Il regno millenario di Hieronymus Bosch [2 ed.] [PDF]

Poco o nulla sappiamo della vita di Hieronymus Bosch, e scarse sono anche le notizie relative all’am- biente in cui si f

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Italian Pages 212 Year 1980

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Table of contents :
Notizia sulla vita e le opere di Wilhelm Fraenger 7
Bibliografia 9
Nota sull’edizione 13
Il Regno millenario di Hieronymus Bosch
La simbolica di Bosch 17
Il Paradiso teneste 27
I Fratelli e le Sorelle del Libero Spirito 39
Il processo verbale di Cambrai 49
II terzo giorno della Creazione 61
L’ampolla 66
Il Giardino dell’Eden 75
Mundus patet 80
La visione di Mechthild von Magdeburg 83
Ibis e salamandra 86
Sermoni della montagna 89
L’India, paese di sogno 92
L’Albero della Vita 97
L’Ini*emo 105
L’Albero della Conoscenza 105
L’Inferno dei quattro elementi 111
L’Inferno dei cavalieri 116
L’Inferno dei monaci 118
La concezione libero-spirituale dell’Inferno 121
L’Inferno dei musici 125
L’Inferno della cupidigia 135
Satana 138
Vanitas 142
Gli spettri della frenesia 144
Il Regno millenario 149
Delimitazioni e transizioni 151
La processione trionfale attorno al Bacino della Vita 158
Crittografia simbolica della Natura 163
La provincia pedagogica 169
. Ars amandi 175
Ars moriendi 186
La Resurrezione 190
L’Ascensione 193
Conclusioni 197
La caverna di Pitagora 197
Il Gran Maestro del Libero Spirito 207
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GUANDA

BIBLIOTECA DELLA FENICE

WILHELM FRAENGER IL REGNO MILLENARIO DI HIERONYMUS BOSCH A C U R A D I G IA N N I C O L L U

Poco o nulla sappiamo della vita di Hieronymus Bosch, e scarse sono anche le notizie relative all’ambiente in cui si formò. La sua vicenda umana rimane avvolta in un alone di leggenda impenetrabile che non poco ha contribuito ad alimentare le più svariate supposizioni intorno alla sua arte. Ma e proprio dei grandi spiriti sollecitare indagini e interpretazioni tal­ volta antitetiche tra loro. Nel caso di Bosch, alcuni hanno creduto di vedere nella sua opera un corrispet­ tivo, più o m eno fedele, della classificazione del m on­ do elaborata dai teorici dell’alchimia; altri vi hanno scorto un prodotto dell’ossessione demoniaca e visio­ naria propria del tardo M edioevo; altri ancora, infine, una severa critica, in chiave satirico-grottesca, dei co­ stumi e delle leggi del tempo. Wilhelm Fraenger, in questo libro di straordinario vi­ gore esegetico, che compendia decenni di minuziosi e pazienti studi sull’argomento, coglie nell’arte di «questo Virgilio della pittura olandese» una proie­ zione del messaggio religioso e rituale della comunità adamita dei «Fratelli del Libero Spirito», ai cui m iste­ ri il pittore sarebbe stato iniziato, ricevendone la commissione del Regno millenario, concepito dun­ que con intenti e finalità pedagogici, in quanto docu­ mento da «leggere» affidato alla libera e personale interpretazione degli adepti-osservatori. La tesi, insieme enigmatica e affascinante, intorno alla quale ruota questo viaggio dentro gli innumerevoli travestimenti metaforici di un universo linguistico cifrato ma tutt’altro che ambiguo, si precisa quando Fraenger, dietro il trittico e, più in generale, dietro l’intera fan­ tasmagoria del mondo boschiano, adombra la presen­ za, evidente, di un ispiratore sinora ignorato. In altre parole, quelle che sono sempre parse immagini oniri­ che partorite da una fantasia spinta talvolta ai limiti del delirio, in realtà non sarebbero altro che rappre­ sentazioni suggerite da un mentore dai vastissimi orizzonti, il Gran Maestro del Libero Spirito, artefice di «un progetto tanto ambizioso quanto articolato in ogni minimo particolare», nel quale si sarebbe confi­ gurato un sistema spirituale fondato su una triplice istanza: teologica, filosofica e pedagogica. Ma, al di là di questa tutela originaria, l’«esecuzione» dell’artista è sottratta ad ogni artificio compositivo: ogni partico­ lare, sia esso riferito al mondo minerale, vegetale, animale o, più semplicem ente, ai comuni episodi del­ la vita quotidiana, sgorga spontaneo da una «volut­ tuosa delizia creativa» che illustra i concetti fondamentali degli exempla dei predicatori e tutta la com ­ plessa simbologia della religiosità medievale. N ella storia della pittura occidentale nessun pittore visse un’esperienza iniziatica così profonda, che, sul piano artistico, costituì un potente esempio di ener­ gia mistico-demoniaca al quale non rimasero insensi­ bili alcuni fra i più inquieti interpreti della coscienza moderna, da G oethe a Novalis, da Fussli a Goya, da Blake ai surrealisti. In c o p e rtin a : H ie ro n y m u s B o sc h , Il Regna m illenario (p a rtic o la re dell'In fern o ).

Titolo originale: Das Tausendjährige Reich Traduzione di Irene Bernardini e Gianni Collu

© 1975 VEB Verlag der Kunst Dresden © Ugo Guanda Editore S.r.l., via Daniele Manin i j , Milano, 1980 Seconda edizione, ottobre 1983

WILHELM FRAENGER IL REGNO MILLENARIO DI HIERONYMUS BOSCH A cura di G ianni Collu

GUANDA

N otizia sulla vita e le opere di W ilh elm Fraenger

Wilhelm Fraenger nacque il 5 giugno 1890 a Erlangen, in Baviera, dove suo padre ricopriva la carica di sindaco. Sin dall’infanzia mostrò partico­ lare interesse per la musica e le arti figurative, senza però tralasciare le altre espressioni artistiche, che coltivò con passione e con studi metodici. Dopo gli studi ginnasiali a Erlangen, Ingolstadt e Kaiserlautern, nel 1910 si trasferì a Heidelberg, dove seguì corsi di storia dell’arte (Henry Thode e Carl Neumann) e di storia della letteratura (Friedrich Gundolf). Nel 1913 fu premiato con la medaglia d’oro dell’Alta Facoltà di Filosofia di Heidelberg per il suo lavoro Arnold Houbraken, der Geschichtsschreiber der holländischen Malerei des 17. Jahrhunderts, und die Maßstäbe seiner Kunstkritik (Arnold Houbraken, lo storico della pittura olandese del di­ ciassettesimo secolo e i fondamenti della sua critica d’arte). Dal novembre 1915 fu assistente presso il seminario di storia dell’arte dell’Università di Heidelberg, essendo esentato dal servizio militare a causa di una malformazione al piede destro e prestando servizio sostitutivo come interprete presso il campo di prigionia di questa città. Nel 1917 la dissertazione dal titolo Die Bildanalysen des Roland Fréart de Chambray (Le analisi pittoriche di Roland Fréart de Chambray) gli valse il superamento dell’esame di laurea « summa cum laude ». Negli anni dal 1919 al 1933, avendo definitivamente rifiutato la carriera accademica, alternò all’attività di saggista quella di conferenziere sui temi dell’arte antica e moderna presso 1’« Akademie für Jedermann » (Accade­ mia popolare) di Mannheim, che era una delle iniziative fondamentali delle « Freien Bundes » (Libere Leghe) della stessa città, fondate nel 1912 da Franz Wiehert con l’obiettivo di diffondere l ’arte tra il popolo. A questo periodo risale la fondazione, da parte di Fraenger, della « Gemeinschaft », un sodalizio di giovani studiosi, di cui facevano parte, tra i più fedeli, Carl Zuckmayer, Carlo Mierendorf e Theodor Haubach. Carl Zuckmayer, nel suo scritto autobiografico A ls wär’s ein Stück von mir (Come parte di me), cosi descrive l ’attività di Fraenger nel piccolo gruppo di Heidel­ berg: « Se il nostro, come io penso, era veramente un circolo magico, esso aveva il suo centro e la sua forza centripeta in un vero e proprio mago,

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singolare quanto straordinario, a noi tutti superiore per sapienza, intensità spirituale e personalità: il dottor Wilhelm Fraenger... per me egli era il punto di attrazione più forte di tutta la città, che pure era abitata da molti spiriti superiori... L ’Unione di cui egli era ispiratore ad Heidelberg formava un sodalizio spirituale, una sorta di congiura contro l ’università. La forza esplosiva dell’arte moderna, della nuova, provocatoria letteratura, di una spregiudicata ricerca, doveva far saltare in aria l’accademismo dei vecchi professori e porre al loro posto una provincia pedagogica più ade­ rente al nostro tempo e al nostro sentimento della vita, dotata di slancio rivoluzionario ». Nel 1927 gli era stato affidato l’incarico di direttore della Biblioteca del Castello di Mannheim, che egli riorganizzò radicalmente, ma l ’acquisto da parte della biblioteca stessa, nel 1933, di un’enciclopedia sovietica e una conferenza su Rembrandt sul tema « Sinagoga e Oriente », furono utiliz­ zati dai nazisti come pretesto per allontanarlo dal suo incarico. I suoi libri furono bruciati ed egli venne espulso anche dalla direzione degli « Jahr­ buchs für historische Volkskunde » (Annuari di storia della cultura popo­ lare) da lui fondati. Fraenger tornò alla sua libera professione di scrittore. Negli anni seguenti scrisse un’opera sull’Alhambra di Clemens Brentano, pubblicò due opere su Matthias Grünewald, collaborò alla rivista « G e­ brauchsgraphik », curò diverse antologie e collaborò ad alcune trasmissioni letterario-musicali della radio di Francoforte e di Berlino. Si dedicò in quel periodo anche ai suoi studi su Hieronymus Bosch e Jörg Ratgeb, ma non potè portarli a termine poiché la libera professione non gli garan­ tiva più la sussistenza. Accettò quindi l ’incarico di consulente artistico, offertogli dall’attore Heinrich George, suo amico di vecchia data, presso lo « Schillertheater » di Berlino. Nel corso del secondo conflitto mondiale si trasferì a Päwesin, dopo che un violento bombardamento aveva distrutto il suo appartamento berlinese e gravemente compromesso la sua salute. Qui scrisse II Regno millenario di Hieronymus Bosch. Nel maggio 1945 fu eletto sindaco della città. Nel settembre dello stesso anno, Fraenger accettò l ’incarico di Con­ sigliere per l ’Istruzione Popolare e la Cultura a Brandeburgo, dove, un anno dopo, assunse anche la direzione della Scuola Popolare Superiore. Le sue condizioni di salute lo costrinsero in seguito a rinunciare a questi in­ carichi e alla direzione della Goethehaus di Weimar, offertagli dal Mini­ stero della Cultura della Turingia. Nel 1952 accettò la libera consulenza presso l’Istituto di Cultura Popo­ lare dell’Accademia Tedesca delle Scienze a Berlino. Fondò in seguito il « Deutsches Jahrbuch für Volkskunde » (Annuario tedesco di cultura po­ polare), contribuì alla creazione della rivista « Demos » e prosegui gli studi su Ratgeb e Bosch. Nel 1955 gli fu assegnato il titolo di Professore. In occasione del suo 70° compleanno venne insignito deH’Ordine per il Merito Patriottico e nel 1961 l’Accademia delle Scienze di Berlino lo no­ minò membro onorario. Morì nel febbraio 1964, in seguito a un’improvvisa crisi cardiaca.

Bibliografia

Scritti principali di Wilhelm Fraenger Alfred Kubin, in « Xenien. Monatsschrift für Literatur und Kunst », anno V , numero di dicembre, 1912, pp. 703-709. Albert Welti. Ein Gedenkblatt zur 2. Wiederkehr seines Todestages (Al­ bert W elti. Un foglio commemorativo per il secondo anniversario della morte), in « Westermanns Monatshefte », fase. CX VI, giugno 1914, PP- 477-494Ernst Kreidolf. Ein Schweizer Maler und Dichter (Ernst Kreidolf. Un pittore e poeta svizzero), Zürich, Verlag von Rascher u. Cie., 1917. Die Bildanalysen des Roland Fréart de Chambray. Der Versuch einer Rationalisierung der Kunstkritik in der französischen Kunstlehre des 17. Jahrhunderts (Le analisi pittoriche di Roland Fréart de Chambray. IÌ tentativo di razionalizzazione della critica nella teoria artistica del diciassettesimo secolo in Francia), dissertazione di laurea, Heidelberg, Berkenbusch, 1917. Der junge Rembrandt. Georg van Vliet und Rembrandt (Il giovane Rembrandt. Georg van Vliet e Rembrandt), Heidelberg, Verlag von Carl Winters Universitätsbuchhandlung, 1920. Zu einem Selbstbildnis von Edvard Munch (Su un autoritratto di Edvard Munch), in « Der Cicerone », fase. XXIII, 1920, pp. 837-840. Der Bauernbrueghel und das deutsche Sprichwort (Il Brueghel dei con­ tadini e il proverbio tedesco), Zürich und Leipzig, Eugen Rentsch Verlag, 1922, 2* ed. München und Leipzig, 1923. Der Bildermann von Zizenhausen (Il pittore di Zizenhausen), Zürich und Leipzig, Eugen Rentsch Verlag, 1922. Die Radierungen des Hercules Seghers. Ein physiognomischer Versuch (Le incisioni di Hercules Seghers. Un tentativo fisiognomico), Zürich, München und Leipzig, Eugen Rentsch Verlag, 1922. Max Beckmann: Der Traum. Ein Beitrag zur Physiognomik des Grotesken (Max Beckmann: Il sogno. Un contributo alla fisiognomica del grot­ tesco, in A A V V , Max Beckmann, München, R. Piper und Co., 1924,

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PP- 35' 58; ristampato in Blick auf Beckmann. Schriften der Max Beck­ mann Gesellschaft (Uno sguardo su Beckmann. Scritti della Società Max Beckmann), München, 1962, pp. 36-49. Goyas Traume (I sogni di Goya), in « Der Spiegel. Jahrbuch des Propyläen-Verlags », 1924, pp. 48-57. ]ames Ensor: Die Kathedrale, in « Die graphischen Künste », fase. IV , Wien, 1926; ristampato nello scritto commemorativo per la prima mo­ stra di Ensor in Germania, allestita dalla Kestner-Gesellschaft, Han­ nover, 1927, pp. 53-68; ristampato in « Castrum Peregrini », fase. X IV, Amsterdam, 1953, pp. 5-30; ristampato nel catalogo della mostra di Ensor allestita dall’associazione artistica del Württemberg, Stuttgart, 1972, pp. 142-158. Deutsche Vorlagen zu russischen Volksbilderbogen des 18. Jahrhunderts (Modelli tedeschi per i fogli illustrati popolari nella Russia del diciot­ tesimo secolo), in « Jahrbuch für historische Volkskunde », vol. II, Berlin, Herbert Stubenrauch Verlag, 1926, pp. 126-173. Altdeutsches Bilderbuch. Hans Weiditz und Sebastian Brant (Il libro il­ lustrato tedesco nell’antichità), Leipzig, Herbert Stubenrauch Verlags­ buchhandlung, 1930. Matthias Grünewald in seinen Werken. Ein physiognomischer Versuch (Matthias Grünewald nelle sue opere. Un tentativo fisiognomie»), Berlin, Rembrandt-Verlag, 1936. Matthias Grünewald: Der Jsenheimer Altar (Matthias Grünewald: la pala di Isenheim), Basel, Benno Schwabe & Co., 1937. Hieronymus Bosch: Die Andacht zum Kinde (H. B.: l’Adorazione del bam­ bino), in « Die neue Rundschau », fase. V I, 1943, pp. 221-226. Hieronymus Bosch: Das Tausendjährige Reich. Grundzüge einer Aus­ legung (H. B.: il Regno millenario. Fondamenti di un’interpretazione), Coburg, W inkler Verlag, 1947. Hieronymus Bosch: Johannes der Täufer. Eine Meditationstafel des Freien Geistes (H. B.: San Giovanni Battista. Una tavola per la meditazione del Libero Spirito), in « Zeitschrift für Kunst », fase. I l l , 1948, pp. 163-175. Hieronymus Bosch: Johannes auf Vatmos. Eine Umwendtafel für den Meditationsgebrauch (H. B.: San Giovanni a Patmos. Una tavola gire­ vole per la meditazione), in « Zeitschrift für Religions und Geistes­ geschichte », anno II, 1949-50. Die Hochzeit zu Kana. Ein Dokument semitischer Gnosis bei Hiero­ nymus Bosch (Le nozze di Cana. Un documento di gnosi semitica in H. B.), Berlin, Gebr. Mann Verlag, 1950. Hieronymus Bosch: Der verlorene Sohn (H. B.: Il Figliol prodigo), in «Castrum Peregrini», fase. I, Amsterdam, 1951, pp. 27-39; ristampato in « Zeichen der Zeit », periodico evangelico, fase. I l l , 1952; ristam­ pato in « A tti del II Congresso Internazionale di Studi Umanistici », Roma-Milano, 1952, pp. 187-194; ristampato in « Il Figliol prodigo di Hieronymus Bosch», Arch, di Filosofìa I, 1953, pp. 127-136. Hieronymus Bosch: Der Tisch der Weisheit. Bisher « Die sieben Todsünden genannt » (H. B.: Il tavolo della saggezza. Sinora detto « I sette pec­ cati capitali »), in « Psyche, Zeitschrift für Tiefenpsychologie und Menschenkunde», anno V , fase. V I, 1951, pp. 355-384. Dürers Gedächtnissäule für den Bauernkrieg (Il monumento di Dürer alla guerra dei contadini), in Beiträge zur sprachlichen VolksüberlieIO

ferung (Saggi sulla tradizione linguistica popolare), pubblicazione della Commissione per lo Studio della Cultura Popolare, vol. II, Berlino, ! 953> PP- 126-140. Der Teppich von Michelfeld (Il tappeto di Michelfeld), in « Deutsches Jahrbuch für Volkskunde », vol. I, anno 1955, pp. 183-211. Jörg Ratgeb, ein Maler und Märtyrer des Bauernkriegs (Jörg Ratgeb, pit­ tore e martire della guerra dei contadini), in « Castrum Peregrini », fase. XXIX, Den Haag, 1956, pp. 5-25. Der vierte König des Madrider Epiphanias-Altar von Hieronymus Bosch (Il quarto re della pala dell’Epifania di H. B. a Madrid), in « Deutsches Jahrbuch für Volkskunde », vol. II I , Berlin, 1957, pp. 169-198; ristam­ pato in « Castrum Peregrini », fase. XXXII, Amsterdam, 1957, pp. 25-62. Hieronymus Bosch: Der Büsser St. Hieronymus (H. B.: San Gerolamo pe­ nitente), in « Castrum Peregrini », fase. XXXII, Amsterdam, 1957-58, PP- 5-13. Hieronymus Bosch: Die Versuchungen des hl. Antonius (H. B.: Le ten­ tazioni di sant’Antonio), in « Archivio di filosofìa », Padova, 1957; ri­ stampato in « Hessische Blätter für Volkskunde », voll. 49-50, 1958, pp. 20-27; ristampato in « Castrum Peregrini », fase. XXII, Amsterdam, 1968, pp. 15-24. « Das Lied des Moses » als Zentralmotiv der Lissaboner « Versuchungen des hl. Antonius » von Hieronymus Bosch (« Il canto di Mosè » come motivo centrale delle «Tentazioni di sant’Antonio» di Lisbona di H .B.), Amsterdam, numero speciale di «Castrum Peregrini», fa se .L V III, 1963.

II

N ota sull’edizione

Alla prima edizione dell’opera (Coburgo, Winkler Verlag, 1947) Fraenger appose la dedica « Den Manen meines Lehrers Carl Neumann » (Ai Mani del mio maestro Carl Neumann). Per l’edizione in lingua inglese (The Millenium of Hieronymus Bosch. Outlines of a new interprétation, traduzione di Eithne Wilkins ed Ernst Kaiser, Chicago, University of Chicago Press, 1951; London, Faber & Faber, 1952) Fraenger rielaborò il secondo capitolo « I Fratelli e le Sorelle del Libero Spirito » e aggiunse al quarto capitolo il paragrafo « Mundus patet ». A ll’inizio degli anni ’60 la Verlag der Kunst Dresden si rivolse all’autore con la proposta di una nuova edizione del Regno millenario. Fraenger iniziò allora un’opera di revisione e rielaborazione del testo che rimase tuttavia incompiuta. Da alcune lettere all’editore di Dresda e da numerosi appunti a margine del manoscritto si deduce l ’intenzione di Fraenger di riportare nella nuova edizione i risultati dei suoi studi più recenti, e di porli a confronto con le interpretazioni della critica moderna. Questa esigenza di confronto è già in parte presente nel suo ultimo studio su Bosch, Ein Leitwort Jacob Grimms zur Auslegung der Lissaboner « Versuchungen des hl. Antonius » (Un’introduzione di Jacob Grimm all’interpretazione delle « Tentazioni di sant’Antonio » di Lisbona). L ’edizione francese (Le Royaume Millénaire de Jérôme Bosch, traduzione di Roger Lewinter, Paris, Dossier des Lettres Nouvelles, 1966) e l ’edizione olandese (Amsterdam, Castrum Peregrini Presse, 1969) tengono conto della rielaborazione di Fraenger degli anni ’60, mentre non riportano i passaggi aggiunti per l ’edizione inglese. La pre­ sente edizione è stata condotta sul testo edito nel 1975 dalla VE B Verlag der Kunst Dresden, comprendente le aggiunte e le revisioni operate dal­ l ’autore fino alla morte.

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L a sim bolica di Bosch

La simbolica di Bosch, per chi la consideri ai giorni no­ stri, sembra un oracolo inaridito, i cui segni abbiano per­ duto la chiarezza originaria. Questo silenzio ha reso co­ lui che tanto amava proporre enigmi un nuovo enigma, in­ solubile sino ad ora. Insolubile, perché si è considerata la sua arte da un punto di vista puramente formale, oppure da un punto di vista semplicemente contenutistico e, nel migliore dei casi, come arte di illustrazione, vale a dire co­ me espressione pittorica di un pensiero preesistente. Non la si è mai considerata come immaginazione creatrice auto­ noma, appercezione plastica di un significato. Poiché il simbolo non nasce dalla dualità discorsiva di idea e forma, bensì dalla perfetta simultaneità dell’atto del guardare e del pensare, sino ad ora non si è mai arrivati al problema nodale vero e proprio. Ciò che bisogna studiare nell’opera di Bosch è il modo plastico di espressione del pensiero. Sino a quando non verrà fatto questo, le critiche più sot­ tili di stile e le più profonde ricerche di fonti resteranno frammentarie. La somma dei titoli errati, delle false inter­ pretazioni, delle attribuzioni contraddittorie, e la spiace­ vole incertezza relativa alla cronologia della sua opera, tutto rivela sufficientemente la perplessità che regna tra gli storici dell’arte intorno a questo mago olandese. V 2

G li elementi biografici sono scarsi: si perdono le tracce di Bosch dagli inizi del X V II secolo, e i documenti d ’ar­ chivio recentemente scoperti non ci forniscono alcun ele­ mento sullo sviluppo spirituale del pittore. Non sappiamo né quando sia nato né chi fossero i suoi maestri, amici o mecenati; ignoriamo da dove abbia ripreso questi strani soggetti che superano così singolarmente i quadri dell’arte religiosa tradizionale. Ci risulta solo che un certo Jan van Aken, probabilmente originario di Aquisgrana, della gene­ razione di poco anteriore a quella di Hieronymus van Aken, detto Bosch, acquistò nel 1399 il diritto di cittadinanza a Hertogenbosch. A partire da questa data, troviamo nei re­ gistri della città molte persone con questo nome in qua­ lità di artisti artigiani, senza che sia peraltro possibile se­ guire in modo univoco la ramificazione della famiglia. Sap­ piamo che il pittore Bosch ha collaborato alla decorazione della grande cattedrale di San Giovanni nella sua città natale, realizzando numerose pale e progetti di vetrate, distrutte poi dagli iconoclasti. Era sposato, proprietario di una casa e membro della rispettabile ‘Confraternita di Nostra Signora del Cigno'. I registri di questa confraternita fanno menzione del suo decesso. Morì nel 1516 , quindici anni prima della moglie, Aleide van Mervenne, alias Brants. A giudicare da un ritratto che si trova ad Arras, avrebbe raggiunto la sessantina.

È tutto quello che sappiamo di lui. Tuttavia, se è vero che il tramandarsi più o meno consistente dei dati bio­ grafici non è attribuibile solo alla sorte casuale dei docu­ menti, si è in diritto di analizzare questo stesso silenzio come rivelatore. Come già nel caso di Mastro Mathis von Aschaffenburg, l’irreperibilità di elementi biografici è un indice significativo della personalità del maestro: egli aveva scelto di condurre una vita ritirata in una città come Hertogenbosch, centro situato a latere delle correnti artistiche delle vecchie scuole di pittura olandese. Ora che i simboli della sua opera hanno perso per noi il loro significato, possiamo solo parzialmente cogliere l’universo interiore del pittore. Le fonti della sua arte ci sfuggono. Se il silenzio degli archivi può spiegarsi con la vita provinciale e il carattere riservato del pittore, la 18

volatilizzazione pura e semplice dei significati della sua opera è tra le più sorprendenti, se si pensa che solo cin­ que secoli ce ne separano e che il resto dell’iconografia '' del tardo Medioevo è stato ormai ampiamente analizzato dagli storici dell’arte. Anche tenendo conto del costante ed ermetico isola­ mento di Bosch, è pur vero che nei simboli della sua pit­ tura si manifesta un mondo deliberatamente e consapevol­ mente rivelato. In nessun caso può trattarsi dei fantasmi di un sognatore esaltato e irresponsabile, poiché questi fantasmi sono stati dipinti su pale d’altare e su quadri di devozione. Questi simboli, secondo il duplice senso del termine, non sono soltanto segni che alludono a un si­ gnificato, ‘parole d’ordine’, ma anche professioni di fede, 'confessioni'. Per raggiungere il loro obiettivo di edifica­ zione, essi dovevano prima di tutto essere intelligibili. Sebbene ostacolati dal capriccio della storia, ci è tut­ tavia possibile analizzare questa materia ribelle attraverso un’attenta differenziazione. Questo divide et impera porta in primo luogo alla constatazione che i misteriosi rebus di Bosch non si trovano in tutte le sue opere, ma soltanto in certe pale e in taluni quadri edificanti. Questo primo gruppo, nettamente definito, si compone essenzialmente di tre trittici: II Regno millenario, a Madrid (conosciuto sino ad oggi come II Paradiso delle delizie), Le tentazioni di sant'Antonio, a Lisbona, e II carro di fieno, anch’esso a Madrid. Accanto a queste pale, cariche di simboli, tro­ viamo altri dipinti in cui il simbolismo non è che acces­ sorio. In altri quadri infine, quali La Passione e L ’adora­ zione dei Magi, il simbolismo scompare quasi compietamente. Bisogna dunque distinguere tra queste ultime opere immediatamente intelligibili e tradizionali e quelle del primo gruppo, che sfuggono a ogni tradizione e con- ' venzione, e il cui simbolismo enigmatico ci sconcerta. Proseguendo l ’analisi dei due gruppi di opere, si con­ stata la significativa opposizione tra i fini devoti del se­ condo gruppo e l ’aspra satira del primo. Nei motivi an­ ticlericali di questi dipinti si sente già aleggiare la Ri- ; forma. Esistono dunque nell’opera di Bosch, distinte e opposte, una tematica clericale e una anticlericale. Que19

sta dualità fa della sua arte la testimonianza di un’epoca di transizione. E non è tutto: lo stesso primo gruppo appare scisso in due, giacché alla denunzia anticlericale si sovrappone un’altra critica, non meno appassionata, che ha come oggetto gli eccessi fanatici di certe sette occulte. In questo primo gruppo delle sue opere religiose si assiste a un fuoco incrociato di satira sociale. A volte sono le monache e i monaci, nel costume medievale del loro ordine, ad essere attaccati, a volte lo sono preti e sibille gnostiche, ritratti con ornamenti fantastici, accom­ pagnati da una turba demoniaca di maghi e di streghe che assumono, secondo la tradizione nordica, l ’aspetto vegetale di nocciòli e salici. A i due gruppi principali delle opere di Bosch corri­ spondono due committenti in contrasto fra loro: la Chiesa da una parte, protettrice accreditata della pala, e dal­ l ’altra un oppositore rivoluzionario che, versando vino nuovo negli otri vecchi, conserva la forma tradizionale della pala facendola poi esplodere con l ’audace originalità del contenuto. L ’ambigua tematica di questo gruppo in­ dica che questo diverso committente, che simultaneamente lottava contro le sregolatezze della Chiesa e quelle dei culti pagani, va ricercato negli ambienti che precorrevano la Riforma. Bosch servì in tal modo due padroni antitetici, dato che la sua opera riflette sia le correnti conservatrici sia quelle riformiste: si potrebbe quindi accusarlo di una certa mancanza di coerenza personale. Ma queste opposi­ zioni irrisolte sono proprie di un’epoca di transizione qua­ le la sua: la rigidità delle posizioni non escludeva per nulla una sorprendente tolleranza. Monaci illuminati po­ tevano far parte delle sette più radicali senza peraltro abbandonare il loro convento; allo stesso modo, i più lungimiranti tra i portavoce della Chiesa, convinti della necessità di una sua profonda riorganizzazione, potevano commissionare, a patto che questo non provocasse uno scandalo pubblico, una pala ad un pittore abbastanza au­ dace da non celare le sue simpatie riformiste. Per misurare immediatamente la natura e il grado di vi­ 20

rulenza satirica di Bos(;h, citiamo due esempi di satira, uno diretto contro la Chiesa, l’altro contro le sette occulte. È sufficiente prendere in considerazione un solo mo­ tivo del Carro di fieno, potente parafrasi del profeta Isaia. Sul lato sinistro del pannello centrale osserviamo un men­ dicante steso per terra, in ozio, con la testa confortevol­ mente poggiata sul grembo di una monaca. Dietro il men­ dicante, di spalle, simile a un predicatore nel deserto, con il braccio destro levato si erge il profeta Isaia. Egli mette in guardia gli Ebrei che si avvicinano contro la vanità della carne e il castigo divino che li attende. Questa scena, a prima vista secondaria, è invece della più grande impor­ tanza e fornisce la chiave del pannello: la monaca preme contro il suo seno un lattante. Da questo particolare pos­ siamo riconoscere in lei l ’oscura profetessa di cui parla la Bibbia. Isaia fu inviato presso di lei per assistere alla na­ scita, così carica di conseguenze, del figlio di cui era in attesa: « Io mi ero avvicinato alla profetessa; essa concepì e mise al mondo un figlio. L ’Eterno mi disse: dagli il nome di Maher-Schalal-Chasch-Baz, poiché prima che il fanciullo possa dire « padre mio, madre mia », le ricchezze di Dama­ sco e il bottino di Samaria saranno portati davanti al re di Assiria » (Isaia v m , 3-4). Questo termine di ‘Maher-Schalal-Chasch-Baz’ (vale a dire 'Presto saccheggia, lesto depreda’) dà il tono all’in­ tero primo piano e lo riassume. Le monache e i monaci sono in prima fila in questa calca di prevaricatori cupidi. Monache litigiose si azzuffano e riempiono di fieno il sacco che dovrebbe servir loro per la colletta. Con il volto rotondo e paffuto, un abate adiposo sorveglia il sacco mentre innalza il bicchiere con lo sguardo devotamente levato al cielo. La monaca che si trova all’estremità del primo piano tenta un approccio con un musico dall’aspet­ to ambiguo e cerca di sedurlo con una manciata di fieno. Bosch denunzia così, con un rigore non meno inesorabile di quello dell’antico testamento, l ’ascetismo ipocrita. Con la profetessa biblica, è tutta la corruzione morale dei conventi che viene ad essere stigmatizzata: il padre di 'Presto saccheggia, lesto depreda’ non è altro che un vol­ 21

gare mendicante. Il comune denominatore di tutta la scena è il concetto monacale di povertà, che nei due per­ sonaggi del vagabondo e della monaca si definisce come una forma di parassitismo. Del tutto simile alla satira antimonacale del Carro di fieno, la satira rivolta contro le sette occulte si fonda su citazioni tratte dalla Bibbia. Prendiamo, ad esempio, il torvo saturnale dipinto nelle 'Tentazioni di sant’Antonio di Lisbona. Il pannello centrale mostra in tutto il suo orrore una messa nera. La grande sacerdotessa e due dei suoi accoliti offrono la comunione, in bicchieri e piattini, a una turba strisciante di creature corrotte. Sulle mitre delle sacerdotesse si attorcigliano serpi e crescono spine, per indicare che il vino elevato in offerta non è altro che il ‘veleno delle vigne di Sodoma’ di cui parla la Bibbia: « Le loro viti sono viti di Sodoma e dei dintorni di Gomorra, la loro uva è uva di fiele, e i loro grappoli sono grappoli amari. Il loro vino è veleno di draghi, e mortifero veleno d ’aspide sono le loro opere» (Deuteronomio x x x n , 32-33). Lo sguardo da basilissa della grande sacerdotessa, nera come catrame, è quello di una vipera arrabbiata. Bosch sottolinea il carattere sacrilego dell’eucaristia pervertita: una negra presenta su una tavoletta rotonda il sacramento sessuale viscoso del mistero, vale a dire una rana, idolo dalle braccia levate, che sorregge un uovo, simbolo di pro­ creazione palustre e di promiscuità rituale. Tali motivi pittorici non sono ‘inventati’, è evidente, ma rappresen­ tano nei minimi dettagli realtà rituali precise ed auten­ tiche. Bosch, nemico mortale di tali sette clandestine, ri­ vela questi dettagli con perfetta conoscenza di causa e li fissa sulla tela a guisa di trofei satirici. Siamo pienamente d’accordo con Cari Justi nel ricono­ scere al clero, « che ha annoverato nei suoi ranghi i più grandi scrittori satirici e umoristici, Rabelais e Swift », un « senso dell’umorismo più sviluppato di quanto non si abbia tra i bigotti laici ». 1 Ma pur tenendo conto della

1 Cari Justi, Die Werke des Hieronymus Boscb in Spanien (Le opere di Hieronymus Bosch in Spagna), in « Jahrbuch der Preussischen Kunst-

tolleranza relativa che precedette la Riforma, dobbiamo decisamente escludere che tali rappresentazioni abbiano mai avuto accesso agli altari della Chiesa. Si è tentato di dimostrare in tempi recenti che la sede di questi dipinti era il refettorio e non l’altare. L ’ipotesi non è certo da prendere sul serio. Come se i refettori dei conventi fos­ sero dei luoghi dissoluti! La regola monastica presenta una tendenza contraria: diviene più dura, invece di allen­ tarsi, in questi luoghi in cui l’uomo soddisfa le esigenze del corpo, esigenze sempre sentite come umilianti da uno spirito ascetico. Questi quadri impressionanti non sono mai stati esposti in un luogo che avesse un qualsiasi rap­ porto con la Chiesa. Che siano divenuti, in seguito, dei pezzi da museo che decoravano i muri dell’Escoriai, que­ sto è un altro problema. A l semplicismo di interpretazioni non fondate, oppo­ niamo il problema in tutta la sua crudezza: questi tre trit­ tici enigmatici, Il Regno millenario, Le tentazioni di san­ t'Antonio e II carro di fieno , si ricollegano per la loro forma al genere tardo gotico della pala, ma il loro con­ tenuto è in tale contrasto con le esigenze del culto, che in nessun caso essi hanno potuto essere esposti allo sguardo di una comunità cattolica. Eccoli dunque in una sorta di vuoto, quadri per un altare senza fedeli, come per­ duti in una terra di nessuno. È possibile risolvere questo dilemma solo cercando il committente di Bosch tra le comunità extraclericali. Alla fine del Medioevo le produzioni artistiche non erano an­ cora proprietà dei loro creatori. È dunque impensabile che Bosch abbia potuto dipingere tre grandi trittici per il puro piacere personale. È anche del tutto improbabile che dei privati abbiano potuto commissionare per la loro cappella personale dei dipinti così eccentrici. Ne conse­ gue che solo una comunità, anche ristretta, può averli commissionati. sammlungen » (Annuario delle collezioni d’arte prussiane), II , 1889. Ri­ stampato in Miscellaneen aus drei Jabrhunderten spanischen Kunstlebens (Miscellanee da tre secoli di vita artistica in Spagna), Berlino, 1908, voi. II, p. 89.

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Il principio cristiano cattolico della comunità univer­ sale si trasforma qui nel suo contrario: un principio eso­ terico, riconosciuto solamente dalla cerchia ristretta de­ gli iniziati. Accanto alle tradizionali pale, nasce un nuovo tipo di dipinto rituale per minoranze eterodosse. Alla Chiesa si oppone la setta. Solo una setta, una comunità al di fuori e contro il clero, poteva trovare in simili ope­ re un motivo di edificazione e la conferma della propria fede. Questi tre dipinti, pieni di virulenze contro la Chiesa e i culti satanici, contengono l’essenziale dei rebus e delle eccentricità apparentemente indecifrabili di Bosch. Ma come spiegare questo amalgama di elementi grotteschi e acremente satirici che già preannuncia François Rabelais e il suo successore tedesco Johannes Fischart? Ci tro­ viamo in presenza di una guerra su due fronti: la satira si scaglia contro l ’ordine costituito della Chiesa, ma anche contro gli anarchici eccessi delle comunità di culti miste­ rici. Può solo trattarsi, quindi, di una setta che percorre un sentiero stretto e pericoloso: essa si dibatte tra la stra­ potenza della Chiesa e il rischio di vedersi scavalcata da sette estremiste, caratterizzate dal fascino dei riti magicosessuali da esse praticati. Da una parte come dall’altra, essa si scontrava con dei divieti. Una situazione doppia­ mente pericolosa e che giustifica anche l ’oscurità dei rebus di Bosch. V i è in essi una volontà di esoterismo, il che risulta evidente se si considera che le opere di Bosch servivano idee eretiche; i rebus non sono altro, infatti, che crip­ togrammi intelligibili ai soli iniziati. Sia come segni che come confessioni, i simboli di Bosch erano perfettamente intelligibili alla comunità che li aveva commissionati; al contrario, rimanevano impenetrabili alla massa comune che si doveva tener lontana dal segreto esoterico. La più piccola invettiva satirica di Bosch agiva sui membri della setta ed era da loro compresa, giacché le difficoltà e le lotte cui dovevano quotidianamente far fronte trovavano espressione in queste immagini polemiche. Il travestimento enigmatico costituiva uno scudo contro i pericoli che ve­ nivano dall’esterno; per di più esso aveva un fascino par­ 24

ticolare agli occhi dell’iniziato, che ne afferrava pienamente il senso. Le metafore e le allegorie di Bosch sono gero­ glifici, rivelazioni segrete: rappresentazioni comprensibili per alcuni, rebus indecifrabili per altri. Tutti i critici hanno discusso fino ad oggi intorno alla presunta ortodossia religiosa del pittore. Così facendo, essi hanno utilizzato nella lettura di queste opere essen­ ziali uno schema sbagliato, ed hanno così deformato il loro punto di partenza, i conflitti che esse implicano, i loro profondi significati intellettuali, le loro intenzioni. Le hanno inoltre svuotate del loro autentico contenuto sino a renderle irriconoscibili. È successo a Bosch, nel quadro della storia dell’arte, ciò che è successo all’alchimia, così vicina all’attività del pittore, nell’ambito della storia delle idee. L ’alchimia, scienza dell’arcano, era considerata un tempo come sempli­ ce magia nera, vale a dire, a causa dell’equivoco dominante, una specie di ciarpame occultistico. Il positivismo scienti­ fico ha ridotto un simile amalgama irrazionale alle sue componenti razionali considerando l ’alchimia, secondo la teoria dell’evoluzione, come una tappa preparatoria della chimica moderna. Soltanto oggi si sono prese realmente in considerazione, e peraltro in profondità, le premesse teoriche proprie dell’alchimia, mostrandola per quello che fu realmente: una ricerca della summa perfectionis che faceva della trasmutazione degli elementi un simbolo del­ l ’uomo interiore e dei misteri della creazione, della morte e della vita eterna. G li stessi malintesi si sono abbattuti su Bosch: egli ap­ pare negli antichi trattati d ’arte come una semplice cu­ riosità storica ed intellettuale, come un 'faizeur des diables’, una sorta di artista nero. Per spiegare i suoi quadri si è riempita un’intera biblioteca di libri di miracoli, tutta una letteratura di leggende, di visioni e di sogni, che non ci hanno per nulla aiutato a comprenderli nella loro di­ mensione profonda; con questa ricerca di ‘fonti letterarie’ si è fatta sparire l ’essenza stessa dell’arte di Bosch: l ’unità del concetto e dell’immagine, fondamento di tutto il suo pensiero simbolico. Le sue visioni sono state ridotte a illustrazioni di testi assegnati, là sua simbolica a semplice 25

condensato di letture, senza scoprire peraltro una fonte certa di uno solo dei suoi simboli. G li storici dell’arte, fondandosi sulla teoria dell’evo­ luzione, hanno iniziato a esaminare e a ordinare la sua opera in modo più completo. Essi hanno scoperto il Bosch paesaggista, il pittore di genere, ma eliminando tutto ciò che egli aveva di rivoluzionario e di veramente creativo: hanno cercato di elevare ad un genere a sé i suoi quadri di costume, senza tuttavia vedere il carattere profonda­ mente simbolico delle sue opere di genere. Anche le opere religiose sono state rivalutate in funzione dei loro conte­ nuti di costume. Il realismo positivista è rimasto estraneo alla simbolica spirituale. Non vedendovi che un 'guazza­ buglio fantastico’, si è totalmente eliminato il simbolismo per valorizzare e celebrare il Bosch realista, precursore del grande Bruegel il Vecchio. La storia dell’arte è ancora molto lontana, per quanto riguarda Bosch, dal terzo stadio raggiunto dagli storici per ciò che concerne l ’alchimia: un’analisi interna del soggetto in ogni suo aspetto, un processo critico conforme alla sto­ ria delle idee. E questo malgrado gli studi così eruditi e competenti che Max J. Friedländer (1927) e poi Charles de Tolnay (1937) hanno consacrato alla sua opera, studi seguiti da quelli di Ludwig von Baldass (19 4 4 ),2 auten­ tica sintesi dell’attuale conoscenza e ignoranza di Bosch. Si resta sempre, per quanto concerne l’insieme della sua opera, alla vecchia ipotesi del 'faizeur des diables’. 'Scur­ rile', 'fantastico' e 'grottesco', queste sono le parole alle quali i critici d ’arte sono ricorsi per spiegare le metamor­ fosi incomprensibili, le spettrali mascherate che si svol­

2 Max. J. Friedländer, Die altniederländische Malerei (L ’antica pittura olandese), vol. V : « Geergten van Haarlem und Hieronymus Bosch», Berlino, 1927; Charles de Tolnay, Hieronymus Bosch, Bàie, 1937. Le tra­ duzioni tedesche si riferiscono alla medesima edizione, Baden-Baden, 1965 (traduzione di Leopold Voelker); Ludwig von Baldass, Hieronymus Bosch, Vienna, 1943, 2’ ed. 1959, 3* ed. ampliata, Lipsia, 1968. A d eccezione di « Leitworts Jacob Grimms zur Auslegung der Lissaboner Versuchungen des hl. Antonius » (Introduzione di Jacob Grimm allo studio delle Ten­ tazioni di sant’Antonio di Lisbona), nelle note che seguono si fa riferi­ mento all’edizione del 1943.

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gono abitualmente quando Bosch dipinge degli eremiti o delle rappresentazioni infernali. Sino a oggi non si.è per nulla prestata attenzione al fatto che, di fronte a queste fantasmagorie infernali, figurano sempre, quale controparte, un anacoreta sereno, un monte Ararat, un Eden. In genere è stato l ’elemento infernale, per il suo fascino più violento sui sensi, ad attirare mag­ giormente l’attenzione, benché l ’idea-guida del pittore si nasconda in realtà, questo è evidente, nelle scene elegia­ che che fanno da contrappeso alle scene demoniache. L ’errore capitale degli studi anteriori è stato quello di interpretare tutti i simboli oscuri di Bosch come altret­ tante ‘diavolerie’. Un nugolo di parafrasi cieche e di in­ terpretazioni arbitrarie si è abbattuto sull’oracolo muto ed ha annegato nella confusione il suo linguaggio criptico. Poiché le metafore e i geroglifici di Bosch sono sempre apparsi incomprensibili al critico, questi li ha definiti ir­ razionali e non vi ha visto che dei sogni, delle allucinazioni e delle chimere, delle ossessioni suscitate da un terrore medievale del mondo e dell’Inferno. Non si è pensato, da parte dei critici, che la presunta incomprensibilità di Bosch non fosse che il risultato della loro incapacità a comprendere. E la parola di Novalis è rimasta lettera morta: « Ho sentito dire da lontano, che l’inintelligibile era la manifestazione dell’inintelligenza, da­ to che questa ricerca solo quello che già possiede; e ciò le impedisce di fare nuove scoperte ».

Il Paradiso terrestre. Nessuna opera di Bosch ha tanto sofferto di questi preconcetti ed è stata completamente misconosciuta quan­ to il trittico del Regno millenario o Giardino delle delizie. Quest’opera, unica nella storia dell’arte e della religione, si è pietrificata in un autentico monumento di pregiudizi da quando, nel 1599 - sono trascorsi più di tre secoli e mezzo - fra’ José de Siguenca, appartenente all’ordine spa­ gnolo di san Gerolamo, imboccò una falsa via nell’inter­ 27

pretazione del trittico. Unanime nel seguirlo, la critica ha perseverato nell’errore. Recentemente, è vero, Max J. Friedländer ha espresso qualche dubbio prudente. Se­ condo il suo parere le interpretazioni correnti, pur non vedendone altre possibili, restano insoddisfacenti e in­ certe. Egli riassume in questo modo i problemi che pone il dipinto: « Il trittico dell’Escoriai, che è stato definito, facendo riferimento a un’impressione d ’insieme più che a un’inter­ pretazione probante, II Giardino delle delizie, cela senz’al­ tro dei misteri. Lo stesso Cari Justi, cui non mancavano cer­ to preparazione e acume interpretativo, non ne ha saputo fornire un’analisi esauriente. La parte sinistra rappresenta, a guisa di prologo, la nascita di Èva nel Paradiso; la parte destra, a guisa di epilogo, l ’Inferno e il castigo espiatorio. Preso in esame in questa maniera, il pannello centrale ci mostra l ’apoteosi dell’errore. Noi incliniamo in ogni caso ad interpretare il suo contenuto ambiguo come un’allegoria della vita terrestre dei sensi, non redenta, un’allegoria della maledizione della carne e del trionfo della concupiscenza ».3 Un’« apoteosi dell’errore »: si può porre un paradosso più sottile? Il concetto di apoteosi è positivo, all’interno di una visione millenarista: esso presuppone le delizie dell’autodeificazione, in cui l’intensità giunge sino alla ebbrezza estatica. Mentre il concetto di errore è negativo: esso implica la nozione di una grossolana concupiscenza. E questo rinvia al vecchio pregiudizio: il 'faizeur des diables’ non propone che misture infernali. Verifichiamo se la nostra nuova angolatura non ci permetterà una lettura più fedele. La dimensione interiore del trittico si presenta così ad uno spettatore senza idee preconcette: la parte sinistra rappresenta l ’Eden e quella destra l ’Inferno. Il pannello centrale rappresenta un secondo Paradiso che sviluppa il primo, approfondendolo. Infatti un unico e identico pae­ saggio passa attraverso i due pannelli; l’unione della prima coppia umana benedetta dal demiurgo, rappresentata nel primo pannello, si mostra feconda nel pannello centrale 3 Max J. Friedländer, op. cit., p. 104.

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dove è rappresentato un vero e proprio sciame di figli di Adamo. Queste creature, in una nudità giovanile, senza manifestare il minimo disagio celebrano misteriosi culti erotici vegetali. Nel carosello della parte centrale, un’impetuosa schiera di giovani, a cavallo di animali fieri e potenti, descrive un cerchio attorno a un bacino la cui forma d ’uovo lo indica quale cellula germinale e ombelico di questo mondo pa­ radisiaco. Non soltanto la terra, ma anche le acque e l ’aria sono popolate da coppie di amanti e da comunità erotiche. Ciò conferisce a questo giardino d ’amore una di­ mensione cosmica e un significato religioso di portata uni­ versale. Per questa vasta famiglia adamita i piaceri ap­ passionati dei sensi si uniscono a una serena purezza. La brutale rottura introdotta con l ’Inferno sottolinea ancor meglio l ’unità che regna tra il pannello di sinistra e il pannello centrale. A lato di questi due Paradisi chiari, armoniosi e raggianti, l’Inferno si leva come un’immagine deformata, caricaturale, notturna e livida. Tutto ciò è chiaramente espresso nelle immagini. Nes­ suno, peraltro, sino ad oggi lo ha notato, giacché sem­ brava impensabile che un tale dispiegarsi di nudità e di gioia erotica, libera da ogni colpa, potesse essere cele­ brato in un dipinto cristiano. Si è preferito vedervi, nega­ tivamente, un ammonimento contro la voluttà, e un av­ viso dei castighi che ne sono la conseguenza immediata, senza neppure porsi la domanda se l ’erotismo di quel , pannello centrale non avesse un significato religioso. Si è così stravolta sino all’assurdo una pittura dalla tematica così nuova e ardita, e stretta nella camicia di forza del­ l ’ascetismo teologico e morale una grande testipionianza del libero pensiero. Occorre cercare l ’origine del malinteso fondamentale di cui ha sofferto quest’opera nell’accostamento fuorviarne a un altro trittico di Bosch, Il carro di fieno, già citato. Il pannello centrale di questo trittico mostra allegoricamen­ te la vanità della vita terrestre: ecco un grande carro colmo di fieno: quelli che Dio ha invitato alla mietitura - monaci e monache, cittadini, contadini, mendicanti e ladri di ogni sorta - arraffano con avidità manciate di 29

fieno. I più alti dignitari di questo mondo, papa e impe­ ratore, clero e nobiltà, seguono il carro, alla cima del quale è insediata una giovane coppia che si concede te­ neri divertimenti al suono del liuto. Sebbene il profeta dal mantello nero metta instancabilmente in guardia il mondo contro le ‘vanità della carne’, nessuno dei perso­ naggi si rende conto che un’orda di demoni conduce il carro e il fieno diritti all’Inferno. Per quanto aspro sia il contrasto tra la satira di costu­ me, che si manifesta nella visione del castigo, e l ’estatica atemporalità del nostro Paradiso, la corrispondenza tra i due trittici si evidenzia nel fatto che entrambi, nei pan­ nelli laterali, hanno dipinto l ’Inferno. Da questa simili­ tudine esterna si è tratto un legame interno, e questo passo di Isaia, di un ascetismo nemico del corpo e della vita, ce ne darà la chiave: « Erba è tutta la carne, e tutta la sua gloria un fiore di campo » (Isaia x l , 6). Si è applicata questa metafora, che è all’origine del Carro di fieno, all’antropomorfico prato fiorito del Para­ diso e si è visto nelle sue delizie erotiche un florilegio del­ la caducità e una scuola di lussuria. Nelle due opere, Bosch avrebbe rappresentato rispettivamente nel pannello dell’Eden lo stato d’innocenza del primo uomo, nel pan­ nello centrale gli smarrimenti della caduta, e nel pan­ nello dell’Inferno il castigo degli smarrimenti sacrileghi. Questa analogia approssimativa è all’origine dei diversi ti­ toli dati all’opera: La lussuria, II Paradiso dei piaceri,

L'attività del mondo, 1 vizi e le loro conseguenze. Cinque argomenti si oppongono a questa estensione della tematica del Carro di fieno al Regno millenario. Prima di tutto, la distribuzione delle loro parti non è la stessa. Nel Regno millenario, i due Paradisi formano un insieme omogeneo, distintq dall’Inferno. Nel Carro di fieno, pannello centrale e Inferno laterale si mesco­ lano, si confondono, perché il carro è trascinato dai suoi conducenti diabolici verso le fiamme dell’Inferno. Ecco la seconda differenza. Il pannello centrale del Carro di fieno stigmatizza spietatamente un egocentrismo criminale, esasperato sino al delitto. Nulla di simile nel pannello centrale del Regno millenario. Bosch non ha af­ 30

fatto cercato di connotare in senso peccaminoso i figli di Adamo che lo popolano. A l contrario essi si aggirano in questo giardino di pace con l ’innocenza di un fiore, in pieno accordo con gli animali e le piante, e la sessualità che li anima è percepita come gioia pura, pura estasi. Così, l ’interpretazione corrente, secondo cui Bosch rap­ presenterebbe in chiave satirica il 'Giardino della Signora Terra', è incompatibile con l ’evidente constatazione che manca nel dipinto ogni atteggiamento censorio. Si dirà che, essendo sessualità e sensualità malvagie in sé, ogni loro rappresentazione, per quanto ingenua e innocente, resta sotto il segno di un’assoluta condanna morale. Bosch avrebbe nascosto sotto la maschera di una innocenza in­ gannevole le trappole insidiose della voluttà, rendendola con ciò ancora più ammaliante per smascherarla in se­ guito più brutalmente. pannello delPInferno non conferma una simile in­ terpretazione. In effetti, noi vediamo bene come qui si torturino musici, giocatori, ladri di oggetti sacri, monache perverse, preti dissoluti e cavalieri assassini, ma non uno solo dei peccatori voluttuosi. L ’idea fondamentale del seducente Giardino di Venere non vi è sviluppata: il catalogo infernale dei peccati registra delle colpe di tutt ’altra natura. Nel Carro di fieno, al contrario, l ’Inferno ha sparpagliato nel mondo i suoi sbirri e i suoi battitori: tutta un’orda con il ventre di pesce, con la testa di topo, di riccio, di cervo, d ’orso. Il mondo del pannello centrale è già sotto la cappa dellTnferno. La quarta differenza tra i due dipinti è ancora più ri­ levante. Nel Carro di fieno, il pannello laterale dell’Eden si pone come un riscontro ideale della vita terrestre. Ciò nonostante, la degenerazione dell’uomo, tema del pan­ nello centrale, è già annunziata. In questa pala dell’Eden, la creazione dell’uomo è raffigurata in piccolo e, proprio sotto e molto più in grande, è raffigurata la caduta. Di più, Vespulsione dal Paradiso è il motivo centrale del primo piano, e il motivo essenziale della caduta degli angeli indica espressamente che tutta la vita terrestre è asservita a Lucifero, ‘Principe di questo mondo’. Nel trit­ tico del Regno millenario, al contrario, non vi è la mi­

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nima traccia del peccato originale, della caduta, della espulsione dal Paradiso da parte dell’angelo con la spada fiammeggiante o, a maggior ragione, della rivolta e della caduta del Principe degli angeli. Si tratta di una rappre­ sentazione dell’innocenza originale in tutta la sua purezza, vergine di peccato, e che non conosce vergogna. Secondo ogni evidenza, le creature del pannello centrale non pro­ vano vergogna della loro nudità. Bosch voleva evidente­ mente rappresentare, senza maliziosi sottintesi e con pro­ fonda serietà ideale, l ’apoteosi della felicità paradisiaca della creatura unita a Dio e riconciliata con la natura. Donde provengono gli esseri che popolano questo Pa­ radiso? Questa preliminare ed elementare questione, di cui sino ad oggi nessun commentatore si è preoccupato, ci pone di fronte a un dilemma biblico in quanto, secondo la Genesi, Adamo ed Eva non ebbero figli in Paradiso. I figli nacquero dopo che Adamo ed Eva furono cacciati dal Paradiso ‘tra le spine e i cardi del móndo’. Bosch nondimeno - e contrariamente a quanto fa nel Carro di fieno - situa la scena centrale del Regno millenario non nel ‘mondo’, bensì nell’immediata continuazione del Para­ diso. La condizione che raffigura è quella che sarebbe stata se Adamo ed Eva non avessero ceduto alla tenta­ zione. In altri termini, un’ 'utopia’, quella di un giardino di delizie estraneo alla caduta, o meglio ancora e con più verosimiglianza - perché Bosch non poteva ignorare pura­ mente e semplicemente il dogma del peccato originale quella di uno stato chiliastico che sopravverrà quando l’umanità, espiato il peccato originale, avrà ritrovato il Paradiso e la pace delle sue creature. Le ante esterne del trittico lo indicano chiaramente: l’esaltazione dello stato d ’innocenza dell’uomo è il tema conduttore dell’intero dipinto. Queste ante rappresentano infatti, in una forma solenne e ispirata, l ’universo come poté presentarsi il terzo giorno della Creazione, quando emerse dal caos originario e si ricoprì della prima vegeta­ zione. In quella misteriosa sfera di cristallo si trova celata una concezione del cosmo troppo profonda, un pensiero religioso troppo universale perché, nel pannello centrale, il mondo possa degenerare assurdamente in un semplice 32

labirinto di sensi smarriti. La storia del mondo, che noi vediamo mettersi in movimento in questa sfera di cristallo, non potrebbe in nessun caso, dopo un preludio di tale san­ tità, gravitare attorno a un lupanare in cui fosse rappre­ sentata la colpa originale e si sprofondasse nell’Inferno, perché, come polo opposto al giorno della Creazione, l ’In- 1 ferno sarebbe allora il giorno della distruzione, inesorabil­ mente fissato da Dio nel suo piano dell’universo. Una tale concezione non può che sorgere dal cervello di un nichilista integrale o di un folle satanico. Bosch ha voluto rivelare il pensiero fondamentale della sua Creazione imprimendo a caratteri suggestivi sopra en­ trambe le semisfere un versetto biblico, confidando nel fatto che i suoi compagni di fede ne avrebbero ricono­ sciuto l ’origine: queste citazioni lapidarie dovevano far risuonare nelle loro anime l ’intero salmo da cui sono tratte. Sull’anta sinistra si legge: « Ipse dixit et facta sunt »; sulla destra: « Ipse mandavit et creata sunt ». Queste maestose parole della Creazione appaiono nel sal­ mo 148, versetto 5. In esso si trovano tutti gli elementi — le altezze stellari e le profondità marine, la neve, la nebbia, la grandine, la tempesta, le montagne, gli alberi, gli ani­ mali di ogni specie - che si uniscono ai ‘giovani uomini' e alle 'giovani donne’ in una vibrante esaltazione del­ l ’Eterno: non è propriamente la fonte letteraria del trit­ tico, ma ne informa nondimeno lo spirito religioso. La citazione biblica scelta per l’iscrizione, « Giacché egli parlò e le cose furono fatte », « Egli comandò e fu­ rono create », esprime con tutta la suggestione della sua duplice, insinuante e al tempo stesso imperiosa rivelazione, il concetto di ‘compimento’. Le ante esterne del trittico rendono sensibile il carattere ineluttabile di questa realiz­ zazione: in alto, a sinistra, sotto una sfavillante volta di cristallo, siede sul trono Dio Padre; sulle sue ginocchia, un libro aperto, simbolo per antonomasia del Verbo. Il globo del trono celeste, piccolissimo nella sua lontananza, riappare nella sfera di vetro del cosmo, magnifico, monu­ mentale simbolo della realizzazione fedele della volontà divina di creazione. Questa seconda sfera è un’emanazione della prima, è il Verbo di Dio realizzato in tutta la sua 33 3

purezza. Analogamente, quando si aprono le ante del trittico, si vede il globo cosmico ‘realizzato' a sua volta in tutta la sua pienezza. E la successione dei pannelli in Paradiso, Regno millenario e Inferno, riflette fedelmente l ’ordine delle differenti zone della sfera cosmica primitiva: cielo, terra e mare, mondo infero. Se dunque il trittico nel suo insieme è dominato dal pensiero del Verbo Creatore che si realizza, il pannello centrale deve necessariamente riflettere anch’esso questo pensiero positivo. Bosch è stato un innovatore audace. Come pioniere dei dipinti di costume e di paesaggio, ha liberato l’arte dalla sua medievale soggezione alla Chiesa; nell’ambito più personale della sua arte, le visioni fanta­ smagoriche, ha posto in caricatura il timore di Dio con­ trollato dalla Chiesa, trasformandolo in un voluttuoso e gigantesco pandemonio. Egli ha situato questo trittico in uno spazio intermedio in cui appare un nuovo impulso religioso, in opposizione alla Chiesa. Nel pannello cen­ trale ha dipinto l’itinerario di una salvezza fondata su una ars amandi religiosa, su un mistero erotico, ponendo con questo i fondamenti portanti di una nuova scala di valori che concilia fede cristiana e sottomissione armo­ niosa alla natura: un sistema secondo il quale la vecchia opposizione tra spirito e istinto sarà superata in una nuova concezione di un Dio-natura, a dispetto del dia­ volo e della morte. Per quale culto di tipo cristiano questo dipinto è stato concepito? Giacché l’anta che introduce la trilogia rap­ presenta il Paradiso in cui il Creatore unisce Adamo ed Èva, e giacché il pannello centrale presenta una moltitu­ dine di giovani visibilmente generati da Adamo ed Èva, non può che trattarsi di un culto adamita. Noi oggi sap­ piamo, dopo le vaste ricerche di Konrad Burdach, che il culto di Adamo è tra i segni caratteristici dell’inizio del Rinascimento. Una sintesi si era allora operata tra la vecchia eredità platonica, agostiniana, neopitagorica e gnostica e aveva dato origine a una filosofia che vedeva nell’ ‘Uomo originale’ l’archetipo, il simbolo di un rinno­ vamento interiore e dell’accesso dell’uomo a un’umanità pura e libera. 34

« Ciò che è discusso da un punto di vista mistico, negli scritti di sant’Agostino e dei suoi epigoni, come facente parte della fede cristiana nella salvezza, continua a vivere negli spiriti della fine del Medioevo, ma libero dall’asservimento alla Chiesa e carico di una religiosità che ha fatto di questo mondo il regno di una nuova nascita del­ l ’uomo allo stato di purezza originaria di Adamo, d’un ri­ torno alla semplicità, alla bellezza, alla purezza, di un ri­ torno all’umanità simile a quella che Dio aveva primitiva­ mente creato: a Sua immagine » . 4 Questa nuova visione dell’ 'Uomo originale' trovò la sua più magnifica espressione in un mediterraneo contem­ poraneo di Bosch, Pico della Mirandola, il neoplatonico fiorentino che compose un elogio appassionato di Adamo. Situato tra l’animalità e la divinità, Adamo è il Proteo della metamorfosi universale, giacché: « Se egli si abbandona agli impulsi della sensualità, di­ viene selvaggio e simile a un animale; se segue la ragione, si trasforma in creatura celeste; ma se sviluppa le sue forze intellettuali, egli diventa angelo e figlio di Dio; e se in­ fine, insoddisfatto del destino della creatura, si ritira al centro di ogni vita, diviene allora uno con Dio stesso: un puro spirito che, elevato alle altezze solitarie dove Dio troneggia su tutte le cose, vi erigerà il suo trono, al di sopra di tutto ciò che è. È per questo, a buona ragione, che Esculapio di Atene ha dichiarato che nei Misteri la facoltà che ha l’uomo di trasformarsi nelle creature più diverse era simbolizzata da Proteo. Ed è per questo che i pitagorici e gli ebrei celebrano una festa della metamor­ fosi ». Anche nei Paesi Bassi, la prima coppia umana era di­ ventata il simbolo esaltante di un’umanità armoniosa e realizzata; i due nudi rivoluzionari di Jan van Eyck lo testimoniano in maniera superba. La serena compostezza della loro nudità, ritratta da molto vicino, esercitava un potente effetto sugli osservatori, al punto che l’altare di Gand - passando in secondo piano la fastosità della sua 4 Konrad Burdach, Reformation, Renaissance, Humanismus (Riforma, Rinascimento, Umanesimo), 2a ed., Berlino e Lipsia, 1926, p. 160.

