Introduzione a Rosmini [PDF]

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Zitiervorschau

© 1997, Gius. Laterza Prima edizione

& Figli

1997

Il volume esce nell'ambito delle cdebrazioni per il bicentenario della nascita di Antonio Rosmini (24 marzo 1797-1997) promosse dalla

Provincia autonoma di Trento, dal Comune di Rovereto, dall'Istituto Trentine di Cultura e dall'Istituto di Scienze Religiose in Trento.

È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata,

compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l'autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l'acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai dan­ ni della cultura.

INTRODUZIONE A

ROSMINI DI

PIETRO PRINI

EDITORI LATERZA

Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Finito di stampare nel gennaio 1997 Poligrafico Dehoniano - Stabilimento di Bari per conto della Gius. Laterza & Figli Spa CL 20-5154-0 ISBN 88·420-5154·3

ANTONIO ROSMINI

I. LE AMBIGUITÀ DELLA RESTAURAZIONE E LA FORMAZIONE DEL PENSIERO POLITICO DI ROSMINI

l. I luoghi retorici della controrivoluzione e i problemi del­

la politica

Di Antonio Rosmini, che senza dubbio è uno dei fi­ losofi che meritano maggiormente di essere posti sotto l'insegna del liberalismo cattolico, è stata iniziata una nuova lettura quando ci si è accorti del peso che ha avu­ to, almeno fin verso i trent'anni, nei suoi inediti giovanili di filosofia della politica la cultura della Restaurazione1• Egli non aveva dato poca importanza alla loro stesura, 1. Gli scritti politici del giovane Rosmini del 1822-25 in occasione del centenario della loro pubblicazione furono integralmente ripubbli­ cati, in edizione litografata e in cento esemplari: Antonio Rosmini, Opere inedite di politica, a cura di G.B. Nicola, Ed. Tenconi, Milano 1925. A quella edizione, presto esaurita, seguirà: Antonio Rosmini, Sag­ gi di scienza politica, Scritti inediti, a cura di G.B. Nicola, Parte prima, I massimi criteri politici, G.B. Paravia, Torino 1933. Oltre gli studi dei Padri Rosminiani Giuseppe Bozzetti e Giovanni Pusineri apparsi su questo tema nella terza serie della dal 1923 al '29, di alcuni dei quali avremo modo di parlare, han­ no avuto una grande importanza quelli di Gioele Solari su La formazio­ ne filosofica (1815-28), in , 1935, pp. 97-145, La formazione della coscienza storica (1815-22), ivi, 1937, pp. 97-1 17, e La formazione del pensiero politico (1822-27), in «Atti della R Accade­ mia delle scienze di Torino>>, Classe di scienze morali, storiche e filoso­ fiche, vol. 72 (1936-37), pp. 355-415, e vol. 73 (1937-38), pp. 159-234: i

3

come dichiarava quando, parlando al Tommaseo del­ l'opera politica che stava scrivendo, se la sentiva «gigan­ teggiare» tra le mani e se ne «atterriva» anche perché l'amico, piuttosto alieno dai complimenti, quando gliene aveva disegnato il progetto, l'aveva dichiarata «bellissi­ ma» e tale che avrebbe rinnovato >'2• Al Rosmini non fu molto difficile rispondere, benché abbia composto per farlo (a dir vero in poco più di tre mesi) un volume di addirittura settecento pagine. Erano le obiezioni di un empirista, rinnovate in un linguaggio do­ v'era palese l'influenza del Destutt de Tracy. L'idea del­ l'essere del Nuovo Saggio era intesa come la forma ogget· tiva del pensare immediato - quello che il Rosmini chiama l'intuito - ma ciò non comportava che ne abbiamo subito e sempre la consapevolezza riflessa. D'altro lato non biso· gnava dirla 'anteriore ad ogni cogitazione', come secondo il Mamiani l'avrebbe detta il Rosmini. È una contraddizio· ne dire che un'idea antecede ad ogni pensiero, perché sa· rebbe come dire che è un'idea non pensata. Fare poi di questa idea l'esito di procedure che partono dalle sensa· zioni e attraverso l'astrazione operano dei confronti tra le cose esistenti, cogliendone appunto l'aspetto comune di esistenti, significa non rendersi conto della differenza irri· ducibile tra l'essere e gli enti finiti, tra il necessario e il . contingente. Piuttosto che l'inanità semantica o l'inconsistenza psi· cologica a cui pareva ridursi l'idea dell'essere che la rifles· sione, secondo il Rosmini, ritrovava come l'oggetto innato di un intuito originario e la forma di ogni conoscenza, Vincenzo Gioberti ha preso di mira il suo carattere soltan·

'2

Si veda l'ampia Imroduzione di Dante Morando a: Il rinnov4·

mento della filosofia in Italia del conte Terenzio Mamiani della Rovere esaminato da Antonio Rosmini-Serbati, Edizione Nazionale delle Opere edite e inedite di Antonio Rosmini in EN), XIX-XX, Fra·

telli Bocca,

(d'ora avanti Milano 1941, specialmente pp.

XIX-XXX.

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to «mentale» o «psicologico», e quindi tale da non poter essere assunto a fondamento della conoscenza reale e tan­ to meno di un sapere metafisica. L'abate Vincenzo Gioberti (Torino 1801 -Parigi 1852), che era stato nominato cappellano di corte pres­ so la reggia sabauda nel 1826, aveva accolto con favore l'apparizione dei due rimi volumi del Nuovo Saggio nel '29 per la sua critica «sensismo», nella quale egli allea­ va il Rosmini a Pasquale Galluppi (Tropea 1770-Napoli 1846). In seguito, essendosi volontariamente esonerato da quell'ufficio di corte nel '33 , fu mandato in esilio, dove a Bruxelles gli fu dato un posto d'insegnante di filosofia nell'Istituto Gaggia, che tenne fino al '45. Sono di quel periodo le sue prime opere filosofiche, la Teorica del so­ vrannaturale, del 1838, e l'Introduzione allo studio della filosofia, del '40, pubblicate in quella città e rapidamente diffuse e discusse in tutta Italia, specialmente la seconda. Nacquero di qui le prime critiche dei rosminiani, tra le quali le più dirette furono le quattro Lettere di un rosmi­ niano a Vincenzo Gioberti (Torino 184 1 -42), pubblicate anonime, ma di Michele Tarditi (Saluzzo 1807-Torino 1849) che sarà poi dopo qualche anno professore di me­ todologia dell'insegnamento di logica e metafisica nel­ l'Università di Torino. A rispondere, specialmente alle due prime di quelle lettere, pubblicate nell'aprile-maggio del '4 1 , il Gioberti dedicò le dieci lettere di cui consta l'�pera, di quasi cinquecento pagine, Degli errori filosofici d� Antonio Rosmini pubblicate a Bruxelles nel settembre di quello stesso anno. Egli riassume efficacemente così le proprie ragioni:

J

Voi discorrete sempre presupponendo per vero un error ca­ . pitale, e per certo ciò che non potrete mai dimostrare qualunque pera facciate per riuscirvi. n quale errore è la separabilità delideale e del reale nella scienza, fondata sull'abuso che fate di un'astrazione [. .. ] Or come mai la verità può non esser reale? Come potete disgiungere dal reale il vero, che è la realtà supre­ ma? Come non vi awedete che, fatto questo divorzio e ridotto il a una mera possibilità, senza alcun fulcro reale ed effettivo, a stessa possibilità svanisce, o, al più, non dura che come una

r

rero

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l'ideale per vuota e subiettiva astrazione dello spirito? .stes•sa col noi, se non l'attinenza di una realtà intelligt nostro spirito, da lei creato con la facoltà d che può essere inteso? E la verità non produce ella La certezza non è fondata sulla verità? Or come si può di ciò che non è reale? E che cos'è il sapere, se non il con certezza? Se dunque lo scibile è inseparabile dal certo dal vero, e il vero dal reale, ciascun vede per sé medes quel che ne segua. La seienza e la realtà sono dunque insepara· bili. La realtà è l'essere concreto e intelligibile e la scienza è l'in­ telligenza di questo essere. Egli non basta dunque a nessuna scienza il conoscere l'incatenamento naturale delle idee e dci pensieri umani, se non si conosce di più che questo incatena­ mento corrisponde a quello delle cose; altrimenti si scambia h scienza con la poesia. Ora la corrispondenza delle cose e delle idee non si può ammettere se la prima idea non è anche una co· sa, se non è la prima cosa che produca tutte le altre cose, come la prima idea produce tutte le idee'3•

