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PRIMO CAPITOLO
A partire dagli anni Trenta e poi soprattutto durante la guerra e nel dopoguerra l’attenzione dei compositori classici verso il Jazz si fece sempre più intensa.
La Formazione di alcuni compositori consentiva loro di ignorare la distinzione tra jazz, musica da concerto o canzone. Alec Wilder1, noto tra i Jazzisti per brani come I’’ll Be Around e It’s So Peacefus in the Country, in realtà sarà padre di tutta una vasta produzione impregnata di jazz, come le sue celebri composizioni da camera dagli anni 40 fino agli anni 70. O come il capolavoro più significativo, cioè la serie di Ottetti, per flauto, oboe, clarinetto, clarinetto basso, fagotto, clavicembalo, contrabbasso e batteria incisi tra il 1939 ed il 1941, scritti per intero, con frasi asimmetriche, cesello contrappuntistico e bozzetti swingati. Sea Fugue Mama, probabilmente il primo
esempio
di
fuga
jazz
della
storia.
NANCARROW2, inizialmente trombettista jazz in gruppi texani .con studio per pianola meccanica. Studio 3 importante.
Elliott Carter3 altro nome importante, si interessò al linguaggio jazz per renderlo funzionale ad altri scopi. La Sonata per violoncello e pianoforte del 1947, in particolare il secondo movimento, è intrisa di ritmi jazz. Carter percepisce lo swing come uno sfasamento tra sezione ritmica e linea melodica: e prova a fissare sulla carta questo fenomeno squisitamente interattivo. Il risultato non è swing, ma si traduce comunque in interessanti slittamenti ritmici. ). La musica successiva al 1950 è tipicamente atonale e ritmicamente molto complessa (fu proprio a proposito della musica di Carter che venne coniato il termine “metric modulation” per descrivere i frequenti cambiamenti di tempo nei suoi lavori). Dicotomie estremamente utilizzate venti anni dopo dal Jazz stesso.
1
Alexander Lafayette Chew Wilder (16 Feb 1907, 24 Dic 1980). Compositore americano. Autore di Alice in Wonderland Suite. 2
Conlon Nancarrow (Texarkana, 27 ottobre 1912 – Città del Messico, 10 agosto 1997) è stato un compositore statunitense. Ha vissuto e lavorato in Messico per gran parte della sua vita, e nel 1955 ne ha preso la cittadinanza. Nancarrow è famoso per i pezzi scritti per Player Piano. È stato uno dei primi compositori ad usare strumenti musicali come automi meccanici, scrivendo lavori ben oltre le capacità umane. Ha vissuto gran parte della sua vita in un relativo isolamento, rimanendo praticamente sconosciuto fino al 1980. 3
compositore statunitense di musica contemporanea.
VARESE Anche la didattica fu molto mportante. I didatti che lasciarono un segno profondo nelle innovazioni del jazz del dopoguerra americano sono stati soprattutto Stefan Wolpe e Darius Milhaud, i quali guidarono i nuovi jazzisti nella creazione di nuove scale ed una sintassi che aggirava le idee tonali. La California sfornò ottimi insegnanti neri: un buon esempio è Sam Browne che guidò il dipartimento musicale della Jefferson High School, tenendo anche master in musica e didattica all’University Southern California, facendo uscire Chico Hamilton, Tascott e Dexter Gordon. Oppure lo stesso Dolphy frequentò le lezioni di Hale Smith che lo portò a New York da Edgar Varèse, il quale manifestò un interesse non episodico per il Jazz rimanendo stupito dal magistero flautistico di Dolphy, a cui dedicò una versione autografata con adattamenti specifici per lo stesso musicista, il brano in questione è Density 21.5.
Esso rappresenta sicuramente un punto di svolta nell'evoluzione delle nuove tecniche strumentali per flauto. Interesse costante di Varèse fu lo studio della materia sonora, che a volte, spinta alle estreme conseguenze si inoltra nel campo del rumore. Nel caso di Density 21.5 La melodia, molto pura, si eleva intorno ad alcune note-perno, utilizzando una scrittura nella quale i cromatismi, ripetizioni o ornamenti, si alternano con intervalli disgiunti. La struttura fondamentale, l'ossatura, è costituita da un cromatismo ascendente, che appare sempre sottolineata da un valore lungo. Attraverso Teo Macero4 e Earle Brown5, Varèse si interessa anche agli sperimentatori ed improvvisatori che nei primi anni Cinquanta giravano attorno a George Russell, Lennie Tristano e Carles Mingus. Al punto da fargli radunare alcuni solisti jazz, come Art Farmer e Bill Crow, per registrare sedute di libera improvvisazione su parametri dati. Queste registrazioni vennero poi tradotti dallo stesso in segni grafici su cui fu modellato il Poème électronique6.
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Produttore per vent'anni alla Columbia Records, Macero è ricordato per aver prodotto l'album di Miles Davis Kind of Blue, 5
Noto per le sue collaborazioni con John Cage, Jackson Pollock e Alexander Calder, è uno dei massimi protagonisti dell'avanguardia americana, caratterizzandosi per una scrittura parzialmente aleatoria, aperta alle istanze preformative. Tra i suoi lavori: Folio (1952) per esecutori non precisati; Light Music (1961) per luci elettriche, gruppo di strumenti elettronici e grande orchestra; Cross Sections and Color Fields (1975) e Sounder Rounds (1983) per orchestra; Special Events (1998) per violoncello e pianoforte, uno degli ultimi lavori composti da Brown.