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poliedrica struttura - era conosciuto in quell’epoca so­ prattutto per il dipinto di Adamo ed Èva. Tuttavia la coppia originaria veniva rappresentata da Jan van Eyck, Hans Memling e Hugo van der Goes secondo uno schema tipologico ancora interno alla storia sacra tradizionale, mentre Bosch, nel rappresentare il risveglio dell’umanità originaria, le attribuisce maggiore autonomia. I figli di Adamo ed Èva che popolano il pannello centrale del nostro dipinto devono essere intesi nel senso di un tale ritorno allo stato di purezza originaria dell’uomo. Essi sono 'rinati' attraverso la mediazione di Adamo, hanno ritrovato grazie a lui la condizione originaria del Pa­ radiso. È solo in Bosch che il culto di Adamo diviene questo vero ‘incanto’ proteiforme della metamorfosi; che, per riprendere le parole di Pico della Mirandola, sor­ gendo dalla contemplazione o immersione nel « centro di ogni vita », « la festa della metamorfosi », di ispirazione pitagorica, è finalmente divenuta realtà, avvenimento. In questa prospettiva, l’anta dell’Inferno appare come un supplemento estraneo. Quali creature l’Inferno può minacciare in questo trittico in cui il pannello centrale celebra le delizie del Paradiso quale si presentava al tem­ po di Adamo e quale riappare sotto il segno del nuovo Adamo? Questo pare inspiegabile. Poiché laddove non vi è più colpa originale, l’Inferno perde ogni significato. No­ nostante questo, nella nostra nuova interpretazione l’In­ ferno non è assolutamente abolito; esso si illumina solo di una nuova luce, che cerchiamo di spiegare attraverso il prisma di una semplice analogia: nei dipinti tradizio­ nali, tra la caduta e il giudizio finale incontriamo general­ mente il Calvario, affinché il fedele possa prendere confi­ denza con il crocefisso, certo che le anime, lavate dal peccato originale dal sangue di Cristo, saranno assolte nel giorno del giudizio e sfuggiranno all’Inferno. Per spaventoso che sia, l’Inferno dell’anta laterale è là come un semplice avvertimento destinato alle anime cieche, chiuse alla Buona Novella. La stessa cosa vale per il nostro dipinto: i membri della setta trovano la loro consolazione nella contemplazione di un Paradiso eterna­ mente aperto ai fratelli uniti nel nome di Adamo; co­ 36

loro che non sono iniziati al mistero della 'reincorpora­ zione’, coloro i cui occhi non sono ancora aperti, coloro che disprezzano il Vangelo adamita della natura divina originariamente pura dell’uomo, questi vengono scagliati neH’Inferno. Quelli che non possono sfuggire al castigo infernale sono i membri della vecchia Chiesa con i suoi monaci e le sue badesse; sono i figli di questo mondo: i musici, i saltimbanchi, i giocatori o i cavalieri. È giusto. I cristiani membri di una setta hanno la sensazione di far parte del numero ristretto degli eletti ed è per questo che essi insistono con tanta ferocia sui castighi che at­ tendono nell’Inferno la folla dei farisei, degli adepti del vecchio credo. In questo va senza dubbio ricercata la ra­ gione psicologica delle temperature eccessive che regnano negli ‘Inferi’ del nostro pittore. Solo una tale interpretazione del trittico rende piena­ mente ragione di tutti gli elementi dell’opera; inoltre è ri­ gorosamente consequenziale dal punto di vista teologico. Essa fornisce a questo dipinto, sino ad oggi inesplicabil­ mente isolato nella storia delle idee e dell’arte, uno sfon­ do storico e religioso ricco di insegnamenti e tale da mo­ strare in una nuova luce la personalità ermetica del pit­ tore.

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I Fratelli e le Sorelle del Libero Spirito

Il 12 giugno 1 4 1 1 compariva dinanzi al tribunale epi­ scopale di Cambrai Fratello Willem van Hildernissen, dell’ordine dei Carmelitani, uno dei capi degli 'homines intelligentiae’ di Bruxelles. Egli dirigeva questo gruppo con Aegidius Cantor, un laico di una sessantina d ’anni. Un atto d ’accusa dettagliato in ventuno punti, che riassu­ me le aberrazioni di Cantor e dei suoi discepoli, comple­ tato da un secondo documento, in diciotto punti, che de­ finisce le eresie del monaco, ci dà un’immagine eccezio­ nalmente precisa della vita di una comunità eretica. Que­ sta setta aveva una concezione particolare del 'Paradiso' e, come dottrina segreta, un’eròtica adamita.

G li ‘homines intelligentiae’ fanno parte di un vasto movimento eretico sparso in tutta l ’Europa a partire dal X III secolo. Senza formare dei corpi solidamente organiz­ zati, esso si sviluppa nei territori germanofoni lungo tutta la valle del Reno, da Basilea ai Paesi Bassi, passando per Strasburgo, Magonza e Colonia: si tratta de I Fratelli e le Sorelle del Libero (o A lto) Spirito. Questi eretici si denominavano così perché credevano di incarnare lo Spi­ rito Santo, di essere elevati dalla sua potenza a un tale stato di perfezione spirituale che, sebbene immersi nella carne e nei suoi desideri, erano divenuti incapaci di pec­ 39

care. Essi credevano di vivere già sulla terra lo stato pa­ radisiaco di innocenza. Raggruppati in comunità esoteriche organizzate come logge, i discepoli del Libero Spirito, sotto apparenze de­ vote, sono infatti adepti di una gnosi che aspira alla su­ prema perfezione. I loro membri sono laici dei due sessi, provenienti da tutti gli strati sociali, ma si reclutano in primo luogo tra quei semi-ecclesiastici super-devoti che sono i terziari, i begardi e le beghine. Queste ultime, in particolare, fanno maturare a tal punto l ’eresia del Li­ bero Spirito da attirarsi la condanna del concilio di Vien­ na, nel 1 3 11. Gli 'homines intelligentiae’ di Bruxelles apparteneva­ no a una frazione radicale del Libero Spirito, i cosid­ detti adamiti. Nel denominarsi ‘uomini dello Spirito' essi sottintendevano il concetto scolastico di ‘ intelligentia’, che si contrapponeva all’empirica ‘ratio’, come ‘cono­ scenza soprasensibile che crea ciò che ancora non è stato creato’. Il termine ‘homines’ ha quindi il significato di essere umano, all’interno dell’aspirazione a una superiore dignità umana che, nella misura in cui si fonda sulla so­ miglianza a Dio, non è subordinata a nascita, posizione sociale, rango o censo. Di conseguenza, anche la differen­ ziazione tra uomo e donna era risolta nel superiore con­ cetto di ‘homo’. Così la donna poteva entrare nella cer­ chia dei ‘fratelli’ in qualità di uguale, liberata finalmente dalla condizione di inferiorità cui l ’aveva condannata la Chiesa, sottratta al disprezzo che faceva di lei la 'porta di Satana’ o che induceva il sinodo di Macon a discutere se la donna dovesse essere considerata un essere umano, per tacere poi della demonizzazione del sesso femminile nel

Matteus maleficarum. Per la sua costituzione mista questa confraternita si distingueva dalle congregazioni caritatevoli, che raggrup­ pavano separatamente uomini e donne. G li appellativi di 'fratello' e ‘sorella’ hanno d ’altronde un differente signifi­ cato nei due casi. G li uni prendono questi termini nella loro seconda accezione, derivata da 'fratelli in una mede­ sima fede’, e vengono in aiuto ai loro correligionari cu­ rando i malati e i poveri, assistendo le vedove e gli orfa­ 40

nelli, vegliando i morti. Gli altri intendono questi ter­ mini nella loro prima accezione di ‘parentela fisica e spi­ rituale’. Si considerano tutti come 'figli di Adamo’ uniti da legami effettivi di parentela. Chiamati, nell’ambito di questo mondo perduto, a riconoscersi nuovamente gli uni con gli altri e a purificarsi, la loro speranza è di riconqui­ stare la libertà spirituale, di tornare ad essere, come in origine, 'ad immagine e somiglianza di D io’. Gli adamiti godettero sempre di pessima fama, fin dal loro primo apparire. Epifanio, nel passo qui riportato, de­ scrive gli usi rituali di una setta adamita paleocristiana in termini denigratori, rappresentandola come un branco di talpe che brulicano nel buio: « Le loro chiese non erano che caverne sotterranee, dove si riunivano attorno al fuoco. Nell’entrare si toglievano gli abiti e, uomini e donne, nudi come appena usciti dal grembo materno, pe­ netravano nell’andito. Qui avevano luogo letture e pre­ ghiere; il tutto si svolgeva senza obblighi precisi o regole, mentre i maestri sedevano più in alto degli altri mem­ bri della comunità » (Panarion haer. l x x i i ) . Sul contenuto del loro culto il padre della Chiesa non sa dirci nulla, ma aggiunge sarcasticamente che si trattava di « incontinenti e vergini ». Ma è d ’altronde lui stesso a dimostrarci che questa nudità cultuale si fondava su un principio etico, nel momento in cui fa notare come da questi incontri fosse escluso chiunque fosse caduto in peccato. Per loro era come cacciare Adamo, che aveva mangiato il frutto proi­ bito, dal Paradiso, cioè la loro ‘Chiesa’. Poiché essi defini­ vano la loro Chiesa come Paradiso, così come, del resto, si chiamavano l’un l’altro Adamo ed Èva. Pur senza citare alcun loro eccesso, Epifanio fa risalire la loro nudità e i loro commerci a una sessualità insaziabile. Da questa prima fonte hanno attinto in parte anche sant’Agostino (De haer. xxxi) e san Giovanni Damasceno (De haer. l x x x v i i i , 5 2 ). Tuttavia il padre della Chiesa greca tende a sottolineare maggiormente l ’ascetismo della loro vita senza matrimonio. E così sant’Agostino, il quale ri­ ferisce, in termini obiettivi e privi di condanna, il loro ideale dello stato originario: « G li adamiani si chiamano così dal nome di Adamo; essi tendono alla nudità paradi­ 41

siaca com’essa era prima della caduta. Rifiutano il ma­ trimonio, poiché Adamo, prima di peccare ed essere cac­ ciato dal Paradiso, non riconosceva la sua donna. Essi credono che non ci sarebbero stati altri matrimoni, se nessuno avesse peccato. Nudi, uomini e donne si incon­ trano, nudi pregano, nudi ascoltano le letture, nudi rice­ vono i sacramenti, e per questo chiamano Paradiso la loro Chiesa ». A partire da queste fonti possiamo dunque pensare che gli adamiti, riunendosi in luoghi sotterranei intorno a un fuoco, mitico centro di ogni divenire, anelassero, per mezzo della loro nudità rituale, ad una rinascita all’inno­ cenza paradisiaca. La celebrazione di questo rito di nudità, all’interno dell’esplicito rifiuto del matrimonio, significava la tensione verso una neutralizzazione ascetica della ses­ sualità, alla quale facevano risalire, evidentemente, il peccato originale. Ma significava ancor più il loro porsi, senza coperture o mediazioni, dinanzi a Dio, poiché cre­ devano di trovarsi davanti ai suoi occhi, nel Paradiso. Infine la caverna, intesa come buio grembo materno della terra, indica la presenza, all’interno dei loro usi, del mi­ stero del « Muori e divieni! ». La caverna era dunque anche il luogo dove gli spiriti degli avi attendono la rein­ carnazione e i non ancora nati il giorno in cui sarà data loro la vita. Per quanto generici siano i tre racconti, a cui ci siamo riferiti, ne riceviamo comunque l’impressione che gli adamiti abbiano fatte proprie le parole attribuite a Gesù in risposta a Salomé che gli chiedeva quando la morte avrebbe avuto fine e sarebbe iniziato il Regno di Cristo: « Quando avrete calpestato l’abito della vergogna, e quando due cose diventeranno una sola, e l’esterno l’in­ terno, e il maschile femminile, così che non ci sarà più né maschile né femminile... Io sono venuto per annullare le opere del femminile ». A una lettura in chiave positiva si contrappone Theodoret, il quale condanna la nudità adamita in quanto orgiastica e oscena. Egli collega gli adamiti al comuniSmo sessuale dei carpocraziani, i quali seguivano una sorta di diritto di natura, proclamavano la partecipazione egualita­ ria e comunitaria a tutti i beni terreni. Essi si spingevano 42

fino ad accoppiarsi tra consanguinei e ad offrirsi pubbli­ camente. Secondo Clemente Alessandrino un certo Pro­ dico avrebbe definito queste pratiche come « comunione mistica ». Theodoret ha ripreso il nome di Prodico attri­ buendogli l ’atto di fondazione degli adamiani: « Prodico, un successore di Carpocrate, fondò la setta eretica dei cosiddetti adamiani. Questi aggiunse alle regole di Car­ pocrate quelle dell’incontinenza totale. Egli sanzionò il possesso comune delle mogli. In seguito a questo ognuno si accoppiava con la donna che gli capitava, in luoghi aperti e bui, e per di più essi attribuivano a queste in­ temperanze un valore di rituale iniziatico » (Haereticarum fabularum compendium i, 6). La luce ambigua gettata da Epifa­ nio su questa setta si trasforma qui decisamente nei toni cupi di una promiscuità occulta. Nulla rimane dell’ideale dello stato originario - così obiettivamente registrato da sant’Agostino - che gli adamiti cercavano di rinnovare nell’oscurità delle loro caverne. Dopo più di mille anni appare nell’Europa del nord una setta analoga, senza che sia peraltro possibile rintracciare un legame storico tra gli adamiti paleocristiani e quelli medievali. Possiamo solo constatare che nelle fonti cleri­ cali le posizioni contraddittorie di Epifanio e di Theodoret si confondono, così che il giudizio su questa setta rimane un grosso punto interrogativo. Un esempio ce lo forni­ sce il carinziano abate Giovanni Vittoriense, che nel suo Cronicon del 1326 ci riferisce di un adamita olandese che viveva a Colonia: « A quel tempo apparve a Colonia una setta eretica: uomini e donne, di diverse condizioni, si incontravano, nel pieno della notte, in luoghi sotter­ ranei, che essi chiamavano il loro tempio. Un certo prete del diavolo, di nome Walther, celebrava la Messa e, dopo l’Elevazione e la predica, essi spegnevano le luci, dopodiché ogni uomo faceva atto di riconoscere la donna che aveva accanto. Dopo una ricca cena, si davano alle danze e a ogni sorta di piaceri, che essi chiamavano lo stato del Paradiso, com’esso era dato ai genitori originari prima della loro caduta. Il capo di questa follia si faceva chiamare Cristo, e Maria si chiamava la nobile e bella fan­ ciulla che gli si poneva accanto. Così facendo egli degra­ 43

dava il Sacramento della Fede, e di conseguenza i valori della costumatezza e della verità ». Da questo esempio si capisce che le parole di Epifanio e di sant’Agostino si sono caricate, nel corso del Medioevo, della connotazione negativa, già data da Theodoret: meta del culto adamitico non è l’innocenza paradisiaca ma l’in­ temperanza del lupanare. Dovunque l’eresia adamita si sia diffusa in Occidente, gli atti processuali riportano gli stessi concetti guida: Adamo simile a Cristo in quanto portatore di rivelazione; il culto della caverna sotterranea come Paradiso; la nudità rituale; l’amore innocente reli­ giosamente sentito, definito come ‘amore angelico’, ele­ vato alla sfera del soprasensibile. Da ciò deriva per noi un interrogativo, se cioè la concordanza tra queste eresie così distanti nel tempo, ma sostanzialmente analoghe nei contenuti, sia frutto di un appiattimento dovuto allo schematismo delle diagnosi della patristica, o se invece corrisponda ad una reale continuità 'sotterranea'. Può es­ sere utile a una verifica constatare la presenza di posizioni adamite in zone anche molto distanti a est, sud e nordovest dell’Europa. Enea Silvio Piccolomini ci racconta dei picardi-begardi di Boemia, che all’inizio del quindicesimo secolo fuggi­ rono l’inquisizione dei Paesi Bassi e della Germania e si rifugiarono nella Boemia, allora agitata dai fermenti hussiti. Essi avevano come capo un 'pastore supremo’ che si autodefiniva 'Adamo, figlio di Dio e Padre’ e che era accompagnato, secondo una fonte di Kònigsgraz, da una donna chiamata ‘Madre di Dio’. Analogamente all’olan­ dese Walther, egli pretendeva di essere simile a Dio. Egli era l’incarnazione di Adamo, che era a sua volta l’incar­ nazione di Cristo: Adamo e Cristo erano dunque, per questa setta, riuniti in un’unica personalità, quella del Redentore e Salvatore, rappresentata dal proprio capo. La caverna aveva un significato così profondo che gli ada­ miti boemi e austriaci erano conosciuti come 'gli abitanti delle fosse’, o ‘i minatori’. La descrizione di queste ca­ verne è per lo più abbozzata, ma allorché ci si sofferma su una rappresentazione più particolareggiata, risulta evidente che esse venivano viste come sedi di intemperanze sessuali. 44

Gli Atti del processo inquisitorio a carico degli Alum­ brados, variante spagnola di questa eresia, ci offrono un esempio estremo del concetto di Paradiso: al centro di questa setta di Toledo vi era una ‘Sibilla’, Francisca Hernández, che intratteneva rapporti sessuali ‘innocenti’ con innumerevoli suoi discepoli, tra cui Antonio Medrano e Francisco Ortiz. Medrano dichiarò che, dopo aver co­ nosciuto Francisca Hernández, Dio gli aveva fatto la gra­ zia di non sentire più desideri carnali, così che poteva dormire con una donna, nello stesso letto, senza pregiu­ dizio per la sua anima. Quanto a Francisco Ortiz, nella sua dichiarazione alla corte, affermò: « Dopo aver avuto rapporti con lei per una ventina di giorni, ho riconosciuto di aver acquisito più saggezza a Valladolid che in vent’anni di studi a Parigi. Giacché non Parigi, ma solo il Paradiso poteva insegnarmi questa saggezza ». Tali prove di castità, che ci fanno pensare alle tene­ rezze del Pastore di Hermas (Cap. h ) e alle Virgines subintroductae paleocristiane, e che ci sono state tramandate negli Atti dei Fraticelli (Liber sententiarum inquisitionis tholosanae, Limborch, i, p. 282 sgg.), tornano anche negli atti stesi sui no­ stri ‘homines intelligentiae' di Bruxelles: « Similmente, usano tra loro un linguaggio particolare, secondo cui essi designano l’atto d ’unione carnale per mezzo del termine “ gioia del Paradiso’’ o “ via ascen­ dente” (acclivitas). Ed è in questi termini positivi che essi parlano ad altri, che non li comprendono, di questi atti voluttuosi ». I commissari che condussero l’inchiesta furono abbastan­ za obiettivi da includere nel processo verbale questi due esempi di terminologia libero-spirituale, che esprimevano valori morali. Il termine ‘acclivitas’ significa in effetti ‘direzione ascendente’, volontà di giungere alla perfezione umana. Parimenti, il loro concetto di ‘Paradiso’ sugge­ risce la tensione verso una sublimazione suprema della sessualità. Naturalmente per la moralità ascetica dei giu­ dici dell’Inquisizione non vi era modo di « bene loquere de sexualibus ». Nel loro linguaggio questa zona era sino­ nimo di vergogna, lo stigma stesso della caduta. Di con­ seguenza, ogni idealizzazione della sessualità non poteva 45

essere altro che un tentativo ipocrita di nascondere il traviamento. Questa degradazione bigotta di un’eròtica spiritualizzata in una sessualità volgare, si fondava par­ ticolarmente su un passaggio della Seconda Lettera a T i­ moteo (in , 4-6), in cui san Paolo descrive con i tratti di sacerdoti di scostumatezze i tentatori che, nell’imminenza della fine dei tempi, « amando il piacere più di Dio, avendo l ’apparenza della pietà, ma rinnegando ciò che ne fa la forza... s’introducono nelle case e si accattivano le donne di spirito debole e ottuso, cariche di peccato e agitate da passioni di ogni specie ».

Tali denunce non hanno che un valore storico limitato: esse non si fondano su fatti reali, ma sono l’espressione di stereotipi applicati senza distinzione a tutti gli eretici visti come soldati dell’Anticristo, questo grande spauracchio della fine del Medioevo. Benché questo aspetto stereotipo del pensiero medievale sia perfettamente noto dalla pub­ blicazione dell’opera di Ernst Bernheim, Mittelalterlichen Zeitanschauungen, la critica storica, nel suo insieme, non è andata oltre questa condanna morale del Libero Spiri­ to, senza analizzare preliminarmente il sistema dottrinale che si ricollega ai concetti essenziali di ‘cammino ascen­ dente’ e ‘Paradiso’. È più che mai importante sottolineare il giudizio ragionato e imparziale espresso da Herbert Grundmann nei suoi Studi su Gioacchino da Fiore : « Se noi sapessimo a loro riguardo tante cose quante ne conosciamo su Mastro Eckhart, ed è sovente difficile discernere in quali trattati mistici, tra quelli che ci sono pervenuti, è la voce del maestro che parla, e in quali è la voce del movimento che parla, se avessero risposto alle accuse addotte contro di loro come fece Eckhart, al­ lora senza dubbio noi vedremmo nella presunta moralità rilassata e corrotta di parecchi tra questi eretici una cre­ denza nella possibilità terrestre dell’ "homo perfectus” , credenza che, presso Eckhart ugualmente, malgrado tutte le sue riserve e le sue rettifiche, costituisce la base pro­ fonda della sua dottrina etica » . 5 5 Ernst Bernheim, Mittelalterlichen Zeitanschauungen in ihrem Einfluss auf Politik und Geschichtsschreihung (Le concezioni del tempo medievali

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Il loro 'cammino ascendente’ verso la perfezione inno­ cente passava attraverso l ’amore platonico, inteso in senso stretto, nella misura in cui nell’amato essi non vedevano che l’idea dell’essere umano originario. Di origine plato­ nica era anche il loro tanto diffamato comuniSmo amoroso, che ben si distingue quindi da una banale, intemperante poligamia. Avendo come obiettivo quello di ricostruire la coppia originale, l’amore libero-spirituale non era ‘ indi­ viduale’, ma umano. Il genere prevaleva sul singolo indi­ viduo giacché l’adamismo si fondava sull’assioma del­ l’uguaglianza di tutti i figli di Adamo. La degradazione dell’uomo in quanto genere, conseguenza della caduta nell’istinto animalesco, è esclusa dal secondo assioma della setta: l’uomo è il ritratto vivente di Dio. Questo lo ele­ vava al più alto rango spirituale che si potesse concepire. Inoltre, l’unione mistica dei sessi a cui si tendeva non era possibile se non attraverso una severa santificazione del­ l’amore. Un amore fondato su delle concezioni così elevate po­ teva più facilmente trascurare i limiti ‘borghesi’ del ma­ trimonio, tanto più che all’epoca esso non era stato in­ vestito di tutto il valore etico che la Riforma gli avrebbe in seguito conferito. La Chiesa considerava il celibato come lo stato perfetto, e il matrimonio non era per essa che una concessione fatta alla debolezza della natura uma­ na. In più, il matrimonio nella sua forma borghese non era, all’epoca, che una semplice istituzione economicogiuridica, svuotata del suo contenuto specifico: l’amore. Andrea Cappellano, il teorico dell’amore medievale, ce lo conferma con cruda obiettività. Ora, ciò che importava per i discepoli del Libero Spirito era solamente l’amore, e non nella sua prosaica espressione ‘borghese’, ma nella più alta sacralizzazione possibile. Non erano delle qualità esteriori, ricchezza o bellezza, che seducevano gli amanti adamiti e li univano, ma la poe il loro influsso sulla politica e sulla storiografia), Tubinga, 1918, vol. I; Herbert Grundmann, Studien über Joachim von Floris (Studi su Gioac­ chino da Fiore), Lipsia e Berlino, 1927, in « Beiträge zur Kunstgeschichte des Mittelalters und der Renaissance » (Saggi sulla storia dell’arte del Medioevo e del Rinascimento), a cura di Walter Goetz, vol. XXXII.

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tenza spirituale delle 'affinità elettive'. Il sentimento reli­ gioso fondamentale di essere destinati l ’una all’altro al fine di manifestare la volontà di Dio « divenendo tutt’uno, un’unica carne », questo sentimento escludeva l’anarchia dei desideri sessuali. Anche se, in via di principio, il ma­ trimonio plurimo era autorizzato, il matrimonio libero­ spirituale aveva una forza d ’unione tale da creare una co­ munità indissolubile. Per gli annunciatori dell’ ‘amore an­ gelico’ sarebbe stato peccare contro lo Spirito Santo pren­ dersi beffe di questa ideale liberamente scelto, ideale che essi affermavano con tanto coraggio di fronte alle perse­ cuzioni esterne, non indietreggiando neppure davanti alla morte. Certo, vi erano tra i loro ranghi anche esseri gros­ solani, donne lascive e ‘redentori’ ambigui. Simili aberra­ zioni, di cui si ha notizia nelle cronache giudiziarie, simili degenerazioni non fanno che confermare le difficoltà di questa scelta, senza smentirla. Simili esigenze spirituali sd possono soddisfare solo parzialmente, e alcune ricadute sono inevitabili allorquando il postulato etico si estende a un ambito che cela così grandi e vertiginose possibilità d ’errore. Ammesso questo, bisogna attribuire la cattiva re­ putazione della setta a calunnie suscitate dalla regola del silenzio prescritta dai 'misteri' adamiti. L ’ombra del so­ spetto segue sempre ciò che è tenuto segreto e quando appare una sfumatura di sessualità, essa diviene inevita­ bilmente la vittima di una lubrica curiosità. Ancora oggi sussiste la confusione grossolana tra eros e sesso, accen­ tuata dall’arido materialismo sessuale delle ultime genera­ zioni; non ci si può dunque attendere una valutazione più ragionevole da parte degli zelanti tribunali inquisitòri, so­ prattutto perché l’eresia era palese. La persecuzione del Libero Spirito da parte dei tribu­ nali secolari e inquisitòri era motivata sia dalle ambizioni politiche dello stato sia da quelle della Chiesa. Di fronte allo stato il Libero Spirito adotta lo stesso atteggiamento di rifiuto che sarà più tardi proprio dei battisti. I suoi adepti si oppongono radicalmente ad ogni impiego delle armi, rifiutano di prestare giuramento e declinano ogni carica pubblica: in una parola essi rifiutano ogni ricorso 48

alla violenza o all’autorità perché inconciliabile con le loro esigenze etiche fondamentali di libertà di scelta e di azione. Se è risolutamente ostile alla Chiesa quale isti­ tuzione politica, il Libero Spirito assume, di fronte alla Chiesa quale istituzione misericordiosa, un atteggiamento di sottomissione esteriore e di indifferenza profonda. Tut­ tavia, per principio, il Libero Spirito pratica la tolleranza ammettendo nella comunità misterica chierici e monaci, e alcuni dei suoi membri si mostrano attivi per conto della Chiesa. Lo dimostrano il nostro carmelitano e Bosch, che divideva la sua attività tra l ’esecuzione di commissioni di dipinti per la cattedrale di San Giovanni e i lavori de­ stinati alla comunità del Libero Spirito. Il sistema teologico del Libero Spirito non ci è per­ venuto che per frammenti. Nella sua dottrina mistico­ panteistica della salvezza si mescolavano tre sfere prin­ cipali di pensiero: l’identificazione Adamo-Cristo degli ebioniti giudaico-cristiani; la profezia della ‘fine dei tem­ p i’ del monaco calabrese Gioacchino da Fiore; la dot­ trina della ‘redenzione universale’ di Origine, che subisce l’influsso dell’eredità spirituale neoplatonica, ripresa da Giovanni Scoto Eriugena, il restauratore della filosofia e della mistica greche in Occidente, e da Pico della Miran­ dola. L ’apporto originale del Libero Spirito sta nell’au­ dacia inaudita con la quale esso ha trasportato nella realtà le teorie ereditate, e nella sua volontà di realizzare la deli­ cata esperienza di vivere una filosofia sul terreno più espo­ sto che vi sia: quello dell’amore. Giacché le tre sfere di pensiero si fondono tutte per costituire un’eròtica spiri­ tuale il cui archetipo era l’amore innocente della coppia originale.

Il processo verbale di Cambrai. I dati concernenti il Libero Spirito sono frammentari e contraddittori; ciò nondimeno il documento su cui noi ab­ biamo fondato le nostre ricerche costituisce una sorgente tra le più feconde. Attraverso i suoi temi principali e le 49

conclusioni che se ne traggono, possiamo farci un’imma­ gine relativamente completa della vita di una comunità libero-spirituale. Veniamo così a conoscenza della sua or­ ganizzazione esterna ed anche delle sue principali conce­ zioni religiose, morali e sociali. Il documento è ricco, anche nei suoi silenzi. Ed è in una delle sue omissioni che esso forse è più rivelatore: per violenta che sia la stigmatizzazione delle sregolatezze libero-spirituali, esso non parla mai di culto orgiastico. Ecco un argomento significativo da opporre a quelli che, grossolanamente, immaginano i culti di queste conventicole come delle volgari riunioni di dissoluti. La ragione di questo vistoso ritegno è assai chiara. Il tribunale aveva a che fare questa volta con un ecclesiastico contro cui non si potevano utilizzare delle favole così grossolane come quelle della dissolutezza rituale. Considerato il rango ec­ clesiastico dell’accusato, il tono generale del processo si distingue per la sua maggiore obiettività. Il carattere inter fratres del dibattito non ne ha im­ pedito la virulenza; da una parte ne ha elevato il livello, dall’altra gli ha conferito quell’impostazione teologica alla quale noi dobbiamo la condanna di concetti fondamentali quali T'acclivitas’ e il ‘Paradiso’, nonostante il loro contenuto positivo. Il processo verbale non contiene solamente i diversi capi d ’accusa, ma anche le dichiara­ zioni fatte dal carmelitano per la sua difesa. Questo do­ cumento quindi, a prescindere dalla premessa da cui par­ te, secondo cui l ’eròtica libero-spirituale non sarebbe che lussuria mascherata, è per noi di interesse eccezionale. Scoperto per primo da Baluze (Miscellanea n , pp. 277-297) e da Duplessis d ’Argentré (Collectio judiciorum de novis erroribus I , 11, pp. 201-209), questo documento è stato pubblicato da Paul Frédéricq nel primo volume della sua opera fondamentale, Corpus documentorum inquisitionis haereticae pravitatis Neerlandicae (Gent und s’Gravenhage, 1889, pp. 269-279), sotto il numero 249. Noi commenteremo sistematicamente i suoi punti principali, nella misura in cui essi possono es­ sere messi in relazione con il nostro dipinto, e cominceremo con l ’esame critico del luogo della vita comunitaria degli 'homines intelligentiae’.

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(17) « Similmente si erge una certa torre dinanzi alle mura di Bruxelles, appartenente a un certo scabino di que­ sta città, dove essi si riuniscono per le celebrazioni proprie alle loro conventicole ». Questa torre fuori le mura nei dintorni di Bruxel­ les ricorda la grotta sotterranea di Colonia ove, già nel 1326, si celebravano in una nudità rituale i culti adamiti. Questi due luoghi sono presentati come due covi tene­ brosi, e il luogo di riunione di Bruxelles è immerso ugual­ mente in un quidam molto oscuro; si potrebbe dunque dubitare della loro esistenza effettiva e considerarli quali invenzioni fantasiose. Tuttavia Frate Wilhelm non nega l ’accusa, egli si limita a dichiarare di non aver fatto parte, in dieci anni, di tali conventicole. Non vi si è recato, egli dice, che una sola volta, circa tre anni prima, e soltanto per scoprire l’origine delle voci che circolavano a Bruxelles su Cantor. Tuttavia, se avesse potuto prevedere che sa­ rebbe finito in una congregazione di donne, avrebbe evi­ tato di andarci (risposta al paragrafo 17). Dichiarazione assai sorprendente, anche se si tiene con­ to della sua volontà di abbellire i fatti: non una parola a proposito di eventuali sregolatezze, nemmeno la consta­ tazione della presenza di uomini nella torre. L ’accusato si limita a dire di avere incontrato un insieme di donne a cui, nonostante la sua avversione, egli accorda l ’appellativo, d ’origine ecclesiastica, di ‘congregatio’. Nessuna menzione di nudità rituale. E l ’inquisitore si accontenta delle risposte senza cercare di sapere cosa facessero queste donne. Allo stesso modo egli ammette che l’accusato abbia potuto per circa dieci anni ignorare completamente queste riunioni. Questo ci permette perlomeno di pensare che pratiche nudiste erano molto discrete, poco frequenti, e non potevano in nessun caso costituire l ’essenziale, l ’attrazione più forte di un 'culto' grossolanamente sessuale. È facilmente comprensibile come in un procedimento contro una comunità esoterica, la cui dottrina non deve diffondersi tra le moltitudini, l’aspetto della clandestinità, e di conseguenza il sospetto di tenebrosi intrighi, occupi un posto rilevante nel processo verbale. Infatti i due pa5i

ragrafì seguenti cercano chiaramente di svelare il preteso ‘mistero* : (13) «Similmente, questo stesso Frate Wilhelm non ha piena fiducia in nessuno, né fa partecipare altri alla sua intima convinzione; essi commettevano l ’atto carnale senza rimorsi né timore di Dio ». L ’accusato confuta questo paragrafo, concedendo solo « che una tale cosa abbia potuto risultare dalle parole di Cantor ». Si può dedurre da questa confessione che la comunità si divideva in differenti gradi d ’iniziazione: vi erano dei novizi che non avevano ancora il diritto di sapere tutto, e degli iniziati ai quali si poteva parlare senza la minima riserva. Frate Wilhelm doveva occuparsi dei gradi elementari dell’istruzione religiosa, mentre Aegidius Cantor, maestro spirituale della cerchia intima degli iniziati, era il custode del mistero sessuale. Trattandosi di questioni sessuali, questi segreti di poco conto che suscitavano tanti sospetti non nascondevano necessaria­ mente delle cose proibite, ma rivelavano forse, al con­ trario, un metodo pedagogico scrupoloso che consisteva nel trattare prudentemente tali questioni per tappe suc­ cessive. (14) « Similmente, secondo Frate Wilhelm, tutti i loro maneggi, ad esclusione del commercio sessuale, condan­ nato dalla Chiesa, si potevano giustificare o legittimare con riferimenti alle sacre scritture. Per questo egli aveva l ’abi­ tudine di raccomandare la prudenza ai suoi discepoli nel parlare di tali accoppiamenti illeciti ». Frate Wilhelm nega anche questo punto. Egli afferma di aver sempre esortato i suoi discepoli alla completa continenza e al rifiuto delle ‘espressioni’ di Cantor. Que­ ste ‘locuzioni’ (loquelae ) si riferivano senza alcun dubbio ai concetti di salvezza della ‘via ascendente’ e del 'P a ­ radiso' che formano l ’essenziale della denunzia inquisi­ toria. I dinieghi privi di ogni verosimiglianza dell’accusato, che tenta di riversare su Aegidius Cantor tutte le incrimi­ nazioni sessuali, mostrano chiaramente che la corte aveva toccato là il nucleo esoterico della dottrina. Pare inso­ stenibile, e inaccettabile per il tribunale inquisitorio, che le due guide della setta, dopo una collaborazione di

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dieci anni, predichino l ’uno la continenza totale, l ’altro la misteriosa via ascendente verso innocenti delizie ero­ tiche. Il punto di partenza dell’eròtica adamita risiede manifestamente in questo rapporto tra la perfetta vergi­ nità e 1’ ‘ascesa’ non meno perfetta. Messo a confronto su questo punctum saliens, il carme­ litano, di cui era in gioco la vita, non poteva che negare ostinatamente. Per non perdersi e per evitare di tradire l’intero sistema della via adamita di salvezza, egli accettò che questo nucleo della dottrina erotica del Libero Spirito fosse condannato come semplice aberrazione personale di Cantor. Ma egli non poteva sottrarsi all’accusa con un espediente così elementare. Si provò all’accusato che aveva impiegato lui stesso questa ‘maniera di parlare’ di Cantor, da cui egli pretendeva di essersi astenuto. L ’inquisitore gli ingiunse di ritrattare le due gravi dichiarazioni se­ guenti, di cui non poteva contestare la paternità: « In secondo luogo, l’atto sessuale può essere compiuto in maniera tale da assumere davanti a Dio lo stesso valore di una preghiera ». Aegidius Cantor stesso non avrebbe potuto esprimersi in modo più audace. In effetti, il ruolo del ‘cammino ascendente’ era di nobilitare a tal punto la fisiologia della procreazione che questa non apparisse più come un umi­ liante atto animale, ma fosse percepita come un principio divino, creatore ed esaltante. Con questa affermazione il carmelitano mostra che egli era pienamente d ’accordo con la 'loquela* di Cantor. Egli aveva similmente adot­ tato la proposizione eretica della purezza dell’anima: « In sesto luogo, abiuro come falsa e sacrilega la pro­ posizione che l’uomo esteriore non possa contaminare l’essere interiore ». Una tale proposizione può essere facilmente interpre­ tata nel senso della separazione tra l’anima e il corpo. In realtà essa è legata molto strettamente a ciò che pre­ cede. Perché essa presuppone un’esaltazione dell’anima e del corpo durante l’atto sessuale, che la proposizione numero due assimila a una preghiera. Il Libero Spirito ha precorso ’ ‘emancipazione della carne’ proclamata dal Rinascimento grazie a una ‘deifica­

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zione della carne', una premonizione della sua natura di­ vina. Mentre il Rinascimento libera la sessualità dalla col­ pa, dimostrandola conforme alle leggi della Natura, gli adamiti partivano dalla convinzione che l’istinto sessuale è ‘naturale’ solo per la creatura decaduta; per l’uomo riunito a Dio e riconciliato in Dio con la Natura intera, esso costituisce un ‘mistero’ sia sensibile che sovrasensibile. La proposizione seguente, è vero, sembra contraddire violentemente una tale ideologia, giacché sembrerebbe legittimare la prostituzione partendo dalla purezza stessa dell’anima: « In diciottesimo luogo, abiuro come falsa, erronea e blasfema la proposizione che una donna depravata, se non possiede marito o mezzi di sussistenza, valga tanto quanto una vergine ». Bisogna tuttavia trattare questo punto con pruderla. Secondo l ’opera di Jean Jacques Altmeyer, I precursori della Riforma nei Paesi Bassi (La Haye, 1886,1,23), la medesi­ ma proposizione è stata attribuita al valdese Wilhelm Cornelis un secolo prima; così si tratterebbe forse di un’accusa stereotipa. A meno che non vi fosse realmente un’influen2a di idee valdesi, che indicherebbe un’attività missionaria e sociale presso questi eretici. Il fanatico olandese David Joris, per esempio, che ha ricondotto il movimento libero­ spirituale al movimento anabattista, cercava, come dice nei suoi Hertlycken Clach-Reden, i veri amici del Signore tra i reprobi sociali: « Non si trova dunque nessuno per amare il Signore? Oh sì. Che genere di uomini? Un popolo disprezzato e reietto, un popolo di pubblicani, di peccatori e di samaritani che amano il loro prossimo ».

Per il momento lasciamo da parte il rapporto tra ver­ ginità e integrità anatomica - di cui il processo verbale non fa parola - ed esaminiamo il paragrafo che ci forni­ sce la prova dell’esistenza, all’interno del Libero Spirito, di una castità verginale: (8) « Similmente tra le donne di questa setta, ve ne è una che non tollera che alcun uomo la conosca. Così essa deve sopportare molti oltraggi da parte dei membri, uo­ mini e donne, della setta, che la tormentano giacché si astiene da ogni commercio carnale ». 54

« Istud nunquam pervenit ad aures meas », questa è la risposta del carmelitano, ed essa ci pare verosimile. In­ fatti, che ragione avrebbe potuto avere questa ragazza per entrare e rimanere in una setta che disprezzasse così gros­ solanamente il suo ideale di castità? Il concetto libero­ spirituale di perfezione doveva dunque essere in grado di soddisfare anche simili esigenze ascetiche. A questa candida ingenua il processo verbale oppone una 'vecchia' carica di esperienza. Caricatura vivente del­ l’impudicizia del Libero Spirito, questo personaggio rivela bene il modo in cui ogni caso era manipolato per farne una tipizzazione: ( n ) « Similmente vi è una vecchia che il laico sopra­ citato ha chiamato Serafina, che ha pubblicamente dichia­ rato che al di fuori dei legami sacri del matrimonio po­ tevano ugualmente esservi rapporti sessuali innocenti e che l’atto sessuale era un’attitudine puramente naturale, come mangiare e bere. Tuttavia, ha dichiarato che solo l ’atto sessuale è riprovato e non gli altri due. È per que­ sta ragione che si stupisce, con altri, della cecità degli uomini che pensano comunemente in tal modo ». Questa proposizione, se la si analizza più da vicino, ap­ pare anch’essa collegata al concetto della copulazione in­ nocente. La prima frase può senz’altro significare che, an­ che al di fuori del sacramento matrimoniale, una convivenza innocente è possibile, proprio in virtù dell’ 'acclivitas'. Que­ sto nome di Serafina parla in favore di una simile lettura del testo, poiché significa in maniera evidente che questa donna aveva compreso perfettamente il mistero dell’amore serafico e che era diventata la Diotima della comunità del Libero Spirito. La successiva giustificazione del sesso non è affatto conciliabile, è vero, con una tale interpretazione. Tuttavia non è impossibile che anche qui una proposi­ zione presa nel suo senso 'ascendente' sia stata deformata e interpretata nella maniera più bassa. Inizialmente que­ sta proposizione voleva esprimere il vero ideale serafico: l’uomo, in ogni boccone che inghiotte, in ogni sorso che beve, così come nel puro amore dei sensi, partecipa della benedizione e della potenza della terra e del cielo. E ci si stupisce, in effetti, nel vedere l’uomo rifiutarsi di com­ 55

prendere questo mistero dell’amore universale. A con­ ferma di una simile congettura, aggiungiamo che si è creduto di riconoscere sotto i tratti di questa 'vecchia' la famosa Suora Hadewicb, la Bloemardine. Non si può affatto salvare, in compenso, un terzo tipo di donna, di cui l’accusato per mezzo di un « istud non credo totaliter verum » riconosce in parte la dubbia mo­ ralità. Questo tipo incarna il puro animale sessuale che obbedisce solo ai propri istinti, chiuso ad ogni eleva­ zione spirituale e morale: (12) « Similmente, vi è una donna sposata che non fa differenza alcuna tra un uomo e un altro, ma che am­ mette tutti senza distinzione, a seconda dell’ora e del luogo, e questo, tra loro, è quasi abituale ». A l centro di questo gruppo 'misto' dal punto di vista dei costumi, di cui ignoriamo purtroppo il numero dei membri e l ’origine sociale, si ergono le figure di due capi: il carmelitano, una fisionomia resa evanescente dai suoi stessi sotterfugi, ed Aegidius Cantor, personaggio del tutto singolare, con le sue farse, le sue ispirazioni e le sue spacconate. Questo Aegidius pretende di essere in rap­ porto costante con lo Spirito Santo: le illuminazioni, le rivelazioni, gli ordini che ne riceve, egli li traspone far­ sescamente sul piano della vita quotidiana. Il seguente passo è particolarmente caratteristico: lo vediamo preci­ pitarsi nella strada, apparentemente sotto ispirazione, in uno stato di nudità adamita e con un piatto di carne sulla testa, quasi fosse un garzone di macellaio: (19) «Similmente, ciò che essi ricevono per ispira­ zione o suggestione interiore, viene attribuito all’azione dello Spirito Santo, da cui il laico succitato aveva l’abi­ tudine di trarre buona parte delle sue profezie. E proprio a causa di una simile ispirazione di cui sarebbe stato l ’og­ getto, egli una volta ha percorso un lungo cammino in uno stato di nudità totale, portando sulla testa un piatto di carne per qualche povero ». Si può scoprire in questa buffonata apparentemente assurda un significato molto profondo, non appena si prendano in esame, collegandole, le diverse componenti di questa scena. L ’elemento essenziale è il piatto di carne

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che Cantor - come tanti personaggi di Bosch che portano sulla testa degli oggetti simbolici - trasporta ostentatamente sul capo. Dal momento che gli adamiti di stretta osservanza si astenevano dalla carne, è improbabile che Cantor abbia voluto portare del cibo a un fratello biso­ gnoso. La nudità rituale indica piuttosto che si doveva trattare di vivande del tutto simboliche, da utilizzare come ingredienti di una cura per ‘simpatia’. Nella medicina po­ polare si fa uso ancora oggi di carne cruda per curare casi di febbre o di itterizia. Se la si considera un procedimento superstizioso, questa scena assume allora il seguente si­ gnificato: Cantor ha voluto aumentare il potere curativo del medicamento con l’irradiamento di 'mana' del corpo nudo; è anche per questo che egli porta il medicamento sulla sommità del cranio, reale fonte di irradiamento. Così un banale garzone di macellaio, attraverso la potenza spe­ cifica della ‘nudità’, si trasforma in medico, in prete gua­ ritore adamita. Il quarto paragrafo accusa l’eretico di Bruxelles di es­ sersi ritenuto esentato dal digiuno della quaresima in virtù di una falsa rivelazione, nel corso della quale lo Spirito Santo gli avrebbe annunziato: « Tu sei trasformato in un bambino di tre anni ». La frase, a prima vista, appare del tutto priva di senso, come il passo precedente. Ma, valu­ tandola più attentamente, essa apre prospettive ancora più vaste. Si tratta infatti di una auto-assoluzione di Can­ tor; essa lo pone in uno stato di innocenza analogo a quello del 'coro dei fanciulli beati', i quali, nella apoteosi del Faust di Goethe, « facendo cerchio attorno alle vette più alte », accolgono Faust nell’immortalità e lo conducono alla beatitudine eterna. Goethe ha ripreso il tema dei ‘bam­ bini angelici’ dai Misteri celesti di Swedenborg; Cantor lo ha ripreso dalla fonte originale: YEvangelium aeternum di Gioacchino da Fiore. L ’umanità, secondo Gioacchino da Fiore, riscoprirà alla fine dei tempi uno stato di infantile innocenza. Aegidius, ritenendo che il regno millenario avesse già avuto inizio, credeva già di essere, a dispetto dei suoi sessantanni, un tale ‘putto’ paradisiaco. Ma allo stesso tempo egli si sentiva chiamato a un destino ancora più alto. Fin dal primo paragrafo, è po­

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sto a confronto con la seguente proposizione che egli avrebbe « a più riprese dichiarato apertamente di fronte a numerosi testimoni »: « Sono il Redentore e urna mtà, e attraverso me gli uomini vedranno il Cristo, come attraverso il Cristo essi vedranno il Padre ». Per gli inquisitori è la peggiore delle e r e s ie . Per noi, oggi, un delirio religioso. Per i libero-spirituali, invece, esprìmeva la pretesa tradizionale dei loro grandi maestri e pastori superiori., In effetti, il culto mistagogico di que­ ste comunità - come per i pitagorici - era basato sulla mediazione personale, riservata esclusivamente ad individui dotati di un potere di divinazione, tali da essere conside­ rati come semidèi. D ’altra parte, è questa funzione di me­ diatore personale il fondamento della megalomania reli­ giosa cosi caratteristica del Libero Spirito. Si ricordi quel capo piccardo che si nominava 'Adamo, Figlio di Dio, e Padre', e che certamente si sentiva chiamato a svolgere il ruolo di redentore del mondo al pari di questo altro figlio di Dio, Aegidius. Come modello di tutti questi mediatori, bisogna citare Konrad Kannler, trascinato nel 1381 davanti al tribunale di Eichstatt. Questi, nel corso degli interrogatori, riconobbe non solamente di essere il 'fratello di Cristo’ e il 'nuovo Adamo’, ma anche ‘l’Anticristo nel senso buono’, e inol­ tre si sentiva chiamato, quale 'nuovo Agnello innocente’, a presiedere il giudizio universale. Nei Paesi Bassi, altri capi di sette, contemporanei di Bosch e della sua opera straordinaria, accamparono simili pretese. Questo dovreb­ be impedirci di considerare tali personaggi come delle si­ bille o dei profeti da strapazzo divenuti folli, Anche in Mastro Eckhart si trovano formulazioni molto audaci, come questa: « Il fatto che il Cristo sia felice non mi renderà felice, fino a quando non sarò divenuto io stesso il Cristo, fino a quando io non nascerò quale figlio di Dio »; oppure: « Perché Dio si è fatto uomo? Perché io nasca come Dio, simile a Lui ». Tali stravaganze danno ragione a Novalis, che scrive: « Alcune forze superiori erano presenti in tutti gli entu­ siasti e i mistici. Ne sono risultati dei miscugli e delle forme bizzarre. Più il materiale era grossolano ed etero­ 58

geneo, l ’uomo privo di ogni gusto, incolto, e la sua scelta accidentale, più ciò a cui egli dava luce era strano. Sa­ rebbe senza dubbio fatica sprecata voler purificare, chia­ rire, delucidare questa massa di materiale grottesco e sorprendente. Ciò richiederebbe oggi sforzi enormi. La­ sciamo questo compito ai futuri storici della magia. Come testimonianze importanti dello sviluppo progressivo della potenza magica, questi esempi sono degni, malgrado tutto, di essere accuratamente raccolti e conservati ». Troviamo una testimonianza altrettanto importante nel nono paragrafo del processo verbale di Cambrai, che registra con una obiettività laconica la virtù che, secondo Cantor, lo elevava al rango di mediatore di Cristo. Esso dice precisamente: « dictus Aegidius habet modum specialem coeundi, non tamen contra naturam, quali dicit Adam in paradiso fuisse usum ». Egli ha dunque « una maniera particolare di fare l’amore, che non è tuttavia contro natura, e che dice essere stata quella di Adamo in Paradiso ». Questa dichiarazione ci riporta al punto di partenza del cammino ascendente’, giacché qui noi abbiamo la prova che le comunità del Libero Spirito possedevano una scien­ za erotica segreta: un’arte di amare che, da una parte, si distingue nettamente, quale 'modus specialis’, dal co­ mune atto animale della copulazione e che, d’altra parte, 'non offende’ per nulla la Natura. Noi cogliamo qui il rap­ porto teoretico tra i due concetti etici di perfezione invo­ cati dal Libero Spirito: quello di castità e quello di amore sessuale innocente. Solo il dipinto di Bosch, dove si trova immortalato l’universo erotico adamita, ci permetterà di mettere in risalto e decifrare questo ‘ modus specialis’. Ora si tratta di tradurre in un linguaggio chiaro e accessi­ bile a tutti questa ars amandi del Libero Spirito, conte­ nuta nella crittografia del simbolo.

