Introduzione a Quine [PDF]

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Zitiervorschau

�.�:.) 2000, Gius. LuerzJ. & Figli Prima edi.zione 2000

Gloria

Origgi

Introduzione a Quine

• Editori Laterm

Proprietà letteraria riservara Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Finito di scampare nel maggio 2000 Poligrafìco Dthoniano Stabilimento di Bari per conco della Gius. laterza & Figli Spa

CL 20-6089-2 ISBN 88-420-6089-5

È viecara la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effenuaca, compresa la fotocopia, anche ad uso inrerno o didacrico. Per la legge italiana la fotocopia

è lecita solo per uso personale PN,ché non danntggi 1'1111tort. Quindi ogni fococopia che eviri l'acquisco

di un libro è illecita e minaccia

la sopravvivenza di un modo

di rrasmecrere la conoscenza. Chi fotocopia un libra, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa prarica cammetre un furto e opera ai danni della cuhura.

WILLARD VAN O RMA N QUINE

ABBREVIAZIONI

FLPV OR SL TI wo WoP

From a Logica/ Point o/ View, 1 952 Ontologù:al Relativity and Other Ersays, 1969 Selected Logic Papm, 1966, 1995 2 Theories and Things, 1981 Word and Objecl, 1 960 The Ways o/ Paradox and Other Ersays, 1966, 19762

L CARATTERI GENERALI DELL'OPERA DI QUINE

!. Un filoso/o sistematico Un tratto saliente dell'opera di Willard van Orman Qui­ ne è il carattere sistematico del suo pensiero'. La costru­ zione di sistemi filosofici è pratica comune nella storia del­ la filosofia. Non è così però in quella tradizione filosofica, che potremmo definire genericamente analitica e che ha dominato il pensiero anglosassone di questo secolo, secon· do la quale l'analisi puntuale di singoli problemi filosofici è compito più fondamentale in filosofia della costruzione di grandi sistemi onnicomprensivi della realtà. Quine è si­ curamente un esponente a pieno titolo di questa tradizio­ ne. Ma egli ne è un interprete profondamente innovativo, sia per contenuto che per metodo di ricerca. Il "sistema" di Quine è costituito da una serie di tesi filosofiche interrela­ te le une con le altre in modo da presentarsi come una re­ te coerente e un'interpretazione esaustiva dell'attività filo­ sofica. Il suo metodo è naturalistico, in continuità con le scienze naturali. Quine è un filosofo empirista, formatosi in quella cor­ rente di pensiero che va sotto il nome di neo-empirismo o ' Cfr. Gibson, 1982. 3

empirismo logico e che, grazie al rinnovamento della logica formale ad opera di Frege e Russell, formulò un nuovo compito per la filosofia in termini di analisi logica del lin­ guaggio delle scienze2. Oltre a ciò, Quine è un filosofo ame­ ricano, erede della tradizione pragmatista che con Dewey e Peirce vede negli obiettivi e nei risultati dell'impresa co­ noscitiva i criteri ultimi rispetto ai quali essa può essere va­ lutata'. Storicamente, uno dei meriti maggiori di Quine è quel­ lo di avere importato i metodi della filosofia neo-empirista negli Stati Uniti, grazie agli stretti rapporti di collaborazio­ ne intellettuale che egli aveva stabilito negli anni Trenta con diversi esponenti del Circolo di Vienna e, in particolare, con il suo maestro e amico Rudolf Carnap. n rinnovamen­ to della filosofia americana dagli anni Quaranta in poi de­ ve molto al ruolo giocato da Quine nel mettere in comuni­ cazione questi due mondi intellettuali. Ma il posto centrale che Quine occupa nel panorama fi­ losofico di questo secolo è dovuto all'impatto di rottura che molte delle sue tesi hanno avuto su tutte le tradizioni filosofiche precedenti, impatto tale da rendere il suo pen­ siero uno dei più importanti rinnovamenti dell'empirismo del Novecento. n carattere sistematico dell'opera di Quine non ne faci­ lita la presentazione: diverse tesi si implicano l'una con l'al­ tra e il suo metodo naturalistico è insieme una strategia di indagine e un risultato del suo pensiero. Qui di seguito cer­ cheremo di seguire un criterio cronologico di evoluzione del pensiero di Quine, in modo da fare emergere il quadro globale della sua filosofia, per poi dedicare i cinque capiz Su Quine e l'empirismo logko, si veda Panini, 1980b; Romanos, 1983. ) Su Quine e il pragmatismo americano, si veda P. Ketner, K. Laine (a cura di), Peirce and ContemportJry Thought: Philosophical lnquiries, Fordham University Press, New York 1995.

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toli successivi a un'analisi più dettagliata degli aspetti più importanti della sua opera.

2 . Da «Truth by convention»

a «From a Logica! Point of View» Un problema centrale della filosofia neo-empirista nel­ la prima metà di questo secolo verte sull a ricerca di un'op­ portuna definizione della nozione di verità logica. Il pro· gramma di ricerca logicista, ossia la riforma della logica e della matematica dovuta principalmente a Frege e a Rus­ sell4 si proponeva una riduzione delle verità matematiche a verità logiche, queste ultime espresse in termini di principi generali formalmente controllabili. Già dai primi anni Trenta, Quine partecipa attivamente al perseguimento de­ gli obiettivi teorici del logicismo. La sua tesi di dottorato all'università di Harvard, sotto la guida di Albert Whi­ tehead', è uno sviluppo in questa direzione. Negli stessi an· ni, Rudolf Carnap e altri esponenti dell'empirismo logico interpretavano il programma logicista di riduzione della matematica alla logica in chiave puramente convenzionali­ sta: le verità logiche, alle quali possono essere ridotte tutte le verità matematiche, sono tali in virtù di convenzioni Jin. guistiche stabilite all'interno della costruzione di linguaggi logici appropriati. A partire dall'articolo dell936, Truth by conventioé, Quine sviluppa un attacco alla nozione di ve· rità per convenzione, sostenendo che il carattere conven­ zionale di una verità non è segno certo del suo essere frut­ to di una mera stipulazione linguistica. Quine rifiuta l'idea "Cfr. G. Frege, Logica e aritmetica, ed. it. a cura di C. Mangione, Bo­ ringhieri, Torino 1965: B. Russell. A. N. Whitehead, Prmapta Mathema· fica, Cambridge Universìty Press, Cambridge 1910, 19271. ' Cfr. Quine, 1 934a. '' Cfr. Quine, 1 936c.

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che si possa rendere conto della verità logica in termini pu­ ramente linguistici. Le convenzioni non sono sempre pu­ re definizioni di un'espressione tramite un'altra espressio­ ne: esse registrano pratiche d'uso, saperi accumulati al­ l'interno di una disciplina che il linguaggio logico in cui vengono espresse può limitarsi a riportare, ma non a spie­ gate. Già a quest'epoca è dunque in nuce una tesi di fon­ do che permea l'opera di Quine, ossia la tesi secondo la quale sia impossibile districare ciò che dipende puramen­ te dal linguaggio da ciò che dipende dalla nostra pratica del mondo. Isolare la classe delle verità logiche è sì un'o­ perazione possibile, ma epistemologicamente non diffe­ rente dall'isolare qualsiasi altro insieme di enunciati veri, fattuali o non fattuali. Negli anni Trenta-Quaranta, Quine si dedica soprattut­ to a lavori di logica formale producendo una serie di risul­ tati nei quali si intravedono già gli assi portanti della sua ri­ flessione filosofica successiva. Già in questi anni difatti Quine sviluppa le sue idee sulle assunzioni antologiche che una teoria logica è impegnata a fare, sostenendo che sia possibile fare a meno di molte espressioni tradizionalmen­ te considerate referenziali, ossia in corrispondenza con particolari individui o proprietà nel mondo, come ad esem­ pio i nomi, e scaricare il "peso referenziale" di una teoria sui quantificatori (espressioni come "Tutti" o "Alcuni" ) e sulle variabili. Solo quando quantifichiamo su un cerro nu­ mero di variabili e diciamo qualcosa di esse, ci impegnia­ mo sull'esistenza degli oggetti descritti dai nostri enuncia­ ti. Non ha senso porsi domande su ciò che esiste o non esi­ ste al di fuori di una teoria logica nella quale sia stato chiarito il1funzionamento della quantificazione7• La preoc­ cupazione maggiore di Quine nello sviluppo della sua teo­ ria logica è descrivere linguaggi logici massimamente au­ steri di assunzioni ontologiche e nondimeno in grado di ' Cfr. Quine, 1939a.

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esprimere porzioni interessanti della scienza. La scienza privilegiata che descrive il mondo così com'è, per Quine, è la fisica di base. La logica deve essere in grado di esprime­ re le verità della fisica di base, insieme all'apparato mate­ matico necessario per render conto di essa. Tutto ciò che non è riducibile al linguaggio della fisica è un "modo di parlare", secondo Quine, un artificio retorico più o meno utile, per il quale è sempre possibile trovare espedienti for­ mali che ci permettano di ritornare al linguaggio più di ba­ se. In questo spirito, Quine intraprende, all'inizio degli an­ ni Quaranta, una polemica contro lo sviluppo di sistemi di logica che cercano di rendere conto di nozioni apparente­ mente non riducibili a nozioni di fisica di base, come per esempio, i sistemi di logica modale8• L'austerità logica di Quine è sintomo di un altro aspetto centrale del suo pen­ siero: la logica classica quantificata è preferibile allo svi­ luppo di qualsiasi sistema alternativo perché essa intrattie­ ne un rapporto privilegiato con il mondo intorno a noi: è in questa stessa logica che noi strutturiamo il nostro lin­ guaggio pubblico a partire dalle esperienze del mondo fisi­ co circostante, ed è quindi all'interno di essa che si ritrova, come in uno specchio, la struttura di quella prima teoria del mondo che, permettendoci lo sviluppo del linguaggio, sta alla base di ogni nostra estrapolazione teorica futura. Logica e teoria del mondo si trovano dunque in un rap­ porto di mutuo contenimento: da un lato è l'esperienza del mondo che struttura nella storia della specie e nello svi­ luppo individuale i nostri schemi logici; dall'altro è proprio il valore predittivo sulla realtà che le teorie espresse all'in­ terno di questi schemi hanno che dà senso al nostro de­ scrivere il mondo così com'è. Tutti questi temi sono ripresi nella prima raccolta di sag­ gi di Quine, From a Logica/ Point o/View•. Qui l'attacco al'Cfr. Quine, 1943: 1947a. ' Cfr. FLPV. 7

