimo uomo sulla faccia della terra.» «Non possiamo esserne sicuri finché non rimarranno solo loro due al mondo. Nel qual caso, tu e io continueremmo a non saperlo.» «Avrei dovuto proteggerla» si rammaricò Benton. «È una cosa che so fare: proteggere le persone che amo, me stesso, anche la gente che non conosco. Non ha importanza. Sono un esperto, altrimenti sarei già morto da tempo. E lo sarebbero in tanti.» «Sì, signor 007, ma quella sera non eri a casa. Ti trovavi qui.» 24
Fu come se la dottoressa Thomas gli avesse dato un pugno. Benton accusò il colpo in silenzio, ma gli mancò il respiro. Piegò la graffetta avanti e indietro, storcendola e raddrizzandola, finché si ruppe. «Ti senti in colpa?» «Ne abbiamo già discusso. E non ho dormito» ribatté Benton. «Sì, abbiamo considerato tutti gli annessi e connessi. Compreso il fatto che non ti sei mai concesso di sentirti personalmente insultato da quello che Marino ha fatto a Kay e che l'hai sposata in tutta fretta subito dopo. Forse troppo in fretta? Sentivi il bisogno di tenere insieme i pezzi, soprattutto perché non avevi previsto l'accaduto, non l'avevi protetta. In realtà, non è diverso da quando lavori su un caso: lo accetti, lo studi, lo analizzi e non ti lasci coinvolgere. Ma nella vita non funziona così. Mi dici che hai pulsioni omicide verso Marino e nelle nostre ultime conversazioni mi hai parlato del tuo acting out sessuale nei confronti di Kay. Di cui lei non è consapevole, giusto? Come forse non è consapevole dell'interesse che provi per altre donne, e che ti turba. È così?» «È normale che gli uomini provino attrazione per altre donne senza concretizzare le loro fantasie.» «Capita solo agli uomini?» chiese la dottoressa Thomas. «Sai cosa intendo.» «Di cosa è consapevole Kay?» «Cerco di essere un buon marito» rispose Benton. «Sono innamorato di lei.» «Temi di avere un'avventura? Hai paura di tradirla?» 25
«Assolutamente no. Non lo farei mai.» «Mai... Eppure hai tradito Connie e l'hai lasciata per Kay. Ma questo è accaduto tanto tempo fa, vero?» «Non ho mai amato nessuna come Kay» ribatté Benton. «Non me lo perdonerei se le facessi del male.» «Mi domando se ti fidi completamente di te stesso.» «Non lo so.» «E di lei ti fidi? È molto attraente e, con le apparizioni sulla CNN, avrà di sicuro un mucchio di ammiratori. Una bella donna, potente, ha solo l'imbarazzo della scelta. E il suo personal trainer? Hai detto di non sopportare il pensiero che quell'uomo la tocchi.» «Sono contento che Kay si prenda cura del suo corpo, e avere un personal trainer è utile. Ti evita di farti male, soprattutto se non sei abituata a esercitarti con i pesi e non hai più vent'anni.» «Si chiama Kit, vero?» A Benton era antipatico. Quando Kay si allenava con lui, trovava sempre delle scuse per non usare la palestra del condominio in cui abitavano. «In verità, che tu abbia o no fiducia in lei, il suo comportamento non cambia» disse la dottoressa Thomas. «Dipende da Kay, non da te. Mi interessa di più sapere se ti fidi di te stesso.» «Non capisco per quale motivo continui a insistere su questo punto.» «Da quando vi siete sposati, le tue abitudini sessuali sono cambiate. Per lo meno è quello che mi hai detto la prima volta che ci siamo parlati. Trovi scuse per non fare sesso quando ti si presenta l'opportunità, e vorresti farlo, testuali parole, "quando 26
non devi". Mi limito a ripetere quello che mi hai riferito. È ancora così?» «Probabilmente» rispose Benton. «È un modo per vendicarti.» «Non mi sto vendicando con lei a causa di Marino. Cristo! Kay non ha fatto nulla di male.» Cercò di trattenere la rabbia. «No» replicò la dottoressa Thomas. «Credo sia più probabile che ti stia vendicando con lei perché è tua moglie. Tu non ne vuoi una, non l'hai mai voluta e non è di una moglie che ti sei innamorato. Sei attratto fisicamente da Kay Scarpetta.» «Ma Kay Scarpetta è mia moglie. In effetti, per molti versi ha più potere di quanto ne abbia mai avuto in vita sua.» «Non è me che devi convincere, Benton.» La dottoressa Thomas non lo trattava come gli altri pazienti: con lui era più aggressiva, lo metteva di fronte alle sue contraddizioni. Il loro non era un normale rapporto terapeuta e paziente. Si conoscevano bene, e ognuno sapeva come ragionava l'altro. La Thomas capiva quando Benton si nascondeva dietro le parole e non tollerava negazione, evasività e comunicazione passiva, né di trascorrere la seduta nell'attesa che lui trovasse il coraggio di iniziare a esporre il suo problema. Dopo un minuto di silenzio, era lei a parlare. Come l'ultima volta, quando lo aveva provocato. "Sei venuto a mostrarmi la tua cravatta di Hermes o hai qualcosa da dirmi? Vuoi che riprendiamo da dove abbiamo interrotto la volta scorsa? Come va la libido?" «E Marino? Lo chiamerai?» gli chiese in quel momento. 27
«E poco probabile» rispose Benton. «Bè, mi sembra che siano molte le persone con cui non vuoi parlare. Sai, credo che, a un certo livello, ciascuno di noi agisca in base a ciò che davvero vuole fare. Per questo è di estrema importanza arrivare a capire quali sono le nostre intenzioni prima che queste ci boicottino. Gerald mi sta aspettando, dobbiamo sbrigare delle commissioni. Stasera abbiamo una cena: ci mancava solo questo...» Era il suo modo per dire: "La seduta è finita". Benton doveva riflettere. Si alzò dalla scrivania e si avvicinò alla finestra, continuando a guardare la plumbea atmosfera invernale. Diciannove piani più in basso, il piccolo giardino dell'ospedale era desolato e la fontana di cemento vuota.
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GOTHAM GOTCHA Buon anno a tutti! Il mio proposito per il nuovo anno è trovare qualcosa che appassioni tutti voi, e mentre riflettevo... Bè, avete presente quando fanno rivedere gli eventi più importanti dell'anno? Quando ci ricordano tutte le cose brutte che sono successe così ci possiamo deprimere di più? Indovinate chi ha riempito lo schermo del mio favoloso Samsung HD al plasma da 58 pollici? La strepitosa dottoressa Kay Scarpetta in persona. Saliva la scalinata del tribunale per andare a testimoniare all'ennesimo sensazionale processo per omicidio. Era con il suo scagnozzo, l'investigatore Pete Marino, e questo significa che le immagini risalgono a sei o sette mesi fa, perché sappiamo tutti che il ciccione non le fa più da spalla. A proposito: chi l'ha visto? È sparito? È partito per una galassia lontana? (Immaginate cosa dev'essere lavorare per una star degli obitori come Kay Scarpetta. Toccasse a me, mi suiciderei. Sperando che non mi faccia lei l'autopsia, però...) Bè, torniamo alla dottoressa Scarpetta sulle scale del tribunale, assediata da cameraman, giornalisti, esaltati e comuni spettatori. Perché lei è la migliore, no? La chiamano in tutto il mondo, dal momento che come lei non c'è nessuno. Così mi sono versato un altro bicchiere di Maker’s Mark, ho messo su i Coldplay e ho guardato Kay Scarpetta che rendeva la sua testimonianza in quel gergo medico incomprensibile ai più. Ma si è capito che la vittima era una bambina, violentata da capo a piedi, tant'è che aveva liquido seminale persino nelle orecchie (credevo succedesse 29
solo con il sesso telefonico). Aveva anche la testa fracassata, quindi la causa del decesso è stata una lesione procurata da un corpo contundente. Allora mi è sorta spontanea una domanda: chi cavolo si crede di essere Kay Scarpetta? Cosa resterebbe di lei senza tutto questo fumo mediatico? Ho fatto qualche ricerca. Tanto per cominciare, è un personaggio politico. Non lasciatevi abbindolare. Non è una paladina della giustizia, non è la voce di chi non può più difendersi da solo, non è un medico che ha fatto suo il principio primum non nocere. (Siamo proprio sicuri che il termine "ipocrita" non venga da "Ippocrate"?) La verità è che Kay Scarpetta è una megalomane. Ci manipola dalla CNN facendoci credere di svolgere un servizio per la comunità quando invece pensa solo al proprio tornaconto... Kay Scarpetta smise di leggere e infilò il BlackBerry nella borsa, irritata che Bryce le avesse consigliato di guardare quelle porcherie. Era disgustata, come se fosse stato lui a scriverle, e anche offesa dal commento che aveva fatto sulla foto: se lo poteva risparmiare. Benché il display del BlackBerry fosse piccolo, aveva capito cosa intendeva quando l'aveva definita poco lusinghiera. Sembrava una diavolessa, con il camice insanguinato e visiera e cuffia monouso tipo quelle per la doccia. Aveva la bocca aperta, perché stava parlando, e stringeva con fare minaccioso un bisturi nella mano guantata, anch'essa sporca di sangue. Al polso portava il cronografo di gomma nera che le aveva regalato Lucy nel 2005 per il compleanno; ciò 30
significava che quella foto era stata scattata negli ultimi tre anni. Ma dove? Kay non lo sapeva. Lo sfondo era stato rimosso. «Trentaquattro dollari e venti centesimi» disse il tassista ad alta voce, frenando di colpo. Guardando fuori dal finestrino, Kay vide il cancello di ferro nero dell'ex ospedale psichiatrico Bellevue, un tetro edificio di mattoni rossi vecchio di due secoli che non vedeva un paziente da anni. Era buio, non c'erano macchine e il gabbiotto del guardiano era vuoto. «Non è questo» disse Kay avvicinandosi al divisorio in plexiglas. «Non è il Bellevue giusto.» Ripeté l'indirizzo che gli aveva dato quando era salita all'aeroporto, ma più lei cercava di spiegarsi più il tassista si incaponiva e le indicava l'entrata, con la scritta OSPEDALE PSICHIATRICO incisa su una lastra di granito. Kay si sporse in avanti e gli fece segno di proseguire verso alcuni grattacieli grigi, ma l'uomo, aggressivo e prepotente, berciava nel suo pessimo inglese e non sembrava intenzionato a portarla da nessun'altra parte: diceva che doveva scendere subito dall'auto. Forse, pensò Kay, era davvero convinto che il Bellevue Hospital Center fosse quell'orrore vecchio e raccapricciante che sembrava uscito da Qualcuno volò sul nido del cuculo. Probabilmente credeva di avere caricato una paziente, magari una pazza criminale che andava a ricoverarsi. Altrimenti perché avrebbe avuto i bagagli? Preferendo proseguire a piedi nella tormenta piuttosto che continuare a discutere, Kay pagò la corsa e scese dal taxi. Si mise le due borse sulle spalle e si incamminò lungo il marciapiede trascinando la valigia 31
con le ruote stracolma di viveri. Premette un tasto sull'auricolare. «Sono quasi arrivata...» iniziò a dire a Benton. «Maledizione!» Il trolley si rovesciò come se qualcuno gli avesse sparato. «Kay? Dove sei?» «Sono dovuta scendere prima...» «Cosa? Perché sei dovuta scendere? Non ti sento...» Poi la batteria si scaricò del tutto. A Kay pareva di essere una barbona mentre camminava al freddo e al gelo carica di borse e con la valigia che si rovesciava ogni due minuti. Tutte le volte che si chinava per raddrizzarla, le scivolavano le borse dalle spalle. Infreddolita e arrabbiata, arrivò finalmente al Bellevue in First Avenue all'altezza della Ventisettesima Est. Era un polo ospedaliero che offriva tutti i servizi, con un grande atrio a vetri, un bel giardino, un rinomato reparto ortopedico, un'unità di rianimazione e un dipartimento di psichiatria forense per pazienti colpevoli di reati che andavano dalla violazione di proprietà privata all'omicidio di John Lennon. Il telefono sulla scrivania di Benton squillò pochi minuti dopo l'interruzione della telefonata con Kay. Sicuro che fosse lei che lo richiamava, disse: «Cos'è successo?». «Stavo per farti la stessa domanda» replicò Jaime Berger. «Scusa. Credevo fossi Kay. Ha dei problemi...» «Non stento a crederlo. Sei stato gentile ad avvertirmi subito, ti ringrazio. Vediamo. Sono passate sei o sette ore: perché non mi hai detto niente?» Jaime Berger doveva avere letto Gotham Gotcha. 32
«È complicato» si giustificò Benton. «Sì, complicatissimo. Dobbiamo parlare. Mi trovo a due minuti dall'ospedale. Vediamoci alla caffetteria.» Il suo piccolo appartamento a Harlem era così vicino al Mannà’s Soul Food che Pete Marino respirava costantemente odore di pollo fritto e costine di maiale. Una vera ingiustizia, per un uomo a cui la deprivazione di cibo e alcol provocava un appetito insaziabile per tutto ciò che non poteva avere. Stava mangiando da un vassoio, seduto su una sedia con lo schienale rigido che dava sul traffico costante della Fifth Avenue. Mise un po' di arrosto di tacchino su una fetta di pane integrale, la ripiegò e la intinse nella senape Nathan’s Coney Island che aveva versato su un piattino di carta. Bevve una lunga sorsata di birra analcolica Sharp’s. Da quando era scappato da Charleston aveva perso venticinque chili e un pezzetto di sé. Aveva dato intere casse di vestiti da motociclista, compresa un'importante collezione di giacche HarleyDavidson, a un bazar della Centosedicesima, e in cambio si era preso tre completi, un cardigan, due paia di scarpe di pelle e numerose camicie e cravatte, tutto made in China. Non portava più il brillante all'orecchio. Il piccolo buco mal posizionato sul lobo destro gli pareva un simbolo della sua vita passata, dissoluta e insoddisfacente. Aveva smesso di radersi la testa come una palla da bowling e i pochi capelli grigi rimasti formavano una specie di aureola argentata. Aveva inoltre deciso di rinunciare alle donne finché non si fosse sentito di nuovo pronto, e alle moto e al pickup perché era troppo difficile trovare parcheggio. Nancy, la sua terapeuta del centro di recupero, lo 33
aveva aiutato a comprendere l'importanza dell'autocontrollo nelle interazioni quotidiane con gli altri, a prescindere dai loro difetti. Con quel suo modo di parlare pittoresco, gli aveva spiegato che l'alcol era come un fiammifero che accendeva la sua ira e che bere, per lui, era una malattia mortale contratta dal padre operaio, ignorante e inadeguato, che appena prendeva la paga si ubriacava e diventava violento. In breve, Marino aveva ereditato la sua malattia fatale, la quale, a giudicare dal viavai nei bar e nei negozi di liquori che incontrava sulla sua strada, sembrava molto diffusa. Era giunto alla conclusione che l'alcol doveva esistere fin dai tempi del giardino dell'Eden e che il serpente aveva dato a Eva non una mela, ma una bottiglia di bourbon. Lei poi l'aveva divisa con Adamo, e così era successo il fattaccio ed erano stati cacciati dal paradiso terrestre, senza niente a parte due foglie di fico. Nancy aveva avvertito Marino che, se non avesse partecipato religiosamente alle riunioni degli Alcolisti Anonimi, avrebbe continuato a essere un ubriacone, di quelli che riescono ad arrabbiarsi e a mostrarsi violenti e cattivi perfino senza l'ausilio di bevande alcoliche. Il punto d'incontro più vicino degli AA era abbastanza comodo da raggiungere, in una chiesa non lontano da un negozio di parrucchiere specializzato in acconciature africane. Marino l'aveva frequentato, anche se non regolarmente. Dopo essersi trasferito lì, c'era andato tre volte in tre giorni, sentendosi assai a disagio con gli altri partecipanti che, gentili e amichevoli in modo sospetto, avevano fatto un giro di presentazioni e l'avevano praticamente obbligato a 34
rilasciare una dichiarazione solenne come se fosse sotto processo. "Mi chiamo Pete e sono un alcolista." "Ciao, Pete." Aveva spedito a Nancy alcune email spiegandole che confessare una qualsiasi cosa era contrario al carattere e alla formazione di un poliziotto, soprattutto davanti a un branco di estranei fra cui poteva esserci un delinquente che un giorno o l'altro magari gli sarebbe toccato arrestare. Inoltre, gli erano bastate tre riunioni per completare tutti e dodici i passi del programma di recupero. In realtà non aveva compilato l'elenco delle persone che aveva fatto soffrire e a cui doveva chiedere scusa. La motivazione era che, in base a quanto stabilito chiaramente dal nono passo, non si deve chiedere scusa a chi potrebbe soffrire ancora di più; e, a suo avviso, in questa categoria rientravano tutti quanti. Il decimo passo era stato il più facile: aveva riempito un intero taccuino con i nomi di coloro che lo avevano fatto soffrire nel corso della vita. Kay Scarpetta non apparteneva a nessuna delle due categorie. Poi, però, era capitata una strana coincidenza. Marino aveva trovato casa, si era accordato con il proprietario dell'appartamento per pagare un affitto ragionevole in cambio di alcuni servizi - per esempio l'esecuzione degli sfratti -, e in seguito aveva scoperto che lo stabile era vicinissimo all'ufficio del ex presidente Clinton, in un palazzo di quattordici piani davanti al quale passava spesso per raggiungere la stazione della metropolitana della Centoventicinquesima. Pensare a Bill Clinton lo faceva 35
riflettere su Hillary Clinton e quindi sulle donne che avevano abbastanza potere da diventare presidenti o leader. E fra queste c'era Kay Scarpetta. Marino era arrivato addirittura a confondere le due, nella sua fantasia. Vedeva Hillary alla CNN, poi Kay, sempre alla CNN, e quando cambiava canale nel tentativo disperato di distrarsi guardando lo sport su ESPN o un film a pagamento, si deprimeva. Il cuore gli doleva come un ascesso a un dente. Non riusciva a togliersi dalla testa Kay Scarpetta e il fatto di non saperla collocare in nessuna delle due categorie. Scriveva il suo nome su una lista, poi lo cancellava e lo riscriveva sull'altra. Si chiedeva cosa sarebbe successo se lei fosse stata eletta presidente degli Stati Uniti. Pete sarebbe finito nell'elenco dei criminali più pericolosi d'America, probabilmente. Sarebbe stato costretto a scappare in Canada. O forse in Messico. Aveva vissuto alcuni anni nel Sud della Florida e se la cavava meglio con lo spagnolo che con il francese. Non capiva i francesi, non gli piaceva la loro cucina e trovava inammissibile che non avessero una birra nazionale, come la Budweiser, la Corona, la Dos Equis, la Heineken o la Red Stripe. Finì di mangiare, bevve un altro sorso di Sharp’s e osservò il viavai di persone interessate solo al take away caraibico, alle boutique, ai juice bar, alle diverse sartorie o forse al vicino cinema Apollo. Ascoltò il rumore delle auto, dei camion e dei pedoni, una sinfonia cacofonica che non gli dispiaceva. Quando faceva caldo, teneva le finestre aperte finché non sopportava più la polvere. Preferiva il chiasso al silenzio, di cui aveva fatto il pieno al centro di recupero, dove non gli era concesso ascoltare musica 36
o guardare la TV ed era costretto a riempirsi la testa delle confessioni di alcolisti e tossicodipendenti, dei propri pensieri tormentati e dei ricordi delle conversazioni fin troppo sincere con Nancy. Si alzò e raccolse il piatto di carta unto, il tovagliolo e la bottiglia vuota. La cucina era a non più di sei passi di distanza, con una piccola finestra sopra il lavello che gli permetteva di vedere lo spiazzo di cemento ricoperto di erba artificiale, con sedie e tavoli di alluminio, che chiamavano "giardino condominiale". Sul bancone della cucina c'era il computer. Lesse l'articolo di gossip uscito quella mattina, che aveva salvato sul desktop, deciso a scoprire chi l'avesse scritto: voleva trovare quel bastardo e cambiargli i connotati. Fino a quel momento/ però, non era riuscito a ottenere informazioni. Aveva cercato Gotham Gotcha su Google, ma non aveva trovato nulla che non sapesse già. Era inutile tentare di rintracciare l'autore del pezzo attraverso le agenzie pubblicitarie che promuovevano sul sito i prodotti più disparati: cibi, liquori, libri, apparecchi elettronici, film e spettacoli televisivi. Non c'era un denominatore comune, solo il fatto che il sito era visitato da milioni di fan assatanati di gossip, i quali quella mattina avevano letto l'episodio peggiore della sua vita. Squillò il telefono. Era l'investigatore Mike Morales. «Cosa c'è?» chiese Marino. «Cerco informazioni, fratello» replicò Morales nel suo tono lento e pigro. 37
«Non sono tuo fratello. E non parlare come un rapper.» Morales aveva il vezzo di presentarsi sempre mezzo addormentato, annoiato, come se fosse sotto l'effetto di oppiacei o sedativi. Marino sospettava che facesse realmente uso di sostanze stupefacenti, ma non poteva saperlo con certezza. Morales era uno snob che aveva studiato al Dartmouth College e poi alla Johns Hopkins, dove, prima di decidere di entrare in polizia, si era laureato in medicina. Marino non riusciva a crederci: se uno aveva l'opportunità di esercitare la professione medica, perché finiva a fare il poliziotto? Inoltre Morales era un contaballe professionista, che metteva in giro ogni genere di storie strane su di sé e rideva come un matto quando i colleghi abboccavano all'amo. Aveva detto che suo cugino era il presidente della Bolivia e che suo padre si era trasferito in America con la famiglia perché credeva nel capitalismo ed era stufo di pascolare lama. Sosteneva di essere cresciuto nella periferia di Chicago e di essere stato grande amico di Barack Obama, finché la politica non li aveva divisi. A questo poteva credere solo un imbecille: nessun candidato presidenziale avrebbe voluto avere a che fare con uno che ti chiama "fratello", porta jeans sformati a vita bassa, grosse catene e anelli d'oro, ha la testa piena di dreadlock e sembra il membro di una gang. «È tutto il giorno che batto la pista. Oh, fratello, non il marciapiede...» disse Morales. «Non so di cosa diavolo stai parlando.» «Batto la pista, non il marciapiede... Ah, dimenticavo che ti manca il senso dell'umorismo e che hai a malapena finito il liceo. Sto cercando un modello, 38
una tendenza, un modus operandi, denunce da qui all'eternità. E mi sa che ho beccato qualcosa.» «Che cosa, a parte la Berger?» chiese Marino. «Hai forse il dente avvelenato con le tipe come lei e Kay Scarpetta? Per farmi mettere le mani addosso da quella lì sarei disposto a morire. Che gran pezzo di... Te lo immagini farsele tutte e due insieme? Ma a te lo dico? Certo che te lo immagini.» Il disprezzo di Marino per quell'uomo si tramutò in odio. Morales lo prendeva sempre in giro, lo umiliava. L'unico motivo per cui non lo ripagava con la stessa moneta, se non peggio, era che aveva deciso di imporsi un regime di autocontrollo assoluto. Benton lo aveva raccomandato al procuratore Berger e, se lei non gli avesse fatto un favore, chissà dove sarebbe stato Marino a quell'ora. Probabilmente sarebbe finito a fare il fattorino nel dipartimento di polizia di qualche cittadina di merda. O l'ubriacone in un rifugio per senzatetto. Oppure sarebbe morto. «E possibile che il nostro killer abbia già colpito» disse Morales. «Ho trovato due omicidi che presentano una certa somiglianza. Non a New York, ma ricordati che Oscar è un libero professionista e non lavora in ufficio. Ha una macchina e abbastanza grana, perché i suoi al compleanno gli regalano un bell'assegno esentasse. Al momento, il limite per non dover pagare le imposte è dodicimila dollari. È il loro modo per attenuare i sensi di colpa nei confronti di quel fenomeno da baraccone che è il loro unico figlio. Non deve mantenere nessuno oltre a se stesso. Quindi non sappiamo quanto viaggia e cosa fa, giusto? Già che ci sono, potrei chiarire ancora un paio di cosette.» 39
Marino aprì il frigo, prese un'altra Sharp’s, l'aprì e gettò nel lavello il tappo, che cadendo fece lo stesso rumore di una pallottola contro un bersaglio di metallo. «Parlami di quei due omicidi.» «Nel nostro database ho individuato due possibili corrispondenze. Come ho detto, non sono casi di New York, per questo nessuno ci ha pensato. Risalgono entrambi dell'estate del 2003, a due mesi di distanza l'uno dall'altro. Un ragazzino di quattordici anni che si impasticcava è stato trovato nudo, con le mani e le caviglie legate, strangolato con qualcosa che non fu mai rinvenuto. Era di buona famiglia, abitava a Greenwich, nel Connecticut. Il corpo venne abbandonato vicino a una concessionaria Bugatti. Caso irrisolto, nessun indagato.» «Dov'era Oscar nell'estate del 2003?» chiese Marino. «Proprio dov'è ora. Stesso lavoro, stessa casa, stessa miserabile vita. Ciò significa che poteva trovarsi dovunque.» «Non vedo il nesso. Cosa faceva quel ragazzino? Si prostituiva per comprarsi la droga ed è incappato nel cliente sbagliato? Mi sembra l'unica spiegazione. C'è motivo di credere che a Oscar Bane piacciano i ragazzini?» «Non si sa mai cosa piace veramente a una persona prima che si metta a violentare e uccidere, e scoppi lo scandalo. Può essere stato benissimo Oscar. Come ho detto, ha un'automobile, può permettersi di andare in giro, ha un sacco di tempo libero. Ed è forte come un toro. Cerchiamo di non dare nulla per scontato.» «E l'altro caso? Sempre un adolescente?» «Femmina.» 40
«Dimmi chi era e perché pensi che possa essere stato Oscar a ucciderla» replicò Marino. «Scusa.» Morales sbadigliò rumorosamente. «Sto riordinando le carte. Sono tutte sottosopra. Oh, cazzo. Lei è stata la prima. Il ragazzo è morto dopo. Molto carina, ventun anni, si era appena trasferita a Baltimora da un paese di campagna del North Carolina per un lavoretto in una radio, nella speranza di approdare alla TV. Invece è finita in un brutto giro per procurarsi i soldi per la droga. Anche lei si impasticcava. È possibile che sia stata rimorchiata. L'hanno trovata nuda, con le mani legate, pure lei strangolata con qualcosa che non è stato rinvenuto sulla scena del delitto. Il corpo venne scoperto in un cassonetto vicino al porto.» «DNA?» si informò Marino. «In nessuno dei due casi. Non c'erano segni di violenza sessuale né liquido seminale.» «Sto ancora aspettando gli elementi in comune» disse Marino. «Il mondo è pieno di gente disposta a tutto pur di procurarsi la droga che finisce legata, strangolata e abbandonata chissà dove.» «Sai che Terri Bridges aveva una catenina d'oro alla caviglia sinistra? Nessuno sa da dove provenisse. È strano, perché non portava altri gioielli. Ho chiesto a Oscar, e lui mi ha detto di non avere mai visto la cavigliera.» «E allora?» «È la stessa storia negli altri due casi. Nessun gioiello tranne una catenina d'oro alla caviglia sinistra. Il lato del cuore. Come a dire: "Ti incateno. Sei il mio schiavo d'amore". Potrebbe essere la firma del killer, la firma di Oscar. Sto raccogliendo i dossier di quei 41
casi e intanto cerco altre informazioni. Avvertiremo la solita gente, compresi i tuoi ex amici.» «Quali ex amici?» I pensieri di Marino si fecero ancora più cupi. Non riusciva a vedere niente fra i nuvoloni neri che gli occupavano la mente. «Benton Wesley. E quel gran pezzo di ex poliziotta che purtroppo non me la darà mai, se è vero quel che si dice sul suo conto. Certo, la tua piccola scoperta riguardo ai computer portatili, quando oggi sei andato sulla scena del delitto senza il mio permesso, le ha dato l'imbeccata.» «Non ho bisogno del tuo permesso. Non sei il mio capo scout.» «No. Il tuo capo scout è la Berger. Forse devi chiedere a lei chi comanda.» «Se sarà necessario, glielo chiederò. Per adesso, faccio solo il mio lavoro. Indago su questo omicidio, com'è mio dovere.» Marino bevve l'ultimo sorso di Sharp’s e aprì il frigo per prenderne un'altra provocando un tintinnio di bottiglie. Secondo i suoi calcoli, se ogni birra conteneva lo zero virgola tre per cento di alcol, per arrivare a sentire un minimo di ebbrezza bisognava berne dodici di fila. Ci aveva già provato, con l'unico risultato di dover correre a pisciare. «C'è una società di consulenza informatica forense che la Berger non vede l'ora di usare» disse Morales. «È di Lucy Farinelli, la nipote di Kay Scarpetta». «So chi è.» Marino sapeva anche dell'esistenza della società di Lucy nel Village e che Kay Scarpetta e Benton Wesley lavoravano per il John Jay. Era al corrente di un sacco di cose di cui aveva deciso di non parlare né con 42
Morales né con nessun altro. Ignorava però che Lucy, Benton e Kay stavano lavorando al caso di Terri Bridges e che Kay e Benton erano a New York in quel preciso momento. «Ti solleverà essere informato che Kay Scarpetta probabilmente non si tratterrà abbastanza da farti rischiare un brutto incontro» ribatté Morales con voce impertinente. Non c'erano dubbi: Morales aveva letto Gotham Gotcha. «È venuta a visitare Bane» aggiunse. «Perché proprio lei?» «Sembra che Bane abbia insistito molto. Ha chiesto espressamente della dottoressa Scarpetta, e la Berger ha deciso di accontentarlo.» Marino non sopportava il pensiero che Kay stesse da sola con Oscar Bane. Lo innervosiva il fatto che questi avesse richiesto specificamente la sua presenza, perché poteva significare una sola cosa: si interessava a lei più del dovuto. «Hai appena detto che potrebbe essere un serial killer: cosa ci fa con Kay Scarpetta? Non riesco a credere che la Berger o chi per lei abbia organizzato un incontro del genere. Soprattutto visto che Bane può uscire quando vuole. Cristo.» Camminava avanti e indietro, nervoso. Con una decina di passi copriva tutta la superficie dell'appartamento. «Appena avrà finito se ne tornerà in Massachusetts. Non hai niente di cui preoccuparti» disse Morales. «Mi sembra un'ottima cosa, no? Dato che preoccupazioni ne hai già tante.» «Ah, sì? E quali?» 43
«Ti sto solo ricordando che questo è un caso delicato e che non ti sei comportato molto bene quando il piccolo Bane ti ha aperto il suo cuore il mese scorso.» «Mi sono attenuto al regolamento.» «Strano, eh? Quando scoppia una bomba, nessuno si preoccupa più del regolamento. Per quanto riguarda il tuo ex capo Kay, ti consiglio di evitarla. Non direi che tu abbia un motivo valido per cercare la sua compagnia o per presentarti senza invito al Bellevue. Tanto per fare un esempio.» Sentire che Morales si riferiva a lei con il nome di battesimo lo faceva infuriare. Marino non osava quasi mai chiamarla Kay, eppure avevano lavorato fianco a fianco. Aveva passato migliaia e migliaia di ore con lei all'obitorio, in ufficio, in macchina, sulle scene del crimine, a casa sua, feriali e festive, e qualche volta avevano persino bevuto insieme in albergo, quando erano in trasferta. Perché Morales si prendeva certe confidenze? Chi cavolo credeva di essere? «Ti consiglio di farti vedere in giro il meno possibile, finché Kay non torna in Massachusetts» continuò Morales. «Non la stressare, capito? Non voglio che la prossima volta, se le chiediamo una consulenza, ci dica di no per colpa tua. Non possiamo permetterci che abbandoni il John Jay, fratello. Perché anche Benton se ne andrebbe, per far felice sua moglie. Quindi li perderemmo entrambi per colpa tua. Intendo passare molti anni a lavorare con loro due. Come i tre moschettieri.» «Ma se non li conosci nemmeno...» Marino era così arrabbiato che gli pulsavano le vene del collo. 44
«Se lasciano l'incarico, farà notizia» spiegò Morales. «E da cosa nasce cosa. Scoppierebbe uno scandalo, e finiresti sulla prima pagina del "Post": "Il procuratore Berger, specializzato in reati a sfondo sessuale, ha assunto un uomo colpevole di un reato a sfondo sessuale". Se viene fuori, lei rischia la poltrona. È incredibile quanto in fretta possa crollare un castello di carte. Ora devo andare. Riguardo alla storia su Internet, a quello che c'è stato fra te e Kay... Non voglio ficcare il naso, ma...» «Allora non farlo» lo interruppe bruscamente Marino. Le gambe glabre e incatenate di Oscar Bane penzolavano dal bordo del lettino in uno degli ambulatori del reparto di psichiatria forense. I suoi occhi, uno azzurro e l'altro verde, davano a Kay l'inquietante sensazione di essere osservata da due persone. L'agente di custodia stava in piedi accanto al muro, silenzioso ma attento, lasciandole lo spazio per lavorare e tuttavia pronto a intervenire se Bane fosse diventato violento, cosa che sembrava molto improbabile. Era spaventato, aveva pianto, e Kay non percepiva nessuna aggressività in lui. Stava seduto sul lettino, imbarazzato nel sottile camice di cotone troppo lungo per lui e che ogni tanto si apriva sotto la cintura. Tutte le volte che muoveva i piedi o i polsi ammanettati per coprirsi, si sentiva il tintinnio delle catene. Oscar era molto piccolo, un nano. Aveva gambe e braccia corte in modo sproporzionato, però il camice leggero rivelava che altrove era molto ben dotato. Si sarebbe potuto affermare che Dio avesse così compensato quella che Kay Scarpetta sospettava fosse 45
acondroplasia, una malattia causata da una mutazione spontanea del gene responsabile dell'osteogenesi che colpiva soprattutto le ossa lunghe. Il tronco e la testa erano enormi rispetto agli arti, e le dita, corte e tozze, divergevano tra il medio e l'anulare, dando alle mani l'aspetto di un tridente. A parte questo, da! punto di vista anatomico Oscar era normale, se si escludeva tutto ciò che si era fatto fare e che doveva essergli costato molto dolore e parecchio denaro. Aveva i denti candidi, sbiancati o forse incapsulati, e capelli corti tinti di un biondo oro brillante. Le unghie erano pulite e ben tagliate, e, anche se Kay non avrebbe potuto giurarlo, la fronte pareva troppo liscia per non essere stata trattata con iniezioni di botulino. La cosa più straordinaria, però, era che il suo corpo sembrava scolpito nel marmo di Carrara, latteo e venato di azzurro. Con una muscolatura perfetta, appariva quasi del tutto privo di peli. In generale quell'uomo, con gli occhi di colore diverso e un fascino apollineo, aveva un che di surreale. Kay trovava molto strano quanto Benton le aveva detto sulle sue fobie: Oscar Bane non poteva avere quell'aspetto senza essersi affidato a degli specialisti e senza avere patito molte sofferenze. Mentre apriva la valigetta che Benton teneva nel suo ufficio per lei, Kay si sentiva addosso quello sguardo indagatore verdazzurro. Per la sua professione, doveva poter disporre degli strumenti che le erano indispensabili sul posto di lavoro. La valigetta di un medico legale, contenente pinze chirurgiche, sacchetti e contenitori per le prove, attrezzatura fotografica, lampade, bisturi affilati e quant'altro, non poteva essere trasportata in aereo, a causa degli 46
scrupolosi controlli. Certo Kay avrebbe potuto mostrare la tessera di medico legale, ma così facendo avrebbe attirato ulteriormente l'attenzione. Una volta ci aveva provato, al Logan, ed era stata condotta in una stanza e interrogata, perquisita e sottoposta ad altre vessazioni, prima che gli agenti della sicurezza aeroportuale si convincessero che non era una terrorista molto somigliante all'anatomopatologa della CNN. Morale della favola, in quella circostanza non le era stato permesso di portare la valigetta a bordo, ed essendosi rifiutata di consegnarla al checkin per il trasporto in stiva aveva dovuto prendere la macchina. Da allora teneva una valigetta di riserva a Manhattan. «È consapevole dello scopo di questi prelievi e del fatto che non è obbligato a sottoporvisi?» domandò a Oscar. Bane la osservò sistemare le buste, le pinze, il metro a nastro e vari altri strumenti sul lettino coperto da un lenzuolo di carta bianca. Voltò la testa e fissò la parete. L'agente di custodia intervenne. «Guarda la dottoressa mentre ti parla, Oscar.» Lui continuò a fissare il muro; poi, con la voce tenorile tesa, replicò: «Dottoressa Scarpetta, le spiace ripetere ciò che ha detto, per favore?». «Lei ha firmato un'autorizzazione al prelievo di alcuni campioni biologici» spiegò Kay. «Voglio assicurarmi che si renda conto delle informazioni scientifiche che si possono trarre da tali campioni e del fatto che il prelievo non è stato formalmente richiesto.» 47
Oscar Bane non era accusato di alcun reato. Kay si domandò se Benton, Jaime Berger e la polizia avessero interpretato la sua richiesta di ricovero come un segno di disponibilità a confessare un delitto di cui lei non sapeva nulla. Questo l'avrebbe messa in una posizione inconsueta e insostenibile. Dato che Bane non era in stato di arresto, Kay non avrebbe potuto rivelare niente di ciò che le diceva, protetto dal segreto professionale, a meno che lui non l'autorizzasse. Ma l'unica autorizzazione che Bane aveva firmato fino a quel momento era quella relativa al prelievo di campioni biologici. Oscar Bane la guardò e disse: «Sì, so a cosa servono. A ottenere il mio DNA. Sono al corrente del perché ha bisogno di peli e capelli». «I campioni saranno analizzati e il laboratorio ne ricaverà il suo profilo genetico. Dall'analisi di un capello si può stabilire se fa uso abituale di sostanze stupefacenti, ma dai campioni biologici la polizia e i ricercatori sono in grado di scoprire anche altre cose.» «Sì, lo so.» «Voglio essere sicura che lei sia consapevole...» «Non mi drogo e di certo non faccio uso abituale di sostanze di alcun tipo» ribatté con voce tremante, tornando a fissare il muro. «In casa di Terri ci sono sia il mio DNA sia le mie impronte, dappertutto. E anche il mio sangue. Mi sono tagliato un dito.» Le mostrò il pollice destro avvolto in un cerotto all'altezza della seconda nocca. «Mi sono lasciato prendere le impronte quando mi hanno portato qui» aggiunse. «Non compaio in nessun database. Vedranno che non ho mai commesso reati. 48
Non ho mai preso nemmeno una multa per divieto di sosta. Sono un cittadino modello.» Osservò le pinze che Kay aveva impugnato e i suoi occhi eterocromici si riempirono di paura. «Non c'è bisogno delle pinze» disse. «Posso occuparmene da solo.» «Si è fatto una doccia da quando è qui?» gli chiese Kay posando le pinze. «No. Ho aspettato che lei mi visitasse.» «Si è lavato le mani?» «No. E non ho toccato praticamente niente, a parte la matita che suo marito mi ha fatto usare per i test psicologici. Test reattivoproiettivi. Mi sono rifiutato di mangiare. Non volevo fare niente prima di vedere lei. Ho paura dei medici. Non sopporto il dolore.» Kay preparò tamponi e applicatori sotto lo sguardo attento e intimorito di Oscar. «Ora, se lei è d'accordo, preleverò eventuale materiale che ha sotto le unghie» gli disse. «Potrebbe contenere DNA o altre prove importanti.» «Sì, lo so. Non troverà nulla che dimostri che le ho fatto del male. Se anche c'è il suo DNA, non vuol dire niente. Pure il mio è dappertutto, a casa sua» ribadì. Bane rimase immobile mentre Kay gli passava sotto le unghie delle mani e dei piedi una spatola di plastica. Lei si sentiva addosso il suo sguardo, sulla testa e non soltanto, come se la stesse esaminando. Quando ebbe terminato, alzò gli occhi e vide che Oscar fissava il muro. Lui le chiese di voltarsi dall'altra parte e si strappò un capello, che Kay lo aiutò a infilare in una bustina di plastica, e quindi un pelo pubico, che mise in un'altra bustina. Non aveva battuto ciglio, 49
nonostante sostenesse di avere una soglia del dolore bassissima, ma era teso e aveva la fronte sudata. Kay estrasse dall'involucro uno scovolino e lui se lo passò sulle mucose della bocca. Gli tremavano le mani. «Ora lo mandi via, per favore.» Si riferiva all'agente di custodia. «Non c'è bisogno che resti qui. In sua presenza non parlo.» «Non è così che funziona» ribatté l'agente. «Non sta a te decidere.» Bane rimase in silenzio e continuò a guardare la parete. L'agente si voltò verso Kay con aria interrogativa. «Va bene» concesse lei. «Vada pure.» «Preferirei restare, dottoressa. È troppo su di giri.» A Kay non sembrava, ma non disse niente. Però Bane le pareva depresso, turbato, sull'orlo di una crisi isterica. «Sono legato come un salame!» esclamò Oscar. «D'accordo che la prudenza non è mai troppa, ma vi sembra il caso di incatenarmi come se fossi un serial killer? Mi sorprende che non mi abbiate chiuso in una gabbia come quella di Hannibal Lecter. Evidentemente non vi hanno informato che le misure di contenimento negli ospedali psichiatrici sono state abolite a metà dell'Ottocento. Cosa ho fatto per meritare tutto questo?» Sollevò le mani ammanettate. Aveva la bava alla bocca ed era furibondo. «È solo perché gli ignoranti come te mi vedono come un fenomeno da baraccone» aggiunse. «Ehi, Oscar, sai una cosa? Non ti sei fatto ricoverare in un normale ospedale psichiatrico: questo è un reparto detentivo.» Poi, rivolgendosi a Kay 50
Scarpetta, l'agente disse: «Preferirei restare, dottoressa». «Un fenomeno da baraccone. È così che mi considerano gli ignoranti come te.» «Vada pure» ripeté Kay all'agente. Capiva perché Jaime Berger preferisse muoversi con la massima cautela. Oscar Bane era pronto a denunciare quelle che gli sembravano ingiustizie e a ricordare al mondo che era un nano, benché non fosse la prima cosa che si notava di lui, se non era in piedi. Di certo non era la prima cosa che aveva notato lei quando era entrata nell'ambulatorio. A colpirla erano stati gli occhi di colori diversi, uno verde e l'altro azzurro, messi ancora più in risalto dai denti bianchissimi e dai capelli tinti. L'uomo non aveva lineamenti perfetti, ma qualcosa nel suo viso era molto accattivante. Le ricordava qualcuno, non sapeva chi. Forse un profilo inciso su un'antica moneta d'oro. «Starò qui fuori» disse l'agente. Poi uscì chiudendo la porta che, come tutte le altre del reparto, non aveva maniglia. Solo gli agenti di custodia erano in possesso delle chiavi, e per questo motivo in certe situazioni era fondamentale far ruotare la serratura a doppio cilindro nella posizione di chiusura con l'uscio aperto, per evitare che un membro dello staff o un consulente esterno restasse chiuso dentro una stanza, magari in compagnia di un energumeno che aveva appena fatto a pezzi una donna conosciuta in un bar. Kay Scarpetta prese il metro a nastro e disse a Oscar: «Vorrei misurarle braccia e gambe, per stabilire con esattezza statura e peso». 51
«Un metro e ventotto per quarantanove chili. Di scarpe porto il trentasei e mezzo, il trentasette o il trentasette e mezzo, dipende dal tipo di calzatura. Ho il piede largo.» «Misurerò il braccio sinistro dall'articolazione glenoomerale fino alla punta del dito medio. Le spiace tenerlo il più dritto possibile? Perfetto. Quaranta virgola nove centimetri. Ora il destro. Quarantuno virgola due centimetri. Non è raro: la maggior parte delle persone non ha le braccia della stessa lunghezza. Ora le gambe. Può stenderle, per favore? Partirò dall'acetabolo, l'articolazione dell'anca.» Lo individuò palpando sotto la tela sottile del camice e misurò la lunghezza degli arti inferiori fino alla punta delle dita dei piedi. Oscar irrigidì i muscoli, facendo tintinnare le catene. Le gambe erano solo cinque centimetri più lunghe delle braccia e leggermente ricurve. Kay trascrisse le misure e prese alcuni fogli dal bancone. «Mi conferma i dati che mi hanno fornito, per cortesia?» chiese. «Ha trentaquattro anni, si chiama Oscar Lawrence Bane ed è destro, giusto?» Gli lesse data di nascita e indirizzo, poi lui la interruppe. «Non ha intenzione di chiedermi per quale ragione ho voluto lei? Perché ho richiesto la sua presenza? Non le interessa sapere come mai ho messo in chiaro con Jaime Berger che in caso contrario non avrei collaborato? Quella stronza...» Gli vennero gli occhi lucidi e la voce si incrinò. «Terri sarebbe ancora viva se non fosse per lei.» Voltò la testa a destra e guardò il muro. «Ha difficoltà a sentire, Oscar?» chiese Kay. 52
«Dall'orecchio destro» rispose con voce tremante, salendo di un'ottava. «Con il sinistro invece sente bene?» «Da piccolo ho sofferto di otite e sono rimasto sordo dall'orecchio destro.» «Conosce Jaime Berger?» «È una donna senza cuore a cui non frega un cazzo di nessuno. Lei, dottoressa Scarpetta, è completamente diversa: difende le vittime. Io sono una vittima e ho bisogno che mi difenda. Posso contare solo su di lei.» «In che senso è una vittima?» domandò Kay etichettando le buste. «La mia vita è distrutta. La persona più importante per me se n'è andata. Non la rivedrò mai più. Non ho più niente. Non m'importa di morire. Ho capito che tipo di persona è lei e cosa fa, dottoressa. Lo saprei anche se non fosse così famosa: so di che pasta è fatta. Ho dovuto pensare in fretta, molto in fretta. Quando ho trovato... quando ho trovato Terri...» Gli si incrinò la voce e si sforzò di trattenere le lacrime. «Ho detto alla polizia di portarmi qui, perché almeno sarei stato al sicuro.» «Al sicuro da cosa?» «Quando ho dichiarato che potevo essere un pericolo per me stesso, mi hanno chiesto: "E per gli altri?". Gli ho risposto di no: farei del male solo a me stesso. Ho voluto essere messo in isolamento perché non posso stare con gli altri. Mi chiamano il Nano Assassino. Mi prendono in giro. La polizia non ha prove sufficienti per arrestarmi, ma crede che sia pazzo e vuole evitare che mi dia alla macchia. Ho il passaporto e un po’ di soldi, perché provengo da una famiglia 53
benestante del Connecticut, anche se i miei non sono genitori affettuosi. Non m'importa di morire. Per la polizia e il procuratore Berger, io sono colpevole.» «Stanno facendo il possibile per venirle incontro. Si trova qui, ha parlato con il dottor Wesley, e adesso è con me» gli rammentò. «La stanno strumentalizzando. Non gliene frega niente di me.» «Le assicuro che non mi lascerò strumentalizzare.» «Lo fanno già. Devono coprirsi il culo. Ormai mi hanno condannato, non cercano nessun altro. Ma il vero assassino è in libertà e sa chi sono. Ci saranno altre vittime. Chiunque sia il colpevole, lo rifarà. Loro hanno una ragione per agire così, un movente, e io ero stato avvertito, ma non pensavo che si riferissero a Terri. Non avevo capito che qualcuno volesse farle del male.» «Era stato avvertito?» «Comunicano con me. Ricevo informazioni.» «Lo ha detto alla polizia?» «Non so chi siano, perciò mi conviene stare attento a chi lo racconto. Ho cercato di avvertire Jaime Berger un mese fa, di spiegarle che per me era rischioso sporgere denuncia, riferire quello che sapevo. Ma non immaginavo di mettere in pericolo Terri. Non mi hanno mai comunicato qualcosa che riguardasse lei. Non sapevo che la minacciassero.» Si asciugò le lacrime con il dorso della mano, facendo di nuovo tintinnare le catene. «Come ha fatto ad avvertire Jaime Berger? O a cercare di avvertirla?» «Ho chiamato in procura, la Berger glielo confermerà. Si faccia dire quanto è stata spietata. Se 54
n'è fregata altamente.» Le lacrime gli scorrevano sul viso. «E ora Terri non c'è più. Sapevo che stava per succedere qualcosa di brutto, ma non immaginavo che sarebbe accaduto a lei. Si chiederà perché, vero, dottoressa? Bè, non ne ho idea. Forse odiano i nani e li vogliono eliminare dalla faccia della terra. Come facevano i nazisti con gli ebrei, gli omosessuali, gli zingari, gli handicappati e i malati di mente. Chiunque rappresentasse una minaccia alla superiorità della razza ariana finiva nei forni crematori. Sono riusciti a rubare la mia identità, i miei pensieri, e ora sanno tutto di me. L'ho riferito alla Berger, ma se n'è fregata. Ho chiesto giustizia, rivoglio la mia mente, ma il procuratore non mi ha voluto nemmeno parlare per telefono.» «In che senso rivuole la sua mente?» «Mi hanno rubato i pensieri. Li rivoglio indietro. È colpa di quella stronza. Poteva fermarli. Invece non l'ha fatto, così adesso io non ho più né la mia mente né Terri. Ho solo lei, dottoressa Scarpetta. Per favore, mi aiuti.» Kay si infilò le mani coperte dai guanti nelle tasche del camice. Si rese conto di essere in un mare di guai. Dal momento che non voleva diventare il medico di Oscar Bane, doveva dirglielo subito, rifiutandosi di avere ulteriori rapporti con lui. Era necessario che infilasse la porta e se ne andasse senza voltarsi indietro. «L'hanno uccisa. So che sono stati loro» ribadì Oscar. «Chi sono loro?» «Non lo so. Mi seguono. Sono un gruppuscolo, seguaci di una causa. Ce l'hanno con me. La cosa va 55
avanti da mesi. Non riesco a credere che Terri se ne sia andata... Forse sono davvero un pericolo per me stesso. Voglio morire!» Si mise a piangere. «L'amavo come non ho mai amato nessuno in vita mia. Continuo a pensare che sia solo un brutto sogno, che prima o poi mi sveglierò, che non è successo davvero. Non può essere reale. Odio Jaime Berger. Forse qualcuno che le sta a cuore verrà ucciso, così capirà come ci si sente. Passerà per questo inferno anche lei... Lo spero proprio. Mi auguro che qualcuno le ammazzi la persona che ama di più.» «Vorrebbe uccidere una persona cara a Jaime Berger?» chiese Kay infilandogli alcuni fazzolettini di carta fra le mani legate. Piangeva e gli colava il naso. Lui non rispose alla domanda, ma disse: «Non so chi siano. Se esco di qui, ricominceranno a seguirmi. Sanno dove mi trovo anche in questo preciso momento. Cercano di controllarmi con la paura. Mi tormentano». «In che modo? E che motivo ha di credere che la stiano seguendo?» «Usano apparecchi elettronici ultramoderni. Esiste un'infinita quantità di congegni che si può comprare in Internet. Voci trasmesse al cervello mediante microonde, silent sound, radar che passano attraverso i muri. Ho ottimi motivi di ritenere che mi abbiano selezionato come cavia per controllare la mia psiche. Se non ci crede, ripensi agli esperimenti con le radiazioni condotti sugli esseri umani dal governo dopo la Seconda guerra mondiale. La gente è stata costretta a ingerire materiali radioattivi e a sottoporsi a iniezioni di plutonio senza essere messa al corrente delle 56
conseguenze, solo per ottenere dati per la ricerca sugli effetti dell'atomica. Non me lo sto inventando.» «Sono al corrente degli esperimenti con le radiazioni» replicò Kay. «Nessuno nega che siano stati condotti.» «Non so cosa vogliano da me» continuò Bane. «La colpa è della Berger. E sua la responsabilità.» «Si spieghi meglio.» «Indagare su furti di identità e persecuzioni elettroniche è compito della procura. Ho chiamato e ho chiesto di parlare con la Berger, ma non me l'hanno passata. Mi hanno fatto parlare con un coglione di poliziotto che mi ha preso per matto. E così, ovviamente, nessuno ha mosso un dito. Non è stata aperta un'inchiesta. Se ne sono fregati. Io mi fido di lei, dottoressa. So che prende a cuore i problemi degli altri. L'ho visto con i miei stessi occhi. Per favore, mi aiuti. La prego. Sono indifeso. Non ho nessuno che mi protegga.» Kay controllò le abrasioni superficiali sul lato sinistro del collo di Bane e notò che il tessuto cicatriziale si era formato di recente. «Perché si fida di me?» chiese. «Mi meraviglio della sua domanda. Sta forse cercando di manipolarmi?» «Io non manipolo nessuno.» Bane le scrutò il viso, mentre lei studiava le abrasioni. «Okay. Capisco che debba stare attenta a quello che dice. Non ha importanza. Io la rispettavo anche prima. Lei non sa chi sono i miei persecutori, ma deve stare attenta.» «Anche prima di cosa?» 57
«È stata coraggiosa a parlare dell'assassinio della Bhutto. Terri e io l'abbiamo guardata alla CNN. Devono essere stati un giorno e una notte lunghissimi per lei. Si è mostrata molto compassionevole e rispettosa riguardo a quella tragedia. E anche coraggiosa e concreta. Ma si capiva cosa provava nel suo cuore, che era sconvolta quanto noi. Non faceva scene. Anzi, si sforzava di non mostrare quanto fosse turbata. Sapevo di potermi fidare di lei, e anche Terri, ovviamente. Ma era delusa. Le ho detto di mettersi nei suoi panni.» «Non capisco come l'avermi vista in TV le abbia trasmesso la sensazione di potersi fidare di me.» Kay prese dalla valigetta una macchina fotografica. Quando si accorse che Bane non replicava, domandò: «Perché Terri era delusa?». «Lo sa benissimo, dottoressa. Era più che comprensibile. Lei rispetta la gente» rispose Bane. «Se ne prende cura, la sostiene. Io mi tengo alla larga dai medici, se posso. Non sopporto il dolore e non mi sottopongo ad alcun intervento senza anestesia. Lo ammetto, ho paura dei medici e del dolore fisico. Quando mi fanno un'iniezione, non riesco a guardare l'ago. Non posso, altrimenti svengo. Allora chiedo al personale medico di bendarmi gli occhi o di infilare l'ago dove non riesco a vedere. Lei non mi farà male, vero? Non ho bisogno di iniezioni, no?» «No. Non dovrei farle male» rispose Kay esaminando le abrasioni sotto l'orecchio sinistro. Erano superficiali, senza segni di riepitelizzazione ai margini. Anche in questo caso la crosta era fresca. Oscar pareva rassicurato dalle sue parole e dal tocco delle sue mani. 58
«Quelli che mi seguono, che mi spiano...» ricominciò «forse sono del governo. Ma di quale paese? O magari di una cellula terroristica oppure di una setta religiosa. So che lei non ha paura di nessuno, governo, cellula o setta che sia, altrimenti non parlerebbe di certe cose alla TV. Anche Terri lo diceva. Lei era la sua eroina. Se sapesse che siamo qui assieme e che parliamo di lei... Magari lo sa. Crede che ci sia una vita dopo la morte? Che lo spirito della persona amata non ci abbandoni?» Alzò gli occhi rossi di pianto, come se cercasse Terri. «Non ho idea di cosa farò» soggiunse. «Senta, dobbiamo chiarire una cosa» intervenne Kay. Prese una sedia di plastica e si sedette accanto al lettino. «Non sono informata riguardo a questa faccenda» spiegò. «Non so cosa lei abbia fatto né chi sia Terri.» Sul viso di Oscar Bane comparve un'espressione scioccata. «Cosa sta dicendo?» «Sto dicendo che mi hanno chiesto di visitarla e ho accettato di farlo. Ma probabilmente non sono la persona con cui lei dovrebbe parlare. Dal momento che il suo benessere mi sta molto a cuore, la devo informare che, più mi racconta di Terri e di quello che le è accaduto, più rischi corre.» «Lei è l'unica con cui posso parlare.» Si asciugò il naso e gli occhi e continuò a guardarla come se stesse cercando di capire qualcosa di importanza fondamentale. Disse: «Avrà le sue ragioni. Forse sa qualcosa». «Dovrebbe parlare con un avvocato. Ogni cosa che gli dirà sarà protetta dal segreto professionale, senza eccezioni.» 59
«Lei è un medico, e perciò è a sua volta vincolata al segreto professionale. Non può permettere alla polizia di interferire con le cure mediche di cui ho bisogno e non può rivelare nessuna informazione, a meno che io non l'autorizzi a farlo o il tribunale lo richieda. Lei mi deve proteggere. Questo prevede la legge.» «Ma la legge prevede anche che, nel caso lei venga accusato di un reato, sia l'accusa sia la difesa possano richiedere la sua cartella clinica. Le consiglio pertanto di riflettere su questa eventualità prima di raccontarmi particolari su Terri e su quello che è successo ieri sera. Perché potrei essere costretta a riferire ciò che lei mi dirà» spiegò Kay con enfasi. «Jaime Berger ha avuto la possibilità di parlare con me, ma non è come lei. Dovrebbe essere licenziata. Merita di soffrire come soffro io e di perdere ciò che ho perso io. E tutta colpa sua.» «Vuole fare del male a Jaime Berger?» chiese Kay. «Io non voglio nuocere a nessuno. Ma quella donna si è fatta del male da sola. È tutta colpa sua. L'universo la ripagherà con la stessa moneta. Se perderà una persona cara, dovrà prendersela solo con se stessa.» «Cercherò di essere più chiara. Se lei verrà accusato di un reato, il tribunale potrebbe richiedere che io metta a disposizione tutte le informazioni in mio possesso. È molto probabile che succeda. Capisce?» Oscar Bane la guardò con i suoi occhi di colore diverso e il corpo irrigidito dalla rabbia. Kay meditò se fosse il caso di aprire la porta. «Non troveranno elementi per accusarmi» disse. «Ho permesso che prendessero i miei vestiti, la mia macchina. Li ho autorizzati ad andare a casa mia 60
perché non ho niente da nascondere. Può vedere lei stessa come sono costretto a vivere. Anzi, voglio che lo veda. Insisto. Deve rendersene conto. Non ci sono prove che io abbia fatto del male a Terri, a meno che non le inventino per incastrarmi. E forse lo faranno. Ma lei mi proteggerà perché è la mia testimone. Si preoccuperà per me dovunque sarò, e se mi accadrà qualcosa capirà che fa parte del complotto. E non potrà dire niente a nessuno, se io non voglio. Al momento, legalmente, non può riferire quello di cui stiamo parlando nemmeno a suo marito. Gli ho permesso di farmi dei test e di valutare la mia salute mentale. Le confermerà che non sono pazzo. Mi fido delle sue capacità professionali. E, soprattutto, sapevo che poteva farmi arrivare a lei.» «Gli ha riferito ciò che sta dicendo a me?» «Ho lasciato che facesse i suoi test, le sue valutazioni. Nient'altro. Gli ho spiegato che poteva verificare il mio stato mentale e che lei si sarebbe occupata del resto. Altrimenti non avrei collaborato. Non può riferirgli la nostra conversazione. Se la situazione cambiasse, se io venissi accusato ingiustamente e lei fosse costretta a testimoniare... bè, a quel punto mi crederebbe e combatterebbe per me. È impossibile che non mi creda. Non è la prima volta che sente parlare di me.» «Perché pensa che io abbia già sentito parlare di lei?» «Capisco.» Le lanciò un'occhiata di fuoco. «Le hanno consigliato di non parlare. Bene. Questo giochetto non mi piace, ma posso tollerarlo. Le chiedo solo di ascoltarmi, di non tradirmi e di non violare il suo giuramento.» 61
Kay Scarpetta sapeva che avrebbe dovuto dire basta in quel momento, ma pensò a Jaime Berger. Oscar non aveva minacciato il procuratore, per lo meno fino allora, e, se non lo avesse fatto, Kay non avrebbe potuto rivelare neanche una parola della conversazione avuta con lui; questo però non le impediva di preoccuparsi per Jaime e per le persone che le erano vicine. Perciò sperava che Oscar Bane ammettesse in modo inequivocabile di essere un pericolo per la Berger o per qualcun altro. A quel punto lei non sarebbe più stata vincolata al segreto professionale, e Bane sarebbe stato arrestato per avere proferito delle minacce. «Prenderò qualche appunto che conserverò nella sua pratica» spiegò Kay Scarpetta. «Sì, mi fa piacere che lei tenga copia della verità, nel caso mi accadesse qualcosa.» Kay tirò fuori un taccuino e una penna dalla tasca del camice. «Nel caso io muoia» continuò Oscar. «Non c'è via di scampo, mi prenderanno. Probabilmente questo è il mio ultimo Capodanno. Ma forse non me ne frega niente.» «Perché parla in questo modo?» «Qualunque cosa io faccia, dovunque io vada, loro lo vengono a sapere.» «Anche ora?» «Può darsi. Per quanto...» Guardò la porta. «L'acciaio è spesso, non so se riescono a passare. Ma starò comunque attento a quello che dico e che penso. Deve ascoltarmi con la massima attenzione, leggermi nella mente, finché è possibile. Perché prima o poi loro avranno il controllo totale di ciò che è rimasto del mio 62
libero arbitrio, dei miei pensieri. Forse sono solo una cavia. Con qualcuno dovranno pur esercitarsi. Sappiamo che per mezzo secolo la CIA ha svolto esperimenti segreti sui campi elettromagnetici per indurre condizionamento a distanza. E su chi crede che li abbiano condotti? Cosa succede se uno va alla polizia? Misteriosamente, non viene steso neppure un verbale. La stessa cosa è accaduta a me quando mi sono rivolto al procuratore Berger. Sono stato ignorato. E ora Terri è morta. Non sono paranoico né schizofrenico. Non ho un'alterazione della personalità. Non sto delirando. Non sono un visionario come il protagonista di The Air Loom Gang, anche se c'è da domandarsi cosa combinino i politici e quale sia il motivo per cui siamo in guerra in Medio Oriente. Ovviamente sto scherzando, ma ormai non mi meraviglio più di nulla.» «Lei sembra molto preparato in psicologia e storia della psichiatria.» «Ho un master. Insegno storia della psichiatria al Gotham College.» Kay Scarpetta non ne aveva mai sentito parlare e gli chiese dove avesse sede. «Da nessuna parte» rispose Oscar. Il suo username era Shrew, "Bisbetica", perché il marito la apostrofava così. E non sempre per insultarla. A volte glielo diceva affettuosamente. "Non rompermi le palle, bisbetica" inveiva quando lei si lamentava del fumo di sigaro e del disordine. "Beviamo qualcosa, bisbetica" significava invece che erano le cinque del pomeriggio, lui non aveva la luna storta e voleva guardare il telegiornale. 63
Shrew allora andava a prendere i bicchieri e una ciotola di anacardi e il marito dava un colpetto sul cuscino accanto a sé, sul divano di velluto marrone. Dopo avere ascoltato per mezz'ora le notizie che, inutile a dirsi, non erano mai buone, se ne stava zitto e tranquillo. Durante la cena si sentiva solo l'acciottolio dei piatti e delle stoviglie, poi lui si ritirava in camera da letto a leggere. Un giorno era uscito a fare una commissione e non era più tornato. Shrew non si faceva illusioni su quel che avrebbe detto se fosse stato ancora lì. Non avrebbe approvato che lei accettasse l'incarico di amministratore di sistema - anonimo - per il sito web Gotham Gotcha. Avrebbe definito il suo lavoro "una schifezza" il cui unico scopo era sfruttare senza pietà la gente e nuocerle, e avrebbe detto che era una pazzia dipendere da persone che non aveva mai visto e di cui non sapeva nemmeno i nomi. Inoltre, il fatto che Shrew non conoscesse l'identità dell'anonimo autore dei testi che metteva in rete era altamente sospetto. Ma, soprattutto, lui sarebbe inorridito al pensiero che fosse stata assunta per telefono da un "agente" non americano. Costui aveva detto di abitare in Gran Bretagna, ma dall'accento le era sembrato inglese quanto Tony Soprano. L'aveva costretta a firmare numerosi documenti senza darle la possibilità di mostrarli al suo avvocato. Shrew aveva acconsentito a tutto, compreso lavorare un mese non retribuita. Alla fine del periodo di prova, nessuno le aveva fatto i complimenti per l'ottimo lavoro svolto né per dirle quanto era soddisfatto il Boss - era così che Shrew 64
definiva il giornalista anonimo - di averla nella propria squadra. Non una parola. Così lei aveva continuato, e ogni due settimane il denaro le veniva accreditato direttamente sul conto. Senza ritenute fiscali, contributi o rimborsi per eventuali spese. Come, per esempio, quando qualche mese prima aveva dovuto comprare un computer nuovo e un wireless range extender. Non poteva prendersi ferie né giorni di malattia, e non le pagavano gli straordinari: l'agente le aveva spiegato che si trattava di un lavoro per il quale era richiesta disponibilità totale, ventiquattr'ore su ventiquattro, sette giorni su sette. In precedenza, Shrew aveva avuto impieghi veri presso aziende vere; l'ultima era stata una società di consulenza in cui aveva ricoperto la funzione di responsabile del database di marketing. Non era una sprovveduta, sapeva benissimo che le attuali condizioni erano irragionevoli e che c'erano tutti gli estremi per denunciare i datori di lavoro, se solo avesse saputo chi fossero. Ma non aveva alcuna intenzione di farlo: era pagata bene e considerava un onore collaborare con un personaggio famoso, benché anonimo, il cui sito era il più discusso a New York, e forse in tutti gli Stati Uniti. Le feste erano un periodo frenetico per Shrew. Non per esigenze personali, perché non le era concesso averne, ma perché il traffico sul sito inevitabilmente aumentava e il banner sulla home page era una grossa sfida. Lei era brava, ma non aveva difficoltà ad ammettere di non essere mai stata particolarmente portata per la grafica. 65
In quel periodo dell'anno, poi, anche il ritmo delle pubblicazioni accelerava. Invece di tre articoli alla settimana, il Boss incrementava il numero di uscite per accontentare ammiratori e sponsor, e premiarli per averlo seguito fedelmente e con entusiasmo - e reso ricco - durante l'anno. Dalla vigilia di Natale in poi, Shrew doveva pubblicare in rete un articolo al giorno. A volte era fortunata e ne riceveva diversi in un'unica spedizione, li correggeva e li metteva in coda per l'invio automatico. Questo le concedeva un po’ di respiro: poteva uscire a sbrigare qualche commissione, andare dal parrucchiere o fare una passeggiata, invece di stare ad aspettare che il Boss le mandasse il lavoro. Il Boss non teneva in alcuna considerazione i suoi problemi, ma a dire la verità le sarebbe potuta andare anche peggio. Shrew sospettava che il Boss programmasse volutamente l'invio degli articoli uno alla volta, anche se ne aveva pronti parecchi in anticipo. Da questo si potevano dedurre due informazioni importanti. Primo: al contrario di Shrew, il Boss, uomo o donna che fosse, aveva una vita privata e si portava avanti con il lavoro in modo da poter fare altro, magari andare in vacanza con gli amici, stare con la famiglia o anche solo riposarsi. Secondo: il Boss pensava a Shrew abbastanza da ricordarle regolarmente che era la sua schiava, sotto il suo controllo, tanto insignificante quanto lui era famoso. Shrew non esisteva come essere umano, non aveva diritto nemmeno a uno o due giorni di tregua quando il lavoro era pronto e non c'era bisogno di affannarsi. Doveva restare a disposizione del Boss e servirlo a suo piacimento. Il Boss rispondeva o non rispondeva alle 66
sue preghiere, con il dito sul mouse e il cursore puntato sul tasto INVIO. Per fortuna, anche se le fosse stata data l'opportunità di godersele, Shrew non amava le feste: per lei erano solo una nave vuota che la traghettava da un anno all'altro, rammentandole tutto quello che non aveva e che non avrebbe avuto, mentre il ticchettio dell'orologio biologico le dava il tormento. Per Shrew non si era trattato di un processo graduale: un capello grigio qui e uno là, una ruga, qualche dolorino alle articolazioni. Tutto a un tratto, un giorno, guardandosi allo specchio, al posto della trentenne che sentiva di essere aveva visto una sconosciuta dal viso distrutto. Ormai, ogni volta che inforcava gli occhiali scopriva nuove zone in cui la pelle era rugosa e cadente. Trovava macchie pigmentate che si erano installate qua e là quasi abusivamente e peli che, simili alla vegetazione di un giardino incolto, avevano invaso aree in cui non avrebbero dovuto crescere. E a cosa servivano tutte quelle vene, poi , se non a incrementare l'apporto di sangue a cellule destinate a morire comunque? Perciò, nella mesta traversata fra la vigilia di Natale e Capodanno, le era andato benissimo non avere un minuto per sé ed essere sempre a disposizione, in attesa dell'articolo successivo, nonostante ce ne fossero chissà quanti già pronti, in un continuo crescendo fino al 1 gennaio, quando il Boss ne aveva spediti due. E questi ultimi, naturalmente, erano i più sensazionali. Shrew aveva appena ricevuto il secondo, che l'aveva lasciata sorpresa e un po’ perplessa. Il Boss 67
non parlava mai dello stesso personaggio due volte di seguito, soprattutto nella doppia edizione di Capodanno. Invece anche quell'articolo, come il precedente, era dedicato alla dottoressa Kay Scarpetta. Non c'erano dubbi che sarebbe stato un successone, perché conteneva tutti gli ingredienti fondamentali: sesso, violenza e Chiesa cattolica. Shrew si aspettava un'ondata di commenti da parte dei fan e magari anche un altro premio Penna Velenosa, che avrebbe suscitato grande scalpore se, come la volta prima, nessuno si fosse presentato a ritirarlo. Non poté fare a meno di chiedersi con una certa preoccupazione perché mai quella rispettata anatomopatologa avesse attirato gli strali del Boss. Rilesse ancora una volta l'articolo per accertarsi che non le fossero sfuggiti refusi o errori di ortografia, poi lo impaginò domandandosi come diavolo avesse fatto il Boss a scovare le informazioni tanto personali che lei aveva evidenziato con la solita sigla NBS in rosso. Never Before Seen: informazioni inedite, le più richieste. Tranne qualche rara eccezione, le fonti delle notizie erano aneddoti, avvistamenti, voci e fantasiose segnalazioni dei fan, che Shrew filtrava e metteva a disposizione del Boss. Ma nessuna delle informazioni inedite sulla dottoressa Scarpetta figurava tra quelle esaminate e selezionate da lei. Dove le aveva trovate il Boss? Se quanto scritto era vero, la dottoressa Kay Scarpetta era cresciuta in una famiglia povera e ignorante di origine italiana: una sorella che scopava a destra e a manca ancora prima della pubertà, una madre idiota e un padre operaio appena sbarcato nel Nuovo Mondo. La piccola Kay aiutava nel modesto 68
negozio di alimentari dei suoi e per molti anni aveva assistito il padre malato di cancro. Forse questo spiegava la sua passione morbosa per la morte. Il parroco, impietosito, le aveva procurato una borsa di studio in una scuola di suore a Miami, dove era diventata la secchiona di turno, frignona e spia, detestata a ragione da tutte le compagne. A quel punto dell'articolo, il Boss aveva cambiato registro, adottando lo stile, più narrativo, che usava nei momenti migliori. ... Un pomeriggio, in Florida, quella sgobbona di Kay era sola nel laboratorio di chimica quando all'improvviso apparve suor Polly, che attraversò la stanza vuota con lo scapolare nero, il soggolo e il velo, e fissò la ragazza con gli occhietti severi da beghina. «Cosa ci insegna nostro Signore riguardo al perdono, Kay?» chiese suor Polly con le mani sui fianchi vergini. «Che dovremmo perdonare gli altri come lui perdona noi.» «Tu hai obbedito alla sua parola? Sì o no?» «Non ho obbedito.» «Perché hai fatto la spia.» «Stavo risolvendo un problema di matematica e avevo le matite sul banco, suor Polly, e Sarah me le ha spezzate tutte. Ho dovuto comprarne altre, eppure Sarah sa che i miei sono poveri...» «Ecco che hai di nuovo fatto la spia.» Suor Polly estrasse qualcosa dalla tasca e disse: «Dio crede nella giustizia». Le mise un quarto di dollaro nella palma della mano e, subito dopo, le diede uno schiaffo. Le raccomandò di pregare per i suoi nemici e di perdonarli, e la rimproverò aspramente, incolpandola 69
di essere una peccatrice con la lingua lunga. Non doveva dimenticare che a Dio non piacciono i delatori. Poi l'accompagnò nel bagno dall'altra parte del corridoio, chiuse a chiave la porta, si levò la cintura nera di cuoio e le ordinò di togliersi lo scamiciato scozzese, la camicetta con il colletto rotondo e tutto quello che aveva sotto, e di chinarsi con le mani sulle ginocchia... Dopo essersi accertata che l'articolo fosse pronto per essere pubblicato, Shrew inserì la password di amministratore di sistema per entrare nell'area di programmazione del sito. Postò l'articolo con una certa apprensione, chiedendosi di nuovo che cosa potesse avere fatto la dottoressa Scarpetta per scatenare l'odio del Boss. Guardò fuori dalla finestra, oltre il computer, e si rese conto di colpo che da quando si era alzata c'era un'auto della polizia parcheggiata davanti alla casa di fronte. Forse un poliziotto vi si era trasferito, anche se le era difficile credere che un agente potesse permettersi gli affitti di Murray Hill. Poi le venne in mente che poteva trattarsi di un appostamento. Magari c'era un ladro o un pazzo a piede libero. Ritornò a pensare all'evidente intenzione del Boss di rovinare il Capodanno all'anatomopatologa per la quale lei invece aveva sempre nutrito grande ammirazione. L'ultima volta l'aveva vista in TV pochi giorni dopo Natale, quando Benazir Bhutto era stata assassinata. Kay Scarpetta aveva spiegato, con tatto e diplomazia, i danni che possono essere causati da shrapnel, pallottole o corpi contundenti, a seconda della parte di cervello o di midollo spinale interessata. Che 70
quell'apparizione in TV fosse in qualche modo collegata agli articoli del Boss? Forse la dottoressa Scarpetta gli aveva toccato un nervo scoperto, aveva urtato la sua sensibilità. Ma, in tal caso, che tipo era il suo datore di lavoro? Uno che detestava i pachistani, l'Islam, la democrazia, i diritti umani o le donne al potere? Forse si trattava soltanto di una coincidenza. Shrew però non ne era convinta e prese a riflettere su un'ipotesi raccapricciante che non aveva mai considerato. Come faceva a essere sicura di non lavorare per un'organizzazione terroristica che usava quel famigerato e redditizio sito di gossip per comunicare in codice con simpatizzanti estremisti, fare propaganda e, soprattutto, finanziare attentati? Non aveva modo di saperlo ma, se l'ipotesi era fondata, prima o poi sarebbero venuti a cercarla quelli della Sicurezza Nazionale, o forse gli stessi terroristi che stavano dietro il suo lavoro così segreto e, doveva ammetterlo, sospetto. Del quale lei, peraltro, non aveva mai fatto parola con nessuno. A quanto le risultava, le uniche persone informate della sua collaborazione con Gotham Gotcha erano l'agente, con ogni probabilità italiano, che l'aveva assunta telefonicamente (un uomo che non aveva mai incontrato e di cui non conosceva nemmeno il nome) e l'anonimo autore degli articoli, che glieli mandava perché lei li correggesse, li impaginasse e li postasse. A quel punto il programma faceva il resto, in modo che il materiale fosse online un minuto dopo la mezzanotte. Se dietro Gotham Gotcha c'era un gruppo di terroristi, voleva dire che la dottoressa Scarpetta era nel mirino: qualcuno stava cercando di distruggerla sul piano 71
professionale e personale. Forse la sua vita era in pericolo. Shrew doveva avvertirla. Ma come poteva farlo senza rivelare di essere l'anonimo amministratore di sistema del sito? Era impossibile. Mentre faceva quelle riflessioni seduta davanti al computer osservava l'auto della polizia domandandosi se ci fosse un modo per far arrivare alla dottoressa Scarpetta un messaggio anonimo. Poi qualcuno bussò alla porta, riscuotendola da quei pensieri paranoici e decisamente sgradevoli. Shrew fece un salto sulla sedia. Che fosse lo strano giovane dell'appartamento di fronte? Come quasi tutti quelli che hanno una famiglia, era andato via per Natale, ma forse era tornato e aveva bisogno di qualcosa. Shrew guardò dallo spioncino e rimase di stucco nel vedere un volto maschile, una testa quasi pelata e un paio di occhiali di metallo fuori moda. "Oh, santo cielo!" Prese il telefono e chiamò il 911. Nella caffetteria del Bellevue, Benton Wesley e Jaime Berger erano seduti a un tavolo rosa in fondo alla sala, dove potevano avere un po’ di privacy. Spesso la gente, anche se non la riconosceva, notava Jaime. Era una donna molto bella, di statura media, magra, con gli occhi azzurri e i capelli neri lucidissimi. Vestiva con eleganza, e quel giorno indossava una giacca di cachemire antracite, un cardigan nero, una gonna nera con lo spacco e scarpe décolleté, anch'esse nere, con piccole fibbie argentate sui lati. Non era 72
provocante, ma non aveva nemmeno timore di mostrare la propria femminilità. Era risaputo che quando un collega, un poliziotto o un imputato si soffermava troppo sulle sue curve, la Berger gli si avvicinava, si indicava gli occhi e diceva: "Guarda qui, quando ti parlo". A Benton ricordava Kay. La voce aveva lo stesso timbro profondo, che esigeva attenzione senza bisogno di chiederla espressamente, il viso era vivace e la corporatura corrispondeva a quella del suo tipo di donna ideale: linee semplici e curve generose. Anche Benton aveva i suoi feticci, e lo ammetteva. Ma, come aveva sottolineato parlando con la dottoressa Thomas pochi minuti prima al telefono, era fedele a Kay e lo sarebbe sempre stato. Non la tradiva neppure nelle sue fantasie, e cambiava istantaneamente registro quando queste lo portavano a immaginare scene erotiche in cui lei non era presente. No, non l'avrebbe mai tradita. Non sempre in passato si era comportato in modo così virtuoso. Quello che aveva detto la dottoressa Thomas era vero: aveva tradito la sua prima moglie Connie con Kay e, a essere sincero, aveva cominciato a farlo ancora prima, quando aveva stabilito che fosse perfettamente normale, anzi, sano, guardare le stesse riviste e gli stessi video che piacevano agli altri uomini, soprattutto durante i quattro mesi di vita monacale all'accademia dell’FBI, dove la sera non c'era granché da fare se non bere qualche birra e, al ritorno in camera, cercare sollievo allo stress e al rigore dell'addestramento. Aveva mantenuto una routine sessuale clandestina, ma sana, nel corso di tutto il suo morigerato 73
matrimonio, fino al giorno in cui si era ritrovato a lavorare sull'ennesimo caso insieme a Kay ed era finito con lei in un motel. Benton aveva perso la moglie e la metà di un considerevole patrimonio, oltre a tre figlie che non avevano più voluto neppure sentirlo nominare. Alcuni ex colleghi dell" FBI lo criticavano ancora, o comunque lo consideravano immorale. Ma a lui non importava. Non solo: non provava nemmeno un'ombra di rimorso e avrebbe rifatto tutto daccapo, se solo avesse potuto. Spesso, nella sua mente, riviveva la scena nella camera del motel, quando sanguinava e Kay gli aveva suturato le ferite. Non aveva ancora finito di medicarlo che lui la stava già spogliando. Una scena che andava al di là di ogni fantasia. Quello che lo stupiva sempre, ripensandoci, era come fosse riuscito a lavorare con Kay per quasi cinque anni senza cedere alla passione. Più parlava di quel periodo, durante i colloqui con la dottoressa Thomas, più si sorprendeva di certe cose, non ultima l'inaccessibilità di Kay. Lei non aveva intuito i suoi sentimenti, ma era stata assai consapevole dei propri. O, per lo meno, così aveva detto quando lui le aveva confessato che, con qualche rara eccezione, ogni qual volta lo vedeva con la valigetta in grembo significava che stava nascondendo un'erezione. "Anche la prima volta che ci siamo incontrati?" "Probabilmente sì." "All'obitorio?" "Già." "Quando discutevamo dei casi in quell'orribile sala riunioni a Quantico, quando studiavamo rapporti e foto, quando facevamo interminabili discorsi serissimi?" 74
"Soprattutto in quei momenti. Dopo, quando ti accompagnavo alla macchina, la cosa più difficile era non salire con te e..." "Se solo l'avessi saputo" gli aveva detto Kay una sera che avevano bevuto parecchio vino "ti avrei sedotto immediatamente, invece di sprecare cinque maledetti anni a fare tutto da sola." "A fare tutto da sola? Vuoi dire...?" "Il fatto che io lavori con i morti non significa che sia morta anch'io." «Questo è il motivo principale per cui non lo farò» stava dicendo Jaime Berger a Benton. «Correttezza politica. Sensibilità politica. Mi stai ascoltando?» «Sì, se ho lo sguardo vitreo è perché ho dormito poco.» «L'ultima cosa che desidero è che ci accusino di fare discriminazioni. Soprattutto adesso che c'è molta più attenzione sul tema del nanismo e sui preconcetti e gli stereotipi storicamente collegati. Prendi il "Post" di stamattina, per esempio. I titoli erano alti così...» Con le mani mimò una distanza di circa cinque centimetri. «Nana assassinata. Orribile. È proprio ciò che non vogliamo. Immagino già le proteste, soprattutto se la notizia verrà ripresa in questi termini da altre testate giornalistiche e se ne parlerà molto.» Guardò Benton fisso negli occhi e fece un attimo di pausa. «Purtroppo non posso controllare la stampa. E neanche tu.» Le sue parole sembravano sottintendere qualcos'altro. Ed era ciò che Benton aveva previsto. Sapeva infatti che il caso di Terri Bridges non era l'unico motivo per cui Jaime Berger gli voleva parlare. Lui aveva 75
commesso un errore tattico: avrebbe dovuto accennare per primo a Gotham Gotcha. «Le gioie del giornalismo moderno» continuò Jaime. «Non siamo mai sicuri di quale sia la verità.» Stava per accusarlo di avere mentito per omissione, benché dal punto di vista tecnico non fosse corretto perché ufficialmente Pete Marino non aveva commesso alcun reato. Quello che aveva detto la dottoressa Thomas era esatto: Benton non si trovava a casa di Kay quando era successo il fatto e non avrebbe mai saputo cosa era effettivamente accaduto in quella umida e calda serata di maggio a Charleston. Il comportamento inqualificabile di Marino, ubriaco, era passato sotto silenzio; non era stata sporta alcuna denuncia. Parlarne o anche solo alludervi da parte di Benton sarebbe stato scorretto nei confronti sia di Kay sia di Marino. Inoltre, trattandosi di una diceria, Jaime non l'avrebbe tollerata. «Purtroppo, la stessa cosa sta succedendo in reparto» replicò Benton. «Gli altri pazienti sfottono Oscar Bane.» «Lo chiameranno "nanerottolo", "fenomeno da baraccone", "mago di Oz"» osservò Jaime prendendo la tazza di caffè. Ogni volta che lei muoveva le mani, Benton notava l'assenza della fede e del diamante da numerosi carati. L'estate prima era stato sul punto di chiederle come mai non li portasse più, dato che non la vedeva da anni, ma si era trattenuto avendo notato che Jaime non nominava mai né il marito multimilionario né i figli di lui. Non faceva il minimo accenno alla propria vita privata. E in procura non giravano voci di alcun tipo. 76
Forse non c'era niente da dire perché Jaime Berger era ancora felicemente sposata; magari soffriva di una banale allergia ai metalli o temeva di essere rapinata. Ma, se aveva paura dei ladri, per quale ragione girava con un Blancpain, un orologio di una serie numerata che doveva costare, più o meno centomila dollari? «Dei nani viene data un'immagine negativa sia dai media sia al cinema» continuò Jaime. «Sono descritti come ritardati e pericolosi. Pensa per esempio al film A Venezia... un dicembre rosso shocking. Ma anche ai racconti popolari, ai nani delle corti imperiali e all'immancabile "nano testimone di tutto", dal trionfo di Giulio Cesare al ritrovamento di Mosè nella palude. Oscar Bane è stato testimone di qualcosa e allo stesso tempo accusa gli altri di essere testimoni di tutto. Sostiene che qualcuno lo segue, lo spia, lo perseguita con vessazioni elettroniche, dice che la CIA lo sta torturando per chissà quale esperimento.» «Con me non è entrato nei dettagli» replicò Benton. «È quello che ha dichiarato quando ha chiamato il mio ufficio un mese fa. Ma ne riparliamo fra un attimo. Che cosa pensi del suo stato mentale?» «Dalla valutazione sono emerse contraddizioni che suscitano parecchie perplessità. L’MMPl-2 indica tratti di introversione sociale. Durante il Rorschach, ha detto di vedere palazzi, fiori, laghi, montagne; mai persone. Lo stesso per il TAT: ha descritto una foresta con occhi e facce tra le foglie, il che significa distacco dagli altri, ansia profonda e paranoia, ma anche senso di solitudine, frustrazione, paura. I reattivoproiettivi erano maturi, tuttavia non c'erano figure umane, solo facce con gli occhi vuoti. Di nuovo, paranoia. Ha la sensazione di essere spiato. Però nulla indica che la 77
sua paranoia sia un fenomeno di lunga durata. Questa è una contraddizione, ed è la parte più sconcertante. È paranoico, ma non credo che la sua condizione sia cronica.» «Ha paura di qualcosa che al momento per lui è reale.» «Sì, secondo me è così. Ha paura ed è depresso.» «Non pensi, in base alla tua esperienza e alla valutazione eseguita, che sia naturalmente predisposto alla paranoia? Non sarà un tratto che ha sviluppato nell'infanzia a causa della bassa statura? L'avranno preso in giro, maltrattato, discriminato...» «Non sembra che abbia avuto questo genere di esperienze in giovane età. Tranne che con la polizia. Mi ha ripetuto più volte che odia i poliziotti. E che odia te.» «Eppure ha collaborato con la polizia. Fin troppo. Scommetto che il suo eccessivo zelo non servirà a nulla.» Taime parve far finta di non avere sentito che Bane la odiava. «Spero che lo vedrai presto» disse Benton. Girava voce che, se la vittima fosse stata una finestra rotta, la Berger sarebbe riuscita a ottenere una confessione dalla pietra che l'aveva mandata in frantumi. «Trovo affascinante che collabori con persone di cui sicuramente non si fida» osservò Jaime. «In pratica ci ha consegnato su un vassoio d'argento campioni biologici e una dichiarazione... a patto che fosse Kay a occuparsene. I vestiti, la macchina, l'appartamento... sempre alla stessa condizione, e cioè che venisse Kay. Perché?» 78
«A causa delle sue paure?» suggerì Benton. «Probabilmente vuole dimostrare che non ci sono prove che sia stato lui a uccidere Terri Bridges. E, soprattutto, vuole convincerne Kay.» «Dovrebbe preoccuparsi piuttosto di convincere me.» «Di te non si fida, di Kay sì. Fa affidamento su di lei in maniera irrazionale, e questo mi preoccupa moltissimo. Ma torniamo al suo stato mentale. Vuole dimostrarle di essere una brava persona, di non avere fatto niente di male. Purché Kay gli creda, si sente al sicuro, sia fisicamente sia mentalmente. A questo punto, ha bisogno di una legittimazione da parte di Kay. Senza di lei, è quasi come se non sapesse più chi è.» «Noi però sappiamo chi è, e anche cosa con tutta probabilità ha fatto.» «Devi capire che migliaia di persone temono di essere controllate e si considerano vittime di armi psichiche» replicò Benton. «Hanno paura che il governo le spii, le "riprogrammi", che manipoli i loro pensieri e la loro vita attraverso film, videogame, sostanze chimiche, microonde, impianti. Questo genere di apprensioni è dilagato in modo esponenziale negli ultimi otto anni. Non molto tempo fa passeggiavo per Central Park e ho visto un tizio che parlava agli scoiattoli. L'ho osservato per un po', poi lui si è voltato e mi ha detto di essere vittima di ciò di cui stiamo discutendo adesso. Per tranquillizzarsi va a trovare gli scoiattoli: se riesce a fargli mangiare le noccioline dalla mano, vuol dire che ha ancora un legame con la realtà. Non permetterà che quei bastardi lo prendano.» 79
«Questa è New York, la città dove i piccioni hanno il GPS incorporato.» «E con le onde radar gravitazionali si fa il lavaggio del cervello ai picchi» aggiunse Benton. Jaime si accigliò. «Ci sono picchi a New York?» «Chiedi a Lucy degli ultimi sviluppi tecnologici: alcuni esperimenti somigliano agli incubi di uno schizofrenico» rispose lui. «Questa roba invece è reale. Non ho dubbi sul fatto che Oscar Bane la consideri tale.» «Sono assolutamente d'accordo. Ma è possibile che Oscar sia pazzo, e che la follia l'abbia portato a uccidere la sua ragazza. Utilizza mezzi di protezione insoliti: una schermatura di plastica incollata sul retro del cellulare; un'altra nella tasca posteriore dei jeans; un'antenna esterna fissata con un magnete al SUV, che apparentemente non serve a nulla. L'investigatore Morales, che non hai ancora conosciuto, sostiene che serva contro le radiazioni. Poi... vediamo se ricordo bene... un TriField Meter.» «Per rilevare campi elettromagnetici a bassa frequenza sulle bande ELF e VLF. Un detector, in altre parole. Un misuratore di onde elettromagnetiche» spiegò Benton. «Lo piazzi in mezzo a una stanza e, in base ai valori, capisci se sei monitorato elettronicamente.» «Funziona?» «È molto usato nella caccia ai fantasmi» rispose Benton. Per la terza volta, l'investigatore P. R. Marino rifiutò tè, caffè, una bibita e anche solo un bicchiere d'acqua. Shrew provò a insistere. 80
«Se non qui, da qualche parte è sicuramente l'ora dell'aperitivo» disse, ripetendo una vecchia battuta del marito. «Che ne dice di un sorso di bourbon?» «Sto bene così, grazie» rispose l'investigatore Marino. «È sicuro? Non è un problema. Quasi quasi ne bevo un goccetto anch'io.» Andò nell'altra stanza. «No, grazie.» La donna tornò a sedersi. Altro che goccetto, se n'era versata una dose generosa. Quando posò il bicchiere il ghiaccio tintinnò. «Di solito non bevo» disse, seduta sul divano di velluto. «Non sono un'ubriacona.» «Lungi da me giudicare» replicò Marino occhieggiando il bicchiere pieno come se fosse una bella donna. «A volte si ha bisogno di qualcosa per calmare i nervi» si giustificò lei. «Mentirei se dicessi che non mi ha spaventata.» Tremava ancora, dopo dieci minuti di tira e molla per accertarsi che Marino fosse davvero un poliziotto. Piazzare un distintivo davanti allo spioncino era un trucco che aveva visto molte volte nei film d'azione, e se l'operatore del 911 non fosse rimasto in linea, anche mentre lei faceva entrare l'uomo alla sua porta, assicurandole che era davvero chi diceva di essere, l'investigatore Marino non si sarebbe mai seduto nel suo soggiorno. Era un tipo grande e grosso, con qualche ruga e il colorito rossastro degli ipertesi. Quasi pelato, aveva rade ciocche grigie disposte a mezzaluna intorno alla chierica; l'aspetto e i modi erano quelli di un uomo autoritario, che non dava ascolto a nessuno e che non 81
conveniva prendere sottogamba. Shrew era sicura che potesse acciuffare due delinquenti per la collottola, uno per mano, e farli volare contemporaneamente dall'altra parte della stanza come fuscelli. In gioventù doveva avere fatto la sua figura e al momento con ogni probabilità era single, o almeno lei lo sperava, perché se la sua donna lo lasciava uscire di casa conciato in quel modo voleva dire che se ne fregava altamente di lui o che era una poco di buono. Oh, come le sarebbe piaciuto dargli qualche dritta in materia di abbigliamento! Un uomo di quella stazza, se indossa un abito da pochi soldi, soprattutto se nero, una camicia bianca senza cravatta e scarpe nere stringate con la suola di para, rischia di assomigliare a Frankenstein. Ma si guardò bene dal consigliarlo, per paura che reagisse come suo marito, e fece molta attenzione a non osservarlo con troppa insistenza. Si limitò a continuare a fare commenti nervosi e ad allungare la mano per prendere il bicchiere chiedendogli se davvero non volesse niente. Beveva un sorso, rimetteva il drink sul tavolino e parlava. E più lei parlava e beveva, più lui se ne stava zitto sulla poltrona di pelle preferita di suo marito. Non le aveva ancora spiegato lo scopo della visita. Alla fine Shrew disse: «Bè, ho parlato abbastanza di me. Sono sicura che lei è un uomo molto occupato. Che tipo di indagini svolge? Furti, immagino. Questo è il periodo peggiore, lo so. Se potessi permettermelo, vivrei in un palazzo con la portineria. Immagino che sia venuto per quello che è successo qui di fronte». «Mi dica tutto quello che sa» replicò l'investigatore Marino, e la sua ingombrante presenza sulla poltrona sembrò rimpicciolire il ricordo del marito seduto in 82
quello stesso posto. «L'ha letto sul "Post" o gliel'hanno raccontato i vicini?» «Né l'uno né l'altro.» «Sono curioso, perché i media non ne hanno ancora parlato molto. Non divulghiamo i dettagli, per una buona ragione. In questo momento, meno si sa meglio è. Lei mi capisce, vero? Quindi facciamo questa chiacchierata in privato e qualsiasi informazione rimarrà tra noi. Non verrà riferita ai vicini né a nessun altro. Sono un investigatore speciale della procura distrettuale, cioè del tribunale. Sono certo che lei non farà nulla che possa pregiudicare un processo. Ha mai sentito parlare di Jaime Berger?» «Sì, certo» replicò Shrew, pentendosi di avergli dato l'impressione di sapere qualcosa e temendo di essersi inguaiata da sola. «Apprezzo molto il suo impegno in difesa degli animali.» Marino la fissò in silenzio. Lei sostenne il suo sguardo finché non ce la fece più e, prendendo il drink, chiese: «Ho detto qualcosa di sbagliato?». Gli occhiali di Marino brillavano mentre lui si guardava intorno e perlustrava la stanza come una torcia alla ricerca di un oggetto perduto o nascosto. Sembrava particolarmente interessato alla nutrita collezione di cani di porcellana e di cristallo e alle foto di Shrew con il marito e i vari cani in carne e ossa che avevano posseduto nel corso della loro vita insieme. Shrew adorava i cani. Li amava molto più delle sue figlie. Poi l'investigatore abbassò lo sguardo sul tappeto marrone e azzurro sotto il tavolino di ciliegio. «Ha un cane?» chiese. 83
Chiaramente aveva notato i peli bianchi e neri appiccicati al tappeto. Shrew non ne aveva colpa. Con l'aspirapolvere non erano venuti via e lei non aveva avuto voglia di mettersi carponi e raccoglierli a uno a uno, perché era ancora disperata per la morte prematura di Ivy. «Non sono una cattiva massaia» si giustificò. «I peli di cane tendono a infilarsi dappertutto e, una volta che li hai in casa, non riesci più a liberartene. Un po’ come fanno i cani con il nostro cuore: ti entrano dentro pian piano; non so come facciano, ma dev'esserci la mano di Dio. E chiunque dica che sono solo animali non capisce un accidente. Sono angeli caduti dal cielo, mentre i gatti non appartengono a questo mondo: sono solo in visita. Se vai in giro scalzo, i peli di cane ti entrano nella pelle come spine. Ho sempre avuto cani, ma adesso no. Anche lei partecipa alla campagna del procuratore Berger contro la crudeltà verso gli animali? Il bourbon sta facendo effetto, temo.» «Cosa intende per animali?» chiese Marino, forse per allentare la tensione. Lei però non ne era sicura. «Allude a quelli a due zampe o a quattro?» Shrew decise che era meglio prenderlo sul serio. «Sono certa che lei abbia a che fare con parecchi animali a due zampe, ma per me è un termine improprio. Gli animali non hanno il cuore di pietra e l'immaginazione crudele di certi esseri umani. Loro vogliono solo essere amati, ammesso che non abbiano la rabbia, non siano malati o ridotti alla fame. Ma, anche in questi casi, non vanno in giro a rapinare o uccidere innocenti. Non rubano negli appartamenti della gente che va in vacanza per Natale. Non riesco a immaginare cosa si provi a tornare a casa e trovare 84
tutto sottosopra. La maggior parte dei caseggiati in questa zona è un bersaglio facile, secondo me. Non ci sono portinerie né sistemi di sicurezza, e gli impianti di allarme scarseggiano. Io non ce l'ho, come sicuramente avrà notato. Lo spirito di osservazione fa parte del suo lavoro e, a occhio, direi che lo fa da un bel po’ di tempo. Comunque, intendevo quelli a quattro zampe.» «A quattro zampe cosa?» Marino sembrava sul punto di sorridere, come se la trovasse divertente. Ma forse Shrew se lo era soltanto immaginato. O era colpa del bourbon. «Perdoni la divagazione» disse. «Ho letto molti articoli su Jaime Berger. Che donna in gamba! Secondo me, chiunque faccia qualcosa per gli animali è una persona perbene. Ha fatto chiudere un bel po’ di quegli orribili negozi che vendono povere bestie malate e piene di difetti genetici. Magari le ha dato una mano, e in questo caso grazie anche a lei. Ho avuto un cucciolo che proveniva da uno di quei negozi.» Marino ascoltava, apparentemente senza battere ciglio. Più lui le prestava attenzione, più Shrew parlava e allungava il braccio per prendere il bicchiere, cosa che di solito le riusciva solo al terzo tentativo. Se in un primo momento aveva creduto che l'investigatore la trovasse interessante, nel giro di qualche minuto era arrivata a temere che avesse dei sospetti sul suo conto. «Un Boston terrier di nome Ivy» spiegò stringendo un fazzoletto in mano. «Le ho chiesto del cane perché mi interessa sapere se esce spesso» disse Marino. «Per portarlo fuori, per esempio. E anche se osserva quello che accade nel 85
quartiere. Le persone che portano a spasso il cane notano quanto succede loro intorno. Più ancora di chi spinge un passeggino o una carrozzella. E una cosa poco risaputa.» Puntò gli occhiali verso di lei. «Ha mai fatto caso a quanta gente attraversa la strada spingendo il passeggino davanti a sé? Chi viene investito per primo? I padroni dei cani sono più prudenti.» «Verissimo» replicò Shrew, contenta di non essere la sola ad avere notato la pericolosa abitudine delle persone di spingere il passeggino innanzi a sé quando attraversano le strade trafficate di New York. «Ma al momento non ne ho.» Ci fu un altro lungo silenzio. Quella volta fu Marino a interromperlo. «Cos'è successo al povero Ivy?» chiese. «Bè, era una femmina. Non l'avevo comprata io, ma veniva da Puppingham Palace, un negozio di animali qui dietro l'angolo. "Dove gli animali vengono trattati da re." Ma sarebbe più realistico: "Dove i veterinari vengono trattati da re", perché i dottori di questa zona lavorano moltissimo con i clienti provenienti da quel postaccio innominabile. La signora che abita di fronte l'aveva ricevuta in regalo, ma non poteva tenerla e me l'ha portata in preda al panico. Neanche una settimana dopo, Ivy è morta di parvovirus. Non è successo da molto. Poco prima del giorno del Ringraziamento.» «Quale signora di fronte?» Shrew ebbe come un soprassalto ed esclamò, incredula: «Non mi dica che è stata Terri a essere derubata? Non ci avevo pensato, perché è l'unica a non essere partita per le vacanze e tiene le luci 86
accese... Non credevo che i ladri potessero entrare in un appartamento dove, c'è gente». Prese il bicchiere e lo tenne stretto. «Ieri sera sarà uscita, come tutti, a festeggiare il Capodanno» continuò. Bevve più di un sorso. «Non saprei. Io sto sempre in casa e vado a letto presto. Non aspetto di vedere la palla di Times Square che scende a mezzanotte. Non mi interessa. Per me, è un giorno come tutti gli altri.» «A che ora è andata a dormire ieri sera?» chiese l'investigatore Marino. Sicuramente si aspettava che gli dicesse di non avere visto nulla, e senza dubbio non aveva nessuna intenzione di crederle. «Capisco dove lei vuole arrivare» rispose. «Il punto non è a che ora sono andata a letto, ma quando ero seduta al computer.» Il computer era davanti a una finestra da cui si vedeva benissimo l'appartamento al pianoterra della vicina. Marino lo osservò. «Non guardo tutti i momenti fuori dalla finestra» si giustificò Shrew. «Ho cenato in cucina, alle sei, come al solito. Avanzi di stufato di tonno. Poi sono rimasta a leggere per un po’ in camera, dove tengo sempre le tende chiuse.» «Cosa sta leggendo?» «Ah, capisco. Mi mette alla prova, nel caso mi stessi inventando tutto. Chesil Beach, di Ian McEwan. Lo sto leggendo per la terza volta. Continuo a sperare che alla fine quei due si ritrovino. Le è mai successo di rileggere un libro o di rivedere un film sperando che finisca come piacerebbe a lei?» «Se non si tratta di reality show, finiscono come finiscono. Un po’ come la criminalità o le tragedie. Se ne può parlare cent'anni, ma la gente continuerà a 87
venire aggredita e a morire in terribili incidenti o, peggio ancora, ammazzata.» Shrew si alzò dal divano. «Vado a fare rifornimento. È sicuro di non volere niente?» Si diresse verso il cucinino che non veniva rimodernato da almeno quarant'anni. «Per sua informazione, ieri sera non c'era nessuno in casa» le disse Marino. «Né nel suo palazzo né in quello di fronte. Tutti i condomini, tranne lei, sono partiti per le vacanze da prima di Natale.» Marino si era informato bene. Sapeva tutto di tutti, compresa lei, pensò Shrew mentre si versava ancora un po’ di Maker" s Mark nel bicchiere, lasciando perdere il ghiaccio. E allora? Suo marito era un commercialista rispettato e nessuno dei due aveva mai avuto problemi né frequentazioni con gente losca. Oltre alla sua vita professionale segreta, di cui nemmeno un investigatore di polizia poteva essere al corrente, non aveva nulla da nascondere. «È importante che ci pensi bene» proseguì Marino quando Shrew tornò a sedersi sul divano. «Ieri sera ha sentito o visto qualcosa che possa interessarci? Magari qualcuno in zona ha attirato la sua attenzione? Anche nei giorni o nelle settimane precedenti? Qualcuno l'ha insospettita o le ha dato una strana sensazione? Capisce cosa voglio dire? Una sensazione proprio qui.» Marino si indicò la pancia e Shrew pensò che un tempo doveva essere stata assai più prominente. Lo si capiva dalla pelle cascante del viso. Quell'uomo era stato molto più grasso. «No» rispose. «E una strada tranquilla, ben frequentata. Il giovane che abita nell'appartamento di fronte al mio è un medico del Bellevue. Fuma 88
marijuana e da qualche parte deve procurarsela, ma sono più che sicura che non la compra nel quartiere. È più probabile che la trovi nei dintorni dell'ospedale, una zona poco raccomandabile. La signora che occupa l'appartamento di sotto e che, ovviamente, da sulla strada come questo...» «Nessuno dei due era in casa ieri sera.» «... non è una ragazza molto cordiale e ha un fidanzato con cui litiga spesso. Ma si frequentano da circa un anno, perciò dubito che sia un delinquente.» «Operai, tecnici o gente del genere?» «Ogni tanto vengono quelli della televisione via cavo.» Guardò fuori dalla finestra, oltre il computer. «C'è una parabola satellitare sul tetto, che da qui vedo molto bene, e qualche volta ho notato un operaio che ci trafficava.» Marino si alzò e guardò a sua volta il tetto piatto dell'edificio davanti al quale era parcheggiata la macchina della polizia. La giacca gli tirava sulle spalle sebbene non fosse abbottonata. Senza voltarsi, disse: «Vedo una vecchia scala antincendio. Mi chiedo se gli operai usino quella per raggiungere il tetto. Ha mai visto qualcuno salirci? Non so come abbiano fatto a portare una parabola su per quella scala. Cavolo. Non è un lavoro per me. Non lo farei per tutto l'oro del mondo». Scrutò nell'oscurità. In quel periodo dell'anno alle quattro del pomeriggio era già buio. «Non saprei, per quanto riguarda la scala» rispose Shrew. «Non credo di avere mai visto nessuno salirci e credo che ci sia un altro accesso al tetto. Pensa che il ladro sia entrato da lì? Se così fosse, è davvero preoccupante, anche per il nostro palazzo.» Alzò lo sguardo al soffitto domandandosi cosa ci potesse 89
essere dall'altra parte. «Sto al primo piano, ed entrare da me è più facile. Bisognerebbe chiudere a chiave le porte di accesso al tetto.» Più ne parlava, più si agitava. «Anche in questo stabile c'è una vecchia scala antincendio.» «Mi parli della signora che le ha regalato il cane» disse Marino. Poi si rimise a sedere e, per il peso, la poltrona scricchiolò come se stesse per spezzarsi in due. «So solo il suo nome: Terri. Si nota perché è molto bassa di statura. Dico così perché so che non bisogna usare il termine "nana". Ho visto vari programmi sulle persone affette da ipostaturalità e acondroplasia; li ho guardati con grande interesse, dato che vivo di fronte a una così. E anche il suo fidanzato è come lei. Biondo, bello, fisico atletico, anche se è molto basso, ovviamente. Non tanto tempo fa, di ritorno dal mercato, mi è capitato di vederlo da vicino mentre scendeva dal suo SUV. L'ho salutato e lui ha ricambiato il saluto. Aveva in mano una rosa gialla a gambo lungo. La ricordo molto bene. E sa perché?» Il faccione e gli occhiali dell'investigatore rimasero in attesa. «Il colore giallo nel linguaggio dei fiori significa "sensibilità". Il fatto che non avesse scelto la solita rosa rossa mi ha commosso. Era quasi dello stesso colore dei suoi capelli. Sembrava volesse dirle che è anche suo amico, non solo il suo fidanzato, non so se mi spiego. Ricordo che mi è sembrato un gesto molto tenero. Non ho mai ricevuto una rosa gialla in vita mia. Il giorno di San Valentino avrei preferito le rose gialle a quelle rosse. Il rosa non mi piace: è anemico. Il 90
giallo invece è forte. Quando vedo una rosa gialla, mi si riempie il cuore come se fosse un raggio di sole.» «Quando è successo, con esattezza?» Shrew si concentrò. «Avevo comprato due etti di arrosto di tacchino. Vuole che le cerchi lo scontrino? Le vecchie abitudini sono dure a morire. Mio marito faceva il commercialista.» «Provi a ricordare.» «Sì, certo. Lui viene a trovarla il sabato, di questo sono sicura. Quindi dev'essere stato sabato scorso, nel tardo pomeriggio. Ma mi sembra di averlo visto in zona anche altre volte.» «In macchina? A piedi? Da solo?» «Da solo. L'ho visto passare in auto in un paio di occasioni nell'ultimo mese. Esco almeno una volta al giorno per fare un po' di moto o qualche commissione, sempre che il tempo non sia tremendo. E sicuro che non posso offrirle niente?» Tutti e due abbassarono lo sguardo sul bicchiere nello stesso momento. «Si ricorda l'ultima volta in cui l'ha visto da queste parti?» chiese Marino. «Natale era martedì... Sì, credo di averlo visto a Natale. E anche qualche giorno prima. Ora che ci penso, il mese scorso l'ho notato tre o quattro volte che passava in macchina. Quindi è probabile che sia venuto molto più spesso e che io non ci abbia fatto caso. Bè, mi sono espressa male. Quello che cercavo di...» «Ha notato se osservava il palazzo di Terri? Andava piano? Si è fermato a un certo punto? Certo, capisco. Se l'ha visto una volta, può essere passato altre venti volte senza che lei vi abbia prestato attenzione.» 91
«Andava piano. E sì...» Bevve un sorso. «È proprio quello che intendevo dire.» Quell'investigatore era molto più intelligente di quanto sembrasse. Meglio non avere problemi con uno così, che ti coglie in castagna senza che tu te ne accorga. Shrew si domandò se non fosse dell'antiterrorismo. Magari indagava sui finanziamenti alle cellule o cose del genere. Se fosse stato quello il motivo della sua visita? «A che ora?» volle sapere Marino. «A orari diversi.» «È rimasta a casa per tutto il periodo delle feste. E la sua famiglia?» Il modo in cui lo disse le fece venire il sospetto che già sapesse dell'esistenza delle due figlie che vivevano nel Midwest, entrambe occupatissime, le quali si facevano vive soltanto quando avevano bisogno di qualcosa. Rispose: «Le mie due figlie preferiscono che vada io a trovarle, e a me non piace viaggiare, soprattutto in questo periodo dell'anno. Non vogliono spendere soldi per venire a New York, soprattutto in un momento simile. Non credevo che avrei vissuto abbastanza per vedere il dollaro canadese valere più del nostro. Una volta si raccontavano barzellette sui canadesi, ma ho il sospetto che ora siano loro a farsi beffe di noi. Come credo di averle già detto, mio marito era commercialista, e sono contenta che non ci sia più. Ci patirebbe troppo.» «Mi sta dicendo che non vede mai le sue figlie?» Marino non aveva ribattuto a nessuna delle sue allusioni al marito. Tuttavia Shrew era certa che sapesse anche di lui. Era di dominio pubblico, in fondo. «Ho semplicemente detto che non viaggio» ribatté. 92