LENNIE TRISTANO L’interesse dei jazzisti7 nei confronti della musica contemporanea trova radici negli anni ‘50, periodo in cui i musicisti americani iniziavano ad ascoltare sempre più frequentemente lavori di artisti come Edgard Varèse o John Cage. In realtà alcuni tentativi furono fatti qualche anno prima, Lennie Tristano infatti nel 1949 registrò due brani che sono passati alla storia come i primi esperimenti di improvvisazione libera: Intuition e Digression. Chiaramente è forse prematuro parlare di free jazz, ma a mio parere queste due improvvisazioni sono oltremodo interessanti e ci permettono di capire quanto già negli anni ‘40 i musicisti più creativi fossero aperti a nuove sperimentazioni musicali. Ciò che desta il mio interesse è che queste due improvvisazioni vengono suonate senza la batteria, probabilmente per avvicinarsi maggiormente a una musica contemporanea di carattere cameristico. I musicisti si inseguono, si imitano e contrastano, cercando di evitare riferimenti tonali, tutto ciò avviene un decennio prima di Free Jazz di Ornette Coleman e questo ci permette di constatare che l’improvvisazione libera non è venuta fuori negli anni ‘60 priva di precedenti. L’Intro pianistico di Digression è un’improvvisazione che fa chiaramente riferimento alla musica contemporanea per piano, pare quasi di sentire suonare i preludi di Olivier Messiaen8, in particolare è sensazionale la somiglianza con il secondo degli otto preludi (1928-1929): Chant d'extase dans un paysage triste. Qui Tristano è considerato uno dei più creativi pianisti della sua epoca e certamente questi esperimenti, probabilmente puramente didattici, ne sono testimonianza. A fianco al Bebop, si sviluppò un genere “cool jazz” che sembra in qualche modo rovesciare le regole della sperimentazione sotto l’egida di Lennie Tristano. Cieco sin dall’infanzia di formazione conservatoriale, iniziò trasformando il trio alla Nat King Cole, in un laboratorio di massicce armonie politonali, di impronta vagamente hindemithiana, con tonalità maggiori e minori sovrapposte incardinate nel tritono tipico del bop, ora spostandosi con spessi accordi a blocchi ora 6
Le Corbusier, Le poéme electronique, a cura di Jean Petit, Editions de Minuit, Paris 1958
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Walter Mauro: La storia del jazz
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Jean-Noël von der Weid: La musica del XX secolo
sfaldando la materia in un inedito contrappunto poliritmico. Tristano ha sempre avuto un rapporto difficile con le case discografiche dal momento che la sua esigenza di purezza artistica ed il suo rifiuto di qualsiasi compromesso che potesse minare la sua integrità morale di musicista andarono in contrasto con le esigenze commerciali delle case discografiche. Lui stesso dichiarò più volte di non tollerare l'obbligo di registrare per motivi contrattuali poiché non dipendente esclusivamente dalla volontà dell'artista, dalla sua consapevolezza di essere pronto a farlo; e sostenne che proprio a causa di queste pressioni, anche musicisti di grandissimo spessore come John Coltrane alternarono registrazioni di altissimo livello ad altre decisamente inferiori1. Proprio questa esigua discografia delinea alcuni periodi, essenzialmente quattro, che tracciano l'evoluzione artistica del pianista: il periodo che va dal 1945 al 1947, il 1949, il 1955 ed il 1962. Queste fasi si sono alternate a lunghi periodi di silenzio, senza pubblicazioni e con poche apparizioni dal vivo, durante i quali però Tristano continuò nelle sua ambiziosa ricerca di una evoluzione estetica, nella sua sperimentazione, coinvolgendo i musicisti entrati a far parte della sua scuola. Quella di Tristano è stata probabilmente la prima vera scuola di jazz frequentata da musicisti del livello di Konitz, Warne Marsh e Billy Bauer per citarne alcuni che assieme al maestro realizzarono incisioni storiche. Fu una scuola-laboratorio in cui oltre a suonare e discutere di musica si toccarono molti altri argomenti riguardanti anche le questioni etiche dell'essere musicista, proiettandosi talora verso una visione più ampia possibile dell'arte e della cultura; di questa congrega Tristano fu il maestro nel senso più ampio, la guida spirituale. Il tutto a Chicago, sua città natale, e a New York dopo il suo trasferimento nel 1946. Tristano persegue un’integrazione assoluta tra melodia della composizione e linguaggio improvvisativo, al punto che temi come Subconsious-Lee o Marshmallow, entrambi incisi a nome di Konitz, nascono come improvvisazioni stese su pentagramma e rifunzionalizzati in temi. Oppure in Lennie’s Pennies dove si trovano sintetizzate le novità del linguaggio improvvisativo tristaniano: armonie lidie o doriche, la spinta dissonante delle linee e la divergenza verso armonie alterate sono del tutto nuove e anticipano il jazz modale di Joe Henderson e Herbie Hancock. Affiora anche una diversa idea di fraseggio ritmico: gli spigolosi accenti bop e le pause frammentate sono ora razionalizzati in gruppi poliritmici, la cui reiterazione sistematica confligge con il metro di base, generando un doppio binario metrico, quello dell’accompagnatore e quello del fraseggio. Tristano è consapevole che tra libertà contrappuntistica e giro armonico data si genera una tensione ambigua. Così dal 48 in poi con i suoi allievi ha esplorato pratiche di improvvisazione
collettiva senza regole armoniche, tonali, ritmiche, formali: libere invenzioni melodiche simultanee di tutti i partecipanti, pure polifonie senza vincoli, rendendo questi atti pubblici, anticipando in qualche modo l’esperienza dei gruppi di improvvisazione collettiva degli anni 60 del free jazz 9 in cui nessuno è accompagnatore, nessuno è solista, le parti eseguite sono autonome ma non indipendenti. Questa esperienza iniziata con Mingus, venne sostenuta da musicisti come Ornette Coleman ed il suo Free Jazz: A Collective Improvisation10, che portò l'improvvisazione conversazionale a nuove altezze, forzando ancora di più i limiti imposti all'espressione individuale e preservando allo stesso tempo l'unità della band. Nel mondo della Musica Contemporanea, l’improvvisazione libera, con però altri presupposti, venne provata nel 1964 da il Gruppo di Improvvisazione di Nuova Consonanza, le cui improvvisazioni andarono spesso a riempire i buchi nel cartellone dei festival e delle manifestazioni che l'omonima associazione organizzò. Il progetto permise ad Evangelisti di sviluppare ulteriormente le sue precedenti intuizioni sulla improvvisazione libera portandolo a definire il gruppo come “il primo ed unico gruppo formato da compositori-esecutori”. Proprio in merito al Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza, Evangelisti entrò in contatto con Larry Austin durante una residenza di quest'ultimo nella American Academy in Rome, che in questo periodo, stava sviluppando a Los Angeles, esecuzioni di John Cage e Stockhausen, basate sull'improvvisazione collettiva con il gruppo di estrazione jazzistica New Music Ensemble, con cui nacque un profondo rapporto di scambio e collaborazione. Il GINC si esibì per la prima volta nel 1965, nel contesto del III Festival di Nuova Consonanza con una formazione che vedeva agli strumenti elettronici Franco Evangelisti, gli americani Larry Austin, John Heineman, John Eaton ed il tedesco Roland Kayn al clarinetto William O. Smith ed al sassofono l'ungherese Ivan Vandor, in precedenza impegnato con la Seconda Roman New Orleans Jazz Band. Dopo questo parallelo storico tornando alla esigenza incessante di sperimentazione
di
Tristano11, si può aprire ancora un capitolo importante sulla sua carriera, questa volta parlando della tecnica del multitracking, che gli permise di registrare nel 1951, due brani per la sua neonata etichetta discografica, la “Jazz records”. I brani in questione sono “Ju ju” e “Pastime” nei quali si avvale della collaborazione di Peter Ind al contrabbasso e Roy Haynes alla batteria. Tristano vi sovraincide due pianoforti spostando la sua attenzione dalla verticalità armonica alla piena 9
Jost Ekkehard, Free jazz, Palermo, L'Epos, 2006. Charles Hersch, "Let Freedom Ring!": Free Jazz and AfricanAmerican Politics, in «Cultural Critique», No. 32, Winter 1995-1996. Pubblicato da: University of Minnesota Press. 10
Free Jazz: A Collective Improvisation è il sesto album inciso da Ornette Coleman, registrato nel dicembre del 1960 e pubblicato dalla Atlantic Records nel 1961 11 http://www.jazzitalia.net/lezioni/tesi/tst_tristano_1.4.asp#.XjK7Sy2h3OQ (4 feb 20)
orizzontalità, alla polifonia, e quest'ultima non tanto più intesa in senso contrappuntistico ma di pura convivenza di due linee improvvisate indipendenti che in alcuni momenti convivono pacificamente ed in altri danno luogo ad urti e contrasti dall'effetto politonale. Forse Tristano dà uno sguardo indietro ed uno avanti, pensando alla polifonia improvvisata della musica di N. Orleans intesa in una chiave decisamente moderna e d'avanguardia. Ed in ultima analisi possiamo ricordare Line up, vera e propria pagina visionaria e profetica, qui assistiamo ancora una volta al genio compositivo e sperimentale allo stesso tempo di Tristano, dove la concezione ritmica neutra è portata alla estreme conseguenze facendo registrare basso e batteria come in un lungo accompagnamento di All of me, poi dimezzando la velocità del nastro, sovraincise una propria lenta improvvisazione, avendo cura di restare nel registro grave, quindi riportò il nastro alla velocità originale: l’effetto sarà di ritorno alla normalità per l’accompagnamento ed una sensazione di accelerazione e cambio timbrico del piano di Tristano.