la teoria del significato neo-empirista si fa più radicale. Nel­ l 'articolo più celebre della raccolta, Two dogmas o/ empiri­ cism, Quine sostiene che la teoria del significato dell'empi­ rismo si basa su due dogmi: il primo è quello di poter trac­ ciare una linea di demarcazione netta tra due componenti distinte della verità, la componente linguistica e quella fat­ tuale. Il secondo è quello di ritenere che sia possibile attri­ buire significato a un singolo enunciato attraverso un me­ todo di verificazione che si applichi isolatamente solo a quel frammento del linguaggio. Un empirismo liberato da questi dogmi riconosce, secondo Quine, la sostanziale con­ tinuità tra informazione linguistica e informazione fattuale e accetta una visione olùtica della conoscenza secondo la quale gli enunciati singoli non si verificano o falsificano da soli, ma è insieme all'intera teoria, o all'intero linguaggio che essi si presentano davanti al tribunale dell'esperienza. L'insieme delle nostre conoscenze è una rete le cui estre­ mità toccano l'esperienza: è sempre possibile fare aggiu­ stamenti all'interno della rete per mantenere alcune verità e rivederne altre. Anche le verità logiche non sono immu­ ni da revisione, sebbene il loro ruolo così centrale nel no­ stro apparato concettuale farà sì che tenderemo ad abban­ donarle per ultime. Si comincia così a delineare il quadro della filosofia gui­ neana intorno ad alcuni punti cardine: in primo luogo il ra­ dicale rifiuto di Quine di una distinzione netta tra fatti e convenzioni, informazione empirica e informazione lingui­ stica, verità sintetiche che dipendono dall'esperienza e ve­ rità analitiche. Da ciò scende il carattere monista del suo pensiero, ossia l'idea che tutte le conoscenze si trovano sul­ lo stesso piano, e non c'è modo di " uscire" dalla rete delle conoscenze per trovare parametri di valutazione che non facciano parte essi stessi della rete globale. In secondo luo­ go, altro aspetto centrale della riflessione guineana, !'olismo della conoscenza. Il nostro sapere si presenta come una re­ te interconnessa, che comprende credenze sul mondo e cre­ denze sul linguaggio o sui principi logici che governano la 8

costruzione delle nostre teorie. L' olismo di Quine è insieme una tesi semantica e una tesi epistemologica. L'evidenza empirica non è mai connessa a un singolo enunciato di una teoria scientifica, ma all'intera teoria, o almeno a un fram­ mento di essa che abbia un'opponuna massa critica. L'oli­ smo è una tesi anche semantica: il significato di un enuncia­ to non è determinabile indipendentemente dall'apparato globale del nostro linguaggio. Un ulteriore aspetto del pen­ siero di Quine, che si delinea qui già in modo chiaro, è la stretta interconnessione tra linguaggio e teoria del mondo. L'impossibilità di distinguere tra aspetti puramente logico­ linguistici e aspetti fattuali della nostra conoscenza dipende dall a più generale impossibilità di separare, nella storia del­ l'individuo e della cultura, la costituzione della nostra com­ petenza linguistica dalla costituzione della nostra teoria de­ gli oggetti fisici intorno a noi. È questo mutuo contenimen­ to di linguaggio e teoria che rende possibile ridurre le as­ sunzioni ontologiche delle nostre teorie alla padronanza di certi apparati logico-linguistici, come ad esempio la quanti­ ficazione. Ed è sempre grazie all'interdipendenza di lin­ guaggio e teoria fisica del mondo che diventa possibile rite­ nere che il linguaggio più atto ad esprimere ciò che c'è nel mondo è l'austero linguaggio della logic9 predicativa.

3.

Signz/icato e riferimento: da «Word and Object» a «The Roots o/Re/erence»

È possibile una semantica scientifica? È possibile ren­ dere conto in termini rigorosi di nozioni come significato, sinonimia, intensione, fondamentali nella spiegazione di come il nostro linguaggio si riferisce a cose, pensieri ed eventi nel mondo? Già in Two dogmas, Quine aveva di­ chiarato il suo sospetto nei confronti del progetto di co­ struire una nozione scientificamente utile di significato lin­ guistico come fondamento di una scienza semantica auto9

nom�. con obiettivi separati e complementari rispetto a quelli delle scienze empiriche. L'intreccio inestricabile tra linguaggio ed esperienza, tra evidenza empirica e significa­ to delle espressioni linguistiche, rendeva per Quine imper­ corribile la strada di una fondazione della semantica sulla base della pura analisi logico-linguistica. Il nucleo centrale della sua opera più significativa Word and Object, è la pre­ sentazione di un approccio alternativo alla costruzione di una vera e propria semantica empirica che renda conto del profondo legame tra l'esperienza sensoriale e la significati­ \'ità di una lingua. La resi centrale dell'opera è una tesi ne­ gativa: non è possibile decidere sulla base del!' evidenza a disposizione tra due diversi manuali di traduzione di una stessa lingua. Ogni insieme di ipotesi che siamo in grado di costruire per spiegare il comportamento linguistico dei parlanti di una lingua è altrettanto legittimo se ci permette di interpretare i loro proferimenti. La traduzione è inde­ terminata. Non esiste un significato che possiamo scoprire, al quale un'espressione o un enunciato sono connessi in modo privilegiato, cosi come non ha senso affermare che due frasi sinonime hanno lo "stesso significato" o espri­ mono "la stessa proposizione " . Pensare in questi termini è il retaggio di una semamica acritica, un «miro di un museo in cui gli oggetti esposti sono i significati e le parole sono le etichette» 1 0 A sostegno di questa tesi, Quine presenta at­ traverso un esperimento mentale un caso di traduzione, in cui un linguista si trova all e prese con una lingua scono­ sciuta, per la quale egli ha il compito di stabilire i criteri di traduzione. La situazione estrema del celebre argomento della traduzione radicale mette in risalto alcuni aspetti fon­ damentali dell'indagine sul significato, dai quali, secondo Quine, una teoria semantica non può prescindere: (l) l'u­ nica evidenza a disposizione del linguista è il comporta­ mento manifesto dei parlanti davanti a stimolazioni senso10

Cfr. OR, p. 44; trad. it. p. 60.

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riali osservabili. Una semantica scientifica deve dunque rendere conto del legame tra questi comportamenti verba­ li e l'evidenza sensoriale; (2) i proferimenti linguistici dei parlanti sono reazioni a stimoli sensoriali: ciò che verifica o falsifica gli enunciati sono allora gli insiemi di stimoli che sono presenti o assenti in determinate condizioni di profe­ rimento; ( 3 ) solo gli enunciati osservativi, ovvero quelli che vengono prodotti in reazione immediata agli stimoli circo­ stanti hanno un contenuto empirico stabile, ossia, solo per essi il linguista è in grado di isolare una classe di stimola­ zioni invarianti da parlante a parlante che costituiscono la base empirica della sua indagine sul significato (4) non si può indagare separatamente la teoria che i parlanti hanno del mondo intorno a loro dal significato dei loro proferì­ menti: linguaggio e teoria del mondo sono la stessa cosa; sono entrambi il risultato dell'interazione con gli stimoli che giungono alle terminazioni nervose; (5) l'unico modo che il linguista ha per costruire un insieme di corrispon­ denze tra espressioni della sua lingua ed espressioni della lingua sconosciuta è proiettare la sua grammatica, il suo in­ sieme di ipotesi analitiche, frutto del suo apprendimento linguistico in una particolare cultura, sui proferimenti dei parlanti indigeni, e ricostruire così, con un largo margine di arbitrarietà, la struttura grammaticale del comporta­ mento linguistico che sta osservando; ed è solo rispetto a questa teoria di sfondo, ossia all 'insieme di ipotesi analiti­ che del linguista, che i proferimenti indigeni possono assu­ mere significato. In sintesi: ogni teoria semantica, di cui la traduzione radicale non è che un esempio, è indeterminata rispetto all'insieme di comportamenti verbali dei parlanti, perché ipotesi analitiche diverse danno origine a corri­ spondenze diverse tra enunciati di una lingua ed enunciati di un'altra lingua. Le nozioni di sinonimia o di significato non sono dunque nozioni assolute, ma relative a un insie­ me di ipotesi analitiche. Una semantica empirica è possibi­ le solo se accettiamo un ampio margine di indeterminatez­ za e limitiamo a una ristretta classe di enunciati, gli enun-

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ciati osservativi, il contenuto empirico del ling c:? ­ ria in questione. Accettare questa indeterminatezza . ca però rinunciare ad avere criteri di identità che Cl p � mettano di dire che due enunciati hanno lo stesso sig cato, o esprimono la stessa proposizione. E nozioni per le quali non abbiamo adeguati criteri di identità sono secondo Quine dispensabili dall'indagine scientifica. Il ruolo delle ipotesi analitiche messo in rilievo in (5) ha come conseguenza un'altra tesi negativa contenuta in Word and Object: non solo la traduzione è indeterminata rispet­ to a manuali alternativi capaci di rendere conto della stes­ sa evidenza empirica, ma il riferimento dei termini è relati­ vo alle ipotesi analitiche che hanno guidato la costruzione dei manuali. Solo infatti rispetto alla teoria di sfondo, in questo caso il linguaggio del linguista proiettato sui profe­ rimenti dell'indigeno, è possibile stabilire a quale tipo di entità le espressioni dell'indigeno si riferiscono. L'ontolo­ gia del linguaggio sconosciuto è, infatti, imperscrutabile per Quine in assenza di un linguaggio di sfondo rispetto al quale interpretare le assunzioni ontologiche del linguaggio indagato. Quine svilupperà un argomento più dettagliato per l'imperscrutabilità del riferimento nel saggio dell969, Ontological relativity, in cui egli precisa l'idea che le assun­ zioni ontologiche di un linguaggio o di una teoria sono sempre relative a una teoria di sfondo. Chiedersi in gene­ rale a cosa i termini di un linguaggio si riferiscono è una do­ manda priva di senso assoluto, che assume significato solo relativamente al linguaggio in cui ci poniamo quella do­ manda. Sulle macerie della teoria del significato, Quine afferma la relatività di ogni assunzione ontologica a uno schema di riferimento. Eppure Quine si considera un realista, e non solo: proprio data l'impossibilità di distinguere verità di ra­ gione da verità di fatto, egli sostiene che i metodi di inda­ gine filosofica sono in continuità con i metodi delle scien­ ze naturali, e quindi semantica, ontologia ed epistemologia non sono che branche particolari dell'impresa scientifica

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globale. Ma com'è possibile conciliare il realismo naturali­ sta di Quine con una prospettiva relativista sul riferimen­ to, l'onrologia e la traduzione? Ebbene, è proprio il suo na­ turalismo, la sua concezione del profondo legame tra l'e­ mergere del nostro linguaggio e l'esperienza sensoriale a cui siamo soggeni che ancora la sua concezione della se­ mantica al mondo intorno a noi. Il volume del 1 97 4, The Roots o/ Re/erence, è dedicato infani a comprendere come il processo di apprendimento del linguaggio degli esseri umani ingloba la loro prima teoria del mondo esterno e ne fissa il contenuto empirico. Il risultato globale dell'ap­ prendimento, che individualmente si concretizza in una se­ rie di condizionamenti a stimoli percenivi, è la trama fina di enunciati che costituisce il tessuto della nostra cultura, con le sue pratiche, le sue convenzioni, le sue conoscenze fanuali e le sue tradizioni. Cercare di separare i fili di que­ sta trama è un'impresa votata allo scacco, perché è solo nel­ la sua globalità che il sapere può essere indagato.

4. Naturalismo ed epistemologia:

da «Epistemology naturalized» a «From Stimulus to Science»

Il collante del sistema quineano è il suo naturalismo, che permea il suo intero edificio teorico e che può essere reso utilizzando la famosa metafora di Ono Neurath, così cara a Quine1 '= come il marinaio costreno a riparare la sua bar­ ca in mare aperto, sostituendo pezzo per pezzo, anche l'im­ presa conoscitiva non può uscire dalla scienza e valutarsi " dal di fuori "; non si esce dalla scienza e dai suoi metodi: es­ si sono tuno ciò che abbiamo per indagare sia ciò che esi­ ste intorno a noi, sia le nostre teorie del mondo e il lin11 Quine si serve della metafora di Neurath come epigrafe a Word and Object.