«Le vedo di tanto in tanto. Ogni due anni vengono qui e si fermano qualche giorno, d'estate. Vanno allo Shelburne.» «L'hotel vicino all'Empire State Building.» «Sì. Quel bell'edificio in stile europeo sulla Trentasettesima. Da qui ci si arriva a piedi. Non ci ho mai dormito.» «Perché non viaggia?» «Così.» «Non perde niente. Al giorno d'oggi, viaggiare è carissimo, i voli sono sempre in ritardo e ne cancellano in continuazione... Per non parlare di quando ti tengono ore ad aspettare sulla pista di decollo su un aereo con la toilette intasata. Le è mai capitato? A me sì.» Shrew aveva distrutto completamente il fazzoletto di carta che teneva in mano. Si sentiva una stupida ripensando allo Shelburne e alle volte, nella sua vita, in cui avrebbe potuto passarci qualche giorno. Adesso non era più possibile, perché non poteva allontanarsi dal lavoro. Ma ormai che senso aveva? «Non viaggio e basta» replicò. «Me l'ha già detto.» «Mi piace stare a casa mia. E lei sta incominciando a innervosirmi. Mi sembra che mi stia accusando. Fa il cordiale per confondermi, per farmi parlare. Come se sapessi qualcosa e non volessi dirglielo. Non è così. Non so niente. E avrei dovuto evitare di bere.» «Se volessi accusarla di qualcosa, di cosa potrebbe trattarsi?» domandò Marino con quel suo accento del New Jersey e gli occhiali puntati su di lei. «Provi a chiederlo a mio marito» replicò Shrew con un cenno del capo verso la poltrona, come se il marito 93
fosse presente. «La guarderebbe dritto negli occhi e con grande serietà vorrebbe sapere da lei se brontolare è considerato un reato. E, se lo è, le consiglierebbe di chiudermi in una cella e di gettare via la chiave.» «Bè, non esageriamo.» Marino si sporse in avanti e la poltrona cigolò. «Non mi sembra una brontolona. E una donna piacente che non dovrebbe starsene sola durante le vacanze di Natale. Una persona intelligente, che non perde un colpo.» Per qualche ragione, a Shrew venne voglia di piangere. Le tornò in mente il biondino con la rosa gialla dal gambo lungo, e quel pensiero la rattristò ancora di più. «Non so come si chiami il fidanzato» disse. «Ma dev'essere pazzo di lei. È stato lui a regalarle il cane che Terri mi ha affidato. Pare che volesse farle una sorpresa, ma lei non poteva tenerlo e il negozio non voleva riprenderselo. Una strana faccenda, ripensandoci. Una persona con cui scambio due parole ogni tanto per strada si presenta alla mia porta con un cestino coperto da uno strofinaccio, come se mi portasse un dolce appena sfornato; cosa che comunque non avrebbe avuto alcun senso, perché, come ho già detto, non la conoscevo e non mi aveva mai dato particolare confidenza. Mi ha spiegato che doveva trovare una sistemazione per il cucciolo e mi ha chiesto se per favore potevo prenderlo io. Era al corrente del fatto che vivo da sola e non lavoro fuori casa. Non sapeva a chi altro rivolgersi.» «Quando è successo?» «Intorno al Ringraziamento. Quando le ho detto, un giorno che l'ho incontrata per strada, che il cucciolo era morto, più o meno una settimana dopo, è rimasta 94
sconvolta e si è scusata moltissimo. Insisteva per comprarmene un altro, a condizione che lo andassi a scegliere io. E voleva darmi i soldi, un gesto che ho trovato molto impersonale. Lo so cosa pensa: si sta chiedendo se sono stata in casa sua. Bè, no, non ci ho mai messo piede. E nemmeno nel suo palazzo. Non ho la più pallida idea di cosa potesse esserci di così interessante per un ladro. Forse gioielli, però non ricordo di averle visto indossare qualcosa di prezioso. Anzi, non mi pare di avere mai notato che portasse gioielli. Le ho chiesto perché avrei dovuto prendere un altro cucciolo nel negozio in cui il fidanzato aveva comprato Ivy. Mi ha risposto che non aveva intenzione di acquistare più niente in quel negozio, ma che non dovevo essere troppo severa. Non tutti i negozi di animali sono come Puppingham Palace. Per esempio, la catena TellTail Hearts è fantastica, e lei mi avrebbe dato volentieri il denaro per prendere un cane da loro, in uno dei rivenditori di New York o del New Jersey. Ne parlano un gran bene e ho pensato seriamente di farlo. Mi pare una buona idea tenere un cane, visto quello che è successo. Uno qualsiasi, purché abbai o ringhi. I ladri non entrano, se c'è un cane.» «Solo che bisogna portarlo fuori» disse Marino. «Anche di sera. Con il rischio di essere scippati o seguiti da un malintenzionato che poi entra in casa.» «Non sono un'ingenua» replicò Shrew. «Se il cane è piccolo, non è necessario portarlo fuori. I pannoloni vanno benissimo. Molto tempo fa avevo uno yorkshire e gli avevo insegnato a sporcare nella lettiera. Stava nel palmo di una mano, ma abbaiava che non le dico e mordeva le caviglie agli estranei. In ascensore, oppure quando qualcuno veniva a trovarmi, dovevo prenderlo 95
in braccio finché non si abituava alle persone. Ovviamente Ivy non è mai uscita. Non si può portare una cucciola malaticcia in queste strade così sporche. Non ho dubbi che avesse già il parvovirus quando il fidanzato l'ha comprata in quell'orribile Puppingham Palace.» «Come fa a essere così sicura che gliel'abbia regalata il fidanzato?» «Oh, santo cielo!» esclamò lei stringendo il bicchiere con entrambe le mani e riflettendo sulle possibili implicazioni di quella domanda. La poltrona cigolò. Marino attese. «Lo davo per scontato» spiegò Shrew. «Ma lei ha assolutamente ragione a chiederlo.» «Allora facciamo così. È il metodo che uso con tutti i testimoni.» «Testimoni?» «La conosce. Abitate di fronte.» "Testimone di cosa?" si chiese Shrew strappando gli ultimi brandelli del fazzoletto di carta e guardando il soffitto, nella speranza che non ci fosse nessun accesso al tetto. «Immagini di scrivere la sceneggiatura di un film» disse Marino. «Ha carta e penna? Terri le affida Ivy. Metta la scena per iscritto. Io me ne sto qui seduto mentre lei lo fa, poi mi leggerà il copione.» Dopo l'11 settembre, le autorità di New York avevano deciso di dotare l'Istituto di medicina legale di un nuovo laboratorio di analisi del DNA, con sede in un palazzo di quindici piani interamente di vetro azzurro. La tecnologia, grazie all'esame dei marcatori genetici polimorfici STR e SNP e ai nuovi metodi per interpretare microtracce di DNA, era così avanzata che 96
ormai si potevano analizzare campioni di sole diciassette cellule umane. Il lavoro si svolgeva con estrema efficienza. Se Jaime Berger voleva un test del DNA per un caso ad alta priorità, in teoria poteva ottenere i risultati nel giro di poche ore. «Nessun indizio rivelatore» disse Jaime. Porse a Benton una copia del referto mentre la cameriera riempiva le tazze di caffè. «Troppi indizi» continuò. «I tamponi vaginali di Terri Bridges sono i più confusi che io abbia mai visto. Non c'è liquido seminale, però si è riscontrata la presenza di DNA di vari "donatori". Ne ho parlato con la dottoressa Lester, ma non è servito a niente. Non vedo l'ora di sentire cosa ne pensa Kay.» «Avete passato i profili nel CODIS?» chiese Benton. «Ne abbiamo identificato uno. E la faccenda si fa ancora più strana: è di una donna.» «Come mai è nel database?» chiese Benton scorrendo con gli occhi il referto. Non diceva granché, solo che i tamponi erano stati mandati per le analisi alla dottoressa Lester; poi c'erano i risultati di cui stavano parlando. «Omicidio colposo nel 2002» rispose Jaime. «Si è addormentata al volante e ha investito un ragazzino in bici. Condannata con sospensione della pena. Non è accaduto qui, noi non saremmo stati così clementi, anche se era anziana e completamente sobria al momento dell'incidente. È successo a Palm Beach, in Florida, ma la donna è proprietaria di un appartamento in Park Avenue e in questo momento si trova a New York. Ieri sera, all'ora in cui Terri Bridges è stata uccisa, era a una festa di Capodanno, anche se non ho motivo di sospettare nemmeno per un nanosecondo che abbia qualcosa a che fare con l'omicidio. Vuoi 97
sapere un'altra ragione per cui il giudice di Palm Beach è stato così clemente? Quando ha investito il ragazzo, la signora in questione si è rotta la schiena. Allora, hai una delle tue brillanti idee per giustificare il fatto che il DNA di una settantottenne paraplegica sia finito nella vagina di Terri Bridges insieme a quello di svariate altre persone?» «Non può esserci stato qualche errore nel campionamento o nelle analisi?» «Mi dicono che è impossibile. Ma per sicurezza, dato che tutti noi abbiamo un profondo rispetto per la competenza della dottoressa Lester... Dio, perché è toccato proprio a lei eseguire quella maledetta autopsia? Sai che l'ha fatta lei, vero?» «Morales mi ha accennato qualcosa. E ho letto il referto preliminare. Sai cosa penso della Lester.» «E tu sai cosa pensa lei di me. Com'è possibile che una donna sia misogina? Perché credo davvero che odi le donne.» «Per invidia o per paura della concorrenza. In altre parole, è possibilissimo. Le donne possono odiare le loro simili. Ne abbiamo visti parecchi esempi in politica.» «Il laboratorio sta analizzando il DNA di tutti i soggetti a cui è stata fatta l'autopsia stamattina, per capire se i tamponi di Terri possono essere stati contaminati o etichettati erroneamente» spiegò Jaime. «I campioni rinvenuti su Terri sono perfino stati confrontati con il DNA di tutto il personale dell'Istituto di medicina legale, compreso il direttore, e di tutti ì poliziotti che si trovavano sulla scena del crimine ieri sera, che peraltro erano già nel database. I risultati sono negativi per tutto il personale dell'obitorio tranne 98
che per l'anatomopatologo lì presente, che non era la dottoressa Lester, per Morales e per i due barellieri che hanno trasportato il corpo all'obitorio. Il test del DNA ormai è così preciso che basta respirare sulla scena del crimine perché se ne trovi qualche traccia. E ciò a volte è un bene, altre un male.» «Qualcuno ha chiesto a questa signora di Palm Beach se conosce Oscar Bane o se ha qualcosa a che fare con lui?» volle sapere Benton. «Lo spiacevole compito è toccato a me. L'ho chiamata personalmente» rispose Jaime. «Non l'aveva. mai sentito nominare prima di leggere il "Post", ed è rimasta a dir poco indignata nel sentir insinuare che potesse avere a che fare con lui. Ha affermato, e te lo sto riferendo in termini più diplomatici di quelli che ha usato lei, che se mai le capitasse di trovarsi nella stessa stanza con un nano non gli rivolgerebbe la parola né lo guarderebbe per paura di metterlo in imbarazzo.» «È al corrente del motivo per cui l'abbiamo collegata a Oscar? Le hai accennato del DNA?» «Ovviamente no. Le ho detto solo che è saltato fuori il suo nome. E lei se l'è presa subito con i genitori dello scout sedicenne che ha investito accidentalmente con la sua Bentley, i quali non perdono occasione per piantarle delle grane. Angherie tipo farle causa per ottenere il risarcimento di cure mediche non coperte dall'assicurazione; ma lei che colpa ne ha? Si è lamentata anche delle storie strappalacrime che sono apparse sui giornali. Sicuramente i genitori del ragazzo avevano saputo della "nanerottola assassinata", testuali parole, e avevano deciso di infangare di nuovo la sua reputazione.» 99
«Che stronza bastarda.» «Continuo a pensare che ci sia stata una contaminazione» replicò Jaime. «Non trovo nessun'altra spiegazione. Forse a Kay verrà in mente qualcosa. E domani, si spera, avremo il DNA di Oscar Bane. Ma ci aspettiamo che il suo si trovi ovunque. Un riscontro positivo non ci sarà di grande aiuto.» «E le email? Con o senza il suo consenso, puoi avervi accesso, no? Immagino che lui scrivesse a Terri» disse Benton. «Possiamo accedere alla sua casella di posta, e lo faremo, senza che Bane lo sappia. In fin dei conti mi sembra chiaro, no? E meno collaborativo di quanto sembri e, se non troviamo abbastanza elementi per arrestarlo, la situazione non cambierà. E questo mi mette in una posizione molto difficile. Devo andare con i piedi di piombo, ma voglio conoscere anche le informazioni in possesso di Kay. Bane sta parlando con lei in quell'ambulatorio, e le rivelerà cose che non ha detto ad altri e che, nelle attuali circostanze, a Kay non è permesso riferire a nessuno. È una domanda superflua, ma Kay ha avuto a che fare con Oscar Bane in passato?» «Se così fosse, non lo sapeva o non se ne ricordava, altrimenti me l'avrebbe detto quando gliel'ho nominato per telefono» rispose Benton. «Però non lo scopriremo finché Oscar non verrà arrestato o non l'autorizzerà a venir meno al segreto professionale. Conosco Kay. Se non è autorizzata a parlare, non lo farà.» «E se ci fosse un collegamento fra Kay e Terri Bridges? E possibile?» «Non saprei. Se Oscar le parla di Terri e lei si rende conto di conoscerla, si tirerà subito indietro o per lo 100
meno ci avvertirà in modo che possiamo decidere sul da farsi.» «Certo che l'abbiamo messa in una situazione difficile» osservò Jaime. «Per lei e per te. Immagino che non ci siate abituati. Che per voi le questioni professionali siano argomento di conversazione a cena, nel weekend o durante le vacanze. E forse anche causa di litigi.» Lo guardò negli occhi. «Penso che parliate liberamente di tutto, a meno che non siate citati come periti di parte nello stesso processo, l'uno per l'accusa e l'altro per la difesa, ma questo non succede quasi mai. Che squadra, voi due! Nessun segreto. Sempre professionalmente inseparabili. E ora siete anche personalmente inseparabili. Spero che le cose procedano bene.» «Già, non è facile.» Quelle allusioni alla vita privata non gli erano piaciute. «Sarebbe più semplice se Oscar Bane venisse arrestato per l'omicidio della fidanzata. Anche se è brutto sperarlo.» «Tutti quanti speriamo un sacco di cose che non vogliamo ammettere» replicò lei. «Ma il fatto è che, se ha ucciso Terri Bridges, non dovremo cercare nessun altro.» Aveva bisogno di comprare un pacco di caffè Breakfast Blend, ma ricordava la neve che pungeva come le ortiche e non aveva voglia di uscire. Nel complesso, quel giorno nulla era andato per il verso giusto. Aveva avuto più difficoltà del solito con un testo da pubblicare online, un articolo particolarmente maligno dal titolo The ExFile, che consisteva in una lista di persone famose alle quali gli ammiratori si erano rivoltati contro, spiegandone il motivo. Di certo Shrew 101
doveva tralasciare quella parte, scrivendo il copione per l'investigatore Marino. Doveva tralasciare un mucchio di cose. Per esempio, non poteva raccontargli lo spavento che si era presa quando era suonato il campanello e aveva fatto accomodare Terri senza rendersi conto che la schermata di programmazione del sito Gotham Gotcha era in bella vista sul monitor da ventiquattro pollici del suo computer. Terri aveva posato il cesto sul tavolino e si era diretta alla scrivania davanti a lei; Shrew ci ripensò, descrivendo la scena sul taccuino, e tralasciò anche il ricordo che le era tornato in mente in quel momento. Terri aveva guardato lo schermo e lei si era inventata una scusa per spiegare come mai vi comparisse un articolo impaginato di Gotham Gotcha punteggiato di codici di programmazione. "Che cos'è?" Terri era così bassa che il monitor le arrivava all'altezza degli occhi. "Ti confesso che leggo Gotham Gotcha." "Perché è in questo formato? Fai la programmatrice? Non sapevo che lavorassi." "Ho visualizzato tutti quei codici per sbaglio, perché sono un'imbranata. Accomodati, prego." Shrew l'aveva quasi spinta via, per poter chiudere il programma. "No, no, non lavoro" aveva chiarito subito. Terri si era seduta sul divano con le gambette tese e i piedi che spuntavano appena dal bordo del cuscino. Aveva detto che usava la posta elettronica ma, a parte quello, di computer non sapeva niente. Certo, sapeva dell'esistenza di Gotham Gotcha, perché c'erano annunci pubblicitari dappertutto e la gente ne parlava spesso, ma non aveva mai visitato il sito. L'università non le lasciava il tempo di leggere per diletto, e 102
comunque non era interessata al gossip. Non era il suo genere. Per di più le avevano detto che era pieno di volgarità, una porcheria. Voleva sapere se anche Shrew la pensava allo stesso modo. «Non so come si scrive una sceneggiatura» disse all'investigatore Marino. «Credo che si debbano usare un linguaggio e un formato speciali, e infatti gli sceneggiatori usano un software dedicato. Al Vassar College ho seguito un corso di teatro e ho visto copioni di commedie e musical, perciò so benissimo che le sceneggiature vengono scritte non per essere lette, ma per essere interpretate, messe in scena, cantate e così via. Spero che non si offenda, ma è meglio che io mi limiti a una semplice prosa. Comunque adesso le leggo quel che ho scritto.» Sentì un pizzicore in gola. I ricordi e il bourbon la rendevano sentimentale, e poi intuiva che l'investigatore Marino non se ne stava seduto in quella poltrona a parlare con lei solo perché non aveva niente di meglio da fare. Le aveva chiesto di scrivere la scena di un film perché quello che era successo nella casa di fronte era solo una parte di un problema molto più grande e più serio. L'unica spiegazione possibile era la peggiore di tutte. Quell'uomo era un agente in incognito, magari mandato dal governo federale, ed era convinto che lei fosse coinvolta in attività terroristiche a causa degli insoliti movimenti bancari sul suo conto, come i bonifici dalla Gran Bretagna, e per il fatto che pagava meno tasse del dovuto; ufficialmente non risultava che avesse altre entrate oltre l'assegno di disoccupazione e piccole cifre che riceveva di tanto in tanto. 103
Lesse dal suo taccuino. «Terri mise il cesto sul tavolino e si arrampicò sul divano con grande agilità e senza un attimo di esitazione. Era chiaro che era abituata a improvvisare per compensare il fatto di avere le gambe e le braccia così corte. Ci riuscì senza sforzo, ma non avendola mai vista seduta rimasi un po’ sorpresa dal fatto che i piedi le spuntassero dal cuscino come se fosse un personaggio dei fumetti o una bambina di cinque anni. Tengo a precisare che, a prescindere da quanto disse o fece, dall'istante in cui le aprii la porta notai che era profondamente triste. Mi parve in preda al panico. Dal modo in cui lo teneva, capii subito che il cesto conteneva qualcosa di insolito, qualcosa che non le piaceva e che le dava fastidio. Devo accennare a com'era vestita perché anche quello fa parte della scena. Indossava jeans e stivaletti alla caviglia, con le calze blu e una camicia di cotone blu. Era senza cappotto e aveva un paio di guanti di gomma azzurri, perché era uscita di corsa come se le stesse andando a fuoco la casa. Si trovava in un chiaro momento di crisi. «"Santo cielo, cosa le è successo?" le chiesi e le offrii da bere, ma lei rifiutò. «"So che ama gli animali, soprattutto i cani" disse guardando le statuette di porcellana e di cristallo che ho in casa, regali di mio marito. «"È vero. Come fa a saperlo? Non ho mai avuto cani, da quando lei è venuta a stare qui di fronte." «"Quando ci siamo fermate a parlare per strada, li ha nominati e ho visto che fa caso alle persone che li portano a passeggio. Mi spiace. È un'emergenza. Non so a chi altro rivolgermi." 104
«Scostai lo strofinaccio ed ebbi un tuffo al cuore. Ivy, non più grande di una piccola torcia elettrica, stava così immobile che subito pensai fosse morta. Terri mi disse che gliel'avevano regalata, ma che non poteva tenerla; il suo fidanzato aveva cercato di riportarla indietro, ma al negozio si erano rifiutati di riprenderla. Ivy non stava affatto bene e, in quel momento, una parte di me capì che non ce l'avrebbe fatta. Non si muoveva. A un certo punto la tirai su e me la strinsi al petto. Mi strofinò il musino contro il collo. La chiamai Ivy perché mi si avvinghiò come l'edera...» Shrew si asciugò gli occhi con un fazzoletto di carta e, dopo un momento, disse all'investigatore Marino: «Non ci riesco. Mi spiace. Più di così non posso scrivere. Mi fa troppo male. E sono ancora molto arrabbiata. Perché mi costringe a rivivere questa tragedia? Guardi che, se mi prende in giro, presenterò una denuncia contro di lei all'ufficio di Jaime Berger. Non m'importa se è della polizia. La denuncerò in ogni caso. Se invece è un agente segreto del governo, lo dica chiaro e tondo e facciamola finita». «Non la sto prendendo in giro e di certo non sono un agente segreto» replicò Marino. Shrew captò un accenno di gentilezza nel suo tono severo. «Le giuro che non sarei venuto a parlarle di questa faccenda se non fosse importante. Il fatto che Terri abbia portato qui da lei il cucciolo malato è una cosa che mi interessa, perché è insolita e stride con le altre informazioni in mio possesso. Oggi sono stato nell'appartamento di Terri. Prima ho parlato con i suoi genitori. Vivono in Arizona. Forse questo lo sapeva.» 105
«No, non ne ero al corrente. Non oso immaginare in che stato sia l'appartamento.» «Mi ha detto che non c'è mai stata.» «Mai.» «Lasci che le spieghi. Terri non era un'amante degli animali. I pavimenti sono così lindi che ci si potrebbe mangiare sopra. Una persona tanto pulita e ordinata non terrebbe mai animali domestici in casa. E infatti non ne aveva: posso affermarlo con sicurezza perché, dopo avere visto l'appartamento e notato i saponi disinfettanti e tutto il resto, ho chiamato i genitori e ho fatto loro qualche altra domanda. Abbiamo parlato anche degli animali domestici, e mi hanno raccontato che, anche da bambina, Terri non ne aveva mai avuti e non voleva avere niente a che fare nemmeno con quelli degli altri. Non toccava né cani né gatti, ne aveva paura, e odiava gli uccelli. Forse, se ripensa alla scena che mi ha appena descritto, alcuni dettagli le appariranno sotto un'altra luce. Terri è venuta qui senza cappotto, ma con indosso i guanti di gomma. Lei avrà pensato che stesse lavando i piatti quando qualcuno le ha portato il cucciolo malato in regalo e che, in preda al panico, sia corsa da lei.» «Sì.» «Le ha chiesto perché indossasse i guanti?» «Sì. Non mi ha risposto. Sembrava un po’ imbarazzata, se li è levati e me li ha dati perché li gettassi via.» «Ha toccato il cucciolo dopo esserseli tolti?» «Mai. Si è levata i guanti poco prima di andarsene. Avrei dovuto precisarlo. È successo alla fine della visita.» 106
«Aveva i guanti perché era terrorizzata dai germi. Non si era messa il cappotto perché non voleva che il cucciolo malato o i germi di questa casa lo contaminassero. È più difficile lavare un cappotto di una camicia. Scommetto che le ha lasciato anche il cesto e l'asciugamano.» «Certo.» «Quando glielo ha portato, Terri sapeva benissimo che il cucciolo era malato e che stava per morire.» «Per questo le ho detto che ero arrabbiata.» «Lo credo. Terri sapeva che il cucciolo sarebbe morto e lo ha mollato a lei. Una vera scorrettezza. Soprattutto nei confronti di una persona che ama gli animali. Ha approfittato del fatto che lei ha il cuore tenero, specialmente quando si tratta di cani. Ma la vera domanda è: da dove veniva Ivy? Capisce cosa intendo?» «Alla perfezione» rispose Shrew sentendo salire di nuovo la rabbia. Quei pochi giorni con Ivy erano stati un inferno. Shrew non aveva fatto che piangere e tenere la cagnetta in braccio cercando di farla bere e mangiare qualcosa. Quando l'aveva portata dal veterinario, ormai era troppo tardi. «Conoscendo Terri, nessuno le avrebbe mai regalato un cane pensando di farle un piacere» proseguì Marino. «Figurarsi un cane malato. Non posso credere che il fidanzato le abbia fatto uno scherzo del genere, a meno che non sia un figlio di puttana sadico e abbia voluto farla soffrire, prenderla in giro.» «Bè, lei era sicuramente infelice. Fuori di sé.» «Mi fa tornare in mente i dispetti che i maschi facevano alle compagne alle elementari. Ha presente? 107
Per esempio spaventarle con un ragno o con una biscia in una scatola da scarpe. Qualsiasi cosa, purché strillassero. Terri aveva paura dei germi e della sporcizia, della malattia e della morte. Regalarle un cagnolino malato è stato un gesto malvagio.» «Se quel che dice è vero, si è trattato di un gesto diabolico.» «Da quanto tempo Terri Bridges era venuta ad abitare qui?» chiese Marino. Allungò le gambe e la poltrona scricchiolò di nuovo. «Si è trasferita circa due anni fa. Non sapevo nemmeno quale fosse il suo cognome. Vorrei precisare che non siamo mai state amiche. Capita di incontrarsi ogni tanto per caso, tutto qui. Di solito per strada, uscendo o rientrando. Aggiungo che non mi sembra esca spesso. Non credo possegga un'auto. Si muove a piedi, come me. In questi due anni l'ho incrociata anche in altri posti. Una volta da Land" s End, dove abbiamo scoperto che a tutte e due piacciono le loro scarpe. Si stava comprando un paio di Mary Jane. Questo me lo ricordo. Un'altra volta l'ho incontrata davanti al Guggenheim, credo sia stato per la mostra di Jackson Pollock. Abbiamo fatto due chiacchiere.» «Anche Terri stava andando al museo?» ' «Non credo. Penso che stesse facendo una passeggiata. Ma ricordo che aveva il viso arrossato e gonfio; portava un cappello e gli occhiali da sole, anche se il cielo era nuvoloso. Mi sono chiesta se fosse allergica a qualcosa o se invece avesse pianto. Non le ho chiesto niente. Non sono una ficcanaso.» «Il cognome è Bridges.» Marino glielo ripete due volte. «Era sul "Post" di oggi. Devo supporre che nessuno gliene abbia parlato.» 108
«Non leggo il "Post". Ho a disposizione tutte le notizie che voglio in rete.» Si pentì subito di averlo detto. L'ultima cosa che voleva era attirare l'attenzione di Marino su quanto faceva in Internet. «Bè, e naturalmente alla TV» si affrettò ad aggiungere. «Perdoni la domanda, ma i ladri hanno fatto molti danni? Un'auto della polizia è rimasta tutto il giorno qui fuori, lei è andato a casa di Terri e io non l'ho più vista. Di sicuro è da qualche parente o forse dal suo ragazzo. Io non potrei chiudere occhio dopo un fatto del genere. Ho notato che lei più volte ha parlato di Terri al passato, come se non stesse più qui. E ha preso contatti con i suoi, genitori. Perciò ne deduco che sia stato un grosso furto. Non so cosa c'entri la famiglia in Arizona, ma... Perché ha cercato i suoi? E così grave?» «Peggio di così non poteva andare, purtroppo.» Shrew sentì una fitta allo stomaco. Si udì un forte scricchiolio quando Marino si sporse in avanti, sulla poltrona troppo fragile per la sua stazza. Protendendosi verso di lei, con il faccione che da vicino sembrava ancora più grosso, le disse: «Come le è venuta l'idea che si sia trattato di un furto?». «Pensavo...» Shrew non riusciva a parlare. «Mi spiace doverla informare che si è sbagliata. La sua vicina è stata uccisa ieri sera. È difficile credere che non si sia accorta di niente, con il trambusto che c'è stato proprio qui di fronte. Macchine della polizia, il furgone del medico legale...» Shrew pensò alla dottoressa Scarpetta.
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«Un mucchio di lampeggianti, portiere che sbattevano, gente che parlava. E lei non ha visto né sentito niente» ribadì Marino. «È venuta la dottoressa Scarpetta sulla scena del delitto?» chiese Shrew strofinandosi gli occhi, con il cuore che le batteva all'impazzata. Marino fece una smorfia, come se la donna gli avesse fatto un gestaccio. «Perché diavolo me lo chiede?» ribatté, per nulla gentile. Shrew si rese conto troppo tardi di non avere fatto un collegamento logico, almeno fino a quel momento. Com'era possibile? P. R. Marino? Pete Marino, il nome che ricorreva nell'articolo che lei stessa aveva corretto, impaginato e postato sul sito. Non poteva essere la stessa persona. Quel Marino viveva in South Carolina e di sicuro non lavorava per Jaime Berger. Una donna come lei non avrebbe mai assunto un tipo del genere, no? Era in preda al panico, il cuore le batteva fortissimo e sentiva male al petto. Se quell'uomo era lo stesso Marino di cui aveva appena scritto il Boss, con quale diritto se ne stava seduto nel suo soggiorno, nella poltrona di suo marito? Per quel che ne sapeva lei, poteva essere lui il maniaco assassino della donna piccola e indifesa che abitava di fronte. Era proprio così che lo strangolatore di Boston trovava le sue vittime. Fingeva di essere una persona gentile e responsabile. Beveva il tè insieme a loro, conversavano in soggiorno, e poi... «Cosa c'entra la dottoressa Scarpetta?» Marino la guardò come se lo avesse insultato pesantemente. «Mi preoccupo per lei» rispose Shrew in un tono di voce il più calmo possibile. Le mani però le tremavano 110
in modo incontrollabile e dovette intrecciarle in grembo. «Mi preoccupo a causa di tutta la visibilità che ha e per la natura di... bè, della sua professione. Sono faccende che attirano le persone capaci di fare le cose di cui lei parla alla TV.» Fece un respiro profondo. Aveva detto la cosa giusta. Doveva evitare di lasciargli intendere che aveva letto della dottoressa Scarpetta in Internet, e meno che mai negli articoli di quel giorno. «Ho la sensazione che lei si riferisca a qualcosa in particolare» ribatté Marino. «Parli chiaro.» «Penso che la dottoressa Scarpetta sia in pericolo» mormorò Shrew. «Ma è solo una sensazione.» «Basata su cosa?» La guardò gelido. «Terroristi» rispose lei. «Terroristi?» Lo sguardo era meno gelido. «Quali terroristi?» Non pareva più offeso. Shrew proseguì con quella tattica. «È ciò di cui tutti abbiamo paura di questi tempi.» «D'accordo.» Pete Marino si alzò. Era un gigante e la sovrastava. «Le lascio il mio biglietto da visita. Lei ci pensi bene e, se le torna in mente qualcosa, anche se le sembra una stupidaggine, mi chiami immediatamente. A qualunque ora.» «Non riesco a immaginare chi possa avere fatto una cosa del genere.» Shrew si alzò a sua volta e lo accompagnò alla porta. «Sono sempre quelli che non ti immagini a commettere certi crimini» replicò Marino. «O perché conoscevano la vittima, o perché non la conoscevano.» Il cyberspazio, il luogo perfetto per evitare di essere messi in ridicolo. 111
Il Gotham era un college online dove gli studenti potevano apprezzare il talento e l'intelligenza del dottor Oscar Bane senza vedere l'involucro striminzito che li conteneva. «Non può essere stato uno studente o un gruppo di studenti» spiegò Bane a Kay Scarpetta. «Non mi conoscono. Il mio indirizzo e il numero telefonico non compaiono negli elenchi. Il college non ha una sede fisica. I docenti si riuniscono varie volte all'anno in Arizona e non si incontrano in nessun'altra occasione.» «E il suo indirizzo email?» «È sul sito del college, per forza. Probabilmente è così che è iniziato tutto. Da Internet. È il modo più semplice per rubare l'identità. L'ho detto in procura, ho spiegato che forse è così che sono arrivati a me. Ma non hanno dato peso alle mie ipotesi, non mi hanno creduto. Sono arrivato a pensare che potrebbero essere complici di quanto mi sta succedendo. Stanno cercando di rubarmi la psiche.» Kay Scarpetta si alzò dalla sedia e si infilò taccuino e penna nella tasca del camice. «Ora mi sposto dall'altro lato del lettino per esaminarle la schiena. Uscirà di casa, almeno qualche volta...» «Sì, vado al negozio di alimentari, al bancomat, a fare benzina, dal medico, dal dentista, a teatro, al ristorante. Quando è iniziato, ho cercato di modificare le mie abitudini. Posti diversi, a orari diversi, in giorni diversi.» «E la palestra?» Gli slacciò il camice e glielo abbassò con delicatezza sui fianchi.
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«Mi alleno nel mio appartamento, ma esco per camminare. Faccio una decina di chilometri di buon passo, sei giorni alla settimana.» C'era una strana somiglianza nelle sue ferite che inquietò Kay. «Faccio percorsi diversi in orari diversi. Cerco di variare il più possibile» aggiunse Bane. «Gruppi, club, associazioni di cui fa parte o con i quali collabora?» «Sono iscritto a Little People of America. Ma quello che mi sta accadendo non ha niente a che vedere con l" LPA, lo escludo nella maniera più assoluta. Come ho già detto, le persecuzioni elettroniche sono iniziate circa tre mesi fa, che io sappia.» «È successo qualcosa di insolito tre mesi fa? C'è stato qualche cambiamento nella sua vita?» «Terri. È iniziata la mia storia con Terri. E loro hanno preso a seguirmi. Ho le prove, in un CD nascosto in casa. Anche se entrano, non lo troveranno. Voglio che lo prenda lei, quando ci andrà.» Kay misurò le abrasioni nella zona lombare. «Ho consegnato il consenso scritto all'investigatore» continuò Bane. «Quell'uomo non mi piace, ma gli ho dato l'autorizzazione, le chiavi e le istruzioni per l'allarme, perché non ho nulla da nascondere. Voglio che lo accompagni, però. Gli ho detto che deve esserci anche lei, dottoressa Scarpetta. Ma faccia presto, prima che arrivino loro. Forse ci sono già stati.» «Chi? La polizia?» «No. Gli altri.» Oscar si rilassò, mentre Kay lo sfiorava con le mani guantate. 113
«Sono capaci di tutto, e molto in gamba» aggiunse. «Ma anche se ci sono già stati, di certo non l'hanno trovato. È impossibile, perché il CD è nascosto in un libro, The Experiences of an Asylum Doctor di Littleton Winslow, pubblicato nel 1874 a Londra. Quarto scaffale della seconda libreria, a sinistra rispetto alla porta dello studio. Lei è l'unica a saperlo.» «Terri era a conoscenza del fatto che la seguivano, che la spiavano? Sapeva dell'esistenza del CD?» «Non gliel'ho detto subito perché non volevo che si preoccupasse. Aveva problemi di ansia. Ma alla fine non ho avuto scelta. Alcune settimane fa ho dovuto raccontarglielo, perché si era messa in testa che non volevo farle vedere casa mia. Ha iniziato ad accusarmi di nasconderle qualcosa, così sono stato costretto a parlargliene. Ho dovuto spiegarle che portarla da me poteva essere rischioso, perché ero vittima di molestie elettroniche.» «E il CD?» «Non le ho detto dove si trova; solo cosa contiene.» «E Terri non ha pensato di essere in pericolo, per il fatto che vi conoscevate? Indipendentemente da dove vi vedevate?» «È chiaro che non mi hanno mai seguito a casa sua.» «Come fa a esserne sicuro?» «Mi informano delle loro mosse. Vedrà. Ho spiegato a Terri di essere certo che non sapessero niente di lei e che perciò non correva alcun pericolo.» «Le ha creduto?» «È rimasta sconvolta, ma non sembrava spaventata.» 114
«Strano, per una che ha problemi di ansia» osservò Kay Scarpetta. «Mi stupisco che non si sia spaventata.» «Le comunicazioni da parte loro si sono interrotte. Sono settimane che non si fanno vivi. Avevo iniziato a sperare che avessero smesso di interessarsi a me. Invece mi stavano preparando la crudeltà peggiore di tutte.» «Come arrivano le comunicazioni?» «Via email.» «Se si sono interrotte da quando ne ha parlato con Terri, non potrebbe essere stata lei a mandargliele? Magari era proprio Terri l'autrice delle email che la facevano sentire perseguitato, spiato. E quando gliel'ha detto ha smesso di inviargliele.» «Assolutamente no. Terri non avrebbe mai fatto una cosa così odiosa. Soprattutto a me. È impossibile.» «Perché ne è così sicuro?» «Come faceva a sapere che avevo cambiato percorso ed ero finito a Columbus Circle, per esempio, se non glielo avevo detto? Come faceva, a sapere che ero andato a comprare la panna per il caffè?» «È possibile che, per qualche motivo, Terri avesse incaricato qualcuno di seguirla?» «Non è da lei. E dopo quel che è successo non ha alcun senso pensare che fosse coinvolta. E morta! L'hanno uccisa!» La porta si aprì leggermente e, nello spiraglio, apparvero gli occhi dell'agente. «Tutto bene?» «Sì» rispose Kay Scarpetta. Gli occhi scomparvero. «Ma le email non sono più arrivate» disse a Oscar. 115
«Visto? Stava origliando.» «Aveva alzato la voce. Deve stare calmo o tornerà a controllare.» «Ho fatto un backup di tutti i messaggi che ho ricevuto e li ho cancellati dal computer, così non possono farlo loro per convincervi che mento. Le uniche copie delle email originali sono nel CD nascosto dentro il libro. The Experiences ofan Asylum Doctor di Littleton Winslow. Colleziono libri e documenti antichi.» Kay Scarpetta scattò alcune istantanee dei graffi di unghie che Oscar aveva in fondo alla schiena, a destra, tutti nella stessa zona. «Principalmente psichiatria e argomenti analoghi» proseguì lui. «Ne ho tantissimi. Qualcuno parla anche del Bellevue. So più cose su questo posto della gente che ci lavora. Lei e suo marito trovereste la mia collezione sul Bellevue di grande interesse. Forse un giorno riuscirò a mostrarvela personalmente. Prenda pure in prestito quello che desidera. Terri è sempre stata appassionata di storia della psichiatria; la gente la incuriosiva moltissimo. Le piaceva osservare le persone e capire i motivi delle loro azioni. Diceva che avrebbe potuto starsene seduta tutto il giorno in un aeroporto o in un parco a esaminare la gente. Perché si è messa i guanti? L'acondroplasia non è contagiosa.» «E una precauzione per la sicurezza del paziente.» Non era proprio così. Kay voleva una barriera di lattice che separasse la propria pelle dalla sua. Oscar Bane aveva già oltrepassato il limite con lei. E lo aveva fatto ancor prima di incontrarla. 116
«Conoscono i posti in cui vado e sanno dove abito» riprese Bane. «Ma della casa di Terri a Murray Hill non sanno niente. Non ho mai avuto motivo di pensare che fossero in possesso di informazioni su di lei. Non hanno mai citato il suo indirizzo quando mi dicevano dov'ero stato un certo giorno. Perché non l'hanno nemmeno nominato? Ci vado tutti i sabati.» «Sempre alla stessa ora?» «Alle cinque del pomeriggio.» «Dove, esattamente, a Murray Hill?» «Non lontano da qui. Ci si può arrivare a piedi. È vicino al Loews. Alle volte andavamo al cinema e mangiavamo hot dog e patatine al formaggio, per concederci una botta di vita.» Mentre gli toccava la schiena lo sentì tremare. Era a causa di tutta la tristezza che aveva dentro. «Stiamo entrambi molto attenti a non ingrassare» spiegò lui. «Non ho mai avuto ragione di credere che mi seguissero fino a Murray Hill o in altri posti dove Terri e io siamo stati insieme. Non lo immaginavo, altrimenti avrei fatto qualcosa per proteggerla. Non le avrei permesso di vivere da sola. Forse sarei riuscito a convincerla a lasciare la città. Non sono stato io. Non le avrei mai fatto del male. È l'amore della mia vita.» «Volevo chiederti una cosa.» Il bel viso intelligente di Jaime Berger stava studiando Benton. «Se Kay è la zia di Lucy, tu sei lo zio? O uno zio de facto, un quasi zio? Ti chiama "zio Benton"?» «Lucy non da ascolto né al suo quasi zio né alla zia. Spero che almeno dia ascolto a te.» Benton sapeva benissimo cosa stava facendo Jaime: lo stuzzicava, lo punzecchiava. Voleva che le parlasse di quel maledetto articolo, che confessasse e si rimettesse alla clemenza 117
della corte. Ma lui aveva già deciso: non intendeva ammettere nulla perché non aveva fatto niente di male. Al momento opportuno, non gli sarebbe stato difficile difendersi. Avrebbe potuto spiegare il proprio silenzio e giustificarlo ricordandole che, legalmente, Marino non era mai stato accusato di nulla e che lui non aveva alcun diritto di violare la privacy di Kay «Lucy ha già ricevuto i computer portatili?» le chiese. «Non ancora, ma li avrà presto. E appena riuscirà a risalire agli account di posta elettronica, chiederemo ai provider di darci le password. Compresa quella di Bane.» «Quando l'hai incontrata per spiegarle quello che...» «Non l'ho ancora incontrata» lo interruppe Jaime Berger. «Le ho solo parlato brevemente al telefono. Mi sorprende che tu non mi abbia mai detto che si era trasferita a New York. Ma, a pensarci bene, non dovrei meravigliarmene.» Prese la tazza. «Ho dovuto scoprire da altri che è venuta a stare qui e ha aperto una società. Si è fatta un'ottima reputazione in poco tempo. È per questo che ho deciso di chiedere il suo aiuto in questo caso.» Bevve un sorso di caffè e posò la tazza. Ogni gesto era attento e deliberato. «Devi capire che lui e io non siamo regolarmente in contatto.» Si riferiva a Marino. Il controinterrogatorio era cominciato. «Sapendo di cosa mi occupo, sempre che sia vero» continuò «non riesco a immaginare che Lucy gli abbia detto che era venuta a stare qui o che abbia avuto contatti con lui. Forse non sa nemmeno 118
che è a New York. Mi domando perché non gliene abbia parlato tu. O mi sbaglio? L'hai forse fatto?» «No.» «Fantastico. Lucy si trasferisce a New York e tu non le dici che Marino è qui. Che è vivo e vegeto, e lavora nella mia squadra. Magari lei non lo avrebbe scoperto ancora per un po', se Marino non avesse avuto la sfortuna di prendere la telefonata di Oscar Bane il mese scorso.» «Lucy si sta ancora organizzando, per il momento non ha lavorato a molti casi» replicò Benton. «Solo un paio nel Bronx e nel Queens. Questo è il primo a Manhattan, e che quindi riguarda il tuo ufficio. E ovvio che a un certo punto lei e Marino dovessero venire a sapere l'una dell'altro. Mi aspettavo che questo accadesse in modo naturale e professionale.» «Non ti aspettavi un bel niente, Benton. Neghi l'evidenza. Hai preso decisioni avventate per disperazione, senza pensare alle conseguenze. E ora i nodi vengono al pettine. Dev'èssere una sensazione indescrivibile muovere le persone come pedine per poi svegliarsi un bel giorno e scoprire che, a causa di uno stupido sito di gossip, le pedine sono destinate a incontrarsi e forse a buttarsi fuori dalla scacchiera a vicenda. Ricapitoliamo i fatti.» Con un lieve movimento delle dita, Jaime rifiutò il caffè che le offriva la cameriera. «Non era nei tuoi piani trasferirti a New York.» «Non sapevo che il John Jay...» «... Vi avrebbe offerto un incarico? Scommetto che hai cercato di convincere Kay a rifiutare.» «Pensavo che accettare sarebbe stato poco saggio.» «Non mi stupisco.» 119
«Era stata assunta all'Istituto di medicina legale, si era appena trasferita. Le ho consigliato di non accettare altro lavoro, e quindi altro stress. Le ho detto che secondo me era meglio lasciar perdere.» «Certo.» «Ma lei ha insistito, sostenendo che è bello dare una mano, se si può farlo. E ha detto che non voleva avere limiti.» «Tipico di Kay» commentò Jaime. «È sempre la prima ad aiutare, ovunque ci sia bisogno di lei, e a spaziare. Il suo territorio è il mondo. Non potevi pensare di tenerla chiusa in un angolo del Massachusetts e, d'altra parte, se avessi insistito perché rifiutasse, saresti stato costretto a spiegarle il motivo per cui non la volevi a New York. Cosìti sei ritrovato in un bel pasticcio: avevi appena ottenuto che Marino fosse trasferito qui e, siamo sinceri, hai fatto di tutto per convincermi ad assumerlo. Per Kay, andare e venire da New York con ogni probabilità avrebbe finito per coinvolgerla in casi di competenza del mio ufficio. Poi, dal momento che voi due eravate spesso qui, anche Lucy si è spostata nella metropoli dalle mille opportunità. Quale posto migliore del Village, per una come lei? Come potevi prevedere tutto questo, quando hai escogitato il tuo brillante piano? E, dato che non avevi previsto questo, non ti è nemmeno passato per la mente che io scoprissi la vera ragione per cui hai parcheggiato Marino nel mio ufficio.» «Non che la cosa non mi preoccupasse» replicò Benton «ma speravo che non venisse fuori così presto. E non stava a me discutere...» 120
Jaime lo interruppe. «Non l'hai mai detto a Marino, vero? Né del John Jay né dell'appartamento che avete in città?» «Non gli ho detto che Kay va e viene da New York. Non gli ho detto che Lucy è venuta a vivere qui.» «Bastava che mi rispondessi di no.» «Non ricordo quand'è stata l'ultima volta che ho parlato con Marino, e non ho la più pallida idea di cosa sia venuto a sapere per conto suo. Ma hai ragione: quando ti ho chiesto di assumerlo, non mi aspettavo che succedesse tutto questo. Comunque non era compito mio divulgare...» Lei lo interruppe di nuovo. «Divulgare? Hai divulgato fin troppo, solo che non hai detto tutta la verità.» «Sarebbero state voci...» «La storia di Marino era così triste che ci sono cascata persino io, un procuratore. Lui e il suo problema di alcolismo. Aveva smesso di lavorare perché non sopportava di vederti fidanzato con Kay. Era depresso, autolesionista. Poi, dopo un mese di trattamento in un centro di recupero, è tornato come nuovo, e io dovevo assumerlo. Dopotutto, ha iniziato la sua carriera nel dipartimento di polizia di New York, lo conoscevo già. Se non erro, hai parlato di "beneficio reciproco".» «E un ottimo investigatore. Questo almeno lo devi riconoscere.» «Hai davvero pensato, anche solo per cinque minuti, che Marino non l'avrebbe scoperto, o che Kay e Lucy non l'avrebbero mai saputo? Può succedere in qualsiasi momento che Kay venga chiamata in procura per discutere del referto di un'autopsia per un caso a 121
cui lavora Marino. Anzi, sta per succedere proprio adesso. Kay va spessissimo all'obitorio in qualità di consulente. E appare sulla CNN un paio di volte al mese.» «Per quel che ne sa Marino, l'intervista sulla CNN viene mandata in onda via satellite da Boston.» «Per favore! Marino non è stato lobotomizzato dall'ultima volta che l'hai visto. Ma incomincio a chiedermi se sia successo a te.» «Senti» disse Benton. «Speravo che, passato un po’ di tempo... bè, avremmo affrontato il problema. Mi rifiuto di riferire storie di cattivo gusto che, a essere onesti, sono solo pettegolezzi.» «Stronzate. Volevi evitare di affrontare la realtà, e così è scoppiato il casino.» «Cercavo di rimandare il momento in cui avrei dovuto affrontarla, questo sì.» «Rimandare fino a quando? Alla prossima vita?» «Finché non avessi capito cosa dovevo fare. Ho perso il controllo della situazione.» «Ora sì che ci stiamo avvicinando alla verità. Qui non si tratta di pettegolezzi, e tu lo sai benissimo. La verità è che hai nascosto la testa sotto la sabbia come uno struzzo» replicò la Berger. «Volevo solo comportarmi in modo civile, Jaime. Chiudere un capitolo e andare avanti, senza malizia, senza provocare danni irreparabili.» «Fare in modo che tutti, magicamente, tornassero a essere amici. Ricostruire il passato, i bei vecchi tempi. "E vissero tutti felici e contenti." Illusioni. Fiabe. Immagino che Lucy odi Marino. Forse Kay no: lei non è il tipo da odiare qualcuno.» 122
«Non oso pensare cosa farà Lucy quando lo incontrerà. E questo è inevitabile. Cosa succederà, a quel punto? Sono molto preoccupato. Non c'è niente da ridere.» «Non sto ridendo.» «L'hai vista in azione. Può essere molto pericolosa.» «Speravo che le fosse passata la voglia di ammazzare la gente nella convinzione di fare il proprio dovere.» «Prima o poi lo incontrerà, o per lo meno verrà a sapere che Marino è qui» disse Benton. «Dato che per queste indagini hai deciso di avvalerti della sua società di consulenze informatiche.» «Società di cui peraltro ho scoperto l'esistenza grazie al procuratore distrettuale del Queens e a un paio di poliziotti, non certo grazie a te. Perché tu non volevi che venissi a sapere della presenza di Lucy a New York, non volevi che mi servissi di lei. Bello zio de facto... La ragione è che se avessi deciso di servirmi di lei, un giorno sarebbe venuta nel mio ufficio, e indovina chi avrebbe rischiato di incontrare?» «Quando le hai telefonato, gliel'hai detto?» chiese Benton. «Le hai parlato di Marino?» «Per quanto mi riguarda, Lucy non sa nulla. Non ancora. Io non le ho nominato Marino. Quando ci siamo sentite, pensavo soltanto alla poveraccia che è stata ammazzata ieri sera, a cosa poteva esserci sui suoi computer e a quello che Lucy poteva fare per aiutarmi. Mi è venuta in mente l'ultima volta che ho visto Lucy, a casa mia, quando è tornata dalla Polonia. E tu e io sappiamo benissimo cos'ha fatto laggiù. Geniale, impetuosa, con l'ardire di farsi giustizia da sola. Ora ha aperto una società di investigazioni 123
informatiche e l'ha chiamata Connextions. Nome interessante, secondo me, una via di mezzo tra connections e what’s next? E noi sappiamo che, qualunque sorpresa ci riservi il futuro, Lucy sarà la prima ad arrivarci. Che sollievo! Comunque, non mi è sembrata la Lucy che conoscevo. Ho avuto la sensazione che avesse meno bisogno di dominare e di impressionare, mi è parsa più seria, più riflessiva. Ti ricordi che usava tutti quegli acronimi, l'estate che ha fatto lo stage a Quantico ed era la più brava del corso? CAIN, Criminal Artificial Intelligence Network. Ha creato un sistema del genere quando era ancora al liceo, giusto? Non c'è da meravigliarsi che fosse così insopportabile, così ribelle, così sopra le righe. E così sola. Ma forse è cambiata. Quando le ho parlato... al telefono, è vero, non di persona... mi è sembrata più matura, meno gasata ed egocentrica. Ha apprezzato il fatto che fossi stata io a contattarla. Di certo non è più la vecchia Lucy.» Benton rimase di stucco nel vedere quanto Jaime ricordasse della vecchia Lucy e quanto sembrasse affascinata da quella nuova. «Sono queste le cose che ho pensato mentre Lucy mi spiegava che i programmi da lei creati allora ormai sono obsoleti come l'arca di Noè e che non ho idea delle possibilità esistenti al giorno d'oggi» proseguì Jaime. «No, non le ho nominato Marino. Secondo me, non ha la minima idea che sia stato assegnato alla mia squadra contro i crimini a sfondo sessuale e che adesso lavori attivamente allo stesso caso per cui ho richiesto la sua collaborazione. Lo ignora, altrimenti avrebbe reagito, avrebbe detto qualcosa. Ma fra poco lo scoprirà. Sarò costretta a dirglielo.» 124
«Ti sembra ancora una buona idea coinvolgerla nelle indagini?» «Probabilmente no. Mi trovo ad affrontare un bel dilemma, casomai non ti fosse chiaro. Non ho intenzione di sollevarla dall'incarico perché, se è davvero brava come si dice, ho bisogno di lei. Il crimine informatico è uno dei nostri problemi più gravi: ci battiamo contro un mondo di malviventi invisibili che in molti casi non lasciano tracce, oppure ne lasciano di deliberatamente ingannevoli. Non permetterò che Marino, un sito di gossip o le tue insicurezze e i tuoi problemi coniugali mandino all'aria i miei piani. Farò quel che è meglio per il buon esito delle indagini.» «Conosco le capacità di Lucy. In tutta franchezza, sarebbe una pazzia non sfruttarla» ammise Benton. «Quindi la questione è chiusa. Dovrò sfruttarla. Il budget del comune non permette l'acquisto di attrezzature come quelle di cui dispone lei.» «È probabile che lavorerebbe anche gratis. Non ha bisogno di soldi.» «Niente è gratis, Benton.» «Comunque è vero, Lucy è cambiata. Non è più la stessa persona dall'ultima volta che l'hai vista, quando avresti potuto farla incriminare per...» «Non parliamo di quello che avrei potuto fare. Qualsiasi cosa mi abbia confessato quella sera di cinque anni fa, non ne ho memoria. Lucy non mi ha mai parlato e, per quanto mi riguarda, non è mai andata in Polonia. In ogni caso, mi auguro che episodi del genere non si ripetano più. L'ultima cosa di cui ho bisogno è un'altra situazione tipo FBI o ATF.» 125
All'inizio della carriera, Lucy era stata praticamente licenziata sia dall" FBI sia dall'ATF. «Quando le farai avere i computer portatili?» chiese Benton. «Presto. Ho il mandato di perquisizione per analizzarne il contenuto. E tutto pronto.» «Sono un po’ sorpreso che tu non abbia provveduto già ieri sera» commentò Benton. «Dal contenuto dei computer potremmo scoprire quanto ci serve sapere.» «Non l'ho fatto per un motivo molto semplice. Ieri sera non li avevamo. Nella prima perquisizione non sono stati trovati. Li ha scovati Marino durante un secondo sopralluogo nella tarda mattinata di oggi.» «Questa mi giunge nuova. Non avevo capito che Marino fosse così coinvolto.» «E io non avevo capito che Oscar Bane è la stessa persona con cui Marino ha parlato un mese fa. L'ho scoperto ieri sera, dopo che Morales se n'è andato dalla scena del crimine. Quando ho fatto due più due, ho chiamato Marino e gli ho detto che volevo coinvolgerlo perché di fatto lo era già.» «E perché avevi bisogno che ti facesse da parafulmine» aggiunse Benton. «Quando verrà fuori che un mese fa Oscar Bane ha chiesto aiuto alla procura e tu lo hai snobbato... Marino lo ha snobbato... Nessuno si dà da fare per coprirti il culo più di uno che per primo ha bisogno di farselo coprire. È una soluzione cinica, ma efficace. Comunque sei fortunata, perché Marino è uno che non sbaglia quasi mai. Probabilmente è il più in gamba di tutta la tua squadra investigativa. Non te ne sei ancora accorta perché viene facile sottovalutarlo, e ora sei prevenuta. Lasciami indovinare: Marino ha preso l'iniziativa di 126
andare a dare un'occhiata di persona alla scena del delitto e ha trovato quella che con ogni probabilità sarà la prova più importante. I computer della vittima. Dove diavolo erano? Nascosti sotto le assi del parquet?» «Infilati in una borsa da viaggio nel ripostiglio. Chiaramente Terri Bridges aveva intenzione di portarli con sé in aereo quando sarebbe partita per Phoenix stamattina. Oltre alla borsa da viaggio, c'era anche una valigia» replicò Jaime. «Chi ha scoperto che lei aveva intenzione di andare a Phoenix stamattina?» «Bane non te ne ha parlato, ieri sera?» «Non mi ha parlato di un bel niente. Ha solo collaborato alla valutazione, te l'ho già detto. Quindi ieri sera non era risaputo che lei stava per partire. Chi lo ha scoperto, e come?» «Bè, è stato Marino, che è un bravo investigatore e quando si mette in moto non lo ferma nessuno, è vero. Ed è un solitario, perché fa questo mestiere da abbastanza tempo per sapere che non si divulgano informazioni solo perché si sta parlando con un poliziotto, un procuratore o un giudice. I colleghi sono i pettegoli peggiori, quelli che più facilmente spifferano le notizie anche se dovrebbero tenere la bocca chiusa. Hai ragione riguardo a Marino. Ma la verità è che finirà col farsi dei nemici. È inevitabile, a maggior ragione adesso che, sfortunatamente, è venuta fuori quella storia. Sembra che abbia rintracciato i genitori di Terri a Scottsdale e li abbia chiamati prima ancora di Morales per informarli del decesso. Loro gli hanno detto che Terri stava per tornare a casa per passare 127
alcuni giorni in famiglia. È questo che l'ha spinto ad andare a fare un sopralluogo nell'appartamento.» «Scommetto che ieri sera non c'era nessun biglietto aereo in giro che potesse incuriosire gli agenti» disse Benton. «Perché di questi tempi si fa tutto in Internet.» «Esatto.» «Questo spiega perché non ho visto valigie nelle foto della scena del crimine che mi ha dato Morales.» «Quelle foto sono relative alla sua perquisizione, la prima. Capisco perché non hanno visto la borsa da viaggio ieri sera. Non dico che sia giustificabile, ma posso capirlo.» «Pensi che sia stata nascosta di proposito?» «Magari da Bane?» «Non avrebbe molto senso.» Benton rifletté un momento. «Se temeva che i computer di Terri venissero ritrovati, perché non li ha fatti sparire? Per quale ragione li ha nascosti nel ripostiglio?» «Gli assassini fanno un sacco di cose senza senso, per quanto siano meticolosi nel preparare un delitto.» «Bè, se Bane è l'assassino, pare piuttosto disorganizzato» replicò Benton. «Ma Terri non lo era affatto, a giudicare dalle foto dell'appartamento. Anzi, era ordinarissima. Vuoi una teoria? Potrebbe avere messo lei stessa i bagagli nel ripostiglio perché aspettava una visita. Non credo che Bane abbia pianificato un delitto. Sono convinto che non l'abbia uccisa lui.» «Conosci il vecchio detto, Benton: "Non cominciare a cercare gli unicorni finché non hai esaurito tutti i pony". Oscar Bane è il primo pony della mia lista. Il 128
più ovvio. Il problema è che non abbiamo prove a suo carico. Non ancora.» «Per lo meno Oscar Bane non potrà batterti sul tempo e scoprire cosa c'è nei computer di Terri. Non li ha, e in reparto non ha accesso a Internet» osservò Benton. «Ed è lì per sua scelta. Non è costretto a rimanerci. Cosa che continua a sembrarmi assai sospetta e che mi lascia perplessa sul suo equilibrio mentale. Anche se non avessimo trovato i computer, non può ignorare che avremmo avuto accesso alle email di Terri, una volta scoperti uno o più username e provider. Ed è ovvio che da lì saremmo risaliti alle sue email, perché senz'altro lui e Terri si scrivevano regolarmente. Tuttavia, sembra che non gli importi. Se non avesse chiesto di essere messo in isolamento, sarebbe potuto correre a casa e manometterli. Ma non ci ha nemmeno provato. Per quale motivo?» «Forse non lo reputa necessario perché non ha fatto nulla di male. O forse non è abbastanza pratico di computer da saperli manomettere senza farsene accorgere. Oppure, se è lui l'assassino e ha premeditato il delitto, si era premurato in precedenza di cancellare informazioni compromettenti.» «Ottima osservazione. La premeditazione di uno che si crede più furbo di noi. Prima manomette i computer, poi si fa ricoverare al Bellevue fingendo di avere paura che il killer uccida anche lui. In altre parole, sta manipolando tutti quanti. E probabilmente si diverte pure.» «Sto solo cercando di analizzare obiettivamente le varie possibilità» replicò Benton. «Un'altra è questa: Oscar non è l'assassino, ma sa che tutti i sospetti 129
cadranno su di lui e, facendosi ricoverare al Bellevue, si assicura il diritto di vedere me e Kay e forse di convincere qualcuno che conta della sua innocenza e del fatto che è in pericolo.» «Non dirmi che ci credi davvero.» «Bane è convinto che Kay sia la sua salvezza, indipendentemente da ciò che lui può avere fatto.» «Ha voluto Kay perché non si fida di me. Pare che il mio nuovo soprannome sia "superstronza".» Jaime sorrise. «O almeno spero che sia nuovo. Il "super" dovrebbe esserlo.» «Secondo lui, gli hai mancato di rispetto.» «Se ti riferisci a quando ha chiamato in procura un mese fa, com'è abitudine del cinquanta per cento dei pazzi di questa città, hai ragione: non gli ho voluto parlare. Non c'è niente di strano. Arrivano molte chiamate a cui non rispondo e di cui non vengo nemmeno a conoscenza. Mi ha definito una "superstronza" e ha detto che, se fosse accaduto qualcosa di brutto, la colpa sarebbe stata solo mia.» «E a chi l'ha detto?» chiese Benton. «A Marino, durante la telefonata del mese scorso?» «E stata registrata» spiegò Jaime. «Speriamo che non lo venga a sapere la stampa.» «Di certo non sarebbe d'aiuto. Perché è effettivamente successo qualcosa di brutto. Di molto, molto brutto. Dobbiamo andarci cauti con Oscar Bane, su questo non ci sono dubbi. In generale, sarei molto più severa con uno nella sua situazione. E, detto fra noi, ho davvero il sospetto che l'abbia uccisa lui. È l'ipotesi più sensata e spiegherebbe la sua paranoia. Ha paura di essere arrestato.» Jaime prese la valigetta, spinse indietro la sedia e la gonna le risalì quel tanto 130
che permise a Benton di scorgere l'incavo tra le sue cosce snelle. «In assenza di prove, non dobbiamo sottovalutarlo» continuò Benton. «È possibile che sia seguito. Non siamo in grado di affermare che se lo sia inventato.» «Già, è reale come il mostro di Lochness e lo yeti. Ma in fondo tutto è possibile. Fatto sta che ho l'impressione di avere fra le mani una bomba innescata, sia dal punto di vista delle PR sia da quello legale, perché quando ha chiamato un mese fa non l'abbiamo preso sul serio. Mi ci manca soltanto che Little People of America venga a manifestare davanti al civico 1 di Hogan Place. Come se non avessi già abbastanza problemi. A proposito...» Si interruppe per prendere il cappotto. Lei e Benton attraversarono insieme la caffetteria affollata. «Se scoppierà uno scandalo, mi devo anche preoccupare che Kay ne parli alla CNN?» gli domandò. «Non sarà per questo che Bane ha chiesto così insistentemente di lei? Perché il suo caso finisca in televisione?» Benton si fermò a pagare il conto alla cassa. Fuori dalla caffetteria, disse: «Kay non ti farebbe mai una cosa del genere». «Bè, dovevo domandartelo.» «Anche se fosse il tipo, non potrebbe parlarne comunque» proseguì Benton mentre si dirigevano verso l'atrio. «Né adesso in quanto medico di Bane, né eventualmente in qualità di perito.» «Non sono sicura che Bane abbia fatto tutte queste considerazioni quando ha chiesto di parlare con Kay e ha preteso che venisse a visitarlo qui» osservò Jaime. 131
«Magari era intenzionato a concederle una specie di solenne preintervista.» «Non so cosa avesse in mente Bane, ma temo di avere fatto male a convincerla a venire. E non avrei dovuto permettere che si lasciasse convincere da altri.» «Ora sì che ti comporti da marito. E immagino che quando dici "altri" tu ti riferisca a me.» Benton non rispose. I tacchi alti di Jaime risuonarono sul pavimento di granito lucido. «Quando e se Oscar Bane verrà accusato, le informazioni che sta dando a Kay potrebbero finire per essere le uniche sia pur vagamente affidabili che mai avremo. È un'ottima cosa che lei lo stia visitando, per una serie di ragioni. Vogliamo che Bane sia contento. Vogliamo che venga trattato al meglio. Vogliamo che sia al sicuro, insieme a tutti quelli che gli stanno intorno.» Si mise la pelliccia di visone rasato. «Quando Marino gli ha parlato per telefono, lui ha accennato a "gravissimi episodi di intolleranza". Ha detto di avere un problema di ipostaturalità, l'ha ripetuto più volte. Marino ovviamente non ha capito cosa intendesse ed è stato costretto a chiedergli spiegazioni. A quel punto Bane si è arrabbiato e gli ha risposto: "Sono un nano, cazzo!". Ha detto che era per quello che veniva pedinato e preso di mira: era la vittima di un crimine basato sulla discriminazione...» Il cellulare di Jaime squillò. «Bisognerà avvertire Kay, dirle che Marino è qui.» Si infilò l'auricolare, rimase un momento in ascolto e si rabbuiò. «Vedremo» disse. «È inaccettabile... Se me lo aspettavo? Bè, sta diventando un'abitudine, no? Ma 132
speravo... No, no, no. Non posso. Di certo non in questo caso... Bè, preferirei non... Sì, è qui, ma date le circostanze, non... Certo, ho fatto così. Chi non l'ha visto?» Guardò Benton. «Allora è chiaro perché non voglio farlo... Sì, sì, ti ascolto. Ho capito. Sì, avevo già capito la prima volta che l'hai detto. Posso chiederle se vuole richiamarti. Ma non la biasimerei se decidesse di andarsene, di prendere l'ultimo volo per Boston...» Terminò la telefonata. Adesso si trovavano fuori dall'ospedale, sul marciapiede. Erano quasi le quattro e stava facendo buio; il loro fiato si condensava come fumo nell'aria fredda. «Marino non intendeva nuocere a nessuno» dichiarò Benton. «Non l'ha fatto apposta.» «Stai dicendo che quando ha violentato Kay non l'ha fatto apposta?» chiese lei come se niente fosse, con gli occhi nascosti dietro le lenti grigie a specchio. «Vuoi dire che l'articolo pubblicato oggi in Internet è falso? Maledico il giorno che l'hai mandato nel mio ufficio e non in quello di qualcun altro. Ormai Marino è coinvolto in questo caso e non c'è modo di evitare che incontri Kay, prima o poi. Devi parlarle.» «Ciò che è scritto in quell'articolo da un'impressione sbagliata.» «Un linguista forense si divertirebbe come un matto ad analizzare questa tua affermazione. Ma ti credo sulla parola. Ciò che è apparso in rete è opera di fantasia. Mi fa piacere.» Si infilò i guanti di pelle e si tirò su il bavero della pelliccia. «Non sto dicendo che è c ompletamente falso» precisò Benton. Osservò l'Empire State Building in lontananza, illuminato di rosso e di verde per le feste, 133
con un faro intermittente sul pinnacolo per avvertire gli aerei di tenersi alla larga. Jaime gli posò una mano sul braccio. «Ascolta» replicò in tono gentile. «Avresti dovuto rivelarmi la vera ragione per cui Marino ha lasciato Charleston e ha smesso di lavorare con Kay. Ma mi sforzerò di essere comprensiva. Posso capire che effetto ti abbia fatto. Io più di tanti altri.» «Risolverò la situazione.» «Non risolverai un bel niente, Benton. Andrai semplicemente avanti. E quello che tutti noi dobbiamo fare: andare avanti e usare l'intelligenza a ogni passo.» Sollevò la mano e Benton lo percepì come un tentativo di prendere le distanze. «È incredibile cosa saresti disposto a fare per aiutarlo» aggiunse Jaime. «Ti stai comportando da vero amico, devo ammetterlo. Ma qual è il motivo? Vediamo se indovino. Aiutandolo e coprendolo, speravi che ciò che ha fatto diventasse meno reale. Peccato che ora tutto il mondo ne sia a conoscenza. Vuoi sapere quante telefonate ho ricevuto oggi a proposito di quel maledetto articolo?» «Parlane con lui. Era ubriaco. Non licenziarlo.» «Tutti i violentatori che ho sbattuto in galera erano ubriachi o sotto l'effetto di qualche droga, o entrambe le cose. Oppure il rapporto era stato consensuale, lei lo aveva provocato o non era successo niente. Non lo licenzierò, se proprio non se la va a cercare. Ho deciso che la faccenda riguarda solo Kay. Non te. E nemmeno Lucy. Anche se temo che lei non la pensi così.» «Kay l'ha già superata.» 134
Con le mani in tasca per ripararsi dal freddo, Jaime disse: «Davvero? Allora come mai tutti questi sotterfugi per non farle sapere che Marino lavora per me? Come mai tanti segreti? Credevo che fosse lui ad avere mollato il lavoro perché non riusciva più a reggere la vicinanza con te e con Kay, perché era geloso, cosa che è sempre stata lampante come l'Empire State Building da cui sembri ipnotizzato. Ero convinta che avesse deciso di dimenticarla e di rifarsi una vita. Che stupida! Non ho mai chiamato Kay per avere conferma della tua versione dei fatti, non ho chiesto referenze, perché ho avuto fiducia in te». «Marino ci ha provato. Ci si è messo d'impegno. Questo dovrebbe esserti chiaro. Lavori con lui. Chiediglielo direttamente. Fattelo raccontare» suggerì Benton. «Mi hai mentito.» Jaime stava cercando un taxi. «Non ti ho mentito. Non l'ha violentata.» «Eri presente?» «Kay ha detto che non si è spinto così in là. E non l'ha mai denunciato. Per lei è una questione privata. Non sta a me parlarne con te o con chiunque altro. In un primo momento non l'aveva raccontato neppure a me. Sì, okay, mi sono fatto delle illusioni, ho nascosto la testa nella sabbia, sono stato superficiale. Ma quello che è apparso su Gotham Gotcha stamattina è falso. Chiedilo a Marino. Immagino che l'abbia letto, o lo farà quanto prima.» «E Lucy? Cosa mi devo aspettare da lei?» «Ovviamente, l'ha letto anche Lucy» rispose Benton. «E stata lei a chiamarmi per segnalarmelo.» «Sono sorpresa che non l'abbia ucciso subito, visto quanto adora sua zia Kay.» 135
«C'è mancato poco.» «Buono a sapersi. Fino a poco tempo fa, l'avrebbe fatto. Mi devi un favore.» Un taxi si avvicinò sterzando pericolosamente e inchiodò davanti a Jaime. «Avrei bisogno che stasera Kay passasse dall'obitorio» disse a Benton. «E tu sei la persona più adatta per chiederglielo.» Salì sul taxi. Alzò gli occhi verso di lui e aggiunse: «La telefonata che ho appena ricevuto... Vorrei che Kay esaminasse il corpo, se è possibile. La dottoressa Lester si diverte a fare uno dei suoi soliti giochetti, ma la stiamo cercando. Tornerà all'obitorio il prima possibile e collaborerà, dovessi chiamare il sindaco, per la miseria». Chiuse la portiera. Benton rimase sul marciapiede e osservò il taxi giallo di Jaime Berger che si allontanava a tutta velocità, tagliando la strada a due auto, seguito da un coro rabbioso di clacson. Kay Scarpetta esaminava le lunghe abrasioni superficiali sulla parte superiore sinistra della schiena di Oscar Bane, mentre lui le spiegava come se le era procurate. «Era già dentro e mi ha aggredito» raccontò. «Poi, quando è scappato, l'ho trovata. I poliziotti non mi hanno creduto, gliel'ho letto in faccia. Pensano che mi sia fatto male lottando con Terri. Lei però lo vede, vero, che non ho lottato con Terri?» «Mi sarebbe d'aiuto se mi dicesse che cosa indossava ieri sera.» 136
«Lei può verificare che non mi sono procurato queste ferite in una colluttazione con Terri. Non troveranno il mio DNA sotto le sue unghie. Non mi ha graffiato. Non abbiamo lottato. Non abbiamo litigato. Non lo facevamo mai. Forse una discussione ogni tanto. Quando sono arrivato era già morta.» Kay Scarpetta gli concesse una pausa perché piangeva a dirotto. Appena si fu calmato, gli ripeté la domanda. «Ieri sera che abiti indossava durante la colluttazione con...?» «Non sono riuscito a vederlo.» «E sicuro che fosse un uomo?» «Sì.» «Si ricorda che ora fosse?» «Le cinque.» «In punto?» «Non arrivo mai in ritardo. Tutte le luci erano spente, anche quella dell'entrata. Le finestre erano buie. Era strano, perché Terri mi stava aspettando. La sua auto era in strada. Ho parcheggiato la mia lì vicino. C'erano parecchi posti vuoti, perché a Capodanno molta gente è via per le feste. Mi sono levato la giacca e l'ho lasciata sul sedile. Ero in jeans e Tshirt. Le piace quando indosso magliette attillate senza maniche. Faccio body building perché Terri ama il mio corpo, e io farei qualsiasi cosa per compiacerla. Adora il sesso. Non potrei stare con una donna che non ama fare sesso.» «Regolarmente? In maniera sempre diversa? Un po’ di sadomaso?» lo interrogò Kay. «Sono molto premuroso e gentile. Devo esserlo, a causa delle mie dimensioni.» «Fantasie erotiche? Bondage? È importante.» 137
«Mai! Mai!» «Non è per giudicarla, mi creda. Un sacco di gente fa questo genere di cose, e va benissimo. Basta che entrambi siano d'accordo.» Oscar Bane rimase in silenzio, incerto. Kay capì che aveva problemi a risponderle. «Ripeto, non voglio giudicarla. Sto cercando di aiutarla. Due adulti consenzienti possono fare quello che vogliono, se sta bene a entrambi.» «Le piaceva quando la dominavo» rispose Bane. «Niente di doloroso. Dovevo solo costringerla a stare sotto. Voleva che io fossi forte.» «Costringerla a stare sotto in che senso? Glielo chiedo perché può aiutarmi a capire cosa è successo.» «Le tenevo le braccia ferme contro il letto. Ma non le ho mai fatto del male. Non le ho mai lasciato segni.» «La legava? Usavate manette o qualcosa del genere?» «La sua biancheria intima, a volte. Le piace la. lingerie, adora vestirsi in modo sexy. Se le lego le mani con il reggiseno, non stringo mai e non le faccio male. È solo l'idea, la suggestione, non è reale. Non l'ho mai sculacciata, non ho giocato a soffocarla o cose così. Facciamo solo finta.» «E a lei Terri che cosa faceva?» «Niente. Le piace che sia io a fare certe cose a lei, che interpreti il ruolo dell'uomo forte e potente capace di sopraffarla. Ma solo per gioco, mai realmente. Terri è una donna molto, molto sexy ed eccitante. Mi dice con esattezza quello che vuole, ed è sempre fantastico. Facciamo un sesso fantastico.» 138
«Avete fatto sesso ieri sera? È una domanda importante.» «Come avrei potuto? Era morta. È stato orribile quando sono entrato e l'ho trovata. Oddio. Oddio!» «Mi spiace doverle chiedere queste cose. Ma lei ne capisce l'importanza.» Bane annuì, asciugandosi gli occhi e il naso con il dorso delle mani. «Ieri sera faceva freddo» disse Kay. «Perché ha lasciato la giacca in macchina? Soprattutto tenuto conto del fatto che le luci erano spente ed era preoccupato?» «Volevo farle una sorpresa.» «Una sorpresa?» «Le piaccio con le magliette attillate, gliel'ho già detto. Ho persino pensato di levarmela appena avesse aperto la porta. Sotto aveva una canottiera senza maniche, bianca. Volevo che mi vedesse in canottiera.» Troppe spiegazioni. Aveva lasciato la giacca in macchina per un altro motivo. Stava mentendo, e in maniera poco credibile. «Ho la chiave del portone» continuò Bane. «Sono entrato e ho suonato alla porta.» «Ha anche la chiave del suo appartamento o solo quella del portone?» chiese Kay. «Tutte e due. Ma suono sempre il campanello. Non entro senza annunciarmi. L'ho fatto, e all'improvviso l'uscio si è aperto e questa persona mi è saltata addosso, mi ha aggredito, mi ha trascinato dentro e ha richiuso la porta sbattendola. Quello che l'ha uccisa. Lo stesso che mi segue, che mi spia, che mi tormenta. O comunque uno di loro.» 139
Un intervallo di ventiquattr'ore era coerente con il grado di cicatrizzazione delle ferite di Oscar. Ma questo non significava che lui stesse dicendo la verità. «Dov'è ora la sua giacca?» gli chiese. Oscar guardava la parete. «Oscar?» Bane continuò a fissare la parete. «Oscar?» L'uomo rispose senza spostare lo sguardo. «Dove l'hanno portata i poliziotti. Ho detto che loro potevano prendere la mia macchina, perquisirla, farci tutto quello che volevano. Me no, però: volevo che fosse lei a visitarmi, dottoressa Scarpetta. Non avrei mai torto un capello a Terri.» «Mi racconti cosa è successo una volta che è entrato in casa. Mi descriva la colluttazione.» «Eravamo vicino alla porta ed era buio pesto. Mi ha colpito con una torcia di plastica. Mi ha strappato la maglietta. È a brandelli e insanguinata.» «Se era buio pesto, come fa a sapere che l'ha colpita con una torcia?» «Quando ha aperto la porta, me l'ha puntata in faccia, abbagliandomi. Poi mi ha aggredito. Abbiamo lottato.» «Ha detto qualcosa?» «Ho sentito solo il suo respiro affannoso. Poi è scappato. Aveva addosso un giaccone di pelle e guanti di pelle. Non credo sia ferito, ed è probabile che non abbia lasciato né DNA né fibre, niente del genere. Era un furbacchione.» Il furbacchione era Oscar, in realtà; forniva spiegazioni non richieste, e mentiva. 140
«Ho chiuso la porta a chiave e ho acceso tutte le luci. Ho chiamato Terri. Sul collo, dietro, sembra che mi abbia graffiato un gatto. Temo di beccarmi un'infezione. Forse dovrebbe prescrivermi degli antibiotici. Sono contento che lei sia qui, volevo che fosse lei a visitarmi. È successo tutto molto in fretta, ed era così buio...» Ricominciò a singhiozzare. «Ho gridato il nome di Terri.» «E la torcia?» gli ricordò Kay. «Durante la colluttazione era accesa?» Bane esito per un attimo, come se non avesse pensato a quel dettaglio. «Deve averla spenta» rispose dopo un po'. «O forse si è rotta quando mi ha colpito sulla schiena. Magari quell'uomo fa parte di qualche squadrone della morte. Non lo so. Non m'importa di quanto sono furbi. Non esiste il delitto perfetto. Lei cita sempre Oscar Wilde: "Nessuno compie un delitto senza commettere anche qualche sciocchezza". Tranne lei, dottoressa Scarpetta. Lei riuscirebbe a farla franca. Solo una persona come lei potrebbe commettere il delitto perfetto. Lo dice sempre.» Kay non ricordava di avere mai citato Oscar Wilde né di avere mai detto di poter commettere il delitto perfetto. Sarebbe stata una dichiarazione stupida, oltre che estremamente offensiva. Controllò una serie di unghiate a forma di mezzaluna sulla muscolosa spalla sinistra di Bane. «Ha sicuramente commesso un errore. Non è infallibile. Lei può scoprirlo. Lei, dottoressa Scarpetta, dice sempre di riuscire a scoprire tutto.» "Neanche questo ho mai detto" pensò Kay. «Forse è la sua voce, il modo in cui si esprime, la sua modestia: lei è bellissima.» Bane strinse i pugni. 141
«Ora che la vedo di persona, posso dire che non è per merito di un bravo truccatore o di un'inquadratura perfetta.» La guardò, con i suoi occhi di colore diverso. «Un po’ come Katharine Hepburn, solo che lei è bionda e non così alta.» Gli tremavano i pugni, come se cercasse con tutte le forze di trattenersi dall'usare le mani. «Anche lei sta molto bene con i calzoni. Anzi, quelli della Hepburn erano fuseaux, no? C'è differenza? Mi scusi, non voglio essere importuno. Non ci sto provando. Vorrei che mi abbracciasse. Ho bisogno che lei mi stringa!» «Non posso abbracciarla. Capisce perché non posso farlo?» chiese. «Dice sempre di essere gentile con i morti. Di rispettarli e toccarli come se fossero vivi, di parlargli come se potessero sentirla. Sostiene che anche i morti hanno una loro bellezza e possono essere ancora desiderabili. Per questo la necrofiHa non è incomprensibile come la gente crede, soprattutto se il corpo è ancora caldo. Se riesce a toccare i morti, perché non può toccare me? Perché non può abbracciarmi?» Kay non aveva mai affermato di toccare i morti come se fossero vivi, o di parlare con loro come se potessero sentirla. Né che i morti erano attraenti o che la necrofilia era comprensibile. Perché Oscar Bane diceva quelle cose? «La persona che l'ha aggredita ha cercato di soffocarla, per caso?» gli chiese. I segni delle unghie sulla schiena erano perfettamente verticali. 142
«A un certo punto mi ha messo le mani al collo, conficcandomi le unghie nella carne, ma io sono riuscito a liberarmi» spiegò Bane. «Perché sono forte. Non so cosa sarebbe successo se fossi stato più debole.» «Ha detto che hanno iniziato a spiarla quando si è innamorato di Terri. Come l'ha conosciuta?» «In Internet. Era una mia studentessa già da un po'. Lo so, non può parlarne.» «Come dice?» «Lasci stare. Farò finta di niente. Era iscritta al mio corso di storia della psichiatria. Voleva diventare psicologa forense. E curioso che molte donne vogliano intraprendere quella professione. Questo reparto è pieno di giovani molto carine, che si sono laureate al John Jay. Non ci sarebbe da aspettarsi che le donne, soprattutto se graziose, abbiano paura dei pazienti ricoverati in questo reparto?» Kay Scarpetta iniziò a esaminare il torace ampio e glabro di Oscar Bane, misurando altre abrasioni superficiali. Gli sfiorò le ferite e lui si posò le mani ammanettate sul pube. Gli occhi, uno azzurro e uno verde, si insinuarono sotto il suo camice. «Non pensa che le donne dovrebbero avere paura a lavorare in un luogo come questo?» chiese. «Lei ha paura?» Quando Shrew aveva ricevuto quella misteriosa telefonata, un anno e mezzo prima, non aveva la più pallida idea di quanto le avrebbe cambiato la vita. L'uomo dall'accento italiano le aveva detto di essere il rappresentante di una fondazione inglese e di avere avuto il suo nome, indirettamente, dalla ditta di consulenze dove Shrew aveva svolto la funzione di 143
responsabile del database di marketing. Nel suo pessimo inglese, aveva spiegato che le avrebbe inviato via email i requisiti per l'assunzione. Shrew aveva stampato il testo, che teneva ancora attaccato al frigo per ricordarsi delle casualità della vita. Webmaster - Dotato di spirito di iniziativa, il candidato deve essere in grado di lavorare da casa senza supervisione, avere buone capacità di relazione e di drammatizzazione. È richiesta una limitata esperienza tecnica. Massima riservatezza. Ulteriori requisiti da convenirsi. Possibilità di ottimi guadagni! Aveva risposto subito dicendosi molto interessata e chiedendo qualche informazione in più. L'uomo le aveva spiegato che per "capacità di relazione" si intendeva semplicemente "interesse per gli altri". Non avrebbe avuto contatti diretti con le persone: doveva piuttosto sapere cosa suscitasse gli "istinti più bassi" del pubblico, che ben presto Shrew aveva scoperto essere voyeurismo e sadico piacere nel vedere il prossimo in difficoltà. Anche l'email di accettazione di lei, impaginata esattamente come l'offerta di lavoro, era attaccata al frigo. Lusingata della Vostra offerta, ne accetto tutte le condizioni. Posso iniziare da subito e sono disponibile a lavorare anche nei weekend e nei giorni festivi. In un certo senso, Shrew era diventata più o meno l'anonima versione informatica di un'attrice comica che adorava, Kathy Griffin. Guardava ossessivamente tutti i suoi spettacoli, cogliendo nuovi modi per fare a pezzi i personaggi ricchi e famosi e servirli su un piatto d'argento a un pubblico insaziabile. Sempre più insaziabile e sempre più numeroso, a mano a mano 144
che il mondo peggiorava. La gente aveva un disperato bisogno di ridere, di scaricare tensioni, rancori e rabbia su quelli che Shrew chiamava i "capri espiatori dorati", privilegiati che potevano arrabbiarsi o infastidirsi, ma che di rado soffrivano veramente per frecciatine e battutacce. Dopotutto, che male si poteva mai fare a Paris Hilton o a Martha Stewart? Pettegolezzi, vili insinuazioni, denunce e persino condanne non facevano che aumentare la loro fama scatenando ancora più invidia e ammirazione da parte del pubblico. La vera crudeltà era essere ignorati, messi da parte, trascurati fino a sentirsi invisibili e inesistenti. Ed era così che si era sentita Shrew quando il lavoro che svolgeva, come centinaia di altri simili al suo, era stato affidato in outsourcing a una ditta indiana. L'azienda l'aveva licenziata dall'oggi al domani, buttata fuori senza preavviso e senza paracadute. Non avrebbe mai dimenticato il momento in cui aveva messo i suoi effetti personali in una scatola di cartone ed era uscita dall'ufficio, come nei film. Miracolosamente, però, proprio quando cominciava a temere di non potersi più permettere l'appartamento di Murray Hill e si era messa a cercare una sistemazione meno costosa, l'agente italiano del Boss l'aveva chiamata. Se c'era una cosa di cui Shrew si rammaricava era la solitudine, che le aveva dato un assaggio inaspettato di quella che doveva essere la vita di serial killer e delinquenti. Quasi quasi le facevano un po’ pena. Com'era difficile dover tenere un segreto quando la posta in gioco era così alta! A volte cercava di immaginare cosa avrebbero fatto certe persone se avessero saputo che la signora accanto a loro in coda 145
in farmacia o al supermercato era l'amministratore di sistema del più famoso sito di gossip nella storia di Internet. Ma non poteva dirlo ad anima viva, nemmeno all'investigatore che era appena stato da lei. Non poteva prendersi il merito. Le era perfino impossibile avere amici, perché avrebbe rischiato di lasciarsi sfuggire qualcosa. Per fortuna, non era in confidenza con le figlie e non le sentiva quasi mai. Non voleva più uscire con un uomo e tanto meno risposarsi. Anche se avesse rinunciato a quell'incarico, non avrebbe potuto dire una parola della sua passata ma straordinaria carriera. Aveva firmato tanti di quegli accordi di riservatezza che, se li avesse infranti, sarebbe finita in galera per il resto della sua vita, o nella migliore delle ipotesi in un ospizio per poveri. Non era da escludere una fine ancora peggiore, se avesse sgarrato. Ma forse stava esagerando. In fondo, cosa avrebbe potuto divulgare? Non sapeva chi fosse l'anima di Gotham Gotcha. L'autore dei pezzi poteva essere un uomo o una donna, vecchio, giovane, americano o di chissà quale nazionalità. Ma quel sito fenomenale poteva anche essere gestito da un gruppo di persone, magari giovani gemetti dell’MIT, spie cinesi, oppure cervelloni di qualche megaditta di ricerca informatica. Shrew era pagata bene ed era molto orgogliosa di essere un'anonima celebrità per procura, ma quel lavoro aveva cominciato a stancarla. Stava iniziando a dubitare sulla propria raison d'ètre, e forse era per questo che si era comportata così da stupida con l'investigatore Marino. 146
Aveva bisogno di contatti con gente in carne e ossa, di parlare con gli altri, di ricevere attenzioni e conferme. Non era più capace di rapportarsi con un altro essere umano. Era stato un evento straordinario, per lei, avere una persona nel soggiorno che notasse i peli di cane infilati nel tappeto, che vedesse la sua tuta di ciniglia rossa macchiata di rosa dove una volta si era spruzzata addosso della candeggina. Quando Marino se n'era andato, le era dispiaciuto, sebbene avesse anche tirato un sospiro di sollievo. Non si era mai resa conto della situazione disperata in cui si trovava. Ora ne era consapevole, invece, e ne aveva anche capito il motivo. Era una reazione normale. A chi non sarebbe successo? Il denaro che le veniva accreditato sul conto ogni due settimane e le email impersonali e ingrate che riceveva ogni tanto con commenti e istruzioni sarebbero potuti arrivarle anche da Dio, che pure Shrew non aveva mai visto, nemmeno in fotografia, e sul cui vero nome alcune persone si accapigliavano da secoli. Se lei aveva bisogno di incoraggiamento, lodi, gratitudine, oppure di una vacanza, un regalo di compleanno o magari un aumento, né il Boss né Dio mostravano interesse. Entrambi se ne restavano zitti e nascosti. Shrew poteva perdonare Dio, che aveva un universo di dipendenti e discepoli di cui occuparsi, ma non il Boss, che aveva solo lei. Lui era imperdonabile. Qualcosa durante la visita dell'investigatore Marino, quel giorno, le aveva fatto vedere la luce. Era la prima a riconoscere di essere una creatura del Boss, e gliene era grata, ma si rendeva conto di provare anche rancore nei suoi confronti. L'aveva comprata, 147
completamente. Shrew non aveva più un cane né amici, non osava fare un viaggio o mettersi a chiacchierare con qualcuno, non riceveva visite se non inaspettate. L'unica persona con cui ogni tanto scambiava due parole era stata ammazzata la sera prima. Aveva accettato di vivere in condizioni insopportabili, e la vita era breve. Poteva finire orribilmente, in un attimo. Il Boss era uno sfruttatore egoista e ingiusto, a cui non importava di niente e di nessuno. Senza l'aiuto di Shrew, non avrebbe potuto riempire il sito con il materiale selezionato fra le migliaia di email piene di pettegolezzi, immagini, commenti crudi e volgari, o cattiverie inviate dagli ammiratori. Lei svolgeva tutto il lavoro, e il Boss si prendeva la gloria, pur restando nell'anonimato. Si sedette davanti al computer, con le tende chiuse per non vedere il palazzo di fronte, in cui era da poco successa la tragedia, e la macchina della polizia ancora parcheggiata davanti all'appartamento di Terri. Non voleva rischiare che l'agente di turno riferisse a Marino che la vicina interrogata poco prima spiava dalla finestra. Anche se le avrebbe fatto piacere che l'investigatore venisse a trovarla di nuovo, non poteva permetterselo. Marino aveva già dei sospetti sul suo conto, era convinto che lei quella sera avesse visto qualcosa. Dopo avere fatto qualche ricerca in Internet, quando se n'era andato, Shrew aveva capito il perché. La morte di Terri era un mistero, un brutto mistero. Nessuno diceva come fosse successo; si sapeva solo che il giovane biondo con la rosa gialla era rinchiuso al Bellevue, proprio come Son of Sam, alias David 148
Richard Berkowitz, quando era stato catturato. Il medico forense che aveva eseguito l'autopsia sul corpo di Terri non aveva rilasciato dichiarazioni riguardo ai particolari della morte, che però sembrava essere stata terribile. Il caso doveva essere di estrema importanza se era stata chiamata la dottoressa Scarpetta. Non era una notizia ufficiale, ma la famosa anatomopatologa era stata vista agli aeroporti Logan e LaGuardia quel pomeriggio, e in seguito nei pressi del Bellevue con un trolley alquanto instabile. Con ogni probabilità, stava andando dal marito, psicologo forense, che lavorava nel reparto detentivo dell'ospedale psichiatrico, dove era rinchiuso il ragazzo di Terri. Non c'erano dubbi che il Boss avrebbe spedito un nuovo articolo sulla dottoressa Scarpetta, ed era un peccato. In quasi tutti i blog la gente commentava gli articoli di quel giorno esprimendo opinioni contrastanti. Se da un lato un certo numero di persone riteneva sbagliato strombazzare eventuali episodi di violenza subiti da Kay Scarpetta per mano dell'investigatore Marino o di suor Polly, molte altre volevano saperne di più. "Dettagli! Dettagli!" "Chi romperebbe le matite a una bambina?" "Quelle come lei se le vanno a cercare. Non a caso sono attirate dal crimine." "Mi sorprendo dell'investigatore, ma non della suora." Shrew si sentiva poco motivata da quando Marino se n'era andato, ma doveva rimboccarsi le maniche e iniziare a vagliare le informazioni e le immagini inviate 149
dagli ammiratori, nella speranza di trovare qualcosa di importante da inserire nel file del Boss. Aprì la cartella e cancellò aneddoti noiosi, banali, pettegolezzi, presunti avvistamenti e immagini riprese con il cellulare, finché si imbatté in un'email che era stata mandata alcune ore prima. Si emozionò nel leggere l'oggetto, ma mantenne un certo scetticismo. FOTO MAI VISTE PRIMA! MARILYN MONROE ALL'OBITORIO. Il messaggio non conteneva testo, solo un allegato. Shrew scaricò l'immagine. Quando apparve sul suo schermo ad alta risoluzione, provò un brivido che le fece capire cosa intendesse la gente quando diceva che le si rizzavano i capelli in testa. «Santo cielo» mormorò. «Oh, santo cielo!» Il corpo nudo di Marilyn Monroe pareva una bambola di pezza sul tavolo di acciaio. I capelli biondi erano bagnati e appiccicati al viso un po’ gonfio, ma riconoscibile. Shrew iniziò a zoomare ogni dettaglio, cliccando furiosamente con il mouse, come avrebbero fatto di lì a poco i fan. Strabuzzò gli occhi, ingrandì la foto e li strabuzzò ancora di più vedendo i seni della star, un tempo stupendi, appiattiti a causa delle suture, simili a orribili binari che scendevano a V dalle clavicole per unirsi all'altezza dello sterno e poi scendere giù, giù, lungo quel corpo bellissimo, lambendo vecchie cicatrici chirurgiche, prima di sparire tra i peli del pube. Le famose labbra e gli occhi azzurri erano chiusi e, con il massimo ingrandimento che le consentiva il computer, Shrew scorse la verità che il mondo aveva sempre desiderato vedere e che senza dubbio meritava. Aveva capito, ed era in grado di provarlo. 150
Non poteva essere più chiaro di così. C'erano le prove. I capelli biondi tinti di recente senza un'ombra di ricrescita scura. Le sopracciglia perfette. Le unghie e le dita fresche di manicure, le gambe depilate. Era snella, senza un etto di troppo. Marilyn si era tenuta, curata, imbellita fino all'ultimo e tragico respiro della sua vita. Una persona che soffra di una grave depressione non si comporta così. La foto era la prova di ciò che Shrew aveva sempre sospettato. In preda all'agitazione, buttò giù il testo. Doveva essere breve. Lo scrittore era il Boss, non lei, e non le erano concesse più di quindici parole, qualunque fosse l'argomento. MARILYN MONROE È STATA UCCISA! (NON ADATTO A UN PUBBLICO INFLUENZABILE) UNA FOTO INEDITA DI MARILYN MONROE DOPO L'AUTOPSIA MOSTRA SENZA OMBRA DI DUBBIO CHE LA STAR NON ERA DEPRESSA QUANDO MORÌ E CHE NON SI SUICIDÒ. I DETTAGLI CHIARAMENTE VISIBILI DURANTE L'AUTOPSIA SVOLTA IL 5 AGOSTO DEL 1962 A LOS ANGELES RIVELANO CON INDISCUTIBILE CERTEZZA CHE FU UN GESTO ASSASSINO E NON UN INCIDENTE O UN SUICIDIO A PORRE FINE ALLA VITA DI MARILYN. Shrew si doveva fermare: settantacinque parole, esclusi numeri e punteggiatura, erano esattamente cinque volte il limite consentito. Ma di certo il Boss avrebbe fatto un'eccezione in quel caso e per una volta le avrebbe concesso un bonus e una lode. Cliccò sulla finestra di ricerca e trovò facilmente il famoso referto autoptico del dottor Thomas Noguchi e i risultati delle analisi di laboratorio. Li lesse con attenzione senza capire granché. Cercò "livor", 151
"ecchimosi" e frasi come "nessun cristallo rifrangente in stomaco o duodeno". Più cercava e capiva, più aumentava la sua indignazione. Come avevano osato quegli uomini assetati di potere, donnaioli ed egoisti fare questo a Marilyn? Bè, il mondo poteva smettere di chiedersi che cosa fosse successo. Le dita di Shrew volavano sulla tastiera. I DATI DEL REFERTO AUTOPTICO SONO COERENTI CON QUELLO CHE APPARE CHIARAMENTE IN QUESTA STRAORDINARIA FOTOGRAFIA. MARILYN MONROE, NUDA E INDIFESA, VENNE IMMOBILIZZATA SUL LETTO (COME DIMOSTRANO I LIVIDI SULL'ANCA SINISTRA E IL FONDO SCHIENA) E I SUOI KILLER LE SOMMINISTRARONO UN CLISTERE CARICO DI BARBITURICI. DI CERTO MARILYN NON MORÌ SUICIDA PER UN'OVERDOSE DI NEMBUTAL, PERCHÉ SAREBBE RIMASTA TRACCIA DELLE CAPSULE E CI SAREBBERO STATI RESIDUI GIALLASTRI NELLO STOMACO E NEL DUODENO, CHE INVECE NON ERANO PRESENTI. INOLTRE, IL COLON ERA SCOLORITO E DILATATO, COME ACCADE DOPO UN CLISTERE AVVELENATO! A PROPOSITO: SE AVESSE INGERITO I FARMACI O SI FOSSE FATTA IL CLISTERE DA SOLA, PER QUALE RAGIONE NON SONO STATI RINVENUTI NÉ LE CAPSULE NÉ IL CONTENITORE DELL'ENTEROCLISMA? UNA VOLTA ENTRATI IN CIRCOLO I FARMACI, COME AVREBBE FATTO MARILYN A USCIRE DI CASA, DISFARSI DELLE PROVE, RIENTRARE, SPOGLIARSI, RIMETTERSI A LETTO E RIMBOCCARSI LE COPERTE FIN SOTTO IL MENTO? DOPO UN CLISTERE AVVELENATO, AVREBBE SUBITO PERSO I SENSI E SAREBBE MORTA NEL GIRO DI POCO TEMPO. NON 152
RIUSCÌ AD ARRIVARE NEMMENO IN BAGNO: AL MOMENTO DEL DECESSO AVEVA LA VESCICA PIENA! LO DICE ANCHE IL REFERTO DELL'AUTOPSIA! MARILYN VENNE UCCISA PERCHÉ SI RIFIUTAVA DI TENERE LA BOCCA CHIUSA, INDIPENDENTEMENTE DA CHI GLIELO ORDINASSE! Dalla finestra del suo ufficio all'ottavo piano, Jaime Berger vedeva il bassorilievo con i leoni rampanti sull'edificio di fronte. Stava guardando dalla stessa finestra anche quando nel cielo azzurro era apparso l'aereo dell'American Airlines, stranamente rumoroso e basso, poco prima che andasse a schiantarsi contro la Torre nord del World Trade Center. Diciotto minuti più tardi, un secondo aereo aveva colpito la Torre sud. Incredula, Jaime aveva visto quei simboli di potere prendere fuoco e crollare sotto una pioggia di cenere e detriti e aveva pensato che il mondo stesse per finire. Si era sempre chiesta che cosa sarebbe cambiato se quel martedì mattina non si fosse trovata a New York, seduta in quello stesso ufficio, a parlare al telefono con Greg, che era a Buenos Aires. Lei non era potuta andare perché impegnata nell'ennesimo processo importante, di cui ora aveva solo un vago ricordo. Aveva sempre qualche processo importante, che poco tempo dopo scordava, per il quale era richiesta la sua presenza in città mentre Greg accompagnava le due figlie del suo precedente matrimonio in giro per il mondo. Innamorato di Londra, Greg aveva preso una casa anche lì, e in seguito Jaime era venuta a sapere che oltre alla casa si era trovato anche un'amante, una giovane avvocatessa inglese conosciuta alcuni anni 153
prima a New York, dove lei era impegnata in un processo molto stressante. Jaime non si era particolarmente insospettita quando Greg e la giovane avvocatessa andavano a cena insieme mentre lei si fermava in ufficio a lavorare fino a tardi. Era rimasta in quello stato di totale inconsapevolezza fino all'inverno precedente, quando un bel giorno lui era passato inaspettatamente a prenderla per portarla fuori a pranzo. Erano andati a piedi da Forlini’s, un ristorante tutto legno e dipinti Old Country frequentato da politici e avvocati, e si erano seduti l'una dì fronte all'altro. Greg non le aveva detto che frequentava un'altra da anni, le aveva solo comunicato che voleva il divorzio. A Jaime era venuta in mente Kay Scarpetta. Ma c'era una ragione. Da Forlini’s i separé erano intitolati ai clienti più famosi, e quello in cui erano seduti lei e Greg, per puro caso, era dedicato a Nicholas Scoppetta, commissario dei vigili del fuoco. Il nome SCOPPETTA sulla targa le aveva fatto venire in mente Kay; sicuramente lei si sarebbe alzata dal sedile di pelle rosa e sarebbe uscita dal ristorante, invece di subire quell'umiliazione e ascoltare quelle menzogne sfacciate. Al contrario, Jaime non si era mossa, né aveva protestato. Aveva mantenuto il solito autocontrollo ed era stata a sentire le stronzate di Greg a proposito del fatto che non l'amava più. Aveva smesso di amarla dopo il crollo delle Torri Gemelle, diceva di soffrire di una sindrome da stress post traumatico. Peccato che l'11 settembre Greg non fosse nemmeno negli Stati Uniti. Sosteneva però che a furia di vedere la tragedia 154
al telegiornale gli pareva di averla vissuta in prima persona. A suo avviso, ciò che era accaduto e continuava ad accadere in America, soprattutto ai suoi investimenti immobiliari e al dollaro, era insostenibile e traumatizzante. Aveva quindi deciso di trasferirsi a Londra. Chiedeva un divorzio discreto e consensuale, nell'interesse di tutti: Jaime gli aveva domandato, con accortezza, se avesse un'amante, perché voleva rendersi conto se gli restasse anche solo una briciola di onestà. Greg le aveva risposto che era irrilevante – il problema era che non si amavano più - e l'aveva accusata di essere distratta da altri interessi, non solo professionali. Lei non aveva mosso obiezioni e si era astenuta dal lanciarsi in un'arringa per dimostrargli di non avere mai violato il contratto matrimoniale, benché la tentazione le fosse venuta più volte. Così adesso era divorziata, ricca e sola. Era successo tutto con grande discrezione. Quel pomeriggio tardi nel piano dov'era situato il suo ufficio non c'era nessuno. Dopotutto era un giorno di festa, o di tortura, a seconda dei punti di vista. Ma Jaime non aveva motivo di starsene a casa. In procura c'era sempre qualcosa da fare, anche a Capodanno. Così, con l'ex marito dall'altra parte dell'oceano, senza figli, era sola in quel gelido edificio art déco non lontano da Ground Zero, e non c'era nessuno a rispondere al telefono. Quando squillò, alle cinque in punto, esattamente ventiquattr'ore dopo che Oscar Bane, in base a quanto aveva dichiarato, era giunto nell'appartamento di Terri Bridges, Jaime sollevò la cornetta sapendo già chi fosse. 155
«No, non in sala riunioni» disse a Lucy. «Vieni direttamente nel mio ufficio. Saremo solo noi due.» Oscar Bane guardò l'orologio appeso alla parete in una teca di plastica e si coprì il viso con le mani ammanettate. Il giorno prima, a quell'ora, Terri avrebbe dovuto aprirgli la porta. Forse lo aveva fatto. O forse Oscar diceva la verità e a quell'ora, il giorno prima, Terri era già morta. La lancetta dei minuti si spostò: le cinque e un minuto. «Terri aveva amici?» chiese Kay. «In rete» rispose Oscar. «Comunicava soprattutto in Internet. È lì che ha imparato ad avere fiducia negli altri. O forse lì ha scoperto che era impossibile. Lo sa anche lei, dottoressa. Perché mi fa questo? Perché non lo ammette? Chi glielo impedisce?» «Che cosa dovrei ammettere?» «Le hanno dato istruzioni.» «Cosa glielo fa pensare? E quali istruzioni?» «Okay, va bene» replicò Bane stizzito. «Mi sto stufando di questo giochetto, ma glielo dirò comunque. Devo credere che lei mi protegge. Devo credere che per questo è evasiva. Lo accetterò e risponderò alla sua domanda. Terri conosceva gente in Internet. Se sei ipostaturale e donna, sei molto più vulnerabile.» «Quando vi siete incontrati e avete iniziato a uscire insieme?» «Dopo esserci scambiati email per un anno, abbiamo scoperto che entrambi eravamo diretti alla stessa riunione della Little People of America, a Orlando. È stato in quel momento che abbiamo capito di avere tutti e due l'acondroplasia. Dopo Orlando, 156
abbiamo iniziato a frequentarci. Gliel'ho detto. Tre mesi fa.» «Perché vi vedevate sempre da Terri, fin dall'inizio?» «Le piaceva stare a casa propria. È molto meticolosa, l'ordine e la pulizia sono un'ossessione per lei.» «Temeva che casa sua fosse sporca?» «Temeva che tutti i posti fossero sporchi.» «Era ossessivocompulsiva? Aveva paura dei germi, delle malattie?» «Quando andavamo da qualche parte, al ritorno voleva che ci facessimo tutti e due la doccia. All'inizio pensavo che fosse una questione di sesso, e mi stava benissimo fare la doccia con lei. Poi ho capito che invece era una questione di igiene. Dovevo essere pulito. Avevo i capelli lunghi, e mi ha chiesto di tagliarli, perché corti sono più facili da lavare. Diceva che i capelli raccolgono sporcizia e batteri. E anche i peli. Sono stato al gioco, ma le ho detto anche che c'era una zona in cui avrei conservato tutti i miei peli. Nessuno doveva avvicinarsi.» «Dove va a farsi depilare?» «Da una dermatologa sulla Settantanovesima Est. Usa il laser. Un intervento doloroso a cui non dovrò più sottopormi.» «E Terri? Andava dalla stessa dermatologa?» «È stata lei a mandarmi lì, dalla dottoressa Elizabeth Stuart. Ha un grosso studio, è molto nota. Terri ci è andata per anni.» Kay Scarpetta prese un appunto e chiese se Terri fosse in cura anche da altri medici. Bane le rispose che non lo sapeva, non se ne ricordava, ma era sicuro che a casa di Terri avrebbe trovato sicuramente quel genere di informazioni: lei era una donna organizzatissima. 157
«Non gettava via nulla che potesse essere importante e aveva un posto per tutto. Se appendevo la camicia a una sedia, la metteva nell'armadio. Non avevo ancora finito di mangiare che i piatti erano già nella lavastoviglie. Odiava il disordine. Non sopportava di vedere le cose fuori posto. La sua borsa, l'impermeabile, gli stivali da neve... metteva via qualunque cosa, anche se aveva intenzione di usarla di lì a cinque minuti. Capisco che non sia normale.» «Aveva i capelli corti come i suoi?» «Continuo a dimenticarmi che lei non l'ha mai vista.» «Mi dispiace.» «No, non erano corti, ma li teneva molto puliti. Se andava da qualche parte, appena rientrava a casa faceva la doccia e si lavava i capelli. Mai il bagno, perché si sta nell'acqua sporca, diceva. Usava l'asciugamano una volta sola e poi lo metteva in lavatrice. Ripeto, so che non è normale. Le avevo consigliato di parlarne con qualcuno, cercando di farle capire che la sua era un'ossessione. Non grave, ma i sintomi c'erano. Non che si lavasse le mani cento volte al giorno, evitasse le crepe del marciapiede o si rifiutasse di mangiare cibo preso al take away, niente del genere, però...» «E quando facevate sesso? Le imponeva forse precauzioni particolari?» «Bastava che fossi pulito. Dopo ci buttavamo sotto la doccia, ci lavavamo i capelli a vicenda e di solito lo facevamo di nuovo. Le piace fare l'amore sotto la doccia. Lo chiama "sesso pulito". Io avrei voluto vederla più di una volta alla settimana, ma lei non me l'ha mai concesso. Una volta e basta. Sempre lo stesso 158
giorno, sempre alla stessa ora. Forse perché è così organizzata. Il sabato alle cinque del pomeriggio. Mangiavamo e facevamo l'amore, talvolta appena arrivavo. Non ho mai dormito da lei. Le piace svegliarsi da sola e mettersi subito al lavoro. A casa sua, il mio DNA è dappertutto.» «Però non ha fatto l'amore con lei ieri sera?» «Me l'ha già chiesto!» Strinse i pugni e gli si gonfiarono le vene sulle braccia muscolose. «Come avrei potuto?» «Volevo esserne assolutamente sicura. Capisce perché sono costretta a domandarglielo?» «Uso sempre il preservativo. Sono nel cassetto vicino al suo letto. Le troverete addosso la mia saliva.» «Perché...?» «Perché ho cercato di rianimarla con la respirazione bocca a bocca. L'ho presa tra le braccia e, quando ho capito che era morta, le ho baciato il viso, l'ho accarezzata. L'ho abbracciata. Le troverete addosso il mio DNA.» «Questo... e questo.» Kay Scarpetta gli sfiorò due lividi sullo sterno. «Anche qui è stato colpito con la torcia?» «Sì, ma sono anche caduto per terra. Non saprei come me li sono procurati.» I lividi cambiano colore con il passare del tempo. E possono indicare la forma dell'oggetto che li ha causati. Quelli di Oscar Bane erano rosso violaceo. Ne aveva due sul petto e uno sulla coscia sinistra, tutti larghi circa cinque centimetri e leggermente ricurvi. Potevano senza dubbio essere stati provocati dal bordo di una torcia. Dal colore si desumeva che Bane 159
era stato colpito con forza moderata ed era stato graffiato più o meno nello stesso momento. Kay scattò alcuni primi piani. Bane poteva averla strangolata con un braccio. Non sarebbe riuscita nemmeno a gridare. Sarebbe morta nel giro di pochi minuti. Sentì il suo calore, il suo odore. Poi fece un passo indietro e ritornò al bancone. Iniziò a documentare le ferite e a prendere altri appunti mentre lui le osservava la schiena. Si sentiva addosso i suoi occhi eterocromici. Non c'era calore, in quello sguardo. Anzi, era gelido. La fiducia in lei stava scemando. Kay Scarpetta non era più il personaggio eccezionale che parlava alla CNN. Era una donna, una persona reale, e lo stava deludendo, lo stava tradendo. Succede quasi sempre così, quando si idealizza qualcuno, lo si vede come un eroe. «È tutto come migliaia di anni fa. Non c'è stato nessun progresso» disse Bane. «Le lotte, la brutalità, le menzogne, l'odio. La gente non cambia.» «Se è questo che crede, perché è interessato alla psicologia?» domandò Kay. «Se si vuole scoprire l'origine del male, bisogna seguirne l'evoluzione» rispose lui. «È sfociato in una coltellata? Nella decapitazione di un autostoppista? In razzismo e discriminazione? Quale parte del nostro cervello rimane primitiva in un mondo in cui odio e violenza minacciano la sopravvivenza? Perché non riusciamo a eliminare quella parte del nostro codice genetico come facciamo con certi geni nei topi? So cosa sta facendo suo marito.»