È il 1956 quando Charles Mingus registra Pithecanthropus Erectus, un altro esempio che ci fa notare come i jazzisti già tendessero ad esplorare al di fuori del “tradizionale” ben prima dell’avvento del free jazz. Obiettivo di Mingus con questa registrazione è ripercorrere le tappe dell’evoluzione dell’uomo, condannato ad un declino rovinoso a causa della superbia che si impadronì di lui da quando assunse la posizione eretta. Possiamo quindi approfondire un altro importante aspetto dell’influenza della musica contemporanea nel jazz per quanto riguarda l’improvvisazione. Nella suite sopraccitata di Mingus si può sentire come l’aspetto predominante nell’improvvisazione sia proteso alla descrizione, alla creazione di colori, al timbro. Viene sacrificato il virtuosismo per una causa più grande, anche qui possiamo parlare di un “racconto musicale”, o di “musica visiva”. I sassofoni producono lamenti, suoni cacofonici, utili nella composizione per creare l’atmosfera adatta. Mingus aveva già sperimentato in precedenza il modo per uscire fuori dai canoni armonici a favore di una improvvisazione più libera e complessa, dal 1953 infatti si era fatto promotore e animatore di un gruppo di musicisti d’avanguardia (che inizialmente prendeva il nome di “Jazz Workshop”) con i quali tenne diversi concerti e registrò diversi brani, degno di nota è soprattutto Gregorian Chant, registrato nel 1954, con Wally Cirillo, Teo Macero e John La Porta. L’inizio cameristico apre un brano ricco di sfumature e colori, qui è l’insieme a costruire la composizione, la sensazione di dispersione dei suoni invece è dovuta
soprattutto ad una dinamica continuamente in movimento. Il lavoro fatto con il Jazz Workshop, che si concentrava maggiormente sulla composizione di brani scritti, fu però criticato da Mingus nelle note di copertina di Pithecanthropus Erectus, dove viene sottolineato che la parte veramente importante nel jazz è l’improvvisazione, in quanto “il jazz non può essere eseguito, se ci si attiene a una parte scritta, ci vuole quel feeling che si può trovare solo se si suona liberamente”. L’improvvisazione libera da schemi armonici era comunque già stata sperimentata da alcuni compositori di musica contemporanea. Henry Cowell in Mosaic (1934), terzo dei suoi cinque quartetti per archi, sperimenta una “forma elastica” che precede la musica aleatoria di John Cage. Cowell già nel 1923 aveva composto Aeolian Harp, nel quale si utilizzavano le corde del piano per ottenere nuovi suoni; Earl Brown lasciava spazio all’improvvisazione da parte degli esecutori in December 1952 (1952), Four System (1954) ed in molte altre delle sue composizioni. Possiamo quindi immaginare come Mingus, che ebbe un animo di sperimentatore, potesse essere influenzato da queste forme che ormai da anni sono presenti nell’ambiente musicale. Nella versione di A foggy day, registrata da Mingus sempre nel 1956, riscontriamo quello che ho detto anche per Daybreak Express di Ellington. Mingus riesce a dar vita alla splendida canzone di Gershwin, colorandola con tantissimi suoni: si possono ascoltare i fischietti dei poliziotti, le sirene dei battelli che navigano nella nebbia, i rumori del traffico. Mingus rende questo brano un dipinto, la descrizione acustica lascia immaginare ogni particolare, l’ascoltatore si immerge nella nebbia insieme ai musicisti, intenti a ricreare con maestria l’ambiente circostante. Il bebop nacque in contrapposizione agli stili jazz utilizzati dalle formazioni coeve. Nei suoi primi anni di vita la parola “bebop” indicò, oltre allo stile musicale anche lo stile di vita e l'atteggiamento ribelle di coloro (in maggioranza giovani) che si chiamarono “bopper”. Anche per questo motivo il bebop divenne popolare tra i letterati che si riconoscevano nella cosiddetta Beat Generation12 e fu citato in alcune delle loro opere più famose (ad esempio nella poesia Urlo di Allen 12
La Beat Generation fu un movimento giovanile che trovò anche una sua espressione in campo artistico, poetico e letterario sviluppatosi dal secondo dopoguerra e principalmente negli anni 50 negli Stati Uniti Nasce da un gruppo di scrittori americani e viene alla ribalta nel 1950, così come i fenomeni culturali da esso ispirati. Gli elementi centrali della cultura "Beat" sono: il rifiuto di norme imposte, le innovazioni nello stile, la sperimentazione delle droghe, la sessualità alternativa, l'interesse per la religione orientale, un rifiuto del materialismo, e rappresentazioni esplicite e crude della condizione umana. Della Beat Generation fanno parte inoltre i movimenti culturali del maggio 1968: l'opposizione alla guerra del Vietnam, gli Hippy di Berkeley e Woodstock. Uno degli esempi della ribellione giovanile degli anni cinquanta, come la «gioventù bruciata», tra gli autori di riferimento vanno citati Jack Kerouac, Lucien Carr, Allen Ginsberg, William S. Burroughs, Gregory Corso, Neal Cassady, Gary Snyder, Lawrence Ferlinghetti e Norman Mailer.
Ginsberg). Nel corso dei 15 anni successivi, il bebop e le sue ramificazioni si evolsero fino a diventare il principale idioma del jazz. Ancora nel primo decennio del XXI secolo, lo stile jazzistico indicato come “mainstream” si rifà essenzialmente alle elaborazioni stilistiche del bebop. Anche la strumentazione inizia a cambiare, in particolare il clarinetto ritornò in voga come nella Swing Era con due italoamericano Buddy De Franco e Tony Scott. Ma importantissimo fu Harry Belafonte13, compositore di fama mondiale, sperimentatore oltre i confini di jazz e classica. In Inghilterra invece troviamo il pianista non vedente George Shearing fondatore di un quintetto in cui su vibrafono e chitarra ritmica vennero sillabati i temi ad ottava, mentre il pianoforte armonizza il tutto a block chords14.
