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Italian Pages 312 [311] Year 2011
In quella partitura frammentaria per pianola meccanica che si può considerare l'opera di Guido Ceronetti, la parola amore era stata fin qui accostata a ogni condizione della mente e del corpo, tranne forse alla più improbabile di tutte: la felicità. E finalmente cominciamo a intuire perché. Se infatti le filosofie, le religioni e ogni altra forma di sapienza si affannano a smentire anche solo la possibilità statistica di una congiunzione del genere, nell'universo del romanzo qualcosa come un amore felice, sembra dire Ceronetti, può invece esistere. Anche se ha come quinta il contesto meno propizio, una città notturna e sinistra. Anche se i suoi due protagonisti - un vecchio fotografo di guerra piegato dagli anni e dai dolori, Aris, e una donna molto più giovane ma altrettanto segnata, Ada - non sembrano adatti per la parte. E anche se contro il loro pericolante idillio, per ragioni che sarebbe inopportuno svelare, cospira addirittura una razza di insetti alieni, che minaccia i cieli di tutte le città del mondo.
«Centro e motore di tutto è una coppia umana, un uomo, una donna, che volevo ad ogni costo escludere, non dalle prove certamente, ma dagli abissi consueti dell'infelicità. Non c'è vera passione d'amore che non paghi questo debito alla tenebra: idea, forse, recente di secoli, ma chiodo fisso d'Occidente. Ho scritto questa storia per svitarla dalle menti che quella fissazione opprime: dalle menti e dall'esperienza, perché l'esperienza dipende dalla mente».
Guido Ceronetti ha pubblicato presso Adelphi quasi tutti i suoi titoli più i m p o r t a n t i . L'ultimo è stato, nel 2009, Insetti senza frontiere.
In copertina: Un disegno di Guido Ceronetti.
FABULA 234
DELLO STESSO AUTORE:
Cara incertezza Come un talismano II silenzio del corpo Insetti senza frontiere La carta è stanca La lanterna del filosofo La pazienza dell'arrostito La vita apparente L'occhiale malinconico Pensieri del Tè Tra pensieri A CURA DI GUIDO CERONETTI:
Il Cantico dei Cantici Il Libro del profeta Isaia Il Libro di Giobbe Il Libro dei Salmi Qohélet
Guido Ceronetti
IN UN AMORE FELICE Romanzo in lingua
italiana
ADELPHI EDIZIONI
© 2 0 1 1 ADELPHI EDIZIONI S.P.A. MILANO WWW.ADELPHI.IT I S B N 978-88-459-2577-1
INDICE
Lettrici, lettori miei
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IN UN AMORE FELICE PARTE PRIMA.
L'osteria del Marrano
PARTE SECONDA. PARTE TERZA.
La Città degli Stracci
La foresta
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LETTRICI, LETTORI MIEI
I romanzi corrono col Divenire e il graduale estìnguersi della scrittura viva. Si poteva immaginarne la fine una volta scomparsi gli autori con carta e calamaio - i formidabili legati alla sedia del secolo XIX. Ma gli autori della stilografica e della portatile hanno retto bene. Di quelli della mutazione elettronica, che fanno i libri senza errori su tastiere di Buco Nero, non posso che tacere. Non credo averne mai letti. Io appartengo al tempo della stilo e della portatile, non mi sono mai mosso di lì, ma so che nella portatile era già il germe di una diminuzione del comunicare. Dunque c'è da fare per raccontare storie intricate, interpretando il mondo in modi che feriscano la conformità. Una lunga vita spesa quasi interamente lavorando nel verso, nell'aforisma e nella colonnina di giornale, eccola sboccare, ad un'età avanzata, in questa terra ignota, sponda anomala, patria d'altri, con rischio d'incontrare popolazioni ostili. La materia di questo «Amore felice» mi ha fornito, per quasi un anno, inesauribili dosi di inebriamen9
ti psichedelici. Che sollievo fuggire malfermo dalla casa, dalle case e caselle solite e mettersi sulla strada maestra, quella che, dice il meraviglioso capitolo dei Demoni (il settimo della Terza Parte) : « contiene un'idea», ed è l'ultimo viaggio di Stepan Trofimovic, che non sa dove sia diretto, ma è atteso a Spassovo - un poema nel grande libro. Né mi sono mancati, aquiloni sfrecciami, gli incoraggiamenti costanti dell'Editore e degli amici. Centro e motore di tutto è una coppia umana, un uomo, una donna, che volevo ad ogni costo escludere, non dalle prove certamente, ma dagli abissi consueti dell'infelicità. Non c'è vera passione d'amore che non paghi questo debito alla tenebra: idea, forse, recente di secoli, ma chiodo fisso d'Occidente. Ho scritto questa storia per svitarla dalle menti che quella fissazione opprime: dalle menti e dall'esperienza, perché l'esperienza dipende dalla mente. Ma la coppia è immaginaria, nessuno dei suoi due componenti è esistito, sebbene abbiano preso a prestito caratteristiche e circostanze reali, un po' di arcano delle somiglianze. L'ufologia, che gli fa da sfondo e da compagno di viaggio, è nata dal tronco fulminato della morte di Dio e dal rinnegamento degli angeli. Siamo malati di bisogno di Trascendenza. Io certamente lo sono e chissà quanti ignorano di esserlo. Ma lo Spazio indeterminato è meglio delle religioni monoteistiche, dove non c'è più nulla da saccheggiare per toglierci la fame di Dio. Vana è la ricerca astrofìsica di mondi abitati se i significati di tutti i mondi sono contenuti in questo, dove ci sono esseri perfettamente in grado di percepire qualunque segnale per le vie senza fine della mente. Ufologia e contattismo penetrano nei primi capitoli del libro della Genesi come ci venisse aperta una porta blindata lasciata socchiusa: i Nefilìm (Giganti) che concupiscono « le figlie degli uomini » e gli Elohìm sof10
focatori della conoscenza, usurpatori del vero potere divino, e così l'Adantide platonica, sono realtà palpabile, sotto il velo venerato di Iside. Può darsi che il nome abscondito di Ada, che nella storia ne ha tre, sia Beatrice. Che il nome segreto di Paolo, che in questa storia è un vaevieni di nomi, sia Virgilio. Può darsi che il misterioso scienziato Nikola Tesla sia nato dal connubio di un Gigante della Genesi (era altissimo), con una «figliadegli uomini » croata. Quest'uomo singolarissimo e solitario merita di essere visto da ben più vicino e su differenti piani: vide Qualcosa, nel vortice della corrente alternata, che forse da lui fu vista pervenire fino ad una delle indecifrate tarlature del mondo. Infinite cose vengono attirate dal magnete di un Amore Felice che non si perda a propagare la specie. Lettore, non dimenticare la parola di Artaud: «L'universo è stregato ». 15 agosto 2010
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IN UN AMORE FELICE
PARTE PRIMA
L'OSTERIA DEL MARRANO
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Nella memoria di chi c'era si desquama e si riprofila il paesaggio urbano e psicologico delle città e dei modi di vivere italiani poco oltre la metà del secolo XX. Ad abitare allora nelle periferie c'era il piacere di vedere ancora, avviandosi per i prati senza pericolo, prima che l'urbanizzazione implacabilmente li inghiottisse, di notte lucciole e di giorno farfalle, e di udire i grilli cantare, dai balconi del mondo cementificato. Sciaguratamente, la legge permetteva l'uso micidiale dell'amianto nelle costruzioni, e i fumi delle fabbriche, nell'euforia generale per tanta prosperità d'industrie, comunicavano senza ostacoli, abbondantemente, coi polmoni umani. Se c'erano le depressioni? Ma figuriamoci! Per lo più rubricate come esaurimenti nervosi, visto che spleen e cafard alla lingua corrente non appartengono neppure ora. Gli esaurimenti si tenevano chiusi in casa: contro i disturbi del sonno il Serenol era stato sostituito dai barbiturici amici dei suicidi (Mogadon, Nembutal), i giovani studiosi si sottoponevano a cure 17
periodiche intense, per via intramuscolare, dolenti chiappe, di vitamina B. Non era permesso, neppure alla lontanissima, alludere alle mestruazioni. Le coppie cattoliche praticavano Ogino-Knaus, o nulla. Gli autori più letti erano Pavese, De Céspedes, Soldati, Piovene, Vittorini... Numerosissimi, provvidi, ma in via di estinzione, i Bagni Pubblici e gli Alberghi Diurni. Il Cobianchi di piazza Duomo a Milano era ritrovo rinomato come il Motta e il Cova. La meravigliosa Casa del Passeggero, a Roma, a pochi passi dalla Stazione Termini - da molti anni sprangata e in via di diventare casa degli Usher - , era in ambiente deliziosamente Art Déco un calorifero ascellare, un alvo materno per orfani senza binari. E alcuni grandi transatlantici da crociera erano ancora sfarzosamente utilizzati per infilare direttamente la vista nei pepli rassicuranti della Statua della Libertà o nel delta della Piata. Il demone del linguaggio era da un pezzo al lavoro nel teatro di Ionesco e di Sam Beckett, per indicarci, genialmente e inutilmente, misteriosi guasti, sconfitte, rivolgimenti, umiliazioni, e la mortale impotenza della Parola. Tutto quel teatro, che Martin Esslin definì « dell'Assurdo », aveva una funzione awertitrice: nessuno gli faceva domande, ma il Guardiano della Notte era là al suo posto, e gridava che la grande Babilonia era caduta e le sue divinità, in cui era così naturale credere, erano a terra sparse. Ma l'annuncio profetico non sfiorò neppure le nostre città, alle quali la legge che in parlamento avrebbe riportato un'epica vittoria, per cui sarebbero state chiuse le case di tolleranza, importava molto di più. E la legge Merlin, alla fine, vinse. Strenua era stata la resistenza congiunta dei tenutari e delle madri, i venerologi avevano gridato forte che una pandemìa di sifilide, più o meno come quella del Quattrocento, era alle porte, e nei sussurri a letto le ragazze, prossime allo sfratto, lo ripetevano: «Vedrai che cosa ca18
piterà, prendi il mio indirizzo, io sono sana come un pesce! ». Ma non erano già da una decina d'anni arrivate le muffe di Fleming? E la scuola medica italiana non aveva ormai pronta la sua cura antisifìlitica classica: penicillina e bismuto? Il Nosferatu delle bolle si dileguò, e il balenante prodigio dell'Amore Libero cominciò tra sconfitte e tremori a distillare nei giovanili alambicchi i suoi ambigui farmaci.
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Ad un incrocio, un anziano signore, uno dei tanti (ma in quel tempo molto meno numerosi) che la terza gamba della Sfinge tiene su, in attesa di attraversare, udì una voce di dentro. Una donna, scattato il verde, passò a qualche metro da lui, assorto in non so che cosa, e l'uomo con tre gambe percepì, nitido, questo messaggio: «Guarda, sta passando l'amore! ». E vide la giovane donna (neppure in faccia la vide, ma soltanto, di lei, il movimento della testa) voltarsi verso di lui, il passo di chi esita a proseguire. All'uomo, per l'emozione, mancarono le rimanenti gambe. Invece di portarlo subito subito sul marciapiedi opposto, raggiungendo la sconosciuta, i piedi gli restarono piantati e fissi. La ragazza, dopo pochi passi, si voltò di nuovo verso di lui. All'uomo, che chiamerò Aris, fortunatamente venne l'idea naturalissima di far segno alla ragazza di fermarsi, quando per la terza volta, ormai quasi arrivata dalla parte dei numeri pari del grande viale alberato, si voltò verso di lui, preda dell'irresolutezza. Ma l'a20
more non è la forza delle forze? Anche quando ci tocca senza toccarci, anche quando ci guarda senza guardarci, e di lontano? « Si volterà ancora? ». Una quarta volta, pensava; sarebbe stata impossibile. Invece, da una distanza ormai di una sessantina di metri, la figura lontanante gli parve voltarsi ancora, e dentro di lui la voce stavolta era quella di lei, su un pentagramma di chi sembra implorare: «Dimmi "aspettami", non proseguirò... ». L'uomo, con fatica, alzò il braccio destro verso quello sguardo fuggitivo: la donna comprese, non proseguì. Le arrivò davanti con affanno, gli era ormai impedito di accelerare il passo, e di colpo, di fronte a lei, tutto il suo dannato sovraccarico di vergogna e di timidità andò via. Provò la gioia di essere simile a uno appena disincarnato, che sperimenta l'ebbrezza di dondolarsi su una giostrina invisibile, la sicura dolcezza di essersi liberato dal suo corpo disseccato e curvato di settantacinquenne tambureggiato dai mazzuoli della vita, la gemellarità indistruttibile di Amore e Morte, di Amore e Psiche. La voce interna all'incrocio non gli aveva mentito. Riuscì finalmente a parlare: «Eccomi. Mi chiamo Aris. Ho sentito che mi chiamavi, è così? ». Sentì gli occhi della sconosciuta scrutarlo, ma senza diffidenza. Ci fu un silenzio. «Avrai un nome anche tu, no?». «Ada... ma non Ada-lgisa. Ada soltanto... ». «Perché ti sei voltata? Ti pareva di avermi già visto? ». «Visto no, mai... Ma avevi un'aria di perso, di abbandonato, che mi ha incuriosita... Eri come uno che aspetta un'elemosina e non osa chiederla, un vero povero. Se però non mi facevi segno di fermarmi, dopo la quarta volta avrei proseguito... Con dispiacere, perché chiedevi aiuto». « Siamo in tanti. Anche senza bastone e con mol21
to meno peso di anni. È vero però che ho sentito subito il bisogno di fermarti, benedico di averlo fatto, Ada». « Non abito vicino, ma stavo andando a casa a piedi. Hai tempo per accompagnarmi?». Aris le prese la caldissima, umida mano, stringendola forte, con una sensazione di viso rialzato. Così cominciò questa storia, che si vedrà non essere stata ordinaria, vissuta da una coppia umana che non s'incontrò per caso.
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Attirava gente, al di sopra della via Gustavo Modena, passaggio del nuovo fìlobus 8 rosso e di numerosi camion che trasportavano merci alle botteghe della zona, un evento insolito. Tra due finestre sui lati opposti, all'altezza dell'ultimo piano, era teso un cavo come un esilissimo ponte, e un paio di vigili facevano deviare il traffico. La radunata guardava tutta in alto, dove un funambolo si accingeva ad attraversare sul filo, senza rete sottostante, la strada, larga una trentina di metri. Una donna, giovane ma un po' appassita, vestita da clown bianco, sull'angolo, a pochi passi da una delle due case unite dal filo (il vento lo faceva leggermente oscillare), raccoglieva le monete, certo sperando non mancassero i bei cinquecento lire d'argento, ringraziando, anche per molto meno, con un sorriso triste del faccino imbiancato. Sul pubblico gravava un silenzio di attesa stuzzicata. Da un altoparlante, una voce maschile dall'accento straniero raccomandava superfluamente la calma e legittimamente la generosità nelle offerte: « Siate 23
generosi! State per assistere ad una delle famose traversate della morte del celébre equilibristo Ralph Cunningham di Edimburgo! Un piccolo passo falso ed è per lui un volo mortale, sebbene una corda salvavita, scorrendo con lui, dovrebbe trattenerlo in prossimità del suolo. Senza neppure questo il signor Cunningham ha attraversato spazi giudicati impossibili, tra grattacieli, a New York, Chicago e Shanghai, riportandone, oltre la vita salva, gloria su giornali locali e radio internazionali... Consigliamo alle persone impressionabili e soferenti di non assistere alla traversata mortale del signor Cunningham, potrebbero rimanere sticchite... Attention, please! Il celébre equilibristo ha già messo i piedi sul cavo, lo potete vedere lassù immobile come una statua sublime, un vero Apòlo!! ». Seguì una irruzione di cornamuse da battaglia che elettrizzò il pubblico. Due o tre donne con bambini si allontanarono svoltando in fretta, i bambini tirati via a forza strillavano, col cono del gelato che colava. Oh le cornamuse scozzesi! Oh il formidabile impeto delle armate britanniche dietro al loro Tirteo in kilt! Impossibile, con quei fantasmi a precederlo (la Somme! E1 Alamein!), per il non apollineo funambolo, non arrivare vittoriosamente alla finestra opposta. Un largo sorriso del clown bianco: Aris le getta nella tuba addirittura due di quelle prelibate monete da cinquecento lire! Ora c'era nella strada un silenzio da sala operatoria. Si intravedeva dietro l'angolo il muso bianco di un'ambulanza, e due uomini in tuta crociata fumavano, guardando in su. Era arrivato anche un mezzo con la scala dei Vigili del Fuoco, mentre cessavano le cornamuse. Il funambolo cominciò la traversata. Seguirne l'evoluzione metteva i brividi: anche di piacere, perché certamente molti spettatori nascondevano una pic24
cola speranza di vederlo precipitare, per emozionarsi di più e poterlo, poi, raccontare. Arrivato a metà parve esitare. Era un trucco per guadagnare più plauso. Era fermo su un piede solo, l'altro nel vuoto, molti sguardi di spasimo si abbassarono. Un istante e la marcia riprese. «Cosa dici, cadrà?» Aris sussurrò, la mano sulla spalla di Ada. «No, » rispose lei tranquillamente « non l'ho visto cadere ». A lui pareva di udire, come provenisse da una delle due finestre, il ticchettìo dell'orologio della Morte, un rumore che gli segnalava i momenti e le situazioni di pericolo. A circa un metro dall'arrivo lo stregato Cunningham regalò al pubblico l'ultima emozione, simulando con imprendibile bravura uno smarrimento repentino, di quelli che ci manda il Dio delle Cadute per fare uscire di strada le auto o sprofondare in un mulinello il subacqueo. La gente, in basso, aveva in gola pronto l'urlo, eccolo, sta per uscire... No, è ricacciato!! L'omino è al sicuro nel vano della finestra e agita verso la folla le gambe da balletti russi, gli arriva da sotto un boato di approvazione. «Incredibile! » dice un operaio risalendo sulla bicicletta. «Incredibile...». Il filobus 8 rosso suona il clacson per far sgomberare al più presto. «Bisognerebbe proibirglielo! » grida alla fioraia di fronte un vecchio barbiere sulla porta della bottega. « Impressiona troppo la gente, è un miracolo se non è svenuto nessuno! ». Intanto il povero clown bianco insegue qua e là con la tuba, dove i cinquecento d'argento sono soltanto due, i non pochi che si stanno allontanando senza aver dato niente. «Bis! Bis! » si sgolano tre o quattro giovani imbecilli in Vespa. «Rifallo, poltrone! ». Un gelataio col carrettino snocciola i coni di crema-cioccolato-pistacchio come grani di rosario. 25
Aris e Ada, visto l'uomo al sicuro, si sono scordati di applaudire per abbracciarsi, come loro stessi scampati al pericolo. Dai fìnestroni della Società Legmétal rifluisce all'aperto uno stuolo di dattilografe, cicale della Olivetti. Ma perché Ada aveva detto «Non l'ho visto cadere » prima che il funambolo di Edimburgo incominciasse la traversata? Dopo qualche nuova nota di cornamuse, l'altoparlante annuncia che il signor Cunningham ripeterà l'esercizio nel pomeriggio.
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Qualcosa stava avvenendo, in loro e tra loro, dopo due o tre giorni da quel primo incontro di sconosciuti attratti l'uno verso l'altra. Il fatto centrale di un incontro d'amore è l'irruzione del Desiderio: questo, tra una ragazza di venticinque anni e un uomo di settantacinque, è un passeggero clandestino, nascosto dietro una pila di casse di imbarazzati pudori. Nessuno dei due pensava a reprimerlo, lasciava fare agli estri della vita, senza che nel rivedersi frequente i loro cammini verso una intimità crescente cessassero di incrociarsi. Di fortemente carnale e reciprocamente possessivo c'era il contatto delle mani, il loro spasmodico cercarsi e stringersi, mani che nel lasciarsi non si lasciavano mai, seguitando a stringersi nei letti solitari e nel vento notturno che faceva sbattere le imposte malchiuse. L'epoca, del resto, era in Italia tutt'altro che favorevole ai rapporti liberi, il marito poteva denunciare la moglie adultera e farla sorprendere mezza nuda dai poliziotti che la marcavano col verbale; il 27
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diritto di famiglia era quello giustinianeo-fascista, non suscettibile certo di attenuazioni da parte del potere democristiano; i ragazzi dei due sessi usavano tra loro il Lei prima di osare spingersi nel Tu, mare ignoto; il cuore aveva pulsazioni incontrollabili quando staccando al telefono toccava dire a una voce di madre: «Pronto, c'è Luciana? », e la voce domandava a sua volta: «Lei chi è, scusi? ». Tutte le madri erano costernate che si stesse andando verso la chiusura delle case di tolleranza: « La Merlin, quella troia! ». Ricordo una vedova poverissima, veneta, che confessava alle vicine di casa di consumare l'incesto, senza troppi rimorsi, col figlio diciottenne, che in caso contrario avrebbe aggredito le ragazzine inviolate dei piani sottostanti. (Le vicine, madri di femmine, approvavano). Aris e Ada erano mentalmente liberi da simili manette, ma il desiderio non li assillava. E in verità, dopotutto, questa non è una storia realistica: chi è Aris? chi è Ada? In quale città si trovano? Se non la nomino è per non esserne imprigionato, perché le città italiane caratterizzano troppo gli abitanti, e vie e monumenti non possono essere taciuti dal Narratore: «Arrivarono fino al Po...», «Mangiò farinata e comprò due libri in via Gramsci... ». La topografia urbana ti aiuta, ti rende tutto troppo facile, vedi subito dove l'autore ti porta... Finalmente, Aris si trovò fuori - così, all'improvviso - dal sonnambulismo in cui aveva parlato e agito, dalla visione della sconosciuta Passante all'incrocio, fino a quel momento. Guardava lei con occhi non più annebbiati. Dubitò di esserne innamorato, poiché cominciava ad esserlo davvero; vide il suo volto, e ne fu visto; entrambi ebbero la certezza che, al di là della menzogna e dell'illusione temporale, e della vita e della morte, il mistero della loro unione si sarebbe consumato nel loro corpo carnale, e che 28
dai paesaggi d'ombra era apparsa una luce, la lanterna dell'Eremita della carta numero nove che accennava di seguirlo. « Mi è venuta fame » disse Ada.
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Qualche sera dopo, in un piccolo locale della città vecchia, cenavano insieme. Non c'erano restrizioni per il fumare in pubblico e i poveri bocconi della voracità umana erano avvolti da una nebbiolina di accanimenti a cercare di far sprizzare felicità da quel po' di veleno sparso su tutto. Ada disse di vedere, là dentro, invece di una decina di facce che mangiavano fumando, mille bocche da cui non usciva che fumo, tutte pigiate in una sola gabbia. Aris pensò fosse il momento di domandarle perché, il giorno del loro incontro, avesse avuto la certezza che l'equilibrista non sarebbe precipitato. «E semplice, io spesso vedo quel che sta per accadere a persone che attirano la mia attenzione ». «Allora io, all'incrocio... ». « Sì, mi pareva strano tu non ti muovessi di là, io avevo visto che ti avrei incontrato sul marciapiede opposto. Infatti così è stato. E adesso siamo qui». Parlava con molta naturalezza. « Non ti pesa questo tuo vedere prima?». «Sì. A volte è terribile. Ero 30
giovanissima, non leggevo quasi niente... e avevo visto che cosa stava per succedere in una città indiana... non so dirne il nome... C'era un vecchio magro magro sorretto da due donne molto giovani e circondato da una folla di devoti, qualcuno sorgeva all'improvviso e gli sparava... ». «Gandhi! ». «Ho poi saputo che era un uomo famoso... Poche ore dopo gli strilloni gridavano "Edizione straordinaria! ! ! ", mia madre era spaventata vedendomi piangere per una cosa tanto lontana, io non la finivo più... ». « Pago quel che abbiamo ordinato e usciamo da questo inferno per fumatori. Sembra anche a me che siano migliaia, tutti stipati qua dentro. Meglio cenare d'aria, ma oltre l'angolo staremo un po' meglio! ». Nell'altra osteria oltre non c'era che una coppia, giovani entrambi, che mangiava in silenzio, occupata a guardarsi aprire la bocca. La padrona sorrise ai due nuovi entranti. Non davano che pizza, spaghetti, farinata, insalata. Niente odore di fumo. Tutto era diverso da poco prima. Sedettero lontano dalla coppia per maggiore riservatezza. Aris riprese il discorso. « Quattro anni fa è morto Stalin. Hai visto qualcosa? ». « Stava male e l'ho visto uccidere da una infermiera con una flebo avvelenata, pover'uomo... ». « Non era un pover'uomo ». «Aveva l'aria di un buon papà». «Era una delle grandi carogne del secolo! ». «Non lo dirai a nessuno che io vedo prima?». «Nessuno capirebbe». «Tu sì, l'ho sentito. Con te posso aprirmi». «Verrai a stare da me? La casa di tua madre non è per te...». «Verrò, se al mio posto viene una cugina di mia madre che lei preferisce a me di parecchio. E molto probabile che succeda». Parlavano a voce così bassa da parere la coppia 31
che mangiava senza parlarsi. La padrona credette di far bene accendendo il juke-box. La canzone era da un film western, Sfida att'O.K. Corrai. «Per favore,» gridò Aris « niente musica! ». In quel momento entrò un ubriaco, si fece servire al banco tre o quattro bicchieri di vino bianco. La padrona lo conosceva e fece ammutolire volentieri YO.K. Corrai C'era un'atmosfera da Edward Hopper in quel locale silenzioso. Ma entrò anche un ciarliero poliziotto che raccontò subito di aver portato in questura u n rapinatore preso mentre minacciava un benzinaio con un coltellino. «Verrò da te senza aspettare la cugina». «Il mio letto va bene per due ». Posarono il coltello che stava affettando la farinata: le loro mani si toccarono. Il silenzio nel locale era ormai rotto. Il brillo, dopo uno o due caffè, scatenò nuovamente il juke-box; Aris non reagì più. Stavolta la canzone era il trenino di Chattanooga «che fa ciù-ciù» ad alto volume. Il poliziotto aveva acceso una sigaretta. Entrarono altre quattro persone che comandarono una pizza Margherita e del vino. L'esistenza di Aris e di Ada stava per cambiare radicalmente. La padrona, contenta di avere altra gente, dopo la canzone girò la manopola della radio, che trasmetteva il notiziario delle ventuno. La voce impersonale diceva che nei cieli della California erano stati avvistati in due giorni quattordici piatti volanti (Flying Saucers) e che il Pentagono si sforzava di penetrarne il mistero. «Che cosa saranno? Amore, tu ci credi? » domandò Ada. «Sicuramente sono dei messaggeri... È dall'inizio del secolo che se ne vedono, ma se ne parla soltanto da pochi anni. Ho visto un certo numero di fotografie: sono reali e irreali. Lo psicologo svizzero Cari J u n g è convinto siano reali - però in senso meramente psicologico: ogni epoca ha i suoi piatti, il cielo è pie32
no di enigmi... Varrà la pena leggere, o rileggere, La guerra dei mondi di Wells; lo conosci? ». Parlando di Piatti Volanti ripulirono quelli davanti a loro. Uno dei quattro appena entrati, in attesa della pizza che qualcuno gli andava preparando in cucina, sghignazzava rivolto al poliziotto: « Dove mangeremo, se i piatti si mettono a volare? ». «Per me, sono americanate. Sono stato dieci anni in California, gli fai credere qualsiasi cosa. Qui nessuno li ha mai visti... ». « Caro, » sussurrò Ada « non posso venire da te già stanotte. Mi occorre un paio di giorni. Madre, un po' di cose... Mi basta poco e vengo... ». «Ma va', alieni! Quelle sono sonde senza pilota! » gridò l'ubriaco al quale nessuno aveva detto niente. Il giovane della coppia silenziosa si alzò di scatto, passandosi educatamente sulla bocca il tovagliolo di carta: «Negare l'irrealtà è da idioti! » disse calmo, ma a voce molto alta, risedendosi subito. L'ubriaco posò sul banco u n nuovo bicchierino: «Ehi ehi... qua non si offende nessuno, signore! ». Il giovane n o n rispose, stava inforchettando un pezzetto di crostata alquanto indurita. (In verità n o n era propriamente giovane, poteva aver passato i quaranta) . Le due ragazze si sorrisero, come se si fossero riconosciute. Infatti si conoscevano, e neppure quella dell'altra coppia era molto giovane: avrà avuto poco meno del compagno, vestita con eleganza. Venne verso il tavolo e lei e Ada si salutarono. «Oh, » disse Ada con u n certo imbarazzo «Elda, mi pare, o Elisa... ». « Sono Elisabetta. E tu Nanda, o sbaglio? Cinque anni fa, a Londra... E il tuo bambino che portavi a giocare a Hyde Park? ». Ada, in presenza di Aris, arrossì violentemente. «Non era mio quel bambino, lavoravo come bambinaia da un pastore anglicano. Mi facevo chiamare Nanda per evitare familiarità con persone sconosciute... Il mio nome vero è Ada...». 33
«Chissà» pensò Aris più disteso. «Forse neppure Ada è il suo vero nome ». Elisabetta sorrise anche a lui, interrogandola: « È il tuo papà questo signore?». «No,» rispose lei «è il mio compagno Aris! ». L'altra si scusò, non poteva fare di meglio, e balbettò un saluto. Aris provò per Ada un moto di passione indicibile. La voce interna, al semaforo, non aveva mentito. Anche il giovane maturo si avvicinò al loro tavolo: «Approvo in pieno quello che hai detto, un momento fa» gli disse Aris. «È da imbecilli negare l'irrealtà...». Contento di essere stato capito, il quasi maturo disse di chiamarsi Alessio, con un cognome francese, Bétancourt, un nome di banlieue; Elisabetta era sua moglie. «Sapete, lui è un esperto di Piatti Volanti. Ha perfino un archivio, dei cassetti pieni... ». Aris appariva molto interessato. Finirono per scambiarsi gli indirizzi. Uscirono insieme, mentre entrava una vecchia sola che la padrona conosceva: « La farinata è calda?». «Ne è rimasta giusto per te; è ancora calda! ». Aris e Ada, Elisabetta e Bétancourt proseguirono per un tratto, chiacchierando, poi la notte li prese e li disperse.
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Fu dopo meno di una settimana che condividevano tavola, letto, bagno, cassetti e libri, che il telefono squillò crudelmente a mezzanotte in punto. Erano ancora alzati, leggendo ciascuno un libro, e decisero di non rispondere. La notte seguente lo squillo si ripetè più volte, sempre tra la mezzanotte e l'una. Aris, sforzandosi di essere barbaramente temibile, rispose. Ma ai suoi ripetuti pronto, chi parla, e alla fine un esasperato CHI SEI? e un furioso «... soltanto un imbecille! », nessun suono venne dall'altra parte, neppure il respiro che a volte sfugge alle labbra sadiche silenziose. Buttò giù la cornetta con rabbia. Era, il suo, un massiccio apparecchio nero da tavolo, un modello che da molte case andava sparendo, per altri più agili che metteva in circolazione la Telefonica di Stato - dove sbattere per sfogo la cornetta era una specie di piacevole ritorsione. Si voltò verso Ada, che si teneva la faccia tra le mani, fissando quel coso nero sul tavolo come fosse un mostro di Hieronymus Bosch (e forse lo era). Nei 35
suoi occhi si leggeva l'agitarsi di un'anima atterrita. (Per la prima volta lui glieli vedeva così). «Anche qui mi hanno trovata! Maledetti, sono sèmpre LORO... sempre... ». (In lui si insinuò un pensiero tristo: sarà per sottrarsi a qualche persecutore che è venuta così facilmente a vivere con me? ma ne ebbe vergogna subito). Tra spaventi, sospetti e vergogne spigoliamo tutti le nostre povere brancicate gioie. Dopo circa mezz'ora ci furono ancora due squilli. Fortunatamente, il telefono aveva la spina, Aris aveva trascurato di staccarla subito. «Ricordamelo. Farò così ogni sera». «Servirà a poco. Mi hanno scoperta! ». «Ma chi... chi? un ex amante? un frustrato? un pazzo? Puoi dirmi tutto... un usuraio?». «Potessi saperlo... non hanno faccia... sono loro a conoscermi, non io loro! ». «Hai una tachicardia parossistica che arriva a centotrenta pulsazioni. Ti dò un calmante mio per il cuore, fa effetto quasi subito». La fa coricare, le si stende accanto. «E da tanto che qualcuno ti perseguita?». «Non ne parliamo più... domani... domani... Spegni la luce sul tavolo, fa' sparire l'apparecchio per favore... ». Un lungo silenzio, i battiti frenetici si vanno addolcendo, il polso torna normale, e poi la vis medicatrix della giovinezza... Ada si rialza, si appoggia a lui che sull'altro lato si sostiene col bastone. «Voglio affacciarmi, vedere la luna, vieni... ». «Ada, la notte è molto avanti, la luna è tramontata... ». Eccoli sul balconcino, si sostengono, immobili. E sono l'eterna coppia umana, un uomo-una donna, che guarda laggiù le luci lontane di un porto vagabondo, ogni gesto ne dice complicità contro la paura indefinita, la gioia diffìcile di sentire condivisa la disumanità della pena. Con una caratteristica non comune, perché gli amanti di questo racconto sono una ragazza di venticinque anni dalla bellezza che si 36
dispiega e si afferma a poco a poco e un uomo infermo, molto ingobbito, di settantacinque. Mezzo secolo esatto di differenza, una specie di obbrobrio per la nostra ragione. Ma lasciala pure gridare, la ragione: mai diventerà cuore. Chiudono la finestra. Suona l'ora: le due, le tre... Altri interrogativi porrà il domani.
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Due o tre notti passarono tranquille. Aris aveva voluto lasciare attaccato il telefono e a mezzanotte erano entrambi svegli e pronti a rispondere. «Se l'anonimo si deciderà a parlare, faremo controllare il telefono dai carabinieri e sapremo chi ti molesta...». «E inutile. Loro n o n h a n n o numero, e neppure chiamano da una cabina». « Come fai a esserne certa? ». «E così. Lo so». «Hai avuto altri segnali da... chi ti perseguita?». « Qualcuno, da dietro, in casa o fuori, mi afferra per le spalle e mi scuote tutta. Ma non si vede nessuno». «Da quando ci siamo incontrati non mi sono accorto di questo. Ti è capitato?». «No, saranno tre mesi che non mi succede. Solo il silenzio telefonico e a volte qualche parola incomprensibile... ». Era uscita dalla doccia, Aris la stava asciugando cavità per cavità, indugiando con 1 egge38
rezza. Non c'era intimità accompagnata da attenzione gentile per il suo corpo che a lei dispiacesse. « Hai visto quanti punti neri? Sono una lavagna di melanomi dormienti...». Mezzanotte passata da poco, il telefono li funestò in quella fugacità estatica. « Ci siamo, eccoli di nuovo! ». Ada tremava tutta. Dopo sette squilli Aris andò a rispondere. Lo sentì dire: «Ah, sei tu? No, eravamo ancora alzati. Dimmi che cosa... Interessante, sì sì m'incuriosisce, ma occorre rivedersi... Domani sera? Va bene, verremo, alle otto va bene? Grazie, ma scusami, non ho tempo adesso! ». « Chi era? ». «Bétancourt. Dice di avere una cosa urgente, strepitosa, da comunicarmi...». «Io n o n vengo,» disse lei di malumore «non voglio rivedere quella donna che mi ha chiamata Nanda. Andrò a cena da mia madre». «Non ti chiamerà mai più così. E poi, la faccenda è tutta spiegata, no? ». La faccia di Ada implorava che non ne parlassero più, col dubbio che non sarebbe stato possibile. «Se vuoi, dico a lui di venire solo! ». «Non si può far questo... Ma n o n ti lascio, verrò anch'io. Stacchiamo, o aspettiamo che loro chiamino? Sicuramente lo faranno, stanno per farlo...». Sul tavolo, sotto il paralume, il piccolo mostro tornò a squillare. Aris era pronto, rispose subito, forzando il tono. Di nuovo silenzio; ma dopo una trentina di secondi lo attraversò una voce che non pareva provenire dalla cornetta opposta. Era come un sottile gemito, due sillabe stentate, ripetute: «Nand...da... Nan...da». Una voce dal nulla, come da una cabina assurda in cima al Bianco, all'Eiger, al K2. «Non abita qui, è partita! » urlò Aris, Ada turandosi le orecchie era fuggita nel bagno. La voce ripeteva le due sillabe accentuando il gemito. Lui ne ebbe pietà, cambiò tono: « Per favore, dimmi che cosa vuoi da lei... ». Si udì un clic rea39
listico, da quel lago di buio, dove avrebbe potuto collocare - altrettanto triste di quella voce - il suo curvato Fiore di palude Odilon Redon. Ansiosissima Ada aprì la porta: «Hanno parlato?». Lui esitava: «Sì... una voce molto debole, quasi di sofferenza, ripeteva Nan...da... Nan...da... Prima di riattaccare mi pare abbia detto Nada, che in spagnolo vuol dire nulla... ». «No, Nada è un nome slavo, ce l'ho sui documenti. Me lo diede mio padre, credo in ricordo di una sua donna, ma tutti mi hanno sempre chiamata Ada. Mi sono inventata Nanda togliendo la A ad Ananda; lo so, è maschile, c'entra anche Buddha? e tanti in India hanno questo nome... un giochetto di parole...». Si sfogava in pianti, ma anche sorrideva, baciandogli il dorso delle mani, contenta di avergli regalato quel piccolo segreto del nome. «E se io ti chiamassi Nada?». «Per te voglio essere Ada, soltanto Ada! Nada è l'anagrafe, il passaporto... Ma per foro purtroppo son o Nanda, perché sanno tutto di me, tutto! ». Dal telefono si era levato quel fumacchio caliginoso, e lambiva le ombre sul soffitto, e pesava a entrambi sul cuore, e di là una voce soffocata da una oscura palude chiamava Nanda Nanda come u n S.O.S. aritmico, angosciato. «Se fossero dei morti, questi tuoi loro}». «I morti hanno altre vie... ». Si erano scordati di staccare la spina, gli squilli ricominciarono. Aris si precipitò, fermandoli ¿1 terzo. «Basta, domani faccio cambiare il numero! ». S'illudeva ancora di vivere un'avventura controllabile razionalmente.
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Bétancourt, taciturno a tavola, li accolse sulla porta dell'osteria loquacissimo e infervorato. La moglie, con sollievo di Ada, non era con lui. « Qualcosa di straordinario, di unico! Più certo di Roswell! Sediamoci e vi dico. Vedrete che i nostri giornali non diranno niente, ma sul "New York Times", guarda qui, è in prima pagina su tre colonne! ». La padrona venne per servirli, Bétancourt tagliò corto. «Cosa prendete? Spaghetti al pesto, omelet- . te, polenta, fettina? Siete miei ospiti! Ah, c'è la torta di bietole, le pere cotte? Va bene sì, senza fretta». Si trattava di questo: l'anno prima, il 4 di novembre, alle tre del mattino, l'esercito sovietico in lunghe file di blindati attaccava le fragili posizioni degli ungheresi insorti, cannoneggiando tutto e tutti. Il governo di Imre Nagy fu sorpreso, arrestato, subito deportato. A sera, il carrista che guidava un blindato, sforacchiato dai colpi degli insorti disperati esce dalla torretta e scopre che alla base, con le ali trasparenti intatte, c'è un gigantesco insetto «grosso come 41
tutte le nostre braccia unite » assicurava Bétancourt. Stava appiccicato verticalmente all'acciaio e apparentemente ha resistito alle fucilate. E per metà giallo, con un enorme addome blu Prussia, la testa è impressionante: nera, con quattro fessure d'occhi e altrettante antenne lunghe un metro o quasi. I soldati sono sbalorditi: lo credono ancora vivo ma lo vedono dopo un momento cadere riverso, e assumere un colore smeraldo. Un sottufficiale chiama il tenente che ordina di muoverlo con estrema delicatezza e di riporlo in una scatola, che si fa fatica a trovare. Il comando di divisione lo spedisce a Mosca, e il prodigioso essere finisce davanti allo stupore di entomologi, zoologi e anatomopatologi dell'Accademia sovietica delle Scienze. Un anno dopo, un laconico comunicato degli accademici, dopo autorizzazione del Politburò presieduto da Nikita Kruscev (una sua risatona è immaginabile, in quanto cautamente l'accademia fa intendere che il mai visto insetto potrebbe essere caduto là da un punto esterno alla biosfera terrestre), informa gli scienziati di tutto il mondo della « superba scoperta scientifica compiuta dal glorioso esercito dell'URSS» addirittura sotto il fuoco dei controrivoluzionari fascisti di Budapest, resi innocui lo stesso giorno 4 novembre 1956 grazie al pronto fraterno intervento ec. ec. Bétancourt, eccitatissimo, domandò ansioso: «Eh, cosa ne pensate? Siamo vicini a un contatto tra Intelligenze? ». «Sembrerebbe un segnale... Però, a Budapest, durante l'invasione russa? » disse Aris. Ada aveva ascoltato chiudendo spesso gli occhi. «Non ci sono dubbi» disse. «Quella creatura non appartiene al nostro mondo ». «Evviva! » gridò Bétancourt, felice di non aver urtato nel loro scetticismo. Qui furono, tutt'e tre, presi da una specie d'incantamento: rimasero muti e immobili, come Teresa de 42
Ahumada fu sorpresa dall' arrobamiento nella cucina del Carmelo e restò per ore accanto alla stufa con la padella del pesce che stava friggendo in mano. E con loro tutti i presenti, coi piatti fumanti sul tavolo, cinque o sei persone, sembravano in preda ad un sonno repentino. Dal soffitto erano fissi su di loro enormi - i quattro occhi dell'incomprensibile insetto scoperto sulla torretta del blindato russo... Ruppe l'incantesimo l'arrivo della moglie di Bétancourt, che dovette subito scusarsi con Ada per averle detto « ciao, Nanda»; la risposta erano stati due occhi inferociti. Seguì u n gelido abbraccio. « Stavamo per fare un brindisi, l'insetto n o n può essere venuto che dallo spazio, siediti» disse il marito premuroso. Elisabetta tirò fuori l'edizione vespertina del « Corriere », che usciva allora come « Corriere d'Informazione», con redazione propria: «Lanotizia da Mosca è arrivata oggi alle nostre agenzie, è su due colonne in quarta pagina, tieni». Diede il giornale ripiegato al marito gongolante: la notizia era accompagnata da un disegno che mostrava una specie di chimerico pollastro impigliato di traverso su un cannone di carro armato con la stella sovietica. Bétancourt volle leggere ad alta voce il pezzo sul «Corriere», commentandone ogni riga: «... è scritto da u n cretino... trasuda scetticismo... senti che bestia... è u n modo di dare una notizia di portata mondiale questo?». Tuttavia la descrizione dell'insetto X corrispondeva a quella da lui letta sul «New York Times». Di nuovo c'era che gli accademici di Mosca avevano subito provveduto ad appropriarsene dandogli un nome russo: Kulik. Pareva che tutto quel formidabile evento di storia del secolo, la tragedia di u n popolo che rompe le sue catene per vedersi dopo dieci giorni di sogno nuovamente clavellato a quel supplizio a vita, lamento corale da Persiani eschilei, fosse diretto a mostrare a noi lontani da 43
quelle scene di felicità e di dolore memorabili niente altro che vaghe ipotesi di dubbia scientificità astrofisica e di manifesta irrazionalità mistica attorno a un pollastro, come visto dal disegnatore ignaro, caduto su un blindato portatore, in quel momento, di u n messaggio di sciagura. L'anno sacro dell'Ungheria sarebbe diventato l'anno di Kulik, l'insetto gigantesco gettato apposta da entità aliene sulla collina di Buda? Il nome era pregnante: Leonid Kulik era stato il primo a guidare una spedizione, trent'anni prima, voluta da Mosca, nella desolazione siberiana di Tunguska, dove la vera causa dell'immane esplosione del 1908, che illuminò i cieli fino all'Atlantico del Nord, è rimasta finora congetturale. Kulik opinò per la caduta di u n meteorite - che avrebbe potuto incenerire Londra; altri poi pensarono a una prova di raggio mortale, dall'America, di Nikola Tesla; altri a un esperimento o avvertimento di entità aliene, crudele ma incruento... «Perché l'osteria si chiama "del Marrano"?» domandò Aris alla padrona. «Il Marrano era mio marito, faceva il cuoco sulle navi, lo chiamavano così, lui ne fece un'insegna, ma non sapeva spiegarselo... ». «Beh, marrano era in Spagna l'ebreo convertito senza convinzione ». « Giovanni non era ebreo! ». «Propriamente significa porco, sporcaccione, uno di cui n o n fidarsi! ». «Oh! Lui credeva fosse un complimento, o un albero del Sudamerica... Quando c'era Giovanni qui la cucina era infinitamente meglio... Venivano da fuori a mangiare dal "Marrano"». «Lascia così, caratterizza il locale». «Almeno erano buoni gli spaghetti? ». «Ci siamo scordati di mangiarli: ce li faresti riscaldare? ». 44
« Stavolta, il messaggio è stato più sottile che a Tunguska, » disse Bétancourt « ma non meno eloquente di Roswell! ». Una curiosità mordeva Elisabetta, molto più del meteorite siberiano: «Come fate a vivere insieme?» mormorò a Nada-Ada in disparte. «Quanti anni ha lui più di te? ». Ada fu pronta, disse ad alta voce: «Tre e mezzo». La petulante si scusò e tacque. Gli uomini parlavano dell'insurrezione ungherese: «Ricordi l'ultimo grido della radio di Budapest libera? "I banditi russi ci hanno traditi!". E quel terrificante S.O.S. tra gli spari... ». Neppure un intero anno era passato, da quei giorni, che Aris aveva seguito con una passione indicibile, definendoli la più bella delle rivoluzioni del secolo XX. «Non ne ho dimenticato niente. Avrei voluto che qualche giornale mi mandasse per un fotoreportage, ma nessuno volle che rischiassi una pallottola, con questa deambulazione sgangherata. Ma non sarebbe stato male, crepare a Budapest in mezzo a gente benedetta dalla sua virtuosa rivolta contro il male, contro la distruzione del pensiero. Ci dicevamo, tra amici: coi comunisti non parleremo mai più! ». «I comunisti italiani, se non sbaglio, » disse Bétancourt «si sono schierati coi sovietici, però parecchi intellettuali hanno lasciato il partito... ». « Speriamo non siano tentati dal rientrarci! Mi aveva costernato che un filologo che amavo, un grande latinista, Concetto Marchesi, avesse gridato alla Camera che i rivoltosi erano fascisti, che la repressione di Mosca era sacrosanta, un obbrobrio quel discorso, ma Togliatti, vigliaccamente, aveva voluto che un grande intellettuale italiano replicasse a quelli del Circolo Petòfi... una perfida simmetria non ti pare? Maledetti... ». «Di chi sarà stata la voce, l'ultima della radio di Budapest libera? ». 45
«Il suo nome si è saputo: Gyula Hày. Non si finisce di riflettere sull'importanza delle voci umane alla radio: una potenza simile non l'avevamo mai vista...». Aris avrebbe certamente voluto che quella voce lanciata in disperati S.O.S. al mondo fosse la sua. Ma nella passione per le tragiche giornate d'Ungheria giaceva un cruccio esistenziale suo proprio: l'angoscia e il rifiuto della fine passiva nella sommersione delle insignificanze, la vergogna di una muerte de cobarde in casa o tra i lamenti ammucchiati, le bianche smorfie degli afflussi notturni in uno stracolmo ospedale, la Morte a frustarlo con parole di fuoco: «All'ammasso, soffiolino da niente, ad aspettare che Dio riconosca i suoi, inutile implorare un medico, non è che carne, anche lui! ». Le parole Budapest ottobre 1956 avevano per lui questo retroterra di sogno e di vertigine, più forte anche del frangersi sugli scogli dell'anima profonda di quel suo estremo inaudito amore. «Uh! Che bel gatto! » disse Ada accarezzandolo. «Sembra l'abbiate evocato voi, coi vostri discorsi strani...». Era nero e aveva i suoi stessi occhi, la padrona disse non averlo visto mai, prima, e non pareva aver fame. « Sentite, » disse Elisabetta « se vi piace tanto occuparvi di guerra c'è in prima un capolavoro: Orizzonti di gloria. E guerra del Quattordici, il regista è un giovane americano... Kubrick... Stanley Kubrick... L'ultimo spettacolo è tra meno di mezz'ora... ». Di fronte alla guerra simulata si ritirò la vera appena rievocata. Ada però propose un altro film dell'anno: E grido di Antonioni, al cinema La Fronda, dove non si fuma, a due passi, con una Alida Valli travolgente. «Va bene per II grido ». Era la prima volta che Aris e Ada andavano al cinema insieme. 46
La Fronda era un vecchio cinema, decorato come un generale russo (Malinin, l'invasore dell'Ungheria alla testa di otto divisioni blindate, era un medagliere vivente); poteva contenere cinquecento persone ed era l'unico della città dove fosse proibito il fumo, che appestava tutte le altre sale - ma quella sera, per l'ultimo spettacolo, non c'era che una trentina di richiamati dal Grido. Con faccia ilare non usciva nessuno. Ma a loro quattro il film piacque molto. La strada, dove passavano gli ultimi tram, ne accolse i commenti a caldo. « Bello e straziante » disse Ada. «Io sono di là» era u n giovane spettatore che li stava sorpassando «e posso dire che l'ambiente, il paesaggio sono ben centrati, ma io non mi sarei buttato giù a quel modo... ». «A volte, sai,» gli rispose Aris «quando ogni via è sbarrata... ». « Sarà, ma mi sembra troppo ». E corse via. « Quel grido finale » disse Elisabetta « mi risuona ancora dentro, era terribile. Ma finire così spiaccicati...». Ada mescolava il grigio nerastro della strada, dove pendevano finestre tutte buie, al blu e giallo intensi di Kulik, il gigantesco insetto volato sul mondo dai giorni della meraviglia e dello scempio dell'Ungheria libera. Non presero l'ascensore. Accanto alla porta si udì squillare il telefono, lasciato attaccato. Fuori batteva l'una. «Sono loro!! Non rispondere! ». «Calmati, stacco subito... Nada! Cosa succede?». « Mi è venuta una forte emicrania. E cominciata quando lui, nel film, sta per buttarsi giù ». La sentì singhiozzare nel bagno. «Perdonami, ti ho chiamata Nada». Nella luce forte sopra il lavabo, bianca, ondata di 47
lacrime era la sua faccia. Le labbra ripetevano, come chiamando qualcuno rimasto fuori, sul pianerottolo deserto: «Dunia... Dunia... Dunia...». E la sua voce si faceva sempre più dolce e straziante. Intessuti di lacrime sono i nostri amori felici.
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C'è una speciale provvidenza nella caduta di un passero, ci ricorda, sulla sepoltura di Ofelia, Shakespeare. Quella sera Ada parve crollare sotto la pressione di uno stress immane. La parola era già entrata nell'uso, anche da noi, sia pure da poco, e fu subito ineludibile: Ada era stressata all'estremo, perché in poche ore la sua sensibilità di veggente, capace di vivere in un evento non appena ima cronaca, un discorso lo evocassero in sua presenza, era stata flagellata dal fragore notturno dei blindati alle porte di Budapest, dalla scoperta di un fantastico essere extraterrestre consegnato alle mani superstiziose dello Stato sovietico e, come svago finale, dall'odissea triste di un uomo e di u n a donna per i paesi della Bassa Padana fino al buttarsi giù di lui da una torre, o da un campanile, e la donna in basso, che urla, senza fine. E tornata a casa sorreggendo contro il suo fianco quel suo innamorato vecchio affaticato, che aveva svolazzato per mezzo mondo coi suoi rullini, subito un nuovo squillo del telefono l'atterriva. Ma chi sarà stata la 49
Dunia emersa dal suo torrente di lacrime, nell'impoverimento fisico dell'emicrania? «Mettimi a letto, caro, non ho bisogno di calmanti». Il suo corpo pareva irrigidito; eppure nei suoi occhi si agitava una tenerezza indicibile: qualcosa di non appartenente al Finito, da offrire come u n dono di bellezza unico, da doversi accogliere come u n tributo. Senza imbarazzo Aris prese a spogliarla, pazientemente, bottone dopo bottone, gancetti di reggiseno, reggicalze, mutandine chiare, l'accompagnò nel bagno, le infilò camicia da notte e pantofole, compiendo u n tremendo sforzo, a causa del suo impedimento grave di sgangherato, deliziato che piccoli ripetuti baci di lei, carne di bambola, tracciassero una Via Lattea sulle sue mani di amante sperduto nel tempo. Inoltrarsi nel mistero erotico di un corpo è rimescolare il fondale oceanico della vita, dove la morte abita. Perviene fin là, talvolta, la vecchiaia, almanacco dell'essere, malfermo piede pensante sul piano delle Fate. Nel declino della virilità, sbriciolamento delle poche verità acquisite, credute per ottundimento e arretramento impaurito, si squaderna tutto l'uomo, in una luce ambigua, in cui si legge con lenti ricevute dai maghi il più del nostro passato d'ombra. L'eccitazione prodotta dagli afrodisiaci, naturali o chimici, esclude dalla verità del corpo da conoscere: è questa la vergogna segreta di chi ne fa uso. Aris ne aveva orrore e preferiva, qualora l'occasione si presentasse per il magnetismo mesmerico del reciproco attrarsi, la semplice carezza affettiva al trambusto delle finzioni. Del resto, voce dei millenni, già Lucrezio assicurava che con l'intero corpo (corpore toto) in u n altro corpo è a tutti negato di penetrare, e Yasunari Kawabata lo riconferma, nel mito sinistro della Casa delle Belle Addormentate. 50
Depone Ada sul letto, dove tante carezze sono state scambiate nel lungo conficcarsi là degli anni, rimasto a lungo, fino al suo inatteso-atteso arrivo, deserto, e con leggerezza di devozione la ricopre, Aris, col lenzuolo. Finora hanno dormito insieme in variabili vicinanze e abbracci sororali, stavolta invece lo stress accumulato nella serata, il premere di troppe ombre e il rapido calare dell'emicrania accendono in Ada la violenza di una sconfinata tenerezza di amante. Lo scontrarsi di un simile eccesso con l'età molto avanti e le infermità esterne ed interne del compagno aggrovigliano l'oscura capricciosità di quel segmento d'ora vulneratrice. Ci sono copule di miracolo tra detenuti e visitatrici, tra feriti nelle membra e generose infermiere, tra colpiti dalla pioggia nera a Hiroshima e amanti incalvite dal 6 agosto che vivranno quanto una efimera, o coi capelli ricresciuti si prodigheranno per mesi e mesi per ridare un guizzo a una carne inflaccidita, a due testicoli spelacchiati: chi oserebbe sorridere di questo misero, sublime piacere a prezzo di dolore? Il bastone è rimasto a terra, l'uomo sa la sofferenza di coricarsi senza braccia di sostegno, risucchiato da un corpo ardente che lo desidera nonostante il declino e la sfinitudine. Il demone Lilìt agita, possiede, sommerge la nativa Nada dei pudori e delle tensioni visionarie. «Fa' così, sì, più forte... non mollarmi... sì... sì... sono la tua...». Il viso stanco, al chiarore tenue che filtrava da fuori, in un lembo di lenzuolo, appariva ancora più pallido, più bruno... E ogni oscenità che ne sgorgava odorava di bisbiglio, di scantinato d'anima, di fossilità scoperchiate dopo immemorabile letargo... Oscuri andavano entrambi, di cripta in cripta dell'eterna notte. Emesso l'ultimo lamento, tornata Ada, l'amata si raggomitola nella stupita complicità dell'amico di cui aveva accresciuto, rischiarandolo con la sua luce interna, la conoscenza del nulla. 51
Solita e del tutto, insieme, insolita, quella che formavano, coppia. Come se una grazia nuda di Delvaux si fosse fatta avvolgere dal mantellaccio a toppe e brandelli di uno storpio di Bruegel il Vecchio. Con la coperta fin quasi sugli occhi, un lungo sonno li statuificò fino ai suoni di mezzogiorno. Aris girò la manopola del Telefunken, sintonizzato sul giornale della radio. Stava parlando di Kulik! Gli accademici sovietici consentivano agli astrofisici d'Occidente di andare ad osservare da vicino l'insetto spaziale proveniente dai gloriosi carristi dell' aiuto fraterno, tuttora sottoposto ai loro esami. Ada sorrideva, mentre lo aiutava a vestirsi. Da lui traspariva un po' d'ansia. Gliela acutizzò l'ironia di lei: «Chi pratica scrupolosamente l'Ogino avrebbe evitato... stanotte...». La vecchiaia del compagno li poneva al riparo da ogni rischio di gravidanza, no? Ma lei non approvava: « Per me è facilissimo restare incinta... ». Così confessava di esserlo stato. A Londra, forse? La radio dava notizia e consigli di prudenza per manifestazioni che avrebbero avuto luogo nella giornata in quasi tutte le città italiane: comunisti e CGIL dovevano far sapere a tutti quanto la pace mondiale gli stesse a cuore e una grande marcia, con un mucchio di bandiere americane bruciate, dal Colosseo era arrivata a cento metri dall'ambasciata in via Veneto. Qui, la polizia era schierata, pronta, col tascapane di lacrimogeni e gli idranti, a difendere i dimostranti dalla stupidità. In tutte le altre città scioperavano i mezzi di trasporto pubblici e c'erano accese assemblee nelle Università, con un unico fine: evitare la terza guerra mondiale, che ci avrebbe riportati tra un mattino e una sera all'età della pietra e della clava, nella quale, benedetta, mai più avrebbero scioperato i tram. «Idioti! » brontolava Aris, bevendo un tè caldo. Soltanto ora si rende conto che lei sta mettendo senza 52
molto ordine indumenti, spazzolino, pettine, pannolini e un ritratto in cornice dorata di Rodolfo d'Absburgo, l'arciduca erede al trono morto suicida nel 1889, in una sua povera valigetta di fibra fuori moda, una parte minima del suo bagaglio, sistemato alla meglio in un armadio e nei cassetti di Aris. «Ti lascio per qualche giorno: ho bisogno di star sola e riflettere; ma non temere che ti abbandoni, mi porto via l'indispensabile, potrei essere di nuovo da te lunedì sera». Era determinata, non c'era da replicare, ma la smorfia di sofferenza di lui per quella notizia le fece pena, perché certamente lo amava. Tra l'indispensabile c ' era anche il ritratto di Rodolfo d'Absburgo? Lui fatica a comprendere quella decisione imprevista, ma pensa che dopotutto un distacco di qualche giorno può essere utile, perfino necessario, in u n rapporto d'amore. Un distacco breve vivifica, u n o lungo può indicare che la morte ha tagliato il filo tra i due. «Proprio oggi che c'è la polizia schierata e tira aria di scontri? E i tram e i filobus fermi, i treni... ». «Li eviterò. Non ho da andare lontano... E tardi, devo andare...». «Ti serve denaro?». «Dammi un diecimila... e grazie...». Dalla porta, chiamato l'ascensore, gli mandò un bacio.