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Parlava veloce, in tono brutale, mentre Kay prendeva dalla sua valigetta un estrusore e una cartuccia di polivinilsilossano. «So delle sue ricerche all'ospedale di Harvard, il McLean. Usa la risonanza magnetica funzionale. Siamo più vicini a capire il meccanismo del male? O continueremo per sempre a tormentare, torturare, violentare e uccidere la gente, a scatenare guerre, a commettere genocidi e a negare ad alcuni perfino i diritti umani fondamentali?» Kay inserì la cartuccia, rimosse il tappino rosa e schiacciò la levetta di sgancio puntando l'estrusore su un fazzoletto di carta, finché uscì un flusso costante di base bianca e catalizzatore trasparente. Attaccò il beccuccio miscelatore, tornò da Bane e gli spiegò che gli avrebbe spalmato il composto di silicone sulle ferite e sulla punta delle dita. «È un ottimo prodotto per ottenere un'impronta elastica di superfici grezze o lisce, come unghie e polpastrelli» gli spiegò. «Non ha effetti collaterali nocivi, nemmeno sulla pelle. I graffi e le ferite prodotte dalle unghie sono cicatrizzati, perciò non dovrebbe sentire dolore, ma se a un certo punto vuole che mi fermi basta che me lo dica. Mi autorizza a procedere?» «Sì» rispose Bane. Rimase zitto mentre lei gli toccava le mani stando attenta al pollice offeso. «Le pulisco con delicatezza le dita e le ferite con alcol isopropile» lo informò. «Così le secrezioni corporee non interferiranno con il processo. Non dovrebbe farle male. Al massimo, avvertirà un leggero bruciore. Quando vuole che mi fermi, me lo dica» ripeté. 161
Bane rimase in silenzio a guardare Kay Scarpetta che gli puliva le mani, un dito alla volta. «Mi domando come fa a essere a conoscenza della ricerca del dottor Wesley al McLean, visto che non ha ancora pubblicato niente» disse. «Ma so che nella fase di reclutamento è stata fatta molta pubblicità. Immagino sia per questo che lei ne è al corrente, vero?» «Non ha importanza» rispose Bane guardandosi le mani. «La gente sa perché odia, ma questo non cambia nulla. Non potrete modificare i sentimenti delle persone. Tutta la scienza del mondo non riuscirà a farlo.» «Non sono d'accordo» ribatté Kay. «In genere si odia ciò di cui si ha paura. E, meno si ha paura, meno si odia.» Spremette il composto inodore sulla punta delle dita di Bane. Ogni volta che premeva la levetta, l'estrusore emetteva un clic. «Spero che, più saremo illuminati, meno avremo paura e meno odieremo. Coprirò ciascun dito fino alla prima nocca. Quando il composto si sarà asciugato, scivolerà via come un copridito di gomma, di quelli che si usano per contare le banconote. È un materiale eccellente per l'analisi al microscopio.» Per spargerlo e lisciarlo usò una spatolina di legno e, quando ebbe finito di ricoprire i numerosi graffi e segni lasciati dalle unghie, lo strato sui polpastrelli si stava già seccando. Era curioso che Bane non le avesse chiesto perché volesse avere un'impronta delle sue dita, e soprattutto delle sue unghie, oltre che dei graffi e dei segni che a suo dire erano opera dell'aggressore sconosciuto. Non le aveva fatto domande perché forse 162
conosceva già la risposta. Kay non aveva davvero bisogno di quelle impronte, ma voleva che lui sapesse che ne era in possesso. «Ecco. Ora tenga le mani alzate» gli disse. Incontrò il suo sguardo verdazzurro. «Fa abbastanza freddo qui. Non ci sono neanche venti gradi. Dovrebbero asciugarsi in quattro minuti circa. Le rimetto a posto il camice, per adesso, così starà meglio.» Kay gli sentì addosso l'odore della paura, della prigionia. Aveva l'alito pesante ed emanava una vaga traccia di acqua di colonia. Si chiese se un uomo intenzionato a uccidere l'amante si sarebbe preoccupato di profumarsi. Lucy appese la giacca di pelle all'attaccapanni e, senza aspettare di essere invitata, avvicinò una sedia a Jaime Berger e aprì un MacBook Air. «Di solito le persone si siedono di fronte a me, dall'altro lato della scrivania» disse Jaime. «Devo mostrarti una cosa» replicò Lucy. «Ti trovo molto bene. Sempre uguale.» La scrutò sfacciatamente e si corresse: «No, mi sbaglio, sei più bella della prima volta che ci siamo viste, otto anni fa, quando c'erano ancora due grattacieli a pochi isolati da qui. Se mi capita di arrivare a New York in elicottero, ho l'impressione che a questa città manchino gli incisivi. Sorvolo l’Hudson, a duecentocinquanta metri di quota, passo sopra Ground Zero e vedo il buco». «Non è una cosa su cui scherzare» commentò Jaime.
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«Ma io non scherzo affatto. Vorrei solo che il buco non ci fosse più per non avere la sensazione che abbiano vinto i cattivi, capisci?» Jaime non ricordava di avere mai visto Lucy vestita da civile. Quel giorno invece indossava jeans sfilacciati aderenti e una maglietta nera attillata, sotto cui non avrebbe potuto infilare armi di alcun genere. Il suo abbigliamento non nascondeva quasi nulla, meno che mai il fatto che avesse un sacco di soldi: cinturone di coccodrillo con fibbia Winston a forma di tigre dai denti a sciabola, fatta a mano, in metalli e pietre preziosi, e collana con ciondolo di turchese a forma di teschio, anch'essa Winston. Entrambi erano considerati oggetti d'arte e pertanto costosissimi. Lucy era in ottima forma, tonica, e aveva capelli corti color mogano con riflessi dorati. Avrebbe potuto facilmente essere scambiata per un giovane modello, se non fosse stato per il seno. «I computer di Terri Bridges» disse Jaime indicando un tavolo accanto alla porta chiusa su cui c'era un involto di carta marrone sigillato con nastro adesivo rosso. Lucy gettò un'occhiata al pacco come se fosse stato la cosa più normale del mondo. «Immagino che tu abbia un mandato» disse. «Qualcuno ha già guardato cosa contengono gli hard disk?» «No. Sono tutti tuoi.» «Appena scoprirò gli account di posta elettronica, avremo bisogno di un altro mandato, e in fretta. E probabilmente anche per quelli di altre persone con cui corrispondeva, oltre al fidanzato che è al Bellevue.» «Certo.» 164
«Una volta localizzato il provider e controllato il suo archivio, avrò bisogno delle password.» «Conosco la procedura, credimi.» «A meno che tu non mi stia chiedendo di fare della pirateria informatica.» Lucy iniziò a digitare. «Evitiamo di usare quel termine, per favore. Anzi, fingerò di non averlo nemmeno sentito.» Lucy fece un mezzo sorriso, mentre le dita si muovevano agili sulla tastiera. Aprì una presentazione in PowerPoint: Connextions - The Neural Networking Solution. «Santo Dio, non avrai intenzione di sciorinarmi la lezione, vero?» chiese Jaime. «Hai idea di quante mi tocca sorbirne?» «Questa non l'hai mai sentita.» Lucy premette un tasto. «Sai qualcosa di neuroscienza computazionale? Conosci le tecnologie basate sulle reti neurali? Sono circuiti che elaborano le informazioni in un modo molto simile al nostro cervello.» Lucy digitò un comando con il dito indice, su cui era in bella mostra un grosso anello d'argento. Portava un orologio che Jaime non riconobbe: militare, con il quadrante nero, i numeri luminosi e il cinturino di gomma. Lucy si accorse dell'interesse di Jaime e disse: «Forse sai qualcosa sulla tecnologia di illuminazione ai vapori di trizio? Il trizio gassoso è un isotopo radioattivo che decade illuminando i numeri e i vari simboli sull'orologio in modo che siano facilmente visibili anche al buio. Me lo sono comprato. Il Blancpain è un tuo acquisto o te l'ha regalato qualcuno?». «È un regalo che mi sono fatta per ricordarmi che il tempo è prezioso.» 165
«Il mio invece serve a ricordarmi che dovremmo utilizzare ciò che molti temono, perché non si teme qualcosa che non sia potente.» «Non sento la necessità di dimostrare qualcosa portando un orologio radioattivo» replicò Jaime. «Sono venticinque millicurie al massimo, pari a un'esposizione di forse zero virgola uno microsievert all'anno. La stessa che si ha in condizioni normali. Non c'è nessun pericolo, in altre parole. Un ottimo esempio di come la gente rifugga da certe cose solo per ignoranza.» «Me ne dicono di tutti i colori, ma nessuno mi ha mai accusato di essere ignorante» ribatté Jaime. «Adesso pensiamo ai computer.» «Il sistema che ho sviluppato... Veramente lo sto ancora sviluppando perché le possibilità sono infinite e, quando prendi in considerazione l'infinito, ti devi domandare se non stai trasformando l'artificiale in reale. Perché per me "artificiale" vuol dire "finito", e da questo deduco che l'infinito non sarà più artificiale» spiegò Lucy. «Dobbiamo entrare nei computer della vittima» insistette Jaime. «È necessario che tu capisca cosa stiamo facendo» replicò Lucy. Poi la guardò con i suoi occhi verdi e concluse: «Perché dovrai spiegarlo tu in tribunale, non io». Fece scorrere alcune immagini di PowerPoint e questa volta Jaime Berger non la interruppe. «C'è un'altra espressione tecnica che probabilmente non conosci: wet mind» disse Lucy. «È il modo in cui il nostro cervello riconosce voci, facce, oggetti e li orienta in un contesto significativo, rivelatore, 166
istruttivo e predittivo. Vedo che non stai guardando e non mi ascolti.» Sollevò le mani dalla tastiera e osservò Jaime come se fosse un interrogativo a cui doveva trovare una risposta. «Quello che voglio da te è molto chiaro» spiegò Jaime. «Devi visualizzare le email e tutti i file, recuperare il materiale cancellato e cercare di individuare eventuali elementi che possano rivelarci anche il più piccolo indizio su chi, cosa, quando e dove. e è stata uccisa da qualcuno che conosceva, è probabile che nei computer ci sia qualche traccia.» Indicò il pacco sul tavolo vicino alla porta. «E se non lo conosceva, è comunque possibile trovare qualche elemento che ci faccia capire come mai l'assassino abbia scelto proprio lei. Sai come funziona. Non eri ancora nata e già facevi indagini.» «Non esageriamo.» Jaime si alzò dalla sedia. «Ti preparo la ricevuta. Come sei venuta qui?» «Dato che non avete una pista di atterraggio per elicotteri, ho preso un taxi.» Erano vicino alla porta, che Lucy aveva chiuso dopo essere entrata. «Pensavo che mi avresti fatta riaccompagnare nel mio ufficio al Village da uno dei tuoi agenti» aggiunse Lucy. «Firmerò tutti i documenti necessari. Pro forma, perché sia tutto documentato. L'ho imparato alla prima lezione all'accademia di polizia.» «Me ne occuperò io.» Jaime fece una telefonata. Quando ebbe terminato, disse a Lucy: «Tu e io abbiamo ancora una cosa da discutere». 167
Lucy si appoggiò alla porta con le mani infilate nelle tasche dei jeans. «Tiro a indovinare: il sito di gossip. Una roba fatta con i piedi, se posso esprimermi liberamente. Credi nel comandamento che dice: "Fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te"?» «Non mi riferisco a Gotham Gotcha in particolare» replico Jaime. «Ma c'è una questione importante di cui ti devo parlare. Marino lavora per me. Do per scontato che tu possa e voglia gestire la situazione.» Lucy si infilò la giacca. «Ho bisogno di una risposta» insistette Jaime. «Me lo dici adesso?» «Fino a oggi pomeriggio non c'era motivo di affrontare l'argomento. Quando ho capito che ne dovevamo parlare, tu e io avevamo già appuntamento. La cronologia dei fatti è questa. Ecco perché te lo sto dicendo solo ora.» «Bè, spero che tu abbia selezionato con più cura i tuoi altri collaboratori» ribatté Lucy. «Dovresti parlare con Benton, dato che è stato lui a mandarmelo, l'estate scorsa. Prima di leggere quell'articolo non sapevo il motivo per cui Marino aveva lasciato Charleston. Ti ripeto ciò che è importante al momento: sei in grado di gestire la situazione, Lucy?» «Non intendo avere niente a che fare con lui.» «Non è una decisione tua» continuò Jaime. «Se vuoi lavorare per me, dovrai gestire la situazione. Marino ha la precedenza perché...» «Mi fa piacere vedere che concetto hai della giustizia» la interruppe Lucy. «Tenuto conto del fatto che io non ho vigliaccamente aggredito nessuno e non mi sono fatta assumere con l'inganno.» 168
«Questo non è vero, né dal punto di vista legale né da quello letterale, e non voglio discuterne. Il fatto è che Marino è coinvolto nell'indagine e non posso revocargli l'incarico senza gravi ripercussioni. E comunque non voglio farlo per varie ragioni, una delle quali è che un mese fa ha raccolto una denuncia da parte del fidanzato della vittima. Non intendo tagliarlo fuori per fare un piacere a te. Ci sono altri consulenti informatici a cui posso rivolgermi. Tanto per mettere le cose in chiaro.» «Non c'è nessun altro in grado di fare quello che faccio io. Tanto per mettere le cose in chiaro. Ma è meglio interrompere subito, prima ancora di iniziare, se è quello che vuoi.» «Non è quello che voglio.» «Marino sa che mia zia è qui?» «Per usare una metafora aeronautica, mi sembra di essere un controllore di volo» rispose Jaime. «Nel senso che sto facendo il possibile perché non vi scontriate tutti quanti. E spero in un atterraggio strategico, senza scosse.» «Mi stai dicendo che Marino sa che la zia Kay è qui?» «Non ti sto dicendo nulla. Non gliene ho ancora parlato, ma questo non significa che non l'abbia fatto qualcun altro. Soprattutto dal momento che è nell'occhio del ciclone, per lo meno in Internet. Forse sa da tempo che Kay va e viene da New York ma, alla luce di quanto è successo, evita di affrontare l'argomento.» «E tu? Non gliel'hai mai nemmeno nominata?» Lucy aveva gli occhi accesi di rabbia. «Non gli hai mai chiesto, per esempio, come stava, se le piaceva 169
lavorare per la CNN, se è contenta della sua vita coniugale? Mai detto cose tipo: "Accidenti, dobbiamo metterci d'accordo e prendere un caffè insieme, appena Kay viene a New York"?» «Marino e io non chiacchieriamo. Non è mai stata mia intenzione diventare la sua nuova Kay Scarpetta. Non sono Batman e non ho bisogno di Robin. Senza offesa per Kay, ovviamente.» «Meglio per te, ora che sai cosa Robin ha fatto a Batman.» «Non lo so. Non con certezza» ribatté Jaime, e in quel momento squillò il telefono. «Sarà il tuo taxi.» Kay Scarpetta staccò dalle mani di Oscar Bane i ditali di silicone indurito e li infilò nelle apposite buste di plastica. Aprì un mobiletto e prese delle salviette disinfettanti e una crema antibatterica, poi gli slacciò il camice e glielo abbassò. «È sicuro che fossero manette di plastica?» gli chiese. «Si vedono in televisione» rispose Bane. «La polizia e i militari le usano per legare le persone come sacchi della spazzatura.» «Non dovrei farle male.» Bane rimase immobile mentre Kay gli puliva di nuovo le ferite e gli spalmava delicatamente la crema. «Non avevano nessun diritto di toccarla» disse Bane. «L'avevo già tra le braccia. Perché quei bastardi non hanno lasciato che la mettessi io sulla barella, invece di palparla da tutte le parti? Le hanno levato l'asciugamano, li ho visti, dopo che mi hanno costretto a uscire dal bagno. Le hanno levato l'asciugamano. Perché? Lo sa anche lei. Perché volevano vederla.» 170
«Cercavano prove, ferite.» Gli sollevò lentamente il camice e glielo annodò dietro la schiena. «Non c'era bisogno di toglierle l'asciugamano» insistette Bane. «Avevo detto loro che non c'era sangue, tranne nei graffi sulle gambe. Deve averla colpita con qualcosa, forse un'asse. Non so dove l'abbia, o l'abbiano, trovata. Non ho notato nulla che potesse averle causato quei graffi sulle gambe. Aveva la faccia rossa, quasi viola. Intorno al collo aveva un segno, come se l'avessero strangolata con una corda o qualcosa del genere, che però non era da nessuna parte. Non c'era bisogno di levarle l'asciugamano per capirlo, per sentirle il battito, per guardarle i polsi. Si vedeva subito che era morta. Ho freddo. C'è una coperta?» Non trovandone, Kay si levò il camice e glielo mise sulle spalle. Bane tremava e batteva i denti. «Mi sono seduto per terra accanto a lei, le ho accarezzato i capelli, il viso, continuando a parlarle» raccontò. «Ho chiamato il 911. Ricordo i piedi: scarponi neri e pantaloni scuri che entravano dalla porta. L'avevo coperta con l'asciugamano e la tenevo stretta.» Guardava fisso la parete. «Ho sentito delle voci che mi dicevano di spostarmi. Mi hanno toccato e ho iniziato a urlare che non volevo lasciarla. Poi però mi hanno tirato su a forza. Non mi hanno nemmeno permesso di vederla un'ultima volta. La sua famiglia vive in Arizona ed è là che la porteranno, perciò non potrò mai più rivederla.» «Ha detto che le riunioni dei docenti del college online per cui lavora si tengono in Arizona.» 171
«Suo padre è il preside» spiegò fissando il muro. «Per questo lo frequentava. Lo chiamano Gotham College come se fosse qui a New York, ma in realtà non ha una sede, tranne un ufficio a Scottsdale, probabilmente perché è un posto dove la vita è molto meno cara che qui. I suoi genitori hanno una grande casa vicino a Camelback Mountain. Non siamo mai stati insieme a Scottsdale perché la prossima riunione avrà luogo solo a marzo. Terri non fa parte del corpo docenti, ma ci sarebbe comunque... Bè, doveva partire stamattina presto e restare qualche giorno a Scottsdale.» «Quando ieri sera è andato a casa di Terri, ha visto le valigie? Le aveva già fatte?» «Terri non lascia mai qualcosa fuori posto, se non deve usarlo subito. E sa benissimo che vedere le valigie mi rattrista, se non parto con lei. Ci avrebbe rovinato la serata.» «Era stato invitato ad andare a Scottsdale con lei?» «Prima voleva parlare di me ai genitori.» «Dopo tre mesi non sapevano ancora che voi avevate una relazione?» «I suoi sono molto protettivi. Quasi soffocanti.» Continuava a guardare fisso davanti a sé, come se si stesse rivolgendo alla parete. «Non voleva anticipargli niente prima di essere sicura. Le ho detto che non c'era da meravigliarsi che fosse un'ossessivocompulsiva. E colpa loro.» «Di che cosa voleva essere sicura?» «Di me. Che la nostra fosse una storia seria. Io sono più innamorato di quanto lo sia lei.»
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Continuava a parlare un po’ al presente e un po’ al passato, come accade spesso quando si è appena persa una persona cara. «Io ho capito subito cosa volevo. Ma i suoi genitori... Bè, se le cose non avessero funzionato, Terri non voleva dovergli dare spiegazioni. Ha sempre temuto la loro disapprovazione. È significativo che alla fine abbia trovato il coraggio di andarsene. I suoi fratelli sono normali, sono laureati e hanno fatto quello che volevano. Ma Terri no. Eppure è lei la più intelligente della famiglia. È una delle persone più intelligenti che conosca. L'hanno costretta a restare in casa fino a venticinque anni, e a quel punto lei non ce l'ha più fatta perché voleva combinare qualcosa nella vita. Così ha litigato con i genitori e se n'è andata.» «Come faceva a mantenersi a New York?» «Quando si è trasferita, non ci conoscevamo. Mi ha detto che aveva dei soldi da parte e che i suoi l'aiutavano un po'; non molto, ma qualcosa le davano. Poi avevano fatto la pace e credo che una volta siano venuti a trovarla. Non erano contenti di dove abitava, perciò hanno cominciato a sganciarle qualche dollaro in più e lei si è trasferita nell'appartamento dove sta adesso. Questo è ciò che mi ha raccontato. Bisogna riconoscere che l'hanno aiutata, almeno economicamente.» Di colpo diventò tutto rosso di rabbia. I corti capelli biondi brillavano come metallo. «Ma sono tipi che non danno niente per niente» continuò. «Credo che abbiano iniziato a controllarla da lontano. Ho notato un peggioramento del disturbo ossessivo-compulsivo e il tono delle sue email è diventato sempre più ansioso. Questo ancora prima 173
che ci incontrassimo. Negli ultimi mesi, poi, la situazione è precipitata. Non so perché. Terri non può farci nulla. Devo vederla. Per favore, me la faccia vedere. Voglio dirle addio! Odio la polizia. Maledetti!» Si asciugò gli occhi con le mani legate. «Che bisogno c'era di essere così spietati? Urlavano, spingevano. E poi tutte quelle radio. Non capivo cosa stesse succedendo. Odio quell'investigatore...» «Quello che ha invitato a fare un sopralluogo in casa sua?» chiese Kay Scarpetta. «Non avevo scelta! Urlava, mi diceva di guardarlo mentre mi parlava. Ho cercato di spiegargli che non riuscivo a sentirlo, se lo guardavo negli occhi. In soggiorno mi ha tempestato di domande e pretendeva delle risposte. "Guardami, guardami!" All'inizio ho cercato di collaborare. Ho detto che doveva essere entrato qualcuno dal portone, suonando al citofono, e che Terri doveva avere creduto che si trattasse di me. Forse ha pensato che fossi in anticipo e che avessi dimenticato le chiavi. Ci dev'essere stata una ragione, se ha lasciato entrare qualcuno senza controllare.» «Continua a ripetermi che Terri era un tipo ansioso. Le sembrava esageratamente prudente?» «Siamo a New York, e la gente non apre il portone come se niente fosse. Terri è sempre stata molto, molto prudente. Se sei piccolo, non puoi non esserlo. È uno dei motivi per cui i suoi genitori sono così protettivi. Praticamente la tenevano chiusa in casa, da ragazza. Non avrebbe mai aperto la porta se non fosse stata più che tranquilla.» «Come pensa che siano andate le cose, allora? Com'è entrato l'assassino? Perché, secondo lei, volevano farle del male?» 174
«Hanno i loro motivi» rispose Bane. «Quando era a casa di Terri, ha notato se mancava qualcosa? Potrebbe essere stato un ladro?» «Mi sembrava che non mancasse niente. Ma non ci ho fatto molto caso.» «Gioielli, per esempio? Terri portava anelli, collane?» «Non volevo lasciarla. Non avevano il diritto di mandarmi via, di farmi sedere nella macchina della polizia come se fossi un criminale. Quell'antipatico ha una faccia più da assassino di me, con quei vestiti da rapper e i dreadlock. Mi sono rifiutato di parlare.» «Ma ha appena detto che in casa ha parlato.» «Avevano già deciso. Odio i poliziotti. Li ho sempre odiati. Passano per strada in auto e chiacchierano, ridono, ti guardano. Quando avevo sedici anni, qualcuno mi ha rigato l'auto e mi ha spaccato tutti i finestrini. E il poliziotto ha chiesto: "Che problema c'è, Pollicino?". Si è seduto in macchina, con le ginocchia praticamente in bocca. Il suo collega rideva. Maledetti.» «È stato spesso maltrattato, preso in giro, Oscar?» «Sono cresciuto in una piccola città, dove tutti mi conoscevano. Avevo molti amici. Ero nella squadra di wrestling, a scuola andavo bene. All'ultimo anno di liceo sono stato eletto rappresentante di classe. Sono realista. Non corro rischi solo per il gusto di farlo. Mi piace la gente. La maggior parte della gente è buona.» «Eppure ha scelto un lavoro che le permette di evitarla.» «Stiamo andando verso l'elearning. Prima o poi la maggior parte degli studenti frequenterà università telematiche. La polizia da per scontato che sei 175
colpevole di qualcosa se sei diverso o hai un handicap. C'era un ragazzo con la sindrome di Down che abitava di fronte a me. I poliziotti pensavano sempre che avesse combinato qualcosa o che avesse intenzione di violentare tutte le ragazze del quartiere.» Kay iniziò a raccogliere i ferri del mestiere e a riporli nella valigetta: aveva finito. Il confronto dell'impronta delle unghie in silicone con le ferite e i graffi, le misurazioni e le fotografie non avrebbero fatto altro che confermare i suoi sospetti. Bane doveva averlo capito, non poteva essere altrimenti, ma Kay voleva accertarsi che se ne rendesse conto. «Lei sa cosa otterremo, vero? Dalle impronte in silicone, dalle foto e dalle misurazioni?» Bane fissava la parete. Kay continuò a bluffare. «Le esamineremo al microscopio.» «So cos'è in grado di fare e perché mi ha preso quelle impronte in silicone» ribatté lui. «E, sì, so anche che ora le guarderà al microscopio.» «Lo faranno i tecnici nei laboratori della polizia. Io non ne ho bisogno. Credo di avere già tutte le informazioni che mi servono» disse Kay. «Se li è fatti da solo, vero, Oscar? I graffi, i lividi? Sono tutti in punti in cui lei poteva arrivare, e dall'angolazione sembra proprio che siano autoinflitti.» Oscar Bane non rispose. «Se davvero è convinto che io possa pianificare un delitto perfetto, come ha potuto pensare che non mi accorgessi che si è procurato da solo quei segni?» Bane rimase zitto e continuò a guardare la parete. «Perché lo ha fatto? Voleva che venissi qui e scoprissi che sono tutte ferite autoinflitte?» 176
«Non può dirlo a nessuno. Nemmeno a suo marito. Non può parlarne all'investigatore Morales. Non può riferirlo alla Berger né a quel bastardo della procura che il mese scorso non ha voluto credermi.» «Al momento, tutto quello che lei e io ci siamo detti è strettamente riservato. Ma la situazione può cambiare» gli rammentò Kay. «Era l'unico modo per averla qui. Ho dovuto farmi del male.» «E l'aggressore alla porta di Terri?» «Non c'era nessuno. Quando sono arrivato, le luci erano spente e la porta era aperta. Sono corso dentro chiamando il suo nome e l'ho trovata in bagno. La luce era accesa, come se l'assassino avesse voluto farmi una sorpresa. Dal punto in cui ho parcheggiato, quella luce non si vede perché il bagno è sul retro. Le ho tolto le manette di plastica tagliandole con le forbici della cucina. È così che mi sono ferito al pollice. Un taglietto, non so bene come me lo sono fatto, ma cercavo le forbici e mi è caduto il ceppo con i coltelli. Devo essermi tagliato con uno di quelli. Così mi sono avvolto un pezzo di carta assorbente da cucina intorno al dito e sono corso in macchina a posare la giacca. Mi sono seduto accanto a Terri, sul pavimento del bagno, mi sono strappato la T-shirt e mi sono ferito. La maglietta è sporca di sangue. Poi ho chiamato la polizia.» «E la torcia elettrica? Si è colpito con quella?» «L'ho trovata nel cassetto in cucina. L'ho pulita e l'ho lasciata sul parquet in soggiorno, vicino alla porta.»
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«Perché si è preso la briga di pulirla, dal momento che le sue impronte e il suo DNA sono ovunque, nella casa e sul corpo di Terri?» «Per convincere la polizia che l'assassino aveva i guanti. Per rendere più credibile la mia storia. Grazie ai guanti, non aveva lasciato impronte sulla torcia. Guanti di pelle, ho specificato.» «E le forbici della cucina? Cosa ne ha fatto, dopo avere tagliato le manette?» Bane fece una smorfia e Kay ebbe l'impressione che stesse rivivendo la scena. Iniziò a respirare affannosamente e a dondolarsi avanti e indietro. Gli tremava la voce quando disse: «Aveva le mani di un rosso bluastro orribile e le unghie blu. Le ho strofinato i polsi e le palme per riattivare la circolazione. Ho cercato di cancellare i solchi, quei solchi profondi». «Ricorda cosa ha fatto delle forbici?» «Quelle fascette erano strettissime, dovevano farle molto male. Ho lasciato le forbici sul pavimento del bagno.» «Quando esattamente ha deciso di ferirsi per ottenere che venissi fin qui?» «Ero sul pavimento del bagno con Terri. Mi rendevo conto che avrebbero dato la colpa a me. Sapevo che, se fossi arrivato a suo marito, sarei potuto arrivare anche a lei. Dovevo incontrarla. Mi fido di lei: è l'unica persona che le voleva bene, dottoressa Scarpetta.» «Non la conoscevo.» «Non menta!» urlò Oscar. Shrew si era rimessa a bere Maker’s Mark, lo stesso bourbon del Boss. Se ne versò un bicchiere. On the rocks, proprio come il Boss. 178
Prese il telecomando del Panasonic a schermo piatto da quaranta pollici, uguale a quello che anche il Boss diceva di avere avuto e che sembrava non avesse più. Se quanto Shrew aveva letto era vero, di recente si era comprato un Samsung al plasma da cinquantotto pollici. Ma forse l'aveva scritto solo per fare pubblicità a quel modello. Lei non poteva sapere se l'informazione fosse attendibile o se il Boss fosse stato pagato per dirlo, perché la gestione finanziaria di Gotham Gotcha le veniva tenuta nascosta. Come tutto il resto, peraltro. "Saranno terroristi..." pensò. E se i soldi fossero stati destinati a qualche cellula? Forse i terroristi avevano sbagliato palazzo e ucciso la sua vicina, ma in realtà cercavano lei, perché avevano intuito che non condivideva la loro causa. O magari gli agenti federali dell'antiterrorismo avevano scoperto che lavorava per il sito web, facendo poi per errore irruzione nella casa di Terri... Era possibilissimo. Le due donne erano dirimpettaie, solo che l'appartamento di Shrew si trovava più in alto di un piano. Era noto che le agenzie federali talvolta eliminavano le persone scomode. Marilyn Monroe probabilmente era una di queste: sapeva troppo. E forse anche Shrew, o almeno qualcuno ne era convinto. Si stava lasciando prendere dal panico. Afferrò il biglietto da visita che le aveva dato l'investigatore Pete Marino e bevve un sorso di bourbon tenendolo in mano. Era tentata di chiamarlo, ma... cosa avrebbe potuto dirgli? Chissà cosa pensava di lei. Se quanto scritto dal Boss corrispondeva al vero, Pete Marino era un maniaco sessuale che l'aveva fatta 179
franca, e l'ultima cosa di cui Shrew aveva bisogno in quel momento era un maniaco sessuale per casa. Mise una sedia davanti alla porta, incastrando il bordo dello schienale sotto la maniglia, come aveva visto fare nei film. Si assicurò che tutte le finestre fossero chiuse e che sulla scala antincendio non ci fosse nessuno. Poi diede un'occhiata ai programmi televisivi alla ricerca di un bel film, ma poiché non c'era inserì nel lettore il suo DVD preferito di Kathy Griffin. Si sedette davanti al computer e bevve il suo bourbon on the rocks. Immise la password per entrare nell'area di programmazione del sito, o "sotto la cupola", come diceva lei. Rimase di sasso. Non riusciva a credere ai propri occhi. La foto di Marilyn Monroe e l'articolo di Shrew che l'accompagnava avevano avuto più di seicentomila visitatori in meno di un'ora. Ripensò al video di Saddam Hussein dileggiato e impiccato, che nella prima ora dall'apparizione non aveva avuto nemmeno un terzo dei visitatori. Il suo stupore si tramutò in orgoglio. Ma era anche un po’ spaventata. Cosa avrebbe fatto il Boss? Shrew avrebbe giustificato il suo gesto di disobbedienza civile e letteraria sostenendo che, se non avesse scritto la storia dell'assassinio di Marilyn, il mondo non avrebbe saputo la verità. Era la cosa giusta da fare, dal punto di vista morale. Il Boss non poteva arrabbiarsi con lei: avvelenava costantemente la vita alle sue vittime, e l'articolo di Shrew parlava di veleno... 180
Uscì dal sito e, lasciato perdere il DVD, si mise a guardare la TV saltando da un canale all'altro, certa che qualcuno avesse ripreso la sua sconvolgente rivelazione. Si aspettava di vedere la dottoressa Scarpetta sulla CNN che ne parlava con Anderson Cooper, Wolf Blitzer o Kitty Pilgrim. Ma non c'era traccia della famosa anatomopatologa che il Boss sembrava odiare così tanto, e nessuno parlava di Marilyn Monroe. Era ancora presto. Bevve il suo bourbon e un quarto d'ora più tardi si ricollegò per controllare di nuovo il numero dei visitatori. Rimase sconvolta nello scoprire che quasi un milione di persone aveva cliccato sulla foto del cadavere di Marilyn Monroe. Non aveva mai visto niente di simile. Uscì dall'area di programmazione ed entrò nel sito. «Oh, santo cielo!» esclamò e si sentì mancare. La home page sembrava posseduta da un demone. Le lettere della scritta GOTHAM GOTCHA cambiavano continuamente in OH C THA MAGGOT e, sullo sfondo, lo skyline di New York era oscurato mentre nel cielo apparivano luci rosso sangue. L'albero di Natale del Rockefeller Center era rovesciato in Central Park e i pattinatori sul ghiaccio piroettavano dentro il ristorante Boathouse, mentre la gente mangiava ai tavoli sul ghiaccio del Wollman Rink. Poi iniziava a nevicare. Tuoni, fulmini e saette, un'orrenda tempesta che finiva all'interno del FAO Schwarz prima di trasformarsi in una splendida veduta aerea dell’ Hudson, dove la Statua della Libertà di colpo riempiva lo schermo e si sgretolava, come se fosse stata investita da un elicottero. Il banner era intrappolato in un folle giro della morte che Shrew non poteva fermare e che milioni di 181
fan stavano vedendo. Non c'era modo di uscirne: le icone erano tutte inattive, morte. Cercò di accedere all'articolo di quella mattina, a quello postato poco prima o a qualsiasi altro in archivio, ma continuò a vedere quella girandola di colori. Non riusciva né a inviare email al sito né a entrare in Gotham Gossip, dove i fan chattavano, litigavano e dicevano cose orribili su persone che nemmeno conoscevano. Non riuscì ad accedere neppure a Bulletin Borea, a Paparazzi, a Photo Sexy Shop e a Camera Oscura, con le sue rubriche Foto Morbo, Celebrità Sovraesposte e la popolarissima Gotham Gotcha P. M., dove Shrew postava le foto post mortem, fra cui quella recentissima di Marilyn. Come potevano le centinaia di migliaia di fan vedere la foto e leggere l'articolo di Shrew, se il sito sembrava impazzito? "È un complotto" pensò. "La mafia." Le tornò in mente con orrore il misterioso agente italiano che l'aveva assunta per telefono. Il governo! Shrew aveva rivelato un segreto e CIA, FBI e Sicurezza Nazionale avevano sabotato il sito per impedire al mondo di conoscere la verità. Forse c'erano davvero di mezzo i terroristi. Cliccava sulle icone come una forsennata, ma non succedeva niente, e il banner proseguiva il suo andirivieni infernale, con le lettere che continuavano a cambiare ordine: GOTHAM GOTCHA OHCTHAMAGGOT GOTHAM GOTCHA Benton l'aspettava fuori dell'ambulatorio. Kay si sentì addosso gli occhi eterocromici di Oscar Bane finché la porta di acciaio non si chiuse. Poi udì il tintinnio delle catene che gli venivano tolte. 182
«Andiamo a parlare nel mio ufficio» disse Benton sfiorandole il braccio. Alto e slanciato, sembrava dominare lo spazio attorno a sé, ma aveva l'aria stanca, turbata. Il suo bel viso era teso, i capelli brizzolati in disordine ed era vestito con un banale completo grigio, camicia bianca e un'anonima cravatta azzurra. Portava un orologio di gomma dozzinale e la semplice fede di platino al dito. Era poco saggio ostentare la propria ricchezza in un reparto detentivo dove la permanenza media era di tre settimane. A Benton capitava spesso di visitare un paziente al Bellevue e di rivederlo un mese dopo per strada a frugare dentro un cassonetto. Le prese la valigetta. Kay aveva in mano le buste con le prove materiali. Gli disse che doveva consegnarle alla polizia. «Farò venire qualcuno nel mio ufficio prima di andare via» la tranquillizzò lui. «Converrebbe mandarle subito ai laboratori. Bisogna analizzare il DNA di Oscar Bane e passarlo nel database il prima possibile.» «Chiamerò Jaime Berger.» Benton e Kay si allontanarono dall'ambulatorio. Si sentì lo sferragliare di due carrelli della biancheria e il rumore di una porta che sbatteva. Passarono davanti alle celle, più grandi di quelle delle prigioni, ma con sei letti. La maggior parte dei ricoverati, infagottati in pigiami troppo grandi, era seduta a conversare ad alta voce. Alcuni guardavano l'East River dalle finestre rinforzate, altri fissavano il corridoio attraverso le sbarre. Un paziente pensò che fosse il momento giusto per usare la toilette di acciaio e, pisciando, sorrise a Kay e le chiese di invitarlo alla CNN. I suoi compagni 183
di cella iniziarono a discutere su chi avrebbe fatto la figura migliore in TV. Benton e Kay si fermarono davanti al primo sbarramento, che non si apriva mai abbastanza in fretta. La guardia nella cabina di controllo dall'altra parte era indaffarata. Benton chiese ad alta voce che gli aprisse e aspettò. Dopo un po', chiamò di nuovo il sorvegliante. Intanto un inserviente lavava il corridoio che conduceva alla sala, dove c'erano tavoli e sedie, qualche gioco di società e alcuni vecchi attrezzi da ginnastica senza parti staccabili. Oltre la sala c'erano alcune stanze per i colloqui privati e per la terapia di gruppo, e una biblioteca di testi legali con due macchine per scrivere che, come i televisori e gli orologi appesi alle pareti, erano protette da un'armatura di plastica per evitare che i pazienti le smontassero e usassero i pezzi come armi. La prima volta che l'avevano convocata al Bellevue, Kay aveva fatto un giro del reparto ed era abbastanza sicura che da allora nulla fosse cambiato. La porta d'acciaio dipinta di bianco finalmente si spalancò e si richiuse alle loro spalle, poi se ne aprì una seconda. La guardia nella cabina di controllo restituì la patente a Kay, che le porse il pass per i visitatori. Lo scambio avvenne in silenzio attraverso robuste sbarre, mentre gli agenti scortavano un paziente con la tuta arancione proveniente dal penitenziario di Rikers Island. I detenuti come lui restavano al Bellevue temporaneamente e vi venivano portati solo se avevano bisogno di cure mediche. Era sconcertante che cosa non fossero capaci di fare per guadagnarsi un breve soggiorno lì dentro. 184
«Uno dei nostri frequentatori più assidui» spiegò Benton mentre la porta si chiudeva. «Inghiotte qualsiasi cosa. L'ultima volta erano batterie doppia o tripla A, non ricordo. Otto, mi pare. La volta precedente pietre e viti. In un'altra occasione il dentifricio, tubetto compreso.» Kay si sentiva come se avessero portato via una parte di lei. Non poteva essere se stessa, mostrare le proprie emozioni, esprimere quello che pensava di Oscar Bane o riferire ciò che le aveva raccontato di sé e di Terri. Era raggelata dall'atteggiamento professionale di Benton, che in reparto era sempre freddo e distante. Lui aveva paure che non osava confessare, ma non ce n'era bisogno perché Kay le percepiva. Dopo la sera in cui Marino, ubriaco, aveva perso il controllo, viveva in uno stato di panico silenzioso che si rifiutava di riconoscere: ormai vedeva tutti i maschi come potenziali predatori che avrebbero potuto portargli via sua moglie, e niente di quanto Kay faceva o diceva serviva a rassicurarlo. «Lascerò la CNN» gli annunciò mentre si dirigevano verso il suo studio. «Oscar Bane ti ha messo in una posizione scomoda. Ma non è colpa tua» replicò Benton. «Sei stato tu a mettermi in una posizione scomoda.» «È Jaime Berger che ti ha voluta qui.» «Ma me lo hai chiesto tu.» «Fosse stato per me, ti avrei lasciato tranquilla e beata in Massachusetts» ribatté Benton. «Ma Bane si rifiutava di parlare se non in tua presenza.» «Spero di non essere la ragione per cui è qui.» 185
«Quali che siano le sue ragioni, non devi sentirti responsabile.» «Non mi piace questa storia.» Passarono davanti a una serie di porte chiuse. Siccome non c'era in giro nessuno a parte loro, non facevano nulla per mascherare la tensione. «Spero tu non stia alludendo al fatto che un mio fan invasato possa avere commesso un'orribile bravata solo perché gli concedessi udienza» aggiunse Kay. «Mi auguro che non sia questo che pensi.» «È morta una donna. Non è una bravata» commentò Benton. Kay non poteva rivelargli che Bane era convinto di essere seguito e riteneva fosse stato chi lo spiava a uccidere Terri Bridges. Forse Benton lo sapeva già, ma lei non poteva domandarglielo. Non poteva nemmeno dirgli che Bane si era ferito da solo e poi aveva mentito alla polizia e a tutti gli altri. Si doveva limitare a parlare in generale. «Non ho informazioni che mi autorizzino a parlare con te di Oscar Bane» dichiarò, sottintendendo che lui non le aveva confessato di essere pericoloso per sé e per gli altri né aveva dato segno di esserlo. Benton aprì la porta dello studio. «Sei stata parecchio con lui. Lo ripeto spesso, Kay: bisogna ascoltare cosa ci dice la pancia. Fidati del tuo istinto. Mi spiace se sono teso. Non ho dormito. In effetti, è tutto un gran casino.» L'ufficio che l'amministrazione dell'ospedale aveva messo a disposizione di Benton era molto piccolo, stipato di libri, riviste e oggetti che lui aveva ordinato il meglio possibile. Si sedettero: la barriera della scrivania sembrava rappresentare la distanza emotiva 186
che c'era fra loro e che Kay non riusciva a superare. Benton sembrava poco interessato al sesso, per lo meno con lei. Kay non credeva che avesse un'altra, ma da quando erano sposati parlavano meno e facevano poco l'amore. Kay era convinta che Benton fosse più felice prima del matrimonio e non voleva dare la colpa di questo a Marino. «Cosa ti dice la pancia?» chiese Benton. «Che non avrei dovuto parlare con Bane» rispose Kay. «E che adesso non dovrei parlare di lui con te. La testa invece mi dice il contrario.» «Sei una consulente del Bellevue. Possiamo discutere di un paziente a livello professionale.» «Non so dirti nulla di Bane in quanto tuo paziente. E non posso dirti nulla di lui in quanto mio paziente.» «Non lo avevi mai sentito nominare prima? Nemmeno Terri Bridges?» «Questo posso dirlo: assolutamente no. Ti prego di non costringermi, sai che non sono autorizzata a parlare. Ne eri perfettamente consapevole quando mi hai chiamato stamattina.» Benton aprì un cassetto, tirò fuori due buste e gliele porse. «Non avevo idea di cosa sarebbe successo nel frattempo» spiegò. «La polizia avrebbe potuto trovare qualcosa e arrestarlo, e in quel caso noi non avremmo avuto questa conversazione. Ma hai ragione: per il momento, la tua priorità è il benessere di Oscar Bane. Sei il suo medico. Questo però non significa che tu debba rivederlo.» Dentro una delle buste c'era il referto del test del DNA; nell'altra, una serie di fotografie della scena del crimine. 187
«Jaime voleva che tu avessi una copia del test del DNA. Le foto e il rapporto della polizia sono di Mike Morales» la informò Benton. «Lo conosco?» «È un elemento abbastanza nuovo della divisione investigativa. Non lo conosci, e forse continuerai a non conoscerlo. A essere franchi, non ho molta stima di lui. Queste sono le foto che ha scattato sulla scena del crimine e il suo rapporto preliminare. Il DNA proviene dai tamponi che la dottoressa Lester ha prelevato dal cadavere. Esiste una seconda serie di fotografie, che non ho ancora ricevuto, scattate durante la perquisizione avvenuta oggi nel primo pomeriggio, nel corso della quale sono stati trovati i portatili di Terri, che erano nei bagagli nascosti nel ripostiglio. Sembra che stamattina lei dovesse partire per l'Arizona per badare a trovare i suoi. Per quale motivo avesse messo le valigie nel ripostiglio, nessuno lo sa.» Kay ripensò a ciò che le aveva detto Bane. Terri non era il tipo da lasciare i bagagli in mezzo alla stanza: era ossessionata dall'ordine e sapeva che Oscar non amava gli addii. «Una spiegazione possibile è che Terri era estremamente ordinata» disse Benton. «Addirittura in maniera ossessiva. Capirai cosa intendo quando guarderai le foto.» «Mi sembra una spiegazione plausibile» commentò Kay. Benton sostenne il suo sguardo. Stava tentando di determinare se gli avesse appena dato un'informazione. Kay non abbassò gli occhi né ruppe il silenzio. Lui cercò un numero nella rubrica del suo cellulare e prese la cornetta del telefono fisso. Chiese 188
a Jaime Berger se poteva mandare qualcuno a prendere le buste con i campioni biologici che Kay aveva prelevato da Oscar Bane. Rimase un momento in ascolto, poi guardò Kay e disse a Jaime: «Sono assolutamente d'accordo. Tanto più che può andarsene quando vuole, e sai come la penso a questo proposito. No, non ho ancora avuto occasione di... Bè, è qui davanti a me. Perché non glielo chiedi tu?». Benton spostò il telefono e porse il ricevitore a Kay. «Grazie» esordì Jaime, e Kay cercò di ricordare quand'era stata l'ultima volta che si erano parlate. Cinque anni prima. «Come sta?» s'informò Jaime. «È stato molto collaborativo.» «Pensi che resterà dov'è?» «Credo di non essere la persona più adatta a risponderti» replicò Kay, per farle capire che non poteva parlare del suo paziente. «D'accordo.» «Il mio consiglio è di analizzare il DNA in tempi brevi.» «Per fortuna il mondo è pieno di gente disposta a fare gli straordinari. Non la dottoressa Lester, però. Già che ti sento, te lo chiedo direttamente senza mettere di mezzo Benton. Sempre che lui non te ne abbia già accennato. Ti spiacerebbe dare un'occhiata al cadavere di Terri Bridges, stasera? Benton ti ragguaglierà sui dettagli. La dottoressa Lester sta per tornare dal New Jersey. Mi rincresce chiederti una cosa così spiacevole, e non mi riferisco all'obitorio.» «Se può servire» acconsentì Kay. 189
«Ci sentiamo dopo. Dobbiamo assolutamente vederci, prima che tu riparta. Magari andiamo a cena da Elaine’s» propose Jaime. "Dobbiamo assolutamente vederci" pareva la frase preferita di tutte le professioniste come loro. Dovevano incontrarsi, andare insieme a pranzo o a cena. Kay e Jaime se l'erano riproposto non appena si erano conosciute, otto anni prima, quando la Berger era andata in Virginia per occuparsi di quello che per Kay era stato uno dei casi più stressanti di tutta la sua carriera. E se l'erano ripetuto l'ultima volta che si erano viste, nel 2003, quando entrambe erano preoccupatissime per Lucy, appena tornata da una missione segreta in Polonia. Kay sapeva poco o niente di quello che aveva fatto sua nipote, tranne che era illegale. E di certo immorale. Jaime e Lucy si erano parlate nell'attico newyorkese del procuratore e quella conversazione era rimasta confidenziale. Stranamente, Jaime sapeva molte cose di Kay, più di tanti altri; eppure non erano amiche. Era molto improbabile che si frequentassero al di fuori dell'ambiente lavorativo, benché spesso si fossero ripromesse di pranzare o di bere qualcosa insieme. La distanza che le separava era dovuta non soltanto alle vicissitudini delle loro vite frenetiche, ma anche al fatto che le donne potenti tendono a essere solitarie, perché istintivamente non si fidano Luna dell'altra. Kay restituì il ricevitore a Benton. «Se Terri era davvero ossessivo-compulsiva, non troveremo granché sul suo cadavere. Sembra che avrò l'opportunità di esaminarlo di persona. Che coincidenza!» «Stavo per dirtelo. Jaime oggi mi ha chiesto di proportelo.» 190
«La dottoressa Lester sta tornando in città. Ho acconsentito prima di saperlo.» «Subito dopo te ne potrai andare, tenerti fuori da tutto...-replicò Benton. «Sempre che Oscar Bane non venga accusato formalmente. In quel caso, potresti essere coinvolta. Dipende da Jaime Berger.» «Ti prego, non dirmi che quest'uomo ha ucciso una persona per attirare la mia attenzione.» «Io non sono in grado di dire niente. A questo punto, non so nemmeno cosa pensare. Il DNA dei tamponi vaginali di Terri, per esempio... Dai un'occhiata.» Kay estrasse il referto delle analisi di laboratorio dalla busta e lo lesse, mentre Benton le riferiva la storia della donna di Palm Beach che gli aveva raccontato Jaime Berger. «Cosa ne pensi?» chiese. «Quale potrebbe essere la spiegazione, secondo te?» «Manca il rapporto della dottoressa Lester riguardo ai campioni che ha prelevato. Tu hai detto "vaginali".» «E quello che mi ha riferito Jaime.» «Cosa sono e da dove provengono esattamente? No, non voglio tirare a indovinare su risultati insoliti e sul loro eventuale significato.» «Bè, lo farò io. Secondo me, c'è stata una contaminazione. Anche se non riesco a capire cosa c'entri una donna anziana in carrozzella.» «Nessun legame con Oscar Bane?» «Pare proprio di no. Jaime le ha telefonato e glielo ha chiesto.» Squillò un cellulare e Benton rispose. Rimase per un momento in silenzio, con un'espressione impenetrabile. «Non mi pare che sia una grande idea» disse alla fine. 191
«Mi spiace che sia andata così... Naturalmente me ne rammarico... Non ho voluto informarti proprio per questo motivo... No, senti, aspetta. Ascoltami un secondo. Il fatto è che ho... Lucy, per favore. Fammi finire. Non mi aspetto che tu capisca, e in questo momento non posso parlarne perché... Non dire così... Quando qualcuno è disperato e non sa a chi rivolgersi... Ne discuteremo un'altra volta, okay? Ora calmati, ne riparliamo in un altro momento.» Spense il cellulare. «Cosa cavolo succede?» chiese Kay. «Che stava dicendo Lucy? Di cosa ti rammarichi? Chi è che non sa a chi rivolgersi?» Benton era pallido, ma la sua espressione non lasciava trasparire nulla. «A volte perde il senso del tempo e dello spazio. In questo momento ci manca solo che mi faccia una delle sue sfuriate.» «Sfuriate? Per cosa?» «Sai come diventa.» «Di solito ha le sue ragioni.» «Ne riparliamo in un altro momento.» Era la stessa frase che aveva detto a Lucy. «Come posso concentrarmi dopo avere sentito una conversazione del genere? Di cosa dobbiamo riparlare?» Benton rimase in silenzio. A Kay non piaceva quando se ne stava zitto a pensare dopo che lei gli aveva fatto una domanda. «Gotham Gotcha» rispose lui. Kay parve sorpresa e infastidita. «Non vorrai davvero dare importanza a una cosa del genere.» «L'hai letto?» «Gli ho dato un'occhiata in taxi. Su consiglio di Bryce.» 192
«L'hai letto fino in fondo?» «Sono stata interrotta quando mi hanno sbattuto fuori dal taxi.» Benton digitò sulla tastiera del computer e Kay gli si avvicinò. «Che strano» disse lui, e aggrottò la fronte. Il sito di Gotham Gotcha doveva contenere un grosso errore di programmazione, o forse era collassato. Gli edifici apparivano scuri, il cielo brillava di luci rosse e l'enorme albero di Natale del Rockefeller Center a Central Park era rovesciato. Benton mosse con impazienza il mouse cliccando ripetutamente. «Il sito è fuori servizio per qualche motivo» le spiegò. «Purtroppo, però, si riesce lo stesso ad arrivare a quel maledetto articolo.» Continuò a digitare con rabbia. «È da tutte le parti» la informò. Lo schermo si riempì di riferimenti a Gotham Gotcha, e alla dottoressa Kay Scarpetta. Benton cliccò su un link e trovò non uno ma due articoli, copiati su un sito di appassionati di medicina legale. Apparve la foto poco lusinghiera di Kay Scarpetta. Lei e Benton si soffermarono a guardarla. «Te l'hanno scattata a Charleston?» le chiese. «O nel tuo nuovo ufficio? Dal camice riesci a capirlo? Dal colore, per esempio? A Watertown non usate camici rossi?» «Dipende da quello che ci manda il servizio lavanderia dell'ospedale. Vengono a prendere quelli sporchi e ce ne portano un certo numero puliti: una settimana verdi, un'altra viola, oppure in diverse tonalità di blu o di rosso. Dipende. Ormai è così in tutti gli ospedali. Io posso solo dire che non voglio camici 193
con Sponge Bob, i Simpson o Tom e Jerry. Esistono, sai? Conosco anatomopatologi che li usano, manco fossero pediatri.» «E non ti ricordi che ti abbiano scattato una foto mentre eseguivi un'autopsia? Magari con il cellulare?» Kay si concentrò e cercò di rammentare, poi rispose: «No. Perché, se me ne fossi accorta, gliel'avrei fatta cancellare. Non permetterei mai una cosa del genere». «È probabile che sia incominciato tutto quando ti sei trasferita e hai iniziato a lavorare per la CNN. È il prezzo della celebrità. Sarà stato un poliziotto, un addetto alle pompe funebri o un autista.» «Sarebbe terribile» commentò Kay, ripensando a Bryce. «Spero solo che non sia qualcuno del mio staff. Cos'è questa storia di suor Polly? Chi è suor Polly?» «Non lo so. Leggi qui. Poi vedremo il resto.» Spostò il cursore sul primo articolo che era stato postato quel giorno, cercando il punto preciso. ... ma sotto quell'impenetrabile facciata c'è uno sporco segreto che lei nasconde molto bene. Kay Scarpetta vivrà anche in un mondo di acciaio inossidabile, ma di certo non è una donna di acciaio. È debole, fragile. Pensate un po', può essere stuprata. Proprio così. Come qualunque altra donna, solo che in questo caso la colpevole è lei. Se l'è andata a cercare. Ha respinto, maltrattato e umiliato il suo investigatore, finché lui una sera, a Charleston, ubriaco, ha deciso che non ne poteva più. Povero Pete Marino, bisogna compatirlo... Kay si rimise a sedere. Il gossip era una cosa, questa era un'altra. 194
«Non voglio sapere perché la gente è così cattiva» disse. «Ho imparato da tempo a non chiedermelo. A un certo punto ho capito che le motivazioni possono anche essere interessanti, ma alla fine non hanno alcuna rilevanza. Quello che conta è il risultato. Se scopro chi è, lo denuncio.» «Non proverò nemmeno a convincerti a lasciar perdere.» «L'hai già fatto non dicendomi niente. La notizia non è mai arrivata ai giornali. Non ho mai sporto denuncia. Peraltro, non è andata così. Questa è diffamazione. Lo denuncerò.» «Denuncerai chi? Qualche anonimo pezzo di merda nel cyberspazio?» «Lucy può scoprire chi è.» «A proposito, non credo sia una coincidenza che il sito sia in crash. Lo ritengo il rimedio migliore. Forse rimarrà in crash per sempre.» «Le hai chiesto tu di sabotarlo?» «Mi hai sentito al telefono. Certo che no. Ma tu la conosci meglio di me: sarebbe capacissima. E di certo è più efficace di una denuncia. Non ci sono gli estremi di un reato: non puoi provare che queste affermazioni non siano vere. Non puoi provare né quello che è successo né quello che non è successo.» «Lo dici come se non mi credessi.» «Kay.» Benton la guardò negli occhi. «Cerchiamo di non litigare. Devi farti coraggio e affrontare la situazione al meglio. Prima nessuno sapeva niente e ora invece lo sanno tutti: inevitabilmente ti faranno delle domande. Anche su questa...» Riportò gli occhi sul monitor. «Su quest'altra stronzata. La scuola, le suore, suor Polly. Non ne sapevo niente.» 195
Kay gettò solo un'occhiata, perché era inutile leggere tutto, e rispose: «Suor Polly non esiste, e non è vero niente, o per lo meno non è andata così. Era un'altra suora e non ci sono state frustate sadomaso in bagno». «Ma certe parti sono vere.» «Sì. Miami, la borsa di studio per la scuola cattolica e la lunga malattia di mio padre.» «E il negozio di alimentari. Ma le compagne di scuola ti chiamavano "sgobbona"?» «Non ho voglia di parlarne, Benton.» «Sto cercando di capire quanto c'è di vero e chi può averlo saputo.» «Lo sai, Benton. Nessuno sapeva niente, molto è stato inventato. Non so chi ci sia dietro.» «Non mi interessano le notizie inventate. Voglio sapere cosa c'è di vero e se esiste una fonte ufficiale a cui l'autore dell'articolo possa avere attinto. Perché se non esiste, come mi pare tu stia dicendo, allora significa che l'autore ha parlato con qualcuno che ti conosce bene.» «Marino» replicò Kay con riluttanza. «Lui conosce particolari sul mio conto che altri ignorano.» «Bè, di certo sa cos'è successo a Charleston. Anche se non riesco a immaginare che abbia usato quella parola.» «Quale parola, Benton?» Lui non rispose. «Non hai nemmeno il coraggio di pronunciarla, la parola "stupro". Anche se non è quello che è successo.»
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«Io non ho idea di cosa sia successo» ribatté calmo Benton. «È il mio problema. So solo quello che mi hai detto tu.» «Avresti preferito assistere alla scena?» «Cristo santo!» «Tu hai bisogno di vedere ogni dettaglio, altrimenti non riesci ad andare oltre» disse Kay. «Il fatto è che andare oltre è difficile. Ci mancavano solo questo giornalista e chiunque sia che gli sta dando informazioni su di me. Altro che andare oltre! Siamo qui che ci guardiamo in cagnesco, agitati, diffidenti. La verità è che probabilmente tu sai molto più di Marino: dubito fortemente che lui ricordi qualcosa dì ciò che ha fatto o detto quella sera. Anzi, spero vivamente per lui che l'abbia scordato.» «Non voglio che ci guardiamo in cagnesco, Kay. Non so perché questa storia mi irriti più di quanto sembra irritare te.» «Sì che lo sai, Benton. Ti senti più impotente di quanto mi sia sentita io perché tu non hai potuto fare nulla, mentre io sono riuscita a evitare il peggio.» Benton finse di rileggere i due articoli, per darsi un contegno. «Marino potrebbe essere al corrente della tua vita in Florida?» le chiese. «Gli hai parlato della tua infanzia? Anzi, lascia che te lo domandi in un altro modo.» Indicò lo schermo del computer. «Le parti vere gliele hai raccontate tu?» «Marino e io ci frequentiamo da quasi vent'anni. Ha conosciuto mia sorella e mia madre. È chiaro che è al corrente di certi dettagli della mia vita. Non ricordo tutto quello che gli ho detto, ma non è un segreto, fra le persone a me più vicine, che sono cresciuta in un quartiere povero di Miami, che non avevamo soldi, che 197
mio padre è stato malato a lungo prima di morire e che a scuola ero brava.» «E la compagna che ti ha rotto le matite?» «È ridicolo.» «Quindi l'episodio è vero.» «Sì, una bambina l'ha fatto. Una prepotente. Non mi ricordo come si chiamava.» «E la suora ti ha dato uno schiaffo?» «Perché io ho affrontato la bambina e lei ha fatto la spia, non il contrario. Per questo una suora mi ha punito. Tutto qui. Niente scene scabrose in bagno. E trovo assurda questa conversazione.» «Credevo di conoscere tutto di te. Non è bello scoprire che non è vero, e soprattutto apprendere certi particolari su Internet. Assurdo o no, queste sono cose di cui si parlerà. Anzi, se ne sta già parlando. Non puoi evitarlo, nemmeno facendo pressioni sulla CNN, dove hai molti amici. Se deciderai di tornare sul set, qualcuno sarà costretto a farti delle domande. Credo che ti ci dovrai abituare, che dovremo abituarci tutti e due.» Kay non pensava allo scandalo né al fatto che avrebbe dovuto abituarcisi. Pensava a Marino. «È di questo che ti stava parlando Lucy quando ti ha chiamato poco fa?» chiese. «Di Marino?» Benton rimase zitto, e quella fu la sua risposta. Sì, Lucy gli aveva parlato di Marino. «Cosa intendevi quando le hai detto che non ha nessuno a cui rivolgersi? O ti riferivi a un'altra persona? Non tenermi all'oscuro. Non adesso.» «Mi riferivo al fatto che è scappato. Lucy non glielo perdona» rispose Benton, e Kay capì benissimo che voleva essere evasivo. «Perché è scomparso nel nulla. 198
Gliel'ho detto mille volte: quando uno si sente braccato, fugge. Non è una novità. Conosci la storia. E conosci Lucy.» «Quale storia? Io non conosco nessuna storia. È vero: è scomparso nel nulla, ma io non ho mai creduto che si fosse ucciso. Non è da lui. Non è abbastanza coraggioso, e nemmeno così cretino, ma soprattutto ha paura di finire all'inferno. Perché lui è convinto che l'inferno esista veramente, al centro della terra, che chi ci finisce arderà nel fuoco per l'eternità. Me l'ha confessato una volta che era ubriaco. Manderebbe all'inferno metà della popolazione mondiale perché lui stesso ne è terrorizzato.» Benton aveva lo sguardo infinitamente triste. «Non so di che storia tu stia parlando e non ti credo» continuò Kay. «Dev'essere successo qualcos'altro.» Si fissarono negli occhi. «Marino è qui da luglio» disse Benton. «Per l'esattezza, dal primo weekend di luglio.» Le raccontò che lavorava per Jaime Berger, la quale aveva scoperto la vera ragione per cui Marino aveva lasciato Charleston solo grazie all'articolo di gossip. Quando l'aveva assunto non era al corrente di quel sordido dettaglio. Adesso anche Lucy lo sapeva, perché aveva appena parlato con Jaime e lei glielo aveva riferito. «Per questo Lucy mi ha chiamato» le spiegò. «Conoscendoti come ti conosco io, penso che avresti voluto che gli dessi una mano, nonostante tutto. Che lo aiutassi a curarsi e a ricominciare una nuova vita, tenendoti all'oscuro.» «Avresti dovuto informarmi.» 199
«Non potevo, come tu non puoi riferirmi quello che ti ha detto Oscar Bane. Segreto professionale. Marino mi ha chiamato al McLean poco dopo avere lasciato Charleston e mi ha chiesto di trovargli un centro di recupero. Mi ha pregato di parlare alla sua terapeuta, di controllare e, se necessario, di intervenire.» «E poi tu gli hai trovato un lavoro: l'hai fatto assumere da Jaime Berger. Neanche questo mi potevi dire? Cosa c'entra con il segreto professionale?» «Mi ha chiesto di non parlartene» replicò lui nel tono di chi è convinto di avere fatto la cosa giusta, ma con lo sguardo incerto. «Qui non si tratta di segreto professionale o di riservatezza, lo sai benissimo. Il tuo ragionamento non sta in piedi perché era impossibile che, lavorando per Jaime Berger, prima o poi io non lo venissi a sapere. E infatti...» Kay si mise a sfogliare il rapporto di polizia per evitare di guardare Benton. Sentì una presenza alle sue spalle, si voltò e rimase sorpresa dall'uomo che era apparso sulla porta. Con i vestiti da rapper, le catene d'oro e i dreadlock, sembrava fosse appena scappato dal reparto detentivo. «Kay, tu e l'investigatore Morales non vi conoscete ancora, credo» disse Benton in tono poco amichevole. «Scommetto che non ti ricordi, ma una volta ci siamo quasi conosciuti» esordì Morales entrando nell'ufficio con fare baldanzoso e squadrandola da capo a piedi. «Mi spiace.» Kay intendeva dire che non se lo ricordava. Non gli porse la mano. «Lo scorso ponte del Labor Day. All'obitorio» spiegò Morales. 200
Emanava un'energia inquietante che la irritava e la faceva sentire a disagio. Dava l'impressione di essere uno che agisse sempre impulsivamente, in fretta, e che cercasse di dominare il prossimo. «Ero due tavoli più in là del tuo. Lavoravi al tipo ritrovato nell'East River. Al largo di Ward" s Island. Lo vedo, che non ti ricordi di me. Non si sapeva se quel tizio era stanco di vivere e si era buttato dal ponte o se qualcuno aveva anticipato il suo viaggio nell'aldilà. Ma poteva anche avere avuto un infarto ed essere caduto dal molo. Tipico della Lester, non capirci una mazza. Non ha riconosciuto l'arborizzazione, che è caratteristica della folgorazione da fulmine. L'aveva esclusa, anzi, perché non aveva trovato segni di bruciature nelle calze, sotto le scarpe e roba del genere. Tu invece con una bussola hai dimostrato che la fibbia della cintura era magnetizzata, com'è tipico nelle folgorazioni, giusto? Comunque non puoi ricordarti di me. Sono entrato e uscito: dovevo prendere un paio di pallottole da portare in laboratorio.» Tirò fuori un foglio dalla tasca posteriore dei jeans a mezz'asta, lo aprì e iniziò a compilarlo, chino sulla scrivania accanto a lei, così vicino da sfiorarle la spalla con il gomito mentre scriveva. Kay spostò la sedia. Morales le porse il foglio e la penna, Kay finì di riempirlo e firmò. Poi Morales prese le buste con i campioni biologici di Oscar Bane e se ne andò. «Inutile dire che Jaime Berger ne ha fin sopra i capelli di lui» commentò Benton. «È nella sua squadra?» chiese Kay. «No. Se lo fosse, sarebbe più semplice per lei: potrebbe controllarlo, almeno in parte» spiegò Benton. 201
«Quell'uomo è onnipresente. Quando c'è un caso delicato, riesce sempre a mettersi in mezzo. Come la volta dell'uomo folgorato a cui accennava. A proposito, è probabile che non ti perdonerà mai che non ti sia ricordata di lui. Tant'è che te lo ha fatto notare ben tre volte.» Benton si appoggiò allo schienale della sedia in finta pelle e restò in silenzio a guardare Kay che studiava i documenti dall'altro lato della vecchia scrivania. Gli piacevano moltissimo il suo naso dritto, i lineamenti marcati e il modo deciso ma aggraziato con cui si muoveva anche per fare piccoli gesti come voltare una pagina. Gli sembrava che non fosse cambiata per niente dal giorno in cui si erano conosciuti, quando era apparsa sulla porta della sala riunioni con i capelli biondi spettinati, senza un filo di trucco e con le tasche del camice strapiene di penne, fazzolettini e messaggi a cui non aveva avuto il tempo di rispondere, incombenza che intendeva delegare a qualcun altro. Benton aveva capito subito che era una persona forte e seria, ma anche attenta e gentile. Glielo aveva letto negli occhi durante il primo incontro. Lo vedeva ancora, perfino quando era preoccupata o stava male. Non riusciva a immaginare la vita senza di lei, e provò un moto di odio per Marino. I problemi di cui Benton si occupava da sempre per lavoro avevano invaso la sua esistenza, a causa di quell'uomo, e lui non sapeva più come allontanarli. «A che ora è arrivata la polizia sulla scena del crimine? E perché mi guardi?» chiese Kay senza alzare gli occhi. 202
«Alle sei e un quarto circa. Ho fatto un pasticcio, Kay. Scusami. Non ti arrabbiare.» «Chi l'ha avvertita?» «Quelli del 911. Oscar Bane dice di avere trovato il corpo di Terri intorno alle cinque e di avere chiamato il 911 solo alle sei. Alle sei e nove, per essere precisi. La polizia e arrivata cinque minuti dopo.» Kay non disse nulla, e Benton prese una graffetta e iniziò a raddrizzarla. Non era mai stato così nervoso. «La polizia ha trovato il portone chiuso» continuò . «Nella palazzina ci sono altri tre appartamenti, ma nessuno era in casa. Non c'è portineria e quindi gli agenti non sono riusciti a farsi aprire. Siccome Terri però stava al pianoterra sono andati sul retro, hanno guardato dalle finestre e in uno spiraglio fra le tende del bagno hanno visto Oscar che stringeva una donna coperta da un asciugamano azzurro Piangeva disperato, la teneva stretta, l'accarezzava. Hanno bussato al vetro finché lui li ha visti ed e andato ad aprire.» Benton faceva fatica a esprimersi, si sentiva il cervello rallentato, probabilmente a causa dello stress. Continuava ad armeggiare con la graffetta e a guardare Kay. Dopo un lungo silenzio, lei alzò gli occhi e domandò: «E poi? Ha detto qualcosa agli agenti o si è rifiutato dirispondere? » "Sta confrontando i risultati" pensò Benton. "Vuole fare un raffronto fra quanto le ha detto Bane e quello che so io. Si sta comportando in modo clinico, impersonale, perché non ha nessuna intenzione di perdonarmi." «Mi spiace. Non essere arrabbiata con me» disse. 203
Kay non abbassò lo sguardo e replicò: «Mi chiedo come mai Terri Bridges indossasse solo reggiseno e vestaglia. Andava ad aprire la porta mezza nuda? Forse sapeva già chi era?». «Lasciamo sedimentare un po’ la cosa.» Benton si riferiva al loro rapporto, non all'indagine. «Possiamo chiuderla per un attimo nel cassetto?». Era il loro modo per dire che non era il momento, o il luogo per parlare di una questione privata. Dallo sguardo cupo e penetrante di Kay capì che sì, per il momento avrebbe chiuso la questione nel cassetto perché lo amava, ma non era affatto contenta. «Ottima domanda. È giusto chiedersi come mai sia andata ad aprire in deshabillé» convenne Benton. «Avrei un paio di osservazioni a questo proposito.» «Cos'ha fatto Oscar Bane quando è arrivata la polizia?» chiese Kay. «Singhiozzava, non si reggeva in piedi, urlava. E insisteva per tornare nel bagno, tanto che due agenti hanno dovuto trattenerlo. Hanno cercato di farlo parlare e lui ha ammesso di averle tagliato la fascetta zigrinata intorno ai polsi. Era sul pavimento del bagno, accanto a un paio di forbici che ha detto di avere trovato in cucina, vicino al ceppo dei coltelli.» «L'ha chiamata lui "fascetta zigrinata"? O è stata la polizia a usare quel termine? Quand'è venuto fuori? E importante capire chi ne ha parlato per primo.» «Non lo so.» «Bè, qualcuno lo saprà.» Benton piegò la graffetta a forma di otto e pensò a ciò che avevano chiuso nel cassetto, inutilmente. Prima o poi ne avrebbero parlato, ma non sarebbe comunque servito a rinsaldare la fiducia tra loro più di 204
quanto avrebbe saldato un osso fratturato. Bugie, bugie... La sua vita imponeva troppe bugie, seppur dette con le migliori intenzioni, oppure per necessità professionali e legali. Per questo Marino era un pericolo. Il rapporto tra lui e Kay non era basato su un cumulo di bugie. Quando l'aveva aggredita, non l'aveva fatto per disprezzo, per odio o per cercare di umiliarla. L'aveva fatto per prendersi quello che voleva e lei non voleva concedergli, perché era l'unico modo per mettere fine a un amore non corrisposto ormai divenuto insopportabile. Da quel punto di vista, era uno dei gesti più sinceri che Marino avesse mai fatto in vita sua. «Non sappiamo con cosa è stata strangolata né dove sia finita l'arma del delitto» aggiunse Benton. «Probabilmente il killer l'ha portata via con sé. La polizia sospetta che si trattasse di una fascetta analoga a quella rinvenuta.» «Su quali basi?» «Sarebbe strano ricorrere a due diversi tipi di legacci per lo stesso crimine» rispose. Cercò di allungare la graffetta piegandola avanti e indietro, e la ruppe. «Ovviamente l'aveva portata il killer. Di norma la gente non tiene in casa fascette zigrinate o manette.» «Perché, ammesso che sia andata così, dovrebbe averle tolto la fascetta dal collo e non quella ai polsi?» continuò Kay. «Non sappiamo cosa passi per la testa di questa persona. Non c'è molto su cui lavorare, tranne le circostanze del delitto. Immagino non ti sorprenda sapere che Oscar è il principale sospettato.» «Su quali basi?» 205
«O il killer aveva la chiave, oppure gli ha aperto Terri, che, come hai detto tu, indossava una vestaglia e poco altro. Parliamone. Perché si sentiva così a suo agio, così fiduciosa? Come faceva a sapere chi era? Non c'è videocitofono. Questo implica, secondo me, che stava aspettando qualcuno. Il palazzo era vuoto, ed era già buio quando Terri ha aperto prima il portone e poi la porta di casa. Potrebbe anche averla uccisa qualcun altro. I delinquenti adorano le feste: sono molto simboliche, e i quartieri sono deserti. Se il colpevole è Oscar Bane, ha scelto il momento più adatto, anche per confondere le idee.» «È di questo che è convinta la polizia, immagino.» "Sta di nuovo facendo dei confronti" pensò Benton. "Cosa sa?" «Secondo loro, è la cosa più logica» replicò. «Quando sono arrivati sul posto, la porta dell'appartamento era chiusa a chiave?» «Sì. L'aveva chiusa Bane. La cosa strana è che, dopo avere chiamato il 911, non ha aperto né il portone né la porta di casa. Non so come pensava che sarebbero entrati gli agenti.» «Io non lo trovo affatto strano. Qualsiasi cosa avesse fatto, doveva essere molto impaurito.» «Perché?» «Se non è stato lui a ucciderla, magari temeva che l'assassino tornasse.» «E come, se non aveva la chiave?» «Quando sei nel panico, non sempre pensi ai dettagli. Il primo impulso è barricarti dentro e chiudere tutte le porte.» "Sta verificando la versione di Bane. Deve avere sostenuto che aveva chiuso a chiave la porta di casa perché aveva paura." 206
«Cos'ha detto quando ha chiamato il 911?» chiese Kay. «Te lo faccio ascoltare.» Il CD era già nel computer. Benton aprì un file audio e alzò il volume: OPERATORE 911: "Pronto Intervento, qual è il problema?" OSCAR (isterico): "Sì! Polizia...! La mia ragazza..." OPERATORE 911: "Qual è il problema?" OSCAR (quasi incomprensibile): "La mia ragazza... Quando sono entrato..." OPERATORE 911: "Mi dica, qual è il problema?" OSCAR (urla): "È morta! È morta! L'hanno uccisa! L'hanno strangolata!" OPERATORE 911: "L'hanno strangolata?" OSCAR: "Sì!" OPERATORE 911: "Mi sa dire se chi l'ha strangolata è ancora in casa?" OSCAR (piange, quasi incomprensibile): "No... È morta...!" OPERATORE 911: "La polizia sta arrivando. Resti dov'è, d'accordo?" OSCAR (piange, incomprensibile): "Loro..." OPERATORE 911: "Chi? C'è qualcuno con lei?" OSCAR: "No..." (incomprensibile) OPERATORE 911: "Resti in linea. Stiamo arrivando. Cos'è successo?" OSCAR: "Sono arrivato e lei era sul pavimento..." (incomprensibile) Benton chiuse il file e disse: «Poi ha riattaccato e quando l'operatore l'ha richiamato non ha risposto. Se fosse rimasto in linea, per gli agenti sarebbe stato più 207
facile e più veloce entrare. Invece hanno dovuto fare il giro della casa e bussare alla finestra». «Doveva essere davvero terrorizzato, quasi isterico» osservò Kay. «Come Lyle Menendez quando chiamò il 911 per dire che i suoi genitori erano stati uccisi. Eppure sappiamo bene com'è finita quella storia.» «Solo perché i fratelli Menendez...» iniziò Kay. «Lo so» la interruppe Benton. «Questo non significa che Bane abbia ucciso Terri Bridges. Ma non possiamo neppure escludere che sia stato lui.» «E come spieghi che abbia detto "loro", come se volesse implicare che non è stata una persona sola a ucciderla?» chiese Kay. «Con la sua paranoia, ovviamente» rispose Benton. «Io credo che sia sincero, che si senta davvero perseguitato. Non che questo lo scagioni: i paranoici uccidono, in preda al delirio.» «È questo che pensi?» domandò Kay. «Che l'abbia uccisa lui?» "Lei non ci crede" pensò Benton. "E convinta che sia andata diversamente. Cosa le ha detto Oscar Bane?" «Capisco che la polizia ne sia abbastanza convinta, ma ci vogliono le prove» replicò. «Cos'altro sappiamo?» «Quello che Bane ha dichiarato.» «Sulla scena del crimine o quando era nell'auto dell'investigatore Morales?» «Dopo che sono usciti da casa di Terri, è stato poco collaborativo.» Gettò nel cestino vuoto i pezzi della graffetta, che tintinnarono contro le pareti metalliche. «A quel punto voleva solo andare al Bellevue e diceva 208
che non avrebbe aperto bocca finché non fossi arrivato io» continuò. «Poi ha chiesto di te. Ed eccoci qui.» Prese un'altra graffetta. Kay lo osservava. «E prima di uscire da casa di Terri, invece, cos'ha dichiarato?» volle sapere Kay. «Che quando è arrivato le luci erano spente, lui ha aperto il portone e suonato il campanello di casa; a quel punto la porta si è spalancata e Oscar è stato aggredito da uno sconosciuto, che è scappato subito dopo. Allora ha chiuso la porta a chiave, ha acceso le luci, ha cercato Terri e l'ha trovata nel bagno, morta. Intorno al collo non aveva niente, a parte un segno rossastro.» «Ha capito che era morta, però non ha chiamato subito il 911. Perché, secondo te?» domandò Kay. «Aveva perso la cognizione del tempo. Era fuori di sé. Chissà com'è andata veramente. Ma non ci sono gli estremi per arrestarlo. Ciò non toglie che la polizia sia stata più che contenta di rinchiuderlo qui dentro su sua esplicita richiesta. Essere un nano muscoloso che passa gran parte del proprio tempo a lavorare nel cyberspazio non aiuta.» «Quindi sei a conoscenza del suo mestiere. Cos'altro sai?» «Sappiamo tutto di lui, tranne quello che ha scelto di non dirci. E tu?» Finì con il distruggere anche la seconda graffetta. «Hai qualche idea?» «Solo a livello teorico.» Benton rimase zitto, lasciandole il tempo di proseguire. «Mi sono occupata di svariati casi in cui la polizia non è stata chiamata subito» cominciò Kay. «Perché l'assassino aveva bisogno di tempo per creare una 209
messinscena, per esempio. Oppure perché chi aveva trovato il corpo voleva nascondere com'erano andate veramente le cose per svariati motivi: imbarazzo, vergogna, assicurazioni sulla vita... Come nei casi di asfissiofilia, in cui il giochetto erotico finisce tragicamente e la persona tira le cuoia. In genere la morte è accidentale. La madre entra e trova il figlio vestito di pelle nera, con maschera, catene e strizzacapezzoli. Magari en travesti. È appeso a una trave, c'è materiale pornografico sparso ovunque. Lei non vuole che il suo ragazzo venga ricordato in quel modo e non chiama aiuto finché non si è sbarazzata delle prove.» «Altre possibilità?» «La persona è disperata, non vuole staccarsi dall'amato e quindi abbraccia il cadavere, lo accarezza, lo copre se è nudo, toglie legacci e roba del genere. Cerca insomma di far tornare il suo caro com'era, quasi che in tal modo possa ridargli la vita.» «Più o meno quello che ha fatto Oscar Bane» osservò Benton. «Ho avuto un caso in cui il marito ha trovato la moglie morta nel letto: aveva preso troppe pastiglie. Lui non ha chiamato la polizia, ma si è infilato sotto le coperte con lei e l'ha tenuta stretta finché è sopraggiunto il rigor mortis e il corpo è diventato freddo.» Benton la guardò per qualche istante, poi disse: «Il motivo può essere anche il rimorso. Il marito che uccide la moglie, il figlio che uccide la madre. Sopraffatti dal rimorso, dal dolore, dal panico, non chiamano subito la polizia. Stringono il corpo, lo accarezzano, gli parlano, piangono. Sanno che si è 210
rotto qualcosa di prezioso, che non si può più aggiustare. È cambiato tutto per sempre, niente tornerà più come prima». «È un comportamento tipico degli omicidi passionali, commessi per un impulso incontrollabile» convenne Kay «in cui non c'è premeditazione. Questo non mi sembra un gesto impulsivo, però. Quando l'assassino porta con sé un'arma e i mezzi per immobilizzare la vittima, manette o nastro adesivo, la premeditazione c'è.» Benton si ferì inavvertitamente con la graffetta aperta e vide uscire una goccia di sangue. La succhiò. «Non ho un kit di pronto soccorso nella mia valigetta. Ora che ci penso, è una scemenza. Dovresti disinfettarti, metterti un cerotto...» disse lei. «Kay, non voglio che tu sia coinvolta in questa storia.» «Sei stato tu a coinvolgermi. O a permettere che venissi coinvolta.» Guardò il dito. «Sarebbe meglio se lo lasciassi sanguinare il più possibile. Non mi piacciono le ferite da punta. Sono peggiori dei tagli.» «Non era mia intenzione tirarti in mezzo. Non è stata una mia iniziativa.» Stava per aggiungere che non aveva preso decisioni al posto suo, ma si trattenne perché sarebbe stata l'ennesima bugia. Kay allungò la mano e gli porse un paio di fazzolettini di carta. «È una cosa che odio» disse Benton. «Non mi piace quando entri nel mio mondo. Non ti appartiene. I cadaveri non si affezionano a te, non provano sentimenti nei tuoi confronti. Con i defunti non hai un rapporto. Ma noi non siamo robot. A volte ho di fronte uno che ha torturato a morte la sua vittima. È una 211
persona, un essere umano. È un mio paziente. Lui crede che io sia il suo migliore amico, e poi al processo mi sente dichiarare che al momento del delitto lui conosceva benissimo la differenza tra bene e male. Così finisce in prigione per il resto della vita o, a seconda della giurisdizione, viene condannato a morte. Non importa cosa penso o credo io. Sto solo svolgendo il mio lavoro. Ho fatto quello che considero giusto davanti alla legge. Ma esserne consapevole non mi fa sentire meno tormentato.» «Essere tormentati è inevitabile, nel nostro mestiere» osservò Kay. Benton si strinse il fazzoletto di carta bianca sul dito, macchiandolo di rosso. La guardò - le spalle squadrate, le mani forti, il bellissimo profilo del suo corpo sotto il vestito - e la desiderò. Quando erano soli, a casa, la toccava raramente, e invece in quel momento, a pochi metri da un reparto di detenzione, si sentiva eccitato. Cosa gli era preso? Era come se fosse stato vittima di un incidente e gli avessero riattaccato i pezzi nel modo sbagliato. «Dovresti tornare in Massachusetts, Kay. Se Oscar Bane verrà rinviato a giudizio e tu sarai chiamata a testimoniare, tornerai qui e affronteremo la situazione.» «Non ho intenzione di scappare da Marino» replicò Kay. «Non voglio evitarlo.» «Non è questo che intendevo.» Invece era così. «È di Oscar Bane che mi preoccupo. Potrebbe uscire dal Bellevue in qualsiasi momento. Preferirei che fossi il più lontano possibile da lui.» «No, vuoi che io stia il più lontano possibile da Marino.» 212
«Non capisco perché vuoi rivederlo.» Benton si irrigidì. Aveva parlato in tono più duro. «Non ho detto che voglio rivederlo, solo che non voglio scappare. Non sono io quella che, vigliaccamente, si è data alla macchia.» «Spero che il mio ruolo in questa storia si esaurisca nel giro di pochi giorni. Poi sarà tutto in mano del dipartimento di polizia di New York. Dio solo sa quanto sono indietro con il lavoro al McLean. La mia ricerca è solo a metà, anche se non sono più così sicuro di volerla pubblicare. Non hai alcun obbligo di dare la tua consulenza all'Istituto di medicina legale. Perché dovresti levare le castagne dal fuoco alla dottoressa Lester un'altra volta?» «Tu non vuoi che me ne vada, Benton, non vuoi che volti le spalle a Jaime Berger dopo che lei mi ha chiesto di aiutarla. L'ultimo volo per Boston è alle nove: non ce la farei comunque a prenderlo, lo sai benissimo. Perché mi dici di andarmene?» «Potrebbe portarti Lucy in elicottero.» «Nel Massachusetts nevica. La visibilità probabilmente è di mezzo metro.» Lo guardò in faccia Benton faceva fatica a nascondere i propri sentimenti, perché la desiderava. L'avrebbe presa lì, nel suo studio, e se Kay si fosse accorta di quanto la voleva avrebbe provato disgusto, avrebbe pensato che a furia di stare con pazzi e maniaci era diventato un pervertito anche lui. «Mi ero scordato del maltempo.» «Non vado da nessuna parte.» «D'accordo. È chiaro che hai fatto i bagagli pensando di trattenerti qui per un po'.» La valigia era accanto alla porta. 213
«È quasi tutta roba da mangiare» replicò Kay. «Non so se tu avessi in mente di portarmi fuori per una cenetta romantica, ma t'informo che mangeremo a casa. Se ci arriveremo.» Si guardarono negli occhi. Gli aveva appena fatto la domanda che più le premeva, sebbene le mancasse il coraggio di formularla esplicitamente. «I miei sentimenti per te non sono cambiati. Se sapessi come mi sento, alle volte. Solo che non te lo dico» replicò Benton. «Forse invece dovresti.» «Lo sto facendo ora.» La desiderava. Kay lo percepì e non si ritrasse. Forse anche lei provava lo stesso desiderio. Benton dimenticava con troppa facilità che c'era una ragione se era sempre gentile e precisa: per Kay la scienza era come un guinzaglio che metteva intorno al collo di un animale selvatico per tenerlo a bada, per capirlo, per gestirlo. Aveva scelto di esporsi agli aspetti più crudi, primordiali e potenti della vita, e niente la scioccava. «Credo sia importante stabilire come mai Terri Bridges è stata assassinata nel bagno» disse Kay. «E perché siamo sicuri che sia così.» «La polizia non ha trovato elementi tali da far pensare che sia stata uccisa in un'altra stanza. Nulla indica che sia stata portata in bagno quando era già morta. Che roba da mangiare?» «Quella che avevo preparato per ieri sera. Cosa esclude che sia stata spostata quando era già morta?» «Non so. Morales ha detto che non c'è nulla che lo indichi.» «Questo caso è tutto così» commentò Kay. «Se era morta da meno di due ore, il suo cadavere non poteva 214
indicare granché. Livor mortis e rigor mortis hanno bisogno di almeno sei ore per manifestarsi. Era ancora calda?» «Morales sostiene di averle tastato il polso quando è arrivato e pare che fosse ancora calda.» «Quindi, se non è stato Oscar Bane, chi l'ha uccisa dev'essersene andato poco prima che lui arrivasse. Una coincidenza straordinaria. Una fortuna incredibile, per l'assassino, che nessuno l'abbia interrotto. Bane non l'ha sorpreso per pochi minuti. Sempre che l'assassino e Oscar Bane non siano la stessa persona.» «Se non lo sono, dobbiamo chiederci come facesse l'omicida a sapere che Terri era a casa da sola la sera di Capodanno. Forse si è trattato di un delitto casuale. Le sue erano le uniche luci accese in una palazzina completamente buia in un periodo dell'anno in cui se sei a casa tieni le luci accese tutto il giorno, o almeno dopo le quattro, quando tramonta il sole. Insomma, dobbiamo capire se Terri Bridges era una vittima predestinata oppure casuale.» «E l'alibi? Sai se Oscar Bane ne abbia uno?» «Tu lo sai?» , Kay lo guardò mentre si strizzava il dito per far uscire il sangue. «Sto cercando di ricordare quando hai fatto l'ultima antitetanica» disse. La ricerca nel Real Time Crime Center del dipartimento di polizia di New York non era stata difficile, e Marino aveva trovato senza problemi i due casi di cui Morales gli aveva parlato. Ottenere risposta dagli ispettori che avevano condotto le indagini, invece, richiedeva un po’ più di tempo. Marino era a casa e si stava sbottonando la giacca quando, alle sei e venti, gli squillò il cellulare. A 215
cercarlo era una donna che disse di chiamarsi Bacardi, come il rum che una volta lui beveva con la Dr Pepper. La richiamò dal telefono fisso e le fece un riassunto del caso Terri Bridges; le chiese se avesse mai sentito nominare Oscar Bane o se nella zona di Baltimora, dove era stato commesso il primo omicidio nell'estate del 2003, fosse stato notato qualcuno che corrispondeva alla sua descrizione. «Prima di partire in quarta, cosa ti fa pensare che i due casi siano collegati?» domandò l'agente Bacardi. «Prima di tutto, sia chiaro che non è stata una mia idea. Un altro investigatore, Mike Morales, ha trovato delle corrispondenze nei nostri database. Lo conosci?» «Il nome non mi dice niente. Quindi non vuoi il merito. Dev'essere una bella merda, quella che avete fra le mani.» «Forse sì, o forse no» replicò Marino. «Ci sono analogie nel modus operandi anche con l'omicidio di Greenwich, di cui immagino tu sia al corrente.» «L'ho studiato fino a consumarmi gli occhi. È stato la rovina del mio matrimonio. È morto di cancro un anno fa. Non il mio ex marito, l'investigatore di Greenwich. Di dove sei? Dall'accento sembri uno del New Jersey.» «Già, della parte peggiore del New Jersey. Mi spiace per il collega di Greenwich. Dove lo aveva?» «Al fegato.» «Avessi ancora un fegato, verrebbe lì anche a me.» «Se n'è andato da un giorno all'altro. Proprio come il mio ex e i miei ultimi due fidanzati.» Marino si domandò quanti anni avesse la Bacardi e se facesse apposta a insistere tanto sul fatto che era single. 216
«La nostra vittima, Terri Bridges, aveva una catenina d'oro alla caviglia sinistra. L'ho notata nelle foto, perché non ho visto il cadavere. Non sono andato sulla scena del crimine né all'obitorio.» «Oro vero?» «Come ho detto, ho solo visto le foto, ma in base al rapporto sono dieci carati. Dev'esserci la stampigliatura sul fermaglio, altrimenti non so come facciano a essere così precisi.» «Tesoro, a me basta guardarlo. Ti posso dire tutto quello che vuoi sui gioielli. Veri, falsi, belli, brutti, costosi, da due soldi. Ho lavorato nella squadra Reati contro il patrimonio. Inoltre, mi piacciono le cose che non posso permettermi. Preferisco non avere niente, piuttosto che comprarmi delle schifezze. Capisci?» Marino pensò al vestito made in China che portava. Un finto completo italiano che alla prima pioggia avrebbe di sicuro lasciato una scia nerastra, come una seppia. Si levò la giacca e la buttò sulla sedia, poi si tolse anche la cravatta. Non vedeva l'ora di infilarsi jeans, felpa e la sua vecchia giacca di pelle Harley foderata di lana che aveva da una vita: l'unica che si era tenuto e si rifiutava di dare via. «Mi puoi mandare via email la foto della cavigliera di Terri Bridges?» chiese la Bacardi. Aveva una voce melodiosa e allegra; sembrava interessata al suo lavoro e anche a lui. Parlare con quella donna gli risvegliava sensazioni che non provava da tanto tempo. Forse perché aveva dimenticato quanto fosse piacevole essere trattato alla pari o, cosa ancora più importante, con il rispetto che meritava. Cos'era 217
accaduto negli ultimi anni che lo faceva sentire tanto scontento di se stesso? Quella di Charleston era stata una catastrofe annunciata, inutile negarlo. Non si trattava di una malattia legata alla bottiglia. Quando lo aveva finalmente capito, si era trovato in profondo disaccordo con la sua terapeuta Nancy, con la quale aveva litigato aspramente. Questo era successo poco prima che Marino terminasse il percorso di recupero. Nancy sosteneva che tutto ciò che non funzionava nella sua vita era conseguenza dell'abuso di alcol e che gli ubriaconi e i tossici, quando invecchiano, peggiorano costantemente. Gli aveva persino disegnato una tabella. Erano rimasti soli nella cappella, un pomeriggio di giugno. C'era il sole, tutte le finestre erano aperte e si sentivano l'odore del mare e i gridi dei gabbiani che volavano sulle scogliere della North Shore. Marino avrebbe voluto andarci a pescare, a fare un giro in moto o, meglio ancora, a bersi una birretta al sole, invece di stare lì a sentirsi in colpa. Nancy gli aveva mostrato nero su bianco che, da quando, a dodici anni, la birra era diventata la sua "migliore amica", la vita aveva preso una brutta china costellata di traumi. Nancy glieli aveva elencati per iscritto: - Risse - Basso rendimento scolastico -Isolamento - Promiscuità sessuale - Difficoltà relazionali - Pdschio/ boxe/ armi/ polizia/ moto Nancy aveva passato quasi un'ora a disegnargli il grafico dei suoi guai. Quello che voleva dimostrargli, in fin dei conti, era che, bevendo la prima birra della sua 218
vita, si era messo su una cattiva strada fatta di aggressività, promiscuità sessuale, amicizie rovinate, separazioni e violenza; invecchiando, poi, i traumi sarebbero diventati sempre più frequenti, perché quello era il decorso della malattia. Una malattia che prendeva il sopravvento e dopo un po’ non si riusciva più a contrastarla in nessun modo. Poi aveva firmato e datato la cartella clinica, disegnando persino una faccina sorridente sotto il proprio nome, e gliel'aveva consegnata, tutte e cinque le pagine. "Cosa ne faccio? Me l'attacco sul frigo?" le aveva chiesto. Si era alzato dalla panca ed era andato alla finestra a guardare le onde che si frangevano sugli scogli scuri fra spruzzi altissimi e strida di gabbiani, come se balene e uccelli si fossero dati appuntamento lì davanti per liberarlo da quella prigione. "Vedi? Ti rendi conto di quello che hai appena fatto?" gli aveva detto Nancy, seduta sulla panca alle sue spalle, mentre lui aveva davanti la giornata più bella che avesse mai visto e si chiedeva perché non fosse fuori a godersela. "Mi hai respinto, Pete. E l'alcol a parlare per te." "Col cazzo" le aveva risposto. "Non bpr una goccia d'alcol da un mese. Sono io a parlare." In quel momento Marino, al telefono con una sconosciuta con un nome che gli metteva allegria, si rese conto che la sua vita non era stata poi così male finché aveva lavorato nella polizia. Quando aveva lasciato il dipartimento di Richmond ed era stato assunto come investigatore privato prima da Lucy e poi da Kay, aveva perso ogni autorità riconosciuta e, di conseguenza, anche il rispetto per se stesso. Non 219