2.1 Cenni storici di un mutamento in atto, l’importanza dell’LP
Dalla metà degli anni Cinquanta15 il jazz conobbe una rapida espansione globale, accompagnata da un cambiamento di status e percezione da parte del pubblico. Il clima della Guerra Fredda favorì una serie di strategie geopolitiche, culturali e commerciali che permisero al jazz di circolare a livello mondiale. Nell’Europa dell’immediato dopoguerra il jazz venne accolto come la musica dei liberatori americani, ma soprattutto come una rigenerante novità culturale. Gli Hot Club sparsi per il continente ripresero a organizzare concerti e tour; e in Francia, dove ci fu una più robusta tradizione imprenditoriale legata al jazz, nacque l’idea di organizzare un vero e proprio festival, abbinando turismo marittimo e musica di artisti internazionali. Il primo festival del jazz si tenne a Nizza nel 1948, dove suonarono gli All Stars di Louis Armstrong, poi Dizzy Gillespie a Parigi e l’anno successo artisti del calibro di Tadd Dameron, Miles Davis, Charlie Parker. Seguendo l’esempio dei francesi in Italia Angelo Polillo e Pino Maffei fondarono il Festival Jazz di Firenze che si spostò l’anno dopo a Milano per finire nel 65 a Sanremo, mentre nel 53 grazie a Horst Lippmann nacque il Festival jazz di Francoforte. Quindi la formula dei festival in realtà ebbe una primogenitura europea. Le manifestazioni si moltiplicarono rapidamente su tutto il vecchio 13
Harold George Bellanfanti Jr., meglio noto come Harry Belafonte (New York, 1º marzo 1927), è un musicista, attore e attivista dei diritti civili statunitense. Fu soprannominato "Re del calypso" per aver reso popolare la musica caraibica negli anni cinquanta: uno dei suoi brani più celebri è Banana Boat Song. Per tutto l'arco della sua carriera, Belafonte si è battuto a favore di cause legate ai diritti umani e umanitarie. Nel 1985 partecipò ad USA for Africa, un supergruppo di 45 celebrità della musica pop tra cui Michael Jackson, Lionel Richie, Stevie Wonder e Bruce Springsteen, cantando We are the World prodotta da Quincy Jones e incisa a scopo benefico. I proventi raccolti con We Are the World furono devoluti alla popolazione dell'Etiopia, afflitta in quel periodo da una disastrosa carestia. Il brano vinse il Grammy Award come "canzone dell'anno", come "disco dell'anno", e come "miglior performance di un duo o gruppo vocale pop". 14 15
Accordi a voci strette Stefano Zenni, Storia del Jazz, Una prospettiva globale. Pp 364 - 365
continente facendo conoscere il nuovo jazz americano di Miles Davis e Gerry Mulligan ai giovani europei che considerarono tale musica pura arte, espandendosi tralaltro a macchia d’olio anche nei collage dei bianchi, in particolare il quartetto di Dave Brubeck con Paul Desmond. Il secondo specializzato in assoli lunghi e logici, sviluppa micro cellule intervallari fatti di suono soffiato e granuloso ricco di micro inflessioni, impreziositi da frasi blues. Il primo che lo segue o lo precede come in un canovaccio: comincia con idee delicate, a note singole, poi introduce blocchi si suoni ed energia caricati di dissonanze e reiterazioni ritmiche, fino a un parossistico accumulo di pesi sonori. Il caso di Brubeck mostra bene quanto la nuova tecnologia de long playing aiutasse a comprendere il jazz, Inventato nel 1948 dalla CBS ma diffusosi a parte dal 1950, con più di 20 minuti per facciata, permetteva di catturare una lunga improvvisazione jazz. Il miglioramento tecnologico degli studi mobili suggerì ai produttori di registrare interi concerti per portare nelle case l’emozione del jazz dal vivo, come i concerti all’Oberlin College di Brubeck o le serate al Birdland dei Jazz Messengers. Come lo stesso Duke Ellington ebbero tutti una carriera cambiata dalla registrazione dal vivo. Il jazz continuò anche ad alimentare il vorace e importate circuito dei jukebox, non più con i 78giri ma nel nuovo formato del 45giri, inventato dalla RCA, e diffuso anch’esso dall’inizio del decennio. Non a caso la Prestige e la Blue Note, che si divisero il mercato del popolare soul jazz, pubblicano i maggiori successi su 45giri, in versioni appositamente registrate o tagliando le versioni lunghe di LP. Inoltre LP permetterà di usare una copertina al fine di veicolare un’immagine significativa alludente al titolo dell’album, ed ogni etichetta usò linee diverse: sensuali, disegnate come quelle di David Stone Martin o fotografiche come le raffinate foto di William Claxton usate per gli album di Miles David. In quegli anni anche al cinema durante gli intervalli spesso si ascolterà jazz, iniziando ad essere utilizzato nei film. Duke Ellington scrisse per Anatomia di un Omicidio di Preminger e Gerry Mulligan. Anche la televisione diede largo spazio al jazz, sia con speciali come The Sound of Jazz della CBS, sia con vere e proprie serie, in particolare le due della NBC: Times All-Star Jazz Shows e il didattico The Subject Is Jazz. In qualche caso i jazzisti furono invitati in trasmissioni a produrre spettacoli ad hoc. Il più importante rimane A Drum Is a Woman di Duke Ellington con ballerini, coro e orchestra, narratore per raccontare un’allegoria della storia della musica nera. Il Dipartimento di Stato ebbe un ruolo fondamentale durante la Guerra Fredda, avviò una campagna di distribuzione del jazz simbolo della cultura americana. Voice of American, venne diffuso in quarantaquattro lingue e raggiunse un numero sterminato di persone nel mondo. Il Jazz divenne parte della cultura globale, un simbolo di libertà, creatività, rinnovamento ed un linguaggio universale.
2.2 Parallelismi storici del rinnovamento del linguaggio, tra nuove tecniche e ricerche, Pierre Schaeffer, Miles Davis, Progressive Rock. Le diverse16 volontà politiche ed economiche, insieme alle inesplorate frontiere dettate dal rinnovamento tecnologico e di ricerca, videro pian piano il rinnovamento del linguaggio musicale in tutti i generi che si adattarono a tale mutamento, nella prima parte introdurrò ampiamente e nello specifico soprattutto parlando della tecnica del loop, di una figura fondamentale per la musica del 900, non tanto per l’apporto artistico-musicale, ma per quello di ricerca-musicale, fondamentale per comprendere ciò che oggi ascoltiamo, e l’utilizzo che ne hanno fatto i vari artisti. L’impiego della tecnica del loop17: strettamente legata all’avvento dei mezzi di registrazione e riproduzione audio, consiste nella ripetizione meccanica di un frammento registrato, sia esso una sequenza di suoni di strumenti musicali oppure un qualsiasi altro elemento sonoro non strumentale. Come One dei Soft Machine. Alcune esperienze fatte da Riley - alle quali aveva assistito Daevid Allen, fondatore dei Soft Machine e successivamente dei Gong - hanno sicuramente spinto i musicisti di questa area ad approfondire le possibilità di impiego musicale del loop. Possiamo individuare le quattro seguenti tipologie di loop: - Loop elaborazione; - Loop testurale; - Loop strumentale; - Loop gestuale. Il loop elaborazione, viene utilizzato per realizzare un intero brano o una parte di esso attraverso ripetizioni di frammenti più o meno lunghi con vari gradi di sovrapposizione. Nell’area dei musicisti della cosiddetta scena della Canterbury Scene si possono trovare tre esempi pertinenti. Il primo è un breve brano che chiude la prima facciata del primo disco dei Gong, Camembert Electrique, intitolato Wet cheese delirium. la struttura del brano che è formata da tre loop, di cui uno sicuramente eseguito in retrogrado, sovrapposti con tre punti di entrata successivi. In questo caso, tenendo conto che comunque si tratta di un brano molto breve, il loop forma la struttura del pezzo. Tale tecnica trova nella musica elettroacustica la sua applicazione già nei primi lavori dell’esperienza della musique concrète di Pierre Schaeffer. Si può anzi affermare che la scoperta del loop, chiamato da Schaeffer (1966) sillon fermé (il solco chiuso del disco in vinile), sia alla base della musique concrète e una causa dell’allargamento della tavolozza sonora a tutti i suoni della realtà che 16 17
MIMESIS/musica contemporanea n.12 Daniele Follero, Concept Album. Odoya cult music
ci circonda. Aprire una ampia parentesi, su questa figura caleidoscopica, è doverosa per comprendere i nuovi linguaggi musicali, ed i punti di partenza della sua ricerca filosofica e scientifica sui nuovi mezzi d’espressione a disposizione.