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Un guantone da boxe gli affibbiò un gancio appena richiuse la porta e barcollò sotto il colpo: era la Solitudine che si annunciava, dopo neppure un mese di intenso farsi scudo, fortemente reciproco, contro il mal di vivere. Si convinceva che non poteva essere un addio: ha preso con sé poca roba, il più del suo bagaglio è qui, in perfetto ordine, e diecimila lire finiscono presto in città, resta calmo... Anche lui trovava che la pausa di riflessione era necessaria per entrambi; una foresta incantata non è abitabile sempre, nel suo folto stregato non mancano le radure. Di indumenti col suo profumo il grande armadio era per metà pieno, la valigetta di fibra con cui era partita, pur così piccola, era per metà vuota. Ma dove sarà andata - in un alberghetto in centro? A casa di un ex amante? Da sua madre, dove la sua camera era occupata dalla parente? Dalle suore dove ha passato, dice lei, cinque anni d'infanzia? La vedeva davanti al portone del convitto, premere il campanello. «Ada, Ada, se non torni mi uccido! ». La vedeva attraversare sonnambula la piazza dove muggiva una 54
folla inferocita posseduta da un'ossessione, e un razzo lacrimogeno le cadeva vicinissimo, la nube la investiva... «Basta! Sono stupide apprensioni di madre! Tornerà di sicuro, e sarà infinitamente più serena! ». Ma lo stordiva, lo faceva imprecare, vittima mite e reagente con poca indulgenza, il cozzo incessante della nostra imbavagliata ragione col subbuglio visionario delle assurdità, delle eccentricità umane. «Via di casa; lei assente è un imbuto sull'inferno... Al cinema, o Kubrick o Kurosawa! ». Gettò una moneta in aria, gli indica Isette samurai. «Bene, è qui vicino! ». Per la cena telefona ai Bétancourt, sono sempre liberi e disponibili. Bétancourt accetta, con loro c'è un amico appena tornato da Mosca, ha un numero di «Izvestia» dove Kulik si vede abbastanza chiaramente, il Cremlino soffia sul fuoco - mentre, nell'ombra, senza rumore, si prepara a far pendere da una forca, contro ogni immaginabile diritto, Pài Maléter e Imre Nagy. Di molti arrestati in quei giorni e portati in Russia non si saprà più nulla, ma Kulik contagia trabocchi di congetture che sviano. Il Marte immaginario che la voce di Orson Welles annunciò all'America la sera del 30 ottobre 1938 fece dimenticare il Marte germanico delle armi che i patti infami di Monaco avevano, giusto un mese prima, lasciato libero di terrorizzare l'Europa. Aris ricorda bene quei giorni, si trovava in Spagna, a vagabondare con la Rollei in u n a Barcellona dove affluivano in disordine gli sconfitti senza speranza dell'armata repubblicana dell'Ebro, ma né la radio di Madrid né quella di Burgos accennarono all'invasione marziana annunciata da Welles! Ladies and Gentlemen, Ihave a grave announcement to moke. Incredible as it may seem ... inescapable assumption that those strange beings ... are THE VANGUARD OF AN INVADING
ARMY FROM THE PLANET
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MARS...
Ma oggi l'America è sottilmente inquietata dai colori e dalle ali trasparenti smisurate di quest'altro, autentico stavolta, strange being, che allarma il controspionaggio come una trappola sovietica pronta a scattare e toglie, alle sue montagne di antenne, ogni certezza. Anche la famiglia Eisenhower, alla Casa Bianca, s'interessa alla Cosa... Nel buio della sala semivuota, sebbene distratto dalle fantastiche avventure dei samurai di Kurosawa, l'uomo col bastone, lasciato di colpo solo, dopo una notte d'amore al di là di ogni regola, sì strugge mancandogli la mano di lei, quella mano che dal giorno del loro primo incontro non ha mai cessato di riscaldare e inumidire la sua. Mediocre, perfino la padrona lo ammette, è la cucina del Marrano, ma in tutta la città non c'è un luogo più adatto, ormai, per parlare delle « cose che si vedono in cielo», come le ha definite Cari Jung: ci si capita come per caso e si resta presi da qualche tavolo da cui si parte per ignote destinazioni non assoggettate alla legge di gravità, all'evoluzione e alle altre disumane condizioni della materia vivente. Venuto a piedi, Aris compie l'ultimo sforzo per abbattersi subito su una sedia premurosamente evocata da Bétancourt per il suo riposo; la moglie è con lui, ma ancora le «Izvestia» n o n sono arrivate. «Ho appena visto Isette samurai: andateci, ne vale la pena! ». «E Ada?». «E via per qualche giorno. Ci sono stati scontri? ». Veniva fin là un vago odore di violenza sfogata; si udiva lontano qualche sirena di ambulanza. « Niente d'importante... ». Ben altro stava a cuore ad Alessio Bétancourt che quegli insulsi scontri tra fischietti opposti. Elisabetta aveva un'aria di rassegnata; Aris era desideroso di perdere la gravità per camminare fuori 56
del tutto dal pensiero di Ada, oppresso dalla sua misteriosa partenza. « Quando scrisse La guerra dei mondi» predicava l'Alessio « Herbert Wells era ben più lucido di Jung! Le due o tre pagine dell'Epilogo sono una stupenda anticipazione visionaria! ». «E così» riconobbe Aris, che quell'epilogo l'aveva letto più volte e non lo riteneva inferiore all'ultimo capitolo dell'oscuro libro biblico di Daniele. «Vieni, Marco, vieni! Lui è Marco Penis, con le ultime notizie dalla triste e torva Moscova! Hai con te le "Izvestia"? ». «Certo... ma ho fame, lasciatemi ordinare qualcosa...». In prima pagina, tra i grossi titoli, si vedeva in bianco e nero Kulik, l'insetto marziano, emanazione di chi sa quali Marti dell'indecifrato Universo. Un'altra immagine mostrava Kruscev che parlava ai Pionieri, i balilla sovietici, che lo applaudivano compunti. « Ma a Mosca che cosa si dice? ». « I giornali e la radio ne parlano, i capi hanno anche proposto l'ufficiale carrista per una decorazione, ma la gente di cosa volete che parli? Vedi fiumi di folla triste, dappertutto, non s'interessano a niente, potessero avere un piatto di spaghetti come questo... Soltanto quelli dell'Accademia sanno chi era Leonid Kulik e seguitano a fare ricerche su Tunguska... Alcuni scienziati, fisici, astrofisici, geologi sono convinti che l'ipotesi del meteorite del 1908 sia da abbandonare del tutto e che Tunguska e l'insetto marziano facciano parte dello stesso mistero cosmico. Pesanti segnali ufologici in tutt'e due i casi... Loro, invece, le mummie del Politburò, hanno fifa, qualsiasi novità li mette in fibrillazione...». Rideva, Marco Penis, mangiando con fame sovietica arretrata, scettico ma non del tutto, bell'uomo alto, grinta di tecnocrate, adatto alle missioni di Mattei. 57
«Beh, non sarà un insetto, per quanto grosso, grossissimo, a far crollare il regime sovietico! » concluse. «Per Tunguska, l'ipotesi ufologica era stata scartata. Ma chissà perché, in entrambi i casi, c'entra l'entità immateriale Russia? Oggi, Dostoevskij avrebbe forse da aggiungere più di un capitolo ai Demoni » disse Aris. Rotta, convulsa, perfida, la voce di Orson Welles dominava la sala e le luci si spensero all'improvviso. Aris vide emergere in un chiarore tenuissimo la figurina di Ada con la valigetta in mano. «Ah, sei tornata... Cominciavo a preoccuparmi! ». «Nanda! » gridò Elisabetta, che finora non aveva detto nulla. La sala riebbe la luce solita. Bétancourt, libro in mano, traduceva dal magnifico finale di Wells: « Può anche darsi che, nell'ampia orbita dell'universo, questa invasione da Marte non sia stata del tutto improvvida per gli uomini. Ci ha privati di quella serena fiducia nel futuro che è la più fertile sorgente di decadenza; ha portato alla scienza umana un enorme impulso e ha contribuito moltissimo al concetto di fratellanza del genere umano... ». «Ma quel povero untore di insetto » disse Marco Penis « ci porterà mai qualcosa? Darà sollievo alle disgrazie russe? ». Tutt'altro che consolatoria, la voce di Orson Welles seguitava sempre più incendiaria: ... Coon hunters have stumbled on a second cylinder similar to thefirstembedded in the great swamp twenty miles south ofMorrìstown. ArmyfieldpiecesareproceedingfromNewark... «Come esempio di cronaca diretta, non c'è male! » osservò Marco Penis. «L'insetto si è mescolato ad una ripugnante, disonesta azione di guerra per, in un certo senso, lavarla dal peccato, purgarla sacrificalmente... Annuncia una sorveglianza ex alto, un ci siamo, non certo altre guerre peggiori... Forse, è una risposta immediata al 58
disperato S.O.S. di Gyula Hày dalla radio di Budapest... Questo, nelle tue "Izvestie", non ce lo troveresti mai! » rispose Aris a Marco. Di nuovo le luci si spensero, la sala era dalle luci della strada semilluminata. « Riecco Nanda! » gridò Elisabetta. Aris la vide così trasparente che pareva di bianco d'uovo. Era senza la valigetta e dal seno estraeva una busta verde che porgeva ad Aris, sorridendo. Le luci si riaccesero e la conversazione proseguì su altri argomenti. La padrona annunciò che l'indomani in città ci sarebbe stata una manifestazione contraria. «Ma forse pioverà... ». A mezzanotte, rientrando, Aristide Boronovici vide il suo nome scritto su una busta verde nella cassetta postale. Sul retro c'era un altro nome: NADA. Non accendeva mai le luci elettriche subito; dalla finestra gli vennero incontro quelle del porto. Depose la busta verde sul letto. Pensava: «Mi dirà che mi lascia. Che passerà a prendere le cose che sono rimaste qui, svuotando i cassetti avrà una lacrima. Dirà che non può fare altrimenti, che mi scriverà tutto. Da quella carta, tagliandola, uscirà un piccolo serpente che mi finirà nel letto. Aspetterò che faccia giorno...». Accese la lampada sul comodino e lesse un po' qua e là della più volte riletta Guerra dei mondi. «E davvero un poema, un meraviglioso e profetico poema! ». Intanto, nella cucina, i cilindri marziani cadevano a decine. Ridotto alle dimensioni di una falena, il gigantesco insetto Kulik svolazzava avido di luce per la stanza silenziosa. A Budapest, gli spari erano cessati; i cancelli della gabbia si erano richiusi senza rumore. Aris dormì agitato e si svegliò di buonora. Aprì con calma la busta e lesse, finalmente. 59
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Aris mio caro, sono qua, al bar del Fantasma Galante, di fronte al nostro portone, spiando la tua uscita di casa, perché sono certa che uscirai (lo so per logica, non per visione), diretto probabilmente a un cinema e poi andrai a cena dal Marrano: troverai questa nella cassetta. Dove andrò a dormire lo saprai al mio rientro, ma posso assicurarti che non vado in casa di nessuno, né da mia madre, che sopporto male, né da un 'amica, e tanto meno da un altro uomo. Perdonami, ti vedrò camminare a fatica, impaurito da ogni scalino, e soffrirò di non accorrere per sostenerti... Questa tua pena durerà poco: non temere che io ti lasci! S'interruppe per respirare profondamente: il timore di essere abbandonato si allontanava. Sei un gentleman, non hai frugato tra le mie carte. Avresti visto che ti ho mentito, che io sono nata cinque anni prima, nel 1927, e che oggi ho esattamente trent'anni, li compirei il 2 agosto, le nostre date sono più vicine... Non ti sei accorto che la mia pelle non è da giovinetta, e che... l'esperienza della maternità mi ha segnata? Aris mio, ora ti costringo a inoltrarti nelle mie piaghe aperte...
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Quando saprai tutto, se non mi vorrai più con te, me ne andrò in qualche posto... Quando sono partita per Londra ero incinta, sola, e determinata ad abortire. Una donna che aveva lavorato con mia madre nell'avanspettacolo mi avrebbe ospitata e aiutata a farlo, assistita dal servizio sanitario gratuito. Da noi sarà possibile chissà quando. Dopo qualche giorno che ero là quella mia ospite viene ricoverata e muore in poco meno di una settimana, e io, messa fuori casa, ho trovato ospitalità come bambinaia presso la famiglia di un pastore anglicano. Gli dico che sono incinta, lui accetta la mia gravidanza a condizione però che porti avanti la cosa, con l'aiuto del Lord God e della sua generosa famiglia. Gente cosi buona, prima di te, non ne avevo incontrata... Fu in quel periodo che Elisabetta mi vedeva qualche volta nel parco, la mia pancia ancora era poco visibile... Ma io ero ossessionata da quella nascita incombente, nonostante la vicinanza affettuosa del pastore. Lui parlava russo, oltre che italiano e francese, e voleva, se fosse nata una femmina, che io la chiamassi Dunia... Qui sospendo perché mi fa male continuare. Scusami, gentile, caro mio medico dell'anima, poco fa ti ho visto uscire, con crudele fatica, ora prendo un autobus e vado a cercarmi un rifugio per la notte. Cenerò là vicino... Continuerò domani, mio innamorato maturo (ma un po' meno, adesso), la tua Ada verrà a baciarti sugli occhi, quando amai spento la veilleuse, tornando dall'incontro con gli amici, sarò leggera leggera ma mi sentirai. P.S.: Se non troverai nella cassetta un'altra lettera, ti dirò tutto a voce. Aspettami. Aris baciò la lettera, rassegnato, ma non del tutto, niente di più umano a qualsiasi età, che ne fosse assente la parola amore. Tira fuori un pendolino radiestesico dal cassetto del suo tavolo e lo interroga ripetutamente, tenendolo con la punta sopra il foglio di scrittura, sui sentimenti di Ada e sul suo segreto.
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Il pendolino captante non ha voglia di rispondergli; inutile sollecitarlo. Dopo giorni di silenzio in quelle ore diminuite, l'apparecchio chiama. Aris senza turbamento risponde, rimane in ascolto del silenzio senza respiro, riode la voce triste e lontana (ora gli sembra familiare) che ripete Du...nia... Du...nia..., fino a un definitivo silenzio. «Domani è lunedì, dovrebbe tornare... se la lasciano libera...». Ma chi poteva trattenerla? Per i suoi poteri di veggenza senza finzioni, Ada appariva più sciolta dalle catene del Tempo e nello stesso momento, per tanti suoi comportamenti inspiegabili, meno libera degli esseri ordinari. Ma dalla storia personale rievocata nella lettera non emergeva che una successione di eventi femminili banali, fino alla comparsa di Dunia, che restava per ora nel limbo congetturale. «Ada è meno libera di me, col mio bastone e il mio andare al rallentatore, io rifletto simbolicamente lei e lei me, e il nostro volo non raggiunge il libero cielo». 62
S'era messo a piovere e lui sperò Ada fosse al riparo nel luogo dove diceva che sarebbe andata. Con gli occhi molto affaticati, pensava. « Sarà andata in cerca di sua figlia? Dovrebbe avere cinque o sei anni... Ma no... sarà presso quel prete anglicano... ». Tanta era la sua voglia di pregare che Aris avrebbe pregato un UFO se avesse avuto la compiacenza, una notte, di rischiarare la sua stanza da una distanza di cento chilometri. «Perché ne avvistano tanti su Los Angeles, e qui nessuno? ». Cominciavano a diffondersi, anche da noi, i citofoni, e i marciapiedi a echeggiare di ansiosi: Chi è? Chi è? verso i Nessuno di passaggio. Ma Aris sapeva che quel suono volgare che solitamente lo faceva sussultare sarebbe venuto dal dito musicale di Ada. Eccola! Per prima si sporse dall'ascensore la valigetta, e il suo sorriso in cui vibravano ali d'ombra gli si depose sul collo. Per l'emozione, non seppe dirle nulla, e neppure lèi riuscì a parlare. Dopo sei giorni, tornata, riprese possesso delle stanze. Vide la lettera, aperta sul tavolo. «Ti dirò il resto, ma ti prego non subito... ». «Non te lo sto chiedendo... ». «E vero. Domani forse! ». «Nada...». « Sì, tesoro... ». Gli mise in mano la propria, appena detersa con un sapone allo zolfo, che ha odore di corpo vivo: «Lasciami dormire di là. Non riuscirei a restare tranquilla, e per te questa non è l'ora... ». Ma quando fu nell'altra stanza, dalla porta semiaperta uscirono singhiozzi strazianti, e parevano mescolati ad altre voci, di sabba stridulo, di baccanti inghiottite dai flauti frigi. Si avvicinò con una torcia elettrica quasi esaurita, e la vide che dormiva, una mano sul pettine, il dito medio che pareva muoversi circolarmente, come se qualcuno l'accarezzasse in sogno. Era una grazia vederla così, il viso disteso, le labbra mute. Si ritirò 63
cautamente, appoggiando con delicatezza, sul pavimento, il puntone, senza fare il minimo rumore. Le labbra mute sembravano suggerire un nome: «Dunia... Dunia...». In quel nominare senza suono galleggiava con le ali aperte u n gabbiano abbattuto. Certi esseri sembrano venire al mondo perché la loro fragilità susciti gli opposti abissi della tenerezza che ripara e della violenza, anche di cose, anche di enti immaginari, che distrugge. Ad Aris si manifestò, con la forza accecatrice di un UFO ravvicinato, l'emistichio del salmo 42: Tehòm el-tehòm qoré, un abisso dà voce a un altro abisso. Bisognava che al più presto gli parlasse di Dunia affinché lui, il vecchio storpio da feria goyesca di San Isidro, potesse consapevolmente assumersi il compito di proteggere, dai graffi di Nada, il volto di Ada. «Andiamo nel bar di fronte, sarà come, stando nello stesso posto, ti scrivessi una seconda lettera». La vecchiaia è una interminabile lezione di pazienza: Ada impiegherà, per pettinarsi, più di quaranta minuti. Aris ebbe il tempo di leggere mezzo capitolo di Conrad. Pensava: «Poco dopo usciti di casa, avrà da farmi una confessione su qualcosa che la lacera, la ossessiona, e sarà per lei un momento doloroso... eppure, come donna, se ne sta mezz'ora allo specchio, si è provata due gonne, si è lavata i capelli... Condividiamo lo spazio, non il tempo...». Un suo «Eccomi, caro » lo tolse dal Tifone dei Mari del Sud e dalla plancia del capitano MacWhyrr, e ora siedono entrambi, coi piedi intrecciati, allo stesso tavolo da cui NadaAda gli ha scritto una settimana prima. « Bisogna proprio che ti dica tutto, ma mi sarebbe più facile vomitare su questo pavimento, farmi operare senza anestesia... Mi faccio orrore se ci penso: io... Dunia l'ho uccisa». Ada gli singhiozzava nel cavo della mano aperta, bagnata sul dorso di caffè rovesciato, né Aris pensa64
va a ritrarla per asciugarsi: la mano è data per ogni cosa, per uccidere Dunia e per raccogliere le lacrime di una madre assassina. Tacevano, sopraffatti dalle forze cieche della vita, nell'impotenza tragica di vincerne la luttuosità, l'inespressività di morte. Sollevò gli occhi: «Mi fermo qui se vuoi...». Il cameriere venne per ripulire il tavolo, Aris ordinò altri due caffè. «Continua, sono qui per aiutarti a dirmi tutto ». Ora Ada è qualcosa di più ai suoi occhi, nel vortice che la fa girare e girare per ributtarla tra quei due piedi che ne stringono le caviglie tenere, in una ultimiti di significato. « Il resto della gravidanza fu di crescente riluttanza. L'ho sopportata soltanto grazie alle premure della buona famiglia che me l'aveva imposta. Io e quell'essere sconosciuto eravamo d'accordo su un punto soltanto: né lui voleva nascere, né io volevo che nascesse. Piangevo e pregavo, impregnata di Bibbia di re Giacomo, "per tutti quelli che cadono", che per me erano tutti quelli che nascono, e di cui Londra, coi suoi milioni di pigiati, era il drago espulsore. Mi stavo trasformando in mostro, mi aspettava un dopoparto di depressione disumanizzante. Dicono che sono faccende di ormoni, di carenze minerali, di psiche spaventata dalla responsabilità, dall'assenza di un padre... Sarà vero, ma io sentivo dentro di me una pietà malsana che mi faceva intravedere, acuendo i miei poteri, la sequela triste di guai in cui Dunia, per mia colpa, si sarebbe imbattuta... Neppure la gentilezza di una tigre per i suoi nati provavo. Vedevo tutto da accecata, da stravolta... Inutilmente ho cercato di allattare, il contatto con le sue labbra mi provocava dolore, il medico di casa mi sconsigliò di insistere, mi fecero delle punture... Quanti mesi avrò passato così? Non saprei dirlo, forse due, forse tre o quattro... Di Dunia si occupava molto più la moglie del pastore che la sua impietrita madre, malata di 65
compassione omicida, morta a tutto, chiusa nel buio di una galleria di metropolitana turata. Finché arrivò quel giorno... ». « Se vuoi fermarti, fermati. Il resto posso pensarlo ». «Ti prego, ascoltami. Per non restare sempre ferocemente intrappolata dentro questa mia seconda o terza vista, avevo frequentato un corso, qui, di medicina legale per infermiere... Così i piedi li avrei piantati addirittura sottoterra, c'era poca teoria, ci portavano all'obitorio due volte per settimana. Sotto gli occhi ci passavano gli infanticidi scoperti in città, dico quelli scoperti, o fortemente sospettati, perché i più spariscono, tutte hanno dei complici. Ho in testa ancora l'elenco delle "docimasìe del feto", sai di che si tratta? Ho visto più d'una autopsia di neonati soffocati, anche non subito, dalle madri... Toccavi il fondo di quel che è carne, aggregato umano, e io sentivo le voci, le loro implorazioni nell'invisibile, ce n'era uno che con la gola aperta dall'anatomista mi chiamava da dentro ripetendomi il suo nome, Federico... Federico... Ma a lei, a Dunia, questo terrore ultraterreno supplementare è stato risparmiato... Il pastore e la moglie chiamarono un medico loro amico, che stabilì una morte naturale, e Dunia ebbe le loro preghiere, mentre io stavo là, istupidita, scarnificata dalle unghie e dai digiuni, e volevo essere chiamata Nanda, perché Nanda era innocente di quel mio sangue sparso. Poi, sai, è terribile, ma dimentichiamo... dimentichiamo... ». Aris si rivedeva dieci anni prima, camminava con Roberto Rossellini e il suo operatore per le radure e i sentieri di macerie di Berlino, dove già si stavano facendo documentari, e Rossellini avrebbe girato Germania anno zero. «I Russi ci lasciarono passare oltre la porta di Brandeburgo, ma dappertutto il panorama era rovine su rovine, pezzi di case che ogni tanto crollavano come stelle al collasso, e le Trümmerfrauen, le donne-macerie, che scavavano e riempivano carretti a mano, scavavano e raccoglievano, e ogni tanto ci sa66
lutavano, sfinite, perfino sorridendoci. E vicino alla porta che separava le zone alleate dalla temuta Russische Zone ci comparve davanti un meraviglioso vecchio, aristocraticamente candido, stracciato nel cappotto brinato, u n colbacco in testa, che girava la manovella di un organo di Barberia... « Il logoro cartone perforato irradiava sulle macerie la divina cantilena delle Feuilles mortesi Roberto, io e l'operatore ci fermammo, stregati, riempiendo di monete il piattino dell'organista. Ma intorno non c'erano botteghe, altro non c'era che il mistero umano della Distruzione, in u n odore di ceneri imprigionate dal gelo. Una delle donne col carrettino vendeva però una grembiulata di mele e di patate, qua e là si accendevano fuochi di ramettini presi nei giardini, tra le statue rovesciate e i tronchi semiarsi... ». Nell'angolo in penombra, una parallela devastazione in quel momento gli stava accanto, un altro spento Anno Zero della vita, in un odore di anima trafitta, mordicchiandogli un dito. « Cosa dici? Avrà sofferto, Dunia, vedendo così in pena per lei sua madre? ». I versi, quando sono davvero versi, hanno un contenuto magico primitivo in grado di rompere un'atmosfera di maleficio. Aris guardandola negli occhi recitò in greco u n verso di Giorgio Seferis e la vide scollarsi stupita dall'idea fissa, in attesa che le traducesse quei suoni stranieri: Dove c'è umanità c'è dolore. Ma non è il fine dell'uomo Essere solo dolore. «Mi hai fatto pensare a Berlino, dieci anni fa, una distesa di pura rovina e di fantasmi. E u n vecchio in quel deserto girava la manovella di u n organo di Barberia; diffìcilmente non l'avresti creduto un angelo... Nel suo film Rossellini racconta una storia tremenda, non so se cronaca di quei giorni: un ra67
gazzino che vaga in cerca di cibo da portare a suo padre è vinto da quell'eccesso di miseria e uccide il padre malato, poi se stesso... ». « Sei tu, il mio vecchio tra le rovine ». Lo guardava anche lei negli occhi, adesso. Non si sentiva assolta (stava mettendo a una prova durissima quella lanterna di soccorso che ancora avrebbe fatto lume al letto dove dormiva, al tavolo dove mangiava): ma Aris in quel momento non era disposto ad aprire le braccia alla ragazza di Londra con i polsi in un secchio di sangue da lei versato. «Come andò col pastore?». «Si prese lui l'incarico della sepoltura... andò a deporre la piccola bara nel cimitero di Chiswick... A me fu negato. Poi mi disse che non potevo più restare con loro, e lui e i suoi si sarebbero presto trasferiti in una parrocchia della Scozia o dell'Ulster. Giustamente abbandonavano la loro buona, dolce casa insozzata dal mio crimine, e Thomas mi accompagnò ad u n ostello dell'Esercito della Salvezza in Commercial Road, nell'East, dove mi salutò tristemente, per sempre. E mai dimenticherò quell'uomo buono... Restai in quell'ostello dove i morti li chiamano "i promossi alla Gloria", andando qua e là con loro, in uniforme nera con le mostrine viola anch'io, e col batacchio davo dei grandi colpi di grancassa, dove ci fermavamo a cantare in coro ». « Quel tuo pastore non era soltanto buono: era uno zaddìq, un giusto, in cui rigore e bontà coesistono ». «Vorrei ritrovarlo, un giorno... Ma se tu sei uno zaddìq mi farai rientrare in casa tua soltanto per portar via ogni ricordo di me... ». Viene sera. I piedi di Aris sono sempre indicibilmente stretti alle caviglie di lei. «Al tempo di Moli Flanders u n giudice inglese ti avrebbe fatta impiccare a Tyburn, o spedita in una stiva puzzolente nelle colonie, a rifarti più Nanda che Ada. Ma per una donna di trent'anni che accet68
ta di vivere con un amico-amante vecchio e pieno di guai fisici, non facile, è come imbarcarsi per le colonie americane più di duecento anni fa. Anche prima tu mi dicessi tutto questo, pensavo a un simile imbarco. È vero che il nostro è stato un incontro predestinato». C'era gente ai tavoli vicini, lei mise ugualmente la testa scura, inutilmente pettinata prima di uscire, tra il gomito e l'ascella di lui, occultando in quello scoglio per naufraghi una inaudita potenza d'occhi, da clandestinità sulla terra che nel naufragio anela a fuggirne; Aris guardava altrove. «Nelle colonie, nelle colonie... e mai più tornare... Ma chi era questa Moli... Moli Flanders? ».
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«Ah, Moli Flanders (pensava o le stava parlando a bassa voce, o tutt'e due le cose insieme, dietro la stella cadente dell'evocazione), Moli Flanders... u n o degli assoluti della letteratura... ». E inventò lì per lì un motivo per la canzoncina della detenuta condannata a morte quando Moli è portata nell'inferno di Newgate: I f l swing by the String, I shall hear the Bell ring. « Quando qualcuno oscillava con la corda al collo, la campana della parrocchia del Santo Sepolcro, là vicino, dava i rintocchi dell'Execution Day. Moli era una grande peccatrice: nelle colonie, mi pare in Virginia, si redimerà... ». «Voglio leggere quella storia! ». Sollevò la testa e Aris rivide la tremenda intensità del suo sguardo, dove Eros e Thanatos si univano per attirare, e per respingere inorriditi, il mondo. «Ma tu, che hai toccato e baciato questo mio cor70
po, credi che davvero io possa aver fatto... quella cosa? ». Lui non rispose. Sapeva bene che non siamo noi a reggere i fili e che per questo l'esistenza è tragica. « Mi vuoi ancora con te? ». Un sì esitante l'avrebbe gettata come una bambolina rotta in una perdizione d'acque dalla profondità irreale, acque da oceani al centro della terra. Era ancora sgomento, ma non esitò: «Vieni. Andiamo a casa». Povero vecchio malandato, buttato a perdersi nei meandri di una rotta bambola insanguinata. Fino alla morte non avrebbe più avuto riposo. « E quei silenzi al telefono? Quella voce che chiama...». «Vedrai, loro cesseranno di perseguitarti: hanno lasciato presa dopo che mi hai detto tutto. Forse, addirittura, ti aiuteranno ». « Mentre ero via non hanno chiamato? Basta confessarsi criminale per farli smettere? ». « Chi vuoi chiamasse Dunia, da chissà che luogo, se non era la tua voce interna? Adesso una parte del tuo carico l'ho assunto io. Possiamo consultare Temistia, una medium che conosco... Lei fa l'ipnosi regressiva... ». «Non ora, no! solo se ricominciassero... Ma, se è un modo per punirmi, perché vorresti liberarmene? Avrei dovuto uccidermi! Stai faticando molto, lo vedo». La nave era uscita dalla tempesta, come nel racconto di Conrad: Ada appariva lucida, quasi serena. Il braccio che dava a lui teneva dritta anche lei, che aveva una schiena da modella. «Andiamo dal Marrano? H o avanzato tre o quattromila lire, offro io! ». « Sì, avevo avvertito i Bétancourt. Ma se lei ti chiama Nanda, tu stavolta rispondi. Non deve più essere un tabù. Tu sei anche Nanda! ». «Mi sforzerò». Un po' prima del locale stava camminando a zig71
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zag l'ubriaco della prima sera. Due ragazzini lo seguivano, ripetendo le sue parole gridate ai balconi chiusi: «Avete ammazzato Mussolini! ». I ragazzini lo rieccheggiavano, forzando il diapason. Lo chiamavano Saragat, p o n e n d o però l'accento sull'ultima: « Saragàt! Abbiamo mazzato Musolini! ». Saragàt ripeteva furibondo: «AVETE AMMAZZATO MUSSO-LI-NIl! ». Finalmente si placa, abbassa il tono, la voce si fa paterna: «Avete fatto BENE! ». «Se entra anche lui nel locale, spero che la padrona lo cacci, meglio Nicolò Carosio! ». (Era un celebre radiocronista sportivo). «Ma» disse Ada «lui è un pezzo della Città degli Stracci, come quel muro là, sporco, scrostato, pisciato, con l'Idrolitina tutta strappata e la scritta Annalisa troia, e là tu ti fermi come stregato... ». Saragàt e i suoi chierichetti, invece, proseguono, urlando sempre. «E vero, Nada mia, quel Saragàt è la Città degli Stracci sonorizzata... i muri sporchi sono nastri da registrazione... ». «Hanno un Geloso nella pancia! ». C'era u n a vetrinetta di materiale elettrico, che mostrava la novità del giorno: il registratore casalingo Geloso. Aris ne possedeva uno. « E tu, sei geloso? ». (Per non rischiare di offenderlo non aggiunse: «lo eri?»). «Eccoli, sono già al tavolo, con gli spazi per noi ». I Bétancourt gli vennero incontro, accoglienti come in casa propria. (C'era anche Marco Penis, e Aris pensò: e se a Nada piacesse? lui è un adeta e io sono la casa Usher di Poe, un muro degli stracci, una città morta). Elisabetta abbracciò Ada chiamandola Nanda; Ada n o n ne fu scossa. L'aveva chiamata così deliberatamente, non per gaffe reiterata, né per ferirla, certamente. Aris pensò che il viaggio della condannata «verso le colonie» sarebbe stato lungo e molto duro, ma che Ada-Nanda Flanders lo accettava e l'avrebbe sopportato, qualunque cosa fosse accaduta. 72
«Avete l'aria un po' stravolta» notò subito l'ufologo. «Pago io il conto stasera» disse Ada. « Siete stravolti per via della notizia? ». « No, » disse Aris « ma a ciascuno il suo mal di vivere... Quale notizia?». «Un altro insetto, identico, è stato trovato a Grover's Mill, New Jersey». Passò un vento sopra di loro, in ciascuno una sensazione di sgomento in cui entravano anche una dispersa speranza, un indefinibile sollievo. Era l'inizio, finalmente, di qualcosa, che confermava l'episodio ungherese e apriva il nostro mondo affogato nella noia ad un'avventura senza data finale, fosse pure meravigliosamente inutile. «Tutte le radio del mondo ne stanno parlando. Il primo annuncio è di due ore fa» disse Marco Penis, né turbato né scettico. Nella via stava ripassando l'ubriaco, tenendosi ai muri, ai portoni, la voce arrivava indubitabile: «AVETE AMMAZZATO MUSSOLINI! »; ma era l'insetto gigante a far notizia. « Se osa entrare qui, » disse la padrona « lo caccio via con la scopa. Adesso Formosa ha aggiunto al menù il couscous alla tunisina, se vi può andare! ». E accostò la scopa alla porta per spaurire Saragàt, che intanto al termine del refrain era ruzzolato nel mucchio di carta, periferia della Città degli Stracci, mentre vomitava. «Poveraccio, è cascato... Ma chi ci va a tirarlo su dalla sua sporcizia? ». «Io» disse Ada. Si alza ed esce, scusandosi. «Avrai da lavarti per un'ora! » le grida dietro Elisabetta. Penis e Bétancourt sono stupiti, Aris no. Lei rientra preoccupata: «L'ho tolto dagli stracci che ha imbrattato, ma non potevo rialzarlo, si è messo a Tonfare. Io farei venire un'ambulanza, gli troveranno un dormitorio. Vado a lavarmi le mani! ». Non si era fatta la più piccola macchia, la Città degli Stracci si era rifiutata di toccarla. 73
La padrona tolse la scopa dalla porta: «Bene. Qua dentro non entrerà più». A malincuore chiamò la Misericordia, che voleva sapere se c'era sangue. «Soltanto vomito » rispose a voce alta, quasi ilare, la padrona: così anche lei stava toccando col gomito, senza saperlo, la Lumpenstadt. Formosa si affacciò dalla cucina, annunciando che il couscous era pronto. La radio, nella cucina, parlava del Kulik di Grover's Mill. «La Misericordia ha risposto che per un ubriaco non si scomodano. Mi hanno detto di lasciarlo lì, non fa freddo, può passare la notte... ». Formosa domanda se vogliono anche una milanese impanata, fredda o scaldata, e un'insalata di pomodori. Aris e Ada non mangiano carne, si limitano ai pomodori. Marco si alza e va ad ascoltare cosa dice la radio. Torna subito, molto meno impassibile di poco prima: «Ne hanno trovato un altro, ma non ho capito dove! ». «A Stonehenge» disse Ada. «Brillava, sotto la luna». Tacquero tutti. Un vento di stupefazione flagellava il piccolo gruppo a tavola. Ada si alzò per vedere che cosa ne fosse dell'uomo che il volere di Dio le aveva imposto di rimuovere dal suo vomito, senza poterlo rialzare: un birillo caduto d'uomo... E lo vide allontanarsi alla sgangherata, senza più i ragazzini ai calcagni, con la puntina del disco su Mussolini ammazzato ferma sul solco. Agli spazzini, tra qualche ora, sarebbe toccato di ripulire dal vomito il misterioso caos della Città degli Stracci, lasciandola com'era; quel suo cittadino ubriaco ne portava in altri luoghi di case un inintelleggibile proclama. Ada pensò che là dove il suo Saragàt era caduto avrebbe potuto materializzarsi, incurante di ogni sporcizia umana, un Kulik. Tornando al tavolo toccò leggermente nella spalla curvata Aris: « Caro, non dici niente? ». 74
« Che cosa posso dire? Mi sono trovato tante volte su una torre con l'incarico di fare il Guardiano della Notte e di dire quel che vedessi... Ma io, al contrario di te, non vedo le presenze invisibili... ». « Questo di Stonehenge » disse Ada lentamente, la forchetta in aria « è più grosso degli altri due, di Budapest e di Grover's Mill: occupa quasi tutto lo spazio tra due pietre di Stonehenge! ». Nessuno pareva stupirsi che Ada parlasse a quel modo, da sciamana, da indovina... Intanto la Guardia Nazionale era a Grover's Mill, New Jersey, dove era tornata, sia pure dissimulata, dopo quasi vent'anni, l'angoscia del 1938, e il Consiglio dei ministri italiano era convocato per il giorno dopo per ascoltare le frasi rassicuranti del suo ministro degli Esteri, che in quel momento, in u n appartamento del quartiere Coppedè, a Roma, stava rassicurando la moglie, senza riuscirci per niente. « Quei fessi, a Roma, » disse Bétancourt con grave assenso di tutti «ne sanno molto meno di noi, anche se hanno la telescrivente in cucina. Perché noi, a questi fenomeni, ci crediamo». «E non siamo obbligati a rassicurare nessuno, » disse Marco Penis « ma il significato della cosa ci sfugge ». « Babilonia è caduta, i suoi Dei sono in frantumi, » disse Aris come recitando a memoria «ma significa qualcosa che le Babilonie cadano? ». Ada gli aveva appoggiato la testa sulla spalla e pareva, dopo quella tremenda giornata di confessioni e di scoprimenti visionari, piombata in un sonno senza tempo. Aris fece chiamare u n taxi. Il gruppo promise di ritrovarsi due giorni dopo.
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Aveva fatto il fotoreporter di guerra per quasi quarant'anni, Aris, inseguendo l'immagine ideale, che rappresentasse l'epoca, il secolo, l'emblema della Sciagura. Il suo amico Robert Capa aveva creato - se si può dirlo di una istantanea - il Miliziano morente, nel 1936, in Spagna, di cui scriverà mirabilmente Jean Lacouture: «Ancora per molto tempo, quando non si saprà più che cosa sia stata quella guerra e che cosa significò per l'avvenire del mondo, gli uomini fisseranno, affascinati, quell'immagine prodigiosa». Ma ne vennero altre, vere folgori della testimonianza e di un mestiere rigoroso e rischioso (di cui già Capa anticipava il declino, e Don McCullin, molti anni dopo, diagnosticò la fine), e l'Autore di questo romanzo ha potuto vederle, come grandi orizzonti aperti sulla conoscenza del destino e della sofferenza umana - ma Aris aveva dovuto riappendere l'arma, le Kodak, le Rolleicord, le Leica, al chiodo dei ricordi, perché nel 1957 era vecchio, e a muoversi, in un mestiere che richiede 76
occhio e un corpo scattante, faticava, con mal rassegnato strazio. La sua memoria fotografica risaliva al 1917: percorreva l'Europa in guerra su treni infetti e terribili, dal Baltico al Mar Nero, dal Carso alle Ardenne, riportandone immagini a migliaia che vendeva a più di un giornale, ma per lo più al «Corriere» di Albertini, che era anche il pagatore più generoso; quasi mai, però, appariva il suo nome. Aveva visto Clemenceau visitare le trincee a Verdun, Rudyard Kipling il fronte italiano, Cadorna uscire dal comando, Lloyd George e Wilson, nel '19, scendere insieme dalla macchina alla Conferenza di Versailles. Diceva di aver visto gesticolare dal podio e perdere gli occhiali Lev Trotzkij in una piazza di Pietroburgo, ma i suoi amici ne dubitavano. Diceva anche, con ragione, che la Russia era troppo triste perché ne venisse, per il resto del mondo, qualche dono efficace, qualche sollievo dal male. Si era mai visto u n impero, dopo Roma, così impregnato di messianismo, e anche così sudicio, corruttibile, incapace di felicità? E in quella enorme porzione orientale di pianeta vedeva oppressi e oppressori patire insieme per la stessa privazione di un consolatore, vedeva tra grandi intervalli di betulle e di neve un'ansia di congiunzione carnale con lo spirito occidentale frustrata dall'impotenza. Soltanto nell'indifferenza della terra russa un evento cosmico, enigmatico, come Tunguska nel giugno 1908, poteva restare ignorato, come non avvenuto, per vent'anni, fino all'esplorazione di Leonid Kulik! E poi ancora vedeva la cavalcata rossa di Budénnyi, e i suoi cavalli giallastri nelle scuderie fetide della Rivelazione di Giovanni, e la stella di Lenin minacciare il mondo... In Spagna, inviato di se stesso perché i giornali fascisti non volevano immagini dal bando rojo, aveva fatto ritratti di vanità marziale a personaggi non di primo piano, però interessanti, anche più degli altri, tutti in attesa di un colpo di fortuna per meriti di 77
guerra - tra questi la famosa attrice del muto, la bellezza di Udine, Tina Modotti, corpo d'amore minato, infermiera del Socorro Rojo all'ospedale di Madrid, e il suo violento e maleamato, ma da lei temuto, amante Vittorio Vìdali; e il generale Vicente Rojo, Indalecio Prieto, George Orwell, l'angelico anarchico italiano Camillo Berneri, Randolfo Pacciardi, Lluis Companys della Esquerra Catalana, Georges Bernanos, Valentin González, fatto generale per meriti esclusivamente stalinisti, noto come El Campesino... Con Buenaventura Durruti aveva parlato del prezzo del pane, con Fédérica Montsény dell'incongruità che quattro ministri anarchici cegetisti fossero entrati nel primo governo di guerra che presiedeva Martínez Barrio. Avrebbe voluto anche, senza riuscirci, incontrare Ernest Hemingway all'Hotel Florida, accompagnare André Malraux in qualche impresa aviatoria. La Spagna lo riafferrava sempre, lo perseguitava dai suoi piccoli e grandi cimiteri sotto la luna, come l'ombra crucciata Nada, della sua figlia uccisa. Era stato qualche volta in casas de putas (ce n ' e r a un bel vivaio in calle Conde del Asalto, vicolo trasversale lungo le Ramblas), dove dal mattino al mattino dopo mai cessava il vaevieni degli uomini portati là dalla guerra, dalla rivoluzione, dalle repressioni. Erano l'unico luogo dove non si versasse sangue. Su «El País» si leggeva, in una rievocazione di Francisco Umbral mezzo secolo dopo, questa frase magnifica: «L'ultima generazione spagnola ufficialmente puttaniera f u quella della guerra, da una parte e dall'altra. Dopo, la nobile usanza scomparve... ». Prima e dopo le tensioni di piazza, i bombardamenti e i massacri, si rovesciava sperma in vasi di meretricio, a Barcellona come a Burgos, a Valencia come a Pamplona. Una sera del 1938, tra novembre e dicembre raccontava Aris - scendevo per calle de Atocha, deserta e cupa come un paesaggio dolomitico di Sironi. Un aereo solitario aveva quel pomeriggio sganciato 78
due bombe, facendo un paio di morti tra gente che chiacchierava fuori da una stazione della metropolitana: venivo di là, coi rullini esauriti. Ad un angolo c'erano quattro o cinque prostitute giovani, carine, con grandi borse, che fischiavano ai rari passanti sul marciapiede opposto. España putaniera! Mi fermo a guardare e vedo due signori scesi da un'auto governativa ferma sul mio lato che si avvicinano al gruppo, trattano e dopo uno scambio rapidissimo, puttanieri e putas, si dirigono verso un abbastanza incongruo, dall'insegna oscurata, Hotel de la Paz, davanti al quale ero appena passato. Quando stanno per oltrepassarmi accendo una torcia elettrica da oscuramento, alzandola, per curiosità, verso i loro volti e corpi strettamente allacciati, e questo non piace affatto ai due signori, vedo le loro smorfie, ma li ho intanto perfettamente riconosciuti: sono il primo ministro Juan Negrin e il suo ministro degli Esteri Alvarez del Vayo. Una repubblica tragica, che aveva suscitato passioni estreme, che finiva nello sbrodolamento di due dei suoi massimi rappresentanti, leccapiedi di Stalin, in un bidet di puttane: « Gli avessi fatto u n flash in faccia a quelle due canaglie e a quelle poverette che se li sbaciucchiavano per fame! » (Aris, per la Spagna, si accendeva con furia). Sentiva fortemente il proprio fallimento (eppure aveva venduto a giornali di mezzo mondo i suoi rullini spagnoli), senza mai però cadere nella disistima di sé - vencedor de sí mismo Cervantes dice. Solo avrebbe dovuto fuggire di più dal mondo, invece di abitarne il labirinto più infero - le guerre. Nella valigia, per restarci meglio attaccato, portava Tsushima di Frank Thiess e Tempeste d'acciaio d i j ü n g e r che, rannicchiato in scompartimenti di treni e in camere d'albergo poco riscaldate, riapriva, con devozione. Anche ora, che il treno aveva passato la frontiera 79
francese e lo stava riportando a casa. Ma scese dopo poco più di mezz'ora, quando la vaporiera della SCNF, piena di profughi e svogliata di canti, fece fermata nella cittadina balneare di Collioure. Sapeva che il meraviglioso poeta Antonio Machado, odiatore del franchismo, si era rifugiato là, insieme alla vecchia madre malata che ripeteva al figlio: « Siamo a Siviglia? Ma quando arriviamo a Siviglia? ». A Collioure gli indicarono l'Hotel Quintana; lasciò in stazione bagaglio e pellicole, e andò in cerca di don Antonio, da poco scampato alle grinfie dei Nazionali. «Viene molta gente a chiedere di don Antonio » gli fu risposto all'Hotel Quintana da una padrona catalana. « Gli h a n n o fatto il funerale il ventiquattro passato, è sepolto qui, nel nostro cimitero, che ha un clima da Andalusia. C'è una lapide provvisoria. Si vede dalla faccia che vieni di là... Com'era Barcellona? ». «Adesso tocca agli altri... Girano camion con gente portata a fucilare... Nel Paralelo i teatri hanno riaperto subito e sono pieni, mi han detto ». « Cosa si dice? ». « Sono contenti che sia finita. Ormai per tutti era troppo... Almeno c'è da mangiare». «Povera Catalunya... Portagli un fiore a don Antonio. C'è una fleuriste appena giri l'angolo. Una rosa è una rosa». Aris così fece. Una rosa è una rosa. Sotto la lapide provvisoria, sotto il tumulo coperto di fiori avvizziti, nell'azzurro sole invernale, riposava la voce più melodiosa della terra di Soria, col Moncayo innevato e la curva del Duero, che cruza el corazón de roble / de Iberia y de Castilla, la voce di uno dei vinti più nobili del mondo, dove la Bellezza accoglie il meglio dei bandos perdedores. Aris depose accanto alla data - le 22 février 1939una rosa bianca, e u n a sensazione di grande pace, 80
di pace al di là di qualsiasi evento, anche il più turpe e presente, di questo mondo, lo medicò in parte degli sconforti e di quanto aveva visto di quella profetica guerra civile, perduta dalla sua parte - dalla quale si allontanava.
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E la notte fu meno agitata per lei che per lui, per il diverso modo di vivere uno stress molto forte, quando il suo spettro ci invade e preme. La stanchezza nervosa lo faceva barcollare come un Saragàt di staccionata stracciona. Aveva movimenti di convulsionario, lei lo chiamò e lo scosse energicamente per liberarlo dalla stretta, che gli faceva battere e stridere i denti. Senza dir niente, gli prese una mano e se la premette profondamente sul pettine, dito contro dito, come se volesse esserne penetrata. È un gesto di puro salvataggio, una corda gettata a chi si trova in una situazione estrema, all'uomo naufrago, da una sponda femminile in quel momento sicura. È una risposta ai tanti S.O.S. che emettono le nostre antenne. Vive (o sopravvive) nei santuari nuziali, per slancio di donne che hanno eletto a loro Dio il compagno in tormento. In quei momenti era il Servo del Signore, che passava di là, lungo la strada maestra di due lenzuola affaticate. Vecchio, sazio di pellegrinare nella spietatezza 82
degli egoismi umani, Aris era in grado di comprendere la specificità del dono femminile, nei barlumi rari del suo manifestarsi, insperato. A lei parve di leggere, in quei tratti senili che minimamente le luci esterne e l'ultimo quarto di luna rischiaravano, un residuo terrore d'incubo che comprimesse Aris dentro uno sbattimento di demoni, senza luoghi di scampo, se non fosse stato il suo luogo oscuro ad accoglierlo. «Ti agitavi come in una crisi epilettica. Stavi facendo un brutto sogno per causa mia? ». «Non credo; no... C'erano delle forme orribili che mi sbatacchiavano furiosamente. Mi succede ogni tanto, dopo... un intenso sforzo mentale. Mi sento in balìa di demoni e pianto le unghie nel lenzuolo per non farmi portare via. In Spagna mi succedeva quasi ogni notte. Da quando ti ho incontrata è la prima volta. Se non c'è una donna che dorma con me e mi svegli, gli assalti possono ripetersi dieci, venti volte ». Ada lasciò la mano di lui con più convinzione premerne il margine folto; poi con magiche dita prese a massaggiargli le tempie; l'incubo perdurante svanì del tutto. «Scusami, sono sicura che stavolta è colpa mia. Sei stato contento di sapere che ho già trent'anni, invece di venticinque? Siamo quasi una coppia normale... Senti i miei seni, hanno già cominciato a sfiorire...». «Trenta vanno benissimo, e i tuoi seni sono da Cantico dei Cantici. Io, invece, di anni me ne sono aggiunti, ci gioco un po' da quando ne ho compiuti settanta, volevo sembrarti più vecchio... Ormai avevo eletto la castità come stato ideale, permanente... ». «Del tutto casto con me non sei stato. Neppure adesso». «Tra poco farà giorno. Se non dormo, domani faticherò a sorriderti». (Da quel momento, Ada fu certa che non l'avreb83
be cacciata via, e che avrebbero cercato insieme, camminato insieme lungo la strada maestra, fino a un luogo che a lei era negato sapere). S'incrociavano sirene di spegnitori e soccorritori, si vedeva un fumo nerissimo dalla parte della zona industriale rotolato dal vento verso il largo. La radio trasmetteva baggianate sportive. Ada stava sbriciolando una fetta biscottata in qualcosa di caldo. « Senti, mio caro, » disse girando il cucchiaino distrattamente «io non ho ucciso Dunia... L'avrei certamente fatto, in un raptus di follia, ma Thomas, il mio buon padrone, capì tutto in tempo e me la tolse dalle unghie. Disse che ci avrebbe pensato lui e poco dopo mi accompagnò a suonare la grancassa e i piatti con quelli della Salvation Army... Un giorno, di', la ritroverò. La ritroveremo insieme... ». Aris la guardò senza molto stupore. Era quasi certo, ricevendone la confessione, che prima o poi Ada avrebbe ritirato tutto; succede spesso, alle infanticide. «Non dici niente? Non mi credi? Queste mani che baci e che ti accarezzano come potrebbero aver versato sangue? ». « Bambina mia, lascia che mi riabbia. Per ora, mi attengo all'altra versione ». L'attirava di più la radio, in quel momento. Stava dicendo che l'incendio nella zona industriale era attribuito, dalla voce popolare, agli alieni. «Ma no! » disse Ada versandosi dell'altro tè. «È un corto circuito nel magazzino! ». Si udivano ancora le sirene. Poco dopo una interruzione che pareva essere stata suggerita da Orson Welles annunciava che «uno di quei mostruosi insetti detti Kulik, che tanto inquietano l'opinione pubblica mondiale» era stato ritrovato, in ore di chiusura, nell'interno della cattedrale di Chartres. «L'insetto ha le stesse caratteristiche dei precedenti, caduti a... ». «Chi gli ha detto che gli altri Kulik sono cascati... 84
Da dove? Non sono i cilindri ingenui di Wells, arrivati da Marte! ». «Gli esami di laboratorio, che proseguono febbrilmente a Mosca, New York e Londra, concordano nel supporre che il Kulik sia composto di antimateria cellulare e muoia se lo sguardo umano lo scruta. La sua estraneità all'ambiente terrestre non è più messa in dubbio ». «Nadina, andresti giù all'edicola, a prendere u n po' di giornali? Di tutto, anche riviste estere... ». « Ci vado subito ». « Esseri che noi vediamo morti, in un altro piano di realtà sarebbero vivi? E viceversa? C'è da ribaltare tutta quanta la nostra filosofia!». Ada era appena uscita e lo fulminò un altro pensiero: «E se non tornasse? Se invece di comprare i giornali si fosse smaterializzata? Ada, Dio mio, sii più banale, Ada». Ma si compiaceva che quell'originale ragazza dai seni per nulla sfioriti avrebbe potuto, smaterializzata, trovarsi adesso presso il Labirinto del pavimento di Chartres o tra le pietre musicali di Stonehenge ad ascoltare il vento, impareggiabile farfalla di questo mondo - purché entro cinque o sei minuti fosse tornata a casa col mucchio dei giornali. All'improvviso, si trovò circondato. Come fossero guerrieri del XV, da una metaforica «folla di pensieri», che si arriva a toccarli, qualche volta. E tra questi l'armatura dominante era uno sconfinato scontento di sé, che dava direttamente, come sulla città la sua finestra, sul balcone crollato di tutte le visioni possibili del mondo e dei mondi. « Cambiano le forme e le composizioni della materia, i nutrimenti, le patologie dell'anima, i desideri, le convivenze umane, ma anche a trilioni di anni luce dal più miserabile muro scrostato di questa città, puoi ritrovare infallibilmente il Bene e il Male, spettri concreti, consolanti e terribili, nell'infinità delle galassie da cui ci pervengono quei morti enigmi! E così il 85
Dharma immutabile, il Karma inflessibile, il potere della sillaba AUM... Né vivo né morto te ne sciogli! Gli alieni stanno venendo, verranno certamente, e non ci sarà, sotto il sole, niente di nuovo! ». Squillò il telefono, lo mise in apprensione, perché lei tardava. Ma era un eccitatissimo Bétancourt: «E come una pioggia astrale inaudita, è impressionante! Ed è evidente che c'è u n piano, o almeno una scelta di razionalità umanoide nella scelta dei luoghi dove queste entità mute si manifestano, non trovi? Potete anticipare di un giorno? Ci ritroviamo tutti dal Marrano alle nove... Verranno altri ancora... Pensa, forse toccherà a noi governare il mondo nei prossimi anni! ». La folla invisibile non si disperdeva. «Credere che non abbia ucciso Dunia non posso: ti ricordi, Aris, la strage di via San Gregorio, a Milano? Dieci anni fa... Il demone della Gelosia incarnato in una povera ragazza friulana, che si fa aprire e si avventa con una spranga di ferro su una madre e i suoi tre bambini, li massacra, nega tutto, poi finalmente ammette di aver ucciso la donna soltanto, i tre bambini no, che orrore, i tre bambini lei non li ha toccati, e anche sii processo negava, i bambini no, no... All'ergastolo ci sta per tutti e quattro, s'intende...». Aris non andò alle udienze, non fu autorizzato a fotografare l'imputata, ma aveva letto gli articoli, sul «Corriere», di Dino Buzzati, che animavano il Deserto dei Tartari della belvità umana. L'inferno ha sempre un dito sui nostri campanelli. «Quarantacinque minuti! Ti sarai fermata a leggere qualche articolo, è naturale. Ma lo so, lo so che non pensi di andartene, e poi tutta la tua roba è qui! ». Un verso, presto, u n verso Mogadon Roche - per dissipare quella implacabile veglia mattinale! Ah, ecco, splendente nella memoria, nel dodicesimo di Da86
niele: E i malvagi ingrandiranno il male senza comprendere, ma gli intelligenti comprenderanno. Saremo noi, che mangiamo la pizza malcotta del Marrano, gli Intelligenti destinati a comprendere? Ma il male, chi può comprenderlo? Ada e io siamo tra questi? Via via lasciarci sta diventando impossibile; eppure non sappiamo bene per quale ragione fossimo così predestinati a incontrarci. Non per motivi erotici o psicologici; niente dei nostri giorni remoti, se non si tratta di anni anteriori, coincide; salvo che nelle frustrazioni e nelle solitudini, nulla converge. Lo sprofondare nell'intimità, di un corpo giovane e bello con uno vecchio e inguardabile, è un modo di comprendere? Oggi il pianeta che abitiamo è sconvolto e stravolto da una evidente rivelazione escatologica: riusciranno a tenere, già così provati e semiesausti, i nostri poteri mentali? Dimmi, Ada: la nostra parte di felicità è già stata tutta goduta? Aveva dimenticato quasi tutti i suoi versetti della Bibbia di re Giacomo (ne sapeva u n tempo a memoria, in ottimo inglese, almeno duecento) ma gli era nitido quello di Daniele 12, il 10, al quale aveva anche affidato qualche nota per ricantarlo: Many shall bepurified, and mode white, and tried... «Oh, ma queste parole sono scritte per Ada, la consoleranno! Quanto a the mise shall understand, sono là per entrambi, forse...». «Ecco i giornali! » disse Ada. «Scusami, ho perso tempo per dargli un'occhiata... C'è u n totale sconcerto! ». Sulla copertina di «Newsweek» e di «Life», di « Spiegel », di « Paris Match », era ben centrato, a colori, l'insetto mostruoso e meraviglioso; coi punti interrogativi d'obbligo era, in bianco e nero, su tutte le prime pagine. Riappariva, su qualche giornale, l'immagine di Orson Welles quando fece col suo Mercury Theatre on the Air il colpaccio radiofonico dell'arrivo 87
di astronavi marziane a Grover's Mill, ma stavolta, a Grover's Mill, New Jersey, qualcosa è realmente avvenuto; e i titoli, incapaci di frenare le irrorazioni d'ansia, a urlare che uno o più IR3 (Incontri ravvicinati del Terzo Tipo), gonfi di ogni possibile incognita, si poteva ragionevolmente darli per imminenti. Sulla «Stampa» di Torino il fondo su due colonne ha per titolo: COME CAMBIERÀ LA. N O S T R A VITA (speriamo sia vero, commenta il commento Aris) ; l'autore è u n illustre astrofisico della Royal Society che, poverino, si sforza di non scrivere banalità - invano. «Guardaguarda! Caro, ci siamo anche noi, qui! ». Ada sventolava una pagina di cronaca della città dal quotidiano cattolico «La Croce»: era fotografato il nostro tavolo di sere fa all'osteria del Marrano, e la didascalia ci spacciava per «Ufologi a tavola» immersi in discussioni sul futuro del mondo. « Non è possibile, nessuno ci conosce, nessuno ha scattato foto! ». Nessuno, eppure, eravamo finiti là... Lo stesso giornale dava notizia della cattiva salute del Papa, che per questo motivo rinviava ogni dichiarazione. Un certo imbarazzo teologico era del resto immaginabile, nella Chiesa, dove occultamente si andava preparando la successione. Intanto però le chiese tornavano a riempirsi; atei induriti accendevano di furto candeline a impassibili Madonne. Un Kulik nella navata di Chartres (dunque non caduto dallo spazio, né lasciato là da un UFO: apparso, semplicemente) accresceva l'ansia e l'enigma. Però, la Vergine Maria, la Signora della grotta di Massabielle, apparsa cento anni prima - oppure scoperta in quel luogo da occhi misteriosamente veggenti, di purezza inaudita - CHI ERA, IN VERITÀ? Ada comprese a che cosa lui stesse pensando. « Certo, è una coincidenza strana: l'apparizione di Lourdes come la farfalla di Budapest... Mi vengono i brividi ». Aris le prese le mani e le baciò e le rivoltò. Lei tremava tutta, voleva ritirarle, ma lasciò fare. Lui ripetè 88
il versetto dì Daniele, che fece a entrambi scendere lacrime, tra i giornali sparsi dappertutto. « Qui, » disse Aris guardandola negli occhi e alzandone le mani fino a sfiorarli «qui non c'è nessuna macchia. Molti saranno purificati, e resi bianchi... ».