poteva più arrestare nessuno. Non poteva nemmeno mettere una multa o chiamare un carro attrezzi per rimuovere una macchina. Poteva solo fare la voce grossa, ricorrere a minacce prive di valore. Era come se gli avessero tagliato i coglioni. E così, che cos'aveva fatto il maggio scorso? Aveva cercato di dimostrare a Kay Scarpetta che i coglioni li aveva ancora, perché in realtà sentiva la necessità di provarlo a se stesso e di riprendersi la propria vita. Non stava dicendo che le sue azioni fossero giuste, o anche solo scusabili; non l'aveva mai affermato e, sicuro come l'oro, non lo pensava. «Ti procurerò tutto il necessario» disse all'agente Bacardi. «Fantastico.» Provò un piacere perverso a immaginare la reazione che avrebbe avuto Morales se avesse saputo che era al telefono con un'agente della squadra Omicidi di Baltimora e stava prendendo delle iniziative. "Al diavolo Morales." Marino aveva prestato giuramento nel dipartimento di polizia di New York e lavorava per la procura distrettuale. Morales no. E allora per quale ragione doveva essere lui il responsabile delle indagini? Solo perché la sera prima quel miserabile pusher era in servizio e aveva risposto alla chiamata? «Sei davanti al computer?» chiese all'agente Bacardi. «Sono a casa da sola, grazie e buon anno anche a te. Spara. Hai visto Capodanno in Times Square? Sai cos'ho fatto io? Ho mangiato popcorn guardando Simpatiche canaglie. Non ridere. Ho tutta la serie originale.» 220
«Piaceva anche a me. Ho avuto anche un gatto che si chiamava Buckwheat, come il ragazzino nero del telefilm. Solo che lui era bianco.» Aprì una grossa busta da cui tirò fuori la copia del rapporto di polizia e del referto autoptico, poi rovesciò quella delle fotografie, che si sparsero sul tavolo di formica coprendo un paio di bruciature di sigarette e macchie lasciate da pentole bollenti, le scorse e trovò quella che cercava. Con il cordless infilato fra la spalla e l'orecchio, mise la foto nello scanner collegato al computer. «Devi sapere che c'è sotto una mezza questione politica» le disse. «Solo mezza?» «Volevo dire che per il momento è meglio tenere la cosa per noi, senza coinvolgere nessun altro. Quindi, se dovesse contattarti qualcuno che non sono io, fosse anche il comandante del dipartimento di polizia di New York, ti sarei grato se non facessi il mio nome e mi avvertissi. Poi ci penso io. Non tutte le persone coinvolte sono...» «Mi stai dicendo che l'erba è verde e il cielo è azzurro. Non ti preoccupare, Pete.» Gli piaceva sentirsi chiamare per nome. Aprì la posta elettronica per mandarle la foto in allegato. «Se chiama qualcuno, sarai il primo a saperlo» replicò la donna. «E spero che tu faccia altrettanto con me. C'è un sacco di gente, da queste parti, a cui piacerebbe risolvere il caso della mia ragazza di Baltimora e del ragazzino di Greenwich e prendersene il merito. È come nel mondo della finanza quando è scoppiata la crisi dei mutui subprime. Tutti pronti a specularci sopra. Non credo di esagerare.» 221
«Avvertimi soprattutto se ti chiama Morales» aggiunse Marino. «Mi sorprende che non l'abbia ancora fatto. Ma, in effetti, non è il tipo che ha la pazienza di stare dietro alle cose.» «Il mondo è pieno di gente così, che si mette in mostra nel momento clou e poi sparisce lasciando che siano gli altri a finire il lavoro e a rimettere tutto a posto. Come quelli che fanno figli e poi si rifiutano di mantenerli.» «Hai figli?» «Sì, ma fuori casa, ormai, e lo dico con gioia. Sono cresciuti bene, tutto considerato. Sto guardando la foto. Si sa perché la vittima, questa Terri Bridges, portasse una catenina alla caviglia?» «Il punto è proprio questo. Il suo ragazzo, Oscar, dice i i non averla mai vista.» «Una catenina d'oro non è niente di straordinario, ma io sono una che sta attenta alle prove indiziarie» disse l'agente Bacardi. «Avrai capito che ho più di quarant'anni. Non mi piace mettere tutto nelle mani dei camici. Soprattutto quelli dell'ultima generazione. Sembrano la versione medicolegale di "OK, il prezzo è giusto". Dietro la porta numero uno c'è il video di uno che violenta e uccide una donna dopo averla rapita. Dietro la porta numero due c'è il DNA rinvenuto su una cicca di sigaretta trovata nel vialetto. Quale scegli?» «Non farmi parlare.» «Già, tu e io la pensiamo allo stesso modo. Sai cosa significa CSI, secondo me? "Che Stronzata Immane." Ogni volta che sento quell'acronimo, o come diavolo si dice, penso che sia un'enorme cazzata. Non lo sopporto. Dimmi, Pete, quando hai cominciato esisteva roba tipo CSI?» 222
«L'ha inventata la TV. C'erano i tecnici della Scientifica, quelli veri. O, il più delle volte, c'era gente come te e me che si portava dietro kit per le impronte, macchina fotografica, metro e attrezzatura varia, e faceva tutto da sola. Non avevamo bisogno di un laser per disegnare una piantina della scena del delitto con le proporzioni giuste. Il Luminol funzionava tanto quanto le nuove sostanze chimiche e queste lampade sofisticatissime. Ho mescolato Luminol in una bottiglietta con lo spruzzatore per una vita: non ho bisogno dei Pronipoti per risolvere un omicidio.» «Io non sono così estremista e penso che tante nuove tecnologie siano molto meglio, non c'è paragone. Adesso, se non altro, si può esaminare una scena del crimine senza distruggere tutto. Se entrano i ladri in casa di una vecchietta, non c'è più bisogno di spargere ovunque polvere nera. Le nuove attrezzature almeno servono a essere più discreti. Ma non ho la bacchetta magica. Tu ce l'hai?» «Continuo a dimenticare di ricaricarla» rispose Marino. «Vieni mai a Baltimora, Pete?» «"Mettere tutto nelle mani dei camici." Era un po’ che non sentivo quest'espressione» disse Marino. «Vuoi sapere una cosa? Anch'io ho più di quarant'anni. Ti sto mandando degli altri file. Controlli la posta, mentre ci lamentiamo? Vieni mai a New York?» Stava scannerizzando le pagine del rapporto di polizia e del referto preliminare della dottoressa Lester. «Non è così che ho cominciato» disse l'agente Bacardi. «Credo ancora che il metodo migliore sia parlare con le persone e cercare il movente, alla vecchia maniera. Certo che vengo a New York. Posso 223
venirci quando voglio, non è un problema. Prima però dovremmo scambiarci le foto dell'album del liceo. Ma ti giuro che sono più bella, da quando mi sono fatta trapiantare la faccia.» Marino prese una Sharp’s dal frigo. Doveva conoscerla. Era davvero un bel tipo. «Sto guardando la fotografia della cavigliera. Cristo santo!» esclamò l'agente. «È uguale alle altre. Tutte e tre da dieci carati. Una maglia a spina di pesce, molto sottile. A giudicare dalla scala della foto, direi che la tua è lunga circa venticinque centimetri, come le altre due. Le vendono nei centri commerciali o su Internet per quaranta, cinquanta dollari. L'elemento che a prima vista differenzia i tre casi è che nel mio e in quello di Greenwich le vittime non erano in casa. Si trovavano per strada a offrire sesso in cambio di soldi con cui comprarsi la droga, e sembra che siano state rimorchiate dalla persona sbagliata, da un maniaco omicida. La tua Terri Bridges ha precedenti per uso di droghe o una vita segreta che poteva portarla a fare quella fine?» «Nulla fa pensare che si impasticcasse o altro. Tutto quello che so ce l'hai davanti agli occhi. L'alcolemia era negativa. È un po’ presto per i risultati dei test sulle altre droghe, ma in casa non c'erano tracce di stupefacenti. Non possiamo escludere che sia stata uccisa da un maniaco, sempre che il colpevole non sia il fidanzato. E anche se fosse stato lui, era il 31 dicembre. In tutta la palazzina, Terri era l'unica persona in casa. Di fronte non c'era nessuno, tranne una donna che non ha guardato fuori dalla finestra all'ora in cui pensiamo che la vittima sia stata uccisa. È una supposizione. E questa stessa donna mi ha 224
raccontato un paio di episodi che mi hanno insospettito. Una storia stranissima a proposito di un cane. Chi mai regalerebbe a qualcuno un cucciolo malato sapendo già che è destinato a morire?» «Ted Bundy.» «E quello che penso anch'io.» «Quindi ieri sera questo tizio era in giro in macchina ed è capitato da lei per caso» disse la Bacardi. «Non saprei» ribatté Marino. «Devo farmi un'idea più chiara del quartiere. Fra poco ci torno a dare un'occhiata. Ma posso già dirti che ieri sera era praticamente deserto. New York è così. Nel weekend e nelle festività, la gente scappa più in fretta che può. Dopo tanti anni di questo mestiere, ho imparato una cosa: non esiste una formula standard. Forse il nostro uomo era fuori per buona condotta e ha avuto una ricaduta. Forse è stato Oscar Bane. Forse qualcun altro. C'è il problema dei tempi, però. I tuoi due omicidi sono successi cinque anni fa.» «Non si può mai sapere perché o quando una persona agisce come agisce. Comunque "ricaduta" mi sembra la parola adatta. Quella dei serial killer è una dipendenza, un po’ come l'alcolismo e la tossicomania.» Si sentì il risucchio del frigo che si apriva. Marino prese un'altra Sharp" s. «Magari per qualche ragione mantiene il controllo per un po'» continuò la voce cordiale della donna al telefono. «Poi basta un momento di stress, una separazione, un licenziamento, un problema economico, e parte di nuovo per la tangente.» «Un motivo qualsiasi, insomma.» 225
«Già. Le cause possono essere tante. Sto guardando quello che mi hai mandato e la prima domanda che mi viene è perché il medico legale ha lasciato il caso in sospeso. Questa dottoressa Lester non è sicura che si tratti di un omicidio?» «Non va d'accordo con il procuratore distrettuale.» «Certo che, se non è omicidio, avete un problema con il fidanzato.» «Altro che problema» replicò Marino. «Come si fa ad accusare qualcuno se l'esito dell'autopsia è incerto? La Berger ha fatto venire un'altra anatomopatologa per avere un secondo parere, la dottoressa Scarpetta.» «Stai scherzando?» Dal tono, l'agente Bacardi doveva essere un'ammiratrice di Kay. Marino si morse la lingua per averla nominata. Poi pensò che non era giusto tenere nascosto il coinvolgimento di Kay Scarpetta, perché era un fattore importantissimo. Quando arrivava lei cambiava tutto. Inoltre, se l'agente Bacardi doveva prendersela con lui, tanto valeva farla arrabbiare subito e non pensarci più. «In questo momento, non si parla d'altro che di lei in Internet. Ti informo perché tanto presto te ne accorgerai anche tu.» Dopo una lunga pausa, l'agente Bacardi replicò: «Tu sei quello che lavorava con lei a Charleston. L'hanno detto stamattina al giornale radio». Marino non aveva mai pensato che il gossip di Internet potesse essere ripreso da canali ufficiali. Per lui fu come un pugno nello stomaco. «Non hanno fatto nomi» continuò la donna in tono meno cordiale. «Hanno riferito solo che pare sia stata aggredita da un collega nel periodo in cui lavorava 226
laggiù. Un investigatore con cui aveva collaborato per tanto tempo. Hanno detto le solite idiozie, ma soprattutto hanno fatto battutine e ipotesi più o meno di cattivo gusto. Da vomitare.» «Forse, se un giorno tu e io ci troveremo faccia a faccia, ti spiegherò tutto.» Marino rimase sorpreso delle sue stesse parole. Quella storia non l'aveva mai raccontata a nessuno, a parte Nancy. Le aveva riferito tutto quello che si ricordava e lei l'aveva ascoltato con quel suo sguardo sincero che dopo un po’ gli dava sui nervi. «Non mi devi nessuna spiegazione» disse l'agente Bacardi. «Io non ti conosco, Pete, ma so che la gente spara un sacco di fesserie, e non puoi essere certo che siano vere a meno che non decida di farne la tua missione. E la mia missione non è scoprire cosa è vero e cosa no nella tua vita, giusto? A me interessa solo scoprire cos'è successo veramente alla mia vittima, al ragazzo di Greenwich e ora alla tua donna di New York. Ti mando per posta elettronica i miei file, tutto quello che ho. Per studiarteli bene, dovrai startene una settimana chiuso in una stanza con una quantità industriale di aspirina.» «Ho saputo che nel caso di Baltimora e in quello di Greenwich non è stato trovato DNA» disse Marino. «Che non c'è stata violenza sessuale.» «Il cosiddetto "incubo della scelta multipla".» «Magari ci mangiamo due polpette di granchio a Baltimora e ti racconto tutto» propose Marino. «Non saltare a conclusioni affrettate per colpa di quell'articolo. O, se vieni qui tu, che ne dici di una steak house?» L'agente Bacardi non rispose. 227
Marino rimase malissimo. Come se gli avessero dato una mazzata in testa. Quel bastardo di Gotham Gotcha l'aveva rovinato. Aveva appena conosciuto una donna simpatica che portava lo stesso nome del suo rum preferito, ed ecco che lei lo trattava come se avesse il vaiolo e sputacchiasse parlando. «Hai presente i moduli del VICAP?» chiese l'agente Bacardi. «Con le caselle da barrare, come i test a scelta multipla a scuola, dove devi scegliere fra un tot di risposte? È vero, sulle vittime non c'erano segni di violenza sessuale; ma in entrambi i casi sono state rinvenute tracce di una crema lubrificante, una specie di vaselina che è risultata priva di sperma. La mia l'aveva nella vagina, il ragazzo di Greenwich, invece, nell'ano. Conteneva un misto di DNA diversi. Nessuna corrispondenza nel CODIS. Abbiamo pensato che, avendoli trovati nudi e all'aria aperta, la vaselina o quello che era sia stata contaminata. Riesci a immaginare quanti DNA umani ci possano essere in un cassonetto? Oltre ai peli di cane e di gatto.» «Molto interessante» disse Marino. «Il DNA è un casino anche nel mio caso. La corrispondenza che abbiamo trovato è con un'anziana signora in carrozzella che ha investito un ragazzo a Palm Beach.» «Lo ha investito con la carrozzella? Andava come una pazza sulla sedia a rotelle ed è passata con il rosso? Scusa, ma qualcuno deve avere cambiato film senza dirmelo.» «Un altro particolare interessante è che i DNA dei tuoi casi ora sono nel CODIS e noi abbiamo appena fatto un controllo nel CODIS» continuò Marino mentre andava in bagno. «Mi segui?» Coprì il microfono con la mano per non far sentire che stava pisciando. 228
«Sono rimasta alla carrozzella» rispose l'agente Bacardi. «Anche noi abbiamo un miscuglio di DNA, ma diverso dai tuoi» disse quando ebbe finito. «In altre parole, voi non avete trovato il DNA della donna di Palm Beach perché il suo DNA sulle vostre vittime non c'era. Credo che dovresti venire qui, così potrai parlare anche con gli altri. Il prima possibile, magari domani mattina» aggiunse Marino. «Hai la macchina?» «Posso essere lì in poche ore.» «Sono convinto che, quando le cose sono così diverse, è perché hanno qualcosa in comune.». «Nessuno sta accusando nessuno di niente» disse Benton al telefono con Bryce, il segretario amministrativo di Kay Scarpetta. «Mi chiedevo solo cos'hai pensato quando l'hai letto la prima volta... Davvero... Ottima osservazione... Bè, sì, è interessante. Glielo riferirò.» Chiuse la comunicazione. Kay stava seguendo distrattamente la conversazione tra Bryce e Benton. Era molto più interessata alle foto di Terri Bridges nel bagno, che aveva messo in fila sulla scrivania di Benton. Mostravano un pavimento di piastrelle di un bianco immacolato e un piano di marmo, anch'esso bianco, in cui erano incassati un lavabo con la rubinetteria dorata e un po’ barocca e un mobile da toeletta con alcune boccette di profumo, una spazzola e un pettine. Appeso alla parete rosa c'era uno specchio ovale dalla cornice dorata, leggermente storto. Da quel che Kay riusciva a vedere, era l'unico oggetto in tutta la stanza che sembrasse fuori posto. 229
«Guardati i capelli» disse Benton mentre la stampante si avviava. «Che cos'hanno?» «Ora te lo faccio vedere.» Un altro primo piano del cadavere, questa volta preso da un'angolazione diversa dopo la rimozione dell'asciugamano. Le caratteristiche dell'acondroplasia erano più marcate in Terri Bridges che in Oscar Bane. La donna aveva il naso piatto e la fronte pronunciata, le gambe e le braccia lunghe la metà di quanto avrebbero dovuto essere, le dita corte e tozze. Benton si voltò, prese un foglio dalla stampante e glielo porse. «Devo proprio guardarla di nuovo?» chiese Kay. Era la foto dell'articolo di Gotham Gotcha di quel mattino. «Bryce dice di osservare bene i capelli.» «Sono coperti» replicò Kay. «Si vede solo un pezzo di frangia.» «Appunto. Fino a poco tempo fa li portavi più corti. Bryce ha mostrato la foto a Fielding, che è d'accordo con lui.» Kay si passò la mano tra i capelli e capì cosa intendevano Bryce e Fielding. Nell'ultimo anno se li era lasciati crescere di circa due dita. «Hai ragione. Bryce... Mister Igiene... me lo fa sempre notare. Sono di quella mezza lunghezza che non si riesce a coprire del tutto né a infilare completamente sotto la cuffia. Mi spunta sempre un pezzetto di frangia.» «Lui e Fielding pensano che la foto sia recente, degli ultimi sei mesi» continuò Benton. «A causa della lunghezza dei capelli, dell'orologio e della visiera, dello stesso tipo che usi adesso, sono entrambi convinti che 230
sia stata scattata dopo che hanno iniziato a lavorare con te.» «Ma è una normalissima visiera. Non come quei begli occhiali protettivi con la montatura colorata che rallegrano tanto l'ambiente.» «In ogni caso, secondo me hanno ragione» disse Benton. «Se è stata scattata a Watertown, sono anche loro nella lista dei sospetti. Non hanno idea di chi possa avermela fatta?» «È questo il punto» rispose Benton. «Può averla scattata chiunque e, come ti ho fatto notare prima, dal tuo atteggiamento e dall'espressione del viso si capisce che non ti sei accorta di niente. Una foto veloce fatta con un cellulare. Questa è la mia idea.» «Quindi, non è stato Marino» concluse Kay. «Di certo non è mai più stato a distanza così ravvicinata.» «Penso che quell'articolo in Internet a lui abbia fatto ancora meno piacere che a te, Kay. Non ha senso pensare che sia opera sua.» Kay guardò altre foto del cadavere di Terri sul pavimento del bagno e si soffermò perplessa sulla catenina d'oro intorno alla caviglia sinistra. Porse un primo piano a Benton. «Oscar ha dichiarato alla polizia di non averla mai vista» disse lui. «Poiché sembri sorpresa, ne deduco che Oscar abbia negato di saperne qualcosa, oppure che non te ne abbia parlato affatto.» «Diciamo che nonne so niente» replicò Kay. «Ma mi sembra fuori luogo indosso a lei. Per prima cosa, è troppo stretta. O la portava da molto tempo ed era ingrassata, o qualcuno gliel'aveva regalata senza 231
rendersi conto che non era della misura giusta. Comunque, non credo che se la sia comprata.» «Mi tocca fare il mio solito commento sessista. È più facile che sia un uomo a commettere un errore del genere, rispetto a una donna. Se gliel'avesse regalata un'amica, avrebbe saputo che Terri aveva le caviglie grosse.» «Oscar conosce i problemi del nanismo, ovviamente» osservò Kay. «Tiene molto al fisico. È improbabile che le abbia comprato una cavigliera della misura sbagliata, conoscendola così bene.» «Inoltre ha dichiarato di non averla mai vista.» «Se la tua donna ti concedesse di incontrarla solo una volta alla settimana, quando e dove vuole lei, tu cosa penseresti?» chiese Kay. «Che ha un altro» rispose Benton. «E ora dimmi: se ti faccio delle domande riguardo alla cavigliera, cosa ne deduci?» «Che Oscar non te ne ha parlato.» «Ho il sospetto che Oscar tema fortemente che Terri avesse un altro. Ma affrontare il problema per lui sarebbe insopportabile. Per quanto sia rimasto scioccato quando l'ha trovata morta, ammesso che sia andata così, avrebbe dovuto notare la cavigliera. Il fatto che non l'abbia nemmeno nominata è più compromettente che se ne avesse parlato subito, secondo me.» «Oscar teme che gliel'abbia regalata qualcuno» continuò Benton. «È importante capire se Terri avesse davvero una storia con un altro, perché potrebbe essere lui l'omicida.» «È possibile.» 232
«Oppure potrebbe averla uccisa Oscar perché aveva scoperto che lo tradiva» aggiunse Benton. «Hai motivo di pensare che Terri lo tradisse?» «Immagino che nemmeno tu conosca la risposta. Ma se lei aveva davvero un altro, che le aveva regalato la cavigliera, perché se la sarebbe messa proprio quando stava per arrivare Oscar?» «Bè, poteva sempre dirgli che l'aveva comprata lei. Quello che non capisco è perché la indossava nonostante non fosse della sua misura.» Kay osservò un'altra foto, i vestiti ammucchiati alla rinfusa nella vasca da bagno: un paio di pantofole rosa, una vestaglia dello stesso colore con le maniche squarciate dal collo fino ai polsi, un reggiseno rosso di pizzo con il gancio sul davanti e le spalline tagliate. Si chinò sulla scrivania e la porse a Benton. «È probabile che avesse già i polsi legati dietro la schiena quando l'assassino le ha tolto vestaglia e reggiseno» disse. «Questo spiegherebbe le spalline tagliate e lo squarcio sulle maniche.» «E che sia stata immobilizzata subito dal suo aggressore» aggiunse Benton. «È stato un attacco a sorpresa: l'ha colta alla sprovvista. Potrebbe essere accaduto appena dopo l'apertura della porta oppure quando l'assassino era già in casa, ma in ogni caso deve averla prima immobilizzata e poi spogliata.» «Se il suo scopo era violentarla, non aveva bisogno di tagliarle i vestiti: gli sarebbe bastato slacciarle la vestaglia.» «Voleva terrorizzarla, dominarla totalmente. Rientra nel quadro di un omicidio sadico a sfondo sessuale. Questo non esclude che sia opera di Oscar, ma non vuol dire nemmeno che è stato lui.» 233
«E come si spiega l'assenza degli slip? A meno che si siano dimenticati di citarli nel rapporto. È piuttosto insolito che sotto la vestaglia indossasse il reggiseno e non gli slip. Immagino che controlleranno le forbici per vedere se sono state usate per tagliare gli indumenti. Ed eventuali fibre sugli abiti di Oscar? Mi aspetterei che dal corpo di Terri e dall'asciugamano parte delle fibre si siano trasferite anche su di lui, quando l'ha presa fra le braccia in bagno.» Kay trovò alcune foto delle forbici da cucina sul pavimento vicino al gabinetto. Poco più in là c'erano anche le manette di plastica, le fascette zigrinate con cui le erano stati legati i polsi, tagliate. C'era qualcosa che non la convinceva. Capì di cosa si trattava e lo mostrò a Benton. «Noti qualcosa di insolito?» «Quando lavoravo per l" FBI, usavamo manette di metallo, non di plastica. E ai pazienti non le mettiamo.» Era il suo modo per ammettere di non essere un esperto in materia. «Queste sono quasi trasparenti» osservò Kay. «Tutte quelle che ho visto finora erano nere, gialle o bianche.» «Solo perché non le hai mai viste...» «Certo. Non significa niente.» «Forse ne esistono tipi nuovi, di produttori diversi. Non dimenticare che siamo in guerra. Fanno parte della dotazione della polizia e delle forze armate: le portano al cinturone, e a bordo dei loro mezzi ce ne sono a decine. Sono più pratiche da usare. E, come la maggior parte delle cose al giorno d'oggi, è facile acquistarle in Internet.» «Ma sono difficilissime da togliere» gli fece notare Kay. «È di questo che volevo parlarti. Non si riesce a 234
tagliarle con un paio di forbici da cucina. Bisogna usare cesoie o utensili multiuso, come uno Scarab.» «Perché Morales non ne ha fatto cenno?» «Forse non ha mai provato a tagliarle con le forbici» rispose Kay. «Non credo che a un poliziotto capiti spesso di doverlo fare. La prima volta che mi è arrivato un cadavere con le manette di plastica, ho dovuto usare un tagliaossa per levargliele. Ora tengo uno Scarab a portata di mano in obitorio. Omicidi, suicidi, decessi in prigione... Che siano ai polsi, alle caviglie o al collo, una volta tirata la linguetta zigrinata non le togli più. Perciò, o le forbici da cucina sono state lasciate lì apposta per farci credere che sono servite a tagliare le manette, quando invece è stato usato qualcos'altro, oppure quelle fascette non sono normali manette di plastica. La polizia ne ha trovate altre in casa?» Benton la scrutava attento con i suoi occhi nocciola. «Sei informata quanto me» le disse. «Sai quello che risulta dal rapporto di polizia e dall'inventario delle prove. È chiaro che, se Morales non è il peggiore poliziotto della terra, se ci fossero state altre manette di plastica sarebbero state prelevate e registrate. Quindi credo che la risposta sia no. E questo ci riporta alla premeditazione. L'assassino si è portato le manette e forse le ha usate anche per strangolarla. Chissà.» «Continuiamo pure a parlare dell'assassino al maschile, ma non dimentichiamoci che Terri Bridges era molto piccola e potrebbe essere stata aggredita da una donna. O da un adolescente» ribatté Kay. «Un delitto insolito, se è opera di una donna. Ma spiegherebbe perché Terri abbia aperto la porta senza 235
timore. Sempre che Oscar non abbia organizzato una messinscena per farlo sembrare un omicidio a sfondo sessuale, quando invece si è trattato di qualcos'altro.» «L'arma del delitto, l'oggetto con cui è stata strangolata» osservò Kay «non mi sembra faccia parte di una messinscena. Ho la sensazione che l'assassino l'abbia portato via per qualche ragione.» «Magari come souvenir» aggiunse Benton. «L'arma del delitto e un indumento intimo, gli slip. Un modo per rivivere una fantasia violenta dopo avere commesso il crimine. Riavvolge il nastro e rivede ciò che ha fatto perché questo gli da gratificazione sessuale. È un genere di comportamento raramente associato agli omicidi tra le mura domestiche. Il souvenir di solito è tipico del predatore sessuale che oggettualizza la sua vittima, che uccide una persona sconosciuta o quasi. Non di un fidanzato o di un amante. Sempre che escludiamo la messinscena» insistette Benton. «Oscar è molto intelligente. È un calcolatore ed è veloce.» Abbastanza da tornare alla macchina per posare la giacca, in modo da rendere più credibile la sua versione dei fatti: l'aggressione subita appena varcata la soglia, la maglietta strappata, i graffi. Ma, sempre che fosse vero, quando l'aveva fatto? Kay pensò che Oscar doveva essere tornato all'auto dopo essersi graffiato e colpito con la torcia, perché si era reso conto di non poter sostenere di avere riportato quelle ferite se indossava la giacca. «Souvenir, dunque...» rifletté Kay. «Forse l'assassino ha lasciato un souvenir, oltre a portare via qualcosa. Supponiamo che abbia messo lui la cavigliera a Terri dopo averla uccisa. Come il killer di 236
cui ti sei occupato alcuni anni fa in California, quello che uccise quattro studentesse e mise a ciascuna un anello d'argento all'anulare. Ma dal punto di vista simbolico un anello è completamente diverso da una cavigliera.» «L'anello rappresenta la volontà di possesso, come a dire: "Con questo anello ti faccio mia"» spiegò Benton. «La cavigliera la volontà di controllo: "Ti metto una catena, così sarai la mia schiava".» In altre foto si vedeva una tavola apparecchiata per due: candele, calici, tovaglioli di lino con portatovagliolo azzurro, piatti, piattini per il pane, insalatiera. Al centro della tavola una composizione floreale. Si notava una grande attenzione per i dettagli: tutto appariva perfettamente intonato, in ordine, ma gelido e poco creativo. «Era una perfezionista» commentò Kay. «Ma per Oscar dava il meglio di sé. Credo che tenesse molto a lui. C'era della musica quando è arrivata la polizia?» «Nel rapporto non è specificato.» «Il televisore era acceso? In soggiorno ce n'è uno, ma nella foto sembra spento. Qualche indizio di cosa Terri stesse facendo prima che suonassero alla porta? A un certo punto deve avere cucinato.» «Quello che vedi nelle foto ed è scritto nel rapporto è tutto ciò che sappiamo.» Fece una pausa. «Perché tu sei l'unica con cui Oscar è stato disposto a parlare.» Kay lesse il rapporto ad alta voce: «"Forno a novanta gradi, con dentro un pollo intero, già cotto. Lo stava tenendo in caldo. Spinaci freschi in una pentola, ancora da cuocere. Fornelli spenti"». Un'altra foto: una torcia nera sul pavimento accanto alla porta d'ingresso. 237
Un'altra foto: vestiti stesi ordinatamente sul letto. Una maglia rossa, scollata, apparentemente di cachemire. Pantaloni rossi, apparentemente di seta. Scarpe? No. E nemmeno mutande. Un'altra foto: niente trucco sul viso congestionato di Terri. Kay ricostruì la scena: Terri aveva intenzione di vestirsi in modo provocante: aveva scelto un colore sgargiante e tessuti morbidi al tatto. Indossava un reggiseno sexy, una vestaglia e pantofole un po’ meno sexy, forse perché aveva deciso di finire di prepararsi e truccarsi più tardi, appena prima dell'arrivo di Oscar. Ma dov'erano le scarpe? Forse in casa se le toglieva. Dov'erano gli slip? Forse Terri era una di quelle donne che non li portano. Ma a Kay pareva in contraddizione con quello che le aveva raccontato Oscar sull'ossessione di Terri per la pulizia, sul terrore dei "germi". «Sappiamo se per abitudine non portava le mutande?» chiese a Benton. «Non ne ho idea.» «E le scarpe dove sono? Aveva scelto con cura i vestiti, ma non le scarpe? Ci sono tre possibilità: non le aveva ancora scelte, le ha portate via il killer, Terri in casa non le metteva. Però lo trovo curioso e poco credibile. Un'ossessivo-compulsiva che ha la fissazione della pulizia e dell'ordine difficilmente va in giro scalza. E difatti oltre alla vestaglia indossava le pantofole. Inoltre è molto improbabile che chi soffre di disturbo ossessivo-compulsivo non porti le mutande.» «Non sapevo che fosse ossessivo-compulsiva» disse Benton. 238
Kay capì di essersi lasciata sfuggire qualcosa che non avrebbe dovuto. Benton glielo fece notare. «Oscar non ha mai parlato di Terri durante la valutazione, come ben sai. E io non ho notato nulla da cui potessi dedurre che era ossessivo-compulsiva o comunque esageratamente attenta alla pulizia e all'ordine. A parte quello che mostrano le foto. Sì, si vede che era ordinata e ben organizzata. Ne abbiamo anche parlato, ma non immaginavo che soffrisse di disturbo ossessivocompulsivo. Quindi, se escludiamo che girasse scalza e senza mutande, dobbiamo considerare l'eventualità che il killer abbia portato via qualche souvenir. E questo allontana i sospetti da Oscar. Che abbia lasciato la scena del delitto dopo avere prelevato alcuni oggetti per poi tornarci di corsa prima dell'arrivo della polizia mi sembra un'ipotesi un po’ strampalata.» «Sono d'accordo.» «Tu non credi sia stato Oscar, vero?» le chiese. «Penso che la polizia farebbe meglio a non presumere che a uccidere Terri sia stato "un nano squilibrato ora rinchiuso nel reparto detentivo". Ecco che cosa penso» affermò Kay. «Oscar non è uno squilibrato. Non ha alcun disturbo della personalità. Non è sociopatico, non è narcisista, non è borderline. Dalla SCID risulta un'inclinazione alla collera e alla fuga dalla realtà, e qualcosa deve avere scatenato una certa paranoia e rinforzato la sua convinzione di doversi allontanare dagli altri. Insomma, è terrorizzato e non sa di chi fidarsi.» Kay ripensò al CD che Oscar sosteneva di avere nascosto nella sua libreria. 239
A Murray Hill, Marino camminava lungo una strada alberata e buia cercando di immedesimarsi in un predatore. La casa di Terri Bridges era situata fra un parco giochi e un ambulatorio medico, che la sera del 31 dicembre erano entrambi chiusi. Di fronte, ai lati dell'edificio a due piani in cui abitava la strana vicina della vittima, c'erano un bistrot francese e un panificio, anch'essi chiusi la sera prima. Marino aveva controllato, aveva fatto ricerche accurate ed era arrivato alla stessa conclusione di Morales: quando Terri aveva aperto la porta all'assassino, in giro non c'era nessuno che potesse avere visto qualcosa. E se anche un passante avesse notato un individuo avvicinarsi al portone e suonare il campanello, o aprire con la chiave, non vi avrebbe dato peso. Marino, comunque, era quasi sicuro che l'assassino fosse rimasto nascosto ad aspettare finché non era stato certo di essere solo. Questo gli fece tornare in mente Oscar Bane, Se la sera prima si fosse recato lì con l'intenzione di uccidere Terri, non si sarebbe preoccupato di essere visto. Era il suo fidanzato e stava andando a cena da lei, o almeno questo avrebbero pensato tutti. E parcheggiare la Jeep Cherokee davanti al portone sarebbe stata una mossa furba, il gesto più normale per uno che non avesse cattive intenzioni. Dopo la conversazione con l'agente Bacardi, Marino non aveva più dubbi sulla natura di quel delitto. Era esattamente quello che sembrava: un omicidio premeditato, con un movente sessuale, commesso da un killer che usa lacci, manette, crema lubrificante e una cavigliera d'oro da dieci carati. 240
O Bane era innocente, oppure, nel caso fosse colpevole, condannarlo sarebbe stato molto difficile, perché aveva tutte le ragioni per presentarsi a casa di Terri nel tardo pomeriggio del 31 dicembre. Era chiaro che lei lo stava aspettando per cena. Era chiaro che voleva passare una serata romantica con lui. La scena del crimine, fino a quel momento, non aveva fornito praticamente nessun indizio utile, perché le tracce della presenza di Bane erano giustificabili dappertutto, anche sul corpo di Terri. Il delitto perfetto? Forse, ma c'era una stranezza: il fatto che Bane, già un mese prima della morte della donna, sostenesse che lo spiavano, che gli stavano facendo il lavaggio del cervello, che gli volevano rubare l'identità. Marino ripensò ai deliri di Bane al telefono. A meno che non fosse psicotico, se aveva già commesso altri due omicidi, per quale motivo avrebbe dovuto attirare su di sé l'attenzione in quel modo? Preoccupato, cominciò a rimuginare. Se lui, quando Bane aveva chiamato, lo avesse ascoltato con più attenzione, magari incoraggiandolo a presentarsi in procura e a parlare con Jaime Berger, sarebbe cambiato qualcosa? Se gli avesse almeno concesso il beneficio del dubbio, a quell'ora si sarebbe trovato lo stesso a camminare su quel marciapiede in una sera fredda e ventosa? Gli si stavano gelando le orecchie e gli lacrimavano gli occhi, ed era furioso con se stesso per avere bevuto troppe Sharp" s. Quando arrivò in vista della casa di Terri, notò che le luci erano accese, le tende tirate e davanti all'edificio era parcheggiata una macchina della polizia. Pensò all'agente di guardia, costretto a rimanere nell'appartamento finché la Berger non 241
avesse deciso di dissequestrarlo. Pensò a quanto doveva annoiarsi quel povero cristo. Marino avrebbe dato qualsiasi cosa per usare il bagno, ma sulla scena di un delitto non si può toccare niente. Al momento, l'unico gabinetto pubblico a disposizione era la strada. Cercò un posto adatto, avvicinandosi alla casa di Terri. Le due lampade ai lati del portone erano accese, e lui ricordò che, secondo il rapporto di Morales, la sera prima, quando era arrivata la polizia poco dopo le sei, erano spente. Ripensò a Oscar Bane. Anche se qualcuno lo avesse visto e riconosciuto, non aveva importanza: era il fidanzato di Terri, aveva le chiavi del portone e lei lo stava aspettando. Ma allora perché le luci esterne erano spente? Alle cinque, quando Bane diceva di essere arrivato, era completamente buio. Forse le lampade al suo arrivo erano accese e Bane, per qualche ragione, le aveva spente dopo essere entrato. Marino si fermò a mezzo isolato di distanza a guardare il portone sulla Ventinovesima Est. Si mise nei panni dell'assassino, cercando di immaginare che cosa gli fosse passato per la testa quando si era avvicinato alla casa di Terri. Cosa aveva visto? Cosa aveva provato? Il giorno prima era stato freddo e umido, con molto vento, che aveva raggiunto anche i cinquanta chilometri orari rendendo difficile perfino camminare per strada, più o meno come in quel momento. Alle tre e mezzo il sole era già sceso dietro i palazzi e gli alberi, perciò il portone doveva trovarsi in ombra. Ma era improbabile che le due lampade esterne fossero già accese, che avessero o no un timer. A 242
metà pomeriggio chi era in casa aveva sicuramente le luci accese e un malintenzionato avrebbe potuto localizzare facilmente la sua preda. Marino corse verso il parco giochi. Mentre si liberava la vescica davanti al cancello, notò una sagoma scura sul tetto piatto della casa di Terri, accanto alla parabola satellitare. Poi la vide muoversi. Si tirò su la cerniera dei pantaloni, infilò la mano nella tasca della giacca per prendere la pistola e si avvicinò cauto al lato ovest dell'edificio. La scala antincendio era stretta, verticale e troppo piccola per i piedi e le mani di Marino. Se si fosse staccata dal muro, lui sarebbe precipitato a terra. Con il cuore che batteva forte, tutto sudato sotto la giacca Harley, salì un piolo per volta, stringendo la Glock calibro 40, con le ginocchia che gli tremavano. Non aveva mai sofferto di vertigini prima di andarsene da Charleston. Benton gli aveva detto che erano una conseguenza della depressione e dell'ansia. Gli aveva consigliato una nuova cura, la Dcicloserina: un antibiotico che aveva funzionato con le cavie in un progetto di ricerca nell'ambito delle neuroscienze. La sua terapeuta lo aveva invece definito "un conflitto inconscio" di cui non sarebbe mai riuscito a determinare la natura se non avesse smesso definitivamente di bere. Marino non aveva dubbi sulla vera causa delle vertigini: la colpa era di quella maledetta scala attaccata al muro. Si arrampicò sul tetto della palazzina ed ebbe un tuffo al cuore e un moto di sorpresa quando si ritrovò una pistola puntata in mezzo agli occhi. L'uomo che la impugnava era 243
sdraiato in posizione da cecchino. Per un attimo, nessuno dei due si mosse. Poi Mike Morales mise via la pistola e si tirò su borbottando furioso: «Idiota! Cosa cazzo fai?». «Cosa cazzo fai tu?» ribatté Marino. «Ho pensato che fossi il serial killer!» Strisciando sul sedere, si allontanò dal bordo del tetto. «Ringrazia che non ti ho sparato in testa» aggiunse. Si infilò la Glock nella tasca della giacca. «Te l'ho già detto» lo ammonì Morales. «Non puoi andartene in giro senza dirmi cosa cazzo combini, altrimenti ti faccio licenziare. Tanto la Berger prima o poi ti caccia comunque.» Al buio, Marino non riusciva quasi a distinguere la faccia di Morales, che indossava vestiti scuri e informi; sembrava un barbone o un pusher. «Non so come farò a scendere da qui» ammise. «Quanti anni avrà questa scala? A dir poco cento. La gente a quei tempi pesava la metà di adesso.» «Che ti prende? Cosa vuoi dimostrare? Guarda che comportandoti così dimostri che sei buono solo per fare la guardia giurata in qualche centro commerciale.» Sul tetto di cemento c'erano la parabola satellitare e l'impianto di riscaldamento e condizionamento. Nell'edificio di fronte, che Marino aveva visitato quel pomeriggio, le uniche finestre illuminate erano quelle del primo piano, ma le tende erano tirate. In quello sul retro diverse persone si trovavano a casa, e due di loro parevano convinte che nessuno le guardasse. Un signore anziano scriveva al computer, ignaro di essere osservato. Al piano di sotto, una donna con un 244
pigiama verde era seduta sul divano in soggiorno e gesticolava parlando al telefono. Morales continuava a inveire, accusando Marino di avere rovinato tutto. «L'unica cosa che ho rovinato è la tua carriera di guardone» replicò lui rabbioso. «Non ho bisogno di spiare per vedere quello che voglio, quando voglio» ribatté Morales. «Non dico che non guarderei, se ci fosse qualcosa di interessante.» Indicò la parabola, inclinata di circa sessanta gradi e rivolta verso sud, dove nel cielo buio brillava un satellite che Marino non riusciva neppure a immaginare. «Ho appena montato una videocamera senza fili» lo informò Moras. «Nel caso Oscar Bane si facesse vivo. Magari vuole rivedere la casa della sua bella. Si sa che agli assassini piace tornare sul luogo del delitto. Oh, potrebbe arrivare anche qualcun altro: non escludo niente. Mica è detto che sia stato Bane. Però io ci scommetterei. Come scommetterei che ha fatto fuori anche gli altri due.» Marino non aveva voglia di parlargli della sua conversazione con l'agente Bacardi. Anche se non fosse stato in cima a un tetto, e per nulla contento di esserci, non ne avrebbe avuto voglia comunque. «L'agente di guardia all'appartamento sa che sei quassù?» chiese. «Manco per il cazzo. E se apri bocca ti butto di sotto. Il modo migliore per rovinare un appostamento è dirlo agli altri poliziotti. Compreso te.» «Hai notato che ha parcheggiato la macchina in bella vista di fronte al portone? Sembra un cartellone pubblicitario del dipartimento di polizia di New York. 245
Forse dovresti fargliela spostare, se speri che l'assassino torni a curiosare.» «La sposterà. È stata una cazzata parcheggiarla lì.» «Sì, però di solito il problema più grosso sono i curiosi e i giornalisti che vengono a ficcare il naso, e se sposti la macchina sparisce il deterrente. Fai come preferisci. Hai idea del perché ieri sera le luci esterne fossero spente?» domandò Marino. «So solo che lo erano. È scritto nel mio rapporto.» «Ora sono accese.» Furono investiti da una raffica di vento gelido e Marino ebbe la sensazione che lo avrebbe portato via. Aveva le mani ghiacciate e si tirò giù le maniche per coprirle. «Le avrà spente l'assassino» osservò Morales. «Mi sembra strano, visto che era già nell'edificio.» «Forse le ha spente quando se n'è andato, perché non lo vedessero uscire. Nel caso passasse qualcuno a piedi o in macchina.» «Quindi non pensi che sia stato Oscar, dato che lui non se n'è andato.» «Non sappiamo cos'ha fatto. Magari è entrato e uscito più di una volta per buttare via qualcosa. Per esempio l'oggetto che ha usato per strangolarla. Dove hai lasciato la macchina?» chiese Morales. «Un paio di traverse più in là» rispose Marino. «Non mi ha visto nessuno.» «Già, sei furbo come una volpe, tu. Sembravi un gatto di centocinquanta chili, quando salivi la scala. Peccato che non sei arrivato prima. La vedi quella là al telefono?» Indicò l'appartamento dove la donna con il pigiama verde era sempre sul divano e continuava a 246
parlare e a gesticolare. «Incredibile quanta gente non chiuda le tende» commentò. «Dev'essere la vera ragione per cui sei qui» replicò Marino. «La vedi la finestra a sinistra? Ora le luci sono spente, ma mezz'ora fa era illuminata a giorno, e lei era lì.» Marino guardò la finestra buia come se da un momento all'altro dovesse illuminarsi di nuovo e mostrargli quello che si era perso. «È uscita dalla doccia e si è levata l'asciugamano. Gran belle tette. Davvero» disse Morales. «Ancora un po’ e cadevo giù. Dio, quanto mi piace fare questo mestiere.» Marino avrebbe rinunciato volentieri a vedere cinquanta donne nude, pur di risparmiarsi la discesa da quella maledetta scala. Morales si alzò in piedi, a suo agio come un piccione, mentre Marino si avvicinava pian piano al bordo del tetto, con il cuore che ricominciava a battergli forte, e si chiedeva cosa gli fosse successo. Tutti quegli anni in giro con Lucy, in elicottero, in aereo... Una volta adorava gli ascensori di vetro e i ponti sospesi, mentre adesso odiava persino salire su una scaletta per cambiare una lampadina. Osservò il collega che andava verso la parabola ed ebbe una strana sensazione. Morales aveva frequentato università prestigiose. Era medico, o comunque avrebbe potuto esserlo se solo avesse voluto. Era anche abbastanza bello, nonostante andasse in giro conciato come un teppista o un gangster. Ma quell'uomo era una contraddizione vivente: non aveva senso che si fosse arrampicato fin 247
lassù per installare una videocamera, con un poliziotto piazzato lì sotto a piantonare la scena del delitto. Senza dire niente a nessuno, poi. E se l'agente di guardia lo avesse sentito? Poi Marino si ricordò che la vicina di Terri aveva parlato di un accesso al tetto e aveva detto di avere visto alcuni tecnici armeggiare vicino alla parabola. Forse Morales non era salito dalla scala antincendio, ma da un'altra parte - più agevole - ed era così stronzo da tenerglielo nascosto. I pioli di metallo erano così freddi che, mentre vi si aggrappava per scendere, gli facevano male le mani. Non si rese conto di essere arrivato finché non sentì la terra sotto i piedi. Si appoggiò al muro un momento per calmarsi e riprendere fiato, poi andò verso il portone e alzò la testa per vedere se Morales lo stesse guardando. Non lo vide. Accese la piccola torcia elettrica attaccata al portachiavi e la puntò sulle due lampade ai lati dell'entrata, fra l'edera. Esaminò gli scalini di mattoni, il portone, e fece correre il fascio di luce sui cespugli e i bidoni della spazzatura. Chiamò la centrale per chiedere che si mettessero in contatto con l'agente di guardia in casa di Terri Bridges. Un minuto dopo l'uomo gli aprì. Non era lo stesso che lo aveva fatto entrare quella mattina. «Ti diverti?» gli chiese Marino seguendolo nell'atrio. «Inizia a puzzare» rispose il collega, che non dimostrava più di sedici anni. «Non mangerò mai più pollo in vita mia.» Marino trovò due interruttori sulla sinistra della porta d'entrata. Li provò. Uno era per le luci esterne, 248
l'altro per l'atrio. «Sai se le luci sono regolate da un timer?» «No, non c'è nessun timer.» «Allora come hanno fatto ad accendersi stasera?» «Le ho accese io quando sono arrivato, circa due ore fa. Perché? Vuoi che le spenga?» Marino guardò le scale buie di legno che salivano al primo piano. «No, lascia perdere. Sei salito di sopra? Pare che gli altri condomini non siano ancora rientrati.» «Non sono andato da nessuna parte. Sono rimasto fermo qui.» Indicò la porta dell'appartamento, che aveva lasciato accostata. «Nel palazzo non è entrato nessuno. Se abitassi qua, non avrei tanta fretta di tornare, specie se fossi una donna che vive sola.» «Non ci sono altre donne sole» lo informò Marino. «L'unica abitava nell'appartamento che stai piantonando.» Indicò la porta dall'altro lato dell'atrio. «Lì ci stanno due ragazzi, entrambi baristi. Probabilmente la sera non ci sono mai. Al primo piano, sopra Terri Bridges vive uno che frequenta l" Hunter College e si mantiene facendo il dogsitter. Nell'appartamento di fronte abita un italiano dipendente di una società finanziaria inglese intestataria del contratto di affitto. Quasi sicuramente non c'è mai.» «Qualcuno ha parlato con loro?» «Io no, ma ho fatto una piccola ricerca su ognuno e non ho scoperto niente di interessante. Parlando con i genitori di Terri, ho avuto l'impressione che non fosse una ragazza molto estroversa. Non conosceva gli altri condomini e non gliene fregava nulla. Probabilmente non gli rivolgeva manco la parola. Questo non è il Sud: 249
qui la gente non porta torte ai vicini per poter andare a ficcare il naso negli affari loro. Senti, vado a dare un'occhiata in giro.» «Stai attento, perché sul tetto c'è l'investigatore Morales.» Marino si fermò sul primo scalino. «Che cosa?» «Sì, è salito un'ora fa.» «Ti ha spiegato il motivo?» «Non gliel'ho chiesto.» «Ti ha mica detto di spostare la macchina?» «Perché?» «Domandaglielo» rispose Marino. «È lui il formidabile investigatore con le formidabili idee.» Salì la scala. Al primo piano, sul soffitto fra i due appartamenti, c'era una botola d'acciaio con una maniglia a T. Sotto, una scaletta di alluminio munita di gradini antiscivolo e ringhiera di sicurezza, oltre a una cassetta degli attrezzi con alcuni cacciaviti. Lì accanto, un ripostiglio con la porta spalancata. «Figlio di puttana» mormorò Marino. Pensò a Morales che se la rideva sentendolo arrancare faticosamente sulla scala antincendio, quando poteva benissimo dirgli che c'era un accesso diretto al tetto. Marino avrebbe potuto scendere cinque gradini robusti, all'interno di una palazzina illuminata, invece di farne trenta al buio e al freddo. Chiuse la scala e la mise nel ripostiglio. Era quasi arrivato alla macchina, quando gli squillò il cellulare. Sul display apparve la scritta NUMERO PRIVATO. Era di certo Morales, incazzato nero. «Pronto» rispose in tono allegro. «Marino?» disse Jaime Berger. «Sto cercando di rintracciare Morales.» 250
Si sentiva un forte rumore di traffico in sottofondo. Marino capì che era irritata. «L'ho visto poco fa. In questo momento non è raggiungibile.» «Se riesci a parlargli, digli che gli ho lasciato tre messaggi. E che non ho intenzione di lasciargliene un quarto. Forse puoi darmi una mano tu. Finora ci sono diciotto password.» «Tutte sue?» Si riferiva a Terri Bridges. «Tutte con lo stesso provider di posta elettronica, ma con username diversi. Non capisco perché. Il suo fidanzato ne ha una sola. Sto scendendo dal taxi.» Marino udì il tassista che chiedeva qualcosa e Jaime Berger che rispondeva, poi sentì chiudersi la portiera e finalmente la voce si fece più chiara. «Dammi un secondo» le disse. «Lasciami arrivare alla macchina.» L'Impala blu, senza contrassegni, era poco più avanti. «Dove sei e cosa stai facendo?» s'informò la Berger. «È una storia lunga. Morales ti ha accennato ai casi di Baltimora e di Greenwich, nel Connecticut?» «Ti ho appena detto che non riesco a parlargli...» Marino aprì la portiera e salì. Accese il motore e aprì il vano portaoggetti alla ricerca di una penna e di qualcosa su cui scrivere. «Ti mando una cosa via email. Credo di potercela fare con il BlackBerry. Benton dovrebbe vederla.» Silenzio. «Se non ti dispiace, vorrei che l'avesse anche lui.» «Certo» replicò Jaime Berger. «Non ti offendere se te lo dico, ma ci parliamo troppo poco, tutti quanti. Vuoi un esempio? Sai se ieri sera i poliziotti hanno controllato la palazzina di Terri 251
Bridges? E magari anche l'accesso al tetto e la scala nel ripostiglio?» «Non ne ho idea.» «Ecco, appunto. Sul rapporto non c'è scritto. Non ci sono foto» disse Marino. «Interessante.» «Il tetto potrebbe essere un facile passaggio per entrare e uscire senza farsi vedere. C'è una scala antincendio sul lato ovest della casa e, come ho detto, da lì non ti vede nessuno.» «Morales dovrebbe saperti rispondere.» «Non ti preoccupare. Sono sicuro che prima o poi il discorso verrà fuori. Un'altra cosa: bisogna che controlliamo subito se il DNA di Oscar Bane è nel database del CODIS. Per via dei casi di Baltimora e di Greenwich. Hai ricevuto le mie email?» «Dovremmo esserci quasi. I risultati arriveranno stasera. Sì, ho ricevuto le tue email» rispose Jaime. «Gentile da parte di Morales non avvertirmi degli altri due casi.» «Significa che il DNA di Oscar Bane è nel CODIS o ci sarà molto presto» replicò Marino. «Sono certo che Morales aveva intenzione di dirtelo.» «Sì, ne sono certa anch'io» convenne lei. «Parlerò del DNA all'agente di Baltimora con cui sono in contatto. Non credo che sarà risolutivo per gli altri due casi. C'è qualcosa che non mi quadra: secondo me, Oscar Bane non c'entra niente con quei due omicidi. E nemmeno con quello della sua ragazza.» Marino sapeva quando Jaime Berger lo prendeva sul serio. Non lo interruppe né cambiò discorso, e lui continuò a parlare perché lei gli prestava ascolto. 252
Stavano entrambi molto attenti a quel che dicevano, essendo al cellulare. «Degli altri due casi su cui ti ho mandato informazioni non ti ho scritto Un particolare che ho appena appreso al telefono» spiegò Marino. «Il DNA era contaminato. C'era un miscuglio di DNA di persone diverse.» «Come qui?» «Non sarò troppo specifico per ragioni di sicurezza» replicò Marino. «Ma vorrei che mandassi un messaggio a Benton. So che è a New York. Morales mi ha avvertito che più tardi andrà con lui all'obitorio. Certo, possiamo sperare di non incontrarci. Ma metto le mani avanti e lo dico subito: non ha senso continuare a menare il can per l'aia.» «Benton non è ancora andato all'obitorio. La dottoressa Lester è in ritardo.» «È ritardata, vorrai dire» scherzò Marino. Jaime Berger rise. «Saranno tutti là nel giro di un'ora» aggiunse poi in un tono completamente diverso. Era come se lo trovasse interessante, simpatico. Come se non lo odiasse affatto. «Benton e Kay» specificò. Voleva che Marino lo sapesse. Era il suo modo per fargli capire che non era sua nemica. Anzi, si fidava di lui e lo rispettava. «Potrebbe essere utile, se ci vedessimo tutti quanti per discutere del caso» propose Marino. «Ho chiesto all'agente di Baltimora di venire a New York. Dovrebbe arrivare domattina. Può raggiungerci quando vogliamo.» 253
«Ottimo» commentò Jaime. «Adesso, però, vorrei le password e gli archivi degli account associati ai vari username che ti dirò. Ho già inviato un fax al provider con l'ordine di congelarli in modo che rimangano attivi. Un'altra cosa: se qualcuno chiede queste informazioni, non gliele dare. Nessuno deve saperne niente, sia ben chiaro, neppure la Casa Bianca. Mi trovi sul cellulare.» Si riferiva a Oscar Bane. A Marino non venivano in mente altri che potessero essere a conoscenza degli username e dei provider suoi e della Bridges. Senza quelli, non si poteva arrivare alle password. La luce nell'abitacolo era spenta e lui non l'accese. Era abituato così: per scrivere le informazioni che Jaime gli stava comunicando usò la torcia elettrica. «Bane si trova ancora al Bellevue?» le chiese. «Questo è chiaramente un problema.» Il tono non era professionale come al solito. Sembrava quasi affettuoso, forse con una punta di curiosità. Come se fino allora non avesse dato molta importanza a Marino, ma adesso lo guardasse con occhi diversi. «Non credo che ci rimarrà a lungo» aggiunse. «E ci sono stati altri sviluppi. Sarò alla Connextions, una società di investigazioni informatiche che credo tu conosca. Ti lascio anche questo numero.» Glielo diede. «Cercherò di battere sul tempo Lucy e di risponderti io» aggiunse la Berger. Jet Ranger era quasi sordo, zoppicava e aveva grossi problemi a fare i suoi bisogni. Il vecchio bulldog di Lucy non era newyorkese. Il disprezzo che dimostrava per il cemento e l'asfalto costituiva un bel problema in una città di gente senza cuore, che usava spargere peperoncino 254
nelle poche chiazze erbose intorno agli alberi. La prima volta che Jet Ranger l'aveva sniffato mentre cercava il posto adatto per fare i suoi bisogni, Lucy aveva capito subito che il colpevole era il proprietario della vicina calzoleria e aveva risolto rapidamente la questione, senza tanti discorsi o spiegazioni. Era entrata nel negozio il mattino dopo di buon'ora e aveva sparso ovunque mezzo chilo di peperoncino. Nel caso in cui il calzolaio non avesse recepito il messaggio, prima di andarsene Lucy ne aveva buttato una dose generosa anche nel retrobottega, che puzzava di urina. Inoltre, lo aveva denunciato all'Ente protezione animali con una lettera anonima. Dopo avere portato a passeggiare Jet Ranger, lento e artritico, che aveva impiegato una buona mezz'ora per trovare un posto di suo gradimento, Lucy era in ritardo. Quando arrivò davanti a casa, con in mano il sacchetto contenente la cacca del cane, vide alla luce tremula dei lampioni la silhouette di Jaime Berger che si stagliava contro il muro di mattoni e la vecchia ringhiera di ferro. La stava aspettando ai piedi dei tre scalini che conducevano al pesante portone di legno dell'edificio in cui abitava Lucy. «Ne vendono anche di colorati» disse Jaime guardando il sacchetto, con il viso in ombra. «Non trasparenti.» Lucy gettò gli escrementi di Jet Ranger in un cestino dell'immondizia e replicò: «Spero che non sia da tanto che aspetti. Jet Ranger non è un cane di città. In passato doveva avere a disposizione un vero giardino con lo steccato bianco. L'ho chiamato come il mio primo elicottero. Jet Ranger, ti presento Jaime. Non sa 255
fare niente, tipo darti la zampa o il cinque. È un sempliciotto. Vero, bello?». La Berger si accucciò ad accarezzargli il muso, incurante che la sua pelliccia di visone rasato toccasse il marciapiede sudicio e del fatto che stesse bloccando il passaggio. Le persone erano costrette a girarle intorno nel buio e nel freddo, mentre lei voleva baciare il muso al bulldog e lui cercava di leccarle la faccia. «Sono sorpresa» osservò Lucy. «Di solito Jet Ranger è molto diffidente. Succede, quando hai un padrone stronzo. Non sto parlando di me, ovviamente. Mi riferisco al primo. Scusa» aggiunse rivolta al cane, facendogli una carezza, poi sfiorò la spalla a Jaime Berger. «Non dovrei sbandierare il tuo triste passato né usare il termine "padrone". Sono stata scortese. Io in effetti non sono il suo padrone» spiegò a Jaime. «Tant'è vero che lo pago profumatamente perché mi conceda di nutrirlo, prendermi cura di lui, portarlo fuori e dormire vicini.» «Quanti anni ha?» «Non lo so.» Lucy gli massaggiò le orecchie chiazzate. «Poco dopo essermi trasferita qui, stavo lasciando l'eliporto di West Thirtieth di ritorno da Boston e l'ho visto trotterellare lungo la West Side Highway Hai presente lo sguardo impaurito dei cani che si perdono? Zoppicava, poverino.» Lucy tappò le orecchie al cane perché non sentisse il resto della storia. «Non aveva il collare» spiegò. «Dovevano averlo buttato giù da una macchina, probabilmente perché era vecchio. Ha problemi alle anche ed è mezzo cieco: insomma, era diventato un peso. I cani di grossa 256
taglia di solito non campano più di dieci anni, e lui dev'essere vicino a quell'età.» «La gente è stronza» replicò Jaime rialzandosi. Lucy si rivolse al cane. «Dai, non te la prendere per la pelliccia di Jaime. Sono sicura che quelle povere bestiole sono morte tutte per cause naturali.» «Dovremmo avere le password fra poco» la informò la Berger. «Magari grazie a quelle riusciremo a trovare una spiegazione a tutto il resto.» «Non ho idea di cosa sia il resto, dato che non so quasi niente di questa storia» ribatté Lucy. «Siamo appena all'inizio. Ma ne so comunque abbastanza per essere preoccupata per mia zia. E non poco.» «L'ho capito quando hai chiamato.» Lucy inserì una chiave cifrata nella serratura MulTLock. Quando aprì il portone, il sistema d'allarme si mise a suonare. Lei digitò il codice sulla tastiera e l'allarme si spense. A quel punto richiuse la porta. «Quando vedrai a cosa mi riferisco, il tuo primo impulso sarà di revocarmi l'incarico» disse. «Ma, al tuo posto, non lo farei.» Shrew si considerava un amministratore di sistema di tutto rispetto, ma non era una programmatrice né un'esperta di informatica. Seduta davanti al computer, guardava la home page di Gotham Gotcha impazzita mentre un tecnico le diceva al telefono che il problema era un buffer overflow. Le spiegò che il numero degli utenti che tentavano di accedere a determinate informazioni sul sito era eccessivo, nonostante l'enorme capacità del server, e che la situazione era fuori controllo perché ogni minuto milioni di persone cliccavano sulla fotografia in Camera Oscura; questo, secondo lui, non 257
poteva che voler dire una cosa sola. «Un worm» decretò. «Un software malevolo, un virus. Ma non ne ho mai visti di simili. È... come dire... mutante.» «Come può un worm mutante essersi infiltrato nel programma?» chiese Shrew. «Sembra che un utente remoto abbia in qualche modo eseguito il codice arbitrario sfruttando il lato vulnerabile del sistema. Si tratta di un attacco estremamente sofisticato.» Aggiunse che di solito il worm, non riconosciuto da alcun antivirus in commercio, arrivava nascosto in un allegato. Quello specifico worm moltiplicava gli utenti che volevano aprire un'immagine molto pesante, per esempio, una foto. «Questo worm replica milioni di utenti che aprono la stessa immagine nello stesso momento, e ciò causa la saturazione della memoria del server. Oltretutto, sembra che il worm stia distruggendo i dati. In poche parole, si tratta di uno strano virus informatico, una sorta di macrovirus, con alcune caratteristiche tipiche dei trojan se, come temo, infetta anche altri programmi.» Il tecnico sottolineò più volte che il sabotatore era uno che sapeva quello che faceva, quasi gli invidiasse segretamente la capacità di programmare un'arma così distruttiva. Shrew, in tutta innocenza, chiese quale fosse l'immagine incriminata e lui rispose che non c'erano dubbi: il worm era partito dalla foto di Marilyn Monroe. Mentre il tecnico le spiegava quanto fosse devastante quel software, Shrew cercò di immaginare quali tremendi complotti potessero esserci dietro. Evidentemente chi aveva ucciso Marilyn Monroe quasi cinquant'anni prima aveva ancora un forte interesse a 258
che l'opinione pubblica non venisse a conoscenza della verità. Questo significava che c'erano di mezzo il governo, la politica e la criminalità organizzata. Shrew pensò che forse anche ai tempi di Marilyn esistevano i terroristi. Magari era tutto collegato, e lei si trovava nell'occhio del ciclone perché era stata così stupida da accettare a scatola chiusa un lavoro per conto di ignoti che potevano essere pericolosi criminali. Per quel che ne sapeva, anche il tecnico con cui stava parlando al telefono era un criminale, un terrorista o un agente del governo, e la storia della foto di Marilyn Monroe che aveva infettato il sistema non era altro che un losco tentativo di confondere le acque e impedirle di scoprire quanto stava succedendo in realtà. Il sito web si era autodistrutto come i registratori di Mission Impossible, perché senza volere Shrew si era immischiata in un complotto di dimensioni spaventose contro chissà quale potenza mondiale o impero del Male. Confusa e in preda all'ansia, disse al tecnico: «Spero che lei si renda conto che io sono all'oscuro di tutto. Non c'entro niente, non ho fatto niente e di sicuro non so niente». «È molto complicato» replicò lui. «Anche per noi. Quello che sto cercando di dirle è che si tratta di un codice molto sofisticato. Non può essere altrimenti. E per codice intendo un software racchiuso in qualcosa di apparentemente innocuo, come un file di dati o un allegato.» A lei non importava né cosa lui intendesse per codice né che il terribile mutante fosse inarrestabile e che tutti i tentativi per disattivarlo e far ripartire il 259
sistema fossero stati vani. Rimase con lo sguardo perso nel vuoto, mentre il tecnico le suggeriva di provare a caricare una precedente versione d'archivio del sito, facendole però notare che negli altri server disponibili lo spazio era limitato; inoltre erano molto più lenti, e quindi si rischiava di nuovo un collasso del sistema. Avrebbero potuto comprare un nuovo server, ma non immediatamente: bisognava prima discuterne con l'ufficio acquisti e, siccome in Gran Bretagna erano cinque ore avanti, in quel momento non avrebbero trovato nessuno. Le spiegò poi che caricare una versione più vecchia avrebbe significato immettere nuovamente tutti i dati, ripubblicare le ultime notizie e chiedere ai fan di inviare un'altra volta le loro email e relative immagini. Shrew avrebbe impiegato giorni, se non addirittura settimane, a fare quel lavoro, e la gente si sarebbe irritata. Inoltre, nella versione precedente del sito non erano inseriti gli iscritti degli ultimi giorni, che si sarebbero profondamente offesi. E Gotham Gotcha sarebbe stato inattivo per un lungo periodo. Prima o poi il Boss sarebbe venuto a sapere che il worm era collegato alla foto di Marilyn Monroe, e a quel punto Shrew avrebbe perso il lavoro. Non c'erano altre prospettive. Si sarebbe ritrovata nelle stesse condizioni di un anno prima, e non avrebbe certo potuto contare sulle referenze dei suoi anonimi datori di lavoro. Sarebbe stata costretta davvero a trasferirsi, ad abbandonare quel poco che le era rimasto della sua esistenza di un tempo. Le cose andavano di male in peggio. La vita stava diventando sempre più difficile per le persone oneste. Shrew non sapeva cosa fare. Ringraziò il tecnico e chiuse la comunicazione. 260
Controllò che tutte le tende fossero tirate, si versò un altro bicchiere di bourbon e lo ingollò passeggiando avanti e indietro, in preda al panico, con le lacrime agli occhi al pensiero di quello che le stava per capitare. Il Boss non l'avrebbe licenziata di persona: avrebbe incaricato l'agente inglese, quello con l'accento italiano. E se era davvero legato a qualche cellula terroristica, allora la vita di Shrew era in pericolo. Un killer sarebbe entrato in casa sua mentre dormiva, e lei non lo avrebbe neanche sentito. Doveva procurarsi un cane. Più bourbon beveva, più si sentiva depressa, sola e spaventata. Osservò l'articolo che aveva postato alcune settimane prima di Natale sulla catena di negozi di animali che Terri le aveva raccomandato dopo la morte di Ivy, quando le aveva offerto di comprarle un altro cucciolo. Controllò in Internet. Il punto vendita principale di TellTail Hearts era vicinissimo a casa sua ed era aperto fino alle nove di sera. Il loft era grande, con travi e mattoni a vista, e il pavimento di legno originale restaurato con cura e lucidissimo. Oltre alle console, alle sedie girevoli nere e a un grande tavolo di vetro, non c'erano altri mobili. In giro non si notava un solo foglio di carta. Lucy aveva accolto affettuosamente Jaime, invitandola a mettersi a suo agio e dicendole che lì era al sicuro. Tutti i telefoni erano senza fili e muniti di scrambler, e il sistema di allarme probabilmente era più sofisticato di quello del Pentagono. Jaime sospettava che Lucy avesse anche armi talmente illegali da rischiare di finire impiccata al Tappan Zee 261
Bridge, come i pirati. Non fece domande, ma si sentiva tutt'altro che al sicuro. Non cercò di tranquillizzarsi, però: si impose di riflettere e valutare attentamente la situazione. Con la musica di Annie Lennox in sottofondo, Lucy era seduta alla sua postazione, circondata da tre display simili a megatelevisori a schermo piatto. Nella luce soffusa, di profilo, aveva la fronte liscia, il naso aquilino, il viso dall'espressione intensa. Come se al mondo non ci fosse nulla di meglio che navigare in Internet, cosa che a Jaime faceva soltanto venire un gran mal di testa. Di quelli violenti, che alla fine la costringeva a sdraiarsi in una stanza buia con impacchi caldi sugli occhi. Era in piedi accanto alla sedia di Lucy e frugava nella ventiquattrore sperando di avere uno Zomig, l'unico farmaco che le facesse effetto. Il blister che trovò in mezzo al blocnotes era vuoto. Lucy le stava dando molte più spiegazioni di quante lei volesse riguardo al suo programma a rete neurale e ai dati che stava acquisendo da uno dei portatili di Terri Bridges. Avrebbe preferito che cominciasse a lavorare al secondo computer, quello che sembrava essere stato usato esclusivamente per navigare in Internet. Non vedeva l'ora che Marino le comunicasse le password per accedere alla posta elettronica. Sperava tanto che la chiamasse mentre era da Lucy. Ma soprattutto sperava di capire perché si trovava lì. Una parte di lei lo sapeva, e questo la rendeva inquieta: non aveva idea di come comportarsi. Jaime e Lucy avevano tra le mani un problema scottante. Anzi, più di uno. 262
«Di solito, quando si cancella un file in un sistema operativo, ci sono buone possibilità di recuperare i dati se si agisce in maniera tempestiva» spiegò Lucy. Jaime le si sedette accanto. Frammenti di testo, pezzetti di frasi e parole si stavano ricompattando nel buio dello spazio elettronico. Meditò se mettersi gli occhiali da sole, ma sapeva che non sarebbe servito a niente. Il processo ormai era avviato e lei non sarebbe riuscita a fermarlo. Se avesse voluto davvero evitarlo, non avrebbe preso un taxi per andare al Village quella sera, indipendentemente dalla gravità della situazione, dall'urgenza e dalla logica di quello che Lucy le aveva comunicato per telefono, quando l'aveva invitata a vedere di persona i nuovi sviluppi. Si era già trovata sola con Lucy, ma era accaduto anni prima, quando la nipote straordinariamente complicata e pericolosa di Kay Scarpetta era troppo giovane, e lei era sposata. E una cosa che Jaime non faceva era rompere i contratti, o perdere le cause per meri dettagli tecnici. Ora però non era vincolata da alcun contratto e Lucy era più grande: insomma, non c'erano dettagli tecnici a ostacolarle. «Sembra che Terri non abbia mai tentato di recuperare file cancellati» la informò Lucy. «Per questo vedi pezzi di testo relativamente grandi mescolati a frammenti di tutte le dimensioni, alcuni piccolissimi. Più tempo aspetti prima di fare una ricerca dei dati cancellati o deteriorati, più rischi che i nuovi dati immessi vadano a occupare le aree del disco fisso liberate eliminando i file e che il software faccia più fatica a individuare quanto c'era prima.» 263
Il file che stavano rimettendo insieme era una tesi che ripercorreva la storia delle scienze forensi, con particolare riferimento a medicina e psichiatria. In sé non era un fatto particolarmente sorprendente: era noto che Terri era iscritta al Gotham College, di cui suo padre era preside, e che voleva prendere il master in psicologia forense. Guardando scorrere frasi e termini legali, Jaime sentì che il dolore dalle tempie si irradiava fino agli occhi. Notò i riferimenti alla Fabbrica dei Corpi, agli ospedali psichiatrici di Bellevue e Kirby e a numerosi esperti di medicina legale molto noti, compresa Kay Scarpetta. C'erano ripetuti accenni a lei, ed era quella la ragione per cui poco prima Lucy aveva affermato che Jaime avrebbe potuto revocarle l'incarico. In effetti, la tentazione era forte. Per molti versi, sarebbe stata la cosa più saggia da fare. Su quel computer Terri o chi per lei aveva raccolto centinaia di articoli, video, fotografie e altro materiale su Kay Scarpetta. Questo comportava un conflitto di interessi, ulteriormente aggravato da un altro problema che con ogni probabilità era presente fin dall'inizio. La Berger ricordava di essere rimasta affascinata da Lucy sin dalla prima volta che l'aveva vista a Richmond otto anni prima. Lucy l'aveva colpita in un modo che Jaime aveva trovato eccitante, ma anche sconveniente. All'epoca Jaime aveva trentotto anni e, stupidamente, era convinta di essersi ormai lasciata alle spalle certe tentazioni, come testimoniava la vita che si era imposta. Poteva dire di no. Ma in verità - e a quarantasei anni aveva le idee più chiare al riguardo 264
non avrebbe dovuto dire né sì né no, se non le fosse stata fatta una domanda. «In genere i portatili hanno antivirus da quattro soldi, con settaggi di default» spiegò Lucy. «Roba che io non userei mai, perché riconoscono solamente i virus e gli Spyware più noti. E quelli non mi preoccupano. Qui ci sono antivirus, antispyware, antispam, antiphishing, firewall e una protezione per PC wireless.» «È una cosa insolita?» Jaime si strofinò le tempie. «Per l'utente medio, sì. Terri o chi per lei si preoccupava molto della sicurezza. Ma non come faremmo tu o io. In questa macchina c'è il genere di protezione usata dalle persone che temono la pirateria informatica, il furto di identità, ma che, non essendo programmatori, devono affidarsi a software prefabbricati, per lo più molto costosi e meno efficaci di quanto dovrebbero.» «Forse lei e Oscar Bane condividevano la stessa paranoia» replicò Jaime. «Temevano che qualcuno ce l'avesse con loro. Sappiamo già per certo che lui ha questo genere di paure. Lo ha detto chiaramente, nel corso di quell'infelice conversazione con Marino il mese scorso. Marino non ha colpe, però. Se succedesse di nuovo mi comporterei nello stesso modo.» «Mi chiedo se le cose sarebbero andate altrimenti, se tu gli avessi parlato» disse Lucy. «Non sembrava una telefonata molto diversa dalle tante che riceviamo tutti i giorni da parte di pazzi squilibrati» fece notare Jaime. «È comunque un peccato. Forse avresti potuto cambiare il corso degli eventi.» 265
Le mani di Lucy erano forti ma aggraziate sulla tastiera. Chiuse una finestra di programmazione e di nuovo sul monitor apparvero frammenti di testo che si muovevano e si ricomponevano. Jaime cercò di non guardare. «Se ti facessi sentire la registrazione della telefonata, mi capiresti» spiegò. «Sembrava un folle. Era isterico, delirava, diceva che qualcuno cercava di controllare la sua mente con mezzi elettronici; fino a quel momento aveva resistito, ma i persecutori seguivano ogni suo passo. Bè, a essere sincera, in questo momento mi sento scoppiare la testa anch'io. Mi scuso in anticipo. Non mi succede spesso di avere emicranie come questa. Sto facendo di tutto per evitare che mi metta KO.» «Soffri il computer?» le chiese Lucy. «Cosa significa?» «Soffri il mal d'auto?» «Sì. Quando viaggio in macchina non posso leggere niente e da piccola vomitavo anche al luna park. Ma ora non voglio pensarci.» «Immagino che soffrirai anche il mal d'aria.» «Sugli elicotteri della polizia non mi è mai successo. Basta che volino con i portelloni chiusi.» «Disorientamento, nausea, vertigini, a volte anche crisi epilettiche ed emicranie» continuò Lucy. «Di solito vengono associati alla realtà virtuale, ma a scatenarli è il movimento sul monitor. Per esempio, questa roba. Io sono una dei pochi fortunati a cui non fa alcun effetto. Mi puoi sballottare tutto il giorno in un simulatore a grandezza naturale che non batto ciglio. Potrei essere usata al posto dei manichini per i test, a Langley. Probabilmente è ciò che avrei dovuto fare nella vita.» 266
Si appoggiò allo schienale e infilò le punte delle dita nelle tasche dei jeans, provocante. Gli occhi di Jaime erano attratti dal corpo di Lucy, come se fosse un quadro o una statua. «Senti, facciamo così» propose Lucy. «D'ora in poi guarda i monitor solo quando te lo dico io. Se continui a stare male, metto i dati in un formato diverso. Se necessario infrangerò le mie stesse regole e ti stamperò qualcosa. Comunque non guardare. Torniamo a quello che stavo dicendo sui software di protezione caricati sui computer. Dovremmo verificare se sulla macchina di Bane ci sono gli stessi software e cercare di capire se è stato lui a comprarli. Possiamo andare a casa sua?» Lucy continuava a parlare al plurale, ma a Jaime sembrava assurdo. Era una follia. E faceva di tutto per convincersene, senza però riuscirci. Chiuse gli occhi e si strofinò le tempie. «Diamo per scontato che sia stata Terri a fare le ricerche su Kay, ma non possiamo escludere che invece siano opera di Bane. Magari questi computer sono suoi e li teneva a casa di Terri per qualche motivo. Comunque, adesso non possiamo entrare nel suo computer, o nei suoi computer, se ne ha più di uno. Non è formalmente accusato di nulla e non ci ha dato l'autorizzazione.» «Ci sono impronte di Bane su questi computer?» Erano sulla scrivania accanto a loro, entrambi collegati al server. «Non lo so» rispose Jaime. «Ma, anche se ci fossero, non vorrebbe dire niente, dato che Bane andava e veniva spesso da casa di Terri. In teoria, non sappiamo di chi sia questa tesi. L'unica cosa certa è che parla anche di Kay.» 267
«Direi che tratta prevalentemente di lei. Non guardare, ti dico io cosa succede. Il software sta recuperando le note. Citazioni, date eccetera. E queste note fanno riferimento ad affermazioni di mia zia.» «Stai dicendo che Terri l'aveva intervistata?» «O Terri o qualcun altro. Tieni gli occhi chiusi. Non c'è bisogno che guardi. Il computer sta recuperando la bibliografia. Migliaia di citazioni tra parentesi, che provengono da versioni diverse della stessa tesi. Centinaia di questi riferimenti riguardano dichiarazioni rilasciate in vari periodi. Presunte interviste a mia zia.» Jaime aprì gli occhi e vide parole e frammenti di frasi che fluttuavano e si ricomponevano. «Forse sono trascrizioni di interviste che ha rilasciato alla CNN o ai quotidiani» suggerì. «Hai ragione: non devo guardare. Adesso mi gira di nuovo la testa. Non so cosa mi sia preso. Forse dovrei andarmene.» «Non possono essere trascrizioni» ribatté Lucy. «Non tutte, per lo meno. Basta vedere la cronologia. "Scarpetta, 10 novembre." "Scarpetta, 11 novembre", poi anche il 12 e il 13. È impossibile. Non può averle parlato, né lei né nessun altro. Queste sono tutte balle.» Era veramente strano osservare Lucy davanti ai monitor che bisticciava con la sua creatura informatica come se fosse la sua migliore amica. Jaime si accorse che Jet Ranger era sotto la scrivania e russava. «Ci sono riferimenti a quattro diverse interviste che avrebbero avuto luogo l'una dopo l'altra, in quattro giorni successivi» spiegò Lucy. «E qui di nuovo. Tre giorni di fila. Come ti dicevo, mia zia non viene a New 268
York per presentarsi in TV tutti i giorni della settimana e raramente concede interviste ai giornali. E questa qui? Impossibile, cazzo.» Jaime meditò se alzarsi dalla sedia e andarsene, ma al pensiero di salire su un taxi stava ancora peggio. «Il giorno del Ringraziamento? Impossibile.» Lucy continuava a litigare con i dati. «Eravamo insieme in Massachusetts, il giorno del Ringraziamento. Non è apparsa sulla CNN e di sicuro non ha concesso interviste né a quotidiani né a una studentessa qualunque.» Il vento era gelido e un piccolo spicchio di luna brillava nel cielo buio, troppo debole per illuminare il cammino di Kay e Benton verso l'obitorio. Il marciapiede era quasi deserto e i pochi passanti sembravano vagare senza una meta e uno scopo nella vita. Un ragazzo era intento a rollarsi uno spinello. Un altro se ne stava appoggiato al muro per ripararsi dal vento. Kay avvertì il loro sguardo su di sé e provò una vaga inquietudine. Si sentiva indifesa e a disagio per ragioni profonde, difficili da identificare. Lungo le strade sfrecciavano taxi gialli che pubblicizzavano banche, società finanziarie e prestiti facili, come sempre nel periodo postnatalizio, quando la gente deve fare i conti con le conseguenze dell'entusiasmo festivo. Passò un autobus con la pubblicità di Gotham Gotcha sulla fiancata, e Kay ebbe un moto di rabbia. Poi le venne paura. Benton sembrò accorgersene. Le prese la mano e gliela tenne stretta mentre camminavano. «Me lo merito» disse lei pensando all'articolo di gossip. «Sono stata brava a evitare le luci della ribalta 269
per più di vent'anni. Poi ho cominciato a lavorare alla CNN, e adesso...» «Non è vero che te lo meriti» replicò Benton. «È solo che le cose vanno così. Non è giusto, ma non c'è giustizia a questo mondo: io e te lo sappiamo bene. Basta pensare a dove stiamo andando...» «Okay, basta con le lamentele» capitolò Kay. «Hai perfettamente ragione. Una cosa è andare all'obitorio con i propri piedi, un'altra è esserci portati.» «Puoi lamentarti quanto vuoi.» «No, grazie.» Si strinse a lui. «Basta così.» I fari delle auto di passaggio illuminavano le finestre buie e il cancello di ferro del vecchio ospedale psichiatrico Bellevue. Di fronte c'era la palazzina azzurra dell'Istituto di medicina legale, con due furgoni bianchi dai vetri oscurati parcheggiati lungo il marciapiede, in attesa di partire per la successiva, triste missione. Benton suonò il campanello. Lui e Kay restarono per un momento sull'ultimo scalino davanti al portone, al freddo. Poi Benton riprovò, impaziente. «Se ne sarà già andata» disse. «O forse ha deciso di non venire.» «Così non ci sarebbe gusto» commentò Kay. «A lei piace far aspettare la gente.» C'erano telecamere di sorveglianza ovunque. Kay immaginò Lenora Lester che li guardava nel monitor divertendosi un mondo. Passarono alcuni minuti e, proprio quando Benton stabilì che ne aveva avuto abbastanza, la dottoressa Lester apparve dietro la porta a vetri e li fece entrare. Portava un lungo camice verde e occhiali dalla montatura in acciaio. I lunghi capelli grigi erano raccolti. Aveva un viso ordinario e senza rughe, a parte il solco profondo che 270
dall'attaccatura del naso saliva sulla fronte. Gli occhietti neri si muovevano frenetici come scoiattoli spaventati. Dentro l'atrio maltenuto, una fotografia di Ground Zero occupava quasi un'intera parete. La dottoressa Lester li invitò a seguirla, come se fosse stata la prima volta che mettevano piede in quel luogo. Come sempre, si rivolse solo a Benton. «Abbiamo parlato di te la settimana scorsa» disse camminando un passo avanti a loro. «C'era qui l" FBI, per un caso. Un paio di agenti e un profiler di Quantico. Non so perché, ma ci siamo messi a discutere del Silenzio degli innocenti e mi sono ricordata che ai tempi eri direttore dell'unità di scienze comportamentali. Non sei stato il consulente principale per il film? Quanti giorni si sono fermati all'accademia Anthony Hopkins e Jodie Foster? Erano simpatici?» «Stavo lavorando a un caso da un'altra parte» rispose Benton. «Che peccato» commentò la Lester. «A quei tempi Hollywood mostrava interesse nei nostri confronti, ed era un'ottima cosa sotto molti punti di vista, perché l'opinione pubblica aveva un'idea alquanto stereotipata di chi siamo e di com'è il nostro lavoro.» Kay Scarpetta si trattenne dal ribattere che quel film non era stato di alcun aiuto per dissipare leggende morbose, dato che la famosa sequenza della falena era stata girata in un'agenzia di pompe funebri e non in una moderna sala per autopsie. E omise di farle notare che, se c'era una persona che incarnava il macabro stereotipo del medico legale, era proprio lei. «E adesso? Non passa giorno in cui non riceva una telefonata per una consulenza riguardo a uno show o a 271
un film. Autori, sceneggiatori, produttori, registi. Tutti vogliono assistere a un'autopsia, partecipare a un sopralluogo sulla scena del crimine. Non avete idea di quanto sono stufa.» Camminava a passi corti e veloci, con il lungo camice che le svolazzava intorno alle ginocchia. «Per questo caso avrò già ricevuto almeno dodici telefonate. Credo sia perché si tratta di una nana. La prima della mia carriera, fra parentesi. Molto interessante. Lieve scoliosi lombare, fronte prominente, ginocchio varo. E megalencefalia, ovviamente, cioè grandezza abnorme del cervello» spiegò, come se Kay Scarpetta non lo sapesse. «Una caratteristica assai comune nelle persone affette da acondroplasia. Non altera le capacità di ragionamento. Hanno un quoziente intellettivo pari al nostro. Quindi la signora non era ottusa. Non è per stupidità che ha fatto la fine che ha fatto.» «Non capisco cosa intendi» disse Benton. «Questo caso ha risvolti nascosti. Potrebbe essere molto diverso da come pensiamo. Avete visto le foto della scena del crimine, spero. Adesso vi do quelle scattate durante l'autopsia. Asfissia tipica da strangolamento. Sempre che si tratti di omicidio.» «Non è sicuro?» chiese Benton. «In un caso insolito come questo, bisogna considerare tutte le possibilità. Essendo molto piccola, era più vulnerabile. Un metro e ventitré centimetri per quarantanove chili. Potrebbe essere stato un incidente. Se avesse praticato sesso estremo, per esempio, sarebbe stata più a rischio.»
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«Nelle foto si notano ferite lacerocontuse. Come si concilierebbero con la tua teoria del sesso estremo?» domandò Kay. «È possibile che quei due si siano lasciati prendere dall'entusiasmo. L'ho visto altre volte. Esagerano con le frustate, con i calci, con le sculacciate.» Si trovavano al piano degli uffici amministrativi, con i pavimenti di vecchio linoleum grigio e le porte di un rosso brillante. «Non c'erano ferite da difesa» continuò la dottoressa Lester. «Se è stata uccisa, chiunque sia il colpevole è riuscito a sottometterla in un istante. Forse le ha puntato addosso una pistola o un coltello. Ma non sono in grado di escludere la possibilità che lei e il suo ragazzo si siano cimentati in qualche giochetto sessuale finito diversamente da come avessero stabilito.» «Quali elementi ti fanno pensare a un "giochetto sessuale"?» volle sapere Benton. «Prima di tutto, le caratteristiche della scena del crimine. Si intuisce che a lei piaceva "recitare una parte". Ma, soprattutto, nella quasi totalità dei casi gli stupratori costringono la vittima a spogliarsi.» La dottoressa Lester parlava senza rallentare il passo. «E un momento di forte gratificazione, in cui pregustano quello che le faranno. Eventualmente, la legano dopo. Il fatto che Terri Bridges sia stata legata e poi spogliata mi fa pensare più a una forma di gioco. Soprattutto se la vittima aveva una fantasia molto fervida. Per quel che ne so, il sesso poteva piacerle parecchio.»
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«In realtà, sentirsi tagliare i vestiti addosso mentre si è legati dovrebbe fare molta più paura che essere costretti a spogliarsi» replicò Benton. «E questo che non mi piace della psicologia forense, o del profiling, come lo chiamate voi. È soggettiva, si basa su opinioni personali. Una cosa che per te è spaventosa per un altro può essere eccitante.» «Se faccio un'affermazione basata su opinioni personali, specifico che si tratta di un mio punto di vista soggettivo» ribatté Benton. Jaime sentiva il braccio di Lucy che la sfiorava mentre prendeva appunti sul blocnotes. I frammenti biancastri di dati continuavano a fluttuare sul monitor. Lo guardò un attimo, e le bruciarono gli occhi. Il mal di testa si acuì. «Pensi che riusciremo a recuperare tutto?» chiese. «Sì» rispose Lucy. «Siamo sicure che questi dati risalgono a un anno fa?» «Come minimo. Te lo saprò dire con precisione quando avremo finito. Dobbiamo trovare il primo file che Terri ha salvato. Continuo a parlare di lei, ma in effetti non sappiamo chi abbia scritto questa roba.» Gli occhi di Lucy erano verdissimi. Le due donne si guardarono, a lungo e intensamente. «Non mi sembra che salvasse copie dei file come faccio io» osservò Jaime. «In altre parole, non era molto attenta, per essere una che aveva un sacco di software di protezione, più o meno efficaci. Io, ogni volta che lavoro su un documento, ne faccio una copia e lo rinomino.» «È giusto» commentò Lucy. «Terri invece non lo faceva: correggeva sempre lo stesso file e lo salvava 274
sovrapponendo le versioni. Una stupidaggine. Ma fanno quasi tutti così. Per fortuna, ogni volta che modifichi un file e lo salvi, la data cambia. Anche se nell'elenco dei documenti non si vedono, i dati sono sparsi in giro. Il mio software troverà le date, riordinerà i file in ordine cronologico e farà un'analisi delle variazioni effettuate. Per esempio, quante volte al giorno Terri o chi per lei correggeva e salvava lo stesso file? In questo caso, quello della tesi. Quali giorni della settimana ci lavorava? A che ora?» Jaime prendeva appunti. «Magari scopriremo qualcosa riguardo a come passava la giornata, alle sue abitudini. Ci può aiutare a capire chi frequentava. Per esempio: trascorreva gran parte del tempo a casa sua a studiare, tranne il sabato sera, quando incontrava Oscar, oppure scriveva da qualche altra parte? Magari andava da qualcuno. C'era un'altra persona nella sua vita di cui noi non sappiamo nulla?» «Io posso ricostruire la cronologia fino all'ultima lettera che ha digitato, ma non ti posso dire dove lavorava» rispose Lucy. «Dalle email è possibile ricavare un indirizzo IP, e quindi capire per esempio se scriveva da un Internet point, ma i file di scrittura non hanno alcuna utilità per rintracciare un luogo fisico. Non possiamo appurare se lavorasse alla sua tesi a casa: magari andava in biblioteca. Potremmo chiederlo a Bane, sempre che dica la verità. Per quel che ne sappiamo, magari è stato lui a scriverla. Non dimentichiamocelo.» «La polizia non ha trovato materiale di consultazione in casa di Terri» le fece notare Jaime. 275
«Molta gente al giorno d'oggi si affida all'elettronica e non usa più niente di cartaceo. Alcuni non stampano nulla se non è assolutamente necessario. Io sono una di questi. Non mi piace lasciare carte in giro.» «Kay sarà senz'altro in grado di valutare quanto è accurato il materiale che Terri o chi per lei stava raccogliendo» disse Jaime. «Possiamo ricostruire le diverse versioni?» «Diciamo che posso recuperare tutto quello che c'è qui dentro. Il computer sta ancora lavorando sulla bibliografia. Ogni volta che Terri aggiungeva o modificava qualcosa, veniva creata una nuova versione del file. Per questo ci sono tante copie dello stesso documento. Immagino che tu non stia guardando. Come ti senti?» Lucy si voltò. «Non saprei» rispose Jaime. «Forse farei meglio ad andarmene. Però dobbiamo decidere un piano d'azione.» «Invece di sforzarti di capire tutto subito, aspetta di vedere con cosa abbiamo a che fare. È troppo presto per saperlo. Perché dici che te ne dovresti andare? Dai, resta...» Erano sedute l'una accanto all'altra. Lucy muoveva le dita sulla tastiera mentre Jaime prendeva appunti. La grossa testa di Jet Ranger apparve tra le due sedie. Jaime iniziò ad accarezzarlo. «Continua a trovare roba» osservò Lucy. «Adesso lavora sulle diverse discipline delle scienze forensi: dattiloscopia, DNA, analisi sulle prove materiali. Copiate e salvate in una cartella chiamata "Scienze forensi".»