2.6 DIFFERENZE CON IL FREE JAZZ In un certo senso la third stream non fece altro che continuare il processo di intellettualizzazione iniziato già dai musicisti di cool jazz. Gli avvenimenti politici e sociali che sconvolsero giorno dopo giorno la comunità americana negli anni ‘60 si rifletterono chiaramente sulle musiche che all’epoca erano espressioni tipiche dei gruppi sociali in rivolta. Giovani musicisti di colore si lanciarono a capofitto in un mondo musicale totalmente diverso rispetto a quello ascoltato fino ad allora. Come abbiamo visto, il free jazz non è nato all’improvviso, Cecil Taylor con Jazz Advance (1956) sperimenta molto prima forme di improvvisazione libera che si avvicinano al sound tipico del free anni ‘60. Sun Ra nei suoi primi album, registrati a Chicago, spesso si lascia andare ad improvvisazioni poco stabili armonicamente, ma che mirano soprattutto al suono e al timbro, nonostante si possa tranquillamente affermare che si trattasse comunque di dischi di carattere swing. Eppure i musicisti che si cimentarono nel free dopo questi precursori sono mossi da tutt’altro sentimento, non solo ricerca di novità e sperimentazione musicale, ma una vera e proprio rivolta sociale, un rifiuto delle convenzioni, delle tradizioni della popolazione afroamericana. Free Jazz, la lunghissima improvvisazione del doppio quartetto, quello di Ornette Coleman assieme a quello di Eric Dolphy, riuscì a divenire una sorta di manifesto di questo movimento. L’idea base di Coleman18 però è decisamente più volta alla sperimentazione musicale, infatti possiamo tranquillamente affermare che il giovane sassofonista non fu mai pioniere di quella rivolta dei musicisti di colore che animò e colorò la musica improvvisata di quegli anni con profondi contenuti sociali. Possiamo dire solo che il Free Jazz riuscì ad innescare la bomba che di lì a pochissimo sarebbe esplosa grazie a musicisti quali John Coltrane, Archie Shepp, Cecil Taylor, Max Roach, Albert Ayler, Eric Dolphy e molti altri.
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Nathan A. Frink: An analysisi of the compositional practices of Ornette Coleman as demostrated in his small group
recordings during the 1970s
Chiaramente è sbagliato pensare che il movimento del free jazz 19 sia stato mosso solo ed esclusivamente da ideali politici, sebbene questi fossero spesso molto presenti nei lavori dei musicisti, sarebbe troppo semplice semplificare così quello che fu uno dei momenti più rivoluzionari nella storia del jazz da un punto di vista musicale! Non si possono completamente separare la third stream dal free jazz infatti, essendo nate nello stesso periodo storico, queste due musiche confluivano l’una nell’altra. Lo stesso Cecil Taylor è sempre stato molto interessato alle forme della musica contemporanea, non inserendosi comuqnue mai in nessuna corrente jazz p
2.7 EUROPA: FREE IMPROVISATION Anche in Europa i musicisti che fino ad allora erano protesi a un jazz dalle caratteristiche tradizionali iniziarono ad aprirsi a nuove possibilità, a sperimentare sonorità diverse e a spostarsi in un ambito musicale più improvvisato. Questo progressivo cambiamento, che ebbe come centro culturale il Regno Unito, fu figlio di diversi fattori: l’influsso del free jazz portato dagli americani durante i loro tour europei (nei quali tra l’altro riscossero decisamente più successo che in madrepatria), ma soprattutto la presenza in Europa di moltissimi compositori di musica contemporanea, motivati dallo studio dell’improvvisazione libera. In Europa invece fu importantissima l’associazione Nuova Consonanza, fondata nel 1959 dal compositore romano Franco Evangelisti, il quale fu sempre più interessato alle forme aleatorie inserite da John Cage nel panorama musicale mondiale. Cofondatori di questa associazione furono: Mario Bertoncini, Mauro Bortolotti, Domenico Guaccero, Daniele Paris ed Egisto Macchi, ai quali in seguito si aggiunsero molti altri compositori tra cui Ennio Morricone. Nel 1964 Evangelisti diede vita al Gruppo di improvvisazione Nuova Consonanza, uniti dall’obbiettivo di fondere la figura del compositore con quella dell’esecutore in un unico musicista attraverso un tipo di improvvisazione libera ed estemporanea. Il gruppo di improvvisazione legò molto con il New Music Ensemble, il quale si prefissava in California gli stessi obiettivi.