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Seduto sul gradino di pietra del Marrano, dove ogni volta Aris temeva di cadere perché spesso il suo bastone aveva degli estri cavallini, c'era un giovane attrezzato robustamente da fotografo, che col mento sull'avambraccio sonnecchiava. Era uno di quelli che in Italia, dopo il film di Fellini, si chiamarono paparazzi - sveglissimo - , che scattò in piedi appena Aris e Ada furono a distanza giusta per un micidiale flash in faccia. Aris e ancor più pronta e spaventata lei cercarono inutilmente di schermirsi. «Grande ufologo! Grande ufologo! Dottor Aristide! » gridò qualcuno, un altro giovane che era andato ad allagare i giornali ammucchiati contro il muro della Città degli Stracci. Era quasi identico al paparazzo: «Ci scusi, dottor Aristide. Lavoriamo per la United Press! Siamo gemelli ed è facile scambiarci: lui è Beppe, io Francis... E vero che qua dentro si fanno progetti per un governo capace di reggere l'urto in caso di invasione da altri mondi? ». E li supplicava di lasciargli fare altri scatti, e gli tende1Ò1
va la mano, mentre il gemello già stava mitragliando la povera coppia, e Aris battendo le palpebre s'infilava a fatica nel locale. La sala era gremita. C'era perfino gente in piedi che aspettava un cenno per un tavolo libero, ma nessuno si alzava. Francis saltellava come una locusta d'Egitto fra i tavoli; Beppe ora chiamava Aris Presidente. La sua voce era d'angoscia e si capiva che non fingeva: « Presidente, formerà un governo-ombra? Ci sarà un colpo di stato appena gli alieni faranno il segnale dell'IR3? Una marcia ufologista su Roma? Mi dica, per favore... ». Dal loro tavolo dove li aspettavano si alzò furente e minaccioso Marco Penis, torreggiante di statura, e agitando il pugno e facendo occhiacci un po' ilari li cacciò fuori. Ma piowigginava, avevano un pretesto per farsi riammettere. Non erano tutti ufoleggianti e alienofili-alienofobi: in buona parte sì, i più giovani e un vecchio bianchissimo e ipertricotico che come un tuono, al tavolo dei Bétancourt, proponeva un immediato rimpasto del governo, con pieni poteri al ministro della Difesa e la nomina di un ministro per gli Affari dello Spazio, carica alla quale aspirava, per buoni motivi, lui stesso. « Beh, niente di nuovo... » disse Aris « ma non puoi governare con la politica o la guerra quel che è al di là della Muraglia Orbitale... Il vuoto è ingovernabile! Non paga tasse! ». C'era una specie di orco, con manacce e voglia eccessiva di far ridere la radunata, al tavolo vicino, che non fece per niente ridere una giovane cameriera, assunta in grande fretta dalla padrona, lusingata dalle troppe prenotazioni, con l'atto di ficcarle una forchetta in una natica e uno schiocco di lingua. «Lei non la servirò» disse larisentita,e con ostentazione si limitò a servire le due donne che stavano con lui e che invece ridevano a crepapelle. L'orco urlava: «Noi, più educati di loro, » e indicava Bétancourt e il vec91
chio «non diciamo kùlìk! Noi diciamo sedèrik 1 » e giù una risata da agghiacciare le lapidi. Anche Saragàt era là, a un tavolo da solo, mangiando pizza Margherita con un po' d'insalata, ed era più sobrio di Pitagora, davanti a lui c'era soltanto una mezza minerale. Seguiva attentamente i discorsi. E rivolto al vecchio riformatore cercò di moderarlo: « Se non ti chiama a Roma Segni per darti il nuovo ministero, manda un dispaccio alla Casa Bianca: non sanno che pesci o Kulik prendere, vuoi vedere che il presidente ti fa suo consigliere militare per le guerre spaziali? ». Ada, accortasi della presenza di Saragàt, era andata difilato a salutarlo con gentilezza. Non molte ore prima l'aveva intrepidamente rimosso dal suo vomito di ubriaco; adesso si trovava di fronte un uomo passabile, che subito alzatosi aveva accennato un inchino, che beveva acqua soltanto, con appena un lieve tremito nelle mani, che tentava di nascondere. «Si sieda, signora». Una sconosciuta di età media era appena entrata e Aris, riafferrato il bastone, si stava alzando per accoglierla: «Temistia! Vieni qua, al nostro tavolo, la padrona ne accosta un altro! ». Ada si sedette: «Grazie... Saragàt, ma tra un momento devo tornare dai miei amici». «Saragàt me l'hanno appioppato i bambini del quartiere. Io mi chiamo Paolo e non sono che un Nessuno. Mi scusi, la lascio andare... E stata molto buona con me... Posso avvicinarmi al vostro tavolo? M'interesso anch'io di UFO, e poi è l'argomento del giorno...». Il campanellino della grande cassa metallica trillava ogni momento; la padrona, quella sera, non finiva di fare conti e dare il resto nel piattino. Temistia e Ada si guardarono. Era la medium che Aris le aveva proposto, temeva sapesse già tutto, dallo sguardo indagatore, dal sorriso un po' sfacciato. Erano due sensitive, diffidenti l'una verso l'altra. Mai Na92
da l'avrebbe consultata, quella strega. La giovane cameriera, arrivando dalla cucina, annunciò ad alta voce, emozionata, le ultime della notte: gli insetti extraterrestri di Grover's Mill, di Stonehenge e di Chartres, subito portati ad analizzare nel New Jersey, a Londra, a Parigi, protetti con ogni cura (però con nessuna conoscenza dello strano oggetto), si erano dissolti. Come mai apparsi. Al microscopio, nessuna traccia. Da Mosca, trionfanti, assicuravano invece che il loro Kulik portato da Budapest, dopo un anno e più, seguitava ad esistere presso l'Accademia delle scienze e annunciavano altre scoperte, permettendolo (eh, sì!) il segreto militare. Forse, le farfalle ubbidivano a un comando segretissimo, che le guidava verso luoghi di mai sopita pregnanza di magnetismo sulla terra da incalcolabili distanze indecifrate. In tanto smarrimento il principio ermetico fondamentale, Come in Alto così in Basso, accendeva una luce. «Grover's Mill nel Trentotto...» disse Aris (si era fatto silenzio, nella sala, si udiva soltanto il trillo della cassa). «Dunque, non fu soltanto un gioco! Stupisce che un Kulik non sia apparso a Roswell». «A Roswell è già successo abbastanza, se vogliamo capire » replicò Bétancourt con insolita gravità. Temistia, con le palpebre abbassate, pareva sull'orlo di essere afferrata da qualche voce. «Giurami che non le hai detto nulla...» sussurra ad Aris Ada, preoccupatissima, accennando alla medium. «Non vedere tutto come rivolto a te. Si può essere gonfi di destino comune. Succede anche a te, amore, no? ». Il brusìo riprese, e le voci a incrociarsi. Temistia si alzò scusandosi timidamente e con un'altra occhiata interrogativa a Nada si diresse alla toilette. Passando davanti a Saragàt-Paolo lo salutò da vecchia conoscenza: «Abbiamo avuto la stessa idea... venire 93
qui stasera, eh Paolo? ». E barcollando aprì la porticina, aiutata dalla padrona. La gente si era un po' diradata, ma le discussioni continuavano, e anche le risate fastidiose delle due donne che il bisbigliare osceno dell'orco enormemente divertiva. «Sta' a vedere che scopriremo un Kulik sotto il bancone della mescita! » sghignazzò l'orco, e ordinò un'altra bistecca di maiale e un secondo mezzo litro di rosso. « L'unica cosa che possiamo fare è mangiare, bere e godere fin che si può! Io, sapete, sono epiculèo! ». «Ha ordinato altro ancora... ma quando se ne andranno? » domanda sottovoce Ada alla cameriera. «Non sappiamo perché sia capitato qui, quel tale... Questo adesso è il posto degli ufologi. La padrona non vorrebbe estranei! ». Il posto degli ufologi! Le notizie che riguardavano l'Affare Kulik arrivavano ai tavoli in attesa di cibo, dalla cucina - dove c'era per uso del personale una piccola radio giapponese a transistor, che ormai ne buttava fuori ogni momento (con rari stacchi musicali: orchestra Angelini, organo di Bach...). Camerieri e padrona le ripetevano ad alta voce, contente del ruolo. Quando la padrona disse che avrebbe installato un televisore in una saletta separata, al piano di sopra, nessuno applaudì. «Amanda! Le immagini ce le facciamo noi! Le novità ce le dite voi! » le gridò Alessio; tutti approvarono. La televisione era ancora surrogato della sala cinematografica; veniva installata sopratutto nei locali pubblici. Il tempo di una cena, e oltre l'emozionante notizia dei Kulik subitamente dissolti, i numerosi assisi di quella sera appresero, dalla cucina, di una forte ripresa degli avvistamenti di oggetti volanti non identificati. Cinque o sei nel cielo di Atene, uno sospeso a lungo sopra il Partenone; sette, in formazione di 94
aerei da caccia, sfuggiti ai radar, ignoti alla Royal Air Force, su Inghilterra e Galles; una quindicina in Francia; ventisette negli Stati Uniti; quattro tra Giordania e Israele; uno al Cairo; dieci tra India e Pakistan: tutti negli ultimi trenta giorni. Nei dintorni di Torino, dove i primi Oggetti comparvero nel 1940, pochi giorni prima ne erano stati visti due, a bassa quota, avvolti da una luce rossastra, sopra il monte Musinè, il Ghilboa piemontese, privo di acqua e ricco di vipere nelle sue pietraie, all'imbocco fatale della Valsusa. A mezzanotte, le discussioni ancora non languivano, e l'argomento comune trasformava gli sconosciuti in amici. La cameriera cioncava su una sedia, ma ogni momento la chiamavano per un secondo o terzo caffè e le toccava accorrere. L'orco e le sue due donne, con sollievo di tutti, se n'erano finalmente andati. Una quindicina di persone circondavano il tavolo Bétancourt. Qualcuno si ricordò di Temistia chiusa nella toilette da più di mezz'ora. Aris andò a picchiare discretamente col bastone alla porticina, chiamandola. «Ah sì, vengo! » rispose una voce, che non pareva la sua. (Non era stato Aris ad avvertirla della riunione; di sensitive, in casa, ne basta una). La porta, nel piccolo corridoio in ombra, si aprì con cautela. Il fervore intergalattico si spense di colpo. Temistia apparve in sala truccatissima, quasi da clown, i capelli sciolti - nuda, e col pube rasato, sotto l'addome prominente, la pelle autunnale, i seni malinconici, un tempo emblemi di una bellezza sfiorita. Calzava le scarpe soltanto, alte di tacco. Viene avanti a piccoli passi, fino al centro della sala, si guarda attorno, agli amici che esterrefatti la fissano sorride, tristemente.
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S'impone, per un istante, la violenza contundente dell'apparizione di un corpo nudo, s'impone la paura del suo mistero che accentuano la crudeltà della radicale depilazione e della scoperchiata, evidente vecchiaia incipiente. Un cranio femminile rasato è un evento tragico; un pube femminile rasato oltrepassa le modalità del tragico che può tollerare una scena, nuda altrettanto e con maschere immobili, ilari o raccapricciate. Temistia, in quel momento, è come l'apparizione della Morte Rossa di Edgar Poe nel pieno di una festa festosissima: non c'è che lei sola, emerge dalle opinioni e dalle evocazioni di esseri umanoidi e di oggetti volanti perturbatori, le annulla e ne offre una interpretazione più vera, per forza di allegoria e radiografia dello stato mortale. Fulminea, la padrona si precipita e copre l'inaudita esibizione di quel petalo pallido di verbo incarnato, dalla sconvenienza deliberata, con una tovaglia del ristorante macchiata d'olio e di vino, ma i gemelli paparazzi accucciolati sonnacchiosi presso la porta 1Ò1
hanno già scaricato le loro mitragliene e dimezzato due rullini tra lampeggiamenti continui. Domani, il Marrano sarà il locale più famoso della città, e non certo per la sua cucina, e riceverà la visita della questura. Francis e Beppe, ai quali nessuno ha badato, sazi di scatti, si dileguano nello spazio piovoso. Temistia parla in ipnosi medianica: esce da lei, da sopra la tovaglia fenduta come un poncho di indigenza estrema che adesso ne copre la vittoriosa vergogna, una voce grave, mascolinoide, sacerdotale. In una lingua che nessuno dei presenti comprende, eccetto Aris, che ne ha riconosciuto i suoni e prega silenzio, mentre padrona e cameriera frenano a stento la loro impazienza di riportare Temistia nella toilette dov'è la profusione dei suoi abiti da mezza stagione sparsi. «Temistia» Aris spiega «è di origine greca. Lasciatela parlare, è medium, voglio sforzarmi di capire... ». Con una smorfia di pronto fastidio Temistia si sfila il poncho di tovaglia macchiata del Marrano, costernando Amanda, che desiste dal rivestirla: lo Spirito, che innegabilmente la possiede, vuole che lei mostri intera la sua nudità di calvizie, e la voce dello Spirito è un rotolare sordo di pietre del ghiacciaio nella morena della Brenva. Ammirazione per chi si denuda per raptus di superiore impulso in pubblico, strappandosi dal pudore degli aridi, dai denti della morte, sbarazzandosi di calze, di mutande e di pigiama! Ecco trascritti secondo pronuncia i suoni emessi dalla medium nella lingua della sua infanzia, nelle case dei Greci della Smirne ottomana: ...i légondes tis profìtes mi ananghéllete imtn kè tis tà oràmata oròsin mi Ialite imin allà imtn Ialite kè ananghéllete imin etéran plànisin...
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«La tengo! » grida Aris. «Sono parole del libro di Isaia nella versione dei Settanta... Non saprei dire in quale capitolo, ma non importa... Quando avrà finito cercherò di dirvene il senso! ». (Ascoltandolo, Ada lo ammira smisuratamente. Niente di meglio per l'amore femminile. Ma pensa: dove avrà imparato queste cose, se faceva il fotoreporter?). Ancora uno stillicidio di violenza linguistica sacra e l'oracolo si spegne a poco a poco, le pietre rotolanti si perdono in un singhiozzato bisbiglio. Il dotto uditorio del Marrano sa tutto di Roswell e degli avvistamenti di UFO, ma del profeta Isaia e della versione dei Settanta nessuno di loro ha mai sentito parlare; li ha stregati l'apparizione, la voce alterata, ignota alla sua stessa gola, di Temistia. Ora è tornata in sé e andando senza fretta a rivestirsi dice che la voce, prima di prorompere da lei, le ha imposto di radersi il pube e di uscire dalla toilette tutta nuda per significare qualcosa che non gli è stato possibile comprendere. La cameriera la conduce per mano dove ha fatto il mucchietto degli abiti, aiutata da Ada, pronta a soccorrerla ma tuttora fermamente decisa a non cercare attraverso di lei un contatto con la sua bambina morta. « Scusatemi per avervi dato tanto imbarazzo...». «Non ti scusare, cara: il tuo è stato un dono. Aris ci spiegherà che cosa ha detto la voce ». Eccola rivestita. Amanda le porta un caffè forte, bollente. Aris tenta di far sbucare dalla memoria il senso di quanto ha udito: «"Voi che dite ai veggenti di non vedere, e ai rivelatori di non... rivelare quel che hanno visto... rivelateci cose per noi... piacevoli, non dateci che... illusioni...". Fin qui ho potuto decifrare quel che ci ha detto, forse era la stessa voce del profeta, o di una entità imitatrice, ha detto anche altro, come, se non erro: "Sarete mille tremanti, davanti alla minaccia di uno solo..."; il resto, per me, è silenzio». 98
« Non vorrei » dice Bétancourt « che per questo gesto che finirà sui giornali l'autorità bigotta facesse chiudere il locale! ». « Da ora in poi, » assicura Amanda « il Marrano sarà aperto soltanto agli ufologi, dovrete segnalarmi i nuovi! ». « E ai Non-terrigeni non l'aprirai? Più li pensiamo, più li chiamiamo! » dice Marco Penis. Saragàt-Paolo, sempre più sobrio e anche più cittadino degli Stracci, osservò che evocare è proprio lo stesso che chiamare, e che in una forma-pensiero è implicita l'evocazione. Pareva soddisfatto della sua logica, nonostante l'ora contraria. Stavano per lasciarsi ma una forma-pensiero evocatrice di esseri alieni li attraversò tutti insieme. «Mi sento soffocare» disse Elisabetta, e istintivamente si strinse a Marco Penis cercando protezione, invece che al marito, come sarebbe stato nelle convenzioni. «Ehi, cucina! » grida Aris. «E avvenuto qualcosa?». «Stiamo ascoltando! » risponde Amanda. La notizia è di quelle destinate, nel tempo, agli annali della protostoria del con tattismo ravvicinato. Un metronotte, Pierfrancesco Zanella, durante un giro di sorveglianza nei dintorni di Genova, solo, nel giardino di una villa, si trova di fronte due esseri altissimi (tre metri e mezzo, almeno), verdi e rugosi, che lo stendono a terra, lo stordiscono e... (secondo il forbito linguaggio della radio italiana) «lo maltrattano», lasciandolo dolorante e terrorizzato. Altri metronotte, non vedendolo tornare, lo cercano, lo trovano, restando allibiti anche per quanto vedono: un largo cerchio d'erba bruciata, la sua Fiat 600 come sfiorata da un altoforno, lui stesso caldo come ghisa fusa, intoccabile dai soccorritori. In questa stessa notte lungo tutta la costa genovese e nell'entroterra si sono viste volare luci strane, proprietari di ville denunciano ai carabinieri i loro cani da guardia trovati morti e caldissimi, ma senza scottature vi99
sibili. Dopo il passaggio dei due giganteschi umanoidi i metronotte notano impronte di piedi da stupire le calzolerie di Brobdignag. La notizia fa soffrire il gruppo. «Bah... » commenta Aris di malumore. «Un caso di ordinario sadomasochismo in salsa intergalattica. Forse ci spediscono i loro criminali per colonizzarci, come abbiamo fatto noi con l'America, l'Australia...». «Se nei mondi più lontani dal pensabile, l'impensabile è fatto di quanto c'è da noi di più ripugnante, allora dov'è lo spiraglio, la tarlatura, la rete bucata da cui scampare dal nostro mondo? Non c'è che carne anche là dove non c'è questa nostra maledetta carne? ». Così, non più ilare, monologò Bétancourt. « Era meglio essere soli, o credere di esserlo » disse Ada. Non siamo soli (nell'universo) è il refrain dei contattisti, alienofili, terzotipeggianti di tutto il mondo e davvero rassicura poco. Temistia pareva cullata in piedi, gli occhi spalancati: «La voce, sapete, mi ha attraversata energicamente, ma senza brutalità. Chissà se era proprio quella della tua Isa... ». « E un nome maschile » la corresse Aris, e scandì: «Isa-ìa ».
«Ci sono altre notizie, Amanda?». «Due dissidenti sono stati liberati, in Russia, da un campo di deportati in una regione del Nord siberiano, ma non so ripetere i loro nomi... Sull'insetto da un po' non dicono più niente. Roselda, porta il conto ai signori». Roselda, la cameriera, porta il piattino, da dividersi in parecchie parti; così si ritorna alla terra, alla sua abietta schiavitù monetaria. Il conto, in quegli anni, per un gruppo abbastanza folto, poteva essere di sette-ottomila lire. Più la mancia; Roselda se l'era più che meritata. Fu un sollievo, dopo tante emozioni, in strada, separarsi. 100
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Il paparazzo bicefalo non aveva perso tempo: si era precipitato a rovesciare il suo paio di rallini nella redazione del quotidiano locale, e già il mattino dopo sotto un titolo di quattro colonne: METRONOTTE GENOVESE TORTURATO DAGLI ALIENI (alla formazione del nuovo governo ne erano meritatamente dedicate due sole), si potevano vedere in prima l'arrivo preoccupato di Aris e Ada al Marrano, e Temistia coperta dall'improvvisato poncho. Temistia riceve il saporito epiteto di «Baccante ufologica», Aris viene elevato a « Capo e Guru della setta che si riunisce in una equivoca osteria della zona portuale », con l'intenzione (forse) di togliere di mezzo il governo di Roma e di offrire tutto il potere a un soviet di alieni (supposti buoni) in prossimi IR3. Fatto... così viaggia l'opinione... e intanto è in arrivo la televisione casalinga, funesto ingombro. «Almeno, il pudore di Temistia è salvo, nell'immagine » osserva Ada mentre il fiore blu del gas le arde vicino. 1Ò1
« Un sesso rasato come quello di Temistia ha ben poco di eccitante, ma è pur sempre un oggetto di desiderio, è la yoni éternelle... ».
Il telefono. A Nada sfugge un grido: «Dunia!! ». Vede i suoi occhi, vivi, che da una cabina nell'aria la chiamano. «Cerco il dottor Aristide Boronovici... Sono una redattrice del settimanale "Il Bestione Trionfante"». Aris contraffa la voce: «Il dottore è partito. Non tornerà che fra due o tre mesi... ». « Mi può passare la signora Ada? È Lei, signora? Una sola domanda, potrei fargliela? Se non mi risponde mi licenziano! ». Ada sta per riattaccare, ma i suoi occhi interrogano Aris, che accenna di sì, divertito. «Va bene; dimmi pure... ». «E vero che ritenete imminente una invasione di alieni? Così la pensa il "New York Times"... E voi, del Marrano? ». «Noi... ne parliamo per curiosità...». «Ma, crede che il nostro governo entrerà in crisi?». (La redattrice del «Bestione» era preoccupata accadesse). «Beh... Non dipende da noi questo! ». « Quando li incontrerete, questi Alieni? ». «Ce lo... faranno sapere loro... ». Aris crea un sottofondo musicale, un motivo di cinque note: sol la - fa - fa - do, che sarà diffuso nel mondo, vent'anni dopo, dalla colonna sonora degli Incontri ravvicinati di Steven Spielberg. La povera redattrice sta sudando freddo, Ada non meno: «Ma quella signora... la "Baccante ufologica"... lì, dal Marrano... perché si è spogliata? ». «E una medium... è famosa... parlava con la voce di quel... un profeta biblico... in greco... L'intervista è finita, mi scusi, chiudo! ». « Certamente, Nada mia, i pàpara avranno spacciato i loro scatti anche al "Bestione". Ma presto non faremo più notizia, vedrai... ». In casa sua - non abita lontano - Temistia, veden102
dosi così poco scoperta sulla pagina, respira di sollievo. Ma il maresciallo Libertà sta torchiando un po' Amanda: «I vostri ospiti ufologi sono un'associazione segreta? Hanno scopi politici? C'è stato un momento orgiastico? ». «Orgias...? Che cos'è?». «Uno spogliarello! Chi ha rasato il pube della signora? ». «Ero in cucina a preparare le pizze. Non ho visto com'era fatta... ». Amanda è terrorizzata all'idea che le chiudano il locale, ora che finalmente sta facendo affari. « Sa, il signor questore in persona si è interessato della faccenda, perciò non avrà grane, signora, ma terremo d'occhio il locale. Parlate di quel che volete, però è meglio che i suoi clienti lascino in pace il governo, e che non ci siano più signore a mostrarsi prive di indumenti ». « Ma nessuno qui le aveva chiesto di spogliarsi! E andata a chiudersi nella toilette e mezz'ora dopo è uscita con niente addosso... Posso accompagnare le mie clienti in quel posto? Non è una matta! Lo ha fatto per profezia...». «Per... che cosa?». «Così ha detto il dottor Aristide, che sa le lingue! La signora parlava con la voce di quell'altro... uno di tremila anni fa... ». Il maresciallo Libertà pensa che gli UFO stiano rendendo la città un manicomio per incurabili. Taglia corto: « Se succede di nuovo chiami subito l'ospedale psichiatrico! Buongiorno! ». E andata bene, per Amanda, ma teme di pagare i suoi sorprendenti incassi correndo rischi seri. «Roselda, quante prenotazioni abbiamo già per stasera? ». «Trenta! Rispondo che siamo al completo? Tengo libero il tavolo del signor Bétancourt? Devo scrivere che è riservato? ». Amanda ha rinunciato a mettere divieti. Dà ordi103
ni alla cuoca per far fronte all'afflusso in aumento e ad ogni imprevisto. Perfino in Sicilia, e all'estero, e in televisione, si parla del suo locale! «Ci vorrà un aiuto cuoco, far venire anche Lucio per servire... ». Ancora richieste. Il gruppo anarchico Errico Malatesta vuole sette posti per giovedì; la celebre sarta delle regine Magda Sparini, due. E ancora, un giudice, una stigmatizzata, una contattista di Cuneo, un celebre inviato dell'«Espresso» di nome Bocca... La settimana è già quasi tutta prenotata. Sta diventando moda, cenare da Amanda al Marrano! Finalmente, per conoscersi un poco di più, per non perdersi nel mare dei segnali luminosi, una sera soli. Aris ha cucinato qualcosa. Sul tavolo sparecchiato, gli Arcani sparsi del tarocco Wirth, che Ada sembra conoscere perfettamente, facendoli scorrere tra le mani a occhi chiusi: « Questa è la Papessa, no? ». Sì, la Papessa: di lei più nulla stupisce Aris. Di fronte l'uno all'altra, i gomiti poggiati, le mani si stringono, gli occhi si guardano con dolcezza. Perché sono entrambi tristi? Perché una coppia felice non può esserlo del tutto? Sarebbe più facile darsi una spiegazione per l'incontro del Metronotte... «In questo preciso istante » dice Ada « quel poveretto viene redarguito con estrema durezza dalla moglie, per essersi tirato addosso tutto quel baccano... Grande e grosso com'è, lui piange, si sente perduto... ». «C'è un verso meraviglioso, per questo, perché la pietà dei poeti santifica tutto. E di Miguel Hernández: Un toro solo en la ribera llora Olvidando que es toro y masculino ».
E Ada si commuove e piange in silenzio, come il toro, e le loro mani si stringono fino a rompersi, come fossero su un aereo che precipita, di notte, nella voragine atlantica. 104
«Tu, che hai paura di essere lasciato, che soffri anche per motivi inconsistenti, perché hai scelto di fare il fotoreporter su tanti fronti di guerra? Avrai rischiato cento volte la vita... Non ora, ma... me lo dirai? ». « O h sì, certo, te lo dirò... E sai quanto ho sofferto di non poter più andare a lavorare un anno fa, tra le fritture di bandiere rosse e le statue di Lenin buttate giù! Il giorno del nostro incontro ero passato dal direttore del nostro quotidiano, che conosco da vent'anni, a pregarlo di inviarmi in Vietnam, nord o sud non importa, purché nel cuore del pericolo... Mi ha risposto che sono troppo vecchio e malandato; e aveva ragione. Poi, a quel semaforo, sei passata tu, e mi hai guardato, ed era l'Amore, a suo modo anche lui armato, che passava...». «La guerra, laggiù, sarà ancora lunga: non la vedo finire che verso il... 1975, e l'America la perderà, come l'ha persa la Francia». «Il divino Capa è morto dilaniato da una mina... lo presentiva... Fortunato, niente vecchiaia». « Un altro farà lo scatto emblematico che tu cerchi, di quel conflitto, uno sconosciuto, vedo una bambina che fugge nuda da un villaggio in fiamme, coperta di ustioni... Quello scatto a te sarebbe costato la vita, e a me chi avrebbe curato le ustioni di dentro? ». «Andiamoci insieme in Vietnam! Mi porti le macchine nello zaino, ci teniamo per mano... ». Per qualche minuto sono sulle rive del Mekong, tra alberi inceneriti, una ciotola di riso bollito in mano, sgomenti. Sulle loro teste sta passando un elicottero. Il suo rumore li fa alzare e guardare fuori dalla finestra. L'apparecchio è così vicino che pare di vederne il pilota; è dell'aeronautica militare. «Non è un UFO». «Dammi le gocce e andiamo a letto. Ti scaldo i piedi? ». «Oh, sì!». 105
Ada, i piedi di Aris in grembo, gli trasmette attraverso di loro un inesprimibile piacere. Ogni anfratto, ogni minimo gonfiore, riceve l'esplorazione minuziosa e il sollievo prezioso delle sue redentrici dita. Segmento per segmento, nulla di quel piede che calpestano gli scarponi chiodati dell'età avanzata è trascurato; il bene dato ai piedi va a iscriversi luminosamente in tutto il resto del corpo, ne lima, ne addolcisce, ne acquieta i tormenti, l'imbrattamento, il tumulto brutale di una giornata nell'insignificante. Aris vorrebbe abbandonarsi del tutto a quel pervasivo piacere d'Oriente volato a Occidente, ma per questo occorre una capacità di astrazione alla quale riesce appena ad avvicinarsi, colpa del tarlo di una coscienza troppo vigile, sentinella dalla torre, a capofitto nella notte delle sensazioni. Chissà se, troppo ignare delle arti del massaggio, le donne occidentali siano destinate a perdere presto l'affetto dei loro uomini. Anche ai morenti un massaggio dà luce. Ada alza gli occhi: « A che pensi? ». «Alle mani... alle tue mani». «Non devi né vederle né sentirle. Solo ascoltarle come una musica. A me dà turbamento praticarlo. Non potrei, con un altro». Oh veloce clessidra della felicità! Cadano le tue rugiade su questi poveri piedi inariditi di andante che da Roncevaux mai più arriverà a Compostela! Rugiade di dita che penetrano e oltrepassano il finito! La vigna vendemmiata, paziente paziente tu la risusciti! Il rito terminato in una lenta profonda estasi, il misterioso essere familiare, dolorosamente femminile, che ora gli vive accanto, lava quei piedi dove ha impresso alfabeti di vita in una vaschetta di acqua tiepida, impreziosita da una fialetta di balsamo alla melissa. 106
Ma perché, a quest'ora tarda, quel coso nero sul tavolo si è messo a squillare? «Dovevamo staccarlo in tempo... Vuoi che risponda? Devo imparare a controllare le mie paure... ». « Rispondi, Nada. Sarà Bétancourt che ci strilla le ultime di cronaca spaziale! Loro, al Marrano, c'erano anche stasera». «Ah, sì... » (Ada si è di colpo distesa). « Sei tu, Alessio? Sei ancora al Marrano? Che cosa avete... oh n o o o o o o o ! ! Ma sì, vieni pure. Purché tu faccia presto, prestissimo... Sì, Aris è ancora sveglio, però siamo un po' stanchi! ». Vede il corruccio di Aris, svogliato a visite - anche del Terzo Tipo. « Scusa, gli ho detto di venire, è agitatissimo... Una ragazza dei nuovi venuti è stata accoltellata, proprio al nostro tavolo, mezz'ora fa».
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L'Alessio si sbatte su una sedia, stravolto ma ansioso di raccontare. «La serata è cominciata alle otto, l'osteria era già gremita da più di un'ora. Nella strada, astemio quanto un Buster Keaton, c'era di nuovo Saragàt inseguito da sette-otto ragazzini schiamazzanti, che inveiva contro Mussolini, e ha finto di non conoscerci. Amanda ha installato un televisore: tutti però preferiscono ricevere le notizie dalla cucina. Così veniamo a sapere che l'Accademia di Mosca ha terminato le sue analisi e concluso che il Kulik di Budapest, l'unico rimasto, non è diverso, nonostante le enormi dimensioni, da una comune farfalla delle nostre, lo distingue soltanto una speciale bellezza di colori. Cerebralmente, anche, è una farfalla, ne ha la fragilità, la fisiologia ec., tuttavia ha sicuramente la possibilità di materializzarsi e smaterializzarsi, di apparire e sparire secondo un codice di segnali di provenienza ignota. Ci sono poi dei particolari tecnici riservati a chi può comprenderli: l'insetto è adesso esposto al 1Ò1
pubblico in un'urna di cristallo, nel Museo della Scienza... Tra noi, era assente Temistia, ma sono presenti una donna all'incirca della sua età, con le mani e i polsi fasciati, che si dice stigmatizzata durante un abduction, e un'altra molto più giovane, che confessa apertamente di aver subito un mese fa nel proprio corpo atti di violenza sadica inaudita - di cui però non le è rimasta traccia eccetto che nella memoria terrorizzata - da parte di esseri verdi giganteschi, simili a quelli incontrati dal metronotte sulla collina genovese. Tutti noi seguiamo attentissimi il suo racconto. Perfino Roselda è là, e nessuno ha fin qui ordinato qualcosa, neppure un caffè o una coca. «Siamo tutti sconcertati e sgomenti. La ragazza, che ci ha scongiurati di non nominarla, è un'italiana di trentotto anni, e dice di non aver ceduto all'immondo branco, ma di aver scalciato e ululato come un animale torturato, di aver conficcato le unghie nei loro corpacci disgustosi, con la sensazione di affondarle in qualcosa di flaccido e di insensibile. Pensa di aver passato almeno due o tre ore in quella compagnia criminale e taciturna, e di essersi risvegliata se mai ne fosse stata tratta altrove - nel proprio letto solitario, con la finestra spalancata. « A questo punto, uno scossone terribile scardina mezza la porta e la luce si spegne. Entra con brutalità Qualcuno che indossa una specie di tuta da fatica della marina mercantile e si dirige rapidissimamente al nostro tavolo, acciuffa per i capelli la povera ragazza che stava parlando, la rovescia insieme alla sedia, e nel semibuio lo vediamo alzare su di lei una lama larga e corta da sacrificatore e piantarla... ». Bétancourt è interrotto da un urlo lacerante di Ada: « N O O O O O ! LA GOLA NO!!!!». E un urlo che travalica ogni vocalità umana - e Ada si abbatte sul letto singhiozzando, aggavignata a uno dei piedi ai quali ha appena dato piacere. 109
«Sì, è stato così... Un solo colpo, ma tremendo, e l'assassino esce dalla porta col passo silenzioso di un lupo nella neve, senza che nessuno di noi si muova per contrastarlo. Solo Amanda, che in un istante ha visto crollare il suo mondo, si precipita in strada agitando una scopa e chiamando aiuto - ma del marinaio più nulla... Marco telefona in questura e dice che lì, dove siamo, è stato commesso, un minuto fa, un omicidio. La ragazza deposta sul pavimento ha contrazioni di morte, perde molto sangue dalla gola, e agonizza penosamente. "Nessuno... già sparito..." dice Amanda gemendo, e butta la scopa come un'arma scarica. La luce, tornata, rivela le nostre facce rese irreali dallo spavento. Dalla strada spunta il nostro ubriaco che ha raccolto la lama assassina... sapete dove?... nel mucchio di giornali inzuppati di piscia ai piedi del muro che voi chiamate la Città degli Stracci! La lama pare fatta di un acciaio impressionante, da forgia di armaiolo medievale: non può servire che ad uccidere. Nessuna traccia di sangue nel suo brillare quieto ». Chiama Elisabetta. «Alessio, ci hanno portati tutti al distretto di polizia di via Limonaia 5 bis; stiamo aspettando il vicequestore che vuole sentirci tutti. Pare che vogliano interrogare anche Ada e Aris, ma domani o dopodomani... diglielo e lasciali in pace. Portami un pezzo di pane... Vieni subito! ». «La ragazza è morta?». «Lo era già quando sei venuto via... Ora è all'obitorio». « Grazie. Arrivo subito ». Il sonno, alla coppia trafitta dall'emozione e da un acuito bisogno di sostenersi, viene che è quasi giorno. Pesantissimo, imposto da una tavoletta. 110
Ada sarà svegliata da una delle solite crisi convulsionarie che aggrediscono lui nel corso dei suoi brevi sonni. Aris si dimena come sotto una battitura, digrigna i denti, si sforza di invocare il nome di Gesù, esorcismo d'infanzia... disperato... Ma lei prontamente moltiplica quell'esorcismo semiconscio per mille, con certezza sperimentata dell'efficacia: gli afferra un braccio disoccupato, e ne introduce in profondità la mano sotto la carnicina, premendola con forza là dove si nasconde la casa della vis medicatrix naturae. «C'era qualcuno che mi succhiava sangue dal collo e altri che urlando mi schiacciavano di grosse catene... ». « Hai visto facce? ». «Erano fumo... ombre...».
Ili
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Si può ben fare di meglio, in queste nostre maledette giornate soggette al carnefice Gravitazione, che stare cinque ore e mezzo di fronte a un commissario del diciassettesimo distretto di polizia a dare spiegazioni e a giustificarsi, a frugare in giorni, ore, minuti di vissuto, a denunciare modesti redditi, ed essere inalterabilmente sospettati, dalla parte opposta del tavolo, con lo sguardo di un ironico e ottuso torquemada, di nascondere trascorsi criminali, di essere maniaci sessuali, figli degeneri, infetti di sifilide seconda e terza, colpevoli di diffondere notizie false per scopi eversivi, di meditare colpi di Stato e uccisioni di presidenti e pontefici - colpevoli, qui tocchiamo il colmo, di credere nella realtà degli UFO e nell'esistenza di entità extraterrestri...!! Cinque ore e mezzo di interrogatorio al commissariato di via Limonaia (che forse cent'anni prima c'era davvero); questo ha ridotto a Città degli Stracci il povero Aris - fortunatamente, al termine, atteso da Ada in una saletta con panchine dove c'è un vecchio che sbadiglia, una carta topografica della città, un crocifisso di plastica e un car1Ò1
tello con divieto di fumare che nessuno, finora, ha pensato di appendere orizzontalmente. Ogni tanto, puntuale, un piantone spalanca la porta e scambia qualche parola con Ada: «Durerà a lungo, ancora? E un uomo provato, ha visto con che sforzo si muove? ». « È tuo padre? ». «No, è il mio compagno». La risposta raggela il piantone. «Vuoi dire che ci convivi? ». «Sì! ». «La ragazza uccisa al Marrano era amica tua? ». «Non l'avevo mai vista». Finalmente il piantone arriva con la fausta notizia: «Hanno finito! Il dottor Del Lenzuolo stringe la mano al tuo uomo, gli sorride, vuol dire che tutto è andato bene... La saluto, signora! ». In strada li attendono Alessio, Elisabetta, Marco e Temistia. «Aris è sfinito, siamo quasi digiuni, ma ormai addio Marrano...». Bétancourt propone L'Antica Beccheria, un po' più caro ma più benmangiante, ci si va in taxi o con il filobus 29 rosso. «Almeno là non ci sono fotografi in agguato... ». Fatti pochi passi, li raggiunge trafelato il piantone del commissariato: «Un momento, per favore! Il dottore ha una comunicazione urgentissima per il signor Boronovici, deve venire immediatamente! ». «E troppo...» mormorano insieme lui e Nada. Eccoli di nuovo davanti al commissario, che appare pieno di zelo e di rispetto: « Si segga, prego, è comodo così? Anche Lei, signora? Due minuti fa il ministero dell'Interno mi ha telefonato per dirmi che il professor Boronovici è aspettato al Viminale, giovedì (dopodomani) alle 18 pomeridiane, per un incontro di grande importanza con il signor ministro in persona. Verrà a prelevarvi a mezzogiorno, qui al nostro aeroporto, un Dakota dell'aeronautica militare. Avrete una camera prenotata all'Hotel Hassler a Tri113
nità dei Monti. I miei complimenti. Siamo a vostra disposizione! Riaccompagnali, Maresca... Vi serve un passaggio? ». Il passaggio è provvidenziale e accolto con estrema soddisfazione. Sulla camionetta della Celere c'è un agente alla guida e posto per tutti e sei. In pochi minuti saranno all'Antica Beccheria, viale Brigata Sassari angolo, angolo... Non importa, vedranno l'insegna... «Voi siete stati tutti testimoni del fatto di ieri sera? » s'informa il poliziotto guidando come a sirena spiegata. «Quattro di noi c'erano... ». «Buio completo. Il magistrato ha fatto sprangare il locale e mettere i sigilli. Chissà quando riaprirà. La padrona si consola rispondendo a giornalisti venuti da tutte le parti. (Sapete, notiziariservata,un settimanale le ha offerto una forte somma perché racconti tutta la storia degli ufologi... così potrà rifarsi...) ». Un TIR sfiorato, frenata brusca, allegro il poliziotto: « Stop. Siete arrivati. L'Antica Beccheria! Mangerete bene. Molto meglio che dal Marrano! ». Vedendo arrivarne sei, quelli del ristorante si fanno in quattro. Bei tavoli, scarso pubblico, purtroppo un televisore acceso fatto per rovinare le digestioni. Non lo vorrebbero ma... Ada li prega di moderare il volume, accettano. Tuttavia clienti e personale non faticano a riconoscere « quelli del Marrano » sui quali fluttua la mala fama di menagramo, da cui perfino emana odore di crimine di sangue irrisolto. La coppia di padroni, entrambi giovani, interessata ai fenomeni di cui il gruppo è diventato il centro, non è affatto scontenta di accoglierli. « Se non dite in giro che vi riunite qua da noi, noi non lo divulghiamo e staremo tranquilli. Neanche a noi piace avere i paparazzi! ». E di che cosa sta parlando il televisore, tossicchiante e lampeggiante, con immagini un po' tremanti, se non dell'allarme alieni e UFO in tutto il mondo - ma, chissà come e perché, proprio in quella città, dove, 114
pur non mancando i monumenti di rilievo, l'architettura preferita dai fotografi di avventura e dagli operatori principianti pare essere diventata l'entrata del Marrano con le imposte sprangate? «Posso?». «Ma certo! Vieni, vieni! ». È Saragàt-Paolo, sobrio come un battistero, cammina spedito ed è superfluo domandarsi, passeggeri di un tram chiamato Delirio, come abbia fatto ad arrivare fin qua, sapendo di trovarci il gruppo degli orfani del Marrano! «Per lui,» dice Ada al giovane padrone della Beccheria indicando Aris «un minestrone con molta pasta, all'olio crudo... Vede, si è addormentato... ». La testa di Aris è sulle ginocchia di Nada, che in qualche lontano cielo risplendono come astri e a cui certamente un luogo è riservato, come alla chioma di Berenice, tra le costellazioni. Forse, Aris sta in quel momento pensandole come risplendenti ginocchia di clemenza del Granchio o dello Scorpione - nell'assopimento interstellare dove gli arrivano smozzicate le frasi degli altri cinque profughi del Marrano, tutti trattati benissimo dai solidali dell'Antica Beccheria? Con la bocca che ne sfiora la nuca di radure, Ada-Nada culla il compagno col motivo amato della ballata del disastro minerario di Gresford in cui più di duecento uomini, nel 1934, perirono: You've heard of the Gresford Disaster, Of the terrìble price that was paid...
«Ecco il minestrone, bello, bollente! Ma il signore dorme...». « Ora mi sveglio, grazie ». Lo interrogano sulla comunicazione urgente del commissario. «Il ministro degli Interni mi ha convocato per dopodomani al Viminale, mandano a prenderci un aereo militare. Credo mi abbiano scambiato, per colpa dei giornali, per uno che può cavare tutti quanti 115
noi (ma loro per primi) da un insolubile impaccio. Non mi ha dato modo di fare qualche domanda, obiettare qualcosa. Ci andrò, tutto è già fissato. Queste costrizioni mi esasperano... ». Li servono i padroni in persona, stanno arrivando con le altre portate, mentre Aris, preoccupato dall'incontro romano, manda giù a forza un po' di minestrone. «Non restate muti. Datemi consigli! ». « Dovresti bere più vino » lo consiglia il sobrio a tempo. « Ci hanno portato un grignolino del cinquantuno, un'annata mai vista! Sai che il nostro maestro Michel de Nostredame aveva le sue infallibili visioni soltanto dopo aver trincato a lungo? ». Tutti approvano e Aris fa seguire al minestrone, gustandolo con saggezza, un bicchiere di grignolino lucente come una lama. «Senza il soccorso di una visione non so cosa potrei dire al...». Si alza, da uno dei tavoli, una voce: «Ehi, ma voi, proprio, della televisione ve ne infischiate? Stanno parlando del professor Boronovici e del suo interrogatorio al commissariato del diciassettesimo! ». E vero, e questa inaudita contemporaneità con l'evento dà i brividi al nostro piccolo gruppo di diversi, lontani dalla massa di insipienti che sta accogliendo dappertutto con giubilo e impazienza quel funesto attentato alla mente umana. IL MISTERO DELL'OSTERIA DEL MARRANO È SEMPRE PIÙ FITTO. DA DOVE PROVENIVA L'ASSASSINO? IL PROFESSOR BORONOVICI RITIENE SI SIA TRATTATO DI UN ALIENO.
«Non ho detto nulla, » dice Aris desolato «neppure a voi, neppure a lei, ho detto nulla di simile! ». «Ma lo hai pensato, come tutti noi...» sentenzia dondolandosi un poco Temistia, finora come assente. «Ricevono comunicazioni telepatiche dall'Isola dei Morti, che amano intrufolarsi dovunque coi loro corpi eterici, e non distinguono il vero dal falso, il bene dal male, la morte dalla vita. Le onde... le onde sono piene di corpi eterici gonfi di tutto... me116
dicine e veleni... Se sapessimo farcene degli alleati potrebbero rivelarsi preziosi... ». La padrona ha la delicatezza di spegnere lo schermo; nessuno, dai tavoli, protesta. Dice Ada: « C'è un morto, un uomo famoso, al vertice del potere, che morì suicida, e lo sento vagare intorno a me anche quando dormo con Aris... ». « Si è fatto riconoscere? ». « Oh sì! E l'arciduca Rodolfo d'Absburgo, quello di Mayerling... Non parla: ma è infinitamente triste». Elfia, la stigmatizzata, vede gocce di sangue comparirle sulle mani, s'infila pronta guanti di gomma. « Scusatemi. E il primo quarto di luna, la notte che a me le ferite sanguinano... ». Depone forchetta e coltello, e si raccoglie. « Se il ministro ha sentito quel che hanno detto alla tivù,» dice Marco «ti manda un'ambulanza invece che un aereo militare! ». (Nella sua battuta, si tradisce un poco d'invidia). «Domani,» prega Ada dolcemente «per tutto il giorno e la notte non telefonateci, non chiamateci al citofono: dobbiamo prepararci per Roma; Aris deve un poco riprendersi; non ce la farà, altrimenti! Ci chiamate due taxi, per favore? ». « Subito, cara! » dice gentilissima la giovane padrona. «I taxi arriveranno tra cinque minuti. Il conto lo pagherete un'altra volta... Pensate a come aiutarci! ». In strada. La zona è elegante, non vedi Città degli Stracci, né merdine di cane. Ecco il primo taxi. E, a ruota, l'altro. Gli autisti (usava ancora!) scendono per aiutare le signore e l'anziano ad entrare, ma non riescono a tenere in corpo la notizia di quanto sta avvenendo dalle parti del porto: «Avete sentito? C'è un incendio. Abbiamo visto le macchine dei pompieri. La famosa osteria del Marrano, quella degli UFO, è bruciata tutta! ».
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PARTE SECONDA
L A C I T T À DEGLI STRACCI
La pattumiera è la soglia dell'eternità. TADEUSZ KANTOR
E se l'Eternità fosse altra pattumiera? Il Filosofo Ignoto
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Argana Lux, la ragazza uccisa al tavolo degli ufologi all'osteria del Marrano da un indecifrabile sacrifìcatore-assassino, apparteneva al corpo di ballo della Scala, dal quale era stata espulsa cinque o sei anni prima per condotta immorale nel tempio dei fondali, tra il secondo e il terzo atto della Traviata. Tuttavia, nell 'abduction, si era comportata da disperata eroina. Nessuna delle persone di sua conoscenza è apparsa sospettabile. Aris, al commissario Del Lenzuolo, ha fornito la sua maldigeribile ipotesi: Argana sacrificata da un assassino del tutto estraneo al nostro mondo - opinione accolta quasi con compatimento per il povero opinante. Ma l'invito al Viminale ha fatto vacillare il giudizio del funzionario: e se quel visionario, e i testimoni suoi amici, avessero ragione? Bagaglio pronto, giovedì, in casa di Aris e Ada. Alle dodici in punto sono ai piedi della scaletta. Il comandante, un maggiore pilota militare, solleva con estrema gentilezza la magra figura pallida di Aris de1Ò1
ponendola presso un finestrino. Non ci sono altri passeggeri, eccetto una giovane hostess in divisa azzurra. Rivolta a Nada, non è strana la domanda di lui, mentre l'aereo sta correndo sulla pista: «Hai messo in valigia l'arciduca Rodolfo? ». « Sì certo, caro. Ci propizierà il viaggio. E stato un discolo in vita, ma adesso... fa il bene che non ha potuto fare alla patria: non credi? ». «Chissà». «Allacciare le cinture, prego! » annuncia il comandante. Dall'aeroporto di Ciampino a Trinità dei Monti, nell'abbagliante lusso da principi dell'Hotel Hassler, in un appartamentino matrimoniale con vista dominatrice su Roma. Sono le 15,30. Il tempo di una pennica breve in un letto che è il doppio di quello di casa, dopo una tazza di tè caldo dal proprio thermos. Poco prima delle 17,30 li chiamano da basso: l'auto ministeriale è arrivata. Ada si è messa il migliore abito del suo scarsissimo guardaroba, Aris ha una camicia pulita a righine azzurre, l'aspetto, quanto si può, disteso e riposato. «A che cosa pensi? ». «All'irrealtà del potere, da quando esiste. Era così a Babilonia, a Menfì... Sono un po' stordito». Scendono lo scalone. Ada lo incoraggia: «Pensa che ti amo». «Ci sarebbe voluto un bastone nuovo nuovo, almeno. Il ministro mi disprezzerà». «Il ministro ci teme ». «Lo senti? Ne sei certa?». «E così. Ci teme. Teme l'inesplicabile, gli fa paura. Noi, per lui, siamo i veri alieni. Alla lettera. E incapace di capirci, ma quel che ti dirà avrà conseguenze per la nostra vita ». Da Trinità dei Monti al piazzale del Viminale è un tratto breve, e a quell'epoca, a Roma, la circolazione non si era ancora fatta intollerabile per la pazien122
za della civiltà. La rumorosità però era già fortissima. Aris ricorda: nei primi anni del fascismo, si poteva attraversare Roma da Porta Pia al Gianicolo incontrando non più di trenta-quaranta macchine, per lo più del governo, dei dirigenti FIAT, di qualche primario del Policlinico, di amanti dei gerarchi. All'uscita dalla Lancia, li accolgono due funzionari che senza una parola li accompagnano al secondo piano. «Aspettate qui. Il ministro verrà tra p o c o » . Su un divano c'è una copia del «Messaggero». Il titolo dice: MISTERIOSO VIAGGIO A ROMA DELLO SCIAMANO UFOLOGO. E sotto: Nessuna luce sul delitto del Marrano. Si fa strada l'ipotesi assurda dell'alieno. Nuovi avvistamenti in tutta Europa.
L'attesa non si prolunga. «Prego, signori. Il ministro vi attende ». Una telefonata del presidente degli Stati Uniti, Dwight Eisenhower, a tutti gli alleati atlantici lo aveva forzato a occuparsene. Inoltre, gli arrivavano continui allarmi preoccupati dalle prefetture, in specie da quella della città dov'erano avvenuti i fatti del Marrano. Dal papa Pio XII, malato, nessuna celeste indicazione, ma il suo segretario di Stato aveva già da un po' incaricato di far ricerche la Specola Vaticana. Il ministro degli Interni si era informato e aveva deciso che l'oscuro ex fotoreporter di guerra Aristide Boronovici era l'uomo adatto, se non alla salvezza del genere umano, a quella almeno del proprio avvenire politico. Ora eccolo davanti a lui, rifatto dalle mani della Senescenza, lo «sciamano nano», appoggiato a una donna, l'aria degna, grave, fortemente impacciata. Il ministro è anche lui ingobbito ma, di molto più giovane, meno accentuatamente. Lui può attribuirne la colpa alla vita eccessivamente sedentaria; Aris, certamente no. Freddo, scettico, gentile, via via più 123
umano, il potente capo del dicastero. Una mosca di fine estate molesta entrambi, insieme alla giovane segretaria in maniche lunghe e abbottonata fino al collo, gonna sotto il ginocchio, pendente dall'eloquio ministeriale, stenografante tutto. E se la mosca fosse una spia degli alieni? Un Kulik infimo? « Professore, le informazioni che ho su di lei, coinvolto in questo strampalato affare (non credo lo sia volentieri), sono eccellenti; perciò non stupisca se sto per proporle un compito di Stato in merito alla faccenda che, non so come né perché, oggi occupa mezza Italia, buona parte d'Europa, straripante è in America, eccetera eccetera: ma in special modo sta colpendo quasi epidemicamente la vostra città e la sua provincia. Addirittura, negli ultimi giorni, ci sarebbero stati da voi, stando alle sole denunce ai commissariati e ai carabinieri, diciannove casi di quella cosa che gli americani chiamano... chiamano...». «Abductions, signor ministro. Si tratta di sequestri temporanei da parte di esseri (se mi permette) alieni... Vulgo, marziani». « Mi appassionavano le tavole a colori del settimanale "L'Avventuroso", le storie sul pianeta Mongo, le avventure di Gordon e Dale, fra il Trenta e il Quaranta... Mi scusi, torniamo al presente... Qualunque sia il mio parere al riguardo di UFO, alieni, ab... duction, sono obbligato a prenderli sul serio. Abbiamo anche le incredibili storie dell'osteria del Marziano...». «Marrano, dottore, Marrano» precisa la segretaria, impotente a scacciare la mosca che non vuole spassarsela altrove che sulla fronte e la nuca del suo venerato Capo. «... del Marrano! E col rogo dell'altra notte non ci sono rimaste, per le indagini, che le pareti annerite. E bruciato tutto, proprio tutto!! Vorrei, in via riservata (ma non so quanto la riserva possa tenere), Lei mi 124
assumesse un ruolo specialissimo di affiancatore ... Di più: di superprefetto, in collaborazione stretta col mio ministero, però autonomo, per un tempo, diciamo, da un giorno a sei mesi: direi ce ne sia abbastanza perché questa assurda storia finisca e venga dimenticata al più presto... L'Italia che lavora, che produce... ». (Non trascriviamo la frase bellissima sull'Italia che lavora e, ergo, non ha tempo per ufolaggini). Aris è impassibile, Ada ascolta con un impercettibile sorriso, ironico leggibilmente, che non sfugge al ministro. «Dunque, accetta? Non perdiamo altro tempo. Non è un conclave, questo... ». «Accetto! ». La segretaria respira sollevata, il Cap o si fa più caloroso, la mosca spiona si è rivolta spontaneamente ad una bottiglia vuota di Coca-Cola posata su un vassoio sopra un mucchietto di giornali, qualche metro più in là, Ada è preoccupata perché conosce le infermità fisiche del suo vecchio amante, ma lo ammira per la sua intrepidezza, intenzionata a restargli quanto più si può vicina. «Benissimo. Mi congratulo. Allora, Lei oggi sarà nostro ospite (un p o c o di riposo le farà bene) fino alla stessa ora di domani. L'aereo militare vi riporterà a casa. Solo, per motivi di praticità e sicurezza, nella giornata di sabato vi trasferirete entrambi, Lei e la signora... sua figlia, immagino? ». «No». « A h » . (Il ministro lo sa che si tratta di conviventi - o, come dicono i vescovi, di concubini - ma ha posto la domanda per pigliarli in flagrante mendacio e avere un motivo per disistimarli). Invece si tratta di trasparenti. Strani, anche in questo... «Vi trasferirete per il tempo che sarà necessario nella caserma Vinicio del Bandone, della polizia di Stato, in un appartamento che sarà adattato a tutte (o quasi) le vostre esigenze. Avrete in camera da let125
to un posto di televisione, ogni mattino vi saranno portati tutti i principali quotidiani e quelli esteri che direte... Lei legge il tedesco? Parla inglese?». «Tutto perfettamente». «Porti con sé le sue macchinette fotografiche: mi metta un alieno in posa, ma prima di darlo in pasto al giornali... ». (Ada sta un poco fremendo; non è il caso di usare i sarcasmi... Aris sorride, paziente). «Il problema numero uno, signor ministro, sarà riuscire ad avere un IR3... ». «Ebbene, ce l'abbia, ce l'abbia al più presto questo... IR3... Concludo: le dovremo fare qualche foto segnaletica, non se ne abbia a male, è una regola per ogni funzionario... ». Si alza per accompagnarli. « Signorina, scenda coi signori fino alla macchina, veda se gli occorra qualcosa al bar... Professore, i miei più vivi auguri: avrà un collegamento diretto coi miei telefoni personali, senza intermediari. Il suo mensile sarà parificato a quello di un magistrato di Cassazione, finché durerà il suo rapporto di lavoro col mio ministero. Il questore e il prefetto si metteranno fin da domenica in contatto con Lei. E tenga lontani i paparazzi ! ». Fuori, nel persistente chiarore dell'estate, è in attesa la macchina del ministero. «Portaci» dice Aris all'autista «alla Quercia del Tasso al Gianicolo, lasciaci là. In albergo ci arriviamo da soli». Le loro mani si stringono convulse, fino a dolorarne. Dopo lunghi minuti di silenzio, Aris parla come tra sé: «Dovrò spezzare un pane che spezzerà me, già spezzato... Riuscirò ad accompagnarti dal tuo pastore anglicano, sostando a Chartres, dov'è apparso e si è dileguato l'insetto? Ma non potevo tirarmi indietro... Guarda quella gente, con una minaccia assurda che gli arriva fin dentro al letto, eppure non sente, non capisce niente...». 126
« Non temere che ti lasci, occupiamoci della Cosa adesso. Perdonami se avrò ogni tanto delle crisi di rimorso e di lacrime: andremo in cerca di... Dunia dopo... dopo il tuo mandato... Non gli permetterò che ti spezzi, questo pane... e neppure il mio pane di dolore... ». Meravigliosa Ada! Nulla spaventa la sua fragilità di vittima del male della vita! «Ecco, siamo al Gianicolo! Vieni, mia Nada. Un braccio, per favore. La Quercia è là». Agonizzante, dopo sei o settecento anni di radicamento eroico in una tonsura di terreno monastico, su un terrapieno in cima alla salita di Sant'Onofrio, la Quercia famosa, dove il Tasso si riparava dalle tempeste accusatrici della Follia a pochi passi dalla stanza che lo ospitava nel monastero, appariva ingabbiata e sorretta dentro un intrico di lamiera che ne rendeva ancor più evidente la sua pena di sopravvivere esclusivamente per i pellegrinaggi desacralizzati della Cultura. «Vedi là il mio futuro di imbustato! » grida Aris premendo il braccio della sua interrogante compagna, che lo aiuta a salire sul terrapieno, nella luce morbida e ventilata del tramonto romano. Ma Ada non conosceva neppure il nome del poeta che esaltò in meravigliose ottave la miserabile crociata del millesimo anno. «Ancora un anno o due di pena di vivere, povera Quercia! Se ne sta discutendo, ma il Comune l'ha condannata a scomparire del tutto, è un torso in secca, non gli arriva più linfa, scalderà i piedi di un barbone, vivrà nella leggenda...». Aris ne baciò un ramo, e discesero. Sui gradoni del vicolo in salita c'era un'altra quercia condannata a sparire: la musica indicibile dei telai a mano dietro a ogni uscio. S'intravedevano dalle finestre le braccia femminili instancabili, che producevano all'infinito, da sempre, lo stesso suono: tlactlac... tlac-tlac..., dolce all'orecchio come il vibrare della risacca. « Questo vicolo » dice Ada « è tutto Cit127
tà degli Stracci!». C'erano cartaccia sparsa, muri puntellati cadenti, sigarette schiacciate, pietre arcilise, gatti magrissimi famelici, maccheroni versati, un po' di merda immancabile. C'era... c'era Lumpenstadt concentrata, atmosfera propizia alla meditazione sulle lacrymae rerum, per inumidire la secchezza dei nostri rami morti. « Dove andiamo, Aris mio? Hai visto il salone da pranzo dello Hassler? Che ci facciamo là dentro, noi orfani del Marrano? ». «Non rientriamo in albergo. Ti porto a cena in un posto più adatto a noi! Ci sono dei taxi qui sotto... ». Quasi dimenticato, da loro, l'incontro del Viminale. Una quindicina appena di anni prima, un bravo scrittore dimenticato, catanese d'origine, Ercole Patti, aveva scritto un racconto, L'odore delle latterie, in cui le latterie romane mandano un saluto prima del loro «addormentarsi coi padri». Aris le conosceva, quelle del centro, e sapeva che non le avrebbero ritrovate più. Si ficca nelle ascelle della latteria, Patti, raro odorista: «Non potrò mai dimenticare l'odore delle latterie in certi pomeriggi del 1921... Una luce velata, da sottoscala, entrava da qualche finestra smerigliata che dava su interni pieni di panni stesi... ». Aris non ne avrebbe cercata una sopravvissuta - che forse c'era, dalle parti del Verano, per le colazioni dopo le esequie ma andarono diritto in via della Croce, alle tendine ombreggiate di Cesaretto - per i non iniziati Trattoria Beltramme - , appuntamento cenatico dell'Intellettuale romano, degli artisti e della gente di cinema in cerca di occasioni. «Fosse così facile avere un Incontro Ravvicinato come trovare qua dentro la crema calda dell'editoria e di Cinecittà, al prezzo modico di qualche fritto indigesto! » dice lui spingendo la porta che scampanella. Il locale era ancora semivuoto, si sarebbe affollato più tardi. La giovane cameriera Crocetta, riconosciutolo, saluta calorosamente, contenta 128
e stupita di rivederlo: «Professor Aristide! Professore! ». «Crocetta! ». Visto il bastone, la gobba, l'azzoppatura, gli usò ogni premura. Piccolo e stretto, il famoso locale. Niente televisione. Dalla cucina, a un richiamo di Crocetta, si affacciò la cuoca, con le braccia infarinate, che salutò con grandi gesti, spargendo farina. L'odore non era quello delle latterie, ma di crocchette e altro fritto, solo in quel contesto accettabile. Né lui né lei riuscirono a dimenticare a lungo il pesantissimo incarico ministeriale, spontanea per Aris la comparazione biblica: « Mi pare di essere il capitano Uzzìa, che il re David manda a rischio di morte in guerra, per godersi spudoratamente Betsabea! ». Ada non conosce l'episodio, ma dagli anni londinesi ricorda che Betsabea fu vista dal re David mentre si lavava in cortile, tra i panni stesi, la bet-ha-bbòshet, Casina della Vergogna. Ecco, sta arrivando qualcuno: Mino Maccari, Domenico Bartoli, Alba de Céspedès, Mario Pannunzio, Elsa Morante, Sandro Viola, tutti contenti di farsi rovinare lo stomaco dalla cucina di Cesaretto. «Ehi, ciao! ciao! ciao!». Aris zoppicando va incontro al gruppo, saluta ed è salutato, tutti li conosce, ma lui è lontano da Roma da molti anni, le relazioni si sono interrotte, al « Mondo » di Pannunzio non collabora più... «E a Budapest, l'anno passato, non c'eri? » domanda Pannunzio. «Nessuno ha voluto ci andassi. La mia Leica l'ho dovuta appendere al chiodo. Troppo vecchio! ». Cerimoniale concluso. Adesso, alla polka delle mandibole! Ma per Aris importa sopratutto parlare con Ada dell'ignoto che li attende, dell'incarico insensato che i nuovi entrati mai immaginerebbero. Si scambiano parole lente, meditate. Lei: «Una volta insediati in quella caserma dei Bomboni, anche tu come il ministro con sette-otto telefoni sul ta129
volo... che cosa pensi di poter fare? ». Lui (a voce bassissima, nel vocìo crescente di Cesaretto) : « Ho almeno un'idea certa in testa: o seguitare a subire queste aggressioni e rassegnarsi a non decifrare i segnali che abbiamo, come un moltiplicarsi di Tunguske e di Roswell o di Marrani, oppure... fare dei tentativi per avere un IR3 parlante, intelleggibile...». «Aris mio, sai cosa sto vedendo? Su quella mensola in alto, sopra i tavoli, dove ci sono dei piatti dipinti di ceramica, due occhi vivi, al centro di un piatto, guardano verso di noi, ma senza nessuna espressione...». Lui: «Non li vedo, ma in quella ceramica è dipinta una enorme farfalla... già... una farfalla... ». Si è alzato il poeta Xavier Marabutini, la sua vocetta stridula annuncia che dirà i suoi versi per la liberazione del Vietnam dagli americani. L'inizio è promettente: «Risaie. Risaie mie di sangue...». A una donna sulla trentina, viso nordico interessante, venuta a sedersi all'unico tavolo rimasto libero, toccherà sorbirsi intero il poema di salvezza del Vietnam, di Marabutini. E la giovane scrittrice austriaca Ingeborg Bachmann, e ha la stessa età di Ada. Aris accenna a un fuggevole seduto; ma Ingeborg lo ha visto sulle prime pagine, gli pone domande: « Che cosa succede, Boronovici? Saremo invasi? Possiamo fare qualcosa? C'eravate quando è stata uccisa quella donna, nel locale che è bruciato? ». «Non c'eravamo; ma siamo stati i primi a saperlo. Dopo i giornali, naturalmente! ». Ingeborg sorride e tace. Si accende una sigaretta. «Sta' attenta al fumo... non fumare a letto...» le getta Nada mentre escono, per togliersi dal fumo e dal Vietnam. La ragazza porge ad Aris un biglietto: «C'è il mio indirizzo e il mio telefono romano. Se vorrà cercarmi...». Lentamente, con dura fatica per Aris, salgono l'affollata scalinata verso l'albergo. 130
«Perché le hai lanciato quell'avvertimento?». « Mentre si accendeva una sigaretta l'ho vista a letto, e un fumo infuocato l'avvolgeva. Ma non ora, no... non adesso... ». In cima alla scalinata, nell'inevitabile voltarsi per uno sguardo su Roma gli si manifesta in un lampo un verso di lei dell'anno prima: in die Welt gekommen mit einer Sendung von Licht...