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guaggio in cui le esprimiamo. Non c'è una posizione di "esilio cosmico" in cui osservare le nostre teorie e valutar­ ne l'adeguatezza rispetto alla realtà. Con ciò Quine affer­ ma ancora una volta la sua posizione di rottura con la tra­ dizione empirista: l'epistemologia intesa come indagine sui fondamenti certi della conoscenza non è impresa separata dalla scienza: essa deve assumere gli stessi metodi e gli stes­ si dati e cercare di dare risposta a un quesito che ha lo stes­ so statuto di qualsiasi altro quesito scientifico, ossia, come dalle magre stimolazioni che gli esseri umani ricevono sul­ le loro terminazioni nervose, essi proiettano le gigantesche costruzioni teoriche che costituiscono il patrimonio delle nostre conoscenze scientifiche. La scienza è allora il risul­ tato e il metodo dell'indagine conoscitiva, il prodotto del­ l' attività umana di cui dobbiamo dare una spiegazione e lo strumento stesso che ci permette di articolare questa spie­ gazione. Dal saggio del 1969, Epistemology naturalized1 2 fino agli scritti più recenti, come From Stimulus lo Science, Quine ha precisato il suo naturalismo, mettendo in luce i punti di rottura e le continuità con la tradizione empirista e cercando di reinterpretare alla luce del suo empirismo rinnovato molte delle sue tesi chiave, come l'olismo della conoscenza, la critica alla distinzione tra verità di ragione e verità di fatto, la relatività ontologica, l'indeterminatezza semantica, l'imperscrutabilità del riferimento. Come è sta­ to messo in luce da molti critici", il naturalismo di Quine può essere inteso come il " perno" del suo sistema filosofi­ co: è difatti da esso che dipende il mutuo contenimento di scienza e filosofia che rende impossibile distinguere tra enunciati il cui significato è determinabile tramite la pura analisi logico-linguistica, ed enunciati il cui significato è empirico; in una prospettiva naturalista infatti, l'indagine sul significato procederà nello stesso modo per qualsiasi ti11

Cfr. Epùt�

1 '1

Cfr. la seconda edizione di Carnap, 1 947, p. 2 1 4 . Si veda Quine, I990a. paJJim.

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biamo visto, precisa il concetto di postulato di significato e di verità per convenzione in risposta a Two dogmas, soste­ nendo che l'argomento di Quine contro l'analiticità si li­ mita a porre dei problemi per le lingue naturali. In effetti, Carnap riconosce che nelle lingue naturali il ruolo giocato dalla convenzione è tutt'altro che evidente da determinare. Non solo: ma cosa sia una convenzione, e se sia possibile determinare se essa si basi solo sul linguaggio e non anche su fatti del mondo non è cosa facile da stabilire. Ma nel ca­ so dei linguaggi artificiali è possibile stabilire in modo ri­ goroso un numero arbitrario di verità in termini puramen­ te convenzionali. Ed è ciò che Quine contesta a Carnap nei due articoli sopra citati del ! 9 3 5 e del !954. 3 . 1 . La definizione di verità logica:

occorrt.•nze vacue e occorrenzt.• essenziali

Dire che un enunciato è vero per convenzione significa dire che esso è riducibile tramite operazioni di trasforma­ zione linguistica a una verità logica. Vediamo per prima co­ sa l'originale definizione di Quine di verità logica'"- Quine distingue tra occorrenze vacue e occorrenze es.renziali di un'espressione in un enunciato. Un 'espressione occorre va­ cuamente in un enunciato se la sua sostituzione con un'al­ tra espressione grammaticalmente ammissibile all'interno dell'enunciato non fa variare il valore di verità dell'enun.zu Cfr. Quine, 1 940. p. 2. Quine introduce qu�sta distinzione per po· ter definire la verità logic:1 in termini puramente sintattici e di semantki:l estensionale, salvando così questa nozione dalle sue critiche alla nozione di verità analitica: un enunciato è una verità logica se in esso occorrono �senzialmeme solo espressioni che appartengono al vocabolario logico. E chiaro che in questa definizione non intervengono i concetti proble· matici di sinonimia, non contraddizione ecc . , che, secondo Quine, ren · dono in utilizzabile la nozione di analiticitii. Ancora in Philoropby o/ Lo· gic. Quine ripete la definizione di veriù logica in questi termini: «Un enunciato è una verità logica se wui gli enunciati che hanno la Slessa struttura sono verità logiche)) (Quine, 1 970c, p. 49; trad. it. p. 7 7 ) .

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ciato. Un 'espressione occorre essenzialmente in un enun­ ciato se la sua sostituzione con un'altra espressione gram­ maticalmente ammissibile può variare il valore di verità dell'enunciato. Per esempio, nell 'enunciato: l } Bruto uccise Cesare le espressioni " Bruto " , " Cesare" e " uccise" occorrono es­ senzialmente. Se sostituisco l'espressione " Bruto" con un'altra espressione, per esempio "Antonio" , l'enunciato che ottengo, ossia «Antonio uccise Cesare>> risulta falso. In­ vece, nell'enunciato: 2} Bruto uccise Cesare o Bruto non uccise Cesare solo le espressioni " o " c "non" occorrono essenzialmente. Possiamo infatti sostituire le espressioni " Bruto " , "uccise" e " Cesare'' senza variare il valore di verità. Se costruiamo infatti un enunciato come: 3} Giacomo ama Fulvia o Giacomo non ama Fulvia esso avrà lo stesso valore di verità del precedente perché non abbiamo sostituito nessuna espressione che occorre essenzialmente. Ogni enunciato che contiene occorrenze vacue di espressioni avrà un numero indefinito di varianti vacue, ossia enunciati che hanno la stessa struttura e lo stes­ so valore di verità, ma che differiscono nelle occorrenze va­ cue dei termini. Ad esempio, ( 3 ) è una variante vacua di (2). In un linguaggio formale, noi stabiliamo sintatticamen­ te una lista arbitraria di espressioni che definiamo espres­ sioni logiche. Quine definisce verità logica un enunciato in cui occorrono essenzialmente solo espressioni logiche. Ogni variante vacua di una verità logica sarà anch'essa una verità logica.

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Dire che la matematica è vera a priori o per convenzio­ ne significa quindi dire che gli enunciati della matematica sono o varianti vacue di verità logiche o abbreviazioni per definizione di tali verità. Se in un enunciato matematico oc­ corre un'espressione che non si lascia ridurre alla notazio­ ne puramente logica, l'occorrenza deve essere vacua. Ogni volta quindi che in matematica ci troviamo davanti ad espressioni recalcitranti, esse saranno occorrenze vacue. 3 .2. Logica e matematica Come facciamo a incorporare la matematica nella logi­ ca? Ad esempio, se un teorema della geometria contiene le espressioni "sfera" e " include " , queste espressioni saranno occorrenze vacue, dato che la deducibilità logica del teore­ ma dagli assiomi è indipendente dal loro significato speci­ fico. Possiamo vedere il teorema come un enunciato ipote­ tico, della forma: «Se vale l'assioma (sfera, include) allora vale il teorema (sfera, include)». In questo modo possiamo ridurre qualsiasi enunciato che contiene espressioni recal­ citranti a un enunciato della logica. Ma, secondo Quine, in­ corporare una verità geometrica nella logica costruendo una serie di enunciati ipotetici che costituiscono una " teo­ ria della deduzione" per la geometria non è una reale ridu­ zione della geometria alla logica: difatti potremmo fare lo stesso con qualsiasi altra scienza, e costruire una teoria del­ la deduzione per la sociologia, per la mitologia ecc. In realtà, Quine sostiene: Incorporare la matematica nella logica considerando tutte le verità matematiche recalcitranti come ellittici enunciati ipotetici significa in realtà restringere il termine "matematica" in modo da escludere queste branche recalcitranti' 1 • " Cfr. Quine, ! 9}6c. i n

WoP. p . 8 } : trad. i t . p . 147.

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Possiamo allora costruire un insieme di postu!ati di si­ gnificato per la particolare branca della matematica che ri­ sulta recalcitrante alla riduzione. Ma se i postulati si confor­ mano semplicemente alle leggi della logica, senza confor­ marsi all'uso tradizionale che di particolari espressioni si fa in matematica, la nostra riduzione della matematica alla lo­ gica sarà vuota di qualsiasi interesse. I Prinapù1 Mathematica avevano mostrato come la ri­ duzione della matematica alla logica fosse un'operazione tutt'altro che banale che richiedeva grande ingegno mate­ matico, e come molte espressioni matematiche resistenti al­ la riduzione ad espressioni logiche dovessero essere ridot­ te tramite definizioni contestuali, ossia: ogni espressione matematica poteva essere tradotta in contesto in un'espres­ sione logica, ma non per questo ogni simbolo matematico aveva un suo immediato correlato logico. Le definizioni contestuali delle espressioni matematiche non dovevano solo essere conformi alle verità logiche di cui diventavano abbreviazioni, ma dovevano anche essere conformi all'uso tradizionale che in matematica si faceva di un certo simbo­ lo. Ridurre la matematica alla logica, sottolinea Quine, non significa in nessun modo costruire definizioni indipenden­ temente dal significato che di /atto le espressioni matema­ tiche hanno. E sct.ve Quine, citando Poincaré: >, le quali presuppongono che il sistema di riferimen­ to costruito possa esprimere entità come i numeri primi, e questtoni esterne come ad esempio oppure le quali, o sono prive di senso, o dobbiamo ritenere che vertano non sulle entità stesse, ma sulla possibilità di costruire un sistema di riferi­ mento in grado di parlare di quelle entità. La sua distin­ zione tra questioni esterne e questioni interne è formulata espressamente da Carnap in risposta al criterio di impegno antologico proposto da Quine. Carnap non accettò mai la reintroduzione nel linguaggio filosofico da parte di Quine di termini della metafisica classica come "antologia", nella convinzione che la sua soluzione desse una risposta intera­ mente linguistica ai problemi tradizionalmente chiamati "antologici ". Le questioni esterne per Carnap non hanno in realtà a che fare direttamente con entità, ma con il mo­ do in cui effettivamente decidiamo di costruire il nostro linguaggio: Se qualcnno desidera parlare nel suo linguaggio di un nuovo tipo di entità, deve introdurre un sistema di nuovi modi di parla-

''' Cfr. Carnap, 1 950.

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re, soggetto a nuove regole; chiameremo questa procedura la co­ struzione di unframework per le nuove entità in questione. E ora possiamo distinguere due tipi di questioni di esistenza: primo, le questioni di esistenza di certe entità all'interno del/ramework; le chiamiamo questioni interne; e, secondo, le questioni che hanno a che fare con l'esistenza o la realtà delframework stesso, le chia­ miamo questioni esternel7.