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Enzo Boddi: L’improvvisazione è un’opera collettiva che non esclude forme e strutture (Musica Jazz marzo 2012)
Il primo album del gruppo italiano, che si chiama proprio Gruppo di improvvisazione Nuova Consonanza, fu pubblicato nel 1966 e contiene otto improvvisazioni collettive fondate però su degli esercizi molto precisi. Nel brano di apertura del disco, Improvvisazione per otto, si possono ascoltare strumenti acustici “preparati” e strumenti elettronici, che creano una sorta di musica estemporanea da camera, molto descrittiva e interessante. Nel complesso il disco ha certamente influenzato i musicisti più interessati alla musica improvvisata. In particolar modo in Inghilterra si svilupparono i gruppi e i musicisti che diedero più importanza alla free music o free improvisation. Derek Bailey, chitarrista che aveva in gioventù suonato jazz nelle sale da ballo e sulle navi da crociera, fondò nel 1963, con Gavin Bryars al contrabbasso e Tony Oxley alla batteria, un trio chiamato Joseph Holbrooke. Primordialmente questo gruppo si occupo soprattutto di jazz più o meno tradizionale, ma con il passare del tempo iniziarono a sviluppare il loro interesse per la sperimentazione, erano soliti costruirsi degli esercizi armonici particolari, ad esempio improvvisare sull’accordo successivo a quello suonato; poi intrapresero la via della improvvisazione libera. Nel 1968 Derek Bailey pubblicò Karyobin, con lo Spontaneous Music Ensemble formato, oltre al chitarrista, da Evan Parker al sassofono soprano, Kenny Wheeler alla tromba e al flicorno, Dave Holland al basso e John Stevens alla batteria. Il disco, suddiviso in sei parti totalmente improvvisate, presenta uno stile chiaramente influenzato dal free jazz americano, ma alla ricerca di un suono più europeo e proteso ad esempio a quello che aveva il Gruppo di improvvisazione Nuova Consonanza20, possiamo infatti trovare delle analogie di suono fra l’album omonimo del gruppo romano e questo disco. Karyobin pt. 5 in particolare ci regala quella sensazione di musica da camera che si era ascoltata due anni prima nella già citata Improvvisazione per otto, è musica che fa continuamente riferimento ai compositori contemporanei. La free improvisation, o come la chiamerà in seguito Bailey “musica non idiomatica”, risulta essere il frutto definitivo dell’unione tra free jazz e un certo tipo di musica contemporanea, quella aleatoria. Attraverso l’improvvisazione estrema si uniscono due culture in unico complesso gioco musicale. Il chitarrista britannico amava cambiare continuamente ritmo e timbro, cercando il più possibile di non ripetersi mai, ogni singolo gesto diventa protagonista, una concezione che si rifà 20
Enzo Boddi: L’improvvisazione è un’opera collettiva che non esclude forme e strutture (Musica Jazz marzo 2012)
alla musica concreta e all’importanza data agli “objets musicaux” da Pierre Schaeffer. Inoltre in Pieces for guitar (1966-67, ma pubblicato solo nel 2002), prime registrazioni edite di Bailey, è riconoscibile nella ricerca di una sonorità quasi dodecafonica la sua ammirazione iniziale per Anton Webern. Di grande importanza storica fu la fondazione da parte di Derek Bailey dell’etichetta musicale “Incus” nel 1970, prima casa discografica indipendente diretta da musicisti in Inghilterra, ma soprattutto la creazione di Company nel 1974, un gruppo sempre diverso di musicisti che si ritrovarono una volta all’anno nelle così dette “Company Weeks”, una settimana di concerti totalmente improvvisati alla quale partecipavano musicisti di tutti i generi musicali. L’intento di Bailey era infatti elevare l’idea di improvvisazione fine a sé stessa al di sopra di qualsiasi caratteristica stilistica definita, cercando di valorizzarla come atto in sé, inoltre Bailey riteneva che le migliori forme di improvvisazione nascano quando i musicisti chiamati a suonare insieme hanno già collaborato, ma in forma semi-occasionale, non in una formazione fissa. Il chitarrista esprime questo pensiero nel programma di sala per il primo concerto di Company nel 1976: “Da qualche tempo mi sembra che i migliori risultati nella libera improvvisazione vengano da raggruppamenti di musicisti che si riuniscono per un’occasione specifica, ma hanno già collaborato... c’è un crescente gruppo di musicisti in Inghilterra e in altre nazioni, che lavorano insieme in modo “semioccasionale”, regolarmente ma non continuativamente, e non come membri di un gruppo fisso e permanente. È questo tipo di ensemble, non fisso nella formazione né nello stile... che offre oggi, io credo, le più grandi opportunità che si possono trovare nel campo della libera improvvisazione. La struttura di Company, per quanto si possa parlare di struttura, è basata sull’idea di una compagnia teatrale di repertorio, un gruppo di musicisti da cui diversi raggruppamenti possono essere tratti per specifiche occasioni e performance”. La voglia di ricerca di Bailey non si esaurì mai e nonostante la maggior parte dei suoi concerti e album fosse suonata in solo, collaborò con musicisti di qualsiasi genere, dai jazzisti ai dj ai musicisti classici, per cercare di variare continuamente e non fossilizzarsi mai in uno stile improvvisativo idiomatico. Con lui sono stati protagonisti di questa nuova concezione il sassofonista Evan Parker, il batterista Tony Oxley, il batterista olandese Han Bennik, il pianista ucraino Misha Mengelberg, il percussionista Jamie Muir oltre a molti altri che negli anni si sono avvicinati a questa concezione musicale.
Sun Ra, personaggio bizzarro e dalle mille sfaccettature, ma anche musicista colto e filosofo originale. Quando da Chicago si trasferì a New York, l’ambiente favorì lo sviluppo delle sue idee più sperimentali e così, durante la permanenza in questa città (dal 1961 al 1968), produsse gli album più d’avanguardia, e probabilmente anche quelli più interessanti, della sua intera discografia.
Art
Forms of Dimension Tomorrow, registrato nel 1962, è il primo vero album sperimentale di Sun Ra, assolutamente innovativo, introduce nel panorama jazzistico sonorità d’avanguardia provenienti da altri campi musicali come la musica concreta. Il sound di questo disco è aperto, profondo e larghissimo, dovuto principalmente al massivo uso di riverbero, una trovata geniale dell’ingegnere del suono Tommy Hunter. I due brani più significativi del disco e che meglio rappresentano queste nuove sperimentazioni acustiche sono Cluster of Galaxies e Solar Drums, due pezzi che porgono la massima attenzione al suono puro, l’intrecciarsi delle frequenze, le percussioni che dopo essere state filtrate con il riverbero, assumono sonorità e timbriche davvero mistiche e spaziali. Questo è un album che ha una profonda importanza nella storia del jazz, la ricerca sonora qui effettuata si avvicina più al lavoro di Pierre Schaeffer che al tipico sound del free jazz che in quegli anni andò diffondendosi. Vi sono nel disco anche brani di carattere più tradizionale, i quali però hanno comunque caratteristiche free e sperimentali, Kosmos in blue con una ritmica swing; Infinity of the Universe è invece una improvvisazione collettiva nella quale i percussionisti sono liberi di dare sfogo a tutta la loro creatività, mentre il piano di Sun Ra suona accordi ritmici quasi a voler creare una strana marcia spaziale. Un bel solo di Clifford Jarvis nel mezzo del brano fa da preludio al finale agitato e ancora marciante. Il disco che in assoluto trovo più interessante di Sun Ra è Strange Strings del 1966, quello che egli stesso ha definito uno “studio sull’ignoranza”. Il disco è probabilmente il più sperimentale della, una improvvisazione collettiva nella quale vengono suonati un gran numero di strumenti a corda, tutti totalmente sconosciuti ai musicisti dell’Arkestra. Questi cordofoni vennero perlopiù costruiti in casa o recuperati durante qualche tour, alcuni furono anche preparati, il che ci riporta alla mente i lavori per piano preparato di John Cage. Il suono generale del disco ha in effetti grandi somiglianze con alcuni brani di Cage, con il quale Sun Ra suonerà alcuni anni dopo. L’ “ignoranza” dei musicisti riguardo agli strumenti suonati fa si che il loro interesse nel suonare ricada interamente sulla ricerca sonora e timbrica, è questo il punto interessante del disco, nessuna armonia, nessuna melodia, solo puro suono. La timbrica dei due brani centrali è ovviamente molto metallica, anche perché tra i vari strumenti vi è anche un pezzo di lamiera molto grande che di tanto in tanto veniva