Grida Nada: «È un messaggio che Ingeborg ci manda, in questo stesso momento! ». «"Venuti al mondo con una missione di luce"... E vero: ci ha capiti». Nel lettone dello Hassler, al terzo piano, i loro bisbigli mescolano l'estrema tenerezza di un linguaggio irripetibile alle preoccupazioni per la Sendung von Licht, inflessibile Gufo acceso nel cavo dell'albero - che li attende, risucchiandoli. Aris distende con sollievo le gambe, accarezzate da quelle di Ada. Le punta su un seno un dito. «Nutrimi, presto! » dice.
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Hanno traslocato. Due grandi finestre si affacciano su un ben curato giardino, dove attualmente fiorisce, amatissima da Aris, la variopinta zinnia, compagna dei grilli nei nostri climi. Non mancano tre o quattro palmette un po' ingiallite e una magnolia né - siamo in una grande caserma di polizia - furgoni pronti ad intervenire e un paio di macchine del comando. La stanza di lavoro per Aris sarà, a occhio, larga quanto un appartamento di cento metri quadri, sul suo tavolo ci sono cinque telefoni con ai lati due Lettera 22 Olivetti; una porta dà accesso a due stanze, con un piccolo bagno e una cucinetta da cella di Regina Coeli - bisognerà adattarsi. Una libreria con soli volumi di regolamenti e codici può ospitare un migliaio di libri: Aris ne ha portati un centinaio, di cui appena tre o quattro perlustrano ufologia, astrofisica e contattismo, in edizioni americane principalmente. Di recente, nello stanzone, è stato collocato un televisore. Non c'è letto matrimoniale, ma due brandine militari accostate accolgono la coppia. Ada chiede un vaso di vetro per met1Ò1
terci dei fiori di gambo lungo. Una stufa di Castellamonte e una elettrica assicurano un appena sufficiente riscaldamento per i mesi prossimi. Lo strano, incongruo, fuori carriera superprefetto avrà per servirlo costantemente due segretarie e un caporalmaggiore di collegamento coi superiori. Aris ha dubbi che l'organizzazione militare possa essere la più adatta ad una situazione così inverosimile: ma uno Stato privo di antenne come FBI e CIA non può fornire nient'altro. Ada ha trovato, in una botteghina di vecchierie in penombra, un berretto da marina russa di epoca corazzata Potiomkin, che Aris esita a mettersi in testa: l'Ironia non è un'ospite gradita in una caserma di polizia. «Lo metterò a letto, se vorrai! Qui, per i contatti con umani e (speriamo) umanoidi, indosserò la chippà che mi avevano data alla sinagoga di Amsterdam... ». «Per me sola sarai il grande marinaio! ». « Sarò l'ammiraglio Togo... o l'ammiraglio Rozdestvenskij! Peccato non esserlo stato davvero! «Ti prego, Nada mia: cerca di essere in armonia con Temistia; è necessario che lo siate, io ho bisogno di entrambe. E più difficile scovare un alieno che un berretto di marina russa nella Ghenizà del Cairo... ». Nada promette, rassegnata. «A Temistia non domanderemo nulla di te, mai. E l'IR3 che mi sta a cuore ». « Che farai di Bétancourt e degli altri? Sua moglie è un peso morto, non può darci nessun aiuto». «A loro chiederò di rintracciarmi la stigmatizzata». «Non occorre cercarla. Se vorrà affacciarsi, la ritroveremo. Ma... se tu sei in caccia di un alieno, perché hai portato così pochi libri che ne parlano? ». « Innumerevoli libri, nell'arco dei secoli, ne hanno parlato! Basta saperli rivoltare e leggere. E poi, abbiamo bisogno di distrarcene, più che di pane. Dai libri mi lascio fin troppo guidare; a volte, mi faccio trasportare da loro su spiagge lontane... ». 133
« Cerchiamo Saragàt: se non ha bevuto, è un illuminatore. Starà gironzolando dalle parti del Marrano bruciato, luogo più che simbolico! ». «Nada, e TU, chi sei?». «Una che doveva incontrarti... Chiamo Alessio e ci vediamo stasera all'Antica Beccheria? ». Il bastone di Aris e il braccio di Ada camminano adagio intorno alle aiuole di zinnie, nel grande cortile. Il sergente maggiore Giusepponi impeccabile baffuto li raggiunge con la posta e un giornale. Non ha mai visto una chippà, ma non ardisce stupirsene in modo visibile. «Ci sono quattro telegrammi per Lei, professore, e un articolo che la riguarda, americano. Dovunque vorrà andare, stasera, io sono a Sua disposizione! ». « Grazie. Alle otto ». Il giornale è il «New York Times» di qualche giorno prima; al Marrano non si era ancora compiuto il fato triste di Argana. Due colonne negli esteri: UN ITALIANO EX FOTOREPORTER DELLA M A G N U M ORGANIZZA LA DIFESA DAGLI ALIENI MANGIANDO PIZZA CON AMICI.
«Io, » commenta Aris « dovrei crepare di fame per mandar giù una pizza... Vediamo i telegrammi: "La mia benedizione per la sua coraggiosa missione stop. Domenica in basilica pregherò per voi - Angelo Roncalli, patriarca di Venezia, pastor et nauta"». «L'anno prossimo, sarà lui il Papa» commenta Ada, e sorride. « Gli altri provengono da Timothy Leary, Sacramento, che raccomanda le sostanze psichedeliche; Mario Dondero, da Parigi; Mircea Eliade, New York, per metterli in guardia contro possibili incontri col mistero del male. Aris ne è rallegrato. « Stanno andando via le rondini, » dice Ada « il cielo si va svuotando».
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Con l'auto della polizia, si fermano di fronte al Marrano. Ora là ci sono due Città degli Stracci a breve distanza, parallele: quella del vicolo e il locale distrutto. È debolmente rischiarato da un filo che pende dal soffitto della saletta di sopra. Qualcuno ha passato la scopa e radunato in un enorme mucchio vetri e porcellane rotti. La cucina è un buco nero. Tavoli e tovaglie dissolti; al centro, un asciugamano intatto e un bicchiere sopra, di vino bianco. «Paolo! » grida giubilante Ada. È lui, seduto sul pavimento, con attorno tre o quattro dei ragazzini che lo perseguitano ubriaco, ma lo amano, quando è sobrio. Gli sta insegnando a cantare in coro Giarabub. «Adesso tutti insieme: "Colonnello, non voglio l'acqua / dammi il fuoco distruggitore..."». « Ehi, ma che cretinate ci fai dire? Se uno ha sete, mangia fuoco? ». Saragàt non è dogmatico, si arrende al buon senso del ragazzino: «Se vi piace di più, chiedete al colonnello una gazzosa fresca! ». S'interrompe vedendo entrare con solennità due figure incappucciate di nero, di cui una si sorregge con un bastone e l'altra la sostiene sul lato destro. Aris e Ada con questo modesto trucco ritengono aver evitato l'assalto di un gruppetto di fotografi di fazione per conto di alcune agenzie. All'interno i cappucci cadono, con piacere dei giovani coristi. Saragàt, felicissimo di vederli, si affretta a vuotare il bicchiere di vino bianco: « H o una cosa da dirvi che mi pare di decisiva importanza! ». «Vieni con noi all'Antica Beccheria, ci saranno anche gli altri». «Ragazzi, fuori! Altre canzoni di Mussolini domani». Aris e Ada si rimettono i cappucci, con delusione e rabbia dei fotografi, che protestano, ma scattano ugualmente, inquadrando i due incappucciati sulla soglia meravigliosamente irreale del Marrano degli Stracci incenerito. Uno aggredisce Aris alla spalle per sfilargli 135
il cappuccio ma il poliziotto sa come proteggerlo: gli sferra un pugno da «fuoco distruggitore», Paolo applaude. La jeep riparte tra le urla e scompare. Aveva bevuto un po', Saragàt-Paolo, ma vince il Paolo misterioso e lucido, avanzo di tutte le Città Straccione cittadine. Sussurra ad Aris, tra i sobbalzi, graditi al vecchio quanto al fotografo quel tempestivo pugno: «Ascolta, Aristide, conosco una barbona...» ( « L o ha chiamato Aristide!» esclama Ada dentro di sé) «... una barbona tutt'altro che scema, te ne puoi fidare... Lei va a mangiare tutte le sere il rancio che la Caritas distribuisce ai poveracci e a quelli senza nessuno al mondo in un refettorio presso la chiesa di San Luca Evangelista... quella del Poligonale... dorme nei cartoni, dove capita, in quella zona... L'altro giorno l'ho incontrata in un posto dove va a bere e mi dice, misteriosa: di' a quel tuo amico Aristide che va a caccia di alieni per un contatto da vicino che alla Caritas del Poligonale c'è un tipo strano, che non ha una pelle come la nostra, una faccia gialla come per mal di fegato, e delle mani impressionanti, dove il cucchiaio che gli danno (ed è grosso!) sembra un ditale... Parla pochissimo e ha in testa un berrettone che gli nasconde mezza faccia... Ti fa sparire in pochi minuti due piatti di maccheroni al ragù da stupire chi si ferma a guardarlo e subito batte il cucchiaio perché ancora ha fame... Non ha detto da dove viene, non ha carte, ma i preti lo proteggono... qualcuno dice che l'hanno trovato in San Pietro dietro la statua del santo i sanpietrini... « Giorni fa, in un prato, la barbona dice di aver visto un... paracadute pendere da un albero... Mosso dal vento pareva una figura umana d'impiccato... Ha pensato potesse essere lui, il paracadutato, se poi è in qualche m o d o sessuato... ma in quel momento 136
lei era più attratta da un whisky doppio. Vuoi darle un appuntamento? La mensa della Caritas apre alle diciotto ». «Va bene, per domani, all'ora di apertura. Non ne parlare con nessun altro, neppure con gli amici, stasera. Verrò con Ada e con Temistia, e cercherò di avvicinare l'angelico...». Appare l'insegna dell'Antica Beccheria. Davanti c'è una ventina di persone, uno schiumare di apparecchi da ripresa; e accanto, un furgone con la scritta RAI e un altro della polizia. Aris e Ada s'infilano i cappucci e passano beffardi, mano nella mano, tra gli obiettivi puntati e la furia dei lampeggiamenti. Una voce ricattatrice gli grida: «Anche Lei, professore, è stato fotografo! Conosce il mestiere! Non si nasconda come un criminale! ». « Maledetto furbo » pensa Aris sotto il cappuccio salvagente (il suo ombrellino dell'imperatrice). «Mi punzecchia con la morale... ». Si leva un coro di brucolacchi imploranti: « Ci faccia lavorare, professore!!! ». Si tolgono il cappuccio per «farli lavorare», entrambi tenendo gli occhi chiusi, ma anche sotto le palpebre serrate arriva il fuoco degli abbagliamenti. Sessanta e più secondi di martellamento, poi i poliziotti con grinta durissima disperdono la banda. Necdum satiata recessit.
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Aris era irritatissimo perché una notizia e un incarico così riservati, con garanzia di un ministro degli Interni, fosse in un paio di giorni diventata una ciancia così logora da farne bordello. Tutti lo sapevano; tutti, dappertutto, li riconoscevano. Lo fulminò un pensiero: «Se la divulgazione fosse opera lordi ». E tacque l'idea che gli era venuta di dimissioni immediate, ma avvertì gli amici che da quel momento, eccetto che per necessità della sua inchiesta, avrebbe anche con loro stessi fatto notte e nebbia sull'argomento. Ci fu un silenzio, rotto soltanto dagli ordini dati alla padrona e al marito, tacitamente timorosi che anche nel loro locale si ripetessero i fatti inauditi del Marrano. E se la medium avesse domandato della toilette per uscirne poco dopo come un pollastro spennato urlante versetti di profeti? Temistia stava infatti torcendosi in convulsioni lievi che si sforzava di reprimere, e il suo pensiero fisso era di obbedire al comando interiore di spogliarsi e di esibirsi 1Ò1
nuda. «Per favore, legatemi alla sedia! ». Ma la tenevano d'occhio, pronti a fermarla. (Perché tanta paura di veder nuda questa povera bestia di corpo?). Riuscì a calmarsi. Bétancourt disse: «In città le denunce di abduction sono sempre più numerose. Da parte di donne specialmente. Cresce la paura». « Se mi rapiscono, e vogliono violentarmi, io dalla mia... postazione faccio partire un raggio della morte più forte e mortale di quello di Nikola Tesla! » disse Ada con estrema convinzione di possederlo, in quell'impensabile nascondiglio. Nessuno rise. « Mi sembra naturale » osserva Temistia. « La sorgente della vita potrebbe emanare radiazioni. Lilìt, la lamia, dev'essere radioattiva dalla testa ai piedi. Se le donne sapessero... ». «Lo sanno,» disse Bétancourt «lo sanno... E manovrano la loro radioattività meglio di un radiologo! ». «Radioattivo o no, è un punto, quello, dove si pianta il bastone perché l'animale a tre gambe non frani del tutto. A volte va bene...» osservò Aris, che prima di incontrare Ada non avrebbe aggiunto « a volte va bene ». Ma era cupo, per inquietudine del rischio di abduction di lei per vendetta, e per la frustrazione possibile dell'imminente incontro. Doveva riporre ogni fiducia in una barbona famelica e in un alcolista intelligente? Proprio al Poligonale avrebbe dovuto verificarsi il prescritto IR3? Notissima è l'eredità architettonica di Mussolini, ovviamente concentrata a Roma, ma volle - dopo l'ignominiosa campagna d'Etiopia - una sua città non capitale, senza monumenti antichi per fargli ombra, da destinare alle grandi adunate del regime, come per Hitler fu Norimberga, e il suo Albert Speer fu Marcello Piacentini. Fu scelta la nostra città, e le ruspe e le colate di asfalto sconvolsero una zona tut139
ta in piano, con casette e orti, di cui non restò che il ricordo, a sud-est dell'estrema periferia, attorno alla chiesa di San Luca Evangelista, priva di fascino, neppure menzionata dal Touring - e il nuovo quartiere fu chiamato, dal popolo o dall'architetto, il Poligonale. I lavori cominciarono nel 1937 e lo stadio alla Speer e gli edifici di contorno restarono a spenzolare nel vuoto dello Sconnesso, già nel 1939. Una sola linea di tram collega col centro storico il Poligonale la linea 41, quindici fermate e un capolinea nel piazzale della parrocchia di San Luca. Il tram 41 non era redditizio, per il nostro Comune; il Poligonale era qua e là Città degli Stracci, un dormitorio à la belle étoile di mendicanti e prostitute, e il 41 ci andava e ne tornava, spesso senza passeggeri. Aris l'aveva abbondantemente fotografato, senza mai venderne una sola immagine. Finché la Caritas cattolica non istituì la sua mensa calda della sera, in un annesso, nel tardo XVIII, refettorio di frati. Da quel momento il Poligonale divenne ininterrotto pellegrinaggio vespertino di tutte le fami e le solitudini di cui è capace la ventralità di una città che non osa scoprire il proprio disordine, fumante rovina. Una specie di East End vittoriano, col suo «popolo dell'abisso» alla Jack London, risuscitato a metà del Ventesimo; una folla di devoti provenienti anche dai paesi vicini per dar fondo, in un paio d'ore, a uno squadrone di grandi marmitte dove immergevano alabarde a forma di mestoli un gruppo di agguerrite suore capitanate autorevolmente dalla Suor Bardonecchia, contenta di ingrassare e invecchiare in un ambiente così significativo e vitale, da bodegón velazquino. A raffiche le liti - e guai se coltelli e forchette fossero stati metallici, e i piatti da non gettare subito dopo l'uso. Fuori da quel caos disciplinato e frenato, la Città degli Stracci allungava le sue ramosità verso i rifiuti accumulati; e con le ombre della notte lo spazio esterno, baroccamente 140
rischiarato, varava zone di pericolo. Aris e le sue iniziate, Ada e Temistia, accompagnati da un Paolo più sobrio di un manovratore del 41, erano attesi alle 18 davanti al portale di San Luca dall'amica barbona Milesia Mittica, portatrice di notizie fresche dallo strepito del refettorio. «Non sperate di trovarcelo, stasera! Il nostro omino umanoide poco fa è stato aggredito da quattro zingare furenti per aver fatto segno di no, no, alle loro veementi richieste di moneta. Suor Bardonecchia è accorsa (la temono) e a mestolate sgocciolanti le ha ricacciate in fondo al punto cardinale a uggiolare canine, ma pronte ad azzannare di nuovo; intanto però il vostro verdastro si è dileguato... Non credo lo rivedremo, stasera...». «Se c'ero io non spariva! » dice il sergente Giusepponi, che per ordine del comandante aveva impedito ai cinque amici di arrivare fin là privi della sua scorta. « Perché io » minaccia Giusepponi alzando il pugno «sono in grado di sedare con un'occhiata tumulti così di m... Meno male, non vi ho lasciati soli... Non fidatevi di quelle canaglie, non rispettano niente e nessuno, la Caritas li nutre troppo... ». Milesia li guida nel cuore nero del Frastuono, da cui si alzavano suoni sguaiati di stradivari fracassati, i suoni cupi di ventre mai sazio eruttati dalla voce umana, quando l'animalità primitiva niente la regola e modula. Due cinesi si disputavano un pezzo di formaggio e si erano formati dei parteggianti opposti, con minacce e bestemmie. Il supposto umanoide era ritornato e si stava rifornendo delle proprie razioni incurante delle zingare occupate a predire qualcosa a un tonto vestito un po' meglio degli altri. La lite sembrava non lo riguardasse. Vide Aris e gli altri e trasalì. Giusepponi distribuì alcuni ceffoni e spartì il formaggio meglio di un Salomone, suore approvandolo e sorridendo. La misteriosa creatura, evidentemente, si sapeva 141
cercata. Aprì le. labbra sottilissime e Aris, Nada, Paolo, Temistia ne percepirono la voce. «Il mio nome è Uvar, sono di Altrove... Appartengo al popolo vinto della Lemuria... ». La voce pareva provenire da una registrazione, pronunciata come in un megafono. Soltanto il quartetto ufologico la udiva nel proprio cranio. Giusepponi e Milesia nulla. «... Abitiamo su questo pianeta da prima dei dinosauri, ne abbiamo visto la fine... Io sono Uvar, il lemuriano, e questo è l'Incontro Ravvicinato 3 che io cercavo prima di voi... Viviamo nelle foreste e nei sottosuoli, i nostri occhi vi guardano dagli alberi cavi... Nella regione insubra è la nostra colonia in Italia più numerosa... Non siamo noi gli autori dei sequestri e degli stupri, ma gli Elohìm che ci hanno vinti e imprigionati... State attenti, sono la peggiore canaglia della galassia, vogliono dominarvi e abbrutirvi... Aristide, Aristide! Riudirete questa mia voce in casa vostra, al crepuscolo, come adesso...». Eccolo, Aris, l'Incontro Ravvicinato! Le mani di lui e di Nada si stringono fino a spezzarsi. Aris è attento alla Voce che gli rimbomba dentro come in una navata di cattedrale, e nello stesso tempo segue il transito della cometa di pensieri che gli è suggerita dal suo mestiere primario (anche quando con la Leica inseguiva l'essenza umana): pensare pensare fino all'ultimo, tendendo l'arco, tendendolo con spasimo, ad ogni costo, dentro a ogni cosa dove c'è vita e morte, ombra e luce, e luce su luce... La voce è cessata. Escono... «Avete riconosciuto quella voce? Io sì. Era quella di Orson Welles, la stessa di diciannove anni fa, quando fece rabbrividire l'America annunciando la calata dei marziani a Grover's Mill». Una coppia di barboni puzzolenti, cittadini ono142
rari di Lumpenstadt, con accanto due bottìglie appena scolate, sulla porta della chiesa, si stava preparando per la notte. «Ascoltate, » disse Ada, un istante prima che si manifestasse il suono «c'è un musicante». Sul piazzale stava arrivando il 41, con gli ultimi affamati della Caritas. Davanti al refettorio era comparso un vecchio, tremolante, suonatore di violino, avvolto in un poncho di brandelli blu e verde, che canticchiava, di Kurt Weill, Mackie Messer. Aveva una testa enorme, e un cappellaccio calato fin sugli occhi, abbassati sullo strumento. Giusepponi avviò il motore. « Bornie chance, » gridò Paolo al vecchio senza volto « Uvar baiùr!». E rivolto agli altri: «Indovinate chi è, quel suonatore! ».
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All'appuntamento col lemuriano Uvar in casa di Aris e Ada c'è tutto il gruppo dei Marranisti ad eccezione della stigmatizzata, e nessuno di loro dubita che, se l'incontro avrà luogo, porterà alla loro crudele storia novità decisive. Refrattarissimo ad incarichi governativi e a dipendere da un politico che sta a Roma con dieci telefoni e neppure la minima nozione ufologica, o archeologica, Aris, nonostante lo spiraglio che si è aperto al Poligonale, medita ogni momento le dimissioni. Nella via, tre agenti armati, con Giusepponi, testimoniano della onnipresenza dello Stato in una faccenda che gli è estranea, come la malattia di un privato senza parenti. Ma intanto la situazione in città si aggrava, le denunce di avvistamenti in Italia sono quasi giornaliere, e misteriosamente simmetriche: a tre UFO comparenti nelle regioni del Nord, corrispondono altri tre, in Centro e Sud; ogni giorno, qualche donna con ricordi di terrore denuncia un ratto di sé nell'Ai trove. «Accendiamo la radio». 1Ò1
Stupore! La voce non è della RAI! La voce è quella stessa di Orson Welles nel 1938, che esordisce in inglese con le sue stesse parole: Ladies and Gentlemen, I have a grave announcement to make. Incredible as it may seem, both the observations of science...
«Basta!!» grida Saragàt-Paolo. «Dicci qualcos'altro! ». Di colpo si stabilisce tra il gruppo e la voce un circuito incantato. La voce di Orson-Uvar ora parla un lento lemuriano-italiano, perfettamente comprensibile, sebbene non facile da descrivere. «Ascolta, Aristide! Voi suoi amici, ascoltate. Vi parla Uvar, il principe della Lemuria, che abita nella regione dei Celti ed è qui per darvi aiuto! ». «Parla, Uvar. Ma perché un principe lemuriano va a confondersi travestito coi barboni famelici della Caritas al Poligonale? ». «Noi siamo un popolo vinto che cerca alleanze fuori del suo mondo per riscattarsi; da molto tempo compiamo Incontri Ravvicinati con voi terrestri, Aristide. Un vero Principe con una missione deve sapersi mescolare alle più umili realtà umane. E in te vive la sapienza nascosta di quelle che chiami le Città degli Stracci. Ti ho gettato di là il mio segnale... ». « Ci sono divinità nelle foreste lemuriane? O c'erano, quando i terrestri erano nelle poltiglie fertili? ». «Non posso dettarti un libro intero: forse lo capirai da te, insieme con la tua femmina e i tuoi compagni. Io voglio dirti quanto ti può servire adesso! Le entità che vi danno pena e disturbo provengono da un popolo che non ha nome, da stelle molto lontane: noi li chiamiamo così, Senza Nome, e sono nella galassia quel che sulla terra sono detti Intoccabili, i Fuori Casta, i reietti, i maleamati, però dotati misteriosamente di poteri occulti, esperti come maghi illusionisti in materializzazioni, e di questi poteri, non mancando d'intelligenza, abusano per i loro scopi. Non aggrediranno mai le vostre città terrestri 145
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con un'armata e navi spaziali come ha immaginato 10 scrittore inglese famoso: ma sono crudeli in quella che voi ufisti chiamate abductions, fanno apparire e sparire fantasmi, mutilano animali e sono terribilmente bramosi di esplorare il corpo umano. Queste cose - accadute più volte nelle epoche della storia umana - si sono intensificate violentemente nei cento anni trascorsi e ancor più fitte saranno nel futuro, che io però non sono autorizzato a rivelarvi. Essenziale è che sappiate quello che vogliono per lasciarvi in pace, per non uccidere più nessuno com'è accaduto in quell'osteria (è stato uno di loro), per non sequestrare altre persone viventi in questa e in altre città per un tempo che è impossibile determinare perché non dipende neppure da loro, ma sufficiente a darvi respiro... Mi ascoltate?». Nella stanza, tra libri, piatti, barattoli, fiori, letto con sopra indumenti, due bastoni appoggiati, un'immagine di Buddha e due o tre fotografie di guerra, 11 silenzio e l'attenzione erano, per un ambiente di respiranti, estremi. Nella cucina cadeva una goccia a intervalli. Ciascuno stringeva all'altro la mano, come in una catena occultistica. Che fosse davvero Uvar, il lemuriano, la voce emessa dalla radio, nessuno dubitava. «Ti ascoltiamo. Contìnua! ». «I Senza Nome, di sesso vagamente mascolino, sono eunuchi che per un trauma oscuro hanno perduto la virilità moltissimi anni fa secondo i vostri calcoli (dieci o ventimila, forse) e si perpetuano goffamente e tristemente replicando senza fine un modello identico. La specie umana li ha ben conosciuti, vendicativi, capricciosi, altissimi, nell'epoca fuori tempo di cui c'è traccia nel vostro libro sacro detto la Genesi o In principio (Bereshìt), e li ha chiamati i Refahìm, i Morti, le Ombre, i Deboli e, nello stesso tempo, i Guaritori o i Giganti. Con altro nome ancora alcuni di loro si sono imposti come legislatori e 146
demiurghi, e nelle più antiche Scritture sacre i disperati impotenti delle costellazioni sono tuttora chiamati Elohìm, o Elim, gli Dei, gli Angeli, i Forti... Per invidia del vostro membro che si leva come un telescopio verso la luna e l'Orsa, i Refahìm-Elohìm vi perseguitano coi loro rapimenti, le loro azioni infami, il loro morboso attaccamento di malati, e hanno un supremo timore: che cessiate di esistere, come la specie dei Grandi Rettili. Una enorme attrazione esercita sulla loro primitività bestiale flaccida e fuori natura la parte del corpo femminile che voi chiamate con sovrabbondanti nomi, di cui esplorano nei sequestri ogni segreto recesso. Tentano invano lo stupro: lo sanno bene le vostre donne, che lasciano libere inappagati e disgustati, per ricominciare subito dopo. Il segreto che nascondono è il terrore di quella fessura per cui gli uomini sulla terra arrivano ad uccidere i loro simili, e che a loro stessi non provoca che dei pruriti irritanti. Secondo le loro leggende là sono in agguato dei dentini di sega micidiali, e inoltre è noto che certe donne hanno la capacità per difendersi di emettere un raggio che a loro procurerebbe ustioni molto dolorose ». Aris e Ada si scambiano un'occhiata divertita e rassicuratrice. «Uvar! Uvar! » grida Paolo. «Si tratterebbe dello stesso raggio che stava sperimentando in laboratorio Nikola Tesla quando ci fu l'esplosione, cinquantanni fa, di Tunguska? ». La voce, per qualche interminabile minuto, tace. Rieccola: «Nikola Tesla fu un umanoide, come tutti noi siamo, ma diverso da tutti in quanto genio umano. Mi potete capire? Da New York il suo raggio della morte avrebbe sì potuto raggiungere Tunguska, ma Tesla non volle sperimentarlo. « Una volta, in un rapporto erotico, Tesla riportò una ustione alla mano che aveva appena appoggiato alla... yoni-shakti di una ragazza un po' riluttante, del 147
tutto inconsapevole, pare... e subito comprese che anche quella impensabile radiazione (che lo costrinse a portare fino alla morte inguantata la mano colpita) apparteneva ai fenomeni elettromagnetici associabili al raggio mortale, da lui progettato per annientare ogni modo di essere, iperuranico o subacqueo inclusi, tra la terra e il cielo. La ragazza, inorridita del potere manifestato dal proprio corpo, tentò più volte il suicidio, e mai più ebbe rapporti sessuali né con uomini né con donne... Come il malocchio nelle streghe, il raggio della morte celato nel bàrathron femminile è una realtà realissima... Però, meglio ignorarlo. La persona che tra di voi ne è cosciente, e lo possiede potente, avrà un'arma difensiva che potrebbe esserle molto utile, in incontri pericolosi... ». Una visione attraversò Ada. «Tra un paio d'anni» disse con voce lenta di sonnambula «verrà lanciato dalla Spagna un film dove si vedrà una gitana fotografare un gruppo facendosi uscire un lampo al magnesio e il relativo scatto dalla gonna sollevata... ». « Certi infanticidi » osservò intelligentemente, ma incautamente, Elisabetta «potrebbero spiegarsi così... ». Ada si risvegliò di colpo come per una frustata in faccia e intuendo che stava per vibrare un manrovescio folle su quelle labbra ignare Aris tirò a sé con forza il suo braccio già per metà alzato. Nessuno ci fece caso, ma c'era del vero in quella osservazione, che respingerebbe ogni coscienzioso medico legale. Temistia emise il suo corollario: « Se queste faccende saltassero il muro oltre il nostro orticello esoterico, non so quanti uomini oserebbero ancora prenderci per refrigerio e sollazzo... Non bastava la sifilide a far paura, i funghi...? ». La conversazione aveva deviato. La voce tacque per una trentina di minuti. Si udiva dalla stessa sta148
zione, un cantante-autore di successo, che pareva vicino, raccontare di aver visto ... un bel mammifero, modello centotré... Uvar lo cacciò via e disse che non avrebbe più dato responsi. Ma a qualcuno bruciava ancora di sapere che cosa significasse la cosa da cui tutta la loro storia ufologica aveva preso le mosse: il gigantesco insetto comparso sul blindato sovietico a Budapest. La voce rispose: «Il farfallone Kulik non è fatto di materia né per la materia. E un segnale spirituale. Un giorno saprete. Ora ascoltate... I Refahìm vogliono una delle vostre donne in ostaggio per un tempo che potrebbe protrarsi a lungo. Una sola, in cambio di una tregua di (se non mentono, quei bugiardi!) dieci anni - ripeto DIECI dei vostri anni. La donna dovrà impegnarsi a non colpirli con il raggio della morte, converrà adattarsi! Trovate la vittima al più presto, o i sequestri s'infittiranno. Noi non siamo in grado di stornare da voi questo flagello! Avrete istruzioni per questo IR direttamente da Germana, contattista di Torino nota a tutti gli ufologi. Il nostro incontro è terminato ». Si guardano tra loro muti, costernati. Aris non osa incontrarsi con gli occhi, lo sguardo, la determinazione tragica di Nada: è terribilmente certo di leggerci «Vado io, lasciami andare». Rimasti soli, il loro abbraccio è il precipitarsi di due cascate in un orrido alpestre, in un bramito unico di congiunzione separatrice. «Devo andare. La voce mi riguardava. Anche Dunia me lo sta dicendo, Dunia mi dice che passa per i Refahìm la mia... purificazione dal sangue, del mio dal suo... e LORO... loro lo sanno... la loro designazione è lampante... Non hanno più bisogno di farmi quelle volgari telefonate mute... di farmi implorare da una loro voce che imita Dunia... Se io non obbe149
disco, questa peste ufologica non avrà più fine... Sarà tra noi due il più grande dei segreti d'amore, lo saprai tu solo... poi partiremo, andremo in cerca di Dunia, e riposeremo, Aris mio, mio vecchio che ancora ama, riposeremo...». Ad Aris non resta che arrendersi - ma tocca il fondo dell'angoscia. Da Alessio ha avuto i dati per rintracciare subito Germana G. I due poveri e fatali amanti salgono sul treno per Torino.
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« Oltre quelli degli UFO abbiamo addosso, sempre, gli occhi del Viminale! » dice a Nada sottovoce Aris mentre l'aiuta, tra i viaggiatori subito impazientì, a scendere dal predellino di prima classe alla stazione di Porta Nuova: ci sono sul marciapiedi due premurosi carabinieri ad attenderli per accompagnarli all'Hotel Sitea in via Carlo Alberto. Ada non è mai stata a Torino, e non ne è troppo attirata; le importa l'incontro imminente, forse decisivo, con la contattista Germana, fissato per la sera dopo. Abbastanza tranquilla, la città lo era ancora; finché la FIAT non aperse i cancelli alle ondate d'immigrazione di operai dal Sud, molto malviste perché, con le usanze maschili scorticate dalla chiusura dei bordelli, dove si sarebbe rovesciata, se non sulle irreprensibili donne autoctone, tutta quella armata persiana di celibi eccitatissimi? Il Sitea tradizionalmente ospitava la gente di spettacolo: comici celebri, grandi attori di prosa, ballerine, e giornalisti di passaggio per qualche (raro) even1Ò1
to. Aris lo conosceva e a entrambi piacque la camera spaziosissima che gli era stata assegnata. Avrebbe potuto essere un soggiorno gradevole, se in quella stanza perfino il frusciare silenzioso di una vestaglia non ricordasse ad Aris la determinazione di Nada di immolarsi agli intoccabili dello spazio per disinfestarne la loro e le altre città italiane, colpite nelle loro insonnie ordinarie, nelle loro vite senza scopo... «Usciamo; fammi vedere qualcosa. La camera è bellissima, ma priva di vista... ». Da una finestra vicina e anche da una parete venivano voci di donne sole, straniere di qualche compagnia di varietà, scrosci, rumori di mobili spostati, squilli di telefono, ininterrotte risate; a tratti una voce più forte, inglese, tedesca forse, leggeva oroscopi. Una gola si schiariva nel bagno in arabeschi di gargarismi. Le avrebbero, tra poco, trasportate e stivate tutte nei camerini del teatro; il loro rientro non era previsto che a notte inoltrata. «Vorrei vedere dove si è ucciso Cesare Pavese ». « E vicinissimo... Ci andiamo subito! ». S'intende, sempre amorevolmente vigilati dai loro due carabinieri. Per il ministero le voragini spaziali non sfiorano neppure il pensabile. Eppure, quei due che non possono essere persi di vista, innocui come un pallottoliere, là, nel centro pavesiano di Torino, hanno un piede nei ceppi mollicci di una disumana galera spaziale; ma nessuno capirebbe in quale angoscia trascorrano per entrambi quelle ore. «Fu qui, in questo albergo, il Roma, sette anni fa. Io lo seppi dai giornali. Un anno o due prima ero stato, con Cesare, a cercare spunti per fotografare la riva del Po. Avevano cominciato a leggerlo in tanti, dopo La luna e i falò, ma forse il diario è il suo capolavoro. Hai fatto bene a metterlo nella valigia... ». Uno dei due carabinieri in borghese si avvicinò rispettosamente: «Professore, ci comunica il coman-
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dante nostro che il ministro vorrebbe essere chiamato con urgenza. Le faccio il numero riservato del Viminale, qui, dalla cabina dell'albergo? ». Il ministro aveva saputo da Washington che il Pentagono, FBI, CIA, temevano un attacco di extraterrestri ( « Ma che pazzi! » pensavano a Roma) e, persuasi che in Italia c'erano città più a rischio di ogni altra in Europa, volevano continui aggiornamenti. I B-52 erano incessantemente in volo - ma contro chi puntavano, fuori orbita, i loro spauracchi? Il romano era irremissibilmente scettico, tuttavia... Era rassegnato a servirsi, come della malavita e degli spioni la polizia, dei due visionari e della loro banda di maghi, medium, astroufologi, contattisti, oracoli alcolisti, vittime psichiatriche di sequestrati da galattici, che si riunivano in osterie per poveri. E aveva preso il telefono con zelo e malavoglia. «Professore, ma che facciamo? Mi va addirittura a cena nei refettori per barboni della Caritas? Ci fanno il nido là i vostri roswelliani? Io ricevo pressioni per un risultato... ». Ad Aristide non è facile frenare l'impazienza del politico. Gli oppone la pazienza propria: ha un compito inverosimile, ma ha trovato dei canali... Qualche giorno di tregua gli è necessario... Tanto più che sta per essere coinvolta, in una situazione di estremo pericolo, la persona a lui al mondo più cara - la donna che l'accompagna, l'unica disposta a... a... (Non osa, la voce gli manca, pronunciare la grande parola tragica, che nella congiuntura gli appare in tutta la fatalità forzante di un coltello avido d'insanguinarsi, pendente sulla nuca bendata della vittima che non recalcitra). «Va bene, Boronovici. Lei ha la mia fiducia...». (Mentiva, certo, ma doveva pure incoraggiarlo un poco). « Come sapete, in Italia siamo in molti a dipendere dalle vostre ricerche! Non fatevi vedere troppo in giro. Ormai la vostra faccia è nota».
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Ada gli sfila con dolcezza l'apparecchio dalla mano e lo sbatte giù energicamente. Gli bacia l'orecchio... Lo stesso telefono, da quella cabina, sette anni prima aveva annunciato la morte, in una camera al terzo piano, di Cesare Pavese. « Era fine agosto » dice Aris «... il mese infausto per antonomasia. Da un mese simile le nostre historiae non hanno ricevuto che schiaffi e vergogne! ». « Sarà pur così, ma... io sono nata in quel mese... ». Sotto il portico dell'albergo Roma, li raggiunge appena fuori l'inconfondibile suono di un organo di Barberia, che prima della scabrosa telefonata col ministro non c'era. Davanti al Caffè Talmone c'erano un vecchio invalido (più vecchio, e anche più magagnato, di Aris) e una ragazzina di provenienza danubiana, fuggiti probabilmente dall'Ungheria l'anno prima... Magri entrambi, portatori di pena di un popolo dai molti suicidi, ostinato a volersi forma musicale, paesaggio sonoro, per pudore di una lingua incomprensibile... Ecco, è finito il rullo di Milord; il vecchio, nel mucchio, alla ragazzina ne indica un altro: ed è stavolta la canzone dell'Ando azzurro, il motivo irrompente del film di Sternberg, Ich Un die fesche Lola, che Aris canticchia al vecchio e alla ragazza, che gli sorridono. Avendo deposto nel piattino due monete d'argento da cinquecento lire, un inchino cerimonioso del vecchio alla manovella e un indicibile sorriso della ragazza li premiano - ma la gente è tirchia, è distratta, quello struggimento non li attrae, guardano, tirano via. I due carabinieri di scorta stupiscono: che i loro due protetti speciali, di cui s'interessa addirittura il governo, si fermino religiosamente rapiti davanti a uno strumento per miserabili, accolgano come pane eucaristico quella povera musica, gli pare incredibile. Ma non è dato a tutti capire che una musica povera non è affatto una povera musica.
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Aris ha un'ispirazione: «Stasera, alle nove e mezzo, nella saletta del Museo del Cinema in piazza Castello, faranno proprio il film della canzone, Ada! L'Angelo azzurro, ultima sera! Mangiamo qualcosa qua vicino» pensava a un locale che allora c'era ancora, nella via Lagrange di fine XIX, la Fiaschetteria Rosso. « E poi andremo là, per sognare un poco... ». Sogno infranto! Passando dall'albergo per una breve pausa di distensione, c'è per loro in agguato la noia della delusione. Il prefetto della città li ha invitati a cena, quella sera, al Cambio! (Un locale da principi - ma addio, con rimpianto, vecchio tavolo della Fiaschetteria, e niente più le gambe della prima Marlene berlinese). La loro serata ideale è svaporata. Di chiacchiere convenzionali con gente incredula, nessuna voglia. Ci sarà tutto un plotone di bel mondo ad attenderli al Cambio, insieme al prefetto: quanto a temi e congetture ufologiche, macigni. Incrollabili macigni! La sensibile coppia avrà da soffrirne la sera intera.
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Germana li attende e li riceve in una piccola cucina dove la madre sta spianando un bell'impasto di farina bianca, un gatto nero appena comparso sparisce, lei ha una piccola tela sul cavalletto dov'è abbozzato il ritratto di un umanoide. Lo spazio è così scarso che le ginocchia di tre persone in cerchio si sfiorano. La madre seguita ad impastare, sorridendo. Germana sembra molto giovane; infatti non ha che ventidue anni. Per gli ufologi estremisti è un oracolo; dovunque la conoscono e la consultano. Le sue frequentazioni spaziali sono già oggetto di studio in circoli esoterici americani, brasiliani, francesi. « Germana vi salverà» gli aveva predetto Temistia; anche Bétancourt ne era certo. Vedendo Germana, che già sapeva, sorridere, fu uno schiarirsi, anche per Aris, preso nel nodo dell'imminente loro separazione per l'incontro coi giganti malati del popolo senza nome. « L i conosco abbastanza, i Senza Nome. Più volte sono stata con loro e non mi hanno mai sottoposta a pratiche indecenti. Ma con queste, attualmente, stan-
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no imperversando qua e là in Italia, e anche in California, New Mexico, Arizona. Sarà che il mio corpicciuolo di ex grande anoressica non eccita la loro curiosità, oppure mi rispettano perché canalizzo i loro messaggi e comprendo ciò che mi dicono in un misto di lingue europee rese uniformi da un tono che non muta mai; io dopo il contatto trascrivo tutto quanto ricordo, ma a sbrogliarlo poi... Mamma, ci fai un caffè?». «Va bene. Anche per me lo faccio». Il telefono chiama. Silenzio al di là del filo. « Sono Loro, certamente; segnalano la loro presenza facendo gli assenti. Non rispondiamo più, mamma. «Da quel che ho potuto cavare dall'averli visti e contattati, i Refahìm sono più enigmatici che definibili. La loro angoscia sessuale di clonati o semiclonati incapaci di trasmettere forme, in qualche modo, di vita, io penso sia illimitata. Le tempeste periodiche di abductions sono opera loro e stavolta non stanno scherzando, se non riusciamo a sfogarli e a placarli per un po'. Non dimenticate che sono angeli decaduti, Dei degenerati, e che la loro originaria natura e il nome primitivo sono da EL. La Genesi li ha chiamati Elim o Elohìm. L'Eliade titani. Il Dio biblico delle Pietre Ritte ha nome Elohìm. La pietra ritta è Beth-El, Casa di Dio. In quei tempi fuori dal Tempo gli uomini del deserto la temevano e l'adoravano: la pietra rizzata era l'essenza visibile della forza sessuale divina che rendeva questi miseri intoccabili che oggi ci perseguitano signori del cielo e della terra, emanazione di un Trono nascosto... ». Aris e Ada si sentono trattati dalle Entità appena nominate come quell'uovo che la madre di Germana ha appena rotto sopra la spianatoia. « Germana, » dice Aris « quello che dici è appassionante... un po' me ne sono occupato anch'io, quando dai fronti di guerra arrivavo a stendermi in
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un letto d'albergo e finalmente tiravo fuori dallo zaino tre o quattro libri, ma noi due qui, adesso, siamo in una stretta d'angoscia che sembra contenere tutte quelle del genere umano. Ada è stata designata e si è offerta come vittima di questi pocodibuono spaziali dalle perdute corna di toro, diventati i Deboli, i più deboli della galassia; e io, che potrei sguazzare con gioia in questi acquari meravigliosi della conoscenza, io sono un vecchio che l'ama, reso dagli anni impotente come i tuoi estinti in perpetua ristampa, e quando lei sarà stata presa in un loro sequestro scellerato non avrò più fiato per ululare il suo nome...». Ada gli singhiozzava sulla spalla. Da ogni parte li premevano e scagliavano a spezzarsi le cieche forze della vita. Germana, emozionatissima, tace, concentrandosi sulla circostanza senza uscita. La madre finge di non occuparsi che di tagliare la pasta perfettamente spianata. «Vi fermate a cena? Ce n'è anche per voi! ». « Scusaci, Germana. Alle strette, non si può saper tutto... e nemmeno poco. Come dobbiamo comportarci perché il... il contatto con gli Elohìm possa essere fruttuoso, allontanare l'epidemia di sequestri...?». «Vieni di là, Nanda, stenditi sul mio lettino... ». (Nanda! Allora, tra i contattisti, lei la conosce con quel nome che le evoca angoscia?). Nanda la segue quasi automaticamente. Sta entrando nell'alone funesto ed epico dell'imminente rapimento. La interpella come se la contattista fosse un medico: «Dimmi, che cosa sta per succedermi? ». « I o ho avuto contatti più rosei; il tuo sarà dei più difficili... L'importante sarà di uscirne viva, e sopratutto sana di mente. Perché sarai completamente nelle loro mani. A volte sono creature bellissime, ma sempre con qualcosa di sfuggente che non piace, che ripugna conoscere e trattenere. In quanto Elohìm
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sono principi caduti, e nelle peggiori bassure. Aprigli docilmente le gambe e lasciali fare. Immagina di essere Monna Lisa, assediata da ondate di giapponesi fanatici con la Leica in perpetua erezione... ». « Sarò... Mona Lisa... ». «Brava, Nanda! Sorridere sull'orlo dell'abisso è una regola aurea! ». « Perché mi chiami Nanda? L o sai che mi fa soffrire? ». « Io voglio aiutarti a portarlo, questo tuo nome oscuro. Quando il nome lo vorrà si staccherà da te; non scacciarlo. Questa e altre prove cambieranno molte cose in te, non credi? Ti saresti mai immaginata di trovarti stesa qui, su una brandina dove vanno e vengono creature aliene, a esercitarti in comportamenti ignobili e strani, da puttana dello spazio, per liberare la città umana dalla spagnola, dalla peste? Di', lo pensavi?». « Continua, ti prego... ». Ada fatica a reggersi mentalmente, in quella continua danza di squilibri. Né possono soccorrerla le sue facoltà di veggente, che per lei stessa, tradizionalmente, non valgono. «Continua...». La sua voce è di bambina quasi morente, che giaccia pia. «Riprenditi e ascoltami... al tuo vecchio ragazzo dirai tutto dopo...». Le istruzioni, prive di ogni cautela, di Germana, le vengono ora impartite in un bisbiglio da bocca a orecchio, inudibili dalla cucina, dove Aris e la signora Giustina stanno parlando a bassa voce insieme, tra qualche miagolio irrequieto del gattino nero. Perché comprende benissimo, Germana, che accingendosi Ada-Nanda a radere via da sé, in un travolgente e oscuro rituale sacrificale, ogni residuo di pudore femminile (come Lucrezia Cenci quando si protegge dalle curiosità le parti intime prima che il fendente del boia rischi di scoprirle), la voce debba colarle direttamente nell'anima attraverso una mediazione d'ineffabilità del suono. Ada passa
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gradualmente da un'espressione di costernazione e di spavento ad una di vittimale apatia. « E specialmente, strenuamente, ti raccomando: nel lasciarli fare e nell'obbedire come un'agnellina, non fargli sospettare che puoi far scaturire dal tuo corpo il raggio mortale... Controllati: una eccessiva ripugnanza o contrarietà sessuale può farlo prorompere de profundis involontariamente! Sarebbe come mettere il piede nudo sulla testa di un King Cobra... Guai pensare a difenderti da loro... Sono un po' tarati, ma si possono ammansire... Purtroppo nella loro élite, quella che ti toccherà incontrare, c'è chi vuole l'impossibile: essere addirittura amato da una terrestre... E l'eterna storia della Bella e della Bestia! Ma tu non sei un tipo capace di simulare... ». « I o amo il "vecchio ragazzo" che è di là... ». « Per quanto ne so, potrebbero anche scendere a patti subito. O sequestrarti telepaticamente, immobilizzandoti nel letto... Se ti portano in qualche altrove... anywhere out of the World, il tempo (il nostro) può essere lungo, ma per te brevissimo... All'interno di un UFO-madre non è come su un Boeing... Rassicura il tuo uomo: tornerai da lui! ». « M a quando sarà? Da Roma ci fanno pressioni... C'è un luogo dove dovrei aspettarli, questi disturbati del perineo? ». «Sono angeli caduti, tesoro...». «Per me sono puttanieri, alieni ma puttanieri, dei jacktherippers... sapessi come l'hanno ammazzata, quella poverina dell'osteria del Marrano... porconi!! Lasciameli almeno odiare. E pretendono pure che una di noi li ami? Gli appiopperei un Tesla da quaranta centimetri di diametro in faccia! Una V2 di Von Braun! Li odio, i tuoi Elohìm! ». « Oh, avete finito il confessionale? » dice la madre vedendole rientrare (Germana sostiene come un'infermiera una vacillante Ada). «Vi aspettavo per buttare le mie tagliatelle! Bevete un po' di grignolino?
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Dovete tenervi su. Tutti i contatti sono estenuanti. Germana ha cominciato ad averli a quattordici anni, durante lo sviluppo... Pativa cose strane che non potevamo capire... Io la credevo indemoniata...». «Mamma, forse lo sono tuttora... è solo questione di parole...». «L'avevo fatta esorcizzare da un prete rinomato della Consolata. Gli era uscito dalla bocca, e da dietro, un vomito come un vesuvio! Chi si prenderà cura di lei, povera Germana? Uno dei suoi umanoidi? Gli umanoidi sono all'incirca uomini, e gli uomini sono carogne e bestie, anche su Giove e Venere! Vi faccio anche un'insalata di pomodori... gli ultimi delle nostre parti... ». « T u non aspettarli, se ci riesci. Verranno a prelevarti quando decideranno loro, tempo, luogo, ora... I loro piedoni di giganti sguazzano nello Sheòl, la Terra dei Morti, l'Amentet... Sheòl non è un Luogo! Mangiate, bevete, amatevi... ». «Ascolta, Germana: ma c'è qualcuno, in questo universo così perfido, che valga la pena di invocare... di pregare? Tutto è uomo o umanoide? Non c'è un Ente Supremo? Nirvana? ». «Cara, nel Vuoto c'è di tutto. Ma fargli domande e inutile».
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Un messaggio governativo, dopo la cena da Germana, rientrando sfiniti e rimuginanti, con reflussi continui di pensieri oscillanti di Pozzo e Pendolo (mai la speranza si decide a lasciarci del tutto), li attende in albergo. Aris ne è esasperato: «Proprio in questo momento! Basta!! Con questo guaio che ci stritola, l'immenso rischio che corri... È troppo per le nostre povere spalle! ». «Ragioniamo... » (Ada non perde la calma). «Appena in camera ti faccio un massaggio, ne hai un infinito bisogno...». Quale uomo vecchio, anche il più collerico, una promessa simile di bellezza giovane non calmerebbe? « Ci è giocoforza adeguarci, dipendiamo dal governo in questa faccenda! Come possono comprendere? ». (La saggezza, da una rovina). La richiesta, ingiuntiva, del ministro, è di rientrare immediatamente da Torino per un incontro nella loro stessa città con lui, il capo della polizia, il generale dei carabinieri, un personaggio dei servizi di
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controspionaggio e il responsabile della sicurezza degli Stati Uniti, inviato apposta in Italia dal presidente Eisenhower. Aris è via vìa più calmo: «Vuol dire che ci stanno finalmente prendendo sul serio... Va bene, amore, ci saremo. Ma il tuo sequestro da parte dei Senza Nome-Elohìm-Refahìm? ». « Germana dice che la data più probabile è la prossima luna nuova, e in ogni caso dopo la mia mestruazione, che cade in quei giorni. Anche questo li fa tremare... non solo il raggio della ripulsa! ». « La chiave della 333, per favore. Noi partiamo domani alle undici ». Con quanto bisogno di sollievo e di gioia Aris si abbandona ancora alle mani incantate di Ada! « Sai? Germana mi ha fatto un corso da puttana extraterrestre, ma mi sento molto al di sotto... Quei deficienti sono eunuchi e guardoni, lei vorrebbe io fossi ilare...». « E il raggio? Tanta paura gli fa, ai guardoni dello spazio? ». «In questo non sono troppo diversi dagli uomini. Quando ne vedi uno con la pelle operata per un'ustione grave, può essere stato il vetriolo femminile a sfregiarli! ».
Due incidenti segnano l'inizio della riunione richiesta con urgenza dal ministro presso la caserma Bandone. L'americano potentissimo ora a capo della sicurezza nazionale degli Stati Uniti, alto come uno dei Giganti della Genesi e smilzo come l'Ombra della Sera etnisca di Volterra, italofono, di origini normanno-siciliane, saluta Ada con stupore, ricordandola a Londra, in casa di Thomas il Pastore. Nada, vedendolo, ne è atterrita, come da tutto ciò che la riporta agli anni londinesi. «Nanda!!». L'americano altissimo non compren-
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de il suo smarrimento. E insiste: « Quando mi hanno chiamato a Washington avevi appena messo al mondo tua figlia Dunia, il nome ti era stato suggerito da Thomas, anche a te piaceva molto, e adesso... ». Aris gli fa cenni disperati perché cambi discorso, non è lui il primo poliziotto d'America? Lo fa subito, vedendo Ada sconvolta, ma inevitabilmente la chiamerà col nome aborrito del suo passato londinese, come la Bétancourt. 11 ministro complica le cose: nelle presentazioni, ha l'aria di scusarsi con gli ospiti per l'umiltà, l'irrilevanza sociale dei suoi incaricati, eppure con pieni, strabilianti poteri, di sbrogliargli l'inverosimile matassa... ma la Scienza seria, autentica, ha preferito non occuparsene... Che cosa rimaneva da fare a un povero, pratico e zelante ministro cattolico, se non rivolgersi a un ex fotoreporter senza gloria da anni in pensione e a quella sua concubinetta un po' svampita - dal contorno ideologico sostenitore che con loro si riunisce in osterie angiportuali che vanno misteriosamente a fuoco e dove avvengono assassinii insoluti? La replica di Aris, pungiglionata nella sua estrema irritabilità da stress galoppante, è formale e netta: « Signor ministro, noi ci stavamo occupando della Cosa non superficialmente ma in astratto. Ci avete convocati a Roma per imporci a nome di tutto il governo in carica e a rischio di caduta di cercare ad ogni costo un contatto con entità aliene sconosciute e tuttavia fastidiosamente presenti... Grazie per la perfetta copertura di Stato, ma non siamo dei sicari chiamati per una bisogna equivoca. Ora capita che siamo vicinissimi a stringere un filo nel labirinto, e purtroppo a spese nostre. Io bugie non ne dico: un contatto l'abbiamo stabilito! ». L'americano comprende subito, Aris ha la sua immediata fiducia. Inoltre la padronanza dell'inglese, sua e di Ada, gli dà statura rispetto al ministro che fa errori da indigestione. Rafforzata la sua posizione,
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Aris fa una relazione dei loro casi, informando però che a partire dai loro incontri torinesi si ritiene obbligato a un riserbo assoluto, pena il fallimento della missione, che definisce « decisiva e, per entrambi loro, straziante ». Chiedono di essere lasciati in pace fino ad un esito che potrebbe tardare; ed è tutto quanto avrebbe da dire. Il ministro tace, con un forzato cenno di approvazione. Calorosamente interessato Mr Albert Caupone, che conosce i segreti spaziali dell'amministrazione fin dal giorno di Roswell. Aris gliene accenna: « Roswell è un segreto di Stato o un altro Orson Welles nove anni dopo? ». « U n segreto. Neppure io ho avuto accesso a tutti i documenti. Mr President soltanto! ». La cordialità di Mr Caupone verso la strana coppia rende meno scettici e irridenti gli italiani ministeriali. « A questo punto,» dice evidentemente deluso il ministro «non possiamo che chiudere la riunione, caro Boronovici. Ha osservazioni signor Caupone? ». «Per me, è necessario che il professore e la signora Nanda proseguano indisturbati la loro inchiesta. Insieme alla mia delegazione vorrei visitare il refettorio Caritas di quel vostro quartiere malfamato... ». «Ma no! » interviene la «signora Nanda» (sorride indulgente, ricambiata dall'Ombra della Sera). « I l Poligonale non è malfamato! Non c'è malavita, io potrei circolare senza pericolo a mezzanotte... Lo so che non sei persuaso» (dice rivolta ad Aris). « I n ogni caso, possiamo accompagnare noi la signora! » dice il generale, tanto per dire qualcosa. Il capo della polizia vuole sapere degli UFO nei cieli americani. « Quali conclusioni ne avete tratto? Per voi sono un problema? ». « L o sono, fin dal 1938. Allora il clima, nell'imminenza della guerra in Europa, era di allarme verso qualsiasi fenomeno insolito. Era perfino normale che si annunciasse un'invasione di marziani a Grover's Mills.