In fondo, si può subito osservare che il Rosmini era ben d'accordo nel ritenere che l'idea dell'essere «non ci fa conoscere da lei sola niun ente particolare» (Nuovo Sag· gio, n. 530). Essa, come abbiamo visto, è soltanto la/orma delle conoscenze e dev'essere determinata, come dalla sua materia, dal sentimento fondamentale corporeo e dalle modificazioni di questo, così che la conoscenza del reale si ha soltanto nella percezione intellettiva, la quale dunque, essa sola, attinge quell'«essere concreto e intelligibile» che è il mondo naturale e storico secondo il Gioberti. E in ve· rità, se l'epistemologia del Rosmini non fosse altro che una variante del tniscendentalismo kantiano, tutta la crici· ca del Gioberti, altrettanto come quella del Mamiani, ri') V. Gioberti, Degli mori filoso/ici di A. Rosmini, 3 voli., Ediz. Nazionale delle Opere edite e inedite di V Gioberti, a cura dell'Istituto di Studi filosofici, Roma- Milano 1938 sgg., a cura di U. Redanò, Mil�, 1939, I, pp. 1 17 sg. La seconda edizione, in tre volumi, del 1843-44 conterrà inoltre altre due lettere e tre dialoghi, Trilogia della formo� ideale e dell'essere possibile, diretta contro i tentativi di conciliazion� fatti da P. Barone. Altri sette dialoghi che il Gioberti aveva progettan per un IV volume, furono poi pubblicati postumi da Arrigo Solmi sot1° il titolo Rosmini e i rosminiani (Torino 1910). 62

marrebbe priva di senso: un puro sofisma, come direb­ bero gli Scolastici, di «ignoratio elenchi». Ma il Gioberti conosce bene, e la condivide, l'imputazione rosminiana di «psicologismo» a Kant, in nome della oggettività dell'idea dell'essere, ossia della sua pura de-soggettivazione, della sua inderivabilità dal soggetto umano. Qualche espressio­ ne che il Rosmini ripete spesso anche in seguito è ben chiara a questo proposito: «Fuori delle idee rimane tutto il soggetto», ispira, per esempio anche il saggio autobiogra­ fico Degli studi dell'Autore, pubblicato nella sua Introdu­ zione alla filoso/t'a , del 185054• Era una semplice conse­ guenza di quella risoluzione del reale nel soggettivo e nell'estra-soggettivo, di cui abbiamo fatto cenno e su cui torneremo. In realtà, davanti alla critica giobertiana il Rosmini mantiene ancora la nozione dell'idea dell'essere esposta nel Nuovo Saggio (n. 1 085), come tale che «perfettamente indeterminata, non racchiude nessun giudizio sul modo di essere» ed è quindi cosiffatta da essere «suscettiva di ri­ cever poi uno, qualsivoglia, di tutti i modi di essere pen­ sabili, con perfetta imparzialità e indifferenza, non aven­ done prima nessuno». Come era avvenuto nella risposta al Mamiani, il Rosmini sottolinea quella assoluta indeter­ minatev.a come la pura possibilità che è in grado di esten­ dersi a tutti gli enti e dunque da renderli intelligibili55• . Ma le ragioni del Rosmini contro la critica giobertiana dipendono dal senso che si dà a questa «indeterminatez­ za» dell'idea dell'essere. Qual è il giusto senso di questa nozione? Piero Martinetti, in alcune lucide osservazioni sopra la filosofia rosminiana, ha rilevato l'importanza di un passo, sia pure marginale, del Nuovo Saggio (n. 436 in nota) dov'è detto che '6• Ma si tratta di un'interpretazione che tende a forzare il rosminianesimo dentro gli schemi certamente non suoi di un panteismo della prima maniera di Schelling, altrettanto quanto l'al­ tra che vuole «inverarlo» in un trascendentalismo di tipo kantiano, riducendo l'essere ideale ad una pura forma del conoscere: che sono poi, in definitiva, le due principali tendenze della bibliografia critica rosminiana. Sull'indetenninazione dell'essere ideale il Rosmini ha precisato via via il suo pensiero, senza rinunciare a quella chiave di volta del Nuovo Saggio e anche se quei chiari­ menti appariranno più tardi, nella loro forma più precisa, nella Teoso/ia. Poiché l'essere che è presente alla mente («intùito») è «uno e semplicissimo», bisogna pensare che la sua presenza sia una presenza totale anche se non total­ mente svelantesi a noi. «Che niente ci sia d'intelligibile fuori dall'essere» e che «tutto ci sia nell'essere», paiono al Rosmini due implicazioni evidenti del concetto dell'esse· re'7• Di esso egli dice che «è necessario che la mente lo veda tutto - perché non potrebbe esser veduto altramente per la sua semplicità ed indivisibilità -, acciocché ella pos· sa conoscere una entità qualunque» (Teos. , II, n. 279). «È necessario tutto l'essere per pensare la più piccola entità» (III, n. 906). E in un altro passo, con vigore d'immagini cusaniane, egli osserva che «entro i limiti della natura umana, l'essere non si manifesta se non con una compren· sione ch'è bensì totale, ma del tutto virtuale, quasi una ca· '6 Piero Martinetti, Introduzione alla Metafisica, rist., Libreria Edi· trice Lombarda , Milano 1929, p. 343. H Cfr. Teoso/ia, EN, vn.XJ, a cura di c. Gray, Ed. Bocca, Roma 1938-39 e Milano 1940-41, Libro unico preliminare, n. 43.

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pacità, un vuoto immenso da riempire, o se si vuol me­ glio, un abisso profondo nel quale c'è tutto, e per la cupa oscurità nulla si vede» (III, n. 881). Così l'indeterminatez­ za dell'essere ideale è puramente quoad nos, e non potrà certo consistere in una privazione dell'essere, che è con­ cetto contraddittorio, perché di nulla può essere diminui­ to o privato ciò che è per sua natura semplicissimo. Qui il Martinetti ha ragione di negare l'indeterminazione priva­ tiva dell'essere ideale, anche se poi nasceranno gravi diffi­ coltà, come vedremo, sul piano teologico, a proposito del­ l'origine dell'indeterminatezza mentale dell'idea dell'esse­ re, creata come tale da una «astrazione divina». C'è dunque un abisso fra l'infinita intelligibilità del­ l'essere e la nostra capacità effettiva di intenderlo e di comprenderlo nella sua totalità, e questo abisso è aperto dalla nostra radicale alterità dall'essere, dall' «essere diver­ sa e contrapposta» la mente umana all'essere infmito, dal­ la singolarità e contingenza di essa, nel suo esistere sogget­ tivo e molteplice, di fronte alla sua eterna unicità. È infatti la condizione più intrinseca della nostra esistenza tempo­ ralmente finita, quella di non essere l'essere, ma soltanto di averlcY8• L'essere è presente a noi con la sua pienezza, ma di questa si svela a noi soltanto la sua pura inizialità per cui il Rosmini chiamerà l'idea dell'essere l'essere vir­ tuale o iniziale -, perché la nostra finitudine fa da scher­ mo alla sua luce, nel tempo stesso che ha nell'essere il suo essenziale riferimento, l'intùito originario che ne coglie «un'abbagliante semplicissima unità», secondo la bella espressione di Carlo Mazzantini. Pare ragionevole pensare che questa consapevolezza più profondamente critica del limite radicale della cono­ scenza umana sia anche il segno di un più maturo pro­ gresso filosofico del Rosmini sul Gioberti. Questi, chie­ dendo al Rosmini di sostituire al Primo logico, ossia alla precedenza soltanto ideale dell'essere nella mente dell'uo-

-

'" Cfr. Logica e scritti inediti vari, a cura di E. Troilo, EN, XXII­ XXIII, Fratelli Bocca Editori, Roma-Milano 1942-43, I, n. 429. 65

mo, il Primo antologico, ossia l'Ente infinito o la pienezza dell'essere, non si è accorto che da un lato chiedeva quel­ lo che già il Rosmini ammetteva - «che tutto ci sia nel­ l'essere», come s'è detto -; e dall'altro che non poteva sfuggire al panteismo di una contraddittoria immedesi­ mazione, se pretendeva che questa totalità fosse nella mente non più soltanto che virtuale o iniziale. L'intùito del Primo antologico come Atto creativo - com'è espres­ so dalla formo/a ideale della sua filosofia: «L'Ente crea l'esistente>> - è solo apparentemente un intùito iniziale dell'Ente, perché in quell'Atto incomincia e si conclu­ de tutta quanta la storia dd mondo e il Creatore stesso. Manca nell'ontologia giobertiana un energico riconosci­ mento di quella alterità radicale, di quel non-essere che è l'uomo nella propria finitudine esistenziale e che è sot­ tratto dal nulla soltanto per il suo esser posto in relazione all'essere dal suo Creatore. La rifulgenza dell'Atto crea­ tivo è questa stessa relazione dalla parte di Dio che lo pone originariamente, non dalla parte dell'uomo che ne è il termine ed al quale l'essere non può svelarsi se non come l'orizzonte di una infinita possibilità. L'idea dell'«essere iniziale», o potremmo dire clelia «possibilità ontica», approfondita nella sua assolutezza, al di là di quelle accezioni che la restringono all'àmbito lo­ gico di una pura assenza di contraddizioni o all' àrnbito pratico di un puro progetto, sta dunque - a questo punto della sua elaborazione - al centro della metafisica rosmi­ niana, come quella,_ dirà poi il Rosmini, «che riassume quasi in sé tutta la dottrina intorno all'essere manifesto all'uomo»59• Ogni procedimento della mente umana è, in questo senso, una possibilizzazione. «L'idea è l'essere, o l'ente nella sua possibilità, come oggetto intuìto dalla mente» (Nuovo Saggio, I, n. 4 17). La differenza, di natura e non soltanto di grado, tra l'esperienza sensoriale e la conoscenza intellettiva è segnata dall'assoluta apriorità del «possest», come direbbe il Cusano, o «essere virtua· '9

Cfr. Teoro/ia, EN, IV, tutto il cap. IX. 66

le». Anche il senso attinge il reale, ma soltanto la mente sa possibilizzarlo, iscrivendolo nella trama infmita della sua possibilità. L'essere si manifesta, appunto, come il luogo della possibilità infinita. Percepire il reale nell'es­ sere è sprofondarsi nell'abisso di questa possibilità, la quale è dunque da intendere non come una privazione, ma piuttosto come l'anticipazione o lo svelamento auro­ rale di una Presenza nascosta. In tal modo, intùito ed a­ strazione si connettono in un nesso indissolubile nella vi­ ta dell'intelligenza. Non più intesa soltanto come un mec­ canismo dello scomporre e del ridurre, l'astrazione possi­ bilizzante, come la potremmo chiamare, è piuttosto un'apertura rivelativa, è il recupero di un senso origina­ rio, universale, al di là dei margini della percezione sen­ sitiva. Astrarre è scoprire attraverso l'opacità del dato sensibile il modo di tendere dell'esistente ail'essere, la sua irripetibile possibilità nel contesto di quella possibilità totale che è l'essere. Questo tipo di astrazione fondata nell'intùito dell'«essere iniziale)) è la vera risposta del Ro­ smini alla critica giobertiana. Ma ciò che questa impone­ va di chiarire ulteriormente era il rapporto tra !'«ideale)), il «reale)) e la loro sintesi in quella meravigliosa avventura che è la vita dell'uomo, a misura del suo farsi indizio e specchio della vita divina nella pienezza dell'essere.