scosso, pare quasi di trovarsi all’interno di una qualche industria. Il disco si chiude con una straordinaria Door Squeak, nella quale Sun Ra esplora il suono di una porta, aprendola e chiudendola a varie velocità, in modo tale da cambiare la frequenza emessa. Tutto può essere suonato, tutto produce suono, tutto è suono. Una concezione musicale veramente molto simile a quella di Cage. Il disco John Cage meets Sun Ra dimostra quanto questi due protagonisti della storia della musica sperimentale siano accomunabili e contemporaneamente diversi. Il disco fu pubblicato nel 1987 e registrato l’anno prima durante un live tenuto dai due musicisti al Coney Island Museum. La performance è totalmente improntata sulla sperimentazione, Sun Ra apre il discorso e il pubblico sembra gradire il suo ingresso aggressivo e potente al sintetizzatore, poi subito un cambio di suono, gli impianti entrano in saturazione ed ancora una volta il suono cambia, pare che Sun Ra voglia cercare di variare timbro il più possibile, è lui il protagonista di questa prima parte, dal terzo minuto cerca il rumore e poi timbriche spaziali, improvviso silenzio e le dinamiche si abbassano, oltre al timbro cambia continuamente anche lo stile, suona degli elementi jazzistici, oppure allarga il tempo con dei soundscape, oppure cerca di ricoprire tutta la gamma di suoni del suo strumento alla ricerca della saturazione e del rumore. Il pubblico reagisce positivamente al solo iniziale di Sun Ra e lo incoraggia con un applauso, John Cage entra a 8’e 10’’ intonando dei versi nel silenzio circostante, sperimenta diversi timbri di voce e produce parole indecifrabili, aspetta a volte dei minuti interi prima di ricominciare a parlare, il silenzio per Cage fa parte della performance ed è importante consegnargli il giusto spazio e rilievo. Nonostante sembri stia dicendo parole prive di senso in realtà Cage sta recitando alcune frasi del suo poema Empty Worlds IV. Un nuovo applauso durante il diciottesimo minuto segna il ritorno in scena di Sun Ra, il quale questa volta si concentra a produrre delle sonorità orientali, più rilassante ed introspettive, forse anche condizionato dalla precedente performance silenziosa di Cage, che ha abbattuto letteralmente le tensioni che il sintetizzatore aveva creato nella prima parte del concerto. Ma il suono disteso ed atmosferico dura ben poco, si sente infatti una esplosione, un rumore che si modula e distorce fino alla sua decadenza. Dopo altri minuti di silenzio ecco che Cage rientra con la sua voce, questa volta però Sun Ra si inserisce durante le sue lunghe interruzioni con delicati suoni d’atmosfera. Vi sono in questo disco live diversi aspetti da notare, innanzitutto il fatto che i due musicisti in 43 minuti non hanno praticamente mai espresso le proprie idee contemporaneamente, hanno
sempre compiuto dei soli, si sono messi a confronto, ma mai hanno realmente collaborato nella creazione di un qualcosa di comune, questo aspetto lo si avverte pesantemente e si ha un po’ l’impressione che l’enorme carica carismatica di Cage metta anche in leggera difficoltà il pianista di Birmingham, che però comunque continua dall’inizio alla fine ad esprimere le proprie idee musicali. Altra cosa da constatare è l’idea di contrasto, il rumore prodotto dal sintetizzatore di Sun Ra si perde nel silenzio e nella profondità degli strani versi di John Cage, questa costante e tangibile opposizione aiuta alla creazione di un concerto stratificato, non ne abbatte le potenzialità comunicative, bensì le innalza all’ennesima potenza, due idee musicali così simili in due performance totalmente opposte. Queste due improvvisazioni collettive sono quindi guidate da regole di base, ecco quindi che la composizione usufruisce dell’improvvisazione, i due metodi musicali si fondono in un'unica forma, punto di incontro tra il jazz e la contemporanea. L’interesse di Braxton nei confronti della musica sperimentale è quindi già presente nei suoi primissimi lavori, lo si può notare infatti nei suoni e nell’utilizzo della voce (Composition 6E) e di particolare strumentazione non convenzionale. Inoltre una di queste sedici composizioni, la Composition 6F, è dedicata al compositore Karlheinz Stokhausen, chiaro segno di interesse verso l’avanguardia di quegli anni. Stockhausen rappresenta in quegli anni un personaggio molto influente con un largo successo nel mondo della musica sperimentale, ed anche in questo disco vi sono chiari riferimenti ai suoi modelli stilistici, così come le linee melodiche del sassofono paiono riecheggiare il sound e l’estetica di Ornette Coleman. Anthony Braxton. Anche questo straordinario musicista si è costruito una carriera incentrata sullo studio e sulla ricerca di originali metodi compositivi, che traggono ispirazione sia dai maestri jazz del passato che dai metodi e dalle forme della musica contemporanea. Ha pubblicato in diversi volumi i criteri che segue per la composizione e sono molto interessanti e complessi; è stato ed è ancora oggi un grande studioso ed ha avuto modo di dimostrare tutto il suo talento come compositore oltre che come strumentista. Il suo album di debutto si chiama 3 Compositions of New Jazz ed è stato pubblicato per Delmark Records nel 1968. Si tratta di un disco molto particolare, anche perché Braxton decide di
non utilizzare una ritmica tradizionale, suonano qui: Leroy Jenkins, Wadada Leo Smith e Muhal Richard Abrams. Va sottolineato che oltre ai loro strumenti, questi musicisti hanno suonato in questo disco anche vari altri strumenti, come percussioni, kazoo e armoniche, per arricchire la gamma di frequenze disponibili e colorare ancor di più il suono. I primi due brani del disco già presentano nel titolo una caratteristica particolare: sono titolati graficamente, non hanno un vero e proprio titolo, bensì una rappresentazione grafica del brano. Questi brani fanno parte di una serie di sedici composizioni scritte come guida alle improvvisazioni collettive tra il 1966 e il 1972. Possiamo nominare questi due brani come Composition 6E e Composition 6D.
Composition 6E
Composition 6D
Vediamo come nel brano chiamato Composition 23A ci sia una linea monofonica di sassofoni che intona una melodia scritta e poi ci si perde, ma consapevolmente, nell’improvvisazione, mentre la struttura del brano si definisce con il grafico.