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«Sono file modificati» notò Jaime. «Sovrapposti l'uno all'altro. Mi hanno sempre detto che, quando lo fai, l'originale è perso per sempre.» Il telefono squillò. «È per me» disse Jaime. Mise la mano su quella di Lucy per impedirle di rispondere. Ogni centimetro quadrato disponibile nell'ufficio di Lenora Lester era coperto da diplomi, certificati, encomi e fotografie, tutti rigorosamente incorniciati. La maggior parte delle foto ritraeva la dottoressa con il casco e la tuta protettiva bianca mentre scavava fra le macerie del World Trade Center. Era orgogliosa di avere preso parte alle operazioni di soccorso dell'11 settembre e non sembrava minimamente traumatizzata. Kay non era rimasta altrettanto indifferente, dopo i sei mesi trascorsi in Water Street a passare al vaglio tonnellate di terra come un'archeologa, alla ricerca di effetti personali, arti, denti e ossa. Lei non aveva foto incorniciate, non aveva presentazioni in PowerPoint, non ne parlava volentieri: si era sentita fisicamente intossicata da quell'attentato, come se il terrore provato dalle vittime davanti alla morte certa fosse rimasto lì sospeso, in un miasma che avvolgeva ogni cosa ed era percepibile persino nei loro resti dopo che erano stati raccolti, catalogati e numerati. Non riusciva a spiegarlo, ma non le sembrava una cosa di cui pavoneggiarsi. La dottoressa Lester prese dalla scrivania una spessa busta e la consegnò a Benton. «Le foto dell'autopsia, il mio referto preliminare e l'analisi del DNA» disse. «Non so cosa ti abbia già dato Mike. A volte è un po’ distratto.» 277
Parlava di Mike Morales come se fosse un suo grande amico. «Per la polizia è omicidio» replicò Benton. Non aprì la busta, ma la porse a Kay, con un gesto più che eloquente. «Non sta alla polizia decidere» fece notare la dottoressa Lester. «Sono certa che Mike non la pensa così. E, comunque, lui sa come la penso io.» «Cosa dice il procuratore?» s'informò Benton. «Non sta nemmeno a lei decidere. Perché è così difficile mettersi in fila e aspettare il proprio turno? Lo dico sempre: chi finisce qui non ha fretta, quindi perché dovremmo averla noi? Non ho ancora stabilito la causa del decesso, soprattutto alla luce dei risultati del DNA. Se prima ero incerta, ora sono proprio nel limbo.» «Quindi non prevedi di riuscire a determinare la causa della morte in tempi brevi?» chiese Benton. «Quel che potevo fare l'ho fatto. Adesso devo aspettare gli altri» rispose la Lester. Proprio quello che Kay Scarpetta non voleva sentire. Non solo non c'erano prove sufficienti per arrestare Oscar Bane, ma dal punto di vista legale non era stato nemmeno commesso un reato. Avrebbe dovuto rispettare il segreto professionale per molto tempo. Uscirono dall'ufficio e la dottoressa disse: «Per esempio, aveva della crema lubrificante nella vagina. È inusuale, in un omicidio». «È la prima volta che sento parlare di crema lubrificante» protestò Kay. «Nei referti preliminari che ho letto non se ne faceva cenno.» «Ti rendi conto, ovviamente, che i profili del DNA nel CODIS non sono altro che numeri» osservò la 278
dottoressa Lester. «Ho sempre sostenuto che basta sbagliare una cifra per ottenere un risultato completamente diverso. È sufficiente un errore in un marker, magari in più di uno, e ti ritrovi in un bel guaio. A mio parere, è possibile che quello che abbiamo qui sia un raro falso positivo dovuto a un errore del computer.» «Non esistono falsi positivi» replicò Kay. «Nemmeno in presenza di una mescolanza di DNA diversi, come quando la vittima viene violentata da più soggetti o vi è una contaminazione crociata perché più persone sono entrate in contatto con un oggetto o una sostanza, come una crema lubrificante. Un misto di profili genetici di persone diverse non diventerà mai magicamente identico al profilo di una donna di Palm Beach, tanto per fare un esempio.» «Sì, la crema lubrificante è un'altra possibile spiegazione» continuò la Lester. «Una contaminazione crociata, come hai appena suggerito. Magari un prostituto, o piuttosto una prostituta, visto che non ha lasciato liquido seminale. Cosa ne sappiamo delle vite private delle persone che vengono portate qui? Per questo preferisco non definirlo troppo in fretta omicidio, suicidio o incidente. Prima devo avere ben chiari i fatti. Non voglio sorprese, dopo che mi sono esposta. Senz'altro avrete visto che, in base al referto del laboratorio, non è presente liquido seminale.» «Non è impossibile» spiegò Kay Scarpetta. «E nemmeno tanto strano, tutto sommato. Lo stesso dicasi per l'utilizzo di un lubrificante durante una violenza sessuale. KY Gel, vaselina, crema solare, burro. Potrei farvi un lungo elenco...» 279
Lei e Benton stavano seguendo la dottoressa Lester lungo un altro corridoio costruito in un'epoca in cui gli anatomopatologi venivano brutalmente chiamati "macellai". Non era passato molto tempo da quando scienza e cadaveri avevano pochi punti di contatto, a parte la tipizzazione del gruppo sanguigno, le impronte digitali e i raggi X. «Non ci sono tracce di liquido seminale nel o sul corpo, e nemmeno sui capi di abbigliamento trovati nella vasca» proseguì la dottoressa Lester. «Né sulla scena del crimine. Naturalmente hanno usato la luce ultravioletta, come ho fatto io. Non è emerso nulla del bianco brillante tipico del liquido seminale.» «Ci sono stupratori che mettono il preservativo» puntualizzò Kay. «Soprattutto ora che tutti sanno cos'è il DNA.» Frammenti di dati fluttuavano sugli schermi scuri, ricomponendosi a gran velocità come se stessero scappando e venissero a mano a mano catturati. Forse Jaime Berger si stava abituando al cyberspazio: la sua emicrania era misteriosamente scomparsa. O forse l'adrenalina le faceva bene. Si sentiva aggressiva perché non le piaceva essere messa in discussione. Non da Morales, e tanto meno da Lucy. «Dovremmo iniziare con le email.» Non era la prima volta che lo diceva da quando aveva ricevuto la telefonata di Marino. Lucy non sembrava minimamente interessata a Marino e continuava a ignorare gli inviti di Jaime a controllare le email. Ormai conoscevano le password, ma lei non voleva occuparsi di altro prima di avere capito perché il nome di sua zia continuasse a 280
comparire con frequenza allarmante nelle revisioni della tesi di Terri Bridges, o forse di Oscar Bane. «Temo che il tuo interesse sia di natura troppo personale» le fece notare Jaime. «E questo mi preoccupa. Dobbiamo controllare le email, e tu invece ti incaponisci a guardare cos'ha scritto su tua zia. Non dico che non sia importante, però...» «Devi avere fiducia in me. Tranquilla: sto facendo le cose nel modo giusto» replicò Lucy ignorando le richieste. Il blocnotes con le password rimase dov'era, sulla scrivania, accanto alla tastiera. «Abbi pazienza. Un passo per volta» aggiunse Lucy. «Io non ti vengo a dire come devi condurre le tue indagini.» «È proprio quello che stai facendo, invece. Io voglio controllare la posta elettronica e tu continui imperterrita a leggere questa dannata tesi o quel che è. Così non mi aiuti.» «Invece sì. Solo che non seguo passivamente le tue richieste e non mi lascio dire come devo fare il mio lavoro. Non posso permetterti di darmi ordini, di influenzarmi: è questo il punto. Sono sicura delle mie azioni, mentre a te sfuggono ancora molte cose. Invece devi capire bene cosa stiamo facendo, come e perché. Se verrà fuori un gran casino, come mi aspetto, ti faranno un sacco di domande, pretenderanno delle risposte. Non sarò io a trovarmi davanti a un giudice e a una giuria a dover spiegare la parte informatica delle indagini. E non credo che potrai chiamarmi a testimoniare, per almeno un'ovvia ragione...» «Dobbiamo parlarne» disse Jaime. 281
«La questione della parentela» concluse Lucy. «Verresti screditata.» Jaime valutò l'opportunità di dare voce alle sue perplessità, e magari chiuderla lì. O forse era Lucy che voleva darci un taglio. «Francamente, non so cosa fare» ammise. «Chiederei consiglio a te, se solo tu riuscissi a essere obiettiva. Hai iniziato un lavoro senza immaginare che ti avrebbe coinvolto personalmente e ora, con ogni probabilità, vorrai interromperlo. Presumo tu sia contraria a proseguire e voglia che a questo punto ci salutiamo. Ognuna per la sua strada. Dovrò cercarmi un altro consulente.» «Perché nel frattempo abbiamo scoperto che mia zia è coinvolta? Stai scherzando? Mollare sarebbe la cosa peggiore che potrei fare» replicò Lucy. «Io non mi tiro indietro. Forse sei tu che preferisci togliermi l'incarico. Me lo sentivo, te l'ho detto. Ma ti ho detto anche che non esiste un altro consulente come me. Ne abbiamo già discusso.» «Potresti far finire il lavoro a qualcun altro, lasciargli usare il tuo programma.» «Il mio software proprietario? Hai idea di quanto valga? Sarebbe come lasciar pilotare il mio elicottero a un'altra persona standomene seduta dietro o permettere che qualcuno vada a letto con il mio amore.» «Sta qui da te? Vivete insieme in questo loft?» Jaime aveva notato una scala che portava al piano superiore. «È rischioso abitare e lavorare nello stesso posto. Presumo che questa persona non abbia accesso a documenti altamente riservati...» «Jet Ranger non ha la password per entrare da nessuna parte, non ti preoccupare» replicò Lucy. 282
«Senti, non sto scherzando: questo software non lo tocca nessuno. È mio. Ho scritto io il codice, e nessuno riuscirà mai a craccarlo: l'ho progettato apposta.» «Siamo davanti a un grave conflitto di interessi che né tu né io avevamo previsto» osservò Jaime. «Sei tu che vuoi creare un conflitto. Io non voglio chiuderla qui. Non mollerò.» La Berger osservò i dati che ruotavano a velocità vertiginosa. Poi guardò Lucy e capì di non volerla chiudere lì neanche lei. «Se mi togli l'incarico, ti fai del male da sola. Inutilmente» dichiarò Lucy. «Non ho nessuna intenzione di farmi del male da sola. E nemmeno di farne a te. Non voglio compromettere le indagini. Dimmi come vuoi procedere.» «Ti insegnerò a recuperare i file sovrascritti, perché non tutti sanno che è possibile farlo. Preparati a essere attaccata pesantemente dalla difesa su questo punto. Come avrai notato, io trovo utili le analogie. Quindi, eccone una. Mettiamo che tu sia andata nella tua località di vacanze preferita, Sedona, per esempio, e che abbia soggiornato in un determinato hotel con una determinata persona. Per semplicità, diciamo che ci sei stata con Greg. Hai memorizzato immagini, suoni, odori, emozioni, sensazioni tattili, in gran parte a livello inconscio.» «Dove vuoi arrivare?» chiese Jaime. «Un anno dopo, tu e Greg prendete lo stesso volo per Sedona, lo stesso weekend, affittate la stessa auto, soggiornate nella stessa camera dello stesso hotel. L'esperienza però non sarà identica. A renderla diversa sarà quello che è successo nel frattempo, il fatto che le 283
tue emozioni sono diverse, il rapporto è cambiato, il tuo e il suo stato di salute, le preoccupazioni, l'economia, le strade non sono più gli stessi, nel frattempo sono stati fatti lavori di ristrutturazione, e così via, fino al più piccolo dettaglio come i fiori del centrotavola e i cioccolatini sul cuscino. Senza rendertene conto, stai sovrascrivendo sui vecchi file, inserendo modifiche di cui neanche ti accorgi a livello cosciente.» «Te lo dico una volta per tutte» protestò Jaime. «Non mi piace la gente che invade i miei spazi e ficca il naso nella mia vita privata.» «Leggi quello che scrivono di te. Alcune sono cose carine, altre meno. Vai su Wikipedia.» Lucy non abbassò lo sguardo. «Non ho detto nulla che non sia di dominio pubblico. Hai passato la luna di miele con Greg a Sedona. E uno dei tuoi luoghi preferiti. Come sta Greg, a proposito?» «Non hai il diritto di fare ricerche su di me.» «Sì, invece. Volevo sapere con chi avevo a che fare esattamente. E ora credo di averlo capito. Anche se tu non sei stata molto sincera con me.» «Cos'ho detto di poco sincero?» «Niente. Perché non hai parlato affatto» ribatté Lucy. «Non hai motivo di diffidare di me. Non è proprio il caso.» «Non lascerò questo lavoro a metà per rispettare chissà quali spazi o per evitare supposti conflitti di interesse. Anche se mi togli l'incarico» insistette Lucy «ho scaricato tutto sul mio server. Quindi, se vuoi prenderti i computer di Terri Bridges e andartene, fai pure. Ma non mi fermerai.» 284
«Non voglio litigare con te.» «E non ti conviene.» «Per favore, non minacciarmi.» «Non lo sto facendo. Capisco che ti possa sentire minacciata e che razionalmente pensi sia meglio togliermi questo caso. Ma la realtà è che non mi puoi fermare, non mi puoi impedire di andare avanti. Dico sul serio. È stata uccisa una donna che stava svolgendo ricerche su mia zia per una tesi che lei o qualcun altro scriveva e rivedeva in continuazione. Ossessivamente, oserei dire. Tu e io dovremmo preoccuparci di questo, non di quello che pensano gli altri o di cosa ci possono accusare...» «Di cosa ci possono accusare?» «Di avere un conflitto di interesse. A causa di mia zia. E di tutto il resto.» «Quel che pensa il prossimo mi importa molto meno di quanto tu creda» sottolineò Jaime. «Perché ho imparato che invece di preoccuparmi è meglio che lo induca a pensare ciò che voglio io. Sono diventata brava in questo. Sono stata costretta a diventarlo. Devo essere sicura che Kay sia totalmente all'oscuro di questa cosa. Devo parlarle.» «L'avrebbe detto a Benton, o a te» osservò Lucy. «Non avrebbe mai accettato di visitare Oscar Bane se lo avesse conosciuto, o se avesse conosciuto Terri Bridges.» «Quando le ho chiesto di venire, non le ho dato nessuna informazione riguardo alla vicenda. Non le ho nemmeno fatto il nome della vittima. Magari lei conosceva Terri Bridges, ma non se n'è resa conto finché non si è trovata faccia a faccia con Bane.» «Ma a quest'ora avrebbe detto qualcosa.» 285
«Non so tu, ma io trovo strano che uno studente non cerchi di mettersi in contatto con le persone che cita nella sua tesi. Terri Bridges scriveva interi capitoli su Kay e non avrebbe mai cercato di contattarla? Possibile? Forse ci ha provato e Kay lo ha scordato, perché non ci ha dato peso.» «Se ne ricorderebbe. E avrebbe declinato l'invito con educazione. No, non la conosceva.» «Sei sicura di riuscire a essere obiettiva? Pensi di farcela? E vuoi davvero continuare a occupartene?» «Sì, voglio continuare. E sì, penso di farcela» rispose Lucy. La sua attenzione venne attirata di colpo da qualcosa che era comparso sul monitor. Era la scritta SCARPETTA, di terri bridges, in diversi caratteri e dimensioni. «Ecco il frontespizio» spiegò Lucy. «Ma era matta come un cavallo?» L'obitorio era situato al pianoterra, in modo che ambulanze e carri funebri avessero accesso diretto per consegnare e portare via le salme. Nel corridoio silenzioso, pieno di barelle abbandonate, c'era odore di deodorante industriale. I tre passarono davanti a porte chiuse dietro le quali erano conservati resti di ossa e cervelli, e arrivarono al cupo montacarichi di acciaio che serviva a portare i cadaveri al piano di sopra, dove venivano esposti dietro una vetrata. Kay provava una grande compassione per coloro che si ritrovavano a porgere l'estremo saluto a un loro caro in quelle condizioni. Negli obitori che aveva diretto aveva fatto installare vetrate infrangibili e reso gli ambienti il più possibile accoglienti, con stampe alle pareti e piante vere. Inoltre non lasciava mai soli i congiunti. 286
La dottoressa Lester condusse lei e Benton nella sala riservata ai cadaveri in avanzato stato di decomposizione, oppure radioattivi o infetti. Il tanfo arrivò alle narici di Kay, come se un tipo speciale di pietà la invitasse a entrare. La maggior parte dei medici non si entusiasmava all'idea di mettere piede là dentro. «C'è una ragione per cui l'avete sistemata in isolamento?» chiese. «In questo caso, penso che sarebbe il momento di dircelo.» La, dottoressa Lester accese le luci sul soffitto, che illuminarono un tavolo di acciaio inox, alcuni carrelli chirurgici e una barella con un corpo coperto da un lenzuolo azzurro monouso. C'era un grande schermo piatto, suddiviso in sei riquadri, su cui passavano a rotazione le immagini riprese dalle telecamere dell'impianto a circuito chiuso. Kay disse a Benton di aspettarla e andò nello spogliatoio per prendere mascherine, soprascarpe, cuffie e camici. Sfilò da una scatola un paio di guanti viola in nitrile mentre la Lester spiegava che aveva sistemato lì il cadavere di Terri perché quella era l'unica cella frigorifera libera. Kay non l'ascoltò quasi: trovava ingiustificabile che la collega non avesse fatto lo sforzo di spingere la barella fino alla sala settoria, dove c'era meno rischio di contaminazione biologica e meno puzza. Poi Kay rientrò nella sala. Tolse il lenzuolo esponendo un corpo pallido con il torso lungo, la testa grande e gli arti tozzi tipici dell'acondroplasia. La prima cosa che notò fu l'assenza di peli, compresi quelli pubici. Pensò che probabilmente fosse il risultato di una depilazione fatta con il laser in una serie di 287
sedute alquanto dolorose. Corrispondeva a quanto le aveva detto Bane sulle fobie di Terri. Ripensò alla dermatologa che le aveva nominato. «Presumo che sia arrivata così» disse spostandole una gamba per vedere meglio. «Non l'hai rasata tu, vero?» Non poteva fare riferimento a ciò che le aveva detto Bane e questo la frustrava. «Io no senz'altro» rispose Lenora Lester. «Non avrei avuto motivo di rasarla.» «I poliziotti cos'hanno detto a questo proposito? Hanno trovato rasoi o articoli per la depilazione sulla scena del crimine? Bane o qualcun altro ha parlato di eventuali trattamenti di depilazione a cui la vittima si sottoponeva?» «Hanno detto solo di averlo notato» rispose la dottoressa Lester. «Quindi nessuno ha accertato dove andasse a farsi depilare? Da un dermatologo, magari?» «Mike mi ha accennato qualcosa al riguardo. Ho preso un appunto. È una dottoressa, qui a New York. Lui ha detto che l'avrebbe chiamata.» «E come ha fatto a scoprire l'esistenza di questa dottoressa?» chiese Benton. «Da alcune ricevute ritrovate in casa di Terri. Da quel che ho capito, ne ha portate via a mucchi, assieme alla posta e a carte varie, e ha cominciato a controllarle. Niente di che. Ma il fatto che si depilasse in tutto il corpo ci porta a un'altra deduzione, ovvero che il fidanzato potrebbe essere un pedofilo. La maggior parte degli uomini che chiedono alle loro donne di depilarsi il pube sono pedofili, attivi o no.» 288
«Siamo sicuri che la depilazione fosse un'idea del fidanzato?» chiese Benton. «Come fai a escludere che fosse una sua iniziativa, una sua scelta?» «La fa sembrare prepubere» rispose la Lester. «A parte l'assenza di peli, non ha nient'altro di prepubere» obiettò Benton. «E la depilazione può anche avere a che fare con il sesso orale.» Kay avvicinò una lampada alla barella. L'incisione a Y andava da una clavicola all'altra e dallo sterno scendeva fino alla pelvi. Era stata suturata con un filo spesso e punti che ricordavano le cuciture di una palla da baseball. Le spostò la testa per guardarle meglio il viso e sentì la calotta cranica, che era stata segata, muoversi sotto il cuoio capelluto. La faccia era paonazza, con numerose petecchie. Quando Kay sollevò le palpebre, vide che la sclera era rossa, emorragica. Non era stata una morte veloce né indolore. Lo strangolamento interferisce con l'afflusso di sangue ossigenato al cervello attraverso le arterie e con il deflusso di quello carico di anidride carbonica attraverso le vene. Quando le era stato stretto un laccio, o qualcosa di simile, intorno al collo, occludendo le vene, il sangue aveva continuato per un po’ ad affluire alla testa, senza però poter defluire. L'aumento della pressione intracranica aveva causato la rottura dei capillari e una grande quantità di piccole emorragie. Senza più ossigeno, poi, Terri era morta per ipossia cerebrale. Ma non subito. Kay prese dal carrello una lente di ingrandimento e un righello e studiò le abrasioni sul collo. Descrivevano una sorta di U che passava appena sotto la mandibola, 289
con i bracci rivolti verso l'alto, sui lati del collo. Si trattava di una serie di lesioni, l'una vicino all'altra e parzialmente sovrapposte. Terri Bridges era stata strangolata con un oggetto liscio, senza margini netti, di una larghezza compresa fra i dieci e i quindici millimetri. Le era già capitato di vedere segni simili quando la vittima era stata strangolata con un indumento o un oggetto di materiale elastico che si stringeva se tirato con forza e si allargava quando veniva allentata la presa. Fece cenno a Benton di avvicinarsi. «A me sembra che sia stata garrotata.» Gli indicò i segni orizzontali delle abrasioni intorno al collo che terminavano appena dietro le branche della mandibola. «Dall'angolazione si desume che l'aggressore fosse dietro di lei, più in alto, e che non abbia usato un nodo scorsoio o un qualche tipo di maniglia per stringere il laccio intorno al collo. Teneva l'arma per le estremità e ha tirato all'indietro e verso l'alto, con forza, numerose volte. Come una macchina che va avanti e indietro quando è impantanata nella neve. Passa e ripassa sulle stesse impronte, ma non le ripercorre esattamente. Vedi com'è congestionata? E guarda le petecchie, sono coerenti con l'uso di una garrota.» Benton studiò i segni sul collo con la lente di ingrandimento e li toccò con le dita protette dai guanti. Kay, che era vicinissima a lui, venne distratta da odori e sensazioni contrastanti: il gelo della morte e il calore del corpo di Benton, la sua carica vitale. Continuò a spiegare che a suo avviso Terri Bridges era stata garrotata più volte. «Basandomi sui segni visibili, direi tre, come minimo» aggiunse. 290
La dottoressa Lester era dall'altra parte della barella, con le braccia conserte e l'espressione imbarazzata. «Dopo quanto tempo avrà perso i sensi, a ogni stretta?» chiese Benton. «Dopo una decina di secondi» rispose Kay. «La morte sarebbe sopraggiunta nel giro di qualche minuto, se avesse continuato a esercitare una pressione costante. Invece credo che abbia stretto e mollato, stretto e mollato, permettendole ogni volta di riprendere conoscenza. Finché non è morta. O finché l'aggressore non si è stufato.» «Potrebbe anche essere stato interrotto» suggerì Benton. «Sì. Questa sorta di rituale ripetitivo spiega la forte congestione del viso e l'abbondanza di petecchie.» «Un sadico» concluse Benton. La dottoressa Lester si avvicinò e disse: «Un rituale sadomaso che si è spinto troppo oltre». «C'erano fibre sul collo? Hai controllato?» le domandò Kay. «Non c'era niente che ci aiuti a capire con cosa è stata strangolata?» «Ho recuperato fibre dai capelli e da altre zone del corpo e le ho mandate ad analizzare in laboratorio. Sulle abrasioni del collo però non ce n'erano.» «Vorrei che accelerassi i tempi più che puoi. Qui non si tratta di un gioco sadomaso finito in tragedia. I segni sui polsi sono rossi e profondi, a indicare che erano legati molto stretti, con qualcosa dai margini taglienti». «Le manette di plastica verranno analizzate per trovare eventuale DNA.»
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«Quei segni non sono stati provocati da manette di plastica» obiettò Kay «perché quelle hanno i margini arrotondati. Presumo che tu abbia già mandato...» «Ho inviato tutto al laboratorio» la interruppe la Lester. «Ovviamente le manette sono state prima portate qui, Mike voleva che le confrontassi con i segni sui polsi, e poi se le è riprese. Ma sono in diverse foto, fra quelle che ti ho dato». Kay Scarpetta era delusa. Avrebbe voluto vederle, nella speranza che le ricordassero elementi di qualche caso precedente. Osservò le foto, ma neanche i primi piani le rivelarono niente più di quanto avesse già notato. I lacci che Oscar Bane sosteneva di avere tagliato dai polsi di Terri erano fascette di plastica quasi trasparenti, dello spessore di sei millimetri e lunghe poco più di mezzo metro dalla punta al fermo di arresto. Un lato era zigrinato, l'altro liscio, i margini erano a spigolo vivo, taglienti. Non c'era un numero di serie né altri segni di riconoscimento attraverso cui risalire al produttore. «Mi sembra una specie di fascetta fermacavo» suggerì Benton. «Sicuramente non sono manette» ribadì Kay. «In genere però le fascette fermacavo» osservò Benton guardando alcune foto «essendo usate all'aperto e quindi esposte ai raggi ultravioletti sono nere, non trasparenti né di colore chiaro.» «Forse è una fascetta chiudisacco» azzardò Kay. «Quelle sono anche trasparenti. Per sacchi grossi, pesanti. Non per normali sacchi della spazzatura.» Guardò quello dei rifiuti biologici vicino al lavandino, rosso, con il caratteristico simbolo, dentro un contenitore di acciaio inox. «In realtà, io quel genere 292
di chiusura l'ho già visto. Qui» disse indicando il cestino dei rifiuti biologici. «Noi usiamo chiusure a torsione» intervenne la dottoressa Lester seccata, come se Kay avesse insinuato che Terri Bridges fosse stata strangolata con qualcosa che proveniva da quell'obitorio. «La cosa più importante è che nelle pratiche sadomaso di solito non ci si lega tanto stretti da fermare la circolazione e non si usano lacci con margini taglienti o costrizioni meccaniche che non si possano rimuovere facilmente o con una chiave» spiegò Kay indicando la foto. «Questo tipo di laccio, una volta chiuso, non si apre più. Si può solo stringere ulteriormente. La vittima deve avere sofferto molto. Non c'era modo di liberarla senza ricorrere a un coltello o una lama. Qui si vede una piccola ferita sul polso sinistro. Potrebbe essere stata prodotta quando la fascetta è stata tagliata, da una lama oppure da un paio di forbici, se è vero che sono state usate quelle. C'era del sangue sul corpo, oltre che sulle gambe, quando è arrivata qui?» «No.» La dottoressa Lester la fissava torva. «Bè, se quando le sono stati liberati i polsi era già morta, ed è allora che le è stato procurato il taglio, non avrebbe sanguinato, o per lo meno non molto» disse Kay «Non è stato un gioco. Troppo dolore, per essere un gioco.» «Non è proprio il dolore lo scopo delle pratiche sadomaso?» «In così tanto dolore non può esserci piacere» replicò Kay. «Tranne che per la persona che lo infligge.» 293
Il frontespizio apparteneva a una revisione di circa tre settimane prima, datata 10 dicembre. «È un file molto lungo e siamo ancora lontane dall'averlo recuperato tutto» disse Lucy. «Ma questa parte di un capitolo ti da un'idea.» Aveva copiato i dati in un file di testo. Jaime Berger iniziò a leggere, mentre Lucy lo faceva scorrere. ... Quando metto le mani su un cadavere, penso che io avrei potuto uccidere la vittima in un modo migliore. Con tutte le cose che so, sicuramente potrei commettere il delitto perfetto. Quando con i miei colleghi beviamo qualche whisky più del solito, ci divertiamo un mondo a inventare scenari che non presenteremmo mai ai convegni e di cui non parleremmo certo in famiglia, con i nostri amici e tanto meno con i nostri nemici! Le ho chiesto qual è il suo whisky preferito. Il primo posto se lo giocano l'Irish Knappogue Castle e il Brora di puro malto. Non li ho mai sentiti nominare. Ci credo! Il Knappogue è forse il migliore whisky irlandese che esista e costa quasi settecento dollari la bottiglia. Il Brora è talmente raro e squisito che una bottiglia, numerata, costa più di quanto spendi per i libri di testo in un anno. Come fa a bere whisky così costosi senza sentirsi in colpa, sapendo che ci sono tante persone che hanno perso la casa e non hanno nemmeno più i soldi per la benzina? Non è che se io rinuncio a un magnifico whisky irlandese a te si riempie il serbatoio della macchina, sempre che tu abbia la macchina, giusto? È noto che le marche più raffinate, che si tratti di Chàteau Petrus, 294
di un whisky di puro malto o di tequila di pura agave, fanno meno male sia al fegato sia al cervello. Dunque i ricchi che bevono roba buona hanno meno problemi di salute? È la prima volta che lo sento dire. Quanti fegati e cervelli umani hai visto e sezionato? Mi fa qualche altro esempio del vostro lato oscuro? Di cos'altro parlate dietro le quinte, fra colleghi? Ci vantiamo dei personaggi famosi a cui abbiamo fatto l'autopsia (tutti avremmo voluto sezionare Elvis, Anna Nicole Smith o Lady Diana). Non sono diversa dagli altri, sai? Anche a me piacciono i casi esclusivi. Voglio gli omicidi seriali di Gainesville. Voglio arrivare sulla scena del crimine e trovare la testa mozzata su uno scaffale della libreria che mi guarda mentre entro dalla porta. Mi sarebbe piaciuto da matti essere sottoposta a controinterrogatorio da Ted Bundy, quando si è autodifeso al proprio processo. E fargli l'autopsia, dopo che fu giustiziato. Mi parli dei casi sensazionali a cui ha lavorato. Ho avuto la fortuna di poterne seguire un certo numero. Per esempio, casi di folgorazione in cui nessun altro era stato in grado di scoprire la causa del decesso. Trovi un cadavere in mezzo a un campo, con i vestiti strappati e sparsi in giro. Qual è la prima cosa che ti viene in mente? La violenza sessuale. Ma l'autopsia non mostra lesioni né ferite. Qualche segnale folgorante, se mi permetti il gioco di parole? Le ramificazioni note come "figure di Lichtenberg", o" arborizzazione eritematosa". Oppure, se la vittima ha addosso qualcosa di metallico, per esempio una fibbia di acciaio, si può magnetizzare, o magari l'orologio è fermo all'ora del decesso, lo controllo sempre questo genere di cose. Tanti miei colleghi non ci pensano 295
perché non hanno esperienza, o semplicemente perché non sanno fare il loro mestiere. Scusi se glielo dico, ma lei mi sembra meno compassionevole di come mi aspettavo. Parliamoci chiaro, un morto è un morto. Posso mostrarmi molto compassionevole e far commuovere fino alle lacrime un'intera giuria. Ma mi dovrei forse strappare i capelli quando vedo arrivare la vittima dell'ennesima tragedia? O disperarmi se i poliziotti fanno commenti che non devono arrivare all'opinione pubblica? Per esempio? Di solito sono commenti a sfondo sessuale. La dimensione del pene del cadavere, soprattutto se è molto grosso o molto piccolo, o la taglia di reggiseno della morta, in particolare se si tratta di roba degna di "Playboy". Conosco molti medici che prendono souvenir, piccoli trofei. Una protesi all'anca di un personaggio famoso, un dente, una protesi di silicone per il seno... Queste ultime sono sempre gli uomini a volerle. Perfino gli impianti penieni, quelli sì che sono divertenti. Lei si è mai presa un souvenir? Solo una volta, vent'anni fa, all'inizio della mia carriera. C'era stata una serie di omicidi a Richmond, dove ero da poco direttrice dell'Istituto di medicina legale. Il trofeo però non proveniva da un cadavere, ma da Benton Wesley. La prima volta che ci siamo visti è stato nella mia sala riunioni. Quando se n'è andato, ho conservato la sua tazza del caffè. Sai, uno di quei bicchieri di polistirolo del 7-Eleven. Benton mi ha eccitato fin dal primo momento. Cosa ha fatto di quel bicchiere? 296
Me lo sono portato a casa e ho leccato il bordo, pensando di leccare lui. Ma siete andati a letto insieme solo quasi cinque anni dopo, vero? Così credono tutti, ma non è vero. Dopo quel primo incontro, l'ho chiamato e l'ho invitato a bere qualcosa, con la scusa di continuare a discutere il caso in privato. Appena è entrato, ci siamo saltati addosso. Chi ha cominciato? L'ho sedotto io. Per rendergli la vita più facile, dal punto di vista morale: era sposato, io invece ero divorziata e non uscivo con nessuno. Povera moglie. Benton e io siamo stati amanti per quasi cinque anni prima che lui si decidesse a dirglielo, fingendo che la nostra storia fosse appena iniziata perché loro non si amavano più e il matrimonio era finito. E non lo sapeva nessuno? Nemmeno Pete Marino, Lucy Farinelli o la sua segretaria Rose? Mi sono sempre chiesta se Rose sospettasse qualcosa, considerato come si comportava quando arrivava Benton per discutere di un caso o quando io andavo a Quantico per qualche consulenza. È morta di cancro l'estate scorsa. A questo punto, non sapremo mai la verità. Non mi pare che lavorare con i morti la inibisca sessualmente. Al contrario, quando si è esplorato così tante volte ogni millimetro del corpo umano, non si prova più imbarazzo o repulsione. Non ci sono limiti a ciò che si può fare, c'è molto da sperimentare... «Puoi inoltrarlo a Kay?» chiese Jaime quando il testo si interruppe bruscamente. «Così, quando riesce, 297
gli da un'occhiata. Magari le viene in mente qualcosa a cui noi non abbiamo pensato.» «Qui dice che è una delle presunte interviste dello scorso Ringraziamento» osservò Lucy. «Che mia zia non ha rilasciato, ne sono sicura. E poi non farebbe mai affermazioni simili. Con nessuno.» «Ho notato un uso creativo dei caratteri. Che cosa ne pensi?» «L'autore fa attenzione ai font» concordò Lucy. Cercava di restare calma, ma era furibonda. Jaime lo capì e preferì aspettare. In passato, Lucy si era dimostrata capace di una rabbia terribile. «Secondo me, è una scelta simbolica» aggiunse Lucy. «In questa falsa intervista, per esempio, le domande di Terri, dico "Terri" per semplificare, sono in Franklin Gothic grassetto e le risposte di mia zia invece in Arial, e di dimensioni più piccole.» «Quindi, a livello simbolico, Terri ha dato più importanza a se stessa che a Kay» concluse Jaime. «Non solo. Fra i puristi del wordprocessing, l'Arial ha una pessima reputazione.» Mentre parlava, Lucy continuava a studiare il testo. «È considerato bruttino, ordinario, poco incisivo e si dice sia anche una sfacciata impostura. Ho letto numerosi articoli al riguardo.» Lucy evitò lo sguardo di Jaime. «Un'impostura?» chiese quest'ultima. «Nel senso che è un plagio, una violazione di copyright? A cosa ti riferisci?» «E considerato un'imitazione dell’Helvetica, che fu creato negli anni Cinquanta ed è diventato uno dei caratteri tipografici più famosi al mondo» spiegò Lucy. «Per un occhio poco esperto, non c'è differenza tra Helvetica e Arial. Ma per un purista, un tipografo o un 298
grafico, l'Arial è un parassita. Sai qual è il colmo? C'è chi sostiene che sia l’Helvetica a basarsi sull'Arial e non il contrario. Capisci il significato simbolico? Secondo me, è spaventoso.» «Certo che lo capisco» rispose Jaime. «Suggerisce un'inversione dei ruoli fra Terri e Kay, come se l'esperta anatomopatologa di fama mondiale fosse la Bridges. Un po’ come fece Mark David Chapman, che prima di uccidere John Lennon andava in giro con una targhetta con il suo nome. E Sirhan Sirhan, che dicono sostenesse di avere ucciso Bob Kennedy per diventare famoso.» «C'è una progressione nell'uso dei font» osservò Lucy. «Nelle versioni del testo più recenti, il cambiamento diventa a mano a mano più evidente: il nome di Terri acquista prominenza rispetto a quello di mia zia.» «E questo indica che l'attaccamento emotivo di Terri a Kay si stava trasformando in ostilità e disprezzo. Dovremmo parlare di un generico "autore". Ma, per amor di semplicità, continuiamo a dire "Terri"» osservò Jaime. «E un po’ quello che è successo tra Kay e Marino, a pensarci bene. Prima l'adorava e poi ha cercato di farle del male.» «Non è così semplice» replicò Lucy. «Marino aveva tutti i motivi per essere innamorato di mia zia: la conosceva. Terri no. Delirava.» «Torniamo al suo uso creativo dei font» propose Jaime, continuando il ragionamento. Lucy pareva profondamente cambiata. Era ancora impulsiva, certo, ma non reagiva più come una volta quando, secondo Jaime, le bastava un nonnulla per 299
diventare violenta. Quelle reazioni rappresentavano il suo più grande difetto, pericoloso per lei stessa. «Continuo a pensare che fosse piuttosto esperta nel campo» proseguì Lucy. «Usa font diversi per le note a pie di pagina, per la bibliografia, per i titoli dei capitoli, per l'indice. Non è consueto, in una tesi. Magari si usano caratteri più grandi e più piccoli, qualche corsivo, ma non questo assortimento pseudoartistico di font dive- i. Il più usato è quello che la maggior parte dei programmi di videoscrittura, compreso quello usato da Terri, propone di default. Il grosso della tesi è scritto in Times New Roman.» «Fammi degli esempi» la sollecitò Jaime prendendo appunti sul blocnotes. «Quali font usa, per cosa e per quale ipotetico motivo?» «Per le note a pie di pagina usa il Palatino Linotype, che ha un'ottima leggibilità sia sul monitor sia su carta. Per la bibliografia il Bookman Old Style, anch'esso molto leggibile. Per i titoli dei capitoli ha scelto l’MS Reterei. Sans Serif. Ribadisco che è raro trovare tanti caratteri diversi, soprattutto in una tesi. Mi fa pensare che avesse un modo di scrivere molto personale. Non solo per i contenuti.» Jaime la guardò a lungo. «Come diavolo fai a sapere tutte queste cose?» chiese poi. «Io ai font non faccio proprio caso. Non ti saprei nemmeno dire quale uso per i miei documenti.» «Usi quello di default, lo stesso di Terri: il Times New Roman, creato per il "Times" di Londra. Un carattere stretto, e quindi economico, ma molto leggibile. Ho visto dei documenti sulla tua scrivania oggi, quando ero nel tuo ufficio. Nel mio lavoro, anche i più piccoli dettagli possono essere significativi.» 300
«Come in questo caso.» «L'unica cosa che posso dirti con certezza è che l'uso di caratteri diversi è stato deliberato, perché Terri ha dovuto selezionarli. Per quale motivo simbolico abbia scelto proprio quelli e a quali emozioni o sentimenti fossero legati... bè, di questo non ne ho idea. Se vuoi la mia opinione, penso che ci sia sotto qualcosa di molto morboso. Se Terri fosse ancora viva, la considererei un pericolo per mia zia. Anche fisicamente. Come minimo ha cercato di diffamare una persona che nemmeno conosceva.» «Kay sarebbe stata costretta a provare che quanto ha scritto non corrisponde al vero. E com'è possibile provare che un aneddoto come quello della tazza del caffè è inventato di sana pianta, tanto per fare un esempio? Tu come fai a sapere che non è vero?» «Zia Kay non agirebbe mai così.» «Non credo che tu sappia come si comporta in privato» replicò Jaime. «Sì, invece.» Lucy la guardò negli occhi. «E anche tu. Chiedi a chiunque se si è mai permessa di scherzare su un cadavere o se lo ha mai permesso ad altri. Domanda a quelli che hanno lavorato con lei se gode quando un caso è particolarmente raccapricciante o se le dispiace non avere fatto l'autopsia a Ted Bundy. Spero che questa roba non finisca in un'aula di tribunale.» «Mi riferivo alla tazza del caffè. Perché ti infastidisce pensare che anche Kay abbia delle pulsioni sessuali? Tu non le concedi di essere umana. Hai paura che non sia abbastanza perfetta?» «Confesso di avere avuto questo problema, di avere desiderato la sua attenzione esclusiva al punto di non 301
ammettere che potesse avere difetti o provare sentimenti» disse Lucy. «Sì, sono stata una tiranna.» «E adesso non più?» «Forse Marino è stato l'ultimo ciclo di chemioterapia: mi ha curato, anche senza volere, mi ha estirpato una parte maligna, e adesso io e mia zia stiamo meglio. Mi rendo conto che ha una vita sua, separata da me, e mi sta bene. Anzi, benissimo. È molto meglio così. Non che prima non lo volessi, ma con il senno di poi capisco che non lo accettavo fino in fondo. E ora è sposata. Se Marino non avesse fatto quello che ha fatto, non so se Benton si sarebbe deciso.» «Lo dici come se fosse stata una decisione solo sua. Kay non ha avuto voce in capitolo?» Jaime studiò le sue reazioni. «Lei non gli ha mai forzato la mano. Lo ama. Non potrebbe stare con nessun altro, perché ci sono tre cose che non tollera: controllo, tradimento e noia. Piuttosto che sentirsi controllata, tradita o annoiarsi, preferirebbe rimanere sola.» «Come qualcuno di mia conoscenza» osservò Jaime. «Probabile» ammise Lucy. Jaime tornò a occuparsi di quello che appariva sul monitor. «Purtroppo queste sono prove, e chi si occuperà del caso le leggerà. Sì, tutto questo diventerà di dominio pubblico.» «Sarebbe la rovina per mia zia.» «Non succederà» replicò Jaime Berger. «Ma dobbiamo scoprire da dove provengono queste informazioni. Io non credo che siano inventate di sana pianta. Chiunque abbia scritto questa roba è al corrente di troppi dettagli. Il primo incontro fra Kay e Benton vent'anni fa a Richmond, per esempio.» 302
«Ma la loro storia non iniziò allora.» «Come fai a saperlo?» «Perché passai quell'estate da lei» rispose Lucy. «E Benton non mise piede in casa nemmeno una volta. Quando non era in ufficio o su una scena del crimine, mia zia stava con me. Ero una ragazzina difficile, un po’ matta e disperatamente bisognosa di attenzioni. In altre parole, mi ficcavo continuamente nei pasticci e non capivo che i guai di cui si occupava mia zia portavano spesso a fare una brutta fine, a subire violenza e a morire ammazzati. Non mi lasciava sola un momento, con un serial killer in giro per la città. E non ho mai visto nessun bicchiere del 7-Eleven per casa, se proprio lo vuoi sapere.» «Questo non significa niente» replicò Jaime. «Per quale ragione avrebbe dovuto mostrartelo o spiegarti perché se l'era portato a casa?» «Non l'avrebbe mai fatto» insistette Lucy. «Quasi mi dispiace non averlo visto, sai? All'epoca la zia era davvero molto sola.» Kay Scarpetta adagiò il corpo di Terri Bridges su un fianco per guardarlo davanti e dietro. Oltre ai segni sul collo e a un piccolo taglio su un polso, le uniche ferite visibili si trovavano sulla parte anteriore delle gambe, a partire da metà coscia: lividi di forma allungata con diverse abrasioni lineari che dovevano avere sanguinato; la maggior parte era orizzontale, come se la donna fosse stata colpita con un'asse di legno dalla superficie piatta ma con uno spigolo vivo. Anche le ginocchia erano piene di lividi e di escoriazioni, come pure il dorso dei piedi. Con l'aiuto di una lente d'ingrandimento, Kay scoprì piccole 303
schegge chiare, sottili come capelli, conficcate nella cute. Il colore rosso vivo e l'assenza di gonfiore indicavano che tutte le ferite erano state inferte poco prima del decesso. Forse pochi minuti, al massimo un'ora prima. Per spiegare la presenza delle schegge sulla parte anteriore delle cosce, sulle ginocchia e sui piedi, la dottoressa Lester ipotizzava che a un certo punto il cadavere fosse stato trascinato e che solo quelle aree fossero venute a contatto con una superficie di legno, forse il pavimento. Kay ribatté che difficilmente un pavimento è così ruvido da lasciare schegge, a meno che non sia di legno non trattato. «Non sono ancora pronta a escludere che sia stato un incidente» dichiarò testarda la Lester. «Bondage, percosse, frustate, sculacciate. A volte si esagera e va a finire male.» «E la colluttazione?» chiese Benton. «Come si concilia con la tua teoria dell'incidente?» «A volte la vittima si dibatte e urla per il dolore. Si vede nei video che voi profiler mostrate ai convegni» rispose la dottoressa Lester. La ruga che aveva sulla fronte diventò più profonda. «Le coppie si filmano con la videocamera senza immaginare che i loro perversi rituali finiranno in tragedia.» «Ti dispiace passarmi le foto della scena del crimine?» chiese Kay a Benton. «Vorrei riguardare alcuni dettagli.» Benton prese la busta dal bancone e insieme disposero sulla scrivania le foto del bagno. Kay indicò quella in cui si vedeva il mobile da toeletta con sopra lo specchio ovale leggermente storto. «Le ferite sulle gambe sono state causate da 304
un forte impatto con un oggetto piatto ma dotato di uno spigolo vivo. Non potrebbe trattarsi del bordo del mobile e della parte inferiore del cassetto? È possibile che Terri fosse seduta davanti allo specchio? Questo spiegherebbe la presenza di lividi ed escoriazioni solo sulla parte anteriore delle gambe, da metà coscia in giù. Posteriormente non ci sono segni, e nemmeno sul torso. Niente sulla schiena o sui glutei, come invece ci si aspetterebbe in un rapporto sadomaso.» «Sai se la polizia ha trovato sulla scena del crimine un'arma che possa avere causato questi lividi e queste abrasioni?» chiese Benton alla Lester. «Non mi risulta» rispose lei. «E non mi sorprende: se chi l'ha uccisa ha portato via con sé l'oggetto usato per strangolarla, forse ha fatto lo stesso con quello usato per picchiarla. Sempre che sia stata picchiata. Francamente, sarei più propensa ad accogliere la tesi dell'omicidio se fosse stata violentata. Ma non ci sono prove al riguardo. Nessuna infiammazione, né lacerazioni, né liquido seminale...» Kay si avvicinò alla barella e puntò la luce sulla pelvi. La dottoressa Lester la osservò. «Come ti ho già detto, ho eseguito i tamponi» puntualizzò. Si stava innervosendo ed era sulla difensiva. «Di mia iniziativa ho fatto anche alcuni vetrini e li ho esaminati al microscopio per cercare liquido seminale» aggiunse. «I risultati sono negativi. I campioni sono stati mandati al laboratorio del DNA, e l'esito è quello che conoscete. Non credo che ci sia stato un rapporto sessuale. Questo però non significa che non ce ne fosse l'intenzione. Nulla esclude che la vittima avesse in 305
mente un rapporto consensuale che nei preliminari prevedeva il bondage.» «Sulla scena del crimine c'era del lubrificante?» chiese Kay. «Forse in bagno o vicino al letto, così da far pensare che fosse della vittima? Dall'inventario stilato dalla polizia non risulta.» «Pare di no.» «Bè, è estremamente importante» ribatté Kay. «Se non c'è traccia della crema lubrificante nell'appartamento, probabilmente apparteneva all'uomo che era con lei. Ed è possibilissimo che lui e Terri abbiano cercato di avere, o abbiano avuto, un rapporto sessuale anche se non c'è traccia di sperma o liquido seminale. La spiegazione più ovvia è una disfunzione erettile, che nei casi di violenza sessuale non è rara. Alternative? Lui è vasectomizzato o soffre di azoospermia, perciò niente spermatozoi. Oppure ha un'ostruzione nel dotto deferente o un'eiaculazione retrograda, cosicché spermatozoi e liquido seminale ritornano nella vescica, invece di uscire dal pene ed entrare nella vagina. O magari assume farmaci che interferiscono con la spermatogenesi.» «Di nuovo, vorrei ricordarti quanto ho detto prima. Non solo non ci sono spermatozoi, ma all'esame con i raggi ultravioletti non è comparso nulla che indichi la presenza di liquido seminale. L'uomo con cui era la vittima non ha eiaculato.» «Non necessariamente» puntualizzò Kay. «Se lo sperma era in profondità nel canale vaginale o nel retto, senza una dissezione o un esame con fibre ottiche impostate per frequenze UV non si rileva niente. Hai guardato nel cavo orale? Hai prelevato tamponi dalla bocca e dal retto?» 306
«Ovviamente.» «Bene. Vorrei dare un'occhiata anch'io.» «Fai pure.» Più Kay appariva determinata, meno la dottoressa Lester era combattiva e arrogante. Kay aprì un armadietto e prese uno speculum ancora sigillato. Si infilò un paio di guanti puliti e seguì la procedura dei ginecologi per l'esame della pelvi. Ispezionò i genitali esterni e non vide ferite né anomalie, poi con lo speculum dilatò il canale vaginale, dove trovò lubrificante a sufficienza per vari strisci, che trasferì su vetrini. Prelevò tamponi anche dal retto, dall'interno della bocca e dalla gola, perché non è raro che le vittime aspirino o ingoino il liquido seminale durante un rapporto orale. «Il contenuto dello stomaco?» chiese poi. «Una piccola quantità di liquido marroncino, circa venti cc. Non mangiava da ore» rispose la Lester. «L'hai tenuto?» «Non ce n'era motivo. Sto facendo fare gli esami tossicologici di routine sui fluidi corporei.» «Non pensavo alla droga, ma alla possibilità che ci fosse dello sperma. Se ha avuto un rapporto orale, nello stomaco potevano esserci tracce di liquido seminale, e perfino nei polmoni. In questa situazione, dobbiamo essere creativi.» Prese un bisturi dal carrello e vi infilò una lama nuova. Iniziò a incidere le contusioni sulle ginocchia di Terri e sentì, sotto la pelle abrasa, che entrambe le rotule erano fratturate in più punti: trauma tipico degli incidenti automobilistici in cui le ginocchia sbattono contro il cruscotto. «Vorrei avere i file di tutte le radiografie» disse. 307
Incise anche le contusioni sulle cosce e scoprì alcuni vasi sanguigni rotti a quasi tre centimetri di profondità, nei muscoli. Usando un righello di dieci centimetri come riferimento, chiese a Benton di scattare alcune foto, mentre lei segnava la posizione su diagrammi prestampati del corpo umano presi da uno scaffale sopra il bancone. Con le pinze prelevò varie schegge dalle ginocchia e dal dorso dei piedi e le mise su una serie di vetrini asciutti. Si sedette davanti al microscopio, regolò luminosità e contrasto e sistemò il primo vetrino sotto l'obiettivo. Con un ingrandimento di 100 x, riuscì a vedere le tracheidi, le cellule vegetali preposte alla conduzione della linfa, e a determinare che alcune erano rotte, schiacciate nei punti in cui fogli sottili di legno erano attaccati fra loro con una colla molto potente. Le schegge provenivano da un compensato che doveva essere stato piallato. Kay guardò di nuovo, assieme a Benton, la foto venti per venticinque del corpo nudo di Terri Bridges sul pavimento del bagno. Sullo sfondo c'erano il mobile da toeletta incassato nel piano di marmo e una piccola sedia di metallo dorato con lo schienale a forma di cuore e la seduta foderata di raso nero. Sopra il mobile c'era un vassoio di vetro a specchio con dei profumi, una spazzola e un pettine. Tutto era perfettamente in ordine, tranne lo specchio ovale alla parete. Quando Kay studiò la foto sotto la lente, ebbe la conferma che il bordo del piano di marmo della toeletta era squadrato. E lo spigolo era vivo, tagliente. Guardò altri scatti del bagno, presi da diverse angolazioni. 308
«È un pezzo unico» commentò mostrando una foto a Benton. «Nel piano di marmo sono incassati il lavabo, i mobiletti e la toeletta con il cassetto. E se guardi qui, in questa foto scattata all'altezza del pavimento, si vede che appoggiato alle piastrelle del muro c'è un fondo di compensato dipinto di bianco. Come in certe cucine. Spesso in questi casi le parti non visibili vengono lasciate al naturale. Al microscopio abbiamo rilevato che le schegge nelle ginocchia e nei piedi sono frammenti di compensato grezzo. Dobbiamo fare un sopralluogo.» La dottoressa Lester guardava in silenzio da dietro le loro spalle. «Secondo me, l'assassino potrebbe averla costretta a sedersi e a guardarsi allo specchio mentre la garrotava» spiegò Kay. «E quando Terri si è ribellata, scalciando violentemente, con le gambe ha urtato lo spigolo del piano, procurandosi le abrasioni lineari e le profonde contusioni sulle cosce. Le ginocchia hanno battuto contro la parte inferiore del mobile con tale violenza che le rotule si sono fratturate in più punti. Se il rivestimento è di compensato grezzo, si spiegano le schegge nelle ginocchia e nel dorso dei piedi. Essendo le gambe molto corte, i piedi non arrivavano al muro e quindi hanno cozzato contro il fondo del cassetto.» «Se è come dici, occorre tenerne conto» ammise la dottoressa Lester. «Se scalciava e si divincolava, e qualcuno la costringeva a stare seduta per guardarsi allo specchio, la storia è completamente diversa.» «Sarebbe importante stabilire in che stato era il bagno quando Oscar Bane è arrivato e ha trovato il cadavere» intervenne Benton. «Sempre che dica la verità.» 309
«Questo possiamo scoprirlo prendendo qualche misura» disse Kay. «Se Terri era sulla sedia e Oscar in piedi dietro di lei, lui non poteva tirare il laccio verso l'alto, come farebbero pensare i segni sul collo. O almeno così credo. Dobbiamo andare al più presto sulla scena del crimine.» «Proverò a chiederglielo direttamente» propose Benton. «Magari, pensando che siano emerse nuove prove, riterrà opportuno collaborare e mi dirà tutto. Chiamo subito il reparto. Speriamo che Oscar sia ragionevole.» Lucy stava controllando le email, mentre Kay spiegava al telefono in vivavoce per quale motivo voleva spedire una sedia e i tamponi che aveva prelevato da tutti gli orifizi di Terri Bridges al National Security Complex di Oak Ridge, nel Tennessee. «Ho degli amici all'Y-12» disse a Jaime Berge, perché aveva bisogno della sua approvazione. «Penso che avremo i risultati molto presto, nel giro di qualche ora. Ci vorrà un po’ di tempo per creare il vuoto nella camera del microscopio, dal momento che il lubrificante a base di vaselina contiene molta umidità.» «Credevo costruissero armi nucleari» replicò Jaime. «Non sono stati loro ad arricchire l'uranio per la prima bomba atomica? Mi vuoi forse dire che Terri Bridges aveva a che fare con i terroristi o roba del genere?» Kay le spiegò che all'Y-12 producevano componenti per tutte le armi dell'arsenale nucleare americano e possedevano le maggiori riserve esistenti di uranio arricchito, ma che a lei interessavano gli ingegneri, i chimici, i fisici e soprattutto gli esperti di scienze dei materiali che ci lavoravano. «Hai presente il VisiTech, 310
il microscopio elettronico a scansione LCSEM?» le chiese. «Mi stai dicendo che qui non lo abbiamo, immagino» osservò Jaime. «Temo che al momento non esista al mondo un laboratorio di medicina legale che possiede un microscopio da dieci tonnellate con un ingrandimento di 200.000 x e rivelatori EDX e FTIR, ovvero apparecchiature per spettroscopia a raggi X a dispersione di energia e a infrarossi in trasformata di Fourier» rispose Kay. «L'Y-12 è l'unico posto dove è possibile far analizzare dal punto di vista morfologico e chimico campioni piccoli come una macromolecola o grandi come un blocco motore. Forse farò mettere nella camera del microscopio la sedia intera. Vedremo. Non voglio chiedere a Lucy di prestarci il suo jet per portare le prove nel Tennessee e consegnarle a uno dei miei amici scienziati nel cuore della notte, se non sono assolutamente sicura che sia necessario.» «Parlami della sedia» disse Jaime. «Perché pensi che sia così importante?» «È la sedia del bagno di Terri Bridges» rispose Kay. «Secondo me, lei c'era seduta sopra quando è stata uccisa. È una teoria che posso verificare solo andando sulla scena del crimine. Ho ragione di credere che Terri fosse nuda su quella sedia e, poiché sappiamo che nella crema lubrificante c'era un miscuglio di DNA diversi, lì potrebbero esserci tracce di altre sostanze organiche e inorganiche. Non sappiamo per cosa sia stato usato il lubrificante, non ne conosciamo né la provenienza né la composizione. Ma il VisiTech potrebbe aiutarci a scoprirlo velocemente. Vorrei andare a casa di Terri Bridges il prima possibile.» 311
«C'è un agente di guardia ventiquattr'ore su ventiquattro» la informò Jaime. «Non è un problema farti entrare, ma vorrei che fossi accompagnata da un investigatore. Inoltre devo chiederti di nuovo se in passato hai avuto contatti con Terri Bridges o con Oscar Bane.» «No, mai.» «Sui computer trovati a casa della vittima ci sono elementi che suggeriscono il contrario. Per lo meno per quanto riguarda Terri.» «Mai avuto contatti. Qui fra un quarto d'ora avremo finito» aggiunse Kay. «Poi passeremo dall'ufficio di Benton per lasciare alcune cose. L'ideale sarebbe se mandassi qualcuno a prenderci davanti all'ospedale.» «Che ne diresti se quel qualcuno fosse Pete Marino?» domandò Jaime in tono volutamente neutro. «Se Terri è morta come penso, abbiamo a che fare con un sadico, un maniaco sessuale che forse ha già ucciso in passato» replicò Kay nello stesso tono neutro, come se la proposta di Jaime Berger non l'avesse sorpresa. «Potrebbe avere ammazzato altre due persone nel 2003. Benton ha ricevuto da Marino le stesse informazioni che hai avuto tu.» «Non ho controllato le email in queste ultime ore» replicò Jaime. «Abbiamo appena cominciato a passare al vaglio la posta elettronica di Terri Bridges e quella di Oscar Bane.» «Se l'omicidio è avvenuto nel modo che penso, non credo che l'assassino possa essere Bane. Certo, dobbiamo ancora inserire il suo DNA nel CODIS ma, se fosse stato in piedi dietro a Terri seduta, si sarebbero trovati più o meno alla stessa altezza. Sempre che lui non sia salito su una scaletta, per esempio. Però 312
mantenere l'equilibrio in quel frangente sarebbe stato molto difficile, se non impossibile.» «Per quale motivo, scusa?» «A causa dell'acondroplasia» spiegò Kay Scarpetta. «Hanno il torso di una lunghezza normale, ma le braccia e le gambe molto corte. Te lo dimostrerò misure alla mano, comunque se un soggetto acondroplasico alto, diciamo, un metro e venticinque è seduto davanti a una persona in piedi più o meno della stessa statura, le teste e le spalle si trovano quasi allo stesso livello.» Rifletté un attimo, poi chiese: «Qualcuno sa dove si trovi Oscar Bane in questo momento? Bisognerebbe sorvegliarlo, accertarsi che sia al sicuro. Forse ha ragione a essere paranoico, se non è lui l'assassino, come penso». «Cristo!» esclamò Jaime. «Vuoi forse dirmi che non è più al Bellevue?» «Benton ha appena chiamato in reparto. Credevo lo sapessi» rispose Kay. Il punto vendita principale della catena TellTail Hearts era in Lexington Avenue, alcuni isolati a ovest di Grace’s Marketplace. Mentre avanzava nella sera ventosa, Shrew pensava a un articolo che aveva postato alcune settimane prima riguardante proprio quei negozi di animali. Pareva che i locali fossero pulitissimi e i commessi in divisa fornissero un servizio ineccepibile sia a chi era interessato a comprare alimenti con particolari caratteristiche nutrizionali sia a chi aveva bisogno di consulenze mediche o semplicemente di attenzioni. I punti vendita della catena restavano aperti sette giorni su sette, dalle dieci del mattino alle nove di sera, in modo che gli animali, soprattutto i cuccioli, molto 313
cagionevoli, non rimanessero soli per troppo tempo. Dopo l'orario di chiusura, il riscaldamento o l'aria condizionata non venivano spenti e la radio era lasciata accesa per tenere compagnia alle creature. Dopo la morte di Ivy, Shrew aveva fatto qualche ricerca e scoperto quanto era importante che i cuccioli fossero idratati, tenuti al caldo e non lasciati soli a languire. Quando arrivò in vista del negozio, sulla sua sinistra, pensò che era meno bello di come si aspettava e di come lo aveva descritto il Boss nell'articolo. In vetrina c'erano strisce di carta di giornale sporche e un idrante di plastica rossa inclinato da una parte. Non erano esposti né cuccioli di cane né gattini e il vetro era tutt'altro che pulito. Il TellTail Hearts si trovava fra un rigattiere che esponeva un assortimento di cianfrusaglie e un negozio di dischi, Love Notes, che liquidava la merce per cessazione dell'attività. Alla porta bianca e scrostata era appeso un cartello con la scritta CHIUSO, ma le luci erano accese e sul bancone si notava una vaschetta di alluminio contenente carne grigliata di Adam’s Ribs, un take away che si trovava poco più avanti. Una Cadillac nera con l'autista parcheggiata lì di fronte aveva il motore acceso. L'uomo al volante osservò Shrew che apriva la porta ed entrava. Nel negozio aleggiava una nebbia invisibile di deodorante proveniente da un diffusore sopra la cassa. «C'è nessuno?» disse Shrew, non vedendo anima viva. I cuccioli iniziarono ad abbaiare, ad agitarsi e a osservarla. I gattini sonnecchiavano in giacigli di 314
trucioli e i pesci nuotavano pigramente negli acquari. Dietro il lungo bancone a U c'erano gabbie che arrivavano fin quasi al soffitto macchiato di umidità, piene di animaletti di tutte le specie possibili e immaginabili. Shrew ebbe l'accortezza di non fissarli negli occhi. Sapeva benissimo che le sarebbe bastato guardarne uno per portarselo a casa, anche se non era quello di cui aveva bisogno. Le avrebbe prese tutte molto volentieri, quelle povere bestioline. Invece doveva fare una scelta intelligente, informarsi bene ed essere convinta fino in fondo prima di tirarne fuori una dalla gabbia e prenderla in braccio. Doveva parlare con il gestore del negozio. «C'è nessuno?» ripeté. Si avviò verso una porta socchiusa che dava sul retro. «C'è nessuno?» L'aprì. C'era una scala di legno che scendeva nel seminterrato. Sentì abbaiare un cane, e subito molti altri lo imitarono. Iniziò a scendere uno scalino alla volta, con cautela, perché non c'era molta luce e aveva bevuto troppo bourbon. La passeggiata a piedi fino al negozio le aveva snebbiato un po’ la mente, ma non del tutto. Era confusa e rallentata e il naso le formicolava, come le succedeva sempre quando era un po’ brilla. Si ritrovò in un magazzino buio che puzzava di vomito, feci e urine. Tra pile di scatole di accessori per animali e sacchi di crocchette, c'erano altre gabbie piene di carta di giornale sporca. Poi vide un tavolo di legno con fiale di vetro, siringhe, sacchi rossi con la 315
scritta RIFIUTI INFETTI in nero e un paio di spessi guanti di gomma neri. Dietro il tavolo c'era una cella frigorifera con la porta d'acciaio spalancata. Shrew vide un uomo con un vestito nero e un cappello da cowboy e una donna con un grembiulone grigio, di spalle. Non si capiva che cosa stessero dicendo perché la ventola era molto rumorosa, ma Shrew si accorse di cosa stavano facendo ed ebbe l'impulso di scappare il più veloce possibile. Tuttavia era come se avesse i piedi incollati al pavimento di cemento e continuava a guardare inorridita. Quando la donna avvertì la sua presenza, Shrew si voltò e si mise a correre. «Ferma!» gridò una voce profonda alle sue spalle. Incalzata dal rumore di passi pesanti, Shrew inciampò e picchiò la tibia contro uno scalino. Una mano le afferrò il gomito e l'uomo con il cappello da cowboy la trascinò verso la luce forte del negozio. Un attimo dopo li raggiunse anche la donna con il grembiulone, che le lanciò un'occhiata di rimprovero. Aveva l'aria troppo stanca per mettersi a urlare pure lei. «Chi le ha dato il permesso di entrare?» le chiese l'uomo. «Perché è venuta a curiosare qui?» Aveva gli occhi scuri iniettati di sangue, il viso sciupato, due lunghe basette bianche e portava una notevole quantità di vistosi gioielli d'oro. «Non stavo curiosando» rispose Shrew. «Cercavo il gestore.» Il cuore le batteva all'impazzata. «Siamo chiusi» la informò l'uomo. «Sono venuta per comprare un cucciolo» spiegò Shrew e si mise a piangere. 316
«Sulla porta c'è un cartello che dice CHIUSO» ribatté l'uomo, mentre la donna continuava a tacere. «La porta era aperta. Sono venuta di sotto per dirvelo. Poteva entrare chiunque.» Shrew non riusciva a smettere di piangere. Non poteva scacciare dalla mente quello che aveva visto nella cella frigorifera. L'uomo lanciò un'occhiata alla donna, come per chiederle una spiegazione, poi andò a controllare la porta e borbottò qualcosa. Doveva avere finalmente capito che Shrew diceva la verità. Come avrebbe fatto a entrare, altrimenti? «Bè, siamo chiusi. È festa» disse. Dimostrava sessantacinque anni, forse settanta, e parlava con un accento del Midwest. Shrew ebbe la netta sensazione che anche lui avesse bevuto e notò che portava un grosso anello d'oro a forma di testa di cane. «Mi spiace» si scusò. «Ho visto le luci accese e sono entrata credendo che foste aperti. Sono davvero mortificata. Volevo comprare un cucciolo, del cibo per cani e qualche giochino. Sa, per farmi una specie di regalo di Capodanno.» Prese da uno scaffale una lattina di cibo per cani. «Queste non erano state ritirate dal commercio dopo lo scandalo del latte cinese alla melamina?» chiese d'impulso. «Credo che si confonda con il dentifricio» rispose l'uomo rivolgendosi alla donna con il grembiulone grigio, che aveva un viso spento e cascante e lunghi capelli tinti di nero trattenuti da un fermaglio. «Esatto. Dentifricio» confermò lei, che aveva lo stesso accento. «Tanta gente ha avuto disturbi al fegato. Certo, mai che ti raccontino tutta la storia. 317
Magari erano alcolizzati ed era per questo che soffrivano di mal di fegato.» Shrew era una donna informata e conosceva la storia del dentifricio contenente glicoldìetilene che aveva causato la morte di diverse persone. Quei due sapevano benissimo che si riferiva a un'altra cosa. Quello era un brutto posto, il più brutto del mondo, e lei era arrivata in un pessimo momento, il peggiore che si potesse immaginare, e aveva visto cose orrende che le avrebbero lasciato un segno indelebile. Come aveva fatto a non pensare che la sera del primo giorno dell'anno nessun negozio di animali della città sarebbe stato aperto? Ma allora perché quei due si trovavano lì? Essendo stata nel seminterrato, purtroppo lo sapeva. «Sarà meglio chiarire le cose» disse l'uomo. «Non doveva scendere al piano di sotto.» «Non ho visto niente.» Si capiva chiaramente che aveva visto tutto. «Se un animale muore per una malattia contagiosa, bisogna fare qualcosa, e in fretta, per evitare che tutti gli altri vengano contagiati. E, dopo il gesto pietoso, c'è il problema della conservazione temporanea. Capisce cosa intendo?» chiese l'uomo ingioiellato con il cappello da cowboy. Shrew notò sei gabbie vuote con le porte spalancate. Se ci avesse fatto caso quando era entrata, se ne sarebbe andata subito. Le tornarono in mente le gabbie vuote nel seminterrato e quello che aveva visto sul tavolo e nella cella frigorifera. Ricominciò a piangere. «Ma alcuni si muovevano ancora.» 318
«Abita da queste partì?» s'informò l'uomo. «Non proprio.» «Come si chiama?» Shrew era talmente spaventata e sconvolta che stupidamente glielo disse e, altrettanto stupidamente, chiese: «Pensa che io sia un ispettore del dipartimento dell'Agricoltura o un membro di un gruppo animalista?». Scosse la testa. «Sono venuta solo per comprare un cucciolo. Mi ero scordata che oggi è festa, solo questo. Capisco che gli animali si ammalano... tosse dei canili, parvovirus... e che se qualcuno ha un virus lo trasmette a tutti gli altri.» I due la guardavano in silenzio, come se si fossero accordati sul da farsi senza scambiare una parola. «Senta, domani arriva un nuovo carico, con un bell'assortimento di razze diverse» disse l'uomo. «Torni qui e potrà scegliere il cucciolo che vuole. Offre la casa. Le piacerebbe uno springer spaniel? Uno shihtzu? Oppure un bassotto?» Shrew non riusciva a smettere di piangere. «Mi spiace» mormorò. «Sono un po’ brilla». La donna prese il deodorante dalla cassa e tornò nel seminterrato, richiudendosi la porta alle spalle. Shrew la sentì scendere la scala e si ritrovò da sola con l'uomo, che la prese sottobraccio e la accompagnò fuori dal negozio, dov'era parcheggiata la Cadillac nera. L'autista in uniforme e cappello scese e aprì la portiera posteriore. L'uomo con il cappello da cowboy le disse: «Salga, l'accompagno a casa. Fa troppo freddo per andare a piedi. Dove abita?». Lucy si domandò se Oscar Bane sapesse che la sua ragazza aveva diciotto username. Lui era molto meno 319
complicato e probabilmente più onesto: ne aveva uno solo. «Ognuno era utilizzato per uno scopo specifico» spiegò Lucy a Jaime. «Uno per votare, uno per scrivere nei blog, uno per chattare, uno per postare commenti nei forum di consumatori, uno per abbonarsi a riviste online, un paio per consultare le notizie...» «Sono tanti» commentò Jaime guardando l'orologio. Lucy non conosceva molte persone a cui riuscisse così difficile stare ferme. Jaime Berger era come un colibrì che non si posa mai e, più irrequieta diventava, più Lucy rallentava. Era strano: di solito le succedeva il contrario. «Al giorno d'oggi, non sono poi così tanti» replicò. «Come la maggior parte dei provider di posta elettronica, quello di Terri è gratuito. Poteva aprire tutte le caselle di posta che voleva, purché non avessero opzioni particolari. Tutte irrintracciabili perché, non dovendo lei sostenere alcun costo, non utilizzava la carta di credito e non doveva fornire informazioni personali. Era tutto anonimo, in altre parole. So di persone che ne hanno centinaia, che si radunano attorno una piccola folla virtuale, con nickname che dialogano tra loro, si danno torto o ragione, visitano le chat e i blog. Oppure le usano per fare acquisti, sottoscrivere abbonamenti che vogliono tenere nascosti o chissà che altro. Ma, a parte qualche rara eccezione, per quanti username tu abbia, di solito ce n'è uno solo che ti rappresenta veramente, per così dire: quello che usi per la corrispondenza normale. Nel caso di Oscar è "Carbane". Abbastanza ovvio: il cognome preceduto dalle ultime tre lettere del nome. Terri per la corrispondenza usava "Ali&Nata", e sono quelle le email che dovremmo controllare per prime.» 320
«Per quale ragione una specializzanda in psicologia forense avrebbe dovuto scegliere un nome del genere?» chiese Jaime. «Lo trovo di cattivo gusto. Anzi, mi sembra che denoti una mancanza di sensibilità.» «Può darsi che fosse una persona insensibile e di cattivo gusto. Sono io la prima a dire che non bisogna idealizzare i morti. Non necessariamente la vittima di un omicidio è una brava persona.» «Iniziamo dalla metà di dicembre e arriviamo alle più recenti» propose Jaime. Dal 15 dicembre in poi c'erano centotre messaggi. Sette erano indirizzati ai genitori di Terri a Scottsdale, il resto della corrispondenza era fra lei e Oscar Bane. Lucy ordinò le email in base all'ora e alla data, senza aprirle, per vedere se saltasse all'occhio qualcosa, per esempio il fatto che uno dei due scrivesse più spesso e quando. «Scriveva molto di più lui» disse. «Almeno tre volte tanto e a qualunque ora del giorno e della notte, mentre Terri non inviava email dopo le otto di sera. Anzi, nei giorni feriali non gli scriveva mai dopo le quattro del pomeriggio. È molto strano. Verrebbe quasi da pensare che lavorasse di notte.» «Forse si parlavano al telefono. Spero che Morales stia controllando i tabulati» replicò Jaime. «Dovrebbe avere già cominciato. Magari invece se n'è andato in ferie senza avvertirmi. In tal caso si dovrà cercare un altro lavoro. Non mi dispiacerebbe, a dir la verità.» «Perché si comporta così? E perché tu lo tolleri? Ti tratta in maniera assolutamente irrispettosa.» «Tratta tutti in maniera irrispettosa. Ma secondo lui è "prioritizzazione".» 321
«E secondo te?» Lucy aveva già cominciato ad aprire le email. «Secondo me è pura strafottenza ed è molto irritante» replicò Jaime. «Crede di essere il più furbo di tutti, me compresa, e il problema è che è davvero più furbo della media. Ed è bravo nel suo lavoro, quando vuole. Nella maggior parte dei casi, le sue priorità alla fine si rivelano corrette e riesce a portare a termine il lavoro molto più velocemente di altri. O è più svelto, o è bravo a far lavorare i colleghi al posto suo per poi prendersi il merito e allo stesso tempo mettere nei guai chi lo ha aiutato. È quello che con ogni probabilità starà facendo anche adesso.» «Con Marino» disse Lucy. Era come se avesse deciso che era più facile pensare a Marino come a un investigatore qualunque, uno sconosciuto. O forse alla fine lo odiava meno di quanto Jaime immaginasse. «Già, sta facendo correre tutti i rischi a Marino» convenne la Berger. «Che in effetti è l'unico a occuparsi delle questioni importanti.» «È sposato?» Lucy continuava ad aprire email. «Non mi riferisco a Marino, ovviamente.» «Non è il tipo da impegnarsi. Per lui, basta che respirino.» «Ho sentito dei pettegolezzi su voi due.» «Ah, sì. La nostra famosa avventura alla Tavern on the Green» replicò Jaime. Scorsero velocemente una serie di messaggi contenenti le solite banalità che la gente si scambia per posta elettronica.
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«Quell'omicidio a Central Park, l'autunno scorso» disse Lucy. «La maratoneta violentata e strangolata. Vicino al Ramble.» «Morales mi aveva accompagnato sulla scena del crimine. Dopo ci siamo fermati alla Tavern on the Green a bere un caffè e a discutere del caso. Il giorno successivo in tutta la città si mormorava che tra noi c'era del tenero.» «Questo perché ne ha parlato Gotham Gotcha. Siete finiti tra i famigerati "avvistamenti". C'era anche una foto di te e Morales che vi guardavate negli occhi» spiegò Lucy. «Non dirmi che i tuoi motori di ricerca arrancano dietro di me mattino, pomeriggio e sera.» «I miei motori di ricerca non arrancano» precisò Lucy. «Sono un pochino più veloci. Le principali fonti di informazioni di Gotham Gotcha sono gli stessi lettori, che mandano materiale quasi sempre in forma anonima. Come fai a sapere che non è stato lui?» «Avrebbe dovuto essere abilissimo a scattare una foto di noi due che ci parliamo seduti l'uno di fronte all'altra.» «Avrebbe potuto chiedere a qualcun altro di scattarla» le fece notare Lucy. «Un gran bel fiore all'occhiello, per lui: l'investigatore superfigo che ha un appuntamento galante alla Tavern on the Green con la star della procura. Diffida di lui.» «Nel caso ti sia sfuggito, ti ricordo che non era un appuntamento galante» puntualizzò Jaime. «Abbiamo soltanto preso un caffè insieme.» «Morales non mi convince. Anche se non lo conosco di persona, credo di avere capito che tipo è. Ha a che fare con una persona influente, più in alto nella 323
gerarchia e più in gamba di lui, e cosa fa? Come direbbe lui, prioritizza. Si fa desiderare, cerca di attirare la tua attenzione comportandosi male, mettendoti i bastoni fra le ruote ogni volta che può. Il suo è un gioco di potere, un trucco collaudato. Si mostra dominante e irrispettoso per poi portarsi a letto il capo.» «Non ti facevo così esperta» ribatté Jaime. «Non lo sono. Quando ho fatto sesso con un uomo, non è stato mai perché lui mi dominava, ma perché io mi ero sbagliata.» «Scusa. Avrei fatto meglio a tacere.» Continuò a scorrere le email di Terri. Lucy stava zitta. «Scusami» ripeté Jaime. «Morales mi irrita perché, su questo hai ragione, non riesco a controllarlo e non sono capace di liberarmene. Quelli come lui non dovrebbero entrare in polizia. Non si integrano con i colleghi, non accettano ordini e non sanno fare gioco di squadra, così finiscono con l'essere odiati da tutti.» «Per questo ho avuto una brillante carriera nell" FBI» commentò Lucy a bassa voce, seria. «La differenza è che io non faccio giochetti. Non cerco di dominare né di sminuire le persone per ottenere da loro quello che voglio. A me Morales non piace e non sono costretta ad avere a che fare con lui, ma tu dovresti stare attenta. È il genere di uomo che potrebbe metterti davvero nei guai. Mi preoccupa il fatto che tu non sappia mai dov'è o cosa sta facendo.» Si soffermò su quattro email, messaggi fra Terri e Oscar. «Non credo che si parlassero al telefono» disse poi. «Questi messaggi sono stati inviati alle 20.47, alle 324
21.10, alle 22.14 e alle 23.19. Perché avrebbe dovuto scriverle quasi ogni ora, se si parlavano? Vorrei farti notare che le email di Oscar sono lunghe, mentre quelle di Terri sono brevi. Sistematicamente.» «Uno di quei casi in cui il non detto conta più delle parole» osservò Jaime. «Nessun riferimento a telefonate o a risposte o contatti da parte di Terri. Lui le scrive cose del tipo: "Ti penso", "Vorrei essere con te", "Cosa stai facendo? Probabilmente stai studiando". La comunicazione tra loro sembra essere unidirezionale.» «Esattamente. Lui le scrive varie volte ogni sera e lei non risponde.» «E chiaro che, dei due, il più innamorato è lui» commentò Jaime. «Non dico che lei non lo amasse. Non posso saperlo, nessuno di noi lo sa. E forse non lo sapremo mai. Ma le email di Terri sono meno espansive, più riservate, mentre Oscar fa alcuni commenti a sfondo sessuale che rasentano il pornografico.» «Dipende da cosa intendi per "pornografico".» Jaime tornò a leggere un'email che Oscar aveva scritto a Terri meno di una settimana prima. «Che cosa ci trovi di pornografico?» chiese Lucy. «Intendevo dire "sessualmente esplicito".» «Ti occupi di crimini a sfondo sessuale o fai l'insegnante di catechismo?» la provocò Lucy. «Oscar parla di "esplorarla con la lingua". Le dice che si eccita a scrivere queste cose.» «Secondo me voleva fare sesso virtuale con Terri. E lei non rispondendogli lo respingeva. Oscar stava cominciando ad arrabbiarsi.» 325
«Cercava di comunicarle ciò che provava» puntualizzò Lucy. «E, meno lei gli rispondeva, più lui insisteva, probabilmente per insicurezza.» «O per rabbia» suggerì Jaime. «I riferimenti sessuali sempre più frequenti sono manifestazioni di rabbia e aggressività crescenti. Non è una buona cosa, se poi il destinatario viene assassinato.» «Capisco che lavorare su crimini a sfondo sessuale alla lunga possa avere delle conseguenze. Diventa difficile distinguere fra erotismo e pornografia, fra desiderio e perversione, fra insicurezza e rabbia, e anche ammettere che rivivere certi momenti possa essere bello e non umiliante» replicò Lucy. «Forse sei così disincantata perché vedi di continuo brutture e violenze, e quindi il sesso ti sembra sempre un crimine.» «Non trovo allusioni a sesso selvaggio, bondage o sadomasochismo» osservò Jaime continuando a leggere. «E ti sarei grata se evitassi di psicoanalizzarmi. In maniera dilettantesca, oltretutto.» «Sono in grado di psicoanalizzarti in modo professionale. Ma solo se me lo chiedi.» Jaime non glielo chiese. Continuarono a leggere. «È vero» disse Lucy. «Non ci sono allusioni a perversioni o violenze. Nessun riferimento a manette, collari e compagnia bella. Di certo non si accenna alla crema lubrificante di cui parlava la zia Kay poco fa. Nessuna lozione per il corpo, olio per massaggi, niente di niente. A proposito, ho mandato un SMS ai miei piloti, che ci aspettano al LaGuardia per portare eventuali prove a Oak Ridge. Ma, tornando ai lubrificanti, nessuno li usa per fare sesso orale, a meno che non siano - detto, brutalmente 326
commestibili. E dalla descrizione della zia mi è sembrato che in questo caso si trattasse di una crema a base di vaselina, che nessuno si metterebbe mai per fare sesso orale.» «Sai qual è un altro particolare che mi lascia perplessa? I preservativi nel comodino di Terri» disse Jaime. «Sono lubrificati. Perché Oscar avrebbe dovuto ricorrere anche a un lubrificante a base di vaselina, sempre che fosse lui a usarli?» «Di che marca sono?» Jaime Berger aprì la valigetta, tirò fuori una cartellina e sfogliò vari documenti, finché trovò l'inventario delle prove raccolte sulla scena del crimine la sera prima. «Durex Love» rispose. Lucy cercò su Google e lesse: «"In lattice, il venticinque per cento più resistenti e più grandi di quelli normali, facili da mettere con una mano sola." Buono a sapersi. "Più spazio nel serbatoio." Anche questo buono a sapersi. "Da non usare con creme a base di vaselina perché il lattice si indebolisce e rischiano di rompersi." Aggiungi il fatto che in casa non è stata trovata nessuna crema a base di vaselina e capirai cosa penso. Secondo me, tutti gli indizi portano non a Oscar Bane, ma a qualcun altro». Nelle email successive, prossime al giorno dell'omicidio, la frustrazione e il desiderio sessuale non ricambiato di Oscar apparivano sempre più evidenti e le cose che scriveva erano sempre più irrazionali. «Lei non fa altro che accampare scuse» osservò Lucy. «Poveretto. E davvero infelice.» Jaime continuò a leggere, poi disse: «Mi fa un po’ innervosire. Devo confessare che mi sta diventando 327
antipatica, che mi sento solidale con lui. Gli dice che non vuole affrettare le cose, che è oberata di lavoro, gli chiede di avere pazienza». «Sembra quasi che abbia una vita segreta» fece notare Lucy. «Forse.» «Due che si amano veramente non si vedono soltanto una sera alla settimana» proseguì Lucy. «Soprattutto se entrambi lavorano a casa. E di questo siamo certe. C'è qualcosa che non quadra. Quando si è innamorati, in preda alla passione, non si dorme, non si mangia, non ci si concentra sul lavoro e di sicuro non si riesce a stare lontano l'uno dall'altra.» «A mano a mano che ci avviciniamo al giorno del delitto, la situazione peggiora» commentò Jaime. «Oscar sembra paranoico, è arrabbiatissimo perché passa troppo poco tempo insieme a Terri, è sospettoso e diffidente. Perché lei acconsente a incontrarlo solo una volta alla settimana, il sabato sera? E per quale ragione lo manda via all'alba? Perché all'improvviso vuole vedere il suo appartamento, di cui prima non si era mai interessata? Cosa pensa di trovarci? Oscar non è d'accordo, pensa che non sia una buona idea. All'inizio le avrebbe detto di sì, ma non ora. L'ama moltissimo, è la donna della sua vita. Gli dispiace che lei gli abbia chiesto di andare a casa sua, perché non può spiegarle il motivo per cui è costretto a dirle di no. Un giorno glielo spiegherà, a voce. Dio, che strano. Sono tre mesi che stanno insieme, che fanno sesso, e Terri non ha mai messo piede in casa sua. Poi, all'improvviso, ci vuole andare a tutti i costi. Perché? E per quale motivo Oscar non glielo permette? Perché non vuole darle una spiegazione, se non a voce?» 328
«Forse per la stessa ragione per cui non le dice mai dove va e che cosa fa» rispose Lucy. «Non la informa dei suoi programmi, per esempio se esce per sbrigare qualche commissione. Racconta di avere fatto un tot di chilometri a piedi, però non specifica dove o quando andrà a camminare la prossima volta. E come se temesse che qualcun altro legga le sue email. Come se si sentisse spiato.» «Leggiamo i messaggi più vecchi, dell'autunno, dell'estate o della primavera scorsa, e vediamo se sono dello stesso tenore» propose Jaime. Scorsero velocemente varie email dei mesi precedenti. Erano completamente diverse da quelle degli ultimi tempi, meno personali; toni e contenuti parevano molto più rilassati. Oscar parlava delle sue biblioteche e librerie preferite, descriveva i luoghi dove amava passeggiare a Central Park e una palestra in cui era stato alcune volte, rammaricandosi che quasi tutte le macchine non fossero alla sua portata. Entrava nei dettagli e rivelava informazioni delle quali non avrebbe mai parlato apertamente se avesse temuto che qualcuno leggesse la sua posta elettronica o comunque lo spiasse. «All'epoca non aveva paura» disse Jaime. «Sono d'accordo con Benton: Oscar Bane è diventato paranoico di recente. Sente incombere un pericolo ora, in questo momento.» Lucy digitò il nome di Jaime Berger nella finestra di ricerca. «Sono curiosa di vedere se parla della telefonata che ha fatto il mese scorso al tuo ufficio per denunciare la sua convinzione di essere sotto sorveglianza elettronica, di essere seguito o derubato della sua identità eccetera eccetera.» 329
Il nome di Jaime Berger compariva una volta, ma l'email in questione non aveva niente a che vedere con la recente telefonata di Oscar alla procura distrettuale: Data: Lunedì, 2 luglio 2007 10:47:31 Da: Terri Bridges A: Jaime Berger CC: Dottor Oscar Bane Oggetto: Intervista alla dottoressa Kay Scarpetta Gentile signora Berger, sto preparando una tesi per un master sull'evoluzione della scienza forense e della medicina legale dall'antichità ai giorni nostri. Il titolo provvisorio è Follie forensi. Gliela riassumo in poche parole. Il cerchio si è chiuso, siamo passati dal ridicolo al sublime, dalla ciarlataneria della frenologia, della fisiognomica e dell'immagine dell'assassino che resta impressa nella retina della vittima agli "effetti speciali" dei film e telefilm moderni. Sarei lieta di offrirle maggiori delucidazioni, se fosse così gentile da rispondermi. Preferibilmente via email. Ma le lascio anche il mio numero di telefono. Le sarei grata se mi desse un suo parere, ovviamente, ma la vera ragione per cui le scrivo è che sto cercando di contattare la dottoressa Kay Scarpetta la quale - sicuramente ne converrà anche lei - è la persona più adatta, considerato l'argomento. Potrebbe essere così gentile da darmi il suo indirizzo di posta elettronica? Ho cercato svariate volte di contattare il suo studio di Charleston, ma non ho avuto successo. So che in passato avete collaborato a livello professionale e presumo che siate ancora in contatto. 330
Cordiali saluti Terri Bridges 212-555-2907 «Ovviamente non l'hai mai ricevuta» disse Lucy. «Inviata al sito del New York City Government da una sconosciuta con uno username come Ali&Nata?» replicò Jaime. «Non potrei mai riceverla. Ma mi preme di più capire come mai Kay non fosse al corrente del fatto che Terri stava cercando di mettersi in contatto con lei. Charleston non è mica New York.» «Era come se lo fosse, in quel periodo» rispose Lucy. Jaime si alzò e prese la pelliccia è la ventiquattrore. «Devo andare» disse. «Probabilmente domani ci sarà una riunione. Ti chiamo appena so a che ora.» «L'anno scorso a fine primavera, inizio estate» rifletté Lucy. «Non mi stupisco che mia zia non abbia ricevuto il messaggio di Terri, se davvero le ha scritto. E probabilmente l'ha fatto.» Si alzò a sua volta e accompagnò Jaime alla porta. «Rose stava morendo» aggiunse. «Da metà giugno all'inizio di luglio è stata a casa della zia Kay. Nessuna delle due ha più messo piede in ufficio. E Marino non c'era. La zia aveva uno studio piccolo, l'aveva aperto da nemmeno due anni. E non c'era personale, a parte loro.» «Nessuno che prendesse i messaggi e rispondesse al telefono» disse Jaime infilandosi la pelliccia. «Prima che mi dimentichi, per favore mi inoltri quella email, così ne ho una copia anch'io? Te lo chiedo perché mi sembra che qui non stampi niente. E se trovi qualcos'altro che io debba sapere...» «Marino se n'era andato all'inizio di maggio» continuò Lucy. «Rose non ha mai saputo che fine 331
aveva fatto, ed è un vero peccato. È sparito nel nulla e poi lei è morta. Nonostante tutto, gli voleva bene.» «E tu? Dov'eri quando i telefoni squillavano e non c'era nessuno a rispondere?» «È come se fosse successo in un'altra vita, come se io non ci fossi stata» spiegò Lucy. «Quasi non ricordo dov'ero o cosa facevo, verso la fine, però è stato terribile. Mia zia aveva sistemato Rose nella stanza degli ospiti e l'assisteva ventiquattr'ore su ventiquattro. Dopo la scomparsa di Marino, le sue condizioni sono peggiorate velocemente e io mi sono tenuta alla larga dallo studio e dal laboratorio. Conoscevo Rose da sempre. Era la nonna simpatica che tutti vorrebbero avere, con i suoi tailleur impeccabili e lo chignon, ma aveva un bel caratterino e non c'era niente che le facesse paura: né i cadaveri, né le armi, né le moto di Marino.» «E della morte aveva paura?» «No.» «Ma tu sì» disse Jaime. «Tutti la temevamo, e io più degli altri. Così ho avuto la brillante idea di tenermi il più occupata possibile. Di colpo mi è sembrato indispensabile seguire un corso di aggiornamento su protezione esecutiva avanzata, riconoscimento e analisi degli attacchi, armi da fuoco tattiche, le solite cose. Ho venduto un elicottero e ne ho comprato uno nuovo, poi sono andata alla Bell Helicopter School nel Texas per alcune settimane, anche se non ne avevo alcun bisogno. Quando sono tornata, si erano trasferiti tutti al Nord. E Rose era sepolta nel cimitero di Richmond, con vista sul James, perché le piaceva molto il fiume e 332
la zia Kay l'ha voluta sistemare in un posto da dove lo potesse vedere per l'eternità.» «Dunque questa faccenda, per certi versi, è iniziata allora» osservò Jaime. «Quando tutti erano distratti.» «Non so a cosa ti riferisci» ribatté Lucy. Erano davanti alla porta e nessuna delle due aveva veramente voglia di aprirla. Jaime si chiese quando si sarebbero trovate di nuovo sole come in quel momento, se era giusto che fossero sole e che opinione Lucy avesse di lei. Jaime sapeva cosa pensava di se stessa: era stata sleale e non poteva chiuderla così. Lucy non lo meritava. Nessuna delle due lo meritava. «Alla Columbia avevo una coinquilina» iniziò a raccontare, abbottonandosi la pelliccia. «Dividevamo un appartamento squallidissimo. Io non avevo soldi, la mia famiglia non è abbiente, ho sposato un uomo ricco, ma questo lo sai. Quando studiavo alla facoltà di legge, io e questa ragazza vivevamo in un postaccio, a Morningside Heights. È un miracolo che nessuno ci abbia ammazzato nel sonno.» Si infilò le mani in tasca. Lucy la guardava negli occhi ed entrambe erano appoggiate con una spalla alla porta.. «Eravamo molto legate» continuò Jaime. «Non mi devi nessuna spiegazione» ribatté Lucy. «Ti rispetto e rispetto il tuo modo di vivere.» «Non ne sai abbastanza per potermi rispettare. E io intendo darti una spiegazione, non perché te la devo, ma perché lo desidero. La mia coinquilina aveva qualcosa che non andava. Non ti dirò il suo nome. Soffriva di un disturbo dell'umore di cui a quell'epoca non sapevo niente e, quando diventava cattiva e 333
rabbiosa, pensavo che facesse sul serio e litigavo. Non avrei dovuto, perché questo non faceva che peggiorare le cose, e di molto. Un sabato sera un vicino chiamò la polizia. Mi stupisce che tu non l'abbia scoperto. Non successe niente, ma fu un episodio molto spiacevole. Eravamo tutte e due ubriache, in uno stato pietoso. Se mai mi candidassi, immagina se venisse fuori una storia del genere.» «Perché dovrebbe?» disse Lucy. «Ameno che tu non abbia intenzione di ubriacarti, ridurti in uno stato pietoso e attaccar briga con tutti.» «Con Greg non ci sono mai state scenate del genere. Non credo che ci sia successo di alzare la voce e di certo non ci siamo mai tirati degli oggetti. Abbiamo convissuto senza rancore o emozioni particolari. Un clima relativamente disteso per la maggior parte del tempo.» «Cosa ne è stato della tua coinquilina?» «Dipende dalla tua concezione del successo, ma secondo me non ha combinato niente di buono» rispose Jaime. «E le cose non potranno che peggiorare per lei, perché vive nella menzogna, ovverosia non vive, e per questo non c'è rimedio, soprattutto quando si invecchia. Io non ho mai vissuto nella menzogna. Tu forse lo penserai, ma non l'ho mai fatto. Ho semplicemente imparato a comprendere le cose a poco a poco, andando avanti, e non mi sono mai pentita delle decisioni che ho preso, giuste o sbagliate che fossero, anche le più difficili. Molte cose sono irrilevanti, se restano teoriche.» «Nel senso che non avevi nessuno e non hai avuto nessuno quando non era il caso» osservò Lucy. 334
«Non sono un'insegnante di catechismo. Tutt'altro» disse Jaime. «Ma la mia vita è affar mio. Sta a me eventualmente incasinarla e non ho nessuna intenzione di farlo. Perciò non permetterò che me la stravolga tu e non voglio nemmeno stravolgere la tua.» «Cominci sempre mettendo le mani avanti in questo modo?» «Non comincio proprio» ribatté Jaime. «Questa volta sarai costretta. Perché non sarò io a iniziare. Non con te.» Jaime tirò fuori le mani di tasca e le sfiorò il viso. Poi allungò il braccio per aprire la porta, ma non lo fece. La accarezzò di nuovo e la baciò. Diciannove piani sotto il reparto detentivo, nel parcheggio sulla Ventisettesima Est, Marino era solo, seminascosto dietro alcuni elevatori idraulici. Il piazzale a quell'ora era praticamente vuoto, e non c'era nemmeno il posteggiatore. Dalla sua postazione, li osservava nella luce verdognola del visore notturno perché aveva bisogno di vederla, anche se di nascosto, da lontano e solo per un momento. Doveva assicurarsi che non fosse cambiata. Se era sempre la stessa, non sarebbe stata spietata nel momento in cui si fossero rivisti, non l'avrebbe maltrattato, umiliato o ignorato. In passato non l'aveva mai fatto, sebbene lui lo meritasse. Ma cosa sapeva di lei ormai, a parte quello che aveva letto o visto in TV? Kay e Benton uscirono dall'obitorio e imboccarono una scorciatoia nel giardino per tornare al Bellevue. Marino provò un senso di vertigine: lei gli parve irreale, quasi come se fosse morta. Cercò di immaginare cosa 335
avrebbe pensato Kay se avesse saputo che era arrivato a un soffio dalla morte. Dopo quello che le aveva fatto, aveva desiderato sparire dalla faccia della terra. Quando si era risvegliato nel letto della stanza degli ospiti della sua casa di Charleston, la mattina seguente, dopo averle inflitto tanto dolore, aveva preso in considerazione una serie di possibilità, fra un attacco di nausea e l'altro, mentre la peggior emicrania della sua vita gli spappolava il cervello. La prima era quella di buttarsi giù da un ponte con il pickup o con la moto e affogare. Poi aveva pensato che sarebbe potuto sopravvivere, e inoltre era terrorizzato all'idea di non poter respirare. Perciò aveva escluso anche la morte per soffocamento, per esempio con un sacchetto di plastica, o per impiccagione. Il solo pensiero di rimanere lì a dondolare e dibattersi dopo avere spinto via la sedia con un calcio, pentendosi di averlo fatto, gli era insopportabile. Aveva brevemente preso in considerazione anche di sdraiarsi nella vasca da bagno e tagliarsi la gola, ma al primo schizzo di sangue dalla carotide avrebbe sicuramente capito di avere sbagliato e sarebbe stato troppo tardi. L'avvelenamento da monossido di carbonio, poi, gli avrebbe lasciato troppo tempo per ripensarci. Una bella dose di veleno? No, si moriva in preda a dolori atroci, e se lo avesse preso il panico avrebbe chiamato il 911, sarebbe stato sottoposto a una lavanda gastrica e avrebbe perso là faccia. Buttarsi dalla finestra? Giammai. Con la sua fortuna, sarebbe sopravvissuto restando paralizzato. L'ultima possibilità era la sua nove millimetri. Ma Kay Scarpetta gliel'aveva nascosta. 336
Sdraiato su quel letto a pensare a dove poteva essere, aveva deciso che non l'avrebbe mai trovata, che stava troppo male per cercarla e che avrebbe potuto spararsi anche in seguito, visto che teneva un paio di pistole di riserva nella sua baracca da pescatori. In ogni caso, doveva ricordarsi di prendere bene la mira perché l'ipotesi peggiore di tutte era finire in un polmone d'acciaio. Alla fine, quando aveva contattato Benton al McLean per fissare un incontro, nel quale gli aveva confessato tutto questo, lui lo aveva informato che, se era l'idea del polmone d'acciaio a trattenerlo, non doveva preoccuparsi, a meno che non decidesse di suicidarsi "con il virus della poliomielite". Testuali parole. Aveva aggiunto che, se avesse sbagliato mira, probabilmente si sarebbe procurato lesioni cerebrali molto gravi, riducendosi così a un vegetale, ma gli sarebbe potuto rimanere un barlume di lucidità sufficiente a ricordare il motivo per cui aveva tentato di levarsi di mezzo. La sfiga peggiore, però, aveva detto Benton, sarebbe stata finire in coma irreversibile e al centro di una disputa tra i giudici della Corte Suprema per l'autorizzazione a staccare la spina. Con ogni probabilità Marino non se ne sarebbe reso conto, ma la certezza non c'era. Bisognava essere cerebralmente morti per esserne sicuri. "Mi stai dicendo che potrei sentire quando decidono di..." aveva iniziato Marino. "... staccare il respiratore" aveva concluso per lui Benton.
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"Quindi la macchina smetterebbe di respirare per me. E io me ne renderei conto, ma nessuno se ne accorgerebbe?" "Non riusciresti più a respirare. E, sì, magari ti renderesti conto che stanno per toglierti il respiratore, per staccare la spina, in altri termini." "E potrei vedere la persona che si avvicina alla parete e che stacca la spina dalla presa?" "È possibile." "E inizierei a soffocare fino a morire." "Non riusciresti più a respirare. La cosa migliore in questi casi è avere accanto i propri cari, anche se ignorano che tu avverti la loro presenza." Quella conversazione aveva ricordato a Marino il suo terrore di morire soffocato e lo aveva messo di fronte all'amara consapevolezza di essersi ormai giocato le uniche persone care che aveva. Soprattutto lei, Kay Scarpetta. Era stato allora, nella camera di un motel vicino al Boston Bowl Family Fun Center dove lui e Benton avevano fatto quella discussione, che Marino aveva deciso di non suicidarsi e di prendersi la più lunga vacanza della sua vita al centro di riabilitazione della North Shore, in Massachusetts. Se avesse dato segni di miglioramento, una volta che si fosse disintossicato dall'alcol e da tutti gli steroidi che prendeva, e se avesse continuato seriamente la psicoterapia, Benton lo avrebbe aiutato a trovare un lavoro. Così, sei mesi più tardi, Marino si era sistemato a New York e aveva iniziato a lavorare nella squadra di Jaime Berger. E in quel momento era appostato in un parcheggio per guardare di nascosto Kay Scarpetta prima di farla salire in macchina e 338
accompagnarla sulla scena di un crimine, come sempre. La osservò muoversi misteriosamente nella luce verdognola; i gesti che faceva mentre parlava gli erano familiari, ogni dettaglio appariva vivido ma lontano. Gli sembrava di essere un fantasma. Lui la vedeva, lei no. Kay aveva continuato la sua vita senza di lui e, conoscendola, era sicuro che ormai avesse superato il trauma. Quello che sicuramente non aveva accettato era il fatto che fosse sparito in quel modo. Forse però si stava attribuendo troppa importanza: poteva darsi che Kay non pensasse più a lui. Magari rivederlo non le avrebbe fatto alcun effetto. Forse non avrebbe avuto reazioni. Poteva essere che non si ricordasse nemmeno più di ciò che era accaduto. Nel frattempo erano successe molte cose. Kay si era sposata. Aveva lasciato Charleston. Era diventata direttrice di un importante istituto alla periferia di Boston. Lei e Benton vivevano insieme, per la prima volta dopo tanto tempo, in un bellissimo palazzo d'epoca a Belmont. Marino ci era passato davanti qualche volta, di notte. Ora avevano una casa anche a New York, e ogni tanto Marino passeggiava lungo l" Hudson, a ovest di Central Park, e osservava l'edificio contando i piani fino a essere abbastanza sicuro di avere individuato il loro appartamento. Immaginava come doveva essere all'interno e la splendida vista che godeva sul fiume e sulla città, la sera. Kay Scarpetta compariva spesso in TV, era diventata famosa, però Marino non riusciva a figurarsi la gente che le chiedeva un autografo. Quell'aspetto della sua vita per lui era inconcepibile. Kay non era il tipo da gradire quel genere di attenzione, o per lo meno Marino lo sperava, 339
perché altrimenti avrebbe voluto dire che era davvero cambiata. La guardò attraverso le lenti del potente visore notturno che Lucy gli aveva regalato per il compleanno due anni prima, ed ebbe nostalgia del suono della sua voce. Capì di che umore era dal modo di camminare, da come cambiava posizione, dai gesti delle mani coperte da guanti scuri. Kay non si dava arie, chiunque avrebbe potuto dire che era misurata in ogni sua espressione, e proprio per questo risultava più autorevole. Era sobria. Marino l'aveva sentita definire anche così. Ricordava che Jaime Berger aveva usato quell'aggettivo per descrivere il comportamento di Kay Scarpetta sul banco dei testimoni. Non aveva bisogno di alzare la voce o di agitarsi, le bastava starsene lì seduta, calma, e rivolgersi direttamente ai giurati: loro si fidavano di lei, le credevano. Marino notò il cappotto lungo e il taglio curato dei capelli biondi, un po’ più lunghi di come li portava di solito, che cadevano leggermente sopra il colletto ed erano pettinati all'indietro, lasciando la fronte scoperta. Distinse i lineamenti marcati che conosceva così bene, unici, perché quella di Kay non era una bellezza classica, da modella. Gli venne voglia di vomitare, come quella mattina in casa di lei, a Charleston. Il cuore cominciò a battergli forte. La guardava pieno di struggimento ma, nascosto nell'ombra in quel parcheggio sporco, che sapeva di ruggine, si rese conto che non l'amava più come una volta. Aveva sepolto definitivamente ogni speranza, perfino la più recondita, che lei un giorno si innamorasse di lui. Ormai era una donna sposata. E, 340
anche se Benton fosse uscito di scena, la speranza era comunque morta. Era stato Marino a ucciderla brutalmente. Non aveva mai fatto una cosa del genere in vita sua, però l'aveva fatta a lei. Anche nelle serate in cui aveva dato il peggio di sé, ubriaco fradicio, non aveva mai forzato una donna. Se la baciava e lei non voleva farsi mettere la lingua in bocca, si tirava indietro. Se la palpeggiava e lei lo respingeva, non la toccava più finché non era lei a chiederglielo. Se si sentiva eccitato e lei non era interessata, non le si strusciava contro né si faceva mettere la mano tra le gambe. Se il soldatino non si placava, ci scherzava su: "Si è messo sull'attenti per te, tesoro. È molto educato: si alza sempre, quando entra una signora. Ehi, tesoro, se non ti piace la leva del cambio, non devi per forza guidare la mia macchina". Marino sarà anche stato volgare, ignorante, però non era un maniaco sessuale. Non era cattivo. Ma Kay come faceva a saperlo? La mattina dopo, quando era entrata nella camera degli ospiti con caffè e pane tostato, lui non le aveva nemmeno chiesto scusa, non aveva provato a rimediare. Invece, aveva finto di non ricordare, di avere un'amnesia. Si era lamentato del bourbon che Kay teneva nel mobile bar, dando la colpa a lei, perché teneva in casa liquori troppo forti. Non aveva ammesso nulla. Vergogna e panico l'avevano reso muto perché non sapeva esattamente che cosa aveva fatto, e di certo non lo avrebbe domandato a lei. Preferiva cercare di scoprirlo da solo e, nelle settimane e nei mesi successivi, a furia di indagare su se stesso, aveva finalmente messo insieme i pezzi del puzzle. Non poteva essere arrivato 341
fino in fondo, perché la mattina dopo, quando si era svegliato, era completamente vestito e l'unico liquido organico di cui aveva trovato traccia era il suo sudore freddo e maleodorante. A mente lucida, rammentava solo alcuni frammenti: l'aveva spinta contro il muro, aveva sentito il rumore dei vestiti che si strappavano, la morbidezza della sua pelle e la voce di lei dirgli che le stava facendo male, anche se involontariamente. Ricordava con chiarezza che Kay non si era mossa e a distanza di tempo, avendo capito perché, si meravigliava di come, per istinto, lei fosse riuscita a fare la cosa giusta. Marino aveva perso completamente il controllo e Kay aveva avuto l'accortezza di non provocarlo ulteriormente opponendo resistenza. Non aveva altri ricordi, nemmeno del suo seno, tranne la vaga sensazione di esserne rimasto sorpreso, e non spiacevolmente. Dopo anni e anni di fantasie al riguardo, aveva scoperto che non era come lo aveva immaginato. D'altronde succedeva sempre così, con le donne. Lo aveva imparato da adulto, e non aveva niente a che vedere con l'intuizione o la logica. Quando era un ragazzino arrapato e aveva come unico punto di riferimento le riviste porno che suo padre teneva nascoste nel capanno degli attrezzi, non poteva sapere quel che avrebbe scoperto più avanti, e cioè che il seno, come le impronte digitali, ha caratteristiche individuali talvolta difficili da notare attraverso i vestiti: dimensioni, forme, simmetrie e inclinazioni uniche e irripetibili. La variabile più ovvia, punto focale del fascino eterno del seno femminile, erano i capezzoli. Marino, che si considerava un vero intenditore, sarebbe stato il primo a dire: "Più grandi sono meglio 342
è, ma una volta superata la fase dell'ammirazione e dei palpeggiamenti, l'importante è metterseli in bocca". Nel campo verde del visore notturno, Kay e Benton uscirono dal giardino e proseguirono sul marciapiede. Lei camminava con le mani in tasca e non aveva borse, e ciò significava che aveva lasciato i bagagli da qualche parte, probabilmente nell'ufficio di Benton. Marino notò che non parlavano molto; poi, come se gli avessero letto nel pensiero, si presero per mano e lui si chinò a baciarla. Non appena giunsero in strada, così vicini che Marino non ebbe bisogno di aumentare la luminosità per vederli in faccia, si guardarono negli occhi, come se a quel bacio dovessero seguirne altri. Arrivarono in First Avenue e scomparvero dalla sua visuale. Marino stava per uscire dal nascondiglio dietro gli elevatori idraulici quando con la coda dell'occhio scorse una persona che camminava di buon passo entrare nel giardino. Poi ne arrivò un'altra, proveniente dal laboratorio del DNA. Nel campo verde del visore notturno riconobbe l'investigatore Morales e la dottoressa Lester che si sedevano l'uno accanto all'altra su una panchina. Marino non riusciva a sentire cosa si dicevano, ma vide che lei gli consegnava una grossa busta. Probabilmente si trattava dei referti dell'autopsia di Terri Bridges. Ma era uno scambio strano, quasi fossero spie. Si chiese se tra quei due ci fosse del tenero e all'idea della faccia smunta della Lester e del suo corpo ossuto nudo su un letto sfatto gli venne la nausea. Non poteva essere. 343
Era molto più probabile che Lenora Lester avesse convocato Morales in gran fretta per prendersi il merito di quanto Kay Scarpetta aveva appena scoperto all'obitorio. E che Morales fosse corso lì perché voleva avere quelle informazioni prima di chiunque altro, compreso Marino e, soprattutto, Jaime Berger. Questo doveva significare che Kay aveva trovato qualcosa di importante. Marino rimase a guardare finché la dottoressa Lester e Morales si alzarono. Lui sparì dietro l'angolo del laboratorio, lei s'incamminò in direzione di Marino, verso la Ventisettesima Est, di buon passo e con gli occhi puntati sul BlackBerry che teneva fra le mani senza guanti. Proseguì veloce nel vento gelido in direzione della First Avenue, dove probabilmente avrebbe preso un taxi e poi il ferryboat per tornare a casa sua, nel New Jersey. Sembrava che stesse inviando un SMS a qualcuno. Un tempo il Museum Mile era la passeggiata preferita di Shrew. Partiva da casa con una bottiglia d'acqua e una barretta ai cereali e percorreva Madison Avenue per guardare le vetrine. La sua meta era il Guggenheim, dove erano esposte le opere di Clyfford Stili, John Chamberlain, Robert Rauschenberg e, ovviamente, Picasso, che le piacevano tanto. L'ultima mostra che aveva visto era stata quella dei dipinti su carta di Jackson Pollock, ma ormai erano passati più di due anni. Cosa le era successo? Non doveva timbrare il cartellino e la sua vita non era troppo intensa, eppure da quando lavorava per il Boss a poco a poco aveva smesso di frequentare 344
musei, teatri, gallerie d'arte, o anche solo di andare all'edicola o da Barnes & Noble. Si sforzò di ricordare quando si fosse immersa l'ultima volta nella lettura di un libro che le piaceva, avesse completato un cruciverba, si fosse fermata ad ascoltare i musicisti di strada in Central Park, avesse perso la cognizione del tempo in un cinema o si fosse esaltata leggendo una poesia. Era come un insetto imprigionato nell'ambra, intrappolata nella vita di gente che non conosceva e di cui le importava poco. Gossip. Le vicissitudini ordinarie e banali di persone che avevano il cuore e l'anima di bamboline di carta. Perché tanto interesse per l'abbigliamento scelto da Michael Jackson per recarsi in tribunale? Che importanza poteva avere, per lei o per chiunque, che Madonna fosse caduta da cavallo? Invece di ammirare opere d'arte, Shrew si era inabissata nella cloaca dell'umanità, nel fango e nella melma. Ripensando all'oscuro viaggio lungo lo Stige di Lexington Avenue a bordo della Cadillac nera, iniziò a rendersi conto di una serie di verità. L'uomo con il cappello da cowboy era stato gentile, le aveva addirittura dato una pacca sul ginocchio quando era scesa dalla macchina, ma non le aveva detto come si chiamava e il buonsenso le aveva sconsigliato di fare domande. Quel giorno aveva visto in faccia il Male. Prima la foto di Marilyn Monroe, poi il worm informatico e infine quel seminterrato. Forse Dio l'aveva voluta sottoporre a una specie di elettroshock spirituale, mostrandole il vero volto della vita arida che conduceva. Si guardò intorno nel bilocale ad affitto bloccato e, forse per la prima volta da quando suo marito non c'era più, lo 345
vide com'era realmente e si rese conto che non era cambiato. Osservò il divano e la poltrona di velluto a coste senza pretese, ma comodi, e fu come se quel tessuto consumato riportasse in vita il marito. Lo vide seduto in poltrona a leggere il "New York Times" e a masticare un mozzicone di sigaro, e sentì l'odore di fumo che un tempo aveva saturato ogni molecola della loro vita. Lo avvertiva ancora adesso, come se non avesse mai chiamato una ditta specializzata per pulire a fondo tutta la casa. Per molti motivi, Shrew non aveva il coraggio di eliminare i vestiti del marito né di nascondere certi oggetti che non riusciva a guardare ma nemmeno a dare via. Quante volte gli aveva raccomandato di non attraversare solo perché l'omino verde sul semaforo gli faceva segno di passare? Non era stupido quanto stare fermi sul marciapiede perché il semaforo era rosso, anche se la strada era interrotta e non c'era l'ombra di una macchina? Purtroppo lui si era lasciato abbindolare dall'omino verde, invece di darle ascolto, e Shrew, che fino allora aveva avuto un marito con cui brontolare costantemente per la puzza di sigaro e il disordine, da un giorno all'altro si era ritrovata vedova, con soltanto i suoi odori, le sue cianfrusaglie e il ricordo delle ultime parole che si erano scambiati mentre usciva. "Come stiamo a panna per il caffè?" le aveva chiesto infilandosi il ridicolo cappellino da Sherlock Holmes.