IV. CHE COS'È LA METAFISICA ?

l. La Teoria dell'ente

In una lettera al suo primo maestro di filosofia, Pietro Orsi, stampata nel «Messagger Tirolese)) del dicembre 183 1 , il Rosmini ricorda la sua prova a priori dell'esisten­ za di Dio, esposta alla fine del Nuovo Saggio, della quale già abbiamo fatto cenno, e la commenta con queste os­ servazioni: 67

Così l'Ideologia mi condusse a mano fuori dalla mente, e fece che mi ritrovassi sul limitare dell'Ontologia, ove il discorso non cade più sulle idee, ma sulle stesse cose. Ed è nell'Ontologia non ancora da me pubblicata, che io richiamo alla sua vera ed altissima unità anche il mondo reale, come coll'Ideologia ho richiamato all'unità sua il mondo ideale, per dover poi nella Teologia naturale congiungere, cioè, far di· pendere i due mondi reale e ideale da un solo e medesimo pun· to, cioè da quell'ente degli enti, nel quale la verità, ossia l'essere mentale, diventa una persona indivisa nella divina sostanza 1 • ,

Certo il Rosmini delinea qui con chiarezza l'impianto generale della ricerca metafisica a cui si accinge, ma con­ finando l'una e l'altra, l'antologia e l'ideologia, rispettiva­ mente, al mondo reale ed a quello ideale, secondo il mo­ dello dualistico del razionalismo secentesco, non pare che possa mai giungere poi ad una unità che sia più che una giustapposizione. La collocazione dell'antologia come una tra le discipline filosofiche dovrebbe essere ad ogni modo oltrep assata dal Rosmini quando dirà, come nel Sistema /i· losojico, che essa «tratta dell'ente considerato in tutta la sua estensione come è all 'uomo conosciuto», e precisa­ mente che «tratta dell'ente nella sua essenza e nelte tre forme in cui è l'essenza dell'ente, la /orma ideale, la /orma reale, e la /orma morale»2• È questo ormai un chiaro ac· cenno a quell'articolarsi della filosofia nell'organicità del· l'essere, che sarà l'idea portante della Teoso/ia, come il Rosmini chiamerà la sua imponente e incompiuta Teoria dell'Ente. · A tale idea egli giunge con assai maggiore consape· volezza nella Prefazione alle opere meta/isiche, che intro· duce alla prima edizione della Psicologia del 1846. Dopo aver dichiarato che la filosofia, come «scienza delle ragia· 1 Lettera a Pietro Orsi a Rovereto sulla lingua filosofica, e sopra al· cune obbiezioni proposte in un giornale tedesco , in ENC, 2, Introduzione alla filosofia, a cura di P.P. Ottonello, Roma 1979, pp. 384 sg. 2 Sistema fi"!osofico, n. 166. Fu scritto dal Rosmini per la Stona Universale di Cesare Cantù nel 1844. Ora in Introduzione alla filosofia, .

EN, p. 281.

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ni ultime» ha per proprio oggetto l'assoluta realtà sussi­ stente, «perché la ragione prima esige un reale coessen­ ziale ad essa ... e però ella non si può conoscere a pieno senza la dottrina di quella prima realità che la costituisce non come ragione, ma come ente completo ed assoluto, che contiene la ragione delle cose tutte nel suo seno»3, vi precisa che in questo senso la metafisica come «dottrina filosofica dell'ente reale e completo», e dunque «delle ra­ gioni ultime dell'ente reale» (ivi, n. 1 1 ), coincide con la filosofia stessa. È vero, ne restano ancora fuori i problemi deontologia, o ciò che concerne il dover essere piuttosto che l'essere. Ma è un'esclusione che non cancella la rela­ zione «oltremodo intima» della metafisica con questo àm­ bito profondo dell'umano: tale esclusione finirà con lo scomparire nei successivi approfondimenti della doman­ da metafisica del Rosmini. Intanto qui son ridotte a parti di un'unica «Teoria dell'ente» - di un'unica «Teosofia» ­ le tre discipline che erano ancora separate, in un certo modo empirico, nel Sistema filosofico: l'antologia, la teo­ logia naturale e la cosmologia. Ormai al centro della me­ tafisica, qui la «dottrina dell'Essere supremo presenta tre trattazioni o parti ben distinte ma intimamente connesse: la _prima è una cotale amplissima intrusione, e ragiona dell'essere in universale, a quel modo che lo concepisce l'wnana mente per via d'astrazione, e risponde a quella scienza che si suole chiamare Ontologia; la seconda tratta dell'Essere assoluto per via di ragionamento ideale-nega­ tivo, e risponde alla Teologia Naturale; la terza è una co­ tale appendice, che disputa delle produzioni dell'Essere assoluto, e risponde alla Cosmologia» (n. 29). La linea fondamentale della nuova metafisica come scienza è trac­ ciata e non si allontanerà più da essa lo sviluppo futuro de! pensiero rosminiano. n problema teologico ne costi­ _ twsce il punto focale, di cui la domanda antologica non XV

' Psicologia con alcuni scritti inediti di carattere psicologico, EN, -XVIII, a cura di Guido Rossi, I, Fratelli Bocca Editori, Milano 1941, Prefazione alle opere meta/iriche, n. 13, p. 4.

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è che «una grande prefazione» e quella cosmologica «una cotale appendice». Né la mente dell'uomo né le realtà dd mondo possono essere intese nd loro ultimo significato fuori dal loro rapporto con Dio, né a questo si accede naturalmente se non per la via della intelligenza né se ne può intendere in qualche modo il senso altrimenti che nel suo rispecchiarsi nelle creature del mondo. Ma queste non hanno il medesimo statuto ontologico. C'è una pro· fonda differenza tra gli esseri che sono costituiti soltanto di materia e di senso e l'uomo che è sentimento corporeo ed intellettivo. Quello che suole essere detto il mondo sconfinatamente vasto della natura fisica, in realtà non può essere pensato se non come il termine di un'anima· zione universale - qualcosa di analogo all 'anima mundi di cui parlavano i neoplatonici -, perché: una materia che si supponesse non sentita, sarebbe una pura astrazione, un quid incognito di cui non possiamo dire niente. «Come la materia ha bisogno di un principio senziente, a cui sia termine, senza di che ne perisce il concetto, così l'anima senziente ha bisogno della materia, di cui sia il principio, senza di che ne perisce pure il concetto. Onde l'anima sensitiva non è un ente, se non a condizione che l'atto suo termini nella estensione materiale, owero corporea» (n. 23 ). Poiché l'anima soltanto sensitivo-corporea man· ca della possibilità di quell'auto-riferimento o coscienza di sé, che, come sappiamo, è aperta all'uomo dall'intùito dell'essere ideale, lo statuto ontologico della natura fisio· animata è quello di un ente incompleto, di un /atto o /e· nomeno che è privo di sussistenza in sé e di consistenza che non sia quella di una totalità, la natura, che muta se· condo leggi e che non ha in se stessa la ragione del pro· prio mutare o divenire. Questa ragione le può essere for· nita dalla sua connessione con quella parte del reale che ha lo statuto ontologico della sussistenza in sé, cioè la soggettività o autocoscienza, che è l'uomo come ente completo, come anima! intellectivum, che della natura è, secondo l'espressione di Cartesio, maitre et possesseur, pur dovendo attingere da Dio, come sua Prima Causa, le 70

ragioni ultime di questa padronanza e signoria. >7• Tutte le idee sono particolari per loro propria natura, e soltanto quando una di esse viene usata come segno, cioè sta-in-luogo delle altre dello stesso genere, soltanto allora essa, che in sé è sempre particolare, viene detta universale. E perché un'idea particolare ne rappresenti molte altre, basta che siano considerati in essa soltanto certi caratteri, trascurando gli altri, come, per esempio, nel triangolo, sol­ tanto la figura triangolare, di qualunque specie e di qua­ lunque grandezzas . Così Hume potrà concludere, con maggiore disinvoltura, che la differenza fra impressioni e idee «Sta nel grado di forza e vivaàtà con cui le percezioni agiscono sulla mente e si aprono la strada fino al nostro pensiero», non essendo infine le idee se non «le immagini sbiadite che di quelle impressioni ci rimangono e di cui facciamo uso nel pensare e nel ragionare»9• Il più forte tentativo di riaffermare, dopo la critica empirista, la supe· riore dignità dell'idea nella sua impossibilità d'essere con­ fusa con i termini del senso fu compiuto da Kant con la sua concezione delle Idee trascendentali come «un concet· to necessario della ragione, al quale non può essere dato nessun oggetto adeguato nei sensi»10• In questa accezione egli ha distinto, com'è noto, l'idea sia dalla rappresentazio­ ne sensibile, sia dalla nozione o concetto dell'intelletto. D Rosmini, pur intendendo come una determinazione del­ l'idea indeterminatissima dell'essere, e quindi della stessa natura di essa, quello che Kant chiama «concetto puro» o «categoria dell'intelletto», accetta tuttavia, facendone un caposaldo di tutta la sua gnoseologia, l'istanza kantiana 7 G. Berkeley, Trattato rui princìpi della conorcenza umana e Dia: laghi /ra Hylar e Filonour, n. ed. a cura di M.M. Rossi, Laterza, Ban 1955, Introduzione, par. 10, p. 12. B ivi, par. 16,_ p. 19. 9 D. H urne, Trattato rulla natura umana, in Opere, a cura di E. Lecaldano ed E. Mistretta, 2 voll., Laterza, Bari 197 1 , I, p. 13. 1o Kant, op. cit., p. 322. 80