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Il terzo giorno della Creazione

Protetto da una scintillante sfera di cristallo e circon­ dato dal mare, il disco terrestre si stende a coprire l ’emi­ sfero oscuro del mondo sotterraneo. A l di sopra, un cielo crepuscolare carico di nuvole; pochi, pallidi raggi di sole rischiarano la terraferma. La pace dell’ora mattutina regna sulla terra in penombra: essa è tutta impregnata d ’una umi­ dità creatrice, che scende dal cielo in una pioggia appena percettibile, e fa ritorno alle nuvole in forma di nebbia. Solo un olandese il cui occhio avesse studiato attenta­ mente il gioco fugace e sottile dei grigi nel cielo nuvoloso del suo paese sarebbe stato capace di concepire un’imma­ gine del cielo e della terra così vivida. Troviamo qui il primo capolavoro di quella che Cari Gustav Carus chia­ mava l ’arte della ‘natura viva'. Tuttavia, l’importanza dell’opera non è solamente nella matrice pittorica del­ l ’immagine, ad un tempo intensa ed evanescente, ma anche nella sua comprensione spirituale del racconto della Genesi. Bosch ha scelto il 'momento fecondo’ della sto­ ria dei sei giorni della Creazione: l ’istante in cui la prima pioggia si diffonde sulla terra, sino ad allora arida, facen­ dovi nascere i primi alberi e cespugli. Questo paesaggio scintillante di pioggia sembra scosso da una repentina esplosione di fertilità. Sulle rive, là 61

dove l’acqua penetra la terra, si ergono imponenti ma chie di vegetazione. Nei pressi, una roccia cava sorge a e acque: vi cresce un albero. Le montagne stesse pren dono un aspetto vegetale, e ne sono testimonianza le ue protuberanze della collina, turgide come gemme. Una sor a sessualità sconvolge il grembo terrestre nel profondo e spinge verso la luce nascente del giorno una vegetazione già quasi animale. L ’immagine stessa del globo suggerisce l’idea di un atto originario di generazione. Giacché il globo terrestre di Bosch è, senza possibilità di equivoci, l’imma­ gine di un uovo ove la terra, seme fecondato, fluttua nel­ l ’elemento liquido del mare e del cielo piovoso. Immagini mitiche del mondo originale, queste pale del­ la Creazione attestano una profonda conoscenza alchemico-scientifica e costituiscono l ’approccio ad un campo sino ad allora inaccessibile per un pittore. L ’unicità del­ l ’opera ci dà la misura della perdita che la storia dell’arte ha subito con la distruzione del dipinto della cattedrale di San Giovanni che rappresentava, secondo una testimo­ nianza di J. B. Gramayes risalente al 1610 (« tabulae singulari arte Hieronymi boss delineatae referentes illud opus Creationis Hexameron mundi »), tutto il ciclo della Genesi. Con la scomparsa di quest’opera si è perso un ca­ polavoro della cosmogonia. Queste due pale - tutto ciò che ci resta - ci pongono, loro soltanto, davanti a prodi­ giosi problemi di storia delle idee; ma con il dipinto scom­ parso s’è spezzato uno degli anelli di quella catena che ci avrebbe condotto alla Morgenròte di Jakob Bohme, al mito dell’Uomo di William Blake, ai Tageszeiten di Phi­ lipp Otto Runge e al magico universo di Novalis. La ve­ rifica del passo biblico a cui l ’immagine si riferisce ci por­ ta a una scoperta interessante: Bosch, nella sua rappre­ sentazione della Genesi, si ricollega al principio, caro al Rinascimento, del ritornar al segno} In fa tti'l’immagine centrale del dipinto - il paesaggio immerso nella nebbia non è riconducibile alla Vulgata, dove non si fa cenno all’atmosfera nebulosa. Riportiamo qui di seguito le due 6 In italiano nel testo. (N.d.T.: laddove non sia data questa indica­ zione, la nota si deve intendere dell’autore.) 62

v e r s io n i, n e lla

Vulgata

e n e lla

Bibbia Luterana,

del

passo

b ib lic o ch e ci in te ressa (Genesi n, 4-6):

« Queste sono le origini del cielo e della terra, quando furono creati, nel giorno che il Signore Dio fece il cielo e la terra, ed ogni virgulto del campo prima che sulla terra nascesse, ed ogni erba della campagna prima che germo­ gliasse. Perché il Signore Dio non aveva ancora fatto pio­ vere sulla terra, né v ’era uomo che la lavorasse; ma una fonte saliva dalla terra, e ne irrigava tutta la superficie »

(Vulgata). « Ecco le origini dei cieli e della terra, quando furono creati, al tempo in cui Dio creò terra e cielo. Nessun ar­ busto dei campi era ancora sulla terra, e nessuna erba dei campi germogliava; giacché il Signore Dio non aveva ancora fatto piovere sulla terra, e non vi erano uomini per coltivare il suolo. Ma un vapore si levava dalla terra e ne inumidiva tutta la superficie » (Bibbia Luterana). Le due traduzioni si contraddicono nell’ultima frase: nella Vulgata l ’umidità creatrice viene designata come ‘fonte’, mentre la Bibbia di Lutero traduce 'vapore', ‘nebbia’. Bosch sceglie la versione protestante e questo, da un punto di vista artistico, merita la massima attenzione. Infatti in entrambi i Paradisi delle pale interne egli raf­ figura, al centro dei giardini, delle fonti. Dunque, se egli ha rinunciato nelle pale esterne al potente motivo ele­ mentare di una colonna d ’acqua centrale, sgorgante dalle viscere della terra, deve aver avuto delle ragioni parti­ colari. L ’idea pittorica di Bosch è influenzata dal testo ebraico originale, ove l ’umidità creatrice è designata dalla parola ed, un termine che riappare solo un’altra volta nell’An­ tico Testamento (Giobbe x xx v i, 27). Secondo i commentari rabbinici medievali, seguiti in questo caso da Lutero, la parola ha un significato simile a 'nebbia' o ‘nube di va­ pore'. Questo motivo pittorico, che non ha potuto essere ispirato che dal testo originale, ci pone di fronte a tutta una serie di questioni. A ll’epoca non si poteva acquisire la conoscenza dell’ebraico che attraverso il contatto per­ sonale con dei rabbini. Prima che comparisse la gramma­ 63

tica lessicografica De rudimentis linguae hebraicae, stam­ pata nel 1506, con la quale Reuchlin ha gettato le basi delPumanesimo ebraico, una tale conoscenza era cosa rara: nei Paesi Bassi ciò era appannaggio di una ristretta cerchia di teologi eruditi quale, ad esempio, il precur­ sore della Riforma Wessel Gansfort (1420-1489). Nel Vecchio Testamento, è la Sophia onnipotente a concretiz­ zarsi in un vapore creatore. Essa era, secondo i proverbi di Salomone, l ’assistente di Dio e l ’ordinatrice della Crea­ zione. « Il Signore mi ebbe con sé dall’inizio delle sue im­ prese, prima di compiere qualsiasi atto, da principio. Ab ¡eterno sono stata costituita anteriormente alla formazione della terra. Io ero già generata e gli abissi non esistevano e le fonti delle acque non scaturivano ancora, né i monti ancora sorgevano con la loro grave mole; prima dei colli fui generata; non aveva ancora creato la terra né i fiumi né i cardini del mondo. Quando disponeva i cieli ero presente, quando accerchiava gli abissi nel giro regolare dei loro confini, quando fissava in alto le atmosfere e sospendeva le fonti delle acque, quando segnava intorno al mare il suo confine e poneva un limite alle acque af­ finché non oltrepassassero le sponde, quando gettava i fondamenti della terra, insieme a lui disponevo tutte le cose e mi deliziavo in tutti quei giorni trastullandomi dinanzi a lui continuamente, trastullandomi nel cerchio della terra e la mia delizia era vivere coi figli degli uomini » (Proverbi v a i, 22-31).

La sfera di cristallo che ingloba il singolare ibrido teo­ biologico che è il disco terrestre solleva dei problemi non meno vasti. Negli studi dei pittori, alla fine del Medioevo, l ’immagine corrente della terra era quella di una sfera dalle dimensioni ridotte posta al centro di un’altra sfera più vasta, cava, che rappresentava il firmamento delle co­ stellazioni; questo firmamento era circondato obliqua­ mente da un cerchio che includeva i dodici segni dello zodiaco, nelle loro rispettive posizioni in rapporto al­ l ’orbita solare. Rompendo con questa visione accettata e definita dalla Chiesa, Bosch è ricorso a un sistema cosmo­ logico abbandonato da molto tempo: l ’ orbis’ della filo64

sofia arcaica della natura, che fluttua simile a un disco all’interno della sfera. Secondo questa concezione arcaica, nel racconto della Genesi (i, 6-7) le acque sono ripartite al di sopra e al di sotto della massa solida della terra. Sembra dunque che il pittore abbia rinunziato alla visione del mondo comune­ mente ammessa, in favore della visione e della versione pa­ triarcali della Genesi e che egli si sia attenuto allo stretto enunciato dal testo. Nonostante la sua struttura arcaica, la rappresentazione di Bosch stupisce per la pienezza vitale che attraversa il mito della Creazione con la sua potenza ontogenetica. Il racconto della Genesi si sviluppa per stadi successivi e statici. La ripetizione regolare delle tre for­ mule: « Così fu sera poi fu mattino », « Questo avvenne » e « Dio vide che era buono » ( Genesi 1, 8-9-10), stabilisce una distanza tra i differenti avvenimenti della Creazione. In confronto a questa placida staticità, la rappresentazione di Bosch appare animata da un vibrante fermento crea­ tivo: nella penombra la massa pulsante emerge dal vapore e prende forma. D i fronte a queste onde ribollenti di fermenti pensiamo alle 'sette Qualità’ di Jakob Böhme che, in quanto deducibili dal verbo sgorgare (quellen) e inglobanti gli stati di sofferenza (Qual-Zustände ) della materia in gestazione, egli denomina 'Q ualitäten'. Böhme onora in queste qualità gli 'spiriti sorgenti’ divini ( Quellgeister) delle pulsioni e delle pulsazioni dell’esistenza co­ smica e individuale. Per misurare a qual punto questa concezione di Bosch sia rivoluzionaria sul semplice piano artistico, basta un rapido esame dello schematismo astratto di una Creazione contemporanea al nostro dipinto: le xilografie della Weltcbronik di Hartmann Schedel. Michael Wolgemut, l ’au­ tore di queste incisioni austere e pie, si è strettamente at­ tenuto al testo sacro. Egli descrive la Creazione giorno per giorno, illustrandone ogni stadio, come se si fosse attuata in un lampo, per incantesimo. Bosch rappresenta l ’ora palpitante in cui le forme emergono le une dalle al­ tre, in cui il divenire ribolle ancora nel crogiuolo. Sul piano delle idee annuncia Jakob Böhme; sul piano pitto­ rico Rembrandt.

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Una interpretazione cosi personale, così vitalistica della Genesi si fonda forse su una ragione più profonda che non quella di una semplice volontà di aderenza letterale al testo biblico. Noi proponiamo questa interpretazione: per la sua struttura sferica, questo antico globo celeste tagliato tra­ sversalmente dal disco terrestre è la forma perfetta, il puro concetto del ‘cosmos’. La sua trasparenza cristallina lo eleva alla più alta spiritualità, ne fa il riflesso stesso di Dio, mentre la forma ovale del disco simboleggia il divenire eternamente creatore. Infine, l ’ordine tutto proiettato verso la volta carica di nubi rappresenta il sacro principio originale del Libero Spirito: la Sophia. Il significato di questa triplice relazione simbolica va ben oltre lo sforzo della fedeltà letterale alla Bibbia e costituisce il nucleo cen­ trale del pensiero che informa tutto il dipinto.

L ’ampolla. Il suo carattere arcaico conferisce al globo di cristallo una potenza di fascino sacro, misterioso e antico: come se fosse il globo imperiale tenuto nelle mani delPEterno. Suo contenuto specifico è un evoluzionismo utopistico che, sul piano biologico, si ispira all’alchimia e sfocia, sul piano teologico, nel millenarismo. L ’alchimia considera i sei giorni della Creazione come il modello delle proprie operazioni. Il nostro globo di cri­ stallo rappresenta dunque un’ampolla alchemica conte­ nente la terra, simbolo della materia (vale a dire della Madre), e il firmamento, simbolo del Padre eterno. Dio, origine unica di ogni cosa, creò il mondo sposando il suo etere luminoso, principio attivo e formatore, con l’acquamadre, principio passivo e informe. Dalla loro compene­ trazione nascono i quattro elementi. Nessuna sostanza può essere separata dall’acqua-madre, dalla materia prima , senza essere ben presto distrutta. Il corrispondente alche­ mico dell’umidità informe originale è questa ‘acqua sicca' che, sotto forma di n e b b ia , si eleva dai laghi e indugia in volute di vapore attorno alle colline. Questa nebbia con66

tiene il seme di tutte le cose, ma svanisce al minimo te­ pore. È questo principio 'volatile', nebuloso e femminile che, nel corso dell’operazione alchemica, è necessario le­ gare per addizione al principio maschile. Occorre in se­ guito estrarre ed isolare ermeticamente i differenti ele­ menti usciti da questa combinazione per entrare in pos­ sesso del principio spirituale originario, la quintessenza. Dopo la sua estrazione non resta al fondo dell’ampolla che la cenere del caput mortuum . Questo riferimento alchemico della sfera non si espri­ me solo attraverso il rozzo dato del ribollire dell’ampolla, o nella separazione degli elementi tra lampi di luce; esso si chiarisce molto di più attraverso il profilo, in questa mistura sfavillante, dei primi contorni del processo spi­ rituale. Si tratta d ’una operazione sintetica: il pittore ha incluso in questo istante del terzo mattino della Creazione non soltanto un richiamo alla 'separazione della luce dalle tenebre’, alla ‘divisione delle acque e della terra’, ma an­ che un ’indicazione sui prossimi giorni della Creazione. Per suggerire ciò, egli ha creato un’atmosfera magica. La luminosità del dipinto riflette, in effetti, il passaggio tra la notte che muore e l ’alba che sorge, e la luce trionfale del giorno annunzia l ’imminente compimento. A questo simbolismo della luce occorre aggiungere quello, ancor più sottile, della meteorologia, che Bosch eleva ad autentico barometro delle sue concezioni evoluzioniste. La pioggia scende sulla terra in forma di rugiada, mentre le cupe nubi, cariche d ’acqua, si accumulano al ver­ tice del firmamento. Questo suggerisce un’attesa: dopo che le prime precipitazioni ne avranno bagnato i bordi, acquaz­ zoni torrenziali si abbatteranno al centro della terra. E la pioggia, intensificandosi, disegna un anello sempre più stretto attorno all’ombelico della terra, che racchiude il Paradiso, vale a dire il luogo della Creazione dell’uomo. Il dipinto è così prodigiosamente ‘vitalizzato’ che ne scaturisce un’autentica emozione religiosa. La tensione spi­ rituale che riempie questo universo è quella dell’attesa ansiosa di Dio, della gioiosa speranza annunziata solenne­ mente dal profeta Isaia ( x l v , 8 ) : « Rorate coeli! » (Stillate, o cieli, dall’alto, e le nuvole piovano il giusto!). Per

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capire questo concetto di 'giusto

occorre aver presenti

con cetti di ‘U om o originale m itico , di

1

F iglio dell U om o ,

d i ‘P rim o N a to della Creazione', al quale (cfr. Luca x x i, 27; Daniele

v ii,

13; Enoch

x lv iii)

si riallaccia un m isterioso mes-

sianesimo.

Con fede commossa, Bosch fa suo il pathos del « Rorate coeli! » e racchiude l ’elemento liquido nel globo di cristal­ lo come in un’ampolla sacramentale. La divisione della sfera in due ante intensifica anche l’espressività del di­ pinto e aumenta la sensazione di mistero. Giacché que­ sta immagine della sfera fa pensare a un libro sigillato, a una missiva celeste sigillata con cera nera, che comuni­ cherà il suo messaggio di salvezza solo in un’ora di sublime rivelazione. Ma Bosch non si è limitato a questo: attraverso un particolare egli ha chiaramente fatto intendere che siamo in presenza di un’opera devota destinata agli adepti del Libero Spirito. N ell’angolo superiore di sinistra del di­ pinto, lontana al punto da divenire impercettibile, ap­ pare la figura di Dio Padre, il quale dovrebbe peraltro, quale creatore del mondo, trovarsi al centro dell’opera. Ora, mentre Jehovah svanisce in una inafferrabile impre­ cisione, le due formule della creazione, « Ipse dixit et facta sunt » e « Ipse mandavit et creata sunt », brillano in tutto il loro splendore. Perché questo creatore così sbiadito, così piccolo, in contrasto con l’evidenza delle parole bibliche? Se ne troverà la spiegazione nella dottrina delle ‘tre epoche dell’umanità’ di Gioacchino da Fiore. Secondo la sua concezione, la storia del mondo inizia con il Regno del Padre, rivelato nell’Antico Testamento, condizionato dalla paura della Legge. Il Regno del Padre è stato sosti­ tuito da quello del Figlio, realizzato come Saggezza della Croce nel Nuovo Testamento. Questo Regno, secondo Gioacchino da Fiore, dura ancora e - dopo una prima transizione all’epoca di san Benedetto, il grande fonda­ tore dell’Ordine - non raggiungerà tutta la sua perfezione che nell’anno 1260. Esso si estinguerà con l’avvento del Regno dello Spirito Santo. G li abitanti di quest’ultimo Regno vivranno nella pace del puro amore e nella con­ 68

templazione estatica del mondo, in uno stato d ’illumi­ nazione che vedrà animarsi e trasformarsi nella pura com­ prensione spirituale delT'Evangelium aeternum' la lettera morta dei due Testamenti. L ’abate e i suoi discepoli, giacché sono loro che hanno fissato questa data, hanno stabilito il 1260 dopo un cal­ colo di generazioni estremamente complicato, irrilevante per il nostro studio, che assegnava a ogni Regno una durata di quarantadue generazioni di trent’anni. Ma come devono perpetuarsi le generazioni nel terzo Regno? Que­ sto resta un mistero. Secondo Gioacchino da Fiore gli eletti di questo Regno dell’amore, liberati dalla sessualità, si trasfigureranno in una forma ideale di putto, uno dei cui attributi, secondo Matteo (xxn, 30), è la condizione in­ violabile degli angeli « che non prendono né marito né moglie ». Per l ’abate ascetico, che meditava nella calma della sua celletta, non vi era in questo alcuna contraddizione, bensì un mistero che l ’avvenire aveva il compito di svelare. Se egli negava matrimonio e procreazione all’umanità del suo terzo Regno, è perché ciò rispondeva al suo ideale di una umanità libera da ogni grossolana materialità, serafica­ mente sublimata. Così Gesù stesso risponde, in un passo di Matteo, alla questione del sadduceo (« Che cosa avverrà alla resurrezione dei morti d ’una donna maritata sette volte, e a quale uomo deve infine appartenere? »), toglien­ dole ogni ragion d ’essere con un’allusione misteriosa all’amore angelico. Un simbolismo armonico lega i tre Regni alle epoche della vita, alle stagioni, alle ore del giorno e ai frutti della natura, grazie ai quali questo calcolo cronologico astratto prende vita e si trasforma in una solenne e con­ creta santificazione dell’esistenza. Dei vegliardi servitori di Dio, degli adolescenti bambini di Dio e dei ‘putti’ amici di Dio si succedono come rappresentanti dei tre Regni. A l Regno del Padre corrispondono nella natura l ’inverno, l’acqua e l ’erba, così come le costellazioni not­ turne; al Regno del Figlio la primavera, il vino, la spiga e l’aurora; al Regno dello Spirito Santo, infine, l ’estate, l’olio, il frumento e l ’ora del mezzogiorno. Così la storia

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'

del mondo si sviluppa in un divenire sempre più giovane, luminoso e perfetto. Tre forze santificanti - perfectio, contemplatio e libertas - saranno operanti nell’ultimo Regno, ormai im­ minente. Esse conferiranno ai loro soggetti una visione completa di Dio e un distacco dalle cose di questo mondo, in vista di fini supremi, quali sono riservati, secondo il dogma agostiniano, alla vita dopo la morte. L ’epoca della contemplatio, « quae requiescit in silentio heremi, ubi non sunt studia litterarum, non doctores ecclesiasticae institutionis, sed simplicitas vitae, sed honestas, sed sobrietas, sed caritas de corde puro et fide non ficta », rap­ presenta una sorta di taoismo occidentale e cristianizzato. Come il suo modello biblico, il Regno millenario della Ri­ velazione, si suppone che questo Regno duri sino al giorno della resurrezione dei morti, dopodiché dalla terra sarà assunto nel Regno dei cieli. Queste tre epoche della storia della Salvezza formano il motivo dominante del nostro dipinto. Le ante esterne rappresentano il Regno del Padre, posto ormai nel pas­ sato, come è indicato dall’allontanamento, dalla quasi scomparsa di Jehovah, che rimane tuttavia l’Altissimo. Quanto alla grande iscrizione, essa significa la maturazione e la trasfigurazione dello Spirito onnipresente del Verbo eterno nei Regni successivi del Figlio e dello Spirito Santo. Tale era anche il pensiero di Bosch: i pannelli interni del trittico sviluppano con rigore, sino alla sua conclusione logica, la dottrina gioachimita delle ‘ tre epoche dell’uma­ nità’, con le fasi della giornata che a loro corrispondono. Al centro dell’Eden, in primo piano, il Figlio avanza verso di noi, nello splendore dell’aurora. Il pannello cen­ trale conduce il corso della giornata allo zenit della sua perfezione, l’ora del mezzogiorno. Il Verbo divino si è realizzato nella più alta spiritualità, come ‘Evangelium aeternum', e si diffonde su tutti i figli di Dio. A partire da quel momento, secondo l ’arbitraria rielaborazione li­ bero-spirituale del pensiero gioachimita, l ’esistente inizia il declino verso la notte del peccato, verso l’Inferno, dal cui caos, tuttavia, nasce costantemente un nuovo mondo, 70

a patto che l ’uomo conservi il 'muori e divieni! ’ nella sfera di cristallo della propria anima. La pala era destinata a soddisfare un’esigenza di im­ mediatezza e in base a ciò è determinata anche la sua strut­ tura formale. Lo stesso dicasi della simbolica dei colori, delle figure e delle proporzioni. Queste ultime appaiono spesso volontariamente invertite, ma sempre e comunque finalizzate a uno scopo preciso. Il minuscolo Padreterno, ad esempio, nella buia lontananza, riesce, proprio attra­ verso la sua impercettibilità, a rappresentare il motore dell’idea ciclica del dipinto. Più il creatore appare lontano e piccolo, più la sua creazione acquista risalto, nel suo passaggio dalla notte dèi tempi alla feconda creatività del presente e quindi al futuro, appartenente allo Spirito Santo. Con ansia i fratelli attendevano il ritorno della Sophia ai figli degli uomini, ed è proprio questa attesa che per­ mea di sé e costituisce il significato più profondo della sfera di cristallo. È il 'numinosum' del mondo pervaso dallo Spirito Santo. È solo a questo punto che possiamo presumere di capire perché Bosch abbia voluto cogliere l ’attimo della prima pioggia: è la pioggia pentecostale dell’eterno mattino della Creazione. È noto, del resto, come la Pentecoste sia oggetto del massimo giubilo per tutti i credenti, ma ancor di più per tutti i 'folli' di Dio. La sfera di Bosch, oscillante nel vuoto, suggerisce l ’im­ magine di un’apparizione che l ’uomo non può toccare, una bolla di sapone. Allo stesso modo la dottrina dei ‘tre stati’ di Gioacchino da Fiore non era che un sogno utopi­ stico, destinato a infrangersi a contatto con la realtà. In­ fatti quando gli ‘spirituali’, all’interno dell’ordine fran­ cescano, e, tra i laici, i begardi e le beghine, ma in particolar modo i libero-spirituali, tentarono di realizzare que­ sto sogno, degenerarono nell’eresia. In realtà Gioacchino non aveva mai criticato il pensiero ufficiale della Chiesa. Tuttavia la somma dei suoi pensieri, all’atto della messa in pratica, ebbe un effetto dirompente sull’istituzione della Chiesa. Infatti, se agli uomini dell’ultimo Regno erano con­ cesse la perfezione spirituale, la contemplazione di Dio e la libertà, i sacramenti tradizionali, e quindi i preti e i papi, 7i

venivano scavalcati da una sorta di affrancamento dei libero­ spirituali dalle regole religiose esteriori. Negli atti riguardanti gli « homines intelligentiae » si legge: ( 1 8 ) « Parimenti essi dicono che il tempo dell’Antico Testamento era il tempo del Padre, il tempo del Nuovo Testamento era il tempo del Figlio, mentre ora siamo nel tempo dello Spirito Santo, che essi chiamano il tempo di Elia. Le scritture sono annullate, così che ciò che finora è stato ritenuto vero viene ora rinnegato: la dot­ trina cattolica, le verità cattoliche che predicavano la po­ vertà, la continenza e l ’obbedienza. Secondo loro, nel tempo dello Spirito Santo sarà predicato il contrario di queste verità ». Ben sei paragrafi sono dedicati a denunciare il disprez­ zo di questi eretici verso le usanze della Chiesa: non pregavano (5), non si confessavano (6), non facevano penitenza (7), non si facevano il segno della croce (20), rifiutavano radicalmente la castità, considerando vergine soltanto Sophìa (20), attribuivano le loro azioni sacrileghe alla volontà divina {16), e sostenevano di essere ispirati direttamente dallo Spirito Santo (19). Sebbene possano esserci forzature grossolane nei passi citati, possiamo senz’altro dedurne il sostanziale rifiuto delle norme prescritte dalla Chiesa da parte dei libero-spirituali. I tre principi gioachimiti perfectio, contemplatio , libertas, che Herbert Grundmann definisce « non propria­ mente anticattolici, ma per così dire transcattolici »,7 por­ tavano conseguentemente a una certa indifferenza verso la Chiesa. Il concetto di 'perfectio' induceva ad una genera­ lizzazione nel senso della infallibilità dell’uomo spiritualmente perfetto; la 'contemplatio' portava invece alla con­ clusione della sua parità con Dio; la ‘libertas’, infine, si mutava facilmente dal gioachimita 'amore angelico’ nel più ambiguo 'amore libero'. Per sviluppare ulteriormente l ’analisi di questo rove­ sciamento radicale, ci rifacciamo a due esempi estremamente significativi per il legame che hanno con il tempo 7 Herbert Grundmann, op. cit., p. 128.

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di Bosch, con il suo paese e con il tema dei tre Regni di­ vini, che sta alla base della pala. L ’ 'esaltato’ David Joris (1501-1556), pittore su ve­ tro e scrittore dalla potente forza espressiva, attinge an­ ch’egli alla dottrina storica di Gioacchino da Fiore. Egli vede nella trinità Adamo, Cristo e Davide i rappresen­ tanti delle grandi rivelazioni del tempo mondano. Adamo impersona il Regno passato del Padre, Cristo il Regno del Figlio, ormai in decadenza, mentre il nascente Regno dello Spirito Santo sarebbe affidato a Davide, vale a dire allo stesso David Joris in prima persona. Ancora più lucido appare il contemporaneo, originario di Münster, Heinrich Niclaes (1502-1581). Egli fondò ad Amsterdam, come tempio di contemplazione quietisti­ ca, un ‘huis der liefde', cioè una casa dell’amore, dove si riuniva la ‘familia caritatis’ da lui guidata, per prati­ care riti mistici. A ll’interno della sua concezione Mosè era il rappresentante del Regno del Padre. Questi, in quanto annunciatore della ‘speranza’, non era penetrato che nel cortile del tempio. Cristo, in quanto portatore di ‘sal­ vezza’, era invece penetrato nell’interno. Solo a lui stesso, tuttavia, come incarnazione dell’ ‘amore’, era concesso giun­ gere fino alla zona sacra del tempio, e instaurare così, nel­ la cerchia della 'famiglia amante’ di Amsterdam, il Re­ gno dello Spirito Santo. Anche questo tempio dell’amore di Amsterdam, come gli ‘homines intelligentiae’ di Bruxelles, si attirò ben pre­ sto la fama di libertinaggio. A i seguaci di David Joris, in particolare, si attribuivano v.n « mostruoso reggimento di donne » ed eccessi di ogni specie. Durante il processo del 1538 molti degli accusati furono torturati per estorcere loro la confessione.8 Anche sulla realtà di questi feno­ meni rimane oggi aperta la questione. Dal momento che la storiografia risulta una fonte so­ stanzialmente contraddittoria, rimane un’unica affidabile 8 Questa cattiva reputazione perdura tutt’oggi, nonostante il recente, unilaterale tentativo di riabilitazione di David Joris intrapreso da Roland Bainton col suo scritto David Joris, Wiedertäufer und Kämpfer für To­ leranz im 16. Jahrhundert (David Joris, anabattista e combattente per la tolleranza nel X VI secolo), Lipsia, 1937. Ma un’interpretazione che pre-

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I

pietra di paragone per valutare la moralità dei libero-spi­ rituali: la creazione di un supremo modello umano. Ciò si può realizzare solo ispirandosi alla loro idea fondamentale, ad Adamo, il ritratto vivente di Dio. Il divenire uomo di questo Figlio di Dio è già annunziato dall’ambi­ gua luce di questo tempo intermedio che è il terzo giorno della Creazione: la notte si schiarisce cedendo al giorno, il mare lascia il grembo della terra, la terraferma si copre di vegetazione e si anima, mentre le piogge incontenibili si rovesciano dai cieli supremi e fecondano l ’ombelico della terra, il Paradiso. Infine il modello supremo di tutte le forme di vita, Adamo, creatura originaria, viene alla luce.

scinda dal mistero erotico - che pure era al centro del mondo rappresen­ tativo del Libero Spirito - non può avere come risultato che un’immagine di « purezza » tipicamente borghese; mentre la massima aspirazione di questi antichi eretici consisteva proprio nella radicalità e originarietà, nel concepire l ’umano-troppo umano come punto di partenza del cammino che doveva condurre alla purificazione e santificazione dell’esistenza. A i fini di una reale comprensione è quindi necessario non negare l’audacia dei libero-spirituali, non chiudere gli occhi dinanzi a ciò che essi guardavano apertamente. Non curiamoci dell’alone equivoco che circonda l ’eròtica spi­ rituale di questi eretici, tentiamo invece di coglierne l’essenza.

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I l G iardino dell’Eden

In un paesaggio tropicale, coloratissimo, il cui scena­ rio è delimitato da uno sfondo di rocce, una distesa d’ac­ qua scintillante si distende tra verdi colline. Nel mezzo delle acque blu una fontana slanciata, quasi vegetale, fa zampillare verso le quattro direzioni cardinali le quattro sorgenti paradisiache: è la Fontana eterna della Vita. Animali tropicali come l ’elefante e la giraffa, a cui si ag­ giungono liocorni, lucertole giganti e stormi serrati di uccelli, popolano le profondità di questo giardino, che una piccola foresta separa dal primo piano. Qui, esattamente nell’asse mediano, lo sguardo grave e rivolto a chi osserva, si erge un Dio giovanile e apollineo, nel mattino della sua creazione. Il volto, dai vivaci occhi azzurri, incorniciato da riccioli biondi, e l ’intera figura sono immersi nello splendore dell’aurora. Il suo aspetto coincide volutamentecon quello del Cristo: egli rappre­ senta il 'Figlio', nato dal grembo di nubi della Sophia, l’uomo originario, potenza cosmogonica, il ‘primo Adamo’. È da lui che si ingenera l’Adamo terreno. Mediatore della sua stessa simiglianza divina, coetaneo delle sue creature, egli porta ad Adamo, appena svegliato, il suo secondo io, la metà incarnata del suo essere. Mentre alza la mano destra in segno di benedizione, con 75

la sinistra tiene per il polso Èva, quasi a gioire delle vive pulsazioni del suo sangue e a suggellare per sempre l ’unio­ ne di questo sangue umano con il proprio. A questo con­ tatto fisico tra il Dio creatore ed Èva si aggiunge quello, ancora più manifesto, tra le dita dei piedi di Adamo e il piede del Signore. Un rapporto è qui stabilito con una insistenza sottolineata: Adamo sembra veramente disten­ dersi in tutta la sua lunghezza per entrare in contatto con il Creatore. Il mantello di Dio, che si rigonfia attorno al cuore, cade in pieghe dai contorni marcati sino ai piedi di Adamo, indicando una medesima 'adduzione' di ener­ gia divina. Questi tre personaggi formano un circuito chiuso di forza; una corrente di energia magica li unisce. Questa comunicazione di forza e di benedizione mani­ festa la credenza in una magia di transfert, d ’assimilazione. Questa attribuiva alle estremità del corpo — sommità del capo, mani e piedi - un potere del tutto particolare di ir­ radiazione e di ricezione del ‘mana’. La Chiesa ha, d ’altra parte, ripreso alcuni elementi di tale credenza, tra cui l ’imposizione delle mani e il bacio 'in reverentia salvatoris’ del piede del papa. Nel contesto di un dipinto reli­ gioso, tuttavia, questo motivo magico è unico: stupefa­ cente per precisione, esso non può che rappresentare la cerimonia iniziatica della comunità del Libero Spirito che stabiliva « la comunione con il sangue di Cristo » (Prima Let­ tera ai Corinti x , 16).

Il carattere esoterico della scena risulta con vigore an­ cora più grande se la compariamo, ad esempio, alla Crea­ zione dell’uomo del Carro di fieno, in cui si esprime una concezione radicalmente diversa della divinità, della cop­ pia originaria e dell’umanità. In quest’opera più tarda il Creatore ha pejrso i suoi tratti giovanili, così inconsueti: ci appare nel suo aspetto patriarcale, tradizionale, mentre prima era ‘fratello’ di creature a lui simili; egli si erge, po­ tenza suprema e inaccessibile, di fronte alle sue creature. Egli si è pietrificato e il suo attributo è la 'roccia' mosaica (Deuteronomio x x x i i , 4). Nel Regno millenario, invece, l ’em­ blema del Creatore giovanile è la Fontana della Vita della Apocalisse di Giovanni (xxi, 6). L ’umanità che nel Carro di fieno vediamo dirigersi

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turbolenta verso l ’Inferno, ha un Creatore diverso da quello dei discepoli eletti del Regno millenario. Insieme ai suoi reggenti terrestri, il papa e l ’imperatore, essa è sottomessa alla Legge del ‘mondo’, al decalogo di Jehovah, il giudice terribile. G li eletti del Regno vivono in­ vece nella libertà di un mondo superiore in cui la gioia è loro garantita dal Creatore stesso, il Cristo-Adamo o 'Figlio dell’Uomo’, origine e centro di ogni cosa. Nel Carro di fieno, la Caduta conduce l ’uomo a una rottura eterna, sempre più profonda, rispetto a Dio. Nel Regno millena­ rio la filiazione divina originaria dell’uomo resta intatta. Ogni idea di Caduta scompare di fronte alla certezza di Salvezza garantita dal Figlio dell’Uomo: la cristallina Fontana della Vita eclissa con il suo splendore T'A lbero della Conoscenza', un palmizio situato all’estrema destra del dipinto, intorno a cui si avvolge il serpente. Esso è appena visibile, mentre l ’Albero della Vita, sopra la te­ sta di Adamo, dispiega i suoi tre rami a ventaglio, a signi­ ficare la natura trinitaria della Salvezza. La ripartizione dei volumi nei due dipinti ben corri­ sponde a questa differenza nelle premesse. Nel Carro di fieno la femmina, causa del male, è al centro della Crea­ zione. L ’attenzione è completamente fissata su Eva che esce verticalmente dall’anca di Adamo; e se, anche qui, con la pianta dei piedi Adamo sfiora quelli di Dio, ciò può essere eventualmente interpretato nel senso di sant’Agostino: « La creatura come orma dei passi del Creatore », ma non indica un 'rapporto' magico volontario, perché l’uomo giace al suolo, nell’incoscienza di un sonno pro­ fondo. Nel Regno millenario, pittura positiva, Adamo è pienamente cosciente della sua dignità spirituale, del suo destino. Del tutto lucido, la testa levata verso l ’alto, egli è girato di profilo — non dimentichiamo che per la sensi­ bilità gotica l ’angolo perfetto era il profilo - verso il Creatore, e considera con un’attenzione tesa la donna ap­ pena creata, che tiene gli occhi chiusi, trasognata. Lo stupore di Adamo esprime tre sentimenti: lo stu­ pore di scoprire reale un essere percepito in sogno; l’in­ tuizione che la donna apparsa di fronte a lui è da sem­ pre di una specie simile alla sua, e che, in un modo mi­ 77

sterioso, essa è stata tratta dal suo stesso corpo; la volon­ tà maschile, creatrice, di risvegliare Èva ancora incosciente, con la forza incantesimale dello sguardo. Così, tutto nel­ l ’immagine tende verso questo attimo ancora sospeso, in cui per la prima volta gli sguardi della coppia originaria si incontreranno. In questo risveglio della donna attra­ verso l ’uomo si compirà la ‘conoscenza’ che il gesto espres­ sivo del Cristo rivela già: « Et erunt duo in carne una » (Ed essi saranno una sola carne). Siamo qui in presenza del tema fondamentale del di­ pinto della Creazione, e anche del tema fondamentale di tutto il trittico: l ’istituzione divina del matrimonio (Genesi n, 24). Non bisogna soltanto interpretarlo come comanda­ mento divino che impone all’uomo di moltiplicarsi, ma anche nel senso di una 'religio’ mistica, di un ‘riallaccia­ mento’, vale a dire di un tentativo di restaurare, di ‘religere’ nella loro unità primitiva degli esseri che la temporalità ha separato. Bosch ha sottolineato il carattere divino dell’uomo e il carattere terreno della femmina con una semplicità im­ prontata di serenità liturgica, che ricorda il rituale nuziale vedico, in cui l ’uomo prende la mano della sposa dicendo queste parole: « Io sono qui, tu sei là. Tu sei là, io sono qui. Io sono il cielo, tu sei la terra ». Queste semplici parole devono la loro potenza sacrale alla ripetizione incrociata e al riferimento ai due poli la cui congiunzione è necessaria per la nascita del mondo. Così Bosch ha inserito la prima coppia umana in un si­ stema di coordinate estremamente semplice: l ’uomo e la donna, con il busto eretto e le gambe parallele, costi­ tuiscono una figura rigorosamente geometrica, che sim­ boleggia l’armonia prestabilita della loro imminente ‘unione in una sola carne’. In Adamo, che guarda verso l ’alto, è evidenziato ciò che tende verso la luce, in Èva, che rivolge in basso lo sguardo, ciò che inclina verso la terra. Infine due assi magici s’incontrano nella persona stessa del Demiurgo: la linea dello sguardo di Adamo che cerca di risvegliare Èva, e il pendio della collina che sale dalle ginocchia di Èva verso la testa di Adamo e si con­ clude nella corona trinitaria dell’Albero della Vita. Sot­

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tolineato con una tale insistenza, il pendio di questa col­ lina rappresenta, letteralmente, P'acclivitas', la via libero­ spirituale della salvezza che, attraverso la mediazione di Cristo, ha come fine la 'reincarnazione’ della donna principio ctonio - nell’uomo, principio spirituale. Questa anta non rappresenta dunque la creazione fisica di Adamo ed Èva, ma piuttosto la loro predestinazione metafisica. Bosch lo indica esplicitamente con la spilla trinitaria che ha posto in evidenza sul cuore di Cristo. Si tratta di due cerchi che, a partire da un centro comune, divergono verso l’esterno o convergono nel loro centro: essi si ‘decentrano’ e si ‘concentrano’. Simili a questi cer­ chi, simboli di forze divergenti dell’esistenza che contem­ poraneamente tendono con intensità verso il loro centro, le forze temporali dell’uomo e della donna emanano dal Figlio eterno dell’Uomo. Un inno profondamente poetico del XII secolo canta le lodi del Cristo, figlio del G e lo e della Terra vergine che lo ha concepito sotto un rovescio di pioggia: « Terra floret coeli rore, germinatio fòlio ». In questo quadro è la sua duplice natura che Dio comuni­ ca ai primi esseri umani: ad Adamo la natura celeste del Verbo incarnato, ad Èva la sua natura terrestre. Ed en­ trambi, attraverso il legame magico che li unisce al Crea­ tore, rimangono nel campo trascendentale di Dio che, con l ’istituzione e la benedizione del matrimonio, pro­ mette loro il ritorno all’unità originaria. Questo Sanctissimum del Libero Spirito è stato sino ad oggi misconosciuto dalla storia dell’arte. Così Charles de Tolnay afferma: « Tutto, nel placido giardino, sembra respirare serenità e innocenza, ma in realtà ogni cosa è qui segnata dalle stimmate della perversità e della deca­ denza. L ’Èva che il Signore presenta ad Adamo non è la donna creata dalla costola del primo uomo, ma è già l ’immagine della seduzione, e lo sguardo attonito che egli getta su di lei è un primo passo verso il peccato ».9 È così che questo tenace pregiudizio che vede in Bosch un ‘faizeur des diables’ diffama persino le più ideali delle sue rappresentazioni e le trasforma in immagini blasfeme. 9 Charles de Tolnay, op. cit., p. 33.

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Mundus patet. Questa immagine del Cristo-Creatore del mondo trova origine nella dottrina paolina e giovannea del Logos ('Giovanni i, 3, 10; Colossesi 1, 16; Ebrei 1, 2). Se ne trova traccia, oltre che negli scritti patristici, anche in notevoli testimo­ nianze della storia dell’arte: a partire dai mosaici e dalle miniature dell’alto Medioevo, sino alle tavole del XV se­ colo, come ad esempio la pala di Mastro Bertram, del 1376. L ’arte ufficiale della Chiesa dei tempi di Bosch aveva tuttavia abbandonato questa immagine a favore di un creator mundi severamente patriarcale. Ciò nonostante, la figura del Cristo-creatore torna nella grafica di tendenza mistica del basso Medioevo. Una incisione del 1466 ce ne fornisce un esempio: quella dell’anonimo E. S., artista originario dell’Alto-Reno, che lavorò nei più ferventi ambiti della mistica tedesca. Questa incisione su rame rappresenta anch’essa lo sposali­ zio di Adamo ed Eva e la benedizione dello stesso da parte di un Dio con tratti giovanili. Ma in questo caso, in luogo della spilla trinitaria, è rappresentata un’aureola con tre raggi tripartiti, che indica la persona divina come il ‘fuoco’ di divergenza e convergenza dell’energia. Anche il serpente è incluso nel mistero della Trinità: porta sulla testa una corona di tre piume che simboleggia l’inganne­ vole seduzione delle sue parole: « eritis sicut deus », e la vanità dei mezzi con cui tenta di imitare l’emblema della Trinità. Nonostante la forte analogia tra l ’incisione e il dipinto di Bosch, ad una più attenta osservazione se ne rileva la profonda diversità: Bosch ha ricondotto la dualità Crea­ tore-creatura a una ideale unità Cristo-Adamo. Ma osser­ viamo da vicino le singole differenze. L ’incisore rappre­ senta l ’albero del serpente al centro, anticipando con que­ sto l ’allontanamento da Dio a causa della caduta. Bosch, invece, pone al centro il Creatore stesso, la cui potenza irradiante lo unisce indissolubilmente ad Adamo. L ’au­ reola trinitaria non appare sul dipinto. Il segno del su­ premo rango celeste è qui sostituito dalla spilla: le crea­ ture scaturiscono dal cuore di Dio per trascorrere un pe­ 80

riodo nella temporalità, ma a Dio torneranno, per l ’eter­ nità. Mentre l ’incisore rappresenta Dio e l ’uomo come esseri separati e contrapposti, in Bosch si realizza l ’unità di tre creature contemporaneamente divine e umane. Di fronte alla carica eretica del pensiero che informa questa rappresentazione, né la dottrina tradizionale, né l ’incisione descritta sono in grado di fornirci strumenti adeguati al­ l ’analisi della specificità adamitica presente nel dipinto. Questo ‘uomo originario’ divinizzato rimanda ad ambienti extraclericali: a un sistema teologico che - come Yebionitismo - vede nel primo uomo, nzWarcantropo, la prima personificazione dello spirito di Cristo, e che non distin­ gue tra Adamo e Cristo in quanto portatori della Rivela­ zione e Redentori. Si accenna così a un problema che va ben oltre il pan­ nello da noi preso in esame. Per questo ci ripromettiamo di affrontarlo nuovamente quando opereremo l ’analisi com­ parata dei trittici del Regno millenario , del Carro di fieno e del Giudizio universale di Vienna. Queste opere espri­ mono una concezione differenziata, contraddittoria del 'Giardino deH’Eden': si ha una valutazione o ottimistica o decisamente pessimistica della vita terrena, rappresen­ tata comunque, in tutte le opere, nella zona centrale dei dipinti. Questi profondi contrasti di carattere ideologico, che sembrano essere il centro del ‘problema Bosch’, non possono che risalire alle conclusioni della dottrina cri­ stiano-adamitica degli ebioniti giudaico-cristiani. Questa dottrina fu tramandata nel Medioevo attraverso gli scritti pseudo-clementini ed era ancora viva in Occidente all’in­ terno della setta errante dei ‘passeggeri’, che noi cono­ sciamo da documenti del tredicesimo secolo. Prima è tuttavia opportuno soffermarsi, al fine di ri­ badire il carattere eterodosso di questo ‘Giardino del­ l ’Eden’, su una stupefacente variante del nostro dipinto che esprime un concetto di fondo del pensiero adami­ tico: la caverna come cellula originaria di ogni divenire. Il piccolo dipinto, che un tempo faceva parte della collezione P. de Boer di Amsterdam, non è in realtà opera originale del Maestro, ma costituisce un validissimo documento del complesso di rappresentazioni adamitiche 81

che ritroviamo nel Regno millenario. A l centro è rappre­ sentato un monte, la cui verde sommità tondeggiante è circondata da rocce scoscese e chiusa da un fitto boschetto. Sul verde prato vellutato pascolano quattro caprioli o cervi. Questo idillico pendìo è come sospeso al di sopra di una caverna, quasi fosse emerso in quel medesimo istante dal grembo della terra. A l centro della caverna è posta la Fonte della Vita: un bacino circolare in cui si erge una colonna, attorno alla quale, in una specie di barchetta, giocano dei bambini. Sono tre, perché tre è il numero 'di tutte le cose buone’, così come tre sono le sfere che fungono da piedistallo alla fontana. Il fusto sotterraneo della colonna trapassa il sot­ tile strato della superficie terrestre e s’incurva a formare una sfera, al cui interno appare un altro bambino, rinato alla luce dal buio grembo materno. Da questo globo e dal pinnacolo che ne forma la corona zampillano quattro fonti che scendono a bagnare il prato. La caverna è quindi il luogo dove ogni essere deve at­ tendere prima di nascere. La leggenda vuole che queste nuove vite siano protette da un Dio imperatore o da Holda, nella cui figura di madre originaria si fondono i concetti di 'H uld’ e ‘H el’ quali correlati di nascita, morte e rinascita. Attorno alla caverna è tutto un fiorire dei sim­ boli ricorrenti in Bosch, che rimandano a una visione del­ l ’atto della creazione come processo di fecondazione co­ smica: embrioni, nidi, gemme falliche e semi che si schiudono. Per quanto fiabesca sia la rappresentazione, notiamo l’analogia tra la figura del Creatore e l ’impera­ tore Barbarossa che esce dalla montagna sotterranea. L ’al­ lusione simbolica alla biologia rimanda ad un significato più profondo. A ll’interno di questo ‘Giardino dell’Eden’, il Paradiso è al centro della volta sotterranea. Si tratta quindi della rappresentazione ideale delle caverne cultuali adamitiche in cui il credente penetrava nell’attesa della rinascita e con il tremore, quindi, di chi sa d ’intraprendere una ‘di­ scesa alle madri’. Dobbiamo ricordare, a questo propo­ sito, una definizione psicologica del Paradiso tramanda­ taci dall’eresiarca Simon Mago. Egli collega le parole di

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Isaia: « Così dice il Signore, il tuo redentore, colui che ti formò dal seno » (Isaia x l i v , 24) con la Genesi, stabilendo una esplicita corrispondenza tra il Giardino dell’Eden e l ’utero, descritto nei minimi particolari anatomici come il vero Paradiso: la rete delle vene corrisponderebbe alle quattro fonti del Paradiso. Questa versione di Amster­ dam potrebbe perciò portare il titolo di « Mundus patet » (Il grembo della terra è aperto): una formula iniziatica che racchiude tutta l’angoscia e la speranza della consacra­ zione sotterranea.

La visione di Mechthild von Magdeburg. Due secoli prima, la beghina Mechthild von Magde­ burg descriveva nelle sue Rivelazioni un’immagine della Creazione che rimanda a quella di Bosch. L ’opera intito­ lata Dell’inizio di tutte le cose create da Dio racchiude una sorta di 'rapsodia adamita’ in cui la beghina si eleva estaticamente sino al mistero impenetrabile della Trinità e sorprende il soliloquio a tre voci in cui il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo decidono la creazione di un mondo uma­ no. Ecco alcuni passi di questo testo, scelti nella misura in cui riflettono e chiariscono l ’universo intellettuale e affettivo del nostro quadro. « Padre di ogni bontà! La creatura indegna che sono ti rende grazia di tutto l ’amore attraverso il quale tu mi hai rapito in estasi ed elevato sino al Tuo miracolo, in modo che nel cerchio della Tua Trinità ho potuto ascol­ tare e contemplare il consiglio sublime tenuto prima della creazione del nostro mondo, quando, o Signore, Tu eri ancora chiuso nel tuo essere, solo, e non condividevi an­ cora con nessuno la Tua infinita beatitudine. Mirabili fluttuavano allora le tue persone in un’unica luce, sì che ognuna appariva nell’altra, ma tutte si fondevano in una. Allora lo Spirito Santo fece un gioco dolcissimo dinanzi al Padre e disse: Non restiamo sterili più a lungo. Co­ struiamoci un Regno di esseri creati. Crea a mia imma­ gine gli angeli e che l ’altro divenga Uomo [. . .] Allora

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il Figlio eterno disse: Caro Padre, che il mio essere di­ venga fecondo nello stesso modo. Giacché noi vogliamo operare un miracolo, creiamo l ’uomo a mia somiglianza, e benché preveda grande dolore, voglio tuttavia amare l ’uomo eternamente. E il Padre disse: Figlio, anche in me si agita un desiderio intenso [. . .] e l ’amore in me è come una musica che mi fa risuonare. Siamo fecondi, af­ finché possiamo essere amati e affinché l ’infimo conosca la nostra grande gloria [. . .]. Allora la Santa Trinità si chinò profondamente verso l ’Abisso originario, dove tutte le cose hanno radice, si adoperò con profondo amore e nell’amore ci donò un corpo e un’anima. Ci furono allora nella natura nobili e gloriose creature, quali Adamo ed Èva, ad immagine del Figlio eterno, nato da sempre dal Padre. Il Figlio rese partecipe Adamo della sua celeste saggezza e del potere sulla terra e, attraverso l ’amore, Adamo ottenne un sapere superiore ad ogni dubbio, e dei sensi innocenti, e fu designato Signore di tutte le creature della Terra. Allora Dio, nel suo amore sincero, diede ad Adamo una nobile, casta e dolce vergine come sposa, Èva. A costei Egli comunicò la leggiadra onestà della Sua legge celeste a cui Egli stesso obbedisce, in onore a suo Padre. I loro corpi dovevano essere puri, poiché se Dio aveva dato loro delle membra, esse non potevano essere sede di vergo­ gna: Dio stesso li aveva avvolti nella Tunica degli Angeli. Il loro amore doveva essere immacolato e non costituire un peccato. Doveva dare loro dei bambini, così come il sole giocando dà all’acqua il suo scintillìo, senza infrangerla. Ma non appena essi assaggiarono il cibo che era stato loro proibito, la vergogna irruppe nel loro corpo, e lo rese quale ora noi lo vediamo, impuro, oggetto di vergogna ». Questi estratti delle Rivelazioni di Mechthild von Magdeburg esaltano, nello stesso modo del quadro di Bosch, un’etica della fecondità creatrice. In entrambi i casi, l ’irradiazione dell’amore divino eclissa totalmente il mito tradizionale, consueto, della creazione di Adamo con la polvere, e di Èva con la costola di Adamo. A l posto di un atto creatore grossolanamente concreto, 'tangibile', si ha la celebrazione di un amore divino che, come il dolce 84

gioco della musica, penetra armoniosamente l ’intero uni­ verso. Questo amore sublima il processo stesso della pro­ creazione, lo rende trasparente e puro come la diffrazione del sole nell’acqua. Bosch ha simboleggiato questa purezza attraverso i tubi di cristallo, i globi di vetro e le fiale del­ la sua Fontana della Vita: minerale e vegetale nello stesso tempo, essa rivela nella sua struttura la quintessenza eter­ na, l ’esuberanza creatrice della Natura, di Dio. Ostenso­ rio scintillante, essa incarna il mistero centrale della pala. Essa feconda la Creazione intera con le sostanze più pure e più trasparenti: come se in essa il principio maschile della luce raggiante e il principio femminile dell’acqua lustrale celebrassero nozze ermafrodite e immacolate. Nonostante queste analogie di fondo, sussistono tra Bosch e la beghina delle differenze profonde dovute alla differenza dei secoli. Mechthild esprime l ’ideale dell’ascesi cristiana nella misura in cui, ai suoi occhi, la prima cop­ pia umana è asessuata. Bosch, invece, appartiene al grande periodo di transizione, durante il quale Jan van Eyck, Hans Memling, Hugo van der Goes e i loro allievi in­ trapresero la scoperta del corpo umano nella sua reale nudità, proprio attraverso la rappresentazione di Adamo ed Èva. Il solido realismo di questi pittori preferisce gli esseri completi alle visioni serafiche che troviamo invece in Mechthild von Magdeburg. È questo il senso della natura, arricchito da tutta una gamma di nuove conoscenze, che dona all’opera di Bosch un’impronta così rivoluzionaria. Il contrasto tra il pittore e la beghina spicca molto netto se si considerano le rispet­ tive concezioni dell’ 'abisso originario in cui tutte le cose hanno radice’. Mentre Mechthild non parlava che in ter­ mini allusivi e mistici di questa cellula primordiale, germe di tutta la Creazione, Bosch ci pone invece di fronte agli occhi un vero laboratorio di metamorfosi zoologiche, dove concezioni biologiche precorritrici del futuro si mescolano in modo originale a una spiritualità ancora medievale. Questo fondo originario appare nel pannello del Pa­ radiso sulla destra, in primissimo piano, sotto forma di un bacino ovale da cui emerge alla luce ogni sorta di crea­ ture. A ll’interno di una profonda concezione paleontolo­ 85

gica, Bosch ha riunito in queste acque originarie le forme di transizione della natura, creature che appartengono con­ temporaneamente ai regni dell’acqua, della terra e dell’aria. Una lontra si sta arrampicando sulla riva; come indica il suo nome tedesco (Fiscbotter ), questo animale riunisce in sé la forma di vita del pesce e quella del mammifero. Nel mezzo dello stagno nuota un uccello-pesce, che è sul punto di lasciare l’elemento acquatico per librarsi nel­ l’aria. Un altro animale anfibio, fornito d ’un becco a spa­ tola, emerge dall’acqua accanto a un liocorno. Sulla destra, dei ranocchi risalgono verso la riva piatta. E proprio sotto di loro, il più sorprendente degli ibridi: la parte inferiore del suo corpo, che si muove orizzontalmente, è quella di un delfino; la parte superiore, eretta, è quella di un mam­ mifero che tende le zampe anteriori; la testa, infine, è quella di un’anitra dal becco largo e schiacciato. Inoltre, questo mostro tripartito è rappresentato con un libro che tiene aperto davanti a sé. Poiché questo ibrido recante il libro è posto in un set­ tore del pannello, l’angolo inferiore di destra, in cui Bosch generalmente riassume in forma essenziale le sue idee basilari, dobbiamo ritenere che esso abbia un signi­ ficato profondo. Crediamo di interpretare i suoi intendi­ menti associando al libro l ’idea che il Verbo creatore è presente anche nelle creature situate al più basso livello morfologico, prigioniere ancora di metamorfosi oscure, e che proprio attraverso la forza del Verbo partecipano tutte dello spirito di perfezione che attraversa l ’intera Creazione nel respiro di Dio e ispira ad ogni creatura il desiderio del proprio perfezionamento attraverso la fusione nel Verbo divino.

Ibis e salamandra. Mentre nella profondità originaria dello stagno le forme della Creazione riposano ancora, l’una fusa con l’altra, o si trasformano attraversando differenti stadi ibri­ di, gli esseri che già popolano l ’aria o la terra sono ormai 86

distintamente raggruppati, « ciascuno secondo la sua specie » (Genesi i, 21); tra questi i più numerosi sono gli uccelli, da poco venuti alla luce. V i è un fatto degno di nota: la presenza di due creature tricefale. In primo piano, sulla riva, è appostato un ibis in posizione di rilievo, men­ tre nel piano di mezzo una salamandra 'trinitaria' guida verso la terraferma un nugolo di piccoli. È evidente che si tratta di due protagonisti, e il loro significato è deter­ minante. L ’ibis giace ai piedi del Cristo nell’atto di contorcersi, esprimendo in tal modo sia il travaglio della nascita sia la pena di un essere schiacciato. Ora, Bosch intendeva sottolineare proprio una simile ambivalenza ed è per questo che ha scelto l ’uccello tricefalo. L ’ibis è insepara­ bile dal culto della grande Madre Iside, è l ’uccello sacro di Thot, il dio lunare, è l’uccello della fertile terra del Nilo, delle paludi di quel delta dalla vegetazione rigogliosa, lus­ sureggiante, che incessantemente muore e rinasce. L ’ibis crea e divora, dona e prende la vita, la vita che ruota nel ciclo eterno delle nascite. Esso incarna il gemello della vita, la morte. Il suo compito è dunque duplice in rap­ porto agli esseri appena creati che egli pesca nello stagno: li aiuta a nascere e li strangola. Allo stesso modo, non lontano di là, delle rane appena affiorate dalle acque ori­ ginarie sono divorate da un uccello, mentre un altro si sporge avido sullo stagno alla ricerca della preda, e in lontananza, sullo sfondo del giardino, un leone è sul punto di sbranare un capriolo. L ’ibis incarna la scienza 'ermetica' in senso stretto. In­ fatti, secondo l ’alchimia antica, il dio lunare Thot era quell’Ermete Trismegisto dai cui libri magici l ’esoterismo medievale credette di trarre le più profonde rivelazioni. Mors ianua vitae. La salamandra conduce la sua prole da questa zona di creazione e di morte verso la vita, che ha origine - secondo la zoologia marina del pittore - dalle uova che inesauribilmente si schiudono sul fondo dell’ac­ quitrino. Fuggendo l ’oscurità acquatica, la salamandra si incammina verso la terraferma e la luce solare. Incar­ nando il passaggio all’ordine solare, essa contrasta con la natura lunare dell’ibis. Va sottolineato che la salamandra, 87

come spirito elementare, rappresenta il simbolo del fuoco, e si apparenta cosi alla lucertola, il cui proverbiale amore per il sole l ’ha elevata al rango di animale sacro ad Apollo e di simbolo orfico d ’immortalità. Essa testimonia, su numerosi monumenti funerari, la credenza nell’eternità della luce. I due animali tricefali stanno a significare dunque che il piano universale della Trinità riposa sui due principi della moltiplicazione e della distruzione. Ma è la vita che trionfa: tutte le creature di questo giardino affer­ mano a tal punto il piacere del divenire e la loro gioia di vivere, che la morte stessa, vinta da questo sgorgare continuo della Creazione, diviene un elemento costitutivo della vita. Come la notte precede il giorno, l ’abisso del nulla il dispiegamento del tutto, la morte è qui rappre­ sentata come la porta della vita. Il fatto che l ’ibis si contorca, come un essere calpestato, ai piedi di Cristo simboleggia la sua volontà di rimanere legato a quanto c ’è di terreno e deve perire prima dell’aurora, mentre la fonte del Paradiso, quale simbolo della vita eterna, s’in­ nalza nel cielo. Questo motivo pittorico risolve con semplicità e au­ dacia, quasi come un gioco, uno dei problemi dogmatici più complessi: la questione dell’origine e dell’accettazione del male. « Deus mortem non fecit » dichiara la Vul­ gata (Sapienza i, 13), e quali tesori di sottigliezze i teologi non hanno profuso per includere in modo plausibile que­ sto male che è la morte nel piano divino della Crea­ zione. Essi hanno tentato di giustificare questo male con il peccato del primo uomo, sia che essi abbiano consi­ derato la Creazione intera (piante, animali e uomo) come originariamente immortale, sia che essi abbiano ristretto il concetto d ’immortalità solo alla prima coppia umana, operando così con sant’Agostino una distinzione tra il « posse non mori » e il « non posse mori »: il primo uomo avrebbe posseduto « la facoltà di non morire » se, con il Peccato e la Caduta, Adamo non si fosse condan­ nato fatalmente alla « incapacità di non morire ». Bosch e i Fratelli del Libero Spirito non si curavano molto di tali finezze dogmatiche. Con le sue metafore del­ 88

l’ibis e della salamandra, Bosch mostra di considerare la distruzione dell’animale ad opera dell’animale come una necessità della natura. Egli valorizza così la morte e la ren­ de uno dei principi costitutivi dell’esistenza e non un male divenuto ereditario per colpa del peccato originario; ha completamente svincolato la morte dalla Caduta, inclu­ dendola in questo Paradiso in cui gli uomini vivono an­ cora nello stato d ’innocenza. Dal punto di vista del dog­ ma è una eresia, ma dal punto di vista filosofico è un pensiero che indica come la concezione libero-spirituale del mondo e della natura sia un audace sincretismo, un tentativo di conciliare la dottrina cristiana della Salvezza e la saggezza esoterica dell’antichità.