Le questioni esterne sono quindi questioni pragmati­ che, sull'opportunità o meno di accettare una certa classe di espressioni nel nostro linguaggio. Rispondere alle que­ stioni esterne significa dunque per Carnap introdurre un framework nel modo seguente: in primo luogo introducia­ mo predicati di livello più alto per il nuovo tipo di entità, che ci permettono di dire di ogni entità particolare che es­ sa è di un certo tipo («Rosso è una proprietà>>, > 1 2 , ossia, nella terminologia di Carnap, da uno slitta­ mento da questioni esterne a questioni interne. Ma la mossa che rende questo slittamenro possibile non ha a che fare con le proprietà intrinseche degli enunciati di vertere su questio­ ni linguistiche o su questioni fattuali: è una mossa più gene­ ralizzata e molto usata, che Quine definisce ascesa semanti­ ca, quella manovra che ci permette di passare dal parlare de­ gli oggetti di una teoria al parlare della teoria stessa: Eppure riconosciamo un passaggio dal parlare di oggetti al parlare di parole non appena la discussione si trasferisce dall'esi­ stenza dei vombati e degli unicorni all'esistenza dei punti, delle miglia, delle classi e del resto. Come possiamo spiegarlo? In sen­ so ampio, io credo, spiegando in maniera appropriata una mano­ vra utile e moJco usata che chiamerò ascesa semantica. È il pas­ saggio dal parlare di miglia al parlare di "miglio " " Non c ' è allora u n a differenza radicale tra l e domande antologiche che si pone lo scienziato come: «Esistono i vombati?>> oppure il matematico come «Esiste un numero primo tra il l O e il 20?>> e le domande antologiche che si pone il filosofo. Sono domande che differiscono di grado, non di natura, che dipendono da come decidiamo di "ma­ nipolare" le assunzioni antologiche della nostra teoria. Ma a questo punto cosa resta per Quine là fuori nel mondo fi­ sico, come dato imprescindibile, a cosa insomma possia­ mo ancorare la nostra costruzione di teorie, se tutto, an­ che l'essere un fatto o una convenzione dipende a gradi di­ versi dalle modalità con cui decidiamo di costruire il nostro linguaggio? La risposta di Quine è: nulla al di fuo­ ri dell'antologia prowisoria che la scienza ci fornisce. Tut­ to ciò che possiamo fare per capire quali siano gli oggetti di cui una teoria parla è reinterpretarla nei termini di un'altra teoria. " Cfr. Quine, 1936c, in WoP, p . 77. " Cfr. WO, p . 27 1 ; trad. it. pp. 3 3 1 -32.

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IO. La relatività antologica >. Il linguista re­ gistra come traduzione prowisoria «Coniglio>> o « È un coniglio>>. A questo stadio della ricerca, il linguista consi­ dera il proferimento dell'indigeno olofrasticamente ossia come un'espressione indivisibile, priva di parti. Non ha al­ cun mezzo infatti per pensare che sia scompo­ nibile in una struttura linguistica più articolata 12• Poi cer­ cherà di controllare la sua ipotesi di traduzione, verifican­ do se in circostanze analoghe il nativo proferisce la stessa cosa, o egli assente quando il linguista gli domanda davanti a un coniglio. li linguista baserà la sua ve­ rifica sull'ipotesi che, nel caso di un enunciato osservativo 1 1 La formulazione in questi termini del significato stimolo è di Mar­ co Santambrogio, cfr. M. Santambrogio, Il contributo di Quine, in San­ tambrogio (a cura dii, 1992, p. 205. 12 E ciò rende ancora più vivido il parallelo con l'acquisizione del lin­ guaggio da parte del bambino: le prime espressioni dei bambini sono in­ faui considerate espressioni olofrastiche, prive di struttura interna. Inol­ tre. secondo Quine, il bambino percepisce olofrasticamente i proferi­ menti linguistici degli adulti.

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di questo genere, le stimolazioni alle quali il parlante nati­ vo è disposto ad associare «Gavagai>> siano le stesse alle quali egli è disposto ad associare «Coniglio>>. Come in qual­ siasi indagine scientifica, il linguista accumula un suffi­ ciente numero di prove induttive per tradurre «Gavagai>> con «Coniglio>>, stabilendo così una relazione di sinonimia tra le due espressioni. Quine introduce la nozione di sino­ nimia stimolo a partire dalla nozione di significato stimolo che abbiamo visto sopra, come identità di significato sti­ molo " . Il linguista può pensare di riuscire a stabilire una relazione di questo tipo perché ha a che fare con un enun­ ciato osservativo e occasionate. La differenza per Quine tra enunciati occasionati ed enunciati permanenti è la seguente: i primi sono "causati" da uno stimolo immediatamente presente nell'ambiente, o , per dirla in un altro modo, pro­ ducono assenso e dissenso solo immediatamente dopo una stimolazione appropriata, mentre i secondi possono ripro­ durre assenso e dissenso anche in assenza di una stimola­ zione immediata. Per esempio è un enunciato osservativo permanente, perché possiamo pen­ sare che un soggetto sia disposto annualmente a ridare il suo assenso anche in assenza di una stimolazione imme­ diata. Dato che , considerato come enunciato, è occasionale, ossia produce assenso solo se pronunciato im­ mediatamente dopo l'occorrenza di un coniglio nell'am­ biente, ed è osservativo, nel senso che la stimolazione in questione è una percezione visiva nell'ambiente, il lingui­ sta potrà ritenere, dopo opportune verifiche, che il suo si­ gnificato, ossia l'insieme di condizioni di stimolazione che provocano l'assenso o il dissenso, sia lo stesso di quello di «Gavagai>>. Ovviamente il linguista non può escludere an­ che in questo caso elementare che l'esclamazione dell'indi­ geno non sia stata causata dal suo significato stimolo, ossia, ripetiamo, dall'insieme di stimolazioni che sono causai" Cfr. WO, § 1 1 .

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mente associate a > come termine, perché la stessa nozione di termine ha senso solo all'interno del nostro schema concettuale e non c'è nessun modo in cui possiamo stabilire che in un altro schema concettuale la realtà sia segmentata nello stesso modo in cui la segmen­ tiamo noi, e di conseguenza il linguaggio rifletta questa partizione nella sua struttura. Se il significato stimolo è una nozione ampiamente sottodeterminata ma universale, no­ zioni come "riferimento"' o utermine" sono relative al no­ stro schema concettuale, a sua volta determinato dalla no" Cfr. WO, p. 53: rrad. it. p . 7 1 .

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stra cultura. Il riferimento è dunque imperscrutabile per­ ché la sinonimia che riusciamo a stabilire tra gli enunciati osservativi di due lingue non è necessaria né sufficiente a stabilire non solo ciò a cui un termine si riferisce, ma anche se un proferimento può essere considerato un termine in un'altra lingua. La tesi di Quine dell'imperscrutabilità del riferimento assume un significato all'interno della sua posi­ zione relativista nei confronti dell' ontologia: il nostro reifi­ care oggetti piuttosto che sezioni spazio-temporali di essi non è comprensibile se non all'interno di una teoria di sfon­ do, in questo caso di un sistema di ipotesi analitiche, che ci ill umini sulle assunzioni ontologiche del linguaggio che stiamo indagando; i diversi modi di guardare il mondo si ri­ flettono nelle lingue e non esiste un modo corretto di scom­ porre il flusso percettivo in oggetti, eventi, ecc . , così come non esiste un modo corretto per scomporre il linguaggio nelle sue parti. Non solo: scomporre una lingua in parti co­ me termini, pronomi, articoli, ecc., implica una competen­ za linguistica globale; non possiamo capire cosa in una lin­ gua sia un termine senza possedere già in quella lingua tut­ to l'apparato che permette di esprimere l'identità, la singo­ larità e così via. Qui Quine sposa una tesi famosa di Witt­ genstein, secondo la quale > è costruito con un classificatore diverso da . Oppure, esse possono essere viste come modificatori del termine e, nella traduzione di espressioni come «cinque buoi>> e «cinque stuzzicadenti>>, possono es­ sere considerate parte del termine e non del numerale. In questo caso, la loro funzione è di dividere il riferimento del termine in modo tale da individuarne la porzione appro­ priata28, come, ad esempio, in italiano, l'espressione «pezzo di>> applicata a permette di individuare la porzione di legno a cui ci si riferisce. Lo stesso classificatore che in giapponese modifica l'espressione «cinque buoi>> può esse­ re reso in italiano, nel primo caso, come un termine di indi­ viduazione vero di ogni bue e, nel secondo caso, come un termine massa che si riferisce alla totalità della bovinità (co­ sì come dal macellaio chiediamo cinque etti di manzo). Peraltro non c'è nemmeno bisogno di andare così lonta­ no per ritrovare un fenomeno di questo genere. Anche a ca­ sa nostra le cose non sono così semplici. Prendiamo ad esempio un semplice caso in cui mi servo di un'astensione di/ferita per riferirmi a qualcosa nell'ambiente, per esem­ pio, indico l'indicatore della benzina per riferirmi alla benlH Nel caso dei termlni generaH, ossia, grammaticalmente quei termi­ ni che ammettono l'articolo determinativo e indeterminativo e la desi­ nenza plurale, Quine distingue tra �>, e che hanno la pe­ culiarità di non riferirsi a un oggetto in particolare. Quine passa poi a considerare l'identità , come un ter­ mine relativo che unisce termini singolari per produrre fra­ si. Come abbiamo già visto, l'identità è un ingrediente fon­ damentale nella fissazione del riferimento. Infine abbiamo le categorie dei termini astratti generali o singolari. I termini astratti singolari possono essere for­ mati tramite l'applicazione di suffissi a termini generali, co­ me ad esempio «rossezza>> da «rosso>> o «rotondità>> da «rotondo». I termini generali con cui essi si combineranno in locuzioni della fo. ma Fa saranno termini generali astrat­ ti, come nel caso di «la rotondità è perfetta>>. Probabil­ mente, secondo Quine, l'origine dei termini astratti nelle nostre lingue è dovuta alla presenza dei termini massa. Nel­ l'apprendimento infatti, l'idea di un termine che si riferisce a un'entità sparpagliata come «acqua» ha già un certo gra­ do di generalità e di astrazione che può costituire il seme dell'emergere di termini astratti. Date queste premesse, vediamo qual è il processo che permette al bambino di impadronirsi di questo complicato schema concettuale tramite il condizionamento sociale.