della distinzione tra concetto o idea e immagine sensibile. «Non si può propriamente dire - egli annota - che l'idea sia un'immagine; questa parola d'immagine si può appli­ care a' fantasmi delle cose corporee, quando noi ce le fi­ guriamo presenti tali quali ci caddero sotto i sensi; e non all'idea. Per ben conoscere l'idea conviene anzi avvezzarsi a considerarla tale qual è ella medesima, senza mescolarvi comparazioni e metafore tratte da cose materiali. L'idea ha un essere suo proprio, spirituale e superiore alla corpo­ rea sensazione>>11. L'idea, anziché confondersi con l'im­ magine, è ciò che la rende conoscibile, ciò che la fa essere presente come oggetto davanti alla mente. È proprio questa presenzialità dell'idea alla mente ciò '\he separa di un abis­ so il senso dall'intelligenza. Nel Libro IV della Teoso/ia il Rosmini spiegherà: Nell'ordine del senso non vi ha di veramente presente, che il termine del sentire, cioè la cosa in quanto è sentita. ll sentito poi nell'atto del sentire è così unito al senziente, che fra il sen­ tito e il senziente non v'ha nulla di mezzo. Ma questa non si può chiamare con tutta proprietà presenza; perché quantunque nel sentito si manifesti altresì una forza straniera al senso, tut­ tavia il senso non avendo niuna intelligenza, non dice nulla, non afferma né nega qualche cosa di diverso da sé, ma solo è passivo e ricevente l'azione, ossia non si può dire che lo stesso senso abbia nulla presente, se non se stesso ... Onde il dire che la cosa conosciuta è presente alla mente o alla memoria o al­ l'attenzione o ad altre facoltà intellettive, è il solo parlar pro­ prio: ché la presenzialità importa due entità che abbiano rela­ zione fra loro, e che l'una di esse, quella a cui l'altra è presente, conosca questa relazione, e però conosca la cosa presente12,

Dunque la presenzialità alla mente, o oggettività, è la caratteristica essenziale dell'idea. Ed è per questa pro­ prietà che l'idea si distingue anche dal sentimento, o dal­ l' attività soggettiva che la pensa. Questa, secondo il Ro­ smini, è duplice: l'attività mediante la quale pensiamo 11 Nuovo Saggio, 12

n.

77, nota l .

Teoso/ia, EN, Libro IV, n: 87.

81

l'idea, ossia l'intùito, e quella con la quale affermiamo o neghiamo la sussistenza della cosa rappresentata dall'i­ dea, cioè a dire il giudizio. A proposito di quest'ultimo il Rosmini insiste nel Nuovo Saggio, e vi insisterà in tutte le sue opere, nel distinguerlo dalla pura idea, perché «l'idea è al tutto diversa dalla credenza che esista un ente reale rispondente all'idea: per modo che l'idea è perfetta ed intera anche senza questa credenza; né questa le aggiunge nulla, ma solo aggiunge allo spirito nostro una credenza che non è un'idea»13• Perciò l'idea «non ci serve nulla a farci conoscere le cose come sussistenti: essa non ce le presenta che come possibili; noi conosciamo la sussisten­ za delle cose con un'altra operazione del nostro spiri­ to essenzialmente diversa dall'idea, la quale chiamiamo giudizio»14• Nella teoria dell'assenso, esposta dal Rosmini nella Logica, egli distingue i giudizi ideali o possibili, nei quali l'uomo _propriamente non giudica, ma solamente in­ tuisce il giudizio che potrebbe essere fatto, dal giudizio reale in cui consiste l'assenso che «è l'atto col quale l'uo­ mo assente volontariamente all'oggetto che sta presente alla sua intelligenza»15. Dall'assenso nasce quell'«appro­ priazione della cognizione» che è _propriamente la pers�a­ sione, o cognizione soggettiva, nella quale può insediarsi l'errore, a misura di ciò che vi è in essa di volontario, o più precisamente di concernente tutto il soggetto, che può adeguarsi a ciò che gli è manifestato dall'idea o d­ fiutarla contraddittoriamente16• Ma anche l'atto stesso con cui noi intuiamo, ossia ab­ biamo presente l'idea," non dev'essere confuso con questa. Fu questo l'errore del soggettivismo, di cui il Rosmini di­ stingue due sistemi: il primo, da Plotino a Hegel, confon­ de l'idea con la mente intuente che ne è il soggetto, U secondo, dal Locke al Galluppi, dichiara che l'idea non è nient'altro che una modificazione dell'anima come prinNuovo Saggio, n. 178, nota l. 14 Teoso/ia, EN, vol. IV, n. 401. 15 Logica, EN, vol. I, n. 85; cfr. n. 89. n

16

Cfr. ivi, nn. 126-139; Nuovo Saggio, n. 1 139. 82

cipio senziente ed intelligente17• La distinzione risulta in­ vece chiara anche ad una semplice riflessione su qualun­ que nostro atto conoscitivo. Nessuna cognizione contiene p iù di quanto le rivela il suo contenuto ideale o oggettivo. Nessuna conoscenza finisce in se stessa, «in un atto del conoscente, ma in un'entità diversa, sia poi quell'entità ideale, o reale» (Nuovo Saggio, loc. cit.). Nel passo citato del Libro m della Teoso/ia il R(\)smini osserva: L'atto del conoscere esiste nel conosciuto come nella sua fonna, e in tutto ciò che non è conosciuto quell'atto non esiste. E sebbene l'atto del conoscere esista, in quanto è atto, nel su­ bietto che lo fa, non esiste però nel subietto in quanto si con­ sidera puramente atto di conoscere, perché il conosciuto non è subietto, ma è un'entità in sé, non personale o subiettiva (ben­ ché sotto la forma dell'entità in sé possa stare ogni cosa, anche il subietto). Conviene perciò concludere che nell'atto del cono­ scere il subietto rimane escluso e, per così dire, annullato, ri­ manendo solo l'essere in sé, oggetto, termine e sede dell'atto.

Il dubbio, la ricerca, l'approssimazione o quanti altri modi del soggetto che cerca e non ha ancora trovato, po­ tranno essere «qualche disposizione o qualche conato al conoscere, ma non per verità l'atto conoscitivo» (ibid.). «Il dire dunque, La cognizione mia è necessaria, è un dire eh� l'oggetto da me per essa conosciuto dee essere così necessariamente com'ella me lo presenta, e non può esse­ re altramente»I s . Così l'idea si distingue essenzialmente dall'attività soggettiva che la pensa. «L'idea non è mai un sentimento, e qualora si voglia dire che modifichi il soggetto che la intuisce e produca in esso qualche sentimento, tuttavia questa modificazione, di natura sua propria, distinta da tutte le altre, non è l'idea»19• L'attività di questa si riduce

17 Teoso/ia, III, n. 867. 18 Nuovo Saggio, loc. cit. . 19 Lettera a Don Paolo Barone, in Introduzione alla . filosofia, ENC, CII., p. 390. 83

a quella «di far conoscere semplicemente, senza aver al­ cuna altra azione di sorta» (ibid.). L'idea semplicemente si manz/esta, è inscritta nell'idea dell'essere che è per sé noto. Ed è questa la ragione della immutabilità e della necessità dell'idea. Possono mutare le cose rappresentate dall'idea, possono mutare gli atti con cui l'idea è pensata, ma l'idea in quanto idea, nel suo modo di esistere ogget­ tivo, non muta mai. D'altro lato l'idea non è aliena dal mondo delle cose, perché «è la cosa stessa priva di quel­ l' atto che la fa esistere» e «coll'idee delle cose si cono· scono le cose reali e sussistenti, quando si sentono in noi operare: si riconoscono per enti sussistenti, cioè per at­ tuazioni di quell'essere che già si conosce per natura»20 . Nel citato Libro IV della Teoso/ia, n. 1 16, queste os­ servazioni sono così riassunte:

l) Le idee non si possono negare senza distruggere il pen­ siero ed il ragionamento; 2) Esse devono avere una congiunzione con la mente ac­ ciocché questa sia mente, cioè possa pensare e ragionare, e nel­ lo stesso tempo devono avere una congiunzione con le cose, acciocché queste sieno intelligibili: senza questa unione d�e idee colla mente ad un tempo e colle cose, le idee non sareb· bero idee, poiché sono idee in quanto fanno conoscere, e però nell'essenza stessa delle idee si contengono tali relazioni: le idee dunque hanno per la loro propria essenza un'esistenza relativa, ossia non si possono concepire separate dalla mente, e da ciò che fanno conoscere; 3 ) Ma nello stesso tempo le idee, queste entità relative, han· no un'esistenza assoluta, cioè esse sono essenzialmente distinte dalla mente a cui si riferiscono e dalle cose che fanno conosce· re, cioè dalle cose finite.

Al divino Platone, di cui più volte si professa disce: polo, il Rosmini attribuisce, ovviamente, la scoperta di questo f>eculiare modo di esistere «oggettivo», che è pro· prio dell'idea. zo

Nuovo Saggio, n. 1 1 82.

84

Si consideri [ . . ] la sorpresa e la gioia intellettuale di quella mente speculativa, che meditando sulle diverse nature compo­ nenti questo mondo, e cercando di distinguere le une dalle altre e di classificarle, le riscontra tutte limitate e soggette a varie passioni e corruzioni, eccetto però una sola che al pensiero si presenta impassibile, immobile, incorruttibile, necessaria, eter­ na perché necessaria. Quale scoperta maggiore di questa? Qua­ le entusiasmo non dee sollevare nel pensiero che la prima volta la coglie? Convenientemente doveva l'idea, questa natura così diversa da tutte le altre, essere chiamata il divino (to theion), come la chiamò Platone [Teos. , IV, n. 2]. .