3.6 MINIMALISMO E JAZZ MODALE Spesso ed erroneamente accomunato alla sola idea di ripetizione, il minimalismo si basa, in realtà e più in generale, sull'estrema riduzione del materiale musicale tradizionale, e su modelli stilistici che variano da compositore a compositore. Timbricamente uniformi, spesso tonali, e prive di una struttura musicale definita dall'armonia, le composizioni minimaliste cambiano progressivamente, ma in modo quasi impercettibile ed apparentemente statico, attraverso le ripetizioni e le sovrapposizioni ritmiche di cellule melodiche che possono generare, a volte, tessuti sonori particolarmente complessi. Caratteristiche che ritroviamo nella corrente del Jazz modale di fine anni ‘50 inizio anni ‘60. Basti pensare al libro di teoria Lydian Chromatic Concept of Tonal Organization (The art and
science of tonal gravity) di George Russell o dal punto di vista discografico, alle composizioni di Kind of Blue e Milestones di Miles Davis, My Favorite Things e Impressions di John Coltrane e Maiden Voyage di Herbie Hancock, dove il materiale musicale tradizionale è appunto ridotto al minimo. Vediamo un esempio: Flamenco Sketches di Miles Davis, 1959
Il brano non ha una melodia scritta, ma è definita da una serie di 5 accordi che si ripetono, su cui si improvvisa utilizzando vari modi della scala maggiore. Ogni musicista sceglie durante il proprio solo il numero di battute per ogni passaggio modale. I modi utilizzati sono: • Scala Ionica di C (su Cmaj7) • Scala Misolidia di A♭(su A♭7sus4) • Scala Ionica di B♭ (su SI♭maj7) • Scala Frigia con Terza Maggiore di D (su D7 ♭6 ♭9) • Scala Dorica di G (su G-7) In maniera simile, nel 1964 Terry Riley compone In C.
In C consta di 53 frasi musicali numerate e brevi, che durano da mezzo a 32 battiti; ogni frase può essere ripetuta un numero arbitrario di volte. Ogni musicista ha il controllo di ogni frase da lui suonata: gli esecutori sono invitati a suonare le frasi iniziando in momenti differenti, anche se stanno suonando la stessa. Le indicazioni di direzione affermano che l'ensemble musicale dovrebbe tentare di tenere una distanza di due o tre frasi. Le frasi devono essere suonate in ordine, tuttavia alcune possono anche essere saltate. Come riportato in alcune edizioni dello spartito, è abitudine che un musicista suoni la nota C in ottavi ripetuti; tale compito è tipicamente svolto dal piano o da uno strumento a percussione intonato. Ciò ha la funzione di metronomo e viene identificato come “impulso”. Il jazz rap (o jazz hop) è uno stile musicale di fusione tra l'alternative hip hop ed il jazz, sviluppato nell'ultima parte degli anni 1980 e nei primi anni 1990. Dal punto di vista musicale si potrebbe definire come acid jazz (spesso suonato dal vivo piuttosto che campionato) su cui sono innestate delle liriche cantate in stile rap con testi sono spesso di stampo intellettuale, a sfondo socio-politico o afrocentrico.
4.2 Il DJ PRODUCER ed il Nu Jazz Prima di parlare delle caratteristiche stilistiche del Nu Jazz è importante introdurre la figura del DJ producer21, da non confondere con il disc jockey, che nell'ambito della musica elettronica moderna è colui che realizza, arrangia ed esegue brani musicali tramite strumentazione di tipo 21
Ecco come diventare DJ Producer e Composer, in NAM, 4 maggio 2016. URL consultato il 9 ottobre 2018.
elettronico e, quasi sempre, un computer, spesso senza alcun utilizzo di musicisti o strumenti musicali, ma ricorrendo solo a tecnologie virtuali e digitali. Il ruolo non è da confondere nemmeno con il produttore discografico, ovvero colui che investe e sostiene i costi per la realizzazione, distribuzione e la diffusione promozionale di opere musicali. Sfruttando il progresso tecnologico e l'abbattimento dei costi di registrazione, realizzabili oggi anche con un semplice computer e software installato, che hanno permesso la realizzazione di prodotti musicali anche in assenza di conoscenze musicali, il producer realizza in genere le sue opere sfruttando le possibilità di automazione e facilitazione dati da specifici software musicali, in grado di realizzare musica elettronica sfruttando sia l'uso dei campionamenti che il ricorso a "strumenti virtuali" , "sequencer" e "arranger", cioè strumenti o software in grado di creare in modo quasi autonomo e automatico gli arrangiamenti22. . ll jazz si toglie il vestito buono e si mette a giocare con le sonorità della musica elettronica. Le usa, si lascia contaminare e si tuffa nelle possibilità compositive dei nuovi strumenti. Il loop sincopato e la cassa dritta, il sax con un riverbero elettronico, concerti di brevi interplay che compongono sinfonie ampie e complesse e sfruttano la versatilità del futuro musicale. Secondo, quinto, primo, la cadenza non cambia mai nel profondo, ma si nasconde sotto strati di tracce digitali e campioni sempre più audaci. Inseguili sullo spartito, prendi uno strumento e improvvisa, questa é l’essenza del nu jazz. Un genere musicale che nasce dalla fusione di musica jazz ed elettronica, la jazztronica, una miscela contemporanea, virtuosa e soft, da St. German ai Koop, ai Cinematic Orchestra. In quello che Glasper23 stesso ha descritto come “un vero disco crossover” ascoltiamo un amalgama delle tradizioni Jazz, Gospel, Soul e Hip Hop in cui è cresciuto Glasper. Con la sua band Experiment Casey Benjamin (Sax), Derrick Hodge (Bass), e Chris Dave (batteria), “Black Radio” di Glasper rappresenta una chiara evoluzione della sua frammentata offerta del 2009 "Double Booked", che ha visto metà album dedicato al jazz e metà hip hop. Questi tentativi incondizionati di incorporare l'hip hop nella sua musica sembrano appartenere al passato mentre abbraccia tutte le sue influenze per la sua terza offerta Blue Note, che sicuramente servirà da esempio di come crossover Jazz / Hip Hop dovrebbe essere fatto. Alcuni anni fa, prima di iniziare il suo intervento a una conferenza sul jazz europeo, il critico inglese Stuart Nicholson tirò fuori una ventosa sturalavandini. Secondo lui quell’attrezzo simboleggiava l’impatto rivoluzionario dei musicisti norvegesi sulla scena europea ed in buona misura è vera l’esperienza di Jan Garbarek, Terje Rypdal, Arild Andersen, Jon Christensen con 22 23
Best software Arrangers - Audiofanzine, su Audiofanzine. URL consultato il 9 ottobre 2018. https://news.jazzline.com/reviews/albums/exclusive-robert-glasper-black-radio-track-by-track-review/ (9 Feb ’20)
George Russell ha contribuito a questo ringiovanimento del Jazz. È un dato di fatto che, specialmente nel campo del jazz inteso in senso lato, la Norvegia abbia prodotto un gran numero di forze creative che certamente hanno dimostrato la loro esistenza attraverso una vasta circolazione e l’estesa partecipazione ai festival europei. Ciò è dovuto a due fattori. Primo, la politica sistematica di finanziamento da parte del governo norvegese, che ha permesso di presentare la musica norvegese a un pubblico internazionale. Secondo, i pionieri (Garbarek, Christensen, Andersen e Rypdal) hanno avuto la funzione di esploratori e apripista a partire dalla fine degli anni Sessanta e dai primi Settanta. Per contro, la circolazione estesa al di fuori del paese non ha concentrato l’attenzione sulla costruzione di una cultura domestica. Alcuni di noi suonano a malapena in Norvegia, il che a lungo andare potrebbe tradursi nella mancata formazione di un pubblico in patria.