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\ Ma è la coppia che interessa all'americano. «Rispetto il vostro riserbo, ma mi potreste dire almeno se vi sentite minacciati dagli alieni? ». Aris e Ada si guardano. « N o n siamo stati minacciati da nessuno, l'inchiesta però è prossima a un evento decisivo, in cui Ada è coinvolta. E là non valgono protezioni... ». «Allora, vi aspettate un abductioriì » deduce Mr Caupone, gravemente. Aris e Ada non rispondono; capiscono che l'americano sta cercando di cavargli qualcosa. Il capo della polizia e il ministro, poco curanti che il sequestro incomba su Ada, vorrebbero sapere quali misure prende l'Amministrazione: gli pare impossibile che l'onnipotente America si limiti a raccogliere dati e ad archiviarli, più o meno segretamente. «Per ora la minaccia dei sequestri non pesa che su cittadini isolati, e qua e là su allevamenti di bovini. Il mio lavoro consiste nello scoprire in che cosa e perché la faccenda potrebbe farsi importante per la sicurezza degli States. Non è una epidemia di vaiolo, e neppure ci sarebbe la mano del Kremlino... Un UFO resta quel che ne dice la sigla: un Oggetto non Identificato. L'oggetto è luminoso, ma non certo chiaro. N o n si sa neppure se ci sia un rapporto tra UFO e abduction. Per i contattisti, che hanno IR3 e 4 con Aliens, l'UFO non è un problema». « Qui da noi a molti avvistamenti di UFO hanno corrisposto sequestri sempre più numerosi. Non tutti denunciati». Sentendo un funzionario elevatissimo, addirittura inviato della Casa Bianca, parlare in una oscura caserma, di sequestri non compiuti da banditi sardi o calabresi, ma da spaziali, da esseri non interessati al denaro, al nostro capo della polizia, ritenuto, quanto a moti di piazza, banditismi endemici, crimini famosi (aveva arrestato lui i tre criminali di Villarbasse, a Ficuzza di Mezzojuso), espertissimo - pareva di interrogare come persona raziona-
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le un vecchio ospite di Santa Maria della Pietà durante una crisi di delirio. Tuttavia bisognava adattarsi, anche perché le denunce e le lettere ai giornali ogni giorno s'infittivano. Per un minuto o due Mr Caupone, stilografica Montblanc, fu occupato a scrivere qualcosa su un blocchetto di appunti, tacendo per rispetto gli ospiti italiani. L'americano si scusò, per lui l'argomento non era strano. Aris gli invidiò la conoscenza dei segreti di Stato americani. Questo sentirsi sbatacchiato dalla congiunzione inaudita di uno schiumare violento del mondo visibile e storico e di un concorso di ondate tenebrose - « tenebra su tenebra » - , provenienti da mondi inaccessibili anche ai supertelescopi degli astrofisici, gli dava l'impressione di essere investito tutto in una volta dalle ceneri pompeiane, dalle macerie di Berlino, dal nulla del Day After di Hiroshima. Sussurrò impercettibilmente all'orecchio di Ada: «Siamo in una Città degli Stracci più grande di New York... ». Ada, enigmaticamente, gli sorrise. Tacciono tutti, come accadeva spesso durante le cene ufologiche al Marrano. Entra l'impeccabile Giusepponi e annuncia che la cena è servita sul posto, alla mensa privata del colonnello comandante. A d Aris consegna una busta che una ragazza ha lasciato per lui e Ada, i loro nomi per esteso, all'entrata. II messaggio è di Germana G.: «Miei cari, tornate domani stesso a casa vostra. Una delle mie entità amiche mi ha comunicato che 1 ' abduction di Ada sarebbe molto prossimo, in quel luogo o nei pressi - forse domani notte. Tranquillizzatevi, ma è necessario mostrare disponibilità e sottomissione durante il contatto. La vostra città e il resto d'Italia ritroveranno la pace e voi sarete istruiti dei segreti dei Refahìm. Chiamatemi dopo avvenuto. Dio vi benedica. Un abbraccio. Germana». Fattogli scivolare in tasca da Mr Caupone, con autentica destrezza da tagliaborse, Aris ne ritrova il fo-
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V glietto scarabocchiato poco prima: « Gentili Nanda e Aristide, per ogni vostra esigenza nel vostro angoscioso esperimento, potrete chiamare questo numero della nostra ambasciata di via Veneto - vi sarà risposto giorno e notte. Grazie. Il vostro amico A l » .
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« È vero, caro; è bello non sentirsi soli, ma noi, noi non lo siamo mai. Siamo affini come nature contemplative, eppure da che ti ho incontrato, e certo stavi meglio... momenti di requie dai "fatti", dalla gente, li contiamo su tre dita... neppure le costellazioni ci lasciano in pace, intere nazioni, greggi degli spazi... ». «Contate anche su di me! » vuole rassicurarli con grande affermatività Giusepponi, mentre li riporta col loro bagaglio dalla caserma a casa. « Mi siete simpatici... Ma che rumore fanno, le costellazioni?». « Somiglia a quello dei telai a mano, su per la salita di Sant'Onofrio, in Trastevere... ». Una piccola folla di telegrammi, nella buca, ma nessun lampo al magnesio a due gambe presso il portone, li attendono. Appena in casa, però, una trafittura d'angoscia: squillo di telefono, con remota respirazione muta. LORO? « Contiamo fino al prossimo... » dice Aris per ravvivarsi. « U n o , due, tre, quattro, cinque... ». Arrivato a settanta, nuovo squillo! Stavolta, rassicurante: è Bétancourt, ignora che sulla lo-
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ro testa oscilli il pendolo del rapimento. Aris lo informa sommariamente. « N o n rimanete soli con quel coltello di angoscia e di stress, vediamoci tra un'ora all'Antica Beccheria... Perfino l'"Economist" vi ha dedicato quattro pagine, ve lo portiamo! In copertina ci siete voi stravolti, mentre state entrando al Marrano, con Saragàt ubriaco alle spalle! Mezzo mondo vi conosce... Arrivate col poliziotto, munitelo di idrante! ». « Per me va bene incontrarli » gli fa cenno Ada. « M i faccio una doccia. Anche tu?». « L a detesto! Ma... se tu sarai... se tu sarai... assente... andrò ai Bagni Pubblici Wagner, ci sono dei begli infissi, ragazze carine...» dice, spogliandola, con un sorriso che vorrebbe essere allegro. «M'insaponi tu?». Lo scroscio della cascata calda non gli fa udire un altro squillo. Ce ne saranno ancora; non risponderanno. « Se ci spiano, mi avranno già vista nuda, non sarò più una novità per le loro... esplorazioni... ». In situazioni estreme, senza uscita, la battuta di spirito è per noi, umanoidi dubbiosamente umanizzati, il segno di vittoria d'indice e medio della mente precipitante, uno scongiuro irato della parola al destino avverso, connotazione dei gloriosi. Il vecchio morde la spelila nuda bagnata mischiando acqua, saliva e lacrime di passione disperata. Nel calore dell'accappatoio Ada indugerà a lungo, come volesse così prolungare un addio. Il telefono sembra essersi stancato di graffiarli di squilli stolti. All'Antica Beccheria li attendono in diciotto o venti, in tavoli ravvicinati, dopo che il samurai Giusepponi ha disperso a colpi di scimitarra paparazzi, corrispondenti, inviati, aggrovigliati all'entrata. Bétancourt si scusa: «Sono tutti amici nostri... li conosco... stasera non riusciamo a restare soli... ». Ma data la circostanza, quel piccolo bagno di folla non dispiace né a lei né ad Aris, rete di mani al di sotto dei due funamboli sul cavo teso.
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«Scrive l'"Economist" che l'evento di cui siete al centro farà cadere certamente il governo di Roma! Sull'onda lunga... ». « N o n occorre che lo spinga un UFO, è sempre sull'orlo di cadere! ». « A Torino avete avuto l'incontro? ». Da chiunque venga la molesta domanda, molti sono gli sconosciuti, non avrà risposta. Temistia, percepito il panico - è vero panico! - , prega tutti, formalmente, di evitare domande sulle cose che riguardano la loro missione, provocando un rotolìo di facce imbronciate e deluse - eccetto quelle dei veri amici. Il più deluso di tutti appare il direttore generale della RAI, Mondiali, venuto fin là da Roma, con la moglie, in quel posto e tra gente incongrua. La RAI ha inviato un furgone attrezzato: ormai la televisione ha le sue macchine di spionaggio dovunque, pronte a partire come pompieri. «Una ripresa brevissima, con due sole domande, ce la consentite? ». « Ci comprenda. Il ministro stesso ci ha richiesto un riserbo assoluto. E se fate riprese qui nella sàia, noi ci rifugiamo nella toilette ». Aris è pazientissimo ma fermissimo. Mondiali si arrende e allontana i suoi tecnici improvvidamente schierati. Ma ormai non ci sarà più un solo luogo senza questo contagio. Del resto, Aris, come fotoreporter, si è visto impedire la cattura di immagini innumerevoli volte, con delusione, sofferenza, rabbia; il furto dell'identità visibile è sempre stuprante... Oggi, con una celebrità assurda sulle spalle che crollano, tocca a lui difendersi dal suo stesso passato di sfortuna, dalle sue Rolleiflex e Leica amate. « Ma perché gli ufologi, tra cui noi, i rapimenti spaziali li debbono chiamare abductionsì Non cominciamo a essere invasi da troppe parole straniere? Se parlo inglese con qualcuno, evito certamente di chiamarli rapimenti spaziali. » dice Aris come riflettendo ad al-
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ta voce. Riceve consensi. « Per me va bene » approva Paolo, che sta fissando Ada in modo strano e triste, come se presentisse la sua sorte imminente e ne leggesse l'aura. «Dirò abduction solo parlando turco, perché non conosco il turco! ». «Ormai l'ufologia non può più comunicare che adoperando parole inglesi... UFO stesso sono tre parole inglesi, come S.O.S. E Flying Saucers? E stressi E scanner? » osserva Bétancourt. « N o i dovremmo dire OVNI per U F O » interviene Mondiali, apprezzando il vino dell'osteria. « L e lettere, in italiano e francese, sono le stesse ». « Smettila di guardarmi così » sussurra a Paolo Ada affranta. « D i Germana non mi avete detto niente, adesso siete muti... ma la tua aura è in frantumi... ». «Anch'io leggo l'aura. Ma tu non ce l'hai... neppure un frammento! ». « L'ho vista fermentare nella Città degli Stracci, credo sia rimasta là, col mio vomito di ubriaco... ». Dice ad Aris Mondiali: « Una rassegna televisiva delle sue foto sui fronti di guerra, Boronovici, non le interesserebbe? ». « No. L'immagine statica e quella in movimento non sono compatibili. Volentieri farei una mostra a Valle Giulia, o in via Nazionale, mai però ho ricevuto proposte del genere. Neppure Cartier-Bresson ha finora pensato a farmi esporre qualcosa a Parigi... ». E il cruccio di profondità di Aris viene a galla come un delfino d'acquario, a buttargli cibo: « Sono punito perché, in tanti anni di lavoro, non ho incontrato nessuna delle immagini del secolo! ». Ada interviene con forza: « I l tuo scatto del secolo ti sta aspettando, è un messia che viene...». «Giusto! Il Messia sta semprevenendo! ». « E tu credilo!! L'Immagine apparirà davanti al tuo mirino come un brillare di lama... in qualche Città degli Stracci... o laggiù, in Virginia, dove emigrò Moli, invece di essere impiccata... (co-
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me meritava) » finì Ada a fior di labbra. Qualcuno domandò chi fosse, questa Moli. Ada recitò come stesse leggendo sul muro di fronte, dietro le nuche amiche, e vedesse il profilo di una piantagione all'epoca coloniale: «... e stabilirci dove nessuno potesse più rinfacciarci il passato e dove... potessimo rivolgerci a contemplare tutte le passate sciagure con sollievo infinito, considerando che i nostri nemici ci avrebbero interamente dimenticati e che noi saremmo vissuti come esseri nuovi in un nuovo mondo, senza che nessuno avesse qualcosa da rimproverarci, né noi ad altri». «Varrebbe la pena invitarla qui, una sera, questa brava Moli » disse una voce, quella di Elisabetta. « Scusateci, devo riportare con urgenza Ada a casa; qualcuno ci sta chiamando... ». L'affaticato bastone si drizza in piedi con lo sforzo mentale di chi ha annusato e compatito le difficoltà dell'essere, il braccio si appoggia a quello della meravigliosa compagna, presente e lontana lontana, al di là della Virginia, oltre il grafico celeste delle Pleiadi, e il vecchio e la ragazza, sostenuti da Paolo e da Giusepponi, si allontanano tra due file di fotografanti spenti, « come esseri nuovi in un nuovo mondo».
L'Attesa. Un po' simile a quella, lunga lunga, canzone che la Morte canta per Franz Biberkopf in Berlin Alexanderplatz-msL non questo soltanto... Nell'attendere il loro prescritto Evento certo, curiosità e terrore per Ada e Aris si compensano pareggiandosi, in un sapore di miele e assenzio. Ada è pallidissima, un cenciolino d'impazienza: «Saràper stanotte, lo sento... ». Si abbracciano a lungo. Passa un'ora, il sonno non viene. Semiassopita, lei: « M a perché, nonostante tutto, riusciamo ancora a sorridere? ». Lui, curvo su di lei: «Tanti bruti qua e là si affan-
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nano per darne una spiegazione biochimica; ma per noi è fiore ed enigma della civilizzazione... ed è un «niente di troppo», anche questo; se il civilizzarsi travalica la misura, i sorrisi si spengono». « E negli altri mondi? ». « I l sorriso, miracolo di spine, non può esistere dove ti porteranno. Di sorrisi non ne vedrai, là dove non cantano in coro i galeotti e gli schiavi della gravitazione ». «Aris mio, qual è il più bel sorriso della pittura? ». « I l sorriso del generale Ambrogio Spinola mentre riceve le chiavi della città di Breda, nel poema figurativo delle Lance, di Velàzquez » (Aris ne è certissimo) . «Siamo in una tenaglia... in uno scacco matto, e sorridiamo... E una cosa che oltrepassa una povera ragazza come me, sbattuta dalla vita, e tua, tua anche nel più profondo... nel più profondo... dei... ». (La voce si perde). La voce che brancica ansiosa, che interroga nei suoi barlumi il sorriso, è come fuggita via. La forma corporea detta Nada è rimasta per un tempo con la testa appoggiata sulle ginocchia del vecchio, che si sforzano di reggerne il peso, per non turbare la sublimità dell'istante. Al secondo squillo del telefono, lei è già accorsa, febbricitante, a rispondere. E diafana, quasi spettrale. Aris la sente rispondere a brevi intervalli, senza incertezze, più volte sì. Deposta la cornetta del mostriciattolo, umilmente annuncia: « L a voce mi ha detto di andare subito (no, no, io, io soltanto, tu non mi puoi...) al muretto della Città degli Stracci di fronte al Marrano incendiato. Non dovrò far niente, ci sarà uno di loro (u-no-di-lo-ro) ad attendermi, appena scesa dal taxi... Chiamane uno. No, nessuna bevanda calda, neppure riuscirei a tranghiottirne una goccia... solo... devo prima far acqua come un Niaga-
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ra... Poi, resterò con te fino al portone... baciami, in fretta in fretta baciami!! ». « L a notte è ventosa e fresca». « Dammi l'impermeabile! ». Lo aiuta a entrare nell'ascensore; i movimenti di lui hanno perso ogni resto di energia vitale. Gli pone le mani sottili sui lati della faccia: « Se mai fosse l'ultima volta... E stato così bello tutto, per me, caro... Addio». Prima di salire in macchina si controlla se abbia denaro sufficiente per pagare il taxi. Chiude la porta - è sparita. Sul marciapiede sono rimaste tre o quattro monete. Una gattina bionda compare per strusciarsi tra i piedi del vecchio ammutolito, rozza e rotta scultura del Tempo.
Un'Ada fin troppo intrepida ma vicina al collasso, scendendo dal taxi all'angolo del Marrano, da cui trapela un lume di candela, ha un'emozione di giubilo: dell muro degli stracci, dove annusa tra i rifiuti un bastardino nero senza collare, le viene incontro Paolo! Un grido e lo abbraccia. Nella via, nessuno. «Sono qui per...». « So tutto. Entriamo, ho acceso io la candela. Attenta ai vetri rotti». C'è una sedia rovesciata. La ragazza è smarrita, ma felice di quel volto amico, che la fa sedere e respirare a lungo, ha per lei, non si sa come, preparato una bevanda bollente, le impone di berla e a lei pare incredibilmente cresciuto di statura. «Ascolta. Non verrà nessun altro di loro ad aspettarti. Perché sono io uno di loro. Sii dolcissima con quelli che incontrerai. Noi Refahìm-Elohìm siamo chiamati i Senza Nome, ma non siamo creature maledette. Io sono uno degli Elohìm del Trono. Ti pro-
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teggerò perché quando sono caduto apparentemente ubriaco nella Città degli Stracci tu sei accorsa e non hai avuto schifo di me. Oh Ada! Sappiamo essere più grati degli umani e conosciamo l'infelicità come tutti loro... Adesso fissa gli occhi su di me, fissami nelle pupille grandi grandi, pensando che le mie manone ti sono amiche, come lo sono state le tue, quando i ragazzini mi sputacchiavano... ». « Sì, Paolo, grazie ». « Impara il mio nome di Rafa-Eloàh: io sono Udon, tra gli Elohìm, Udon... Udon... ». «Sì, Udon.. Udon...». Ecco, ora Ada viaggia dentro un sogno sovrumano - piccolissima, non più grande di un ditale, infilato nel dito medio dell'Elohìm che chissà da quali spazi le è stato inviato.
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Aris chiude le imposte al giorno, stacca il telefono, stacca il citofono, non carica la sveglia, si corica e dorme fino a pomeriggio inoltrato. Il bisogno di riposo è più forte dell'assillo per Ada, del pensiero persecutore che forse lei non tornerà più, o peggio, che potrebbe tornare sfigurata o cambiata. Il suo corpo miserevole di vecchio incurvato non avrebbe potuto reggere ad altri giorni di tensioni continue e di dedizione ad un altro essere, ad un'altra forma d'essere amoroso Ego ridotto all'elementarità di una doppia fame fisica e psichica - , senza far quasi perire quell'esiguo suo toracino secco, di racemo vendemmiato. Ai Bagni Wagner, aiutato affettuosamente da una bagnina di età media ben fatta, odorosa di sapone e di acqua calda, la necessità di una tregua gli prolunga per un'altra ora il piacere di ritemprarsi. «Vuole anche un massaggio rilassante?». L'Ego di semplicità di Aris Boronovici risponde affermativamente senza esitare; e al massaggio di Rina, la bagnina deliziosamente oppiacea, segue una perfetta ra-
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satura di Leone, il barbiere dei Bagni Wagner - un bel cumulo di servizi che tengono la promessa dell'insegna Déco: Prezzi modici. Ma perché il nome Wagner? Era stato là, il Crepuscolare? No, mai stato... Ma il proprietario-fondatore dei Bagni, nel 1899, wagneriano fanatico, aveva voluto rendere omaggio al suo idolo germanico consacrandogli in perpetuo le sue bagnine. Sessant'anni dopo i Bagni Wagner erano ancora rinomati, in città, ma frequentati più da operai e venditrici del mercato, che da borghesi e filosofi. Aris uscì di là ringiovanito, il cuore stretto nella risorta vergogna. Sono un porco, pensa, da quando lei è partita per fare da vittima espiatrice al di là delle mura fiammeggianti del mondo io non ho pensato che a me stesso! E adesso ho anche fame! Gli amici sono ansiosi di incontrarmi e io non ho nessuna voglia di incontrarli. Mi credono mezzo morto di disperazione e io sguazzo nel riposo come un bue che ha arato su e giù dal mattino alla sera... un porco che si vergogna, ma tira dritto ugualmente. Dio mio, Ada! La prima cosa che ti dirò sarà questo mio gaglioffo tradirti di bassoventre d'uomo! E credevo dopo il nostro incontro di aver toccato l'amore infinito! Tu, forse, adesso, reciti l'Ifigenia degli spazi...? Ma l'amore infinito non l'ha mai toccato nessuno! O forse Quel Tale del cinquantatreesimo di Deuteroisaia che si fa chiamare Servo del Signore lo incarnava lui stesso... E Rimbaud lo ha presentito, se ne è sentito afferrato per i campi, di sera... Infinito non è umano. Noi dappertutto non vediamo che del finito. Anche gli Incontri Ravvicinati sono dell'altro Finito! Ci ripensa, mentre i Bagni Wagner stanno chiudendo, nel rivedere la Rina che sta uscendo, senza camice bianco, in un bel tailleur blu scuro e una sciarpa di seta giallo limone, e lo saluta oltrepassandolo sul marciapiede, mentre esita e si autoaccusa.
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« Ascolta, Rina, mi aiuti ad arrivare fino alla Latteria Moldava, in via Ammiraglio Togo?». Rina accetta subito, e lo sostiene, con la premura di un'Ada. Pensava di cenare da eremita, ma solo nella somiglianza con quello del Tarocco lo è. Eccolo a proporre a Rina di sedersi con lui a uno di quei piacevoli tavolini di marmo. (La Latteria di via Togo esiste dalla battaglia di Tsushima, cinquantadue anni appena, pochi per una latteria che sfama i poveri dignitosi, ben diversi da quelli veri e falsi del Poligonale - ed è prossima alla chiusura, perché l'anno prossimo chiuderà il vicino bordello e molta clientela abituale emigrerà verso l'indistinto delle pizzerie). « Ma sì, » dice Rina «nessuno mi aspetta; volentieri...». «Conosci il posto? Ci venivo, anni lontani... Durante la guerra del Quindici era pieno di militari in licenza, che prima passavano a farsi una marchetta al casino di via Laspussa. Poi arrivarono gli squadristi, prima isolati, via via tutta la banda, imponevano il saluto romano, dopo due o tre uova al tegame intonavano le canzoni degli Arditi. Una volta ci capitò anche il poeta... il Vate... Gabriele D'Annunzio, insieme al pittore Rosai... ». (Ma la Rina non conosce questi personaggi, Aris cambia discorso). Rina sa di lui nome e cognome, per via della radio e dei giornali. Ai Bagni Wagner non c'è ancora, nella saletta dei giornali (né fu mai collocato), televisore, C'è però un juke-box, sufficiente, se qualcuno alza il volume, a disturbare chi si sta facendo insaponare. Con Rina, Aris può mostrarsi espertissimo di canzoni. Ma, ahimè, Rina vorrebbe erudizione sommaria su temi ufologici... «L'avete avuto il contatto con gli alieni, o è tutto una montatura? ». «Eh, Rina... anche se mi hai insaponato il sedere, io di queste cose non posso dirti niente...». C'è un giornale spiegazzato, lasciato là da qualcuno accanto a una grossa ciotola da cafFelatte. « Guar-
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da qua: ci sei tu con tua figlia. Si dice che è stata rapita da Quelli là... ! ». « M a com'è possibile dica questo? E l'edizione del mattino? ». « I l nostro giornale è in edicola alle sei. Qualche volte lo compro». «Dunque, era in rotativa stanotte! Sono sbalordito! Lo sapevano già prima che accadesse? » si lascia sfuggire Aris. «Perché, è accaduto davvero, e proprio stanotte? ». « E una faccenda che mette i brividi! ». Nel guardarla, tra gli odori familiari della latteria, di gelato, di frittate, lo hanno attraversato - sotto la pelle spia del senescere - del Tempo che ci sta davanti e dietro con benevolo becco di avvoltoio - vampate assurde di desiderio non mosso dal sentimento, strinature di Eros illanguidito su paglia umida. Arrischia: « Sono disperato, Rina. Mi faresti compagnia stanotte? ». Rina si fa materna - quanto nel giudizio spietata senza stupire della proposta, perché è certa di poter piacere ancora. Vorrebbe dirgli: guardati in uno di questi grandi specchi che coprono le pareti, non vedi come sei ridotto? Ma si trattiene, prevale il lato materno - più amaro, forse. « T i manca, è naturale, tua figlia... ». « N o n è mia figlia». «Ah... ma io non mi sento di farti da sedia sull'abisso... No, neppure se mi paghi da satrapo del Perù! Mi piace stare con te così come adesso, fuori dai Bagni ma anche dal letto... se ti va... ». « Sì, Rina, grazie. H o parlato da idiota. Un attimo di vertigine. Scusami. Finiamo quel che abbiamo sul tavolo e raggiungiamo un gruppo di amici che mi stanno aspettando, delusi di non vedermi... se sei d'accordo... ». Ora che ha toccato l'apice della vergogna ritorna lucido alla libertà di sfogare la disperazione.
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«Sì,» dice Rina «piglia il bastone e andiamo pure. Ma non li scandalizzerà di vederti con me? ». « Sono abituati a non stupirsi di nulla. Andiamo! ».
Oh, no, davvero! Sono troppo scafandrati, e in marcia sui fondali dell'Oceano della Creazione, tra i fili d'erba delle rovine di Atlantide e il rapimento di Ada, per accorgersi dell'arrivo di Aris accompagnato da una ben piantata bagnina. Del resto, nessuno obietterebbe nulla, sanno perfettamente che Aris, da solo, si trascinerebbe spedito come una mosca senza ali. Lo accolgono con fervore devozionale; Aris a sua volta accoglie l'omaggio come Cesare quello dei senatori addomesticati - con un po' di sale d'ironia in più e un sorriso tralucente inquietudine. Nel piccolo gruppo si nota l'assenza di Paolo. «Tra le otto e le nove gironzola sempre qui attorno, come prima al Marrano... ». «Sarà andato a disintossicarsi... ». «Si ubriaca molto meno di prima, non impreca più contro Mussolini». Nella chiacchiera, la voce di Temistia, che parla a occhi chiusi, provoca un silenzio: «Paolo non è quello che credete... E uno di loro». «Allora...» dice Bétancourt, rigando il silenzio «l'hanno presa? Te ne sei accorto?». «Una voce l'ha chiamata. E andata sola, alla Città degli Stracci vicino al Marrano. H o dormito, ho vagato un po', questa è Rina dei Bagni Wagner, che gentilmente ha accettato di accompagnarmi». « L a conosco! Ciao, Rina! » la saluta Marco. «Frequento anch'io i Bagni Wagner! ». La bagnina non pare entusiasta. Risponde formale al cliente: «Buonasera, signor Marco... Kalispéra! ». (Rina è salentina, di un villaggio che parla greco, grilli). Il suo bilinguismo non fa pentire Aris di averla portata con sé.
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Un postino, nonostante l'ora insolita, entra con un telegramma per Aris, la padrona firma e glielo porta. Aris legge, fra la trepidazione di tutti, lo ripiega e se lo mette in tasca, deludendoli. «Scusate; era una comunicazione riservata». Il telegramma è di Albert Caupone, da Roma: PRESSIONI DA CASA BIANCA PER NOTIZIE STOP RICERCATORI VORREBBERO ENTRAMBI W A S H I N G T O N STOP DA N O I SI TREPIDA PER VOI MOLTO PIÙ CHE IN
La signorina dei telegrammi in verità ha firmato Capone, equivoco che dappertutto molesta un po' l'inviato di Eisenhower: Aris è stato visto sorridere leggermente, gli altri hanno pensato a un messaggio non allarmante. Aris pensa che un viaggio a Washington (con Ada? finora, nessun segnale) sarebbe un carico eccessivo. UFO e alieni cominciano a nausearlo. Ad alta voce riflette, rivolto agli amici: « Da quando un anno fa si è materializzato a Budapest quel maledetto insetto e Mosca l'ha preso per un trionfo della scienza, Ada e io non abbiamo più avuto un giorno di pace... E già di guai per motivi nostri ne avevamo abbastanza! Ditemi se mai può venire qualcosa di buono, dalla Russia, vento siberiano, minacce, lager, poeti fucilati, la mia amica Marina che s'impicca a Elabuga... mai ci fosse tornata! Vuoi vedere che li hanno chiamati loro, gli alieni... Si alleerebbero anche col diavolo... Scusatemi, sono un po' fuori... Ma noi, anche noi, la mia povera Ada e io di cosa siamo fatti? Di carne, di carne che patisce, e tutti quanti ci state appendendo su un golgota insanguinato! Ada si è andata a far frugare e violentare da quegli esseri mostruosi per tirarvi fuori da questa peste tebana, da questa immonda guerra dei mondi dissanguatrice... E sappiamo bene di non farcela, con creature che la Genesi ricorda potentissime, che dominavano la terra da cannibali... Non sono dei gentlemen, non sono plebaglia verde del piaITALIA SALUTI AL CAUPONE.
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neta Mongo... vengono da spazi senza misura... potesse Ada colpirli nelle palle inesistenti col suo raggiolino della morte! Perché solo questo gli fa paura... ». Temistia e Rina lo calmano, ma è ormai quasi senza voce, il cuore a centoventi pulsazioni, sul punto di svenire, farnetica parole di scuse. «Questo sfogo gli darà sollievo» dice Temistia. Ma tutti lo comprendono. La prova della strana coppia di amanti è tanto crudele quanto inimmaginabile. «Paolo! » grida Bétancourt. «Guardate chi è entrato! Il nostro Paolo! ». «Paolo, ma sei stravolto! ». «L'hanno trovata!! L'ho vista io per primo. Mi ha sorriso, poi è caduta in coma. Qualcuno ha chiamato i càmici e l'hanno portata al Policlinico. Strappiamogliela! ». Temistia tocca col gomito la Rina, esterrefatta di quella compagnia di fuoriclasse della follìa. « Guarda gli occhi di Paolo, non glieli ho mai visti così». «Fanno impressione. Sembrano di un altro mondo...». « Come l'hai trovata? Era vestita? Era terrorizzata...? Dove stava? Tra gli stracci?». «Aris, tranquillizzati: mi ha sorriso per rassicurarmi. Purtroppo i suoi abiti erano bagnati perché... perché era faccia a terra in un lago di piscia fino alla strada. Ma credimi, il suo sorriso era radioso - e dopo una esperienza simile! ». Di lei si stanno già occupando rotative e telescriventi. La padrona gira la manopola, la notizia è in onda: « L a signora Ada Boronovici è ora ricoverata nel reparto Infettivi del Policlinico locale. E in coma - i medici ritengono possa uscirne tra pochi giorni... Non pare abbia subito violenza... In tutto il mondo c'è grande... ». «Tieniti su» dice la bagnina; la situazione ecce-
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zionale ha tolto per lei, di Aris, l'estraneità del cliente qualsiasi; e fa quel che può per rendersi utile e soccorrerlo - fuochetto delle caverne. Aris trema come una foglia, ma la notizia gli ha portato un sollievo enorme. Paolo, autorevolmente, lo dissuade dal precipitarsi ora, a mezzanotte, al Policlinico Romolo Murri; lo fermerebbero all'entrata, mai potrebbe avere accesso ai reparti. Là stanno già affluendo i corrispondenti e i fotografi, pronti a passare la notte; bisognerà organizzare bene la sua visita, attendendo fino al pomeriggio. I medici saranno peggio che alieni nell'esaminarla, prima di lasciarla andare. «Rassegnati» mormora la bagnina. « A casa ti accompagno io ». La RAI, che teneva in riserva una farcitura di cose intorno ai rapimenti e ai contattisti, insieme a un po' di segnalazioni di UFO in America e in Italia, incluso il pochissimo che si era potuto riprendere delle persone e dei luoghi di questa nostra storia, fa seguire al comunicato, ripetuto un paio di volte, un montaggio affrettato di frammenti. « Cominciamo a sperimentare i disastri della televisione per la vita psichica e mentale » commenta qualcuno. La cassetta della posta di Aris rigurgita di telegrammi. Due di Albert Caupone insistono per essere chiamato a qualsiasi ora; altri due sono del Viminale. «Domani, domani... tomarrow, tomorrow... » mormora Aris, quasi gemendo. « N o n sono attrezzata per la notte, ma abito lontano. Se hai bisogno di me, dormirò da te. Devo soltanto avvertire mio padre, che vive con me... ». L'offerta della bagnina subitamente intenerita e solidale, pare ad Aris un apice di bellezza etica. «Ada in coma agli Infettivi in un lettino al Policlinico, mentre io attiro nel nostro letto questa così umana donna matura, non è un atto riprovevole? Ai
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Bagni gliel'avevo proposto e mi aveva virtuosamente rifiutato il proprio favore: ora, vista la situazione in cui anch'io mi trovo, si prodiga per darmi un po' di sollievo...» pensa Aris. Salire, spogliarla, esserne aiutato a spogliarsi, meravigliarsi. Di lei è un po' sfiorito il viso, desiderabile il corpo. « Quanti anni hai, Rina? ». «Vuoi saperlo? Quasi quarantasette! ». Le si rannicchia, distesi nel letto, sul ventre, in una posizione di ingordigia fetale, ed è come averci abitato mille anni. Non è comodo, per lei, ma per più di un'ora non lo sposterà, leggermente affannato, via via più calmo, finché... tremende convulsioni lo scuotono come in una bacchiatura di noci ottobrina, gli sfuggono gemiti dolorosi e invocazioni di miserere. Ci vogliono parecchi scuotimenti energici di Rina per risvegliarlo. Un incubo spaventoso tra facce minacciose... «Per poco non ti usciva bava dalla bocca. H o temuto una crisi di mal caduco! ». « M i succede, ogni tanto...». « P u ò darsi che nello stesso momento la tua Ada sia uscita dal coma. Guarda l'ora, domani lo saprai». «Sì, è così... Udivo la sua voce, lontanissima, appena fa giorno tempesterò l'ospedale... ». Nella piccola luce dell'abat-jour la mirabile bagnina gli appare invecchiata. Nello stesso istante il desiderio gli dà un colpo di sferza. « H o un bisogno estremo di baciarti, Rina. Prima no, nessuna notizia da questi... miei rantoli di carne, adesso ti sento, è così strano quel che mi succede... ». Ecco, il povero essere ex fotoreporter, di cui non possono più fare a meno gli Stati Uniti e il governo italiano, e la bagnina per niente spaziale dei Bagni Wagner si baciano con la forza di malati dello stesso male, che sanno inguaribile: il male della vita, il
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male di essere nati. Intanto, lentamente, laggiù, nel vigilato lettino degli Infettivi, Ada sta uscendo dal coma e balbetta il nome di Aris. Ada è e sempre sarà per lui l'amante unica, la sua compagna d'esilio infracosmica - ma fino all'ultimo giorno mai Aris potrà dimenticare il bacio di quella notte stravolta, nella raggiante sfioritura di Rina. Rina non immaginava, salendo con Aris in ascensore, di ricevere da lui, così vecchio e malfermo, altro che qualche convenzionale attenzione affettuosa; né di potergli suscitare un tale raptus veemente di affondamento nella carne, raro anche nell'uomo che abbia appena varcato la quarantina; ma si tratta di un irripetibile cedimento alle forze di abisso dell'Eros, di un'abissalità ignota a se stessa, nel vortice di altri abissi che dormicchiano o pascolano calmi in questa taciturna galassia microcosmica Corpo. Il verso che si manifesta, tracciato sul lenzuolo impregnato di violenta vicenda umana, è il lucreziano del quarto libro: incerti tabescunt volnere caeco.
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Controvoglia fuggita da quella morbosa stretta inattesa, Rina bollerà con ritardo l'orologio di controllo dei Bagni Wagner, tra qualche luogo comune fisso («Che occhi pesti! Cos'hai fatto stanotte?») d'ironia delle colleghe, fin dalle sette impegnate a strigliare e a insaponare pelli flaccide incurabili di umanità ancora priva, per nasconderle, di vasca e doccia in casa propria. Dall'ospedale, ad Aris hanno comunicato allegramente che Ada lo sta aspettando, ma ancora non potrà uscire. Dalle edicole vede pendere l'edizione straordinaria della locale gazzetta, il titolo occupa l'intera pagina, categorico: LA RAPITA PARLA. La rapita, per ora, parla a gesti, nomina a stento cose e richieste di servizi. Paolo è stato il primo a farle visita e ne ha ricevuto un sorriso. Uno stuolo, tre o quattrocento, di giornalisti assedia l'entrata del Policlinico, sbarrata da una trentina di agenti. Un tale in bici va e torna a un suo carrettino con un enorme thermos di cappuccino caldo, un affarone - ma l'ar-
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rivo del vecchio zoppone scuote i fotografi dal torpore, migliaia di scatti lo flagellano. Due ragazze hanno innalzato un rozzo cartello a vernice rossa: TI VOGLIAMO PRESIDENTE! (Presidente di che cosa? E perché? Presidente...). Scudato dagli agenti, tutti della sua caserma, il designato afflitto Presidente si dirige, spedito quanto può, al braccio di Giusepponi, al padiglione. « L a signora Boronovici è nell'ultima, la 215. Da un'ora soltanto può ricevere visite ». Entrato preoccupato, Aris è prontamente rallegrato dal saluto di Ada che batte le mani al vederlo: «Aris! La fregnina è salva! ». Questo linguaggio fa sussultare la suora infermiera, che però accoglie lui come già incontrato. Infatti è Suor Bardonecchia, delle cucine di San Luca Evangelista al Poligonale! « Rimanga ai piedi del letto, professore, a distanza di un metro, c'è la striscia. Non sono permesse effusioni! ». « T e m o n o che mi sia caricata di virus spaziali da scatenare pandemìe. In specie, gli americani... Caro, tu sarai stato malissimo, in questi dieci o dodici giorni, ma là sono passati in un istante... non c'è fuso orario... ho dormito a lungo eppure mi sento ancora fuori del tempo... Questa signora me l'ha màndata Mr Caupone, è una persona deliziosa, si chiama Diana - Diana Constable, mai indovineresti da dove viene, in America... ». «Da Grover's Mill, New Jersey?». «Diana! Non è fantastico il mio Aris? Ha pensato subito a Grover's Mill!! ». La «persona deliziosa» saluta Aris con evidente gioia di conoscere l'altra metà della originalissima coppia. Li informa che il capo della Security americana arriverà da Roma nel pomeriggio perché ha cose molto urgenti da comunicare a entrambi. La suora le fa scoprire il braccio per la misurazione della
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pressione. «Buona, sai? Vedrai che ti dimettono presto». Ada è ansiosa: «Entro domani?». L'inviata di Mr Caupone, chiamata al telefono, torna con una notizia spiacevole: « I l Viminale ha disposto che torniate nel vostro alloggio alla caserma Bandone, per qualche giorno. In casa non siete al sicuro. Il comandante è già avvertito. Mr Caupone è d'accordo e vi ritroverà là. Sapete, di eventi del genere ne abbiamo ogni giorno negli States, ma è la prima volta che uno di questi ha suscitato una quasi generale consapevolezza in tutto il mondo... anche più di Roswell, pensate! Dalla nostra Nanda, o Ada, come scrivono, tutti si aspettano che l'incredibile diventi credibile; Mr Caupone non è mai certo di niente, ma stavolta si è innamorato di voi, del vostro candore. Dategli ascolto, non l'ho visto mai così fiducioso... ». Gli mostra sette-otto giornali di lingua inglese che le hanno appena portato, tutti con grandi titoli e le loro foto: GLI INCONTRI RAVVICINATI N O N SONO PIÙ U N A FAVOLA - LA PICCOLA ADA SALVEZZA DEL MONDO - IMMINENTE LA CONFERENZA STAMPA PIÙ AFFOLLATA DELLA STORIA - SCONVOLGIMENTO NEL DOGMATISMO VATICANO: BATTEZZARE O N O GLI ALIENI SENZA NOME? - ADA E ARIS INVITATI AL CONGRESSO USA...
«Basta, Diana... Per noi questa celebrità è un massacrò... Ada deve raccogliersi e riprendersi... E un pagare troppo caro quella che, in fondo, per noi non voleva essere che una "buona azione"... un'azione buona, un atto di solidarietà umana, non è così? Dillo anche tu, Ada mia... ». Ma Aris ha parlato a due occhi chiusi da un sonno repentino. Sulla parete di fronte, chiara di imbiancatura recente, si manifesta il prodigio di primato spirituale che emana da una battuta del Mercante di Venezia, dove Porzia dice: Quella luce viene da casa mia. Quanto lontano una piccola candela può mandare i suoi raggi! Altrettanto in questo triste mondo splende una buona azione.
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Da forse mezzo secolo Aris, pensoso vecchio, conoscitore errante della vita, ha quella battuta nella sua memoria, fissa. La ripete a Miss Constable, che ripone il fascio dei giornali scusandosi. «Sembra che tutti ci spingano con uncini d'inferno sempre più dentro questa merdosa palude alienogena... alienopatica... Ma noi ci siamo entrati come in un modo di conoscenza... una modalità di gnosi... di uscita dalla vita sempre uguale, dal mattatoio umano e dagli altri ergastoli... dal freddo... dai governi... dall'infelicità. Appena questo mio tesoro si sveglia glielo domando: si è meno infelici là dove sei stata? Soltanto questo conta! ». Sorride malinconica Miss Diana: « I l problema dell'infelicità in più o in meno è fuori dall'orizzonte del Pentagono, della N A T O e ancor più dai calcoli degli astrofisici! Se manderanno un uomo o due sulla luna, al loro rientro gli misureranno le pulsazioni... Chi gli domanderà mai se siano felici i residenti lunari? Però Mr Caupone non è un burocrate, verso tutti lui è molto umano... si dice appartenga a una setta buddista Zen! ». Ada si è risvegliata: « L i ho riveduti, non sogno che loro, sempre loro... Adesso ho fame, ho sete... vorrei un gelato». « Non affaticatela » raccomanda Suor Bardonecchia, mentre le porta il pranzo. « I l primario dice che potrebbe essere dimessa dopodomani mattina. Ma niente conferenze stampa! Riposo assoluto! ». Tra fame e digiuno, tra sonno e sguardo, Ada ripete le ultime parole di Sonja in Zio Vanja, udite spesso in russo, da Aris, nei loro innumerevoli tenersi-permano: «Riposeremo, djadjaVanja, riposeremo...».
Mangiando il gelato con avidità, domanda dove sia Udon. « Chi è Udon? Hai imparato i loro nomi? ». « U d o n è il nostro amico Paolo... Paolo, tra i Sen-
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za Nome, è uno degli Elohìm, e gli Elohìm hanno un nome; lui è Udon, e mi ha protetta meravigliosamente ». L'essere dalla triplice identità, Saragàt-Paolo-Udon, sta aprendo con cautela la porta della camera 215. «Vieni, caro, vieni! Stavo parlando di te! ». «Nanda, Nanda, non permettere alla tua bocca di lasciar libere le parole... Sai benissimo che io, con questo Udon, non ho proprio niente a che fare! ». Paolo indossa un camice che lo spaccia per medico, 10 stetoscopio sporgente da una tasca, l'aria distrattamente professionale. E accolto da Suor Bardonecchia come dottor Maiulo, un medico del reparto, grande specialista di lebbra, collaboratore di Albert Schweitzer a Lambaréné. Non riconosce in lui l'amico di Aris e Ada nella loro visita alla Garitas del Poligonale! «Va bene, dottor Maiulo... Ma tu perché seguiti a chiamarmi Nanda? Non sono Nanda che per i nonamici o... quegli Altri... ». Miss Constable guarda con sospetto (normale in un agente federale) e con sconcerto Paolo-Maiulo; ha notato che alla sua mano, che sta prendendo il polso di Ada, mancano due dita. «Da questa girandola di identità si esce pazzi» osserva Aris, cupo. « N o n è neppure un balletto tra essere e non essere, ma tra nulla e nulla! Chi sono io? Chi siamo? Ti vorrei Paolo soltanto, l'amico del Marrano; eppure mi fai pensare che sei tu l'incendiario dell'osteria, tu la lunga mano della Città degli Stracci! ». « N o n ho mai agitato torce incendiarie! Potrebbe essere stato quell'Udon nominato poco fa dalla nostra Ada, no? ». Si affaccia alla porta un medico del reparto: «Come va la paziente, dottor Maiulo? ». «Per me, potrebbe essere dimessa in giornata. Ma 11 primario vuole essere prudente! ». Tutto, nella 215, sembra essersi fermato: l'alienità che ci guarda aver rapito il tempo divisibile.
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Ma Aris è stufo di tutele: della Security, del FBI, del ministro, della polizia... da giorni non riesce a rimanere un'ora con Ada solo, ancora non ha ascoltato il racconto della sua Via Crucis... Dice netto al potente Americano che a Washington non li avranno... che la loro missione è conclusa... Il rapimento di Ada non è stato certo inutile: UFO, nel cielo della città, in tutta Italia anche, non se ne vedono più da tre giorni; la polizia non ha più ricevuto denunce di sequestri spaziali, eccetto che da contattisti immaginari sbugiardabili in due battute. Fine della storia, per ora. L'Americano sbaglia tono. Lo tratta da ragazzino svogliato: «Già te l'ho detto, Aris: senza la nostra protezione, voi rischiate da parte del KGB sovietico un sequestro ben peggiore. Rassegnati a essere un uomo importante... E lei, guardate qua... ». Gli squaderna due pagine interne di un settimanale popolare: una intervista con la madre di Ada, con foto ingrandite di lei bambina e adolescente... E c'è anche un disegno di Ada nuda circondata da giganti verdi orripilanti e da subumani grigi.
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Ada si nasconde la faccia e piange, mormorando insulti violenti all'indirizzo di sua madre, alla quale sarà stata fatta una congrua offerta di denaro per vendere a quel modo la figlia. «Per soldi l'ha fatto! Per soldi! E mia sorella d'accordo... Mai più rivederle, mai più... Aris! Non ricordarmi mai che ho avuto una madre... La mia vera madre è una lemuriana, mi ha esposta appena nata in una Città degli Stracci! ». Strappa il giornale a pezzettini e calpesta il mucchio con un furore da baccante. Costernato anche lui, Aris cerca di calmarla. «Al, non potevi evitarle una sofferenza simile? ». «Domani l'avrebbe visto, in ogni caso». «Lasciateci in pace,» implora Ada «andatevene... tutti... tutti...». « Io parto domani per gli States, » dice Mr Caupone dispiaciuto «scusatemi per il disturbo. Ma quelli di Washington insistono per vedervi. Cosa gli rispondiamo? ». Diana reitera l'invito con più morbidezza. Aris ha un'idea. « L o so, di qua siamo costretti ad andarcene. Oh, per un po' soltanto... E proseguire le nostre ricerche, disinteressatamente. Ascolta: aiutateci a sparire, cambiateci identità... Ci sforzeremo di evitare interviste, ma per questo dobbiamo sparire al più presto. Notte, nebbia, distanza... Installateci con passaporto americano nel cuore di Parigi per un mese, in un appartamento che funzioni... Rive Gauche o Droite, non importa... un mese... poi vedremo, per Washington, se i tuoi amici, se i vostri amici non cambieranno idea... ». Miss Constable introduce un argomento persuasivo: « N o n siete interessati a visitare Roswell, a spese del FBI? A incontrarvi con Von Braun, che non ha mai escluso la possibilità dei contatti? ». Una domanda di Ada li sconcerta: « Si trovano in Virginia? ». Non ha dimenticato il cammino di redenzione di Moli. E fissa l'Ombra della Sera con tanta
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forza d'occhi da obbligarlo a distogliere lo sguardo. Ma la proposta di Aris al Potente piace; Diana sorride incoraggiante a entrambi. Trova giusto lasciarli per un po' in pace, senza abbandonarli però: c'è l'ambasciata in piazza della Concordia, e quella loro, Rue de Varenne... Aris si è rifugiato, gli succede spesso, in vecchiaia, in una temporanea pausa di essere dove ha visioni cinematiche prive di montaggio, fotogrammi animati di stracci appesi di Lumpenstadt éternelle, un bacio in una casa d'alloggio per barboni con una ragazza verdevestita nel 1925, un corno di Kippur che risuona nella sinagoga di Venezia poco prima dell'armistizio del 1918... E sveglio, eppure la mente lo trasloca qua e là, con le palpebre chiuse. Gli appare una giostrina in un Luninopark deserto, insalivata dalla pioggia, tutte le luci inutilmente accese... e da ultimo Ada, ma non è l'Ada che lui ama, è un ritratto che fece Oskar, l'amico Kokoschka, nel 1926, a una signora di nome Adele, una inglesina... È uno stato felice, ma qualcuno lo riscuote, vede il volto di Ada sopra di sé e mormora «Adele»... L'esistenza lo riprende come il suono di una sveglia smaniosa di stroncare sogni. « B e n e » dice l'Ombra della Sera. «Diana vi dirà dove potrete andare, a Parigi. Fateci avere un rapporto su quanto Ada ha visto e udito nell'abduction, riservato a me e al vostro ministro dell'Interno. Attenti alle trappole telefoniche e arrivederci a Roswell... che non è in Virginia... ». «Parigi! Benissimo, caro Al, ma non teneteci sotto sorveglianza come dei colpevoli... di aver visto troppo... Roswell, chissà... Sia chiaro che da Parigi ci allontaneremo ogni tanto...». «Avvertite Diana o la vostra ambasciata, e andrete dove vorrete ». « A Chartres, andremo. Abbiamo un appuntamento con la Vergine... ».
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« N o n finirete mai di stupirci! Ma quel che vi dirà la Vergine non ci riguarda. A noi bastano i vostri Incontri Ravvicinati con gli altri mondi...». A Diana, che lo accompagna all'ascensore, confidenziale: «Sai, questi due disgraziati mi contagiano di tenerezza. Devo tornare a indurirmi... ». La tensione si abbassa. Dissolvenza.
Una settimana dopo, non avendo ricevuto bocconi, la muta dei predatori persecutrice non si è placata. Il loro portone di casa è tuttora assediato, e anche il cancello della caserma; l'Antica Beccheria, fino alla chiusura, ha paparazzi incrostati. Qualcuno più furbo sorveglia la testa dei binari che vanno all'estero. Aris e Ada, senza Giusepponi a scortarli, sarebbero dei reclusi. Provvidamente, gli arriva l'invito dei Bétancourt di trasferirsi a casa loro, che fino alla partenza per Parigi dei due ambigui eroi andranno bravamente ad alloggiare in una locanda vicina. Con Miss Constable e il Viminale decidono di convocare, a Roma, una conferenza stampa per soli invitati: non c'è, per aggirare l'assedio, altra soluzione. Avvistamenti di UFO: più nulla. Contatti e rapimenti: cessata ogni denuncia. Paolo, dì cui nessuno tranne loro conosce il segreto, gli ha trovato un migliore, più riservato, più caro di prezzo, mangiabene: Il Centauro. La questura ne avverte i proprietari, Magda e Sirio: guai far sapere che i due ricercatissimi ufologi e il loro gruppo si trovano quella sera nel locale. Non mancheranno, a un tavolo, un paio di agenti in borghese - con pistola sotto l'ascella.
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Sono tornati nella loro casa, dove l'aria ristagna, perché Aris era uscito precipitosamente, senza neppure aprire la finestra o lavare un paio di tazze da tè. Il letto non è stato rifatto. Ada annusa l'aria e finge un corruccio che in realtà non prova: « H a dormito una donna, qui, con te, mentre io... ». «Sì». « Una vecchia amica? ». « N o . La conoscevo appena...». « T i capisco». E gli buttò le braccia al collo. Mentre lei provvedeva a un affrettato ma preciso riassetto, lo sciamano zoppo si occupava del magnetofono Geloso; avviato il nastro magnetico ripete la formula ebete della prova: « Uno-due-tre-quattro pronto prova pronto prova... Non è possibile! Il nastro era nuovo, e qui sono registrati dei rumori! ». Ada sembrava aspettarselo e sorride. I rumori aumentavano e mentre stavano svanendo l'apparecchio emise dei barriti, tacque un istante e poi.... un colpo formidabile di gong dal rimbombo di più minuti. E la voce
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giovanile di Orson Welles nel 1938: «Ladies and Gentlemen... Vi parla Uvar, il lemuriano, Uvar l'umanoide del Poligonale che dà il bentornato a Nada, con l'applauso di altri lemuriani... ». (Seguiva un clap-clap un po' svogliato di sala semivuota). «Nada, sei stata meravigliosa per la tua intrepidezza. Aspetto di ascoltare la tua confessione perché di quanto ti è accaduto durante il rapimento io non so nulla, Udon ha visto e sa tutto ma con noi non è molto comunicativo: lui appartiene al mondo dei Refahìm, e soltanto il vostro gli è familiare, perché ne è attratto e lo ama. Le navi astrali dei Refahìm stanno scomparendo dal cielo dell'Europa, tornano alle loro basi » (Uvar ridacchia di un riso sconosciuto) « tra Alpha-Centauri e Puerto Rico, tra i Quasar che fanno dannare i radiotelescopi e le spelonche della catena alpina... Ma perché non si sono rassegnati a essere dei vinti, come noi, come voi? Neppure ima fragilità come Nada hanno potuto sgarare... ». La voce di Orson-Uvar tacque. Aris lasciò scorrere il nastro fino al termine della facciata A. Ne uscirono rumori e strida di traffico urbano al di là di qualche muro. Altro prolungato rimbombo di gong. La stessa voce che canticchiava il motivo degli Incontri Ravvicinati accompagnandosi con un semplice metallofono. E poi battute a intervalli di Orson-Uvar. Ada sussurrò nell'orecchio di Aris: « E se Orson, quello vero, fosse un lemuriano...?». Il nastro ronzava. Ne restavano ancora una ventina di minuti. « I Senza Nome nascondono molti segreti... ». E ripetè più volte: «... molti segreti... molti segreti...». Verso la fine del magnetico udirono delle risatine: «Figuratevi» diceva (a loro, o a qualche altro tamerlano?) «... il loro Signore gli ha dato delle foglie per coprirsi come gli uomini e loro, ignoranti, se le sono applicate sul testone... ah! ah! ».
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In ultimo: «... essendo privi di casa della vergogna,1 di tutto si ver... ». TAC. Quarantacinque minuti così. La facciata B, invece, è tutta libera. Ma il documento è da conservare. Aris ne sistema un altro. Ada è nervosissima, fa più corse nel bagno. Pensare che la sua voce potrà essere ascoltata anche fra molti anni, anche al di là della morte, la turba fortemente... «Respira a lungo, amore, e comincia quando ti senti...». «Sì, ma da dove e come... ». «Da quando, otto giorni fa, sei uscita tutta sola di casa, e sotto ti aspettava... ». « I l taxi che avevi chiamato... Ma ti sbagli, caro: mi hai sostenuta fino al portone, dimenticando perfino il bastone... La brezza ottobrina era forte, mi sono gettata l'impermeabile sulle spalle, l'autista mi ha domandato se volevo mi portasse al Pronto Soccorso, perché battevo i denti, e chissà che impressionanti i miei occhi, anche al buio... "Dove ha l'appuntamento? Là proprio, dove c'è l'osteria che è stata bruciata dai cosiddetti alieni?". "Qui. Quanto?". Era indeciso se lasciarmi, quel brav'uomo; gli facevo pena. "Per la corsa non voglio niente, signora. Ma se permette aspetterò che venga qualcuno a incontrarla". Mentre lo ringraziavo - senza congedarlo perché avevo paura - dal Muro degli Stracci vedo qualcuno che mi fa cenno: credo di aver gettato un grido, ma di gioia: era Paolo! L'autista, sollevato, ripartì con un affettuoso "arrivederci" mentre Paolo mi abbracciava e mi rassicurava... ». «Ricordi altro, di quel momento?». (Anche la voce di Aris resterà incisa). « H o notato che c'era un cane nero, che pareva spuntato dagli stracci ammucchiati, frugava tra i rifiuti sparsi e non abbaiava... Dentro il Marrano puz1. Le parti genitali.
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zolente di cenere Paolo aveva acceso una candela, accanto a un thermos dove mi aveva preparato un tè caldo, che ho enormemente gradito. Allora, l'ho visto mutare di figura pur restando sempre per me il Paolo che conosciamo, i suoi occhi ingrandirsi, la pelle cambiare colore, e la sua voce mi stava dicendo: non verrà nessun altro di loro ad aspettarti, perché SONO I O U N O DI LORO... Poi, ho sentito che ero tutta intera in potere di quei Loro, lui compreso, fino a perdere totalmente coscienza... Scusa, devo riprendere fiato, ferma il nastro, una pausa, oh tesoro, grazie...». Tacevano; il loro sorridersi, in quella circostanza, era indecifrabile, una silenziosa risacca che gli risaliva alle labbra dal tempo... Quel piccolo apparecchio, che tecnica e commercio andavano spargendo con poco spendere in tutte le case (in specie di artisti, di letterati, di piantatori d'industrie), li turbava e li ipnotizzava. Una smorta Ada diceva, nel calore di un'ascella: «Aggeggi come questi stanno fabbricando immortalità, non ti pare? Immortalità della polvere... io alla fine del secolo non sarò più viva, o avrei l'età tua di adesso, ma meno consolabile, più sofferente: e la mia voce di ora racconterebbe quanto sto per raccontarti da archivi sonori, o la venderebbero insieme a migliaia di registrazioni di ogni genere in bancarelle di libri in disfacimento... ». « Saresti morta o mortale nella carne, e soltanto in una bobina che gira a comando, immortale. Io non ero nato ancora e già si parlava di "suono nella bottiglia", miracolo di Edison e di Cros... Il fonografo, antenato di tutta questa immortalità de mierda, quando ero già più che adolescente era innanzitutto ansioso di fabbricare immortalità a vantaggio delle gole dell'Opera... Con la mia speaking machine, germogliata dalla sua sordità, proclamava Edison nel Tredici, ho catturato le voci di duecento cantanti!! e ancora oggi
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RAI o BBC le infliggono ai loro abbonati... Mi vengono i brividi: la voce della mia Ada mischiata a quelle di Mussolini... di Togliatti da Mosca... di Natalino Otto... ». « L o facciamo a pezzi, questo ordigno?». «Domani correremmo a comprarne un altro alla Cattedrale dell'Elettricità in Corso... guarda... in Corso Edison...». « M i sento meglio. Grazie. La tua Ada è pronta a registrare ». Il nastro riprese a girare. Dopo una ventina di secondi Ada ricominciò a parlare nel microfonino, magica porta dell'immortalità audiovisiva.