Le idee sono dunque l'essere stesso in quanto si ma­ nifesta alla mente. ll Rosmini si è sempre preoccupato di dichiarare la trascendenza di questo manifestarsi o sve­ larsi dell'essere, il suo porsi come pura presenza non ri­ ducibile a nessuna delle attitudini o attività della mente umana che la fronteggia. In questo senso ci possiamo or­ mai rendere conto che la sua «ideologia ontologica» è il più radicale rovesciamento della concezione soggettivisti­ ca della conoscenza. La verità non è il risultato di un'ope­ razione della mente, ma è piuttosto una proprietà, un modo dell'oggetto che trascende la mente e dà alla mente la propria forma. L'essenza dell'essere diventa forma del nostro spirito uni­ camente col farsi conoscere, col rivelare la sua naturale cono­ scibilità; quindi dalla parte del nostro spirito non v'ha niuna reazione. Questo non fa che ricevere: il lume, la notizia che riceve, è ciò che lo rende intelligente: l'essenza dell'essere è semplice, inalterabile, immodificabile, non si può confondere o mescolare con altro: così si rivela, né si può rivelare altrimenti. Lo spirito che la intuisce e l'atto dell'intuizione rimane fuori di lei. Lo spirito intuendo lei, non intuisce se stesso. Quindi è che l'essenza dell'ente prende il nome di oggetto, che è quanto dire cosa contrapposta allo spirito intuente, al quale è riserbato il �ome di soggetto. Dal che si vede che quando noi diciamo che l ess�re ideale è forma dello spirito, usiamo la parola forma in �n significato interamente diverso ed opposto alle forme kan­ llan e; perocché le forme di Kant sono tutte soggettive, e la no­ �tlra è una forma oggettiva, e anzi oggetto per essenza [SIStema ,z osofi'co, n. 35].

85

La conseguenza antropologica immediata di questa fondazione ontologica della conoscenza è che ciò che di­ stingue l'uomo da ogni altro essere sulla terra è il prima­ to dell'intelletto. L'uomo è prima di turto anima! intel­

lectivum.

Chi si è formato in Italia, quando ancora l'attualismo di Giovanni Gentile gettava le sue ultime luci, può scan­ dalizzarsi davanti a questo oggettualismo netto, benché già da allora potessero prepararlo ad accoglierne il senso, paradossalmente, le proposizioni altrettanto recise del Tractatus logico-philosophicus di Wittgenstein. Ma trala­ sciando questi o altri accostamenti certamente impropri e forse devianti, c'è da rilevare semplicemente che per il Rosmini l'oggetto, o com'egli dice solitamente, l'idea, si manifesta come il costitutivo essenziale dell'atto conosci­ tivo, così che tutti i procedimenti in cui il soggetto in qualche modo si isola o si scopre isolato dall'idea, come awiene nell'ig?oranz� , nel dubbio, � ella problef!1 aticità, come st_ usa dtre oggt, o comunque m un atteggtamento di non adesione, di sospetto o di «pensiero debole», re­ stano al di qua della conoscenza, perché non partecipano al mondo ideale. La dottrina rosminiana dell'«essere ideale» come > o una sua «appar· tenenza>> (cfr. Teos. , III, nn. 765, 889, 1 129, 1 155 ecc.). Certo, vi è nella natura un principio organizzatore che è la vita dove operano in conflitto fecondo l'istinto vitale e l'istinto sensuale30, ma sarebbe assurdo parlare di anima· zione universale, perché «se il termine esteso produéesse il principio, che è cosa assolutamente semplice, sarebbe un effetto dissimile ed opposto alla causa contro il prin· cipio antologico che ogni causa deve produrre un effetto simile a sé>> (ivi, n. 547). Tutti i reali finiti di cui abbiamo esperienza, nella infinita gamma delle loro variazioni, si vincolano intrinsecamente in quel sentimento intellettivo che è la mente dell'uomo, o partecipandone la luce come avviene nel sentimento fondamentale corporeo o essendo vincolati nell'essere per una qualche partecipazione del sentire dell'uomo stesso, come avviene nei riguardi delle realtà soltanto corporee. In questo senso appare più che 29

240

lvi, XIII,

3° Cfr. sgg.

n.

133 1 .

Antropologia in servizio della scienza morale, ENC, cit. , PP·

96

mai evidente

la funzione mediatrice dell'uomo nell'uni­ verso. Nulla esiste, se non riferendosi o essendo riferito all'essere, ma questo riferimento, in entrambi i casi, non può essere opera in radice se non della mente, la quale ha nell'essere la sua forma originaria. Certo, la pura esisten­ za estrasoggettiva, come puro termine del sentire, non differenzierebbe gli elementi della materia dalle pure il­ lusioni. Bisogna che il corpo senziente trasferisca una qualche qualità del proprio sentire ai corpi che tocca, co­ me la carezza dell'amante, cosi che la sensazione sia un continuo nella natura com'è continua l'estensione della materia nella infinità dei suoi primi dementi. Ma quella grande sintesi del reale che è il mondo della natura e di cui una parte sconfinata appare da principio soltanto co­ me il puramente fuori dal soggetto, l' estrasoggettivo, co­ me il Rosmini l'ha chiamato, è in sé una incessante con­ certazione del sentire, nella pienezza della sintesi antolo­

gica. (Teos., III, n. 840). È

questa certamente la più importante novità cosmologica della Teoso/ia. Considerando nell'uomo il riflesso morale della sua partecipazione ontologica (del quale parleremo tra poco), il Rosmini potrà giustamente affermare che «tutto ciò che nel mondo si pensa è somigliante a catene i cui anelli s'attengono sempre a un primo anello che è la persona» (Antropologia cit., n. 906). «Le persone che so­ no nel mondo costituiscono il fine di tutte le cose imper­ sonali, e queste si attengono così strettamente a quelle con connessioni fisiche, dinamiche, intellettive, morali, che si può dire a diritto, che in ogni senso elle sono per le Persone» (Teos., III, n. 1289; cfr. anche nn. 1389 sgg.). _ Dr questa aperta dichiarazione del proprio umanismo �etafisico il Rosmini ha posto nella dottrina della risolu­ �tone del reale sotto il concetto del sentimento corporeo­ Intellettivo la premessa fondamentale.

C. Moralità. Che cosa sia la moralità non possiamo sa­

perlo, se non affrontiamo il problema del passaggio dal-

97

l'essere al dover essere: è il «problema di Hurne>>, com'è

conosciuto nella filosofia moderna. L'àmbito in cui l'espe· rienza si colloca sotto il concetto della moralità non è riducibile né al concetto dell'oggettività né a quello del­ la soggettività dell'essere, pur implicandoli entrambi. La moralità oltrepassa insieme l'idea e il sentimento, la cono­ scenza e la vita, il pensiero e l'azione. TI Rosmini, preoccu­ pandosi di evitare sia quelle che a lui parevano le evasioni formalistiche del kantismo, sia le elusioni edonistiche del sensismo, sia i condizionamenti utilitari dell'empirismo, ha sempre cercato questa differenza specifica della catego­ ria morale. Fin dal primo capitolo della sua Stona compa· rativa e critica dei sistemi intorno al principio della morale ( 1 836), egli propone quella differenza come il criterio di senso e di validità di ogni dottrina morale. La moralità non appartiene né al mondo delle realità, al mondo delle idealità, ma essa consiste nel rapporto di questi due mondi. La legge e la volontà sono i due termini di questo rapporto. La legge è sempre un essere ideale, la volontà è un essere reale. V'ha una convenienza intrinseca e di faito, che questi due termini si accordino: in questa convenienza sta l'ob­ bligazione e la moralità. Non conviene dunque confondere né l'ordine fisico delle sussistenze, né l'ordine razionale delle idee, con l'ordine della moralità: questo è quello che lega insieme i due primi ordini, che li perfeziona, che li compisce, che dà loro la forma di un'assoluta bontàll.



È uno dei testi più espliciti della definizione rosmi· niana della categoria morale. L' es erienza si fa morale,

f

fondandosi nella indissociabilità de rapporto tra il reale e l'ideale. Ma non sta in questa medesima indissociabilità la ve· rità dell'esperienza? Che cosa aggiunge di nuovo il bene al vero? Come si può dire che la moralità sia una forma nuo· va, distinta e irriducibile alle altre due, se ciascuna di que· H

Principii della scienza morale, a cura di Umberto Muratolt.