Sermoni della montagna. Questa attitudine fondamentalmente positiva, che op­ pone alle crudeli danze macabre del Medioevo il gioioso girotondo della vita, proprio del Rinascimento, si esprime pienamente nei simboli dello sfondo. Con essi Bosch si avventura in un campo della simbolica sino ad allora ine­ splorato. Abbiamo già ammirato in Bosch (nelle pale esterne e nel loro globo cosmico) il pioniere, l’innovatore del paesaggio, ora stiamo per scoprire in lui il fondatore di un’arte simbolica della ‘natura vivente’. Come per in­ canto, egli sa far parlare, per mezzo di profonde metafore, le mute forme della natura: montagne, caverne, rocce e alberi. Il senso panteistico della natura dei libero-spirituali, cui Dio si rivelava « nella più piccola pietra », ini­ zia qui la sua marcia trionfale; essa si svilupperà nel pan­ nello centrale in tutta la sua potenza. In primo luogo Bosch pronuncia un sermone pittorico sulla nascita, lo sposalizio e la morte dell’uomo. Egli pre­ senta questo sermone nella veste di una favola animale e lo vivifica attraverso la simbologia del paesaggio. In fun­ zione di pulpito per la predica ha eretto quattro strane formazioni rocciose delle quali, a prima vista, cogliamo il cono roccioso situato all’estrema sinistra. 89

Alla sua base esso è inciso da una profonda caverna, dal cui grembo si leva uno stormo di uccelli appena ve­ nuti alla luce, che fendono l’aria in un girotondo armo­ nioso. È il simbolo della nascita dell’uomo e della sua gloriosa crescita nel tempo dell’adolescenza. Prima di vi­ rare, l’allegro stormo deve passare attraverso l’orifizio d ’un globo posto sulla piattaforma rocciosa. È il mo­ mento del matrimonio e della procreazione, il momento del 'secondo passaggio’ attraverso la madre. Un albero dal vivace fogliame, le cui radici s’innestano nella piat­ taforma, conferma l’esattezza di questa interpretazione: si tratta infatti di un Albero della Vita appena sbocciato, che torna a crescere dopo ogni atto di generazione. Da Bachofen sappiamo che l’albero è un simbolo tellurico del grembo della Madre Terra, squarciato dalla procrea­ zione e dalla nascita.10 Mentre lo stormo si perde in lontananza, si intrave­ dono, all’estrema sinistra del pannello, i primi viaggia­ tori che ritornano. Essi ritornano a coppie e il contrasto delle piume, rispettivamente bianche e nere, sottolinea ul­ teriormente questo dettaglio. Si costruiscono un soffice nido ove si riscaldano al sole, uniti ad altre specie di uccelli, senza invidia né contrasti. Tuttavia, accanto a questa immagine di una vita protetta, nell’immediata prossimità della caverna rocciosa, dal cui grembo essi sono usciti, vediamo un uovo spezzato verso il quale si dirige una processione di uccelli neri. Essi non volano più nell’aria, ma camminano con passo lento e circo­ spetto. Mentre l’uccello della morte li sorveglia, ritornano silenziosamente nell’oscurità ombrosa dell’uovo, che si trasforma così nella loro tomba. Nascita e morte: il ciclo potente della natura è qui espresso per mezzo di un simbolo pieno di umorismo e di grazia, impregnato di una saggezza autentica che ha saputo riconciliarsi con la natura. Bosch ha qui preferito dare alla propria ‘predica’ una forma di favola, di armo­ nioso idillio, piuttosto che rifarsi al moralismo dei pas­ 10 Johann Jakob Bachofen, Versucb iiber die Grabersymbolik der Alien (Saggio sulla simbolica tombale degli antichi), 2* ed., Basilea, 1925, p. 51.

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saggi biblici che sarebbero stati più aderenti .ad un di­ pinto adamita: « Nondimeno regnò la morte da Adamo... » (Romani v, 14); « Poiché la paga del peccato è la morte... » (Romani vi, 23). Il paesaggio vicino riprende e sviluppa questa dottrina del ciclo naturale espressa prima di tutto in forma alle­ gorica. Sullo sfondo, a destra questa volta, si ergono due grandi macine attraversate da un ramo secco, tagliato, sulla cui punta ricurva è posta una falce di luna declinante. Albe­ ri dalle fronde lussureggianti spuntano tra le due macine, e questo semplice dettaglio suggerisce il contrasto tra la fioritura e l’aridità. Quanto alla macina, essa è stata, nella poesia popolare di tutti i tempi, il simbolo sia dell 'amore sia della morte. Simbolo della morte, perché di anno in anno il grano è triturato e macinato tra le sue due pietre. Simbolo dell’amore, perché le sue pietre veni­ vano considerate come maschio e femmina e la macina­ zione stessa come un atto sessuale. È così che la lugubre macina della morte, per la presenza del ramo secco e della luna declinante, si trasforma, in virtù degli alberi verdeg­ gianti, in una possente, feconda macina di vita. In contrasto con la falce di luna si vedono, appesi sulla roccia vicina, due turgidi frutti, simili a quelli che spesso incontreremo nel pannello centrale quali simboli testicolari. Presso ciascuno di essi è appollaiata una cop­ pia di uccelli. Questa roccia, che perfora la copertura della montagna come un aculeo, incarna la forza generatrice maschile della natura. La quarta roccia, invece, con la profonda caverna che la incava, è manifestamente un simbolo femminile; Bosch vi ha aggiunto una civetta, es­ sere notturno per eccellenza. La superficie, che suggerisce la soffice consistenza di un fungo, è trapassata fallica­ mente. Così, ancora una volta, Bosch eleva l ’unione tra i sessi a simbolo cosmico. Riassumiamo le nostre osservazioni. In primo piano, il gruppo del Demiurgo e della prima coppia umana espri­ me le tesi teologiche fondamentali del Libero Spirito. Sullo sfondo, le strutture rocciose esprimono la sua etica. Le scene animali, infine, e i paesaggi del centro conten­ gono l ’essenziale della sua filosofia cosmogonica della na­ 9i

tura. Ci resta ancora un punto importante da chiarire: quali sono le fonti culturali dell’epoca che ispirano a Bosch questa immagine del Paradiso?

L ’India, paese di sogno. Cari Justi ha sottolineato per primo che il paesaggio del Paradiso è immerso in un’atmosfera specificamente tropicale-oceanica. Egli arriva alla conclusione che l ’im­ maginazione del pittore « era stata suggestionata dai rac­ conti che descrivevano la recente scoperta dell’America, e dai disegni che ne tratteggiavano i paesaggi tropicali. Colombo stesso, avvistando la terra firma, non credette di avere scoperto, alla foce delPOrinoco, la sede del Pa­ radiso terrestre? ». Justi ha ugualmente richiamato l’at­ tenzione sul fatto che la biblioteca di Madrid possiede un manoscritto di Antonio de León Pinelos che data, è vero, 1 656, ed è intitolato El Paraíso en el nuevo mundo. Sotto la legenda 'continens paradisi' si scopre una car­ ta dell’America: l ’Eden è localizzato nel bel mezzo di quella carta, che registra altresì l’ubicazione dell’ 'arbor vitae’ e del ‘locus voluptatis, boni et mali’ . Questa osservazione di Justi sarebbe facilmente colle­ gabile all’atmosfera tropicale, tipica dei due Paradisi del trittico. Ciò nonostante occorrerà non prenderla troppo alla lettera. In effetti, alla fine del XV secolo, all’epoca in cui Bosch dipinse il trittico, non si trovavano ancora in circolazione immagini del Nuovo Mondo. Potrebbe dunque trattarsi d ’un presentimento puramente intuitivo di cose che si sarebbero successivamente manifestate, di una ‘previsione’ analoga alla lungimiranza che troviamo, ad esempio, in Dante, nel momento in cui egli celebra la costellazione sacra della ‘Croce del sud’ molto prima che i navigatori dei mari del sud l’avessero realmente contem­ plata: I ’ mi volsi a man destra, e puosi mente all’altro polo, e vidi quattro stelle non viste mai fuor ch’alia prima gente. 92

Goder pareva il cielo di lor fiammelle: oh settentrional vedovo sito, poi che privato se’ di mirar quelle! (Purgatorio I, 22-27)

Si ritrova questa stessa ‘previsione’ in Michelangelo: nella sua Separazione delle Tenebre, egli fa gravitare Dio-Padre come un pianeta attorno al nucleo centrale del sole, e questo molto prima della pubblicazione della teoria rivoluzionaria di Copernico. I nostri due Paradisi, e più particolarmente quello del pannello centrale, ben rappresentano il sogno di un’isola miracolosa ove sgorga la fontana dell’innocente felicità dei sensi e dell’eterna giovinezza, una di quelle isole felici, simili a quelle che il navigatore Juan Ponce de León, scopritore della Flo­ rida, credette d ’aver trovato in un’isola delle Bahamas, chiamata Bimini. Per attenersi alla realtà storica, l ’ipotesi avanzata da Justi, che vedeva in alcuni « disegni della natura tropi­ cale »“ la fonte d ’ispirazione di Bosch, risulta insosteni­ bile. Essa svanisce di fronte a questa semplice scoperta: l’elemento tropicale più importante del pannello, l ’albero della vita, che ha quella forma di palma tumida e car­ nosa così caratteristica della dracena, è stato integral­ mente ripreso da un’incisione di Martin Schongauer, inti­ tolata la Fuga in Egitto. Max Dvoràk, che ha constatato questa analogia, non ha prestato attenzione alle modifiche, peraltro molto rivelatrici, apportate da Bosch alla dracena.12 Schongauer aveva chiara­ mente alluso al nome del palmizio 13 attraverso la rappresen­ tazione di tre draghi miniati, tre lucertole che si arrampi­ cano lungo il tronco. Bosch ha tralasciato queste lucertole e le ha sostituite con una pianta rampicante. È forse perché

n Cari Justi, Mise., cit., p. 83. 12 Max Dvoíák, « Schongauer und die niederländische Malerei » (Schon­ gauer e la pittura olandese), in Kunstgeschichte als Geistesgeschichte. Studien zur abendländischen Kunstentwicklung (La storia dell’arte come storia dello spirito. Studi sullo sviluppo dell’arte occidentale), Monaco, 1924, P- 176.

13 Drachenpalme, Drache = drago. (N.d.T.)

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egli ignorava il nome della pianta e non ha compreso l’al­ lusione? Non avrà, di conseguenza, usato questa pianta solo per desiderio d ’esotismo? Poniamo tale questione solo per confutarla subito. Il nome di un oggetto, per gli adamiti, era un sigillo magico; il nome dato dal primo uomo alle cose della Creazione è carico dello spirito che impregna l’universo intero, particella del 'Verbo' divino. È dunque da escludersi, secondo noi, che Bosch abbia potuto riprodurre un oggetto di cui ignorava il nome o la specie. Vi è un’altra ragione per la soppressione delle lucertole: il pittore ne aveva bisogno in qualità di sim­ boli apollinei, e questa esigenza può averlo indotto sem­ plicemente a rinunciare al gioco etimologico di Schongauer. Occorre ricercare una fonte di ispirazione più vicina e più concreta, e rapportare le immagini esotiche di Bosch alle contrade tropicali già conosciute alla fine del Me­ dioevo. Questi paesi sono quelli del vicino e dell’estremo Oriente, resi familiari agli occidentali dai racconti di Mar­ co Polo, Giovanni da Montevilla e Bernhard von Breidenbach. In questi racconti l’India era al centro di tutto il ciclo di leggende che comprende il motivo dominante del nostro trittico: il Paradiso. È la Leggenda di Alessandro che ha suggerito agli uo­ mini l’idea di situare l’Eden nel ‘paese dei quattro fiumi’, oltre le due colonne che il Macedone aveva fatto innal­ zare alle frontiere orientali dell’India per delimitare i con­ fini delle sue conquiste. Aristotele e le scienze naturali greche trassero un profitto inestimabile dalla campagna militare di Alessandro, prima spedizione scientifica di ri­ lievo. Tutte le osservazioni e le scoperte furono largamente diffuse nel Medioevo da un libro popolare tradotto in alto e basso tedesqp e riedito numerose volte, la Historia Eusebii, che narra le gesta del grande re e che costituisce la fonte autentica di tutti i ‘miracoli’ tropicali del nostro trittico. Questo libro popolare semplifica schematicamente le scoperte della natura sconosciuta dell’India, articolandosi in una epistola tripartita di « Alessandro, re di tutti i re, al suo amato maestro Aristotele ». Le descrizioni favolose acquistano così un’aurea di scientificità regale. La divi­ 94

sione tripartita della lettera guida esattamente Bosch nella sua selezione delle diverse meraviglie naturali del Pa­ radiso. La presente traduzione è condotta su quella, in alto­ tedesco, del dottor Johann Hartliebs, apparsa nel 1472 ad Augsburg:

« Il regno delle Indie è così sorprendente che mi è difficile descriverlo: contiene infatti molte cose strane. Al­ cune piante che crescono nelle Indie sono utili all’uomo, altre gli causano grandi danni. II paese delle Indie ha ani­ mali e forme così strani che nessuno li saprebbe descrivere: un animale può assumere nello stesso tempo questa o quel­ la forma, in modo tale che nessuno potrebbe individuare la specie a cui l’animale appartenga. Le specie comuni degli animali mi sono note, ma non sono in grado di dire da dove traggano origine questi strani e meravigliosi ibridi. Per questo desidererei che tu studiassi tutta la materia a fondo. Su ciò Aristotele scrisse il Libro della Na­ tura, che ancora oggi si studia nelle Chiese Cristiane ». Come l’esempio indica, la ‘Lettera’ studia la fauna del­ l ’India esclusivamente nelle specie ibride. Lo stesso fa Bosch, con l’unica eccezione degli animali esotici come l’ele­ fante, il liocorno o la giraffa, già familiari al pubblico medievale dopo la pubblicazione delle illustrazioni del libro di Bernhard von Breidenbach, Viaggio in Terra Santa. L ’esempio che segue mostra fino a che punto la parola ‘India’ fosse sinonimo di metamorfosi zoologiche, e quanto abbia influito sulla concezione generale del pan­ nello. Bosch conosceva, da un’incisione del libro di Brei­ denbach, le antilopi dalle lunghe orecchie: il loro nome, Caprae de India, impresso a tutte lettere nell’incisione, le destinava in modo del tutto naturale a far parte della composizione del pannello. Utilizzandole, Bosch ha fatto subire loro una trasformazione significativa. Egli ha dato loro un’apparenza ancora più ‘indiana’, cioè ancora più ‘metamorfica’. Gli è sembrato opportuno attribuire al­ l’antilope solo due zampe, il che suggerisce l’immagine di un animale ibrido, intermedio tra il mammifero e l’uc­ cello. La seconda parte della ‘Lettera’ di Alessandro tratta 95

dei minerali e dei metalli dell’India; in essa si afferma: « Inoltre, Aristotele, ti scrivo: vi sono, nel paese delle Indie, molti minerali strani, metalli, pietre, perle ed altre gemme, troppo numerosi perché si possa citarli tutti. Tu sentirai senza dubbio raccontare di fiumi la cui sabbia è d ’oro e di diamanti, in cui le perle giacciono sul fondo come ghiaia. Ugualmente sentirai parlare di minerali puri sino all’essenza. Non dimenticare di parlare anche di queste cose. Su ciò il saggio maestro Aristotele scrisse il Libro dei Metalli e dei Minerali ». Questo passaggio chiarisce il motivo del bacino centra­ le. Formando il supporto della Fontana della Vita, una col­ lina nerastra emerge dalle acque. Il suo aspetto ricorda quello di un monticello di terra sollevato dalle talpe, o quello, ancora più caratteristico, di una palude con delle bolle che scoppiano nel calore umido. Essa è irta di tubi di cristallo scintillante e, come una pura semenza divina, sgorgano da questi tubi le pietre preziose. La collina, tutt’intorno, appare tempestata di pietre preziose, le ac­ que stesse rigurgitano di perle luminose. Non è veramente possibile rappresentare in maniera più 'aristotelica' la ghiaia di perle dei fiumi indiani, né suggerire meglio la sensazione della preziosa, originaria, calda e umida pro­ fondità della terra. La terza parte della 'Lettera' di Alessandro ci fornisce la chiave di un elemento peculiare del pannello, anch’esso di natura metamorfica: alludiamo a quelPinestricabile fu­ sione di arte e natura, a quell’interferire di forme orga­ niche spontanee e di forme artificiali meccaniche, che la Fontana della Vita manifesta nella sua struttura fiabesca. E proprio in forme simili a queste l ’autore della 'Lettera' di Alessandro scopriva le più sublimi meraviglie che l’In­ dia potesse rivelare all’Occidente. A conferma di ciò, egli cita l’esempio di una vigna, completamente artificiale, co­ stituita unicamente da sostanza minerale: « Ho poi visto una grande vigna sostenuta da pali d ’oro e d ’argento che mi ha stupito grandemente. In realtà, le viti erano tutte d’oro e ricoperte di rami e di foglie, proprio come le vere viti. Le foglie dei tralci erano fatte di verdi pietre preziose, magistralmente cesellate e levigate. 96

Vi era un prezioso smeraldo intagliato come un ducato, dei crisoliti che sembravano enormi foglie di vite, e in mezzo a tutto ciò molte foglie fuse in puro oro, in modo tale che nessuno, per quanto saggio, avrebbe immaginato, neppure un istante, che queste viti non fossero naturali. Dai ceppi delle viti pendeva ogni sorta di grappoli d’uva; ammirevoli artigiani li avevano combinati con una tale maestria che attraverso numerose pietre preziose era possibile veder scintillare il piccolo granello interno. Vi erano numerosi grappoli dorati e trasparenti, magistralmente composti con il topazio e l’oro fuso. In questa sola vigna vi erano una tale ricchezza e un tale splendore che l’intera Grecia non avrebbe potuto eguagliarli ». Una creazione così ammirevole, ove l’arte non si con­ tenta d ’imitare fino alla similitudine la natura, ma cerca di superarla sostituendo i suoi semplici materiali con altri, più nobili e sapientemente scelti, possiamo vederla con i nostri occhi nella Fontana della Vita. Per metà pianta e per metà costruzione umana, questa Fontana è di un ma­ teriale indefinibile: non è pianta, né marmo, né cristallo, ma piuttosto una sintesi dei tre. In essa la cesellatura raffi­ nata, sapiente, dei tabernacoli e degli ostiari gotici, si unisce alla libertà esuberante dello sviluppo vegetale. Le fiale sottili, i tubi slanciati, i globi di cristallo, le mezzelune e i dischi levigati si fondono con il fogliame o i fiori dell’agave o i cilindri dell’ananas in una completa unità di forma. Ma ciò che completa l’elevazione di que­ sta Fontana nel regno del soprasensibile è il suo colore: un rosso vivo di profondo splendore, esaltazione incan­ descente della rosea aurora dell’era del Figlio.

L ’Albero della Vita.

Lo zoccolo della Fontana della Vita costituisce l’essenza spirituale del quadro. È un disco cavo che nel suo centro ha una civetta. Questo oggetto rotondo è situato esatta­ mente al centro dell’immagine. La Fontana costituisce l’asse verticale del pannello, e la mano alzata del Crea­ 97 7

tore è il suo esatto prolungamento. L ’asse orizzontale passa per il centro del disco e, più precisamente, tra gli occhi della civetta. Situato così nettamente al centro di tutta la composizione, è probabile che il significato di questo disco superi largamente quello, puramente formale, di un semplice asse di costruzione. Nessuna delle linee di forza del quadro, nel senso di un rimpicciolimento prospettico o di una delimitazione ornamentale del paesag­ gio, si dirige verso questo centro. Quindi, in mancanza di un significato di funzionalità compositiva, non si può intenderlo che come il centro assoluto del dipinto. Coglieremo meglio il significato di questo disco situato esattamente nel punto di intersezione degli assi del pan­ nello - e, più in generale, dei quattro punti cardinali se gli attribuiremo il nome di orbis. Le due pale esterne, in effetti, ci hanno già presentato tale orbis, ma nel mo­ mento della sua fecondazione. Lo ritroviamo ora, come simbolo del Paradiso, nel momento della sua fioritura; 10 ritroveremo ancora nel pannello centrale in tutta la sua maturità estiva. La parola latina orbis si adegua perfettamente al no­ stro caso: essa non designa soltanto il cerchio o il disco, ma anche la rotondità della terra, il regno, il genere umano; tutti significati, questi, che in un dipinto raffigu­ rante l’instaurazione del Regno di Dio e la creazione del­ l ’uomo assumono un valore ancora più pregnante. Infine, 11 termine orbis esprime un altro significato che ci per­ metterà di cogliere la vera natura di questo disco: Vorbis designa anche l'orbita, e l'occhio stesso che vi ha sede. Ma qual è il ruolo di questa orbita situata in maniera a tal punto provocatoria al centro del pannello, da costrin­ gere lo sguardo dello spettatore a prestarle una continua attenzione? Questa forza d ’attrazione è dovuta al fatto che il disco sembra rispondere allo sguardo come la pu­ pilla magnetica di un altro occhio. D ’altra parte, se lo sguardo dello spettatore s’immerge nel suo centro, non vi scopre che un semplice foro, un vuoto in cui dimora una civetta filosofica. Ed eccoci di fronte al seguente paradosso: Bosch ha 98

sviluppato dinanzi allo spettatore tutto lo splendore co­ lorato del mondo fenomenico, ma ponendovi un’insidia che storna da questo mondo l’attenzione dello spettatore, e la dirige verso un vuoto dove, al di là della civetta, egli non ha nulla da vedere. Per esprimerci in termini gnostici: il pittore ci strappa dal pleroma, vale a dire dal mondo dell’essere imbevuto di energia divina, e ci spinge verso il kenoma, cioè nel vuoto della materia, per con­ frontarci con l’abisso del nulla, vuoto assoluto per i sensi, ma fittamente popolato di idee, grazie alla presenza misteriosa della civetta. Questo passo coincide con l’esi­ genza formulata da tutti i mistici, e considerata da essi come la condizione preliminare ad ogni illuminazione contemplativa: quella dello « spogliarsi di ogni concetto, immagine o forma », del « prescindere dal proprio essere, come da quello degli altri », per usare la formula di Mastro Eckhart. Questo punto centrale è un fuoco di concentrazione, quale ancora oggi si utilizza per esercizi di meditazione. Quando Bosch rappresenta il punto focale della con­ centrazione come pupilla, egli riprende il delfico « co­ nosci te stesso » nel senso in cui viene formulato nel dia­ logo platonico apocrifo Alcibiade I. In quest’opera, So­ crate fa derivare l’intero processo di autoconoscenza dalla contemplazione di sé nella pupilla di un altro occhio o nell’immagine riflessa del proprio: so cr a te Passo a dirti che cosa, secondo ogni vero­ simiglianza, significa questa iscrizione, ciò che essa vuole raccomandare. Non saprei chiarirla meglio che con l’esem­ pio della visione. Supponendo che questa iscrizione si ri­ volga al nostro occhio come ad un essere umano, essa gli suggerirebbe di guardare un oggetto nel quale egli potesse riconoscere se stesso. a lc ib ia d e In uno specchio o in un oggetto analogo. so cr a te Ma non si trova neH’occhio stesso con cu i vediamo qualcosa di simile? Non hai notato che q u a n ­ do qualcuno fissa un altro uomo negli occhi, egli perce­ pisce nel fondo degli occhi dell’altro il suo viso come in uno specchio? È per questa ragione che il centro dell’oc­ chio viene chiamato ‘pupilla’, vale a dire piccola sagoma, 99

perché essa riflette una piccola immagine di colui che vi si contempla. Se di conseguenza un occhio ne guarda un altro e lo fissa in quello che esso ha di più nobile - af­ finché sia in grado di vedere realmente - suppongo allora che in questo occhio egli percepirà se stesso. a lc ib ia d e Ciò è v e r o . so cr a te E quindi, se è l ’anima che vuole riconoscere se stessa, non dovrà rivolgere i suoi sguardi verso l’anima, e più precisamente verso la sua più nobile parte, là dove risiedono la Saggezza e la Ragione? Questa parte del­ l’anima è divina. Chi volge là i suoi sguardi ed apprende a riconoscere in essa ciò che è divino - Dio e la chiaroveg­ genza della ragione - quello, io dico, non prende cono­ scenza di se stesso fin nella più profonda intimità? ». In queste parole torna l’antica magia dell’occhio: la pic­ cola immagine riflessa è considerata l’essenza dell’uomo, la sua stessa anima, un microcosmo legato al sole, occhio del mondo, attraverso un reciproco potente gioco di ir­ radiazione. Nella concezione indiana il ‘Brahman’ agisce nell’interno del sole come all’interno di una pupilla: il dorato ‘Purusha’, signore delle forze del cosmo, la minu­ scola scintilla nel suo occhio, signora delle potenze psi­ chiche. La frase del Chàndogya-lJpanishad (vm, 7, 3) che dice « Il Purusha nello specchio, su questo io medito » - la cui metafora solare dell’occhio suggestionò Plotino e Goethe - costituiva una indicazione per la meditazione: attraverso l’autosuggestione raggiunta con la profonda concentrazione sul proprio occhio destro, fissato sulla su­ perficie di uno specchio, si verifica il passaggio dalla pro­ pria essenza alT'essenza del mondo’ e al}a solare ‘essenza della divinità’. Qui contemplazione di sé e conoscenza nascono da un unico e identico processo: un atto di 'concentrazione intel­ lettuale’. Ed è così che il platonismo medievale ha eser­ citato la sua speculazione, la sua ‘contemplazione in uno specchio’ (dal latino speculum). Giovanni Scoto Eriugena ha definito la speculazione come un’« esperienza di vi­ sione intellettuale e di intuizione gnostica ». I Vittorini 1 hanno considerata come un cammino di conoscenza, che passava per « la contemplazione acuta, diretta, dell’ani­

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ma ». La contemplatici è concepita come « penetrazione magica del Tempio » (Eintempelung): anche L. B. Alberti dichiara, nelle sue Conversationes Camaldulenses, che essa trae la sua origine da quel ‘templum’ che gli auguri de­ limitavano nel cielo con il loro pastorale per studiarvi il volo dei corvi. Infine le parole ‘meditazione’ e ‘concentra­ zione’ significano la stessa cosa: ‘la penetrazione del mez­ zo’ (Er-mitte-lung). Con ‘mezzo’ occorre intendere qui l’anima, e particolarmente la sua essenza più intima. Così i concetti di pupilla e scintilla animae (la « piccola scin­ tilla dell’anima », nozione centrale nella mistica di Ma­ stro Eckhart) sono, in quanto scopi della ‘concentrazione contemplativa’, una sola e medesima cosa. Questa scoperta dimostra tre fatti fondamentali: in primo luogo che la pratica Yoga della ‘meditazione’ era nota tra i libero-spirituali; le loro riunioni dovevano, senza dubbio, fondarsi sul principio di esercizi comuni di concentrazione e sulle esperienze esoteriche che ne de­ rivavano. In secondo luogo prova che Bosch era iniziato a questa disciplina e alla conoscenza di queste vie non abi­ tuali della chiaroveggenza e della rivelazione mistica. Ci offre, inoltre, la chiave che ci permette di cogliere il si­ gnificato profondo dei simboli didattici del pannello. In un esercizio di concentrazione è in primo luogo ne­ cessario isolarsi dal mondo esterno, eliminare ogni at­ tività determinata della volontà per realizzare ciò che la mistica medievale (cfr. Jan van Ruysbroeck) definisce la ‘pura disponibilità’, un abbandono totale di sé e del mondo. Eliminate tutte le percezioni sensibili e razionali, si tratta d ’introdurre nel campo della meditazione alcune immagini simboliche e di mantenere nei loro confronti un atteggiamento di pura contemplazione. Ben presto al­ lora il vuoto integrale dello stato di coscienza iniziale si anima di un’attività particolare. L ’immagine contemplata si presta, di per sé, a un’infinità di rapporti e di significati; il campo concettuale si carica dell’energia di un campo magnetico all’interno del quale si intersecano le molteplici associazioni di idee provocate dall’immàgine iniziale. Senza il minimo intervento di colui che medita, l’immagine si avvia spontaneamente verso la sua risoluzione. È la ‘pa­ 101

dronanza interiore' dell’oggetto ( Innetuerden), così diversa dalla comprensione ordinaria (Begreifen), che resta pura­ mente esteriore. È il primo gradino dello stato contempla­ tivo: colui che medita percepisce, in una folgorante illu­ minazione, le verità fondamentali. Heinrich Senses ha così definito questo stato spirituale nei due precetti di medita­ zione, tanto semplici quanto profondi: « Il crepuscolo dei sensi è l’alba della verità », e « Se l’uomo non riesce a comprendere una cosa, che resti inattivo (vale a dire, resti perfettamente tranquillo), e sarà la cosa, allora, a com­ prenderlo ». I discepoli del Libero Spirito che per iniziare il proprio iter spirituale si ponevano di fronte a questo pannello di meditazione, erano lentamente strappati dal mondo quo­ tidiano perdendosi in questo fuoco di concentrazione, ed entravano in un universo spirituale che scoprivano a poco a poco, e che rivelava loro significati sempre più profondi. Il solo modo di comprendere il pannello era di ritornare incessantemente su questo fuoco di concentrazione. Lo spettatore si trasformava così in co-creatore, in interprete autonomo dei simboli solenni ed enigmatici che aveva dinanzi agli occhi. Il dipinto non si pietrificava mai in una statica compiutezza, ma era continuamente animato dal flusso vivente del divenire, dallo sviluppo organico, dalla rivelazione progressiva. E questo in armonia col sistema evoluzionista che costituisce la struttura intellettuale del trittico. L ’attitudine spirituale che abbiamo appena descritto non ha nessun rapporto con il misticismo, ma sta alla base di qualsiasi riflessione sana, in armonia con la natura. Goethe l’ha definita mediante i concetti fondamentali di « intuizione riflessiva » (denkendes Anschauen), di « giudizio riflessivo » (anschauende Urteilskraft), di « im­ maginazione sensibile esatta » (exakte sinnliche Phantasie) e di « fantasia produttiva » (produktive Einbildungskraft). È una tale meditazione contemplativa che ha dato origine alla sua pianta originaria'. Nel suo saggio sull 'Aspetto soggettivo della visione, Goethe dichiara espressamente di aver percepito, con gli occhi chiusi e la testa inclinata, questa pianta che sbocciava in incessanti metamorfosi al­

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l ’interno stesso del suo occhio, fenomeno perfettamente naturale nonostante il suo carattere irreale, libera crea­ zione dello spirito. La Fontana della Vita del nostro pannello è anch’essa una 'pianta originaria’ nata dalla contemplazione. Nel suo sviluppo per metà vegetale e per metà minerale, essa ma­ nifesta ‘la legge cristallina delle forme cosmiche’ . Sgor­ gata dal nulla di questo vuoto oscuro in cui ha sede la civetta, questa pianta cresce sino a divenire l ’elemento centrale di tutto il pannello. Essa si afferma come Albero della Vita puramente spirituale, superando il gruppo dei personaggi biblici in grandezza ed importanza. L ’Albero della Vita deve questa apoteosi al suo triplice contenuto. Con le sue radici, che si bagnano nell’acqua eterna della vita, esso incarna l ’incessante 'autofecondazione' della natura che in tal modo appaga il suo insaziabile desiderio di ringiovanimento. L ’Albero della Vita è inoltre la fonte dei quattro fiumi paradisiaci, un santuario da cui si effonde la pioggia di Pentecoste delle due pale esterne, ma a un livello superiore. Infine, questo tabernacolo che rappresen­ ta il fuoco di concentrazione, diviene la cellula ove, per la confraternita del Libero Spirito, ha luogo l ’unione mi­ stica con l ’abisso cosmico originario. Ma cosa significa la civetta? Tra i vari contesti in cui essa riappare costantemente nei quadri di Bosch, citiamo in primo luogo i quadri di eremiti, ove si mostra sulle rovine degli eremi, compagna delle meditazioni solitarie. L ’uccello rappresenta quindi il centro ideale del fuoco della concentrazione. La civetta è anche costantemente appollaiata sugli Alberi della Vita che Bosch ha rappresen­ tato in molteplici varianti. Essa figura nella sommità del’ ‘Albero di maggio’ che costituisce il pennone della Nave dei folli, come testimonianza filosofica della vacuità di tutto questo agitarsi. D all’alto del suo trespolo, nell’Albero della Vita del Figliol prodigo, essa stride, piena di collera con­ tro il corrotto. Infine, nel Carro di fieno, esprime drasti­ camente il suo disprezzo del mondo, defecando dall’alto dell’'Albero dei raccolti’. Qui la civetta prende partito tra il Bene e il Male (l’angelo bianco e il diavolo blu), e

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questo esempio ci aiuta a cogliere meglio il profondo si­ gnificato simbolico di questo uccello. La civetta, con il suo sguardo che attraversa le tenebre, incarna la conoscenza del mistero e la penetrazione del­ l ’invisibile. Essa fa parte degli esseri da sempre sapienti e iniziati, che la Genesi designa come « scientes bonum et malum ». Il 'summum malum’ è la morte, e la civetta, nel suo volo notturno, penetra in quel regno. Il 'summum bonum’ risiede nella saggezza di Dio. La civetta ha cono­ sciuto tutto ciò all’inizio del mondo. Essa ha visto la morte contorcersi, ibis tricefalo, ai piedi del giovane Crea­ tore il cui regno, secondo Gioacchino da Fiore, dovrà sbocciare nella ‘saggezza’. Il significato più profondo della civetta risiede nel fatto che la sua saggezza è posta nella conoscenza della morte e nel suo superamento.

Essa indica dunque il centro focale della concentrazio­ ne: al centro della struttura della Fontana della Vita, dalla pupilla onnipresente e onnisciente dell’occhio divino, la ci­ vetta ci guarda, simbolo della Sopbia.

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L ’Inferno

L ’Albero della Conoscenza. Immerso nella profondità dell’Inferno, crudamente illu­ minato, si leva un mostro dai contorni angolosi e frasta­ gliati. I suoi piedi sono piantati in due grandi barche, e le sue cosce sono tronchi di alberi marciti. Un’articolazione ibrida, mezzo ginocchio e mezzo gomito, conduce alla spalla, dalla quale sporge, rivolto verso di noi, un gigantesco uovo rotto: è il torso del mostro infernale. Il guscio cadaverico è forato in più punti da rami secchi che si protendono dalle due gambe-tronco. La testa del mostro, rivolta aH’indietro, osserva da sopra la spalla. Il viso è livido, melanconico, e il suo sguardo sperduto nella notte delPlnferno non ci viene incontro. La testa è coperta da un piatto su cui si leva una cornamusa rosa, cerimoniosamente attorniata da coppie di amanti mascherati, dall’atteggiamento adescante. La stes­ sa cornamusa riappare, in formato ridotto, sulla bandiera che si leva al di sopra dell’uovo rotto. L ’interno dell’uovo è un ‘Nobiskrug’: taverna fantastica dove tre clienti sono seduti al tavolo dinanzi al loro boccale, nel riflesso tremo­ lante delle fiamme, mentre l’ostessa di questo Inferno spilla nuovamente dalla botte. Un uomo già sazio di questa ospi­ talità spettrale è appoggiato con i gomiti al guscio dell’uovo e guarda dall’alto l’acqua congelata in cui le barche, i piedi del mostro, sono prigioniere dei ghiacci. Considerato nel

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suo insieme questo strano mostro fa pensare ad un'anatra che sostiene su due gambe storte e goffe un corpo pesante e mutilo, inclinato verso il basso. Così forse la fantasia tardo-gotica rappresentava la mitologica Nemesi: una dea originaria dall’aspetto di anatra che, secondo Eratostene (Katasterismoi xxv;, ha portato l’infausto uovo del mondo. Come tanti altri simboli del pittore, questo mostro è ri­ masto sino ad ora indecifrato, giacché in lui non si è visto al­ tro che uno dei prodotti grotteschi della sua demonomania. Se si passa davanti alla Fontana della Vita senza compren­ dere nulla del suo senso segreto, ci si può effettivamente limitare a questa interpretazione. Ma nella misura in cui abbiamo dimostrato la funzione magica di questa fontana e il suo valore spirituale, la figura centrale dell’Inferno acqui­ sta necessariamente una pari importanza. Nel dipinto, in­ fatti, Fontana della Vita e mostro si contrappongono come due immagini antitetiche, così come i paesaggi circostanti. Il primo contrasto è nella presentazione stessa delle due immagini: le figure del Paradiso appaiono allo spettatore di fronte; il fantasma da dietro. Da un lato una visione di­ retta e immediata della perfezione divina, dall’altro la pro­ spettiva multipla e deformante di un mondo a rovescio. Qui l’espansione raggiante di un albero le cui radici s’im­ mergono nella Sorgente della Vita, là delle forme friabili, tarlate, decomposte, prigioniere dei ghiacci e immerse nella notte. A sinistra, tutto è concentrato sullo sguardo divino. Anche a destra uno sguardo, che però, invece di fissarci apertamente, resta sfuggente, obliquo, come se, simile in questo allo sguardo all’indietro del Figliol prodigo, cercasse di ritrovare in lontananza le tracce di una vita stupida­ mente sprecata. Si disegnano così a grandi linee i mondi opposti: quello instaurato da Dio e quello, frutto dell’inversione, del dia­ volo. Il concetto centrale dell’orbis ci permette di cogliere con precisione l’intenzione di Bosch. Il centro dell’In­ ferno ha anch’esso la propria orbis-. è il disco cosmico che il mostro porta sulla testa. L ’emblema di questo disco è la cornamusa attorno alla quale gira la ronda mascherata. Essa fa pensare al goethiano « vuoto viscere, pieno di paura e di speranza. Che Dio ne abbia pietà! ». Simile al 'filisteo' 106

di Goethe, la cui esistenza è scossa ora dalla paura, ora dalla speranza, questa cornamusa non è che un nulla pieno di vanità che si gonfia e geme sino a quando il soffio vivente riempie il suo sacco, ma che si affloscia lamentosamente quando il soffio viene a mancare. Trasponiamo nella lingua della fine del Medioevo la definizione goethiana del filisteo penosamente sballottato in tutti i sensi e senza la minima direzione spirituale ed otterremo i ‘folli’ di Sebastian Brant, Geiler von Keisersberg e Thomas Mumer, che inalbera­ vano tutti una cornamusa sulle loro insegne. Contrapponen­ dosi alla civetta, simbolo della saggezza posto nell'orbis del Paradiso, la cornamusa è l’incarnazione della follia umana. Un disegno di Bosch conservato all’Albertina di Vienna è un’ulteriore conferma della nostra interpretazione. La cor­ namusa è in questo caso sostituita da due simboli equiva­ lenti: il disco cosmico è sormontato da una grande brocca e come insegna sullo stendardo non appare una cornamusa, ma una falce di luna. Sappiamo che nell’opera di Bosch la falce di luna è il simbolo usuale della vita terrestre, in cui la crescita e il declino si equilibrano. Quanto alla brocca non significa altro che l’eterna alternanza del riempire e del vuotare. Cornamusa, brocca e falce di luna sono allo stesso titolo simboli della Vanità. Ma il disegno dell’Albertina ci fornisce anche la prova che la forma vegetale di questo spettro non è che una va­ riante, molto degradata, dell’Albero della Vita, tema fre­ quentemente elaborato dagli artisti del X V secolo. Nel quadro la forma dell’albero è ridotta alle due gambe-tronco, ma nel disegno la stessa è più sviluppata, la gamba sinistra appare come un albero completo, i cui numerosi rami servo­ no d’appoggio all’uovo gigante. Questi rami secchi e spogli immaginiamoli coperti di foglie, l’uovo rotto e svuotato im­ maginiamolo ancora intatto, circondato da flessuosi rami verdi che solo una volta disseccatisi hanno potuto trapassare il guscio. Potremo allora immaginare che, un tempo, lì do­ veva sorgere un albero maestoso e verdeggiante, ricco di linfa, le cui fronde nascondevano un uovo gigantesco: un albero cosmico che nasconde dentro di sé l'uovo cosmico. Vi è nel disegno dell’Albertina un motivo molto rivela­ tore, che conferma l’ipotesi di una dimensione cosmica

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dello spettro: è la civetta appollaiata sul più alto dei rami spogli. Essendo la civetta l ’attributo costante degli Alberi della Vita in Bosch, la sua presenza indica che questo uomoalbero è anch’esso un Albero della Vita: è l ’Albero della Conoscenza che si erge decrepito nel mezzo dell’Inferno, in contrapposizione all’Albero della Vita del Paradiso. La vasta iconografia dell’Albero della Vita ci offre altri esempi di questo tema utilizzato in negativo, dove l ’Albero della Vita è stato trasformato in Albero della Morte. Questi Alberi della Morte ci spiegano l ’origine delPinfrastruttura del mostro: tronchi d ’albero che poggiano su due barche ondeggianti sull’acqua. U n’incisione dell’anonimo ‘Maestro del 1464’ e un di­ segno a penna del Libro di devozione di Wilhelm Werner conte di Simmern (Kupferstich-Kabinett, Berlino) mostra­ no un Albero della Vita che porta tra i suoi rami i rappre­ sentanti dei tre ordini terrestri, mentre la morte li prende di mira con il suo arco. Quest’albero, sottolineiamolo, non è radicato nella terra, ma costituisce l ’albero di un battello, piccolo e incerto scafo del tempo, navicella effìmera, sbal­ lottata nell’oceano dell’elemento eterno. Due topi stanno rodendo l’albero alla base. Il contrasto del loro pelo, bianco nell’uno e nero nell’altro, simboleggia il giorno e la notte che usurano la vita consumandone senza tregua l’essenza. Questi due topi sono un’altra variante dei simboli della 'Vanità' sopra indicati.

Questa illustrazione ci permette inoltre di cogliere la potenza dell’immaginazione di Bosch. L ’illustratore del li­ bro ha composto, partendo da simboli popolari, un’allegoria complessivamente piuttosto povera. Bosch, invece, ha fatto del suo albero gigante un simbolo cosmico, in cui i temi tra­ dizionali del battello, dell’albero, dell’uovo e dell’uomo si fondono in un corpo unitario che riunisce il gigantesco e il minuscolo in magica armonia, dove elementi disparati ven­ gono a fondersi in un unico amalgama: l’Occidente non aveva ancora visto nulla del genere. Solo i miti cosmogonici dell’India ci offrono qualcosa di simile: per esempio l’albero cosmico del Mahàbhàrata, nominato da Markandeya, il navigatore, l’eremita dell’eter­ na giovinezza. Alla fine dell’era precedente e all’inizio della 108

nostra, dopo lunghe peregrinazioni scoprì in mezzo al mare l’albero del dio Narayana che, come indica l’etimologia del suo nome, « ha la propria sede tra i flutti ». L ’albero, un fico delle Indie, accoglie tra i suoi rami un fanciullo, il Dio dell’universo. Questi invita l’eremita a trovare riparo in lui. Attraverso la bocca del fanciullo, l’eremita discende sino allo stomaco, dove scopre il mondo intero, con i suoi regni, le sue città, i suoi fiumi sacri e il mare, Indra e tutta la stirpe degli dei, i rappresentanti delle quattro caste, leoni, tigri, cinghiali, serpenti ed elefanti; in breve, tutto ciò che aveva ammirato nel mondo lo ritrova lì dentro. Per un centinaio d ’anni egli si aggira nello stomaco del dio senza mai giungere alla fine. E quando finalmente, dopo aver invocato il dio, riemerge alla luce attraverso la sua bocca, lo vede nuovamente seduto sul ramo del fico, vestito di giallo, con indosso le insegne della sua divinità. Questo cosmo interiore racchiuso, come dentro un uovo, nello stomaco di un fanciullo divino sorretto dai rami di un albero sorto dal mare, è - secondo la gigantesca scala dei miti indiani della Creazione - il modello paradi­ siaco dell’albero cosmico di cui Bosch ci dà qui la carica­ tura infernale. Questo mito indiano getta una luce rivela­ trice su tutto il trittico. La sfera del mondo, dipinta sui battenti esterni, non rappresenta anch’essa un cosmo ‘ inte­ riorizzato’ ? Una volta aperti i battenti della composizione, il trittico dispiega una ricchezza di forme così complessa che potremmo, come Markandeya, trascorrere un secolo in questa Creazione ‘ interiore’ senza mai esaurire i miracoli del suo Paradiso, della sua Terra e del suo Inferno. L ’albero cosmico è stecchito, l’uovo cosmico è putre­ fatto, spezzato, l’oceano cosmico è gelato e il battello del tempo, con tutte le vele ammainate, è prigioniero dei ghiac­ ci. Il demone, le cui membra sono costituite da tutti questi elementi morti, si erge nella notte infernale quale incarna­ zione della morte spirituale. Svanita ogni speranza in una sorte migliore, non gli rimane che guardare indietro, verso la vita già vissuta. E in questa rievocazione di ciò che è stato egli si consuma, immagine stessa della putrefazione. Anche nella taverna del suo ventre regna ugualmente un’atmosfera di quaresima. Si bevono con malinconia le 109

ultime gocce di vino. Un ospite tardivo cerca ancora di penetrare nella 'Nobiskrug', mentre ai piedi della scala un suo compagno, nudo, è impegnato in una avventura con una farfalla notturna. Questo chimerico incontro tra il dan­ nato e l’importuna farfalla incipriata di polvere colorata, ci distoglie per un istante dagli orrori fragorosi dell’Inferno, immettendoci in un’atmosfera di tristezza infinita, cupa e straziante. Quali sono le particolarità di questo ‘Essere maligno'? Quali peccati lo hanno condotto alla morte spirituale? Il demone non dà una risposta a questi interrogativi. Il suo corpo spezzato ci mostra chiaramente quello che è il suo stato interiore, ma l’essenziale, il nome del suo peccato, ci resta oscuro. Ed è in questa ricerca vana e disperata del nome che consiste il fascino del mostro, ed è proprio per questo che la sua figura si insinua così profondamente nel­ l ’animo di chi osserva. Bosch ha saputo rendere insidiosamente più intenso que­ sto fascino doloroso, ponendo ad ogni lato del mostro un simbolo-burla che promette una soluzione, ma in realtà non è che una semplice trappola. A sinistra una grande chiave ci lascia credere di essere a un passo dalla soluzione, ma si rivela poi un semplice strumento di tortura. A destra un’immensa lanterna, ü cui sportello pare essersi appena spalancato, sembra la soluzione: ma anziché gettare una qualche luce sui significati del pannello, serve da cella per anime in miseria. Tuttavia Bosch, dinanzi a questo spaventoso spettro, ci esorta insistentemente a far buon uso delle nostre facoltà di comprensione. Riferendosi alle ricorrenti parole degli evan­ gelisti: « Chi ha orecchie per intendere, intenda » (Matteo xi, 15; x m , 9 ,4 3 . Marco iv , 9 ,2 3 . Luca v i h , 8; x iv , 3 5 ) , ha posto al di so­ pra dello spettro un paio di grandi orecchie gialle come cera, ma che non possono più udire alcunché, essendo state bru­ talmente troncate da un coltello: simbolico avvertimento per coloro « che hanno orecchie e non intendono » (Salmi cxv, 6). Le due orecchie sono inoltre trapassate da una freccia: è un motivo che riapparirà in altri luoghi del quadro, immagine del castigo inflitto dal Dio vendicatore dell’Antico Testa­ mento (Deuteronomio x x x ii, 23; Giobbe v i, 4; Salmi x x x v m , 3). HO

Quest’orecchio mozzato e trapassato da una freccia deve ricordare, a chi guarda, che solo la conoscenza dell’inevi­ tabile punizione può aiutare l’uomo a riflettere. Anche una sentenza capitale della Scrittura formula questa regola di vita: « L ’orecchio che dà ascolto ai salutari ammonimenti dimorerà in mezzo ai saggi » (Proverbi x v , 31). Accontentiamoci per il momento di constatare che que­ sto mostro enigmatico espia, senza alcun dubbio, il più pe­ noso degli 'ammonimenti salutari', e consideriamo, prima di passare oltre, quali forme di vita si svolgono attorno a questa incarnazione delT'Infamia’.

L'Inferno dei quattro elementi.

Come Sodoma e Gomorra, il paesaggio cosmico dello sfondo si staglia all’orizzonte a grandi lettere di fuoco. Ci presenta la natura nello stato della ‘collera’, per riprendere la formulazione di Jakob Bòhme, che così definisce lo scate­ narsi selvaggio degli elementi suscitato dalla caduta d’Ada­ mo: potenze benevole, esse si sono trasformate in forze distruttrici. Il nero orizzonte è punteggiato da incendi, una luce fiammeggiante rischiara il paesaggio inondato, deva­ stato da orde guerriere, su cui regna, come signore assoluto, Orlog, il dio della guerra. A sinistra, coronata da un paio di corna enormi, una montagna si leva nella notte, gigan­ tesco cranio diabolico. Le sue viscere sono incandescenti come una forgia e un’intensa attività vulcanica sconvolge la sua sommità. Questo fuoco della terra non è solamente alimentato dai propri mezzi. La forgia è in effetti popolata da artigiani: fuochisti e fabbri infernali attizzano il bra­ ciere con sbarre di ferro, qualcuno ritto su di una scala da­ vanti alla gola del forno o, più in alto ancora, su passerelle che conducono ai crateri vicini. Due simboli sono combinati in questa montagna di fuoco. Il termine 'vulcano' è qui da intendere non solo in senso geologico, ma anche mitologico. Ai tempi di Bosch il vul­ cano più celebre era l’Etna, e nelle concezioni popolari esso rappresentava il furore autodistruttivo che squassa periodi­

camente i mondi della Natura e dell’Uomo. Sebastian Brant, per esempio, aveva utilizzato questo distico tratto dai Pro­ verbi di Alanus, « Nec quicquam nisi se valet ardens Ethna crem are», per le illustrazioni della sua Nave dei folli. L ’Etna, grande solitario tra le montagne, era considerato come l’incarnazione dell’invidia e dell’odio. Analizziamo, per esempio, l ’incisione su legno di Hans Weiditz, l’illu­ stratore del Petrarca. A sinistra si scorge una montagna, che vomita fuoco, sul punto di eruttare le proprie viscere, con una violenza che fa esplodere le rocce. A destra appare la torva, gigantesca figura di una donna, simbolo dell’invi­ dia, che in un delirio di autodistruzione porta il suo cuore alla bocca per divorarlo: « come l’Etna che si consuma solitario ». Al vulcano, simbolo d ’invidiosa perfidia, si aggiunge il mito di Vulcano, dio dei fabbri. Nella sua officina sotter­ ranea Vulcano piega alla sua volontà la potenza del fuoco, e forgia armi e utensili dai quali l’elemento, seppure do­ mato, cerca di sprigionare la sua potenza distruttiva. Con questi fabbri dellTnferno, Bosch intende imprimere anche sulle prime opere della civiltà e della tecnica il marchio della malvagità autodistruttrice della Natura. Allude cosi alla figura archetipa del primo degli artigiani e ribelli sacri­ leghi, Prometeo, che egli doveva senza dubbio considerare come il vero Anticristo. D all’elemento del fuoco Bosch passa poi a quello dell 'acqua. Egli la dipinge nello stato di selvaggio scatena­ mento di una grande inondazione che trascina nei suoi vortici una massa di uomini nudi. Ma al tempo stesso ci mostra come l’uomo abbia domato questo elemento, co­ struendo ponti, battelli e mulini. Nella pittura del mulino, Bosch ha scrupolosamente riprodotto, ponendola in evi­ denza, tutta la struttura della ruota per valorizzare piena­ mente l’aspetto tecnico, ed ha fatto lo stesso con l’arco del ponte. Sottolinea così il grande progresso compiuto dalla tecnica dal tempo della forgia primitiva di Vulcano. Ma queste opere non sono 'benedette': il mulino è in fiamme, il battello è sul punto di affondare, e il ponte serve ad una selvaggia soldataglia per rovesciarsi da una riva all’altra. Il tentativo umano di domare l’elemento dell ’aria, rappresen­ 112

tato dal mulino a vento, non è meno fallimentare: anche le ali del mulino bruciano. Bosch ha reso l’elemento della terra tramite una grande fortezza, allineando una teoria di bastioni, muraglie e citta­ delle dai neri contorni che si stagliano all’orizzonte. Bosch accusa così l’uomo di essersi separato dalla comunità ter­ restre, dalla pace delia Natura, per ritirarsi dietro le mura della diffidenza. La fortezza simboleggia l’isolamento ostile, la volontà di potenza, la violenza. Questa umanità, dive­ nuta estranea al Dio-natura, è in preda alla guerra. Ed infatti la guerra avanza con le sue bandiere, le sue lance, le sue trombe e le sue legioni guidate da un condottiero che cavalca una salamandra di fuoco. Anche la vita civile è posta sotto il segno della violenza, completamente dominata dalla lotta tra il crimine e l’auto­ rità. Teatro di questo scontro sono la forca e il rogo, si­ tuati a sinistra, ai margini del dipinto. Notiamo come, in questa scena d ’esecuzione, i condannati a morte vengano raffigurati nudi, semplicemente, mentre i boia e i loro sbirri sono trasformati in caricature odiose. Questo disprez­ zo dell’autorità corrisponde letteralmente al nono articolo sottoposto a ritrattazione nel processo verbale di Cambrai, laddove si dice: « reprehenden tes peccatores vel eos judicantes plus peccant quam reprehensi aut judicati ». Nel quadro della 'rigida concezione medievale del dirit­ to ’, questa critica del Libero Spirito al concetto di giustizia è qualcosa di assolutamente nuovo. In effetti, secondo le analisi di J. Huizinga, il Medioevo non conosceva ancora quel complesso di scrupoli che, nei tempi moderni, ha su­ scitato l’idea della fallibilità dei giudici, e il sentimento della corresponsabilità della società nella genesi del cri­ mine. Il Medioevo concepiva soltanto il castigo esemplare, e lo salutava con feroce soddisfazione. Certamente questa applicazione spietata della legge era sovente controbilan­ ciata da atti del tutto incondizionati di misericordia che concedevano la grazia al colpevole.14 Di fronte a queste due posizioni giuridiche estreme, Pat­ 14 Johan Huizinga, Herbst des Mittelalters, Stoccarda, 1938 (trad. it. L ’autunno del Medioevo, Firenze, Sansoni, 1966).

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teggiamento del Libero Spirito è un’eccezione della più grande rilevanza storica e sociale, tale da mettere in discus­ sione l ’assetto giuridico dell’epoca. Nei paesaggi cosmici dello sfondo si poteva già ravvisare uno scetticismo radicale nei confronti della civiltà, condannata come generatrice di guerra. Nella scena della forca è lo stato ad essere posto sotto accusa, e in una delle sue funzioni supreme, quella della giustizia. È lo stato stesso che viene giudicato in base all’utopia dell’innocenza originaria. Ci troviamo qui in pre­ senza dell’anarchismo paleo-cristiano che perseguiva l’ideale di « una umanità riunificata, governata non dalle leggi, ma dall’amore ».1S Tra i contemporanei di Bosch solo Cornelio Agrippa manifesta con la stessa audacia e la stessa foga un simile anarchismo. Nel x c i capitolo, « De iure et legibus » (Del diritto e delle leggi), del suo scritto intitolato Della vanità e dell’incertezza delle Scienze, egli è d ’accordo con Bosch nel considerare il diritto come conseguenza diretta della caduta di Adamo: « Vedete ora come la scienza del diritto reclami il pri­ mato su tutte le altre scienze, come essa le tiranneggi tutte e si arroghi, quasi fosse una figlia di Dio, un privilegio su tutte le altre discipline? [...] Essa trae la sua origine dal crimine del nostro primo padre, crimine che è la causa di tutti i nostri mali. Ed è ciò che ha dato origine al diritto della natura corrotta, che si è convenuto di chiamare ius naturale o diritto naturale, le cui regole o principi fondamentali sono i seguenti: vim vi repellere licei, la violenza può essere combattuta con la violenza; frangentem fidem fides frangatur eidem, a colui che viola la propria parola non può essere accordata fiducia; /attere fattentem non est fraus, ingannare chi ti inganna non è inganno; [...] volenti non fit iniuria, a chi acconsente nessun torto è fatto; [...] si te vel me confundi oporteat, potius eligam te confundi quam me, se uno di noi due deve soffrire, tu od io, prefe­ risco che sia tu e non io. Ed altri principi dello stesso ge­ nere riconosciuti poi come leggi ». Questo malefico diritto naturale è, in Bosch, la forza 15 Adolf von Harnak, Das Wesen des Christentums (L’essenza del Cri­ stianesimo), Lipsia, 1926, p. 72.