1 02

6.3. L'ontogenesi del rzferimento All'inizio della sua interazione con le srimolazioni verba­ li, il bambino legge qualsiasi proferimenro olofrasricamen­ re. così come l'ernolinguisra alle prese con la traduzione ra­ dicale. , , sono percepiti dal bambino come singoli enunciati privi di srrunura interna. ll primo strumento dell'apprendimento linguistico è, per Quine, l'astensione. Il bambino apprende osrensivamenre l'enunciato olofrasrico nella situazione osservativa in cui l'insegnante o il genitore indica del lane, ad esempio puntando in una certa direzione con il dito. Abbiamo già vi­ sto che si ha astensione diretta quando l' oggeno indicato si trova incluso nel riferimento del gesto osrensivo, come pri­ mo punto su una superficie opaca dove arriva la linea di in­ dicazione del gesto osrensivo. L'apprendimento osrensivo richiede non solo che l'insegnante e il bambino ricevano la stessa srimolazione, ma anche che si rendano como del far­ ro che entrambi stanno percependo la stessa cosa. Gli enun­ ciati osservarivi occasionali, come l'enunciato «Gavagai>> del nosrro linguisra sono quelli che meglio si prestano all'ap­ prendimento per astensione. Attraverso successive esposi­ zioni alla co-occorrenza di una data srimolazione con un proferimenro dell'insegnante, il bambino sarà condizionato in modo tale da associare stabilmente quello stimolo a quel proferimento verbale. Oltre all'astensione, perché il bambino apprenda l'inte­ ro apparato di particelle e costruzioni grammaticali che strutturano il riferimento in una lingua, egli deve procedere per trasferimento del condizionamento e per sintesi analogi­ ca. Ad esempio, in un caso di predicazione come il bambino, avendo già appreso e per astensione, sente la domanda «La neve è bianca ?>> dai genitori. La prima parre della frase, ossia induce nel bambino la traccia mnesrica della sua precedente percezio­ ne della neve; la seconda parre della frase interrogativa «Bianca?>> induce l'assenso nel bambino, per trasferimento

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dd condizionamento: «Il bambino è stato condizionato ad assentire alla domanda " Bianco?" davanti alla neve, e ora la sua risposta viene trasferita dallo stimolo nevoso allo stimo­ lo verbale associato, la parola " neve"»". Quine importa nella sua teoria dell'apprendimento linguistico uno stru­ mento esplicativo proprio alla psicologia comportamenti­ sta. ossia il trasferimento del condizionamento. Somiglianza percettiva, sintesi analogica e trasferimen­ to del condizionamento sono tutto ciò di cui Quine si ser­ ve per spiegare come il bambino, a partire dalla percezio­ ne acustica dei proferimenti verbali, struttura il suo lin­ guaggio e insieme la sua prima teoria del mondo. Difatti, gli stessi meccanismi psicologici che permettono l'appren­ dimento del linguaggio ci guidano nella strutturazione non solo delle nostre teorie intuitive del mondo, ma anche del­ le nostre teorie scientifiche. La scienza non è altro per Qui­ ne che senso comune diventato autocosciente, ossia, fuori di metafora, senso comune di cui gli individui sanno dare una descrizione esplicita. Il risultato finale dunque di que­ sto processo di apprendimento, che individualmente assu­ me la forma idiosincratica di condizionamenti a particola­ ri esperienze percettive, è l'aggrovigliato tessuto di enun­ ciati che costituisce la nostra cultura, l'insieme di pratiche linguistiche e conoscitive che in parte ereditiamo dai nostri padri e in parte ricostruiamo, rivediamo e ampliamo nel corso della nostra vita sia individuale che sociale.

7. Indeterminatezza e sottodeterminazione:

il dibattito Quine!Chomsky La concezione comportamentista di Quine dell'appren­ dimento linguistico ha ricevuto non poche critiche, la più celebre delle quali è dovuta al linguista Noam Chomsky. " Cfr. Quine 1974b, p. 65.

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Nell'analisi dell'apprendimento del linguaggio, Quine si rifà esplicitamente a Skinner, che nel suo libro Verbal Behavior'8, proponeva una lettura del componamento lin­ guistico in termini di catene stimolo/risposta, rinforzo ecc . , ossia u n a leuura amaverso gli strumenti teorici della psi­ cologia comportamentista:

È chiaro che il primo apprendimento da parte del bambino di una risposta verbale dipende dal rinforzo della risposta da pane della società insieme alle stimolazioni che meritano la risposta, dal punto di vista della società, e altrimenti dalla disapprovazio­ ne di essa da parte della società l'>. Ma secondo Chomsky non ha alcun senso tentare di spiegare la potenza espressiva del linguaggio, che è prati­ camente infinita, nei termini degli stimoli che un locutore riceve dall'ambiente e delle risposte che egli fornisce. La velocità e la facilità con cui il linguaggio è appreso impli­ cano una struttura cognitiva innata, predisposta solo al­ l' apprendimento del linguaggio. Per Skinner, come per Quine, ciò che è già dato, prima dell'esperienza è solo uno spazio prelinguistico di qualità che permette di discrimina­ re i tipi di stimoli (linguistico, visivo, uditivo, ecc . . . ) e un meccanismo che consente di formare ipotesi induttive. Ma data l'infinità di frasi che possono essere generate in una lingua, qualsiasi base induttiva sarebbe comunque troppo limitata per spiegare l'acquisizione della competenza lin­ guistica40. Nel dibattito con Quine4 1 , che è posteriore di una decina d'anni a quello con Skinner, Chomsky discute proprio il carauere empirico delle ipotesi guineane. " Cfr. B. F. Skinner, Verba/ Behavior, Appleton Century Crofts, New York 195 7 . " Cfr. W O , p. 8 2 ; trad. i t . p. 106. "'0 Questo argomento, detto della povertà dello stimolo resta ancora oggi un caposaldo della visione chomskyana del linguaggio. " Cfr. Chomsky, 1969.

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In primo luogo, Chomsky nota come Quine non faccia distinzione tra linguaggio e teoria e usi intercambiabilmen­ te i due termini nelle sue riflessioni sull ' apprendimento, co­ me se lo studio del!' apprendimento del linguaggio si tro­ vasse su una linea continua con la strullurazione della co­ noscenza generale. E difatti, abbiamo già visto che questa mancata distinzione tra linguaggio e teoria del mondo è un ingrediente fondamentale del pensiero di Quine. Ma, se­ condo Chomsky, questo tranare indistintamente compe­ tenza linguistica e conoscenza del mondo è frullo di molte ipotesi errate di Quine sull'apprendimento del linguaggio. La seconda ipotesi empirica di Quine è che l 'effello di uniformità di competenza linguistica che percepiamo in una cultura è frullo di percorsi individuali differenti e cao­ tici, idea resa così esplicita da Quine nella metafora dei ce­ spugli, potati tulli in modo da assumere la forma di elefan­ ti, ma diversi nelle loro ramificazioni sollostanti. Così co­ me i cespugli, i nostri grovigli di connessioni neurologiche non avranno bisogno di assomigliarsi secondo Quine per­ ché l'effetto globale di parlanti di una lingua sia simile. La terza ipotesi empirica ha a che fare con i meccanismi di apprendimento. Chomsky insiste stÙ fatto che tali mec­ canismi possono generare solo un insieme di enunciati fi­ nito, mentre il linguaggio ha la peculiarità di essere un in­ sieme infinito di enunciati, un sistema "produllivo" che a partire da risorse finite può generare infinite sequenze grammaticali. Si potrebbe ribanere che in realtà Quine non definisce il linguaggio come la totalità dei suoi enunciati ma come , 84, 1987, pp. 5 · 1 0 .

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so della scienza naturale, invece, c'è un qualcosa in questione, an­ che se tutte le possibili osservazioni sono insufficienti a rivelarlo in modo univoco�5. La distinzione tra indeterminatezza e sottodetermina­ zione delle teorie scientifiche si basa quindi su una conce­ zione realista della scienza naturale, alla quale Quine con­ trasta una concezione anti-realista del significato come en­ tità ultima di un'indagine semantica46•

V l CAPRICCI DEL RIFERIMENTO OPACITA REFERENZIALE. ATTEGGIAMENTI PROPOSIZIONALI. MODALITÀ

Una volta stabilite le tappe dell'ontogenesi del riferi­ mento, Quine si sofferma per un intero capitolo di Word an d Object sull'analisi di quei fenomeni linguistici che ge­ nerano l'irregolarità e l'indeterminatezza tipiche delle lin­ gue naturali. Vaghezza, ambiguità sintattica, ambiguità se­ mantica, opacità referenziale, sono esempi di questi feno­ meni. Dato che, secondo Quine, le confusioni linguistiche si rispecchiano nelle confusioni concettuali e tra linguaggio e teoria del mondo non c'è soluzione di continuità, la con­ statazione delle irregolarità del linguaggio naturale si tra­ duce nel suo pensiero (come già in Frege e in Russell) nel­ l'esigenza di una riforma del linguaggio in favore di un lin­ guaggio logicamente più rigoroso che possa costituire la notazione canonica per le teorie scientifiche. Non che tale riforma logica del linguaggio elimini qualsiasi incertezza o ambiguità: la scelta di una parafrasi piuttosto di un'altra di un enunciato di una lingua naturale in un linguaggio logi­ co rigoroso può essere determinata dai nostri scopi prag" Cfr. ivi, pp. 9-10. �(, Sul realismo di Quine si veda anche il saggio di J. Heal, 1 989.

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matici. Tuttavia, secondo Quine, le nostre scelte di forma­ lizzazione dovrebbero seguire un principio di superficialità, ossia un principio regolativo secondo cui non bisogna im­ putare più struttura logica dello stretto necessario agli enunciati che vogliamo parafrasare.

l. Opacità re/erenziale Ogni lingua naturale contiene un vasto numero di co­ struzioni non vero-funzionali, ossia di costruzioni che ci permettono di comporre enunciati complessi a partire da enunciati semplici, ma in cui la sostituzione di enunciati semplici con lo stesso valore di verità non garantisce che il valore di verità dell'intero enunciato complesso non varii. Esempi di queste costruzioni sono gli operatori temporali, gli operatori modali, i contesti di atteggiamento proposi­ zionale. n fenomeno che accomuna tutti questi "capricci" del ri­ ferimento nelle lingue naturali è il fenomeno dell'opacità re­ /erenziale, già messo in luce da Frege in Senso e riferùnen­ to ' . Quine sostiene2 che un termine singolare occorre in un enunciato in una posizione puramente re/erenziale se la sua funzione all'interno di quell'enunciato è di riferirsi sempli­ cemente all'individuo che denota. Ad esempio, nell'enun­ ciato:

( l) Cicerone era romano il termine singolare "Cicerone" occorre in posizione pura­ mente referenziale. n criterio, messo a punto da Frege, per 1

Frege, nel noto articolo, distingue tra occorrenza diretta e occorren­ di un termine in un certo contesto enunciativo. 2 Quine introduce ]'espressione «occorrenza puramente referenzia­ le>> nell'articolo del l943, Notes on existence and necessity. za obliqua

I lO

riconoscere le occorrenze puramente referenziali di un ter­ mine singolare è il seguente: un'occorrenza di un termine singolare all'interno di un enunciato è puramente referen­ ziale se il termine è sostituibile all'interno dell'enunciato con un altro termine che designa lo stesso oggetto senza va­ riazioni del valore di verità dell'enunciato. In altre parole, un'occorrenza di un termine è puramente referenziale se ri­ spetta la legge di Leibniz di indiscernibilità degli identici o sostituibilità salva vert"tate. Non tutti i contesti enunciativi però, soddisfano la legge di Leibniz. Per esempio, nell'e­ nunciato:

(2) "Cicerone" ha otto lettere una sostituzione del nome "Cicerone" con un altro nome che designa lo stesso individuo, per esempio "Tullio" non preserverebbe la verità dell'enunciato. I contesti citaziona­ li sono contesti in cui le occorrenze dei termini non sono puramente referenziali. Quine chiama re/erenzialmente opachi quei contesti enunciativi in cui i termini non posso­ no occorrere in posizione puramente referenziale. I conte­ sti di atteggiamento proposizionale' introdotti da verbi co­ me credere, desiderare, sapere, ecc., sono opachi referen­ zialmente. Consideriamo infatti l'enunciato: (3) Tom crede che Cicerone denunciò Catilina non potremmo sostituire in ( 3 ) "Cicerone" con "Tullio" o con la descrizione definita "l'autore delle Catilinarie" per­ ché potrebbe darsi che Tom non sappia che Tullio e Cice­ rone e l'autore delle Catilinarie siano la stessa persona.