ENC, 23 , Città Nuova Editrice, Roma 1990, p. 182. 98

ste già per se stessa ed originariamente, secondo il Rosmi­

ni, non può essere se non in relazione all'altra? Nasce di

qui una prima difficoltà ad intendere il carattere proprio e inconfondibile, se c'è, dell'esperienza morale. Non c'è for­ se il rischio d'identificare l'atto morale, puramente e sem­ plicemente, con l'atto stesso del pensare? li Gentile e con lui gli interpreti idealisti del Rosmini tendono a vedere proprio in questa identificazione del fare e del pensare il significato più profondo della sua filosofia morale. Per il Gentile, ad esempio, tutta quanta la dottrina rosminiana del conoscere si iscrive in una fondamentale accezione morale, dal momento che l'atto concreto del conoscere, per il Rosmini, si compie nell'assenso, che è sintesi d'intel­ letto e volontà, come abbiamo letto più sopra nella Logica (vedi anche nn. 89- 128). Nel conoscere per il Gentile - e secondo questi anche per il Rosmini - l'uomo celebra la propria autonomia, la sovrana libertà dello spirito32• Ma ricondotta in una reale cornice di concetti rosminiani que­ sta identificazione della sintesi conoscitiva nella sintesi morale implicherebbe, contraddittoriamente, che noi sa­ remmo morali anche nostro malgrado, senza responsabi­ lità né merito, perché nulla , assolutamente nulla, potrebbe spingerei a rifiutare l'essere, a non riconoscer/o, prima che l'abbiamo intuìto o pensato, né possiamo intuirlo o pen­ sarlo se non per il suo manifestarsi come esso è. M.F. Sciacca, rendendosi conto di questa contraddi­ zione, ha giustamente riconosciuto nella dottrina rosmi­ niana l'irriducibilità della volontà all'intelletto, del prati­ co al teoretico. «La moralità comincia quando ciò che è vero è voluto come bene; è amato come l'essere nel suo ordine, e pertanto il bene morale è tale sempre rispetto 1 12

Cfr. G. Gentile, Il principio della morale di Antonio Rosmini, in

I ,anda menti del diritto e altri scritti, De Alberti Ed., 2• ed., Roma 1923. pp. 206 sgg. Si veda anche il bel saggio di G. Chiavacci, Il valore morale del Rosmini, Firenze 1921, e la conferenza del medesimo Filo­ e religione nella vita spirituale di Antonio Rosmini, nel volume di 19 .W., L'attualità dei filoso/i classici, a cura di A. Guzzo, Milano 43 , pp. 134-46.

"J!A

99

alla volontà. Prima che la volontà si determini, non c'è il bene, c'è la verità. li Bene non è soltanto un concetto, una nozione intellettiva, e perché la nozione sia bene è necessario che sia voluta e, quando è voluta, non è più la pura nozione intellettiva, ma la nozione che ha ricevuto vita dalla volontà, che è portata, diciamo così, dall'ordine ideale all'ordine morale, che è appunto non l'essere idea­ le, ma una terza forma dell'essere, che lega insieme le al­ tre due>>' l . In realtà, la difficoltà non è risolta, ma sern. plicemente ribadita. Certo l'assenso del soggetto e la sua passione che so­ stengono l'attività del pensare e del conoscere sono una preziosa conquista della dottrina rosminiana della cono­ scenza. Anche per il Rosmini come per Platone, quando pensiamo veramente, noi pensiamo «con tutta l'anima». In questo senso si deve riconoscere che ha ragione il Gentile dicendo che per il Rosmini la verità del pensare coincide con la concretezza della vita. Pensare è aderire pienamente a quel che si p ensa. Ma allora in che cosa consiste la «novità» della }orma morale dell'essere? Non basta fermarsi alla lettera della sua definizione come della «sintesi dell'ideale e del reale». In che maniera questa «sintesi» rinnova, completa, come dice il Rosmini, queste due forme? La novità pare che debba essere scorta nel· l'intrecciarsi di due componenti indissociabili e in certo modo conflittuali nell'atto morale: quella dell ' ogg ettività e dunque dell'imparzialità, dell'impersonalità della ragio· ne, e quella dell'amabilità, n d senso dell'ispirare amore, e dunque, alla radice, di un incontro personale. Potremmo parlare di una componente rigoristica, o stoica, e di una componente agapica, o cristiana. L'intreccio di queste due componenti è il paradosso della morale rosminiana. La bontà, nel primo caso, sta tutta nel riconoscimento dd merito o valore del logos nel rispetto della razionale ge· racchia degli esseri, così come la colpa o il disvalore mo,

,

11

M.F. Sciacca, La filosofia morale di Antonio Rosmini, Roma 1938, p. 144 corsivo è mio).

(il

100

rale sta nell'opporsi dell'istinto - vitale o sensuale o uma­ alla ragione, nell'attestarsi dell'arbitrio contro noJ4 l'ordine della totalità. È il contesto stoico dentro il quale s'iscrivono taluni dei temi morali più energicamente af­ fermati dal Rosmini, così come li aveva ereditati l'etica kantiana, che è senza dubbio l'ultima grande forma dello stoicismo moderno. In alcune delle pagine austere nelle quali il Rosmini espone, nella Teoso/ia, la sua dottrina della inoggettivazione morale, la risoluzione assiologica dell'individualità esistenziale nell'universale razionalità dell'essere è proposta come l'essenza stessa della vita mo­ rale. «L'uomo che giudica ed opera in quanto è nell'es­ sere, come una terza persona, e non in quanto è in se stesso, come persona prima: ecco l'uomo morale». «L'ele­ varsi dell'uomo alla moralità ha il concetto di uno sforzo per rendersi impersonale. L'uomo infatti non può esser morale, se non dimenticando o dimettendo la _propria personalità, per ritrovarla e ricuperarla poi nell'ogget­ to»35. Era il rifiuto di ogni compromesso con il relativi­ smo etico degli edonisti e degli utilitaristi, anche se il Ro­ smini vedeva in questa «inoggettivazione morale», in questo eroismo morale del «rendersi impersonale», un privilegio della stessa persona, «una superiorità di diritto della persona sopra tutte l'altre potenze della natura wnana», come aveva scritto una ventina d'anni prima: «Questa superiorità di diritto, questa eccellenza morale, che innalza la personalità umana al di sopra di tutta la natura, dee necessariamente scaturire da quel fonte stesso onde procede ogni morale, ogni diritto. È il lume della rag ione, la sorgente del diritto, del bene e del male mo­ rale. La volontà dunque è più nobile dell'altre potenze appunto perch'ella opera in virtù della cognizione, ap-

" Sono i tre istinti a cui si riduce, secondo il Rosmini, l'«operare ENC, pp. 2 3 � _sg. e 346 sgg.). Scritta quasi tutta negli anni immediatamente se­ �u alla pubblicazione del Nuovo Saggio, questa opera ha avuto la sua Pnma edizione nel 1838 a Milano presso il Pogliani. J� Teoso/ia, lll , n. 900 e n. 882.

soggettivo» (cfr. Antropologia in servizio della scienl.tl morale,

101

punto perch'ella seguita il lwne della ragione»36• Se si può e si deve parlare d'intransigenza della morale rosmi· niana, bisogna subito aggiungere, dunque, che è lontanis· sima da un qualunque cedimento all'eteronomia e ha, al contrario, la sua motivazione più profonda nella dignità razionale della persona. Tuttavia non è da vedere in questo oggettivismo mo· rale il solo aspetto caratterizzante dell'etica rosminiana. La razionalità dell'essere non è il termine che qualifica il volere morale, se non perché in essa e per essa si media l'incontro tra gli esistenti e l'Ente, come direbbe il Gio· berti, tra le creature spirituali e il Creatore. È questo l'aspetto agapico della rosminiana /orma morale dell'esse· re. Se l'Essere in sé fosse soltanto l'eterna rifulgenza di Sé a Sé, dentro l'aristotelica pienezza del «Pensiero del Pen· siero», la sua trascendente estraneità dal mondo non po· trebbe avere ragione di fine per gli esseri intramondani, e se questi se la proponessero, sarebbe come l'oggetto di un eros puramente evasivo, come ben vide la lucidità cri· tica di Epicuro. In generale il teleologismo greco non aveva tenuto conto di ciò che poteva davvero muoverlo dal di dentro, come l'insidenza del suo manifestarsi sotto il segno di una invocazione e di un appello nel cuore stes· so dell'uomo. È stata questa l'essenziale scoperta dell'in· teriorismo agostiniano di cui il Rosmini ha saputo coglie re il senso più profondo. C'è una intrinseca reciprocità nd finalizzarsi degli esistenti all'Essere divino: questo è il lo· ro fine ma in quanto quelli sono voluti, chiamati, da Lui. Movendosi nel solco "tracciato da Agostino, il Rosmini os· serva nella Psicologia a proposito della rivelatività del pra· tico, e più precisamente dell'amore: ·

Tra le limitazioni che riceve l'allo inte!lellivo quand'è nei reali fmiti, c'è quella che lo distingue in intelletto speculativo e . pratico. L'intelletto speculativo non penetra e non si approp�a tutto ma si ��rma alla forma obiettiva, sen.�a che s'unisc� p1e· narnente a oo che ella fa conoscere. Perc1o questo atto mid· l6

Antropologia in servizio della sdenz.a morale, ENC, l. IV, P · 466-

1 02

Iettivo non è ultimato, e può bensì bastare a conoscere enti non ultimati e non completi, ma non può bastare a conoscere enti ultimati e completi, come sono quelli che hanno vita intellettiva e amorosa, che n d piacere consiste37•

Sappiamo che il sentimento non può essere inteso se non da chi lo sperimenta. Ebbene, la «vita intellettiva e amorosa, che nel piacere consiste» e che è propria degli «enti ultimati e completi» non può essere intesa se non da chi è dotato di quella medesima vita e la impiega nel­ l'>

(Filosofia del diritto, l, n. 49)

l. Il diritto alla verità, alla virtù, alla felicità Abbiamo lasciato il giovane Rosmini, filosofo impe­ gnato nei problemi politici e sociali del suo tempo, che nel '27 li interrompeva per trascriverne le conclusioni teoriche nel quadro di una «metafisica» che, a suo awiso, non esisteva e di cui doveva costruire ormai senza indugi le basi epistemologiche. n punto di arrivo che gli aveva consentito di prendere le distanze da molte posizioni ré­ tro di una gran parte della cultura della Restaurazione, era stato, come abbiamo visto, la concezione dell'essenza eudemonologica dell'uomo. Valga a rinfrescarcene il ri­ cordo questo testo quanto mai esplicito:

lll

Dico dunque che il desiderio della universale beatitudine prirnieramente è nell'uomo essenziale e cerca un posto in tune le cose di natura e sopra natura. Questa brama non è già come turre le altre parziali [ . .. ] , le quali sono fattil.ie e s'aprono nel· l'uomo secondo l'uso delle cose. Può l'uomo esser privo de]. l'amore delle ricchezze, dell'amore delle vanità, dell'amore della potenza, dell'amore della gloria, dell'amore della patria, ma non può essere privo dell'amore della beatitudine; questo amore na· sce con lui, questo amore non è una potenza ma è in atto fmo dal primo esistere dell'anima umana; questo amore è il bisogno supremo, è la tendenza radicale, è insomma una parte, ed una essenziale parte della natura dell'uomo ragionevole e immortale1•