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invisibile che sconvolge e corrompe tutto l’orizzonte cosmi­ co. Nella sua oscurità, lacerata qua e là da incendi sangui­ nosi, questo paesaggio fa pensare ad una miniera incendiata. L ’effetto inquietante che ne risulta è essenzialmente dovuto al contrasto tra la rigidità di pietra dei neri edifici e il gioco furioso delle fiamme nel cielo, la fretta frenetica delle ar­ mate che s’avanzano come sferzate dalla furia della guerra e il panico dei personaggi travolti dalle acque o rifugiati sulla riva. La rabbia e il terrore di questa enorme massa inebetita conferiscono a questo paesaggio cosmico un’atmo­ sfera di disperazione annunciatrice del Giudizio finale. Su questo teatro del mondo che qui funge da orizzonte, gli elementi della Natura e gli istinti malvagi dell’uomo si affrontano. La smisuratezza dell’inventiva, della volontà di potenza e dell’egoismo umano non soltanto fanno violenza alla Creazione, ma distruggono anche ogni possibilità di vita comune tra gli uomini. Dalla situazione iniziale d’un mondo stravolto da cima a fondo a causa della Caduta, Bosch passa al presente e mostra come l’ordine sociale del suo tempo sia minato dalla stessa corruzione, dallo stesso male. Egli non raggiunge qui i toni del Carro di fieno, dove più tardi, nel pannello centrale, rappresenterà le supreme autorità del Papa e dell’Imperatore che, accompagnati dal loro seguito di chierici e principi, si dirigono in corteo verso l’Inferno. Per stigmatizzare potere temporale e potere spirituale, egli si limita qui, prudentemente, a ritrarre i monaci e i cava­ lieri, bersagli tradizionali della satira popolare. Ma, po­ nendo alla gogna questi due ordini — gli uni messi in cari­ catura come cavalieri erranti e sanguinari, gli altri come missionari fanatici ed ipocriti - egli manifesta una tale ag­ gressività che i suoi attacchi, andando oltre i personaggi in questione, raggiungono quelli che, invisibili, stanno alle loro spalle. È il concetto stesso di autorità che Bosch qui abbatte. In queste immagini militanti, denunzie feroci con­ tro monaci e cavalieri, il Libero Spirito rivoluzionario in­ sorge e lancia il suo grido di odio in tyrannos.

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L ’Inferno dei cavalieri. Principio adamita e principio aristocratico sono inconci­ liabili: l ’uno, in effetti, ha come postulato sociale l’ugua­ glianza totale di tutti i figli di Adamo; l’altro poggia sulle prerogative di una nascita ‘superiore’. Un proverbio famoso pone questa domanda egualitaria: « Quando Adamo zap­ pava ed Eva filava dov’era il nobile? ». In questo quadro Bosch denuncia con forza i privilegi della nobiltà e la stig­ matizza come umanità interamente votata alla violenza e allessassimo. Per quanto eccessivo sia il fanatismo della caricatura, siamo senza dubbio in presenza del primo esem­ pio di un’opera, impegnata dal punto di vista storico e sociale, che inciti all’ 'eliminazione dei tiranni'. La scena a destra del mostro rappresenta un cavaliere steso sulla sua bandiera, nel mezzo di un piatto posto sul ‘filo del rasoio'. Il cavaliere tiene nella mano sinistra una pisside, da cui l ’ostia è caduta a terra. Egli ha manifesta­ mente volto le sue armi contro il Santissimo, ha commesso un attentato sacrilego al ‘corpo del Signore’. Ma il suo pec­ cato non è la spoliazione di una chiesa: è di tutt’altra na­ tura. Bosch ha qui interpretato l ’ostia come ‘ immagine di Dio', come simbolo di Dio: è questo che gli permette di denunciare implicitamente il mestiere cavalleresco delle armi come un peccato mortale perpetuato sul corpo del­ l’altra ‘ immagine di Dio', l’uomo. Un passaggio molto 'ada­ mitico' della Scrittura suona infatti: « Chiunque versi sangue umano, sarà versato il suo sangue, perché l ’uomo è stato fatto ad immagine di Dio » (Genesi ix, 6). Sei basilischi assalgono da ogni parte il cavaliere che, in cerca di protezione, tende la mano destra verso la sua ban­ diera, come se questa insegna di casta gli potesse essere di aiuto anche tra i tormenti dell’Inferno. Ma è precisamente questa bandiera, emblema dell’orgoglioso privilegio, dell’arrogante differenziazione dal resto della comunità umana, che lo precipita definitivamente nell’Inferno. Il gagliardetto infatti porta il simbolo assoluto del male, il rospo. Nella tradizione biblica e popolare quest’animale è considerato il rampollo dell’Inferno, e nei numerosi verbali 116

di processi di caccia alle streghe si legge che il diavolo era solito apparire sotto la forma laida del rospo. Il Libero Spirito, il cui ideale comunitario era l ’amore, ideale creatore, considerava la cavalleria, basata sul prin­ cipio della guerra, come il principio distruttore e antago­ nista. Così Bosch ha rappresentato l ’albero genealogico della cavalleria completamente defoliato, sterile, ostile alla vita. La balestra è l’unico frutto appeso ai suoi rami, ed è un’ar­ ma di morte. L ’Albero della Vita si è trasformato nel palo di tortura per i suoi rampolli. Con l’elmo profondamente calato sulla testa, ma nudo come ogni altro figlio di Adamo, un giovane nobile senza difesa è legato all’albero. Un cavaliere dellTnferno, rico­ perto da un’armatura fantastica, gli affonda una spada enor­ me nel ventre. Notiamo che la spada trapassa il ventre esattamente attraverso l’ombelico. La Nemesi s’impadro­ nisce del suo corpo, passando per quello che è il sigillo stesso della sua pretesa 'nascita superiore’. Il castigo mor­ tale è commisurato alla norma che ha governato la sua esistenza. Essendosi imposta con la spada, la nobiltà è di­ strutta dalla spada. Ma questo castigo non soddisfa comple­ tamente Bosch. Dopo aver negato per principio tutte le pre­ rogative della nobiltà, questa morte per spada gli sembra ancora troppo 'cavalleresca'. Per squalificare sino in fondo il cavaliere-signore, gli ha riservato un’altra morte, ancora più infamante: un boia sta salendo una scala appoggiata contro l’albero con la palese intenzione di impiccare senza misericordia il cavaliere, come un volgare assassino o ladro. Questa scena dimostra un’analogia di vedute tra il Libero Spirito e il movimento hussita. Discuteremo più avanti questo problema, studiando il Carro di fieno-, per il mo­ mento limitiamoci a citare un documento, di poco poste­ riore al nostro dipinto, concepito secondo lo stesso spirito. V i ritroviamo lo stesso odio nei riguardi della nobiltà, e la tensione democratica finisce anch’essa per assumere dimen­ sioni cosmiche per l ’impegno dell’autore a individuarne la traccia in tutti i livelli della natura. Questa testimonianza di propaganda contro la tirannia è tratta dal capitolo l x x x , intitolato « De Nobilitate », del libro già menzionato di Cornelio Agrippa: 117

« Sarebbe troppo lungo descrivere l ’origine di tutti gli imperi e analizzare l ’intero corso della storia. Ho trattato questo argomento a fondo in un libro particolare [...] dove ho provato che mai vi fu un impero - e lo stesso vale per la nostra epoca - il cui sviluppo non fosse basato sul­ l’assassinio, sul tradimento, sulla slealtà, su ogni sorta di crudeltà, di massacri, di omicidi e di vizi orrendi: voglio parlare di queste arti praticate dalla nobiltà. Quando avre­ mo appreso a conoscere le molteplici teste di questa bestia, potremo intuire facilmente la natura delle altre sue mem­ bra, vale a dire la violenza, il saccheggio, l ’omicidio, la caccia e gli altri esercizi consacrati al piacere e alla corru­ zione. Non abbiamo più dubbi: la nobiltà è marcia non solamente per abitudine e pratica, ma per la sua stessa essenza. Perché tra gli uccelli e i quadrupedi non troviamo nobili e privilegiati, se non alcuni che sono nefasti per gli altri animali e per l’uomo, come ad esempio le aquile, gli avvoltoi, i falconi, gli astori, i corvi, i nibbi, gli struzzi, le arpie, i grifoni e simili altri mostri. Della stessa specie sono i leoni, le tigri, i lupi, i leopardi, gli orsi, i cinghiali, i dra­ goni, i serpenti e i rospi. E non vi sono alberi, se non in numero limitatissimo, consacrati a Dio o considerati no­ bili; essi sono comunque sterili o danno all’uomo frutti non commestibili, come la quercia, l ’alloro o il mirto. Tra le pietre vengono considerate nobili non il marmo né la pietra da costruzione né quella del mulino, ma i diamanti, che non sono utili all’uomo. E così, tra i metalli, sono considerati più nobili il deperibile argento e il dannoso oro, per cui tanto sangue è stato versato ».

L ’Inferno dei monaci. « Noi, i selvaggi, siamo i cristiani migliori ». Questa libe­ ra parafrasi di Johann Gottfried Seume, potrebbe servire da legenda alla satira antimonacale del nostro pannello. Sono in effetti dei cristiani laici che confondono qui i mo­ naci e li esaminano nel corpo e nell’anima: proprio loro, i peccatori eretici! La pietra di paragone è l ’Evangelo e il

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giudice altri non è se non Cristo. La sua sentenza è tratta dal sermone veemente contro i farisei ipocriti e bigotti (Matteo xxiii; Luca xi), fonte unica, peraltro, di tutte queste scene infernali. Il convento è segnalato da un piccolo campanile il cui tetto è costituito dal pallido cranio di un cavallo. Secondo Matteo (x xn i, 27), il Cristo chiama i farisei pieni di suffi­ cienza « sepolcri imbiancati ». Questa similitudine riappare, più elaborata, in Luca (xi, 44): « Guai a voi farisei, scribi ipocriti, perché voi siete come dei sepolcri che non appaiono per quello che sono, e sui quali si cammina senza saperlo ». Questo cranio di cavallo, dunque, non è altro che la tra­ duzione letterale dei « sepolcri nascosti » e ci fornisce un esempio rivelatore del metodo illustrativo di Bosch. Il com­ pito era abbastanza paradossale da sfidare la sua ingegno­ sità. I « monumenta quae non apparent » sfuggono per principio a ogni visualizzazione, e solo un mago poteva rendere visibile la loro incorporeità, la loro impercettibilità. Bosch procede con una fedeltà rigorosa, prendendo alla lettera queste parole di Matteo: « sepolcri imbiancati... che dentro, sono pieni di ossa di morto e di ogni specie di impurità ». I farisei sono coricati nella tomba e si coprono con un ingannevole prato. Bosch strappa il prato e mostra ciò che vi è sotto: una testa di morto. E per fare di questo cranio il simbolo infamante di « ogni genere d ’impurità », egli si serve non di un cimitero umano, ma di un carnaio animale. Il simbolo mistificatore della grande chiave sospesa a una pertica al di sopra dell’ossario del convento è a sua volta tratto dal già citato passo dei Vangeli (Matteo xxm, 13 e Luca xi, 52), in cui il Cristo accusa i farisei ipocriti di es­ sersi impadroniti senza la minima competenza della « chia­ ve della scienza » e di averla rifiutata ai « profeti eletti »: « Guai a voi, dottori della legge, che avete usurpato la chiave della scienza; non siete entrati voi, e avete creato impedimento a quelli che entravano ». Si può concepire l’entusiasmo che una simile frase do­ veva scatenare tra i discepoli libero-spirituali della Sophia che si ritenevano i veri maestri della conoscenza, ed in­ comparabilmente superiori ai teologi 'dottori della legge'.

È in questo spirito che Bosch ha fatto la caricatura, al­ l ’estrema destra del pannello, di un monaco mendicante, dal lungo becco, che riduce i sermoni dei monaci a vani e stupidi schiamazzi. Dinanzi a questo chiacchierone grac­ c h ia le , un altro monaco, con lo 'speculum confessionis’ in mano, è in procinto di cavalcare un povero peccatore, di tormentarne l’anima con zelo fanatico; la sua fronte con un lungo corno fa di lui un figlio del diavolo. Lo stesso genere di ‘recupero’ spirituale ha luogo di fronte, a destra. Là, un altro monaco del convento siede con un peccatore contrito sulla panca che conduce dalla barca del mostro alla terraferma. Il monaco cerca di con­ vertire il peccatore minacciandolo di tutti i castighi infer­ nali. Per far comprendere che ai suoi occhi il confessore è peggiore del penitente, Bosch ha conferito pure a lui un’in­ segna satanica. Un’ancora di salvataggio oscilla sulla sua testa, ma la corda diabolica che si svolge in spirale sotto la sua tunica, mostra che si tratta di un’insegna ingan­ nevole ed ipocrita. Un passo di Matteo (xxm, 15) ci mostra perché Bosch ha mandato questo monaco così lontano dal suo monastero e l ’ha fatto sedere « tra la terra e il mare »: « Guai a voi, scribi e farisei ipocriti! Andate per mare e per terra pur di fare un solo proselita; e fatto che sia, ren­ detelo degno della Geenna il doppio di voi ». Di nuovo possiamo riscontrare una stretta affinità di ve­ dute tra Bosch e Cornelio Agrippa che, nel capitolo l x i (« De Magistratibus ecclesiae ») della sua Deciamatto, uti­ lizza queste stesse parole di Gesù per regolare i suoi conti con il clero: « La maggior parte dei papi elevati al trono di Cristo furono gente simile a questi antichi scribi e farisei che molto parlavano e niente facevano. Questi preti scaricano ogni peso sul popolo e si rifiutano di venirne a contatto. Sono degli ipocriti e non fanno che quello che sono asso­ lutamente costretti a fare per essere rispettati. Essi si fanno credere timorosi di Dio, ma si contendono il primo posto nel coro, nelle scuole e dovunque. Nelle strade essi vogliono essere chiamati rabbi, maestri e professori. Essi sbarrano la strada del cielo, non lo raggiungono e vogliono impedire agli altri di raggiungerlo. Seminano la rovina nelle case delle

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vedove, simulano lunghe preghiere, percorrono mari e de­ serti, seducono e derubano i giovani; e quando fanno un proselita, aumentano il numero dei dannati, perché questi tizzoni maledetti trascinano altri con loro nell’Inferno [...] Sono falsi e ladri, simili a un nido di vipere, a calici levi­ gati e scintillanti, a sepolcri imbiancati; esteriormente essi portano mitre, cappelli, abiti, paramenti, zucchetti, fanno come se fossero quelli che temono di più il Signore, come se essi volessero baciare i piedi dei Santi. Ma interiormente essi sono colmi d ’impurità, di ipocrisia e di malizia; sono dei fornicatori, dei saltimbanchi, dei danzatori, delle ma­ schere, dei giocatori, dei debosciati, degli avvelenatori e degli ubriaconi... ». Bosch ha dato una forma estrema alla sua denuncia dei monaci, questi ipocriti rapitori d ’anime, con il simbolo della campana: un diavolo è sul punto di suonare una cam­ pana con una risata sarcastica, torturando così il povero dannato che gli serve da batacchio. « Il diavolo è il cam­ panaro del convento ». Ecco un’immagine di acerba bruta­ lità per indicare che è con il diavolo che i monaci conclu­ dono i loro affari migliori: grazie al diavolo seminano il terrore nelle anime credule, e ciò a fini puramente egoistici.

La concezione libero-spirituale dell’Inferno. Questa paura dell’Inferno, artificiosamente indotta, sem­ brava più che mai condannabile agli occhi dei discepoli del Libero Spirito, in quanto essi avevano una concezione del­ l ’Inferno ben più umana, per non dire illuminata. È signi­ ficativo a questo riguardo che il secondo capo d ’accusa del processo verbale di Cambrai (il primo concerneva l ’autodivinazione di Cantor, che si credeva il ‘Salvator hominum’ ) tratti della concezione eretica del diavolo e dei ca­ stighi dell’Inferno: (2) « Similmente, egli [Cantor] ha dichiarato che il dia­ volo sarà infine redento, e non sarà più il diavolo; che l’orgoglioso Lucifero diventerà il più umile di tutti e che, finalmente, tutti gli uomini saranno salvati ».

Anche Frate Wilhelm ha dovuto, per prima cosa, abiu­ rare una dottrina che riprende fedelmente quella di Cantor: « In primo luogo, che tutti i cristiani, gli ebrei, i pagani, e anche il Diavolo, saranno salvati e ricondotti a Dio, e che non vi saranno più che un solo gregge e un solo Pastore e che, da ultimo, la redenzione sarà universale; in secondo luogo, che il Cristo li ha tutti giustificati e che tra tutti i popoli si trovano uomini benedetti in Cristo: io rigetto tutto ciò come falso, erroneo ed eretico, perché ciò va con­ tro le parole della Scrittura: "M olti saranno chiamati, ma pochi saranno eletti” . Molti cadranno in peccato mortale e quelli non saranno salvati. Meno che mai gli ebrei e i pa­ gani, perché, come dice la Scrittura: "Colui che non rinasce nel battesimo e nello Spirito Santo, non entrerà nel regno dei cieli” ». Queste accuse riguardano la dottrina ¿sW Apokatastasis, della 'Redenzione universale’, elaborata prima di tutto da Origene, e ripresa nel Medioevo da Giovanni Scoto Eriugena, ma che la Chiesa ufficialmente rifiutava. Il padre della Chiesa e il filosofo irlandese concepivano entrambi la storia sacra come un dramma universale in tre atti. Nel primo atto la divinità si dispiega nella creazione; nel se­ condo interviene la scissione tra Dio e le sue manifestazioni divenute autonome; nel terzo le emanazioni apostate sono di nuovo riunite a Dio. Dopo una purificazione progressiva, tutto ciò che è venuto da Dio — pietre, piante, animali, uomini, demoni, lo stesso diavolo - ritorna allo stato ori­ ginario in cui i giusti si fondono con Dio, in una completa ‘deificatio’ . L ’universalismo cosmico ed umano di questa dottrina spiega l’estrema tolleranza che distingue il Libero Spirito: nella sua ottica, le differenze tra cristiani, ebrei e pagani avrebbero cessato di esistere sub specie aeternitatis. In que­ sta esistenza ciclica delle creature che rifluiscono verso il loro Creatore, l ’Inferno non è più che un luogo provvisorio di afflizioni e di prove, così come la vita terrena. La dottrina dellM pokatastasis, con la sua idea di riconciliazione uni­ versale, si oppone al dogma cristiano dell’eternità del ca­ stigo infernale, ripreso anche dalla Chiesa luterana. Martin Lutero in effetti, nel xvir capitolo delle sue Confessioni di

Augsburg, rigetta come eretici gii « anabattisti che insegna­ vano che i diavoli e i dannati non soffriranno tormenti eterni ». Tutto questo ci induce a rovesciare radicalmente l ’inter­ pretazione degli Inferni di Bosch. Già il Paradiso del pan­ nello centrale, considerato sino ad ora come anticamera non del Paradiso, ma deH’Inferno, si è rivelato, alla luce del processo di Cambrai, come la rappresentazione di uno stato ideale, utopico. Così l’Inferno, che generalmente passava per un ‘malleus maleficarum’ testimonia, invece, di un uma­ nesimo ottimista. Questa evidente realtà fu presto riconosciuta, ma non presa sul serio, dagli storici dell’arte. Francisco Gómez de Quevedo, il grande scrittore spagnolo (1580-1645), ha di­ mostrato, con questa battuta, il suo spirito sarcastico e la sua acuta comprensione del ‘faizeur des diables': « Bosch stesso è seduto nel mezzo dell’Inferno. Perché? Perché egli si è sempre rifiutato di credere nel diavolo ». Il terzo paragrafo del processo verbale di Cambrai sem­ bra confermare questa affermazione. Questo articolo stig­ matizza come eresia particolarmente grave di Cantor il fatto che egli ha dubitato della veridicità del testo biblico della ‘Tentazione di Cristo’ (Matteo iv, 5 e Luca iv, 9): « Allora il diavolo lo trasportò nella città santa e, postolo sul pin­ nacolo del tempio, gli disse... ». Secondo le spiegazioni di Frate Wilhelm, Aegidius Can­ tor intendeva il volo di Gesù attraverso l’aria, 'spiritualiter' e non 'corporaliter'. Per l’epoca questa interpretazione era di un’audacia rivoluzionaria. Si credeva allora che il diavolo potesse trasportare realmente un uomo attraverso l ’aria, e che le streghe volassero nel cielo verso i loro 'sabba': cre­ denze queste canonicamente radicate, in quanto si fonda­ vano appunto sul testo biblico. Cantor, invece, metteva in dubbio questa mitologia grossolana, che pur si fondava sul Vangelo, compiendo così un atto profondamente libero e illuminato. Non dimentichiamo che lo stesso Tommaso d ’Aquino aveva contribuito a rafforzare questa dottrina sinistra degli 'incubi' e dei ‘ succubi’. Il Libero Spirito intendeva il diavolo e l ’Inferno ‘spiri­ tualiter', non 'corporaliter', come un principio morale, come

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un concetto. Un testo di Càsarius von Heisterbach ce lo conferma con primitiva essenzialità; fa dire ai discepoli del Libero Spirito: « Colui che, come loro, possiede la cono­ scenza di Dio, porta il Paradiso nel proprio petto. Colui che, al contrario, ha un peccato mortale sulla coscienza, ha l ’Infèrno nella bocca, come un dente marcio ». Paradiso e Inferno sono, nell’interiorità di ogni indivi­ duo, realtà sempre presenti. Ogni credente le vive come stati di coscienza che lo fanno partecipe del Logos. Simile a una corrente di forza, il Logos attraversa la Creazione intera e si irraggia sino nella notte profonda del peccato. Il punto 13 degli articoli sottoposti a ritrattazione dichiara: « Dio è presente in ogni pietra, nelle membra del corpo umano, e nell'Inferno esattamente come nei sacramenti del­ l’altare. È per questo che ciascuno porta Dio all’interno di sé in maniera perfetta, anche prima della comunione ». Il vero Inferno consiste nell’ ‘ostinazione’, in quella per­ tinacia che imprigiona l ’uomo nella trappola delle sue opi­ nioni insensate, delle sue abitudini accidiose e della sua impenitenza. I castighi infernali immaginati da Bosch con­ sistono molto spesso nella cieca ripetizione che esaspera sino all’assurdo dei propositi sbagliati. Il Libero Spirito vedeva una sorta di automatismo infernale ovunque una trasformazione radicale, un risveglio dello spirito non aves­ sero cambiato in opere vive le opere morte, e trasformato il vecchio Adamo in Adamo spirituale. Le raffigurazioni in primo piano testimoniano ampiamen­ te di questa concezione libero-spirituale dellTnferno, che non conosce i castighi sovrannaturali, ma solo i 'castighi della vita’ nel senso biblico di queste parole. Tra i gruppi sparsi, i personaggi minuscoli dello sfondo e i gruppi più estesi e compatti in primo piano, è inserita una scena: un arciere diabolico e due esseri spericolati, su pattini giganti, scivolano sul ghiaccio, mentre un terzo per­ sonaggio, che li aveva preceduti, è sul punto di affondare, poiché il ghiaccio sotto di lui ha ceduto. Questa scena sim­ bolizza la temeraria gioia di vivere che si spinge, per i suoi futili piaceri, sino nei glaciali abissi della morte. Il caotico brulichìo del piano mediano converge verso il blocco uni­ tario dell’Inferno dei musici che corrisponde, per volume, 124

alla figura centrale, con la quale mantiene, del resto, un profondo rapporto tematico.

L ’Inferno dei musici. Due passi della Bibbia, uno di Ezechiele e l ’altro di Isaia, profezie sarcastiche che annunciano la morte dei re di Tiro e di Babilonia, sono stati ben presto interpretati come delle allusioni a Lucifero. Da allora si è sovente associata all’ar­ cangelo ribelle l ’idea della musica vana, quella stessa che accompagna l’ora della sua nascita e della sua caduta nel­ l’Inferno. « Eri nelle delizie del Paradiso di Dio, ogni sorta di pietre preziose ingemmava la veste che ti copriva [...] I tuoi tamburini e i tuoi flauti erano al tuo servizio, prepara­ ti per il giorno in cui saresti stato creato » (Ezechiele xxvm, 13). Ezechiele rovescia così in derisione l’orgoglioso splendore regale; Isaia, nel secondo passaggio, fa ugualmente allu­ sione alla musica ammaliante: « La tua magnificenza è di­ scesa nel soggiorno dei morti, con il suono dei tuoi liuti; [...] Eccoti caduto dal cielo, astro brillante, figlio dell’A u­ rora » [Isaia xiv, 11-12). La Chiesa, nel Medioevo, considerava i musici cortigiani di Lucifero; Berthold von Regensburg, il grande predicatore del X I I I secolo, ne fornisce un esempio eloquente. Nelle sue riflessioni spirituali intitolate Dei dieci cori angelici della Cristianità, relega i musici nella posizione gerarchica­ mente più bassa del suo stato divino. Nella gerarchia degli angeli, Lucifero e il suo seguito occupano l’ultimo dei cori. A questi nemici di Dio nel mondo angelico corrispondono sulla terra i musici, questo gruppo umano « che si è com­ pletamente estraniato da noi; io voglio parlare », continua Mastro Berthold, « di quei saltimbanchi, di quegli strimpellatori di viola, di quei suonatori di tamburo e di tutti gli altri che identificano l ’onore con il profitto. Le loro pa­ role sono massimamente viziose, disprezzano i giusti da­ vanti a Dio e agli uomini, mentre lodano coloro la cui vita offende costantemente il mondo e Dio. Perché tutto, nella loro vita, si fonda sul peccato e sull’infamia », e rivolgen­ t i

dosi qui direttamente al menestrello, « quel che il diavolo ha vergogna di dire, tu lo dici, e tutto quello che il dia­ volo ti ispira, la tua bocca lo butta fuori. Sventura a te, che sei stato battezzato! Oh, come hai rinnegato Battesimo e Cristianesimo! Tutto quello che ti viene dato, ti viene dato in peccato, giacché essi (quelli che te lo danno) do­ vranno rispondere a Dio nel Giorno del Giudizio. Scom­ pari, se ti trovi in un luogo vicino a noi, giacché la tua malignità e il tuo libertinaggio ti hanno reso nemico ai no­ stri occhi. E vai a raggiungere i tuoi veri compagni, i diavoli ribelli! ». G li enormi strumenti musicali collocati da Bosch nel suo ‘ Inferno dei musici’, risplendono di un lusso luciferino, am­ biguo: oggetti di una chiarezza paradisiaca precipitati nella notte oscura del peccato. Sono strumenti usati nel Me­ dioevo per il servizio divino: una sorta di ghironda chia­ mata ‘organistrum’, uno strumento ibrido metà arpa e metà liuto, e una bombarda. Le loro possenti diagonali e verti­ cali formano un impressionante parallelogramma. Questi strumenti, per le loro gigantesche dimensioni e la preci­ sione con cui sono dipinti, hanno un’importanza partico­ lare: con quale affettuosa minuzia, per esempio, Bosch ha saputo rendere i tasti, l’arco e i cavicchi dell’ ‘organistrum'! Solo un esperto e un amatore poteva riprodurre con tale precisione, con tale competenza, le corde e le curve ar­ moniose dell’arpa, posta nella sua posizione obliqua carat­ teristica. Per la loro perfezione tecnica, per la stupefacente chia­ rezza delle loro linee e per l ’intensità quasi surrealista della loro presenza, questi ammirevoli strumenti non possono non essere accostati alle viole e ai bassi di viola che Matthias Griinewald, più devoto tra coloro che dipinsero strumenti musicali, ha dato ai suoi angeli esultanti nel coro di Natale. Ma qual è il senso della presenza nell’Inferno di questi strumenti, attorniati da tamburi assordanti, da trom­ be squillanti e, come per coronare il tutto, da un piffero conficcato nell’ano di un dannato e da una bombarda che l’accompagna? L ’insieme di questi tre strumenti suggerisce l’idea di una musica a tre voci: la melodia è affidata al registro di soprano

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della ghironda, l ’arpa-liuto esegue la parte di tenore, mentre la bombarda, come suggerisce il suo stesso nome, ha la parte di basso. Questa polifonia a tre voci simboleggia l’ar­ monia originale del Paradiso; è la manifestazione musicale della trinità. Dal punto di vista puramente plastico, la san­ tità di questo gruppo è sottolineata dalla solenne maestà della ghironda e dell’arpa-liuto che puntano i loro assi ver­ ticali verso il cielo. Sul piano filosofico, questi strumenti 'trascendenti’ si riferiscono alla teoria neoplatonica della musica, così come era stata formulata da Giovanni Scoto Eriugena. Questo filosofo irlandese del IX secolo, le cui teorie mu­ sicali sono state recentemente studiate da J. Handschin,16 aveva sviluppato a partire dall’idea di consonanza, e più particolarmente da quella dell’accordo a tre suoni, tutta una teodicea musicale, e l ’aveva ricondotta, in maniera ori­ ginale, alla dottrina della ‘Redenzione universale’ . Per Eriu­ gena, Dio è l ’essenza stessa dell’armonia. E la sua Crea­ zione, nonostante le dissonanze, resta fondamentalmente armoniosa: essa riposa sulla legge dei numeri; è nella na­ tura stessa della dissonanza far risaltare, per contrasto, l ’as­ sonanza, e risolversi, infine, in essa. Sempre secondo Eriu­ gena, l ’uomo, nella sua qualità di microcosmo e in virtù della ragione che vive in lui, è depositario dell’armonia perfetta. La Creazione che è contenuta ‘causaliter’ in Dio è contenuta ‘effectualiter’ nell’uomo, riflesso dello spirito divino. Uscito dalla consonanza dell’Uno assoluto, l’uomo è destinato a reintegrare lo stato primitivo del suo essere, ma prima egli deve attraversare la molteplicità e la contrad­ dittorietà di un mondo che, dissonante nelle sue parti, ridi­ viene armonioso se lo si considera nella sua globalità. Sino a questo punto la dottrina di Eriugena non si di­ stingue dal neoplatonismo tradizionale; essa diviene ori­ ginale e preziosa per la comprensione dell’ 'Inferno dei mu­ sici’ solo con l ’inserimento del Male nell’armonia del mondo. Per Eriugena, infatti, il peccato è la dissonanza 16 Jacques Samuel Handschin, Die Musikanschauung des Johannes Scotus Eriugena (La concezione musicale di Giovanni Scoto Eriugena), in « Deutsche Vierteljahrsschrift fiir Literaturwiss. u. Gcistesgesch. » (Tri­ mestrale tedesco di letteratura e storia dello spirito), anno V , 1927, p. 316.

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all’interno della perfezione del piano della Creazione. E come il peccato non deriva dalla natura dell’uomo, divina­ mente creata, ma da un cattivo uso del libero arbitrio, esso non possiede alcuna realtà in se stesso: il peccato non ha maggior esistenza autonoma nell’ordine morale del mondo di quanta ne abbia la dissonanza in quanto forma musicale. L ’uno e l’altra restano fortemente legati all’armonia domi­ nante. L ’Inferno, luogo in cui è castigata la volontà mal­ vagia, rappresenta così per Eriugena la dissonanza, destinata a risolversi armoniosamente nella grazia, vale a dire nel Paradiso. Come nel quadro di Bosch, i due mondi antago­ nisti si uniscono nell 'accordo a tre voci dei toni acuti, medi e gravi, quando Eriugena conclude con queste riflessioni la sua lode del numero primo di ogni armonia: « Cosa vi è dunque di stupefacente [... ] se in tutto ciò che è e che non è, non resterà alcuna traccia di malizia o di mal­ vagità per resistere alla Bontà universale, nessun aspetto odioso o difforme per opporsi alla Bellezza che ritorna alle sue cause prime, e cioè verso il Creatore? Io quindi non mi stupisco quando intendo dire che dal castigo della cattiva volontà e dalla ricompensa della buona volontà risulterà la più bella delle armonie. Perché il castigo è buono quando è giusto e la ricompensa è buona quando essa è più dono che ricompensa del merito. Questo mi stupisce ancor meno se vedo i suoni gravi e acuti ed i suoni medi formare tra loro una consonanza armoniosa e precisa ». Sino ad oggi si è visto nelT'Inferno dei musici’ una sa­ tira « dei tormenti infernali inflitti a causa delle composi­ zioni musicali cacofoniche » (Cari Justi). Questi strumenti solenni sono anche stati oggetto di una interpretazione psicanalitica: « Touts ces instruments sont des symboles phalliques » (Charles de Tolnay). Noi siamo i primi a fare questo accostamento con Scoto Eriugena, l ’unico che per­ mette di cogliere il valore religioso e soteriologico di questi strumenti. Per persuadersi dell’importanza che Bosch an­ netteva a questa idea sarà sufficiente notare questo det­ taglio: la grande arpa possiede ventuno corde, essa copre dunque tre ottave diatoniche. Questa precisione quasi incredibile è caratteristica della maniera di Bosch, dei suoi metodi di percezione e di rifles­ 128

sione. Egli ha trattato questo dettaglio, apparentemente secondario sul piano pittorico, con la più grande d ilig eva, tracciando meticolosamente le ventuno corde dell’arpa. La costruzione dello strumento è anch’essa strettamente fedele al suo modello. Il senso della realtà, in Bosch, sorpassa anche la stretta fedeltà alla natura di cui testimonia la scuola olandese. Hans Memling, ad esempio, non si sarebbe mai sognato di riprodurre il numero di ottave nelle arpe dei suoi angeli. Egli riteneva sufficiente far apparire alcune corde ridotte all’essenziale. Bosch, invece, procede con l ’esattezza di un liutaio, e ciò è ancora più sorprendente se si pensa che l ’arpa-liuto è un puro prodotto della sua immaginazione, una combina­ zione che, agli occhi di un liutaio, sarebbe sembrata una mostruosità sotto tutti i punti di vista. Perché dunque questa precisione nei dettagli, se essa doveva essere annul­ lata al livello superiore dell’insieme? Quale fine si prefig­ geva Bosch con questo paradosso? Attraverso la condensazione estrema, precisa, della real­ tà, Bosch tentò di rendere sensibile una dimensione supe­ riore: l'idea dell’armonia. Essendo l ’armonia fondata sulla legge dei numeri, la raffigurazione delle corde doveva essere esatta, ancor più che per l ’arpa, poiché in quel caso si trat­ tava dell’accordo cosmico-trinitario di tre volte sette corde, mentre per il liuto si trattava del numero sei il cui signifi­ cato e la cui importanza sono ancora più pregnanti giacché siamo in presenza di un ‘numero perfetto', essendo la som­ ma dei numeri cardinali che lo compongono, prodotti del­ l ’uno, uguale al prodotto: i + 2 + 3 = i X 2 X 3 . La singolare combinazione dei due strumenti persegue un fine analogo. Attraverso questa funzione Bosch vuole rendere percepibile l ’idea che l ’armonia è un matrimonio di suoni', l ’arpa rappresenta l’uomo, il liuto la femmina, uniti entrambi in un duo di gioia. Riprodurre eroticamente un simile duetto può sembrare a prima vista un’idea strava­ gante, superiore alle capacità intellettuali di un pittore del XV secolo. Ciò nondimeno, la nostra interpretazione risulta esatta: è il pittore stesso a confermarcelo. Il quaderno di musica ai piedi dell’arpa-liuto, al quale nessuno finora aveva prestato attenzione, così come a tante 129

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altre indicazioni di Bosch, contiene delle note estremamente curiose. Dobbiamo la loro decifrazione a Johannes W olf, il grande esperto di annotazione musicale medievale. Nel dipinto il quaderno è rovesciato: le note non sono rivolte verso l ’occhio dello spettatore, ma verso quello degli strumentisti immaginari delParpa-liuto. Questo conferisce al tema un’intimità quasi impenetrabile. Ma se si decifrano le allusioni segrete, rimettendo diritto il quaderno dopo averlo fotografato, si ottiene una frase musicale a due voci che W olf legge e trascrive in questo modo:

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Dobbiamo interpretare questo duetto, in cui le voci si fondano in un solo corpo musicale, come una rappresenta­ zione della cerimonia nuziale adamita, « et erunt duo in carne una », l ’espressione plastica della formula suprema di Salvezza del mistero erotico libero-spirituale, formula che promette ai sessi separati un ritorno al loro stato originario. La potenza consacrante dell’immagine pittorica ci per­ mette di comprendere perché Bosch ha prestato una tale cura nel riprodurre l ’arpa-liuto: allegoria della prima cop­ pia umana, dell’immagine divina, questo strumento doveva essere reso con una fedeltà rigorosa. Il fine perseguito dal Libero Spirito era, lo sappiamo, il recupero da parte del­ l ’uomo della sua somiglianza divina. Per un’opera pittorica d’ispirazione libero-spirituale, la perfetta corrispondenza tra il modello e la copia diventava dunque un’assoluta neces­ sità. L ’iperrealismo di Bosch lo si potrebbe chiamare per­ fezionismo, concetto che spiega ad un tempo l ’aspetto puramente formale, plastico, dell’arte di Bosch, e il suo contenuto spirituale, mistico. La ‘trinità’ di questi strumenti che, nel Paradiso, erano al servizio di Lucifero, il Principe degli angeli, è precipi­ tata con il suo orgoglioso signore negli abissi i n f ern a li, dove viene circondata da un popolo spaventoso di saltim­

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banchi, che non sospetta neppure di aver riacquistato, con la musica, la più preziosa garanzia dell’armonia divina, e il mezzo per partecipare, loro stessi, a questa armonia. Il maestro del coro è un cantore dalla cui gola di rospo spalancata penzola una lingua lunga due ottave: l ’ampiezza, a quell’epoca, del canto umano. Questa lingua termina con un rigo indecifrabile di note, scritte sulle natiche di un dannato. Il coro è raffigurato in armonia con il maestro: invece di essere, come di norma, severamente ordinato a canne d ’organo, formicola in un caos di teste, simbolo ot­ tico della disarmonia regnante. Tre diavoli, mugghiami e sbuffanti, accrescono ancor più questa confusione. Simili schiamazzanti nemici della musica non sono altro, agli occhi di Bosch, che dei blasfemi e dei profanatori. Alcune figure del gruppo si distinguono nel caos gene­ rale. Situate più in alto delle altre, rimangono estranee all’agitazione grossolana di questa fiera. L ’una è tragica­ mente imprigionata tra le corde dell’arpa, alla quale è croci­ fissa; un’altra è stretta al manico del liuto; due personaggi, infine, appollaiati sulla parte superiore delT'organistrum’, da un lato e dall’altro della manovella, sono occupati in esercizi acrobatici. I loro diversi atteggiamenti esprimono tutti un doloroso, nostalgico desiderio di raggiungere qual­ cosa di superiore, di liberarsi o di riuscire infine a compiere una grande impresa. Ma sono sconfitti, giacché non sono loro a suonare gli strumenti, ma sono gli strumenti che li suonano. Si ha l ’impressione che si tratti qui di un errore ir­ reparabile, che questi uomini siano vittime di un errore fata­ le, e ciò conferisce alla scena una tristezza simile a quella che emana dalle pagine dolorose e compassionevoli di Mechthild von Magdeburg nella sua descrizione dell’ ‘Inferno dei mu­ sici’ : « Il cantore, il pifferaio, tutti questi frivoli saltimban­ chi, tutti questi poveracci, il cui cuore era prigioniero delle apparenze e dello splendore del mondo, e che, pieni essi stessi di vanità, vantavano cose futili, versano ora nell’Inferno più lacrime di quant’acqua vi sia nel mare profondo ». Si sente in questi musici più ‘elevati’ il desiderio singo­ lare e sconvolgente di risalire dagli abissi. L ’arpista, per esempio, con le braccia nostalgicamente tese, come se vo­ lesse, nelle sue tre ottave, abbracciare il mondo intero, 131

rimanda con il pensiero a un san Lorenzo sulla graticola, a un prigioniero della disperazione più che a un genio involantesi verso le alte sfere. Un secondo musico si sforza di mantenere in equilibrio sul dorso un uovo enorme. Egli do­ vrebbe riuscire a drizzarsi lentamente facendo nel contempo scivolare l’uovo sulla nuca e poi sul cranio, ponendolo in equilibrio sulla sommità della testa. Se vi riuscisse, sarebbe liberato dall’Inferno e salirebbe d ’un balzo in Paradiso. Ma è evidente che non ha alcuna possibilità di riuscire. Non si tratta qui di un semplice trucco da prestigiatore, ma di un atto di portata simbolica profonda: solo colui che riesce a tenere l ’uovo in equilibrio sulla testa domina la vita in quanto possiede la perfezione. Per Bosch l ’uovo con­ tiene in sé il significato del mondo. Raggiungere l’equilibrio con il mondo, giungere a porsi all’unisono con la sua ar­ monia creatrice, diventare noi stessi uno strumento del Dio-Natura, è per il Libero Spirito la condizione prelimi­ nare di ogni realizzazione spirituale. Solo una volta sotto­ messi gli istinti sensuali alla regola dello spirito, il corpo, come è detto nelle Visioni di Mechthild von Magdeburg, diviene alato come quello del danzatore, lo spirito traspa­ rente e l ’anima musicale. Regna allora quell’armonia il cui compimento in terra è dato all’uomo dall’Eros e dalla Musica. I musicisti, più degli altri, dovrebbero essere in grado di realizzare questo scopo supremo, poiché la scala dei suoni è una scala veramente celeste. Per loro, purtroppo, la musica diviene un fine in sé, una professione, un lievito di vanità e di voluttà cui viene ad aggiungersi la degradazione morale dei saltimbanchi nel Medioevo. Bosch ha affrontato il tema su un piano puramente spirituale e ha costruito, come spesso accade in lui, la sua idea pittorica su un doppio senso. Per illustrare il tema della musica nel mondo, egli ha scisso in due il concetto di 'mondo', giocando volta per volta con i differenti concetti latini di saeculum e mundus. I 'musi­ canti' si ingannano sulla loro arte e la depravano, facendo della musica una servitrice del mondo profano, mentre i musici, come li concepisce Bosch, onorano nella musica la sposa reale del cosmo. I 'musicanti' non hanno dato piena misura di sé e poi­

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ché T'ultima goccia’ manca loro, sono destinati a languire nell’Inferno. Il terzo musico esprime questa tragedia: egli deve superare una prova la cui posta è la piena misura del­ l’elisir di vita: in altri termini, la salvezza della sua anima. Mentre nella mano sinistra egli tiene maldestramente in equilibrio instabile una coppa ricolma fino all’orlo di questo elisir, di cui non si deve perdere una sola goccia, è obbli­ gato, nel contempo, a girare con la mano destra la manovel­ la dell’ 'organistrum\ Malgrado gli sforzi strazianti, fallisce: ed ecco la goccia fatale, terribile, sospesa ad un filo e sul punto di cadere; un espediente pittorico che esprime tutta l ’angoscia dei suoi sforzi infiniti, tristemente vani. Ma qual è mai, per la musica, questa pienezza di mi­ sura di cui neppure una goccia deve essere perduta? Bosch lo indica chiaramente: essa è contenuta nella sacralità della legge dei numeri, e più in particolare del numero sei, glo­ rificato da Scoto Eriugena come quello che racchiude se­ gretamente la quintessenza della perfezione armonica. Il numero sei « non è perfetto fino a questo punto perché in esso Dio abbia portato sino alla perfezione tutto quello che voleva creare, ma perché Egli ha creato l ’Universo in sei giorni, per dare, attraverso la perfezione di questo numero, un’immagine della perfezione della Sua opera ». Sempre se­ condo Scoto Eriugena, solo una profonda ‘ contemplazione* può svelare la totalità dei significati di questo numero: « perché chi ha mai potuto, con mezzi naturali, misurare tutta la potenza del numero sei, in cui si svela il fonda­ mento di ogni armonia, e cogliere il rapporto di questo numero con quello che è una volta e mezzo sei (3/ 2 ), e quel­ lo che è il suo doppio (4/2), giacché la totalità del visibile e dell’invisibile si fonda su di esso come su di un modello prestabilito e fondamentale? ». Se consideriamo gli strumenti di Bosch alla luce di questi numeri canonici, scopriamo che anche qui il sei è un nu­ mero-chiave: il liuto ha sei corde e la bombarda sei fori. La manovella delT'organistrum', come indicano i cavicchi del riccio, mette sei corde in movimento, mentre la tastiera conta dieci tasti, il numero dei comandamenti. Sei anelli risuonano sul triangolo, ripartiti secondo un rapporto di tre terzi, 2 + 4, il che ricorda i 'quattro terzi’ di Eriugena. 133

Ma il più nobile di tutti gli strumenti è senza dubbio Tarpa, perché nelle sue 3 X 7 corde, le sette sfere celesti risuonano all’unisono con la Trinità. Per esprimere con la massima intensità questa simbo­ lica sacra, Bosch ha spiritualizzato " organisi rum' dandogli un volto umano: nello strumento vi è infatti una donna che si affaccia all’esterno con il capo avvolto in un velo bianco, il velo delle beghine. Anima di questo strumento sublime, essa porta nella mano sinistra il simbolo trinitario del triangolo, che fa risuonare con l ’aiuto di una bacchetta. Ciò che i prestigiatori, con l’uovo cosmico e l ’elisir di vita, non hanno potuto realizzare - sono infatti rimasti 'esterni' ai loro strumenti - , quest’anima pia riesce a realizzarlo come si trattasse di un gioco infantile. Situata all’interno di que­ sto strumento tutto impregnato di Dio, ella regge sul suo debole indice, senza perderla, la quintessenza della 'musica del mondo’. Il triangolo sacro è posto là, nel mezzo del­ l ’Inferno, come simbolo pitagorico della bilancia, figura del­ l’equilibrio dell’anima. Anche davanti al quaderno di musica, in fondo all’arpaliuto, c’è un dannato che tenta di fuggire e tende le braccia verso il liuto che lo sovrasta, come se la salvezza della sua anima dipendesse dal contatto con le corde dello strumento. Ma un diavolo lo afferra per i polsi e ne vanifica il tentativo: la sua intenzione è di affumicare questo tempio strumentale di Dio. A tale scopo ha infilzato un rospo chiazzato con un ramo di nocciòlo e gli ha dato fuoco, affinché l ’animale, così diabolicamente torturato, emani un puzzo nauseabondo. Musica sacra o arte viziosa, falsa: è l ’alternativa di que­ sto motivo. Per ben sottolineare che anche nell’ambito della musica sacra vi erano a quell’epoca tendenze molto discu­ tibili, Bosch ha avvolto in arabeschi ammalianti due serpenti attorno all’arpa-liuto, diretti discendenti del 'Serpente ori­ ginario’ dell’Àlbero della Conoscenza. Questa satira della musica sacra prende di mira lo sti­ le a cappella introdotto nei Paesi Bassi nel XV secolo da Josquin Després e dal suo maestro Johannes Ockeghem. Questo canto corale polifonico, molto ornato, aveva solle­ vato una forte opposizione nei circoli della ‘devotio mo­ derna'. L ’ 'Ordinarius’ della congregazione di Windesheim,

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per esempio, aveva proibito ogni ricamo vocale e il certo­ sino Dionysius von Rijckel, legato agli ambienti di Windesheim, aveva violentemente condannato la ‘lascivia animi’ di questa musica vana: nelle sapienti rotture della linea melodica egli intravedeva il simbolo stesso delle anime pervertite. Anche Cornelio Agrippa si è scagliato polemicamente contro la musica sacra olandese. Nel x v n capitolo (« De Musica ») della sua Declamatio, egli traccia una cari­ catura molto simile a quella di Bosch di questi cori eccle­ siastici nuovo-stile, che spesso utilizzavano in maniera colta dei temi popolari: « Ma ai nostri giorni regna a causa della musica una tale licenza nelle chiese, che anche durante il canto della messa si ascoltano sull’organo infami canzoni. Esse non onorano il servizio divino: eseguite da musicisti frivoli e mercenari, con bestiali schiamazzi più che con voci umane, non induco­ no alla devozione e all’adorazione, ma alla fornicazione. In­ vece di cantare come dovrebbero, i ragazzi fanno il verso al soprano pigolando, altri al tenore producendosi in un mug­ gito; alcuni abbaiano contro tempo, altri imitano il con­ tralto mugghiando come buoi, altri ancora il basso stridendo con i denti, e fanno in modo che si sentano bene delle grida e del rumore, ma che nessuno possa comprendere niente del testo. Si privano così tanto le orecchie quanto la rifles­ sione umana di ciò che è naturale ».

L ’Inferno della cupidigia.

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A sinistra, sotto ’ ‘Inferno dei musici', scopriamo- un altro gruppo ben definito che può, grosso modo, inscriversi in un triangolo: è P'Inferno dei giocatori’ . Il particolare che più colpisce è la porta di una taverna, che è stata scar­ dinata per venire utilizzata come tavolo da gioco. Nel suo angolo superiore si notano dei segni di gesso che corrispon­ dono ai debiti di gioco. L ’intera scena rappresenta una resa dei conti dei debiti causati dal gioco dei dadi e delle carte. Come colpita da un fulmine, la tavola che serviva da banco si è rovesciata e, nella caduta, ha trascinato con sé 135

colui che teneva il banco, che ora è a terra tra le carte spar­ pagliate, accanto a una brocca di vino. Assalito alla gola da un demone dalla testa di topo, egli si preme la fronte con la mano sinistra, nell’attitudine di un Giuda pentito. Una spada è conficcata nel suo cuore, la mano destra è trafitta da una candela piantata in un candeliere, e questo significa che, avendo fatto bancarotta, egli è divenuto un saccheg­ giatore della Chiesa: per trenta denari ha profanato la san­ tità dell’altare. Personificazione del gioco d’azzardo e di tutti i vizi legati alle carte e ai dadi, la serva della taverna, schiava di Bacco e di Venere, spicca al centro dell’immagine portando sul capo un grosso dado, emblema della sua natura. Ella è l’incarnazione del 'mondo a rovescio’ simbolizzato anche dalla lepre che le è accanto, munita del corno da caccia, del carniere e dello spiedo. Essa è di ritorno da una caccia propizia e, come la ‘lepre-maschio’ del proverbio, si porta a casa una puttana, legata per i piedi, come un cacciatore farebbe con una lepre morta. Il legame stretto tra il gioco e il bere è ulteriormente suggerito dal diavolo a becco d ’anatra, che brandisce trion­ falmente un gioco di tric-trac con tre dadi. Per chiarire la sua natura di diavolo-beone, Bosch gli ha fornito un ventre da ubriacone il cui ombelico è costituito da un grappolo d ’uva. Il gioco e la violenza di un perdente assetato di vendetta formano il soggetto di un altro tema, suggerito dal coltello piantato nella schiena del vincitore. La passione del gioco conduce direttamente al delitto: un giustiziato è se­ duto nell’Inferno, la mannaia del boia profondamente con­ ficcata nella nuca, una benda sugli occhi, non tanto per in­ dicare la pena capitale, quanto l’accecamento di cui è stato vittima. I giocatori intorno alla tavola sono stati presi dal terrore al tuono provocato dalla bancarotta-, tale è il significato letterale della tavola rovesciata. Essi sono peraltro ancor più terrorizzati dal fatto che all’istante compaiono gli sbirri dell’Inferno per condurli con sé. Due vittime soltanto ma­ nifestano vera contrizione: un personaggio nasconde il viso tra le mani e ci fissa con un solo occhio, dal quale emana uno sguardo di profonda disperazione e vergogna; un altro

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leva le braccia al cielo chiedendo aiuto a Dio. G li altri gio­ catori sono genericamente caratterizzati come plebaglia sen­ za cuore. Un diàvolo ha infilzato sulla sua spada il cuore di uno di loro, simbolo di tutte le loro anime. Il gioco d ’azzardo è per Bosch il simbolo di tutto ciò che è contrario a Dio, poiché esso sostituisce all’ordine rivelato il caso cieco. Questi giocatori sacrificano la salvezza della loro anima a una sete peccaminosa di guadagno. Bosch ha riassunto questa idea centrale in un simbolo pregnante e brutale, il disco appeso al demone del gioco, posto in primo piano: nel centro di questo disco vi è una mano tagliata, inchiodata da un coltello, due dita alzate sul dado in segno di giuramento. Due pene in uso nell’antico codice penale germanico sono qui combinate in una sola: la mano tagliata e la « mano trapassata da un coltello » (Grimm, Deutsche Rechtsaltertumer, n, 294), un monito solenne contro i castighi di cui il gioco d ’azzardo è portatore. L ’amputazione del piede sinistro, rappresentata nella scena accanto, è un castigo analogo e corrispondente (Grimm, n, 292). Un demone è la inginocchiato, mezzo diavolo e mez­ zo salamandra, il becco irto di punte e coperto da un elmo da cavaliere preparato e lucidato dal boia, alla cui sommità pende l ’emblema dell’antico castigo. Ci troviamo qui in presenza del preludio, ironicamente macabro, al più vio­ lento attacco antimonacale mai intrapreso da Bosch nelle sue satire. Infatti questo marginale elemento di criminalità pone tutta la scena che segue sotto la competenza del boia. Questo piccolo diavolo è un cancelliere. Attraverso la vi­ siera del suo elmo, porge al condannato l ’occorrente per scrivere. La penna viene intinta nel calamaio da un maiale, che secondo il gusto della satira del Basso Medioevo viene vestito da badessa. Questa ‘badessa’ sorridente, che strizza gli occhi, è sul punto di segnare il destino dello sfortunato dannato. Questi ha un bel contorcersi, ha poche possibilità di sfuggire ai suoi desideri. Ma cosa dunque gli viene richiesto? Sulle ginocchia del condannato è steso un documento: il sigillo e la firma apposti sulla pergamena indicano che esso è pienamente valido. La badessa cerca di costringere que­ st’uomo a prendere la penna per aggiungere, secondo ogni

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evidenza, un’appendice al documento: un codicillo in suo favore. Perché si tratta, certamente, di un testamento. Ma in questa scena di un realismo straordinario Bosch sugge­ risce ancora un particolare: è già la terza donazione estorta a questo malcapitato. Il tesoriere del convento, che accorre tutto trafelato, ha nella mano sinistra un testamento più antico, e sul capo porta un catasto, sigillato con cera rossa, il cui considerevole formato lascia indovinare la consistenza dei beni già trasmessi per donazione. La piccola acquasan­ tiera che porta agganciata sulla spalla indica la sua carica di tesoriere del convento. Tuttavia non è la mano a bagnarsi devotamente in questa acquasantiera, ma un rospo, simbolo dell’odiosa cupidigia. Nella superstizione popolare il rospo era in effetti considerato il guardiano dei tesori. A questa satira dell’insaziabile sete di accaparramento dei monasteri, Bosch associa un attacco ancora più audace contro la verginità ipocrita della badessa. Contrariamente alla sua abitudine, che è di indicare sempre con precisione il sesso degli animali, Bosch ha rinunciato ad accennare anche solo vagamente agli organi sessuali del maiale. Ma se ha proceduto in questo modo non è per pudore: in questa omissione vi è un’ironia sferzante. Questo maiale ‘astratto’, che reprime ogni segno del suo sesso femminile, simboleg­ gia l’ipocrisia d ’una ascesi che tende a negare la natura. I discepoli del Libero Spirito, con la loro etica della fecon­ dità creatrice, consideravano una tale volontà come per­ versa e sacrilega.

Satana. I sermoni dei libero-spirituali traevano gran parte della loro efficacia dal fatto di essere tenuti nella lingua madre: un tedesco vigoroso e diretto. Anche Bosch ha espresso le sue satire in immagini d ’umore tutto popolaresco: dal conflitto tra mondo e antimondo, principio cosmico divino e principio anticosmico satanico, ha saputo far sprizzare le scintille di un sarcasmo corrosivo, di un umorismo profondo. Bosch ci mostra l’uomo in tutta la sua nudità, intrappo­

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lato nelle insufficienze, nelle debolezze e nelle perfidie della sua natura animale, lui che era destinato a sondare le zone più sublimi dello spirito. Egli ci fa sentire la Caduta in tutta la sua profondità, mostrandoci come l ’uomo, divi­ namente creato, si è volontariamente reso schiavo del demo­ nio, erigendo il male a proprio idolo. Con ironia mordente e sarcastica, mette a nudo gli atteggiamenti scimmieschi e le smisurate pretese luciferine dell’uomo. Questo processo di smascheramento ha termine solo quando ‘l ’orrore del­ l’assurdo’ di queste maschere viventi dilacerate è reso ma­ nifesto. In questo corpo a corpo faustiano con l ’Inferno, l ’umorismo era il solo talismano che poteva evitargli la follia, secondo la formula di Nietzsche: Chi ora non può ridere, non deve leggere qui! Poiché se non ride lo coglie « il mal caduco ».17 I motivi pittorici che illustreremo testimoniano in modo eloquente questa superiorità intrepida del riso. A d esempio, Satana appare ora direttamente opposto, quale divoratore del mondo, al Creatore. Bosch ha accura­ tamente scelto le creature che formano il seguito di Satana. Attraverso queste egli approfondisce la dottrina sociale della confraternita. I paesaggi cosmici del secondo piano avevano già abbozzato questa dottrina nelle sue grandi linee; gli ‘ Inferni’ dei musici, dei monaci e dei giocatori erano stati spunto per una critica sociale; la corte di Satana conferisce a questa dottrina la forma di uno statuto meta­ fisico definitivo. L ’antagonismo tra questi due mondi si esprime prima di tutto nel colore, attraverso il contrasto tra il rosso e il blu. Mentre, nel pannello del Paradiso, il giovanile Crea­ tore del mondo reca sul viso e sulla tunica il rosso vivo e luminoso dell’aurora, colore dell’amore creatore, Satana si presenta invece come un idolo di colore blu fulgido. Nel linguaggio popolare, in Germania, il blu è considerato il colore dell’impostura e della furberia, come testimoniano 17 Ditirambi di Dioniso e Poesie postume ( 1882-1888) , trad. it. Giorgio Colli, voi. V I, tomo IV delle « Opere di Friedrich Nietzsche », Milano, Adelphi, 1977 (2’ ed.), p. 115. (N.d.T.)