' L'espressione «atteggiamento proposizionale�> (propositional allitu­ de) è dovuta a Russell. Cfr. R. Russell, An Inquiry into Meaning and Truth, Norton, New York 1940; trad. it. Sigmficato e ven"td, Longanesi, Milano 1963 .

Ili

Anche i contesti prodotti da operatori modali, ossia av­ H'rbi come "necessariamente" sono opachi. Difatti, men­ tre l'enunciato: ( � ) Necessariamente 9 è maggiore di 7

è vero, se sostituiamo in ( 4) il numero 9 con la descrizione definita "il numero dei pianeti" otteniamo il seguente enunciato falso: ( 5 ) Necessariamente il numero dei pianeti è maggiore di 7 . I l fatto che il numero dei pianeti s i a maggiore d i 7 non è infatti una verità necessaria, ma una contingenza del no­ stro sistema solare, che avrebbe potuto, o potrebbe essere altrimenti. Scrive Quine: Una costruzione opaca è una costruzione nella quale non si può, in maniera generale, sostituire un termine singolare con un termine codesignativo (che si riferisce allo stesso oggeno) senza disturbare il valore di verità della frase che lo contiene. In una co­ struzione opaca non si può generalmente sostituire un termine generale con un termine coestensivo (un termine vero degli stessi oggetti) , né una frase componente con una frase con lo stesso va· lore di verità. Tutti questi tre insuccessi sono chiamati insuccessi deli'estenJionalità �.

Accettare che esistano contesti in cui una legge logica così fondamentale come la legge di Leibniz possa venire meno non è cosa da poco. Frege, per esempio, essendosi reso conto del fenomeno, non ammise che in tali contesti la legge della sostitutività fosse sospesa: preferì piuttosto la soluzione secondo la quale termini singolari come "Cice' Cfr. WO, p. 1 5 1 ; trad. it. pp. 1 87-88.

1 12

rone" o " 9 " sono ambigui, ossia si riferiscono a entità di­ verse in contesti diversi. Il contributo di Quine sta nell'avere compreso che una delle cause del fallimento della legge di Leibniz nei conte­ sti opachi è il simultaneo fallimento, in tali contesti, di un'altra legge logica: il principio di generalizwzione esi­ stenziale. In una logica quantificata, questo principio ci permette di fare la seguente inferenza: da: (6) Cicerone denunciò Catilina a:

(7) Esiste qualcuno che denunciò Catilina Ora, secondo Quine, nei contesti opachi questa infe­ renza non è permessa. Non è difatti possibile derivare da (3) (Tom crede che Cicerone denunciò Catilina) la seguen­ te generalizzazione esistenziale:

(8) Esiste un

x

tale che Tom crede che

x

denunciò Catilina

perché (8) è un enunciato privo di senso. Secondo Quine, possiamo vedere l'insuccesso della sostituibilità nei conte­ sti opachi come un mancato operare di una legge sulla quantificazione esistenziale e sostenere che le variabili che occorrono all ' interno di tali contesti non possono essere vincolate da quantificatori all'esterno di essi. Non si può quantz/icare verso l'interno di una costruzione opaca. Una forma analoga di questo "teorema" di Quine, come lo de­ finisce David Kaplan, era già presente nel suo articolo del 1943 : Notes on existence and necessity'. Già in questo arti­ colo, l'insuccesso della sostitutività è assunto come criterio

' Cfr. Quin>, la parafrasi proposta da Quine equivale a: «Esiste qual­ cosa che è Pegaso (o pegasizza) e vola». Il vantaggio di que­ sta analisi, come nel caso dell'analisi delle descrizioni defi­ nite proposta da Russell, è che enunciati che contengono espressioni non denotanti possono lo stesso risultare veri o falsi. Ma come facciamo a liberarci, in un linguaggio regimen­ tato, del riferimento alle intensioni nei contesti di atteggia­ mento proposizionale, o nel discorso indiretto? Non possia­ mo sostituire proprietà o attributi con classi in questi conte-

"' Cfr. WO. p . 178; trad. it. p. 2 1 8.

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sti perché l' opacità dell'astrazione intensionale andrebbe perduta: l'astrazione su classi è infatti trasparente. La solu· zione di Quine è la seguente. Prendiamo ad esempio l'enun­ ciato discusso supra, nel paragrafo 2 di questo capitolo:

( l ) Tom crede che Cicerone denunciò Catilina. Nel trattamento che abbiamo visto, Quine legge ( l) co­ me una relazione tra un individuo e intensioni diverse, a se­ conda della parafrasi. Ma nel linguaggio regimentato Qui­ ne elimina il riferimento alle intensioni, riformulando ( l) nel modo seguente:

(2) Tom crede vero "Cicerone denunciò Catilina" L'uso della citazione permette di fare riferimento al con­ tenuto della credenza di Tom senza introdurre oggetti in­ tensionali, ma servendosi dell'enunciato stesso: l'enunciato creduto da Tom è menzionato in un contesto citazionale, che tipicamente è opaco. Ciò permette a Quine di rendere conto dell'opacità dei contesti di atteggiamento o dei con­ testi indiretti, senza sollevare problemi di identità; difatti il criterio di identità per gli enunciati nei contesti citazionali non pone problemi: due citazioni sono lo stesso enunciato se sono notazionalmente identiche. In generale, ridurre i fe­ nomeni di opacità alla sola citazione, per la quale i criteri di identità sono semplici è la mossa che pare a Quine adegua­ ta per " riptÙire" il linguaggio da entità oscure e problemati­ che. Owiamente, quest'operazione di pulizia non è gratui­ ta: eliminare le intensioni come oggetti degli atteggiamenti proposizionali non vuole dire avere dato loro un significato scientifico. Il discorso indiretto, l'ascrizione di credenze e la citazione stessa sono «atti essenzialmente drammatici»' ' , " Cfr. ivi, p. 2 1 9: trad. it. p. 268.

121

per i > è analitico Owiamente, se in ( l) sostituiamo " 9 " con un'espressio­ ne co-referenziale, come " il numero dei pianeti principali" 123

11 valor.: Ji verità dell'enunciato cambia, dunque " Neces­ sariamente" è un operatore intensionale che crea un con­ t Church distingue due tipi di variabili: variabili per le classi e variabili per le proprietà, La generalizzazione esistenziale è ammissibile nel caso di enunciati che con· tengono solo variabili per le proprietà. Benché Carnap ritenga che la mossa di Church risolva il problema di Quine, nel suo sistema di logica

127

mirando il dominio di variazione delle variabili a soli og­ g�tti intensionali. Secondo questa soluzione, i soli oggetti consentiti nell'universo del discorso modale sono i concet­ ti individuali, le proprietà, gli attributi, le proposizioni, �cc., ossia tutte quelle " creature delle tenebre" di cui Qui­ ne cerca di fare a meno in Word and Object. Questa è ad esempio la soluzione di Church. In questa prospettiva, ai rrc nomi del pianeta Venere corrispondono tre oggetti se­ parati, ossia i seguenti concetti individuali: l'essere-Venere, l'essere-la-Stella-della-Sera, l'essere-la-Stella-del-Mattino. Ma il prezzo di una simile mossa è per Quine molto alto. Prima di rutto, come abbiamo già visto, il problema degli oggetti intensionali è che per essi non sono chiari i criteri di identità: non è facile stabilire le condizioni in virtù delle quali due intensioni siano la stessa cosa, e i tentativi di ri­ solvere questo problema si basano a loro volta, secondo Quine, su nozioni dubbie come l'analiticità e la necessità. Ma supponiamo pure di riuscire a restringere il nostro uni­ \'erso a tutte e sole le entità tali che ogni volta che sono de­ signate univocamente da due condizioni differenti queste condizioni sono analiticamente equivalenti. Quine mostra che è sempre possibile individuare un'entità attraverso condizioni che non sono analiticamente equivalenti tra lo­ ro, ossia, la cui identità è contingente:

Qualunque x, anche un'intensione, se è specificabile, è speci­ ficabile in modi contingentemente coincidenti'"· modale, egli sostiene che esiste una soluzione più semplice: usare un so­ lo tipo di variabili le cui estensioni siano dassi e le cui intensioni siano proprietà l cfr. Carnap, 1947, § 44). Ma Quine ritiene che non sia possi­ bile mamenere >. Difatti la quantificazione universale cat­ tura esattamente la stessa entità: Per ogni w (se la neve è bianca e w è il successore di 8 allora w = x ) . Ma le due con­ dizioni "Fx" e "p e Fx" non sono analiticamente equiva­ lenti: esse lo sono solo contingentemente. Eppure, esse de­ signano la stessa intensione. Difatti, prendiamo un enun­ ciato come: (6) Necessariamente quell'unico x che è successore di 8 è maggiore di 7

x

Dato che le condizioni che determinano univocamente sono sinonime, possiamo costruire l'enunciato seguente:

(7) Necessariamente quell'unico x che è il successore di 8 e la neve è bianca è maggiore di 7 che è palesemente falso, dato che non è necessario. Ciò owiamente schiaccia la distinzione tra enunciati ve­ ri ed enunciati necessariamente veri, rendendo secondo Quine ininteressante lo sviluppo di una logica modale quantificata: se difatti per qualsiasi enunciato vero, possia­ mo derivare che esso è necessariamente vero, l'interesse per la nozione di necessità viene meno. Difatti, la restrizio­ ne di equivalenza logica sulle condizioni che determinano un oggetto, che impedisce le inferenze paradossali come (3) da ( 1 ) , ha come conseguenza di fare collassare la logica modale su un'interpretazione estensionale. 129

L'unico modo allora di dare senso alla logica modale quantificara è acceuare una netta distinzione tra modi di ri­ ferirsi a un ogge!!o. Bisogna distinguere in un qualche sen­ so tra modi necessari e modi contingenti in cui un ogge!!o è specificato univocamente. Per esempio, l'essere il succes­ sore di 8 è un modo necessario di specificare univocamen­ te il 9, ma l'essere il numero dei pianeti è contingente. Ma per Quine ciò è inaccettabile dal punto di vista metafisico: significherebbe infaui reintrodurre una sorta di essenziali­ smo aristotelico secondo il quale esistono proprietà neces­ sarie o essenziali di un ogge!!o da un lato e proprietà con­ tingenti o accidentali dall'altro. Aristotele sosteneva che la necessità fosse una proprietà di come la sostanza si lega a cerri amiburi. Per esempio, nel caso della sostanza "Uo­ mo", essere un animale razionale è un auriburo necessario, mentre essere ateniese è un anriburo accidentale. Possiamo dire che una proprietà essenziale di un oggetto è tale che l' ogge!!o non può esistere senza averla, mentre una pro­ prietà accidentale è tale che un ogge!!o può continuare ad esistere senza averla. Nel linguaggio della logica modale, una proprietà essenziale individua lo stesso oggetto aura­ verso tutti i mondi possibili, mentre una proprietà acci­ dentale è una proprietà che un oggeuo ha a un certo mon­ do, ma che porrebbe perdere in un altro mondo possibile:

È evidente che, se vogliamo sostenere la quantificazione ope­ rata nei contesti modali bisogna tornare, così, all'essenzialismo aristotelico. Bisogna che consideriamo un oggeno, di per sé e quale che sia il suo nome o anche privo di qualsiasi nome, come se alcune delle sue caratteristiche discendono analiticamente da certi modi di determinare quell' oggeno proprio come le prime caratteristiche discendono analiticamente da certi altri modi di determinarlo. Di farro, è piunosto facile mostrare come qualsiasi logica modale quantificata mostri di necessità simili favoritismi tra le caratteristiche di un oggetto20. '" Cfr. FLPV, p. 155: trad. it. p. 144.