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26 ADA RACCONTA IL SUO RAPIMENTO Registrazione su nastro
« Parlo a te, mio caro, a te solo, che già sai tutto il resto, di me, e che mi hai capita e mai umiliata. Parlo a te come se fossi... come se io fossi in questo momento un corpo avvinghiato al tuo, in piedi vicino a quella finestra dove guardiamo insieme le fasi della luna e pensiamo con orrore che in America e in Russia stanno lavorando al progetto folle di stuprarla con un piede... povera... come la chiamavano i Greci? ». «Selene... E Saffo, più dolcemente, Selanna...». «Povera Selanna... Ma cosa diremo a quel tedesco che dovremo incontrare se ci portano in America... Io gli direi: "Lei stuprerebbe una ragazza vergine con un piede?". Chissà che faccia fa... ». «Amore, è tutto bello quello che dici, ma... vedo con che terribile fatica affronti la storia del tuo rapimento... Te la senti di continuare? ». «Sì, voglio continuare, lo voglio davvero... e me ne frego di diventare immortale, grazie a una puntina su un piatto verde che gira... come la Pagliughi,
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il Gigli, o quel soprano che da dieci anni fa impazzire la Scala... Faccio stop un momento... Non è che si rientri da un abduction come in un Ciampino qualunque... Mi dai un pezzo di cioccolato?». Aris non ferma la registrazione. «Sai, non cancellerò niente... C'è più verità, più vita... ». «Avrò tremende crisi di vergogna, dopo, ma seppelliremo... questa mia immortaliti in qualche cassaforte a prova di "Life"..., di ladri di segreti... ». «Dell'immortalità audiovisiva non sappiamo che farcene». « Stammi vicino. Riprendo a dire le mie scemenze. Ma se mi dici tu che ne vale la pena... ». «Vale la pena. Coraggio, Nada. Se ci vengono lacrime sono di gioia liberatrice, ma lo so, anche la gioia è terribile. Uscita dall'ipnosi con Paolo dove ti sei vista? ». « Ero in una landa, in una brughiera, in qualcosa del genere, però il suolo era più morbido di un bel prato, di un prato a perdita d'occhio, con due o tre alberi verdi soltanto... ». «Però non era un prato». « N o , non lo era. Era sabbia di deserto, senza ondulazioni, calda, deliziosamente calda, che dava voglia di stendersi e vivere là nudi... infatti ero nuda, sotto una luce dolce di tramonto, ma non c'era sole che tramontava, né luna che cresceva... o forse no, c'erano dei dischi in cielo che parevano lune, lune di colore ramato, solcate da nubi leggere. Io pensavo di essere nell'Eden... Thomas, durante la mia gravidanza, mi leggeva la Bibbia di re Giacomo, specialmente i primi capitoli della Genesi, e io non ne perdevo una parola, così li ho subito riconosciuti... ed è stata un'emozione che mi ha investita come un'ondata...». « Hai riconosciuto i Giganti? ». « Sì, loro. The Giants... E quei primi versetti del capitolo 6 a Thomas non andavano giù, diceva che
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erano falsificazioni, "ciottoli di un altro mondo", ma io solo adesso capisco che era così alla lettera; lui non voleva fermarsi per ragionarci su. Erano alti non so quanto, anche più di tre metri, e a me venne un panico spaventoso, avrei voluto scappare e ti chiamavo: Aris, Aris... Nani e giganti mi hanno sempre fatto paura, nelle fiabe... ». «Nella lingua primitiva, i Giants erano detti nefilìm». «Caro, avevo così tanta paura che uno o l'altro nome... Ma finalmente vedo staccarsi da quella opaca moltitudine il nostro amato Paolo, quasi irriconoscibile se non dal mio istinto, ed era, come gli altri testoni grigioverdi della prima fila, vestito di stracci. Di stracci stinti, da fili appesi, da rifiuti di Città degli Stracci, capisci? Saranno stati una trentina così e venivano avanti, ma Paolo fece un cenno con la mano di tre dita e tutti si fermarono a due o tre metri da me, e Paolo che parlava con loro in quella lingua preistorica, tutta irti, ot, u... ». « I glottologi lo chiamano paleosemitico dell'Ovest, ma sono nomi convenzionali, tanto perché possiamo intenderci, ma tu eri immersa in una profondità di verità nella quale il nominare tra i Senza Nome è fatica sprecata. Cerco di aiutarti, Nada mia, ma brancico ». « C i fossi stato tu, con la Leica! Avresti umiliato tutti i tuoi Magnum! Avresti visto la tua Ada con le gambe divaricate, aperta al di là delle possibilità umane, come se la tirassero da opposte costellazioni, avere intorno come uno sciame d'api occhi occhi occhi che esprimevano a loro volta paura, e stupore, e altro ancora, ma né desiderio, né tenerezza, né compassione, nulla, pupille di ghiaccio, spalpebrate, e questo... pareva non finir più... ». La facciata A è terminata. Ada faticava a staccarsi, anche per un tempo minimo, dalla visione che la possedeva, e guardava Aris con una straziante tenerezza bisognosa di essere corrisposta. Si sforzava di
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trovare modi di comparazione tra la realtà umana e quella dove era stata gettata, per un istintivo proteggere se stessa scuotendo il fondo della nostra fragile, impotente ragione umana. «Sai, ero come una spogliarellista davanti a un numero incalcolabile di guardoni, con tanta voglia di correre a piangere dietro le quinte, a poco a poco presa dal panico e dall'orrore... ». (La facciata B è avviata). Si sentirà la voce di Aris dirle: « L a guardomania di un essere fuori gravità è ingiudicabile; le parole, fuori dalle nostre mura, perdono senso». «... senza il soccorso di Paolo sarei morta... Morta nel senso di una specie di morte dell'anima, perché la prova era troppo al di sopra delle mie povere forze... "Aiutami, Paolo, sono terrorizzata...". "Chiamami Udon" rispose un Paolo dalla voce molto alterata, ma ancora riconoscibile, come la sala del Marrano bruciata. Si mise a parlare con uno di Loro in quella lingua che hai chiamato... ». «Paleosemitico dell'Ovest; ma non è che una congettura. Va' avanti». « Pur senza capirne niente, io avevo in testa la chiave per capirla perfettamente... ». «Ah!! » gridò Aris. «Quella è una delle nostre facoltà perdute! ». «Però, lo sai: un po' a me ne sono rimaste. Il fiato degli alieni ravvicinato, spenzolante sulla mia monarina sigillata, le avrà ravvivate soltanto... ». «Dal lettino d'ospedale mi avevi detto, davanti alla suora sgomenta: "La fregnina è salva"! ». «Salva, mio caro, nel senso nostro, materiale, come vuole la nostra infame passione di gelosia, vergogna del mondo! Ma tutto è paradossale e più che capovolto tra gli alieni, amore mio. Io mi sentivo chiusa dal rifiuto interiore come una cassaforte di banca, ma il mio corpo era una rosa così spampanata che una mosca avrebbe potuto passeggiarci dentro! ».
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«Cosa si dicevano Udon e l'Elohìm?». « Udon gli diceva di non aver paura, che il raggio vaginale mortale era una favola sciocca di loro, enti spaziali... Non so che ricordo distorto ne avessero, così asessuati, oppure in assenza del Tempo sono obbligati a non scaricarsi mai dei ricordi, a ritenere tutto come presente sempre? L'Elohìm parve guardarmi un po' meglio... ». «Mah... I tuoi impauriti erano forse proprio quei sons ofGod, di cui è rimasta l'orma nella Scrittura sacra nostra, quelli che si lasciarono attirare dalle daughters ofmen, e le "figlie degli uomini" essendo belle, qualità ignota tra gli alieni, gli furono amare come la morte, e i Caini-Abeli bastardi che generarono con loro non meno. Così si sentono pungere tuttora dal raggio della morte... che forse, nel periodo fecondo, è qualcosa di non del tutto immaginario, perché il corpo chi lo conosce davvero? Ce n'erano altri, ancor più alti di quelli? ». «C'erano... Alti sette-otto metri: i primi apparsi sulla terra, i Giants che ne furono i dominatori, ma li distinguevo appena perché tutti insieme formavano come una massa alquanto gelatinosa, dove io non distinguevo che grandi teste con enormi occhi che non ridevano. Udon, quando ebbe parlato con l'Entità superiore, mi aiutò ad alzarmi, e subito quella marea di occhi si affrettò ad arretrare man mano che io, sollecitata da Udon, avanzavo verso di loro... ». «Tutta nuda, sempre?». «No... Udon mi aveva infilata nella bocca di un vestito che nei libri chiamano chitone, di colore scarlatto estremamente brillante. E Udon mi scongiurava di fingermi innamorata, pensa, di loro come specie, da vera ninfomane, e io a dirgli "Udon, mi chiedi troppo! Mi fanno schifo!". Già li avevo lasciati guardoneggiarmi peggio di una banda di maniaci appostati nei gabinetti delle fabbriche abbandonate; cosa
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avrei potuto fare di più, ero pur sempre io, quella che tu conosci... E lui: "Dimentica di essere una terrestre, Nanda... Recita! La tua parte nella commedia è di essere una figlia d'uomo che di notte calamita i Giganti, tutti quelli che incontra, come il demone Lilìt... Sforzati, cara, entra nel ruolo: pensa che tu la vuoi tutta dentro di te, quella immemorabile canaglia umanoide infelice, e ne raccogli il seme inane per procreare i demoni figli delle donne che li hanno sedotti! Fa' come ti dico o siamo perduti, non ne uscirai più! Ripeti con me che li ami, che ti piacciono, che ne vai pazza... Fermali, presto! ». « E facile ingannarli?». «Ascolta, solo verità ti dico! Più simulavo più mi credevano! E allora vidi questo: dispiegarsi come su un immenso fondale una scena d'orgia di una violenza incontenibile, da farmi chiudere gli occhi... Un'orgia che si dilatava sempre più... una di quelle cerimonie di antichi Misteri di cui ogni tanto mi parli per stupirmi, ma ingrandita per milioni di volte... E io non sono stata più questa Nada tua che ti parla! Sprofondavo tutta in quella palude di viscosità erotica che sommerge il mondo per farlo essere, annientato ogni mio residuo di coscienza e di lucidità vergognante, voltolandomi di piacere riluttante dentro la copula oceanica che cresceva sempre più d'intensità e durava un tempo inverosimile, dando morsi rabbiosi alle loro dita enormi di sterilità disperata, che il non sentirsi respinti inebriava. Ma ci fu qualcosa di più portentoso... Sulle superfici glabrissime delle loro facce, intepidendosi il farneticamento estenuato che inventava addirittura forme inaudite del gemito, era spuntata una evidente lanugine maschile, in alcuni, mentre altri occhi, rotondi come globi veneziani, si facevano a mandorla, e avresti visto apparire dei bellissimi occhi da geisha dei racconti giapponesi nel profilo dei templi di Kyoto... e non è finita! Le loro tre mostruose dita di-
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ventavano rapidamente cinque, e adesso ditini lunari e mani calde, pallide o rossicce, con buone nocche, dove il verde scoloriva, riguardosamente mi accarezzavano. E durava a lungo e non me ne saziavo... Ecco ero proprio quello che dicevo, scherzando, prima dell' abduction, immaginandomi come la grande prostituta cosmica, la Babilonia del peccato incarnata nelle galassie... Ero la troia delle troie, e i semivivi e i semimorti del povero e reietto popolo senza nome mi possedevano tutti insieme, e a me ne veniva uno stupefacente infinito placamento! ». «Avevi toccato la profondità ultima dell'Eros, amore mio, del sesso trascendente insaziato e sterile, che non vuole plasmare viventi ma fare risorgere i morti... Mi sforzo di capire, ma una simile conoscenza non è un oggetto fotografarle: sia tu che io portiamo un peso, porteremo, dopo quanto è successo, un peso enorme, e nessuno potrà aiutarci... Da quell'orgasmo rivelatore tuo comincerebbe una straordinaria avventura del pensiero se fosse comunicabile senza vergogna, mentre tutti portiamo una foglia di fico applicata sulla fronte! ». Aris non era finora mai stato così vicino a Nada come al termine interminato del suo racconto. « T i restano due minuti di nastro da riempire di meraviglie ». «Tutto sparì di colpo. Sulla brughiera di quel... Non Luogo adesso il vento faceva ondeggiare delle eriche in apparenza calpestate, ma quegli enti senza nerbo erano come mai esistiti... Il vento gonfiava il mio chitone scarlatto e udivo una musica già ascoltata da qualche pianista sulla terra attraversare tutta quella indifferenza cosmica... Non avevo paura, e anche il nostro caro Paolo... no, Udon... era sparito con tutti gli altri... Il clima era sempre deliziosamente caldo e io non avevo né fame né sete. La rosa selvatica che mi era parsa trebbiata più di un moggio di frumento era intatta come lo straccio della Vero-
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nica prima di impregnarsi del sudore del Golgotha... E io ero, forse, felice di appartenere sia a Loro che a tutto quel nulla... Poi una voce delle nostre, nella cameretta dell'ospedale, mi stava dicendo: "Rassicurati, Ada, i medici non hanno trovato la minima traccia di violenza, mentre tu deliravi che un milione di alieni ti avevano stuprata per giorni e giorni...". E la voce era quella energica e incredula della suora del Poligonale! In quel momento sei entrato tu nella stanza e io ti ho detto allegramente che "la fregnina era salva"... Ma, fuori della nostra percezione, salva o violatissima... può significare qualcosa?». Su questo dubbio di Ada scatta la fine della facciata B. «Abbracciami presto, caro! Mai più riascolterò questa tremenda bobina. Seppelliamola nel nostro mare ».
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La lunga notte di Ada tra i denti del Contatto fu seguita da un'aurora trascinata nei dubbi e negli interrogativi. Pianti, altra bevanda calda, ferite aperte. « M a quando mi hanno ritrovata indossavo o no un chitone scarlatto? ». « N o . L'impermeabile che avevi con te, e tutto il resto... ». «Anche le calze di seta? ». «Anche il reggicalze... Li volevi sedurre, eh? Sì, tutto come la sera prima... Mi sto perdendo anch'io nella circolarità senza tempo... Eri immersa in un lago di urina, che veniva da te, se può rassicurarti... Ma avevi accanto uno straccio scarlatto a brandelli: chi l'ha toccato ha detto che era impregnato di una traspirazione penetrante e che era caldo come una fiamma. In ospedale hanno sequestrato tutto per le analisi, e ti hanno dato questa roba, non elegante ma pulita almeno... ». « O h , hai avviato un altro nastro? Ti prego, fermalo! ».
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«Ecco, chiudo...» (Aris non voleva certo ingannarla; però fìnse soltanto di chiudere). «Vedo che peni troppo, Ada mia... ». «Bugiardo, non è vero che hai chiuso! Ma dopotutto... Solo pensa un po' anche a me, non preferire le mie vomitazioni dentro quel microfonino! Sei rimasto colpito? La gelosia ti... ». «Eri tuffata in un balletto... in un'orgia di eunuchi degeneri...». « Qualsiasi cosa fossero, io ad un certo punto ho preso ad amarli. Amarli, capisci? Spudoratamente... Come una donna, non come un fantasma! E sono sicura abbiano sentito, povere creature tristi, che mi offrivo a loro come la puttana di un tempio. Udon mi diceva di simulare, che avrebbe potuto bastargli... Io invece, prima tutta nuda poi nel chitone vorace, mi andavo trasformando, per farli uscire dal loro lago ghiacciato, in una furiosa baccante, con quel tale Dioniso nella... ». (E ridevi, adorabile Ada, ridevi in faccia al mondo di quel tuo assurdo moto di passione al di là di ogni storia, inconcepibile per Yanimairationale). «Sai un segreto? Vorrei tornare da laro\ Sento che hanno, che avranno, bisogno di me e del mio corpo finché è desiderabile, ancora... ». (Il riso ironico si fece sarcastico). « T u avrai la tua bagnina un po' grassoccia che ti spoglia, io Udon che mi copre la nudità con un bel chitone da lupa!... Aris mio, perdonami, ti sto offendendo... Questo no, no... Non sono succube del loro mondo idiota, morto... E rideremo insieme della tua "puttana cosmica"... della tuaNótre-Dame dei letti del Contatto Ravvicinato, che era soltanto una stupidona di ragazza nata nel Ventisette con un passato... da ripulire... una che è nata di nuovo quando l'hai chiamata al semaforo, salvandola dal niente di una famiglia senza senso né calore umano, e da ricordi orribili... ». (Gli scopriva il seno e gli abbracciava le gambe sofferenti). « Di', in America, incontrere-
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mo Marilyn Monroe? Marion Brando? Sinatra? ». E accennando alla bobina riempita della sua testimonianza: «Buttiamo tutto nel cesso, amore! ».
Sul quotidiano di destra «Bandiera» comparve l'ultimo titolo in cubitali a tutta pagina: uro RIENTRATI NELLA LORO BASE DI CHISSADOVE - CONTATTISTI NOSTRANI ORFANI - LA FAMOSA P... COSMICA RIFIUTA DI INCONTRARE I GIORNALISTI DEL SUO PAESE!!!
«Bava ignobile, di giornalismo incanagliato!» diceva leggendoglielo Diana Constable al telefono. « N o n indugiate, partite per Roma al più presto, vengo a prendervi con macchinone del Corpo Diplomatico. Mettete in valigia quel che vi serve, da Roma andrete direttamente fino a Parigi, vi dirò dove, un buon posto. Ora c'è il riflusso d'ingratitudine, ma sono in molti, dappertutto, ad aver capito! ».
« Perché sono arrivato a preferire » pensava Aris sulla Cadillac dell'ambasciata che li stava portando a Roma, la testa folta di Ada abbandonata al sonno sulle ginocchia contente e dolenti di accoglierle « a preferire la fotografia d'istantanea, questa sola, alla pittura, per quanto amatissima? Perché Capa o McCullin o Kertesz più di Chagall, di Sironi? Sarà per via del mio sentimiento tràgico de la vida - mia stella polare? Infatti, nella fotografia-capolavoro sregolato, sempre casuale, l'immagine, figlia dell'istante che passa, è capace di fermare e inchiodare nella durata più Tragico ( Tragisch), più eco del canto greco del Capro, della pittura, più Tragico di strada, e di quello dei volti, o degli attori privi di maschera... Goya, si capisce, superò tutti noi fotografi quando ricavò dai suoi schizzi a lume di lanterna le fucilazioni della Moncloa o la lugubre Feria di San Isidro... Però un grande fotoreporter, non uno come me, purtroppo,
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di immagini ne avrebbe lasciate di più ancora, muovendosi con la Rollei o la Leica tra i cadaveri con una torcia elettrica, a Verdun, a Katyn, a Ekaterinburg, Dachau, Hiroshima, o girando per Central Park, d'estate, quando si vedono tanti vecchi ciondolare di sonno e vomiti alcolici sulle panchine... Quante ha, di facce, il Tragico? L'anonimo che ha fissato nel '33 a Le Mans le sorelle Papin dopo il delitto non ci ha consegnato due maschere tragiche terribili di Assoluto? Ma ancora la pittura si batte bene: vedi il Marat morto di David! Che sollievo essere partiti! E vero che tra FBI, CIA e Viminale siamo in una bella tenaglia, ma il perpetuo assedio dei giornali e delle telecamere per noi sarebbe una specie di impalazione! ». Avevano accettato lo strascico di pena della conferenza stampa presso il ministero dell'Interno, in cambio di qualche giorno di libertà a Venezia. Lasciare gli amici era stato pungente, la sera prima che Giusepponi li deponesse in uno degli alberghi prossimi al piazzale Roma, da cui li avrebbe prelevati, cinque o sei giorni dopo, l'autista mandato da Mr Caupone. Si erano ritrovati tutti al Centauro da Magda e Sirio, emozionatissimi di ospitare persone mondialmente così famose, e il legame tra loro era ormai abbastanza saldo, tanto da farli poi, sicuramente, rimpiangere. L'appuntamento per rivedersi era... per il primo dicembre, più di un lungo mese di mezzo, ma nulla appariva certo, ciascuno di loro era fragile, Aris molto invecchiato, la vita perfida... C'erano tutti quella sera, dai primi incontrati al Marrano, ai neoufologi dell'Antica Beccheria, anche Rina la bagnina, che sventolava il mensile «Ufo oggi», sessanta pagine su sessantacinque dedicate a loro. L'argomento principale, per riguardo a Nada, era stato toccato di sfuggita. Tutti attendevano di ascoltare o leggere quanto sarebbe stato detto alla conferenza. Non mancava Paolo, l'unico a non aver bisogno di essere ragguagliato - l'unico a conoscere meglio 212
di Ada quanto fosse accaduto. Ora pareva uguale a loro, sorseggiando senza disgusto un annacquato barbera della Langa. Sapendo della sua parte decisiva nel rapimento e nel ritorno di Ada, Aris scopriva la gelosia. «Amore, dove siamo?». Teneva strette quelle sue mani, certo come di una circoncisione della loro pietà e tenerezza umana, torcendosi nell'intrangugiabile verità che le stesse mani avessero distrutto criminalmente e volontariamente un'appena nata esistenza umana. Lo schiumare di quel delitto, per lui indubitabile, lo pativa come nei propri denti, così presente e in atto, pensandoci, quasi tra le dita gliene scorresse il sangue. «Ma da dove ci arriva l'ordine di uccidere, quando non c'è da vendicare Gironde o da abbassare la leva della Old Starkieì Come non credere ai massacratori invisibili? Non poteva l'assassino del Marrano essere stato lui a sopprimere Dunia, senza perché, per amore del male? ». «Amore mio, dove siamo? ». «Da poco abbiamo lasciato Bologna, sarà ancora lunga... a Roma non ci saremo prima di mezzanotte...». Le pizzicò una falangina; Ada uscì dal torpore: «Da bere, per favore». Aver da poco passato Bologna significava dover viaggiare ancora parecchie ore, nel 1957, percorrendo una sequela di strade statali, attraversando città, paesi e campagne, tagliando per spighe, vigne, pioppeti, fino a bordi di fichidindia, in un paesaggio italiano che ancora ti stregava coi suoi incantesimi di borghi intatti e varietà di coltivazioni - e l'incanto persisteva notturno: un lampione, un carro, una siepe, un fanalino di bicicletta, un muretto di cimitero, una lapide lo accendevano... L'anno prima erano cominciati i lavori per la grande autostrada che avrebbe dovuto chiamarsi (non si pensava il clima mezzo secolo dopo mutasse) « del So213
le»: a scorpacciate di turismo nordico miravano! E Valletta e Pirelli avrebbero venduto auto e pneumatici come gomme da masticare! Ed è così ancora, rotolato giù dal monumento il sole, l'immagine dell'Italia affidata ai manigoldi... Il primo tratto, da Milano a Parma, non sarebbe stato aperto che l'anno dopo... Qua e là si vedevano spuntare le nere ruspe, i giganteschi caterpillar... E i piloni di cemento ammassati di ferro minacciavano col pugno. Fu più che una nuova inseminazione di strade ferrate, un futuro di ruote gommate fino a 150 all'ora, di morti a migliaia per tassi d'alcol, di boschi rasati, di classi sociali e religioni allo sbaraglio. «Perché farci viaggiare in Cadillac? » brontolava Aris. «E assurdo per queste nostre strade e giravolte: il suo culone enorme spazzola le case! Cosa credevano, che fossero autostrade americane? La Sixty-Six? Finita "la Sole" l'Italia sarà un che fu, e non crediate di trovarne un'altra nel microcosmo! ». Ad un cenno di Aris il guidatore americano (ex Marine, quadrato, il tamburo carico) ferma dove un muretto propiziava la sosta, in vista di lontani uliveti toscani. Crepuscolo, luminoso Espero, pennellate di gialli ottobrini, per un istante di calma e di gioia. Il thermos del tè caldo viaggiava sempre con loro. « Do you want a cup of tea? ». C'è una tazza in più e anche l'autista dell'Ambasciata gradisce. «Trovo questo secondo nostro viaggio a Roma più dolce » osserva Ada bevendo il tè amaro, verde scuro come, laggiù, un folto di cipressi. «Quando saremo prossimi al Soratte, il monte avrà sulla cima la luna nuova». C'è un esteso bosco, sull'altro lato, che ricopre l'intera collina tra i paesi dell'Appennino. «Vieni! ». I due s'inoltrano lungo un sentiero di foglie bagnate, per dare sollievo alle gambe doloranti di Aris. « Sai, mi bastano due ore di stasi in macchina, e noi veniamo da Venezia, perché si mettano a scampa214
narmi a morto! » diceva fiducioso nell'indulgenza di lei, attenta a non farlo sdrucciolare sul tappeto umido. Convenivano entrambi che amarsi da conviventi era un'interminabile fatica mentale di perdonarsi a vicenda cumuli di petulanti magagne. Camminarono a lungo, senza dirsi nulla. Che bisogno c'era? Li deliziava la malinconia crepuscolare, mentre il sottobosco pieno di voci li affollava di sensazioni - un esile ponte sospeso dove i loro destini si incontravano. Il cuore era in pena, senza sapere perché. «E adesso? Dove ritroviamo la strada statale per Barberino? ». « Proviamo da quella parte...». Ma Ada non poteva smarrirsi, grazie ai suoi poteri di alumbrada, e indicò a destra una leggera salita... «Per di là! Che dirà il nostro Marine? Che gli siamo sgusciati di mano? ». Il rumore di un grosso motore in salita: la strada, la fine della breve fiaba. L'autista non si era mosso dal muretto. Ai suoi piedi c'erano sette-otto mozziconi, doveva aver fumato ininterrottamente. Salutò il loro ritorno con allegria, senza fare commenti. Erano trascorse almeno un'ora e mezza. Risalirono in macchina che cominciava a far buio e si profilava una sbiadita luna. Da un camion carico di fieno che procedeva lentamente braccia e voci salutarono con ammirazione la Cadillac che faceva manovra per avviarsi verso il borgo di Scandicci fiorentino. «Non ci fermeremo più fino al Soratte! ». Il Soratte comparve, e la luna, ma l'ex Marine nello specchietto vide che il vecchio e la sua compagna - di cui tutto il mondo parlava - dormivamo abbracciati, e tirò diritto.
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PARTE TERZA
LA FORESTA
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Una frattura concettuale forte, da che Piatti-conle-ali e UFO sono stati visti in cielo, il linguaggio finora non l'ha risentita; le loro sporadiche apparizioni sono pallidi spettri nel limbo del Nominare. Teniamo d'occhio il linguaggio perché regge tutto e può far crollare tutto. Resta per ora fermo Terra; ma la sua relazione per antonomasia non è più terra-cielo. Si è aperto un sipario in cui Terra comunica con Cielo da orbita a orbita all'infinito e ritrova forse (forse!) il Cielo dei sognatori antichi in un punto mai fisso del cammino. La Via Lattea per Compostela è una lancia che senza trafiggerla insanguina, qua e là, la dolorosa carne del macro-micro. In un certo senso Aris e Ada procedono rischiosamente dietro all'equilibrista Cunningham, che significativamente videro, dopo essersi appena incontrati, a una impressionante altezza sul cavo teso. «Siamo una pallina da ping-pong nelle mani di Caupone e della sua Diana: ci hanno lanciati qui a due passi dalla loro ambasciata e tra poco ci spedi219
scono a volo nel cuore di Parigi... Per un mese hanno detto? ». «Sì, Aris mio... E vorrei tanto che la mia avventura spaziale rimanesse nostra, soltanto nostra... Portiamogliela via... Ma domani ci tocca la marcatura a fuoco... ». «Ah, la conferenza stampa al Viminale... E, per Parigi? ». «Mercoledì» dice Diana. «Purtroppo, fanno tutto loro - e sono dei "loro" più calabroni dei veri alieni. Portami sull'Appia Antica, non l'ho vista finora che nelle cartoline». «Vedrai quanto poco differisca dalle cartoline. L'emozione non abita più nel paesaggio italiano. Ma un po' di muschio e di nomi latini ci aiuteranno... Però come disfarci di questa sorveglianza dei nostri protettori che ci assedia e opprime? Manette! Manette... sempre... dappertutto...». Miss Constable si mostra poco conciliante. «Soli non possiamo lasciarvi, ve ne rendete conto, ragazzini? Da noi c'è Von Braun che scalpita per incontrarvi, ci sono dei senatori che rifiutano crediti per le ricerche spaziali se non vi avranno prima ascoltati! E il KGB a Mosca ha sicuramente un piano per rapirvi. Siete i primi contattisti di un Incontro Ravvicinato ad aver fatto cambiare idea a molti scettici! Neppure Roswell ha avuto una celebrità simile! ». Aris e Ada si guardano contriti e appenati: «Vedi, neppure davanti a una tomba latina che parla del nostro Nil... Nihil... dedicata alle pure Ombre... tra quattro pini superstiti nella campagna romana... ci è permesso rimaner soli... ». «Non è per questo che io ho accettato e vissuto quel maledetto contatto » dice con disgusto Ada. «Per riguardo, ci pensate? Il vostro ministro ha fatto venire a Roma l'agente che vi ama e non vi molesta, Giusepponi! Lo trovate già qui fuori, lui vi porterà dove vorrete... Cosa gli avete fatto, al governo italiano, per intenerirlo tanto? ». 220
La battuta di Miss Constable li schiarisce. «Va bene, » dice Aris « andiamo con Giusepponi a cercare l'Appia degli Stracci e dei Mani... ». «I... Chi sarebbero, questi Mani...}». « Ordigni altamente esplosivi, che noi soltanto siamo capaci di disinnescare! ». «Andate. E siate un pochino più saggi! ». (Non ha idea di ciò che sia saggezza, la zelatrice del Federai Bureau. Si sforza, là dove resiste uno dei suoi perduti crocicchi, di estirparla...). « Professor Boronovici! Telegramma! ». Glielo consegnano al rientro dalla passeggiata meditativa tra le iscrizioni, incerte se i Mani siano qualcosa (aliquid) oppure meno di nulla, dove Ada ha raccolto una gattina candida al centro della strada, maciullata da trionfali ruote. Respirava ancora, avevano atteso una trentina di minuti che finisse in pace i suoi pochi giorni, deponendola in un punto dell'aperto, dove il sole l'avrebbe disfatta presto. Il telegramma diceva: «So dai miei amici che qualcuno di loro vi vorrebbe incontrare a Puerto Rico foresta E1 Yunque stop vi consiglio non mancare vi voglio bene GERMANA». «E mettici anche Puerto Rico! Stiamo diventando noi oggetti volanti senza identità specifica! La mia Nada cosa ne dice? ». « Che sarà uno strapazzo in più ma dobbiamo andarci!... La tua Ada ti aiuterà strenuamente, però è da un po' che una voce mi mormora quella parola... El Yunque... E poi, caro, che cos'è una identità specificai Chi l'ha vista? Chi la conosce? ». Ada mai avrebbe fatto questa riflessione, prima del viaggio spaziale e della sua copula coi Refahìm, fratelli inidentificati delle Ombre dell'Appia. C'è anche (addio cena intima!) un invito per le otto dell'ambasciata. Miss Constable è là - e gli sbarra la strada per Cesaretto e ogni altro eccesso di Libero Arbitrio. 221
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A Parigi, l'ambasciata americana al 4 di Avenue Gabriel allo Huitième non aveva perso tempo: un volo di cicogne, dal marciapiedi della Gare de Lyon (le nove del mattino all'orologio della torre), mezz'ora dopo li deponeva al secondo piano, in un appartamento ammobiliato e riverniciato di fresco di un decoroso edificio della Rue d'Ulm, vicino al Pantheon e alla cancellata del Luxembourg. I due immolabili si sorrisero, convenendo che il luogo e l'abitazione erano abitabilissimi, in una città che fino ad allora aveva tenuto bene, in fatto di vivibilità. Bisognava affrettarsi a conoscerla, Parigi: tra un anno sarebbe cominciato il decennio del generale che avrebbe sconvolto quartieri, drizzato grattacieli, sparato altro traffico irrespirabile, ma almeno spento una guerra africana, che da tre anni insanguinava anche la capitale. In casa niente di troppo, letto di legno, poche sedie, posto per libri, cucina dal volto umano, terrazzino, due tranquilli bistrot sotto casa, rumori di traffico 222
quasi inesistenti. Una Holy Bible in camera da letto. Cibo in conserva, prontamente fatto sparire in un angolo, e altri mesti intrugli americani. Lenzuola pulite, appena comprate. Un piacere, l'ospitalità dell'ambasciata. Ada scese subito a comprare dei fiori. C'era un telefono e un apparecchio radio. Alle pareti, nulla. «Che piacere, un unico specchio! ». Quello del bagno soltanto. E niente tappeti, detestati da entrambi. Dai vicini, un delizioso silenzio. « Ci hanno affibbiato il nome abbastanza noto di Marconi! Siamo il signor Marconi e signora! Non dimenticarlo...». «Amore, la signora Marconi, qui dove c'è il meglio dei medici, vorrebbe consultare un ginecovoro...». « Ginecofon saranno i tuoi guardoni alieni. A Parigi ci sono, ma non mettono la targa sulla porta. La mettono i gynécologuesl Domanderò...». «Ti ho visto impallidire... La tua Ada incinta di un alienino? Te ne lascio il dubbio, il migliore degli amici! (Sei tu a dirlo)». « Potremmo passare tutto un mese in consulti medici... Una volta, conoscevo una pranoterapista eccezionale, ma dopo dieci anni... Prima di tutto, però, abbiamo appuntamento a Chartres, con la cattedrale! La cattedrale, arrischio la parola, è pandolatra! ! E anche la Vergine Nera avrà per noi un messaggio!». L'aria di Parigi eccitava il temperamento ironico di Ada. «Lo troveremo tra l'alluce e il secondo dito del suo piedino, certamente ». Ada divenne seria, quasi cupa. Aris sapeva come interpretare le sue repentine variazioni di umore, l'amaro delle sue malinconie. « La visita a Chartres a quale delle nostre storie parallele appartiene? E un pellegrinaggio di espiazione, o lo è di propiziazione in vista di quanto ancora ci aspetta, di spasimi e arsure, in questo nostro amore felice? ». 223
Aris rifletteva: «È un crocicchio stregato... Come lo è stato il Marrano, come la Città degli Stracci dove Paolo ti aspettava... ». La loro abitazione, Rue d'Ulm, era, è tuttora, spiritualmente e topograficamente Vecchia Parigi. Dalla loro casa, alla Contrescarpe, passando per la Rue Descartes dove una iscrizione stinta ricorda che in quel luogo morì, presso l'amante di turno, Paul Verlaine, ci sarà poco più di mezzo chilometro. Fu il secolo XIX, indecomponibile defunto, a rilasciare dappertutto patenti di Città Vecchia - ciascuna, naturalmente, identificata con la parte urbana dove le Città degli Stracci, lumache oscure dai messaggi in cifra tra le due corna, arrischiano di più le loro apparizioni come in un perpetuo dopopioggia. La segnalazione di Città Vecchia sarebbe valsa come e quanto la candida esenzione di guerra di una tenda crociata di rosso; intorno l'urbanizzazione futura avrebbe avuto mano libera per demolire e rifare tutto secondo un proprio ordine sinistro. Città Vecchia è un'entità vivente, e in quegli anni comprendeva a Parigi la città intera, fino alle periferie, con declino via via di ciò che è topograficamente vecchio verso eccessi di sfinimento e miracoli di tristezza macorlaniana e simenoniana, galloni di saltimbanco di cui si è persa la voce. Lavori fatti eseguire dall'ambasciata avevano dotato il loro appartamento dell'unico bagno dell'edificio, e di una stufa Bombus in grado di scaldarlo tutto senza rischio di morire asfissiati. Nella libreria, inquilini precedenti (agenti FBI o CIA, o diplomatici in incògnito) avevano avuto a disposizione una guida di Parigi di venti anni prima, usata fino a sfasciarsi, un dizionario English-French, un manuale di arti marziali, due romanzi di Mauriac e una salace storia della ghigliottina dal 1792 al 1948, contenente ritagli di 224
giornali americani e francesi sulle esecuzioni del dottor Petiot nella prigione della Santé e dei coniugi Rosenberg sulla sedia. In un po' di giornali, che la coppia buttò via, c'erano numeri di «Life» e di «Playboy», e un calendario dove una giovanissima Marilyn Monroe si esibiva da gennaio a dicembre rassegnatamente nuda. Come nella camera da letto era presente la Holy Bibk, nella libreria vetrata del soggiorno spiccava il contrasto, in una identica rilegatura nera, con la Satanic Bible californiana di Anton LaVey. Aris non si era mai annoiato, a Parigi, ma un mese intero per farsi dimenticare gli pareva un troppo di giorni; Ada temeva che lui si potesse, avendola sempre accanto, stancare. «Dovrei avere un abduction ogni settimana, e di durata un poco più lunga! » pensava. «Al sequestro ci pensi? ». «Per niente! Non me n'è rimasto che un grande silenzio del corpo. In una tua carezza di amante al tramonto c'è più forza eruttiva che in quell'orgasmo tirato da un repentino impietosimento per una moltitudine di esseri che premevano con la loro spaventosa infelicità un ventre spalancato e indifeso come... una culla... ». La bocca di Ada si nascondeva nel suo colletto sbottonato. «Vale soltanto l'attimo di piacere da cui s'intrawede la morte... Con tutti quei loro dentro di me, io non mi sono sentita morire... ». Stavano scendendo le scale, Ada fu saettata da un forte trasalimento. «Oh Dio,» gridò «è caduto!!». Per poco non cadeva anche Aris, perché in quel momento si appoggiava a lei sullo scalino. « Chi è caduto? ». «Il funambolo di quel nostro primo giorno...!! Ralph Cunningham! L'ho visto cadere un momento fa, proprio qui, in una piazza di Parigi!... Ma non è morto, aveva la rete sotto... E precipitato a un metro dalla fine della traversata... è cascato giù come un uccello colpito in volo... Lo stanno portando via in 225
ambulanza. Non lo vedo più ma è una felicità sapere che è salvo ». Di Ada, nulla stupiva Aris. In lei si era risvegliata la sensitiva che certi eventi visitavano annunciandosi o frustandone all'improvviso la sensibilità primordiale. « E salvo, sì, ma resterà zoppo. Questa è stata la sua ultima volata, povero Ralph, ma non lo sa ancora». I muri erano pieni di graffiti e di manifesti. ALGERIE FRAN£AISE! PAIX AU VIETNAM! ALGERIE LIBRE! VIVE MASSU! Al generale Salan veniva augurata ora la presidenza della Repubblica, ora la forca. Era incominciata, da tre anni, con un grande sgozzamento d'inermi, la guerra d'Algeria, e al tempo di questa storia era nel pieno del suo furore. Aris non aveva chiesto di esservi inviato: lo disgustava il fatto che producesse tante morti insensate, ma aveva simpatia per Soustelle e stima per il generale dei paracadutisti Massu. Scendendo lungo la Rue Mouffetard, li attirò un barbone che davanti a una piccola libreria pareva dormisse. In realtà li stava osservando. «In quel mucchio di stracci sporchi c'è Udon! » fulminea lo identificò Ada. Incurante degli sghignazzamenti di alcuni ragazzini (gli stessi gamins che nelle via del Marrano inseguivano l'ubriaco che inveiva contro Mussolini), Ada s'inginocchiò davanti a quel mucchio di maleolenza mormorando affettuosamente Paolo, Paolo... Il barbone aprì gli occhi fintamente chiusi e le sorrise: «Vi aspettavo » disse. Il bastone di Aris tremava emozionato su un lembo di quella coperta sudicia, la mano stringeva quella di Ada come piedi che pigiano vendemmie. «Dimmi, Udon... Tu conosci la nostra via». Il barbone si era sollevato e parlava a fatica, argotico, da clochard, autentico, non da creazione incongrua dello spazio: «Prima di visitare la cattedrale digiunate per un giorno intero; bevete soltanto acqua e tè... In America state molto attenti a non 226
divulgare tutto quel che sapete... Ma Von Braun capisce più di quel che la sua faccia non dica... ». «Paolo, ritroverò Dunia, in Scozia?». « Guarda guarda, che testa grossa ha quel barbone! Verde come gli scoppiasse il fegato! Maiale! » rideva una voce che passava. «Non gli dare soldi, non li vogliono!» diceva un'altra. «Sarà un principe russo, uno del Venti...». I ragazzini erano spariti, Paolo-Udon non rispose alla domanda ansiosa di Ada, e si coprì col mantello, cogli occhi di bragia chiusi. La Rue Mouffetard, abitata da algerini (di cui pochi soltanto contrari a restare francesi, e quei pochi minacciosi) e altri nordafricani, sbriciolava dialetti arabi e berberi, canzoni in arabo e Piaf da radio sempre accese e da dischi un po' stizziti. « Questa la canta un grammofono nel film di Duvivier con Jean Gabin! » disse Aris, ammirato da Ada, ma si sbagliava. Trovata, per cenare, una carta di piatti passabilmente europea, ripassarono dalla piazza. Il loro barbone era sparito. C'era allora in quel luogo l'insegna di un alberghetto: l'Hotel du Centre, dove Aris aveva abitato all'epoca del Front Populaire con una ragazza greca che allestiva vetrine di moda e gli impartiva lezioni di demotikì, a letto e nei bar dei dintorni. Era bello - nel brusìo della piazza, le trombette delle Renault, gli zoccoli degli ultimi cavalli da tiro, le grida dei camionisti infuriati e le liti delle puttane, assorbire nella memoria versi di Kavafis e di Ritsos, o allusive parole del Rebétiko dei drogati e delle carceri! Aris l'aveva fotografata nuda, per «Life», quella ragazza di venticinque anni prima, greca di Istanbul anche lei, come Costantinos - là, nel vano della finestra, un pomeriggio d'agosto, al secondo piano... Per lei, che cantava discretamente, aveva anche com227
posto una canzone, scrupolosamente banale, un finilato col loro alberghetto, il Bosforo, la tappezzeria della stanza, il nasone di lei... «Buttatevi giù! Stanno sparando!!» qualcuno gli gridò correndo e infilandosi in una panetteria. (Trequattro colpi di pistola e un groviglio di grida e strepiti provenienti dall'albergo stavano svuotando la piazza. Ada si mise davanti ad Aris con il muro alle spalle, ma era impossibile, per via della sua infermità, farlo abbassare: l'avvertimento era sprecato. I colpi però non riguardavano la piazza. Dalla porta dell'Hotel dei ricordi neogreci si vide uscire un tipo barcollante che cercava scampo all'esterno, ma cadde subito sulle ginocchia, la camicia insanguinata. Due uomini in fuga dietro di lui lo crivellarono con la mitraglietta. VLAN! tutte le finestre si erano aperte e mandavano grida, assassino, assassino... Ad una finestra al secondo piano dell'Hotel du Centre una donna gridava più forte, la figura si torceva come se bruciasse... Intanto i due assassini erano già spariti dentro l'auto di un complice a pochi passi dall'albergo... L'urto di quel momento di panico risuscitò nella memoria intirizzita di Aris il nome raro della ragazza di quegli anni: Dianira, e ne fu contento, mentre Ada raccoglieva il suo bastone caduto. La pattuglia di Rue Mouffetard era appiedata, ma aveva preso la targa dell'auto in fuga; uno dei gendarmi stava già parlando col distretto più vicino, gli altri faticavano ad allontanare dalla pozza di sangue e dal corpo steso la folla ingorda, contenta fosse toccata a un altro. La padrona dell'albergo era accorsa con un lenzuolo, e intanto gettava contro gli assassini imprecazioni orribili. «Colpa tua! » gli gridò un gendarme: « Perché dài stanze a quelle carogne (jumiers)? ». «Erano una coppia tranquilla, li conoscevo... » si difendeva la padrona, atrocemente inviperita contro quelli del Front National algerino, sicari e mandanti, li voleva tutti, il giorno dopo, sulla ghigliottina... Ma 228
alla Contrescarpe non era la prima volta che succedeva, e un mese prima una bomba aveva fatto un paio di morti... Algérie française? Una merda! Farla finita, subito! Soustelle! De Gaulle! Lacoste al palo!... A passi lenti, tra sirene di polizia e di supeflue ambulanze, tornano in Rue d'Ulm, dove tutto è in pace. Di finestre illuminate non c'erano che quelle dell'Institut Curie, schermate, azzurre... Là un'altra guerra era in corso, interminabile, né francese né algerina, fuori della storia. Là ogni letto emanava dolore; qualcuno, forse, senza tradirsi con le labbra, accanto a qualche letto pregava.
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«Domani sapremo chi era, quel poveraccio... » disse Ada, mentre infilava un cuscino in una candida federa di lino, ammirando la bontà del letto, durissimo, adatto ad ogni tipo di schiena, ma specialmente alle schiene sfortunate. «Ci direbbe qualcosa, saperne il nome? In una guerra civile basta il sospetto di essere traditi e ti accoppano subito! In Spagna ne ho visti portar via a camion pieni, di sospetti traditori o di spie virtuali... L'importante, in una guerra civile, è uccidere, non il perché. L'innocenza è detestata perché impiccia, si frappone alla bramosia di massacro. Ne vuoi un bicchierino? » Aris aveva stappato una bottiglia di vino californiano. « E dolce, dolciastro, ma a loro piace così». La violenza che li aveva sfiorati un'ora prima, la scena cruenta, non li aveva troppo emozionati. Ogni giorno, a Parigi, c'erano cortei e scontri, attentati, uccisioni; certi quartieri e la metropolitana erano pericolosi come piccole Algeri; la gente non ci bada230
va troppo. « Una pallottola vagante possiamo sempre buscarcela!». Aris l'abbracciò, preoccupato: «Sarei mai capace, io, di farti da scudo? ». Utilità del dono di veggenza; Ada lo rassicurò subito: «Nessuna pallottola vagante o scheggia di bomba è destinata a colpirci mentre siamo qui! Ma vedo soffrire molto il nostro funambolo caduto, e ancora non sa che resterà zoppo ». Era in sottoveste chiara e disse amabilmente che avrebbe voluto « ascoltare musica». Aris non comprese e cercò di sintonizzare la grossa radio, da saloon di Hopper, su una qualsiasi musica. «Vieni vicino... » mormorò lei. Ma dalla radio ecco uscire, come in Italia, la solita voce del lemuriano del Poligonale: «Ladies and Gentleman... ». «Ci siamo! E il nostro amico Uvar-Orson Welles dalla sua fattoria di Grover's Mill! ». « State perdendo tempo, » diceva Orson WellesUvar «vi aspettano a E1 Yunque, a Puerto Rico, e Von Braun è impaziente di parlare con voi. Partite per l'America al più presto... ». (Qui la voce si interrompe spesso e ripiglia tra forti scariche elettriche) «... non siete liberi... c'è... Ananke... tutti... Tesla... attenti... partite... Uvar...» (svanisce). «Tesla... ha nominato Tesla?» rifletteva Aris. «E Ananke? ». « Chi sarà questo Ananke? ». «Il Reggitore assoluto... la Forza di El... ». Si guardarono: tutto era previsto perché il loro soggiorno a Parigi durasse un mese, e ora la voce lemuriana brutalmente imperiosa gli ricordava la condizione umana: «Non siete liberi». Aris recalcitrava. Avrebbe voluto che dalla radio esplodesse musica vera, invece che un oracolo di costrizione spaziale. «Vieni vicino. Toglimi la sottoveste... ». Ada gli rivelò che cosa intendesse, poco prima, con ascoltare musica. Le veniva dall'adolescenza, quando ascoltando una musica (poteva essere YInfanta di Ravel o il Faune 231
di Debussy) si era procurata in solitudine, tra il sogno e la veglia, senza nessuna immagine di desiderio, un piacere intensissimo; chiedeva ora che l'arpa eolia sospesa sul vano aperto del suo corpo fosse fatta, da un vento leggero crepuscolare, a lungo vibrare. Da quel momento l'espressione ascoltare musica diventò per entrambi, la giovane confidente e il vecchio complice dei suoi desideri, gergo criptico familiare. «E stato come coi Refahìm?». «Oh no. In tutta quell'incandescenza c'era un agghiacciato istinto femminile di simulazione per compiacere... in quel caso per sciogliere un nodo... per salvare... In quei momenti ero del tutto fuori me stessa... adesso, tu mi hai aiutata a riappartenermi». Veridica Ada, veridica come una lama! Lui vide nella sorprendente creatura uno dei suoi sguardi-calamita, intenerito dalla gratitudine, irresistibile: «Senti... quando vorrai... ho leggicchiato qualcosa di quella storia della ghigliottina... Tu, hai mai assistito a una esecuzione capitale? ». La notte senza OVNI, fradicia di luminosità artificiale, che cancellava Venere e Orsa, iscrisse il verso: La Débauché et la Mort sont deux aimables jilles. «Sì, mi è capitato... Nel Diciassette, durante la guerra, e nel Quarantasette... anche questo... Non ne ho mai parlato con nessuno, ma con te... Ti dirò le mie impressioni, ma non puoi immaginartele che come spiragli su dolori e miserie umane. Verrà il momento, lasciamo che maturi». Ada gli baciò le mani. La Rue d'Ulm è a una ventina di minuti dal verde muschioso della deliziosa fontana Médicis nei giardini del Luxembourg. Non lontano, un teatrino stabile di marionette attirava bambini e merende. La giornata ottobrina era tiepida, soleggiata. Una signora passava e ripassava; per aver diritto a una sedia di 232
metallo verde bisognava pagare un franco. Tutt'attorno al palazzo del Senato c'era un cordone di militari per timore di attentati. Aris e Ada sedevano là per una tregua di dimenticanza. Non avevano obbedito all'ingiunzione della voce del lemuriano, ma a quella di Miss Diana che doveva fissare gli appuntamenti a Washington. E erano ormai trascorse quasi tre settimane, e i loro piedi e il bastone erano freschi e pronti. Gli eventi seguivano il loro prescritto tracciato. Durante questo tempo un paio di giorni li avevano passati a Chartres, vagando tra la campagna e la cattedrale. Una pioggia tenera addolciva ogni cosa. Percorsero in raccoglimento devoto il Labirinto, ascoltarono la musica delle pietre, delle statue, dei rosoni. Elevarono - con quanta difficoltà - i loro pensieri di pellegrini improvvisati. La pregnanza simbolica della Vergine Nera li sfiorò appena: il loro affrettato iscriversi nel Numinoso lento del gotico della cattedrale restò nei limiti del tentativo e dell'ammirazione, che non danno accesso alle superiori vie. A lungo a lungo passeggiando per le stradine bagnate della Beauce li investì la sensazione rimbaldiana dell'amore infinito, che li rapi dal mondo. La cattedrale non li respinse, ma li accolse passivamente, come stranieri in attesa che il portale si apra tra le statue impassibili, per cui la luce dei rosoni e l'evidenza dei significati hanno bisogno di spiegazioni. «Bisognerebbe» comprese Ada mentre erano in attesa del treno per tornare a Parigi « abitare qui, essere tutt'uno con la cattedrale... La visita ci ha dato una gioia da spettacolo, ma non poteva cambiarci... non poteva purificarci... ». « Siamo stati purtuttavia felici, » suggerì Aris « e poi... non si può mai sapere come abbia agito dentro di noi un luogo come questo». Era annunciato il treno da Brest per Montparnas233
se. La linea non era ancora elettrificata, il pennacchio nero ammorbava i polmoni. Ada seduta sulla valigia, chiudendo gli occhi, liberava domande come uccellini in gabbia: «Ma tu, che questa città di Parigi ami tanto... ». « Sì. Perché è un Luogo. Come Chartres. Perché è uno dei Luoghi planetari ». « Sì, caro. Ma non ti basta? Te, anche qui le Città degli Stracci fascinano! E non sono tutte più o meno la stessa cosa? ». I grandi occhi di Ada lo incalzavano, obbligandolo a una riflessione: «Perché là affiora qualcosa dello sterminato mondo sotterraneo, finché non viene eliminato, e allora va in cerca di altre tarlature per ricomparire e indicare, con le sue vegetazioni degli abissi urbani, ciò che in profondo siamo... La Balena-Luogo Parigi contiene infinite vegetazioni d'abisso... Poggia su necropoli che certamente risalgono all'epoca dei Nefilìm, chi mai potrà contarle? La razionalità dell'organizzazione urbana di Parigi e del pensiero che ne emana sono birilli che stanno ritti in quanto immersi in una colla di caos primigenio e di inconscio in fantastiche accumulazioni... Le Città degli Stracci richiedono pietas, e la speciale compassione di non avere schifo di loro, è necessaria alla loro metamorfosi, come nei racconti di fate. La sera in cui tu hai soccorso quel disgraziato nel lago del suo vomito hai determinato il miracolo del suo risuscitare come Paolo l'ufologo, e oltre... come grande Elohìm spaziale destinato a farsi tua guida nelle tenebre del rapimento! ». Scendevano dalla stazione verso la piazza straripante di colori e di commerci, di saltimbanchi, di mendicanti, e tutto il quartiere piombò nel silenzio e nel buio. Una folla di manifestanti, pacifisti o nazionalisti, era incerta lungo il boulevard se fermarsi o procedere, nonostante i gas lacrimogeni della polizia pronti a inondarli di angoscioso castigo. 234
C'era gente invisibile che si precipitava in tutte le direzioni e tra quelli Aris e Ada che non sapevano dove dirigersi per l'impenetrabilità della tenebra. Ed ecco un'ondata di quella moltitudine gettò lui a terra col suo povero bastone e Ada nel risucchio animalesco calpestatore era sparita. «Ada! Ada! » gridava - unica voce nel silenzio spaventoso. «Ada! Vieni verso di me, ascoltami!... ». Ma dov'era Ada? Allora comprese: «E perduta, me l'hanno di nuovo rapita e non la rivedrò più, mai più! ». E uno smarrimento sconfinato e una brutale nausea di tutto ciò che è essere, vita, esistenza, mondo, e sopratutto egoità dell'Io, lo pervase formidabilmente. Capì di essere solo nel delirio indifferente di questo e di ogni altro mondo. Di aver incontrato l'amore dopo sette decenni e mezzo di attese alla finestra del Tempo soltanto per temere ogni momento di perderlo - spietato inganno in cui si può ad ogni età cadere, precipitare. Gridava il suo nome, muovendosi a fatica nella pasta umana dentro il buio che cresceva sul buio, con disperazione da Orfeo all'inferno, con lamento di ferito abbandonato sul bordo della trincea deserta, con l'inimmaginabile tormento di lontane murate pazzie. Tutta la città, stracci compresi, NótreDame compresa, grondava del suo ululato che ripeteva i tre nomi di lei a lui noti: Ada-Nada-Nanda, accompagnandoli con epiteti triviali via via che l'angoscia e le convulsioni epilettoidi aumentavano, mentre il boulevard dove il bastone premeva l'asfalto si spopolava. La folla era fuggita perché la polizia aveva lanciato i primi lacrimogeni, causando anche a lui un gonfiore d'occhi turpe, insopportabile. La tenerezza della voce calma di lei riaccese di colpo le luci nel compartimento di terza classe, tra scossoni da diligenza a fine giornata: «Amore, stiamo arrivando in Gare Montparnasse... ». 235
«E tutto quel buio? Quel buio di vergogna... Non te n'eri voluta andare approfittando dell'eclisse...? Della mia difficoltà di vecchio a trattenerti...? Dio mio! Che orrore... Perdonami, Ada mia... ». Andò a cercargli un po' d'acqua perché i suoi occhi, come davvero bruciati dal lacrimogeno, soffrivano realmente. Tacevano. Lungo il boulevard non c'erano manifestanti, non c'erano kepi schierati. L'animazione aveva l'intensità consueta - di vite eccedenti, di vita eccitata a sprecare, a mordere, disperatamente, più vita.