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numerose espressioni proverbiali: « Vapore blu », « Tra­ mare qualcosa di blu », « Oche blu », « Documenti blu », « Tirar giù dal cielo menzogne blu ». Il principe dell’Inferno, imbellettato con il blu della furberia, è raffigurato con una gigantesca testa di sparviero e un corpo umano scheletrico. Lo sparviero, nella mitologia egizia, abitava il Regno dei morti dell’Occidente e divorava i cadaveri. Allo stesso modo questo sparviero infernale in­ ghiotte voracemente le prede che la morte gli offre. Con gli occhi fissi, sbarrati, spalanca il suo becco e ingurgita i musici, scelti a caso. Ma questo cibo non lo sazia: la sua digestione è così rapida quanto il movimento che suggeriscono i gal­ loni che ornano la cinghia intorno al suo petto: sembra che si spingano uno contro l ’altro per formare una sorta di catena, un movimento continuo. Questa vera e propria cinghia di trasmissione, suggerisce un movimento mecca­ nico incessante, simbolo espressivo di un’attività che si consuma inutilmente. Essa è l ’esatto opposto della fibbia trinitaria che il Creatore porta sul suo cuore: due anelli che s’irradiano a partire da un punto centrale, creando così il simbolo del concentrarsi e del diffondersi dell’energia. Meno il diavolo è capace di assimilare quello che divora, più arraffa con protervo accanimento ciò che mai è stato cotto in una cucina o conservato in una cantina. È per questo che egli ha un enorme calderone infilato sulla testa e due brocche di vino infilate ai piedi. Scosso da brividi di freddo e dalle terribili scariche della sua diarrea, è acco­ vacciato sul trono infernale che Bosch, nella sua inesauribile ingegnosità, ha mascherato da trono antitrinitario: il seg­ giolone bucato. Questo trono è un tripode simile al seggio della Pizia e, come quello, £ posto sopra una cavità della terra, co­ municando in tal modo con il mondo sotterraneo. Ma il pozzo delfico è divenuto qui una cloaca oscura, in cui vanno a cadere, uscendo da una vescica ripugnante, gli escrementi di Satana. Satana inghiotte una creatura dannata, la cui anima, raffigurata da uno stormo di corvi, fugge dall’ano. In basso, gli intestini di Satana si scaricano attraverso una specie di storta alchemica: due omuncoli, orribili caricature della risplendente coppia nuziale del pannello centrale, pas­

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sano per questa storta e vanno ad inabissarsi nelle profon­ dità della cloaca. È questa un’immagine che ritroviamo nelle Visioni di Mechthild von Magdeburg, dove ella dice del diavolo: « Egli divora l ’uomo che avidamente aspirava a possessi sempre maggiori, ma dopo averlo ingoiato, egli lo espelle nuovamente dal deretano, [...] e con grande fre­ quenza egli vuole nutrirsi e apre la bocca. Inghiotte allora di colpo ebrei e pagani che là, nel suo stomaco, ricevono la loro ricompensa e celebrano strane nozze. E quale sventura per voi allora, corpi e anime! Taci, dunque, bocca degli uomini! ». Questa cloaca ovale costituisce il parallelo dello stagno ovale, situato nell’angolo destro dell’Eden, da cui gli ani­ mali emergono alla luce. Qui il processo si rovescia: lo stagno di vita è divenuto pantano di morte; il luogo del­ l’ascensione è divenuto il luogo della caduta, dove il ghiot­ tone vomita e l ’avaro defeca il suo oro. Entrambi si scari­ cano qui dei disgustosi eccessi della loro vita peccaminosa. La dea Fortuna ha ormai giocato la sua ultima carta: ogni speranza è vana. Sola regna sovrana la bestialità del crudo assassinio e della necrofagia, raffigurata da due cani coraz­ zati, in primo piano, al centro, che dilaniano un tronco umano (cfr. Deutoronomio x x x i i , 24). Il senso della vita si rovescia in un’abissale assurdità, la vita precipita nel turbine nero del nulla assoluto. Ma pro­ prio in questo punto, il pensiero conduttore del dipinto subisce una svolta improvvisa. Bosch induce nello spetta­ tore ricordi inquietanti, lo spinge a rivolgere il proprio sguardo interiore all’indietro: si tratta del metafisico oc­ chio della memoria che ripercorre il passato, come è anti­ cipato dal mostro centrale che guarda all’indietro. Una pausa si apre in questo pandemonio di dolore e scherno, un istante di raccoglimento che dà un’intensità e un rilievo del tutto particolari all’immagine esemplare della vanitas

vanitatum.

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Vanitas. Una giovane che vede riflessa nello specchio la sua im­ magine con quella del diavolo, era un’allegoria della Vanità molto frequente nella didattica popolare del Medioevo. Incarnazione della Superbia, la ragazza rappresentava il desiderio femminile di piacere agli altri, la mondanità vo­ luttuosa. Ma la sua autocontemplazione si interpretava soprattutto nel senso religiosamente universale che gli era stato dato da sant’Agostino, per il quale la 'Vanità' costi­ tuisce il vero peccato di Lucifero e di Adamo, la causa del loro distacco da Dio. È in questo spirito che Sebastian Brant ha trattato il tema della vanità nella sua Nave dei folli. In modo analogo a Bosch, egli la pone a fianco del trono di Satana: « È davanti a noi l ’abominevole Vanità, la cui natura è tale che ha precipitato dal cielo il più glorioso degli angeli e non ha lasciato in Paradiso il primo uomo. Che essa non regni mai più sulla terra, e vada a sedersi accanto a Luci­ fero nell’Inferno ». L ’illustrazione corrispondente a questo passo della Nave dei folli non è giunta ad esprimere il significato più pro­ fondo della Vanità. Essa si ferma alla satira sociale. Una giovane riccamente vestita è seduta davanti a un boschetto di nocciòli, luogo di piacere spensierato della gioventù; e si contempla in uno specchio, senza sospettare di essere seduta sulla panca del diavolo. Costui appare nelle vesti di un mostruoso rapace e tira la panca dal di sotto. Ma nessuna relazione visibile è stabilita tra il diavolo e lo specchio. Il disegnatore non è riuscito a riflettere nello specchio il volto del diavolo a fianco di quello della giovane, vanificando così il senso dell’allusione. Trattando lo stesso tema Bosch dimostra in maniera cla­ morosa la sua superiorità. La scena intera è questa volta strutturata sulla doppia riflessione nello specchio. Bosch demonizza noccioleto e specchio e li trasforma in appari­ zioni diaboliche. Secondo credenze popolari, molto diffuse in quei tempi, il diavolo si procurava volentieri avventure amorose nelle siepi di nocciolo, ritenuto albero magico: se ne ricavavano bacchette divinatorie ed altre verghe ma­

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giche. Così Bosch ha trasfonnato il suo spettro diabolico in un tronco biforcuto che eleva i suoi rami allo stesso modo del noccioleto. A l tronco ha appeso uno specchio, in maniera tale che esso ricopre completamente la parte poste­ riore del demone; ciò illustra la sottigliezza del Tentatore nel travestirsi, e definisce lo specchio come l’occhio poste­ riore del diavolo. La giovane si è lasciata prendere in trappola e Bosch la dipinge, con sensibilità acutissima, nell’istante in cui fa la terrificante scoperta: nell’istante in cui, nello specchio, per­ cepisce a lato del suo viso, la smorfia orribile del diavolo. Essa perde coscienza, cade all’indietro. Nello stesso mo­ mento sente la stretta glaciale, mortale delle due zampe di salamandra del demone bruscamente sorto al suo fianco, e percepisce un rospo umido che striscia tra i suoi seni. Bosch non si è fermato a questo; egli ha innestato con tale accortezza questo motivo popolare nell’insieme della concezione del suo dipinto che lo specchio diabolico ne ri­ ceve una luce nuova: lo specchio risveglia ora dei ricordi in colui che osserva e lo induce a un ritorno all’indietro. I trat­ ti della giovane sedotta, di una bellezza primitivamente im­ macolata, sono infatti la riproduzione esatta di quelli della Èva del suo Paradiso. Con la differenza che là la donna abbassava gli occhi pudicamente e qui li abbassa con ver­ gogna; che là i suoi capelli cadevano in bei riccioli curati e qui appaiono disfatti, umidi, e il suo volto non è più illuminato da un’attesa piena di speranza e di freschezza, ma riflette una disperazione senza fine. Nel suo rigore lo­ gico ha conferito alla seconda Èva l ’esatto atteggiamento di Adamo, ma rovesciato come in uno specchio. Nei due casi i personaggi sono seduti per terra, le gambe sottili, strettamente serrate, stese obliquamente e incrociate, il busto leggermente piegato all’indietro e appoggiato su un braccio. Nei due casi, il tertium comparationis è il concetto morale di 'speculatio' (Spiegelschau). La creatura unita a Dio, quale è Adamo, aspira a riconoscere il suo proprio essere in Dio, modello originario, mentre l’essere distaccato da Dio non ricerca nello specchio che la propria bellezza. È divenuto lo schiavo della vanità e dell’egoismo, fonti dei vizi più abominevoli, secondo il Libero Spirito.

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Nella sua qualità di seconda Èva, in questo pannello dell’Inferno in cui tutti gli altri personaggi sono di sesso maschile, questa giovane rappresenta il sesso femminile. I paesaggi cosmici dello sfondo sono, in effetti, subordinati a Vulcano e a Marte, vale a dire ad attività essenzialmente maschili, artigianali o militari. L "Inferno dei musici’, allo stesso modo, non ha presenze femminili; le donne erano infatti escluse dai cori di chiesa nel Medioevo. L MInferno dei giocatori’ non ci mostra la donna, se non come prosti­ tuta. Questa cantiniera avida, serva della Dama della For­ tuna, si è sacrificata sull’altare dei piaceri del mondo. La sua vicina, la monachella assetata di eredità, si è consacrata alla fuga dal mondo. Ambedue hanno rinunziato al loro destino di donne. Alla sterilità venale della prostituta, Bosch associa nella sua caricatura la sterilità ipocrita della monachella. In questa duplice sterilità si ritrova l’idea che Èva, con il suo peccato, ha distrutto l ’armonia spirituale e morale che regnava tra l ’uomo e la donna. Dopo la Caduta, l’uomo e la donna, che sono i due poli di ogni vita creatrice, invece di sostenersi e stimolarsi vicendevolmente, restano prigio­ nieri di un egoismo sterile, distruttore di ogni vita. In questo mondo alienato, in cui è assente l ’amore, scopriamo una sola donna che realizza l ’amore nel senso pio del ter­ mine, come pura Carità al servizio dei bisognosi. Questa rappresentante della caritas è la beghina che si trova al centro dell’ ‘ organistrum'. I suoi occhi chiari scrutano la notte e sono come un appello. Sono i soli occhi, in questa immagine dell’Inferno, che guardano verso l ’alto con una espressione di fede, d ’amore e di speranza. Ma nel frastuo­ no dell’Inferno si trova un orecchio disposto a cogliere l ’appello del suo triangolo?

G li spettri della frenesia. La Vanità precede il diavolo come sua avanguardia, men­ tre il Rimorso lo segue come sua inevitabile retroguardia. Bosch colloca questi tormenti della coscienza dietro il trono 144

del diavolo. Scopriamo là, per metà ricoperto dalle lunghe pieghe dello strascico del demone, un letto ove è disteso un dormiente inquieto. Esso è tormentato dal ‘guanciale del diavolo’, e una rana, dai grandi occhi lucenti, sbuca strisciando dalla coperta per opprimere il suo cuore con un incubo. Dietro di lui si agita un gruppo di fantasmatiche ed empie suore. Riconoscibili dai loro veli di monache, dalle loro cuffie o dalle loro mitre ornate da una falce di luna, esse fanno sicuramente parte di qualche oscura con­ venticola; ciò è ancor più sottolineato dal loro sguardo fosco, torvo, fanatico. Esse avanzano verso il letto del dormiente agitato, come un coro di spiriti vendicatori. La prima religiosa già solleva la tenda del letto. Cosa signifi­ cano dunque queste suore spettrali? Grazie alle ‘Bibbie dei poveri’ dell’epoca, sappiamo che le loro cuffie sono quelle dei sacerdoti e delle sacerdotesse di Baal e Astaroth. Bosch si scaglia effettivamente contro questi culti orgiastici; la prova ci viene da un disegno di Pieter Bruegel, della serie Vizi e Virtù, che descrive il pec­ cato mortale della ‘lussuria’. Bruegel ha largamente attinto ai motivi di Bosch. Nella riproduzione di Pieter van der Heyden, nell’angolo di destra si nota un mostro con fauci da coccodrillo, accovacciato con una mitra a due corni sul capo: è il gran sacerdote di un culto orgiastico consacrato ai ‘ misteri’ del dio Attis. Alla sua destra è accovacciato un gallo, che agita estaticamente braccia e gambe, sul punto di castrarsi con un coltello, per non parlare dell’offerta ad Attis che tiene nella mano destra. Sul promontorio posto di fronte alla Fontana della Giovinezza dello sfondo siede, a lato di un uomo nudo, un grasso prete, che porta in guisa di copricapo una falce di luna. Questo riferimento ai sacerdoti di Baal non vuole fusti­ gare certe forme degenerate assunte dalle religioni antiche. Il ciclo Vizi e Virtù mostra la coscienza sensibile e appas­ sionata che Bruegel aveva della realtà del suo tempo: ciò che egli combatte sono le sette e i culti idolatri contempo­ ranei. Bosch, personalmente coinvolto in conflitti gnostici, aveva un’altra ragione per maledire le sette orgiastiche: vere degenerazioni dell’ala sinistra del Libero Spirito, esse agi­ vano come un cancro e corrodevano i suoi sforzi verso una 1 4 5 MI

purezza morale rigorosa. Il sublime cammino verso la sal­ vezza perseguito dal Libero Spirito, sintesi, come s’è visto, dell’Eros serafico cristiano e dell’Eros cosmogonico, veniva contaminato dai riti occulti di queste conventicole, ricac­ ciato al livello d’una sessualità odiosa. Spesso confuso con questi eretici, il Libero Spirito era accusato delle stesse ripugnanti pratiche. Il nostro dormiente afflitto ha avuto, per sua sfortuna, contatti con tali spiriti impuri, gravando così la sua coscien­ za senza scampo. N ell’ultima scena, con una violenza ancora maggiore, Bosch regola i conti con questi spiriti frenetici. È la più sconvolgente di tutto il dipinto: la caricatura della depravazione morale è qui spinta sino ad una oscenità in­ fernale. Una donna bionda e grossa, vestita ridicolmente, il pesante petto e le natiche rotonde impudicamente osten­ tati alla vista di tutti, striscia a terra come una cagna copu­ lante. È montata da un demonio scarnificato che ha lunghi speroni ai piedi. Con il suo cappello piatto, calato profon­ damente sul capo, il viso pallido e la barba appuntita, con i movimenti pressanti della schiena e delle braccia, questo oscuro vizioso ci appare come lo Shylock spietato del desi­ derio sessuale. Lo stesso tema appare nelle molteplici versioni di Ari­ stotele e Phyllis - con i ruoli semplicemente rovesciati ma trattato con la grazia e l’umorismo proprio delle illu­ strazioni tardo-medievali. Bosch ha arricchito questo mo­ tivo di dettagli nuovi, come quello della lancia puntata diabolicamente, con precisione e oscenità, sulla cui punta è fissata una spugna. Questi dettagli sottolineano brutal­ mente l ’abuso vergognoso qui praticato. Dietro questa cop­ pia una turba numerosa di uomini nudi attende il suo turno. È un circo in cui il sesso viene esibito e costretto al più abbietto asservimento; è l ’Eros sottomesso alle esigenze di una sessualità imperiosa e grossolana. Con questo memoriale infamante sulla profanazione sa­ crilega dell’amore - e si sa che il Libero Spirito vedeva nel rispetto e nella saggia regolazione dell’amore il cammino verso la perfezione divina - Bosch, questo Virgilio della pittura olandese, ci conduce, dopo un lungo periplo infer­ nale, al nostro punto di partenza: l ’albero cosmico marce­ 146

scente, che eleva nella notte, al di sopra del mare cosmico stretto dai ghiacci, l’uovo cosmico scoppiato. Perché questo simbolo della vita devastata sia più eloquente ancora, Bosch 10 ha ripetuto sotto un’altra forma: proprio a lato, sulla destra, egli ha elevato un edifìcio dal precario equilibrio, destinato a crollare nell’istante stesso del suo compimento, come un castello di carte. Due diverse anfore rappresentano i due sessi: un’an­ fora snella, verrucosa, la donna, e un’anfora levigata, spes­ sa, l ’uomo. Esse servono d ’appoggio a un coltello piazzato in diagonale che fa da supporto, a sua volta, a un piatto posto in equilibrio sul filo della sua lama: il piatto della vita. Perché questa costruzione fragile, dai piedi d ’argilla, non crolli, la più grande attenzione, la più viva concentra­ zione sono indispensabili. N ell’istante stesso in cui, ai suoi piedi, sarà perpetrato il peccato mortale contro lo spirito divino dell’amore, crollerà. Il filo del rasoio è qui il sesso. Se esso è padroneggiato, l’edificio della vita tiene bene. Ma se ne viene fatto un cattivo uso, la vita si disgrega. Questa disgregazione della vita trova la sua più profonda espressione nel mostro: in lui si manifesta brutalmente la separazione tra i sessi causata dalla Caduta, perché questa figura mitica è sia maschile che femminile nella sua struttu­ ra. L ’albero simboleggia l’elemento maschile, l ’uovo quello femminile. L ’armonia originaria che regnava tra le forze maschili e femminili dell’essere è stata distrutta dalla men­ te. Nel suo desiderio luciferino di conoscenza, essa si è liberata dagli impedimenti della natura organica e si è ego­ centricamente resa autonoma. Il legame, necessario, tra lo spirito e l ’istinto, si è spezzato, per cui abbiamo da un lato 11 deperimento delle forze vegetative, dall’altro un’ipercrescita del cervello. La ‘reprimenda salutare’ per una simile sproporzione è la seguente: lo spirito troppo sovrano che si è separato da tutto è condannato a sopravvivere, in uno stato torturante di iperlucidità, al proprio corpo, da lungo tempo in via di decomposizione. U n’agonia cosmica, terri­ ficante, dell’intelligenza! È a questo punto dell’immagine che Bosch ha posto un ultimo ‘ritorno all'indietro’. Nel viso del mostro, egli ha impresso un ricordo lontano, àncora di salvezza immersa negli abissi dell’Inferno: il solo M7

orecchio che nel tumulto di questa profondità percepisce il suono del triangolo sacro, il solo occhio che si sente, se non toccato, per lo meno vagamente attratto dallo sguardo levato della pia beghina, sono quelli del mostro. Nello scambio di questi due sguardi si stabilisce una corrente di carità universale, che attraversa la notte delPlnferno. Per­ ché verrà il giorno in cui, secondo la dottrina dell’Apokatastasis, tutti i peccatori, e lo stesso Lucifero, saranno ri­ scattati; e i Regni antagonistici di D io e del diavolo, poli sino ad allora contrapposti, coincideranno al centro di una eternità costituita dall’amore e dalla gioia di tutti i figli di Dio finalmente riunificati. La volontà di potere, la cupidigia e la lussuria, questi sono i nomi delle province visitate da Bosch nel suo periplo infernale. Esse si confondono tutte per formare un solo regno il cui principio demonico è l ’egoismo. E soltanto al termine di questo lungo cammino, guardando per un’ultima volta il pannello, siamo finalmente in grado d ’indovinare il nome della mostruosa entità che ne costituisce il centro. Il suo vero nome è E G O : tre let­ tere, né più né meno. Tutte le forze distruttrici del mondo sono contenute nelle lettere capitali di questa semplice parola: E G O .

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Il Regno millenario

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Il Regno dello Spirito Santo è instaurato, ’ 'evangelium aeternum’ è divenuto carne e sangue: innumerevoli esseri umani 'risvegliati' lo incarnano e celebrano già, sulla terra, il ritorno all’originario stato paradisiaco dell’innocenza. L ’aurora dell’Eden sboccia nel pannello centrale con l’af­ fermazione vittoriosa del sole di mezzogiorno che confe­ risce a ogni cosa una pienezza completa, un colore profondo e raggiante. In mezzo a una meravigliosa flora tropicale di frutti e piante gigantesche, vediamo enormi uccelli dalle piume variopinte, stupefacenti edifici di vetro, sorpren­ denti architetture vegetali. Questi colori radiosi sottoli­ neano il pallore delle formq umane: i corpi hanno la traspa­ renza eterea dei petali dei fiori e si librano in questo paesaggio come una moltitudine di farfalle bianche. A l centro del pannello una processione trionfale di animali familiari ed esotici, cavalcati da un gruppo di giovani turbo­ lenti, gira in tondo attorno a una Fontana della Giovinezza. Un prato, circondato da cespugli brunastri, si estende sino al piccolo lago. Là, per metà globo cosmico e per metà fiala scintillante, si erge una variante della Fontana della Vita. Quattro strutture rocciose, di una mostruosità voluttuosa, delimitano i confini di questo giardino, che abbonda, sino negli angoli più reconditi, di gruppi umani e coppie che si 149

abbandonano a ogni sotta di piaceri. L ’aria è anch’essa popolata da creature volanti. Dinanzi a questo panorama esuberante ci si domanda, in primo luogo, quali siano le direttrici secondo cui affrontarlo. Giacché al primo sguardo si resta confusi dinanzi a questa molteplicità di figure che brulicano frenetiche in tutte le direzioni o riposano piacevol­ mente l’una accanto all’altra. Tutti questi personaggi sem­ brano celebrare un medesimo e stupefacente culto erotico. La Fontana della Vita costituisce l ’asse centrale del pan­ nello. In corrispondenza con questo compatto asse verti­ cale, la composizione orizzontale del pannello si stratifica e articola in tre zone principali. La prima zona si staglia su un fondo verde scuro ed è delimitata dalla siepe concava che segna il percorso della cavalcata trionfale. La seconda zona sboccia su un fondo di erba giallo-verde, essa è sbar­ rata verso l ’alto dalla linea orizzontale che separa la terra ferma dal bacino della Fontana della Vita e dalle quattro for­ me rocciose. La terza zona sembra un regno transitorio tra la terra e il cielo, attraversato in tutti i sensi dal volo di spiriti elementari e di geni. Nonostante questa netta divisione in tre piani distinti, il pannello sembra mancare di una direzione precisa. I grup­ pi della metà inferiore si confondono in un turbine di atti­ vità apparentemente casuali. La metà superiore del pannello si ordina in un vasto movimento circolare: la cavalcata gira attorno al bacino ovale come attorno al mozzo di una ruota. Ma il movimento che si irradia a partire da questo centro è perfettamente chiuso, tutto ciò che succede in primo piano, o sullo sfondo, non ne viene per nulla toccato. Il movimento circolare centrale è sottolineato, 'monumenta­ lizzato' dai quattro picchi rocciosi circondati d’alberi, che con l’orlatura della foresta, in basso, formano una sorta di cintura ovale, che chiude metà inferiore e superiore come un anello. Il marchio distintivo del Regno millenario è il ciclo, la sua legge quella dell’eterno ritorno. Il pannello centrale manca, apparentemente, della tensio­ ne drammatica delle pale laterali, ove si vede l ’Albero della V ita elevarsi al di sopra della prima coppia umana, e le scene d ’orrore circondare il mostro con una intensità cre­ 150

scente. Ma esaminiamo come esso è connesso alle pale laterali.

Delimitazioni e transizioni. Si sa che i discepoli del Libero Spirito chiamavano ‘Pa­ radiso’ la loro vita comunitaria e rituale, e con questa pa­ rola essi intendevano la ‘quintessenza deH’amore’ . È in un tal senso che dobbiamo interpretare il Paradiso rappresen­ tato nel pannello centrale. Ciò che noi vi ammiriamo è una realtà idealizzata, un ‘oggi’ elevato allo stato misterioso del simbolo. Questa 'istantaneità' condiziona l ’intera composi­ zione del trittico. Non vi è una successione cronologica, una frattura fra l’Eden considerato come l ’inizio di ogni cosa, e il Paradiso centrale, restaurazione futura e utopica dello stato originale, ma l ’assoluta simultaneità d’un solo stato di coscienza. L ’Eden manifesta la fede incrollabile nella permanenza del legame che unisce l’uomo a Dio. L ’Inferno è la rappresentazione di una vita che si è allon­ tanata da Dio, e che questa estraniazione ha distrutto. Il pannello centrale, sintesi autentica, è l ’immagine esemplare di una vita riconciliata con Dio e l ’indicazione d’una pos­ sibile fuga dall’Inferno. Nessuna frattura, dunque, tra la pala laterale sinistra e il pannello centrale: l ’Eden laterale conduce direttamente al Paradiso centrale, la cui distesa erbosa si estende sino a ricoprire i bordi e le colline del pannello centrale. Una sola differenza: i paesaggi sono qui più ricchi di linfa, di vita, come conseguenza di un profondo e indescrivibile processo di maturazione. N ell’Eden laterale il disco cosmico, zoccolo dell’Albero della Vita, è ancora piatto; nel Paradiso centrale si è dilatato in un globo scintillante, modello di tutte le forme sferiche che abbondano nel pannello: fragole, more, zucche e meloni, rotondi e turgidi sino ad esplodere. Tutte queste forme sono delle riproduzioni del globo cosmico ori­ ginario, già rappresentato sulle pale esterne del dipinto. Il globo eterno era la promessa della realizzazione, questi frutti ne sono la manifestazione: frutti maturi di quella 151

messe che, secondo Matteo (xm , 39), significa la ‘consummatio saeculi' in cui Dio dona uno « spirito di saggezza e di rivelazione nella piena conoscenza di Lui » alla comu­ nità dei fedeli, « che è il Suo corpo, la pienezza di Colui che tutto compie in tutti » (Efesini i, 17 e 23). Non esiste invece alcun rapporto formale tra l ’Inferno e il pannello centrale. La cesura è brutale e il contrasto così marcato come tra il giorno e la notte. Sul piano morale, tuttavia, esistono certi indizi di transizione. N ell’ ‘Inferno dei giocatori’, per esempio, si nota qualche segno di ri­ morso, della possibilità, quindi, di riparare. L ’‘ Inferno dei musici’ mostra degli sforzi verso una realizzazione etica. Infine, le note del triangolo della caritas esortano al ri­ sveglio e penetrano sin nel profondo dell’Inferno. Il cam­ mino che conduce dall’Inferno al Paradiso, dal mondo non convertito a quello della vera salvezza, è così virtualmente tracciato. Nel pannello centrale, all’estrema destra, sei motivi paio­ no riflettere questo passaggio. Alla stessa altezza dell’ ‘In­ ferno dei musici’, è situata una scena che assomiglia più a un castigo infernale che a una ricompensa paradisiaca: una enorme civetta, dallo sguardo collerico, con le piume riz­ zate, è posata su una coppia che, braccia e gambe intralciate da rovi, busto e testa prigionieri d ’un’enorme gemma ve­ getale, cerca con tutte le sue forze di liberarsi e di sepa­ rarsi. Uno dei due tenta di andare verso sinistra, l’altro verso destra; ma non riescono ad avanzare di un pollice, puntano i piedi e si esauriscono in vani sforzi. La gemma che li imprigiona indica che non sono ancora 'maturi' per l’amore. La civetta, incarnazione della ‘scienza della morte’, ci lascia intuire la ragione che spinge questi giovani a sepa­ rarsi. Essi si rifiutano di sacrificare sull’altare della morte la loro eventuale progenitura, una vita condannata a morire appare loro priva di senso. Ora, questo contraddice la sag­ gezza della Natura, ed è per questo che l ’uccello della sag­ gezza li sottopone a questa prova preparatoria. Sempre sulla destra, in primissimo piano, osserviamo due donne in piedi: il loro cranio rasato indica che sono monache. Non sono delle novizie nella congregazione del Libero Spirito, ma delle iniziate, come indicano le foglie 152

che ornano le loro teste. Esse sembrano, tuttavia, provare ancora qualche reticenza dinanzi alle gioie del Paradiso. L ’una ne contempla le meraviglie con muto stupore, l’altra, come per mortificarsi, port?. ancora il cilicio attorno alle cosce. Questo strumento di mortificazione, emblema d ’un ascetismo fanatico, ci fa ritenere che si tratti d’un residuo delP'Inferno dei monaci’. Un adolescente ricciuto, con il viso di san Giovanni, e un nubiano istruiscono sui doveri del vero amore divino queste monache transfughe. Il nu­ biano, puro fanciullo della Natura, porta avvolta intorno al corpo una ghirlanda dionisiaca da cui pendono grappoli d ’uva, in contrasto con la frusta della disciplina. Terzo motivo di ‘transizione’, la caverna: una folla di novizi dagli sguardi spauriti viene trattenuta dietro la porta color fragola. Essi si ammassano all’interno di una grotta dalle pareti rocciose coperte da ciuffi d ’erba e circondata da cespugli verdeggianti. Tre novizi ‘avanzati’ hanno già ottenuto il permesso di accedere a una specie di belvedere situato sopra il portale, da dove possono gettare un primo sguardo sugli splendori paradisiaci che li attendono. Sim­ bolo della sorveglianza attenta che circonda i loro primi passi, una fragola ricoperta da un tetto di vetro li protegge. A l di sotto della fragola una coppia ‘prosciolta’ fa il suo ingresso nella vita nuova. La sposa porta tra le sue braccia una magnifica carpa dai fianchi gravidi di uova, pegno della benedizione del matrimonio. Il maestro che li ha istruiti, un uomo vecchio, dal viso emaciato, austero, prende con­ gedo da loro all’ingresso e leva l’indice come per richia­ marli, un’ultima volta, alla saggezza. La piramide rosso-corallo e la calotta di vetro, sempre a destra, sono anch’esse delle cellule di preparazione, di istruzione. Attraverso l’apertura triangolare della piramide si vedono cinque gambe, quelle di una coppia di amanti e del loro istruttore spirituale. Un’analoga lezione sull’arte di amare ha luogo, perfettamente visibile questa volta, sotto la calotta di vetro. Il maestro spirituale guida l ’uno verso l ’altro i componenti di una coppia: la donna, un’impo­ nente beghina, ha conservato il suo velo, ultimo vestigio del suo abito; l’uomo, stupefatto alla vista della cavalcata trionfale, porta la mano alla fronte. Per chi volesse for­ 153

mulare un giudizio morale sul Libero Spirito, questi due motivi pittorici sono della massima importanza. Essi for­ niscono la prova che, in effetti, l ’iniziazione ai misteri deir'acclivitas’ era strettamente privata e che, in verità, solo le coppie 'fidanzate' vi avevano diritto in preparazione del matrimonio. Una scena particolarmente affascinante è quella che si svolge sul prato che sovrasta la caverna. Una giovane coppia è sdraiata nell’abbandono di un dolce far niente 18 estivo. L ’adolescente, coricato sul ventre, parla a una fanciulla dal­ l’aspetto sereno e disteso, con la testa morbidamente appog­ giata sulla mano sinistra. Bosch ci ha chiaramente indicato il soggetto del loro intrattenersi: il ragazzo è già un iniziato - porta sul capo il segno dei discepoli - e istruisce la ragazza nell’arte di amare. Costei ascolta le sue parole con attenzio­ ne, ma nello stesso tempo con timida esitazione. Per scon­ giurare le reticenze del suo pudore, il ragazzo tiene la ragazza per il polso: ripete così il gesto del Creatore che stringe con la sinistra il polso di Èva appena creata, al fine di benedire le fresche pulsazioni del suo sangue. Nella trasposizione di questo gesto rituale nella vita amorosa, bisogna vedere un atto nuovo di magica 'appropriazione'. Ma il gesto ri­ veste qui un significato ancora più particolare: l ’adolescente tiene il polso della sua sposa per saggiare le loro affinità elettive, fisiche e spirituali: giacché solo in queste affinità risiede la legittimità dell’amore. Un incantevole giardino giovanneo corona queste scene di preparazione all’amore. A ll’ombra di un frutteto stanno in ozio dei giovani d ’ambo i sessi; alcuni colgono delle arance, altri siedono tranquillamente e conversano. È stu­ pefacente constatare come la medesima temperie spirituale neoplatonica unisse la prospera Firenze dei dialoghi camal­ dolesi al nebbioso paese iperboreo. L ’Inferno o, in senso più generale, la vita non ancora riscattata, ma non per questo refrattaria all’idea di sal­ vezza, costituisce dunque il punto di passaggio dal pan­ nello centrale al pannello di destra. Verifichiamo ora l’esi­

18 In italiano nel testo. (N.d.T.)

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stenza di legami significativi tra la celebrazione del Regno millenario e il Paradiso della tavola laterale. Se si osserva il dipinto da destra a sinistra, si vedono prima di tutto gruppi di amanti, la cui felicità consiste nell’adorare con raccoglimento fiori e frutti giganteschi, incarnazione della fertilità della terra. Essi sono chini su fiori in boccio, mangiano fragole o altre bacche dolci, por­ tano sulle spalle delle more gigantesche o tentano di en­ trare in enormi zucche. Essi celebrano questo strano culto della Natura con cura e attenzione; li anima un tale rispetto che non osano manifestare la loro tenerezza per il com­ pagno che con un timido contatto delle spalle, con leggere carezze, con uno sguardo sognante. Questo ritegno cede il posto a un’attività più pressante man mano che ci spostiamo verso sinistra. La topografia del paesaggio sottolinea questo contrasto: infatti, la terra­ ferma si trasforma a sinistra in terreno palustre. Penetriamo nella zona d ’influenza delle acque-madri, quelle da cui, nel­ l ’Eden, gli animali emergevano alla luce. Penetriamo così nel campo della Fontana della Vita, dallo zoccolo irto di tubi di cristallo, costellato di perle. Le paludi del 'Regno mil­ lenario’ sono anch’esse cosparse di perle, il cui significato simbolico ci è rivelato dall’ostrica che serve da camera nuziale a una coppia di amanti e che un uomo anziano porta verso la palude. I due amanti, in questa conchiglia, stanno consumando la loro unione, e il loro accoppiamento è sim­ bolizzato dalla tre perle scintillanti sull’orlo della conchi­ glia: immagini cristallizzate del seme creatore. Man mano che ci avviciniamo all’Eden il comandamento divino del1’ 'unione in una sola carne* diviene il tema principale, uni­ co, dell’immagine. A ll’estrema sinistra del pannello, nell’angolo, troviamo un gruppo di sei persone: il primo giovane a sinistra porta con entrambe le mani un oggetto dalla forma di pera. Si direbbe un uovo enorme racchiuso in una capsula vegetale, evidente simbolo dei testicoli, elevato al piano spirituale attraverso le ricche decorazioni della capsula, ornata di tri­ foglio, che rappresentava il simbolo tradizionale della Tri­ nità. Il calice di questa pera è anch’esso formato da tre foglie. La potenza trattenuta dal sigillo divino si libera

nell’uccello a cui il giovane in primo piano restituisce la libertà, levando entusiasticamente la mano destra al cielo. Tutto il gruppo esprime l ’esaltazione delle forze della pro­ creazione, considerata non come un processo sensuale e na­ turale, ma come un mistero sovrasensibile, che si venera in quanto ‘energia divina'. Tutta la scena si svolge in pre­ senza di una creatura nubiana, « nigra..., sed formosa », come la fidanzata nera del Cantico dei Cantici (i, 4). Questi nubiani, che appaiono a più riprese nell’immagine, sim­ boleggiano l ’innocenza dei Tropici, ove regnano ancora le condizioni originarie, paradisiache. Proprio sopra questo gruppo fiorisce una pianta molto curiosa: ananas nella parte inferiore, essa termina con una sfera la cui trasparenza e immaterialità ricordano il globo aereo del soffione. In questa 'lampada' siede una coppia di amanti. Snelli e flessuosi, essi hanno l ’aspetto di geni floreali sul punto di unirsi, innocentemente. La loro dimora nuziale è l’esatta riproduzione del maestoso globo di cristallo, dipinto sui pannelli esterni, raffigurante la terra che si risveglia alla propria fertilità. L ’universo intero è sbocciato dal Logos che è il 'seme di D io’ — « semen est verbum dei » (Luca vm, n) - e questo fiorire si ripete ora al livello umano individuale. In questo globo seminale è l’atto divino della Creazione che si rinnova. Questa giovane coppia corona le metamorfosi che le crea­ ture emerse dalle acque-madri hanno iniziato nel pannello dell’Eden. Abbiamo già visto che le creature dello stagno originale si erano elevate, nella loro metamorfosi, sino all ’uccello-pesce che legge il libro, che tende, cioè, allo Spirito. Esse raggiungono ora il punto più alto dello sviluppo uma­ no, che si esprime nella procreazione terrestre. Questi esseri appaiono tuttavia a tal punto sublimati, che la loro corpo­ reità diviene la garanzia d ’uno sviluppo ancor più elevato: il loro amore raggiunge la spiritualità pura. Nel regno astra­ le dell” evangelium aeternum' la humanitas trasfigurata di­ viene divinitas, puro spirito. Bosch ha chiaramente sottolineato il superiore destino dei due amanti dipingendoli nell’atteggiamento innocente di Adamo. (Già una prima volta egli aveva utilizzato questa attitudine, in un contesto ugualmente importante: ci rife­ 136

riamo, come si ricorderà, a Èva caduta nella trappola della Vanità, nel pannello dell’Inferno). Inoltre, affinché l ’impor­ tanza di questa scena sia meglio evidenziata, egli l ’ha situata esattamente alla stessa altezza della testa del Cristo nel pan­ nello dell’Eden. È dall’Eden, infine, che arriva nel Regno millenario la processione degli uccelli giganti: da sinistra a destra, un’ana­ tra selvatica, un gabbiano, un’oca, un’upupa, due picchi e, dinanzi a tutti, un frosone. Le loro dimensioni gigantesche denunciano in loro delle ‘potenze’. La loro nascita dall’uovo ‘puro’, sacra cellula creatrice, e la facoltà di volare, che supera la libertà umana di movimento, conferisce loro que­ sto status privilegiato. Essi sono infatti i portatori della vita, ed è in loro che si rivela più profondamente il mistero della volontà divina di Creazione. Questa processione festosa suggerisce il tema popola­ resco delle 'nozze degli uccelli’. Questo clima di gioiosa impazienza è ribadito anche dalla coppia che si trova da­ vanti al corteo e ne costituisce il proseguimento ideale. La loro impetuosità contrasta violentemente con la tenerezza attenta e raffinata degli amanti raffigurati nella metà destra dell’immagine. Il tempo dei preliminari è scaduto, si di­ rebbe, ed è aperta la strada allo scatenamento della sensua­ lità. Notiamo tuttavia che il giovane, nonostante l ’ardore della sua corte focosa, obbedisce a un appello morale: egli volta la testa a destra verso lo spettatore, come se egli sentisse un ‘richiamo’ proveniente dall’esterno. Questo at­ teggiamento ha un altissimo significato morale: lo spetta­ tore, qui, si identifica infatti con la congregazione del Libero Spirito raccolta attorno al pannello didattico, e il volto franco del giovane manifesta la purezza della sua coscienza. Il giovane discepolo si sente sotto la sorveglianza perma­ nente di un occhio superiore; cosciente delle proprie re­ sponsabilità anche sotto la spinta dei desideri più impetuosi, egli vuole rassicurarsi sul beneplacito morale della comuni­ tà. Questa scena, a prima vista libertina, si rivela così come il diapason dell’alta coscienza morale del Libero Spirito. Per maggiore chiarezza abbiamo analizzato separatamen­ te i diversi motivi sviluppati nei pannelli laterali e messo in evidenza le idee essenziali del pannello centrale. L ’azione 157

è in realtà molto più diffusa, labirintica e complessa. Rinun­ ciando a ogni tensione drammatica calcolata, a ogni dire­ zione troppo precisa, evitando di dare all’azione inizio e fine univoci, Bosch ha reso inafferrabili la trama e la con­ catenazione del suo tessuto di immagini. Quale bisogno avrebbe avuto, peraltro, di tensione drammatica, di un inizio e di una fine, dal momento che nel Regno millenario il fine è raggiunto, la tensione drammatica risolta, inizio e fine assorbiti nell’eternità, e l ’essere individuale riunificato nell’unicità universale e incandescente dell’amore divino? Poco importa dunque da dove noi iniziamo la nostra ana­ lisi: ogni dettaglio coincide con il tutto, e il tutto è una sola ed unica cosa: amore sublime e supremo.

La processione trionfale attorno al Bacino della Vita. L ’arrivo degli uccelli giganti sembra dare il segnale d’av­ vio al vasto movimento centrale, conferire impulso al caro­ sello degli animali, processione trionfale attorno al Bacino della Vita. In questa ronda riconosciamo, confusi tra loro, animali mitici: un liocorno, un grifone; animali esotici: un leone, una pantera, un cammello; animali delle foreste nor­ diche: un orso, un cervo, un cinghiale; animali domestici: un cavallo, un asino, un bue, una capra, un maiale. Il mondo degli uccelli è a sua volta rappresentato da numerose coppie di cicogne, di spotole, di galli e galline e, soprattutto, dalla civetta. Anche il mondo dei pesci partecipa a questa pro­ cessione festosa, e giacché questi non possono camminare né cavalcare, si lasciano trasportare dai cavalieri. Tutti, grandi o piccoli, selvaggi o addomesticati, graziosi o goffi, avanzano in preda ad un grande entusiasmo. La loro esuberanza si esprime nello sguardo fiero, nell’atteggiamen­ to della testa gettata all’indietro, nei passi danzanti e nella coda ritta o sferzante l ’aria. Questo bestiario è tratto in gran parte dal tradizionale corteo animale di Dioniso. In questo carosello gioioso, maschi e femmine girano fianco a fianco, spronati da una sessualità ardente. 158

I cavalieri, al contrario, sono tutti, tranne uno, di sesso maschile e, particolare significativo, tutti adolescenti. Sono gli 'adolescenti angelici’ che, secondo Gioacchino da Fiore, sono destinati a regnare nell’epoca dello Spirito Santo. Ma, mentre per l’abate calabrese questi ragazzi erano delle crea­ ture eteree, staccate da ogni sensualità, questi giovani sono pieni di esuberanza carnale, e sembrano avere perduto la ragione per il desiderio. Essi si tendono e si pavoneggiano sui loro animali, stanno impettiti o fanno giravolte e piroet­ tano come impudenti giocolieri, e nel loro entusiasmo get­ tano le braccia in alto o si abbracciano, folli d ’eccitazione, sommersi dal desiderio alla vista di tutte le delizie incan­ tevoli che li attendono. II carosello si svolge su diversi piani e i cavalieri sono a loro volta cavalcati da stormi di uccelli, appollaiati sulla loro testa o sui trofei che essi trasportano: rami flessuosi da cui pendono sfere scintillanti o frutti accoppiati, simboli testi­ colari. Cicogne, mestoloni, taccole e pappagalli procedono anch’essi in coppia. Tutto concorre a rafforzare, in questa schiera giovanile, l ’eccitazione che regna all’idea dell’accop­ piamento imminente. Questa cavalcata gioiosa, per la sua accumulazione di sim­ boli di festosità, per il giubilo estatico e la gioia frenetica che si leggono su tutti i volti, rappresenta un culto della vegetazione-, i giovani, gli animali e i frutti, con il mana della loro fecondità traboccante, devono accrescere la fer­ tilità della terra. A questa funzione magica se ne aggiunge un’altra, morale e didattica: le cavalcature animali incar­ nano gli istinti, considerati in modo assolutamente positivo, quali forze fondamentali della Natura. I cavalieri control­ lano, padroneggiano questi istinti, ma senza mai fare vio­ lenza alla vitalità animale, senza reprimerla o eccitarla arti­ ficialmente. Questo saggio equilibrio è opera dei maestri di sempre: gli uccelli. E questi giovani che gli uccelli, un tempo, hanno portato alla vita, trasmettono ora, a loro volta, la saggezza dei loro maestri. La processione trionfale culmina nei gruppi che costeg­ giano il bordo inferiore del Bacino della Vita. Là avanzano fieramente animali regali: leone, pantera e grifone. E sco­ priamo anche i simboli pan-sapienziali dell’uovo e della ci­ 159

vetta, ai quali si unisce il pesce dai fianchi gonfi di uova, uscito dall’elemento creatore umido, il mare. Ma, soprat­ tutto, è là che si trasporta, sotto un velo rituale, il Santis­ simo del mistero erotico. Tra il grifone e il leone si avanza un destriero color neve, montato dall’unica coppia dell’in­ tera processione: un adolescente e una giovane, seduta da­ vanti a lui. Essi hanno il busto e la testa prigionieri di una gualdrappa vegetale, le loro mani unite impugnano il verde ramo della verga della vita. Essi non devono essere visti, né sospettare di trovarsi nel mezzo di una processione numerosa. Tutti gli amanti immaginano che la loro felicità sia un’esperienza unica, che esce dall’ordinario; questi giovani sposi, iniziati al Mistero della coppia originaria, nell’istante del loro primo abbrac­ cio devono considerarsi come le prime creature umane, a partire dalle quali un nuovo mondo comincia. Questo non è possibile se non quando il mondo esterno è ‘abolito’. In quest’ora nuziale è necessario raggiungere, e conservare an­ che in futuro, l ’equilibrio tra ‘ la felicità dei sensi e la pace deH’anima', preservando l’integrità e l ’innocenza dell’amo­ re anche nella sfera del godimento sensuale più intenso. Il supremo dominio della vita, il coronamento della Crea­ zione è rappresentato dall’uovo immacolato che un giovane, nel mezzo di questa processione trionfale ed esuberante, porta posato sulla testa in un equilibrio perfetto. Per evidenziare particolarmente questo gruppo, ove tutta la profonda saggezza esistenziale dell’opera è condensata, colui che guida la processione in groppa a un liocorno fan­ tasticamente ingualdrappato, indica con un gesto ampio e preciso l’uccello della Sophia, appollaiato sul corno della sua casta cavalcatura. Bosch proclama così con forza che solo la più profonda calma interiore, solo la riflessione sono in grado di mantenere la rotta della nave della vita nella tempesta delle passioni. Bosch era, nel senso profondo del termine, un pittore, un maestro dell’esposizione didattica delle idee. Lo dimostra l ’ingegnosità con cui egli ha preparato questa scena e la conduce al suo punto culminante. Tre motivi indicano allo spettatore l ’imminenza della rivelazione del mistero, e la preparano. L ’impressionante cinghiale, che apre la marcia 160

della processione, si volta e guarda all’indietro. La sua testa è come una freccia puntata sul motivo centrale. Sul dorso del cinghiale sono appollaiate due cicogne, e il loro chiac­ chierio, suggerito pittoricamente dal becco agitato, deve stimolare la curiosità dello spettatore. Infine, dietro il cin­ ghiale, avanza una pantera dagli occhi fissi e minacciosi, innaturalmente grandi. Bosch ha adornato la sua testa con un cappuccio per metà abbassato, che rinforza la sensazione di una rivelazione imminente. Se il capo della processione indica con il braccio la civetta, l ’adolescente a cavallo della pantera si getta voluttuosamente all’indietro e forma con la coda ritta della pantera un’altra freccia puntata in dire­ zione dei simboli centrali del pesce gigante e dell’uovo im­ macolato. Dopo aver così sapientemente eccitato l ’atten­ zione e l’impazienza dello spettatore, Bosch svela allora al suo sguardo il sacramento del matrimonio, doppiamente sacro e misterioso giacché la sua rivelazione resta velata dalla gualdrappa vegetale. Nello stagno ovale delle acque-madri, ombelico del mon­ do, si bagnano ventiquattro ragazze nude (5 + 7 + 12). Altre sette, parzialmente nascoste, nuotano nell’acqua o guardano passare la cavalcata, nell’attesa di ciò che deve venire. Solo un’ottava ragazza, a destra, sale sulla riva e va incontro agli avvenimenti. Tutte le altre contemplano, in paziente at­ tesa, l ’ardore dei cavalieri. In tal mòdo, con una semplicità impressionante, Bosch riduce l ’opposizione dei caratteri ma­ schili e femminili ai due principi fondamentali dell’attività e della passività. Le dodici ragazze del gruppo centrale simboleggiano i mesi dell’anno, giacché la vita delle donne subisce i cicli della luna. Quelle che fanno parte del gruppo ‘positivo’ di dodici portano sulla testa delle papere bianche; le loro vi­ cine del gruppo ‘negativo’ di sette portano, invece, dei corvi neri. Questi uccelli, simboli della vita sublunare, caratterizzano l ’eterno alternarsi del giorno e della notte, l’antagonismo della nascita e della morte, dello sviluppo e della decadenza, mole infaticabile del grande mulino della Creazione. Il terzo gruppo di ragazze è contraddistinto da insegne 161 i>

erotico-mitologiche: le loro teste o le loro spalle sono or­ nate dalla falce di luna di Astarte e dal pavone di Giunone; esse sono ripartite in 'bianche' e ‘nere’. Simboli orfici, la falce di luna e il pavone significano che il destino, felice o infausto, della donna risiede nell’amore. La falce di luna simbolizza le nascite, sottomesse alla caducità. Il pavone, simbolo d’immortalità, è invece l ’immagine della vita terre­ stre in tutta la sua gloria e in tutta la sua inesauribile molte­ plicità, che incessantemente si dispiega in un gioco infinito di colori. Questo tema del ciclo eterno della vita terrestre, già pro­ posto da Bosch nei Sermoni della montagna e nell’allegoria della macina situata sullo sfondo dell’Eden, si dispiega nella ‘cavalcata trionfale' in un vasto coro polifonico; il cerchio ristretto della passività lunare è inscritto nel cer­ chio potente e trionfale dell’attività solare e, nonostante la sua soggezione alla morte, esso è fecondato da un eterno rinnovamento. Abbiamo qui un’idea pittorica di un’audacia e di un’am­ piezza rivoluzionarie. A ll’epoca, essa cadde nel vuoto o incontrò la repressione dispotica della Chiesa ufficiale che la seppellì sotto la cenere dei roghi. Tale è l ’ardimento delle concezioni libero-spirituali che se le pale laterali fossero state sciaguratamente distrutte, non avremmo mai potuto sospettare che il pannello centrale facesse parte di un di­ pinto cristiano. Con una tensione fantastica e una profon­ dità che non incontriamo in alcuna delle opere d’arte della Rinascenza mediterranea, questo pannello fonde, con una sistematicità di pensiero che ricorda i neoplatonici fioren­ tini, l’eredità orfico-pitagorica dell’antica filosofia della Na­ tura e i valori tradizionali del dogma cristiano, realizzando una sintesi originalissima. In un’autentica ebbrezza dionisiaca, questo culto estatico della creatura, della Creazione, si distacca dalla morale ascetica della Chiesa, estremamente intellettuale e ostile al corpo. Nel suo entusiasmo, tuttavia, questo culto conserva un incrollabile senso della misura e della calma spirituale, che distingue radicalmente il nostro dipinto dalla dismi­ sura grottesca e anarchica di un Rabelais. Per esprimere tutto in una metafora: il disco lanciato dalla mano ‘co­ 162

smica’ della filosofia ellenica della Natura ha attraversato i secoli; un pittore l ’ha raccolto a Hertogenbosch e ha tra­ sformato Yorbis in uno specchio tardo-gotico dove si riflet­ tono e si uniscono due universi filosofici distinti: l ’uno antico, della gioia del corpo, l ’altro cristiano, del battesimo dello Spirito. Quale non sarebbe stato il destino spirituale dell’Occidente, se la ‘riforma delle membra e della testa’ intrapresa dal paolinismo di Wittemberg, dalla teocrazia calvinista o dalla restaurazione tridentina, l ’avesse condotta il Libero Spirito! Tuttavia, anche se sotterrato dalla Chiesa, questo disco non è stato distrutto; esso è sopravvissuto ai secoli e un giovane romantico giovanneo, Novalis, l’ha rac­ colto. Nella sua magica mano esso si è trasformato, purifi­ cato in una patena cristallina ove si realizza quella transu­ stanziazione per la quale il poeta forgiò il motto « Sophia e Cristo ».

Crittografia simbolica della Natura. « La religione cristiana è la vera religione della voluttà. Il peccato è il più grande stimolo all’amore della divini­ tà. Più ci si sente peccatori, più si è cristiani. Il fine del­ l ’amore, come del peccato, è l ’unione incondizionata con la divinità. I ditirambi sono un prodotto autenticamente cristiano. Per l ’uomo realmente religioso nulla è peccato ». Questo audace paradosso dei frammenti di Novalis avrebbe potuto essere creato su misura per la ‘cavalcata trionfale’ di Bosch: essa non è forse un ditirambo pittorico in cui la voluttà, portata alla sua intensità estrema, per­ mette di raggiungere uno stato di comunione estatica con il divino? Novalis sfiora ancor più da vicino il codice ci­ frato di Bosch, allorquando concepisce l ’idea fondamentale di una ‘ crittografia simbolica della Natura'. Quanto alle maestose forme rocciose che si ergono attorno al Bacino della Vita, immagini di colossali metamorfosi cosmiche, non raffigurano quelle « parti sessuali della Natura, organi ge­ nitali del mondo », di cui Novalis parla nei Frammenti ? A l di sopra dell’esteso piano su cui si muove la cavalcata

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trionfale, si elevano cinque potenti masse verticali, che incarnano le leggi eterne della Natura. A l centro: la Fon­ tana della Vita, fiancheggiata da strutture rocciose rutilanti, fastose, in cui, tra lastre di marmo, scintillano pietre e me­ talli preziosi. Bosch ha qui composto una sorta di orologio solare della creazione: il quadrante è costituito dal cerchio descritto dalla cavalcata trionfale attorno al Bacino della Vita, mentre la lancetta è rappresentata dalla torre che sorge sul globo cosmico, una costruzione di tubi che poggia sulla mezza luna crescente e termina con la falce di luna decrescente. È come se il liquor vitae, contenuto nel globo cosmico della Fontana, subisse, passando per gli alambicchi di cri­ stallo, un processo di distillazione che sempre più lo pu­ rifica e lo spiritualizza. Tutto l ’edificio ricorda una bottiglia, e fa pensare alla dive bouteille di Rabelais, recipiente ma­ gico in cui è contenuta la quintessenza del significato della Creazione e che rappresenta la sintesi dell’imponente ro­ manzo. Così Bosch condensa la varietà del trittico in questa 'bottiglia magica’. La similitudine tra Bosch e Rabelais si spinge oltre, in quanto entrambi hanno conferito alla loro bottiglia una forma maschile e femminile al tempo stesso. L ’incisione che illustra il Pantagruel rappresenta la bottiglia come una sorta di fiasco, la cui forma ricorda sia un fallo che una mammella. Quanto a Bosch, egli ha scavato nella parte inferiore del globo cosmico, che si bagna nell’ele­ mento materno dell’acqua, una cavità rotonda, il cui signi­ ficato vaginale è crudamente sottolineato dalla scena che si svolge all’interno. La componente fallica si eleva ben alta nel regno solare, il cielo di mezzogiorno. Sulla sottile cintura che circonda il globo cosmico ap­ paiono numerosi personaggi; al centro, una coppia s’appog­ gia sulla testa, le gambe in alto, diritta come una candela. Questo motivo situato esattamente nell’asse centrale del pannello esprime un fondamentale pensiero dei pitagorici: « L ’uomo è caduco perché è incapace di collegare l ’inizio alla fine » (Alkmaion). La coppia che si regge sulla testa ha raggiunto questa posizione capovolgendosi con le pro­ prie forze e in virtù di questo movimento ha unito l ’inizio alla fine. Nel loro movimento circolare essi si sono fermati 164

all’asse verticale collegando così, in posizione invertita, cielo e terra. Sotto le piante dei loro piedi il cielo diviene la terra; la terra, al di sopra della loro testa, il cielo. Il cerchio dell’immortalità è chiuso. Fulcro del dipinto, la Fontana della Vita è anche il punto di convergenza delle idee che esso esprime: tutto è qui 'nel centro’. Il cielo blu splende nella luce solare del mez­ zogiorno; l ’orologio solare non indica alcuna ora sul suo quadrante, perché mezzogiorno è senza ombre. E gli uomini situati in questo centro celebrano il trionfo della vita im­ mortale. Tra queste creature vediamo una coppia di aman­ ti, situata anch’essa esattamente sull’asse centrale: l’uomo prende contatto con la donna attraverso il 'centro' stesso del suo corpo, il sesso. Questo motivo, illustrazione simbo­ lica della posizione centrale dell’Eros, acquista una dimen­ sione cosmica, giacché la Fontana della V ita è essa stessa in un rapporto fondamentalmente simile (quello del fallo e della vulva) con il Bacino della Vita situato più in basso. La forma androgina della Fontana della V ita appare di nuovo nelle strutture rocciose di sinistra e di destra, ma scissa questa volta nelle sue componenti maschili e fem­ minili. A destra, una volta di più, un globo, immagine dell’energia, dirige ai quattro venti le sue erezioni falliche. Innumerevoli uccelli accorrono da tutte le parti e volano attorno a questa fortezza dell’amore. La sua struttura supe­ riore, con il fascio di tubi di cristallo che si eleva sempre più in alto nell’azzurro del cielo, sembra un organo cosmico. I tubi attraversano due foglie ondulate, socchiuse sulla sinistra come due labbra. A l di sopra si ammucchiano, le une sulle altre, delle ampolle trasparenti. Tre simboli coro­ nano questo edificio: una zanna di elefante, forma eviden­ temente fallica; un anello nuziale con un’anatra all'interno; infine una boccia, immagine per eccellenza di forza conden­ sata. A ll’apice dell’edificio, sulla più alta delle sfere, un giovane danza, garante della perennità delle forze di gene­ razione. Sulla testa porta un’altra sfera e le sue braccia sono estaticamente rivolte al cielo inondato di sole. Riprendendo il motivo della ‘Montagna degli uccelli’ dell’Eden, la roccia femminile, sul lato sinistro, è scavata alla sua base da una fenditura ‘materna’, un tempo casta­

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mente difesa da sbarre di cristallo. Se la sbarra alta è ri­ masta solidamente al suo posto, immagine della moralità che presiede al matrimonio, le altre sono state tolte per liberare la via alle nascite. Due placche monumentali sor­ vegliano questo ‘portale’ : sono le ‘tavole della legge’ del matrimonio; la prima, rettangolare, simboleggia la legge maschile, la seconda, ovale, la legge femminile. A l di so­ pra vi sono delle configurazioni falliche; a sinistra, una sorta di fungo, sotto la cui sagoma riappare la ‘candela’ pita­ gorica. A lato, l ’affascinante motivo del 'canale delle na­ scite’ : è un lungo tubo attraverso il quale, uno dopo l ’altro, dei fanciulli si accalcano verso la luce. Infine, un ananas simbolicamente trapassato in segno di procreazione: due ra­ gazzi, fuggiti dall’ananas, salgono lungo una spina piantata nel frutto, ripetendo così il motivo precedente. Ugualmente uscito da questo frutto-madre, un Albero della Vita dispie­ ga il suo delicato fogliame. Il dipinto ha un suo significato sin nel più piccolo particolare. In effetti, questo albero si compone di tre branche principali, e ogni branca a sua volta è divisa in tre parti. Si tratta dunque di un albero femminile , essendo questo simbolo triforcato l ’antico segno runico della vita. N ell’arte popolare esso appare, sotto for­ ma di Albero della Vita, sulle cassepanche matrimoniali, sulle cuffie delle donne, sui fazzoletti, e sempre come un simbolo specifico della fertilità per le donne sposate. G li stessi simboli riappaiono negli ornamenti orgiastici delle rocce vicine, ricoperte da una profusione di vegetali. Essi si aggrovigliano dando luogo a innumerevoli varianti. Significativi i due calendari raffigurati sull’altra roccia a sinistra della Fontana. Ci riferiamo alle due forme ovali, orlate ciascuna da dodici piccoli bottoni, che simboleggiano la natura lunare della donna. A i piedi delle cinque cattedrali della fertilità creatrice si estende un paesaggio ove le praterie verdeggianti lasciano progressivamente spazio a un lago scintillante. Spiriti acqua­ tici si mescolano qui a creature terrestri e a figure che raffigurano il regno dell’aria. Lo sfondo dell’Inferno ci presentava i quattro elementi nello stato di ribellione, di an­ tagonismo sacrilego. Qui l ’acqua, la terra e l ’aria sono ritor­ nate alla loro purezza originale, hanno ritrovato la loro

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energia creatrice e celebrano le loro nozze con lo spirito solare del fuoco, che è l’amore stesso. Dalla sinistra arrivano a nuoto due processioni serrate di cavalieri-delfini, tutti identici, con il viso nascosto dalla visiera calata del loro elmo. Il loro emblema, il delfino, animale sacro ad Apollo, appare più volte: esso è portato in testa alla processione, immobilizzato sulla forca di una bacchetta divinatoria, e folleggia nelle acque tutt’intorno. Sappiamo che il delfino, appartenente alla famiglia delle ba­ lene, è un mammifero. I greci lo veneravano nell’antichità come un animale-madre, e si ritrova la radice del suo nome in ‘adelphoi’, che significa ' fratelli nati da una stessa madre’, e in 'Delphoi', nome delPantro terrestre dell’oracolo di Apollo. Apollo, il dio del sole, divideva il suo oracolo, per tutta la metà invernale dell’anno, con il gemello an­ tagonista, Dioniso, il condottiero dei morti. l'fra te lli usciti da una stessa madre’, insieme alla vita luminosa dovevano condividere la morte oscura. Su certe vecchie pietre tombali cristiane, il delfino appare ancora come il benevolo condot­ tiero delle anime nel regno dei morti. Nella dottrina pita­ gorica della metempsicosi, infine, l ’anima nella sua trasmi­ grazione deve passare attraverso lo stadio del delfino prima di rinascere a una vita superiore. I cavalieri-delfini di Bosch, mascherati e identici, rappresentano dunque la 'numerosa schiera’ dei defunti, l ’universale confraternita dei morti in viaggio verso la vita eterna. S’affanna la terra e dovunque è sempre e soltanto tormento. Per l ’esistenza1 è meglio l ’onda. A ll’acque eterne ti porterà

Proteo-Delfino.19 Così il sapiente Goethe ha riassunto nella sua « Klassische Walpurgisnacht » il significato esoterico del delfino. Bosch, da parte sua, ha posto in massima evidenza il pas­ saggio dalla vita terrestre alla vita eterna dei Campi Elisi",

w Wolfgang Goethe, Urfaust II (ttad. it. F. Fortini, in Faust, Milano, Mondadori, 1970, p. 735. (N.d.T.)