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Shrew glielo aveva comprato a Londra qualche decennio prima, ma lui non aveva capito che era uno scherzo e lo indossava sempre. "Non ne ho idea, dato che sei l'unico a bere il caffè con la panna in questa casa" aveva risposto lei. Quelle erano le ultime parole che gli erano rimaste nelle orecchie. Le parole di una bisbetica che si era piazzata in casa quello stesso crudele mese di aprile quando, a causa della delocalizzazione, il suo lavoro era stato affidato a qualcuno in India, e loro due si erano ritrovati gomito a gomito nel piccolo appartamento, giorno dopo giorno, con la preoccupazione di non riuscire a tirare avanti. Perché lui era un commercialista, e aveva fatto i conti. Shrew aveva provato a riscrivere l'ultimo istante che avevano passato insieme su questa terra chiedendosi se avrebbe potuto fare o dire qualcosa di diverso e in tal modo cambiare il destino. Se gli avesse detto che lo amava, se gli avesse promesso di preparargli per cena le costine di agnello con le patate dolci che gli piacevano tanto, o se avesse comprato un vaso di giacinti da mettere sul tavolino in soggiorno, forse lui si sarebbe concentrato su quello e non si sarebbe distratto al momento di attraversare la strada. Era ancora irritato per la sua risposta acida riguardo alla panna per il caffè? Se Shrew gli avesse ricordato con dolcezza di stare attento, sarebbe bastato a salvarlo, e quindi a salvare lei e la loro vita insieme? Guardò il televisore a schermo piatto e immaginò il marito fumare il sigaro seguendo il telegiornale Con la sua solita espressione scettica, che Shrew rivedeva 347
ogni qual volta chiudeva le palpebre o scorgeva qualcosa con la coda dell'occhio, magari un'ombra o una pila di biancheria su una sedia, oppure quando semplicemente si toglieva gli occhiali. Lo rivedeva com'era prima di morire. E le tornava in mente che non c'era più. Suo marito avrebbe guardato il bel televisore nuovo che si era comprata e avrebbe detto: "Tesoro, che bisogno c'è di un televisore del genere? Probabilmente non è nemmeno fatto in America. Non possiamo permettercelo". Non avrebbe approvato. Oh, Dio, non avrebbe approvato niente di quello che aveva fatto o acquistato da quando lui non c'era più. La poltrona dove lui si sedeva sempre era vuota e, vedendo il velluto consumato, Shrew fu presa dalla disperazione e assalita da altri ricordi. Le tornò in mente il momento in cui aveva dovuto denunciarne la scomparsa, la sensazione di vivere una scena vista in centinaia di film, con la cornetta stretta in mano, mentre implorava l'agente di crederle. "Mi creda. La prego, mi creda." Aveva spiegato alla poliziotta, scettica, che suo marito non era uno che andava al bar e che non era scappato. Non aveva problemi di memoria né un'altra donna. Tornava sempre dritto a casa come un boyscout, e se gli fosse saltato il ghiribizzo di fare qualcosa di avventuroso l'avrebbe avvertita. "Mi avrebbe mandato al diavolo dicendomi che lui tornava a casa quando gli pareva e piaceva, proprio come ha fatto l'ultima volta che gli è saltato il ghiribizzo di qualcosa di avventuroso" aveva 348
raccontato Shrew alla poliziotta scettica, che stava masticando una gomma mentre parlava al telefono. Nessuno si era agitato, tranne Shrew. Nessuno si era preoccupato. L'ispettore che alla fine l'aveva chiamata per comunicarle la brutta notizia, uno dei tanti del dipartimento di polizia di New York, era pieno di rammarico. "Signora, sono spiacente di informarla... Intorno alle sedici, sono intervenuto sul posto..." Era stato gentile ma frettoloso e le aveva ripetuto più volte che gli dispiaceva molto. Però non si era offerto di accompagnarla all'obitorio, come avrebbe fatto un nipote beneducato, che non avrebbe lasciato andare da sola la zia sconvolta a una veglia funebre o in chiesa. "All'obitorio? Dove?" "Vicino al Bellevue." "Quale Bellevue?" "Signora, di Bellevue ce n'è uno solo." "Non è vero. C'è quello vecchio e c'è quello nuovo. A quale dei due è vicino l'obitorio?" Ci sarebbe potuta andare alle otto di mattina per identificare il cadavere. Le avevano dato l'indirizzo, affinché non confondesse un Bellevue con l'altro, e il nome del medico: Lenora Lester, dottoressa in legge, medico legale. Una donna antipatica e sgradevole, nonostante i titoli accademici. Era stata molto sbrigativa quando aveva spinto Shrew nella saletta e sollevato il lenzuolo. Suo marito aveva gli occhi chiusi ed era coperto fino al mento da un telo azzurro. 349
Non c'erano ferite, graffi o lividi, e per un attimo Shrew aveva creduto che non fosse successo nulla. "Non ha niente di rotto. Cos'è successo veramente? Non può essere morto. Non si è fatto niente. Sta benissimo, è solo pallido. E molto pallido, e sono d'accordo che non ha una bella cera. Ma non può essere morto." La dottoressa Lester sembrava una colomba imbalsamata sotto una campana di vetro. Non aveva mosso neppure la bocca mentre le spiegava, brevemente, che quello di suo marito era un caso da manuale. Il pedone viene colpito da dietro, in piedi. Catapultato sul cofano del taxi. Batte la nuca contro il parabrezza. Aveva riportato fratture multiple delle vertebre cervicali, le aveva detto la dottoressa con il viso impassibile. La gravità dell'impatto aveva provocato fratture a entrambe le estremità inferiori, aveva aggiunto, sempre con il viso impassibile. Estremità inferiori. Le gambe dell'uomo che amava indossavano calze e scarpe e, in quel crudele pomeriggio d'aprile, pantaloni di velluto a coste dello stesso marrone della poltrona e del divano. Pantaloni che gli aveva comprato lei da Saks. La dottoressa dal viso impassibile le aveva detto, nella saletta: "Sembra illeso perché le fratture più gravi sono alle estremità inferiori". E le estremità inferiori di suo marito erano coperte dal lenzuolo azzurro. 350
Shrew era uscita dall'obitorio lasciando l'indirizzo. In seguito aveva firmato l'assegno e ricevuto una copia del referto scritto dalla dottoressa Lester, che era rimasto in sospeso per circa cinque mesi, in attesa degli esami tossicologici. I risultati ufficiali dell'autopsia erano ancora in una busta sigillata, nell'ultimo cassetto della scrivania, sotto una scatola dei sigari preferiti di suo marito, che Shrew aveva chiuso in un sacchetto da freezer perché non voleva sentirne l'odore, ma non riusciva a gettare via. Posò un altro bicchiere di bourbon accanto al computer, si sedette e lavorò più a lungo del solito perché non voleva andare a dormire troppo presto, anzi, non voleva andarci mai più. Si rese conto che le era sembrato sopportabile finché non aveva aperto la foto di Marilyn Monroe quella mattina. Quando pensò all'uomo dalle grosse basette e dai gioielli vistosi che le aveva offerto un cucciolo di bassotto, shihtzu o springer spaniel in regalo prima di accompagnarla a casa in Cadillac, le venne in mente un Dio punitivo. Era stato un tentativo di comprare il suo silenzio con una gentilezza che però non nascondeva ciò che le avrebbe fatto se avesse deciso di non essere carino con lei. Shrew l'aveva beccato con le mani nel sacco, lo sapevano tutti e due, ma lui voleva che si comportasse da amica. Per il bene di entrambi. Si collegò a Internet e si mise a cercare finché trovò un articolo del "New York Times" di tre settimane prima, quando il Boss aveva scritto tutte quelle belle cose sul negozio TellTail Hearts di Lexington Avenue. Il testo era accompagnato dalla foto di un uomo dai 351
capelli bianchi con due grosse basette e il viso sciupato. Si chiamava Jake Loudin. Nel mese di ottobre erano state sporte otto denunce per crudeltà verso gli animali dopo una perquisizione in uno dei suoi negozi del Bronx, ma alcune settimane prima, all'inizio di dicembre, era stato scagionato. RITIRATE LE ACCUSE CONTRO IL RE DEI CANIFICI La procura distrettuale della contea di New York ha ritirato le accuse di crudeltà verso gli animali mosse contro l'imprenditore del Missouri che gli animalisti hanno soprannominato il "Poi Pot dei cuccioli", paragonandolo al leader dei Khmer Rossi responsabile del massacro di milioni di cambogiani. Se fosse stato riconosciuto colpevole e condannato al massimo della pena per tutti gli otto casi di maltrattamento, Loudin avrebbe scontato fino a sedici anni di reclusione. "Ma non c'era modo di provare che gli otto animali trovati morti nella cella frigorifera del negozio fossero ancora vivi quando vi erano stati messi" ha dichiarato il sostituto procuratore distrettuale Jaime Berger, la cui nuova task force contro la crudeltà verso gli animali aveva effettuato una perquisizione nel negozio l'ottobre scorso. Il giudice, ha aggiunto il sostituto procuratore, ha ritenuto che le prove addotte non fossero sufficienti a dimostrare che l'eutanasia sugli otto cuccioli, dai tre ai sei mesi di età, non era giustificata. A detta di Jaime Berger è risaputo che molti negozi di animali "eliminano" cani, gatti ed esemplari di altre specie se non riescono a venderli o se per qualche 352
ragione diventano troppo onerosi dal punto di vista economico. "Un cucciolo malato, o che ha già tre o quattro mesi, non si può mettere in vetrina per attirare i clienti" ha affermato. "E sono fin troppi i negozi che non garantiscono cure mediche e neppure il soddisfacimento dei bisogni fondamentali come un posto caldo, gabbie pulite e cibo e acqua sufficienti. Uno dei motivi per cui ho voluto istituire la task force è che i newyorkesi sono stufi di tale situazione e intendo fare il possibile affinché questi delinquenti finiscano in galera e ci restino." Era la seconda volta che Shrew chiamava il 911 quel giorno. Ma adesso era più ubriaca e più sfatta. «Assassini» disse all'operatore, ripetendo l'indirizzo sulla Lexington. «I piccoli sono chiusi là dentro...» «Signora?» «Poi mi ha costretto a salire in macchina, ero disperata... Lui era tutto rosso, imbronciato, e c'era un silenzio raggelante.» «Signora?» «Avete già provato a spedirlo in prigione per la stessa cosa! Hitler! Sì, Pol Pot! Ma se l'è scampata. Lo dica al procuratore Berger. Per favore. Subito. Per favore.» «Signora? Vuole che le mandi un agente a casa?» «Uno della task force contro la crudeltà verso gli animali. Oh, per favore. Non sono pazza. Ve lo giuro. Gli ho fatto una foto, e anche una del frigo, con il cellulare.» Non era vero. «Si muovevano!» urlò. «Si muovevano ancora!» 353
La Chevrolet Impala blu scuro aspettava davanti all'entrata dell'ospedale quando Benton e Kay uscirono nella notte. Kay riconobbe la giacca di pelle imbottita, poi si rese conto che era Marino a indossarla. Il bagagliaio si aprì, Marino prese la valigetta che gli porgeva Benton e si mise a parlare dei caffè che aveva preso per loro: ce n'erano due sul sedile posteriore. Era il suo modo di salutarli dopo tutto quel tempo, dopo tutto quello che era accaduto. «Mi sono fermato da Starbucks» disse richiudendo il bagagliaio. «Vi ho preso due extralarge» precisò. «E quel dolcificante con la bustina gialla.» Alludeva allo Splenda. Si doveva essere ricordato che Kay non voleva né saccarina né aspartame. «Niente latte, però, perché lo tengono in quei bricchi e così non ho potuto portarlo via. Ma non credo che voi beviate il caffè con il latte, sempre che le cose non siano cambiate. Sono nel portabevande dietro. Jaime Berger è seduta davanti. È così buio che non riuscirete a vederla, ma c'è, quindi non mettetevi a parlare di lei.» Cercava di fare lo spiritoso. «Grazie» replicò Kay mentre salivano in auto. «Come stai?» «Bene.» Marino si mise al volante. Il sedile era tirato così indietro che sfiorava le ginocchia di Kay. Jaime Berger si voltò e li salutò come se niente fosse. Meglio così. Era più facile. Mentre si allontanavano dall'ospedale, Kay guardò la nuca di Marino e il colletto della giacca di pelle nera. Degna degli Eroi di Hogan, diceva Lucy per prenderlo in giro, con le cinghiette sui lati, le cerniere sulle 354
maniche e un sacco di borchie e particolari di ottone anticato. Nei vent'anni in cui Kay lo aveva frequentato, Marino era ingrassato troppo per portarlo; aveva messo su pancia e, negli ultimi tempi, si era gonfiato per gli esercizi in palestra e probabilmente anche per gli steroidi. Nel periodo in cui Marino era uscito dalla sua vita, Kay aveva avuto molto tempo per ripensare a ciò che era accaduto e a cosa poteva averlo scatenato. Di recente, dopo avere riallacciato i contatti con il suo vice di una volta, Jack Fielding, e averlo assunto nuovamente, aveva avuto un'intuizione. Fielding si era praticamente rovinato la vita con gli ormoni. Marino ne era stato testimone, eppure anche lui, impaurito e deluso, in preda a una sensazione di impotenza contro cui Kay non poteva fare nulla, si era fatto prendere dalla fissazione della forza fisica. Marino aveva sempre ammirato Fielding e il suo fisico da body builder, pur disapprovando le sostanze illecite e nocive con cui se lo era costruito. Kay era convinta che Marino avesse iniziato ad assumere steroidi anni prima dell'avvento dei farmaci antiimpotenza, e ciò avrebbe spiegato l'aggressività e la vera e propria cattiveria che avevano preceduto l'accesso di violenza nella casa di Kay a Charleston la primavera scorsa. Rivederlo la rattristò più di quanto si aspettasse, per motivi che lei stessa non capiva, e le risvegliò ricordi degli anni trascorsi fianco a fianco con lui, di quando si era lasciato crescere i capelli grigi e si faceva il riporto per coprire la calvizie. Come Donald Trump, solo che Marino non era il tipo da usare gel o lacca e al minimo soffio di vento i lunghi ciuffi gli 355
ricadevano sotto le orecchie. Poi aveva iniziato a radersi la testa e a portare una bandana dall'aria sinistra. Ora aveva una specie di mezzaluna di capelli intorno alla pelata, non portava l'orecchino e non sembrava più un fuorilegge scatenato o un Hells Angel. Era sempre Marino, in forma migliore ma un po’ invecchiato, costretto a comportarsi bene, come se stesse portando a fare un giro in macchina la giuria che doveva decidere se concedergli la libertà vigilata. Svoltò in Third Avenue, in direzione della casa di Terri Bridges, che distava solo pochi minuti dall'ospedale. Jaime chiese a Kay se ricordasse di essere stata contattata da Terri a Charleston la primavera precedente, all'inizio dell'estate o in un qualunque altro momento. Kay le rispose di no. Jaime armeggiò con il BlackBerry e mormorò qualcosa contro la mania di Lucy di non usare la carta, poi lesse l'email che Terri le aveva scritto l'anno prima chiedendole di aiutarla a rintracciare Kay. «Il 2 luglio» precisò «ha inviato questo messaggio in quel triangolo delle Bermude che è l'indirizzo di posta elettronica del New York City Government, nella speranza di comunicare con me perché non era riuscita a mettersi in contatto con te. A quanto pare non ha potuto parlare con nessuna delle due.» «Non mi sorprende, con uno username come Ali&Nata» replicò Benton dall'ombra del sedile posteriore, mentre guardava fuori dal finestrino il tranquillo quartiere di Murray Hill, dove Kay fino a quel momento aveva visto una sola persona per strada, un uomo che portava a passeggio un boxer. 356
«Non mi sorprenderei nemmeno se il messaggio fosse stato spedito dall'indirizzo di posta elettronica del papa» disse Jaime. «Fatto sta che non l'ho ricevuto. Ora si tratta di capire se tu, Kay, sei assolutamente sicura che Terri Bridges non ti abbia mai chiamato allo studio di Charleston.» «Sicurissima» ribadì Kay. «Ma nel periodo fra la primavera e l'inizio dell'estate scorsa anche il mio studio era una specie di triangolo delle Bermude.» Non voleva scendere nei dettagli, con Marino seduto lì davanti. Come poteva parlare di quanto era stata male dopo che lui era scomparso senza una parola, senza lasciare traccia? Quando Rose aveva cominciato a peggiorare così in fretta che, persa l'orgogliosa testardaggine, aveva accettato di trasferirsi da lei e di lasciarsi curare, imboccare e cambiare la camicia da notte e le lenzuola quando si sporcava. Alla fine, quando aveva deciso, con la morte negli occhi, di avere sofferto abbastanza, le aveva chiesto anche di somministrarle morfina e ossigeno. Come si sarebbe sentito Marino, se fosse venuto a sapere quanto si era arrabbiata Rose perché lui aveva abbandonato tutte le persone care ma soprattutto lei, pur sapendo che le restava poco da vivere? Rose aveva detto che era stato scorretto e aveva chiesto a Kay di riferirgli il messaggio, un giorno. "Digli che gli darò un ceffone." Come se stesse parlando di un bambino di due anni. "Digli che ce l'ho anche con Lucy, che sono arrabbiatissima con tutti e due. A lui do la colpa di quello che sta facendo Lucy. Lassù a Blackwater o in non so quale campo di addestramento, a sparare e a dare ginocchiate nelle reni a marcantoni come se fosse 357
Sylvester Stallone, perché non ha il coraggio di stare a casa." In quelle ultime settimane Rose aveva perso i freni inibitori, parlava a briglia sciolta, ma non diceva mai cose del tutto assurde. "Riferiscigli che, quando sarò nell'aldilà, mi sarà più facile trovarlo e fare i conti con lui. E ho intenzione di farli. Vedrai." Kay aveva sistemato un letto da ospedale in salotto, dove teneva aperta la portafinestra in modo che Rose potesse vedere il giardino e gli uccellini e sentire lo stormire delle querce secolari, piantate ancora prima della Guerra Civile. Lei e Rose chiacchieravano mentre l'orologio sulla mensola del caminetto ticchettava come un metronomo che scandisse il tempo dei loro ultimi giorni insieme. Kay non era mai scesa nei particolari riguardo a ciò che aveva fatto Marino, ma aveva confidato a Rose una cosa importante in proposito, di cui non aveva parlato con nessun altro. "Hai presente quando la gente dice che vorrebbe poter tornare indietro?" "Io non l'ho mai detto" aveva replicato Rose, appoggiata ai cuscini, con la luce del mattino che faceva sembrare ancora più bianche le lenzuola. "Sono solo sciocchezze inutili." "Bè, io non lo direi perché sarebbe una bugia, hai perfettamente ragione. Non vorrei rivivere quella sera nemmeno se me ne venisse data la possibilità, tanto non cambierebbe nulla. Posso provare a riscriverla tutte le volte che voglio. Marino rifarebbe quello che ha fatto. L'unico modo in cui avrei potuto fermarlo sarebbe stato cambiare le cose molto prima, magari 358
dieci o vent'anni fa. Se ho una colpa, in quanto è successo, è quella di non essere stata attenta." Kay si era comportata con Marino esattamente come lui e Lucy avevano fatto con Rose, alla fine: si era voltata dall'altra parte, aveva finto di non vedere, si era allontanata con la scusa del lavoro, delle preoccupazioni, di presunte emergenze, invece di affrontarlo a viso aperto. Avrebbe dovuto prendere esempio da Jaime Berger, che non esitava a dire a un poliziotto grande e grosso con le stesse pulsioni e insicurezze di Marino di smetterla di guardarle nella scollatura o sotto la gonna, di farsene una ragione, perché tanto lei non ci sarebbe mai andata a letto. Non intendeva diventare la sua puttana, la sua madonna, sua moglie o sua madre, niente di tutto questo, benché fosse proprio ciò che Marino aveva sempre desiderato, ciò che moltissimi uomini desiderano perché non conoscono alternative. Kay avrebbe potuto fare a Marino un discorso di questo genere quando era stata nominata direttore in Virginia e lui aveva fatto il possibile per metterla in difficoltà, comportandosi come un ragazzino con una cotta per lei. Ma aveva temuto di offenderlo, perché in fondo il suo più grande difetto era una paura maledetta di far soffrire il prossimo, e così aveva finito per far soffrire lui, se stessa e tutti quanti. Alla fine aveva capito di essere stata egoista. "Sono la persona più egoista del mondo" aveva detto a Rose. "Il mio problema è la vergogna. Non sono mai stata come gli altri. So cosa significa essere emarginati, evitati, vergognarsi di qualcosa. E non volevo che altri fossero costretti a provare imbarazzo o che qualcuno ne facesse provare di nuovo a me. Ma 359
alla fine la verità è che mi preoccupo soprattutto di non soffrire io. È brutto scoprire una cosa così di se stessi." "Tu sei diversa da tutte le persone che ho conosciuto" aveva replicato Rose. "Capisco perché non eri simpatica alle altre ragazze e alla maggior parte della gente, e forse continui a non esserlo. Il fatto è che le persone sono meschine e tu, senza volere, glielo ricordi. Quindi fanno di tutto per sminuirti, perché così si sentono più importanti. Sai come funziona, ma quando ci sei in mezzo non riesci a rendertene conto. Se ti avessi conosciuto allora, a me saresti stata simpatica. Se fossi stata una suora o una tua compagna di scuola, saresti stata la mia preferita." "Non credo." "Invece è vero. Sono quasi vent'anni che ti seguo, e non è certo per le straordinarie condizioni di lavoro, per i gioielli, le pellicce o le vacanze esotiche che mi regali, ma perché ti voglio bene. Te ne ho voluto dal primo momento in cui sei entrata in quell'ufficio. Ti ricordi? Non avevo mai conosciuto un medico legale donna e ovviamente ero prevenuta. Ti immaginavo una persona strana, difficile, sgradevole. Altrimenti perché avresti scelto di fare un lavoro del genere? Non avevo visto foto tue e mi aspettavo un mostro appena uscito da una palude, uno zombi. Avevo già in programma di cambiare lavoro, di fare domanda alla facoltà di medicina, dove qualcuno mi avrebbe sicuramente assunto. Non pensavo di riuscire a resistere nemmeno un minuto con te. Poi però ti ho conosciuta e a quel punto non ti avrei lasciato per nulla al mondo. Mi spiace di doverlo fare ora." 360
«Potremmo controllare i tabulati telefonici e la posta elettronica dello studio» disse Kay rivolgendosi a Benton, Marino e Jaime. «Non è una priorità, al momento» replicò la Berger voltandosi indietro. «Ma Lucy ti ha mandato alcune informazioni che dovresti vedere appena possibile. È importante che tu legga cosa scriveva Terri Bridges. O, almeno, presumiamo che sia stata lei, anche se non possiamo dirlo con certezza perché anche Oscar Bane avrebbe potuto mettere facilmente le mani sul suo computer e addirittura utilizzare lo username Ali&Nata.» «Ho l'elenco delle prove raccolte nell'appartamento, con l'indicazione del punto in cui si trovavano» li informò Marino mentre guidava. «E gli schemi che ricostruiscono la scena del crimine. Una copia per ognuno, così potete vedere dove si trovavano le varie cose.» Jaime porse le copie a Kay e Benton, seduti dietro. Marino svoltò in una strada buia fiancheggiata da alberi e da vecchie palazzine di arenaria. «Non è molto illuminata e un sacco di gente sembra essere ancora via per le feste» osservò Benton. «Non è una zona ad alto rischio.» «No» replicò Marino. «Da queste parti non succede mai niente. L'ultima segnalazione prima dell'assassinio è stata per disturbo alla quiete pubblica: un tale teneva il volume della musica troppo alto.» Parcheggiò dietro una macchina della polizia. «C'è una novità» disse Jaime. «Leggendo alcune email, Lucy e io ci siamo chieste se Terri avesse un altro.» 361
«A quanto pare nessuno si prende la briga di nascondere le macchine della polizia» brontolò Marino mentre spegneva il motore. «Perché dovremmo?» domandò Jaime. «Morales ha detto che non voleva auto in piena vista. Nel caso l'orco decidesse di tornare. Immagino si sia scordato di comunicarlo a chi di dovere.» «Intendi che lo tradiva?» chiese Benton alla Berger aprendo la portiera. «Che Terri tradiva Oscar? Forse sarebbe meglio lasciare i cappotti in auto.» Kay si levò il suo e fu investita da una ventata gelida. Marino scese dalla macchina parlando al cellulare con l'agente di guardia in casa di Terri Bridges, avvertendolo che stavano arrivando. Essendo ancora una scena del crimine sotto sequestro, doveva presentarsi esattamente nelle stesse condizioni in cui la polizia l'aveva lasciata poco dopo l'una di notte, secondo il rapporto che Kay aveva letto. Il portone si aprì e Marino, Benton, Jaime e Kay salirono i cinque gradini ed entrarono nell'atrio, dove un agente in uniforme prendeva molto sul serio il proprio incarico. «Vedo che la tua macchina è parcheggiata qui di fronte» gli disse Marino. «Pensavo che gli ordini fossero di non lasciare l'auto in piena vista». «Il collega non si è sentito bene. Credo per colpa dell'odore, anche se non sembra così forte finché non si sta qui per un po'» replicò il poliziotto. «Quando gli ho dato il cambio, non ho ricevuto istruzioni su dove parcheggiare la macchina. Vuoi che la sposti?» «Cosa ne pensi?» chiese Marino alla Berger. «Come dicevo, Morales non vuole sbandierare il fatto che la 362
casa è piantonata, nel caso l'assassino decida di tornare sulla scena del delitto.» «Ha installato una videocamera sul tetto» spiegò l'agente. «Sono lieto di constatare che è un segreto» ribatté Marino. «L'unico che potrebbe tornare qui è Oscar Bane» disse Benton. «Sempre che non ci siano altre persone in possesso delle chiavi. E mi riesce difficile credere che, paranoico com'è, si presenti qui e cerchi di entrare.» «È più probabile che uno nel suo stato mentale vada all'obitorio nella speranza di vedere per l'ultima volta la sua amata» fece notare Kay. Aveva deciso che era stanca di stare zitta. C'erano molti modi per comunicare informazioni importanti, senza necessariamente infrangere il segreto professionale. «Forse sarebbe una buona idea aumentare la sorveglianza nella zona circostante l'Istituto di medicina legale, nel caso Oscar Bane si faccia vivo» disse Marino all'agente. «Ma, per favore, non nominarlo via radio. Potrebbe esserci qualche giornalista in ascolto. Okay? Non vogliamo che rutti i nani dell'East Side vengano fermati e interrogati.» Come se la zona intorno all'Istituto di medicina legale fosse un famoso ritrovo di persone affette da ipostaturalità. «Se vuoi andare a comprare qualcosa da mangiare o prenderti una piccola pausa, è il momento giusto» gli consigliò Marino. «È un'offerta gentile, ma no, grazie» rispose l'agente guardando Jaime. «Ho l'ordine di restare qui. E di farvi firmare il registro.» 363
«Non essere così pignolo, per la miseria. Nessuno ti morde, nemmeno il procuratore» ribatté Marino. «E abbiamo bisogno di spazio. Se vuoi stare nell'atrio, fai pure. O vai a fare la pipì. Ti avverto un quarto d'ora prima che ce ne andiamo. Basta che non scappi in Florida.» L'agente aprì la porta dell'appartamento e Kay sentì odore di pollo arrosto andato a male. L'uomo prese la giacca dalla sedia pieghevole e un romanzo dal pavimento, American Rust di Philipp Meyer. Non poteva andare oltre quel limite per nessuna ragione e, se avesse avuto la tentazione di oltrepassarlo, i piccoli coni arancioni che indicavano i punti dove erano state raccolte le prove glielo avrebbero prontamente ricordato. Se voleva bere un bicchier d'acqua, mangiare, o aveva un disperato bisogno di andare in bagno, doveva chiamare un collega che lo sostituisse per quel breve periodo. E non poteva sedersi se non sulla sedia che si era portato. Appena varcata la soglia dell'appartamento, Kay aprì la sua valigetta, prese una macchina fotografica digitale, un taccuino e una penna, e consegnò a ognuno un paio di guanti. Come suo solito, esaminò la scena senza muoversi né parlare, notando che, non fosse stato per i coni arancioni, nulla pareva fuori posto e non c'erano indicazioni che fosse accaduto un fatto violento. L'appartamento era in perfetto ordine: ovunque guardasse, Kay vedeva l'impronta della donna rigida e ossessiva che aveva vissuto ed era morta in quella casa. Il divano e la poltrona rivestiti di tessuto a fiori nel soggiorno davanti a lei erano disposti simmetricamente accanto a un tavolino di acero, su 364
cui erano posate alcune riviste che formavano un ventaglio perfetto. Nell'angolo, un televisore a schermo piatto Pioneer apparentemente nuovo era posizionato proprio di fronte al centro del divano. Il caminetto ospitava una composizione di fiori di seta. Il tappeto berbero color avorio era liscio e pulito. A parte i coni, si notava a malapena il passaggio dei poliziotti che, nella nuova era di gestione tecnologica della scena del crimine, sicuramente indossavano tute monouso e soprascarpe. Dovevano avere usato rivelatori di polvere elettrostatica, in grado di individuare qualsiasi impronta sui pavimenti di legno lucido, e lampade professionali e apparecchi fotografici, anziché le vecchie polveri nere che sporcavano dappertutto. Nei dipartimenti di alto livello, come quello di New York, i tecnici della Scientifica non creavano né distruggevano nulla. Il soggiorno comunicava con la sala da pranzo e la cucina. L'appartamento era piuttosto piccolo e dalla soglia Kay vide la tavola apparecchiata per due e tracce della preparazione della cena sul banco di lavoro vicino ai fornelli. Era indubbio che il pollo fosse ancora nel forno e Dio solo sapeva quanto ci sarebbe rimasto a marcire, prima che il proprietario o la famiglia di Terri venissero autorizzati a entrare in casa. Le forze dell'ordine non erano né tenute né autorizzate a ripulire lo schifo che restava dopo una morte violenta, che si trattasse di sangue o dei resti di una cena non consumata. «Lasciate che faccia una domanda ovvia» disse Kay senza rivolgersi a nessuno in particolare. «C'è anche solo una remota possibilità che non fosse lei la vittima 365
predestinata? Dato che c'è un altro appartamento di fronte a questo e credo due al piano di sopra...» «Tutto è possibile, ma ha aperto la porta lei stessa» rispose Jaime. «O, se l'ha fatto qualcun altro, significa che aveva le chiavi. Perciò sembra proprio che ci sia un legame fra Terri e la persona che l'ha uccisa.» Rivolgendosi a Marino aggiunse: «Hai parlato di un accesso al tetto. Scoperto qualcosa di nuovo al riguardo?». «Ho ricevuto un SMS da Morales. Dice che ieri sera, quando è arrivato sulla scena del crimine, la scaletta era esattamente dove l'ha trovata lui dopo avere installato la videocamera: nello sgabuzzino condominiale.» Marino aveva una strana espressione, come se gli fosse venuta in mente una barzelletta che però non era intenzionato a raccontare. «Immagino allora che non ci sia niente di nuovo. Qualche sospetto o testimone interessante, fra gli inquilini?» domandò Jaime a Marino, continuando la conversazione senza allontanarsi dalla soglia dell'appartamento. «Secondo il proprietario, che vive a Long Island, Terri era molto riservata, tranne quando aveva una lamentela da fare. Pretendeva che fosse tutto perfetto» riferì Marino. «La cosa interessante è che, se c'era qualche riparazione da fare, non lasciava mai che se ne occupasse il padrone di casa. Gli diceva che avrebbe fatto eseguire il lavoro da qualcun altro. Secondo il proprietario, dava l'impressione di tenere una lista di tutti problemi per rinfacciarglieli nel caso gli fosse venuta l'idea di aumentare l'affitto.» 366
«Immagino che il proprietario non fosse entusiasta di lei» intervenne Benton. «L'ha definita "esigente". Più di una volta» precisò Marino. «Comunicava con lui per posta elettronica, mai per telefono, come se volesse avere copia di tutta la corrispondenza per usarla in un'eventuale causa legale, mi ha detto.» «Possiamo chiedere a Lucy di trovare quelle email» replicò Jaime. «Sappiamo quale dei diciotto username adoperava per spedire i reclami al padrone di casa? Non credo fosse Ali&Nata, a meno che i messaggi non mi siano completamente sfuggiti. A proposito, ho chiesto a Lucy di inoltrarmi tutte le informazioni interessanti, in modo da essere costantemente aggiornati mentre lei continua a esaminare i computer trovati in casa di Terri.» «Railroadrun» disse Marino. «Il proprietario ha detto che è questo l'indirizzo di posta elettronica da cui gli scriveva. Comunque sia, doveva essere una vera rompiballe.» «Quindi doveva avere qualcuno che l'aiutava quando le si rompeva qualcosa in casa» osservò Kay. «Ho i miei dubbi che si trattasse di Oscar Bane» disse Jaime. «Non ci sono elementi che lo facciano pensare, nelle email che ho letto finora. Non gli chiedeva mai di venire a sturarle il gabinetto o a cambiare una lampadina. Inoltre, data la statura, alcuni compiti gli sarebbero risultati ardui.» «Nello sgabuzzino condominiale al piano di sopra c'è una scala» commentò Marino. «Vorrei prima fare un giro da sola» disse Kay. Prese il metro a nastro dalla valigetta e se lo infilò nella tasca della giacca, poi consultò l'inventario delle 367
prove per capire a quali oggetti rimossi dalla polizia corrispondessero i vari coni. A circa due metri dalla porta d'entrata, alla sua sinistra, c'era il cono numero uno, dove era stata trovata la torcia elettrica descritta come una Luxeon Star di metallo nero con due batterie Duracell al litio, funzionante. Non era di plastica, contrariamente a quanto le aveva detto Bane. Che il particolare fosse o no rilevante, una torcia di metallo era comunque più pericolosa di una di plastica. Bane non doveva essersi colpito con particolare violenza per provocarsi i lividi che Kay gli aveva trovato addosso. I coni dal numero due al quattro corrispondevano alle impronte di scarpe rilevate sul pavimento di legno; la descrizione diceva soltanto che erano di scarpe da ginnastica della dimensione approssimativa di sedici centimetri per dieci. Erano piccole e, continuando a leggere la lista, Kay notò che dall'armadio di Terri era stato prelevato un paio di Reebok da donna, bianche con rifiniture rosa, numero trentacinque e mezzo. Impossibile che fossero lunghe sedici centimetri dalla punta al tacco. Kay ripensò al cadavere di Terri: le era parso che avesse i piedi più piccoli, forse a causa delle dita sproporzionatamente corte. Sospettò che le impronte accanto alla porta fossero state lasciate da Oscar Bane quando era entrato e uscito dall'appartamento per tornare alla macchina a posare la giacca o a fare chissà cos'altro, dopo avere scoperto il cadavere. Ciò presumendo che la sua versione dei fatti fosse, per lo meno in parte, vera. Le altre impronte erano interessanti, perché erano state lasciate da piedi scalzi. Kay ricordava di avere 368
visto parecchie foto scattate con luce radente. Aveva pensato che quelle orme fossero di Terri. Erano in posizione significativa, tutte raggruppate fuori dal bagno dove era stato trovato il cadavere. Kay si chiese se Terri si fosse spalmata della crema idratante o dell'olio, magari dopo la doccia, e questo avrebbe spiegato perché le impronte erano così visibili, una vicina all'altra. Si chiese anche cosa potesse significare il fatto che Terri avesse avuto ai piedi le pantofole finché non era entrata nella zona dell'appartamento dove era stata uccisa. Supponendo che fosse stata aggredita appena aveva aperto la porta e che avesse opposto resistenza o fosse stata costretta ad andare nella camera da letto, sul retro, non era probabile che perdesse le pantofole molto prima? In tanti anni di indagini su omicidi, Kay aveva imparato che raramente una vittima di violenza calza le pantofole. Si spostò in sala da pranzo, dove l'odore del pollo arrosto andato a male era più forte e nauseante. La cucina si trovava poco più avanti, vicino alla camera degli ospiti adibita a studio, secondo la dettagliata piantina dell'appartamento disegnata al computer, con l'indicazione delle dimensioni, che era tra i documenti consegnati da Marino. Il tavolo della sala da pranzo era apparecchiato meticolosamente con piatti dal bordo azzurro e due tovagliette , inamidate, pulitissime, l'una di fronte all'altra. Le posate d'acciaio erano lucide e perfettamente allineate. Era tutto predisposto con estrema cura, al limite dell'ossessione. Solo il centrotavola floreale non era impeccabile: le 369
margherite cominciavano a piegarsi e dalla speronella erano caduti come lacrime alcuni petali. Kay spostò le sedie per controllare se sui cuscini di velluto azzurro fosse rimasta qualche impronta lasciata da qualcuno che ci era salito in ginocchio per compensare la bassa statura; ma evidentemente, se Terri era salita sulla sedia per apparecchiare la tavola, dopo doveva avere lisciato il cuscino. I mobili erano di misure standard e l'appartamento non aveva ausili per disabili. Tuttavia, quando Kay iniziò ad aprire armadi e mobiletti, trovò uno sgabello, una pinza prensile e un attrezzo che sembrava un attizzatoio, che Terri probabilmente usava per spingere o avvicinare a sé oggetti. In cucina, nell'angolo sotto il forno a microonde, si notavano gocce di sangue secco di colore rosso scuro, con ogni probabilità lasciate da Oscar quando si era tagliato il pollice nel prendere le forbici, che però non c'erano più. Non c'era neanche il ceppo dei coltelli, che doveva essere stato portato in laboratorio. Sui fornelli era appoggiata una pentola contenente degli spinaci crudi. Il manico era girato all'interno, come fanno le persone prudenti per evitare incidenti domestici. Il pollo in forno aveva un odore pungente ed era attaccato al fondo della teglia di alluminio; il grasso ormai rappreso sembrava cera gialla. Gli utensili da cucina e le presine erano allineati sul bancone, insieme a basilico, sale, pepe e una bottiglia di sherry. In una ciotola di ceramica c'erano tre limoni, due lime e una banana maculata di nero. Lì accanto Kay vide un cavatappi a pressione, utensile che secondo lei rovinava il rituale romantico di stappare il vino, e una bottiglia ancora chiusa di chardonnay di 370
discreta qualità. Si chiese se Terri avesse tolto il vino dal frigo un'ora prima dell'arrivo di Oscar, sempre presumendo che a ucciderla fosse stata un'altra persona. Se era andata così, molto probabilmente si era documentata e sapeva che il vino bianco va bevuto freddo, ma non ghiacciato. Nel frigo c'era una bottiglia di champagne, anch'essa di una marca discreta, con un buon rapporto qualità prezzo. Sembrava che Terri seguisse i consigli delle rubriche dei consumatori su Internet e che "Consumer Reports" fosse la sua bibbia. Nessuno dei suoi acquisti sembrava dettato dalla passione o dal divertimento. Che si trattasse di un televisore, di calici da vino o piatti di porcellana, ogni oggetto pareva scelto da un compratore ben informato che non agisse mai in fretta o d'impulso. Nei cassetti del frigorifero c'erano broccoli, peperoni, cipolle e lattuga, una confezione di tacchino arrosto affettato e una di Emmental. Dalle etichette, Kay notò che erano stati acquistati in un negozio di alimentari in Lexington Avenue, a pochi isolati da lì, la domenica, insieme agli ingredienti per la cena della sera prima. I condimenti per insalata e le varie salse, sistemati nei contenitori all'interno dello sportello del frigo, erano tutti ipocalorici. Negli armadietti c'erano cracker, noci e buste di minestra liofilizzata a basso contenuto di sodio. I liquori, come tutto il resto, erano delle marche caratterizzate dal migliore rapporto qualità prezzo: Dewar’s, Smirnoff, Tanqueray, Jack Daniel’s. Kay sollevò il coperchio del secchio della spazzatura; come prevedibile era di acciaio satinato, un materiale che non arrugginisce e sul quale non si vedono i segni delle ditate. Per aprirlo, bastava premere un pedale, 371
senza bisogno di toccare nulla che potesse essere sporco. All'interno del sacchetto bianco di polietilene c'erano gli involucri del pollo e degli spinaci, parecchi fogli di carta assorbente appallottolata e la velina verdognola dei fiori sul tavolo. Kay si domandò se Terri avesse usato le forbici da cucina per accorciare i gambi, che erano ancora legati con l'elastico, e se poi le avesse pulite e rimesse nel ceppo insieme ai coltelli. Lo scontrino del fioraio non c'era perché gli agenti lo avevano trovato e prelevato la sera prima, come si vedeva nell'inventario. Terri aveva comprato i fiori per otto dollari e novantacinque cent la mattina precedente in un negozio del quartiere. Kay sospettava che il bouquet, piuttosto misero, fosse stato un acquisto dell'ultimo momento. L'idea che una persona potesse essere così poco creativa, spontanea e generosa la intristì. Terri doveva avere avuto una vita squallida ed era un peccato che non si fosse data da fare per cambiarla. Avendo studiato psicologia, certamente sapeva che esistono diverse terapie contro l'ansia e che, se avesse scelto di curarsi, avrebbe potuto modificare il proprio destino. In un certo senso, era come se la presenza di sconosciuti in casa sua, che investigavano su di lei e su tutti gli aspetti della sua vita, fosse una conseguenza delle ossessioni di cui soffriva. Oltre la cucina, sulla destra, si apriva una piccola camera degli ospiti trasformata in studio. Non c'erano mobili, tranne una scrivania, una sedia regolabile, un tavolino con una stampante e, contro la parete, due schedari vuoti. Kay tornò nel corridoio e guardò verso la porta d'ingresso. Jaime, Marino e Benton erano nel 372
soggiorno ed esaminavano l'inventario delle prove, discutendo sulla posizione dei piccoli coni arancioni. «Qualcuno sa se questi schedari erano vuoti quando è arrivata la polizia?» domandò Kay. Marino diede una scorsa alla lista e rispose: «Qui c'è scritto che sono stati prelevati posta e documenti personali da uno scatolone nel ripostiglio». «Perciò dagli schedari non è stato preso niente» dedusse Kay. «Interessante. Ce ne sono due, ma sono completamente vuoti. Non c'è nemmeno una cartellina. Come se non fossero mai stati usati.» Marino si avvicinò e chiese: «C'è della polvere?». «Controlla pure. Ma Terri e la polvere erano incompatibili. Non ne troverai nemmeno un granello.» Marino entrò nello studio e aprì gli schedari. Kay notò le impronte che i suoi scarponi avevano lasciato sulla spessa moquette blu scuro e si accorse che non ce n'erano altre, tranne quelle che aveva lasciato lei poco prima. Strano. Gli agenti facevano attenzione a non portare sporcizia sulla scena del crimine e a non distruggere eventuali indizi, ma di certo non si prendevano la briga di spazzolare la moquette prima di andarsene. «Sembra che qui ieri sera non sia entrato nessuno» osservò Kay. Marino richiuse i cassetti degli schedari. «Direi che qui dentro non c'è mai stato niente, a meno che qualcuno non abbia spolverato il fondo dei cassetti. Non ci sono segni lasciati da eventuali cartelline. Però gli agenti sono entrati anche qui.» La fissò negli occhi, perplesso. «Dall'inventario risulta che lo scatolone con i documenti è stato prelevato dal ripostiglio di questa stanza.» Si accigliò, guardò la moquette e notò anche 373
lui che era troppo liscia. «Bè, è strano, cazzo. Sono stato qui stamattina. E qui che ho trovato le valigie.» Indicò la porta del ripostiglio, poi l'aprì. Appese all'asta, nei sacchi della lavanderia, c'erano delle tende e sul pavimento alcune borse accatastate, in ordine. A ogni passo, Marino lasciava l'impronta degli scarponi sulla moquette. «Se qualcuno è passato di qui deve avere pulito la moquette» concluse. «Non saprei» replicò Kay. «A quanto dici, a parte te stamattina, da ieri sera in casa non dovrebbe essere più entrato nessuno.» «Sono dimagrito, d'accordo, ma non fluttuo nell'aria» le fece notare Marino. «Dove diavolo sono le mie impronte?» Sul pavimento, accanto alla scrivania, c'era un alimentatore magnetico infilato in una presa a muro. Kay trovò strano anche quello. «Ha messo via i computer per il viaggio in Arizona e ha lasciato fuori il cavo?» «Qui è venuto qualcuno» affermò Marino. «Probabilmente quel bastardo di Morales.» Lucy era sola nel suo loft con il vecchio bulldog che dormiva ai piedi della sedia. Mentre parlava al telefono con Kay, lesse altre email di Terri e Oscar. Data: Domenica, 11 novembre 2007 11:12:03 Da: Oscar A: Terri Vedi, te l'avevo detto che la dottoressa Scarpetta non si sarebbe comportata così. Evidentemente non aveva ricevuto i tuoi messaggi precedenti. È straordinario come a volte la soluzione più ovvia, 374
quella che abbiamo sotto il naso, sia anche la più giusta. Mi mandi le sue email? Data: Domenica, 11 novembre 2007 14:45:16 Da: Terri A: Oscar No. Sarebbe una violazione della sua privacy. La mia tesi sta andando alla grande. Sono felicissima! Davvero felicissima! «Di che "soluzione" sta parlando? Sembrava che avessero in mente di ottenere qualcosa di preciso, lui o lei, e che alla fine fossero riusciti a risolvere i loro problemi» disse Lucy nell'auricolare. «A cosa diavolo si riferirà?» «Non so cosa Terri avesse "sotto il naso", ma o si sbagliava di grosso, oppure mentiva» replicò Kay. «Probabilmente mentiva» disse Lucy. «Motivo per cui non voleva far leggere le tue email a Oscar.» «Non sono mie le email» ribadì Kay. «Ho bisogno di parlarti, ma adesso sono in casa di Terri Bridges, che non è il luogo più adatto per fare questa conversazione, soprattutto al cellulare.» «È il cellulare che ti ho procurato io, no? È speciale. Non devi preoccuparti. E nemmeno io. I nostri sono telefoni sicuri.» Mentre parlava, Lucy apriva i vari account e guardava nella posta eliminata per vedere se ci fosse qualcosa di interessante. «Potrebbe avere dato a Oscar un motivo di prendersela con te. La sua donna è ossessionata da un mito che finalmente le risponde - o così lui crede -, ma poi non gli permette di leggere le email. Direi che hai creato un problema di cui non eri al corrente.» 375
«Con cui non ho niente a che fare» precisò Kay. «Ascolta, che tipo di alimentatori hanno i portatili di Terri?» Uno degli account con associato lo username Ali&Nata era vuoto. Lucy lo aveva tenuto per ultimo, partendo dal presupposto che Terri l'avesse creato ma non avesse avuto il tempo di usarlo. Quando controllò il cestino, scoprì una cosa che la lasciò stupefatta. «Caspita!» esclamò. «È incredibile. Ha cancellato tutto ieri mattina. Centotrentasei messaggi, l'uno dopo l'altro.» «Che cavo hanno gli alimentatori? USB oppure a connettore magnetico?» insistette Kay. Poi chiese: «Che cosa è stato cancellato?». «Aspetta» disse Lucy. «Non andartene. Resta in linea e gli diamo un'occhiata insieme. Sarà meglio che chiami anche Jaime, Benton e Marino. Mettimi in vivavoce.» Le email cancellate erano tutte fra Terri e un altro utente con username Scarpetta612. 6-12: 12 giugno, il compleanno di Kay Scarpetta. L'indirizzo del provider era lo stesso dei diciotto account che si presumeva fossero di Terri Bridges ma, nella sua cronologia, Scarpetta612 non compariva. Non era stato creato su quel computer e nessuno vi aveva mai acceduto da quel computer; altrimenti, basandosi sulle date delle email che Lucy aveva sotto gli occhi, Scarpetta612 sarebbe stato presente insieme con gli altri diciotto account. Avrebbe dovuto esserci, se fosse stato creato da Terri. «Scarpetta seidodici» ripete Lucy, facendo scorrere il testo. «Qualcuno con questo username scriveva a 376
Terri, almeno così presumo. Chiama Jaime e Marino per farti dare la password di quell'account.» «Chiunque poteva usare una combinazione del mio nome e della mia data di nascita, che non è un segreto» ribatté Kay. «Comunica lo username a Jaime: Scarpetta e poi le cifre sei, uno, due. Senza spazi né punti: tutto attaccato.» Lucy le indicò il provider di posta elettronica e aspettò. Sentì che sua zia parlava con qualcuno. Le sembrò di riconoscere la voce di Marino. Poi Kay disse a Lucy: «Ci pensano loro». «Subito, per favore» insistette Lucy.. «Sì. Adesso puoi dirmi se uno dei portatili ha un connettore magnetico?» «No» rispose Lucy. «Cavo di alimentazione a ottantacinque watt. Un connettore magnetico non è compatibile con i computer di Terri. L'IP di Scarpetta612 corrisponde al numero 899 della Tenth Avenue. Non è l'indirizzo del John Jay College?» «Quale IP? Sì, l'indirizzo corrisponde. Cosa c'entra il John Jay? Jaime e Marino sono qui e vogliono sentire anche loro. Ti metto in vivavoce. Che sta facendo Benton?» chiese agli altri. Lucy udì la Berger rispondere che Benton era al telefono con Morales. Ne fu infastidita, non sapeva perché. Aveva l'impressione che Morales fosse interessato a Jaime, che la desiderasse fisicamente e che avesse qualche chance di riuscire a ottenere quanto voleva. «Chi scriveva a Terri dicendo di essere te lo faceva dall'indirizzo IP del John Jay» disse Lucy. Continuò a controllare le email cancellate spedite da qualcuno che chiaramente si spacciava per sua zia. «Ve ne inoltro 377
alcune. Dateci un'occhiata. Poi però ho bisogno della password, d'accordo? Uno dei messaggi è stato inviato da Scarpetta612 a Terri quattro giorni fa, il 28 dicembre, poco prima di mezzanotte. Il giorno dopo l'assassinio della Bhutto, quando sei intervenuta sulla CNN, zia Kay. Eri qui a New York.» «Sì, ma non sono stata io a scriverle. Quello non è il mio indirizzo di posta elettronica» insistette Kay. L'email diceva: Data: Venerdì, 28 dicembre 2007 23:53:01 Da: Scarpetta A: Terri Terri, di nuovo ti devo delle scuse. Sono certa che capirai. Una tragedia terribile, sono dovuta correre alla CNN. Immagino che tu abbia pensato che non sono di parola, ma quando muore qualcuno o ci sono altri contrattempi sono costretta a cancellare i miei impegni. Ci riproveremo! Scarpetta ps Hai ricevuto la foto? Lucy lesse l'email al telefono e domandò: «Zia Kay, a che ora te ne sei andata dalla CNN, quella sera?». «"Altri contrattempi"?» disse Jaime a Kay. «Come se equiparassi un attentato o un assassinio a un imprevisto qualsiasi? Chi c'è dietro? Hai idea di chi possa essere stato?» «No» rispose Kay. La Berger interrogò Marino. «Non ne ho la più pallida idea. Ma lei non direbbe mai una cosa del genere.» Come se Kay Scarpetta avesse bisogno di qualcuno che la difendesse. «Non credo che sia Jack, se è a lui che pensate.» 378
Marino si riferiva a Jack Fielding, ma era improbabile che qualcuno avesse pensato a lui. Era un anatomopatologo serio e impegnato e si era sempre dimostrato leale nei confronti di Kay, nonostante fosse lunatico e avesse una serie di problemi, come il colesterolo alto e la psoriasi, dovuti all'eccesso di allenamento fisico e di anabolizzanti. Non avrebbe avuto le energie, e neanche la perfidia necessaria, per spacciarsi per Kay Scarpetta in Internet. Perché chi usava lo username Scarpetta612, sempre che non fosse la Bridges, era una persona malvagia. Terri, almeno all'inizio, aveva idealizzato Kay Scarpetta e quando aveva creduto di essere riuscita a mettersi in contatto con lei, dopo averci provato in tutti i modi, doveva essere stata felicissima. Poi però il suo mito aveva cominciato a deluderla. «Zia Kay, la sera del 28 dicembre sei uscita dalla CNN ed eri a meno di due isolati dal John Jay. Sei tornata a casa a piedi, come sempre?» Kay e Benton abitavano in Central Park West, molto vicino alla CNN e al John Jay. «Sì» rispose Kay. Un'altra email aveva la data del giorno prima. Anche in quel caso, l'indirizzo IP era quello del John Jay. Data: Lunedì, 31 dicembre 2007 03:14:31 Da: Scarpetta A: Terri Terri, tu sai che le mie giornate a New York sono imprevedibili e che ho ben poco controllo sull'Istituto di medicina legale, perché non sono la direttrice, bensì solo una consulente come tanti. Stavo pensando: perché non ci incontriamo a Watertown, dove sono libera di muovermi come voglio? Ti farò fare un giro e, 379
se vuoi, potrai anche assistere a un'autopsia. Buon anno. Non vedo l'ora di conoscerti di persona. Scarpetta. Lucy la inoltrò a tutti loro mentre la leggeva a voce alta. «Non ero a New York ieri pomeriggio» disse Kay. «Non avrei potuto mandare un'email dal John Jay. E comunque non avrei mai scritto cose del genere: non organizzo visite guidate all'obitorio.» «L'enfasi sul fatto che qui a New York non sei tu a comandare...» osservò Jaime. «E qualcuno che cerca di sminuirti. Mi chiedo se Scarpetta612 non fosse Terri, che si mandava delle email come se fossero di Kay Scarpetta. Pensate che colpo da maestro sarebbe stato per la sua tesi. Lucy, tu vedi qualche motivo per cui dovremmo escludere che l'impostore fosse Terri?» Lucy aveva l'impressione che la voce di Jaime fosse particolarmente calda. Era successo così in fretta... Jaime si era mostrata sicura di ciò che voleva. E sorprendentemente audace. Poi aveva aperto la porta ed era uscita nella sera fredda e ventosa. «Queste tue presunte email» disse Lucy a sua zia «le davano l'opportunità di citarti nella sua tesi come persona conosciuta.» «Kay? Oscar Bane ne ha fatto cenno?» chiese Jaime. «Non posso riferirti ciò che mi ha detto, ma non nego che mi abbia fornito alcune indicazioni al riguardo.» «Quindi la risposta è sì» concluse Jaime. «Perciò lui era al corrente di questi messaggi. Che li abbia letti o no.» 380
«Se non era Terri a scriverseli, chi li ha cancellati? E perché?» chiese Marino. «Infatti» osservò Jaime. «Li ha eliminati tutti poco prima di essere uccisa. Prima che arrivasse Oscar. Oppure è stato qualcun altro a farlo e a mettere i computer nel ripostiglio?» «Se li avesse cancellati lei perché temeva che qualcuno li leggesse, avrebbe vuotato il cestino. Anche un idiota sa che si possono recuperare i file dal cestino» disse Lucy. «Di una cosa possiamo essere sicuri» replicò Kay. «Chiunque sia stato a cancellare quelle email, è chiaro che Terri Bridges non si aspettava di essere uccisa ieri sera.» «No, non si aspettava di morire. Sempre che non avesse deciso di suicidarsi» commentò Lucy. «Com'è possibile che poi il laccio sia sparito, allora? Non credo proprio che si sia ammazzata da sola» replicò Marino, come se avesse preso sul serio le parole di Lucy. «Non è stata strangolata con un laccio» precisò Kay. «E stata garrotata.» «Devo scoprire chi è Scarpetta612 e che foto ha mandato a Terri. Nel cestino non ci sono foto né immagini JPEG. È possibile che le abbia eliminate prima di cestinare i messaggi.» «E allora?» chiese Jaime. «Allora dovremo cercare di recuperarla, come stiamo facendo con i file di testo nell'altro portatile» spiegò Lucy. «Con la stessa operazione che ti ho mostrato prima.» «Altre possibili spiegazioni?» s'informò Kay. 381
«Se Terri, sempre che sia stata lei, avesse aperto l'immagine allegata a un'email da un altro computer, o da un BlackBerry, allora non comparirebbe sul portatile che usava per collegarsi a Internet» rispose Lucy. «È quello che ho cercato di dirvi» replicò Kay «Nel suo studio ho trovato un alimentatore a connettore magnetico incompatibile con i due portatili che hai tu. Quindi ci dev'essere un altro computer, da qualche parte.» «Conviene andare a casa di Bane, quando avremo finito qui» propose Marino. «Morales aveva le chiavi. Le ha ancora?» «Sì» rispose Jaime Berger. «Ma Bane potrebbe trovarsi lì. Non sappiamo dove sia.» «Non credo che sia a casa sua» intervenne Benton. «Prima parlavi con Morales?» gli chiese Jaime. «Cosa voleva?» «Secondo lui, Bane pensava che volessimo arrestarlo. Una guardia gli ha riferito che quando Kay se n'è andata Bane era agitato. A detta di Morales, e vi prego di tenere in considerazione il personaggio, Oscar si sente tradito da Kay. È come se lei gli avesse mentito, gli avesse mancato di rispetto, e afferma di essere contento che Terri non abbia visto com'è stata brutale con lui quando l'ha visitato. È convinto che abbia usato delle sostanze chimiche che gli hanno provocato grande sofferenza.» «Brutale?» intervenne Kay. Conversavano come se si fossero dimenticati che Lucy era ancora al telefono. Lei, nel frattempo, continuava a cercare tra le email cancellate. «È il termine che ha usato Morales» spiegò Benton. 382
«Non sono stata di certo brutale, e Morales sa benissimo che non posso raccontare cos'è successo in quell'ambulatorio» precisò Kay rivolgendosi a Benton. «Dal momento che Oscar Bane non è in stato di arresto, se mette in giro voci del genere io non posso difendermi.» «Non credo sia stato Oscar Bane a fare quei commenti» replicò Benton. «Sa che sei vincolata dal segreto professionale. Perciò, se non si fidasse di te, starebbe zitto. Se ti considerasse una persona poco seria, penserebbe che non ti faresti scrupolo a infrangere il segreto pur di difenderti, nel caso lui ti rivolgesse accuse prive di fondamento. Parlerò personalmente con la guardia.» «Sono d'accordo» convenne Jaime. «Probabilmente la fonte di quei commenti è Morales.» «È uno che gode a spandere merda» fece notare Marino. «Ha un messaggio per te» gli disse Benton. «Che fortuna!» esclamò Marino. «Ricordi la testimone che hai sentito oggi, la signora che abita qui di fronte?» proseguì Benton. Sembrava proprio che tutti si fossero dimenticati di Lucy. «Non gli ho detto che le ho parlato» replicò Marino. «Bè, comunque lo sa.» «Sembra che abbia richiamato il 911» lo informò Benton. «Poco fa.» «È terrorizzata per quello che è successo a Terri» spiegò Marino. «Ha telefonato per denunciare un maltrattamento di animali» specificò Benton. «Non mi dire. Il cucciolo che le è morto?» 383
«Come, scusa?» «Sono io che te lo chiedo: come, scusa?» ribatté Marino. «La signora in questione sembra avere detto all'operatore del 911 di riferire a Jaime che "si tratta dello stesso uomo prosciolto all'inizio di dicembre", testuali parole. Sostiene di avergli scattato una foto con il cellulare e di poter provare che continua a maltrattare quelle povere bestie.» «Jake Loudin» disse Jaime. «Chi è che sostiene di avergli scattato una foto?» «L'agente che ha preso la chiamata ha riferito il messaggio a Morales, a causa del suo rapporto privilegiato con Jaime, suppongo. Questo è quello che so.» Lucy si aprì una lattina di Diet Pepsi mentre ascoltava e leggeva. Jet Ranger russava. «Quale rapporto privilegiato?» Marino era arrabbiato. «Per la Tavern on the Green? Bè, sappiate che Morales non mi piace. È un bastardo.» «In poche parole, dice che dovresti tornare a parlarle» concluse Benton. «E che forse dovrebbe venire anche Jaime, visto che c'è di mezzo quel noto caso di crudeltà contro gli animali. Ma forse è meglio che andiamo tutti a casa di Oscar Bane, finché siamo in tempo.» «La donna abita qui di fronte» spiegò Marino. «Oggi pomeriggio, quando sono stato da lei, beveva bourbon. Ha iniziato a farneticare che voleva prendersi un altro cane. Non so perché non mi abbia detto di Loudin prima, dal momento che abbiamo parlato di cani e della task force di Jaime contro gli abusi verso gli animali. Dato che siamo già qui, potremmo andare 384
prima da lei e poi da Bane, che sta dall'altra parte del parco, non lontano da dove vivete voi. Vicino al John Jay.» «Forse dovremmo dividerci» propose Jaime. «Voi due andate a casa di Bane, Marino e io resteremo qui.» «Io vorrei fare un salto al John Jay» disse Kay. «Com'è possibile che l'indirizzo IP sia quello del John Jay? Non vuol dire che l'autore delle email deve trovarsi al college?» Silenzio. Kay ripeté la domanda, poi aggiunse: «Lucy? Ci sei ancora?». «Scusate» rispose lei. «Avevo dimenticato di essere in linea.» «Non sapevo che fosse ancora al telefono» intervenne Benton. «Faresti meglio a posare il cellulare sulla scrivania» disse a Kay, poi aggiunse: «Scusa, Lucy. Ciao, Lucy». Kay posò il cellulare. «Per potersi collegare, Scarpetta612 deve essere fisicamente nel raggio della rete wireless del John Jay» spiegò Lucy. «Per esempio, potrebbe trovarsi nell'edificio e usare un computer del college. Ma è assai improbabile, visto che una delle email è stata inviata pochi minuti prima della mezzanotte del 28 dicembre, quando il John Jay era chiuso. Oppure potrebbe utilizzare il suo portatile, ma anche un BlackBerry, un iPhone, un palmare o qualsiasi dispositivo che consenta di collegarsi a Internet. Ed è questo che penso: si sarà messo sul marciapiede davanti a uno degli edifici del John Jay per accedere alla rete wireless del college. Immagino che la polizia 385
abbia trovato il cellulare di Terri Bridges. Aveva un BlackBerry, un palmare? Anche la foto di Scarpetta612 può essere stata inviata da un BlackBerry o da un palmare, come dicevo.» «Hanno controllato il cellulare» rispose Marino. «Non aveva né BlackBerry né altri aggeggi con cui collegarsi a Internet. Sempre che il nostro inventario sia corretto, c'era solo un telefonino, un modello molto semplice. Era sul piano di lavoro della cucina, attaccato al caricabatteria. Insieme all'auricolare.» Continuarono la discussione, mentre Marino e Jaime contattavano il provider di posta elettronica di Scarpetta612. Riuscirono a ottenere le informazioni di cui aveva bisogno Lucy. «La password è "stiffone"» dettò Jaime a Lucy. «Marino, potresti contattare quelli del John Jay e chiedere se hanno notato qualcuno nei pressi del college la sera del 28 dicembre molto tardi e ieri a metà pomeriggio?» «Sia il 28 sia ieri pomeriggio era tutto chiuso, date l'ora e le feste» precisò Benton. «Esiste un impianto a circuito chiuso?» chiese Jaime. «Sai cosa penso?» disse Lucy. «Penso che l'abbia fatto apposta, che abbia scelto deliberatamente quell'indirizzo IP per far sembrare che le email fossero davvero di zia Kay che lavora al John Jay e può spedire messaggi usando la sua rete wireless. Il punto è che chi le ha rubato l'identità inviando quelle email non si è preoccupato che potessimo rintracciare l'indirizzo IP. Anzi, probabilmente sperava che prima o poi ci arrivassimo. Altrimenti avrebbe usato un proxy, un programma che serve a mascherare il vero 386
indirizzo di posta elettronica. O qualche altro tipo di programma "anonimizzante" che fornisca un indirizzo temporaneo ogni volta che si invia un messaggio, in maniera tale che nessuno possa risalire al vero IP.» «È la mia più grande battaglia.» Era una lamentela ricorrente, da parte di Jaime. Lucy era contenta di sentirlo: conosceva bene il demone contro cui lei combatteva. «Crimini informatici, furti di identità» aggiunse Jaime. «Non vi dico quanto mi fanno arrabbiare.» «E i dati dell'account Scarpetta612?» chiese Marino, rivolgendosi a Lucy come se tra loro non ci fossero mai stati problemi. Era solo un po’ più cauto, e questo lo faceva sembrare più educato. «Non hai altro, a parte quelli generici che hanno fornito a me?» «Il nome è Dr Kay Scarpetta. L'indirizzo e il numero di telefono sono quelli del suo ufficio di Watertown. Tutte informazioni facilmente reperibili» rispose Lucy. «Non ci sono né profilo né opzioni che richiedono l'utilizzo della carta di credito.» «Come negli account di Terri Bridges» osservò Jaime. «E come negli account di altri milioni di persone» precisò Lucy. «Ora sono entrata in Scarpetta612, e le uniche email spedite o ricevute sono quelle a e da Terri Bridges.» «Questo non pensi possa indicare che sia stata Terri a creare quell'account, per far credere di essere in contatto con Kay?» suggerì Jaime. «Che mi dici del codice macchina del computer usato per l'accesso?» domandò Benton. Lucy, continuando a scorrere le email, rispose: «E diverso da quello di questi due portatili. Ma significa 387
solo che Terri o chi per lei non ha connesso questi computer alla rete del John Jay per mandare messaggi. In ogni modo, l'unico scopo per cui Scarpetta612 è stato creato sembra essere la corrispondenza tra l'impostore e Terri Bridges, e questo potrebbe confermare la teoria che si tratti della stessa persona. Però c'è una cosa...». La cosa di cui stava parlando era sul suo monitor. «Mentre vi parlo sto controllando l'account Scarpetta612» proseguì. «E c'è un elemento che mi sembra importante. Molto importante.» Così importante che Lucy non riusciva a crederci. «Alle venti e diciotto di ieri sera, Scarpetta612 ha scritto un'email che ha salvato nelle bozze senza spedirla. Ve la sto inoltrando e ve la leggerò tra un secondo. Questo dimostra che non sono stati né Terri né Oscar a scriverla. Capite cosa voglio dire? L'email di cui parlo esclude che uno di loro sia Scarpetta612.» «Merda!» esclamò Marino. «Qualcuno le ha scritto un messaggio quando lei era già all'obitorio? Mentre qui era pieno di poliziotti?» «Il corpo è arrivato intorno alle otto, se ben ricordo» disse Kay. «Quindi qualcuno scrive un'email a Terri e, per qualche ragione, decide di non inviarla.» Lucy cercava di trovare una spiegazione logica. «Magari perché nel frattempo scopre che è morta. Però salva il messaggio come bozza.» «Forse voleva che noi lo trovassimo, per portarci fuori strada» ipotizzò Kay. «Ricordiamoci che non sappiamo quanto di tutto questo sia stato fatto deliberatamente, per trarci in inganno.» 388
«Sì, anch'io penso che si tratti di una mossa deliberata» convenne Jaime. «Questa persona è abbastanza furba da sapere che prima o poi avremmo trovato queste email. E voleva che le vedessimo.» «Voleva prenderci per i fondelli» commentò Marino. «E c'è riuscita. Io mi sento proprio preso per i fondelli.» «Due cose sono fuori discussione» intervenne Benton. «Terri Bridges era morta da ore quando questa email è stata scritta e salvata come bozza. E Oscar Bane era già al Bellevue, dove non poteva usare la posta elettronica. Perciò non è stato lui a scriverla. Lucy, ce la puoi leggere, per favore?» Lucy lesse ad alta voce quello che compariva sul suo monitor. Data: Lunedì, 31 dicembre 2007 20:18:31 Da: Scarpetta A: Terri Terri, dopo tre calici di champagne e un po’ di quel whisky che costa più dei tuoi libri, voglio essere franca con te, a costo di sembrare brutale. È il mio proposito per il nuovo anno: essere di una franchezza brutale. Penso che tu sia abbastanza intelligente da padroneggiare bene la psicologia forense, ma credo anche che il tuo futuro sia esclusivamente nell'insegnamento, se deciderai di rimanere in questo campo. Sai qual è la triste verità? Nessun imputato, detenuto o vittima darebbe mai retta a una nana, e non ho idea di come reagirebbero i giurati. Hai mai pensato di fare il tecnico in un obitorio, dove l'apparenza non conta? Chissà, forse un giorno potresti lavorare per me! Scarpetta 389
«L'indirizzo IP non è del John Jay» disse Lucy. «Non l'ho ancora trovato». «Sono contenta che Terri non l'abbia mai ricevuta» affermò Kay in tono grave. «È terribile. In fondo, dal momento che non se le scriveva da sola, credeva gliele mandassi io. E così pure Oscar Bane. Sono sollevata che nessuno dei due l'abbia letta, che non sia mai stata spedita. E di una crudeltà assurda.» «È qui che volevo arrivare» intervenne Marino. «Questo è un gran pezzo di merda. Fa giochetti, si diverte alle nostre spalle. Vuole prenderci per il culo, infierire. Chi altri poteva leggere questa email non inviata, se non quelli coinvolti nell'indagine sull'omicidio di Terri Bridges? Secondo me, più che altro è per Kay. Questo è uno che davvero ce l'ha con lei.» «Hai trovato l'indirizzo IP?» chiese Benton a Lucy. «Ho solo una serie di numeri del provider. Non hanno significato, se non mi intrufolo nel server.» «Farò finta di non avere sentito» disse Jaime. «Tu a me non hai detto niente.» Per la prima volta da quando Marino l'aveva aggredita la primavera dell'anno precedente, Kay Scarpetta si ritrovò sola con lui. Posò la valigetta davanti alla porta del bagno e insieme guardarono il materasso sotto la finestra con le tende tirate. Esaminarono le fotografie del letto come era stato trovato la sera prima dai poliziotti, con appoggiati sopra i vestiti dai tessuti morbidi e sexy. Adesso che Pete e Kay si trovavano a pochi centimetri l'uno dall'altra, senza nessuno che li potesse sentire, fra loro c'era un certo disagio. 390
Lui iniziò a tamburellare con l'indice su una foto degli abiti stesi sul letto perfettamente rifatto. «Pensi che possa averceli messi l'assassino dopo averla uccisa, magari per qualche strana fantasia?» domandò. «Chissà, forse si è divertito a immaginarla che si vestiva di rosso per lui.» «Ne dubito» rispose Kay. «Se avesse voluto, avrebbe potuto farglieli indossare, costringerla a vestirsi come voleva lui.» Indicò gli abiti sulla foto. Il suo indice era più piccolo del mignolo di Marino. «A me sembra proprio che siano stati sistemati lì da una persona estremamente ordinata che aveva intenzione di metterseli» aggiunse. «Così come aveva curato ogni dettaglio della serata con deliberata precisione. Credo che fosse questo il suo modo di comportarsi nella vita quotidiana. Aveva definito il menu della cena e tirato fuori il vino dal frigo in modo che fosse alla giusta temperatura. Aveva apparecchiato la tavola e sistemato i fiori comprati la mattina. Era in vestaglia, perché forse si era appena fatta la doccia.» «Ti è sembrato che si fosse anche depilata le gambe?» chiese Marino. «Non aveva bisogno di farlo» replicò Kay. «Si stava sottoponendo a un ciclo di sedute per la depilazione definitiva da una dermatologa.» Marino scompigliò le foto con un gran fruscio, alla ricerca di quelle che mostravano l'interno del ripostiglio, degli armadi e dei cassetti di Terri, che la polizia aveva lasciato in disordine. Insieme a Kay si mise a frugare tra calze e collant, biancheria e tute da ginnastica, un mucchio informe in cui tante mani guantate avevano rovistato spostando di qua e di là le grucce. Gli agenti avevano perlustrato fra un ricco 391
assortimento di scarpe con il tacco e la zeppa, sandali con tacchi a spillo, Strass, catenine e cinghie alla caviglia, di diverse misure, dalla trentatré alla trentacinque. «Trovare scarpe che calzano bene è una delle imprese più ardue» commentò Kay osservando la pila. «Una vera fatica, e scommetto che Terri faceva gran parte dello shopping in Internet.» Posò un paio di infradito con le borchie sulla moquette, sotto un bastone appendiabiti che, contrariamente al resto del mobilio, era stato installato più in basso del normale, in modo che Terri potesse raggiungerlo senza dover usare una pinza prensile o salire su uno sgabello. «Continuo a pensare che fosse influenzata dalle rubriche dei consumatori. Forse anche nei suoi acquisti un po’ provocanti» osservò. «A questo darei tre stelle» disse Marino mostrandole un perizoma che aveva appena preso da un cassetto. «Ma, se vuoi sapere cosa penso della biancheria intima, tutto dipende da chi la indossa.» «Victoria’s Secret. Frederick’s of Hollywood. Calze a rete più o meno rada. Completini di pizzo, slip aperti al cavallo. Una guèpière. Sotto la vestaglia, Terri indossava un balconcino di pizzo rosso. Mi riesce difficile immaginare che non portasse anche gli slip coordinati.» «Non credo di sapere cosa sia un balconcino.» «Lo dice la parola stessa» replicò Kay. «È un reggiseno da cui il seno si affaccia.» «Ah. Quello che le è stato tagliato. Non mi pare coprisse granché.» 392
«Infatti, il suo scopo non è coprire. Se l'era messo proprio per questo. Sempre che non sia stata un'idea dell'assassino.» Kay ripose la biancheria nel cassetto e per un attimo non riuscì a guardare in faccia Marino, perché le tornarono in mente i suoi grugniti, il suo odore, la sua forza spaventosa. Si era resa conto solo in un secondo tempo di dove l'aveva toccata, quando la carne dolorante, il bruciore, le fitte pulsanti le avevano disegnato una specie di mappa del suo passaggio. «Il reggiseno e anche i preservativi» disse Marino. Le voltava le spalle e apriva i cassetti del comodino. I preservativi erano stati prelevati dalla polizia. «A giudicare dalle foto, doveva avere almeno un centinaio di preservativi qui dentro» aggiunse. «Forse è una cosa da chiedere a Benton, ma se era ossessionata dalla pulizia...» «Niente "se".» «In altre parole, era molto rigida. Doveva essere tutto perfetto. È normale per una persona del genere avere un lato selvaggio?» «Intendi dire se è possibile che a un'ossessivocompulsiva piaccia fare sesso?» «Già.» Marino sudava ed era tutto rosso. «Sì» replicò Kay. «Forse per lei il sesso era un modo per alleviare l'ansia. Magari l'unico accettabile per mostrarsi disinibita e lasciarsi andare. O, meglio, per illudersi di riuscire a lasciarsi andare.» «Già. Si abbandonava solo se le cose andavano come aveva pianificato lei.» «Ciò significa che non perdeva mai del tutto il controllo. Non ne era capace. Era fatta così. Anche quando sembrava che si lasciasse andare - durante il 393
sesso, per esempio - non ci riusciva mai completamente. Sceglieva lei cosa comprare, non Oscar né nessun altro. Dubito che permettesse di decidere a lui o a uno dei suoi partner come si sarebbe vestita o se dovesse depilarsi. Anzi, probabilmente si imponeva anche su di loro. Credo che fosse Terri a stabilire cosa dovevano o non dovevano fare. E dove, quando e come.» Kay ripensò a quanto le aveva detto Bane: Terri voleva che fosse in forma, perfettamente pulito e senza peli. Le piaceva fare sesso nella doccia. Le piaceva essere dominata, legata. «Era lei a tenere le redini. Ed è andata così fino alla fine. Dev'essere stata questa la parte più divertente per l'assassino: avere il totale controllo su di lei.» «C'è da domandarsi se Oscar non fosse stufo...» iniziò Marino, lasciando in sospeso la frase. Kay, sulla porta del bagno, osservava il marmo bianco, la rubinetteria dorata francese, la vasca nell'angolo con la doccia e la tenda tirata. Guardò le piastrelle lucide, venate di grigio, immaginò le contusioni che avrebbe riportato Terri se l'aggressore l'avesse violentata sul pavimento ed ebbe la certezza assoluta che non era andata così. Il peso dell'aggressore, anche se fosse stato di soli cinquanta chili, come Oscar Bane, avrebbe provocato contusioni nei punti di contatto fra il corpo e la superficie dura del pavimento, soprattutto se Terri aveva i polsi legati dietro la schiena. Lo spiegò a Marino, osservando lo specchio ovale sopra il mobile da toeletta e la sedia con lo schienale dorato a forma di cuore. Vide la propria immagine riflessa, poi il torace di lui, che l'aveva seguita. 394
«Se l'assassino voleva guardarla mentre moriva, forse lo voleva fare anche mentre la violentava» disse Marino. «Ma se era di statura normale, stando qui in piedi, non capisco come potesse vederla nello specchio.» «E io non capisco come possa essere stata violentata senza riportare nessuna lesione» replicò Kay. «Se lui le è montato sopra, anche sul letto, e lei aveva i polsi legati dietro la schiena, è impossibile che lì non ci siano abrasioni o contusioni, o tutte e due. Per non parlare del fatto che il letto nelle foto sembrava intonso, e i vestiti stesi perfettamente in ordine.» «E Terri non aveva segni sulla schiena.» «Nessuno.» «Sei sicura che avesse i polsi già legati?» «Non posso provarlo, ma lo deduco dal fatto che le ha tagliato la vestaglia e il reggiseno.» «Come fai a essere sicura che i polsi fossero legati dietro la schiena e non davanti? È quello che Bane ha riferito alla polizia. Ti basi sulle sue dichiarazioni?» Kay gli mostrò i polsi, mettendo il sinistro sopra il destro, come se fossero legati con un laccio. «Mi baso sull'aspetto dei solchi che le sono rimasti, più profondi in certi punti e meno in altri. Se fosse stata legata davanti, il laccio sarebbe stato sotto questo polso» spiegò indicando il destro «con il fermo di arresto leggermente a destra dell'osso. Dietro la schiena, sarebbe stato esattamente il contrario.» «L'assassino era destro o mancino, secondo te?» «Tenuto conto della direzione in cui ha tirato la fascetta zigrinata per chiuderla, direi che è mancino, presumendo che fosse di fronte a lei mentre la legava. 395
Per quel che vale, la mano dominante di Oscar è la destra. Anche se probabilmente non dovrei dirtelo.» Si misero un paio di guanti nuovi. Kay entrò in bagno, sollevò la sedia e la depose al centro della stanza. Misurò l'altezza della seduta da terra. Sul cuscino di tessuto nero c'erano alcune macchie scure che rafforzavano la sua teoria. «Possibili residui di crema lubrificante» disse. «Non li ha notati nessuno perché non pensavano che Terri fosse seduta qui, davanti allo specchio, mentre veniva garrotata. Potrebbero esserci tracce di sangue e di cute sul metallo, lasciate mentre scalciava. Vediamo.» Guardò le gambe della sedia con la lente di ingrandimento. «Non mi pare. Ma è comprensibile, dato che Terri presentava ferite solo sulla parte anteriore delle gambe. Ti porti sempre dietro quelle torce elettriche che accecano la gente?» Marino infilò la mano in tasca, tirò fuori la torcia e gliela porse. Kay si inginocchiò e illuminò la parte inferiore del mobile da toeletta. C'erano alcune macchie di sangue scuro ormai secco, visibili soltanto da terra e se cercate con cura. Trovò del sangue anche sotto il cassetto dello stesso mobile, che era di compensato non dipinto. Marino si accucciò e lei gli mostrò le macchie, poi scattò varie foto. «Voglio fare qualche tampone. Ma non della sedia. Quella la impacchettiamo e la mandiamo al LaGuardia. Ti spiace uscire un momento e dire a Jaime che abbiamo bisogno di un agente per scortare la sedia fino all'aeroporto, metterla sull'aereo di Lucy e consegnarla all'aeroporto di Knoxville al dottor Kiselstein, facendosi firmare una ricevuta? Lucy 396
organizzerà tutto. Anzi, conoscendola, sono certa che l'ha già fatto.» Studiò attentamente la sedia. «La crema lubrificante è umida, quindi non possiamo usare la plastica per l'imballo. Meglio la carta. Magari un sacco bello grosso, da mettere in uno scatolone. Cerca di essere creativo. Non voglio che venga contaminata da batteri o che il cuscino sfreghi contro qualcosa.» Marino si allontanò e Kay prese dalla sua valigetta un rotolo di spago, del nastro adesivo azzurro e un paio di forbicine. Avvicinò la sedia alla parete piastrellata e iniziò a misurare e a tagliare pezzi di spago dell'altezza di Terri e Oscar, della lunghezza delle loro gambe e dei loro torsi. Poi attaccò i pezzi di spago alla parete sopra la sedia con il nastro adesivo. In quel momento riapparve Marino, accompagnato da Jaime Berger. «Dai a Jaime il mio taccuino e la mia penna, per favore, così lei può prendere appunti e tu hai le mani libere. Voglio dimostrarvi perché credo che Oscar Bane non abbia commesso questo delitto» spiegò Kay. «Non dico che sia impossibile, ma vi spiegherò perché è molto improbabile. Il ragionamento si basa su un semplice calcolo matematico.» Indicò gli spaghi di diverse lunghezze attaccati alla parete sopra la sedia. «Ipotizziamo che Terri fosse seduta qui. L'elemento fondamentale è la lunghezza del suo torso: ottantaquattro virgola venticinque centimetri; l'ho misurato all'obitorio. Come sapete, gli acondroplasici hanno arti molto corti, ma torso e testa più o meno uguali a quelli di una persona adulta, tant'è che 397
sembrano sproporzionatamente grandi. Per questo chi è affetto da nanismo riesce a guidare la macchina senza bisogno di cuscini, ma deve farsi allungare i pedali dell'acceleratore, del freno e della frizione. Nel caso di Terri, il torso è più o meno lungo come il mio o quello di Jaime. Questo spago che vedete qui è lungo come il torso di Terri ed è posizionato in modo che parta dal cuscino e finisca qui.» Indicò il pezzo di nastro adesivo azzurro con cui lo spago era attaccato al muro. «La distanza fra il cuscino della sedia e il pavimento è di cinquantatré virgola trentacinque centimetri» continuò a spiegare «che sommato a ottantaquattro virgola venticinque da centotrentasette virgola sei centimetri. Oscar Bane è alto circa un metro e ventotto.» Indicò lo spago che rappresentava la statura di Oscar. «È più basso di Terri seduta» commentò Jaime mentre scriveva. «Esattamente» replicò Kay. Kay staccò "Oscar" dalla parete e poi anche "Terri seduta" e chiese a Marino di tenere i due capi degli spaghi senza modificarne l'altezza rispetto al pavimento. Scattò altre foto. Alle spalle di Jaime apparvero Benton e un agente in divisa, il quale disse: «Avete bisogno che scorti una sedia su un jet privato fino a Oak Ridge? Non sarà una sedia esplosiva, vero?». «Hai portato lo scatolone e tutto il resto per imballarla?» s'informò Marino. «Meglio dell'UPS» rispose l'agente. 398
Kay chiese a Marino di continuare a tenere gli spaghi mentre spiegava a Benton cosa stavano facendo. «Oscar Bane ha le braccia molto corte, circa quaranta centimetri dalla spalla fino alla punta delle dita: non avrebbe avuto la forza necessaria» disse guardando il marito. «Tu avresti avuto a disposizione almeno venti centimetri in più e, se fossi stato in piedi dietro Terri, più alto di almeno mezzo metro, avresti potuto far leva con maggior facilità rispetto a Oscar. Ce lo vedete uno della sua statura a tirare verso l'alto e all'indietro con forza, mentre la vittima scalcia sulla sedia?» «Senza essere nemmeno alla stessa altezza della vittima? Non capisco proprio come avrebbe potuto» convenne Marino. «Soprattutto se ha ripetuto la manovra più volte, lasciandole riprendere i sensi per poi strangolarla e farla svenire di nuovo. Per quanto bodybuilding faccia, è impossibile.» «Già, anch'io non capisco come possa essere stato lui» concordò Jaime. «Sono preoccupata per Bane» disse Kay. «Qualcuno ha provato a chiamarlo?» «Quando ho parlato con Morales, gli ho chiesto se sappiamo dove si trova o se si è fatto vivo» intervenne Benton. «Mi ha risposto che il suo cellulare ce l'ha la polizia.» «Bane lo ha consegnato di sua spontanea volontà?» domandò Kay. «Sì, insieme a molte altre cose. Peccato, almeno per il cellulare. Vorrei tanto che lo avesse con sé, perché a casa, come prevedibile, non risponde. Non so come faremo a metterci in contatto con lui.» 399
«Credo che dovremmo dividerci, come ho già suggerito prima» ribadì Jaime. «Benton? Tu e Kay andate con Morales a dare un'occhiata a casa di Bane. Marino e io ci assicuriamo che la sedia venga imballata come si deve e che i tamponi e il resto delle prove vadano direttamente in laboratorio, poi facciamo un salto dalla dirimpettaia per sentire cos'ha da raccontarci su Jake Loudin.» Kay portò la sedia fuori dal bagno e la posò sul pavimento in modo che l'agente potesse impacchettarla. «Se quando finiamo siete ancora a casa di Bane, vi raggiungiamo là» le disse Jaime. «Lucy ha promesso di avvertirmi, se scopre qualcosa di importante.» Oscar Bane viveva in Amsterdam Avenue, in un palazzo di dieci piani di un giallo pallido che a Kay fece venire in mente certi edifici dell'epoca fascista che aveva visto a Roma. Nell'atrio, il portiere non permise loro di avvicinarsi all'ascensore finché Morales non mostrò il tesserino. Era un uomo anziano e corpulento, che sembrava irlandese. Aveva una divisa dello stesso verde del tendone all'entrata. «Non lo vedo dalla sera dell'ultimo dell'anno» li informò fissando la valigetta di Kay. «Credo di sapere perché siete qui.» «Ah, sì? Allora ce lo dica» lo esortò Morales. «Ho letto... Non l'avevo mai vista, sapete?» «Terri Bridges?» chiese Benton. «Ne parlano tutti, come potete immaginare. Ho sentito che l'hanno dimesso dal Bellevue. Gli danno dei soprannomi davvero maleducati. Mi fa pena.»