Derivare da questa conclusione della scienza dell'uo· mo che, sul piano politico, fosse «dovere e possibilità dd legislatore, non già satollare tale appetito, ma impedire che non sia tolto a veruno il potere in ciò satisfarsi>> (Sag· gi, cit., p. 73 ), era aprirsi la via al concetto più elementare e meno contestabile del diritto. «Il piacere, preso nel suo più ampio significato, il bene eudemonologico, quando è protetto dalla legge veniente dall'oggetto, costituisce il di· ritto»2. Tale identificazione può ormai ricevere il suo chiarimento essenziale dalla dottrina del sintesismo delle forme dell'essere e più precisamente da quel rapporto vi· tale che costituisce nell'uomo la persona come «princip io attivo supremo d'un soggetto intelligente» (ivi, p. 109), e dunque il suo autorealizzarsi come ven'tà nella conoscen· za dell'essere, come virtù nel riconoscimento del suo or· dine, come amore nel compiacimento della sua desidera· bilità. Il diritto è la libertà sovrana di questa autorealiz· zazione e la propn'età inviolabile sopra tutto ciò che essa richiede per il suo porsi e mantenersi: libertà e proprie� che come tali impongono a tutti gli altri esseri intelligenu l'obbligo morale del loro riconoscimento.

1 Saggi di scienza politica, Scritti inediti, a cura di G.B. Nicola, G.B: Paravia, Torino 1933, p. 72. Cfr. le osservazioni di F. Traniello, Soaeta religiosa e società civile in Rosmini, ll Mulino, Bologna 1966, pp. 3� sg. 2 Filosofia del diritto, EN, XXXV-XXXIX, 6 voli., a cura di R. Orecchia, Cedam, Padova 1967-69, l, p. 104.

1 12

Giuseppe Capograssi ha messo o"'�":.:.l paradossale ed unico della •u.::1u•u senso il niana della persona umana con il «diritto Non si tratta delle note posizioni del pensiero che assegnano alla persona il fondamento del alla dignità della persona il principio del diritto. vece la persona stessa, nel contrassegno della sua '"'••�:o�:.:. dualità 'illuminata e guidata dall'infinito', come '..rt·iui1ro' suprema per natura sua' (Filos. d. diritto, I, n. 52) , è essa stessa, per Rosmini, il diritto sussistente. Che significa questa singolare identificazione del diritto con la persona, che a noi abituati come siamo a vedere nd diritto qualche cosa di normativa di sociale di collettivo di coattivo, sembra più che paradossale addirittura incomprensibile? Tutto il concetto di Rosmini, la novità del suo concetto sta in questa identificazione. E significa: che tutta l'esperienza con­ creta e storica del diritto, le autorità le leggi le obbedienze che la compongono, mettono capo a questo unico punto vivo che è la persona [ . . ]. Questa specie di anello magico dell'infinito e dell'empirico, è, come tale, attività e sovranità: attività perché è la vita stessa che si muove e si organizza in tutte le sue concrete esigenze, e sovranità perché è l'affermazione della vita come ve­ rità cioè della sua destinazione infinita. Per conseguenza la per­ sona è il diritto sussistente, perché nella persona verità e vita, eterno e sentimento, valore e fatto fanno blocco: per essa rea­ lizzare la propria vita è adempire un infinito dovere nel quale si riassumono tutti i doveri della vita. E quindi in essa, per usare il linguaggio preciso dei giuristi, diritto oggettivo e diritto sog­ gettivo coincidono: l'affermazione della propria vita come ten­ denza alla felicità è l'affermazione della vita come legge assoluta L .] . I fatti fondamentali e costitutivi - la esistenza della perso­ na, e la congiunzione che la persona fa a sé stessa, al suo prin dpio supremo, delle sue attività particolari che così diventano proprie, e traverso tali attività la congiunzione che essa fa a sé stessa, alla quale la sua sete dell'essere la spinge, delle cose, del­ le volontà, delle persone - costituiscono l'essenza stessa e il si­ stema dei diritti (1, nn. 59 sgg.)'. .

.

·

6,

� Giusep pe Capograssi, Il diritto secondo Rosmini, in Opere, voli. G1uffrè Editore, Milano 1959, vol. IV, pp. 33 1 sgg. 1 13

Da queste osservazioni illuminanti risultano insieme due caratteri del diritto che possono apparire, e di fatto sono apparsi in talune celebri teorie giuridiche, in con­ trasto o comunque non conciliabili: la inten"orixzazione del diritto, che investe la totalità della persona e dunque rende difficile la distinzione della norma giuridica da quella morale, e l'aggettivazione del diritto, per cui la per­ sona non è tale se non nella concretezza esistenziale e sto­ rica del rapporto interpersonale. Certo, il Rosmini, in op­ posizione alla «dottrina funestissima di egoismo disuma­ no», che nel secolo XVIII voleva derivare i doveri dai diritti, era ben persuaso che «il dovere stesso figlia il di­ rittm>, perché la morale limita la sfera del diritto entro quella del lecito, per chi ne è il soggetto, ed obbliga, essa stessa, le altre persone a rispettarla (cfr. I, pp. 127 sg.). «Dall'etica procede l'amplissima scienza del diritto razio­ nale: questo nasce dalla protezione che l'etica, ossia la legge morale dà al bene utile e più generalmente a tutti i beni eudemonologici di cui possono fruire gli uomini»4• Per questa via di una «segreta intimità metafisica» �el di­ ritto, e più precisamente, del sentimento del diritto, come dice il Capograssi5, è certamente difficile cogliere il senso di una rea.J.e distinzione del giuridico dal morale, almeno . per quanto riguarda il primo dei diritti, quello della Ji. bertà, ossia dell'appagamento del proprio autorealizzarsi. Qui il Rosmini tocca il vertice più alto a cui possa giun· gere l'esaltazione del- valore dell'uomo sopra le potenze del mondo. n principio attivo supremo, base della persona, è informato dal lume della ragione, dal quale riceve la norma della giustizia: egli è propriamente la facoltà delle cose lecite. Ma poiché la dignità del lume della ragione (essere ideale) è infinita, perciò niente può stare sopra al principio personale, niente può stare sopra a quel principio che opera di sua natura dietro un maestro e signore di dignità infinita: quindi viene,

4 Sistema filosofico, in Introduzione alla filosofia, ENC, cit., n. 226. ' Capograssi, op. cit., ivi, p. } }6. 1 14

ch'egli è principio naturalmente supremo,

eli maniera che niuno

ha diritto di comandare a quello che sta ai comandi dell'infinito [Filos. d. diritto, I, n. 32. il corsivo è mio].

Quello che qualcuno ha chiamato il Capo Horn, il Capo delle tempeste del problema della distinzione del diritto dall a morale, qui non c'è bisogno di oltrepassarlo. Il diritto coincide essenzialmente con il fondamento mo­ rale della dignità, della libertà e della felicità della perso­ na. D'altro lato, questo è anche «uno de' principali ca­ ratteri della distinzione fra i doveri semplicemente mora­ li, e i doveri giuridici. I doveri che l'uomo ha verso sé stesso non possono essere altro che doveri semplicemente m orali» (1, n. 138). 2. La società civile e il regolamento della modalità dei

diritti

n secondo carattere del diritto, e precisamente la sua

aggettivazione, ci apre invece ad una possibilità meno

problematica di cogliere un àmbito dove il diritto, senza separarsi dalla morale, se ne possa distinguere. Quel di­ ritto sussistente che è la persona, si determina in una va­ sta molteplicità di derivazioni e di variazioni storiche, do­ ve assumono fisionomie concrete due distinzioni impor­ tanti proposte dal Rosmini: quella tra legge ed obbligazio­ ne (II, n. 1336, nota l ) e in generale quella tra diritto e modalità dei diritti (cfr. II, n. 16 16). Per quanto riguarda la prima distinzione, che è «pro­ fonda di audacia e carità», per il Rosmini >32. il Rosmini insiste sul carattere >, Firenze, 5 settembre a: l, n. 106, in Scritti di varia filosofia e di religione, raccolti e ustrau da Angiolo Gambaro, La Nuova Italia, Firenze 1939, p. 462.

fu849,

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della renovatio Ecclesiae in capite et in membris dei secoli XV e XVI il Rosmini è passato a quella della sua costi· tuzione essenziale come unione tra Dio e l'umanità, tra l'antico e il nuovo Israele6. Tutto il suo saggio è ispirato da questo senso carismatico della Chiesa che egli rievoca continuamente nella vita dei suoi primi secoli, dalle pre· diche dei Padri, dalle lettere di sant'Ireneo e di san Ci· priano o di sant'Ignazio e dagli esempi della pratica pa· storale di antiche diocesi, come se volesse distinguersi dai Riformatori che guardavano quasi soltanto alle sue origini scritturali ed apostoliche. Ciò di cui il popolo cristiano ha bisogno è «di piena e di vitale istruzione», non di quei repertori di formule cri· stiane che son diventati i catechismi. «La verità non può operare negli spiriti, se in luogo di lei, ci contentiamo del suo morto simulacro, di parole che la esprimono bensì esattissimamente, ma la cui esattezza poco giova più che a muovere la sensazione dell'udito, giacché quelle parole incespano, e muoiono negli orecchi» (p. 30). Il gran tra· vaglio definitorio post-tridentino dei catechismi ha avuto il triste risultato della infinita ignoranza dei fedeli sul contenuto della loro fede, cioè a dire la prima causa della loro separazione dal clero, così come li separa di fatto l'uso della lingua latina nelle cerimonie del culto, almeno fino a quando e catechismi e formule rituali non sono vivificati da un insegnamento reale - Rosmini insiste nel· l'aggettivo: , 1965, 12, p. 1273. 6