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Tra progetti di abitare « a cento metri dalla cattedrale » a Chartres e l'incredulità di Aris che quell'orripilante visione di mondo oscurato non fosse che un sogno, videro annunciato, in un cinema per nostalgici, L'Atalante di Jean Vigo. C'era una proiezione di lì a pochi minuti. «Guarda! L'Atalantel » gridò Aris, che non l'aveva dimenticato, e un minuto più tardi erano in sala, mani e piedi intrecciati, a dimenticare perfino la cattedrale. In Rue d'Ulm li chiamò da New York l'amico Caupone. Tutto era pronto per i loro incontri americani: Von Braun, società scientifiche, Pentagono, Roswell, gli amici della Magnum e « Life » a New York, un gruppo di psicoanalisti e non pochi artisti del cinema, tra cui (con loro grande stupore, poiché viveva ritiratissima e alla larga dai fotografi) Greta Garbo, allora cinquantaduenne, Marilyn Monroe (stessa età di Ada, ma dissimulata sotto il nome umilmente anagrafico di Norma Jean), Alfred Hitchcock, Marion Brando, Elia Kazan, Barbara Stanwyck, tutti enormemente interessati agli avvistamenti di UFO e a storie di contattismo. 237
« Come prima tappa vi porteranno a Roswell, » rise Caupone «vi addolcirà la bocca, perché il programma non è dei più leggeri. Lunedì prossimo verrà a prendervi un jet dell'Air Force, ci sarò anch'io. Tenetevi pronti e portatevi occhiali molto scuri! ». «Digli di Puerto Rico» suggerì Ada all'orecchio. «Al, ci attende, subito dopo, un contatto a E1 Yunque! ». L'uomo potente gli rispose chiaramente di no. «Non ci è gradito che andiate a E1 Yunque. Dipende dal Pentagono, non da me. Vi riporteremo a Parigi per qualche giorno e poi sarete liberi, finalmente. Ciao! ». «Non vogliono che mettiamo il naso a Puerto Rico, perché là stanno facendo una base militare per il controllo dello spazio... Beh, qualcuno ci aiuterà...». In verità, l'America a Puerto Rico perseguiva il primato non confessabile di toccare col gomito la consistenza reale della presenza aliena sul pianeta (e di poter vantare un giorno ufficialmente il primo inconfutabile Incontro Ravvicinato), in quanto i sospetti che in tutta l'isola caraibica esistessero basi di umanoidi con le loro flotte spaziali erano molto forti. Aris e Ada sarebbero andati a Puerto Rico non perché inviati da loro americani, ma perché chiamati (era così, in effetti) da qualcun altro che dei controlli e dei servizi segreti di un potere scientifico o statale nostro, per quanto evolutissimo, se ne infischiava. E l'Ignoto, l'Inesplicabile spaventano, fanno arretrare il potere pubblico nonostante l'apertura di nuove conoscenze per vie irrazionali. Il Pentagono temeva quei due tapini! Ma dal Poligonale i messaggi telepatici, incuranti, insistevano. Nella loro vita di ritiro a Parigi irromperà, non senza qualche disagio e insofferenza da parte loro, dopo alcuni agitati preavvisi, un quartetto del tavolo ufolo238
gista dell'osteria del Marrano: Elisabetta e Alessio Bétancourt, Temistia la medium, Marco Penis. Aris li ha sistemati non lontano da casa loro, in un albergo di piazza del Pantheon. La loro accoglienza non è delle più calorose, ma si farà via via più affettuosa. Gli amici sono dispiaciuti di non aver più visto Paolo, né sobrio né brillo; Aris e Ada tacciono, non vogliono tradirlo, sulla sua versione attuale di barbone della Contrescarpe. La loro città, in quell'intenso mese di assenza, si era allontanata molto dalla loro memoria. Negli ultimi mesi, da luogo del loro incontro la città era sfumata in un nebbioso lungo ponte spezzato aperto sulla voragine del Non Finito. «Di quanto vi aspetterebbe qui da noi,» aveva ingiunto Caupone «non parlate neppure coi vostri più fidati amici! ». La consegna dell'Ombra della Sera gli cuciva la bocca: ma con questi amici non s'era quasi mai parlato d'altro; fu un poco imbarazzante ritrovarli lasciando fuori i loro temi favoriti. «E il Marrano?». «Stanno facendo i lavori! La padrona pensa di riaprirlo prima che l'anno finisca... Ma è sparito il vostro muro degli stracci: adesso c'è un lampione che rischiara un pulito volgare senza vita! » li aggiornò Bétancourt. «Il gatto nero è rimasto, » disse Temistia «gli porto io da mangiare. Quando pensate di tornare? ». «Neppure siamo certi di tornare » disse Ada rivolta a tutti e quattro con l'effetto di rattristarli di colpo. Temistia le propose di consultare per loro uno spirito-guida. Ada rifiutò: temeva nella risposta s'intrufolasse «uno di Loro» per ingannarla. «Non ti hanno lasciata in pace? ». «Apparentemente sì; ma il loro laccio da Thug è sempre là, nell'ombra; per mia disgrazia sono una vittima sacra» sospirò Ada. Elisabetta chiese, timidamente, se le avrebbero «fatto vedere qualcosa». Il gruppo si ravvivò subito. 239
«C'è, in qualche posto, Juliette Gréco che canta le sue canzoni » propose Aris. « Non la rivedo da più di dieci anni, da quando lavorava a Saint-Germain des Prés. Se vogliamo andarci... ». Juliette compariva in scena verso mezzanotte in un locale del secondo circondario, dove c'era posto per un centinaio di spettatori. Tutta in nero, vocalità infera, proiettava, come da una Lanterna magica, ombre e visioni che ricordavano i Caprichos di Goya. Vedendo Aris in camerino gli gettò le braccia al collo. Accanto allo specchio c'era il suo ritratto, scattato da lui per « Vogue » nel 1945, e da lei molto amato. Aris aveva anche scritto per lei una canzone, di soggetto obbligatoriamente nichilistico, Les Egouts, esclusa dopo cinque o sei esecuzioni dal suo repertorio ricorrente. La sua voce aveva impressionato Ada che la guardava ammirata. «Saresti tu, la rapita dalle creature spaziali? Ti hanno violentata a ondate, è così? Aristide, perché non mi fai una canzone su questa vostra storia? Certo, non siete una coppia ordinaria: come riuscite a vivere insieme? Ma gli OVNIS li avete visti davvero? Tu mi piaci molto, sai? ». Ada abbassò gli occhi, perché Juliette le rivolgeva un'attenzione carica di energia seduttiva. Aris pensò che era il momento di andarsene: «Se rimanete a Parigi, questo è il mio telefono... Il lunedì non lavoro, vorrei rivedervi, anche con Dondero, con Yves Montand... Andremo a cena da Lipp! Chiamatemi, vi prego! Vi firmo il mio ultimo disco 33 tours... ». Ne firmò uno per il gruppo e imo dedicato soltanto a Nada, con la scritta «A tes yeux». Quanto a intensità di sguardo, una giuria avrebbe rinunciato a stabilire, tra quelle due donne, un primato. Fu un piacere ritrovarsi in strada, nella frescura della notte avanzata. Coppia passabilmente fedele, Elisabetta e Alessio Bétancourt, italiani nonostante il cognome, dormi240
vano nella bella camera riservata per loro da Aris e Ada in piazza del Pantheon. La notte era già avanti, le insonni Pleiadi fingevano di dormire. Fossero stati svegli, Elisabetta e Alessio avrebbero udito la campana della vicina Sorbona battere tre rintocchi. La piazza era deserta. Temistia e Marco avevano voluto una camera comune, affacciata sul cortile, e non è impossibile che il trovarsi insieme in letti ravvicinati li avesse invogliati ad un più ravvicinato incontro di ristretto spazio. La grande piazza era quasi deserta. Un barbone dormiva ubriaco accanto alla celebre chiesa di SaintEtienne-du-Mont. Elisabetta svegliò il marito con un grido. Nella stanza era esplosa una luce bianca accecante - azzurrina a intervalli. Elisabetta scostò le tendine. Lo stesso fiotto di luce rischiarava ogni angolo della piazza e un poco sopra i tetti delle case di fronte, sul lato della biblioteca Sainte-Geneviève, c'era grosso come una piramide un UFO immobile, in cui si poteva intravedere un agitarsi formicoide d'ombre. Nei corridoi dell'albergo gente gridava spaventata e correva verso le scale, mentre la piazza si andava riempiendo. «Apriteci! Siamo noi! » bussava coi pugni Temistia, in vestaglia verde svolazzante sulle sue magre nudità ben note, e Marco P., dietro di lei, cercava d'infilarsi assonnato un impermeabile di cui non catturava le maniche. Nudi entrambi, era subodorabile un Act of Shame interrotto malamente o appena consumato. Avevano tanto parlato di UFO: ora ne contemplavano uno sospeso sulle loro teste esterrefatte. «Non abbiate paura,» risuonava una voce dentro di loro, calmissima « siamo amici, siamo vostri amici! Ritorneremo! ». La Voce era percepita nitidamente in lingua italiana. Dal suo mucchio di stracci sporchi il barbone, che dormiva covando in apparenza il vino trincato, emerse impugnando una tromba. Drizzato in piedi accan241
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to ed cancello della chiesa si mise a suonare con tutto il suo fiato la marcia trionfale de\YAida di Verdi. La folla che stava accorrendo da ogni parte (in pochi minuti la piazza e le vie adiacenti furono gremite) ne fu sconcertata: la marcia cadenzata deviò l'allarme e la paura verso l'ilarità e un diffondersi del senso di assistere a uno straordinario spettacolo. A intervalli, sormontando l'enorme brusìo, YAìda riprendeva a celebrare indomita i trionfi del guerriero Radamès; ma a questo punto si udì dappertutto, come diffuso da altoparlanti, anche il suono grave, di potente gong cristiano, della campana della torre sud della cattedrale di Nòtre-Dame. (Non si seppe chi fosse stato a metterla in movimento: i sagrestani e tutto il Capitolo si stavano rigirando infastiditi nei loro letti). Le sirene della polizia, dei pompieri e degli ospedali andavano qua e là a caccia di case incendiate, di ustionati o di feriti, svenuti, impazziti, uccisi; non trovarono che qualche invasato religioso nudo che urlava Anno Mille! Anno Mille! Maranathà! e altre psichiatrie del genere, da pronto elettroshock. Terrorizzati, a migliaia, tutti i gatti erano spariti. In Rue d'Ulm la voce di Uvar diceva: «... abbiamo voluto dare un segnale di presenza, di IR3 indubitabile, in vista del vostro viaggio in America. Tutto cambierà da ora in poi. Non dite nulla, lasciate dire... Partite al più presto, invece di divertirvi con gli amici del Marrano... Oggi avete bighellonato per quattro ore al lunapark delle Tuileries, vergogna! Partite... partite... è venuto il tempo... è venuto... ». La luminosità tremenda, misteriosa, ossessiva cessa di colpo, restando per qualche secondo accese soltanto le luci azzurre dell'UFO, che scompare alla vista senza essersi alzato dai tetti dove pareva posato, e dalla folla si leva un OOOOOOOOOOOOOH!!!! di estatici, di stravolti (per sempre, forse) a quell'assurdo rientro nella normale illuminazione cittadina, allo sparire senza volo del grande uccello metallico, men242
NST&WMMUW
tre altri due (o forse tre?) compivano qualche evoluzione lontana nel cielo imbarazzato di Parigi. Nel mètro notturno nessuno si era accorto di niente: ma in qualche stazione alcuni giovani e perfino due o tre vecchie signore di qualche chiesa eretica si erano messi a gridare ai treni semivuoti in arrivo « I marziani! I marziani! Parigi brucia! ». Tutta questa epopea moderna non durò che una quindicina di minuti, che parvero a tutti di lunghi giorni. Qualcuno ne aveva approfittato per compiere crimini di sangue, vendette personali, o per buttarsi dai ponti senza attendere spiegazioni dai giornali. Ai distretti di polizia e negli ospedali di tutto l'immenso perimetro urbano furono segnalati - nonostante i messaggi rassicuranti pervenuti agli ufologi, e non ai nostri soltanto - un centinaio di rapimenti spaziali, gran parte traumatici o dolorosi, o crudelmente mutilatori, e migliaia di incontri telepatici faccia a faccia con umanoidi che neppure Méliès avrebbe mai potuto immaginare. «Siamo stati noi ad attirarli, certamente!» osservava Bétancourt. « Converrà fare i bagagli entro oggi » suggerì la saggia Elisabetta. « Se ci scoprono potremmo passarcela male! ». Parecchie ore prima, al lunapark delle Tuileries, Marco Penis aveva voluto esibire la sua bravura di tiratore ad un tirassegno. Voleva farsi applaudire dalle due ragazze. Sprecò decine di colpi con l'Enfield distruggendo in tutto tre pipe bianche, vorticanti come in un Maelstrom. Aris prese il fucile e la mira, sorridendo alla bionda delle pipe con la serenità di un vichingo. Tirò cento colpi e distrusse cento pipe, meravigliando ed entusiasmando le donne e suscitando i mormorii di ammirazione degli immancabili 243
badauds radunati. La bionda volle cercargli un premio adeguato alla gesta. Fruga tra le bamboline e le cineserie povere e ne estrae nobilmente un cuscino verde, con le parole arabe della bàsmala, l'aprirsi di ogni sùra, ricamato tra le mura bianche di qualche Nordafrica irrequieto. Aris s'inchina e accetta, tra gli applausi, mentre Marco si soffia il naso. Più tardi, quando la campana della Sorbona batté le tre, l'Evento inatteso, nella metropoli impreparata ad appropriarselo in uno schema cartesiano, fece deviare dai binari la triste locomotiva del mondo.
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« Su, cara, toglimi di dosso almeno Parigi! ». Con molta attenzione e mirabile fatica Ada aiutava Aris a distendersi nella vasca dove aveva vuotato una fiala di acqua odorosa di fieno. Con tristezza si guardò nudo, per constatare che uno qualsiasi dei mendicanti storpi nei disegni di Hieronymus, togliendosi gli stracci sudici, avrebbe avuto lo stesso fulgore. «Ma non ci sarebbero state le tue manine per aiutarlo a lavarsi né questo sapone Pears, trafugato nel bagno della Regina Vittoria! ». «O introdotto nella mia valigia dall'arciduca Rodolfo... ». Ada si dipinse di malinconia, perché aveva udito il colpo di pistola. «Ah, già... il tuo amico Rodolfo! A lui, certo, avresti fatto più volentieri il bagno... ». «Ti sbagli, caro! I suoi stivali mi avrebbero scoraggiata... E poi l'uniforme, le medaglie... No, no! ». La loro allegria fu di breve durata. Ada rispose allo squillo. Era Caupone da Washington. «Miei cari, dopo quel che è successo stanotte, molte cose sono cambiate! Gli scettici sono rimasti in pochi e i più 245
tremano di paura. Purtroppo vi hanno scoperti, siamo riusciti soltanto a diffondere la falsa informazione che siete partiti per il Sud, ma i giornali vi trattano da spargitori di peste e di colera e a Mosca il Politburò avrà una riunione straordinaria oggi a mezzanotte. Tra poco verrà a prendervi una macchina della vostra ambasciata: resterete in Rue de Varenne fino a dopodomani, poi l'Air Force vi porterà in New Mexico... ». « Qualcuno ci ha riconosciuti ieri al lunapark? ». «Eh sì... Hanno anche scattato delle foto... Aris che tira alle pipe... Proprio là dovevate restare così a lungo? Quante pipe ha rotto, il vecchio?... Cento? Che occhio!! ». « Sai, Al? Non ne possiamo più. Non potete annullare tutto? ». «Cara Nanda, nell'ingranaggio ci sono anch'io! Ma questa notte ha cambiato davvero le cose... Non so se in meglio... Se vedete degli uomini con l'aria di sorvegliare la casa, sono agenti della Sûreté... Coraggio... Perfino quelli del FBI vi vogliono bene... siete così diversi». « Siamo extraterrestri, Al! ». «Lo sospettavo! ». L'ingranaggio... essere crudelmente coinvolti in eventi che ci sorpassano, soltanto per aver avuto fame di conoscenza... Non sembra anche questa una delle incalcolabili ripetizioni della punizione dei due umanoidi scaraventati fuori dell'Eden per gelosia di un Demiurgo ignoto? Riportiamoli a quel mattino di ottobre, di ombrelli aperti a Parigi dopo la notte eccessivamente limpida dell'UFO di piazza del Pantheon. Scritte tutt'altro che benevole sono apparse prestissimo sui muri nei dintorni dell'ambasciata d'Italia: i graffiti riproducono in nero rozze lame oblique di ghigliot246
tina, pronte in più d'una piazza ad accorciare per bene i due italiani che hanno portato a Parigi il colera ufologico. Spariscano subito - oppure alla Lanterna! Una bomba ha fatto tre morti in un caffè di Algeri: un colpo del solito Fronte Nazionale o di alieni manovrati dall'infernale Aristide che si nasconde nella Rive Gauche? Un po' più di saggezza, i due braccati, ora al sicuro in Rue de Varenne, la trovano sui giornali, ma a considerarli interamente innocenti, senza insinuazioni di responsabilità, sono tre o quattro in tutto, tra capitale e regioni. Il drago antidreyfusardo è addormentato ma non morto, e il Vìchy antisemita gode di poter avere l'occasione di eruttare fiamme contro un nuovo «lurido ebreo», l'alieno che rapisce di notte le adorabili parigine, le stupra, le insemina, o le trattiene per farle partorire a tremilacinquecento anni luce dalla Cité. E il pazzo che si è messo a salutare l'intruso OVNI con la strombettata trionfale dell'Aida? Forse era il professor Aristide Boronovici che diceva agli spaziali venite venite Parigi vi dà il benvenuto? Un giornale satirico non ha l'aria di scherzare: chiede l'espulsione immediata della coppia o «qualcuno prowederà», in modo sbrigativo, a vendicare le sventurate abductées e anche i rapiti maschi despermizzati e rimandati sulla terra eunuchi. Il portavoce del governo usa parole energiche contro questa abbominevole inclinazione storica della città a inventare mostri su cui sfogare istinti da Bagatelles pour un massetere, ma con scarso esito - anche perché il delirio si vende meglio. La foto delle pipe infrante è su tutte le prime pagine, prova dell'infamia del Boronovici, untore recidivo, cavallo di troia indubitabile. « Quella di Vichy, la stampa più velenosa del secolo, » dice Aris «la sento a naso, ancora, in questi titolacci...». All'ambasciata, verso sera, portano anche 247
dei foglietti distribuiti a mano da alcuni ragazzi: qui in stile appassionato qualche gruppo giovanile ringraziava Ada e il suo compagno per il loro coraggio, la loro azione liberatoria, e li scongiurava di restare a Parigi finché tutto non fosse chiarito in questa violenta comparsa di attori alieni nel dramma oscuro del mondo. La tomba di Allan Kardec al Pére Lachaise non fu mai tanto infiorata: in parecchi messaggi anonimi si leggevano evviva e benedizioni per i due « meravigliosi occultisti » italiani, portabandiera dell'Occulto nel depauperamento generale del Numinoso, rianimatori del Dio proclamato morto presi di mira da un superiore ingranaggio nella baracca di tirassegno di questa veridica storia come pipe bianche destinate a precipitare infrante. Anche la Cultura partecipa alla gara. Sapienti parallelismi vengono fatti con le possessioni demonolatriche di Loudun, di Louviers, le pestilenze vampiriche, le incredulità del colera del 1832, le apparizioni di Lourdes, della Salette, di Fatima, i trasporti onirici al sabba, i sogni freudiani incestuosi delle Belle Addormentate nel Bosco, i fantasmi del Nó, la magia marocchina, la babilonese - per dedurne, a fine cavalcata, a ronzino sfinito, che tutto, niente escluso, non è che del già veduto. Era ancora tra i vivi, murato tra i miagolii e le piaghe povere, e disposto a ricevere giornalisti, a Meudon, di fronte ai fumi della Renault di Billancourt, corroso dall'insonnia cronica, Céline. La radio nazionale spedì cronisti e telecamere per conoscerne il parere, ricevendone prevedibili sghignazzamenti antiufologici. «Ci mancavano anche questi voyeurs dello spazio, padri di una nuova razza di meticci!... ». Ma che lo lasciassero in pace con le loro conneries... « Chi può prenderli sul serio quei due sciamani fottuti in ritardo, venuti da oltre Modane, dalla sibilla di Cuma...». «E i loro accusatori, maestro? C'è chi li accusa di 248
portare la peste... una mai vista peste... proprio qui... nella capitale della scienza... ». Céline s'infuria: «Accusare di crimini quei due chiacchieroni dementi che vedono gli OVNIS alla Contrescarpe è da portatori di peste vera, mentale, ideologica... da sartriani... da draculiani... Li portano in America? Benissimo! Non abbiamo bisogno di questa roba! In America troveranno milioni di seguaci... Che ci vadano subito». I medici, alla Santé Salpetrière, all'Hótel-Dieu, a Villejuif, e anche all'Institut Curie, esaminarono nei giorni successivi tutte le rapite e i rapiti durante la notte dell'UFO pantheonista che si presentarono negli ospedali: su gran parte di loro riscontrarono tracce di deflorazioni, manipolazioni, innesti nel fianco di piccolissimi cilindri metallici, malamente ricuciti, ustioni quasi indolori da lampade ravvicinate. Céline avrebbe seguitato a negare tutto? Quando la portiera raccontò ai giornalisti che il signor Serge Marconi e la signora Jeanne erano proprio i due famosi italiani ricercati che attiravano i violentatori « marziani » e facevano strage di pipe bianche alle Tuileries, l'appartamento della Rue d'Ulm era vuoto da un paio di giorni. Sul letto erano rimaste aperte Holy Bible e Satanic Bible, e tre o quattro giornali degli ultimi giorni. Un giornale tedesco trovava indecente che l'ex compatriota Von Braun fosse seriamente intenzionato a riceverli, i due italiani burloni. Il «Figaro» forniva i nomi di quattro esorcisti di Parigi, disponibili per i rapiti, gli allucinati dell'Hotel du Panthéon loro amici, e gli stessi Aristide Boronovici e la sua ambigua compagna. Puntuale come il destino, l'aereo della Air Force venne a prelevarli, alle tre di notte, sulla pista militare di Orly. Miss Diana Constable era salita con loro. Partiti per l'avventura americana incolumi, lucidi, emozionati, con ricordi di grande piacevolezza della città che a torto li temeva. 249
Nella Holy Bible di re Giacomo Aris aveva sottolineato a matita rossa il magico versetto 10 di Daniele 12: Many shall be purified, and made white, and tried; but the xvicked shall do wckedly; and none of the uricked shall understand; BUT THE WISE SHALL UNDERSTAND.
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« Soltanto foto cretine mi fanno, » dice Von Braun « e forse me le merito, a causa della mia faccia poco intelligente, di allievo mezzo addormentato, che sogna sui banchi di scuola... di ufficiale prussiano che mai diventerà generale, reso ottuso dalla disciplina! Se riesci con la tua Leica a ricavare un'immagine decente da questa mia faccia, ti sarai conquistata la mia gratitudine... ». Sono a E1 Paso, in Texas, dove Wernher Von Braun riceve in casa sua Aris e Ada, i due italiani che desiderava incontrare in privato «per parlare d'altro che di missili» dice. Aris gli ha chiesto di fotografarlo e sta cercando la giusta luce, la situazione ideale. Ma è vero, Wernher è un genio absconditus, non è un soggetto facile, il volto non ne rivela niente, le mani nobili un po' di più. « Se volete vedere Roswell vi porto io, non è lontano da qui. Ma rimarrete delusi. Roswell è una maschera, la verità che sta sotto è un segreto di Stato. Finora non è trapelato niente ». «Bravo, Wernher, così. Fa' come se la Leica non 251
ti guardasse, muoviti come ti pare, parla, facci domande, lasciati occupare dalle orbite dei pianeti, sei Keplero, Copernico, Galileo, e il vero Von Braun! ». «Papà è un uomo timidissimo,» dice la figlia Margrit « a volte sta in silenzio per ore. E un abitante della luna...». «Timido, lento nei riflessi, flemmatico, laconico... » aggiunge Maria, la cugina tedesca, sua moglie da dieci anni. Aris commenta ricordando che una volta, alla Convenzione, Saint-Just fece sbollire l'ira di Robespierre sussurrandogli: «Taci un po'! Il potere appartiene ai laconici, ai flemmatici! ». Al laconico, Aris pone la domanda se a Roswell «i Grigi» fossero davvero umanoidi, o fumo. « L'Air Force » risponde Wernher « ha consegnato i corpi al Federai Bureau, credo non finiranno mai di scavare in quei resti come fossero le rovine pompeiane o i resti del Fùhrer e di Eva - tutto però top secret. Ai turisti mostrano dei pupazzi d'argilla da Musée Grévin! Io quell'anno mi trovavo in Germania, per sposare Maria, lavoravo a Fort Bliss, andai a Roswell dopo che più inchieste erano state fatte: ero e resto perplesso. Se il contatto ci fosse davvero stato, Roswell sarebbe l'evento più importante di questo mezzo secolo, più delle guerre mondiali e della trasvolata atlantica di Lindbergh... ma se riusciremo a far premere da un piede umano il suolo lunare, quello sarà l'evento più importante del secolo. Se andate a Puerto Rico forse là incontrerete i Grigi, è leggenda ci sia una loro base... Una nostra c'è di sicuro e c'è anche il radiotelescopio di Arecibo, un nostro spione, che ha un solo scopo: stabilire contatti con extraterrestri! ». Aris non tormenta il suo simpatico interlocutore con troppi scatti, una quindicina in tutto gli sono bastati. Depone la Leica e impugna il bastone, cerca il braccio di Ada, che però si trova in giardino, Mrs Von Braun voleva mostrarle le sue fantastiche pian252
te tropicali. « Riceverai la foto soltanto se non ne sarò deluso io, ma spero di aver fatto un buon lavoro». Inaspettatamente il laconico Wernher, catturato dal fascino della strana coppia, è diventato loquace, e desideroso di non lasciarli ripartire subito. «E molto probabile che qualcuno della base americana abbia già avuto più d'un Incontro Ravvicinato, che ci sia una specie di alleanza, e che c'entri molto la paura ossessiva che i russi arrivino primi... Sai, neppure un mese fa i Moscoviani hanno messo in orbita il loro Sputnik, al Pentagono erano sconvolti... Come non conoscessero la smisurata capacità dell'America di superare chiunque... Chiunque non sia un alieno... ». «Uno venuto dalla vecchia Europa li illuminerà» dice Aris. Maria e Ada sono rientrate. « Com'è andata con gli psicoanalisti e i sessuologi? » domanda Wernher. Ada fa un gesto ingegnoso di attaccata da vespe che si sforza di cacciar via: « Saranno stati un centinaio, soltanto di New York, da altri Stati forse due o trecento, non li ho contati, ma mi sentivo sulla pelle i loro pungiglioni! Più curiosi, più affamati di sesso degli alieni... Maniaci tutti... Volevano sapere se fossi stata violentata da mio padre (io neppure l'ho conosciuto) , o da qualche zio, o da mio nonno... o sverginata da una suora, da un compagno di scuola, dal becco di un tucano... Volevano gli dicessi se, così sfondata, avrei potuto subire facilmente anche tutto un popolo di alieni verdi o grigi, nani o giganti, oppure soltanto uno alla volta... E il mio caro Aristide, cosa ne pensava? Mi masturbavo trenta volte al giorno? Pensando a chi, in quale cesso? C'erano anche tra loro parecchi allievi di Harvard, Columbia, e altre università, tutti diligentissimi a riempire di appunti i loro quaderni, neppure mi vedevano tanto erano occupati a scrivere tutta quella sapienza, io infilavo un no-no dopo l'altro, prima increduli, alla fine delusi... Uno 253
mi ha gridato che se ci fosse stato là Wilhelm Reich, morto da poco in carcere... ». «Forse fatto fuori» osserva Von Braun. «Povero Wilhelm, a chi poteva dare fastidio coi suoi stimolatori di orgasmo? ». « L'unica cosa bella è stata questa: mentre stavamo andando via, mi si avvicina un signore piccolo, un po' panciuto, sorridente, mi prende le mani guardandomi bene negli occhi, le bacia, e dopo un cenno di saluto muto sparisce nella calca di quei deliranti... "Era Alfred Hitchcock" mi dice Aris, mentre scendiamo le scale, sostenendoci a vicenda, mezzo distrutti». «E così» li compatisce con simpatia Von Braun. «Maria, prepara la stanza degli ospiti, non li lasciamo ripartire, sono sull'orlo del collasso come Nane Bianche! ». Moglie e figlie stanno cambiando l'acqua ai pesciolini trasparenti come cristalli dell'acquario; entrambe felici di ospitarli. « Se vorrete andremo a Roswell e al mio laboratorio di Huntsville. Mi scuserete, ma ho altre domande da farvi. Gli umanoidi e i contatti mi appassionano più dei miei vettori! Ma sarò discreto, non sono come quei maniaci... Andrete direttamente a PuertoRico?». «Al Caupone e FBI sono contrari. Se c'è il loro veto non potremo andarci... Però la voce aliena ci ha detto: andate a E1 Yunque! ». «Parlerò io con Al perché vi autorizzi. C'è da superare i sospetti dei militari dell'Air Force della base, ma ci tengo anch'io che ci andiate. Poi sarete sciolti dall'abbraccio dell'America, un po' simile a quello della Vergine di Norimberga! ».
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Per non essere a se stessi introvabili, nel grande letto basso e durissimo di legno bianco della camera per ospiti al primo piano, Aris e Ada si fanno l'una all'altro nicchia da lume ad olio che non ardendo rischiara. È per loro un momento di intensa caduta nella felicità di essere, visitazione arcana alla quale noi tutti, malmenati fino alle peggiori atrocità dalla vita, siamo impreparatissimi... perciò il loro restare abbracciati sotto il lenzuolo s'illumina come il moto continuo di una risacca di benedizioni. È certamente meno difficile, per un Autore fornito di non grandi talenti, riportarne semplicemente le parole che si scambiano, in deboli suoni, sulle impressioni della giornata. Una grazia sarebbe morire così, per loro, se quella fosse l'ultima notte di sonno e sogni del mondo, e la violenza del fuoco di milioni di Tunguske siberiane ripulisse in poche ore la terra di ogni minima traccia d'uomo. Ad Aris, Wernher piace molto, dopo i loro colloqui del pomeriggio e della sera: «L'uomo è sicura255
mente geniale, lo si scopre a poco a poco. Sensibile, con elevate qualità umane di vecchia aristocrazia mitteleuropea. Come avrà potuto regalare dei congegni diabolici di distruzione a un criminale come Hitler? E tuttora la sua genialità è in vista di scopi militari...». «Mio caro, lui l'uomo sulla luna ce lo manderà davvero. Una decina d'anni ancora e ci riuscirà; senza che tale esito lo soddisfi, perché sotto il suo faccione sorridente ribolle molta inquietudine. Per noi è importante che ci abbia capiti... Se Wernher fosse ancora europeo forse, da scienziato, ci avrebbe rigettati. Ma in America... ». «Qui ufologismo e contattismo convivono con tutto il resto, sono di casa ogni giorno, ci sono associazioni potenti, abduction è linguaggio corrente... Però, cautela... non so come la prenderebbe a parlargli di raggio mortale di questa tua monina, o di Città degli Stracci, di puttanesimo cosmico... ». «La puttana cosmica è leggenda... io sono soltanto la puttana ordinaria tua... ». Silenziosi, ascoltano il vento. Così forte che pare annunciare una tromba d'aria, un tornado. E normale, a E1 Paso. «Sul raggio della morte, quando eravamo a Washington ho fatto un sogno... Te lo racconterò, è curioso... Se ce l'avessi davvero?». « La US Safety si è commossa per voi » dice un allegro Von Braun prendendo con loro un tè mattutino verde smeraldo comprato in un viaggio a Kyoto. « Non ho dovuto faticare per persuadere Al Caupone a farvi visitare la zona militare e scientifica di Puerto Rico; lui invece sì, perché il generale che comanda la base è un grintoso quadrato e vede spie dappertutto; di ufologi ne caccia via ogni settimana qualche dozzina; a voi aprirà i cancelli! ». 256
Aris ha una domanda che gli brucia: «Perdonami l'indiscrezione, Wernher... Nella camera ospiti, in uno scaffale di libri, hai II mondo di Schopenhauer, in tedesco, e la Bibbia anglicana, insieme a I Chinge a un trattato sulla dottrina buddista. Il tuo pensiero va dall'uno all'altro oppure si è fissato a preferenza su uno solo di quei testi? ». «Nell'infanzia il mio testo era la Bibbia luterana, tutta la famiglia era molto devota, in chiesa e in casa. Poi, da lettore adolescente, avevo sempre con me Jules Verne in francese o Wells in inglese... o Kipling». «La guerra dei mondi? ». «Oh sì, letto più volte! Ma ancor più The Invisible Mani II mito moderno dell'uomo invisibile, che a poco a poco si ubriaca del potere che ha di essere presente dappertutto, non mi ha mai più lasciato... La mia V2 è Uomo Invisibile... Gli alieni, che anch'io aspetto di incontrare, meno fortunato di voi, sono anche loro Uomo Invisibile, esseri che si smaterializzano, che sono là e ti ascoltano. Schopenhauer, sebbene antisemita, era inviso al regime: a vent'anni l'avevo letto quasi tutto, ma in casa non l'avevamo... Nella libreria di sotto ho tutto Dostoevskij... Il libro dei Ching lo consulto spesso... ». «E il suo oracolo di Delfi» dice Maria «e una volta alla settimana va a Huntsville a fare due ore di meditazione Zen. Gli dà molta serenità! ». « Ti ho risposto, Aris, ma siete pregati di non raccontare nulla di queste cose». « Lo seppelliamo dentro di noi, come anche il resto... Ada è uno scrigno. Ma... hai avuto idoli scientifici? Einstein? ». «Heisenberg! Ha lavorato anche lui con noi a Peenemünde. Ma come oggetto di culto, ed è così anche oggi, Nikola Tesla! ». «Anche noi» interviene Ada quasi gridando «amiamo Tesla, lo sentiamo vicino! Ne parliamo spesso...». 257
«Tesla» dice Aris «per gli ufologi è un padre e un archetipo! Si dice venisse di là... di lontano...» (vorrebbe dire «dallo spazio», ma si trattiene: Von Braun però ha compreso e annuisce, grave). « Ci sarà un tornado » dice Maria. « Il vento ha ripreso forte, anche più di stanotte, il cielo è cupo. Non ci conviene fare escursioni ». «Non ci sarà tornado» assicura, con occhi indubitabili, Ada. Incontrano l'Ombra della Sera in un locale sotterraneo dove la Magnum Photos conserva milioni (bilioni, forse) di immagini del mondo contemporaneo, strappate all'Attimo dai loro grandi fotografi fondatori e dai collaboratori successivi, a partire dal 1947: dieci anni di caccia all'uomo storico e tragico, nella poesia e nel furore della storia del mondo. Tra questi c'è Aristide Boronovici, che ora sta selezionando una enorme quantità di scatti editi e inediti inviati ai giornali e alla Magnum tra 1915 e 1955; senza essere stato invitato, dai suoi amici e colleghi ben conosciuti, a far parte del gruppo fondatore, una sfortuna e una disattenzione che sempre lo hanno fatto soffrire. La mostra che sta allestendo, centocinquanta immagini in tutto, lo riconcilierà con l'Agenzia, ora che la sua straordinaria avventura ufologica li ha resi meno orbi, finalmente. «Questo è il mio primo scatto da reporter di guerra, è dei primi giorni della battaglia della Somme, una trincea dove i soldati inglesi circondano un loro ferito che viene medicato da un barelliere con la croce rossa... Mi pare fosse presso Gommecourt. Una ordinaria scena di guerra». «Straordinario è che tu fossi là, non ti pare?». L'ammirazione di Ada lo ricompensa abbondantemente. Forse quella foto fu scattata allora (rimase inedita per censura militare) per suscitare quarant'an258
ni dopo, in un sotterraneo di New York, un brillare di luce amorosa in una giovane donna che si è voluta, per follia di riscatto e di dedizione, schiava di orde invisibili negli spazi insolubili. «Vi hanno concesso di visitare la base e il telescopio di Arecibo; là sarete ospiti dei nostri, del generale Cutter, per quattro giorni soltanto, sbrigatevi... » (Mr Caupone si accorge della gaffe e capovolge il brutto verbo) «... spero abbiate il tempo per i vostri Incontri Ravvicinati... sono molti a dire che laggiù è facile... Ma verrà un sergente dei Marines a scortarvi, e ci sarà con voi anche Miss Constable, che già c'è stata e incontri non ne ha mai fatti... La zona è pericolosa, ci sono animali che dicono molto aggressivi, i chupacabras... senza un uomo armato esperto della foresta non ne uscireste incolumi... equipaggiatevi... Siete fortunati: la stagione secca sta per cominciare, da novembre in poi nei Caraibi il clima è delizioso! Poi verremo a riprendervi a San Juan per la vostra destinazione europea, fatecela conoscere. Il presidente Eisenhower vi ringrazia per la vostra collaborazione. Restano due o tre cose da chiarire, ma enfin! per voi è imminente la fine delle nostre tutele. Riprendetevi la vostra vita! ». «Al, ci sarai anche tu per l'apertura della mostra di Aristide? ». «Non posso garantirvelo. Ma so che ci sarà Orson Welles. Ha detto che vi vuole incontrare ». Camminano per il Lower East Side, nel groviglio di botteghe e di finestre, di facce Isaac Singer di Ebrei orientali, un quartiere di scampati e di fuggiaschi, lasciandosi avvolgere come oggetti comprati da un diluvio di abiti senza testa in vendita, da pentole, antiquariato, candelabri a sette bracci e scope esposti dappertutto. Ada compra una medaglietta col Tetragramma, YOD-HE-WAU-HE, pertinente ad 259
uno degli Elohim più intrattabili dell'enigma umano, l'appende sul petto con una catenella; Aris è attratto da più angoli e muretti in ombra che nascondono rare perle di Città degli Stracci che parlano yiddish, dialetti slavi perduti, spagnolo sefardita, ebraico di Ben Jehudàh - a volte anche americano - con la loro laconica eloquenza di esiliati e scacciati. In uno di quei dirupi geometrici d'ombra perpetua, pezzi di faccia di rughe della città enorme, Ada ripensa a un'immagine vista alla Magnum: un milite senza nome di uno dei due bandos, fucilato dopo avergli strappato dai globi gli occhi, da cui il sangue pareva colare ancora: «Abbiamo buoni motivi per vergognarci in eterno... » aveva detto Aris, frugando nella sezione Spanish War. «Ma tu, che sei stato su tanti fronti di guerra, giravi armato, o non eri carico che dei tuoi rallini? ». «Avevo una pistola Smith 8c Wesson che non ha mai sparato un colpo, e un coltello che ha sbucciato soltanto mele. Mai ucciso nessuno, mai... Capa in Spagna portava un fucile, si era arruolato, ma neppure lui ha mai pensato ad uccidere... ». Parve cercare nella memoria: «Mai ucciso! ». «Io, sì». Nada con le mani gli coprì la faccia quasi a graffiarla, e il suo sguardo era implorante e terribile. Nascose il volto nella giubba di lui, rabbrividendo. Dov'erano gli stracci accumulati, un popolo di occhiaie vuote di esiliati del secolo la fissava. «Andiamocene da qui, tesoro, ti prego... Voglio comprarmi una gonna da quello che vende i merli parlanti, e una mezuzà per la nostra casa... Perché finiremo pure per tornarci, no? ». « Ceniamo in questo Kosher, cosa dici? E caratteristico, da ghetto primi del secolo! ». Era tornata a sorridere, a sostenerlo. «Non è caratteristico: è sordido». « Mi piace ». 260
Il generale che comandava la base americana di Puerto Rico li ammonì duramente di non raccontare che a lui solo i loro eventuali incontri con alieni nella foresta di E1 Yunque. Da come ne parlava, si capiva che trovava naturale la cosa. Infatti: « Tutte le testimonianze del luogo e di contattisti stranieri e americani - e molto probabilmente voi le confermerete - parlano di presenze per lo meno molto strane in questa foresta, così fradicia da contenere tutte le fantasticherie del reumatismo. Il mio consiglio è di restarci il meno possibile; avete un permesso da me di quattro-cinque giorni. Il nostro radiotelescopio vi proteggerà, ma avrete anche una scorta armata in contatto con la base: probabilmente loro, gli alieni, intercetteranno tutto: dicono siano più curiosi di una portinaia! C'è qui un esperto di radiosegnali che desidera conoscervi e verrà con voi, è di origine greca, si chiama Joseph Kleftis, lui sa molte cose o crede di saperle...». «Kleftis! Ah sì, qualcuno deve averci fatto questo nome...». «La voce del Poligonale! » gli ricordò Ada. «Con tanti nomi che ci girano attorno... ». «Sì, proprio lui... ce n'eravamo scordati! Lo sa, generale, in greco kleftis significa ladro e guerrigliero, partigiano... ». «Kleftis è un ladro di segnali spaziali, e anche un guerrigliero, porta due pistole e ha i baffi alla Pancho Villa... Peccato, gli manca la cartuccera a tracollaOra lo faccio venire, Boronovici! ». Il sorridergli Ada non dispiace al generale, lo ha reso più umano. Joe Kleftis - evidentemente la chiave spaziale di Arecibo - è davvero Pancho Villa, è sulla quarantina, avrà visto il Viva Villa! di Howard Hawks, più di vent'anni fa? Perché l'eroe-bandito messicano, che interpretava nel film Wallace Beery, deve averlo studiato per imitarlo così bene, vestimentalmente e perfino mi261
unicamente, per l'esclusiva ammirazione delle Nane Bianche e dei Quasar. Il generale offre tequila, Aris e Ada ricusano, Pancho Villa manda giù tre bicchierini. «Vi daremo indumenti adatti... Come saprete, a E1 Yunque piove buona parte dell'anno. Anche a San Juan, ma un po' meno. Siete fortunati, è cominciata la stagione arida, però l'umidità nella zona è altissima. Tu sei un viejete...». Ada s'infuria: «Lui non è un viejetel Ha l'età del secolo: cinquantasette!!». Aris fa un gesto vago; il Kleftis ritratta. «Allora tutto andrà bene. La nostra jeep va anche sui fondali marini! ». Il generale augura buona fortuna. Ibant obscurì... L'esplorazione si fa di notte: la foresta è afosa, sgocciolante, nauseante, piena di sibili e di strida. Due Marines li scortano; Diana Gonstable, fedele agli ordini della sicurezza, anche lei armata, è con loro. (Ada le è grata: quei tre uomini sconosciuti troppo forti, che schiaccerebbero il povero suo viejete come le ruote della jeep un ranocchio, le danno un certo disagio). « Chi vi ha detto di venire qui, di insistere per venirci? Questo non è un bel posto, pochi lo conoscono come il doppio oscuro della base. Sono stati loro? ». «Sì, loro... Le Intelligenze aliene. Siamo aspettati. Ma tu li hai mai incontrati? ». « No, ma ho imparato a captarne i segnali. Non ci sono ostili. I più pericolosi qui sono gli animali selvatici, per lo più molto aggressivi... I portoricani ne hanno una sacra fifa. Gli altri mandano segnali ambigui, gemiti... ma non si mostrano. Mutilano gli animali più deboli con morsi terribili. Sono considerati di origine aliena, venuti da qualche Barnum intergalattico... Aprite bene gli occhi». « Io » dice Ada « ho il raggio della morte nel tascapane; posso usarlo se occorre ». Pancho Villa, con gente così stramba, non osa obiettare nulla. 262
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Quando la sera è tersa, osservo il cielo. Non finisco mai di stupirmi... WISLAWA SZYMBORSKA
Il cielo pluviale si andava schiarendo; era comparsa la luna, visibile a tratti Venere, il p o c o che si può vedere da questa fossa dei serpenti curvata tragicamente dal peso della gravità. Due grandi ponchos, indossati sopra la giubba impermeabile, riparavano Aris e Ada dall'inospitale umidità tropicale. Ciascuno degli occupanti della j e e p aveva un proprio largo timore: anche i due Marines, che incoraggiava soltanto la presenza di Kleftìs, ritenuto conoscitore della foresta e familiare di tutti í suoi abitanti. Di loquacità, a bordo, ce n'era davvero poca. «Non avete mostrato la minima curiosità di visitare il nostro formidabile radiotelescopio... Di solito, si viene per questo in un posto così! ». «E da lì puoi vedere» rispose Aris «l'abisso che separa l'astrofisica dalla visione ufologica; tu sondi il vacuurn degli spazi e degli anni luce, noi li esploriamo dormendo e non sappiamo se ci verranno incontro degli angeli, creduti estinti o mai esistiti, o se delle ombre intelligenti o malvage ci visitino. Tu e 263
Von Braun siete degli uomini di scienza; noi, specie di alumbrados... Una voce ci ha ingiunto di venire fin qua, non una fondazione universitaria! Ma prima di partire lo vedremo, il tuo famoso telescopio». Erano nel grembo dei suoni della preistoria, nessuna creatura vivente dormiva nella foresta, una diffusa minaccia di divorarli e di annientarli si avvertiva, nell'aria bavosamente umida, di canne scannataci. I fari potenti della macchina erano intrusi malvisti dai selvatici, gli davano un panico da incendio, fuggivano tra i sibili e i ringhi, ululavano ininterrottamente, da vicino e da lontano. Kipling avrebbe scritto un terzo Libro della Giungla. Ma nessuno svolacchiava, degli uccelli notturni, sugli alberi e nei tronchi cavi, perché resi imperturbabili da un po' più di sapienza. I loro occhi nel buio li rassicuravano. « Guardate là! » disse Kleftis. Il Marine fermò il motore, sopra la linea buia di una collina lontana era apparso un chiarore semovente, che sparì subito, e subito dopo se ne accese un altro, più forte e balbettante, e un terzo, bianco come un razzo di guerra. «Abbiamo avvistato tre Piatti Volanti» disse Kleftis. «Niente di strano, qui sono di casa. Ma i loro eventuali equipaggi non sono per noi, finora, altro che supposizioni. Per stanotte può bastare, riportaci a casa David... Domani si cambia ipotesi... e zona». Ada sussurra qualcosa all'orecchio del vìejete infagottato. « Scusateci, » dice con voce contrita e preoccupata il vecchio col bastone «ma dovremmo scendere sia lei che io per un attacco violento di diarrea. E possibile? ». « Succede a tutti, » li tranquillizza Kleftis « succede a tutti, anche a noi... L'Osservatorio è la cattedrale della merda! Ma è solo colerina tropicale... ». « Però come li proteggiamo? » David pone il problema in termini militari. Kleftis lo risolve: «Mentre questi due poverini si 264
appartano - ma guai ad inoltrarvi!, noi spariamo una grandinata di colpi in aria per spaventare i selvatici... State attenti a non mettere i piedi su qualche rettile ». «Vi aiuto a sbarazzarvi dei ponchos... ma gli Indios non lo tolgono, e non s'imbrattano... » dice David. «Neppure re Saul a En-Ghedi si toglie il mantello... » riesce ancora a citare Bibbia, nonostante il luogo e l'urgenza, Aris. «Io preferisco togliermelo, ma facciamo presto» implora Ada. Soccorrevole Miss Constable: scende, pistola pronta, per proteggere pudore e incolumità di Ada. Pancho Villa e i due Marines sparano in aria con una potenza di fuoco da generale Patton nelle Ardenne, tra una fuga di code e di ali frenetica, di covili dispersi, di risvegli atterriti. E... vale la pena di rifletterci; il fatto dice quale sia la filialità del rapporto (perfettamente matricida) tra natura e genere umano. Per un mal di pancia notturno di due mortali nel cuore di una foresta, in centinaia di migliaia di bestiole selvatiche viene scatenato un uragano di terrore. E se addirittura tra le entità aliene nelle loro tane silenziose, non sappiamo: la loro risposta alle nostre emozioni non ci è nota. Risalgono in jeep confusi, umiliati, distesi. Quando il radiotelescopio del Divenire che scruta le lontananze, impotente a vedere ciò che è inyece talmente vicino da poterne andare in cerca con un Diesel, li riprende tra le sue braccia, sorge l'alba sulle colline impenetrate.
Una giornata di riposo, tra piscina, massaggi, cardiotonici, in un inesausto bagno d'incertezze. Il generale Cutter gli annuncia l'imminente arrivo di Mr Caupone da Washington, che ha ordinato di tratte265
nere, finché non ci sia stato l'IR bramato, la singolare coppia di amanti. Grosse ciotole di riso giapponese li nutrono, e banane, scampandoli dal rancio fast food dei Marines. Il generale è stupefatto che abbiano tanta importanza per il governo americano quei due insolubili personaggi, di cui la scienza ufficiale non ammette neppure l'esistenza. Eppure la sua missione di custode armato del telescopio può mascherare la ricerca di contatti ravvicinati col mondo alieno, di cui la presenza nella zona caraibica una quantità di segni confermerebbe. Però lo preoccupa che altri visitatori importanti siano annunciati possibili: Wernher Von Braun, il senatore John Kennedy, dato per prossimo candidato alla presidenza degli USA, Orson Welles - perfino capi e predicatori di chiese evangeliche, nugoli di giornalisti. «Ci spremono come limoni» puntualizza Aris, dentro il baldacchino di zanzariere, mentre il sibilo sanguinario delle zanzare tropicali, sparate a bilioni dalla foresta pluviale, brucia ogni joie de vivre. Sanguisuga è il governo americano, che pareva volerli abbandonare ormai al loro destino, ravveduti forse dopo la relazione di Von Braun convocato in fretta da E1 Paso. Ma che cosa potrebbe fare un incerto governo superpotente, inverosimilmente armato, che crede nelle presenze aliene e le teme fin dal luglio 1947, e che deve fingere di non crederci, davanti al nemico sovietico e all'incredulità mondiale? Il permesso di visita è concesso dalla Base soltanto a Von Braun e a John Kennedy. Guidandoli a visitare l'enorme orecchio meccanico che ascolta l'eterno silenzio degli spazi (silenzio per Pascal, percepibile invece sulle onde radio), Joseph Kleftis li mette in guardia; la zona, dove più probabile potrebbe avvenire il loro IR, è ancora vergine di impianti militari della marina e dell'aviazione americane, che hanno grandi progetti «per stri266
tolare la libertà e la pace dell'isola», ma è anche la più pericolosa perché ad alcuni è stata «un fiume senza ritorno », è possibile esserne inghiottiti, ed è il regno dei perros chupadores, gli inafferrabili chupacabras che forse hanno funzione di cerberi addestrati per rendere inawicinabile la Base sotterranea aliena all'interno della montagna più alta. « La visita di stanotte è sconsigliata a Diana e a Nada. Potrà venire Aris dopo aver firmato un documento, a suo rischio. Saremo in parecchi, ma i nostri mezzi di prevenzione e protezione, in situazioni simili, sono al di sotto del pericolo... ». Ada emise un grido di furore; nessuno avrebbe potuto impedirle di seguire il suo fragile amante: chi gli avrebbe fatto da appoggio? La voce li aveva chiamati entrambi, lei sola aveva già avuto l'esperienza di un abduction; perduti, il loro non ritorno non avrebbe lasciato nella disperazione nessuno... Era disposta a firmare qualsiasi cosa. « È nel vostro interesse, il nostro andarci insieme ». La sua intrepidezza stupisce Kleftis e altri scienziati presenti. Nessuno di loro è mai stato in quel luogo. Ma nessuno di loro ha incontrato mai una donna come Ada. La missione parte attrezzata: in un furgone prendono posto, coi due designati a testimoniare la trascendenza dell'amore e la lente infuocata della conoscenza, David il Marine, Kleftis, un agente portoricano che conosce luoghi e strade, il medico dell'osservatorio, e un cane grigio addestrato, assicura Kleftis, a fiutare gli animali chupadores e a morderli nella gola. Tutti sono armati. Ada è ritenuta folle: asserisce di possedere il raggio Tesla della morte, altro che pistole automatiche! Al furgone segue un'ambulanza da campo con due infermieri militari. Dopo circa tre ore e mezzo di viaggio nella mappa dell'Inquietudine, sulla vetta di una collina, il cane comincia ad agitarsi e Aris, con voce un po' mal267
ferma, dice al Marine: «Per favore, QUI». Anche le armi, nelle fondine, si agitano, le palpebre sbattono, le mani tremano. Se l'epoca non fosse stata così radicalmente desacralizzata, ci si sarebbe detti in un nemus consacrato alle Dee più temute, figlie della Terra e di Ciò-che-è-Oscuro. L'agente portoricano con la mitraglietta e il cane Silver, che fiuta odore di chupadores invisibili, scendono con loro. Aris li rimanda ad attendere nel furgone; davanti a loro c'è il Fiume senza Ritorno, un sentiero che si perde nella boscaglia: una voce gli ha ingiunto di rimanere soli, rassicurandoli in spagnolo: «No tenéis miedo! ». « Io di miedo trabocco... » commenta Aris - che non aveva temuto di documentare i fronti dell'Alcázar e di Dien Bien Phu - rimasti soli. La solitudine, a non più di cinquecento metri da tutte quelle benevole presenze umane, li separò da tutto il mondo che mondeggia, nell'ipnotico rigore del plenilunio. «Io ho paura per te» mormora lei nello stupefacente silenzio che li avvolge come un unico poncho « perché ti sento in imminente pericolo. È colpa mia se siamo qui, in una tenaglia che non ci molla, prigionieri di esseri non umani... Perché i cani succhiasangue sono diventati muti? ». «In questo momento, Nanda mia, in tutto il mondo non ci sono due esseri umani più liberi di noi! Quella che non riesco a superare è la paura che ci separino... ». (Era, per lui, nominarla più carnalmente). Ada se ne accorse: «Nanda è il mio nome di puttana cosmica... e di assassina... Ecco, la voce mi ha ripetuto di non aver miedo. Perché ce l'ho anch'io... puttana morta e mortifera... ». Videro una luce che dalla lontana collina di El Toro si avvicinava a loro velocissima, rossa come la lanterna di soccorso nelle miniere di carbone. Quando la luce li ebbe appena sfiorati caddero insieme come corpi morti, in un completo oscurarsi della coscienza. 268
Conoscono che cosa sia aver pietà in Alienland? Non li hanno separati. Non sono certi di essere vivi, ma sanno di essere insieme, nudi come lombrichi, cibo per barbagianni, davanti a un lunghissimo tavolo metallico, in fondo al quale ci sono forme confuse che si muovono. Il Contatto indubbiamente è là. Se in quel momento il libro della Genesi si aprisse la sua voce direbbe: «Erano nudi entrambi, l'uomo e la sua donna, e non ne avevano vergogna».
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A questo punto, l'Autore ricorda a se stesso e ai lettori che questa non è altro che la storia di un amore umano. L'uomo umanizza il mondo per amore di se stesso, perché non si perda la sua perdibilità. L'attesa di voci o suoni si prolungava, secondo il tempo segnato dai loro orologi da polso. (L'avessero guardato, avrebbero notato la sparizione dei numeri dal quadrante). Ada ruppe l'irreale silenzio. Parlò come a chi le fosse vicino, ma le parole ebbero un rimbombo assordante di campanone: «Perché ci avete chiamati? Che cosa volete da noi? Ci lascerete liberi di ritornare dai nostri amici in attesa nella foresta - sulla terra? Siete sempre voi, i Senza Nome, o altri? ». Le forme confuse al fondo del tavolo si agitarono: stavano forse confabulando tra loro? Ed ecco muoversi da quell'apparente Laggiù orizzontale, staccarsi come strappandosene, due esseri che via via avanzando assunsero aspetto di coppia umanoide, di corpi simili ai loro, teste normali, sesso distinguibile, e uno dei due appariva molto più vecchio dell'altro, 270
aveva la colonna storta e la spalla reclinata sul fianco e zoppicava. Il corpo giovane e femminile sosteneva quello del suo compagno, come madre di un'ombra. Si fecero vicinissimi senza toccarli. Con uno sforzo il corpo alieno maschile si drizzò e i loro quattro occhi si fissarono. Una voce molto musicale, non emessa dai due corpi della coppia umanoide, così sbalorditivamente umanosimile, affermò di essere Aristide e Nada, e che il Luogo dove si trovavano era vicino a quello del loro amici americani. A questa inaudita rivelazione di identità parallela (se così è possibile definirla), Aris e Ada avrebbero potuto morire, se non fossero esplosi in un pianto della violenza dei cicloni tropicali, un pianto non dai loro occhi soltanto, che pareva sorgere da una sterminata moltitudine umana immersa nell'ombra. Ada raccolse il bastone di Aris, abbandonato nel punto dove li aveva fulminati come un'anestesia chirurgica la luce rossa proveniente dalla collina di El Toro. Risuonarono le voci degli amici di Arecibo, indicibilmente festose. «Da tre giorni battiamo la foresta, i chupacabras ci hanno ringhiato da vicino senza mostrarsi, il bastone di Aris abbandonato ci aveva tolto ogni speranza, ma l'abbiamo lasciato là, caso mai tornaste dal Fiume senza Ritorno. La foresta è stregata, alla larga! ! » gridava e faceva salti di gioia l'eminente professor Kleftis. Vedendo le loro facce deperite, stravolte, spettrali, gli ficcarono/in bocca sorsate di caffè caldo. Il sole era allo zenith. «Santísima Virgen! » si spaventa il portoricano gettandosi dietro le spalle la mitraglietta. « Ma le vostre mani sanguinano! ». «No, no... » balbetta appena Ada. « Calmatevi... non c'è stata nessuna violenza! Ma in tutto il corpo abbiamo queste stigmatine, come punture di spilli... ». In quel momento vede Aris, raccolto il bastone, 271
muovere qualche passo e voltarsi a fatica per urinare in un vicino cespuglio. Gli grida di aspettarla, restituisce la borraccia del caffè, e si precipita per dargli il braccio e sostenerlo. Qualcosa si muove e raspa dentro il cespuglio, ma Aris non può allontanarsene finché non ha terminato. In una frazione di secondo un ringhio fischiarne, una piccola testa calva di selvatico che si sporge dal cespuglio con occhi di sangue e denti aguzzi, la mano nobile e trasparente del viejete, segnata di puntini rossi, che riceve sul dorso, vicino al polso, un cattivo morso - Aris getta un grido di dolore e di paura e l'animale cade fulminato. Nessuno gli ha sparato. Ada preme la bocca sulla mano insanguinata, ma il portoricano la ferma, la tira indietro: «Lascia, lascia, è pericoloso, molto pericoloso! ». «Il medico e l'ambulanza arrivano subito!» grida Kleftis con la pistola inutilmente fumante. Raccoglie con circospezione il corpicciuolo allungato del chupacabras, morto senza apparente ferita d'arma da fuoco. «Lo portiamo a esaminare. Mai ne avevo visto uno da vicino ». Aris è semisvenuto. Ada, vista una grossa fragola solitaria in mezzo al fogliame, gliela mette tra i denti e si accascia anche lei, sfinita. «Maldito perro!». Il portoricano è costernato. «Malditísimo perro! Forse aveva la rabbia, i chupacabras ne vanno soggetti e infettano le pecore! ». La parola rabbia sgomenta il gruppo. Il loro cane antiverrai è rimasto muto. Contattisti e americani lasciano con sollievo la foresta stregata di El Yunque, i suoi crudeli fiumi senza ritorno.
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Nell'infermeria dell'osservatorio c'erano tre o quattro Marines o piloti ricoverati per dissenterie e intossicazioni varie, che si annoiavano leggicchiando graveolenti riviste e fumetti debitamente pornografici. Il dottor Jesús Hernández non perdeva tempo nel visitarli; s'informava appena del loro stato e spariva. Sorretto dai due infermieri di El Yunque fece il suo ingresso febbricitante la vittima del chupacabras, il cui morso, se qualcosa non l'avesse fulminato all'istante, avrebbe potuto amputargli la mano. Ada raccomandava come farlo stendere sulla brandina. Il medico venne dopo pochissimi minuti. Osservò e medicò la mano (la destra) addentata dal perro, praticò un'antitetanica e vide che la febbre, presa internamente, era vicina a trentanove. Era giovane, muscoloso, aveva il grado di tenente della marina, un forte odore di sigaro Avana. «Dopo aver esaminato la testa della bestia, sapremo se fare la vaccinazione antirabbica; ma la cura è dolorosa, spero di potergliela evitare... Quanti anni ha il professore? 273
Settantasei a gennaio? Ex fotoreporter di guerra, amico di Capa? Troppi strapazzi, lo faccia riposare un po'. Per il febbrone, gli facciamo la cura Fleming, se no il rischio è mortale! ». Ma Aris confondeva presente e passato: «Jesús Hernández? Credevo si fosse rifugiato in Messico... Ministro al servizio di Mosca... un chiacchierone di comunista... Era meglio se ti fucilavano i fascisti! ». «Lo scusi, dottore... A volte sogna di essere ancora in Spagna, vent'anni fa... Odiava i comunisti... ». Il dottore rideva. « Devo cercare di abbattergli la febbre; gli faccia mangiare qualcosa, un gelato, una banana... ». Mangiò con avidità il gelato; ma la febbre sali ancora. Perché il suo farnetico non finisse per esasperare gli altri lo portarono in una stanza riservata, dove c'era anche una brandina per Ada, che non l'abbandonava un minuto. Tutti l'ammiravano, ritenendo che un vecchio che non gli era padre, ma addirittura amante, fosse ragionevolmente fuori della possibilità di ricevere, da parte di una donna così giovane, tanta profondità ed estensione d'amore. « Generale, » diceva lúgubremente il povero malato « mi rifiuto di ordinare il fuoco su questa donna... Piuttosto io, al suo posto! » e indicava Ada, alla quale avevano fatto indossare uno zendale bianco. Gli fecero per otto giorni la «cura Fleming», come la chiamava il dottor Hernández, nel braccio; la febbre calò a livelli quasi normali. Persisteva l'esaurimento delle forze, ma la vicinanza di Ada era forza su forza. Gli ordini da Washington erano perentori: il trattamento doveva essere perfetto, il malato era un importante «amico degli Stati Uniti». L'ospite Boronovici non immaginava di avere tale reputazione, ma l'attenzione ricevuta lo aiutava a riprendersi. La cattiva bestiola non aveva la rabbia; era cattiva senza perché. Con grande sollievo glielo annunciò il dottor Hernández. Era la prima volta che un chu274
pacabrasfinivain un laboratorio anatomico: « Sapete, è un enigma biologico. Respira senza polmoni, ha zampe gracili e corte, ed è inafferrabile. Morde la preda senza divorarla, come per un piacere sadico. Succhia il sangue come un vampiro da leggenda, però solo qualche volta. Quando gli hanno sparato era già morto: aveva in mezzo agli occhi una ustione non più grossa di un'arachide, come l'avesse fulminato qualcosa di radiante ». Ada sorrideva ascoltandolo. Aris volle sapere. Se l'arma salvatrice era il raggio Tesla absconditus, come avrebbe agito a gambe unite e con tanti indumenti addosso? «E successo così: mi ha attraversato il corpo dal basso in alto e appena spuntata dal cespuglio la testolina feroce gliel'ho sparato dagli occhi, li ho sentiti arroventarsi. Vedi che ce l'ho davvero? ». «E il sogno tuo che mi volevi raccontare da Von Braun, è sul raggio? ». «Sul raggio». Ada abbassò la voce, come d'accordo con Aris, perché temevano che la base li spiasse. «C'era un uomo altissimo, più umano che umanoide, ma forse un po' umanoide, il cranio era normale, le mani però lunghissime, vestito di scuro, tra mucchi di carte arrotolate e apparecchiature elettriche di ogni tipo. Mi fece spogliare e stendere su un lettuccio, anche lì c'erano tubi e carte e fili (tutto dava l'idea di una delle nostre Città degli Stracci) e mi pregò gentilmente di mettermi nella stessa posizione che avevo durante l'incontro nel cosmo con i Refahìm, perché voleva farmi un dono. Mi applicò due elettrodi internamente e ne provai un acuto dolore... La sua neutralità sessuale era assoluta, come avesse avuto a che fare con un pezzo di minerale: ne ero perfino seccata, perché mi attirava, nonostante emanasse dalla sua persona una grande malinconia di uomo infinitamente solo. Dagli elettrodi mi arrivò in corpo una scarica di corrente perfettamente indolo275
re. "È finito" disse, e togliendomi i fili precisò che sarei stata l'unica donna in grado di ferire o di uccidere semplicemente volendolo qualunque creatura vivente, purché mi trovassi in condizioni di effettivo pericolo o volessi salvare un'altra persona da un rischio mortale. Lo chiamava "raggio della pace", e non "della morte"... Mi congedò raccomandandomi di fare di quel dono un uso onestissimo e riservatissimo, e di deporre una rosa bianca, un giorno, sulla sua tomba, a Belgrado. Prima di svanire mi salutò col nome di Nanda e non dimenticherò mai il suo sorriso triste di uomo buono». «Era Nikola Tesla, senza dubbio: un sogno così meraviglioso lo potrebbe capire soltanto Cari Jung! ». Il vecchio convalescente le baciò entrambe le mani. Insieme mossero qualche passo nel corridoio, tra foto a colori prodigiose di deserti astrali, di mute tenebre da cui forse un segnale di S.O.S. sarà un giorno captato ad Arecibo. Tornato dal Fiume senza Ritorno, il misero corpo di sfinito toro mascolino ricordava che nel suo vorticare febbrile la mano della sua donna stretta alla sua gli aveva trasmesso, dal punto dove Nikola Tesla l'aveva fornita d'un autentico raggio della morte, una sensazione ineffabile. Naufrago nella marea in salita della febbre e visitato misteriosamente dal contatto erotico, l'incantevole farmaco interiore gli si manifestava all'esterno in una espressione di sragionante ebetudine. Chi lo pensava moribondo non poteva capire; la donna però capiva. Se l'effetto della irradiazione sessuale fosse durato più a lungo del tempo necessario a fulminare un animale inferocito, tanta energia di trascendenza avrebbe potuto determinare la morte del vecchio. Intravedendone la guarigione, il buon medico materialista Jesús Hernández aveva subito prescritto furibonde 276
dosi di vitamine americane e una dieta proteica conforme e proteiforme. Non fu facile, per il paziente, smaltire le dosi massicce del Penicillum fleminghiano. Ora, dopo tre settimane, poteva rientrare sulla strada maestra della loro emblematica storia.