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Non si avevano più notizie di Oscar Bane e nessuno aveva idea di dove fosse. Kay era molto preoccupata per lui e temeva che qualcuno potesse fargli del male. «Siamo in cinque a lavorare in portineria e la pensiamo tutti allo stesso modo. La ragazza non è mai venuta, altrimenti almeno uno di noi l'avrebbe vista. E il signor Bane era diventato strano» spiegò il custode. Si rivolgeva a Kay e Benton perché Morales non gli piaceva e non faceva niente per nasconderlo. «Bè, un po’ lo è sempre stato» aggiunse. «Io lo so bene perché lavoro qui da undici anni, mentre lui ci abita da cinque o sei. Una volta era gentile, molto cordiale. Poi, di colpo, è cambiato. Si è tagliato i capelli, se li è tinti di biondo ed è diventato sempre più taciturno. Usciva poco e, quando andava a fare una passeggiata o qualche commissione, era sempre in orari strani. Diffidente come un gatto.» «Dove tiene la macchina?» chiese Morales. «Nel parcheggio sotterraneo, dietro l'isolato. Sono molti gli inquilini che la mettono là.» «Quando è successo?» s'informò Benton. «Quando ha notato il cambiamento?» «Direi in autunno, più o meno a ottobre, almeno in modo evidente. Dopo quello che è successo, mi chiedo che razza di gente frequentasse. Quella ragazza, intendo. Insomma, se due persone si mettono insieme e una cambia in peggio... Non ci vuole molto a capire, no?» «La portineria è aperta ventiquattr'ore su ventiquattro?» domandò Benton. «Ventiquattr'ore su ventiquattro, sette giorni su sette. Venite, vi accompagno di sopra. Avete la chiave, vero?» 401
«Immagino che anche lei ne abbia una» disse Benton. «Ora che mi ci fa pensare...» Chiamò l'ascensore. «Il signor Bane qualche mese fa ha cambiato la serratura, più o meno nello stesso periodo in cui ha cominciato a comportarsi in modo strambo.» Salirono e il portiere con i guanti verdi premette il pulsante numero dieci. «Dobbiamo avere le chiavi di tutti gli appartamenti, per le emergenze. Gliel'abbiamo chiesta più volte, ma ancora non ce l'ha data.» «È chiaro che il buon vecchio Bane non vuole gente per casa» commentò Morales. «Com'è che non l'avete cacciato via?» «Prima o poi l'amministratore lo avrebbe messo alle strette, ma speravamo che non si arrivasse a tanto e che si decidesse a darci quella benedetta chiave. Scusate, questo ascensore è lentissimo. È il più lento di tutta New York. Sembra che ci tirino su dal tetto con una corda. Dicevo: il signor Bane è molto riservato, non riceve visite. Non ha mai causato problemi, ma da un po’ di tempo è strano. E ha cambiato la serratura. È proprio vero che non si può mai sapere con chi si ha a che fare.» «Questo è l'unico ascensore?» s'informò Kay. «C'è un montacarichi. Agli inquilini che portano fuori i cani diciamo di usare quello. I barboncini sono i peggiori, secondo me. Avete presente quelli grossi? Mi fanno paura. Io non ci salgo in ascensore con quelli. Piuttosto con un pit bull.» «Dalla portineria vi accorgete se qualcuno prende il montacarichi?» chiese Morales. «Mettiamo che qualcuno voglia salire senza farsi vedere.» 402
«Non so come potrebbe riuscirci. Dovrebbe comunque passare dal portone.» «Non ci sono altri ingressi? Siamo sicuri che Oscar Bane non sia rientrato stasera, senza farsi vedere da nessuno?» insistette Morales. «Sicurissimi. A meno che non abbia usato la scala antincendio e non sia passato dal tetto» rispose il portiere. Aveva l'aria scettica, come se fosse un'impresa degna di Spiderman. Kay si ricordò di avere notato una scala antincendio sulla facciata del palazzo. L'ascensore si fermò e il portiere uscì in un corridoio con la moquette verde e le pareti gialline. Kay alzò lo sguardo e vide un lucernario con l'intelaiatura di plastica, abbastanza insolito. «È quello l'accesso al tetto di cui. parlava?» domandò al portiere. «Sì, signora. Ci si arriva con una scala a pioli. Oppure bisogna usare la scala antincendio e infilarsi nella finestra di qualcuno.» «Dove tenete la scala a pioli?» «Nel seminterrato, una zona che non mi compete.» «Può controllare se è ancora lì?» lo pregò Benton. «Certo. Ma non può essere entrato o uscito da qui, altrimenti la scala a pioli sarebbe sotto la botola, no? Mi state facendo venire l'ansia. Forse dovremmo mettere qualcuno di guardia sul tetto. Ora che l'hanno dimesso dal Bellevue... mi è venuta paura.» Li condusse in fondo al corridoio, davanti a una porta scura contrassegnata dal numero 10B; quella di Oscar Bane. «Quanti appartamenti ci sono a questo piano?» chiese Kay. «Quattro?» 403
«Sì. I suoi vicini lavorano e durante il giorno non ci sono mai. La sera escono spesso, perché sono single e non hanno figli. Due di loro hanno anche un'altra casa.» «Devo saperne di più» intervenne Morales. «Non solo sui vicini, ma su tutti quelli che abitano nel palazzo.» «Certo, certo. Ci sono quaranta appartamenti, quattro per piano. Questo ovviamente è l'ultimo. Non li chiamerei attici, perché non sono più belli di quelli agli altri piani. La vista, però, è migliore. Da quelli sul retro si vede l" Hudson. Non sapete quanto sono scioccato... Il signor Bane non sembrava il tipo da fare una cosa del genere, ma è sempre così, no? Non sono mai stati loro, giusto? Ora vado a controllare la scala a pioli.» «Senta, tanto per chiarire: il signor Bane non è accusato di niente» dichiarò Morales. «Nessuno dice che abbia ucciso la sua ragazza. Quindi stia attento a come parla, okay?» Erano davanti alla porta di Bane e Morales tirò fuori la chiave. Kay notò che apriva una serratura di sicurezza Medeco. Si accorse anche di un'altra cosa, ma preferì non parlarne in presenza del portiere: sulla moquette, sotto il cardine più basso, c'era un pezzo di filo nero lungo più o meno venti centimetri. «Mi trovate al pianoterra» disse il portiere. «Se avete bisogno di me, in cucina c'è il telefono di servizio. È quello bianco, appeso alla parete. Basta digitare lo zero. Chi devo avvertire per la scala a pioli?» Morales gli diede il suo biglietto da visita. Sembrava che l'uomo non lo volesse, ma non poteva rifiutare di prenderlo. Si avviò verso 404
l'ascensore. Kay posò la valigetta, la aprì e distribuì i guanti. Poi raccolse il pezzo di filo e lo esaminò con la lente di ingrandimento: a un'estremità c'era un nodo rivestito da un materiale che sembrava cera morbida e incolore. Aveva un'idea di quale potesse essere il suo utilizzo, ma poiché Bane era alto la metà della porta non avrebbe mai potuto arrivare alla sommità dello stipite senza farsi aiutare. «Cos'hai trovato?» chiese Morales. Le prese il filo di mano e lo guardò con la lente. «Credo che lo piazzasse in cima alla porta per capire se l'aprivano mentre lui non c'era» osservò Kay. «Furbo, eh? Conviene scoprire che fine ha fatto la scala. Però, come ci arrivava in cima alla porta?» «Sappiamo che è paranoico» intervenne Benton. Kay mise il filo in una bustina per prove che etichettò con un pennarello Sharpie. Morales intanto aprì la porta. Scattò l'allarme e lui fece un passo avanti e digitò il codice che aveva trascritto su un tovagliolino di carta. Poi accese la luce. «Guarda, guarda: abbiamo un altro congegno acchiappafantasmi» disse allegro, chinandosi a raccogliere una gruccia per abiti posata per terra davanti alla porta d'ingresso. «Oppure il nostro caro Bane ha arrostito i marshmallows? Ora cerco il filo di farina che certi matti spargono sul pavimento per essere sicuri che non siano entrati in casa gli alieni.» Kay esaminò prima le due estremità della gruccia, poi il pezzetto di cera dentro la bustina di plastica. «Forse utilizzava questa per far passare il filo sopra la porta, attaccando il nodo incerato sulla punta della 405
gruccia. C'è un buchetto di dimensioni simili. Vediamo se ho ragione.» Si chiuse fuori dalla porta. Tra il battente e il pavimento c'era uno spazio sufficiente per la gruccia. La spinse dentro e Morales aprì l'uscio. «Fuori di testa» commentò. «Non tu, ovviamente.» Il soggiorno era immacolato e l'arredamento molto maschile, con le pareti di un azzurro intenso e una bella collezione di stampe e carte geografiche vittoriane originali. Oscar aveva la passione dei mobili antichi e dei divani in pelle, e l'ossessione di essere controllato. Ovunque si notavano apparecchiature di diverso genere: spettrometri a buon mercato e misuratori di campi elettromagnetici TriField, per rilevare frequenze come infrarossi, campi magnetici e onde radio. Trovarono inoltre antenne e fili di piombo rivestiti in vinile, secchi d'acqua e strani aggeggi simili a piatti di metallo foderati di carta stagnola e collegati a batterie, piramidi di rame e caschi foderati di schiuma insonorizzante con piccole sezioni di tubo in cima. Il letto era coperto da una tenda di alluminio. «Per schermarsi dalle onde elettromagnetiche» spiegò Benton. «Piramidi e caschi per tenere lontane onde radio, radiazioni ed energie psichiche. Cercava di proteggersi, di vivere dentro una bolla.» Quando scese dal taxi davanti alla palazzina di Terri Bridges, Lucy scorse Marino e un agente in divisa che stavano trasportando uno scatolone grande come una lavatrice. Si mise sulla spalla uno zainetto di nylon, pagò la corsa e li osservò mentre caricavano il pacco su un furgone nero della polizia. Non vedeva Marino da quando aveva minacciato di sparargli in testa la 406
primavera precedente e decise che sarebbe stato meglio affrontarlo subito. «È lui l'agente che prenderà il mio jet?» chiese. «Sì» rispose Marino. «Hai il numero d'identificazione e i nomi dei piloti?» domandò Lucy all'agente. «Devi andare al terminal della Signature Aviation al La Guardia. Lì troverai Brent ad aspettarti. È il Pie. Sarà in giacca nera, camicia bianca e cravatta a righe azzurre. E avrà anche i pantaloni.» «Che cos'è un Pie?» L'agente richiuse il portellone. «E cosa vuol dire che avrà anche i pantaloni?» «E il pilota in comando, quello che in cabina siede a sinistra. Fagli capire che sei armato, nel caso si sia dimenticato gli occhiali. Senza, è miope come una talpa. Ma ha i pantaloni.» «È una battuta, vero?» «In base al regolamento della Federal Aviation Administration, i piloti devono essere due, e indossare i pantaloni. Se però uno è mezzo cieco, non importa.» L'agente sgranò gli occhi, poi guardò Marino. «Dimmi che è solo una battuta.» «Non chiederlo a me» replicò lui. «Io odio volare. Non lo faccio più.» Jaime uscì dalla palazzina e scese gli scalini nel vento forte e gelido, senza cappotto. Si liberò il viso dai capelli e si strinse nella giacca del tailleur, incrociando le braccia per ripararsi dal freddo. Si rivolse a Marino. «Sarà meglio che prendiamo i cappotti.» A Lucy non disse niente, ma le sfiorò la mano mentre seguivano Marino verso l'Impala blu scuro. 407
«Voglio controllare la rete wireless che usava Terri» disse Lucy a Marino. «Avverti il piantone, per cortesia: non gradirei ritrovarmi per terra e ammanettata. O dover sbattere per terra e ammanettare lui. Forse non ho nemmeno bisogno di entrare, se tutto il palazzo è collegato alla stessa rete. Ma ho un paio di informazioni interessanti da passarvi.» «Perché non andiamo a sederci in macchina, al caldo?» propose Jaime. Lei e Lucy si sedettero sul sedile posteriore e Marino si accomodò davanti. Accese il motore e mise il riscaldamento al massimo, mentre il furgone con la sedia di Terri Bridges si allontanava. Lucy aprì lo zainetto, tirò fuori il MacBook e lo aprì. «Due cose importanti» annunciò. «La prima è come Terri è entrata in contatto con chi sta dietro Scarpetta 612: attraverso il sito del John Jay. Il 9 ottobre, quando Benton e Kay erano consulenti del college da circa un mese, Terri o chi per lei ha postato un annuncio sul sito del John Jay, usando l'account Ali&Nata e chiedendo se qualcuno poteva metterla in contatto con mia zia.» Jaime si stava infilando il cappotto e Lucy colse il profumo di spezie, bambù e fiori di arancio amaro che si faceva mandare da una profumeria di Londra. Lucy lo sapeva perché glielo aveva chiesto temendo che fosse una delle tante belle cose che le erano rimaste dai tempi di Greg. «È salvato nell'archivio, ovviamente» aggiunse Lucy. «Come hai fatto a scoprirlo?» chiese Marino voltandosi. Il suo viso era quasi irriconoscibile nell'oscurità. «Sei dimagrito parecchio» commentò Lucy. 408
«Non mangio» spiegò lui. «È il metodo migliore per perdere peso. Forse dovrei scrivere un libro: farei un sacco di soldi.» «Dovresti. Un bel libro con tutte le pagine bianche.» «È proprio quello che pensavo. Non mangi e non scrivi niente. Funziona.» Lucy si accorse che Marino stava squadrando sia lei sia Jaime e osservava quanto erano sedute vicine. Aveva una sorta di radar grazie al quale intuiva che tipo di relazione c'era fra due persone e come gli altri si rapportavano a lui. Dal suo punto di vista, era tutto collegato. Lucy guardò Jaime che leggeva sullo schermo del MacBook: Ciao a tutti, mi chiamo Terri Bridges, sono iscritta a un master in psicologia forense e sto cercando di mettermi in contatto con la dottoressa Kay Scarpetta. Se qualcuno la conosce, potrebbe comunicarle il mio indirizzo email, per favore? È dalla primavera scorsa che la cerco: vorrei intervistarla per la mia tesi. Grazie. T. B. Lucy lesse ad alta voce per Marino. Aprì un altro file e la foto di Kay Scarpetta pubblicata su Gotham Gotcha riempì lo schermo. «Anche questa era nel sito del John Jay?» chiese Jaime. Lucy sollevò il computer affinché Marino vedesse la foto poco lusinghiera di Kay all'obitorio, con il bisturi in mano. «È quella originale» rispose Lucy. «Lo sfondo non è stato ritoccato con PhotoShop. Come ricorderete, su Gotham Gotcha si vede solo mia zia e si capisce che è 409
in un obitorio, ma non è possibile individuare il posto preciso. Qui invece sullo sfondo ci sono un bancone con i monitor dell'impianto a circuito chiuso e una parete di cemento con gli armadietti. Inoltre, facendo alcune modifiche...» toccò il trackpad e aprì un altro file «... appare questa.» Mostrò un ingrandimento della visiera di plastica trasparente che Kay aveva sul viso in cui si intravedeva l'immagine riflessa di un'altra persona, molto vaga e confusa. Lucy mosse il dito sul trackpad, aprì un altro file e l'immagine sulla visiera divenne molto più definita. «La dottoressa Lester» disse Jaime. «Possibilissimo» commentò Marino. «Detesta Kay.» «Ricapitoliamo gli elementi in nostro possesso, che potrebbero o no essere in relazione tra loro. Questa foto è stata scattata all'Istituto di medicina legale di New York in presenza della Lester, con cui mia zia sta parlando. Ovviamente, non può avere scattato lei la foto, ma scommetterei qualsiasi cosa che sa chi è stato. A meno che non si sia accorta di niente...» osservò Lucy. «Lo sa, lo sa» replicò Marino. «Fa la guardia al suo feudo come un avvoltoio.» «Per rispondere alla tua domanda» riprese Lucy rivolta a Jaime «non l'ho trovata nel sito del John Jay. È possibile che questa foto sia girata in Internet finché un fan non l'ha inviata a Gotham Gotcha.» «Come fai a escludere che sia stata la dottoressa Lester?» chiese Marino. «Per accertarmi se l'ha inviata lei dovrei entrare nella sua posta elettronica» rispose Lucy. 410
«E non lo farai» intervenne Jaime. «In ogni caso, non è nello stile di Lenora. In questo triste periodo della sua triste vita, ignora il suo prossimo e lo tratta come se non contasse nulla. Non è da lei attirare l'attenzione su un'altra persona: vorrebbe tutti i riflettori puntati su di sé.» «Stasera, nel giardino del Bellevue, l'ho vista parlare in gran confidenza con Morales» le informò Marino. «Erano nei pressi del laboratorio del DNA, seduti su una panchina. Sono stati lì qualche minuto dopo che Benton e Kay erano usciti dall'obitorio, quando sono andato a prenderli per portarli qui. Ho l'impressione che la Lester stesse riferendo a Morales quello che Kay aveva fatto all'obitorio, cosa aveva scoperto. Non so se sia importante, ma appena si sono salutati la Lester ha mandato un SMS.» «Non credo sia significativo» commentò Jaime. «Al giorno d'oggi tutti inviano messaggi con il cellulare.» «È strano» rifletté Lucy. «Si incontrano in giardino, al buio? Non saranno mica...» «Ci ho pensato anch'io, ma non riesco a immaginarmeli» disse Marino. «Morales ha un modo tutto suo di avvicinare le persone» intervenne Jaime. «Forse sono solo amici. Direi che la Lester non è il suo tipo.» «Magari è necrofiliaco» ribatté Marino coniando un neologismo. «Non mi sembra il caso di fare dell'ironia» lo riprese Jaime, seria. «Comunque sia, mi ha sorpreso perché non pensavo che fosse una da SMS» replicò Marino. «Magari ha scritto al direttore dell'Istituto di medicina legale» azzardò Jaime. «È solo un'ipotesi. Ma 411
sarebbe da lei riferirgli le intuizioni di Kay, magari prendendosene il merito.» «Voleva pararsi il culo perché non ha visto delle cose che mia zia invece ha notato» disse Lucy. «E così ha chiamato subito il suo capo. Dovrei entrare nella sua posta elettronica per accertare un paio di cosette.» «Ma non lo farai» ribadì Jaime. Le loro spalle si toccavano e Lucy percepiva ogni movimento, profumo, vibrazione. Era su di giri come se avesse preso dell’LSD. Aveva letto che i sintomi erano quelli: tachicardia, aumento della temperatura corporea e un insieme di sensazioni del tipo "sentire i colori" e "vedere i suoni". «Potrebbe essere andata così» convenne Marino. «Quella donna è un pesce pilota. Deve seguire gli squali per mangiare i loro avanzi. Non lo dico per fare dell'ironia. È la verità.» «Cosa c'entra Terri in tutto questo?» chiese Jaime. «La foto è stata mandata per l'esattezza al suo account» rispose Lucy. «Da chi?» volle sapere Jaime. «Scarpetta612 gliel'ha inviata lunedì 3 dicembre. Quello che non mi quadra è il fatto che per qualche ragione Terri, o chi per lei, l'ha cancellata. E lo stesso ha fatto chi gliel'ha spedita, motivo per cui non era nel cestino. Ho dovuto recuperarla con il mio software neurale.» «Ci stai dicendo che questa foto è stata mandata il 3 dicembre e che sia il mittente sia il destinatario l'hanno cancellata il giorno stesso?» si stupì Marino. «Sì.» 412
«C'era un messaggio insieme alla foto?» domandò Jaime. «Ve lo mostro subito.» Lucy spostò il dito sul trackpad. «Eccolo» disse. Data: Lunedì, 3 dicembre 2007 12:16:11 Da: Scarpetta A: Terri Terri, so che ti piace ricevere materiale originale, quindi consideralo un regalo di Natale anticipato. È per il tuo libro, ma non voglio si sappia che l'hai avuta da me e, se te lo chiederanno, ti prego di negare. Non voglio nemmeno dirti chi me l'ha fatta. (Senza il mio permesso! Quell'idiota me ne ha dato una copia, credendo che mi facesse piacere.) Ti chiedo di salvare la foto in un file di Word e di cancellarla dalla tua posta elettronica come ho appena fatto io dalla mia. Scarpetta «Terri Bridges stava scrivendo un libro?» chiese Marino. «Non lo so» rispose Lucy. «Ma Jaime e io abbiamo visto la sua tesi per il master: è possibile che sperasse di pubblicarla.» «Soprattutto se credeva davvero che questo materiale provenisse da Kay» disse Jaime. «Io penso che ne fosse sinceramente convinta. Ritengo che Ali&Nata fosse Terri, anche se non posso esserne sicura.» «Sono d'accordo» convenne Lucy. «Ma il punto è: la persona che si è spacciata per mia zia in queste email ha a che fare con l'omicidio?» «Che mi dici dell'indirizzo IP?» s'informò Marino. «Quando avrete le informazioni dal provider per identificare il cliente? L'indirizzo che ho trovato è 413
situato in una zona dell'Upper East Side che comprende il Guggenheim, il Met e il Jewish Museum. Non ci è di grande aiuto.» Lucy in realtà conosceva il punto esatto, ma non aveva intenzione di rivelarlo. Jaime non voleva che infrangesse le regole, ma lei aveva molte conoscenze nel mondo dei provider, alcune delle quali risalivano ai tempi in cui lavorava all" FBI, altre a un'epoca antecedente, amici di amici di amici. E in quella circostanza si era limitata a fare quello che fanno i poliziotti quando chiedono un mandato dopo avere aperto il bagagliaio di una macchina e averci trovato cento chili di cocaina. «In quella zona, dove c'è il Museum Mile, ha sede l'ambulatorio di dermatologia della dottoressa Elizabeth Stuart.» Il viso di Jaime era accanto al suo. Sul sedile posteriore, al buio, il suo profumo era una magia. «Davvero? Proprio in quella zona?» si stupì lei. «La dermatologa dei VIP abita al tredicesimo piano del palazzo dove ha lo studio» la informò Lucy. «Adesso è via per le feste. Lo studio riaprirà lunedì 7 gennaio.» Kay Scarpetta stava aspettando di essere sola per entrare nello studio di Oscar Bane. La telefonata di Lucy rappresentava un'ottima occasione. Lasciò Morales e Benton nella camera da letto, tornò verso il soggiorno ed entrò nello studio, mentre sua nipote le raccontava al cellulare dell'annuncio pubblicato sul sito del John Jay e le chiedeva se ne fosse al corrente. Osservando gli scaffali pieni di vecchi volumi di psichiatria, le disse di non saperne niente. 414
«Mi intristisce scoprire che mi cercava» disse poi. «Sto scoprendo un sacco di cose che mi addolorano. Mi spiace non avere saputo che tentava di mettersi in contatto con me.» Non vedeva il libro di cui Oscar Bane le aveva parlato, The Experiences of an Asylum Doctor, dentro cui sosteneva di avere nascosto un CD. Era sempre più perplessa sul conto di quell'uomo: a che gioco stava giocando? «La foto pubblicata su Internet stamattina» continuò Lucy «è stata scattata all'Istituto di medicina legale di New York. Stavi parlando con la dottoressa Lester. Questo particolare ti può aiutare?» «Non ricordo assolutamente che qualcuno mi abbia fatto quella foto. Mi sarebbe venuto in mente quando l'ho vista.». «Se la riguardi e metti sullo sfondo il bancone e i monitor dell'impianto di sorveglianza a circuito chiuso, magari riesci a ricostruire da che punto sei stata ripresa.» «Dev'essere stata scattata da un tavolo settorio. Ce ne sono tre per sala, quindi può essere opera di qualcuno che stava facendo un'altra autopsia. Ti prometto che ci rifletterò attentamente, ma non adesso.» In quel momento le premeva solo parlare di nuovo con Bane. Immaginava già cosa le avrebbe detto se gli avesse chiesto spiegazioni riguardo al libro: "L'avranno preso loro!". Ecco perché il filo era per terra, fuori dalla porta. "Sono entrati in casa mia!" Kay non aveva accennato al libro e al suo contenuto né a Benton né a Morales. Non poteva: lei era il medico di Oscar Bane e quello che lui le raccontava doveva rimanere confidenziale. 415
«Hai da scrivere?» chiese Lucy. «Ti do i numeri di telefono della dottoressa Elizabeth Stuart, la dermatologa.» «So chi è.» Lucy le spiegò che la foto era stata inviata a Terri Bridges il 3 dicembre a mezzogiorno circa da un Internet point di fronte allo studio della dottoressa Stuart. Le dettò il numero di cellulare e quello della suite presidenziale al St Regis di Aspen, nel Colorado, dove la donna si recava sempre usando il nome del marito, Oxford. «Chiedi del dottor Oxford» le consigliò. «Cosa non ti racconta la gente, eh? Ma non ho detto niente a nessuno. Jaime vuole agire solo attraverso canali legali. Te lo immagini? Puoi domandare a Morales una cosa da parte mia e riferire a Benton di chiamarmi, per favore?» «Adesso vado da loro.» «Mi trovo nell'atrio della palazzina di Terri e sono collegata alla rete wireless, accessibile da tutti gli appartamenti» la informò Lucy. «È attiva e al momento qualcuno è collegato.» Gli attrezzi che Oscar Bane usava per fare ginnastica erano in camera da letto, al centro della quale, accanto al letto con la tenda di alluminio, Benton e Morales stavano parlando. «Cosa vuoi sapere da Morales?» chiese Kay a Lucy. Capiva perché Morales piaceva alle donne ed era antipatico a tutti gli altri, giudici compresi. Le ricordava due atleti della Cornell, ai tempi dell'università. Erano litigiosi, arroganti e, per compensare la bassa statura, si muovevano veloci, nervosi, e avevano un atteggiamento sfacciato e 416
aggressivo. Non davano ascolto a nessuno, mostravano scarso rispetto per i compagni di squadra e gli allenatori, e non brillavano per intelligenza, ma facevano punti e affascinavano il pubblico. Non erano belle persone. «Mi interessa sapere se c'è una videocamera» disse Lucy. «Ti posso rispondere io» replicò Kay «Morales ne ha installata una sul tetto. Marino lo sa. Jaime è con te?» Kay capì perché le aveva fatto quella domanda solo dopo averla formulata. Avvertiva una sensazione che aveva già provato quando aveva visto la nipote insieme alla Berger la prima volta. Allora Lucy era poco più di una bambina, per lo meno nella sua percezione. Jaime aveva almeno quindici anni più di lei. Ma che importanza aveva? Lucy ormai non era certo una bambina. In quel momento le stava spiegando che Jaime e Marino erano andati nella palazzina di fronte mezz'ora prima per parlare con una testimone. Forse a Kay sembrava strano che un procuratore indaffarato e importante come Jaime Berger passasse il Capodanno in un loft del Greenwich Village a guardare lo schermo di un computer. Lucy avrebbe potuto benissimo comunicarle cosa aveva scoperto al cellulare o mandarle un'email. Benché fosse famosa per essere una professionista molto efficiente, energica e decisa, che partecipava ai sopralluoghi, sollecitava personalmente i referti delle analisi e andava addirittura in obitorio - se il caso lo richiedeva e non era la dottoressa Lester a eseguire l'autopsia -, non passava il suo tempo davanti a un computer. Non si recava in laboratorio per presenziare alle 417
cromatografie gassose, alle analisi su prove materiali o sul DNA, o a guardare vetrini al microscopio. Dava ordini, coordinava le indagini e indiceva riunioni per discutere dei risultati. Kay era turbata al pensiero che Lucy e Jaime fossero rimaste da sole per ore. Probabilmente l'inquietudine era determinata dal ricordo di una sera di cinque anni prima, quando era arrivata, inattesa, nell'attico di Jaime e le aveva sorprese insieme. Non si era aspettata di trovare Lucy intenta a confessare a Jaime che cosa era accaduto in quella stanza d'albergo a Stettino, in Polonia, raccontandole dettagli di cui lei era tuttora all'oscuro. Quella sera si era resa conto di non essere più al centro della vita di sua nipote. O forse aveva semplicemente capito che prima o poi avrebbe perso quel privilegio. Era questa la verità, per quanto la sua fosse una visione egoistica. Informò Benton che Lucy doveva comunicargli qualcosa. Lui esitò, in attesa di un segnale. «Do un'occhiata a questi armadietti» disse Kay. Il segnale era quello: doveva uscire dalla stanza per parlare in privato. «Vado nel corridoio» annunciò Benton, digitando il numero sul suo cellulare. Sotto lo sguardo attento di Morales, Kay entrò nel bagno di Oscar Bane. Più vedeva in che modo viveva, più i segni del deterioramento del suo stato di salute mentale le parevano evidenti. I farmaci nell'armadietto dei medicinali dimostravano che ormai viveva in un incubo e le date su molti flaconi confermavano il recente peggioramento. 418
Kay trovò Ilisina, acido pantotenico e acido folico, e aminoacidi, calcio, iodio, estratto di alghe... il genere di integratori assunti da persone esposte a radiazioni o che temono di esserlo state. Sotto il lavabo c'erano bottiglie di aceto bianco che probabilmente Bane aggiungeva all'acqua del bagno. All'inizio di ottobre si era fatto prescrivere un farmaco contro l'insonnia, l'eszopiclone. Da allora ne aveva acquistati altri due flaconi, il più recente nella farmacia Duane Reade il 27 dicembre. Le ricette erano state compilate dalla dottoressa Elizabeth Stuart. Kay decise di chiamarla, ma non subito e non da lì. Si mise a esaminare un armadietto dove Oscar Bane teneva i medicinali da banco e di pronto soccorso, cerotti, alcol e garze. C'era anche un lubrificante che si chiamava Aqualine. Lo stava guardando quando entrò Morales. Il barattolo era intonso, ma mancava l'etichetta con il prezzo, perciò non si capiva dove era stato comprato. «Non è simile alla vaselina?» chiese Morales. «Sì, una specie» rispose Kay. «Pensi che in laboratorio scopriranno se è la stessa roba che Terri aveva in vagina?» «Di solito viene utilizzato come pomata lenitiva» spiegò Kay. «Per bruciature, pelle screpolata o irritata, dermatiti atopiche, eczema, quel genere di disturbi. Di cui Oscar non soffre, tra parentesi. È molto usato anche da chi corre in bicicletta e dai maratoneti. Si trova ovunque: in tutte le farmacie e in gran parte dei supermercati.» Sembrava che Kay volesse difendere Oscar Bane. «Già. Sappiamo che il nostro amico è un gran camminatore, nonostante la statura e i piedi piatti. Il 419
portiere dice che esce con la sua tutina quasi tutti i giorni, con la pioggia e con il sole. La scala a pioli è sul tetto: non lo trovi strano? Quelli del palazzo non sanno spiegare il perché. Secondo me è salito sulla scala antincendio e si è infilato in casa da una finestra, poi è uscito dal tetto portandosi dietro la scala. Ecco perché adesso è lassù.» «Per quale motivo avrebbe dovuto farlo?» «Per entrare» rispose Morales guardandola intensamente. «Aprendo la finestra, non avrebbe fatto scattare l'allarme?» chiese Kay. «Infatti. Ho telefonato alla ditta e mi è stato detto che l'allarme è scattato poco dopo che Oscar se n'è andato dal Bellevue. Quando hanno chiamato, ha risposto un uomo. Ha spiegato che era stato un errore e ha fornito la password. Non è un allarme di quelli assordanti e nel palazzo potrebbero non averlo sentito, soprattutto se è stato disattivato subito. Cosa ne pensi?» «Non penso niente.» «Merda, di solito hai opinioni su tutto, Miss CNN. Sei famosa per questo. Per le tue straordinarie intuizioni.» Si avvicinò all'armadietto che Kay stava esaminando, la urtò e prese in mano il barattolo di Aqualine. «Allora, siamo o no in grado di capire se la roba che abbiamo trovato addosso a Terri è questa?» chiese di nuovo. «Di certo siamo in grado di capire se non lo è» rispose Kay. «Per esempio, se il lubrificante trovato su Terri è KY gel, che contiene additivi antisettici e sostanze come l'idrossido di sodio e il metilparabene. L'Aqualine è privo di conservanti ed è fatto 420
prevalentemente di oli minerali e petrolato. Sono abbastanza sicura che in casa di Terri non ci fosse niente del genere. Nell'inventario stilato dalla polizia non compare e io ho controllato nell'armadietto dei medicinali e ho dato un'occhiata in giro, quando ero là. Tu dovresti saperlo meglio di chiunque altro.» «Potrebbe averlo portato con sé e poi esserselo riportato via. Non dico Oscar. L'assassino. Che potrebbe o no essere Oscar.» Morales la fissava intensamente con i suoi occhi castani. Sembrava divertito e allo stesso tempo arrabbiato. «Tu sei sicura che in casa della Bridges non ci fosse niente?» chiese. «Ieri sera io non sapevo di dover cercare un lubrificante perché l'autopsia non era ancora stata fatta. Ma quando ci sono tornato ci ho guardato.» Kay non era al corrente che Morales fosse andato di nuovo a casa di Terri. Ripensò alla moquette nello studio e al commento di Marino sul fatto che qualcuno doveva averla spazzolata. «Dopo che il tuo amico Marino ha trovato i computer, sono tornato a controllare che non ci fosse sfuggito qualcos'altro» proseguì Morales. «A quel punto sapevo cos'aveva scoperto la Lester durante l'autopsia perché le avevo parlato. Ho cercato il lubrificante: nisba.» «Abbiamo notato la moquette nello studio» disse Kay. «Ci credo!» esclamò Morales. «La mia mamma mi ha insegnato a mettere in ordine, a lisciare le frange del tappeto, a essere obbediente e responsabile. A proposito, è meglio che prendi un paio di questi flaconi. Ti ho detto che ho un mandato di perquisizione? 421
Sempre meglio premunirsi, nel caso si trovi qualcosa di interessante...» Le rivolse un sorriso radioso e le fece l'occhiolino. Tornarono in camera da letto, con gli attrezzi da palestra e la tenda di alluminio. Kay aprì l'armadio e vide altri caschi foderati di schiuma e diverse antenne su uno scaffale. Rovistò fra gli abiti, per lo più casual, e trovò foderine di plastica nelle tasche delle giacche, l'ennesima protezione. Le tornò in mente che, quando lo aveva visitato, Bane era in ansia perché non si sentiva al sicuro. In basso c'erano scarponcini da neve, scarpe eleganti, Nike, un cestino pieno di manubri, corde per saltare, cavigliere e una palla medica. Prese le Nike. Erano vecchie e inadatte a una persona che si allena intensamente ma deve stare attenta alle articolazioni e ai piedi. «Sono le uniche scarpe da ginnastica?» chiese a Morales. «Ne avrà un paio più nuovo, immagino. Anzi, più di vino.» «Continuo a scordarmi come ti chiamano» replicò lui. Le si avvicinò. «Occhio d'aquila. E non solo.» Da quella distanza ravvicinata Kay notò che aveva le lentiggini sulla pelle olivastra e sentì il profumo intenso della sua acqua di colonia. «Ha un paio di Brooks Ariel fatte apposta per quelli con un eccesso di pronazione e che necessitano di molta stabilità. Buffo, eh?» Morales fece un gesto per indicare la stanza. «Il tuo fan Oscar di stabilità ne ha ben poca» aggiunse. «Sono ottime per chi ha i piedi piatti. A pianta larga, con una suola dal disegno unico. Gli ho preso quelle che aveva indosso ieri sera e le ho portate in laboratorio, insieme ai vestiti.» 422
«Cosa indossava esattamente quando è uscito dal Bellevue?» volle sapere Kay. «Un'altra domanda da occhio d'aquila.» Nonostante lei si spostasse, Morales continuava a starle addosso. Essendo ormai praticamente dentro l'armadio, Kay rimise a posto le Nike, si voltò e si allontanò. «Ieri sera, quando mi ha chiesto di portarlo al manicomio, gli ho proposto un patto» spiegò Morales. «Se mi avesse consegnato i suoi vestiti, saremmo passati da casa sua a prendere una borsa con un cambio, in modo che avesse qualcosa da mettersi quando fosse uscito.» «Ti aspettavi che non ci rimanesse a lungo, quindi.» «Esattamente. Perché ci andava solo per vedere Benton, e soprattutto per vedere te. Una volta realizzato il suo sogno, tanti saluti.» «Ed è venuto da solo a prendere la borsa?» «Non era in arresto: poteva fare quello che voleva. Io l'ho aspettato in macchina. Avrà impiegato dieci minuti al massimo. Forse è per questo che la sua trappola era per terra: si sarà scordato di rimettere il filo sulla porta, uscendo. Era sconvolto.» «Sappiamo cosa c'era nella borsa?» «Un paio di jeans, una maglietta blu, un altro paio di Brooks, calzini, mutande e un maglione di lana con la cerniera davanti. Al reparto hanno l'inventario. L'ha fatto Jeb. Lo conosci, no?» Kay non replicò. Erano l'una accanto all'altro vicino alla tenda di alluminio e si guardavano negli occhi. «L'agente di custodia che faceva la guardia fuori dall'ambulatorio oggi pomeriggio» aggiunse. 423
Kay rimase sorpresa nel sentire le note di Do Ya Think Tm Sexy? di Rod Stewart. Era la suoneria del palmare di Morales, un modello costoso. Lui premette il pulsante del Bluetooth e rispose: «Sì». Kay uscì e trovò Benton nello studio. Teneva fra le mani guantate un libro, The Air Loom Gang. «Parla di una macchina che controlla la mente di una persona alla fine del Settecento» le spiegò. «Tutto bene? Non volevo interferire. Ho pensato che avresti urlato, se avessi avuto bisogno che gli dessi una saccata di botte.» «È un bastardo.» «Hai perfettamente ragione.» Rimise il libro sullo scaffale. «Ti stavo parlando di The Air Loom Gang. Questo appartamento sembra una scena tratta da quel libro. Un manicomio.» «Lo so.» Si guardarono negli occhi, come se Benton si aspettasse che Kay dicesse qualcosa. «Eri al corrente che Oscar Bane si era portato al Bellevue una borsa con un cambio di abiti, nel caso gli fosse venuta voglia di andarsene?» domandò lei. «E che Morales l'ha accompagnato qui, ieri sera?» «Sapevo che Bane poteva andarsene quando voleva» rispose Benton. «Lo sapevamo tutti.» «Non mi sembra un comportamento corretto. E come se Morales lo avesse incoraggiato ad andarsene, come se avesse voluto che Bane uscisse dall'ospedale.» «Perché dici questo?» 424
«Certe sue osservazioni...» Kay guardò la porta aperta temendo che Morales entrasse da un momento all'altro. «Ho la sensazione che quei due abbiano negoziato un bel po’ quando ieri Morales ha prelevato Bane da casa di Terri» spiegò. «Mi sembra normale.» «Tu capisci la mia situazione, vero?» gli domandò passando un'altra volta in rassegna i volumi e rimanendo di nuovo delusa. Oscar Bane le aveva detto che il libro con il CD si trovava nella seconda libreria, a sinistra della porta, sul quarto scaffale. Invece non c'era. Il quarto scaffale era pieno di scatole, ciascuna con l'etichetta CIRCOLARI. «Cosa manca alla sua collezione di libri, secondo te? Che cosa dovrebbe esserci per renderla più completa?» Benton aveva le sue ragioni per farle quella domanda. «Perché me lo chiedi?» «C'è un agente di custodia, Jeb, che mi riferisce molte cose. Purtroppo non solo a me, ma in ogni caso sono certo che non voleva ti succedesse niente oggi mentre eri nell'ambulatorio. Non è stato contento che tu lo abbia fatto uscire. Abbiamo parlato un po’ quando ho chiamato per chiedere notizie di Bane e ho saputo che se n'era andato. Comunque, cosa manca alla collezione di Oscar?» «Mi sorprende che non ci sia The Experiences of an Asylum Doctor di Littleton Winslow.» «Interessante» replicò Benton. «Mi fa piacere che tu l'abbia nominato.» Kay lo prese per la manica e si avvicinarono alla seconda libreria. 425
Lei iniziò a tirare giù le scatole dallo scaffale più in basso, disorientata, confusa, incerta sulla direzione da prendere. Non sapeva più chi era pazzo e chi no, chi mentiva e chi diceva la verità, chi parlava e con chi, e cosa poteva ancora saltare fuori. Aprì una scatola e trovò un assortimento di pamphlet del diciannovesimo secolo sulle misure di contenzione meccanica e le torture con l'acqua. «Mi aspettavo che avesse questo genere di materiale» commentò Kay. «Quel libro non c'è per il semplice motivo che non esiste» disse Benton sfiorando con un braccio quello di Kay mentre guardavano i libriccini. La sua presenza era rassicurante e lei aveva bisogno di sentirla. «Non è un'opera di quell'autore» precisò Benton. «The Experiences ofan Asylum Doctor è stato scritto da Montagu Lomax circa cinquant'anni dopo che Littleton Winslow, figlio di Forbes Winslow, aveva scritto il famoso Plea of Insaniti/, il suo Manual ofLunacy.» «Perché Oscar Bane mi ha mentito?» «Non si fida di nessuno. È davvero convinto di essere spiato e, non volendo che i cattivi sentissero dov'era nascosta la sua unica prova, è stato enigmatico. O forse è solo confuso. Oppure ti voleva mettere alla prova, per vedere se tieni davvero a lui: se fossi venuta fin qui, davanti alla sua libreria, avresti capito. Potrebbero esserci innumerevoli ragioni.» Kay aprì un'altra scatola, piena di opuscoli del Bellevue.
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Oscar Bane aveva detto che lei e Benton sarebbero stati interessati al materiale da lui raccolto sul Bellevue. Kay tirò fuori un manualetto sulle cure infermieristiche e un elenco del personale medico e chirurgico tra il 1736 e il 1894. Poi estrasse un fascio di circolari e saggi che risalivano al 1858. In fondo alla scatola c'era una chiavetta USB rossa attaccata a un cordoncino. Si levò i guanti, vi avvolse la chiavetta e la porse a Benton. Mentre si alzava sentì la presenza di Morales sulla porta. Sperò che non l'avesse vista. «Dobbiamo andare» li informò. Stringeva in mano una busta chiusa con del nastro adesivo rosso. Benton rimise la scatola sullo scaffale in basso e si rialzò anche lui. Kay non vide più la chiavetta avvolta nei guanti: Benton doveva essersela lasciata scivolare in tasca. «Jaime e Marino sono nel palazzo di fronte. Non qui, a Murray Hill, di fronte alla casa di Terri» disse Morales, nervoso e impaziente. «Avete presente la testimone che ha chiamato per denunciare gli abusi sugli animali? Non risponde né al telefono né al citofono. Le luci sono spente e il portone è chiuso a chiave. Marino dice che oggi, quando ci è andato, era aperto.» Uscirono. Morales non si prese la briga di riattivare l'allarme. «Sembra che sul tetto ci sia una scala antincendio con una botola» aggiunse, sempre teso e spazientito. «E che sia spalancata.» Non si prese la briga nemmeno di chiudere la porta a chiave. 427
Quando Marino andò per la seconda volta nella palazzina di fronte a quella di Terri Bridges, nell'appartamento 2C, al primo piano, c'era qualcuno. Controllando la finestra sul lato dell'edificio, pochi minuti prima, aveva notato le luci accese e lo sfarfallio del televisore dietro le tende opache. Sapeva di chi si trattava, perché conosceva il nome di tutti gli inquilini. Ma il dottor Wilson, medico ventottenne del Bellevue, non rispondeva al citofono. Marino riprovò, con Jaime e Lucy ferme nel vento gelido a guardarlo, in attesa. «Dottor Wilson» disse tenendo premuto il pulsante del citofono. «Glielo ripeto, siamo della polizia. Non ci costringa a usare la forza per entrare nel palazzo.» «Non mi ha detto qual è il problema» rispose una voce maschile, che con ogni probabilità apparteneva al dottor Wilson. «Sono l'investigatore Marino del dipartimento di polizia di New York» ripeté Marino lanciando a Lucy le chiavi della sua macchina. «Dobbiamo andare dalla signora Eva Peebles, appartamento 2D. Se guarda fuori dalla finestra, vedrà una Chevrolet Impala blu. È la mia macchina, okay? Fra un attimo un agente accenderà le luci di emergenza, così lei vedrà che si tratta di un'auto della polizia. Capisco la sua riluttanza ad aprire il portone, ma non ci costringa a usare la forza. Quando è rientrato, ha per caso incontrato la sua vicina?» «Non vedo un corno. È buio» rispose la voce. «Ma davvero, Sherlock?» replicò Marino senza rivolgersi a nessuno in particolare e togliendo il dito dal pulsante in modo che il dottor Wilson non sentisse. 428
«Scommettiamo che si è fatto una canna? Per questo non vuole che entriamo.» «Lei è il dottor Wilson?» chiese subito dopo al citofono. «Non sono tenuto a rispondere e non ho intenzione di aprire il portone. Non dopo quello che è successo qui di fronte. Sono stato tentato di non tornare proprio.» Una delle finestre si aprì e la tenda si mosse. Marino era sicuro che Wilson fosse fumato e si ricordò che la signora Peebles gli aveva detto che il suo vicino faceva uso di marijuana. Brutto stronzo: si preoccupava più di passare dei guai per possesso di sostanze stupefacenti che dell'anziana signora dell'appartamento di fronte al suo, che forse era in pericolo. «Senta, ho bisogno che mi apra subito. Se guarda fuori dalla finestra, vedrà che le luci del portone sono spente. Le ha spente lei quando è entrato?» «Io non ho spento né acceso niente» rispose la voce maschile, sulla difensiva. «Come faccio a essere sicuro che siete davvero della polizia?» «Aspetta, provo io» propose Jaime. Premette il pulsante del citofono, mentre Marino lo illuminava con la torcia, perché era buio pesto. «Dottor Wilson? Sono Jaime Berger, della procura distrettuale. Dobbiamo parlare con la sua vicina. Ci apre il portone, per favore?» «No» rispose la voce. «Fate venire delle vere auto della polizia, poi vedremo.» «Hai peggiorato le cose» disse Marino a Jaime. «Si stava fumando una canna, te lo garantisco. Per questo ha aperto la finestra.» 429
Lucy salì sulla macchina di Marino e accese le luci intermittenti rosse e blu, che si riflettevano sui vetri. «Non mi basta» disse la voce nel citofono, in tono ancora più risoluto. «Chiunque può procurarsi delle luci simili.» «Lascia che gli parli io» insistette Jaime, riparandosi gli occhi dai potenti lampeggianti. «Senta, dottor Wilson, facciamo così» disse Marino nel citofono. «Adesso le do un numero di telefono. Lei chiama e spiega all'agente che fuori dal suo portone c'è l'investigatore P. R. Marino. Ha capito? Gli chieda conferma. In centrale sanno che sono qui con il sostituto procuratore distrettuale Jaime Berger.» Silenzio. «Vedrai che non chiama» disse Jaime. Lucy tornò davanti al portone. «Mi faresti un altro favore, mentre io mi occupo di ‘sto cretino?» Marino le chiese di tornare in macchina e di contattare la centrale. Lucy gli domandò che fine avesse fatto la sua radio portatile: la polizia non le usava più? Lui rispose che l'aveva lasciata in auto. Anzi, poteva prendergliela lei intanto che richiedeva l'intervento di un'unità di rinforzo e di una squadra attrezzata per aprire il portone, magari con un ariete? Lucy replicò che il portone era vecchio e che sarebbe bastato un piede di porco, ma Marino insistette: voleva che quel deficiente di medico drogato si trovasse faccia a faccia con un ariete Twin Turbo, di quelli usati per sfondare la porta nei covi degli spacciatori. Così, forse, a quel punto non ci sarebbe stato nemmeno bisogno di usarlo perché il deficiente si sarebbe deciso ad aprire. Le disse di 430
richiedere anche un'ambulanza, nel caso Eva Peebles ne avesse bisogno. Eva Peebles non rispondeva né al telefono né al citofono. Marino non riusciva a vedere se in casa c'era qualche luce accesa. La finestra davanti al computer era buia. Non ebbe bisogno di dare a Lucy i codici radio o altre istruzioni: lei non aveva nulla da imparare da nessuno sulle procedure della polizia. Mentre la guardava salire in auto, Marino ebbe un moto di nostalgia. Gli mancavano i bei tempi in cui loro due andavano in giro in moto, a sparare, a svolgere indagini o a bersi qualche birra insieme. Si domandò che pistola lei avesse con sé in quel momento. Era sicuro che Lucy ne avesse una. Tanto per cominciare, non girava mai disarmata, nemmeno a New York. Inoltre, Marino avrebbe riconosciuto ovunque una giacca Pistol Pete, e infatti l'aveva notata appena Lucy era scesa dal taxi, mentre lui e l'altro agente caricavano la sedia impacchettata sul retro del furgone. Sembrava una normale giacca di pelle nera, da uomo, ma aveva una tasca esterna staccabile grande abbastanza da contenere qualsiasi tipo di pistola. Forse Lucy aveva con sé la Glock calibro.40 con il mirino laser che Marino le aveva regalato il Natale dell'anno precedente, quando si trovavano entrambi a Charleston. Sfortunato com'era, non ci sarebbe stato da meravigliarsi. Non aveva avuto il tempo di intestargliela prima di sparire, quindi, se Lucy avesse fatto qualche scemenza con quella dannata pistola, avrebbero cercato lui. Allo stesso tempo, però, gli faceva piacere pensare che Lucy fosse tanto 431
affezionata a quella Glock da portarsela dietro infrangendo le leggi dello Stato di New York e rischiando addirittura la galera. Lucy poteva avere tutte le armi che voleva. Poteva comprarsene una fabbrica intera. Anzi, più di una. Lei scese dalla macchina di Marino come se fosse la sua e li raggiunse di corsa. Lui pensò che avrebbe dovuto domandarle se era armata e, se sì, che pistola portava. Invece si trattenne. Lucy era vicino a Jaime. Tra loro c'era un'intesa che a Marino non era sfuggita, così come non gli era sfuggita la giacca Pistol Pete. Jaime Berger di solito non si avvicinava alle persone. Non permetteva a nessuno di oltrepassare la barriera invisibile che la circondava. Ma con Lucy era diverso: la toccava, le si appoggiava e la guardava molto spesso. Lucy porse a Marino la radio portatile. «Ti trovo un po’ arrugginito. Sei stato troppo tempo lontano dalla polizia?» gli chiese in tono serio. Per quel poco che Marino riusciva a vedere nel buio, anche la sua faccia era seria. «Non è granché furbo lasciare la radio in macchina. Sembra una distrazione da niente, invece rischi di vedertela brutta.» «Se vorrò prendere lezioni da te, mi iscriverò a uno dei tuoi corsi» replicò lui. «Vedremo se ci sarà posto.» Marino prese la radio e chiamò per chiedere aggiornamenti sull'arrivo dei rinforzi. «Stiamo svoltando l'angolo» rispose il collega. «Accendete luci e sirena» ordinò Marino. Premette il pulsante del citofono. «Sì?» rispose la voce maschile. «Dottor Wilson, apra o sfondiamo la porta.» 432
Si sentì una sirena, poi il clic della serratura del portone. Marino aprì il battente e accese la luce nell'atrio. Davanti a lui c'erano le vecchie scale di legno che portavano al piano superiore. Estrasse la pistola e ordinò via radio ai colleghi di spegnere la sirena e le luci e di tenersi pronti a intervenire. Corse su per le scale, seguito da Jaime e Lucy. Arrivato al primo piano, sentì l'aria gelida che entrava dalla botola del tetto, spalancata. Le luci sul pianerottolo erano spente. Cercò a tastoni l'interruttore. Dalla botola si vedeva il cielo, ma della scala a pioli non c'era traccia. La sua ansia aumentò. Aveva un brutto presentimento. La scala era quasi sicuramente sul tetto. Si fermò davanti al 2D e notò che la porta era socchiusa. Fece cenno a Jaime di farsi da parte e scambiò un'occhiata con Lucy. Tesissimo, spinse il battente con il piede finché lo sentì appoggiarsi contro la parete. «Polizia!» urlò impugnando la pistola con entrambe le mani. «C'è qualcuno? Polizia!» Non ci fu bisogno di chiedere a Lucy di illuminare l'interno dell'appartamento con una torcia. Ci pensò da sola. Poi allungò il braccio oltre la spalla di Marino e premette l'interruttore. Si accese un vecchio lampadario un po’ barocco, che emanava una luce soffusa. Marino e Lucy fecero segno a Jaime di stare indietro e avanzarono di qualche passo. Dopodiché, per un attimo, nessuno si mosse. Si guardarono intorno. Marino sentì il sudore che gli colava freddo lungo la schiena e sui fianchi. Mentre si strofinava la fronte con la manica, gli cadde l'occhio sulla poltrona di velluto dove si era seduto poche ore prima e sul divano dove la signora Peebles aveva bevuto il suo 433
bourbon. Il televisore a schermo piatto era acceso, ma il volume era azzerato e Cesar Millan, l'uomo del National Geographic Channel che parla ai cani, si stava rivolgendo silenziosamente a un beagle ringhioso. Le vecchie veneziane con i listelli di legno erano tutte abbassate. Lucy si avvicinò al computer sulla scrivania e premette un tasto. Il monitor si riempì delle immagini impazzite del sito Gotham Gotcha. La scritta GOTHAM GOTCHA si trasformava in OH C THA MAGGOT. Lo skyline di New York si stagliava nero contro un cielo rosso lampeggiante, l'albero di Natale del Rockefeller Center era a testa in giù in Central Park e una tormenta di neve, tuoni e fulmini si abbatteva nel negozio FAO Schwarz appena prima dell'esplosione della Statua della Libertà. Jaime osservò lo schermo senza dire nulla, poi guardò Lucy. «Vai avanti tu» disse Lucy a Marino, facendogli capire che avrebbe coperto sia lui sia Jaime. Marino andò a controllare la cucina, il bagno degli ospiti e la sala da pranzo, poi arrivò davanti a una porta chiusa che immaginò conducesse alla camera da letto. Girò la maniglia di vetro, spinse l'uscio con un piede e puntò la pistola in tutte le direzioni. La stanza era sgombra, il letto matrimoniale in ordine, coperto da una trapunta con dei cani ricamati; su uno dei due comodini era posato un bicchiere vuoto. In un angolo c'era un trasportino per animali, ma non si vedevano né gatti né cani. Gli abatjour erano stati tolti dai comodini e posati per terra ai lati di una porta aperta. Erano accesi e illuminavano un pezzo di pavimento a mattonelle bianche e nere. Marino si avvicinò senza far rumore al 434
bagno, con le spalle al muro e la pistola puntata. Notò qualcosa che si muoveva e prese la mira, pronto a sparare. Il corpo nudo ed esile di Eva Peebles dondolava appeso a un cordone di seta dorato che le passava intorno al collo ed era fissato a una catena sul soffitto. Aveva polsi e caviglie legati stretti con fascette di plastica trasparente e le punte dei piedi sfioravano il pavimento. La corrente gelida che entrava dalla finestra lo faceva oscillare e ruotare prima in una direzione e poi nell'altra, con il cordone di seta che si attorcigliava e si distendeva, avanti e indietro, indietro e avanti. Kay temeva che a uccidere la settantaduenne Eva Peebles fosse stata la stessa persona che aveva ammazzato Terri Bridges; e temeva che quella persona fosse Oscar Bane. Lo aveva pensato non appena era entrata nella camera da letto della Peebles e aveva visto gli abatjour posati per terra e il cadavere appeso nel bagno. Il cordone dorato era stato tolto dalla tenda in sala da pranzo ed era stato legato alla catena del lampadario, la cui coppa di alabastro era posata su alcuni indumenti ripiegati, dentro la vasca. Mentre li fotografava, si rese conto che erano stati tagliati e tolti alla vittima quando questa aveva i polsi e le caviglie legati e probabilmente era ancora viva. Sul coperchio bianco del water si notavano numerose e inequivocabili impronte di scarpe. Erano molto piccole e con un disegno particolare. Evidentemente l'assassino era salito sulla tazza per legare il cordone al lampadario, un'impresa possibile 435
anche per uno alto poco più di un metro e venti, soprattutto se molto forte. Se era stato Oscar Bane a uccidere Eva Peebles, voleva dire che Kay aveva preso un grosso abbaglio, basandosi su calcoli e misurazioni e lasciandosi guidare dalla sua integrità professionale. Quando la posta in gioco è la vita di una persona, non sono ammessi errori e il rispetto per la privacy passa in secondo piano. Forse Kay non avrebbe dovuto tenere per sé le proprie opinioni, bensì incoraggiare la polizia a rintracciare al più presto Bane, oppure impedire che venisse dimesso dal Bellevue. Avrebbe potuto fornire a Jaime gli elementi necessari per un mandato di arresto, rivelare certi particolari, come per esempio il fatto che Oscar si era procurato da solo lividi e graffi e aveva mentito alla polizia, non solo riguardo alle ferite e alla presenza di un intruso, ma anche riguardo al motivo per cui aveva lasciato la giacca in macchina e al CD nascosto nel libro. Il fine avrebbe giustificato i mezzi. Se Kay avesse agito così, a quell'ora Oscar Bane non sarebbe stato a piede libero ed Eva Peebles non avrebbe penzolato, morta, appesa al soffitto. Kay aveva preso troppo sul serio il ruolo di medico di fiducia di Bane. Aveva commesso l'errore di provare pena per lui, di prendersi a cuore il suo caso. Si ripromise di tenersi lontana da sospetti e indagati, e di limitarsi a lavorare con coloro che non soffrivano più, perché era più facile ascoltarli, interrogarli, visitarli. La Berger tornò nella camera da letto e si tenne a una ragionevole distanza, perché aveva esperienza di scene del crimine e, a differenza di Kay, non era coperta dalla testa ai piedi da appositi indumenti monouso. Jaime non era il tipo da lasciare che la 436
curiosità prendesse il sopravvento sul giudizio razionale. Sapeva esattamente come comportarsi. «Marino e Morales sono andati dall'unico vicino attualmente in casa» disse. «Uno che non raccomanderei a nessuno come medico di fiducia. Pare che nel suo appartamento ci siano dieci gradi e che, nonostante le finestre spalancate, si senta ancora odore di marijuana. Gli agenti non lasciano entrare nessuno. Lucy è in soggiorno che lavora al computer.» «Il vicino non ha notato che la botola del tetto era aperta e le luci erano spente?» chiese Kay. «A che ora è tornato a casa?» Stava ancora osservando la scena, senza toccare nulla. Il cadavere continuava a roteare lentamente alla luce fievole degli abatjour. «Dice di essere rientrato verso le nove e che a quell'ora le luci erano accese e la botola del tetto era chiusa. Sostiene di essersi addormentato davanti alla TV e di non avere sentito niente. Sempre che nel palazzo sia entrato davvero qualcuno.» «Su questo mi sembra che non ci siano dubbi.» «La scala a pioli per salire sul tetto viene tenuta nello sgabuzzino, come nel palazzo di fronte. Benton ha confermato che si trova sul tetto. Sembra che l'aggressore conoscesse la palazzina, o altre simili a questa, per esempio quella di Terri, e abbia trovato la scala. È uscito dal tetto e se l'è tirata dietro.» «Ipotesi su come ha fatto a entrare?» «L'unica, al momento, è che sia stata la vittima ad aprire e che l'assassino abbia spento la luce salendo le scale. Evidentemente la Peebles lo conosceva o aveva motivo di fidarsi di lui. Un'altra cosa: il vicino afferma di non avere sentito gridare. Interessante. È possibile che non abbia urlato?» 437
«Ti dico quello che vedo, poi ti darai una risposta da sola» replicò Kay. «Prima di tutto, anche senza avvicinarmi più di così, il fatto che abbia il viso congestionato e la lingua fuori dalla bocca suggerisce che il cappio sia annodato stretto dietro l'orecchio destro e formi un angolo acuto con il mento. L'assenza di altri segni importanti mi fa pensare che sia morta per asfissia da impiccagione. In altre parole, non credo sia stata prima garrotata o strangolata e poi appesa alla catena con quel cordone.» «Continuo a non capire perché non ha gridato o chiesto aiuto» disse Jaime. «Ti legano i polsi dietro la schiena, poi le caviglie, strettamente, con delle specie di manette di plastica. Sei nuda e...» «Non sono manette di plastica. Sono fascette zigrinate come quelle con cui sono stati legati i polsi a Terri Bridges. Sai qual è l'altra somiglianza con l'omicidio di Terri? I vestiti tagliati.» Kay indicò gli indumenti nella vasca da bagno. «Secondo me, l'assassino voleva farci capire la cronologia dei fatti. Si è ingegnato perché fosse chiaramente intuibile. Ha persino sistemato gli abatjour in modo che potessimo vedere il cadavere, dal momento che ha rimosso l'unica lampada del bagno e l'ha messa nella vasca.» «Pensi che abbia sistemato lì gli abatjour per noi?» «Prima di tutto facevano comodo a lui per vedere cosa stava facendo. Però a mio avviso li ha lasciati lì per rendere la scoperta ancora più macabra e scioccante.» «Come la testa mozzata sullo scaffale, a Gainesville» disse Jaime guardando il cadavere che oscillava lentamente nella sua lugubre danza. 438
«Più o meno» convenne Kay. «Le luci, il corpo appeso... Magari ha aperto la finestra proprio perché dondolasse. Un ultimo tocco, prima di andarsene.» «Forse invece voleva accelerare il raffreddamento del corpo.» «No, secondo me non era quello che aveva in mente» replicò Kay. «Voleva che la corrente d'aria lo facesse ballare così.» Jaime osservò in silenzio la lenta danza del cadavere appeso al soffitto. Kay tirò fuori dalla valigetta due termometri a cristalli liquidi. «Dal momento che l'edificio è circondato da altri palazzi, però, ha dovuto abbassare le veneziane per poter agire indisturbato» aggiunse in tono duro. «Altrimenti rischiava di essere visto, di essere ripreso con un cellulare e di finire su YouTube. Tuttavia, con un ultimo tocco di efferatezza, ha sollevato le veneziane prima di andarsene in modo che il vento potesse entrare e creare il suo effetto speciale.» «Mi spiace che tu abbia dovuto incontrare Marino in questo frangente» disse Jaime. Si era accorta che Kay era arrabbiata ma non capiva perché. L'umore di Kay, però, non aveva nulla a che vedere con Marino. Aveva già elaborato il trauma, e in quel momento non era importante. Jaime non aveva mai visto Kay all'opera sulla scena di un crimine e non sapeva come reagisse di fronte a certe manifestazioni di spietata crudeltà, soprattutto se pensava che fossero evitabili e temeva di non avere fatto abbastanza per impedirle. Quella di Eva Peebles era stata una morte orribile. Doveva avere provato dolori atroci e un terrore 439
sconfinato mentre l'assassino si divertiva sadicamente. C'era da stupirsi che non fosse morta di infarto prima che lui le desse il colpo di grazia. A giudicare dall'angolazione della corda rispetto al collo, non aveva perso conoscenza tanto in fretta, ma doveva avere agonizzato a lungo, non riuscendo a respirare perché la corda sotto il mento le bloccava le vie aeree. Per perdere i sensi a causa della mancanza di ossigeno ci possono volere alcuni minuti, che di sicuro le erano sembrati eterni. Avrebbe scalciato come una pazza, se l'assassino non le avesse legato le caviglie. Magari l'aveva fatto proprio per quello: forse, dopo Terri Bridges, aveva migliorato la tecnica, rendendosi conto che non gli conveniva lasciar scalciare le vittime. Kay non notò segni di colluttazione, a parte un livido e un'escoriazione sullo stinco sinistro che sembravano molto recenti. «Dunque pensi che fosse ancora viva quando l'ha appesa alla catena» disse la Berger. «Credo che l'abbia legata, le abbia tagliato i vestiti, l'abbia messa nella vasca e poi le abbia passato il cappio intorno al collo e l'abbia tirata su, in modo che il peso del corpo facesse stringere il nodo scorsoio e le comprimesse la trachea» spiegò Kay. «Non poteva dibattersi più di tanto, essendo legata. Ed era minuta: un metro e cinquantadue per quarantasette chili circa. Una facile preda.» «Non era seduta su una sedia, quindi non è stata costretta a guardarsi allo specchio.» «Non credo. Il motivo bisognerà chiederlo a Benton. Ammesso che si tratti dello stesso assassino.» 440
Kay continuava a scattare fotografie. Era importante immortalare ogni dettaglio prima di toccare qualcosa. «Hai dei dubbi?» le chiese Jaime. «Quello che penso ha un'importanza relativa» rispose. «Cerco di essere obiettiva. Ti dico solo quanto mi suggerisce il cadavere, e cioè che ci sono parecchie similitudini tra questo omicidio e quello di Terri.» L'otturatore si aprì e il flash scattò. Jaime si spostò da una parte e, continuando a guardare con le mani dietro la schiena, disse: «Marino è in soggiorno con Lucy. Secondo lei, la vittima aveva a che fare con Gotham Gotcha». «Far collassare il sito non è stato un buon modo di affrontare il problema» rispose Kay senza voltarsi. «Spero proprio che tu riesca a farglielo capire. A me non sempre da ascolto». «Ha accennato a una foto di Marilyn Monroe all'obitorio.» «Non è stata una buona idea» ribadì Kay rivolta al flash della macchina fotografica. «Avrei preferito che non lo facesse.» Il cadavere ruotò lentamente, il cordone si attorcigliò e poi si svolse. Eva Peebles aveva lo sguardo spento, gli occhi azzurri aperti, il viso magro e rugoso. Alcuni ciuffi di capelli bianchissimi erano rimasti impigliati nel cappio. L'unico gioiello che indossava era una catenina d'oro intorno alla caviglia sinistra. Proprio come Terri Bridges. «Ha ammesso di essere stata lei?» chiese Kay. «O ci siamo arrivati per esclusione?» «Con me non ha ammesso niente. E preferirei continuare a non sapere.» 441
«Anch'io preferirei che non te ne parlasse» commentò Kay. «Io invece avrei molto da dirle, senza per questo metterla nei guai» replicò Jaime. «Ma capisco benissimo cosa intendi.» Kay esaminò il pavimento di piastrelle bianche e nere prima di entrare nel bagno con i piedi avvolti nelle soprascarpe di carta. Posò un termometro sull'orlo del lavabo e mise l'altro sotto l'ascella sinistra di Eva Peebles. «A quanto ho capito, il virus che ha mandato in crash il sito le ha dato la possibilità di entrarci illegalmente. Da lì, è riuscita ad accedere alla posta elettronica della Peebles, non chiedermi come. Ha trovato una cartella che contiene praticamente tutti gli articoli pubblicati su Gotham Gotcha, compresi i due di oggi, e la foto di Marilyn Monroe, che a quanto pare Eva Peebles aveva aperto. In altre parole, sembra che non abbia scritto lei gli articoli» disse la Berger indicando la vittima. «Pare che le siano stati inviati per posta elettronica da indirizzi IP anonimi. Dato che è morta e il suo omicidio potrebbe essere collegato alle email, non avremo problemi a farci dire dal provider a chi è intestato l'account.» Kay le diede un taccuino e una penna. «Vuoi farmi da assistente?» le chiese. «Temperatura ambiente: quattordici gradi. Temperatura corporea: trentuno virgola sette. Non è un dato molto significativo, considerato che è magra, nuda e la temperatura della stanza è in diminuzione. Non c'è ancora rigor mortis, ma è normale: il raffreddamento ne rallenta la comparsa; e comunque la telefonata al 911 è stata fatta... a che ora, esattamente?» 442
«Alle venti e quarantanove.» Jaime intanto prendeva appunti. «Però non sappiamo con esattezza quando la Peebles è andata nel negozio di animali, solo che c'è stata più o meno un'ora prima di chiamare la polizia.» «Vorrei sentire la registrazione» disse Kay. Mise le mani sui fianchi del cadavere per fermare l'oscillazione. Lo esaminò da vicino, con l'aiuto della torcia, e notò un residuo gelatinoso nella zona genitale. «Ha detto di essere convinta di avere incontrato Jake Loudin. Se davvero è stato lui l'ultima persona a vederla viva...» «Questo non abbiamo modo di appurarlo. Sappiamo piuttosto se Jake Loudin e Terri Bridges si conoscevano?» «Può darsi, ma non è escluso che si tratti solo di una coincidenza.» Jaime le raccontò del colloquio di Eva Peebles con Marino e le riferì la storia del cucciolo che Terri le aveva portato perché lei non voleva tenerlo. Le spiegò che non era chiaro chi avesse regalato il Boston terrier a Terri; poteva essere stato Oscar, ma anche qualcun altro. Forse proveniva da uno dei negozi di Jake Loudin, ma era difficile, se non addirittura impossibile, da provare. «È sconvolto, poveretto» disse Jaime riferendosi a Marino. «È l'incubo peggiore di tutti i poliziotti: parli con un testimone e dopo un po’ quello viene ammazzato. Non puoi impedirti di pensare che avresti potuto fare qualcosa per evitarlo.» Continuando a tenere fermo il cadavere, Kay si chinò a guardare più attentamente i grumi di sostanza gelatinosa appiccicati ai peli pubici grigi e alle grandi labbra. Non voleva chiudere la finestra finché la 443
Scientifica non avesse analizzato la scena del crimine con tutti i mezzi che riteneva più opportuni. «È una crema lubrificante» concluse. «Puoi chiedere a Lucy se il suo aereo è già decollato dal LaGuardia?» Erano a tre stanze l'una dall'altra, ma Jaime le telefonò. «La sfortuna in questo caso gioca a nostro favore. Dì ai piloti di aspettare. Abbiamo un'altra cosa da mandare laggiù... Bene. Grazie.» Terminata la conversazione, la Berger disse a Kay: «Vento forte: sono ancora a terra». Le orme sul coperchio del water nel bagno di Eva Peebles combaciavano esattamente con il disegno delle suole delle scarpe che Oscar Bane indossava la sera prima, quando sosteneva di avere trovato Terri morta. Ancora più incriminanti erano le impronte digitali sul lampadario che l'assassino aveva staccato dal soffitto e posato nella vasca, inequivocabilmente di Bane. Poco dopo mezzanotte fu spiccato un mandato di arresto nei suoi confronti e venne diramata una segnalazione alle forze dell'ordine di tutto il paese via radio e via Internet. Il Nano Assassino ora veniva definito "mostro" ed era ricercato dalla polizia in tutti gli Stati Uniti. Morales aveva allertato anche l'Interpol, nell'eventualità che Bane fosse riuscito in qualche modo a sfuggire ai controlli di sicurezza aeroportuali o di confine e a lasciare il paese. I presunti avvistamenti abbondavano, al punto che nell'ultima edizione del telegiornale, alle tre di notte, venne annunciato che molti nani, soprattutto giovani uomini, evitavano di uscire di casa per timore di essere molestati o peggio. 444
Ormai erano quasi le cinque di mercoledì mattina e Kay, Benton, Morales, Lucy, Marino e l'agente di Baltimora che si faceva chiamare per cognome, Bacardi, si trovavano nel salotto dell'attico di Jaime Berger da circa quattro ore. Sul tavolo basso c'erano foto e dossier, tazze di caffè e contenitori di un vicino take away aperto anche di notte. Tutti avevano un portatile davanti e, mentre digitavano e scorrevano file, discutevano fra loro. Lucy era seduta a gambe incrociate in un angolo del divano con il MacBook in grembo e ogni tanto alzava gli occhi verso Morales, chiedendosi se l'intuizione che aveva avuto fosse corretta. Una bottiglia di whisky irlandese Knappogue Castle e una di Brora di puro malto erano ben visibili dietro l'anta di cristallo del mobile bar della Berger. Lucy le aveva notate subito e Morales, che se n'era accorto, era andato a guardarle. "La ragazza ha i miei stessi gusti" aveva decretato. L'aveva detto in un modo che a Lucy aveva dato fastidio, una sensazione di cui non riusciva a liberarsi, e da quel momento in poi aveva fatto molta fatica a concentrarsi. Jaime era seduta accanto a lei nel loft quando avevano letto la presunta intervista in cui Kay raccontava a Terri che beveva liquori più cari dei suoi libri universitari. Perché non aveva fatto commenti? Come si spiegava che avesse quegli stessi whisky, rari e costosi, nel proprio bar e fosse stata zitta? Era Jaime a bere quei liquori, non Kay. Ma con chi? Era quello il pensiero, ancora più inquietante, che aveva turbato Lucy quando Morales l'aveva raggiunta davanti al mobile bar e le aveva fatto un sorrisetto sarcastico. Da allora in poi, ogni volta che la guardava, 445
ostentava un'aria compiaciuta, come se avesse vinto una gara di cui lei era all'oscuro. L'agente Bacardi e Kay stavano discutendo ormai da un po'. «No, no, no! Non è possibile che Oscar Bane abbia ucciso anche i miei due» diceva la Bacardi scuotendo la testa. «Spero di non offendere nessuno se lo chiamo "nano", ma sono abituata a essere schietta. Tanto più che non sono molto alta nemmeno io. Dalle mie parti ce ne freghiamo del politically correct. A me, mi definiscono "tappa". E poi sono una della vecchia guardia: non posso imparare giochetti nuovi alla mia età, me la cavo a malapena con quelli che già conosco.» Non era molto alta, ma neppure così bassa da essere sfottuta per questo. Lucy in vita sua aveva incontrato un sacco di donne come lei, intorno al metro e cinquanta, quasi tutte in sella a una Harley; si ostinavano a comprarsi le moto più grandi in commercio, quattrocento chili di metallo, benché a stento arrivassero a toccare terra con i piedi. Nelle sue prime mansioni presso il dipartimento di polizia di Baltimora, la Bacardi era stata un'agente motorizzata e la sua faccia ne era la prova: aveva la pelle consumata dal sole e dal vento, strizzava continuamente gli occhi ed era spesso accigliata. Aveva i capelli corti rossi, tinti, e gli occhi di un azzurro intenso. Era robusta ma non grassa e probabilmente si sentiva elegante in pantaloni di pelle marroni, stivaletti da cowboy e maglia scollata che mostrava una piccola farfalla tatuata sul seno sinistro e un generoso décolleté ogni volta che si chinava a prendere qualcosa dalla ventiquattrore sul pavimento. 446
A modo suo era una donna sexy. Spigliata, parlava con un forte accento dell'Alabama e non aveva paura di niente e di nessuno. Marino non le aveva tolto gli occhi di dosso da quando era entrata con tre scatole di documenti relativi agli omicidi commessi cinque anni prima a Baltimora e a Greenwich. «Non sto cercando di convincerti che una persona affetta da ipostaturalità possa o non possa fare certe cose» replicò Kay. A differenza della maggior parte della gente, Kay era abbastanza educata da smettere di scrivere e staccare gli occhi dallo schermo del computer ogni volta che parlava con qualcuno. «Però non può essere stato lui» ribadì la Bacardi. «Non voglio interrompervi ogni due minuti, ma ho dovuto dirlo, perché voglio che ne teniate conto. Capito?» Si guardò intorno. «Capito» si rispose da sola. «La mia ragazza, Bethany, era quasi un metro e ottanta. Quindi è impossibile che uno alto un metro e venti possa averla garrotata, a meno che non fosse lunga distesa.» «Ho solo voluto chiarire che è stata garrotata. Lo affermo sulla base dei referti delle autopsie e delle foto che mi hai mostrato» replicò Kay. «L'angolazione dei segni sul collo, il fatto che ce ne sia più di uno eccetera eccetera. Non ho detto che è stato lui...» «Io invece sto cercando di capire chi è stato. Bethany non ha scalciato né lottato, oppure ha opposto resistenza ma per qualche strano caso non ha riportato lividi e ferite. Vi dico che dietro di lei c'era una persona di altezza normale e che entrambi stavano in piedi. Secondo me, lui l'ha violentata da dietro mentre la garrotava, perché lo eccitava. E lo 447
stesso è successo con Rodrick. Il ragazzo era in piedi e l'assassino era dietro di lui. In entrambe le situazioni, il vantaggio che aveva quel bastardo è che era abbastanza grosso da ridurli all'impotenza. Li ha intimiditi e poi gli ha legato i polsi dietro la schiena. Non sembra affatto che abbiano lottato.» «Sto cercando di ricordare quanto era alto Rodrick» intervenne Benton. Aveva i capelli spettinati e la barba lunga, che a Lucy sembrava spolverata di sale. Era reduce da due notti in bianco, e si vedeva. «Un metro e cinquantacinque» rispose la Bacardi. «E pesava sessantun chili. Non molto forte, tutt'altro che un lottatore.» «Possiamo affermare che le vittime hanno tutte una cosa in comune» osservò Benton. «Per lo meno tutte quelle di cui siamo a conoscenza. Erano vulnerabili: deboli o svantaggiate.» «Sempre che l'assassino non sia Oscar Bane» ricordò Jaime ai presenti. «In quel caso, la situazione sarebbe completamente diversa. Per quanto tu possa essere magro e drogato, non sei in posizione di svantaggio se ad aggredirti è uno alto solo un metro e venti. E, mi dispiace ripetermi, ma non vedo un'altra spiegazione logica per le impronte digitali di Bane nel bagno di Eva Peebles. E per quelle delle Brooks Ariel da donna. Guarda caso, Oscar Bane porta proprio quel modello, e le orme combaciano.» «Per non parlare del fatto che è sparito» intervenne Marino. «Saprà senz'altro di essere ricercato e ha scelto di darsi alla macchia, anziché presentarsi alla polizia. Sarebbe nel suo interesse farlo: almeno si sentirebbe al sicuro.» 448
«Stiamo parlando di un soggetto profondamente paranoico» intervenne Benton. «Nulla al mondo può convincerlo che presentarsi alla polizia sia la cosa più sicura da fare.» «Non è detto» mormorò Jaime guardando Kay. Lei stava osservando le foto dell'autopsia e non notò l'occhiata eloquente della Berger. «Non credo che si costituirebbe, nemmeno se glielo chiedesse lei» replicò Benton come se le avesse letto nel pensiero. Lucy pensò che Jaime avesse in mente di suggerire a Kay di rivolgere un appello a Oscar Bane. «Non so come potremmo fargli arrivare il messaggio, a meno che Kay non lo chiami a casa. Nel caso sia curioso e ascolti la segreteria telefonica» fece notare Morales. «È escluso» disse Benton. «Prova per un attimo a metterti nei panni di Oscar Bane, a riflettere con la sua testa. Di chi può volere notizie, ora che è morta l'unica persona per cui davvero provava interesse, la sola di cui si fidava? Non so quanto faccia assegnamento su Kay, a questo punto. In ogni caso, non credo che controlli la segreteria telefonica. È convinto di essere spiato, monitorato; perciò secondo me si nasconde. L'ultima cosa che farà sarà rischiare di finire di nuovo nel mirino del nemico.» «Kay potrebbe scrivergli» suggerì Morales. «Mandargli un'email, da Scarpetta612. Bane è convinto che sia il suo indirizzo di posta elettronica.» Lanciò un'occhiata a Kay, che aveva alzato la testa per guardarli e li ascoltava discutere le varie strategie su come lei avrebbe dovuto convincere Oscar Bane a presentarsi alla polizia. Dalla sua espressione Lucy 449
intuì che non aveva alcuna intenzione di fare da esca. Volendo, avrebbe potuto: non era più legata al segreto professionale. Bane era ricercato dalla polizia. C'era un mandato di arresto nei suoi confronti e, se non fosse accaduto un miracolo, una volta catturato sarebbe stato processato e condannato. Lucy preferiva non pensare a quello che gli sarebbe capitato in prigione. «Secondo me, immagina che siamo entrati nella sua posta elettronica e non si collegherà al suo account» disse Kay. «A meno che non sia stupido, disperato o fuori di testa. Sono d'accordo con Benton. Volete un consiglio? Difficilmente penserà di essere controllato anche tramite la TV, per cui guarderà i notiziari». «Potresti fare un appello sulla CNN» propose Jaime. «Idea geniale» approvò Morales. «Vai alla CNN e chiedi a Oscar Bane che per favore si costituisca. Perché, date le circostanze, è la cosa migliore che può fare nella sua vita insulsa.» «Suggeriscigli di chiamare il più vicino ufficio dell" FBI» disse Benton. «Così non rischia di cadere nelle mani di qualche sceriffo di campagna che non è al corrente dei fatti. Dipende da dove si trova.» «Se si rivolge all" FBI, i federali si prenderanno tutto il merito» commentò Morales. «Chi se ne frega di chi si prende il merito» ribatté Marino. «Benton ha ragione.» «Sì» convenne l'agente Bacardi. «Dovrebbe chiamare l’FBI.» «Apprezzo molto che abbiate deciso per me» disse Jaime. «E devo ammettere che sono d'accordo. Non possiamo rischiare che Bane finisca nelle mani sbagliate. Anche nel caso in cui abbia lasciato gli Stati 450
Uniti, può comunque chiamare l’FBI. È irrilevante chi lo catturi, basta che lo riporti qui.» Guardò negli occhi Morales e aggiunse: «Se qualcun altro si prende il merito, non ha importanza». Morales ricambiò il suo sguardo, poi ammiccò a Lucy. Quel bastardo figlio di puttana... «Non ho intenzione di andare alla CNN a chiedere a Bane di costituirsi. Mi dispiace, ma queste cose non le faccio. Non prendo le parti di nessuno» dichiarò Kay. «È uno scherzo, vero?» ribatté Morales. «Stai dicendo che non hai intenzione di arrestare un assassino? Miss CNN cattura sempre il colpevole. Non vorrai mica rovinarti la reputazione per un nano?» «Quello che vuol dire Kay è che lei è sopra le parti: rappresenta le vittime» spiegò Benton. «Legalmente, è vero» osservò Jaime. «Kay non lavora né per me né per la difesa.» «Se avete finito di parlare per me e non ci sono altre domande, vorrei andarmene a casa» disse Kay alzandosi, sempre più arrabbiata. Lucy cercò di ricordare l'ultima volta in cui aveva visto sua zia così furibonda, soprattutto in presenza di altre persone. Non era da lei. «A che ora è fissata l'autopsia di Eva Peebles? E non sto chiedendo quando la dottoressa Lester ha detto che avrebbe cominciato, ma a che ora si farà effettivamente. Perché non ho nessuna intenzione di aspettare. E purtroppo non posso iniziare senza di lei.» Guardò dritto negli occhi Morales, che aveva chiamato la dottoressa Lester dalla scena del crimine. «Non posso intervenire» replicò Jaime. «Non conviene che chiami il direttore dell'Istituto di 451
medicina legale. Spero che mi capiate: mi considerano già una grandissima rompiscatole.» «Perché lo sei» commentò Morales. «"Jaime la Rompiscatole." Ti chiamano tutti così.» Lei non gli badò. Si alzò, guardò il suo preziosissimo orologio e chiese, rivolta a Morales: «E alle sette, vero?». «Così ha detto la Lester.» «Dato che siete culo e camicia, ti dispiacerebbe controllare e fare in modo che inizi davvero alle sette, in modo che Kay non si precipiti là in taxi dopo una notte in bianco per poi aspettare chissà quanto?» «Sai una cosa? La vado a prendere io. Che ne dici?» propose Morales guardando Kay. «E ti chiamo quando siamo per strada. Anzi, già che ci sono passo a prendere anche te.» «È l'idea migliore che ti sia venuta da un bel po’ di tempo a questa parte» disse Jaime. «Grazie, ma ci vado per conto mio. Però telefonami quando siete per strada, per favore» annunciò Kay. Jaime tornò in salotto dopo avere accompagnato Kay e Benton alla porta, e Marino le chiese dell'altro caffè. Lucy seguì Jaime nella spaziosa cucina in acciaio, legno di castagno e marmo, perché voleva dirle una cosa. Era importante: dalla risposta dipendeva il loro futuro. «Te ne vai?» le domandò Jaime in tono più intimo, guardandola negli occhi, mentre apriva un pacco di caffè. «Quelle bottiglie di whisky che tieni nel mobile bar» disse Lucy, sciacquando la brocca del caffè e riempiendola d'acqua. «Quali bottiglie?» 452
«Lo sai benissimo.» Jaime prese la brocca e la mise nella macchina. «Ne vuoi un bicchiere? Non mi sembravi il tipo.» «Non sto scherzando, Jaime.» Jaime accese la macchina del caffè e si appoggiò al bancone. Sembrava che davvero non sapesse di cosa Lucy stesse parlando, ma lei non le credeva. Le spiegò che si riferiva al whisky irlandese e allo scotch nel mobile bar. «Sono sullo scaffale in alto, dietro l'anta di cristallo» disse Lucy. «Non puoi non averli visti.» «Li colleziona Greg» rispose Jaime. «Non ci ho mai fatto caso.» «Come sarebbe "li colleziona"? Credevo non abitasse più qui» ribatté Lucy sentendosi sempre peggio. Le sembrava di non essere mai stata così male. «Voglio dire che li ha comprati lui» spiegò Jaime con la solita calma. «Se apri gli armadietti, trovi un capitale in whisky speciali di tutti i tipi. Non me ne sono mai preoccupata, perché non ne bevo. Non li ho mai bevuti.» «Davvero?» chiese Lucy. «Allora come mai Morales sa che li tieni in casa?» «Stupidaggini. Non è né il luogo né il momento per discutere di queste sciocchezze» replicò Jaime a voce bassissima. «Lascia perdere, per favore.» «Li ha guardati con l'aria di chi la sa lunga. Era già stato qui, prima di stanotte?» insistette Lucy. «Forse i pettegolezzi sulla Tavern on the Green non sono del tutto infondati.» «Non sono tenuta a risponderti e non ho intenzione di farlo. A parte che non potrei, neanche se volessi» 453
commentò Jaime tranquillamente, quasi con gentilezza. «Ti spiace chiedere chi vuole il caffè e come?» Lucy uscì dalla cucina e non domandò niente a nessuno. Staccò il cavo dalla presa, se lo avvolse intorno alla mano, lo infilò in una tasca della borsa di nylon e mise via il MacBook. «Devo tornare in ufficio» annunciò mentre Jaime arrivava dalla cucina. Jaime offrì agli altri il caffè, come se non fosse successo niente. «Non abbiamo ascoltato la registrazione del 911» osservò la Bacardi di punto in bianco. «Mi farebbe piacere sentirla. Non so voi.» «Sì, anche a me» convenne Marino. «A me non serve» replicò Lucy. «Se volete che l'ascolti, mandatemi il file audio. Mi farò viva se avrò nuove informazioni. Non c'è bisogno che mi accompagni» aggiunse rivolta a Jaime, senza guardarla in faccia. «Poveri portieri» disse Kay. «Credo di averli spaventati più del solito.» Ogni volta che lei e Benton varcavano l'ingresso del loro lussuoso condominio, nel vedere la sua valigetta i portieri indietreggiavano. Ma quella mattina all'alba ebbero una reazione ancora più eclatante. I media avevano diffuso la notizia che un temibile serial killer stava terrorizzando l'East Side di New York e forse aveva fatto altre vittime anche anni prima, nel Maryland e nel Connecticut. Inoltre, Benton e Kay Scarpetta avevano un'aria spaventosa. Salirono in ascensore fino al trentaduesimo piano. Appena entrati in casa, iniziarono a spogliarsi. «Preferirei che non ci andassi» disse Benton. Si levò la cravatta e la giacca, dopo avere appoggiato il 454
cappotto sulla sedia. «Hai i tamponi, sai com'è stata uccisa... Perché?» «Spero che almeno per una volta oggi sarò trattata come una persona in grado di ragionare autonomamente, seppure non come un tempo» rispose Kay. Infilò la giacca del tailleur e la camicia nel contenitore accanto alla porta, dove mettevano gli indumenti da disinfettare. Per loro era un gesto normale e solo di tanto in tanto Kay si rendeva conto di quanto sarebbe sembrato strano a qualcuno che li avesse osservati dalla finestra, magari con un telescopio. Poi le venne in mente il nuovo elicottero di cui si era dotato il dipartimento di polizia di New York. Gliene aveva parlato Lucy: era munito di una telecamera in grado di riconoscere le facce a quattro o cinque chilometri di distanza. Abbassò la cerniera dei pantaloni e se li tolse, poi afferrò il telecomando dal tavolino di Stickley nel soggiorno, pieno di mobili dello stesso designer e di quadri a olio del pittore pellerossa Poteet Victory, e abbassò le tapparelle automatiche. Si sentiva come Oscar Bane, ossessionata dal desiderio di nascondersi da tutti. «Non so se sei d'accordo con me» disse a Benton. Erano entrambi in mutande e avevano le scarpe in mano. «Bè, siamo fatti così. Sei felice? Ecco chi hai sposato: una donna che, a causa dei posti che frequenta, si deve cambiare ogni volta che entra in casa.» Benton la prese tra le braccia e affondò il viso nei suoi capelli. «Non sei così male...» 455
«Non so bene come interpretare questa tua affermazione...» «Sì, sono d'accordo con te. Cioè, se non fosse...» Allungò il braccio sinistro, continuando a tenerla stretta, e guardò l'orologio. «Sono le sei e un quarto. Merda. Fra poco dovrai uscire di nuovo. Su questo non sono d'accordo, no. Non capisco che bisogno c'è di andare a tenere la manina alla Lester. Spero che venga una tempesta di neve, così dovrai restare qui. Vedi il tuo quadro preferito laggiù, Mister Victory" s Balancing Elements? Pregherò il Grande Spirito perché gli elementi siano in equilibrio e tu rimanga a casa a fare la doccia con me. Potremmo lavarci le scarpe, come facevamo una volta dopo essere stati sulla scena di un crimine. E poi, come allora...» «Cosa ti prende?» «Niente.» «Quindi sei d'accordo con me che non devo andare in TV. E sì, dai, prega: non ho voglia di tenere la manina alla Lester. Quello che hai detto è vero: so cosa è successo a Eva Peebles. Me lo ha rivelato lei stessa nel bagno di casa sua. Non ho bisogno di discuterne con la Lester, che non ascolta e non ha la mente aperta come l'aveva Eva Peebles. Sono stanca e stressata, e si vede. Sono anche arrabbiata. Scusami.» «Non con me, però» «No, non con te.» Benton le accarezzò il viso, i capelli, e la guardò negli occhi come se cercasse qualcosa che aveva perduto o creduto di poter perdere. «Non è una questione di protocollo, o di prendere le parti degli uni o degli altri» osservò. «Il problema è Oscar Bane, e 456
tutte le vittime di violenza e brutalità. Quando non si è sicuri di chi stia facendo cosa, o come, o perché, è meglio restare dietro le quinte. Per te rappresenta un'ottima occasione per tenerti alla larga dalla Lester e continuare per la tua strada senza dare nell'occhio. Cristo!» sbottò all'improvviso. Si avvicinò al contenitore dei vestiti da disinfettare e tirò fuori i pantaloni. Infilò la mano nella tasca ed estrasse la chiavetta USB ancora avvolta nei guanti viola. «Ecco. Questa è importante. Forse il Grande Spirito ha appena ascoltato la mia preghiera.» Squillò il cellulare di Kay. In linea c'era il dottor Kiselstein dell'Y-12. Senza lasciargli il tempo di aprire bocca, Kay disse: «Lucy mi ha riferito che è arrivato tutto. Mi scuso mille volte. Spero che tu non abbia dovuto aspettare. Non so neanche dove». La voce del dottor Kiselstein le rispose nell'auricolare, con il suo accento tedesco: «Dato che solitamente i campioni non arrivano a bordo di un jet privato, mi sono concesso di andare a ritirare il pacco ascoltando musica con l'iPod che mia moglie mi ha regalato per Natale. È così piccolo che posso portarlo come fermacravatta. Nessun disturbo. Conosco bene la McGheeTyson, la base aerea della Guardia Nazionale; solo che, come ti ho detto, di solito non aspettiamo jet di milionari. In genere lì atterrano C130 o altri aerei cargo che ci portano da Langley oggetti di cui la NASA non vuole ammettere l'esistenza. Tipo scudi termici difettosi o prototipi. Questi ultimi mi piacciono molto di più perché so che non possono avere provocato qualche disastro. Quando si tratta di 457
strane consegne da parte tua, invece, vuol sempre dire che è successo qualcosa di brutto. Comunque, ho già qualche risultato, ed è molto presto, mi rendo conto. Non è il rapporto ufficiale: per quello ci vorrà un po'». Benton, stanco di aspettare, le accarezzò una guancia e andò a farsi la doccia. «La sostanza di base è una crema mista a sangue, forse sudore e sali d'argento, e ci sono anche fibre di legno e cotone» spiegò Kiselstein. Kay si avvicinò al divano, prese una penna e un taccuino dal cassetto del tavolo e si sedette. «Più precisamente, nitrato d'argento e nitrato di potassio. Oltre a carbonio e ossigeno, come prevedibile. Ti sto inviando per email delle immagini in vari ingrandimenti, fino a 1000 x. Il sangue si vede anche a 50 x, e le aree ricche d'argento sono molto luminose a causa dell'alto numero atomico. C'è nitrato d'argento anche nel legno: piccole macchie biancastre, ricche d'argento, distribuite uniformemente sulla superficie.» «È interessante che siano localizzate in maniera omogenea» osservò Kay. «Anche nelle fibre di cotone?» «Sì. Ma per vederle occorre un ingrandimento maggiore.» La distribuzione omogenea faceva pensare a qualcosa di strutturale, mentre quella disomogenea suggeriva una contaminazione. Se l'ipotesi di Kay era corretta, molto probabilmente avevano a che fare con entrambi i fenomeni. «Ci sono cellule cutanee?» gli chiese. 458
«Sì, certo. Siamo ancora in laboratorio. Ci serviranno forse un paio di giorni. Qui non dormiamo mai. L'analisi è complessa perché hai mandato parecchi campioni. Ti ho chiamato per due in particolare, uno relativo a un caso e uno all'altro: la sedia e un tampone. È possibile che le fibre di cotone e di legno provengano dai tamponi che hai usato sul cadavere, ma non è certo. Io non sono in grado di appurarlo. Nel caso della sedia, però, è da escludere. Non hai fatto tamponi al cuscino della sedia, no?» «No. Non l'ho toccato.» «Allora è certo che le fibre di cotone e di legno nel cuscino della sedia hanno un'origine diversa. Potrebbero venire dalla crema, che è problematica: non essendo conduttiva, siamo costretti a usare una pressione variabile, che mantiene il vuoto necessario per il fascio di elettroni mentre il resto della camera viene riempito di aria secca filtrata. Abbiamo ridotto la dispersione del fascio minimizzando la distanza. Forse sto solo accampando scuse. Il fatto è che la crema è difficile da esaminare perché il fascio di elettroni la scioglie. Tutto diventerà più semplice quando sarà asciutta.» «Applicazioni di nitrato d'argento per cauterizzare la pelle, forse? È la prima cosa che mi viene in mente» disse Kay. «Potrebbe spiegare la presenza di sangue, sudore e cellule cutanee. E il miscuglio di diversi DNA, supposto che la crema di un barattolo sia stata usata da più persone. Non potrebbe provenire da un ambulatorio medico? Per esempio, di un dermatologo?» «Non ti chiederò su chi cadono i tuoi sospetti» replicò il dottor Kiselstein. 459
«Qualcos'altro di interessante riguardo alla sedia?» «La struttura è in ferro, con tracce d'oro nella vernice. Non c'era nessuno sopra, quando l'abbiamo esaminata. Non è mia competenza cercare di capire chi l'ha usata e perché.» Chiusero la comunicazione. Kay provò a mettersi in contatto con la dottoressa Elizabeth Stuart, ma trovò la segreteria a tutti i numeri che aveva. Non lasciò messaggi e rimase seduta sul divano a riflettere. Pensava che tra lei e Marino andasse tutto bene finché non decise di telefonargli e si accorse di non avere il suo numero di cellulare. Così compose quello di Jaime, la quale rispose come se sapesse chi la cercava e che si trattava di una chiamata personale. «Sono Kay.» «Oh. Sul display è comparso NUMERO PRIVATO. Non ero sicura.» Anche quando telefonava Lucy sul display appariva NUMERO PRIVATO. Kay ebbe la sensazione che fra loro ci fosse qualcosa che non andava: la nipote era stata mogia per tutta la riunione. Lei non aveva provato a chiamarla, perché pensava che fosse ancora con Jaime. Ma forse non era così. «Poco fa ha telefonato Morales» continuò Jaime. «Dice che quando compone il tuo numero scatta subito la segreteria.» «Stavo parlando con l'Y-12. Non ce la faccio ad andare subito all'obitorio.» Le fece un breve resoconto. «Allora il denominatore comune è quello» concluse Jaime. «La dermatologa. Ci andava Terri e hai detto 460
che anche Bane è un cliente della Stuart. O almeno lo era.» Kay lo aveva rivelato nella riunione di poco prima, perché non era più legata al segreto professionale. Non sarebbe stato giusto tenere per sé quell'informazione, anche se non le aveva comunque fatto piacere parlarne. Dal punto di vista legale la situazione era cambiata, ma da quello personale no: quando Oscar Bane si era confidato con lei, in lacrime, non aveva messo in conto che sarebbe andata a riferire tutto a terzi, nonostante lo avesse avvertito ripetutamente e lo avesse incoraggiato ad affidarsi a un bravo avvocato. Si sentiva in conflitto. Era irritata con Bane perché si sentiva in dovere di essere all'altezza della fiducia che lui le accordava, ma anche perché avrebbe preferito che non confidasse tanto in lei. «Devo comunicare a Marino cos'hanno scoperto all'Y-12» disse. «Non so come rintracciarlo.» Jaime le diede due numeri e domandò: «Sai niente di Lucy?». «Pensavo che fosse da te» rispose Kay. «Se ne sono andati tutti mezz'ora fa. Lucy è uscita poco dopo di voi. Pensavo vi avesse raggiunto. C'era un po’ di attrito fra lei e Morales.» «È il genere di persona con cui mia nipote non va d'accordo.» Dopo un breve silenzio, Jaime commentò: «Perché ci sono cose che Lucy non capisce». Kay non replicò. «Invecchiando, ci rendiamo conto che non c'è niente di assoluto» aggiunse Jaime. «Che non c'è mai stato.» 461
Kay non aveva intenzione di darle corda. «D'accordo, non vuoi parlarne.» Jaime lo disse con calma, ma dal tono era chiaro che qualcosa non andava. Kay chiuse gli occhi e si passò le dita fra i capelli, in preda a un senso di impotenza. Non poteva cambiare le cose: provarci sarebbe stato stupido e sbagliato. «Forse, per farmi risparmiare un po’ di tempo» propose «potresti chiamare tu Lucy e raccontarle cosa dicono quelli dell'Y-12. Nel frattempo io cerco di rintracciare Marino. Quando le parli, prova una tattica diversa: sii sincera fino in fondo, anche se pensi che possa arrabbiarsi moltissimo o usare quello che dici contro di te. Illustrale i fatti, senza preoccuparti delle conseguenze. È dura per le persone come noi, lo so. Mi chiedo se la Bacardi... uffa, non riesco proprio ad abituarmi a questo nome... sappia se Bethany o Rodrick andassero da un dermatologo a Baltimora o a Greenwich, nel 2003. Leggendo il rapporto di polizia ho notato che il ragazzo prendeva l'Accutane contro l'acne.» «Ciò significa che era in cura da un dermatologo» osservò Jaime. «Spero proprio di sì. È un farmaco da non assumere alla leggera.» «Riferirò tutto a Lucy. Grazie.» «Mi fido di te. So che le dirai quello che ha bisogno di sentire.» Benton era uscito dalla doccia. Steso sul letto, avvolto nello spesso accappatoio, stava leggendo qualcosa sul suo computer portatile. Kay lo spostò e gli si sedette accanto. Notò che aveva inserito la chiavetta USB rossa. 462
«Non mi sono ancora lavata» gli disse. «Probabilmente puzzo di morte. Mi vorresti bene lo stesso, se dicessi una bugia?» «Dipende a chi.» «A un altro medico.» «Allora va bene. Comunque, se posso darti un consiglio, se proprio devi mentire a qualcuno, menti a un avvocato.» «Ho una laurea in legge e non amo le battute sugli avvocati» replicò lei con un sorriso. Gli passò le mani tra i capelli. Erano ancora umidi. «Mentirò in tua presenza, così mi sembrerà meno grave. Non vedo l'ora di fare la doccia e di lavarmi i denti. E queste...» Si era resa conto di avere ancora le scarpe sporche in una mano, mentre con l'altra gli accarezzava i capelli. «Credevo che mi aspettassi per fare la doccia» gli disse. «E che avremmo lavato insieme le scarpe.» «Pensavo di farmene un'altra» replicò Benton. «E le scarpe non le ho ancora lavate.» Kay si alzò dal letto e prese il telefono fisso. Non chiamò più la suite presidenziale e nemmeno il cellulare della dottoressa Stuart, ma la reception del St Regis. Disse che era della CNN e stava cercando di contattare la Stuart, ospite dell'hotel come dottoressa Oxford. «Attenda in linea, per favore.» Dopo un po’ le rispose la Stuart. Kay si presentò e la dermatologa replicò bruscamente: «Non parlo dei miei pazienti». «Neanch'io di solito parlo di altri medici alla CNN» la informò Kay. «Ma potrei fare un'eccezione.» «Cosa vorrebbe dire?» 463
«Quello che ho detto, dottoressa Stuart. Nelle ultime ventiquattr'ore uno dei suoi pazienti è stato assassinato e un secondo è accusato dell'omicidio. E forse anche di un altro, o più d'uno, ed è latitante. Poi c'è Eva Peebles, uccisa ieri sera. Non so se fosse sua paziente, ma ci sono indizi che mi fanno pensare che le convenga collaborare. Vuole un esempio? Mi chiedo se una certa signora di Palm Beach con una casa anche a New York possa essere una sua paziente.» Kay le fece il nome della donna paraplegica il cui DNA era stato trovato nella vagina di Terri Bridges. «Sa benissimo che non posso rivelare informazioni sui miei pazienti» ribadì la Suart. Dal tono, Kay capì che le stava confermando il suo sospetto. «So benissimo come funziona» replicò. Per sicurezza, aggiunse: «Mi dica solo "no" se non è sua paziente». «Non ho intenzione di dire no a niente.» Kay ricorse allo stesso stratagemma per Bethany e Rodrick, senza rivelare alla dottoressa Stuart perché voleva sapere se erano stati in cura da lei. Se li conosceva, sarebbe senz'altro stata già al corrente del fatto che erano stati assassinati. «Come può immaginare, ho molti pazienti nella zona di Greenwich, avendo un ambulatorio a White Plains» rispose la dottoressa Stuart. Kay si appoggiò a Benton e guardò cosa stava leggendo sul portatile. Sembravano sezioni di cartine topografiche, inviate a Oscar Bane per posta elettronica. «Non sto dicendo che le due persone che mi ha nominato siano mai state visitate nel mio ambulatorio» precisò la dermatologa. «Ma mi ricordo 464
della morte del ragazzo. Siamo rimasti tutti scioccati. Come lo siamo adesso, per quello che è successo a New York. Ho visto il telegiornale, ieri sera. Ma il motivo per cui mi ricordo di Greenwich è perché lì c'è un concessionario dell'Aston Martin...» «Bugatti» la corresse Kay. «Io sono cliente dell'Aston Martin, il cui concessionario è proprio di fianco a quello della Bugatti» puntualizzò la Stuart. «Mi ricordo del ragazzo perché conosco il posto dove è stato trovato il suo corpo. Ci passavo vicino quando andavo a portare la mia Aston Martin a fare la revisione. Mi è rimasto impresso, non so se mi spiego. Adesso non ho più quell'auto.» Voleva dire che né Rodrick né Bethany erano mai stati suoi pazienti e che si rammentava di quell'orribile omicidio a sfondo sessuale solo a causa di un'auto che non aveva più e che costava più di tante case. «C'è qualcuno che lavora per lei o in qualche modo ha a che fare con i suoi ambulatori a cui la polizia potrebbe essere interessata?» chiese Kay. «Anzi, lasci che riformuli la domanda in modo da facilitarle la risposta. Nei miei panni, lei cosa penserebbe?» «Penserei al personale. In particolare a quello part time.» «Per esempio?» «I tecnici, i tirocinanti, ma soprattutto chi si occupa dei lavori più umili, gente che va e viene. Stagionali, che lavorano solo durante le vacanze estive o la sera. Addetti alle pulizie, centralinisti. Mi viene in mente un tecnico veterinario. È uno che non ha mai creato problemi, ma lo conosco poco, non lavoro con lui 465
personalmente. Fa l'assistente ad altri medici. Ho quattro ambulatori e più di sessanta dipendenti.» «Un tecnico veterinario?» «Credo che sia quello il suo mestiere. So che ha rapporti con i negozi di animali, perché ha procurato dei cuccioli ad alcuni dei miei dipendenti. Sì, deve occuparsi degli animali nei negozi. Diciamo che preferisco non essere informata di cosa gli fa, esattamente. È un tipo strano: l'estate scorsa per il mio compleanno mi ha portato un cucciolo. Ha presente quei cani cinesi con la cresta, completamente glabri eccetto che sulla testa, sulla coda e sulle zampe? Doveva avere due mesi ed era deforme, sembrava avesse l'alopecia, tremava, tossiva... Era accompagnato da un biglietto in cui si diceva che così avrei potuto aprire una sezione veterinaria, o qualcosa del genere. Non l'ho trovato affatto spiritoso e gli ho ordinato di riportare indietro il cane. Un episodio molto sgradevole, le confesso.» «Gli ha mai chiesto che fine ha fatto quel cucciolo?» «Lo posso immaginare» rispose la dottoressa Stuart in tono sinistro. «Gli piace fare le iniezioni, mettiamola così» spiegò. «È molto bravo con gli aghi e a inserire le flebo. Senta, questa conversazione mi sta rendendo ansiosa. Si chiama Juan Amate.» «È il suo nome completo? Spesso gli ispanici hanno anche il cognome della madre.» «Non lo so. Lavora nel mio studio dell'Upper East Side da qualche anno. Tre o quattro, non so di preciso. Praticamente non lo conosco e non è autorizzato a entrare nel mio studio quando visito.» «Perché?» 466
«Bè, lei capisce, la maggior parte dei pazienti che visito personalmente sono VIP. Non mi faccio certo assistere da tecnici part time. Ad aiutarmi sono persone di fiducia, abituate a trattare con gente famosa. Non voglio che a prelevare il sangue a una star sia un tecnico part time.» «Ha visitato lei Terri Bridges e Oscar Bane, o erano in cura dai suoi collaboratori?» «Non c'è ragione perché li debba conoscere personalmente. Ho diversi pazienti affetti da nanismo, dato che l'obesità è molto comune tra loro e gli effetti collaterali delle diete sono problemi alla pelle: acne, rughe premature sul viso e sul collo... Se non si assume la giusta quantità di grassi, la pelle non trattiene l'umidità, e allora intervengono disidratazione e desquamazione.» La dottoressa Stuart non aveva visitato Terri e Oscar di persona: non erano abbastanza importanti. «Cos'altro mi può dire di Juan Amate?» chiese Kay. «Non lo sto incolpando di niente, dottoressa Stuart. Ma non voglio che ci siano altri morti o feriti. Sa dove abita?» «Non ne ho idea. Non credo sia benestante. Ha la pelle olivastra e i capelli neri. È ispanico. Parla spagnolo, che è utile, ma sa anche molto bene l'inglese. Nel mio studio è un requisito fondamentale.» «È cittadino americano?» «Credo di sì, però non sta a me controllare. Credo che la risposta più giusta sia: non lo so.» «Mi può dire qualcos'altro? Per esempio, ha idea di dove la polizia potrebbe trovarlo in questo momento per interrogarlo?» 467
«Assolutamente no. Non so altro. Posso solo ribadire che non mi è piaciuto quando mi ha regalato quel cucciolo. Ho avuto la sensazione che in quel gesto ci fosse un intento malvagio. Come se mi volesse prendere in giro. Si rende conto? Ha dato a me un cane orribile con problemi di pelle e di peli? Mi ha turbato, e ho anche fatto una brutta figura con il personale perché gli ho ordinato di portarlo via subito. Lui si lamentava che non sapeva cosa farne, come se avessi condannato a morte una povera creatura innocente... Mi ha fatto fare la figura di una persona senza cuore. Ho pensato di licenziarlo. Avrei dovuto.» Benton le aveva posato una mano sulla coscia nuda. Quando Kay chiuse la comunicazione, le mise il braccio intorno alle spalle e le mostrò quello che aveva visto mentre lei parlava al telefono. Decine e decine di mappe. «Sono track log. Vedi queste linee spesse, colorate di rosa scuro?» Ne seguì una che partiva da Amsterdam Avenue e arrivava fino all'Upper East Side, sulla Third Avenue. «Sono registrazioni di tracciato di un GPS.» «Simulate o reali?» chiese Kay. «A me sembrano reali. Direi che sono percorsi seguiti da Oscar. Ce ne sono centinaia. Ovunque lui andasse, veniva registrato.» Fece scorrere una decina di mappe. «La maggior parte ha inizio o termina a casa sua, in Amsterdam Avenue. Da quello che ho visto, sono relative a un periodo compreso fra il 10 ottobre scorso e il 3 dicembre.» «Il 3 dicembre» ripete Kay. «Lo stesso giorno in cui la mia foto con il camice insanguinato è stata 468
cancellata sia da Scarpetta612 sia dalla casella di posta elettronica di Terri.» «E in cui Oscar Bane ha chiamato la procura e ha parlato con Marino» aggiunse Benton. «Ma come è possibile? Girava con una specie di braccialetto dotato di un GPS o usava un palmare con GPS che registrava tutti i suoi movimenti e poi se li spediva via email? Per convincerci che veniva seguito, spiato?» «Hai visto la sua casa, Kay: Oscar Bane ci crede veramente. E se questi track log gli fossero stati mandati da qualcuno? Te lo immagini?» «No.» Benton fece scorrere altre mappe. Supermercati, varie palestre, negozi di articoli per ufficio e posti dove forse Bane passava soltanto senza entrare, come ristoranti e bar. «Come vedi, più passa il tempo, più irregolari e variabili diventano le sue destinazioni» disse Benton. «Cambia itinerario ogni giorno. I percorsi sono tutti diversi. Dal modo in cui procede, a zigzag, si capisce che è spaventato. Certo, potrebbe essere tutta una finta. Ma a me la sua paura sembra reale. La sua paranoia non è una messinscena, ne sono sicuro.» «Immagina che effetto farà questa cosa su una giuria» replicò Kay alzandosi. «Lo prenderanno per una versione cibernetica del professore matto, penseranno che abbia ideato questo piano diabolico per far credere di essere nel mirino di qualche organizzazione sovversiva, o di un gruppo di esaltati, o Dio sa cosa. Che registrasse tutti i suoi spostamenti con un GPS, che avesse installato dispositivi elettronici 469
in ogni angolo della casa, che li portasse anche addosso, li tenesse in macchina...» Finì di spogliarsi. Doveva fare la doccia e un sacco di altre cose. Benton la guardava intensamente e si alzò a sua volta. «Nessuno al mondo gli crederà» dichiarò Kay. Lui l'accarezzò e la baciò. «Ti aiuto a fare la doccia» disse e l'accompagnò verso il bagno. C'era un gran vento mentre Lucy, seduta sul tetto di cemento della palazzina di Terri Bridges, fotografava la videocamera installata sul piedistallo della parabola satellitare. Era un apparecchio di scarso valore, collegato alla rete wireless condominiale, a disposizione di tutti gli inquilini che volevano usufruirne. Ma ne aveva usufruito anche qualcun altro, Mike Morales, e non per quello che aveva voluto far credere. Lucy non aveva pensato di controllare prima, e adesso era furiosa con se stessa. Sapendo che alla rete era collegata un'altra periferica - la videocamera che Morales aveva ammesso di avere installato - non le era venuto in mente di accedere al log sul router. Non le era sembrato necessario controllare la pagina delle impostazioni. Se l'avesse fatto, avrebbe scoperto già la sera prima ciò di cui in quel momento era certa. Riprovò a mettersi in contatto con Marino. Nell'ultima mezz'ora aveva tentato di chiamare sia lui sia Jaime, ma aveva sempre trovato la segreteria. Non aveva lasciato messaggi. Era sconsigliabile lasciare messaggi di quel tenore. Stavolta Marino rispose, grazie al cielo. 470