«

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clero e che questo, «segregato dal popolo, ad un'altezza ambiziosa, degenerasse in un patriziato, in una peculiare società, voglio dire, divisa dalla società intera, con inte­ ressi proprii, con sue proprie leggi e costumi» (p. 33 ). n quadro non poteva essere più preoccupante, riscoperto in un tempo di tante agitazioni. Ciò che doveva preoccupa­ re di più era che proprio all'interno della Chiesa, nella vita quotidiana dei fedeli e dei loro pastori, quelle agita­ zioni erano meno presenti che nelle questioni civili o po­ litiche o non lo erano per nulla, tendendo la massa degli uni ad assopirsi all'ombra di quel patriziato clericale per lo più interessato a quieta non movere. Come l'avrebbero potuto i rappresentanti di quel sacerdozio che aveva ere­ ditato dagli Apostoli la missione di «ammaestrare tutte le genti», se in generale essi stessi non erano stati formati all'intelligenza della fede? È infatti questa la seconda Piaga denunciata dal Ro­ smini: «l'insufficiente educazione del Clero» (p. 37), che subito lo richiama all'evocazione nostalgica di quando «la predicazione e la liturgia erano ne' più bei tempi della Chiesa le due grandi scuole del popolo cristiano». Questa nostalgia dei «più bei tempi>> scorre per tutto il saggio e il confronto di due mondi così lontani e ormai non più congiungibili come la Chiesa fino al VI secolo e quella della metà dell'Ottocento conduceva piuttosto ad istanze riformatrici che finiranno col proporre un modello nuovo di «società ecclesiastica)). n Concilio di Trento, come aveva fatto elaborare ed imposto all'istruzione dei fedeli il «Catechismo romano», in risposta all 'Enchyridion di Lu­ tero, così aveva imposto ad ogni diocesi l'istituzione dei Seminari per la formazione del clero. Ma, ahimè, come il catechismo, invenzione all'uso moderno, «ottima in se medesima)) (p. 3 1 ), finisce spesso col fare recitare soltan­ to formule vuote, così il «Seminario dei Preti e dei Dia­ �on_h> che nei primi secoli era >. Il Rosmini manda avanti la sua composizione dell 'Antropolo­ gia in servigio della scienza morale, detta anche più breve­ mente Antropologia morale, che vedrà la luce a Milano nel '38, mentre resteranno incompiute le sue riflessioni sull'An­ tropologia soprannaturale, che uscirà postuma soltanto nd 1883 a Casale Monferrato. IBH-36 Il Rosmini è occupato come parroco a Rovereto dal giugno del '34 all'ottobre del '35. Nell 'agosto del '36 trasferisce il 157

Noviziato del suo Istituto, e Io segue, a Stresa, dove risiederà fino alla mone. Pubblica a Milano nel '36 Il rinnovamento della filosofia in

Italia proposto d4l Conte Terenzio Mamiani ed esaminato da Antonio Rosmini-Serbati, a cui il Mamiani risponderà con acrimonia pubblicando a Parigi, due anni dopo, Sei leltere del Mamiani all'abate Rosmini. Detta la Storia comparativa e critica dei sistemi intorno al pnn· dpio della morale, che sarà pubblicata l'anno dopo a Milano. Scrive Sulla dottrina religiosa di Giandomenico Romagnosi ed

entra in polemica con Carlo Cattaneo. Scrive una Lettera al LAmennais sulla sottomirrione al Papa e una risposta al dottor Luigi Gentili Sulla filosofia di Vktor Cousin o sull'eclettismo francese. In questo e nell'anno se· guente rielabora per la stampa i manoscritti su La società e il suo fi"ne e la Sommaria cagione per la quale stanno o rovinano le umane società, i due ampi frammenti che aveva scritto nel 1826 e '27 a Milano. Nel dicembre a Roma sono approvati l'Istituto della carità e 1838 la sua Regola. 1839-41 Nel '39 scrive ma non completa il trattatello Del pn"ncipio 1837

supremo della Metodica e di alcune sue applicazioni in servizio dell'umana educazione.

Comincia a uscire in fascicoli (raccolti I'anno successivo nel­ I' edizione del Pogliani a Milano) il Trattato della (Oscienxa morale, che darà inizio ad una pioggia di accuse di eresie e di errori gravissimi contro la fede, specialmente in un libello uscito nell'aprile del '4 1, alla macchia, sotto lo pseudonimo di un certo Eusebio Cristiano, ma di fatto nelle mani di por· parati e vescovi. ll Rosmini pubblica nell'agosto del '4 1 la sua piuttosto acre Risposta al finto Eusebio Cristiano. La polemica sarà chiusa d'autorità da Gregorio XVI che, da una Congregazione di 7 cardinali, radunata ad hoc nel '43, fa intimare al generale del· la Compagnia di Gesù e al generale dell'Istituto della Carità un Decreto di silenzio , XL Proposizioni, tratte in maniera filologicamente discutibile da nove delle J? rincipali opere edite ed inedite del filosofo roveretano (dalla Teoso/ia, per esempio, dalla Introduzione al Vangelo secondo Giovanni commentata, dal Trattato della cosdenza morale o dalla Psicologia o dalla Filosofia del dinito o da altre di non minore importanza). Le accuse erano diverse, ma il Leitmotiv era l'eresia, ritenuta indissociabile, di pan­ teismo e di ontologismo, proprio come volevano i due ge­ suiti che abbiamo ricordati. Mentre i religiosi dell'Istituto della Carità si affrettarono a dichiarare (come avrebbe certamente fatto il loro padre fondatore) la propria sotto· missione al volere della gerarchia ecclesiastica, altri segua­ ci del pensiero rosminiano si impegnarono a dimostrare, in ampie opere di carattere analitico, la non pertinenza esegetica o filologica di quella condanna, come, per citar­ ne soltanto i più importanti, Lorenzo Michelangelo Billia, Giuseppe Morando, Giambattista Pagani e, più vicino a noi, Giorgio Giannini7. Ma per buona sorte del Rosrriini il suo pensiero ha trovato un'area di discussione filosofica­ mente ben più interessante e feconda di sviluppi critici in campo laico o comunque meno vincolato dalla cultura delle scuole ecclesiastiche. 2. Già abbiamo anticipato qualche cenno sull'equivo­ co awenuto nell'identificazione dello Spaventa tra l'essere iniziale e la forma trascendentale kantiana del conoscere, osservando che, se la ftlosofia del Rosmini non fosse al­ tro, o non potesse ridursi ad altro che ad una variante del 7 Si vedano: Lorenzo Michelangelo Billia, Le quaranta Proposizioni attribuite ad A. Rosmini con testi originali completi dell'autore, Milano 1889; Giuseppe Morando, Esame critico delle XL proposizioni conda�­ nate dalla S. R. U. Inquisizione, Studi filosofico-teologici di un laico, Mi-. !ano 1905; Anonimo (P. Giambattista Pagani), Le quaranta proposiz10m rosminiane condannate dal S. U!fizio col decreto «Post obitum» esami: nate, Roma I 908. Gli studi più recenti sono quelli che ho già citato di

Giorgio Giannini e Cornelio Fabro.

1 66

trascendentalismo kantiano, tutta la critica dd Gioberti (come dd resto quella del Mamiani) rimarrebbe priva di senso: un puro sofisma, come direbbero gli Scolastici, di >, 1898; ora in Opere, Sansoni, XXV. Calza-Perez, Esposizione ragionata della filosofia di A. Rosmini, Tip. Ed. Bertolotti, Intra 1 878; 2" ed., Voghera 1915.· P.M. Ferrè, Degli Universali secondo la teoria rosminiana con­ frontata colla dottrina di San Tommaso d'Aquino e con quella di parecchi tomisti e filoso/i moderni, voli. 1 1 , pp. 1028, tip. vescovile, Casale 1885. Francesco De Sarlo, La logica di A. Rosmini ed i problemi della logica moderna, Tip. Terme di Diocleziano di Balbi Giovan­ ni, Roma 1893. Id., Le basi della psicologia e della biologia secondo il Rosmini in rapporto ai risultati della Sdenza moderna, ivi, 1893. G. Vidari, Rosmini e Spencer, Hoepli, Milano 1899. AA.VV., Per Antonio Rosmini nel I Centenario della sua nasdta, voli. 2 , Cogliati, Milano 1897 (contengono studi di L.M. Bil­ lia, di A. Fogazzaro, di I. Petrone e di molti altri, oltre che Le Stresiane di R. Bonghi edite per la prima volta e com­ mentate da G. Morando).

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Fulvio de' Giorgi, La scienza del cuore. Spiritualità e cultura re­ ligiosa in Antonio Rosmini, ll Mulino, Bologna 1995. Per un continuo aggiornamento d'informazione sui proble­ mi dd pensiero rosminiano, sarà utile tener conto degli Atti della «Cattedra Rosmini», istituita presso il Centro di Studi ro­ sminiani: i volumi che ne raccolgono i corsi annuali program­ mati da un Comitato Scientifico dal 1886 ad oggi, sono repe­ ribili presso la «Libreria Sodalitas» nella sede stessa dd Centro (Stresa, prov. di Verbania). Da alcuni anni si tengono anche importanti convegni di studio rosminiano a Rovereto, organiz­ zati dall'Istituto di Scienze religiose di Trento, con la parteci­ pazione di studiosi italiani e stranieri. L'iniziativa entra nd con­ testo dd