130

�G�

Ma Quine sottolinea quanto questa opzion bante metafisicamente:

ur­

Forse posso evocare il senso appropriato di smarrimento -.. · modo che segue. È concepibile affermare che i matematici sono necessariamente razionali, e non necessariamente bipedi; e i ciclisti necessariamente bipedi, e non necessariamente razionali. Ma che dire di un individuo che conta tra le proprie eccentricità sia la matematica che il ciclismo? Quest'individuo concreto è ne­ cessariameme razionale e contingentemente bipede o viceversa? Nei limiti in cui stiamo parlando referenzialmente dell'oggetto, senza alcuna particolare propensione a favore del concetto del matematico o a favore del concetto del ciclista, non c'è alcuna parvenza di senso nel considerare alcuni dei suoi attributi come necessari e altri come contingenti. Alcuni dei suoi attributi sono giudicati importanti e altri privi di importanza, certo; alcuni per­ duranti e altri transitori; ma nessuno necessario o contingente2 1 . Il progetto di una logica modale quantificata è allora o vacuo, o metafisicamente inaccettabile. Vacua è la soluzio­ ne intensionale, che fa collassare le distinzioni m odali e che si basa di fondo su un ulteriore fallito tentativo di distin­ guere tra verità analitiche e verità di fatto. Inaccettabile è l'essenzialismo, un passo indietro filosofico agli occhi di Quine privo di fondamento. Vero è che la logica modale quantificata si è sviluppata nonostante gli argomenti di Quine. Come fa notare Dag­ finn F0llesdal22, durante i trent'anni nei quali si estende la polemica di Quine contro le modalità, la produzione di si­ stemi di logica modale è stata rigogliosa e le critiche di Qui­ ne o sono state ignorate o sono servite a stimolo per svi­ luppare nuove aree di ricerca. Ci si può domandare perché. In primo luogo, la maggior parte dei suoi critici gli ha 21 Cfr. WO. p. 199; trad. it. p. 245. " Cfr. D. F0Uesdal, Quine on modd/ity, in Davidson, Hintikka, 1969, pp. 175-85.

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� w

obiettato la validità del suo principio, ossia che le posizio­ ni su cui si può quantificare debbano essere referenziali. David Kaplan2 1 ha dimostrato il cosiddetto teorema di Quine sull'impossibilità di quantificare in contesti opachi non è valido e che la quantificazione in posizioni non pu­ ramente referenziali e la sostituibilità salva verz'tate dei ter­ mini singolari sono indipendenti l'una dall'altra. Saul Kripke ha mostrato che è possibile fornire un'inter­ pretazione estensionale della logica modale in termini di mondi possibili, fornendo una dimostrazione della comple­ tezza semantica della logica modale quantificata. Ciò ri­ spondeva alle obiezioni di Quine di un'assenza di interpre­ tazione estensionale degli operatori modali. Ma la nozione di mondo possibile non è accettabile metafisicamente dal fi­ sicalista Quine. Perché, senza già un presupposto metafisi­ co essenzialista, secondo Quine non ha senso parlare di in­ dividuazione di entità attraverso mondi possibili:

Parlare di mondi possibili è un modo pittoresco di fare filo­ sofia essenzialista; non è una spiegazione. C'è bisogno dell'essen­ za per identificare un oggetto da un mondo possibile a un altro24. Dunque, secondo Quine, la nozione di mondo possibi­ le non risolve il problema dell'essenzialismo, anzi, lo pre­ suppone. Nozioni di questo tipo hanno senso solo in un contesto di ricerca particolare, in cui una proprietà può es­ sere considerata più fondamentale delle altre o più inva­ riante in diverse possibili situazioni, ma questo è da stabi­ lire fisicamente e non logicamente:

Relativamente a un'indagine specifica, alcuni predicati posso­ no giocare un ruolo più di base di altri, e applicarsi in modo più fissato; e questi possono essere trattati come essenziali25. " Cfr. Kaplan, 1 986. " Cfr. Quine, 1 977b, p. 1 18. " Cfr. ivi, pp. 1 2 1 sgg.

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Nonostante la resistenza di molti suoi argomenti forma­ li contro la logica modale, le ragioni dell'ostinazione di Quine contro gli approcci alla logica che deviano dall'e­ stensionalità sono di ordine epistemologico e ontologico. ll solo linguaggio, infatti, che è in grado di parlare del nostro mondo fisico è il linguaggio della logica predicativa classi­ ca e della teoria degli insiemi. Questo perché è in questo lin­ guaggio che noi impariamo a conoscere il mondo e lo im­ pariamo a conoscere così proprio perché la struttura logi­ ca delle lingue in cui esprimiamo la nostra conoscenza sul mondo porta traccia del nostro modo di strutturare l' espe­ rienza delle cose esterne a noi.

VI. NATURALISMO E FISICALJSMOo !:EPISTEMOLOGIA DI QUINE

L'epistemologia di Quine costituisce la più importante evoluzione della filosofia empirista in questo secolo. Allie ­ vo di Carnap, influenzato dalle tesi dell'empirismo logico, convinto empirista lui stesso, nello sviluppo del suo "em­ pirismo illuminato" Quine diventerà uno dei massimi cri­ tici, assieme a Karl Popper, della tradizione neopositivista. Dal rifiuto della distinzione, centrale per l'empirismo logi­ co, tra verità analitiche e verità di fatto, alla critica dell'e­ pistemologia come filosofia prima, all' olismo della confer­ ma e del significato contro il dogma riduzionista del verifi­ cazionismo, l'epistemologia di Quine non lascia intatto quasi nulla del credo empirista, diventandone nondimeno la reinterpretazione più innovativa e originale.

I. Un nuovo empirismo Nonostante le critiche spesso radicali all'empirismo lo­ gico del Circolo di Vienna, Quine resta un empirista con·

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,·imo, e percepisce la sua opera in continuità con la tradi­ ztone empmsta. Il breve saggio Five milestones o/ empiricism1 (4• n na-

' Cfr. Quine, Eputemology naturaliz> sono quel­ li che possono essere associati a un insieme di stimolazioni più o meno stabili attraverso i membri di una comunità, os­ sia il cui significato stimolo non varia. Essi godono di un doppio statuto privilegiato: da un lato sono causati da un insieme di stimolazioni individuabile scientificamente; dal­ l' altro il loro significato è intersoggettivamente determina" Cfr. Quine, 1 970b.

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to: >1 2 • La con­ clusione scettica sembra echeggiare la conclusione di Qui­ ne: non esiste nessun fatto oggettivo per stabilire il signi­ ficato di un'espressione per un parlante. Come ha fatto notare Hookway: Nonostante le molte differenze, Quine e l'ultimo Wittgen­ stein sono uniti nel combattere la tendenza di alcuni filosofi a ve­ dere la nozione di regola come parte di una spiegazione potente della comprensione e della razionalità. TI linguaggio non è limi­ tato da regole precise; parlare di regole ha un valore esplicativo minore a meno che non siamo in grado di spiegare come le re­ gole stesse sono interpretate e applicate; parlare di essere co­ stretti, logicamente, ad usare parole o a trarre inferenze in modi particolari non è esplicativo - in fondo significa basarsi su una nozione di necessità, logica o naturale. Entrambi rispondevano a Carnap e agli altri posi tivisti logici; entrambi furono colpiti dal­ le caratteristiche olistiche della comprensione e dell'indagine co­ noscitiva 1 ' . 11 Cfr. L. Wittgenstein, Philosophical InvestigtJtiom, Basil BlackweU, Oxford 1 958: trad. it. R1eerche /iloso/1che, Einaudi, Torino, 1 967, §§ 1 99 sgg. " Cfr. ivi, § 202; trad. it. p. 109. " Cfr. Hookway, 1988, p. 47.

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Nel volume Wittgenstein on Rules and Private Langua­ ge1\ Saul Kripke ha messo a fuoco punti in comune e diffe­

renze delle due posizioni. La prima differenza è la seguente: se per Quine il rifiuto di nozioni intensionali come "signifi­ cato " o "pensiero" è motivato sulla base di un'analisi com­ portamentista del linguaggio che si vuole scientifica, per Wittgenstein lo stesso rifiuto viene " dal di dentro" ossia da un'osservazione introspettiva di ciò che gli stati passati di se stessi possono dire sui propri comportamenti linguistici fu­ turi. Inoltre, sempre nell'ottica comportamentista, Quine riduce il significato a disposizione al comportamento, non accettando il paradosso di Wittgenstein secondo cui, ben­ ché io possa credere, o sentire, di seguire una determinata regola e non un'altra nell'uso di un'espressione, nulla nella mia mente corrisponde a questa sensazione. Per Quine, se una sensazione del genere esistesse, si tradurrebbe in una differenza di disposizione al comportamento. Jane Heal ha confrontato il pensiero di Quine e Witt­ genstein sul significato concludendo che i due filosofi di­ vergono maggiormente sulla loro interpretazione del reali­ smo, ossia riguardo a cosa debba essere considerato un "fatto" . Il realismo di Quine è profondamente legato al suo empirismo e al suo fisicalismo. Quine si professa realista nei confronti delle scienze fisiche, e afferma che c'è un mondo al di fuori di noi che le nostre scienze di base de­ scrivono. Wittgenstein rifiuta le pretese metafisiche del realismo fisicalista, ma queste due posizioni portano a due conclusioni opposte riguardo alla semantica: Wittgenstein non nega che possano esistere fatti semantici, mentre Qui­ ne lo rifiuta esplicitamente.

3. Modalità Le risposte agli argomenti di Quine contro la possibilità di una logica modale quantificata si sono moltiplicate in di14

Cfr. Kripke, Wittgenstein on RuleJ and Private Language, cit.