«Sono io» disse Lucy. «Nella galleria del vento?» replicò lui. «Hai presente la videocamera con cui Morales stava armeggiando qui sul tetto, dove sono seduta adesso? Quando l'hai sorpreso, non la stava installando; probabilmente la stava smontando.» «Cosa? Io c'ero... Bè, sì, hai ragione. In realtà, non gli ho visto fare niente. Ho appena parlato con tua zia, ti ragguaglio brevemente. Tanto vi parlerete. Mi ha detto che una persona di nostra conoscenza è tenuta sotto controllo da un GPS. Forse l'assassino è un tecnico veterinario che lavora per la dottoressa Stuart. Per farla breve, Terri Bridges potrebbe averlo conosciuto nello studio della dermatologa. Un ispanico...» «Ascoltami, Marino! Questa maledetta videocamera è quassù da tre settimane e ha dei sensori di movimento! Ogni volta che registra qualcosa lo inoltra via email a qualcuno. E a questo qualcuno io sto per entrare nel computer, cazzo. Ho l'IP di Morales e anche il suo codice macchina. Che è lo stesso di Scarpetta612. Capisci cosa significa?» «Non sono mica ritardato, cazzo.» Proprio come ai vecchi tempi: quante volte le aveva risposto così nel corso degli anni? «Significa che chi ha installato questa videocamera e riceve le immagini via email è la stessa persona che scriveva a Terri Bridges spacciandosi per mia zia. Probabilmente con un palmare. Quel bastardo si piazzava vicino al John Jay e usava la rete wireless del college: per questo risaliamo a quell'indirizzo IP. Il codice macchina è lo stesso della periferica usata per spedire la foto a Terri, quella inviata dall'Internet point 471
vicino allo studio della dottoressa Stuart. È stato Morales a ordinare a Terri di cancellare quella foto il 3 dicembre...» «Perché?» «Sta giocando sporco, ecco perché. Probabilmente era nella sala autopsie quando è stata scattata la foto: sarà opera sua. E quella con Jaime alla Tavern on the Green se la sarà fatta fare da qualcuno per poi mandarla a Gotham Gotcha.» «Forse allora c'è lui dietro Gotham Gotcha.» «Non ne ho idea, ma è certo che Eva Peebles lavorava per Gotham Gotcha. Però dubito che ci saprebbe dire chi è il capo, se fosse ancora viva, poveretta. Non c'è niente nel suo computer da cui sia possibile identificarlo. Proprio ora sto inviando alcuni sniffer per cercare informazioni nelle connessioni. Quel bastardo di Morales! È probabile che sia lui il tecnico veterinario di origine ispanica. Pezzo di merda. Ora vado a casa sua.» Mentre parlava, Lucy armeggiava col suo MacBook per allacciarsi al sistema di Morales. Marino era stranamente silenzioso. «Ci sei ancora?» «Sì, ci sono.» «Mi spieghi per quale ragione un dannato poliziotto dovrebbe installare una videocamera tre settimane prima di un omicidio?» gli chiese. «Cristo santo. Ma perché avrebbe scritto quelle stronzate spacciandosi per Kay?» Lucy sentì una voce femminile in sottofondo: la Bacardi. «Perché non lo chiedi a lui?» continuò. «Probabilmente è stato Morales a suggerire a Terri la brillante idea di scrivere al sito del John Jay dicendo 472
che voleva mettersi in contatto con mia zia. Terri ha seguito il suo consiglio e, miracolo dei miracoli, Kay le ha risposto. È chiaro che Morales conosceva Terri, altrimenti non le avrebbe scritto delle email. Vedrai che è lui "sto cazzo di tecnico veterinario, e che si sono incontrati dalla dermatologa.» «Probabilmente è stato lui a regalarle il cucciolo malato. Spiritoso...» mormorò Marino. «Terri lo ha dato a Eva Peebles, il cucciolo è morto e poi è morta anche lei. Poveraccia, cos'avrà fatto per meritarsi quella fine? Chissà se era Morales il tuttofare di Terri, quello di cui parlava il padrone di casa. Si sarà proposto come un amico, uno a cui fare le confidenze, a cui chiedere un favore... Ci voleva lui per convincere una che stava prendendo il master in psicologia forense a scrivere al sito del John Jay, per fregare tutti. Ma perché ce l'ha tanto con tua zia?» «Perché lui è un medico fallito e Kay invece no. Non lo so. Per quale ragione la gente fa quello che fa?» «Non togliere la videocamera, mi raccomando. È meglio che non si accorga di niente.» «Certo» replicò Lucy. Una folata di vento la investì con violenza, come se volesse spingerla di sotto. «È probabile che fosse venuto quassù per smontarla. L'ultima cosa che si aspettava era che arrivassi tu dalla scala antincendio. Così, per pararsi il culo, ti ha raccontato che stava installando una videocamera di sorveglianza nel caso l'assassino fosse tornato sulla scena del crimine. Stronzate. Ho il log qui davanti, sullo schermo del computer: questa cazzo di videocamera ha inviato diecimila immagini nelle ultime tre settimane e continua a trasmettere tuttora. Dal tab status risulta che quel bastardo è collegato alla rete 473
anche in questo momento. Ti tranquillizzo subito: ho disattivato l'audio. Anche se non sentirebbe molto, con questo vento.» «Sei sicura?» chiese Marino. «Ci sono entrata. È una cosa assolutamente illegale» disse Lucy. «Oh, Dio!» esclamò, scioccata, mentre scorreva un elenco di file video. File video nell'account personale di Mike Morales. Il suo username era Forenxxx. Si fermò su un video registrato da una periferica diversa dalla videocamera sul tetto. Lo aprì e lo fece partire. «Oh, Cristo! Questo è della sera del 31. E non sono riprese dal tetto... L'ha girato in casa di Terri. Oh, merda. Oh, merda!» L'attico di Jaime Berger era su due piani. Le stanze da letto si trovavano di sopra. Nel salottino adiacente alla camera di Jaime, lei e Lucy guardavano il video dell'omicidio di Terri Bridges su un enorme schermo piatto al plasma. Era raccapricciante, quasi insopportabile, benché entrambe in vita loro avessero visto crudeli efferatezze. Sedute sul divano, tese, osservavano il viso di Terri riflesso nello specchio mentre due mani guantate la strangolavano da dietro con un laccio emostatico di gomma azzurra, come quelli che si usano per i prelievi di sangue. Sia la vittima sia il suo aggressore erano nudi. Terri aveva le mani legate dietro la schiena e scalciava disperatamente, mentre lui quasi la sollevava dalla sedia con lo schienale a forma di cuore, stringendo il laccio fino a farle perdere i sensi. Poi allentava la stretta e, appena lei si riprendeva, ricominciava daccapo. 474
Terri non parlava ed emetteva solo penosi rantoli, con gli occhi strabuzzati, la lingua di fuori e la saliva che le colava sul mento. Aveva impiegato esattamente ventiquattro minuti e mezzo a morire, perché tanto ci aveva messo il suo assassino per eiaculare e, ormai disinteressato, darle il colpo di grazia. Lo si vedeva gettare il preservativo nel gabinetto e tirare lo sciacquone. Poi spegneva la videocamera. «Fallo ripartire dall'inizio» propose Jaime. «Voglio sentire di nuovo cosa dicono quando lui la porta nel bagno. Ho la sensazione che fossero già stati a letto assieme. Magari dalle loro parole capiamo perché l'ha fatto. La premeditazione... Forse aveva un movente al di là delle sue ossessioni sessuali sadiche. Lei lo ha chiamato Juan oppure ho capito male?» «Ho il sospetto che Terri ci andasse a letto già prima di incontrare Oscar» replicò Lucy. «Lo deduco dall'intimità che c'è tra loro, dai commenti che fa lui. Si saranno conosciuti nello studio della Stuart circa due anni fa. Non mi importa se non abbiamo la certezza che si tratti di Juan Amate. Io so che è lui. Non può essere altrimenti. Secondo me, ha detto Juan. Comunque sono d'accordo, non si sente bene.» Premette il pulsante PLAY sul telecomando. Il filmato iniziava a metà frase con uno stacco sul mobile da toeletta e il viso terrorizzato di Terri riflesso nello specchio ovale. Dietro di lei c'era il corpo nudo di un uomo. Si muoveva, si metteva in posa davanti alla videocamera, la sistemava per avere la giusta angolazione e mostrava il pene eretto avvolto dal preservativo, puntato fra le scapole di Terri come se fosse una pistola. L'aggressore era visibile solo dalla vita in giù. 475
"Facciamo il solito, tesoro, ma un po’ più piccante" diceva l'assassino. "Non so" rispondeva Terri con voce tremante. Lui avvicinava allo specchio un bisturi e lo ruotava per far brillare la lama d'acciaio. Si sentiva un rumore di tessuto strappato: l'assassino tagliava la vestaglia e il reggiseno rosso. Era a balconcino e lasciava vedere i capezzoli. L'uomo faceva a brandelli anche gli slip rossi di pizzo. Spostava la videocamera sulla vestaglia rosa, sulle pantofole dello stesso colore e sul reggiseno che gettava nella vasca. La mano coperta dal guanto sventolava gli slip rossi davanti all'obiettivo. "Il mio vessillo" diceva con accento ispanico. "Me li metto in tasca così posso godermeli più tardi, giusto, piccolina?" "Non facciamolo. Non voglio." "Avresti dovuto pensarci prima di raccontare i nostri segreti al tuo amichetto." "Non gli ho detto niente. Sei stato tu a mandare le email. È così che è andata." "Hai combinato proprio un bel casino, sai? Come farai adesso? Ha telefonato in procura. Come cazzo facciamo ora? Mi fidavo di te. Ti ho fatto un favore. E tu sei andata a spifferarglielo." "Io non ho detto niente! E stato lui a parlarmene. Gli hai mandato le email, e alla fine me lo ha confidato. Stava diventando matto. Perché stai facendo questo?" Poi sembrava che dicesse "Juan". "Lo chiedi a me?" Il bisturi fendeva l'aria, sfiorandole la guancia, quindi si ritirava e spariva. "No." "Allora, chi è il tuo uomo? Il piccoletto o io?" 476
"Tu" rispondeva Terri con la faccia terrorizzata mentre lui le strizzava con violenza i capezzoli. "Non è vero! Altrimenti non avresti vuotato il sacco." "Non gli ho detto niente, te lo giuro. L'ha scoperto dalle email, dalle mappe che gli hai mandato. Me l'ha confidato lui. L'hai spaventato." "Ma dai!" esclamava lui strizzandole i capezzoli con più forza. "Sono stufo di sentire bugie. E adesso devo trovare il modo di levargli quella cosa dal culo, prima che gliela trovi qualcun altro." Lucy mise in pausa e l'immagine un po’ sfocata si fermò sul viso di Terri con gli occhi sbarrati che parlava, mentre le mani dell'assassino riflesse nello specchio le strizzavano i capezzoli. «Qui» disse Lucy. «Il modo in cui lo dice. Allude forse al fatto che ucciderà Oscar? E cosa vuole levargli dal culo?» «Mi stavo chiedendo la stessa cosa» convenne Jaime. Sottolineò tre volte la frase chiave negli appunti sul suo taccuino: "GPS - Idea di Terri?". «Secondo me, è andata così» spiegò a Lucy. «Terri ha chiesto a Morales di seguire Oscar perché era gelosa e voleva a tutti i costi avere il controllo. Diffidente per natura, prima di impegnarsi con Bane, o magari di parlare di lui alla sua famiglia, aveva bisogno di accertarsi che fosse un uomo perbene.» «Ammesso che si possa trovare una logica in quella che in realtà è una patologia psichica.» «Non possiamo fare altro: i giurati si aspettano delle motivazioni. Non basta dire loro che uno è cattivo o che lo sembra.» 477
«Terri potrà avere espresso il desiderio di sapere cosa faceva Oscar quando non era con lei, ma dubito che impiantargli un GPS sia stata una sua idea» disse Lucy. «Secondo me, non immaginava che Morales la prendesse sul serio e che poi arrivasse addirittura a inviare a Oscar anonimamente le mappe per tormentarlo e farlo uscire di testa. Ha smesso solo quando Bane si è finalmente deciso a parlarne a Terri, che si deve essere arrabbiata con Morales.» «Esatto. E a questo che si riferisce Morales.» Jaime indicò l'immagine ferma sullo schermo del televisore. «Terri ha sbagliato quando ha protestato con Morales e forse l'ha sgridato. Se te la prendi con un tipo del genere, se solo provi a intaccare il suo narcisismo, quello diventa matto. Così ha dato la colpa a Terri, affermando che era lei a spiare Oscar. Tutto d'un tratto, la responsabilità del fatto che Oscar avesse chiamato in procura per sporgere denuncia era di Terri.» «Il 3 dicembre, parlando con Marino» precisò Lucy. «A quel punto, Oscar ha distrutto il disco fisso del suo computer e ha nascosto la chiavetta USB nella libreria, dove mia zia e Benton l'hanno trovata. E Morales ha smesso di spedirgli i track log, perché Terri ne era a conoscenza e il divertimento era finito.» «Kay ha detto che il filo era per terra, non sopra la porta dell'appartamento di Oscar. L'accesso al tetto, la scala antincendio... Potrebbe essere stato Morales: è entrato per cercare le registrazioni e, già che c'era, ha lasciato il barattolo di Aqualine. Magari si è infilato dentro passando dalla finestra, ha fatto scattare l'allarme e poi è uscito dal tetto in modo che il portiere non lo vedesse. Aveva la chiave, il codice dell'allarme 478
e la password. Dopo avere ucciso Terri, però, ha avuto un paio di brutte sorprese. Oscar Bane si è fatto portare al Bellevue e ha chiesto di vedere Benton e Kay. A quel punto la situazione è diventata più rischiosa: Morales si è trovato di fronte avversari non da poco, compresa te. Doveva recuperare le mappe perché nessuno potesse risalire a lui. E voleva far ricadere su Oscar la colpa di quattro omicidi, come minimo.» «Un classico caso di scompensazione» osservò Lucy. «Morales non aveva alcun bisogno di ammazzare Eva Peebles. Nemmeno Terri, per la verità. Prima era più cauto, uccideva solo gente che non conosceva. Quello che ancora non riesco a capire è perché Oscar Bane se lo sia lasciato fare.» «Ti riferisci all'impianto?» «Abbiamo appena sentito che ne parlava. Ha detto che gli aveva infilato qualcosa nel culo e doveva riprenderselo. A cos'altro poteva riferirsi? Si tratta senz'altro di quello. Però come fai a chiedere a qualcuno: "Ehi, posso impiantarti un microchip sotto pelle?".» Jaime posò la mano sul ginocchio nudo di Lucy e si chinò a prendere il cordless per chiamare Kay per la seconda volta in un'ora. «Siamo di nuovo noi. Tu e Benton dovreste venire qui.» «Io posso, lui no» rispose Kay. Jaime attivò il vivavoce e posò il cordless sul tavolo del salottino, tutto pelle e cristalli, fra serigrafie e quadri di Agam che sembravano animarsi e luccicare a ogni suo movimento. La stanza di Greg. 479
Dove lui si piazzava davanti alla TV mentre Jaime era a letto da sola nella camera comunicante, a dormire o a lavorare. Le ci era voluto un bel po’ per capire che uno dei motivi per cui il marito aveva strani orari, come se seguisse il fuso orario della Gran Bretagna, era perché effettivamente seguiva il fuso orario della Gran Bretagna. Se ne stava in quella stanza e, quando a New York era passata la mezzanotte, chiamava la sua amica avvocatessa che si era appena svegliata a Londra. «Benton è con Marino e la Bacardi» le informò Kay. «Sono usciti. Faceva il misterioso. La dottoressa Lester non si è ancora fatta viva. Nemmeno con te, immagino.» Morales aveva accompagnato la Lester all'Istituto di medicina legale poco prima, quando ancora non era a conoscenza delle scoperte di Lucy. Ormai però aveva capito che lo stavano cercando perché Jaime l'aveva contattato. Era bastato che gli dicesse: "Penso che tu ci debba delle spiegazioni". Aveva accennato al nitrato d'argento e alla dottoressa Stuart, poi lui aveva interrotto la comunicazione. «Penso che mi chiameranno, se avranno bisogno di me» aggiunse Kay. «Anche se dubito che ci siano sorprese: la Lester dovrebbe fare un esame radiografico completo di Eva Peebles. Continuo a ripetermelo: il cadavere non deve uscire dall'obitorio finché non sarà stato sottoposto ai raggi X. Lo stesso vale per Terri. Bisogna radiografarla di nuovo, centimetro per centimetro.» «È su questo che voglio lavorare» replicò Jaime. «L'idea dell'impianto di un microchip. Quando gli hai 480
parlato, hai avuto l'impressione che Oscar Bane potesse essersi lasciato fare una cosa del genere per qualche ragione? Lucy e io stiamo riguardando questo video spaventoso e sembra che l'assassino ne sia convinto. Morales, intendo. Sappiamo che è stato lui.» «Bane non avrebbe mai permesso una cosa del genere» rispose Kay. «L'unica cosa che mi viene in mente è che mi ha parlato di trattamenti dolorosi di depilazione con il laser. Si è fatto depilare la schiena, forse anche i glutei. È completamente glabro, tranne che sul viso e sulla testa. E sul pube. Se qualcuno entrava nello studio con la mascherina e il camice, e Oscar magari era prono, non poteva vederlo, né riconoscerlo in un secondo tempo. A casa di Terri, per esempio, quando si sono incontrati sulla scena del crimine, Oscar non era in grado di collegare Morales con l'assistente della dottoressa Stuart.» «Nel video ci è parso che Terri lo chiamasse Juan. Ma non ne siamo sicure. Devi sentirlo anche tu» disse Jaime. «Esistono chip con GPS wireless rivestiti di vetro, dotati di antenne microscopiche e batterie che durano fino a tre mesi. Sono grandi come un chicco di riso, anche meno. Bane potrebbe averne uno in un gluteo senza saperlo. A volte dopo l'impianto il chip si sposta, penetrando in profondità, e allora non te ne accorgi mai più. Potremmo rilevarlo con una radiografia, ma prima dobbiamo trovare Oscar. A proposito, non è l'unico a essere paranoico riguardo a questo genere di cose. Il governo degli Stati Uniti ha una serie di programmi pilota e tanta gente teme che i microchip presto diventeranno obbligatori.» 481
«Se succederà, io mi trasferirò all'estero» fu il commento di Jaime. «Non sarai la sola. C'è chi parla di "marchio della bestia", di "tecnologia apocalittica".» «Nelle radiografie di Terri non hai notato niente?» «Le ho riguardate. Ho controllato di nuovo tutti i file, dopo che ci siamo parlate poco fa. La risposta è no. È molto importante che la dottoressa Lester esegua le altre radiografie e che io le veda. Soprattutto quelle di schiena, glutei e braccia. In genere i microchip vengono impiantati nelle braccia. Morales dovrebbe conoscere la tecnologia per la semplice ragione che è molto usata dai veterinari. Avrà visto fare questo genere d'intervento a chissà quanti cani, magari l'ha eseguito anche lui. È una procedura semplice, che richiede solo il microchip e un iniettore munito di un ago da quindici. Posso essere lì tra mezz'ora.» «Va bene.» La Berger si allungò per passare davanti a Lucy, chiuse la conversazione e rimise il cordless sulla base. Scrisse alcuni appunti, sottolineando parole e frasi. Guardò Lucy e lei ricambiò il suo sguardo. Jaime aveva voglia di baciarla di nuovo, di riprendere ciò che avevano cominciato quando Lucy era comparsa sulla porta di casa sua e lei l'aveva portata per mano al piano di sopra. Non le aveva dato nemmeno il tempo di levarsi la giacca. Non si capacitava di riuscire a pensare a una cosa del genere, in quel momento, con quell'orrenda immagine ferma sul grande schermo piatto. O forse era proprio per quello che ci pensava. Non voleva restare da sola. «È l'ipotesi più ragionevole» disse Lucy dopo un po'. «Morales ha impiantato il microchip GPS a Oscar nello 482
studio della dermatologa. Lui avrà pensato che gli stesse iniettando un antidolorifico. Terri aveva parlato a Morales di Oscar, dei dubbi che nutriva su di lui. E Morales ha fatto la sua parte, recitando il ruolo dell'amico, del confidente.» «Una domanda: Terri lo conosceva come Juan Amate o come Mike Morales?» «Juan Amate, scommetto. Sarebbe stato troppo rischioso se fosse venuta a sapere che era un poliziotto... Secondo me, lo chiamava Juan. Mi sembra proprio che pronunci quel nome.» «Hai ragione.» «C'è una cosa che non capisco» proseguì Lucy. «Se andavano a letto insieme, Morales non era geloso? Non gli importava che uscisse con un altro?» «No. Lui si comportava da grande amico. È un tipo che ispira fiducia alle donne. Anch'io ci sono cascata, fino a un certo punto.» «Quale punto?» Non erano più ritornate sull'argomento "whisky". «Non sono tenuta a darti spiegazioni» dichiarò Jaime. «Ma tra Morales e me non c'è stato niente e penso che tu ci creda, perché altrimenti non staresti seduta qui. Non saresti tornata, se fossi convinta del contrario. Le voci sulla Tavern on the Green sono solo pettegolezzi. E non ho il minimo dubbio che sia stato lui a metterli in giro. Morales e Greg si piacevano.» «Non ci credo.» «No, non in quel senso» puntualizzò Jaime. «Se c'è una cosa su cui Greg non ha la minima ambivalenza è il sesso. Gli piacciono le donne, non gli uomini.» Kay riempì le tazze di caffè e le mise sul vassoio insieme ad alcune cose da mangiare. Era convinta che 483
alla mancanza di sonno si potesse rimediare con il buon cibo. Posò sul tavolo un piatto di mozzarella di bufala e pomodori a fette, conditi con olio extravergine di oliva e qualche fogliolina di basilico. In un cestino di vimini, foderato con un tovagliolo di lino, c'era del pane croccante fatto in casa che invitò i presenti a passarsi servendosi con le mani. Disse a Marino di iniziare e gli porse il cestino, mentre disponeva un piatto e un tovagliolo a quadretti azzurri davanti a lui e all'agente Bacardi. Poi apparecchiò per sé sul tavolino accanto a Benton, si sedette sul divano vicino al marito e si servì subito, perché doveva scappare. «Ricordati che quando lo saprà, e prima o poi lo verrà a sapere, non devi dirle quello che sto per fare. Né prima né dopo» le raccomandò Benton. «Hai perfettamente ragione» convenne Marino. «La tempesteranno di telefonate. Devo ammettere che non sono molto convinto. Vorrei poterci riflettere ancora un po'.» «Non c'è tempo» replicò Benton. «Riflettere è un lusso che non ci possiamo permettere. Non sappiamo dove sia Oscar Bane, ma Morales, se non l'ha già trovato, lo troverà presto. Gli basterà braccarlo come un animale.» «Come ha fatto finora» osservò la Bacardi. «I tipi come lui ti fanno apprezzare la pena di morte.» «È molto meglio avere la possibilità di studiarli» disse Benton in tono professionale. «Ucciderli non serve a niente.» Era vestito in maniera impeccabile, con uno dei suoi abiti di sartoria che non indossava mai in reparto, un gessato blu scuro a righine azzurre, camicia azzurra e cravatta blu e argento di seta. Il truccatore della CNN 484
non avrebbe impiegato più di un quarto d'ora per prepararlo. A Benton bastavano un po’ di cipria e qualche spruzzatina di lacca sui capelli color platino, che erano un po’ troppo lunghi. A Kay sembrava bello come sempre. Sperava solo che ciò che stava stavano - per fare fosse la cosa giusta. «Non dirò niente a Jaime. Ne resterò fuori.» Kay ripensò al fatto che aveva cominciato a riferirsi a lei usando il nome proprio più o meno nel periodo in cui il procuratore distrettuale aveva iniziato a passare così tanto tempo con Lucy. Per tanti anni l'aveva chiamata Berger, in modo distaccato e neppure particolarmente rispettoso. «La inviterò a parlarne con te. La CNN non è di mia proprietà e, contrariamente all'opinione di molti, non gestisco la tua vita» aggiunse Kay. Squillò il palmare di Marino, che lo prese e guardò il display. «Agenzia delle Entrate. Sarà per qualcuna delle mie fondazioni benefiche» commentò premendo il tasto del Bluetooth. «Marino... Sì... Niente di particolare. E tu? Aspetta che scrivo.» Tutti tacquero per permettergli di parlare. Marino posò il palmare sul tavolino, mise il taccuino sul possente ginocchio e iniziò a scrivere. Vista da sotto o da sopra, la sua grafia appariva più o meno uguale. Kay non era mai stata in grado di decifrarla, per lo meno non senza fare un grosso sforzo, perché Marino usava una specie di stenografia comprensibile solo a lui. Nonostante le sue battute, scriveva molto peggio di lei. «Non voglio fare il rompiscatole, ma prima di tutto: dove cazzo è l'Isola di Man?» chiese. «Sarà uno dei paradisi fiscali dei Caraibi oppure una di quelle isole 485
vicino alle Figi, immagino... Cavolo, che notizia. Non ne avevo mai sentito parlare. Eppure ci sono stato. Intendo dire in Inghilterra... D'accordo che non è proprio in Inghilterra. So che l'Isola di Man è un'isola, cazzo, ma vorrei farti notare che anche l'Inghilterra lo è.» Kay si chinò verso Benton e gli augurò buona fortuna in un orecchio. Aveva voglia di dirgli che lo amava, cosa abbastanza insolita in presenza di altre persone. Non sapeva neppure lei per quale ragione provasse quell'impulso, ma si trattenne. Si alzò ed ebbe un attimo di esitazione, perché sembrava che Marino stesse per concludere la telefonata. «Senza offesa, ma lo sapevamo. Abbiamo l'indirizzo.» Marino guardò la Bacardi e scosse la testa, come se l'agente del fisco con cui stava parlando avesse il quoziente intellettivo di un'ameba, per usare una delle sue espressioni preferite. «Sì... No, vuoi dire l'IA. Terri Bridges, quindi. So che è una società a responsabilità limitata di cui non conoscete ancora il nome, ma è il suo appartamento... No, non il 2D. Lei sta all'I A.» Si accigliò. «Sei sicuro? Aspetta un attimo. Quel tizio è inglese, giusto? Sì, è italiano ma vive in Gran Bretagna, è cittadino britannico... Va bene. Quadra con la storia dell'Isola di Man, immagino. Ma spero proprio che tu non abbia detto una cretinata, perché altrimenti fra mezz'ora vengo lì e ti butto giù la porta a calci.» Marino sfiorò il Bluetooth e chiuse la conversazione con l'Agenzia delle Entrate senza ringraziare né salutare. «Gotham Gotcha» annunciò. «Non abbiamo idea di chi sia, ma sappiamo dove abita. Al piano sopra Terri. 486
Appartamento 2D. Se nel frattempo non è successo qualcosa senza che noi l'abbiamo saputo, la palazzina dovrebbe essere ancora vuota. Il 2D è affittato a un promoter finanziario italiano, un certo Cesare Ingicco, domiciliato all'Isola di Man, dove ha sede la sua società. Per vostra informazione, l'Isola di Man non è ai Caraibi. La SRL che ha affittato l'appartamento è una società offshore su cui Lucy ha raccolto un po’ di notizie. Il tipo adesso non è lì, di questo siamo sicuri, ma forse c'è qualcun altro che ci lavora. O forse no. Procuriamoci un mandato, così possiamo dare un'occhiata. Oppure, prima ci andiamo e poi chiediamo il mandato. Come volete. L'importante è che non perdiamo tempo, visto che Eva Peebles lavorava indirettamente per questo Cesare Ingicco, che forse abita proprio di fronte o forse invece non ci abita perché sta all'Isola di Man. Vedrete, scopriremo che comunicava con Eva Peebles al telefono, con chiamate intercontinentali. Eva Peebles non sapeva un cazzo, in ogni caso. Che macello!» «Non sarà meglio che ci vada io? Con uno dei tuoi colleghi che è già là?» domandò la Bacardi. «Secondo me, tu dovresti restare in zona. Quando Benton andrà in diretta TV, scoppierà un casino.» «Sono d'accordo» convenne Benton. «Se Morales aveva ancora qualche dubbio, adesso capirà che pensiamo stia cercando Oscar, e che noi stiamo cercando lui.» «Non è possibile che Oscar e Morales siano complici?» chiese la Bacardi. «Vi sembrerà una follia, ma come facciamo a escludere che lavorino in squadra, come Henry Lee Lucas e Ottis Toole? Ancora oggi c'è 487
tanta gente convinta che Son of Sam non abbia agito da solo. Non si può mai sapere.» «È molto improbabile» replicò Benton mentre Kay si metteva il cappotto. «Morales è troppo egocentrico. Non è in grado di collaborare con nessuno, in nessun genere di lavoro.» «Hai ragione» concordò Marino. «Come spieghi allora le orme delle scarpe e le impronte digitali di Oscar in casa di Eva Peebles?» domandò la Bacardi. «Dobbiamo pensare che siano state piazzate lì apposta e ignorarle oppure prendiamo in considerazione l'ipotesi che qualcuno abbia commesso un errore?» «Indovinate chi ha rilevato quelle impronte?» disse Marino. «Quel bastardo di Morales. Che ha anche un paio di scarpe da ginnastica di Bane, perché l'altra sera ha ritirato lui i vestiti.» «Chi l'ha visto prendere le impronte dal lampadario?» volle sapere la Bacardi. «Non è mica facile barare. Una cosa è requisire un paio di scarpe da ginnastica, un'altra è lasciare le orme. Bisogna essere molto abili e avere dei complici per falsificare le impronte sulla scena di un crimine e fare in modo che corrispondano a quelle dello IAFIS.» «Sì, è vero. Ma Morales è molto abile» ribatté Marino. «Voglio andare a Murray Hill. Chi c'è sul posto?» disse la Bacardi alzandosi. «Siediti.» Marino la tirò delicatamente per la cintura. «Non permetterò che tu vada in taxi. Sei un detective della Omicidi. Ti do un passaggio e poi torno qui. Nel bagagliaio ho un ariete che posso prestarti. L'ho fregato ieri sera. Me lo ero fatto portare per entrare in 488
casa della Peebles e, ops, mi sono scordato di riconsegnarlo.» «Io vado» annunciò Kay. «Siate prudenti, per favore. Mike Morales è un uomo pericoloso.» «Vuoi sapere una cosa di cui non ho mai parlato con nessuno?» domandò Jaime a Lucy. «Non devi dirmi niente» replicò lei. «Credo che sia stato Morales a presentare l'avvocatessa a Greg. Un classico: prima ha fatto il cascamorto, poi è passato al ruolo del confidente a cui raccontare tutti i tuoi guai. Pensandoci bene, anche in quel caso si è comportato in modo strano. E "strano" è dire poco.» «Secondo te Greg ne era informato?» «Sono sicura di no. Faccio dell'altro caffè?» «Perché pensi che Morales si scopasse l'avvocatessa?» «Non è difficile intuirlo, quando si lavora fianco a fianco. Non presto molta attenzione a queste cose, o almeno così sembra, ma le noto. Con il senno di poi, era chiarissimo. È probabile che Morales abbia fatto lo stesso giochetto più volte. Seduce una donna, la convince a tradire il proprio fidanzato o marito, dopodiché entra in confidenza con lei, le fa credere di poterla aiutare, accudire. Le da una mano a rimediare alla situazione. Oppure fa di tutto per conoscere l'uomo a cui ha rubato la donna, che è all'oscuro di tutto. Adora spacciarsi per l'amico del cuore, e le persone non si rendono conto della sua malvagità. Un giochetto sadico dopo l'altro. Lui e Greg si sedevano giù in salotto a bere whisky costosissimi e a parlare. Forse di me. Sicuramente anche di me. E di certo non bene.» «Quando è successo?» «Morales è stato trasferito nella squadra investigativa circa un anno fa. Penso sia accaduto più o meno in quel periodo, poco prima che Greg si 489
trasferisse a Londra. Sono sicura che Morales l'abbia incoraggiato a lasciarmi. Forse è stato addirittura lui a suggerirglielo.» «Per poter iniziare una storia con te?» «Per darmi il colpo di grazia e poi consolarmi. Gli sarebbe piaciuto» rispose Jaime. «Quindi è da Greg che ha preso l'idea del whisky irlandese e dello scotch per la falsa intervista in cui si è finto mia zia con Terri» concluse Lucy. «Greg non avrebbe dovuto lasciarsi convincere. Che scemo... Bè, ha fatto la sua scelta. Ma Morales non consolerà proprio nessuno. Farà solo una brutta fine. Aspetta e vedrai.» «Se controlli le due bottiglie al piano di sotto, vedrai che sono mezze vuote» disse Jaime. «Morales è uno che si scola sempre il liquore più costoso che c'è. Tipico. Ed è stato davvero ignobile a insinuare che Kay d'abitudine beva whisky da cinque, sei o settecento dollari a bottiglia, più cari dei testi universitari di Terri. Le ha fatto fare proprio una brutta figura. Pensa se Terri avesse finito la sua tesi e magari avesse trovato un editore disposto a pubblicargliela... Sarebbe stato uno scandalo. Avrai anche tu il sospetto che possa esserci lui dietro Gotham Gotcha. Sarebbe capacissimo di architettare una cosa del genere.» «L'indirizzo IP di chi scrive quegli articoli è anonimo e al provider risulta un account intestato a una SRL con sede sull'Isola di Man, uno dei centri finanziari offshore più discreti del mondo» spiegò Lucy. «Il codice macchina mi è completamente nuovo, perciò gli articoli non sono scritti con un computer o altre periferiche che conosciamo, nemmeno con quello che è stato usato per spedire le email. Il problema è che 490
l'Isola di Man, Nevis e Belize garantiscono una tale protezione della privacy che sarà molto difficile scoprire chi c'è dietro questa SRL. Ho un contatto all'Agenzia delle Entrate che sta svolgendo alcune ricerche per me. È curioso che si tratti della Gran Bretagna. Mi sarei aspettata le isole Cayman, come nel settantacinque per cento dei fondi speculativi. Ma non credo che sia stato Morales a scrivere gli articoli di Gotham Gotcha.» «Chiunque sia, deve avere un sacco di soldi parcheggiati offshore» disse Jaime. «Certamente» convenne Lucy. «Basta guardare le sponsorizzazioni, le promozioni di prodotti sul suo sito. È probabile che la società riceva anche percentuali notevoli in conti cifrati. Spero che abbia commesso qualche irregolarità fiscale, così riusciremo a beccarla. Voglio dire, pagherà un affitto, le bollette, direttamente o tramite terzi, sarà proprietaria di qualcosa. È probabile che abbia una sede anche a New York: il fatto che avesse una dipendente qui è accertato. Qualcuno spediva soldi a Eva Peebles dalla Gran Bretagna a nome di Gotham Gotcha. A questo mio contatto, che una volta lavorava nell'ATF e ora è all'Agenzia delle Entrate, ho dato anche il nome di Marino: sta cercando di ottenere altre informazioni dalla banca di Eva Peebles. Voglio scoprire chi c'è dietro Gotham Gotcha e dove si trova. E soprattutto se sta cercando di fregare il fisco: peggio per lei, in prigione si divertirà.» «Perché parli al femminile? Pensi che sia una donna?» «Quando è uscito il primo pezzo su Kay, ho fatto un'analisi linguistica su una cinquantina di articoli 491
nell'archivio del sito. Non credo proprio che sia stato Morales a scriverli. E neanche a gestire un sito del genere: richiederebbe troppa manutenzione, troppo lavoro. Lui è il tipo mordi e fuggi, lo dicono tutti. Non è uno attento, preciso, e questo lo fregherà, prima o poi.» «Hai fatto quest'analisi sul sito quando l'hai mandato in crash?» chiese Jaime. «Io non ho mandato in crash un bel niente. È stata Marilyn Monroe.» «Di questo riparleremo un'altra volta. A proposito, infettare siti con i worm è una cosa che disapprovo» ribatté Jaime. «Ci sono molte parole e frasi ricorrenti. Sempre le stesse allusioni, metafore, similitudini.» Lucy cominciò a descrivere l'analisi linguistica che aveva eseguito. «Come fa un computer a riconoscere una similitudine?» s'informò Jaime. «Ti faccio un esempio. Digiti parole tipo "come", "tanto quanto" o "quasi", seguite anche da aggettivi e sostantivi, e il computer fa una ricerca. "Lungo e duro come la gamba di una sedia, quasi una terza gamba." Nella prosa di Gotham Gotcha ho trovato altri buoni esempi: "Leggermente ricurvo, come una banana acerba negli slip Calvin Klein aderentissimi, quasi gli fossero stati dipinti addosso". Non so se mi ricordo esattamente... "Le tette piatte come frittelle, i capezzoli come due chicchi di uva sultanina."» «E a riconoscere una metafora?» domandò Jaime. «Individua frammenti di frasi contenenti sostantivi e verbi fra i quali non esiste un nesso logico. "Il mio cranio ibernato nel nido umido dei miei capelli." La presenza delle parole "cranio" e "ibernato" nella stessa 492
frase viene segnalata come un'anomalia. Lo stesso accade per "nido" e "capelli", se li consideriamo in senso letterale. Tuttavia quello che il computer ci segnala come metafora è un verso di Seamus Heaney, vincitore del premio Nobel per la letteratura. Scommetto che l'avevi riconosciuto.» «Quindi il tuo software neurale legge poesie, quando non è occupato a dare la caccia ai cattivi in Internet.» «Il mio software mi dice che l'autore dei testi di Gotham Gotcha molto probabilmente è una donna» affermò Lucy. «Una donna maligna e meschina, piena di collera e di rancore. Una competitiva, che odia talmente le altre persone dello stesso sesso da arrivare a fare del sarcasmo su una violenza sessuale. Una che è pronta a umiliare e disprezzare di nuovo la vittima. O che per lo meno ci prova.» Jaime afferrò il telecomando e premette PLAY. Terri parlava allo specchio in preda al panico, mentre due mani coperte da guanti di lattice le strizzavano il seno. Aveva gli occhi lucidi. Stava soffrendo. La voce le tremava quando diceva: "No. Non posso. Mi spiace. Non ti arrabbiare. Non voglio fare queste cose". Aveva le labbra secche e la lingua impastata. Poi l'assassino replicava: "Certo che puoi, tesoro. Ti piace essere legata mentre ti scopo, no? Questa volta faremo tombola, sai?". Le mani guantate posavano un barattolo di Aqualine sul piano di marmo e lo aprivano. Lui vi immergeva le dita e glielo spalmava nella vagina mentre Terri, in piedi, gli dava le spalle. L'assassino si muoveva con 493
calma, il pene eretto coperto dal preservativo che spingeva con forza contro la schiena di lei. La stava violentando con le dita piene di crema lubrificante. La stava violentando con la paura. A meno che non l'avesse penetrata a telecamera spenta, non era ciò che le aveva fatto. Non era quello che voleva. La sedia stridette sulle piastrelle quando lui la costrinse a sedersi. "Guardati allo specchio, guarda come sei carina" le diceva. "Stai bene seduta. Sei alta come quando sei in piedi. Non si può dire di nessun altro, vero, bambolina?" "No" supplicava Terri. "Per favore, no. Oscar sarà qui a momenti. Smettila, per favore. Non mi sento più le mani. Per favore, slegami. Per favore." Stava piangendo, ma cercava di comportarsi come se fosse solo una finzione, come se lui non le stesse facendo davvero del male. Era un gioco sessuale e, da certe battute e atteggiamenti, era chiaro che i due erano già stati a letto insieme e che dominio e sottomissione potevano avere avuto un ruolo nella messinscena. Ma non era mai accaduta una cosa del genere, neanche lontanamente. Terri sentiva di essere in pericolo, sapeva che stava per morire, e in un modo orribile, ma faceva di tutto perché lui non se ne accorgesse. "Arriva alle cinque, povero Oscar, è così puntuale. È colpa tua, sai" diceva Morales all'immagine di Terri riflessa nello specchio. "Da qui in poi, tesoro, si tratta di quel che hai creato..." Jaime spense di nuovo il video e prese altri appunti. C'era una logica, ma non potevano provare nulla. La faccia di Morales non si era ancora vista nemmeno 494
una volta, né in quel video né in quello che era stato girato durante l'omicidio di Bethany in uno squallido appartamento di Baltimora nell'estate del 2003, quando lui si era laureato in medicina alla Johns Hopkins University; e nemmeno in quello di due mesi dopo, quando aveva ucciso Rodrick e abbandonato il suo cadavere vicino alla concessionaria Bugatti a Greenwich. Era lì che, con ogni probabilità, il bel ragazzo aveva attirato l'attenzione di Morales, il quale lavorava part time in un vicino studio veterinario. Doveva avere conosciuto anche Bethany nello stesso modo, in un altro studio veterinario, a Baltimora. Aveva sottoposto entrambe le vittime alle stesse sevizie di Terri. Aveva legato loro i polsi e usato i guanti per penetrarle con le dita, usando il medesimo tipo di lubrificante. Allora, cinque anni prima, stava per entrare all'accademia di polizia di New York e lavorava part time in studi veterinari, non di dermatologia. Ma in veterinaria si utilizzano creme cauterizzanti e lubrificanti come l'Aqualine. Sottrarne un barattolo già aperto sul posto di lavoro faceva parte del suo modus operandi, forse addirittura fin dal primo omicidio. Jaime non aveva idea di quante persone avesse ucciso, ma si chiedeva se il lubrificante fosse uno stratagemma per confondere la polizia con un miscuglio di DNA diversi. «Gli sarà sembrato divertente» disse a Lucy. «Chissà come ha goduto, quando uno dei profili ha avuto un riscontro nel CODIS e si è scoperto che apparteneva alla paraplegica di Palm Beach. Si sarà fatto delle crasse risate.» «Non la passerà liscia» minacciò Lucy. 495
«Non ne sono così sicura.» La polizia, infatti, non lo aveva ancora trovato e al momento contro Morales non c'era nemmeno un mandato di arresto. Il problema principale erano le prove. La Scientifica non poteva dimostrare che Morales aveva ammazzato qualcuno e il ritrovamento del suo DNA in casa e persino sul cadavere della vittima non significava nulla, dato che lui era stato sulla scena e l'aveva toccata per controllare se fosse ancora viva. Per un responsabile delle indagini era normale toccare cose o persone legate all'omicidio. La sua faccia non compariva nei video e non lo si vedeva nemmeno entrare o uscire dalla palazzina di Terri, perché la sera dell'ultimo dell'anno probabilmente se n'era andato passando dal tetto e tirandosi dietro la scala. Solo in seguito l'aveva rimessa al suo posto, nello sgabuzzino condominiale. Gli incontri precedenti con Terri dovevano essere avvenuti altrove, non a casa di lei. Morales era troppo furbo per correre il rischio. Qualcuno infatti avrebbe potuto ricordarsi di averlo visto in zona. Non era da escludere, pensò Jaime, che avesse già usato altre volte l'accesso del tetto, ma dimostrarlo sarebbe stato praticamente impossibile. Morales era più astuto del diavolo. Aveva studiato a Dartmouth e alla Johns Hopkins. Era uno psicopatico sadico e violento, forse il più pericoloso tra i maniaci sessuali con cui Jaime avesse mai avuto a che fare. Ripensò a tutte le volte in cui era rimasta da sola con lui. Nella sua macchina. Alla Tavern on the Green. E a Central Park, quando lei era intervenuta sulla scena del crimine della maratoneta violentata e strangolata a 496
mani nude. Non poté fare a meno di chiedersi se Morales avesse ucciso anche lei. Lo sospettava, ma non poteva provarlo. Difficilmente una giuria avrebbe accettato un'identificazione basata sulla voce che, come nel caso di O. J. Simpson e del guanto insanguinato, poteva venire alterata a piacimento perché non assomigliasse a quella del killer nelle registrazioni. L'uomo nei video aveva un marcato accento spagnolo. Morales, quando parlava normalmente, non aveva accento. Non si può vincere un processo basandosi solamente sull'analisi della voce, indipendentemente dalla raffinatezza del software di cui ci si avvale. Era poi improbabile che qualcuno - e meno che mai un procuratore con l'esperienza di Jaime Berger suggerisse un confronto fra il pene di Morales e quello che appariva nei video. Sarebbe stato ridicolo, visto che si trattava di un pene normalissimo, non circonciso e senza segni particolari, niente di notevole da nessun punto di vista. Oltretutto, essendo avvolto da un preservativo, era riconoscibile quanto un volto coperto da un collant, e anche se ci fossero stati dettagli che potevano facilitarne l'identificazione, per esempio un neo, sarebbero stati invisibili. Il massimo che poteva fare la polizia - o Lucy - era provare che quei video violenti, incriminanti, erano nel suo account di posta elettronica. Certo, Morales a quel punto avrebbe dovuto rivelare come se li era procurati, ma il fatto che fossero in suo possesso non significava che li avesse girati lui e tanto meno che avesse ucciso qualcuno. Lucy era la prima a sapere che spiegare ai giurati il significato di "indirizzi IP", "codici macchina", "software anonimizzanti", "cookies", "sniffer" e di 497
almeno un altro centinaio di termini che lei usava normalmente sarebbe stato come parlare del DNA in un'aula di tribunale a cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta. Occhi vitrei. Diffidenza assoluta. Jaime aveva investito un'enormità di tempo e di energie per superare il Frye Test sull'ammissibilità delle prove scientifiche in tribunale, ogni volta che c'era di mezzo il DNA. E questo non era certo stato d'aiuto nel suo matrimonio, già in crisi. Con la proliferazione di tecniche innovative erano arrivate anche nuove sfide e nuove esigenze, che nessuno aveva previsto o sperimentato. Forse, se le scienze forensi fossero rimaste al livello in cui erano quando lei ancora frequentava la Columbia University, ai tempi in cui viveva con la ragazza che alla fine le aveva spezzato il cuore spaventandola al punto di spingerla tra le braccia di Greg, le sarebbe restato un po’ di tempo per la vita privata. Avrebbe fatto più vacanze e qualche volta sarebbe addirittura riuscita a partire senza portare con sé la ventiquattrore. Avrebbe conosciuto meglio le figlie di Greg e le persone insieme alle quali lavorava, come Kay Scarpetta, a cui non aveva nemmeno spedito un biglietto dopo la morte di Rose. Eppure Jaime l'aveva saputo: gliel'aveva riferito Marino. Forse avrebbe avuto il tempo di conoscere meglio anche se stessa. «Kay sarà qui tra poco. Devo vestirmi» annunciò. «Forse anche tu dovresti farlo.» Lucy era in mutande e canottiera. Avevano guardato un video che in certi circuiti sarebbe stato definito uno "snuff", cioè che finiva con la morte del 498
soggetto sottoposto a sevizie, e nessuna delle due aveva granché addosso. Sebbene fosse ancora presto, nemmeno le dieci di mattina, sembrava già pomeriggio. Jaime aveva la sensazione di avere cambiato fuso orario. Indossava ancora il pigiama di seta e la vestaglia che si era messa dopo avere fatto la doccia, poco prima che arrivasse Lucy. Nel giro di meno di cinque ore, da quando cioè Kay, Benton, Lucy, Marino, la Bacardi e Morales si erano riuniti nel suo salotto, Jaime aveva appreso la macabra verità e l'aveva osservata come se si stesse svolgendo davanti ai suoi occhi. Aveva assistito alla morte atroce di tre esseri umani, prede di chi avrebbe invece dovuto proteggerli, un medico mancato che non avrebbe mai dovuto fare il poliziotto, a cui non si sarebbe dovuto permettere di avvicinarsi né alle persone né agli animali. Fino a quel momento, solo Jake Loudin era stato localizzato, ma non pareva disposto ad ammettere di conoscere Mike Morales e tanto meno di essersi rivolto a lui per l'eutanasia degli animali invenduti o Dio solo sa cos'altro. Forse Morales usava il nome Juan Amate quando scendeva nei seminterrati dei negozi per infliggere, a pagamento, l'ennesima sofferenza. Magari, con un po’ di fortuna, Jaime avrebbe trovato il modo per costringere Loudin a confessare, in cambio di uno sconto di pena, che la sera prima aveva chiamato Morales dopo che la Peebles era capitata al momento sbagliato nel posto sbagliato, ovvero nel seminterrato di un negozio di animali. Jaime non pensava che Loudin avesse chiesto a Morales di ucciderla, ma l'esistenza di Eva Peebles stava diventando un 499
problema e quel demonio ne aveva approfittato per divertirsi ancora di più. Mentre finiva di vestirsi, qualcuno suonò al citofono. Lucy era seduta sul letto, perché stavano ancora parlando. Jaime rispose abbottonandosi la camicia oxford. «Jaime? Sono Kay. Sono davanti alla porta.» Jaime premette lo zero sulla tastiera e fece scattare l'apertura a distanza. «Entra, scendo subito.» «Posso fare una doccia veloce?» domandò Lucy. Marino guardava "Headline News" sul palmare mentre camminava veloce lungo Central Park South, a testa bassa, zigzagando fra i passanti come un giocatore di football in vista della meta. Benton, nel suo gessato blu, era seduto di fronte al giornalista, un certo Jim. Marino, a quell'ora del giorno, non ricordava il cognome perché non era uno dei più famosi. Sotto Benton compariva la scritta in stampatello: DR BENTON WESLEY, PSICOLOGO FORENSE OSPEDALE MCLEAN "Oggi abbiamo con noi il dottor Benton Wesley, ex direttore dell'unità di scienze comportamentali dell’FBI di Quantico e... Ora lavora a Harvard, vero? E qui a New York, al John Jay?" "Jim, vorrei arrivare subito al punto perché si tratta di una cosa molto urgente. Desidero rivolgere un appello al dottor Oscar Bane affinché si metta in contatto con l’FBI..." "Mi lasci solo spiegare ai nostri spettatori che si tratta di un appello riguardante i due casi di cui sicuramente sono già al corrente, perché se ne parla ovunque, e cioè gli agghiaccianti omicidi commessi a 500
New York negli ultimi due giorni. Cosa ci può dire al riguardo?" Davanti a Marino si profilavano Columbus Circle e i grattacieli della Time Warner, dove c'era lo studio in cui Benton si trovava in quel preciso istante. Era stata una pessima idea. Marino capiva la ragione per cui Benton era convinto che quella fosse l'unica soluzione possibile e perché non aveva chiesto il parere di Jaime Berger. Non voleva che le venisse addossata la colpa. Benton non era tenuto a rispondere né a lei né a nessuno. Questo era chiaro, ma vedendolo parlare su un canale internazionale Marino si rese conto che qualcosa non quadrava. "Se il dottor Oscar Bane sta ascoltando, lo prego di mettersi in contatto con l" FBI." Nell'auricolare sentiva la voce di Benton in diretta sulla CNN. "Abbiamo ragione di credere che il dottor Bane si trovi in pericolo. Il dottor Bane non deve - ripeto - non deve assolutamente contattare la polizia locale o qualunque altra autorità. Deve chiamare l" FBI, che provvederà a portarlo al sicuro." Una delle cose che Kay Scarpetta raccomandava sempre è di non spingere una persona fino al punto in cui non ha più nulla da perdere o nessun posto dove andare. Lo dicevano spesso anche Benton e Marino. Ma allora perché adesso lo stavano facendo? Già quando Jaime aveva chiamato Morales, Marino aveva pensato che fosse una pessima idea. Telefonandogli lo aveva messo sul chi va là, forse con un pizzico di compiacimento: il brillante Morales beccato, colto in fallo. Jaime era un ottimo procuratore e una donna forte, ma non avrebbe dovuto fare quella telefonata, e Marino ancora non ne aveva capito il vero motivo. 501
Aveva la sensazione che ci fosse sotto una questione personale, almeno in parte. Kay aveva evitato di esporsi, nonostante ne avesse avuto l'occasione. Quando si trovavano a casa di Jaime, durante la riunione di quella notte, avrebbe potuto dare addosso a Morales. Lui non le piaceva, non le ispirava fiducia, come a Marino, peraltro, benché ancora non sapessero dei suoi video snuff. Invece Kay si era comportata in maniera assolutamente professionale, come sempre. Anche se avesse pensato che Morales fosse un assassino, senza una prova si sarebbe ben guardata dall'esprimere le proprie perplessità. Lei era fatta così. "Devo dire, dottor Wesley, che questa è la richiesta più insolita che mi sia capitato di sentire. Forse "richiesta" non è il termine adatto, ma..." Marino abbassò lo sguardo sullo schermo del palmare e vide l'immagine piccolissima dei due che dialogavano. Jaime abitava a circa due isolati da lì. Era in pericolo. Cosa succede se metti sotto pressione uno come Morales buttandogli in faccia la verità? Di sicuro quello reagisce. E con chi se la prende per primo? Con la donna che cerca di sedurre da quando è diventato investigatore. La donna su cui racconta un sacco di bugie, dando a tutti l'impressione di avere avuto una relazione con lei: il procuratore distrettuale che si occupa di crimini a sfondo sessuale. Non era vero, però. Non era per niente vero. Morales non era il tipo di Jaime Berger. Marino aveva creduto che le piacessero gli uomini ricchi, come Greg. Ma quando l'aveva osservata con Lucy, nel salotto insieme a tutti gli altri, e dopo aveva visto Lucy seguirla in cucina per poi andarsene 502
all'improvviso, aveva cambiato idea. E ora non aveva più dubbi. La debolezza di Jaime Berger, la sua passione, non erano gli uomini. Sia a livello emotivo sia a livello fisico aveva gusti diversi. "Oscar Bane ha tutte le ragioni del mondo per non fidarsi di nessuno, al momento" diceva Benton. "Abbiamo motivo di credere che alcuni timori che aveva riferito alle autorità riguardo alla sua sicurezza siano reali e li stiamo prendendo molto, molto sul serio." "Aspetti un momento. Ci sono due mandati di arresto nei confronti di Oscar Bane, accusato di omicidio. Mi scusi, ma sembra che vogliate proteggere il cattivo della situazione." "Oscar, se mi sta ascoltando" proseguì Benton fissando l'obiettivo "chiami l" FBI. Si rivolga all'ufficio più vicino, dovunque si trovi. Verrà portato in salvo." "Mi sembra che siano gli altri a doversi preoccupare della propria incolumità, non crede, dottor Wesley? Oscar Bane è sospettato di avere ucciso le due..." "Non ho intenzione di discutere il caso con lei, Jim. Grazie di avermi concesso questo spazio." Benton si tolse il microfono e si alzò. "Bè, si tratta di un momento insolito per New York. Due omicidi hanno scosso la città questo Capodanno e il leggendario... credo di poterlo senza dubbio definire così... profiler Benton Wesley rivolge un appello all'uomo che tutti considerano colpevole..." «Merda» imprecò Marino. Era impossibile che Bane chiamasse l" FBI, Dio, o chiunque altro, dopo avere sentito quei discorsi. 503
Si scollegò e accelerò il passo. Sudava sotto la vecchia giacca di pelle Harley e l'aria gelida gli faceva lacrimare gli occhi. Il sole cercava di affacciarsi tra le nuvole scure e pesanti. Gli squillò il cellulare. «Sì» rispose scansando i passanti come se fossero lebbrosi, senza degnarli di uno sguardo. «Parlerò con un paio di agenti dell'ufficio locale dell" FBI Spiegherò loro quello che stiamo facendo» lo informò Benton. «Direi che è andata bene» osservò Marino. Benton non gli aveva chiesto un parere e infatti non rispose al suo commento. «Farò qualche telefonata dal mio studio, poi andrò da Jaime» annunciò invece in tono cupo. «È andata bene, secondo me» ribadì Marino. «Oscar lo vedrà. Ne sono sicuro. Sarà in un motel o chissà dove, senza altro da fare che guardare la TV. Continueranno a riproporre l'appello giorno e notte, stanne certo.» Guardò il grattacielo di cinquantadue piani, tutto di vetro e metallo, e gli occhi gli caddero sull'attico che dava sul parco. Nel sontuoso atrio c'era il logo TRUMP in grosse lettere dorate. Come su ogni cosa di lusso da quelle parti. «Se Bane non guarda la TV, non oso pensare al motivo» aggiunse. Era come se parlasse da solo perché Benton taceva. «A meno che nel frattempo non sia riuscito a togliersi da solo quel cavolo di GPS, ogni sua mossa viene registrata. E sappiamo da chi, no? Hai fatto la cosa giusta. Non potevi agire diversamente.» Marino continuò a parlare finché si rese conto che era caduta la linea. Non aveva capito che nessuno stava ascoltando il suo discorso. 504
La canna della pistola alla nuca non suscitò in Kay il terrore che si sarebbe aspettata. Non riusciva a capacitarsene. Era come se non ci fosse alcuna connessione fra le azioni e le conseguenze, fra causa ed effetto, fra se e quando, fra ora e poi. L'unica cosa di cui era pienamente consapevole era l'enorme sgomento che provava. Perché era colpa sua se Morales si trovava nell'attico di Jaime Berger, e in punto di morte lei aveva commesso l'unico peccato che non riusciva a perdonarsi: aveva provocato tragedia e dolore. Per debolezza e ingenuità aveva causato ad altri ciò che aveva sempre combattuto. Era tutta colpa sua, fin dal principio. La povertà della sua famiglia, la morte di suo padre, l'infelicità di sua madre, la personalità borderline e i gravi disturbi psicologici della sorella, tutto ciò che era accaduto a Lucy... «Quando ho suonato, non c'era» continuava a ripetere mentre Morales rideva. «Non c'era...» Jaime, immobile in fondo alla scala a chiocciola con il cellulare in mano, fissava Morales con gli occhi sbarrati. Sopra di lei c'era un ballatoio dove erano esposte le preziose opere d'arte del suo magnifico attico con vista sullo skyline di New York. Di fronte, il salotto arredato con mobili di legno pregiato e tessuti dai colori caldi dove erano stati seduti solo poche ore prima, tutti alleati e uniti contro il nemico. Ma ora il nemico era stato smascherato ed era tornato. Mike Morales. Kay sentì che la canna della pistola si staccava dalla sua nuca. Non si voltò. Tenne lo sguardo puntato su Jaime, sperando di farle capire che quando era uscita 505
dall'ascensore e aveva suonato il campanello, annunciandosi, era sola. Poi, all'improvviso, qualcuno le aveva afferrato con forza il braccio e l'aveva spinta nell'attico. L'unico indizio che avrebbe potuto farle subodorare il pericolo mentre entrava nel palazzo era stato il commento di uno dei portieri, una giovane donna in divisa che le aveva sorriso e aveva detto: "Gli altri la stanno aspettando, dottoressa Scarpetta". Gli altri? Quali altri? Kay avrebbe dovuto chiederglielo. Dio santo, perché non lo aveva fatto? A Morales senz'altro era bastato mostrare il tesserino, anzi, forse non era stato nemmeno necessario. Era già andato lì poche ore prima, aveva fascino, sapeva essere persuasivo e non amava sentirsi opporre rifiuti. Lui si guardò intorno, con le pupille dilatate e le mani protette dai guanti di lattice, e lasciò cadere a terra una piccola borsa da palestra. Aprì la cerniera. All'interno c'erano un treppiede pieghevole chiuso, alcune fascette di nylon trasparenti e altri oggetti che Kay non riuscì a distinguere. Ma fu la vista delle fascette a provocarle il batticuore. Sapeva cosa ci si poteva fare e aveva paura. «Lascia andare Jaime e prenditela con me» disse. «Sta zitta.» Come se la trovasse noiosa. In un attimo, Morales si avvicinò a Jaime e le legò i polsi dietro la schiena, poi la condusse al divano e le diede una spinta per farla sedere. «Comportati bene» ordinò a Kay, mentre anche a lei legava i polsi molto stretti. Di colpo le dita le si contrassero e avvertì un dolore lancinante, come se qualcosa di metallico le comprimesse i vasi sanguigni, le segasse le ossa. Lui 506
la spinse sul divano vicino a Jaime. In quel momento squillò un cellulare al piano di sopra. Lo sguardo di Morales si spostò lentamente dal cellulare che aveva appena tolto di mano a Jaime alla balaustra del piano superiore, dove si trovavano le camere. Il cellulare smise di suonare. Da qualche parte si sentiva uno scroscio d'acqua. Poi anch'esso cessò. Kay pensò a Lucy nello stesso istante in cui ci pensò Morales. «Puoi smetterla ora, Mike. Non c'è bisogno che tu...» iniziò Jaime. Kay si alzò. Morales la spinse con forza e lei ricadde sul divano. Morales salì di corsa la scala a chiocciola, con passo felpato. Lucy si strofinò con l'asciugamano i capelli molto corti e respirò a pieni polmoni il vapore in una delle docce più belle in cui le fosse capitato di entrare da un bel po’ di tempo. Era la doccia di Greg. Box di cristallo, getti a pioggia e per idromassaggio, bagno turco, impianto stereo Dolby Surround e un comodo sedile riscaldato se si voleva stare semplicemente un po’ seduti ad ascoltare musica. Nel lettore Jaime aveva lasciato un CD di Annie Lennox. Forse era una coincidenza: si trattava dello stesso che Lucy ascoltava la sera prima nel suo loft. Greg e i suoi whisky, i suoi begli oggetti e la sua avvocatessa: Lucy non riusciva a capire come un uomo che davvero sapeva vivere avesse scelto una persona con cui non avrebbe mai potuto godersi la vita, tutto a causa di una lieve discrepanza genetica. 507
Era un po’ come sbagliare una cifra all'inizio di un'equazione: quando si arriva alla fine dei lunghi e complicati calcoli, ci si ritrova lontano anni luce dalla soluzione. Jaime era la persona giusta, ma la soluzione sbagliata. Lucy ebbe un moto di pietà per Greg, ma non per se stessa. Per sé provava una felicità indescrivibile, come non le era mai successo prima. Non faceva che rivivere quei momenti. Era come ascoltare e riascoltare la stessa canzone, un brano emozionante, come aveva appena fatto sotto la doccia: riviveva ogni carezza, ogni sguardo, ogni approccio che aveva portato all'incontro fra due corpi, così erotico e allo stesso tempo così commovente, perché davvero significava qualcosa. Non era stato volgare. Non causava sensi di colpa né vergogna. Era stato perfetto, e Lucy semplicemente non riusciva a credere che fosse successo proprio a lei. Un sogno che non aveva neppure immaginato di fare, perché dentro di sé non lo aveva mai temuto né desiderato, così come non aveva mai avuto incubi sugli extraterrestri o fantasticato di pilotare macchine volanti e auto da corsa. Quelle esperienze non erano reali, a portata di mano. Jaime Berger per Lucy era semplicemente un'eventualità a cui non aveva mai pensato, benché durante i loro primi incontri si fosse sentita emozionata, nervosa. Nelle rare occasioni in cui l'aveva avvicinata, era come se le fosse stata offerta l'opportunità di giocare con un grosso felino feroce, un ghepardo o una tigre, che non penseresti mai di accarezzare, con cui non crederesti di rimanere sola in una stanza. 508
Lucy si alzò nel box pieno di vapore. Non vedeva niente oltre i vetri appannati e meditava su come affrontare apertamente l'argomento con sua zia, per darle una spiegazione. Aprì la porta e nello stesso istante scorse una figura muoversi. Il vapore si dissolse e comparve la faccia di Morales che sorrideva e le puntava una pistola a pochi centimetri dal viso. «Muori, troia!» le disse. La porta cedette al primo colpo d'ariete e andò a sbattere contro la parete. La Bacardi e un agente in uniforme che le pareva si chiamasse Ben entrarono nell'appartamento 2D al suono della musica soft dei Coldplay e si trovarono davanti Kay Scarpetta. «Ma che cavolo...?» esclamò la Bacardi. Kay era su tutte le pareti. C'erano poster ovunque, alcuni che andavano dal soffitto al pavimento; non foto in posa, ma istantanee di lei sul set della CNN, a Ground Zero, o all'obitorio, immersa nei suoi pensieri e ignara del fatto che qualcuno le stesse scattando quelle che la Bacardi definì "ritratti di un genio in azione". Dove con "azione" non si alludeva a gesti concreti ma alla riflessione. «È una specie di mausoleo» commentò Ben, se era così che si chiamava. L'appartamento era situato sul retro della palazzina, un piano sopra quello di Terri Bridges. Gli unici mobili erano una semplice scrivania di acero appoggiata a una parete e, sotto, una piccola sedia da ufficio. Sul piano del tavolo c'era uno di quei computer portatili costosi e leggerissimi, forse un PowerBook. La Bacardi aveva sentito di gente che li aveva inavvertitamente 509
gettati via insieme a una pila di vecchi giornali. Adesso capiva come fosse possibile. Il computer era in carica, attaccato alla presa elettrica, e trasmetteva Clocks, con il volume basso, da chissà quanto tempo, perché qualcuno aveva selezionato l'opzione REPEAT del menu di iTunes. Sulla scrivania c'erano anche quattro vasi di vetro dozzinali con una rosa appassita ciascuno. La Bacardi si avvicinò alla scrivania e staccò uno dei petali. «Giallo» disse. L'agente Ben - la Bacardi aveva ormai deciso di chiamarlo così - era troppo occupato a guardarsi intorno in quel mausoleo in onore di Kay Scarpetta per accorgersi di quattro rose avvizzite o per capire che, nella prospettiva femminile, il giallo era importante. Per sentirsi rassicurata, la Bacardi aveva bisogno di ricevere rose rosse, ma sapeva benissimo che un uomo che ti regala rose gialle è uno che non avrai mai e per il quale saresti pertanto disposta a muovere mari e monti. Guardò Ben temendo, per un attimo, di avere fatto quelle considerazioni ad alta voce. «E ora?» disse. La voce rimbombava sulle pareti intonacate mentre lei camminava sui pavimenti spogli, passando da una stanza vuota all'altra. «Cosa facciamo visto che, a quanto pare, ci sono solo un portatile e la carta igienica?» Quando ritornò, l'agente Ben stava ancora osservando le fotografie di Kay Scarpetta, grandi come Times Square in proporzione alle dimensioni dell'appartamento. Le illuminò con la torcia come se potessero rivelargli qualcosa. «Mentre te ne stai lì a bocca aperta come uno scemo, io vado a chiamare Pete... l'investigatore 510
Marino... per sentire cosa cavolo dobbiamo fare con Gotham Gotcha» lo informò la Bacardi. «Hai idea di come si fa ad arrestare un sito web, Ben?» «Ban» la corresse lui. «Diminutivo di Bannerman.» La luce della torcia passava sui poster come una stella cometa che stia per estinguersi. «Se fossi la dottoressa Scarpetta» aggiunse «mi prenderei un paio di guardie del corpo». Squillò il telefono di casa e Jaime fece credere a Morales che fosse una chiamata interna. «È probabile che siano quelli della sicurezza» gli disse dal divano. Era pallida, sofferente, e aveva le mani di un rosso scarlatto. Kay non le sentiva nemmeno più. Era come se fossero di pietra. «Avranno sentito lo sparo.» Se una voce può essere grigia, quella di Jaime in quel momento lo era. Quando Morales era salito al piano superiore dopo avere sentito squillare un cellulare, Kay, riconoscendo la suoneria, le aveva fatto una domanda che le avrebbe cambiato la vita per l'eternità. Le aveva chiesto: "Lucy è di sopra?". Per tutta risposta, Jaime aveva spalancato gli occhi. Poi avevano udito lo sparo. Un colpo simile a una porta di metallo che sbatteva, come quelle del Bellevue. Dopo, silenzio. Morales era tornato dabbasso e a quel punto a Kay non importava più di nulla al mondo se non di Lucy. «Per favore, chiama un'ambulanza» gli disse. «Lascia che ti racconti la novità, dottoressa.» Sventolava la pistola e aveva un atteggiamento sempre più strano. «La novità è che la tua supernipote 511
ha una pallottola nella sua testolina di cazzo. Pensa al quoziente intellettivo che sto ammazzando stamattina. Caspita!» Prese la borsa da palestra aperta e si avvicinò, mettendosi di fronte al divano. Sul display del palmare che portava alla cintura dei jeans a vita bassa c'era la mappa di un GPS, con una spessa linea rosa che serpeggiava. Lasciò cadere la borsa sul tavolino e vi si accucciò davanti. Frugò all'interno e tirò fuori un paio di scarpe da ginnastica Brooks Ariel molto piccole e un sacchetto di plastica con le impronte in polivinile che Kay aveva preso dalle dita di Oscar Bane. Il sacchetto era unto, come se lui avesse oliato o lubrificato le impronte. Morales si posò la pistola sulla coscia, estrasse le impronte dal sacchetto e se le infilò sulle dita della mano sinistra. In quel momento Kay, per la prima volta, si rese conto che era mancino. Morales afferrò la pistola con la destra, si rialzò, mostrò la mano sinistra con le dita coperte da quegli strani cappucci di gomma bianca e sorrise. Le sue pupille erano così dilatate che al posto degli occhi sembrava avere due buchi neri. «Stavolta non avrò modo di fare il negativo del negativo. Queste resteranno al contrario.» Muoveva le dita e pareva divertirsi un mondo. «Giusto, dottoressa Sherlock? Sai di cosa sto parlando, vero? A chi poteva venire un'idea così geniale?» Voleva dire che, poiché le impronte provenivano da un calco, nel momento in cui erano trasferite su una superficie risultavano al contrario. Quando aveva fotografato le impronte che aveva lasciato con quei 512
ditali di gomma sul lampadario in casa di Eva Peebles, Morales doveva avere rimediato invertendo le immagini. Chiunque avesse fotografato e rilevato le impronte in casa di Jaime, invece, avrebbe trovato la sequenza rovesciata, l'immagine speculare di quello che si aspettava, e si sarebbe chiesto come mai. Un esperto di dattiloscopia avrebbe dovuto esaminarle da diverse prospettive per compiere un'accurata analisi geometrica e riuscire a confrontarle con quelle di Oscar Bane nello IAFIS. «Rispondi quando ti parlo, troia.» Minaccioso, Morales si avvicinò talmente che Kay sentì l'odore del suo sudore. Poi si sedette vicino a Jaime e le infilò la lingua in bocca, strofinandole lentamente la pistola fra le gambe. «Non poteva venire in mente a nessun altro» si vantò, continuando a stuzzicare con la canna della pistola le parti intime di Jaime, che restava immobile. «No, non poteva venire in mente a nessun altro» disse Kay. Morales si alzò e premette uno per uno i ditali sul tavolino di cristallo. Poi andò al mobile bar, aprì l'anta e prese la bottiglia di whisky irlandese. Scelse un bicchiere colorato che sembrava di vetro soffiato di Murano e lo riempì. Aveva lasciato le impronte di Bane sia sulla bottiglia sia sul bicchiere. Bevve a lunghi sorsi. Il telefono suonò di nuovo. E di nuovo Morales lo ignorò. «Hanno la chiave» disse Jaime. «Se sentono dei rumori nel palazzo e nessuno risponde, entrano a controllare. Lascia che risponda e li tranquillizzi. È inutile coinvolgere altre persone.» 513
Morales bevve ancora, si sciacquò la bocca con il liquore e puntò la pistola su Jaime. «Digli di andarsene» le ordinò. «Se provi a fare la furba, vi ammazzo tutte e due.» «Come faccio?» Morales sospirò, esasperato, andò a prendere il cordless e glielo avvicinò all'orecchio. Kay notò che aveva una piccola macchia rossa sulla faccia, e qualcosa dentro di lei si mosse, come placche tettoniche prima di un terremoto disastroso. La linea rosa sul display del palmare di Morales continuava ad avanzare. Qualcosa o qualcuno si muoveva velocemente. Oscar Bane. «Per favore, chiama un'ambulanza» insistette Kay. «Mi dispiace» mormorò Morales e fece spallucce. «Sì?» Jaime parlava al cordless che lui teneva in mano. «Ah... sa, è probabile che sia la TV. Un film di Rambo o roba del genere. Grazie della chiamata.» Morales allontanò il telefono dal viso di Jaime, che era tesissima. «Premi lo zero» disse lei in tono neutro. «Per disattivare le chiamate interne.» Morales eseguì e infilò il cordless nel caricabatteria. Marino sfiorò la porta con l'indice e l'aprì di pochi centimetri. Estrasse la Glock dalla tasca della giacca di pelle e l'impianto d'allarme emise un breve bip, avvertendo che una finestra o una porta era stata forzata. Si guardò intorno nell'attico di Jaime Berger, tenendo la pistola con due mani, e cominciò ad avanzare lentamente. Al di là dell'arco vide il salotto, che gli ricordava una navicella spaziale. 514
Jaime e Kay erano sedute sul divano con le braccia dietro la schiena. Dalle loro espressioni Marino capì che era troppo tardi. Da dietro il grande divano comparve un braccio che puntò una pistola contro la nuca di Kay. «Buttala a terra, idiota» ordinò Morales alzandosi in piedi. Marino gli stava puntando contro la Glock, ma lui aveva la canna della sua pistola affondata nei capelli biondi di Kay e teneva il dito sul grilletto. «Mi hai sentito, scimmione? Butta a terra quella cazzo di pistola, altrimenti vedrai il cervello di questo genio sparso per tutto l'appartamento.» «Non farlo, Morales. Ormai tutti sanno che sei stato tu. Arrenditi» replicò Marino. Stava passando mentalmente in rassegna una serie di strategie che lo riportavano invariabilmente a scontrarsi contro lo stesso muro, un muro che non riusciva ad aggirare in alcun modo. Era in trappola. Poteva sparare, ma l'avrebbe fatto anche Morales. Forse lui sarebbe morto, e Jaime e Marino si sarebbero salvati. Ma per Kay non c'era speranza. «Hai qualche problema con le prove, scimmione. Nessuno ti ha mai chiamato così?» chiese Morales. «Mi piace. Scimmione.» Marino non capiva se fosse ubriaco o drogato, ma di sicuro era alterato. «Perché... perché...» Morales ridacchiava. «Al massimo potresti essere un uomo di Neandertal, no? Scimmione coglione. Ti piace?» «Marino, non buttare la pistola» disse Kay con sorprendente calma e con la faccia impassibile. «Non 515
può sparare a tutti contemporaneamente. Non buttare la pistola.» «Che donna eroica, eh?» Morales le premette ancora più forte l'arma contro la testa e Kay trasalì, ma senza un gemito. «Una donna coraggiosa che ha per pazienti tante mummie incapaci di ringraziarla o di lamentarsi.» Si chinò e le sfiorò l'orecchio con la lingua. «Poverina. Non potevi lavorare con i vivi? È questo che dicono dei medici come te. Questo, e che devi tenere l'aria condizionata a dieci gradi altrimenti non riesci a dormire. Getta quella pistola, cazzo!» gridò a Marino. Si guardavano negli occhi. «Okay.» Morales fece spallucce e si rivolse a Kay. «È ora di fare la nanna. Così rivedrai la tua amatissima Lucy. L'hai detto, allo scimmione, che le ho sparato, di sopra? Salutami tutti, quando sarai in cielo.» Marino sapeva che parlava seriamente. Quando una persona non ha più nulla da perdere, non racconta frottole. Kay non valeva niente per lui. Nessuno valeva niente per lui. Lo avrebbe fatto. «Non sparare» gli disse. «Ora poso la pistola. Non sparare.» «No!» gridò Kay. «No!» Jaime taceva, perché non c'era niente che potesse dire per cambiare le cose. Era meglio stare zitta, e lo sapeva. Marino non voleva gettare la pistola. Morales aveva ucciso Lucy, avrebbe ucciso tutti quanti. Lucy era morta. Doveva essere al piano di sopra. Se Marino avesse tenuto la Glock, Morales non sarebbe riuscito ad ammazzarli tutti, ma avrebbe sparato a Kay e 516
questo lui non poteva permetterlo. Lucy era morta. Sarebbero morti anche loro. Sulla tempia destra di Morales apparve il puntino rosso di un laser. Si mosse, tremolante, poi rallentò e si spostò leggermente, come una lucciola color rubino. «La poso, la poso» ripeté Marino accucciandosi. Non sollevò lo sguardo, non si voltò indietro, non si tradì. Depose la Glock sul tappeto persiano fissando Morales negli occhi. «Ora alzati molto lentamente» gli ordinò questi. Allontanò la pistola dalla testa di Kay e la puntò contro Marino. La lucciola color rubino gli girava intorno all'orecchio. «Dì "mi arrendo", scimmione» urlò mentre il puntino laser si posizionava perfettamente sulla sua tempia destra. Lo sparo risuonò forte dal ballatoio e Morales stramazzò a terra. Tranne che al cinema, Marino non aveva mai visto nessuno afflosciarsi come un burattino a cui fossero stati tagliati i fili. Si precipitò oltre il divano e raccolse la pistola da terra. Dalla testa di Morales sgorgava sangue a fiotti che si allargava a macchia sul pavimento di marmo nero. Marino agguantò il cordless e digitò il 911. Corse in cucina a cercare un coltello, poi cambiò idea e prese il trinciapollo, con cui tagliò i legacci ai polsi di Jaime e Kay.. Kay corse al piano di sopra. Aveva perso la sensibilità nelle dita e non sentì il corrimano. Lucy era dietro la porta che dal ballatoio portava alla camera da letto matrimoniale. C'era sangue dappertutto, lunghe strisce sul pavimento, dal bagno fino al punto in cui era arrivata strisciando e dal quale 517
aveva sparato a Morales con la Glock calibro 40 che adesso era accanto a lei. Seduta per terra, appoggiata alla parete, tremava. Aveva un asciugamano in grembo. Era così insanguinata che Kay non riuscì a capire dove fosse stata colpita. Alla testa, certamente, forse alla nuca. I capelli erano intrisi di sangue, che le colava sul collo e sulla schiena nuda, raccogliendosi in una pozza intorno a lei. Kay si levò il cappotto e la giacca e si inginocchiò per esaminarle la nuca, ma aveva le mani intorpidite. Cercò di tamponare la ferita premendole la giacca sulla testa e Lucy gemette di dolore. «Andrà tutto bene, Lucy» la rassicurò. «Cos'è successo? Mi fai vedere dove ti ha colpito? Ci riesci?» «Qui. Ahia! Cristo! Proprio qui. Merda! Sto bene, sto bene. Ho tanto freddo.» Kay le passò una mano sul collo e sulla schiena, ma non sentì niente. Le dita cominciavano a formicolarle e a bruciarle, ma non avevano ancora riacquistato la sensibilità. Anche Jaime arrivò in cima alle scale. «Prendi degli asciugamani» le disse Kay. «Tanti.» Jaime vide che Lucy era cosciente, che stava bene, e corse verso il bagno. «C'è un punto in cui ti fa più male?» chiese Kay a Lucy. «Dimmi dove avverti dolore». «No, lì dietro no.» «Sei sicura?» Kay fece del suo meglio, palpando delicatamente con la mano ancora intorpidita. «Voglio accertarmi che non ci siano lesioni spinali.» «Non è lì dietro. Mi sembra di non avere più l'orecchio sinistro. Sono quasi sorda, a sinistra.» 518
Kay si spostò in modo da sedersi dietro Lucy, con le gambe divaricate e la schiena appoggiata al muro, e cominciò a palparle delicatamente il cuoio capelluto, che sanguinava copiosamente. «Non ho sensibilità nelle dita» le spiegò. «Guidami, Lucy, mostrami dove ti fa male.» Lucy allungò il braccio, le prese la mano e l'appoggiò su un punto preciso. «Qui. Cristo, se fa male. Forse è sotto la pelle. Merda, che dolore. Oddio, non premere, fa malissimo!» Cay non aveva gli occhiali e vedeva soltanto una massa confusa di capelli insanguinati. Le premette la mano sulla nuca e Lucy gridò. «Dobbiamo fermare l'emorragia» disse Kay con voce calma, gentile, come se si rivolgesse a una bambina. «La pallottola dev'essere appena sotto la cute: è per questo che ti fa così male quando premo. Andrà tutto bene. Guarirai perfettamente. L'ambulanza sarà qui a minuti.» Jaime aveva solchi profondi sui polsi; le mani, rosse e rigide, erano maldestre mentre stendeva alcuni grossi asciugamani bianchi per avvolgerli intorno al collo e sotto le gambe di Lucy. Lucy era nuda e bagnata. Doveva essere appena uscita dalla doccia quando Morales le aveva sparato. Anche Jaime si inginocchiò sul pavimento, sporcandosi di sangue le mani e la camicetta. Accarezzò Lucy, le disse che sarebbe andato tutto bene. Sì, sarebbe andato tutto bene. «È morto» le sussurrò. «Stava per sparare a Marino, stava per ammazzarci tutti.» Le dita di Kay si stavano dolorosamente risvegliando: era come se avesse milioni di aghi 519
piantati nella carne. Sentì vagamente un grumo duro sulla nuca di Lucy, qualche centimetro a sinistra della linea mediana. «È qui» esclamò. «Aiutami, Lucy, se ce la fai.» Lei sollevò la mano e la guidò fino al foro d'entrata del proiettile. Kay riuscì a estrarlo e Lucy gridò di dolore. Era di un calibro medio grande, semincamiciato e deformato. Kay lo porse a Jaime e premette un asciugamano sulla ferita per fermare l'emorragia. Il sangue aveva reso scivoloso il pavimento e la maglia di Kay ne era intrisa. Le sembrava che il proiettile non fosse penetrato nel cranio, ma avesse colpito l'osso con un'angolazione per cui aveva esaurito quasi tutta l'energia cinetica in uno spazio relativamente piccolo, nel giro di un paio di millisecondi. Il cuoio capelluto è una zona molto vascolarizzata e per questo sanguinava copiosamente, facendo sembrare la ferita molto più grave di quanto fosse in realtà. Kay continuò a premervi con forza l'asciugamano, tenendo la mano destra sulla fronte della nipote per immobilizzarla. Lucy si appoggiò a lei e chiuse gli occhi. Kay le toccò il collo e controllò le pulsazioni. Erano rapide, ma non in modo allarmante. Respirava bene, non era né agitata né confusa, non sembrava che stesse per cadere in stato di shock. Le posò di nuovo la mano sulla fronte, schiacciando forte con l'altra per fermare l'emorragia. «Lucy, devi aprire gli occhi e stare sveglia. Mi ascolti? Ci racconti cos'è successo?» chiese Kay. «L'abbiamo visto correre di sopra e subito dopo abbiamo sentito lo sparo. Ti ricordi cos'è accaduto?» 520
«Ci hai salvato la vita» mormorò Jaime. «Presto anche tu starai bene. Stiamo tutti bene.» Le accarezzò il braccio. «Non lo so» rispose Lucy. «Mi ricordo che ero nella doccia. Poi mi sono ritrovata per terra, in preda a un dolore terribile, come se mi avessero dato un'incudine in testa, come se mi fosse passata sopra una macchina. Era tutto nero, e per un attimo ho pensato di essere diventata cieca, ma poi ho ricominciato a vedere. Sentivo che era di sotto, però non riuscivo ad alzarmi: mi girava la testa. Così mi sono trascinata verso la sedia, dove avevo lasciato la giacca, e ho preso la pistola. A quel punto ci vedevo di nuovo bene.» La Glock insanguinata era sul pavimento vicino alla balaustra e Kay ricordò che era un regalo di Natale dì Marino, la pistola preferita di Lucy. Sua nipote aveva detto che era il dono più prezioso che lui le avesse mai fatto, una calibro.40 pocket con il mirino laser e varie scatole di proiettili a punta cava ad alta velocità. Marino conosceva i suoi gusti. Era stato lui a insegnarle a sparare, quando era ancora una bambina e la portava in giro sul suo pickup. La madre di Lucy, Dorothy poi inveiva, specie se aveva bevuto, accusava la sorella di rovinare la sua figlioletta e minacciava di non fargliela più vedere. Avrebbe senz'altro impedito a Lucy di andare dalla zia, se solo fosse stata in grado di occuparsi di lei. Ma in realtà non voleva avere una figlia perché era ancora una bambina lei stessa e aveva bisogno di un padre che l'accudisse, l'amasse e l'adorasse come il loro aveva amato Kay. 521
Kay continuava a sorreggere la fronte di Lucy con la destra mentre con la sinistra le teneva l'asciugamano contro la nuca. Adesso aveva le mani calde e gonfie, che pulsavano. L'emorragia era sensibilmente rallentata, ma lei si astenne dal guardare. «Sembra un trentotto» disse Lucy chiudendo di nuovo le palpebre. Probabilmente aveva visto il proiettile quando Kay l'aveva dato a Jaime. «Devi tenere gli occhi aperti» le ricordò Kay. «Va tutto bene, ma devi restare sveglia. Mi sembra di avere sentito un rumore: forse sono arrivati i paramedici. Adesso ti portiamo al pronto soccorso per fare tutti quei begli esami che ti piacciono tanto. Radiografie, risonanza. Dimmi come ti senti.» «Mi fa un male porco. Ma sto bene. Hai mica riconosciuto la sua pistola? Che modello era? Non mi ricordo di averla vista. Non mi ricordo neanche lui.» Kay udì la porta che si apriva al piano di sotto e il vociare carico di tensione dei soccorritori. Marino li esortò a sbrigarsi e, mentre salivano, si fece da parte e guardò prima Lucy avvolta negli asciugamani insanguinati e poi la Glock per terra. Si chinò e la raccolse. Fece l'unica cosa che sulla scena di un crimine non si dovrebbe mai fare. Impugnò la pistola con la mano nuda e sparì nel bagno. Due infermieri parlavano con Lucy e le rivolsero delle domande. Lei rispose mentre la sistemavano sulla barella. Kay era così indaffarata a seguire i preparativi che non si accorse che Marino era sceso di sotto ed era in compagnia di tre agenti in uniforme. Altri paramedici stavano sollevando Morales, senza neppure tentare di rianimarlo. 522
Marino tolse il caricatore dalla Glock - quella di Lucy - e lo svuotò in un sacchetto di carta che un agente gli teneva aperto. Stava raccontando ai colleghi che Jaime Berger gli aveva aperto la porta con il telecomando ed era riuscita a farlo entrare in casa di nascosto da Morales. Lui gli si era avvicinato senza che l'altro se ne accorgesse e a quel punto aveva fatto in modo che alzasse la testa. «Così ho avuto una frazione di secondo per sparargli prima che uccidesse qualcuno» mentì ai poliziotti. «Era dietro Kay Scarpetta e le puntava la pistola alla nuca.» «Eravamo tutte e due sul divano» aggiunse Jaime. «Una trentotto a cane interno» spiegò Marino. Stava raccontando quella storia per prendersi la colpa, non il merito. E Jaime lo assecondava senza fare una piega. A quanto pareva il suo nuovo scopo nella vita era tenere Lucy lontano dai guai. Dal punto di vista legale, Lucy non poteva girare armata a New York, neppure in una residenza privata, e nemmeno per autodifesa. Tuttavia, dal punto di vista legale, quella pistola apparteneva ancora a Marino, che non aveva mai fatto le pratiche per il trasferimento di proprietà perché dal Natale dell'anno prima, a Charleston, erano successe tante cose. Erano tutti scontenti, Rose non sembrava più la stessa e nessuno aveva ancora capito il perché, e Kay non riusciva più a tenere insieme il loro mondo, che stava andando in pezzi come una vecchia pallina da golf che perda il rivestimento. Era stato l'inizio di quella che Kay aveva temuto fosse la fine di tutto, per loro. Con la mano sporca di sangue, Kay stringeva quella insanguinata di Lucy mentre i paramedici spingevano 523
la barella verso l'ascensore. Uno di loro parlava via radio all'ambulanza che li aspettava davanti al palazzo. La porta si aprì e comparve Benton con il suo bel gessato blu, identico a come era apparso sulla CNN, quando Kay lo aveva guardato sul suo BlackBerry andando a casa di Jaime. Benton prese l'altra mano di Lucy e guardò Kay negli occhi. Era tristissimo, ma anche sollevato. 13 gennaio Non era solo grazie alla sua fama che Kay Scarpetta aveva ottenuto un tavolo da Elaine’s, dove nessuno era abbastanza importante da ricevere un trattamento speciale se non andava a genio alla leggendaria titolare del ristorante. Quando Elaine, ogni sera, si sedeva a uno dei tavoli, nel locale aleggiava un senso di aspettativa, come il fumo delle sigarette nei tempi ormai lontani in cui lì si facevano apprezzamenti sull'arte, la si criticava, la si ridefiniva - tutto fuorché ignorarla - e chiunque, di. qualunque condizione sociale, poteva varcare quella soglia. Da Elaine’s risuonavano echi di un passato che Kay ricordava con piacere, ma senza sentirne la mancanza. C'era stata per la prima volta molti anni prima, con un uomo del quale si era innamorata alla Georgetown. Lui adesso non c'era più e lei aveva sposato Benton, tuttavia il locale non era cambiato: tutto nero a parte il pavimento rosso, ganci per appendere giacche e cappotti, e telefoni a gettone che nessuno sembrava usare più. Le pareti erano tappezzate di foto di intellettuali e divi del cinema e sulle mensole c'erano libri autografati che nessun cliente osava toccare. 524
Kay e Benton si fermarono al tavolo di Elaine per salutarla. Baci, abbracci. «E da un po’ che non ci vediamo, dove siete stati?» Kay venne a sapere di essersi persa un ex segretario di Stato e, la settimana prima, un ex quarterback dei Giants che non le piaceva e il presentatore di un talk show che le piaceva ancora meno. Elaine le disse che erano in arrivo altri vip suoi amici, ma tutti i clienti erano anche "suoi amici". Il cameriere preferito di Kay, Louie, li accompagnò al tavolo. Mentre scostava la sedia per farla accomodare, sussurrò: «Non dovrei parlarne, ma ho saputo...». Scosse la testa. «Non vorrei dire, per carità! Soprattutto a lei, dottoressa. Ma ai tempi di Gambino, di Bonanno... Bè, era molto meglio, sa? Facevano quello che facevano, però avevano le loro ragioni, non so se mi spiego. Non se ne andavano in giro ad ammazzare la gente solo per il gusto di farlo. Una povera donna come quella, nana! E quell'anziana vedova. E i due ragazzi del Connecticut. Nessuna pietà, eh?» «Infatti» replicò Benton. «Volete sapere come la penso io? Preferisco le scarpe di cemento. Certe volte sono necessarie. Non vorrei sembrare indiscreto, ma come sta il... come dire? L'altro nano? So che non dovrei chiamarlo così, perché c'è chi lo considera offensivo.» Oscar Bane aveva contattato l’FBI e stava bene. Gli avevano tolto un microchip GPS dal gluteo sinistro e ora "si riposava", per usare le parole di Benton, al Pavilion, l'esclusivo reparto psichiatrico privato del McLean. Era in cura e, soprattutto, aveva la possibilità di sentirsi al sicuro finché non si fosse rimesso in sesto. 525
Kay e Benton sarebbero tornati a Belmont il mattino seguente. «Sta bene» rispose Benton. «Gli dirò che ha chiesto di lui.» «Cosa posso portarvi? Un aperitivo? Due calamaretti?» «Kay?» chiese Benton. «Scotch. Il migliore che avete.» «Anche per me.» «Per voi intaccherò la mia riserva speciale» disse Louie con una strizzatina d'occhio. «Ho un paio di nuovi whisky che vorrei farvi assaggiare. Dovete guidare?» «Che sia roba forte» si raccomandò Kay e Louie si diresse al bar. Dietro di lei, a un tavolo con vista sulla Second Avenue, c'era un uomo con uno Stetson bianco in testa, solo, che beveva vodka liscia, o forse gin con una scorza di limone. Ogni tanto allungava il collo per controllare il risultato della partita di basket trasmessa alla televisione con il volume azzerato. Kay notò che aveva la mandibola pronunciata, le labbra carnose e un paio di lunghe basette bianche. L'uomo guardava nel vuoto, descrivendo lentamente piccoli cerchi con il bicchiere sulla tovaglia bianca. Aveva qualcosa di familiare. Le pareva di averlo già visto, forse in televisione. Pensò, scioccata, che fosse Jake Loudin. Ma no, non era possibile. Loudin era stato arrestato. L'uomo nel ristorante era piccolo, abbastanza magro. Si rese conto che era un attore, uno che ormai non lavorava più. Benton studiava il menu con il viso nascosto dietro la copertina plastificata con la foto di Elaine. 526
«Sembri la Pantera Rosa in appostamento» gli disse Kay. Lui richiuse il menu e lo posò sul tavolo. «Hai intenzione di fare qualche annuncio? Visto che hai organizzato questa piccola riunione per ragioni non puramente sociali, ho pensato che fosse meglio chiedertelo prima dell'arrivo degli altri.» «Niente di particolare» rispose Kay. «Volevo solo prendere una boccata d'aria. Penso che tutti dovrebbero farlo prima che noi torniamo a casa. Mi spiace dover partire. Non mi pare giusto che tutti siano qui e noi là.» «Lucy guarirà perfettamente.» A Kay vennero le lacrime agli occhi. Era ancora molto scossa e la paura continuava ad attanagliarle il cuore come una morsa. Il pensiero del pericolo che avevano corso la tormentava anche nel sonno. «Non è ancora la sua ora.» Benton avvicinò la sedia e le prese la mano. «Se il suo destino fosse stato quello, ci avrebbe lasciati già da un po'.» Kay si asciugò gli occhi con il tovagliolo, poi alzò lo sguardo verso il televisore silenzioso, come se le interessasse la partita di basket. Si schiarì la voce e disse: «Ma era una cosa praticamente impossibile». «No, non è vero. Ho sempre detto che quelle pistole sono pericolosissime. Sono troppo leggere, e ciò che è successo lo dimostra. Per fortuna nel caso specifico per noi è stato un vantaggio. Il rinculo è fortissimo: è come se un cavallo ti desse un calcio alla mano. Sparando, Morales deve avere sussultato, probabilmente anche Lucy si è mossa, e tra piccolo calibro e bassa velocità... E poi, ripeto, non era la sua ora. Lucy deve restare con noi. Stiamo tutti bene. Anzi, 527
più che bene...» Benton le posò le labbra sulla mano e poi si sporse per baciarla sulla bocca, con tenerezza. Non era sua abitudine lasciarsi andare a manifestazioni di affetto in pubblico, ma evidentemente non gli importava più. Se Gotham Gotcha fosse esistito ancora, l'indomani quella cena e tutti gli invitati di Kay sarebbero stati la notizia del giorno. Kay non era mai stata nell'appartamento dove l'autrice scriveva anonimamente i suoi articoli al vetriolo e, ora che conosceva la sua identità, provava pietà per lei. Capiva bene perché Terri Bridges l'avesse presa in odio: a furia di ricevere email spietate e cariche di disprezzo da quella che credeva essere la sua eroina, a un certo punto si era stufata e aveva dato l'incarico al suo alter ego di farla pubblicamente a pezzi. Aveva premuto il grilletto e sparato tutte le sue cartucce contro Kay Scarpetta, rea di averle inflitto gli ultimi maltrattamenti di una lunga serie durata tutta la vita. Lucy aveva appurato che Terri aveva scritto il 30 dicembre i due articoli usciti a Capodanno e li aveva messi in coda per essere spediti automaticamente. Eva Peebles li aveva pubblicati dopo che Terri era già morta. Lucy aveva anche scoperto che il pomeriggio del 31 dicembre, poche ore prima di essere assassinata, Terri aveva cancellato tutte le email di Scarpetta612, secondo Benton non perché avesse intuito la propria morte imminente, ma perché aveva appena commesso lei stessa un crimine ai danni di un medico legale che avrebbe poi incontrato all'obitorio. Benton era convinto che Terri Bridges non fosse una donna priva di scrupoli: proprio per questo aveva 528
cestinato le oltre cento email che credeva di avere scambiato con Kay. L'ansia l'aveva indotta a eliminare tutte le prove del suo legame con Gotham Gotcha. Cancellando la corrispondenza, aveva anche sperato di cancellare dalla propria vita un mito tristemente decaduto. Quella era la teoria di Benton. Kay non ne aveva, tranne che di teorie se ne possono inventare all'infinito. «Ho scritto una lettera a Oscar» annunciò aprendo la borsetta e tirando fuori una busta. «Mi piacerebbe che la leggessero tutti, ma prima voglio leggerla a te. Non è un'email, ma una vera lettera su vera carta, la mia carta intestata personale, che non usavo più da non so quanto tempo. Non l'ho scritta a mano, però. La mia grafia con il passare del tempo diventa sempre più illeggibile. Non ci sarà processo, quindi posso dire a Oscar quello che voglio. Jaime me l'ha confermato. Così gli ho scritto e ho cercato di spiegargli che Terri aveva subito delle ingiustizie in famiglia e che a causa di questa esperienza in giovane età aveva sviluppato il bisogno di controllare tutto. Era arrabbiata perché aveva sofferto, e le persone che hanno sofferto spesso sentono i bisogno di far soffrire a loro volta, ma nonostante queste era una brava ragazza. Ti sto facendo un riassunto, perché è molto lunga.» Estrasse dalla busta quattro spessi fogli color crema ripiegati e li aprì, lisciandoli con la mano. Poi li scorse per cercare la parte che voleva sottoporre a Benton. Lesse a voce bassa: ... Nella camera segreta al piano di sopra dove scriveva i suoi articoli c'erano le rose gialle che le aveva regalato lei, Oscar. Terri le aveva conservate tutte. Scommetto che non glielo ha mai detto. Non si 529
fa una cosa del genere se non si da importanza ai sentimenti. Se ne ricordi, Oscar. E, se dovesse scordarlo, rilegga questa lettera. Gliela scrivo proprio per questo. Perché la conservi e non dimentichi. Mi sono presa inoltre la libertà di scrivere ai familiari di Terri per porgere le mie condoglianze e dire loro quanto ho potuto in merito alle molte, moltissime domande alle quali non avevano avuto risposta. Temo che la dottoressa Lester non sia stata di grande aiuto, in questo, e così ho cercato di colmare le lacune, sia per telefono sia per email. Ho parlato anche di lei, Oscar. Forse nel frattempo l'hanno contattata. Ma se non l'avessero ancora fatto, stia pur certo che lo faranno entro breve. Mi hanno chiesto di riferirle le volontà testamentarie di Terri, ma hanno intenzione di scriverle a questo proposito. E magari l'hanno già fatto. Non entrerò nei dettagli delle disposizioni lasciate da Terri, perché non è compito mio. Ma, con il beneplacito dei suoi familiari, le posso dire almeno una cosa. Terri ha lasciato una somma considerevole all'associazione Little People of America per creare una fondazione che offra assistenza medica a coloro che desiderano o necessitano cure particolari (come interventi correttivi) non coperte dalle assicurazioni. Come sa, a molti sono precluse: le cure odontoiatriche, per esempio, e in alcuni casi, l'allungamento delle ossa. Questo per dire che Terri era molto generosa... Kay lesse fin dove poté, prima di essere di nuovo assalita dalla tristezza. Ripiegò i fogli e li infilò nella busta. Louie arrivò con i drink e scomparve subito, con discrezione. 530
Kay bevve un sorso che, scendendole in gola e salendole alla testa, la riscaldò e le fece ritrovare un po’ di coraggio. «Se pensi che non interferirà con la terapia, potresti consegnarla al tuo paziente da parte mia?» chiese a Benton porgendogli la busta. «Per lui significherà molto più di quanto immagini» replicò Benton, e si infilò la busta nella tasca della giacca di morbida pelle nera. Era nuova, come la cintura con la fibbia Winston a forma di testa d'aquila e gli stivali fatti a mano. Lucy aveva voluto festeggiare il fatto che, per usare le sue parole, "avevano schivato un'altra pallottola" facendo regali a tutti. E di un certo valore. Kay aveva ricevuto in dono un altro orologio, di cui non aveva bisogno un Breguet con cassa in titanio e quadrante in fibra di carbonio -, coordinato alla Ferrari nera F430 Spider che la nipote aveva detto di averle comprato. Ma era uno scherzo, grazie a Dio. Kay avrebbe preferito girare in bicicletta, piuttosto che guidare un bolide come quello. Marino aveva una moto nuova, una Ducati 1098 rossa da corsa che Lucy gli teneva a disposizione nel suo hangar di White Plains, perché sosteneva che a New York non poteva guidare niente che non avesse almeno quattro ruote. E piuttosto brutalmente gli aveva consigliato di non ingrassare, altrimenti non sarebbe riuscito a salire su una Superbike, nemmeno se era davvero super. Kay non aveva idea di cosa la nipote avesse regalato a Jaime. Non le faceva domande, a meno che lei non volesse sentirsene fare. Cercava di essere paziente. Lucy aspettava il suo giudizio, ma Kay non aveva alcuna intenzione di esprimerne uno: non le interessava. Nemmeno lontanamente. Superato lo 531
shock iniziale, che pure era del tutto ingiustificato, si sentiva felice. La settimana precedente, lei e Jaime erano riuscite a pranzare insieme, da sole, da Forlini’s, vicino al numero 1 di Hogan Place. Si erano sedute nel séparé intitolato a Nicholas Scoppetta, un quasi omonimo di Kay. Jaime lo considerava un posto fortunato, le aveva confidato, perché era il tavolo delle separazioni. Quando Kay aveva espresso la sua perplessità su quel commento, lei aveva replicato che era una fan degli Yankees e in passato andava alle partite: tutto dipendeva da chi batteva al nono inning. Non c'era bisogno di seguire il baseball per capire. Kay si era accontentata di sapere che il tavolo intitolato al commissario dei vigili del fuoco di New York non scottava più come un tempo, in un passato nemmeno molto lontano. Poche persone la conoscevano bene quanto Jaime Berger. Benton lanciò un'occhiata alla porta, poi le disse: «Grazie per avermela letta, ma a loro non leggerla». «Non ero certa di volerlo fare.» «Non hanno bisogno che dimostri loro la tua umanità.» Benton la guardava negli occhi. «Dici?» «Si è parlato molto delle porcherie apparse su Internet, delle email che Morales spediva spacciandosi per te e tutto il resto. Ma noi sappiamo come sei. Tu non hai colpe. E io e te ne discuteremo ancora, ripeteremo chissà quante volte le stesse cose. Ci vuole tempo perché le emozioni vengano elaborate a livello razionale. Inoltre, dovrei essere io a sentirmi responsabile. Morales ha appreso tutte quelle stronzate da... come si chiama?... Nancy, e Marino 532
non sarebbe mai finito nelle mani di quella cretina se io non lo avessi mandato in quel maledetto centro di recupero, sprecando pure il mio tempo a spiegarle la situazione.» «Non avrebbe dovuto dire nulla a Morales, sono d'accordo. Ma posso capire perché lo ha fatto.» «No» replicò Benton. «Non avrebbe dovuto, punto e basta. Lui l'avrà sedotta per telefono. Chissà cosa le avrà raccontato... Però lei non avrebbe dovuto riferirgli nemmeno una parola di quello che le aveva confidato Marino. E stata una gravissima violazione del codice deontologico. Farò in modo che venga radiata dall'albo degli psicoterapeuti.» «Cerchiamo di non punire nessuno. C'è già abbastanza sofferenza, abbastanza gente litigiosa, che si immischia nei fatti degli altri, decide al posto loro e si vendica dei torti subiti. Indirettamente, è questo il motivo per cui Terri è morta. E lo stesso vale per Eva Peebles. Se Terri non avesse cercato di vendicarsi con tutti... Se proprio Marino vuole denunciare la sua ex psicoterapeuta, lascia che sia lui a farlo.» «Forse hai ragione» convenne Benton. «Sono arrivati.» Si alzò, in modo che Marino potesse vederlo nella sala affollata. Lui, la sua nuova fidanzata, la Bacardi che aveva anche un nome proprio, Georgia -, Jaime e Lucy si fecero strada fra i tavoli. Salutarono Elaine, scambiarono due chiacchiere con lei, che Kay non riuscì a sentire, poi li raggiunsero. Sembravano allegri. Lucy indossava un cappellino da baseball dei Red Sox, probabilmente per fare dispetto a Jaime, che ovviamente li odiava, ma soprattutto per coprire la piccola zona rasata sulla testa. 533
Era tutto lì: un piccolo insulto alla sua vanità. La ferita sulla nuca era guarita e anche la lieve commozione cerebrale. Marino aveva sdrammatizzato come solo lui riusciva a fare, dicendo che Lucy se l'era cavata perché non c'era molto da colpire tranne l'osso. Louie tornò con i famosi calamari di Elaine e prese le ordinazioni senza scriverle. Jaime e Lucy vollero assaggiare lo scotch della sua riserva speciale. La Bacardi non fece onore al suo nome e chiese un Apple Martini. Marino esitò, poi scosse la testa, a disagio. Nessuno ci fece caso, ma Kay capì. Allungò la mano, passando dietro Lucy, e gli toccò il braccio. Lui si appoggiò allo schienale, facendo scricchiolare la sedia, e disse: «Come stai?». «Sei mai stato qui?» gli chiese Kay. «No, non è il mio genere di locale. Non mi piace parlare dei fatti miei con Barbara Walters seduta due tavoli più in là.» «Non è lei. Qui hanno Red Stripe, Buckler, Sharp" s... Non so cosa preferisci di questi tempi» replicò Kay. Non voleva né incoraggiarlo a bere né dissuaderlo dal farlo. Gli stava solo dicendo che non le importava cosa bevesse: di quello doveva preoccuparsi lui; le premeva solo che stesse bene. «Avete la Red Stripe?» domandò Marino. «Certo.» «Magari allora più tardi ne prendo una.» «Come preferisce» disse Louie. Memorizzate tutte le ordinazioni, sparì. Jaime guardò Kay, poi notò l'uomo con lo Stetson bianco seduto accanto alla finestra. «Sai cosa sto pensando?» «Non è lui» disse Kay. 534
«Mi è quasi venuto un colpo quando sono entrata. Non puoi immaginarti. Mi sono chiesta: "Com'è possibile?".» «È ancora dove dovrebbe essere?» «Vuoi dire all'inferno?» intervenne Lucy, che evidentemente aveva capito l'argomento della conversazione. «Lì dovrebbe stare.» «Non farti venire strane idee, Rocky» l'ammonì Marino. Era il soprannome che aveva dato a Lucy da piccola, perché lei non capiva mai quando era il momento di smetterla e lo sfidava sempre a fare la boxe o la lotta, finché aveva compiuto dodici anni e le erano venute le mestruazioni. Dal momento che il secondo nome di Marino era Rocco, Kay aveva sempre considerato quel nomignolo il prodotto di un meccanismo proiettivo: Marino amava in Lucy quello che amava in se stesso, solo che non ne era consapevole. «Non m'importa di cosa dice la gente, io quei film li adoro» dichiarò la Bacardi. Louie era già tornato. «Anche l'ultimo, Rocky Balboa. Alla fine piango sempre. Non so perché, davanti al sangue vero non batto ciglio, ma al cinema mi dispero.» «Qualcuno deve guidare?» chiese di nuovo Louie. Poi, come da copione, si rispose da solo: «Certo che no. Stasera non guida nessuno. Non so cosa stia succedendo: sarà la forza di gravità...». Era un modo per avvertirli che i drink erano forti. «Inizio a versare e la forza di gravità prende il sopravvento. Così non riesco più a raddrizzare la bottiglia e continuo a versare, a versare.» «I miei genitori mi portavano qui quand'ero piccola» disse Jaime a Lucy. «Questa è la vecchia New York. 535
Goditela adesso perché un giorno non ci sarà più niente dell'epoca in cui tutto era migliore, anche se a quel tempo non me ne rendevo conto. La gente veniva qui e parlava davvero di arte e di idee. Hunter Thompson. Joe DiMaggio.» «Non pensavo che Joe DiMaggio parlasse di arte e di idee. Credevo parlasse soprattutto di baseball. Ma non di Marilyn Monroe. Sappiamo che di lei non parlava» replicò Lucy. «Ti conviene sperare che i fantasmi non esistano» ribatté Benton rivolgendosi alla sua quasi nipote. «Dopo quello che hai fatto...» «A proposito, ti volevo chiedere...» cominciò la Bacardi. «Caspita, ci sono un sacco di mele in questo drink.» Infilò il braccio sotto quello di Marino e gli appoggiò la testa sulla spalla. La farfalla tatuata su un seno florido spuntò dal top aderente. «Dato che il sito è andato misteriosamente in crash, non sono mai riuscita a vedere quella maledetta foto. E falsa, vero?» «Come, scusa?» rispose Lucy con aria innocente. «Non fare la finta tonta con me.» La Bacardi sorrise e bevve un sorso del suo Apple Martini, senza complimenti. «Qui avrai visto della gente interessante, da bambina» disse Kay a Jaime. «Molte delle persone nelle foto appese alle pareti. La metà delle quali Lucy non ha mai nemmeno sentito nominare.» «Ci risiamo. E un miracolo che mi sia permesso di bere alcolici» si lamentò Lucy. «Mi trattate come se avessi dieci anni. Li avrò per tutta la vita, mi sa.» «Se penso che quando hanno sparato a John Kennedy non eri ancora nata... E nemmeno quando 536
hanno sparato a Bob Kennedy o a Martin Luther King. E nemmeno quando c'è stato il Watergate» commentò Jaime. «Mi sono persa anche qualcosa di bello?» «La passeggiata di Neil Armstrong sulla Luna. Quella è stata magnifica» replicò Jaime. «Io c'ero! E c'ero anche quando è morta Marilyn Monroe» intervenne la Bacardi. «Allora, ti dicevo: parlami di quella foto. Del worm, o come diavolo si chiama.» «Ci sono foto di Marilyn morta, su Internet» spiegò Marino. «Un paio, almeno. Oggi sarebbe ancora più facile: qualche stronzo che lavora all'obitorio fa due scatti col telefonino e li vende. Dovremmo proibire i cellulari» disse a Kay. «Imporre che vengano lasciati in ufficio, come faccio io con la pistola quando vado in un penitenziario. Ci dovrebbe essere una cassaforte o roba del genere.» «Non è una foto originale» spiegò Lucy. «Almeno, non esattamente. Solo la testa. Il resto l'ho tagliato, incollato e ritoccato.» «Pensi davvero che sia stata uccisa?» chiese la Bacardi in tono serio. Kay aveva visto il fotomontaggio e letto quello che Eva Peebles aveva scritto al riguardo, ed era a conoscenza dei dettagli del caso. Se non avesse già bevuto più di metà del suo scotch liscio, forse non sarebbe stata così sincera. «È probabile» rispose. «Ma non sarebbe furbo dirlo quando vai in onda sulla CNN» la mise in guardia Benton. Kay bevve un altro sorso. Lo scotch era morbido, con un lieve aroma di torba che le saliva nel naso ed evaporava dentro la testa, più in profondità di prima. 537
«La gente si sorprenderebbe se venisse a sapere quello che non dico» replicò. «Eva Peebles ci aveva quasi azzeccato.» Lucy prese in mano il proprio bicchiere, lo sollevò per brindare a sua zia, poi se lo portò alle labbra. Lo assaporò con il naso e con la lingua, come fanno i sommelier con i vini di qualità. Guardò Kay da sotto il cappellino da baseball e sorrise.
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