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Il senso supremo dell'amore non è la nascita dei mortali, ma la resurrezione dei morti. DMITRIJ SERGEEVIC MEREZKOVSKIJ
Negli ultimi dieci giorni di permanenza nell'isola (i quattro giorni previsti erano diventati trenta; era prossimo il dicembre, deliziosa primavera là nei tristi Tropici), l'agente indigeno del FBI che li aveva accompagnati a E1 Yunque, Federico Cadenas, li portava ogni giorno a prendere il sole sulla spiaggia più vicina, per migliorare sempre più lo stato del vecchio appena riacciuffato sulla sponda del Fiume che non ritorna. Cadenas era sempre armato e non cessava mai di guardarsi attorno, ma si teneva a rispettosa distanza. «Molto tempo prima di sognare Tesla, tu dicevi di possedere il raggio della morte, contro ogni genere di stupratori da punire per bene. Io ero incredulo, però...». Era sulla sdraio, il c o r p o flagellato dagli anni sorbiva il sole come desde una calabacita un màte caldo da una cannuccia. Ada gli sussurrava un massaggio in silenzio. «Però Tesla, proprio lui, Tesla il meticcio dei Nefilìm, aveva detto in una conferenza all'Istituto Franklin di Filadelfia che T e n e r 278
già di un solo pensiero può determinare il moto di un universo". La sola energia mentale di una piccola giovane Ada, la stessa che mi ha chiamato all'incrocio, non potrebbe aver suscitato in lei l'oscura forza che ha fulminato il chupacabra a E1 Yunque? ». «Molto prima che Tesla in visione mi pizzicasse in quel posto coi suoi elettrodi, io sentivo che avrei potuto, in caso di necessità, emettere il raggio! Nel primo sequestro spaziale gli Elohìm lo sapevano e ne erano terrorizzati. Todo encaja...». (Stava rapidamente imparando una discreta quantità di nomenclatura ispanica, ammirata da Cadenas, incantato dalla sua dolcezza nell'amare il vecchio). Aris batte sulla portatile, con la rapidità del lungo esercizio, di quando accompagnava le immagini scattate con un testo scritto, un esteso, scrupoloso rapporto sui loro due giorni nella foresta, senza tacere nulla, neppure l'attacco di diarrea tropicale. Mr Caupone ha richiesto che il rapporto gli sia consegnato insieme ad una lettura registrata. Ada dovrà dare la propria versione a parte, alla presenza soltanto del generale Cutter e dello stesso Caupone, per esaminare le concordanze. Una Holy Bible nera assorbirà il loro giurare di aver detto la verità su quanto visto e udito... «Dimmi, amore... ma... dovrei anche scrivere del raggio della morte, e in che modo è morto fulminato il perro maledetto? ». Aris riflette. « Gli americani "si vergognano di essere nudi", va tenuto conto della loro pruderie puritana... C'è da fare orripilare la Casa Bianca... una fregnolina che provoca la morte repentina di un animale minaccioso... Dirai che hai pregato, invocato il Signore... Non è mentire: è adeguare una spiegazione alla mentalità di chi l'ascolta». Ma per il governo americano, questo, come l'apparizione degli Aris-Ada spaziali, non è che contorno: l'essenziale è se ci siano state comunicazioni da parte delle entità aliene concernenti gli Stati Uniti. 279
Ci sono state. La voce, senza che le figure all'altro capo del tavolo si precisassero, è stata molto loquace sui rapporti con lo straniero umano; evidentemente volevano che a Washington sapessero... La voce, parlando dell'America, la chiamava ATLANTIDE. Parlando della terra la chiamava, ritenendola un grande animale vivente, ma moribondo, GEA (o anche ADAMA). Dicevano di essere lemuriani dell'Ovest, ponendo tra i loro antenati di Gea, trattati come nemici da Atlantide, le tribù indiane delle praterie. Dicevano molte cose riguardo ad Adantide-America come se ne conoscessero perfettamente il futuro, leggendolo nel Libro di un passato remotissimo. Dicevano di non preoccuparsi troppo del loro nemico apparente russo-sovietico: Atlantide avrebbe scuoiato senza sforzo, in un giorno non lontano, l'Orso siberiano. Doveva guardarsi invece da un oscuro nemico che già stava, ignoto ancora, occupando invisibilmente Gea (tema, questo, anche di altre profezie). I lemuriani dell'Ovest assicuravano di non aver disseppellito contro Atlantide l'Ascia di Guerra, accettavano di coabitare con gli adantidi su quell'isola, senza confusione di sfere rispettive, avvertendo con gentilezza formale di essere in grado di spazzare via in un attimo ogni loro installazione scientifica o strategica, qualora subissero molestie o trattamenti da Navajos da parte degli indelicati adantidi. L'incontro coi due giovani (sic!) venuti dal Mediterraneo sarebbe rimasto l'unico IR consentito a ricercatori d'Occidente e d'Oriente dai lemuriani dell'Ovest, fin verso gli ultimi dieci anni computabili del loro Eone. Poi il declino della Energia Vitale di Atlantide-America sarebbe cominciato inesorabilmente, nonostante il continuo crescere della sua forza materiale. Aris scriveva, scriveva - del tutto indifferente a quanto invece interessava gli (si può chiamarli così?) ameratlantidi loro amici visibili; ma per loro l'in280
contro realmente significativo nella ipotetica El Yunque ctonia era stato quello con i due Aris-Ada in nudità edenica di corpo eterico. Due disincarnati né ilari né tristi, parlanti muti, testimonianti la loro necessaria unione naturale e occulta, venuti ad incontrarli a capo del lunghissimo tavolo dove erano stati portati dai rapitori alieni. Tutto avrà il sigillo del Segretissimo di Stato. Il dottor Jesús Hernández aggiungerà i risultati della sua notomìa del chupacabras preistorico inesplicabilmente ucciso. Ma un'acuta domanda fu fatta a lei, al termine della lunga deposizione, da Diana Constable: «Non potrebbe essere accaduto questo? La tua devozione appassionata per Aristide, aver generato in te una energia psichica, infinitamente più rapida delle nostre mitragliette, al punto di uccidere per folgorazione l'animale predatore nell'atto stesso di mordere? Non sarebbe una prova che "l'amore è forte come la morte"? ». «Dev'essere stato proprio così» rispose Ada. * « Sei da invidiare. Io non ho mai cimato. Sono una funzionarla di Stato, ho un sesso di topo morto. Se intorno a me dieci o venti belve antropofaghe aggredissero un centinaio di uomini e di donne, io saprei soltanto sparare o scappare... Sì, sei da invidiare! Donne che sappiano amare di vero amore un uomo, in tutte le tre Americhe, quante saranno? Mille? L'amore è così innaturale...». «C'è un aereo che sta atterrando. Probabilmente rivedremo Von Braun ». Una violenta tempesta sgranocchia e calpesta, nell'inverno tropicale, l'isola dei lemuriani. Una ricaduta lieve di Aris, fragilmente provato vecchio, allarma il dottor Hernàndez che lo vuole far ripartire vivo, e gli prescrive subito altri due o tre giorni di in281
fermeria strettamente sorvegliata, nella stanza dove Ada può pernottargli accanto. Diluviale, la pioggia che batte sulla vetrata è restauratrice di calma - di nervi a pezzi, dice Kleftis, senza pistole, in camice astrofisico - e il malato è lucido, soltanto assopendosi delira un poco, ancora. Come adesso: « I castigliani delle caravelle erano tutti infetti! Ci fu soltanto scambio di bubas...». Poi bruscamente domanda se Von Braun è arrivato. «E qua fuori! Ti senti di riceverlo?». «Aristide! Caro Aristide» saluta dalla porta l'uomo-che-andrà-sulla-luna (sia pure per procura). Gli è offerta da Ada, che lo abbraccia, una sedia bianca. Ma in quel momento c'è un trambusto forte, nel corridoio e nell'infermeria, esclamazioni dei ricoverati di colerina, ordini secchi del medico: stanno portando un Marine (è il loro autista di El Yunque, David) aggredito, in una propaggine, non nel cuore, della foresta, da un chupacabra, che sfugge alla cattura e ai colpi. Nell'impossibilità di sapere se il perro maledetto avesse o no la rabbia, il dottor Hernández tra qualche giorno procederà, dice, a praticare la vaccinazione Pasteur. Da che l'osservatorio esiste, è la prima volta. L'attività del cane preistorico (ancora sotto esame nel laboratorio, in attesa di essere mandato ad una istituzione americana) si era limitata ad attaccare animali domestici, o altri selvatici, mutilandoli mortalmente. David si era scoperto il ventre: la terribile bestia, emersa come dal Nulla, gli ha inferto un morso atroce nel fianco ed è fuggita ringhiando orribilmente. «Partissero al più presto, quei due portadisgrazia! » mormora, non del tutto inudibile, esasperato, il medico. A San Juan, nella notte, e anche al El Yunque, sono stati avvistati tre o quattro Oggetti Volanti Non Identificati. Non li cacciano, sono scudati dal governo: ma si 282
comincia a considerarli pericolosamente portatori di Occhio, untori da Colonna Infame. Ada dice: «Non siamo sicuri neppure qui, tesoro... Andiamocene al più presto. Abbiamo bisogno di riposare... riposare...». Ha rinunciato alla Scozia, dove Thomas è pastore a Inverness, nelle Highlands. Per ora, almeno.
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La compagna è colei che accetta di essere la vittima. ANDRÉ SUARÈS
Avevo appena diciassette anni, lui ne aveva cinquanta, era sposato con Anja SemjaJkin... NINA KANDINSKY
«Ada, diamo a Wernher le sue foto di E1 Paso! ». Vedendole, Von Braun, appena arrivato, s'illumina di contento: «Finalmente! Nei tuoi scatti non ho l'espressione solita di pagnottone di segale prussiano! Divento Genio dei Missili... E un limite ma devo accontentarmi... La gloria degli IR è vostra! ». «Ne faremmo a meno volentieri,» dice Ada «per noi è un cammino di espiazione». « Di purificazione » precisa Aris-Aristide. Von Braun avrebbe certamente voluto andare con loro nella foresta, nel luogo del loro sequestro, alla frontiera mai segnata della Lemuria dell'Ovest, ma c'era su questo un divieto invarcabile di Eisenhower, del Federai Bureau, di Al Caupone, della CIA, della costituenda NASA, di cui era il direttore designato. Un Von Braun abducted, cielo che vergogna! Che sghignazzamento da parte dei sovietici! E se l'oscuro popolo sfidato non l'avesse mai più restituito... E se un maldito perro gli avesse sbrindellato una chiappa? Nessuna scorta armata era in grado di proteggerlo! 284
Del resto, non ci sperava molto, ma voleva ascoltare, un'ultima volta, l'amico Boronovici. «Abbiamo registrato una scrupolosa relazione a due voci, separatamente... E documento di Stato ultrasegreto, ma non per te di sicuro, Wernher, figuriamoci, a un Von Braun... Ma ti servirà poco, nel tuo lavoro... ». «In un genio del missile» sorride Ada «c'è spazio per noi, lattonzoli di galassia». « H o lo stesso fine vostro di incontrare dissimili, ma ho preso la via più lunga... E poi, nei globi meno irraggiungibili, non c'è un filo d'erba da brucare, sono pianeti morti, il sole è un astro che agonizza: voi li toccate con la voce, li ascoltate, avete familiarità con qualche umanoide meticcio... Potessi essere contattista anch'io. Pensate: mi attira perfino l'astrologia! E stupido negare che ci influenzino gli astri! ». «Negare è determinare, e "determinare è negare" dice il nostro buon amico Spinoza! Noi abbiamo constatato l'esistenza degli alieni attorno e in mezzo a noi: in quanto si tratta di testimonianze umane, possono essere inganni della fallibile mente umana. Se qualche uomo di Chiesa asserisse che uno spirito ci ha ingannati dovremo ¿immettere che questi spiriti alitano dentro e vicino a noi. Tutto è cominciato quando, nella repressione di Budapest di un anno fa... ». «Ah sì! Il farfallone giallo e blu apparso (o caduto?) sul blindato sovietico... Tu c'eri?». «Le Agenzie non mi hanno voluto ». «Ne sono apparsi anche negli Stati Uniti. Spariti subito... Ma qualcuno si lamenta, di là, nella grande infermeria». « E David, il Marine aggredito dal chupacabras, gli stanno facendo la vaccinazione antirabbica, quindici o venti jeringas di vaccino nel ventre, dolorosissime... Io sono scampato, il mio jberrò non era rabbioso. Ma qui sale il malumore contro di noi, è tempo che ce ne andiamo, caro Wernher... E il senatore Kennedy? ». 285
«Dovevamo venire insieme, poi all'ultimo momento gli è sopraggiunto un impegno... ». « Sì, a Los Angeles, con una donna! » disse Ada. « Digli che si guardi da Cuba, quando sarà presidente... ». «Ada ha poteri di veggenza» spiegò Aris a uno sconcertato Von Braun. Perché a lui solo Kennedy aveva confidato la natura del suo impegno a Los Angeles - e questa inquietante contattista lo sapeva! «... Anche da Dallas dovrà guardarsi! ». Li attraversò un silenzio. Fuori cadeva grandine come il pugno. Ada forse stava vedendo un film da una atemporalità di milioni di anni. Vedeva un groviglio di eventi, aerei in volo ricevevano un traumatico messaggio in codice. Pareva ad Aris, a sua volta, che ci fosse là, in zendale candido, Artemidoro che consegna un messaggio dicendo, a Cesare che non lo leggerà, « leggi subito ». Ada disse ancora, parlando a occhi chiusi: «Lui sarà molto generoso con la tua impresa Apollo. Ma non la vedrà compiuta». Il lamento del Marine era cessato. Il dottor Jesús Hernández irruppe nella stanza, scusandosi. Le condizioni fisiche di Aris, desiderando tacitamente la base che la strana coppia partisse al più presto, furono proclamate buonissime. «Tra un giorno o due questo rognoso maltempo dovrebbe cessare. Tenetevi pronti a partire. Mr Caupone e Miss Constable verranno con voi fino a Roma. Il nostro governo non vi abbandona». «C'è un modo di essere abbandonati che non dipende da nessun governo, per quanto potentissimo, dottore...» commentò Aris quietamente. Aiutato da Ada si rivestiva. Più tardi, incontrando Kleftis alla cena in onore di Wernher, gli disse in greco il verso di Giorgio Seferis che si era manifestato all'infermeria: Sulla ghiaia udii passi. Nessuno apparve. Li cercai: Fuggiti. 286
E aggiunse: éwu%ia; e Kleftis si rattristò. «Sai,» disse Ada al compagno, quando furono soli « h o visto che a Dallas, da punti diversi, c'erano più assassini appostati che sparavano dall'alto contro la macchina scoperta del futuro presidente, e lo colpivano. La scena era molto nitida. Sarà un lutto per il mondo. Era come la visione di Tesla. Nikola io l'avevo visto in foto, com'era a quarant'anni, ma non prima... E così mi è apparso, mentre mi metteva gli elettrodi... Oh amore! Questo mio potere mi angoscia... mi angoscia troppo!». Gli baciava le mani e piangeva. Avrebbe gettato i suoi doni di veggenza in una pattumiera. «Sì, Nada mia. Sono doni che fanno sanguinare, una specie di stigmate. Ma se tu non li avessi posseduti saresti stata una passante qualsiasi. Succede a volte di innamorarsi di una sconosciuta che mai ti sarà destino; stavolta il destino passava di là». «Voglio dimenticarla, quella foresta... Questi nostri atlantidi non ci capiscono niente... chissà se saremo riusciti ad aprirgli un po' gli occhi... ». Sentivano, ancora una volta, sul loro collo la mano inesorabile delle forze che abitano la massa cosmica, dove galleggia il puntino Puerto Rico, e anche il puntino Stati Uniti, e il puntino Luogo da cui erano partiti - alumbrados degli Stracci, erranti per le troppo vaste Città gremite d'invisibile e di visibile, fungaie di segni indecifrati, palpitanti di sciagure.
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«Tu te ne sei quasi disinteressato; l'hai vista, mi hanno detto, una sola volta e poi sei fuggito, ma a New York la tua mostra "alla carriera" per la Magnum sta avendo un successo raro» diceva Von Braun durante la loro ultima passeggiata, ai margini della boscaglia. «E anche il titolo che gli avete dato è azzeccato: "Tanta guerra poca pace". Mi diceva Cartier-Bresson che ti riprenderebbero subito, se volessi tornare a lavorare per loro! ». «Mi ero offerto per Budapest: nessuna risposta... Sono vecchio, adesso, per il mestiere! E sono diventato altro, uno che incontra alieni... ». «Credo avrai il Pulitzer. Dai, pensaci! La mostra, se sei d'accordo, andrà a Londra, Parigi, Trieste. Posso dargli una delle mie pose di El Paso, fuori catalogo? ». Aris lo interpella, finalmente, sul suo lavoro nel Quarantaquattro, a Peenemünde. «Là, avresti visto e documentato il nostro affannarci, il mio, per dare la vittoria a quel paranoico criminale. Ci telefonava ogni giorno dal Quartier 288
Generale... Io ce l'avrò sempre, sulle mani, il sangue che ho versato con le mie mostruose supposte di morte lanciate su Londra... sempre...». « Sangue sulle mani » intervenne Ada stringendogli forte il braccio. «Sangue sulle mani... Oh, sei in una larga compagnia! Ma... dopotutto, è una specie di superiorità, no? ». Questa sinistra ironia mise a disagio Wernher, e ancor più Aris. Ada rimase indietro di qualche passo per raccogliere qualche fragola, canticchiando il motivo di Harry Lime, di Anton Karas. Avevano rivisto, al cinema Champollion di Parigi, Il terzo uomo di Carol Reed. Aris in quegli istanti provò una crudele stretta al cuore, per infamie commesse nel suo lungo passato, che erano come sangue versato, d'innocente. Il comando aveva fatto alzare un elicottero, per non perdere mai d'occhio il pupillo del governo, il prigioniero a vita dei programmi spaziali di Stato. Se avessero visto muoversi anche un gallo selvatico, a qualche metro da loro, quelli dell'elicottero l'avrebbero incenerito insieme a un quarto di bosco. Il ronzio era molesto, insistente, agitava riguardi di manette. « Noi li chiamiamo Intelligenze, ma a voi sono parsi intelligenti i vostri alieni? E per di più superiori}». « So che a loro non mi sarebbe possibile parlare di Goya o di presocratici. E neppure di guerre, di guerre e strategie spaziali... di nulla... Però hanno una superiorità certa: non li disturba, non li angoscia, non li rapisce d'estasi il sesso, nelle forme, almeno, che angariano gli umani, eccetto i Newton, i Tesla... Ma su questo l'esperienza di Ada è stata significativa. Lei ha vissuto... che cosa, Ada? Vuoi dirlo tu al nostro amico? ». «Non è il momento, Wernher, scusaci, non possiamo». « La nostra superiorità, per altro verso, » disse Aris « è dovuta invece al dolore del sesso, al patirne come 289
retribuzione. Noi amiamo e soffriamo. I fiori di Rama sono velenosi». Il timido e chiuso Von Braun non ha impacci, con loro. «Veleno. Non me lo sono mai inoculato. Missili, Intelligenze asessuate. Ero in America da un paio d'anni e mi sentivo solo, in un Eden di vettori, come un Adamo buttato via. Ricordandomi che in Germania avevo una cuginetta, la Maria che avete conosciuto simpatica, no? - , Maria von Quistorp, ho combinato il matrimonio per telefono e ottenuto a stento, perché ero un obiettivo militare, di partire per sposarla. Maria aveva appena diciotto anni e io trentacinque... Tra un paio di giorni vedrò quelli del Pentagono: l'amore non li ha mai disturbati, sono efficientissimi però... Sesso? Neppure come cultura freudiana! ». «Noi invece siamo pieni di cicatrici, di ustioni, di cerotti, di Anni Zero! ». Era quasi ilare e viva, dicendo questo, Ada. Von Braun fece un gesto per cacciar via come un calabrone l'elicottero abbassatissimo, lo seccava non farsi intendere. «Vi dirò: salta agli occhi che la vostra impronta è nella cera della passione, che non siete alienoidi né umanoidi! Tornate in America, sareste un ostacolo vivente alla sua disumanizzazione! E vi sarà facile anche, volendolo, sparire. Purché io possa ritrovarvi. Certamente la NASA e io avremo bisogno di voi! ». «Dappertutto ci sono morti da far risorgere». «Non sempre ti capisco, Aristide, e di te, Nanda, so talmente poco; ma la nostra amicizia è fiorita su un buon terreno. Mia moglie e le ragazze, anche loro, sperano di rivedervi». Von Braun è triste di congedarsi da loro; racchiudono una realmente vissuta esperienza dell'Oltre che supera infinitamente il punto estremo al quale la sua fantastica energia propulsiva potrà mai arrivare. Aris-Ada sono mille, centomila Von Braun e ra290
diotelescopi di Arecibo. Sono intelligenze che amano: un grano di sabbia nel suo uretere mentale. « In Italia, » sogna Aris « quando Ada e io ci siamo incontrati il cielo era gremito di rondini; adesso sono tutte qui, ed è peccato lasciarle ». L'elicottero si stava allontanando. Il vìejete e la sua compagna rientrarono soli.
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Il congedo dall'isola, rossa e lentigginosa di enigmi, di interrogazioni, di denti feroci, di vite precaraibiche e preatlantiche oscuramente fatidiche, ebbe momenti di tensione altissima - perfino di rimpianto. Li avrebbe segnati, quel Luogo inospitale. L'addio alla Base fu caloroso e struggente. David, alla quinta o sesta puntura antirabbica, era venuto, zoppicante, su stampelle, ad abbracciarli. Un gruppo di piloti da caccia e di Marines regalò a Nada una catenella d'oro con l'immagine della Vergine di Guadalupa, applaudendoli significativamente. Kleftis scaricò in aria le pistole di Pancho Villa. Gli fu largo di sorrisi lo stesso generale Cutter, l'agente portoricano volle scortarli fino a Mayagùez, dove l'aereo dell'Air Force li attendeva. L'allontanarsi della loro presenza perturbatrice era per tutti un sollievo. Salirono con loro sull'aereo alcuni ufficiali che andavano a Guantánamo di Cuba, Al Caupone, due agenti federali, Diana Constable e un suo gatto, che voleva far curare da un famoso veterinario romano. 292
Il viaggio li attendeva lunghetto: dopo Cuba l'aereo avrebbe sorvolato le Bahamas e sarebbe atterrato a Miami, dove era atteso, per faccende di Casa Bianca, l'Ombra della Sera. Il volo era stato apposta studiato perché l'arrivo non avvenisse di giorno, nel caso fosse trapelato che a bordo c'erano i due troppo famosi frequentatori di alieni. La notizia del chupacabras, e dell' abduction della foresta era stata ormai trasmessa dalla United Press e dalle altre Agenzie. La sosta a Cuba fu di minuti. Scesi gli ufficiali, salì a bordo un giornalista italiano, che li riconobbe immediatamente, contento di fare il viaggio con loro fino a Roma. Gli fu spiegato che desideravano, data l'abbondanza di posti, restare appartati. « Capisco, » si rassegnò «però guardate qui». Gli mostrò un giornale castrista, dell'Avana, dove in cubitali si leggeva: « L'imperialismo americano messo in imbarazzo dalla coppia italiana che parla con gli alieni - A Puerto Rico decine di perros chupadores aggrediscono i Gringos di Arecibo ». Al Caupone e i due federali erano fimosi; Miss Diana rideva apertamente. Aris era preoccupato: fino a quando avrebbero dovuto vivere protetti, dormire fuori casa? «Accetterei la parte di puta dei Tre Mondi, » disse Ada «purché i chupacabras della stampa e della televisione non mi infangassero il titolo glorioso». Al Caupone le mise tra le mani un libro appena uscito in Italia: Manuale di sparizione di Filippo D'Arino. «Vi insegnerà a sparire del tutto, trasformandovi, cambiando identità e Stato... L'ho fatto tradurre per i nostri agenti. Vi sarà utile: ma comunicate almeno a me la nuova assunzione di identità! ». « Io » sorrise Ada, come un'Iside velata « ho un metodo spiccio per far sparire qualsiasi molestatore ». Aris comprese: gli piacque immaginare una strage di paparazzi, fotoreporter, operatori televisivi, inviati di Publifoto, intervistatori di ogni lingua e Stato tutti inceneriti da ripetute irradiazioni dell'arma se293
greta di Tesla, nascosta come un fuoco inviolabile di Vestali nel tempietto oscuro di Ada. In quei meandri di immaginaria crudeltà vendicativa lo appagavano lunghe respirazioni nel cortinaggio interminabile di nubi bianche. Dalla coda partirono invocazioni e parole del salmo 91, talismano dei periclitanti. «Ah,» spiegò Diana al giornalista italiano che si era riawicinato ansioso « è George, uno dei nostri agenti: è coraggiosissimo, ma ogni volta che sorvoliamo le Bahamas è preso dal panico: teme che l'aereo scompaia, cosa già successa anche alle navi o ai nuotatori in vacanza, o precipiti in un fiat... E un devoto pentecostale e fa scongiuri religiosi finché non ne siamo fuori... ». Chiama il militare di servizio e gli ordina di portare le gocce antipanico a George, inchiodato dal terrore delle inquietanti Bahamas. Il comandante raccomanda ai suoi scarsi ma importantissimi passeggeri di restare calmi, di non preoccuparsi se tra poco la macchina volante si metterà a ballare e a sbandare come un convulsionario; « Siamo nel maleficio delle Bahamas » conclude la voce r assicuratrice. Ma non tanto... Gli scossoni allarmerebbero qualsiasi cuordileone. Dopo George tutti si umettano la lingua di gocce antipanico Brogar, fatte apposta per viaggiatori e sorvolatori di Bahamas. George grida più forte, incontra ripetutamente Gesù, riprende la recitazione preservatrice con voce malferma, senza intervalli. «Mai avuto un sorvolo così cattivo!» coglie bene la situazione il navigatissimo Caupone, che ha sorvolato cento volte l'arcipelago. E sogghigna rivolto ai suoi due leggendari protetti: «Purtroppo, è colpa vostra... Voi attirate tempeste magnetiche, risvegliate titani che dormivano, provocate collisioni con UFO chiamati da voi stessi, vi mordono perros con le ali, avvengono cose inspiegabili!! Eppure dalla Casa Bian294
ca mi comunicano che il Presidente ha trovato le vostre relazioni su Puerto Rico molto interessanti, e mi ha incaricato di ringraziarvi... E addirittura di invitarvi a tomare, a risiedere negli States, poveri noi... Anche Von Braun vi vorrebbe vicini per i suoi progetti Apollo, "per disintossicarlo dalle cose che si capiscono" dice... Però, dovunque andiate, ci obbligate a proteggervi, a farvi dormire nelle caserme, la gente ha paura di voi come nel 1937 dello sbarco di marziani a Grover's Mill... Neppure per Roswell ci sono state tante polemiche... Accidenti, che urtone! E laggiù tutto calmo, il mare è un olio, i nudisti si lucertolano nel sole caldo... Scusatemi lo sfogo, ma con voi non c'è mai riposo! » Aris e Ada, bianchi in faccia come Berenici e Ligeie di Edgar Poe, e tuttavia desiderosi di lenire le sciagure del mondo, assentivano ingenuamente, incapaci dì difendersi; era vero, la loro presenza in un luogo faceva esplodere l'enigma ufologico e rendeva superflue le penetrazioni radiotelescopiche nel vacuum astrofisico, alla ricerca di voci lontane che, in realtà, inviano messaggi a ricettori umani da vicinissimo. Il giornalista italiano, Maimonidi, inviato di « Paese Sera», al quale nessuno badava, ogni dieci minuti correva barcollando indecorosamente alla toilette, che era prossima a dove George il pentecostale non finiva di ravvedersi, e ora aveva eletto a parola di salvezza il salmo 23. «Allegri! » annunciò il comandante. «Tra poco avremo superato le Bahamas! Laggiù è Nassau, viriamo a cinquemila di quota per le Florida Keys e tra suppergiù un'ora, senza troppo ritardo, vi sbarco tutti a Miami! Al, tranquillizza i tuoi italiani... ». Efficace, la voce fu accolta con giubilo. Il comando è il comando. Dopo pochi minuti seguì un'altra comunicazione: «Avverto i signori passeggeri che nella notte passata tra gli Stati Uniti dell'Ovest, Messico e America Centrale ci sono stati tredici avvistamenti di UFO. 295
Scendiamo a quota duemila... La nostra rotta...». La voce dalla cabina, non più pacata, si perdette in un farfuglio. L'aereo si abbassò traumaticamente di circa tremila metri. Aris e Ada avevano le loro mani così strette che avrebbero potuto uscirne gocce di sangue. La radio di bordo si era messa, conforto, a cantare Serenata a Vallechiara, beniamina del mondo. « Teniamo la rotta» disse ancora la voce. Ma no! Dalla rotta erano perfettamente fuori; la bussola era preda di un aggressivo campo magnetico e l'aereo era prigioniero di forze strane che lo stavano portando verso nord-est, ben lontano dalle Florida Keys e da Miami. Dopo circa due ore in pieno Atlantico l'onesta voce del comandante tornò a rassicurare i passeggeri, naufraghi su una navicella che viaggiava senza bussola appesa al becco dell'Angelo Sterminatore... «Siamo a trecento chilometri dalla costa della Georgia; scendiamo per rifornimento e un altro apparecchio vi porterà a Miami. La colpa è... di quel maledetto Triangolo del Diavolo. Bisognerebbe cancellarle con una bomba dalle mappe quelle isole! ». Campi magnetici, sì, ma chi, che cosa li rende in quel triangolo così torvi - e perché? Al Caupone scrutava arcigno le facce contrite, da imputati innocenti, del professore sciancato e della sua compagna specifica - una coppia di amanti assurda, come quelle deviazioni magnetiche, come la vita sulla terra, come il mantello di tenebre che ricopre le origini, le connessioni spaziali degli irrivelati abitatori del mondo al di là dei tempi. Da Mayaguez a Miami, dove finalmente sbigottiti sbarcano, circa ventiquattr'ore. Regolare, dopo un giorno di cielo terso in Florida, gradevolmente orlati di caldo, il volo fino a Roma. Quattro mani premurose aiutano un Aris del tutto ubriaco di fusi orari trincati a discendere la scaletta. L'aria è fredda, il dicembre continentale è vici296
no. Ai piedi della scaletta c'è un poliziotto con baffi seri, largo di sorriso: « Giusepponi! ! » grida Ada. Il ministero, previdente, aveva mandato a Ciampino un'ambulanza con un medico. Li porterà all'Hotel Valadier, vicinissimo a piazza del Popolo, dove c'è quiete, vecchie camere, una bella suite con tappezzeria simpaticamente logora tutta per loro.
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In te è tutta la mia salvezza. E tu abbi per me un pensiero: è un dovere d'uomo, della felicità goduta, ricordarsi. SOFOCLE, Aiace, 519-521 L'energia di un solo pensiero può determinare il moto di un universo. NIKOLA TESLA
Aris con la stilo nera scriveva su un grosso quaderno le prove per cui erano passati, Ada con penetrante leggerezza e adeguata conoscenza del corpo gli massaggiava la rovinante schiena. La loro casa, nella loro città, era il migliore dei rifugi, mentre dovunque andassero se riconosciuti li accoglievano facce e stampa ostili o sospettose, per il loro potere di attrarre gli UFO e il pericolo di rapimenti spaziali stigmatizzanti. Dalla loro città invece grazie al coraggio e alla passione arrischiata di Ada gli UFO erano spariti, i sequestri non più temuti. Al porto, in centro, nelle periferie, nei dintorni potevano passeggiare senza occhiali neri, ragazzi gli si avvicinavano rispettosamente chiedendo di firmargli e dedicargli pezzetti di carta. Tuttavia, non lontano, Giusepponi sorvegliava la situazione, insieme ad un agente in borghese. Il « Corriere » di Mario Missiroli era andato in cerca di graffiti che li riguardassero, in Città degli Stracci, stazioni, ospedali, teatri, fabbriche, lungofiumi: il bottino era stato ingente, e il direttore, con un certo ma298
lumore della proprietaria, la signora Crespi, aveva pubblicato in prima, su due colonne, un'antologia dei più storicizzabili. Tutti provenivano dal fondo refrattario, fradicio, del cuore umano. Muro esterno di San Vittore: «Ada non dimenticarti di noi carcerati di San Vitore senza niente amore ». (Stessa scritta in una cella, lasciata libera da un suicida, a lato della brandina). «Ada i vecci pissioni di questo Ospissio piangono». «Tu che sei grande puttana cosmica non battere soltanto i marciapiedi delle galassie! Pensa anche a noi poveri maschi senza nessuno ». Sanatorio ad Arco in Trentino, dove era stato ricoverato il pittore Scipione nel 1932: «Ada, saresti la più grande delle puttane solo se venissi a farla qui da noi che nessuno vuole ». « Cara Puttana degli Spazzi, gli operai di Sesto ti aspettano per fare gli straordinari». (Analoghi graffiti alla Fiat-Lingotto e alla Mirafiori di Torino). Aula scolastica (Liceo Mamiani di Roma): «Non sono finora stato a letto con una puttana cosmica ma ho speranza». Gabinetti di casa di tolleranza in via delle Volte a Ferrara: «Le vostre fanno pena! Assumete la Nada del professore Boronovici! ». Osservatorio di Trieste: «Margherita, i tuoi telescopi sono ciechi! Per incontrare gli alieni bisogna essere puttane cosmiche! ». Il commento era firmato da Eugenio Montale, scettico irriducibile; ma Dino Buzzati aveva risposto, il giorno dopo, che Ada e Aristide avevano tante probabilità di essere credibili quanto uno dei quattro Vangeli canonici. E li pregava di venire a fargli visita in redazione in via Solferino. «Non me ne importa di essere "puttana cosmica" fin nei cessi pubblici» s'immalinconì Ada. «Però mi fa ribrezzo che lo scrivano così villanamente i gior299
nali, e che un epiteto così scabroso da maneggiare (solo da uno scrittore autentico, o da te, o da quel timidone di Wernher lo accetterei... me lo sono dato io stessa...) lo diffondano degli insensibili, dei superficiali! Così mi sento marcata come una vitellina da mattatoio, è un timbro, un certificato "si ammazzi pure"... Che mi pensino pure gli operai di Sesto nei loro letti coniugali, ma che qualcuno dica "sbattiamo su tre colonne la puttana cosmica" mi fa sentire una suorina vergine violentata, e priva di raggio Tesla... ». «Hai perfettamente ragione! Ma i giornali ricevono le soffiate da spiriti del Male. I loro archivi raccontano le loro gesta... ». Il loro conoscersi, in tanto esistere avventurosamente, non aveva mai cessato di approfondirsi, perché implicava erotismo e solo molto marginalmente sessualità, e innanzitutto l'onnicomprensiva, lungimirante immanente dimensione atemporale della compassione nel costante pericolo del gorgo, del naufragio. In questi casi non ci sono esiti, perché tutto è esito, e non c'è exitusmortale; perché, «in un amore felice », la Morte, al hombro la cuchiUa, carta numero Tredici, scrivibile tra i fatti, è Non Luogo. Ma grande è la fatica. Tutto ciò che è bellezza è fatica. «Ascolta, Aristide...». Quando ne pronunciava per esteso il nome Ada denunciava un'angoscia e annunciava una richiesta urgente o una decisione presa. «Ascolta, Aristide, devo avvertire Von Braun che poco dopo il suo trionfo alla NASA ci sarà un crimine sanguinoso negli Stati Uniti, un crimine che spartirà il secolo - oppure tacciamo, perché abbiamo visto che è un uomo sensibile e che teme il futuro? ». «Io tacerei. Non sventeremmo nulla. Al più, lo direi a Caupone...». 300
« Caupone? Lui sarà via da ogni incarico da molto tempo... Tanto avverrà ugualmente. Terrò chiuso il sipario, aiutami a non aprirlo se non è necessario. Quando andiamo a Belgrado? ». « C'ero stato poco dopo la guerra, ho qualche amico che vive là, lo scrittore Ivo Andric, un'attrice... Gli italiani erano molto malvisti; non vedevi che ritratti di Tito... No, andarci in inverno è sconsigliabile, soffia la kosava, un vento nordico peggio della bora... Potremmo andare là in maggio, Tesla aspetterà la nostra rosa... Se saremo... se sarò vivo, se no ci andrai tu, con qualcuno dei nostri! ». «Ascolta, Aristide... ». (Ecco, pensò lui, sta per dirmi che vuole allontanarsi per un periodo da questa casa e da me; infatti a questo preludeva il secondo «Ascolta, Aristide ») : «Sono riuscita a trovare la parrocchia attuale di Thomas, in Scozia e... gli ho parlato! Mi ha proposto di incontrarlo a Londra: ritrovarlo sarà un bagno di sofferenza, ma lui non parla a vuoto, mi farà bene ascoltarlo... Perché il pensiero di quella cosa mi urla dentro, nonostante il tuo amore e tutto il resto. Andrò sola. In meno di dieci giorni mi rivedrai. Perdonami... Non restare solo... ». « Sì » disse lui. « Io non devo entrarci... Dopo, se vorrai, mi dirai tutto. Parti, amore, e che questo rientro nel passato non ti spezzi». Ada gli nascose la faccia nelle mani, i fogli dove Aris stava scrivendo si sparsero. «Un uomo giovane mi avrebbe fatto storie! Grazie, oh grazie...». «C'è del buono, a essere vecchi... va', torna presto... e di' a Thomas che... noi ci amiamo... ». «Ha letto di noi sui giornali, ci ha visti e seguiti, dal Marrano ad Arecibo. Mi è parso molto scandalizzato. Faticherò a fargli cambiare idea... ».
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Non partì subito per Londra, Ada; Thomas aveva impegni nella sua parrocchia di Inverness. Ma non furono mai di noia e ripetizione le loro giornate di coppia succhiamammelle avare della Vacca Felicità la Forte, la Dissanguata... Erano in un caffè del porto, la giornata invernale tiepida e di poco vento; una Alfetta passata col semaforo rosso strisciando Aris sul fianco ne aveva poco prima buttato il bastone a terra, spaventandoli. Dalla vettura si udirono sghignazzamenti. Ada disse che «a due tipi così» avrebbe fatto volentieri il trattamento Tesla. «Vorrei averli qua davanti! ». Ma si morse le labbra: averceli davanti, lei inferocita, equivaleva a una duplice esecuzione. Ordinarono due gelati al limone. Accanto a loro era seduta una prostituta che li riconobbe e li salutò molto rispettosamente. Aveva la faccia così truccata da non essere, le avessero controllato il passaporto, riconoscibile. Si protese verso Ada: « Sono Paolo » disse piano. « Ho i malanni di tutti » disse la bambola dipinta, impregnata di profumo ignobile, vera lupa. « I medici dicono che ho il fegato bruciato... Lascerò il mio corpo materiale nella sporcizia della Città degli Stracci vicina all'osteria... Beh, ci penserà il Comune...». «Ma tu, caro, sei un Elohìm! ». «Sì, e tornerò tra loro dopo un periodo di riposo, e anche qui, forse, potrei voler tornare, ma per voi si tratta di cronologie incalcolabili. Ma anche gli Elohìm svaniscono, nessuno è eterno... Sono contento di aver aiutato Ada, e protetto il vostro gruppetto "così in alto come in basso"... Ciao... ». La figura stradipinta si avviò all'uscita, risvegliando la libido in un puttaniere di buon cuore. La bambola gli fece cenno di no con una mano spropositatamente lunga. La notizia di un barbone alcolizzato, ritrovato morto ai piedi di un muretto infrequentabile, apparve sul giornale 302
locale due giorni dopo. La prossimità col Marrano era messa in rilievo. «Ascolta, amore. Dimmi a cosa ti fa pensare questo passo ». E lesse, lentamente, a lei attenta, su una panchina, Aris: «"Camminavano insieme, parlando, ed ecco un carro di fuoco e dei cavalli di fuoco mettersi tra di loro: Elia in un vortice ascese in cielo". E nel secondo Libro dei Re, capitolo 2, versetto 11 ». «Ma è abductionl » gridò Ada. «Carro di fuoco o piatto volante o UFO sono la stessa cosa! ». «Verrà anche per noi il carro di fuoco... réchev iésh...? e ci porterà via... a ritrovare, a essere, la coppia eterica che ci era venuta incontro nella cripta dei lemuriani dell'Ovest? ». « O h Dio, Aris mio, io sarei felice fosse domani! ». «Per te il compimento è già avvenuto...». Li circondarono alcuni bambini. Aris le rispose rivolgendosi a loro, come a scuola: «Ogni momento può essere per ciascuno l'ora del carro di fuoco. Quando tutta Parigi vide l'Oggetto incandescente al di sopra di Saint-Etienne-du-Mont avevo pensato: forse è venuto a prendere gli sbrindellati elia che siamo, liberandoci d'un colpo da vita e morte! ». I bambini ridevano. Invece delle squallide tre lettere UFO, in un'epoca di fertili connubi tra il linguaggio e l'immaginazione, l'Oggetto venuto dagli spazi o dalle tarlature planetarie sottomarine, o dalle basi segrete di E1 Yunque, del Musinè o delle Bahamas, era chiamato da alcuni autori Carro di fuoco, come attestato dal rapimento di Elia - che, diceva Aris, per nulla l'avrebbe meritato. Ma importa il linguaggio, non l'accaduto. La sera prima della partenza per Londra di Ada (costernata per la fine apparente di Paolo, il più ama303
to da lei dopo Aris) tutti loro, l'originaria crema dell'ufologia nazionale, erano presentì in più tavoli riservati presso la risorta osteria del Marrano. La padrona Amanda era raggiante e aveva migliorato di parecchio la sua cucina; Giusepponi e quattro agenti addestrati a reprimere sommosse vigilavano. Amanda aveva collocato uno schermo televisivo fatto venire apposta da New York, non ancora in commercio in Italia. Di colpo, appena servita una intricata zuppa marranica le luci si spensero e i cucchiai tacquero - senza che nessuno, eccetto Amanda, provasse timore. Lo schermo si accese e apparve una stanza buia flagellata da un fitto intrecciarsi di violente scariche elettriche, come si annunciasse un uragano dei tropici, ma asciutto, artificiale. Poi si vide, ma di spalle soltanto, un uomo altìssimo intorno al quale volavano alcune colombe candide. Una cadeva al suolo per uno sparo e si vedeva il braccio dell'uomo raccoglierla amorosamente. La figura parve, in un inglese gracile, dire: «Fai bene, Nanda, a seguire il tuo impulso e a partire per Londra: ti costerà tormenti, ma ne tornerai più libera, più forte per le vostre prove future... Ascolta, Nanda: avete detto "in maggio a Belgrado" e in maggio sia. Le mie ceneri si trovano nella palazzina Déco che ospita il Museo Tesla nel centro cittadino. Lasciate là, in raccoglimento, recitando la sillaba AUM che io ripetevo spesso, la vostra rosa». Farsi pubblicità come «Ritrovo dell'Ufologia Mondiale » l'Amanda teme non sia senza pericoli. Ricorda l'assassinio, lo spogliarello, l'inchiesta archiviata, l'incendio da parte di ignoti - i continui oscuramenti, le mutazioni di frequenze radiofoniche e ora televisive... E il ritrovamento del filosofo alcolista morto, nel vicino deposito di putridumi, le luci accese di notte nel locale sprangato, Ada sparita in quel punto per il suo primo sequestro spaziale... Le si legge in faccia la perplessità: non era meglio vendere tutto, o apri304
re una fetida pescheria, una bottega di bottoni? E l'umanoide che raccoglieva una colomba ferita in mezzo a una tempesta di fulmini concentrati in una stanza, chi sarà mai stato? Nessuno mangiava più. Tutti tacevano. Lei assente, la seguiva negli incontri di Londra, nella sua inaccettabile consapevolezza di madre infanticida impressa in sé definitivamente. Nelle crisi di rimorso, la puta dei Tre Mondi di Puerto Rico, la baccante sverginatrice di moltitudini di Refahìm senza nome, era un piccolo volto di marcata nell'immondo terrificante Lager del più terreno esistere, la colomba ferita che la mano di bodhisattva di Nikola Tesla raccoglieva nella colata delle fulminazioni. « La sua voglia di dimenticare il sangue innocente sparso dalle sue mani è umana» pensa Aris «ma non rimuove le imbrattature di tenebra, non taglia ogni radice pentirsi, dell'albero di morte che siamo stati». Rina, la bagnina, che prima di aver spianato, nel suo chiarore carnale, le grinze bosciche di Aris, ignorava la data del secolo di Roswell, e ora sull'argomento ha letto tutto ciò che la lingua nostra ne ha scritto, sta rifacendo il giaciglio dove passeranno insieme la notte. Con gioia, incontrandolo col gruppo, ha accettato, a una sua richiesta muta, di occuparsi di lui, di offrirgli col suo corpo dai fianchi potenti alla Auguste Renoir l'aroma estremo delle rose della vita. La donna-scaldaletto è uno splendore nascosto nel sotterraneo fremere cittadino, triste chi non l'alimenta. Dappertutto, nella ruota, a un momento dato, la donna di Sunem è chiamata al capezzale di un David che ha freddo, abbandonato dalle concubine nel letto vuoto, mentre le iene e gli sciacalli del deserto arrotano i denti intorno alla sua casa. 305
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Thomas si è preparato all'incontro con Ada consultandosi con un amico psicoanalista di scuola junghiana e uno grodeckiano; entrambi lo hanno incoraggiato a vederla, senza timore di mostrarle la bambina che gli era nata un anno dopo aver lasciato la loro casa di Londra; di comune accordo, lui e la moglie l'avevano chiamata come la piccola morta: Dunia. La Nanda di oggi, la compagna di Aristide, ospite dell'albergo dell'Esercito della Salvezza nell'East End dove ha salutato qualche caporalessa che la ricordava, sogna Dunia che corre intrepidamente sul filo tra due case altissime, un'impresa neppure tentabile per Ralph Cunningham, e sotto non c'è nessuna rete. Nel percorso inverso Dunia precipita e la folla nella via urla urla e Ada getta un grido da rompere le finestre sigillate della più sinistra insensibilità umana. Allarga le braccia per accoglierla e il sogno svanisce in quel punto. Si riaddormenta dopo un paio d'ore e sogna di percorrere una Londra tutta fatta di Città degli Strac306
ci cucite insieme, sterminata e deserta, gridando il nome di Aris per intero, come un altoparlante ferroviario: «Mr Boronovici! Aristide Boronovici!! Boro-no-vi-ci! ! ». I lampioni si facevano sempre più radi ma c'era un chiarore di luna piena - eppure diluviava. Aris non compariva. Qualche giorno dopo, all'indirizzo Boronovici arriva una lettera imbucata il giorno stesso dell'arrivo di Ada nel cuore nero dello strepito della Victoria Station. Era stata scritta evidentemente in treno, forse dopo una notte insonne, da una penna Waterman caricata nel profondo degli abissi umani, dove il silenzio dei mostruosi fondali è il pronao sperduto di un santuario al Dio Ignoto; ma la grafia emergeva chiara, in ranghi agitati in via di placamento. Sono un po' meno di tre fitte facciate. Esordiva così: « Aris mio, mi trovo adesso tra Parigi-Nord e Calais, e voglio dirti che la tua Ada ti ama con tutti i suoi tre nomi e non pensa minimamente a scomparire dalla tua, che è anche la sua, vita... Ho un legame di vite vergine con tutto quel che tu sei, inestricabile, pur nell'estrema discrezione che ci caraterizza [scritto con una t sola]; perché tu non hai esitato a chiamarmi e ad amarmi senza neppure conoscermi e questo mi fa respiro dentro il tuo respirare. Ma bisognava proprio che tifasse messa, non si sa da chi, tra le mani, una puttana comica [chissà se intenzione della scrivente era di aggiungere dopo la o una esseì] per darti tutto l'amore che volevi e che non hai avuto? una cagnetta randagia che aPuerto Rico cartellonavano come puta mundial? una addirittura più mundial, adesso, di quella stazzonata Marilyn, una con un passato, nella propria sua carne, di inf... [la parola era completata con una macchia] ». La lettera proseguiva con un'esplosione di frasi, immagini e voci basse del vocabolario, di una veemenza tale da non poter essere consegnata ad una pagina di libro; ricevibile soltanto da un destinata307
rio unico, il solo in grado di essere avvolto da quel fuoco impiumandolo di smarrita gratitudine. Una lettera d'amore come quella appartiene all'Indistruttibile, fra quanto di distruttibile ci sia tra stracci statici stratificati. I suoi pezzetti di carta mani anonime li buttano in sottostanti laghi di stracci dalla torre grigia altissima di un irraggiungibile gineceo di recluse. L'ultima facciata saltellava tra bianchi di spazio, linee desultorie, sospensioni di puntini. Niente limitazioni o censure di contenuti: l'intrepida lettera, raggio vivificatore, emesso dal più oscuro e tenero dei laboratori, andava cessando d'impeto tra rotte grida, invettive di misoginia autoflagellante, ansie, terrori, altre rivelazioni sul recente passato comune, fino al proposito di esaudire al più presto il voto di Nikola Tesla al museo di Belgrado, e questa domanda in Post Scriptum: «Non vedi una somiglianza, una ambiguità parallela, tra quei due, il nostro Paolo e Tesla? Chissà, saranno insieme?». La firma era in larghe maiuscole interiori: « la tua Ada issima, la tua Nada, la tua Nanda». Sul terzo nome era tracciata una specie di reticolato di guerra, che ne sgraffignava la leggibilità. Aris ripiegò i due fogli della lettera e li ripose sulle ossa scricchiolanti, nella buca delle costole, dalla parte del cuore. L'accordo era che lei non avrebbe telefonato, da Londra, per via dei troppi demoni appesi come pipistrelli, giorno e notte, ai fili. Ad Aris pervenne invece una telefonata dalla Magnum che gli annunciava un prossimo trasporto della mostra fotografica (trecentomila visitatori a New York!), per un mese, al museo fotografico di Tokyo. Gli Alinari l'avrebbero voluta ospitare subito dopo nella loro galleria di Firenze. 308
La mano trafìtta dalla morsicatura di E1 Yunque s'imperlava di sanguigno e lo punzecchiava, ogni volta che un'emozione l'attraversava. Il 2 o 3 maggio sono sull'Orient-Express che attraverso la Iugoslavia arriva ad Atene, e fin dal predellino avvertì l'odore di decomposizione stregato e nauseabondo dell'Asia, continente degli Stracci. Le facce infide e senza sorriso abbondano, sul marciapiedi e sul treno. L'altra Europa è dissimulazione di Caos primigenio, con innumerevoli presidi militari a guardia di tutto quel fermento che non cessa mai di disfarsi. Dentro l'Est non si va per motivi frivoli. Per metà i Balcani sono terra d'Islam. I regimi comunisti hanno infettato tutto. L'Orient-Express è stiva rullante di calvari. Da Villa Opicina al Pireo puoi essere incolpato e vittima di tutto. Il treno è lento come un accelerato delle ferrovie italiane, rimane fermo per ima trentina di minuti nelle grandi stazioni. I due viaggiatori nel malchiuso vagone-letto dormono malissimo per il surriscaldamento e una goccia che cade nel lavabo implacabilmente. Verso le quattro, in una piccola stazione non lontano forse da Sarajevo, il treno si affloscia. Il freddo appanna i finestrini, illeggibile è il nome della stazione. Il silenzio è penoso, l'altoparlante è muto. Dopo una quindicina di minuti c'è trambusto, ordini secchi, latrati. La polizia controlla ogni scompartimento. Gli assonnati allarmatissimi devono esibire il passaporto; Aris ha pronti il suo e di Ada, richiesti con gentilezza da un ispettore in borghese affiancato da due temibili facce di gendarmi con due alani al guinzaglio dall'aria ciupacabra. L'ispettore li esamina, ha un trasalimento e dice a uno dei gendarmi: «Di' che li abbiamo trovati. Il treno può proseguire! ». 309
Il loro bagaglio viene minuziosamente frugato: tutto all'aria... « Come mai questo? ». (E il solito arciduca Rodolfo che Ada porta con sé in valigia come talismano). « Un ricordo della mia bisnonna... ». L'ispettore parla in un fluido italiano, Aris risponde - calma furbizia - con quanto ricorda di serbocroato dei suoi antenati austroungarici. L'atmosfera si distende. «Boronovic?». «Antenati di Gorizia. Dopo il 1918 la famiglia prese la i italiana insieme alla cittadinanza». «Oh! Tesla?». L'ispettore, tra i libri del bagaglio, ha trovato una biografia illustrata. Il libro è in inglese, il ritratto del geniale inventore è sulla copertina. L'atmosfera è sempre più distesa. « Che cosa intendete fare nella capitale iugoslava? ». «Visitare il museo Tesla e ripartire». «Voi sapete che dappertutto vi precede la vostra fama di ufologi che attirano piatti volanti e sequestri spaziali? ». «Purtroppo... Ma non è colpa nostra... Non pensavamo che anche qui... ». «Anche qui ci sono giornali. Il maresciallo Tito vigila che la stampa sia libera! ». «Così troveremo fotografi...». «Vi aspettano scienziati, interviste... Preparatevi». All'ispettore preme essere rassicurato su un punto: che cosa pensano i due stressati ufologi del maresciallo Tito? «E certamente uno dei più grandi uomini di Stato della nostra epoca! ». (Aris non ne è del tutto persuaso, ma butta giù l'asso che ha nella manica, infallibile: incensare il Potere). «Forse Lui vi inviterà a Brioni... Io ho queste disposizioni: potete rimanere da noi anche più settimane, ma al primo avvistamento di UFO nello spazio iugoslavo sarete immediatamente espulsi ». L'ispettore saluta benevolmente e domanda scusa 310
per lo scompiglio recato; offre limonata, yogurt fresco, caffè caldo, da un carrello fermo nel corridoio. Nei due alani si è accesa una luce di mitezza inattesa. I poliziotti scendono alla stazione di Sarajevo. I temuti stivali si allontanano. Il riscaldamento si è guastato, e ora nel loro scompartimento le mani agghiacciano. Anche un semplice museo è per loro un acquisto a prezzo di fatica. Nella biografia di Tesla che colpì durante la perquisizione notturna l'ispettore della polizia segreta iugoslava si racconta del suo comparire ad una riunione di amici che lo attendevano, nell'albergo che l'ospitava, in quegli anni (era il 1920): uno dei presenti scrisse che dava l'impressione di essere una « creatura non terrestre », che pareva essersi tra loro materializzata all'improvviso, tanta era la levità del suo passo. E parlava a voce bassissima, suggerendo arcane profondità anche nel dire parole comuni. L'Orient-Express dei nostri due viaggiatori entrò a giorno fatto, con poco meno di due ore di ritardo, nella stazione di Belgrado. Sotto un enorme ritratto di Tito c'erano tre o quattro fotografi e una troupe della televisione di Stato iugoslava, che allo spuntare del treno si mossero. In albergo, dove mancava nelle stanze l'acqua calda, sentivano la sorveglianza della polizia politica su ogni loro respiro. Il Muzej Nikole Tesle è al 51 della Krunska Ulica, ed è stato aperto da poco - nel 1952. Là, in una stanza molto debolmente illuminata, è collocata l'urna verticale sormontata da una sfera, tutta in oro massiccio, che contiene le ceneri dell'enigmatico genio (morto a New York durante la guerra in Europa e nel Pacifico), dal 1952. Questo gelido linga d'oro proietta attorno a sé, sul pavimento, un rettangolo d'ombra. 311
Ma per deporre un fiore - come fece Aris a Collioure di ritorno dalla Spagna coi resti delle armate repubblicane - ci vuole una tomba vera, un po' di terra ammucchiata, un segno, la presenza della vita che si è addormentata con le ombre dei padri, del sole e dell'acqua piovana, di insetti ronzanti e di qualche taciturna lucertola prenoachide irrequieta. Il giorno dopo Aris e Ada percorreranno le sale e si troveranno davanti al monumento tutto d'oro che del Tesla a loro noto non contiene nulla. Non c'è onnipotenza di polizia segreta che sappia in quale recesso di un corpo umano la mano castigatissima dell'inventore abbia deposto l'Energia, capace di salvare e di far morire, da lui chiamata, esotericamente, «raggio di pace». «Lascio qui la nostra rosa?» dirà lei. «Le donne delle pulizie la faranno di sicuro sparire! ». «Avrà vissuto abbastanza. Il sublime è fuori del tempo ». E la rosa bianca brillerà nel pugno leggero di resurrezione di Ada.
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Il mio ringraziamento agli amici dell'Adelphi Roberto Calasso e Matteo Codignola che hanno coi loro incoraggiamenti e suggerimenti condiviso la mia iniziale e finale, e per me inusitata, fatica; in particolare a Michela Acquati per il suo intenso lavoro di correzione e di revisione. Inoltre uno speciale, costante contributo mi è stato fornito dall'archivio della «Stampa» di Torino. G. G.