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rezioni diverse. Lo sviluppo più interessante della logica modale negli anni Cinquanta è costituito dal contributo di Saul Kripke' ' , il quale fornì una semantica per un sistema di lo!(ica modale quantificata, utilizzando la nozione di "mon­ do possibile" . La semantica di Kripke sembrava risolvere i dubbi di Quine sulla possibilità di rendere conto delle no­ zioni modali in un linguaggio estensionale che non facesse uso di nessun altro operatore su enunciati oltre alle funzio­ ni di verità. Nell'i_nterpretazione datane da Kripke, un enunciato come diventa mentre un enunciato come «E necessario che P>> diventa >. Tuttavia, come abbiamo visto (cfr. supra, cap. V, § 5 ) , secondo Quine l a nozione d i mondo possibile non risolve il problema dell' essenzialismo, anzi, lo presuppone. Da que­ sta polemica, seguono i tentativi di Ruth Barcan Marcus e di T. Parsons ' " di fornire una sistemazione della logica moda­ le priva di presupposti essenzialisti. Come abbiamo visto, molto dell'accanimento di Quine contro l'essenzialismo ha a che fare con i criteri di identifi­ cazione di un individuo attraverso mondi possibili. Un ri­ sultato di grande importanza all'interno di questo dibatti­ to è sempre dovuto a Kripke, il quale" ha mostrato l'asim­ metria che esiste tra termini singolari e descrizioni definite, mettendo in questione un assunto centrale del pensiero di Quine, ossia la possibilità di eliminazione dei termini sin­ golari attraverso descrizioni definire à la Russell (cfr. supra, cap. III, § 2 ) . I nomi propri sono per Kripke designatori ri­ gidi privi di un significato descrittivo: essi non cambiano ri­ ferimento attraverso i diversi mondi possibili, e hanno quindi criteri di individuazione differenti rispetto alle de" Cfr. Kripke, 1 959. l t> R. Barcan Marcus, Modalities an d intensionallanguages, ln M. War­ tofsky (a cura di), Borton Studies in the Philorophy o/Science 1 961162, Reidel. Dordrecht 1 963: Barcan Marcus, 1 967: Parsons. 1 969. 1 7 Cfr. S. Kripke, Naming and necessity, in Davidson, Hannan (a cu­ ra di), 1 972.

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scrizioni. Kripke accompagna la sua teoria dei nomi propri a una metafisica essenzialista, che invece autori come Bar· can Marcus o Kaplan hanno rifiutato. Secondo questi ulti· mi la logica modale è compromessa con l' essenzialismo so· lo a livello logico e non metafisico. Benché per Quine non sia possibile distinguere in modo assoluto tra enunciati analitici e quindi necessariamente veri ed enunciati sinteti· ci, sembra tuttavia plausibile, secondo questi autori, che per ogni linguaggio sia possibile distinguere tra tipi di enunciati e di proprietà come e . La polemica sull'interpretazione della logica modale ha messo in luce un ventaglio di posizioni diverse sullo statu· to ontologico dei mondi possibili. Da un lato, filosofi come Robert Stalnaker1 " hanno sostenuto che i mondi possibili non sono altro che un modo di parlare " controfattualmen­ te" del nostro mondo reale. Dall'altro lato, un'interpreta· zione realista dei mondi possibili è stata invece sostenuta da David Lewis 19, secondo il quale i mondi possibili sono reali così come lo è il nostro mondo, solo non sono attua· lizzati. La relazione di identità di un individuo attraverso mondi possibili è allora per Lewis una relazione di somi· glianza tra l'individuo nel mondo reale e le sue contropar· ti negli altri mondi.

4. Epistemologia naturalizZJJta, /isicalismo e realismo Un'altra tesi controversa, oggetto di un dibattito anco­ ra estremamente acceso è la tesi della naturalizzazione del­ l'epistemologia. La resistenza a fare confluire una parte co· sì essenziale dell'attività filosofica nella scienza è compren-

'" Cfr. R. Stalnaker, lnquirtes, Mir Press, Cambridge, Mass. 1984. ''' Cfr. D. Lewis, On tbe Plurality o/ Worlds, Basil Blackwell, Oxford 1986.

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sibile: una volta infatti riassorbito nell'attività scientifica il problema della giustificazione della conoscenza, non sem­ bra restare molto alle preoccupazioni filosofiche. La cen­ tralità del naturalismo nel sistema filosofico guineano è sta­ ta sottolineata da critici come Roger Gibson, nella sua mo­ nografia su Quine e in una serie di articoli successivi 20, e Christopher Hookway' ' , anch'egli sia in un volume dedi­ cato al pensiero di Quine sia in altri articoli. Secondo Gib­ son è possibile fare discendere l'intero edificio delle tesi guineane dalla sua concezione naturalista e comportamen­ tista del linguaggio. Molte antologie sono state dedicate alla nozione di epi­ stemologia naturalizzata, tra le quali vale la pena di ricor­ dare il volume a cura di H. Kornblith Naturalizing Epirte­ mology ( 1 985 ) , e il volume a cura di A. Shimony e D. Nails, Naturalistic Epirtemology ( 1 987 ) . Come ha messo bene in luce Kornblith, tra i partigiani della naturalizzazione del­ l' epistemologia si possono distinguere i sostenitori di una riduzione/orte , che vedono l'epistemologia dissolversi nel­ lo studio dei processi cognitivi, come per esempio Gilbert Harman, e i sostenitori dell'autonomia di un'epistemologia naturalista dalla psicologia, come per esempio Alvin Gold­ man, il quale sostiene che lo studio dei processi psicologi­ ci non è sufficiente per soddisfare l'epistemologo naturali­ sta: si deve aggiungere un'analisi dell'affidabilità del pro­ cesso di acquisizione della conoscenza che trascende i limiti della psicologia individuale. Tra i critici della riduzione naturalista dell'epistemolo­ gia troviamo Hilary Pumam, che nell'articolo Why reason can't be naturalized (cfr. supra, cap. VI, § 3 ) rifiuta la possi­ bilità di riduzione del lato normativo dell'impresa episte­ mologica; Jawegon Kim, il quale, nell'articolo What is na­ turalized epirtemology22, sostiene che la proposta di Quine 1° Cfr. Gibson, 1 982; 1 994; 1 995. " Cfr. Hookway, 1988; 1994. " Cfr. Tomberlin, 1988; Hookway, 1 988.

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è una proposta scientifica, ma esce dall'ambito dell' episte­ mologia, perché eliminando il contesto della giustificazio­ ne dall'impresa epistemologica anche la nozione di cono­ scenza viene lasciata cadere; Bas van Fraassen ha cercato di mostrare come una posizione empirista può resistere alla naturalizzazione". Barry Stroud e Christopher Hookwaf• hanno illustra­ to i rapporti tra il naturalismo di Quine e lo scetticismo, va­ lutando la compatibilità dell'abbandono del paradigma cartesiano con una posizione realista. Sul realismo, uno sviluppo interessante dell'epistemolo­ gia post-quineana è costituito dal fisicalismo della filosofia australiana. Già Quine, nella sua recensione a Philosophy and Scienti/ic Realism, di J.].C. Smart2 5, aveva sottolineato la vicinanza tra il suo materialismo e quello di Smart, so­ prattutto nel considerare l'immagine del mondo dataci dal linguaggio della fisica come una descrizione più vera delle altre della realtà e nel rifiutare qualsiasi posizione emergen­ tista riguardo alla struttura dell'impresa scientifica. In Uni­ versals and Scientz/ic Realism, del 1978, David Armstrong difende una posizione fortemente materialista e insieme realista nei confronti degli universali. Ricordiamo che Qui­ ne, dopo una prima fase di " credo" nominalista, abbracciò una concezione realista di un tipo di entità astratte: le classi. Forse è ancora presto per tracciare un bilancio comples­ sivo dell'eredità della filosofia di Quine. Nondimeno, alcu­ ne analisi critiche hanno cercato di situare il suo pensiero al­ l'interno della tradizione filosofica di questo secolo. Per esempio, secondo George Romanos2\ la più profonda in­ novazione del pensiero quineano è costituita dal suo distac-

ll

Cfr. van Fraassen, 1 995. " Cfr. Stroud, 1981. " Cfr. Quine, Smart's philosophy and scienti/ic realùm, in TI, pp. 92· 95. n libro di Sman è apparso nel 1 964, da Rourledge, London. " Cfr. Romanos, 1 983.

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co dalla "svolta linguistica" 27 in filosofia, così centrale da un !aro per il neo-empirismo, dall'altro per la ftlosofia del lin­ ttuaggio ordinario britannica. La critica all'analiticità e la te­ si dell'ìndererminatezza della traduzione pongono Quìne a distanza da entrambe le tradizioni e lasciano aperto il pro­ blema di fondo del ruolo dell'analisi filosofica nell'impresa conoscitiva: private degli strumenti fondamentali di analisi, come le nozioni di analiticità, di sìnonimia, di riferimento, di significato, entrambe le tradizioni filosofiche hanno su­ biro una scossa profonda. Altri critici, come ad esempio Ri­ chard Rorty28, hanno cercato di collocare Quine nella tradi­ zione pragmarisra americana, considerandolo, con David­ son, erede di Dewey e di Peirce e sortolineando questo aspetto di unirà con la tradizione nella sua ftlosofia di " rot­ tura " . Certo è che alcuni degli argomenti quìneani sono tal­ mente penetrati nella filosofia analitica contemporanea da fare parte del "bagaglio" indispensabile di chi si awicìna al­ la letteratura filosofica del dopoguerra.

17 L'espressione è di R. Rorty. Cfr. R. Rorty, The Linguùtic Turn, Uni­ versity of Chicago Press, Chicago, li. 1 967. ZK Cfr. Id., Comequencei o/ PragmatiJm, Harvester Press, Brighton 1 982.

BIBLIOGRAFIA

Una bibliografia dettagliata delle opere di Quine è stata pub­ blicata a cura di Quine stesso nel volume a cura di L.E. Hahn e PA. Schlipp, The Philosophy o/ WVO Quine (Quine, 1986a ) . Essa contiene l'elenco delle pubblicazioni diviso in libri, articoli, antologie dove gli articoli sono stati ripubblicati, abstracts, pub­ blicazioni diverse, recensioni di libri e recensioni di articoli. Sempre del 1 986 è la guida bibliografica a cura di Rita Bruschi, Willard V O Quine.· A Bzbliographical Guide, La Nuova Italia, Fi­ renze. Una bibliografia aggiornata è disponibile in rete al sito: http:/lsun3 .lib.uci.edu/-scctr/philosophy/quine/. In questa Bibliografia elencheremo, in una prima sezione, le opere principali di Quine con la corrispettiva eventuale tradu­ zione italiana. Molti degli articoli indicati sono riapparsi in rac­ colte di saggi dell'autore. Le ristampe in raccolte di saggi di Qui­ ne saranno segnalate, ma non le eventuali ristampe in libri collet­ tivi. Segnaleremo poi gli studi sull'opera di Quine, divisi in opere di carattere generale e antologie di saggi; i saggi critici divisi per i seguenti argomenti: logica matematica e criterio di impegno an­ tologico, analiticità, riferimento e significato, logica modale, epi­ stemologia; le antologie in cui sono riapparsi articoli di Quine e alcune letture consigliate. L OPERE DI QUI NE

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1 87

Il. STIJDJ

La letteratura secondaria dedicata all'opera di Quine, diretta­ mente o indirettamente, è molto vasta. Divideremo la seguente sezione in: opere di carattere generale; monografie: antologie di saggi critici e numeri speciali di riviste; introduzioni alle edizioni italiane. l.

Opere di carattere generale, monogra/ie

Davidson, D . , 1 994, On Quine's philosophy, in >, 2, pp. 25-46. Church, A., 1 958, SympoSium: Ontological commitment, in , 55, pp. I008- 1 4 . Cooper, N., I 966, Ontologù:al commitment, i n «The Monist>>, 50, pp. 125-29. Geach, P., 1953, Quine on classes and properties, in «The Philo· sophical Review>>, 62, pp. 409- 1 2 . Hintikka, J . , I 959, Existential presuppositions and existential commitments, in , 56, p. I25-36. 190

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