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una potente orizzontale separata in effetti il terzo supe­ riore del pannello dal resto della composizione. In questo regno superiore la fiamma della vita, morta per un istante, arde di nuovo: essa si è riunificata alle sostanze originarie, si è fusa con i quattro elementi. Si assiste, in queste con­ trade celesti, a commossi incontri, come quello tra il cava­ liere-delfino e la naiade. L ’unione si realizza tra tutte le creature; le generazioni passate si allacciano per formare corone e ghirlande di eterna simpatia. I quattro elementi sono il crogiuolo della rinascita. L ’ac­ qua è rappresentata dal delfino; la terra da un simbolo che appare un po’ dovunque nel pannello, la fragola.20 La fra­ gola, com’è noto, fa parte della famiglia delle rose e appar­ tiene dunque al giardino di Afrodite. Con il suo dolce colo­ re rosso fiamma e con la sua forma sferica disseminata di innumerevoli grani di semenza, questo frutto esprime tutta la dolcezza odorosa e afrodisiaca della primavera, è l’im­ magine stessa della voluttà terrestre. In alto, a sinistra, un’intera congregazione è riunita attorno a una fragola gi­ gante per adorarla, mentre altri gruppi simili si radunano attorno a fiori schiusi, a una beccaccia o alla crisalide di una farfalla. L ’elemento aereo è raffigurato da un grande uovo di uc­ cello, rotto e posto ai bordi dell’acqua. Contrariamente all’uovo scoppiato della 'roccia degli uccelli’, che serviva da tomba agli uccelli anziani divenuti troppo deboli per volare, quest’uovo simboleggia l ’origine della vita e il suo svi­ luppo. I suoi bordi sono spezzati in maniera tale che essi potrebbero nuovamente incastrarsi, richiudersi come i pe­ tali di un fiore sbocciato. Una moltitudine di uomini esce dal lago, dove sono appena rinati alla vita dopo un bagno purificatore. Con ardore gioioso essi rientrano nell’uovo di Leda, loro condizione originaria. Questa scena illustra le credenze pitagoriche dell’autoringiovanimento, della me­ tempsicosi: accesso progressivo dell’anima ad esistenze superiori. Queste anime defunte, abbandonate « nel silenzioso re­ gno delle potenze segrete... alla voluttà dei giochi enig­ 20 In tedesco Erdbeere, bacca della terra. (N.d.T.)

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matici », vegliano amorosamente sulla sopravvivenza ele­ mentare del mondo. Novalis, in profonda armonia con le idee di Bosch, ha espresso tutto ciò nel suo Canto dei Morti, con una straordinaria penetrazione di questi misteri primari: Solo l ’amore ci ha dato la vita; come l ’intimità degli elementi uniamo i flutti dell’essere, il fervido cuore col cuore. Con voluttà i flutti ci dividono, perché la lotta degli elementi è la vita suprema dell’amore, il cuore stesso del cuore. [...] E in questo flusso segretamente ci tuffiamo nell’oceano della vita, in Dio. E dal suo cuore, in una risacca, torniamo al nostro ciclo e lo spirito del sommo bene s’immerge nel nostro gorgo.

La provincia pedagogica. Dopo questa esplorazione del piano mediano e del piano superiore, ritorniamo al primo piano, cosi ricco di simboli didattici, per tentare di coglierne le implicazioni etiche e religiose. Studiando le linee di demarcazione del pannello e i suoi rapporti con le pale laterali, abbiamo già notato che il primo piano è una sorta di 'provincia pedagogica' destinata all’istruzione sistematica dei discepoli del Libero Spirito. Distinguiamo differenti stadi nell’iniziazione: il cammino iniziatico parte dal recinto, passa per la torre di osservazione e giunge a un’accademia immersa nel verde. Certi emblemi indicano lo stadio dell’iniziazione: la testa dei novizi non porta ancora ornamenti, mentre gli altri sono coronati, a seconda del grado d’iniziazione, di foglie, di

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fiori o di frutta; la donna in testa al gruppo principale sfog­ gia due frutti accoppiati. Questa classificazione rigorosa testimonia l ’impegno pedagogico dedicato all’istruzione e alla preparazione delle anime. L ’illustrazione che più col­ pisce è la coltura attenta e paziente del 'fiore d ’amore’ sotto le campane di vetro o le cupole di cristallo. Decifrando il senso di queste rappresentazioni didattiche, deve essere possibile ricostruire la dottrina del Libero Spirito. L ’ascetismo monacale non trova visibilmente posto in questo insegnamento. Il Libero Spirito considerava sacri­ leghi il disprezzo e la mortificazione costante del corpo. Ma la condanna del celibato non comporta necessariamente l ’esaltazione del piacere sfrenato, come fece, ad esempio, Rabelais, che diede quest’unica regola alla sua abbazia lai­ ca di Telema: « Fais ce que tu voudras ». Il fine perseguito dal Libero Spirito non era la liberazione pura e semplice del corpo, ma la sua santificazione, e individuava negli istinti del corpo una sorgente di energie tanto costruttive quanto distruttive. È per questo che la sua prima cura fu di elaborare una saggia dietetica. Nella ‘cavalcata trionfale’ un adolescente porta sulla te­ sta, in perfetto equilibrio, l’uovo sacro, simbolo del do­ minio armonioso del corpo. Allo stesso modo, le figure in primo piano sono portatrici di simboli profondi: in parti­ colare del segno della più severa ‘castità’. Dipingendoli accuratamente nella loro nudità, Bosch, come poi Memling nella sua 'Resurrezione’ del Giudizio Universale, non si prefiggeva di eccitare la sensualità dello spettatore. In en­ trambi i casi ciò che viene rappresentato è il mistero della carne che diviene spirito. L ’alone di castità che circonda questi personaggi non è dunque provocato dall’imbarazzo del pittore, poco abituato a rappresentare una tale 'parata di nudi’; questa castità è parte integrante dello stile di vita dei libero-spirituali. Ogni sistema di educazione si preoccupa prima di tutto di sradicare gli istinti nocivi all’individuo o i pregiudizi che Io inibiscono. Cosi questo pannello contiene un am­ monimento contro un male fondamentale: la vergogna ti­ morosa del corpo e delle sue funzioni naturali. Due esempi di devastazioni provocate da questo falso pudore, sono là

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per dissuadere lo spettatore. L ’educazione a una vita comu­ nitaria fondata sull’armonia dello spirito e dell’istinto, e il cui ideale etico è la fecondità coniugale, si scontra in primo luogo con la masturbazione. Una volta che si sia stabiliz­ zato, questo vizio giovanile può in effetti condurre a una misoginia permanente e sviluppare un’attitudine fondamen­ talmente asociale. Esso deve essere considerato come la 'Caduta' radicale poiché suscita nell’adolescente un senti­ mento di vergogna e di colpevolezza, distaccando così il ragazzo dal padre e rendendoli estranei l’uno all’altro. Così, sperduto nel mezzo di questi grappoli umani, Bosch ha rappresentato qualche solitario che, pretendendo di ba­ stare a se stesso, resta estraneo alla corrente universale che spinge tutti gli esseri di questo pannello a raggrupparsi o ad accoppiarsi. Il primo di questi solitari è tuffato con la testa nell’acquitrino. Diversamente dall’atteggiamento degli altri personaggi, tutto innocenza e semplicità, il suo è d ’imbarazzo: visibilmente egli ha vergogna e tenta pau­ rosamente di nascondere con le mani ciò che non avrebbe ragione di nascondere. Le sue gambe, singolarmente diva­ ricate, fanno di lui una Ypsilon umana. In questa ‘littera Pythagorae’, detta anche, nel tardo Medioevo, 'bivio di Pi­ tagora’, agli iniziati riconoscevano tutti, immediatamente, il segno didattico, il simbolo del 'liberum arbitrium', della facoltà di scegliere l ’una o l ’altra via: nel nostro caso l ’amo­ re o la continenza. Ma all’incrociarsi delle strade il nostro curioso Ercole rifiuta di scegliere e si ritira in se stesso. Bosch, con rudezza sferzante, stigmatizza questo atteggia­ mento di fuga, fondamentalmente falso: esso conduce diret­ tamente a un mondo senza luce, palustre, viziato. Le cause della masturbazione sono il falso pudore e la paura, che Bosch sottolinea con sapienti associazioni sim­ boliche. N ell’Ypi/Zo» formata dalle due gambe, egli ha po­ sto un frutto circondato da viticci sfavillanti, scintillanti di perle di semenza e trapassato da una lunga spina. Un airone - uccello delle nascite, della famiglia delle cicogne si è installato sul frutto. Mentre, appollaiato sulla spina, vediamo l ’uccello della morte - un’averla, o strangolatore, che appariva anche nell’Eden, sullo sfondo, vicino all’uovo scoppiato. I due uccelli illustrano nuovamente l’idea del171

1’*uccello che dà e prende la vita’, raffigurato dall’ibis tri­ cefalo ai piedi del Cristo. Questi simboli esprimono innanzitutto l ’assurdità del vo­ ler fuggire e nascondersi, quando il destino naturale della creatura è chiaramente rivelato; in secondo luogo la fal­ sità, la perversità dello stesso atteggiamento del fuggitivo che si rifiuta di riconoscere l ’istituto fondamentale della Natura, manifestato con una gioia così ingenua intorno a lui. Il suo rifiuto e il suo vizio sono spiegati dalla paura di vedere la propria progenitura cadere preda della morte, sotto la forma dell’uccello strangolatore. Impietrito nella sua paura e nel suo pudore egocentrici, egli resta insensibile agli esempi incoraggianti delle coppie amorose che, attorno a lui, ignorano l’imbarazzo. Egli vuole soprattutto disto­ gliere lo sguardo dalla coppia alla sua destra, che fluttua sull’acqua in una navicella a forma di arancia. Questi due motivi - l 'Ypsilon e l ’arancia - sono stret­ tamente connessi: i loro viticci disegnano gli stessi ara­ beschi, e ritroviamo l ’airone nell’uno come nell’altro. La coppia di amanti, il buon esempio, ha preso dimora al­ l ’interno del frutto; essa si lascia tranquillamente portare dalle leggi eterne della Natura. Il solitario, cattivo esem­ pio, nega la sua fecondità come qualcosa di pericoloso che gli sarebbe estraneo. Mentre si consuma in una misan­ tropia sterile, lì accanto regna l ’amore, virtù e dono ine­ stimabile. Posta a metà tra i due motivi, la mora gigante che nutre da sola una dozzina di affamati è il simbolo della profusione dell’amore. È qui ripreso il motivo dell’uccello di morte, cui la mora fa subire una trasformazione posi­ tiva. In effetti, secondo la spiegazione di J J . Bachofen,21 la mora è un simbolo orfico di immortalità: nel corso della sua maturazione, essa manifesta l’unione degli estremi, il supremo equilibrio metafisico. Il bianco vitreo iniziale del frutto e il nero profondo del suo stadio finale trovano il loro equilibrio nel rosso intermedio.

21 Johann Jakob Bachofen, Die Unsterblichkeit ¡lehre der orphischcn Theologie auf den Grabdenkmälern des Altertums (La dottrina dell’im­ mortalità della teologia orfica nei monumenti funebri dell’antichità), Ba­

silea, 1867.

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In due punti significativi del pannello ritroviamo alcune varianti deH’esempio-awertimento. Vicino alla frontiera che conduce all’Inferno, proprio sotto la coppia ossessio­ nata dalla morte, che si rifiuta di procreare, un giovane solitario sta nutrendo il suo uccello. Il terzo solitario del pannello, secondo ogni apparenza, è sulla via del migliora­ mento. Sprofondato anch’egli nell’acquitrino, è prigioniero di una campana che ostacola i suoi movimenti e lo tra­ scina verso il basso. Tuttavia, con gli occhi fissi sulla felice coppia di amanti che precede la processione degli uccelli, cerca di infrangere la sua prigionia, e il suo atteggiamento sembra quello di chi chiede aiuto. In contrasto con questi personaggi compromessi da una passione sterile, un ragaz­ zo, vicino alla frontiera dell’Eden, si è affidato alla civetta esprimendo così chiaramente il suo abbandono alla sag­ gezza secolare della Natura, come i suoi compagni sprofon­ dati spensieratamente tra le piume degli uccelli istruttori. Il secondo attacco essenziale di Bosch si rivolge contro l’inibizione di cui sono vittima quegli esseri che hanno un concetto esagerato di purezza. Inorriditi dalle funzioni inte­ stinali, la digestione e l ’escrezione, essi peccano di una scrupolosità che può condurre agli eccessi del disprezzo di sé, o ad una misantropia generalizzata. Nel Medioevo tutta una letteratura era nata da questo 'contemptus mundi'; Huizinga, con l’aiuto di esempi brillantemente scelti, lo de­ finisce « l’aspetto più lamentevole dell’etica medievale ». L ’opera avviata da Bosch con lo scopo di risanare questo vero inferno di fango dell’ascetismo fanatico, era altamente giustificata. In questa ingrata letteratura, l’orrore delle fun­ zioni naturali del corpo dava luogo a tutti gli eccessi d ’un disprezzo odioso del mondo. Citiamo, ad esempio, un estratto delle Collazioni di Odo di Cluny: « La bellezza del corpo risiede soltanto sulla superficie della pelle. Giacché se gli uomini vedessero ciò che si nasconde sotto la pelle, se essi potessero vedere, come le linci beote del proverbio, ciò che vi è all’interno, avrebbero nausea alla vista di una donna. Questa grazia è composta di muco e di sangue, di umore e di bile. Se si guardasse ciò che celano le narici, la gola e il ventre, si troverebbe sem­ pre dell’immondizia! E se noi siamo nauseati all’idea di

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sfiorare, anche con la punta delle dita, un catarro o degli escrementi, come potremmo desiderare di abbracciare que­ sto sacco di lordura? ».a Di fronte a simili follie, il quadro di Bosch si erge come testimonianza della ragione e della scienza. Nelle funzioni corporali, nella defecazione, Bosch, come più tardi Para­ celso, venera l ’opera dell’ ‘alchimista interiore’. In primo piano, a destra, vediamo due personaggi, uno dei quali è inginocchiato e coglie dei fiori che escono dall’ano del suo compagno accovacciato, mentre gli colpisce le natiche con un ramo fiorito. Motivo assai crudo, si dirà, o per lo meno ingenuo. Male interpretato, esso lascerebbe credere che il Libero Spirito, nella sua profonda amoralità, avesse am­ messo la praticabilità di tutte le zone erogene del corpo. Ma se si guarda questa scena con gli stessi occhi di Bosch, vale a dire con innocenza e serietà, non si può restare insen­ sibili al suo significato profondo. Questa scena è situata in un punto essenziale del pan­ nello, tra il portale paradisiaco che conduce alla vera li­ bertà e un obelisco, somma di simboli sessuali fondamen­ tali. L ’obelisco è, in effetti, formato da due uova poste in equilibrio su una conchiglia, adagiata su di un grande cilindro di marmo. Le venature della pietra mostrano che questo blocco trabocca di vita e di sangue; è inoltre ornato di sempreverde, il che indica che si tratta di un oggetto di culto e di adorazione. Nel Paradiso dei cristiani libero­ spirituali si erge un fallo coronato di ghirlande: quale in­ nocenza, quale sonnambolica sicurezza è stata necessaria per operare questa sintesi tra la santificazione rituale del ma­ trimonio e i culti dell’antichità! Questo monumento è eretto, per riprendere i termini di Rabelais, in onore del « grande operaio della natura »; esso è là affinché gli abitanti del Paradiso si abituino a vedere senza arrossire la sua erezione, che rammenta loro "la vene­ rabile origine e i doveri del loro destino terrestre. Se questo monumento avesse un’iscrizione, non sarebbe la formula, malgrado tutto negativa, « naturalia non sunt turpia », ma la sua versione positiva, « sacra sunt naturalia ». Questo per 22 Johan Huizinga, op. cit., p. 197.

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liberare la coscienza umana dalla sua inibizione più pesante, il falso pudore e la paura che ne deriva, ed esaltare invece la « roccia che ti ha fatto nascere » (D euteronom io x x x n , 18) e farne un oggetto di venerazione. Per ingentilire con fascino e persuasione questa idea pe­ dagogica centrale, Bosch vi ha posto a lato un’immagine amorosa d ’una freschezza e d ’una delicatezza squisitamente primaverili. Notiamo, nella stessa posizione di Adamo nel­ l ’Eden, una giovane seduta per terra, con il viso coperto dalla campanula trasparente di un convolvolo: immagine dell’innocenza adamitica da poco rinata. Essa non conosce ancora la vergogna e la ignorerà sempre, giacché il suo fi­ danzato si china su di lei con un movimento di tenerezza ineffabile e posa la mano sulla sua spalla con delicata atten­ zione. In questo primo contatto i loro due corpi sembrano risuonare melodiosamente come due coppe di cristallo. Questa scena di nobile vicinanza imprime profondità e serietà alle crude immagini circostanti. Questa solennità redime la grossolanità delle funzioni della digestione. « Per il puro, tutto è puro » o, per tradurre in parole il mazzo di fiori: agli occhi di colui che possiede il ramo dell’innocenza, anche il bizzarro e il grossolano acquistano l ’innocenza e l ’evidenza della natura vegetale.

Ars amandi. Eliminate le inibizioni fondamentali, Bosch passa alla parte costruttiva del suo insegnamento. Tre scene esemplari segnano il cammino degli amanti adamiti verso l ’unione coniugale. Esse hanno luogo nella metà inferiore sinistra del pannello centrale. Vediamo una gigantesca zucca marmorizzata aperta nella parte alta da un foro ovale. N ell’ovale appare la testa della ‘ fidanzata’ rasata come quella di una monaca e rivolta verso il ‘fidanzato’ con un’espressione di timido desiderio. Con una mano gli carezza il mento in un atto di profonda tene­ rezza; essi si guardano intensamente negli occhi, i loro nasi quasi si toccano e, malgrado questa mutua attrazione, la ra­ 175

gazza procrastina l ’istante del bacio finale. Tutto ciò sug­ gerisce l ’idea di un erotismo raffinato, basato sulla pazienza e sull’attesa. G li amanti conservano una certa distanza, una riserva evidente. L ’uomo resta ancora 'esterno': il mondo interno della sua fidanzata, raffigurato dalla zucca rotonda, gli è precluso. Nella scena seguente, al contrario, gli amanti sono entrambi inclusi nel campo magnetico del ‘globo seminale’. Per queste due scene Bosch utilizza dei simboli di straordi­ naria profondità psicanalitica. La zucca, nella sua parte inferiore, è attraversata da un tubo di cristallo accuratamente sigillato, in cui scintillano, una volta di più, alcune perle di semenza. Un tubo di vetro attraversa allo stesso modo l ’ananas; e in entrambi i casi un animale striscia nel tubo. N ell’ananas s’intrufola un sor­ cio, nella zucca un serpente. Si sa che questi due animali sono correntemente interpretati come simboli fallici. Inol­ tre, in entrambi i casi, un uomo sorveglia attentamente l ’in­ trusione dell’animale, e il suo viso è il medesimo: grave, con tratti acuti. Questo viso emaciato, attempato, non ci è sconosciuto, avendolo già incontrato due volte nel pan­ nello: è quello dell’uomo che porta verso l ’acquitrino la conchiglia nuziale, affinché venga fecondata; ed è anche quello del maestro che prende congedo dai due neofiti alla porta del recinto. Questo maestro, incaricato dell’educazione morale dei novizi dopo il loro ingresso nel Paradiso, acquista, negli ultimi stadi, la funzione del testimone. Egli deve assicurarsi che la procreazione avvenga con la stessa purezza che regna nell’Eden. Sorveglia l ’entrata degli animali simbolici, è l ’ 'inoculator', il testimone oculare. Ma non dimentichiamo che questa parola latina ha un secondo significato, che è pas­ sato nel linguaggio dei giardinieri: 1’ ‘inoculator’ è anche l ’innestatore, colui che innesta giovani piante su rami vecchi e assicura così la sopravvivenza e il miglioramento del frut­ teto. Questa duplice funzione trasforma il maestro in una allegoria dell’eugenetica: egli incarna il controllo esercitato dalla coscienza morale, che sorveglia con occhio vigile il pro­ cesso della procreazione in ciascun accoppiamento. La terza scena infine ci mostra gli amanti divenuti una 176

sola carne. Il prodotto più prezioso del mare, la conchiglia, serve loro da camera nuziale. Nel Medioevo la conchiglia era un simbolo mariano, perché si credeva che la perla ve­ nisse concepita senza fecondazione fisica: pura emanazione della rugiada celeste. Bosch la utilizza qui come simbolo di generazione e di concepimento puramente spirituali. Re­ miniscenza dei primi tempi del cristianesimo, la conchi­ glia riappare in Melchior Hoffmann, il famoso anabattista (m. 1 5 4 4 ), come simbolo dell’immacolata concezione di Cristo. Tutti questi motivi definiscono una vera e propria alchi­ mia dell’amore , particolarmente avvertibile nella coppia di amanti all’interno del globo seminale. La bolla del soffione, insieme di innumerevoli grani, forma una palla eterea pron­ ta ad alzarsi in volo al minimo soffio di vento, e somiglia a un’ampolla alchemica. Nel linguaggio esoterico dell’al­ chimia, gli utensili di distillazione e di sublimazione sono chiamati ‘camere nuziali’, e ciò che si cerca di ottenere in queste camere nuziali sono degli 'homunculi aurei’, dei ‘gigli bianchi’ e delle ‘rose rosse’. Là, pretendente audace, un Leone Rosso egli sposava al Giglio in un tiepido bagno. E a fuoco vivo tutti e due li tormentava da un talamo all’altro.23 Questi processi di purificazione che si svolgono nelle ampolle, espressi eroticamente già nel linguaggio tecnico dell’alchimia, sono rappresentati letteralmente da Bosch. Il ‘fuoco di fiamma’ che dematerializza, questo « bagno di spine e di cardi », come lo chiama Jakob Böhme, è qui rappresentato dal fiammeggiare delle foglie dischiuse del­ l’ananas e dal suo fiore, che sembra un’esplosione di scin­ tille. Questa esuberanza, immagine dello scatenamento delle pulsioni sensuali della Natura, appare padroneggiata nella corolla del fiore, composta di piccole foglie a forma di cuore. Prima che una concezione più elevata dell’amore abbia purificato e domato la vita istintiva dei sensi, questi non possono penetrare nella ‘camera nuziale’ . I due giovani 23 Wolfgang Goethe, Faust, I (trad. it. cit., p. 81). (N.d.T.)

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racchiusi nel globo seminale con tanta innocenza, come se fossero nel grembo materno o in una parte del proprio corpo, vivono in realtà un amore di natura diversa. La sen­ sualità si è trasformata in pura tenerezza, e la procreazione stessa si compie in quello stato di sogno premonitore, di cui Platone dice che « rivela il proprio volere attraverso segni ed enigmi ». Esprimendo questo in linguaggio alchemico: nelPampolla si compie il matrimonio dei due principi supremi dell ’arte aurea, l’unione tra la semenza d ’oro del leone rosso e quel­ l’elisir di vita chiamato abitualmente ‘giglio bianco' o ‘gio­ vane regina'. Quando si realizza l ’unione tra mercurio e zolfo, che riesce ai grandi maestri solo in coincidenza di congiungimenti astrali eccezionali, allora la maledizione ere­ ditaria della separazione cosmica che opprime l ’uomo dopo la Caduta, scompare. Corpo e anima, materia e spirito, universo e Dio, divengono nuovamente uno, e l ’uomo per­ fetto che « deifica il corpo e incarna Dio » nasce ancora una volta. La coppia nuziale all’interno del globo è sul punto di procreare questo essere perfetto. I segni criptici platonici del loro tenero desiderio, taciuti dal dipinto, sono stati tra­ dotti in parole un secolo più tardi da un grande sapiente. Bosch, questo mago dei Paesi Bassi, ha espresso nella sua pianta miracolosa ciò che, nella stessa epoca, il grande maestro di Venezia, Tiziano, fissava in una tela maestosa, e che Jakob Böhme incideva con delicatezza eterea sulla sua sfera di ciabattino: l ’immagine eterna dell’amor sacro e delPamor profano. La concordanza speculare tra la scena di Bosch e le parole di Böhme si spiega con la corrente ininterrotta che conduce il pensiero libero-spirituale fino a Böhme, il quale può cosi raccogliere quello che le generazioni precedenti avevano seminato. In entrambi i casi assistiamo al dialogo di una coppia ideale di amanti, dialogo che si svolge, in Böhme come in Bosch, all’interno di un microcosmo: in Bosch, nelPampolla cosmica; in Böhme, nel 'piccolo mondo’ incar­ nato, vale a dire all'interno di Adamo. La sua unità andro­ gina si scinde in due, nelle voci di un adolescente luciferino e di una vergine della Sophia. Il principio maschile è rappre­

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sentato dalP'animale’. Il topo nero di Bosch è divenuto, in Bòhme, il 'verme oscuro’. Il principio femminile, in en­ trambi i casi, è visto sotto forma vegetale, come un ‘giglio bianco’. Infine, sia in Bòhme sia in Bosch l ’amore è il 'Paradiso' dove, in una vana fiamma di passione, il desiderio sensuale tenta di accendere la vergine trascendente. Ma come in Bosch il « bagno di spine e di cardi » dell’amor profano, breve ed effimero fiammeggiare, si placa nel sereno equilibrio del globo, così in Bòhme fa nascere dall’ ‘ani­ male’ ormai dominato un fiore puro. Ecco qualche brano memorabile di Bòhme, tratto dal capitolo « Due potenze », ripreso dal libro Dei tre Principi dell’Essenza divina (1618-1619). Questi brevi estratti sa­ ranno sufficienti a togliere il velo di mistero che ricopre P'amore angelico’ : « Dio aveva creato la sua opera saggia e buona, e tratto le cose le une dalle altre: il fondamento primo era LU I, e da questo LU I egli aveva creato questo mondo, e da questo mondo l ’uomo. Egli gli ha donato il Suo Spirito e gli ha comandato di vivere in esso senza mai dubitarne né di avere altra volontà, in maniera assolutamente perfetta. Ma l ’uomo aveva anche lo spirito del mondo, giacché proveniva dal mondo e viveva nel mondo. Vi era così in Adamo una casta vergine-, [...] lo spirito immessovi da Dio, e un adolescente, lo spirito ereditato dal mondo. Costoro erano allora uno accanto all’altra e riposavano in un unico abbraccio. Ora la casta vergine doveva risiedere nel cuore di Dio [...] e non provare alcuna concupiscenza per la bellezza del grazioso adolescente. Ma l ’adolescente era infiammato dalla vergine, e desiderava unirsi a lei. Egli disse: Tu sei la mia amata sposa, il mio Paradiso e il mio rosario, la­ sciami dunque penetrare nel tuo Paradiso, [...] lasciami dunque gioire della tua grazia, del tuo amore. Quanto ame­ rei godere della dolcezza della tua forza! Se soltanto potessi raccogliere la tua bella luce, che gioia sarebbe per me. E la casta vergine disse: Tu sei certo mio sposo e mio compagno, ma tu non hai il mio gioiello. La mia perla è più preziosa di te. La mia forza è indistruttibile e il mio animo sempre costante. Invece il tuo animo è incostante e 179

la tua forza fragile. Alloggia nei miei cortili e io ti guarderò graziosamente e ti farò del bene. Ma non ti donerò la mia perla [...] Giacché tu sei oscuro ed essa è luminosa e bella [...] E il compagno [...] disse: Io non ti lascerò. Se tu non vuoi che mi unisca a te, farò uso della mia potenza, la più intima e forte, e userò di te a mio piacimento [...] Io vo­ glio vestirti della potenza del sole, delle stelle e degli ele­ menti, nessuno allora ti conoscerà. Tu devi essere mia e per sempre. E sebbene io sia incostante come tu dici, e la mia forza non sia come la tua, voglio conservarti quale mio tesoro e devi essere in mio possesso [...] Allora la vergine disse: Perché usare la violenza? Non sono io il tuo ornamento e la tua corona [...] e tu non sei oscuro? Vedi, se mi ricopri non avrai più luce e sarai un verme oscuro. Come posso abitare con te? [...] Se tu oscu­ ri la mia luce e insudici le mie vesti, allora non hai più bellezza né puoi sussistere. Il tuo verme ti dilania e io perdo il compagno che mi ero scelto per sposo, con il quale volevo avere la mia gioia [...] Resta dunque nel mio orna­ mento e nella mia virtù e abita presso di me in gioia e io ti abbellirò eternamente. E l’adolescente disse: Il tuo gioiello mi appartiene co­ munque e userò di te a mio piacimento. Sebbene tu dica che mi distruggerò, il mio verme è eterno e attraverso di lui voglio regnare. Ma in te io voglio abitare e travestirti con i miei abiti [...] Ma la mia saggia vergine disse: Tu sei il diletto sposo che ho scelto: vieni con me, io non sono di questo mondo, ma voglio condurti fuori da questo mondo, nel mio regno; là non vi è che riposo e benessere. Perché tu onori la vita fragile? Tu devi entrare in una vita che è indistruttibile ed eterna. Ma ho un piccolo rimprovero da farti! Io ti ho salvato dal bagno di spine, quando tu eri un animale selvaggio e ti ho dato allora la mia immagine. Ora il tuo animale selvaggio è immerso in un bagno di spine, e io non posso prenderlo in seno [...] Liberati del tuo animale selvaggio come un fiore che sboccia dalla terra. Ascolta, mio animale: io sono più grande di te, e quando venne il tuo turno di esistere, io

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fui il tuo artefice. Le mie essenze provengono dalla radice dell’Eternità. Ma tu appartieni a questo mondo e sei desti­ nato a perire. Io vivo eternamente. È per questo che sono molto più nobile di te. Le mie opere si ergono nella forza, le tue restano nella forma. Io non ti prenderò più come animale. Io rifiuto i tuoi quattro elementi, perché la morte t’inghiotte. Ma io, col mio nuovo corpo, scaturisco da te come un fiore dalla sua radice ». Ogniqualvolta troviamo nella pala un personaggio con lo sguardo rivolto verso l ’osservatore, che si distacca da quei gruppi estasiati e persi in se stessi, dobbiamo interpretarlo come un richiamo pedagogico. Il più sorprendente di questi personaggi è la donna in primo piano, a destra, che ci fissa con un’espressione profonda e meditativa. Ella è seduta vicino a un grande fiore capovolto da cui stilla una pioggia di perle di semenza. In questa pioggia, che un giovane uomo chinato sul fiore osserva con devozione, ella ha scelto una perla, una sola. La tiene nella mano sinistra alzata e la mostra all’osservatore con una espressione piena di sot­ tintesi, come se volesse mostrargli T'unum necessarium’ dell’eugenetica adamitica. Abbiamo visto che, secondo que­ sta dottrina, la quintessenza dell’energia vitale - proprio come il cibo e le bevande - cela un mistero ad un tempo naturale e divino; essa non deve semplicemente servire alla procreazione o alla soddisfazione di bisogni fisici: nell’atto d ’amore fisico bisogna intendere una 'comunione sacra’ con le forze creative celesti e terrestri. Questo motivo pittorico conferma definitivamente la no­ stra ipotesi: occorre attribuire un significato trascendente alla frase di sorella Serafina^ « ille enim actus est pure naturalis, sicut comedere et bibere ». Affinché non sia possi­ bile dubitarne ragionevolmente, Bosch ha posto, a fianco dell’adolescente stupito del ‘ miracolo delle perle’, un se­ conde adolescente, inginocchiato esattamente nella stessa posizione e intento a mordere con venerazione una fragola gigante. Questo adoratore, la cui testa è coronata dal segno supremo d ’iniziazione - un fantastico casco di petali di fiori, sormontato da due frutti accoppiati —, sembra, novello Anteo, voler abbracciare e divorare in questo frutto colos­ sale l ’intero globo terrestre. A sinistra, sempre in primo

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piano, parallelamente a questa scena, una ragazza disseta il suo amato con un otre 'floreale': l ’azione, rappresentata di profilo, ha la solennità dell’atto rituale. Sembra essersi operata una vera e propria simbiosi fra questi adamiti e le diverse piante, sino al punto che po­ tremmo parlare di un’umanità vegetale, riflesso, senza dub­ bio, dell’ideale educativo libero-spirituale che si fonda sulla santificazione dell’origine della vita e tende a ritrovare l’innocenza sessuale dei vegetali. Esso favorisce un tipo umano più prossimo alla passività vegetale che all’attività animale: contemplativo, più che attivo. Tra i soggetti della 'provincia pedagogica’ la specie pre­ vale sull’individualità. Queste creature bionde, di ambo i sessi, si rassomigliano tutte sino a confondersi: e i loro at­ teggiamenti sono anonimi e impersonali. Insieme, formano una sola famiglia, che suggerisce l ’immagine di una famiglia vegetale in quanto le loro manifestazioni vitali si riducono a una meditazione sognante, a una muta contemplazione. Solo le loro mani nobili si muovono, e anch'esse fanno irre­ sistibilmente pensare ai viticci di una pianta che cerchi un supporto su un fiore vicino. Uomini e donne sembrano essere cresciuti come fiori in una prateria. Nessuna disciplina formale pare pesare su questa vita nuda e uniforme, né impedirla nelle sue ma­ nifestazioni. Tuttavia, malgrado la ripartizione apparente­ mente arbitraria di questi corpi mobili, qui riuniti e con­ centrati, là sparsi e come sperduti, in nessun luogo vediamo formarsi un ingorgo, uno sbandamento, né tanto meno uno spazio, un vuoto. Ciascuno segue liberamente le sue inclinazioni, ma un legame invisibile unisce tutti. Questo legame è la tenerezza : essa crea tra gli abitanti della pra­ teria celeste un’intimità fraterna, che li unisce come anelli di una vasta ghirlanda d ’amore. Così intesa, la tenerezza è antitetica al desiderio sensuale; Hans von Hattingberg la definisce « una permanenza di stretti contatti fisici e spirituali, un legame profondo, in­ timo e durevole stabilito con l ’altro, con l ’amato, in una quiete idilliaca. L ’atto sessuale, per converso, il dramma della sensualità, sale brutalmente spinto da una tensione interiore particolare, sempre crescente, fino a un punto 182

culminante. L ’eccitazione sommerge allora la trama della coscienza e trascina in un turbine i due individui ormai privi di resistenza [...] Si osserva una medesima dualità nell’istinto sessuale degli animali, ove si incontrano ad un tempo l ’istinto di unione, o contrazione, e l ’istinto di rilas­ samento, o detumescenza. Questa dualità diventa antago­ nismo solo con lo sviluppo della coscienza, che distrugge il ritmo naturale. Restaurare quest’ultimo è il fine di ogni vero amore »,24 Abbiamo lasciato la parola al medico e filosofo moderno, poiché la sua definizione della tenerezza mostra la natura complessa e profonda dei problemi affrontati dall’eròtica libero-spirituale, problemi che solo nella nostra epoca sono stati ripresi dall’indagine psicoanalitica. Hattingberg au­ spica precisamente ciò che è stato realizzato in questa ta­ vola: restituire alla sessualità il suo ritmo naturale, per­ duto a causa dell’esasperato sviluppo della coscienza, frutto dell’'Albero della Conoscenza'. Bosch ha espresso nel suo linguaggio simbolico le diverse fasi di questo amore riconci­ liato con la Natura. In primo piano osserviamo un’umanità immobile, vegetale; in posizione mediana un’umanità ani­ male, come agitata da una tempesta. Lo scatenamento si placa e lascia di nuovo posto alla quiete: sono le scene idilliache, acquatiche e terrestri, dello sfondo. La tenerezza del clima spirituale adamitico ha dato vita a una raffinatezza estrema nello scambio corporale e spiri­ tuale, che si manifesta nelle carezze timide e circospette e nell’intensità degli sguardi, ma ancor più nell’attitudine di questi esseri riguardo al proprio corpo. Questo è a tal punto divenuto parte integrante del Dio-natura che essi percepi­ scono la sua vita organica come un processo vegetale. Que­ sta coscienza organica ci fornisce la chiave di uno degli accorgimenti simbolici più complessi di Bosch, che cerche­ remo di interpretare ancora una volta in chiave psico­ analitica. Analizzando la ‘sposa nella zucca’, avevamo formulato l’ipotesi che la sua inclusione nella zucca simbolizzasse il 24 Hans von Hattingberg, Vber die Liebe. Eine àrtzliche Wegweisung (Sull’amore. Un’indicazione medica), Monaco, 1936, p. 126.

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suo mondo interno ancora inaccessibile all'uomo. In altri termini, Bosch ha utilizzato la zucca come simbolo degli organi sessuali della donna. Egli ha 'esteriorizzato' questi organi per indicare che la donna è spinta verso l ’uomo dalla pulsazione del suo sangue e delle sue viscere. Procedendo ‘organicamente’ sino nei minimi dettagli, egli ha ricoperto la superficie della zucca di un sottile reticolo di vene, con­ ferendole un aspetto specificamente uterino. Identico è il procedimento simbolico quando Bosch tra­ sforma la fenditura ovale dell’ananas in un accesso per la fecondazione, e la pera in testicolo. Il frutto a forma di mammella, con il quale la giovane disseta il suo amante, è un’immagine del seno materno; infine, il fiore da cui si river­ sa in terra una pioggia di perle, raffigura l’effusione dello sperma. Abbiamo un ultimo esempio, riassuntivo, di questo simbolismo vegetale in un giovane in piedi, col braccio sinistro appoggiato sulla zucca, che porta sulla schiena una sorta di rettile, costituito dalle metamorfosi successive della fragola: fiore, frutto e viticcio. Come un reticolo sovran­ naturale di vene irriga di sangue la zucca, così questa pianta terricola è provvista di raggi che rassomigliano, in alto, ad antenne di farfalla e, in basso, a spine che si sfregano con­ tro la colonna vertebrale e che, veri e propri 'aculei della carne’, rappresentano l ’eccitazione del desiderio sessuale. Novalis, più esperto di chiunque altro nell’alchimia del­ l’amore, ha fornito una descrizione visionaria dei processi organici qui suggeriti, in due frammenti intitolati ‘sguardi sul mondo dell’anima’ (Frammenti, 1312-1313) : « Alla base di tutte le funzioni suddette troviamo la voluttà. La vera funzione voluttuosa (simpatia) è la più mistica: quasi assoluta o tendente alla totalità (miscela) della congiunzione, la funzione chimica. Lo sguardo (il di­ scorrere), il contatto delle mani, il bacio, il contatto del seno, l ’atto dell’amplesso, ecco i gradini della scala dalla quale l’anima discende; opposta a questa c’è una scala sulla quale il corpo sale fino all’amplesso. Preparazione dell’anima e del corpo al destarsi dello sti­ molo sessuale. Anima e corpo si toccano nell’atto: chimicamente o gal­ vanicamente, o elettricamente, o focosamente, l ’anima man184

già il corpo (e lo digerisce) istantaneamente; il corpo concepisce l ’anima (e la partorisce) istantaneamente. Le membra mistiche dell’uomo: pensare semplicemente ad esse, muoverle silenziosamente, è già voluttà ». Dobbiamo pensare a tali mistici processi organici quando negli atti processuali di Cambrai leggiamo, a proposito del segreto sessuale di Aegidius Cantor, « ...modum specialem coeundi, non tamen contra naturam, quali dicit Adam in paradiso fuisse usum ». È increscioso il fatto che fino ad ora questa ‘particolarità’ sia stata considerata solo come una perversione stravagante. Ecco, per esempio, il verdetto pro­ nunciato dal più celebre storico del panteismo medioevale: « Il avait même découvert une manière particulière, plus raffinée sans doute, d ’accomplir les plus grossiers péchés ». Deformazioni di tal fatta gravano in minor misura sull’ac­ cusato che sul giudice e costituiscono i più fatali errori che la critica storica possa commettere. Poiché occorre giudi­ care anche le forme più degenerate della religione secondo le loro intenzioni primitivamente pure, e non secondo le loro manifestazioni che ne sono, talvolta, soltanto un sor­ dido abuso. Questo pregiudizio, ancora persistente ai nostri giorni, non deriva solamente dall’incapacità di considerare la ses­ sualità con innocenza, ma anche dalla semplice ignoranza storica. Questo famoso 'modus specialis’ di Cantor è auto­ rizzato dalla teologia morale cattolica come 'coitus reservatus’, e la sua pratica è ammessa nel quadro sacramentale del matrimonio. Sino alla fine del XIX secolo, esso era praticato dalle sette ‘ familiste’ o 'perfezioniste', delle quali la più interessante è senza dubbio la setta 'Oneida', fondata da John Humphrey Noyes (1811-1886). Del resto questa pratica è stata teorizzata e sviluppata, in particolar modo in America e in Inghilterra, da numerosi autori contempo­ ranei, e la stampa ha ospitato spesso dibattiti tra esperti di sociologia, eugenetica e medicina su questa tecnica della ca­ rezza. Questo 'modus specialis’ viene praticato ancor oggi, come se fosse una panacea universale, da quelle cerehie in cui si crede ancora nelle parole d ’ordine della Riforma: aria aperta, cibi crudi, luce e sole.

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A rs moriendi.

La ‘provincia pedagogica’ ci mostra coppie d ’amanti im­ mersi in una muta felicità. Il viso semplice e grave, essi sembrano perduti in una visione lontana e affascinante, come se fossero intenti a percepire gli echi smorzati di un sogno evanescente. Altri ancora paiono computare con le dita i numeri inafferrabili di un’addizione misteriosa; op­ pure, cullati in un benessere tranquillo, guardano sorridenti davanti a loro, come se banchettassero alla mensa invisibile degli dei. Su questa felicità incombe l’ombra di un presentimento melanconico, ma, come una passeggera e lieve pioggia esti­ va, questa tristezza non turba la serenità di simili creature: l ’assoluta pace dei sensi è increspata solo qua e là da pic­ cole onde impercettibili. Questo spettacolo, di un equilibrio spirituale quasi perfetto, prepara l’osservatore a penetrare nel mondo del pensiero pitagorico: a scoprire il mistero fondamentale del pannello, che molti simboli sparsi hanno già annunciato. L ’emblema di questo universo intellettuale è la farfalla, una aglossa, situata in un luogo 'eccezionale' del pannello: sull’asse mediano verticale, proprio al di sotto della coppia nuziale della cavalcata. Essa è posata su un fiore di cardo, le cui foglie servono da riparo a tre adolescenti, e da cibo a una cinciallegra. Veri e propri tentacoli, le foglie aggro­ vigliate sono come una trappola in cui ci si impiglia. Tra questo intrico inquietante si svolge una scena di una gravità estrema. Il primo adolescente è riverso a terra, supino. In uno spasmo ha piegato le gambe e le braccia aperte cercano di­ speratamente aiuto; le dita, irrigidite e allargate, la posizio­ ne della testa, mostrano che egli tenta invano di respirare. Sta agonizzando. Il secondo adolescente vuole soccorrerlo: con una mano, gli ha preso il polso; l’altra è posata sull’ar­ teria del ginocchio destro. Il terzo adolescente allunga sere­ namente il braccio verso lo stelo del cardo, sul cui fiore si è posata la farfalla. Così, anche nel Paradiso, vi sono ancora dei cardi e dei momenti d ’inquietudine. Ma la vista della farfalla è

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una promessa di sollievo: dopo essere stata bruco, stri­ sciante al suolo, essa si libera della sua crisalide e prende il volo verso la luce del Paradiso. Le metamorfosi della farfalla, che appare frequentemente sui monumenti fune­ rari antichi, erano uno dei simboli favoriti dei misteri orfici. Queste metamorfosi, paragonate alle immagini della nascita umana, erano divenute un’allegoria della trasfigu­ razione dell’anima dopo la morte. Seneca, per esempio, scrive (Ad Lucilium xvn, 2): « Come il grembo materno ci protegge per un periodo di circa dieci lune e ci prepara, non per sé, ma per quel luogo al quale sembriamo destinati, ad essere in grado di ricevere lo spirito e di sussistere nella nostra vita terrena, così, du­ rante il periodo che va dall’infanzia alla vecchiaia, matu­ riamo per un’altra nascita: una diversa realtà ci attende, una nuova nascita. Questo giorno che ti spaventa perché sarà l ’ultimo, è il momento della nascita dell’eterno. Posa il far­ dello, perché esiti? Non sei già uscito una prima volta da un corpo nel quale ti nascondevi, un corpo che hai abban­ donato? Tu t’aggrappavi e resistevi con tutte le tue forze; fu lo sforzo intenso di tua madre che ti fece nascere. Sospiri e piangi: sono gli stessi lamenti della nascita, ma è il tuo destino di eletto, di essere benedetto. Ora non è più cosa nuova per te essere separato da ciò di cui facevi precedentemente parte ». Altri due motivi riflettono la resistenza e lo spasimo della paura di morire, ma Bosch accosta loro un esempio di coraggiosa accettazione della morte. Queste tre scene sono connesse all’idea centrale della farfalla e ripartite nel pannello secondo una profonda e sottile geometria. Viene qui introdotto il fondamentale simbolo pitagorico, la bi­ lancia, che compare nel pannello sotto forma di due trian­ goli equilateri. Essa regola l ’equilibrio delle forze vitali del mondo. In effetti, due triangoli equilateri simmetrici deter­ minano l ’intera struttura del pannello; essi sono inscritti nell’immagine come in filigrana: invisibili, ma determi­ nanti. Il primo, orientato verso l ’alto, culmina nella Fonta­ na della Vita; il secondo, orientato verso il basso, termina in un luogo di morte. La loro base comune passa sotto gli zoc­

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coli del cavallo che porta la coppia nuziale: passa 'tra la coppa e le labbra' della felicità della vita. Tre enormi uccelli incarnano le 'potenze' del triangolo discendente. Due di loro, un frosone e una ghiandaia, sono situati alle estremità della base; il terzo, un’anatra, è posto al vertice del triangolo. Il frosone, il più grande passeraceo delle nostre regioni, incarna, con il suo vigoroso becco e il suo canto stridulo, la feroce morte che fa ruotare il caro­ sello della vita. Bosch, tuttavia, attribuisce un significato positivo all’apparizione dell’uccello di malaugurio: la morte è presentata come amica. Il frosone soccorre in effetti tre creature disperate, prigioniere negli artigli della morte, una delle quali è già in preda alle convulsioni dell’agonia: alla loro bocca morente, avida, esso offre una mora rinfrescante. Questa presenza della morte e dei suoi terrori proprio al cospetto della prima unione degli amanti, dà pieno signi­ ficato alla processione degli uccelli: essa guida i giovani verso la morte ma, attraverso la morte, anche verso una nuova vita. Attorno alla ghiandaia appollaiata sulla piramide rossocorallo, genio tutelare di questa cella dell’istruzione coniu­ gale, è riunita una folla di creature agitate, dalle grandi bocche aperte, che cercano aiuto: esse si accalcano per rice­ vere un nutrimento dall’uccello, tremanti di paura al pen­ siero della vecchiaia e dell’infermità. Ma la ghiandaia strin­ ge nel becco ciò che può salvarle e, con la sua semplice presenza, rende la loro ansietà superflua. Essa è garante della perpetuità delle forze della creazione; in virtù delle prime due sillabe del suo nome,25 essa è infatti il simbolo della Vita. Nella mitologia greca, il triangolo era attributo degli dei distruttori Kronos, Ares, Ade e Dioniso. In questo pan­ nello, il suo vertice viene a cadere nel regno della morte: in corrispondenza dell’ananas che giace al suolo, al centro, in primo piano, simile ad un’urna rovesciata. Nel suo oscuro orifizio ovale, scorgiamo un uomo seduto con le braccia cadenti, senza forze, visibilmente sul punto di esalare 25 Eichelhäher, Eichel = glande. (N.d.T.)

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l ’anima. Consuma con calma il suo ultimo pasto, che un’ana­ tra gli porge con il becco. L ’ananas, in precedenza sorgente di vita, luogo di procreazione, ora ospita nel proprio seno la morte. Il suo orifizio, tuttavia, è ovale: ciò significa che esso si accinge a ridare la vita. Abbiamo già incontrato a più riprese questa dualità, questa alternanza: nelle allegorie delle pietre della mola, dell’ibis sacro e della processione degli uccelli. Questa dualità è espressa qui con particolare forza: alla sinistra del moribondo si trova una donna, l’unica figura del pannello a mostrarsi in posizione eretta e frontale: ella go­ verna l’avvicendarsi della vita e della morte. Lunghi capelli le fluiscono sulle spalle, e sulla testa porta due frutti accop­ piati. Ella ha passato il braccio sinistro attorno a quello del premuroso amico che assiste il moribondo, e gli preme il polso con le dita: questo è il simbolo dell’unione effimera del sangue. La mano destra è atteggiata in modo curioso: essendo il pollice e il mignolo nettamente distanziati e le dita mediane unite, essa risulta così divisa in tre parti. Diretto verso il suolo, questo gesto della mano raffigura l’an­ tico segno runico della morte, l ’asta tripartita rovesciata. Luce e notte dell’esistenza, nostalgico desiderio di dissol­ versi nell’amore, e desiderio non meno struggente di dis­ solversi nella morte. Per significare che il suo dipartirsi è gioioso, il moribondo tiene nella mano un ramo, da cui pendono due grandi bacche divenute diafane. Questo sim­ bolo, ormai familiare, dei frutti gemelli indica che la per­ fetta eugenesi assicura anche la perfetta eutanasia. Questa scena di agonia, che si svolge esattamente sulla soglia della 'provincia pedagogica', costituisce il cardine dell’intero sistema pittorico. Per esprimere con forza e in modo ‘letterale’ la svolta qui in atto, Bosch ha ripetuto due volte la 'candela' pitagorica: due donne cercano di tenersi in piedi sulle mani. La donna sulla sinistra è tematicamente connessa al moribondo: l’anatra che porge il viatico è in­ fatti appollaiata su una delle sue gambe piegate. Ma cosa significa quest’anatra? Nella mitologia greca, essa è considerata l ’uccello di Penelope. Sappiamo che Pene­ lope, secondo la tesi di J . J . Bachofen, incarna la 'Madre189

natura ’ ,26 che disfa di notte quanto ha tessuto di giorno, e lavora dunque invano per l’eternità. Proprio come l’uc­ cello dell’acquitrino pullulante di vita, questa donna è an­ cora prigioniera del cieco ciclo della nascita e della morte. La parte superiore del suo corpo e la sua testa sono rin­ chiuse in una spessa corolla vegetale che le impedisce di vedere. Nella sua cecità, ella dà la vita e facilita la morte. Porge l ’estremo conforto al moribondo, prima di consa­ crarsi, alla prossima rivoluzione della ruota, a una nuova nascita. La donna sulla destra ha superato questo stato di cieca servitù nei confronti della Natura, l’ha trasformata in ob­ bedienza lucida e chiaroveggente. Questa donna è anch’essa prigioniera di una corolla, tuttavia il suo viso ci guarda attraverso un’apertura nel bozzolo che le avviluppa il busto. Certo, anche su di lei grava la sorte della donna: una zucca uterina imprigiona le sue ginocchia. Ma, contrariamente alla donna dell’anatra, ella è riuscita a tenersi ritta sulle mani: ha realizzato la verticale. Il ciclo della nascita e della morte è infranto da questo asse spirituale che raffigura lo sforzo intenso, il desiderio costante di conseguire la 'vita eterna’. È per questo motivo che ella porta, in segno di vit­ toria, una mora sulle piante dei piedi orientati verso il cielo; è il dolce frutto dell’albero del baco da seta, nel cui bozzolo si nasconde ancora il suo corpo. È il simbolo sottile della speranza di resurrezione della futura farfalla.

La Resurrezione.

Queste due dpnne, incarnazione del 'Destino’ e della ‘Madre-natura’, sono il punto d ’inizio dell’asse deìValdilà\ un simbolo enigmatico e, di primo acchito, mistificatore, ce lo conferma: Bosch, infatti, ha aggiunto un misterioso braccio alle braccia che sostengono queste donne. L ’osser­ vatore, a prima vista, crede che il quarto braccio appartenga 26 Johann Jakob Bachofen, Versuch über die Gräbersymbolik der Alten, c i t ., p . 360.

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a una di esse, finché non si accorge che esso attraversa in realtà la parete dell’urna funeraria e appartiene di conse­ guenza a un essere nascosto all’interno dell’urna. Questo insieme di braccia indica che ci troviamo dinanzi a un nodo dottrinale essenziale e complesso. La ghirlanda di discepoli che circonda questa scuola dell’ 'ars moriendi’ non fa che confermarcelo. Il braccio che esce dall’ananas-sarcofago significa che il vuoto apparente, il presunto nulla della morte è, in realtà, compenetrato di energia vivente. La mano si stende a toc­ care un enorme eglefino, i cui fianchi recano miriadi di uova, ulteriore testimonianza del trionfo della vita e delle energie di procreazione. A questo significato naturalisticosessuale, occorre aggiungerne un altro, più profondo. Il pesce, si sa, è un simbolo sacro: è l’IC H T H Y S cristiano, abbreviazione della formula di benedizione ‘Jesous CHristos THeon Yios Soter’ (Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore). Dall’avvento del cristianesimo in poi, il pesce è il sim­ bolo esoterico della Salvezza, che manifesta la fede nella Resurrezione. Il pannello centrale è così imperniato su due simboli, l ’uno cristiano, l’altro pitagorico, di Resurrezione. Questa doppia radice ci dà la misura dell’audacia e della ‘radicalità’ del panteismo libero-spirituale, che attraversa sinuosamente tutto il quadro, nel costante sentimento di fiducia nell’al­ dilà. Questa fede è il coronamento della dottrina, e i suoi simboli testimoniano la sintesi armoniosa delle speranze di Salvezza cristiane e orfiche. Il primo emblema di questa fede è, l’abbiamo visto, la farfalla posata sul cardo: conduttrice d ’anime, essa appare accanto all’adolescente malato nel momento della morte. Poi, sempre sull’asse centrale, troviamo i due simboli mag­ giori della cavalcata trionfale: l’uovo e il pesce. Nell’uovo sonnecchia l’uccello, e la sua futura tensione a spiccare il volo verso l’alto; il pesce viene elevato a ‘ Ichthys’. La ‘can­ dela’ pitagorica collega il globo cosmico, basamento della Fontana della Vita, all’asse centrale. Siamo in presenza di una nuova sublimazione spirituale: la ‘candela’ della metà inferiore del dipinto era ancora imperfetta, le resistenze della materia terrestre l’appesantivano e le impedivano di 191

conseguire la verticalità assoluta. Ma la 'candela’ situata sul globo cosmico è libera da ogni viluppo materiale e di­ venta manifestazione della pura libertà dell’anima. L ’asse centrale passa, in seguito, attraverso il dedalo di storte alchemiche situate tra le due falci di luna. Questi simboli lunari indicano che al di là dello zenit terrestre comincia un mondo superiore: la sfera della luna, ove gra­ vità e materia terrestre sono sublimate fino alla diafanità, e trasmutate in pura spiritualità. Questa concezione della luna si trova in una dottrina che Plutarco fa "risalire all’era primitiva di Saturno. Bachofen, nella sua Teologia orfica, ha consacrato uno studio dettagliato a questo scritto di Plu­ tarco intitolato Libellus de facie quae in orbe lunae apparet] eccone i punti principali: « Alla fine dell’antichità, l’antropologia considerava l’uo­ mo un composto di tre essenze: il corpo {soma), l’anima (psyche ) e lo spirito (nous). Queste tre essenze corrispon­ dono ai regni della terra, della luna e del sole. Ad ogni atto di generazione, il sole semina lo spirito nel Cosmo; la luna concepisce lo spirito e genera l’anima; la terra fornisce al­ l ’anima la materia del corpo. L ’anima e la luna sono dunque potenze della stessa natura: esse servono da mediatrici tra le sfere superiori e quelle inferiori, e sono una mescolanza delle due. Nella loro qualità di tramite, assicurano l’unità e l’armonia dell’universo, del Tutto ».” Quest’antropologia elementare diviene profonda sapien­ za esoterica quando attribuisce alla luna, nel momento della morte dell’uomo, la funzione di dissoluzione, di sepa­ razione. Dopo la morte, il corpo ritorna alla terra; l’anima e lo spirito risalgono alla luna, ove passano entrambi attra­ verso un purgatorio. L ’uomo virtuoso, dopo un breve sog­ giorno, muore una seconda volta, di una morte lunare-, l’uomo vizioso, al contrario, è sottoposto a una lunga espia­ zione e penitenza. Dopo questa seconda morte, lo spirito, definitivamente purificato, fa ritorno al sole.

27 Johann Jakob Bachofen, Die Unsterblichkeilslehre der orphischen Theologie auf den Grabdenkmälern des Altertums, cit.

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L ’Ascensione.

Le ascensioni che popolano la parte superiore del pan­ nello mostrano il ritorno delle creature spiritualizzate verso il sole. Quattro gruppi si librano nell’etere azzurrino. A si­ nistra notiamo un genio in groppa a un grifone che ha tra gli artigli una tartaruga. Animale ctonio per eccellenza, la tartaruga è strappata alle regioni acquitrinose da lei abitate e sollevata in aria dall’aquila-leone solare. Questa scena traduce, letteralmente, lMelevarsi’ ( Aufhebung) della crea­ tura terrestre dalla sua soggezione alla maternità, alla vita istintiva ed elementare. Quanto all’aquila-leone, che qui raffigura il principio generatore maschile, essa è condotta in alto da un genio. Questo gruppo simboleggia così la sop­ pressione della bipartizione dei sessi: nell’etere, essi si risol­ vono nell’unità originaria. Con le mani levate, il genio brandisce un Albero della Vita con tre mani: in altri termi­ ni, egli ha sradicato dal suo terreno sublunare l’albero-madre delle nascite terrestri. Lo riconduce nel regno della vita eterna insieme alla morte, ugualmente liberata dal suo compito: l’uccello di morte, infatti, è appollaiato sul tronco dell’albero, ma il suo piumaggio è divenuto rosso vivo. Lievemente più a destra si libra un pesce alato, montato da un cavaliere-delfino; questi è raffigurato in un atteggia­ mento che ricorda quello del 'serpente che si morde la coda', simbolo tradizionale d ’eternità. Sull’estrema destra un adolescente alato, un genio, tiene fra le mani un pesce e porta sulla schiena un falcone. Sono simboli della 'scala mystica’, che comprende tutti i gradi della Creazione, dal più basso al più alto, in una costante ascensione spirituale verso il regno astrale: il pesce e l ’uccello (vale a dire, i regni del mare e dell’aria) ritornano al loro luogo di ori­ gine, ascendono verso l’etere. Nel giorno del Giudizio, anche il globo terracqueo sarà elevato al cielo, innalzato al fulgore dell’etere. Infatti ve­ diamo un secondo adolescente sostenere sopra la testa, con un’espressione di felicità estatica, il globo sacro, modello ridotto del globo solare. La superficie levigata e convessa del globo riflette l’immagine del suo viso. Assorto nella contemplazione della sua immagine solare idealizzata, l’ado­ 193 n

lescente sta vivendo quella nuova trasmutazione mistica in cui l’immagine riflessa nello specchio e il viso (l’immagine e il suo modello divino) si fondono l ’una nell’altro, por­ tando a compimento la fase ultima del ritorno delle crea­ ture mortali in seno alla Creazione. I neoplatonici Plotino e Proclo consideravano lo spec­ chio come il simbolo dell’etere luminoso e diafano nel quale Dio contemplò il proprio essere per foggiare a sua immagine le forme della Creazione. Nei riti di alcuni mi­ steri, l’epopta utilizzava lo ‘specchio di Dioniso’ per con­ seguire la conoscenza suprema di sé: vi contemplava la sua forma originaria, come Dio stesso riconosceva la pro­ pria nel fulgore dell’etere. Ma nello specchio solare del­ l’adolescente astrale è ugualmente necessario ravvisare lo ‘ specchio-logos’ paolino: eros e agape si scambiano i ruoli e perfezionano il sincretismo dottrinale. Questo passo della Prima Lettera ai Corinti (xm, 12 , 13 ) è contraddistinto dal suggello esoterico orfico ed esprime, compendiandola, l’idea essenziale, fondamentale, della pala: « Noi ora vediamo, infatti, come attraverso uno specchio, in modo non chiaro; allora invece vedremo direttamente in Dio; ora conosco solo in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente nello stesso modo in cui io fui conosciuto. Adesso, dunque, rimangono queste tre virtù: la fede, la speranza e l’amore; ma la più eccellente di tutte è l’amore ». I più piccoli dettagli del pannello sono intimamente con­ nessi tra loro e, nel segno di questa professione di fede paolina, l’ ‘alto’ e il ‘basso’ si fondono. Nel pannello riap­ pare incessantemente il gesto rituale della mano che ci aveva già colpito in colei che conduce il gruppo in primo piano: una tripartizione della mano destra, con il pollice e il mignolo distanziati e le dita mediane strettamente riu­ nite. La regina del Paradiso faceva tale gesto per benedire il moribondo: si trattava quindi del segno runico della morte. In tutti gli altri casi, questo gesto rappresenta il segno sacro della vita. Bisogna in egual modo leggervi un simbolo della Trinità: il pollice rappresenta Dio Padre; il mignolo, il Fi­ glio; le tre dita mediane appaiate la Trinità stessa, compresa e realizzata nello Spirito Santo. Questa Trinità 'centrale’ va interpretata secondo le parole paoline: l’indice raffigura

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la fede; l’anulare, la speranza; il medio, l ’amore, la più alta delle tre virtù teologali. Questo gesto della mano era il segno segreto di riconoscimento dei discepoli del Libero Spirito. Il motivo situato all’estremità superiore del pannello, e che lo corona, proclama la legge suprema dell’amore. È il simbolo del Cristo rivelato, che attira a sé gli sguardi come il supremo magnete. Posto al di sopra dell’adolescente dello specchio, esso costituisce l’apice solenne dell’intero dipinto: è l’onnipotente 'Ichthys' che, ritratto di profilo, si libra nell’etere, solitario e maestoso come una stella. La complessità labirintica del pannello si chiarisce non appena se ne colga dalPinterno l’idea direttrice, e rivela allora un ordine rigoroso. La strutturazione del pannello in tre zone orizzontali corrisponde all’ascensione in tre tappe di ogni creatura. L ’essere si eleva inizialmente dal corpo all ’anima, poi dall’anima allo spirito. La donna, grembo materno della Creazione, incarnazione della materia, regna sovrana in primo piano. Il piano mediano è dominato dalla forza genitrice, maschile, dell’anima. Nella terza e ultima zona infine, i sessi, sino ad ora divisi, si fondono nell’unità e nella perfezione ermafrodita del genio. Una geometria invisibile regge questa composizione tri­ partita; rinunciando al contributo di una qualsiasi indica­ zione ottica, essa manifesta con audacia la spiritualità della concezione pittorica di Bosch. I due triangoli equilateri in­ visibili costituiscono in effetti l’intelaiatura del pannello; si combinano al movimento ascendente dell’asse centrale e sono le 'chiavi pitagoriche’ della pala, che ci permettono di penetrarne pienamente il significato. Triangoli e asse cardinale esprimono il divenire dell’essere, il suo compi­ mento e la sua dissoluzione finale nell’al di là etereo della vita. Il movimento che struttura tutto il pannello, ad un tem­ po discendente verso la morte e ascendente verso il mondo ultraterreno, corrisponde esattamente all’idea direttrice del­ l’anta dell’Eden. Nell’Eden, come abbiamo visto, l ’ibis tricefalo, incarnazione della morte, è il trampolino della vita e della sua evoluzione; analogamente, nel Regno mil­ lenario, la tomba aperta è la vera soglia della vita, manife­ ‘ 1 95

stata nei due casi dallo scintillìo della Fontana paradisiaca. Nell’Eden, come nel Regno millenario, il Cristo compare al centro come il 'mediatore', l’asse che collega morte e beatitudine. Nell’Eden, il 'Figlio dell’uomo’ compare di per­ sona, con i tratti del Creatore. Nel Regno millenario, il ‘ Salvatore’ si manifesta spiritualmente mediante la presenza dei simboli d ’immortalità del pesce e della farfalla. La pro­ fessione di fede inscritta, invisibile, nei triangoli di vita e di morte, si fonda su questo passaggio della Lettera ai Roma­ ni: « Perché se noi viviamo, viviamo per il Signore; se noi moriamo, moriamo per il Signore. Dunque, sia che si viva sia che si muoia, apparteniamo al Signore » (Romani xiv, 8).

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C o n clu sio n i

La caverna di Pitagora.

Per completare l’analisi di questo pannello, ci resta da considerare un ultimo motivo. Esso è così nascosto, sulla destra, in primissimo piano, che nessuno finora l’ha mai notato. Dato l’esoterismo del dipinto, questa dissimula­ zione deve essere stata voluta: essa è come il sigillo ultimo apposto sul 'mistero’ per ritardarne la rivelazione. Più il tesoro è nascosto, più esso è prezioso: più la chiave è gelo­ samente custodita, più lo sguardo nella camera chiusa è rivelatore. Di fronte a noi, qualcosa di ben misterioso: una caverna sbarrata da cristalli. A sinistra, simile a un pilastro, una maestosa candela: la luce vitale, decorata da rami di sem­ preverde: una rappresentazione analoga al vicino fallo. In­ fatti essa si arcua, nella parte superiore, a formare un ovale di cristallo. A ll’interno dell’uovo, al centro di un’autentica pioggia di perle di semenza, una cornacchia. Appollaiata sul bordo dell’uovo, una seconda cornacchia versa da una minuscola fiala che tiene nel becco un liquido scintillante nell’ovaia: nel linguaggio metaforico di Bosch, ciò significa la consumazione di ‘nozze alchemiche'. Una lastra convessa di cristallo vieta l’accesso alla ca­ verna. Questo portale, tuttavia, è inclinato verso destra per permettere che lo sguardo penetri all’interno della grotta 197

rocciosa. Distesa sulla soglia, c’è una giovane nuda; la sua testa bionda e riccioluta è appoggiata sulla mano sinistra, e i tratti del suo volto esprimono attesa. La mela che tiene nella mano destra rivela in lei la nuova Èva; un secondo attributo, molto curioso, indica che è anche una sibilla-, le sue labbra sono sigillate. Ella è depositaria di un sapere segreto. Il pannello di cristallo posto di fronte al suo corpo è decorato in modo bizzarro con cinque cerchi dal centro nettamente marcato: essi non decorano soltanto il pannello, ma anche, per la trasparenza del cristallo, il corpo della sibilla. Ella dunque è in un preciso rapporto di simpatia con il cristallo. Quattro di questi cerchi sono situati in punti arteriali di importanza vitale: sul polso della mano destra, sulle arterie dei due gomiti e sull’arteria del collo. Il quinto cerchio infine si sovrappone al seno sinistro. Noi sappiamo dal gesto del Creatore che nell’Eden teneva Èva per il polso, e anche dagli altri due esempi del pannello centrale, come le congregazioni del Libero Spirito venerassero il mistero del sangue. È questo un tratto tipicamente pitago­ rico. Per i fratelli del Libero Spirito, come è testimoniato da Cantor, la tradizione antica del medico-sacerdote, questo ideale di un essere che si prende cura nello stesso tempo delle necessità fisiche e di quelle spirituali, era ancora ben viva. Al di sopra della sibilla adamita, che malgrado le labbra sigillate ci ha fatto comprendere tante cose, si staglia un’af­ fascinante figura. Tra gli innumerevoli personaggi nudi del pannello, quest’uomo è l’unico ad essere vestito, e lo è addirittura fino al collo, con evidente severità. In tutto il pannello troviamo esseri ideali, impersonali, teste bionde impassibili e anime estatiche, tutte rassomigliantesi. Qui, invece, compare improvvisamente un’individualità cosciente di sé. Pare che da questo recesso scaturisca una nuova visione dell’uomo. Una capigliatura scura, dai contorni netti, distingue que­ sta testa da tutte le altre: la fronte è alta, e l’attaccatura dei capelli è ad angolo acuto in mezzo alla fronte, così da formare una ‘M ’ nella quale sembra condensata tutta l’ener­ gia maschile. Gli occhi, nerissimi, sprigionano uno sguardo 198

penetrante, irresistibile e dominatore. Il naso, audacemente arcuato, è insolitamente lungo. La bocca è larga e sensuale, ma le labbra, strettamente chiuse, sono disegnate dritte e le loro fenditure si presentano come due punti, ciò che ac­ centua ancor di più l’impressione di dominio e di volontà suggerita dagli occhi. Un viso affascinante, che richiama alla mente certi celebri ritratti, in particolare quello di Ma­ chiavelli. La fisionomia, peraltro, ha qualcosa di latino. Questo contegno di franca e intelligente imperiosità po­ trebbe essere stato appreso nelle accademie italiane. Quest’uomo enigmatico punta l’indice della mano destra verso la nuova Èva, come per attirare la nostra attenzione su di un fatto importante. Dietro di lui, a sinistra, alla stessa altezza della cornacchia nella gabbia di cristallo, c’è un’altra testa: un energico viso di donna, di una bellezza sensuale, dagli occhi profondi e neri, incorniciato da riccioli color dell’ebano. La donna tiene la testa appoggiata a quella del suo compagno, e questo gesto evidenzia la loro inti­ mità. Se il volto dell’uomo ha un vago aspetto mediterra­ neo, quello della donna è senz’altro esotico: i suoi linea­ menti sono rotondeggianti, e gli occhi ci fissano, umidi, brillanti e tranquilli. La porta di cristallo è scivolata fuori dai cardini soltanto per permettere l’apparizione della cop­ pia. Questi due esseri si appartengono vicendevolmente come marito e moglie, perché in questo istante la donna congiunge il suo ‘mondo interiore', l’ovaia cristallina, alla luce vitale dell’uomo, la candela. La scena suggerisce una costatazione fondamentale: que­ st’opera pittorica del tutto inedita, in cui si riuniscono le creature dell’intero universo per cantare lodi cosi celestiali che mai nessun re né regina potè ascoltarne di simili il giorno del suo matrimonio, è la trasfigurazione di una ce­ rimonia nuziale. Più noi penetriamo la ricchezza simbolica della pala, più siamo portati a chiederci che cosa potesse rappresentare con esattezza questa coppia quasi divina. È manifesto che essa mirava a concentrare in sé un significato cosmico, che in effetti ha saputo conseguire in virtù della propria perfezione spirituale e di quella altrui. In questo ‘hymenaeus’ si manifesta un’autoconsapevolezza che si eleva al di là delle frontiere dell’umano. Essa è

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paragonabile solo alla megalomania dei tre maestri del Li­ bero Spirito, Aegidius Cantor, David Joris e Heinrich Niclaes, che, com’è noto, si autodeificarono. La dottrina delle tre età cosmiche, magnificata nel dipinto, ha già consentito a questi tre maestri della setta di glorificarsi oltre ogni limite, ma la coscienza teurgica di onnipotenza di quest’uo­ mo dai capelli neri è di natura differente: essa si fonda più su concezioni neopitagoriche che su idee cristiane. Essa trae origine dall’enunciato catechistico tramandatoci da A ri­ stotele: « Esistono tre categorie di esseri dotati di ragione: Dio, l’uomo e gli esseri come Pitagora ». A questa terza categoria appartengono i ‘mediatori’ o ‘maestri’, al cui ran­ go divino questo misterioso sconosciuto si è palesemente elevato. Solo un uomo creatore, nel senso più pieno del termine, consapevole di essere investito delle potenze del Cosmo, avrebbe potuto concepire una tale esaltazione di sé. Questo risolve la questione dell’identità della coppia rappresen­ tata: solamente due persone possono essere servite da mo­ dello: il pittore, o l ’ispiratore del trittico. La prima di queste possibilità (Bosch) è da escludere. Benché il ritratto sia collocato nel punto in cui i pittori, abitualmente, appon­ gono la loro firma, dobbiamo scartare l ’ipotesi di una ‘firma-ritratto’: fra i ritratti e gli autoritratti conosciuti di Bosch e quest’uomo dai capelli neri non si riscontra la benché minima somiglianza. Si tratta dunque del ritratto di colui che commissionò e ispirò l ’opera, il Gran Maestro del Libero Spirito: egli ci attende, con uno sguardo penetrante e scrutatore, sulla soglia del suo mondo paradisiaco. Solo il Maestro supremo avrebbe potuto svelare il mistero della setta, rivelare non soltanto il suo ideale erotico, ma l ’intero edificio della dottrina. Il dipinto esordisce con ’ 'attimo pregnante’ del terzo mattino della Creazione e dischiude sotto i nostri occhi le tre età dell’universo intero, quelle del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. In questo divenire, l ’universo si scinde in due mondi antagonistici: l ’uno, dell’unione con Dio; l ’altro, della separazione da Dio. Il cammino dell’unità (della Salvezza) passa attraverso la ‘provincia pedagogica* e

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il mistero erotico della ‘cavalcata trionfale attorno al Ba­ cino della vita’. All’alienazione conduce invece il cammino del giudizio, che svela le deviazioni sacrileghe dell’umanità. I due dipinti paradisiaci si fondono l’uno nell’altro, poiché la loro unità è resa possibile dall ’eros cosmogonico; la dot­ trina della ‘ Redenzione universale' che, come è noto, pro­ mette alle anime, anche a quelle più dannate, il ritorno al Paradiso, costituisce il legame fra il Regno millenario e l’Inferno. La tematica del dipinto ha un respiro cosmico, univer­ salistico: valida per l’umanità intera, essa è concepita come un’unica vasta comunità. La 'cavalcata trionfale' non è una processione nuziale riservata al Gran Maestro: è propria dell’intera umanità. La celebrazione delle nozze del Gran Maestro ispirò certo il trittico, ma non ne costituì affatto lo scopo predominante, che è l’apoteosi dell ’ethos comuni­ tario del Libero Spirito. Esistono ulteriori prove del fatto che il Gran Maestro della congregazione sia stato l’ispiratore del trittico. Ab­ biamo incontrato in un altro contesto quel viso dai linea­ menti spigolosi, dallo sguardo penetrante e inquietante: è infatti quello del Mostro. L ’'essere maligno' restò per noi un enigma fino al momento in cui nel suo sguardo non rico­ noscemmo lo sguardo retrospettivo del 'figliol prodigo’ : penetrammo allora il senso della perdizione metafisica del­ l ’anima morta e ravvisammo in lui la definizione pitagorica dell’Ego. Questo disvelamento dell’io acquista ora il più inquietante valore autobiografico. Nei due casi l’io è lo stesso. I tratti sono identici, all’infuori di un’unica importante differenza: il volto dell’ego infernale, adoratore del mondo e delle sue vanità, è incor­ niciato da lunghi capelli dai riccioli scompigliati; l’io pa­ radisiaco, come segno dell’avvenuta conversione, porta i capelli corti, e il loro taglio sottolinea la severità della di­ sciplina esercitata dalla volontà. Il Gran Maestro ha dunque fatto del proprio volto il punto focale di concentrazione dell’Inferno. Questo parti­ colare chiarisce in modo rivelatore la dottrina libero-spirituale del peccato e della purificazione. Così facendo il Gran Maestro intendeva proclamare in tono solenne di fronte a

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tutti i credenti: « Io sono passato attraverso tutto questo, e tutto questo è passato attraverso di me. È solo immergen­ domi fino alla fonte del peccato originale, solo riconoscen­ dovi ‘le profondità di Satana' (Apocalisse n, 24) che sono riu­ scito a estirparlo da me, e a far questo in egual misura per voi. Con il ‘castigo della vita’ che mi è stato imposto quale punizione del mio egoismo, sono divenuto puro; e con la mia mediazione, voi tutti potrete ritrovare la purezza dello stato originale ». Nel rituale libero-spirituale, l’assoluzione dal peccato originale di Adamo era espressamente legata a una confessione preliminare, pubblica e completa, di tutti i peccati. Il Gran Maestro, facendo per primo questa confes­ sione pubblica, dava l’esempio a tutti i novizi che attende­ vano l’iniziazione. Egli indica ad un tempo le due vie della conversione. T utt’e due partono da lui, vale a dire da questa imperativa questione di coscienza, che ciascuno è tenuto a porsi di fronte all’Albero cosmico tarlato, di fronte all’Uovo co­ smico forato e al Mare cosmico ghiacciato: A cosa era desti­ nato? Che hai fatto di te? La prima risposta prescritta affonda le radici nel cuore stesso della Creazione; la seconda nel cuore di ogni uomo. Come pegni dell’armonia — il più alto destino del cosmo - si ergono nell’Inferno i solenni strumenti musicali, profanati dalla vana follia dell’uomo, senza che nulla perdano, tuttavia, del potere catartico ine­ rente alle loro leggi, che si basano sul numero. Accanto, sulla destra, la versione infernale di Èva incarna la più profonda lontananza umana dall’iniziale progetto di Dio. L ’idea di suggellare il giorno delle nozze paradisiache e il giorno delle nozze infernali di Èva con la ripetizione del medesimo atteggiamento del corpo, ci consente di misurare la vertiginosa ampiezza della Caduta: la donna lascia di sua propria volontà il fidanzato regale e divino, scelto dal Crea­ tore medesimo, per un mostruoso servitore di Satana! La seconda rivelazione autobiografica del Gran Maestro è ancora più sorprendente: egli afferma esplicitamente di aver presenziato al primo giorno della Creazione dell’uomo! Se si è immerso negli abissi dell’Inferno, egli si è anche elevato fino al Paradiso nelle vesti di una cornacchia, l’uc­ cello che feconda l’ovaia nel momento delle sue nozze. 202

In effetti, questo stesso uccello bianco e nero si trova ai piedi di Adamo; posto di profilo, esso guarda verso destra perché il tertium comparationis sia ben chiaro: egli ha colto, contemporaneamente ad Adamo, l’immagine di Èva nella sua purezza originaria. La facoltà di mediazione del Gran Maestro si fonda su questa autoproiezione visionaria, sia in Paradiso che nel­ l’Inferno: essa gli dà le chiavi dei due mondi, quello supe­ riore e quello inferiore. Per l’ispiratore del quadro, la cor­ nacchia è quindi un simbolo centrale. Egli l’ha posta e sulla soglia dell’Eden e all’entrata della caverna di cristallo che cela il segreto della sua stessa vita. In un poema epico medievale compare un uccello simile, dal piumaggio color del giorno e della notte: si tratta del Parzival di Wolfram von Eschenbach, nel quale appare, già nell’introduzione, una misteriosa gazza, uccello araldico del primo bastione che conduce a Monsalvaesch. Questi due uccelli, la gazza e la cornacchia, che in en­ trambe le opere compaiono in luoghi di primaria impor­ tanza, hanno un’analoga funzione simbolica. Essi sono il simbolo della lotta dell’anima. I colori bianco e nero del loro piumaggio esprimono l’antagonismo delle forze cosmi­ che, morali e metafisiche: forze del giorno e della notte, del bene e del male, del Paradiso e dell’Inferno. Gazza e cornacchia esortano lo spettatore a riconciliare per mezzo della ragione le forze luminose e le forze oscure del nostro essere. Per il Gran Maestro, la metafora dell’uccello conferisce, inoltre, un significato profondo al ‘conosci te stesso’ che essa sottintende: questo simbolo è la manifestazione di quella memoria originaria che consentiva a Empedocle, secondo la leggenda neopitagorica, di ricordarsi delle sue precedenti esistenze come ragazzo, ragazza, uccello, cespu­ glio e pesce, o a Pitagora di rammentarsi delle sue passate incarnazioni. Era questa memoria che permetteva al Gran Maestro di riconoscere nella cornacchia l’uccello della sua anima, il suo animale genealogico mitico; egli era la cor­ nacchia, esattamente come il bororo brasiliano, per esem­ pio, s’identifica con il pappagallo rosso, il suo uccello tote­ mico. La cornacchia compare in tutti i quadri che egli ha

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ispirato come compagna e araldo del suo destino; questo simbolo ci permette di ripercorrere in tutte le sue tappe il calvario di questo strano uomo. Lui, l’utopista chiliastico, che viveva in un mondo immaginario, ideale, il cui pensiero ruotava senza posa attorno ai due poli della preesistenza e della reincarnazione, credeva ancora in un albero genea­ logico dell’anima. Ciò rendeva possibile tutte le metamor­ fosi, i ritorni all’indietro, le ramificazioni e le glorificazioni ideali dell’io. Questo simbolo dell’io appare per la prima volta nel­ l’Eden, ove è situato in un punto molto in vista, davanti all’uomo appena creato, conferendo al termine 'davanti' un significato sia temporale che spaziale. La cornacchia, nata anch’essa dallo stagno originario delle metamorfosi zoofitiche (nella forma di uccello-pesce), incarna una delle passate esistenze del Gran Maestro, che, nel primo giorno della creazione dell’Uomo, aveva dunque già conseguito un alto grado di sviluppo. Anche i due animali vicini apparten­ gono già a una specie definita e duratura: la beccaccia, attri­ buto di Èva, e la pantera, attributo di Adamo. La scienza esoterica che il quadro rivela è di una tale profondità che viene da chiedersi dove e come un uomo, alla fine del Medioevo, abbia potuto acquisirla; quali uni­ versità o accademie insegnavano una simile antropogonia? Soltanto in Italia, nella Firenze neoplatonica di Marsilio Ficino, di Pico della Mirandola e di Cristoforo Landino fioriva un analogo sincretismo, in cui si fondevano la dot­ trina cristiana della Salvezza, la filosofia greca della Natura, il profondo simbolismo dei Misteri ellenistici e gnostici, e le pratiche di magia e di terapeutica teurgica. A Firenze veniva professata soprattutto una teosofia de­ rivante dalla 'scala mystica' di Plotino, nella quale tutte le forme della Creazione si collocavano in una progressiva rea­ lizzazione della perfezione, rappresentando l’uomo il sommo dell’elevazione. Secondo questa dottrina, il rigido mondo delle forme inorganiche precede, come tappa indispensa­ bile, il mondo organico; il regno vegetale è la forma prima del mondo animale e quest’ultimo, a sua volta, è la condi­ zione d ’esistenza dell’uomo. L ’uomo, in quanto creatura perfetta, è il coronamento di tutte le tappe che lo prece­ 204

dono; egli le conduce, in qualità di mediatore della Crea­ zione, al sistema superiore di un mondo astrale interamente rivolto verso Dio. A grandi linee, questo sistema è già presente in Scoto Eriugena; i fiorentini, basandosi su una conoscenza più approfondita della Natura, lo svilupparono nel senso di un vitalismo evoluzionistico. Ecco, per esempio, un passag­ gio tratto dall’Heptaplus di Pico della Mirandola, in cui si ritrova l’idea direttrice della pala di Bosch: quella del­ l’ascensione delle creature, a partire dallo stato zoofitico, fino all’etere, al regno della deificazione: « A ll’interno del mondo degli elementi troviamo, oltre alla materia prima, nove sfere di forme transitorie. Tre di esse sono inanimate: sono le sfere degli elementi e delle loro combinazioni. Incontriamo poi le tre sfere della na­ tura vegetale, vale a dire i regni delle erbe, delle piante da frutto e degli alberi. Infine, le tre sfere della vita sensi­ bile: la più bassa e la meno perfetta è quella della specie degli zoofiti; viene quindi quella intermedia delle creature che non si sono elevate al pensiero razionale; la terza sfera abbraccia il mondo animale superiore, in cui si incontrano già certi rudimenti dello spirito umano. Accanto a questi, esiste poi un quarto mondo, che com­ prende tutto ciò che esiste negli altri tre: l’uomo [...] Egli si erge al centro della Creazione. Il suo corpo è composto di elementi terrestri, ma il suo spirito è di natura celeste. Egli ha in comune con le piante la vita vegetativa; con gli animali, il senso; con gli angeli, la ragione; è considerato un’immagine di Dio ». Soltanto nel quadro di questa ‘scala mystica’ le peculiari metamorfosi di Bosch, le sue pietre che si innalzano come piante, le sue piante quasi animali e i suoi uomini eterei e alati come geni, acquistano tutto il loro valore di funzioni magiche. Solo questa filosofia della Natura, contemporanea alla composizione del dipinto, spiega il senso degli ibridi che emergono dallo stagno originario, e in particolare del­ l’ibrido tripartito che tiene in mano il libro. Infine, solo la scala neoplatonica può farci considerare un uccello come la forma anteriore di un uomo. Il simbolo è ancora più profondo in quanto si tratta della cornacchia, alla quale la 205

credenza popolare attribuiva, insieme al corvo, un’età secolare. Orazio la definisce « annosa », « vetula »; Cicerone scrive: « natura cornicibus vitam diuturnam dedit ». E Matthias Claudius, parlando della luna, dice che essa è « vecchia come un corvo », suggerendo che il corvo, addi­ rittura più vecchio della luna, è veramente una creatura della notte originaria. Il piumaggio bianco e nero della cornacchia, per converso, è l’espressione simbolica, il rifles­ so dell’ora della Creazione: della « separazione della luna dalle tenebre ». Questa fonte culturale ci sembra confermata dai tratti latini dello sconosciuto e dalla sua dimora: la caverna cir­ condata da cristalli. Gustav F. Hartlaub, nei suoi appassio­ nati studi sulla mistica rinascimentale (in particolare nel suo Giorgiones Geheimrtis),a cita numerosi esempi di ana­ loghe grotte. I sodalizi neoplatonici erano fortemente at­ tratti dalle caverne come luoghi di meditazione: essi le con­ sideravano accessi alle profondità saturnine della terra, ove si nasconde il 'seme di tutte le cose’. È possibile verificare ancor più a fondo l’origine di que­ sta epifania semisotterranea nella storia delle religioni. Pen­ siamo, ad esempio, al pitagorico Zamolxis, che trascorse tre anni nell’oscurità di una caverna. Quando ne uscì, annunciò ai traci il mistero del superamento della morte, come una verità da lui stesso sperimentata. U n’altra analogia sussiste con la rigogliosa e fiorita caverna che Zoroastro consacrò al creatore Mitra, come simbolo del grembo cosmico. R i­ cordiamo infine la caverna in cui Mani scomparve per un anno, per incidervi la tavola di Ertenki e Mani. Anche il Regno millenario del Gran Maestro adamita vuole essere, come la tavola di Ertenki e Mani, frutto dell’elevazione progressiva attuata attraverso il proprio viaggio nell’Infer­ no e la meditazione nella caverna. La sua area centrale non è che una caverna scoperchiata: il mistero del sotterraneo culto di Adamo, venuto alla luce del giorno.

28 Gustav F. Hartlaub, Giorgiones Geheimnis. Ein kunslgeschichtlicher Beitrag zur Myslik der Renaissance (Il segreto di Giorgione. Un contri­ buto della storia dell’arte alla mistica del Rinascimento), Monaco, 1925.

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Il Gran Maestro è penetrato con la sua sposa nella ca­ verna di Pitagora, nel grembo terrestre delle Madri eterne, divenuto trasparente nel mattino delle sue nozze; e sulla soglia è distesa Èva, sognante, perdonata. L ’indice del Gran Maestro è puntato verso la madre della specie umana per indicare ch’egli si è unito alla sua sposa mortale nel segno immortale di lei; sposandola, egli eleva la sua compagna al rango divino degli ‘esseri simili a Pitagora': di mediatore magico. Ed è per onorare questa mediazione che tutte le creature, a mezzogiorno, ruotano come le sfere attorno alla corona nuziale del Gran Maestro e della sua sposa.

Il Gran Maestro del Libero Spirito.

In questo Gran Maestro del Libero Spirito, finora total­ mente ignorato, scopriamo una delle più potenti personalità intellettuali ed artistiche del Medioevo olandese, senza dubbio degna di un Erasmo da Rotterdam, di un Johannes Secundus o di un Johannes Baptista van Helmont. Annun­ ciatore di un ideale umanistico di Riforma, è comparabile ad Erasmo, il più grande degli umanisti. Con Johannes Secundus, il nobile e raffinato edonista de L ’Aia, ha in comune l’audacia serena che gli permette di avvicinarsi alla fiamma di eros senza bruciarsi. Non sembra infine precor­ rere, in anticipo di quasi un secolo, il pensiero di van Helmont, il geniale discepolo di Paracelso, la cui dottrina attingerà alle stesse fonti neoplatoniche e mistiche, fon­ dandosi su basi empiriche e sperimentali? Per quel che concerne Bosch, la comparsa di questo sco­ nosciuto comporta il superamento di tutti i pregiudizi, di tutti gli errori che hanno sviato la comprensione della sua opera, e conferma la legittimità di un ricorso a nuovi criteri scientifici. Noi abbiamo visto, infatti, che i suoi più minuti motivi pittorici non sono fantasmi incontrollabili, ma sim­ boli didattici che ci rendono manifesta una rigorosa peda­ gogia, etica e sessuale. Si tratta inoltre di rappresentazioni che rispecchiano la filosofia della Natura del Rinascimento: portatrici quindi di contenuti nuovi e progressivi.

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Ma s ’impone un’altra conclusione, ancora più importante e rivoluzionaria: dietro questi dipinti si cela, con tutta evi­ denza, un autore sinora ignorato. Le immagini fantastiche di Bosch sono state sempre interpretate come prodotti onirici della sua arte, al punto che il suo nome veniva associato, quasi identificato, con il termine ‘grottesco’. Ma ora è neces­ sario concludere che queste rappresentazioni provenivano non dal pittore, ma da un mentore dai vastissimi orizzonti mentali e culturali, artefice di un progetto tanto ambizioso quanto articolato in ogni minimo particolare. La struttura interna del trittico non è frutto di un’inizia­ tiva 'pittorica', ma di un sistema intellettuale fondato su di una triplice base: teologica, filosofica e pedagogica. Que­ ste tre discipline si estrinsecano nella tavola in numerosi esempi e segni didattici, spaziando, nella materia, dalla Bibbia al mondo minerale, vegetale e animale, dalla musica al diritto, dal linguaggio dei proverbi ai gesti della vita quotidiana. Le indicazioni del Gran Maestro non si limitano alla semplice 'preparazione' del soggetto; la sua tutela è tale da implicare anche la supervisione di motivi specificamente pittorici del colore e della composizione. Il dipinto è una totalità simbolica, quindi le direttive valgono anche sui det­ tagli meramente formali. Così, il vestito del Demiurgo, la Fontana della Vita dovevano essere rosa, e Satana doveva essere blu sulfureo; per ragioni extrapittoriche, occorreva rappresentare la benedizione della prima coppia umana in un circuito necessariamente chiuso, simbolo di un rapporto orendistico. Ricordiamo la funzione essenziale degli assi mediani, nei due pannelli paradisiaci, e i triangoli equilateri - ascen­ dente e discendente - che determinano l’intera struttura del Regno millenario. L ’ispiratore del dipinto ha dovuto anche imporre la struttura generale dell’opera. L ’asse cen­ trale manca solo nell’Inferno. Forse Bosch ha goduto di una piena ‘autonomia artistica’ almeno nel suo dominio d ’elezione: gli inferi. Ma è proprio qui che siamo in grado di giudicare quanto sia stata decisiva l’influenza del mae­ stro. Se esaminiamo da vicino il pannello, ci accorgiamo, infatti, che la sistematica concentrazione dell’Eden si è 208

qui rovesciata in una dispersione non meno sistematica e simbolica. Tutto il pannello è costruito su di un sistema di movi­ menti a zig-zag, di linee spezzate che continuamente si in­ crociano, in cui dominano, al posto delle linee verticali stabilizzanti e unificatrici, le diagonali inquietanti e distrut­ trici. I gruppi umani sono significativamente distribuiti ai bordi del pannello, suggerendo l’immagine di una vita lace­ rata, isolata, fuggente. Ne deriva l ’oppressiva sensazione che tutto proceda per il verso sbagliato, alla rovescia, che tutto declini e vacilli nello smarrimento. Le forme individuali mirano a suggerire non la perfezione, l’armonia e l ’equili­ brio, ma la rottura, lo squilibrio e il deperimento. Regnano ovunque un vuoto abissale, profili maligni, trafiggimenti e cesure. Tutto fluttua, scivola e tracolla in un universo minaccioso. Questa disorganizzazione sistematica mette in evidenza una profonda capacità di penetrazione psicologica e critica della società e delle forze distruttrici che di questa si sono impadronite. Il mondo, pietrificato dall’odio e imputridito dall’egoismo, è preda della follia, e gli uomini, spinti alle frontiere dell’esistenza, sprofondano nel panico dell’autoannientamento. Solo chi avesse avuto ben ferma davanti agli occhi l’immagine ideale dell’armonia creativa rappre­ sentata dai sacri strumenti musicali, poteva descrivere così coerentemente la composizione deH’immagine infernale. Si tratta dello stesso uomo che vi aveva fatto ritrarre il pro­ prio volto saturnino. L ’influenza del maestro si esercita così anche sul do­ minio ritenuto da sempre il regno incontestato di Bosch, ‘faizeur des diables’. Anche gli amalgami alchemici scaturi­ scono dall’officina del Gran Maestro. L ’arpa-liuto, come abbiamo visto, illustra le parole della Genesi « E t erunt duo in carne una », e l’ibrido botanico, per metà ananas, per metà soffione, ne è un’altra raffigurazione. Nessun pit­ tore, riteniamo, sarebbe stato in grado di elaborare su que­ st’unico passo della Bibbia due immagini così diverse, di cui la prima si richiama al linguaggio segreto dell’alchimia, la seconda alla mistica dei numeri racchiusa nella teoria 209

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musicale neopitagorica. Un’esegesi biblica di tale erudizione presuppone un teologo. La funzione del pittore sembra ridursi a quella di un puro esecutore, al ruolo, secondario, dell’artigiano. Poiché que­ sta pala altamente 'spirituale' trae la propria forza dal pen­ siero che la informa, non sarebbe stato più logico consacrare tutte le nostre energie a mettere in luce la personalità del­ l ’ispiratore? Un tale procedimento è assurdo, poiché contraddice l’evi­ denza visuale. Il quadro, malgrado la tutela spirituale, presenta la più grande libertà pittorica. Nessun particolare della composizione pare essere stato dettato dalla costri­ zione o dall’artificio. Al contrario, tutto sembra sgorgare da una voluttuosa delizia creativa, con una pienezza, con un’abbondanza organica che fa pensare più alla spontaneità della foresta vergine che alla rigidità compassata di un giardino. Ma come può questa tutela intellettuale, di cui siamo costretti ad ammettere l’esistenza, essere compatibile con una così completa libertà? Tutela e libertà sono conciliabili solo se supponiamo fra il maestro e il suo discepolo un’intesa assoluta, un’ar­ monia tale da far sì che la comprensione reciproca e il senso comune delle responsabilità annullassero le differenze fra ordine e obbedienza, fra esigenza e adempimento. In un’in­ tesa di tale natura, le differenze non vengono più consi­ derate barriere, ma un incoraggiamento a creare un’opera autenticamente comune. Chi ha coscienza del proprio do­ vere raggiunge la vera libertà solo nell’autodisciplina e nell’obbedienza. Così la sottomissione incondizionata alle indicazioni del maestro ha fruttato a Bosch l’incommensu­ rabile ricompensa della preziosa e stimolante fiducia del Gran Maestro. Bosch deve avere scoperto un mondo quando il Gran Maestro gli espose il concetto latino fondamentale delVorbis, nel doppio senso di 'regno' e di 'orbita' o 'pu­ pilla' affascinante e magica, che occorreva situare all’inter­ sezione dei quattro assi. Il Gran Maestro non omise certo di spiegargli perché si dovesse porre Yorbis proprio in quel punto. Tutto ciò Bosch doveva trasfigurare in un mondo nuovo ed esemplare, quello dell’antica Roma e dei 210

misteri della fondazione delle città, così come li ha tra­ mandati Varrone. L 'orbis si concentrava neWurbis, che era situata nel punto d ’intersezione delle quattro direzioni car­ dinali, e si trasformava così in centro del mondo. Ma qual era il centro della città primitiva? Era il mundus: una grotta sotterranea che restava chiusa tutto l’anno, tranne che per tre giorni, e nella quale venivano gettate le primizie dei raccolti. Nel corso di queste festività con­ sacrate, secondo quanto dice Varrone, alle divinità dell’Ade, Plutone e Proserpina, le porte che conducevano a questi cupi dèi sotterranei venivano aperte, e le anime prigioniere salivano alla luce del giorno. Rivelando a Bosch tutti i significati profondi impliciti nelle sue rigorose istruzioni, il Gran Maestro doveva susci­ tare in lui il ‘thaumazein’, quel grande 'stupore' che è fonte di ogni attività creativa. Allora soltanto il pittore poteva comprendere appieno perché sull’asse centrale, a fianco della cornacchia, dovesse figurare il simbolo tricefalo della morte che si torce ai piedi del suo vincitore, come Satana sotto la lancia di san Michele vittorioso; perché l’antro della morte, dimora della civetta, dovesse trovarsi esatta­ mente al di sopra della testa di Cristo. Giacché qui si trova la risposta alla domanda: « O morte, dov’è il tuo pungi­ glione? O morte, dov’è la tua vittoria? » (Prima Lettera ai Co­ rinti xv, 55 ). I tre giorni durante i quali il mundus antico restava aperto, corrispondevano infatti a quei tre giorni che il Cristo ha vissuto nell’Inferno allo scopo di ricon­ durre in Paradiso la coppia originaria e le 'prime vittime’ della morte. « Muori e divieni »: questa sentenza costi­ tuisce l’asse spirituale della pala, e il mistero erotico del Regno millenario, concentrato sull’asse centrale, è anch’esso consacrato per intero a quest’idea fondamentale. Quest’esempio ci è sufficiente per immaginare l’intensa ed esaltante opera di iniziazione che il Gran Maestro compì nei confronti del suo adepto. Possiamo addirittura imma­ ginare le lunghe serate dedicate a quest’opera. Nessun pit­ tore occidentale ha mai vissuto un’esperienza iniziatica pari a quella di Bosch. Frutto di questo straordinario incontro fu l’elaborazione comune di una scrittura figurativa : si trattava di trasferire

i concetti fondamentali della ‘predica’ dal piano retorico a quello artistico e figurativo. Gli effetti che un abile predi­ catore sa utilizzare per rendere più penetranti le sue pa­ role, hanno già, in buona parte, un carattere ‘ illustrativo’. Charles Haddon Spurgeon, uno dei più eloquenti oratori del secolo scorso, intitolò infatti uno dei suoi manuali L ’arte dell’illustrazione.

Il problema delle metafore si poneva in termini al tem­ po stesso oratòri e plastici, sia che si trattasse di esempi tratti dalla vita quotidiana, sia che si trattasse di parabole bibliche. E in questo Bosch era maestro: nel dipinto dei Sette peccati capitali aveva realizzato un capolavoro nella rappresentazione di costume di scene tratte dalla vita quo­ tidiana. Ma non dimentichiamo che Bosch era anche un eccezionale narratore, abilissimo nel rendere i toni cordiali della fiaba. Sembra di sentire il Gran Maestro che narra la favola della predica rappresentata presso la roccia degli uccelli; sembra di udire il tono cordiale e suadente della sua voce. Del resto, anche nella rappresentazione delle parabole bibliche Bosch non si accontenta di una riproduzione og­ gettiva, ma sempre si preoccupa di sottolinearne le implica­ zioni emotive. Come il predicatore fa giungere la parola biblica alla coscienza di chi ascolta facendo appello in primo luogo alla sua sensibilità, così Bosch, illustrando i 'sepolcri imbiancati' o il monito « orecchie che non vogliono udire », ha saputo comunicare un profondo senso di sbalordimento e di orrore. Anche sul piano puramente formale possiamo indivi­ duare espedienti retorici. L ’elemento tempo, ad esempio, giocato nel senso di creare artificiosamente una tensione sempre crescente, si visualizza nello spazio figurativo attra­ verso la sapiente disposizione coreografica delle figure e degli atteggiamenti, in modo da suggerire l’idea di succes­ sione. Ma la prestazione suprema, nell’arte di applicare effetti retorici al piano figurativo, Bosch la fornisce nel ripe­ tere il motivo-guida dell’atteggiamento di Adamo. Attra­ verso questo espediente egli riesce a suggestionare lo spet­ tatore in vari sensi. Nelle diverse sfumature del motivo di base, quel che più conta è riflettere il tono voluto dal Maestro. Nell’Eden l’atteggiamento di Adamo era quello

del fiore che si è da poco castamente schiuso nella rugiada del mattino. La prima ripetizione, nella Èva infernale, ac­ compagna il sentimento di contrizione, di ‘espiazione e sof­ ferenza’, dal quale l’osservatore, nell’immagine lirica del ‘primo amore’ - seconda ripetizione-, si risolleva attraverso una catarsi consolatoria. La terza ripetizione - quella della ‘coppia nell’ampolla’ - segna una svolta, poiché la morale adamita viene qui espressa in termini alchemici. L ’ultima replica è quella nell’aranceto dell’accademia, dove vibra la gioiosa reminiscenza di atmosfere mediterranee. Il Gran Maestro non hai mai preteso dal pittore, suo discepolo, delle fantasie astratte; egli l’ha sempre indiriz­ zato verso la Natura e la sua pienezza organica vivente, in continuo sviluppo. Questa rigorosa sottomissione alla Na­ tura si fonda su uno dei princìpi della magica scienza della Natura professata dalla Rinascenza: la ‘scientia signata’, la dottrina delle ‘impronte’, che riteneva di possedere la chia­ ve delle potenze occulte di tutte le sostanze naturali e di tutte le essenze spirituali. Secondo questa dottrina, ogni pietra, ogni pianta, ogni essere vivente ha in sé una certa energia, irraggia un mana; e perché questa energia, nel di­ pinto, fosse captata e irraggiasse nuovamente, occorreva che l’impronta, vale a dire la forza formativa essenziale di ogni più piccolo oggetto, animato o inanimato, fosse compresa e ‘raccolta’. Questa necessità obbligava il pittore alla più stretta os­ servazione della Natura; essa ha trasformato questa fedeltà in ‘perfezionismo’, che è, come abbiamo visto, una conce­ zione magica della funzione. L ’ ‘organistrum’ aveva un'im­ pronta, o una ‘designazione’, solo se il suo collo, la sua tastiera, le sue chiavi o la sua manovella erano funzionanti; lo scopo essenziale dello spartito era realizzato solo se la sua notazione era effettivamente cantabile. Un coltello era coltello solo se portava il marchio del coltellaio. Infine, un uccello e una farfalla venivano considerati animati solo se, secondo quel che Frazer chiama « thè magic of similarity », si fosse potuto riconoscere in loro il frosone, la ghiandaia o l’aglossa. Nel mondo ordinato delle 'impronte', tutto aveva eguale importanza. Ogni dettaglio, per quanto minimo fosse, do­

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veva esprimere la ‘vis vitalis’, la forza organica e funzionale della vita in tutte le sue forme e in tutte le sue varie trasfor­ mazioni. Bosch, da questa osservazione incessante e atten­ tissima della realtà, ha tratto una conoscenza enciclopedica delle realia della vita; in tal guisa supera tutti gli altri pittori del suo tempo. Questa costante osservazione ha sviluppato a tal punto la sua sensibilità pittorica per la crescita organica, per il movimento e per il gioco delle fisionomie, che la sua arte si è innalzata all’altezza sovrana di una fisiognomica universale. Iniziato da questo medico-sacerdote alla scienza della Natura, Bosch non ha soltanto appreso a vedere e a ricono­ scere; egli ha acquistato quella facoltà di appercezione pro­ fonda delle cose derivante dal vero guardare, dalla penetra­ zione (Innewerden): uno sguardo infallibile per percepire le caratteristiche dell’oggetto, unito all’intuizione del suo umore interno. Per conseguire questa visione, che i mistici chiamano ‘visione dell’essenza delle cose’, Bosch ha dovuto purificare il suo spirito con sistematici esercizi spirituali di concentrazione; ne abbiamo già esposto il metodo, non ci resta dunque che desumerne lo scopo. La peculiare natura della concentrazione esigeva che il pittore affrontasse un compito nuovo: occorreva creare una scrittura pittorica di carattere geroglifico il cui signifi­ cato fosse più profondo di quello sofisticato e sottile del rebus. Il rebus si basa su una dualità: da una parte vela l’idea fino a renderla indecifrabile, dall’altra l’investe di un’espressione così fine che l’ironia più sottile colpisce nel segno. I geroglifici di Bosch si fondano, al contrario, se­ condo le parole della Genesi, sulla 'dualità in una sola carne', su una visione sostanzialmente unitaria; la loro com­ plessità deriva dalla loro estrema semplicità, dalla loro inattesa 'univocità'. La chiave dei geroglifici di Bosch ri­ siede nell’approccio letterale; il loro messaggio è così radi­ calmente semplice che, di primo acchito, non si pensa che tutto il significato possa essere racchiuso nella cosa rappre­ sentata: si suppone una metafora celante un’arguzia, e si cerca l’arguzia fino a quando non si scopre che la cosa rap­ presentata sotto i nostri occhi contiene l’idea in tutta la sua semplicità. 214

Consideriamo, per esempio, il simbolo più 'complesso' della pala dell’Inferno: il mostro. Tre elementi essenziali —albero, uovo e mare —vi sono raffigurati in uno stato di disseccamento, di vuoto e di ghiaccio: è sufficiente riportare queste differenti qualità al loro denominatore comune, la morte, per scoprire l’idea positiva implicita nell’immagine negativa: « in origine, tutto era differente ». Ma se la soluzione è così semplice, perché nessuno l’ha mai sco­ perta? Questa domanda rinvia al punto di partenza scelto dal Gran Maestro per il suo insegnamento pedagogico. Per lui la risposta è la seguente: « Perché la vostra capacità di riflessione procede all’inverso; perché essa è inessenziale ». Lo spirito umano ha ricoperto il mondo fenomenico, nel quale vive, di un tessuto di rapporti logici e pratici, e que­ sto dominio intellettuale e materiale gli ha impedito la par­ tecipazione ‘naturale’ al mondo della Creazione. Ora, pro­ prio questa partecipazione era l’ideale di vita della confra­ ternita. Quando sentiamo, per esempio, la parola 'acqua', immediatamente essa si pietrifica in un concetto che ispira un’infinita gamma di pensieri utilitaristici; anche lo spirito più semplice troverà più 'naturale' ed 'evidente' la compli­ cata visione di un condotto d ’acqua piuttosto che il gero­ glifico eretto da Bosch per esaltare l’acqua: 'l ’Albero della Vita'. Là, vediamo l’acqua scaturire come per un miracolo inaf­ ferrabile, incomprensibile, come un elemento sgorgato dal grembo oscuro della terra, che si è innalzato e purificato fino al luminoso chiarore, simile a quei misteriosi cristalli che elaborano le loro translucide stereometrie nelle profondità della terra. Nel centro dell’Eden, la potenza maschile del cristallo si unisce all’energia materna primitiva dell’acqua in un matrimonio elementare da cui scaturisce tutta la fe­ condità della Creazione. Una tale concezione dell’acqua non si ottiene con un nor­ male processo intellettuale, poiché questo mira solo al con­ cetto. Nessuna considerazione pratica deve oscurarla. Essa è il prodotto di una visione pura che si è distaccata dalla sfera degli interessi umani per immergersi, immemore di sé, nell’essenza originaria e divina dell’oggetto. Avevamo individuato nel punto focale di concentrazione la cellula ove 215

si realizzano l’abbandono di sé e l’unione nella sostanza prima della Creazione; la forma geroglifica di questa idea esprime plasticamente la sentenza mistica secondo la quale solo l’uomo liberatosi dal suo io, dal suo essere, riesce a diventare un essere 'essenziale', a cogliere cioè la vera es­ senza del suo essere. Hieronymus van Aken è giunto alla propria maturità, come uomo e come pittore, anche in virtù della collabora­ zione con questo pedagogo profondamente ricco di espe­ rienza umana e filosofica. Inclinazioni preesistenti in lui, come la straordinaria capacità di rappresentazione, ne sono risultate approfondite, e potenzialità spirituali a lui del tutto ignote, come la sensibilità percettiva, gli si sono rivelate attraverso costanti esercizi. La sua stessa cultura, nella quale convivevano, all’interno della sostanziale devo­ zione alla Chiesa, elementi grotteschi e di satira sociale, perviene ad una maggiore compattezza, sino a giungere ad una visione del mondo rigorosa e chiusa, a carattere univer­ salistico e sistematico. Bosch era pienamente consapevole di essere debitore nei confronti del Gran Maestro: egli ha riconosciuto questo suo grande debito in un autoritratto in cui si dichiara aper­ tamente suo discepolo. A fianco della caverna di Pitagora, un poco sopra, nello stretto interstizio tra il profilo della monaca nuda e la testa dell’adolescente giovanneo, scor­ giamo un viso che corrisponde in tutto e per tutto al no­ tevole autoritratto della Via Crucis di Vienna. Il luogo scelto per apparire è modesto, ma proprio per questo rende più convincente la pacata autoconsapevolezza con cui Bosch dipinse, in questo angolo recondito, il suo viso dalla fronte spaziosa, dai larghi occhi neri e dallo sguardo diretto. Que­ sti lineamenti — insieme alla bocca energicamente serrata e al naso diritto e vigoroso — esprimono un carattere so­ lido e franco, che persegue con incrollabile perseveranza il fine scelto dopo una lunga riflessione. Scopriamo, in questo autoritratto, la fermezza di un uomo avvezzo alla concentrazione. Questo dato ha per noi un triplice significato: ci per­ mette, prima di tutto, di datare questo quadro. Ma ritorne­ remo su questo punto in un prossimo studio, nel quale

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analizzeremo cronologicamente l’opera di Bosch e dimostre­ remo la sua cooperazione con il Gran Maestro del Libero Spirito, a cominciare da II prestigiatore del Museo di SaintGermain-en-Laye, fino alla più tarda Adorazione del Bam­ bino di Colonia. Questo ritratto fornisce, inoltre, un’ulte­ riore prova del fatto che Bosch fosse un membro della comunità del Libero Spirito; egli si è infatti dipinto in mezzo alle creature del Paradiso come un fratello tra i fratelli, come un iniziato. Infine, la deduzione più significa­ tiva, che fa onore alla tanto vituperata moralità del Libero Spirito: Bosch si autoemargina a favore del Gran Maestro, rinunciando a una posizione di maggior rilievo. Tale ritegno non gli impedisce tuttavia di attribuirsi un’espressione di grande consapevolezza e dignità: la consapevole dignità di un membro della comunità. Questa scelta di Bosch rivela una volta di più come all’in­ terno del Libero Spirito regnasse una cosciente e responsa­ bile autodisciplina e una volontaria autosubordinazione. È a questo severo costume che si deve la completa realizzazione, nel dipinto, della formula fondamentale del Libero Spirito: « Et erunt duo in carne una ». In virtù di contributi intel­ lettuali di eguale vigore spirituale, visuale e creativo, è nata un’opera che rende una testimonianza così completa del­ l ’universo intellettuale della comunità, da compensare la totale perdita degli scritti libero-spirituali. Il Regno mil­ lenario è infatti una grande testimonianza del cristianesimo delle sette che precedettero la Riforma, lo studio delle quali è stato sinora trascurato dalla storia dell’arte. Quest’opera, che è paragonabile per forza,' dignità e magnificenza a L'an­ gelo mistico dei fratelli van Eyck, apoteosi della pittura cattolica, o alle professioni di fede luterana di Lucas Cranach, si protende verso di noi attraverso i secoli, solitaria, maestosa, unica.

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Indice

Notizia sulla vita e le opere di Wilhelm Fraenger

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Bibliografia

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Nota sull’edizione

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Il Regno millenario di Hieronymus Bosch La simbolica di Bosch Il Paradiso teneste

I Fratelli e le Sorelle del Libero Spirito Il processo verbale di Cambrai

II terzo giorno della Creazione L’ampolla

Il Giardino dell’Eden Mundus patet La visione di Mechthild von Magdeburg Ibis e salamandra Sermoni della montagna L’India, paese di sogno L’Albero della Vita

L’Ini*emo L’Albero della Conoscenza L’Inferno dei quattro elementi

17 27

39 49 61 66

75 80 83 86

89 92 97 105 105 111

L’Inferno dei cavalieri L’Inferno dei monaci La concezione libero-spiritualedell’Inferno L’Inferno dei musici L’Inferno della cupidigia Satana Vanitas Gli spettri della frenesia

Il Regno millenario Delimitazioni e transizioni La processione trionfale attorno al Bacino della Vita Crittografia simbolica della Natura La provincia pedagogica . Ars amandi Ars moriendi La Resurrezione L’Ascensione

Conclusioni La caverna di Pitagora Il Gran Maestro del Libero Spirito

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